Il sacrificio di Ifigenia

di Flowerina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ragazza col tatuaggio sul collo ***
Capitolo 2: *** THE UNSTABLE LADY ***
Capitolo 3: *** THE FAULT IN OUR GODS ***
Capitolo 4: *** I FANTASTICI TRE ***
Capitolo 5: *** DANGERS & DRAGONS ***
Capitolo 6: *** UNA MORTALE IN FUGA ***



Capitolo 1
*** La ragazza col tatuaggio sul collo ***


Capitolo 1:
La ragazza col tatuaggio sul collo
Chandra si svegliò di soprassalto quella mattina e, per poco, non cadde giù dal letto. Guardò la sveglia: erano le 7:45 e alle 8 in punto doveva essere a scuola. Come al solito, era in tremendo ritardo! Afferrò al volo i vestiti e li indossò in fretta; poi, si precipitò lungo le scale, baciò di sfuggita Tata e uscì di fuori, incurante della donna che protestava perché, come al solito, la ragazza non aveva fatto colazione. Tata era l’unica persona a cui voleva davvero bene nella sua vita, la sola per cui in tutti quegli anni non era fuggita dal St. Mary’s, l’“orfanotrofio barra prigione” dove aveva vissuto sin dalla nascita. Non sapeva nulla della sua vera famiglia, ma ormai considerava Tata come una madre, che l’aveva accolta quando era stata abbandonata sui gradini dell’orfanotrofio e l’aveva accudita e allevata con tanto affetto. Tata non era il vero nome della donna, ma, a quanto le era stato raccontato, proprio quella era stata la prima parola pronunciata da Chandra quando non aveva ancora un anno, e così lei l’aveva sempre chiamata da allora. Il rapporto che avevano instaurato era speciale e, anche se Tata non voleva ammetterlo, sembrava che avesse una particolare predilezione proprio per Chandra, nonostante la non esigua presenza di ragazzi nell’orfanotrofio della periferia del Queens.
Chandra aveva compiuto sedici anni il giorno precedente e, come ad ogni compleanno che ricordasse, non aveva ricevuto auguri se non da Tata e dalla sua migliore amica Vivian, compagna e unico barlume di luce in un ambiente buio e squallido quasi quanto quello dell’orfanotrofio: la scuola del St. Mary’s, la più prestigiosa del quartiere che ammetteva, oltre agli orfani, anche i figli delle famiglie più facoltose, i quali, data l’elevata retta pagata dai genitori, erano distinti dai ragazzi più poveri e ottenevano, naturalmente, anche i risultati migliori. Le classi del St. Mary’s erano formate sia dagli orfani che dai figli di famiglie ragguardevoli (anche perché questi ultimi erano in enorme inferiorità numerica), ma sin dalla disposizione dei banchi era più che chiara l’organizzazione gerarchica: i migliori (cioè, i più ricchi) davanti, gli altri nei banchi dietro, dove perlopiù trascorrevano le ore nella totale invisibilità, cosa che andava bene tanto a loro quanto ai professori. Chandra, però, non aveva mai accettato questa situazione, in quanto sin da piccola aveva sviluppato una particolare predilezione per la lettura: divorava libri su libri, tanto che aveva già terminato tutti quelli presenti nella piccola biblioteca dell’orfanotrofio ed era passata, poi, a quella un po’ più grande del quartiere, dove trascorreva ore e ore della sue giornate. Amava imparare cose nuove e, ogni volta che le capitava sotto mano qualcosa che non conosceva, si rinchiudeva in biblioteca per scoprire tutto ciò che c’era da sapere. Questa sua indole mal si conciliava, dunque, con l’organizzazione gerarchica della sua scuola e aveva trascorso tutto il primo anno di superiori piangendo e lamentandosi di questo con Tata, finché un bel giorno non era entrata nella sua classe Vivian. La ragazza proveniva da una famiglia facoltosa, in quanto figlia di un noto medico del quartiere e di un’avvocatessa che non aveva mai perso una causa. I genitori l’avevano spedita in quella scuola nella speranza che seguisse la strada di uno di loro due, ma sembrava che a Vivian non importasse nulla né della medicina né del diritto; l’unica cosa che attirava la sua attenzione era lo shopping sfrenato e, per quanto lei stessa andava dicendo in giro, la sua più grande aspirazione era quella di sposare un uomo ricco e farsi mantenere da lui. Apparentemente, le due ragazze non avevano nulla da condividere; ma Chandra voleva imparare e non poteva, mentre Vivian doveva imparare e non voleva. Essendosi casualmente trovate sole in classe in un piovoso giorno di Novembre e avendo compreso questa importante verità, le due non avevano potuto far altro che diventare migliori amiche, cosicché Chandra potesse imparare facendo i compiti di Vivian e Vivian prendesse ottimi voti senza aprire libri o, nel peggiore dei casi, ascoltando una sintesi molto semplificata fatta da Chandra. Da quell’epico incontro di due anni prima, le due avevano preso l’abitudine di incontrarsi ogni pomeriggio e, quando i compiti erano pochi o l’umore di Vivian era peggiore, erano solite andare in città accompagnate dalla madre avvocato della ragazza (che era all’oscuro della reale identità di Chandra e pensava fosse figlia di un ricco giudice del quartiere), trascorrendo l’intero pomeriggio a fare acquisti nei negozi più esclusivi con la carta di credito del paparino. Unite da questi e altri segreti, le due si erano unite in un’amicizia piuttosto salda e, grazie al sostegno reciproco, erano riuscite a sopravvivere all’interno della scuola ed erano arrivate a concludere, ormai, anche il terzo anno, dal momento che quello era l’ultimo giorno dell’anno scolastico.
Immersa in questi pensieri, Chandra arrivò a scuola giusto in tempo per sentire il suono della campanella. Si avviò automaticamente verso il suo armadietto, per prendere i libri che vi aveva lasciato, anche se sapeva che le sarebbero serviti ben poco visto che, ormai, tutti i voti erano stati, come al solito, decisi: gli optimates (termine latino che indica i “migliori” e che lei usava per riferirsi ai figli dei ricchi) sarebbero usciti con i voti più belli e gli orfani, lei compresa, avrebbero ottenuto, al massimo, un sei, se non avevano procurato guai nel corso dell’anno. Mise i libri nella cartella e rivolse uno sguardo rassegnato al suo riflesso nello specchio dell’armadietto: i lunghi capelli castani e lisci come spaghetti le ricadevano sulle spalle, raccolti di lato alle orecchie da due graziosi fermagli sormontati da piume azzurre che Vivian le aveva regalato per i suoi sedici anni. Quel giorno, aveva deciso di indossare un abito rosa pallido, lungo fino alle ginocchia (così prescriveva la politica del St. Mary’s, almeno per gli orfani) e cinto in vita da un nastro dello stesso colore dei fermagli; era il suo vestito preferito, anch’esso regalatole da Vivian e acquistato in una delle loro giornate di shopping. Sorrise e i suoi occhi si illuminarono, passando dal castano al verde come facevano sempre quando cambiava il suo umore; si chiedeva spesso se quella fosse una caratteristica della madre o del padre, ma sapeva che non lo avrebbe mai potuto scoprire.
«In ritardo, come al solito, eh?».
Vivian le chiuse lo sportello dell’armadietto e la esaminò dalla testa ai piedi; poi, sorrise ad indicare che apprezzava il look dell’amica. Del resto, era stata proprio lei ad insegnarle tutti i possibili trucchi nell’abbinare accessori e vestiario!
«Hai deciso di farti attendere anche l’ultimo giorno, a quanto pare» le disse, stuzzicandola. «Brava la mia ragazza!»
«Il mio solito problema con gli orari» ribatté Chandra. «Odio alzarmi presto.»
Le due fecero per avviarsi verso l’aula, ma le raggiunsero due degli optimates del quinto anno e le bloccarono. Chandra li conosceva molto bene, perché tutte le ragazze non facevano che parlare di loro. Uno dei due era alto, biondo, con occhi azzurri e un fisico da paura: il suo nome era David Ware; l’altro era simile all’amico per la statura e la forma fisica, ma era moro con gli occhi verdi: si chiamava Brandon Clade. Erano i ragazzi più belli e popolari della scuola.
«Vivian bella, perché ti rovini così?» disse David alla ragazza. «Sempre a frequentare la solita feccia» aggiunse, gettando un’occhiata sprezzante verso Chandra.
«Perché non andate a disturbare qualcun altro, idioti?» disse Vivian, attorcigliandosi con eleganza i lunghi capelli biondi e ricci, certamente felice per le attenzioni che riceveva dai due ragazzi più attraenti della scuola.
Quella mattina, se possibile, era più bella del solito, con un top turchese, una giacchetta azzurra e un paio di pantaloncini che, come sempre, non raggiungevano la lunghezza prescritta dalle regole del St. Mary’s, e nessun ragazzo avrebbe potuto ignorarla. Chandra, del resto, era abituata a vederla ricevere tutte quelle attenzioni e, ormai, non ci faceva più caso.
«Frena, amico» si intromise Brandon. «Feccia o non feccia, io a questa una passata la darei» aggiunse, avvicinandosi a Chandra.
«Ehi bello, lascia stare la mia amica» cercò di fermarlo Vivian, ma senza successo: il ragazzo si affiancò a Chandra e cominciò a toccarle i capelli, sentendone l’odore.
«È anche profumata, David» disse, raccogliendole i capelli da un lato.
Vivian, che era dietro l’amica, scansò con un gesto il ragazzo e si avvicinò a lei.
«Chandra, quando hai fatto quel magnifico tatuaggio?» sbottò, osservandole la parte posteriore del collo.
«Che stai dicendo?» chiese lei, ancora scossa per il comportamento di Brandon.
«Hai una I maiuscola tatuata alla base della nuca» le spiegò Vivian.
I due ragazzi si avvicinarono per vedere il tatuaggio.
«Quando ti è spuntato?» le chiese David, e Chandra non poté fare a meno di notare il verbo che aveva usato.
«Che io sappia, ora» rispose lei, con sincerità.
David la osservò ancora per un momento, come se si fosse accorto di lei solo in quel momento; poi, lanciò un’occhiata a Brandon, gli fece segno di andare via e, insieme, si dileguarono.
«Perché non mi hai detto che ti saresti tatuata?» le chiese Vivian. «Ti avrei accompagnata da un mio amico. Da chi sei andata? Non mi piace come l’ha fatto.»
«Non ho fatto nessun tatuaggio» insisté Chandra, tentando di guardare il punto indicato dall’amica senza riuscirci. «Vivian, è uno dei tuoi soliti scherzi, per caso?»
«Ma quale scherzo?» sbottò la ragazza. Prese il cellulare e le scattò una foto. «Guarda!»
Chandra non poteva credere ai propri occhi. Cercò data e ora della foto e constatò che l’amica diceva la verità; aveva questa immagine tatuata sotto la nuca:
 
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Capitolo 2
*** THE UNSTABLE LADY ***


Chandra era sconvolta: non  riusciva proprio a spiegarsi come le fosse stato fatto un tatuaggio sul collo senza che se ne accorgesse. Sentì a malapena i rimproveri del prof della prima ora per il loro enorme ritardo e le scuse addotte da Vivian per giustificarle; si mosse verso il banco come se fosse in trance e così rimase per tutta la mattinata, cercando di trovare una spiegazione plausibile per quello strano tatuaggio. I ricordi dei giorni precedenti erano vividi e chiari, ma nessuno di essi comprendeva l’essersi recata da un tatuatore, né tantomeno la ragazza ricordava di aver provato dolore nella zona interessata. Come faceva una persona normale a dimenticare un momento specifico e a ricordare chiaramente tutto il resto? Di solito, per dimenticare qualcosa ci si ubriacava, ma Chandra era talmente astemia da non sopportare neppure l’odore degli alcolici. Poteva essere caduta e aver battuto la testa, ma in quel caso avrebbe dimenticato più cose. Arrivò persino a temere di essere stata drogata in qualche modo da una persona che le aveva fatto il tatuaggio, ma non trovò un valido motivo per cui qualcuno avrebbe potuto metterla fuori gioco solo per imprimerle con l’inchiostro una lettera sulla pelle. Ma allora, cosa era successo? L’aveva fatto di sua spontanea volontà e poi l’aveva dimenticato? E, in tal caso, come faceva ad essere sicura di non aver rimosso anche altri ricordi?
«Ehi Chandra, sei ancora tra noi?» esordì Vivian, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. «La scuola è finita: possiamo andare.»
Chandra scosse la testa, come per uscire da una trance, e si rese conto che in classe erano rimaste solo lei e l’amica. Di fuori, le urla di gioia degli studenti riempivano l’aria e si udiva chiaramente il rumore di secchiate d’acqua e gavettoni, unito alle risate di migliaia di ragazzi festanti. Era finita... la scuola era finita! Improvvisamente, il tatuaggio sotto la nuca sembrò un ricordo lontano e, poco a poco, come il ronzio di un insetto che fugge via, divenne sempre più impercettibile, fino a svanire del tutto. La gioia prese il posto della preoccupazione, e Chandra si alzò dal banco e corse verso l’esterno con Vivian alle spalle che gridava: «Ehi, non è giusto! Aspettami.»
L’amica la raggiunse e, insieme, si diressero fuori dal St. Mary’s senza una meta precisa. Middle Village, il quartiere dove si ergevano l’orfanotrofio e la scuola, era uno dei tipici luoghi americani, simile a quelli che si vedono nelle fotografie che pubblicizzano il nuovo continente. Le villette a schiera con garage annesso si susseguivano tutte uguali lungo il percorso, mostrando bambini che giocavano a basketball, uomini che lavavano la macchina e, nel periodo natalizio, enormi alberi e luci diffuse in ogni angolo; tutte immagini, queste, che suscitavano un’enorme invidia in Chandra, spingendola a sognare spesso e ad occhi aperti una vita che non aveva mai avuto. In quei momenti, sentiva una forte fitta al cuore ed era assalita da rabbia mista a tristezza, che le offuscavano la vista. Ma in un pomeriggio come quello, con la prospettiva delle lunghe vacanze estive e di un’infinità di momenti da trascorrere passeggiando tra i quartieri e rilassandosi con Vivian, quei sentimenti non avevano alcuna possibilità di vincere contro la felicità che la pervadeva.
«Allora Chandra, mi accompagni a casa o ti fermi qui?» disse Vivian, distogliendola ancora una volta dai suoi pensieri.
«Come? Non stiamo insieme?» le chiese lei.
«Ma che fai? Non mi ascolti?» si meravigliò l’amica. «Te l’ho detto due minuti fa: oggi non posso fermarmi, mia madre vuole passare con me tutto il pomeriggio. Dice che è una sorpresa per festeggiare gli ottimi voti di quest’anno.»
«Quelli che ti ho fatto prendere io, vorrai dire» sbottò Chandra, contrariata.
Vivian si fermò di scatto e le afferrò con forza le mani.
«Promettimi che non lo dirai mai a nessuno, amica mia» le disse, con fare solenne e occhi spalancati.
«Sai che non lo farei mai» la tranquillizzò Chandra. «Solo che non capisco perché non possa venire anche io. In fin dei conti, è merito mio se hai avuto questi voti.»
«Conosci mia madre: adora fare shopping con me» si giustificò Vivian. «Inoltre, come ti ho già detto migliaia di volte, dobbiamo essere prudenti: non possiamo rischiare che ti veda qualcuno dei nostri compagni e riveli a mia madre la tua vera identità.»
«Sì, giusto» disse Chandra, senza convinzione.
«Bene!» esclamò Vivian, con l’aria di chi abbia risolto un gran problema. «Ora decidi: vieni con me o torni in orfanotrofio?»
«Ti accompagno» decise Chandra. «Ho detto a Tata che sarei stata con te tutto il pomeriggio. Non ho voglia di rinchiudermi di nuovo tra quelle quattro mura.»
«Perfetto!» disse Vivian, scuotendosi i lunghi capelli. «Prendiamo la metro.»
Le due si diressero verso la stazione della metropolitana, Vivian a passo svelto e deciso, Chandra ciondolandosi senza convinzione. L’amica acquistò un biglietto per tutte e due, visto che i suoi fondi erano certamente più sostanziosi di quelli di Chandra, e salirono giusto in tempo sul mezzo che stava partendo. Si sedettero su uno dei sedili liberi e Vivian tirò cuffiette e i-phone fuori dalla sua borsetta.
«Il viaggio è molto lungo» si giustificò, prima di infilarle alle orecchie e chiudere una conversazione mai iniziata. 
Chandra sprofondò nel suo sedile e chiuse gli occhi, tentando di reprimere la rabbia che la invadeva.
“Vivian è una ragazza particolare. Non è cattiva, ti ha comprato molte cose” si disse.
“Per sdebitarsi dei compiti che le hai fatto durante tutto l’anno scolastico” puntualizzò una vocina; ma Chandra spinse via questi pensieri, e decise che Vivian si sarebbe fatta perdonare nel corso di tutta l’estate che avevano davanti. Si rilassò, appoggiò la testa contro il finestrino e, non avendo delle cuffiette né un cellulare moderno che contenesse musica (il suo era un vecchio modello compratole, ancora una volta, da Vivian), ascoltò la voce che annunciava tutte le fermate della metro. L’amica viveva a Forest Hills, un quartiere altolocato del Queens dove risiedevano i più ricchi e famosi, costituito da ville con piscina e metri di giardino che facevano invidia persino alle stars di Hollywood. Chandra odiava andare in quel quartiere e affrontare tutti quei ricconi fingendo di essere una di loro. Tutti erano finti (tanto negli atteggiamenti quanto nel fisico!) e avevano valori completamente opposti a quelli che Tata le aveva inculcato sin da piccolina. Inoltre, molti degli optimates della sua scuola vivevano lì e lei doveva fare i salti mortali per evitare di incrociarli; quando questo succedeva, doveva sopportare i loro commenti maligni, sorridere e tacere per non attirare maggiore attenzione e fare arrivare la voce ai genitori di Vivian. Anche David e Brandon abitavano lì, e Chandra non poté fare a meno di tornare col pensiero a quanto era successo quella mattina; David, vedendo il tatuaggio, aveva chiesto “Quando ti è spuntato”, non “Quando lo hai fatto”, per poi lanciare uno sguardo fugace all’amico e dileguarsi insieme a lui. Il suo atteggiamento era apparso molto sospetto, e Chandra arrivò a sperare di incontrarlo (si odiò per questo pensiero) a Forest Hills, per chiedergli delucidazioni in merito.
Dopo quelle che parvero ore, la voce registrata annunciò che la fermata successiva sarebbe stata Metropolitan Avenue/72 Drive, quella più vicina a Forest Hills, e Chandra scosse Vivian per farle capire che dovevano scendere. L’amica si tolse le cuffie e le ripose nella borsetta, e insieme si diressero verso l’uscita.
«Eccoti i soldi per il biglietto di ritorno, Cha» le disse Vivian, mettendole in mano alcuni spiccioli.
 Chandra avrebbe preferito accompagnarla ancora per un po’, ma capì che non era quello che l’amica voleva e preferì non insistere.
«No, tranquilla Vi. Tata mi ha dato dei soldi per oggi» le disse senza entusiasmo, restituendole gli spiccioli.
«Chandra, non insistere. Mi hai accompagnata e tocca a me pagarti il biglietto!» replicò Vivian, rimettendole i soldi in mano.
La ragazza li accettò per evitare di dilungarsi troppo nel battibecco, ma non poté fare a meno di pensare che i gesti di gentilezza dell’amica si riducevano ad acquisti in denaro, come se i soldi potessero sistemare ogni cosa. Salutò Vivian con freddezza e tornò verso la metro. Poiché la corsa successiva era venti minuti dopo, decise di fermarsi nel bar della stazione per prendere un caffè e una fetta di torta: del resto, aveva tutto il pomeriggio davanti e non era entusiasta all’idea di tornare subito in orfanotrofio. Inoltre, immaginava già i commenti di Tata, da sempre contraria all’amicizia tra lei e Vivian: “Quella ragazza è l’opposto di tutto ciò che ti ho insegnato, piccolina (insisteva a chiamare Chandra così, nonostante lei le avesse fatto più volte capire che, avendo compiuto i sedici anni, non amava tanto quel nomignolo); non mi piace che voi due vi frequentiate tanto”. Chandra detestava quando Tata le diceva queste cose, anche se nel suo cuore sapeva che aveva ragione; non sopportava, però, l’idea che qualcuno prendesse le decisioni per lei, come se fosse incapace di farlo, e tendeva a fare sempre di testa sua, anche se ciò la portava a sbagliare. Sorseggiò il caffè lentamente, gustando l’aroma e la sensazione di libertà che questo le dava; in orfanotrofio non lo facevano bere ai ragazzi e, da quando Vivian glielo aveva fatto provare, per lei era divenuto simbolo di ribellione alle regole, facendola sentire più normale nei momenti in cui poteva prenderlo.
Finì di sorseggiare il caffè, pagò alla cassa e prese la metropolitana per tornare all’orfanotrofio. Scesa dalla metro all’arrivo, decise di prendere la strada più lunga per andare in istituto, in modo da perdere ancora un po’ di tempo dal momento che non erano scoccate nemmeno le sei. Camminò di nuovo tra le villette a schiera, ma questa volta la tristezza prese il sopravvento e si ritrovò ad immaginare ancora di vivere in una di quelle case con i genitori mai conosciuti. Chissà qual era il loro aspetto? Da chi aveva preso Chandra gli occhi che cambiavano colore, i capelli castani e la statura non troppo alta? Chi le aveva trasmesso, invece, il carattere incostante, un po’ remissivo e un po’ ribelle? E i suoi genitori, se erano ancora vivi, dove si trovavano? Tata le aveva raccontato più volte che l’avevano lasciata sui gradini dell’orfanotrofio quindici anni prima; ma, quando la donna aveva aperto la porta al suono del campanello, vi aveva trovato solo un passeggino con lei all’interno e un messaggio tra le sue mani: “Vi preghiamo di aver cura di questa bambina. Il suo nome è Chandra Deer e ha compiuto un anno qualche giorno fa, il 12 giugno. Crescetela come una figlia. Noi la ameremo per sempre”. Tutto qui! Un minuscolo biglietto (che Chandra conservava ancora gelosamente, come un tesoro prezioso) e nessuna spiegazione sul perché l’avessero abbandonata. Perché... perché l’avevano lasciata sui gradini di quella prigione senza chiarire il motivo? Perché era dovuta crescere senza l’affetto di una vera famiglia e tra le vessazioni continue dei suoi compagni di istituto e di scuola? Più ci pensava e più una rabbia profonda minacciava di sopraffarla, rabbia di fronte alla sua come a tante altre ingiustizie nel mondo. E, inevitabilmente, iniziava a stringere i pugni e a digrignare i denti, rivelando l’aspetto che del suo carattere più la spaventava, quello impetuoso e incontrollabile.
Mentre rifletteva su questi pensieri, vide lontano la porta dell’orfanotrofio; si fermò, inspirò profondamente ed espirò per tentare di calmarsi, poi riprese a camminare per rientrare in istituto. Ma, prima di poter arrivare a destinazione, fu afferrata con violenza e trascinata in un vicolo adiacente e isolato.
«Discendente di Ifigenia, la tua fine è vicina» disse una voce conosciuta, ridacchiando malignamente. Era David e le teneva con forza le braccia.
Chandra tentò di liberarsi dalla sua stretta, ma si bloccò quando davanti le comparve Brandon.
«È inutile che tenti di liberarti, non hai la forza per fronteggiarci» le disse, con un ghigno stampato in volto. «La tua morte ci darà il potere per eliminare quei fastidiosi semidei.»
Okay, Chandra doveva aver sbattuto la testa: oltre al riferimento buttato lì al mito di Ifigenia, le sembrava di aver sentito chiaramente la parola “semidei”; o era uscita fuori di testa, o quei due non avevano tutte le rotelle al loro posto! Tentò di liberarsi nuovamente, ma Brandon le mollò uno schiaffo scaraventandola a terra. Il brusco impatto col terreno non passò inavvertito: Chandra tentò di attutire la caduta con le mani, ma il braccio destro non ne fu contento e protestò trasmettendole un immenso dolore. Chandra se lo strinse forte con l’altra mano e respirò profondamente per alleviare il supplizio, ma David la rialzò violentemente tirandola proprio dal braccio destro e la ragazza non poté soffocare un grido immenso, represso immediatamente da Brandon che le tappò la bocca con la mano.
«Sta’ zitta!» le disse, strattonandola con violenza. «Andiamo via, David, prima che qualcuno ci senta» aggiunse, rivolgendosi all’amico.
«Voi due non andrete da nessuna parte» li fermò una voce femminile.
D’improvviso, nel vicolo comparvero una decina di ragazze di età differente, dai dieci ai quattordici anni, più o meno. Tutte erano armate di arco e sembravano guerriere esperte, tanto che a Chandra fecero venire in mente le amazzoni della mitologia greca (Perfetto, era impazzita!).
«Lasciatela andare immediatamente» continuò la ragazza di prima, facendosi avanti tanto da permettere a Chandra di vederla distintamente. Dimostrava all’incirca quindici anni e, a guardarla bene, ricordava una delle adolescenti che vivevano per strada nel quartiere e si mantenevano con dei piccoli furti, quelle che Tata le aveva più volte consigliato di evitare; aveva una giacca militare, pantaloni neri in pelle e catene lungo i passanti, capelli neri come la pece e occhi di un blu intenso cerchiati da un forte eyeliner anch’esso nero. Faceva paura solo a guardarla e Chandra si chiese come David e Brandon non avessero indietreggiato vedendola comparire.
«E tu chi saresti?» la schernì quest’ultimo, togliendo la mano dalla bocca di Chandra che si sforzò di non urlare per il forte dolore che aveva al braccio.
«Io sono figlia di Giove e seguace di colei che mi ha mandato a fermarvi» si presentò la ragazza punk. «Io sono Talia Grace, loro sono le Cacciatrici di Artemide e voi siete nei guai!»
 
      
ANGOLO AUTRICE
 
Eccomi al secondo capitolo di questa ff ispirata alla saga di Percy Jackson. Ho aspettato ad aggiornare perché, pur avendo in mente la trama, sto scrivendo di volta in volta aggiungendovi particolari. Spero che la storia vi piaccia e, se avete dei suggerimenti, non esitate a farvi avanti! Vorrei ringraziare, intanto, tutti coloro che l’hanno letta e visualizzata e, in particolare, Anna in Black che l’ha messa tra le seguite.
Al prossimo capitolo
Flowerina

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Capitolo 3
*** THE FAULT IN OUR GODS ***


Chandra non riusciva a muoversi dal posto. La battaglia infuriava intorno a lei da più di cinque minuti e le Cacciatrici di Artemide stavano avendo la meglio sui due ragazzi che l’avevano aggredita, ma quello che stava accadendo intorno a lei superava anche la più fervida immaginazione e la ragazza cominciava a credere che tutto fosse frutto di un incubo molto realistico. Del resto, si diceva, soltanto la sua immaginazione avrebbe potuto creare un nickname tanto assurdo per delle ragazze lottatrici! Giurò più volte a se stessa che, al risveglio, avrebbe smesso di leggere le tante storie di mitologia greca e romana che l’appassionavano.
Rimasta di stucco e incapace di agire, Chandra non si accorse dell’arrivo di un altro ragazzo che, approfittando della situazione, la colse alle spalle di sorpresa, afferrandola per il braccio sano e trascinandola lontano dalla confusione.
«E tu chi sei?» gli chiese la ragazza, più irritata che spaventata.
«Daniel Harbinger, figlio di Hermes» si presentò il nuovo arrivato. «E adesso, tu verrai con me» aggiunse, cingendola con le braccia e unendo i piedi. Quel gesto fece scattare un meccanismo di qualche tipo, tanto che alle scarpe del ragazzo spuntarono delle ali.
Fu quello il momento in cui Chandra si convinse che si trattava solo di un incubo molto strano e, rinvigorita al pensiero che nulla potesse andare storto, decise finalmente di intervenire, sferrando con il piede sinistro un brutto colpo nella zona inguinale del povero sventurato che le stava alle spalle. Fortuna per lui che era solo un sogno! Liberatasi dalla sua presa e lasciatolo in ginocchio, la ragazza si diresse di corsa verso le Cacciatrici di Artemide, per aiutarle nella battaglia contro David e Brandon. Sfortunatamente, proprio quando la sua adrenalina era arrivata alle stelle e si sentiva pronta ad intervenire nella lotta, scoprì che le ragazze avevano sistemato i due nemici e stavano cercando lei. Delusa per non aver potuto giocare una parte più importante nel sogno, Chandra attirò l’attenzione della Cacciatrice nota come Talia proprio mentre Daniel, ripresosi dal colpo ricevuto, spuntò correndo alle sue spalle.
«E ora questo chi è?» chiese la Cacciatrice punk, scocciata per il nuovo arrivo.
«Daniel Harbinger figlio di Hermes» le rispose Chandra, ripetendo d’un fiato le parole del ragazzo che, sopraggiunto sulla scena, si bloccò alla vista delle Cacciatrici. «Ha tentato di portarmi via con le sue scarpe alate.»
«È più famosa di quanto credessimo, Talia» disse una delle ragazze, tenendo l’arco ben teso.
A prima vista, dimostrava all’incirca dodici anni: non era molto alta e i lunghi capelli castani legati in una coda incorniciavano un viso dalla pelle molto giovane; dalla sua espressione feroce e selvaggia, però, Chandra dedusse che quella che sembrava una bambina avrebbe avuto la meglio anche su un pugile esperto e si vergognò per aver esitato a intervenire nella battaglia e aver lasciato combattere ragazze più piccole di lei, anche se si trattava solo di un sogno.
«Si deve essere sparsa la voce» rifletté Talia tra sé. «Lyanne, tu e le Cacciatrici tenete impegnati questi tre. Io porterò la ragazza al sicuro» aggiunse, rivolta alla compagna che aveva parlato prima.
«Fatevi da parte, Cacciatrici» intervenne Daniel, con un ghigno stampato in volto. «I poteri sono miei, ne ho più diritto di voi.»
Ma l’ordine di Talia non rimase inapplicato e Lyanne scoccò una freccia, che andò a conficcarsi proprio nella gamba destra del figlio di Hermes. Mentre il malcapitato ruggiva dal dolore, Talia si avvicinò a Chandra e le fece cenno con la testa di seguirla, scortandola fino alla porta chiusa dell’orfanotrofio e bussando per farsi aprire.
«Entra qui dentro e non uscire per nessun motivo al mondo» le disse, con cipiglio severo.
«Che sta succedendo?» le chiese Chandra, sempre più confusa.
«Ti spiegherò tutto più tardi» rispose la ragazza, e fuggì via proprio mentre la porta dell’orfanotrofio si apriva.
Chandra spinse la porta e si infilò all’interno, chiudendosela alle spalle. Si voltò verso la postazione che di solito era occupata da Tata, ma vide che la donna non c’era e, al suo posto, si trovava proprio l’ultima persona che voleva vedere in quel momento: la signora Wicked, la perfida direttrice dell’orfanotrofio che non perdeva occasione per rimproverare e punire qualunque ragazzo contravvenisse alle regole nell’istituto, ma che sembrava avere una particolare predilezione per ammonire Chandra, forse perché aveva notato il legame che la ragazza aveva instaurato con Tata con la quale la donna, a quanto si diceva, aveva avuto motivi di attrito.
Quando vide Chandra entrare sporca e dolorante, le andò incontro con l’indice sollevato a mo’ di rimprovero e con un’espressione che tradiva una manifesta euforia, come se avesse aspettato quel momento tutto il giorno.
«Dove eri finita, signorina?» le chiese, contrariata.
«Avevo detto a Tata che sarei stata fuori tutto il pomeriggio» rispose Chandra. «E non sono neanche le sei» aggiunse, indicando l’orologio sulla parete.
«Beh, avresti dovuto chiedere a me il permesso» puntualizzò la donna.
«Ormai è tardi per tornare indietro» le fece notare la ragazza, stanca e dolorante.
“Se è un sogno, fa’ che mi svegli subito” pregò tra sé.
«Modera il tono, Chandra» la rimproverò. «Cosa hai fatto al braccio?» aggiunse, notando che la ragazza se lo stringeva forte.
«Sono caduta» rispose lei, omettendo di proposito la verità.
«Fa’ vedere» disse la direttrice, tirandolo intenzionalmente con tutta la sua forza e facendo sobbalzare Chandra. «È solo slogato, niente di grave» sentenziò, non riuscendo a nascondere la delusione.
«Vado da Tata a farmelo fasciare» le disse la ragazza, ormai convinta che quello non fosse un incubo ma la realtà, dal momento che nei sogni, di solito, non si prova tanto dolore.
«Vai. Noi facciamo i conti più tardi» decise la signora Wicked, accompagnando le parole con un’espressione talmente severa da far preoccupare Chandra per il castigo che avrebbe ricevuto. Poi, girò le spalle e salì di sopra, senza dirle neppure dove avrebbe potuto trovare Tata.
Chandra iniziò la ricerca e trovò la donna qualche minuto dopo in cucina, intenta a comunicare al cuoco le portate della cena serale.
«Che hai fatto al braccio?» le disse appena la vide, andandole incontro preoccupata.
«La signora Wicked dice che è solo slogato» la tranquillizzò Chandra. «Ma il problema è un altro. Vieni con me.»
 
 
***
 
«Sapevo che sarebbe successo» sospirò Tata.
Dopo essere stati in infermeria, dove la donna aveva fasciato il braccio di Chandra confermando la diagnosi della direttrice, le due si erano spostate nella stanza della ragazza, che fortunatamente avevano trovato vuota perché le altre tre che condividevano la camera non erano ancora rientrate. Qui, Chandra aveva raccontato a Tata tutto quello che le era successo, aspettandosi che la donna reagisse con preoccupazione, rabbia o considerandola pazza; ma la rassegnazione che affiorava dalle sue parole spiazzò la ragazza.
«Come? Tu lo sapevi?» si meravigliò Chandra, spalancando gli occhi.
«Piccolina, dobbiamo parlare» continuò, triste. «È giunto il momento che tu conosca la verità sul tuo passato e sui tuoi genitori.»
«Racconta» la incitò la ragazza, curiosa di scoprire cosa Tata le avesse nascosto in tutti quegli anni.
«Conoscevo i tuoi genitori già da tempo, prima che ti lasciassero qui in orfanotrofio» cominciò la donna, con l’aria di chi finalmente si stesse liberando da un grosso peso. «Abitavano vicino al St. Mary’s e, prima ancora, venivano a scuola al St.Mary’s, dove andavo anche io. Diana, tua madre, era la mia migliore amica e, come me e te, era orfana dei genitori.»
Si fermò, come per dare tempo a Chandra di recepire quanto le era stato detto. La ragazza registrò le informazioni e non poté non sentirsi un po’ egoista: in tutto quel tempo non aveva fatto che parlare a Tata dei propri problemi, senza mai scoprire che anche la donna aveva sofferto quando aveva la sua età. Prima che potesse dirle qualcosa, però, Tata riprese il racconto.
«Conobbi Diana quando aveva già compiuto dieci anni. Io sono stata abbandonata qui alla nascita, ma lei visse col padre finché lui, che era stato lasciato dalla moglie alla nascita della bambina, decise di sposarsi con la nuova compagna e di preferire lei alla figlia. Così, prima di partire dall’America e trasferirsi in Francia, passò di qui per depositare Diana e non fece più ritorno. Tua madre non ne risentì più di tanto, anche perché, a quanto mi disse dopo, non aveva mai avuto un bel rapporto col padre. Diventammo subito grandi amiche e, anche se non passavamo mai l’estate insieme perché suo padre insisteva a volerla con sé, ci aiutammo a vicenda a superare i difficili anni di scuola superiore. E fu proprio a scuola che Diana conobbe tuo padre.»
«Anche mio padre era un orfano?» chiese Chandra, interrompendo il racconto.
«Tutt’altro!» commentò Tata. «Tuo padre, Mike, era uno di quelli che tu definisci optimates. Proveniva da una famiglia molto ricca, ma non era per nulla arrogante; era umile e gentile, e furono queste qualità che attirarono l’attenzione di tua madre.»
«Che romantico!» sospirò Chandra.
«Dopo il diploma, Diana e Mike si sposarono e, qualche anno dopo, si trasferirono a vivere in una delle villette qui vicino, dove nascesti tu.» continuò Tata.
«I miei genitori vivevano nelle villette che ho sempre adorato?» si stupì Chandra.
«Proprio così!» confermò Tata. «Come te, anche tua madre amava questo quartiere e, quando tuo padre le propose di vivere a Forest Hills, rifiutò categoricamente e lo trascinò fin qui. Era una donna molto ferma nelle sue convinzioni, e questo era uno degli aspetti che più apprezzavo in lei.»
«E che io non possiedo!» si intromise Chandra.
«Oh sì che lo possiedi!» la contraddisse Tata. «Quando vuoi, anche tu sai essere decisa. E da Diana hai preso pure i tuoi occhi così particolari.»
«Mia madre aveva gli occhi che passavano dal verde al castano, quando cambiava umore?» chiese Chandra, entusiasta all’idea di aver finalmente scoperto da chi le fosse stata trasmessa quella singolare caratteristica.
«Più o meno» disse Tata. «I suoi occhi passavano dall’azzurro al nero e le loro sfumature mi permettevano di capire quali sentimenti provasse in un determinato momento.»
«Forte!» commentò Chandra.
«In ogni caso, quando tu nascesti, qualcosa non andò nel verso giusto» riprese Tata. «Quando venni a casa tua a vederti, i tuoi genitori sembravano spaventati e preoccupati, come se si aspettassero qualcosa di brutto da un momento all’altro. Chiesi a Diana cosa fosse successo, ma disse che non poteva rivelarmi nulla; mi confessò solamente che tuo padre era preoccupato perché eri una femmina e, nella sua famiglia, erano sempre nati dei maschi. Qualche notte dopo la mia visita ai tuoi genitori, i due si presentarono alla porta dell’orfanotrofio distrutti e sfiniti e mi consegnarono una bimba completamente avvolta nelle coperte; eri tu, e mi supplicarono di tenerti con me e di proteggerti con tutta me stessa. Mi dissero che qualcuno ti stava cercando e voleva ucciderti, ma non mi spiegarono il motivo. Dissero anche che in orfanotrofio saresti stata al sicuro fino al compimento dei sedici anni e, fino ad allora, non avrei dovuto rivelarti nulla del tuo passato, ma consegnarti soltanto il biglietto che porti sempre con te. Li lasciai andare via senza provare a fermarli e, da quel giorno, non riesco a scrollarmi di dosso il senso di colpa che mi attanaglia; qualche giorno dopo, infatti, furono trovati morti in casa vostra ed io non potei far nulla per salvarli.»
Finito il racconto, Tata crollò sfinita sulla poltrona, cominciando a piangere copiosamente.
Per la seconda volta in quella giornata, Chandra provò la sensazione di non riuscire a muoversi: il suo corpo era irrigidito e sembrava non rispondere più agli stimoli. Finalmente, dopo tutti quegli anni che aveva trascorso a chiedere informazioni sulla sua famiglia, aveva ricevuto notizie più dettagliate, ma a quel punto avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro e non scoprire ciò che gli era stato rivelato. I suoi genitori, quelli di cui non sapeva nulla fino ad allora, erano morti parecchio tempo prima e Chandra non aveva mai potuto portare un fiore sulle loro tombe; anzi, spesso si era arrabbiata con loro, maledicendoli perché l’avevano lasciata senza alcuna spiegazione. Più la ragazza guardava Tata piangere e coprire gli occhi con le mani, più la rabbia dentro di lei saliva e non riusciva a provare compassione per la donna che le aveva nascosto una tale verità.
«Perché non mi hai detto che i miei genitori erano morti?» si trovò ad urlare. «Perché non mi hai permesso di far visita alle loro tombe per tutto questo tempo?»
«Sono stati loro ad ordinarmelo» confessò Tata, tra le lacrime. «Mi hanno lasciato un biglietto in una trave sotto il pavimento, un posto che conoscevamo solo noi. Dopo la loro morte, sono andata a controllare se avessero lasciato qualcosa, e lì ho trovato il biglietto; c’erano scritte solo due righe: “non dire a Chandra che siamo morti, almeno fino a che non sarà necessario”. Ho rispettato la loro volontà, anche se non ero d’accordo.»
«Perché non hanno voluto che lo sapessi?» continuò ad urlare la ragazza, ora infuriata anche con i genitori. «E perché sono stati uccisi?»
«Mi dispiace» sospirò Tata, asciugandosi le lacrime. «A queste domande non so rispondere.»
«Ma posso rispondere io» disse una voce.
Chandra voltò velocemente la testa per capire chi avesse parlato e vide Talia entrare nella stanza, sfoggiando come segni della recente battaglia solo un labbro insanguinato e un graffio sul braccio.
«Come puoi conoscere quello che è successo ai miei genitori?» si irritò, scettica.
«La dea Artemide mi ha raccontato tutto, prima di mandarmi a proteggerti» spiegò Talia, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Tu sei pazza!» sentenziò Chandra.
«Conosci il mito di Ifigenia?» le chiese Talia.
«Ma cosa c’entra ora la mitologia?!» si infuriò Chandra.
«C’entra più di quanto tu possa credere» dichiarò Talia. «Ora, lo conosci o no?»
«Ifigenia era figlia di Agamennone, re di Micene, e di Clitemnestra, sorella della famosa Elena di Troia» cominciò Chandra, che era da sempre appassionata di mitologia greca e latina. «Secondo la versione più diffusa, Agamennone uccise una cerva durante una battuta di caccia e si vantò di avere una mira migliore di Artemide ...»
«Sì, come no. Nei suoi sogni!» commentò Talia. «Scusa, va’ avanti» aggiunse, osservando l’espressione irritata di Chandra.
«Come stavo dicendo, Agamennone fece infuriare la dea della caccia che, come tutti gli altri dei, era parecchio irritabile» continuò la ragazza.
«Io starei attenta a dire queste cose, se fossi in te» le consigliò Talia, guardandosi attorno come se un fulmine potesse colpirli da un momento all’altro.
«Fatto sta che Artemide decise di punirlo» continuò Chandra, ignorando l’interruzione. «Ma non si vendicò direttamente su di lui, bensì su sua figlia: infatti, bloccò in Aulide, una zona della Grecia, le navi con i guerrieri che lui stava conducendo a Troia e un indovino sentenziò che, per placare l’ira della dea, bisognava sacrificare la povera Ifigenia. Così, dopo falsi rifiuti, con finte lacrime Agamennone disse alla figlia che l’avrebbe condotta all’altare perché sposasse Achille; ma lì, la ragazza trovò un sacerdote con un coltello e tutti i guerrieri che la osservavano con aria abbattuta. Capite le intenzioni del padre, Ifigenia si offrì spontaneamente al sacrificio. Ma fu a quel punto che, finalmente, Artemide si decise ad intervenire e, avuta compassione della ragazza, la sostituì con un cervo, almeno secondo alcune versioni, e fece di lei una sua sacerdotessa. Ora, cosa c’entra tutto questo con i miei genitori?»
«Tuo padre discendeva da quella Ifigenia e, quindi, anche tu sei sua discendente» spiegò Talia. «Il sangue che scorre nelle tue vene è lo stesso sangue che doveva essere sacrificato secoli fa sull’altare in Aulide, quando la povera Ifigenia aveva solo sedici anni.»
«Non vorrei interrompere il tuo ragionamento, Talia» intervenne Chandra, «ma questo racconto fa parte della mitologia. Non è accaduto davvero.»
«Io sono figlia di Zeus, Chandra, e Cacciatrice della dea Artemide» disse la ragazza punk. «Gli dei esistono e controllano il mondo sin dalle sue origini, anche se a modo loro. Tu discendi da Ifigenia e il tuo sangue è più prezioso dell’oro per i semidei che vogliono aumentare il loro potere. È per questo che tutti stanno cercando di rapirti.»
«Non dirai sul serio?» le chiese Chandra, sconvolta.
«Okay, ti fidi di questa donna?» disse Talia.
In tutti quei minuti, Chandra si era dimenticata della presenza di Tata nella stanza e dovette voltarsi per vedere chi stesse indicando la ragazza punk. Osservò la donna, che ancora piangeva silenziosamente, e disse: «Più che di me stessa».
Tata sobbalzò leggermente e guardò fiera la sua piccolina, sollevata perché aveva capito che lei non le dava alcuna colpa per la morte dei suoi genitori.
«Senti qui!» disse Talia, richiamando l’attenzione di Chandra. Poi, chiuse gli occhi, si concentrò e, di fuori, si sentì un singolo rombo di tuono squarciare l’aria totalmente serena.
«Come hai fatto?» chiese Chandra, sbalordita.
«Te l’ho detto, sono figlia di Zeus» spiegò Talia. «Vedessi cosa è capace di fare mio fratello Jason! Comunque, il mito di Ifigenia che hai raccontato è privo di alcuni tasselli.»
«Quali?» domandò Chandra.
«Artemide non salvò la ragazza solo perché aveva avuto compassione di lei» disse Talia. «In realtà Crono, padre di Zeus, decise di approfittare dell’occasione per farla pagare agli dei; maledisse Ifigenia e stabilì che, qualunque semidio avesse trafitto il cuore della ragazza nel corso dei suoi sedici anni con un pugnale, avrebbe acquisito i poteri di tutti gli dei nelle sue mani. Poi, sostituì il sacerdote con un semidio di sua fiducia, di modo che avrebbe potuto eseguire lui il sacrificio e, con i poteri acquisiti, sarebbe stato in grado di farlo risorgere dal Tartaro. Fortunatamente, Artemide si accorse di ogni cosa e riuscì ad intervenire prima che fosse troppo tardi: mise in salvo Ifigenia e la nascose fino al compimento del diciassettesimo anno. Poi, la fece sua sacerdotessa in cambio dell’aiuto che le aveva dato...»
«... resosi necessario a causa della sua punizione e del suo intervento per vendicarsi di Agamennone!» la interruppe Chandra.
«Sta’ attenta!» la ammonì Talia. «Gli dei non accettano di essere giudicati.»
«Quindi, anche mio padre aveva la stessa maledizione» dedusse Chandra.
«Per fortuna, da allora la maledizione non si è più ripresentata nella tua famiglia» la contraddisse Talia. «Tuo padre, come tutti i tuoi antenati, era un maschio, mentre la maledizione è legata alle femmine.»
«Per questo, i miei genitori erano preoccupati quando sono nata io» disse Chandra, rivolta a Tata, notando che i pezzi del puzzle cominciavano a combaciare.
«È vero! Dicevano qualcosa a proposito della nascita di una femmina» ricordò la donna.
«Proprio così» confermò Talia. «Ed è per questo che tutti questi semidei ti stanno cercando. Come ti ho detto, sei molto preziosa; devi essere protetta ad ogni costo e, per farlo, domattina arriveranno alcuni amici semidei che ho chiamato. Artemide ha scelto per te tre dei migliori eroi di questo secolo: avrai l’onore di conoscere Percy Jackson, Annabeth Chase e Leo Valdez!»
 
ANGOLO AUTRICE
 
Eccomi tornata col terzo capitolo di questa ff. Come al solito, anche stavolta ho tardato con l’aggiornamento, presa da impegni vari nella vita reale ;). Comunque, sono riuscita a continuare con la scrittura e ... eccomi qui! Vorrei ringraziare ancora tutti coloro che l’hanno letta e visualizzata e, in particolare, Anna in Black, Chrona 00, Dargento e Fpbeatrice, che l’hanno messa tra le seguite, e Magical06, che ha lasciato la sua bellissima recensione.
Al prossimo capitolo
Flowerina
 

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Capitolo 4
*** I FANTASTICI TRE ***


«Allora, cosa ne avete fatto di quei tre?» chiese Chandra alla ragazza punk, che la osservava seduta su una poltrona, senza staccarle gli occhi di dosso, da quasi mezz’ora.
Erano le dieci di sera e le Cacciatrici, dopo averle stravolto la vita con le loro rivelazioni, erano fuggite via prima che qualcuno le vedesse nell’orfanotrofio. Avevano rivelato, infatti, di essere entrate di soppiatto senza farsi vedere, usando alcune tecniche segrete. Chandra non aveva voluto cenare e si era ritirata nella stanza di Tata, che quella notte doveva lavorare e non l’avrebbe utilizzata, sperando di trovare un po’ di tranquillità per assimilare quanto aveva scoperto. Purtroppo per lei, però, per qualche oscuro motivo Talia aveva deciso di tornare a sorvegliarla, forse temendo che facesse qualche gesto avventato, e si era messa comoda di fronte al letto dove lei era sdraiata, osservandola in modo a dir poco fastidioso. Così, Chandra aveva deciso di rompere quell’imbarazzante silenzio distogliendo l’attenzione della Cacciatrice da lei e portandola su un argomento diverso.
«Non sono morti, se è quello che temi» la rassicurò Talia, rispondendo alla sua domanda. «Diciamo che, per un po’, staranno fuori dai piedi!»
«Come facevano a sapere che ero una discendente di Ifigenia?» le domandò Chandra.
«A causa del tatuaggio che, sono sicura, ti è spuntato sul collo» spiegò semplicemente Talia.
Chandra si alzò dal letto, si scoprì la parte del collo sotto la nuca e mostrò alla Cacciatrice la lettera che le era comparsa quella mattina; lei la osservò, annuì e le fece cenno di sedersi sul letto.
«Probabilmente, David e Brandon l’hanno vista e hanno allertato gli altri semidei» dedusse Talia.
«Erano lì con me quando ho scoperto di averla» ricordò Chandra.
«Inoltre, hai compiuto sedici anni solo ieri, a quanto mi ha detto la donna che chiami Tata» continuò la Cacciatrice. «Il sangue che scorre in te, quello di Ifigenia, sente che dovrà essere versato nel corso di questo anno per poter trasmettere i poteri che ha in sé. I semidei lo avvertono.»
«Ma se questi semidei di cui parli vogliono uccidermi, perché hai assoldato tre di loro per proteggermi?» chiese Chandra.
«Non tutti i semidei vogliono ucciderti» le rivelò Talia. «Solo quelli corrotti dal potere, quelli che non ne hanno mai abbastanza.»
«Se il potere corrompe i semidei come corrompe le persone comuni, allora sono fregata!» commentò Chandra.
«Il potere alletta noi semidei proprio come i mortali, forse di più» ammise Talia. «Ne abbiamo avuto prova qualche anno fa, quando Crono tentò di risorgere e, per farlo, sfruttò la rabbia e la delusione di molti semidei, che si vedevano trascurati dai genitori divini e non accettavano di essere messi da parte. Un mio amico, Luke, adirato col padre Hermes, decise di appoggiare il tentativo di Crono e di diventare la sua pedina, radunando attorno a sé tanti altri semidei che, alla delusione, aggiungevano la brama di un potere enorme promesso dal padre dei primi dei. Crono aveva garantito loro, qualora fosse riuscito a rinascere, la creazione di un nuovo mondo, in cui gli dei, annientati, non sarebbero più esistiti. Luke si rese conto solo alla fine di ciò che aveva causato e, sacrificandosi, riuscì a riportare Crono nel Tartaro. Ma molti dei semidei, che appoggiavano Crono, non apprezzarono il suo gesto e decisero di allontanarsi dagli altri nell’attesa di una vendetta. Tu sei ciò che cercavano da anni, la loro occasione per ottenere il potere di cui hanno bisogno e distruggere definitivamente gli dei e il mondo che noi conosciamo.»
«Allora avevo ragione: sono fregata!» ribadì Chandra, con la testa appoggiata sulle mani.
«Come ti ho già detto, sono stati scelti per proteggerti tre dei migliori eroi del nostro tempo» si spazientì Talia. «Non potresti essere più al sicuro nelle mani di nessun altro.»
«Ma in cosa consisterà il loro compito?» domandò la ragazza. «Dovranno sorvegliarmi all’interno dell’orfanotrofio?»
«Non potrai restare qui, Chandra» le rivelò la Cacciatrice. «Se il 21 giugno non ti presenterai in Aulide, sull’altare che era destinato al sacrificio di Ifigenia, morirai.»
«E quando avevi intenzione di dirmelo, Talia???» si infuriò l’altra, spalancando gli occhi.
«Quando se ne fosse presentata l’occasione» disse semplicemente la Cacciatrice.
«Con Aulide non intendi l’odierna città di Avlida, in Grecia, vero?» chiese Chandra.
«Invece sì, è proprio quella» confermò Talia. «Mi fa piacere che tu sappia dove si trova la città, così mi risparmierò delle spiegazioni!»
«Ma come farò ad arrivarci?» si alterò Chandra, alzandosi in piedi. «La mia disponibilità economica, ti ricordo, non è illimitata! E poi, spostandomi da un continente ad un altro, non rischio che mi inseguano i semidei di tutto il territorio che attraverserò?»
«Il rischio è elevato, è vero» concordò Talia. «Ma, se non ci andrai, morirai. Devi presentarti il giorno del solstizio d’estate sull’altare su cui doveva essere sacrificata Ifigenia e sdraiarti al di sopra volontariamente, come fece la figlia di Agamennone. Solo così Artemide potrà intervenire per salvarti, soltanto constatando che anche in te c’è il coraggio che aveva la ragazza potrà accettarti come sua sacerdotessa.»
«Mi vuoi dire che, dopo aver attraversato parte dell’America e parte dell’Europa e aver rischiato la vita per sdraiarmi su un altare sacrificale, la dea potrebbe anche decidere che non sono degna del suo intervento?» disse Chandra, alzando la voce.
«Potrebbe farlo, sì» confermò Talia. «Ma ti salverà, tranquilla» aggiunse, vedendola sconvolta.
«Ma perché devo essere ad Avlida proprio il 21 giugno?» domandò Chandra. «E inoltre, oggi è il 13 giugno e, non contando domani, ho sette giorni per arrivare a destinazione. Con l’aereo si arriva in poco tempo, quindi potrei partire anche tra qualche giorno.»
«Non prenderai l’aereo» disse Talia. «Sarebbe molto pericoloso, per te ma soprattutto per i semidei che ti devono accompagnare. Leo Valdez, uno dei tre che dovrà proteggerti, ha già procurato un mezzo. Sarà più lento, ma molto più sicuro dell’aereo. Per quanto riguarda la data, il solstizio d’estate era considerato dagli antichi Greci un giorno di passaggio, chiamato anche “la porta degli uomini”; durante questo giorno, gli dei e i mortali potevano comunicare, quindi non sarà una mera coincidenza.»
«Sei stata molto chiara» ammise Chandra, riflettendo su quanto la Cacciatrice le aveva chiesto. Poi, disse: « Va bene, lo farò. L’alternativa è rimanere in orfanotrofio e morire, quindi non ho molta scelta. Tata sarà dura da convincere, però.»
«Le parlo io» propose la Cacciatrice. «Tu riposati: domani conoscerai i miei amici e partirai con loro. Ti proteggeranno anche a costo della vita.»
«Grazie» disse semplicemente Chandra, abbozzando un sorriso.  
Talia uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. La ragazza, rimasta sola, indossò il pigiama e si sdraiò sul comodo letto di Tata, pensando che non sarebbe riuscita ad addormentarsi facilmente; era stata una lunga giornata, e si meravigliò al ricordo che, solo poche ore prima, si fosse rattristata per il comportamento dell’amica Vivian. Pensò, comunque, di doverle dare una spiegazione prima di partire, senza rivelarle tutti i dettagli. Stanca e ancora confusa per ciò che aveva scoperto, si voltò di lato e si addormentò all’istante.
Si svegliò qualche ora dopo con la sensazione di essere osservata. Aprì gli occhi e vide alla finestra che il sole era già sorto; si stiracchiò, si voltò di lato e, per poco, non ebbe un infarto: un ragazzo dall’aspetto deperito, come se non avesse mai toccato cibo in vita sua, era fermo sulla soglia della porta e la stava osservando; gli occhi castani, incorniciati da folti capelli ricci e neri, non promettevano nulla di buono. Chandra si mise di scatto a sedere sul letto e si tirò le coperte fino al collo, fulminando con lo sguardo il nuovo arrivato.
«Sei pazzo o cosa?» urlò contro il malcapitato, lanciandogli contro la spazzola per capelli che aveva sul comodino. «Perché mi osservavi mentre dormivo?»
Il ragazzo prese al volo l’oggetto scagliatogli contro e lo poso sulla cassettiera che aveva accanto.
«Stavo venendo a chiamarti, pazza furiosa!» le spiegò lo sconosciuto. «Ma ho visto che ti stavi svegliando ed ho aspettato.»
«E se fossi stata impresentabile, intelligentone?» gli fece notare lei. «Sono una ragazza, se non te ne sei accorto!»
«Gli altri erano impegnati e hanno mandato me a svegliarti, Miss Lunastorta!» disse lui.
«Com’è che mi hai chiamata?» chiese Chandra.
«Miss Lunastorta, suscettibile, permalosa, irritabile» le rispose il ragazzo. «Ti sei alzata dal letto col piede sbagliato, stamattina?»
«Ma se sono ancora coricata?!» gli fece notare Chandra, scuotendo la testa.
Lo sconosciuto rifletté qualche secondo; poi, disse: «Se hai finito di puntualizzare e controbattere a tutto ciò che dico, di sotto ti stanno aspettando. Faremo colazione e partiremo prima di pranzo, quindi alzati e datti una mossa.»
«Non sei molto pratico con le ragazze, vero?» dedusse Chandra, chiudendo gli occhi a fessure e assumendo un cipiglio sospettoso.
«In realtà, sapientona, non sono pratico col genere umano!» precisò il ragazzo. «Preferisco di gran lunga le macchine.»
«In che senso???» chiese Chandra.
«Colpa del mio DNA» spiegò lo sconosciuto. «Sono Leo Valdez, figlio di Efesto dio del fuoco. Lui è una specie di vip tra i fabbri e i costruttori di macchinari, quindi puoi capire cosa intendo. Se poi aggiungi i geni di mia madre, che lavorava in un’officina ...»
«Capisco» lo bloccò Chandra. «Ora, Leo Valdez, se mi vuoi scusare, vorrei lavarmi e vestirmi.»
«Tolgo il disturbo» capì il ragazzo.
«E comunque,» aggiunse Chandra, «prima di partire, vorrei vedere la mia migliore amica per dirle che andrò via per un po’.»
«Negativo! Non si può fare» si rifiutò il ragazzo. «Non puoi rischiare la vita per una cosa così stupida! E poi, dobbiamo partire al più presto.»
«Non è stato molto saggio, da parte tua, definirmi “stupida”, non credi?» gli fece notare Chandra.
«Non ho definito te “stupida”, Miss Sotutto!» puntualizzò Leo. «Solo l’idea che hai avuto. E comunque, non se ne fa niente. Mi dispiace» aggiunse, prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.
Chandra rimase bloccata nel letto, indispettita per l’atteggiamento di uno dei tre grandi semidei che Talia le aveva annunciato. Chi credeva di essere, quel Leo Valdez, per parlarle così? Decise di fargliela pagare e, senza pensarci, inviò un messaggio a Vivian, dandole appuntamento verso le undici fuori dal bar che si trovava lì vicino. Poi, si diede una sistemata e indossò un abito color salmone, lungo fino alle ginocchia e stretto in vita da una cintura turchese, abbinata ad un paio di zeppe e ad un elastico tra i capelli dello stesso colore; fece, quindi, un respiro profondo e scese di sotto, pronta per salutare, forse per l’ultima volta, la sua cara Tata, che non aveva mai lasciato sin dalla nascita.
 
 
***
 
 
«Non se ne parla!» la rimproverò Talia, quando Chandra le rivelò del messaggio inviato a Vivian.
«Ma è la mia migliore amica» protestò la ragazza. «Non posso sparire senza dirle niente!»
«Chandra, ti rendi conto che ti sta cercando parte dei semidei di tutto il mondo?» si infuriò la Cacciatrice. «Come possiamo proteggerti, se te ne vai tranquillamente in un luogo pubblico pieno di potenziali nemici?»
«Tata, dille qualcosa» supplicò Chandra, rivolta alla donna.
«No, piccolina» disse dolcemente lei. «Talia ha ragione: non puoi mettere in pericolo la tua vita per una sciocchezza del genere. Parlerò io con Vivian, quando sarai partita» aggiunse, mentre, dietro di lei, Leo Valdez sfoggiava un’espressione saccente.
«Va bene, allora!» si arrese Chandra, incrociando le braccia e appoggiandosi al muro. «Visto che siete schierati tutti contro di me ...»
«Piccolina, sai che abbiamo ragione» la interruppe Tata.
«... manderò un messaggio a Vivian per avvisarla di passare da te più tardi» continuò Chandra, rivolgendosi alla donna ed ignorando la sua interruzione. «Ora, spiegatemi: perché la signora Wicked ha permesso a tutti voi di entrare in orfanotrofio? Ha sempre fatto tante storie, quando le ho chiesto se poteva stare Vivian.»
«Beh, diciamo che c’è stato un piccolo incendio al terzo piano, nella stanza vuota vicino alla sua!» spiegò Leo, soffiandosi i pugni chiusi, come se fossero pistole, e sorridendo in modo furbesco.
«Un incendio che non ha provocato danni di nessun tipo alle persone» precisò un ragazzo dietro di lui. Aveva dei capelli neri spettinati e degli occhi profondi color del mare; quando si mosse per avvicinarsi a lei, Chandra percepì un odore di salsedine che le infuse una gran tranquillità, quasi fosse cullata dalle onde del mare.
«Tu sei figlio di Poseidone!» dedusse la ragazza.
«Proprio così» confermò lui. «Percy Jackson al tuo servizio! E, prima che tu me lo chieda, anche io sono d’accordo con Talia e la signora che chiami Tata: non puoi affrontare un tale pericolo per vedere un’amica» aggiunse, accompagnando le parole con un gran sorriso.
«Non lo farò, tranquillo» acconsentì con facilità Chandra, suscitando uno sguardo di disappunto in Leo Valdez. «E tu devi essere Annabeth Chase» aggiunse, rivolgendosi alla ragazza bionda che stava in disparte e non aveva ancora parlato.
«Figlia di Atena e cervello dell’impresa» aggiunse Percy, tirandola avanti e ponendole un braccio sulle spalle.
Dalla reazione affettuosa della ragazza, i cui occhi grigi sembravano poter fulminare in un battito di ciglia il primo malcapitato di turno, Chandra dedusse che tra i due ci fosse una relazione.
«Percy mi sopravvaluta» commentò Annabeth, scompigliando dolcemente i capelli del ragazzo. «Ma farò di tutto per proteggerti, tranquilla.»
«Molto bene» si intromise Leo. «Ora che abbiamo fatto le presentazioni, mangiamo qualcosa alla svelta e partiamo, perché non so quanto durerà il diversivo di sopra.»
«Con quale mezzo raggiungeremo la Grecia?» chiese Chandra, curiosa.
«Dolcezza, non preoccuparti del mezzo» intervenne il ragazzo scheletrico. «Zio Leo l’ha costruito personalmente e ti porterà a destinazione sana e salva!»
 
ANGOLO AUTRICE
 
Finalmente sono riuscita ad ultimare anche questo capitolo e spero vivamente che possa piacervi. Come al solito, ringrazio tutti coloro che l’hanno letta e visualizzata e coloro che l’hanno messa tra le seguite, tra cui la new entry Anubis347.
Buona lettura
Flowerina

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Capitolo 5
*** DANGERS & DRAGONS ***


CAPITOLO 5
 
ANGOLO AUTRICE
Rieccomi con il quinto capitolo e con i soliti ringraziamenti. Mille grazie a tutti coloro che hanno letto e seguito la storia, soprattutto ad Anubis347, che mi ha lasciato la sua recensione. Spero che anche questo capitolo vi piaccia e, se avete qualche appunto da fare, non esitate a farvi avanti ;)
Buona lettura
Flowerina
 
 
La compagnia al completo dovette accontentarsi di una colazione veloce, dal momento che la signora Wicked aveva spento l’incendio provocato da Leo in poco tempo ed era scesa giù in sala mensa, costringendo i nuovi arrivati a nascondersi. Tata aveva dato loro la sua stanza e Chandra si era offerta di portare del cibo, sottraendolo di nascosto dal tavolo della mensa; casualmente, la porzione riservata a Percy era risultata un po’ più abbondante delle altre, soprattutto di quella di Leo che, sempre per caso, si era rivelata decisamente striminzita. Quando il ragazzo glielo fece notare, Chandra si limitò ad alzare le spalle con aria innocente, sostenendo con convinzione che un fisico tanto asciutto doveva derivare da uno stomaco piuttosto ristretto che, quindi, non poteva accogliere al suo interno porzioni troppo grandi di cibo. Leo si era quasi fatto convincere dalle argomentazioni della ragazza, ma Percy e Annabeth rovinarono tutto sbellicandosi dalle risate, tanto da spingere l’amico a ritirarsi da solo nel balcone della stanza, rifiutandosi di rivolgere loro la parola per oltre venti minuti. Soltanto quando Chandra fu soddisfatta del risultato, ritenendo di aver ottenuto la sua vendetta, raggiunse il ragazzo per convincerlo a rientrare, anche se dovette promettere in cambio di andare a recuperare nelle cucine un’abbondante scorta di cibo per il viaggio. Quando, un’ora dopo, tutti i preparativi furono ultimati, Chandra portò la sua valigia nella stanza di Tata e vi trovò soltanto Leo.
«Annabeth e Percy sono andati a fare una breve passeggiata romantica per il quartiere» le spiegò il ragazzo, come se le avesse letto nel pensiero. «Talia e Tata sono scese di sotto per rifilare alla direttrice una scusa che la convinca a lasciarti andare via per un po’ dall’orfanotrofio; così, i due fidanzatini hanno deciso di spassarsela attraverso le vie di Middle Village, lasciando al sottoscritto il compito di provvedere a tutto il resto, te compresa!»
«Beh, tranquillo: non ti disturberò a lungo» commentò Chandra, indispettita. «Dimmi solo dove hai parcheggiato il tuo mezzo e vi porterò da sola la valigia.»
«Il mio cosa???» ribatté il ragazzo, irritato. «Piccola, Leo non costruisce “mezzi”, ma opere d’arte!»
«Certo che hai una grande considerazione di te stesso!» disse Chandra, sarcastica.
«Miss Scetticismo, davanti a te hai il più grande meccanico di tutti i tempi» si vantò Leo. «Ho costruito per te la nave più sicura ed efficiente che sia mai stata realizzata.»
«Disse la stessa cosa il costruttore del Titanic» ricordò la ragazza. «E sappiamo com’è finita!»
«Dolcezza, il Titanic non ha nulla a che vedere con la mia creazione!» replicò Leo. «Seguimi e stupisciti.»
Il ragazzo le sottrasse il trolley e lo trascinò sul balcone; poi, aspettò che uscisse anche lei e le chiuse la porta-finestra alle spalle, guardò in su ed emise un fischio lungo e acuto. Per una frazione di secondo, Chandra temette che fosse impazzito, ma dal nulla scese una lunga scaletta di legno, simile a quella lanciata dagli elicotteri. La scaletta non sembrava attaccata a nulla di solido, dal momento che scendeva dritta da una nuvola sulle loro teste, così la ragazza esitò quando Leo le fece cenno di salire.
«Non temere, è sicura e resistente» tentò di tranquillizzarla lui, ma senza successo.
«Chi mi dice che non sia anche tu uno dei semidei che vuole uccidermi per avere i poteri?» chiese Chandra, scettica.
«Come no, sapientona!» commentò Leo. «Ho accettato questa missione e ho costruito una nave maestosa solo per venire ad ucciderti, facendoti cadere da una scaletta sospesa in aria! Era troppo semplice pugnalarti stamattina, mentre dormivi nella stanza di Tata!»
«Okay, okay, mi fido» si arrese la ragazza, arrampicandosi su per la scaletta.
La salita fu più facile di quanto pensasse: il vento complicava un po’ le cose, soffiando e spostando, di tanto in tanto, la leggera scaletta di legno, ma questa sembrava solida e sicura e, dopo qualche passo incerto, Chandra si tranquillizzò e procedette più spedita.
Quando finalmente giunse in cima, non poté fare a meno di sfregarsi gli occhi per lo stupore: era sbucata sul ponte di una nave maestosa, grande almeno il triplo del Titanic, per quanto poteva stimare da quel punto. Si affacciò a prua per guardare di sotto e poco mancò che svenisse per le vertigini: si trovavano ad un’altezza enorme, al di sopra delle nuvole, e sotto di loro Middle Village sembrava solo un piccolo puntino nell’immensa vastità della Terra.
«È bellissimo qui!» riuscì a dire, rivolta più a se stessa che a Leo.
«Benvenuta sull’Argo III!» esclamò il ragazzo, facendole un cenno con la mano come per offrirle l’intera nave.
Lei lo prese in parola e cominciò a percorrere la nave in tutta la sua lunghezza, affacciandosi da ogni parte per vedere quale prospettiva le offrisse del paesaggio sottostante; era, in tutto e per tutto, simile ad una bambina che viene portata per la prima volta in un parco-giochi e prova tutte le giostre al suo interno, per verificare quale sia la migliore e la più adatta a lei. Dopo quelle che parvero ore, finalmente tornò nel punto da cui era partita e si sedette in terra, stremata ma felice.
«Come hai fatto?» chiese al ragazzo, che era rimasto dove l’aveva lasciato ed era intento a sistemare a prua qualcosa che lei non poteva vedere.
«Te l’ho detto: sono il più grande meccanico del mondo!» disse lui, semplicemente, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
«Cosa stai aggiustando?» gli domandò la ragazza, sporgendosi per vedere.
«Stavo verificando che non ci fossero problemi in Festus, prima della partenza» spiegò Leo, infilando la chiave inglese, che aveva in mano, all’interno di una cintura legata in vita.
«Cos’è Festus?» chiese la ragazza.
«CHI è, vorrai dire» la corresse Leo. «Festus è il mio drago di bronzo, nonché il mio migliore amico.»
«Un drago di bronzo?!» disse Chandra, scettica. «E magari sta volando sotto di noi, vero?»
«Sempre con questo sarcasmo, Deer!» disse il ragazzo. «Non sta volando sotto di noi, perché, al momento, è solo una testa senza corpo attaccata alla prua. È incaricato di sovrintendere al funzionamento della nave ed è stato lui a far scendere la scaletta attraverso cui siamo saliti.»
Chandra si affacciò a prua, guardando verso la nave, e rimase stupita nel notare che Leo aveva detto, ancora una volta, la verità: effettivamente, la testa bronzea di un drago spuntava dalla nave e ruotava gli occhi in tutte le direzioni; per un attimo, sembrò che avesse rivolto lo sguardo verso di lei e le avesse fatto l’occhiolino.
«Sembra che tu gli stia simpatica» commentò il ragazzo, confermando quanto Chandra aveva appena visto.
«Dov’è il suo corpo?» domandò la ragazza, voltandosi verso Leo.
«È di sotto, nelle stalle che dovrebbero servire per i cavalli» disse lui. «Vuoi vederlo?»
«Magari!» disse Chandra, eccitata. «Ho sempre sognato di vedere un drago, anche se sapevo che non ne esistevano.»
«In effetti, è un po’ che il mio amico non si sgranchisce gli ingranaggi» rifletté il ragazzo. «Ti va di fare un giro?»
«Su Festus?» si stupì Chandra, sgranando gli occhi.
«Hai paura?» la sfidò Leo.
«Io sono nata per cavalcare un drago, amico!» replicò la ragazza.
Dieci minuti dopo, i due volavano a tutta velocità a bordo di Festus tornato tutto d’un pezzo; Chandra era al settimo cielo, letteralmente: era seduta davanti a Leo e teneva le braccia aperte per sentire il vento accarezzarle la pelle, tenuta saldamente dalla stretta del ragazzo, che le aveva avvolto le mani in vita. Si sentiva libera come non era mai stata, come se fosse stata destinata sin dalla nascita a fare quel viaggio su Festus; le sue emozioni erano amplificate e si trovò ad urlare di gioia per evitare di esplodere, sapendo che, a quell’altezza, non poteva essere sentita da nessuno tranne che da Leo. Il ragazzo si unì a lei e cominciò a gridare forte e a ridere follemente, mentre Festus, contagiato dal boom di emozioni dei suoi due passeggeri, iniziò ad emettere folate di fuoco. Percorsero in volo tutto il Queens, osservando l’estrema piccolezza di macchine, persone ed edifici al di sotto. Poi, tornarono sulla nave e si gettarono sfiniti in terra, ridacchiando senza riuscire a fermarsi.
«Rifacciamolo!» propose Chandra.
«Magari un’altra volta» sorrise Leo. «Credo che gli altri ci stiano aspettando.»
«Oh cielo! Sarà preso un infarto a tutti» scattò la ragazza, ricordandosi della missione e dei suoi amici.
«Calma!» la fermò Leo, continuando a sorridere. «Ho mandato un messaggio a Percy e gli ho detto che ti stavo facendo vedere la nave e che ci avremmo messo un po’.»
«C’è campo quassù?» chiese Chandra.
«Non un sms, dolcezza! Per noi semidei i cellulari sono come dei localizzatori amplificati per mostri!» spiegò il ragazzo. «Ho mandato un messaggio-Iride sfruttando acqua e luce per creare un arcobaleno. È una cosa complicata. Comunque, suppongo che per te i cellulari funzionino quassù: ho installato un ripetitore nel caso ci serva un mezzo di comunicazione alternativo!»
«Forse, e dico forse, qualche abilità la possiedi!» ammise Chandra, facendogli l’occhiolino.
«Dolcezza, io sono il grande Leo!» esclamò il ragazzo. «Ho dotato la nave anche di antenne per la ricezione dei canali del digitale terrestre: potrai vedere tutti i film che vorrai.»
«Beh, almeno passerò quelli che potrebbero essere i miei ultimi giorni di vita volando su un drago e guardando i miei programmi preferiti!» commentò sarcastica Chandra, tirando il cellulare dalla tasca. «Ehi, hai ragione: ho ricevuto un messaggio! Il segnale è coperto totalmente.»
«Sempre questo tono scettico» notò Leo.
«È Vivian» disse Chandra, aprendo il messaggio e leggendolo.
«La tua amica?» chiese il ragazzo.
«Sì, lei» confermò Chandra, continuando a leggere. Poi, d’improvviso, si rabbuiò. «Leo, dobbiamo scendere subito a terra» scattò, dirigendosi in fretta verso la scaletta. «Vivian è in pericolo!»
 
 
***
 
 
Erano passati pochi minuti da quando Chandra aveva ricevuto il messaggio dell’amica, ed ora stava correndo veloce lungo le vie di Middle Village, con Leo alle spalle che cercava di fermarla. Una volta scesi dalla nave, nell’orfanotrofio non avevano trovato né Annabeth e Percy, che non erano ancora rientrati, né Tata e Talia, chiuse nell’ufficio della signora Wicked e impegnate a discutere per convincerla a far partire la ragazza. Così, Chandra aveva deciso di correre da sola in aiuto dell’amica, nonostante i tentativi fatti da Leo per dissuaderla. Non aveva avuto tempo per riflettere, dopo aver letto il messaggio di Vivian, perché sapeva che l’amica stava correndo un grave pericolo: le aveva scritto di aver ricevuto un invito ad uscire da David e che si stava recando per incontrarlo presso il bar centrale di Middle Village. Non era neppure riuscita a riferire a Leo il contenuto del messaggio, perché temeva che il ragazzo avrebbe cercato di fermarla. Si era semplicemente precipitata con tutte le sue forze verso il luogo dell’appuntamento dell’amica, senza riflettere sulle possibili conseguenze.
«Chandra, fermati!» sentì la voce di Leo alle sue spalle. «Dimmi almeno cos’è successo.»
Ma la ragazza finse di non sentirlo e si fermò solo quando giunse sul posto indicato da Vivian nel messaggio, bloccandosi di scatto e subendo l’urto del ragazzo.
«Si può sapere cosa ti ha scritto la tua amica?» chiese Leo, irritato.
«Sta per incontrare David» confessò Chandra, terrorizzata.
«E tu ti sei precipitata qui, conoscendo il pericolo che corri???» l’apostrofò il ragazzo.
«Leo, Vivian non sa che lui vuole uccidermi» gli ricordò Chandra, urlando e tremando. «Vorrà usarla per ricattarmi!»
«Calma, non ti agitare» cercò di tranquillizzarla il ragazzo, vedendola tanto scossa e spaventata. «Non permetteremo che le faccia del male. Arriveremo prima di lui.»
«Dove sono? Io non vedo nessuno» disse la ragazza, guardandosi intorno freneticamente.
«Stai calma, Chandra!» disse Leo, osservando anche lui la zona circostante. «Sta arrivando una ragazza: è lei?»
«Sì, è Vivian!» gioì Chandra, muovendosi per andarle incontro.
Leo, però, intervenne in tempo per impedirglielo, tenendola per un braccio.
«Tu stai qui!» le intimò, fulminandola con lo sguardo. «Andrò io e la porterò da te. Nasconditi dietro quella traversa e cerca di non attirare l’attenzione più di quanto tu non l’abbia già fatto.»
Poi, senza nemmeno ascoltare la replica della ragazza, si guardò intorno e si diresse verso Vivian, tirando fuori dalla sua cintura quello che sembrava un cacciavite.
Chandra si infilò in una stradina secondaria e rimase ad aspettare il ritorno di Leo; ma, dopo qualche minuto, Vivian la raggiunse senza il ragazzo.
«Chandra, amica mia, ce l’hai fatta a venire?» si rallegrò la ragazza, abbracciandola. «Sono contenta di vederti.»
«Vale anche per me, Vivian» ricambiò Chandra, sciogliendosi subito dall’abbraccio. «Hai conosciuto il mio amico?» le chiese.
«Chi, il ragazzo magro?» le domandò la ragazza. «Leo, mi pare...»
«Sì, lui» confermò Chandra, cercando di guardare verso il bar per individuare il ragazzo. «Dov’è?»
«Ha detto che doveva controllare una cosa» spiegò Vivian. «Ci raggiungerà. Ora, ti va di incontrare il mio David?»
«Cos... Leo non ti ha detto niente?» si meravigliò Chandra.
«Ah, basta con questo Leo» si spazientì Vivian. «David è molto più bello! Vero, amore?»
«Non c’è paragone, piccola» disse una voce alle spalle di Chandra, facendola agghiacciare.
«David!» riuscì a dire la ragazza, prima di essere avvolta dalla ormai familiare stretta del ragazzo. «Vivian, chiama la polizia!» urlò all’amica; ma questa si limitò a sorridere, come se tutto ciò che stava avvenendo davanti ai suoi occhi fosse normale.
«Tranquilla, ha detto che non ti vuole fare del male» disse lei, continuando a sorridere.
«Era una trappola!» si stupì Chandra, spalancando gli occhi come se vedesse per la prima volta la ragazza che aveva davanti. «Tu lo sapevi e mi hai attirata qui con l’inganno?!»
«Senti, non so cosa ti abbia fatto» cominciò l’amica, «ma vuole rimediare. Dagli l’occasione di farlo: vuole esserti amico.»
«Vivian, apri gli occhi!» urlò Chandra, dimenandosi infuriata. «Mi sta tenendo le braccia. Non è affatto un atteggiamento amichevole.»
«Tu ascolta quello che ha da dirti» disse la ragazza, stampando un bacio sulle labbra di David e voltando le spalle per andare via. «Ci sentiamo più tardi e mi dirai se avete chiarito.»
«Ma sei scema?!» le gridò dietro Chandra. «Non ci sentiremo stasera, perché sarò morta! Va’ e chiama Leo.»
«Esagerata!» esclamò Vivian. «Leo è fuori servizio per un po’: ha ricevuto una piccola botta in testa e ha perso i sensi; l’abbiamo fatto sdraiare in una stradina, aspettando che si riprenda.»
«Tu sei pazza, Vivian!» urlò Chandra, contrariata.
«Ciao, tesoro! A più tardi» la salutò lei, svoltando a destra e svanendo alla sua vista.
«Hai sentito la tua amica, Chandra?» disse David, con un ghigno stampato in faccia. «Noi due dobbiamo parlare.»

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Capitolo 6
*** UNA MORTALE IN FUGA ***


CAPITOLO 6
UNA MORTALE IN FUGA

 
ANGOLO AUTRICE
Ce l’ho fatta, sono tornata!!! Scusate per il grande, enorme ritardo nella pubblicazione del sesto capitolo, ma è stato un periodo mooolto impegnativo. In ogni caso, vi lascio alla lettura. Ringrazio, come al solito, chi ha letto, seguito e recensito, e, in particolare, Fenris e Anubis347.
Buona lettura
Flowerina
 
«Cosa le hai promesso in cambio, David?» chiese Chandra, mentre il ragazzo la trascinava di forza attraverso le strade secondarie e deserte del quartiere.
«Conosci Vivian» rispose semplicemente il ragazzo. «Dalle soldi e popolarità e sarà tua. Non è stato difficile convincerla a tradirti: le ho detto solo che, in cambio, saremmo andati insieme al ballo di fine anno, come fidanzati.»
«Brutta st...!» disse Chandra, lasciando l’imprecazione a metà.
«Non posso che concordare con te!» esclamò David, ridacchiando in modo beffardo.
«Dove stiamo andando?» chiese la ragazza, scalciando e dimenandosi.
«Da Brandon» rispose David. «Verso la tua fine e la nostra gloria. Ora sta’ zitta e cammina.»
Percorsero insieme alcuni metri attraverso strade solitarie e deserte, dove le uniche presenze erano quelle di gatti e cani che non potevano di certo prestare soccorso a Chandra. La ragazza si rese conto che l’unico aiuto poteva venirle da se stessa e cominciò a cercare di elaborare un piano di fuga. La situazione sembrava disperata, ma Chandra non voleva abbandonare la speranza di uscirne viva e, soprattutto, non voleva permettere che persone come Vivian e David l’avessero vinta. Osservò il paesaggio circostante, cercando in esso qualcosa che potesse aiutarla: una persona, una casa abitata, un oggetto appuntito che fosse alla sua portata ... niente di tutto questo sembrava essere presente nelle stradine che stavano percorrendo. Quando vide Brandon che salutava l’amico dalla soglia di un edificio diroccato, pensò che fosse il momento di arrendersi all’evidenza: la sua vita stava per finire per mano di quei due.
«Stavo cominciando a pensare che avessi fallito» disse Brandon, con un ghigno rivolto alla ragazza.
«La nostra Chandra non poteva abbandonare la sua amica in difficoltà» la derise David, con uno sguardo che sembrava volerla provocare.
D’improvviso, mollò la presa e le diede una spinta in avanti per gettarla tra le braccia dell’amico; un secondo di libertà che la ragazza decise di cogliere, sapendo che poteva essere la sua unica occasione. Sfruttò la spinta di David e ne modificò la direzione per scivolare fuori dalla stretta dei due ragazzi. Perse per un attimo l’equilibrio, ma si rialzò subito e cominciò a correre più veloce che poteva, diretta verso la parte abitata della città e verso la libertà. Fuggì via, senza fermarsi neppure ad aspettare la reazione dei due, urlando contemporaneamente, a pieni polmoni, il nome di Leo. Svoltò attraverso i numerosi vicoli, in un labirinto che sembrava giocare contro di lei per imprigionarla, incapace di trovare una via d’uscita. Ogni singolo muscolo del suo corpo si ribellava e il cuore dava l’impressione di volerle uscire dal petto, pompando velocemente e mozzandole il fiato. Voleva fermarsi, ogni parte del suo corpo glielo intimava, e cominciò a rallentare, ma i passi alle sue spalle si fecero più vicini e, voltandosi per un momento, vide David che la incalzava. L’adrenalina la spinse a riprendere la corsa, nonostante non ne avesse quasi più le forze, e cercò disperatamente un modo per uscire da quel labirinto; svoltò in una strada più ampia e vide in lontananza alcune persone sedute attorno ad un tavolino, forse all’esterno di un bar. Affrettò il passo, ma d’un tratto le comparve davanti Brandon, con le braccia tese come per intrappolarla. Chandra fece appena in tempo a deviare per non finire dritta nella sua presa, ma stavolta non riuscì a mantenere l’equilibrio e cadde a terra rovinosamente, atterrando nuovamente sul braccio che si era slogata la sera precedente.
«La corsa è finita!» esclamò Brandon, avvicinandosi con un pugnale in mano.
«Uccidiamola!» ordinò David, giungendo sul posto con il fiatone e brandendo un secondo pugnale.
«Mi dispiace, ragazzi, ma non posso permettervelo» disse una voce proveniente dall’alto.
Chandra alzò lo sguardo, incapace di trattenere la felicità che la stava assalendo per aver riconosciuto chi aveva pronunciato quelle parole: Leo era a bordo di Festus e guardava David e Brandon con uno sguardo talmente feroce che non sembrava appartenergli. Sussurrò qualcosa all’orecchio del suo drago e lui, prontamente, sparò alcune folate di fuoco in direzione dei due malcapitati, i quali non poterono fare a meno di dileguarsi per non finire arrostiti.
«Fallo un’altra volta e, te lo giuro, ti uccido assieme ai due deficienti!» sbottò Leo rivolto alla ragazza, scendendo giù da Festus e avvicinandosi a lei per porgerle una mano e aiutarla a rialzarsi.
«Grazie» riuscì a dire Chandra, ancora senza fiato e sotto choc. Il braccio le pulsava dolorosamente e non riusciva neppure a muoverlo.
«Come ti è saltato in mente di venire a salvare la tua amica dalle grinfie di chi ti vuole morta?» le urlò contro il ragazzo.
«Hai ragione» ammise Chandra, abbassando la testa.
«E poi, grande amica la tua!» esclamò Leo. «Vado ad aiutarla e mi arriva un colpo dritto sulla nuca. Fortuna che c’è Festus: ha avvertito che ero in pericolo ed è corso in mio aiuto. Mi ha rianimato e mi ha portato dritto fino a te.»
«Come ha fatto, se era smontato?» domandò Chandra, curiosa.
«Non lo abbiamo smontato, ricordi?» disse il ragazzo, con tono saccente. «Non me ne hai dato il tempo.»
«Giusto ...» concordò Chandra, abbassando nuovamente la testa.
«Cosa hai fatto al braccio?» le chiese Leo, notando che la ragazza non lo muoveva.
«Ci sono atterrata sopra» spiegò Chandra, provocando una smorfia di disgusto nel ragazzo.
Leo mise la mano nella sua cintura e ne tirò fuori delle garze e alcuni unguenti.
«Non sono Will Solace» disse, osservandole il braccio, «ma qualcosa posso fare anche io.»
Per qualche minuto, si affaccendò attorno al braccio della ragazza, arrivando a tirare fuori dalla cintura anche un piccolo metro per prendere delle misure. Poi, a lavoro ultimato, Chandra poté apprezzare ancora una volta le grandi abilità del ragazzo: aveva realizzato una fasciatura che avrebbe fatto invidia a qualsiasi ortopedico.
«Riesci ad usarlo, ora?» le chiese, riponendo nella cintura tutto ciò che aveva usato.
«Alla perfezione!» esultò Chandra, sollevando il braccio e muovendolo in modo brusco, come se stesse salutando. «Grazie» aggiunse, stampando un rapido bacio sulla guancia del ragazzo.
«Ehi, vacci piano, Miss Ghiacciolo!» esclamò Leo, cercando di nascondere il rossore in volto. «Se continui così, rischi di scioglierti!»
«Forza, torniamo al St. Mary’s» disse la ragazza, montando su Festus con la destrezza di un’amazzone. «È quasi mezzogiorno e gli altri ci staranno cercando.»
«Certo che hai proprio stregato il mio Festus» notò Leo, osservando la facilità con cui il drago aveva porto il suo dorso alla ragazza. «Finirà col dimenticarmi!»
«Impossibile» dichiarò Chandra, sorridendo. «Leo Valdez, puoi avere tutti i difetti di questo mondo, ma di certo sei indimenticabile!»
 
 
***
 
 
«Dove diavolo eravate finiti?» sbottò Talia, quando li vide comparire in orfanotrofio qualche minuto più tardi, tutti sporchi e con l’aspetto di chi aveva appena sostenuto una battaglia.
«È colpa mia» cominciò Chandra, pronta a confessare e a sorbirsi la ramanzina degli amici.
«Le stavo facendo vedere la nave, come ho scritto a Percy» si intromise Leo, «quando ha visto Festus e ha insistito per farci qualche giro. Ma, mentre volavamo, ho notato che il drago perdeva olio e ho dovuto fare un atterraggio d’emergenza, che ci ha fatto perdere un po’ di tempo.»
Chandra si voltò a guardarlo con occhi sgranati, chiedendogli con lo sguardo cosa stesse dicendo, e lui, con un cenno rapido e quasi impercettibile della bocca, mordendosi il labbro inferiore con i denti di sopra, le fece segno di non parlare e stare al gioco.
«Chandra, cosa ti sei fatta al braccio?» disse Percy, accorgendosi della fasciatura.
«Diciamo che l’atterraggio con Festus è stato un po’ troppo brusco e non è riuscita a restare in sella» rispose per lei Leo.
«Sono atterrata sul braccio che mi ero slogata ieri, durante la battaglia» proseguì la ragazza, intromettendosi. «E Leo ha provveduto a fasciarmelo, affinché potessi muoverlo per tornare fin qui.»
«Ci avete fatto prendere un bello spavento!» la rimproverò Tata.
«Per un momento, abbiamo pensato che Chandra ti avesse convinto a portarla dalla sua amica» disse Annabeth a Leo, guardando i due con sospetto.
«Nooooo, non avrei mai potuto fare una cosa del genere» la contraddisse Chandra, sfoggiando la sua migliore espressione scioccata per sembrare più credibile.
«Non lo dire neanche per scherzo!» aggiunse Leo, riuscendo meno convincente e spingendo Annabeth ad osservare con attenzione i loro volti, come se aspettasse che tradissero un’emozione.
«Allora, quando si parte?» disse Chandra, con voce un po’ più acuta del normale, intenzionata ad evitare che la ragazza di Percy potesse scoprirli o indurli a confessare.
«A tal proposito, è sorto un piccolo problema» rivelò il figlio di Poseidone. «La direttrice non vuole darti il permesso.»
«Coosaaa???» si stupì Chandra, con la voce tornata normale. «Non può, quella brutta ...»
«Non penso che offenderla migliorerà la situazione!» le fece notare Tata.
«Come facciamo, allora?» domandò la ragazza ai presenti.
«Andrai via lo stesso, che la signora Wicked voglia o non voglia» disse Talia, con il tono di chi la sa lunga.
«Ti faremo evadere» spiegò Percy.
«Quando?» chiese Chandra, emozionata e impaziente.
«Adesso!» disse Annabeth.
Tutta la compagnia si diresse alla svelta verso il balcone su cui Festus aveva gettato la scaletta qualche ora prima, e Leo emise il solito fischio. Talia e i tre semidei prescelti per la missione cominciarono a salire i bagagli sulla nave, compreso il trolley di Chandra che lei e Leo avevano lasciato sul balcone, caricandoli su ... un pegaso (?) ... comparso d’improvviso davanti a loro e che, a quanto pareva, si chiamava Blackjack. Tata, invece, prese Chandra in disparte e la osservò con sguardo affettuoso per qualche secondo; poi, scoppiò in lacrime e la abbracciò, stringendola forte a sé come per non farsela scappare. Chandra ricambiò con affetto l’abbraccio e non riuscì a trattenere le lacrime, che sgorgarono spontaneamente e bagnarono le sue guance. Dopo quelle che parvero ore, le due sciolsero l’abbraccio e si comunicarono con lo sguardo tutte le parole che avrebbero voluto dirsi, tutta la gratitudine e tutto l’amore che provavano l’una per l’altra, tutte le scuse fino ad allora inespresse.
«Diana sarebbe orgogliosa di te, se fosse viva» le disse Tata, osservandola con sguardo fiero e con occhi lucidi.
«Lo sarebbe anche di te, Tata» disse Chandra, percependo il senso di colpa che l’amica provava in quel momento, incerta se quella fosse davvero la cosa giusta da fare. «Hai salvato e tenuto al sicuro fino ai sedici anni, come ti aveva chiesto, la sua unica figlia. Ora è tempo di lasciarmi andare; mia madre sapeva che sarebbe arrivato questo momento e sono sicura che si sarebbe comportata proprio come te.»
«So che non fallirai» disse Tata, con una nuova convinzione nella voce. «Io ti aspetterò e, quando tornerai, se sarai d’accordo, prenderemo una casa nel quartiere e vivremo insieme.»
«Ma ... ma ... il tuo lavoro ...?» balbettò la ragazza, incredula di fronte alla proposta di quella che, ormai, considerava quasi una madre.
«Pensi che la signora Wicked mi lascerà rimanere, quando scoprirà che ti ho permesso di andare via?» le fece notare Tata.
«Non ... non è giusto!» sbottò Chandra. «Allora, rimango ancora un po’ e faccio in modo di andar via quando tu non sei di turno.»
«No, non te lo posso permettere» disse Tata, sorridendo con tranquillità. «Abbiamo già perso troppo tempo. Prima partirai e prima starò più tranquilla, sapendo che sarai protetta da quei semidei. Non pensare a me, Chandra. Me la caverò. E Talia starà con me per un po’.»
«Ma ...» iniziò la ragazza.
«Niente “ma”, piccolina» la interruppe Tata, mettendole un dito sulle labbra. «Va’, segui la tua strada e rendimi fiera.» aggiunse, guardandola per qualche secondo.
Poi, la accompagnò sul balcone, la osservò salire sul pegaso dal quale Percy le tendeva una mano e le diede un bacio affettuoso sulla guancia.
«A presto, piccolina» disse.
«Aspettami nella nuova casa» le sorrise Chandra. «Tornerò.»
Poi, Percy diede un leggero colpo a Blackjack e lui cominciò a salire sempre più su. Prima di scomparire dietro una nuvola, Chandra osservò rapidamente Talia e Tata, che sembravano ormai solo dei piccoli puntini. Sorrise dolcemente in loro direzione e voltò lo sguardo verso l’alto, con il cuore pervaso da molteplici e differenti emozioni: se da un lato era agitata per aver lasciato la vecchia vita, dall’altro era contenta di non dover più tornare nell’orfanotrofio che tanto aveva odiato ed emozionata all’idea del viaggio che doveva affrontare. Ma tanto, lo sapeva, non avrebbe affrontato da sola ciò che lo aspettava: aveva tre nuovi amici accanto a sé e una tutrice che aspettava il suo ritorno nella loro nuova casa. 

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