Attenzione
ficcy ispirata all'omonimo libro Vampire kissing
Capitolo 1
Da
Grande faro' il vampiro
Forks: una sola
e' la frase giusta per definirla, piu' grande di una caverna ma
abbastanza piccola da far venire la claustrofobia. Questo avviso
sarebbe stato perfetto per il cartello di benvenuto.
Popolazione,
poco piu' che 3500 abitanti, tutti uguali, tutti fatti con lo stampino,
tutti con le loro casette bianche circondate da recinti candidi e con
i loro furgoncini inspiegabilmente puliti anche se Forks
essendo una delle citta' piu' piovose d’americhe detiene il
primato per le strade piene di poltiglia fangosa.
Il
binario del treno divide la citta' in due parti, quella della gente per
bene e quella delle persone come me, quelle diverse. Purtroppo, io
avevo sempre vissuto dalla parte sbagliata del confine. Io ero diversa
dagli altri e in quel posto dimenticato dal resto del mondo, le
diversita' non erano ben accette, anzi, erano il pretesto per formulare
maligni pettegolezzi.
A Forks
non succedeva mai niente, o meglio nessuno faceva mai niente
a parte me e sebbene io mi impegnassi molto piu' del dovuto nel
combinare guai la mia era e sarebbe sempre stata una cittadina
tranquilla maledettamente ordinaria . Io ci avevo provato in tutti i
modi a dare una scossa alla situazione, ma non ero mai stata una
criminale o una vandala cosi' ogni mio gesto pareva -a me e agli altri,
insulso e sciocco- gli unici risultati che avevo ottenuto erano stati
quelli di far irritare a morte mio padre, il capo della polizia e il
preside della scuola.
Da
quando ero nata fino al mio diciassettesimo compleanno gli
unici avvenimenti definibili interessanti erano stati tre:
-Il
treno merci delle 13.30 era deragliato lasciando cadere a terra un
carico di biscotti che i bambini -me compresa- avevano
voracemente divorato.
-Un
studente dell’ultimo anno aveva gettato un petardo
nel gabinetto e la scuola era rimasta chiusa per una settimana.
-Una
volta qualcuno aveva rubato la macchina del signor Gerandy, o meglio
avevamo creduto che qualcuno avesse rubato la macchina del signor
Gerandy, il giorno seguente -con mia grande delusione- avevamo scoperto
che la sinora Gerandy aveva solamente dimenticato il luogo in cui
l’aveva parcheggiata, cosa difficilmente possibile in un
paese delle dimensioni di Forks.
Non mi
ero mai sentita a casa in quel posto immerso nel verde, non
rispecchiava la mia personalita' e i miei modi di fare
“diversi”.
Mia
madre Renaee e mio padre Charlie -soprattutto lui- ci avevano provato a
crescermi come una normale adolescente, ma i loro tentativi si erano
rivelati vani, io ero quella che si potrebbe definire una disadattata
sociale.
Non
indossavo -le odiavo- camicette rosa confetto, gonnelline a balze,
paperine e trappole mortali con tacchi alti dieci centimetri come il
resto della popolazione femminile di quel dannato posto.
Tutto quel colore mi faceva male agli occhi, io ero il tipo di ragazza
che indossa magliette, pantaloni e gonne rigorosamente neri, calze a
rete e jeans strappati inoltre preferivo di gran lunga alle paperine i
bei cari, vecchi e pratici -dipende dai punti di vista- anfibi. Insomma
quelle che tutti chiamano Goth girl. Mi sarebbe anche piaciuto poter
aggiungere alla mia descrizione dei pirceings. Tuttavia, i miei
genitori mi avevano detto espressamente che non mi avrebbero mai e poi
mai dato il permesso di bucarmi da qualche parte, e che se
una volta diciottenne avessi tentato di deturparmi -questa era la
parola che avevano usato- la faccia o il corpo mi avrebbero diseredata
e cacciata di casa, come alternativa mi avevano proposto degli stupidi
orecchini a molla, ma avevo cortesemente -con un bel po’ di
insulti- rifiutato perche' indossarli sarebbe stato come mentire, ed io
odiavo mentire.
Anche
se Charlie e Renee non sembravano capirmi, avevano accettato di buon
grado la mia diversita', da giovani erano stati - soprattutto Renee
- degli inguaribili hippy. Mi avevano mostrato centinaia di
foto in cui erano ritratti mentre indossavano pantaloni a zampa
d’elefante, camice larghe e portavano corone di fiori al
collo e tra i capelli, il tutto rigorosamente a
piedi nudi. All’epoca pero', era diverso, loro facevano parte
della massa. Io invece, ero l’unica ragazza Goth di Forks.
Tuttavia ero certa che in citta' piu' grandi come New York oppure senza
esagerare Seattle, avrei trovato un sacco di gente uguale a me e allora
avrei fatot anch’io parte della massa e non sarei piu' stata
considerata diversa. Non che il giudizio degli altri mi importasse,
nemmeno la solitudine era un problema, ma sicuramente sarei stata molto
piu' felice in mezzo a persone fatte a mia immagine e somiglianza solo
allora finalmente sarebbero stati gli altri ad essere diversi, non io.
I miei
genitori, pensavano che prima o poi avrei messo la testa a posto, anche
loro -in un certo senso- lo avevano fatto, si erano sposati,
si erano sistemati in una bella casetta dalle staccionate bianche, mio
padre era diventato poliziotto sebbene fossi quasi creta che in
gioventu' avesse coltivato piante la cui detenzione era
tutt’altro che legale, mia madre invece per un
certo periodo di tempo aveva fatto la maestra
d’asilo…
Poi
quando avevo sei anni i miei si erano separati, non avevo
sofferto di quella separazione, sapevo che era la cosa giusta per loro.
Renee aveva deciso di mettersi a girare per gli stati uniti inseguendo
il suo sogno: diventare un’attrice di teatro. Non scordero'
mai l’espressione di Charlie quando Renee gli diede la
notizia, prima la sua faccia si tinse di rosso a causa delle risate,
avevo avuto l’impressione che da un momento
all’altro fosse potuto cadere a terra soffocandosi per le
risate, poi i suoi occhi si erano improvvisamente spenti quando aveva
capito che stava facendo sul serio. Lui sarebbe stato disposto a
seguirla in capo al mondo, l’amava e l’avrebbe
sempre amata -ne ero certa- ma qualcosa gli aveva impedito di
seguirla.
Mentre
mia madre viaggiava qua e la' in giro per il mondo, io ero costretta a
rimanere intrappolata a Forks insieme a mio padre ed un branco di
inguaribili bigotti, e sebbene avessi piu' volte espresso il forte
desiderio di seguire mia madre, entrambi i miei genitori si erano messi
d’accordo, dicendomi che prima avrei dovuto finire almeno la
scuola superiore.
Di
tanto in tanto Renee veniva a trovarci e tutte le mie estati le avevo
sempre passate con lei girovagando qua e la', da un paesino sperduto
all’altro -la sua compagnia teatrale non era una delle
migliori- con il tempo mi ero accorta di quanto la sua vita non fosse
poi cosi' eccitante come l’avevo immaginata. Sicuramente
quella non era la vita giusta per me, ma era perfetta per lei.
Non
capiro' mai come i miei genitori, due persone cosi' diverse abbaino
fatto ad innamorarsi, sicuramente la loro era una di quelle che si puo'
definire coppia che scoppia, Renee, svampita e volubile, uno spirito
libero. Charlie abitudinario e responsabile. Chissa' forse era stata
proprio la loro diversita' a farli innamorare, avevano trovato
l’uno nell’altro qualcosa di speciale... Oppure
semplicemente tutta quella maria che si fumava negli anni settanta non
giovava alla salute del cervello. La prima ipotesi era di gran lunga
piu' romantica e sicuramente anche la mia preferita.
La mia
condizione di disadattata sociale faceva si che avessi una
sola amica: Angela, lei non apparteneva alla massa, forse ne avrebbe
volentieri fatto parte, ma la sua timidezza glielo impediva. Non
condividevamo gli stessi gusti nel vestire, ma anche lei, a modo suo,
era veramente unica.
Non
dimentichero' mai il giorno in cui diventammo amiche. Facevamo seconda
elementare.
Angela
stava sempre per conto suo. Io ero la sola nella nostra classe a non
picchiarla, escluderla o chiamarla con nomignoli strani, anzi la
difendevo da chiunque se la prendesse con lei, ma non c’era
mai stato niente di piu'.
Poi un
giorno mio padre, per l’ennesima volta si era dimenticato di
venirmi a prendere, succedeva spesso, ma a me non importava molto a
casa non avevo niente di meglio da fare che leggere i libri di Anne
Rice. Mio padre invece aveva un lavoro -importante per quanto ne
sapessi- ed era costretto a crescere una figlia da solo, faceva del suo
meglio e se la cavava bene, per questo non gli facevo pesare i suoi
continui ritardi, mentivo sempre dicendogli che ero appena uscita
oppure che mi ero fermata a chiacchierare con un’amica, non
ero mai stata una brava attrice, ma Charlie non era mai stato un buon
osservatore e ci cascava sempre, oppure forse, avevo ripetuto quelle
frasi talmente tante volte che sarei riuscita a risultare credibile
persino a me stessa.
Poi la
vidi, Angela era seduta vicino a me sulla gradinata davanti alla
scuola, stava piangendo.
“Che
succede?” le chiesi
“Mia
madre si e' dimenticata di me” Si copriva il viso fradicio di
lacrime con le manine.
“Ma
no che non si e' dimenticata!” cercai di consolarla.
“Si,
non arriva mai cosi' tardi!”si lagno'.
“Magari
e bloccata nel traffico!”
“Tu
dici?” sollevo lo sguardo verso di me sembrava rassicurata.
“Ma
certo” continuai entusiasta di averla quasi consolata
“ Oppure l’ha chiamata uno di quei venditori che
chiedono sempre, “e' in casa tua madre?””
“Davvero?”
mormoro' aggrottando le sopracciglia.
“Succede
di continuo.” affermai“Oppure si e' dovuta fermare
per comprare uno spuntino, e c'era coda alla cassa del
Supermarket.”
“Dici
che potrebbe essere andata cosi'?” I lucciconi avevano smesso
di scendere dai suoi occhi, sembrava contenta, l’unico segno
del suo fresco pianto erano le sue guance rigate dalle recenti lacrime.
“Scusa,
perche' no? Anche lei deve mangiare, giusto? Non ti preoccupare.
Arrivera'.” Sorrisi.
E poco
dopo, immancabilmente, un pick-up blu freno' accanto al marciapiede, e
ne scesero una mamma che si scusava a capo chino e un simpatico cane
pastore.
La
guardai allontanarsi con la madre facendogli un cenno di saluto con la
tasta improvvisamente e inspiegabilmente triste per quella separazione.
“Mia
mamma dice che puoi venire da noi, sabato, se ai tuoi va
bene” disse Angela, tornando di corsa verso di me.
Da qual
momento io e Angela diventammo amiche per la pelle. Lei era la mia
ombra tridimensionale. Io ero la sua migliore amica e la sua guardia
del corpo. Ero assolutamente certa che sarebbe stato sempre cosi'.
La
maggior parte della mia infanzia l’avevo trascorsa
a casa di Angela. Abitava dall’altra parte della ferrovia e
aveva un cortile enorme. Il posto ideale dove giocare ai mostri e ai
vampiri, cuocere intrugli di fango, legnetti ed altro per poi venderli
ai nostri compagni di classe spacciandoli per filtri magici o pozioni
misteriose e tingere di nero i capelli e le labbra delle bambole.
A volte
giocavamo a nascondino tra gli alberi della foresta, ma ci era vietato
allontanarci e sebbene io non vedessi l’ora di infrangere
quel divieto Angela era terrorizzata da quella fitta boscaglia, non le
piaceva molto addentrarsi tra quei fitti rami e non appena il solo
cominciava a calare o la luce a scarseggiare mi pregava in ginocchio di
tornare a casa ed io l’accontentavo di buon grado.
Il
resto delle mie giornate le passavo mettendomi smalto nero sulle
unghie, cotonandomi i capelli, passando pietre ruvide sui jeans per
farli sembrare vecchi e consumati e leggendo libri sui vampiri. La mia
innaturale passione per il macabro era probabilmente nata, quando
all’eta' di quattro anni avevo visto per la prima volta il
Conte Dracula. I miei genitori non volevano vedessi quel genere di film
alla televisione, temevano potessi avere gli incubi, infatti ero sempre
stata terrorizzata a morte dal sangue. Un giorno approfittando
dell’assenza di Charlie e Renee e del fatto che la
Baby-sitter fosse impegnata a fare “cose
serie” –cosi' le aveva definite lei- col
suo ragazzo nella stanza da letto dei miei genitori, mi ero messa di
nascosto a guardare la videocassetta che avevo diligentemente
registrato due sere prima. Contro le prerogative dei miei genitori non
mi spaventai affatto, anzi, mi appassionai a tal punto da confessare
loro la mia disobbedienza per avere altri libri e film che parlassero
di vampiri. Non avevo paura del sangue, non di quello finto almeno,
semplicemente quell’odore metallico mi dava la nausea.
La mia
ossessione per l’horror e soprattutto per i vampiri era
divenuta tale che un giorno, quando la mia maestra d’asilo,
la Signorina Pattinson, aveva domandato a me e ai miei
compagni cosa volessimo fare da grandi, io le avevo risposto il
vampiro. Lei si era messa a ridere ed io che all’epoca non
ero in grado di capirne il perche' mi ero offesa a morte. La mia
rinomata cocciutaggine aveva fatto si che mi imponessi di dimostrarle
che le mie non erano solo farneticazioni infantili e che avrei
realizzato il mio desiderio.
Dopo
averci pensato su a lungo, ero giunta alla conclusione che il modo piu'
efficace per diventare un vampiro fosse farsi mordere sul
collo ed io avevo un piano geniale.
Nella
mia classe c’era un bambino di nome Mike Newton che mordeva
sempre tutti a parte me naturalmente, aveva sicuramente
paura, ogni volta che maltrattava un bambino o faceva il prepotente io
gli rispondevo a tono. La Signorina Pattinson invece non gli diceva mai
niente, probabilmente perche' i suoi genitori erano sfacciatamente
ricchi, possedevano una piccola catena di supermarket ed una delle
attivita' piu' redditizie a Forks, un negozio
–l’unico di Forks- che vendeva roba per
escursionisti. Non riusciro' mai a capire perche' la gente abbia voglia
di mettersi degli scarponi ai piedi per fare passeggiate -rischiando la
vita oltretutto- per vedere la natura, quando basterebbe semplicemente
accendere la tv. Quasi sicuramente la signorina Pattinson era stata
pagata per far passar a Mike le sue scorribande. Ero piu' che sicura
che mia madre avrebbe potuto metterlo in riga all’asilo,
quando ne aveva ancora l’occasione.
Mi
dovetti impegnare veramente tanto per riuscire a farmi mordere. Spinsi
Mike giu' dallo scivolo, per vendicarsi lui, mi morse il braccio, per
quanto ne sapevo pero', per diventare un vampiro serve un morso sul
collo! Tuttavia non fu difficile provocarlo dicendogli che non sarebbe
mai stato in grado di mordermi il collo. Una volta che ebbe finito il
suo lavoro lo ringraziai abbraccinadolo. Non vedevo l’ora di
sperimentare i miei nuovi poteri, cosi' salii sull’altalena e
mi buttai giu' tentando di trasformarmi in un pipistrello e volare. Il
risultato furono una forte delusione, sette punti di sutura al gomito,
tre al ginocchio e un bello spavento da parte della signorina Pattinson
ed il ritiro immediato di ogni cosa che mi trattasse
l’argomento vampiri. Le mie proteste furono inutili, tuttavia
avevo imparato una lezione importante, per diventare un vampiro bisogna
farsi mordere da un vampiro! Non mi restava altro che cercarne uno...
Recensite numerose!!!
Angolo
dell'autrice...
Ciao
ciao a tutte ! Eccomi tornata con una nuova ficcy spero vi
piaccia!! Io gia' l'adoro!!! Che ne dite del carattere che ho usato?
Voi lo vedete? Io credo sia sublime!!! Bando alle ciancie spero mi
farete sapere come va, soprattutto fatemi notare eventuali errori alias
orrori, sopratutto coi tempi verbali!!
Vi
avviso questo capitolo era una specie di introduzione alla storia anche
il prossimo sara' simile a questo, ma se non mi viene troppo lungo
potro' inserire gia' alcuni avvenimenti importanti...
Ringrazio
chi ha letto e venero in anticipo chi commentera'. Bacione
P.s.
A voi disturberebbe vedere Edward figlio unico???? Oppure con qualche
fratello in meno??
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