Il Fuoco della Passione

di clarisss95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Milano, 1944

 

Ultimamente qui non c’è tempo per leggere, né scrivere, tanto meno recitare. Le proprie passioni sono proibite, e capisco che queste leggi siano emanate con tanta cattiveria, solo che non mi capacito di quanto l’uomo, alcune volte, possa essere così non uomo. Ma forse sono io che sbaglio ad essere quella buona. Non dovrei nemmeno esistere, a detta di Quelli.

 

Avevo solo quindici anni, e non riuscivo nemmeno a guardarmi allo specchio, per paura di vedere la mia brutta faccia da ebrea. Avevo appena poggiato il solito foglietto del resoconto della mia vita in un libro che mi piaceva leggere da morire “Il buio oltre la siepe”. Era proprio in quella libreria, incustodita, disabitata, che avevo trovato la mia disavventura. Il mio ragazzo, si, quello che nella tuta portava un simbolo chiaramente avversario nei miei confronti, aveva una pistola. Impiegai poco tempo, prima di sentire lo sparo, poi i miei sensi finirono sottoterra.
Mentre giacevo, però, le storie continuavano ad andare avanti...

 

 

 

 

Sofia Fabretti aveva diciannove anni, capelli lunghi e scuri, occhi azzurri come il mare, chissà da chi li aveva ereditati. Di certo non dalla madre, la quale possedeva due occhi scuri che aveva tramandato poi all’altra figlia, la minore tra le due, diciassette anni, capelli biondi e viziata, il suo nome era come quello di una nobile: Isabella.
Nora, si chiamava così la madre, aveva cresciuto le due sorelle in un modo così diverso che si faceva fatica a comprendere se le ragazze fossero davvero imparentate: Sofia era cresciuta con l’ideale di libertà, democrazia, nonostante queste fossero private, e soprattutto con una passione da coltivare: quella dei libri. Lavorava spesso in una biblioteca di un vincolo vicino casa loro, e quella era il massimo del percorso da lei rispettato. Avrebbe vissuto in quella libreria, se avesse avuto tempo. Eppure sapeva il suo pericolo imminente, e soprattutto che qualcosa sarebbe a breve cambiato; al contrario Isabella aspirava alla nobiltà e credeva seriamente che un giorno sarebbe divenuta una famosa principessa e che molte si sarebbero ispirate a lei. Non aveva alcuna passione, ma conosceva i monarchi presenti in Inghilterra, e spesso si domandava se sarebbe riuscita nel suo intento. Per lei non esistevano gli ostacoli, nonostante sapesse chi era.


Quel giorno di giugno la più grande si trovava nella sua camera, slegava le trecce scure, pettinando i capelli e tirandoli potentemente con la spazzola, rischiando di strapparseli, ma tanto non le sarebbe importato, perché a lei non importava un granché se fosse pelata o meno, non sarebbero stati i capelli a rispecchiarli. Eppure sua madre non era mai stata d’accordo sul fatto di tagliarli. Si guardò allo specchio, eppure non si riconobbe. Il suo volto era composto da smorfie, una serie in continuazione di facce buffe. Provava una strana sensazione nel petto, come se qualcosa l’avesse colpita fino a sorpassare tra le due parti del corpo e centrarla in pieno. Le mancò per un secondo l’aria, poi si ridestò.
Quando udì un urlo provenire dal salotto, seguito da una voce della madre, che diceva “Avevate detto che non me le avreste portate via..” seguito da una di quegli uomini con la divisa con quel simbolo che “Avevi promesso di scoparci gratis. Tue figlie non sono gratis. Sono sporche.”
E la delusione comparve sul suo volto.
Non sprecò il suo sguardo a guardare la madre, mentre veniva portata via, mentre quella gridava invano, e sua sorella, al fianco, piangeva. Non proferì alcuna parola.

 

 

 

 

“Sofia ma dove ci stanno portando? Non mi piace questo posto..”
Il treno era freddo e si avvertivano solamente il rumore delle ruote che si scontravano con i binari. Dentro vi era un ammasso di persone che rimanevano zitte, consapevoli di ciò che gli sarebbe capitato. Ad eccezione di Isabella, che non la smetteva di frignare.
Sofia non aveva detto niente, si era limitata a poche parole. A quel punto la minore aveva dovuto arrangiarsi, aveva stretto amicizia con una ragazza, Mafalda, e veramente in situazioni del genere si stringe amicizia? Pensò la maggiore.
Come se non bastasse Isabella aveva conosciuto un ragazzo e da quel che aveva capito si frequentavano.

 

Come se non stessero andando ad un campo di concentramento.
Come se non stessero per morire, loro.
Tutti loro. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Milano, 1954


Le strade di Milano erano libere, si respirava la solita aria di cenere e natura che rassemblate parevano quasi un odore dolceamaro.
Avevano vagato a piedi, dalla dogana fino alla città, eppure nessuna delle due si era lamentata: sarebbero giunte a casa loro volenti o nolenti.
Quasi le parve un sogno. Un sogno realizzato ad occhi aperti.
Però non era così, Isabella e Susanna erano veramente tornate a casa, e se ne resero conto quanto Nora, affacciandosi alla finestra, le vide ed emanò un sorriso.
“Non esser arrabbiata con lei. Dopotutto ha fatto il possibile per proteggerci” le sussurrò la minore.
L'altra, tuttavia, non disse niente e continuò a camminare, anche quando si trovò di fronte la madre. Provava risentimento nei suoi confronti ed esso con il passare del tempo non era affatto diminuito.
Isabella abbracciò sua madre “Mi sei mancata!” disse, gli occhi quasi lacrimavano.
Sua madre ricambiò la stretta, guardando l’altra “Anche voi figlie mie”, e, dopo un secondo “Pensavo di avervi perse per sempre. Come avete fatto ad uscire da….”
“Ce la siamo cavate con le nostre forze. Dieci anni sono tanti, non ti aspettavi che aspettassimo te, no?”
“Non ti permetto di parlarmi in questo modo, Susanna. Io non ho fatto niente”
“Ah veramente, Nora? Ci hai vendute”
“Assolutamente. Vi ho fatto guadagnare del tempo. E non ti permetto che mi chiami Nora, io sono tua madre!”
“Una prostituta, ecco cosa siete. Potevi parlarcene e farci capire la situazione, la tua situazione, ma hai preferito tacere”
“L’ho fatto solo per voi...”
“Posso andare nella mia stanza o devi continuare con queste scuse?” e, poco prima di andare nella sua stanza “Non ho più diciannove anni, mamma. Non trattarmi come una bambina, non te lo puoi permettere.” E senza dire una parola si rifugiò nella sua stanza.
Isabella poggiò una mano sulla spalla della donna “Non te la prendere, mamma. Le passerà”
Nora annuì ma non fu convinta, poi si rivolse alla figlia minore “Che avete fatto tutto questo tempo? Sono passati dieci anni...”
“Eravamo in un treno che pensavamo ci avrebbe portato al campo di concentramento, invece era stato dirottato dal comandante Cook, un americano. Ci ha portato fino alla Loira, in Francia. Lì siamo scesi e abbiamo camminato fino a quando non abbiamo conosciuto uno” disse, sfoggiando l’anello che aveva al dito. Sua madre lo guardò. Era un anello verde smeraldo, era bellissimo.
“T-tu...”
“Non mi sono ancora sposata, è un anello di fidanzamento.”
“Come si chiama lui?”
Isabella sfoggiò un sorriso “Enrique. Non ci crederai mai, mamma. Ma è un principe...il sogno si è avverato!!” disse contenta.
“Non ci credo!” fece seguito sua madre “E’ una buona casata? E’ l’erede?” S’informò.
“Mamma...non credo sia questo l’importante. Voglio dire, non m’importa di questo. E’ stato l’unico che mi ha dato sostegno durante quel periodo in cui sono stata male. Ci siamo trovati...”
“E lui dov’è adesso?”
“E’ rimasto in Francia, ma tra pochi giorni sarà qui insieme alla sorella. Devo farteli conoscere...”
Sua madre annuì soddisfatta “E Susanna? Lei ha trovato qualcuno?”
“Ti sembra una persona che possa trovare qualcuno? Se non riesce nemmeno a sopportarsi lei...”
“Sono così contenta per te, tesoro. A breve farai un figlio, così la dinastia rimarrà sicura….”
Dopo quell’affermazione Isabella si rattristò.
Non l’aveva ancora detto alla madre, e forse non l’avrebbe mai fatto.
Il suo segreto lo conosceva solo la sorella.







“Luigi! Sono tornato!” poggiò la borsa che teneva sulla borsa ed andò ad abbracciare il suo migliore amico.
“Amedeo! Amedeo, non ci credo, sei davvero tu” quegli occhi verdi e gli occhi scuri non l’avrebbero mai ingannato.
“Sono resistito anche alla caccia, ci credi?”
“Non dire così. Anche se io sapevo che ce l’avresti fatta. Insomma, uno come te...”
“Non cominciare con le romanticherie da gay, per favore.”
“Scusa”
Amedeo si rese conto del tono che aveva assunto “No, scusami tu. Sono turbato per una cosa che mi è successa in questi dieci anni, e vorrei non esser mai andato lì”
“E’...è stata colpa mia.”
“No, ma cosa dici. Non è-”
“Si invece. Avrebbero preso me, invece tu mi hai difeso lasciando intendere il contrario. Io...non ti ringrazierò mai abbastanza”
“Allora è stato un bene che quel treno venisse dirottato da un americano. Esco a fumare una sigaretta”
“Fai pure, amico mio.”

Amedeo uscì dal balcone e si accese un mozzicone. Lasciò che il fumo gli penetrasse dentro e facesse leva sui propri polmoni.
Dalla Francia era dovuto andare in Inghilterra a divenire militare, poi era stato spedito nei pressi di Berlino, e la aveva visto con orrore ciò che era successo. Poi era tornato a Milano.
Adesso era a Milano, e voleva cominciare una nuova vita.

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