Acqua e Luna

di Kourin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***



Capitolo 1
*** I ***


Premessa

Questa fanfic si colloca nello stesso universo di “Il carro dell'alba”. Penso che possa essere letta indipendentemente, tuttavia avviso che nella storia precedente avevo innalzato le età dei personaggi di cinque anni e avevo posticipato le investiture dei Gold più giovani. Gli effetti collaterali, qui, sono che Mū ha sedici anni anziché undici e che non tutti sanno che è il Santo di Aries. Inoltre, essendo stato presente al Santuario nella notte del presunto tradimento di Aiolos, ha finito per essere parzialmente consapevole dell'inganno da subito.


 
Acqua e Luna



I



Il Santuario era stato inondato dalla luce violetta del crepuscolo senza che il fuoco del tramonto avesse toccato suoi palazzi e i suoi templi. Tuttavia le nubi antracite che avevano oscurato il sole ora si stavano spostando lontano, sospinte dagli etesii che spalancavano finestre sempre più ampie sulla volta stellata di mezza estate.
Da quelli sprazzi di blu intenso scendevano i raggi di una luna prossima alla sua pienezza e, mentre le rovine bagnate dalla pioggia divenivano argentee, la terra che era stata arroventata dalla calura e gli arbusti cresciuti sui pendii riarsi iniziavano a respirare con sollievo.
Anche il giovane custode della Casa del Leone inspirò a pieni polmoni l'aria nuova.
Tutto sembrava così piacevole, eppure era proprio da quando era cessata la pioggia che era iniziato quello strano lamento che gli lambiva i sensi superiori, come una goccia d'acqua che gli s'infrangesse a ripetizione nel Cosmo. Forse non era nulla di pericoloso, ma Aiolia si sentì in dovere di controllare. Scese così nei templi sottostanti, al momento sorvegliati solo dalle correnti che si rincorrevano negli spazi fino a poco prima invasi dall'afa.

Arrivato in prossimità della Terza Casa decretò che, qualsiasi cosa fosse, proveniva proprio da lì.
Mosse un passo verso l'ingresso, il suo piede calpestò una pozzanghera, la luna che vi si specchiava andò in mille pezzi lasciando spazio ad una densa oscurità. Aiolia però era abituato ai singolari giochi di luce di quel tempio ed arrivò senza distrarsi fino al suo centro, dove Gemini accoglieva i visitatori in solitudine, osservandoli con i suoi molteplici volti.
Come al solito la maschera a destra ghignava, mentre quella a sinistra rimaneva serena. Ma era il terzo volto, quello fatto di vuoto, il più enigmatico, perché il destino del possessore di quell'armatura era un mistero noto solo al Sommo Sacerdote. Saga doveva essere vivo: il suo tempio non portava la morte dentro come il nono, dove tutto pian piano scoloriva e diventava polvere. Qui viveva l'armatura e vivevano anche le stanze, che facevano da cassa di risonanza al suono che l'aveva richiamato fin lì.
Quando sentì una goccia cadere, Aiolia fissò il soffitto, ma quando ne cadde una seconda i suoi sensi avevano già individuato la vera sorgente. “È la maschera dell'angelo. Sta piangendo.
Si spostò allora su quel lato, ma poté solo constatare che le lacrime scendevano da entrambi gli occhi e che sembravano dense, proprio come quelle umane. Gli venne spontaneo chiedersi se esistesse una parola di conforto per un'armatura, ma nella sua recente memoria non riusciva a trovarne nessuna e così, testimone di qualcosa che andava al di là della sua comprensione, non poté fare altro che tornare sui suoi passi.

Il presagio lo rendeva nel contempo mesto ed inquieto. Il Sommo Sacerdote non amava essere disturbato per questo genere di problemi. Con un tradimento alle spalle e una Guerra Sacra alle porte, i più lo ritenevano un atteggiamento comprensibile. Eppure non era il primo fatto strano che accadeva negli ultimi tempi e Aiolia iniziava ad essere stanco di vedere e non capire.
Aveva quasi raggiunto le statue della Quinta Casa quando si fermò, i nervi in allerta. Che cos'era quello sguardo che sentiva su di sé? L'istinto lo portò a voltarsi verso l'Altura delle Stelle. “Possibile che il Sommo Shion mi stia controllando?
Eppure lassù c'era solo la sagoma del piccolo tempio che si stagliava scuro nella luminosa costellazione della Vergine. Nulla indicava che l'anziano santo si trovasse lì, intento a sorvegliare i pensieri del fratello di colui che aveva portato tristezza e paura nei luoghi consacrati ad Athena. Partendo dalla sommità della cupola, Aiolia percorse con lo sguardo l'eclittica fino ad oriente, dove poche ore dopo sarebbe sorto l'Ariete.
Che fine hai fatto, Mū? Forse tu potresti darmi una spiegazione,” disse tra sé. Tanto sapeva perfettamente che, anche se avesse rivolto quella domanda agli dèi, la risposta sarebbe sempre stata un silenzio ancor più profondo di quello del cielo.


 
***


Il mondo era stato scosso da grandi rivoluzioni, ma a Gorō-Hō il torrente aveva continuato a precipitare nel vuoto come se nulla fosse accaduto. Per le dodici ore del giorno e della notte, nei dodici mesi lunari, negli anni di Fuoco, Terra, Metallo, Acqua e Legno, fossero Yin o fossero Yang, la corrente fluiva, ora più pacifica, ora più impetuosa, creandosi la propria strada nella roccia.*
Ormai Dōko era in grado di capire in che punto del tempo si trovasse sulla base di quel mormorio. Gli bastava ascoltare il muggito che seguiva le piogge estive per capire che il plenilunio del sesto mese era ormai prossimo. Correva ancora una volta l'anno del Serpente di Fuoco. Il quindicesimo anno del Serpente vissuto nel misopethamenos, il primo senza Shion oppure, da un punto di vista meno malinconico, il primo in compagnia del giovane Mū.
Dōko sbatté pigramente le ciglia. Spesso si dimenticava di possedere un senso della vista perfettamente funzionante, ma stavolta decise di usarlo per seguire i progressi del suo allievo adottivo secondo una visuale più terrena. Aveva bisogno di sentirsi parte del mondo: dopotutto non mancava poi tanto, al momento in cui vi avrebbe fatto ritorno.

Il ragazzo si trovava poco più a valle. Si era mantenuto immobile da quando il sole era scomparso dietro alle sporgenze rocciose, le gambe immerse fino alle ginocchia nell’acqua gelida del torrente. Sebbene fosse cresciuto sull'Himalaya, aveva finito per adattarsi bene all'addestramento nell'ambiente rigoglioso e umido del Monte Ro. I raggi lunari donavano alla sua carnagione lo splendore dell'astro, la brezza generata dalla corrente gli faceva ondeggiare i capelli come se fossero composti d'acqua. Il suo Cosmo era ormai penetrato ovunque, incanalato nelle venature millenarie delle rocce, abbarbicato alle radici secolari dei pini, adagiato tra le effimere infiorescenze dei muschi. Dōko si chiese se il lieve scintillio dorato emanato da queste ultime fosse indice di sbadataggine o di eccesso di sicurezza. Finì per propendere per la seconda, e il vecchio corpo intorpidito si risvegliò in un pesante sospiro: avrebbe potuto trattenere quell'allievo ancora per qualche mese, non certo in eterno.
Forse fu proprio quel sospiro, o forse solo una falena ingannata dal bagliore a fare sì che Mū si decidesse ad allargare le braccia e muovere le labbra per pronunciare, silenziosamente: “Crystal Wall”.
La luce del Cosmo si liberò all'improvviso per addensarsi in una sottile parete che arrivava compatta fino ai picchi circostanti, per poi sfumare gradualmente verso il cielo stellato.
L'acqua sembrò voler aggirare l'ostacolo inondando la boscaglia, ma la barriera le s'incurvò intorno come una rete che la sollevava verso l'alto. Sentendosi in trappola, il dragone azzurro iniziò a dibattersi sempre più energicamente finché il rombo si trasformò nel fragore di un tuono: era chiaro che il Crystal Wall aveva raggiunto il suo limite. Mū lasciò che apparissero le prime crepe, aspettò e aspettò ancora prima di gridare, stavolta forte e chiaro: “Starlight Extinction!”
Il dragone e la rete si volatilizzarono all'unisono, mentre il bosco, il tempio e le vicine risaie venivano inondati da un acquazzone composto da miriadi di scaglie cristalline.
Dōko ascoltò il canto della pioggia da sotto il cappello consunto, constatando che lo spirito del fiume non sembrava essersela presa troppo per quel gioco da ragazzini. Come a voler fare pace con lui, il Santo di Libra si lasciò andare in una risata liberatoria.

“Che ve ne pare, Anziano Maestro?”
La voce giovane di Mū l'aveva raggiunto sotto la sporgenza rocciosa prima ancora del corpo, che acquistò invece la normale consistenza un po' per volta, come se fosse stato composto di nebbia. I grandi occhi verdi erano alzati in cerca di un'approvazione che sapeva già di avere, forte della bellezza diabolica della gioventù, per niente adombrata dal velo delle nubi che danzavano come spettri intorno alla luna.
“Avrai spaventato i contadini. Domani mattina correranno tutti qui a chiedermi spiegazioni, e chi li sente?”
“Che sarà mai?” replicò Mū sorridendo. “I loro campi saranno più floridi!”
“Però mi dispiace per lui,” aggiunse mentre un salmone gli si materializzava tra le mani. “Gli altri sono riuscito a teletrasportarli a valle, ma questo mi è sfuggito e ha battuto la testa. “Devo perfezionarmi ancora un po', spero che non abbia sofferto.”
Dōko prese il bastone e lo usò per rialzarsi, operazione che sapeva essere infinita per chi aveva un corpo giovane. Tuttavia Mū attese, senza dare segni d'impazienza.
“Seguimi, pecorella, sei diventata abbastanza grande per bere il sakè.”
Stavolta il ragazzo lo guardò sorpreso, perdendo parte della sua sicurezza, tanto che il cadavere del grosso pesce gli scivolò dalle braccia.
“E non guardarmi così, perché non voglio passare per uno che corrompe i ragazzi. Io e te dobbiamo parlare da uomo a uomo. Se non ho il sakè non mi riesce, non sono perfettino come qualcuno, sai?” disse dandogli un colpetto sul sedere col bastone, smuovendolo così dall'apparente stato di paralisi.





Note

* Dōko conta il tempo secondo il vecchio sistema di numerazione cinese chiamato Ganzhi. Per chi vuole divertirsi con l'argomento, l'omonima pagina di wikipedia (link) offrirà i dettagli precisi. Parliamo comunque di un calendario di tipo lunare secondo il quale, nel 1977, il plenilunio del sesto mese cadeva il 30 luglio.
Perché faccio tutto ciò, perché mi faccio tanto del male? Perché il sesto mese è il mese della Pecora dello zodiaco cinese e io sono una fan degli arieti!!!
Nooo vi prego non fuggite dopo questa rivelazione, ci sono ancora tre capitoli....XD

Kourin

 

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Capitolo 2
*** II ***


II





Era una giornata torrida e i raggi mattutini arroventavano le ripide scalinate già da alcune ore. Aveva raggiunto il Santuario armato di una borsa a tracolla e degli attrezzi appesi alla cintura, teletrasportandosi proprio nello spiazzo antistante la Prima Casa. Gli sembrò così strano rivederla che, per un attimo, pensò che fosse stata rasa al suolo e ricostruita. In realtà non era cambiato proprio nulla: il simbolo dell'Ariete era circondato dalle stesse, minuscole crepe che si divertiva a contare quand'era bambino. Non poté fare a meno di accarezzarle con lo sguardo, giusto il tempo sufficiente perché i soldati di guardia si accorgessero finalmente della sua presenza.
“Chi ti ha lasciato arrivare fin qui?”
“Non penserai mica di salire sulla montagna sacra!”
Arroganti nel tono e scomposti nelle movenze, più che soldati sembravano una banda di bulletti. Le loro armature di cuoio erano tenute proprio male, forse nessuno aveva mai spiegato loro come andavano allacciate.
“Sono Mū del Jamir,” rispose esibendo la lettera che recava il sacro sigillo. “Il Sommo Sacerdote mi ha convocato per conferire con lui. Fatemi passare.”
Seguì un istante di imbarazzato silenzio; Mū avanzò fino ad arrivare ad un palmo dal naso da coloro che si definivano soldati di Athena e quelli, intimoriti, si fecero finalmente da parte.

Primo, i soldati,” ripeté mentre risaliva con piglio deciso le prime rampe. Si era infatti imposto di memorizzare qualsiasi dettaglio sospetto che avesse notato. Tuttavia, benché la mente fosse focalizzata sull'obiettivo, il corpo non ne voleva sapere di acclimatarsi all'afa opprimente che lo avvolgeva. Giunto alla soglia della Terza Casa dovette fermarsi per asciugare il sudore che gli colava dalla fronte, e ritenne che fosse colpa di quella condizione se i suoi occhi parevano colpiti da lampi di oscurità. Avanzando all'interno, tuttavia, si accorse che le pareti restituivano alle sue percezioni vibrazioni simili a quelle prodotte dalle sacre vestigia, nonostante il piedistallo su cui queste ultime avrebbero dovuto trovarsi fosse vuoto. Si affrettò quindi verso l'uscita, ignorando il brivido che il sudore aveva generato scendendogli lungo la schiena.
Secondo, la Casa dei Gemelli,” sentenziò.
Continuò a muoversi guardingo nella Casa del Cancro Gigante, anch'essa vuota, né abbassò l'attenzione quando attraversò la successiva, sorvegliata dall'armatura ruggente che sapeva appartenere a quell'amico che non vedeva da anni.
Stranamente, il primo e unico guardiano che incontrò fu quello che presiedeva la Casa della Fanciulla.

Lungo tutta la salita regnava un religioso silenzio ma qui la quiete pareva, se possibile, ancora più sacra e profumava d'incenso di sandalo. A quell'ora la luce del sole non penetrava direttamente, tuttavia i colonnati sembravano trattenere prigionieri i raggi dell'alba. Il pavimento marmoreo restituiva un riverbero dorato che lo rendeva simile ad uno specchio, al centro del quale, tra gli otto petali del grande fiore di loto, sedeva in meditazione Shaka di Virgo.
Conoscendolo, poteva trovarsi in quello stato da giorni.
Mū si chiese se quel ragazzo lo stesse percependo come un santo, come un essere umano o, più semplicemente, come una parte infinitesima dell'universo. Per evitare di disturbarlo decise di percorrere il corridoio laterale, anche se non poté fare a meno di continuare a scrutare con curiosità la sua figura.
Vestiva una tunica arancione che lasciava scoperta una spalla: la muscolatura appena accennata rivelava una costituzione insolitamente esile, per un guerriero. Le mani erano chiuse in un mudra, lisce ed immobili, come se fossero rivestite della stessa materia con cui era stata forgiata Virgo, che invece era ricomposta alle sue spalle, le mani giunte in preghiera in direzione della statua di Athena.
Qualcuno gli aveva portato del riso, della frutta e una caraffa piena d'acqua, ma lui sembrava non averli toccati. Eppure il profumo del riso che arrivava alle narici di Mū sembrava così piacevole, così come l'aroma delle pesche mature adagiate nella fruttiera.
Perché mi sto lasciando distrarre in un momento così importante?” si chiese, e nel contempo Shaka mosse le labbra. Il gesto silenzioso si ripercosse attraverso tutto il tempio, che si risvegliò in un silenzioso sbadiglio. Le ombre si fecero più nette, il fumo d'incenso si diradò.
“Ho sentito arrivare la tua inquietudine prima ancora del tuo Cosmo. Non è da te,” furono le parole che gli rivolse il santo.
Mū allora gli si avvicinò e lo fissò negli occhi, incurante del fatto che questi ultimi si mantenevano placidamente chiusi. “Hai ragione, Shaka. Mi sono preparato a lungo per questo giorno, ma a quanto pare non è bastato.”
“La sofferenza che provi è solo un'illusione creata dal mondo.”
Nonostante considerasse l'origine del suo turbamento tutt'altro che illusoria, Mū ebbe la sensazione che quel ragazzo si stesse preoccupando per lui e perciò gli sorrise.
“A te non capita mai di essere turbato? Per la situazione in cui si trova il Santuario, intendo. Io sono stato lontano, ma le voci che mi giungevano erano tutt'altro che rassicuranti. Dovrei considerare anch'esse come semplici, vane illusioni?”
Shaka sciolse la posizione, lento come lo schiudersi di un fiore al mattino. I lunghi capelli, accarezzati dall'aria, scintillarono scrollandosi via gli ultimi residui dell'oro. “Lui non è una persona malvagia,” affermò sicuro, saltando connessioni logiche e preamboli.
Lo sfregare dei grani bruni del rosario accompagnò la sua discesa dal piedistallo, mentre continuava: “Anche tu sei in grado di distinguere il Bene dal Male, ciò che è benedetto da Athena e ciò che non lo è. Tuttavia, se continui a portare in te quest'intenzione ostile, sarò costretto a fermarti.”
“Io sono venuto fin qui per capire e non mi sentirò in pace finché non l'avrò fatto,” rispose Mū. “L'unico modo per risolvere questa situazione è che tu abbia fiducia in me. Lascia che io compia il mio dovere di servitore della dea, qualunque esso sarà.”

Terzo... Che cosa? La convinzione di Shaka? Oppure il mio dubbio?” si chiese una volta che fu uscito indenne dalla Sesta Casa.


La sala del trono era permeata dalla consueta aura pacifica, come se in quella terribile notte di quattro anni prima non fosse accaduto nulla e Mū fosse semplicemente l'allievo che rispondeva alla convocazione del maestro.
Mentre veniva accompagnato attraverso i corridoi, si meravigliò della prospettiva offertagli da un corpo che aveva superato abbondantemente il metro e settanta centimetri. Era evidente che gli attendenti avevano continuato ad occuparsi di quel luogo perché non c'era alcun segno d'incuria, eppure tutto ciò che ricordava come vivido e maestoso ora gli sembrava spento e ordinario.
Anche il sacerdote, visto di spalle, continuava ad assomigliare a colui che era stato il suo maestro.
Immerso nell'odore di pergamena e cera, aveva folti capelli biondi che scendevano a cascata a partire dall'elmo tirato a lucido. Imponente, vestito di una tunica d'un bianco immacolato, se ne stava in piedi davanti alla libreria, come assorto in pensieri profondi. Mū si avvicinò lo stretto necessario, quel che bastava per non precipitare nel baratro creato dalla crudele visione.
“Infine hai risposto alla convocazione.”
“Non avrei dovuto? Il fatto che mi abbiate voluto al vostro cospetto è un onore.”
L'uomo si voltò, e lo spostamento d'aria creato dalla veste fece tremare le fiammelle del candelabro. Mū era diventato abile nell'individuare le ombre più pericolose che si annidavano negli animi umani, e nella figura che aveva davanti non riusciva a scorgere un briciolo malignità.
L'anima più santa tra i santi, il Sommo Sacerdote portatore della compassione della dea, gli si stava addirittura avvicinando fino a sfiorargli il volto con il dorso della mano. Era liscio, gelido, tremante. “Non devi temere nulla da me. Non ti ho privato della vita quella notte, non ho motivo per farlo ora.”
Impietrito, Mū intravide il luccichio di una lacrima nell'ombra che l'elmo creava su un volto sofferente. Si ritrasse, combattendo con l'istinto di fuggire. Quelle quattro mura erano troppo piccole per contenere il suo sgomento e iniziò a provare paura di venirne schiacciato. “È come se stessi tornando ragazzino, come se...
“No...” il sussurro gentile del sacerdote interruppe il vortice delle sue emozioni. “Non abbandonarmi, Athena avrà bisogno di te. Io voglio fare in modo che lui non ti faccia del male... Ma tu, ma tu... Devi aiutare me.” Barcollando, raggiunse la sedia e vi crollò sopra sfinito, portando le mani alla testa, come se l'elmo fosse la fonte del suo tormento.
“Sono stato io stesso a chiederti di allontanarti, ma credo che tu ora sia diventato abbastanza forte da difenderti, qualora lui si ripresentasse. Ho già legittimato la tua investitura, in modo che tutti ti riconoscano come santo d'oro.”
“In modo che io possa legittimamente ubbidirvi? Non posso garantirlo,” scandì con calma Mū mentre si sforzava di rimanere immobile, le braccia lungo i fianchi, ignorando il tremore che le attraversava. Aveva infatti pronunciato parole che, secondo le regole del Santuario, avrebbero potuto costargli l’accusa di tradimento.
Il sacerdote, tuttavia, non lo rimproverò. “Certo, non posso chiederti di soprassedere a ciò che ti ho fatto.”
“Non solo a me,” sibilò Mū attraverso le labbra divenute aride. Le morse, ne uscì del sangue che cercò di inghiottire.
“Ma è di te che io mi sto preoccupando, ora,” rispose il sacerdote in tono dolce, come se si stesse rivolgendo ad un bambino. “Vorresti quindi ascoltare la mia proposta?”
Quella benevolenza continuava a deconcentrare Mū, privandolo della propria fierezza di santo. Annuì con un cenno, lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dal volto ancora oscurato dall'ombra.
“Sarai tu a decidere se accettare le missioni o meno. Si tratta di un privilegio che normalmente il Sommo Sacerdote non concede, ma vista la situazione non c'è altro modo perché io possa persuaderti a servire Athena. Ho già fatto sistemare le stanze nella Casa del Montone Bianco, in modo che tu possa occuparla da subito.”
Si trattava di una domanda rude, ma fu solo un filo di voce quello che uscì dalle labbra di Mū per chiedere: “Che cosa desiderate, in cambio?”
“Seguimi.”
Colui che aveva le sembianze del suo mentore lo condusse di persona in una stanza attigua, la cui porta era sigillata da numerosi talismani. Quindi li rimosse uno ad uno, invitandolo ad aprirla. Il finto allievo ubbidì con l'animo colmo di diffidenza, pronto ad affrontare la peggiore delle entità maligne. Invece venne investito da un lamento straziante, così intenso da farlo barcollare.
“Ti prego, falla smettere,” implorò alle sue spalle il sacerdote, e ogni stranezza che Mū aveva annotato quel giorno diventò di colpo insignificante. Fu solo capace di chiedersi: “Per tutti gli dèi, che cosa sta succedendo?





 

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Capitolo 3
*** III ***


III




Aveva chiesto di lui più volte, ma nessuno aveva saputo fornirgli informazioni sull'amico ritiratosi nel Jamir. Così, con il passare del tempo, aveva smesso di pensarci. Eppure, dopo che gli era giunta notizia della sua presenza al Tempio di Athena, Aiolia era subito accorso alla Quinta Casa e, senza preoccuparsi di vestire l'armatura, aveva iniziato a fissare con impazienza la scalinata che conduceva alla Sesta. Di solito i santi d'oro rivolgevano lo sguardo a valle, in attesa di un nemico: aspettare la discesa di un amico, augurandosi in cuor suo che fosse ancora tale, era proprio una cosa a cui non era preparato.
Lo vide arrivare quando era passato mezzogiorno, vestito di una tunica chiara e dell'inseparabile sciarpa di colore rosso. Portava ancora i capelli lunghi e aveva mantenuto i tratti delicati che lo facevano assomigliare ad una ragazza, ma il fisico ormai sviluppato rendeva impossibile confondersi sul suo genere. Trasportava sulle spalle uno scrigno dorato.
Che sia davvero diventato il Santo di Aries?
Si fermò appena prima della netta linea d'ombra che delimitava la soglia. Non mostrò particolare sorpresa nel trovarsi davanti ad Aiolia, o perlomeno non lo diede a vedere: sembrava quasi che la sua attenzione fosse rimasta sull'Himalaya.
“Mū,” lo chiamò per invitarlo ad avvicinarsi. “È trascorso così tanto tempo...”
Allora l'altro sembrò destarsi e riconoscerlo. “Sono ben quattro anni,” rispose entrando nella penombra del tempio, mentre Aiolia notava, con un misto di delusione e curiosità, che lo scrigno che trasportava era quello di Gemini.
“È stato motivo di grande gioia apprendere che hai ricevuto il titolo di Santo di Leo. In cuor mio avevo sempre saputo che sarebbe accaduto. Permettimi di porgerti le mie congratulazioni,” disse tendendogli la mano.
Stupito, Aiolia si affrettò a stringerla, notando quanto fosse gelida a dispetto della temperatura esterna. “Non è necessario che usi toni così formali con me.”
“Sei un Santo d'Oro,” rispose lui sorridendo, con la gentilezza che aveva sempre contraddistinto i suoi modi. Ma subito un pensiero improvviso parve ghermirla, perché l'espressione si fece dura e gli occhi, assottigliatisi, divennero taglienti.
Per un attimo ad Aiolia parve di vedersi allo specchio, cosa che ritenne assurda, dato che nessuno poteva aver condiviso ciò che aveva provato negli ultimi anni. Chiese: “Per quale motivo sei rimasto lontano per tutto questo tempo?”
“Erano gli ordini Sommo Sacerdote,” fu la laconica risposta di Mū, che s'incupì ulteriormente quando aggiunse: “Preferirei non parlarne. Per favore, mi lasceresti scendere, adesso?”
Aveva già preso in considerazione la possibilità che quel ragazzo non volesse più avere a che fare con lui, ma di certo questo non era il tipo d'incontro che si era aspettato.
“E perché mai non dovrei farti passare!” esclamò facendosi da parte. Mū proseguì come se non avesse sentito, ma le sue mani tremavano impercettibilmente. Un movimento nervoso che forse un santo di casta inferiore non avrebbe notato, ma che ad un massimo custode del Santuario non poteva sfuggire.
“Aspetta!”
Il ragazzo del Jamir si fermò, apparentemente incuriosito, scrutando Aiolia con la coda dell'occhio. Quest'ultimo aspettò che appoggiasse a terra lo scrigno, poi portò avanti il suo attacco.
Mū arretrò verso il centro del colonnato con un doppio balzo all'indietro e, dopo aver invitato l'avversario ad avvicinarsi nuovamente, iniziò a schivare ciascuno dei suoi pugni, spostandosi o deviandoli senza apparente sforzo. Sembrava che si divertisse, ma Aiolia non ne era contrariato e si chiedeva piuttosto fin dove sarebbe potuto arrivare. Così accelerò il ritmo, lasciando che la sfida si trasformasse in una danza impercettibile all'occhio umano.
Una volta raggiunte velocità che senza armatura sarebbero stati insopportabili, Mū si scansò lateralmente e poi si fermò appoggiandosi alla schiena dell'amico, sfidandolo: “Vogliamo provare a fare sul serio?”
“Ti stavo solo concedendo un po' di vantaggio,” sogghignò Aiolia in risposta, imitando il tono adulto che l'altro aveva usato.
“E io che credevo di aver lasciato il vantaggio a te!” esclamò Mū prima di voltarsi e muovere il pugno destro in direzione del volto di Aiolia, che l'afferrò nel palmo della mano, per poi bloccare allo stesso modo anche il pugno sinistro.
Si sorprese a dover far ricorso a tutta la sua esperienza per non indietreggiare, perché quello che si contrapponeva al suo era un Cosmo vasto e fiammeggiante, che emanava un'energia figlia del sole. Era fratello di Leo, senza ombra di dubbio, come in fondo aveva sempre saputo.
Aiolia diminuì la stretta e lasciò che l'energia che ardeva nelle loro braccia si estinguesse. “Almeno una risposta l'ho ottenuta,” concluse, ma si limitò a dire: “Sono contento di vedere che non hai smesso di allenarti!”
Mū gli sorrise, poi si lasciò cadere a terra e chiuse gli occhi, come se volesse mettersi a dormire sul pavimento.
Aiolia portò le mani sui fianchi, sospirò e disse: “Spero che non te la sia presa.”
Lui scosse il capo sorridendo, come a dire che non c'era problema, ma restò lì dov'era, i capelli chiari sparsi sul marmo a fargli da cuscino, le piccole sopracciglia rotonde a ricordare che era appena arrivato dall'altro capo del mondo dove, forse, comportarsi così era normale.
Aiolia gli si accovacciò accanto, realizzando quanto il pavimento fosse piacevolmente fresco, e lasciò che l'insistente gracchiare di un corvo tamponasse temporaneamente il silenzio che si era venuto a creare. In realtà c'era un'altra cosa che doveva chiedere, la più importante. Non sapeva che reazione aspettarsi ma, dopo quattro anni di vuoto, qualsiasi risposta gli sarebbe andata bene. Mū era vivo: il suo mutismo non poteva durare in eterno.
“È tutta colpa di Aiolos. Sei stato allontanato perché, quella maledetta notte, avevi voluto aiutare me che non credevo al suo tradimento... È così, vero?”
Mū spalancò gli occhi verdi per fissare il soffitto, o qualcosa di più lontano che stava oltre il soffitto, tanto che Aiolia ebbe l'impressione che stesse per teletrasportarsi via. Per fortuna, invece, sia la sua attenzione che il suo corpo rimasero nella Casa del Leone. Rispose: “Aiolos non c'entra con il mio allontanamento. Era accaduto qualcosa che andava oltre alla nostra capacità di comprensione, qualcosa...” Esitando, si voltò per fissare i due putti che ornavano lo scrigno di Gemini.
“Non serve che ci giri tanto intorno,” lo interruppe Aiolia, sedendosi sulle ginocchia. “Se puoi, perdonami. Ti chiedo scusa in nome di entrambi.”
Mū si alzò subito per assumere la stessa posizione, gli occhi ancora più sgranati, come se non capisse o fosse impaurito. Aiolia, allora, continuò: “La verità per me è chiara. Aiolos, anche per una sola notte, è stato un criminale e da criminale è morto. Ma se io sono qui, a presiedere questo tempio, è per riparare alle sue colpe. Perciò, se c'è qualcosa che posso fare, qualsiasi cosa... sentiti libero di chiedere.”
“Aiolia... che cosa potrei mai chiederti? Sono io, piuttosto, quello che dovrebbe porgere le proprie scuse.”
“Mū, non capisco a cosa ti riferisci. Non puoi continuare a parlarmi per enigmi.”
“Davvero pensi che sia tutta colpa di Aiolos?” gli sussurrò invece l'amico, e Aiolia cominciò a sentirsi infastidito. “E di chi altro, del Sommo Sacerdote?” sbottò.
Di nuovo, in risposta, ottenne quello strano sguardo tagliente; poi arrivarono le parole, ma queste non giungevano alle orecchie, bensì direttamente al cervello.
Il punto è che io, in realtà, non so che cosa sia accaduto davvero quella notte. Posso solo dire che sacerdote era lui e al contempo non era lui. Non escludo che per tuo fratello sia accaduta la stessa cosa.
“Non era lui? Che cosa intendi?” chiese Aiolia, facendo uso della propria voce. Non capiva infatti perché dovesse nascondere il suo pensiero in un tempio sacro alla dea. Quello di cui era guardiano, per giunta.
Come allarmato, Mū avvicinò l'indice alle proprie labbra, per fargli segno di tacere; quindi continuò a parlargli nella mente.
Intendo dire che entrambi erano posseduti da un'entità esterna, un demone, un dio, non lo so. C'è anche la possibilità che la colpa sia esclusivamente di colui che veste i panni del Sommo Sacerdote e non di Aiolos. Ma io non ho le prove di nulla, capisci?
Di quel discorso delirante, Aiolia afferrò solo che Mū stava mettendo in dubbio la parola del Sommo Sacerdote, suo maestro e rappresentante della volontà di Athena. Abituato ad essere messo quotidianamente alla prova, si chiese se non si trattasse dell'ennesimo stratagemma per mettere in discussione la propria fedeltà al Santuario.
Fissò gli occhi di Mū con rabbia, chiedendosi se la meschinità del mondo potesse essere arrivata fin lì. Che cosa stava crescendo, in fondo a quel verde limpido? Sentendosi tremare di sdegno, si avvicinò minaccioso al volto dell'altro fino a poterne sentire il respiro, sibilando: “Si può sapere a che gioco stai giocando? Dimmelo, perché io so riconoscere questi trucchetti. Mi credi stupido?”
Mū interruppe bruscamente il contatto rialzandosi in piedi. “Tu non vuoi capire quello che ti sto dicendo.”
Aiolia lo afferrò per un braccio. “Io capisco solo la colpevolezza Aiolos. Sono cresciuto, non gioco più ad illudermi che le cose siano andate diversamente.”
“Illudersi...” mormorò Mū, il bel volto privo di espressione, come se un fulmineo incantesimo l'avesse trasformato in una bambola.
Aiolia, preso alla sprovvista, lo rilasciò.
Lui si rimise in spalla lo scrigno e proseguì per la sua strada. “Farsi carico di una colpa di tali dimensioni... è semplicemente ingiusto,” disse piano, come se stesse parlando tra sé.
Sentendosi come se avesse appena incassato un pugno nello stomaco, Aiolia lo restituì d'istinto alla colonna più vicina, salvo poi pentirsene quando sentì tremare l'intera costruzione.


Si era mantenuto immobile per alcuni minuti, lo sguardo fisso sulle scanalature, incapace di agire e di riflettere. Tuttavia non ebbe bisogno di voltarsi, per sapere che il custode della Sesta Casa l'aveva raggiunto.
“Puoi stare tranquillo, non è successo nulla,” lo rassicurò mentre si ricomponeva per affrontarne l'inscalfibile ieraticità. A volte aveva la sensazione che Shaka lo vedesse come un bambino, cosa che appariva piuttosto buffa dato che, nonostante avessero la stessa età, Aiolia sembrava più vecchio di almeno due anni. Era impossibile, però, sottovalutare la vastità del Cosmo che manteneva sigillato dietro alle palpebre chiuse. Forse era proprio preservando l'azzurro profondo dei suoi occhi che era riuscito a conservare quell'infallibile saggezza infantile che gli altri santi avevano imparato a rispettare.
“Non credo che tu ti sia scomodato a scendere fin qui per suggerirmi di darmi una calmata,” disse girandosi in sua direzione. “Spero invece che tu sia qui per parlarmi della presenza di Mū, perché io non so come comportarmi.”
“Il punto non è la sua presenza, ma suo cuore,” precisò il Santo di Virgo.
Aiolia incrociò le braccia sul petto e continuò: “Io non sento niente di pericoloso. Mi sembra semplicemente strano, e ancora più strane sono le sue parole.” “Degne di un'accusa di tradimento, se è vero che mi stava parlando con sincerità,” aggiunse tra sé.
Shaka sorrise serenamente. “È inquieto, proprio quanto te. Continuando così, sarete sempre soggetti alla legge del karma.”
Contrariato dalla piega che stava prendendo il discorso, Aiolia si sforzò di trattenere un moto di irritazione: non aveva affatto intenzione di inoltrarsi nella filosofia di colui che veniva definito come un buddha vivente. “La nostra divinità è Athena e dobbiamo obbedienza al suo rappresentante, vale per entrambi,” ricordò a se stesso. Disse quindi: “Da quel che posso capire, il Sommo Sacerdote lo ha convocato perché risolva quel problema con l'armatura di Gemini. Ne sai qualcosa?”
“So che il rapporto con il Sommo Shion lo turba da tempo. È insolito, un conflitto del genere tra maestro e allievo, tanto che mi chiedo se lo siano davvero.”
Secondo Aiolia, però, era insolita anche la titubanza di Shaka. Gli chiese: “Che cosa intendi fare?”
“Nulla. Non c'è modo in cui io possa intervenire nel destino di Mū.”
Per quel ragazzo il non fare nulla era un concetto piuttosto vago, dato che sarebbe stato in grado di atterrare decine di avversari senza muovere un dito. Aiolia si sentiva tuttavia sollevato, perché nemmeno il santo più abile nel leggere nei cuori delle persone considerava il comune amico del Jamir come una minaccia.
Chiese quindi a Shaka se volesse il cambio nel sorvegliare la Salita delle Dodici Case, e lui rispose che non ce n'era bisogno. Forse iniziava a confondere il suo turno di guardia con l'eternità, o forse intendeva semplicemente assumere il controllo della situazione.





 

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Capitolo 4
*** IV ***


IV




I raggi infuocati del tramonto colpirono l'ingresso occidentale, proiettando le ombre lunghe del colonnato fin nel cuore della Casa dei Gemelli. Solo allora iniziò a staccare i sigilli che chiudevano lo scrigno d'oro che gli era stato affidato. L'ombra del riparatore finì così per venire inglobata nello stesso disegno arancione in cui l'armatura dispiegava le proprie braccia. Il primo istinto di Mū fu quello di allontanarsi, ma poi si trattenne, perché quella che aveva davanti era l'unica, vera risposta che gli era mai stata concessa da Athena.
Continuò a studiare ogni scintilla, ogni venatura luminosa che si formava e si dissolveva nell'oro. Le mutevoli ombre della sera donavano alle maschere nuove espressioni, ora di tristezza, ora di collera. Mentre contemplava con stupore quella fluida alternanza, Mū si ricordò di certi strani appunti trovati per caso nella biblioteca del Jamir.
In quelle pagine si sosteneva che Gemini in principio avesse avuto altri volti ma che questi ultimi, oltre a conferirle un aspetto grottesco, la rendessero instabile: pertanto i fabbri dell'epoca erano stati costretti a nasconderli fondendoli con le altre parti. Sui margini, però, un'altra persona aveva annotato che erano tutte corbellerie. Da parte sua, Mū sapeva che dietro alle leggende si nascondevano fatti reali e si rammaricò per l'ennesima volta di non poterne discutere con un riparatore più esperto.
Mi diceste che il legame tra maestro e allievo dura per tutta la vita ed è in grado di superare la morte: dove siete, adesso, mio amato Maestro Shion?” si chiedeva, mentre il cielo viola lasciava spazio ad un blu profondo, che a sua volta lavava via ogni residua sfumatura del giorno.
Quando le espressioni dei volti si furono cristallizzate in quelle che gli abitanti del Santuario chiamavano angelo e demone, la tristezza di Gemini si risvegliò. Non ci volle molto perché dagli occhi della maschera sinistra iniziassero a sgorgare le lacrime. Mū ne raccolse una tra le dita e la spanse tra i polpastrelli, notando che era composta di un fluido denso, brillante e inodore. Doveva trattarsi di una miscela acquosa di polvere di stelle anche se, secondo logica, quest'ultima non avrebbe dovuto essere in grado di sciogliersi nella normale condensa atmosferica. “Non credevo che una trasformazione del genere fosse possibile. Se continua così, quest'armatura si deteriorerà,” concluse, preoccupato.
S'inginocchiò quindi davanti al piedistallo e pose il palmo della mano destra sulle decorazioni del basamento, per meglio entrare in contatto con l'inquieta forza vitale delle vestigia. “Sacra armatura di Gemini, sono qui per te. Che cosa vuoi dirmi?”
Gemini in risposta vibrò in un tono basso: una frequenza davvero insolita, considerando l'elevata percentuale di Gammanium che doveva contenere. Nel contempo le braccia si mossero scambiando le posizioni dei quattro mudra ma, a differenza degli altri, il bracciale destro non riuscì a piegare le dita in maniera corretta e rimase invece teso, come a chiedere aiuto.
Mū lo staccò con prudenza, lo soppesò, ne tastò attentamente il guanto. Proprio lì individuò l'equivalente di una cicatrice sul corpo di un essere vivente, come se in quel punto le vestigia avessero subito un danno che fosse stato riparato dal sangue di un santo. “Ma chi può aver eseguito una riparazione così grossolana? Non certo Shion! E perché mai il mio maestro non avrebbe corretto un difetto del genere?
Gemini intanto continuava a vibrare, toccandogli le onde cerebrali, obbligandolo ad entrare in sintonia con la sua coscienza di strumento divino. Una successione di suoni e sillabe, una lingua che Mū non aveva mai imparato ma che forse conosceva da sempre, perché si sentì mancare il terreno sotto i piedi quanto ebbe realizzato che la risposta alle sue domande era solo una, ed era piuttosto chiara.
“Shion non ha avuto modo di ripararti perché questa è la ferita che porti per averlo ucciso.” Appoggiò il bracciale a terra, scrutò uno dopo l'altro gli attrezzi e i materiali che aveva allestito per la riparazione. “Povera armatura... Io non sono certo di poter fare qualcosa per te.”
Decise di lasciare tutto così com'era, scese alla Casa del Montone Bianco e lì indossò Aries.



“Dove stai andando?”
La prevedibile domanda riecheggiò immediatamente nella Casa del Leone, in quel momento illuminata dalle fiamme di due bracieri. Faceva uno strano effetto trovarsi davanti ad Aiolia vestito dell'armatura. Aveva un aspetto diverso da quello mostrato di giorno: la criniera del diadema mescolata ai riccioli biondi gli donava un aspetto ferino, accentuato dai riflessi del fuoco che guizzavano nelle iridi azzurre.
“Alla Tredicesima Casa,” gli rispose Mū senza mezzi termini.
“Il sacerdote ha dato ordine di non essere disturbato, per nessun motivo.”
“Aiolia... io devo andare.”
“Vengo con te.”
Mū lo guardò stupito, l'animo avvolto dal calore dell'amicizia che gli veniva offerta, la mente raggelata dalla consapevolezza del rischio a cui l'avrebbe esposto. Scosse il capo, calmo, mentre le correnti agitavano i bracieri e scuotevano i candidi mantelli, donando vita all'immobile confronto che si svolgeva tra loro e tra le loro doppie ombre. “No, si tratta di una questione tra me e il mio maestro.”
“Come santo dovrei fermarti, come amico dovrei seguirti. In ogni caso non posso fare finta di nulla,” insistette Aiolia, che prima si fece da parte per farlo passare, poi iniziò a correre al suo fianco lungo la scalinata della Casa della Fanciulla.
“Aiolia, per favore: stanne fuori.”
“Non provare a ripeterlo. Che cos'è successo, laggiù alla Terza Casa?”
Prima che Mū trovasse le parole per rispondere, davanti a loro era già apparsa la figura di Shaka. Indossava anch'egli l'armatura e li stava aspettando in piedi sulla soglia. Teneva i palmi delle mani aperti in loro direzione, la destra all'altezza del petto, la sinistra all'altezza del fianco, ad indicare che li accoglieva in pace.
“Shaka, per favore, lasciaci passare!” disse Aiolia.
“Shaka, ti imploro, fermalo!” disse Mū.
Sentì il proprio corpo venire in contatto con la barriera cosmica del Santo di Virgo e, quando l'ebbe superata, constatò di essere rimasto solo. Alle sue spalle udì il grido di rabbia di Aiolia e l'onda feroce suo Cosmo che s'infrangeva nella placida immensità di quello di Shaka.
Le gambe rallentarono fino a fermarsi e forse in quel momento gli si fermò anche il cuore, ma la volontà che lo muoveva era più forte e pulsava all'unisono con le sacre vestigia di Aries. Così proseguì senza voltarsi: anche di quella ferita avrebbe potuto occuparsi dopo, se fosse tornato vivo.


Non c'era nessuno di guardia davanti al portone del tempio. Mū lo aprì e il cigolio attraversò una Sala del Sacerdote deserta e completamente buia.
Non c'era anima viva nemmeno nelle altre stanze: non i passi furtivi di una cameriera, non il crepitare di una torcia, non il ronzio di un insetto. Come se tutto stesse trattenendo il respiro, per permettergli di sentire.
Accompagnato solo del clangore prodotto dalla propria armatura, Mū avanzò nella totale oscurità fino ad imbattersi in un angusto corridoio illuminato da due file di candele. Se non avesse saputo che conduceva alla vasca termale, l'avrebbe potuto intuire dal continuo, lieve sciabordio che proveniva dall'estremità opposta. Così proseguì, facendo tremolare le timide fiammelle. Qualcuna si spense, qualcuna combatté per restare in vita e guidarlo davanti ad un ingresso ad arco, chiuso da una tenda di colore rosso cupo. Quest'ultima ondeggiava impegnata in una silenziosa danza tra freddo e caldo, tra ombra e luce. Quando Mū la scostò, il tessuto gli lasciò addosso la sensazione di una gelida carezza, rimpiazzata subito dal calore del vapore che risaliva dalla superficie dell'acqua, vasta quasi quanto l'intera stanza.
In prossimità del soffitto si aprivano due file di finestre, ma le nubi che stavano transitando sopra il Santuario sembravano giocare a nascondere la luna, rendendola una fonte di luce inaffidabile. Mū tuttavia non provava timore, perché sapeva che lo scintillio delle costellazioni sacre ad Athena era immutabile, e lo avrebbe guidato nel giusto.
Scese i gradini finché l'acqua tiepida gli ebbe lambito gambali e ginocchia e, incurante del mantello che s'imbibiva sulle increspature, percorse la lunghezza della vasca finché non si trovò a pochi centimetri da lui.

Pareva tranquillo, immerso nell'acqua che gli arrivava fino a metà busto, le braccia poggiate languidamente sul bordo. Guardava il suo ospite con occhi che la luce solare non avrebbe mai potuto dipingere di un saggio color ametista, ma solo di un innocente, limpido celeste.
Rimasero a lungo immobili, l'uno vestito dell'armatura e l'altro della sola pelle nuda, disturbati soltanto dal flusso gentile delle minuscole onde che Mū aveva generato al suo passaggio.
Quell'uomo non era Shion. Shion era nell'armatura di Aries ed era tutt'intorno, perché non aveva mai cessato di proteggere il Santuario. Che stupido era stato quattro anni prima, talmente impaurito da non essersene accorto! Il Cosmo del precedente Ariete ardeva nel fuoco dei bracieri, cantava nel soffio dei venti, si muoveva nelle scene narrate sui fregi ed abbracciava, infine, i loro corpi nell'acqua.
Non c'era mai stato un suo successore, né era ancora arrivato chi potesse sostituirlo. Le due persone che si stavano fronteggiando all'interno della Tredicesima Casa erano solo bambini, che delle guerre divine non sapevano nulla. Non il vero strazio, non la vera tristezza, anche se avevano pensato, ingenuamente, di esserne già colmi.
“L'hai capito,” disse lui, dolce.
“Hai fatto di tutto perché io arrivassi qui, ora,” replicò Mū, calmo, la voce che si dissolveva nel vapore. Come ebbe parlato, nel cielo fece capolino la luna. Si fermò, incuriosito, a cercarne il riflesso nello specchio d'acqua.
“Perché te ne stai lì con le mani in mano? Che cosa aspetti ad uccidermi?”
“Non spetta a me.”
Gli rispose una lunga risata cristallina. “A chi, se non a te, che stai indossando Aries? Prendi il mio posto e governa il Santuario. Oggi lui non può opporsi. Ho aspettato tanto questa notte, non lasciare che l'occasione vada perduta.”
Con uno scatto fulmineo Mū gli afferrò il collo e lo costrinse a sollevarsi in piedi. Anche senza i paramenti sacerdotali era imponente, ben più alto di lui, ma l'energia cosmica che lo circondava era docile come nessun'altra.
Purtroppo non sarebbe bastato stringere la presa per liberare quell'anima dal suo destino violento. Per giunta, era proprio a quell'anima che la dea aveva deciso di affidare una delle sue più preziose armature.
“Non te ne sei accorto? Athena continua a proteggerti, io non posso andare contro la sua volontà, né contro quella di Shion”
Mū rilasciò l'impostore, lasciando che si accasciasse nell'acqua, affondandovi e riemergendone, gemendo: “No!”
“Mi avevi chiamato per l'armatura. Ma io non posso farci niente se Gemini continua a piangere, perché quelle lacrime vengono dal cuore del santo che lei confida di ritrovare.”
Non avendo nient'altro da aggiungere, Mū voltò le spalle se ne andò.
Dietro di lui Saga di Gemini urlò, come se l'avessero colpito a morte.


Quando fu uscito dal portone rimasto aperto vide le sagome delle Case Zodiacali offuscate, e solo allora si rese conto che stava piangendo. Tuttavia non si fermò e scese la scalinata come avrebbe dovuto fare un vero santo d'oro, lasciando al vento il compito di asciugargli volto e mantello.
Eppure, una volta che fu tornato alla Casa della Fanciulla e che Aiolia lo ebbe sbattuto contro la parete con tutta l'armatura, Mū continuò a piangere senza riuscire a spiegargli nulla: perfino il nulla, in quel momento, gli sembrava troppo. Si sentiva come se l'universo gli fosse finito dentro all'improvviso, disperdendo i frammenti del suo essere tra le galassie più remote.

Quando Shaka li richiamò all'ordine, Mū ed Aiolia uscirono sotto la volta stellata. In quel momento la luna piena risplendeva nella costellazione dell'Acquario. Il Coppiere Celeste pareva offrire loro i raggi argentati dell'astro, facendo sì che le vestigia di Aries e Leo rifulgessero di una luce bianca e pura, come l'innocenza.
Si fermarono in prossimità di un tempietto diroccato poco distante dalla discesa. I grilli che lo abitavano tacquero. Mū si liberò delle ultime lacrime rimaste intrappolate tra le ciglia e, dopo aver seguito con lo sguardo il volo silenzioso di un pipistrello, tornò a parlare.
“Prima che venissi qui, l'anziano maestro di Gorō-Hō mi ha narrato una storia, una leggenda cinese. Vorresti sentirla?”
Aiolia stava ancora sbollendo la rabbia, ma chiese ugualmente: “Conosci il Santo di Libra?”
“Sì, spesso vado ad allenarmi da lui. Diciamo che siamo amici.”
Il giovane leone appoggiò la schiena ad una colonna che dava sullo strapiombo, incrociò le braccia e fissò le stelle. L'Ariete allora iniziò a raccontare.
“Una volta, tanto tempo fa, un gruppo di scimmiette arrivò davanti ad un pozzo. Queste scimmiette videro la luna riflessa sul fondo ed esclamarono: 'La luna è caduta, dobbiamo salvarla e rimetterla al suo posto!' Nella comune illusione che la luna fosse davvero caduta, quelle creature erano fermamente determinate a soccorrerla. Così una scimmia si aggrappò al ramo di un albero, e poi tutte le altre si aggrapparono alla coda della compagna che stava sopra, formando una catena. Ma ben presto il ramo si spezzò e precipitarono tutte nel fondo del pozzo.
Subito volsero lo sguardo in alto, videro la luna tornata nel cielo ed esclamarono felici: 'Ce l'abbiamo fatta! Anche se dovessimo morire qui, abbiamo salvato il mondo e rimesso ogni cosa al posto giusto!'”
Mū annuì tra sé soddisfatto, sorprendendosi delle proprie qualità di narratore.
Il suo interlocutore, però, non pareva per niente impressionato. “Lasciami indovinare: saremmo noi, queste geniali scimmiette?”
“Penso di sì... Penso che a noi non sia dato di distinguere l'autentica volontà di Athena dal suo riflesso, perché siamo esseri umani. Buffo, no? Eppure lei ci affida lo stesso queste straordinarie armature.”
“Come Gemini?”
“Come Gemini.”
“L'hai riparata?”
“Lo sa solo Athena, se mai si potrà riparare.”
Aiolia si tolse il diadema e si passò le mani nei capelli. Poi si staccò dalla colonna e si avvicinò. “Che cosa farai, ora? Hai intenzione di restare qui al Santuario?”
“No, penso che tornerò nel Jamir.”
“Ordine del Sommo Sacerdote?”
Mū chiuse gli occhi per qualche secondo, poi li riaprì per fissare intensamente quelli dell'altro. “Si tratta di una scelta personale. Penso che sia meglio così per tutti.” Dato che in risposta riceveva solo silenzio, continuò:“Siamo fratelli nel Cosmo, Aiolia. Continuando a servire Athena ci ritroveremo di certo, perché lei ci vuole uniti, al di là di ciò che noi giudicheremo come verità e al di là dei sentimenti che da oggi in poi proveremo.”
“Senti... è meglio che la smetti, mi fai solo venire voglia di picchiarti.”
“Credi davvero che io me lo meriti?”
“Se fai così ti butto direttamente giù dalla rupe!”
Mū allargò le braccia e, col sorriso sulle labbra, disse: “Provaci!”
L'amico in risposta fece spallucce. “Non servirebbe a niente.” Poi aggiunse: “Sai, c'è qualcosa che mi spinge a fidarmi di te, nonostante tutto.”
“È perché io credo in te, Aiolia.”
Le nubi tornarono ad oscurare la luna e, insieme ad essa, inglobarono anche la porzione di cielo che aveva accolto quelle parole.
Ariete e Leone si congedarono in silenzio, mentre la luce calda delle fiamme che ardevano nei templi vicini prendeva il sopravvento su quella fredda degli astri, richiamando entrambi ai loro doveri.






Note

Quella delle scimmiette e la luna è una leggenda buddista, così come quella raccontata da Shiryū per spiegare il sacrificio di Shun. Proprio come quest'ultima ha diverse versioni: io ho fatto riferimento a quella trovata in questo libro.

In questa storia ho citato più volte i mudra. Per chi non li conoscesse, si tratta di posture simboliche delle mani. Da noi sono conosciuti per lo più per lo yoga, ma si tratta di elementi onnipresenti nelle iconografie indiana e buddista, a cui i realizzatori di Saint Seiya si sono spesso ispirati. Per chi è più curioso, questo è il link (in inglese) dove potete divertirvi a scovare il significato dei gesti di Shaka e dell'armatura di Gemini.
Come sempre non mi è stato semplicissimo muovermi tra gli spazi del manga di Kurumada, ma ho voluto lo stesso provarci: sapere che ci sono persone che leggono questi miei tentativi mi fa sempre molto piacere. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno seguito questa fanfic!

Kourin



 

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