9 Gennaio

di Colli58
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'immagine diversa ***
Capitolo 2: *** Mele ***
Capitolo 3: *** Terapia della follia ***



Capitolo 1
*** Un'immagine diversa ***


Si era svegliata in una casa insolitamente silenziosa.
Nevicava da tre giorni ormai e gli operai non avevano potuto recarsi al lavoro. Ad essere sinceri quel silenzio le stava bene. I lavori di ristrutturazione erano stati sospesi durate le festività di Natale per riprendere i primi giorni dell’anno riempiendo ancora la casa di rumori e polvere che si attaccava ovunque.
Quella mattina tutto era piacevolmente ovattato dal tipico silenzio delle nevicate copiose che paralizzavano New York: bloccavano il traffico e lasciavano la gente a casa al lavoro. Rendevano felici i bambini perché saltavano la scuola e potevano giocare tutto il giorno nella neve, gelo permettendo. A New York i bambini godevano di gioie che da adulti avrebbero considerato calamità! Regola che sicuramente non valeva per suo marito che si divertiva come un ragazzino.
Ma Rick non si era alzato euforico dall’avere l’opportunità di lasciare impronte nella neve fresca come un astronauta sulla luna, non aveva acceso la tv e nemmeno lo stereo.
Era il 9 di gennaio. Un 9 di gennaio dei tanti. Rick si era alzato presto, regalandole uno sguardo di comprensione. Aveva silenziosamente preparato la colazione che le aveva servito a letto.
Lei aveva voluto un po’ di tranquillità per sé, come ogni anno, così si era mosso con una straordinaria discrezione.
Alexis le aveva mandato un messaggio con un abbraccio virtuale. Era bloccata al campus universitario. Martha la sera prima le aveva augurato una buona notte in modo molto caloroso, con una telefonata dalla spa in cui si era rifugiata a causa della polvere. Impediva la distensione dei muscoli del suo viso, cosi diceva.
Il distretto l’avrebbe contattata solo in caso di necessità grave.
In qualche modo famiglia ed amici si stavano prodigando perché lei passasse una giornata tranquilla.
Stesa sul letto, accarezzava dolcemente il suo ventre molto arrotondato ormai. Guardava verso la finestra la neve scendere a fiocchi ampi e turbinanti sentendosi molto amata.
Era al quinto mese, felice e non ancora del tutto a suo agio con la maternità. Era ancora così difficile pensare ad un altro anno senza una presenza: le mancava sua madre. In quel giorno specifico avrebbe dovuto uscire e andare al cimitero, il tempo inclemente non glielo permetteva così come il suo apprensivo consorte. Si sentiva un po’ a terra, non del tutto triste.
Le sarebbe piaciuto che sua madre la vedesse così. In quante cose l’avrebbe potuta consigliare e rassicurare costruendo un imprevedibile sodalizio con Rick. Ci aveva speculato su ed era sicura che sua madre avrebbe legato molto con lui: era una sua fan e lui sapeva essere affascinante anche nella sua follia.
Aveva avuto l’istinto di prendere il telefono e chiamare suo padre che, come lei, probabilmente era chiuso in casa a pensare al passato o a riempirsi la mente di -se-.
Però le erano mancate le parole. Che cosa avrebbe potuto consolare suo padre più di quello che si erano già detti negli anni? Ognuno di loro soffriva a modo proprio e non condividevano il dolore. Non lo avevano mai fatto. Raccontargli mere speculazioni su quello che sarebbe potuto essere se fosse ancora tra loro non lo avrebbe aiutato.
Le feste di Natale erano passate da poco. Niente eventi pubblici e tantomeno veglie di fine anno caotiche, avevano preferito qualcosa di più casalingo con il loft agghindato a festa e la loro famiglia al completo. Tutto era magicamente filato via liscio, ma solo dopo un paio di giorni veramente stressanti.
Castle aveva iniziato presto a trafficare con gli addobbi, per giorni aveva aperto e svuotato scatoloni in giro per casa, come se non bastasse il caos del cantiere al piano di sotto. Lei cercava invano di concentrarsi sui suoi libri di studio. Dopo il lavoro lo studio prendeva il resto della giornata e gli ultimi esami erano ad un passo. Il ritmo serrato l’aveva resa stanca e irritabile così avevano litigato perché non sopportava più la polvere, che finiva ovunque, ed il caos. Castle invece continuava a fare modifiche al progetto allungando i tempi di chiusura dei lavori. Non si accontentava mai. Gliel’aveva urlato contro un pomeriggio, di ritorno dal lavoro, dopo che si era presentato a lei con un’ennesima entusiasmante variante al progetto.
Era stata molto aggressiva nei suoi confronti, quasi fuori controllo. Lo aveva ferito dicendogli che doveva accontentarsi ogni tanto, che le delusioni erano parte della vita. Avevano passato i due giorni successivi a parlarsi a gesti e grugniti, a darsi la schiena nel cuore della notte e fingere che non fosse successo la mattina dopo.  Quando la sera dell’ultimo giorno Rick si era addormentato davanti alla tv guardando un documentario sulla preparazione del sakè, preoccupata di quel mutismo lo aveva svegliato per spingerlo ad andare a stendersi nel letto. Castle aveva parlato di sakè in un discorso sconnesso per 15 minuti e poi le aveva confidato che se si fosse accontentato probabilmente sarebbe rimasto sposato a Gina e non con la donna più irritante che avesse mai conosciuto, con un fisico da modella e il cervello di Sherlock Holmes: una strega che gli aveva rubato l’anima e senza la quale non poteva più vivere.
Si era scusata. Una farneticante dichiarazione a base di sakè e del suo amore per pregi e difetti che incarnava prevedeva sicuramente un bacio pieno di trasporto. Lui si era alzato e dopo averla abbracciata, aveva promesso di non apportare altre modifiche, ammettendo il suo eccesso di zelo.
Docile come un agnellino. Fine della discussione e due giorni buttati a tenersi il muso.
Castle aveva ovviamente diagnosticato che il suo astio fosse strettamente legato alla gravidanza, perdonandola senza riserve, forse. Lei però si era fatta un appunto mentale: il suo uomo meritava un gesto di scuse ben più significativo. Si sentiva dal lato della ragione ma Rick, da creatura sensibile quale era, poteva essere convinto con gli argomenti giusti. Non doveva aggredirlo, ma spiegargli il suo disagio.
Aveva sbagliato non affrontando subito l’argomento perché l’entusiasmo di Castle per i cambiamenti non era una novità, purtroppo aveva raggiunto il proprio limite di sopportazione prima del previsto.
Placidamente distesa sul letto valutava tutta la disavventura con serenità perché il Natale era stato stupendo, personale in modo particolare e molto intenso. Si era fatta coccolare e Rick sapeva farlo molto bene.
Si strinse addosso la splendida trapunta patchwork che le aveva regalato Martha, era calda, morbida, allegra.
In modo del tutto simbolico incarnava lo stile della famiglia Castle, la sua famiglia.
Lei era la signora Castle. Quella vera.
Sua madre avrebbe trovato la sua famiglia interessate e divertente.  Si era immaginata lunghe e vivaci discussioni davanti al camino con una tazza di punch caldo e migliaia di argomenti da sviscerare.
Probabilmente avrebbe adorato il livello culturale di Rick, oltre al fatto che era una sua lettrice. In fondo gli aveva presentato pochi ragazzi che poteva aver gradito. Ripensandoci quei pochi erano solo stati messi in mostra per pura provocazione. Ma di Rick sarebbe stata orgogliosa. 
Avrebbe visto anche in Martha una persona vivace e un po’ folle, percependone la singolarità così come era accaduto a suo padre. Aveva avuto con Martha solo uno scontro iniziale, un’incomprensione data da due stili di vita diversi, poi superata senza problemi. Forse non la capiva del tutto, ma aveva simpatia per l’attrice.
Con il bambino in arrivo chissà quali avventure sarebbero scaturite dall’incontro dei caratteri. Era stata una discussione accesa anche la sola decisione di come adornare la stanza del loro primogenito Abel.
L’ultima ecografia aveva dato ragione a Castle sancendo l’arrivo di un maschietto. 
Aveva perso la scommessa simbolica ma ne era felice. Abel sarebbe arrivato presto nelle loro vite e avrebbe spostato l’ago della bilancia degli ormoni in quella casa da 3 su 1 a 3 su 2. Oppure anche 3 su 1 e mezzo, Castle abbondava in estrogeni vista la sua metro-sessualità manifesta.
Un nuovo piccolo sé stesso da coinvolgere in contorti racconti della buonanotte, storie che stava già preparando prendendo appunti su un diario che teneva gelosamente nel cassetto del comodino. Castle sembrava sempre un passo avanti nel pensare all’arrivo del bambino, lei metabolizzava più lentamente e non era sicura che fosse un bene. Per contro anche Rick stava imparando a vivere quei giorni come una novità abbandonando definitivamente i paragoni con il passato. Apprezzava molto quel cambiamento: quale donna vorrebbe essere messa a paragone con l’ex del proprio marito?
Guardò verso la porta. Avvertiva uno strano silenzio e a casa loro poteva anche significare una diavoleria in arrivo. Decise che la cosa migliore era sincerarsi di un eventuale catastrofe sul nascere per poterla arginare.
Scese dal letto e si strinse nella sua trapunta. Aveva calzini ai piedi e sperò di sorprendere silenziosamente suo marito prima che nascondesse le prove.
Uscì in soggiorno. Tutto era in ordine e di lui nessuna traccia, il camino acceso era l’unica cosa viva.
Vagò per le stanze della casa. Non c’era nemmeno al piano di sotto. Indugiò alcuni minuti in quelle coinvolte dai lavori e ormai pronte: la loro camera da letto era stupenda, colori caldi e una splendida luce. Dovevano solo traslocare i mobili. Avevano fatto un buon lavoro e doveva anche accettare il fatto che le insistenze di Castle nell’apportare modifiche avevano generato buoni frutti. La stanza del bambino era stata dipinta prevalentemente di bianco e azzurro, con uno stormo di uccelli blu che sfumava in una chiara notte di luna piena sul soffitto. Era confortevole e le piaceva moltissimo, ma prima di arrivare a quella scelta, quante discussioni avevano avuto! Il montacarichi le era sembrato un eccesso, però quante cose potevano essere movimentate senza portarsele lungo le scale. Castle aveva puntato ad un ascensore interno, lei lo aveva stoppato. Non c’era bisogno e soprattutto gli impianti erano troppo ingombranti. Il montacarichi bastava.
Sbuffò scocciata dalla sua assenza.
Che Castle fosse uscito senza avvisarla? Salì sconsolata e tornò verso la stanza da letto. Dove diavolo era andato con quel maltempo? Cercò il telefono per chiamarlo immaginando stesse combinando qualcosa, ma non ebbe risposta. Di certo quel silenzio non la faceva star tranquilla.
Si rannicchiò sul letto e allungò la mano verso il libro che aveva sul comodino, uno degli ultimi manuali per la preparazione agli esami che si sarebbero svolti la settimana dopo. Ne aveva già superati alcuni senza problemi, anzi era stato fin troppo facile. Doveva affrontare ancora le commissioni, tra cui quella etica. La peggiore forse. La Gates le aveva detto di stare tranquilla, che lei era una dei pochi candidati ad essere all’altezza dell’incarico più prestigioso. Castle aveva fatto tutti i suoi voli pindarici secondo i quali sarebbe divenuta presto un capitano, magari proprio del dodicesimo. L’idea la solleticava molto, ma non era certa di captare con chiarezza i segnali che le alte sfere della polizia lasciavano trapelare vista la situazione di incertezza creata dall’imbarazzante incapacità del procuratore distrettuale. In tribunale il suo staff stava mettendo in crisi in modo vergognoso il caso dell’omicidio Keeler. Howard Bass se la sarebbe cavata con poco, il capo della polizia non era contento. Insomma un pasticcio da cui poteva uscirne solo facendo cambiare le cose.
Lei e Castle neanche a dirlo, si erano conquistati in nuovo nemico.
Cercò di concentrarsi nella lettura senza riuscirsi perché la mente tornava a immagini del passato. Pensò alle ricerche fatte da sua madre, alla ricerca della verità che l’aveva portata alla morte. Lei non era diversa e conosceva il prezzo di quell’integrità: poteva essere raggelante ma non si sarebbe fatta intimidire. Confidava ancora nella giustizia.
La mente tornò indietro a quei piccoli rituali che faceva con lei prima delle prove scolastiche più importanti. Dolcezze come frutta candita e cioccolata con cannella d’inverno, gelato nelle giornate calde. Chiacchierate in toni pacati per farla ragionare e prendere coscienza della sua buona preparazione. Crescendo erano arrivate le discussioni animate e le sfide nel suo periodo di ribellione che sua madre aveva saputo gestire con intelligenza, permettendole di fare esperienze, sbagliare e capire. Chissà se fosse stata in grado di fare altrettanto con il suo piccolo e con i cambiamenti che l’aspettavano nella vita.
Richiuse il libro con un gesto secco. Non aveva proprio la testa per concentrarsi sulla legge. Tornò ad ascoltare il silenzio in casa. Castle non poteva essere uscito con quel tempo, tutti i notiziari esortavano i newyorkesi a restare in casa, a non rischiare inutilmente sulla strade gelate. Nella dispensa c’era ogni ben di dio e in quantità tale da sfamare un reggimento, non avevano bisogno d’altro.
Si alzò e raggiunse lo studio. Cercò qualche nota che poteva aver lasciato ma non la trovò.
Il suo cellulare emise un cicalio. Lo prese, curiosa di sapere dove era andato quel pazzo di suo marito.
Come si era immaginata il messaggio era di Castle e conteneva la foto di una piccola famigliola di creaturine di neve, molto simili a grossolani Olaf con tanto di naso a carota e bottoni fatti di pietre scure che avevano tutta l’aria di essere lapilli provenienti dalle fioriere dell’ingresso. Non si domandò dove si fosse procurato i rametti che ne facevano braccia e capelli, ma riuscì a intravedere sul capo di uno dei pupazzi la vecchia e consumata scopa della cucina. Un Olaf tendente al punk con la zazzera imbiancata dalla neve. Appeso al più grande di quei 4 pupazzi c’era un cartello. “Ti amiamo Kate” vi si leggeva scritto con un pennarello nero. Riconobbe la grafia elegante di Rick e il luogo era la terrazza sul tetto. Sorrise scuotendo il capo.
Un altro messaggio e un'altra foto. Sempre la famiglia Olaf in un selfie con Castle: aveva in testa il berretto innevato che lo rendeva buffo. Gli sorrideva dolcemente trattenendo in mano un secondo cartello.
“Ti amiamo tantissimo. Ma ora abbiamo bisogno di cioccolata calda.”
Si era aspettata qualche gesto folle, ma niente di così tenero. Scosse il capo mentre digitava sulla tastiera del telefono: “Vieni a prenderti il tuo premio ma lascia la neve di sopra. Anche a me piacciono i caldi abbracci.”
Indugiò alcuni minuti muovendosi lentamente verso la cucina, ammantata dalla sua coperta. Si sentiva un po’ Linus, era così confortevole.
Castle ci avrebbe impiegato poco a scendere dal tetto. Guardò la porta e sentì armeggiare con la serratura.
Entrò intirizzito battendosi le mani. I guanti spuntavano dalle tasche della giacca a vento spolverata di neve. La guardò divertito, forse era sorpreso nel vederla sorridere. Probabilmente si aspettava di trovarla più mogia.
Lo raggiunse e lo aiutò a togliersi gli indumenti umidi. Gli sfilò il berretto e prima che lui dicesse qualcosa lo ammutolì con un dito. Scaldò il suo viso arrossato dal freddo con le mani e stropicciò il suo naso per farlo tornare in temperatura. Castle cercò di parlare ma lei lo zittì nuovamente.
“Vi amo anche io.” Mormorò Kate.
Castle si fece avvolgere nella coperta e annuì stringendola con dolcezza.
“Cioccolata?” Rispose a voce bassa, era una richiesta che poteva prendere in considerazione.
“Sto meglio.” Chiarì senza liberarlo dalla sua morsa. La sua insistenza non era solo un gioco.
“La cioccolata calda è sempre una soluzione. La cioccolata è un ottimo antidepressivo.” Castle la osservava con occhio attento.  Lei annuì.
“Vero, ma tu sei goloso.”
“Non è un crimine esserlo, anche se è uno dei sette peccati capitali. Ma vale solo se sei religioso.”
Kate negò. “Non ho mai incriminato nessuno per golosità.”
“Allora sono un uomo pronto a peccare…”

Venti minuti dopo stavano accoccolati sul divano con una tazza fumante di cioccolata. Castle aveva inondato la propria di panna.
“Esagerato.” Commentò Kate indicando la panna che Castle aveva fatto traboccare dalla tazza e aveva spalmato intorno alle labbra. Gliela tolse con un pollice che poi si portò alla bocca. 
“Devo caricarmi di dolcezza. Ho una missione.” Rispose a bassa voce.
Kate immaginò di cosa si trattasse, non replicò al suo tentativo di aprirsi un varco nel suo umore. Aveva già fatto molto per rendere quel giorno più leggero.
“Parlamene Kate.” Mormorò Castle. Il camino alle sue spalle scoppiettava riempiendo il silenzio.
Lui si mosse cercando un contatto visivo.
“Mi hai sempre detto che le sarei piaciuto. Mi hai mostrato alcune foto, conosco perfettamente i dettagli della sua tragica morte, ma non so ancora molto su di lei. Mi piacerebbe sapere cosa ti diceva nei momenti importanti, quando affrontavate le vostra divergenze. Quali erano i suoi gusti in fatto di cibo, cosa amava fare nel tempo libero…”
“Perché?” Chiese più confusa che convinta di quella risposta inutile. Era un modo per prendere tempo.
“Non ne parlo nemmeno con mio padre.” Aggiunse in tono più sommesso.
Castle le passò un braccio sopra le spalle.
“Se le assomigli in qualche modo, voglio saperlo. Non parlo di somiglianza fisica, ma nei modi. Tuo padre so che la vede in te, vorrei poterla vedere anche io. E così i nostri figli.”
“Castle…” Sospirò passandosi una mano sul viso.
“I nostri bambini partiranno svantaggiati: conosceranno solo la metà dei loro nonni. Non potrò mai parlare loro di mio padre perché in realtà non lo conosco affatto. Ma tu potrai parlargli di Johanna.”
I “loro” figli dovevano conoscere il lato oscuro dell’omicidio di sua madre? Come poteva Castle sorvolare sul peso che questo argomento aveva avuto nella sua vita? Pensava veramente fosse una storia da raccontare a dei bambini? Certo una volta diventati adulti e avrebbero capito.
“Non ho intenzione di traumatizzarli fin da piccoli.” Gesticolò.
Castle fece una smorfia umettandosi le labbra.
“Beckett non ho intenzione di traumatizzarli, voglio che possano provare affetto per lei, anche se non la potranno mai conoscere.”
Kate posò la tazza sul tavolino. Spostò le testa indietro, sdraiata sul divano riuscì ad appoggiare la testa alle ginocchia di Rick, disteso dall’altro lato.
“Non mi è affatto facile Castle.” Non riusciva a capire perché volesse insistere. Tornò il silenzio rotto solo dai loro respiri. La mossa di Castle non era senza senso, solo dolorosa, faticosa da affrontare come quel giorno schifoso che era la ricorrenza della sua morte.
“Quando Alexis era piccola le hanno fatto fare un albero genealogico. Il vuoto dato da mio padre dimezzava la composizione. E’ stato comunque complicato.” Castle cercò di riportarla a pensieri meno cupi, invano visto il suo mutismo. Si stava richiudendo a riccio. Ogni volta ci provava in qualche modo, poi faceva sempre un passo falso.
“Ok, lascia perdere.” Castle mosse le gambe e Kate si scostò percependo la sua volontà di alzarsi. Lo vide corrucciato. In modo brusco scelse di dedicarsi alla cucina, rimettendo a posto quanto rimasto in disordine.
Non emise fiato per minuti mentre si sforzava di non guardarlo, di non dargli corda ma in una parte di lei sentiva la frustrazione farsi strada. Perché doveva affrontare quel discorso? Non poteva limitarsi a parlare di pupazzi di neve e di cioccolata?
“Questa cosa non…” iniziò a dire ma si bloccò davanti allo sguardo serio di Castle.
“Non rispondermi che non mi riguarda.” La mascella del suo uomo guizzò nervosa.
“Non ho detto questo…”
“Non mi riguarda davvero Kate?” Sottolineò espirando con amarezza. Quante volte doveva sbattere contro quel maledetto muro? Aveva demolito quello verso sé stesso e adesso stava facendo di tutto per rimuovere anche quest’ultimo. Con tanta fatica, tanta pazienza. Ok, la pazienza era un po’ sfuggita, doveva riprendere il controllo.
“Non puoi semplicemente lasciar perdere? Non voglio discutere.” Kate conosceva la risposta: lo riguardava eccome dopo tutto quello che aveva fatto per portarla dov’era.
Castle si nascose il viso con un braccio alzato. “Ti ricordi cosa ho sempre detto di me riguardo al fatto che ignoravo la storia di mio padre?” Lei annuì. Castle non la guardò.
“Capisco sai, cosa provi... Ho finto che non mi importasse, ma avevo un vuoto. Vedevo cosa avevano gli altri bambini e io non l’avevo. Quindi so che cosa hai perso, ma qualcosa hai avuto e vale la pena di ricordare le cose belle. Vorrei conoscere qualcosa di più...”
Lei aprì la bocca ma non uscì un fiato. Scosse il capo deglutendo.
Rimase fermo, appoggiando i gomiti al bancone della cucina. “Voglio che tu sia più serena affrontando un discorso su tua madre.”
 “Non è che non voglia farlo.” Riuscì a dire alla fine. “Non credo di poterlo essere nel giorno della sua scomparsa.”
Castle le sorrise mestamente. “Vorrei avere un’immagine diversa di lei in testa.”
La stanza ora vorticava furiosamente per Kate. Chiuse gli occhi. Le nausee si erano diradate, quasi scomparse, quella vertigine non era dovuta alla gravidanza. Le venne da piangere ma strinse i denti.  Il divano era diventato vuoto e scomodo all’improvviso, così si riavvolse nella coperta cercando di sdraiarsi.
Castle si allarmò.
“Ehi…” Si avvicinò con una nuova urgenza, nella preoccupazione aveva rapidamente abbandonato la tensione.
“Sto bene!” Era seccata ma al diavolo le tensioni, le facevano male ed erano argomenti molto personali. In quei mesi discutere con Castle le faceva rivoltare lo stomaco. Aveva anche ottimi argomenti ma non riusciva ancora a fare quel passo.
Castle sedette accanto a lei. “Lascia perdere. Scusami” Posò una mano sulla sua fronte che scacciò con un gesto secco. Poi ci ripensò e l’afferrò al volo.
“Rick…” Sospirò alzando lo sguardo su di lui. Continuò a scuotere il capo.
“Ci provo ogni anno. La serata per la borsa di studio sembra ti sciolga un po’, ma poi torna tutto allo stesso modo. Facciamo qualcosa per te e per noi.  Gli Olaf erano un tentativo di farti scongelare.”
“Con… pupazzi di neve?” Ridacchiò.
“Non è una questione letterale e Olaf ama i caldi abbracci.”
“Sono bellissimi.” Replicò guardando suo marito agitarsi. Quanto tentava di dare spiegazioni lo faceva con vigore, soprattutto quando sapeva di arrampicarsi sugli specchi. Comunque Olaf e i caldi abbracci erano una giustificazione plausibile. Assolto con formula piena perché l’aveva fatta sorridere e desiderare da lui quei caldi abbracci che prometteva tacitamente insieme a cioccolata calda e marshmallow.
Castle fece un gran sospiro. “Ci ho messo tutto il mio amore.” Continuò ad accarezzare con una mano la sua testa. “Vuoi qualcosa da bere?”
“Ho ancora parte della mia cioccolata.”
“Vuoi ancora marshmallow?”
Lei negò. “Tu sei il mio marshmallow. Non ho bisogno di altri zuccheri.”
La studiò con sospetto. Era passata dall’essere la Kate sulla difensiva di sempre ad una remissività pericolosa.
Kate si drizzò a sedere alzando lo guardò verso i suoi occhi.
“Prometto che ci proverò. Sto facendo del mio meglio.”
“Hai sentito tuo padre?”
“Non saprei che dirgli.”
“Non c’è bisogno che gli dici qualcosa. Lo saluti e parli anche solo del tempo. Lui capirà.”
Castle era deciso a farle fare un passo avanti. Doveva dare atto che la sua tenacia non si stava esaurendo.
“Magari dopo, prima però... devo farti vedere una cosa.”
Si alzò dal divano. Prima di allontanarsi si voltò per puntualizzare qualcosa. “Però per oggi poi mi dai tregua?”
Castle annuì come un automa. Non si era aspettato nulla e lei invece aveva fatto un passo avanti. Sentì montare una vaga euforia. Cercò di restare compassato.
Kate si diresse a passi rapidi verso lo studio.
Nella grande libreria dove aveva la sua parte di cose, Kate estrasse un volume di pelle chiara. Il fronte portava la dicitura – Manuale di contrattualistica statunitense. R.W Conrad Press -.
Lo posò sulla scrivania di Rick di fronte al suo sguardo impaziente. Castle si accorse che dopo la prima pagina il libro non era quello che dichiarava di essere. Kate aveva usato un trucchetto per nascondere qualcosa sotto i suoi occhi. Era stata geniale, lui detestava il diritto amministrativo!
Quando vide la prima foto rimase basito. Aprì la bocca ma non ne uscì fiato.
“Me l’ha data tua madre.” Spiegò Kate.
“Contrattualistica statunitense?”
“Così non ci mettevi il naso.”
Castle fece una smorfia. “Non fa una piega…”
Kate guardò con attenzione la foto che c’era in quello che doveva essere l’inizio di quella nuova vita: Rick era seduto con la piccola Alexis addormentata tra le braccia. Era di spalle, davanti ad una finestra di un appartamento che non riconosceva. La sua testa era reclinata verso il basso e sembrava guardare la sua piccola in modo assorto e adorante.
Che dire, quando una sera si era attardata a chiacchierare con Martha del bambino, lei se n’era uscita con quella foto che gli aveva scattato in un momento di solitudine. Meredith non se n’era ancora andata ma la sua poca voglia di essere madre si stava già manifestando.
Castle prese l’album, allungò la mano libera verso di lei e la condusse alla grande poltrona di pelle.
Kate sedette sulle sue gambe come una bimbetta, nervosa nell’intento di riuscire a dirgli quello che stava cercando di fare.
“Sai quando abbiamo parlato di nuovi ricordi?”
“L’ho proposto io.”
“Ci sono anche quelli più vecchi.”
Prese l’album e lo ribaltò. Lo aprì e mostrò le prime foto di lei in braccio a sua madre e a suo padre. Castle le osservò con attenzione e stupore. Prese a scorrere le foto, momenti chiave della sua vita che qualcuno aveva raccolto in quel volume. La storia era quella di una bambina felice e molto amata. Una vita piena, con i suoi alti e bassi ma con qualcuno pronto a sostenerla. C’era tutto il calore di una famiglia unita. Un quadro forse non perfetto come sembrava dall’apparenza, ma certamente meraviglioso. Una parte di Rick percepì l’onda di emozione nel vedere la piccola Kate vestita di tutto punto per il suo primo giorno di scuola.
Chiuse gli occhi ricordando il proprio, sua madre era al verde e lui si era dovuto accontentare di una giacchetta di seconda mano.
Li riaprì su di lei. “Rasenta la perfezione…”
Kate sfiorò la fotografia. Sua madre le aveva fatto le trecce ben strette e le aveva messo dei fiocchi. Si ricordava bene di essersi sentita quasi una principessa.
“Non lo era ma si stava bene. Molto bene.”
“Era il cuore della casa vero? Mi sembra un tipo vivace!” Commentò Castle felice di vedere quelle foto in cui madre e figlia trafficavano con gli stessi esperimenti che lui aveva fatto anni dopo con Alexis.
“Mio padre ama pescare ma non è bravissimo con le attività manuali. Mamma era capace a trascinare mio padre in opere non propriamente da lui che se ne pentiva quasi sempre. Ci divertivamo molto.” Un velo di tristezza rese lucidi gli occhi di Kate. Il ricordo era ancora vivido nella sua mente.
Castle la guardò di sottecchi.
“Che c’è?” Lo incalzò Kate, quell’occhiata cosa stava a significare?
“Oh capisco perché le somigli. Anche tu sei un filo dispotica ed entrando in polizia questa indole si è amplificata!” Sogghignò attendendo una sua reazione.
Lei rimase in silenzio minacciandolo con gli occhi a fessura. “Vuoi farmi venire il mal di testa Castle?”
“No?”
“Allora non dire stronzate. Mia madre non era dispotica.”
“Tu sì, dispotica. Ti amo comunque anche se mi bistratti.” Precisò puntandole un dito inquisitorio avanti al naso.
Kate sorrise e Castle si dedicò ancora alle foto. “Comunque doveva essere un’impresa per tuo padre governare voi due, caratteri così forti.”
“Forse non ci governava…” Abbozzò Kate.
Castle annuì consapevole. “Forse era lui ad essere gestito. Ne so qualcosa. Pensa io ne ho addirittura tre.”
Kate gli diede una pacca consolatoria sulle spalle. “Ma questo ruolo ti calza a meraviglia.”
“Lo so per questo non raccolgo... Perché lo hai nascosto?” Toccò le incisioni sulla copertina dell’album.
“In realtà non l’ho nascosto. Era una sorpresa che mia madre aveva fatto a mio padre. E’ lui che si occupa di diritto commerciale.” Kate arricciò le labbra. “Era lì sotto il tuo naso e non lo hai notato.”
Un largo sorriso si fece strada sul viso di Castle. “Lo hai fatto di proposito!”
“Beh… un po’.”
“Le tue sorprese sono sempre di classe. Mi spiace di non averlo scoperto da solo.”
“Non è che ti ho fornito input per cercarlo.” Specificò Kate.
Non aveva pensato di nasconderlo, era un album nato dalla mente estrosa di sua madre ed era una cosa a cui teneva molto. Suo padre glielo aveva affidato una sera in cui, ubriaco fradicio lo stava per distruggere. Rinsavito, aveva pensato di salvarlo dandolo a lei.
“Perché lo hai tu e non tuo padre?”
Era un brutto ricordo. “In una delle sue serate no stava per bruciarlo. L’ho fermato in tempo e così me l’ha lasciato per conservarlo.”
Castle annuì. Jim doveva essere arrivato ad una disperazione tale da voler eliminare ogni riferimento alla felicità del passato, qualcosa che immaginava impossibile da riavere. Si dispiacque per lui una volta di più e rabbrividì pensando a quando aveva rischiato di perdere Kate.  La consapevolezza di averla persa lo aveva annichilito. Fortunatamente Kate ce l’aveva fatta e lui aveva avuto la sua opportunità di amarla.
“Credo che là in mezzo stia alla perfezione…” Aggiunse Kate.
Pensava che la grande libreria di casa Castle fosse il luogo ideale per conservarlo e da un po’ aveva cominciato a pensare a come completarlo. La foto di Marta era uno ottimo inizio. Castle aveva una figlia che amava e niente e nessuno gli avrebbe portato via quella gioia. Lei voleva partire proprio da quello e aggiungere il resto. In quell’immagine Rick era il padre gentile e apprensivo che aveva sempre visto in lui da che lo conosceva. La foto successiva era la prima ecografia.
“All’inizio pensavo lo creassi tu un album.”
“Ce l’ho… in realtà è virtuale per il momento.” Castle indicò il notebook sulla sua scrivania.
Kate si distese meglio sulle sue gambe. “Quante foto?”
Castle tentennò. “Ancora poche… Ma ci sei tu col pancino in crescita ogni mese.” Volle precisare. La sua dedizione ai cambiamenti nel corpo della moglie era costantemente in aumento, alcune volte Kate lo considerava folle. La sua mania dei selfie poi… con la sua pancia sotto la doccia! Tendeva però a non arrabbiarsi con lui, a tollerare di più le sue stravaganze perché il litigio prima di Natale l’aveva messa a dura prova e la sua ossessione per la maternità non era poi così grave.
“Hai sempre sorprese in serbo.” Non riusciva a credere che Kate si stesse aprendo un po’ di più con lui. Non era stato un tentativo vano.
Kate abbassò il tono della voce avvicinando la bocca al suo orecchio. “Anche tu, soprattutto senza vestiti.” Gli fece l’occhiolino.
Castle sgranò gli occhi. “Oh! Voglie?”
Lei sogghignò soddisfatta. Castle era la sua preda migliore di sempre.

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Chi non muore si rilegge ed io credo di dover mettermi in pari! Quante storie nuove!
Io invece mi muovo nel mio angolo di normalità con una famiglia che deve fare i suoi piccoli e doverosi passi, ma vediamo.
Il clima caldo mi ha richiesto un refrigerio mentale, la data la conoscete.
Buona lettura e tornerò a scrivervi!
Anna

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Capitolo 2
*** Mele ***


Era ebbro di piacere. Nessuno dei due parlava ma sentivano entrambi il respiro affannato dell’altro. Fece scorrere le mani sulle curve del corpo di Kate, il seno rotondeggiante e più pieno del solito stava ancora nella coppa della sua mano. Assecondò con dolcezza il lento oscillare del corpo di lei in una meravigliosa danza.
Kate rilasciò tutta la sua tensione lasciandosi cadere leggermente all’indietro verso Castle, che approfittò della vicinanza per lasciarle una serie di baci caldi sulla schiena sudata. Liberò una mano da quella meravigliosa sensazione tattile per puntellarsi e raddrizzarsi a sedere verso Kate che nel frattempo scivolò con i fianchi in avanti, sciogliendo il loro legame. Espirò a lungo compiaciuta. Castle accompagnò il suo movimento fino a fare aderire la schiena di Kate al suo torace. Il mugolio intenso di Kate lo fece sorridere mentre mordicchiava gentilmente il suo collo esile. Era così gratificante.
Quando la passione si era scatenata, era stato arduo controllare kate. Difficile cercare di moderare la sua foga. Nei mesi precedenti Castle aveva capito, dalle sue reazioni, che poteva provare un intenso piacere nel sentirsi guidata in movimenti più profondi, più intensi, domando la forza che solitamente la contraddistingueva.
Era una battaglia incredibile ma aveva raggiunto alcuni obbiettivi interessanti: lei non si arrabbiava più perché era ovvio che il bene del loro piccolo fosse prioritario, da donna passionale quale era, Kate riusciva sempre ad avere la meglio su di lui. E per meglio intendeva quel tipo di meglio. Lui ci impazziva sempre.
“I miei pensieri su di te sono quasi illegali…” Glielo sussurrò nell’orecchio, ancora ansante, sensuale all’ennesima potenza.
Lui gemette e con voce roca rispose sulla pelle del suo collo: “Quando mi dici queste cose mi fai morire!”
Kate espirò sorridente e ancora completamente in balia degli spasmi del piacere.
La loro intesa fisica aveva dell’incredibile.
Eccitazione, tempi, i loro che corpi sembravano fatti su misura per darsi piacere reciproco. Il loro modo di cercarsi giocoso e passionale, disinibito e talvolta adorante.
Kate non aveva mai pensato di raggiungere tanta sintonia con Rick anche in quella particolare condizione che richiedeva attenzione e la giusta misura per non danneggiare la salute del loro bambino.
I loro rapporti intimi non avevano perso in eccitazione e i risultati erano sempre strepitosi. Avevano giocato con i loro corpi, erano creativi e curiosi in fondo, così il manuale del sesso in gravidanza era stato un buon punto di partenza per evolvere in qualcosa di sicuro e allo stesso tempo molto appagante per entrambi.
“Se questo era un diversivo per smettere di farti domande, direi che sono disposto a replicare. Abbiamo tutta la giornata.”
“Non prima di una piccola pausa…” Ansimò Kate muovendosi compiaciuta.
Castle rise. “Beh... sì, credo di averne bisogno!” Lei sgambettò divertita riprendendo il controllo dei muscoli adduttori e poi si alzò rapidamente facendo una V con le dita della mano. Scappò verso il bagno. Urlò “Pipì!” dall’altra stanza e Castle ridacchiò. La sua autonomia era ridotta al limite.
Si sistemò su un fianco, cercando di dare una rassettata alle lenzuola. Espirò profondamente, beandosi della vibrante sensazione di piacere. Attese il suo ritorno e l’accolse accanto a sé sgranando gli occhi davanti al suo seno appetitoso. Non vedeva l’ora di tornare ad accarezzarlo.
Kate si stese supina, raccogliendo le gambe portando avanti il bacino e quindi il suo ventre rotondo.
Mise una mano sotto la propria nuca e l’altra la infilò nei capelli scompigliati di Castle. In pochi secondi la mano di Rick si posò su di lei accarezzando con delicatezza la sua pancia. Con uno sguardo Kate richiese un bacio e che lui si stringesse a lei.
“Usi il sesso per ammutolirmi.” Decretò Castle infine.
“Non mi riesce per molto.” Continuò ad accarezzargli i capelli. Si scalciarono vicendevolmente.
“Dispettosa.” Kate gli restituì una linguaccia.
Si fissarono intensamente per alcuni secondi fino a che Kate distolse lo sguardo.
Castle avrebbe voluto qualcosa in più, lei aveva barato giocando la carta sesso. Certo lo aveva desiderato intensamente e non aveva voluto aspettare un eventuale dopo, ma una parte di lei gli doveva qualcosa. Dai suoi occhi capiva che Rick era ancora in attesa. Lo conosceva e lo amava anche per quella sua insistenza. Sì, ammetteva che ogni tanto le ispirava un po’ di aggressività. Era perdonabile, tollerabile.
Doveva provarci.
“Ti sei soffermato sulla foto del primo giorno di scuola.” Disse a bassa voce.
Castle si posizionò meglio per volersi godere in modo più comodo la storia interessante che si aspettava.
“Mi racconti il tuo?” Chiese lei spiazzandolo.
“Solo se poi tu mi racconti il tuo.” Kate cercò di obbiettare e lui le mise un dito sulle labbra. “Non provare a fregarmi, mi potrei arrabbiare molto…”
“Se tu lo racconti per primo mi sentirei meglio.”
“La mia non è stata una gran giornata.” Gli rispose con scarso entusiasmo.
Kate lo studiò. “Di solito per te tutto è un’avventura.”
Castle negò ondeggiando il capo. “Avventura? Ero un ragazzino paffuto e vestito con una giacca di seconda mano. Un piccolo alienato che viveva in un mondo astratto, fatto di gente adulta ubriaca quasi ogni sera e camerini pieni di costumi variopinti. Ero impreparato alla cruda realtà di una scuola pubblica, io che venivo dal mondo della finzione teatrale.” Sbuffò alzando le spalle. Kate accarezzò la sua testa dolcemente. Dimenticava spesso che Rick non era nato né ricco né benestante.
“La sera prima mia madre mi aveva lasciato a casa con una babysitter dell’ultimo minuto. Mi aveva detto che dovevo andare a dormire presto per essere pronto per la scuola. Lei rientrò alle 11. Io ero già a letto e finsi di dormire perché ero preoccupato. Non devo aver dormito molto.”
“Preoccupato? In che modo?” Lo incalzò Kate, curiosa e allo stesso tempo dispiaciuta della piega che stava prendendo quella storia.
“Alle prove tutti mi dicevano che la scuola era una noia, si lamentavano di aver avuto insegnanti crudeli e che come prima regola di sopravvivenza dovevo evitare di discutere con quello più grosso della classe. Cose del genere…”
Kate sorrise. “Ti hanno rincuorato! Martha che ti ha detto?”
Castle fece una smorfia. “La mattina dopo mi preparò la colazione ma non avendo fatto la spesa non c’era nulla più di un paio di mele da portarmi come merenda. Così uscimmo velocemente per andare a scuola. Anche mamma ricordo… era tesa. Mi disse che tutte le persone dovevano avere un’occupazione nella vita. Per i bambini il primo impegno lavorativo era la scuola, anche se non venivamo pagati.” Era strano ricordare quella giornata che era stata a lungo il suo incubo peggiore.
“Fà del tuo meglio, Kiddo! Mi esortò, aggiungendo che la cultura avrebbe fatto la differenza nel mio futuro.” Era stata particolarmente diretta, Castle ricordava non fosse un periodo felice per il suo lavoro di attrice e a soldi non stavano messi bene.
“E’ stata molto sincera, forse troppo…” Commentò Kate, presa alla sprovvista da quella risposta.
“Mi comprò delle caramelle e mi accompagnò a scuola. Vivevamo in un piccolo appartamento a Brooklyn e la scuola non era distante, ma era abbastanza misera. Entro la seconda ora mi avevano già rubato le mele e presi uno schiaffo mentre cercavo di tenermi le caramelle.”
Kate strinse gli occhi, provando una sorta di dolore empatico. Si pentì di averglielo chiesto.
Rick sorrise malinconico. “Quando mi tornò a prendere alla fine delle lezioni aveva con sé una borsa voluminosa e prima di rientrare a casa comprammo della pizza. Aveva fatto la spesa e mi aveva preso un po’ di cose di cui ero goloso. Sapeva già che non sarebbe stata una giornata facile e voleva tirarmi su il morale.”
“Ti conosceva bene. Eri il suo bambino… e lo sei ancora.”
“Già…” Rispose con voce greve. Kate osservò il suo sguardo e i suoi occhi farsi di un blu intenso, difficile da evitare. “Aveva anche ragione. La cultura per me ha fatto la differenza.”
Fu il turno di Kate di dover raccontare. Castle le lasciò alcuni minuti per rimuginare e poi la invitò a parlare occhieggiando impazientemente.
“Ci eravamo preparate da molto sai… Vestiti nuovi, una cartella trendy, cancelleria nuova di zecca. Avevamo fatto shopping insieme ed io ero entusiasta.” Sospirò con un sorriso.
Castle annuì incuriosito. “Già secchiona prima di iniziare…” Si prese uno scappellotto.
“Mi lasci continuare?”
“Scusa, volevo partecipare…”
“Fallo in silenzio Castle.” Lo rimbrottò. Lui mimò di cucirsi le labbra.
“Avevamo parlato a lungo della scuola, i miei genitori avevano scelto una scuola privata molto qualificata. Mia madre mi aveva raccontato del suo primo giorno di scuola, delle cose nuove da imparare.”
Castle annuì. “Sapevi già scrivere e leggere immagino.”
“Tu no?” Rispose lei punzecchiandolo.
Lui finse di guardare in alto. “Non ero del tutto sgrammaticato ma allora non mi ero applicato molto. L’amore per la lettura e venuto subito dopo.”
“I miei genitori avevano fatto molto per avvantaggiarmi, con mia madre facevo piccole sedute di lettura e scrittura, con papà facevo i primi passi con la matematica.”
“Ma quando giocavi?”
“Castle?” Kate lo fulminò con lo sguardo. Suo marito era davvero un grandioso impiccione.
“Scusa, continua!”  Si scusò cercando di non farsi picchiare.
“Come Martha anche mia madre mi aveva spiegato che l’unico mio onere da bambina era riuscire bene a scuola, era la mia incombenza e l’unica cosa di cui dovessi preoccuparmi. Probabilmente si aspettava che io capissi l’importanza della giusta preparazione per riuscire nella vita.”
Castle sgranò gli occhi. “Le nostre madri ci hanno dato più o meno le stesse motivazioni? Sono sconvolto. Insomma tua madre e la mia… beh…”
Lo sguardo di Kate lo raggelò. “Smettila di criticare, Martha è più in gamba di quanto pensi.”
“Lo so, è sopravvissuta a tanti eventi… e non è che sa tenersi fuori dai guai.”
“Hai ereditato molto da lei.”
“Continua Beckett…”
In quel momento avrebbe voluto picchiarlo. “Se la smetti di interrompere!”
“Lo so ma è così divertente… ok muto.” Si disse da solo. Gesticolò e lei prese il lobo del suo orecchio tra le dita. “La parola di sicurezza non ti salverà.”
Castle strinse le labbra. Non voleva che arrivasse a tanto e voleva sentire la sua storia. Si impose di fare il bravo e non commentare.
“La mattina del primo giorno mi svegliai presto. Ero molto eccitata all’idea di cominciare quell’avventura. Ero determinata. Mia madre mi aiutò a vestirmi con il mio splendido ed elegantissimo vestitino blu. La divisa della scuola era molto carina. Mio padre mi aspettava in cucina per la colazione. In modo più sintetico mi augurò buona fortuna. E’ sempre stato così, di poche parole nonostante fosse un avvocato.” Kate sorrise.
Era una bellissimo quadro quello dipinto da Kate, pensò Castle.
Un momento felice e indimenticabile. Non aveva certo vissuto quel giorno come lui, nell’incertezza e nell’angoscia di sentirsi completamente fuori luogo.
“Mamma mi aveva fatto le trecce e le aveva legate strette così che i capelli non sfuggissero facilmente. Mi sentivo perfetta credo. Mi accompagnarono a scuola entrambi…”
Si accorse solo allora dell’espressione di tristezza involontaria di Castle. Aveva percepito il vuoto che aveva contraddistinto il suo essere figlio di madre single.
Capiva ora più che mai il suo senso di smarrimento e la sensazione di abbandono che già aveva vissuto in mancanza di una figura paterna, passando ad essere lasciato in un luogo a lui sconosciuto e forse anche ostile.
Gli accarezzò la nuca, lentamente e pensando a cosa dire.  Lui si chinò a baciarle la punta del naso.
“Non è una colpa tua se sei stata una bambina felice ed io no…” Aveva interpretato perfettamente il suo pensiero.
“Lo so ma…”
“I ruoli si sono drammaticamente invertiti tempo dopo, non credi?” Era d’accordo. Ma continuava ad essere dispiaciuta per lui.
“Cosa avevi per merenda?” Chiese Castle per alleggerire il momento.
“Avevo un sandwitch al prosciutto e una fetta di torta allo yogurt.”
Castle spostò la testa all’indietro sul cuscino. “Ti è andata bene! Li hai mangiati?”
“Ovvio.”
“Non avevi compagni maneschi e ladri?”
“Eravamo in prima elementare…”
“A me hanno rubato le mele.” Disse con un’espressione di sconforto.
Kate scosse il capo. “Poi hai mangiato pizza però.”
“Sì, mi sono rifatto.” Sorrise.
In quel momento le balenò in testa una strana idea. Mele. La sua parola di sicurezza.
“Mele?” Pronunciò ad alta voce Kate.
Castle annuì sorpreso: sua moglie stava perdendo la cognizione delle cose per merito della loro stupenda performance tra le lenzuola? Che si fosse dimenticata di cosa fossero? Doveva preoccuparsi?
“Certo mele, erano rosse ed erano belle lucide.”
Lì per lì a Kate sembrò lampante un legame tra le due situazioni. “Mele Castle… c’è una connessione?”
Quando Castle realizzò di cosa stesse parlando aprì la bocca basito. “Non so…” Rispose ad un certo punto.
La guardò con tutta la sorpresa e la tenerezza del mondo. “Non ci avevo mai pensato… ma non è escluso.”
Si sorrisero complici.
“Beh, direi che ora ha un nuovo significato. Più… completo. Qualcosa che proprio non riesci a sopportare.”
Si allungò verso di lui lasciandogli un bacio schioccante sulle labbra morbide. “Sei una scoperta continua Castle.”
“Sono l’uomo del mistero.” Replicò rubandole nuovamente le labbra. “Giochiamo ancora?”
Lei si soffermò sul suo zigomo con le labbra indugiando vicino alle sue orecchie.
“Ti basta?” Sussurrò.
Castle fischiò. “No che non mi basta, il sesso con te non mi basta mai!”
“Non parlo del sesso Castle…”
Castle la fece sdraiare e cercò le sue labbra con un bacio morbido, dolce.
“Poi com’è andata? Cosa hai fatto dopo?”
Kate tornò con il pensiero a quel giorno. “Mi ricordo che la mattinata era volata. Quando sono uscita dovevo essere entusiasta perché mia madre mi ha sempre raccontato di avermi trovato sulla porta della mia classe con un aria molto soddisfatta.”
“Li avevi già messi in riga tutti?”
“No! Credo mi fosse piaciuta la scuola.” Kate trattenne un sorrisetto sbarazzino.
Si ricordava si aver fatto la sua prima sequenza di lettere scritte. Era stato facile visto che sapeva già scrivere.
“Tu, a parte le angherie subite, che cosa ricordi?” Le chiese quindi di rimando.
“Che la mattina non finiva più. Che c’era molto rumore, alcuni ragazzini chiacchieravano in continuazione. Sul livello didattico direi che non è stato un momento degno di nota!”
“Insegnante donna o uomo?” Lo incalzò Kate.
“Donna, sui sessant’anni. La signora Barrymore, una donna rassegnata, sciatta. Tu?”
Kate rise. “Donna, signorina Davis. Sui quaranta credo. Era gentile, vivace. Ci incentivava in modo brioso.”
“Siamo vissuti in mondi diversi prima di incontrarci eh?” Valutò Castle. “Com’è finita la giornata? Io ho mangiato pizza consolatrice…”
“Mia madre mi ha portato a casa, ci siamo rilassate a guardare le prime cose fatte e poi siamo uscite a bere un the in attesa che papà ci raggiungesse. E’ stata una giornata da piccola adulta. Almeno ricordo di essermi sentita così.”
“Mi sembra una giornata al femminile, una giornata mamma e figlia.” Valutò Castle mentre Kate lo osservava attentamente riuscendo quasi a percepire le sue sinapsi creare immagini con la sua fervida immaginazione.
“Sì, è stata una bella giornata.”
“Adesso mi intristisco io. Sono l’unico ad avere avuto un primo giorno di scuola da incubo? Se è vero addirittura ho coniato la mia parola di sicurezza in base e a questo ricordo disastroso!” Castle si era rigirato e lasciato cadere all’indietro sul materasso. “Tua mamma era fiera di te già allora.” Finì col dire.
Kate si voltò versi di lui. Annuì pensierosa. “Certamente anche la tua era fiera di te.”
Castle sbuffò. “Credo fosse preoccupata quanto me. Non era stato facile per nessuno dei due, siamo sempre stati lei ed io.”
Kate appoggiò le labbra alla sua spalla in un bacio fugace.
Lui tornò a voltarsi verso di lei.
“Mi hai raccontato una storia dolcissima e hai rivissuto momenti con Johanna che ti hanno fatto sorridere. Sono soddisfatto.”
“Quindi è ok?”
“Se ammetti che ricordare cose così belle fa bene, allora posso graziarti.”
“Quale magnanimità…” rispose sorridendo.
Castle accarezzò con il palmo della mano il suo seno nudo per scendere fino al ventre. “E se tu sei felice lui lo sente.” Il suo istinto le disse che suo marito si era smarrito in un pensiero intenso, il capo chino su di lei e gli occhi a fessura. Respirò e poi alzò il capo come a voler allontanare un pensiero triste. Era dispiaciuta di averlo fatto pensare a ricordi infelici. Era stata egoista.
“Credi che quello che abbiamo fatto prima l’abbia sentito?” Disse ad un certo punto Castle.
Kate rise. “Non mi piace pensare che mio figlio, non ancora nato, possa sentire noi fare sesso. Insomma non mi mette a mio agio…” Si era già lasciato alle spalle la tristezza, probabilmente solo per lei.
“Pensa a quando sarà nato…” Lei afferrò con decisione il suo orecchio.
“Ok, mele mele… c’è una ragione per cui ho fatto quelle modifiche al piano di sotto. Insonorizzazione è la parola d’ordine!”
La giornata sembrava prendere una piega più vivace. Kate stava bene e sorrideva.
“Credi che i piccoli Olaf siano sopravvissuti?” Indicò la finestra da cui si poteva vedere la neve vorticare e scendere copiosamente.
“Saranno ormai mimetizzati nella neve... Perché?”
“Vorrei fami una foto con loro.”
Castle annuì ciondolando il capo con lentezza, compiaciuto e un po’ troppo pavone.
“Posso salire di sopra e rimodellarli, ma tu mi raggiungi solo ben coperta.” Rispose soddisfatto. “Anche se io preferivo stare qui… impigrire e giocherellare nudi tra le lenzuola ancora un po’.”
Kate era molto tentata, ancora su di giri per via dell’adrenalina. Ondeggiò le gambe in modo sbarazzino e si trovò la labbra di Castle sul collo.
“Allora dopo. Per ora stiamo qui al caldo.” Castle soffiò leggermente sulla pelle della sua spalla, facendola rabbrividire e lei lo sospinse indietro per allontanare quella piccola tortura.
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Rieccomi qui, con un altro capitolo di questa breve, prometto che il prossimo capitolo sarà pubblicato prima.
Che dire con il lavoro sempre peggio e per fortuna c'è il ferragosto!
Altro momento Caskett dolcioso. Zuccheri!
Baci
Anna
 

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Capitolo 3
*** Terapia della follia ***


Kate ammise di sentirsi rilassata, parlare di sua madre l’aveva resa felice in un modo che non aveva mai provato. Con la presenza di Rick a stemperare la tensione, la sensazione di tristezza si era convertita nel tepore rilassante della famiglia. Chiuse gli occhi per godersi quel momento in modo completo.
Quando li riaprì Castle la stava guardando, ovviamente.
“Quindi cosa vorresti fare? Sono le undici e mezza, hai fame?”
“No. Magari mi aiuti a studiare?”
“Oggi lascia perdere Kate, prenditi la giornata di riposo e per goderti tutte le coccole che mi chiederai.”
Kate sospirò crogiolandosi nella comodità del letto. Erano state giornate pesanti psicologicamente, quando mai non lo erano. Si chiese quante volte si era ripetuta quella stessa frase, quasi fosse di circostanza come parlare del tempo. Un modo come un altro per giustificare vuoti o giornate così piene di lavoro da non riuscire a comunicare con Rick, la cui sola colpa era quella di cercare costantemente di sciogliere le sue tensioni.
Oltre ad architettare ogni genere di complicata distrazione, compresi pupazzi di neve sul tetto.
“Ok…” Mormorò. Non aveva faticato a convincerla. Desiderava davvero godersi la giornata con lui senza sottoporsi ad altri stress.
“Ti va almeno qualcosa da bere?
“Mi andrebbe un goccio di vino rosso.” Chiese Kate a bassa voce. “Un goccio solo…”
Castle sorrise. “Prendo un bicchiere e lo dividiamo?” Il medico le aveva consigliato di evitare l’alcol, e per il suo standard la quantità si era praticamente azzerata, ma che un goccio di vino le avrebbe permesso di avere meno acidità dopo i pasti.
“Però ti porto del formaggio…”
“Castle…”
“Mangi un boccone di formaggio e bevi il vino.”
“Non ubriacherò nostro figlio.” All’apice di quel breve battibecco il telefono di Kate iniziò a squillare.
Castle cercò di vedere il chiamante ma non vi riuscì. “Dimmi che non è il distretto…” mugolò in modo lamentoso.
Kate guardò il telefono. “E’ mio padre.” Era sorpresa ed allo stesso tempo preoccupata.
Castle la invitò a rispondere mentre lui raccoglieva i boxer ed il resto dei suoi vestiti. Le lasciò un po’ di privacy.
Jim stava chiamando Kate e per lo scrittore era solo un buona nuova. Considerò l’opzione di lasciarli soli perché entrambi erano sempre stati riluttanti a parlare di quel giorno.
“Papà…” Rispose con calma Kate.
Ciao Katie. Come stai?”
“Bene… Tu?” Chiese timorosa.
Il solito.” Rispose Jim senza particolare inflessione nella voce. “Spero tu non sia al distretto.”
“La neve mi blocca a casa.” Replicò sconsolata.
Devi studiare giusto?” Suo padre la stava prendendo larga. Gliene fu grata.
“Mi sembra di essere tornata al liceo. Sono ormai agli sgoccioli.” Kate ascoltò suo padre parlare con improvvisi sbuffi di fatica. Non c’erano particolari rumori d’ambiente, ma sentiva che era all’esterno.
“Papà perché sembri affaticato? Stai camminando nella neve?”
Sto tornando a casa.” Jim rise.
“Sei andato in ufficio, a piedi?” Kate si inquietò.
Jim espirò rumorosamente. “Sono stato al cimitero.” Disse abbassando il tono della voce. “Era tutto molto calmo.” Commentò infine.
Kate si morse il labbro. “Papà...”
Sono un uomo di montagna Katie, non mi spaventa un po’ di neve.”
“Non affaticarti troppo.” Lo redarguì lei. Ci fu un momento di silenzio in cui Kate pensò di dover chiudere la chiamata, poi suo padre la sorprese.
Ho pensato di chiamarti e dirti che stavo… bene. Sì.” Quella era una vera novità.
“Mi fa piacere.” Rispose Kate con un sorriso. Riusciva a percepire la tensione nella voce di suo padre nonostante il respiro affannoso.
Jim si schiarì la gola, cosa che faceva quando doveva dire qualcosa di importante.
Le feste sono state molto piacevoli. La tua famiglia è davvero molto… confortevole.”
“Papà è anche la tua famiglia e lo sai. Rick ed io ci teniamo.” Tenne a precisare. Suo padre si sentiva ancora marginale? Ma se stava per diventare nonno!
Dopo tanti anni mi sono sentito più sereno. Vederti… Tua madre sarebbe così felice.”
“Rick mi ha fatto parlare di lei oggi. E’ stato stranamente… liberatorio.” Gli raccontò brevemente del loro reciproco racconto sul primo giorno di scuola.
Jim rise tossendo. Ora Kate riusciva a sentire nitidamente i suoi passi nella neve. “Rick ti fa bene.”
“E’ folle. Mi ha fatto ben quattro pupazzi di neve. Insomma uno non bastava…”
Fa sempre le cose in grande, comunque la sua follia ti fa bene.”
“Se vuoi te lo presto un po’.” Kate ironizzò divertita.
Credo che non abbia lo stesso effetto su di me. Oh, manca poco a casa. Comincio ad essere un po’ stanco!”
Kate lo canzonò. “Dov’è finito l’uomo di montagna ora? Quando la neve ci darà tregua passi a trovarci?”
Più che volentieri. Salutami Rick e ringrazialo da parte mia.”
“Per cosa?” Chiese curiosa.
Perché ti sta rendendo felice, anche oggi. Soprattutto oggi.”
Kate sorrise chiudendo gli occhi. “Gli vuoi parlare?”
No, diglielo tu. Per cortesia.”
“Ok, papà. A presto allora.”
Buona giornata Katie.”
La chiamata si interruppe e Kate posò il telefono alzando gli occhi verso la porta. Si aspettava di veder Castle fermo lì, ma lui non era ritornato.
Lo chiamò cercando i vestiti per indossarli. Dopo alcuni secondi Rick comparve sulla porta completamente vestito, con un vassoio i mano.
“Con mio profondo rammarico devo chiederti di coprirti sennò potresti prendere freddo.” Castle studiò le sue forme con una languida occhiata di apprezzamento.
Era incorreggibile e lei ne era pazza. “Qui fa piuttosto caldo.” Forse la sua pazzia era stata contagiosa ma suo padre aveva detto bene, Rick era la sua ragione di benessere, di felicità.
“Mio padre ti saluta e ti ringrazia.” Gli disse quindi litigando con la maglia che stava indossando. Riuscì a infilarci la testa e tornare a guardare Rick che si era avvicinato e aveva appoggiato il vassoio sul comodino.
“Per cosa?” Rispose lui cercando di aiutarla in quel garbuglio di maniche.
Kate fece una smorfia quando alzando il braccio sinistro, la cicatrice sul suo fianco le dette improvvisamente fastidio. Rick sedette accanto a lei.
“C’è qualcosa che non va?”
Kate scosse il capo. “Non è niente, il seno è cresciuto e la cicatrice tira un po’…” Lo vide annuire.
“La tua pelle si deve abituare alla nuova dimensione. Sei diventata… florida.”
Kate si guardò. Non era proprio a suo agio con quelle forme ma doveva farci l’abitudine.
“Vuoi che ti prenda della crema idratante? Così approfitto per spalmartela e accarezzarle ancora…”
“Dopo. Ora vorrei provare quel formaggio.” Sentiva un improvviso appetito nel vedere quella leccornia casearia.
Castle fece uno sguardo furbo. “Facciamo tutte e due le cose?”
“Ti ho appena comunicato che hai la stima di mio padre… sei senza vergogna.” Lo stuzzicò e lui ridacchiò.
“Abbiamo fatto un figlio Beckett, immaginerà che non ci limitiamo ad avere una elazione platonica!” Giocherellò con il bordo della sua maglietta. Poi cedette e le allungò il vassoio.
Kate assaggiò un primo boccone di formaggio gustandoselo. “Certamente Castle.” Rispose rispondendogli con la sua stessa ironia.
Castle studiò il mondo fuori dalla finestra.
“Che ne dici di mangiare e poi salire sul tetto? La nevicata si sta facendo più rada.”
“Ma non eri tu quello che voleva coccolarsi a letto?”
“Vero. Ma si sta calmando e possiamo dare un occhiata ai quattro piccoli al piano di sopra.”
“Ok. Facciamolo.” Rispose Kate con entusiasmo. Guardò suo marito in modo intenso, facendolo sfrigolare di curiosità in un silenzio carico di altre domande che sapeva sarebbero spuntate a breve. La strategia del mutismo era sempre vincente.
“Quindi tuo padre mi stima?” Incalzò Castle ad un certo punto. Sapeva di piacere a Jim, ed era incuriosito dai discorsi padre e figlia che lo riguardavano.
“Ah ha… Dice che la tua follia mi fa bene.”
Castle strabuzzò gli occhi. “Devo scindere i due concetti o uno salva l’altro?”
Kate sbocconcellò una scaglia del suo formaggio con gusto. “Non saprei, decidi tu.”
Alzò le spalle. “Penso che prenderò il lato positivo… Lo so, modestamente posso essere molto molto pazzo.” Ribadì con il dito indice alzato. “Ho degli assi nella manica.”
Lo spirito innato di adattamento di Castle era riemerso: quando gli conveniva poteva rigirare i concetti negativi in qualcosa di positivo anche nel peggio. Del resto era un uomo che sosteneva la veridicità del paradosso del gatto di Schrodinger.
Nonostante tutto ciò suo padre non lo considerava affatto folle.
“Signore della corte dei miracoli, re dei pazzi, dimmi… quale prova hai superato per arrivare fin qui?” Chiese Kate mimando un accenno di inchino col capo.
“Mi sono innamorato di te anche dopo aver subito tutte le tue tirannie. So di esserlo.” Replicò con lo stesso tono formale. “Come posso non esserlo?” Aggiunse con un acuto.
Kate rise, allungò una mano verso di lui e la posò sulla sua guancia. “Mi piace farti questo effetto.” Cinguettò vezzosa. Oddio come la faceva sentire bene.
Si accomodarono meglio appoggiando entrambi la schiena alla testiera del letto. Kate mangiò il suo formaggio e sorseggiò un po’ del suo vino.
Dalla finestra sembrava che la neve si stesse placando quindi finirono il loro spuntino e si vestirono a dovere.
Rick mise al collo di Beckett una delle sue lunghe sciarpe di cachemire. L’avvolse più volte e Kate scoppiò a ridere. Vuoi soffocarmi?
“Aspetta di andare sul tetto. Ti servirà.”

Salirono con l’ascensore e mano nella mano raggiunsero la terrazza innevata. I piccoli Olaf erano coperti da uno strato di neve morbida e Rick si chinò sul primo per rimodellarne le forme. Kate passò la sua mano guantata sopra la testa del più piccolo ma fu presa dall’interesse per il panorama.
La città imbiancata vista dall’alto non era una cosa di tutti i giorni. Il momento di calma della nevicata sembrava permettesse alla luce di filtrare un po’ di più oltre la spessa coltre di nuvole illuminando la città di un chiarore lattiginoso.
Si avvicinò al parapetto studiando la skyline dei palazzi e la strada in mezzo a quelli senza il solito traffico caotico.
Castle la seguì con occhi attenti.
“Castle…” lo chiamò lei infine, appena il suo sguardo aveva spaziato sulle diverse aree visibili nel quartiere di Soho.
“Dimmi piccola.”
“Pensi mai che sia una follia far nascere un bambino in questo mondo?” Disse con una mezza risata.
Era costellato di violenza. “Insomma è una cosa da pazzi…”
Castle si alzò, abbandonando il suo lavoro di cesello nella neve e portandosi accanto a lei. “Oh, sì.”
Si spostò per darle una lieve spinta con la spalla.
“L’idea di avere un figlio con te batte sempre ogni paura.”
“Anche se finiremo per non dormire?” Kate si morse un labbro. Nel giorno che ricordava quello che aveva cambiato la sua vita le cose potevano sembrare più grigie del solito.
“Crolleremo esausti sul divano facendo a turno.”
Kate annuì. “Ricordo la disavventura con il piccolo Ben.”
“Cosmo.”
Lei restituì la spinta con la spalla. “Per fortuna non hai insistito per dargli quel nome.”
“Tu non volevi…” Ironizzò inspirando.
“Però… che vista… Dovremmo venirci più spesso.” Castle annuì.
“Guarda la fuori Kate, quando la neve ricopre tutto, per il tempo che rimane prima di sciogliersi, lascia il mondo come nuovo, pulito. In giornate così rallenta anche la frenesia di questa città assurda e sembra tutto molto più bello.”
“Una magia temporanea.” Kate sorrise.
Castle inspirò annusando l’aria. “Ti porta a fare pace col mondo.”
“Mio padre è stato al cimitero. Ha detto che era… molto calmo.”
“In solitudine. Non c’è momento migliore di una nevicata così per poter sentire i propri pensieri nel silenzio.” Annuì con il capo. Lo sguardo per nel vuoto, pensieroso.
Kate cercò di scuoterlo. “Ti è capitato qualcosa di simile?” Le sue avventure la incuriosivano sempre.
Lui guardò lei e poi tornò a guardare avanti, verso gli altri edifici. “Una delle prime volte che Meredith aveva portato Alexis con sé a Los Angeles. Non potevo andarci per questioni di lavoro ed ero terrorizzato.” Kate lo seguì rapita dalla sua voce.
“Nevicava, era l’inizio di dicembre. Ho girato a vuoto a piedi in preda al panico. Sono finito in un cimitero. Avevo il naso ghiacciato, il respiro affannoso e ho pensato che mi stesse per venire un infarto. C’era un grande tasso a guardia di una cappella, aveva le fronde così fitte che la neve non era scesa sotto di esse. Mi sono seduto su un muretto sotto quelle fronde e ho pensato al fantasma di Canterville.”
“Cosa?”
“Sì, sai il modo in cui riesce ad avere pace.”
Kate corrucciò la fronte. “Sir Simon aveva ucciso la moglie perché non faceva i lavori domestici!” Ridacchiò sorpresa non riuscendo a capire quale analogia avesse trovato Rick in quella situazione, pianta di tasso a parte.
“Beh… avrei voluto anche io uccidere la mia ex moglie come prima cosa. Lei i lavori domestici li aveva proprio rimossi dall’esistenza.” Si beccò un’occhiataccia da Kate.
Castle sorrise sornione. “A parte questo trucido aspetto, ho pensato alle eventuali persone sepolte li.
All’improvviso mi sono sentito trasportato dalla necessità di sapere le loro storie. E così ho lasciato che l’immaginazione avesse il sopravvento, ho sentito i miei pensieri nitidi, come se li avessi enunciati ad alta voce.”
Kate lo immaginò in quell’ambientazione. “I tuoi pensieri sono rumorosi anche quando non nevica!”
Stavolta fu Castle a farle la linguaccia.
“Ho pensato che se ci fosse stato qualcuno tra loro ad aver compiuto qualche azione orrenda allora io lo avrei perdonato, dandogli pace. Le date sulla cappella indicavano che era piuttosto vecchia, 1819 mi sembra. Qualsiasi cosa avessero fatto a chi poteva importare più? Erano nell’oblio, probabilmente nessuno si interessavano più a loro.”
“E come tutto questo ti ha fatto stare meglio?” Lo incalzò Kate. Era bravo a raccontare storie, ma ancora meglio quando la storia era reale ed era in un passato ancora tutto da scoprire. Castle aveva vissuto vite parallele, come scrittore famoso e come padre. Più lo conosceva e più quell’aspetto nascosto di Rick, il vero sé stesso e non il vanesio romanziere, la affascinava e la spingeva a desiderare di sapere altro.
“Ironicamente pensando alle sventure di questi sconosciuti ho scordato le mie per un po’. Mi è passato il panico, mi sono riposato e alla fine sono tornato a casa senza la voglia di uccidere Meredith.”
“Se fosse stato così forse ti avrei conosciuto prima Castle…”
“Mi avresti arrestato come la prima volta.”
Kate annuì. “Solo che in quel caso saresti stato molto molto colpevole.”
“Mi sento in debito con l’ottocentesca famiglia Bowman.” Concluse Rick.
Non doveva essere sorpresa dei suoi dettagli nel raccontare la storia, era impressionante che riuscisse a ricordare addirittura il nome della famiglia. La sua mente era prodigiosa.
“Tu invece? Ti è capitato?”
“A me è successo sotto la tempesta peggiore della mia vita.”
 Una tempesta?”
“Lo sai quale tempesta…” rispose Kate a bassa voce.
“Oh, quella?” Castle fu rapito dalle emozioni.
“In quel caos di pioggia e fulmini ho finalmente capito con chiarezza cosa volevo. Forse anche per mio padre è arrivato il momento di passare oltre…” Sorrise, in modo innocente come una bambina.                                   
Castle le si avvicinò appoggiando la fronte alla sua. Quella tempesta aveva cambiato le loro vite per sempre.
Le cinse la vita.
“Non so se per lui cambierà qualcosa. In fondo lo capisco...” Alzò gli occhi su di lei. “Capisco…” Sottolineò annuendo il capo con un sorriso mesto. Lasciarono che il silenzio li avvolgesse.
L’atmosfera aveva un che di surreale. Rimasero assorti, entrambe le menti focalizzate l’uno sull’altro.
Castle si mosse e con un braccio avvolse le spalle di Beckett, con l’altra mano tolse la neve dai suoi capelli e dalle sue spalle. Nevicava poco ma nevicava ancora.
“Mi è sembrato che da qualche giorno a questa parte qualcosa ti impensierisca.” Castle interruppe infine. “C’è qualcosa d’altro?”
Kate espirò emettendo una nuvola di vapore. Cercò di minimizzare.
“Devo affrontare la commissione etica, rivolteranno me e la mia vita come un calzino.” Spiegò. “Potrebbe essere imprevedibile, non so davvero cosa aspettarmi.” Disse con disappunto facendo una smorfia.
Doveva essere realista, quello era un passo difficile. Nel lavoro si era spinta fino al limite rimanendo nella legalità quindi non riusciva a farsi un’idea di come avrebbero giudicato il suo operato. In certe situazioni molti burocrati non potevano capire cosa si doveva affrontare per arrivare alla verità. Aveva una carriera impeccabile e nonostante tutto la commissione etica aveva già mandato a farle le pulci l’agente Brady. Non desiderava avere un altro interrogatorio incentrato sul passato di suo marito.
“Cosa temi possa accadere?” Stavolta Castle affrontò il suo sguardo con altrettanta serietà. Indietreggiò e si appoggiò con la schiena al parapetto. La guidò verso di sé.
Il pubblico conosceva Richard Castle, lo scrittore, ma nessuno conosceva Rick come lei ed il suo sostegno e la sua positività le avevano salvato la vita. Se il discorso si fosse incentrato ancora su di lui, doveva trovare il modo di farlo percepire. Le parole giuste.
Kate si tolse un guanto e cercò la mano di Castle che fece altrettanto. “Non riesco a prevedere nulla, ecco perché non sono tranquilla.” Specificò.
“E poi mi presenterò a loro con il pancione, potrebbe essere provocatorio? Oppure fuori luogo?”
Castle scosse il capo vigorosamente. “Da quando una donna incinta è fuori luogo? Soprattutto se è la mia bellissima moglie.” Puntualizzò.
Ovvio che il giudizio della commissione non avrebbe influenzato la loro vita privata però la impensieriva.
“Hai fatto una scelta coraggiosa, sarebbe stato più facile senza Abel? Probabilmente sì.” Valutò Castle cercando di infonderle la sua sicurezza.
“Ma noi non abbiamo mai intrapreso le strade più facili. Mai… Ricordi?”
Kate annuì. “Mai...” ripeté sospirando.
“Se la commissione saprà fare il suo lavoro, valuterà la persona che sei davvero: hai avuto il fegato di non accontentarti, di ambire al meglio che la vita possa darti anche in amore. Gli dimostrerai che essere un poliziotto con le palle non significa sacrificare la tua femminilità e la possibilità di essere madre, di avere una famiglia. Gli dimostrerai che sei capace di affrontare ogni cosa scommettendo sul futuro.”
“Non vorrei che si limitassero a notare solo una debolezza...”
“Il nostro rapporto?” Lei annuì.
Castle s’incupì. “Capisco.” Era già accaduto che lui fosse considerato l’anello debole.
Kate si prodigò a chiarire il suo punto di vista.
“Niente metterà in discussione noi, babe, ma come è successo con l’agente Brady non mi è facile restare neutra quando sparano sentenze su di te. Sei migliore delle sciocchezze riportate nelle fascette dei tuoi libri.”
“Lo so. Lo dico sempre.”
“Castle…” Rispose Kate pensando che esame dopo esame sarebbe arrivato il momento di dover rinunciare alla sua compagnia. Lui sorrise con un’espressione colpevole.
“Non sono del tutto padrona delle mie reazioni a causa degli ormoni.” Sbuffò e scosse il capo per togliersi un po’ di fiocchi di neve dai capelli.
Castle la aiutò a proteggersi il viso alzandole la sciarpa fino al naso.
“Alla fine di tutto non potrai più lavorare con me.” Sussurrò attraverso le fibre della lana.
“Abel ed io saremo orgogliosi della nostra paladina della giustizia di una bellezza impareggiabile. Preciso che la bellezza è tutta per me. Il senso di giustizia lo posso condividere. Non troppo però, solo in orari di ufficio ed esclusi i festivi.”
Stava facendo nuovamente il buffone e riusciva percepirla come una buona idea.
Kate espirò. Che poteva succedere? Castle aveva già aperto il vaso di pandora della sua vita, cacciando una piaga alla volta aveva neutralizzato le calamità. Ci sapeva fare.
“La commissione etica non sarà un problema, ne sono certo.” Ribadì lui. “E se immagini cosa potrebbe pensarne tua madre, sappi che sei molto più importante di uno dei tanti avvocati di cui è piena la città, stai facendo la differenza.”
La mano di Kate scivolò sul torace di Castle indugiando all’altezza del cuore.
Sotto lo spesso strato di vestiti non avrebbe potuto sentire il suo calore ma sapeva che era lì e batteva anche per lei. Castle le sorrideva tranquillo, così fiducioso in un futuro roseo. Non voleva sembrare solo negativa, ma lei era quella coi piedi per terra dopotutto.
“Penso molto a lui, ad Abel.” Si strinse nel cappotto con un sorriso mesto. “Voglio che tutto fili liscio.”
Castle le fece l’occhiolino. “Lo desidero anche io. Abbiamo avuto poco tempo per noi tre soli in questi giorni.”
Troppe variabili in giornate ricche di attività. Dal loro chiarimento prima di natale non c’erano stati altri momenti intimi come quello ed in fondo sapeva che a Castle mancavano forse più che a lei. L’aveva lasciata tranquilla per studiare e tenuta lontana dai disturbi dei lavori edili dopo il suo exploit.
“Mancano pochi mesi…” Sottolineò ad un certo punto. “Abel è un dormiglione, non si ancora mosso.”
“Il dottore lo hai sentito, è tutto ok. Sta bene.” La rincuorò Castle.
“So già che dovrò marcarlo stretto quando nascerà. Se ti assomiglia anche solo un po’ si metterà nei guai!”
Castle si abbassò e finse di bussare al pancione. “Ehi Abel, stai tranquillo, non c’è bisogno di agitarsi, ma se farai sentire alla mamma che ci sei, starà meno in pensiero.”
Era vero, scalpitava all’idea di sentirlo muoversi dentro di sé.
“E’ solo una questione di giorni. Sei alla diciannovesima settimana, vedrai che lo sentirai presto e poi ti tormenterà, comincerà a non ti farà dormire prima di nascere!”
“No, è un dormiglione, ti assomiglia!” Kate tirò un leggero pugno alla spalla di Castle. “E ricorda che tu non dormirai con me. Dovrai raccontargli storie per farlo dormire.”
Castle sorrise. Alzò la mano destra. “Parola di lupetto.”
“Lupetto…” Ripeté sarcastica.
“Lupacchione… Ho la bocca grande per mangiarti meglio!”
Kate scoppiò a ridere. “Questa è brutta Castle. Brutta…” Gli mise una mano sulla bocca. Forse era meglio dedicarsi ad argomenti più leggeri.
“Chiedo scusa, calo di zuccheri! Andiamo avanti?”
“Solo se mi prometti di non pronunciare altri orrori.”
Lui annuì e si divisero gli strumenti che Castle aveva portato sul tetto: palette e secchiello da spiaggia.
Kate impugnò una paletta e guardò Castle inginocchiato e terra sopra un cartone per evitare di infradiciarsi.
Lui le allungò un paio di altri pezzi di cartone e Kate cercò di imitarlo. Si sentiva un po’ legata in tutti quegli strati di vestiario che Castle aveva insistito per farle indossare.
“Quando passerà questa nevicata vieni con me in piscina? Ho voglia di muovermi e poi le cene delle feste hanno lasciato qualche traccia…” La lunga permanenza in casa stava intorpidendo i suoi arti e non poteva permetterselo. Voleva stare in forma perché dopo la nascita del piccolo sarebbe stato più difficile trovare tempo
“Volentieri. Faremo anche shopping. Mancano ancora molte cose per la stanza di Abel.”
Cose positive, tutto ciò su cui intendeva focalizzarsi Castle nell’immediato futuro.
“Finiremo sui giornali?” Chiese quindi stringendo gli occhi. Kate non aveva mai amato il suo rapporto con la stampa, purtroppo dopo quel fatidico agosto le cose erano peggiorate quindi pensava agli effetti collaterali che potevano derivare dal suo essere fotografata col pancione in pubblico. Si pentì nuovamente di aver detto quelle parole, ma non di aver difeso la sua monogamia.
“Dovrà succedere prima o poi.”
Castle avrebbe spinto perché lei si coprisse per bene difficilmente avrebbe adottato uno stile minimale o temerariamente leggero come suo solito, probabilmente non si sarebbe notato.
Mosse il collo leggermente intorpidito. Nonostante i molti dubbi si sentiva rilassata e tranquilla, protetta e amata. La tristezza se n’era andata del tutto, era a suo agio come sempre accanto a Castle e avvolta dal calore del suo sorriso: il suo paradiso personale.
“Non mi importa, tranquillo.” Lo rincuorò. La preoccupava solo rendere pubblica una fragilità. Era una sua vecchia abitudine, buona secondo lei, quella di tenersi lontano da occhi indiscreti e non mostrare il fianco a possibili nemici. E ce n’erano di nuovi purtroppo. Forse Castle evitava il discorso ma non era uno sprovveduto, conosceva i rischi.
Castle fece spallucce. “Scommettiamo su quanto tempo ci vorrà prima che mi chiami Paula?”
“Non voglio farlo.” Rispose Kate con una smorfia. Rise guardando suo marito e poi compattò con veemenza la neve rimodellando l’Olaf numero tre. Non era suo interesse destare quello della Black Pown.
“Mi stupisce che tu l’abbia tenuto il segreto.”
“Questa cosa è solo nostra.” Asserì fiero. Lo sguardo di Kate era una delle ragioni per cui era pazzo di lei.
“A Gina verrà una sincope.”
Quella possibilità divertiva anche lei dopotutto. “Non vedo l’ora… Per la sincope ovvio.”
“Crudele detective.” Borbottò Castle con voce tonante.
“Gina è colpevole di tentato furto di marito. Meriterebbe l’ergastolo.” Aggiunse Kate.
Castle ridacchiò, non prima di buttare a Beckett una manciata di neve che lei gli restituì con gli interessi.
“L’hai più vista?”
“No, mi odia ora, mi manda solo mail.”
Castle aveva in mente un nuovo progetto e al momento non era intenzionato a fare partecipe la sua casa editrice. Era sicuro di avere una chances di andare ben oltre ciò che era stato fino a quel momento.
Ristrutturarono ai loro pupazzi per altri minuti giocando con la neve. Kate guardò verso il cielo, i fiocchi di continuavano a scendere radi e turbinanti. Le davano un senso di vertigine. Ascoltò il respiro di Castle mentre giocherellava, pensando al da farsi.
Con i preparativi per l’arrivo di Abel erano solo all’inizio. Stavano pensando al corso preparto, a come organizzarsi nel quotidiano, persino a come presentarlo agli amici in una bella festa al suo arrivo a casa.
In quel 9 gennaio Kate aveva sentito in modo vivido che la sua famiglia stava guarendo la sua ferita. Anche suo padre ne era influenzato. Doveva lasciare carta bianca a Rick per ricacciare nel vaso di pandora i restanti demoni della sua esistenza.
Tornò a guardarlo. Era di nuovo innevato. “Castle?” Lui si voltò nella sua direzione.
“Dovresti brevettare questa terapia.” Abbassò lo sguardo sul pupazzo di neve a cui Castle aveva aggiunto nuove e vistose curve femminili.
“Anche loro sono una coppia.” Chiarì Castle indicando due pupazzi vicini. “Piccoli Rick e Kate.”
“Non ho tutte quelle tette.”
Castle spalancò gli occhi chiari. “Non esserne così sicura.” Ridacchiò. “Dopo scendiamo e prendiamo le misure.”
Kate rivalutò il suo pensiero: forse concedergli carta bianca era un po’ rischioso, ma non si sarebbe mai annoiata.

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Rieccomi con l'ultimo capitolo di questa breve..
Per chi me l'ha chiesto la linea temporale della serie Achab parte da dopo due anni dal loro matrimonio. Castle era stato rapito ma non ho ma approfondito il perchè, se non per una vedetta ai danni di Kate.
Bracken è in galera ma ancora vivo, non sono mai accaduti gli avvenimenti della stagione 8.
Anche qui prevale sempre il loro menage nel privato.
Grazie a tutti per avermi seguito, ho ancora tante idee e devo solo trovare il tempo di mettere tutto nero su bianco. Che non è poco.
Un abbraccio a tutti.
Anna

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