Obi-Wan Kenobi Il dovere di un padre (Star Wars III ½)

di Stella Dark Star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Parte I
 
Le spalle tese, una mano stretta a pugno sotto il tavolo, gli occhi talmente lucidi che Yoda poteva vedervi dentro il proprio riflesso.
“Tu sai che sentire le tue sensazioni io posso.” La voce ferma e roca del Maestro Jedi non fece che aumentare la tensione di lui. Yoda si sentì costretto ad incoraggiarlo: “Parla, Obi-Wan.”
Lui non avrebbe voluto, poiché in quel momento era troppo vulnerabile per riuscire a controllarsi. Ma poi perché avrebbe dovuto farlo? Il suo mondo era ormai stato distrutto. Deglutì il nodo alla gola e cercò di parlare chiaro: “Se Qui-Gon Jinn è rinato dalla Forza ed esiste un modo per comunicare con lui, allora forse esiste la possibilità che anche..” Niente da fare, la voce gli morì in gola.
“Questo davvero io non so.” Rispose Yoda, sapendo bene qual era la domanda di Obi-Wan.
“E’ una donna forte, sono certo che tornerà da me come Spirito Guida.” Buttò fuori Obi-Wan.
“Il tuo dolore annebbiato la tua mente ha.”
“Se Qui-Gon può tornare, anche lei può. E’ sangue del suo sangue!”
“Troppo fiducioso mi appari, Ob…”
Lui estrasse la mano, ancora chiusa a pugno, da sotto il tavolo e la batté con forza sul ripiano: “Non vivrò senza di lei!”
Vide Yoda sbattere lentamente le palpebre e si sentì uno sciocco. Il respiro affannato e il cuore che gli batteva nelle orecchie non erano certo d’aiuto.
Yoda prese la parola: “Ora i tuoi figli bisogno di te hanno.”
Parole sagge, se non fosse stato che nella sua mente comparve l’immagine del figlio che aveva perduto.
“Cambiare nome tu dovrai, per cominciare una nuova vita su Tatooine con loro. Obi-Wan sicuro più non è.”
Lui fece dei cenni affermativi col capo, almeno su questo erano d’accordo. Con lo sguardo perso nel vuoto, rispose: “Ho già scelto il mio nuovo nome.”
“Quale?”
Solo allora Obi-Wan posò lo sguardo su di lui, ora ogni traccia di agitazione e rabbia erano scomparsi: “Mi farò chiamare da tutti Ben Kenobi.”
Questa volta fu Yoda a fare dei cenni affermativi col capo, non era affatto sorpreso di quella scelta.
Per quanto riguardava Obi-Wan, il colloquio era giunto al termine, tutto ciò che desiderava era lasciare quella base segreta organizzata dal Senatore Organa e partire per celebrare il rito funebre di sua moglie su Naboo. Si alzò dalla poltrona bianca e disse aspro: “Non rinuncerò mai a lei. La troverò. Con o senza il tuo aiuto, Yoda.”
Uscì dalla sala delle riunioni con passo spedito, nonostante all’esterno apparisse totalmente sicuro di sé, in realtà dentro stava ancora morendo. Per quanto sperasse che il suo piano di ritrovare Leia funzionasse, sapeva che comunque non l’avrebbe mai riportata in vita totalmente, senza contare che non c’era alcun modo per riavere il piccolo Benjamin. Si fermò nel bel mezzo del corridoio, in preda ad un repentino attacco di panico. Alzò lo sguardo verso i neon del soffitto: “Ti prego Leia, torna da me. Ho bisogno di te. Ho bisogno di sapere che ci sei. Ho bisogno di sapere che non è la fine. Mandami un segno. Parlami. Leia, dove sei?”
“Sono qui, Obi-Wan.”
La voce gli arrivò come lontana e leggermente riecheggiata, ma lui sapeva bene a chi apparteneva. Si guardò attorno con affanno: “Leia dove sei?”
“Sono qui, amore.”
Lui rigirò su se stesso più e più volte, ma per quanto si sforzasse non riusciva a vedere nulla. La voce continuava a pronunciare il suo nome, però si faceva sempre più distante e fioca.
Esasperato, Obi-Wan gridò: “LEIAAAAA!”
Ebbe un fremito che lo fece svegliare. Cercò di aprire gli occhi, ma la luce dei soli lo accecò. Aveva caldo, era sudato, d’istinto scostò il lenzuolo e rimase così in pantaloni e maglia. Si portò una mano alla fronte, si lisciò all’indietro i capelli madidi. Prese un respiro profondo e tentò di riaprire gli occhi. La luce dei soli invadeva la stanza come un manto di fuoco e rifletteva sulle pareti beige. La stanza era in totale silenzio. Obi-Wan passò con lo sguardo su ogni singola foto in movimento che aveva portato con sé da Coruscant. Ogni momento della vita di Leia e dei loro figli, che fosse stato inciso, si trovava sulle pareti di quella stanza. Si soffermò su una foto che ritraeva Leia sorridente su uno dei prati fioriti di Naboo. Era stato lui stesso a scattarla, il giorno in cui si erano sposati in segreto. Il giorno in cui avevano fatto i loro giuramenti d’amore, credendo di essere invincibili e di poter superare ogni avversità.
Si rese conto che in una mano teneva ancora il collo della bottiglia di vino che aveva trangugiato durante l’insonnia. Voltò il capo verso il comò accanto al letto, dove giacevano altre due bottiglie vuote.
Fece un tentativo di alzarsi da quel letto, ma fu colto da un capogiro e un forte senso di nausea, perciò si sporse oltre il bordo del letto e lasciò svuotare lo stomaco nel secchio che teneva sempre lì pronto all’occorrenza. Senza fiato, si distese lentamente, già il contatto del cuscino morbido lo aiutò a sentirsi meglio. Si portò di nuovo una mano alla fronte, in attesa che anche il capogiro passasse. Esausto dalla vita, sospirò tristemente: “Leia, dove sei?”
*
“Ed ecco il tuo resto! Sappimi dire se i pezzi vanno bene. Ieri è venuto un cliente col tuo stesso problema e non ho trovato niente di adeguato.”
L’uomo rispose affabile, portandosi due dita alla fronte per salutarlo: “Puoi contarci, Alastair!”
Soddisfatto del proprio operato, Alastair si concesse un leggero sorriso trionfante. Stava diventando davvero bravo! Con le dita sfiorò distrattamente la merce di piccolo taglio riposta sul banco, pregustando le lodi che avrebbe ricevuto dal Capo una volta riferitogli che aveva risolto un altro mistero meccanico. Si accorse per caso del proprio riflesso su un piccolo scudo metallico, ogni volta che vedeva il proprio viso gli sembrava di scorgere i suoi genitori, dato che aveva preso i tratti da suo padre  e gli occhi da sua madre. Di conseguenza si sentiva diviso in due: provava una stretta al cuore pensando a Leia e una allo stomaco pensando ad Obi-Wan. Si scostò emettendo uno sbuffo, non voleva rovinare un momento di gioia a causa dei proprio guai famigliari. Poi però cedette alla tentazione di specchiarsi ancora, ma questa volta per vedere se stesso. I capelli biondi con la frangetta che gli attraversava la fronte e scendeva verso l’orecchio sinistro, il viso indurito dai tratti marcati che rivelava comunque la sua giovinezza. Si lisciò il mento con una mano: “Magari la barba di tre giorni mi darebbe un aspetto più maturo. Non voglio sembrare un ragazzino. Per la miseria, ho compiuto diciannove anni il mese scorso!”
Il suo esame facciale venne interrotto da acute risate che, dal retro della bottega, si stavano avvicinando accompagnate da passi affrettati.
“Sei mia, Principessa!” Il grido di un bambino si levò al di sopra degli altri suoni.
Dalla tenda all’ingresso della bottega sbucò una ragazzina quasi adolescente, dal viso dolce e i capelli color cioccolato raccolti in due trecce fermate sulle sommità del capo da un nastro.
“Han! Lasciami riprendere fiato!” Gridò divertita, fermandosi giusto un attimo prima di schiantarsi contro il banco di fronte all’ingresso.
Un attimo dopo, dalla tenda sbucò Han, gli occhi brillanti per l’eccitazione della corsa e il viso accaldato. Nonostante la richiesta appena ricevuta,  si lanciò sulla ragazzina e la chiuse in un abbraccio: “Adesso sei davvero mia!”
Alastair fece un passo verso di loro, pronto a sostenere la parte dell’adulto: “Han, lasciala andare. Vuoi forse toglierle il respiro stringendola in quel modo?”
Il fratellino obbedì, senza cambiare d’umore.
“Non preoccuparti, Alastair, sto bene!” Disse la ragazzina, regalandogli un grande e luminoso sorriso.
Lui si schiarì la voce, cercando di mantenere il ruolo: “Ad ogni modo qualcuno doveva fermarlo. Non vorrei perdere il posto a causa di quel mocciosetto di mio fratello.”
Sentendosi chiamare con quell’appellativo, Han gli lanciò un’occhiataccia e incrociò le braccia al petto.
Di nuovo la tenda dell’ingresso si scostò e questa volta rivelò la presenza di un omaccione alto e grosso dall’aria gioviale. Li squadrò tutti e tre e scoppiò in una grassa risata.
“Non mi passa nemmeno per la testa l’idea di licenziarti, Alastair! Da quando ti ho assunto i clienti sono raddoppiati e così anche i guadagni. Sei troppo in gamba per lasciarti andare!”
“Ben detto, papà!” Confermò la ragazzina, con trasporto.
Il padre le carezzò le trecce: “Sono lieto che la mia Principessa sia d’accordo.”
“Lei è la mia principessa!” Sbottò Han, facendo urtare i nervi al fratello maggiore.
“Han! Ti rendi conto di quello che dici?” Lo apostrofò.
Il Capo lasciò un’altra risata: “Io direi che è un tipetto che sa quello che vuole, invece!”
Alastair si lasciò contagiare dal buonumore dell’uomo, ma preferì abbassare il viso per non far vedere che stava sorridendo.
“Or bene, che ne dici piccola? Mi aiuti  a portare dentro la merce rimasta?” Saltò fuori di punto in bianco il Capo.
Alastair s’intromise apertamente: “Non è necessario, lo farò io. Il mio turno di lavoro non è ancora finito.”
“Oh, invece sì! Dopo quello che sei riuscito a fare oggi mi sentirei un mostro se ti chiedessi di restare un minuto di più!”
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata sorpresa, al quale lui rispose: “So sempre quello che succede. Anche se per la maggior parte del tempo lavoro nel retrobottega. Perciò…ti faccio i miei complimenti, ragazzo. E adesso và!”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Alastair gli fece un cenno affermativo col capo e poi si rivolse al fratellino: “Su, andiamo. Papà sarà contento di vederci rincasare prima.”
Il piccolo Han gridò: “Yuppy!” Ma lo fece talmente forte che le sue stesse punte dei capelli tremarono, mentre l’acuto entrò come un ago nei timpani di chi era intorno a lui. Poi scattò di corsa: “A chi arriva prima allo sprinter!”
Alastair sospirò e scosse il capo, cercando di portare pazienza. Fece un cenno di saluto al Capo e si incamminò verso lo sprinter parcheggiato di fianco alla bottega.
“Alastair, aspetta!” La voce della ragazzina lo richiamò, inducendolo a voltarsi mentre lei gli veniva incontro di corsa.
“Sì?”
“Prima che tu vada, volevo darti questa.” Sollevò la mano e rivelò una piccola ma elaborata rosa del deserto incisa nella roccia.
Le sue guance s’imporporarono nel confessare: “L’ho trovata stamane e…vorrei donarla a te.”
Alastair prese il gingillo dalla sua mano: “Sei sicura? Non preferisci tenerla tu?”
Lei scosse il capo: “Assolutamente. E’ per te.”
“Va bene. Allora…grazie.” Fece per andarsene, ma poi voltò il capo e disse accennando un sorriso: “A domani, Sheila.”
“A domani, Alastair.” Sospirò dolcemente lei, come ogni ragazzina al primo amore.
*
Grazie alla potenza dello sprinter raggiunsero abbastanza velocemente l’abitazione ai piedi delle montagne rocciose, ovvero l’unica che si trovava in quella zona sperduta di Tatooine.
Il primo ad entrare dalla porta automatica fu Han, che fece il proprio ingresso glorioso fingendo di pilotare un X-Wing. Poi fu la volta di Alastair.
“Papà, siamo a casa.”
Si avviò verso il lavello posto appositamente vicino all’ingresso per permettergli di rinfrescarsi e sciacquarsi dalla sabbia. Sentire l’acqua fresca a contatto con la pelle era una sensazione così piacevole che si era sempre rifiutato di asciugarsi col telo per goderne il più possibile.
Non avendo ricevuto alcuna risposta, s’incamminò verso la stanza del padre: “Sarai sorpreso di vederci a casa prima del tramonto. Ma oggi è successa una cosa davvero bel…”
Entrò e rimase senza parole. Non solo vide Obi-Wan addormentato, ma dall’odore che sentiva era chiaro che anche quel giorno non si era lavato, in più le bottiglie vuote che aveva attorno non lasciavano spazio  a dubbi su come avesse trascorso la giornata.
Sbuffò spazientito: “Di nuovo.”
Per fortuna la finestra era costantemente aperta, permettendo così all’aria di attenuare l’odore pungente.
Raggiunse il letto e si sporse per scuotere il corpo del padre: “Papà, svegliati.”
Obi-Wan si svegliò bruscamente, gli occhi arrossati e la gola gonfia a causa dell’alcol.  Diede un’occhiata alla finestra e parlò con voce rauca: “Non è il tramonto. Come mai sei già a casa? E’ successo qualcosa?”
Alastair rispose con pesante sarcasmo: “Sì! Palpatine è venuto qui in vacanza! L’ho visto al mercato!”
“Pal…?” Un attimo di allarmismo e, quando il cervello riuscì a connettere, scosse il capo per la delusione: “Non sei divertente, Al.”
“Oh ma tu lo sei, invece!”
Obi-Wan sollevò lo sguardo su di lui, dandogli così il via per proseguire: “Ma ti sei visto? Sei ridotto a uno straccio. I tuoi vestiti sono sudici, i tuoi capelli anche. La barba scommetto che non ti ricordi neanche l’ultima volta che l’hai tagliata.”
Obi-Wan puntellò un gomito sul materasso e, sforzandosi, riuscì a mettersi seduto. Almeno ora non aveva la nausea. Si scostò una ciocca di capelli dal viso: “Ascolta, Alastair, ce la sto mettendo tutta per…”
“Tu cosa? Mi prendi in giro? E’ da cinque anni che non fai che ubriacarti! Hai abbandonato me e Han a noi stessi!”
“Lo so. Hai ragione ad essere arrabbiato. E mi dispiace per…”
“Dovresti ringraziare il mio Capo per avermi preso a lavorare nella sua bottega quando venimmo a vivere qui. E sua figlia per essersi occupata di Han ogni giorno dopo la scuola. E invece non hai mai messo piede fuori da qui!”
Obi-Wan si obbligò ad alzarsi dal letto, facendo appello a tutte le proprie forze. Fare due passi per raggiungere la finestra fu arduo, ma ne valse la pena. All’esterno vi erano le lapidi con incisi i nomi di Leia e Benjamin, e nella sabbia di potevano intravedere i coperchi dei vasi nei quali giacevano le loro ceneri. Si voltò verso il figlio maggiore: “Non è esatto. Qualche volta sono uscito per loro.”
Alastair contrasse le mascelle per la rabbia, ma poi si impose di calmarsi. Prese respiro e raggiunse suo padre. Guardò fuori, i raggi dei soli sembravano scivolare sulle lapidi come burro.
“Lo so, papà. Hai fatto un ottimo lavoro. Ma la vita non si limita a questo.”
Suo padre sospirò: “Lo so, figliolo. Dovrei reagire. Ma non posso farcela senza tua madre.”
Alastair deglutì e guardò il padre con occhi lucidi: “Non è facile nemmeno per me. Non passa giorno in cui non mi chieda perché è successo.”
Obi-Wan cercò di trasmettergli tutta la comprensione possibile attraverso lo sguardo. In quei rari momenti in cui il figlio si apriva con lui sentiva che tra loro c’era ancora una connessione.
“Eri già grande quand’è accaduto. Porterai questo peso dentro di te per tutta la vita. Han invece avrà dimenticato tutto, ormai.”
“No, non è così.” Disse Alastair scuotendo il capo per dare più enfasi alle proprie parole: “Spesso nomina Ben. E parla della mamma con Sheila come se fosse ancora con noi. Come se non fosse mai accaduto nulla. Nella sua voce non c’è mai tristezza.”
Obi-Wan gli artigliò un braccio, spaventandolo: “Cosa hai detto?”
Alastair sbarrò gli occhi: “Che si comporta come se la mamma fosse ancora viva.”
“Tu credi che… Credi che lui possa vederla?”
“Non ho detto questo. E poi come credi possa essere possibile?” Subito di pentì di averlo chiesto, infatti sollevò una mano e chiarì: “Non voglio saperlo. Grazie.”
In ogni caso, Obi-Wan aveva ormai abbandonato la conversazione, il suo sguardo era ora fisso sulle lapidi all’esterno.
Alastair si schiarì la voce: “Ehm…papà?”
Obi-Wan si voltò di scatto a guardarlo e si accorse di avere ancora il suo braccio stretto nella mano. Si affrettò a lasciare la presa: “Perdonami, Al.”
“Sì, come vuoi. Ehm… Questa sera starò a casa con te e Han, però domani vorrei andare al locale, se per te va bene.”
“Al locale? Sì. Sì, certo. Nessun problema.”
Il ragazzo fece per uscire dalla stanza, ma lui lo richiamò: “Alastair?”
Quando lui si voltò lo guardò dritto negli occhi e disse: “Sono fiero di te. Tutto quello che hai fatto in questi anni è ammirevole. Sei dovuto crescere in fretta a causa mia e…vorrei dirti che mi dispiace e che ti sono grato per tutto.”
Fece fatica a credere che suo padre l’avesse detto davvero.  E poi vederlo così lucido era quasi inquietante. Da quanto tempo non accadeva? Cercò di assumere un’aria matura, di ricambiare quel pensiero, ma poi quel muro che aveva dentro gli impedì di aprirsi totalmente. Alla fine la buttò sul ridere: “Va bene, ma promettimi che d’ora in poi ti prenderai più cura di te stesso. Magari iniziando a farti un bagno, per esempio!”
Obi-Wan buttò fuori una mezza risata sbuffata: “E va bene. Però lo farò domani. Adesso ho solo voglia di smaltire la sbornia standomene a letto!”
*
Accanto al lavello una ciotola piena di ciocche lunghe quanto le dita di una mano. All’interno del lavello una serie di mazzetti di barba. Facendo molta attenzione, Obi-Wan passò il rasoio sopra il labbro, il punto più difficile da radere. Sentì il rumore della lama che tagliava un altro strato di quella peluria trascurata per mesi. Prese respiro e ripose il rasoio sul ripiano con la stessa cura con cui, un tempo, avrebbe riposto la sua spada laser. Contò fino a tre e sollevò lo sguardo sullo specchio per vedere il risultato.
Dell’uomo che era stato non era rimasto molto. Anche se aveva solo trentotto anni ne dimostrava almeno dieci di più, a causa delle rughe che gli avevano invaso la faccia precocemente. Al contrario, i capelli lunghi appena sotto il livello delle spalle erano ancora di un bel biondo vivo e solo qua e là si intravedevano dei fili argentei. Il leggero strato di barba che gli ingentiliva il viso gli donava ancora in modo particolare.
“Papà, va tutto bene? Sto per uscire.”
Alastair rivolse lo sguardo verso la porta automatica della sala da bagno, in attesa che si aprisse. Quando ne vide uscire Obi-Wan, rimase letteralmente a bocca aperta.
Dal canto suo, Obi-Wan ne fu divertito: “Non mi riconosci più?”
“Ehm, no! E’ solo che…” Scosse il capo e ritornò serio: “Ci voleva tanto a riassumere un aspetto civile? Accidenti a te.”
“A dir la verità sì. Ho trascorso l’intera giornata lì dentro!” Disse, facendo un cenno alla sala da bagno alle proprie spalle.
“La cena è quasi pronta. Ho già dato istruzioni al droide affinché sistemi la cucina dopo che avrete finito di mangiare.”
“Non ceni con noi? Per una volta che sono sobrio, vorrei stare con te e Han.” Disse Obi-Wan con una punta di delusione nella voce.
“Magari domani, va bene? Ah e ricordati di mettere a letto Han, o starà sveglio tutto la notte a controllare quel suo dannato ripostiglio e il pattume che contiene.”
Il padre sorrise per quel linguaggio rozzo. Certe cose non erano cambiate e, ringraziando tutti i Saggi, forse non sarebbero cambiate mai.
“Non temere, lo farò. Credo di avere ancora qualche ricordo di come si fa il genitore!” E poi finì con un saluto cordiale: “Divertiti, figliolo! Ma ti prego di fare attenzione, lo sai che di notte si aggirano creature poco raccomandabili.”
Alastair sfiorò la pistola laser al fianco, appesa alla cintura: “Certo. Lo farò.”
“E saluta i tuoi amici da parte mia, chiunque siano.”
“I miei amici?”
“Sì! Quelli che incontri al locale ogni settimana!”
Alastair ebbe un momento di esitazione, ma poi cercò di riprendersi: “Ah, quelli. Sì. Sì, d’accordo.” E uscì di casa velocemente.
Rimasto solo, Obi-Wan fece correre lo sguardo senza una traiettoria precisa. Aveva sentito qualcosa, percepito una sensazione negativa nel figlio. Di cosa si trattava?
Sospirò e decise di abbandonare la questione: “Domani gli farò qualche domanda.”
Imboccò il corridoio e raggiunse la stanza del figlio più piccolo. Non appena la porta automatica si aprì, lo sorprese a contare monete da una capiente scatola di latta. Per quanto fosse stato ‘assente’, sapeva che non era normale che un bambino avesse tutta quella grana.
“Hey giovanotto, da dove saltano fuori quelle?”
Il bambino sollevò il viso di scatto e anche lui rimase incantato nel vedere l’improvviso mutamento del padre.
“Che cosa hai fatto, papà?”
Obi-Wan si avvicinò a lui con aria intimidatoria: “Non cambiare discorso. Rispondi.” Si accucciò accanto a lui, sperando che la propria espressione fosse abbastanza severa.
Han ripose nella scatola una manciata di monete e richiuse il coperchio con cura. Rispose con assoluta tranquillità: “Sono i miei guadagni. Frutto di un grande lavoro.”
Lavoro?” Chiese Obi-Wan, sottolineando la parola.
Han emise un mugolio di conferma e proseguì: “Non ho fatto tutto in un giorno, bada. C’è voluto del tempo e molta furbizia. Sta tutto in questo. Se sei abbastanza furbo riesci a far credere ai tuoi clienti di fare un affare e invece poi sei tu a guadagnarci di più.”
“Aspetta un momento! Chi sarebbero questi clienti? E di che affari stai parlando? Non dirmi che hai allungato le mani su cose non tue.”
Han rispose offeso: “Certo che no! Non sono mica un ladro! E’ cominciato tutto quando siamo venuti a vivere qui. Io ho trovato un pezzo di ferraglia e quando un uomo ha dimostrato particolare interesse per quello che possedevo sono riuscito a convincerlo a darmi qualcosa che avesse molto più valore. Da allora ho imparato molti trucchetti e gli affari sono andati sempre meglio!”
Obi-Wan era totalmente incredulo: “Stai scherzando, vero? Avevi solo quattro anni quando giungemmo qui!”
Han incrociò le braccia la petto: “Ho l’aria di uno che scherza?”
In effetti guardandolo si vedeva bene che era un bambino astuto e in gamba.
“E…oltre alla ferraglia, cosa usi per i tuoi affari?”
“Qualunque cosa. A me basta che un cliente dica cosa desidera e io trovo il modo di fargliela avere. Però ho notato che i pezzi di ricambio per navi spaziali sono i più richiesti.”
“E adesso vorresti farmi credere che t’intendi di pezzi di ricambio?”
“Passando ogni pomeriggio alla bottega con Alastair ho imparato a riconoscerli tutti. Presto mi piacerebbe costruire qualcosa con le mie mani e spostarmi in altre zone per allargare il giro dei miei affari.”
Ma quello era davvero un bambino? Per quanto Obi-Wan rifacesse i conti il risultato non cambiava, suo figlio aveva nove anni. E allora perché i suoi discorsi erano così impressionanti?
Restò ad osservarlo mentre riponeva la scatola di latta in una specie di rifugio che conteneva molte altre cose dei generi più disparati. Era quello che Alastair aveva chiamato ripostiglio, evidentemente. Osservò i capelli del figlioletto, di un castano chiaro così diverso dal colore dei suoi; quella pelle costantemente abbronzata dal sole che alla luce dei neon assumeva una sfumatura dorata, l’esatto contrario della sua, che invece era molto chiara e delicata. Avrebbe potuto definirlo un figlio del deserto! E poi quel talento naturale per gli affari  e l’interesse per la meccanica, da chi li aveva presi? Lui di certo non sapeva distinguere un solo pezzo e mai nella galassia avrebbe potuto costruire qualcosa! Quel filo di pensieri gli riportò alla mente Anakin. Lui all’età di Han aveva già costruito uno sguscio con le proprie mani e poi aveva addirittura vinto una Corsa. Quei due avrebbero potuto andare d’accordo, anzi si assomigliavano così tanto che avrebbero potuto essere… Gli si mozzò il respiro. Con quel pensiero aveva offeso la memoria di Leia. Han non era figlio di Anakin. Come prova c’erano i documenti che un tempo erano custoditi a Coruscant e che lui stesso aveva esaminato in alcune occasioni. La somiglianza con Anakin era solo una coincidenza, uno scherzo del destino.
Scosse il capo e parlò tra sé: “Sei davvero uno sciocco, Obi-Wan.”
Han lo sentì. Chiuse l’anta del suo prezioso rifugio e si avvicinò al padre, sfoggiando un sorriso affettuoso: “Non preoccuparti, papà. Non è colpa tua se non capisci quello che faccio. L’importante è che sia io a capirlo.”
Obi-Wan gli sorrise e gli passò una mano sul capo: “Avanti, giovanotto! La cena sarà ormai pronta!”
*
Alastair emise un forte gemito, i capelli biondi incollati alla fronte sudata e i muscoli delle braccia tesi. Ancora un istante e rotolò sul fianco, completamente esausto. Una mano dalle dita affusolate scivolò sul suo petto, per accarezzare i riccioli chiari. Subito dopo delle labbra sfiorarono la guancia di lui con un bacio. Letteralmente azzurra dalla testa ai piedi, la Twi'lek posò il capo sulla spalla di Alastair.
Lui sospirò infastidito: “Non ti starai montando la testa, vero?”
La donna strinse la mano a pugno, evidentemente colta in flagrante: “Credi davvero di essere l’uomo dei miei sogni?”
Alastair rispose con noncuranza: “Non lo credo affatto. Però ho notato che ultimamente sei diventata appiccicosa.”
Lei si sollevò su di un gomito e batté il pugno sul petto di lui, infastidita: “E tu ultimamente sei irritante. Solo perché mi paghi non significa che puoi mancarmi di rispetto.”
Lui strinse le labbra, pesando quelle parole, poi se ne uscì con un: “Vero. Però non ti pago per lamentarti.”
“Perché ti comporti così? Dopo un anno credevo che ci conoscessimo abbastanza bene per…
Lui la interruppe per replicare: “Per cosa? Sposarci e mettere su famiglia? No, grazie. Ho già abbastanza problemi.”
“Non è colpa mia se tuo padre è un ubriacone fallito.” Fece appena in tempo a finire la frase che uno schiaffo le arrivò in pieno viso. Alastair ora era in posizione seduta e la guardava con sguardo furente: “Non ti permettere. Mio padre non è un fallito, è un uomo disperato.”
La ragazza si premette una mano sulla guancia colpita, cercando di inghiottire le lacrime. Non voleva creare scompiglio, aveva sbagliato tutto.
“Lo so. Perdonami.”
Lui la tenne sotto tiro ancora per un po’, ma poi decise di lasciar perdere. In fondo non era lì per litigare. Si rilassò e si sdraiò di nuovo: “Avanti, vieni qui. Tra poco tornerò a casa.”
Lei si sentì meglio, nonostante tutto, e fu lieta di stringersi a lui. La verità era che aveva commesso l’errore di innamorarsi e faceva sempre più fatica a tenere nascosti i propri sentimenti. Veramente in lei non vedeva altro che una donna di piacere?
Ricordava la sera in cui si erano conosciuti, come fosse stato ieri. Lo aveva visto al locale, ovviamente, era seduto al banco a bere un drink in totale solitudine. Era bello e attraente, il suo sguardo sembrava puro ghiaccio. Gli si era avvicinata con curiosità e…
“Sei sicuro di avere l’età per entrare qui?”
Alastair si era voltato, il sopracciglio sollevato in segno di sorpresa: “Oggi è il mio diciottesimo compleanno. Quindi sì, ho l’età per farlo.”
Lei aveva preso posto sullo sgabello accanto a lui, sorridente e sempre più incuriosita: “E perché sei qui tutto solo? Non hai degli amici? Una famiglia?”
“Ah quella…” Aveva risposto, facendo una smorfia. “Sì, ma non mi andava proprio di festeggiare. La mia vita fa schifo.”
Lei lo aveva osservato mentre trangugiava il resto della bevanda, quindi aveva fatto cenno al barman di prepararne altri due.  Quando Alastair aveva visto mettersi di fronte un altro drink, aveva sbattuto gli occhi un paio di volte, come per verificare di non essere già ubriaco.
“Offro io. Ma tu in cambio dovrai permettermi di renderti felice, almeno per questa notte. E a metà prezzo.”
Alastair l’aveva guardata con sospetto, ma poi aveva sollevato il bicchiere per un brindisi, accettando così la proposta. E da allora, ogni settimana si erano visti.
Tornando improvvisamente al presente, lei sentì il bisogno di stringersi ulteriormente a lui e sentire il suo corpo caldo come se appartenesse più a lei che a lui: “Almeno riesci a considerarmi un’amica?” Chiese speranzosa.
Lui rimase inizialmente muto, lasciandola sulle spine, ma poi disse tranquillamente: “Se imparerai a fartelo bastare, sì.”
*
Obi-Wan prese un respiro profondo, gli occhi chiusi e la mente che pian piano si stava svuotando. Con Han addormentato, Alastair assente e il droide domestico in standby, in casa regnava la quiete. Non sarebbe stato difficile concentrarsi. Solo sperava di avere ancora un residuo delle abilità Jedi, ormai assopite a causa del forte abuso di alcol. Una volta placata la tensione, partì per un viaggio all’interno di se stesso, esplorando la Forza che si celava in lui. Era come trovarsi in un intreccio di gallerie, ognuna di colore diverso. E lui si sentiva librare, mentre le percorreva una ad una. Man mano che si inoltrava, i colori si facevano sempre più tenui e rilassanti, a prova che la meditazione stava funzionando. Una parte della sua mente ringraziò Qui-Gon Jinn per tutti i preziosi insegnamenti che gli aveva dato. E fu proprio quel pensiero a permettergli di andare più a fondo. Al posto dei colori ora vi erano delle immagini, seppur leggermente sfocate poteva riconoscere i luoghi in cui aveva vissuto e le persone che aveva conosciuto. Ad un certo punto vide un giovane Qui-Gon tenere per mano un bambino biondo, ovvero lui. Andò verso quell’immagine e improvvisamente si aprì una nuova galleria. Era interamente dedicata ai ricordi che aveva del suo Maestro, le immagini ora erano nitide e in movimento. La maggior parte di quei ricordi erano lieti e piacevoli,  a dimostrazione dell’affetto che aveva provato per quell’uomo. La verità era che Qui-Gon non era solo un Maestro o un amico. Era stato in tutto per tutto un padre.
Quella consapevolezza fece aprire una nuova galleria, la più bella di tutte. Era luminosa come un bel giorno di estate, ma anche fresca come la brezza mattutina. Era pura gioia. E lì dal nulla comparvero un paio di occhi blu. Per lui fu come un lampo a ciel sereno. Lentamente la figura prese forma, prima lei e poi tutto l’insieme, rivelando così l’immagine completa della prima volta che si erano parlati, ovvero nella Sala Comandi della nave con la quale erano fuggiti da Naboo dopo aver salvato la Regina Amidala. Rivedere con gli occhi di oggi quella quindicenne sfacciata e provocante, lo fece sorridere. Eppure era chiaro che, fin dal primo istante, non aveva desiderato altro che stare con lei. Proseguendo, rivide altri ricordi di vecchia data, come il loro primo bisticcio quando lui aveva frainteso il suo rapporto con Qui-Gon, la loro prima volta fra le lenzuola in una bella stanza del palazzo di Coruscant, il giorno del loro matrimonio segreto. Erano entrambi così giovani…
Ancora una volta si aprì una galleria dal nulla. Questa conteneva solo immagini legate ai suoi figli. In una in particolare vide Alastair, serio e concentrato, con la spada laser in pugno durante un allenamento. E poi Han, di cui la maggior parte lo ritraevano nella culla e solo alcune quando aveva qualche anno in più e giocava felice nei prati di Naboo. Poi fu la volta di Benjamin, col suo visetto tondo e gli occhi colmi di bontà. I ricordi che aveva di lui erano così pochi… Non era stato un padre presente e ora quel vuoto si stava manifestando davanti ai suoi stessi occhi. Le immagini presero a scorrere più velocemente, alternando momenti felici ad altri più seri, quando era stato severo con lui per via delle sue scarse capacità Jedi. I sensi di colpa gli attanagliarono lo stomaco. Rivide l’Ingresso del Tempio di Coruscant. I pavimenti erano disseminati di corpi senza vita. E sapeva che se sarebbe andato avanti avrebbe visto anche quello di Benjamin. No. Non ce la faceva. Chiuse gli occhi dell’anima per fuggire da quel dolore.
Nel riaprirli si rese conto che non si trovava più in una galleria, ma in luogo completamente diverso. Qualcosa di reale e inquietante. Poteva sentire il calore intenso che si espandeva nell’aria, la stessa aria soffocante che gli bruciava le vie respiratorie. Tutto attorno solo lava e oscurità. E all’improvviso si sentì soffocare. Questa volta non era per il calore, era…una mano che gli stringeva la gola.
“Anakin, no!”
Riconobbe la voce di Leia e si rese conto che era davvero Akanin a stringergli la gola con la mano. Nonostante avesse la mente intorpidita a causa della stretta, riuscì a tirare un calcio e a liberarsi. Una volta atterrato Anakin, corse da Leia.  Sapeva fin troppo bene perché era lì. Ogni passo verso di lei era un disperato tentativo di cambiare il passato.
“Perché sei qui? Dovevi restare a Coruscant.” Sentì il tono della propria voce, avrebbe voluto essere un rimprovero ma la preoccupazione era talmente forte che gliela incrinò.
“Non potevo. Non voglio perdere anche te.”
E lui non voleva perdere lei. L’amava troppo. Ma come fare a dirglielo? Era un ricordo, non poteva cambiare le cose.
“Ti prego, vattene. Me ne occupo io.” Sperava che la nota di disperazione nella voce la convincesse, sperava che lei avrebbe girato sui tacchi e se ne fosse andata, sperava…
“No! Non ti ascolterò mai più! E’ da tutta la vita che siamo separati! Sono stanca, Obi-Wan!”
La vide passare oltre, si voltò a sua volta. Assisté al suo alterco con Anakin come un fantoccio senza vita. La testa gli stava scoppiando. Non voleva fare lo spettatore, voleva trovare un modo per farla andare via da lì. Qualunque cosa. Qualunque.
Quando udì Anakin tentare di convincerla ad andarsene, credette di avere una speranza. Posò una mano sulla spalla di lei e disse speranzoso: “Fa come dice.”
Incrociare di nuovo la lama laser con Anakin non fu così difficile come credeva. Era stato suo allievo, era stato suo amico, era stato come un fratello. Ma poi lo aveva tradito. Prima gli aveva portato via Leia e poi aveva ucciso uno dei suoi figli. Era davvero troppo per perdonare. Ebbe una scarica di adrenalina che lo fece sentire vivo come non mai. Era il momento di pareggiare i conti. Avrebbe sistemato tutto, avrebbe salvato Leia, ed entrambi avrebbero pianto sulla tomba del loro bambino e poi avrebbero cominciato una nuova vita insieme, prendendosi cura di Han e Alastair. Tutto sarebbe cambiato. Adesso aveva il potere di rimediare ad alcuni dei propri errori, non c’era niente che poteva impedirglielo. Niente tranne…
Una finta. Anakin aveva fatto una finta e lui c’era cascato in pieno. Come aveva potuto essere così stupido? E poi si rese conto che qualcosa non andava. La lama avrebbe dovuto trafiggerlo al fianco, invece non sentì nulla. A parte…il corpo di Leia che scivolava contro il suo. Il mondo attorno a lui divenne irreale, nelle orecchie solo il forte pulsare del battito del cuore.
No. Non di nuovo. Non poteva vivere quel momento ancora, era troppo straziante. Un’altra lama nel petto, un altro momento di profonda agonia che l’avrebbe lacerato senza più possibilità di guarire. Si buttò in ginocchio, prese Leia tra le braccia.
“No, no, no, no. Leia. Amore.”
Perché? Perché doveva accadere di nuovo?
“Ho troppe cose da dirti, ancora. Ho troppe cose da fare insieme a te.”
Perché? Perché non poteva cambiare il passato?
“Voglio portarti via da Coruscant. E comprarti una casa dove vivere assieme ai nostri figli. I nostri…”
Perché? Perché non c’era un modo per tornare indietro e salvarla?
“Ogni giorno della mia inutile e miserabile vita lo dedicherò ad amarti come meriti. Saremo una vera coppia. Una vera famiglia. Te lo prometto.”
Perché? Perché la vita doveva essere così spietata?
“No. Leia, torna da me. Torna da me, non farmi questo.”
Perché? Perché? PERCHE’?
*
“Obi-Wan.”
La voce velata entrò nella sua testa all’improvviso, ma senza turbarlo. Era delicata, gentile, familiare. Era la voce di…
“Leia…” Pronunciò quel nome come una preghiera proibita.
“Sono io, amore. Apri gli occhi.”
No, non voleva farlo. Aprirli significava ritrovarsi da solo, rendersi conto che era stato tutto inutile, che il dolore straziante vissuto ancora una volta non aveva portato a niente.
“Amore mio, non temere. Adesso puoi vedermi.” Un attimo di attesa e riprese: “Fidati di me, ti prego.”
Era terrorizzato. Promise a stesso di togliersi la vita se non avesse visto Leia per davvero. E non si trattava di un gesto estremo, perché dopo quell’illusione la vita sarebbe stata solo un peso per lui, perciò era meglio farla finita. Strinse i denti. Prese un bel respiro. Aprì gli occhi così lentamente che la luce giallognola della stanza gli parve quasi la luce del sole. E poi la vide. Nemmeno nei sogni più vividi avrebbe potuto vederla più bella di così. Il suo viso delicato, i grandi occhi che lo guardavano con amore, i capelli dorati e la veste che lui le aveva messo il giorno della cerimonia funebre. A ricordargli la realtà fu solo quella leggera trasparenza nel corpo di lei, simile a quella di un ologramma.
“Leia!” Disse con appena un filo di voce, per poi sentirsi un nodo alla gola.
Lei sorrise candida: “Amore mio, ho atteso così a lungo questo momento.”
Ora che finalmente l’aveva davanti non sapeva cosa dire. La gola gli stringeva come se avesse avuto un cappio al collo, il cuore sembrava voler scoppiare nel petto. L’unica cosa che avrebbe davvero desiderato fare era andarle incontro e stringerla forte a sé, sentire il suo calore, il suo profumo, riprendere in mano il passato e tenerlo stretto. Ma non era possibile…
“Il mio corpo non esiste più. Mi dispiace.” Disse lei, dimostrando così che poteva sentire i suoi pensieri e le sue sensazioni.
Obi-Wan fece uno sforzo enorme per liberare la gola da quel nodo e poter parlare: “Perché non sei tornata da me? Ho creduto di impazzire in questi anni.” Aveva voglia di piangere, di far uscire tutto il dolore, ma cercò di trattenersi.
L’espressione di Leia si velò di tristezza: “Non è come credi, amore mio. Io non mi sono mai separata da te. Ti sono sempre stata accanto. Ma tu non potevi vedermi.”
“Perché? Dove ho sbagliato? Ho fatto di tutto, sono ricorso a qualunque pratica Jedi, ho…”
Che senso aveva quella conversazione?
“Non eri pronto, per questo. Ora lo sei. Dovevi ritrovare la Forza in te e ci sei riuscito.”
“Forza? Rivivere i momenti che mi hanno strappato il cuore dal petto mi avrebbe reso più forte?”
“Lo so che sei turbato, ma ti prego, non reagire così.”
Alcune lacrime ribelli scivolarono dagli occhi di lui: “Ho commesso tanti di quegli errori, Leia. E non potrà mai porvi rimedio.”
Leia fece alcuni passi, si inginocchiò di fronte a lui: “Non lasciare che io sia un motivo per odiare la tua vita.”
Obi-Wan ebbe uno scatto improvviso che gli fece allargare le braccia nel tentativo di abbracciare sua moglie. Ma ovviamente non ci riuscì, abbracciò il niente. Il respiro si fece ansante per la disperazione.
“No, amore non farlo. Guardami. Guardami negli occhi.”
Lui obbedì, lo sguardo di lei era luminoso nonostante la semitrasparenza.
“Sono qui con te. Non temere.”
Dovette deglutire l’ennesimo nodo alla gola: “Ti voglio da impazzire. Devo trovare il modo di…di…”
“Non esiste un modo. Non finché sarai vivo. Solo allora avremo l’eternità per noi.”
Quelle parole gli fecero balzare un’idea nella mente, ma prima ancora che potesse rendersene conto, lei lo apostrofò: “Non pensarci nemmeno. Hai ancora molte cose importanti da fare, una missione da portare a termine.”
“Io non sono niente, ormai. Perché vuoi che resti qui a soffrire?”
“Perché i nostri figli hanno bisogno di te. Hanno sempre avuto bisogno di te.” I suoi occhi ora erano pieni di lacrime, Obi-Wan desiderò di poterle cogliere. Un altro desiderio impossibile.
“Se la cavano benissimo senza di me. Sono solo un peso per loro. Avevo promesso che sarei diventato un buon padre e invece ho fallito. Ho fallito fin da quando Benjamin è stato…” Il suo sguardo si accese all’improvviso: “Ben… Tu sai dove…?”
Leia fece un cenno affermativo: “Sì. E’ in un luogo meraviglioso. E’ un bambino felice. Il suo unico rimpianto della vita terrena è di non aver saputo in tempo che tu eri suo padre. Ma ora lo sa e ti ama tanto.”
Obi-Wan aveva resistito, ma come poteva adesso? Aveva bisogno di piangere. Ne aveva bisogno.
Abbassò il capo e lasciò che i singhiozzi si liberassero dal petto: “Mio figlio. Il mio piccolo Ben.”
“Non fartene una colpa.”
Lui rialzò il capo, il viso arrossato per lo sforzo del pianto: “Ho perso lui, ho perso te. Alastair e Han non mi sopportano. Ti prego, non obbligarmi a restare qui.”
“Il tuo futuro è già stato scritto. Non puoi venire con me adesso. Luke Skywalker diventerà…”
“Luke?” Chiese incredulo lui. Il pianto improvvisamente interrotto: “Cosa c’entra Luke con me?”
“Devi occuparti del suo addestramento Jedi. E’ molto importante che tu lo faccia.”
“Io non… Io non capisco. Cosa…?” S’interruppe quando si accorse che la figura di Leia si stava muovendo, come trasportata dal vento. Si alzò in piedi spaventato: “Leia? Cosa succede?”
Lei era sorpresa quanto lui: “Non lo so.”
“Non andartene. Fermati!”
“Non posso. Qualcosa mi sta trascinando via.”
Obi-Wan allungò una mano, come se potesse afferrarla e tenerla con sé: “Leia! Aspetta!”
All’esterno, nella notte profonda e silenziosa, Alastair balzò fuori dallo sprinter. Si voltò di scatto quando sentì un grido agghiacciante provenire dall’interno dell’abitazione.
Si precipitò all’ingresso, allarmato e spaventato allo stesso tempo: “Papà!”
Lo trovò nella sua stanza, faccia a terra, con un braccio allungato verso qualcosa di invisibile. Corse al suo fianco e l’aiutò a mettersi seduto: “Papà. Cos’è successo? Perché gridavi?”
Lo sguardo di Obi-Wan era acquoso, quasi assente, la sua voce spezzata: “Tua madre. Tua madre era qui, Alastair.”
Alastair sentì una rabbia ceca salirgli alla testa. Lasciò suo padre a terra e si rimise in piedi, gridando come un ossesso: “La mamma è morta! Maledizione, lo vuoi capire? E’ morta! Non tornerà più!”
“No, devi credermi. Io l’ho vista!”
Suo figlio gli diede un calcio in pieno stomaco: “Sei un vecchio pazzo! Non ti sopporto più!”
Mentre suo padre boccheggiava per il dolore, rannicchiato a terra come un insetto, Alastair fece una cosa che non faceva da molto tempo. Strinse i pugni fino a conficcare le unghie nella carne e si lasciò andare al pianto.
Nel corridoio fuori dalla stanza, Han se ne stava in disparte. Aveva visto tutto. Si voltò e camminò lentamente fino a tornare alla propria stanza, i piedi che strisciavano sul pavimento, la testa china. Rientrò nella propria stanza, si fermò e risollevò il viso verso il nulla: “Non posso fare niente, mamma.”
Salì sul letto e sistemò con cura le coperte: “Sono tutti e due orgogliosi. Non vorrebbero che io li vedessi in quello stato. Domattina staranno meglio, vedrai.”
Si sdraiò, posò la testa sul cuscino e allungò lo sguardo sulla proiezione di stelle che illuminava la stanza: “Loro non capiscono. Non ancora. Altrimenti non piangerebbero.”
Sbadigliò senza pudore, i suoi occhi erano pieni di sonno. Lanciò un ultimo sguardo alle stelle e si accorse di un luccichio che proveniva da una in particolare. Era il pianeta Corellia.
Un attimo prima di scivolare nel sonno, sorrise e bisbigliò al nulla: “Buonanotte mamma.”
*
La luce rossa dell’alba scivolò lentamente sul deserto. Fece capolino da una finestra e andò a posarsi sul capo di Alastair. Dapprima seduto a terra, le gambe incrociate, le spalle ben dritte e gli occhi chiusi, sentì il calore della luce dei soli ed aprì gli occhi. Il suo guardo era di ghiaccio. Si alzò agilmente e si diresse verso un mobile posto accanto ad una delle pareti, dalla parte opposta del letto. Allungò la mano per afferrare qualcosa ancora nascosta nell’ombra. Tornò al centro della stanza, la luce ancora alle spalle. Allargò le gambe e si mise in posizione. Dall’oggetto stretto nel pugno si levò un raggio di luce verde e un ronzio invase la stanza. Alastair roteò il braccio e diede il via all’allenamento con la spada laser.
Un paio di stanze più in là, la luce dell’alba aveva completamente invaso l’interno e i suoi riflessi luccicavano ovunque. Ma non fu questo a svegliare Obi-Wan. Fu più che altro una sensazione, qualcosa di piacevole e leggero che gli parve di percepire anche a contatto con la pelle. Era come se il petalo di un fiore gli stesse accarezzando la guancia. Decise di aprire gli occhi, di superare la pigrizia, ormai svuotato di ogni speranza. E la vide lì, sdraiata accanto a lui, la mano protesa verso il suo viso. Leia, il suo Spirito Guida. Il lieve sorriso che aveva sulle labbra disse più di mille parole. Il tempo della separazione era finito, da quel momento in poi avrebbero trascorso ogni istante insieme, sia nella vita che nella morte.
Da un cuore felice ad un altro colmo di speranza, in città c’era chi sognava ad occhi aperti. Le dita che si muovevano agilmente tra i capelli per creare un’elaborata treccia, gli occhi rivolti al riflesso nello specchio ma in realtà persi in piacevoli fantasie. Sheila sospirò e scostò lo sguardo su una foto in movimento che teneva sul ripiano della toeletta. Una foto di Alastair, evidentemente scattata di nascosto mentre lui lavorava al banco esterno della bottega.
Solo una persona stava ancora dormendo, cullata dal buio artificiale e dalla proiezione di un sistema solare. La bocca socchiusa dal quale faceva capolino una gocciolina di saliva. Gli occhi chiusi in una linea serena, i capelli spettinati. Han si mosse nel sonno e si girò sull’altro fianco. Non aveva pensieri, non aveva turbamenti. Il tempo gli apparteneva. Il pianeta Corellia continuava a brillare sopra di lui.

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Parte II
 
 
I soli splendevano alti nel cielo come grandi palle di fuoco incollate all’azzurro. La loro luce divorava ogni cosa su quel pianeta bruciato. La sabbia assorbiva il calore dei raggi e poi lo emanava a sua volta in nuvole di vapore talvolta letali. Non si poteva scorgere forma di vita nel deserto o almeno nessuna che fosse così perversa da rischiare la propria vita in quel forno naturale. Eppure, oltre al deserto vi era anche una zona di montagne rocciose che si estendeva fino a perdita d’occhio. E là, nel valico profondo, un uomo vi si aggirava. La camminata lenta, un mantello marrone che gli avvolgeva il corpo, un cappuccio che quasi gli nascondeva il viso, le braccia strette al petto. Il suo sguardo rimirava l’orizzonte, guardando oltre il nulla. E mentre camminava parlava, la sua voce era tranquilla, una nota di saggezza emergeva di tanto in tanto.
“Sento che sta per accadere qualcosa. Tutto attorno a me percepisco gli elementi come se mi stessero parlando. I miei Sensi ormai sono tornati potenti come una volta ed è solo grazie a te. Ma ugualmente vorrei poter fare di più. Vorrei il tuo aiuto per Han. Di tutte le percezioni, quella su di lui è la più negativa. Qualunque mio tentativo di approccio è vano, non ha nessuna considerazione di me. Ma forse, se tu mi dicessi come fare...”
Di fatto, accanto a lui non c’era nessuno. Nessuno di visibile, nessuno che lasciasse orme sul terreno. Ma a volte vedere solo con gli occhi può ingannare. La figura disegnata nell’aria, l’aspetto angelico e perfetto, Leia camminava al fianco di suo marito. Dal giorno in cui lui aveva aperto l’anima a aveva ritrovato la Forza, lei era comparsa ed aveva ricoperto il proprio ruolo di Spirito Guida.
“Non posso rivelarti ogni aspetto del futuro, Obi-Wan. E’ proibito. Il futuro può mutare anche solo a causa di un gesto o una parola.”
Lui sottolineò: “Questo lo so, amore mio. Magari potresti parlare con lui personalmente, assicurarti che non si metta nei guai. Non più del solito, almeno.”
Lei unì le mani in grembo, in quel gesto che aveva conservato dalla vita terrena: “Ormai non mi sente più. E’ cresciuto. Ha smesso di credere.”
Obi-Wan alzò lo sguardo al cielo, inseguendo un pensiero: “Già. Ancora non riesco a comprendere come potesse sentirti da bambino. Lui non ha qualità Jedi. E’ nato normale. Com’è possibile che abbia potuto creare un contatto con te quando io stesso non ero in grado di farlo?”
“Non so spiegarlo con precisione nemmeno io. So solo che, dopo la mia morte, ho trovato la via per entrare nella sua anima. E’ stato come seguire una scia luminosa che mi ha portata dritta a lui. Era così piccolo. Aveva bisogno di me. Aveva bisogno della sua mamma.”
“E suo padre non era in grado di prendersene cura.” Concluse tristemente lui.
Leia voltò il capo e  lo guardò con occhi colmi di sofferenza: “Non dirlo come se fosse una colpa. Stavi male. Avevi bisogno di tempo per ritrovare te stesso.”
Lui si fermò di colpo e disse brusco: “Avevo bisogno di ritrovare te.” E con sicurezza allungò la mano verso quelle giunte di lei. Il vuoto. Rise amaramente contro se stesso: “Perché non mi arrendo? Dopo cinque anni di tentativi dovrei sapere che non posso toccarti!”
Lei lasciò una risatina, la stessa che lui adorava sentire quando lei era in vita: “La tua mente è saggia, lo sa che non puoi. I tentativi sono dettati dal tuo bisogno fisico.”
Obi-Wan abbassò lo sguardo, come se potesse bastare a nascondere ciò che provava. Lei, sempre più divertita, incalzò: “Il fatto che io sia accanto a te talvolta risveglia i suoi sensi fisici e ti fa illudere che tra noi possa esserci ancora un rapporto carnale. Lo so, Obi-Wan! Posso sentire quello che provi!”
“E questo lo rende ancora più imbarazzante.” Sentenziò lui, rosso in volto e con un’improvvisa voglia di sprofondare nelle sabbie mobili.
Ripresero la camminata, non sapendo che qualcuno li stava osservando da un nascondiglio nelle rocce. Due Jawa avevano osservato per tutto il tempo, vedendo solo lui, ovviamente. Ad un tratto i due si guardarono, si scambiarono un’occhiata incredula. Uno emise i suoni poco gradevoli del loro linguaggio. Qualcosa che poteva essere tradotto come: “Di nuovo quel pazzo che parla da solo.”
E l’atro rispondere: “Lasciamo perdere. Non voglio averci niente a che fare con uno così.”
*
La base era quella di uno sprinter, senza dubbio, ma tutte le modifiche che vi erano state apportate lo avevano trasformato, rendendolo qualcosa di impossibile da catalogare. Per cominciare era stato montato un tettuccio al posto di pilotaggio, di forma ovale e dotato di ampio parabrezza che faceva il giro completo della cabina. E poi, dove una volta c’era un semplice bagagliaio, era stato aggiunto una sorta di vano dalle forme morbide e gli angoli smussati. Inoltre il tutto era stato verniciato di un curioso grigio opaco e su una fiancata era dipinto un falco stilizzato la cui coda sembrava una scia di luce nello spazio.
Alla guida un ragazzo adolescente dallo sguardo fiero, la fronte leggermente corrugata per la concentrazione. In effetti stava pilotando ad una velocità tale che, se si fosse distratto, di certo avrebbe investito qualcuno. Le vie della città erano affollate e non era raro vedere armi fuoriuscire furtivamente da mantelli e cinture.
Con una manovra abile e precisa, fece ruotare lo sprinter a ‘U’ e lo parcheggiò sul retro di un’abitazione all’apparenza abbandonata. La portiera si aprì e ne uscì prima uno scarpone nero ben lucidato, seguito da una gamba ben formata e rivestita di pantaloni di pelle nera, poi una cintura, una giacca marrone di vecchia data ed infine una testa di capelli un po’ arruffati a causa del caldo, il volto abbronzato e la mascella scolpita. Richiuse la portiera con un colpo secco e si diresse verso una porta metallica la cui vernice verde era sbiadita sotto i raggi prepotenti dei soli.
“Parola d’ordine.”
La voce robotizzata proveniva da un piccolo citofono posto accanto alla porta.
Il ragazzo si mise in posa come per una fotografia e si sporse leggermente in avanti verso il citofono.
“C’è molta gente oggi a Mos Eisley!”
Un bip prolungato, un cigolio, e la porta metallica si aprì di colpo. All’interno nient’altro che oscurità.
Il ragazzo mantenne la posa e parlò al nulla: “Ho quello che volevi.”
La voce robotizzata rispose: “Bene. Portala dentro, Kenobi.”
“Preferirei che mi chiamassi Signor Kenobi. Te l’ho già detto. E’ più professionale.” Puntualizzò il ragazzo, con un modo alquanto infantile che rese automaticamente vana la richiesta.
Nessuna risposta.
Il ragazzo alzò il braccio e con il pollice indicò alle proprie spalle: “Sai, non è stato molto facile procurartela. Ho dovuto corrompere ben tre tizi e ci ho rimesso parecchio.”
“Non fare il furbo, ragazzo. Abbiamo già stabilito la cifra.”
“Sì, certo! Non fraintendere! La cifra resta quella. Solo che…”
La voce robotizzata si fece più stridente: “Solo, solo, solo. Ogni scusa è buona per infrangere i patti. Altro che Signor Kenobi, dovrei chiamarti Signor Solo!”
Il ragazzo abbozzò una risata: “Mi piace, sai? Potrei prenderlo in considerazione!”
“Dimmi cosa vuoi e vattene.” Tagliò corto la voce robotizzata.
Il ragazzo mosse lo sguardo altrove come per riflettere, ma dai suoi occhi era chiaro che sapeva perfettamente quello che voleva. Ad un tratto fece schioccare la lingua e disse: “I due pezzi di ricambio che hai fatto sgraffignare al Capo, nella mia città. Non è stato un gesto carino. In fondo quel brav’uomo ha una figlia a cui provvedere.”
Ci fu qualche istante di silenzio, poi la voce rispose: “E tu come sai che sono stato io?”
Il ragazzo si portò una mano al fianco, totalmente strafottente: “Io so tutto. Ricordalo. E finiscila di spacciarti per un robot!”
A quelle parole, dal buio emerse una figura, un uomo di media altezza dai lunghi capelli neri e gli occhi a mandorla. Lo sguardo acerbo, in una mano un piccolo congegno per mutare la voce.
“E sia, Han Kenobi. Ti darò quello che vuoi. Ma la prossima volta non sarò altrettanto gentile.”
Han sfoggiò un sorriso compiaciuto: “Bene, Leech. Ma ricordati che qui a Tatooine io sono il migliore che tu possa trovare. E il fatto che tu non voglia tornare sul tuo pianeta, Nar Kanji, dimostra che io ti faccio comodo.”
L’uomo aggrottò le sopracciglia: “Non sarà sempre così, te l’assicuro.”
Han fece un passo indietro e rise: “Vedremo, Leech! Vedremo!” Quindi si voltò e salì a bordo dello sprinter. Un attimo prima di chiudere la portiera, si rivolse di nuovo all’uomo: “Stammi bene, Leech! E salutami i tuoi figli!”
“Io non ho figli.” Ringhiò lui.
“Bene! Non farne mai!” Chiuse la portiera e in un battito di ciglia partì a tutta velocità.
*
Sheila si gettò una treccia all’indietro, sospirando: “Non lo so, Alastair. Forse sarebbe il caso di dirlo a papà. In fondo quei pezzi gli sono costati parecchio, mi sembra giusto fargli sapere che sono stati rubati.”
Era seduta su uno sgabello all’interno della bottega, Alastair invece era in piedi e con le spalle poggiate all’anta di un armadio.
Scosse il capo: “No. Ultimamente non si sente bene, non voglio turbarlo ulteriormente con questa storia. E poi Han ha promesso di aiutarci, magari coi suoi contatti riuscirà a scoprire qualcosa.” Il suo sguardo serio e profondo fu attraversato da un bagliore di speranza. Il fratello sarà anche stato un caso disperato, però ci sapeva fare con le persone.
Sheila sospirò, ma questa volta per liberarsi dalla preoccupazione. Ora il suo sguardo era puntato su Alastair, lo fissava come se fosse una creatura meravigliosa e misteriosa comparsa dal nulla. Si alzò dallo sgabello e si avvicinò a lui furtivamente. Quando gli fu accanto, la sua mano ebbe un momento di esitazione, ma poi si sollevò e andò a posarsi sul petto di lui, le dita si intrecciarono tra i lacci della camicia azzurra.
“Sei così premuroso e fiducioso quando si tratta di Han.” Gli bisbigliò contro la guancia.
Alastair buttò fuori una mezza risata: “E’ mio fratello, credo sia mio dovere credere in lui!”
Sheila non aveva voglia di ridere e nemmeno di continuare quella conversazione, ma lui sembrava non accorgersene. Fingeva o era davvero indifferente? La dita di Sheila si sciolsero dall’intreccio, la mano si premette sul petto con decisione. Il viso era talmente vicino a quello di lui che poteva sentire il calore della sua pelle, perciò anche lui doveva sentire il respiro di lei sulla guancia. Ma allora perché non reagiva?
Dal detto al fatto, Alastair spinse via la mano di lei e fece un passo in là. Così all’improvviso! La sorpresa fece appena in tempo a velare il viso di Sheila che la tenda della bottega si sollevò e comparve Han sulla soglia.
Appena li vide, sfoggiò un sorriso: “Eccovi qui! Ho ottime notizie per voi!”
Alastair chiese speranzoso: “Quali?”
Han li raggiunse di fronte all’armadio, quindi si schiarì la gola e disse: “Ho con me i pezzi, è tutto sistemato!”
Alastair gli diede una pacca sulla spalla: “Ben fatto, fratellino!”
Ma il complimento fu quasi ignorato, perché ormai Han non aveva occhi che per Sheila. Allargò le braccia e disse: “Allora, me lo merito un bacio?”
Sheila era talmente felice che non esitò a gettarsi tra le sue braccia e lasciare che lui la stringesse forte. Gli stampò un bacio con lo schiocco sulla guancia: “Sei il migliore, Han! Graziegraziegrazie!”
Lui gongolò senza contegno per quelle attenzioni.
Sheila chiese incuriosita: “Ma come hai fatto?”
“Parlando con le persone giuste. E sfoggiando tutto il mio fascino, ovviamente!” Un’occhiata maliziosa era d’obbligo con una frase così.
Lei rise, era al massimo della gioia per quel problema risolto: “Ti porto una limonata e una grossa fetta di torta! Te li sei meritati!”
Scivolò dalle sue braccia e corse tutta contenta verso la scala che portava al piano superiore, ovvero all’appartamento in cui viveva col padre. Han la osservò per tutto il tempo, orgoglioso di se stesso per averla resa felice.
“Dì la verità, quanto ti sono costati?”
Si voltò a guardare Alastair, sollevò un sopracciglio: “Recupererò tutto, non preoccuparti. La felicità di Sheila non ha prezzo.”
Concordava pienamente. Anche lui avrebbe fatto qualunque cosa per Sheila. La differenza tra loro due era che Han aveva sempre mostrato apertamente i suoi sentimenti per lei, lui invece non era mai riuscito nemmeno a farle un complimento. Non sapeva nemmeno con certezza quando si era reso conto di amarla. Quando aveva capito che lei non era più una ragazzina? Quando l’aveva vista per la prima volta come qualcosa di più della figlia del Capo? Mentre si lasciava trasportare da quel filo di pensieri, ecco che Sheila ricomparve con un grosso bicchiere di limonata in una mano e un piatto con una fetta di dolce di frutta secca nell’altra. La osservò avvicinarsi ad Han, con quel sorriso che avrebbe illuminato l’intero pianeta. Seguì i suoi gesti mentre posava il tutto sul ripiano di un tavolo e sistemava uno sgabello per permettere ad Han di sedersi. Era gentile con tutti, ma con Han non aveva davvero riserve. Anni di amicizia avevano forgiato il loro legame, era cresciuti insieme. Eppure… Alastair sapeva che Sheila non provava per Han lo stesso sentimento che provava per lui. Aveva finto indifferenza per non alimentare le sue speranze, ma lei non si arrendeva. Continuava a lanciargli segnali che lui coglieva benissimo, ma al quale non aveva mai risposto. Anche se talvolta per lui era davvero difficile restare immobile e controllarsi, soprattutto quando erano soli e lei gli scivolava addosso come un’anguilla. Come aveva fatto prima.
Scosse il capo. No, non poteva fare questo ad Han. Era suo fratello, non lo avrebbe tradito portandogli via la ragazza di cui era innamorato. Han aveva qualche anno in meno di lei, forse per questo Sheila non sembrava interessata, però col tempo magari… Il solo pensiero gli fece provare una fitta di gelosia. Improvvisamente la vista di loro due gli divenne insopportabile. Si chiuse a guscio, in quello stato che lo rendeva impenetrabile a chiunque, ed uscì a passo spedito dalla bottega. Sia Han che Sheila notarono quel gesto improvviso ma, entrambi abituati ai cambiamenti d’umore di Alastair, non gli diedero particolare peso.
*
Owen Lars si passò la manica sulla fronte ed emise un sospiro di sollievo: “E’ ora di pranzo!”
Lasciò sul tavolo da lavoro tutti gli utensili e schivò il piccolo droide fermo accanto al tavolo, spento in attesa di essere riparato. Uscì dal laboratorio col sorriso sulle labbra, pregustando mentalmente il pranzo che avrebbe trovato a casa. Sua moglie era un’abile cuoca! A quell’ora il calore esterno era quasi intollerabile e il vento caldo sollevava nuvole di sabbia quasi volesse davvero colpire in faccia qualcuno solo per dispetto. Ma a lui non importava, doveva fare pochi passi per trovarsi al sicuro tra le mura di casa. Gli bastò lanciare un’occhiata distratta all’orizzonte perché il sorriso gli morisse dalle labbra. Vide la figura incappucciata camminare proprio in quella direzione.
Sospirò: “Dannazione.”
Cercando di coprirsi gli occhi con le maniche, gli corse incontro prima che fosse lui ad avvicinarsi.
“Hey Kenobi!”
Da sotto il cappuccio comparve il viso di Obi-Wan, lo sguardo profondo che sembrava poter leggere nel profondo dell’anima di un uomo.
“Buongiorno a te, Lars! Procede bene il lavoro?”
Una forma di cortesia che invece nascondeva un altro scopo, Owen lo sapeva: “Come al solito, grazie. Posso esserti d’aiuto?”
Obi-Wan si fece leggermente più cordiale: “Vorrei vedere Luke. Solo per qualche minuto. Sono mesi che non me lo permetti.”
“E diventeranno anni. Fidati.” Rispose Owen, senza peli sulla lingua.
Obi-Wan gli lanciò un’occhiata severa: “Non capisco questa tua ostinazione. Cos’ho fatto per meritarmi tanto odio?”
Owen allargò le braccia: “Davvero non ci arrivi? Devo ricordarti che il mio fratellastro è impazzito a causa di tutte quelle fesserie Jedi?”
“E’ accaduto perché ha seguito la via del dolore e della rabbia.”
“In ogni caso non voglio che Luke ci vada di mezzo. Non ti permetterò di manipolargli la mente o insegnargli quelle dannate idiozie da stregoni. Sono stato chiaro?”
Obi-Wan si fece più insistente: “Almeno lasciamelo vedere! Prometto che sarà una semplice visita di cortesia, un normale incontro tra conoscenti.”
Owen gli rise in faccia: “Normale? Mi prendi in giro? Sai cosa dicono di te in città?”
Lui sospirò e si morse la lingua per non diventare volgare.
Owen continuò: “Non voglio che mio nipote venga associato ad un pazzo. Tu hai dei seri problemi, Ben Kenobi. Stai lontano dalla mia famiglia. E’ la mia ultima parola.”
Gli voltò le spalle e corse dritto verso casa.
“Mi dispiace. E’ colpa mia.” Disse Leia, costantemente accanto a lui.
Obi-Wan scosse il capo con decisione: “No. Sono loro a non capire.” Abbassò il cappuccio sul viso e propose: “Credo stia arrivando una tempesta di sabbia. Torniamo a casa, amore.”
*
Leech rientrò in casa di corsa, avendo visto la tempesta all’orizzonte avvicinarsi con rapidità. Si scrollò di dosso il mantello emettendo un ringhio e lo lasciò cadere sul pavimento senza curarsene.
“Non ti aspetterai che lo raccolga io, vero?”
Quelle parole improvvise lo spaventarono. Mosse lo sguardo vergo la grande vetrata infrangibile in fondo alla stanza e la vide lì in piedi.
“Lisette, non dovresti affaticarti. Perché non ti sdrai un po’?”
Lei si voltò e lo guardò con sguardo tagliente. La pelle blu diventava ancora più scura quando era di cattivo umore e gli occhi neri sembravano palle da fucile.
“Sei un babbeo. Hai lasciato che quel moccioso ti fregasse. Con tutta la fatica che abbiamo fatto per avere quei pezzi.”
Lui sollevò le spalle: “Li abbiamo fatti rubare solo per fare un dispetto a quel damerino del tuo ex amante. Non era un grande affare.”
“Quel bastardo mi ha rovinato la vita!” Gridò lei. “Dopo avermi illusa per anni, facendomi credere che un giorno mi avrebbe portato via da quello schifo di locale, un bel giorno si è presentato dicendo che non ci saremmo più rivisti perché aveva messo la testa a posto. Ti rendi conto di quanto mi ha fatto soffrire?”
Leech la guardò di sbieco, assottigliando ancor più gli occhi a mandorla: “Ma poi hai conosciuto me. E io ti ho portato via da quel posto.”
Lei sbuffò: “Bell’affare che ho fatto! Mi sono fatta impalmare da un contrabbandiere fuggiasco e vivo a pochi passi dal locale in cui lavoravo.”
Lui la raggiunse e l’avvolse in un abbraccio, soffermandosi con le mani sul ventre in avanzata gravidanza.
“Un giorno avrai la tua vendetta su Alastair, come io avrò la mia su suo fratello. E ti prometto che, se noi dovessimo fallire, ci penserà questo piccolino a rendere le loro vite un inferno. La famiglia Kenobi non avrà mai pace.”
Lisette sospirò di piacere a quel pensiero di vendetta. Voleva veder soffrire Alastair, vederlo strisciare al suolo e chiederle di perdonarlo.
“Dimmi, hai poi scoperto qualcosa di interessante?”
Leech lasciò una risata: “Lo sapevi che le voci sulla pazzia di Ben Kenobi sono giunte fino a qui? Tutti sono a conoscenza dei suoi monologhi con il vuoto! Alcuni dicono che sia convinto di parlare con la moglie morta!”
“Non m’importa di quel vecchio fallito, io voglio sapere di Alastair.”
La risata gli morì in gola, così come era arrivata. Tornò serio: “Ho aspettato a dirtelo, perché prima volevo esserne sicuro. Pare che la figlia del Capo gli faccia le fusa.”
Il corpo di Lisette s’irrigidì: “Quella mocciosetta dalle trecce brune? L’ho vista qualche volta. Carina, ma niente di speciale. Non vale un mio mignolo.”
“Infatti lui non sembra interessato.”
“Lo spero bene! Sarebbe il colmo se mi avesse lasciata per quella!”
Leech strinse i denti fino a farli scricchiolare: “Cominci a darmi sui nervi, sai? Ora sei la mia donna  e porti mio figlio in grembo. Vedi di mettertelo in testa.”
Lei voltò il capo e lo guardò assolutamente seria: “Se pensi che io lo ami ancora ti sbagli di grosso. Ti ho chiesto di farlo spiare solo per trovare un modo per vendicarmi. Io lo odio!”
Leech abbozzò un ghigno malefico: “Come ho detto, mia cara, prima o poi la pagherà. Lui e…il caro ‘Signor Solo’!”
*
Han strinse la corda con forza, affinché il nodo tenesse, quindi afferrò la porta e l’attirò verso di sé mentre sgusciava all’interno. Una volta udito il tonfo, appoggiò le spalle al muro lì accanto e sospirò: “Ma perché le tempeste di sabbia sono così improvvise?”
“Non solo quelle di sabbia, fessacchiotto. Tutte le tempeste sono improvvise.” Sottolineò Alastair, acido, mentre finiva di riporre dei bulloni all’interno di un apposito contenitore.
Sheila s’intromise con una risatina: “A me non dispiacciono! In fondo siamo preparati per queste cose, no? E poi, ora possiamo stare tutti e tre qui insieme finché non sarà passata!”
Quella ragazza era così piena di vita che riusciva a vedere il lato positivo in qualunque cosa. E aveva la capacità di donare il buonumore a chiunque.
Han le andò incontro e l’afferrò per il girovita con il massimo della malizia: “Io direi che potremmo stordire Alastair e stare soli io e te.”
Sheila lo rimproverò scherzosa: “Ma dai, Han! Non essere ridicolo!”
Alastair, dal canto suo, disse la propria opinione continuando a sistemare piccola ferraglia su degli scaffali: “Suo padre è al piano di sopra, vedi di comportarti bene, Han. E poi non riusciresti a stordirmi nemmeno con una raffica di pugni, coi tuoi colpi da femminuccia!”
“E chi ha parlato di pugni? Io intendevo farlo con le mie chiacchiere!”
Alastair non riuscì a trattenere una risata: “Sì, su questo hai ragione!”
“Salgo un momento a vedere come sta papà  e poi torno da voi, va bene?” Li informò Sheila, ottenendo dei cenni di assenso.  Salì le scale e, camminando alla chetichella, si diresse verso la stanza del padre. Si affacciò appena, vide la grossa figura sotto le coperte e udì il lento e vibrante russare. Sorrise e socchiuse la porta. Passò dalla cucina per prendere un vassoio di pane e una forma di burro e afferrò il collo di una bottiglia di vino bianco.
Quando ridiscese dai ragazzi, li trovò seduti a terra, che parlavano del più e del meno. Si chinò per posare a terra le vivande e prese posto tra loro, formando una sorta di triangolo.
“Vino?” Chiese perplesso Alastair.
“Sì! Per mandare giù meglio il pane.”
“Fatta eccezione per me, voi siete troppo giovani per berlo.”
Sheila sfoggiò un largo sorriso divertito: “Lo sorseggiamo solamente! Mica ci sbronziamo!”
Han confermò: “Giusto! E’ solo per tenerci allegri durante la tempesta!”
Sarà stato anche l’adulto lì, però Alastair sapeva ammettere la sconfitta. Non c’era modo di battere due adolescenti in vena di osare.
E così ebbe inizio la fine. Il pane col burro fu praticamente divorato, la bottiglia svuotata in fretta. Soprattutto grazie a Han. Non era passata nemmeno un’ora che già aveva iniziato a comportarsi in modo strano e ad aguzzare la vista come un vecchietto senza occhiali. Decisamente l’alcol non faceva per lui! Sheila invece era stata più moderata, aveva assaggiato e non abusato ed era rimasta sobria. Vedendo lo stato di Han scosse il capo: “Sei proprio un bambino!”
Han si sporse su di lei: “Un bambino che diventerà un eroe!” Fece per baciarla sulle labbra, ma lei si scostò prontamente facendolo così finire faccia a terra.
Un attimo di silenzio.
Sheila si rivolse preoccupata ad Alastair: “Non è grave, vero?”
Alastair si sollevò sulle ginocchia e andò a rigirare il fratello per controllare la situazione: “No. Dopo una dormita starà meglio.”
Si mise in piedi e afferrò Han per le spalle, quindi lo trascinò fino all’angolo dove erano tenuti i teli per imballare la merce e lo sistemò lì.
“Mi sento in colpa. Avrei dovuto ascoltarti.” Disse Sheila, osservando le condizioni di Han.
Alastair le sfiorò una spalla: “Non preoccuparti. Se l’è meritato. La prossima volta ci penserà due volte.”
Un rumore all’esterno, causato dalla tempesta, riecheggiò all’interno della bottega facendo spaventare Sheila, la quale ricercò rifugio tra le braccia di Alastair. Lui ridacchiò: “Non avevi detto che ti piacevano le tempeste?”
Lei sorrise: “Non era vero.”
In teoria avrebbero dovuto sciogliersi e magari andare a riordinare le cose lasciate sul pavimento. In pratica, non lo fecero. Il contatto ormai era stato stabilito, erano l’una tra le braccia dell’altro, chiusi lì, nessuna interferenza. I loro sguardi erano incollati come mai prima.
Il cuore di Sheila batteva forte, lui lo sentiva, sentiva tutto quello che provava. Aveva le gote arrossate e il suo viso si avvicinava sempre di più. Alastair si scostò all’ultimo istante. Lei sollevò una mano per accarezzargli la guancia. Un altro tentativo e...le loro labbra si unirono. Le labbra di Sheila erano così dolci e delicate. Chissà se tutte le ragazze avevano labbra così. No, le sue erano uniche. Quel bacio era così diverso da quelli che un tempo dava a Lisette. Erano due cose completamente diverse. Lui stesso era diverso. Strinse il corpo di Sheila più forte a sé, la voleva egoisticamente. L’amava. La mano di Sheila ancora sfiorava la sua guancia, ne sentiva il calore attraverso il sottile strato di barba. Sentì una ciocca di capelli ricadere dalla fronte e finire sul viso di lei ed ecco che la mano di Sheila si spostò, sfiorò la ciocca e la risollevò delicatamente per poi riporla dietro l’orecchio di lui. E da lì andò ad accarezzare ed esplorare tutti gli altri capelli. Era da anni che sognava di poterlo toccare così.
*
Un minuscolo insetto fece capolino dal proprio nascondiglio nella pila di teli. Piccolo quanto la capocchia di uno spillo, colorato come l’arcobaleno, con le antenne percepì un corpo estraneo nel suo territorio. O forse il respiro pesante di Han lo aveva semplicemente infastidito! Con cautela uscì dal nascondiglio ed esaminò la situazione. Posò una zampina per tastare il terreno, la pelle lucida della giacca doveva piacergli perché lo convinse a farvi un balzo sopra. Camminò velocemente verso l’alto, lungo la manica, poi sulla spalla ed infine si fermò sul bordo del colletto. Era indeciso se saltare o meno, ma alla fine decise di tentare la sorte e si lanciò in un balzo che lo fece atterrare dritto sulla punta del naso. Ma ecco che appena atterrato il suolo prese a tremare, ad agitarsi, ovvero Han stava muovendo il naso nel sonno avendo sentito qualcosa posarvisi sopra. Il piccolo insetto si spaventò, corse via seguendo la linea del setto nasale, attraversò la fronte e da lì spiccò un balzo per tornarsene tranquillo nel proprio rifugio. Le sue avventure erano finite, per quel giorno. Quelle di Han invece erano appena iniziate…
In effetti la presenza dell’insetto sulla faccia lo aveva destato dal sonno, così, pur sentendo un cerchio alla testa a causa del vino che aveva bevuto, si sforzò di aprire gli occhi. Sul momento vide solo una luce accecante, il neon appeso al soffitto, poi pian piano si aggiunsero dei colori, in particolare il rosa e il verde. Sheila e Alastair indossavano abiti con quei colori ma… Che strano, sembravano così vicini. Continuando a guardare gli sembrò che i colori fossero addirittura amalgamati tra loro. Sbatté le palpebre e l’immagine divenne più nitida, rivelando così la verità. Sheila e Alastair si stavano abbracciando e…
Han si sollevò di scatto emettendo un gemito di sorpresa. Quel rumore fece inevitabilmente interrompere il bacio dei due piccioncini.
Sheila si portò una mano alle labbra, imbarazzata. Alastair invece mise le mani in avanti in segno di difesa: “Han, posso spiegarti.”
Han, ormai lucido, balzò in piedi e gli sibilò un amaro: “Mi fai schifo.”
Vedendo che il fratello prese a dirigersi verso la porta, Alastair lo richiamò: “Han, la tempesta non è ancora cessata.”
“Preferisco morire piuttosto che restare qui con voi due.” Sentenziò Han, un attimo prima di aprire la porta. Venne investito da una ventata di sabbia, ma ugualmente decise di uscire.
Alastair gli corse dietro: “Per favore, parliamone!” Quello che non si aspettava era di ricevere un pugno in pieno stomaco. Si ritrovò piegato in due per il dolore.
Han lo sbeffeggiò: “Cosa dicevi dei miei colpi, Al?” E corse spedito verso lo sprinter mentre Sheila correva fuori a sua volta per assistere Alastair.
Cercò di ripararlo dal vento facendo scudo con il proprio corpo: “Mi dispiace tanto, non volevo che finisse così.”
Lui sentì il tocco gentile sulle spalle, la voce triste. Il dolore si placò un poco. Con l’aiuto di Sheila riuscì a rimettersi in piedi ed insieme rientrarono nella bottega. Un rovescio d’aria fece sbattere la porta alle loro spalle. Si guardarono negli occhi. Se da una parte avevano finalmente trovato il coraggio di unirsi, dall’altra sapevano di aver commesso un crimine imperdonabile. Sheila ricercò il suo abbraccio, posò la fronte sulla sua spalla. Alastair la strinse dolcemente a sé.
“Vedrai, prima o poi se ne farà una ragione.” Parole che risuonarono false persino a lui stesso.
*
“Hey Leech, ci sono novità.”
La voce era disturbata dal forte fischio del vento, però il tono compiaciuto risuonò alla perfezione.
Leech estrasse dalla cintura il comunicatore: “Dimmi.”
“Il piccolo Kenobi è appena fuggito dalla bottega. Deve essere accaduto qualcosa di davvero spiacevole, dalla faccia che aveva!”
“Mi stai dicendo che si è avventurato all’esterno durante la tempesta?”
“Proprio così.”
Gli occhi a mandorla brillarono di una luce diabolica: “Tu sei attrezzato, dovresti essere in grado di inseguirlo.”
“Sì. Posso farlo. Vuoi che ti richiami per dirti dove è diretto?”
Leech scosse il capo anche se l’interlocutore non poteva vederlo: “No, amico mio, farai molto di più. Non è raro che qualcuno sparisca durante una tempesta di sabbia, giusto?”
Dall’apparecchio arrivò una risata perfida: “Ricevuto!”
Soddisfatto di quell’occasione che si era presentata, Leech si precipitò verso la camera da letto per riferire il piano anche a Lisette, ma quando entrò la trovò a contorcersi dal dolore. La sua espressione mutò all’istante: “Lisette, cos’hai?”
Lei cercò di sollevare il capo, con la voce spezzata per il dolore riuscì a dire solo: “Il bambino. E’ il momento.”
Nello stesso istante, Han guidava come un pazzo nella tempesta, lo sprinter che veniva continuamente sbalzato dal forte vento. Ad impedire la visuale, oltre alla sabbia che si abbatteva sul vetro, vi erano le lacrime che gli scendevano dagli occhi. Il dolore bruciante che gli premeva nel petto era insopportabile. Come avevano potuto? Alastair non aveva mai dimostrato il minimo interesse per lei, com’era possibile che fosse riuscito a mascherare i suoi sentimenti così bene? E Sheila… Credeva che tra loro ci fosse qualcosa, credeva che lei fosse quella giusta. Era tutto finto. Tutto un’illusione. I suoi pensieri vennero interrotti bruscamente da un forte colpo. Si guardò attorno smarrito, non capendo cosa fosse successo.
“Ho urtato qualcosa?”
Di nuovo un forte colpo che per poco non gli fece sbattere la fronte contro il parabrezza. No, il contrario. Era stato qualcosa ad urtare lui. E anche di proposito. Strinse il volante e cercò di concentrarsi, ma era davvero impossibile vedere qualcosa oltre la sabbia. Resistette ad un altro colpo, virò all’improvviso per spiazzare chiunque avesse alle calcagna. All’improvviso si ritrovò sottosopra e si rese conto che lo sprinter stava rotolando probabilmente da una duna. Preso alla sprovvista, premette il bottone di evacuazione, chiuse gli occhi, e quando li riaprì si ritrovò a contatto con la sabbia, il vento che gli sbatteva in faccia come uno schiaffo. Stordito per le capriole e la caduta, non aveva nemmeno le forze di alzare un braccio per ripararsi il viso. Ormai non gli importava più niente, se quella doveva essere la sua fine andava bene. Non si fidava più di nessuno, non credeva più in niente. Addio mondo crudele.  La sua mente intorpidita si stava facendo sempre più nera, i pensieri smisero di viaggiare, le immagini smisero di proiettarsi. Il vuoto totale.
Ed ecco che lo sentì. Il tocco di qualcosa di morbido e vaporoso. Qualcosa di gentile. Qualcosa di confortante.  Qualcosa che lo stava portando in salvo.
*
“Ti prego, provaci! Di cosa ti vergogni?”
Obi-Wan sedeva sul bordo del letto e guardava con aria divertita un incredibilmente imbarazzato Spirito Guida. Anche se le guance non potevano diventare rosse, si vedeva dal suo sguardo che provava vergogna. Per quanto potesse provarne uno spirito fatto di Forza.
“E’ assurdo.” Buttò lì Leia.
“Se riesco a percepire il tocco della tua mano sul viso, è impossibile che non possa percepire anche le tue labbra! Avanti, fammi contento!”
In un altro gesto tutto umano, Leia si morse le labbra e rispose: “Va bene. Ma solo un tentativo. E se non funziona non me lo chiederai più.”
Obi-Wan si mise una mano sul cuore: “Parola di Jedi!”
Leia sollevò lo sguardo al soffitto. Stando accanto a lui era diventata più viva di quanto fosse possibile. Che ne era della saggezza acquisita con la rinascita? Che ne era del giudizio e della sapienza? Con un marito così, la morte era diventata un lontano ricordo. Allungò entrambe le mani verso di lui e le avvicinò al suo viso. Prese a muoverle delicatamente, immaginando di por toccare la sua pelle, le sue guance, la sua morbida barba bionda. In un qualche modo era reale, lei stessa lo sentiva. E dal modo in cui lui si rilassò era chiaro che poteva percepirlo come un vero tocco, una vera carezza.
“Adesso baciami.” Bisbigliò lui.
Leia precisò: “Soltanto se chiudi gli occhi. Voglio capire se lo senti davvero o se fingi.”
Lui obbedì. Appena chiuse gli occhi lei avvicinò il viso e sporse le labbra. Cercò di ricordare le emozioni che provava quando era in vita, quando Obi-Wan la baciava con passione, quando le trasmetteva tutto il suo amore attraverso il contatto fisico. Sì…ricordava ogni cosa. Il calore umido, il sapore, i movimenti delle labbra. A quel tempo erano cose a lei indispensabili per sopravvivere, per sapere che lui l’amava. E adesso stava rivivendo tutto come se fosse ancora nel proprio corpo. Sentì il battito del cuore  di lui riecheggiarle dentro. Riuscì a percepire il calore delle sue labbra e la loro morbidezza. Riusciva… a sentirlo.
Riaprì gli occhi e un istante dopo anche Obi-Wan li riaprì. Non c’era bisogno di parlare. Contro ogni legge umana, scientifica, fisica e mistica, loro avevano appena reso possibile l’impossibile. Si erano scambiati un bacio.
Un rumore improvviso fece sobbalzare Obi-Wan. Entrambi voltarono lo sguardo verso la porta chiusa. Qualcuno erano entrato in casa di corsa.
“Uno dei ragazzi.” Disse Obi-Wan, accennando un sorriso. Riposò lo sguardo su Leia, ma prima che potesse aggiungere altro udì il suono d’avviso che qualcuno era fuori all’ingresso. Si alzò sospettoso: “Sarà meglio che vada a vedere cosa succede.”
Leia non rispose, rimase immobile dove si trovava.
Quando Obi-Wan andò ad aprire, si ritrovò davanti una bella ragazza che era certo di non aver mai visto.
“Posso fare qualcosa per te?”
Sheila lo fissò ammirata, non aveva idea che Alastair somigliasse così tanto a suo padre. E soprattutto non aveva idea che un uomo che era considerato pazzo e che aveva avuto problemi con l’alcol, potesse avere un aspetto così curato e galante.
Si rese conto di avere la bocca aperta, perciò cercò di parlare: “Eeeehm… Signor Kenobi, piacere di conoscerla. Io sono Sheila.”
“Sheila? La figlia del Capo? Ho sentito parlare innumerevoli volte di te!” Disse lui, sorridendo. Quindi fece un gesto galante con la mano: “Prego, entra!”
Lei fece appena in tempo a mettere un piede dentro che una voce la chiamò: “Sheila, cosa ci fai qui? Mi hai seguito?”
Alastair raggiunse l’ingresso in un batter d’occhio.
“No, assolutamente. Lo so che mi avevi detto di restare a casa, però dopo tre ore senza notizie ero in pensiero e ho deciso di venire fin qui.”
Obi-Wan chiese al figlio: “Di cosa state parlando?”
Sheila gli lanciò un’occhiata sorpresa e poi si rivolse a sua volta ad Alastair: “Non glielo hai detto?”
“Non ne ho avuto il tempo, sono appena tornato!” Si giustificò lui.
“Detto cosa?” Chiese sospettoso Obi-Wan.
Alastair sospirò: “Han è sparito. L’ho cercato dappertutto.”
“E’ colpa mia, signor Kenobi.” S’intromise Sheila.
Nostra.” Sottolineò Alastair, per poi proseguire: “Han ci ha sorpresi a baciarci e non l’ha presa bene.”
Obi-Wan spalancò gli occhi per la sorpresa: “Voi due? Ma io credevo che Sheila fosse legata ad Han! Ne ha sempre parlato come la sua Principessa, la tua bellissima ragazza, e così dicendo. Che storia è questa?”
“Adesso non è il momento dei dettagli, papà. Han è sparito. E’ fuggito durante la tempesta e non ho idea di dove sia andato.”
Lo sguardo di Obi-Wan mutò subito, diventando completamente serio: “Sarà andato al suo rifugio segreto. Noi non sappiamo dove sia.”
“Io lo so, invece. L’ho scoperto tempo fa, pedinando Han. In ogni caso là non c’è. Sono perfino andato a Mos Eisley a chiedere di lui, ma…”
“Fermo fermo fermo. Hai detto Mos Eisley? E perché accidenti qualcuno dovrebbe conoscerlo in quel posto?”
Alastair scambiò un’occhiata d’emergenza con Sheila. Ormai il danno era fatto, tanto valeva sputare il rospo: “Perché la maggior parte dei suoi traffici illegali si svolge lì.”
Fu come una doccia fredda. Obi-Wan sapeva che il figlio minore si era dato al contrabbando e che ogni tanto si metteva nei guai per questo, però non aveva idea di quanto fosse grave la situazione. Spostò lo sguardo altrove: “Aspettiamo. Potrebbe tornare a casa di sua spontanea volontà. Se così non fosse domani andremo a cercarlo assieme.” Fece per andarsene, ma poi si fermò: “Sheila, se vuoi puoi rimanere per la notte. Percepisco il tuo senso di colpa ed il tuo bisogno di conforto. Credo di poterti considerare una di famiglia, ormai.”
E con questa frase enigmatica, lasciò la coppia lì all’ingresso e andò nella propria stanza.
*
Una piccola rosa del deserto era l’unico ornamento di quella stanza. Un luogo pulito, spazioso e tremendamente spartano. Era evidente che quel ragazzo non era legato ai beni materiali e se aveva qualche hobby lei non ne sapeva niente. Non ancora, almeno. Ma in quel momento l’unica cosa che importava era sapere che lui aveva conservato quella piccola roccia scolpita che lei gli aveva donato anni prima.
I suoi pensieri vennero interrotti da un colpo di tosse, che le fece distogliere lo sguardo dal ninnolo. Seduto accanto a lei sul letto, Alastair era stranamente titubante.
“Forse dovremmo… Dovremmo provare a dormire, non credi?”
Aveva parlato senza nemmeno guardarla negli occhi. Il suo sguardo agitato sembrava puntare su tutto tranne che sul suo viso.
Sheila sfoggiò un gran sorriso divertito: “Al, cosa ti succede? Se non ti conoscessi direi che sei intimidito! E’ a causa mia? Ti imbarazza stare con me?”
“Sì. Cioè no! Insomma...” Si alzò dal letto meccanicamente, avendo necessità di muoversi: “E’ che averti qui nella mia stanza è così… E’ successo tutto in fretta, Sheila, mi sento come se fossi a bordo di uno sprinter impazzito.”
Lei sospirò: “Hai ragione. E’ tutto così strano. Se mi fossi dichiarata prima non avrei creato tutti questi problemi. Tu non saresti in imbarazzo e Han non sarebbe fuggito.”
“No. Per quanto riguarda Han sono certo che sarebbe accaduto comunque. Aveva troppi grilli nella testa, per lui sarebbe stato difficile in ogni momento.” Si chinò su di lei per guardarla dritto negli occhi e posò una mano sulla sua: “Credimi, è così.”
Sheila rispose a quel tocco muovendo le dita contro le sue fino a che non s’intrecciarono. Rispondendo ad un richiamo naturale, posò le labbra su quelle di lui.
Alastair non rimase sorpreso da quel bacio improvviso, anzi la sua reazione fu positiva. Si sporse ancora più in avanti, inducendo così Sheila a stendersi sulla schiena. Puntellò un ginocchio sul materasso e con la mano libera si sostenne per non aggravare il proprio peso su di lei. Poi fu Sheila a stuzzicarlo, sciogliendo la mano dall’intreccio e accompagnando quella di lui fino ad un seno. Alastair ne tastò la pienezza, sentì il calore attraverso la stoffa del vestito. Il suo corpo cominciava a reagire. Prima che lei se ne accorgesse, scivolò su di un fianco ed interruppe il bacio.
Sheila ridacchiò: “Troppo spudorata?”
Lui mosse leggermente il capo: “Ehm…no, non è questo.”
“Allora è per la mia età. Credi che io sia troppo giovane?”
“Mia madre ha avuto me a quindici anni, tu ne hai diciassette, quindi… No, nemmeno per questo.”
Lei incalzò, sempre più divertita: “E allora qual è il problema, Al?”
La mano traditrice di Alastair si posò su una coscia di Sheila, percorse lentamente la curva del fianco, poi tornò giù fino ad arrivare al ginocchio, e lì riprese a salire, ma questa volta portando con sé la stoffa del vestito. Si fermò giusto un po’ prima di svelare ciò che lei aveva di più intimo. Sollevò lo sguardo sul suo viso: “La delicatezza non è mai stata il mio forte, ma prometto di fermarmi appena me lo dirai. Basta una parola, d’accordo?”
Sheila ricambiò il suo sguardo serio, per dimostrargli che non aveva paura, quindi con un braccio lo attirò a sé e lo avvolse in un abbraccio.
“Vale lo stesso per te.”
Quello scherzo contribuì ad alleggerire la tensione e a donare maggiore sicurezza ad entrambi. Ora erano davvero pronti. La notte era ormai scesa ed era tutta per loro.
*
Si sentiva come se un’astronave fosse atterrata su di lui, avesse roteato più volte e poi fosse ripartita. Brutta sensazione, ma almeno era vivo. O forse era questa la cosa peggiore.
Sentì qualcosa di soffice e caldo sollevargli delicatamente il capo, poi del liquido fresco gli bagnò le labbra e andò pian piano a sciacquare via la polvere che aveva nella gola arida. Avendo un gran bisogno di acqua, cercò di berne avidamente, ma più si sforzava di risucchiarla e più questa sembrava retrocedere. Un improvviso colpo di tosse gli provocò un dolore atroce nella testa che lo fece gridare. Quel qualcosa di morbido gli cullò piano il capo fino a quando il dolore non cessò. Ora che si sentiva meglio, la curiosità lo indusse ad arrischiarsi ad aprire gli occhi senza valutare bene le conseguenze. Voleva vedere chi o cosa si stava prendendo cura di lui. Ciò che vide gli ispirò subito fiducia e una gran simpatia. Un volto peloso da cui emergevano due grandi occhi neri e buoni e una specie di sorriso buffo. Era un wookie.
“Grazie.” Bisbigliò Han, ricevendo in risposta un suono strano e vibrante, il linguaggio del wookie.
Han si fece forza e cercò di mettersi seduto. Guardandosi attorno si rese conto di essere in una cabina piccola e confortevole e, dall’odore muschiato di cui era impregnata, capì che doveva essere il luogo in cui il wookie dormiva.
“Come mai ti trovi su Tatooine? Problemi con l’astronave?” Chiese pratico.
Il wookie diede una risposta secca e terminò con una sonora risata.
“Che significa? Di che tipo di commercio di occupi? Su questo pianeta non c’è gran che da vendere o barattare, a meno che tu non sia un…” Si arrestò e spalancò gli occhi pieni di curiosità sul bestione: “Sei un contrabbandiere?”
Il wookie dondolò la testa un paio di volte, come soppesando i pro e i contro di una confessione così pericolosa, ma poi decise di confermare quella teoria.
Han esplose di gioia: “Lo sono anch’io! Per ora lavoro a Mos Eisley e le città nei dintorni, però il mio sogno è di poter fare affari in tutta la galassia!” Il suo entusiasmo era quello di un bambino, non di qualcuno che parlava di un atto illegale.
“E tu, amico?”
Il wookie gli fece una lista di nomi, di cui uno in particolare fece letteralmente balzare Han sul letto: “Corellia? Dici davvero? Io amo quel pianeta! Ti prego, portami con te! Sarò tuo socio e ti sarò fedele fino alla morte!”
Il wookie lo guardò di sbieco e gli fece una domanda.
Lo sguardo di Han si velò di tristezza: “No, io non ho nessuno qui. Nessuno per cui io sia importante, almeno. Tutto ciò che voglio è vivere la vita a modo mio e fare quello che sono capace di fare. Sai cosa ti dico? Se mi porterai con te potrai aggiungere al tuo carico tutta la merce in mio possesso. Si trova in un magazzino non lontano da qui. Puoi andare a prenderla mentre io faccio un salto a casa.”
Si accorse subito di essersi tradito con quella parola, perciò cercò di recuperare: “Cioè, mentre io prendo qualche effetto personale dal luogo in cui alloggio attualmente, ecco.”
Il wookie si grattò la testa mentre ci pensava, poi sorrise e gli diede una risposta positiva. Han gli sorrise di rimando e saltò giù dal letto nel pieno delle forze, come se non gli fosse mai accaduto nulla. La sua espressione mutò all’improvviso quando un pensiero gli piombò nella mente: “Oh no, il mio Falcon!”
Vedendo lo sguardo interrogativo del wookie, rispose prontamente: “E’ il nome del mio sprinter. L’ho costruito io. Devo ritrovarlo!”
Corse fuori dall’astronave, seguito dal wookie e, una volta all’esterno, vide una sagoma familiare nella sabbia. Il Falcon era ribaltato e semiricoperto di sabbia, però ad una veloce occhiata Han constatò che era ancora integro.
“Oh per fortuna! Il mio amato Falcon!”
Il wookie, ricorrendo alla sua portentosa forza, rimise lo sprinter in posizione orizzontale. Han aprì la portiera: “Grazie, amico. Ti mando subito le coordinate del mio magazzino. Ci vediamo all’alba, d’accordo?”
Fece per salire a bordo, ma una zampa lo trattenne per un braccio. Il wookie gli fece una domanda.
“Oh giusto, non mi sono ancora presentato. Io sono Han e tu?”
Il bestione rispose e gli porse una zampa, che Han afferrò amichevolmente.
“Piacere di conoscerti, Chewbecca!”
Lasciò la zampa, ma il wookie lo trattenne ancora con un’altra domanda.
“Un cognome? Certo che ce l’ho! E’…” Un baratro gli si aprì nel petto prima che potesse pronunciare quel nome. Gli venne in mente suo padre. Di lui aveva troppi ricordi amari, come tutte le volte in cui lo aveva visto ubriaco dopo la perdita di Leia, o come le volte in cui avrebbe voluto stargli accanto ma lui aveva fretta di andare da Luke Skywalker. Prima la bottiglia, poi il figlio di un pazzo assassino. Erano quelle due cose che il padre aveva messo al primo posto. Prima di lui. E poi Alastair, il suo tradimento. Il fratello maggiore era stato un punto fermo a cui lui aveva sempre fatto riferimento, prima che lo pugnalasse alle spalle. E Sheila… A lei non voleva pensare, solo ricordarne il volto gli faceva male. Se era l’amore a farlo sentire così, allora non avrebbe più amato nessuno. Non voleva più avere niente a che fare con quel mondo. Non voleva più essere un Kenobi. Ma cosa rispondere a Chewbecca? Vide il wookie osservarlo curioso, in attesa di una risposta. Doveva inventarsi qualcosa. Ma cosa? Doveva crearsi una nuova identità, trovare un nome che lo rappresentasse. Se solo avesse avuto più tempo per pensarci! Un momento… Cosa aveva detto Leech? Un’idea gli balzò nella mente, accendendosi come una lampadina. Han sfoggiò un sorriso fiero e disse: “Solo. Mi chiamo Han Solo.” Gli piaceva da impazzire!
Preso da un torrente di idee scatenate da quel nuovo nome, proseguì con una storiella fantasiosa: “Visto che siamo entrati in confidenza, ti confesso che io in realtà ho origini corelliane. Anzi, mi sembra strano che tu non l’abbia capito dai miei lineamenti e dal mio incarnato! Inoltre, dato che sono orfano, d’ora in poi sarai tu la mia famiglia! Che ne dici, Chewbe?”
Il wookie gli batté una zampa sulla spalla, accogliendo quella proposta.
Han salì a bordo dello sprinter: “Ci vediamo più tardi, amico!” E partì a tutta velocità come era solito fare.
*
Una flebile luce arancione sfumava leggermente il blu della notte, come un pennello non pulito bene che entra a contatto con il colore puro e lo deturpa con una traccia di un colore differente. Era così che il cielo appariva agli occhi di Leech, era così che vedeva l’imminente arrivo dell’alba. I suoi occhi a mandorla erano lucidi, carichi di tristezza e di odio al contempo. Il suo sguardo si mosse percependo il movimento del fagottino che teneva tra le braccia, subito seguito da un vagito.
Cullò il bebè, osservando il suo visetto contratto, il broncio, gli occhietti stretti. Il bambino aveva la carnagione olivastra, come lui.
“E’ arrivato il momento di tornare a casa, mio piccolo Tasu. Sono rimasto lontano da Nar Kanji troppo a lungo. Rimetterò insieme il Kanjiklub e ti insegnerò tutto ciò che potrò.”
Il bambino sembrò ritrovare la pace, smise di agitarsi e il suo visetto si rilassò.
“Gliela faremo pagare per tutto. Renderemo la loro vita un inferno.”
Voltò il capo. Sul letto dalle lenzuola macchiate di sangue, giaceva il corpo di Lisette. Il soffio della morte aveva reso la sua pelle ancora più blu. Leech scostò bruscamente lo sguardo, il cuore gli batteva nel petto come se volesse scoppiare.
Sibilò tra i denti: “Il signor Solo e tutta la sua famiglia non avranno mai pace finché noi saremo in vita. E’ una promessa.”
*
Obi-Wan camminava avanti e indietro per la stanza. Dopo aver chiesto a Leia di lasciarlo per poter riflettere, non era proprio stato capace di mettersi seduto, così aveva preso a camminare e camminare per ore.  Non faceva che pensare a quell’intreccio complicato, voleva sbrogliare la matassa e sistemare tutto. Era stato un pessimo padre, ora poteva dirlo con certezza. Come aveva potuto lasciare che quel figlio gli sfuggisse di mano in quel modo? Che era furbo e strafottente lo aveva sempre saputo, lo aveva lasciato fare per non creare ulteriore conflitto, però sapere fino a che punto si era spinto era un peso troppo grande da sostenere. Perché Han si era immischiato in loschi affari? Gli avrebbe dato una bella lavata di capo una volta tornato. Se fosse tornato… E se invece gli fosse accaduto qualcosa? Aveva solo quattordici anni, in fondo. E lui, suo padre, non sapeva nemmeno dove cercarlo. Sentendo il rumore della porta automatica dell’ingresso, in lui scattò qualcosa, così che, oltre alla preoccupazione e alla necessità di sapere, si aggiunse anche un altro sentimento: la collera.
Si precipitò all’ingresso e lo vide, testa bassa e corazza impenetrabile.
“Dove sei stato? Ti rendi conto di che ore sono?” Gridò, facendo così uscire in una volta tutti quei sentimenti che gli si agitavano dentro.
Han sollevò lo sguardo che, inizialmente sorpreso, si mutò rapidamente in rabbioso: “E da quando ti preoccupi per me?”
Obi-Wan agitò un dito per ammonire il figlio: “Non fare questi giochetti con me, Han. Il fatto che io ti abbia concesso parecchia libertà, non significa che puoi fare tutto quello che vuoi.”
Han abbozzò una smorfia: “E tu che ne sai di quello che faccio? E’ da dieci anni che provvedo a me stesso!”
“Dandoti al contrabbando e mettendoti nei guai a Mos Eisley? Quella città è pericolosa. Soprattutto per un ragazzino.”
“Non sono un ragazzino! Vai a dirlo al tuo Luke!” Gridò Han a pieni polmoni.
“Al mio…?” Obi-Wan si bloccò incredulo. Non aveva idea che il figlio potesse essere geloso di Luke.
“Non hai motivo di essere geloso, Han. Tu sei mio figlio e io ti amo incondizionatamente.”
“Avresti dovuto dimostrarmelo, papà, invece di passare tutto il tempo con lui.”
“Ma se non lo vedo da mesi! Lo sai che suo zio mi ha proibito di vederlo! Avresti potuto farti avanti, dirmi quello che provavi!”
“E fare da sostituto visto che non potevi stare con lui? Io non sono un giocattolo con cui puoi divertirti a piacimento! Ad ogni modo, ormai non ha più importanza.”
Fece per dirigersi verso la propria stanza, ma la voce del padre lo fermò: “Che intendi dire?”
Han continuò a dargli di spalle: “Me ne vado, papà.”
“Cosa?” Obi-Wan andò verso di lui, gli si mise di fronte: “Di cosa stai parlando?”
Han lo guardò dritto negli occhi, lo sguardo fiammeggiante: “Me ne vado da Tatooine. Per sempre.”
“E dove andrai?”
“Non ti riguarda. Ma non preoccuparti, non sarò solo.”
Senza aggiungere altro, schivò il padre e andò a chiudersi nella propria stanza.
Obi-Wan era come paralizzato. Cosa stava accadendo? Quand’è che tutto era iniziato?
Alastair si era svegliato sentendo le voci alterate del padre e del fratello. Sheila dormiva serena tra le sue braccia. Per quanto desiderasse restare lì con lei e riaddormentarsi, l’obbligo morale gli ordinò di fare qualcosa. Scivolò lentamente fuori dal letto, facendo attenzione a non svegliare lei. Si premurò di avvolgerla bene con la coperta perché non sentisse freddo. Era così bella anche mentre dormiva, il suo respiro era leggero e le sue labbra sembravano un bocciolo di rosa. In cuor suo si sentiva fortunato nel sapere che d’ora in poi quella meraviglia sarebbe appartenuta a lui soltanto. Un brivido lungo la schiena gli fece ritornare in mente Han. Prese i vestiti dal pavimento e li infilò velocemente. Quando raggiunse l’ingresso vide suo padre lì immobile. Gli andò accanto, Obi-Wan sollevò lo sguardo su di lui.
Alastair sospirò: “Gli parlo io.”
Obi-Wan fece un cenno di assenso.
Alastair trovò il fratello minore indaffarato a riporre alcuni effetti personali dentro ad un borsone nero. Quel poco a cui teneva, che non riguardava il contrabbando. Si accorse del suo sguardo annacquato e leggermente tremante quando prese in mano la cornice di una foto in movimento di lui neonato tra le braccia della madre. Anche se con gli anni aveva smesso di parlare di lei, sapeva che le mancava ancora tanto, sapeva che il trauma infantile non sarebbe mai passato.
Han ripose la cornice dentro il borsone, con cura, e chiuse la zip. Solo allora si accorse della presenza del fratello. Abbassò lo sguardo: “Cosa vuoi?”
“Essere sicuro che tu sappia a cosa stai andando incontro.” Sospirò e riprese: “Han, so di aver sbagliato. E mi dispiace. E so anche cosa pensi di nostro padre. Però sei troppo giovane per buttarti così nell’universo.”
Han voltò il capo verso di lui: “L’età non conta, Al. Non posso più restare qui. Ho scelto la mia strada.”
“E’ vero che non tornerai più?”
Han fece spallucce: “Non lo so.” Deglutì, come se all’improvviso qualcosa gli si fosse piantato in gola.
“Ho bisogno di cavarmela da solo. Lo capisci? Almeno per un po’ ho bisogno di scrollarmi di dosso la sabbia di questo posto, non pensare ai problemi con nostro padre, dimenticare Sheila…”
Alastair lo capiva. Lo capiva benissimo. Ora che non aveva più Sheila non c’era niente a trattenerlo lì. Si umettò le labbra e disse: “Promettimi che tornerai.”
Han prese la tracolla del borsone e la strinse nel pugno, quindi la sollevò e vi infilò il braccio: “Non posso promettere. Non ce la faccio. Non adesso.”
Oltrepassò il fratello maggiore e se ne andò a passo spedito. Quando arrivò all’ingresso, trovò il padre ancora lì immobile. Cercò di evitarlo.
“Han, ti prego aspetta.”
Lui si fermò un istante, ma non si voltò: “Addio, papà.”
Uscì velocemente, Obi-Wan cercò di corrergli dietro ma il figlio salì a bordo dello sprinter e partì a tutta velocità. Si ritrovò sulle ginocchia, sulla sabbia di quel deserto maledetto, la partenza fulminea dello sprinter aveva sollevato una nuvola di sabbia che gli finì dritta in faccia e gli agitò i capelli.
“Han.” Disse gravemente, con appena un filo di voce.
Alastair arrivò al suo fianco, lo aiutò a rialzarsi.
“Devi lasciarlo andare, papà. E’ la cosa migliore.” Azzardò.
Le labbra di Obi-Wan si mossero un paio di volte, senza che nessun suono uscisse. Lo sguardo puntato verso quel punto grigio che si faceva sempre più piccolo all’orizzonte. Ed ecco che la voce arrivò: “L’ho perso per sempre.”
Alastair gli mise una mano sulla spalla, per confortarlo: “Io non ti abbandonerò, papà. Potrai sempre contare su di me. Anche quando sposerò Sheila, se lo vorrai, vivremo qui con te invece che in città. Non ti lascerò solo.”
Obi-Wan non ripose, ogni parola sarebbe stata superflua. Si limitò a ricambiare la stretta del figlio, a trasmettergli la gratitudine che provava attraverso il Senso.
I soli stavano ormai sorgendo, la luce arancio si spandeva ovunque. E quell’alba di tristezza colse padre e figlio come statue di quel paesaggio. Accanto a loro, uno spirito di Forza. Leia. Comparsa al fianco di Obi-Wan quasi fosse un’estensione del suo corpo, o la sua stessa ombra, osservava a sua volta l’orizzonte. Nei suoi occhi semitrasparenti una fioca luce di speranza per l’avvenire di quel figlio che aveva smesso di credere nel giusto, ma che aveva ancora tanto da dare.
*
Chewbecca era ad attenderlo alla nave, come promesso. Già da lontano aveva sollevato le braccia per salutarlo, con quel suo modo di fare simpatico e divertente che lo caratterizzava.
Uno volta sceso dallo sprinter, Han si mise il borsone a tracolla e sfoggiò un sorriso sincero: “Eccomi, amico mio!”
Il grosso wookie emise uno dei suoi versi buffi.
“Bene! Allora siamo pronti per partire.” Scostò lo sguardo, pensieroso: “Anzi, devo fare un’ultima cosa.”
Fece scivolare la tracolla sul braccio e infilò una mano nel borsone. Ne estrasse un piccolo telecomando argenteo tempestato di bottoncini colorati.
Chewbe fece una domanda.
“Ora lo vedrai.” E detto questo premette una serie di tasti, probabilmente seguendo uno schema preciso e…il Falcon implose su se stesso, cominciando ad accartocciarsi fino a diventare una massa informe di metallo.
Chewbe emise un forte suono contrariato.
“Non sopporterei che qualcun altro lo usasse. Il Falcon appartiene a me. Io l’ho costruito e io l’ho distrutto. Fine della storia.”
Si avviò per salire a bordo della piccola nave e l’amico lo seguì. In tutta tranquillità, Han prese posto come co-pilota.
Chewbe si mise ai comandi e fece un’altra domanda.
“Certo che non mi da fastidio! E’ la tua nave! Io prenderò il comando alla prossima.”
Il wookie piegò la testa di lato, guardandolo incuriosito.
“Quando i nostri affari aumenteranno avremo bisogno di una nave più grande. Di qualcosa di ineguagliabile che la gente ammirerà e temerà ovunque andremo.” Si fece trascinare dall’entusiasmo giovanile e proseguì: “Sarà una nave come non se ne sono mai viste prima e avrà un nome che entrerà nella storia!”
Chewbecca rise in un modo tutto suo e disse qualcosa che gli fece guadagnare un’occhiataccia da parte di Han.
“Davvero spiritoso! Lo so che la mia giacca è vecchia e scolorita, però ha stile.”
Chewbe fece una proposta e gli tese la zampa. Han la strinse per suggellare il patto: “E sia! Io troverò una nuova nave e tu troverai una nuova giacca per me! Affare fatto!”
Era il momento. Seguendo la procedura, avviarono tutti i dispositivi e in breve l’astronave cominciò a sollevarsi da terra. Trattennero il respiro per l’emozione. Erano certi che la vita aveva in serbo grandi avventure e  loro le avrebbero vissute fino in fondo.

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