Origini

di FiammaBlu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Prima parte

 

Aveva guidato per ore, senza rendersi conto del passare del tempo, finché la strada era terminata davanti a lui. Seguire la linea bianca di mezzeria era stato ipnotico e gli aveva permesso di placare il suo animo, tormentato e disgustato dalla piega che aveva preso la sua vita. Espirò il fiato che aveva trattenuto in quell’ultimo minuto, aprì lo sportello e scese dalla macchina.

Il vento fresco scosse il tessuto della camicia bianca che indossava e passò tra i suoi capelli, facendolo rabbrividire. Indossò l’impermeabile che aveva buttato sul sedile posteriore, infilò le mani in tasca e mosse qualche passo che lo portò sul bordo della scogliera. L’oceano Pacifico ringhiava e ruggiva, infrangendosi contro gli scogli appuntiti, ma essi, immobili e insensibili, stavano lì da millenni, impedendo al mare di andare oltre. Proprio come aveva fatto lui con suo padre.

Questa volta però lo aveva aggredito come mai prima di quel momento. Era stato il suo punto di non ritorno, lo sapeva. Aveva affrontato molti altri vuoti nella sua vita, ma nessuno era paragonabile a quello. Non aveva alcuna intenzione di sposare Shiori e, anche se parte del problema generato proveniva dalle sue stesse azioni, non avrebbe più proseguito su quella strada. Si sarebbe preso cura di lei finché si fosse ristabilita, ma niente matrimonio. Suo padre si ostinava in quell’assurda unione, senza comprendere, anche in questo caso, i suoi sentimenti. Non tanto quelli che provava per Maya di cui non poteva essere a conoscenza, quanto proprio i suoi desideri. Gli aveva imposto di farlo e lui aveva acconsentito sicuro che il suo amore non sarebbe mai stato ricambiato, per scoprire, qualche tempo dopo, i reali sentimenti della ragazza che aveva seguito e amato negli ultimi sette anni e che credeva irraggiungibile.

Si portò le mani fra i capelli al ricordo di quell’abbraccio stretto sul ponte della nave che, con tutta probabilità, era passata anche davanti a quel promontorio. Quell’attimo non sarebbe mai svanito dalla sua memoria e l’aveva tormentato ogni secondo da quel momento, divenendo la causa della sua attuale posizione. Rinunciando al cognome di suo padre, l’interesse della famiglia Takamiya sarebbe decaduto all’istante e così il fidanzamento sarebbe stato sciolto. Questo non lo esimeva dalle sue responsabilità, che si sarebbe assunto parlando direttamente con il nonno di Shiori, ma lo sollevava almeno da quel legame angosciante. Inoltre gli avrebbe permesso di scusarsi con Maya.

I suoi pensieri volarono nuovamente a quella ragazza che con la sua esuberanza e voglia di vivere aveva scaldato il suo cuore freddo facendolo tornare a vivere. Era stato un processo semplice, a dispetto di quanto fosse complicata la sua vita: l’aveva vista, ne era rimasto colpito e, da allora, come una goccia su una pietra, lei aveva scavato a fondo nella sua anima, entrandovi dolcemente finché, con le parole della Dea Scarlatta, gli si era dichiarata senza alcuna paura, stupendolo e cambiando drasticamente il corso della sua vita.

Fin da quando ti ho vista per la prima volta, io sapevo in fondo al cuore che tu saresti stata la mia rinascita, Maya. Anche se non volevo ammetterlo, anche se mi sono trincerato dietro scuse di ogni tipo, le mie rose erano quel segreto che non volevo rivelare neanche a me stesso… Esse sono la costante testimonianza dei miei sentimenti che ora ho accettato appieno e che non intendo più soffocare. Come ogni volta, per te è stato semplice confidarti, i tuoi occhi, le tue labbra che recitavano i versi che, ora lo so, provenivano da te e non dal dramma, la tua mano che mi ha accarezzato spontaneamente e senza timore, tutte azioni che mi hanno sconvolto e l’unica cosa che ho saputo fare è stato abbracciarti con una nuova consapevolezza.

Un gabbiano garrì facendolo sussultare, volò rasente alla scogliera e si diresse in mare aperto con le ampie ali dispiegate. Masumi sapeva che la decisione di abbandonare il cognome di suo padre era drastica, ma lui non avrebbe capito nessun’altra spiegazione. Non gli interessava l’eredità degli Hayami né diventare l’amministratore delegato del gruppo Takatsu. Lui voleva solo smettere di indossare quella pesante maschera che diveniva ogni giorno più insopportabile. Hijiri aveva ragione: avrebbe dovuto incontrare Maya e spiegarle ogni cosa, scusarsi e sperare che lei comprendesse la sua posizione. Credere che quell’abbraccio sul ponte avesse lenito ogni ferita e chiarito i loro sentimenti, era un desiderio infantile e lui non aveva alcuna intenzione di sottrarsi alle sue responsabilità neanche con Maya.

Aveva rimuginato così a lungo sul motivo per cui lei lo amasse da farsi venire il mal di testa. Niente aveva senso: lui l’aveva sempre maltrattata e pungolata, aveva vessato la signora Tsukikage, fatto chiudere la compagnia, era stato la causa della morte di sua madre e quando si stava arrendendo lui non l’aveva lasciata in pace finché aveva ripreso a recitare. Eppure non c’erano dubbi, le sue braccia intorno al suo corpo, le sue parole, quell’implorazione ad aspettarla.

Chiuse gli occhi e lasciò che il vento trascinasse via le lacrime liberatorie che presero a scendere senza sosta. Derivavano dalla gioia, dalla meraviglia della scoperta che quell’amore avrebbe potuto avere un futuro, dalla rabbia, dal senso di impotenza che l’aveva tormentato fino a quel momento, dalla frustrazione. Erano sgorgate spontanee, non aveva avuto bisogno di mettere la sua maschera, era solo su quello scoglio, non c’era nessuno e poteva essere se stesso fino in fondo. Strisciò i palmi sulle guance arrossate e si accorse che erano calde e venivano raffreddate immediatamente dal vento. Il suo cuore era spaccato fra i sentimenti che provava e le azioni che aveva compiuto. Non riusciva a trovare un modo per perdonarsi, come se qualcuno, dall’esterno, decidesse della sua vita e lo obbligasse ad agire in un modo che non gli apparteneva. C’era una forza immane contro cui lottava, un’intera cultura vecchia di millenni, un padre severo ed esigente, ma sentiva anche qualcos’altro, un’energia fredda e determinata, che spingeva le loro vite in una certa direzione senza che loro potessero in alcun modo veicolarle.

Maya, come puoi amare un uomo come me? Cosa ho mai io da offriti se non sofferenza e un rancore per le mie azioni che non potrai mai dimenticare? Quando ci incontreremo e scoprirai che sono il tuo ammiratore, io risponderò ad ogni tua domanda, non mi tirerò indietro, non ti mentirò!

Si asciugò le ultime lacrime, strinse l’impermeabile intorno al corpo, risalì in auto e fissò per un attimo i documenti sul sedile anteriore. La prima cosa da fare era parlare con il nonno di Shiori. Riaccese l’auto, fece retromarcia fino a trovare l’asfalto e tornò verso Tokyo con il cuore più leggero.

Il traffico in autostrada era intenso e sarebbe arrivato a sera inoltrata, ma non gli interessava: l’Imperatore Takamiya avrebbe ascoltato ciò che aveva da dire. Inoltre, come aveva promesso a suo padre, non aveva alcuna intenzione di tornare a casa e avrebbe preso una stanza in un albergo qualsiasi, meglio se lontano dalle zone che frequentava abitualmente e dove avrebbe potuto incontrare Maya. Non era il momento di vederla, la sua casa a Izu sarebbe stata perfetta e lui pronto ad affrontarla. Il ricordo corse all’istante alla sua risposta quando l’aveva invitata a trascorrere del tempo in sua compagnia in quel rifugio. Ancora non riusciva a capacitarsi di come potesse essergli uscita quella richiesta, forse il suo cuore aveva parlato prima della sua mente tale era il desiderio di passare del tempo con lei dopo aver scoperto i suoi sentimenti. Eppure lei aveva acconsentito a stare da sola con lui. Non poteva esserle sfuggito il particolare, quindi lei sapeva a cosa probabilmente sarebbe andata incontro…

Eppure ha detto di sì...

Sentì il calore scaldargli le guance dopo il vento freddo del mare, strinse con forza il volante respingendo le immagini che gli inondarono la mente. Spinse sull’acceleratore riportando i suoi pensieri sulla sua prossima azione, certo che la sua decisione si sarebbe rivelata giusta. Nonostante ciò, un brivido freddo gli fece accapponare la pelle in contrasto con i pensieri suscitati dal ricordo di Maya.

 

Quando entrò in città, era già calata la sera. Imboccò l’uscita giusta e si diresse alla villa dei Takamiya. Avvertiva una strana sensazione alla base del collo, un avvertimento silenzioso che lo costrinse involontariamente a serrare la mascella. Era fermo ad un semaforo, si guardò intorno e la sgradevole percezione aumentò. C’erano altre macchine in coda, gente sui marciapiede, i negozi in chiusura, un gruppo di ragazzi davanti ad un fast food. Apparentemente era tutto come avrebbe dovuto essere, ma il presentimento che lo pervadeva non accennava a diminuire. Avrebbe potuto chiamare Hijiri e chiedergli informazioni su Maya. Tirò fuori il cellulare e osservò perplesso l’assenza di linea.

Qualcuno strombazzò quando lui non partì al semaforo verde, gettò il cellulare sul sedile sopra i fogli dell’anagrafe, innestò la marcia e partì, fermandosi qualche metro dopo in un parcheggio a lato del marciapiede affollato. Riprese in mano il telefono, che indicava ancora l’impossibilità di chiamare, lo spense e lo riaccese, ma la situazione non cambiò. Non era mai accaduta una cosa simile. L’inquietante sensazione aumentò a dismisura, tanto da fargli abbandonare l’idea di incontrare il nonno di Shiori quella sera, rimandando all’indomani, e di correre da Maya.

Una donna gridò, lui girò di scatto la testa e la vide. Tolse le dita dalla chiave di accensione dell’auto e scese, attirato come una calamita. Non fece caso alla gente intorno a sé, non badò alla spinta che ricevette, né si curò della frase scortese ringhiata dall’uomo, mantenne lo sguardo su quel cartellone pubblicitario appeso fuori da un hotel. Era Maya, bellissima negli abiti di Ardis e dietro di lei, Ayumi Himekawa, che aveva interpretato Oligerd. Si fermò davanti alla stampa, ma aggrottò la fronte leggendo lo slogan sottostante. Non aveva alcun senso e chi l’aveva redatto non capiva nulla di pubblicità. Doveva esserci un evento nell’attico di quell’albergo, ma non gli sembrava autorizzato dall’Associazione Nazionale per lo Spettacolo.

- Buonasera - una voce gentile si rivolse a lui e Masumi si voltò lentamente, faticando a staccare gli occhi dal volto sorridente di Maya.

- Buonasera - ripose individuando il portiere in livrea. Era un uomo anziano, ma si capiva ad un primo sguardo l’esperienza maturata in decenni di duro lavoro, serio e professionale.

- Desidera assistere? L’evento è aperto al pubblico - lo invitò con un sorriso gentile.

Masumi lo fissò, poi annuì, mosso da un terribile e ingiustificato presentimento. Il portiere lo accompagnò nell’atrio aprendogli la porta del lussuoso hotel. All’interno, un lungo tappeto rosso portava ad una scalinata. Sulla sinistra c’era la reception, le cui signorine gli sorrisero gentilmente facendo un lieve inchino, e la postazione del Consierge, in quel momento vuota.

- È la prima volta che partecipa ad un evento del genere? - gli chiese il portiere mentre attendevano davanti alle porte lucide di un ascensore.

- No - rispose brevemente lui. Non aveva intenzione di farsi riconoscere: se era un evento non autorizzato, avrebbe semplicemente avvisato l’Associazione Nazionale e loro si sarebbero occupati di tutto.

- È un giornalista? - indagò ancora l’uomo e Masumi colse la palla al balzo.

- Sì - annuì cercando di usare un tono che non insospettisse il curioso attendente. Le porte si aprirono e all’interno un altro valletto attendeva impettito nella sua livrea rossa e bianca.

- Allora avrà di che scrivere! Era tempo che la sensei non si faceva vedere! - aggiunse il portiere con un ampio sorriso - Accompagna il signore all’attico - aggiunse poi rivolto al valletto e tornando serio.

Masumi entrò nell’ascensore e annuì.

- La ringrazio, farò del mio meglio -

Le porte si chiusero sottraendolo alle attenzioni dell’anziano uomo e si trovò a tirare un sospiro di sollievo. La signora Tsukikage è qui? Com’è possibile che abbia accettato di partecipare ad un evento del genere? Credevo fosse impegnata con lo spettacolo dimostrativo…

Il viaggio fu breve e non gli diede tempo per altre riflessioni. Il valletto rimase impettito e in silenzio tutto il tempo e quando le porte si aprirono si esibì in un inchino perfetto continuando a guardare fisso davanti a sé. Masumi si addentrò nell’ampio ingresso pieno di gente. Sulla destra c’era un tavolino con due signorine che distribuivano dei gadget probabilmente relativi all’evento, il pavimento era coperto da una elegante moquette rossa e le pareti, che formavano un semicerchio che convergeva verso una doppia porta spalancata, erano tappezzate di poster di Maya nelle sue rappresentazioni. Ogni sguardo era diretto all’interno della sala gremita. Erano state previste delle sedie, ma la quantità di gente che si era presentata era stata molto superiore delle aspettative. Sulla destra, oltre il tavolino con i gadget, c’era un gruppo di ragazzine eccitate per qualcosa, una addirittura piangeva mentre un’altra indossava l’abito che Maya aveva usato quando aveva rappresentato Satoko.

Masumi le osservò perplesso, avanzò di qualche passo, ignorato dalla gente intorno, e raggiunse il centro delle due doppie porte. Non voleva entrare né farsi riconoscere, ma era curioso di sapere chi aveva organizzato quell’evento. L’associazione Nazionale aveva allontanato tutte le compagnie teatrali e i produttori per essere libera di realizzare la messa in scena dell’autentica “Dea Scarlatta”, quindi non riusciva a comprendere come potesse esserci qualcuno disposto a irritare il Presidente Yamagishi.

L’ampia sala era stipata di persone, in cima c’erano alcuni giornalisti seduti sulle prime sedie e dei fotografi avevano installato le loro macchine ai piedi del palco rialzato che ospitava il tavolo con gli intrattenitori. Non riconobbe alcun giornalista e questo fece riemergere quella terribile e inspiegabile sensazione. Lasciò vagare lo sguardo intorno finché i suoi occhi si posarono su un tavolo ovale coperto da una splendente tovaglia bianca. Deglutì, sentendo il suo cuore contrarsi per la paura e un brivido gelato attraversargli la schiena.

Un enorme mazzo di rose scarlatte faceva bella mostra di sé in un elegante vaso, bianco anch’esso.

Com’è possibile?

Lentamente tornò a guardare la sala, nessuno si curava di lui, tutti erano in attesa della sensei. I sussurri lievi intorno, il sangue che gli ribolliva nelle vene, la confusione che aveva in testa, gli resero impossibile ascoltare lo speaker, ma l’applauso che scaturì dopo le sue parole gli indicò che la signora Tsukikage sarebbe entrata presto. Il tendaggio rosso alle spalle del tavolo sul palco si separò appena ed effettivamente una donna comparve nel tripudio generale, ma non era la signora Tsukikage. Aveva capelli neri alle spalle, indossava un abito nero e lungo, ma non era lei. Un’impostora? Non posso crederci…

La folla la acclamava e la donna si sedette con garbo al tavolo, rivolgendo sorrisi e inchini a tutti. Una ragazza accanto a lui, vestita in modo eccentrico, applaudiva con vigore tenendo un albetto colorato sottobraccio e, curioso di sapere chi fosse la donna sul palco, attirò la sua attenzione.

- Mi scusi - la chiamò avvicinandosi a lei - Mi sa dire chi è quella persona? -

La ragazza, che rideva felice, smise di applaudire, si voltò verso di lui e la sua espressione cambiò. Dilatò gli occhi, le sue guance persero tutto il colore diventando esangui, s’irrigidì e fece un passo indietro, stringendo al petto il libretto che era tornato freneticamente nelle sue mani come se avesse un valore inestimabile.

Masumi sollevò un sopracciglio perplesso a quella reazione. La ragazza lo fissava con espressione sbalordita. Forse mi ha riconosciuto…

Rimase immobile, in attesa di una risposta. Vide la giovane deglutire, ma non perse quella posizione arretrata e rigida, poi finalmente parlò.

- S-Suzue Miuchi - balbettò con tono appena udibile stringendo con forza l’albo colorato fra le mani.

 

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Seconda parte

 

Masumi sbatté le palpebre, quel nome non gli diceva assolutamente nulla, eppure lui conosceva tutti in ambito teatrale. Il suo sguardo si posò sul libretto che la ragazza stringeva con tanta foga e si rese conto che gli ideogrammi rossi “ガラスの仮面” dicevano “Garasu no kamen”, “maschera di vetro”. Subito sotto il titolo rosso c’era il nome dell’autrice “美内すずえ”, Suzue Miuchi, e a destra figurava il numero 49. La copertina, bianca e viola, riportava un’immagine di Maya con un ramo di susino fra le braccia e, dietro di lei, Ayumi Himekawa. Era il tankobon di un manga.

- H-Hayami Masumi? - balbettò di nuovo la ragazza terrea come se avesse di fronte un fantasma. Lui annuì gravemente, la mente confusa e quella sensazione sgradevole sempre più dilagante gli serrò lo stomaco.

- Sì - confermò lui, sicuro che quello fosse solo un sogno e che non avesse alcuna importanza rivelare la sua identità. La giovane si raddrizzò, deglutì di nuovo mentre continuava a fissarlo e fece un passo avanti.

- È impossibile… - sussurrò la ragazza scrutandolo come se volesse fargli una radiografia. Masumi corrugò la fronte, non gli piaceva essere analizzato in quel modo sfacciato, inoltre tutta quella faccenda non aveva senso.

- Non può essere vero… - aggiunse la giovane balbettando, incapace di costruire una frase coerente. Allungò titubante una mano e con un dito gli toccò un braccio, salvo ritrarlo immediatamente e portarsi la mano alla bocca spalancata quando si rese conto che era di carne e ossa. Masumi sollevò un sopracciglio e decise che ne aveva avuto abbastanza.

- Le assicuro che sono io - replicò freddamente sistemandosi l’impermeabile - E ora mi scusi, ma devo andare - la liquidò dandole le spalle.

- Aspetti! - gridò la ragazza attirando l’attenzione delle persone intorno.

Masumi si fermò e si girò, ma quando vide i volti esterrefatti della gente che lo fissava, sentì una paura immotivata riempirgli l’anima.

La ragazza con l’abito di Satoko gli si posizionò davanti, gli occhi spalancati e le guance arrossate. Ben presto venne seguita dalle altre che si raccolsero intorno a lui, circondandolo.

- È proprio lui! È identico! - sussurrò un’altra con tono sbalordito.

- Sarà un attore? -

- Perfino gli stessi occhi… - mormorò rapita una terza con espressione famelica.

Masumi le guardò esterrefatto, impossibilitato a comprendere cosa stesse succedendo e quando quella con l’abito di Satoko allungò una mano, comprese che era giunto il momento di andarsene. Era la seconda volta in vita sua che si sentiva aggredito e incapace di gestire la situazione.

- Scusate, ma devo proprio andare - mormorò sentendo le membra tremanti e il cuore in tumulto. Fece qualche passo indietro, ma trovò i corpi di altre ragazze che ostacolavano la sua fuga.

- No! Non vada via! - gridò una scatenando il panico nell’ingresso. In breve si trovò letteralmente sommerso da mani che volevano toccarlo, labbra che volevano baciarlo - e quella era una cosa veramente assurda - dichiarazioni d’amore urlate che per lui non avevano alcun senso. Cercò di divincolarsi, ma non ci riuscì. Individuò la porta delle scale d’emergenza e cercò di avvicinarsi ad essa indietreggiando. La piccola folla non lo mollava e si sentì seriamente in difficoltà. Era una situazione che rasentava l’impossibile se non avesse avvertito ogni tocco come reale. Inalava i profumi dolciastri delle giovani intorno a lui, le loro grida gli sfondavano le orecchie, i loro corpi erano pesanti e “presenti”.

Allargò le braccia e provò a creare un’area di respiro, ma loro continuavano a chiamarlo per nome, come se lo conoscessero perfettamente, e non si rassegnavano alla sua riluttanza. Più che altro stava cercando di sopravvivere!

Una ragazzina dalle lunghe trecce gli sbatté addosso quel volumetto che l’aveva così scosso. Masumi lo afferrò, cercando di allontanare la ragazza. Ci fu un tira e molla comico, alla fine la giovane si arrese e lui si trovò con la porta alle spalle. L’aprì d’istinto e corse follemente giù per le scale avvertendo la piccola folla che lo seguiva a rotta di collo. Non si guardò indietro e dopo aver sceso quattro piani, imboccò una porta semiaperta che chiuse alle proprie spalle. Non attese per vedere se si fossero accorte del suo cambio di strada, continuò a correre per il corridoio finché incontrò un altro valletto in livrea rossa e bianca, che lo fissò stupito.

- Come posso uscire rapidamente da qui? - gli chiese con il fiatone, lanciando un’occhiata dietro di sé.

- Può prendere l’asc… - ma Masumi lo interruppe.

- No! Le scale! - replicò con troppo vigore che fece aggrottare la fronte del valletto, il quale si limitò ad indicare un’altra porta in fondo al corridoio.

- Prenda quelle e le percorra tutte, si troverà nella via di fianco all’hotel - spiegò il giovane.

Masumi annuì, borbottò un rapido ringraziamento e si diresse a passo svelto verso l’obiettivo. Non gli interessava che quel ragazzo pensasse che era pazzo, voleva solo uscire da quel posto. Spalancò la porta e corse a perdifiato lungo quelle scale interminabili. Quando arrivò al piano terra, i polmoni gli bruciavano e la richiesta di ossigeno lo faceva ansimare pesantemente. Ignorò quello stato fisico, individuò la porta verso l’esterno e uscì.

Inalò l’aria fresca della notte, camminò lentamente fino all’angolo della via, sbirciò oltre e guardò il marciapiede davanti all’hotel. Era sgombro e la sua auto era parcheggiata vicino alla posizione in cui si trovava. La raggiunse con una corsa rapida e s’infilò all’interno tirando un sospiro di sollievo.

Il cuore batteva come un tamburo ed era costretto a respirare con la bocca aperta. Quando l’adrenalina scese un po’ e si rese conto di essere al sicuro, la sua mente analitica iniziò a tirar fuori ogni particolare di ciò che gli era accaduto alla ricerca di una spiegazione logica che non lo facesse impazzire. Allora si accorse di avere qualcosa in mano. Sollevò l’oggetto alla luce del lampione che passava dal vetro e sussultò.

Era quell’albo colorato, di quei manga che piacevano tanto alle ragazzine. Con mani tremanti iniziò a sfogliarlo e subito dopo le prime pagine il suo cuore, da frenetico, perse un colpo e sembrò quasi arrestarsi.

- Questa è una cosa impossibile… - sussurrò spalancando gli occhi. Ciò che stava guardando rendeva quel momento davvero un sogno, perché non avrebbe avuto altro modo per giustificarlo. Si rifiutò di proseguire nella lettura, abbassò il volumetto appoggiandolo sulle gambe e quando rivolse lo sguardo vacuo davanti a sé, notò il gruppo di ragazzine indemoniate uscire dall’albergo. Si tuffò sul sedile accanto e cercò di non farsi vedere. Le sentiva gridare il suo nome e quella cosa lo fece rabbrividire. Piano piano i rumori si affievolirono e infine cessarono del tutto.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo rimase in quella scomoda posizione, la mente vuota, le dita strette intorno al numero 49 di quel fumetto che sembrava narrare la sua storia. La storia di Maya e della sua passione per il teatro. La storia delle persone che conosceva.

Non è possibile…

Ripeté quel mantra infinite volte, sperando di svegliarsi da quell’incubo e probabilmente si assopì, impedendo così alla sua mente di cavalcare quell’onda di follia che sentiva nascere dentro di sé. Quando riaprì gli occhi, confuso e dolorante per la scomoda posizione, sospirò per il sollievo. Sicuramente quel brutto sogno era terminato e forse si era addormentato in auto a causa della tensione scaturita dal litigio con suo padre. Qualcuno avrebbe preso quell’esperienza onirica per un avvertimento, ma lui era un uomo pratico. Avrebbe lasciato il cognome di suo padre e non avrebbe sposato Shiori Takamiya, niente e nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea.

Tornò eretto sul sedile di guida con una smorfia e guardò verso l’albergo con il cuore più leggero, ma sussultò quando vide quella donna circondata da alcuni giornalisti e allo stesso tempo si accorse di stringere ancora il volumetto nella sua mano. Abbassò gli occhi e li chiuse quando scorse l’immagine di Maya col ramo di susino in braccio.

Sono ancora intrappolato qui…

Espirò il fiato e accasciò le spalle, chiudendo le palpebre su quel mondo alieno. Quella situazione esulava da qualsiasi ragionamento lui potesse fare e lo lasciava completamente spiazzato e senza risorse.

Un’auto nera accostò davanti all’hotel e la donna salì seguita dall’uomo che era seduto al tavolo degli invitati, probabilmente il suo editore se era davvero la disegnatrice di quel manga. Se quel sogno doveva continuare, avrebbe fatto in modo di condurre il gioco. Puntando su quella nuova consapevolezza, posò il volumetto sul sedile insieme al cellulare e i documenti, controllò il telefono e finalmente iniziò ad accettare quell’anomala situazione, da uomo razionale qual era. La linea era ancora assente, c’erano delle auto in strada che non aveva mai visto, la gente era vestita con una moda diversa e camminava tenendo in mano un telefono piatto dal grande schermo luminoso. Ma la prova più schiacciante si trovava sul sedile accanto a lui, racchiusa in quelle pagine in bianco e nero. Eppure quella era Tokyo, aveva guidato per le sue strade, quindi esisteva.

Forse sono io l’intruso, allora… Come sono finito qui?

Evitò di analizzare quell’assurda domanda, accese il motore e seguì l’auto scura. Se c’era qualcuno che poteva avere delle risposte, era la donna in quell’auto che si chiamava Suzue Miuchi.

 

Senza alcuna difficoltà, era riuscito a star dietro a quella macchina elegante di marca straniera. L’autista aveva guidato in modo tranquillo nel traffico sempre più esiguo della sera, fino a raggiungere una zona residenziale nella parte ovest della città. Era lontana dal centro frenetico e moderno, c’erano grandi ville in stile giapponese con splendidi e curati giardini, molto simili alla villa di suo padre. Quando l’auto si era fermata, lui aveva accostato circa mezzo chilometro indietro. Aveva visto scendere la donna accompagnata dall’uomo, avevano scambiato qualche battuta che gli era sembrata aspra e carica di risentimento, poi lui era risalito e lei era entrata in casa.

Quella donna doveva avere poco più di sessanta anni, il suo sorriso alla conferenza stampa nell’hotel gli era sembrato calcolato e preconfezionato, un po’ come la sua espressione da affarista quando entrava alla Daito. Sorrise di quella riflessione, iniziando a dubitare della sua reale esistenza.

Sto diventando pazzo…

Posò lo sguardo sul volume che aveva strappato di mano alla ragazza e la curiosità vinse sulla ragione. Lo aprì e lo lesse dall’inizio alla fine. Quando vide le ultime tavole, che lo ritraevano nella discussione con suo padre e in cui fuggiva in auto decidendo di iniziare una nuova vita, un groppo d’angoscia gli chiuse la gola.

Questo sono io! Proprio io! Faccio parte di una storia? Sono una marionetta nelle mani di quella donna? È lei che decide ogni cosa? È questa la forza che sentivo tirare e dilatarsi? Io… quindi… non esisto?

Un terrore profondo lo invase, non per se stesso, quanto per Maya. Il motivo per cui il loro amore non si era realizzato stava tutto nei disegni di quelle pagine? Era quella matita a decidere il loro destino? Il motivo per cui si sentiva così in ansia e gli sembrava che il tempo non passasse mai, derivava dal fatto che quella donna non aveva ancora concluso la storia? Maya aveva sofferto così tanto solo perché la mangaka aveva voluto così?

Non posso credere che ciò che sto vivendo sia vero… L’amore che provo per Maya è profondo e reale, non ha nulla a che vedere con una storia! E perché sarei qui… in quest’altro mondo?

Chiuse il volume angosciato e uscì dall’auto sbattendo lo sportello. Forse stava davvero impazzendo o forse era lì per un motivo, qualunque fosse la ragione, c’era qualcosa che voleva dire a quella donna.

Percorse il marciapiede cercando di tenere lontana la mente da qualsiasi riflessione, altrimenti non sarebbe stato in grado di affrontare i prossimi minuti. I lampioni illuminavano a tratti la strada, c’era silenzio e solo alcune finestre delle ville intorno mostravano la luce all’interno e quella di Suzue Miuchi non faceva differenza.

Immaginò che se avesse suonato a quell’ora, sarebbe stato cacciato e non aveva alcuna possibilità di inventarsi una storia né avrebbe potuto dare il suo vero nome. Quella donna sembrava famosa, probabilmente proteggeva la sua privacy come faceva lui e l’unico modo che aveva per incontrarla era entrare di nascosto. Nel suo mondo non si sarebbe sognato di fare una cosa simile, ma lì sentiva di poter agire senza alcuna regola, libero dalle solite costrizioni, certo che non ci sarebbero state ripercussioni per le sue azioni.

Adesso mi domando se il peso che sentivo sul cuore ogni volta che agivo era il senso di colpa derivato dall’impossibilità di liberarmi delle catene che mi tengono legato a questo mondo, dove io sono finzione e il resto realtà…

Girò intorno alla villa e trovò la piccola porta di servizio, identica a quella che i domestici di suo padre usavano per entrare e uscire. Spinse la porta, ma si rivelò chiusa. Sbirciò oltre e non avvertì la presenza ostile di cani da guardia. Puntò i piedi sulla parte bassa della porta, si sollevò sulle braccia e con un colpo di reni si piegò sul bordo in cima, passò una gamba oltre e si lasciò cadere giù.

Per fortuna mi ha disegnato alto…

Quel pensiero lo fece sorridere e rattristare allo stesso tempo. Realizzare all’improvviso che tutto ciò in cui credeva non esistesse, poteva piegare anche l’uomo più saldo e fargli perdere le proprie certezze. Per lui, invece, era significato far andare ogni tassello al suo posto. Aveva sempre ritenuto assurde certe cose che gli erano accadute, più simili ad un film o un romanzo che alla vita reale, per non parlare del dramma della “Dea Scarlatta”...

Rimase immobile in ascolto, ma non ci furono grida d’allarme né latrati furiosi, così proseguì sul sentiero di pietre che attraversava parte del giardino fino alla porta delle cucine. La signora non se la passava poi così male se poteva permettersi domestici e una casa simile. Spinse la porta di legno e vetro, ma rimase ostinatamente chiusa. Continuò lungo il perimetro e controllò ogni finestra del piano terra finché ne trovò una socchiusa. Si fermò da un lato appiattendosi al muro, ascoltando attentamente i rumori all’interno, poi, spinto dall’adrenalina, scostò l’anta, scavalcò ed entrò.

È così che ti senti, Hijiri, quando cerchi le tue informazioni? È per questa sensazione esaltante che continui a lavorare per me? O è solo il capriccio di quella disegnatrice?

Il pensiero del passato tragico di Hijiri e del fatto che la causa poteva essere proprio la donna in quella casa, accese la sua ira che andò a sommarsi alla frustrazione e all’angoscia che già provava, portandolo vicino al limite della sopportazione umana.

L’interno della stanza era buio e silenzioso. Si concesse qualche attimo per far abituare la vista all’oscurità, poi iniziò ad individuare gli oggetti intorno. C’era un grande tavolo in posizione semi verticale, simile al tecnigrafo che usavano i grafici alla Daito; un tavolino rotondo con due poltrone e, alla sua destra, un’alta scaffalatura probabilmente piena di libri sebbene non riuscisse ad identificarne il contenuto. Mosse un passo e il pavimento di legno scricchiolò. Si bloccò col cuore in gola, dandosi dello stupido: in fondo voleva incontrarla, no? Quindi prima o poi l’avrebbe visto.

Però posso almeno spaventarla un po’ se appaio all’improvviso. Se la sua reazione sarà come quella delle persone alla conferenza, otterrò una piccola vendetta…

Ridacchiò nel buio e vagò per la stanza sfiorando oggetti e gioendo per il sangue che gli scorreva nelle vene.

Non sembro un fantasma, però… né un altro tipo di apparizione. Avverto tutte le sensazioni e le cose intorno a me sono solide e sono in grado di toccarle. Questa è davvero una strana situazione…

Si avvicinò al tecnigrafo e si accorse che c’era un foglio di carta appoggiato sopra, fermato con la coppia di righelli montata su un goniometro. Si chinò appena assottigliando gli occhi, ma era bianco. Sul porta penne erano adagiate alcune strane matite. Da quella posizione, notò a destra una scrivania con un computer.

Forse usa quello per disegnare…

Sentì un rumore e si girò di scatto. Era giunto il momento di incontrare questa mangaka che sembrava governare la sua vita. Si accomodò su una delle due poltrone appoggiando l’impermeabile sull’altra e attese.

 

Odiava profondamente quegli eventi mondani, odiava i giudizi che la gente le scagliava addosso, odiava il suo editore e si domandava perché non la lasciassero in pace. Non aveva alcuna intenzione di giustificarsi con nessuno! Non doveva niente a nessuno! Invece tutti si aspettavano qualcosa da lei! Volevano, anzi no, pretendevano un capitolo, e poi un altro, e un altro! Non ci sarebbe mai stata una fine a quelle richieste, anche se lei avesse portato a termine la storia, una parte non sarebbe stata contenta e si sarebbe lamentata, qualunque cosa avesse scelto di disegnare.

Spalancò la porta del suo studio privato, irritata e delusa come ogni volta di ritorno da quelle conferenze. Accese la luce e raggiunse il tecnigrafo.

- Buonasera, signora Miuchi -

La voce maschile, profonda e pacata, la fece letteralmente saltare sul posto. Suzue si voltò e sussultò, portandosi una mano alla bocca per frenare un grido.

- Chi è lei? - mormorò la donna con voce appena udibile che filtrò attraverso le dita. L’uomo che stava guardando non poteva essere lì, aveva sempre vissuto nella sua fantasia.

- Devo veramente rispondere? - disse Masumi alzandosi e sorridendole con le mani sui fianchi.

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


Terza parte

 

Quando la luce si era accesa, Masumi aveva avuto un attimo di smarrimento osservando le tavole disegnate appese alle pareti. Tranne quella che ospitava la scaffalatura piena di libri e manga, le altre erano tappezzate di disegni. Raffiguravano quasi sempre Maya nelle vesti dei personaggi che aveva interpretato e ce ne erano alcuni in cui la giovane attrice sembrava impegnata in parti che era sicuro non avesse mai recitato.

L’espressione che mostrava in quel momento quella donna lo stava ripagando in parte dell’angoscia che gli dilaniava l’anima. Il volto era terreo, gli occhi spalancati, il corpo rigido e immobile.

- Hayami Masumi… - Suzue sussurrò il suo nome, dando voce alla paura che stava prendendo il sopravvento.

- Proprio io, in carne e ossa - confermò Masumi allargando appena le braccia. O almeno sperava che fosse così.

- Che… Che ci fai qui? - domandò la donna cercando di ricomporsi.

- Veramente speravo fosse lei a darmi risposta a questa domanda - replicò lui avanzando di qualche passo fino a raggiungere il centro della stanza.

La donna lo scrutava, facendo balenare gli occhi dalla sua testa ai suoi piedi. Masumi sorrise di quell’atteggiamento, ma in effetti non doveva essere facile accettare un’apparizione del genere. Lui stesso non sapeva bene come comportarsi.

- Io… no… è impossibile, sto sognando! - ribadì la donna come se parlasse a se stessa.

- È la stessa cosa che mi sono ripetuto nelle ultime tre ore, ma non sembra affatto un sogno - concordò Masumi con un sorriso malinconico. Suzue si portò nuovamente la mano alla bocca quando gli vide quell’espressione che per tante volte aveva cercato di rappresentare nei suoi disegni.

- Non è un sogno? - sussurrò la mangaka appoggiandosi al tecnigrafo quando lui avanza di un altro passo.

- No - ammise Masumi - Sono quasi certo che non lo sia, sebbene non sappia spiegarlo. L’unica cosa che ho compreso è che qui l’intruso sono io - aggiunse con amarezza.

Suzue lo fissò in silenzio, sbalordita e spaventata. Era incredibile pensare che il suo disegno potesse aver preso vita. Era più probabile che avesse avuto un incidente con l’auto di ritorno dalla conferenza e ora si trovasse in coma in qualche ospedale.

- Può essere… - mormorò Suzue cercando di rilassarsi. In fondo, se era un sogno, avrebbe potuto essere divertente.

- È lei che ha… - Masumi si interruppe incapace di trovare la parole giuste - È lei che ha disegnato la nostra storia? - concluse cacciando fuori tutto il fiato. Suzue annuì con la testa senza emettere un fiato, gli occhi ancora sbarrati, il volto esangue.

- Perché è ancora senza fine? - chissà perché quella era la prima informazione che gli era balzata in testa. Forse perché, in un modo o in un altro, avrebbe preferito sapere la conclusione e finalmente liberarsi di tutte le oppressioni e le angosce che non lo abbandonavano mai.

Suzue sussultò.

- Non lo so… - mormorò con tono debole.

- Non lo sa? - Masumi la fissò perplesso - Quando ha iniziato a disegnarlo? -

- Nel 1976 - rispose con un filo di voce la mangaka.

- E adesso in che anno siete? - indagò ancora usando il suo tono da imprenditore.

- Nel 2016 -

Il silenzio calò sulla stanza. Masumi si passò una mano fra i capelli.

- Sta scherzando? - le domandò infine, incredulo.

Lei scosse la testa lentamente.

- Perché? - insisté lui arrivandole di fronte e sovrastandola con la sua altezza. Era una situazione davvero inconcepibile, però chiariva molti altri dubbi che l’avevano assillato: quella sensazione che la situazione non si sbloccasse mai, quell’attesa infinita in un tempo che sembrava dilatato…

La donna scosse ancora la testa, terrorizzata.

- La smetta di tremare e mi risponda, dannazione! - imprecò perdendo la pazienza. In parte sembrava somigliare a Maya, con lei funzionava alzare la voce, forse anche quella donna si sarebbe scossa.

- Non lo so! - Suzue scandì ogni parola e scivolò di lato, sottraendosi alla sua imperiosità - È così e basta! - aggiunse con una nota irritata che Masumi colse e che lo lasciò spiazzato.

- Lei non può irritarsi, ha capito? - sibilò, pensando a tutto ciò che gli aveva fatto passare, tutto quello che aveva passato Maya - Si rende conto della nostra posizione? Oppure non le importa niente? Perché, allora, ci ha creato così? - la aggredì afferrandola per le spalle.

Suzue cercò di divincolarsi, la situazione era talmente paradossale da toglierle addirittura la capacità di pensare.

- Certo che mi importa! Tu dovresti stare in quelle pagine! - ribadì indicando una pila di volumi per terra, vicino alla scrivania. Masumi non aveva notato la colonna e quando i suoi occhi si posarono sugli albi, un brivido freddo gli attraversò la schiena.

Quella era la loro storia. Sicuramente, se l’avesse letta tutta, avrebbe scoperto ogni cosa, svelato ogni segreto, fugato ogni dubbio. Aveva mille domande in testa che avrebbe voluto rivolgerle, ma gliene fece una soltanto.

- Perché ha fatto soffrire così Maya? - sussurrò affranto lasciando andare la donna.

Lei si assestò lo yukata che indossava e lo affrontò.

- È un percorso - disse semplicemente - E di te, non t’importa? - aggiunse unendo le mani in grembo.

Masumi sollevò lo sguardo triste.

- No - le confidò, scuotendo appena la testa. Quindi Maya aveva passato tutte quelle vicissitudini solo perché crescesse e fosse un personaggio credibile? E io che l’ho attesa così a lungo…

- Dovrebbe lasciarci andare - le suggerì tornando stancamente a sedere sulla poltrona.

Suzue scoppiò a ridere e lui sollevò lo sguardo stupito.

- E tu? Tu sei disposto a perdere tutto? - gli domandò senza rispondere al suo quesito.

Masumi la fissò aggrottando la fronte. Quindi per lei aveva un valore così grande? Per questo non riusciva a separarsene? Conosceva già la risposta a quella domanda, lei stessa l’aveva disegnato in quelle ultime pagine del numero 49.

- Sì - le rispose fermamente fissandola.

- Anche se io decidessi di farti morire? Anche se Maya non accettasse l’amore del donatore di rose? - lo interrogò l’anziana disegnatrice con sguardo febbrile.

- Maya deve avere la Dea Scarlatta! - sibilò lui alzandosi in piedi di scatto. Non gli interessava niente dei suoi sentimenti, ma lei non avrebbe più dovuto soffrire.

Suzue inspirò e trattenne il fiato. Quel sogno stava prendendo una piega davvero inquietante. Non immaginava che il suo personaggio così faticosamente costruito potesse arrivare a tanto. Sembrava incarnare lo stesso Isshin e questo significava che era stata proprio brava.

- Quindi ti interessa solo Maya? - gli chiese senza aver più timore di lui.

Masumi annuì lentamente e il suo sguardo si addolcì.

- Anche se lei, signora Miuchi, non dovesse farci incontrare in questa vita, io la ritroverò - le confidò sicuro.

- Lo pensi davvero? - la mangaka lo scrutò attentamente. Credeva davvero in ciò che stava dicendo e probabilmente era stata lei a mettergli in testa tutte quelle idee.

- Sì - confermò lui - Conosco bene il mondo dello spettacolo e della pubblicità - proseguì tenendo gli occhi fissi in quelli di lei - Se lei dovesse scegliere di non far ricongiungere le due anime gemelle, una parte del pubblico storcerà il naso, ma la sua storia entrerà nella leggenda -

Suzue inspirò lentamente.

- Pensi a Romeo e Giulietta - continuò Masumi - Entrambi gli innamorati protagonisti muoiono, eppure è uno dei più grandi e acclamati drammi della storia! - aggiunse con veemenza.

- Quindi tu non chiedi niente per te stesso? - la donna sollevò un sopracciglio perplessa.

- Perché? Lei sta chiedendo qualcosa a se stessa? Mi pare se la stia prendendo comoda - la sua espressione avvenente si distese in un sorriso - Inoltre lei mi ha già dato tutto -

La disegnatrice rimase di sasso. Non tanto per l’accusa velata che le aveva fatto, quanto per la rassegnazione nella sua voce: era davvero disposto a perdere qualsiasi cosa per Maya.

- Terrò a mente quanto hai detto - esordì lei dopo alcuni secondi di silenzio.

- La ringrazio, signora Miuchi - quando Masumi le sentì dire quelle parole, un peso gli si sollevò dal cuore.

- Vuoi leggere la storia per intero? - propose lei indicando la pila di volumi.

Masumi soppesò la proposta, poi scosse la testa.

- È solo un sogno questo, non vuoi toglierti la curiosità di sapere ogni cosa? -

Lui la fissò con espressione malinconica.

- È vero, potrebbe essere un sogno, ed essere lei una mia fantasia dovuta alle ultime ore intense con mio padre, ma preferisco restare con ciò che so - ammiccò lui insinuando che la donna davanti a lui fosse frutto del suo stress.

Suzue annuì e lui non riuscì a leggere il significato della sua espressione contrita. Era una signora davvero strana. In quel momento sembrava un fascio di nervi, tesa e concentrata su qualcosa. Aveva un tic che le faceva tremare appena l’occhio destro e il modo con cui si torceva le dita era indice della sua inquietudine.

Masumi ridacchiò e lei sollevò il mento irritata.

- Cosa c’è? - domandò la donna irrigidendosi ancor di più.

- Mi scusi - Masumi cercò di ricomporsi. Era piacevole poter esprimere ciò che pensava senza timore di incorrere nelle ire di suo padre oppure rovinare il buon nome della famiglia o della Daito.

- Si sta prendendo gioco di me? - Suzue non aveva alcuna intenzione che quel personaggio la deridesse, neppure in sogno!

- In verità solo un pochino - ammise mettendo una piccola distanza fra pollice e indice e strizzandole un occhio.

- La smetta immediatamente! - s’inalberò lei.

- Non può darmi ordini - le fece notare serafico Masumi tornando a sedersi sulla poltrona - Come le è venuta in mente la Dea Scarlatta? È un dramma davvero orrido e macabro, sebbene il messaggio di unione fra scintoismo e buddismo funzioni. Ha avuto una sorta di crisi religiosa in gioventù? - si era così concentrato sulla domanda da non rendersi conto di quanto lei fosse arrossita e gonfiata come una teiera. Quando la guardò, fu costretto a soffocare una risata.

- Non deve interessati! Torna nella storia! - gridò isterica Suzue indicando la pila di volumi.

- Vorrei tanto, ma non so come fare - ammise lui - Ah, e vogliamo parlare del mio rapimento? O della morte di mia madre o della madre di Maya? È sicura di non aver subito un trauma? - Masumi la scrutò con reale interesse, ma lei non gradì affatto quell’appunto. Era sicuro che sarebbe scoppiata da un momento all’altro.

- Sono traumi nella vita di tutti! Non ho inventato niente di speciale! - si difese lei mettendo i pugni avanti.

- Beh… insomma… guardando al complesso, direi che la sua storia è piena di tragedie, tradimenti, soprusi, sotterfugi e dolore - rincarò Masumi prendendosi il mento con la mano con fare pensieroso. Se avesse dovuto mettersi ad elencare ogni cosa non gli sarebbe bastata tutta la notte.

- Non è vero! C’è anche forza, amicizia, onore, sana competizione! - replicò furente la donna avanzando verso di lui come un carro armato.

- Ehi, ehi, se fa così rischia un infarto! Non vorrei passasse a miglior vita prima di aver finito la storia - rincarò Masumi che stava trovando divertente e liberatorio prendersi gioco di quell’autrice complessata. Aveva conosciuto, anzi, lei gli aveva fatto conoscere, registi, attori, sceneggiatori, e tutti loro, chi più chi meno, si erano dimostrati eccentrici e pieni di problemi. Probabilmente quel fattore era legato al loro essere persone con qualcosa in più che difficilmente si integravano e venivano accettate.

Suzue per poco si strozzò col suo stesso fiato. Masumi si alzò vedendola boccheggiare e le assestò qualche pacca sulla schiena peggiorando la situazione.

- Signora, si sente bene? - disse chinandosi su di lei.

Era paonazza, gli occhi le uscivano dalle orbite e la tosse non accennava a diminuire. Si divincolò portandosi una mano al petto e ansimando pesantemente, cercando di riprendere il controllo del proprio corpo.

- Stammi lontano! - gracchiò Suzue con occhi roventi.

Masumi sollevò le braccia in segno di resa e fece un passo indietro.

- Non vorrà dirmi che mi sta prendendo sul serio, vero? - le chiese con un sorriso ironico - In fondo, io sono così perché lei mi ha creato, deve solo biasimare se stessa - aggiunse strizzandole un occhio.

La donna, che lentamente aveva ripreso fiato, tossì un’ultima volta e lo fissò duramente. Distese le braccia lungo i fianchi e strinse i pugni con forza.

- Vattene immediatamente da qui! - gli ordinò con un sibilo.

Masumi inclinò la testa, soppesando con calma le sue parole.

- Posso prenderne uno? - le chiese dopo qualche secondo, indicando la parete piena di bozzetti.

La disegnatrice sposò lo sguardo sugli sketch e annuì: qualsiasi cosa pur di svegliarsi da quell’incubo. Lui raggiunse il muro in silenzio e si fermò, osservandoli, con le mani sui fianchi. Poi ne staccò uno e lo arrotolò.

- Se ora sei soddisfatto… - lo incalzò Suzue che non vedeva l’ora di liberarsene. L’uomo annuì e sollevò lo sguardo su di lei.

- Si prenda cura di sé, signora Miuchi - le suggerì con tono dolce raccogliendo il suo impermeabile dalla poltrona. Che quello fosse un sogno o meno, non voleva andarsene lasciando quell’aria tesa.

Lei fece un breve cenno con la testa e sembrò rasserenarsi, poi lo condusse alla porta d’entrata. La spalancò e lui la varcò, fermandosi sul primo gradino.

- È stato un piacere incontrarla - la salutò voltandosi appena.

La donna lo seguì con lo sguardo mentre attraversava il suo giardino, sconvolta per quanto fosse stato intenso e particolareggiato quell’incubo. Chiuse la porta e tornò nello studio, buttandosi letteralmente sulla poltrona che fino a poco prima aveva usato uno dei suoi personaggi. Chiuse gli occhi e si addormentò.

 

Masumi tornò alla macchina, esausto e avvilito. Ormai era certo che una forza sconosciuta l’avesse attirato in quel mondo dove aveva scoperto di non esistere, di essere il personaggio di un fumetto, un prodotto con cui qualcun altro faceva dei soldi. Non sapeva come tornare nella sua realtà, non sapeva se avrebbe dimenticato tutto, non sapeva dove andare.

Entrò in auto, girò la chiave e partì senza una meta precisa. Un’occhiata al cellulare gli era bastata per notare la linea ancora assente. La città avvolta dalla notte lo accolse come un rifugio sicuro. Guidò per un tempo indefinito finché la sua mente registrò il luogo in cui era giunto. Esiste…

Fermò il motore e scese lentamente. Il vento fece sbattere i lembi del suo impermeabile e gli scompigliò i capelli. Il suo cuore prese a battere freneticamente quando notò un’ombra passare dietro la finestra illuminata. Quante volte era rimasto a guardare quell’appartamento proprio da quella strada? Maya…

- S-Signor Hayami? -

Masumi si girò di scatto, incredulo, incontrando il suo sguardo cristallino meravigliato come il suo. Come se il suo pensiero avesse aperto le porte di quel sogno assurdo, si trovò a fissare la ragazza che amava.

- Maya? -

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***


Quarta parte

 

La strada semi buia, illuminata a tratti da deboli lampioni, appariva spettrale e vuota. Per un attimo, la confusione che gli albergava in testa e quell’atmosfera inquietante ebbero il sopravvento, facendogli credere che stesse guardando un fantasma, ma dovette ricredersi immediatamente quando una singola lacrima scese sul viso di lei.

- Si-Signor Hayami, che sta succedendo? - balbettò insicura Maya, immobile nella sua posizione, felice di vedere un volto conosciuto.

- Maya… Va tutto bene - cercò di rassicurarla lui facendo un passo avanti, diviso fra sogno e realtà. Se gli aveva posto quella domanda, significava che anche lei aveva compreso di non essere nella loro Tokyo.

La giovane si portò le mani al petto, continuando a fissare quell’apparizione che aveva tutta l’aria di un fantasma o di una visione onirica, come quella che aveva avuto nella valle dei susini.

- Nel mio appartamento vive qualcun altro! Rei non c’è! Mi sono avvicinata, stavo per entrare, ma ho sentito le voci di una famiglia all’interno, così sono scappata via! - confidò con voce affranta e spaventata, aggrappandosi all’idea che lui fosse lì davvero.

Masumi sentì il cuore stringersi per la pena, anche se quello era un sogno, i suoi sentimenti lo facevano soffrire come se fosse realtà. Si avvicinò sperando di darle un minimo conforto sebbene anche lui ne avesse bisogno.

- Che strana situazione, vero? - le sorrise dolcemente - Sembra che siamo intrappolati in questa specie di universo parallelo - aggiunse allargando il sorriso.

Maya spalancò gli occhi realizzando che anche il suo ammiratore era effettivamente in quel luogo insieme a lei e improvvisamente tutto le sembrò più leggero.

- Allora… anche lei…? -

Masumi annuì lentamente, continuando a guardarla.

- Non devi essere spaventata, torneremo a casa - le disse allungando una mano e asciugandole la lacrima solitaria. Quell’idea del ritorno accese una piccola lampadina nella sua mente, ma in quel momento era troppo occupato dalla presenza di Maya per prestarci attenzione.

- Lo pensa davvero, signor Hayami? - gli domandò speranzosa Maya avvicinandosi ad un passo da lui. Fu costretta a sollevare il mento per guardarlo, ma non le importava, la felicità per averlo incontrato le stava facendo esplodere il cuore di gioia.

- Sì - annuì lui - Ti ricordi cosa stavi facendo prima di trovarti qui? Forse possiamo trovare un modo per tornare indietro - suggerì infilando la mano nell’impermeabile e imponendosi un deciso autocontrollo. Il tocco con la sua pelle calda aveva risvegliato tutti i ricordi degli attimi che avevano passato insieme sull’Astoria.

Maya arrossì immediatamente e Masumi la fissò perplesso e incuriosito. Abbassò lo sguardo e gli suscitò una tale tenerezza da far quasi crollare la difesa che aveva innalzato.

- Ero sola… e malinconica… sono uscita e sono andata nel parco… - iniziò con un mormorio basso, torcendosi le mani - Era così silenzioso e confortante e io… io volevo tanto vederla! - gli confidò all’improvviso sollevando il volto arrossato.

Masumi trattenne il fiato per l’emozione.

- Mi mancava così tanto! Io lo so che lei deve spo… - ma Maya non riuscì a terminare la frase concitata. Masumi l’abbracciò stretta, togliendole il respiro. Lei si rannicchiò in quell’alcova protettiva e appoggiò la testa al suo petto in cui sentì battere rapido il cuore.

- Io non mi sposo più, Maya, non mi sposo più - le sussurrò avvicinando le labbra al suo orecchio. Quell’accorata confessione rilassò parte della sua mente che realizzò finalmente il guizzo che aveva avuto qualche istante prima. Siamo in un mondo diverso dal nostro… qui non c’è nessuno di quelli che conosciamo… Non c’è mio padre, non c’è Shiori… Qui noi due potremmo…

Maya deglutì e il magone in fondo allo stomaco uscì attraverso copiose lacrime liberatorie. Allungò le braccia lasciandole scivolare sotto l’impermeabile e lo strinse a sé.

Se l’unione e le dichiarazioni sull’Astoria erano stati il loro primo vero contatto, quell’abbracciò fugò ogni dubbio circa i loro reali sentimenti. Non erano necessarie parole, i cuori che rimbombavano nei loro petti dicevano già tutto.

- All’inizio credevo fosse un sogno, mi sono data dei pizzicotti, ma non è servito a nulla - sussurrò Maya e lo sentì ridacchiare debolmente - Ma ora che c’è lei, non m’importa più! - aggiunse scostando la testa e cercando volontariamente i suoi occhi. Arrossì nonostante il coraggio che avrebbe voluto dimostrare quando vide la sua espressione dolce e raggiante.

Masumi avvertì un’onda calda e devastante che si fermò nel centro del suo petto. Lei aveva questo modo spontaneo di dire le cose che, anche a distanza di anni, lo lasciava basito e senza parole. Fece scorre le mani lungo la schiena esile, sulle spalle, fino ad accarezzarle il volto imbarazzato.

- Non speravo di poterti incontrare qui - sussurrò accogliendo con gioia i brividi causati dal contatto con le sue guance - Credevo fosse una prigione solo mia -

- No! - negò subito Maya con veemenza sentendo il proprio cuore stringersi di fronte alla sua espressione malinconica - Ci sono anche io! -

Masumi sorrise malgrado la situazione fosse drammatica. O forse no.

- Ascolta, Maya - iniziò continuando a tenerla fra le sue braccia e sentendosi stranamente euforico - Anche se questo sembra un sogno, è impossibile che lo sia davvero, concordi con me? -

Maya annuì immediatamente. Tutto quello che sentiva, il calore delle sue mani, il tono della sua voce, ogni cosa era vera.

- Questo… mondo… somiglia molto al nostro - fece una pausa, indeciso se dirle cosa aveva scoperto circa la loro identità, poi parlò, tenerglielo nascosto non sarebbe servito a niente - Ma qui noi siamo i personaggi di un manga per ragazze - le confidò cercando di apparire il più serio possibile.

Maya dapprima ridacchiò portandosi una mano alla bocca, poi cambiò espressione quando si rese conto che non stava scherzando.

- Sul… Sul serio? - gli chiese angosciata.

- Sì, ma questo potrebbe essere un punto a nostro favore - da bravo imprenditore trovava sempre il modo di guadagnarci - Maya, se non riuscissimo a tornare indietro, potremmo restare qui… -

Lei lo fissò inizialmente senza comprendere appieno le sue parole, poi lentamente la realtà si fece strada dentro di lei e colorò di rosso acceso le sue guance. Masumi dilatò gli occhi a quella reazione rendendosi conto di ciò che poteva aver realizzato, così, imbarazzato, cercò subito di chiarire.

- Intendevo che qui non ci sarebbe più mio padre, né la famiglia Takamiya, né attrici folli che cercano di ucciderti… - avrebero potuto stare insieme senza impedimenti, ma a quanto pare era qualcosa a cui Maya aveva incredibilmente già pensato da sola. Lei gli sorrise dolcemente e tornò ad appoggiare la testa sul suo petto lasciandosi invadere dalla felicità che quella vicinanza insperata le dava.

- Sì, mi piacerebbe moltissimo - ammise - Però non potrei più interpretare la Dea Scarlatta per la quale ho lottato e sofferto così tanto, perderemo tutte le persone che ci amano, non potrei più rivedere Rei, Sayaka e Sakurakoji! E Ayumi… cosa penserebbe? - obiettò con tono che divenne sempre più acuto e addolorato.

Masumi comprese immediatamente ciò che lei gli stava dicendo sebbene, per quanto riguardasse Sakurakoji, apprezzava la sua lontananza, ma si dette dello sciocco per aver pensato solo ai suoi sentimenti.

- Hai ragione, scusami per non aver preso in considerazione queste cose - mormorò stringendola a sé. Nessuno li avrebbe riconosciuti in quella strada buia e l’unica cosa che desiderava era tenerla vicina il più possibile, prima che quell’incubo, trasformatosi in dolce sogno, svanisse brutalmente.

- No! - replicò invece Maya, contraddicendosi - Sono io una codarda! Io che non riesco ad abbandonare la mia vita e poi, significherebbe lasciare il mio ammiratore… - chiuse gli occhi, appoggiata alla sua camicia profumata, e tentò invano di frenare il suo cuore che batteva follemente. Me lo dica, la prego! Mi dica che è lei!

- Sono io, Maya - mormorò Masumi colpevole dando voce ai pensieri di lei, pronto a ricevere il suo biasimo. Appoggiò la guancia sui suoi capelli e si rese conto che mai come in quel momento erano stati così vicini e così a lungo abbracciati. Quel contatto era l’unica cosa che gli impediva di impazzire.

Non la sentì reagire. Rimase immobile, rilassata, non saltò su accusandolo.

- Lo so, mio caro ammiratore, lo so - gli confessò facendogli serrare la gola in uno spasimo violento - Senza di te io non ce l’avrei mai fatta -

Masumi credette di non aver udito bene e la scostò da sé, ma quando i loro occhi si incontrarono, non ci fu nient’altro da aggiungere. Quella forza che li legava e che forse era voluta dalla disegnatrice di quel mondo, li teneva uniti perfino lì.

Maya cercò la sua mano e la strinse delicatamente librando in aria il suo cuore carico di amore e dolcezza per quell’uomo tanto più grande. Ma non le importava: età, rango, aspetto non erano più un ostacolo.

Avvinti da quell’amore che trascendeva tempo e spazio, colmarono la distanza esigua che li separava unendo le loro labbra tremanti in un bacio agognato e atteso. Le braccia si serrarono bramose di un contatto più profondo mentre il sangue correva veloce nelle vene alimentando il loro desiderio.

Quando Masumi riaprì gli occhi, si trovò a fissare l’appartamento di Maya.

 

Suzue Miuchi, provata e stanca, si era addormentata sulla poltrona, certa che al suo risveglio quel terribile sogno sarebbe svanito, lasciando solo una debole traccia nella sua memoria scossa. Quando riaprì gli occhi, sentì le palpebre pesanti e si stirò come un gatto. Non fu una mossa saggia, perché troppo tardi si ricordò di essersi addormentata sulla poltrona. Tutte le ossa scricchiolarono e un lamento prolungato uscì dalle sue labbra tese per il dolore.

Un plaid scivolò a terra e la sua mente registrò che suo marito doveva averla coperta. Quel gesto la mise subito di buonumore. Raccolse il plaid, lo piegò accuratamente e lo appoggiò sul tavolino rotondo in mezzo alle due poltrone. Si alzò lentamente, sentendo tirare tendini e muscoli, si assicurò di restare in piedi e andò in cucina.

Venne accolta dalla domestica che era già al lavoro, la quale la informò ossequiosamente che la colazione era pronta e se preferisse consumarla nello studio.

- Resterò qui - rispose ancora assonnata e confusa. Sollevò gli occhi all’orologio a parete ed ebbe un sussulto: erano le undici di mattina!

- Perché mio marito non mi ha svegliata?! - sbottò contrariata sbattendo le mani sul bancone centrale della cucina.

- Non lo so, signora, è uscito presto stamani - le rispose con lo sguardo a terra e un lieve inchino, poi si affrettò a sistemarle il vassoio con la colazione: era sicura che non sarebbe affatto rimasta lì a consumarla.

Suzue rimase in silenzio, prese il vassoio e tornò nello studio. Il sole entrava dalla finestra socchiusa e un lieve vento spostava ritmicamente la tenda bianca. I rumori della metropoli erano attenuati dalla distanza con il centro e dalla cura con cui aveva fatto costruire quella casa. Si versò del tè, prese la tazza e si avvicinò alla finestra. Scostò la tenda e scrutò il giardino con apprensione. Il suo sguardo si rabbuiò e dalle sue labbra uscì un’imprecazione decisa. Era stato solo un sogno, nessuno dei suoi personaggi se ne andava in giro per il mondo a infastidire la gente! Strinse con forza la tazza e la sua mente tornò, sebbene lei non lo volesse, a quella visione onirica che aveva avuto.

La rappresentazione che aveva creato del suo personaggio era davvero inquietante per quanto si fosse avvicinata alla sua idea. Non solo la sconcertante somiglianza fisica, ma ancor più quella caratteriale. Un mezzo sorriso si dipinse sul suo viso mentre fissava il liquido scuro che le scaldava le mani.

Non le era mai capitato di sognare una cosa del genere. Ricordava perfettamente di essersi spaventata quando l’aveva visto seduto su quella stessa poltrona. I suoi occhi andarono all’arredo immobile, inconsapevole di essere stato parte di una scena impossibile, poi si spostarono sulla scrivania col computer e infine sul tecnigrafo.

Il suo cuore perse un battito.

La tazza le cadde di mano e s’infranse sul pavimento, schizzando il liquido dovunque. Suzue rimase congelata, esterrefatta di fronte a ciò che stava guardando. Il sole, con un raggio dal taglio obliquo, illuminava la grande tavola bianca inclinata, si rifletteva sulla squadra in acciaio, con la quale in passato aveva tirato migliaia di righe per dividere le scene, e infine si posava sui petali vellutati di una rosa scarlatta.

Deglutì lentamente, ignorò la ceramica frantumata a terra e raggiunse il tavolo da lavoro. Appoggiò le mani tremanti sul bordo e fissò il fiore. Il gambo diritto e verde era trattenuto dalle pagine di uno dei suoi tankobon, il numero 49.

Afferrò il cellulare appoggiato sulla scrivania e toccò il contatto veloce al centro dello schermo.

- Sono io - sussurrò tenendo lo sguardo attonito sulla rosa - G-Grazie per la rosa che mi hai lasciato - aggiunse cercando di essere più sicura. Dall’altra parte ci fu un attimo di silenzio che le gelò il sangue nelle vene.

- Rosa? Non ho lasciato alcuna rosa, Suzi-chan - le rispose il marito, interdetto.

Il cellulare le scivolò di mano, la voce del marito che si affievoliva sempre più con la lontananza.

Suzue Miuchi rimase immobile, come se il tempo si fosse fermato, e forse era proprio ciò che era avvenuto quella notte. Dopo un tempo che le parve infinito, distolse gli occhi dalla rosa, spostò il volumetto più in alto sulla destra, prese la sua matita preferita e tracciò un profilo sul foglio bianco.

 

Masumi si appoggiò al fianco della sua auto e sospirò. Infilò le mani nelle tasche del soprabito e fissò la finestra dell’appartamento di Maya. Era sicuro che ci fosse qualcosa di importante di cui avrebbe dovuto ricordarsi, ma ciò che gli premeva in quel momento erano i documenti sul sedile della sua auto e ciò che sarebbe accaduto una volta che li avesse firmati. Avrebbe dovuto incontrare il nonno di Shiori quanto prima e l’idea di vedere Maya a Izu minava fortemente il suo autocontrollo. Quel pensiero era una costante delle sue giornate da quando aveva discusso con Hijiri.

Da quando gli ho tirato un tagliacarte…

Ridacchiò della sua azione sconsiderata e ancora una volta, il sospetto che il suo collaboratore non avesse affatto scherzato quando aveva proposto di presentarsi come l’ammiratore delle rose scarlatte, gli torse lo stomaco dalla gelosia. Non riusciva a credere che Karato potesse essersi innamorato di lei.

Però sono anni che le consegna le rose, anni che ascolta le sue confessioni, scrive i suoi messaggi e in silenzio me li consegna…

Scosse la testa e tornò a guardare la finestra illuminata, finché la luce si spense e con essa parte del suo cuore, che batteva frenetico in modo inspiegabile. Si portò una mano al petto e spostò lo sguardo sul punto.

Com’è possibile che io sia in questo stato d’animo? Non l’ho neppure incontrata e il suo solo pensiero piega così la mia anima?

Espirò il fiato e sollevò gli occhi al cielo stellato, cercando di calmarsi. Eppure c’era qualcosa di importante che gli sfuggiva, ma dando la colpa alla tensione e alla stanchezza per quei vuoti di memoria, raggiunse la portiera della sua auto ed entrò sedendosi con poca grazia. Stava per accendere il motore, quando qualcuno uscì dal condominio di Maya. Sussultò e rimase immobile, ma fu un uomo a scendere le scale, forse un vicino. Si dette dello stupido e il suo sguardo si posò per un secondo sui fogli dell’anagrafe.

Ma non c’erano solo i documenti, bensì uno strano cartonato piegato.

Il suo cuore si arrestò, letteralmente, mentre la sua mente lavorava frenetica. Era quasi certo che non fosse suo. Allungò una mano e lo avvicinò, aprendolo con due dita. Un bellissimo ritratto di Maya a matita gli fece trattenere il fiato.

Poi ricordò ogni cosa.

Si portò le dita alle labbra, comprendendo perché il cuore gli battesse in quel modo quando era “tornato indietro”, spalancò gli occhi e si girò di scatto verso la casa di Maya, incredulo. Oltre il finestrino, lei lo stava guardando con la stessa espressione stupefatta. Uscì subito posando il disegno e la raggiunse fermandosi a due passi da lei. Si fissarono a lungo, attoniti, imbarazzati e tesi, entrambi con il fiato accelerato e il cuore che batteva all’impazzata.

- Si-Signor Hayami…? - mormorò lei recuperando un minimo di coraggio. Apparentemente in casa tutto era stato come sempre, ma quando si era infilata a letto e aveva preso fra le mani il suo segnalibro, era scattata a sedere sul futon, ricordando ogni cosa. Presa dall’emozione, si era infilata il soprabito, sicura che lui sarebbe stato lì fuori.

- Ricordi tutto? - le chiese in un sussurro carico di imbarazzo.

Maya ebbe solo la forza di annuire. Sentiva le ginocchia tremare e un’intensa felicità sollevarle l’anima.

Masumi non ebbe necessità di altra conferma, s’avvicinò e l’abbracciò stretta con la certezza che, qualunque strada avesse intrapreso quella disegnatrice, le loro due anime si sarebbero cercate e trovate in eterno.


 

FINE.

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