Without You I'm Nothing

di EmilyW14A
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto. ***
Capitolo 9: *** Nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***
Capitolo 11: *** Undici. ***
Capitolo 12: *** Dodici. ***
Capitolo 13: *** Tredici. ***
Capitolo 14: *** Quattordici. ***
Capitolo 15: *** Quindici. ***
Capitolo 16: *** Sedici. ***
Capitolo 17: *** Diciassette. ***
Capitolo 18: *** Diciotto. ***
Capitolo 19: *** Diciannove. ***
Capitolo 20: *** Venti. ***
Capitolo 21: *** Ventuno. ***
Capitolo 22: *** Ventidue. ***
Capitolo 23: *** Ventitré. ***
Capitolo 24: *** Ventiquattro. ***
Capitolo 25: *** Venticinque. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


WITHOUT YOU I'M NOTHING















I.



“Mi dispiace non saprei proprio come aiutarla” l'impiegato pronuncia queste parole a testa bassa, mentre fissa lo schermo del pc e tiene stretto sulle gambe un grosso fascicolo di fogli e documenti disordinati.
“Ascolti. Io so che lei può aiutarmi. Lo so. Mi basta solo un nome!” dico io cercando di mantenere un atteggiamento calmo. Appoggio entrambi i gomiti sul piccolo bancone di fronte a me e guardo l'uomo sulla cinquantina al di là del vetro. Gli mancano molti capelli e i pochi rimasti sono di un grigio spento. A pensarci bene tutta la sua faccia, la sua espressione e persino il suo sguardo sono spenti. Come se qualcuno avesse abbassato al minimo la luminosità dello schermo.Riflettendo, tiro fuori dalla tasca il mio telefono: le 17.45. Merda. Sono qui da ormai due ore e nessuno è riuscito a darmi risposta. Tra meno di un quarto d'ora l'ufficio chiuderà e io non avrò risolto assolutamente nulla.
“Senta, mi ascolti. Io sono stanco, lei è stanco. Facciamo che mi dice un nome e io me ne vado, così lei può chiudere il suo maledetto ufficio e andarsene a casa.” ribadisco io cercando di convincere il signore. Ma nonostante il viso ottuso, sembra un uomo dalla testa troppo dura.
“Beh se mi aspetta qui vado a cercare in archivio” afferma lui con un sospiro. Si alza goffamente dalla sedia, appoggia il mucchio di fogli sul tavolo e sparisce nel retro dell'ufficio. Aspetto con ansia nonostante non riponga molta fiducia nel povero impiegato che, nonostante l'estrema gentilezza, mi sembra un tizio non troppo sveglio.
Dopo interminabili minuti lo vedo tornare a mani vuote e mi rassegno all'idea che nemmeno oggi sono riuscito a concludere qualcosa.
“Signore allora. Io non so davvero come aiutarla. Il server non mi permette una ricerca accurata; i documenti da sfogliare sono troppi. E come se non bastasse, né io né lei abbiamo l'autorizzazione per fare questa cosa. Ringrazi che oggi non c'è il direttore sennò l'avrebbe già sbattuta fuori” il signore inizia a sudare dalla fronte e si gratta velocemente il collo appiccicoso. Nonostante Aprile sia iniziato da poco, fa già molto caldo e devo ammettere che non invidio il signore dall'altra parte del vetro chiuso in questo ufficio da tutto il giorno. L'uomo sembra molto scocciato dalla mia presenza e così alla fine decido di alzare bandiera bianca.
“Ma non può fare proprio nulla per aiutarmi? Basterebbe un piccolo aiuto e poi me la sbrigherei da solo...nulla di più!” ribatto io cercando di essere il più possibile convincente.
“Mi dispiace signore...nulla da fare” dice lui mimando un gesto di apprensione e delusione.
Poco male. E io che pensavo che i signori bassi, grassottelli e con pochi capelli fossero i più tonti e malleabili. Anche oggi ho ricevuto l'ennesima porta in faccia.
“Ho capito. Me ne vado...riproverò un altro giorno e spero di essere più fortunato.” dico io sistemandomi la giacca leggera che tengo ripiegata sull'avambraccio sinistro.
“Sì ecco. Vada ad importunare qualche altro povero impiegato...” dice il signore stempiato, ma non riesco a sentire la fine della sua frase perchè sono già fuori dall'edificio. Mi guardo intorno. Il Sole sta tramontando e c'è davvero tanta gente per le strade. Decido di non prendere il bus e farmi una passeggiata per tornare a casa. Un leggero venticello mi accompagna nella mia camminata mentre osservo le punte delle mie scarpe e sono immerso nei miei pensieri.
'Certo che quell'impiegato è stato davvero scorbutico' penso riflettendo alla mia giornata inconcludente. Beh sarò più fortunato da qualche altra parte. Odio dover migrare ogni giorno in tutti gli uffici della città ma non posso fare altrimenti.
Mentre penso ardentemente a cosa dire al prossimo impiegato che mi risponde che non potrà aiutarmi vengo quasi investito da un ragazzo in bicicletta e cado in terra.
“Ma....signore! Ma guardi un po' dove va quando cammina!!” mi urla il ragazzino rimettendo in piedi la bici e ignorandomi totalmente. Mi rialzo da solo e mi scuoto i pantaloni dalla ghiaia e dalla polvere dell'asfalto. Non rispondo e tiro dritto. Mia nonna mi ha sempre detto, fin da piccolo, di guardare sempre davanti a me ovunque andassi, ma è più forte di me. Mi piace annegare nei miei pensieri e guardare le strisce asimmetriche dell'asfalto.
'Signore'. Quel ragazzino mi ha chiamato 'signore' e non mi ha nemmeno aiutato a rialzarmi. Sto proprio diventando vecchio. Inizio a essere stufo delle nuove generazioni e la gente mi chiama 'signore'. Beh non posso negare di non essere più un ragazzino. Ho 37 anni ormai e anche se mi tingo i capelli di biondo scuro da ormai anni, si vede che non sono più un ragazzo. Sono un uomo adulto con grandi responsabilità, un lavoro che amo e che svolgo da tanti anni e ho molti interessi. Lavoro in una pasticceria nel centro di Tokyo, ho due pappagalli come animali domestici, suono il basso elettrico durante i momenti di pausa e tre volte a settimana vado in palestra. Amo la musica e amo molto anche leggere. Ammetto di essere fortunato a lavorare in una pasticceria di piccola produzione: lavoro sì e no sei ore al giorno e poi ho il resto della giornata libera. Guadagno bene e non posso lamentarmi anche se spesso farei a meno di alzarmi alle 4 del mattino per andare a preparare enormi vassoi di donuts e muffins. Ma tutto sommato c'è di peggio.E poi ho il resto del pomeriggio libero per fare quello che mi pare. Non nascondo che la mia vita sia veramente interessante e piena di cose; tuttavia a volte sento dentro di me un senso di vuoto. È qualcosa di così difficile da spiegare. È qualcosa che mi tiene sveglio la notte, che non mi permette di concentrarmi durante il giorno. Sento che manca qualcosa. Probabilmente questo è dovuto soprattutto al fatto che ho superato i trent'anni ormai da un pezzo e sto entrando in quella che tutti chiamano 'crisi di mezza età'. Probabilmente tra qualche anno inizierò a rimpiangere certe cose, a rimuginare sul passato e lamentarmi di ciò che verrà. Forse avrei bisogno di cambiare stile di vita, di fare qualcosa di pazzo come fanno quei tranquilli quarantenni nei film americani che decidono di fare cose pazze e, chissà come, la fortuna gira in loro favore e si ritrovano dall'altra parte del mondo, ricchi, felici e magari trovano pure l'amore della loro vita. Non mi piacciono molto i film così quotidiani. Ho sempre amato quelli gialli o thriller e in particolare i film dei grandi registi. Amo i film di Tarantino, è il mio regista preferito fin da ragazzo. Ricordo di avere un poster arrotolato da qualche parte a casa di mia madre.
Camminando, tiro fuori dalla tasca una sigaretta e me la accendo velocemente. Non sono un fumatore ma amo concedermi una sigaretta ogni tanto, soprattutto quando ho molti pensieri per la testa. Mi aiuta a ragionare e a rilassare la tensione accumulata durante la giornata. Già. Oggi non ho concluso nulla. Sono due mesi ormai che torno a casa a mani vuote e sto quasi perdendo la speranza. Forse ho sbagliato a intestardirmi così tanto su una cosa del genere. Forse dovrei lasciare perdere e continuare per la mia strada. Eppure sento che devo farlo. C'è qualcosa che mi attira e io voglio lasciarmi trascinare. Non mi interessa se sarà difficile.
Mentre cammino per tornare nel mio quartiere, passo davanti ad un piccolo cinema situato in un edificio coloratissimo e vicino ad una rumorosa sala giochi. Osservo le locandine dei film trovandole tutte poco interessanti e con disappunto aumento il passo dirigendomi verso casa.
'In ogni caso sarebbe inutile sapere quali sono i film in programma questo mese visto che non avrei nessuno con cui andare al cinema' penso tra me e me mentre percorro gli ultimi cinquecento metri che mi separano dalla mia abitazione. È vero; non ho amici. O meglio: ne ho pochi e abitano tutti lontano. Ci sentiamo pochissimo e solo raramente riusciamo a metterci d'accordo per vederci. I miei colleghi sono tipi simpatici ma probabilmente io lo sono meno di loro e così nonostante lavori lì dentro da cinque anni, non ho stretto un legame di amicizia con nessuno. Ammetto di essere sempre stato un bambino ed un ragazzo solitario. Mi piace passare il tempo da solo. Guardare un film, allenarmi, andare in cerca di vinili nei negozi di musica. Sono tutte attività interessanti per persone solitarie come me.
Mia sorella mi rimprovera di passare troppo tempo con me stesso e mi ripete che alla fine finirò per venirmi a noia e allora lì mi dovrò cercare una fidanzata o un fidanzato. Mia sorella ha sempre saputo i miei gusti sessuali. Sono bisessuale e ne vado fiero. Ho avuto alcune donne nella mia vita, ma anche alcuni uomini. Tuttavia sono state sempre storie di poco conto; la relazione più lunga è durata due anni ma ripensandoci mi sembrano solo due mesi. Non sono molto portato per la vita di coppia, sono un solitario, un taciturno e non ho molta simpatia per i luoghi affollati di gente. Quando ero giovanissimo andavo a tanti concerti insieme a Kouyou, il mio amico di infanzia. Ricordo che una volta riuscimmo ad intrufolarci al concerto degli AC/DC senza avere il biglietto e nessuno si accorse della nostra marachella. Dopo il concerto andammo ad ubriacarci come pazzi e per tornare a casa mi persi otto volte durante il tragitto. Mi subii una ramanzina di mia madre e il giorno dopo dovetti occuparmi di fare le pulizie in casa come punizione per il mio comportamento. Mia madre non è mia stata una donna severa, né con me, né con mia sorella.
Giro le chiavi di casa nella serratura aspettando un sonoro 'click' ed entro in casa. Accendo la luce e mi tolgo le scarpe. Vado in camera e mi tolgo i vestiti di lavoro. Ripiego tutto accuratamente cercando di non stropicciare la stoffa. Odio stirare e odio ancora di più dover chiamare mia sorella per venire a farlo una volta alla settimana. Indosso una maglia e dei pantaloni sportivi e corro in cucina a scaldare qualcosa per la cena. Mentre lascio le pietanze sul fuoco, mi dirigo in salotto, vicino alla gabbia dei miei due pappagalli, Keiji e Oscar. Mi accorgo che hanno quasi terminato le scorte di cibo e così li rifornisco con abbondanti semi. Accarezzo dolcemente Keiji che mi sale sul dito indice con le sue piccole zampette. Massaggio lentamente il suo piumaggio morbido e di un colorito bellissimo e sgargiante. Kouyou mi ripete sempre che i miei pappagalli mi somigliano.Hanno entrambi delle piume gialle e io mi tingo i capelli di biondo da ormai molto tempo. Quando ero un ragazzino osavo molto di più. Amavo tingermi i capelli e provavo ogni sfumatura di biondo. A trentasette anni ho optato per un biondo cenere molto scuro: mi dà un'aria più matura – dice Kouyou.
Rimetto Keiji nella gabbia e do loro la buonanotte. Corro in cucina a mangiare velocemente la mia cena. Sono esausto e vorrei andare a letto. L'indomani dovrò svegliarmi alle cinque in punto per essere a lavoro alle sette. Lavo i piatti velocemente, mi lavo i denti e spengo le luci della casa. Prendo distrattamente in mano un romanzo ma lo riposo poco dopo: sono stanco e voglio dormire. Domani ho ancora due uffici da visitare. Spero di avere almeno un briciolo di fortuna. Mi addormento intrappolato in un groviglio di pensieri.
















Eccomi qua. Dopo un bel paio di mesi di silenzio sono tornata. Come è nata questa fanfiction? è nata in una situazione molto particolare e in un luogo molto particolare che ancora non svelerò. Una sera mi sono addormentata e ho sognato tutta la storia dall'inizio alla fine e così ho deciso di scrivere tutto quello che avevo 'visto' in sogno. Avverto tutti i lettori e le lettrici che questa storia sarà molta lunga, introspettiva e oserei dire...quotidiana. E' una storia molto particolare, non voglio svelare troppo, ma posso dire che ogni capitolo sarà scandito dal ritmo della vita quotidiana del protagonista. Per chi si chiedesse quali sono i personaggi....beh anche qui non posso dire molto, però posso suggerirvi che ci sono tanti personaggi e alcuni sono del tutto nuovi e interessanti. Alcuni dei prossimi capitoli saranno più lunghi di altri a seconda delle situazioni e degli eventi. Il titolo della fanfiction è ovviamente ispirato alla canzone dei Placebo, Without You I'm Nothing, nonchè titolo di uno dei miei album preferiti di sempre. Vi consiglio di ascoltare quella canzone nel corso della storia perchè ogni singola nota e ogni singola parola è parte integrante di tutto quello che succede ai protagonisti. 

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Capitolo 2
*** Due. ***


II.








Guardo il mio riflesso allo specchio abbottonando l'ultimo bottone della camicia e mi sistemo i capelli alla meglio. Sempre così. Quando sono in ritardo i capelli non si pettinano mai nella maniera corretta. Cerco di sottometterli al potere della mia spazzola ma inutilmente. Ci provo altre due volte ma sembro proprio non avere successo. Opto alla fine per uno stile casual e così mi passo la mano tra il lungo ciuffo di capelli portandomelo all'indietro.
'Non sono poi così male' penso compiaciuto specchiandomi. 
Osservo il mio corpo coperto dalla stoffa degli abiti e mi accorgo dei risultati dell'ultimo mese passato in palestra. Da qualche anno ho iniziato ad allenarmi seriamente e ho messo su molta massa muscolare. All'inizio non notavo niente di strano, ma quando sono arrivato a dover cambiare la taglia delle mie camice mi sono reso conto che stavo facendo un ottimo lavoro. Adoro allenarmi e prendermi cura del mio corpo. Passo molte ore in palestra in sala attrezzi. Lavoro sui bicipiti, sui pettorali, gli addominali, i trapezi e i dorsali. Mi sono accorto col tempo che andare in palestra ha i suoi lati positivi: ascolti la musica mentre ti alleni, osservi gli uomini nudi sotto le docce degli spogliatoi e le persone si soffermano più facilmente a parlare con te se sei alto e muscoloso. Non mi considero un divo hollywoodiano ma ammetto di essere un bell'uomo. Il mio corpo è la mia casa, il mio tempio, e dedico gran parte della mia giornata a curarlo.
Me lo merito dopo tutto quello che è successo.
Corro in cucina e finisco di bere il mio caffè ormai freddo. Recupero le ultime cose e chiudo la borsa infilando dentro ogni tipo di cosa che possa servirmi per affrontare la giornata. Ritorno in cucina preparandomi un bicchiere di acqua abbondante. Ingoio due pasticche troppo amare e ingurgito molta acqua per non sentirne il sapore.
Esco di casa infilandomi gli auricolari nelle orecchie per non sentire il rumore della città appena sveglia. Le note di 'I Wanna Be Sedated'* mi risvegliano dal torpore e dal sonno. Mi dirigo veloce a prendere la metro. Alle 6.05 i treni sono affollatissimi e non c'è nemmeno spazio per respirare. Odio i luoghi dove ci sono molte persone, in particolare il giovedì mattina mentre sto andando a lavoro. Prendo il mio iPhone e controllo la mia posta elettronica mentre aspetto di scendere alla mia fermata. Mi accorgo di non aver ancora risposto a Kouyou che mi ha invitato ad una gita fuori porta per trascorrere un'intera giornata insieme. Gli rispondo velocemente e sovrappensiero chiedendogli quando sarà disponibile e se useremo le nostre moto.
Dopo poco scendo dal vagone e aumento il passo verso le scale mobili. Solo quando arrivo in superficie mi accorgo di essere estremamente in anticipo e così cammino per le strade di Ikebukuro perdendomi ad osservare qualche vetrina. Alla fine prediligo un altro caffè e così mi rintano in un piccolo ma accogliente Starbucks dove ordino un cappuccino extra large e un panino bello grosso.
Mi accomodo su una poltrona di pelle nera e osservo le notizie in prima pagina sul giornale ripiegato sul tavolino di fronte a me. Addento la mia colazione mentre osservo attentamente gli articoli di attualità. Ho molta fame e mangio spesso durante il giorno. Sono sempre stato un uomo goloso, ma a causa di tutte le medicine che ingurgito giornalmente sono costretto a mangiare più spesso di una persona normale. Le pasticche che mi hanno somministrato i medici sono molto forti e mi causano spesso un forte senso di fame e di spossatezza. Avere una malattia ha anche i suoi effetti positivi. Posso mangiare quanto mi pare e avere sempre un bel corpo.







È successo tutto otto anni fa. Avevo ventinove anni e avevo una vita tranquilla e spensierata. Avevo una fidanzata a quel tempo, le cose non stavano andando bene e infatti poco dopo che arrivò la notizia la lasciai. Un peso in meno.
Giocavo a calcio ed ero piuttosto bravino. Frequentavo un corso di pasticceria in un'accademia poco distante da casa mia e vivevo le mie giornate come ogni ragazzo di quell'età. Capitava troppo spesso che tornavo a casa da una partita con enormi lividi sul petto e sulle gambe. Chiazze così grosse da sembrare gli effetti di una violenta aggressione da parte di una bestia feroce. Capitava anche che tornassi a casa con tagli e ferite nonostante avessi passato quasi tutta la partita seduto in panchina. Spiegai la cosa a mia madre che mi consigliò immediatamente di lasciare il calcio prima che mi succedesse qualcosa di grave. Io ero contrariato ma ammisi a me stesso di sentirmi strano e che forse mia madre aveva ragione. Iniziai ad ammalarmi sempre più spesso. Una volta presi una bronchite in piena estate e fui costretto a letto per settimane. A quel punto decisi di farmi vedere da qualche dottore all'ospedale. Mi fecero molti esami e molte radiografie. Mi prelevarono il sangue e analizzarono ogni singolo fluido del mio corpo. Dopo numerosi accertamenti fui chiamato dall'ospedale con forte urgenza. Io mi presentai senza pensarci troppo su. I medici furono diretti e senza giri di parole mi dissero quello che avevano scoperto. Leucemia linfoblastica acuta. Ero malato da quasi un anno e le cellule tumorali si stavano diffondendo su gran parte del corpo. Mi sentii sprofondare e mancare il respiro in quel momento; penso che non lo scorderò mai. La dottoressa dai capelli castano ramato mi guardava con aria fredda e professionale. In fondo lei stava solo facendo il suo lavoro, mentre io sentivo la terra mancarmi sotto i piedi. In quel momento tutto svanì come in un sogno. Avrei voluto fermare il tempo e riflettere e forse cercare un qualche appiglio per non crollare. Ma cercai di farmi forza immediatamente e chiesi ai dottori cosa potessi fare. Mi suggerirono immediatamente una radioterapia: due sedute a settimana per tre mesi; se la cura avesse reagito bene allora avrei potuto iniziare a prendere altri medicinali meno potenti per il corpo ma altrettanto efficaci. Iniziai la cura il prima possibile. Non avevo tempo per piangermi addosso, nemmeno quello. Informai mia madre e mia sorella. Nessuno – a parte loro due – sapeva della malattia. Non volevo che si sapesse in giro né tantomeno che la gente mi fermasse a chiedermi come stavo. Solite frasi del cazzo da dire in certe circostanze perchè stare in silenzio è da maleducati e chiedere troppo è da impiccioni. Da quel momento imparai a chiudermi in me stesso. Non parlavo con nessuno ed uscivo solo per andare a fare la spesa o comprare qualcosa di urgente. Anche se avessi voluto non avrei avuto la forza di fare altro. Terminai il corso di pasticceria con un prestigioso attestato che per un po' sarebbe finito nel primo cassetto della scrivania perchè i medici mi dissero che non avrei potuto lavorare durante la terapia. Inizialmente non sentivo così tanto il peso delle cure, ma dopo qualche settimana mi accorsi che al termine di ogni seduta di radioterapia ero spossato e vivevo costantemente con la nausea e il mal di testa. Dopo quattro lunghi mesi di terapia le radiazioni terminarono, tuttavia mi somministrarono delle pasticche molto potenti da prendere ogni giorno. Dopo una lunga agonia il tumore si arrestò, ma il mio corpo era uscito sconfitto da quella lunga battaglia durata otto mesi. Le radiazioni avevano distrutto ogni cosa dentro di me.
“Signore, lei ha bisogno di un trapianto di midollo osseo” fu tutto quello che mi disse il dottore. Sarei riuscito ad affrontare anche questo? E perchè proprio a me? Ma soprattutto...perchè mi sentivo obbligato ad accettare? Non potevo semplicemente prendere una Smith&Wesson 686 e puntarmela alla tempia e bam! Sarei sparito per sempre. Riflettei molto in quel periodo. Avevo sopportato tanto e non ero sicuro di reggere un'operazione del genere. In quei momenti sentivo come se qualcuno mi avesse rapito e mi avesse nascosto in un casolare abbandonato e dimenticato da tutti. Ero stato rapito dalla mia famiglia, dalle mie amicizie, dal mio lavoro, dal mio sport preferito, dalle cose che amavo. Ero stato rapito dalla mia vita. La malattia mi aveva portato via tutto: le persone, i sogni, i progetti e la speranza. Mia madre mi disse di farmi forza. Lei non avrebbe potuto donarmi il midollo osseo a causa della sua salute precaria e mia sorella in quel periodo era incinta e non avrei mai voluto sottoporla ad un rischio del genere. In fondo perchè avrei dovuto egoisticamente approfittare di un altro essere umano per avere salva la vita? Nessuno ci aiuta. Tutti noi ci salviamo da soli.
I dottori cercarono di tranquillizzarmi ma io ero già tranquillo. Non provavo niente. Facevo solo quello che mi dicevano. Ascoltavo ed obbedivo.
“Se nessun componente della sua famiglia può aiutarla in questa cosa, temo proprio che l'unica cosa che le resta è la speranza signor Suzuki.” il dottore che mi rivolse quelle parole era un dottore giovane. Era nuovo, non lo avevo mai visto in giro. Tuttavia mi stava simpatico. Era sincero e mi fece capire che solo un miracolo mi avrebbe potuto salvare in quella situazione. I donatori di midollo compatibili sono molto rari e io non potevo certo essere baciato dalla fortuna. Sono sempre gli altri quelli più fortunati. Mi arresi e me ne tornai a casa, stanco di tutto, persino di me stesso.
Un giorno mi chiamarono dall'ospedale. Successe il miracolo. Avevano trovato un donatore. Mia madre pianse tutta la notte. Mia sorella mi raggiunse in ospedale alle 4 di mattina nonostante fosse stanca e con le occhiaie profonde sotto gli occhi.
L'operazione andò a buon fine e ne uscii più in forma di quanto mi aspettassi. Dopo pochi mesi ripresi la mia vita tranquilla. Mi era stata data una seconda chance, una seconda possibilità, un modo diverso di rinascere e andare avanti. Non potevo sprecare un secondo di tutto quello che qualcuno o qualcosa mi aveva donato.







Esco da Starbucks e mi dirigo verso il negozio. Cammino un paio di minuti a passo svelto lasciando la mente libera dai pensieri fino a che non vedo la scritta 'LOVELY DONUTS' darmi il buongiorno qualche metro sopra la mia testa. L'insegna rosa fluo è ancora spenta in quanto il negozio aprirà solo tra un paio di ore. Entro veloce dalla porta sul retro e corro a cambiarmi in camerino. Saluto Yuu, uno dei miei colleghi, mentre mi allaccio il grembiule dietro la schiena.
“Wow Suzuki, non è che hai esagerato un po' troppo con la palestra? Quella camicia si sta strappando a vista d'occhio!” esclama Yuu dandomi una pacca sulla spalla.
“Calma Shiroyama-san. Se hai capito che sono così forzuto, fossi in te non prenderei tutta questa confidenza.” dico ridendo.
“Oh capisco! Si trattano così i colleghi più vecchi?” mi sorride mentre ci dirigiamo in cucina. Yuu Shiroyama è uno dei colleghi con cui ho legato meglio. Anche se il nostro rapporto si basa spesso su battute sarcastiche e prese di giro continue, posso dire che mi piace la compagnia di Yuu. È un uomo a posto e mi regala sempre un po' di tranquillità. Non sembra una persona che si fa molti problemi e quando proprio è confuso, lo trovo nel cortile nel retro del negozio intento a fumare una sigaretta. Yuu è un uomo bellissimo per avere quasi quaranta anni: ha dei capelli neri lunghissimi sempre ordinati e pettinati in maniera impeccabile, è alto e ha un corpo asciutto e proporzionato. Ha anche delle bellissime mani e le sue dita sono magiche; non a caso è il migliore decoratore del nostro negozio. Ogni donuts, ogni cupcakes e ogni cioccolatino viene sempre accuratamente decorato da Yuu nel modo più perfetto possibile. Io e Masami, l'altra mia fedele collega, siamo due muratori in confronto alla raffinatezza che impiega Yuu in ogni piccola cosa che prepara.
Entro in cucina e mi guardo intorno. I colleghi dell'ultimo turno hanno lasciato tutto in splendido ordine. È quasi un peccato sporcare gli utensili e i piani cottura con zucchero, farina e glassa al cioccolato.
Mi metto immediatamente al lavoro. Prendo le uova dal frigo, il pesantissimo sacco di farina e anche quello di zucchero e inizio ad occuparmi delle solite mansioni che ormai compio meccanicamente da anni. Sbatto le uova in un grande recipiente, aggiungo la farina attentamente pesata, lo zucchero, il burro e il latte. Metto tutto ad impastare in un grande macchinario; nel mentre Yuu e Masami si occupano della crema, della panna e della glassa al cioccolato.
Dopo quasi due ore di lavoro inforno trecento muffin, ognuno nei rispettivi pirottini. Sistemo i vassoi nel forno e chiudo con uno slancio secco. Mi fermo ad osservare qualche minuto la cottura. Adoro perdermi in quei momenti in cui il composto cresce e lievita abbondantemente. Adoro l'odore di dolce appena sfornato, anche se ammetto che dopo tutto questo tempo che lavoro in pasticceria non sento più l'acquolina in bocca. Tuttavia la padrone del locale, la signora Wazuka, essendo a conoscenza della mia malattia mi ha dato ufficialmente il permesso di prendere un dolcetto ogni giorno a fine turno e di portarmelo a casa. Non vado matto per i dolci. Lo so, non ha molto senso, ma preferisco prepararli piuttosto che mangiarli. Preferisco una ciotola di ramen ad un vassoio di donuts; anche se preparare le ciambelle è un'arte così minuziosa e appagante che non è minimamente paragonabile al condire una zuppa calda con della pasta bollita.
Il negozio apre tutti i giorni alle 9 in punto e chiude alle 17.30 in punto. La signora Wazuka è così precisa che vuole la serranda abbassata alle 17.32. Un giorno capitarono due turiste che entrarono in orario di chiusura. Io e Yuu le servimmo senza troppi problemi. Ma alle cinque e mezzo erano ancora sedute al tavolino e non accennavano a volersene andare. La signora Wazuka ci tirò entrambi per le orecchie nel retro del bancone, ci fece una ramanzina così irritante e lunga che alla fine le due ragazze se ne andarono da sole. Una brava donna la signora Wazuka, ma molto, troppo, precisa.
Avendo iniziato con il turno della mattina, smetto di lavorare a mezzogiorno. Ripiego velocemente il mio grembiule e lo ripongo nel mio stretto ma ordinato armadietto. Saluto Yuu e Masami ed esco veloce dalla pasticceria. Non ho tempo da perdere.














* = canzone molto famosa della punk band Ramones.
~

Eccomi qua. Ho deciso di aggiornare così presto perchè ho visto che in solo due giorni ho raggiunto più di 100 lettori e quindi volevo fare una sorpresa a tutti quelli che si sono soffermati a leggere. Colgo l'occasione per ringraziare chiunque abbia letto, recensito, messo la storia tra le preferite. GRAZIE ♡ mi avete resa felicissima ;__; 
Beh che dire. Questo capitolo ci dice molte cose. Abbiamo scoperto qualcosa di molto importante sul passato di Akira e abbiamo iniziato a conoscere qualcosa della sua vita, del suo lavoro e delle sue relazioni sociali. Il nome della pasticceria, Lovely Donuts, è totalmente inventato, eppure mi piaceva troppo come suonava e così l'ho inserito nella storia. Come abbiamo visto Akira è un uomo molto ordinario, ha uno stile casual e vive una vita tranquilla. Tuttavia ha una grande passione per la musica punk proprio come il vero Reita. Nei prossimi capitoli scoprirete sempre più cose su di lui, ma soprattutto...la cosa più importante: dove sta andando così di fretta Akira? 

 

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Capitolo 3
*** Tre. ***


III.












Sento che anche questa volta la cosa non andrà a buon fine, ma ci provo lo stesso. Controllo il materiale cartaceo che ho nella borsa, rovisto velocemente e vedo se ho tutto il necessario. Poi richiudo la borsa di pelle con un rumore sordo e secco e mi preparo ad entrare nell'edificio. Sono nell'ennesima clinica ospedaliera di Tokyo e sono qui alla ricerca di un nome. Sono due mesi che ho iniziato questa impresa pazza e che sicuramente non andrà a buon fine, ma non voglio darmi per vinto. Mi avvicino al bancone informazioni. Mentre cammino azzerando la distanza tra me e la ragazza seduta al di là del grosso mobile mi sistemo i capelli alla meglio per cercare di essere il più possibile presentabile. Tossisco schiarendomi la voce.
“Buongiorno”
“Buongiorno a lei” risponde la ragazza di rimando. Mi immaginavo una tonalità di voce più matura, invece mi accorgo che la ragazza che ho di fronte ha sì e no venti anni. Mi sorride in attesa di un feedback da parte mia.
“Sto cercando gli uffici che si occupano dello smistamento delle cartelle cliniche dei pazienti donatori”
“Lei deve donare il sangue?” mi chiede leggermente sorpresa.
“S-sì, certo. Però ho bisogno di parlare con un impiegato. Può dirmi dove si trova la zona prelievi?”
“La zona prelievi si trova nel padiglione alla sua sinistra. Vada in fondo al corridoio, esca nel piccolo cortile. Lo attraversi per pochi metri e rientri nel primo padiglione che si ritrova davanti. Ci sono anche dei cartelli informativi che le diranno dove dirigersi e a che piano. Spero di esserle stata di aiuto” il tono di voce della receptionist è calmo e tranquillo, come se stesse recitando una poesia d'amore.
La guardo sorridendo. “Grazie mille signorina, le sono grato” dico mentre mi incammino nella direzione da lei indicatomi. Percorro il corridoio, esco nel cortile e rientro nel padiglione che trovo davanti a me. Noto appeso al muro un numeroso elenco di cartelli su cui sono scritti i vari settori medici e i piani corrispondenti. Scorgo quello che mi interessa.

 
'PRELIEVI, ANALISI E DONAZIONI  -  PIANO 3° '

Cerco un ascensore ma non trovandolo sono costretto a prendere le scale. Arrivo al terzo piano e mi guardo intorno. Tantissimi infermieri e dottori camminano svelti per il corridoio ignorando i poveri estranei che, come me, non sanno minimamente come orientarsi. Un dottore cammina tenendo la testa bassa su un foglio bianco e spesso. Mi sorpassa con sufficienza, senza degnarsi di alzare lo sguardo o chiedermi almeno scusa per avermi sfiorato la spalla. Colgo occasione per fermarlo.
“Mi scusi, ho bisogno di un informazione. Vorrei sapere dove si trovano gli uffici in cui sono smistate le cartelle cliniche dei donatori.”
“Da quella parte” mi risponde alzando la mano e indicando l'angolo del corridoio. “Vada lì e chieda a loro”
Faccio come mi è stato detto. Dopo poco mi ritrovo a dover ripetere la solita domanda ad altri due membri del personale ospedaliero. Mi rispondono in maniera gentile ed educata indicandomi un altro famigerato angolo di corridoio verso cui devo dirigermi per l'ennesima volta. Inizio a perdere la pazienza, ma prima che questo accada mi ritrovo davanti ad una porta grigio chiara la cui targhetta mi suggerisce di trovarmi finalmente nel posto giusto.
Busso e apro.
“Permesso?” chiedo un po' spazientito. Entro nella stanza in cui trovo due sportelli. Solo uno di questi è aperto.
“Venga si accomodi. Come posso aiutarla?” la signora seduta al di là del vetro mi scruta con aria indagatrice e severa. È molto magra, ha i capelli neri tagliati simmetricamente e raccolti in un ordinatissimo caschetto che le sfiora leggermente le spalle. È poco truccata ad eccezione dello sgargiante rossetto rosso che decora le sue labbra fini e piatte. Potrebbe avere una cinquantina di anni, o forse molti meno. Non passa inosservato il fatto che in passato sia stata sicuramente una bellissima donna. Tuttavia la ruga in mezzo alle sopracciglia la rende più anziana e rigida.
“Salve. Ho bisogno di aiuto. So che la mia richiesta potrebbe sembrarle strana e bizzarra, ma la prego di lasciarmi spiegare.”
Il suo silenzio mi mette leggermente a mio agio e così proseguo con la mia richiesta.
“Sono qui perchè sto cercando una persona. Ho bisogno di sapere solo un nome, un punto di riferimento o almeno un segno di riconoscimento. Sto cercando il nome e l'identità di un donatore. Ne ho estremamente bisogno e ho con me tutte le carte e tutti i documenti che possono dimostrarle che quello che le sto raccontando è vero.” dico io aprendo delicatamente la mia borsa.
“Lei ha subito un trapianto o una trasfusione?” mi chiede l'impiegata senza cambiare espressione in volto.
“Sì. Sono stato malato di leucemia e ho subito un trapianto di midollo osseo. Quello che sto cercando di dire è che–”
“Mi faccia indovinare.” dice lei interrompendomi. Il suo tono di voce si fa sempre più presuntuoso. “Lei vorrebbe sapere il nome del donatore il cui midollo osseo è stato impiantato nel suo organismo, vero?”
“Esattamente” dico io cercando di mantenere un contatto visivo con lei.
“Mh. Non la rimprovero né le rispondo male. Ammiro il suo coraggio per averci provato e per essersi rivolto a noi. Però mi dispiace ma devo respingere la sua richiesta. Quello che lei mi sta chiedendo è contro la legge e inoltre richiederebbe un lavoro così lungo e faticoso che nessuno oserebbe dirle di 'sì'. Solo un pazzo si cimenterebbe in un'impresa simile. È come cercare un ago in un pagliaio.” conclude lei sistemandosi elegantemente gli occhiali sul naso.
“Probabilmente sono pazzo, ma io ho davvero bisogno di sapere qualcosa. So che è illegale e infatti non chiedo di vedere la cartella clinica né di avere un identikit completo. Mi basterebbe un nome. Un mio amico mi ha spiegato che sui vostri server è possibile rintracciare molto più facilmente ogni singolo donatore e paziente.”
“Mi dispiace signore, ma io non sono autorizzata a fare una cosa del genere. I nostri server non sono così potenti da poter restringere la ricerca. In questo ospedale ogni giorno decine di persone vengono a donare il sangue o il midollo osseo. Non potremo mai sapere quando e dove ha compiuto questa operazione la persona che lei sta cercando. Potrebbe averlo fatto in qualsiasi ospedale del Giappone. Per non parlare poi della data in cui è avvenuto il prelievo.” dice lei muovendosi leggermente sulla sedia girevole.
La guardo negli occhi capendo di aver fallito miseramente. Abbasso lo sguardo e mi soffermo ad osservare le punte delle mie scarpe trovandole noiose e brutte. Tiro un sospiro profondo prima di riniziare a parlare.
“Ho capito. Sembra proprio che non ci sia speranza per un pazzo come me” dico accennando un sorriso. “Mi dispiace averla disturbata, anzi le chiedo scusa”
La signora mi sorride di rimando. Finalmente cambia posizione e si toglie gli occhiali da vista appoggiandoli alla scrivania “Signore. Io capisco quello che lei sta facendo. E la ammiro molto. Però purtroppo ci sono delle regole da rispettare e una privacy che non può essere violata. Vorrei poterla aiutare ma non mi è possibile. Forse dovrebbe solamente mettersi l'anima in pace e continuare la sua vita, non crede? In fondo è un grande dono quello che le è stato fatto. Perchè vorrebbe andare così a fondo? A volte nella vita capita che succeda un cambiamento, qualcosa che non ci aspettavamo. Un incontro, una parola, un' affermazione, una negazione, un'assenza. Eppure non ci perdiamo troppo la testa a interrogarci su come, quando e perchè. Piuttosto gli uomini accettano la loro fortuna senza farsi troppe domande. Anzi, spesso sono spaventati dalle risposte e così non ci prestano attenzione. Anche lei dovrebbe fare così. Ha sconfitto una malattia molto grave e ha la possibilità di continuare a vivere. Lo faccia, senza perdere tempo in questa ricerca inutile.”
Le parole della signora disegnano una nuvola di tensione nell'aria. Ogni singola sillaba da lei pronunciata picchia forte nel mio cervello come una bacchetta su di un tamburo. Stringo forte la borsa nella mia mano sinistra e faccio per allontanarmi dallo sportello.
“La ringrazio per il consiglio, ma lei non può capire.” dico io con voce amara.
La signora mi guarda leggermente spaesata senza dire una parola.
“Arrivederci. Grazie per il suo tempo e buon lavoro” Mi volto di fretta e afferro la maniglia della porta. In quel momento delle parole giungono al mio orecchio e mi fermo di scatto.
“Potrebbe provare a rivolgersi nell'ospedale in cui è stato operato. Lì sarebbe tutto più facile. Ovviamente spero però che lei ci pensi su e cambi idea. Arrivederci anche a lei.”
Non rispondo ed esco veloce dalla stanza. Percorro il lungo corridoio al contrario. Scendo le scale, mi dirigo nell'atrio, esco nel cortile, ripercorro il secondo corridoio, passo davanti al banco informazioni senza degnare nessuno di uno sguardo ed esco dalla clinica. L'aria di fuori è afosa e mi cade addosso come una coperta umida. Mi sento sudato e sporco. Vorrei buttarmi in una vasca di acqua ghiacciata e rimanere lì a galla come un peso morto.
Mi incammino a caso, senza una meta né una direzione. Ho bisogno di schiarire i pensieri. In fondo cosa mi aspettavo di fare? Sto cercando un ago in un pagliaio. Ha ragione la signora. Dovrei abbandonare tutto e dedicarmi ad altro. Ma come posso aver sprecato due mesi della mia vita in questa ricerca estenuante ed abbandonare proprio adesso? Deve esserci un modo. Uno stramaledetto modo di arrivare a quella persona. Non so nemmeno cos'è che mi spinga verso questo mio obbiettivo. Probabilmente una profonda riconoscenza e un profondo ringraziamento per quello che ha fatto. Magari quando incontrerò quella persona, ci scambieremo solo un grazie e una scatola di biscotti come regalo, simbolo della mia gratitudine. Magari sarà l'incontro più noioso della mia vita e molto probabilmente ne uscirò deluso e incazzato. Ma non posso mollare ora.
Devo solo concentrarmi e trovare un metodo efficace per trovare quello che cerco.
Ripenso alle parole della donna con i capelli neri e intanto frugo nella tasca alla ricerca di una sigaretta.

'Potrebbe provare a rivolgersi nell'ospedale in cui è stato operato'. E sarà proprio lì che andrò nei prossimi giorni.












Eccomi qua! Ho aggiornato a quest'ora perchè questo pomeriggio sono fuori tutto il giorno e non volevo aspettare fino a sera per farvi leggere questo capitolo. Finalmente abbiamo capito cosa, o meglio, chi sta cercando Akira. Ebbene la sua ricerca è ormai iniziata da un bel po' di mesi e sembra davvero molto fissato...si è completamente interstardito e vuole a tutti costi raggiungere il suo obbiettivo. Ce la farà? Si arrenderà subito? Oppure ci saranno alcuni incidenti di percorso? In alcune recensioni ho letto che avete già pensato a qualche ipotesi su cosa possa accadere nei prossimi capitoli....beh fatemele sapere <: sono curiosissima di sapere cosa pensate u.u Devo sottolineare una cosa importante: alcuni capitoli, soprattutto i prossimi, saranno abbastanza brevi mentre quando entrerete nel vivo della storia, i capitoli diventeranno lunghissimi. Ecco, non è una coincidenza...è una scelta stilistica. Poi capirete tutto per bene :3
Siccome siamo ancora ai primi capitoli ne approfitto per lasciarvi qualche piccola descrizione di Akira che potrebbe tornare utile:
Akira è un uomo di 37 anni che vive nel centro di Tokyo e lavora in una pasticceria. Ha sofferto di una malattia gravissima ma per fortuna ne è uscito senza troppe conseguenze negative. Ci tengo a sottolineare che Akira è un uomo adulto lavoratore giapponese, quindi niente noseband, niente capelli sparati e niente abiti eccentrici, anche se abbiamo visto che apprezza molto la musica punk u.u Sul modo di vestire direi che Akira si veste in maniera piuttosto anonima, tranne quando deve fare qualche viaggio in moto. Nei prossimi capitoli si scopriranno sempre più cose su di lui, sulla sua routine quotidiana e anche sulle persone intorno a lui.
Detto questo devo fangirliggiare per cinque secondi perchè: REITA è SU INSTAGRAM AAAAA sono felicissima ;3; ma vi rendente conto che cosa significa? Foto delle sue mani illegali, Reituki, e se ci scappa pure qualche selfie. Io sono...sconvolta, ma in senso positivo u.u E poi avete notato che scrive solo in inglese? è un amore di essere umano <3
Bene mi fermo qui ma sappiate che ci rivedremo presto c:

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


IV.













Corro a perdifiato in una radura oscura. È buio pesto e fa freddo. Sento le gambe e le braccia stanche ma non posso fermarmi; so che mi sta raggiungendo. Se mi fermo mi prenderà e allora sarà tutto finito. Non posso mollare ora. Continuo a correre senza una meta. Va bene così, l'importante è non fermarsi. Continuo a guardare avanti e scorgo le figure di alcuni alberi. I loro tronchi sono affusolati e alti, tuttavia sono fitti e devo prestare molta attenzione a non scontrarmici. Corro, corro e ancora corro. Sento che è dietro di me. Ha una dentatura affilata, un respiro affannoso e grugnisce rumorosamente. Vuole uccidermi. Mi volto e lo vedo: due occhi gialli e profondi mi scrutano. Mi ha individuato. Sono spacciato. Continuo a correre anche se il mio corpo chiede pietà e vorrebbe solo lasciarsi andare. Ma cosa ne sarà di me? Cosa ne sarà della mia vita se mi lascio prendere e afferrare da quelle fauci affamate? Sento la mia anima dilaniarsi e struggersi nel dolore e nella paura. Ho paura. Devo correre o la mia paura finirà per ritorcersi contro di me, consegnandomi tra le mani del mio nemico. Inciampo e cado. Mi rialzo, sbatto contro un albero e sento un dolore fulminante al braccio sinistro. Sento il sangue scendere copioso dal mio braccio; mi tocco ma non sento nulla. Eppure fa male, fa dannatamente male. Perchè tutto questo dolore? E perchè sono costretto a correre? Sento ululare e ruggire forte alle mie spalle. Bastano pochi centimetri a separarmi dalla morte. Una volta che mi avrà afferrato non avrà pietà delle mie carni. Squarcerà il mio corpo come fosse la carcassa di un capriolo di montagna, strapperà via i miei occhi ed essi rotoleranno inquietantemente al suolo, staccherà la mia testa dal resto del corpo togliendo ogni tipo di identità ai resti del cadavere. Diventerò solo un succoso pasto, carne fresca e deliziosa. Una vittima spaventata è perfetta. È così dolce e seducente il sapore della paura. Ma io so che devo correre e devo continuare a farlo. È notte fonda e non riesco a scorgere la Luna nel cielo. Non riesco a vederla e questo mi spaventa e mi rende irrequieto. Mi sento abbandonato da tutti, persino da lei. Ma in fondo cosa pretendo di fare o di essere? Sono solo una vittima. Un debole. Un fantoccio.
Corro per minuti interi. Forse ore. Forse sto correndo da cinque ore e non me ne sono ancora reso conto. Uscirò mai da questo bosco? Ci sono solo alberi, e ancora alberi. Sembrano così silenziosi stanotte. Oh, alberi perchè non mi aiutate? Perchè assistete inermi e impassibili alla mia lenta corsa verso la morte? Perchè non potete salvarmi dalla creatura? Un ululato ancora più forte si libera nell'aria tingendo la notte di un colore sinistro e tetro. Voglio scappare da qui. Corro velocissimo. Sento i suoi passi farsi ancora più veloci, mentre i miei diventano irrimediabilmente più lenti. Scorgo con difficoltà la fine del bosco. Sono salvo. Mi basta pochissimo per avere salva la vita, basta tendere la mano, basta prendere un po' fiato. Respiro con tutta l'aria che ho nei polmoni e scatto veloce. Non può prendermi, non deve prendermi. L'ultimo albero mi scorre affianco come fosse portato via dal vento autunnale. Corro e sento di essere salvo. Continuo a farlo perchè mi sento libero. È bello essere liberi e correre. La notte non fa più così paura. Corro e poi sento che il mio piede non è più stabile. Sto cadendo, sto precipitando. Ci sarà mai una fine? Sono caduto nel nulla. Sto morendo. È tutto nero. Urlo. Nessuno può sentirmi.








Mi sveglio di soprassalto e madido di sudore. Il cuscino è umido così come anche il mio pigiama e il lenzuolo. Devo aver sudato molto questa notte. Ho il fiatone e sono costretto a mettermi seduto per tornare a respirare tranquillamente. Il cuore mi batte a mille e sento arrivare le vertigini. Vedo le pareti della stanza avvicinarsi a me e un forte dolore lancinante mi colpisce alla testa piegandomi sul materasso dal dolore. Urlo. Soffoco i gemiti nel cuscino ma sono così potenti che si propagano per tutta la stanza. Non riesco a controllarmi e continuo a gridare, nonostante nessuno possa aiutarmi. Allungo una mano verso il mio comodino in cerca di qualche sollievo. Trovo un libro, una sveglia, il mio iPhone.
Merda.
Apro il cassetto rovistando frettolosamente. Ci sono delle chiavi vecchie, alcune penne che non scrivono più, un mazzetto di elastici di gomma, alcuni chiodi, scatole di medicine scadute e confezioni vuote. Rovisto con più attenzione ma non trovo nulla. Il dolore diventa sempre più forte. Mi rimetto seduto cercando di prendere controllo sul mio respiro.
Inspirare. Espirare. Inspirare. Espirare.
Ripeto questo procedimento fino allo sfinimento. Mi tengo fermo il polso destro con la mano sinistra per controllare i battiti cardiaci. Il forte cerchio alla testa mi contorce dal dolore. Sono costretto ad alzarmi dal letto in cerca di qualche medicina. Vado in bagno e apro il piccolo armadietto dei farmaci posto sopra lo specchio. Ci sono farmaci della chemioterapia ovunque. Siringhe, fasce elastiche, creme, supposte. Trovo una confezione di antidolorifici e spero non tutto me stesso che ci sia ancora qualche pillola dentro. Ne trovo una e corro in cucina ad ingurgitare un grosso bicchiere di acqua aiutando la pasticca a scivolare nel mio stomaco. Ho ancora il respiro affannato e sono sudatissimo. Torno in bagno a sciacquarmi il viso e la fronte. Mi rilavo i denti per togliermi dalla bocca quella fastidiosa sensazione che ti lasciano le medicine amare. Mentre ripiego l'asciugamano ripenso al sogno appena avuto. Ero in una foresta e correvo come un disperato. Qualcuno, forse un uomo-lupo, o qualcosa di simile, mi rincorre e io scappo impaurito; appena penso di essere spacciato riesco a salvarmi ed esco dal bosco misterioso ma inspiegabilmente cado in una buca profondissima e senza fine e lì puntualmente mi sveglio. Ormai sono mesi che continuo a sognare ripetutamente questa trama. A volte sogno di correre più veloce, a volte mi sembra che quel lupo mi raggiunga e mi stia quasi per uccidere. L'unica cosa che non cambia mai è la paura. È così agghiacciante che sento un forte dolore allo stomaco persino quando mi sveglio e mi rendo conto che è tutto finito. Riesco ad annusarla: odora di limone e miele. È dolce e aspra ma è anche così invitante. Posso sentirla sulla lingua. Quando mi sveglio, ogni maledetta volta, torna dentro di me quel senso di vuoto. Mi sento come se qualcuno mi avesse rubato gli organi interni e fossi solo un corpo composto di ossa e muscoli. Sento questo vuoto dentro di me, nella mia testa e nel mio cuore. Forse è la paura. O forse è la stanchezza di doversi svegliare così spesso nel mezzo della notte vittima di incubi e dolori fulminanti. Decido di andare in cucina a mangiare qualcosa. Ho fame e voglio riempire il vuoto dentro di me.
Mentre scaldo l'acqua nel bollitore mi avvicino alla gabbia dove riposano i miei due pappagalli. Cambio il piccolo serbatoio dell'acqua e aggiungo nella vaschetta del cibo qualche seme. Torno ai fornelli, spengo il bollitore e apro la dispensa in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Trovo del pane e della crema alla nocciola e latte spalmabile. Mi faccio un panino mentre sorseggio del tè verde assorto nei miei pensieri. Mi concentro sulle parole che mi ha detto la signora con i capelli neri a caschetto. Devo andare nell'ospedale in cui sono stato operato. Loro sapranno sicuramente aiutarmi. Troverò finalmente tutte le informazioni di cui ho bisogno. E finalmente potrò mettere la parola 'fine' a questo capitolo della mia vita. Quando avrò trovato quello che cerco penso proprio che partirò per un viaggio. Me ne andrò all'estero, probabilmente in Europa così da staccare completamente e visitare luoghi totalmente diversi da qui. Sono tanti anni che non mi muovo dal Giappone e questo probabilmente non mi aiuta. Fin da giovanissimo ho sempre amato viaggiare. Viaggiare significa fare esperienza ed imparare. Significa cambiare e mutare, come mutano pelle i serpenti. Vorrei essere un animale e andare in letargo, così da svegliarmi più forte che mai. Invece mi capita spesso di passare le notti insonni, steso sul letto con un forte dolore alla testa.
Il dottore ha detto che è normale. Nonostante sia guarito dalla malattia, gli effetti continuano a farsi sentire. La chemioterapia e soprattutto la radioterapia hanno lasciato conseguenze indelebili sul mio corpo. Soffro di mal di testa fortissimi e quando sono stanco ho le vertigini e la nausea. Un giorno mi capitò di essere in una strada affollata di un quartiere poco familiare e di essermi perso. Iniziai a sentire il panico e poi il senso di nausea. Mi fermai vicino ad un cestino e vomitai la cena. La gente che passava mi guardava schifata, alcuni si avvicinarono per assicurarsi stessi bene. Io mi ripulii e tornai a casa. Da quel giorno ho capito che non posso permettermi di inoltrarmi in posti sconosciuti pieni di persone. Odio la gente e i posti affollati e da quel momento mi tengo sempre alla lontana dalle zone più frequentate di Tokyo.
Finisco il mio spuntino con sguardo assorto; guardo il cielo scuro e silenzioso fuori dalla finestra. Decido di non dormire, o almeno non subito, e così inizio a tirare fuori un grosso borsone sportivo da cui prelevo due pesi di 25kg l'uno. Mi siedo su un piccolo sgabello e inizio ad alzare i due attrezzi a ritmi regolari. Mi concentro senza troppi pensieri e mi dedico ad un'ora piena di esercizio.

Quando poso i pesi a terra lancio un'occhiata all'orologio e mi accorgo che sono le 4.30 di mattina. Provo a dormire nonostante il timore di un altro incubo e di un altro cerchio alla testa. Sono così stanco che mi addormento subito.
















Buonasera <: sono tornata dopo pochissimi giorni perchè come vi ho già accennato in precedenza, questi primi capitoli sono molto corti e mi sembrava stupido farvi aspettare per così "poco". Ma parliamo del capitolo: prendete questo capitolo come una sorta di interludio...è una sorta di 'qualcosa che sta nel mezzo'. Una ''pausa'' tra tutti gli avvenimenti che stanno succedendo in questi giorni nella vita di Akira. Abbiamo visto che purtroppo il nostro protagonista non passa delle notti tranquille...e la cosa sembra diventare sempre più seria e grave. Eppure perchè Akira fa sempre lo stesso sogno?
Scoprirete anche quello, ma più avanti u.u dovete rimanere sintonizzati su questo canale c:
Il prossimo capitolo sarà più lungo, il sesto sempre di più e così via fino a quando........NON POSSO DIRLO. Sì sono un'autrice molto misteriosa ma non voglio anticiparvi nulla <3
Aspettate un aggiornamento a breve e: preparatevi.

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


V.










Mi sveglio di soprassalto e lancio velocemente un'occhiata alla sveglia: sono le 8.37, i numeri rosso fuoco si imprimono sulla mia retina come a volermi avvisare di essere in tremendo ritardo per i miei impegni quotidiani. Mi alzo di scatto e decido di buttarmi velocemente sotto la doccia. Mentre mi insapono ripenso immediatamente alla notte passata...era da tante settimane ormai che non facevo un sogno del genere. Quell'incubo era così vivido che ne sento ancora la sensazione addosso. Recupero una spugna e cerco di grattare via quella spiacevole sensazione che si è attaccata irrimediabilmente al mio corpo come fango umido e appiccicoso.
Esco dalla doccia e senza preoccuparmi di avvolgermi in un asciugamano, raggiungo completamente nudo la cucina, preparandomi un caffè. L'aria fresca di aprile che entra dalla finestra mi provoca dei leggeri brividi su tutto il corpo e così decido di asciugarmi con un telo pulito. Qualche goccia di acqua segna il percorso che divide la cucina dal resto delle stanze, passando per un piccolo corridoio. Mi vesto velocemente cercando di recuperare più cose possibili. Oggi il mio turno di lavoro inizia dopo pranzo ma non posso farmi sfuggire l'occasione di passare in ospedale a chiedere informazioni. Recupero tutti i fogli medici necessari e li ripongo con cura in una cartella trasparente. Infilo il mio fedele iPhone nella tasca della giacca, controllo che Keiji e Oscar stiano bene nella loro gabbietta e finalmente esco di casa. Sono abbastanza nervoso, infatti mi rendo conto di aver preso la strada sbagliata solo quando ormai sono già seduto su un sedile del treno. Questa linea impiega il doppio del tempo a raggiungere l'ospedale in cui fui operato, mentre se avessi preso la linea blu sarei arrivato con un quarto d'ora di anticipo. Ormai mi rassegno all'idea di aver iniziato malissimo la giornata e così apro la casella di posta elettronica sul mio telefono: un nuovo messaggio.
Da: Kouyou

Ehi bellimbusto! Ci sei questa domenica? Io propongo di farci un bel
giretto in moto e di spassarcela in riva al mare.
Non accetto risposte negative.
8 di mattina in punto sono sotto casa tua.
A domenica!

Sempre il solito. È inutile tentare di proporre cose diverse. Kouyou è quel tipo di persona molto decisa in quello che fa e anche tremendamente testona; un bel connubio non c'è che dire. Kouyou è il mio migliore amico. Io e lui ci conosciamo da una vita; mi sembra impossibile pensare ad un momento della mia esistenza in cui lui non era presente. È stato come un fratello per me e io mi fido ciecamente di lui. L'ho sempre considerato un bellissimo ragazzo. Da quando lo conosco ha tinto i suoi capelli di ogni sorta di colore possibile, persino bianchi. Ora che ha 37 anni, ha optato per un castano molto scuro, un colore che si sposa perfetto con i lineamenti delicati del volto. Quando avevamo venti anni e amavamo truccarci e acconciarci i capelli, Kouyou veniva spesso scambiato per una ragazza. Ha degli occhi con un taglio molto particolare e delle labbra curve e molto femminili. E anche ora, che è un lavoratore a tempo pieno e si lascia crescere ogni tanto un po' di barba, devo ammettere che ha conservato tutta la bellezza dei suoi lineamenti delicati.
Kouyou vuole trascinarmi sempre in ogni pazza idea che gli passa per la testa. Tuttavia questa volta penso proprio che abbia ragione; sento di aver bisogno di una bella gita al mare in sella alla mia moto. Adoro guidare la motocicletta, non solo in città, ma anche in aperta campagna. Adoro perdermi nelle curve della strada, nel paesaggio che sfreccia veloce ai lati del mio corpo come fosse un velo di tulle che mi accarezza. Amo il vento che mi sfrega la faccia e le maniche della giacca di pelle quasi come delle lame invisibili che vorrebbero farmi a pezzetti. Non vedo l'ora che sia domenica.
Quando alzo gli occhi dal telefono capisco di essere vicino alla mia fermata. Appena scendo aumento il passo, sono impaziente. Sto giocando la mia ultima carta e non posso fallire, non devo fallire. Mi sono imposto questo obbiettivo, perchè mai non dovrei riuscirci? Le persone fanno cose illegali tutti i giorni: si drogano, vendono armi pericolose, hackerano i siti più segreti. Perchè mai io non potrei riuscire ad arrivare al nome che sto cercando?
Svolto l'angolo e cammino per altri dieci minuti buoni fino a quando non mi ritrovo davanti un'insegna gigante che recita: JIKEI UNIVERISTY HOSPITAL. Lo stabile è altissimo, è un grattacielo gigante con le finestre a specchio che riflettono prepotentemente la luce del sole. Osservo quell'edificio e sento i ricordi affiorare alla mia mente. Il me stesso ventinovenne che se ne fregava di tutto, che viveva la vita come capitava un giorno si ritrovò a dover varcare la stessa soglia che sto attraversando in quel momento. A quei tempi, nonostante avessi quasi trent'anni, mi sentivo ancora un ragazzo. Ero inesperto, non sapevo cosa significasse vivere, ma non sapevo nemmeno cosa significasse morire. Tantissimi ricordi mi tornano in mente in quel momento, le parole, i volti delle persone, la presenza di mia madre, il rumore sordo dei sogni che si ruppero in meno di un secondo. Sembra tutto terribilmente reale.
Prima di perdere totalmente la lucidità, mi dirigo al banco informazioni. In verità conosco questo posto come le mie tasche ma non voglio aggirarmi nei corridoi in maniera troppo svelta per non dare nell'occhio. Il ragazzo dall'altra parte del bancone sembra molto annoiato. Mi avvicino e lo saluto cordialmente inchinandomi.
“Buongiorno. Vorrei sapere dove si trova l'ufficio del centro donazioni”
“Da quella parte” mi risponde senza neanche rivolgermi un sorriso. Non sono l'unico ad avere una terribile giornata allora. Questo mi rassicura almeno un po'.
Percorro il lungo corridoio, salgo qualche paia di scalini, continuo a diritto, poi giro a destra e trovo gli ascensori. Tutto come otto anni fa. Schiaccio il pulsante e aspetto con ansia. Salgo, schiaccio il numero. Compio questi gesti in maniera così meccanica che qualcuno potrebbe scambiarmi per un dipendente o uno studente di medicina appena laureato. Beh meglio così.
Arrivo finalmente davanti alla porta dell'ufficio donazioni: busso e attendo risposta. Entro. Una signora grassa e con i capelli riccioli mi attende ad un tavolo bianco e disordinato.
“Lei è qui per...?”
“Ho bisogno di un'informazione”
“Non ha nessun appuntamento quindi? Non deve donare il sangue?”
“No no”
“Capisco”
La signora emette un urlo voltandosi alla sua sinistra, chiamando un infermiere che si trova dall'altra parte della stanza. Non ricordavo di essere entrato mai in contatto con una persona così cafona quando frequentavo l'ospedale anni fa. Sicuramente quell'impiegata non avrei mai potuto dimenticarmela. Mi fa cenno di accomodarmi mentre lei si alza e va nell'altra stanza brontolando a gran voce il povero malcapitato.
Quando torna da me sembra molto infuriata. Ha il volto paonazzo come un peperone e i capelli castano ramato sembrano delle lingue di fuoco che contornano la sua faccia irritata. Fa davvero paura.
“Senta” dico io cercando di mostrarmi il più calmo possibile “Ho bisogno del suo aiuto. So che lei può aiutarmi. Mi faccia parlare. Ho bisogno che lei ascolti tutto quello che ho da dirle.”
“La sto ascoltando” dice lei sventolando vicino al suo viso un piccolo depliant, riprendendo finalmente un colorito normale.
“Mi presento. Sono Akira Suzuki, ho 37 anni e lavoro come pasticciere. Sono stato malato di leucemia. Sono stato ricoverato e curato in questo ospedale. Precisamente otto anni fa. Dopo mesi e mesi di cure sono finalmente guarito ma i dottori mi hanno obbligato a compiere un trapianto di midollo osseo. La mia famiglia non ha potuto aiutarmi così un donatore mi ha salvato la vita. Non so nulla di lui o lei, non so nemmeno se è un uomo o una donna. Quello che le chiedo è solo un nome. La prego.”
La signora aspetta che finisca di parlare. Mi guarda fissa negli occhi senza aprire bocca. Rimane così tanto in silenzio che per un attimo penso che si sia addormentata in piedi e con gli occhi aperti. Il suo sguardo è fisso su di me come quello di un leone che guarda da lontano la sua preda. Mi sento in leggero imbarazzo, forse non mi ha nemmeno ascoltato.
La vedo compiere un piccolo movimento. Un leggero vento primaverile entra dalla finestra rinfrescando l'aria angosciante di quel silenzio.
“Ma le pare il caso di presentarsi qui con questa faccia tosta e chiedere una cosa del genere?” sbraita la signora con i capelli riccioli. Urla così tanto che sono sicuro l'avranno sentita fino in strada. Sembra totalmente impazzita e non accenna ad abbassare il volume della voce. Cerco di mostrarmi il meno nervoso possibile; quella donna grassa mi ricorda quei mostri protagonisti dei libri per bambini che si nutrono della paura e del terrore dei ragazzini. Non devo mostrarmi spaventato o per me sarà la fine. Quella donna sembra poter fare peggio di così. Cerco di mantenere la calma.
“Mi ascolti mi serve solo un nome. E poi la lascerò perdere. Me ne andrò in silenzio e non ci vedremo mai più. Io avrò quel nome e lei tornerà finalmente al suo lavoro e nessuno saprà nulla di questa faccenda. Rimarrà una cosa tra me e lei. E poi-”
“E poi un bel niente! Lei non sa in che guai si sta cacciando? Ma per chi mi ha preso? Ma io chiamo la polizia!” la signora urla e urla così forte che per un attimo mi sento spacciato. Mi raffiguro una vignetta mentale in cui due uomini della sicurezza mi strattonano fuori dell'edificio e mi minacciano di denuncia. Scaccio immediatamente via il brutto pensiero e torno a concentrarmi su quella matrona seduta davanti a me.
“La prego”
“Non se ne parla.”
“Si tratta di una cosa velocissima. Sarà come il nostro segreto. Mi creda, ne ho davvero bisogno. Controlli la mia cartella clinica. Mi chiamo Akira Suzuki. Non è possibile che non ci sia nessuna informazione. Deve esserci. La imploro.”
La signora sbatte così forte la mano sulla scrivania che tutti gli oggetti che si trovano sopra vengono spostati di qualche centimetro. Il piccolo calendario cartaceo cade in terra mentre alcune penne rotolano tristemente verso l'orlo del tavolo e cadono nel cestino.
“Signor Suzuki...Lei è un gran farabutto, ecco cosa! Vuole farmi licenziare! Ma io la caccio fuori a pugni se osa ripresentarsi qui! Ma cosa crede che tutto è lecito nella vita? Che tutte le volte che si chiede qualcosa la si riceve in cambio? Eh ragazzo mio non è così che funziona. Se lo lasci dire da chi ne sa più di lei. Questo non è uno scherzo. Si tratta di documenti seri e protetti da leggi e leggi sulla privacy del singolo utente. Se io esaudissi la sua richiesta, violerei come minimo cinque leggi. Io sono una cittadina onesta! Nella sua cartella clinica non c'è nulla, se ne vada! ” la signora non demorde e a quel punto la vedo alzarsi dalla sedia. La faccia nuovamente paonazza dallo sforzo. Ha urlato così tanto che sicuramente ha perso la voce. “Se ne vada” ripete con voce seria e con un tono duro.
Mi alzo dalla sedia guardando fisso un punto impreciso della stanza. Tossisco forte, ingoio nervosamente e poi la guardo fissa negli occhi.
“Sa cosa le dico? Vaffanculo. Vaffanculo a tutto questo. Ma che cazzo ne sa lei di cosa significa avere una malattia. Cosa ne sa lei della morte. Lei che passa le sue giornate seduta alla sua scrivania con il suo culone appiccicato a quella sedia girevole. Lei non sa niente. E pretende di fare la predica a me? Io le ho chiesto solo un nome, un solo fottuto nome.” dico con un tono di voce decisamente alto. Non mi aspettavo che la mia voce uscisse così decisa ma anche così squillante. Sento di aver parlato in maniera automatica. Ho semplicemente tradotto i miei pensieri in parole. Non ho riflettuto. Ho fatto compiere alle mie frasi un percorso cervello – bocca senza passare dalla coscienza. Probabilmente ho sbagliato e ho solo aggravato la mia situazione ma almeno ora posso ritenermi soddisfatto. Ho speso tutte le mie forze in questa impresa e anche se sto fallendo voglio almeno sapere che ci ho provato fino alla fine.
Mi volto verso la porta e torno sui miei passi. Apro la porta e la chiudo alle mie spalle sbattendola così forte che sento i quadri appesi alle pareti vibrare e inclinarsi dietro di me. Ripercorro il corridoio e mi fermo davanti all'ascensore. Aspetto pazientemente pensando che ormai il mio gioco è finito. Ho provato tutto quello che potevo provare e sono uscito sconfitto. Devo rassegnarmi. In fondo non si può vincere sempre, no? La vita è come un gioco da tavolo: la maggior parte delle volte vinci solo se hai fortuna. Se ti capitano le carte sbagliate, le tessere peggiori del gioco, puoi sforzarti quanto vuoi ma sei destinato a perdere. Io ero destinato a perdere fin dall'inizio. Non dovevo venire qui. Entro in ascensore nella maniera più rapida possibile e tiro fuori il mio iPhone dalla giacca controllando l'orario. Sono le 11.45. Schiaccio il tasto 'zero' alla mia destra. Osservo rassegnato le porte chiudersi, ma in quel momento un piede grosso e appesantito si staglia nel mezzo delle due ante di acciaio riaprendole velocemente.
È la signora grassa con i riccioli. Mi fissa negli occhi. Ha la mente imperlata di sudore e il rossetto sulle labbra leggermente sciolto ai lati della bocca. Sembra aver fatto un grosso sforzo fisico.
“Signor Akira Suzuki aspetti un attimo!” mi dice strattonandomi fuori dall'ascensore. Io la guardo spaesato e cerco di mantenere la calma. Avrei voluto essere fuori dall'edificio in quel momento.
“Vuole denunciarmi? Oppure vuole solo tirarmi un pugno? Preferirei il pugno sinceramente”
“Mi ascolti. Ho dato un'occhiata veloce alla sua cartella clinica. Come previsto non ci sono informazioni dettagliate sul suo donatore. È un maschio, alto 1.62 cm, età compresa tra i 30 e i 35 anni. Non c'è un nome né un indirizzo. Ho solo trovato questa” dice la signora grassa porgendomi una piccola fototessera sciupata e poco nitida. “E' tutto ciò che c'era nella busta della sua cartella.”
Prendo la piccola fototessera e me la infilo nella tasca della giacca assicurandomi che nessuno ci abbia visti. La guardo negli occhi confuso e imbarazzato.
“La ringrazio infinitamente.” dico girandomi verso la rampa di scale.
“Prego signor Suzuki. Ho deciso di aiutarla perchè...ho capito che lei è diverso. In qualche modo mi è simpatico. Mi sono sempre piaciute le persone che lottano per i loro obbiettivi. Lei mi ricorda in qualche modo il mio defunto marito. Era un uomo deciso: aveva dei sogni ed era disposto a tutto pur di realizzarsi. In fondo è così che si dovrebbe vivere no? Non se ne trovano molti come lei.” dice accennando un piccolo sorriso. Ora che si è tranquillizzata non sembra affatto la pazza scatenata di qualche minuto prima. Sembra una nonna o una zia dolce e amorevole che prepara accuratamente il bento per i suoi nipoti. “Ma ora sparisca. Su su, se ne vada il più presto possibile. Non si faccia mai più vedere qui e non ne parli con nessuno. Io e lei non ci siamo mai visti. Addio e buona fortuna con la sua ricerca”
La saluto con un gesto della mano e mi volto percorrendo a velocità sostenuta la rampa di scala in discesa. Scendo velocemente. Percorro le ultime due rampe di scale correndo, passo dalla hall, esco dall'edificio e continuo a correre a perdifiato anche quando mi ritrovo nella strada trafficata della città. Continuo a correre fino alla fermata della metro. Scendo nel sottosuolo e mi guardo intorno. Mi sento come un topo in gabbia. Tuttavia nessuno sa nulla. Non devo tradire le mie emozioni. Eppure sembra che tutti mi stiano fissando e scrutando da capo a piedi. Probabilmente perchè ho i capelli in disordine, così come anche la giacca e la camicia. Mi ricorda quando ero bambino e rubavo qualche pesca al venditore ambulante vicino alla mia scuola elementare. Ero così bravo che nessuno se ne accorgeva, eppure mi sembrava in quel momento che tutte le persone intorno a me mi stessero giudicando e volessero farmi sentire colpevole. Succede spesso di convincerci che le persone ci guardano e critichino ogni singola cosa che facciamo, ma non è così. La verità è che gli esseri umani sono tutti perfettamente egoisti e non hanno tempo da dedicare agli altri, anche se si tratta di uno sconosciuto seduto nel sedile davanti sul treno. Noi ci convinciamo che gli altri passino il loro tempo a commentare i nostri abiti, i nostri capelli, i piercings, i tatuaggi, i nostri lineamenti, il nostro fisico; in realtà nessuno si sofferma veramente a giudicare cosa fanno gli altri.
Nonostante ciò, in questo momento non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tutti i passeggeri della metropolitana si siano accorti di quello che ho appena fatto e mi stiano fissando con sguardo indagatore. Cerco di darmi velocemente un contegno, sistemo la camicia e la giacca, e proseguo nel mio cammino. Controllo l'orologio e mi accorgo che tra meno di due ore devo iniziare il turno a lavoro. Decido di fermarmi qualche fermata prima per pranzare in un posto tranquillo. Ho bisogno di riflettere da solo su tutto quello che è appena successo.








 
*








Oggi è andato tutto storto. A lavoro mi sono distratto così tante volte che ho rischiato di mandare a fuoco la cucina, ho servito malissimo i clienti e come se non bastasse ho risposto malissimo a Yuu, che in realtà stava solo cercando di aiutarmi. Forse ho davvero bisogno di prendermi una pausa e spacciarmi per malato, così posso chiudermi in casa per un bel po' e smettere di creare problemi alle persone. Non capisco cosa mi è preso. Sono diventato nervoso e irascibile nonostante non siano caratteristiche proprie del mio carattere. Sono una persona molto tranquilla e taciturna, ma oggi avevo davvero i nervi a fior di pelle. Mentre percorro la strada che mi riporta a casa la mia attenzione viene catturata da un insegna rossa che indica un piccolo pizza take away. Mi accorgo di avere una gran fame e di avere tanta voglia di pizza e così entro e ne ordino una da portare via. Non mi ero mai soffermato prima d'ora in un posto simile. Eppure il commesso sembra un tizio gentile, nonostante all'apparenza mi ricordi un otaku. Occhiali da visti spessissimi, capelli neri con un taglio indefinito, un leggero strato di barba, poco curato e con i denti un po' storti. Sembra un ragazzo simpatico e sembra che anche io gli stia simpatico, visto che si sofferma a parlarmi per un buon quarto d'ora. Mi racconta che è strano vedere un uomo in giacca e pantaloni frequentare il piccolo take away, visto che generalmente è frequentato da ragazzi o persone più alla mano. Mi racconta anche che oggi la sua squadra di baseball preferita ha vinto il campionato nazionale. Lo ascolto tutto il tempo, impaziente di ricevere la mia pizza. Alla fine pago e esco. Sono esausto, però parlare con quel ragazzo mi ha aiutato a rilassare i nervi. È molto probabile che abbia bisogno di parlare più spesso di cose così futili. Mia madre me lo ripete spesso. Da quando mi sono ammalato ho messo da parte tutto, sia gli amici che i miei passatempi. Ho abbandonato il calcio, la mia più grande passione, dopo la cucina. Quando avevo vent'anni sapevo anche suonare il basso e se non sbaglio, nel garage della casa di mia sorella dovrei averne ancora uno vecchio e un po' scassato. Quando sono molto nervoso o annoiato recupero il mio basso elettrico personale, acquistato pochi anni fa, con cui mi alleno occasionalmente. Fin da giovanissimi io e Kouyou siamo stati dei grandi appassionati di musica rock e metal. Passavamo le ore nei negozi di dischi a provare ogni tipo di strumento e a sfogliare l'enorme catalogo di vinili di musica progressive rock anni '70. Mi piaceva la musica occidentale, in particolare europea e inglese. Amavo i Sex Pistols e i Ramones, ma non disprezzavo nemmeno qualcosa di più leggero. Per non parlare dei concerti. Io e i miei amici andavamo ogni sabato sera ad un concerto diverso. Nel quartiere dove sono nato e cresciuto c'era un locale, si chiamava 'Bloody Mary', in cui passavo tutti i fine settimane a bere birra e ascoltare band locali suonare. Era piacevole. Fu in quel periodo che scoprii e ampliai i miei gusti sessuali. Mi accorsi di non essere attratto dalle ragazze, o meglio, non solo da esse. Ho avuto qualche cotta ai tempi del liceo per qualche ragazza nella mia stessa classe. Ma tutto cambiò quando incontrai Ryoga. Non sapevo il suo vero nome, non me lo disse mai, ma ricordo tutto di lui. Era un ragazzo bellissimo: portava i capelli rosso fuoco e vestiva sempre in maniera strana e bizzarra. Era molto eccentrico ma se ne fregava dei commenti degli altri. Lo incontrai una volta al Bloody Mary, entrò con un gruppo di suoi amici, anch'essi con i capelli colorati e truccati pesantemente. Io rimasi totalmente colpito da lui. Era bellissimo, alto e con un fisico a dir poco perfetto. Portava dei pantaloni strettissimi che fasciavano il suo fondoschiena. Fu in quel momento che Kouyou mi fece notare che non avevo staccato gli occhi un secondo dalla patta dei suoi pantaloni. Me ne vergognai moltissimo e quando tornai a casa, sulla via del ritorno, mi fermai a comprare una videocassetta ad un distributore di film porno. A casa, nel silenzio e nel buio della mia cameretta accesi la tv e il videoregistratore e mi guardai il film tutto per intero. Alla fine della proiezione capii che ero bisessuale e che avevo perso quasi totalmente l'attrazione verso il gentil sesso. Kouyou mi prendeva in giro dicendomi che ero l'unico essere umano a non essersi eccitato guardando un film porno etero; ma sapevo che sotto sotto anche lui non si sentiva completamente eterosessuale. Un giorno lo scoprii nel retro del locale abbracciato al cantante della band che aveva appena suonato, sembrava molto...contento e non volli disturbarlo, ma nei giorni seguenti fu il mio soggetto preferito su cui scherzare. Alla fine decidemmo di confessarci l'un l'altro: siamo entrambi bisessuali. Ci sentimmo bene in quel momento, come quando si rientra in casa e si appoggiano sul pavimento le valigie pesanti risultato di una lunga vacanza. Fu un grande sollievo per entrambi.
Ryoga è stato il primo uomo della mia vita. Non siamo mai stati fidanzati, anche se io lo desideravo con tutto me stesso. Lui però era una persona vagabonda, passava la maggior parte del suo tempo fuori casa e nei locali. Ogni volta che ci incontravamo lui aveva sempre una birra in mano e un pacchetto pieno di sigarette in tasca. La maggior parte delle cose illegali lui le aveva provate tutte. Una sera mi invitò ad una festa sulla spiaggia insieme ai suoi amici. Ci facemmo una canna insieme e finimmo a baciarci in un luogo appartato. Da quel giorno la cosa si ripeteva normalmente. Ci incontravamo in qualche locale, lui mi portava in bagno e per una ventina di minuti tutto il resto del mondo spariva: eravamo solo io e lui. Lui, tuttavia, era sempre così distante. Appariva nelle mie giornate buie per strapparmi dai miei problemi e scompariva poco dopo nella sua aurea misteriosa. Sapevo pochissimo di lui, eppure lo amavo. Amavo il suo carattere temerario e coraggioso, il suo fregarsene di ogni cosa. Amavo il suo viso dai lineamenti duri e rassicuranti, il suo corpo grosso e tornito. Amavo ogni cosa di lui. Fu il mio primo amore, ma fu anche il primo uomo che mi spezzò il cuore. Successe una domenica sera. Io e Kouyou eravamo arrivati un po' in ritardo al Bloody Mary e la band di supporto aveva già iniziato a suonare. Cercai Ryoga con lo sguardo ma non lo trovai. Decisi di andare in bagno a fare pipì e lo trovai mezzo nudo mentre stringeva tra le braccia un altro ragazzo mingherlino e con i capelli lunghi e pieni di lacca. Sentii lo stomaco rivoltarsi e un grosso senso di nausea si impossessò di me. Tornai nel locale e mi scolai tutte le pinte di birra disponibili. Kouyou dovette portarmi a casa sua perchè aveva paura che avessi fatto qualcosa di strano se mi avesse lasciato da solo. Dopo pochi mesi in cui rinunciai di frequentare quel locale, mi dimenticai completamente di lui. Ripensando a quegli anni, mi sembra come di star raccontando una storia che non mi appartiene, sembra tutto così lontano. Ho sbagliato a mettere tutto da parte quando scoprii di essere malato. Ho sbagliato a dimenticarmi di tutti, persino di me stesso. Forse devo riniziare dalle cose più semplici. Concentrarmi su cose futili e più superficiali.
Salgo veloce le scale di casa mentre ripenso a quello che mi ha detto il commesso della pizzeria. Improvvisamente ho voglia di guardarmi una partita di calcio. Apro la porta di casa. Appoggio la pizza sul tavolo vicino al divano e accendo veloce la televisione mentre mi spoglio. Cerco un canale sportivo e aspetto la fine della pubblicità. Trasmettono una partita di basket, mi accontento. Controllo Keiji e Oscar e rifornisco le loro scorte di cibo.

A fine serata mi accorgo di aver finalmente fatto una cosa normale. Ho mangiato una pizza, mi sono scolato una birra ghiacciata e ho guardato una partita di basket, finendo per addormentarmi sul divano. Forse è così che si sentono le persone normali con una vita normale. Mi alzo svogliatamente per raggiungere la camera da letto. Ma prima di spegnere le luci recupero dal taschino della mia giacca la piccola fototessera che mi ha dato la signora grassa all'ospedale. La osservo. Allora non è stato un sogno. È successo veramente. La ripongo al suo posto senza gettargli nemmeno un'occhiata. Faccio un bel respiro e mi dirigo verso il letto.

















Buona domenica lettori e lettrici  ~ Finalmente siamo entrati nel vivo della storia. Stanno succedendo sempre più cose che scombussolano la quotidianità di Akira. Il nostro protagonista ha raggiunto un obbiettivo importante...ma sarà davvero questa la strada giusta da seguire? E ci riuscirà davvero? Tutto sommato se ci pensate non ha ancora abbastanza informazioni in mano e quindi è ancora tutto in gioco. Inoltre sta facendo una cosa illegale...cosa succederebbe se qualcuno lo scoprisse? Mi piace un sacco mettervi queste pulci nell'orecchio così passate le giornate(?) a pensare a cosa potrà succedere <: Inoltre stiamo scoprendo sempre più cose sul passato di Akira e su come era la sua vita da ragazzo e prima della malattia. Nella mia mente Ryoga è un ragazzo bellissimo ;; con i capelli coloratissimi e vestito con abiti di pelle nera...l'uomo perfetto insomma. Tra pochi capitoli avremo l'occasione di conoscere anche Kouyou, visto che ormai è una presenza fissa nella vita del nostro protagonista.
Off topic: questa mattina mi sono svegliata alle 5 perchè il mio telefono non la smetteva di vibrare e---> erano le notifiche dei post dei the gazette perchè uscito il nuovo look e io tipo sono quasi caduta dal letto. Le nuove foto sono bellissime e non so se avete notato che anche Reita sta iniziando a disegnarsi le linee sul collo, come Ruki....non voglio dire Reituki, ma...REITUKI!!!! E quanto è bello il nuovo selfie di Ruki? Ruki è troppo bello per noi esseri umani. Non ce lo meritiamo. Chiudo qui con le mie fangirlate....btw fatemi sapere tutti i vostri dubbi e commenti sul capitolo *_*

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Capitolo 6
*** Sei. ***


VI.













Come sempre sono in anticipo. È mattina presto e c'è un venticello fresco che mi scompiglia i capelli. Mi piace passeggiare per Ikebukuro e fermarmi ad osservare i passanti. È incredibile quanta gente ci sia da queste parti. È come osservare da lontano un grosso sciame di api. Osservo in questo momento lo sciame di persone che mi scorre accanto. Cerco di non farmi investire dalla massa e così cammino su un marciapiede camminando a fianco delle vetrine. Avrei potuto portarmi dietro l'ipod e le cuffie e ascoltare un po' di musica. Mi arrendo alla noia e così decido di entrare in una caffetteria all'angolo del quartiere in cui non ero mai entrato prima. È un bar molto grosso, ha tre piani, e dentro ci sono comode poltroni per sedersi e sorseggiare tè o caffè. L'ambiente è arredato con un grossi scaffali su cui sono posati tantissimi libri di ogni genere e dimensioni. I clienti possono sedersi e recuperare qualcosa da leggere mentre aspettano il loro ordine. Mi accorgo che non c'è molta gente in coda e così mi avvicino alla cassa. Ordino un latte macchiato alla cannella e mi siedo su uno sgabello alto vicino ad un tavolo di marmo. Vicino alla mia posizione noto alcuni libri gialli di autori americani. Già dal titolo e dalla copertina si capisce che sono romanzi di quarta categoria, le tipiche storie da leggere quando si è in vacanza per distrarre un po' la mente. Non sono un lettore accanito, ma preferisco dei libri più ricercati. Adoro i gialli e i thriller ma non potrei mai leggere libri così banali. Mi sembra come di star sprecando il mio tempo. Mi guardo intorno e noto che ci sono davvero pochi libri che attirano la mia attenzione. Rinuncio completamente a sfogliarne qualcuno e guardo dritto davanti a me il muro bianco decorato con degli sticker floreali. Tasto le tasche della mia giacca mentre assaporo il mio latte ancora bollente per cercare il mio telefono. Alla fine mi accorgo di averlo messo nella borsa. Osservo la mia giacca e mi rendo conto di star indossando gli stessi indumenti che avevo una settimana fa quando sono passato all'ospedale. Da quel momento ho resettato totalmente la mia mente e mi sono quasi dimenticato tutto quello che ho fatto. Domenica mattina sono uscito con Kouyou e ci siamo fatti un giro in moto. Abbiamo corso per un bel paio di ore per poi fermarci in riva al mare in un paese tranquillo nella prefettura di Kanagawa. Mi sono divertito e Kouyou aveva tremendamente ragione: ho bisogno di uscire più spesso di casa e concedermi qualche spasso. Tuttavia da quel venerdì ho totalmente rimosso tutto quello che è successo. La signora grassa, l'identikit, la fototessera, il piccolo take away vicino casa mia. È come se il mio cervello stia cercando di difendersi da pensieri scomodi. Forse sono solo spaventato. Ma da cosa? E perchè proprio ora che sono riuscito a evitare un fallimento? Improvvisamente tutto quello che l'impiegata mi ha detto mi torna in mente come un'illuminazione o come il sogno della notte prima che riaffiora prepotentemente alla mente durante la giornata. Mi ricordo tutto. Ha detto che è un maschio, alto 1.62 cm, età compresa tra i 30 e i 35 anni. E nella tasca della giacca ho una sua foto. Solo in questo momento realizzo di non averla mai guardata attentamente. La sfilo con lentezza dalla tasca guardandomi in torno con aria furtiva. Nessuna sa cosa sto facendo eppure ho il terrore che qualcuno si alzi improvvisamente dal tavolo e urli 'Lei è un impostore!'. So che è una cosa totalmente impossibile, ma non riesco a non essere spaventato. Ho veramente violato la legge e ora mi ritrovo ad avere i dati personali di un perfetto sconosciuto. Prendo un bel respiro e mi soffermo a osservare la foto tessera. Non ricordavo fosse messa così male. È sbiadita, poco nitida e sull'angolo destro in alto c'è una macchiolina marrone; forse è caffè, o forse si è macchiata strofinandola nella busta di carta grezza della cartella clinica. Fatto sta che, per ora, è tutto quello che ho, ed è un indizio importantissimo. La foto è così sbiadita che praticamente si nota solo un viso dalla carnagione molto chiara, due occhi grandi e allungati, labbra rosee, e capelli lunghi fino alle spalle. I lineamenti sono poco marcati a causa dello sbiadimento e non riesco a vedere la dimensione del naso e delle labbra. Riguardando meglio la foto nel suo insieme sembra la tessera di uno di quei giochi da tavola, la cui immagine è sfuocata e con un punto interrogativo nel centro, e in cui i giocatori si sfidano per indovinare a chi appartiene quel volto. Probabilmente nemmeno esiste un gioco di questo tipo.
Tiro un sospiro quasi impercettibile osservando ancora quella piccolissima foto. Se non fosse che la signora mi ha espressamente detto che il mio donatore è un uomo, avrei detto, a giudicare dalla fototessera, che la persona fotografata è di sesso femminile. I capelli sono davvero lunghi per essere di un uomo e sembrano mossi. Non riesco a identificare il colore, sembrano castano chiaro, ma probabilmente la sfumatura è dovuta al flash con cui è stata scattata la foto. Riesco a scorgere la forma delle spalle e sembrano abbastanza piccole per essere quelle di un uomo. Però la signora mi ha detto che la sua altezza non supera i centosessantadue centimetri, quindi la persona che sto cercando sicuramente non è un uomo molto alto né grosso.
Termino la mia bevanda asciugandomi i lati della bocca con un fazzoletto di carta. Tiro fuori dalla borsa una delle mie pasticche, ne recupero accuratamente una e la ingoio con un bel sorso di acqua. Mando giù con un'espressione disgustata. Mi sento strano. Da una parte so di essere a metà strada e di aver raggiunto un buon obbiettivo, ma dall'altra mi sento ancora in alto mare. Realizzo di star cercando un ago in un pagliaio. Come posso trovare una persona possedendo qualche misera informazione su di essa e una fototessera malconcia? Non posso certo attaccare dei volantini per strada chiedendo se qualcuno avesse visto l'uomo che sto cercando...mi caccerei solamente in guai più grossi. Non posso fare nulla. Non ci sono altri ospedali da visitare. Non posso più mettere piede nel Jikei Hospital se non voglio finire in manette nel giro di pochi minuti. Devo trovare una soluzione; non posso abbandonare proprio ora. Dopo tutti gli sforzi fatti. Ma come posso intervenire? Non ho un nome, né un luogo, né un quartiere. Per quanto ne so quell'uomo potrebbe essere morto e trovarsi sotto terra da un bel po' di anni. In fondo è passato davvero tanto tempo. Magari si è sposato e ora vive all'estero con la sua famiglia. E io, sarei davvero disposto a fare un viaggio così lungo solo per incontrare un perfetto sconosciuto?
Controllo l'orologio. Mi accorgo che sto per fare tardi e così abbandono i miei pensieri accantonandoli in un angolo della mia mente. Esco dalla caffetteria rimettendo la fototessera nella tasca fidata della giacca. Arrivo davanti alla pasticceria, leggo l'insegna, 'LOVELY DONUTS' e mi sento a casa. È piacevole vedere qualcosa di familiare dopo essermi perso in mille pensieri. Inspiro profondamente e entro dalla porta sul retro. Trovo Yuu ad aspettarmi mentre si cambia nel piccolo spogliatoio.
“Uh chi si rivede! Giornata storta anche oggi?”
“No Yuu oggi tutto tranquillo. Tu come stai?”
“Bene, non mi lamento dai. Akira lo sai che se vuoi parlare io sono sempre qui. Puoi scrivermi quando vuoi e se ti va usciamo a berci una birra.”
“Va bene Yuu, ne terrò di conto.” dico sorridendo.
“Bravo. E oggi, siccome ti vedo bello carico, ti mando direttamente in sala a pulire tutto il pavimento” dice lui dandomi una pacca sulla schiena.
“Cosa? Ma non toccava a me oggi preparare le torte? Abbiamo due ordini per due torte di compleanno” dico sfogliando l'enorme agenda del personale su cui sono scritti tutti gli appuntamenti e gli ordini dei clienti.
“Nah, tranquillo ce ne occupiamo io e Masami-san. Il locale è tutto tuo!” dice facendomi la linguaccia.
“Shiroyama questa me la paghi” dico allontanandomi dalla cucina e entrando in sala.
Yuu sa quanto odio pulire in terra e rimettere a posto tutto il locale. Il posto non è tanto grande, questo è vero, ma detesto dover fare tutte queste cose “di contorno”. La cosa che amo di più è cucinare. E sinceramente ci tenevo a preparare quelle due torte di compleanno.
Me ne faccio una ragione e inizio ad accendere le luci della sala, la cassa elettronica e le luci del bancone. Mi armo di sgrassatore, detersivo per i vetri e detersivo per i pavimenti. Parto dalle vetrine e spruzzo il vetro con cura. Pulisco le porte di entrata, il vetro del bancone e le decorazioni alle pareti. Do una pulita veloce ai tavoli e sedie e infine mi soffermo a spazzare e passare lo straccio in terra. In un'ora e mezzo mi ritengo soddisfatto e così rimetto tutto a posto. Mi accorgo che mancano solo dieci minuti all'orario di apertura e così corro ad infilarmi il grembiule con il logo del nostro negozio.
Poco dopo le ore 9 iniziano ad entrare le prime clienti: sono quattro studentesse universitarie che si accomodano ad un tavolo nell'angolo della stanza. Ordinano quattro cheesecake al macha, un caffè e tre frullati di frutta. Arrivo al loro tavolo portando tutto su un vassoio.
“A chi lascio il caffè?”
“A me!” risponde con voce flebile la ragazza con i capelli a caschetto.
Le porgo il bicchiere di vetro bollente facendo attenzione che non si scotti. “Tenga” le dico sorridendo. La vedo arrossire di rimando mentre le sue amiche iniziano a ridere e a darsi gomitate a vicenda. Le sento ancora ridere alle mie spalle e sussurrarsi cose tra di loro. Torno alla cassa riponendo il vassoio su una mensola. Trovo la faccia compiaciuta di Yuu ad aspettarmi. “Fatto conquiste eh? Quella con i capelli corti sembra carina anche se forse sono troppo giovani per te Suzuki. Sei vecchio ormai!”
Rispondo alla provocazione di Shiroyama tirandogli un pugno sullo stomaco.
“Porca miseria Suzuki! Un po' più forte e mi potevi spaccare il fegato” dice massaggiandosi la pancia.
“Beh non penso proprio che sia colpa mia se il tuo fegato andrà in frantumi. Piuttosto smettila di bere birra ad ogni ora del giorno” dico ripiegando con cura delle tovagliette.
“Ho capito Akira-san, per questa volta hai vinto tu, ma non pensare che non mi vendicherò” urla sparendo nel retro bottega. Sorrido e torno a concentrarmi sul tavolo delle quattro ragazze. Sembrano intente a raccontarsi qualcosa di veramente interessante visto che nessuna di loro muove un muscolo. Quando si accorgono che le sto fissando tutte e quattro scoppiano a ridere e la ragazza con il caschetto arrossisce fino alla punta delle orecchie. Nascondo una risata e torno a concentrarmi sul mio lavoro. Mentre aspetto l'arrivo di altri clienti, inganno il tempo mettendomi a tagliare in porzioni simmetriche le torte esposte in vetrina.




 
~





Esco dal negozio alle 13 in punto. Sono annoiato e decido di prendere l'autobus per tornare a casa. Sono davvero stanco e non ho voglia di camminare fino alla fermata della metro. Il dottore mi ha detto di non esagerare con lo stress e in caso mi affaticassi troppo devo raggiungerlo subito e farmi cambiare la prescrizione delle medicine. Mi siedo su un sedile solitario nelle ultime file del bus e guardo fuori dalla finestra. Senza neanche rendermene conto mi ritrovo di nuovo tra le mani la fototessera sbiadita. La osservo.
'Chi sei? Come ti chiami?'  penso tra me e me. Attendo una risposta nella mia mente che ovviamente non arriva. Guardo nuovamente fuori dalla finestra ammirando il paesaggio urbano. Adoro Tokyo anche se è una città caotica e piena di persone. Mi piace sentirmi parte di qualcosa, mi piace sapere che sono al mondo per uno scopo preciso e che mi è stata data una seconda possibilità che non posso sprecare. Sento di star facendo la cosa giusta anche se so di essere in alto mare.
Torno a fissare la piccola tessera che ho tra le mani. 'Dove sei?' chiedo nuovamente nella mia mente.
“Qui!” dice una voce femminile dietro di me. Mi volto di scatto preso alla sprovvista e sobbalzo spaventato. “Masato vieni subito qui!” urla la donna ad un bambino che corre ridendo per tutto l'autobus. “Non azzardarti più a correre dove vuoi in un posto così affollato! Devi stare accanto alla tua mamma!” dice la signora a voce più bassa.
Li osservo dal mio posto a sedere senza farmi notare. Il bambino è piccolo, dimostra sì e no 8 anni. Porta i capelli a caschetto, rasati alla base della nuca e ai lati. La sua pettinatura lo fa assomigliare ad un piccolo fungo e questo lo rende molto buffo. Sorride mostrando una fila di denti piccoli e bianchi interrotta da dei grossi spazi irregolari tra dente e dente. La madre è una signora con i capelli neri e lunghi fin sotto le spalle raccolti in una coda disordinata. È una bella donna anche se il suo visto mostra una bellezza spenta e sciupata. I capelli vicino alle tempie sono color grigio scuro e vicino agli occhi si notano delle piccole rughe; eccetto per queste piccole imperfezioni, la donna ha dei bellissimi lineamenti e un sorriso accomodante. Mi ricorda un po' mia madre quando era più giovane. È sempre stata una bellissima donna e ha sempre dimostrato molti meno anni di quelli effettivi. Se mio padre non l'avesse abbandonata quando io ero molto piccolo, probabilmente sarebbe stata una donna ancora più bella e solare. Tuttavia ho sempre ammirato e apprezzato la bellezza di mia madre. È una bellezza elegante e seria e di tutti i suoi pregi io ho ereditato solamente i lineamenti molto regolari del viso. Il naso devo averlo ereditato da mio padre ma non ne sono sicuro e non lo saprò mai. Quell'uomo lasciò la nostra famiglia quando io avevo solo quattro anni. Non ricordo niente di lui, se non una figura alta che indossava sempre un lunghissimo cappotto color beige scuro. Non riesco a ricordare la sua faccia né la sua voce. Quando me lo immagino, immagino solo un lungo giaccone e dei pantaloni perfettamente stirati. Questo è tutto quello che so di mio padre. Non l'ho mai più visto e non so nemmeno se è vivo o morto. Mia madre si è sempre rifiutata di cercarlo e quando ero più piccolo e provavo a chiedere informazioni agli uffici della nostra prefettura notavo che non approvava minimamente le mie azioni e così dopo un po' smisi. Ammetto che ora ho perso totalmente l'interesse di cercarlo. Lui non c'era quando mia madre aveva bisogno, non c'era quando mia sorella si è sposata o quando io mi sono ammalato. Per me è come se non fosse mai esistito.
Torno a posare lo sguardo sulla madre dai capelli lunghi e il bambino con la pettinatura buffa. Il piccolo tira forte un lembo della giacca di sua madre e saltella ridendo. “Guarda mamma c'è un poliziotto! Guarda quanto è alto!!!” dice lui eccitato. È così contento che sembra che qualcuno gli abbia appena regalato la bici dei suoi sogni. Il bambino indica qualcosa con la manina e io istintivamente seguo la direzione del suo dito. Un poliziotto vestito in uniforme è appena salito sul bus e si guarda intorno con aria sospetta. I poliziotti sembrano tutti uguali quando sono in servizio, non solo fisicamente ma anche nelle espressioni. Hanno la faccia seria e sembrano perennemente arrabbiati o scocciati da qualcosa. Lo osservo attentamente e in quel preciso istante un'idea mi balena nella mente. Mi appare un nome e un'immagine come se qualcuno avesse acceso rapidamente la luce in una stanza e l'avesse spenta pochi secondi dopo.
'Perchè non ci ho pensato prima?' dico tra me e me mentre scendo alla mia fermata lanciando un'ultima occhiata alla mamma e al bambino con la buffa pettinatura.
Percorro la strada di ritorno con un passo più affrettato del solito.

















Bubusettete! Eccomi qua lettori e lettrici. Sono tornata ad aggionare dopo quattro giorni di inferno. Ho riniziato i corsi all'università da solo una settimana e sono già stressata e con solo quattro ore di sonno alle spalle per giorno. Mi sento male al solo pensiero di dover affrontare la tesi di laurea a breve :< non voglio pensarci. Ma bado alle ciance! Stanno iniziando a succedere cose. Il nostro protagonista si è finalmente deciso a fare un passo avanti. Ha studiato la fototessera e ha finalmente dato un volto al suo donatore anche se purtroppo la foto non è nitida ed è un po' vecchiotta...chissà dove sarà quella persona, chissà come sarà fisicamente e chissà come si chiama. Abbiamo capito che la pasticceria Lovely Donuts ha un gruppetto di clienti fisse che torna spesso a fare merenda in quel delizioso bar soprattutto perchè c'è un pasticciere molto...affascinante <: hehe mica sceme u_u Nell'ultima parte Akira sembra molto triste...questa ricerca lo ha deluso così tante volte che ha sempre paura di essere sull'orlo del fallimento. E' triste perchè capisce di essere vicino al traguardo ma allo stesso tempo è ancora lontano. Dove sarà questa persona...e chi è soprattutto?
Ma, domanda fondamentale, cosa ha capito Akira seduto sul sedile di un bus? Sparate tutte le ipotesi del mondo; si accettano scommesse eheheh.
Mi prendo ancora spazio per una piccola annotazione: mi piacerebbe spiegare brevemente come è nata questa ff. La storia è nata in un posto ahimè molto brutto...in un ospedale precisamente. In quel periodo mi trovavo lì per stare vicino ad una persona cara che era in fin di vita. Ho trascorso tutte le vacanze di Natale all'ospedale, Capodanno compreso. L'ultimo dell'anno non c'era quasi nessuno nei reparti tranne me e qualche altro signore. Dopo un paio di ore sono finita a conversare con un uomo che mi raccontava che si trovava lì perchè sua madre era molto malata e aveva avuto la leucemia. Non so bene poi cosa è successo nella mia testa...mi sono addormentata la sera di Capodanno e ho sognato tutta la fanfiction dall'inizio alla fine...ed ora, eccomi qui. Ho scritto questo per far capire quanto sia importante per me la storia...soprattutto perchè è nata in un momento particolare e quindi mi sento molto legata ad essa. Ma ora la smetto di parlare troppo e vi ringrazio per la lettura. Al prossimo capitolo /cuoricini/

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Capitolo 7
*** Sette. ***


VII.
















Sono senza fiato. Questa volta non ce la posso fare. Non può sempre finire bene, non c'è sempre un lieto fine. Prima o poi arriva la fine, quella orribile, dolorosa e cruenta. I demoni ti afferrano e ti trascinano con loro all'inferno e tu sei costretto a bruciare per l'eternità. Lo sento. Questa volta è la fine. Ho sbagliato tutto. Io stesso sono sbagliato. Lascerò che mi prenda. Non vedo l'ora e sono sincero. È così facile arrendersi. Perchè combattere e lottare se è dannatamente doloroso e difficile? È così piacevole abbandonarsi al nemico e lasciarsi abbracciare dalla morte. Deve essere bellissima la Morte. Fin da piccolo l'ho sempre immaginata come una bellissima signora vestita di nero, con un abito di seta lucida e pieno di ricami. Capelli bianchissimi e lucenti e pelle diafana, il volto perennemente coperto da un pesante velo di tulle e trina. Quando ero un bambino immaginavo che questa bellissima donna abbracciasse ogni singolo essere umano e lo portasse con sé nel mondo dei morti. Anche io voglio essere stretto nel suo freddo abbraccio e lasciarmi guidare nell'aldilà.
Sento un grugnito alle mie spalle. È una splendida notte di luna piena; riesco a scorgere le stelle e anche qualche costellazione. È bellissimo l'universo. Sento i suoi artigli afferrarmi, avvicinarmi a lui e scrutarmi attentamente prima di affondare i suoi denti nelle mie carni. Sento il suo fiato caldo respirarmi sul viso. Vedo solo due occhi gialli che mi fissano affamati. È la fine.
Mi sveglio quasi cadendo dal letto e sento un forte dolore ai polmoni e alla testa. Apro gli occhi e la bocca in cerca di aria. Ho bisogno di respirare forte e di calmare il ritmo del mio cuore. Sono sudato  e sento le mie membra stanche come dopo una folle corsa. Mi sento male e non riesco ad abituare i miei occhi al buio. Vedo delle linee rosse e verdi nella mia camera come se delle pistole laser fossero puntate in ogni angolo della stanza. Sento ancora il sapore della paura sulla lingua e l'odore pesante del suo alito caldo. Sono morto? Mi tocco le braccia, il petto, la faccia. No, sono ancora vivo.
Prendo un bel respiro e mi alzo in posizione eretta. So già cosa mi aspetta. Una lama affilata mi trapassa il cervello, sento un dolore lancinante. Mi alzo dal letto di fretta per arrivare in bagno il prima possibile. Inciampo e cado. Sento un dolore così forte nella mia testa che sembra che stia scoppiando da un momento all'altro. Provo a muovere qualche muscolo ma sento che il mio corpo e terribilmente immobilizzato. Sento i crampi alle braccia e ad un piede. Urlo anche se so che nessuno può aiutarmi. Cerco di respirare il più lentamente possibile. Rimango disteso in terra per minuti interminabili. È buio pesto nella mia stanza e l'unica fonte di luce deriva da led rosso della mia sveglia digitale. Quel colore rosso mi dà estremamente fastidio. Sembrano degli schizzi di sangue proiettati sulla parete bianca della mia camera da letto. Provo ad alzarmi lentamente e raggiungo con molto sforzo il bagno. Allungo un braccio verso il mobile delle medicine. Apro un'anta e con poca grazia afferro la scatola dei calmanti. Nel farlo, faccio cadere altre confezioni nel lavandino provocando un rumore assordante. Ingoio una pasticca, due, tre. Bevo acqua fino a sentire lo stomaco completamente pieno. Mi guardo allo specchio rassegnato: ho un aspetto terribile. Non mi taglio la barba da giorni, ho i capelli spettinati e la faccia di qualcuno che non se la sta passando bene.
Mi sciacquo velocemente il viso e vado in salotto. Non ho più sonno e così, notando che i due pappagalli sono svegli, decido di dare una pulita alla loro gabbia. Ripulisco i sassolini del suolo dalle feci e dal cibo mangiucchiato, cambio il dosatore dell'acqua con dell'acqua pulita e i piccoli semi nelle vaschette. Keiji e Oscar sembrano ringraziarmi per il trattamento emettendo dei piccoli gorgoglii gutturali e io in tutta risposta accarezzo delicatamente il piumaggio del loro ventre. È tiepido ed è molto piacevole. Mi ricorda la coperta rossa di lana in cui mia madre avvolgeva me e mia sorella quando eravamo piccoli e ci addormentavamo davanti alla televisione.
Decido di tornare a letto ma di non addormentarmi e così prendo il libro che ho abbandonato da mesi sul mio comodino e inizio a leggerlo dal punto in cui ho posto il segnalibro.
Quando chiudo il libro e leggo l'orario sul display del mio telefono mi accorgo che è già mattina inoltrata. Sono le otto e io ho finito di leggere un romanzo intero. Sapevo che l'assassino era l'autista personale della vittima. Nella maggior parte dei casi è sempre così. Sto iniziando a stufarmi dei polizieschi e degli ispettori. Forse dovrei iniziare a leggere libri totalmente diversi.
Decido di andare ad allenarmi nella palestra del mio quartiere. Fare esercizio mi aiuta a rilassarmi e a scacciare via lo stress e la depressione. Non ho voglia di visitare nessun analista o psichiatra. Prendo fin troppi farmaci. Non voglio una cura. Mi basta solo continuare a fare quello che faccio e non pensare a cose futili come l'amore, il matrimonio e la famiglia. Infilo tutto l'occorrente nel borsone sportivo color blu chiaro. Mi preparo indossando abiti sportivi. Recupero le cuffie e il mio fedele mp3 ed esco finalmente di casa. Cammino di fretta così da evitare di incontrare facce conosciute. Non passeggio quasi mai per il mio quartiere, se non per andare al supermercato a fare la spesa e non amo molto parlare con i miei vicini. Nel mio condominio non ho stretto amicizia con nessuno. Preferisco stare per conto mio perchè non sopporto le domande degli altri e ancora meno le mie risposte. Non è facile vivere sul filo del rasoio. Potrei morire in qualunque momento; anche tra due ore. Perchè devo sprecare il mio tempo a parlare con gli altri?
Le porte scorrevoli si aprono davanti a me e vengo immediatamente investito da una folata di aria fresca proveniente dal condizionatore. Appena entro dentro la palestra lancio un'occhiata all'orologio e poi mi soffermo a salutare la ragazza della reception. È molto simpatica e lavora qui da molti anni.
“Buongiorno signor Suzuki”
“Buongiorno signorina Mikoto” rispondo appoggiando le mani alla mensola del bancone. Aspetto che la ragazza mi porga la chiave del mio armadietto personale.
“Si allena presto oggi?”
“Sì ho deciso di iniziare così la giornata” dico fissandola negli occhi.
“Ottima decisione!” dice lei sorridendo.
Le sorrido di rimando e la saluto mentre tiro fuori il piccolo badge dal mio portachiavi. Lo appoggio al led luminoso del computer e passo i tornelli ritrovandomi in un corridoio color arancione sgargiante. Lo percorro, giro a destra, passo davanti ad una sala vetrata con le luci ancora spente e gli attrezzi appoggiati in un angolo, e finalmente raggiungo gli spogliatoi maschili. Entro e mi accorgo di non esser stato il solo ad avere la buona idea di allenarsi di prima mattina. Trovo altri quattro uomini intenti a cambiarsi gli abiti e indossare la tuta sportiva. Uno di loro è completamente nudo e non posso negare di non riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Ha un corpo bellissimo...mi ricorda quelle statue greche che ho sempre ammirato nelle enciclopedie di storia dell'arte. Non ha un fisico nè  enorme nè snello. Ha un corpo proporzionato e armonico. Deve essere molto più giovane di me, dimostra all'incirca ventotto o ventinove anni. La faccia pulita, i capelli neri e piuttosto corti, gambe snelle e toniche. Osservo il suo corpo cercando di non farmi scoprire. Ha il petto glabro così come anche le braccia. Le gambe e il pube invece sono ricoperti di una peluria nera e lunga ma poco folta. Si volta per recuperare un paio di auricolari dalla tasca del suo borsone e posso osservare il suo volto. Ha dei lineamenti seri, lo sguardo crucciato e le labbra leggermente piegate in un broncio. Nel complesso ha un volto bellissimo, sembra uno di quei modelli che si trovano nelle prime pagine dei magazine di moda. Il suo volto è così bello da sembrare disegnato nella maniera più raffinata possibile dal più illustre dei pittori. Il naso, la bocca, gli occhi. Tutto emana una delicata e sensuale armonia. Continuo a guardarlo mentre mi cambio velocemente. Lo vedo sparire dietro la porta d'uscita dei camerini.
Mi dirigo in bagno a sciacquarmi il volto e a rinfrescarmi i capelli. Mi guardo allo specchio: nella mia faccia ci sono ancora tracce dell'incubo di ieri notte. È sempre così. Non riesco a liberarmene...è come se io sia costretto a restare perennemente una vittima. Ma perchè non muoio mai? Perchè il mio cacciatore mi raggiunge ma non riesco a morire? Eppure mi sono lasciato andare da tempo ormai. Mi sono abbandonato allo scorrere lento ed estenuante della vita. Non ho più paura della morte, sto solo aspettando che venga a prendermi per abbracciarmi e portarmi con sé. Penso a queste cose mentre percorro la distanza che mi separa dai camerini alla sala attrezzi. Entro e corro a recuperare un tappetino di gomma e lo stendo in terra per fare dello stretching. Mentre allungo i muscoli mi guardo intorno e cerco con lo sguardo il ragazzo di prima. Lo trovo vicino ai bilancieri davanti ad un enorme specchio. Sta alzando un bilanciere da 30kg mentre osserva il suo riflesso. Continuo a scrutare il suo corpo e imprimo nella mia mente ogni lineamento o curva del suo petto e delle sue braccia. Solo dopo un bel po' di minuti mi accorgo di esser stato scoperto: il ragazzo ora mi sorride dal riflesso dello specchio e mi fa cenno di avvicinarmi. Mi alzo e ripongo il tappetino cercando di nascondere l'imbarazzo. Lo raggiungo mostrandomi il più distaccato possibile.
“Perchè mi stavi fissando?” mi chiede lui senza nemmeno guardarmi.
“Mah nulla ero solo concentrato. Mi chiedevo come facessi a riscaldare i muscoli alzando un bilanciere di quel tipo” dico convincendomi che fosse un'ottima scusa.
“Beh 15kg per parte non sono così tanti e direi che è più che sufficiente come riscaldamento.”
“Fa' attenzione però...è vero che non sono molto pesanti ma i tuoi muscoli potrebbero risentirne” parlo mentre mi infilo i guanti di stoffa protettivi.  “Per primo si parte con i pesi da 10kg, poi piano aumenti il carico. Se non fa questo procedimento sforzi i muscoli e fai soffrire i legamenti”
“Ehi ma sei venuto a farmi la predica? Comunque ti ringrazio amico” dice lui ridendo. Mostra una dentatura bianchissima e perfettamente allineata. Questo ragazzo è sicuramente un modello o un aspirante tale. Mi allontano per proseguire il mio esercizio cercando di non fissarlo. Mi concentro e faccio una serie di esercizi. Mi sposto verso gli attrezzi. Salgo sul tapis roulant e imposto la velocità e il tempo. Corro per trenta minuti senza fermarmi; sono così sudato che la canottiera si è appiccicata al mio corpo. Continuo ad allenarmi su altri attrezzi e mi accorgo che il ragazzo di prima mi sta facendo un cenno con la mano. Mi tolgo un auricolare dall'orecchio e abbasso il volume della musica.
“Mi hai detto qualcosa?” domando.
“Sì! Posso allenarmi con te?”
Faccio un cenno con la testa di rimando e lui si avvicina a me. Spengo l'mp3 e lo ripongo in tasca e osservo lui fare lo stesso.
“E' difficile trovare qualcuno che si allena a quest'ora e che se ne intenda di strumenti e attrezzi”
“Figurati anche a me fa piacere parlare con qualcuno”
Mentre continuiamo ad allenarci parliamo del più e del meno, del nostro lavoro, dei nostri hobby e dei nostri gusti personali. È un ragazzo simpatico tutto sommato, si chiama Jonathan Okamoto e lavora come ragazzo immagine in una profumeria. Mi ha spiegato che sua madre gli ha dato questo nome perchè ispirata dalla cultura statunitense dopo un lungo viaggio a Los Angeles. Mi ha raccontato della sua famiglia dicendomi che tutte le sue sorelle sono diventate delle modelle di successo e vivono a New York mentre i suoi genitori possiedono una grande azienda che produce salse di soia per il mercato occidentale. Nonostante la ricchezza economica della famiglia mi ha confessato di sentirsi molto solo e triste. Non vede le sorelle da anni e non ha nessun tipo di rapporto con i genitori. A causa del lavoro che fa non ha molti amici e non può avere una relazione fissa e stabile. Non è poi così lontano da me, tranne che io ho scelto così e non mi lamento. La vita non è altro che il frutto delle nostre scelte, e le nostre scelte in verità non derivano mai da noi stessi ma da quello che fanno gli altri. Nel mio caso io non ho scelto un bel nulla, mi sono adattato a quello che la vita mi ha dato: un corpo instabile e un tumore mortale.
A fine allenamento rientriamo nei camerini insieme e ci dirigiamo verso le docce. Entriamo in due cabine poco distanti tra loro e continuiamo a parlare di argomenti futili. Finisco prima di lui, così esco dal box doccia e avvolgo il mio corpo in un grosso asciugamano blu scuro. Lo vedo uscire pochi secondi dopo sorridendomi. Si avvicina a me con passo lento e cadenzato.
“Mi ha fatto piacere parlare con te Akira. Sei un un uomo simpatico e alla mano. Ogni tanto è bello parlare con qualcuno quando ci si allena, non credi? Purtroppo sono costretto a salutarti subito perchè ho un impegno lavorativo tra meno di un'ora e devo scappare. Ci becchiamo allora!” mi dice sparendo dietro l'anta del suo armadio. Lo vedo cambiarsi in tutta fretta mentre io sono ancora nudo e bagnato. Mi asciugo alla meglio e apro il mio armadio. Aspetto che Jonhatan esca insieme ad altri uomini presenti nel camerino, mi assicuro che nessuno mi veda e ingoio veloce 3 pasticche. Sono medicine che salvaguardano i miei muscoli dopo uno sforzo fisico. Le butto giù con un po' di acqua del rubinetto e corro a cambiarmi. Mi asciugo i capelli frettolosamente e in dieci minuti mi ritrovo nel corridoio arancione. Esco dai tornelli e consegno la chiave a Mikoto salutandola.
“Arrivederci”
“Arrivederci e buona giornata”
Appena passo le porte scorrevoli mi ritrovo catapultato nel traffico cittadino e sento un forte senso di nausea. Mancano ancora tante ore prima dell'inizio del mio turno e così decido di tornare a casa a posare il borsone e farmi una passeggiata.
Quando rientro nel mio appartamento un odore di chiuso pizzica le mie narici. Decido di aprire le finestre per far entrare un po' di ossigeno e una buona dose di inquinamento. Lavo i piatti della sera prima e quelli della colazione, preparo i panni sporchi per una lavatrice e ripiego alcuni abiti puliti. Quando ho finito mi soffermo e mi siedo sul divano. Raccolgo una rivista di musica posata sul tavolino di vetro davanti a me e nel farlo sento cadere qualcosa in terra. È la fototessera.
La raccolgo immediatamente come fosse il tesoro più raro e prezioso. Ci soffio sopra per mandare via ogni residuo di sporco e mi soffermo ad osservarla con molta cura. Compio gli stessi movimenti con lo sguardo: osservo i tratti delicati e poco nitidi, i capelli color castano nocciola, il colore rosa delle labbra e le spalle minute dell'uomo. La macchia marrone nell'angolo destro in alto cattura la mia attenzione e la guardo insistentemente come se prima o poi lei potesse svelarmi qualcosa di importante. Continuo a fissare la tessera per così tanto tempo che mi rendo conto di aver totalmente impresso nella mia mente ogni singolo tratto o particolare di quella foto mal ridotta. Più la guardo e più sento di avere un'immagine nella mente; se qualcuno mi chiedesse di disegnarla ad occhi chiusi è molto plausibile che ci riuscirei senza il minimo sforzo. Sono giorni ormai che la fisso senza sosta. Gli concedo uno sguardo in ogni momento della giornata: quando mi sveglio, quando sorseggio il caffè, prima di andare a letto. Mi sento uno psicopatico ma non posso farne a meno. Ormai sono a metà del mio percorso e non posso farmi vincere dal rimorso e dal fallimento. Kouyou mi dice che ormai è diventata quasi una sfida personale. Lui è l'unico che sa quello che sto facendo. Gli ho spifferato tutte le mie motivazioni e lui come sempre mi ha capito con uno sguardo e non mi ha giudicato né minacciato di mandare a monte i miei piani. È l'unica persona che mi capisce veramente e non è un caso che io e lui siamo sempre stati compagni di vita fin da quando eravamo dei ragazzi. Kouyou è l'unico che è rimasto dopo tutto questo tempo, è l'unico che ha sempre cercato di farmi sentire vivo, anche quando ero morto. E poi ha ragione, ormai è diventata una sfida personale. Voglio riuscirci e posso farcela.
Mentre affondo nei miei pensieri fisso con insistenza il mio telefono posato disordinatamente sul divano e penso che finalmente le mie domande possono trovare delle risposte.












Buonasera lettori e lettrici! Spero che ve la stiate passando bene o sicuramente meglio di me visto che sto avendo una settimana terribile. Sono esausta e infatti ho controllato molto velocemente il capitolo e in caso ci fossero errori mi scuso ma non ho la forza nè il tempo di controllare. Prometto che per i prossimi capitoli sarò più precisa. Ma veniamo alla storia...oh oh oh! è spuntanto un nuovo personaggio! Jonathan <3 un ragazzo bellissimo, un modello, un dio della bellezza. Nemmeno il nostro Akira ne è rimasto indifferente ;;  e ci credo...come dargli torto? E' un ragazzo bellissimo e sembra anche molto simpatico, triste e solitario. Assomiglia un po' al nostro protagonista; voi che dite? Gli ho dato un nome americano per un motivo molto preciso: c'è una porzione di giapponesi che sono così occidentalizzati da scegliere nomi europei o americani per i propri figli. Da come abbiamo letto i genitori di Jonathan sono persone molto aperte nei confronti dell'Occidente e poi tutta la sua famiglia sembra davvero molto più americanizzata del solito. In Giappone ci sono delle persone che  sono molto occidentalizzate, in particolare in certi settori come ad esempio la moda o la cucina u.u devo ammettere che ho un debole per Jonathan....vi rendete conto che è bellissimo e gentilissimo? ;_; accidenti a me. 
Ma a proposito: cosa ne è della ricerca di Akira? Ha abbandonato ogni speranza? Giocherà la sua ultima carta? Qualcosa stravolgerà i suoi piani? 
Eheheheh vedremo tutto nel prossimo capitolo.
(p.s.: vi avviso che dal prossimo capitolo in poi vi ritroverete a leggere capitoli luuuunghissimi perchè mi sono lasciata prendere un po' la mano :3 e perchè ormai siamo nel vivo della storia)
/lancia glitter ovunque/
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Otto. ***


VIII.












“Masami hai visto Yuu-san?” chiedo alla mia collega. Masami è una ragazza dolcissima e molto sorridente. Ogni volta che sorride, appaiono al centro delle sue guance due fossette che rendono la sua risata allegra e sincera. Ha i capelli di un biondo platino molto appariscenti, non è molto alta ed è un po' robusta, ma è una ragazza decisamente carina e adorabile. Adora il rosa e lo si può dedurre dal suo modo di vestire e dai suoi accessori. In quattro anni che la conosco penso di non averla mia vista arrivare a lavoro senza almeno un capo d'abbigliamento del suo colore preferito. Persino il suo telefono e il suo iPad sono rosa confetto. È un'ottima pasticcera ed è gentilissima con i clienti. La signora Wazuka la adora e sono sicuro che è la sua dipendente preferita. Non si è mai assentata da lavoro, è sempre in anticipo e lascia il locale sempre qualche minuto dopo la fine del suo turno. Io e Yuu ci troviamo benissimo a lavorare con lei anche se a volte è un po' troppo chiacchierona. Adora i dorama e passa buona parte del tempo a raccontarci ogni singolo episodio delle sue serie tv preferite mentre stiamo cucinando.
“Non so, l'ho visto uscire con un pacchetto di sigarette tra le mani. Probabilmente si è preso una pausa sigaretta. Tu stai staccando?” chiede lei sorridente rovistando alcuni ingredienti nel frigorifero.
“Sì Masami-san, ci vediamo domani!”
“A domani Suzuki-san! Otsukare” mi lancia una risposta dall'interno del freezer dei gelati e io sorrido di rimando.
Esco dalla porta sul retro e trovo Yuu intento a godersi la sua sigaretta. Lo saluto con un cenno e lui mi fa segno di fermarmi. Aspira profondamente e prende la sigarette tra le dita. Le sue labbra si piegano in un sorriso.
“Dove vai di bello?”
“Da nessuna parte” dico accendendo il mio iPhone.
“Sei sempre il solito misterioso eh, Suzuki?” dice ridendo.
“E tu sei sempre il solito fumatore accanito?” rispondo punzecchiandolo.
“Non ho ancora capito se tu sei mio collega o se mia madre ti ha assunto come medico personale che controlla ogni singola cosa che fumo o bevo”
Rispondo alzando il dito medio e lui mi fa una linguaccia. Adoro scherzare con Yuu perchè è una di quelle persone che non si prende mai troppo sul serio. Mi ricordo che la mia insegnate di giapponese alle elementari disse che nella vita non bisogna mai prendere le cose troppo sul serio se non si vuole finire a piangerci addosso. A volte è meglio lasciarsi scivolare le cose addosso come quando sfreccio sulla mia moto e mi lascio scivolare addosso il panorama urbano di Tokyo. Ironizzare significa sentirsi liberi. Già, bella cosa la libertà. Tutti gli uomini la cercano e la bramano. Ma alla fine...siamo veramente liberi? E la libertà coincide con la felicità? Molte volte le due cose sono tremendamente opposte. Questo è un po' il senso della vita. Valli a capire questi grandi interrogativi. Vorrei seguire l'esempio di mio nonno. Il vecchio Suzuki passava le giornate della sua vecchiaia seduto su una sedia a sorseggiare birra e giocare a scacchi. Era sempre di buonumore ed era difficile trovarlo annoiato o irritato. Improvvisamente sento la sua mancanza; vorrei abbracciarlo.
 “Ci vediamo domani Suzuki-san” dice Yuu salutandomi calorosamente.
Mi avvio verso casa e affretto il passo. Prima torno nel mio appartamento e prima posso fare quello che mi sono prefissato da un paio di giorni. Prendo la metropolitana al volo e decido di non sedermi; mi infilo le cuffie e lascio partire la riproduzione casuale. Sopra le note violenti e rozze dei Ramones ripercorro mentalmente tutto il piano che ho escogitato la notte prima.
Quel giorno che ho osservato quel bambino e quella madre sul bus ho avuto un'ottima illuminazione. Quando il bambino ha indicato quel grosso poliziotto in uniforme ho capito tutto. Ho come avuto la sensazione che qualcuno mi porgesse la mano e sapesse esattamente di cosa avessi bisogno. Mi è tornato tutto alla mente. Yoshinori Harada. Il mio vecchio compagno di classe e vicino di casa. Era un ragazzo dolcissimo e simpatico e andava molto d'accordo con me e Kouyou. È sempre stato un tipo alla mano, uno di quelli che sorrideva sempre e che non si impicciava troppo dei fatti degli altri. Quando notava che ero triste o arrabbiato semplicemente non mi parlava; mi guardava con aria afflitta e triste come se provasse i miei stessi sentimenti. Yoshinori è sempre stata una persona sensibile, empatica e onesta. Quando uscivamo da scuola ci trovavamo nelle aule studio della biblioteca di quartiere per studiare insieme. Facevamo la strada di andata e di ritorno insieme e quando fuori era una bella giornata giocavamo insieme a pallone nel cortile. È stato uno dei miei più cari amici insieme a Kouyou. Ci scambiavamo i manga e i modellini dei nostri eroi preferiti. Spesso lo invitavo a casa mia a dormire e guardare film horror e lo stesso valeva per lui. Ricordo che sua madre preparava spesso una torta di pan di spagna deliziosa ed è stato proprio grazie a lei che mi appassionai così tanto alla pasticceria. Quando avevo 16 anni decisi che quello sarebbe stato il mio lavoro: come io ero sempre felice e di buonumore sapendo di assaggiare una torta, così promisi a me stesso di diventare da grande una persona che potesse far felici gli altri cucinando dolci e manicaretti. A pensarci bene ricordo che Yoshinori sapeva suonare benissimo il pianoforte perchè suo padre era laureato al conservatorio e quando andavo a casa sua mi faceva sempre assistere mentre suonava le sue composizioni preferite.
Io e lui ci perdemmo di vista per molti anni, anche se ci siamo scambiammo il numero di telefono. Quando io decisi di entrare nella scuola di pasticceria, Yoshinori si iscrisse ad una graduatoria per entrare a far parte del corpo di polizia. Mi ricordo che quando era un ragazzino mi ripeteva spesso che il suo sogno era quello di fare il poliziotto e di mantenere la giustizia nel mondo. Passò il concorso con un ottimo risultato e diventò un poliziotto a tutti gli effetti entro pochissimo tempo. Proprio a causa dei suoi impegni lavorativi, iniziammo a frequentarci sempre più raramente. I suoi turni notturni lo costringevano a dormire per molte ore tdurante utto il giorno e così alla fine finimmo per non vederci quasi più. Quando poi mi ammalai mi trasferii nel centro di Tokyo per potere seguire meglio la terapia che stavo effettuando e così da quel giorno finì ogni tipo di rapporto tra noi. Ci scambiammo ancora gli auguri di Natale e di Buon Anno, tuttavia non avemmo mai occasione di vederci. Yoshinori venne a sapere del tumore tramite mia madre che, senza il mio consenso, lo mise al corrente della mia situazione. Si presentò a casa mia qualche anno fa con un mazzo di fiori, una scatola di biscotti alla mandorla e una faccia triste e afflitta. Era così dispiaciuto per non avermi potuto aiutare. Mi disse che avrebbe fatto di tutto per darmi anche solo un po' di supporto. Mi promise di potermi rivolgere a lui per qualsiasi evenienza e mi disse chiaramente di non farmi problemi a chiedergli aiuto o anche solo un po' di compagnia. Da un paio di anni siamo tornati amici anche se i nostri impegni quotidiani ci costringono ad incontrarci solo poche volte in un anno.
Infilo la chiave nella toppa e giro a destra energicamente, spingo la porta ed entro in casa. Mi sono preparato mentalmente un discorso preciso ed accurato e non posso perdere o sbagliare nemmeno una parola. Ho bisogno dell'aiuto di Yoshinori e voglio credere che lui possa veramente aiutarmi. Lui è un poliziotto ed è l'unica persona che può aiutarmi ad avere delle informazioni. So che è una cosa illegale, ma lui è mio amico e non potrebbe mai dirmi di no. Se riesco a convincerlo posso dire di aver praticamente raggiunto il mio scopo e a quel punto mi sentirò veramente orgoglioso di me stesso. Osservo il telefono da lontano. Vado in cucina e ingoio una pasticca, bevo dell'acqua e faccio dei profondi respiri. Raccolgo tutto il coraggio e tutta la determinazione possibile e afferro il mio iPhone tra le mani. Compongo il numero nervosamente mentre ripenso a tutto quello che devo dirgli. Attendo in linea.
“Moshi moshi” la sua voce spontanea e bassa mi accoglie calorosamente.
“Moshi Moshi, sono Suzuki-san”
“Oh! Akira! Come stai? Mi fa così tanto piacere sentirti”
“Grazie Harada-san, fa piacere anche a me sentire la tua voce. Io sto abbastanza bene, non mi lamento. Tu cosa mi racconti?” dico ingoiando la saliva nervosamente.
“Sono felice che tu stia bene. Anche io sto bene anche se sono perennemente stanco. Ma senti...come mai questa telefonata? Hai bisogno di qualcosa?” dice lui con tono gentile.
“Ehm...s-sì.” dico con voce flebile. Tossisco e riprendo a parlare. “Purtroppo è una storia lunga e non posso parlartene a telefono. Sei libero in questi giorni? Potremmo incontrarci alla stazione di polizia. So che i tuoi turni di lavoro sono molto particolari. In ogni caso ho davvero bisogno di parlarti e ho bisogno del tuo aiuto” solo dopo aver pronunciato queste parole mi accorgo di aver parlato troppo velocemente e forse ho lasciato trasudare troppo nervosismo e rabbia. Non vorrei che Yoshinori si preoccupasse inutilmente.
“Va bene Akira-san! Sono qui a tua disposizione. Ma è qualcosa di grave? Comunque io stacco verso le 20 ma rimango ancora un'ora dentro l'edificio per chiudere tutti gli uffici e la luci di ogni piano. Se non è troppo scomodo puoi passare di qui e poi andiamo a bere una birra da qualche parte”
“Nulla di grave Yoshinori, non preoccuparti. Domani sera è perfetto! Passerò verso le 20.30 alla stazione di polizia. A domani.”
“A domani Akira”
Riattacco la chiamata e sento il respiro affannato. Guardo fuori dalla finestra: un raggio di sole entra dalla tenda scostata portando con sé una scia di granelli di polvere che danzano nell'aria. Osservo quello scenario sovrappensiero.
'E' stato più difficile del previsto'





 
*



 


Il display del mio iPhone segna le 20.29. Sono in piedi davanti all'entrata principale della stazione di polizia e fisso nervosamente il portone e i numerosissimi citofoni. Busso violentemente per farmi aprire. La grande porta di legno rimbalza sotto i miei pugni e rimbomba per tutto il cortile. Nonostante le temperature si stiano alzando, il Sole è già tramontato da un bel po' per lasciare spazio ad un cielo dipinto di colori scuri; un panorama mozzafiato. Aspetto con ansia per minuti interi. Finalmente qualcuno viene ad aprire. Yoshinori mi abbraccia immediatamente. Non ricordavo fosse così grosso.
“Ciao Yoshinori! Sono contento di vederti!” lo osservo. Ha i capelli rasati quasi totalmente, la faccia sorridente e qualche ruga di espressione.
“Ciao Akira! È un piacere vederti. Come stai? Vuoi entrare? Devo finire di sbrigare ancora alcune cose. Oggi tocca a me il turno di chiusura e purtroppo devo chiudere ogni singolo ufficio di tutti e sei i piani” dice con faccia afflitta.
“Non preoccuparti Harada-san, piuttosto...siamo da soli? Vorrei parlarti il prima possibile”
“Sono completamente solo...puoi dirmi quello che vuoi”
Entriamo dentro il grande dipartimento di polizia, attraversiamo il cortile e entriamo in una piccola porta. A sinistra noto una piccola cabina di legno bianco smaltato, con un grosso vetro e un piccolissimo tavolino all'interno.
“Questa è la reception. A volte tocca a me stare tutto il giorno lì di turno e non ti immagini la noia. E io che da piccolo pensavo di ritrovarmi a correre dietro ai malviventi e a trovarmi in mezzo alle sparatorie. Invece la maggior parte del tempo mi annoio un sacco. Ma non posso lamentarmi.”
Sorrido guardando l'ambiente intorno a me. Il corridoio è scarno e poco arredato. Alle pareti sono appesi dei quadri di foto molto vecchie che ritraggono giovani poliziotti nelle loro uniformi. Tutte le foto sono in bianco e nero e osservandole sento che quelle immagini mi lasciano un senso di nostalgia dentro. Come qualcosa che è passato e di cui non ho avuto conoscenza. Qualcosa che non ho potuto afferrare. Percorriamo un pezzo del corridoio per poi girare a sinistra ed entrare in una piccola stanza adibita come studio.
“Questo è il mio piccolo studio” dice con un piccolo tono di orgoglio nella voce. Noto sulla scrivania due graziose cornici contenenti due foto che raffigurano la sua famiglia: scorgo uno Yoshinori sorridente abbracciato a sua figlia e sua moglie. La stanza è illuminata solo da una piccola lampada appoggiata sull'estremità sinistra del tavolo. L'atmosfera sembra molto tranquilla e silenziosa e questo mi rilassa moltissimo.
“E' molto bello qui. Sembra un posto così pacifico. Mi piace”
“Ti ringrazio. Ammetto di trovarmi molto bene. Quando sono nervoso mi piace chiudermi qui dentro. Firmare fogli e documenti diventa piacevole quando non vuoi avere a che fare con le persone. Ma sto parlando troppo....dimmi Akira, dimmi tutto.” dice lui sedendosi e guardandomi con aria interessante. Mi schiarisco la voce tossendo un paio di volte. Raccolgo tutto il coraggio possibile.
“Yoshinori. Io e te ci conosciamo da una vita. Siamo sempre stati migliori amici e solo noi sappiamo quanto siamo stati importanti l'uno per l'altro. La tua famiglia è stata la mia famiglia e viceversa. Ho sempre avuto fiducia in te e spero sia altrettanto per te, anche dopo quello sto per dirti. Ti chiedo solo di non giudicarmi.
Tu sai che sono stato malato di leucemia per quasi due anni. Dopo la guarigione ho subito un trapianto di midollo osseo e solo grazie a questo trapianto sono sopravvissuto e sono vivo tutt'oggi. Nessuno dei miei familiari ha contribuito alla mia guarigione. Mia madre non ha potuto donarmi il suo midollo osseo e nemmeno mia sorella. Così, per non so quale ragione, ho avuto l'enorme fortuna di trovare un donatore compatibile. Quel donatore mi ha permesso di essere qui ora e di poter parlare con te in questo momento. Se non fossi stato così tanto fortunato, a quest'ora sarei già sotto terra. Probabilmente stai già capendo dove voglio andare a parare. Ebbene è così. Sono mesi che lo sto cercando. Sono disposto a cercarlo per tutto il Giappone se occorre. Mi sento come se ci fosse una calamita da qualche parte che mi sta lentamente trascinando verso di sé. È più forte di me e non posso mollare tutto ora. Dopo settimane intere di ricerca ho finalmente trovato alcune informazioni ma purtroppo non è abbastanza. Io ho solo bisogno di un nome e di un indirizzo.
Ora. Tu sei un poliziotto. I vostri computer e i vostri server possiedono tutti gli identikit di ogni singolo cittadino giapponese. Ho bisogno del tuo aiuto. Puoi chiamarmi coglione e bastardo quanto vuoi, ma te lo dico subito: sono disposto a tutto.”
Dopo aver finito di parlare mi rilasso sulla mia sedia sentendomi molto leggero. Mi sembra quasi di essere disteso su una nuvola. Ho tirato fuori tutto quello che avevo dentro e non mi importa se tra pochi secondi Harada mi sbatterà fuori. Non rimpiango nulla.
Un silenzio fastidioso si insinua tra noi. Yoshinori fissa dritto un punto davanti a sé senza proferire parola. Ha le sopracciglia aggrottate e la bocca serrata. La sua espressione, da prima serena, si è trasformata lentamente e la sua faccia corrugata tradisce le sue emozioni. Nonostante la poca illuminazione scorgo molte rughe di espressione sul suo volto.
“Akira. Ti ringrazio per esser stato così sincero con me. No, non ti giudicherò per quello che stai facendo e no, non perderai mai la mia fiducia. Ma quello che mi stai chiedendo è qualcosa di veramente grosso.” dice lui con voce pacata.
Tiro un sospiro rassegnato. Sapevo già cosa mi aspettava. Anche la mia ultima speranza si è spenta come un mozzicone di sigaretta abbandonato sul portacenere.
“Capisco. Beh almeno ci ho provato. Ripeto: sono disposto a tutto per raggiungere il mio scopo. Quindi probabilmente tra qualche settimana mi troverai disteso su un materasso malconcio con il culo al fresco in un carcere qui vicino. Passami a salutare ogni tanto però” dico sorridendo nervosamente. Non mi sono mai uscite bene le battute nei momenti di tensione.
Yoshinori sorride e poco dopo scuote la testa come a voler negare qualcosa.
“Ah, Akira...Akira. Cosa devo fare con te? Lo so che sei un testone. Lo sei sempre stato. E se per caso dovessi finire dietro le sbarre, voglio essere io ad accompagnarti.” dice ridendo e tirando un grosso calcio al tavolo. Quel tonfo sordo rimbomba per tutta la stanza e la lampada scuote violentemente il fascio di luce, unica fonte di illuminazione di quell'ufficio.
“Hai qualcosa dietro con te? Che tipo di informazioni hai ricavato?”
“Eh?”
“Hai detto di esser riuscito a trovare qualcosa. Vediamo.” dice lui sporgendosi in avanti sulla scrivania e appoggiando i gomiti sul tavolo.
“M-Ma quindi tu vuoi...”
“Sì Akira. Ma solo perchè sei tu. E solo perchè siamo soli e non c'è nessuno. E solo perchè sei un vero stronzo e non posso fare a meno di aiutarti”
Alzo il braccio involontariamente e stringo forte la sua mano in un pugno in maniera amichevole. “Sei un amico Yoshinori.” dico con voce seria.
Lo sento tossire per scaricare la tensione e assumere poco dopo un'espressione seria. “Però ora muoviti a tirare fuori l'occorrente o ti arresto!”
Scoppiamo a ridere entrambi. Quelle risate mi riportano ad un tempo lontano. Io e lui a 15 anni quando giocavamo spensierati nel parco con i nostri skateboard per ore intere. Non smettevamo nemmeno quando le nostre ginocchia erano piene di graffi e lividi.
Tiro fuori dalla mia borsa i documenti e la piccola fototessera.
“Questo è tutto quello che ho. Una fototessera sbiadita e poche informazioni che ho appuntato su un foglio.” gli porgo l'occorrente mentre parlo. Afferra i documenti e li osserva con cura. Dopo averli letti alza il volto verso di me.
“Sei fortunato ad avere una fototessera. Posso fare uno scanner e chiedere al server di compiere una ricerca tramite riconoscimento facciale. Inoltre l'altezza e l'età possono aiutarci ancora di più” mentre mi rivolge queste parole si allontana dall'orlo del tavolo sulla sua sedia girevole per andare ad accendere un grosso pc posato su un tavolo alla sua destra. Dopo pochissimi secondi inserisce una password di accesso e alcuni codici di sicurezza. Accende un grosso scanner ed una stampante che appena ero entrato nella stanza non avevo notato. Quel pc è così grosso che prende spazio per un mobile intero. Yoshinori prende la piccola fototessera e la inserisce nel grande scanner. Dopo qualche attimo si apre una finestra sullo schermo dove appare l'immagine della fototessera riempiendo tutto la superficie del monitor. Guardo attentamente ogni singolo passaggio: Harada-san apre un programma molto sofisticato e complesso in cui inserisce tantissimi codici per entrarvi. Carica l'immagine, inserisce i pochi dati che gli ho dato e clicca su un grosso pulsante su cui è scritto 'CERCA'. Il server inizia la ricerca e a giudicare dalla barra vuota che appare in alto a destra capisco che ci vorrà un bel po' di tempo prima che si riempia totalmente e concluda la sua ricerca.
“Bene, ecco fatto. Quando questa piccola barra avrà raggiunto il 100% la ricerca sarà conclusa. Ci vorrà un bel po'; ora dobbiamo solo armarci di pazienza.” dice lui alzandosi dalla sua poltrona girevole. Mi alzo anche io e lo seguo nel cortile.
Dopo quasi due ore, sette sigarette e qualche sbadiglio rientriamo nel suo studio. Yoshinori si dirige velocemente al computer e schiaccia velocemente una sequenza di tasti.
“Ci siamo! Lo abbiamo trovato Akira” dice lui sorridendomi.
Per un attimo sento il cervello spegnersi. Mi riprendo rapidamente cercando di rimanere il più lucido possibile.
“Cazzo. Dimmi tutto Yoshi-san.”
“Si chiama Matsumoto Takanori, età 34 anni. Statura: un metro e sessantadue. Capelli castani e corporatura minuta. È nato nella prefettura di Kanagawa dove vive e lavora. Il server mi dice che è iscritto da quasi dieci anni all' 'Associazione Nazionale Donatori di Midollo Osseo'. È lui.”
“E' assolutamente lui” ribadisco fissando insistentemente lo schermo.
“Pure la foto corrisponde guarda.” dice aprendo una foto. È la stessa fototessera che possiedo, ma molto più nitida e dettagliata. Non ci sono dubbi. È lui. Non ho neanche il tempo di realizzarlo che Yoshinori mi porge in mano un pacco di documenti.
“Ecco qua Suzuki. Ti ho stampato tutto, foto compresa. Ti ho reso anche i documenti che mi avevi consegnato prima. Ora hai tutto.”
Prendo i documenti tra le mani richiudendoli immediatamente nella mia borsa come fossero preziosi lingotti d'oro. Fisso il mio amico senza pronunciare una parola. Lo abbraccio forte istintivamente regalandogli una grossa pacca sulla schiena.
“Ti voglio bene Yoshinori. Non dimenticherò mai quello che hai fatto per me. Grazie. Grazie e ancora grazie”
“Prego Akira. Anche io ti voglio bene.” dice guardandomi. Si crea un silenzio complice tra di noi che viene interrotto subito dopo dallo squillo di un telefono. “Cazzo, è mia moglie che mi sta chiamando. Non pensavo di fare così tardi.” afferma lui tastandosi le tasche della divisa e recuperando il suo smartphone.
“Non voglio disturbarti ulteriormente...Ti lascio alla tua bellissima famiglia Harada-san. Grazie per tutto. A presto!” dico uscendo in fretta dalla stazione di polizia. Mi allontano, senza farmi vedere da nessuno, dal grande portone sparendo nell'umidità della notte.





 
*







“Hai intenzione di andarci?” mi chiede Kouyou appoggiando la birra sul tavolo di vetro del mio soggiorno. Appoggia la schiena sullo schienale del divano e si gratta il mento barbuto pensieroso.
“Certo...devo solo trovare il coraggio e le parole giuste. Però non nascondo che sono davvero molto nervoso. Sono molto incerto sul da farsi.” dico abbandonandomi contro il morbido schienale del divano. Mi sento stanchissimo. Dopo aver incontrato Yoshinori, ho passato una settimana molto stressante. Mi sono concentrato così tanto sul lavoro che non ho avuto il tempo di andare in palestra né allenarmi a casa.
“Ma sei impazzito? Yoshinori ti ha aiutato, ma ora sei tu che devi fare l'ultimo passo. E non puoi tirarti indietro proprio ora. Dopo tutti i sacrifici che hai fatto e dopo tutte le porte in faccia che hai ricevuto” dice lui stendendo i piedi sotto il tavolino.
“Lo so. Non gli sarò mai grato abbastanza. Ma non è così semplice Kou. Non posso andare lì e dirgli 'ehi ciao senti tu mi hai donato il midollo osseo, volevo dirti grazie'. Se lo facessi, come minimo finirei per ritrovarmi con un occhio viola o con un segno di una mano sulla guancia. Devo capire come posso mettermi in contatto con lui.”
Vedo Kouyou soffermarsi a pensare. Stringe la bocca in un simpatico broncio mentre continua a grattarsi il mento. Poi si volta verso di me. “Mi hai detto che lavora in una biblioteca o qualcosa del genere, giusto? Beh direi che la scusa è abbastanza semplice.  La tua libreria è abbastanza a secco di libri e  tu hai letto tutti i gialli in circolazione. Ti occorrono altri libri” dice lui con aria di sufficienza come se avesse appena pronunciato la cosa più banale del mondo. Sorrido verso di lui aprendo distrattamente un'altra lattina di birra.
















/lancia biscotti alla cannella/ Buona sera! scusate il ritardo ma ho avuto una settimana da incubo e solo stasera ho un momento libero (perchè me lo sono imposto lol). Bene bene bene. Il nostro Akirone ha fatto grandi progressi. Ormai  è stato svelato tutto. Sappiamo il nome, dove abita e che lavoro fa. Ma secondo voi Akira ci andrà veramente? Se sì, cosa succederà? u__u lo so che avete già la vostra storielle in mente <: anche se non volete dirmela è_é Btw...Yoshinori è un personaggio interessate. Immaginatelo come un uomo sulla quarantina con un po' di pancia, robusto, i capelli quasi rasati completamente e un sorriso dolcissimo. Yoshinori è molto legato ad Akira e infatti ha deciso di aiutarlo nonostante l'illegalità della cosa. E che ne dite di Kouyou? *___* finalmente è comparso! Sembra un tipo sveglio u.u (confesso che è uno dei miei personaggi preferiti insieme a Masami) . Per oggi è tutto, ci vediamo tra pochi giorni 8^)
p.s. : preparatevi per il prossimo capitolo. non aggiungo altro. 

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Capitolo 9
*** Nove. ***


IX.


















Alzo la testa dallo smartphone guardando distrattamente fuori dal finestrino. Mi accorgo che il treno è fermo. Leggo il nome della stazione scritto a caratteri cubitali sul grosso cartello all'entrata: HIYOSHI STATION. Mancano ancora un paio di fermate prima di arrivare a destinazione. Ho deciso di prendere la Fukutoshin Line dalla stazione di Ikebukuro così da arrivare il prima possibile, anche se ammetto di essermi annoiato un bel po' durante questi quaranta minuti di viaggio. Ho comprato alla stazione una piccola rivista con dei quiz e dei giochi di logica per ingannare il tempo, ma dopo qualche pagina mi sono annoiato ed ho cacciato tutto in borsa. Era da un bel po' di tempo che non salivo su un treno per fare un viaggio così lungo, considerando che spesso mi sposto a piedi o in moto. Non amo molto spostarmi perchè mi irrita trovarmi in un posto che non conosco. Per fortuna conosco molto bene il luogo dove sto per andare. Guardo l'orario sul display del telefono: sono le 15.40. Ancora venti minuti di viaggio e finalmente posso sgranchirmi un po' le gambe e magari concedermi una sigaretta. Sento il telefono vibrare tra le mie mani.
È un messaggio di Kouyou:


Non prendere troppi libri oggi eh ;)
Buona fortuna!


Trasalisco leggermente dopo aver letto. È come se il messaggio del mio migliore amico mi abbia tirato uno schiaffo alla coscienza risvegliandomi dal sonno in cui ero caduto nelle ultime ore. Non è che mi sono dimenticato dove stia andando e perchè, ma ho cercato di accantonare la questione fino a che non mi sarei ritrovato a toccare il suolo di Yokohama. Perchè sono così irritato dal messaggio di Kouyou e perchè mi sento così male all'idea di incontrare uno sconosciuto? Dopo mesi di ricerche ho tutto ciò che mi serve e quindi dovrei avere tutto sotto controllo. Invece sento che qualcosa mi sta sfuggendo di mano e non posso fare nulla per rimediare; come sabbia che scivola dalle mani. Mi sento improvvisamente perso: persino il sedile davanti al mio, rimasto vuoto per gli scorsi quaranta minuti, mi appare estraneo e spaventoso. Perchè mi sono allontanato dal mio quartiere? Perchè non sono rinchiuso nel mio territorio protettivo? Perchè non sono in palestra ora, in questo preciso istante? Mi do mentalmente dello stupido e cerco di riprendere il controllo di me stesso e delle mie emozioni. Ho con me tutto quello che mi serve: una foto di riconoscimento, l'indirizzo e il nome della biblioteca. Non posso né perdermi né sbagliare luogo o persona. È tutto sotto controllo. Me lo ripeto mentalmente come un mantra. Approfitto dell'assenza di persone nel mio vagone e tiro fuori la foto stampata per me da Yoshinori. La fototessera che possedevo si è finalmente trasformata in un viso dai lineamenti nitidi e definiti. Osservo con cura quel viso. È un volto qualunque: due occhi a mandorla, un naso forse un po' troppo ingombrante, l'ovale tondo del viso, le labbra carnose e i capelli lunghi fino alle spalle. È un uomo qualunque che forse dimostra meno anni di quelli effettivi, ma in fondo la foto deve essere stata scattata molto tempo fa e probabilmente è molto cambiato. Chissà se lo riconoscerò. Vedo passare, con passo svelto ma felpato, un controllore che mi guarda con aria di rimprovero come se volesse brontolarmi per avermi colto impreparato. Tiro fuori il biglietto e aspetto che me lo timbri. Ripongo tutto nella mia borsa con cura, foto compresa. Forse è meglio se non la tiro fuori in un luogo pubblico. In effetti non si vede tutti i giorni un uomo che passeggia con una fototessera stampata in un foglio A4 di una persona tra le mani. Decido di impiegare gli ultimi minuti di viaggio a cancellare le e-mail di spam dalla mia casella di posta elettronica. Quando rialzo gli occhi per guardare fuori dal finestrino mi rendo conto che il treno è fermo e che sono finalmente arrivato a Yokohama.
Mi alzo avendo cura di aver recuperato tutti i miei effetti personali. Quando sono soddisfatto scendo dal treno e cerco subito una caffetteria. Entro e ordino un latte macchiato da asporto. La commessa è molto cordiale e mi augura buona giornata porgendomi il grosso bicchiere di carta coperto da un piccolo coperchio di plastica. Quando mi sorride noto che ha un piercing sulla lingua che risplende timidamente sotto la luce del neon posto sopra il bancone di marmo e legno. Ringrazio con un piccolo inchino. Recupero lo scontrino e il resto e esco dal locale infilando tutto nelle tasche della giacca in pelle. Scorgo un grosso cartellone appeso davanti all'uscita della stazione in cui è raffigurata la mappa di tutto il capoluogo. Osservo l'indirizzo che mi interessa, dopo averlo trovato  mi dirigo verso l'uscita più vicina. Mi avvio verso la direzione sorseggiando il mio latte. Ripenso mentalmente a tutto quello che devo fare e dire. Sento una vocina iniziare a parlare dentro di me.

'Stai andando a disturbare la quotidianità di un completo sconosciuto.
Lui non sa nemmeno c
he esisti.
Non dovresti essere qui.'


Scaccio immediatamente via questa voce anche se...mentirei se dicessi che non mi sento trafitto da quelle parole. Solo ora che sono così vicino alla mia meta e che mi basta tendere la mano per raggiungere il mio obbiettivo mi rendo conto di aver sbagliato tutto. Per qualche motivo ho iniziato a cercare una persona che non ha niente a che fare con la mia vita? Io non so nulla di lui, né lui di me. Lui mi ha salvato la vita e nessuno avrebbe dovuto saperlo. E con quale diritto ho deciso di dover avere a tutti i costi informazioni su di lui e sulla sua esistenza? Sono un bastardo.
'E non so nemmeno che cazzo sono venuto a fare in questo posto di merda' dico tra me e me.
Ormai sono qui e non posso aver buttato un'ora della mia vita in un viaggio che non ha scopo. Tanto sarà una cosa semplice. Entrerò in quella dannata libreria, chiederò di lui, lo ringrazierò e stop. Al massimo gli stringerò la mano con fare deciso e amichevole e poi me ne andrò e non ci vedremo mai più. Non comprerò nemmeno una scatola di biscotti o di cioccolatini. Voglio che sia una cosa abbastanza formale e non voglio perdermi troppo in chiacchiere. In fondo voglio solo ringraziarlo. Magari è pure stronzo e antipatico e non penso che potremo mai essere amici.
Continuo a camminare per un lungo viale pieno di persone. Noto un sacco di ragazze e ragazzi liceali che corrono per i marciapiedi ridendo e scherzando. Qualche persona stringe tra le mani un  cono gelato mentre passeggia tra i negozi delle vie centrali. In effetti sta iniziando a fare caldo e la primavera tra meno di un mese finirà e inizierà il caldo infernale dell'estate. Odio l'estate con tutto me stesso perchè fa troppo caldo e in qualunque negozio entro, trovo l'aria condizionata ad una temperatura così alta da farmi gelare il sangue nelle vene. Preferisco di gran lunga l'autunno con il suo clima mite e accogliente. Adoro il colore delle foglie secche che gentilmente si posano a terra e scricchiolano sotto i miei piedi. Adoro i colori e i profumi autunnali. Adoro mangiare l'okonomiyaki seduto al bancone di un bar mentre faccio qualche gioco stupido sul mio iPhone. Ma ora non è decisamente il clima adattato per mangiare certe prelibatezze. Mi rassegno all'idea di dover aspettare ancora un bel po' di mesi prima di tornare ad apprezzare il mondo intorno a me.
Dopo quasi mezz'ora di camminata mi rendo conto che sono quasi arrivato a destinazione. Butto in un cestino il mio latte macchiato ormai diventato una brodaglia tiepida e insapore. Mi accendo lentamente una sigaretta aspirando profondamente e godendomi quei piccoli attimi in cui la nicotina  scorre nelle mie vie respiratorie e entra nei polmoni. Il dottore mi ha raccomandato di non fumare ma non credo che una sigaretta ogni tanto possa uccidermi. Ho iniziato ad adorare il sapore del tabacco dopo essermi operato. Sentivo di essere sempre nervoso e di star bevendo troppi caffè. Chiesi una sigaretta ad un tizio un po' scorbutico che stava aspettando insieme a me l'autobus e me la fumai più tardi sul retro della pasticceria senza farmi vedere da nessuno. Fu la sigaretta più lunga della mia vita.
Ho letto sulla mappa della città di Yokohama che la biblioteca centrale si trova vicino ad un famoso centro commerciale ed entrambi i luoghi sono molto frequentati da studenti e anziani. Vedendo uscire così tanta gente da una grossa entrata a specchio capisco di trovarmi vicino al centro commerciale. Cammino per altri cinquecento metri imboccando un viale alberato e dopo un paio di minuti scorgo il palazzo color rosa chiaro che spicca tra gli alberi di fronte a me. Gruppi di studenti sono seduti nelle panchine laterali alla struttura stringendo tra le mani pesanti manuali di ingegneria, matematica e scienza. Mi sento un pesce fuor d'acqua in quel momento. Io che non ho mai amato così tanto lo studio e i libri scolastici. Non nego di esser stato un bravo studente quando ero al liceo, tuttavia non ho mai avuto una vera passione per nessuna materia in particolare. Adoravo storia e geografia ma a pensarci bene anche quelle materie erano per me troppo impegnative e così quando finii la scuola decisi di intraprendere la carriera culinaria. Adoro cucinare dolci e penso che sia l'unica cosa che so fare nella vita. Però ammetto di sentirmi fuori luogo in un posto del genere. Adoro leggere e praticamente mi dedico alla lettura tutti i giorni, tuttavia non ho una cultura accademica e conosco pochissimo i classici occidentali, la poesia e la saggistica. Vedere tutti questi ragazzi stringere tra le braccia quei pesanti volumi mi fa sentire vecchio, malinconico e pure ignorante. È proprio vero che superati i trent'anni cambia completamente il modo di vedere il mondo. Ha ragione Kouyou quando dice che ormai sono un vecchio che passa la maggior parte del tempo a lamentarsi.
Decido di farmi forza e mi dirigo verso l'enorme ingresso. La facciata è decorata con un numero cospicuo di finestre a specchio che riflettono la luce del sole pomeridiano. Da fuori sembra un ambiente tranquillo e lontano dal traffico metropolitano, come un oasi di palme e acqua pulita nel mezzo del deserto. Questo posto è l'oasi e il paradiso di tantissimi studenti e appassionati lettori che vengono qui giornalmente per studiare serenamente senza essere disturbati. Passo davanti ad un cartello colorato che indica l'orario di apertura e di chiusura della biblioteca. La struttura ha cinque piani tra cui una sezione dedicata solo agli universitari e una riservata ai bambini. Entro nel grande atrio dopo essermi guardato intorno un paio di volte. C'è una grande reception nel centro dell'ingresso; una ragazza al di là del tavolo batte violentemente le dita sui tasti del computer interrompendo continuamente l'accogliente silenzio in cui si è avvolti appena superata l'entrata. Decido di non fermarmi a chiedere nulla e di proseguire fino alle scale. Leggo attentamente le indicazioni riguardo le sezioni in cui sono suddivisi i piani e lancio uno sguardo veloce alla mappa della biblioteca. Al piano terra si trova la zona per bambini e all'ultimo piano si accede nell'aula studio per universitari. Fuori due. Mi restano solo tre piani da controllare. Mentre appoggio il piede sul primo scalino qualcosa mi colpisce dentro come un fulmine a ciel sereno. Sento salire immediatamente un forte senso di nausea e le vertigini mi obbligano ad appoggiarmi alla parete bianca. Il pavimento è bianco, il muro è bianco, le scale sono bianche. Persino la camicia dell'impiegata al bancone è di un bianco fin troppo sgargiante. Tutto quel bianco, quel pulito maniacale improvvisamente mi dà la nausea. Osservo le persone passarmi accanto senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Mi sento ancora dentro quella sensazione. Quella dannata sensazione di trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Cosa cazzo ci faccio qui? Dovrei essere a casa in questo momento a pulire la gabbietta dei miei pappagalli o a farmi un bagno rilassante. Ho sbagliato tutto fin dall'inizio, non avrei mai dovuto iniziare questa ricerca che mi ha condotto in questo posto tremendamente bianco e ordinato. Mi guardo intorno e decido di uscire fuori nell'ampio cortile. Mi accendo frettolosamente una sigaretta e aspiro forte. Non capisco perchè sono così nervoso. Non sono mai stato un ragazzo e un uomo estroverso, ho sempre preferito rimanere in silenzio e farmi gli affari miei. Ma allora perchè ho speso tre mesi e mezzo della mia vita a farmi gli affari personali di uno sconosciuto? Non so nemmeno se quel Matsumoto lavori ancora qui; magari oggi è il suo giorno libero oppure ha già staccato il suo turno e il mio viaggio è stato totalmente inutile. Come diavolo mi è saltato in mente di venire fino a Yokohama senza nessuno straccio di prove che quell'uomo si trovi ancora qui. Magari si è trasferito momentaneamente all'estero e quindi dovrò rinunciare per sempre al desiderio di ringraziarlo.
Finisco la mia sigaretta indugiando ancora sul da farsi. Mi siedo e bevo un po' di acqua dalla mia borraccia. Osservo le persone entrare e uscire continuamente nel grandissimo edificio rosa.
Ripenso alle parole di Kouyou: “è una cosa così semplice”.
Più facile a dirsi che a farsi. Non è così confortevole sapere di trovarsi faccia a faccia con uno sconosciuto. Non so nemmeno come potrò presentarmi e introdurre la questione. Forse dovrei aspettare che concluda il suo turno e dirgli in fretta e furia che sono qui a Yokohama di passaggio e che volevo ringraziarlo e poi tanti saluti. Scuoto la testa allontanando ogni tipo di pensiero. Voglio avere la mente vuota da tutto. Mi alzo dalla panchina e alla fine mi decido ad entrare. Tutto sommato questa biblioteca è bellissima e rinomata; potrei trovare qualche libro interessante da portarmi a casa e leggere con calma.
'Guarda il lato positivo Akira. Sei davanti all'ingresso di una delle più grandi biblioteche del Giappone. E tu hai bisogno di qualche nuovo libro da leggere'.
Mi ripeto queste parole come un mantra mentre attraverso nuovamente l'ingresso e mi dirigo verso gli ascensori. Percepisco ancora le vertigini e vorrei evitare di svenire qui davanti a tutti. Schiaccio il tasto 2 sul display e attendo la chiusura delle porte. Arrivo al secondo piano e appena poso il piede sulla moquette soffice grigio scuro mi sento come accolto da un'atmosfera dolce e amorevole. L'ambiente è così tranquillo che persino le mie vertigini si affievoliscono. Mi ricorda una casa con il caminetto acceso in una notte fredda di dicembre. Appena metto piede nella grande sala lettura sento un forte odore di carta e inchiostro inebriarmi le narici. Deve essere davvero un ottimo anti-stress lavorare qui. Faccio qualche passo guardandomi intorno e lasciando la mia mente vuota da ogni tipo di pensiero. Ormai sono qua dentro e non posso scappare. Basta comportarmi normalmente, no? Entro in un corridoio, sfoglio un libro, lo prendo in prestito. Non è così difficile. Osservo alcune ragazze e ragazzi del personale. Alcuni di loro sono molto giovani. Indossano tutti una camicia color grigio chiaro con una piccola targhetta appesa al taschino sinistro su cui è stampato in alfabeto romano il proprio nome accompagnato da una tessera di riconoscimento. Mi guardo intorno e noto un lungo tavolo alla mia destra su cui sono seduti alcuni studenti e alcuni adulti intenti a leggere e scrivere appunti sul loro notebook. Sono un po' spaesato e forse sto dando troppo nell'occhio così cammino con passo deciso verso il bancone di legno chiaro in cui trovo ad attendermi tre impiegate con un sorriso di cortesia stampato in faccia.
“Buongiorno come possiamo aiutarla?” chiede con tono gentile la più robusta delle tre.
“Salve, s-senta io...stavo cercando dei libri gialli o thriller....insomma sì” dico cercando di nascondere l'imbarazzo nella voce.
“Mi spiace signore ma su questo piano si trovano solo testi di saggistica e attualità. Per i romanzi deve salire al terzo piano. Lì troverà altri impiegati a sua completa disposizione”
Benissimo. Ho già fatto una figura di merda e sono all'interno dell'edificio da soli dieci minuti. Ringrazio e mi allontano dal banco informazioni. Proprio vicino agli scaffali leggo un grosso cartello: SAGGISTICA. Forse conviene che mi guardi intorno più attentamente. Ripercorro il cammino a ritroso, camminando sulla moquette che scricchiola lievemente sotto il mio passaggio. Mi dispiace abbandonare quell'atmosfera silenziosa e serena. Esco dal lungo corridoio e rientro nell'ascensore. Non sono da solo. C'è un impiegato accanto a me che mi sorride cordiale e mi chiede a che piano devo andare. Schiaccia il numero 3 per entrambi e appena le porte si chiudono un imbarazzante silenzio cala tra di noi. Arriviamo a destinazione e quando le porte si aprono vengo ancora accolto da quell'odore inconfondibile di libri e di carta. Sento il rumore di una fotocopiatrice che lavora instancabile in qualche angolo della sala. L'impiegato mi saluta e cammina sicuro di sé verso il lungo corridoio sparendo tra gli scaffali dei libri. Mi guardo ancora intorno, ma prima di tutto mi assicuro di trovarmi nella sezione appropriata. Trovo finalmente il cartello che mi informa di essere nel posto giusto. L'arredamento di questo piano è lo stesso del piano inferiore. Stessa moquette grigia, stesso tavolo con forma rettangolare, stesso bancone di legno e compensato. Entro in un corridoio su cui trovo una targhetta nera appesa in alto ma abbastanza visibile: SEZIONE N. 5 – HORROR E THRILLER. Percorro quel piccolo corridoio e inizio a leggere qualche titolo di alcuni romanzi. I libri horror non mi sono mai piaciuti granchè perchè li trovo noiosi e ridondanti; tranne quelli di Stephen King che ammiro per stile di scrittura e per la sua enorme originalità. Recupero uno dei suoi libri e lo sfoglio veloce. Si intitola 'Misery' e dal piccolo riassunto stampato sul retro sembra molto interessante. Ripongo il libro al suo posto e proseguo nella mia ricerca. Mentre leggo qua e là qualche titolo, mi guardo intorno cercando di scorgere dei lineamenti o altri segni distintivi dell'uomo della fototessera. La sala lettura sembra completamente vuota ad eccezione di qualche signora seduta sulle piccole poltrone sparse per ogni scaffale. Mi sposto nel piccolo corridoio affianco e mi accorgo di aver totalmente cambiato genere. Riconosco qualche autore fantasy e qualche titolo di alcune saghe famose come Harry Potter. L'odore di carta e inchiostro è così forte che sembra volermi soffocare da un momento all'altro, eppure è pericolosamente piacevole. Come una carezza sulla fronte. Sul lato opposto della sezione trovo dei libri di fantascienza che sono palesemente più vicini ai miei gusti personali. Prendo in mano un libro di Asimov e lo sfoglio curioso. Non ho mai letto niente di questo scrittore ma mi hanno sempre affascinato i titoli dei suoi romanzi. Ho sempre amato i paesaggi nei film di fantascienza: lo spazio, le navicelle, i pianeti extraterrestri. C'è qualcosa di infantile nei miei gusti personali e ne sono consapevole; eppure so che il giovane Akira che vive dentro di me sta ancora sognando di partire per un avventura alla scoperta dei confini dell'universo. Continuo a sfogliare il romanzo e lanciando qualche piccola occhiata ai capoversi di ogni capitolo.
“Buon pomeriggio signore. Ha bisogno di aiuto?” chiede una voce maschile dietro di me.
Mi volto immediatamente come se avessi sentito una bomba scoppiare alle mie spalle. “Mi dispiace non volevo spaventarla. Tuttavia...è vietato sfogliare o leggere i libri in piedi davanti agli scaffali. Può prendere tutti i libri che vuole, ma le consiglio di sedersi se vuole leggere. Se ha bisogno di cercare qualche titolo specifico può chiedere a me”
Mi volto e trovo davanti ai miei occhi un impiegato della biblioteca con indosso la divisa grigia composta di pantaloni neri molto stretti e una camicia perfettamente stirata. I capelli corvini sono raccolti in una coda leggermente disordinata; occhi color nocciola che mi scrutano con un aria di rimprovero. L'uomo davanti a me è in contro luce e non riesco a percepire perfettamente i suoi lineamenti così mi concentro su altri piccoli dettagli. È più basso di me e ha una corporatura minuta. Indossa un orologio casual al polso sinistro con un cinturino nero molto fine. Al suo collo è appeso un lungo portachiavi da cui pende una tessera rivestita da della plastica protettiva e un piccolo mazzo di chiavi. Le mani sono incrociate sul ventre e le braccia sono distese sul suo petto come se aspettasse di porgermi qualcosa da un momento all'altro.
“M-Mi scuso non conosco le regole della vostra biblioteca. Sono un po' sbadato”
Le parole escono da sole senza che io abbia il controllo su di esse. Solo dopo averle pronunciate mi accorgo di quanto suono ridicolo. Sono proprio un fallimento. Tossisco cercando di nascondere la vergogna.
“Capisco. Sta cercando un titolo in particolare?” chiede il commesso dai capelli neri.
“S-Sì....io stavo guardando, cioè sto cercando...Lolita di Nabokov” Complimenti Akira. Sei una testa di cazzo. Non so da dove diavolo abbia tirato fuori quel titolo e quell'autore ma ormai il danno è fatto. Non conosco minimamente quel libro né lo scrittore; è possibile che lo abbia sentito nominare da qualche collega in pasticceria ma sinceramente non ha mai catturato la mia attenzione.
“Ah, ma lei si trova nella sezione completamente sbagliata. Glielo faccio avere subito. Mi segua” dice lui sorridendo.
Capisco di aver fatto una figura di merda ancora più grossa di quella avvenuta al piano inferiore. Mi rassegno all'idea di essere apparso come un totale idiota davanti agli occhi dello staff di questo palazzo. Sta andando a monte tutto quello che mi ero prefissato. Mentre il commesso si sposta, in pochi attimi riesco a leggere il nome scritto sul tesserino attaccato con una clip alla tasca della camicia. Il sole illumina le lettere e leggo chiaramente:  MATSUMOTO T. Seguo il ragazzo dai capelli corvini che attraversa veloce il corridoio, entra in uno scaffale e lo percorre a metà, si ferma su una mensola e dopo pochi secondi estrae un libro dalla copertina rosa e leggermente consumata.
Si volta verso di me e finalmente posso osservare il suo viso illuminato dalle luci a neon della sala. Stessi occhi, stesso naso, stesse labbra. I capelli sono corvini, rispetto alla foto in cui la capigliatura è di un color castano chiaro, ma direi che questo è totalmente superficiale. Non ho più nessun dubbio. È lui.
“Ecco a lei. Ottima scelta. Adoro la letteratura russa. Vuole prenderlo in prestito?” mi chiede gentilmente. Mi soffermo ad osservarlo, osservo i suoi movimenti sicuri con cui sistema un gruppo di libri che si era accasciato in diagonale. Li spinge in posizione eretta con un piccolo slancio e poi torna a fissare la mia persona.
“In prestito? Ah beh...sì!” mi offendo mentalmente appena pronuncio la frase. Sta andando sempre peggio. Non so nulla di letteratura russa e sicuramente mi avrà scambiato per un appassionato di classici europei. Cerco di nascondere la mia faccia impacciata guardando altrove.
“Mi segua fino al banco prestiti” dice lui con tono sicuro. La tonalità della sua voce mi accarezza le orecchie e il cervello. È una voce maschile e bassa, ma è delicata ed avvolgente. Se dovessi associarla a qualcosa la assocerei ad un cubetto di cioccolata fondente all'arancia. Proprio così. La voce di quel giovane uomo è intensa e amara come il cacao, ma ha qualcosa di fresco e tenero come il profumo degli agrumi. Lo seguo fino allo sportello prestiti e continuo ad osservarlo. Ancora non ci credo di averlo incontrato e di averlo davanti a me a pochi centimetri di distanza. Potrei chiedergli tutto quello che voglio ed esprimergli tutta la mia gratitudine. Ho così tante cose da dirgli e allo stesso tempo vorrei solo pronunciare un profondo e sentito 'grazie'. Ma i miei pensieri vengono ancora interrotti da quella voce bassa e dolce.
“Mi scusi...per il prestito ho bisogno dei suoi dati personali e di un documento” dice lui fissando lo schermo del pc. Tiro fuori dalla borsa tutto l'occorrente.
“Akira Suzuki, sono nato il 27 maggio dell' anno 1979 e vivo a Tokyo. Devo fornire altro?”
“No basta così...copierò il suo codice fiscale e l'indirizzo dalla carta d'identità.”
Lo vedo intento a scrivere attentamente i miei dati sul pc senza staccare gli occhi dallo schermo nemmeno un secondo. Osservo la sua figura minuta e cerco di pensare in pochi attimi a come iniziare la conversazione. Non posso farmi sfuggire questa occasione. La sala è quasi vuota e non sembra esserci molto lavoro per il personale. Posso concedermi di fare lo strafottente e distogliere un commesso dal suo lavoro. Mentre lui scrive io penso ad una cosa intelligente da dire.
Alza lo sguardo su di me senza lasciarmi il tempo di pensare.
“Ecco a lei.” afferma porgendomi il libro dalla copertina rosa.
Non posso andarmene a mani vuote così. Devo almeno provarci.
“Senta, vorrei chiederle una cosa” sussurro a denti stretti.
Spero che non mi abbia sentito. Ma purtroppo oggi la fortuna non è dalla mia parte.
“Sì?”
“Ho una cosa importante da dirle...io....no, non io....lei, cioè io” mi interrompo sentendo la lingua fatta di cemento e la gola arida come un deserto. Sto facendo una figura terribile. Che cazzo mi sta succedendo?
“.....è una bellissima biblioteca questa” continuo arrendendomi.
“Concordo. È un edificio bellissimo. Ma cosa voleva chiedermi?”
Cazzo.
“Ehm...entro quando devo restituire questo libro?”
“Ha trenta giorni di tempo per leggerlo, ma ovviamente può riportarlo anche prima” risponde sorridendo cortesemente.
Lo ringrazio senza degnarlo di uno sguardo, consapevole della brutta figura appena fatta. Lo saluto e mi dirigo verso l'ascensore con aria afflitta. Schiaccio il pulsante 'zero' senza guardarmi intorno. Osservo la copertina del libro rosa consunto sulla cui copertina è stampata una foto in bianco e nero tratta da un film anni '60, probabilmente uno dei tanti film ispirati a questo famosissimo romanzo.
Arrivo al piano terra ed esco di fretta dalla biblioteca buttandomi nel chiasso pomeridiano del cortile di quel quartiere di Yokohama. Mi ritrovo con un libro tra le mani per cui non ho il minimo interesse, ho appena incontrato la persona che mi ha salvato la vita e tutto quello che ho saputo dirle è stata solo una terribile cazzata per cui ho fatto la figura di un idiota ritardato. Persino un pazzo direbbe che oggi non è proprio la mia giornata. Mi avvio verso la stazione pensando di non voler più tornare in un posto del genere.
















Buongiorno fanciulli e fanciulle! Sono tornata più velocemente del previsto u.u ero troppo ansiosa di postare questo capitolo che come avrete capito è il  capitolo più importante della storia. Finalmente è successo qualcosa. Tuttavia non sembra essere finita bene per il nostro protagonista. D'altronde la cosa è molto delicata e lui purtroppo non è stato abbastanza coraggioso. Secondo voi Akira tornerà in quella biblioteca? 
A proposito di biblioteca. L'edificio che ho descrito esiste davvero -> 
http://www.city.yokohama.lg.jp/kyoiku/library/foreign/e-index.html  e se cercate le foto su google capirete subito che mi sono ispirata totalmente a quella reale. Io la trovo bellissima *_* Akira non è della mia stessa idea visto che ha avuto un attacco di panico appena ci ha messo piede. Poverino ;__; si è sentito in colpa per tutto quello che ha fatto. D'altronde non si può negare la verità. Akira ha stalkerato un perfetto sconosciuto e si è presentato in un posto in cui non sarebbe mai dovuto andare.
Ma parliamo del nostro Rukino <: non è bellissimo? *_* i capelli corvini ;___; proprio come nel pv di Ugly. Infatti mi sono ispirata proprio a quel look per il Takanori di questa storia. Secondo me Ruki sta divinamente con i capelli corvini ;; sembra una geisha o una principessa delle tenebre ;; 

aspetto i vostri commenti perchè so che ci saranno u.u  

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Capitolo 10
*** Dieci. ***


X.












Finisco di impastare l'ultima ciotola di burro e zucchero cercando di non sporcare tutto il tavolo. Oggi la signora Wazuka è di cattivo umore e vorrei evitare di farla arrabbiare ulteriormente quando tornerà al negozio. Generalmente la signora non resta quasi mai nelle cucine o in sala; preferisce passare il tempo nel suo studio al piano superiore in cui siede dietro una grande scrivania perfettamente ordinata su cui tiene appuntati su una grande agenda tutte le ordinazioni e gli appuntamenti dei clienti. Oggi è venuta in cucina a salutare i pasticceri e ha iniziato ad urlare che le crostate erano quasi tutti bruciacchiate e le creme erano troppo poco dolci. Alcuni miei colleghi, Yuu compreso, hanno dovuto buttare alcune torte e riniziare da capo. Spero che i miei cookies americani siano usciti abbastanza bene. Non ho voglia di rimanere qui ulteriormente solo perchè la signora oggi ha la luna storta. Cerco di impegnarmi al massimo evitando di sbagliare le dosi per la ricetta.
Aggiungo l'estratto di vaniglia, la farina setacciata e le uova e continuo a mescolare. Infine aggiungo le gocce di cioccolato e mescolo fino ad avere un composto omogeneo e abbastanza solido. Con le mani prendo dei pezzi di impasto e li maneggio fino a ricavarne piccole palline che poso ordinatamente su un vassoio ricoperto di carta da forno. Dopo aver impastato circa cinquanta palline, inforno a 180° e mi tolgo i guanti di plastica esausto. Mi asciugo la fronte con un panno e mi appoggio al banco frigo cercando di rilassarmi per pochi attimi. Guardo l'orologio che mi ricorda i venticinque minuti che mancano alla fine del mio turno. Quando l'ultimo vassoio di biscotti sarà pronto potrò andare a casa.
Dopo mezz'ora di cottura sforno i biscotti fumanti e profumati e ne assaggio uno. È delizioso, proprio come quelli che ho cucinato questa mattina. Li appoggio su un piatto da portata e mi affaccio alla sala scostando le tende color rosa e fucsia che separano la cucina dal negozio. Mi guardo intorno e chiamo Yuu a gran voce.
“Yuu, lascio i cookies qui e stacco il turno! Ci vediamo”
Il mio collega mi risponde con un cenno della mano e torna immediatamente a concentrarsi sull'ordine di un gruppo di clienti appena entrati. Torno dentro la cucina e mi dirigo verso il camerino. Mi spoglio togliendomi i vestiti e la divisa da cuoco, ripiego tutto con cura e lo ripongo nel mio armadietto. Mi rivesto e recupero la mia borsa. Appena esco sento il telefono squillare.
Guardo il display e non mi stupisco di trovare il nome del mio migliore amico.
“Moshi moshi”
“Stronzo non dirmi che sei a lavoro!”
“Buon giorno anche a te Kouoyou” dico io con aria sarcastica.
“Akira dove sei?”
“Sono a Ikebukuro, ho appena staccato il turno”
“Devi tornare in biblioteca. Ricordi cosa ti ho detto l'altra sera? Non puoi mollare ora.”
“Lo so Kouyou, ma sinceramente non mi interessa. Ormai non ho più nessun tipo di interesse nel ringraziarlo. Mi basta così.”
“Quel libro però devi restituirlo prima o poi. Il che significa che prima o poi dovrai rivederlo.”
“Non è detto. Magari il giorno che mi presenterò io lui non sarà a lavoro e così non lo rivedrò mai più”
“Akira sei un'idiota. Devi ripensare a tutto quello che ti ho detto. Prendi la moto e corri laggiù. Hai preso un impegno con te stesso e non puoi tradire la tua promessa.”
Lo saluto e chiudo la chiamata. Osservo le mie punte dei piedi. Rimango fermo immobile e in piedi davanti alla stazione dei treni. Non ho voglia di muovere un singolo muscolo. L'altra sera sono stato a casa di Kouyou e gli ho racconto tutto quello che è successo in quella biblioteca. Gli ho raccontato i miei fallimenti e come mi sono comportato da idiota davanti a lui. Gli ho raccontato ogni mia impressione e ogni mio pensiero. Parlavo così tanto che quando abbiamo finito di chiacchierare era già mattina e il sole stava facendo capolino dai tetti delle case. Kouyou ha detto che sono un completo cretino e ha ragione. Non ho avuto il coraggio di dire nulla. Ma come diavolo posso dire una cosa del genere in quel modo? Mi avrebbe potuto tirare un pugno o uno schiaffo e a quel punto non avrei nemmeno potuto avere il diritto di replicare. Non è così semplice dire una cosa così tanto delicata. Kouyou mi ha consigliato di dirglielo fuori dalla biblioteca, magari nel cortile, dopo che il suo turno è terminato. Ma anche questa opzione non mi piace. Sembrerei uno stalker o un maniaco con cattive intenzioni mentre l'unica cosa che voglio fare è dire semplicemente un 'grazie'.
Sono così confuso. Forse ho bisogno di tornare a casa e dormire un po'. Prendo la metropolitana e arrivo a casa in un tempo minore di quello che impiego di solito. Decido di andare ad allenarmi in palestra per schiarirmi le idee. Potrei incontrare Jonathan visto l'orario tranquillo. Mi ha detto che ama allenarsi nei momenti in cui la palestra è poco affollata. Probabilmente lo troverò lì e se mi sbrigo riesco ad allenarmi insieme a lui. Recupero il borsone ed esco di casa, sforzandomi di non pensare alle parole di Kouyou.









*








Destra, sinistra. Una piccola inclinazione laterale e poi di nuovo diritto. La velocità deve essere proporzionata all'inclinazione graduale e se non c'è equilibrio tra le due cose si rischia di cadere e farsi molto male. Il segreto sta nel non stare troppo eretti né troppo storti. È importante sentire il baricentro di noi stessi. Bisogna diventare un'unica cosa con la motocicletta. Il mio baricentro è il baricentro della moto. Devo inclinarmi ma tenere fermo il centro del mio corpo. Mio zio mi disse quando ero piccolo che guidare una moto è qualcosa che si impara con il tempo e che può diventare quasi una forma di arte. Un po' come suonare il piano o dipingere. Il mio buon vecchio zio Hajime era una grande appassionato di moto. Ogni fine settimana prendeva la sua fedele Suzuki RM 125 targata 1991 e sfrecciava per le strade di Shizuoka e amava andare ai ritrovi di appassionati di moto e macchine da corsa. È lui che mi ha passato questa grande passione. Quando ero molto piccolo mi regalava i piccoli modellini di motociclette d'epoca tutte le volte che andavo a trovarlo. Così quando avevo sedici anni iniziai a mettere dei soldi da parte per comprarmi la mia prima moto. Me la ricordo ancora. Era una Yamaha usata e molto vecchia, però aveva ancora tanta energia e infatti mi ha accompagnato per cinque anni della mia vita. Non dimenticherò mai la sua vernice rovinata, il motore rumoroso e il suo sedile scomodo. Un po' come il primo amore. Quella moto è stata la mia prima fidanzata.
Sfreccio veloce nelle curve autostradali fino a che non scorgo il centro cittadino sulla mia sinistra. Esco alla mia uscita e pago il pedaggio. Entro in città e riduco la velocità per evitare pericolosi inconvenienti. Chiedo informazioni a qualche passante perchè non sono mai stato in questa zona della città in motocicletta e ho paura di perdere tempo inutilmente a cercare una strada percorribile dai veicoli. Continuo a percorrere il grosso viale indicatomi da un gentile signore che mi ha consigliato di evitare certe vie del centro che sono troppo affollate. Mi fermo in un parcheggio tranquillo non troppo lontano dal grande viale alberato. Spengo la moto e scendo con agilità spostando il cavalletto. Mi sfilo il casco e lo ripongo al suo posto. Mi assicuro di aver chiuso la moto e mi avvio verso il parco. Stringo il libro rosa nella mano destra e il casco nell'altra. Forse questo abbigliamento sportivo con tanto di giacca di pelle non è adeguato ad una biblioteca così elegante e raffinata, ma ormai non posso tornare indietro. Ho cambiato idea all'ultimo minuto. Ho lanciato il borsone che uso per la palestra nel mio garage e ho recuperato subito la mia moto. Ho infilato il casco senza pensare a nulla e sono partito. Alla fine vince sempre Kouyou; forse perchè mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso. Dopo una decina di minuti scorgo l'entrata del grande edificio rosa. Non mi perdo in troppi pensieri ed entro dall'ingresso. Nonostante sia solo la seconda volta che mi trovi qui, mi sento già a casa. Le biblioteche e le librerie hanno il potere di farti sentire sempre a casa; ti fanno sentire sempre accettato. Non importa quanti anni hai, come ti vesti, che musica ascolti. Tutti possono entrare in una biblioteca, sedersi e leggere un buon libro.
Percorro la strada che mi porta al terzo piano senza indugiare. Mi sento così a casa che sembro un membro del personale nonostante sia vestito con i pantaloni neri e la giacca di pelle. Solo quando arrivo al mio piano mi guardo i piedi e mi accorgo di essermi lasciato gli anfibi. Non è proprio il massimo vedere un uomo tornare a restituire un libro di letteratura russa vestito come un centauro che sta appena andando ad un ritrovo di Harley Davidson. Non posso stupirmi se appena metto piede in sala la gente inizierà a guardarmi male. Appena la mia scarpa tocca la moquette liscia, sento il pavimento scricchiolare così forte che mi sembra che persino le altre persone sugli altri piani possano sentire il rumore che sto facendo camminando. Percorro il corridoio indugiando il meno possibile così da evitare di disturbare troppo i lettori seduti con i miei pesanti anfibi. Mi guardo intorno cercando Matsumoto con lo sguardo ma non trovandolo. Mi accorgo che c'è un ragazzo seduto dietro al bancone e riconosco che è lo stesso che avevo visto lunedì insieme a Matsumoto. Continuo a cercarlo con lo sguardo ma non lo vedo. Così mi prendo un po' di tempo per pensare a cosa fare. Entro in uno scaffale per dare un'occhiata a qualche libro; in caso di domande scomode voglio avere qualche cosa di intelligente da dire. Leggo i nomi di qualche autore molto famosi come Chuck Palahniuk, Banana Yoshimoto e George Martin. Sono nella sezione 'contemporanea' e me ne accorgo perchè è quella con gli scaffali più forniti. Cerco qualche altro titolo e mi soffermo a leggere alcune trame. Dopo svariati minuti mi ricordo di quello che mi è stato detto giorni fa. Non posso sfogliare i libri in piedi. Rimetto tutto apposto assicurandomi che nessuno mi abbia visto. Decido di cambiare aria e spostarmi nel prossimo scaffale. Giro l'angolo e mi scontro contro qualcosa di estremamente duro. Sento dei forti rumori che rimbombano sul pavimento della moquette. Mi volto verso la fonte di quel frastuono e vedo una manciata di libri caduti rovinosamente in terra e l'uomo dai capelli corvini disteso sul pavimento. Lo aiuto ad alzarsi e raccolgo tutti i volumi da terra accorgendomi che sono piuttosto pesanti.
“Ci siamo scontrati e abbiamo fatto un bel chiasso” dico io sorridendo.
Matsumoto mi fissa curioso e poi accenna un sorriso. “La ringrazio. Può rendermi i libri ora” dice lui.
“Si figuri. Chiedo scusa inanzi tutto. Posso aiutarla io a rimetterli apposto, sono veramente pesanti” dico sforzandomi di essere gentile.
“Molto gentile da parte sua ma faccio questo lavoro da troppi anni. So come si portano dei libri anche se sono pesantissimi. Se non mi fossi scontrato con lei probabilmente non sarebbe successo nulla.”
Colpito ed affondato. Gli sto pure antipatico. Perfetto. Sarà un bel casino parlare con lui. Mentre penso ad un modo per uscire dalla situazione, i suoi occhi mi scrutano curiosi.
“Ma lei è l'uomo di qualche giorno fa?” chiede lui con una tonalità sorpresa. Non capisco l'accezione della sua domanda e così non rispondo. “Come mai è qui? Ha già finito di leggere il libro di Nabokov?”
“Sì” rispondo “Vorrei restituirlo.”
“Capisco. Mi faccia rimettere a posto questi volumi e sono subito da lei.”
Lo seguo con lo sguardo e lo vedo sparire dietro uno scaffale di libri antichi. Non stacco lo sguardo da quel punto della stanza nemmeno per un secondo. Come posso iniziare la discussione? Questo non è assolutamente il posto più adatto. Raccolgo tutto il coraggio che ho dentro e assumo una postura più sicura di me. L'uomo dai capelli corvini riappare poco dopo e mi passa davanti senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Lo sento sussurrare un 'mi segua' e così percorro il corridoio dietro di lui.
“Vuole prendere un altro libro in prestito? Sembra una di quelle persone che divorano i libri in pochi giorni. Forse le conviene prendere in prestito qualche libro in più”
“Non saprei. Lei può consigliarmi qualcosa?” chiedo io nascondendo ogni tipo di insicurezza. Lo osservo con uno sguardo severo, non voglio che pensi che sia un idiota.
Mi guarda per pochi secondi prima di rispondere. “Non conosco i suoi gusti. Non saprei proprio cosa consigliarle.”
“Qualsiasi cosa va bene.”
L'uomo sparisce dietro ad un mobile alto e grosso. Poco dopo torna di fronte a me e mi porge un libro.
“Vedo che le piacciono i classici. Mi sento di consigliarle questo. Non solo è un classico, ma è anche un romanzo di avventura e di fantasia. È molto rilassante secondo me, anche se lo stile di scrittura è un po' difficile. Spero sia di suo gradimento”
Leggo immediatamente la copertina: I VIAGGI DI GULLIVER – JONATHAN SWIFT. Mai sentito. Nascondo subito la faccia sorpresa.
“Ne ho sentito parlare. La ringrazio. Lo leggerò con piacere”
Faccio la mia richiesta di prestito e alla fine del procedimento prendo in mano la situazione. Ho tutto sotto controllo e non posso sbagliare ora. Sono tranquillo e non ho nulla da perdere, perchè non provare?
“Senta. Non vorrei sembrarle una persona con cattive intenzioni ma...vorrei chiederle scusa per averla scontrata prima e per essere un cliente così rompiscatole. Posso offrirle un caffè? Posso aspettare la fine del suo turno ovviamente, ho tanto tempo a disposizione.” la semplicità con cui ho pronunciato queste parole stupisce anche me. Attendo con ansia uno schiaffo o un pugno che alla fine non arriva. Mi fissa con aria leggermente sorpresa e imbarazzata. Abbassa dolcemente lo sguardo guardandosi le mani.
“Ma non c'è bisogno di scusarsi  e poi-”
“Insisto.”
Non penso di essere stato così sicuro e determinato in tutta la mia vita. Sono così concentrato che non mi accorgo nemmeno che la persona di fronte a me ha appena pronunciato qualcosa. Sorrido.










“Questo caffè fa schifo!” dico io posando il bicchiere sul tavolo con una faccia un po' disgustata.
La persona davanti a me ride.
“Oggi sono stato un fallimento continuo. Ho sbattuto contro un commesso e ho fatto cadere in terra dei pesantissimi volumi, per non parlare del fatto che ho disturbato ogni singola persona seduta in quella sala lettura. E per completare il tutto, ho offerto a quel commesso un caffè schifoso. Poteva andarmi meglio” dico io sorridendo.
L'uomo dai capelli neri risponde al mio sorriso guardandomi negli occhi. “Non fa così schifo suvvia. E comunque quel commesso la ringrazia per il caffè, ma non occorreva. In fondo capita di scontrarsi e ancora di più di far cadere qualche libro in terra” dice lui nascondendosi una ciocca ribelle dietro l'orecchio. Un piccolo neo dalla forma rotonda cattura la mia attenzione.  Quel delicato puntino scuro spicca sul lato sinistro del suo mento donando al suo volto un’infantile tenerezza. Non lo avevo mai notato prima.  C’è da dire che la foto di cui ero in possesso riusciva a malapena a svelarmi le caratteristiche più importanti. Osservandolo meglio noto un altro neo sul collo,  leggermente più grosso e scuro. 
“Però deve ammettere che sono stato proprio un grande rompiscatole. Ho disturbato un sacco di persone, ho infranto le regole della biblioteca e l'ho quasi uccisa. Come minimo devo portarle qualcosa in regalo per farmi perdonare”
“Ancora? Ma le ho detto che non occorre!” l'uomo ride e la sua risata riempie l'aria accarezzando le mie orecchie. Non avevo mai udito una risata simile; è una risata dal tono maturo e profondo, ma allo stesso tempo mi ricorda qualcosa di infantile. Osservo i suoi occhi. Sono color nocciola e sembrano riflettere tutte le luci presenti nella stanza.
Sono ormai trenta minuti che io e Matsumoto siamo seduti in questa caffetteria. L'ambiente è molto carino e ricorda i diner bar americani, ma molto più sofisticato ed elegante. Tuttavia non conoscendo il posto mi sono fidato solo del listino prezzi e in verità non sono soddisfatto del caffè. In pochi secondi il mio latte macchiato alla vaniglia è diventato una poltiglia di un colore davvero poco invitante. L'uomo davanti a me ha ordinato un americano e non ha fatto commenti sulla qualità; evidentemente sono una persona troppo complicata e mi faccio troppi problemi.
Cerco di trovare una scusa per iniziare l'argomento ma sembra sempre troppo difficile.
“Mi scusi lei mi ha detto di chiamarsi Matsumoto, vero?”
“Sì! Matsumoto Takanori. Lei invece è Akira Suzuki. Non so perchè ma riesco a memorizzare molto bene i nomi e i cognomi dei nostri clienti.” dice lui sorseggiando il suo caffè.
“Ammirevole. Si ricorda anche quando sono nato?”
“Mi sta chiedendo troppo” risponde ridendo e coprendosi la bocca con la mano.
Guardo attentamente ogni suo singolo movimento e particolare fisico. Sembra un uomo molto misterioso che non ama raccontare molto di sé. Lo capisco da come muove le mani, da come tiene stretta la tazza di caffè e da come sta seduto. Assume delle posizioni insignificanti. Non sembra né interessato né annoiato. Non riuscirei a capire cosa pensa nemmeno se lavorassi come criminologo o psicologo nel corpo di polizia. Tossisco schiarendomi la voce.
“Sa che...io conoscevo già il suo nome?” domando con un leggero tremolio nella voce.
“Davvero? E come?” il suo tono si fa più curioso.
'Perchè lei è la persona che mi ha salvato la vita.'
Sorrido spostando la tazza di latte macchiato leggermente verso di me. “Perchè lo avevo letto sul suo cartellino appeso alla sua camicia”
L'uomo minuto scoppia a ridere di nuovo e fa di tutto per nascondere il suono buffo della sua risata.  
'Akira sei una perfetta testa di cazzo' mi ripeto nella mente. Mi sono fatto sfuggire l'ennesima occasione.
“Posso dirle una cosa signor Suzuki? Dall'abbigliamento pensavo fosse una di quelle persone egoiste e superbe che in verità non sanno nulla. Invece lei mi sembra un uomo molto intelligente ed è pure molto buffo”
“Buffo? Spero sia un complimento”
Non risponde ma fissa un punto preciso davanti a sé regalandomi un altro dei suoi sorrisi. Ho ancora qualche occasione per fissarlo e rubare qualche altro piccolo dettaglio di lui. È un uomo dannatamente curioso e oscuro. Mi sono accorto che quando parla gesticola parecchio e così mi sono concentrato sulla forma delle sue mani. Sono due mani curatissime, piccole e aggraziate. Guardandole meglio non sembrano per niente delle mani virili. Non hanno calli né vesciche e le unghie sono perfettamente limate ad arco. Sono simmetriche e rosate e sembrano fatte di porcellana. Mi chiedo quanta cura metta nel farsi la manicure così spesso. Il suo volto è liscio e limpido, mi ricorda la mattina di una giornata la mare in cui l'acqua è azzurrina e così chiara che si possono contare i piccoli sassolini posati sul fondo. I capelli sono leggermente mossi e sono castano scurissimo, quasi neri. Riesco a scorgere dei piccoli riflessi grazie alla lampadina posata sulle nostre teste che illumina tutto il tavolo. Nel complesso non sembra un uomo aggressivo o violento. Anzi...ad essere sinceri non me lo sarei mai aspettato così. Matsumoto Takanori è il ragazzo più minuto e magro che abbia mai conosciuto. Ha un qualcosa di femminile dentro di sé...forse perchè il suo corpo è così delicato e longilineo che potrebbe facilmente essere scambiato per una ragazza. Eppure ha una voce molto profonda, ha delle piccole basette e fuma tantissimo. Tuttavia riconosco che il suo volto ha dei lineamenti molto delicati, i suoi occhi hanno una forma particolare e le sue labbra sembrano molto morbide. È troppo femminile per i miei gusti, non riuscirei a trovarlo affascinante come farei con altri uomini.
“Riprendendo il discorso....lei è un amante dei classici da quanto ho capito. Quali sono i suoi scrittori preferiti?”
Improvvisamente la saliva mi va di traverso e tossisco un paio di volte.  
“I miei preferiti? Beh Nabokov, Goethe e...Stendhal” recupero qualche nome a caso da quello che riesco a ricordare circa le mie ricerche su internet o in qualche bookshop. Se fossi il personaggio di un cartone animato, sicuramente in questo momento mi asciugherei il sudore freddo sussurrando un 'fiuuu'. Ma rimango immobile nascondendo l'insicurezza.
“Wow gran bei gusti. Anche io li adoro....tuttavia i miei preferiti sono la Austen, Swift e Allan Poe. Sono tre generi totalmente diversi eppure sono molto collegati tra loro. Sono tre autori che in qualche modo hanno rivoluzionato la letteratura e il modo di vedere la società. Non so cosa darei per tornare indietro nel tempo nella loro epoca e stringere la mano ad ognuno di loro. Sarebbe un sogno” sussurra lui compiaciuto.
Non rispondo ma appoggio i gomiti sul tavolo mostrando profondo interesse per quello che ha da dire. Sembra molto coinvolto nella discussione e mi sembrerebbe uno spreco interromperlo.
“Adoro leggere. Leggo di tutto: romanzi, novelle, opere teatrali, prosa, poesia e persino alcuni testi di saggistica. Mi piacciono tantissimi generi, tranne i thriller e i polizieschi che mi annoiano un po'. Leggere è tutto per me. È la mia più grande passione; infatti sono felicissimo di lavorare in un luogo del genere. Non solo perchè è rinomato, grande e ordinato...ma soprattutto perchè entro sempre in contatto con i libri. Non sono vanitoso, ma a volte devo ammettere che amo il mio lavoro e lo considero uno dei migliori al mondo. A proposito, lei che lavoro fa?”
Mi schiarisco la voce, preso alla sprovvista. “Sono un pasticciere” esclamo con naturalezza.
“Ma è un lavoro bellissimo! Io non so cucinare quasi nulla. Me la cavo così male con il salato, che con i dolci vado ancora peggio. Sono proprio negato e infatti cucino poco e spesso mangio fuori casa o compro il cibo precotto.” parla gesticolando e ridacchiando. I suoi occhi vagano per tutta la stanza. Non riesco a capire se è impaurito, nervoso, scocciato o annoiato. Spero nessuna delle quattro opzioni.
“Io sono totalmente l'opposto!” dico ridendo “Odio il cibo già preparato. Mi piace cucinare e mangiare quello che io stesso ho cucinato. Adoro comprare gli ingredienti freschi e preparare una ciotola di ramen caldo. E con i dolci beh...me la cavo” dico grattandomi il mento leggermente barbuto.
“Ma lei...E' pure uno sbruffone!” sussurra regalandomi un altro dei suoi sorrisi. Osservo la sua dentatura: l'arcata superiore è composta da denti non troppo grossi e molti simili tra loro; la dentatura ha un colore tendente verso l'avorio molto piacevole da guardare. Il suo timido sorriso è contornato da una bocca carnosa e naturalmente rosea.
“Pure sbruffone? Mi ha detto che sono intelligente, buffo e sbruffone....dovrò pure avere un difetto”
Lui mi guarda tirando fuori dalla borsa il pacco rosso e bianco di Malboro ed estraendo elegantemente una sigaretta stringendola saldamente tra le dita. Scoppia a ridere allontanando il busto dal tavolo e appoggiando la schiena allo schienale della poltrona su cui è seduto. La sua risata viene nuovamente coperta dalle sue piccole mani posate davanti alla bocca.
“Sentiamo...Mr Sbruffone, le è piaciuto il libro di Nabokov? La letteratura russa non è una cosa per tutti” dice lui con un tono moderato, come un vecchio saggio che dona consigli alla gente del suo villaggio.
Merda. E ora cosa dico? Sapevo che prima o poi sarebbe finita male. Arrendiamoci all'ennesima brutta figura.
“E' un libro molto intrigante, la trama ti coinvolge così tanto che a volte mi è stato difficile staccarmi totalmente dalla personalità del protagonista. La narrazione ha un ritmo molto lento ma cadenzato” dico io sforzandomi di essere il più convincente possibile. Lui mi osserva curioso.
“Wow non avevo mai sentito parlare di Lolita in questo modo.”
Non capisco se sia un apprezzamento o meno, ma decido di non indagare. Voglio evitare altre domande scomode. Lui però non sembra soddisfatto.
“E' strano però che lei abbia scelto proprio un libro del genere. Ha letto altri romanzi simili?”
Mi sento come se la terra sotto i miei piedi si stesse sbriciolando e io stia quasi per cadere in un burrone senza fine. Afferro i lati del piccolo tavolo con entrambe le mani come se quel mobile potesse aiutarmi in qualche modo a rispondere alla domanda. Mi guardo in giro cercando di prendere tempo. Appena apro bocca vengo subito interrotto dalla suoneria di un iPhone.
“Chiedo scusa”
“Prego” rispondo io.
Matsumoto si alza e si sposta in un angolo del locale rispondendo al telefono. Tiro un sospiro di sollievo. Questa volta mi è andata bene, ma la prossima volta mi aspetta una bella umiliazione. Dovrò prepararmi per bene a quel momento. L'uomo dai capelli corvini parla a voce bassa e non riesco a capire nulla di quello che sta dicendo. Giocherella con la sigaretta ancora integra e intatta e dopo poco riattacca. Si avvicina al nostro tavolo con passo leggermente affrettato.
“Mi dispiace interrompere così ma mi sono ricordato che stasera ho un impegno urgente. Devo scappare. La ringrazio tuttavia per il caffè. È stato molto gentile da parte sua” dice lui offrendomi l'ennesimo sorriso.
Ricambio stringendoli la mano amichevolmente. La sua stretta è delicata ma sicura. Sorrido.
“Non si preoccupi. È stato un piacere per me, e la ringrazio per aver accettato. Mi dispiace averle fatto perdere tempo.”
“Assolutamente no!” dice lui guardandosi le punte delle scarpe.
Entrambi ci rivestiamo in fretta, recuperiamo le nostre cose e usciamo dalla caffetteria. Fuori tira un vento freddo ma piacevole. Chiudo la zip della mia giacca di pelle e mi assicuro di avere il casco con me. Mi guardo intorno leggermente imbarazzato, non sono mai stato bravo con i saluti e i ringraziamenti.
“Io vado di qua. Lei?”
“Ho la moto parcheggiata dalla parte opposta”
“Capisco” dice lui accendendosi la sigaretta. Sento lo scatto secco dell'accendino scorrere veloce sotto il colpo del suo dito. La fiamma illumina il suo volto e fa risplendere il riflesso dei suoi occhi. Aspira forte la sigaretta e soffia fuori una nuvola di fumo che si dissolve in pochi secondi. Mi soffermo ad osservarlo fumare in silenzio. Sento il cervello vuoto. In questo momento non saprei nemmeno dire dove mi trovo né quale sia il mio nome.
“Beh allora io vado. Grazie ancora! Spero di vederla presto in biblioteca così mi fa sapere cosa ne pensa del libro che le ho consigliato. Buona serata” mi sorride e mi volta le spalle, perdendosi nel viale affollato.
Lo saluto da lontano e torno sui miei passi con la mente così vuota da non sentire nemmeno il telefono vibrare nella mia tasca.































Eccomi qua! Dopo una settimana ogni dubbio può essere rimosso! Akira è tornato in quella biblioteca. Eppure non è così facile  come sembra. Come si può dire ad uno sconosciuto che ci ha salvato la vita? Io non mi sono mai trovata in una situazione così ma conoscendo la mia timidezza sono sicura che non riuscirei  a spiccicare parola...e il nostro protagonista sembra proprio che non sappia fare di meglio ;_; non riesce proprio a dire nulla a Takanori e cambia sempre discorso, tra l'altro comportandosi in maniera ambigua e buffa. Secondo voi Takanori sospetta qualcosa? Oppure non ha capito proprio nulla? Fatto sta che Takanori sembra un ragazzo molto misterioso e che sta sulle sue....forse non vuole avere niente a che fare con Akira. Magari non si rivedranno mai più <:  devo confessare che Takanori è b e l l i s s i m o ...non pensate anche voi? Ma poi immaginatelo....La pelle chiara, totalmente struccata e con la faccia pulita e i capelli sicurissimi quasi neri. Un angelo in pratica ;_; Vorrei che immaginate Takanori d'ora in poi come un ragazzo molto 'anonimo' che si veste con colori molto insignificanti e con uno stile casual-elegante. Anche Akira è un uomo molto casual, ma come abbiamo capito a volte ama vestirsi da centauro con le giacche di pelle e gli stivali neri. Tuttavia la cosa importante che vi chiedo è che vi stacchiate un po' dal Reita e Ruki dei the Gazette. Provate a pensare a Reita e Ruki come appaiono nelle foto o video di backstage o degli aeroporti. Indossano vestiti anonimi e in tinta unita, sono senza trucco e con i capelli lasciati al naturale e Reita non ha la noseband. Akira e Takanori della mia fanfiction sono un po' i Reita e Ruki che arrivano in aeroporto, oppure il Reita che esce la domenica in incognito a fare una passeggiata o un Ruki che esce la sera per portare a spasso Koron :3 è molto più bello pensare ai personaggi sotto questo punto di vista. Akira e Takanori sono due uomini giapponesi e lavoratori nella media che per caso o per destino si sono incontrati. Eh beh.....ora siamo nel vivo della storia e potrebbe succedere di tutto c: grazie di aver letto e...Alla prossima! 




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Capitolo 11
*** Undici. ***


XI.










Alle tre in punto mi ritrovo davanti a quell'edificio rosato e decorato con le finestre a specchio che riflettono la luce del Sole pomeridiano. Tentenno leggermente prima di avviarmi verso il cortile ed entrare nel grande edificio. Prendo l'ascensore e salgo al terzo piano. Sono passati cinque giorni da quando ho preso questo libro in prestito e, strano ma vero, ho già finito di leggerlo. Non avevo mai letto libri simili prima d'ora. Non sono molto informato sulla letteratura inglese del diciottesimo secolo, eppure la trama mi ha colpito fin da subito. Il libro parla di un uomo di nome Gulliver che intraprende un viaggio verso delle isole lontane.  Il protagonista rimane vittima di un naufragio e si ritrova su un isola abitata da esseri piccolissimi. Nelle sue avventure Gulliver incontra poi, nel corso della storia, degli esseri altissimi che abitano un’altra isola sperduta in mezzo al mare  e infine sbarca su un luogo bizzarro dove i cavalli parlano; in tutto il racconto non mancano personaggi grotteschi,  caricature e battute satiriche.  Per certi versi è un po' inquietante ma io mi sono ritrovato molto nel protagonista, un uomo che si trova ad essere sempre diverso in ogni situazione. Questo libro assomiglia un po' alla storia della mia vita.
Mentre rifletto, cammino veloce nella sala lettura della biblioteca di Yokohama e mi dirigo immediatamente verso il bancone dei prestiti trovandolo vuoto. Aspetto qualche minuto e dopo un po' accenno un colpo di tosse. Da uno scaffale interno vedo spuntare una testa poco familiare. È un uomo dai capelli castani scalati, la pelle olivastra e gli occhi marroni svegli e attenti. È alto e atletico e con poche falcate raggiunge il banco prestiti sistemandosi nella postazione abituale del signor Matsumoto. Mi sembra di averlo già visto nelle settimane scorse. Probabilmente è un suo collega. Mi sorride scoprendo due piccole fossette sulle guance che contornano il suo viso donandogli un'aria allegra e spensierata.
“Buongiorno sono Yutaka, come posso aiutarla?”
Preso alla sprovvista rispondo senza pensarci “Dove è il suo collega, il signor Matsumoto?”
Appena pronuncio quella domanda, il sorriso si spegne dal suo volto, scrutandomi attentamente come se avesse appena visto qualcosa di sospetto in me. Forse non mi sono rasato per bene. Forse la camicia sotto la mia giacca di pelle è sgualcita o sporca. Oppure ho sbagliato a porre quella domanda.
“Lei è...un amico?”
“V-veramente no, però vorrei par-”
“Beh allora può dire a me” dice lui tornando a sorridermi ma in maniera visibilmente falsa. Non sembra molto convinto da quello che ho detto e infatti i suoi occhi continuano a guardarmi con attenzione come se avesse paura che potessi tirare fuori dalla giacca una pistola da un momento all'altro. Non rispondo, non sapendo cosa fare né dire. Mi avrebbe fatto piacere parlare con Matsumoto anche solo per ringraziarlo del consiglio letterario e soprattutto per dirgli quella cosa.
Mi guardo le punte degli anfibi sentendomi in profondo imbarazzo.
Lo sento avvicinarsi al bancone. “Senta, parliamoci chiaro. Lei è uno spasimante di Takanori? È venuto qui per portarlo a cena? Magari anche con un mazzo di rose? Ascolti il mio consiglio. Lasci perdere. Anzi, non si faccia più vedere qui, intesi?” la sua voce è bassa, è quasi un sussurro. Ma riesco a comprendere ogni singola sillaba da lui pronunciata.
“S-spasimante? Cosa? No! Sono qui solo per ringraziare il suo collega. Non ha proprio capito le mie intenzioni” Fisso un punto impreciso nel pavimento completamente stravolto da quella conversazione. Non avrei mai pensato che gli altri potessero vedere così la cosa. In fondo chi non sa niente e ha poca fantasia potrebbe benissimo pensare che io mi presenti qui per provarci con Matsumoto e portarlo a cena, ma sinceramente tutto ciò non mi era passato nemmeno per la mente. Non capisco l'atteggiamento del commesso e così mi limito ad annuire aspettando una sua risposta.
“Senta, non so cosa voglia sinceramente, ma la prossima volta-”
“Yutaka! Lascia stare faccio io! Ci sono delle fotocopie da fare per la sezione di archivistica, puoi sostituirmi?” una voce familiare ci raggiunge e poco dopo compare l'uomo dai capelli neri legati in una coda.
“Salve signor Suzuki! Il mio collega l'ha importunata?” dice lui facendomi l'occhiolino.
“Ah? Eh? No! Assolutamente no” dico io sorridendo di sbieco.
“Va bene Taka-chan...ti sostituisco ma se hai bisogno di me non esitare a chiamarmi!” dice il più alto mentre prende in mano un pacco di fogli bianchi A4 e si dirige verso la fotocopiatrice.
“E' un piacere rivederla! Ha finito il libro che le ho consigliato?” mi chiede Matsumoto regalandomi un sorriso luminoso.
“Sì l'ho finito. L'ho letteralmente divorato. Sono venuto qua per ringraziarla del consiglio. Lei ha davvero  degli ottimi gusti in fatto di libri” dico io appoggiando entrambi i gomiti sul bancone.
“Grazie mille signor Akira. Mi piacerebbe sapere le sue impressioni a riguardo. Se non è di fretta io staccherei tra mezz'ora; possiamo parlarne davanti ad un caffè. Magari questa volta offro io”
“Certo” dico sorridendo e porgendogli il libro. Per la prima volta nella mia vita non penso alle conseguenze. Faccio un cenno a Matsumoto e mi dirigo fuori dall'edificio.
Mi siedo su una panchina vicino all'ingresso, appoggio il casco e prendo in mano il mio iPhone. Ho un messaggio da parte di Yoshinori.

Da: Yoshinori

 
Allora?! Come è andata con il tuo donatore?
Lo hai ringraziato? Come l'ha presa?


Deglutisco a vuoto appena leggo quelle parole. Ogni singola lettera è uno schiaffo sulla guancia. Sento pulsare il mio viso e d'istinto digrigno i denti cercando di calmarmi. Yoshinori mi ha come svegliato dal sonno in cui sono caduto in questi giorni. Mi sono completamente dimenticato del mio scopo. Sono venuto a Yokohama una settimana fa perchè ho accettato una sfida con me stesso. Trovare il mio donatore e ringraziarlo. Parlarci, capire perchè ha fatto quello che ha fatto. Raccontargli di me stesso e di quanto è stato importante anche se lui non poteva saperlo. Invece sono finito a leggere dei libri di letteratura europea, bere caffè con il mio donatore e finire per essere guardato male dai suoi colleghi che pensano che io ci stia provando. Bella merda. In pratica ho sbagliato tutto dall'inizio. Eppure sembrava così facile quando sono uscito dall'ufficio di Yoshinori. Avevo tutto quello che mi serviva. Quello che mi mancava era solo il coraggio. Già. Mia madre me lo ha sempre ripetuto che sono un uomo poco coraggioso. E sono pure un vigliacco.
Mi alzo in piedi ancora inondato dai miei pensieri. Ho deciso. Oggi gli dirò tutto. Così chiariremo la questione e torneremo a essere due sconosciuti. Sì, farò proprio così. Mi ripeto il discorso mentalmente ma vengo interrotto dalla sua figura che mi fa un cenno con la mano dalla porta di ingresso. Indossa un giubbotto primaverile blu e dei pantaloni stretti e beige. I capelli sono legati in una coda sbarazzina da cui fuoriescono dei ciuffi troppo corti che contornano il suo viso donandogli un'aria da teenager.
“Grazie per avermi aspettato qua fuori” dice lui sorridendo. “Le va se oggi andiamo in una caffetteria che conosco io? Fanno dei dolci buonissimi. Così può dirmi se sono all'altezza di un palato raffinato di un intenditore come lei”
Rido osservandolo. “Ci sto! Ma se le torte fanno schifo mi prendo la briga di parlare personalmente con il proprietario”
Matsumoto scoppia a ridere. La sua risata riempie l'aria come fosse una musica proveniente da uno strumento sacro e antico.
“A lei piacciono molto i dolci?” chiedo mentre camminiamo lungo il viale alberato. Ci sono tantissimi giovani a giro, in particolare studenti del liceo che sfrecciano sulle biciclette mangiando contemporaneamente un cono gelato.
“Dammi del tu per favore. Mi fai sentire troppo vecchio” dice guardando davanti a sé.
Mi irrigidisco per un attimo. Tossisco e continuo a parlare “Ti piacciono i dolci Matsumoto?”
“Tantissimo! Il mio dolce preferito è il cheesecake!” 
“Wow è una delle nostre specialità. So cucinarlo e prepararlo perfettamente” affermo cercando di risultare meno vanitoso possibile. In fondo non è un vanto, è semplicemente il mio lavoro. Un ragazzo cammina di fretta accanto a me e mi sfiora violentemente il gomito. Non si volta per scusarsi, ma sono troppo concentrato sulla conversazione per arrabbiarmi. Non voglio sembrare sempre un vecchio decrepito che si lamenta di tutto.
“Beh allora un giorno dovrò assaggiarlo. Guarda siamo arrivati” mi indica un'insegna blu con su scritto MACHA MANIA decorata con dei disegni sorridenti e dei cuoricini azzurri.
“Qua dentro quasi tutti i dolci sono a base di macha. Sono deliziosi!”
Entriamo in questa enorme caffetteria il cui colore predominante è il verde. È una tonalità di verde rilassante; ricorda quelle aule gioco negli asili dei bambini, oppure i corridoi di una scuola elementare, o ancora un prato pieno di trifogli in una vasta pianura alle pendici di una collina. L'atmosfera è rilassante e mi mette immediatamente di buonumore. I tavoli sono prevalentemente piccoli, fatti apposta per far accomodare solo due o tre persone. Noto che ci sono davvero molte coppie sedute nei tavoli vicino all'ingresso, ma anche amiche, studentesse universitarie e persino qualche business man con tanto di Blackberry in mano e valigetta appoggiata sul tavolino.
Matsumoto sembra emozionatissimo, come un bambino entusiasta di far vedere al migliore amico il nuovo giocattolo appena ricevuto in regalo. Lo seguo e mi faccio consigliare da lui.
“Ti consiglio di assaggiare questo tiramisù al tè verde! Qua lo fanno delizioso. E sicuramente fanno uso di un ingrediente segreto perchè io l'ho provato in tanti altri posti, ma non è buono come qui.” sussurra con un'espressione sofferente in volto.
“Va bene, mi fido” dico ridendo.
Ordiniamo due tiramisù al macha, un caffè americano e una spremuta. Ci sediamo in un tavolo un po' appartato e aspettiamo che arrivi la cameriera a portarci i dolci.  Takanori mi sorride mentre mi tolgo la giacca e la appoggio sullo schienale della sedia.
“Allora? Piaciuto il libro?” chiede lui con aria di sfida.
“Sì moltissimo. Grazie ancora di avermelo consigliato. Non credevo fosse così interessante. Lo trovo addirittura inquietante”
“Beh certo, immagina cosa significa sentirsi piccolissimi in un mondo di giganti. Inoltre dietro alla trama si nasconde anche una profonda satira politica e una critica nei confronti della società. Lo trovo geniale”
Osservo il suo sguardo mentre parla e scorgo ancora quella luce nei suoi occhi che appare ogni volta che Takanori parla dei suoi libri preferiti. Mi colpisce profondamente. Non è da tutti emozionarsi continuamente per qualcosa che si ama. Matsumoto continua a parlare di letteratura anche dopo l'arrivo dei nostri tiramisù. Mi racconta di tutti i libri che ha a casa, di quanti libri ha letto, e di quanti sono nella sua lista dei desideri. Mi svela che è un grande appassionato di letteratura tanto da partecipare a numerosissime presentazioni di libri e convegni a tema. Mentre lo ascolto mi concentro sul mio dessert. Ne assaggio un cucchiaio complimentandomi con lui per la scelta. È davvero ottimo. Non è troppo dolce eppure è molto gustoso. Lo divoro in pochi attimi e trangugio la mia spremuta in altrettanto poco tempo.
“Wow siamo affamati signor Suzuki!” dice ridendo.
“Beh sì. Ammetto che mangio molto. Ma per fortuna non ingrasso” faccio una piccola pausa per asciugarmi le labbra; poi riprendo. “A proposito Matsumoto...vorrei sapere come mai il tuo collega mi odia. Com'è che si chiama? Yutaka?”
Matsumoto sorride appoggiando con cura il cucchiaino sporco dentro la ciotola di vetro ormai vuota.
“Ma no. Yutaka non ti odia è che...lui si preoccupa molto per me. È capitato che spesso qualche persona sia venuta ad importunarmi durante l'orario lavorativo e Yutaka è sempre sull'attenti quando qualcuno chiede di me”
“Alla faccia....hai tantissimi spasimanti” dico grattandomi il mento.
“Ma no dai, non così tanti. Solo che alcuni di loro mi hanno trattato davvero male. Mi invitavano a cena e poi, ecco insomma...erano interessati ad una sola cosa. Prima si presentano a lavoro con un mazzo di rose e poi la sera stessa mi invitano nel loro appartamento. Non mi piacciono questi tipi.” Takanori si ferma e guarda fuori dalla finestra. “In tal caso avessi dei dubbi...io sono omosessuale. Spero che la cosa non ti dia fastidio”
“Assolutamente no!” dico senza aggiungere altro. Per la prima volta non continuo la discussione, per la primissima volta nella mia vita non sono impulsivo e preferisco fermarmi prima di fare il passo più lungo della gamba. Non sono qui per questo.
“Bene, ti ringrazio” dice lui con un'espressione seria in volto.
“Non preoccuparti. L'importante è che il tuo amico non mi scambi più per un maniaco. Anzi...a dirla tutta io mi sono presentato in quella biblioteca per uno scopo preciso.” Mi soffermo cercando di bilanciare il respiro. Non voglio risultare troppo nervoso. “Ho fatto delle ricerche ultimamente e quindi ho deciso di venire fin qui a Yokohama. Ho passato tutti questi mesi a cercare una sola cosa. Io stavo cercando...”
“Cosa stavi cercando?” chiede lui curioso.
Stavo cercando te.
Sento la bocca arida come un campo di grano secco e non coltivato da anni. Mi accorgo di aver bevuto tutta la spremuta di arancia in pochi sorsi. Merda. Mi umetto le labbra con la saliva. Non posso fermarmi ora. Vai Akira; sii uomo almeno una volta nella tua vita.
“Stavo....cercando....”
Takanori mi guarda con aria interrogativa, a metà tra il divertito e lo spaventato.
“C-cercavo dei libri rari e introvabili che nella biblioteca del mio quartiere non ho mai potuto reperire!” dico tutto d'un fiato. 
Ormai è andata. Ho fatto il danno e ne pagherò le conseguenze. Ho preso una silenziosa decisione e forse mi costerà cara.
Akira sei un bastardo schifoso e vigliacco.
“Ah capisco....non sei di Yokohama?” chiede lui con aria sorpresa.
“No. Abito a Tokyo e lavoro ad Ikebukuro. Le mie ricerche letterarie mi hanno portato fin qua perchè come dicevo...ero in cerca di libri introvabili” mi sforzo di far uscire la voce con una tonalità normale e tranquilla. Spero di averlo convinto a sufficienza.
“Oh, ma allora devono essere libri rarissimi se non sei riuscito a trovarli nemmeno a Tokyo! Hai una lista con te?”
“No mi spiace...in verità...non sono proprio per me. Sono per un mio caro amico, mi ha chiesto gentilmente se posso reperirglieli al più presto.” mi gratto il mento sovrappensiero.
“Ho capito. Allora appena hai la lista fammelo sapere, posso darti una mano a cercarli...conosco molto bene gli archivi” dice lui sorridendo.
Non rispondo, ma guardo ininterrottamente la piccola ciotola di vetro vuota davanti a me.



 

~





Non ho voglia di fare il tapis roulant. Neanche i pesi. Forse dovrei mettermi a fare del semplice stretching. In verità non ho molta voglia di muovermi. Avrei fatto meglio a stare a casa. Ma poi, cosa mi è saltato in mente? Libri introvabili? Archivi? Reperire dei libri per un mio amico? Non solo sono uno schifoso bugiardo, ma invento anche delle pessime scuse e mi caccio in dei guai più grandi di quelli precedenti. Probabilmente me lo merito. Ho sbagliato fin dall'inizio...un sacco di persone mi avevano detto di lasciar perdere ma io sono un testardo e ho voluto andare avanti, fino in fondo a questa ricerca spudorata. Ora come faccio a tradire la fiducia di Takanori? Non gli ho accennato la cosa quando ho avuto occasione e quindi non potrò più farlo. Dovrò solo mantenere il segreto e cercare di nascondere ogni tipo di indizio che possa incastrarmi. Parlo come se avessi ucciso un uomo. Beh non è così grave, ma ho sicuramente violato la legge.
Forse ho fatto meglio così. Meglio se Takanori non sa nulla. Non deve sapere come sono arrivato fin lì e soprattutto non dovrà mai sapere quale è il legame che c'è tra noi. Forse è meglio per entrambi. Possiamo rimanere amici, scambiarci qualche parere sui libri appena letti e prenderci un caffè insieme. Nulla di più. Non è poi così difficile. Mi dispiace solamente non averlo potuto ringraziare come avrei voluto inizialmente. Mi sento come se avessi fallito nel momento più critico della vicenda. Come un corridore che inciampa ad un metro dal traguardo. In fondo ho scelto io di non dirgli nulla e probabilmente questa è la via migliore per entrambi. D'ora in poi saremo solo amici o ottimi conoscenti; tuttavia devo spiegare la situazione a Kouyou e a Yoshinori. Spero che possano capirmi, anche se hanno dovuto sopportare in precedenza le mie richieste bizzarre sulla situazione. Ora devo solo cercare di concentrarmi su altro e mettere la questione Takanori da parte.
“Ehi...qualcuno qui è molto pensieroso!” dice una voce dietro di me. Mi volto di scatto.
“Ciao Jonathan! Come stai? Scusa non ti avevo sentito arrivare...” dico io posizionando il tappetino in terra e stendendolo con le mani. Mi siedo in terra mettendomi subito in posizione.
“Nessun problema Akira. Ti ho visto un po' sovrappensiero...tutto ok?”
“Sì sì tutto ok! Ero solo immerso in alcuni pensieri...quando mi alleno penso molto” dico io iniziando a fare la prima serie di addominali.
“Ti dispiace se ti accompagno nello stretching? Ho voglia di fare quattro chiacchiere” afferma mentre recupera un tappetino srotolandolo sul pavimento.
“Nessun problema, sistemati pure accanto a me” sospiro tra un esercizio e l'altro.
Jonathan è un fiume di parole. Mi racconta come sta andando la sua vita nelle ultime settimane. Lavora tantissimo, è sempre stanco e non è mai soddisfatto. Arriva a fine giornata con la nausea e il mal di testa e l'umore che tocca il pavimento. Non è contento del suo lavoro di ragazzo immagine. Vorrebbe una vita normale, lavorare come impiegato, avere una fidanzata, una casa con il giardino e un cane. Invece è costretto a viaggiare spesso, anche entro lo stesso giorno. Dorme spesso negli alberghi e non vede casa sua da mesi ormai. Per non parlare della sua famiglia. Un po' lo capisco...lui si sente intrappolato. È la stessa sensazione che provo ora in questo momento. Sono intrappolato in un'orrenda menzogna che mi ha portato a fingermi chi non sono. Quanto a lungo può durare una bugia? E cosa diventa una bugia quando viene tenuta nascosta per troppo tempo? Forse se si crede intensamente ad una menzogna alla fine si trasforma in verità. Mi sento un codardo. Uno schifoso codardo che non ha saputo prendere in mano la situazione. Ho avuto delle possibilità e me le sono giocate tutte. Sono un cagasotto. Avevano ragione quei ragazzini del sesto anno che mi prendevano in giro quando andavo alle scuole elementari. Ero proprio un cagasotto e non sono cambiato di una virgola. Sento la testa scoppiare. I miei pensieri sono aggrovigliati come una matassa di lana disordinata...non so da dove iniziare per sciogliere i nodi. Forse mi conviene buttare via tutto e riniziare da capo. O forse sto esagerando.
Concludo la mia sessione addominale e mi concentro su qualche altro esercizio per allungare i muscoli delle gambe e dei glutei. Mi volto verso Jonathan sorridendo.
“Devo chiederti un consiglio.” dico serio.
“Mi spaventi Suzuki. È qualcosa di grave?” mi chiede sorridendo. Sfoggia un sorriso bianchissimo e evidentemente rifatto da qualche ottimo dentista. “Comunque chiedi quello che vuoi.” mi guarda con aria serena e rilassata.
“No no tranquillo. Sarò molto breve.” Sospiro cercando di nascondere l'imbarazzo “Tu...cosa faresti se ti ritrovassi in una situazione in cui hai fatto una cosa sbagliatissima e hai mentito ad una persona che tutto sommato non se lo merita?” la mia voce esce più roca che mai. Tossisco schiarendomi la gola.
“Mh...combinato guai?” Mi guarda con la coda dell'occhio mentre esegue degli esercizi di allungamento muscolare. Non rispondo, ma abbasso la testa guardandomi le mani “Va bene, va bene. Mi faccio gli affari miei. Beh allora...inanzi tutto devi dire la verità a quella persona e in caso la cosa sbagliatissima non si possa risolvere, devi chiedere scusa. Non puoi arrampicarti sugli specchi per sempre. Prima o poi la verità viene sempre a galla. Meglio lasciare da parte l'orgoglio qualche volta, non credi? Poi se credi che questa bugia sia stata detta a fin di bene...beh, allora è un altro discorso”
Mi accorgo di aver recepito le parole di Jonathan nello stesso modo in cui una persona recepisce una pallonata nello stomaco. Ogni singola sillaba mi ha colpito e buttato fuori gioco. Guardo fisso il pavimento color blu di fronte a me senza riuscire a formulare una risposta sensata. Sento di non avere le forze per affrontare ulteriormente la questione. Lo ringrazio del consiglio e cambio discorso. Parliamo di sport e di cucina. Gli racconto la mia vita lavorativa: una vita passata tra farina, uova, burro e cioccolato. Sembra molto interessato, infatti mi ascolta con attenzione anche quando ci dedichiamo agli attrezzi più faticosi.
Dopo una lunga ora di allenamento decido di fermarmi.
“Caro Okamoto, io per oggi ho finito! Vado a casa perchè sono esausto” dico bagnandomi la faccia sudata con l'acqua della mia bottiglietta.
“No problem Suzuki...quando vuoi sono qui” mi dice facendomi un cenno con il braccio. Mi regala un sorriso splendente che, non so come, mi mette immediatamente di buonumore.
Percorro la strada verso il camerino cercando di non fare affollare la mia mente dai troppi pensieri.























Buon inizio di settimana! Il Lunedì sta iniziando a diventare il mio giorno preferito perchè ormai è il giorno in cui aggiorno più spesso. Ma dunque.....*si sfrega le mani* qui stanno succedendo cose! È arrivato un nuovo personaggio....eh già. È proprio Kai e sembra un tipetto molto sveglio u.u ha spaventato persino Akira vestito da centauro lol povero Reita :(  e invece voi cosa ne pensate della scelta adì Akira ? Sembra proprio che non riesca a parlare di quella cosa è così ha pensato di lasciar perdere. Chissà a quali conseguenze porterà questa scelta <:  
Jonathan è davvero un gran chiacchierone non lo si può negare. Eppure Akira si fida molto di lui....sono così simili che il protagonista si sente in qualche modo capito da lui. Ah! A proposito di Jonathan.....ho deciso di mostrarvi come l'ho immaginato quando ho creato il suo personaggio :


http://data.whicdn.com/images/54156334/original.jpg 
https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/originals/ff/94/99/ff9499fcedee9ebfab292ea21a4c2420.jpg

Un bel ragazzo non c'è che dire <: d'altronde fa il modello di lavoro....non può di certo essere brutto u_u 
In ambito culinario mi sento di dire qualcosa in più: il tiramisù verde è una cosa MAGICA <3 ho lavorato per quasi 2 anni in un ristorante tradizionale giapponese qui a Milano e una delle tante specialità del nostro ristorante è proprio il tiramisù verde! Se non lo avete mai assaggiato vi consiglio di farlo perchè è delizioso ;_; (la signora, ovvero la padrona del ristorante mi ha persino insegnato a farlo eheh). Detto questo vi saluto e corro a leggere un libro per la tesi (ebbene >>>> ho iniziato a scrivere la tesi!!!! *pray for me*)
Bacini :3

 

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Capitolo 12
*** Dodici. ***


XII.


















Cammino in una strada affollata del centro del capoluogo nipponico, sono le sei di pomeriggio passate e sembra che ci sia molto affollamento per le strade. I lavoratori si apprestano a tornare a casa, i ragazzi più giovani si salutano dandosi appuntamento al giorno dopo, alcune saracinesche dei negozi vengono chiuse con un frastuono incredibile. Contemporaneamente un'altra parte della città si sta svegliando: si accendono le insegne dei negozi, dei bar, dei ristoranti e dei love hotel. Il popolo della notte esce allo scoperto e inizia la sua vita. Anche io posso considerarmi parte del popolo della notte, considerando che spesso mi alzo prestissimo per andare a lavorare a preparare e  infornare donuts e brioches. Peccato che ad una certa ora si trovino in giro i personaggi più strambi: prostitute, impiegati ubriachi, ragazzi punk, persone che frequentano locali di spogliarelliste e chi più ne ha e più ne metta. Ricordo che una mattina presto, verso le sette all'incirca, venne a bussarci sulla porta sul retro una ragazza, probabilmente una spogliarellista. Era molto bella, aveva i capelli biondi, non era molto alta ma aveva un bel fisico. Chiese a me e Masami se poteva avere qualcosa da mangiare perchè aveva perso la sua borsa e non aveva un soldo per comprarsi del cibo, dopo aver lavorato tutta la notte in un locale poco lontano dalla pasticceria. Le offrii due donuts di nascosto. Ricordo ancora i numerosi inchini che mi fece quando le porsi la scatola di carta con le due ciambelle. Le brillavano gli occhi dalla contentezza. La mattina presto non c'è mai la padrona nel locale e quindi possiamo permetterci di buttare via qualcosa o di portarcelo via in caso non fosse uscito dal forno nella maniera desiderata. Mi sarebbe piaciuto fermarmi a parlare con quella spogliarellista; secondo me era una ragazza che aveva molto da raccontare. Non ho mai avuto nessun tipo di pregiudizio nei confronti di nessuno. Non sono interessato alla vita personale né alla carriera lavorativa di una persona per giudicare se essa sia una 'buona' o una 'cattiva'. Ma poi cosa significa sinceramente essere 'buoni'? Significa amare tutti? Amare un solo individuo? E se fai il buono poi vinci un premio? Non ho mai capito queste etichette, per questo quando ero un ragazzino ero molto ribelle nei confronti del sistema...adoravo vestirmi in maniera bizzarra e tingermi i capelli. Se non avessi avuto questa grande passione per la cucina probabilmente sarei diventato un musicista in una band punk underground. Ho sempre amato quelle band che fanno casino e spaccano i timpani degli amici suonando in qualche garage nei quartieri più alternativi della città.
Sento il telefono vibrare nella tasca che mi distoglie dalle mie riflessioni. È Kouyou.
“Ehilà biondo, come stai?”
“Ciao Kouyou! Io sto bene. Scusa se non mi sono fatto sentire in questi giorni ma-”
“Nessun problema! Cosa combini? A proposito hai portato a termine quella cosa?”
Mi schiarisco la voce numerose volte grattandomi la nuca. Avrei bisogno di una sigaretta in questo preciso istante. Sapevo che prima o poi saremmo arrivati alle note dolenti.
“Ehm...a proposito di quella cosa. Devo parlarti...ho fatto un, ehm, casino più o meno. Ho bisogno del tuo aiuto”
“Suzuki ma come è possibile?! Ti lascio da solo per un po' di tempo e tu combini pasticci? Ahi ahi cosa devo fare con te...” il suo tono di voce è serio ma anche scherzoso. Kouyou ha sempre avuto voglia di scherzare da quando ho memoria. Non capisco se sia un difetto o un pregio. Fatto sta che lui ha sempre ragione. Mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso. Combino sempre pasticci e alla fine ho bisogno del suo aiuto. Kouyou è il mio angelo custode e lo è sempre stato in ogni occasione.
“Senti...sei disposto ad aiutarmi?”
“E lo chiedi pure scemino? Vieni tra un'ora a casa mia, stasera pizza take away e birra. A dopo!”
Cerco di replicare dicendo che non ho voglia di pizza e che avrei preferito solo del riso bianco con il natto, ma Kouyou, come sempre, non mi lascia il tempo di replicare e chiude la conversazione lasciandomi nel mezzo della strada con un'espressione ebete sul volto.

















Mi appresto a salire le scale della biblioteca a due a due. Ho deciso di non prendere l'ascensore questa volta. In mano ho un pacco di fogli stampato al pc che mi salveranno la faccia. E tutto questo grazie a Kouyou. Due sere fa sono stato a casa sua e gli ho raccontato tutto. Dopo avermi brontolato e avermi dato del cretino, mi ha aiutato a metter su una storia totalmente falsa che risulti tuttavia credibile agli occhi di Takanori. Racconterò che Kouyou è l'amico interessato di libri rari e introvabili perchè è un ricercatore universitario esperto di letteratura e vuole portare una tesi di dottorato su alcuni autori del periodo Mei che non sono molto conosciuti. La storia può stare abbastanza in piedi, tranne che Kouyou non è assolutamente un ricercatore; anche se lavora all'università, precisamente come impiegato della segreteria studenti. È il tipico uomo che appena inforca il suo paio di occhiali assume un'aria così professionale da sembrare cattivo e spietato. Invece è la persona più buffa e simpatica che conosca. Spero che i suoi consigli siano utili perchè mi sento troppo nervoso. Non sono mai stato un bravo bugiardo e ora devo imparare a recitare alla perfezione. Avrei dovuto iscrivermi a quel dannato corso di teatro quando frequentavo il liceo invece di imparare a suonare la chitarra.
Raggiungo il terzo piano e prego con tutto me stesso di non trovare quel Yutaka seduto dietro il bancone...non ho voglia di sorbirmi le sue ramanzine. Non capisco come possa avermi scambiato per uno spasimante di Matsumoto. Vuoi vedere che...
“Ma chi si rivede!” una voce bassa, roca e familiare mi coglie alla sprovvista.
Mi giro verso destra trovando la sua figura minuta ad attendermi dietro un piccolo scaffale. Ha dei volumi in mano molto pesanti e la faccia leggermente imperlata di sudore.
“B-buongiorno Matsumoto...io, cioè...avrei bisogno di aiuto con dei libri. Ho la lista” solo dopo aver parlato mi accorgo di aver letteralmente rigurgitato tutto quello che dovevo dire in meno di un nanosecondo. Perchè quando mi trovo davanti a lui sono così nervoso?
“Ah è quella lista di cui mi parlavi?” dice lui appoggiando i volumi pesanti su un tavolo della sala lettura e raggiungendomi.
“Sì è una lista di libri che servono al mio amico...quello che ti dicevo l'altra volta.” parlo a bassa voce, non ho intenzione di farmi sentire dagli altri lettori e frequentatori della biblioteca. In particolare non ho assolutamente voglia di far capire agli altri che c'è tutta questa confidenza tra noi.
“Certo, dammi qua”  dice lui prendendo i numerosi fogli e sfogliandoli velocemente.
“Allora...alcuni libri sono sicuramente presenti in archivio. Altri titoli sono davvero difficili da reperire...devi avere la pazienza di aspettare qualche giorno, così che contatto qualche altro archivio in zona per capire se esistono ancora da qualche parte questi volumi.” la sua voce è bassa e profonda, ma dolce come una carezza. Mi mette immediatamente a mio agio. Sento di poter recitare anche il più stupido dei copioni in questo momento.
“Attendi pure qui” lo vedo sparire in una stanza riservata solo al personale e riapparire poco dopo con due libri dalla copertina plastificata in mano. Sono i due primi volumi della lista. Sono rilegati con una copertina di plastica per impedire che il libro si rovini ulteriormente. Sembrano due edizioni molto datate; infatti appena apro la prima pagina leggo in basso a sinistra che sono stati stampati intorno agli anni '30.
'Kouyou avrebbe potuto inventarsi qualche stronzata migliore però' dico cercando di non far trapelare nessuna emozione dal mio viso. Recupero i due testi e li metto in borsa assicurandomi che non si sciupino a contatto con i miei effetti personali. Aspetto che l'uomo dai capelli corvini scriva al computer la mia richiesta di prestito e mi appresto a ringraziarlo.
“Beh allora ti ringrazio Matsumoto...tornerò nei prossimi giorni per vedere se sono disponibili gli altri libri” dico salutandolo con la mano. Cerco di allontanarmi verso il corridoio ma mi raggiunge immediatamente.
“Aspetta!” dice fermandosi davanti a me. Mi guarda negli occhi per qualche lungo secondo e abbassa immediatamente lo sguardo guardandosi le punte della scarpe. Non riesco a capire la sua reazione. È così misterioso. Ho visto una piccola luce brillare nei suoi occhi. Forse me la sono solo immaginata. “Mi chiedevo se...” imbarazzato anche io dalla situazione cerco di cambiare direzione dello sguardo “Mi chiedevo se avevi da fare dopo...” sussurra lui in maniera quasi impercettibile.
Alzo il volto di scatto “Se me lo chiedi così però mi fai preoccupare” sussurro sorridendo.
Lui scoppia a ridere coprendosi la bocca con la mano come suo solito. “No no, niente di grave. Devo solo passare in un posto e non ho voglia di andarci da solo. Potresti accompagnarmi?”
Mi regala un sorriso dolce che contorna il suo viso rendendo l'ovale del volto ancora più paffuto. Senza nemmeno pensarci accetto e mi sento inspiegabilmente più leggero.
















“Quindi mi stai dicendo che tu non sai guidare? Non hai mai guidato una macchina? Sai quella che fa brum brum” dico io facendo una faccia stupida mentre parlo.
Matsumoto ride di gusto tenendosi la pancia mentre camminiamo in un grande viale affollato.
“No mai...te l'ho detto. Ho sempre avuto paura delle macchine e delle strade trafficate. Non fa proprio per me”
“Non sai nemmeno guidare un tappeto volante?” dico con aria molto seria.
“Nemmeno quello! Sono proprio una schiappa” afferma tra le risate.
La risata di Matsumoto è timida, infantile e buffa. Eppure è una delle cose più melodiose che le mie orecchie abbiano mai sentito. Ogni volta che lo sento ridere mi sembra di ricordare qualcosa di familiare, mi sento a casa. Se dovessi associare la sua risata a qualche dolce, direi che la risata di Takanori è un biscotto al cacao ripieno di crema alle nocciole. Una risata difficile da non apprezzare.
“Ma dimmi un po'...come mai mi stai portando in un negozio di vestiti così costoso?”
“Tra due settimane il mio caro cugino si sposa e ho bisogno di acquistare un abito adatto per l'occasione. Non andando così spesso a eventi del genere, non ho molti vestiti eleganti nel guardaroba. E ti ho invitato perchè ho bisogno di un consiglio”
“Ma io faccio il pasticcere...non lo stilista!”
“Beh oggi sarai un uomo tuttofare. Sarai il mio consigliere personale. Se un vestito mi sta malissimo hai il dovere di dirmelo” sottolinea lui con uno sguardo spietato.
Sorrido assecondandolo. Dopo pochi minuti arriviamo finalmente a destinazione. Il negozio occupa due piani di una palazzina a vetri piuttosto nuova. È un negozio di abiti unisex un po' sopra la media. Non sarà alta moda ma dai prezzi che osservo in vetrina non sembra proprio un negozio alla portata di tutti. Entriamo e cerco di mantenermi a distanza da Matsumoto. Non si sa mai cosa potrebbe pensare la gente. Takanori si sofferma ad osservare ogni singolo capo appeso alle grucce. Dopo aver dato un'occhiata decide di rivolgersi al commesso. Mi tengo in disparte guardando qualche camicia casual in un angolo del negozio. Sento la sua voce chiamarmi.
“Akira vado a provarmi qualcosa in camerino!”
“Se hai bisogno ti raggiungo”
“Beh sì...ricorda che oggi sei il mio consigliere personale” dice lui con una faccia furbetta.
Matsumoto entra nel camerino portando con sé un completo di cui non riesco a scorgere i dettagli. Dopo pochi minuti scosta la tenda della cabina e mi mostra il vestito. È un completo composto da giacca, gilet interno e pantaloni di velluto di un blu sgargiante ma profondo. La giacca deve essere di una taglia molto piccola considerando che fascia il suo busto mettendo in risalto le sue spalle minute e raccolte. Il gilet nero sotto la giacca affina la sua figura, così come anche i pantaloni in tinta unita. Nel complesso è un bellissimo abito. Però non mi convince. Takanori ha un corpo bellissimo anche se è troppo magro e forse un po' femminile. Tuttavia il colore non rende giustizia al suo fisico. È un abito troppo poco originale.
“Ti sta molto bene” dico guardandolo. “Però secondo me non è molto adatto ad un matrimonio. Potresti benissimo metterlo per andare a mangiare a cena fuori ad esempio. Forse dovresti osare un po' di più.”
“Wow Suzuki, non sapevo ti intendessi pure di moda e di matrimoni” dice stuzzicandomi.
“Non hai detto che sono un tuttofare?”
Lui fa una smorfia e scompare dietro la tenda del camerino. Si affaccia poco dopo, coprendosi il petto scoperto con la tenda della cabina prova.
“Ehm Suzuki potresti andare a cercarmi qualcosa di carino? Mi sta fatica rivestirmi” sorride nascondendosi il più possibile dietro il grosso pezzo di stoffa. Mi alzo dal piccolo divano in cui mi ero seduto dirigendomi verso gli scaffali in cui ho adocchiato gli abiti più eleganti. L'arredamento minimal del negozio mi aiuta a trovare subito quello che cerco. Scosto velocemente alcuni completi in tinta unita: molti di essi sono total black, mentre alcuni hanno dei pattern stupidi e imbarazzanti. Alla fine trovo quello che cerco. È un completo composto da giacca, camicia nera, e pantalone di velluto color bordeaux scuro. La giacca ha un taschino finto su cui è stata applicata una finta piuma di pavone cucita su un bottone dalla forma e dalla decorazione estrosa. Contento della mia scelta, cerco la taglia più piccola pensando che possa essere quella giusta per Matsumoto.
Torno nel corridoio dei camerini.
“Matsumoto penso di aver trovato qualcosa per te”
Un braccio spunta dalla tenda in attesa di ricevere qualcosa. Gli porgo il completo che viene risucchiato dentro il camerino. Mi siedo sul piccolo divano guardandomi intorno. Il negozio non sembra molto frequentato, infatti le cabine di prova sono quasi tutte vuote. Non sono un grande amante dello shopping tuttavia ammetto di avere un certo gusto nel vestire. Non dedico troppa attenzione al mio outfit, ma cerco sempre gli abbinamenti migliori. Se non fosse che non ho molti soldi con me, forse mi sarei provato anch'io qualcosa di interessante.
“Eccomi qua. Come mi sta?” vedo una piccola figura uscire dalla tenda del camerino con indosso il completo di velluto bordeaux. Takanori è una di quelle persone che possono permettersi di indossare qualsiasi cosa e risultare sempre eleganti e graziose. Il completo sembra cucito sul suo corpo.
“Ti sta benissimo” sussurro stupito.
“G-Grazie” risponde visibilmente in imbarazzo. Solo dopo un bel po' di minuti mi accorgo di star fissando Takanori insistentemente. Distolgo lo sguardo e cerco di ricompormi.
“C'è qualcosa però che non mi convince” sussurro quasi tra me e me alzandomi. Lo raggiungo e sistemo con entrambe le mani la sua camicia. Gli ultimi due bottoni non sono stati chiusi nell'asola.
“Forse dovresti sbottonare anche questo bottone...così sei un po' tamarro” rido delle mie stesse parole. Con un dito sbottono il piccolo bottone della camicia nera, aprendo delicatamente i due lembi. “Ecco, così è perfetto” sussurro, ma lui non si muove né proferisce parola. Forse si è offeso per quello che gli ho detto. In pochi attimi vedo il suo viso assumere un color porpora e i suoi occhi diventare lucidi. Mi sposto bruscamente interrompendo il contatto tra di noi. Tossisco cercando di evitare un altro momento imbarazzante.
“Direi che così stai benissimo. È molto originale come completo”
“T-Ti ringrazio...non è forse un po' troppo estroso?” dice lui guardandosi allo specchio.
“Ma no perché? In fondo devi andare ad un matrimonio...è un avvenimento importante, non credi?”
“Ho paura di non sentirmi a mio agio. Però il completo è bellissimo. Hai davvero degli ottimi gusti”
“Modestamente...sono o non sono un buon stilista?”
Sorride guardandosi allo specchio. Sembra indeciso. Si gira numerose volte osservandosi da ogni angolatura. Lo lascio decidere e specchiarsi da solo, così mi sposto guardando qualche altro capo interessante. Dopo una lunga attesa Takanori raggiunge la cassa con passo deciso.
“Lo prendo!” dice al commesso. Il ragazzo che sta alla cassa è un tipo sorridente e cordiale. Ha due piercing all'orecchio sinistro che illuminano il suo viso. I capelli sono rasati ai lati e lunghi nel mezzo, pettinati ordinatamente all'indietro. Matsumoto paga e finalmente usciamo dal negozio.
“Non mi sarei mai aspettato che comprassi qualcosa del genere. Sembra molto costoso”
“L'ho pagato 50,000 yen è vero, ma è davvero bellissimo. E poi una volta ogni tanto posso permettermi di spendere un po' di più”
“Allora? Sono promosso o bocciato? Sono o non sono un bravissimo stylist?”
“Promosso a pieni voti Suzuki” dice dandomi una pacca sul braccio.
Sulla strada di ritorno continuiamo a parlare del matrimonio di suo cugino. Takanori mi racconta di essere molto legato a quel ramo della sua famiglia. L'uomo che si sposa è il figlio di suo zio, il fratello di suo padre. Ha sempre considerato suo cugino come un fratello e anche se si vedono poche volte l'anno, i due sono legatissimi. L'uomo è un imprenditore di una ditta di noodles istantanei e la sua futura moglie è un'impiegata nell'azienda automobilistica Toyota. Sono una coppia nella media, sembrano volersi molto bene, anche se forse lei è un po' troppo fredda nei suoi confronti. Takanori mi confessa di essere figlio unico e di aver sempre desiderato un fratello maggiore. Suo cugino ha avuto un ruolo molto importante nella sua vita; essendo il maggiore tra i due, si è sempre preso cura di Takanori fin da piccolo e lo ha sempre aiutato quando ne ha avuto il bisogno. Mentre il piccolo uomo accanto a me parla, lo vedo assumere un'espressione sempre più cupa e triste; come se quello che sta raccontando lo renda nervoso. Eppure mi è sembrato di capire c he sia molto legato alla sua famiglia.
“Takanori, tutto bene?” sussurro.
Perchè non mi faccio i cazzi miei? Stupido Akira. Non ho questa confidenza con lui; anzi sono io stesso che mi sono imposto di non aver nessun tipo di rapporto con lui, tranne una superficiale amicizia. E allora perchè gli ho appena rivolto questa domanda? Sono davvero sicuro di voler sapere qualcosa di lui? Probabilmente nemmeno mi risponde, considerando quanto è misterioso.
“Sì sto bene grazie. È solo che...quando parlo di mio cugino divento sempre un po' triste. Lui è stato come un fratello per me e gli voglio un bene dell'anima. Ma non solo...egli è stato anche un padre per me. Ho perso mio padre quando avevo ventidue anni. È morto di leucemia e nessuno ha potuto fare nulla per salvarlo. La malattia ormai aveva preso il sopravvento su di lui e non c'è stato nulla da fare. È morto un giorno mentre ero all'università. È morto in ospedale, circondato dai medici e da mia madre. Non ho mai avuto un buon rapporto con lei...da quando papà è morto è diventata sempre più fredda con me. Non la sento quasi mai. La mia unica vera famiglia è quella da parte di mio padre. Per questo sono così legato a mio cugino.”
Le sue parole escono dalle sue labbra come una melodia triste fuoriesce da un pianoforte. Il suo racconto mi spiazza totalmente che ho bisogno di respirare a pieni polmoni per un paio di secondi. Non me lo sarei mai aspettato. Non avrei mai detto che Takanori mi avrebbe raccontato una cosa tanto triste. Mi sento malinconico e allo stesso tempo nervoso. Nonostante sia tutto apparentemente a posto, mi sento terribilmente confuso e in pericolo. Non avrei mai dovuto ascoltare questa confessione.
“Mi dispiace Takanori. Mi dispiace per tuo padre. Scusami se ti ho fatto domande su tuo cugino. Non pensavo ti ricordasse una cosa così brutta”
“Stai tranquillo Suzuki. Anzi mi ha fatto piacere dirtelo...volevo farti capire come mai fossi così legato ad un ramo della mia famiglia. Non hai bisogno di scusarti. Sono io che ne ho voluto parlare”
Continuo a camminare guardando davanti a me. Cerco di non parlare troppo, ho paura di farmi scappare qualcosa di strano e non posso proprio permettermelo. Camminiamo per altri trenta minuti e cambiamo totalmente discorso. Parliamo di libri, libri e ancora libri. Gli confesso di amare la letteratura thriller e Takanori mi sorprende, come sempre, dicendomi che se lo era già aspettato che fossi un amante del genere. Vorrei chiedergli altro, sapere quali film apprezza, che tipo di musica ascolta ma il suo telefono squilla sempre nei momenti meno opportuni. Rifiuta la chiamata rivolgendomi un sorriso. Ci fermiamo proprio di fronte al cortile della biblioteca.
“Yutaka ha bisogno di me. Devo aspettare che finisca il turno. Sicuramente vuole vedermi, magari andiamo a cena insieme. Mi dispiace salutarti sempre di fretta.” conclude con un'espressione dispiaciuta in volto.
“Tranquillo, anche per me è tardi. Devo andare a letto presto stasera visto che domani tocca a me il turno mattiniero. Mi sveglierò all'alba per infornare muffin e cupcake. Il lavoro più bello del mondo insomma”
“Che presuntuoso” dice lui dandomi un pugnetto sullo stomaco, mentre scoppia a ridere.
Ci salutiamo poco prima del tramonto, quando gli ultimi spiragli di Sole illuminano la parete a vetri dell'edificio creando un'atmosfera surreale che impregna il paesaggio di una luce rosea e rilassante.
























buon primo novembre a tutti!  sono finalmente tornata ad aggiornare e...... uhhh le cose si fanno più serie eh <: sono emozionata di farvi leggere anche il prossimo capitolo e anche quello dopo ancora e insomma...... Tutti u_u sono curiosa di sapere cosa ne pensate perché le cose si fanno sempre più intricate u.u 
piccolo dettaglio : il primo completo blu che Takanori indossa è l'outfit del pv di Derangment,  mentre il secondo completo bordeaux è l'outfit del live del Tokyo Dome *___* pensate a quanto è bello Rukino che lo indossa.  Vi ringrazio per aver letto e ci vediamo al prossimo capitolo (preparatevi :B) 

 

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Capitolo 13
*** Tredici. ***







Questo capitolo è dedicato a Federica 





XIII.










'Previsto maltempo per i prossimi giorni. Le temperature si abbasseranno di qualche grado e tornerà il freddo per un po'. Sembra proprio che Maggio sia iniziato nel peggiore dei modi'
Il giornalista che parla ininterrottamente da venti minuti mi tiene compagnia mentre cambio l'acqua del piccolo serbatoio della gabbia dei miei pappagalli. Cambio pure la lettiera e le scorte di cibo. Il giornalista intanto continua a parlare annunciando brutto tempo nei prossimi giorni. La primavera è una stagione che non ho mai sopportato. Un giorno fa caldo e il giorno dopo piove. Non amo molto la pioggia, anche se la preferisco alle giornate afose estive.
Dopo aver finito e essermi assicurato che tutto è apposto nella gabbia dei miei pappagalli, decido di prendere delicatamente tra le mani Oscar. Il piccolo pappagallo emette dei gridolini divertiti mentre lo trasporto sul divano, su cui mi siedo immediatamente. Le sue zampette si appoggiano e si aggrappano salde al mio dito indice destro. Le piume del suo piccolo ventre mi sfiorano le mani provocandomi un leggero solletico. Oscar inizia a emettere dei piccoli versi mentre gli faccio il solletico sul piumaggio della testa. Il suo piccolo corpicino è tiepido e mi dona un sensazione di tranquillità. È piacevole accarezzarlo e riesco a schiarirmi i pensieri. In questi giorni ho avuto troppe cose a cui pensare: il medico mi ha prescritto delle medicine diverse per via dello stress e mi ha espressamente vietato di fumare, mia sorella mi ha chiamato per aiutarla a montare un mobile nella cameretta di suo figlio e come se non bastasse non ho smesso di pensare un secondo al discorso di Takanori. È come se le sue parole si fossero impresse nella mia mente come simboli incisi su una tavola di cera calda. Non riesco a togliermi dalla testa la sua espressione triste quando parlava di suo padre, il suo sorriso e il suo volto arrossato quando eravamo vicini nella stanza dei camerini in cui Takanori stava provando il vestito per il matrimonio. Perchè aveva quell'espressione così triste in volto? E perchè è arrossito appena l'ho sfiorato? Ma soprattutto...perchè mi sto ponendo tutte queste domande? Non dovrei forse pensare ad altro? Ad esempio, è un bel po' che non rimetto a posto la mia camera e che non controllo la sacca dei vestiti sporchi. Probabilmente dovrò dedicarmi tutta la mattina alle pulizie e a fare la lavatrice. Sinceramente non ho molta voglia. Se fosse per me, venderei il mio bilocale e mi trasferirei in una camera d'albergo fino alla fine dei miei giorni. Non sono mai stato un vero casalingo. È vero che adoro cucinare e sono molto ordinato, ma sono anche molto pigro. Ecco perchè mia sorella mi ripete costantemente di sposarmi al più presto così posso contare sull'aiuto del mio partner che si occuperebbe di tutte le mansioni di casa. Se fosse così facile lo avrei fatto subito, ma non penso di essere portato per la vita di coppia. Anzi, ripensandoci penso proprio di non essere proprio portato per amare nessuno. In fondo ogni relazione che ho avuto è durata poco meno di un anno. Non so mantenere i legami nemmeno con i miei colleghi o amici, figurarsi amare qualcuno.
Ripongo il piccolo Oscar nella gabbia mentre decido cosa prepararmi per pranzo. Mi dirigo verso il frigo e lo apro: dentro ci sono solo delle uova e qualche pezzo di tofu confezionato. Il mondo mi sta proprio dicendo che devo uscire sotto la pioggia per andare a fare la spesa. E io che volevo stare sul divano a guardare la tv. Ho molta fame oggi, forse a causa delle nuove pillole che ho iniziato da poco a prendere. Voglio cucinarmi un omu-rice e farlo il più sostanzioso possibile, ma ho bisogno di un bel po' di ingredienti che scribacchio distrattamente su un post it.
Indosso un k-way mentre osservo il cielo dalla finestra della mia camera. Ci sono troppe nuvole grigio scuro che si muovono verso il centro di Tokyo e non hanno l'aria di volersene andare presto. Mi rassegno al fatto che oggi non potrò andare a lavoro a piedi e dovrò sorbirmi il vagone affollato della metro in cui lavoratori e studenti saranno appiccicati come sardine in scatola. Afferro il mio mp3, chiudo la zip del mio k-way, scelgo la canzone appropriata e schiaccio il pulsante 'play'. Sospiro appena apro il portone principale della palazzina in cui abito. Le note roventi e roche dei Sex Pistols mi faranno da sottofondo per tutta la strada che mi separa dal supermercato.





 
*




“Takanori! C'è qualcuno che ti cerca!” dice Yutaka senza distogliere lo sguardo dalla mia figura.
Anche oggi mi sono presentato vestito come un centauro, o meglio, un qualcosa a metà tra un centauro e un metallaro quarantenne pronto per scatenarsi in prima fila al concerto dei Metallica. Quando non vesto casual, esagero sempre negli abiti. Non ci sono vie di mezzo. O sembro un uomo squallido senza nessun tipo di interesse in quello che indossa, oppure do l'idea di essere un malvivente che sfreccia sulla sua moto tra le vie più pericolose della città.
Yutaka mi squadra da capo a piedi. Osserva il mio viso, i miei capelli biondi, i miei anfibi e la mia giacca di pelle. Non capisco se sia spaventato o schifato. Forse ho sbagliato proprio a presentarmi ancora qui vestito in questo modo.
“Lei è un motociclista? Ha già fatto salire Takanori sulla sua moto? Non vada troppo veloce per l'amor del cielo...è pericoloso!” dice Yutaka con aria di rimprovero. Sembra davvero convinto di quello che ha detto tanto che appoggia entrambi i palmi delle mani sulla scrivania al di là del bancone incutendo in chiunque lo guardi un certo senso di timore.
“Eh?” dico io sorpreso.
“Mi ero sbagliato sul suo conto. Sembra proprio che voglia fare sul serio con Taka-chan. Ripeto: se osa fargli del male, le spezzo entrambi le braccia e quando avrò finito, le spezzerò anche le gambe.” continua il commesso guardandomi con aria torva. Non capisco se è una minaccia o una battuta.
“M-Ma cosa sta dicendo? Non capisco...”
Non ricevo alcuna risposta, ma in compenso vedo Takanori avvicinarsi a noi sorridendomi dolcemente. I capelli raccolti nella coda sono molto disordinati, eppure non rovinano minimamente l'eleganza del suo portamento. Mi passa accanto, scuotendo l'aria tra noi e trasmettendomi una piccola ventata di fresco. Le mie narici avvertono un leggero profumo di vaniglia. Senza neanche accorgermene abbasso lo sguardo guardando il suo fondoschiena, appena Takanori si abbassa a raccogliere alcuni pezzi di carta dal pavimento. Tossisco sperando che nessuno se ne sia accorto.
Matsumoto si rialza e si dirige nella zona riservata al personale. Si apposta dietro il bancone, prendendo posto accanto al suo collega.
“Guarda Yutaka che ti ho sentito, devi smetterla di dire quelle cose! Spaventi tutti in quel modo” sussurra Takanori arrossendo. I due ridacchiano con aria complice.
Lo guardo sorridendo. Yutaka mi lancia un'occhiata a metà tra il 'ti ho avvisato' e il 'ne parliamo in un altro momento' e la cosa mi irrita moltissimo. Ma cosa si è messo in testa quell'uomo? Non ha capito proprio nulla di me. Takanori mi rivolge finalmente la parola.
“Salve Suzuki, immagino che sei qui per quella lista di libri, vero? Ho cercato tutti i titoli che mi hai passato, ma purtroppo ne ho trovato uno solo. Sembra proprio che non esistano copie disponibili per il pubblico di tutti gli altri testi. Alcuni sono così rari che sono stati acquistati da qualche riccone e ora sono esposti in qualche museo. Mi dispiace veramente...ho fatto il possibile.” dice lui. Sembra veramente dispiaciuto mentre mi porge l'unico testo reperibile rimasto. Anche questo libro è molto datato e, nonostante la rilegatura in plastica, cerco di maneggiarlo con cura. Maledico mentalmente Kouyou per l'ennesima volta per essersi inventato una scusa così futile e bizzarra. Osservo la copertina del volume che stringo tra le mani: è molto sciupata e ci sono numerosi graffi e strappi sui bordi. Ripongo finalmente il libro nella mia borsa assicurandomi che non si rovini ulteriormente. Alzo lo sguardo trovando quello di Takanori ad aspettarmi.
“B-Beh allora se per gli altri libri non c'è nulla da fare direi proprio che ho finito qui”dico cercando di mostrarmi il più distaccato possibile. Takanori ha una strana espressione sul volto che non riesco a decifrare e questo mi rende molto nervoso. Come mai non riesco mai ad anticipare le sue mosse?
“Mi ha fatto piacere conoscerti Matsumoto e ti ringrazio per tutta la pazienza che hai dimostrato. Sai il mio amico ha davvero bisogno di questi libri e ha mandato a me a prenderli fino a Yokohama perchè è sempre chiuso in casa o in biblioteca a studiare. Anzi quando gli dirò che alcuni libri sono introvabili sono sicuro che si arrabbierà alla grande. Povero me!” sorrido guardandolo.
Lui non risponde ma sorride insieme a me. Gli faccio un cenno di saluto con la mano e non vedendo risposta da parte sua, mi allontano stupito e imbarazzato. Mi volto e ripercorro il corridoio al contrario fino all'ascensore. Appena sorpasso la porta di ingresso mi sento strattonare il braccio.
“Ehi aspetta!” mi volto.
“Matsumoto?!”
“Akira senti...” si ferma cercando di trovare le parole giuste. Tossisce e si tortura crudelmente una pellicina vicino all'unghia dell'anulare. Si morde un labbro; è nervoso tuttavia mi rivolge uno dei suoi sorrisi più belli. “Secondo me n-non c'è bisogno che tu inventa un'altra scusa per venire qui sai? Potrebbe essere più semplice di così” sussurra timidamente prendendomi il braccio.
Colto alla sprovvista non so cosa rispondere. Non mi sarei mai aspettato una reazione simile. Lo vedo tirare su la manica della mia giacca di pelle e scoprire il mio avambraccio sinistro. Recupera un pennarello indelebile dalla tasca dei pantaloni e scribacchia qualcosa sulla mia pelle.
“Questo è il mio numero di cellulare. Molto più facile non credi?” dice a testa bassa mentre completa la sequenza di numeri. Chiude la penna con il cappuccio lasciandomi completamente senza parole. “Aspetto un tuo messaggio” sussurra a pochi centimetri dal mio viso. Ha parlato così a bassa voce che sono sicura che nessun altro ha minimamente udito cosa mi ha detto. La sua voce assomiglia ad un leggero fruscio, come una delicata carezza, così effimera da sembrare illusoria.
Ripone il pennarello nella sua tasca e mi fa un cenno con la mano, si gira dandomi la schiena e ritorna sui suoi passi. Lo guardo scomparire dietro alcuni scaffali mentre io rimango per un grande numero di secondi a fissare il vuoto di fronte a me con una faccia così ebete in volto che se passasse qualcuno in questo momento mi scatterebbe sicuramente una foto. Mi riprendo rapidamente e corro verso l'ascensore. Voglio uscire da questo edificio al più presto. Schiaccio il pulsante 'zero' e dopo pochi attimi mi ritrovo immerso nel silenzio rigoroso dell'ingresso bianco e pulito. Esco dal portone principale ma mi fermo immediatamente appena varcata la soglia. Le nuvole grigie e minacciose non promettono nulla di buono; infatti nel giro di un minuto o poco più inizia a piovigginare velocemente. Le gocce di pioggia scendono silenziose e numerosissime. Mi irrita la pioggia quando è così. Sono costretto ad aprire l'ombrello anche se potrei benissimo farne a meno. Per fortuna ne porto sempre uno di scorta con me.
Mentre cammino sotto la pioggia accompagnato dal mio fedele ombrello grigio scuro ripenso ai momenti appena trascorsi. D'istinto mi tiro su la manica sinistra della giacca e osservo la sequenza di numeri scritta con una calligrafia precisa e ordinata. Possibile che abbia capito tutto? Non credo proprio. Non ho mai accennato a Takanori nulla che avrebbe potuto fargli pensare una cosa simile. E se forse lo ha scoperto per vie traverse? In fondo il suo collega Yutaka mi sembra un gran rompiscatole e anche un grande impiccione; forse lui ha fatto delle ricerche su di me, ha scoperto certe cose e ha riferito tutto a Takanori.
'Nah impossibile. Avrò pure fatto la figura del babbeo con la scusa della lista di libri antichi e introvabili, ma tutto sommato sono stato molto bravo a nascondere tutto il resto'.
Ma allora perchè Takanori mi ha rivolto quelle parole? Non credo di avere più bisogno di conferme. Takanori vuole uscire con me; e non un'uscita tra amici sia chiaro. Takanori Matsumoto aspetta che io, Akira Suzuki, lo inviti fuori per un appuntamento. L'uomo che mi ha salvato la vita prova interesse nei miei confronti. Questo è proprio un bel casino. Eppure è semplice la faccenda. Devo solo chiedere a me stesso: sono interessato a lui? Voglio veramente un appuntamento? La risposta è no in entrambi i casi. Non mi interessa Takanori, né credo che possa mai interessarmi. Inoltre non credo di essere un uomo così affascinante. Certo devo ammettere che tutte le volte che mi sono presentato qui ho sempre cercato una scusa per rimanere da solo con lui e l'ho invitato,  insistentemente, a prendere un caffè con me. Ma possibile che sia bastato solo questo a far pensare a Takanori che io potessi essere interessato a lui? Eppure mi sono sempre considerato, fin da giovane, un ragazzo molto freddo e distaccato. Evidentemente non è andata così con lui, oppure ho sempre avuto un'opinione sbagliata di me stesso. Entrambe le opzioni sono plausibili.
Passeggio nel lungo viale alberato che si estende di fianco alla biblioteca annusando l'aria fresca e porosa della pioggia. Quell'odore mi riporta alla mente tantissimi ricordi...in particolare quel giorno che aspettai mia madre seduto su un marciapiede sotto la pioggia. Avevo ventidue anni e quel pomeriggio giocai un'importante partita di calcio. Quel giorno iniziò a piovere proprio quando la partita era ormai iniziata e così l'arbitro fu costretto ad interromperla a metà. Quel giorno mia madre non potè venirmi a vedere e nemmeno mia sorella e così nessuna delle due poteva sapere che la partita era stata sospesa. Dovetti aspettare che mia madre venisse a prendermi per un'ora intera sotto la pioggia. A quei tempi non esistevano i telefoni ed era molto scomodo comunicare certe urgenze. Non avevo nemmeno qualche spicciolo da consumare nelle cabine telefoniche e così mi rassegnai al mio destino. Cercai di ripararmi sotto il tetto dell'entrata del piccolo stadio del paese dove abitavo, ma fallii miseramente. Mia madre arrivò puntuale all'ora in cui ci eravamo messi d'accordo trovandomi bagnato da capo a piedi. Quando misi piede in casa mi resi conto di aver preso un bel raffreddore che mi costrinse a letto per dieci giorni nonostante fosse estate. Mi viene da ridere ripensando a quel momento. Sembrava un po' la metafora della mia vita: restare inerme sotto il temporale aspettando solo che le cose peggiori mi cadessero addosso senza poter fare nulla per rimediare. A parte questo brutto episodio ho sempre amato la pioggia, ma preferisco osservarla in silenzio dalla finestra di casa mia piuttosto che camminare per strada stringendo un ombrello tra le mani. E sembra proprio che non sia l'unico a pensarla in questo modo.
Vedo un piccolo ragazzo correre sul marciapiede cercando di evitare i passanti in maniera goffa e bizzarra, stringe tra le mani una borsa di pelle nera, una borsa molto professionale, come quelle che portano dietro i professori o i medici. Il piccolo bagaglio di pelle è posto sopra la testa nel tentativo di ripararsi dalle gocce di pioggia che si fanno man mano sempre più grosse e insistenti. Non sembra proprio un buon rimedio tanto che vedo da una certa distanza che i suoi capelli sono completamente fradici. Il suo volto lascia trapelare tutto quello che pensa: ha un'aria pensierosa, seria e concentrata. Non serve un genio per capire, anche a qualche metro di distanza, che le giornate di pioggia non sono le sue preferite. Si fa largo tra le persone chiedendo 'permesso' ma ricevendo solo qualche insulto in risposta. Oggi le vie principali di Yokohama sono veramente affollate.
Senza nemmeno riflettere affretto il passo e raggiungo Takanori, il quale, continuando a camminare a passo svelto, si dirige involontariamente verso di me.
“Sembra proprio che qualcuno qui abbia bisogno di un ombrello” dico io ormai ad un metro da lui.
L'uomo dai capelli corvini non si accorge di me e mi viene addosso sbattendo la faccia sul mio petto.
“Chiedo scus-...Akira!” alza il volto e la sua espressione dolce mi accoglie. I suoi occhi, prima tanto confusi e cupi, si rallegrano, come un piccolo cucciolo animale che vede finalmente la madre.
“Penso che quella cartelletta non sia un buon metodo per ripararsi dalla pioggia” dico io indicando la sua borsa. Lui sorride togliendo la borsa da sopra la testa e ripulendone la superficie dalle numerose goccioline d'acqua. Lo osservo: indossa una giacca primaverile nera aperta che lascia intravedere un maglioncino color crema. I pantaloni stretti fasciano le sue gambe magre, mentre ai piedi porta delle scarpe sportive molto ingombranti. Deve essersi cambiato una volta staccato il turno alla biblioteca. I capelli sono sciolti e vedo finalmente le sue ciocche nere incorniciare il suo volto efebico. Mi guarda come se aspettasse qualcosa.
“Ah, beh...puoi ripararti qua sotto” dico prontamente spostando il mio ombrello verso di lui. “Non è molto grande per coprirci perfettamente entrambi ma credo che sia sempre meglio che bagnare la propria borsa” dico guardando la strada davanti a me.
“Grazie mille Akira. Sei davvero molto gentile...non so davvero cosa dire. Grazie ancora”
“Figurati nessun problema. Piuttosto...dove stavi andando così di fretta?”
“Stavo correndo verso la fermata del bus, tuttavia penso di averlo perso ormai. Abito un po' fuori città e il bus extraurbano che prendo tutti i giorni passa solo ogni quaranta minuti.”
Sorrido facendogli cenno di volerlo accompagnare fino alla fermata. Lui afferra delicatamente la stoffa della mia giacca e si aggrappa saldamente ad essa mentre camminiamo. La sua presenza mi rende leggermente nervoso. Non so come comportarmi ora che ho iniziato a capire quello che prova nei miei confronti. Mi sento come se da lì a poco dovessi affrontare un test difficilissimo per accedere a qualche prestigiosa facoltà di matematica e fisica.
'Allora perchè gli sei andato incontro Akira?'. Una voce nella mia testa inizia a ripetermi questa domanda all'infinito, fino all'esasperazione. Sento che non è il momento di lasciar prevalere quella voce e così la scaccio dalla mia mente. Mi concentro sul percorso che stiamo facendo. Mi lascio guidare da lui che ogni tanto mi tira la manica della giacca indicandomi la strada da seguire. Takanori inizia a raccontare che odia la pioggia perchè l'umidità rovina i suoi capelli e l'atmosfera cupa e grigia lo rende troppo malinconico. Mi scopro molto coinvolto nel suo discorso. Parla tantissimo, non mi rivolge quasi mai lo sguardo. I suoi occhi sono fissi in un punto preciso davanti a sé. A volte mi giro a guardarlo e mi rendo conto di quanto sia pallida e chiara la sua pelle da una distanza così ravvicinata. Osservo il profilo del suo naso: è curvo e imperfetto, ciò nonostante è il profilo più bello che abbia mai visto. Tutte le persone quando ammirano il proprio profilo scoprono un diverso lato di sé, e spesso questo causa una profonda delusione. Che io ricordi non ho mai conosciuto una singola persona che abbia mai apprezzato il proprio profilo o abbia trovato affascinante quello delle altre persone. I nasi possono essere affascinanti ma molto meglio osservarli centrali in un viso in primo piano. Invece il naso di Takanori sembra essere fatto apposta per essere ammirato di profilo.
“Mi sa che ho parlato abbastanza. E tu invece cosa mi dici Mister Misterioso? Come mai questo outfit da centauro?” chiede lui ridendo.
“Diciamo che...è un caso che tu mi abbia visto così spesso vestito con anfibi e giacca di pelle. È solo che, quando vengo qui a Yokohama prendo la moto e quindi ho bisogno degli abiti giusti. Sì forse non è il massimo entrare in una biblioteca vestito così”
“Sei il cliente più punk che abbia mai visto” mi punzecchia sorridendo.
“Beh ci sei andato vicino. Amo la musica punk e ascolto sempre i Sex Pistols. Tu invece che musica ascolti?”
“Oddio ma anche io adoro quel tipo di musica! Pensa che quando avevo venti anni suonavo la batteria in una band rock-punk qui a Yokohama. Come band facevamo davvero schifo, ma in compenso ci divertivamo tantissimo a suonare e fare casino per i locali”
Scoppio a ridere fermandomi nel mezzo della strada.
“Non ci credo. Tu in una band punk? Avrei detto tutto tranne che tu fossi un appassionato di musica così underground”
In tutta risposta ricevo un pizzicotto sul braccio. Scoppiamo entrambi a ridere. Takanori mi racconta di aver sempre amato la musica e di esser sempre stato un ribelle quando era un ragazzino. Amava andare ai concerti; a volte scappava pure dalla sua camera la notte per frequentare qualche locale dove suonavano musica rock fino alla mattina. Continua a parlare dei suoi gusti musicali: ama ogni tipo di musica che sia rumorosa e che spacchi i timpani e tutt'ora i suoi gusti non sono affatto cambiati. Dice di ammirare Sid Vicious e di avere un sacco di poster attaccati alle pareti del monolocale in cui vive da solo. Parlando, mi mostra un piccolo tatuaggio sull'avambraccio destro che non avevo mai notato, considerando che indossa sempre camice a maniche lunghe.
“E' un uccello stilizzato. Decisi di tatuarmelo poco dopo che confessai ai miei la mia omosessualità. Mi sentivo finalmente libero da tutto, dai pregiudizi della gente e dalle oppressioni della società. Sono molto legato a questo tatuaggio. Non so se sei a conoscenza del fatto che certe persone si tatuano degli animali che non sono altro che simboli e metafore della loro vita e delle loro esperienze. Ad esempio i carcerati si tatuano spesso delle farfalle sulla schiena, come simbolo di libertà. E nella comunità omosessuale non è raro vedere ragazzi e ragazze con piccoli volatili tatuati sul corpo. È un simbolo di libertà sessuale.”
“E' bellissimo, Takanori” dico osservando il disegno preciso e dai contorni delineati. È un tatuaggio molto anonimo ma su di lui risalta e, inspiegabilmente, è maledettamente elegante. Sembra che ogni cosa che Takanori dice o fa risulta sempre piacevole e raffinata. Mi chiedo come faccia.
Ci fermiamo dopo un centinaio di metri e mi rendo conto di aver raggiunto la fermata del bus. Mi guardo intorno scoprendo che il traffico è aumentato e le strade sono ancora più affollate di prima. Eppure in questo momento mi sento...bene. Non penso alla pioggia e allo stress metropolitano. Mi sembra quasi di essere chiuso all'interno di una bolla di sapone, e Takanori è con me. Siamo lontani dal mondo e dalla città in questo preciso istante.
“Sono arrivato”
“Già”
“Grazie per avermi accompagnato” incalza lanciandomi delle piccole occhiate.
Ricambio lo sguardo clandestino fissandolo con la coda dell'occhio. “Figurati”
Lui si gira e mi fissa. Inizia a piovere ancora più forte; riesco a sentire le gocce picchiare con violenza sulla stoffa del mio ombrello. Mi avvicino a Takanori e mi assicuro che sia comodo sotto il mio piccolo tettuccio fatto di stoffa sintetica e che non si bagni ulteriormente. Siamo così vicini che basterebbe leggerci nel pensiero per comunicare. Il suo volto è a una decina di centimetri dal mio. I suoi occhi sono incollati nei miei. Li osservo con attenzione: sono castani ma possiedono una varia gamma di sfumature color nocciola e color miele. Sono occhi caldi e rassicuranti, come una coperta sulle spalle o una tazza fumante di tè verde in una giornata invernale. Le sue iridi luccicano, come la superficie dell'acqua illuminata dai raggi del Sole. Le sue labbra sono screpolate per via del freddo ma conservano la loro morbidezza e il loro colore rosa. Sento le sue mani aggrapparsi ai lembi della mia giacca di pelle aperta. Sento i rumori della strada in sottofondo, un clacson, un motorino che sfreccia a tutta velocità, una macchina che accelera. Non mi interessa cosa succede là fuori perchè in questo preciso istante della mia vita sto bene. Sono rinchiuso nella mia sfera di cristallo e non ho alcuna voglia di uscirne. Nel frattempo i nostri sguardi comunicano, si incrociano, iniziano una danza lunga e intensa. I suoi occhi mi stanno parlando, mi stanno raccontando qualcosa. Ed è proprio qui che mi viene in mente quello che lui ha fatto per me. Se non fosse per questo piccolo uomo davanti a me, io probabilmente sarei morto. Il tumore mi avrebbe divorato, come un drago divora le carni del cavaliere che ha tentato di sconfiggerlo. E invece io ho avuto l'onore di essere salvato da un principe, una persona che mi ha restituito tutto quello che avevo perso. I miei occhi lo ringraziano tacitamente. Forse sto sognando eppure mi sembra che le sue labbra si stiano muovendo. Sta dicendo qualcosa. È un dolce e lento sussurro. Ma cosa sta pronunciando la sua bocca?
Un forte rumore mi riporta alla realtà, rompendo bruscamente la sfera di cristallo in cui eravamo rinchiusi. Alzo la tesa dell'ombrello per scoprire amaramente che l'autobus extraurbano ha appena fatto sosta alla fermata davanti a noi. Alcuni passeggeri scendono aprendo con cura l'ombrello.
“Eccolo! Questo è il mio autobus. Devo andare Akira. Ci vediamo...e grazie ancora” sussurra lui salutandomi. Mi fa un cenno con la mano e poi lo vedo salire sul bus, annegando tra la folla di persone. Continuo a seguirlo con lo sguardo fino a che l'autobus non rimette in moto il motore e riprende la sua corsa. Insisto nel voler guardare quel veicolo davanti a me; continuo a guardare nella sua direzione anche quando al suo posto non è rimasto più nulla, se non un paesaggio grigio e umido di questo tardo pomeriggio primaverile.














Buongiorno lettori e lettrici! Questo capitolo è  b e l l i s s i m o <3 siccome è il mio capitolo preferito in assoluto ho deciso di dedicarlo a Federica, una persona molto speciale per me ;___; colgo l'occasione per dedicarle un piccolo messaggio: Grazie Federica per la tua amicizia ;3; sei una persona dolcissima e spero tu abbia apprezzato il capitolo.
Ma veniamo a noi <:  eheheheeh qui stanno succedendo cose. Akira è sempre più pensieroso e confuso. Forse quando è partito con la sua ricerca del donatore non aveva fatto i conti con la possibilità di incontrare un ragazzo bello e semplice come Takanori. In fondo non possiamo negarlo. Il piccolo bibliotecario è molto affascinante e dolce e forse è l'unica persona che riesce a sciogliere il cuore freddo del nostro motociclista. Tuttavia Akira mi sembra un po' un testone è_é non vuole proprio arrendersi :c eppure a fine del capitolo succede qualcosa. Diamo pure la ''colpa'' alla pioggia ma.....Si crea un'atmosfera bellissima. Se entrambi sono ancora insicuri almeno i loro occhi sono riusciti a comunicare. (Rileggendo quella parte mi sono letteralmente sciolta ;__;) Sono impaziente di saper cosa ne pensate <3

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Capitolo 14
*** Quattordici. ***


(Consiglio l'ascolto di Every you Every me dei Placebo come sottofondo mentre leggete questo capitolo)

XIV.











Apro violentemente il forno e vengo inondato da una folata di aria caldissima che imperla immediatamente il mio volto. Mi sembra di essere entrato dentro una sauna con tre giubbotti invernali indosso. Mi assicuro che il pan di spagna stia lievitando come si deve e poi richiudo. Mi asciugo la fronte sudata con un panno. Sono due ore che inforno torte e brioches e mi sembra di essere rinchiuso in una prigione sul fondo di un vulcano in eruzione. Fa davvero molto caldo e così decido di uscire sulla porta sul retro dove trovo Yuu intento a fumare una sigaretta. Yuu è il tipico uomo che potrebbe distruggere lo stereotipo dell'uomo medio giapponese dedito lavoratore e padre di famiglia. Yuu Shiroyama non è assolutamente un buon lavoratore che dedica tutto il suo amore e tempo al suo impiego, né tantomeno un padre di famiglia. Quando non impasta dolci o creme, lo trovo sempre sul retro a fumare, bere birra o giocare con il suo smartphone. Fa così da quando lo conosco. È incorreggibile.
“Suzuki. Qual buon vento!”
“Vento di pan di spagna e crema ai frutti di bosco. Sono due ore che preparo crostate e marmellate e tu nel mentre stai tranquillo a fumarti una sigaretta. Non hai paura della signora?” dico io avvicinandomi.
“La signora Wazuka oggi arriverà in ritardo perchè è occupata in alcune consegne. Voglio godermi il momento” risponde aspirando forte dalla sua sigaretta. Dopo averla fatta consumare fino al filtro, decide di buttarla in terra e schiacciarla con il tacco dei suoi stivaletti.
“Capisco” dico io fissando un punto impreciso sull'asfalto. Mi concentro con tutto me stesso per non chiedere a Yuu una sigaretta. Il dottore è stato chiaro con me: se continuo a fumare, i farmaci non avranno effetto e potrebbero esserci effetti collaterali.
“Pronto? Suzuki-san? Terra chiama Suzuki!” Yuu mi agita una mano davanti al viso riportandomi alla realtà. “Tutto ok? Secondo me stai ancora dormendo”
“Certo...e intanto ho preparato quattro crostate mentre tu te la spassavi alla grande qua fuori”
“Si chiama 'pausa' ed è una cosa che dovresti fare anche tu Akira. Prenderti una pausa. Sei sempre così preso e concentrato. Hai bisogno di una vacanza” il suo tono di voce è meno scherzoso di sempre. Forse ha ragione. Ho davvero bisogno di staccare un po' e smettere di pensare. Mi lascio coinvolgere troppo dalle cose e alla fine rimango sempre fregato. Bella merda. Ormai avrei dovuto imparare qualcosa da tutte le mie esperienze di vita.
“Dai su, forza e coraggio” continua Shiroyama dandomi una pacca sulla spalla. “Torniamo dentro che ora ci aspettano due cheesecake a testa da preparare.”
Apriamo la porta sul retro e sentiamo una ventata fredda accoglierci a causa del forte riscontro. Faccio un cenno di intesa a Yuu facendoli capire quali ingredienti e quali attrezzi devo recuperare. Mentre inizio a tritare finemente i biscotti e il burro per fare la base della torta, penso involontariamente a Takanori. Il cheesecake è il suo dolce preferito, in particolare quello al sapore di macha. Vorrei poter cucinare un dolce solo per lui e mi farebbe molto piacere se apprezzasse. Mentre continuo a impastare il composto di biscotti e burro fuso ripercorro mentalmente la giornata di ieri. La pioggia, il suo sguardo, il numero di telefono. Ho impiegato più di mezz'ora a lavare via la sequenza di numeri dalla mia pelle. Dannati pennarelli indelebili. Ho salvato il numero sul telefono senza neanche pensarci. Le mie dita si sono mosse automaticamente senza il controllo della mia volontà. Mi sposto a recuperare del formaggio spalmabile, latte e panna nel grosso frigorifero. Inizio a preparare il composto vero e proprio. Amo montare la panna con il formaggio e il latte. Mi rilassa e mi mette di buon umore. Osservo quella crema bianca come la neve e non riesco a non pensare alla pelle diafana di Takanori. Ripenso al suo profumo, i suoi occhi, le sue mani, il suo sorriso. Lo penso così intensamente che non sento più il rumore dello sbattitore elettrico e nemmeno il rumore del frullatore usato da Yuu a pochi metri da me. Sono ricaduto nuovamente nella mia bolla di cristallo. Ho pensato tutto il tempo a lui; quando ero in moto non vedevo altro che il suo volto. Perchè sono così coinvolto?
'Perchè ti piace'. La voce della mia coscienza mi interrompe, tirandomi uno schiaffo morale fortissimo. E fa male, cazzo se fa male. Possibile che riesca a realizzarlo solo ora? Non lo trovo né logico né possibile. Non mi sono presentato in quella dannata biblioteca per prendermi una cotta per uno dei commessi. Tutto quello che volevo era solo incontrare chi mi aveva salvato la vita. Sono sempre stato un ragazzo timido e freddo, però, dopo quello che mi è successo, mi sono reso conto di provare un forte desiderio di incontrare colui che mi aveva permesso di andare avanti. Ricordo ancora tutto quello che i dottori mi avevano detto: se non si trovava un donatore, io sarei potuto morire nel giro di un anno. E invece quel venerdì notte, mentre sonnecchiavo sul divano, mi chiamarono dall'ospedale annunciandomi il miracolo: avevano trovato un donatore compatibile con il mio midollo osseo. Ricordo ancora la corsa nervosa all'ospedale e il sorriso dei dottori. Dopo aver svolto l'operazione ero stanco e spossato, ma ero felice. Ero felice di sapere che da qualche parte nel Giappone si trovava qualcuno che, senza saperlo, aveva salvato la vita di un povero sciagurato come me. Da quel giorno mi promisi che avrei fatto di tutto per trovarlo e dirgli grazie. E infatti è così che è andata...beh più o meno. Ho cercato Takanori per mesi e quando finalmente l'ho trovato non sono riuscito a dirgli niente di quello che avrei voluto e senza poterci fare nulla, sono rimasto coinvolto in qualcosa di così grande da non riuscire nemmeno a spiegarlo. È nato qualcosa tra di noi, e avrei dovuto accorgermene subito e scappare. Invece ho tentato in ogni modo di reprimere la voce che mi parlava dentro di me. Mi sono ripetuto che io ero lì per ringraziarlo, che dovevo pur trovare una scusa per farlo...ma poi? Non gli ho mai detto grazie. Forse non era quello che volevo.
Ma allora cosa voglio veramente? Forse devo ancora realizzare per bene quello che sta succedendo. Mi chiedo cosa sarebbe successo ieri se l'autobus non fosse arrivato in quel momento.
“Quella panna è stata montata così tanto che possiamo fare uno schiuma party qui in questa cucina” dice Yuu spegnendomi lo sbattitore elettrico. Osservo il composto davanti a me, che è così spumoso e corposo che ha quasi raggiunto il bordo del contenitore. Ho fatto un'altra cazzata. Lo sapevo.
“Merda Shiroyama-san mi sono totalmente distratto” sussurro asciugandomi le mani e cercando di recuperare parte del composto in un altra scodella abbastanza capiente.
“Me ne sono accorto Suzuki. È da un bel po' di giorni che ti vedo strano e distratto. Sei sicuro di stare bene?”
“Sto benissimo, lasciami stare” rispondo nervosamente. Cerco di pulire gli schizzi di panna e latte sul tavolo e sul bancone della cucina. Strizzo la spugnetta e continuo a passarla velocemente su tutte le superfici intorno a me. Senza fiatare mi rimetto subito a lavoro.
“Ti comporti in maniera strana Akira. Le cose sono due: o hai vinto la lotteria o ti sei innamorato. Siccome non credo proprio che tu sia diventato un milionario e non lo abbia fatto sapere a nessuno, direi che la conclusione è semplice.” afferma il mio collega dandomi una pacca sulle spalle.
Appena pronuncia quelle parole mi irrigidisco, come se qualcuno mi avesse appena rovesciato sulla schiena una bacinella di acqua gelata. Rimango fermo, statico e non muovo un muscolo. Quella sensazione di freddo e di scomodo, dura pochissimo; così poco che mi sembra di essermi addirittura immaginato le parole di Yuu. Impossibile. Gli lancio uno sguardo e lo fulmino sul posto. Non ho intenzione di parlarne e come se non bastasse sono anche indietro con il mio lavoro.
Passo accanto a lui che alza le mani come in segno di sconfitta. “Va bene, va bene Suzuki. Non dico più nulla” dice seriamente rimettendosi a lavorare.
Faccio un cenno sulla mano per fargli capire che non me la sono presa. O meglio: non me la sono presa con lui.  Sono incazzato solo con me stesso. Ho fatto un disastro: come ho rovinato il composto di panna e latte per il cheesecake, così ho rovinato tutto quello che mi ero prefissato. Ho fatto un vero disastro e non so nemmeno come uscirne. Mi sento come uno di quei bambini che, dopo aver rotto il vaso prezioso dei genitori, rimane fermo e immobile ad aspettare di essere brontolato e messo in punizione. Mi allontano dalla cucina raggiungendo il camerino. Recupero una pillola dalla tasca interna della mia borsa e la ingoio con un due bicchieri di acqua del rubinetto. Mi guardo nello specchio del bagno e faccio dei profondi respironi. Spero che la medicina faccia effetto.









 
*









Non mi piace molto la domenica, però ammetto di avere davvero bisogno di riposo. La domenica è l'unico giorno in cui la pasticceria è chiusa e quindi posso godermi un'intera giornata di libertà. Oggi, dopo un paio di mesi, ho ripreso in mano il mio basso elettrico e ho strimpellato qualcosa. Sono ancora molto arrugginito per certi versi, ma non posso pretendere l'impossibile. Quando ero al liceo ero bravissimo a suonare, così come Kouyou era bravo a suonare la chitarra. Lui era un vero mostro e infatti il suo sogno era quello di diventare un musicista di successo. A causa di molti problemi familiari è stato costretto ad abbandonare il suo sogno e ha trovato lavoro come impiegato nell'università. Ma non ha mai smesso di suonare o di andare in moto. Kouyou mi somiglia tantissimo sotto questo punto di vista. Siamo molto diversi su certe cose; ad esempio lui è molto più solare di me e ama sempre scherzare, mentre io sono molto serio e freddo. Dall'altra parte però siamo entrambi due testoni e ci piace portare avanti quello che amiamo, anche se questo comporta certe rinunce e sacrifici. Ho ricomprato il basso all'incirca due anni fa e ho speso una bella cifra perchè ne volevo uno professionale. Se sapevo che lo avrei utilizzato così poco, forse ne avrei acquistato uno meno economico. A causa della malattia, non ho più i ritmi che avevo quando ero più giovane. Mi stanco molto facilmente e mi viene così spesso il mal di testa che ormai ho imparato a conviverci. Il più delle volte non posso permettermi di mettermi a strimpellare o fare qualche attività più faticosa, proprio a causa delle mie limitazioni. Il medico mi ha detto che l'unica cosa di cui ho bisogno è trovare un equilibrio. Non posso esagerare nelle cose che faccio o il mio fisico potrebbe non reggere. Per questo cerco di allenarmi quanto basta e di non stressarmi ulteriormente a lavoro.
Continuo a suonare un pezzo dei Sex Pistols imperterrito, anche se ricordo solo metà della canzone. Mentre suono ripenso alle parole di Takanori. Anche lui adora il mio stesso tipo di musica e probabilmente quando era un ragazzo si vestiva identico a me. Assurdo. Siamo davvero così simili anche se siamo due opposti. Lui è sempre così dolce e sorridente, mentre io sono un gran musone e preferisco stare zitto. Eppure ci sono così tante cose che ci accomunano. Non è affatto una persona superficiale ed è un lato della sua personalità che mi ha catturato fin da subito, oltre al suo tono di voce e al suo aspetto. È così minuto e delicato, ma possiede una forza interiore incredibile. Sono giorni che non smetto un secondo di pensare a lui: vorrei abbracciarlo e respirare il suo buon profumo. Mi sembra tutto così strano. Non ho mai avuto un'idea in mente di chi fosse veramente il mio uomo ideale, però ammetto di aver sempre preferito i ragazzi alti e statuari. Invece Takanori è basso e molto magro e non ha nessuna caratteristica che lo renda simile ai miei ex fidanzati. Forse è proprio questa cosa che lo rende così speciale e affascinante. È una piccola margherita in un vasto campo di girasoli. E tutto di lui mi ha totalmente stregato. Il suo sguardo, i suoi movimenti, la sua risata. Come è possibile che qualsiasi cosa mi ricordi lui? Persino l'accendino posato sul piccolo tavolino di fronte a me lo ricorda. Ricordo anche la marca delle sue sigarette: Marlboro rosse. Incredibile. Non mi sono mai sentito così. Così inerme e sconfitto. Forse devo solo ammetterlo a me stesso e lasciarmi andare. E che male c'è in fondo? Dovrebbe essere una cosa bella no?
Forse per gli altri sì, ma non per me. Ho avuto qualche fidanzata e altrettanti fidanzati nella mia vita...ma nessuno di loro mi ha dato quello che stavo veramente cercando. Poi mi resi conto che non sapevo nemmeno io costa stessi cercando, così abbandonai tutto. Le cose sentimentali non fanno per me. Preferisco stare nel silenzio di casa mia a leggere un libro piuttosto che uscire con gli altri. Forse ho una vita triste sì lo ammetto, ma va bene così. L'amore e i sentimenti sono cose troppo complicate e ho promesso a me stesso, che se fossi riuscito a guarire dalla leucemia, avrei chiuso ogni tipo di relazione importante per sempre. Da quel momento sono diventato un uomo freddo, cinico e razionale. Senza neanche un briciolo di sentimenti.
Invece da quando ho incontrato Takanori tutto è cambiato. Ho provato tutte le emozioni che credevo andate perdute per sempre: imbarazzo, nervosismo, vergogna, felicità. Possibile che sia davvero così?
Continuo a pizzicare violentemente le corde di metallo del mio basso fino a che non sento il mio telefono squillare.
“Pronto?”
Pronto Akira? Sono Jonathan-san
“Ciao Jonathan...dimmi pure”
Scusa se ti disturbo...oggi non me ne va una giusta e ho pensato se avessi voglia di uscire...insomma, stare un po' insieme
“Certo nessun problema” dico io un po' sorpreso.
Ci diamo appuntamento davanti ad uno Starbucks vicino ad Harajuku tra un paio di ore. Decido di riporre il basso al suo posto, rimandando qualche nuova canzone da imparare alle prossime settimane. Ci vuole proprio un'uscita in questo momento. Ho bisogno di stare il meno tempo possibile in compagnia di me stesso, considerando che passo il tempo a pensare ad una sola cosa.
Corro in camera da letto e inizio a vestirmi; non mi piace arrivare tardi agli appuntamenti. Mentre infilo i boxer puliti mi osservo allo specchio: sono molto cambiato nell'ultimo anno. I progressi in palestra si vedono e di questo sono molto contento. L'anno scorso avevo un corpo asciutto ma poco delineato. Invece ora ho sviluppato molto bene i pettorali, gli addominali e i bicipiti. Potrei addirittura concedermi un po' di riposo dalla palestra e dedicarmi a qualche altro passatempo. Ho sempre desiderato imparare a disegnare, ma non sono mai stato molto portato per prendere in mano i pastelli e un foglio da disegno. Anzi...non credo di aver disegnato mai nulla in vita mia. Quando andavo al liceo non facevo mai i compiti di disegno a casa. Li lasciavo fare a mia sorella, che era decisamente più portata di me. Per fortuna la professoressa non ha mai scoperto che tutti quei bei voti non erano merito della mia bravura, ma della spiccata passione di mia sorella per l'arte.
Finisco di vestirmi, mi pettino e controllo il livello della barba. Decido di non radermi e mi lavo il viso distrattamente con un po' di acqua tiepida. Prima di uscire, recupero il mio mp3, un libro che avevo lasciato posato sul piano cottura in cucina e mi assicuro che Keiji e Oscar abbiano abbastanza scorte di cibo per le prossime ore. Non contento, controllo anche il resto della casa. Il sacco dei panni sporchi, il frigorifero e la dispensa. Quando sono pienamente soddisfatto, afferro la mia giacca di pelle ed esco finalmente di casa.













Buongiorno lettrici e lettori <3 spero che abbiate passato un ottimo weekend (e sicuramente meglio del mio lol). Ma...cosa hanno letto i miei occhi? Akirone sembra che si sia preso una bella cotta e se ne è reso conto solo ora ç___ç è proprio un carciofo lesso non pensate anche voi? U__U Tuttavia ormai si è lasciato andare alla verità...non riesce a smettere di pensare un secondo a Takanori. In fondo il piccolo morettino è così adorabile che nemmeno il pasticciere dal cuore di pietra è riuscito a resistergli <: la cosa sta diventando sempre più intricata *arriccia baffo* e come se non bastasse è arrivato pure Jonathan che ha chiesto ad Akira di uscire e lui ha accettato senza nemmeno pensare. Diciamo le cose come stanno: Akira è un merluzzo lesso è__é in questo capitolo il nostro bel Ruki non c'è e io ne sento già la mancanza ç__ç ma non vi preoccupate C:   piccolo spoiler per il prossimo capitolo: arriverà un nuovo personaggio, una persona speciale *___* non vedo l'ora di farvelo leggere :B la canzone dei Placebo che ho scelto per questo capitolo mi sembra perfetta per il capitolo e per i pensieri che affollano la mente di Akira ;; sapete che domani vado proprio al concerto dei Placebo ? Se suoneranno Without You I'm Nothing penso che scoppierò a piangere come una bambina ç___ç 
*prende il megafono* ho un annuncio da fare!!!! A volte pensiamo agli scherzi del destino e al fatto che ci colgono sempre quando meno ce lo aspettiamo....insomma: mi hanno chiamato dall'università per lavorare nella biblioteca del dipartimento di filosofia *__* sono ufficialmente una bibliotecaria <3 faccio lo stesso lavoro di Takanori u_u è così buffo che quando me lo hanno detto ho iniziato a ridere istericamente lol domani firmerò il contratto fatemi un grosso in bocca al lupo *_*
 


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Capitolo 15
*** Quindici. ***



(consiglio l'ascolto di Everything In Its Right Place - Radiohead)





XV.


























Ci siamo. Sono di nuovo qui. Solo in un grande spazio aperto. È notte fonda e l'aria è fresca. È piacevole. Strano. Sento come se fossi già stato qui numerose volte. Mi guardo intorno: è molto buio ma i raggi di luna illuminano una grande foresta che si apre alla sinistra del mio sguardo. La osservo cercando di scorgervi qualcosa all'interno. I tronchi degli alberi sono tutti uguali e si susseguono come una schiera di soldati posizionati ordinatamente in file matematicamente organizzate. Quegli alberi sembrano dirmi qualcosa. Finalmente ricordo. Sono già stato qui. Solita foresta, solita luna che illumina pacatamente il panorama tetro, l'odore di erba bagnata dall'umidità. Passo spesso qui, la maggior parte delle volte corro. Già ora ricordo tutto. Sono sempre inseguito da qualcuno o...qualcosa. Una bestia feroce forse, oppure una creatura di un'altro mondo. Scappo dal mio predatore prima che mi prenda, corro a perdifiato cercando di seminarlo. Mi sembra di sentire ancora il suo alito aspro sul mio collo, i polmoni che bruciano dallo sforzo e il sapore di morte sulla lingua. A volte correvo più veloce, a volte rischiavo la pelle e sentivo la belva starmi addosso.
Ma ora non c'è nessuno. La foresta è tranquilla. Sento solo il rumore dei grilli notturni che cantano instancabili nascosti tra l'erba. La luna è ancora più bella che mai: illumina la grande distesa verde e la superficie di un piccolo torrente che non avevo mai notato. Il piccolo rivolo di acqua sgorga da un masso dalla forma buffa e produce un suono musicalmente rilassante. Potrei benissimo stendermi sul prato e rimanere qui per sempre. La notte qui è così piacevole. Mi ricorda dei bellissimi momenti, come quando trascorrevo l'estate nella casa in montagna dei miei nonni o quando me la spassavo per tutta la notte per i quartieri più sfrenati di Tokyo insieme a Kouyou e il gruppo di nostri amici. L'aria è fresca e il vento leggero mi accarezza la pelle del viso facendomi il solletico. Mi accorgo di stringere tra le mani una bottiglia in vetro di Asahi, la mia birra preferita. La apro con una facilità assurda e inizio a bere, trangugiando più liquido possibile. Mi asciugo le labbra soddisfatto. Mi guardo intorno ma noto di essere da solo in quel piccolo paradiso terreste. E pensare che fino a qualche tempo fa avrei detto che questo era un posto infernale, un posto dove sarei potuto morire fatto a pezzi da una serie di denti affilati e profondi. Che strano. Ora è tutto così sereno. Alzo lo sguardo e vedo le stelle: riconosco alcune costellazioni. Il cielo è bellissimo visto da qui; sembra un'enorme coperta soffice e avvolgente. Mi sento parte di esso, voglio che mi abbracci e mi protegga. Non voglio andarmene da qui.
Mi sveglio di soprassalto disturbato da un rumore assordante.
Che risveglio di merda. La sveglia continua a suonare insistente come a volermi incitare a fare subito il mio dovere. La spengo offrendole una vasta serie di insulti. Non potevo svegliarmi in maniera peggiore. Odio essere svegliato nel bel mezzo di un sogno. Mi guardo intorno: alcuni vestiti sporchi sono sparsi per il pavimento, i calzini fuoriescono dalla borsa dei panni sporchi. È ora che faccia una bella lavatrice. Mi alzo stropicciandomi gli occhi. Corro in bagno dandomi una sciacquata al viso. La testa mi gira, ma non forte come al suo solito, così decido di prendere solo le mie due pasticche mattutine senza assumere nessun antidolorifico. Preparo una ricca colazione insieme ad un caffè bollente ed una spremuta. Accendo la televisione per avere un po' più di compagnia. Saluto i miei due pappagalli augurando loro il buongiorno. Mentre ripulisco i piatti sporchi e preparo la lavastoviglie, ripenso intensamente al sogno appena fatto. Inizio a realizzare che la notte passata è stata l'unica notte della mia vita in cui non ho avuto incubi e ho dormito serenamente. Come è possibile? Da quando mi sono ammalato e sono entrato in terapia, ho detto addio alle mie notti tranquille. Ogni sera era un disastro per me addormentarmi. Sognavo cose terribili. Sognavo di uccidere le persone a cui voglio bene oppure sognavo di essere ucciso da figure sconosciute e anguste. Dopo aver terminato la radioterapia e aver subito un trapianto di midollo osseo è iniziato l'incubo ricorrente: io che corro senza sosta in una foresta buia e sento che qualcuno mi segue con strane intenzioni. Le prime notti ero davvero spaventato e così raccontai tutto al dottore che mi disse che era tutto sotto controllo. I malati di tumore che vengono sottoposti a cure molto drastiche tendono a sognare certi eventi o momenti particolarmente angoscianti. Così dopo che il dottore mi rassicurò, me ne feci una ragione. Quasi ogni notte quell'incubo tornava a trovarmi. Sempre la stessa storia: io che corro, sono inseguito da due occhi che mi scrutano nel buio e poi quando credo di essermela cavata, cado in un precipizio o vengo assalito alle spalle. Ma questa notte appena trascorsa era tutto diverso. Non c'era niente di inquietante in quella foresta. C'ero solo io, la luna e un cielo blu scuro. Era tutto così bello e così...reale. Non so cosa darei per tornare a quel momento. Non avrei mai pensato di dirlo. Ho sempre cercato di scappare dai miei sogni, ma ora per la prima volta voglio tornarci. Voglio tornare in quel vasto prato, in quella piccola oasi di pace. Tuttavia sento di avere troppe domande per la testa. Perchè è cambiato tutto nel sogno? Forse sono guarito da quei tipi di incubi? Oppure è solo un' eccezione? Non vorrei cantar vittoria troppo presto. Così allontano per un po' il pensiero dalla mia testa e mi concentro sulle pulizie di casa. Pulisco il pavimento di tutte le stanze e quando mi accorgo di aver fatto un ottimo lavoro mi riposo sul divano guardando distrattamente la tv. Sul piccolo tavolo di vetro del soggiorno è appoggiato il mio iPhone. Lo osservo senza un motivo.
Lo afferro subito dopo sbloccando lo schermo con la sequenza esatta di tasti. Apro la casella di messaggi e compongo velocemente qualcosa.


Ciao :) sono Akira Suzuki, come stai?
Ti scrivo perchè mi sei venuto in mente.
Ti andrebbe di uscire uno di questi giorni?


 
Cerco il suo nome tra la rubrica e poi invio. Lo rileggo almeno cinquanta volte anche se invano. Forse sono stato troppo espansivo. La prossima volta imparo a essere così impulsivo. Ma cosa mi prende? Sono sempre stato un grande cinico e calcolatore e ora tutto d'un tratto mi sento dannatamente idiota e fuori luogo. Attendo una risposta fissando il telefono con un'espressione poco convinta. Dopo nemmeno tre minuti un suono familiare mi avvisa dell'arrivo di un sms.
Da: Takanori

Ciao Akira :) mi fa piacere sentirti.
Certo! Che ne dici se facciamo questo sabato?

Molto più facile del previsto. Forse non sono andato così male. Scrivo velocemente cercando di non fare errori di battitura.
Da: Akira

Per me va benissimo. Ti aspetto
alla stazione di Shinjuku, vengo a prenderti alle 16 in punto

Invio e appoggio il telefono sul mobile di fronte a me. Mi distendo sul divano appoggiando i piedi sull'estremità e allungando le gambe. Sorrido guardando il soffitto. Mi sento come se mi stessi riposando su una panchina dopo una lunghissima maratona. Mi sento spossato ma felice. Guardo fuori dalla finestra il cielo limpido e le nuvole bianche. Senza neanche accorgermene mi addormento cullato dal vento delicato che arriva dalla finestra.






 
*












Esco dalla doccia infreddolito e recupero immediatamente un asciugamano che mi lego alla vita. Ho i brividi e corro a chiudere la finestra prima di prendermi una bronchite. I fottuti medicinali che prendo alterano la mia temperatura corporea. Per questo ho sempre bisogno di usare l'acqua della doccia e del rubinetto tiepida sia d'estate che d'inverno. Non posso stare sotto le correnti d'aria né in un posto in cui fa troppo caldo. Ammetto che vivere in Giappone non è proprio il massimo per questo tipo di problemi...il clima è sempre troppo umido e appiccicoso. Sudo anche se non mi muovo e mi basta anche una semplice corrente di riscontro casalinga per farmi prendere un brutto raffreddore. Tampono i capelli con una salvietta da bagno e mi dirigo in cucina. Prendo la pasticca delle ore 19 e nel frattempo cerco qualcosa per riempire la pancia. Apro lo sportello della dispensa e trovo solo qualche fetta di pancarrè e dello sciroppo d'acero. Decido di preparare delle piccole frittelle. Apro il frigorifero e recupero uova e latte. Sbatto le uova in un contenitore e  aggiunto il latte. Inzuppo le fette di pane bianco nel composto e le metto a soffriggere in padella. Immediatamente la stanza si riempie di un profumo buonissimo. Dopo essermi accertato di aver cotto e fritto le fette nella maniera giusta, le afferro con le bacchette e le appoggio su un velo di carta scottex per far assorbire un po' di grasso. Guardo soddisfatto il piatto e mi ritengo contento del mio lavoro. Proprio mentre verso lo sciroppo d'acero sulle frittelle tiepide sento suonare il campanello. Corro a rispondere sorpreso. Strano. Non sto aspettando alcuna visita. Forse mi devono consegnare un pacco di qualcosa che non ricordo di aver ordinato online? Prendo la cornetta in mano e mi tolgo ogni dubbio.
“Chi è?”
“Amore sono io, aprimi”
Sorrido spontaneamente riconoscendo quella voce familiare. Nonostante lo stupore iniziale, il tono della sua voce mi riporta alla realtà nella maniera più dolce possibile. Mi sento estremamente felice e mi scopro tremendamente emozionato. È più forte di me. Ogni volta che senso la sua voce tutto torna al suo posto. È tutto come dovrebbe essere. Sono un uomo solitario e non gradisco molto la compagnia di troppe persone, ma non potrei mai vivere senza la sua presenza. Tutte le volte sento il bambino dentro di me scalciare da tutte le parti per farsi spazio. Come vorrei tornare ad avere dieci anni. Come vorrei tornare a quel periodo in cui non c’era tutto questo. Improvvisamente sento la mancanza delle sue braccia e della sua stretta calda e accogliente.  Mancano pochi secondi e poi posso finalmente stringermi nel suo abbraccio. Sono successe così tante cose nel frattempo che non saprei proprio da dove iniziare a raccontare. Vorrei poter dire tutto quello che ho dentro. 
Riesco veramente ad essere un codardo fino in fondo?’ 
Abbandono questi pensieri. Niente può rovinare il nostro incontro. 
Apro il portone del condominio e tiro giù anche la maniglia della porta del mio appartamento. Ascolto il rumore di passi ormai facilmente riconoscibili segnare la distanza che ci separa. 
In meno di trenta secondi sento la porta cigolare e l'ospite entrare in casa.
“Mamma!”
“Akira, amore mio!” dice lei venendomi incontro e abbracciandomi forte. La stringo a me così saldamente che per un attimo penso di averle tolto il respiro. Le sorrido contento di vederla.
“Ti ho portato delle cose buone da mangiare” dice mostrandomi un sacchetto nella sua mano destra colmo di scatolette di alluminio per alimenti. Prendo il sacchetto e lo appoggio sul tavolo. Recupero con cura ogni singola confezione cercando di indovinarne il contenuto dal profumo. Scorgo dei takoyaki, del tofu marinato, delle seppie in salamoia, uramaki di anguilla e tamago* e un vassoio di dorayaki ripieni di marmellata di fagioli rossi. Appoggio tutto sul piano della cucina avendo cura di non rovinare i vari contenitori.
“Mamma ma hai cucinato cibo per uno squadrone militare!” dico ridendo.
“Su su Akira come sei! Lo sai che con le cure e tutte le pasticche che prendi devi mangiare! A proposito come stai?”
“Bene...non posso lamentarmi. Ho sempre un po' di mal di testa ma il dottore ha detto che è positivo...significa che il mio corpo reagisce bene alla cura. Se va tutto bene nel giro di un anno posso smettere di assumere farmaci.” mentre parlo mi sposto in camera da letto per asciugarmi velocemente e vestirmi. Indosso i boxer e una maglietta a maniche corte.
Dalla camera da letto sento mia madre aprire e chiudere gli sportelli dei miei mobili in cucina e in pochi secondi la vedo accendere i fornelli e dedicarsi alla cena. Ne approfitto per andare in bagno e asciugarmi i capelli. Li pettino ma come sempre hanno voglia di rimanere disordinati e così ci rinuncio poco dopo. Porto i ciuffi ribelli indietro indossando un piccolo cerchietto elastico per capelli, così da non averli sugli occhi per tutto il tempo. Forse dovrei tagliarmi i capelli; si sono allungati davvero tanto nell'ultimo periodo.
“Mamma cosa stai cucinando? In verità mi ero preparato delle frittelle e–”
“Solo quelle misere e semplici frittelle? Eh no caro...ho preparato un piccolo okonomiyaki con quello che avevi nel frigo e anche un po' di curry con le patate. Devi mangiare tutto” dice lei concentrata sui fornelli.
Sorrido tra me e me. Mia madre non è cambiata di una virgola. È sempre stata molto premurosa con me, fin dal giorno in cui mio padre l'ha abbandonata. Da quando mi sono ammalato mi è sempre stata a fianco e si è presa immensamente cura di me. È diventata paranoica con il corso degli anni e almeno due volte al mese deve venire a farmi visita per controllare come gestisco la casa e se ho bisogno di qualcosa. È una donna così premurosa. Però tutto sommato la capisco...non deve essere facile sopportare l'abbandono di un marito e un figlio che ha rischiato di morire a causa di una grave malattia.
In men che non si dica, mi ritrovo la tavola apparecchiata e cinque piatti diversi disposti su tutto il piano cottura. Mi siedo affamato afferrando le bacchette e un cucchiaio.
“Akira è ancora bollente...non fare il solito ingordo” dice lei versandomi del riso e del curry con patate nel piatto. Assaggio un po' di curry con la punta della lingua e mi accorgo che è davvero molto caldo. Ripongo le bacchette sul tovagliolo e aspetto pazientemente.
“Come va a lavoro?”
“Bene”
“La palestra?”
“Bene” continuo io cercando di assumere un'espressione seria.
“Tutto qui? Non hai nulla da raccontare alla tua vecchia?” dice lei assaggiando un pezzo di okonomiyaki.
“Ho una vita tranquilla. Non mi succede nulla di strano...cosa dovrei raccontarti? Ah sì, è passata Saori di qui l'altro giorno e mi ha stirato un bel po' di camice e vestiti. Ha anche fatto una lavatrice nonostante non servisse...”
Mia sorella è sempre troppo premurosa, proprio come mia madre e così viene spesso a casa mia per stirarmi i panni o lavarmi le lenzuola. Le ho assicurato che posso benissimo fare da solo le lavatrici ma con lei e mia madre non ho voce in capitolo. Così sto zitto e a volte mi lascio trattare con un bambino piccolo. A volte mi arrabbio con entrambe e ripeto loro di lasciarmi in pace e di smetterla di starmi addosso come se fossi un disabile. Ho avuto una malattia gravissima questo sì, ma ciò non significa che non riesco a gestire me stesso. So che sbaglio a urlare contro di loro, ma certe volte è più forte di me. Lo so che lo fanno per il mio bene.
“Puoi iniziare a servirti” dice lei iniziando a mangiare un pezzo di patata.
Assaggio il riso, il curry con le patate e l'okonomiyaki con verza e prosciutto e riconosco immediatamente il gusto speciale che solo mia madre riesce a mettere nei piatti. Mangio di buon gusto e nel mentre le racconto qualche buffo episodio successo in pasticceria negli ultimi giorni.
Quasi a fine pasto, mia madre decide di cambiare argomento.
“Akira, scusa se cambio discorso ma sento il bisogno di chiedertelo. Hai abbandonato quella cosa... vero?” dice mia madre riponendo le bacchette al lato del piatto.
“Mamma” dico io ingoiando amaramente l'ultimo boccone. Mando giù il tutto con un bicchiere di acqua. “Non ti preoccupare. Ho già sistemato quella cosa
Lei si alza prendendo alcuni piatti sporchi e mettendoli nel lavandino. Pulisce il piano cottura con una piccola spugnetta e poi si gira a guardarmi.
“Lo sapevo che non mi avresti ascoltato. Perchè lo hai fatto? Perchè Akira? Lo sai che è pericoloso no? Potresti finire in galera!”
“Mamma stai tranquilla per favore. Non è nulla di grave. Ho chiesto aiuto a Yoshinori, lui è un poliziotto e conosce certe norme. Non mi succederà nulla. E poi la cosa si è conclusa no?” dico cercando di risultare convincente.
“Hai coinvolto anche il povero Yoshi-san? Ma cosa devo fare con te Akira?! Te l'ho ripetuto milioni di volte che dovevi interrompere quella ricerca. Non si è mai sentito di un uomo o una donna che passa la sua vita a cercare chi ha donato lui o lei il midollo osseo. Perchè ti sei così intestardito? E poi...come è andata a finire? L'hai incontrato? Il donatore è un uomo o una donna?”
“E' un uomo. Sì l'ho incontrato. Gli ho detto grazie, abbiamo parlato e poi me ne sono andato. Siamo due perfetti sconosciuti come prima.” la mia voce esce piatta e senza emozione.
Sono un fottutissimo bugiardo. Sto mentendo a tutti, persino a me stesso. Ma come posso dire a mia madre che la mia ricerca mi ha condotto a Yokohama e lì ho incontrato l'uomo più bello del mondo? Come posso tornare sui miei passi proprio adesso? Una volta che sono saltato dall'altra sponda del dirupo non posso tornare indietro, potrei cadere nell'oscurità e farmi molto male. Non è così semplice essere sinceri. La verità è una signora affascinante che ti guarda e ti seduce, ma, appena la raggiungi, ella scappa portandoti a rincorrerla per chilometri e chilometri. Alla fine ti ritrovi davanti ad un bivio: seguire la verità in una strada piena di ostacoli e buche, oppure percorrere la strada delle menzogna, decisamente più breve e fattibile? Solo un pazzo sceglierebbe la prima via. Tuttavia io sono un pazzo lo stesso anche se ho scelto la seconda strada. Ho deciso di mentire a Takanori, a mia madre, a Yoshinori, ai miei colleghi, a Jonathan e, soprattutto, ad Akira Suzuki. Non avrei mai pensato di poter cadere in un problema più grande del dovuto. Mi sono lasciato coinvolgere troppo e ora mi ritrovo così: recito sopra un palco fatto di bugie. Le mie bugie. Ma cosa succederà se in un momento dimenticherò il mio copione?
Mia madre nel frattempo mi osserva. Ha sempre quell'espressione statica quando si tratta di brontolarmi;  fissa un punto specifico del mio volto senza pronunciare una parola. Rimaniamo in silenzio per molto tempo. Io ripongo le mie bacchette al lato destro del piatto e mi alzo recuperando gli ultimi piatti sporchi. Li sciacquo nel lavandino e poi li posiziono accuratamente nella piccola lavastoviglie. Chiudo lo sportello con un colpo secco e la aziono. Mi volto verso mia madre, certo del fatto che non ha smesso un secondo di guardarmi con aria severa.
“E ora quest'uomo che fine ha fatto?” chiede lei emettendo un sospiro.
“Te l'ho detto. Ci siamo visti, l'ho salutato e ringraziato. E ora sono tornato alla mia vita e lui alla sua.”
'...e poi ci incontriamo sabato pomeriggio per un appuntamento' concludo mentalmente la mia frase. Mi volto verso il piano cottura pulendolo sbadatamente con uno straccio. Ripiego il panno e lo chiudo in un cassetto. Quando sono molto nervoso divento iperattivo e preciso e non vorrei che mia madre se ne accorgesse.
“Ma perchè lo hai fatto tesoro mio?” sussurra lei con aria materna e con un tono di voce così dolce da farmi cedere per pochi attimi. Mi riprendo immediatamente; non posso crollare ora.
“Mamma, non puoi capire”
“E allora spiegami.” replica appoggiandomi una mano sulla spalla in segno di conforto.
Mi dirigo verso il piccolo salotto, prendo in mano il telecomando e accendo la tv. Continuo a darle le spalle mentre inizio a parlare.
“Qualcosa mi ha chiamato. Mi ha spinto verso quella persona." parlo con un tono molto serio.
"Ricordi i miei incubi? In verità è uno solo; un solo terribile incubo. Sempre la stessa storia. Io che vengo rincorso da qualcosa che vuole sbranarmi, riesco a sfuggire al mio cacciatore ma cado irrimediabilmente in una fossa oscura. Poco prima di cadere, qualche attimo prima di svegliarmi completamente sudato nel mio letto, sento quella voce...una voce che mi sussurra 'Cercalo.' All'inizio non capivo. Cercare? Chi? Poi iniziai finalmente a capire...In quel momento nel sogno sto sempre sull'orlo della morte e devo fare in modo di avere salva la vita. Capisci? È tutta una metafora. Io sto per morire ma prima di cadere nel precipizio la voce mi suggerisci di cercare qualcuno...ovvero quella persona che mi ha davvero salvato la vita. Da quando ho capito cosa accadeva nel mio incubo ho iniziato a fare delle ricerche privatamente senza dirlo a nessuno. Nemmeno il dottore sa di questo particolare. Sa cosa succede nei miei sogni, ma non gli ho mai parlato di quella voce.”
Alzo il volume della televisione ad un livello altissimo. Così non posso sentire le lamentele di mia madre che mi urla che sono un cretino. Stanno trasmettendo una partita di baseball; le due squadre sono ancora zero a zero. Il volume è così alto che sento i miei timpani prudere e sento le vibrazioni fin dentro il mio stomaco. Non ho mai amato il baseball ma in questo momento sembra dannatamente interessante e il lanciatore è davvero un ottimo giocatore.
"Akira..."
Sento le mani di mia madre appoggiarsi ai lati delle mie braccia e costringermi a voltarmi.
Le sue braccia si stringono intorno al mio collo, mi abbraccia forte e teneramente. Mi perdo tra il suo profumo di talco e di rosa, il mio profumo preferito al mondo.
“Ti voglio bene mamma” sussurro.
“Ti voglio bene Akira.”















* = tamago significa letteralmente uovo in giapponese. Siccome i giapponesi non hanno una parola precisa per identificare tutti i cibi che si possono preparare con questo ingrediente, qualsiasi pietanza fatta con l’uovo, che sia una frittata o un uovo occhio di bue, viene sempre chiamata ‘tamago’





























*sbuca dal bosco fatato* Sono tornata e sono viva! Chiedo scusa per essere in ritardo ma in questo periodo sono super impegnata con lo studio e ieri ero troppo esausta per riuscire pure ad aggiornare ;_; chiedo ancora scusa a tutti Ma possiamo parlare della signora Suzuki? Un donna dolcissima e meravigliosa che ama suo figlio alla follia ;_; secondo voi la mamma ha capito qualcosa? 8^D 
Ci vediamo al prossimo capitolo e…..nulla, non posso dirvi nulla :B 

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Capitolo 16
*** Sedici. ***


XVI.
















Devo essere sincero. Non amo molto le stazioni ferroviarie. Mi fanno sentire a disagio. Mi sento sempre fuori posto, come se mi trovassi lì per caso e dovessi recitare una parte a tutti i costi. E poi le stazioni non sono mai famose per essere luoghi tranquilli e sereni: lavoratori che corrono imperterriti, madri che salutano i figli, coppie che si dividono dopo l'ultimo bacio. Mi rendo conto che la stazione è l'unico posto che riesce a racchiudere in sé tristezza e gioia, abbandono e ritorno. Sono luoghi dove la gente si dice 'arrivederci' ma allo stesso tempo sono posti in cui sono racchiusi i battiti di cuore delle persone che aspettano con impazienza il ritorno di una persona cara. Luoghi di lacrime e di abbracci.
Poi ci sono io che passeggio per il corridoio dell'ingresso principale della stazione di Shinjuku giocherellando con la cerniera della mia giacca di pelle nera. Ho lo sguardo leggermente perso nel vuoto. Mi sento idiota a camminare in un posto del genere: non ho nessun bagaglio con me e ho una faccia piuttosto confusa. Passo davanti ad alcuni distributori e mi rispecchio sul vetro spesso che riflette goffamente la mia immagine. Riconosco subito dei lineamenti familiari che non sono mai cambiati significativamente fin da quando ero piccolo. Sono solo un po’ cresciuto rispetto al bambino che adorava correre per le strade del suo quartiere; sono sempre lo stesso, tranne per quel filo di barba che ormai mi lascio crescere quotidianamente e un pizzetto nero che stranamente si abbina benissimo con il biondo cenere dei miei capelli. Ho messo un po' di lacca sui ciuffi ribelli per cercare di farli rimanere perfetti per il resto del giorno. Indosso un paio di pantaloni morbidi, stivaletti neri e una canottiera piuttosto anonima. Mi piace vestirmi in maniera più sportiva nei giorni in cui non lavoro o quando esco per delle piccole commissioni. Ho una piccola borsa a tracolla in cui ho inserito tutto l'occorrente: mp3, iPhone, portafogli, documenti, un piccolo set portatile composto da lima e tagliaunghie e un pacchetto di fazzoletti. Mi piace portare dietro l'indispensabile anche se a volte sono troppo rigoroso e finisco per infilare nella borsa anche certi oggetti che non mi servono urgentemente.
Salgo le scale mobili spostandomi così al piano superiore in cui si trovano i binari. Mi guardo intorno e mi accorgo che la stazione è più affollata del solito. Vedo moltissimi impiegati, uomini d'affari e donne eleganti attraversare i corridoi e correre verso i treni in partenza. Noto anche qualche gruppo di ragazzi molto appariscenti con i capelli colorati e i vestiti neri decorati con le borchie che sorseggiano birra e ridono appostati in qualche angolo della stazione. Mi avvicino con passo veloce al tabellone degli orari controllando con cura ogni singolo treno. Dopo una lenta ricerca tra le decina di linee ferroviarie trovo ciò che mi interessa: il treno che parte da Yokohama arriverà a Shinjuku alle 15.57 al binario 24. Controllo l'orario: mancano solo due minuti.
Perchè mi sento così nervoso? Non mi sono mai sentito così nemmeno il giorno in cui ricevetti l'attestato di pasticciere quando avevo trent'anni. Nemmeno quando mia sorella diede alla luce il suo primo figlio, il mio piccolo nipote. Mi sento come un ragazzino di sedici anni al suo primo appuntamento; mi sembra quasi di essere tornato indietro nel tempo quando ero ancora un piccolo fanciullo ignaro di ogni tipo di sofferenza che la vita ti impone. Tossisco tra me e me per cercare di scaricare il nervosismo. In questi momenti mi farebbe bene solamente un basso elettrico tra le mani, oppure la mia fedele motocicletta. Quando sono molto nervoso generalmente esco per farmi un giro in moto oppure vado in palestra e mi alleno. A volte mi cimento in qualche strana ricetta culinaria e sfido me stesso per raggiungere un buon risultato. Ora in questo preciso istante però non mi resta che calmarmi e cercare di evitare ogni modo possibile per far andare storta questa giornata.
Controllo l'orologio. Sono le tre e cinquantasette in punto. Lo speaker annuncia agli altoparlanti l'arrivo del treno al binario 24. Mi avvicino sempre di più iniziando a cercarlo tra la folla, ma dopo poco ci rinuncio perchè ho paura di essere travolto dalla folla di persone che stanno scendendo dai vagoni. Mi apposto in un angolo e seguo ogni singola persona con lo sguardo. Vedo alcuni uomini parlare al telefono, una signora controllarsi il make-up nel piccolo specchio del suo portachiavi e alcuni studenti parlare animatamente della loro giornata. Sono tutti uguali. Tutti ingranaggi di un meccanismo più grande e instancabile che si muove costantemente. Siamo tutti macchine. E quando un pezzo della macchina si rompe numerose volte è inutile continuare a ripararlo; deve essere buttato. A volte mi chiedo come faccio ad essere ancora qui. Mi sono incrinato, spezzato e danneggiato. Sono stato aggiustato, ma, si sa, una cosa che viene sistemata troppe volte non funzionerà mai come prima. Sto solo aspettando che qualcuno mi butti via. Anche le persone che mi passano intorno non sono così diverse da me. Nemmeno quel signore che porta il suo piccolo bassotto a spasso. Nemmeno quella ragazza che sorseggia un caffè da asporto. Siamo tutti rotti e malfunzionanti.  Osservo la massa di persone che mi viene incontro e cerco di identificarli, cerco di immaginare chi sono, cosa fanno nella vita, dove stanno andando. Eppure non riesco. Tutti questi passeggeri sono solo delle macchie informi che si scagliano sul mio sguardo. Non riuscirei a dare loro nessuna descrizione particolare né tantomeno una caratteristica originale. Mi sembrano solamente tante sfumature spente di grigio che si sommano sulla retina del mio occhio.
Ma dopo pochi minuti il mio sguardo scorge il colore. Lo vedo. Cammina con passo affrettato verso l'uscita dei binari. Indossa una camicetta grigio pallido e una giacca primaverile molto elegante color bordeaux. I pantaloni stretti mettono in risalto le sue gambe fini, mentre ai piedi indossa un paio di scarpe casual leggermente a punta. I suoi capelli corvini sono lasciati sciolti e sbarazzini e incorniciano le sue guance paffute. Gli faccio un cenno con la mano da lontano. Mi nota subito e si avvicina a me in pochi secondi. Lo osservo accuratamente. Da questa distanza colgo ogni singolo particolare: le labbra socchiuse, gli occhi color nocciola, l'orecchio destro decorato con qualche piccolo cerchietto. Non ricordavo fosse così bello. Tutto ciò che ho immaginato fino ad ora non corrisponde minimamente alla realtà. Mi sento come quei lettori appassionati di un certo romanzo che guardano il film tratto da quel libro e scoprono con orrore che tutte le descrizioni fino ad ora immaginate sui protagonisti non corrispondono a quelle che aveva in mente il regista. Mi sento quasi deluso. Per tutte queste ore ho pensato a Takanori senza nemmeno avvicinarmi a quella che è la sua vera bellezza. Lo ammiro con occhi sgranati. Non sembra nemmeno reale.
“Ciao” dico in un sussurro, senza staccare gli occhi da lui.
“Ciao” risponde con tono roco.
“Sei bellissimo” affermo in un sibilo.
Vedo le sue guance colorarsi di rosa scuro e i suoi occhi spostarsi nervosamente in qualche punto impreciso dietro di me. Sorride e sento il cuore battere più veloce del normale.
“Ma insomma! Akira Suzuki! Sono qui da solo due minuti e hai già trovato il modo di mettermi in imbarazzo?” domanda lui con aria finta arrabbiata.
Scoppiamo a ridere entrambi mentre ci avviamo verso l'uscita della stazione. Lo sento vicino a me, e, piano piano che ci spostiamo verso la massa di persone dirette verso l'uscita, percepisco il suo braccio sempre più vicino al mio. Ci sfioriamo numerose volte. Lui si scusa spostandosi timidamente. Dopo un lungo percorso riusciamo a respirare l'aria fresca di una Tokyo pomeridiana. Il tempo è bellissimo. In cielo si trova qualche nuvola bianca che dona all'atmosfera un tono più dolce e paesaggistico.
“Allora, dove andiamo di bello?” chiede lui con un'espressione curiosa in volto.
Sorrido prendendolo per mano. Abbandoniamo la stazione dei treni per dirigerci verso la fermata della metro. Scendiamo nel sottosuolo facendoci spazio tra un gruppo di turisti tedeschi persi con lo sguardo a studiare la mappa delle linee sotterranee del capoluogo nipponico. Continuiamo a scendere le scale mobili fino ad arrivare al binario corretto. Prendiamo la Saikyo Line e in meno di dieci minuti ci troviamo ad Ikebukuro. Appena usciamo in superficie un vento familiare mi accarezza le guance. Mi sento a casa. Adoro questo quartiere, non solo perchè è il luogo in cui lavoro da ormai tanti anni, ma perchè è un posto tranquillo, le persone non sono di fretta come a Shinjuku o Shibuya e, soprattutto, ad Ikebukuro si trovano tantissimi centri culturali importanti. Appena usciamo dal lato sud della stazione, svoltiamo a destra e imbocchiamo un viale lungo in cui si trovano decine e decine di caffetterie. Takanori continua a stringermi timidamente la mano. Mi volto e osservo le nostre dita leggermente intrecciate.
“Non è che stiamo dando troppo nell'occhio?” sussurra lui guardando in terra.
“Ti vergogni a passeggiare con un uomo mano nella mano?”
“N-No! È che...non sono mai stato qui e non so cosa possano pensare i passanti e...”
Mi fermo di scatto e lo osservo. Il suo volto sembra nervoso e preoccupato. Appoggio un dito sul suo naso dandogli un lieve colpetto scherzoso.
“Takanori. Non devi preoccuparti di queste cose, intesi? Io non provo nessuna vergogna e non me ne frega nulla di quello che pensa la gente. Non voglio che la nostra giornata venga rovinata da dei pregiudizi simili. Fidati di me” sussurro a bassa voce.
Proprio io gli chiedo di fidarsi di me. Io, che gli ho raccontato la bugia più grande della sua vita.
Scaccio quel pensiero. Oggi non voglio che niente e nessuno rovini la mia giornata con Takanori.
L'uomo dai capelli corvini afferra la mia mano con decisione e diminuisce la distanza tra i nostri corpi.
“Hai ragione Akira! Che si fottano tutti quanti. Oggi voglio divertirmi e basta” afferma mentre mi tira verso l'altro lato del marciapiede. Camminiamo per un paio di minuti addentrandoci nel quartiere più affollato di Ikebukuro. Ci sono così tante persone che per farmi sentire da Takanori sono costretto ad alzare il tono della voce. Mentre passeggiamo sento qualcosa strattonarmi la manica della giacca facendomi sobbalzare. Il più piccolo incolla i piedi al suolo e lo sguardo su un palazzo altissimo decorato da numerose insegne di ristoranti, bar, negozi di abbigliamento ed elettronica. Il centro commerciale ha sì e no una dozzina di piani ed ospita persino una rinomata sala giochi.
“Entriamo ti prego!” urla lui senza lasciarmi il tempo di rispondere. In men che non si dica ci ritroviamo al primo piano del centro commerciale di fronte all'entrata della sala giochi. Due signori vestiti con la stessa uniforme ci danno il benvenuto invitandoci ad entrare.
Appena mettiamo piede nel grande salone non riesco a nascondere un gridolino di stupore. La sala è gigantesca. Le luci colorate sono sparate in tutte le direzioni donando all'aria un'atmosfera surrealistica. Sembra di essere rinchiusi in un romanzo cyberpunk degli anni '90. Troviamo ogni tipo di gioco: basket, ping pong, pistole laser, flipper di ogni tipo e postazioni per le corse di macchine e moto sportive. Erano anni che non entravo in un posto simile. Mi sento come un bambino che ha messo piede a Disneyland per la prima volta nella sua vita.
Sento qualcuno strattonare la mia giacca nuovamente.
Sorrido.
“Andiamo là!” dice il mio accompagnatore indicando una postazione di gioco. Ho sempre odiato questo tipo macchinario: devi inserire una moneta, muovere la leva all'interno del vetro e cercare di afferrare con la pinza, nella maniera più precisa possibile, uno dei tanti gadget presenti sul fondo della cabina. Non sono mai riuscito a prendere nulla e quindi evito di perderci soldi e pure il buonumore. Ma Takanori non sembra pensarla nello stesso modo. È così felice ed emozionato che non voglio assolutamente rovinargli il momento. Recupera un gettone dal suo portafogli e lo inserisce con un colpo secco. Inizia a scrutare il suo obbiettivo tra le decina di pupazzi sparpagliati sul fondo. Aziona la leva concentrato fino ad arrivare all'estrema destra del vetro. Schiaccia il pulsante e la leva si abbassa su un piccolo pupazzo di Pikachu, la mascotte più famosa del videogioco dei Pokémon. La pinza afferra il pupazzo e lo trascina su, ma a causa della sua dimensione, il gadget ricade al suo posto lasciando sul volto di Takanori un'espressione delusa e triste. Capisco subito cosa devo fare.
“Dai su, lasciare fare a me. Ci penso io” dico mentre infilo una moneta nel grande macchinario.
“Davvero? Oddio grazie Akira! Ti prego voglio un Pikachu a tutti i costi”
“Ho capito. Ma in caso non riuscissi a prendertelo vorrei continuare a proteggere la mia incolumità”
Non risponde ma sento un forte pizzicotto sul collo che mi fa scappare un sorriso. Mi volto verso di lui; per pochi attimi i nostri sguardi si incontrano. È una sensazione bellissima.
Mi volto verso i pupazzi guardando con aria di sfida il mio obbiettivo. Studio la distanza e la dimensione del pupazzo e finalmente aziono la leva. Quando mi accorgo di essere arrivato al punto esatto, schiaccio il pulsante rosso e vedo la grossa pinza abbassarsi sul pupazzo giallo. Le dita meccaniche afferrano saldamente il pupazzo preferito di Takanori e lo spostano in un punto preciso del vetro lasciandolo ricadere in uno spazio apposito da cui il pupazzo scivola all'infuori del macchinario.
Sono un vero genio.
Recupero il pupazzo guardandolo con aria compiaciuta e mi complimento con me stesso.
“Ecco qua un regalo per il principe Matsumoto” mi inchino in una posa drammatica assumendo l'espressione più buffa possibile.
Takanori scoppia a ridere facendo perdere qualche battito al mio cuore. La sua risata è tutto ciò di cui ho bisogno.
“Quanto sei cretino Suzuki?!” risponde afferrando il pupazzo e stringendolo al petto con aria possessiva. “Però ti ringrazio” dice con un tono dolce e lieve. Si avvicina a me e posa un bacio sulla mia guancia. Il mio cervello si spegne per pochi secondi per poi riavviarsi nella maniera più sbagliata possibile. Inizio a balbettare cose senza senso.
Lui continua a ridere mentre ci spostiamo verso le postazioni di altri giochi, tra cui le pistole laser.
Takanori sembra completamente coinvolto in ogni singolo gioco. Li proviamo tutti, dalle corse con le macchine, ai fucili per uccidere gli zombie sullo schermo, passando per altre macchine a gettoni. Dopo quasi due ore di gioco ci trasciniamo fuori dal locale esausti. Takanori stringe tra le mani il suo pupazzo preferito, insieme ad altri piccoli premi vinti durante le nostre sfide, o meglio, vinti durante il turno in cui ha partecipato il sottoscritto.
Appoggio una mano sulla sua schiena e lo invito a dirigerci verso un grande viale pieno di negozi.
“Ah, comunque prego...non c'è di che” dico io con tono sarcastico.
“Suzuki! Smettila di fare lo sbruffone! Ti ho ringraziato abbastanza!”
Lo sguardo di Takanori è per metà serio e per metà arrabbiato e questo confusione rende il suo volto dolce e tenero come un piccolo gattino indifeso. Lo ammiro di nascosto cercando di non farmi notare.
Continuiamo a camminare sul lungo viale illuminato dalle insegne dei negozi e dei ristoranti. I passanti ci passano accanto come piccoli fiocchi di neve: silenziosi e lenti. Sento ancora quella sensazione...quella bolla di cristallo in cui cadiamo rinchiusi io e Takanori. Ci isoliamo dal resto del mondo nonostante ci troviamo nel centro del quartiere di Ikebukuro. Dopo aver percorso quattrocento metri mi fermo e svolto a sinistra trascinando il braccio del più piccolo insieme a me.
“Ora ti faccio vedere una cosa. La vedi quell'insegna rosa fucsia laggiù? Ecco io lavoro lì” dico indicando un punto preciso davanti a noi. La scritta 'LOVELY DONUTS' lampeggia davanti ai nostri occhi come un faro vicino al porto delle navi.
“Lovely Donuts? Ma è un nome carinissimo! Possiamo guardare la vetrina?”
Il suo volto incuriosito mi suscita un sorriso. Lo scorto fino all'entrata della pasticceria ormai chiusa da mezz'ora. Le luci all'interno della sala sono tutte spente, mentre quattro coppie di fari illuminano i dolcetti presentati elegantemente in vetrina. Biscotti, muffins, donuts, ciambelle ripiene, gelatine alla frutta, fette di pan di spagna e palline di mochi sono disposti con accuratezza in dei piccoli vassoi dai colori pastello. Al di là del vetro si trovano anche alcune decorazioni come dei piccoli pupazzi, delle scatoline a forma di stella e a forma di cuore e delle piccole stelline di pasta di zucchero distribuite su tutte le mensole. Takanori si sofferma su ogni singolo particolare.
Appoggio una mano sulla sua spalla dirigendo la sua attenzione alla mia destra. “Vedi quei biscotti con le gocce di cioccolato sulla mensola in basso? Ecco. Li ho preparati io” sussurro grattandomi il mento con noncuranza.
Il piccolo uomo tira la manica della mia giacca emettendo un urlo poco virile. “Ma sono bellissimi Akira! Devono sicuramente essere deliziosi. Me li farai assaggiare un giorno vero?”
“Certo” rispondo tirandogli un buffetto sulla guancia.
Sorride sciogliendo ogni mia difesa. Sono fuori con lui da solo due ore eppure il mio organismo è andato in tilt un po' troppe volte. Cosa mi sta succedendo?
Torniamo sui nostri passi, ripercorrendo la strada che ci riporta sul viale principale. Il cielo inizia a scurirsi, il Sole sembra volersi nascondere dietro i palazzi come un bambino che gioca a nascondino con i suoi amici. Tira un vento leggero e piacevole. Ci sono un bel po' di nuvole in cielo; forse stanotte pioverà. Passeggiamo sul marciapiede di sinistra incontrando sul nostro cammino un cinema, un'altra sala giochi, un enorme negozio di elettronica e una bancarella che vende dolcetti take away.
“Non troppo lontano da qui c'è un planetario molto famoso. Ti va di andare?” azzardo osservando la sua reazione.
“Certo! Adoro i planetari. Fin da piccolo ho sempre amato visitare i musei e i planetari; se avessi più soldi da parte partirei immediatamente per viaggiare il mondo. Ci sono così tanti posti che vorrei visitare” confessa lui stringendo al petto il piccolo peluche giallo.
Mentre ci dirigiamo verso il grande palazzo che ospita il planetario di Ikebukuro iniziamo a raccontarci tantissime cose. Parliamo dei nostri cibi preferiti, dei nostri hobby, delle nostre amicizie. Takanori mi racconta di aver avuto una storia molto importante con un uomo benestante più grande di lui. È passato quasi un anno da quando si sono lasciati, ma a volte lui si presenta in biblioteca con un mazzo di rose e dei cioccolatini. Senza neanche chiederlo, immagino già chi si occupa di cacciare via quell'uomo. Yutaka deve voler davvero molto bene a Takanori per proteggerlo così tanto. Tutto sommato lo capisco. Dalla prima volta che l'ho visto ho provato un milione di sensazioni dentro di me. Ho sempre apprezzato gli uomini muscolosi e alti, ma Takanori ha completamente stravolto le mie certezze. Il suo corpo esile, le sue spalle piccole e raccolte, mi fanno solo venire voglia di abbracciarlo e stringerlo forte a me. Mi basta guardarlo per sentire il desiderio di proteggerlo da ogni cosa. Capisco veramente cosa prova Yutaka.
“A proposito! Come è andato il matrimonio di tuo cugino? Hai indossato il completo che hai acquistato insieme a me?” chiedo tutto d'un tratto.
“Certo. È andato tutto bene. Mio cugino e sua moglie sono una coppia adorabile e sono sicuro che saranno due genitori perfetti. Ho rivisto mio zio e mia zia ed erano così felici di riabbracciarmi. Se solo mio padre fosse ancora qui...” il suo tono di voce è apatico. Sembra provenire da un mondo lontano e tutto questo mi mette tristezza.
“Eri molto legato a tuo padre vero? Lo capisco da come ne parli”
“Sì Akira, tantissimo. È stato un uomo meraviglioso e non meritava di andarsene così presto. Inoltre non ha mai voluto mettermi al corrente del suo stato di salute. Se solo avessi saputo qualcosa in più avrei potuto salvarlo. Invece lui ha preferito così. Voleva farcela da solo. Non voleva trovare un donatore di midollo osseo anche se i dottori gli avevano altamente consigliato di fare un trapianto. Non ci fu nulla da fare. Dopo due mesi morì. Da quel giorno io e mia madre iniziammo a litigare fino allo sfinimento. Non riuscivo ad accettare che non ero stato capace di aiutare mio padre. Così dopo due anni dall'accaduto mi iscrissi ad un'associazione di donatori di midollo osseo. Non ero riuscito a salvare la vita di mio padre, ma almeno sarei riuscito a salvare quelle di altre persone.” il tono della sua voce è triste e dolce allo stesso tempo, come una melodia proveniente da un vecchio carillon. Rimango affascinato dal suo racconto. Mi sento in qualche modo coinvolto, ma cerco di non darlo a vedere.
“E ci sei riuscito.” sussurro senza pensare alle conseguenze. Takanori non è riuscito a salvare la vita di suo padre, ma la mia sì. E questo è tutto quello che ho bisogno di sapere.
“Come?”
“No, ehm...era una domanda. E ci sei riuscito?” ormai sono un maestro ad evitare il pericolo. Scanso il burrone un attimo primo di caderci dentro.
“Questo non posso saperlo. Per tanti anni ho donato il midollo, ma ovviamente nessuno può dirmi se la mia azione è stata utile o meno”
Mi rivolge uno sguardo carico di malinconia che mi lascia spiazzato. Non sapendo come reagire decido di cambiare discorso. Racconto lui di possedere due piccoli pappagalli gialli e Takanori sembra così interessato a saperne di più che la sua faccia malinconica e triste è ormai solo un ricordo lontano. Mentre parliamo osservo le sue dita giocare numerose volte con le ciocche corvine dei suoi capelli. Ricordo quando ero in biblioteca e mi è passato accanto muovendo leggermente l'aria tra noi. Ricordo di aver percepito l'odore di vaniglia proveniente dai suoi capelli. Vorrei poterli annusare e perdermi in quel profumo delicato.
Arriviamo finalmente a destinazione e così abbandoniamo le nostre chiacchiere per inoltrarci nel museo del planetario. Il museo è su tre piani e decidiamo di visitarli tutti. Al primo troviamo un esposizione di frammenti di meteoriti e minerali extra-terrestri chiusi dentro delle piccole teche di vetro. Visitiamo una stanza in cui sono proiettate le costellazioni, lo zodiaco e le stelle più famose del firmamento. Quando ero più giovane non ero minimamente interessato a queste cose, poi con il passare del tempo ho iniziato a leggere dei libri divulgativi di astronomia. Mi rendo conto che sto invecchiando proprio da queste piccole cose. Quando avevo venticinque anni ero interessato solo a divertirmi, alla scuola di pasticceria e al calcio. Ora invece passo le mie giornate libere a leggere e dormire. Tra un paio di anni inizierò ad avere problemi di vista e troverò le prime rughe a contornarmi gli occhi e così potrò finalmente dire di essere un vecchio scorbutico e asociale. Mi soffermo ad osservare le forme delle costellazioni. Alcune sono veramente facili da indovinare. Adoro lo zodiaco, anche se preferisco quello orientale rispetto ai segni zodiacali europei. Rimango affascinato dalla proiezione di alcune stelle vicine alla nostra galassia. Incredibile come delle palle di idrogeno infuocate abbiano ispirato l’umanità per secoli nella poesia, nella musica e nella letteratura.
Mi assicuro che il mio accompagnatore sia accanto a me e insieme saliamo finalmente ai piani superiori in cui troviamo un lunghissimo corridoio su cui sono appese numerose foto scattate dai satelliti terrestri che ritraggono tutti i pianeti del sistema solare. Takanori è così curioso che si sofferma a leggere ogni singola descrizione posta sotto tutte le foto. Anche io mi incuriosisco sempre di più. Probabilmente se non avessi fatto il pasticcere sarei potuto diventare un astronomo. Adoro tutto ciò che ha a che fare con il nostro sistema solare e credo veramente nell'influenza dei pianeti sulle nostre vite. Mi piace pensare che quegli enormi palloni di minerali e gas inviino delle energie positive, o negative, agli abitanti del pianeta Terra. È bello pensare che siamo collegati a tutto ciò che si trova nell'universo. Quando ero piccolo adoravo il Sole, perchè solo nelle giornate soleggiate la mamma mi permetteva di uscire fuori a giocare a pallone con i miei amici. E poi adoravo la sensazione di tepore sulla pelle. Il sudore, il calore, i raggi di sole che entravano dalla finestra della mia camera. Ho sempre amato il Sole fino a quando non sono diventato adulto. Dopo essermi ammalato ho iniziato a disprezzare tutto ciò che aveva a che fare con la luce. Il dottore mi consigliava di non uscire mai nelle giornate troppo calde, di stare attendo a non sudare troppo e di fare attenzione alle correnti d'aria. Così da quel momento iniziai ad apprezzare il fascino della notte. Rimasi sempre più colpito dalla magia della Luna e dal suo pallore chiaro e timido. A volte mi soffermavo per delle ore intere ad osservarla dalla finestra del mio appartamento. Mi sento capito dalla Luna. Sono sicuro che sia proprio quel satellite ad avere influenza sulla mia vita, sulle mie scelte e sui miei sentimenti.
“Adoro le stelle” la voce bassa di Takanori mi riporta alla realtà.
“Io preferisco i pianeti. Guarda quanto è bello e spavaldo Giove! È così grosso e imponente. È il re dei pianeti. Non a caso possiede il nome del padre degli dei”
“Come siamo acculturati Suzuki” mi punzecchia tirandomi un pizzicotto. “Io invece sono innamorato delle stelle. Sono così misteriose. Brillano costantemente ad una distanza enorme da noi. Sai che alcune stelle sono lontanissime milioni di anni luce? È pazzesco. Come vorrei poterne osservare una da vicino” conclude la frase piegando lo sguardo sulle sue mani, giocherellando con un piccolo anellino che adorna il suo indice destro.
“Io sto osservando proprio ora una stella da vicino. È qui davanti a me” affermo accennando un piccolo sorriso.
Takanori arrossisce violentemente alzando immediatamente lo sguardo per leggere la mia espressione. Quando capisce che sono serio abbassa gli occhi continuando a torturare le sue dita esili. Lo prendo per mano e insieme ci dirigiamo fuori dall'edificio. Controllo l'orologio e mi accorgo che si è fatto davvero molto tardi. Non voglio che Matsumoto rientri a casa troppo tardi.
“Ti è piaciuto il planetario?”
“E' stato bellissimo Akira. Grazie di avermici portato. Anche se ammetto che questo è stato l'appuntamento più buffo della storia. Abbiamo passato il tempo a giocare con le pistole laser e poi siamo finiti in un museo astronomico. Buffo non credi?”
“Beh diciamo che siamo tipi originali, dai”
Scoppiamo a ridere entrambi. Le nostre risate riempiono l'aria umida della sera. Ripercorriamo il grosso viale che conduce alla stazione metropolitana di Ikebukuro. Rincontriamo i soliti bar e i soliti ristoranti, ma questa volta gremiti di persone e turisti intenti a mangiare e parlare animatamente. Le insegne di alcuni locali e di alcune discoteche iniziano a lampeggiare per farsi notare in quel mare di luci e neon. Ikebukuro è un posto magico la sera. Sembra che ogni singola cosa prenda vita e che ogni angolo della città sia travolto da luci e colori. Non esiste l'oscurità, non esiste la tristezza.
Quando mettiamo piede nel cortile adiacente alla stazione sento una grande delusione crescere dentro di me. Non avrei mai pensato di sentirmi così male all'idea di tornare a casa da solo e dover salutare Takanori. Eppure anche le cose belle finiscono nella vita.
“E' meglio se torno a casa ora, così evito di  prendere uno degli ultimi treni per Yokohama. Vorrei poter rimanere e visitare Ikebukuro, ma confesso di avere un po' di paura a ritornare a casa da solo. Non abitando in pieno centro di Yokohama, credo che impiegherò più di un'ora e mezzo per tornare nel mio quartiere.”
“Non preoccuparti. Anzi...è giusto così. Potrebbe essere pericoloso per te rientrare più tardi.” dico guardando le punte delle mie scarpe. Non sono mai stato bravo con i saluti, anzi, se devo essere sincero, odio dover salutare la gente. E odio ancora di più dover abbandonare quel piccolo uomo di fronte a me.
“Grazie per la giornata Akira. Mi sono divertito tantissimo. E grazie ancora per il pupazzo di Pikachu” mi sorride e non mi stacca gli occhi di dosso nemmeno per un secondo. Si avvicina a me e riesco a scorgere un luccichio nel suo sguardo.
In pochi secondi percepisco le sue labbra premere dolcemente sulle mie. È un contatto così lieve ma profondo allo stesso tempo. Una sorta di calore si spande in tutto il mio corpo partendo dalla bocca. Le labbra morbide di Takanori sono calde e avvolgono il mio cervello e il mio corpo come una coperta di lana. È così piacevole che per un attimo credo di essere morto e di trovarmi in paradiso. È davvero così bella la morte? Stupido io ad non essere morto prima. Voglio rimanere così per sempre.
“E' stato bellissimo.” sussurra lui staccandosi leggermente dalle mie labbra. Sento il suo alito caldo sulle mie labbra e il suo tono di voce basso e avvolgente. Non riesco a fermarmi. Non ci riesco proprio.
Alzo una mano portandola dietro la sua nuca e, facendo una leggera pressione, riavvicino il suo volto al mio. Le nostre labbra entrano ancora in contatto, ma questa volta in maniera più intima e sensuale. Un piccolo schiocco fuoriesce dal nostro bacio. Le nostre bocche si intrecciano provocando dei brevi rumori umidi e dolci. Sento una scarica di energia su tutto il corpo. Le sue mani si appoggiano sul mio petto e le sue dita stringono la mia giacca come se le sue gambe potessero cedere da un momento all'altro. Lo stringo forte a me. Sento la punta della sua lingua incontrare timidamente il mio labbro inferiore. Vorrei che durasse per sempre. Che si fotta il treno e che si fottano anche i pochi passanti che ci stanno osservando. Continuo a baciarlo fino a che non sento arrivare il mal di testa. Le sue labbra profumano di frutta e di fiori. Sono così dolci che penso di aver perso totalmente il controllo. Non riesco a staccarmi da lui. Le nostre lingue continuano ad incontrarsi timidamente rubando sempre più ossigeno ai nostri polmoni. Takanori allontana le sue labbra riprendendo fiato. I miei polmoni bruciano, sono affamati di ossigeno. Ma io non voglio ossigeno. Voglio solo lui.
Accarezzo la sua guancia morbida perdendomi nel suo sguardo dolce e sereno. Può qualcuno fermare il tempo? La mia domanda non trova risposta. Leggo le mie stesse preoccupazioni nei suoi occhi.
“Ciao Akira. E grazie ancora” si allontana da me e inizia a incamminarsi verso l'entrata ai binari dandomi le spalle. Osservo la sua figura diventare sempre più piccola e sparire nella rampa di scale.
Una leggera folata di vento scuote i miei pensieri. Tremo. Improvvisamente sento molto freddo.



































*si nasconde furtivamente dietro ad un cespuglio* beh che dire....spero che abbiate apprezzato questo capitolo perchè per me è uno dei più belli di tutta la storia. Non saprei nemmeno dire da dove ho preso l'ispirazione: ho semplicemente visualizzato tutte le scene nella mia mente  e le ho trascritte immediatamente. Per me è così naturale scrivere cose riguardo a Reita e Ruki che spesso non mi rendo nemmeno conto di come faccio o da dove traggo ispirazione. Loro due sono la mia più grande ispirazione. 
Ma veniamo al capitolo. Finalmente è successo qualcosa....e che cosa! Akira è sempre più coinvolto e Takanori non è da meno. Non sono perfetti insieme? E non pensate che Akira sia l'uomo più dolce del mondo? Io sono innamoratissima di entrambi ;; sono due angeli e anche se sono così diversi, per me sono completamente compatibili. Non voglio scrivere molto riguardo a questo capitolo perchè è così bello che non voglio influenzare nessuno e, anzi, lascio spazio ai vostri commenti.  Colgo l'occasione per ringraziare chiunque stia leggendo questa storia, significa davvero molto per me, quindi grazie a tutti ;_; tuttavia non nego di essere un po' triste quando leggo che sono sempre le solite persone a recensire i capitoli. Capisco che forse avete da fare, ma sappiate che agli autori e alle autrici fa davvero molto piacere leggere un commento, anche se piccolo. Inoltre vi annuncio che siccome la settimana prossima sarà letterlamente i n f e r n a l e per me penso proprio che lascerò passare un po' più di tempo prima del prossimo aggiornamento così vi lascio con un po' di suspance e di sofferenza :B Detto questo lancio su efp una pioggia di glitter e scappo a mangiare che ho famissima ;_;

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Capitolo 17
*** Diciassette. ***



XVII.





















Parcheggio la moto davanti all'enorme parcheggio della Todai facendo rombare fortemente il motore. Giro la chiave in senso antiorario e la sfilo con un colpo secco. Mi tolgo il casco appoggiandolo sul manubrio della mia Yamaha. Controllo l'ora dal mio orologio da polso. Mancano due minuti alle 18. Kouyou sarà qui a momenti. Scendo dal sellino in pelle e mi appoggio alla fiancata destra della motocicletta guardando distrattamente il telefono. Trovo un messaggio dalla signora Wazuka che mi avvisa di passare nel suo ufficio il giorno dopo a recuperare due ordini per due clienti molto importanti. La padrona è sempre così precisa e severa quando si tratta di soddisfare le richieste della clientela. Tuttavia spesso questo lavoro la rende molto nervosa e tende a sfogarsi con noi pasticceri ingiustamente. Non voglio vantarmi, ma ammetto di non essere quasi mai stato brontolato dalla signora; anche se Yuu avrebbe qualcosa da ridire al riguardo. Il mio collega pensa ormai da più di un anno che la nostra capa abbia un debole per il sottoscritto e che in qualche modo cerchi sempre di non far ricadere le colpe su di me. In verità credo solo che la signora, sotto il suo strato ghiacciato di severità e professionalità, sia una donna molto sensibile e  dopo aver saputo per intero tutta la mia storia, tenda a trattarmi con un po' più di riguardo rispetto agli altri. Ovviamente io non mi lamento.
Mentre rispondo velocemente al messaggio scorgo il mio migliore amico uscire a passo svelto dall'entrata principale dell'università di Tokyo e raggiungermi a grandi falcate. Metto via il telefono  e lo osservo. I suoi capelli castano scuro gli arrivano ormai sotto le orecchie, i suoi occhi sono nascosti da due lenti abbastanza spesse e la sua camicia perfettamente stirata lo identifica come un lavoratore impiegato in una posizione importante. Kouyou Takashima lavora come impiegato nella segreteria studenti della Todai, l'Università più famosa e prestigiosa del Giappone, da ormai dieci anni. Quando eravamo più giovani non avrei mai detto che Kouyou potesse finire a fare un lavoro simile eppure sembra piacergli molto visto che non l'ho mai sentito lamentarsi della sua posizione. Io credo che apprezzi molto la sua posizione perchè non è un lavoro così impegnativo. Passa il tempo seduto alla scrivania a rispondere al telefono oppure a fotocopiare fogli e documenti importanti. A volte mi scrive messaggi sulla chat di Facebook o di Line durante il turno di lavoro e così mi ricorda costantemente come il suo lavoro sia così noioso e lento da potessi permettere di navigare su internet quando vuole. Un giorno ci sentimmo addirittura attraverso skype mentre lui era ancora di turno, chiuso nel suo piccolo ufficio. Se io facessi una chiamata Skype mentre sono di turno in pasticceria sono sicuro che la signora Wazuka mi infilerebbe il telefono dentro un forno acceso e probabilmente riuscirebbe a trovare un posto anche per me dentro quella scatola bollente.
Saluto Kouyou che mi abbraccia calorosamente sottolineando involontariamente la differenza di altezza tra di noi. Non sono un uomo basso, tuttavia Kouyou ha un corpo così slanciato che mi sento costantemente al pari di un fratello minore.
“Ehilà biondo! Che si dice? Sono esausto mamma mia” dice lui sbottonandosi i primi bottoni della camicia.
“Tu esausto? Allora io dovrei essere in coma a quest'ora. Raccontami come ci si stanca a stare seduti su una sedia girevole per otto ore al giorno”
“Taci Suzuki. Il mio culo si è appiattito” risponde regalandomi una linguaccia.
“Ti va se andiamo a berci una birra in un locale qui vicino?” propongo infilando le mani nelle tasche della felpa.
Kouyou risponde con un cenno affermativo del capo e così, dopo essermi assicurato di aver chiuso perfettamente la moto e averla parcheggiata correttamente, ci avviamo in direzione ovest rispetto all'ingresso del grande edificio universitario. Kouyou mi mette al corrente della sua vita privata. Umi, la ragazza con cui sta uscendo da ormai otto mesi, gli ha confessato di aver deciso di voler andare a vivere con lui. Tuttavia Kouyou non è mai stato un tipo molto aperto alla convivenza. Da quando lo conosco ha sempre voluto fare tutto da solo e non vuole che gli altri si impiccino delle loro cose. Ora che 37 anni non è ancora convinto circa il fatto di andare a vivere insieme alla sua ragazza. Probabilmente perchè ha paura di perdere la sua libertà. In fondo un po' lo capisco. Anche io amo essere indipendente e non se sarei disposto a sacrificare totalmente tale indipendenza per vivere con la persona che amo. Ma forse l'amore non è proprio questo? Sacrificare un pezzo di noi stessi? Parlo proprio io che di amore non me intendo.
Mentre parliamo, entriamo nel nostro pub di fiducia e ordiniamo due birre grandi ghiacciate. Ci sediamo su due sgabelli rivolti verso il bancone del bar e ci giriamo leggermente l'uno verso l'altro. Kouyou toglie gli occhiali da vista riponendoli nella tasca della sua camicia. Continua a parlare della sua ragazza anche quando il cameriere appoggia i due lunghi bicchieri di vetro spumeggianti davanti a noi.
“Secondo me sei solo confuso Kou. Magari non ti aspettavi una proposta del genere. Però in effetti è così che fanno le coppie no? Ci si frequenta per un po', poi si decide di andare a vivere insieme e poi, chissà, magari di sposarsi”
“Lo so è che...così tutto d'un botto. Non ne avevamo mai parlato prima. Mi sento come se mi avessero licenziato da un momento all'altro. Non credi che sia un po' troppo avventato? E se non è la persona della mia vita? E se incontrassi qualcun altro tra un paio di mesi?”
Ingurgito un bel sorso di birra sporcandomi il contorno labbra con la schiuma bianca della mia bevanda preferita. Mi asciugo con un fazzoletto mentre lo guardo negli occhi.
“Kouyou. Smettila di fare il paranoico ok? Mi hai sempre brontolato perchè mi faccio troppi problemi e ora...si sono invertiti i ruoli?!”
Scoppiamo a ridere, ma veniamo interrotti dal suono del mio telefono. Mi accorgo di aver ricevuto un messaggio. Prendo l'iPhone e noto un sms da parte di Takanori.
Da: Takanori

Sembra proprio che sabato sia il compleanno
di una certa persona :) che ne dici se usciamo?

Sorrido come un ebete fissando lo schermo. Elaboro frettolosamente una risposta dotata di senso logico.
Da: Akira

Non so proprio chi sia questa 'persona' che compie gli anni
però mi farebbe molto piacere uscire con te ;)

Blocco la tastiera e rimetto l'iPhone al suo posto. Alzo lo sguardo sapendo già cosa aspettarmi dal mio interlocutore.
“Non vedevo una faccia così da pesce lesso sul tuo volto da...quindici anni? Wow Suzuki stai facendo progressi.”
“Zitto Takashima”
“Sputa il rospo.”  dice con aria seria socchiudendo gli occhi. Quando Kouyou assume quell'espressione significa che vuole sapere ogni cosa per filo e per segno e, che io ricordi, non sono mai riuscito a sfuggire al suo sguardo indagatore. È la fine per me.
Prendo un grosso respiro. Immetto più ossigeno possibile nei miei polmoni. Bevo un altro sorso abbondante di Asahi e finalmente decido di spiccicare parola.
“Mi sono innamorato Kouyou.” dico tutto d'un fiato.
Il mio migliore amico in tutta risposta posa con violenza il bicchiere sul bancone del bar e tossisce rumorosamente. Gli do qualche pacca sulla schiena per far sì che si riprenda il prima possibile.
Solleva lo sguardo e in pochi secondi leggo un turbine di emozioni attraversare i suoi occhi.
“E' chi penso che sia Akira?”
“Ah perchè, tu pensi?” dico sarcastico. Devo togliermi il vizio di sputare fuori battute sconvenienti nei momenti meno opportuni.
“Takanori. Merda.” si gratta il mento e assume una posa pensierosa. “Lo sai che questo è un gran casino vero?”
“Vuoi la verità? Non ci ho mai pensato. Ho lasciato andare le cose come dovevano andare. Lo so, ho sbagliato. Sono stato un coglione e sicuramente ne pagherò le conseguenze. Ma ti giuro...io ci ho provato. Ho provato a spingere contro la corrente e di tornare a riva. Ma la corrente mi ha travolto e io mi sono lasciato trascinare via. Non si può tornare indietro.”
Kouyou mi tira un pizzicotto fortissimo sul fianco facendomi saltare dallo sgabello per il dolore.
“Sì, sei un vero coglione. Hai fatto un casino e ora devi rimediare Akira. Ma ti rendi conto di quello che sta succedendo? Ti sei preso una cotta potente per l'unica persona con cui non avresti mai dovuto aver a che fare. E ora cosa farai? Continuerai a nascondere tutto a Takanori per sempre?”
Merda. Non ci avevo pensato. Improvvisamente sento la mente completamente vuota. Come quando si apre una scatola di latta che dovrebbe contenere i famosi biscotti al burro danesi e poi la si scopre orribilmente vuota.
“Non ho pensato ad un cazzo Kouyou. Mi sento rinchiuso in un labirinto dai sentieri troppo intricati. Non so davvero cosa fare. So solo che se mi chiedessi di allontanarmi da lui, potrei soffrirne. Anzi, cosa dico. Non riesco a smettere di pensarlo.”
Afferro il bicchiere di birra e trangugio tutto il suo contenuto senza curarmi di stare attento a non bagnarmi la felpa sportiva. Alcune gocce cadono sul mio mento e le asciugo via con il dorso della mano.
“Akira. Ascoltami. Non voglio brontolarti ne farti sentire un'idiota. Capisco cosa provi. Però se ti dico certe cose è perchè ti voglio bene. Non puoi continuare a nascondere una cosa del genere, lo capisci? Più eviti il problema e più diventa grande. E poi cosa farai? Sei ancora in tempo per dire tutto. Immagina cosa potesse succedere se Takanori scoprisse tutta quanta la verità tra un paio di anni...”
Rifletto attentamente sulle parole che Kouyou ha appena espresso. Se Takanori non sapesse nulla, tutto filerebbe liscio come l'olio; ma ad un certo punto il problema spunterà da qualche parte e allora lì sarà la fine. Ripenso al suo volto, al suo sguardo dolce, alla sua risata e al suo bacio. Non riuscirei a sopportare di vedere quel volto angelico trafitto dalla delusione e dal dolore tra un paio di anni. Forse ha ragione Kouyou; sono ancora in tempo.
Una mano del mio migliore amico si posa sulla mia guancia obbligandomi a posare lo sguardo su di lui.
“Parlaci Akira. Digli tutta la verità. Fallo il prima possibile. Takanori non si merita tutte queste bugie. E nemmeno tu meriti tutte queste inutili paranoie.”
“E se lui...non lo accetta?”
“Significa che doveva andare così. Meglio stroncare una cosa sul nascere piuttosto che rovinare un rapporto ormai consolidato da tempo”
Mi rassegno a tutto ciò che Kouyou mi ha detto. Osservo il mio bicchiere ormai vuoto cercando di pensare lucidamente a cosa fare. Non posso più aspettare. Devo parlare con Takanori e dirgli tutto. Sono stato un vero idiota e sicuramente pagherò caro questo mio sbaglio. Ma voglio essere onesto con lui. Takanori non merita una persona come me; un uomo che si nasconde dietro le sue stesse menzogne.
“Credo di...aver bisogno di stare un po' solo” sussurro guardandolo.
Mi lancia un'occhiata complice, come a volermi dire ce ha capito esattamente come mi sento e non ha nessuna intenzione di ostacolarmi.
Lascio Kouyou nel locale a terminare la sua birra, lo saluto e corro fuori verso il parcheggio dell'università. Ho bisogno di salire sulla mia Yamaha e sfrecciare per le strade di Tokyo. Ho bisogno di pensare.













 
~

















“Su e dai chiudi gli occhi! Non spiare!”
“Va bene.”
“Non sono completamente chiusi. Stai barando!” dice mettendomi una mano sulle palpebre. Il contatto della sua pelle fredda sulla mia mi fa trasalire leggermente. Sorrido nonostante non riesca a vedere nulla.
“Quante sono queste?” dice con voce squillante Takanori, probabilmente agitando la sua mano davanti ai miei occhi chiusi.
“Non saprei....cinque?” chiedo cercando di indovinare quale numero stia indicando con le dita.
“Ok non ci vedi” Takanori ride furbetto e lo sento allontanarsi leggermente da me.
I suoi passi si fanno più lontani, poi più vicini. Appoggia qualcosa di morbido tra le mie mani. La cosa morbida che ora stringo tra le dita è accuratamente avvolta da uno strato di carta liscio e non troppo spesso.
“Benissimo Suzuki. Ora inizia a scartare lentamente e...non aprire gli occhi!”
“Ma come faccio a-”
“Ho detto che non devi aprire gli occhi!”
La voce stupidamente seria di Takanori mi fa ridere e mi mette di buonumore. Inizio delicatamente a tastare il piccolo pacco regalo che mi ritrovo tra le mani. Cerco con i polpastrelli un lembo di carta da cui posso partire per strappare il rivestimento colorato. Scarto una parte, poi l'altra e infine rimuovo la parte centrale. Il rumore secco della carta mi rende sempre più impaziente.
Cosa avrà combinato quel piccolo uomo?
“Posso aprire gli occhi Taka?”
“Va bene!”
Riapro le palpebre concentrandomi immediatamente sul contenuto morbido del mio regalo. Noto che è un pezzo di stoffa. È bianco e sopra c'è stampato qualcosa...forse una foto, in bianco e nero.
Stendo per bene il tessuto e riconosco che ha la forma di un grembiule, un grembiule da cucina. Su tutta la superficie è stampata una foto di dimensioni enormi di Sid Vicious, rigorosamente in bianco e nero. La famosa posa del mio bassista preferito. Guardo il mio regalo compiaciuto.
“Un grembiule con il faccione di Sid stampato sopra? Non ci posso credere! Takanori è...è bellissimo.” dico senza nascondere l'emozione.
Mi avvicino a lui e lo abbraccio. Accolgo il suo piccolo corpo tra le mie braccia beandomi del suo calore corporeo. Takanori sorride contento.
“Davvero ti piace Akira?”
“Certo...è il grembiule più punk che abbia mai visto. Ma senti un po'. Me lo hai regalato perchè vuoi che lo indossi?”
“Certo! Stupido” risponde tirandomi uno schiaffetto sulla spalla.
“E ti pare che possa indossarlo durante il turno di lavoro?!”
“Forse no...ma potrai indossarlo un giorno che cucinerai solo per me” risponde avvicinandosi al mio volto.
I nostri nasi si sfiorano dolcemente anticipando il tocco sensuale e intenso delle nostre labbra. La sua bocca si incastona perfettamente nella mia. Assaporo il suo labbro inferiore tirandolo leggermente con i denti. Il suo alito profuma di menta e le sue labbra sanno di frutta. Lo avvolgo con le mie braccia avvicinandolo sempre di più a me; non mi interessa se siamo in mezzo di strada. Le mani di Takanori si posano sulle mie spalle mentre le nostre lingue si incontrano in una danza lenta e magica. Non ho più ossigeno. È incredibile come Takanori riesca a farmi mancare l'aria tutte le volte. Non riesco a fare a meno di lui. Lo sento mugolare nel bacio, è così chiacchierone che non riesce a stare zitto nemmeno per pochi secondi. Ci stacchiamo guardandoci negli occhi.
“Un giorno cucinerò solo per te allora. E so già come prenderti per la gola” sussurro sulle sue labbra.
“Wow Suzuki, fai sul serio allora!”
Scoppiamo a ridere entrambi.
Takanori si sposta afferrando la mia mano e stringendola forte.
"Tanti auguri Akira.” sussurra con voce profonda e suadente. Lo ringrazio silenziosamente facendo un leggero movimento del capo. Rimaniamo in silenzio, mano nella mano. 
“Allora festeggiato? Dove andiamo?” mi trascina per tutto il marciapiede continuando a stringermi saldamente. “Io avevo pensato di andare al cinema. Tu che dici?”
“E' da tantissimo tempo che non metto piede in un cinema...direi che va più che bene.” concludo sorridendo.
Camminiamo per una buona mezz'ora prima di arrestare il passo davanti all'ingresso di un enorme edificio. La multisala sembra molto scura all'interno, così come anche il pavimento e le pareti. Sulla facciata di ingresso sono appese decine di locandine di tantissimi film di ogni genere. Alcuni film sono americani sottotitolati in giapponesi, altri sono film di animazione e altri ancora sono film giapponesi usciti da poco nei cinema.
Decidiamo di entrare senza aver deciso il film da guardare. Oggi sono così di buonumore che non ho voglia di farmi rovinare la giornata da niente e da nessuno. Ho accantonato tutto quello che Kouyou mi ha detto. Lo so, lui ha dannatamente ragione. Ha ragione su tutto e ormai ho preso la mia decisione. Ma oggi, il giorno del mio compleanno, vorrei non pensarci. Non voglio pensare a nulla, se non a me e Takanori. Oggi esistiamo solo noi. Il mondo potrebbe esplodere per quanto mi riguarda; rimarrei a fissarlo inerme senza nessuna emozione.
È passato così tanto tempo da quando ho festeggiato il compleanno in maniera spensierata. Da quando mi sono ammalato ho messo da parte ogni cosa. Non ho più festeggiato nulla, nemmeno capodanno. Ho evitato ogni tipo di feste, ricorrenze, compleanni. Non mi interessava più nulla. Mi ero addirittura dimenticato il giorno del mio compleanno. Mia sorella mi faceva trovare una torta gigante preparata da lei sul tavolo della cucina insieme al solito maglione, regalo da parte sua e di mia madre. Quelle due sono sempre state incorreggibili. Ma apparte la mia famiglia, ammetto di non aver smesso totalmente di trascorrere il giorno del mio compleanno fuori con gli amici. Kouyou ha cercato di trascinarmi da qualche parte ma con scarsi risultati. Con Takanori invece è tutto diverso. Ho voglia di uscire con lui, stare con lui, andare ovunque con lui. Non mi interessa nemmeno dove, come o quando.  
“Akira ma non abbiamo ancora scelto il film! Cosa facciamo?” chiede lui guardandomi. La sua espressione è così dolce che vorrei baciarlo qui e ora. Davanti a tutti.
“Ma chi se ne frega, no? Prendiamo il primo della lista!”
Dopo dieci minuti ci ritroviamo in una grande sala proiezione immersi in decine e decine di sedili cercando il nostro posto nella penombra dei corridoi. Dopo pochi secondi strattono Takanori verso di me.
“Che ne dici se andiamo in ultima fila?” sussurro guardandolo. Lui non risponde, mi sorride e mi segue silenzioso, accomodandosi negli ultimi posti.
Non ricordo nemmeno il titolo del film che abbiamo scelto. Probabilmente è una pellicola della saga di Transformers, e lo riconosco solo da qualche piccolo spezzone su cui riesco a concentrarmi per solo pochi attimi. Non saprei proprio raccontare la trama del film che stanno proiettando ma posso benissimo descrivere il sapore e la dolcezza delle labbra di Takanori che si intrecciano intimamente alle mie. Il suo respiro caldo emana un dolce tepore sulle mie guance. La sua lingua accarezza il mio palato mandando in tilt ogni piccola porzione di razionalità che avrei voluto conservare.
Fanculo.
Lo stringo a me completamente inebriato dal suo profumo e dalla sua aurea magica. Takanori deve sicuramente avermi fatto un incantesimo. Non mi ero mai sentito così. Mi sento totalmente diverso. Provo un turbine di emozioni: paura, felicità, terrore, piacere, tenerezza, gelosia. Continuo ad assaporare le sue dolci labbra, succhiando ogni singolo centimetro di pelle. Ogni tanto apro gli occhi gettando qualche occhiata qua e là, ma intorno a noi c'è solo il buio. Non sento nemmeno i rumori provenienti dagli enormi altoparlanti. Anzi, ad essere sincero, non percepisco più il mondo intorno a me. Esistiamo solo io e Takanori. Mi stacco osservandolo attentamente. I suoi occhi continuano a risplendere anche se in un luogo così poco illuminato. Le sue labbra carnose sono di un colore ancora più rosa e sono più invitanti che mai. Mi abbasso per posare un bacio leggero sul suo naso. Poi lo avvicino a me e sento la sua testa poggiarsi timidamente sulla mia spalla. Cingo il suo corpo con il mio braccio destro e mi beo nel nostro contatto. Takanori guarda con interesse le scene di azione sullo schermo. Io cerco di concentrarmi su qualche personaggio o battuta del film, ma invano. Niente è più interessante dei capelli corvini di Takanori. Le mie dita giocano distrattamente con una ciocca. Adoro la morbidezza dei suoi capelli.
Senza neanche rendermene conto il film è terminato e tutti i presenti si stanno alzando, dirigendosi verso l'uscita. Takanori si alza raccogliendo il suo piccolo maglioncino color verde scuro e indossandolo subito dopo. Recupero la mia giacca grigia sportiva e finalmente usciamo dal cinema. Appena metto piede fuori, vengo investito dal rumore del traffico cittadino e dagli odori più disparati di una Tokyo notturna. Ci guardiamo negli occhi per secondi che mi sembrano interminabili.
“E' stato un film dannatamente interessante!” esclamo con la faccia più seria che riesca a mimare.
Takanori ride divertito dandomi un'amichevole spinta.
“Certo. Infatti non abbiamo seguito la trama nemmeno per cinque minuti” ridacchia il più piccolo.
“Forse perchè avevamo di meglio da fare” sussurro lanciandogli un'occhiata complice.
Restiamo zitti entrambi per un bel po’ di minuti. Si crea un silenzio intimo tra di noi.  Nessuno di noi due ha bisogno di dire qualcosa. A volte le persone capiscono quando non è necessario parlare. Perché rovinare la delicata purezza del silenzio con la volgarità delle parole? Il mio suono preferito è quello del silenzio, delle nuvole che si muovono senza farsi sentire, del fiore che cresce dal terriccio timidamente. Adoro il rumore del silenzio.  Adoro il rumore del battito di ciglia di Takanori. Adoro il rumore del suo sorriso. Inspiro profondamente. 
“Bene e ora cosa facciamo?” chiede interrompendo la piacevole complicità creatasi tra i nostri corpi.  Mi guarda intensamente negli occhi. 
“Mh.  Non saprei…” 
“Sei tu il festeggiato.  Non posso mica decidere io! È il tuo compleanno,  su via! Puoi fare quello che vuoi. ” 
Sorrido appena ascolto le sue parole.  Delle immagini sfuocate mi passano davanti alla mente.  Vorrei afferrarle prima che svaniscano del tutto. 
Lo guardo. Senza pensarci troppo su, lo afferro per la vita sottile e lo alzo da terra con impeto appoggiando il suo corpo sulla mia spalla sinistra. È così leggero che non sento il minimo fastidio.  Lo sorreggo saldamente. 
“Akira cosa fai mettimi giù!” urla dibattendo le gambe e cercando un modo per scappare dalla mia presa.  Lo stringo forte assicurandomi che non cada. Lo trasporto per un paio di metri camminando a passo svelto. 
“Sono o non sono il festeggiato? Decido io cosa facciamo. E ora andiamo in un posto a fare una cosa.” Sorrido tra me e me affrettando il passo. Takanori continua a lamentarsi dandomi dei piccoli pugni sulla schiena.  Dopo un paio di minuti ci accorgiamo di come i passanti ci fissano stupiti e scoppiamo a ridere come due ragazzini. Continuo a camminare trascinando Takanori sulle mie spalle.  Ormai siamo quasi arrivati.  
Mentre cammino il piccolo uomo inizia a raccontare la sua giornata lavorativa lamentandosi dei clienti rompiscatole. Sembra molto preso dalla discussione, tanto che non lo sento mai riprendere fiato.  Sorrido senza neanche aver ascoltato una parola di quello che mi ha appena detto.  Mi beo del contatto con il suo corpo morbido e leggero. È così minuto che sembra un piccolo gattino che si lascia prendere in braccio dal suo padrone.  È proprio questo il bello di Takanori: è piccolo e indifeso ma allo stesso tempo possiede una grinta strabiliante ed è pronto a graffiare quando si trova in pericolo. Questo è ciò che lo rende speciale.  Con il suo corpo magro ed effemminato scioglie ogni mia difesa. Ogni volta che lo guardo vorrei semplicemente stringerlo a me per sempre.  Eppure… lui è l’uomo più forte che conosca.  Non ho mai conosciuto una persona così. Takanori è una pietra preziosa e rarissima e io ho avuto la fortuna di scavare nella roccia giusta e rimanere abbagliato dalla sua splendida lucentezza. Non mi sembra ancora possibile di riuscire a pensare queste cose.  Eppure è così. Lui ha illuminato ogni angolo buio della mia anima. 
“Parlaci Akira. Digli tutta la verità. Fallo il prima possibile. Takanori non si merita tutte queste bugie. E nemmeno tu meriti tutte queste inutili paranoie.”
Le parole di Kouyou mi colpiscono come un fulmine che trapassa il mio corpo da capo a piedi. Il mio corpo trema al solo pensiero.  Mi concentro e mando via ogni nuvola grigia. Solo così posso scorgere la luce delle stelle. Una di loro è goffamente appoggiata sulla mia spalla e non smette un attimo di parlare e lamentarsi. 
Annuso una familiare aria salmastra e capisco di essere arrivato a destinazione.  Quando le mie scarpe affondano su un letto sabbioso appoggio delicatamente Takanori in terra.  È sera inoltrata e l’assenza di luna nel cielo nega la visuale del mare davanti a noi.  Inspiro profondamente.  Ho sempre adorato l’odore del mare.  Quell’odore di sale e di buonumore. Fin da piccolo ho sempre adorato le località marittime; mia madre portava spesso me e mia sorella in spiaggia e ricordo che in quei momenti ero il ragazzino più felice del pianeta.  Amo ogni cosa del mare; in particolare amo l’atmosfera che si crea durante la notte quando la sabbia è fresca e l’acqua è tiepida e misteriosa. 
“Ma siamo arrivati in spiaggia!” asserisce fissando un punto davanti a sé. 
Non rispondo ma inizio a correre verso la battigia ad una velocità fenomenale. Sento Takanori sbiascicare qualche parola dietro di me. Non riesco ad afferrarne il senso.  Mi tolgo le scarpe,  i calzini e la felpa, lanciandoli da qualche parte sulla sabbia. Appoggio la borsa e i miei effetti personali,  tra cui il portafogli e il telefono,  sulla stoffa della mia felpa assicurandomi che non cadano sulla sabbia. 
“Akira cosa stai facendo?! Aspettami!”
Mi raggiunge in pochi secondi e appena capisce le mie intenzioni mi strattona la maglietta. 
“Non vorrai—”
“Oh sì.”
Senza aspettare una sua reazione mi fiondo verso l’acqua correndo e tuffandomi poco dopo.  L’acqua è tiepida e piacevole. Una bella sorpresa considerando che non è ancora estate.  Mi rilasso tra le onde e una brezza di fine Maggio accarezza le mie guance. 
“Akira ma non ti sei nemmeno tolto i vestiti! Sei completamente pazzo!”
“Sbaglio o hai detto che è il mio compleanno e posso fare quello che voglio?” urlo per farmi sentire dal più piccolo che è rimasto fermo sulla riva e mi guarda con aria preoccupata. 
È indeciso. Si guarda intorno,  si volta dietro di sé per capire se qualcuno ci sta guardando e poi torna a fissare i propri piedi.  Nel frattempo inizio a nuotare distrattamente godendo dell’acqua notturna di Tokyo. 
“Sai cosa ti dico? Vaffanculo ai pantaloni nuovi!” esclama liberandosi frettolosamente delle scarpe e della borsa e raggiungendomi in acqua. Appena si avvicina lo afferro stringendolo forte a me. È tutto così perfetto. Le nostre labbra si cercano immediatamente ritrovandosi in un bacio dal sapore salato e intenso. Vorrei rimanere qui per sempre.  Mi stacco lentamente osservandolo. Gli occhi di Takanori brillano e riflettono le luci delle insegne dei ristoranti situati vicino alla spiaggia. Perdo ogni briciolo di me stesso in quegli occhi. 
Mi concentro per trovare le parole giuste,  per dirgli cosa provo in questo momento; vorrei riuscire almeno a dirgli questo. Ma appena la sua bocca si appoggia sulla mia mi lascio trascinare da quella delicata carezza,  abbandonando ogni singolo pensiero tra le onde dell’acqua lasciando che il mare lo porti via con sé. 













































Buongiorno! Non vi aspettavate un mio aggiornamento vero? u.u e invece eccomi qua 💕 insomma.... Siamo arrivati a delle confessioni belle grosse! Akira è innamorato ;; e probabilmente non sa nemmeno spiegare da quanto e in che modo ci è cascato ;; quanto è dolce *_* invece Kouyou non sembra molto d'accordo e d'altronde ha ragione... Come farà Akira a dire tutto a Takanori? Si accettano scommesse u-u 
Ma quanto sono carini insieme Akira e Takanorino? Sono due angeli 🐇 e quando stavo scrivendo questo capitolo mi si è fermato il cuore un sacco di volte perché sono perfetti e boh ;; sono l'otp della vita.  A proposito di vita: ditemi che anche voi state studiando come delle matte per gli esami così non mi sento la sola ;3; come se non bastasse domenica è il mio compleanno e divento sempre più vecchia (e brutta) ~ in compenso le mie amiche mi stanno riempiendo di dolci e io sono felicissima ;;;;;;; p.s.: ieri io e le mie coinquiline abbiamo fatto l'albero di natale ed è ADORABILE *_* gli ho pure dato un nome,  l'ho chiamato Charlie 💚


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Capitolo 18
*** Diciotto. ***


XVIII
















Oggi la giornata sembra interminabile. Mi sembra di essere chiuso in sala attrezzi da ore e invece probabilmente sono passati solo una ventina di minuti. Ho chiamato Jonathan questa mattina e ci siamo dati appuntamento in palestra alle 19 e 30. Tutte le volte che decidiamo di allenarci lo facciamo scegliendo orari in cui ci sono meno persone possibili così abbiamo molto più spazio a nostra disposizione e possiamo parlare animatamente senza aver paura di disturbare le altre persone. Lancio un’occhiata all’orologio scoprendo a malincuore che sono a malapena le otto di sera e io sono solo ad un quarto del mio allenamento. Non vedo l’ora di tornare a casa, mangiare fino a sentire lo stomaco pieno, accendere la tv e addormentarmi sul divano con una partita di baseball in onda come sottofondo. Sono stanco. Ma non è solo per questo che non vedo l’ora che questa giornata si concluda. In tutta onestà, non vedo l’ora che sia domani. Domani è sabato, 4 giugno 2016. È un giorno importante per quanto mi riguarda. Ormai ho preso la mia decisione e domani potrò finalmente realizzare quello che ho pensato. 
“Ehi Akira sembri un po’ stanco! Forse dovresti fermarti no?” Jonathan interrompe il flusso dei miei pensieri riportandomi alla realtà.
“Ti ringrazio per l’interesse ma preferisco portare a termine l’allenamento”
“Non dovresti sforzarti così tanto però. Da quanto mi hai detto non puoi permetterti di stressare troppo il tuo fisico.”
“Sto bene Jonathan, davvero…” non ci provo nemmeno a essere convincente. Sono nervoso e sono un pessimo attore. Penso che ormai lo hanno capito tutti ormai. Non riesco a nascondere quello che provo veramente. E Jonathan ormai ha imparato a conoscermi troppo bene. 
“Non sei sicuro nemmeno tu di quello che dici” sussurra lui con un sorriso forzato stampato in faccia. Si guarda intorno sicuro di non essere osservato e appoggia una mano sulla mia spalla lasciandomi una leggera carezza. “Ascolta Akira. Io sono davvero preoccupato per te. Non mi interessa se tu non vuoi raccontarmi certe cose. A me interessa solo che tu stia bene. C’è qualcosa o qualcuno che ti sta facendo soffrire?”
Mi volto di scatto guardandolo. I suoi occhi brillano sotto le lampade al neon della sala attrezzi. Non lo avevo ma visto così serio. Se non fosse che il suo tono di voce è veramente tranquillo, direi che sia sul punto di piangere. I suoi occhi tradiscono la fermezza del suo corpo e della sua voce. Le sue iridi luccicano e riesco a vedere paura, incertezza e protezione. E c’è pure un’altra emozione che non riesco a decifrare. Appoggio la mia mano sulla sua, ancora posata sulla mia spalla. 
“Jonathan-san. Apprezzo davvero tanto che tu ti preoccupi per me. Sono serio. Ma davvero non c’è nessuno che mi sta facendo soffrire. Anzi…c’è una persona che mi ha fatto del male e me lo sta facendo tutt’ora. Me stesso. Io mi sono inflitto dolore e io stesso ne sto pagando le conseguenze. Per questo ho sempre preferito non parlarne con nessuno. Ho fatto uno sbaglio è l’unica persona che può rimediavi sono io, e io soltanto. È totalmente inutile che io ti spieghi tutto nel dettaglio. Però voglio che tu sappia questo: ho riflettuto tanto e ho ascoltato il consiglio che mi hai dato qualche tempo fa. Voglio dire la verità. Le menzogne non servono a niente…una bugia è attraente ma è effimera tanto quanto è affascinante. Quando il velo illusorio scompare, quello che rimane sono i resti mal ridotti di una verità brutta e rovinata. Tuttavia quello che mi rimane da fare ora è raccogliere i pezzi di quella verità è rimetterli insieme faticosamente. Voglio solo sentirmi dire che ce la posso fare.” Concludo la frase lanciando uno sguardo carico di tensione verso il mio interlocutore. Jonathan sorride. Mi regala il sorriso più sincero che abbia mai visto. Lo ringrazio tacitamente per essere sempre così leale con me. Mi abbraccia tutto d’un tratto dandomi una pacca sulla schiena infondendo calore su tutto il mio corpo. Ricambio l’abbraccio. 
“Ce la puoi fare Akira. Anzi, ma che dico. Ce la fai. Io sono qui e  ti supporto, sempre. Non lo dimenticare.” 
Mi stacco leggermente dal suo abbraccio e lo ringrazio guardandolo negli occhi. Osservo il suo volto dai lineamenti regolari. È incredibile come Jonathan sia diventato mio amico in così breve tempo. Mi sento veramente capito da lui; forse perché probabilmente non siamo poi così diversi. Anzi…vediamo le cose nello stesso modo e ci credo ciecamente quando lui mi dice che capisce veramente quello che provo. Non mi sono mai sentito così felice in vita mia di aver trovato un amico. 
“Posso dire una cosa?” domando con un tono spaventosamente allibito.
Jonathan mi osserva con aria curiosa. Osservo le nostre canottiere sudate e il suo viso bagnato. 
“Questo è stato sicuramente l’abbraccio più puzzolente della storia!” esclamo cercando di appartiene il più serio possibile. Naturalmente fallisco e nascondo goffamente un sorriso.
Scoppiamo a ridere all’unisono. 




















 
*



























Respiro profondamente l’aria pomeridiana di Yokohama. Un leggero venticello mi scompiglia i capelli; lotto contro ogni forza naturale per tenerli ordinati al loro posto. Li sistemo all’indietro ma alcuni ciuffi ribelli non sembrano voler seguire l’esempio degli altri e così ricadono puntualmente sui miei occhi. Forse dovrei tagliarmi i capelli, e anche il più presto possibile. Sono un vero idiota con questa pettinatura; per non parlare dell’abbigliamento. E la barba? Mi volto cercando una vetrina di un negozio dove mi specchio approssimativamente cercando qualche traccia di una rasatura non riuscita. Tasto con le mani e sembra tutto apposto. Mi sento un vero cretino. E probabilmente quando Takanori mi vedrà, penserà che sono brutto e trasandato e tutto sommato non posso dargli torto. Kouyou mi ripete sempre di dover smettere di portarmi dietro questo look da ragazzo trasandato che, a 38 anni suonati, non mi si addice più. Probabilmente ha ragione ma non riesco a vedermi con un look da persona troppo normale. Non voglio essere un uomo ordinario con abiti noiosi e uno stile di vita che lo è altrettanto. Voglio arrivare a 65 anni e andare ancora in moto con la mia giacca di pelle e i miei anfibi. Non chiedo poi così tanto.
“Ehi!” una voce dolcemente familiare mi costringe a voltarmi. 
“Takanori” sussurro sorridendo involontariamente appena pronuncio il suo nome. Osservo i suoi abiti. Indossa una maglietta bianca decorata con delle scritte nere, pantaloni lucidi grigio scuro e una giacca nera molto elegante che mette in evidenza la sua corporatura minuta. È così bello da sembrare solo il frutto della mia immaginazione. Nulla a che vedere con me, con i miei jeans, la mia camicia a quadri e la mia giacca casual. In confronto a lui sembro un barbone. 
“Ciao Akira, sei bellissimo” dice guardandomi. I suoi occhi mi sorridono. 
“Se io sono bellissimo, tu sei la definizione di ‘bellezza’” affermo seriamente. Il più piccolo arrossisce abbassando la testa e sorpassandomi. 
“Allora?! Hai deciso dove pranziamo?” 
“Ho cercato su internet qualcosa e ho scoperto che qua vicino c’è un bakery francese che cucina dei piatti molto sfiziosi, anche se forse è un posto un po’ caro. Però ecco…sì, insomma, offro io.” Dico infilandomi le mani nelle tasche assumendo un’aria colpevole. Nascondo subito ogni insicurezza non posso mostrarmi debole proprio ora. Proprio ora che ho fatto la mia scelta. 
“Adoro la cucina francese! Accetto molto volentieri!” mi regala un sorriso che distrugge buona parte dei miei neuroni. Perché Takanori ha questo potere su di me? Mi sento così debole. Ho paura di non farcela. Ripenso alle parole di Kouyou e all’abbraccio di Jonathan e sento una grande forza crescere dentro di me. Penso al viso di Takanori tra un paio di anni distorto dalle lacrime e dai singhiozzi. No, devo farlo ora prima che sia troppo tardi. Cosa potrebbe mai succedere in fondo? Mica devo confessargli un omicidio o la morte di qualcuno. Anzi. Devo solo ringraziarlo di aver evitato la mia morte. Sono sicuro che Takanori capirà perfettamente. È così dolce e sensibile che sicuramente sarà meravigliato e stupito. Già immagino i suoi occhioni dolci che si illuminano alla notizia. Non vedo l’ora di dirglielo e sentirmi libero e leggero. 
“Mi stai ascoltando Mr Sbruffone?” 
La sua voce mi riporta alla realtà. 
“Eh?”
“Ti ho chiesto se hai voglia di accompagnarmi a vedere la mostra dedicata a Picasso la prossima settimana!” afferma soffocando una piccola risata. 
“Ti accompagno a tutte le mostre che vuoi” sussurro appoggiando una mano sulla sua schiena.
Camminiamo per quasi un quarto D’ora prima di arrivare a destinazione. Appena scorgo l’insegna del bakery sento lo stomaco gorgogliare.
“Ho una gran fame!” dico con un tono di voce stupido. Il più piccolo ride dandomi uno schiaffo sul braccio. 
“Beh entriamo allora no?”
Appena mettiamo piede dentro un odore di pane appena sfornato invade le nostre narici. È così delizioso che per un attimo penso di potermi sfamare anche solo odorando quei sapori magnifici. Le pareti sono decorate di un piacevole color crema e sono decorate con delle stampe fotografiche di una Parigi degli anni ’60. Lo staff del locale indossa una maglietta alla marinara a righe nere e bianche e una piccola coccarda sul lato sinistro del petto. I clienti mangiano e chiacchierano indisturbati mentre i camerieri servono loro le più raffinate prelibatezze francesi. Takanori indica un tavolo in fondo alla sala apparecchiato per due. Ci dirigiamo verso il nostro obbiettivo scortati da una dolcissima ragazza dai capelli rossicci che ci porge con estrema delicatezza due menu.
Appena ci sediamo inizio a sentirmi terribilmente nervoso. Guardo attentamente il menù così da distrarmi. Ci sono tantissime cose invitanti, ma, dopo un’accurata indagine, opto per un patè di patate e formaggio accompagnato da funghi e calamari. Takanori ordina un trancio di torta salata agli spinaci. 
Mentre aspettiamo il nostro ordine parliamo del più e del meno. Osservo il volto angelico del mio interlocutore e mi beo di questa visione celestiale. Le sue guance sono così lisce e morbide che vorrei accarezzarle proprio in questo momento. Mentre parla gesticola leggermente e mi concentro maggiormente sulle sue dita veramente poco virili. Afferro la sua mano sinistra e la appoggio sul tavolo accarezzandone il dorso  vellutato.  
“Come siamo romantici” asserisce. 
“Ci proviamo dai.” Dico in maniera fin troppo seria. Scoppio a ridere subito dopo e Takanori mi insegue. 
Veniamo interrotti dell’arrivo delle pietanze. Takanori è felicissimo e addenta subito un pezzo di torta assaporandola. Anche il mio piatto è molto invitante ma prima di assaggiarlo mi soffermo ad assaggiare qualche sorso del vino bianco che la cameriera ci ha portato. È fresco, dolce e pungente. È ciò di cui ho bisogno adesso. Assaggio un pezzo di patè e me lo gusto per svariati secondi. Poi butto giù. Mi schiarisco la voce. 
“Takanori.”
“È buonissima questa torta! Vuoi assaggiare?”
“Ti ringrazio ma preferisco questo patè. Però ecco…” appoggio la forchetta sul piatto. “Takanori ho bisogno di dirti una cosa” la mia  voce esce più drammatica del previsto. Cerco di mantenere il controllo.
“È successo qualcosa?” chiede lui preoccupato.
“No no. Devo solo farti una …confessione.”
Lui ingoia un pezzo di torta salata inclinando la testa di lato; capisco che mi sta ascoltando con attenzione. 
“Mi scuso in anticipo perché te lo sto dicendo solo ora. Però capiscimi. Non è una cosa che si può dire immediatamente. Vedi…io sono stato malato di leucemia qualche anno fa.”
“Cosa? Sei serio Akira? E ora come stai? Stai bene?”
Ora è la sua mano ad accarezzare il dorso della mia. Afferro quel piccolo batuffolo pallido giocando con le sue dita. 
“Sto bene non preoccuparti. Fortunatamente sono guarito e sono tornato in vita. Tuttavia è stato un miracolo. Ne sono più che sicuro. La mia forma di leucemia era molto grave e avevo solo una possibilità su cinque di poterne uscire vivo. Alla fine della radioterapia il mio corpo era totalmente fuori uso. I medici sono stati chiari. Trapianto di midollo osseo. E forse anche se avessi trovato un donatore non era detto che l’operazione sarebbe potuta andare a buon fine. Tuttavia è andata nel migliore dei modi. I dottori hanno trovato un donatore e il mio fisico ha reagito benissimo all’iniezione del midollo compatibile. Solo grazie a quel donatore sono riuscito a sopravvivere. Se non avessi fatto il trapianto a quest’ora mi troverei una decina di metri sotto terra.” 
Mi fermo e riprendo fiato, bevo un po’ di vino bianco. 
“M-Mi dispiace Akira. Mi dispiace tanto. Ma…perchè mi stai dicendo tutto questo? Ora stai bene, no?”
“Certo. Sto benissimo. Tuttavia devo dirti una cosa Takanori. Una cosa che ti riguarda personalmente”
Accarezzo la sua mano liscia. 
“No Akira, non dirmi che…”
“Quel donatore sei tu Takanori. Tu mi hai salvato la vita, mi hai dato una seconda possibilità, hai permesso che tutto questo potesse accadere. Senza di te non sono niente Takanori.” Lo dico tutto d’un fiato. Mi sembra di essere tornato bambino quando la maestra ci costringeva a ripetere  a memoria una poesia davanti a tutta la classe e per far terminare velocemente il momento imbarazzante recitavo le parole tutte d’un fiato.  
I suoi occhi mi scrutano. Le sue iridi luccicano; è spaventato, meravigliato e sembra…triste. La sua mano è rigida a contatto con la mia. Stringo le sue dita dolcemente. Non avere paura Takanori. Ti prego.
“Da quando sono guarito sono diventato ossessionato da tutta la situazione. Mi ero così tanto rassegnato alla morte che quando il dottore mi disse che ero guarito pensavo di star sognando. Invece era tutto vero. Da quel giorno mi sono promesso di cercare anche in capo al mondo colui o colei che aveva permesso tutto ciò. Mi sono sentito profondamente vulnerabile, ma anche riconoscente e speranzoso. Persino nei sogni le voci mi dicevano di cercarti. Da quel momento capii che dovevo farlo. Sentivo che alla fine della mia ricerca avrei trovato qualcosa di importante. E ora capisco cosa.  Ho trovato te. Il mio angelo custode. Finalmente posso dirtelo. Grazie Takanori. Grazie per avermi salvato la vita.”
Un intimo silenzio cala su di noi. Ho l’impressione che qualcuno abbia bruscamente  abbassato il volume della stanza considerando che non sento più le voci degli altri clienti. Siamo di nuovo rinchiusi nella nostra bolla di cristallo. Io e lui, come è giusto che sia. 
“Akira sono contentissimo! Io….cioè-” sorride dolcemente, sembra molto felice eppure il suo tono di voce sembra provenire dall’oltretomba. Sento un brivido freddo lungo la schiena.
Ingoio nervosamente la saliva e cerco di nascondere ogni insicurezza. Mi stringe forte il polso e mi sorride nuovamente. È bellissimo e mi sento mancare il fiato. 
Prendo la sua piccola mano e la avvicino alle mie labbra posandoci un bacio.  
Lui mi osserva senza smettere un secondo di sorridere; anche i suoi occhi sorridono. 
“Akira è una cosa bellissima! Io, tu…sei guarito vero? Oddio sono così emozionato…” la sua voce suona così strana che non riesco a percepire perfettamente quello che mi ha detto. Sembra un bambino emozionato che sta per scoprire quali regali troverà sotto l’albero di Natale. “Sono…veramente contento Akira. Sembra…cioè sembra tutto così assurdo e…magico!” 
I suoi occhi vagano per tutta la stanza. Osserva i quadri, le tende ricamate alle finestre e infine si sofferma sul mio sguardo. I suoi occhi sono dolcissimi come lo zucchero caramellato e il miele fuso sui pancakes. I suoi capelli leggermente mossi e gonfi rendono il suo viso così efebico da sembrare di porcellana. Non resisto. Accarezzo la sua guancia. Sono felice.
“Lo so piccolo. È davvero qualcosa di magico. Mai mi sarei immaginato che la persona che mi ha salvato la vita sarebbe diventata la persona per cui provo qualcosa di così profondo. Non è bellissimo? Siamo irrimediabilmente legati dal filo rosso del destino. È così che doveva andare. Non poteva andare diversamente.”
Takanori appoggia la sua mano, più piccola e pallida, sulla mia, infondendo nel mio corpo un piacevole calore. Mi sento l’uomo più felice della Terra. È come se tutti i pianeti si fossero allineati perfettamente al loro posto. Ogni cosa è terribilmente giusta. 
Non pensavo che fosse così facile e dolce dire la verità. Ho passato settimane intere a grogiolarmi nel rimorso e nel dubbio ignorando la purezza e la delicatezza della verità. Sembra tutto così giusto che per un secondo scordo di essere in un luogo pubblico; ma cerco subito di ricompormi. Kouyou aveva maledettamente ragione. Anzi, avrei dovuto ascoltare molto prima il consiglio di tutti. Mi sarei tolto di torno tutte le mie inutili paranoie. Ma ora non voglio pensare a nient’altro se non a lui. Mando giù un altro boccone gustandomi il sapore francese della mia pietanza e penso a qualcosa di intelligente da dire. Ora che gli ho confessato questo posso davvero dirgli tutto quello che provo. Voglio essere sincero con lui. Voglio fargli capire quanto sia importante per me. 
Aggrovigliato tra i miei pensieri non mi accorgo che Takanori ha smesso di mangiare la sua fetta di torta salata da un bel po’. Guarda fisso un punto preciso del tavolo mentre sorseggia distrattamente il vino dal suo calice. Sfioro le sue dita come a volerlo riportare alla realtà. Quando i suoi occhi si posano su di me mi accorgo che è troppo tardi. Takanori è rinchiuso in un’altra realtà troppo lontana da quella in cui mi trovo io.
“Akira, è meglio se la chiudiamo qui.”
Una sola frase, il medesimo tono di voce. Nessuna inflessione né un cambio di accento. Improvvisamente mi accorgo di non riuscire più a comprendere la mia stessa lingua. 
Takanori si alza frettolosamente dal tavolo e recupera la sua giacca e la sua borsa; esce dal locale con grandi falcate.
Inspiro profondamente e osservo la fetta di torta salata agli spinaci davanti a me. Se non fosse per la punta, la pietanza davanti a me è praticamente intatta. Sento una fitta alla bocca dello stomaco. Con uno scatto mi alzo, recupero le mie cose e lascio 7,000 yen sul tavolo. Mi precipito fuori cercando Takanori con lo sguardo. Lo trovo a pochi metri da me. Si sta dirigendo verso la fermata degli autobus. Corro e recupero la distanza tra noi. Lo afferro per il braccio destro costringendolo a voltarsi. 
“Takanori aspetta!”
“Non mi toccare! Stronzo.” Si volta bruscamente e urla senza vergogna. Non lo avevo mai visto così. La sua voce sembra instabile, così come il suo respiro. I suoi occhi sempre dolci, ora sono tristi e arrabbiati. Scorgo le fiamme nelle sue iridi. Un fuoco ardente brucia dentro di lui. È un fuoco freddo e gelido. 
“Takanori ascoltami….capisco che tu possa essere rimasto sorpreso, ma ti assicuro che è tutto ok”
“Tutto ok? Senti…vattene. Vai via da me. Sparisci. Schifoso, stronzo, bugiardo.”
Sfioro la  sua spalla cercando di calmarlo.
“Ti ho detto di non toccarmi cazzo!” la sua voce ormai è così alta che sicuramente tutti i passanti sono girati dalla nostra parte. “Non toccarmi Akira o non so cosa potrei fare. Mi fai schifo. Mi hai ingannato tutto questo tempo. Tutte le nostre uscite, i nostri discorsi, i nostri baci. È tutto una menzogna. Mi hai illuso. Sei venuto fin qui a prendermi per il culo. Cos’è, forse volevi vedere quanto fosse sfigato il tuo donatore? Ora mi è tutto più chiaro. La tua insistenza, i tuoi inviti. Mi hai solo usato. Forse vuoi un risarcimento in cambio? Qualche dottore ti ha suggerito il mio nome per soldi? Vuoi dei soldi da me? Sai cosa ti dico: va’ al diavolo e sparisci dalla mia vita.” Takanori urla. Urla così tanto che tutto il mondo lo ha sentito. La sua voce è rotta, come una chitarra vecchia e accordata male. Riesco a sentire il rumore dei battiti accelerati del suo cuore. Le sue guance sono arrossite per lo sforzo. È bello persino quando si arrabbia. Vorrei baciarlo e stringerlo a me.
“Ascoltami ti prego non è vero quello che dici e poi-”
“Vaffanculo Akira. Sei uno schifoso manipolatore.” La sua voce mi taglia in due come una spada affilata. Sto sanguinando. Mando giù della saliva sentendo la bocca impastata.
Lo vedo allontanarsi da me. Ora non cammina nemmeno. Sta correndo. Lo rincorro. Non può finire così. 
Lo afferro da dietro con entrambe le mani contando sulla mia forza. Sono molto più forte di lui e mi basta poco per farlo voltare dalla mia parte. Stringo le sue spalle minute tra le mie mani. Non può scappare. Lo tengo saldamente. Ci guardiamo negli occhi. Voglio trasmettergli tutto quello che provo anche solo guardandolo. 
“Ascoltami Takanori. Ti scongiuro. Fammi spiegare. Dopo che ti avrò spiegato tutto sei libero di andartene e ti prometto che non ti seguirò. Sei libero di fare quello che ti senti. Ma ti prego…fammi parlare.”
Lo sento rilassarsi leggermente tra le mie mani.
“Allora. È vero. Ho detto una bugia. O meglio, avrei dovuto dirtelo subito invece che aspettare questo momento. Quando sono entrato nella biblioteca per la prima volta avevo un solo obbiettivo. Parlarti e ringraziarti. E poi me ne sarei andato e non ci saremmo più visti. Tuttavia…non so cosa è successo. Sei apparso tra gli scaffali come un angelo. Sono rimasto totalmente ipnotizzato e non sono riuscito a dire nulla. Ho sbagliato, lo so. Ho sbagliato cazzo. Ma ti prego. Non pensare, mai e poi mai, che tutto quello che è successo tra noi sia  una bugia. Tutto quello che ti ho detto e che ho fatto l’ho detto e fatto perché ci credo veramente. Non so nemmeno come sia potuto succedere. Le prime volte non riuscivo a dirtelo perché mi sentivo un completo idiota. Poi sono passati giorni, settimane e tra noi è nata una certa complicità e così è diventato ancora più difficile accennare l’argomento. Non è mai stata mia intenzione mentirti. Lo giuro. Credimi se te lo dico. Passavano i giorni e qualcosa mi attirava sempre di più verso di te. Lo capisci? Non riesco a smettere di pensarti.” Mi fermo riprendendo fiato. Afferro il suo volto dolce e limpido con entrambe le mani. Lotto con tutto me stesso per non abbassarmi e catturare le sue labbra. Lo osservo perdendomi nella sua bellezza.
“Tu mi piaci da impazzire Takanori. E questo non c’entra nulla con la donazione e con la mia ricerca che mi ha portato fino a Yokohama. Non volevo ingannarti. Dio, non lo farei mai. Nemmeno io sapevo che mi sarei preso una cotta per colui che mi ha salvato la vita. Eppure è successo. Se non ti avessi trovato pericolosamente bello probabilmente sarei riuscito a dirti tutto quella volta che ti ho offerto il caffè in quel bar all'angolo della strada. Non mi sono mai sentito così indifeso. Però ascoltami. Tu mi piaci Takanori. Sono sincero. Credimi.”
Mi guarda ma non risponde subito. Sembra schifato dalla mia presenza. Il suo corpo è rigido come un palo di legno. 
“Come posso credere ad un bugiardo?”
“Questo bugiardo non smettere di pensare a te nemmeno per un secondo. Sei tutto quello di cui ho bisogno”
“Akira non può funzionare. Non avremmo mai dovuto incontrarci. Non saresti mai dovuto venire a Yokohama. È tutto sbagliato. È meglio se la finiamo qui” la sua voce è così seria e ferma. Ora sono io ad essere spaventato. Ho paura. Sento una presenza dietro di me. È la bestia. È venuta fin qui per me. Sento il suo fiato caldo sul collo. 
“Takanori una voce….qualcuno o qualcosa mi ha suggerito di cercarti. Ti prego lasciami spiegare. Da quando mi hanno trapiantato il tuo midollo osseo ho iniziato a fare degli incubi strani e particolari….e poi quella voce. Una voce mi ripeteva ‘cercalo’. Qualcuno o qualcosa voleva che io e te ci incontrassimo. Ho iniziato a fare ricerche su di te quando ho capito che era l’unico modo per far sparire quella voce. E infatti così è successo. Da quando ti ho trovato quella voce è sparita e i miei incubi, insomma…”
“È tutto sbagliato” ripete questa frase come una preghiera. Sembra quasi che non abbia ascoltato nulla di quello che gli ho detto. Lo sento. Sta uscendo inesorabilmente dalla nostra sfera di cristallo. Le sue frasi penetrano nei miei organi . Ogni parola è un coltello nel mio cuore. 
“Takanori ti prego”
Le sue mani si appoggiano sulle mie allentando la presa sulla suo volto. 
“Akira. È meglio se io e te non ci vediamo mai più”
Questa è la sua ultima frase. Mi guarda lanciandomi uno sguardo carico di tristezza. Si allontana da me, cammina a passo svelto raggiungendo la fine della strada. Gira l’angolo e sparisce dalla mia vista e dalla mia vita. Tremo e non per il freddo. La bestia è dietro di me sta solo aspettando che faccia un passo falso. 
Rimango fermo fissando il vuoto. Vorrei essere risucchiato da un buco nero. Se scappo ora la bestia può raggiungermi facilmente. Non posso scappare. Non c’è via d’uscita. Rimango fermo sentendo i suoi occhi gialli su di me. Ho paura. Assaporo la morte sulla lingua. Sono pronto. 
Appena chiudo gli occhi sento una fitta sul collo. I suoi denti mi hanno afferrato. Cado in terra e vengo risucchiato dall’oscurità. 
















































Buonasera lettori e lettrici! Spero che stiate passando le giornate a sorseggiare cioccolata calda e a comprare regali di natale <3 avete già ricevuto qualche regalo? Io ho ricevuto l'ultimo cd dei Placebo dalla mia coinquilina e sono la bambina più felice del mondo ;_; purtroppo sono sparita per qualche giorno perché sono andata a togliermi il dente del giudizio e sono rimasta a letto imbottita di antidolorifici per un paio di giorni T_T 
Ma veniamo al dunque.... Cosa diamine è successo? Akira cioè Takanori... Cioè... che avete combinato entrambi?! è_é Questo è proprio un gran casino u_u Akira ha sbagliato, è vero,  però la reazione di Takanori mi sembra un po' troppo drammatica; voi che dite? Sembra molto arrabbiato... D'altronde non si sarebbe mai immaginato una cosa del genere. Mettiamoci nei panni di Rukino: si è innamorato di un uomo di cui ha scoperto avere un legame molto più intimo di quanto potesse immaginare. Io non riesco a stare dalla parte di nessuno dei due T3T però ecco... Sono un po' masochista a scrivere cose del genere  <: non mi vergogno a dire che questo è il mio capitolo preferito u.u una parte di me rimarrà sempre innamorata delle cose tristi però ehi, non è detta l'ultima parola. Cosa succederà nei prossimi capitoli?
 

 

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Capitolo 19
*** Diciannove. ***


(è obbligatorio l'ascolto di Without You I'm Nothing - Placebo per tutta la durata del capitolo)

XIX.

























Non ho mai amato particolarmente la mobilia della mia cucina. In fondo quando comprai questa casa mia madre volle aiutarmi in tutto, non solo economicamente, ma anche nell’arredamento e nella scelta dei colori. Avevo detto a mia madre che non sopportavo avere troppi mobili in casa, ma niente da fare. Ho una cucina piena di armadietti, ripiani, mensole, porta oggetti, cassetti e sportelli. La tipica madre di una commedia americana mi invidierebbe sicuramente. Vivendo da solo non riesco mai a riempire completamente tutti gli spazi. Ho tantissime scorte di cibo perché ehi, guai a me se non mangio abbastanza. Tuttavia ci sono tantissimi sportelli completamente vuoti o dove ho riposto qualche confezione di salsa di soia scaduta. Apro uno sportello nell’angolo del piano cottura alla ricerca di una confezione di caffè solubile. Ovviamente le mie mani non trovano nulla se non una vecchia confezione di tè verde in bustine incartato singolarmente. Scaravento l'intera confezione nel cestino. Odio il tè verde. E odio pure la mia cucina che è sempre troppo vuota. 
Rinuncio alla mia terribile voglia di caffè e apro il frigorifero optando per un po’ di latte freddo. Lo bevo direttamente dalla confezione senza avere troppa cura nel non sporcarmi la barba e la maglia del pigiama. Mi asciugo rozzamente la bocca con il dorso della mano e fisso il vuoto davanti a me. Osservo la quantità spropositata di medicinali posti disordinatamente sul tavolo. Non mi era mai successo di passare una notte così terribile. Ancora non ci credo. Sono stato costretto a farmi un’iniezione di morfina per calmare il dolore. Se mia madre lo sapesse accorrerebbe immediatamente. Odio mostrarmi così debole ma ho superato il limite. Mi sento come se avessi fatto un salto in un burrone e stia precipitando nel nulla. Arriverò mai a toccare il fondo? Forse l’ho già toccato. Mi sento così solo. Sono sempre stato un bambino, un ragazzo e poi un uomo solitario. Ho sempre amato stare in compagnia di me stesso. Mi piaceva passare il tempo ad ascoltare i miei pensieri. Ero così orgoglioso di essere un solitario. 
Ora invece sono solo. Sono chiuso in una prigione di incubi e di oscurità. Sono fuori dal mondo e nessuno può vedermi. Non mi è rimasto più niente se non me stesso. Non mi sopporto. Sono costretto a passare il resto della mia vita in compagnia dell’uomo che odio più di ogni altra cosa. Me. Akira Suzuki.
Vorrei potermi annullare definitivamente; diventare polvere e poi essere disperso per sempre dal vento. Odio il mio corpo, il mio volto, i miei capelli, le mie mani, le mie bugie, le mie parole. 
Rovescio il latte rimanente nel lavabo della cucina. Scaravento la carta della confezione da qualche parte in terra. Non mi interessa dove va a finire. Non pulisco la casa da una settimana e non lavo i piatti da altrettanto tempo. Mi accorgo che sono più di ventiquattro ore che non ingerisco qualcosa se non caffè o birra. La cucina puzza di cibo andato a male e io non sono ridotto tanto meglio. Qualche giorno fa ho persino vomitato in qualche angolo della casa. Non rifaccio il letto da giorni nè tantomeno mi sono preoccupato di lavare i vestiti. Ho chiamato a lavoro e mi sono spacciato per malato. Non ha senso continuare a fingere e mostrarmi ai miei colleghi come se tutto andasse per il meglio. Basta non posso più farlo. Sono stato un bugiardo per troppo tempo e ora ne pago le conseguenze. Fin da piccolo ho sempre pensato che la cosa più spaventosa del mondo fosse la verità: quella vera, cruda e tagliente. La verità non piace mai a nessuno. La società ci ha insegnato a vivere nelle nostre piccole menzogne: fingiamo di apprezzare il regalo di natale della nostra zia, amiamo per finta il nuovo taglio di capelli della nostra amica, fingiamo di conoscere a memoria tutti i libri di un noto scrittore per impressionare i nostri amici. E poi? Cosa riceviamo indietro? Solo altre bugie. E ancora altre bugie; e così via. Fino a che non veniamo inghiottite da esse. La nostra società è una grande bugia. Ci promettono la libertà in un mondo in cui ogni singola nostra azione è controllata da qualcun altro. Cosa sono io in questa società? Sono l’ennesimo bugiardo. Eppure ne ho pagato le conseguenze. Le bugie che ho inventato si sono ritorte contro di me come un boomerang; sono tornate indietro e mi hanno colpito in piena faccia facendomi cadere a terra. 
Mi avvicino alla gabbietta di Keiji e Oscar assicurandomi che almeno loro stiano bene. Offro loro qualche semino e mi soffermo ad accarezzare le loro testoline. Mi concedo una debolezza, una sola. Inizio a piangere silenziosamente. Le mie lacrime sono pesanti. Sono lacrime di piombo. Mi sento sprofondare nel pavimento e raggiungere la strada. Voglio scomparire sotto terra. Accendo la televisione per cercare di evitare di pensare al fatto che sto piangendo. Scorro velocemente i programmi. Non c’è niente di interessante. Mi accorgo che il vetro dello schermo è polveroso, forse dovrei pulire. Dovrei proprio fare le pulizie. Il solo pensiero di rimettere tutto a posto mi fa salire la nausea. Mi faccio largo tra una marea di bottiglie di Asahi completamente vuote sparse sul pavimento mentre cerco di raggiungere un dépliant disteso goffamente sul mio divano. Nel farlo ne butto in terra una che rotola rovinosamente fino ad arrestare la sua corsa ai piedi dell’appendiabiti. Mi cade l'occhio su qualcosa. È il grembiule bianco con la faccia di Sid Vicious stampata sopra. Sento una fissa intercostale colpirmi e obbligarmi a sedermi sul divano per pochi secondi. Mi alzo e raggiungo il pezzo di stoffa. Lo stringo tra le mani. È tutto quello che mi rimane di lui. 
Scaccio immediatamente via il pensiero ma ormai è troppo tardi. Senza nemmeno connettere il cervello appare la sua immagine davanti a me. Indossa la sua solita divisa da bibliotecario, ha i capelli sciolti e stringe dei libri al petto guardandomi con i suoi occhi grandi e luminosi. Mi sorride e sembra volermi dire qualcosa. Lo chiamo ma appena tendo verso di lui la sua immagine scompare. Piombo di nuovo nel silenzio e nella penombra del mio appartamento. È tutto così grigio. Solo quando ho conosciuto Takanori ho iniziato a vedere i colori delle cose. E ora sono tornato a vedere nuovamente la realtà intorno a me in bianco e nero. Che crudeltà. È paragonabile al mostrare un piatto di cibo succulento ad un carcerato che muore di fame. Come posso tornare nel mio mondo grigio dopo che i miei occhi hanno potuto ammirare l’arcobaleno? Sento il respiro mozzato.
Torno in camera da letto evitando di specchiarmi; non penso proprio di essere in buone condizioni in questo momento. Mi tolgo la t-shirt e la scaravento in terra. Mi butto sul lenzuolo che puzza di lacrime, sudore e paura e provo a chiudere gli occhi. Appena lo faccio vento tormentato dalle solite visioni. Quelle immagini mi infestato l'anima come un fantasma infesta un vecchio castello. Sento gli spiriti prendere il sopravvento su di me. Apro gli occhi per poi chiuderli nuovamente. Vedo ancora le stesse cose. Diapositive di momenti felici. Vedo il suo viso che mi sorride tra gli scaffali, la sua mano che stringe la mia, la sua bocca morbida e profumata.

"Tanti auguri Akira.” 
“Allora festeggiato? Dove andiamo?” 
 
“Io avevo pensato di andare al cinema. Tu che dici?”


Trattengo a stento un singhiozzo. 

“Questo è il mio numero di cellulare. Molto più facile non credi?”
“Aspetto un tuo messaggio.”



Ingoio nervosamente la saliva. 
Rivedo nella mia mente il suo sorriso. Il suo tono di voce. Le sue mani delicate come i movimenti di un cigno. Il suo volto pallido e tenero. I suoi capelli morbidi e profumati. Darei via ogni cosa che possiedo per averlo qui accanto a me. Darei via tutto per poter tornare indietro e non sbagliare. 
Mi torna in mente una scena di quando ero piccolo. 


Quando ero un bambino adoravo disegnare i personaggi dei miei fumetti preferiti ma, ammetto, di non essere mai stato molto portato con la matita e i pennarelli. Quel giorno pioveva e non potevo uscire a giocare a palla con Kouyou e Yoshinori così decisi di restare a casa a guardare gli anime in tv e disegnare. La nonna mi aveva regalato dei pennarelli nuovi e così colsi l’occasione per usarli. Mi sedetti in terra sul pavimento di legno e iniziai a disegnare tutto quello che mi passava per la testa: supereroi, alieni, soldati, mostri. Il mio personaggio preferito è sempre stato Goku, il protagonista di Dragon Ball. Mia madre mi comprò addirittura il pigiama con il logo del manga e un grosso peluche a forma di nuvola speedy, fedele compagna di avventura del mio beniamino. Disegnai tutto il pomeriggio ma ad un certo punto mi accorsi di aver sbagliato a disegnare i capelli del mio eroe. Avevo 7 anni. Mi misi a piangere a dirotto costringendo mia madre a precipitarsi in camera mia.
“Amore mio che succede?” chiese lei mettendosi in ginocchio.
“H-ho sbagliato mamma guarda. Goku è brutto!” dissi tirando su con il naso. 
“Ma è bellissimo amore” sussurrò lei abbracciandomi forte.
“Non mi piace! È brutto!” continuai battendo le manine sul tavolo. 
Mia madre mi diede un bacio sulla fronte accarezzandomi i capelli. 
“Allora se è brutto sai cosa facciamo? Cancelliamo e lo rifacciamo da capo!”
La guardai con un’area interrogativa. Ero molto stupito.
“Cancellare?”
“Ma sì Aki-chan…fammi solo trovare la gomma” affermò tastando con la mano i numerosi fogli sparsi sul pavimento. Recuperò il piccolo oggetto bianco gommoso e prese il foglio in mano appoggiandolo sul piccolo tavolino accanto a me.
“Vedi? Con la gomma si cancella tutto.” Disse mentre muoveva la mano su e giù sul pezzo di carta. La figura del mio eroe preferito iniziò ad apparire sempre meno nitida scomparendo piano piano sotto il tocco gentile di mia madre. Poco dopo mi sorrise stringendomi a sé. Le lacrime erano ormai un ricordo lontano. 
“Ecco amore mio. Con la gomma cancelli e riinizi da capo. Si può cancellare ogni errore.”




Ogni errore. Si può cancellare ogni errore. Ogni errore. Mi ripeto queste parole nella testa figurandomi nuovamente quel momento. Come vorrei poter avere una gomma da cancellare sotto mano ed eliminare ogni mio sbaglio. Cancellare e riiniziare da capo. Come il disegno di Goku. Vorrei poter cancellare ogni mio sbaglio con Takanori e ripartire dall’inizio. Dirgli tutta la verità, confessargli tutto quello che provo. Perché non ci sono riuscito? Perché sono un idiota. Un perfetto deficiente. Ho perso l’unica vera cosa che contava nella mia vita. In fondo posso dare ragione a me stesso su questo. La vita è una merda. Tutto le cose belle che possono capitarti o non succedono o svaniscono ancora prima che tu te ne renda conto. È terribile. Mi sento intrappolato in un corpo e in una vita che non ho scelto. Non ho scelto io di essere un malato di leucemia. E in un certo senso non ho scelto io nemmeno di essere salvato. 
Takanori perché mi hai salvato?’ 
Se fossi morto a quest’ora non sarei qui. Non lo avrei mai conosciuto e non mi sentirei così. Non ho mai provato questa sensazione. Non sono triste, nè depresso. Sono stanco. Stanco del peso delle mie bugie. Sento la bocca impastata dal veleno e dalla rabbia. Ho i conati di vomito. Mi alzo cercando di evitare di rigurgitare sul pavimento. Raggiungo a stenti il bagno e rovescio nel water tutto il disprezzo nei confronti della mia vita. Mi fa tutto schifo. Tiro lo sciacquone restando in silenzio ad ascoltare il rumore dell’acqua che scorre. Tasto con la lingua le pareti della mia bocca trovando un profondo taglio sulla guancia interna e sul labbro inferiore interno. Lo tocco numerose volte assaporando il sapore corposo del sangue che scende lentamente sul mio palato. Cazzo la ferita si è riaperta. Per fortuna non fa più male come ieri pomeriggio. Premo la mano sulla guancia barbuta sperando ingenuamente che il dolore passi con un solo tocco. Recupero la boccetta di collutorio nel piccolo mobile posto sopra il lavandino e bevo lunghi sorsi disinfettandomi la bocca. Faccio dei piccoli gorgheggi e poi sputo il liquido bluastro nel lavandino insieme a tutta la mia tristezza. Mi guardo nello specchio e non mi riconosco. I miei occhi squadrano un uomo di quasi quarant’anni con i capelli troppo biondi e sfibrati, la barba lunga e poco curata, gli occhi spenti come una lampadina rotta, le labbra viola che ricordano un cadavere in decomposizione e due profonde occhiaie che intagliano il volto come due orme nere lasciate sulla neve candida appena caduta. Due orme che infestano il mio volto rendendolo ridicolosamente brutto. Sono un oggetto rotto e malfunzionante. Non si può aggiustare qualcosa che è stato rotto troppe volte. Si butta e si ricompra. Sono un pezzo inutile di un macchinario spaccato abbandonato da tempo. Ho solo bisogno di godermi la mia inutilità prima di esserne scaraventato via in un luogo dimenticato persino da Dio. Osservo le mie mani, queste falangi che lavorano e impastano farina e uova ogni giorno illudendomi di essere riuscito a trovare un posto nel mondo. Osservo il mio corpo, una bellezza costruita e artificiale che nasconde con la sua armonia un animo oscuro e dilaniato dalle bestie affamate. In queste notti desidero solamente di essere raggiunto dalla bestia, di essere afferrato e divorato tra le più atroci sofferenze. Pensavo di essere morto una settimana fa, davanti a quel ristorante francese. Avevo avvertito nettamente i denti della bestia infilarsi nella mia pelle e strappare pezzi delle mie carni per cibarsene senza pietà. Ho implorato, pregato, sperato di morire in quel momento con tutto me stesso. Speravo di finire in un oblio senza fine, un ente senza corpo che cade all’infinito nel nulla cosmico. Invece mi sono scoperto ancora vivo e dotato di questo misero corpo mortale utile solo a provare dolore e rancore. 
Il rumore di una frenata di una macchina proveniente dalla strada sottostante mi riscuote dal mio sonno in qui cado ormai da quando lui è sparito dalla mia vita. Da quel momento ho smesso di vivere e probabilmente anche di respirare. Ho chiuso il telefono, tanto a cosa serve avere contatti umani quando sei morto. Un corpo che si muove solo per far fronte ai bisogni fisiologici non è degno di considerazione. Esco dal bagno dirigendomi verso la cucina e facendolo getto l’occhio sulla borsa della palestra abbandonata a se stessa con i vestiti sporchi di settimane. Ho smesso di frequentare la palestra da quel giorno. Già. Persino andare in palestra è diventato inutile per me. Ho smesso di lavorare, di parlare, di ascoltare la musica, di mangiare, di amare. Ma sinceramente: io sapevo veramente cosa significava amare? Forse no. Non puoi suonare un pianoforte se non conosci le note.  Ho decisamente sbagliato tutto. È colpa mia. Mia. Mia. Mia. Mia. Voglio uscire di casa e respirare un po’ di aria. Voglio registrare le risate degli studenti per strada, le note musicali provenienti dalla radio di un negozio, i colori della città di Tokyo. Forse se riesco a lavarmi e radermi posso dirmi orgoglioso di me stesso. Mi spoglio dirigendomi verso la doccia. Rimango sotto l’acqua per così tanto tempo che dimentico persino il mio nome. Esco dal bagno sentendomi più leggero e senza nessun peso sullo stomaco. Akira Suzuki è morto. Io sono Nessuno. È così bello e puro essere nessuno. Incredibile come possa essere pesante portarsi dietro un nome e un cognome. Le lettere pesano come macigni sulla mia schiena. Mi vesto velocemente mentre accendo il mio iPhone e mi sistemo i capelli ormai lunghi e troppo disordinati. Indosso una fascia per tenere i ciuffi ribelli al loro posto. Mi metto la felpa, le scarpe e recupero la borsa della palestra svuotata di ogni vestito sporco e sudato.















 
*
















Una goccia. Due gocce. Tre gocce. Dieci gocce. Cento gocce. 
Sono chiuso dentro il box doccia degli spogliatoi della palestra da almeno venti minuti. Sono entrato con l'intenzione di sparire, di venir corroso dall'acqua corrente. Speravo che l'acqua arrugginisse questa macchina fino a renderla marcia e ridurla in polvere. Invece sono ancora qui in piedi, con la schiena appoggiata alle mattonelle fredde color blu scuro. Le gocce di acqua scorrono dai miei capelli fin sotto la mascella, attraversano il collo, il petto fino a dissolversi tra la peluria pubica. Mi accorgo solo ora che sono nudo; qualcuno potrebbe vedermi. Rimango fermo a fissare il vuoto davanti a me. Tutto sommato non posso lamentarmi...sono riuscito ad uscire di casa e fare come se non fosse successo nulla. Non è andata poi così male. Ho lo stesso malumore di questa mattina ma almeno ora ho capito che riesco benissimo a nasconderlo agli occhi di tutti. O quasi tutti. 
Qualcuno strattona violentemente la tenda della doccia e una folata di vento mi riporta alla realtà provocandomi un fastidioso brivido su tutto il corpo. Non mi aspetto di trovare il suo volto. Non ora, non qui.
"Akira cosa cazzo stai facendo?" una voce familiare mi tartassa i pensieri obbligandomi a pensare, a ricordare, ad elaborare una risposta. Non voglio. Lasciami in pace.
"Non..."
"Sei chiuso qua dentro da venti minuti...mi sono preoccupato" sussurra Jonathan guardando in terra con aria afflitta. Non lo avevo mai visto così preoccupato. Possibile che sia preoccupato per ...me?
"S-Sto bene Jonathan...lasciami stare" la mia voce è così storta che non riesce a convincere nemmeno me. 
"No che non ti lascio stare Akira...non ti lascio qui. Almeno finchè non mi dici cosa è successo" mi guarda negli occhi, squadra ogni singolo millimetro del mio volto. Sta cercando di cogliere qualcosa dal mio sguardo. Peccato che i miei occhi siano vuoti e spenti. 
Non rispondo, ma continuo a guardare un punto fisso sul pavimento. Osservo dei piccoli rivoli d'acqua provenienti dagli altri box doccia che si incontrano nel centro della stanza, affluiscono in un rivolo più grande lasciandosi travolgere da una danza violenta per poi sparire nel piccolo tombino nel centro del corridoio. Vorrei poter essere abbastanza piccolo per passare attraverso quelle fessure microscopiche e sparire dalla vista di tutti. 
Sono così afflitto che non mi curo nemmeno del fatto che Jonathan in questo momento mi sta osservando, nudo, trasandato e con fiotti di lacrime che scivolano ai lati del mio viso. A cosa mi serve la dignità se non ho più un cuore. Tanto vale fregarsene. 
"Akira ti prego...parlami. Cosa è successo?" la sua voce ha perso quel tono severo di poco prima e sembra molto più rassicurante. Alzo il volto verso la sua direzione e cerco di scorgere un'emozione sul suo volto. Non riesco. È tutto troppo confuso. Lasciami in pace Jonathan ti prego; tu non c'entri nulla. Mi scosto alcuni ciuffi dal volto e mi stropiccio gli occhi. 
"Jonathan. Ti prego. Rispondo sinceramente. Io...faccio schifo, vero?" mi rendo conto di quanto siano infantili le mie parole. 
Lui mi osserva. Indossa l'accappatoio blu con il logo della palestra, ha i capelli umidi e stringe un bagnoschiuma tra le mani. Con uno slancio secco chiude la tenda della doccia nascondendosi al suo interno. Quella tenda ci separa dal resto del mondo. 
Non ho nemmeno il tempo di chiudere gli occhi. Sento le sue labbra appoggiarsi sulle mie e accarezzarle dolcemente. Le sue sono morbide e profumano di dentifricio e dopobarba. Le mie sono screpolate e umide. Mi vergogno. Sono orribile e informe. Non merito queste attenzioni. Non ho mai provato così tanta vergogna di me stesso come in questo momento. La sua mano sinistra si appoggia sulla mia guancia sfiorandola lievemente. Il bacio diventa sempre più profondo. Percepisco la sua lingua che accarezza il mio palato. Ho la lingua congelata, non riesco a muoverla , la sposto leggermente testando le pareti interne delle mie guance avvertendo il bruciore della ferita. Sono senza forze e così lascio che sia lui a guidare il gioco. Mi lascio trascinare dalla sua bocca sperando di morire e di andarmene all'inferno. Appoggio una mano sulla sua spalla. Il bacio è lento, sensuale e disperato. Un bacio con troppi interrogativi e troppe poche risposte. Qualcosa appare nella mia mente elettrizzando il mio sistema nervoso. 
È meglio se non ci vediamo mai più.
Lo allontano bruscamente da me cercando di riprendere fiato. Prendo le sue spalle saldamente tra le mani guardandolo negli occhi. Le ciocche gocciolanti dei miei capelli hanno bagnato anche il suo bel  viso. Scusami Jonathan non volevo sporcarti con il mio animo nero. 
"Jonathan....no. C'è già un'altra persona nel mio cuore." sussurro più a me stesso che a lui. Lo osservo aspettandomi un pugno nello stomaco che non arriva. Almeno un insulto, dai me lo merito. Lui mi osserva con aria interrogativa. Mi accarezza la guancia.  Vorrei dirgli qualcosa, chiedergli scusa per come mi sono comportato. Lui non c'entra niente con questa faccenda, ha solo cercato di aiutarmi. Lui è così buono con me e non posso prenderlo in giro. Non posso sbagliare ancora. 
Tuttavia, appena elaboro qualcosa di sensato da dire non trovo più la sua figura ad aspettarmi davanti a me ma solo una tenda di plastica di un grigio spento e consumato. 









































Ciao! Chiedo umilmente scusa per essere così in ritardo con gli aggiornamenti ma sto passando un brutto periodo e solo l'idea di prendere in mano un attrezzo tecnologico mi causa troppa ansia e nausea. Prometto di essere più precisa ;_; 
MA passiamo al capitolo: avete ascoltato la canzone come vi ho detto? u_u  è un obbligo ascoltare i Placebo in una situazione del genere. Questo è in assoluto il mio capitolo preferito; è il capitolo migliore che abbia mai scritto . E sapete perchè? Perché probabilmente in queste parole c'è molta più me stessa di quanto voi crediate . Tutto quello che Akira pensa o fa è qualcosa che io ho passato in prima persona. Rimanere soli e sentirsi sporchi è una sensazione che ti stravolge e ti porta giù, ti fa cadere in un baratro senza fine. Forse quello che racconta il capitolo non è solo Akira, ma anche me stessa. E poi...Beh sicuramente c'era da immaginarselo che le cose non sarebbero andate benissimo per il nostro protagonista. Akira l'ha presa davvero malissimo e questo perchè si è riscoperto ancora più coinvolto di quello che credeva. Ha capito che Takanori è l'unica cosa preziosa della sua vita e ora quella cosa se ne è andata e lui è rimasto completamente solo. D'altronde come si può pensare di un aprire un piccolo cofanetto se non abbiamo più la chiave? L'unica soluzione rimane quella di rompere il piccolo scrigno, se vogliamo scoprire cosa c'è all'interno. Akira si sta lentamente rompendo e sta scoprendo che dentro se stesso non è rimasto più nulla. Eppure c'è qualcuno che è riuscito a trovare qualcosa di prezioso dentro quello scrigno e quel qualcuno è proprio Jonathan che , lo so, a molte o molti di voi non sta simpatico. Tuttavia Akira lo rifiuta...pensa ancora a Takanori e il povero Jonathan si sente messo da parte come un detrito. A questo punto arriva la domanda fatidica: e ora cosa succederà? Eheheheeh :B 
P.S.:  fate attenzione alla parte in cui Akira si tasta l'interno della bocca riaprendo la ferita da poco rimarginata...non ho spiegato cosa è successo volontariamente , ma forse potrebbe essere utile ricordarsi questa parte per quello che succederà dopo :B 

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Capitolo 20
*** Venti. ***



XX.


 































Don't you wish you'd never met him?
Lay him down, lie on
Lay him... down
Now your lover went and put me in the ground,
I'll be watching, when he's around.






3 mesi dopo.


Mi alzo lentamente cercando di muovere le lenzuola in modo quasi impercettibile. Mi muovo in maniera delicatissima, come un soffio di vento. Un fantasma che si rianima dalla sua morte temporanea. Mi muovo spostando il peso sulla gamba destra. Con uno scatto veloce e preciso mi do una spinta e finalmente mi trovo in posizione eretta. Mi assicuro di non aver fatto il minimo rumore. Non voglio disturbarlo. Mi alzo e tiro su il lembo della coperta che sfiora leggermente il pavimento. Stiro i muscoli della schiena e delle gambe intorpiditi dalla posizione in cui sono rimasto per le scorse otto ore. Muovo il collo. Con passo felpato raggiungo la cucina e mi preparo  velocemente un caffè solubile scaldando dell'acqua dentro il bollitore. Mentre l'acqua si riscalda raggiungo il bagno e mi lavo la faccia controllando la barba. Sono abbastanza presentabile e non ho la minima voglia di perdere tempo a radermi il viso. Proprio oggi che è una bellissima giornata. Prendo la boccetta di profumo posta sulla mensola sopra il lavandino e lascio cadere tre gocce sul mio polso sinistro. Ripeto la stessa azione su quello destro e sul collo. Torno poi in camera e inizio lentamente a vestirmi. Sono così silenzioso che sembra quasi che ogni rumore nella mia camera sia stato eliminato. Mi sento come un attore che sta recitando davanti ad una silenziosa telecamera. Infilo i jeans e nel farlo faccio cadere la cintura in terra la cui fibbia sbatte sul pavimento provocando un rumore sordo e graffiante. Rimedio immediatamente e continuo a vestirmi velocemente cercando di non fare ulteriori danni. 
Vado in cucina e trangugio il mio caffè accompagnandolo ad una barretta di cioccolato e mirtilli così da coprire almeno in parte il sapore amaro e arrogante della caffeina. Rimango per alcuni minuti a fissare il vuoto davanti a me. Non penso a niente ma allo stesso tempo la mia mente viene attraversata da numerosi pensieri che la affollano contemporaneamente. 
Sospiro.
Mi avvicino alla gabbia dei miei pappagalli e la apro. Accarezzo Oscar che mi guarda con i suoi occhietti curiosi e neri. Sfioro il suo ventre piumato ricevendo dei piccoli suoni gutturali in risposta. Oggi i miei uccellini sembrano più silenziosi del normale. Come se anche loro si rendessero conto che il mondo vuole essere lasciato in pace. Sono solo le 5.35. La città vuole dormire un altro po'. 
Recupero i miei effetti personali infilandoli nella mia tracolla e infine scribacchio un messaggio su un fossile di carta bianca strappato e consumato che abbandono sul tavolo della cucina. Corro in bagno a sistemare i capelli. Ho abbandonato da ormai due mesi il mio biondo scuro lasciando il posto ad un colore castano che si sposa decisamente meglio con i miei anni. Anche la lunghezza dei capelli è decisamente diminuita. Trovo nel riflesso dello specchio un uomo quasi quarantenne che non ha ancora perso il suo fascino. Dopo aver ammirato la mia immagine faccio capolino nella mia camera da letto osservandolo. Sta ancora dormendo. 
Sorrido guardando la sua figura incosciente e ingenua. Non lo sveglierei per nulla al mondo. Socchiudo la porta della stanza e affretto il passo verso l'uscita. Mentre aspetto l'arrivo dell'ascensore al mio piano mi infilo gli auricolari nelle orecchie schiacciando il tasto di riproduzione casuale. Voglio che sia il mio iPod a decidere con quale canzone iniziare questa giornata. 


















 
*


















"Fai ancora un altro sbaglio e ti sbatto fuori!" la signora Watanabe urla facendomi diventare quasi sordo.  Ormai sappiamo tutti come è fatta la signora: scaglia minacce qua e là un po' a tutto lo staff ma sotto sotto sappiamo che lo fa solo per intimorirci e non si sognerebbe mai di buttarci fuori per delle sciocchezze. Oggi ho dovuto sostituire Masami nel cucinare i biscotti perché avevano bisogno di lei in sala e così ho passato 3 ore a impastare gocce di cioccolato, burro e uova e sì, insomma, alla fine ho bruciacchiato qualche biscotto. Più o meno venti. Ma in fondo non è così grave. Ho solo avuto la sfortuna di farmi vedere dalla signora mentre rovesciavo il prodotto mal riuscito nel cestino e lei ha iniziato a sgridarmi. Mi sento come un bambino piccolo e mi vergogno tremendamente; in fondo so che tra un paio di minuti le passerà e tutto tornerà come prima. 
"Possibile che in questa pasticceria ci sono solo deficienti? Dove sono i muffin? Perché la crostata è così bassa? Sembra un foglio di carta da fotocopiare! E questo cioccolatino? Sembra di mangiare un pezzo di legno! Brutti idioti! " la signora scaraventa un pezzo di cioccolato al muro con una forza tale che sobbalzo dallo spavento. Possibile che una signora così minuta abbia una tale forza in corpo da spaventare chiunque le si trovi davanti? 
Capisco che oggi non è proprio giornata e così mi rassegno totalmente e decido di darmi da fare il più presto possibile. Sembra che la signora Watanabe capisca tramite un sesto senso speciale quando hai avuto un ottimo risveglio e stai passando una bellissima giornata e così interviene rovinando tutto proprio nel momento più inadatto. Mi chiedo come faccia. Ricordo che un giorno Masami venne a lavoro con l'autografo di uno dei suoi attori preferiti in tasca ed era felicissima; non serve nemmeno dire che la signora la vide buttare via una crostata bruciacchiata e iniziò ad urlarle contro ogni tipo di offesa. La povera Masami tornò a casa piangendo. Molto meglio se inizio subito a impastare i mirtilli nel preparato per i muffin, prima che la signora mi sbatta fuori.
Mentre lavo e taglio i mirtilli in piccole porzioni ripenso al mio risveglio. Ammetto di essermi svegliato nel migliore dei modi, considerando il mio stile di vita fino a qualche mese fa. Non capita a tutti di svegliarsi la mattina presto abbracciati al ragazzo che si ama e lo si osservi dormire per minuti interi senza che lui se ne accorga. 
Sorrido ripensando al suo volto disteso e rilassato. Mi capita così raramente di passare dei momenti del genere con lui che quando mi succede mi sento l'uomo più felice del mondo. A volte penso a dei progetti futuri insieme a lui e mi perdo ad immaginare cose e situazioni che probabilmente non accadranno mai. Tuttavia sto seriamente pensando di cambiare qualcosa nella mia vita. Trasferirmi in un'altra città oppure cambiare casa. Nel frattempo ho cambiato il mio modo di vestire adottando uno stile più sportivo e maturo e ho persino cambiato colore di capelli scurendoli moltissimo. A volte è giusto cambiare no? Lasciarsi le cose alle spalle, andare oltre, saltare un ostacolo. In fondo è così che va la vita. L'esistenza è un continuo susseguirsi di cambiamenti mentre cerchiamo inesorabili noi stessi. Noi esseri umani siamo materiale informe che viene pressato dalle esperienze e dalle delusioni che ci troviamo davanti. Mi sono accorto con il passare dei giorni che stavo cambiando forma, come una crisalide che piano piano si apre liberando la farfalla che è al suo interno. Sono finalmente libero di aprire le ali e volare lontano dai miei ricordi. Sono già morto altre volte...cosa potrebbe mai spaventarmi? Non ho più paura di nulla. 
Una mano rassicurante si posa sulla mia spalla riportandomi nel mondo reale. 
"Suzuki facciamo cambio? Tu prepari la crema di amarena e io farcisco i muffin. Non ho voglia di sentire ancora quella vecchia sbraitare."
"Eh no caro Shiroyama! Oggi è una bella giornata e non voglio che venga rovinata dalla signora...fila a lavorare piuttosto. Sei il solito faticone." dico io ridendo.
"Ma sentitelo come se ne approfitta il signorino! Vorrei ricordarti che io sono più vecchio, quindi merito più rispetto!"
Non rispondo ma schizzo il suo viso con della farina sporcando il suo naso e i suoi capelli corvini. Yuu è una di quelle persone che mi hanno sempre affascinato. È un uomo bellissimo e dolce ed è un artista nel suo lavoro. Come se non bastasse ha uno stile particolare e i suoi lunghi capelli neri lo rendono ancora più affascinante. Nonostante i suoi quaranta anni, ha una pelle meravigliosa e curata; ha una macchina costosa e indossa sempre scarpe di pelletteria italiana di prima categoria. Eppure è l'uomo più solitario che conosca. Yuu è la tipica persona che ti porta a soffermarti e chiederti 'come è possibile che un uomo del genere non abbia ancora trovato la sua dolce metà?'
Strano ma vero, Yuu Shiroyama è l'uomo single per eccellenza.  Dopo tutti questi anni che ci conosciamo non sono ancora riuscito a capire se è single per scelta o per forza. Sembra così disinteressato rispetto al mondo che lo circonda. Tutto ciò che ama è fumare, guidare la sua BMW e andare alle mostre di arte contemporanea.  È così bello quanto misterioso, e ammetto che probabilmente è proprio quest'aurea misteriosa che si porta costantemente dietro ad avermi trasmesso immediatamente molta simpatia. Siamo molto diversi eppure abbiamo una cosa in comune: viviamo entrambi nel nostro mondo. Almeno una volta al giorno ci assentiamo e ci rifugiamo nel nostro universo in cui solo noi stessi possiamo capirci.
Nel frattempo Yuu sferra un paio di calci sulle mie gambe e ne riceve altri due in risposta. Scoppiamo a ridere entrambi ma a bassa voce cercando di non farci sentire dagli altri colleghi. Iniziamo a collaborare impastando creme e farciture così da terminare il prima possibile. Oggi tocca a noi servire in sala e non possiamo perderci in chiacchiere. Da quando la pasticceria ha riaperto i primi giorni di settembre abbiamo lavorato così tanto che non è ancora capitato che avanzasse qualche dolce tra quelli esposti in vetrina. Tanti clienti sono entrati dopo l'orario di chiusura e hanno preteso di acquistare tutto quello che era in vetrina. Io e Masami abbiamo cercato di spiegare, inutilmente, che il negozio era chiuso e che i dolci esposti non possono essere venduti; eppure i clienti non hanno voluto sentire ragione. Beh la signora Watanabe non può che essere contenta che la sua pasticceria sia così rinomata e richiesta. E anche io mi ritengo soddisfatto. Tuttavia sono un paio di settimane che pensavo di fare il grande passo. 
Già. Mollare tutto e andare a lavorare da qualche altra parte. Magari potrei trovare lavoro a Parigi, in una di quelle deliziose pasticcerie che si vedono spesso nei film e nelle cartoline. In fondo non ho nulla da perdere e poi, senza vantarmi più di tanto, ammetto di essere molto bravo con dolci, creme e pasta di zucchero. E poi amo la Francia, adoro la lingua, la cultura e l'arte; non posso che trovarmi benissimo in un posto del genere.  Vorrei proporre a lui di seguirmi in Europa, riniziare da capo, ricominciare un nuovo stile di vita lasciandoci alle spalle tutto quello che abbiamo passato e che ci ha fatto stare così male. Voglio portarlo via con me. Solo noi due in un paese straniero. Voglio diventare una persona diversa, una persona migliore; un amante migliore. Il mio sogno è proprio quello di diventare un pasticciere rinomato e avere al mio fianco la persona che amo. Voglio farcela, posso farcela.
Appena finisco di infornare gli ultimi muffin e biscotti, mi dirigo nel camerino aggiustandomi i capelli e cambiando il camice, indossando la divisa con il logo del nostro negozio. La signora vuole che ci cambiamo rigorosamente ogni volta che dobbiamo stare al pubblico o servire i dolci in sala. Abbottono l'ultimo bottone della camicia stirandone la stoffa con le mani. Mi accorgo che la padrona è uscita dalla pasticceria e così raggiungo Yuu nello stretto cortile posto sul retro e mi accendo una sigaretta. Solo dopo pochi secondi mi accorgo che il mio collega è impegnato in una telefonata e così mi allontano leggermente dando lui le spalle. 
Inspiro una generosa quantità di tabacco e nicotina e racchiudo il fumo per qualche secondo dentro la mia bocca. Il mio medico ormai ha perso la speranza, ha capito che non posso abbandonare completamente le mie amiche sigarette e così ogni tanto posso concedermene una senza essere assillato dai sensi di colpa. Finisco di fumare schiacciando il mozzicone sotto la mia scarpa. Faccio un segno a Yuu che è ancora impegnato in quella misteriosa telefonata e rientro. Mi accorgo di avere ancora qualche minuto libero prima che i biscotti siano pronti e così ne approfitto per prendere il il mio iPhone dalla borsa e controllare la posta elettronica. Trovo un suo messaggio. 

Da Jonathan:
 
Come sta il mio pasticciere preferito? Grazie mille per la serata di ieri. Svegliarmi con il tuo messaggio lasciato sul tavolo della cucina è stata la cosa più bella della giornata.

 
Sorrido nella penombra dello spogliatoio. Scrivo velocemente un messaggio al mio fidanzato cercando di non risultare troppo sdolcinato. Mi fa ancora emozionare pensare Jonathan come al mio fidanzato. Eppure è la realtà. È successo tutto in maniera così ambigua che ancora fatico a crederci. Ero così confuso in quel periodo, tuttavia ero sicuro che lui sarebbe riuscito a capirmi. E così è stato. Nessuno come Jonathan può capirmi così bene. Mi sento sempre nel posto giusto quando sono con lui. Siamo due persone così diverse ma che nella loro diversità hanno ritrovato i loro punti in comune. Mi guardo allo specchio. Al solo pensiero della nostra serata appena trascorsa mi si illuminano gli occhi. Sono proprio innamorato.
Cerco di nascondere la faccia da ebete prima che Yuu mi veda e mi prenda il giro per i prossimi due mesi. Mi ricompongo e giungo in sala stringendo due vassoi di biscotti tra le mani. Posiziono i biscotti nei piccoli vassoi colorati disposti sulle vetrine del bancone. Appena finisco controllo i cupcakes, le fette di crostata e i budini al caramello. Mi assicuro che la temperatura del frigo sia giusta prima di iniziare a pulire velocemente le zone più sporche del locale. Senza avere il tempo di alzare il viso verso il grande orologio appeso alla parete vengo travolto dall'onda di clienti che entrano a più non posso nella pasticceria. In men che non si dica mi ritrovo impegnato a preparare cinque tè verdi, un latte macchiato e due cioccolate calde. Posiziono tutto su un vassoio e corro ai tavoli. Servo le bevande a quattro signore sulla cinquantina che mi ringraziano con numerosi inchini e nel frattempo sento altri clienti chiamarmi. Cerco di non impazzire in quella confusione generale e prendo con cura gli ordini di tutti i tavoli. Raggiungo il bancone con il fiatone guardando Yuu con uno sguardo disperato.
"Yuu abbiamo tre fette di cheesecake, una fetta di crostata e otto biscotti con le gocce di cioccolato. Quando hai finito metti tutto su un vassoio, io penso alle bevande." 
Yuu mi fa un cenno della mano e si mette subito a lavoro. Io mi occupo di preparare i caffè e i cappuccini nella maniera corretta fischiettando a bassa voce una canzone dei Guns 'n' Roses. Servo tutti i tavoli occupati e mi occupo persino di qualche take away. Non mi accorgo del tempo che passa e quando alzo gli occhi all'orologio noto che è quasi orario di chiusura; tuttavia ci sono ancora molti tavoli occupati e altrettanti da servire, il che significa che anche oggi io e Yuu staccheremo più tardi del solito. 
Nella confusione generale non mi accorgo di un altro gruppo di clienti che è appena entrato e si è accomodato nei tavoli in fondo alla sala che avevo appena finito di pulire e sistemare. Mi avvicino al gruppo di ragazzi suggerendo gentilmente di alzarsi e di sedersi sui tavoli più vicini al bancone. Proprio mentre finisco di prendere il loro ordine nella maniera più veloce possibile sento i piccoli sonagli appesi sopra la porta tintinnare e una folata di vento spettinarmi i capelli.
"Mi dispiace signore, ma siamo chiusi." interviene Yuu parlando al posto mio. Non mi giro subito ma continuo a parlare con il gruppo di cinque ragazzi che continuano a riempirmi di domande.
"Sono molto affamato, sarò veloce, glielo prometto."
Mi volto con la coda dell'occhio e sento qualcosa rompersi. 
Prima un colpo secco, poi un'incrinatura. La frattura diventa sempre più grande aumentando di dimensioni, qualcosa si rompe, va in mille pezzi; le schegge volano ovunque. Sento un rumore di rotto nella mia testa. Lo sento dentro l'anima, dentro il cuore. Il mondo intorno a me si è improvvisamente ovattato e tutti quei rumori che sento sono solo dentro la mia testa. Sento come il rumore di una frenata improvvisa. Ruote che stridono sull'asfalto bollente, poi un colpo secco. Sento ancora qualcosa. Un rumore secco, come un piatto che colpisce una parete, come un vaso di ceramica che cade in terra. Perché nessuno è allarmato? Nessuno sente questa grande confusione? Sto impazzendo? Sento la testa scoppiare. I ragazzi seduti al tavolo davanti a me ridono contenti e le loro voci sono impporvvisamente così insopportabili. Yuu mi chiama da lontano. Mi giro verso il bancone, mentre il nuovo cliente si dirige ad un piccolo tavolo posizionato vicino l'uscita. Si toglie la giacca di jeans appoggiandola allo schienala della sedia, si siede aprendo con cura il menù. I suoi movimenti sono gentili e precisi, come stesse svolgendo un lavoro di grande precisione e che richiede una lunga concentrazione. La sua testa si muove di scatto mentre sfoglia le pagine del piccolo libretto. Le sue mani pallide accarezzano la carta come fosse seta pregiata. Il mondo si ferma per un istante poi riinizia a girare, probabilmente alla velocità sbagliata. Ho le vertigini e un grande senso di nausea si impossessa di me. La sua testa è voltata verso la parete color rosa confetto e dà le spalle al bancone. I nostri sguardi non riescono a incrociarsi, lui non si accorge di me, ma io sì. 
Takanori.











































Buon anno a tutti voi lettori e lettrici! Intanto colgo l'occasione per ringraziare chiunque stia leggendo la mia storia. Ho scoperto tramite Twitter che alcune persone stanno leggendo la fanfiction nell'ombra e se non me lo avessero detto non me lo sarei mai immaginato. Non sapete quanto mi rende felice sapere che apprezzate ciò che scrivo...È qualcosa di indescrivibile, sono veramente contenta dell'attenzione che date a WYIN. Grazie, grazie e ancora grazie. Tuttavia mi chiedo come mai siano sempre le solite persone a recensire ;___; capisco di essere noiosa a ripetere sempre la stessa cosa però è davvero soddisfacente per un'autrice ricevere dei commenti e dei pareri (positivi e negativi) su quello che sta scrivendo. Ammetto che qualche volta ho pensato di cancellare tutta la storia perché non sapendo se qualcuno la stesse apprezzando o meno mi sono convinta che non piacesse a nessuno. 
Tuttavia, non volevo annoiarvi con le mie lamentele....molto meglio parlare del capitolo u_u beh...sicuramente è un momento molto particolare. All'inizio è tutto così misterioso e piano piano diventa tutto più chiaro. Ammettetelo: vi ho lasciato con un po' di suspense fino alla fine eh? :B  beh se è così significa che sono riuscita nel mio intento. Akira sembra una persona molto diversa; niente a che vedere con l'uomo in cui ci siamo imbattuti nel capitolo diciannove. Akira è andato avanti: si è fatto forza, ha riniziato da capo. Una nuova vita, un nuovo amore. Un nuovo stile e un nuovo colore di capelli. Nuovi progetti e nuovi sogni. Un nuovo Akira Suzuki. Eppure....basta poco. Un rumore, un suono, una parola. Un qualcosa di insignificante può rompere la barriera protettiva che ci creiamo per proteggerci dai mostri del mondo esterno e così tutti i nostri sforzi vanno in frantumi. E così è successo ad Akira. Il suo muro, il suo scoglio sicuro si è rotto inaspettatamente senza che lui abbia potuto lottare in qualche modo per impedirlo. Quanto è straziante vedere un fantasma tornare dal passato nonostante abbiamo lottato con tutta la nostra volontà per imprigionarlo in un cassetto? 

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Capitolo 21
*** Ventuno. ***


(consiglio l'ascolto di Istant Crush -  Daft Punk) 




XXI.





































Mi guardo intorno spaesato sperando di inciampare su qualche oggetto e cadere inesorabilmente in un buco nero posizionato sul pavimento ma, ahimè, da quanto ricordi non ci sono cose del genere nella grande sala del negozio. Cerco di regolarizzare il respiro senza dare troppo nell'occhio. Affilo lo sguardo guardando davanti a me. Il bancone non mi è mai sembrato così lontano come in questo momento. Allungo il passo mettendo il vassoio sotto il braccio sinistro e raggiungendo Yuu che sta pulendo alcuni vassoi dalle briciole rimaste. Ripongo alcuni barattoli tristemente vuoti su una mensola più alta e controllo cosa è rimasto in vetrina. Qualche biscotto con le gocce di cioccolato, gelatine alla fragola e due fette di crostata ai mirtilli. Oggi i clienti non si sono proprio risparmiati: siamo riusciti a terminare persino quegli orribili biscotti alla menta che personalmente non mangerei nemmeno se quello fosse l'unico cibo commestibile rimasto sul pianeta. Non capisco come la signora Watanabe sia così entusiasta di quei biscotti quando a fine giornata lavorativa siamo costretti a buttarli o portarceli a casa visto che quasi nessuno li ordina. Eppure oggi è tutto diverso e imprevedebile. Forse troppo. 
Guardo il mio collega che sistema gli scontrini della cassa e senza alzare lo sguardo da quello che sta facendo mi dice: "Akira è rimasto un ultimo cliente da servire. Tu continua qui che vado io a prendere la sua ordinazion-"
"Faccio io." controbatto con un tono di voce deciso ma pacato. 
"Ma no Suzuki, faccio io che tanto-"
"Ho detto. Che. Faccio io." riaffermo in maniera dura.
Il mio collega alza il volto dalle decine di scontrini raccolti nelle sue mani e mi guarda con aria confusa e, forse, leggermente spaventata. Cerca di scrutare il mio volto per svariati secondi senza riuscire a trovare traccia di un'emozione. Ancora più confuso di prima lo vedo aggrottare il sopracciglio sinistro e poi tornare a concentrarsi sui fogli di carta bianca. 
"Bah, fa come vuoi Suzuki..."
Mi sistemo la divisa del nostro negozio controllando che non vi siano macchie di crema al cioccolato e poi mi volto a cercare qualcosa in vetrina. Incredibile ma anche i dolci esposti in vetrina sono stati venduti e non è rimasto veramente nulla da mangiare. Mi guardo intorno grattandomi la testa pensieroso.
"Shiroyama, è stato già preparato il cheesecake al Macha ordinato dalla signora anziana che abita qua vicino?"
"Certo! L'ho preparato io questa mattina ed è nel frigorifero, perché?"
"Ne prendo una fetta." sussurro. Non sono mai stato così serio in vita mia. La mia voce è così tagliente che non sembra nemmeno la mia.
Yuu si alza dalla sua mansione offrendomi uno sguardo carico di incertezza mista a curiosità. Si sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio rendendo visibile un piccolo cerchietto d'argento che decora finemente il suo orecchio destro. 
"Suzuki mi spieghi cosa ti sta succedendo? Ti sei drogato? Prendi ancora le medicine che ti ha prescritto il dottore?"
"Yuu sono serio. Non me ne frega se quella torta è prenotata. Ho bisogno di tagliarne una fetta e portarla a quell'uomo laggiù." termino la frase indicando un piccolo uomo moro seduto di spalle al bancone. Yuu segue il mio sguardo andando a posarsi sulla schiena dell'ultimo cliente rimasto nella pasticceria. Guarda il piccolo uomo per svariati minuti e poi torna a posare il suo sguardo su di me. Dai suoi occhi capisco che è più confuso di prima. Mi scruta per altri due minuti abbondanti prima di concludere con un "Fai come cazzo ti pare."
Lo ringrazio con una pacca sonora sulla spalla e mi avvicino al suo orecchio sussurrando.
"Tranquillo Yuu sono disposto a prendermi io tutta la responsabilità. Domani entrerò a lavoro un'ora prima del previsto e rimedierò per bene. La signora non si accorgerà di nulla." 
Mi schiarisco la voce e proseguo.
"Ah ecco! Offro tutto io a quel tavolo. Non fargli pagare nulla mi raccomando"
Senza aspettare una sua reazione mi dirigo in cucina e apro il frigo alla mia destra. Prelevo il cheesecake e ne ricavo una fetta che posiziono delicatamente su un piatto decorato con panna e polvere di cacao. Torno verso la sala e mi soffermo al bancone a preparare un caffè americano. Posiziono la fetta di cheesecake al macha e la tazza di caffè bollente su un vassoio e mi dirigo verso quel tavolo cercando di soffocare ogni emozione. Prendo fiato e mi soffermo per pochi istanti per poi spuntare alle sue spalle appoggiando il piccolo vassoio rosa sul tavolo di fronte ai suoi occhi.
"Senta io veramente non ho ancora ordinat-"
"Cheesecake al macha e caffè americano; offre la casa." rispondo prontamente interrompendolo.
Mi concedo pochi secondi prima di guardarlo negli occhi. So già cosa mi aspetta. Non posso permettermi nessuna debolezza. 
Mi volto nella sua direzione trovando due lune piene color miele ad aspettarmi impazienti. Il suo sguardo sembra una calamita e proprio per questo mi tengo a debita distanza. Quei lineamenti così familiari mi provocano una fitta dolorosissima alla bocca dello stomaco. 
"Akira." sussurra con un tono di voce a metà tra la sorpresa e il rimprovero.
"Spero di aver azzeccato la tua bevanda. Se non ti va il caffè posso prepararti altro."
"No no, va bene così."
Silenzio. Maledetto schifoso silenzio. Mi chiedo se il silenzio esista davvero o se sia solo un prolungamento degli istanti di tempo che interrcorrono tra una frase a l'altra. Per fortuna dura poco. Muovo impercettibilmente la gamba destra, ma lui mi frena subito.
"Akira senti io devo, cioè sì insomma, devo parlarti"
"Stacco il turno tra meno di 30 minuti. Aspettami all'uscita vicino alla cabina telefonica. Il tempo di cambiarmi e recuperare le mie cose." concludo tornando verso il bancone. 
Lo lascio in compagnia del suo dolce preferito mentre mi affretto a sistemare gli ultimi piatti e tazze rimanenti. Mentre lavoro completamente concentrato qualcuno mi tira un orecchio.
"Suzuki, non credere di potertene andare senza avermi prima spiegato chi è quello lì." Yuu sembra abbastanza arrabbiato considerando che non ho mai sentito la sua voce così dura. O forse è molto curioso. Yuu Shiroyama è un grande impiccione e prima o poi dovrò soddisfare la sua terribile ingordigia di pettegolezzi. Ma ora non è proprio il momento.
Gli rispondo con un cenno della mano facendogli capire che gli spiegherò in un altro momento cosa sta succedendo e infine sparisco nella cucina assicurandomi di aver rimesso tutto a posto. Volo ad una velocità esorbitante nel camerino e mi spoglio in fretta. Rimetto tutto a posto e, prima di uscire dalla porta sul retro, mi soffermo davanti allo specchio per sistemare i capelli decisamente più ordinati rispetto a qualche mese fa e quando mi ritengo soddisfatto esco. Saluto Yuu con una mano e sparisco nel piccolo viottolo che sfocia sulla via principale. 
Lo trovo ad aspettarmi proprio ad un metro dall'uscita della pasticceria vicino alla cabina telefonica con le mani dentro le tasche della giacca di jeans, la borsa a tracolla e pantaloni skinny blu scuro. I capelli sono corvini come tre mesi fa e la sua pelle sembra incredibilmente più bianca. È posizionato di profilo e, dio, mentirei a me stesso se dicessi che è brutto o insignificante. Sembra essere qualcosa di altro rispetto allo squallore del paesaggio circostante. Una creatura caduta erroneamente nel mondo degli uomini che non riesce a trovare il proprio posto tra le numerose stupide carcasse umane. Un angelo in mezzo ad una folla di peccatori.
Mi avvicino guardandomi le punte delle scarpe. Tossisco falsamente per attirare la sua attenzione.
Alza il volto verso di me. 
"Akira!" la sua voce è così carica di ansia che per un secondo mi destabilizza. Quanto tempo è passato? Da quante ore mi sta aspettando qua fuori?
"Ciao" dico con tono indifferente.
"Il tuo collega, quello con i capelli neri, mi ha detto che non c'era bisogno di pagare perché hai offerto tutto tu. Solo che...non occorreva Akira. Tuttavia ti ringrazio"
"Prego figurati. Ti avevo promesso di farti assaggiare una fetta del nostro Cheesecake e non potevo sapere se apprezzassi così nel dubbio ho offerto io. Non fare complimenti perché l'ho fatto con piacere"
I suoi occhi guardano fissi il terreno davanti a noi. Il suo volto sembra molto pensieroso. Mi sento quasi in colpa. Forse non sono una buona compagnia. D'altronde a volte annoio anche me stesso; non dovrei stupirmi se riesco benissimo a farlo con gli altri. Possibile che nei momenti più delicati tutto quello che mi passa per la testa sono domande sciocche o argomenti così banali che se provassi ad accennarli sembrerei solamente un idiota? Potrei iniziare a parlare delle abitudini quotidiane delle scimmie che vivono nel sud dell'Australia considerando che lo scorso pomeriggio ho passato il tempo guardando ben quattro documentari sulla vita degli animali esotici e sulle loro esperienze sessuali. No, forse potrei parlare della vittoria della squadra di baseball del mio quartiere. No, forse meglio di no. Perché ho la mente così vuota? Mi sento come una scatola di cioccolatini svuotata del suo contenuto. Prima che riesca a rimettere in moto i miei neuroni il suono della sua voce mi riporta nel mondo reale.
"Era buonissimo..." sussurra.
"Mh?"
"Il cheesecake. Era buonissimo."
"Oh, grazie. Però non l'ho preparato io...devi ringraziare Yuu. L’uomo con i capelli corvini. Lui è il miglior pasticciere che abbia mai incontrato. Qualsiasi pietanza che passa tra le sue mani diventa il nettare degli dei." affermo sorridendo. Mi stupisco di quanto mi riesca naturale. Pensavo di essermi dimenticato come si sorride. 
"Beh allora ringrazialo da parte mia. Era davvero delizioso." dice lui prendendo una sigaretta dal suo occhietto di Marlboro rosse. Me ne offre una che accetto senza troppi complimenti. Con un gesto rapido accende la mia sigaretta e poi la sua poco dopo.
Inspiro una forte boccata di nicotina e tabacco e faccio fuoriuscire il fumo lentamente. Mi prendo tutto il tempo. Non serve andare troppo di fretta. Tutti gli esseri umani muoiono nello stesso modo; perché quindi avvicinare la propria caduta nella tomba?
"Come mai da queste parti?" azzardo.
"S-sono...sono venuto qui per vederti" sussurra lui guardando un punto impreciso dall'altra parte della strada.
Con un gesto della mano lo invito a camminare. Iniziamo una piccola passeggiata interrotta in qualche momento da nuvole di fumo provenienti dai nostri mozziconi e dallo strusciare delle scarpe sull'asfalto. Tossisco.
"Come mai volevi vedermi?" chiedo con nonchalance. 
Non ricevo alcuna risposta. Continuiamo a camminare per svariati minuti. Ci inoltriamo in un grande viale ad ovest di Ikebukuro finché non arrestiamo il passo nei pressi di un piccolo viottolo desolato in cui sono posti in fila quattro cassonetti e qua e là scorgo dei sacchetti della pattumiera abbandonati nel mezzo della strada. I nostri passi pesanti spaventano un piccolo passerotto che vola via andando a posarsi sulla grondaia del palazzo di fronte. Termino la mia sigaretta lanciandola tra le grate di un tombino. Vengo colto alla sprovvista da un movimento improvviso. 
Takanori si butta su di me affondando la sua testa al centro del mio petto e cingendo il mio busto con entrambe le braccia. Mi stringe forte come un bambino spaventato che si rifugia tra le braccia della mamma. Rimango impassibile e appoggio delicatamente il palmo della mia mano sulla sua spalla.
"Akira" lo sento sussurrare contro la stoffa della mia t-shirt. "Akira io...sono venuto fin qui per vederti. Non ce la facevo più a starti lontano. Ho provato, ho lottato con tutto me stesso. Non ci riesco. Non posso stare senza di te."
Allontano il suo volto dal mio petto così da poterlo guardare negli occhi.
"Perché sei tornato?" l'unica domanda che non avrei voluto fare esce dalla mia bocca come numerose bollicine di ossigeno sott'acqua. Non riesco a controllare le mie parole; esse sfuggono alla mia volontà e raggiungono la superficie del mare.
"Avrei voluto farlo molto prima Akira. Non riesco a vivere. Senza di te non sono niente." le sue frasi mi colpiscono la testa ma non il cuore. Afferro quello che mi ha detto, tuttavia non riesco a capirlo perfettamente. Lo scosto da me. Non voglio essere toccato. Ho paura che se qualcuno lo facesse potrebbe mandare in frantumi tutto me stesso. Potrebbe rompere tutto quello che ho incollato negli scorsi mesi. Non si toccano gli oggetti fragili. 
"Non riesco a capire Takanori. Tu stesso mesi fa hai detto che non ci saremmo mai più visti. Perché sei qui?" chiedo guardando la fine del viottolo desolato. Mi accorgo di una bicicletta rotta legata malamente ad una catena che prima non avevo notato. Chissà da quanto tempo è lì.
"Akira ti prego smettila di rispondermi così. Come puoi non capire? Ero spaventato quel giorno...mi è caduto il mondo addosso ed ero stramaledettamente confuso. Non sapevo nemmeno quello che stavo dicendo."
Ci guardiamo negli occhi. I suoi sono così concentrati come non li avevo mai visti. Sono fortemente convinto che la tortura più grande sia quella di guardare negli occhi il nostro interlocutore. Perché siamo condannati ad una sofferenza così grande? 
"Lo hai ripetuto più volte. Hai detto 'è meglio se la chiudiamo qui. Non dobbiamo vederci mai più'. Tu hai chiuso tutto quello che c'era tra di noi. Dovevi pensarci prima."
"Smettila di rivolgermi queste frasi fatte e che non ti appartengono!" esclama tirando la manica della mia felpa blu. "Lo ammetto: ho sbagliato. Ho sbagliato e ho sbagliato ancora. È colpa mia e ti chiedo scusa...Tuttavia non capisco il tuo atteggiamento. Capisco che tu possa essere arrabbiato ma...perché mi tratti come se fossi uno sconosciuto?"
"Perché è ciò che sei Takanori." rispondo. Non c'è né tensione né amarezza nella mia voce. Solo sincerità.
"Akira smettila cazzo! Mi stai facendo arrabbiare! Ho sbagliato te l'ho detto. Ma perché non ti sforzi un minimo di capirmi? Quando tu mi ha confessato tutto ho avuto paura. Ero terrorizzato. Non solo da ciò che ci lega ma anche dalla tua malattia. Ho già passato una brutta esperienza in famiglia con la malattia di mio padre e sapere che l'uomo di cui mi importava - e di cui mi importa - è stato consumato dalla stessa sofferenza che ha portato mio padre alla morte mi ha letteralmente messo i brividi. Ho avuto paura per te, per me. Per noi. Perché non riesci a capirlo?"
"Non c'è nulla da capire Takanori. Io ti ho dato le mie spiegazioni e in risposta ho ricevuto solo offese"
"Non ho mai pensato veramente nemmeno una singola parola di tutto quello che ho detto! Perdonami Akira..." la sua frase viene interrotta da un piccolo singhiozzo. Con un dito arresta la discesa elegante ed egocentrica di una lacrima sulla sua guancia. 
Rimango in silenzio. Non voglio attaccarlo né farlo sentire in colpa. Non ne ho la minima intenzione. Sono solo...incuriosito. Sono curioso di sapere perché lui è qui in questo momento. 
"Sai Takanori...Le parole feriscono più di ogni altra cosa." sussurro accendendomi un'altra sigaretta. 
"Lo so. Tu hai ferito me, e io ho ferito te." sussurra lui sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Rivolgo il mio sguardo verso di lui e per un attimo penso di star sognando. Mi sembra così assurdo di essere in sua compagnia dopo tutto questo tempo. Forse tra poco mi sveglierò.
"Ti ho cercato per tantissimo tempo. Sapevo che c'era qualcosa che mi legava a te e non solo dal punto di vista fisico. Probabilmente dopo averti conosciuto ho iniziato anche io a credere a quello che gli esseri umani chiamano 'filo rosso del destino'. Ma dopo che mi hai lasciato ho ripensato a tutto questo. Non esiste nessun filo rosso del destino. Esistono solo i sogni e le illusioni, e spesso sono troppo fragili ed effimeri per essere anche solo afferrrati. Sei andato via in un battito di ali senza che io abbia potuto avere il tempo di ammirarti....." parlo più a me stesso che a lui. Forse sto veramente facendo un monologo a voce alta nel mezzo della strada. Sono un pazzo megalomane senza speranza. 
Appena vedo il suo volto capisco che è tutto vero e che lui è realmente accanto a me. Le sue lacrime sono vere. Il suo volto, i suoi occhi. Sento la sua mano sulla mia. La raccoglie con delicatezza come si raccoglie un fiore caduto in mezzo di strada. Porta il mio palmo vicino alla sua guancia appoggiandolo sopra. La sua pelle è bollente. 
"Akira no. Sei un perfetto stupido. Non senti quante stupidaggini stai dicendo? Io e te siamo irrimediabilmente legati. Lo eravamo ancora prima di incontrarci. E lo saremo anche se io andassi a vivere a migliaia di km di distanza. Niente può dividerci."
"Tu lo hai fatto"
Ricevo uno schiaffo molto sonoro in tutta risposta. La mia guancia sinistra inizia a pulsare forte; sento un forte calore dentro la bocca.
"Smettila di dire stupidaggini. Se io e te ci siamo ritrovati così è anche colpa tua Akira!" inizia a urlare. Tutt'ora mi chiedo da dove ricavi tutta quella forza. Per la sorpresa faccio un passo indietro. "Perché non mi hai cercato nei giorni successivi? Io ero arrabbiato ed ero accecato dal terrore...ma tu? Tu hai lasciato tutte le cose come stavano. La colpa è anche tua. Non hai fatto nulla!"
Appena pronuncia quelle parole sento qualcosa svegliarsi dentro di me...come un fuoco che si allarga alla velocità della luce. Sono davvero spaventato; non riesco a controllare me stesso. Afferro entrambi i lembi del colletto della sua giacca di jeans e lo alzo da terra quei pochi centimetri che bastano a terrorizzarlo. Trema così tanto che per un attimo penso che possa svenire in mezzo a quella strada sporca e puzzolente. Alzo il suo esile corpo da terra e lo appoggio al muro cercando di controllare la rabbia. Lo scruto con i miei occhi in cerca di un emozione, in cerca di qualcosa che annunci la mia vittoria sul suo volto pallido. Non hai vinto tu Takanori, ho vinto io. Abbiamo perso entrambi.
"Io non ti ho più cercato?" sbraito senza aver cura di abbassare il volume della voce. "Cosa cazzo ne sai tu di cosa è successo?"  Prendo sbadatamente la parte sinistra del mio labbro aprendo la mia bocca, mostrando al mio interlocutore quello è rimasto della profonda ferita che ha stracciato la mia guancia qualche mese prima. Ora è solo uno scarabocchio di colore leggermente più chiaro rispetto alla pelle rosea del mio palato. Un solco di poca importanza.
I suoi occhi si posano sulla mia ferita ormai guarita e iniziano a dirigersi in ogni direzione come due satelliti impazziti. Le sue labbra tremano, ma sono nulla in confronto ai suoi occhi. I suoi occhi tremano dal freddo e dalla paura. Dalla voglia di sapere ma allo stesso tempo dal voler lasciare per ultimo il momento della verità. Eh no, caro Takanori. È arrivato il momento di sapere. 
"Taglio orizzontale lungo sette centimetri. 15 punti di sutura. Vuoi sapere come cazzo me lo sono fatto? Bene allora vai a chiedere al tuo amichetto Yutaka. Pochi giorni dopo quello che è successo, il tuo caro collega mi ha raggiunto qui ad Ikebukuro e mi ha aspettato fuori dalla pasticceria. Ha aspettato che finissi il turno, e quando mi ha incrociato vicino all'ingresso mi ha rincorso e mi ha minacciato. Mi ha detto 'Se osi avvicinarti ancora a Takanori ti ammazzo'. Io ho cercato di reagire ma lui mi ha aggredito rompendomi il labbro e procurandomi questo profondo taglio sulla guancia. Era fottutamente serio. Se fossi tornato ancora una volta ad Yokohama sarebbe stata la fine per me. Così ho deciso di lasciarti perdere. In fondo in quel momento avevo capito una cosa: tu hai già qualcuno che si prende cura di te nella vita. Non hai bisogno di me." concludo la frase allentando la pressione sulla stoffa della sua camicia e posando il suo cadavere in terra. 
Lui mi guarda. Ha paura. Però non scappa. I suoi occhi sono velati da una patina gelatinosa. Una lacrime, due lacrime, tre lacrime. 
"Akira io..." la sua frase rimane sospesa a mezz'aria, incompiuta. Come un aquilone rimasto incastrato tra i rami di un albero vecchio e prepotente. Recupera le mie mani racchiudendole tra le sue. I suoi palmi sono caldi e lievemente sudati e appiccicosi. Porta le mie falangi sulle sue guance arrossate e socchiude gli occhi. Il suo respiro è pesante e diseguale. 
"Akira. Sono...spaventato. Non per me e nemmeno da te. Ho paura di quello che è intorno a noi. Di tutto quello che è successo. Il mondo ci ha separato e noi gliene abbiamo dato tutto il permesso. Come può essere giusta una cosa così? Come può esserci giustizia nel momento in cui due parti di un intero vengono allontanate? Quando un piatto viene spaccato a metà occorrono entrambi i cocci per farlo tornare come prima. Akira Suzuki. Non pensare neanche per un secondo che io abbia smesso di pensarti anche un solo secondo di tutto questo tempo passato lontano da te. Non pensare che io abbia mandato Yutaka a picchiarti. Non pensare che io sia tornato da te strisciando chiedendo la tua pietà. So quello è successo. Ho sbagliato e me ne scuso. Tuttavia io sono qui per un motivo preciso. È qualcosa di più alto e aulico rispetto a noi esseri umani. È il destino che mi ha portato qui."
"Non c'è nessun destino." dico io accarezzando la sua guancia.
"E allora come spieghi quello che è successo tra noi? Io e te siamo nati per incontrarci, in un modo o nell'altro." I suoi occhi sono così penetranti che mi sento nudo sotto al suo sguardo. Persino la loro dolce sfumatura color miele è sparita per lasciare posto ad un castano scuro e inquietante. 
"Invece no,  è stato tutto uno sbaglio. Non avrei mai dovuto cercarti. Ho sempre avuto questo pensiero dentro di me. Chi mi ha dato il permesso di entrare nella tua vita? È stato tutto sbagliato fin dall'inizio. "
"Anche salvarti la vita è stato sbagliato?" il suo tono è tagliente e duro. Takanori è un coltello che mi ha tagliato il cuore. 
Rimaniamo in silenzio guardandoci. Non riesco a pensare a nulla. Vorrei non essere qui. Mi sento come un ragazzo di fronte al suo ultimo esame di scuola. La tensione, la paura. Sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare i miei fantasmi. Osservo l'asfalto secco e indebolito dai raggi caldi del sole che ho la hanno seccato sbriciolandolo con il passare degli anni. 
"C'è già una persona nella mia vita e-"
"Immaginavo Akira. Lo avevo già capito. Ripeto: non sono qui per avere la tua tenerezza. Sono qui per chiederti scusa e soprattutto perché ho seguito il filo rosso che è legato saldamente al mio dito. Il filo mi ha condotto qui."
"Smettila con queste stronzate"
"Smettila tu." sussurra lui. 
"È scaduto il tempo; devo andare" scappare è sempre stata la mia più grande abilità. È bello scappare da tutti, anche da noi stessi. 
"Ti prego Akira. Lo so che per te è finita qua. Me ne farò una ragione. Ti chiedo solo di vederci ancora. Un'ultima volta. Poi me ne andrò e ti lascerò alla tua vita e al tuo fidanzato. Ti prego Akira. Voglio stare ancora con te, un'ultima volta. Prima della morte di entrambi." 
Il suo tono di voce è intenso. Caffè amaro. Caffè nero. Vorrei bere le sue parole così da farle sparire per sempre.
"Sono molto impegnato in questi giorni..."
"Perché odi te stesso così tanto? Un'ultima volta, prima del patibolo. Ogni condannato ha diritto al suo ultimo giorno di libertà"
Le sue parole lacerano la mia carne, trapassano gli organi e tagliuzzano le mie ossa riducendole in granelli. Perché lo stai facendo Takanori? Perché mi stai uccidendo ancora
"Questo weekend ho promesso a mia madre che sarei andato nella casa in montagna di mia zia a rimettere a posto delle cose. Puoi venire con me se vuoi. Mia zia è troppo anziana per prendersi cura della casa e così mi sono offerto di badarci io. È molto spoglia e ci sono pochi mobili e pochi oggetti. Tuttavia devo solo recuperare un po' di legna per l'inverno. Non ci impiegheremo molto se mi darai una mano."
Mi sorride nervosamente. Il suo sorriso assomiglia di più ad una smorfia infantile. Una folata di vento settembrino scompiglia i suoi capelli. Perché c'è un angelo davanti a me? Mi pento di tutti i miei peccati. Sono pronto ad accettare la mia fine.
Ci vediamo all'inferno Takanori. 









































Eccomi qua! Chiedo scusa per il ritardo ma sono in periodo esami e purtroppo non posso permettermi troppe distrazioni quindi aggiorno appena posso.  Inoltre: oggi ho iniziato a lavorare come bibliotecaria nella biblioteca della mia università!!!!!! Sono una piccola Takanorina <: come primo giorno è andata piuttosto bene anche se ammetto che è davvero difficile rimettere a posto tutti i libri negli scaffali corretti <_< sono inciampata e mi sono già caduti i libri di mano un paio di volte c_c l'unica cosa che spero veramente è che non entri nessun ragazzo con la giacca di pelle come Akira perché scappo a gambe levate lol scusate il piccolo siparietto sulla mia vita privata :B parliamo del capitolo.... Ho ascoltato alcune teorie di voi lettori e sinceramente eravate così negativi uu avete immaginato cose gravi e invece non è poi così grave su.... Semplicemente si amano così tanti da odiarsi <: a parte gli scherzi... Adoro questo capitolo.... Ho tirato fuori tutta me stessa per scriverlo.. Ho cercato di immedesimarmi nella situazione e di essere più neutra possibile.  Qui non ci sono né vincitori né vinti.... Ci sono semplicemente due anime che sono irrimediabilmente legate. Secondo voi si vedranno ancora? 

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Capitolo 22
*** Ventidue. ***


( https://www.youtube.com/watch?v=YEH98_Ha2aA ascoltate questo durante tutto il capitolo, per favore) 




XXII.























Parcheggio il mio veicolo con una spinta sonora del freno a mano e mi assicuro che la macchina rispetti il mio comando. Controllo il terreno davanti a me e lo spazio rimasto tra il mio fuoristrada e il grande tronco di albero che guarda con aria di sfida il parabrezza. Mi assicuro di aver chiuso la radio e finalmente spengo la macchina.
“Siamo arrivati.” Sussurro al mio interlocutore.
Non risponde ma lo vedo socchiudere le labbra guardando un punto impreciso davanti a sé. Non mi capacito di come siamo giunti qui. In questa situazione, in questo luogo, in questo preciso istante.
Scendo dalla macchina e sbatto la portiera senza fare troppo chiasso. Mi imita raggiungendomi in pochi secondi. Preleva una sigaretta dalla tasca della sua felpa grigia e la porta alla bocca serrandola tra i suoi due petali di rosa. Il suo volto sembra stanco, nervoso, stressato. Forse è a causa della luce fioca del sole che spunta timidamente tra le nuvole, o forse è a causa dei miei occhi troppo offuscati dal passato, tuttavia riesco a scorgere due profondi solchi grigiastri sotto i suoi occhi. Due pozzanghere fangose in mezzo al suo viso niveo. Vorrei lavarle via, ricoprirle con la rugiada. I nostri occhi si incrociano per un istante. Fa freddo. Ho un urgente bisogno di chiudere le finestre del mio cuore il prima possibile.
“Molto bello qui” sussurra lui poco dopo. È così tanto che non sento la sua voce che per un secondo credo di essermela semplicemente immaginata. Per tutta al durata il viaggio l’ho sentito solamente sospirare o tossire. Nessuna parola, nessun suono emesso dalle sue corde vocali. C’è qualcosa di erotico nel silenzio che si era creato tra di noi. Come se in realtà le nostre anime si stessero toccando a nostra insaputa.
“Sì è molto bello. Mia zia adora passare qui le vacanze invernali e anche quelle estive. Abbiamo delle stufe molto grandi e utili per l’inverno e in estate fa molto fresco. È il luogo perfetto.” Concludo grattandomi la guancia sinistra. Leggo nei suoi occhi qualcosa di strano. Leggo progetti, sogni, lacrime. Stai pensando al futuro Takanori? Perché non ti soffermi a vivere il presente? Il passato è troppo crudele e il futuro fa paura. Lasciati proteggere dal presente.
Aspira profondamente la sua Marlboro fino a ridurla in un moncherino di fibre bianche bruciacchiate. Lascia cadere il piccolo relitto di sigaretta ai suoi piedi ponendo fine alla sua vita con il tacco dei suoi stivaletti.
“Ho sempre adorato la montagna. Amavo passare le giornate a passeggiare con mio padre e a raccogliere i fiori e le pigne. Tuttavia non nego di sentirmi un po’ malinconico. Forse è l’effetto di questi posti. Alberi alti, cime rocciose e strade in salita. È tutto così silenzioso che mi sento a disagio; come un fiore nascosto in una piccola insenatura di cui nessuno può ammirare la bellezza.”
Lo osservo parlare nascondendosi leggermente la bocca con il colletto della felpa extra large. Si vergogna al tal punto da precludermi ogni sua minima smorfia. Perché mi stai facendo questo? Non posso almeno avere il diritto di guardare in faccia il mio assassino?
“Anche io mi sento molto malinconico a causa del clima di montagna. Tuttavia ogni volta che sono venuto qui ho sempre avuto così tanto lavoro da fare che a fine giornata ero così stanco che non riuscivo a formulare nessun pensiero coerente. Anzi, a proposito di lavoro, conviene iniziare il prima possibile. Quelle nuvole laggiù non mi sembrano molto simpatiche.”  Affermo indicando un groviglio di sfumature di grigio che minaccia il cielo azzurro e limpido.
Affondo i miei anfibi nella ghiaia di cui il viottolo che separa la macchina dall’entrata ne è completamente ricoperto.  Arriviamo davanti al portone della casa di mia zia in pochi attimi. Apro la porta e immediatamente vengo accolto da quell’odore di legno e chiuso così familiare da farmi sentire immediatamente a casa. Mia madre era solita portare qui me e mia sorella in estate per passare alcune settimane in compagnia di nostra zia. Ricordo ancora l’impazienza durante tutta la durata del viaggio, la voglia di riabbracciare la zia, l’ansia di correre per le strade in salita insieme a mia sorella e respirare l’ossigeno puro e fresco. È bello possedere dei ricordi del genere. Mi rendono così spontaneo. La casa è come me la ricordavo. Sono ormai mesi che non torno qui. Ogni mobile è al suo posto. L’attaccapanni è posizionato sulla destra dell’entrata come un maggiordomo che ci saluta accogliendoci elegantemente. Un piccolo tappeto rosso e consumato dal tempo è disposto in terra davanti a noi e decora il piccolo corridoio che conduce alle stanze della casa. Percorro il corridoio invitando Takanori a seguirmi. Entriamo nel piccolo salotto la cui mobilia è composta solamente da un tavolo di legno e un divano color verde petrolio. Appoggio la borsa della spesa alimentare e la mia tracolla sul tavolo. Mia zia non ha mai brillato per essere una persona che ama i soprammobili o gli oggetti. Da quando è invecchiata ha portato via i pochi oggetti che arredavano questa casa lasciando solamente il necessario.
Sento qualcuno schiacciare l’interruttore della luce.
“Ah! No la luce qui non funziona. Siccome mia zia non viene più qui a causa dei suoi problemi di deambulazione ha pensato bene di togliere ogni tipo di corrente elettrica. In compenso abbiamo il gas a nostra disposizione, una caldaia per l’acqua e una generosa scorta di candele a portata di mano. Quando inizierà a fare buio ne accenderemo un bel po’. Spero che non faccia troppo freddo.” Dico grattandomi la testa.
Takanori sorride. Si guarda intorno focalizzando l’attenzione su ogni particolare.
“È bellissimo qui. Davvero bellissimo. Tu ci vieni spesso?”
“Quando posso. A volte non mi piace molto. Sei totalmente isolato dal mondo ed è tutto così silenzioso che ti sembra di impazzire. A volte invece penso di voler rimanere qui per il resto dei miei giorni.” Mentre parlo mi tolgo la giacca e la posiziono sul divano; lui fa lo stesso con la sua felpa grigia. Rimane solo con una camicia bianca molto attillata e a maniche corte e dei jeans neri. È così semplice da sembrare immacolato. Come un dipinto di un pittore preraffaelita. Distolgo lo sguardo.
“Iniziamo a darci da fare se sei d’accordo. Qua dietro c’è un piccolo boschetto dove poter raccogliere un po’ di rami o pezzi di corteccia. Mia zia vuole che raccolga la legna necessaria per accendere il fuoco in inverno. Lei ormai è davvero troppo anziana per poterlo fare e così mi sono offerto io. In cucina abbiamo un grosso caminetto che mia madre e sua sorella usano sempre quando passano le vacanze invernali qui. Tuttavia dobbiamo sbrigarci. Prima iniziamo e prima finiamo.”
Takanori risponde con un gesto affermativo del viso. Ci dirigiamo verso l’uscita e finalmente torniamo a respirare aria fresca e limpida. Aggiriamo la casa passando per una piccola scorciatoia scavata nella terra tra erbacce e piante secche e in lontananza individuo una massa di alberi verdi e rigogliosi disposti in maniera così ordinata da sembrare una schiera di soldati pronti a salutare solennemente una grande autorità politica. Osservo il cielo. Il sole non sembra proprio contento di voler fare il suo lavoro oggi; continua a nascondersi dietro qualche nuvola passeggera come se avesse un grosso timore delle nuvole grigie che lo minacciano da lontano. Passeggiamo l’uno vicino all’altro. Dopo pochi minuti è lui a rompere il ghiaccio.
“Posso chiederti una cosa? Se non vuoi rispondere sei libero di tirarmi un pugno in faccia” sorride guardandomi. Rispondo affermativamente.
“C-Come vi siete conosciuti tu e Jonathan?” sussurra con un filo di voce.
Ingoio un grumo di saliva.
“Frequentavamo la stessa palestra qualche mese fa. Lui è un modello; ha uno stile di vita particolare e così in un modo o nell’altro i nostri orari si incrociavano spesso e ci vedevamo quasi ogni giorno.  Così abbiamo iniziato a parlare e dopo poco mi ha proposto di poterci allenare insieme.”
“Un modello?” chiede con tono sorpreso. “Ora capisco perfettamente perché io non posso competere…” sorride amaramente guardando la punta delle sue scarpe. Quel sorriso falso e forzato mi provoca un forte dolore alla bocca dello stomaco. Preferirei essere schiacciato da una roccia franosa piuttosto che vederlo sorridere così. Non sa quanto io lo trovi bello, anche dopo tutto quello che è successo. Non ho mai conosciuto un ragazzo di tale bellezza. Prima di conoscere Takanori pensavo di non poter dare una definizione di bellezza. Ma ora, se mi venisse chiesto cosa sia la bellezza, risponderei senza nemmeno pensarci che lui è la bellezza. La bellezza interiore ed esteriore. Come uno scrigno dorato contenente una pietra preziosa.
La sua frase viene lasciata in sospeso. Spero che il vento la porti via con sé.
“E tu invece? Come va a lavoro?” chiedo cambiando discorso.
“Tutto bene. Mi hanno spostato all’ultimo piano della biblioteca. Ora lavoro nella sala studio degli universitari.” Esprime la frase evitando accuratamente di incrociare il mio sguardo. “Ah, per la cronaca. Ho tirato un pugno a Yutaka da parte tua.”
“Non occorreva” dico tastandomi involontariamente la ferita ormai rimarginata dentro la guancia.
“Non mi piace la violenza. Yutaka ha esagerato e così si è meritato quel pugno. Anzi, forse avrei dovuto darglielo più forte.”
Non rispondo e continuo a camminare. Dopo una decina di minuti di cammino ci inoltriamo nel piccolo bosco e lo percorriamo tutto. Arriviamo fino alle sponde di un piccole fiume che scorre sonoramente tra i grandi massi di pietra provocando un grazioso suono accogliente.
Guardo l’acqua scivolare delicata tra la roccia.
“Yutaka deve volerti molto bene.” Continuo.
“Non in quel senso. È un grande amico e sicuramente mi vuole bene. Ma so cosa pensi e, no. Non è innamorato di me. Non gli ho raccontato tutta la verità; non sa cosa c’è stato tra noi due. Mi ha solo visto piangere per molti giorni consecutivi e si è accorto che avevo smesso di mangiare. A quel punto lui ha fatto tutto di testa sua. Se lo avessi saputo avrei fatto di tutto per impedirglielo.” La sua voce è una cantilena fastidiosa per le mie orecchie.
“È inutile pensare al passato ormai, no? Quello che è successo, ormai è successo.” Concludo io.
Rimaniamo in silenzio per minuti interminabili. Mi sembra di essere morto. No, non sono in paradiso; non sono nemmeno all’inferno. Mi trovo in un pericoloso limbo da cui non c’è via di uscita. Vorrei essere risucchiato da questo fiume così accogliente ed essere trascinato via.
Mi guardo intorno in cerca di qualcosa. Cammino, aumento il passo, raggiungo il mio obbiettivo. È un ramo di albero portato alla sponda del fiume dalla corrente. Lo raccolgo e lo tasto con le mani. È leggermente umido ma sembra molto resistente.
“Quelle nuvole si stanno avvicinando.” Affermo alzando gli occhi al cielo. “Conviene iniziare la nostra raccolta. Vedi questo ramo? È abbastanza resistente e piuttosto secco. È perfetto per il accendere il fuoco.”
Mi ascolta attentamente guardando con concentrazione il pezzo di legno che tengo tra le mani.
“Perfetto. Allora io ti seguo e mi dici tu cosa raccogliere o cosa no” sussurra.
È imbarazzato, spaventato e forse…deluso. Mi dispiace averti deluso Takanori. Ho deluso tutti nella mia vita: le mie insegnanti, i miei amici, i miei colleghi, me stesso.
Mi avvio verso il sentiero di destra seguendo il corso del fiume e raccogliendo i rami che a prima vista appaiono robusti e sufficientemente secchi. Ne passo qualcuno a lui che ne prende una manciata tra le braccia come se stesse trasportando un neonato o qualcosa di molto prezioso.
“Suoni ancora il basso?”
“Qualche volta. Ormai ho disimparato e quindi suono solo quello che mi ricordo o che mi riesce meglio.”
“Capisco” annuisce arricciando il naso in una piccola smorfia.
“Tu vai ancora alle mostre? Ne hai trovata una particolarmente interessante?”
“Sì certo. Beh, ce ne sono tantissime. L’ultima che ho visto era una mostra installata da un’artista francese di arte contemporanea. Una cosa molto particolare”
Affrettiamo il passo e recuperiamo altri rami.
“Non me ne intendo molto di arte, ma ho tutto il diritto di dire che l’arte contemporanea mi fa schifo” Tossisco e nel frattempo prendo in mano un pezzo di legno decisamente troppo lungo e lo rompo in due parti aiutandomi con il piede sinistro.
“Ma no dai! Non è così male. Devi solamente lavorare di immaginazione e trovare uno scopo nel contesto. A volte non c’è ed è questo che mi affascina.” Controbatte sorridendo.
“Quindi mi stai dicendo che se io esibisco in una galleria d’arte il cesso di casa mia senza un motivo apparente posso essere considerato un artista?”
“Beh, perché no…anche se, personalmente, ti considererei solo un idiota” risponde lui ridendo.
Scoppio a ridere anche io. Il rumore delle nostre risate viene portato via dal vento. Qualche uccello vola da un albero all’altro. L’acqua del ruscello suona una musica dolce e tranquillizzante. 
“Sai che…ho imparato a fare il tiramisù verde?!” esclamo cogliendolo di sorpresa.
“Non ci credo.”
“Giuro” dico sorridendo. “Avresti dovuto vedere gli esperimenti fatti in cucina tra me e Yuu. Abbiamo speso circa tre mesi a trovare la ricetta perfetta e la consistenza giusta. Merito un premio nobel per la cucina!”
Afferro l’ultima manciata di rami avvolgendoli con entrambe le mani e cercando di sostenerli a mezz’aria. Sento una piccola goccia di sudore bagnare il contorno della mia mascella.
“Ma non esiste!” incalza lui ridendo. Nel farlo qualche rametto cade dalle sue braccia rotolando rovinosamente sul terreno erboso.
“Oh, attento” sussurro guardandolo negli occhi.
Mi inginocchio avendo cura di non far cadere quello che tengo in mano e afferro i rami porgendoglieli. Le nostre dita si sfiorano impercettibilmente. Mi ritraggo immediatamente girando lo sguardo verso qualcosa di poco interessante. Continuo a camminare aumentando il passo.
“Cosa hai fatto questa estate?” azzardo. Perché è così difficile parlare di fronte alle persone a cui vorresti raccontare mille cose? Sento il mio cervello funzionare ad intermittenza come una luce al neon mal ridotta.
“Mah, nulla di che. Sono andato a trovare i parenti di mio padre, soprattutto il mio caro cugino. Non so se ricordi…”
Takanori parla fissando spesso il sentiero o i propri piedi. Vorrei leggere il suo sguardo.  Perché non posso guardare i suoi occhi? Perché non posso toccare la sua anima?
“Certo! Il vestito! A proposito…ma lo indossi ancora?”
“Beh non vado mica ad un matrimonio ogni giorno! Devo ammettere che il vestito è piuttosto estroso e non è sempre consono da indossare. L’ho indossato una volta ad un’inaugurazione di una mostra di fotografia del maestro Araki e confesso di aver attirato lo sguardo di molti.”
“Beh forse, se ti hanno guardato tutti, il merito non era solo del vestito…” sussurro voltandomi nella sua direzione.
Arrossisce.
In un battito di ciglia l’atmosfera cambia totalmente. Le nuvole grigie si impadroniscono del  cielo interrompendo la nostra piacevole passeggiata. Sento qualcosa di umido e bagnato colpirmi il centro della testa. Un altro ticchettio. Poi una goccia bella grossa. Uno, due, tre, dieci, duecento, mille gocce di pioggia. Inizia a piovere nel giro di pochi secondi.
“Merda, sta piovendo!” esclamo abbassando il volto per non bagnarmi.
“E’ molto distante casa di tua zia?” chiede Takanori con una smorfia sul viso.
“Se corriamo ci impieghiamo solo qualche minuto” dico cercando di ripararmi sotto qualche frasca di un albero molto alto. Ci guardiamo.
“Al mio tre iniziamo a correre”
Risponde con un cenno del capo.
“Uno, due…tre!” al pronunciare di queste parole mi scaravento con violenza in una delle corse più pazze della mia vita. Tengo stretto il fascio di rami tra le braccia cercando contemporaneamente di fare attenzione al terreno che diventa piano piano sempre più scivoloso. Corro velocemente come se dovessi scappare da qualcosa di terribilmente mostruoso. Ricordo che quando io e mia sorella eravamo molto piccoli, quello che sarebbe dovuto essere mio padre, si soffermava a giocare con noi quelle poche volte che aveva del tempo a disposizione per stare con la sua famiglia, se così si può chiamarla. Rammento ancora spezzoni della sua voce. Frasi emanate in piccoli sussurri.
Correte bimbi o il lupo nero vi mangerà!
Io e mia sorella scappavamo come matti. Iniziavamo a correre per tutta la casa come se avessimo visto un fantasma.  Dopo una folle corsa – e dopo essere inciampati in ogni angolo possibile della casa – ci rendevamo conto che non c’era nessun lupo nero e che non c’era bisogno di correre. La delusione nelle nostre facce era palese. Chissà dove è ora mio padre.
Lui, il lupo nero.
Mi volto per assicurarmi che quel piccolo uomo sia ancora dietro di me. Con mia grande sorpresa noto che siamo quasi arrivati. Aumento il ritmo e finalmente poggio il piede su un pavimento di legno familiare. Mi fermo sotto il tetto sporgente che copre la pavimentazione dell’ingresso esterno dell’abitazione. Appoggio il mucchio di rami alla parete di legno della casa in posizione verticale. Mi volto e lo vedo. È completamente bagnato da capo a piedi.
Mi porge il mazzo di rami tremante. Li afferro saldamente e li sposto riunendoli ai loro simili.
Solo dopo aver lanciato uno sguardo alle mie scarpe mi accorgo di essere fradicio anche io. Come se mi fossi tuffato in piscina con i vestiti, scarpe e calzini. La mia maglietta è così bagnata da essersi attaccata al mio petto diventando una seconda pelle di colore blu scuro. I miei jeans sono umidi e dalle cuciture delle caviglie fuoriescono rivoli di acqua che sfociano nel pavimento del piccolo giardino. Per non parlare delle mie sneakers. Un ammasso di  cuciture e colori informi così inzuppati da sembrare due spugne vecchie e consunte.
Mi volto e lo osservo. La sua camicia bianca non è ridotta meglio dei miei vestiti. La stoffa di cotone è appicciata alla sua pelle come una guaina o uno strato di argilla fresca. Intravedo le curve del suo petto e del suo ventre. Noto due piccoli capezzoli sporgenti dalla stoffa dell’indumento. I suoi capelli sono così bagnati che dalle punte corvine gocciolano senza sosta rivoli di acqua piovana. Il suo volto pallido è contornato da piccole goccioline che sul suo viso sembrano perle rare e preziose. Vorrei raccoglierne una e conservarla gelosamente per il resto dei miei giorni. Ci guardiamo per pochi secondi; eppure sembra che siamo qui, sotto questo tetto di legno mangiato dai tarli, da un’eternità. Un’eternità spesa a guardarci. A sentirci vicino, ma non abbastanza da poterci veramente toccare.
Improvvisamente scoppiamo a ridere entrambi. Il suono profondo della sua risata mi fa pensare a qualche dolce prelibato. Caramello salato e pistacchio. Vorrei assaggiare la sua risata. Continuiamo a ridere di gusto per svariati minuti guardandoci negli occhi.
Mi asciugo la fronte bagnata.
“Tipico temporale estivo” sussurro infilando le mani nelle tasche dei miei pantaloni. Mi accorgo di essermi avvicinato a lui più del dovuto. O forse lui si è avvicinato a me? Devo aver perso qualche passaggio. Come quando si guarda un film e si abbandona la visione per qualche minuto perdendo totalmente il filo della storia. Osservo il paesaggio immacolato davanti a me. La pioggia continua a cadere inesorabile ma meno violentemente rispetto a prima. C’è una grande pace. Osservo qualche lumaca strisciare sulle foglie delle piante e due piccoli rospi saltare nel piccolo sentiero davanti a noi.
Una scossa di energia mi colpisce il cuore, il cervello e i nervi. Perdo totalmente il controllo su me stesso, sul tempo e sullo spazio. Mi volto capendo che la persona davanti a me sta provando la stessa cosa. Nel tempo di un battito di ciglia lo avvolgo tra le mie braccia tenendolo saldamente come se la pioggia potesse farlo scivolare via. Le nostre labbra si incollano, si incastonano, si incrociano, si incorniciano. Due cocci che vengono riuniti insieme. Due cigni bianchi che si incontrano sulla riva di un lago. Le sue labbra sono morbide e bagnate. Non ricordo di aver provato cosa fosse il paradiso. Eppure è qui davanti a me. Sono morto, morto, morto. Signora Morte, la prego mi porti con sé per l’eternità. Non c’è posto per me nel mondo degli uomini. Non voglio andare via da qui. Ma sento qualcosa che mi impedisce di condividere con lui la mia umanità. Io un povero stupido umano, lui un cherubino. Io sono solo un peccatore. Le sue mani si posano sul mio collo avvicinandomi al suo volto, al suo profumo di purezza e vaniglia. Il bacio diventa sempre più profondo. Finalmente capisco. Non sono in paradiso. Questo è l’inferno. È il fottuto Inferno. Sono condannato a vivere questo momento. Non c’è niente di paradisiaco in tutto ciò. È tutto dannatamente orripilante. Ho paura. Lo stringo forte.
Mi stacco da lui scrutando i suoi occhi color caffè latte. I nostri respiri sono affannati e disomogenei.
Continuiamo a farci del male, ti prego.
Afferro il suo polso tirandolo verso di me all’interno della casa. Apro la porta e la richiudo immediatamente alle mie spalle. Veniamo accolti da un piacevole tepore e da una gradevole penombra. Sfioro la sua guancia con le labbra. Lo sento tremare sotto il mio tocco.
“Hai freddo? Ho un asciugamano se vuoi”
Non risponde ma sbottona i primi bottoni della sua camicia. Lo freno. Devo fermarlo, e fermarmi,  prima di non riuscire a tornare indietro e così lo trascino con me in bagno. Recupero velocemente un telo da bagno molto grosso e asciugo delicatamente il suo volto e i suoi capelli. Lo faccio delicatamente, come una madre che si prende cura del figlio. I nostri occhi si incontrano, si toccano. Rimango fermo a fissarlo completamente distratto dal suo volto. Un quadro barocco.  Avrei voluto essere io l’artista. Avrei voluto dipingere io quei tratti così morbidi e dolci. La sua mano si posa sul mio petto. Non resisto. Lascio cadere il telo candido in terra e lo trascino in camera da letto. Lui mi guarda incerto.
“A-Aspetta” sussurra impacciato. Si allontana. Esce dalla stanza lasciandomi solo. Avvolto da niente se non la penombra. Una fioca luce entra dalle finestre. Mi volto e per non perdermi nelle troppe domande che mi affollano la mente stendo velocemente un futon singolo sul pavimento. Senza neanche rendermene conto sento la sua presenza accanto a me. Stringe tra le mani un piccolo vasetto di vasellina. Sorrido stringendolo a me. Come sei ingenuo Takanori. Non potrei mai farti del male. Solo tu puoi farlo; e lo hai già fatto.
Sento entrambe le sue mani tirare verso l’alto i lembi della mai maglietta. Le sue mani mi spogliano delicatamente. Le sue dita compiono una danza dolce e galante, come un delizioso invito. Lo bacio rubando tutta l’aria nei suoi polmoni. Sbottono la sua camicia. Lo vedo arrossire. Guarda fisso il pavimento.
“Non devi vergognarti.” Sussurro baciando il suo naso.
In poco tempo rimaniamo nudi entrambi. Ci vergogniamo; come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre. Le nostre nudità appaiono così volgari e arroganti. Forse non sono solo i nostri corpi ad essere nudi. Lo sono anche le nostre anime. Appoggio le mie mani sui suoi fianchi scoprendoli morbidi e lisci. Takanori è così magro. Per un momento mi torna in mente un momento della mia infanzia. Io che rubavo la bambola preferita di mia sorella e la nascondevo per giocarci o farla roteare tra le mani. Appena mia sorella mi scopriva si arrabbiava moltissimo.
Smettila di giocarci in quel modo Akira! Non lo vedi come è minuta? Potresti romperla
Le parole di mia sorella rimbombano nella mia mente.
Takanori è minuto e gracile, potrei romperlo. Lo afferro saldamente e lo trascino sul futon bianco. Lo faccio distendere. La sua schiena sfiora la stoffa bianca. Un pezzo di porcellana che si posa in mezzo ad una distesa di neve.  Lo ammiro. È così bello da lasciarmi completamente inerme. Mi chino su di lui. Lo voglio. Finchè morte non ci separi. Perché la morte dovrebbe farlo? Ci ha già pensato la vita.
Assaporo le sue labbra e il suo corpo. Ci amiamo. Ci uniamo in una singola anima.
“È bellissimo averti dentro di me, Akira” sussurra lui senza fiato.
“Anche per me è bellissimo averti dentro di me…da tutto questo tempo.” Lo guardo negli occhi accarezzando i suoi capelli umidi. Io in lui, lui in me. È così che doveva essere fin dall’inizio. Cosa ci ha condotto qui? Perché proprio lui? Una folla di domande assalta il mio cervello come uno schieramento di soldati pronti alla guerra. Non ho risposte. Non so nulla. Chi sono io? Non c’è nessun Akira. Il mio corpo non termina dove inizia il suo. Siamo un’unica cosa. Non riesco a distinguere i contorni. È questo che si prova quando si trova quello che ci è sempre mancato? 
Si alza, si appoggia sulle mie gambe sovrastandomi. Rimaniamo seduti. Danziamo guardandoci negli occhi. Appoggio la mano sul suo petto. Il suo cuore batte forte. Non riesco a credere che ne abbia ancora uno. Lo avevo raccolto io, una volta. E mi ero assicurato di averlo ridotto in polvere. Perché ora è tornato al suo posto?
Intorno a noi il silenzio. Un pubblico muto e immobile. La pioggia è altro rispetto a qui. Il mondo sta andando avanti senza di noi. È giusto così. Ci rincontreremo in un’altra vita, in un’altra dimensione. Vorrei sentire il rumore dei pianeti che girano intorno al Sole. È possibile fermare il presente e cancellare il passato? Non voglio sapere nulla del futuro. Mi basta così. Domani non rimarrà niente. La pioggia laverà via tutto.
La pelle di Takanori è carta bianca su cui scrivo poesie e parole con i miei polpastrelli. Il suo corpo odora di amore, di temporale estivo e di colpevolezza. È sempre stato lui il colpevole in questa storia. Io sono solo una vittima. Il mio salvatore è anche il mio carnefice. Buffa la vita non è vero? Apro gli occhi e riesco a distinguere a malapena i contorni delle cose. La stanza è totalmente in ombra; eppure la sua pelle diafana risplende come una stella. Le gocce di pioggia picchiettano sui vetri delle finestre. È tutto così calmo. Un sussurro, due sussurri.  Sento un grande calore dentro di me come se qualcuno avesse acceso un fuoco. La fiamma si propaga in tutto il mio corpo. Lo sapevo, è arrivato il momento.
Sto bruciando all’Inferno. 





























Non credo che ci sia bisogno di aggiungere qualcosa 

Chiedo scusa per essere sparita, ma, come molti di voi sanno, questo è il periodo della sessione invernale e purtroppo non ho molto tempo libero per me. Passo le giornate a lavoro e sui libri. E' bellissimo lavorare come bibliotecaria; mi sento una piccola Takanori (ma molto meno affascinante :3). Tuttavia il lavoro mi porta via un po' di tempo e così il resto delle ore le passo a studiare. Mi mancano pochissimi esami alla laurea, quindi devo assolutamente impegnarmi. Prometto che cercherò di essere più presente. Ci vediamo al prossimo capitolo.
P.s.: spero tutti abbiate ascoltato le canzoni che vi ho linkato all'inizio, sennò siete delle cattive persone <: l'Exogenesis Symphony è uno dei capolavori di una delle mie band preferite e credo che sia perfetta per questo capitolo.  

 

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Capitolo 23
*** Ventitré. ***


XXIII.




















Una folata di vento freddo mi sveglia dal piacevole sonno in cui mi sono rifugiato nelle passate ore. Appena riprendo coscienza percepisco un dolce tepore accanto a me e uno strano peso sul mio petto. Apro gli occhi cercando qualche risposta nella penombra della stanza. Mi accorgo che numerose ciocche di capelli corvini sono distese sul mio petto disordinatamente. Finalmente capisco.
Il volto di Takanori è appoggiato sul mio busto, la sua guancia tocca il mio pettorale sinistro. Gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, il respiro regolare. Sta dormendo e non voglio svegliarlo. Ho bisogno di stare da solo per ancora un po’. Mi muovo impercettibilmente ma noto con mia sorpresa che buona parte del suo corpo è distesa sulla parte sinistra del mio. Alcuni ciuffi di capelli mi sfiorano il mento provocandomi il solletico.  Sposto con le dita alcune ciocche della sua folta capigliatura cercando di non farmi notare.
Sembra tutto così surreale. Mi sento come un atleta che è appena tornato dalla sua vittoria nella gara più difficile del mondo. Non ho ancora realizzato cosa è successo, né come, né perché. Sento la bocca impastata. Ho sete. Vorrei bere mille litri di acqua fino a liquefare il mio corpo. Sento una fitta alla bocca dello stomaco. Posso scappare tra le braccia di Orfeo ancora per un po’? Mi fa paura questa realtà. Il mio sogno, invece, era bellissimo. Mi sentivo libero, ero solo in un posto deserto ed ero…felice. Nessuno può giudicarmi nel deserto. Nessuno può ferirmi. Mi maledico mentalmente per essermi svegliato. Non so cosa darei per cadere in un coma permanente. Non so cosa darei per fermare il tempo.
Respiro profondamente guardando il soffitto. Cerco di spostarmi nella maniera più furtiva possibile, tuttavia fallisco nel mio obbiettivo. La sua mano appoggiata distrattamente sui miei addominali si sposta accarezzandomi il bacino. Lo vedo alzare il volto assonnato e guardare verso la mia direzione; una smorfia confusa sul suo viso.
“Akira…” balbetta timidamente. Accarezzo la sua schiena rassicurandolo.
Si avvicina a me cercando le mie labbra. Ci baciamo, ma quel bacio mi spaventa. Mi sento improvvisamente molto sporco. Ho bisogno di lavarmi, di lavare via me stesso. Mi scosto guardandolo. Non riesco a scorgere i suoi occhi a causa dei ciuffi ribelli dei suoi capelli che ricadono sul suo viso come rami di un salice piangente. Lo bacio ancora. Basta così. Lo bacio un’altra volta. Devo fermarmi; ho già pagato per i miei crimini. Mi scosto guardando la parete di legno sulla mia destra.
“Ho sonno” lo sento sbiascicare con voce roca. Sorrido spostandomi e poggiando il peso del suo corpo sulla stoffa morbida del futon. Finalmente riesco ad alzarmi senza sentirmi in colpa. Mi volto verso di lui e lo guardo. Dormi Takanori, dormi e rifugiati nel tuo mondo. Sicuramente il tuo è migliore del mio.
Come fosse vittima di un incantesimo, l’uomo dai capelli corvini si addormenta nuovamente. Il suo respiro è regolare come una lunga ninna nanna. Vorrei rimanere qui per sempre ad ascoltare questa dolce musica, ma non mi è possibile. Il destino vuole che finisca tutto nel più breve tempo possibile. E io glielo sto permettendo. Sono solo una vittima di questo grande uragano che è entrato nella mia vita e ha spazzato via tutto senza lasciare nulla. E mi rendo conto solo ora che io ho permesso tutto questo. Ho permesso che la catastrofe si portasse via ogni cosa a me cara. Il mio amore per il calcio, il mio amore per la musica e il mio amore per Takanori. Ho cercato, scavato, all’interno della mia anima per ritrovare quell’amore scoprendo che non è rimasto più nulla. Il mio amore per Takanori è stato una fiamma viva che mi ha illuminato e scaldato il cuore; tuttavia ora sono rimaste solo le ceneri. Il vento freddo le sta facendo volare via. E io come posso fermare tutto questo? Non posso.
Penso tutto questo mentre mi dirigo verso la doccia. Entro nel piccolo box dalle pareti di plastica e aziono la manopola dell’acqua. Attendo qualche secondo che diventi calda, infine bollente. Voglio ustionarmi la pelle così da non sentire le bruciature che hanno dilaniato il mio cuore. Recupero una confezione di bagnoschiuma e inizio ad insaponarmi.
Doveva veramente andare così? Evidentemente sì. Io e Takanori non siamo fatti l’uno per l’altro. Apparteniamo a due mondi diversi e così dobbiamo rimanere. Se solo avessi saputo che sarei finito in questa situazione non avrei mosso un dito per cercare il mio donatore. Mia madre aveva ragione. Ha sempre avuto ragione e io non l’ho mai ascoltata. Vaffanculo Akira sei una perfetta testa di cazzo. Con quale diritto ho rovinato la vita di un’altra persona? Con quale diritto ho rovinato la mia stessa vita? Ormai non posso più piangere sul latte versato. Conviene lavare via lo sporco e riniziare da capo. Io non merito Takanori e Takanori non merita me. Abbiamo sbagliato. Ci siamo incontrati e abbiamo commesso un errore. Come quando acquistiamo un paio di pile scoprendo che sono della dimensione sbagliata. Non si può incastrare un mobile in un spazio troppo stretto. Non si può versare troppa acqua in una piccola tazzina. Ho voluto giocare con il destino e così l’ho pagata cara. Mi basta sapere che abbiamo sbagliato entrambi. Non sono da solo in questo incubo. Va bene così.
Dopo lunghissimi minuti passati sotto lo scrosciare incessante dell’acqua decido di chiudere la manopola e uscire. Cerco con lo sguardo un telo abbastanza largo e tampono la mia pelle asciugandola. Lego il pezzo di stoffa in vita ed esco dal bagno con i capelli umidi. Piccole goccioline di acqua scendono dalle ciocche ai lati delle orecchie cadendo sul mio petto. Cammino in direzione della cucina sentendo un odore piacevole raggiungere le mie narici. Scorgo una figura girata di spalle con i capelli raccolti in una coda che armeggia davanti ai fornelli. Takanori indossa qualcosa di familiare. Una vecchia felpa e dei pantaloni che una volta appartenevano a me e che ho portato in questa casa qualche anno fa considerando lo squallore del tessuto e della stoffa. I pantaloni sono visibilmente troppo larghi per lui ma non sembra farsene un grosso problema. Tossisco così da annunciare la mia presenza.
Lo sento canticchiare sottovoce. Sembra molto concentrato.
Mi avvicino a lui recuperando un bicchiere dal lavabo.
“Preparati perché voglio tornare a casa il prima possibile” dico bevendo un sorso abbondante di acqua.
Si volta verso di me smettendo di fischiettare. Mi guarda stupito.
“Sai, non vorrei trovare casino in autostrada considerando il brutto tempo di questi giorni. Prima partiamo e prima arriviamo” sussurro trangugiando l’acqua rimasta nel bicchiere.
Mi guarda ma subito dopo scosta lo sguardo verso i fornelli.
“Ah, pensavo volessi fare colazione…” la sua voce è così bassa che per un attimo credo che Takanori abbia pronunciato quelle parole in una lingua diversa. Non riesco a capirlo. La sua bolla di sapone in cui è rinchiuso non mi permette di sentire le sue parole attraverso le pareti della mia.
“Non ho molta fame sinceramente, però se tu vuoi mangiare fai pure…non ti metto fretta” esclamo portandomi una mano tra i capelli castani.
Non risponde, ma continua a cucinare. Lo osservo cercando di mostrarmi il meno inquietante possibile. È così bello con i suoi capelli corvini raccolti e la pelle diafana. Mi perdo ad osservare i suoi movimenti fino a quando un suono mi riporta alla realtà.
“Ahia!” urla allontanandosi dal fornello acceso.
“Ti sei bruciato? Fa’ attenzione” dico prendendo la sua mano destra e portandola sotto il getto freddo dell’acqua del lavandino della cucina.
Non risponde ignorandomi. Soffia sul suo dito medio leggermente arrossato e continua le sue mansioni come se non ci fossi. Passiamo molti minuti in silenzio. Il suono del burro fuso che crogiola in padella ci fa compagnia. Bevo un altro bicchiere di acqua tutto d’un fiato.
“Takanori.” Dico con un tono autorevole.
“Stai zitto” dice mentre sbatte le uova in una piccola ciotola.
“Takanori ascoltami. Dobbiamo parlare.” Riprendo facendo finta di niente.
“Non mi interessa.”
“Invece ti interessa.” Dico annullando la distanza tra di noi e prendendo il suo volto tra le mie mani. Lo osservo mantenendo uno sguardo severo. I suoi occhi sono troppo dolci ma non possono sciogliere il mio cuore di piombo.
“Prima che ognuno torni alla propria vita è bene parlarsi non credi?”
“Non ho niente da dire.” Sussurra lui con un tono di rimprovero.
“Io invece sì…” prendo fiato allontanandomi leggermente dal suo volto. “Vedi, è stato un sbaglio-”
Non riesco a terminare la frase. Uno schiaffo mi colpisce in pieno viso senza che me lo aspettassi. La mia guancia sinistra inizia immediatamente a pulsare. Fa male.
“Vaffanculo Akira! È stato uno sbaglio? È stato un fottuto sbaglio per te quello che è successo ieri? Io…io ti ho dato tutto me stesso. Ho aperto il mio cuore. Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo.”
Si volta tornando alle sue mansioni culinarie. Le sue parole mi tagliano la voce, il respiro, l’anima. Perdonami Takanori.
“Non…Non intendevo questo. Lasciami parlare.” Riprendo fiato tossendo. “Vedi…è colpa mia. È stata tutta colpa mia. E non lo sto dicendo per giustificarmi o perché voglio la tua compassione. Dico solo la verità. Ho sbagliato. Ho sbagliato quel maledetto giorno che ho pensato di iniziare la ricerca che mi avrebbe condotto alla persona che mi ha salvato la vita. Una ricerca che mi ha portato a te. Ma chi sei tu? Chi eri? Un perfetto sconosciuto. E chi ero io per entrare prepotentemente nella tua vita senza il tuo consenso? Mi sono preso la libertà di strapparti alla tua vita quotidiana per portarti in un mondo di illusioni e bugie. Tutto questo è stato solo un grande sbaglio. Ci siamo avvicinati senza sapere che era tutto un illusione. Io e te non siamo fatti per stare insieme Takanori. Ci siamo illusi di essere fatti l’uno per l’altro, ma la verità è un’altra. Io non appartengo al tuo mondo e tu non appartieni al mio.” Concludo la frase spostando lo sguardo, perdendomi ad osservare la stanza quasi spoglia di mobili.
“Con quale diritto stai dicendo questo? Sono tutte stronzate!” dice Takanori alzando la voce.
Subito dopo torna a concentrarsi sui fornelli versando il composto di uova sbattute,  formaggio e prosciutto nella padella imburrata. Lo osservo. Sembra molto calmo ma so che dentro è furioso.  Vorrei abbracciarlo e sussurrargli che va tutto bene, ma in fondo gli direi solo l’ennesima bugia. Non c’è nulla che va bene. Non nella mia vita almeno.
“Takanori ascolta. Da oggi io e te non ci vedremo mai più. Dimenticati di me, dimentica ogni cosa che mi riguarda. Io non sono nulla; non lo sono mai stato. Ci siamo incontrati solo perché io ho violato delle leggi e delle regole di privacy e non perché lo voleva il destino. È stato uno sbaglio. Tutto quello che mi hai detto quel giorno che abbiamo pranzato al ristorante francese è vero. Sono un manipolatore bugiardo e meschino. Come potresti stare vicino ad una persona come me? Tu meriti di meglio. Troverai qualcuno che ti ama come meriti di essere amato.  Troverai qualcuno così come io ho trovato Jonathan.  Qui è il momento in cui le nostre strade si dividono.”
Mi soffermo. Ho realmente detto tutto questo o l’ho solo pensato? A volte è così semplice parlare. Come bere un bicchiere di acqua o battere le palpebre. Forse tutto quello che sto dicendo lo sto dicendo a me e me stesso soltanto.  Vorrei essere da solo in questa stanza squallida e spoglia. Vorrei poter parlare con me stesso e rassicurarlo. Rassicurare il bambino, il ragazzo e l’uomo che vivono dentro di me. Vorrei dire loro ‘va tutto bene, prima o poi le cose si sistemeranno’. Vorrei poter guardare il futuro e raccontare loro quello che ho visto. Chissà cosa c’è là. Sì là, nel futuro. Io lo immagino come una grandissima scogliera alta e imponente che spicca sul mare come a volerlo domare e controllare. Da lì si può vedere tutto. L’orizzonte, il sole, le centinaia di sfumature di verde dell’acqua marina. Eppure quella posizione è pericolosissima. Se ti sporgi un po’ troppo per guardare il panorama potresti cadere e farti del male. Il futuro è pericoloso. E allora perché gli uomini sono così addolorati dal passato?
Takanori è fermo. Osserva l’omelette friggere in padella scoppiettando di tanto in tanto. Non si è mosso di un millimetro da quando ho concluso la frase. Lo sento sussurrare qualcosa.
Non capisco. Gli chiedo di ripetere. Qualcosa luccica sulla sua guancia destra.
“Io…sono innamorato di te” la sua voce è distrutta, rotta, consumata come un paio di scarpe vecchie. Si volta verso di me offrendomi la vista del suo volto rigato da numerose lacrime. I suoi occhi sono bagnati, mi ricordano una piscina limpida e tranquilla.  Si asciuga quelle piccole fontane salate con la manica del suo pigiama improvvisato. Mi guarda. Non riesco a capire cosa prova. Odiami Takanori, ti prego. Odiami, te lo ordino.
“Tu non meriti questo Taka.” dico, incapace di aggiungere altro.
Lui rimane immobile. Mi fissa. Vorrei poter distruggere tutto quello che è intorno a me e scappare con lui. Ma è stato tutto un grande sbaglio, fin dall’inizio. Non avrei mai dovuto prendere un treno per Yokohama. Né entrare in quella biblioteca.  
“Chi sei tu per decidere cosa è giusto per me? Chi cazzo sei eh? E come ti permetti di decidere al posto mio?” sbraita lui avvicinandosi a me e tirandomi un pugno sul braccio destro. Deve aver impiegato tutta la forza che aveva in corpo considerando il suo sguardo e il suo fiato irregolare. Si tasta le nocche doloranti. “Posso almeno avere il potere di decidere chi amare? Rispondimi Akira. Rispondimi cazzo!”
Senza aggiungere altro lo vedo scoppiare a piangere in un pianto sordo e silenzioso. Lo lascio sfogare. Lascio che pianga, ma non oso avvicinarmi. Deve farcela da solo. Deve capire che da domani in poi io non sarò più con lui.  Fa male, ma prima o poi tornerà tutto come prima. Takanori è un fiore forte che crescerà rigoglioso tra l’erba. Io sono solo terra secca e arida. Non vado bene per lui. 
Lascio che il tempo scorra, che ci passi accanto, accarezzi i nostri corpi deformi e scappi via. Non so quanto tempo è passato. Forse un minuto, forse un’ora.
“Vuoi sapere una cosa?” Parlo rompendo il silenzio. Non mi guarda, ma si volta verso la sua omelette disponendola sul piatto.
“Sai che…non ho mai letto Lolita di Nabokov? Presi quel libro in prestito la prima volta che ci siamo incontrati, ricordi? Ecco. Non l’ho mai aperto. Non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di sfogliarlo e leggere anche solo una pagina. E tra l’altro devo dire la verità: non so un cazzo di letteratura russa. Non so nemmeno chi cazzo sia quel Nabokov. Quando mi sei venuto incontro chiedendomi se avessi bisogno di aiuto ho esclamato il primo titolo che mi passava per la testa. A parte i libri gialli, non leggo nulla. Adoro le riviste di moto e di cucina.  Ah, e poi  non so nulla di arte e non ho nessun amico che stava preparando una tesi di dottorato all’università.” Dico aprendo le braccia come segno di resa. Assumo un’espressione piuttosto impacciata tanto che lo vedo sorridere. Dopo poco Takanori scoppia in una risata nervosa ma sincera. Rido anche io.
“Sei un vero bastardo” afferma lui guardando la sua colazione fumante. Riempie di acqua il bollitore del tè e lo sistema sul fornello accesso. Si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio sfiorando i piccoli piercing che lo decorano.  “Akira…tu sei la cosa più importante al mondo per me. Un secondo dopo esserci separati, quello stupido sabato di giugno, ho sentito un grande vuoto nel cuore e dentro il mio corpo. Come se qualcuno mi avesse strappato gli organi vitali e i muscoli. Mi sentivo denutrito e senza respiro. Avevo capito fin da subito di aver fatto lo sbaglio più grande della mia vita. Non sei tu quello che ha sbagliato, sono stato io. Ti ho scacciato via quando in verità mi sono accorto di averti aspettato da una vita intera. Per questo ti dico che il nostro incontro era voluto dal destino. Sono anni che aspetto la mia anima gemella e la prima volta che ti ho visto ho capito che eri tu. Poi io ho rovinato tutto. Ne ho pagato le conseguenze, passando gli scorsi tre mesi a piangere e cercare un modo per farla finita. Ma ora voglio solo riniziare da capo. Voglio cancellare il passato e andare avanti, insieme a te.”  Si avvicina a me appoggiando i palmi delle sue mani sulle mie guance. Mi osserva sorridendo dolcemente. Piccoli ricordi di lacrime ormai secche sui suoi zigomi.  “Io voglio te Akira. Io posso farti stare bene”
La sua voce è dolce, mi ricorda la ninna nanna che mi cantava mia madre prima di addormentarmi quando ero piccolo. Lo scosto da me guardandolo negli occhi, quegli occhi puri e pericolosi.
“Mi dispiace Takanori, ma non posso stare bene. Non starò mai bene. Sono una persona fisicamente malata e psicologicamente schiacciata e demolita da tutto quello che ha passato. Per questo non può funzionare.  Io ci tengo a te, ed è per questo che voglio allontanarti dalla mia vita. Non meriti altra sofferenza.  Puoi riniziare da capo, devi farlo.”
Lo guardo intensamente. In fondo è giusto così. Il nero e bianco sono due colori troppo lontani e opposti. Ciò che è sporco non può permettersi di macchiare ciò che è puro. Va bene così. Prendere due treni diversi, due direzioni diverse.  È colpa mia, è colpa tua Takanori. È colpa nostra. Ma va bene così.
Mi volto, accorgendomi di non riuscire a sopportare ulteriormente la sua presenza. Improvvisamente tutto ciò che lo riguarda mi disgusta, come un piatto di cibo andato a male. Non voglio più guardarlo. Non ho bisogno di lui. Posso farcela da solo, posso essere forte così.
“Io…s-senza di te …n-non sono niente” balbetta la sua voce alle mie spalle. Non ho la forza di girarmi. Ascolto quelle parole come si ascolta una melodia già sentita. Non ci presto attenzione. Osservo il muro di legno davanti a me concentrandomi sui più piccoli particolari.
Va bene così.
 
 
 
 





 
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Il viaggio in auto è tranquillo. Amo guidare in autostrada. Amo osservare il paesaggio che mi si staglia davanti e che mi scorre ai lati velocemente. Mi piace questa sensazione di sentirmi rincorso dalla strada e dagli alberi. Le montagne viste da qui sembrano delle imponenti ed enormi guardiane che vigilano sugli ignari automobilisti.  Ad un certo punto del giorno le autostrade diventato luoghi surreali. Come se tutto diventasse magico e etereo.  Amo fermarmi nei punti di sosta, sgranchirmi le gambe e svuotare la vescica in un bagno puzzolente della stazione di servizio. Mi è mancato viaggiare. Prendere la macchina e andare veloce. Lasciar volare via i pensieri.
Accendo la radio abbassando il volume ad una tonalità più decente. La stazione radio sta trasmettendo una vecchia rock ballad anni settanta. Il giusto sottofondo per gustarsi al meglio il viaggio. Accanto a me Takanori sonnecchia. A volte lo scorgo aprire gli occhi e fissare il paesaggio fuori dal finestrino. Non dice una parola. Osserva e prende appunti mentalmente di tutto quello che vede ma non emette un suono. Sono ore che non sento la sua voce. Mi manca. Non mi permetto di parlare. Come lui non disturba la quiete del mio mondo, io non voglio disturbare la quiete del suo. Siamo rinchiusi nelle nostre rispettive sfere di cristallo.
Durante tutta la durata del viaggio lo vedo addormentarsi e sognare. Borbotta qualcosa di incomprensibile nel sonno.  Sembra infastidito.
Veramente credi di essere tu la vittima Takanori? Che stupido. L’unico che ci rimette sono io.  Io mi porterò una parte di te dentro di me, per sempre. Tu vivi dentro di me Takanori e sarà così fino al giorno in cui morirò. Ci sarà sempre qualcosa che ti riguarda nella mia vita. Hanno piantato un tuo piccolo fiore nel mio corpo che è cresciuto arrampicandosi intorno ai miei organi. Senza quel fiore non posso vivere.  Il tuo fiore mi ha protetto e mi ha salvato la vita e ora tocca a me fare altrettanto. Questa è la mia condanna. Portarmi dietro un dolce peso per il resto della mia esistenza. Takanori, sarai sempre dentro di me.
Guido per un tempo interminabile. Decido di accompagnare il più piccolo a casa e così la durata del viaggio si allunga ancora di più. Quando siamo nei pressi di Yokohama, la sua voce mi consiglia e mi detta la strada da percorrere. Mi era mancata. Cioccolato fondente e scorze di arancia.  La sua voce è prelibatezza, è dolce, amara, soffice, morbida, proibita.  Non la dimenticherò mai.
Il paese in cui abita Takanori è molto piccolo ma vicinissimo alla grande città. Dopo svariati minuti  mi indica di fermarmi. Scendo dalla macchina in breve tempo e corro ad aprire la sua portiera. Evita il mio sguardo come si evita un barbone seduto sul ciglio della strada. Recupero il suo zaino porgendoglielo educatamente.
Se non vuoi salutarmi non fa niente.
Alza il volto verso di me. I suoi occhi sono due pietre liquide. Non dice nulla ma i suoi occhi mi rivolgono troppe domande a cui non so dare una risposta. Come vorrei fermare il tempo così da non fare nessun passo avanti. È troppo tardi ormai.
“Akira…” la sua voce è incrinata; uno specchio malconcio e spaccato in mille frammenti.
Mi abbasso su di lui posando un bacio delicato sulla sua fronte.
“Io voglio solo che tu sia felice, Takanori.” Dico con tono calmo.
Senza voltarmi verso di lui, percorro il perimetro della mia macchina. Salgo chiudendo sonoramente la portiera. Metto in moto e accelero immediatamente.
Spingo il pedale della frizione e cambio la marcia. Premo l'accelleratore e sento la mia Toyota ruggire sotto il mio comando.
Non mi volto nè diminuisco la velocità; nemmeno per un secondo. 

































Buona domenica! Finalmente ho un momento libero per postare. Chiedo profondamente scusa per essermi assentata così tanto ma ho da poco finito la sessione esami invernale e sono stata sommersa dagli impegni. Non dimenticate che ora come ora svolgo lo stesso lavoro di Takanori e, fidatevi, non è poi così leggero lavorare in biblioteca. Tutto sommato non mi lamento però...adoro lavorare in mezzo ai libri <3 e poi finchè non entra nessun ragazzo alto e con la giacca di pelle nera non ho bisogno di preoccuparmi (lol). Ma veniamo a noi...beh che dire. Io non voglio commentare troppo per non influenzarvi però ammetto di adorare questo capitolo. Vi consiglio di non prendere posizione, ovvero nè di dare ragione solo ad Akira o solo a Takanori. Ci sono molte cose rimaste in sospeso. Ci sono molte cose che non si sono detti; in fondo ognuno ha i propri segreti no? Evidentemente entrambi hanno ritenuto giusto così. Hanno sbagliato entrambi ma allo stesso tempo hanno ragione entrambi. A volte nella vita va così. Non si può tornare indietro; bisogna solo accettare la situazione e guardare avanti. La fanfiction non è ancora finita quindi preferisco terminare qui il mio monologo. Ci vediamo al prossimo capitolo :3 

 

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Capitolo 24
*** Ventiquattro. ***


(obbligatorio l'ascolto e la lettura del testo di The Crawl - Placebo) 



XXIV.






























4 mesi dopo






Accelero. Il semaforo posto un paio di metri sopra la mia testa lampeggia annunciando agli automobilisti l’arrivo del segnale rosso.  Non ho voglia di stare nuovamente fermo all’ennesimo incrocio. Continuo a schiacciare il piede sul pulsante dell’acceleratore. Se solo questo stronzo che guida davanti a me si desse una mossa forse riuscirei a evitare il segnale rosso. Odio il traffico di Tokyo il sabato pomeriggio. Odio gli automobilisti. Il pezzente davanti a me sembra proprio  contento di farsi odiare dal sottoscritto considerando che ha frenato quando il semaforo lampeggiava ancora sul segnale verde. Mi rassegno ad altri minuti di attesa. Schiaccio il pulsante del freno e contemporaneamente quello della frizione; cambio la marcia. La macchina esegue i miei comandi e dopo pochi attimi rallenta fino ad arrestare il proprio moto. Fisso il panorama urbano davanti a me. Sono le sei di pomeriggio passate e quasi tutte le insegne dei negozi sono ormai accese e lampeggiano orgogliose ai lati dei palazzi. Ce ne sono di tutti i colori e dimensioni e alcune si accendono e si spengono continuamente come a voler urlare ‘Ehi notami! Sono qui!’. Sposto lo sguardo alla mia destra e fisso le persone sul marciapiede.  C’è di tutto là fuori. Studenti, madri, famiglie intere, uomini d’affari, artisti, musicisti, ricchi, poveri, gente felice, gente triste. Mi sento al sicuro dentro la mia macchina. Non invidio per niente quelle persone che camminano in mezzo alla folla di esseri umani. Io al contrario sono chiuso dentro il mio rifugio sicuro. Qua non può succedermi nulla. È bellissima questa sensazione.
Passo un dito sulla rotella dello stereo per alzare il volume. Ho messo su un cd dei The Who, una band rock inglese che ho sempre adorato.  La voce di Roger Daltrey mi fa sentire a casa. Ogni volta che ascolto un loro album mi sembra di venir catapultato nel passato. In una Londra degli anni Sessanta, in un quartiere pieno di ragazzi con i capelli lunghi e con le chitarre in braccio. È così bello essere giovani. A volte vorrei tornare indietro nel tempo. No, non rifarei tutto quello che ho fatto. Sono stanco di quelle persone che continuano a ostentare l’orgoglio della loro giovinezza. Io mi pento amaramente di quello che ho fatto. Mi pento di tutti i miei peccati. Se potessi veramente tornare indietro non farei nulla di quello che ho fatto. Tutte scelte di merda. Ecco il riassunto della mia vita. Forse avrei dovuto dare ascolto alla mia insegnante delle elementari e diventare un dottore invece di inseguire i miei sogni e le mie passioni. I sogni non servono a nulla, non ti danno soldi né ti portano il pane sulla tavola. Non mi servono a niente.
Schiaccio il pedale dell’acceleratore con una forza tale da far sobbalzare la macchina inaspettatamente. L’uomo alla mia sinistra* soffoca un gemito di paura.
“Akira, sbaglio o sei un po’ troppo nervoso? Dovresti rilassarti…siamo quasi arrivati” dice Kouyou toccandomi la spalla.
La sua voce mi riporta alla realtà. Ha ragione. Sono troppo nervoso. Odio essere imbottigliato nel traffico del weekend quando ho un impegno importante. Per quale arcano motivo ho deciso di prendere la macchina? Sarebbe stato meglio raggiungere l’altra parte della città con la metropolitana, così avrei risparmiato tempo e malumore. D’altronde dovevo aspettarmelo. È la seconda settimana di dicembre e le persone in questo periodo impazziscono: corrono a destra e a manca a reperire regali e oggetti natalizi, per non parlare poi dei bar e delle caffetterie gremite di persone che si concedono un po’ di riparo dal freddo invernale consolandosi con una deliziosa cioccolata calda. Adoro l’inverno ma non sopporto il periodo natalizio. Gli esseri umani sembrano totalmente matti quando si tratta di comprare oggetti inutili e vestiti che indosseranno due volte in tutta la loro vita. Eppure sembra che questa superficialità li renda felici. Sorridono tutti. Sorride l’uomo che corre per prendere l’autobus, sorride la signora anziana che porta a spasso il cane. Sorride la coppia felice che cammina sul marciapiede tenendosi per mano.
“Scusami Kou, sono veramente stressato e poi non nego di essere piuttosto in imbarazzo. Ho paura di fare brutta figura e poi sono impaziente di arrivare. Lo sai come sono fatto.” Ammetto grattandomi il mento.
“Lo so Suzuki, ma se non rallenti e non ti dai una calmata finirà che faremo un incidente e passeremo la serata al pronto soccorso.” Il mio interlocutore ride toccandosi il naso. “Inoltre mi hai relegato l’insano compito di tenere sulle gambe la torta che hai preparato senza rovesciarla. Però se continui a guidare così veloce finirà che la torta volerà dal finestrino!”
Scoppiamo a ridere guardandoci.
“Chiedo scusa” dico con aria solenne. Alzo ancora un po’ il volume della musica.
“Quanto hai impiegato a prepararla?” chiede Kouyou curioso.
“Più o meno un paio di ore. Non è così difficile come sembra anche se  è molto elaborata. E poi è la sua torta preferita.” Ammetto evitando il suo sguardo.
“Oh, è una cosa davvero carina sai?”
Mi volto verso di lui mentre rallento il ritmo della mia guida. Cerco di rilassarmi. Inspiro un bel po’ di aria.
“Mh?” emetto un piccolo gridolino sorpreso.
“Intendo dire…è molto carino il fatto che tu abbia preparato una torta per il tuo fidanzato con tanto amore. Significa che sei proprio innamorato” esclama serio il mio migliore amico.
Arrossisco cercando di non darlo a vedere. Non pensavo di essere un libro aperto agli occhi delle persone, eppure evidentemente è così. Kouyou mi conosce più di ogni altro e non posso proprio nascondergli nulla. Sono contento di avere una persona al mio fianco come lui da tutti questi anni. Mi sento…protetto. Mi sento capito e rassicurato. Rispetto a qualche mese fa sono molto migliorato, anche se tuttavia tendo a fare pensieri negativi o a essere di malumore un po’ troppo spesso. Lavorerò anche su questo, non è un problema. Posso riuscire ad andare avanti e a chiudere con il passato. Posso farcela perché accanto a me ho due persone meravigliose. Kouyou e Jonathan. Credo veramente di amare Jonathan. È una persona che mi ha cambiato la vita più di ogni altra cosa. Con lui mi sento libero; libero di essere me stesso, libero di essere triste, sofferente, stanco. Non mi ha mai giudicato per quello che ho fatto e per questo motivo non lo ringrazierò mai abbastanza.
Mi rendo conto che le mie mani tremano al pensiero di cosa accadrà tra pochi minuti. Jonathan ha deciso di organizzare una serata natalizia nell’attico di proprietà dei suoi genitori. Ci sarà sua madre, suo padre e sua sorella. Conoscerò finalmente la sua famiglia e i suoi amici più stretti. Ho deciso di portare Kouyou con me perché sapevo che da solo non ce l’avrei fatta. Sono un gran fifone e non riesco ad affrontare certe situazioni da solo. Mi sento così tremendamente nervoso. Eppure è solo una cena in compagnia, come mai sono così intimorito? Forse perché i suoi genitori sono persone ricche dai modi di fare gentili e pacati. Forse perché ho molta paura di fare brutta figura. Di non essere all’altezza. Dovrei esserci abituato però. In ogni situazione che mi è capitata nella vita non mi sono mai sentito all’altezza di qualcosa. Ho sempre provato disagio. Porto con me da tutti questi anni il peso enorme della malattia, quel mostro orribile che mi ha quasi ucciso.
Due mesi fa ho preso la decisione di andare in terapia da una psicologa che mi ha consigliato mia sorella. È una donna molto matura, molto seria, ma decisamente esperta nel suo ambito. Da quando ho iniziato a parlare con lei ho visto cadere le pareti del muro in cui mi ero rinchiuso per tutti questi anni. Sto abbattendo tutti i mattoni rimanenti. Tuttavia il percorso è ancora lungo. Mi sento ancora incompleto e confesso che le mie notti sono costantemente popolate da incubi. Ma questo non lo sa nessuno. Non ho mai parlato a Jonathan dei miei incubi, né a Kouyou, né alla dottoressa Sakamoto, la mia psicologa. Non ho alcuna intenzione di farlo. I miei sogni sono i miei segreti e voglio che restino tali. Nessuno deve venirne a conoscenza. Se raccontassi queste cose mi sentirei come nudo di fronte agli occhi degli altri; vulnerabile e inerme. L’ultima volta che mi sono dimostrato così fragile davanti a qualcuno, quel qualcuno mi ha divorato l’anima. Non permetterò mai più che succeda. Porterò i miei segreti con me. Sono miei, e di nessun altro.
Parcheggio finalmente la macchina davanti all’edifico corrispondente al numero di casa che mi ha fornito Jonathan.  Un sonoro fischio prolungato fuoriesce dalle labbra di Kouyou.
“Alla faccia dei poveri insomma! Questi qui vivono in un castello, altrochè! Pensi che tutto il palazzo sia di proprietà dei genitori di Jonathan?” chiede il mio accompagnatore mentre scende dalla macchina.
Chiudo lo sportello e schiaccio il pulsante di chiusura dal telecomando della mia auto.
“So che i suoi genitori sono persone importanti ma non credo che siano così ricchi come dici tu”
“Bah, sicuramente non sono dei comuni mortali come noi. Porca vacca dovevi dirmelo però…forse sono vestito un po’ troppo banalmente?! Quelli passeranno la serata a giudicarci”  Kouyou parla come un fiume di parole. Per fortuna ero io quello nervoso e impaziente. D’altronde lo capisco. Ci stiamo per catapultare in un ambiente che non ci appartiene. Tuttavia Jonathan mi ha rassicurato in ogni modo possibile. Mi fido di lui e so che andrò alla grande.
Suono il campanello e attendo impaziente l’apertura del grosso portone di legno trattato. Salto impaziente sul posto. Un piccolo ‘click’ annuncia l’apertura della porta di ingresso. Percorriamo un piccolo sentiero che taglia in due il giardino verde e perfettamente curato. Ci troviamo di fronte ad un secondo ingresso. Spingo la maniglia e attendo che Kouyou mi raggiunga. Entriamo finalmente nel lussuoso palazzo. Prendo il mio iPhone e compongo un numero di telefono familiare.
Pronto?!” riconosco la sua voce e soffoco un leggero timore.
“Pronto amore sono qua al piano terra insieme a Kouyou. Dove dobbiamo andare?” chiedo timidamente.
Prendete l’ascensore e salite al trentesimo piano! Vi stiamo aspettando!
Chiudo la chiamata e respiro a pieni polmoni. Il mio migliore amico mi tira una pacca sulla schiena. Il rumore risuona per tutto il perimetro dell’ingresso silenzioso.
Prendiamo l’ascensore e schiacciamo il piano corrispondente. In pochi secondi il grande macchinario annuncia con un suono buffo e squillante l’arrivo a destinazione. Le porte si aprono come per magia. Troviamo un grosso pianerottolo arredato con delle statue in stile occidentale, specialmente riproduzioni di famose sculture rinascimentali. Qualcuno apre la porta invitandoci ad entrare.
Io e Kouyou rimaniamo fermi davanti alla porta aperta guardandoci negli occhi a vicenda. Un signore fa capolino dalla porta di legno scuro.
“Sono il maggiordomo della famiglia Okamoto. Prego, entrate. I signori vi stanno aspettando.”
Deglutisco a fatica. Prima di raggiungere l’ingresso mi specchio nel vetro dell’ascensore controllando che sia tutto apposto. Ho optato per una camicia blu e un maglione bianco. I pantaloni e il cappotto rigorosamente neri. Spero di aver abbinato i colori giusti.  Controllo che anche il mio accompagnatore sia decente e finalmente varco la soglia di casa.
Appena entro mi sembra di essere stato sbatacchiato in un’altra città, probabilmente una metropoli americana. La stanza, grande quanto una sala conferenze, è un lussuoso soggiorno circondato da enormi finestre a vetri. Le luci accese sono moltissime ma molto soffuse e donano un’atmosfera piacevole.  La parete destra della stanza è arredata con una libreria mastodontica stracolma di libri di ogni misura e colore. Al centro della stanza si trovano due divani molto lunghi di pelle color champagne e in mezzo ai due un grazioso tavolo da soggiorno di vetro. Alla nostra sinistra scorgiamo una scala che porta al piano superiore anch’essa di vetro trasparente. In un angolo della sala è riposto un pianoforte Yamaha a tre quarti di coda. Nemmeno il tempo di accorgermi del restante arredamento che vedo Jonathan venirmi incontro. Indossa un maglione grigio di lana molto elegante e dei jeans chiarissimi. È così bello. Dietro di lui riconosco una donna sulla sessantina e un uomo più o meno della stessa età. Sorrido.
Jonathan appoggia le braccia sulle mie spalle e cinge il mio collo dolcemente. Le mie labbra sfiorano le sue. Solo dopo numerosi secondi mi rendo conto di aver baciato il mio fidanzato di fronte ai suoi genitori e così faccio un passo indietro imbarazzato. Tossisco guardando il pavimento pulitissimo di marmo. 
“Akira…” la sua voce è dolce e misteriosa.
“Scusa Jonathan io-”
“Fa nulla.” Sussurra nascondendo una risata. “Questi sono i miei genitori” lo vedo muovere qualche passo indietreggiando come se stesse per annunciare un premio Oscar al migliore degli attori.  “Mamma, papà…lui è Akira Suzuki. Il mio fidanzato.”
Sento il cuore battere a mille. Allungo il braccio destro stringendo le mani della signora e poi del signor Okamoto. Spero di non apparire così nervoso come mi sento internamente. Sono un uomo adulto ma a volte mi comporto come un ragazzino. Sento Kouyou ridere alle mie spalle. Gli lancio un’occhiata poco simpatica.
“Piacere di conoscervi” dico con tono flebile.
“Piacere nostro!” risponde la madre di Jonathan regalandomi un sorriso smagliante e ben curato.  Suo padre mi fa un leggero cenno con la mano. Sembra un tipo simpatico ma molto taciturno.
Tossisco.
“Lui è Takashima Kouyou, un mio caro amico di infanzia. Lavora come impiegato all’università Todai di Tokyo.” Dico tutto d’un fiato.
Kouyou si avvicina a me e allunga un braccio stringendo saldamente le mani di Jonathan e dei suoi genitori. Ci guardiamo negli occhi imbarazzati per svariati secondi fino a quando Kouyou interviene, come sempre, a salvare la situazione.
“Ecco….Akira ha deciso di portare un regalo per ringraziarvi dell’ospitalità. È un regalo molto originale e unico nel suo genere!” la voce di Kouyou è squillante e mi risveglia dallo stato di coma in cui ero appena caduto.
Jonathan prende tra le mani il pacco aprendolo leggermente e sbirciando all’interno.
“Akira ma…è una torta al cioccolato con i lamponi! La mia preferita! Non dirmi che…”
“Esatto!” interviene Kouyou grattandosi la guancia. “L’ha preparata lui con le sue mani.”
Non riesco a emettere un suono. Mi sento completamente travolto dalla situazione. I miei occhi sono costantemente posati sulla figura alta e snella di Jonathan.
“Sì ecco Jona-chan…l’ho preparata io” affermo.
Lui si avvicina annullando la distanza tra di noi e posando un leggero bacio sul lato destro delle mie labbra. Sorrido come un ebete. Lancio un’occhiata silenziosa ai suoi genitori. Sembrano…sereni. Quel clima dolce e ospitale mi fa sentire a casa. Mi sento come se conoscessi i suoi genitori da sempre. Le luci della città penetrano nella sala tramite le enormi vetrate della stanza creando un’atmosfera magica. Con la coda dell’occhio noto un bellissimo e raffinato albero di Natale posto vicino alla libreria e decorato con numerose sfere di vetro color ghiaccio e indaco. I miei occhi si posano nuovamente su di lui. Ci guardiamo per un tempo che sembra interminabile.
“Jonathan, tesoro, dove è tua sorella?” domanda la signora Okamoto interrompendo il nostro silenzioso contatto.
“Non lo so mamma, credo che sia in camera sua a leggere.”
“Eccomi” una voce fresca e femminile interrompe nel soggiorno. Una ragazza alta, magra e tonica scende elegantemente le scale di vetro. Il suo passo è felpato e tranquillo, cammina anteponendo un piede davanti all’altro come se stesse percorrendo una lunga passerella. I lineamenti del suo volto sono dolci e armonici proprio come quelli di Jonathan. È bellissima.
“Akane! Finalmente!”  la madre di Jonathan si avvicina a me appoggiando una mano sulla mia spalla e l’altra  sulla schiena di Kouyou.
“Scusa mamma ma quando mi immergo nella lettura perdo totalmente la concezione del tempo”
Akane si avvicina a me e Kouyou tendendo la sua mano destra. L’altra stringe saldamente un libro di cui non riesco a scorgere il titolo. Il sorriso della ragazza è così bianco da sembrare finto. Sembra proprio la versione femminile di Jonathan. Anche senza saperlo avrei potuto facilmente intuire che la ragazza di fronte a me è una modella. Tutto nel suo modo di fare sembra totalmente studiato e raffinato nei minimi dettagli. Le sue mani femminili si muovono come delle farfalle davanti ai miei occhi. Finalmente finiamo le presentazioni.
“Mi dispiace che tu non possa conoscere anche Sarah e Yuki, le altre mie due sorelle. Hanno avuto degli impegni di lavoro e così sono dovute rimanere a Los Angeles per qualche giorno in più.  Sono sicuro che ci saranno altre occasioni in cui potrai incontrarle” Jonathan sorride mettendomi completamente a mio agio.
Sua madre ci guida verso un lungo tavolo posizionato vicino al pianoforte su cui sopra sono disposti vassoi contenenti ogni tipo di leccornia: voulevant farciti con tonno, funghi e prosciutto, tramezzini, pesce crudo, avocado, tartare di salmone e chi più ne ha più ne metta. Sei bottiglie di champagne ornano i lati della grande tavola.
Mentre ci dirigiamo verso il buffet mi avvicino a lui baciando il suo collo liscio.
“Sei bellissimo” pronuncio queste parole in un sussurro leggero.
“Anche tu” Jonathan mi porge un bicchiere di spumante da cui sorseggio qualche goccia. Ridiamo e scherziamo parlando del più e del meno. Kouyou non smette un attimo di fare battute. Sorrido stringendo Jonathan al mio fianco.
Mi accorgo che una copia di  ‘Lolita’, il famoso romanzo di Vladimir Nabokov, è abbandonata solitaria sul ripiano di vetro del soggiorno.
Deglutisco a vuoto tornando a concentrarmi sulla conversazione. Sorrido ingurgitando la bevanda fresca nel mio calice.
Adoro i vini francesi.
 
 
 
 
 














*in Giappone le automobili sono uguali a quelle inglesi, quindi il volante si trova a destra e il passeggero a sinistra. 






































Spero che abbiate letto il testo e ascoltato la canzone che vi ho suggerito. Incredibile come i Placebo riescano a descrivere ogni tipo di situazione. Se dovessi associare quello che ho scritto ad una bevanda direi che questo capitolo è assolutamente un caffè espresso bevuto la mattina appena svegli e senza zucchero. E' amaro e coinvolgente e alla fine ti lascia qualcosa sulla lingua, un sapore che rimane per tutta la giornata, proprio come una tazza di caffè caldo.
Non aggiungo niente. Ringrazio tutti voi che avete letto fin qui 
♡  Grazie.
Ci vediamo (molto presto) al prossimo capitolo. 

 

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Capitolo 25
*** Venticinque. ***


Epilogo
 
 
 
 
 


 
 






 
 
 





 
Mi sveglio completamente intontito. Cerco di aprire gli occhi ma non riesco. Provo ad aprirne uno solo e cercare di focalizzare l’attenzione su qualcosa. Riconosco i contorni degli oggetti e dei mobili della mia camera da letto. L’armadio a parete. Lo specchio. L’appendiabiti, i calzini sparsi per terra, la sacca dei vestiti sporchi.  Apro anche il secondo occhio cercando di controllare la vista. La rigida penombra della stanza non mi aiuta a concentrarmi.
Qualcosa di freddo mi accarezza la schiena.  Volto la testa verso sinistra scoprendo che la finestra della mia stanza è aperta. Una ventata forte e gelida deve avermi svegliato di soprassalto. Osservo le ante della finestra sbattere sul muro come due relitti abbandonati.
Un fascio di luce lunare entra prepotente dalla grande fessura del muro illuminando una piccola porzione di pavimento. Una chiazza bianca che stona in mezzo a quello squallore oscuro. Un vento gelido entra nella stanza e si insinua sotto la t-shirt che uso per pigiama provocandomi dei forti brividi. Con malavoglia mi alzo e corro a chiudere la finestra. Prima di farlo però mi concedo pochi secondi in cui osservo il cielo stellato. Scorgo la Luna piena in cielo che spicca orgogliosa e bellissima sopra i palazzi della città come a voler proteggere gli esseri umani che dormono. La osservo e mi perdo nei pochi dettagli che riesco a cogliere. Un’altra ventata gelida mi fa rabbrividire la schiena, le braccia e le gambe. Chiudo distrattamente la finestra.
Torno sul materasso lasciandomici andare sopra come fossi un peso morto. Rimbalzo appena le mie natiche toccano la stoffa morbida. Afferro il mio iPhone per controllare l’orario. Le quattro e ventidue di mattina. Ripongo il telefono sul comodino e mi infilo sotto le coperte.
Chiudo gli occhi e mi abbandono ad un lungo sonno senza sogni né incubi.
 
 
 



 
 




 



 
 
Akira.
 

Takanori.
 

 
Akira?
 
 

Takanori!
 
 
Akira, sei..tu?
 
 


Sono io.
 
 
Sei proprio tu?


 
 
 
Sono io Takanori.
 
 
 
Cosa…cosa ci fai qua?
 
 
 
Perché dopo tutto questo tempo?
 
 
Quanto tempo è passato?
 
 
Non lo so, forse troppo.
 
 
 
Ti prego…
 
 
 
Takanori….
 
 
 
Non andare via…
 
 
 
Non lasciarmi.
 
 
 
Non ti lascerò.
 
 
 
 
Io senza di te…




 
…Non sono niente



 














































Eccoci qua, e anche questa storia è finita. Ah... ancora non mi capacito di averla scritta e di averla terminata. Ricordo ancora quando sognai la storia per la prima volta. A quel tempo non avrei mai pensato di riuscire a scriverla tutta e postarla qui su efp. Se l'avete letta e apprezzata e anche grazie all'aiuto di Federica (Kyoite) che mi è stata vicina e mi ha sopportato tutto il tempo. Ma ancora non è il momento di venire ai ringraziamenti. Vorrei dire qualcosa su questa fanfiction. Per me, fin dall'inizio, non è mai stata solo una fanfiction. Without You I'm Nothing è un mondo, un universo parallelo in cui Reita e Ruki non sono musicisti ma sono due esseri umani normali che vivono tranquillamente le loro vite e che un giorno si incontrano (per destino oppure no, chissà...). Questa storia porta con sè tante cose: ricordi e sogni che ho fatto nel corso dello scorso anno, ma soprattutto trascrive tante mie idee, teorie ed esperienze che ho provato nella mia vita e che involontariamente o meno ho riflettutto negli eventi e nei personaggi. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza i Reituki che ormai, per chi mi conosce, sa che non sono un semplice otp per me. Reita e Ruki sono due persone che mi rendono felice, che mi scaldano il cuore e che mi rasserenano l'animo. Sembra stupido pensare a due persone che nemmeno conosco in questi termini, eppure è proprio così. Per me basta vedere una foto di Reita e Ruki insieme per allontanare le nubi e far tornare il sereno nella mia giornata. A volte mi stupisco di quanto due persone possano trasmettere così tanta energia e  così tante emozioni. Probabilmente perchè c'è qualcosa di puro in tutto ciò. E probabilmente perchè sognare non fa mai male, no? Pensare che Reita e Ruki siano più che amici e colleghi è una cosa così dolce e romantica che non riesco a vederci nulla di male. Se così fosse, beh...auguro a loro tante cose belle ♡ 
Ma torniamo sul capitolo. Più che un capitolo, è un epilogo....anzi. Io lo chiamerei un 'interlude'. E' un qualcosa, uno spezzone di vita di Akira...tuttavia non ha nè tempo nè spazio. Non si sa quando avviene quello che avete letto. Forse è l'Akira che abbiamo incontrato all'inizio della storia o forse l'Akira che ha riniziato una nuova vita insieme a Jonathan. Non lo so. Mi piaceva questa scena di Akira che si alza e si sporge dalla finestra per vedere la Luna. Un piccolo momento di pace e di tranquillità. Senza spazio nè tempo. 
Ma...dopo cosa succede? Non posso dirvelo. Interpretatelo come volete. Probabilmente i due stanno comunicando a distanza, ognuno nel proprio letto, nella propria vita. In fondo Akira e Takanori saranno sempre irrimediabilmente legati. Forse è tutto un sogno di Akira? O forse i due, da qualche altra parte, si sono rincontrati? Non saprei dirlo. Interpretatelo come volete. Voglio che il finale sia qualcosa di personale. Ogni lettore decide come meglio crede. Tuttavia sono davvero emozionata di annunciare due piccole sorprese: ci sarà uno spin-off di WYIN e ........ci sarà un continuo! Non so quando nè come; considerando che sto scrivendo la tesi di laurea, dubito che scriverò tutto quello che vorrei immediatamente. Però ecco...ho davvero intenzione di non far finire tutto qui. Questa storia è troppo importante per me. Grazie per averla letta, amata e odiata. Vi ringrazio con tutto il cuore.
Mi dispiace dilungarmi troppo ma sento che devo farlo. Ho bisogno di ringraziare un paio di persone.

grazie a tutte le persone che hanno recensito: siete state sempre dolci e disponibili a 'sprecare' pochi minuti del vostro tempo per farmi sapere i vostri pensieri a riguardo. grazie mille di ogni singola parole che mi avete scritto.

grazie a Federica (Kyoite): sei la ragazza più dolce che conosca, il mio piccolo angelo custode. Mi sento così fortunata a conoscerti e a essere tua amica. Sei una delle persone più importanti della mia vita e ogni giorno mi chiedo cosa ho fatto di bene per meritare la tua attenzione. Ti voglio bene ♡

grazie Chiara
 (gothic_romance): mi ha fatto piacere incontrarti dal vivo e sentire tutti i tuoi complimenti nei confronti della mia storia. Sei una ragazza bellissima sia dentro che fuori.

grazie ad Alice, la mia coinquilina e nonchè una delle mie migliori amiche: grazie perchè mi sopporti ogni giorno e grazie mille per avermi abbracciata forte durante il concerto dei Placebo in cui ho pianto come una bimba proprio mentre loro stavano suonando 'Without You I'm Nothing'. Ha significato molto per me. Ti voglio tanto bene.  

grazie ai Placebo: loro sono la mia band preferita, la band con cui sono cresciuta e che mi ha accompagnata nel corso della mia infanza, adolescenza ed età adulta. Grazie perchè mi ispirate ogni giorno e grazie per farmi sentire un po' meno sola ogni volta che ascolto la vostra musica. Grazie per aver ispirato questa storia. Grazie per le vostre canzoni che sembrano così lontane ma allo stesso tempo così vicine alla mia vita e a tutto quello che ho passato. Grazie di ogni singola nota e di ogni singola parola. 



Grazie a chiunque abbia letto, grazie ai lettori silenziosi, grazie a chi si è fatto sentire su twitter o su facebook. Grazie a chiunque mi abbia supportata. 

 

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