Febbre ...... d'amore

di i1976
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


storia

Prologo

Zio Jesse bussò dolcemente alla porta della camera di Daisy, aprendola poi lentamente.

La nipote era sdraiata sul letto, con la schiena rivolta verso la porta.

Il patriarca Duke la chiamò, quasi sussurrando, "Daisy".

Solo il lieve sobbalzo di Daisy gli fece capire che la ragazza non stava dormendo, ma stava fissando la pioggia scrosciare fuori dalla finestra.

Non ricevendo risposta zio Jesse si sedette sul letto, "Come ti senti?".

Daisy sospirò, "Male. Come potrebbe essere diversamente? Mi sento le ossa a pezzi"

Zio Jesse non si lasciò scoraggiare da quella risposta negativa, "Sei riuscita a dormire un po’ questa notte?"

La ragazza scosse il capo, "No. La testa mi sta esplodendo, e ho la nausea"

Zio Jesse sospirò, mettendole una mano sulla fronte, "Già, hai ancora la febbre……"

"Già", ripeté lei.

Nella stanza fecero capolino anche Bo e Luke, "Come sta la nostra cuginetta ammalata?"

La risposta di Daisy fu piuttosto acida, "Vostra cugina sta male, ed è tutta colpa di questa pioggia e di Enos. E adesso fuori voi due"

Zio Jesse la rimproverò con finta aria burbera, "E adesso quel povero ragazzo che c’entra? Anche lui non ha passato dei bei momenti".

Daisy era sempre più nervosa, "Infatti, è colpa sua se ho l’influenza. L’ho presa da lui"

Bo diede una gomitata d’intesa a Luke, "L’hai presa da lui perché gli sei stata troppo appiccicata, troppo concentrata a fargli da infermiera…… o da mogliettina?"

Per tutta risposta Daisy gli tirò un cuscino, "Ho detto FUORI!!!"

Zio Jesse si alzò, "Va bene ragazzi, lasciamo riposare Daisy. Penso che preparerò un bel brodo caldo; con una giornata piovosa come questa è proprio quello che ci vuole"

Finalmente lasciata sola nella sua stanza, Daisy richiuse gli occhi e provò a dormire, cosa non proprio semplice con quel martellante pulsare alle tempie.

"Mogliettina…..", sospirò, "Bo non sa quanto ci ha azzeccato", poi si tirò le coperte sopra la faccia, anche se nella stanza ormai non c’era più nessuno che potesse vederla arrossire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


storia

Capitolo 1

 

Nel suo letto, finalmente sola, Daisy chiuse gli occhi e cominciò a pensare agli avvenimenti dei giorni precedenti…… in particolare ad uno.

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Era una giornata piovosa, una di quelle giornate invernali in cui è meglio starsene chiusi in casa.

Ma gli impegni giornalieri, purtroppo, non permettono di chiudersi in casa a proprio piacimento, e così, quel giorno, Daisy si stava recando in centro a fare compere.

La giornata era tersa, ma nonostante il sole nel cielo l’aria era fredda a causa di un fastidioso vento, che però aveva fortunatamente allontanato le pesanti nuvole.

"Come odio questo vento", stava dicendo Daisy a se stessa mentre guidava la jeep, "mi fa venire mal di testa, ma almeno non piove più".

Finalmente giunse a destinazione e parcheggiò l’auto; la piazza centrale di Hazzard, nonostante il freddo, era attraversata dalle persone che si stavano recando nei vari negozi che facevano da contorno alla piazza stessa. Nessuno si fermava più di tanto a parlare, e tutti si affrettavano per raggiungere l’interno dei vari negozi, senza per questo dimenticare le buone maniere e salutare cortesemente i concittadini.

Anche Daisy si avviò verso il panificio, salutando le varie persone che incontrava.

Vide l’auto di Rosco frenare bruscamente di fronte alla stazione di polizia.

Lo sceriffo scese dall’auto, e come prima cosa finì con i piedi in una pozzanghera.

Daisy ridacchiò, e Rosco la riprese subito, "Non c’è nulla da ridere, Daisy Duke", poi Rosco si diresse verso l’interno dell’edificio, "Accidenti. Le mie scarpe nuove, tutte inzaccherate. Tutta colpa di quell’idiota di Enos. Così adesso devo fare non solo il mio lavoro, ma anche il suo, e correre di qua e di là".

Daisy, che era ormai arrivata alla soglia della panetteria, non si lasciò sfuggire le parole di Rosco e corse dietro allo sceriffo, fermandolo, "Enos? Dov’è Enos? Perché non è al lavoro?"

Rosco si voltò accigliato, "Enos è a casa sua, sotto le coperte. Io invece sono qui a lavorare anche per lui. Il dottor Petticord gli ha ordinato di starsene a riposo per qualche giorno".

Daisy, ragazza testarda, non era ancora soddisfatta dalle parole di Rosco, "A letto? Sta forse male? Cosa gli è successo?"; del resto era nella natura di Daisy essere molto premurosa, soprattutto quando si trattava di Enos (nemmeno a lei era chiaro il motivo di un tale affetto: forse l’amicizia risalente all’infanzia, forse il sapere che Enos era innamorato di lei, o forse semplicemente perché quel ragazzo era così imbranato che necessariamente qualcuno doveva occuparsi di lui).

Rosco sbottò, "Insomma, se sei tanto curiosa di sapere come sta, perché non vai da lui? Ha solo l’influenza, e oggi è quasi svenuto per la febbre; ho dovuto chiamare il dottor Petticord, poi….", ormai Rosco si era sciolto nella sua parlantina, ma Daisy, dimentica di lui e della spesa, stava già correndo verso la pensione dove alloggiava Enos, lasciando Rosco tutto solo, a brontolare, "Insomma, prima mi sommerge di domande, poi non sta nemmeno ad ascoltare quello dico. Questi Dukes…."

Rosco stava ancora brontolando contro i Dukes, la pioggia, le pozzanghere e le scarpe, mentre Daisy era già alla porta di Enos, bussando con fare impetuoso, "Enos, apri la porta. Sono io, Daisy".

Dopo un tempo che a Daisy parve infinito (del resto Daisy era sempre stata una ragazza impaziente, oltre che impetuosa e testarda), finalmente Enos aprì la porta.

Il vicesceriffo si stava fregando gli occhi, aveva i capelli a dir poco spettinati e indossava solo i pantaloni del pigiama; insomma, un aspetto alquanto stropicciato e diverso dal suo solito.

Daisy non si lasciò impressionare, gli passò accanto entrando nella piccola stanza, "Insomma, Enos, potevi avvertirmi che stavi male. Ti avrei portato qualcosa da mangiare. Scommetto che non hai nemmeno mangiato. Come fai a startene qui da solo? Non riesci neanche quasi a stare in piedi. Rosco mi ha detto che sei quasi svenuto. Possibile che tu sia sempre così cocciuto? Non vuoi mai chiedere aiuto a nessuno perché hai paura di disturbare".

E mentre Daisy continuava a parlare, aggirandosi nella stanza, aprendo prima il frigorifero per vedere cosa poteva cucinare e poi la finestra per far entrare un po’ di aria fresca, Enos se ne stava sulla soglia a guardarla, perplesso.

Enos era contento di vedere la sua amata, ma si sentiva un po’ in imbarazzo a farsi vedere a quel modo (il suo aspetto non era dei migliori), e inoltre aveva un mal di testa feroce; la voce di Daisy, che a lui normalmente sembrava soave, in quel momento gli sembrava il ronzio di un moscone molesto, e il pulsare nelle tempie, mischiato al "ronzio" di Daisy, gli dava la sensazione che nella stanza ci fosse un enorme moscone che stesse sbattendo ripetutamente contro un vetro, … bzzz……sbam ……bzzz…… sbam……

Anche Daisy udì uno SBAM, ma non c’era nessun moscone, c’era solo Enos a terra.

La ragazza si precipitò al suo fianco, "Ecco, lo sapevo che non può stare da solo. Enos, dolcezza, apri gli occhi. Mamma mia come scotta".

Pochi minuti dopo Enos era di nuovo a letto, con l’aiuto di Daisy e di un vicino chiamato a rinforzo dalla ragazza.

Quando Enos riaprì gli occhi, Daisy gli era seduta di fianco, sorridente (con uno dei suoi dolci sorrisi che tanto Enos amava), "Come stai tesoro? Tu stai tranquillo a letto, penserò io a tutto. Starò qui con te finché non starai meglio".

Enos sentì un brivido lungo la schiena; non sapeva esattamente cosa fosse quel brivido: la febbre? l’imbarazzo? la paura?

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Rigirandosi nel suo letto, Daisy sospirò, "Accidenti, ma come mi è saltato in mente?"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


storia

Capitolo 2

Mentre Enos si trovava finalmente sotto le coperte, Daisy si guardò un po’ intorno nella stanza, senza la concitazione iniziale.

Era tutto in ordine tranne per la divisa di Enos buttata sul divano (che probabilmente Enos si era tolto sbrigativamente prima di mettersi a letto a causa della febbre, quella mattina).

La ragazza non poté fare a meno di sorridere alla vista delle sue foto sulla specchiera del comò: erano varie foto di lei in diverse fasi della sua vita, accuratamente sistemate in bella vista.

A parte quell’elemento così "personale", la stanza era perfettamente ordinata e per certi versi anonima: era una cosa strana vedere una stanza così in ordine per un uomo che viveva da solo, ma evidentemente Enos era abituato a vivere da solo; Daisy sospirò, "Se Bo e Luke tenessero in ordine le loro stanze anche solo la metà di quanto Enos tiene in ordine la sua, avrei molto meno lavoro da fare alla fattoria; quei due dovrebbero imparare ad arrangiarsi un po’ da soli".

Daisy piegò accuratamente la divisa di Enos, poi decise che era il momento di mettersi ai fornelli.

Un occhio al frigorifero le fece capire che Enos non cucinava molto, o comunque non cucinava cose particolarmente elaborate; scosse la testa, "In questo Enos non è molto diverso da Bo e Luke; vedo che oggi sono proprio costretta a fare la spesa".

E così Daisy uscì in tutta fretta; non voleva lasciare Enos per troppo tempo da solo.

Mentre Daisy era fuori, Enos, sotto le coperte, cercava di addormentarsi, esausto.

Nella sua mente, tra il sonno e la veglia, scorrevano diverse immagini, alcune belle e altre spaventose.

La febbre rendeva le sue percezioni alterate.

E così gli sembrava che le pareti della piccola stanza in cui viveva gli stessero per crollare addosso, e un attimo dopo quelle stesse pareti si allontanavano velocemente da lui; le coperte sembravano prima proteggerlo, e un attimo dopo si sentiva soffocare.

Quando Daisy rientrò nel piccolo appartamento, dopo aver comprato lo stretto necessario per cucinare qualcosa che potesse farlo stare meglio, lo vide girarsi e rigirarsi nel letto; il suo respiro a volte rallentava e a volte accelerava.

La ragazza si domandò cosa stesse sognando.

Istintivamente Daisy gli toccò la fronte con la mano per sentire se la febbre era ancora alta o stava scendendo un po’; al suo tocco fresco, Enos si tranquillizzò un po’.

Finalmente Daisy si mise ai fornelli, e mentre cucinava di tanto in tanto guardava verso il letto, per controllare che Enos stesse dormendo.

Pian piano, nei sogni confusi di Enos, si inserì un profumo tranquillizzante, un qualcosa che veniva dal passato e che lo faceva stare meglio; ricordò sua nonna e la sua vecchi casa (cose che ormai non esistevano più) e pian piano aprì gli occhi.

Si mise a sedere sul letto, confuso.

Gli ci volle qualche minuto per ricordare dove fosse e cosa fosse successo.

Daisy si trovava ancora di fronte ai fornelli, e gli dava le spalle.

Enos rimase seduto nel letto, appoggiandosi alla parete e guardando Daisy ai fornelli; quello era il suo sogno diventato realtà: lui e Daisy nella stessa casa, condividendo le faccende quotidiane; non essere più solo, finalmente.

Pensò che dopo tutto non era poi così male avere la febbre.

"Dovresti avvertire zio Jesse, Bo e Luke che sei qui", disse Enos in un sussurro (della sua voce rimaneva ben poco, come si accorse in quel momento).

Daisy sussultò; non si era accorta che lui si era svegliato.

"Hai proprio ragione. Ma come ho fatto a dimenticarmi di avvertirli? Mi staranno aspettando alla fattoria con la spesa. Magari mi stanno già cercando".

Detto questo, Daisy si precipitò al telefono.

Enos continuava a osservarla; non si stancava mai di guardarla, e in quel momento la febbre gli dava la sensazione di essere come sospeso nel tempo, come se tutto fosse rallentato.

Ascoltava la voce di Daisy come ipnotizzato.

"Zio Jesse, sono io Daisy", pausa, "Già, lo so che sono in ritardo, ma c’è stato un contrattempo", pausa, "No, non preoccuparti. Non mi è successo niente. Sono a casa di Enos", pausa, "Nulla di grave. Ha solo l’influenza, ma ha la febbre alta e così gli sto dando una mano", pausa, "Va bene, zio Jesse. Penserò io a lui, appena starà meglio tornerò alla fattoria, non preoccuparti".

Quando si voltò verso di lui, dopo la telefonata, Daisy era sorridente.

Si avvicinò al letto, quasi cinguettando, "Bo e Luke stavano uscendo a cercarmi. Per fortuna mi hai ricordato di chiamare casa. Ma adesso veniamo a noi, dolcezza. Ho preparato un bel brodo caldo, e poi un gustoso stufato. E per finire, gelato; il tuo gusto preferito, vaniglia".

Enos arrossì, "Grazie, Daisy".

Poco dopo, mentre erano seduti a tavola, Daisy lo osservava.

Improvvisamente notò qualcosa a cui non aveva fatto molto caso poco prima, troppo intenta a soccorrerlo quando era svenuto e troppo intenta a cucinare mentre lui era sotto le coperte.

"Enos, cos’è quella cicatrice?"

Enos si fermò, "La cicatrice? Ah, la cicatrice", sfiorò la cicatrice che aveva poco sotto la clavicola destra, "Intendi questa?".

Daisy annuì, " Certo che intendo quella. Non mi ricordo che tu ti sia mai fatto male alla spalla".

Enos alzò le spalle con fare incurante, cercando di nascondere l’imbarazzo, "Ah… vedi…… un incidente quando ero a Los Angeles", poi, come se niente fosse, si concentrò sul gelato.

Ma Daisy non era certo il tipo da lasciar cadere così facilmente una questione, "Quale incidente? Non mi hai mai parlato di un incidente. Mi hai sempre scritto delle lettere, ma in nessuna di queste si accennava al minimo incidente".

Il tono di Daisy fece capire a Enos che non poteva sottrarsi all’interrogatorio, "Non volevo che ti preoccupassi. Sono stato in Ospedale solo una settimana, poi ho avuto qualche problema a muovere il braccio per cui mi sono limitato al lavoro di ufficio. Ma niente di grave".

Si fermò, pensando di aver soddisfatto la curiosità di Daisy, ma l’espressione sul volto della ragazza, tra l’arrabbiato e il preoccupato, gli fece capire che doveva continuare.

Con un sospiro, posò sul tavola la coppa di gelato, "E’ successo ormai più di un anno fa, Daisy".

"Cosa? Cosa è successo più di un anno fa, Enos Strate?"

Ecco, stava chiamandolo con il suo nome completo; brutto segno.

Addio gelato (almeno era arrivato fino al gelato).

Perché non aveva pensato di indossare una maglietta prima di sedersi al tavolo?

"Vedi….. un giorno…… mentre ero di turno…… sai……. una sparatoria……… sono stato colpito…….ma non era una ferita grave".

"COSA?", Daisy balzò in piedi, "E tu non mi hai detto una cosa del genere? Ma come ti è saltato in mente di tacere una cosa del genere? Hai nascosto una cosa del genere… proprio a me?".

Enos si era aspettato una reazione del genere, ma nonostante questo non riusciva a controbattere, "E’ solo che……non era niente di grave……non volevo preoccuparti……..".

Daisy si mise le mani sui fianchi, "Enos Strate, sei un uomo…….impossibile".

Enos si aspettava di vedere Daisy uscire dall’appartamento, sbattendo la porta; sapeva che a Daisy non piaceva essere messa da parte, soprattutto sulle questioni importanti che riguardavano le persone che aveva a cuore.

Ma, contrariamente a quanto temeva, Daisy, invece di andarsene sbattendo la porta, si mise a piangere.

Enos la fissò a bocca aperta.

Avrebbe preferito essere preso a schiaffi invece di vederla piangere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


storia

Capitolo 3

Enos si avvicinò lentamente a Daisy, non sapendo bene cosa fare.

"Daisy? Perché piangi? Non c’è bisogno di piangere. E’ una cosa vecchia"

Daisy scosse la testa, "Possibile che tu non capisca, Enos? Piango perché mi hai messa da parte su una cosa così importante".

Il ragazzo la guardava sempre più sconvolto, "Ma….. non volevo farti preoccupare. Conoscendoti, se avessi saputo che ero ferito, saresti volata a Los Angeles. Non fraintendermi, la cosa mi avrebbe fatto immenso piacere, ma… tu hai il tuo lavoro…. e poi la fattoria. Sai benissimo che tu sei la persona a cui tengo di più qui ad Hazzard, e sai che condivido tutto con te".

Dopo queste parole, Enos arrossì, rendendosi conto che quello che aveva detto assomigliava ad una dichiarazione d’amore.

Daisy si voltò per non mostrargli il suo volto, "Condividi con me solo le cose belle, ma ogni volta che c’è qualche problema ti allontani".

"Solo per non farti soffrire e per non metterti in pericolo", cercò di spiegare Enos, sempre più rosso, "ti prego Daisy, non essere arrabbiata".

Nel frattempo la sera stava ormai calando, i lampioni della città iniziavano a spandere la loro luce, e quelle nuvole che il vento aveva spazzato via durante la giornata stavano facendo il loro sgradito ritorno.

Nella stanza c’era silenzio, Daisy ancora voltata di spalle e Enos poco dietro di lei, ormai senza parole.

Non ci volle molto perché il silenzio venisse interrotto da tuoni sempre più vicini, e la pioggia prese a mitragliare contro i vetri.

Improvvisamente un tuono esplose come una bomba, e nell’appartamento di Enos, fino ad allora illuminato dai lampioni esterni, piombò il buio.

"Un black-out", mormorarono entrambi i ragazzi.

Daisy si avvicinò alla finestra; la cittadina era completamente immersa nelle tenebre.

"Deve essere caduto un fulmine molto vicino, ma dovrei avere delle candele da qualche parte".

Daisy sentì la voce di Enos dietro di lei, e poi sentì un rumore di passi, un botto e un gemito.

"Enos, cosa combini?", la ragazza non poté fare a meno di sorridere, indovinando subito che Enos, nella sua imbranataggine, era andato a sbattere contro qualche mobile; era impossibile rimanere arrabbiati con lui.

Finalmente, dopo il rumore di diversi cassetti aperti e richiusi, una fioca luce illuminò la stanza.

Daisy si asciugò le lacrime, trasse un profondo respiro ripromettendosi di non arrabbiarsi più, e si voltò verso Enos, "Per fortuna che hai in casa delle candele, dolcezza. Il buio non mi piace affatto".

Anche Enos trasse un respiro di sollievo, ringraziando in cuor suo il black out che aveva distratto Daisy, anche se nemmeno lui era un amante del buio.

I due si sedettero di nuovo al tavolo, guardandosi imbarazzati, la candela in mezzo a loro.

"Scusa", dissero quasi in contemporanea, poi scoppiando a ridere.

Dopo la risata liberatoria, Daisy si rifece seria, "Enos, lo so che ormai è una cosa passata, ma vorrei che mi raccontassi cosa è successo a Los Angeles. Non ho potuto esserti vicina allora, ma voglio esserti in un certo senso vicina ora".

Enos sospirò, "Insomma vuoi proprio che ti racconti tutto. E va bene. Quel giorno ero in servizio, e ricevemmo una chiamata per una rapina in un negozio. Quando io e il mio collega Turk arrivammo, il rapinatore stava uscendo dal negozio in tutta fretta, con la pistola in mano. Non abbiamo fatto in tempo a scendere dalla macchina che abbiamo sentito uno sparo. Francamente io non ricordo molto, se non il dolore alla spalla. Mi sono svegliato in Ospedale. Non c’è poi molto da raccontare, come vedi. Il risultato è questa cicatrice, niente di più".

Enos tacque la paura che aveva provato in quegli attimi; non le raccontò che per lunghi interminabili momenti aveva avuto paura di morire, e il suo unico pensiero era stato quello di non poter più tornare ad Hazzard, e soprattutto di non poter più rivedere Daisy. Quando si era svegliato in Ospedale si era ripromesso di confessare a Daisy i suoi sentimenti, ma poi quel coraggio legato al rischio che aveva corso si era spento, soffocato nuovamente dalla paura della possibile risposta negativa di lei alla sua dichiarazione. E così aveva continuato a preferire quel limbo relazionale ad un rifiuto di lei.

Daisy deglutì a fatica, "Invece è una cosa grave, perché avresti potuto rimanere ferito più gravemente, e se fosse successo….."; non riuscì a finire la frase, quasi le mancasse il respiro anche al solo pensiero che avrebbe potuto perdere Enos.

"Ma non è successo, Daisy, quindi è inutile continuare a pensarci. Adesso, ti prego, non pensare più a questa storia".

Daisy scosse la testa, "Forse hai ragione tu. E’ meglio non pensarci più. Spero almeno che tu non abbia patito troppo la settimana in Ospedale. So che sei terrorizzato da aghi e siringhe", si sforzò di sorridere.

Anche Enos finalmente sorrise, "Già. Ma dopotutto non è stato poi così male stare in Ospedale. Si occupava di me un’infermiera molto gentile".

E mentre Enos parlava di questa adorabile infermiera, Daisy cercava di mantenere la calma; nonostante i suoi migliori propositi, la rabbia cominciava di nuovo a montare.

Enos, nella sua immensa ingenuità, non si rendeva conto che andando avanti così stava rischiando di morire per mano della sua amata Daisy.

"ENOS STRATE" (ecco di nuovo che lo chiamava con il nome completo, e Enos si chiedeva perché) "COSA DIAVOLO VUOI CHE MI INTERESSI DI QUESTA CINDY… MINDY… O COME DIAVOLO SI CHIAMA?"

Enos era sempre più in difficoltà.

Alla sua ingenuità si univa la febbre che non rendeva certo il ragionamento fluido, "Ma… Daisy…. sei stata tu a chiedermi di raccontarti tutto. Pensavo che fossi contenta di sapere che c’era qualcuno che si occupava di me mentre ero in Ospedale. Sai… Mindy è stata molto gentile, in un certo senso mi ricordava te".

In tutta incoscienza, Enos pronunciò la frase che nessun uomo dovrebbe mai pronunciare a una donna..

Daisy ebbe un istinto omicida, e per evitare di realizzarlo si precipitò verso la porta, "BENE, ALLORA CHIAMA CINDY E DILLE DI VENIRE A FARTI DA INFERMIERA ANCHE QUI AD HAZZARD".

Enos cercò di fermarla, "Si chiama Mindy, non Cindy… e poi vive a Los Angeles, e fa l’infermiera solo in Ospedale. E comunque io preferisco….".

Enos non fece in tempo a finire la frase che Daisy si voltò e gli mollò un ceffone, in perfetta sincronia con il fragore di un tuono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


storia

Capitolo 4

Daisy uscì come un fulmine, sbattendo la porta.

Si precipitò giù per le scale, che per fortuna qualcuno degli inquilini aveva illuminato con delle candele lungo le pareti, per evitare che uscite pericolose come quella avesse come conseguenza la rottura dell’osso del collo.

Illuminata dal chiarore tenue delle candele, Daisy giunse finalmente all’uscita della pensione, ma a questo punto non poté fare altro che fermarsi.

La pioggia battente creava un muro d’acqua; per raggiungere la jeep, lasciata in piazza, avrebbe dovuto praticamente nuotare, senza contare che la jeep sarebbe stata inzuppata d’acqua, e le strade per raggiungere la fattoria non erano delle migliori.

Era bloccata lì, come su una nave in mezzo alla tempesta.

Si sedette sull’ultimo scalino e trasse un lungo respiro.

Cosa fare? Aspettare che smettesse di piovere? E anche se avesse smesso di piovere (cosa alquanto improbabile) le condizioni della sua jeep e delle strade non sarebbero certo migliorate in breve tempo. Inoltre era ormai notte, e non era prudente avventurarsi in quell’oscurità, senza nemmeno la luce dei lampioni.

Non aveva scelta.

Dopo aver tratto un altro lungo respiro, Daisy si alzò e salì con passo stanco quelle stesse scale che aveva percorso come una furia solo pochi minuti prima.

Prima di entrare nel piccolo appartamento di Enos si fermò, cercando di calmarsi; quella sera aveva avuto delle reazioni eccessive, e di questo se ne rendeva perfettamente conto, ma purtroppo lei si rendeva conto di avere esagerato solo quando ormai il danno era fatto.

Un aspetto del suo carattere che si era ripromessa più volte di smussare, senza successo.

Dopo qualche minuto di riflessione si decise ad aprire la porta, "Enos……. scusami".

Il ragazzo stava praticamente gattonando, arso dalla febbre, cercando di raggiungere il letto.

Daisy dimenticò in un attimo la rabbia di prima e si precipitò al suo fianco, aiutandolo a rimettersi a letto, continuando a ripetere "Scusa, non so cosa mi sia preso. Mi dispiace così tanto Enos".

Finalmente nel suo letto, Enos si addormentò di botto.

Daisy si ritrovò quindi a girare impaziente per il piccolo appartamento, accendendo candele qua e là per illuminare l’ambiente e trovando anche il modo di sparecchiare la tavola e lavare i piatti; pensava che tenendosi occupata poteva evitare di rispondere alle domande che si accumulavano nella sua mente.

Alla fine dovette arrendersi all’impellenza di quei dubbi: "Perché mi sono arrabbiata tanto? Perché non sopporto sentirlo parlare di altre donne? Perché il pensiero di lui in difficoltà, con un’altra donna accanto, mi fa così impazzire?".

La risposta poteva essere solo una.

Nel frattempo Enos si girava e rigirava nel suo letto.

Domande su domande si affollavano nella sua mente febbricitante, tra il sonno e la veglia: "Perché Daisy si è arrabbiata tanto? Eppure non ho detto niente di male. Perché mi ha urlato di chiamare Mindy come infermiera?".

La stessa febbre che prima rendeva tutto così confuso, rese improvvisamente la sua mente lucida.

La risposta poteva essere solo una.

Colto da quella improvvisa rivelazione, Enos aprì di scatto gli occhi.

La stanza era immersa in una luce soffusa, tremolante.

Daisy era seduta su una sedia accanto al suo letto, assopita.

Enos si alzò a sedere con fatica, chiamandola dolcemente, "Daisy………".

La ragazza sobbalzò sulla sedia, "Enos….. che ore sono? Credo di essermi addormentata. Forse è meglio che mi stenda un po’ sul divano".

Quando Daisy si alzò, Enos la trattenne per la mano.

"Perché prima ti sei arrabbiata tanto? Sei forse gelosa?", le sue stesse parole gli sembravano estranee, "Lo sai che non devi essere gelosa di nessun altra. Per me esisti solo tu".

Daisy trattenne il respiro.

La sua mano era bollente, e per un attimo Daisy pensò che lui stesse delirando per la febbre; non lo aveva mai sentito parlare così.

Si sedette accanto a lui, "Enos…. rimettiti a dormire. Hai bisogno di riposare. Ne riparliamo domani".

Improvvisamente Enos la baciò.

Daisy era completamente spiazzata da questa sua nuova intraprendenza, ma non si sottrasse al suo bacio e al suo abbraccio.

Quello che seguì dopo fu ciò che entrambi, più o meno consciamente, aspettavano da tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


storia

Epilogo

Zio Jesse bussò delicatamente alla porta della stanza di Daisy, aprendola poi lentamente, "Daisy, cara, come ti senti?"

Daisy aprì gli occhi.

Si era addormentata e non se ne era nemmeno resa conto.

Sbadigliano si mise a sedere sul letto, "Mi sento un po’ meglio, zio Jesse, grazie".

Zio Jesse sorrise, "Mi fa piacere. Io e i tuoi cugini usciamo a fare compere, ma c’è qualcuno che è ben contento di tenerti compagnia mentre noi siamo fuori", e così dicendo zio Jesse aprì del tutto la porta, facendo entrare Enos.

Daisy trattenne il respiro, arrossendo.

Enos teneva il cappello tra le mani, e guardava per terra, "Ciao Daisy. Ho incontrato Lulu e mi ha detto che eri a letto con l’influenza, così…..".

Zio Jesse richiuse la porta alle spalle del ragazzo.

Erano da soli nella stanza.

Daisy non sapeva cosa dire; era passata ormai una settimana da quella notte. Una settimana nella quale non si erano mai incontrati, entrambi impegnati ad evitarsi.

"Come stai?", Enos provò a rompere il silenzio.

Seduto su una sedia accanto al letto di Daisy continuava a torturare il cappello che aveva tra le mani, guardando per terra.

Daisy si sforzò di sorridere, "Va un po’ meglio. Mi riprenderò".

Enos annuì.

Ancora silenzio.

Daisy ripensò a come se ne era andata via quella mattina, lasciando da solo Enos mentre dormiva; da allora si erano evitati l’un l’altro, per non affrontare quanto era accaduto quella notte.

Enos sospirò, diventando sempre più rosso, "Daisy…… io….. ecco……. devo chiederti scusa".

Daisy lo guardò sorpresa, "Scusa? E perché?"

Enos si sforzò di continuare, sempre più rosso in volto, "Quella notte…. io…… avevo la febbre. E’ tutto così confuso…… Non so come sia iniziato…. ma….. poi al mattino tu non c’eri più…….e ……", ormai aveva il viso rosso quasi come un pomodoro, "spero di non essermi comportato…. insomma….. non so esattamente come sia iniziato….. ma spero di non averti…. ", un altro sospiro, "Ho fatto qualcosa di… strano? Era la mia … prima…..".

Daisy lo guardò stupefatta, "Enos, tu credi che io me ne sia andata a quel modo per colpa tua?".

La ragazza soffocò una risata imbarazzata, e Enos la guardò stupito, "Non sei arrabbiata con me?".

Daisy scosse la testa e si fece seria, "Quella mattina me ne sono andata senza aspettare che tu ti svegliassi perché mi vergognavo. Insomma, mi sembrava di essermi approfittata di te".

Enos era sempre più stupito, "Approfittata? Ma siamo stati in due a…..", arrossì nuovamente.

Daisy distolse lo sguardo da lui, ma continuò a parlare, "Quella notte tu mi hai baciato, è vero, ma avevi la febbre alta, eri confuso. Io avrei potuto…. evitare di infilarmi nel tuo letto. Sono stata io a…… Io credevo che tu mi evitassi perché reputassi deplorevole il mio comportamento".

Ci fu di nuovo silenzio: entrambi si rendevano conto che nell’ultima settimana si erano evitati per un malinteso.

Lentamente la tensione si sciolse.

"Quindi….. non ho fatto niente di strano…… e non sono stato un disastro?"

Questa volta fu Daisy ad arrossire, "No…… è stato…… bello".

Enos trasse un respiro di sollievo, sorridendo, "Sono contento che tu non sia arrabbiata con me. Forse adesso è meglio che vada, non voglio che tu ti stanchi".

Si alzò dalla sedia ma Daisy lo fermò prendendolo per mano e tirandolo verso di sé.

Una scena già vista.

"Non andare via. Stai ancora qui per un po’".

Enos annuì e si sedette sul letto di fianco a lei.

"Zio Jesse e i ragazzi staranno fuori per un po’", Daisy lasciò la conclusione della frase in sospeso.

Enos sentì il battito del suo cuore accelerare, "Sei sicura?".

Lei gli rispose con un bacio.

Quello che seguì dopo diede loro la conferma che la loro relazione era definitivamente cambiata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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