Crescere.

di supermafri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Monster ***
Capitolo 2: *** Magic ***



Capitolo 1
*** Monster ***


* Eventuali delucidazioni nell'angolo autrice. *



Crescere.




1. Monster
 
E' un po' come quel mostro nell'armadio. Alla fine, ci si fa amicizia.


E ci sono agglomerati di pioggia che gonfiano le palpebre e brillano, prudono, tagliano e traboccano. Scivolano via in una rete di fili intrecciati; si avvolgono come carezze roventi, come graffi... Si disperdono.
Sono mugugni nella notte che sfigurano il sorriso, e si perdono tra ammassi di lenzuola, strozzati. Brilla, come preziose brattee sotto lampi di luce, una raggiera di sogni paurosi negli occhi del bimbo; irrompe, in una marea di singhiozzi ovattati, il suono del pianto e della paura.
C'è un alto armadio, scuro come dischi in vinile, davanti alla pediera del letto. Ci sono cornici arabescate ai suoi bordi. C'è un'unica fessura tra due ante, che cigolano all'apertura. Ci sono due manopole che Izuku non ha la forza di toccare.
E sotto un guscio di coperte, Izuku pensa e piange. Ma la porta è chiusa, e nessuno lo sente. Ma le ante sono ancora bloccate, e il mostro non lo può vedere.
E Izuku sa che il mostro c'è, c'è, c'è.
Morde, come in un moto disperato, l'angolo del cuscino in fiocco d'oca; preme, come per sentirne la sostanza, il sostegno, unghie rosicate nelle braccia.
 
Ma i battenti fremono sotto i palmi, stridono quando la luce ne invade gli spazi nascosti, urlano finché non ritornano all'ombra. Nulla esce, nulla entra, mai. Mai.
 
E Izuku si ferma. E capisce.
Il mostro segue il ritmo delle sue lacrime.
Il mostro ha i suoi stessi timori.
Il mostro è un mostro dipinto con acqua salata negli occhi e bocca deformata da pianto e terrore.

Ed esce dall'igloo di lenzuola, dall'isola della salvezza per un naufrago, della solitudine e del panico rimangono solo i solchi bagnati sulle guance; perché un sorriso ingemma le labbra umide, ed è così luminoso e sfavillante, che pare una goccia di sole sul volto.
E così, timidamente, si sporge verso il pacco di caramelle sul comodino, ne sfila una, sorreggendosi in punta di piedi e lascia, infine, le sponde del letto, raggiungendo la pediera.
Bussa, la manina chiusa a pugno, l'altra a coppa, in offerta, l'anta che vibra in risposta.
E il sorriso non cade. Non scende, ma sale. Ora lo comprende così bene.
 
«Salve, signor Mostro! Sono Midoriya Izuku e anche se ho un po' paura di te, farò del mio meglio per diventare tuo amico. In fin dei conti, Kacchan ha detto che siamo della stessa specie, tu ed io.»
 
Ora lo comprende così bene.
Kacchan dice solo la verità.
I mostri sono tutti uguali.





- + -


Note dell'autrice:
Parole 411.
Semplicemente, Izuku il Mostro capisce gli insulti che Kacchan gli riserva. O meglio, Izuku fa amicizia con i suoi simili. No, è solo Izuku che non capisce una tega.
Ehm-ehm *contegno*...
Izuku non capisce Kacchan. Non lo comprende. Eppure, al tempo stesso, ha bisogno di una spiegazione e allora la cerca. Suo malgrado, non può che trovarla facendo affidamento alla sola innocenza. Perché Kacchan mi chiama così? I mostri sono brutti, sono cattivi. Perché dice che sono un mostro?
Oh, ma le ante dell'armadio cigolano. Oh, quanto è uguale al pianto quel suono. Il mostro piange? Si nasconde come me? Oh, Kacchan ha ragione. Io e il mostro siamo uguali. Beh, siamo entrambi mostri, in fin dei conti. Anche Kacchan dice così.
La lampadina si illumina, il dubbio è dissipato, il sorriso sboccia. E questo per dire che qualunque cosa Katsuki faccia, Izuku troverà sempre un motivo per non dargliene colpa.
Tanta indulgenza fa piangere, davvero.

Questa era la prima flash. Non mi è ancora chiaro quante saranno, ma finché voglia e fantasia non mi abbandonano continuerò a scrivere.
Grazie.

Baci, Supermafri. 
 


 

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Capitolo 2
*** Magic ***


* Eventuali delucidazioni nell'angolo autrice. *
 
Crescere.


2. Magic
 
"La magia di quella volta fu che la magia resse." 

La polvere si annidava nelle fibre di tessuto; macchiava, come gocce di caffè su tovaglia bianca, quel laccio che subiva, ogni altro passo, il peso dell'altra scarpa. Sembravano raffigurare pitture rupestri di erba e di terra.
Erano vecchie, usate, sporche. Ma erano comode, senza buchi. Erano sufficienti.
La suola marcava il cemento, lasciandosi solo l'ombra alle spalle; la punta calciava una piccola pietra deforme lungo la via. E Katsuki coglieva tutto della sua deformità. O forse non coglieva niente, seppur la sua attenzione non si smuovesse da quel blocco spolverato di gesso.
I suoni fluivano come cantilene soffuse nello sfondo: non c'era nome o modo che potesse estirpare le radici che la sua mente aveva, astiosamente,  conficcato in un solo pensiero. Faceva rabbia, faceva digrignare i denti, faceva schifo.
Sentiva il disgusto premere sulla lingua, mentre sputava saliva amara; sentiva una serpe sibilare fastidiosamente nelle orecchie, mentre faceva stridere le mascelle.
Era come se l'universo si fosse ridotto ad un unico astro celeste. Probabilmente, una stella; probabilmente, un buco nero. Chi dei due fosse cosa, non ne aveva idea.
Che poi fosse un due in un mondo di sette miliardi, rendeva arduo trattenere il coniato in gola. Faceva rabbia, faceva digrignare i denti, faceva schifo. E ancora, il volume intorno a lui era troppo basso. Katsuki non aveva mai voluto si azzerasse. Ma caso strano, c'erano state un paio di labbra che, contrariamente a quando ci si potesse aspettare, non lo avevano reso muto, ma sordo.
Un bacio gli aveva sballato i sensi senza rimetterli a posto. Era come trovare neve su dune di sabbia, iceberg in lava bollente. Era, paradossalmente, una cazzata. Era, semplicemente, così ridicola, che avrebbe riso se fosse uscita dalla bocca di altri. Ma le bocche che sapevano erano due. E una era la sua. E una era della stessa deformità informe di quel sassolino a lato della strada.
 
E fu nel silenzio del suo io, nella traumatica quiete che romba nelle orecchie come fucili scarichi e fumanti dopo un giro di ronda, che Katsuki riconobbe come attesa e impazienza si scottano nel tentativo di sfiorarsi la mano; che una notte non è abbastanza per dimenticare la miscela di confusione e ansia e disgusto sparsa in viso; che forse nulla è sufficiente a cancellare l'indelebile.
Era un po' come quelle scarpe. La terra ne impiastra la stoffa, ne insudicia la suola in gomma, ne impregna il tessuto in ecopelle. E l'acqua non basta, il sapone è inutile. Qualcosa permane, profondo, perpetuo.
Era un po' come quando si era lavato la bocca, i denti, la lingua dopo quella fuga verso casa. Ma c'era un sapore. Un gusto che pendeva dalle labbra come nettare; un gusto che nemmeno la menta poteva occultare.
 



"Un bacio è come una magia," Izuku aveva detto. Gli occhi erano come perle in scrigni socchiusi, come soli in una pozza blu; le guance erano lucide, puntellate da stelle in un firmamento di fuoco. E Katsuki aveva storto la bocca. "È una di quelle che disarmano, Kacchan." E Katsuki aveva una risata nauseata che premeva il petto per sgusciare dalla gola. "Si chiama labbracadabra."
E forse l'aveva trattenuta troppo - o forse l'aveva ingoiata troppo in fretta - perché quando due labbra soffici si posarono sulle sue come petali accoglienti e cremosi, si sentì soffocare.
E vi riconobbe finalmente l'infinito in quella polvere di lentiggini; e vi riconobbe finalmente l'universo nella tempestosa quiete che l'aveva avvolto. Era spaventoso, osceno, sconcertante. E faceva rabbia, faceva digrignare i denti, faceva schifo.
 
Eppure era immobile, perché le armi per combatterlo non c'erano. Eppure era fermo, perché forse, quella che lui avrebbe chiamato maledizione, era davvero una magia.




- + -

Note dell'autrice: 
Parole 611. Ho sforato, già.

Okay. La spiegazione dovrebbe essere più lunga della flash stessa (ah, che novità! (Nota: saracasmo)). Semplicemente, Izuku bacia Kacchan e nebulose si formano nella mente di Katsuki. Si può dire che è affetto da ciò che la gente chiama seghe mentali.  *ehm* author-san ha un bel linguaggio, sì *ehm*
Sono congetture (oh, molto meglio ^^) che Katsuki si fa, nonostante sia impaziente di farle scomparire con un colpo di bacchetta, perché diciamocelo, fanno male alla sanità mentale. O almeno così ho interpretato il modo in cui Bakugou potrebbe affrontare la situazione. Pensiero fisso ripugnante che tiene la testa fuori dal mondo. Katsuki non l'ha mai chiesto, non lo vuole, ma ahimé, più impaziente diviene, più l'attesa perchè sparisca questo peso aumenta. Dovrebbe imparare ad accettare che qualcosa dopo quel bacio gli è rimasto anziché mandare sempre tutto a p*ttane negando, negando, negando.  
Non credo di aver reso bene il concetto, ma amo quel momento - puntualmente tralasciato in tante, tantissime fanfiction - in cui il protagonista è messo, per così dire, spalle al muro ad affrontare quello che da sempre si è portato dietro come un problema, cieco perfino ai suoi occhi. Sto parlando dell'istante in cui Realizzazione decide di colpire, smascherando l'omosessualità in un personaggio omofobo. Mi riferisco alla crisi interiore del personaggio.
E pensate un po' qua. Katsuki omofobo gay per chi? Per Izuku, fra tutti? 
Il momento perfetto perché dia di matto sul serio. O no?

Questo argomento ha così tante potenzialità; dovrebbe essere sfruttato di più. Logorare un personaggio da dentro credo sia una delle mie sfide preferite.

Ovviamente l'intero paragrafo che precede il bacio è collocato - in posizione di linea temporale - dopo la suddetta effusione. (Trattatelo come un mini-flash-back)

Parlando di IC, ditemi voi. Sono un po' nervosa perché non è venuta come speravo. (Nemmeno volevo postarla, accidenti)

Vorrei scusarmi con makoto15 e ringraziarla al tempo stesso. Perdonami, il mio cervellino ha deciso di non seguire un filo conduttore, ma servirsi dell'ispirazione di diversi prompts. Spero ti possa piacere ugualmente! :)

Grazie.
Baci, Supermafri.







 

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