We Are All Mad Here.

di _Noodle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bevimi. ***
Capitolo 2: *** E' tardi sai, io son già in mezzo ai guai! ***
Capitolo 3: *** Chi sei tu? ***
Capitolo 4: *** Io sono matto, tu sei matto. ***
Capitolo 5: *** Non c'è posto qui! ***
Capitolo 6: *** Boia, dacci un taglio! ***
Capitolo 7: *** Da un altro punto di vista. ***
Capitolo 8: *** Al di là della porta. ***
Capitolo 9: *** Odio e follia non sono sinonimi. ***
Capitolo 10: *** Tutti i migliori sono matti. ***



Capitolo 1
*** Bevimi. ***


“Bevimi”
 
 
 
 
 
Tutto ebbe inizio con una partita a scacchi.
 
Tokyo, diventata da pochi anni la capitale dell’Impero, rifulgeva di una nuova e folgorante bellezza, di un fascino meccanico e ricercato. L’industrializzazione si era fatta largo tra le vecchie case e le vecchie filosofie, rinvigorendo una città già di per sé prosperosa.
Ingranaggi, cavi e fili elettrici s’intrecciavano mellifluamente tra le vie, accalappiando vite, saldando relazioni. La nuova apertura nei confronti dell’Occidente, nei confronti di quel mondo fino ad allora considerato estraneo, aveva mutato i destini degli abitanti, acceso barlumi di speranza negli occhi dei più giovani.
Tuttavia, tra le novelle illuminazioni e  le linee telegrafiche, tra il fumo grigio delle fabbriche e le stelle, qualche vecchia tradizione non si assopiva: le squallide osterie dei quartieri bassi continuavano a schiamazzare orgogliose, attirando l’attenzione di brutti ceffi e povere donzelle. Luoghi di perdizione le taverne, luoghi poco seri e poco innovativi; antri oscuri composti di gente matta, chiassosa, sfrontata.
Alla bettola Luna Storta era da poco finito il servizio e il personale si apprestava a ripulire i tavoli di legno marcio dagli avanzi di cibo e dai laghi di liquore. Alcune carte da gioco sporche di vino e di terriccio giacevano a terra, accanto a loro un orologio da taschino ticchettante: solo un gentiluomo sbadato avrebbe potuto smarrire una fortuna del genere.
<< Forza ragazzi, adesso andate a dormire, domani si apre anche all’ora di pranzo >> ordinò ai suoi dipendenti un uomo alto, dai capelli elettrici e dal fiato maleodorante.
Erano cinque i garzoni che lavoravano per il bizzarro locale: cinque cani randagi, anime sole ed abbandonate che avevano trovato protezione sotto le ampie ali del vecchio locandiere Keishin Ukai, uomo d’affari in potenza e tabagista affermato. Il più giovane di essi, un ragazzo dagli occhi di cobalto e dal sorriso raro, dalle molte parole e dalle poche spiritosaggini, si chiamava Tobio Kageyama ed era orfano di due commercianti di spezie. Di qualche mese più grande, Shouyou Hinata, eccentrico piccoletto dai capelli di fuoco, abbandonato quando era ancora in fasce davanti alla porta di Ukai-san. A seguire, Kenma Kozume, il più pacato tra i cinque, introverso ed indipendente, amante delle novità tecnologiche che si stagliavano lontane dai suoi occhi felini. Aveva bussato alla porta della Luna Storta quando aveva appena dieci anni, non si sa perchè, arrivando non si sa da dove. Keiji Akaashi invece, il nuovo arrivato, rapace predatore nella notte, era giunto all’osteria in seguito ad un violento incendio che aveva provocato la morte dei suoi genitori e per questo soffriva d’insonnia. Infine vi era Asahi Azumane, il più grande dei cinque, un gigante buono dai capelli e dal pizzetto trasandati, fuggito dalla campagna in cerca di fortuna.
 
Un gelo pungente e lancinante filtrava nella vecchia bettola, strisciando sotto le porte, soffiando dalle fessure delle serrature. I ragazzi e il loro capo dormivano in una stanzetta sotterranea, che più che una camera da letto assomigliava ad una cantina. Vi erano due letti a castello e due letti singoli, uno in cui dormiva Ukai, l’altro in cui dormiva Asahi, troppo alto per poter convivere con le dimensioni minuscole degli altri giacigli.
Tobio, sistemato nel letto a castello sotto Hinata, tremava, insoddisfatto della coperta ruvida e rattoppata che gli cingeva il corpo. Ogni tanto avrebbe voluto essere un re per addormentarsi in un pomposo letto a baldacchino con i cuscini di piuma d’oca. Credeva che pensandoci qualcosa sarebbe cambiato, che i muscoli si sarebbero distesi immaginando quelle sontuose ricchezze, ma lo stridente freddo di dicembre non concedeva pace, tormentava le membra senza chiedere il permesso.
<< Kageyama, sei ancora sveglio? >> bisbigliò una voce sopra la sua testa.
<< Cosa te lo fa pensare? >> rispose Tobio, mettendosi a sedere.
<< Ho le dita dei piedi e delle mani completamente ghiacciate. >>
<< Se pensi che verrò a dormire nel tuo letto come la scorsa notte, la risposta è negativa >> sentenziò Tobio, massaggiandosi la testa.
Shouyou, era lui che aveva parlato, sbuffò infastidito, non capacitandosi di come Kageyama potesse essere così ottuso da non capire che due corpi a contatto emanavano più calore. Non era stato piacevole la scorsa notte? Forse, lui gli aveva tirato qualche manata di troppo, ma d’altra parte questa è la dura legge  della sopravvivenza. Si guardò attorno, immerso nel buio pesto del sotterraneo, sforzando al massimo le meningi per architettare un piano contro il freddo. Accendere un fuoco sarebbe stato troppo rischioso, rubare una coperta ad Ukai-san un reato senza precedenti.
<< Seguimi, ho un’idea. >>
Tobio, a quanto pare, l’aveva preceduto. Abituati ormai a percorrere lo stretto corridoio e i ripidi gradini nell’oscurità più nera, i due giunsero al piano superiore senza riportare ferite o lividi di ogni sorta. Hinata, senza bisogno di aiuto, tastò il bancone che si estendeva accanto alle scale e afferrò al primo colpo la scatola dei fiammiferi, che Ukai lasciava sempre appoggiata lì sopra in caso di emergenza. La debole luce della luna filtrava dalle piccole finestre opache; sarebbe bastata una sola  e semplice candela per illuminare la stanza il necessario.
Non appena la miccia fu incendiata, Shouyou appoggiò la candela sul tavolo numero quattro, quello al centro della sala; si sedette e attese che il suo amico riemergesse da sotto il bancone di legno.
<< Cosa stai cercando? >> chiese mantenendo un tono di voce adeguato per quell’ora della notte.
<< Un gioco per intrattenerci, e non solo >> rispose Kageyama con fare enigmatico. Hinata roteò gli occhi, passando un dito sopra la fiamma della candela. Il pizzicore del fuoco era piacevole, dolce-amaro e confortante. Dopo un sonoro “trovato!” Tobio raggiunse il compagno sistemandosi a sedere sulla sedia di fronte a lui, appoggiando sul tavolo una strana lastra in bianco e nero, una bottiglia di vetro e due bicchieri.
<< Bevilo >> ordinò il più piccolo, versando il distillato nei bicchieri.
<< Perché mai dovrei farlo? >>
<< Perchè te lo dico io. >>
E Hinata bevve il misterioso liquido. Trangugiò la sostanza trattenendo il fiato e strizzando gli occhi; non gli era mai capitato di assumere una bevanda tanto amara, ma se Tobio gliel’aveva consigliata, certamente un motivo c’era.
<< È disgustosa! >> esclamò passandosi la manica della camicia azzurra sulla bocca e tirando fuori la lingua.
<< È alcool, che ti aspettavi? >> Kageyama versò altro liquore nei rispettivi bicchieri, gli occhi stralunati di Hinata a guardarlo con sgomento.
<< Ti aspetti che beva un altro sorso di questa immondizia? Non ho mai ingurgitato niente del genere >> commentò terrificato al solo pensiero di ricongiungere quell’essenza di morte con le sue labbra.
<< Vuoi morire di freddo? Perché in questo caso puoi tornartene di sotto e non ringraziarmi. Ti sto facendo un favore Shouyou, lo sanno tutti che l’alcool è un repellente efficace per il gelo >> spiegò Tobio gesticolando e sbarrando gli occhi, fissando Hinata come se stesse parlando con un bambino inesperto e anche un po’ supponente.
<< E va bene, ma solo un ultimo sorso. >>
Tobio riempì il piccolo bicchiere fino all’orlo, esaurendo i complessivi 20 centilitri di liquore. Shouyou, terrorizzato dall’idea che le sue falangi potessero andare in necrosi e staccarsi, trangugiò in un sorso l’immondo sapore. Kageyama, che sorseggiava il suo secondo bicchiere con più tranquillità, incominciò a tirare fuori dalle tasche del cappotto logoro che indossava delle piccole statuette in legno e le ripose sulla lastra a quadrati bianchi e neri.
<< Scacchi? >> osservò Hinata, attento all’ordine in cui Tobio riponeva le pedine sulla tavola.
<< Esattamente. Fino a che il nostro corpo non sarà sufficientemente caldo per poter tornare a dormire, dovremo passare il tempo in qualche altro modo, e questo gioco è talmente complesso e difficile che potrebbe venirci sonno da un momento all’altro >> considerò il moro, lanciando un’occhiata di sfida a Hinata.
<< Io non ci so giocare. >>
<< Allora è meglio che inizi a spiegarti le regole. >>
Mentre Kageyama disponeva gli ultimi pezzi sulla scacchiera, l’altro lo fissava con occhio stanco, con una pesantezza nelle palpebre mai provata prima. D’altra parte erano circa le due del mattino e sebbene le condizioni per dormire non fossero ideali, il torpore conseguente ad una lunga giornata lavorativa iniziava a farsi sentire.
<< Ogni giocatore, come vedi, ha sedici pezzi di fronte a sé >> iniziò a spiegare Kageyama lentamente, con un tono di voce profondo. Accarezzava le pedine con la punta delle dita, quasi come se si trattasse di un prezioso tesoro. I movimenti sinuosi della sua mano avevano la strepitosa capacità di ipnotizzare Hinata.
<< Tu hai quelli bianchi, io ho quelli neri. Questi sono i pedoni, e ce ne sono otto. In posizione A1 vi è la torre, accanto a lei il cavallo, poi un alfiere, il re... un momento, dov’è finito il re? >>
Tobio s’interruppe bruscamente nel disporre gli scacchi di colore bianco.
<< Bisogna dare scacco matto all’avversario, ossia colpire il suo re senza che esso abbia la possibilità di fuggire, ma a quanto pare in questa scacchiera è già scappato. Non possiamo più giocare >> ammise dispiaciuto, abbassando a mano a mano il volume della voce.
Le ultime parole di Kageyama, tuttavia, risuonarono con intensità violenta nelle orecchie di Shouyou. Un fischio simile a quello di una teiera in ebollizione gli ferì i timpani e un leggero strato di nebbia si stagliò davanti ai suoi occhi ambrati. La scacchiera iniziò ad ondeggiare, sciogliendosi in un oceano in bianco e nero. La voce di Tobio rimbombava e faceva eco rimbalzando sulle pareti.
<< Hinata? Che ti prende? >>
Era lui che lo stava chiamando? Quale follia pensare di poter abbattere un re inesistente, quale follia pensare di poter avere freddo dopo tutto quel vorticoso girare e danzare. I colori tetri della stanza colavano inondando i pavimenti e gli scaffali, il volto di Tobio, deforme e corrucciato, si stava sbavando perdendo i contorni, come un dipinto ad acquerello su cui viene gettata ulteriore acqua. Tutto stava diventando più scuro, tutto stava diventando più etereo.
Più nessun suono assordante, più nessun freddo glaciale.
Solo l’oscurità e poi la luce.
E un volto benevolo, a lui familiare, chino a fissarlo.


E, no, non si trattava di quello di Tobio.
 

 
 
 
 
Angolo dell’autrice: buonasera a tutti! (: Se siete arrivati a leggere la fine di questo breve prologo, posso ritenermi fortunata, perchè questa storia è folle, io sono folle, e lunga vita ad Alice! Voglio specificare che tutto ciò che scriverò è tratto liberamente da libri e film. Riprenderò i personaggi e le atmosfere, ma ovviamente la trama non sarà la medesima, perchè se no tutti sanno come va a finire e ci annoiamo come dei disperati. Siete curiosi di sapere quali personaggi compariranno nei prossimi capitoli (che saranno ovviamente più lunghi)? Allora continuate a leggere, sperando sempre che il mio modo di scrivere vi sia piaciuto e, cosa più importante, che la storia vi abbia interessato. Se trovate errori/incongruenze vi prego di farmele notare. Ovviamente sono aperta a qualsiasi tipo di critica, sono importanti e fanno crescere :3 Non vedo l’ora di portare sulla scena alcuni esemplari del Paese delle Meraviglie, perciò, spero di aggiornare presto, studio e lavoro permettendo. Grazie a chi leggerà, recensirà e seguirà, vi abbraccio forte! *^*
_Noodle

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Capitolo 2
*** E' tardi sai, io son già in mezzo ai guai! ***


È tardi sai, io son già in mezzo ai guai!
 
 
 
 
 
 
<< Forza, forza, portategli del succo d’uva, che cosa state aspettando! >>
Un fastidioso ronzio, più irritante di quello delle mosche che popolavano la Luna Storta, vibrava incessantemente nelle orecchie di Hinata. Una luce accecante filtrava dal sottile strato di pelle che proteggeva i suoi occhi e un dolce profumo di vaniglia s’insinuava delicatamente nelle sue narici inesperte. Aveva come l’impressione, sebbene non avesse ancora riacquistato la sensibilità del suo corpo, che il freddo invernale si fosse dissolto, lasciando il posto ad una tiepida brezza estiva. Ciò che Kageyama gli aveva dato da bere era stato efficace a tal punto da trasformare odori, tepori e colori? Ancora si contorceva al pensiero del terribile sapore del liquore, non capacitandosi di come fosse riuscito a mandarlo giù in un sorso. La disperazione non era mai stata così lancinante. Il rumore assordante che trivellava le sue orecchie smise di tormentarlo a poco a poco, lasciando spazio ad un cinguettio sussurrato e le iridi ambrate, ancora nascoste, si abituarono piuttosto velocemente al bagliore che traspariva dalle palpebre. Spinto da un ansito di coraggio incominciò a muovere le dita della mano destra, poi quelle della mano sinistra; dopodichè passò a quelle dei piedi, finendo poi per accorgersi di avere di nuovo le capacità per comandare ogni muscolo che lo costituiva. Non era mai svenuto prima d’ora: esperienza da non ripetere.
<< Bravo, così! Riesci ad aprire gli occhi? >>
Fu solo in seguito a quella domanda che Shouyou si accorse che qualcuno gli aveva rivolto la parola. Strizzò gli occhi e sbatté le palpebre freneticamente, portò una mano sul visto per cacciare via l’espressione addormentata e s’inumidì le labbra. Con lentezza aprì gli occhi: dapprima non riuscì a distinguere le figure attorno a sé, poi, quando tutto ebbe recuperato il colore perduto, credette di svenire nuovamente, colto da un improvviso mancamento.
<< Dove mi trovo? >> chiese alzando leggermente il capo, gli occhi spalancati e la fronte corrucciata. Con movimenti lenti e scoordinati si mise a sedere, scorgendo attorno a sé figure che mai avrebbe pensato di poter vedere.
<< Oh, è un forestiero, ora mi è tutto più chiaro! Sei nel Paese delle Meraviglie mio caro, pensavo che ne fossi consapevole! >>
Hinata storse il naso, sempre più sicuro che quello che si stagliava davanti ai suoi occhi fosse tutto frutto della sua immaginazione. Dov’erano finiti i tavoli, dove le sedie? Che fine avevano fatto il lungo bancone di legno putrido e gli scaffali ricolmi di bottiglie e di recipienti? Chi aveva assorbito il puzzo sgradevole del vino e del sudore, chi aveva illuminato l’oscurità? Dov’era finito Tobio, dov’erano finiti i suoi amici, i suoi fratelli?
<< Paese delle Meraviglie? No, non può essere, sto sicuramente sognando! >> balbettò, dandosi un pizzicotto sulla mano.
<< Posso assicurarti che non è un sogno, ti trovi nei giardini del mio castello. >>
E in affetti, guardandosi attorno, il giovane dai capelli rossi e dalla camicia color del cielo si rese conto di essere attorniato da alberi secolari, querce maestose, ciliegi e peschi in fiore, arbusti di rose bianche e nere. Alle sue spalle, a pochi metri dal prato in cui si era risvegliato, si ergeva un immenso palazzo di marmo bianco: una scalinata composta da larghi gradini portava ad uno spiazzo costeggiato da due ringhiere alte non più di un metro, e un’altra breve rampa conduceva davanti al portone di entrata, sovrastato da un balcone imponente. I pavimenti scintillavano, i vetri delle finestre parevano specchi, negli angoli e nei cunicoli non vi era la minima traccia di polvere. Quel palazzo maestoso, dalle colonne doriche e dalle torri irregolari di forme e altezze diverse, era tutto ciò che Hinata non era mai stato abituato a vedere, l’opposto distorto dell’osteria in cui trascorreva le sue giornate.
Lo sconosciuto, con mano ferma, porse a Shouyou una bevanda fumante di colore violaceo. Aveva le unghie curate e dipinte di nero, la pelle diafana e trasparente a tal punto da rivelare la posizione di ogni singola vena e capillare. Era di corporatura snella, gambe lunghe e affusolate, braccia esili ma ben definite, collo candido e tenero. Indossava una giacca bianca a doppio petto, rigida sulle spalle e sul colletto ripiegato, con due file da quattro bottoni argentati ciascuna, simili a pedine della dama; sotto questa una candida camicia di materiale pregiato. In vita una cintura di pelle decorata con pietre che Hinata avrebbe potuto giurare fossero diamanti. I pantaloni, aderenti ma non attillati, della stessa tonalità della neve, restavano infilati in un paio di alti stivali grigi dalla punta a quadrati bianchi e neri. Innumerevoli anelli avvolgevano le sue dita sottili e un foulard di seta bianca con ricami floreali cingeva il suo collo ricadendo mollemente sul gilet.
In testa una corona scintillante a dodici punte realizzata in oro bianco e pietre preziose, tra cui ametiste e madreperle.
<< Bevi questo, ti aiuterà a recuperare le forze >> disse il gentiluomo in modo pacato. Hinata iniziò ad indietreggiare, gattonando a pancia in su.
<< Oh no, io altro alcool non lo bevo! >>
L’uomo si mise a ridere, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
<< È solo succo d’uva, non ti succederà niente >> lo rassicurò, porgendogli nuovamente il bicchiere.
Dopo essersi avvicinato e saziato della bevanda zuccherina e straordinariamente deliziosa, non che rinvigorente, Hinata ringraziò per la premura, si alzò in piedi e porse la mano all’uomo che l’aveva aiutato.
<< Mi chiamo Hinata Shouyou e vengo da Tokyo. >>
<< Tokyo? Che nome buffo da dare ad una città! Io sono la Regina Bianca, e questi sono i miei sudditi. È un onore per me conoscerti. Ti stavo aspettando >> confessò la Regina, abbassando progressivamente il tono di voce.
Hinata fu assalito istantaneamente dal panico: perchè un uomo mai visto in vita sua si era presentato a lui come Regina? Perché sosteneva di averlo aspettato? Dov’era finito? Dove si trovava di preciso questo Paese delle Meraviglie? Troppi interrogativi a cui Shouyou non sapeva rispondere. Spostò lo guardo dalla Regina ai sudditi, dai sudditi alla Regina. Se già i suoi occhi rotondi apparivano strabuzzati, alla vista dei cortigiani che la regina aveva appena definito ‘sudditi’, questi sembrarono schizzargli fuori dalle orbite.
<< Ma voi siete… VOI SIETE DEGLI SCACCHI! >> urlò mettendo una mano davanti alla bocca e puntando l’altra verso le pacifiche personcine, che portavano dei copricapo esattamente identici alle cime dei pedoni, degli alfieri o delle torri. Erano di un inquietante pallore, labbra tinte di nero, vestiti inconfondibilmente di alta sartoria.
<< Ma certo, mi sembrava ovvio. Ma sei forestiero ed è normale che tu non sia abituato a noi e agli individui come noi. Dovrai farci l’abitudine. >>
La Regina aveva una voce melodiosa, equiparabile al suono di un pianoforte intento a suonare un adagio. Una bocca rossa e carnosa incorniciava denti perfetti e bianchissimi, degni delle rare perle dell’oceano. Il naso una piccola appendice aggraziata, punta rivolta verso l’alto. I suoi occhi grandi ed eloquenti, capaci di infondere calma e fiducia, risplendevano grigi sotto i raggi del sole, velati da un sottile strato di tristezza. Intrepido, sotto l’occhio sinistro, un neo perfettamente circolare che pareva disegnato con l’inchiostro, unica macchia scura sulla tela bianca della sua pelle. Le ciocche di capelli che fuoriuscivano dalla corona erano di un grigio chiarissimo, un argento più regale, un bianco più audace.
<< Adesso seguimi, ho bisogno di conferire con te in privato. >>
 
Giunti nella stanza del trono, al terzo piano dell’ala est del palazzo, la Regina Bianca e Hinata si intrattennero a parlare di Shouyou più nel dettaglio. La sovrana gli chiese quanti anni avesse, se lavorasse o semplicemente avesse qualche attitudine speciale, se dormisse a testa in giù o con le gambe a penzoloni, se preferisse giocare a rubaocchiello o a mangiamaffo, se avesse mai nuotato tra le cascate di miele o nel lago di cioccolata. Hinata, ovviamente, seppe rispondere solo alle prime tre domande (che diavolo era un mangiamaffo?). Dopo che la Regina lo ebbe messo a suo agio, o almeno provò a farlo, lo sguardo regale dell’uomo s’incupì, abbassandosi ed offuscandosi.
<< Direi che è giunto il momento di parlare di cose serie, Shouyou. >>
<< Sono tutt’orecchi, Regina >> disse Hinata, divorato da una curiosità lancinante.
<< Si tratta del Re Bianco, mio marito. È sempre stato un uomo coraggioso, un condottiero formidabile in grado di condurre l’esercito di scacchi verso la vittoria senza mai far perdere loro la speranza. Ci capivamo con uno sguardo, prendevamo le decisioni di comune accordo, lui mi proteggeva e mi teneva stretto a sé, con un calore ed una dolcezza insostituibili. Non so se ti è mai capitato di provare una sensazione del genere. >>
Shouyou ci pensò attentamente, arrivando alla conclusione che nessuno l’aveva mai fatto sentire amato in un senso diverso da quello che poteva essere l’attaccamento di Ukai o dei suoi amici. Forse solo durante quella notte in cui aveva abbracciato Kageyama sotto le coperte aveva potuto registrare nel suo cuore una sensazione denominabile sotto il nome di ‘affetto’. Ascoltava con il fiato sospeso, impaziente di scoprire il motivo per cui la Regina si stesse confidando con lui.
<< Un giorno però >> riprese lei dopo che il ragazzo ebbe scosso la testa per dissentire << non lo trovai al mio risveglio, non lo trovai nei giardini, nelle cucine, nella sala da ballo o in riva al fiume. Non lo trovai più, e ancora mi è ignoto il luogo in cui sia nascosto. Alcuni a corte credono che se ne sia andato in cerca di preziose ricchezze, ma io so, sono certo che non è così. Il Re Bianco è stato rapito, e io voglio sapere da chi. Perché non avvertirmi, altrimenti? Perché non portarmi con lui? >> concluse con tono severo, le lacrime agli occhi e le labbra impastate. Mentre parlava muoveva le dita della mano destra in modo armonioso, quasi stesse facendo un incantesimo. In un primo momento Shouyou temette che l’avrebbe trasformato in rospo, o cose del genere, ma poi capì che si trattava semplicemente di un’abitudine.
<< Rapito? E da chi? Ne avete la certezza? >>
<< Ne sono più che certo. Ma per scoprire chi è stato ho bisogno del tuo aiuto >> ammise infine Sua Maestà, fissando con insistenza gli occhi di miele di Hinata.
<< Del mio aiuto? E come faccio io a reperire informazioni su una persona che nemmeno conosco? Non so nemmeno dove diavolo mi trovo… >>
La Regina Bianca si alzò dal suo trono, iniziando a passeggiare avanti e indietro davanti alla seggiola su cui era seduto il garzone.
<< Tu sei il prescelto, Hinata Shouyou. Una veggente che convocai a palazzo, la sera stessa della scomparsa di mio marito, mi disse che nella prima notte di luna piena del mese di Erbmecid, al suo sorgere, giustizia sarebbe stata fatta e la terra  sarebbe ritornata a germogliare. Un nobile ragazzo d’azzurro vestito avrebbe riportato il gioco in atto e i combattenti avrebbero occupato nuovamente le loro postazioni. Tu sei quel nobile ragazzo d’azzurro vestito, tu puoi riportare a casa il Re. Addentrati nella foresta e lo troverai. >>
La Regina gli strinse le mani, fissandolo con occhi supplichevoli.
<< Ma non posso essere io. Non sono un nobile ragazzo, faccio il garzone in una bettola nella periferia di Tokyo! >>
Sebbene Hinata stesse sbraitando, la Regina manteneva la calma. Aveva sollevato le sopracciglia grigie facendole convergere in un’espressione dispiaciuta, il neo alla base dei suoi bulbi accentuava la malinconia del suo sguardo.
Era possibile che uno sconosciuto (anche abbastanza bizzarro) potesse fargli provare così tanta pena? Non aveva mai incrociato degli occhi così grandi e profondi, sinceri e disperati. Il ragazzo scosse la testa, inspirando ed espirando rassegnato. Stava davvero per dare una possibilità alla Sovrana, stava davvero per darla a se stesso?
<< Fatemi capire, Maestà, dove devo andare? E quanto tempo ho per riportare qui il Re, ammesso che lo trovi? Quand’è la prima notte di luna piena? >>
L’espressione della Regina mutò al suono di quelle parole. La bocca si sollevò in un sorriso storto, un brivido bollente e adrenalinico percorse la sua schiena diafana, costellata da piccoli nei. Finalmente, aveva una speranza.
<< Di questo non ti devi preoccupare, incontrerai chi saprà fornirti tutte le informazioni necessarie. >>
La regina schioccò le dita con lo sguardo piantato negli occhi di Hinata. Non appena il movimento fu portato a termine, il palazzo sontuoso e luminoso che circondava Shouyou sfumò per poi scomparire del tutto, catapultando il ragazzo nel bel mezzo di una foresta oscura, debolmente illuminata da luci di cui non si riusciva ad identificare la provenienza.
 
Era tutto così surreale, così stravagante. Hinata aveva sempre pensato che la magia non fosse reale, che tutte le leggende e le storie in cui streghe potentissime lanciavano incantesimi e realizzavano desideri fossero una semplice e stupida invenzione. E invece era tutto vero. E quell’uomo che diceva di essere una regina, finalmente vivo dopo aver smarrito tutte le speranze, l’aveva trasportato tramite un sordo schiocco di dita in un’altra dimensione, in una regione ignota del Paese delle Meraviglie. Contava su di lui e, per come era fatto Shouyou, incapace di arrendersi, questa missione andava portata a termine, la partita a scacchi doveva poter ricominciare e concludersi. L’aveva capito fin dall’inizio del racconto della Regina: il pezzo mancante, il Re, era lo stesso che mancava all’inizio della sua partita a scacchi con Kageyama. Non pensava fosse solamente una coincidenza.
<< Perfetto. E adesso dove vado? >>
Il punto della foresta in cui l’aveva abbandonato la Regina era davanti ad un bivio. Alberi immensi, alti ed imponenti, dalle foglie verdi e viola, sovrastavano il minuscolo corpo del garzone, impedendogli di vedere il cielo, ammesso che ci fosse. Luci artificiali, luci fasulle. Come poteva il suo volto essere illuminato dal momento che l’etere era nero quanto il carbone? E le foglie degli alberi, di un violetto opaco e compatto, che fossero state dipinte con la vernice? Alternandosi al verde degli altri arbusti, il gioco di luci e colori era incredibile: tonalità accese, fluorescenti, in contrasto con la neutralità del cielo. Il terreno ferroso e sabbioso sporcava le scarpe, pareva un lungo tappeto rosso srotolato per accogliere i forestieri.
<< C’è qualcuno? >> urlò, ricevendo solo la risposta della sua eco. Qualche passo in avanti.
“Da che parte devo andare? Chi mi assicura che andando a destra possa trovare quello che cerco? Dovrei andare a sinistra?”
I pensieri di Hinata si rincorrevano senza mai afferrarsi. La confusione che si stringeva attorno alle sue meningi rendeva difficile qualsiasi decisione.
In quel mondo, dove il cielo e la terra parevano capovolti, dove un silenzio nuovo fischiava nelle sue orecchie, Shouyou stava per prendere la strada più tortuosa, quella di sinistra. Aveva fatto solamente due passi in avanti quando gli toccò fermarsi di nuovo: una presenza fulminea gli sfiorò il fianco, prendendo la strada opposta alla sua.
Era certo che fosse un segno.
<< Scusatemi! Ehi, dico a voi, signore! >> strillò il ragazzo, cambiando improvvisamente strada, inciampando nei suoi stessi piedi. Si mise a correre a perdifiato dietro l’ignota figura, che più che correre pareva alternasse frenetici passi a balzi ampi e controllati. La cosa di cui si accorse quando gli fu a quasi tre metri di distanza, e che lo lasciò letteralmente basito, era che l’individuo che stava ricorrendo, la sua ancora di salvezza, aveva le orecchie, e non delle semplici orecchie umane, ma orecchie da coniglio. Si elevavano bianche e voluminose, soffici e stabili.
<< Non vedi che ho fretta? >> sbottò il Coniglio girandosi verso Hinata. Uno sguardo penetrante ed inaspettatamente profondo lo colpì proprio in mezzo alle costole: due liquidi occhi rosa, un labbro leporino appena accennato e sfacciatamente affascinante, denti grandi e curati, capelli corvini acconciati in modo bizzarro, un ciuffo impertinente nel bel mezzo delle orecchie, un volto pallido e macchiato da una costellazione di lentiggini, che avvicinandosi al naso si faceva sempre più fitta fino a renderlo nero.
<< Volevo solo chiedervi se sapevate dove potessi andare per trovare… >>
<< Non ho tempo! La luna sorgerà tra cinque ore, non ho tempo da perdere, o la Regina mi taglierà la testa! >> lo interruppe il Coniglio Bianco, estraendo dal panciotto lunare un orologio da taschino dorato e scuotendo per l’agitazione la codina morbida, che faceva capolino da un paio di pantaloni grigio topo. Alle zampe, o mani che dir si voglia, portava dei guanti bianchi elegantissimi.
<< La Regina? Quella che… >>
<< La Regina di Cuori, ragazzino! Ora lasciami andare. Povere le mie orecchie, povere le mie basettine! Mi taglierà la testa! >>
E il Coniglio, a grandi balzi, fuggì.
Su quel sentiero impreciso e ciottoloso, sotto quel cielo opaco ed inesistente, Shouyou annaspava con il cuore in gola. La luna sarebbe sorta tra cinque ore secondo ciò che aveva detto il Coniglio, perciò gliene restavano soltanto poche per poter ritrovare il Re Bianco. Nessun’idea, tanta paura, un irrefrenabile desiderio di scappare, un’incontenibile curiosità di andare avanti.
Passo dopo passo, Hinata e i suoi capelli rossi s’incamminarono seguendo pedestremente le orme del coniglio che, tuttavia, a mano a mano si sbiadivano e diventavano sempre più irriconoscibili.
<< Bene, sapendo che ho cinque ore di tempo per trovare una persona che non ho mai visto, parto già svantaggiato. Non c’è nessuno in questo posto, solo alberi e un coniglio dalle fattezze umane, o un umano dalle fattezze da coniglio. Non c’è nemmeno il sole! Sarebbe un giorno questo? Non ho mai visto un giorno senza sole e il sole senza giorno, questo è buffo, buffissimo! Nemmeno più un’impronta di quel coniglio, e adesso come faccio? >>
Mentre Hinata blaterava ad alta voce tutto ciò che gli passava per la testa, sia per tenersi compagnia, sia per pensare meglio, un suono in lontananza giunse alle sue orecchie. Pareva una canzone, una canzone incomprensibile e senza senso.
<< Ma allora c’è qualcuno in questo posto! >> strillò mettendosi a correre nella direzione di quel suono, dopo essersi per un momento perso ad ascoltare da dove provenisse.
Respiri affannosi, vortici di colori e il cielo nero come la pece. Eppure era giorno, eppure qualcuno aveva smantellato il sole. Ma cosa importava? Era necessario scoprire chi cantava, era necessario incontrare qualcuno di rilassato e disponibile per poter proseguire. La voce profonda e melodiosa si faceva sempre più vicina: temette di sbatterci contro per un istante, poi si ricordò che era pressoché impossibile che succedesse, o meglio, in un mondo normale qual era quello in cui era nato.
Dopo qualche minuto arrivò ad un punto tale da poter distinguere ciò che la voce cantava: erano lettere. Trovandosi l’individuo dietro ad un fitto incastro di arbusti e di foglie, Hinata si alzò in punta di piedi, scostò i rami, i fiori e i frutti e una nuvola di fumo fitta quanto la nebbia si stagliò davanti al suo sguardo.

Poi, dopo aver affinato la vista ed aver scostato il vapore con le mani, lo vide.

 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: eccomi qui con il secondo capitolo! Che dire, spero che tutti abbiate riconosciuto chi sono la Regina Bianca, il Re Bianco e il Bianconiglio (troppi bianchi o.o). Sto cercando di essere il più accurata possibile nelle descrizioni perchè la mia intenzione è quella di non nominarli, e lasciare a voi il compito di scoprire chi sono :3 se tutto ciò non è riuscito ditemelo, che vado a correggere e a fustigarmi x) La situazione si fa critica, quindi. Hinata ha poco tempo, e quelli che incontra, almeno per ora, non sono di grande aiuto. Faccio una precisazione: nella profezia della veggente si parla di “terra che tornerà a germogliare”, questo perché il significato del nome del personaggio che interpreta il Re Bianco significa “terra, suolo” (chi sarà mai ohohoh).
E niente, il prossimo capitolo sarà piuttosto mistico, in arrivo altri tre personaggi! Grazie per l’attenzione e come sempre fatemi sapere la vostra, se ci sono errori o quant’altro. Un mega abbraccio! **
_Noodle

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Capitolo 3
*** Chi sei tu? ***


Chi sei tu?





O…U, E, I, O, A… U, E, I, O, A… A, E, I, I, O, U, U…
 
Nascosto dietro ad una coltre di fumo, celato da un vapore biancastro e dalla fragranza speziata, un uomo d’azzurro vestito fumava compiaciuto un narghilè dorato. Canticchiando la sua solenne canzone sulle vocali, portava il bocchino alle labbra sottili per aspirarne l’aroma, un’indifferenza annoiata sul suo volto rilassato.
Hinata, bocca spalancata e occhi fuori dalle orbite, non avrebbe mai potuto immaginare che quell’uomo, la cui voce l’aveva ipnotizzato e condotto fino a quel punto della foresta, potesse essere di tali dimensioni: era alto almeno quattro metri, gambe e braccia lunghissime, fianchi stretti, struttura affusolata e lassa. Se ne stava disteso su di un enorme fungo, una sottospecie di mazza di tamburo molto più grande del normale, e ad ogni vocalizzo vaporose nuvole a forma di lettere fuoriuscivano dalle sue labbra: alcune erano piccole quanto chicchi di riso, altre grandi come ruote di un carro.
L’uomo misterioso pareva un saggio orientale per com’era vestito: un turbante azzurro, attorcigliato come un serpente al ramo, gli cingeva solidamente il capo, una casacca dello stesso colore ma con rifiniture argentate ricadeva molle su un paio di pantaloni gonfi e stretti al livello delle caviglie. Degli scarpini gialli con la punta all’insù ricordavano l’unico ciuffo biondo che fuoriusciva dall’intricata acconciatura. Un’espressione sdegnosa e beffarda accompagnava a tratti l’annoiato cipiglio, tuttavia, era evidente che qualcosa si nascondesse dietro a quello sguardo, dietro a quegli occhiali dalla montatura bizzarra.
<< Ehm… scusatemi, Signore… >> s’intromise Hinata parlando sommesso per non interrompere bruscamente la cantilenante melodia. L’uomo, convinto di essersi immaginato quella voce, non degnò il ragazzo nemmeno di uno sguardo e continuò a fumare il suo narghilè. All’ennesimo richiamo però, fu costretto a ricredersi e si voltò lentamente alla sua destra, in direzione di un vecchio salice piangente. Vedendo la minuta figura del garzone a pochi palmi dalle sue gambe, il saggio aggrottò le sopracciglia bionde e gli occhiali strambi gli scivolarono sul naso.
<< Chi sei tu? >> domandò, puntando il bocchino in direzione di Shouyou come se fosse stata una spada. Il giovane si schiarì la voce: l’imponente presenza di quel gigante l’aveva atterrito, facendogli tremare le corde vocali e le ginocchia.
<< Io mi chiamo Shouyou Hinata, volevo sapere se… >>
<< Non capisco. >>
Il tentativo coraggioso del rosso di parlargli fu stroncato sul nascere. Posizionò le mani sui fianchi e riprese fiato. Come poteva non aver capito? Che senso aveva non aver capito dal momento che non aveva nemmeno completato la frase? Trovava l’atteggiamento dello sconosciuto leggermente sopra le righe, ma tentò di non pensarci.
<< Volevo semplicemente chiedervi se avevate qualche idea di dove potessi trovare il Re Bianco, vengo per conto della sua sposa >> continuò tentennante, cercando di  assumere un’espressione distesa.
<< Spiegati meglio. >>
Questa volta, il saggio sembrò più comprensivo. Non cessò per un attimo di fumare, ma sebbene i suoi occhi guardassero altrove, persi nell’atmosfera, Hinata era certo che lo stesse ascoltando.
<< La Regina mi ha spedito in questa foresta per recuperare informazioni riguardo la scomparsa del Re, e si aspetta che lo trovi entro cinque ore. Il problema è che sono un forestiero, che non ho la più pallida idea di che cosa sia questo Paese delle Meraviglie e che non so che aspetto abbia il Re. E se non fosse vestito in maniera regale? E se non avesse la corona? E se non fosse umano? Come posso riconoscerlo? >> esclamò Hinata dando sfogo alle sue preoccupazioni, gesticolando come un disperato.
<< Bel garbuglio >> rispose l’altro, scivolando mollemente sul suo fungo. Una nuvola di fumo uscì dalla sua bocca serpeggiando, con la mano sinistra ci giocò e l’annodò.
<< Non so spiegarlo più chiaramente, perchè non è chiaro neanche a me! >> confessò Hinata, passandosi una mano dietro la nuca e abbassando lo sguardo.
<< Tu? Chi sei tu? >>
Dopo questo nuovo interrogativo, sguardi che s’incrociarono per la seconda volta, Shouyou si chiese se l’uomo davanti a lui fosse di un livello talmente superiore al suo da non capirlo, o se si stesse divertendo a prenderlo in giro. Come poteva non avere ancora capito chi fosse e che cosa volesse da lui? L’espressione placidamente beffarda non tendeva a scomparire e l’odore forte del fumo faceva pulsare le tempie di Hinata.
<< Beh, potreste prima dirmi chi siete voi >> lo prese in contropiede Shouyou, credendo di attirare maggiormente la sua attenzione.
<< Un’incognita, per ora Brucaliffo >> rispose il saggio, sistemandosi gli occhiali neri con un meccanico gesto della mano.
<< Parlate in modo troppo complicato, non vi capisco! Che significa che siete un’incognita? E perché Brucaliffo? >> chiese con innocenza il garzone, tentando di sembrare il meno petulante possibile. In effetti, Brucaliffo era un nome piuttosto strano per un gigante di quel tipo. Si sarebbe immaginato più un nome come “Il Grande Re del Bosco” o “Il Sapiente delle Meraviglie”. “Brucaliffo” aveva decisamente deluso le sue aspettative.
Dal momento che lo schivo individuo non rispondeva, ma aveva ripreso a canticchiare quella melensa melodia, Hinata iniziò ad agitarsi, convinto che gli stesse facendo perdere del tempo prezioso.
<< Ah, me ne vado, non potrà mai essermi utile uno come voi! >> sbraitò, dirigendosi verso il cespuglio che aveva scavalcato per entrare nel suo territorio. Aveva appena scostato un ramo quando si sentì richiamare con voce ferma ed impostata.
<< Torna qui, ho una cosa importante da dirti. >>
Lì per lì non ci credette.
<< Sentiamo. >>
<< Mai perdere le staffe. >>
Dopo questo consiglio del Brucaliffo, che aveva scandito le parole con enfasi, il ragazzo appurò senza ombra di dubbio che quel tale stesse straparlando, avesse tutte le rotelle fuori posto e si stesse prendendo gioco di lui come nessuno dei suoi amici aveva mai fatto. Nemmeno Tobio l’aveva mai reso oggetto di scherno in quel modo, nemmeno quando gli aveva nascosto tutte le mutande nel cassetto delle tovaglie.
<< Tutto qui? >> domandò incredulo alzando le braccia al cielo. Il Brucaliffo incrociò le gambe e posò il prezioso narghilè a fianco del fungo.
<< No. Mi hai detto che stai cercando il Re. Credo di esserti stato sufficientemente utile, non credi? >>
La pazienza di Hinata giunse al limite. Trovarsi in una foresta senza la cieca sicurezza di riuscire nella missione era frustrante, ma avere a che fare con un perditempo del genere lo faceva andare ancora di più su tutte le furie. Shouyou era così: un ragazzo tutto pepe e tutta adrenalina, incapace di restar fermo ad osservare il cielo, impaziente di alzarsi la mattina per poter rendersi utile. Attendere, per lui, era snervante.
<< Ma non mi avete detto assolutamente niente! >>
<< Questo è perché non sai ascoltare, ragazzino >> ribatté il Brucaliffo, un sorrisetto sghembo sulla faccia e sopracciglio destro inarcato.
<< Io so ascoltare benissimo, siete voi un supponente e stupido uomo! Dovreste far funzionare il cervello in maniera diversa e… e smetterla di fumare quell’affare! Me ne vado! >> gridò il piccoletto, rosso in faccia per l’agitazione.
<< Cos’hai detto? >>
Hinata aveva già dato le spalle al sapiente quando la sua voce profonda gli fece raggelare il sangue nelle vene. Voltò il capo con lentezza, schiudendo leggermente le labbra per lo spavento, il cuore che pompava seguendo un ritmo crescente.
<< Non sopporto chi mi dà ordini o chi mi dice quello che devo fare e tanto meno chi si scalda per così poco. Mai, perdere le staffe, con me. >>
Il Brucaliffo si alzò in piedi, apparendo più minaccioso e più cupo, per niente rilassato o strafottente. Il suo volto diventò sgradevole, brutto a tal punto da risultare raccapricciante. Gli occhi di topazio si annerirono a poco a poco, come se al loro interno fosse stato iniettato dell’inchiostro, e il corpo fragile e lasso parve essere sul punto di esplodere. Shouyou indietreggiava con lentezza, paralizzato dalla terribile sensazione che qualcosa di spiacevole, da lì a poco, sarebbe accaduto.
Il torace del Brucaliffo iniziò ad espandersi, dando l’impressione che le sue membra si sarebbero strappate da un momento all’altro, che la pallida carne che rivestiva le sue ossa si sarebbe lacerata come le fibre di un tessuto. La carnagione grigiastra assunse una colorazione più scura, più tendente al turchese, più tendente al blu.
“Quando le persone si arrabbiano, di solito diventano rosse!” pensò Shouyou. I vestiti, ormai troppo piccoli per l’enorme stazza, caddero a terra a brandelli.
Fu quando le sue gambe iniziarono a rimpicciolirsi, però, che il garzone temette di esplodere in un urlo incontenibile. Al loro posto, dal suo busto e dai suoi fianchi fuoriuscirono mani, polsi e gomiti: dieci nuove braccia, simili a zampe di un bruco, gli costellarono la cassa toracica, le anche mobili, i femori compressi.
Il turbante che gli  circondava la testa si sciolse da sé: tra i biondi capelli dalla radice bluastra, due antenne nere captavano la paura e il disagio di Hinata. 
Un unico tutt’uno, da cui si propagavano innumerevoli appendici, sovrastava il minuscolo corpo del giovane. Annichilito dalla presenza del Bruco, incapace di muovere un passo, iniziò ad emettere suoni confusi e striduli, fiati corti e mozzati si accavallavano l’uno sull’altro senza sosta.
<< Scusate Brucaliffo, io non intendevo… io non intendevo dire quelle cose! >> singhiozzò Shouyou, giungendo le mani in segno di supplica.
Ma al gigante blu tutto ciò non importava e con uno scatto imprevedibile strisciò verso i suoi piedi, pronto per afferrarglieli e strapparglieli senza pietà. Hinata, per ovvie ragioni, si mise a correre combattendo il tremendo formicolio che attanagliava il suo corpo.
Per sua fortuna era molto piccolo, per sua fortuna era molto veloce.
Scavalcò radici, inciampò tra foglie suicide, schivò alberi, si ferì tra le spine dei rovi, rotolò sulla terra rossa, si arrampicò sui rami di piante che credette non avrebbe mai visto, ansimò violentemente, pianse lacrime sfiduciate e pungenti, rantolò decine di parole incomprensibili. Latrati sguaiati graffiavano le pareti della sua gola come lame affilate e il tremendo timore di poter essere divorato da un Bruco gigantesco gli aveva gradualmente prosciugato le fauci. Hinata non era un predatore, sarebbe stato fagocitato da un momento all’altro.
Interruppe la frenetica fuga e si voltò indietro non appena il fruscio e lo scalpiccio delle dieci zampe sul terreno si fece più flebile, fino a scomparire.
Ed effettivamente, il Brucaliffo non c’era più. Solo una farfalla celeste a svolazzargli sopra i capelli arruffati.
Cadde a terra, privo di forze, come corpo morto.
 
Shouyou non ricordava di essere svenuto nel bel mezzo di una pozza di fango. Non ricordava di essere svenuto, in verità. Il Brucaliffo, però, se lo ricordava alla perfezione: le sue zampe, le sue antenne, il rumore dei suoi passi. Quanto tempo aveva passato a terra con i capelli nella melma e le gambe intorpidite? Quanti secondi, minuti o ore erano trascorsi? Era ancora in tempo? La luna non era sorta e questo gli faceva ben sperare.
La farfalla celeste che aveva visto prima di perdere i sensi era ancora accanto a lui. Hinata non era di un’intelligenza acuta e raffinata, arrivava alle cose gradualmente, analizzandole a poco a poco; quando ricomponeva il puzzle di idee che si raffazzonavano nella sua mente, finiva per brillare e per comprendere a pieno ciò che gli capitava, e per queste ragioni non riuscì a collegare immediatamente la figura della farfalla alla figura del Brucaliffo. Era diventato una bellissima crisalide e inconsapevolmente Hinata si mise a seguirlo, incantato dal suo delicato movimento d’ali.
<< E adesso? Dove vado? Se il prossimo che incontrerò non mi darà una risposta precisa, può anche sparire immediatamente dalla mia vista! >>
Ormai aveva preso l’abitudine di parlare da solo, ma in quel mondo di matti non sembrava cosa strana.
La risposta ai suoi pensieri arrivò il più presto del previsto, poiché davanti ad un tronco di quercia abbattuto due ragazzi vestiti in modo eccentrico lo fissavano  sorridenti.
“Oh, e adesso chi sono questi due?” pensò Hinata, sollevando gli occhi al cielo e pregando che non fosse l’ennesimo buco nell’acqua. Si avvicinò a loro, i quali non sembravano animati da alcun afflato vitale. Parevano due fantocci, due pupazzi messi ad aspettare qualche sventurato per poter rallegrarlo. In effetti Hinata, davanti a quei due gemelli eterozigoti, vestiti con una maglia a righe orizzontali bianche e nere (che personalmente non aveva mai visto), pantaloni scuri a vita alta e bretelle rosse, si mise a ridere. Non potevano sembrare meno ridicoli di lui.
<< Pincopanco e Pancopinco >> lesse il ragazzo sulle loro bretelle. Pensò che dovessero essere certamente fratelli per il modo in cui sorridevano, amici o complici per le differenze fisionomiche che li contraddistinguevano. Uno, alto almeno un metro e settanta, aveva i capelli cortissimi, alti non più di due dita, di un castano talmente chiaro da sembrare grigio; l’altro, basso meno di un metro e sessanta, sfoggiava un’acconciatura eccentrica e stravagante, i capelli tirati in su e un orgoglioso ciuffo giallo nel bel mezzo del capo. Occhi grandi, gioviali, giocherelloni.
<< Se ci credi burattini dovresti pagare per vederci >> disse improvvisamente Pancopinco.
<< E se ci credi persone viventi dovresti salutarci! >> completò Pincopanco.
Per l’ennesima volta nel corso della giornata, se così poteva essere definita, Shouyou sbarrò gli occhi, stupendosi del cambiamento repentino dei due individui di fronte a lui. Erano passati dalla staticità alla cinesi in modo impercettibile, e pensare che aveva pensato fossero davvero dei burattini!
<< Oh, beh, piacere di conoscervi, ma ho parecchio da fare >> rispose Hinata lasciandosi scappare un cordiale sorriso.
<< Tu cominci alla rovescia >> ribatté il piccoletto afferrando Hinata per il polso.
<< La prima cosa da fare facendo conoscenza è stringersi la mano! >> e Pincopanco, con una stretta vigorosa, trascinò il garzone nel bel mezzo di una danza delirante, in cui per poco i due fratelli non gli staccarono un arto. Saltellavano, piroettavano, cantavano in modo sguaiato; una presentazione a cui Hinata non aveva mai assistito in vita propria. Sebbene strana era stata divertente e gli aveva permesso di rilassarsi dopo lo spavento preso per il Brucaliffo, ma… no, non poteva succedere, stava perdendo tempo!
<< Voi non capite! Io me ne devo andare! Devo cercare di salvare un Re prima che succeda qualcosa di terribile! >>
<< Terribile? Di che tipo? >> incalzò Pancopinco, massaggiandosi il mento con la mano destra e appoggiandosi ad un albero.
<< Terribile quanto il cerume che fuoriesce dalle tue orecchie? >>
<< O quanto i capelli arancioni che ti ritrovi in testa? >>
<< Oh! Giochiamo a nascondino, sicuramente lo scoveremo subito! >>
I due continuarono a scherzare, dandosi sonore pacche sulle spalle e soffocandosi nelle loro stesse risate. Hinata, dopo che le sue orecchie e i suoi capelli vennero tirati in mezzo, assunse un broncio invidiabile, ricordandosi di che cosa aveva pensato tra sé e sé poco prima: se ne doveva andare e seminare quei due esseri fastidiosi.
<< Smettetela, vi prego, me ne devo andare. Mi restano non so quante ore per trovare il Re Bianco e le uniche persone che io abbia incontrato per adesso sono un Bruco omicida e un Coniglio con l’ansia che gli venisse tagliata la testa! >> confessò Shouyou, sperando che potessero sorprenderlo e dargli qualche utile consiglio.
<< Oh, dovresti averne paura anche tu. Non sai a quanti hanno tagliato la testa qui >> commentò enigmatico Pancopinco.
<< Cosa intendete dire? >>
I due si guardarono negli occhi, strizzandone uno. Si schiarirono la voce, sistemarono le bretelle e assunsero una posa da attori professionisti, le labbra protese in avanti e gli occhi chiusi in atteggiamento concentrato.
 
Al fiume ormai in grembo,
Nascosto sotto un nembo,
Un rospo irriverente
Mangiava avidamente.
Pareva un’ingiustizia,
Un abuso di letizia,
Il fulmine gridò
E il capo gli mozzò.
Da lì non ci fu pace,
Il vento era un rapace
Tagliava e sminuzzava,
Il sangue zampillava.
Il corvo zoppicante
La testa tranciò al fante,
La lama abbandonata
Feriva ed amputava.
Banane e ciambelle,
Poltrone e favelle,
O, U, E,
P, Q, ERRÈ,
I cuochi finivano sciroppo,
I fabbri battevano anche troppo,
La strage imperversava,
Persino l’alfabeto di alcune lettere mancava.
La gente fu avvisata,
In casa rintanata,
Bandita la cupidigia,
Defunta l’ingordigia.
E il rospo c’insegnò,
Mai più lui gracidò.
 
Il ragazzo fu colto da un capogiro improvviso in seguito alla filastrocca. Il pensiero che la Regina di Cuori potesse tagliargli la testa era a dir poco raccapricciante. Non l’aveva ancora conosciuta e già la temeva: doveva essere un vero e proprio pericolo per il Paese delle Meraviglie.
<< Quindi dite che il Coniglio ha ragione? La Regina di Cuori potrebbe tagliargli la testa? E potrebbe farlo anche a me? >> balbettò sudando.
<< Assolutamente sì >> decretarono all’unisono, annuendo contemporaneamente.
<< Voi non sapete nulla? Non potete aiutarmi? >> supplicò Shouyou, i vestiti sporchi e gli occhi imperlati di lacrime.
I due gli si avvicinarono, mettendogli le braccia attorno alle spalle.
<< Goditi il viaggio. >>
<< Non pensare troppo al tempo che scorre! >>
<< Se ti dimenticherai di ciò che devi fare, sicuramente arriverai dove vuoi. Quando perdi una cosa la trovi solamente quando non la cerchi. >>
Hinata, a pensarci bene, aveva ritrovato innumerevoli oggetti perduti nei momenti più impensabili ed inaspettati. Aveva una tremenda paura di ciò che lo circondava, delle persone che stava incontrando, di chi non aveva ancora conosciuto e della missione che avrebbe dovuto portare a termine. Continuare a chiedere insistentemente aiuto e non trovare risposte lo stava facendo impazzire e il consiglio dei due fratelli, in fin dei conti, gli pareva il più assennato. Avrebbe continuato per la sua strada senza far domande e, forse, in questo modo, avrebbe ritrovato il Re.
Era un salto nel buio, ma a Shouyou piaceva rischiare.

 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: capitolo aggiornato! ^^ Scriverlo è stato il più difficile del previsto, in particolare riadattare i dialoghi dei libri e del cartone animato alle circostanze. Bel garbuglio, non è vero? Hinata non sa dove si trova e quanto tempo manca al sorgere della luna piena, ma a quanto pare da questo momento in poi l’avventura prenderà una piega diversa. Spero che anche in questo caso l’associazione dei personaggi vi sia piaciuta, io personalmente li trovo azzeccati, soprattutto il Brucaliffo (più caratterialmente che fisicamente). Dal prossimo capitolo meno domande e più deliri, anche se la strada verso il Re è ancora lunga. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come al solito lasciatemi in una recensione cosa ne pensate! Grazie a chi segue, legge, preferisce, mi fate venir voglia di continuare a scrivere all’infinito! Un abbraccio <3
_Noodle

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Capitolo 4
*** Io sono matto, tu sei matto. ***


Io sono matto, tu sei matto.
 
 
 
 
 
Il terreno, oltrepassato il rettangolo di prato di Pincopanco e Pancopinco, dava l’impressione di essere più secco che da altre parti. Il pulviscolo rossastro levitava nell’aria e s’insinuava nelle narici, qualche granello argilloso a contatto con le pupille faceva lacrimare sensibilmente gli occhi.
Hinata, accomiatatosi dai due fratelli, che aveva salutato con molteplici strette di mano e pacche sulle spalle, aveva compreso di sentirsi meglio: era più tranquillo e più consapevole, sereno e determinato nell’affrontare un viaggio che si prospettava di essere sempre più complicato. Pincopanco e Pancopinco non erano due pozzi di conoscenza, questo gli era parso evidente sin dal primo istante, ma erano buoni, maledettamente positivi e complicati a tal punto da far apparire le cose più difficili delle vere e proprie bazzecole. I loro sorrisi avevano spazzato via la paura dal cuore del ragazzo e si era intrufolato in lui il verme della curiosità, il brivido dell’audacia.
Tuttavia, concentrato com’era a non pensare a quello che doveva fare, a lasciare che gli eventi si susseguissero naturalmente, non era stato capace di alzare la testa e di contemplare il cielo sopra di lui, convinto in cuor suo che non esistesse; aveva assunto una posizione gobba e ricurva, sguardo rivolto verso il basso e passi cadenzati. Concentrato com’era a non pensare a quello che doveva fare, a lasciare che gli eventi si susseguissero naturalmente, non aveva notato che a pochi metri dalla sua nuca qualcosa era appena apparso.
Appeso a due fili invisibili, fluttuante nell’etere nero, uno spicchio di luna si affacciava timidamente sul Paese delle Meraviglie.
Sottile e spaventosa, simile ad una culla, ad una parentesi capovolta, emanava una luce opaca, incapace di illuminare persino le fronde degli alberi più alti. Fasulla, artificiale e ferrosa, lontana anni luce dalla luna del vero mondo, questa era incredibilmente bassa, sproporzionata e storta; sembrava fosse sorta dal terreno e non fosse riuscita ad elevarsi, pareva coricata sull’atmosfera impalpabile. Era spaventevole e se solo Hinata si fosse accorto della sua presenza a tempo debito avrebbe accelerato il passo. Impegnato a distrarsi, era intento a pensare a tutt’altro che alla sparizione del Re. “Quando perdi una cosa la trovi solamente quando non la cerchi” si ripeteva compulsivamente, occhi ridotti a due fessure.
 
Passi. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra. Passi. Passi. Passi, passi, passi. Destra, sinistra, destra…
 
Incedere interrotto da un miagolio, un roco richiamo ovattato dalle folte fronde degli alberi.
 
<< Un gatto? Qui? >> bisbigliò Shouyou fermandosi improvvisamente, cercando di individuare il posto in cui avrebbe potuto trovarsi l’animale. Movimenti bruschi del capo s’intervallavano a battiti di ciglia frenetici. Restò immobile per qualche istante, poi, non giungendo più alcun rumore alle sue orecchie, il ragazzo continuò a camminare, ignorando i molteplici cartelli affissi agli alberi, che consigliavano di proseguire “in su”, “in giù”, “indietro” o “di lato”.
Fu un secondo richiamo ad attirare maggiormente la sua attenzione e a fargli venire i brividi a fior di pelle: era come se la bestiola avesse miagolato a pochi centimetri dal suo orecchio, un fiato leggero e profumato aleggiava attorno al suo padiglione roseo.
Era indiscutibilmente e spaventosamente reale.
Hinata voltandosi in direzione del respiro sussultò, ferendo l’aria con le mani in un gesto scoordinato e nervoso. Avrebbe voluto acchiappare qualcosa, palpare una presenza invisibile, ma niente di tutto ciò accadde, se non un accelerare incontrollabile dei battiti cardiaci: era terrorizzato da ciò che non poteva vedere, da ciò che non poteva controllare.
E fu in quell’istante di allerta e di tensione estreme che finalmente, senza realizzarlo immediatamente, la vide. Quella luna bidimensionale e surreale si stagliava a pochi metri dal suo viso, sfidando il suo sguardo innocente. In quel mondo in cui tutto era buffo, persino la luna risultava simile ad uno scarabocchio di un bambino. Era troppo per la mente mediamente razionale di Hinata.
Le pulsazioni del suo cuore si fecero sempre più febbrili, il respiro mozzato, gli occhi e le labbra tremanti. Aveva perso tempo, era in ritardo: la luna aveva incominciato a sorgere. Attratto da quell’inconsueto oggetto celeste, tese una mano in avanti desiderando sfiorarlo con la punta delle dita; quando fu quasi sul punto di farlo, Hinata si accorse che i lembi all’insù del geometrico astro avevano preso a farsi sempre più curvi, quasi come se stesse sghignazzando.
E sghignazzava per davvero: l’iniziale omogeneità biancastra aveva iniziato a farsi più striata, fino a dividersi in veri e propri parallelepipedi. Questi cambiarono forma, facendosi più aguzzi ed affilati, e senza che Shouyou potesse rendersene conto, quella che pensava fosse la luna, la tanto temuta luna, risultò non essere altro che un sorriso, un ghigno divertito.
<< Ben trovato, forestiero >> salutò dolcemente la bocca fluttuante.
Hinata soffocò un urlo stridulo coprendosi la bocca con le mani, terrorizzato dall’inquietante smorfia. Tentò di razionalizzare ciò che vedeva davanti a sé, ma come poteva farlo, cosa c’era di razionale in dei denti a mezz’aria? Cosa in una bocca più grande della sua testa? Cosa in tutto quello a cui aveva assistito fino a quel momento? Voleva parlare, ma non ci riusciva, suoni e parole asfissiate da un cordiale benvenuto.
La bocca fluttuante aveva iniziato a rimpicciolirsi, assumendo le dimensioni di una bocca normale. Lentamente ed impercettibilmente, attorno ai lembi arcuati delle labbra, iniziò a delinearsi la sagoma di un volto, il profilo di un naso, il contorno di due occhi felini, iridi gialle, pupille allungate. La pelle che ricopriva le ossa del cranio dello sconosciuto non era di un colore ordinario, ma di rosa sporcato con un viola chiaro, una sfumatura fluida, particolareggiata, che nella Tokyo di Shouyou avrebbe probabilmente identificato il volto di un malato. Poi, attaccato ad un collo lungo e tenero, apparve un corpo muscoloso e costellato da graffi profondi: ferite di diversa misura comparivano a mano a mano che la sua struttura emergeva dall’oscurità. Unghie lunghissime, gambe atletiche e postura tipica del predatore. Solo dei pantaloni aderenti che arrivavano fino al ginocchio coprivano lo statuario fisico, la pelle livida e multicolore. Una coda lunga ed affusolata che spuntava dal coccige bucava il sottile strato di stoffa e delle orecchie a punta incorniciavano il volto sbucando da una folta chioma di capelli neri. Un ciuffo corvino ricadeva mollemente sull’occhio destro.
<< Oh! Ma quindi tu… quella non era… >> balbettò Hinata indietreggiando, allucinato dal fatto che il miagolio provenisse dalla bocca di quell’uomo.
<< Hai confuso il mio sorriso per la luna, non è vero? Ci cascano tutti ed è estremamente divertente >> ridacchiò, arrampicandosi con maestria sul ramo di un albero dal tronco verde. Aveva le piante dei piedi e delle mani incrostate di sporco, anni di terriccio e di detriti incastonati tra i pori della pelle.
<< Non direi, mi sono preso un brutto spavento >> commentò Shouyou scuotendo la testa.
<< Come mai? >>
Il ragazzo inspirò, pronto per raccontare per l’ennesima volta il motivo per cui aveva intrapreso il suo viaggio.
<< Entro il sorgere della luna devo ritrovare un Re scomparso. Ma adesso che ci penso… nessuno aveva mai parlato di un quarto di luna, ma di luna piena. Mi assicuri che non è ancora sorta? >> chiese speranzoso, allungando le braccia lungo i fianchi e aprendo le dita delle mani.
<< Se non la vedi, allora non c’è. >>
Il gatto, sorriso che non si decideva a scomparire, si sdraiò comodamente su un ramo, attorcigliando la lunga coda ad una fronda sotto di sé. Il colore violaceo della sua pelle si era fatto decisamente più inquietante nella penombra.
<< Chi sei? >> chiese Hinata.
<< Io sono un gatto. E tu? >>
<< Io sono un ragazzo. Avrei voluto farti tante domande, ma devo reprimermi dal farlo >> confessò Shouyou, occhi bassi ed espressione dispiaciuta.
<< Saggia scelta, sono un tipo piuttosto svanito io >> rispose il Gatto ridacchiando, facendo scomparire all’istante le sue braccia per dimostrargli che non stava mentendo. Shouyou sobbalzò disgustato nel vedere il suo corpo amputato.
<< Com’è che cammini su due zampe invece che su quattro, hai i capelli e sai parlare? Non è normale per un gatto tutto ciò! E poi dovresti essere decisamente più piccolo >> commentò il ragazzo, che pensò che d’altra parte non lo era nemmeno avere le mani o i piedi e non quattro zampe tutte uguali.
<< Ed è normale per un umano parlare la lingua di un gatto? Potresti essere tu quello diverso. >>
<< Non direi proprio! >>
Il felino saltò giù dall’albero, avvicinandosi a Hinata. Non appena fu davanti al suo volto, venti centimetri buoni di differenza nell’altezza, gli sollevò il mento con un artiglio, il quale, a contatto con la pelle candida di Shouyou, iniziò a scomparire.
<< Ehi, aspetta! Dove vai! >> si lamentò il rosso, estremamente affascinato dalla filosofia del predatore e dal suo sorriso sornione. Sebbene la sua presenza fosse decisamente imponente, essa non era stata in grado di metterlo a disagio, anzi, l’aveva catturato come nessuna creatura incontrata prima di allora.
Hinata vide le impronte dei piedi del Gatto stagliarsi sul terreno e procedere in direzione di un altro albero.
<< E tu? Dove stai andando? >> domandò il felino ricomparendo ai piedi di una magnolia.
<< Io non lo so. Mi basta andare, mi basta arrivare. >>
<< Allora fai bene a non preoccupartene. Metti un piede davanti all’altro e giungerai in qualche dove. Da quella parte abita il Cappellaio Matto, ad esempio, e da quell’altra la Lepre Marzolina >> spiegò l’animale dalla capigliatura curata, indicando con gli artigli affilati da una parte e dall’altra. Hinata aggrottò le sopracciglia confuso, sorpreso dai bizzarri nomi dei due individui che il Gatto gli aveva appena presentato.
<< Oh, no, per favore, non voglio finire di nuovo in mezzo ai matti! >> esclamò introducendo le dita nei capelli scompigliati. Il Brucaliffo, Pincopanco e Pancopinco, il Coniglio Bianco e la Regina Bianca non si erano dimostrati sani di mente e ulteriori piantagrane gli avrebbero confuso ancora di più le idee, che erano già di per sé ingarbugliate.
<< E’ inevitabile, ragazzo >>
<< Perché? >>
<< Perché noi siamo tutti matti qui. Io sono matto, tu sei matto, persino le tue scarpe lo sono diventate >> aggiunse serioso il Gatto, cancellando per un istante l’inquietante sorriso dal suo volto. Shouyou prese a grattarsi il capo sempre più titubante. Non si sentiva per niente matto, al contrario, pensava che fossero gli altri ad esserlo. Tuttavia, avrebbe potuto giurare che quel gatto dagli occhi profondi e magnetici non fosse, in fin dei conti, così folle. Aveva una consapevolezza particolare nell’incedere, nel parlare e nel miagolare debolmente nelle piccole orecchie di Hinata. Sembrava che ciò che dicesse, sebbene completamente senza senso, fosse per lui inequivocabilmente ragionevole, indubbiamente logico. Se Pincopanco e Pancopinco avevano disteso i suoi nervi e l’avevano ricolmato di coraggio, il Gatto gli aveva trasmesso tranquillità e fiducia, gli aveva infuso pace e conforto e anche per questo, sentendosi a suo agio, non gli era balenata nel cervello la cortese maniera del dare del “voi”.
<< Come fai a sapere che sono matto? >> chiese umilmente, fissando le sue iridi ovali.
<< Semplice, perché sennò non saresti venuto qui >> concluse il Gatto, arrampicandosi nuovamente.
<< E come fai a sapere che anche tu sei matto? >>
<< Semplice: quando sono felice ringhio e quando sono triste scodinzolo, al contrario dei cani, che matti non sono e che, infatti, non vivono qui. Mi pare una motivazione più che soddisfacente >> spiegò il felino giocherellando con la sua coda e contraendo le dita dei piedi sudici.
<< Se lo dici tu >> concluse il garzone sollevando le spalle, dubbioso. Osservò il paesaggio attorno a sé, diventato oramai famigliare. Non riusciva a comprendere da quanto tempo si trovasse lì, quante ore fossero trascorse da quando la Regina Bianca l’aveva spedito in cerca del suo prezioso sposo. Se solo non avesse avuto fretta, si sarebbe fermato a parlare ore con il Gatto e, probabilmente, sarebbe ritornato a far visita ai due fratelli dalle bretelle rosse; l’unico di cui non sentiva la mancanza era il Brucaliffo, per evidenti e ragionevoli motivi.
Se inizialmente quel luogo l’aveva terrorizzato, ora iniziava a sentirsi parte di esso, a comprendere che gli sarebbero capitate cose che nel suo mondo non sarebbero mai accadute, a riconoscere che creature bizzarre ed inimmaginabili avrebbero potuto planargli sulla testa o strisciare tra i suoi piedi. Iniziava a sentirsi importante, un paladino, l’eroe di una missione da portare a termine. Aveva paura, ma non aveva timore. Era adrenalinico.
I movimenti fluidi del gatto, così contorti e così inconsueti, lo affascinavano ed ammaliavano, il suo sorriso sfrontato aveva saziato la sua fame di attenzioni.
<< Oggi vai a giocare a croquet con la Regina di Cuori? >> chiese la bestia nascondendosi dietro ad un tronco d’albero. La testa era ben visibile, la gambe non c’erano più.
<< Con la Regina di Cuori? Oh no, ho il terrore di quella donna, si dice che abbia il vizio di tagliare la testa a chiunque! >> farfugliò Shouyou, i denti che battevano e lo stomaco che si contorceva. Perchè mai avrebbe dovuto incontrarla?
<< Spero che non mozzi quella del Coniglio Bianco, visto il passo a cui andava… >> soffiò il felino con lo sguardo basso e gli artigli sguainati. Shouyou, sentendo nominare il Coniglio, spalancò gli occhi e sorrise.
<< Hai visto il Coniglio? E dove andava? Andava da lei? >> Hinata si era avvicinato alla bestia, convinto che avrebbe ricevuto risposte spontanee e sincere.
<< Chi? >> rispose invece il suo interlocutore.
<< Il Coniglio! >>
<< Quale Coniglio? >>
<< Il Coniglio Bianco, me l’hai appena detto! >>
Il Gatto, assunto nuovamente il suo ghigno caratteristico, sembrava essersi dimenticato di qualsiasi cosa. Sollevò le spalle come per dire “decisamente svitato, questo qui”; poi scese dall’immensa magnolia dai fiori candidi e si diresse in direzione del sentiero che aveva percorso Hinata per arrivare fin da lui.
<< Nel caso cambiassi idea, ci vediamo al palazzo della Regina, io sarò lì. E non mi farei intimidire, le sue partite sono sempre molto avvincenti >> cercò di spronarlo il Gatto, strofinandosi le mani l’una contro l’altra ed inumidendosi le labbra con la lingua ruvida, mostrando due canini affilati e bianchissimi dalla parvenza famelica.
<< Credo che ne farò a meno >> rispose sottovoce il ragazzo, sorridendo cordialmente e socchiudendo gli occhi.
<< Comunque, se volessi saperne di più su quello che cerchi, alle cinque in punto il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina ti aspetteranno per il tè. >>
Gli occhi di Shouyou s’illuminarono e s’ingrandirono, riempiendosi di meraviglia e di una gioia incommensurabile. Erano riconoscenti, più di mille parole.
<< Grazie! Mille grazie… Come ti posso chiamare? >>
<< Stregatto andrà più che bene. >>
E il felino, in men che non si dica, scomparì.
 
 
 
<< Ho visto tanti gatti senza ghigno, ma mai avevo visto un ghigno senza gatto! >> commentò a voce alta il rosso non appena fu rimasto solo. Davanti ai suoi occhi, a pochi metri dall’albero sul quale si era arrampicato lo Stregatto la seconda volta, si ergevano due cartelli in legno, conficcati nel terriccio arido.
 
CAPPELLAIO MATTO --> 
<-- LEPRE MARZOLINA
 
Dal momento che entrambe le direzioni convergevano in uno stesso punto, Hinata decise di seguire la strada che si apriva davanti a lui, fiducioso e speranzoso che gli individui che avrebbe incontrato fossero matti quanto lo Stregatto, ossia di una pazzia tollerabile. Perché credeva che il felino fosse un folle non totalmente folle? Da che cosa l’aveva intuito? Perché pensava di poter credere alle sue parole dolci e rassicuranti? Istinto o confusione? Era davvero diventato matto anche lui?
Fischiettando in direzione del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina (“chissà dove abitano” si chiese), si accorse che impresse sul terreno vi erano delle impronte. Erano lunghe, spesse e profonde. Probabilmente erano state lasciate da qualcuno che aveva molta fretta, da qualcuno che non aveva tempo da perdere, vista la ferocia con cui erano state stampate. Il loro contorno non era preciso, ma frastagliato ed irregolare. L’individuo a cui appartenevano sicuramente aveva corso, o meglio aveva eseguito grandi balzi disperati.
<< Il Coniglio… è passato di qui >> commentò Hinata, chinatosi per tastare il terreno. Non che quell’informazione potesse essergli particolarmente utile, ma poteva considerarsi un buon indizio per comprendere da che parte non dovesse andare per giungere al castello della Regina di Cuori. Le impronte proseguivano nell’unica direzione possibile, quella diretta nei luoghi abitati dal Cappellaio Matto e dalla Lepre Marzolina.
Era arrivato il momento di prendere il tè? Hinata cercò di fare un calcolo approssimativo dell’ora, ma non essendoci orologi in quel posto il calcolo risultava veramente complesso.
Seguì le orme del coniglio.
Udì suoni e respirò fragranze, sul suolo si susseguivano minuscole gocce argentate e saltellanti, molto diverse ed incostanti rispetto alle briciole di pane di Pollicino.
 
Poteva essere musica quella che proveniva da lontano? Potevano essere luci colorate quelle che imbrattavano gli alberi? Che suoni bizzarri e poco soavi, che frequenze assordanti, che tonalità sature e scintillanti!
Una coltre di vapore a circondare le chiome degli alberi.
Quello che gli occhi di Hinata avrebbero ammirato era un delirio scoppiettante ed euforico, ai limiti del surreale. Fuochi d’artificio colorati ad accompagnare una musica allegra e spiritosa, tazze da tè scaraventate al suolo e ridotte in mille pezzi, fischi acuti e perforanti di teiere in ebollizione, risate incontrollate e stonate.
Se Shouyou aveva pensato che le persone che avrebbe incontrato sarebbero state della stessa risma dello Stregatto, si era sbagliato di grosso: aveva fatto un enorme buco nell’acqua o, per la precisione, in una bollente tazza di tè.

 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: buon pomeriggio bellezze! ^^ Ecco qui il quarto capitolo, dedicato interamente a quello gnocco dello Stregatto. Personalmente non sono estremamente soddisfatta di ciò che ho scritto, benché lo Stregatto sia uno dei miei personaggi preferiti; magari è solo la mia visione distorta. Sarei davvero felice se mi diceste cosa ne pensate e se il capitolo vi è sembrato fluido come gli altri.
Per il resto, Hinata finalmente inizia a tirare fuori il coraggio e a mano a mano che procede si sente più confidente. Speriamo che il tè delle cinque non sia deleterio per la sua sanità mentale ;)
Per chi non l’avesse capito, le goccioline saltellanti che indicano la strada verso il Cappellaio e la Lepre non sono altro che gocce di mercurio: usato dai cappellai nella lavorazione dei cappelli, il mercurio è un elemento volatile che produce delle sostanze nocive che, si diceva, rendessero i cappellai matti.
Lasciandovi con l’attesa per il nuovo delirante capitolo, vi ringrazio nuovamente e spero che anche questo folle capitolo vi sia piaciuto.
Un abbraccio gattoso :3
_Noodle

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Capitolo 5
*** Non c'è posto qui! ***


Non c’è posto qui!
 
 
 
 
 
Ciò che lo disturbò maggiormente fu la musica.
Nessun musicista si stava dilettando a suonare dal vivo, e questo era facilmente intuibile dalla scarsa profondità dei suoni, ma la coinvolgente melodia, dato l’alto volume, doveva essere probabilmente riprodotta da un grammofono delle dimensioni di una carrozza. Shouyou, a mano a mano che si avvicinava alla residenza del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina, tentava di riconoscere gli strumenti che si susseguivano e che componevano l’allegra canzone, ma riuscire nell'impresa gli risultava particolarmente difficile: c’era un contrabbasso, sicuramente un pianoforte e dei tromboni, ma come poteva un tamburo emettere un suono tanto ovattato e bidimensionale e un clarinetto regalare tonalità pulsanti e surreali? Eco, sibili ed effetti sonori mai uditi, metrica sconclusionata, ripetizioni martellanti.
Quanto sarebbe stato speziato il fatidico tè delle cinque?
Proseguendo in direzione della dimora dei due misteriosi individui, la melodia si faceva sempre più limpida e, a dirla tutta, risultava all'udito non poi così sgradevole; era solo molto più rumorosa e diversa dai motivetti che Hinata era solito apprezzare e fischiettare. Ormai aveva capito che nel Paese delle Meraviglie tutto era inverosimile, quindi la musica che si ascoltava non poteva che essere al limite dell’onirico.
Le piccole e lucenti goccioline, che il ragazzo aveva pedestremente seguito per tutto il sentiero, nelle vicinanze di un alto cancello ferroso cessarono di manifestarsi: a quanto pare era giunto a destinazione. Non appena alzò lo sguardo da terra, ciò che vide fu un caleidoscopio vorticoso composto da una miriade di tonalità e di sfumature folgoranti. Aprì il cancello cigolante con mano incerta e s’introdusse nel cortile della casa dei due folli complici. Un lungo tavolo di legno, ricoperto da una tovaglia che sembrava essere stata tinta con del vino, faceva da tappeto rosso ad almeno un centinaio, ma forse anche un migliaio, di tazze da tè, teiere, bicchieri, piatti, posate, torte, pasticcini alla crema, al pistacchio, alla fragola e al cioccolato. Ai lati dell’immensa mensa vi erano sedie di diverse dimensioni: a capotavola una poltrona in velluto rosso dallo schienale alto almeno due metri.
A prima vista, escludendo le luci stroboscopiche che illuminavano le stoviglie e i succulenti bocconcini, ciò che si stagliava davanti agli occhi di Shouyou avrebbe potuto sembrare il banchetto regale di una compagnia teatrale fallita, in cui tutto era essenzialmente identico alla realtà, ma reale non era. E sarebbe andata bene così e magari un morso alla torta di mele l’avrebbe dato, se solo il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina non avessero ballato sul tavolo e calpestato qualsiasi cosa trovassero sotto i loro piedi.
Battevano il tempo con energia, come se avessero voluto intenzionalmente far saltare le giunture del tavolo, agitavano braccia e gambe in movimenti scoordinati e confusi, cantavano a squarciagola le parole della canzone colpendosi a vicenda con i rispettivi decibel e scuotevano testa e di dietro come posseduti dal demone della danza.
 
Quello che Hinata identificò come il Cappellaio Matto, per via dell’imponente cilindro grigio che portava sul capo, aveva uno sguardo stralunato e gli occhi rotondi e dalle iridi gialle, simili a quelli di un uccello rapace. Aveva sopracciglia inarcuate e candide, di un colore fin troppo innocente per un ballerino maledetto; al collo portava un papillon abbinato con il nastro porpora che cingeva il suo bel copricapo e sulle spalle una giacca grigio topo che gli arrivava a metà coscia; sotto di questa una camicia blu a pois bianchi. I pantaloni, di una stoffa nera raffinata, s’infilavano in due stivali dalla punta rotonda, più simili a quelli che indossavano i generali  dell’esercito piuttosto che i pagliacci. Per quanto matto, i colori che indossava il Cappellaio non erano poi così stravaganti, e nemmeno lui pareva essere un pozzo di sregolatezza: eppure, il garzone cambiò immediatamente idea quando, per far roteare meglio la testa, si tolse il cappello e liberò un'acconciatura a dir poco originale: i suoi capelli erano tirati all’insù, sistemati in due punte simili ai ciuffi di piume che ricoprono le orecchie dei gufi. Erano neri alla base, ma era evidente che il Cappellaio avesse tinto alcune estremità di bianco per arrivare ad una sfumatura vicina al grigio.
Di fronte a lui, il suo socio in affari: la Lepre Marzolina. Come al Coniglio Bianco, anche alla Lepre Marzolina spuntavano due orecchie pelose tra i capelli biondi, che a differenza di quelle del collega erano brune ed arruffate. Esse, e Hinata ne rimase particolarmente sorpreso, erano agghindate con almeno tre orecchini ad anello per orecchio, molto diversi da quelli che solevano indossare le signore del suo paese. La capigliatura era più corta ai lati e più folta in cima e non stonava con i capi d'abbigliamento stravaganti che aveva racimolato da qualche vecchio armadio del Cappellaio. Nessun fiocco o fazzoletto, ma a circondare i fianchi stretti una cintura in pelle, che sorreggeva due pantaloni a palazzo color ocra; infilata nelle braghe una camicia rossa, le cui maniche rimboccate fino ai gomiti davano l’idea che la Lepre avesse piuttosto caldo per tutto quello scatenarsi. Ai piedi portava due mocassini vinaccia, probabilmente di qualche numero più grandi. Tuttavia, la cosa più assurda che Shouyou notò fu una strana pallina bianca conficcata nella sua lingua. Non pareva una caramella, né una di quelle medicine da far sciogliere con la saliva; ogni qual volta la Lepre apriva bocca, la pallina faceva capolino peccaminosa, in attesa di essere notata o di essere strappata dalle voraci labbra di qualcun altro.
<< Scusate! >> gridò Hinata cercando di sopraffare il volume della musica, che inaspettatamente proveniva dall’interno di una grande teiera.
<< Dico a voi due! >> continuò, sbattendo le mani sul bordo del tavolo e facendo cadere a terra due tazzine sopravvissute ai calci dei ballerini. Questo gesto richiamò la loro attenzione, facendoli fermare di colpo, fiatone irreprimibile e spalle contratte per lo spavento. La Lepre tirò un calcio alla teiera musicale e la ruppe, ripristinando il silenzio in un batter d'occhio.
<< Cosa? Ma l’hai visto? >> aggiunse, indispettito dall’arroganza dell’ospite.
<< Ehi, ehi, ehi, non c’è posto qui! Non c’è posto! >> ribatté il Cappellaio facendo segno a Hinata di smammare all’istante. Il ragazzo si guardò attorno, chinandosi per vedere se sulle sedie vi fossero già delle piccole personcine pronte a far baldoria.
<< Che cosa state dicendo, qui non c’è nessuno, c’è posto almeno per trenta persone! >>
<< Noi valiamo per trenta, ma soprattutto lui! Si può dire che valiamo per sessanta! >> commentò il Cappellaio, indicando il suo compare, che aveva incrociato le braccia al petto ed iniziato ad annuire serioso.
<< Siete veramente scortesi. Lo Stregatto mi ha detto che mi stavate aspettando per il tè delle cinque, sono in ritardo? >> domandò il ragazzo, mutando i toni per paura di averli indispettiti e di essersi giocato la possibilità di racimolare notizie sul Re.
<< Controlla l’orologio che abbiamo rubato a quel coniglio, Lepre! >> comandò il pazzo modista, scendendo dal tavolo con un balzo. La Lepre frugò nelle tasche dei suoi pantaloni ed estrasse un orologio da taschino d’oro puro. Lo aprì, ma nel momento in cui lo fece, i meccanismi sembrarono essere fuoriusciti dalla struttura ed essersi sciolti in una melma giallognola.
<< Ho cercato di aggiustarlo con del burro, ma ha le rotelle più fuori posto di prima! >>
Hinata sbarrò gli occhi e prese posto a sedere, senza che nessuno lo invitasse a farlo.
<< Coniglio? Il Coniglio Bianco è passato di qui? Sapreste dirmi dove stava andando? Vorrei evitare di percorrere la sua stessa strada! >>
 
I due si guardarono, portando una mano al mento come se fossero stati dei pensatori abituali. Chiusero gli occhi ed emisero il loro decreto.
<< E’ andato… da quella parte! >> ma la parte in cui era andato restò ignota, in quanto entrambi incrociarono le braccia indicando quattro direzioni diverse.
“Altro che Stregatto, questi due sono matti forti!” pensò Hinata, rimproverandosi di aver avuto fiducia per qualche istante nei confronti degli abitanti del Paese delle Meraviglie.
<< Allora, una tazza di tè me la offrite? >> propose Shouyou sfoderando un sorriso cordiale, tentando di cambiare argomento. I due presero posto di fianco a lui, accerchiandolo con gli sguardi ed appoggiando i piedi sul tavolo, gambe accavallate e tazze frantumate.
<< Solo se sarai in grado di rispondere a questo indovinello >> sussurrò la Lepre all’orecchio del giovane, facendo traballare le sopracciglia e strabuzzando gli occhi. Hinata s’illuminò e iniziò a battere le mani.
<< Oh, finalmente si ragiona, mi piacciono gli indovinelli! >>
Il Cappellaio e la Lepre assunsero un’espressione enigmatica ed interrogativa, l’uno si sistemò il cappello facendo oscillare la testa, l’altro estrasse la lingua e giocherellò con la pallina in questa conficcata.
<< Che cos’hanno in comune un corvo e uno scrittoio? >>
Shouyou, dita che tamburellavano sul bordo della mensa, iniziò a pensare e ad emettere dei rochi muggii riflessivi.
<< Mh, difficile. Lasciate che ci pensi un attimo… >>
Il Cappellaio aveva avvicinato il suo naso appuntito alla guancia lattea di Hinata, l’altro gli si era disteso sulle gambe insozzate di terra.
<< Smettetela di fissarmi in quel modo, non riesco a concentrarmi. >>
Erano veramente bizzarri. Avevano accolto il ragazzo con stizza, eppure, dopo nemmeno cinque minuti (ammesso che fossero trascorsi), si erano dimostrati stranamente affabili e desiderosi di contatto, di conoscere in modo più approfondito il giovane che si era intromesso nella loro sacra celebrazione dell’ora del tè. Il Cappellaio era sicuramente il più svitato tra i due, ma era l’intellettuale, il maestro, il lavoratore che si era fuso il cervello sotto i fumi del mercurio. La Lepre, invece, era la più sfrontata e rivoluzionaria, che non si imbarazzava a sfoggiare il suo eccentrico stile nel vestire o a sdraiarsi sul corpo di uno sconosciuto senza un motivo. Erano felici nel loro angolo di Paese, forse un po’ troppo soli, ma felici.
<< Ti arrendi quindi? >> incalzò il Cappellaio, ricevendo un’occhiataccia e una gomitata da parte di  Hinata.
<< Non ho detto questo! Vediamo un po’, c’entra per caso il fatto che entrambi abbiano le penne? >> domandò alzando l’indice al cielo. Nel frattempo la Lepre si era messa a sedere, timorosa di beccarsi un pugno sul naso.
<< Carina questa soluzione, ma no! >> rispose il roditore sorridendo, sghignazzando sottecchi con il suo collega. Erano convinti che non l’avrebbe mai risolto.
<< Oh! Ce l’ho! Avevo sentito parlare di un tale che aveva scritto un racconto su un corvo. Ecco, questo tale ha perciò scritto su entrambi! >>
<< Sei veramente ingegnoso. Ma no! >>
Hinata iniziò ad incupirsi, convinto che i due si stessero bellamente prendendo gioco di lui solo perché aveva interrotto la loro danza delirante e rumorosa.
<< E’ spietato questo indovinello. C’entra il colore? >>
<< No! >>
<< Di che cosa sono fatti? >>
<< No, no! >>
<< Oh, e va bene, mi arrendo! >>
I due ribaltarono in perfetta sincronia la posizione, sedendosi sul tavolo e appoggiando i piedi sulle sedie. Avvicinarono talmente tanto i loro volti a quello di Shouyou che quest’ultimo temette che potessero addirittura arrivare a sbaciucchiarlo. Annebbiato da questa terribile visione, spinse la sedia indietro e, in bilico sulle gambe posteriori, si ribaltò capitombolando a terra.
<< Ehi, ehi, ehi, se questo è l’effetto che fa usare il cervello, siamo messi male! >> commentò il Cappellaio, porgendogli una mano per farlo rialzare. Come potevano passare dall’essere estremamente invadenti e fastidiosi, all’essere gentili e appropriati? Forse proprio perché erano matti e bipolari, incredibilmente speciali.
<< In entrambe le parole compare la lettera C e mai la lettera E! >>
Messo davanti alla soluzione del particolare indovinello, Hinata corrucciò il naso e la bocca in una smorfia di disapprovazione.
<< Non mi pare una soluzione troppo logica. Voglio dire, compare in entrambe anche la lettera O e nessuna lettera A! >> constatò, dimostrandosi più intelligente di quello che pensava di essere.
<< Questa è la soluzione. >>
“Sono davvero svitati” pensò fra sé e sé.
<< Ciò vuol dire che non mi offrirete nemmeno una tazza di tè? >> pietì, mutando improvvisamente l’espressione interdetta in un dolce sguardo innocente.
<< Se vuoi possiamo versarti del vino! >> esclamò la Lepre afferrando una teiera verde chiaro.
<< Niente più alcool, mi dispiace. E poi non ne vedo. Non è carino proporre di offrire cose che non ci sono. >>
Hinata si alzò in piedi, determinato nell’andare a prendersi da solo quello che voleva. I due lo afferrarono per le ascelle e lo rimisero a sedere, due corpi e un cervello solo.
<< Non è nemmeno carino presentarsi senza invito >> fece notare il padrone di casa in tono pacato.
<< Mi sono fidato delle parole dello Stregatto. >>
<< Perché avrebbe dovuto invitarti? >> chiese la Lepre, ridacchiando e sistemandosi i capelli scombinati.
<< Ecco, insomma… Mi ha detto che voi possedevate delle informazioni per quanto riguarda la scomparsa del Re Bianco. >>
I due si guardarono, questa volta meno divertiti di prima. Strizzarono un occhio, pronti a dare una risposta ad Hinata come se si fossero messi d’accordo da tanto tempo, come se avessero calcolato da secoli che quella domanda sarebbe giunta alle loro orecchie. 
<< Noi sappiamo solamente che tutti quei seguaci sono matti >> bisbigliò il Cappellaio, timoroso che qualcuno potesse udire le sue parole.
<< Seguaci? Matti? Mi state dicendo che il colpevole si nasconde a corte? A che cosa è servito tutto ciò quindi? Perché la Regina avrebbe dovuto spedirmi nel Paese delle Meraviglie? >> strillò Shouyou, preda di un improvviso attacco di nervosismo e di rassegnazione; la stanchezza stava iniziando a sopraffarlo e sapere che la sua missione nel Paese delle Meraviglie era stato uno scherzo, che aver incontrato tutti quei vaneggianti individui non era servito se non a fargli realmente perdere del tempo, l’aveva mandato in ebollizione. Il Cappellaio e la Lepre avvertirono il suo evidente disagio mescolato a tristezza, e tentarono di aggiungere un po’ di zucchero a quella tisana di amarezza di nome Hinata Shouyou.
<< Forse perché voleva che ascoltassi una delle meravigliose storie del nostro piccolo amico Ghiro! >> disse il Cappellaio, avvicinando gli indici alle estremità delle labbra di Shouyou e sollevandole in un sorriso fasullo; la Lepre si accostò all’amico facendo una boccaccia.
<< Non credo che fosse questo l’intento… >> borbottò Hinata, pensando che i due fossero piuttosto infantili, ma allo stesso tempo estremamente dolci e premurosi.
<< Ghiro! Svegliati, abbiamo ospiti! >>
La Lepre iniziò a picchiettare un cucchiaino di argento su una teiera rosa; sollevò il coperchio e, afferrandolo per la camicetta lilla, estrasse un piccolo ghiro addormentato, grande quanto un pugno ma anch’egli dalle fattezze umane. Aveva il naso a punta, le orecchie rotonde, le zampette corte e un’espressione rilassata in volto, pacata e pacifica. Poco gli importava che i capelli neri, solitamente ordinati, fossero distribuiti alla rinfusa. Hinata, non appena lo vide, avvertì la stessa sensazione che aveva provato al cospetto del Brucaliffo: un timore reverenziale. Tuttavia, il piccolo ghiro non era spaventoso, bensì emanava sicurezza, sembrava che dentro il suo corpo piccino fosse nascosto un destino prosperoso, rigoglioso, offuscato solo dall’eccessivo sonno che gli faceva calare le palpebre.
<< Perché dovete fare sempre tutto questo baccano? >> tentò di sbraitare il Ghiro, con scarso successo.
<< E perché tu devi essere sempre così brontolone? >> lo rimbeccò il Cappellaio, accarezzandogli la piccola  nuca.
<< Racconta una storia a… Come hai detto che ti chiami? >> continuò, voltandosi verso Hinata.
<< Non l’ho detto. Comunque sono Shouyou Hinata, molto piacere >> e Hinata tese il mignolo al piccolo, che lo strinse con una stretta vigorosa.
<< Racconta una storia a ShouyouHinataMoltoPiacere >> fremette la Lepre, più curioso di Shouyou di sapere quale storia avrebbe raccontato l’animaletto.
<< C’erano una volta tre sorelline, chiamate Elsie, Lacie e Tillie, che vivevano in fondo ad un pozzo >> iniziò il Ghiro, chiudendo gli occhi e unendo le mani.
<< E di che cosa vivevano? Come facevano a sopravvivere? >> domandò il garzone curioso, avvicinandosi alla teiera per ascoltare meglio la voce del piccolo amico.
<< Vivevano di melassa. >>
<< Ma è impossibile, si sarebbero ammalate mangiando solo quello >> constatò, massaggiandosi la testa.
<< Infatti erano ammalatissime. >>
<< E perché abitavano in fondo al pozzo? >>
Hinata, quando si trattava di ascoltare storie, si faceva trasportare a tal punto da diventare assillante; lo sapeva bene, ma controllarsi era più forte di lui.
<< Era un pozzo di melassa. Orbene, devi sapere che le sorelline stavano imparando a disegnare schizzi di melassa, e schizzavano tutte le parole che iniziano per M >> il Ghiro parlava in modo forbito, sorridendo pacatamente.
<< Perché per M? >>
<< Perché no? >>
Il saggio fece segno al Cappellaio di riporlo nella teiera. Prima di scomparire salutò il ragazzo agitando una manina grande quanto un polpastrello.
<< Questa storia non mi è piaciuta, non sopporto le storie senza un finale >> commentò indispettito il rosso, incrociando le braccia sul petto.
<< Perché non ce ne racconti una tu? >> propose la Lepre, occhi scintillanti  e sognanti in attesa di un nuovo racconto.
<< Perché invece non mi raccontate voi di dove si è cacciato il Coniglio Bianco senza il suo orologio? >>
I due matti assunsero un’espressione dispiaciuta, al limite del funesto. Si strinsero in un abbraccio appassionato e senza staccarsi l’uno dall’altro pronunciarono le stesse parole all’unisono.
<< Povero Coniglio! Stava andando dalla Regina di Cuori per la partita a croquet, quella strega! >> in un baleno, lacrime bollenti sgorgarono dai loro occhi color del tè.
<< La odiate anche voi? Oh, meno male, io non ci tengo proprio ad andarci >> confessò Hinata avvicinandosi a loro.
<< Spera di percorrere la strada giusta, allora >> continuarono, piagnucolando. Si stavano comportando esattamente come Pincopanco e Pancopinco, con la differenza che gli altri due erano meno melodrammatici nel pronunciare le frasi coralmente.
<< Sapreste consigliarmi quella da evitare? Magari potreste suggerirmi la strada che devo prendere per tornare al palazzo della Regina Bianca! >>
<< Oh, ma noi non ne abbiamo idea. Siamo reclusi qui da anni, da quanto il Tempo si è burlato di noi e ha fermato tutti i nostri orologi alle cinque! >> il pianto si era fatto sempre più sguaiato. Shouyou li abbracciò tentando di confortarli, ma ciò che ottenne fu di essere inglobato tra i loro corpi e stritolato nella morsa delle loro lunghe braccia.
<< Il Tempo? >> mugugnò, guance e bocca schiacciate.
<< Proprio lui. Da quella volta in cui il Cappellaio ha fatto perdere tempo alla Regina di Cuori cantando una canzone brutta si è a dir poco irato con noi. E questa è la nostra punizione. >>
I due, e quindi Shouyou di conseguenza, iniziarono a saltellare sul posto, frignando in modo sempre più isterico e irrazionale. Quando il Ghiro serviva a ripristinare l’ordine, perché non si palesava?
<< Che cattiveria! Quindi adesso sono le cinque del pomeriggio. La luna dovrebbe sorgere tra un paio d’ore >> rifletté il ragazzo, tentando di farsi largo tra i due corpi imponenti.
<< La Regina inizierà la sua partita al chiaro di luna, non preoccuparti! >> cercò di rassicurarlo il Cappellaio asciugandosi le ultime lacrime di quell’insolito pianto liberatorio.
<< Ma io non ci voglio andare dalla Regina! >>
<< Sei davvero poco spiritoso. Io qualche tiro me lo farei! >> confessò la Lepre, di nuovo distesa e divertita. Non solo erano bipolari, erano anche completamente incoerenti.
<< Tiro? >>
<< A croquet! >>
Hinata, deciso ormai a salutare i simpatici amici dalle idee confuse, perché in fin dei conti stare con loro era stato tutt’altro che spiacevole, cercò di esporre un’ultima richiesta.
<< Sentite, visto che mi è salita anche parecchia fame, che ne dite di offrirmi un po’ di quelle tartine in modo che possa riprendere tranquillamente il mio viaggio? >>
<< Ma sì, perché no, prendi queste al miele, sono deliziose! >>
Il Cappellaio accontentò la sua istanza e gli pose tre o quattro dolcezze da assaporare durante il suo cammino.
<< Grazie Cappellaio, grazie Lepre. Buon proseguimento! >>
I tre si strinsero la mano e il Cappellaio lo congedò con un evidente occhiolino e un abbraccio caloroso. La Lepre si limitò a scompigliargli i capelli. Appena fu fuori dal cancello di ferro, la musica danzereccia che aveva fatto tanto scatenare i due amici ricominciò a suonare, e Hinata non poté fare a meno di esprimere la sua opinione.
 << Bella musica, comunque! >> gridò, riportando l’attenzione dei due su di sé.
<< Hai buon gusto, amico! L’electroswing è l’ultima moda del momento. >>
<< Lo avevo immaginato. Arrivederci, grazie per l’aiuto! >>
 
Lasciatosi la danza alle spalle, le tazzine e i fumi delle teiere impazzite, Shouyou s’incamminò intraprendendo una strada sconosciuta con mille interrogativi in mente, domande prive di risposta, dubbi insormontabili e timori nauseanti. Ma il quesito che, abbandonata la residenza del Cappellaio e della Lepre, si poneva più spesso era: “Che roba è l’electroswing?”
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: scusate l’attesa donzelle, è stata una settimana particolarmente incasinata e piena di arrabbiature per vari motivi, quindi vi chiedo scusa se non sono stata puntuale con la pubblicazione. Altro problema: mi si è fuso l'alimentatore del computer, quindi ho pubblicato dal cellulare, spero non ci siano differenze di font e dimensioni e soprattutto di battitura :/ 
 Ma veniamo al capitolo: ho avuto un istinto feroce di saltare addosso al mio Leprotto Marzolino. Ho dovuto non pensarci perché se no non veniva fuori un capitolo casto e puro XD comunque, belli matti eh questi due? Mentre scrivevo ho ascoltato electroswing a manetta, principalmente la canzone “Looking like this” di Lyre le temps e me li sono immaginati a ballare come dei forsennati sul tavolo. Spero si sia capito chi è il Ghiro, perchè ho fatto fatica a trovare dei tratti distintivi del personaggio adattabili all’animale e mi sono ispirata principalmente al significato del suo nome. Per quanto riguarda l’indovinello, le risposte non le ho inventate io, ma sono state ricavate da gente che ha veramente provato a risolverlo e a dare una spiegazione. Hinata, intanto, ha raccolto informazioni per quanto riguarda la corte della Regina, staremo a vedere dove capiterà adesso!
Comunque, visto il malumore della settimana, spero che il capitolo sia tutt’altro che pesante, come sempre fatemi sapere <3 un bacio grande!
 
_Noodle

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Capitolo 6
*** Boia, dacci un taglio! ***


Boia, dacci un taglio!
 
 
 
 
 
Hinata, passo frettoloso e claudicante, iniziò a chiedersi perché la Regina di Cuori si chiamasse in tal modo. Una sovrana con l’opinabile vizio di mozzare teste e recidere giugulari avrebbe dovuto avere un nome più spaventoso, un appellativo degno di un assassino sanguinario. “Regina di Cuori” era tutt’altro che raccapricciante, al contrario evocava nella mente di Shouyou una figura materna pronta a dispensare amore e abbracci. Tuttavia, la truce ipotesi che il nome potesse essere dovuto alla collezione di cuori che la Regina ampliava in seguito alle decapitazioni lo punzecchiò irrefrenabilmente con brividi spinosi. Blu in volto dalla paura, il ragazzo non rallentò l’andatura instabile per il tremendo timore che il tempo potesse scadere. Il croquet della Regina sarebbe iniziato con il sorgere della luna piena e, dal momento che non aveva la minima intenzione di parteciparvi, avrebbe dovuto  intuire l’orario della sua epifania e la posizione del Re Bianco in fretta, anche se non sapeva né dove, né come.
 
“Fammi pensare, come faccio a trovare la strada per ritornare dalla Regina Bianca, come sono arrivato qui?”

Ma fu proprio nell’istante in cui pensò che la cosa migliore sarebbe stata tornare indietro che un giardino invaso da rovi di rose bianche si stagliò sterminato davanti ai suoi occhi.
<< Rose bianche? Forse ci siamo! Forse ce l’ho fatta, mi ricorda proprio il palazzo degli Scacchi! >>
Ricolmo di felicità e di letizia, Hinata iniziò a correre nell’ampio sentiero costeggiato da cespugli dai candidi fiori, saltellando e urlando a gran voce il nome della Regina Bianca.
<< Maestà! Maestà, ho trovato un indizio! Il Cappellaio Matto mi ha detto che gli scacchi della vostra corte sono pazzi, secondo me il colpevole potrebbe essere tra loro! >>
Il silenzio che avvolgeva le parole del ragazzo era profondo e atono, la sua voce rimbombava nell’aria fresca ferendo i vergini petali di rosa.
<< Maestà! Sono io, Shouyou! Sono tornato! >> continuò Hinata, rallentando il passo e abbassando il volume della voce, destabilizzato dall’immobilità che lo circondava.
 
<< Sssh! Ma sta’ zitto! >>
 
Un mormorio angosciato richiamò l’attenzione del garzone, che si voltò lentamente verso la sua sinistra. Avrebbe voluto far finta di niente, proseguire e zompettare direttamente dalla Regina, spaventato com’era dalla reputazione dei suoi seguaci, ma si fermò, ricercando con lo sguardo e con il corpo in torsione il volto di chi aveva parlato.
<< Dove sei? >> bisbigliò, sguardo saettante e inquieto.
<< Qua, dietro il cespuglio! Devi smetterla di urlare, o verrà qui! >>
Hinata mosse qualche passo verso il rovo parlante, sufficientemente alto da riuscire a nascondere una persona. Non appena scorse chi in realtà si celava dietro le foglie verdeggianti, un groppo in gola doloroso e soffocante gli mozzò il respiro; era quella la sensazione che provavano i colpevoli sotto l’ascia del boia?
<< Io… io non credo ai miei occhi… >> biascicò con lentezza, convinzioni e certezze spazzate via da un fiato funesto.
<< Che cosa ti stupisce, ragazzo? >>
<< Io credevo di trovarmi in un altro posto, pensavo che questo fosse il palazzo della Regina Bianca, la Regina degli Scacchi, e invece… e invece tu non sei uno scacco, sei una carta. >>
Il Quattro di Fiori, era lui che aveva parlato, era in tutto e per tutto una carta da gioco: il suo corpo, dello spessore di nemmeno due dita, era costituito interamente di cellulosa, decorato con i tipici fiori e numeri neri ad ogni angolo. Il suo volto, anch’esso spesso poco più di cinque millimetri, era coperto a livello dell’attaccatura dei capelli da un velo nero, che ricadeva sulle spalle dividendosi in due balze ricurve. Testa e velo evocavano il simbolo dei fiori che portava dipinto sulla sua veste. I piedi, avvolti in due scarpe nere, spuntavano dai lembi inferiori del suo corpo.
<< Come hai potuto confonderti? Se la Regina di Cuori lo venisse a sapere ne rimarrebbe profondamente offesa! >> commentò il Quattro di Fiori, alzando al cielo le manine nere.
<< Mi trovo nel palazzo della Regina di Cuori? >> i denti di Hinata incominciarono a ticchettare con la frequenza dei rintocchi di un orologio impazzito. Poi, vista diradata da un barlume di luce, intese ciò che si era domandato per tutto il tragitto.
<< Ora mi è tutto chiaro, ecco perchè si chiama Regina di Cuori, non è altro che una carta! >> esclamò senza ritegno, spalancando la bocca e afferrando i ciuffi di capelli rossi con stupore. Il Quattro lo guardò titubante, ondeggiando su se stesso con fare imbarazzato e confuso.
<< In realtà, lei non è come me, come noi… >> confessò, indicando alcuni colleghi che lavoravano a pochi metri da loro.
<< La Regina ha un corpo in carne ed ossa >> continuò bisbigliando nell’orecchio di Shouyou, atterrito dal fatto che Sua Maestà potesse sentire che la stava nominando invano.
<< Sì, ma è pur sempre una carta da gioco >> aggiunse il ragazzo, incredibilmente pragmatico nell’astrattismo della situazione.
<< E’ così, ma lei odia sentirselo dire! Poverina, è completamente svitata. Noi carte sappiamo bene che lei è in realtà il numero 12 e che il suo consorte è il numero 13, ma lei non vuole sentire ragioni. È la numero uno in tutto, qui dentro. E vuole sentirsi dire che è umana. Non chiamatela mai Vostra Cartità o qualcosa di simile, è più matta di quanto si possa pensare e di conseguenza ha fatto ammattire tutti noi! >> tremò il Quattro, afferrando le mani di Hinata e piegando il suo corpo a metà per riuscire nell’intento. Shouyou assistette al movimento con sgomento, realizzando solo in quel momento che l’entità con cui stava parlando non era che un oggetto inanimato, per lo meno nel suo mondo.
<< Tu perché sei qui, ragazzo? Ho sentito che parlavi di seguaci, di Regina Bianca, di Cappellaio Matto >> domandò la Carta, lasciando le mani di Shouyou e ritornando eretto.
<< Io… >> Hinata inspirò, soppesando mentalmente le parole che avrebbe pronunciato. Era rischioso parlare di una faccenda intricata quanto delicata con un suddito della famigerata Regina di Cuori, donna che non risplendeva né di una fama gloriosa, né di una clemenza invidiabile. Ma non appena il garzone incominciò a parlare, una voce squillante riecheggiò tra rose e spine, conficcandosi nel petto dei due individui con  una rapidità tale da far raggelare ad entrambi il sangue nelle arterie.
<< Beh? Chi sta parlando laggiù? >>
Hinata poteva sentire dei passi e uno scalpiccio di suole sulla ghiaia del viale. Qualcuno si stava avvicinando a loro e, data la mimica facciale del Quattro di Fiori, non poteva trattarsi che di Lei. La voce era virile, limpida ed altezzosa; Hinata si sarebbe giocato i vestiti che, come nel caso della Regina degli Scacchi, la Signora fosse in realtà un uomo.
<< Forza, vieni qui! >> sussurrò con veemenza il Quattro, trascinando il giovane alcuni cespugli più avanti.
<< Prendi questo pennello, immergilo nella vernice e inizia a pitturare le rose di rosso! >>
<< Pitturare le rose con la vernice? >>
<< Fa’ quello che ti dico, non discutere! >>
Shouyou era preoccupato che i bellissimi fiori potessero rovinarsi, profanati da una sostanza tanto corrosiva, ma prestò fiducia agli ordini della carta e iniziò a spennellare di qua e di là. Non ebbe il tempo di rifinire un solo fiore, che le Loro Maestà in persona, il Re e la Regina di Cuori, si fermarono a due passi dal cespuglio che Shouyou aveva usato come nascondiglio.
La corona d’oro massiccio e rubini romboidali poggiata sulla nuca della Regina di Cuori era di dimensioni ridotte rispetto alle corone canoniche. Se quella della Regina Bianca era a dodici punte e copriva interamente la superficie della sua testa, quella della Regina di Cuori occupava solo una piccola parte del suo cranio.
Troppo piccolo il diadema o troppo grande la capoccia?
Aveva cinque punte, cinque come i raggi delle stelle, cinque come le teste mozzate nell’arco di quella giornata.
Aveva i capelli castani. Erano di un color nocciola intenso, di una tonalità intermedia tra quella dei chicchi di caffè e del rame, metallo lucente e antico. Erano riposti ordinatamente sul suo volto ovale, vaporosi e accuratamente pettinati; qualche ciuffo distratto si discostava dalla composizione originariamente simmetrica, e uno in particolare ricadeva sull’ampia fronte costeggiando il sottile sopracciglio destro. Gli occhi, due zirconi rotondi color cioccolata, possedevano un taglio sagace, scaltro, intimidente. Tutto in quel volto, che pareva frutto del lavoro di un artista rinascimentale maledetto, sarebbe stato perfetto ed immacolato se non fosse stato per le labbra carnose e sfrontate, che sotto un lungo naso incipriato proferivano parole pungenti alternate a vezzeggiativi amorevoli. Solo chi veniva stimato dalla Regina di Cuori si meritava di essere chiamato con un dolce nomignolo, solo chi risultava gradevole al suo cospetto si meritava che quella bocca, dipinta con un cuore rosso, potesse dimostrarsi compassionevole.
Ogni muscolo, tendine e vena del suo corpo si confaceva al ruolo regale da lei ricoperto, le mani grandi e ruvide erano nate per stritolare lo scettro, i piedi affusolati per calzare stivali dalla pelle finemente conciata. Le unghie, spennellate con una tonalità rosso fuoco, spiccavano in contrasto con il candore della pelle, ricoperta da abiti di sartoria pregiata.
A custodire le imponenti spalle della Regina una giacca rosso sangue che scendeva fino a metà coscia, che rifiniva con estrema regalità e sensualità il fisico muscoloso. Due file di bottoni, e non i tipici bottoni rotondi, ma i semi stessi delle carte su cui regnava, erano cuciti su entrambi i lati della giacca. Le spalle a sbuffo, insolite per un abito di quel tipo, accentuavano la pomposità dell’individuo, circondato da un ego smisurato.
Sotto la giacca rossa vi era un panciotto dai bottoni dorati, nero come le picche, lucente come i fiori bagnati di rugiada; una camicia bianca dal colletto alto ed inamidato, coperto da un fazzoletto anch’esso rosso a ricami floreali neri, ad accarezzare la pelle tenera della Regina. A coprire le cosce scolpite un paio di pantaloni grigio scuro, tremendamente stretti ed eloquenti, che s’inserivano in un paio stivali bianchi alti fino a metà tibia.
Il suo sposo, il Re di Cuori, dallo sguardo profondo, concentrato e serioso, era il contr’altare della Regina, il numero dispari, il colore complementare, la forma ad incastro. Se la Regina esternava in modo altezzoso le sue richieste e i suoi capricci, il Re rifletteva prima di agire, sentenziava duramente solo in seguito ad una valutazione ponderata e richiamava spesso la moglie per i suoi atteggiamenti infantili. Sapeva ammaliare ed affascinare, la Regina di Cuori, con quel sorriso e quella strana e bambinesca abitudine di mimare con le dita il segno della pace in ogni occasione, lei che pacifica non era. “Cuoricino, fallo anche tu!” lo esortava in continuazione, ricevendo puntualmente una pacca sulla schiena.
Ma sebbene il Re non sopportasse questi atteggiamenti, sebbene fossero più frequenti le volte in cui doveva frenare gli impulsi omicidi della sua sposa più che quelle in cui poteva congratularsi con lei, silenziosamente restava al suo fianco, non smettendo di amarla, non smettendo di farla ragionare e sorridere, non smettendo di ricordare ogni giorno il perché le avesse concesso di portare per sempre il suo cuore alla gogna.
Il Re aveva i capelli neri e ispidi, appuntiti come le sommità delle lance usate in combattimento. Il suo abbigliamento era meno colorato e più austero rispetto a quello della Regina: portava una giacca di velluto grigio-nera con due file di bottoni argentati e dei merletti di pizzo rosso cuciti sulle maniche; sotto di essa una camicia nera e una fascia bianca che si estendeva diagonalmente dalla spalla sinistra al fianco destro, decorata con cuori stilizzati; il collo era circondato da un alto colletto in acciaio, quasi come un brandello di armatura. A ricoprire le gambe snelle e i polpacci definiti, dei pantaloni bianchi, anch’essi infilati in un paio di alti stivali neri.
<< Stai attento, Quattro, non vorrai insozzarmi tutto il vestito! >> commentò la Regina in prossimità delle carte, guardandole di sbieco.
<< E’ il Sette che non smette di schizzare con il pennello! >> si giustificò il Quattro di Fiori, lanciando occhiatine a Hinata nel tentativo di comunicargli di nascondersi. L’atteggiamento da temporeggiatore della Carta, tuttavia, non fece che attirare ancora di più l’attenzione della Regina.
<< Stai cercando di controbattere? La colpa è sempre degli altri, non è vero? Cuoricino, digli qualcosa! >> sbraitò in modo melenso e lagnoso la Regina, girandosi verso il suo compagno.
<< Cercate di non litigare. E voi, Carte, limitatevi a svolgere il vostro dovere >> sentenziò il Re, appoggiando una mano sulla spalla della consorte. 
<< Cuoricino, fermati un secondo. Non ti sembra diverso dalle altre carte quello lì? >> ricominciò la Regina puntando il dito verso Shouyou, trascinando il tono di voce verso una sfumatura più baritonale e profonda.
<< Certo, mia Regina, questo perché non è una carta! >>
Hinata, essendosi accorto che i due stavano parlando di lui, incominciò a tremare come un ossesso, seminando gocce di vernice ovunque. Non gli era mai capitato di avere tanta paura: al cospetto di Sua Maestà, persino il Brucaliffo risultava un esserino innocuo e piacevole.
<< Ehi, tu! Capelli rossi, palesati prima che ti tagli la testa! >> tuonò la Regina, dirigendosi verso Shouyou e dimenticandosi delle altre carte. Il Re la seguì di rimando.
<< Io.. io posso spiegare, stavo solo…s-stavo cercando d-di…>> balbettò, lasciando cadere il pennello zuppo di vernice a terra. La Regina lo fissava con occhi accusatori, un sorriso obliquo a rendere il tutto ancora più inquietante.
<< Smettila di tremare, nanerottolo. >>
<< Cosa ci fai qui? >> chiese il Re, braccia conserte sul petto.
<< Io veramente stavo cercando di… di tornare a casa! Ho sbagliato strada, con permesso! >>
Shouyou, sguardo basso e sfuggente, fece qualche passo dando le spalle ai due coniugi, ma fu prontamente afferrato per il colletto della camicia dalla stretta vigorosa della Regina.
<< Dove credi di andare? >> domandò lei, tirandolo verso di sé e facendolo ruzzolare a terra.
<< Qual è il tuo nome? >> incalzò il marito. Hinata si era rimesso in piedi e schiarito la voce.
<< Shouyou Hinata, Vostre Maestà. >>
La Regina, iniziò a passeggiare avanti e indietro, dita delle mani incrociate dietro la schiena e grandi falcate regali a calpestare la ghiaia luccicante. Hinata trovava al limite del grottesco l’espressione compiaciuta della Regina: in altre occasioni, probabilmente, avrebbe suscitato il riso, ma quel ghigno indecifrabile era più sgradevole che comico. Gli faceva terrore immaginare che cosa ci fosse nella sua mente di carta di carne, faceva ribrezzo pensare che quelle mani agghindate con smalto e anelli potessero aver puntato il dito un’infinità di volte e avessero ucciso innocenti e mal capitati.
<< Non nascondermi la verità, piccoletto, io so bene perché sei qui. Sei uno di quegli sciacalli schifosi che non vedono l’ora di intrufolarsi nella mia reggia per partecipare alla partita di croquet senza permesso! Li riconosco a pelle quelli come voi! >> bollì la Regina, gesticolando in maniera furiosa e dinoccolata.
Hinata trasse un respiro di sollievo, terrorizzato ma allo stesso tempo sollevato. Inizialmente pensò che avrebbe potuto incolparlo di qualche crimine inimmaginabile o, cosa peggiore, che conoscesse le sue vere intenzioni.
<< Avete ragione Maestà, sono uno sporco impiccione! Ma la prego, abbiate pietà, fatemi entrare nella vostra magione, ho percorso tanta strada per arrivare fin qui! >>
Che cos’altro avrebbe potuto dire? Mentire non era mai stato così difficile e rischioso: nascondere una verità e ricorrere all’inventiva poteva rivelarsi l’unico modo per proseguire e, magari, incontrare nuovamente lo Stregatto e il Coniglio Bianco, che erano stati invitati alla partita. Forse loro avrebbero potuto essere più chiari con lui, spiegargli perché il Cappellaio Matto avesse tentato in un modo piuttosto affrettato di fargli capire che il colpevole si nascondeva a corte della Regina Bianca. Non c’era più tempo.
<< Cuoricino, fai qualcosa perché potrei chiamare il Boia. >>
A quelle parole, ogni convinzione ricolma di coraggio si sciolse in una pozza di panico.
<< No, no, no! Non lo chiami, io me ne vado subito. Non dirò a nessuno che sono stato qui, le mie tracce scompariranno per sempre e… >>
<< Boia, dacci un taglio! Non sopporto i piagnucoloni. >>
Un uomo dal volto coperto, che sembrava aver atteso silenziosamente nascosto tra le siepi, comparve all’improvviso macchiando di nero l’etere bianco. Sì, il cielo nei giardini reali era diventato bianco, in contrasto con la crudele oscurità della gente che vi abitava.
<< Vi prego, Re di Cuori, almeno voi abbiate pietà! >> iniziò a piangere Hinata, trattenuto per le braccia dal Quattro e dal Sette di Fiori, che avevano risposto alle volontà della Regina senza opporre resistenza. Il Re si mosse in direzione del boia, allungando una mano davanti a lui in modo da fermare la sua funesta avanzata. Poi, dopo aver ordinato all’aguzzino di abbandonare le sue intenzioni, strinse entrambe le mani della moglie, più grandi delle sue.
<< Mia Regina, il ragazzo non ha fatto niente di male. La tua ira è ingiustificata. È un forestiero e potrebbe essere reale il fatto che abbia sentito parlare della nostra rinomata partita a croquet >> sussurrò paziente, cercando di trattenere la rabbia collerica della moglie.
<< La mia ira è sempre giustificata, Cuoricino! Non essere cattivo con me, che poi mi spezzo, lo sai! >> aggiunse lei, cercando di convincere il marito del contrario. Notando la cupa espressione dell’altro, la Regina intuì che ben presto una vigorosa pacca avrebbe colpito la sua gabbia toracica, perciò provò a contenersi, fulminando con lo sguardo il piccolo Shouyou imprigionato tra le carte. Gli si avvicinò, afferrandogli il mento con la mano destra e sollevandogli il viso, paonazzo e rigato di lacrime.
<< A pensarci bene, potrei darti ancora una possibilità >> decretò infine, gelida. La Regina avvicinò ancora di più il suo viso a quello di Hinata. Il suo modo di approcciarsi era crudele, ben diverso da quello ingenuo e scanzonato del Cappellaio Matto e della Lepre Marzonlina. Quella distanza non metteva in imbarazzo, metteva a disagio.
<< Questo vuol dire che potrò venire a giocare a croquet con voi? >> chiese sommesso, occhi bassi e infossati nella disperazione. Sua Maestà, a quella domanda, scoppiò in una fragorosa e subdola risata.
<< Ah! Ma cosa hai capito? Andrai a tenere compagnia ad un caro vecchio amico, giù nelle prigioni. >>
Fu in quel momento che Shouyou si domandò perché. Perché la Regina Bianca avesse ascoltato la profezia di una vecchia pazza, perché avesse scelto lui come garante della missione, perché non fosse riuscito a combinare ancora nulla di concreto, perché tutto dovesse finire dietro le sbarre di una prigione maleodorante in cui sarebbe morto di freddo e di stenti. Perché? Perché era finito lì, perché Kageyama aveva dovuto convincerlo a giocare a scacchi, perché nessuno di loro veniva a salvarlo? Che cosa aveva di speciale lui? Che cosa lo rendeva eroe o semplicemente predestinato? Era un semplice garzone che spazzava i pavimenti e serviva ai tavoli. Non aveva mai avuto ambizioni del genere nella vita. Non voleva la gloria, voleva solo una vita dignitosa e serena. Ma non sarebbe mai stato così, tutto sarebbe stato sempre maledettamente difficile. Si sentì morire, abbandonato e affranto.
<< P-Prigioni? No! No per favore lasciatemi andare, non voglio restare rinchiuso, farò tutto quello che volete ma non… >>
<< Zitto! Non può fare nulla per me, io ho già tutto! Goditi la partita dal sottosuolo, mi dispiace tu non possa ammirare le mie meravigliose giocate al chiaro di luna. Sono un vero talento, il migliore. >>
Hinata tentò di liberarsi dalla morsa dei due scagnozzi che avevano incominciato a trascinarlo in direzione del castello, ma la rassegnazione era troppo acuta per permettergli di reagire.
<< Voi non capite, io non posso, io ho bisogno di vedere la luna, ho bisogno di scoprire quando sorgerà! >> strillò, prosciugato di qualsiasi dignità. Le figure del Re e della Regina si allontanavano sempre di più, rimpicciolendosi a mano a mano che il castello si avvicinava.
<< Sarà per un’altra volta, microbo. Non mettere a dura prova la mia indulgenza, sono sempre pronto a chiamare il boia. >>
 
Scesero scale, sbloccarono serrature, scostarono chiavistelli. La cigolante porta della cella si chiuse alle spalle di Shouyou con un tonfo rimbombante e lui venne scaraventato al suolo con violenza e ribrezzo. Accovacciato, più simile ad un feto che ad un ragazzo, Hinata pianse per interi minuti, prostrato al cospetto del terribile dispotismo di colei che l’aveva reso prigioniero.
 
Ma non era finita e di tempo ne rimaneva quanto bastava.
Il Coniglio Bianco, sebbene sprovvisto di orologio, lo sapeva bene.
 

 
 
 
 
Angolo dell’autrice: sappiate che ho un’ansia infernale per questo capitolo : in primis perché è l’inizio dei capitoli realmente importanti e poi perché finalmente compare la Regina di Cuori tanto richiesta accompagnata dal suo fedele compagno, il Re. Spero di aver fatto capire chi sono i due, sia per la descrizione fisica che per quella caratteriale (soprattutto) e spero di non essere andata OOC. Sono due personaggi di Haikyuu che mi piacciono tanto ma su cui non avevo mai scritto prima, quindi spero di non aver deluso le aspettative. Sappiate che non sto nella pelle per i prossimi capitoli, succederanno cose che non immaginante –parte la risata diabolica e sadica-. Hinata è imprigionato, come farà a venirne fuori
Grazie a tutte quelle che leggono, seguono e recensiscono, vi giuro che siete dolcissime e che le vostre recensioni mi aiutano a scrivere meglio e a pretendere sempre di più da ogni capitolo. Per quanto riguarda i prossimi, saranno decisamente più impegnativi, quindi se non pubblicherò entro una settimana abbiate fede. Cercherò comunque di non dilungarmi troppo ^^ Grazie ancora a tutte, aspetto di sapere che cosa ne pensate di questo capitolo. Un bacione con stampo di rossetto <3
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Capitolo 7
*** Da un altro punto di vista. ***


Da un altro punto di vista.
 
 
 
 
Il pavimento della cella pareva essersi sgretolato in mille pezzi. La superficie del terreno, un tempo di pietra lucida e levigata, appariva disomogenea, dissestata e purulenta, ruvida al contatto con le tiepide e morbide mani di chi ruzzolava sulle ginocchia, scaraventato al suo interno. Ciò che la rendeva bitorzoluta ed incoerente, così sgradevole al tatto, era lo spesso strato di polvere che la ricopriva: alcuni mucchietti di fuliggine creavano delle montagnole di sporcizia disgustose, una nebbia sottile e grigiastra, dalla quale non si poteva scorgere che il nulla, impediva a Hinata, mani impastate nella sporcizia, di trovare ristoro nel caldo tufo scuro, che d’ora in poi avrebbe cullato i suoi sonni e attutito il peso del suo corpo stanco. La gattabuia non era così sporca perché saltuariamente visitata, al contrario. Molte vittime della furia della Regina e della clemenza del Re avevano calpestato e urtato quel suolo, disperandosi e pregando che qualcuno potesse liberarli da quell’opprimente morsa di follia; eppure non era mai accaduto, nessuno li aveva mai affrancati dalla prigionia, perché quando il sangue non pompa, quando la resa è arrendevole, si muore da soli. E nonostante tutto, quelli che avevano perso la loro vita in cella potevano ritenersi fortunati, perché sbattere la testa e con questa  pensare significava averla ancora sulle spalle.
Nessuno urlava mai lì dentro, negli atri e nei ventricoli di quel cuore marcio e nascosto: l’angoscia della solitudine latrava incontrollata nel modo più acuto e stridente possibile.
 
Hinata, che di prigioni e di celle non era pratico (al contrario di Kageyama, che più di una volta aveva rischiato di essere sbattuto dentro), non appena vide il cancello chiudersi dietro le sue spalle e sentì la chiave girare più volte nella toppa, iniziò a sbraitare e a piangere, tirando feroci pugni al madido legno rovinato.
<< Tiratemi fuori! Io devo uscire di qui! >> gridava, cigolii sussultanti a supportare la voce rotta dal pianto.
Si accasciò a terra, portando la testa tra le ginocchia appuntite.
Aveva fallito, aveva perso. La partita era conclusa. Non sapeva quanto tempo restasse, se fossero ore o minuti: lui aveva perso e questa era l’unica cosa che gli importava di sapere. Avrebbe voluto tornare a casa, trovare un passaggio segreto per scappare e lasciar scorrere tutta quella torbida melma di pazzia e incoerenza verso un oceano capace di accoglierla. Gli mancavano i suoi amici, i suoi semplici, ma immensi fratelli. Gli mancava la pazienza di Akaashi, il ragazzo insonne, che era sempre stato pronto a porgergli una mano quando la notte si faceva troppo oscura. Probabilmente la sera della partita a scacchi aveva sentito tutto senza proferire parola. Gli mancavano la furbizia di Kenma e la sua attitudine al silenzio. Avrebbe voluto poter parlare con lui in quel momento, potergli chiedere come avrebbe fatto lui ad uscire da quella situazione approfittando dei mezzi a sua disposizione. Invidiava la sua sobria scaltrezza, il suo sguardo schivo e rassicurante, le sue parole indecifrabili, a volte, come un codice matematico. Gli mancava la forza d’animo di Asahi che, sebbene se ne fosse andato di casa, lui che una casa e dei genitori li aveva, aveva tentato la strada della fortuna. Avrebbe voluto possedere anche solamente una goccia del suo coraggio, una goccia di quello spirito di rivalsa e di passione. Gli mancava la sua casa, il suo letto freddo, il locandiere Ukai così severo e paterno, lo sfrigolare delle pentole sul fuoco, le partite a dadi vinte e stravinte, le lotte a braccio di ferro, le canzoni cantate a squarciagola durante le notti di festa. Gli mancavano Tobio e quel suo sorriso raro, che Hinata aveva avuto il privilegio di vedere più volte. Gli mancavano i suoi occhi blu, la sua parlantina aggressiva, i suoi bisbigli segreti, le dolci parole che una volta gli aveva sussurrato nell’orecchio. Ripensava alle parole della Regina Bianca e vedeva il volto di Kageyama. Ripensava a cosa significasse amare, a quella sensazione che aveva denominato affetto, alle coperte intrecciate tra i loro corpi… e vedeva il volto di Kageyama.
Forse anche lui era matto, perché pensare di amare un ragazzo burbero ed indisponente come Tobio era una follia.
Forse erano davvero tutti matti in quel posto.
E forse era a causa di tutta quella follia che Shouyou non si era accorto di avere compagnia nella cella del palazzo delle Carte.
Se ne stava nascosta in un angolo, l’ombra di una fiamma soffocata.
<< Sono arrivato tardi >> mormorò sconsolata e affranta, rimpicciolita nella sua grandezza a causa dello sconforto. Hinata sobbalzò nel sentirla, talmente concentrato sulle proprie emozioni da non accorgersi di non essere solo in quell’antro oscuro. Gattonò verso la figura sfumata nella penombra e aguzzò la vista per poter distinguere il suo volto lievemente illuminato dalla luce di una fiaccola che filtrava dallo spioncino della porta.
<< Coniglio? >>
<< Chiamami pure Bianconiglio. >>
Questa volta il Coniglio non aveva fretta: se ne stava seduto con le mani appoggiate sulle ginocchia, un’apatia patetica inondava i suoi occhi rosei, figli dell’aurora, discendenti del mattino.
<< E’ il nome più adatto per voi >> commentò Hinata con la voce ancora tremolante per il pianto.
<< Non sono così importante da meritare il ‘voi’, Hinata >> gli rispose il Bianconiglio, distendendo le gambe atletiche e appoggiando la schiena al muro; reclinò leggermente la testa all’indietro, facendo toccare la punta delle orecchie bianche con il tufo.
<< Sapete… voglio dire, sai il mio nome? >>
<< Certo. >>
Shouyou si passò un lembo della camicia azzurra sotto gli occhi, asciugando le lacrime bollenti che gli avevano rigato il viso. Interiorizzando a poco a poco di non essere più solo, il ragazzo riprese a respirare regolarmente, recuperando qualche battito cardiaco. Non che la presenza del Coniglio fosse utile a ristabilire l’ordine generale degli eventi, ma era pur sempre un’anima nella sua stessa condizione e questo lo faceva sentire meno abbandonato.
<< E’ per questo che sei rinchiuso qui? Per il ritardo? >> chiese Hinata dopo aver riflettuto per interi minuti su che cosa avrebbe potuto dire al frenetico gentiluomo, che oramai pareva aver perso il suo elettrico ed irrequieto piglio.
<< Esattamente. Sapendo che questa sarebbe stata la mia fine, avrei potuto risparmiarmi l’affanno e l’angoscia; ma io sono fatto così, la mia indole è irrequieta. Probabilmente, sapendolo, avrei potuto dirti qualcosa di più. >>
A quella risposta il garzone fu scosso da un caldo brivido di speranza e si avvicinò maggiormente al muso lentigginoso del Coniglio.
<< Perché tu sapevi qualcosa? >> domandò sottovoce, battendo istericamente le palpebre. Non riusciva a scindere l’emozione della novità dalla rabbia per l’omertà e perciò, reprimendo azioni istaintive e primitive, si sedette a pochi centimetri dal Bianconiglio, gambe incrociate e schiena in tensione.
<< Io sapevo il  necessario >> replicò il Bianconiglio, aria di chi è sommerso dalla vergogna.
<< E cosa sapevi? >>
<< Che saresti dovuto passare di qui. >>
Hinata scosse la testa interdetto, sgranando gli occhi e facendo schioccare la lingua sul palato.
<< Ma io non dovrei essere qui! >>
<< E questo chi l’ha detto? >>
Non era stato il Coniglio a parlare. Una voce profonda e suadente, per nulla ignota alle orecchie di Shouyou, aveva colmato il suo cuore di paura e di sgomento. Tentennò a voltarsi, ad abbandonare lo sguardo innocuo e familiare del Bianconiglio, ma quando sentì un alito caldo avvolgergli il timpano, comprese immediatamente di chi si trattava.
<< Stregatto… non ti sei dimenticato di venire. Non sei del tutto svanito, allora! >>
Lo Stregatto incominciò a comparire gradualmente, iniziando dall’inconfondibile sorriso e finendo con la lunga coda a strisce violacee. Si acquattò vicino al ragazzo, appoggiando le braccia selvatiche sulle lunghe gambe muscolose.
<< Dimentico molte cose, ma non tutte le cose. Sono matto, ma non stupido >> asserì il felino con ironica serietà, scaraventando Shouyou in un limbo di vergogna e di divertimento.
<< Questo non l’avevo mai messo in dubbio >> ribatté, sorridendo a sua volta. Ora, attorniato da due conoscenti fidati, si sentiva più leggero, terribilmente furioso e insoddisfatto di sé, ma per lo meno meno angosciato.
<< Sarebbe opportuno che la smettessi di comportarti da tale, allora, dal momento che nemmeno io ne avevo dubitato >> soffiò il Gatto, punzecchiando il ragazzo con la coda.
<< Mi piacerebbe apparire meno tonto, ma non c’è niente che io possa fare, Stregatto! Ho perso tutte le opportunità che avevo, ho fatto un buco nell’acqua profondo quanto un mulinello e marcirò qui dentro per il resto dei miei giorni a causa della mia idiozia! >>
Hinata appoggiò la schiena alla parete pietrosa, lasciandosi scivolare accanto al Coniglio.
<< Shouyou, ascoltami bene… >>
<< Sì, ascoltalo bene! >> intervenne il Bianconiglio annuendo convulsamente.
<< Hai tutte le informazioni necessarie per ritrovare il Re Bianco. E te lo sta dicendo uno che si reputa più svanito di te >> miagolò il Gatto con incredibile serietà. Shouyou si sentiva incapace di credere  e di sperare, deluso e rassegnato dall’evoluzione della vicenda.
<< Ma che è meno stupido. Se sono rinchiuso qui, come faccio a trovarlo? >> chiese, scuotendo le mani.
<< Basta tornare indietro nel tempo e ripercorrere le tue stesse orme. Tu puoi vederle, in fin dei conti non sono come le mie. Rifletti su ciò che ti hanno detto tutte le persone che hai incontrato in seguito al dialogo con la Regina Bianca. >>
<< Sono troppo agitato per potercela fare >> rispose il rosso.
<< Smettila di cincischiare. Io non posso parlare, ma tu puoi >> sentenziò glaciale il Coniglio, rammaricato per la posizione in cui si trovava. Hinata prese un profondo respiro, gonfiando la pancia gorgogliante per la fame e per la tensione.
<< Il primo che ho incontrato sei stato tu, Bianconiglio, e l’unica cosa che sei riuscito a dire è che avevi fretta di arrivare qui, dalla Regina di Cuori, perché se fossi arrivato in ritardo ti avrebbe tagliato la testa >> incominciò, dita che tamburellavano sulla fronte corrugata.
<< Non potevo dirti altro, Shouyou. Vai oltre! >> lo incitò il Bianconiglio.
<< Dopodichè ho incontrato il Brucaliffo, che inizialmente ha avuto qualche difficoltà a capire il mio nome. Mi ha parlato di non perdere le staffe e ha ignorato con maestria il mio desiderio di conoscere la posizione del Re. Disse di avermi già detto ciò di cui avevo bisogno, ma per me non era così, mi sono arrabbiato e lui si è trasformato in un bruco colossale e ha iniziato ad inseguirmi. >>
Lo Stregatto, rimasto in silenzio per tutto quel tempo, fece una capriola e si mise a testa in giù, gambe all’aria e bocca capovolta.
<< Io analizzerei la questione da un altro punto di vista. Qual è la prima frase che è uscita dalla sua bocca bluastra? La prima, Shouyou >> puntualizzò, indicando il ragazzo con l’indice affilato. Hinata si chiedeva come riuscisse a ragionare con tutto il sangue al cervello, ammesso che in quel corpo flessibile scorresse qualcosa.
<< ‘Chi sei tu?’ >>
<< No, Hinata, la prima. >>
Gli ritornò in mente il momento in cui aveva sentito per la prima volta la voce del Brucaliffo e intuì di essere a conoscenza della risposta esatta.
<< In realtà non era una frase… era un motivetto che faceva “O…U, E, I, O, A” >> canticchiò imitando la voce del Bruco.
Lo Stregatto sorrise soddisfatto.
<< Molto bene, vedo che finalmente hai osservato la faccenda da più vicino. Scrivi queste lettere qui, serviti della polvere di questo pavimento lurido per non dimenticarle. >>
Hinata tracciò le lettere a terra.
 
O U E I O A
 
<< Poi >> continuò, incuriosito dal gioco d’astuzia dello Stregatto << ho incontrato Pincopanco e Pancopinco, i quali, dopo avermi preso sufficientemente in giro per i miei capelli, il cerume nelle orecchie e fatto ramanzine sul fatto che fosse necessario stringersi la mano, mi hanno recitato una filastrocca sulla decapitazione, divertimento preferito della Regina di Cuori, a cui inizialmente non ho creduto. >>
<< Ripetila. Ripeti la filastrocca. >>
<< Ma io non la ricordo a memoria >> si giustificò con sguardo interrogativo.
<< Queste lettere non ti aiutano? >> incalzò lo Stregatto ripercorrendo con l’artiglio della mano sinistra le lettere tracciate a terra da Shouyou. Il ragazzo ragionò per pochi secondi, perché quel suggerimento gli fece balzare alla mente due versi della poesia di Pincopanco e Pancopinco che con delle lettere avevano a che fare.
<< “O, U, E, P, Q, ERRE’…persino l’alfabeto di alcune lettere mancava”… >> sussurrò dapprima con occhi bassi e concentrati e poi con atteggiamento convinto.
<< Cosa aspetti ad eliminarle? >>
Hinata solcò una linea sulle quattro lettere da sterminare.
 
O U E I O A
 
<< Continua, sei sulla strada giusta >> lo incentivò lo Stregatto, ricomponendosi su due gambe.
<< Poi sei arrivato tu, Stregatto, che sei riuscito a riportarmi sulla retta via, conducendomi dal Cappellaio Matto e dalla Lepre Marzolina. Non ricordo cos’altro ci siamo detti, perché è stato… mistico ed evanescente, ecco. È servito, mi ha colpito con la forza di mille schiaffi e poi è scomparso. L’ho interiorizzato. >>
<< E questo è tutto ciò che ti è necessario sapere. Vai avanti. >>
Il cuore di Shouyou batteva all’impazzata.
<< Il Cappellaio Matto mi ha parlato di tantissime cose. Inizialmente lui e la Lepre, impegnati a ballare sulla loro lunghissima mensa, volevano cacciarmi, ma poi si sono convinti che era opportuno farmi accomodare e, prima che riuscissi a sapere dov’era andato il Coniglio, mi hanno sottoposto un indovinello un po’ stupido. Poi hanno parlato del tempo e… >>
<< La soluzione stupida dell’indovinello quale sarebbe? >> lo interruppe lo Stregatto, incrociando braccia e gambe e levitando in aria, sorretto solamente dalla coda forzuta.
<< Che un corvo e uno scrittoio hanno in comune la lettera C e nessuna lettera E >> ricordò Hinata, indignato da quella risposta insensata.
A mano a mano che ripercorreva il suo viaggio, Shouyou capiva il metodo giusto con cui procedere per giungere ad una risposta: tutto era racchiuso in un codice segreto formato da lettere e da  indovinelli, da parole apparentemente senza senso che tuttavia avevano un significato non indifferente.
<< Scrivi, avanti. E ricorda di decapitare la E. >>
 
O U E I O A C E
 
<< Poi è arrivato il turno del Ghiro, che mi ha raccontato la storia del pozzo di melassa, nel quale tre sorelle avevano imparato a schizzare parole che iniziavano con la lettera M. >>
 
O U E I O A C E M
 
<< Vedo che hai capito come funziona >> commentò soddisfatto lo Stregatto, sfoderando il sorriso più tremendamente entusiasta che avesse mai mostrato.
<< E poi ho incontrato il numero Quattro, che mi ha parlato di quanto svitata fosse la Regina di Cuori e di quanto volesse sembrare per tutti la numero uno, che in realtà non è, perché è solo il numero 12… e il marito è il numero 13. >>
 
O U E I O A C E M 12 13
 
Hinata scrisse entrambi i numeri sul pavimento, storcendo il naso. Che cosa potevano voler significare quei due numeri in un codice di lettere?
<< Trasforma i numeri in lettere >> suggerì poi il Gatto, rendendo il meccanismo più chiaro.
 
O U E I O A C E M N O
 
<< Tutti i numeri >> aggiunse. Hinata lo guardò confuso.
<< Che significa tutti i numeri? >>
<< Ne manca uno. >>
Si ricordò poi che la Regina si considerava la numero uno e trasformò immediatamente quella cifra in una lettera, la prima dell’alfabeto.
 
O U E I O A C E M N O A
 
<< Ora, hai tutto ciò che ti serve, mio caro. >>
Shouyou, dopo aver affondato il suo sguardo negli occhi gialli dello Stregatto e in quelli rosa del Bianconiglio, ripose nuovamente l’attenzione sull’enigmatico messaggio tracciato nella polvere. Lo riscrisse eliminando le lettere che precedentemente aveva barrato e poi si dilettò a risolvere il complicato anagramma.
 
I A C M N A
M A N I C A
M A C I N A
 
“Manica” fu la prima parola individuata dal ragazzo e “macina” fu la seconda. Ricercò il volto dei due complici, nascosti nell’ombra della reclusione. Il Gatto gli si avvicinò con passo felpato, puntandogli un dito nel bel mezzo degli occhi. Hinata prese a seguire l’affilato artiglio con estrema attenzione: esso si posò sopra una delle due parole da lui individuate.
E lo Stregatto la ferì con un profondo graffio.
 
I A C M N A
M A N I C A
M A C I N A
 
<< Manica… che significa? >> domandò il rosso con voce roca ed anelante. Voleva arrivare al dunque, qualunque esso fosse. Il cuore gli rimbombava nel petto con un ritmo tale da sbaragliare qualsiasi altro sentimento che non fosse la speranza.
<< Perché non lo scopri da solo?  >> gli disse lo Stregatto, cerchiando la parola in cui si racchiudeva la via di scampo, la rivalsa, la conquista.
<< Mai sentito il detto “asso nella manica?” >> domandò retorico, sorridendo a tal punto da aver male alle guance scarne. I canini affilati parevano due lame, le labbra sottili fodere di spade.
Lo Stregatto si accovacciò accanto a lui, a pochi centimetri da suo volto, con la solita sfacciataggine per bene che l’aveva caratterizzato dal loro primo incontro e che probabilmente lo caratterizzava da tutta una vita. Estrasse da dietro la schiena due oggetti arrivati da chissà dove, tenendone uno nella mano destra e l’altro nella mano sinistra. Poi affievolì il ghigno divertito, trasformandolo in un risolino scaltro.
<< Tieni, conserva questi oggetti che ti darò e ricorda bene che cosa ti dirò a loro proposito. Questo è un pezzo del fungo del Brucaliffo, che ti porge le sue più sentite scuse. Ti servirà per diventare più piccolo, per rimpicciolire il tuo corpo fino alla stazza di un acaro. Questo è invece un liquore pregiato che mi è stato donato dal Cappellaio Matto, che, tirchio com’è, non aveva mai offerto a nessuno. Ti servirà per diventare più grande, per ingrandire il tuo corpo fino a superare le nuvole. >>
La voce suadente del Gatto aveva fatto rizzare a Shouyou peli e capelli, coraggio e fiducia. Forse c’era davvero la possibilità di riuscire a trovare il Re, in qualche modo.
<< E se hai bisogno di me, ragazzo dalla camicia azzurra, ridi in modo talmente fragoroso da distruggere gli atomi che ti compongono. >>
E il Gatto scomparì. Hinata non poté nemmeno ringraziarlo per ciò che aveva fatto per lui e una timida lacrima fece capolino dal suo occhio destro. Rivolse lo sguardo verso il Bianconiglio, che pazientemente aveva assistito alla scena senza proferire parola. Il Roditore indicò con un lieve cenno della testa la manica sinistra della camicia di Shouyou e il ragazzo a quel segno non poté che frugare nella propria veste, speranzoso ti trovare realmente un asso.
E infatti lo trovò. Era un asso di cuori di vecchia fattura, diverso dalle carte che era sempre stato abituato a vedere. Lo osservò tremante, senza una presa salda delle mani.
<< Avanti, girala, gira la carta >> lo incitò poi il Coniglio.
 
“Lo scacco non è matto, il matto non è scacco”
 
Hinata lesse le parole scritte con la vernice rossa tutto d’un fiato. Inizialmente non riuscì a comprendere che diamine stesse a significare quell’intricato gioco di parole; poi, come quando il vento spazza le foglie dai rami degli alberi, ogni dubbio fu rimosso dalla mente precedentemente rassegnata del ragazzo. Gli occhi gli si illuminarono di una luce folgorante, un’espressione di gioia genuina rianimò il volto costipato dal pianto.
<< Non posso crederci. >>
<< A che cosa, Hinata? >> domandò il Coniglio che, seduto accanto a lui, lo scrutava con ammirazione.
<< Io, io credo di aver capito, credo di aver capito che cosa voglia dire questo messaggio! “Lo scacco non è matto” significa che il Re non è ancora morto, perché quando lo scacco è matto significa che il Re è stato accerchiato e fatto fuori dagli avversari; e “il matto non è scacco” vuol dire che i matti di cui parlava il Cappellaio non erano i seguaci della Regina Bianca, gli scacchi, ma i seguaci di un’altra corte: erano le carte della Regina di Cuori! Il Quattro stesso me l’ha detto, mi ha detto che sono tutti ammattiti per colpa della loro Sovrana! Ora mi è tutto chiaro! Il Re è tenuto prigioniero in questo palazzo, dobbiamo uscire di qui! >>
Il Coniglio accarezzò i capelli arruffati ed elettrici di Hinata con volto compassionevole. Se solo fosse vissuto nella sua Tokyo, probabilmente Shouyou si sarebbe divertito a passare i pomeriggi con lo strano roditore, che da quella distanza non pareva così autorevole come inizialmente aveva ritenuto che fosse.
<< Vai tu, Hinata. Io non c’entro nulla con questa missione, ho commesso troppe infrazioni ed evadere sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso >> spiegò il Bianconiglio, sorridendo in modo buffo a causa del labbro leporino.
<< Ma… io non ho il coraggio di lasciarti qui. Tu… >>
<< Io so badare a me stesso. Pensa a te, piuttosto, che devi ritrovare il Re. Ci sei quasi. Io posso aiutarti per quanto riguarda l’orario. Posso lasciarti questa. >>
Il Coniglio, sotto gli occhi lucidi di Shouyou, estrasse dalla tasca del panciotto una piccola clessidra, così minuscola da riuscire a stare nel palmo di una mano. Afferrò la mano di Hinata e la ripose delicatamente al suo interno, chiudendo le dita del ragazzo attorno al vetro lucido.
<< Una clessidra? Tu sai che ora è? Sai quanto manca al sorgere della luna piena? >> domandò il garzone, riconoscente e meravigliato, incredulo che coloro che si erano dimostrati i meno decisivi per la faccenda, ora gli stessero donando oggetti necessari per riuscire nella missione.
<< Non è una clessidra come tutte le altre. Basta colpirla con la punta delle dita tante volte quanti sono i minuti di tempo trascorrenti. Toccala quarantaquattro volte. >>
Hinata si paralizzò istantaneamente a quell’imperativo.
<< Ho solo quarantaquattro minuti? >>
<< Sì e non ti resta che mangiare il fungo e scomparire sotto la porta. Non finirlo tutto, mi raccomando. >>
Il Bianconiglio continuava a sorridere di un ghigno dolce-amaro, terribilmente triste ma al contempo orgoglioso. Le iridi di Hinata rimbalzavano nel bulbo, indecise sul da farsi: lasciare il Coniglio a marcire nella cella non era un gesto da gentiluomini, né tanto meno un giusto pegno di riconoscenza.
<< Io non so come ringraziarti. Vorrei portarti con me. >>
Il Roditore chiuse gli occhi, lentiggini che si illuminarono come mille stelle.
<< Non perdere tempo: questo è il modo migliore in cui tu possa ringraziarmi. Vai! >>
Hinata, riposti gli oggetti in una tasca dei calzoni, addentò un pezzo di fungo, la giusta porzione per diventare piccolo quanto una formica. Strisciò sotto la porta, con nel cuore la convinzione che, dopo aver portato in salvo il Re, avrebbe scagionato il Bianconiglio e portato i suoi saluti a tutti gli altri amici che aveva incontrato durante il suo viaggio.
Ora, però, era necessario concentrarsi sulla missione, non lasciare che i granelli di sabbia cadessero troppo rapidamente sul fondo della clessidra.
 
Mancavano quarantatre minuti quando, sul limitare della cella, due guardie, precisamente il Nove di Picche e il Tre di Quadri, per poco non lo schiacciarono con la suola delle loro scarpe.
 
<< Muoviti, Nove, dobbiamo portargli da mangiare. >>
 
 
 
 
 

Angolo dell’autrice: eccomi qui con il nuovo capitolo cuoricini! <3 Vi avevo detto che questo sarebbe stato più lungo/impegnativo/ricco dei precedenti, e così è stato. Ho impiegato due giorni di più per scriverlo e buttando giù un abbozzo avevo già scritto 6 pagine di puro dialogo. Ciò che ho amato descrivere sono stati tutti i vari sbalzi d’umore di Hinata, che diciamo è coinvolto in tante e diverse situazioni.
Volevate lo Stregatto (lo volevo anche io)? Ed eccolo qui! ** Quanto si può amare? Io più scrivo di lui, più me ne innamoro. E ho voluto inserire nuovamente anche il Bianconiglio, perché, come avete potuto vedere, si è rivelato un personaggio decisamente importante. Ora Hinata sa dove cercare e sa che ha ancora quarantatre minuti di tempo per riuscire nella missione. Ce la farà? …nel prossimo capitolo verrà svelato il mistero! <3 –spera di non impiegare un’eternità a scriverlo-.
MA! Adesso voglio farmi un po’ di pubblicità (aiuto mi sento egocentrica). Ho aperto la settimana scorsa la mia pagina da “scrittrice” su Facebook, dove oltre agli aggiornamenti dei capitoli vorrei condividere con voi che leggete alcuni pensieri e indizi sulle mie storie. Ho già ben delineato un piano per la prossima fanfiction, che sarà molto diversa da questa e più incentrata sulle relazioni amorose (ljgshckuah <3) e mi piacerebbe portarla avanti insieme a voi. Perciò, per chi volesse dare un’occhiata alla pagina, questo è il link: https://www.facebook.com/NoodleEFP/?ref=ts&fref=ts
In più, domenica 30 e lunedì 31 sarò al Lucca Comics, quindi se per caso chi legge questa storia volesse incontrarmi (oddio che ansia sto facendo la vip sopprimetemi), avete solo da dirmelo! A me farebbe tanto piacere <3 I cosplay che porterò li specificherò nella pagina Facebook (uno è di Haikyuu ehehe).
Bando alle ciance, grazie a voi che leggete, recensite, preferite e seguite, mi state facendo sentire più che apprezzata, GRAZIE **
(Domani mentre sarò in viaggio risponderò alle ultime recensioni che ancora non ho avuto tempo di controllare) :3 Siete il top!
_Noodle 

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Capitolo 8
*** Al di là della porta. ***


Al di là della porta.
 
 
 
 
 
Trentatre, trentadue, trentuno, trenta, ventinove….
 
Se solo non fosse stato per l’inesorabile scorrere del tempo, per l’affannarsi di quei secondi infidi e sfuggevoli, Hinata si sarebbe soffermato con estremo piacere ad osservare le sontuose stanze del Palazzo delle Carte. Riemerso dai sotterranei in cui giacevano le prigioni, dopo aver percorso intricati corridoi e vorticose rampe di scale, era riaffiorato nei piani superiori del Palazzo, le cui stanze e i corridoi erano illuminati da torce, fiaccole e giganteschi lampadari di candele. Il cielo, che si poteva scorgere dalle sterminate finestre dai vetri sottili, era diventato buio, pronto per accogliere la luce della luna.
Hinata correva a perdifiato dietro il Nove di Picche e il Tre di Quadri che, sebbene non avanzassero con un passo sostenuto, facevano mangiare la polvere al piccolo garzone, diventato delle dimensioni di un pidocchio a causa del fungo del Brucaliffo. Da quella bassezza, dalla ridicola statura del momento, tutto appariva più ampio, più grande e deforme; i colori erano più vividi ed appariscenti, l’oro e l’argento degli ornamenti rifulgevano di una luce accecante e i marmi neri e rossi di cui erano costituiti i pavimenti e le pareti rivelavano vene e capillari, che scorrevano al loro interno come in veri e propri tessuti, come in veri e propri corpi. Hinata costeggiò le pompose stanze dei ricevimenti, i salotti sfarzosi, i saloni dedicati alle riunioni e le camere blindate, in cui, secondo il suo parere, la Regina teneva nascoste miriadi di teste mozzate accatastate le une sulle altre. Fu proprio davanti ad una di queste stanze blindate, l’ultima di un piccolo corridoio alla sinistra di quello principale, che le due guardie dal passo svelto arrestarono l’avanzata. Il Tre estrasse una chiave dalla tasca della sua uniforme bianca e rossa, la infilò nella serratura e con religioso silenzio diede quattro mandate in senso orario. La chiave era talmente piccola che la fessura della toppa pareva inesistente: “un ottimo modo per blindare una porta!”, pensò il giovane.
Hinata, respiro incostante e salivazione difficoltosa, osservava con attenzione le tremolanti azioni delle carte, che sembravano avere più paura ed incertezze di lui. A chi stavano servendo la cena? Ad un prigioniero? Ad un criminale? Ad una strana e magica creatura dominatrice di arti oscure? Data la ciotola che il Nove teneva in mano, poteva trattarsi di un animale più che di un umano, ma non era detto che in quel luogo di persone mentalmente instabili fosse d’uso comune mangiare nelle ciotole invece che nei piatti. Hinata non sapeva se quello che stava facendo fosse realmente utile, ma aveva la sensazione che non fosse totalmente sbagliato e avulso di senso.
Le Carte, dopo aver bussato educatamente, solcarono la soglia della stanza blindata; Shouyou li seguì istintivamente, nascondendosi dietro ad un piede del Nove.
Mancavano trentanove minuti al sorgere della luna piena.
<< Signorino! Siamo noi, il Tre di Quadri e il Nove di Picche. Vi abbiamo portato la cena >> bisbigliò il Tre, facendosi passare la ciotola dal Nove e porgendola poi al suo interlocutore.
<< Lasciatela lì >> ordinò una voce senza volto.
<< Non avete bisogno di una mano per magiare? >>
<< Io non mangio, ve l’ho già detto un milione di volte. Non ho bisogno di nessuno. >>
La Voce era roca, dal timbro scuro e sabbioso. Ferma e precisa, irata e calcolatrice, essa era stata in grado di cacciare le due guardie con poche e gelide parole, aguzze e acuminate più di un centinaio di spilli. Hinata, indeciso sul da farsi, rimase insospettito dalla tenebrosa presenza che si nascondeva nell’oscurità della stanza blindata. Sfilò la clessidra dalla tasca per controllare il tempo mancante e si accorse di avere solamente trentotto minuti. Le due guardie, dopo aver serrato la porta, si allontanarono con passo rapido e terrorizzato; Shouyou, tuttavia, rimasto intrappolato nella stanza, decise di indagare e di approfondire la questione. Perché mai un detenuto avrebbe dovuto risiedere ai piani superiori del palazzo e non nelle prigioni? Era realmente un detenuto? Come mai il Tre e il Nove l’avevano trattato con tanta reverenza e rispetto? Chi era il “Signorino” di cui avevano parlato?
Il pavimento, a differenza delle celle sotterranee, era di marmo rosso, lindo e lucente. Le pareti, anch’esse di marmo, erano spoglie e non vi erano finestre che permettessero di osservare l’esterno. Una seconda porta di legno, sprangata dalla cima alla base per evitare che il prigioniero potesse evadere, era l’unico elemento presente nel cubicolo, esclusa la ciotola di cibo che restava intonsa accanto alla porta d’entrata. Hinata si guardava continuamente attorno alla ricerca del prigioniero, ma nessuno si palesava e la stanza sembrava vuota. Non giunse nemmeno nella sua metà, che dei passi ticchettanti e indiavolati raggiunsero quel luogo. La piccola chiave scattò per l’ennesima volta nella serratura e la porta di legno blindata si spalancò con ferocia.
Erano Lei e Lui.
<< CANE! SEI UN CANE PAZZO! Ne ho abbastanza dei tuoi comportamenti infantili! Sarai pure mio figlio, sarai pure il Fante di Cuori ma questo non ti autorizza a comportarti male con le guardie! Cuoricino, fallo scendere dal soffitto, voglio guardarlo negli occhi. >>
La testa di Hinata iniziò a turbinare, le sue orecchie a fischiare e il suo cuore a pompare con una frequenza disumana. Ciò che vide non fu equiparabile né alla terribile visione del Brucaliffo, né agli spaventevoli ghigni dello Stregatto, né alla presenza assoggettante delle Loro Maestà. Ciò che vide andava al di là del raziocinio e della ragionevolezza, andava al di là del normale, del consueto e del conosciuto; andava al di là delle leggi della fisica e della gravità, andava al di là del sogno e dell’immaginazione; andava al di là persino della follia. Senza che il Re proferisse parola, il prigioniero della Camera Blindata dei Piani Alti staccò il proprio corpo dalla parete del soffitto, come se vi fosse stato incollato, e precipitò al suolo leggero, cullato dall’aria tiepida.
Il Fante di Cuori, o Cane Pazzo che dir si voglia, non era un individuo come tutti gli altri. Non assomigliava ai suoi genitori per fattezze e per spessore, non possedeva uno scheletro o una struttura muscolare, non era dotato di una tridimensionalità e di un corpo in carne ed ossa: il Fante di Cuori, dalla pettinatura eccentrica e dall’abbigliamento scomposto, era una carta. Tuttavia, sebbene potesse essere definito tale, il Fante di Cuori, dai capelli biondi strisciati di nero e dagli occhi ricalcati di matita, non era delle stesse sembianze del Tre di Quadri, del Nove di Picche o del Quattro di Fiori. Si dice che nessuno abbia un volto o una corporatura perfettamente simmetrica, né tanto meno uguale; ma Cane Pazzo, il figlio della Regina e del Re di Cuori, non rispettava proporzioni e non era stato generato secondo canoni predefiniti. Non era realistico. L’occhio destro era più grande del sinistro, la bocca più grande delle spalle, il braccio sinistro più largo di quello destro, i fianchi più sottili della gamba sinistra. Hinata si rese conto della sua vera realtà quando finalmente poté vederlo in tutta la sua altezza.
Corpo bidimensionale fatto di cellulosa, nessuno spessore nella testa e nelle estremità, corpo dalle sembianze umane e ben diverso da quello rettangolare dei sudditi delle Maestà. Occhi sproporzionati e senza ciglia, naso minuto costituito da due semplici punti, mani con quattro dita ciascuna, piedi extra-ruotati e paralleli al terreno, contorni a matita attorno a tutta la sua figura. Il Fante di Cuori, o Cane Pazzo che dir si voglia, era stato disegnato da qualcuno.
<< Io non devo obbedire a nessuno. >>
La Regina si avvicinò al Fante, compiendo un movimento con il braccio come se avesse voluto afferrargli il colletto della camicia rossa, che tuttavia, come il resto del corpo, come i pantaloni grigi e le scarpe nere, non aveva una tridimensionalità.
<< Devi obbedire a tua madre! >> sbraitò puntando il dito in direzione dei suoi occhi << Se ti tengo recluso qui dentro ci sarà un motivo! Io ti sto educando, voglio che tu, un giorno, possa essere in grado di prendere il mio posto, ma se non collabori e non cerchi di portare rispetto la questione diventa estremamente difficile! >> gridò, paonazza in volto.
<< Sai bene che il tuo posto non spetterà a me. >>
Vedendo che la moglie era sulla buona strada per incespicarsi e per fallire miseramente nel suo intento risanatore, il Re avanzò verso il discendente, allungando un braccio davanti al corpo della Regina in atteggiamento di difesa.
<< Figliolo, non rivolgerti così a tua madre. >>
<< Non chiamarmi in quel modo. >>
Fu a quelle parole sibilate con odio e disprezzo che la Regina scostò il braccio del marito da davanti a sé e afferrò Cane Pazzo per le spalle, ferendosi leggermente i palmi delle mani.
<< Se solo non fossi fatto di carta schifosa e dal tuo corpo di rifiuti potesse zampillare almeno qualche goccia di sangue, giuro sulla testa di mio marito che ti avrei già mozzato il capo. >>
Un breve silenzio, colmato dagli affannosi spasmi della Regina, intercorse tra quello scambio di irate battute.
<< Ma non potete farlo, dico bene? Perché io sono tutto ciò che avete. >>
Sua Maestà, travolta dall’impeto violento della rabbia, del disgusto e della delusione, afferrò il marito per una manica della giacca e lo trascinò fuori dalla camera. La porta sbatté e le usuali quattro mandate sigillarono il Fante e Hinata all’interno nella piccola cella. Shouyou era rimasto sconvolto dall’aspetto e dal carattere del figlio delle Maestà, così indisponente e sadico nelle risposte. Nonostante la madre fosse la pazza scriteriata per eccellenza, il figlio era il personaggio da temere di più. Ma perché nessuno dei sudditi aveva parlato di lui? Perché era segregato, tenuto nascosto? Forse per il suo aspetto sgradevole? Per la sua cattiveria senza limiti? Era riuscito a far emergere le debolezze della Regina e a renderla apparentemente sensibile e umana; sconvolta dalla freddezza del figlio, Hinata giurò di aver scorto delle lacrime nei suoi occhi severi. Era il Fante a tenere in mano il gioco? Era lui la carta della vittoria? Quel matto che non era uno scacco?
Shouyou percepì di star percorrendo la strada giusta.
 
Cane Pazzo si avvicinò alla porta sprangata, si accovacciò per terra e scivolò sotto di essa. Hinata lo seguì a ruota, ringraziando silenziosamente quell’insetto burbero del Brucaliffo per avergli donato il fungo magico.
La clessidra segnava trenta minuti.
Al di là della porta Hinata si sarebbe aspettato di trovare una stanza con all’interno un tesoro prezioso o un segreto indicibile; si sarebbe aspettato un lungo corridoio buio e misterioso, da percorrere con una fiaccola in mano e con estrema attenzione, si sarebbe aspettato un intricato affastellamento di scale e gradini, di ragnatele appese al soffitto e di vecchi chiodi arrugginiti abbandonati a terra, ma non trovò nulla di tutto ciò che si era immaginato.
Al di là della porta, Hinata e il Fante di Cuori si ritrovarono su un’ampia balconata, che si estendeva per almeno quaranta metri quadri, circondata dall’oscurità più nera. Negli angoli anteriori dello spiazzo, vicine alla lunga ringhiera di marmo nero costituita da colonnine bombate, vi erano due alte pire in fiamme, selvagge ed incontrollabili agli occhi del piccolo Hinata, terribilmente sconvolto dal fumo nero che esse esalavano e che si mescolava con le tenebre della notte. Al di sotto della balconata, almeno a dieci metri di profondità, si estendeva uno sconfinato labirinto costituito da siepi di rose nere, minaccioso ed intricato, malsano, malato, fonte di divertimento per un animo deviato e corrotto come poteva essere quello del Fante di Cuori. Ecco che cosa vi era nascosto al di là della porta: un labirinto da dimenticare, blindato e nascosto da pesanti assi di legno, che stava per essere nuovamente riscoperto da un folle concentrato di sregolatezza.
Shouyou, affacciatosi tra due colonnine, era rimasto invisibile agli occhi di Cane Pazzo, il quale aveva appoggiato le mani deformi sulla ringhiera, ringhiando compiaciuto.
<< Come procedono i giochi? >> esclamò in direzione di alcuni individui all’interno del labirinto, denti aguzzi e occhi rotondi colmi di soddisfazione. La voce di ciascuno rimbombava e faceva eco: quel luogo aveva un’acustica anomala.
<< Non siamo ancora riusciti a raggiungerlo, ma ci siamo quasi. Non temete, Nostro Re! >>
Colui che aveva parlato non era altro che uno degli scagnozzi del Fante. Era una carta da gioco simile a quelle che affiancavano la Regina e il Re nella monotona e ripetitiva vita del Palazzo, ma con un’unica ed essenziale differenza: aveva la testa mozzata. Queste erano gli avanzi, gli scarti, i non voluti, e stavano facendo le veci del massimo esponente dei dimenticati e degli emarginati, sua Maestà Cane Pazzo.
<< Fatela finita, una volta per tutte! Mi sono divertito a sufficienza ad osservare quel poveretto correre da una parte e dall’altra. Ora voglio divertirmi anche io e realizzare il mio progetto: acchiappatelo! >>
<< Agli ordini, Vostra Maestà! >>
 
Tum tum. Tum tum. Tum tum. Tum Tum.
 
Era lì. Era vivo. Respirava. Stava correndo. Stava sudando. Stava imprecando. Aveva paura. Era lì, di bianco vestito, dal volto slavato e martoriato, dalle ginocchia sbucciate e ferite. Era lì, estenuato, disperato, attaccato alla vita da un sottile filo di speranza. Era lì, probabilmente in fin di vita, ricoperto di cicatrici, di tagli sanguinanti e di ematomi violacei. Aveva gli occhi neri, i capelli ispidi e scompigliati, un portamento regale inselvatichito dalla sopravvivenza.
Il Re Bianco era lì ed era vivo, rincorso da un’orda di carte in bilico tra la vita e la morte. Lo scacco non era ancora diventato matto.
Hinata, raccapricciato da quella vista, ma allo stesso tempo euforico per aver portato a termine la missione ed aver ritrovato la ragione del suo viaggio nel Paese delle Meraviglie, dovette trattenere le lacrime e, per un istante, temette persino di essersela fatta addosso. Ce l’aveva fatta, senza sapere come o con quale spirito: l’aveva ritrovato entro il sorgere della luna piena (nessuno aveva parlato di riportarlo indietro entro tale ora). Non restava che raggiungerlo nei bassi fondi del labirinto e riportarlo alla luce, per poi ricondurlo tra le diafane braccia della moglie. Shouyou non poteva respirare, non poteva ansimare o fare alcun tipo di rumore sospetto, doveva essere forte e cacciare fuori il coraggio e la tenacia. Fece scivolare la clessidra tra le mani, scoprendo di avere ventisette minuti: oramai non serviva più.
 
Come poteva calarsi nel labirinto senza essere scoperto da Cane Pazzo? Gettarsi nel vuoto da un’altezza di dieci metri non era ciò che faceva al caso suo, perché probabilmente sarebbe morto prima lui del Re, e nemmeno pensare di poter bere il liquore del Cappellaio Matto per diventare più grande avrebbe giovato alla missione, in quanto tutti l’avrebbero visto. Come, come poteva raggiungerlo?
Senza opporre resistenza, fu scaraventato di sotto da un calcio del Fante, che si era spostato poco più in là per seguire con maggior attenzione i movimenti dei suoi scagnozzi.
Avrebbe voluto urlare, ma non ne ebbe il tempo; urtò il morbido prato da cui erano germogliate le siepi di rose e sentì le ossa scricchiolare, il naso sanguinare copiosamente. Tamponò il flusso rossastro strappando un lembo della camicia azzurra; poi, senza perdere tempo, cacciò la mano nella tasca dei calzoni, afferrò la bottiglietta di liquore e si bagnò le labbra, in modo da ritornare alla sua altezza originaria. Ristabilite le originali dimensioni, Hinata ebbe una visione del labirinto meno minacciosa e tetra. Iniziò a percorrere un primo corridoio, poi un secondo, svoltò a destra, poi a sinistra, poi ancora a sinistra; intravide le carte decapitate da lontano e intuendo la direzione che avrebbero preso, decise di percorrere una strada alternativa.
 
Destra, sinistra, destra, sinistra, destra sinistra destra sinistra destrasinistradestrasinistradestrasinistra…
 
Uno scontrarsi violento di corpi e di menti, fretta frettolosa e disperata. Due occhi castani che lentamente riescono a riconoscersi, che lentamente riescono ad intuire che la strada per la salvezza è vicina. Il Re Bianco, corpo rivestito da un paio di pantaloni bianchi e da una camicia color panna lacera e macchiata, trovandosi davanti Hinata e i suoi folti capelli rossi, restò paralizzato, impressionato dal fatto che in quel labirinto di mostri fosse appena apparso un angelo.
<< Re Bianco! Vi ho trovato! >> bisbigliò eccitato Shouyou, afferrando le sudice e sanguinose mani del Re. Quest’ultimo rimase con la bocca a mezz’asta, sorpreso, sconvolto e stupito che qualcuno lo stesse cercando. Hinata era giovane, ma evidentemente aveva un animo valoroso e maturo. Il Re, al cospetto di quelle mani sottili e di quel sorriso innocente, non seppe se fosse meglio sacrificarsi in nome del suo salvatore o coinvolgerlo in quella folle corsa verso la salvezza.
<< E tu chi sei? >> chiese infine.
<< Mi chiamo Shouyou Hinata, e adesso che vi ho trovato prima del sorgere della luna piena, nulla potrà più accadervi! La partita è riaperta, Re, si torna a casa! >> esclamò il ragazzo, occhi che rifulgevano di orgoglio e di adrenalina.
<< C’è un modo per uscire di qui? >> continuò Shouyou, senza mollare la presa delle grandi e possenti mani del Re Bianco.
<< Io non ho trovato nessuna via d’uscita da quando sono qui. >>
Ma poi a Hinata venne in mente che un modo per evadere c’era.
<< Perché ridi? Così ti sentirà! Smettila! >>
Shouyou aveva incominciato a ridere sguaiatamente. Incominciò a pensare ai momenti più belli della sua vita, a quelli più strampalati e divertenti. Pensò alle insolite considerazioni del Cappellaio Matto, ai balli strampalati della Lepre Marzolina, alle frasi in rima di Pincopanco e Pancopinco; pensò alle facce buffe di Kageyama, al suo antipatico cipiglio, alle sfortune multiple di Asahi, alle bastonate che il locandiere Ukai tirava scherzosamente sulle loro teste. Pensò ai sorrisi degli amici, ai genitori che non aveva mai avuto, all’ironia della sorte. Sotto lo sguardo allucinato, preoccupato e titubante del Re Bianco, attorno alle onde sonore che le risate di Shouyou producevano, lo Stregatto, dopo che il riso ebbe distrutto gli atomi, apparve.
<< Stregatto, aiutaci ad uscire di qui >> chiese il ragazzo. I sorrisi del Felino e del garzone si ampliavano sempre di più.
<< Sono fiero di te, Hinata. Vostro Candore >> il Gatto fece un profondo inchino guardando negli occhi lo Scacco. Il giovane non fece in tempo a proporre allo Stregatto ciò che aveva in mente per evadere dal labirinto, che scorse negli occhi del Re Bianco un velo di incontrastabile paura.
Il Fante li aveva trovati e sostava alle spalle del Felino con tremenda autorevolezza.
<< Bel lavoro, piccoletto >> ridacchiò Cane Pazzo, avvicinandosi a Shouyou con passo lento e sicuro.
<< Stai lontano da noi! >> gridò il Fante, parandosi davanti a Hinata e al Gatto con fare intimidatorio. Sebbene gli rimanessero ancora poche forze in corpo, alla vista del suo acerrimo rivale ogni spirito di rivalsa scavalcò la stanchezza.
<< Dopo tutto quello che ho passato nella mia vita, credi che questo tuo fare intimidatorio possa spaventarmi? Sei proprio stupido. >>
<< Perché l’hai portato qui? Perchè hai rapito il Re Bianco? >> domandò Hinata furioso e sfrontato. Il Fante fece una faccia sorpresa.
<< Oh, il Re non te l’ha ancora spiegato? Allora mettetevi comodi, bambini, è l’ora della favola. >>
A quelle parole, un gruppetto di carte si radunò attorno ai tre, puntando delle lance appuntite sui loro teneri colli.
<< Molto tempo fa, il Re e la Regina di Cuori ebbero un figlio che ovviamente non ero io. Il piccolo Fante morì di morte prematura quando aveva appena sette anni a causa di una tremenda polmonite e i due stolti decisero di rimpiazzarlo con me. Io sono un disegno fatto da quel bambino, dal loro figlio adorato, e sono stato dotato di un cuore e di un cervello perché potessi rimpiazzarlo. La Regina è impazzita per aver perso il suo bambino e per il fatto che io non fossi esattamente uguale a lui e ha iniziato a vendicarsi sui suoi sudditi, dimenticandosi di dare amore a me, che dovevo essere la sua unica ragione di vita! Sono stanco di essere la brutta copia, il rimpiazzo e l’alternativa, voglio che qualcuno possa sentirsi come me e soffrire come me in modo da non essere più solo. Voglio che gli scacchi, quei damerini schizzinosi che non hanno fatto altro che essere felici per l’intero corso dei loro giorni, provino un po’ di sofferenza e che siano anche loro un gioco incompleto! È per questo che dev’essere fatto scacco matto. >>
 
Lo Stregatto scomparì, lasciando il Re Bianco e Hinata sotto le grinfie del folle omicida. Prima che esse potessero conficcare le lance dentro i loro corpi, dalla tasca dei calzoni del ragazzo la boccetta di liquore iniziò a levitare nell’aria pesante, il tappo si sfilò con un rumore sordo, e il liquido si riversò sui corpi delle carte e del Fante di Cuori.
Solo in quel momento Hinata capì che cosa doveva essere fatto.

 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: non ci crederete mai, ma sono VIVA! *^* (deve rispondere alle recensioni o verrà linciata). Scusate se pubblico con così tanto ritardo, ma dopo essere stata al Lucca Comics mi ci sono voluti giorni per poter integrarmi di nuovo nella società e recuperare i normali ritmi della mia vita XD *Momento depressione post Lucca*. In particolare ho scritto questo capitolo alla velocità della luce e spero non sia un obbrobrio vivente. In ogni caso, abbiamo finalmente ritrovato il Re *urli di gioia*! Che ne pensate? Il colpevole in questione, ossia il Fante, è l’unico personaggio che ho voluto presentare esplicitamente: si tratta di Cane Pazzo, e vorrei spiegare questa mia scelta. Innanzi tutto l’ho trovato azzeccato nei panni del figlio di Oikawa e Iwaizumi perché secondo me ha un rapporto molto particolare e stretto con questi due personaggi, in particolare con Iwachan, che vedo abbastanza come una figura paterna. Entrambi lo “temono”, ma allo stesso tempo lo incoraggiano e lo spingono a dare del suo meglio; tuttavia in questo caso fa la parte del cattivo, quindi giustamente i due si comportano in modo diverso con lui. Inoltre, ho voluto mantenere quello spirito di ribellione che è proprio di Kyotani nell’anime e nel manga. Avendolo presentato come cattivo, ovviamente non significa che io lo odi, anzi. Anche perché, come avrete potuto leggere, la motivazione per ciò che ha fatto è folle ma allo stesso tempo comprensibile. Come andrà avanti la vicenda? Come si concluderà? Vi annuncio che la storia sarà di 10 capitoli, quindi il prossimo sarà il penultimo *tristezza a palate*.
Fatemi sapere che cosa ne pensate, come sempre siete tutte dei cuori bellissimi e fantastici e le vostre recensioni sono costruttive e gratificanti!
Alla prossima! <3
_Noodle

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Capitolo 9
*** Odio e follia non sono sinonimi. ***


Odio e follia non sono sinonimi.
 
 
 
 
 
<< CORRI! >> gridò Shouyou dopo che lo Stregatto, resosi invisibile, ebbe gettato il liquore sugli occhi di Cane Pazzo e sul corpo delle Carte. Queste ultime non percepirono lo spostamento del Gatto a causa della mancanza degli occhi (erano diventate molto brave, invece, a sentire le vibrazioni del terreno provocate dal peso dei corpi) e il Fante, destabilizzato dall’accecamento momentaneo, perse di vista i due ostaggi. Il Cappellaio Matto non sarebbe stato entusiasta dell’uso che il suo amico Stregatto aveva fatto della sua rarissima e preziosissima bevanda, ma a mali estremi, estremi rimedi.
Si erano divincolati con estrema rapidità e scaltrezza dalla morsa dei loro avversari, corpi sbilanciati in avanti e ampie falcate rinvigorite da una nuova possibilità di successo: muoversi con quello slancio repentino avrebbe permesso loro di volare, se solo avessero avuto le ali. Correvano nei tetri corridoi verdastri del labirinto spinti da un sentimento d’incontenibile felicità mescolata a terrore. Non era scritto da nessuna parte che ce l’avrebbero fatta, non vi erano più assi nella manica da estrarre magicamente, ma il fatto che il ragazzo e il Re si fossero incontrati prima del sorgere della luna piena faceva ben sperare ad entrambi. I loro respiri affannosi si sovrapponevano ai battiti irregolari dei loro cuori e gli occhi, ricolmi di lacrime di stanchezza, si arrabattavano alla ricerca di una via di scampo. Muscoli gonfi e stressati, nervi delle spalle accavallati, ossa e legamenti delle caviglie sul punto di cedere, di spezzarsi. La milza pulsava, pungeva e tirava: era quasi impossibile non provare dolore in quel momento. Facevano male persino i capelli, le ciglia, le unghie delle mani e dei piedi, facevano male i pensieri e le paure, ma non era permesso rinunciare, non era permesso lasciarsi catturare e demordere. Apparentemente, Hinata e il Re Bianco avevano guadagnato un notevole vantaggio sugli scagnozzi del Fante e sul Fante stesso, ma trattandosi pur sempre di un labirinto, la distanza accumulata dopo intensi minuti di corsa poteva essere vanificata da una qualsiasi curva cieca.
<< Dobbiamo trovarli! >>
La voce roca e spaventevole del Fante rimbombava tra le alte siepi di rose con un’intensità minacciosa, attribuendo alla sua sottile figura l’imponenza di un’ubiqua presenza. Era impossibile individuare la posizione dei nemici di carta,  soprattutto per la mancanza di una luce piena, ma per i sudditi dalla testa mozzata non era così difficile intercettare il percorso tracciato dai passi dei fuggiaschi. Non possedevano una bussola che indicasse il nord (dov’era il nord, lì sotto?), né potevano consultare una mappa che indicasse loro l’uscita. Dovevano sperare, dopo molto affanno, di scorgere le fondamenta della balconata.
<< Ma certo! >> sussurrò Shouyou, fiato corto e scarso << Non dobbiamo fare altro che procedere in direzione della balconata! >>
Il Re lo fissò perplesso e stupito, senza smettere di correre.
<< Cosa pensi che abbia cercato di fare in tutto questo tempo? >>
Dopo che il giovane dai capelli rossi si fu vergognato (e non poco) di ciò che aveva appena detto a Sua Maestà il Re Bianco, che non era propriamente uno sprovveduto, i due ricominciarono la disperata corsa in direzione della salvezza, che avevano interrotto per qualche breve istante dopo il commento del Re. Hinata si chiese come diamine avesse fatto a ritrovare lo Scacco in così poco tempo e come, invece, l’uscita non apparisse nemmeno in lontananza dopo eterni minuti di fuga. A mano a mano che correvano, il labirinto sembrava ingrandirsi, le radici conquistare nuovi metri quadri di terreno e le foglie e fiori moltiplicarsi in maniera incontrollabile; probabilmente era solo una loro distorta impressione. Sarebbero mai giunti da qualche parte senza incrociare il Fante?
“Dove si sarà cacciato lo Stregatto?” si domandò Shouyou, restando in silenzio. “Dopo aver gettato l’alcool sul corpo delle Carte non si è più fatto vivo. E se l’avessero catturato? No, non è così scriteriato da farsi mettere le mani al collo.”
I pensieri del ragazzo furono interrotti da un ansito gutturale del Re, che gli afferrò un braccio e lo trascinò in un corridoio diverso da quello che stavano attraversando. La ferocia con cui Hinata fu scaraventato tra i rovi di rose nere, fece sì che un battito del suo cuore pulsasse in ritardo rispetto al solito.
<< Ho visto qualcosa, Hinata. >>
Alle parole del Re Bianco, i due si accovacciarono sotto una siepe, nascondendosi tra le spine. Che cosa aveva scorto il Re? Aveva visto qualcuno o aveva notato qualcosa? Se si fosse trattato del Fante e del suo corteo, non sarebbe servito a nulla rimanere lì acquattati: se fossero passati in quell’esatto istante, li avrebbero catturati in ogni caso. Ma nessun rumore di passi o stropiccìo di carta sembrava provenire dal punto in cui il Re aveva intravisto quel ‘qualcosa’.
<< Che cosa hai visto di preciso? Io non sento alcun rumore di passi >> bisbigliò Shouyou, scuotendo la testa.
<< C’è qualcuno con una fiaccola al fondo del corridoio. >>
Hinata si armò di coraggio, come d’altronde aveva fatto per il resto della missione, e gattonò per pochi metri per raggiungere l’angolo che dava sul corridoio.
<< Sei pazzo? Non farti vedere! >> sbottò il Re, afferrandogli la camicia e facendolo cadere a terra. Gli prese le spalle e gliele scrollò per farlo rinvenire.
<< Sì, caro Re, sono pazzo. Credi che quel qualcuno non ci abbia visto? Se tu hai visto loro, loro hanno visto te: questa è la regola. Tanto vale dare un’occhiata. >>
Hinata, impavido e sprezzante del pericolo, diventato Re per quegli interminabili secondi d’incertezza e dubbio, si affacciò, mostrando allo sconosciuto il suo volto e i suoi brillanti capelli rossi. Non appena riconobbe la figura che, al fondo del corridoio, reggeva una delle fiaccole che illuminavano i corridoi del Palazzo, si alzò in piedi, ed iniziò a camminare con passo sicuro verso di lui. Il Re restava nascosto, tremendamente indeciso sul da farsi. Doveva seguire il suo coraggioso salvatore? Hinata aveva agito nel modo più giusto? Chi stava reggendo la fiaccola? Chi c’era là in fondo? Era arrivata la fine, per loro? Durante il corso della sua vita, il Re aveva dovuto prendere decisioni, firmare trattati, varare leggi, premiare o punire artefici di molteplici azioni; per tutto il tempo in cui era rimasto lì, nel labirinto del Fante di Cuori, aveva dovuto scegliere su due piedi quale percorso sarebbe stato il migliore da affrontare, inciampare e nascondersi tra i rovi pungenti; non aveva dormito, non aveva mangiato, non aveva bevuto ed era un miracolo fosse ancora vivo. Nemmeno lui sapeva che cosa l’avesse tenuto in vita per tutte quelle ore, minuti e secondi. Lasciò che fosse Shouyou a prendere il comando, una volta per tutte. Si accasciò a terra e, fidandosi ciecamente di un ragazzo che aveva la metà dei suoi anni, chiuse gli occhi, perdendo completamente il controllo del suo corpo.
Hinata procedeva in direzione dell’uomo lentamente, passo cadenzato e leggero. Non appena gli fu davanti, si limitò a sorridere.
<< Ero certo che saresti tornato! >>
Colui che reggeva la scoppiettante fiaccola non era altri che lo Stregatto. Senza farsi notare da nessuno, sfruttando la sua capacita di comparire e scomparire, era risalito ai piani alti e aveva portato a Shouyou, come un tedoforo esperto, tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento: il fuoco, il calore, la luce.
<< Muoviamoci. Dov’è il Re? >> chiese il Gatto, alzando un sopracciglio e afferrando la coda con gli artigli. Il garzone rispose alla sua domanda facendo un cenno con la testa e condusse lo Stregatto dallo Scacco. Trovarlo svenuto a terra, bocca aperta e occhi chiusi, non faceva parte dei programmi di nessuno.
<< Maestà! Vostra Maestà! >> gridò Hinata accovacciandosi su di lui ed iniziando a tirargli dei deboli schiaffi in faccia. Lo Stregatto tentava di tenere la fiaccola il più in basso possibile per essere meno intercettabile e, dopo essersi piegato sulle ginocchia, aveva iniziato a punzecchiare il povero Sovrano con la punta delle sue unghie acuminate. Entrambi avrebbero voluto ricoprirlo di ceffoni, ma non era atteggiamento da riservare nei confronti di un Signore come lui.
<< Non si sveglia. Come facciamo? >> domandò Shouyou, fronte imperlata di sudore e angoli della bocca incurvati verso il basso.
<< Vedo una luce! >>
Era la voce del Fante.
In una frazione di secondo, il Gatto passò la fiaccola a Hinata e caricò il Re Bianco tra le sue braccia, ricominciando a correre. Il Felino fece segno al giovane di seguirlo perché lui sapeva come uscire di lì, ma il nero terrore che avvinghiava il corpo e la mente di Shouyou al pensiero che il Re non si potesse risvegliare rallentò il suo passo solitamente instancabile.
<< Non vorrai che ti porti in spalle, non è vero? >> intimò lo Stregatto, serio come nessuno l’aveva mai visto. Stimolato dalla sua voce, Hinata ricominciò a correre in modo più svelto, accantonando momentaneamente l’idea che quella potesse essere la fine dello Scacco. Non sarebbe potuto accadere, perché lui aveva rispettato i tempi.
 
Destra, sinistra, destra, sinistra, destra sinistra destra sinistra destrasinistradestrasinistradestrasinistra…
 
<< Ecco la porta! >> strillò il rosso, fiondandosi con quanta più energia avesse in corpo verso l’apertura del labirinto. Il Re, nel frattempo, continuava a non svegliarsi. Non appena giunsero ai piedi della balconata, ovvero la loro unica àncora di salvezza, notarono che non vi era niente che avrebbe potuto condurli al piano di sopra, né una scala, né una fune, né un tappeto elastico su cui rimbalzare.
<< Come facciamo a salire? È troppo in alto per poterla raggiungere arrampicandosi! E il liquore è completamente finito, non posso nemmeno diventare più grande! >> si disperò Hinata, preso momentaneamente dallo sconforto ed irato a morte con il Gatto per aver usato la sua unica fonte di salvezza come diversivo.
<< Non penso saresti stato capace di fare a botte con loro per liberarti dalle loro lance! Sembrano tanto fragili, ma quelle Carte sono dotate di una forza disumana >> ribatté quello, soffiando indispettito e mostrando i canini appuntiti. Dopodichè, tornò a sghignazzare come suo solito.
<< Dobbiamo trovare un modo per salire o tanto vale essere riusciti ad uscire! >>
<< Shouyou… >> il Gatto s’interruppe, perdendo la voce. Mozzò a metà la frase e recise le lettere che avrebbero composto la prossima parola perché, secondo il suo modesto parere, un’altra cosa sarebbe stata tagliata a breve: il Fante e le Carte dalla testa mozzata li avevano raggiunti. I mostri di cellulosa puntavano le lance dritte nei loro occhi, sul volto bidimensionale di Cane Pazzo un sadico sorriso di vittoria. Per Shouyou, tutto sembrava perduto anche se così non poteva essere. O forse no?
<< Arrendetevi, miserabili >> sibilò Cane Pazzo tra i denti, camminando verso gli ostaggi. Il Felino teneva stretto il corpo del Re tra le sue braccia: come un vero predatore, non avrebbe mai lasciato il suo bottino a nessun altro. Lo Stregatto, essere dalle fattezze animalesche e dall’ilarità spiccata, non concordava con ciò che aveva imperato il Principino: si voltò verso Hinata e sfoderando il suo più malizioso sorriso, si preparò al contrattacco.
<< Hinata, >> incominciò, voce squillante e tonante << hai mai sentito parlare di castelli di carte? >>
Senza che il diretto interessato potesse rispondere, il Gatto scomparve, forte della sua strategia e forte del fatto che le Carte dalla testa mozzata s’indebolissero ogni volta che la sua presenza diventava evanescente. Ciò che i presenti videro fu onirico e particolarmente disturbante: il corpo del Re aveva iniziato a fluttuare in aria per poi posarsi sulla balconata (era ovviamente lo Stregatto che, invisibile, l’aveva trasportato tenendolo in braccio). Non appena anche il corpo di Hinata, fiaccola in mano e sguardo strabiliato e terrorizzato, venne sollevato da terra dall’incredibile forza dello Stregatto, un’altra sorprendente forza si contrappose a quella ascendente. Il Fante e le Carte si erano legati in una catena per poter far affondare i due complici: non avevano intenzione di perdere. Lo Stregatto continuava a tirare verso l’alto, facendo non poco sforzo (ringraziò di aver sviluppato l’abilità di volare, se no, in quella circostanza, sarebbero stati tutti spacciati), mentre le Carte trattenevano con gravità il corpo di Hinata verso il suolo. Stregatto e Shouyou rimasero impressionati dal fatto che il Fante non si stesse spezzando. Da dove era scaturita tutta quella forza?
<< Non puoi sfuggirmi! >> ululò Cane pazzo, fauci scoperte e corpo accartocciato per la fatica.
<< Sai una cosa, Stregatto? >> ansimò Hinata, sospeso in aria e conteso come in una partita di tiro alla fune. Dovette ammettere che tutto quell’ondeggiare gli fece venire la nausea.
<< Penso di aver già sentito parlare di castelli di carte! >>
Le dirette interessate avevano formato una vera e propria costruzione. Erano passate da una corda di carte ad un castello, in cui ognuna si appoggiava sulle spalle dell’altra, tenendosi per i piedi. Il Fante era la punta.
Dopo quell’esclamazione, sputata con la violenza di mille supernove, Hinata lanciò la torcia che aveva in mano addosso alle Carte, appiccando un incendio divampante. La cellulosa, che già di per sé bruciava bene, era anche stata cosparsa di alcool.
<< NON SIETE ALTRO CHE UN MAZZO DI CARTE! Adesso, Stregatto, adesso! >>
Le Carte decollate bruciarono, contorcendosi su loro stesse. Le fiamme aranciate e bluastre scintillavano con ferocia, voci strazianti gridavano e strillavano.
Hinata aveva appena commesso un omicidio. Aveva ucciso, ma non si sentiva in colpa, non se ne rendeva nemmeno minimamente conto. Qualcosa in lui era cambiato, l’istinto di sopravvivenza e la necessità di vincere l’avevano spinto a compiere uno dei più terribili misfatti, quello di provocare la morte di qualcun altro. Non ebbe tempo di realizzare ciò che aveva fatto che lo Stregatto tirò con più forza possibile il corpo di Hinata, alleggerito dalla mancanza delle fastidiose appendici e della torcia,  e raggiunse la sommità della balconata trascinando con sé anche il Fante.
Nel frattempo, il Re Bianco aveva ripreso conoscenza. Faticò a capire dove fosse disteso il suo corpo, come mai attorno a sé non vi fossero più radici, ma un morbido e caldo marmo avesse attutito il peso del suo corpo. Era riuscito a salire sulla balconata, ad evitare di essere ucciso, ma attorno a sé non vedeva nessuno. Dov’era finito Hinata? Nel tempo in cui formulò questo pensiero, il corpo del ragazzo venne scaraventato a terra insieme al Fante di Cuori e allo Stregatto. Che fosse stato lui quel ‘qualcuno’ che aveva visto al fondo del corridoio con una fiaccola in mano?
Il Fante giaceva a terra, costipato dal terribile colpo e sconvolto per la mattanza dei suoi sudditi. Erano cremati tutti, dal primo all’ultimo e lui non poteva piangere, non poteva lasciarsi andare. Il tremore della sua voce fece comprendere a Hinata, allo Stregatto e al Re Bianco, che in quel momento era più solo che mai, sconfitto e annientato. I buoni avevano vinto, ma potevano realmente definirsi in tal modo al cospetto di una creatura così tormentata e sfortunata?
<< Non ti avvicinare, stupido bambinetto! Il Re e la Regina devono pagare per ciò che mi hanno fatto e tu, tu devi essere eliminato! Voglio la mia rivincita, voglio essere felice! >> latrò indicando il Re Bianco, pallido e debilitato. Ovviamente quest’ultimo era il più indisponente nei confronti del Re e, se fosse stato per lui, se avesse avuto una goccia di forza nelle vene, l’avrebbe già stracciato in un milione di coriandoli.
<< Saresti davvero in grado di provare piacere per la morte di qualcuno, Fante? La morte del Re susciterebbe in te gioia e un sentimento di rivalsa? Cos’hai provato nel vedere le Carte, le tue Carte, bruciare davanti ai tuoi occhi? Felicità? >> lo provocò Hinata, espressione neutra e combattuta. Cos’era giusto fare nei suoi confronti? Cane Pazzo indietreggiava in direzione della porta blindata quando dei sonori colpi iniziarono a far tremare le assi e le spranghe di legno, sollevando nuvole di polvere. Qualcuno stava tentando di aprirla.
<< Non… non si parla di questo! >> ricominciò il Fante, che se avesse avuto una pelle, in quel momento sarebbe stata ricoperta di brividi.
<< Io sono nato grazie alla morte di qualcuno! Voglio il mio momento di gloria! Nessuno di voi due sa cosa si prova a restare soli, nessuno di voi due può comprendere la difficoltà di non avere una madre e un padre su cui fare affidamento nei momenti difficili della propria vita! Non sapete che cosa si provi a vedere il mondo attraverso due occhi deformi, non poter mangiare, non poter ubriacarsi perché vi hanno dotato solo di cuore e cervello e di nessun altro organo interno!  A cosa serve avere un cuore se non si fa altro che provare odio? Io voglio che qualcuno si senta come mi sento io, a cominciare da tua moglie! >>
Il Re Bianco se avesse potuto sputare fuoco dalle narici avrebbe incendiato il Fante. Gli si gettò addosso, facendolo cadere a terra senza troppa resistenza. A cavalcioni sopra di lui, distese le mani sopra la sua testa come per strapparla, ma nulla di ciò accadde.
<< Avrei preferito sbagliarmi sul tuo conto. >>
Tutti, oramai, sarebbero stati in grado di riconoscere quella voce tra mille. Pulita, profonda, suadente, gelida. Il Fante si voltò lentamente, affacciandosi sul volto sconvolto di sua ‘madre’. La Regina aveva una mente e un cuore reali, degli occhi veri e, in quanto tali, le sue iridi poterono galleggiare in un sottile strato di lacrime.
Alla sua destra il fedele marito, alla sinistra il suo più fidato e castigato suddito: il Bianconiglio.
<< Cosa… Come avete fatto a trovarmi? Come avete scoperto… >>
<< Non credere che perché sono la Svalvolata Regina di Cuori, io non possa avere dei complici. >>
Shouyou sorrise e si emozionò incrociando lo sguardo del Bianconiglio, colui che sapeva. Lo Stregatto strizzò un occhio al roditore, il quale rispose corrugando il naso nero. Era stato proprio il Bianconiglio a rivelare tutto alla Regina la quale, essendo il Coniglio arrivato in ritardo, non l’aveva voluto ascoltare. Sua Maestà lasciò la mano del marito, che aveva trattenuto per tutto quel tempo per farsi coraggio, e scivolò in direzione del figlio.
<< Avrei preferito continuare a credere per il resto dei miei giorni che tu fossi solo un perfido e spietato individuo, nato per artificio e non per amore. Avrei preferito pensare che se ti comportavi in questo modo con noi era perché sei frutto di un incantesimo, e che quindi sei svitato, maledetto, ipocrita. Ma lasciami dire che è stato meglio così. Scoprire che tu sei pazzo quanto me, che io sono impazzito per colpa tua e che tu sei impazzito per colpa mia, per colpa nostra, in un certo qual modo mi fa stare bene. Forse non avremmo dovuto donarti la vita, forse io avrei dovuto accettare miseramente la mia. Non pensavo saresti potuto arrivare a tanto, mio piccolo Cane Pazzo, non pensavo potessi spingerti a tanto pur di sentirti appagato e compreso. È vero, non ho mai amato gli Scacchi, ma non mi sarei mai permesso di recar loro danno e in particolare al loro Re. Mi hai superato in perfidia, e di molto. Siamo carte di cuori, ma di cuore, a quanto pare, ne abbiamo poco più di uno spicchio. Noi non amiamo, noi idolatriamo le persone, e se il nostro petto viene infranto dall’aguzza freccia della delusione, diamo di matto. È proprio vero che siamo tutti pazzi qui. Non ti risparmierò, perché devi pagare per quello che hai fatto. Ma non ti giustizierò, perché la tua morte non porterebbe a niente, se non ad ulteriore sofferenza. Non dirò al mio fidato Boia di darci un taglio. Voglio che tu possa avere un tuo regno, che tu possa comandare su sudditi come te, artificiali e surreali. Quindi, Fante di Cuori, mio bambino ideale, vattene dal mio Palazzo e raduna le tue carte. Noi non abbiamo bisogno di odio qui. Odio e follia non sono sinonimi. >>
 
Quello che accadde in seguito, Hinata lo seppe ripetere a malapena. Tutto si fece sbiadito e confuso, i colori divennero slavati e tenui, per poi scomparire nel nero. A circondare la sua pelle non vi fu più un torrido caldo, ma un freddo pungente e doloroso, troppo reale, troppo severo e troppo familiare. Le ultime immagini che si stagliarono davanti ai suoi occhi furono quelle della Regina di Cuori che si avvicinava alle due enormi pire che si ergevano sulla balconata, l’intero labirinto in fiamme e Cane Pazzo trascinato via dal suo piccolo regno tra le braccia del Re di Cuori e il Bianconiglio; lo Stregatto sorridergli e scomparire, il Re Bianco accennare un inchino verso di lui.
Poi tutto svanì, si accorse di perdere i sensi e ciò che vide quando aprì nuovamente gli occhi furono due iridi blu cobalto riversarsi nelle sue.
 
<< Ricordami di non darti mai più da bere, idiota. >>
Era la voce di Tobio, il ragazzo dal sorriso raro.
 

 
 
 
 
Angolo dell’autrice: allora, ho scritto questo capitolo in tre ore sabato perché ero presa dal fuoco sacro della scrittura, l’ho corretto oggi pur avendo la febbre e ODDIO, mi sento più svampita della Lepre Marzolina! XD Ma almeno sono riuscita a pubblicare con regolarità, anzi, addirittura un giorno prima rispetto alla settimana scorsa! Ragazze mie, dolci personcine che hanno avuto il coraggio e la voglia di seguire questa storia strampalata, il nostro viaggio nel Paese delle Meraviglie si è concluso. Il prossimo capitolo sarà un epilogo e non so dirvi quanto sarà lungo, ma sarà l’ultimo. E IO PIANGO. Perché Hinata si è risvegliato e tutto è scomparso davanti ai suoi occhi. So che potrebbe sembrare dolce amaro come finale, ma non temente, abbiate fiducia in me! * prega in ginocchio che abbiano fiducia *
Vi starete chiedendo: dov’è finito il Re? Tornerà da sua moglie? Dove verrà spedito il Fante? E il Gatto? E la Regina? Vi chiedo la pazienza di aspettare la prossima pubblicazione ^^. I capitoli d’azione non sono propriamente i miei preferiti, preferisco scrivere dell’interiorità dei personaggi e perdermi in riflessioni complicate, ma d’altra parte in una storia del genere l’azione è la colonna portante. Non vedo l’ora, per questo, di sapere che cosa ne pensate.
Grazie per ciò che avete fatto per questa storia, ci si risente per il prossimo e ultimo, capitolo! T.T
* Stritola * <3
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Capitolo 10
*** Tutti i migliori sono matti. ***


Tutti i migliori sono matti.
 
 
 
 
 
La luce che filtrava nella stanza era soffusa, fioca all’incontro con gli occhi impastati di Shouyou. Era una luce sincera, verosimile, proveniente da una fonte di calore reale; era una luce educata, smorzata ed attenuata dai vetri opachi e impolverati delle finestre della Luna Storta. Sebbene fosse piacevole all’apparenza, era una luce dolorosa, pungente, incredibilmente fastidiosa contrariamente al suo gentile modo di illuminare gli ambienti. Granelli di pulviscolo volteggiavano in aria appoggiandosi al bancone e ai vecchi armadi, un timido brusio di gente aleggiava per le vie della città giungendo fino alla strada su cui si affacciava l’osteria. Un familiare profumo di cibo e di spezie s’impregnava tra le fibre dei vestiti, odore che nei momenti meno opportuni faceva venire l’acquolina in bocca.
Hinata aprì gli occhi lentamente. In quel breve istante d’incoscienza gli sembrò di aver dormito per anni, di essersi perso secoli di storia e di vicende significative. Si sentiva debole, estremamente debole, incapace di muovere un singolo muscolo, rattrappito dal freddo e dal sonno. Gradualmente, solamente dopo essersi stropicciato ripetutamente gli occhi, iniziò a distinguere le quattro figure che con fare rumoroso lo sovrastavano.
<< Finalmente si è svegliato! Vado a prendergli dell’acqua! >>
Hinata era disteso a terra. Attorno a lui volti amici, i volti di quelle persone con le quali era solito svegliarsi al sorgere del sole. La sensazione che provò in un primo momento fu positiva: sembrava una mattina come tutte le altre, l’inizio di una giornata lavorativa in cui avrebbe incontrato gente e sorriso radiosamente ai clienti affamati. Il pavimento freddo dell’osteria profumava di uomini, di pensieri maldestri e forse un po’ troppo spinti, profumava d’idee e d’imprecazioni, d’insulti e di complimenti. Tutto era nella norma, tutto era al proprio posto, un ordine ordinario in cui ogni tassello, ogni tessera del puzzle, occupava la propria posizione.
<< D-dove mi trovo? >>
<< Muoviti, Asahi, sembra che abbia perso conoscenza! >>
Quella voce apparteneva indubbiamente a Kageyama. Shouyou si mise a sedere, testa che vorticava e corpo che oscillava da una parte all’altra.
<< Cosa? Asahi? Conoscenza? No! No, non ditemi che…! No, non è possibile, non ho avuto nemmeno il tempo di salutarli! Lasciatemi andare, devo tornare al Palazzo della Regina di Cuori! >>
La vista del ragazzo si era fatta più limpida. Riconosceva i volti dei propri amici ai quali aveva pensato intensamente durante il corso della sua avventura nel Paese delle Meraviglie, sentiva i loro sguardi puntati addosso, i loro fiati sulla propria pelle. Li aveva  desiderati nei momenti in cui si era sentito smarrito, eppure adesso che era circondato dai loro volti preoccupati e confusi, quasi provava fastidio, perché averli accanto a sé significava essersene andato, aver abbandonato per sempre il Paese delle Meraviglie.
<< Hinata, calmati! Sei svenuto, andrà tutto bene adesso che sei tornato in te >> cercò di tranquillizzarlo Akaashi, appoggiandogli una mano sulla spalla.
<< No, non andrà tutto bene, non posso essere fuggito in questo modo! >>
<< Shouyou, non sei andato da nessuna parte. Devi esserti immaginato questo fantomatico palazzo perché eri privo di sensi e la tua mente era priva di costrizioni >> commentò Kozume con voce monocorde e atteggiamento analitico.
<< Tu non puoi saperlo, Kenma! >> ribatté il rosso, scrollando le spalle e la testa.
<< Parla più piano! Se continui ad urlare in questo modo sveglierai Ukai-san! >> Asahi si era catapultato davanti a lui con il bicchiere d’acqua in mano e con l’espressione più disagiata che potesse sfoderare in volto.
<< Che ore sono? >> chiese Hinata serioso, con un tono di voce più flebile del solito.
<< Le sei. È già l’alba. >>
Le parole di Tobio risuonarono nella sua testa con un’eco insistente, un gong dal suono rinvigorente ed assordante. Come poteva essere svenuto? Lui non poteva aver dormito per tutto quel tempo, lui non aveva dormito! Era stato nel Paese delle Meraviglie, aveva salvato un Re, aveva conosciuto personaggi incredibili, troppo particolari e troppo complessi perché potessero essere un totale prodotto della sua immaginazione!
<< Sono svenuto per tutto questo tempo? >> chiese infine debolmente, arrendendosi al fatto che se avesse ancora insistito su questa faccenda nessuno gli avrebbe più creduto.
<< Sembravi ecco… sembravi… >>
<< Sembravi morto. >>
<< Tobio! >> lo rimbeccò Asahi, che si era dimostrato incerto sulle parole da utilizzare per esprimere quel concetto. Shouyou, sempre seduto a terra, diede le spalle agli altri ragazzi e si avvicinò a Kageyama. Mise una mano davanti alla bocca, come per non far sentire ciò che avrebbe detto, e richiamò l’attenzione dell’amico con uno sguardo eloquente. Tobio gli si avvicinò maggiormente con il suo solito sguardo torvo.
<< Kageyama, tu non hai idea di che cosa abbia visto. Io l’ho ritrovato, ho ritrovato il Re di Scacchi, il Re Bianco! Il pezzo mancante della scacchiera! Pensa che era stato rubato dal Fante di Cuori per vendicarsi della sua vita di… >>
<< Ma che cosa stai dicendo? Non hai trovato nessuno scacco… >> sbraitò Tobio, interrompendo l’atmosfera intima e confidenziale che si era venuta a creare tra i due.
<< Non ti sei mosso da qui, e lo dico perché siamo stati accanto a te tutta la notte >> aggiunse Akaashi, espressione annoiata e per niente preoccupata dal momento che Hinata sembrava essersi ripreso.
<< Perché non volete credermi? Come posso dimostrarvi che non sto mentendo? >>
Gli occhi di Shouyou si bagnarono leggermente di lacrime, dolorose e pesanti quanto dei macigni. Perché lui era stato in grado di credere e di accettare che potessero esistere umani dalle sembianze animalesche, carte parlanti e luoghi astrusi e loro non riuscivano a comprendere che quella che stava dicendo non era nient’altro che la verità? Aveva ascoltato storie prive di logica e da esse aveva imparato, da esse aveva tratto le conclusioni per poter risolvere l’enigma della scomparsa del Re Bianco, quindi perché loro non potevano riporre in lui un minimo di fiducia? Non si era immaginato tutto.
<< Hai qualche prova? >> chiese Tobio, tentando di dargli una possibilità. Hinata abbassò lo sguardo sui propri vestiti, certo del fatto che i compagni avrebbero compreso vedendo la sua camicia ridotta a brandelli e cosparsa di terriccio; forse aveva ancora qualche briciola di fungo in tasca. Si accorse e realizzò, tuttavia, che i suoi vestiti erano puliti, intatti, senza macchie e senza buchi.
<< Io… In realtà…Voglio dire… >>
<< Ti sei immaginato tutto. Devi riposare adesso e… >> Kageyama trasse un lungo respiro per poi continuare << Scusami se ti ho dato da bere quella roba, pensavo potesse aiutare a combattere il freddo. Ma mi sbagliavo, avrei dovuto pensare due volte prima di agire. >>
Dei passi grevi e cadenzati giunsero alle orecchie dei ragazzi. Akaashi, Asahi e Kenma si alzarono, decidendo che sarebbe stato più prudente iniziare a fare qualche lavoretto prima che Ukai si accorgesse di che cosa stavano realmente facendo. Kageyama e Hinata rimasero a terra, sguardi imbarazzati e confusi.
<< Quel liquore mi ha aiutato più di quanto tu possa immaginare, Tobio >> ammise Hinata, timido sorriso sulle labbra, prima che la voce del proprietario dell’osteria riconducesse le menti di tutti nel mondo reale.
<< Che cosa ci fate qua sopra? Avete delle facce orribili! Non sarete stati qui a far cagnara per tutta la notte! >>
Hinata sghignazzò, divertito dai pensieri poco sobri del locandiere.
<< Ukai-san, perdonatemi. È stata tutta colpa mia. Sono svenuto e loro mi hanno aiutato. Vado a cambiarmi i vestiti e mi metto a lavorare. >>
Sotto gli sguardi preoccupati di tutti, Hinata si alzò in piedi e sparì al piano di sotto, Tobio raggiunse i suoi compagni in cucina.
<< Svenuto? Cosa significa svenuto, Shouyou? >> borbottò il povero Ukai, rimasto da solo.
 
La locanda avrebbe aperto dopo un’ora. Shouyou aveva passato il restante tempo della sua mattinata a pulire e a rassettare, lucidando tavoli e spazzando il pavimento. Non appena ebbe finito e scorse Kageyama bighellonare vicino alla porta della cucina, decise di avvicinarsi a lui e di condurlo nel cortile interno dell’osteria per raccontargli cosa fosse realmente accaduto. L’altro lo assecondò, cercando di non mostrarsi eccessivamente reticente davanti agli occhi di Shouyou. Dopo che quest’ultimo gli ebbe raccontato tutto, non tralasciando nessun particolare, Tobio realizzò di essere più confuso di prima, incredulo e terribilmente spaventato per la salute mentale dell’amico. Erano sempre stati parecchio legati i due orfani e per questo si erano sempre permessi di dirsi tutto, di insultarsi, di ragionare insieme e di trovare delle soluzioni ai problemi che si presentavano davanti loro. Eppure in quella circostanza Kageyama non osò smentire ciò che Hinata gli aveva appena confessato, perché i suoi occhi brillavano troppo e le sue parole tremavano in maniera troppo vigorosa per poter essere denigrate.
<< Io non credo di essermi immaginato tutto, Tobio >> confessò Shouyou, occhi piantati nel terreno ciottoloso del cortile interno dell’osteria. Kageyama, rimasto in piedi accanto alla porta della cucina per tutto quel tempo, gli si avvicinò, sedendosi sulla panchina accanto a lui.
<< Hinata, sei svenuto per ore senza muoverti di un passo, non credo sia possibile che tu abbia fatto quello che mi hai raccontato >> commentò sfiduciato, alzando gli occhi al cielo. Il credente che guarda verso gli inferi e lo scettico che lancia lo sguardo oltre le nuvole è un fatto assai paradossale.
<< Io ho sentito tutto. Ho sentito il calore, il gelo, i brividi, la paura, la gioia, lo stupore. Mi sono meravigliato, ho pianto, ho sofferto, ho riso, ho gridato. Ho sperato, annaspato come se stessi affogando, respirato come se non avessi mai riempito i polmoni in vita mia. Sebbene tutto fosse così surreale, niente mi era mai sembrato così terribilmente vero. I volti delle persone che ho incontrato, i loro sorrisi, i loro ghigni e bronci non erano frutto della mia immaginazione. Kageyama, posso assicurarti che non ti sto mentendo, non potrei di fronte ad una verità per me così importante. Non so come abbia fatto ad arrivarci, ma io ho visitato il Paese delle Meraviglie. Quella cosa che mi hai dato da bere non era un semplice alcolico e mi ha trasportato in un mondo troppo lontano dalla nostra monotonia per poter apparire plausibile ai tuoi occhi. Io sono cresciuto, sono maturato e tu non sai… beh, tu non sai quanto io… >>
<< Sei svenuto, Shouyou! Mettiti in testa che in quelle ore per quanto la tua mente possa aver compiuto viaggi straordinari, il tuo corpo è rimasto qui >> lo interruppe Tobio, sbattendo i piedi a terra e attirando lo sguardo di Hinata su di sé. Quest’ultimo sorrise timidamente nel vederlo infervorarsi per quella questione. Kageyama non si smentiva mai. Era rigido, tremendamente razionale e pignolo, maledettamente capace di tenere nascosto il suo lato goffo ed impacciato. Le sue iridi profonde, più blu dell’oceano, più blu di due zaffiri lucenti, oscillavano irrequiete, disturbate dall’irrazionalità dell’altro. Ma Shouyou non avrebbe mai ceduto a quell’autorevolezza maldestra, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di avere ragione; un po’ perché sapeva che Tobio si sbagliava, un po’ perché gli solleticava i sentimenti vederlo comportarsi in quel modo.
<< Tu non sai quanto io ti abbia pensato. >>
Hinata pronunciò queste parole con lentezza, con una tenerezza estrema velata da un alone di timidezza. Arrossì leggermente, senza rendersene conto. Kageyama, al contrario, avvampò violentemente, in barba a tutti gli incendi e alle fiamme con cui i piromani si divertivano a giocare.
<< C-cosa hai detto? >> balbettò.
<< Mi sono ritrovato in una cella, avvolto dalle tenebre e dalla paura ed istintivamente ho pensato a te. Ho pensato ai tuoi occhi, al tuo sorriso raro, alle dolci parole che mi sussurrasti quella notte dopo l’acquazzone. >>
Tobio si alzò, prendendo immediatamente le distanze da Hinata. Che cosa stava dicendo? Quello svenimento gli aveva completamente accartocciato il cervello e bruciato i neuroni? Non doveva ricordare, avrebbe dovuto tacere riguardo quella faccenda. In un certo modo, se l’erano promesso.
<< Frena, frena. Ti avevo detto di dimenticare quello che ti avevo detto, è stato tanto tempo fa… >>
<< Tu mi hai dato la forza per affrontare l’ignoto che si stagliava davanti a me, Kageyama. Mi è stato chiesto se fossi a conoscenza di che cosa fosse l’amore e inizialmente pensavo di non esserlo. Poi ho ripensato ai nostri corpi addormentati intrecciati tra le coperte, al tuo odore, ai tuoi occhi, al modo che hai di camminare e di gesticolare, alla tua forza di volontà e alla tua determinazione, che sicuramente ti avrebbero permesso di affrontare la situazione meglio di quanto abbia fatto io. E poi mi sono tornate in mente quelle parole… >>
<< Hinata, basta! Sei ancora evidentemente turbato, stai straparlando e ti consiglierei di metterti a letto ora che puoi rubare le coperte a chiunque tu voglia, perché non… >>
 
Shouyou si avvicinò alle labbra di Tobio, e lo baciò.
 
I loro occhi a quell’umido contatto si chiusero istintivamente, le sopracciglia leggermente corrucciate, i respiri interrotti; ciglia incastrate, costole incrinate per il troppo sbattere di quel muscolo chiamato cuore. Le dita del rosso scivolarono tra i capelli del moro delicatamente, accarezzandogli il capo. Kageyama, dal canto suo, teneva le labbra serrate e costrette in un broncio grottesco, spaventato e sorpreso dall’audace gesto di Hinata. Non era brutta quella sensazione e non era  nemmeno spiacevole: era soltanto diversa, inconsueta, insperata. Dovette ammettere, mentre l’altro premeva le labbra screpolate dal freddo contro le sue, che più di una volta si era chiesto che cosa potesse significare un bacio, che cosa si potesse provare ad incontrare le labbra di un’altra persona. Si tremava? Perché s’iniziava a fremere? Perché lo stomaco faceva così male? E non aveva mai ritenuto possibile che le sue labbra potessero posarsi su quelle di una donna. Nei suoi pensieri reconditi e nascosti, al centro di tutti quei sogni poco pudichi, c’era sempre stato un uomo, c’era sempre stato qualcuno come lui, solo un po’ più basso e un po’ più esuberante; c’era sempre stato Hinata. E in quel momento in cui tutto stava succedendo, in cui aveva capito perché lo stomaco doleva in tal modo, gli sembrò quasi impossibile immaginare che potesse essere reale. Poteva essere tutto finto, quasi quanto il fantomatico viaggio compiuto da Hinata.
Forse stava visitando anche lui il Paese delle Meraviglie.
Tentò di allungare un braccio attorno alla vita di Shouyou, ma i suoi muscoli erano talmente contratti per quella vicinanza che l’unica cosa che Kageyama riuscì a fare fu esprimersi in un gesto scomposto e allontanare da sé Hinata.
<< Cosa ti è saltato in mente? Sei diventato matto? >>
Tobio avvicinò la mano destra alla sua bocca, con l’intenzione di cancellare quel bacio fuori programma. Hinata gli prese le mani prima che potesse completare il gesto: erano sudate e tremanti. Shouyou sapeva cosa si provava, aveva sperimentato che cosa volesse dire sentirsi strani.
<< ‘Se solo non fosse una cosa troppo ridicola, potrei dirti che mi piaci. Ma sto dicendo una pazzia, sono un idiota, sono pazzo’. Hai detto questo, non ricordi? Tobio, da questo mio viaggio che tu voglia crederci o no, ho imparato che cosa significhi avere coraggio, lottare per la sopravvivenza, superare i limiti; temere il conosciuto, sfidare l’ignoto, amare ciò che ogni giorno scorre davanti ai propri occhi, accettare che esistano realtà totalmente diverse da quelle conosciute. Ho imparato che va bene essere strani, essere diversi, essere sbagliati. Ho imparato che nessuno può affibbiare queste etichette a qualcun altro. Ognuno è. È a modo proprio. E ho imparato, soprattutto, che tutti i migliori sono pazzi. >>
E Tobio gli sorrise, senza aggiungere altro.
 
Il servizio era cominciato. Pietanze fumanti, trasportate dai giovani camerieri, attraversavano la sala da pranzo e uomini di buono e mal affare gustavano le prelibatezze dell’osteria con appetito ed ingordigia, un vociare confusionario e rumoroso rendeva l’atmosfera più conviviale del solito. A Shouyou piaceva il servizio mattutino. Le persone erano sempre più affamate e più loquaci, nessuno si ubriacava vomitando sul pavimento (quello accadeva più spesso di sera) e la tenera luce del sole che feriva i piatti e i vassoi rendeva i volti dei frequentatori abituali, per la maggior parte piccoli delinquenti, meno minacciosi e spaventosi.
Un uomo di cui Hinata non ricordava la presenza attirò la sua attenzione alzando un braccio e scuotendo la mano: sicuramente voleva ordinare. Era seduto in un tavolo singolo, menù tra le mani e gambe accavallate. A vederlo di schiena (questa era la prospettiva da cui lo scorgeva Shouyou) pareva un signore a modo, uno di quei ricchi imprenditori che frequentavano i quartieri bassi per lavoro e che, attanagliati dalla fame, erano costretti a fermarsi nelle piccole bettole di quartiere per rifocillarsi. Hinata s’incamminò verso di lui con carta e penna e non appena gli fu davanti lo salutò cordialmente.
<< Buongiorno! Cosa posso portarle? >>
 
Capelli biondi. Abito azzurro. Espressione sdegnosa e beffarda. Sigaretta e bocchino. Occhiali bizzarri posati sul naso.
Al ragazzo scivolò il quaderno delle ordinazioni dalle mani alla vista di quell’uomo. Gli mancavano le antenne, gli mancava il turbante, gli mancavano altre dieci zampe e un busto lungo metri e metri, ma quell’uomo serio e raffinato altri non era che il Brucaliffo.
 
<< Ci siamo già visti io e te, ragazzino? >> chiese, abbassando leggermente gli occhiali ed osservando i goffi tentativi di Shouyou di recuperare il quaderno da terra. Non appena Hinata si ricompose, sorriso smagliante dipinto in volto, alzò leggermente le spalle, scrollando la testa.
<< Sì, ma non ci crederebbe mai se le dicessi dove. >>
<< Chi sei tu? >> incalzò il cliente.
<< Mi faccia indovinare, lei è un’incognita, non è vero? >>
<< Prenderò questo piatto di funghi >> rispose senza degnare Hinata di ulteriori attenzioni.
<< Ai suoi ordini >> rispose il ragazzo, facendo un profondo inchino.
E fu in quel momento che Shouyou notò che nella sala erano comparsi volti e persone a lui famigliari, a lui particolarmente cari. Al tavolo numero 5 vi erano seduti due amici, uno dei quali teneva appoggiato su una spalla un ghiro. Si stavano lamentando con Kenma del fatto che desiderassero una particolare qualità di tè che l’osteria non possedeva e tra una richiesta e l’altra ridevano tra loro per qualche storiella che il ghiro aveva appena raccontato. Capelli neri e bianchi, anelli alle orecchie e pallina sulla lingua, anche il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina erano tornati a fargli visita. E che dire di quei due fratelli vestiti nello stesso modo che, senza rendersene conto, parlavano in rima? Quanto gli ricordavano Pincopanco e Pancopinco!
Al tavolo 9, quello più grande, sedeva una strana combriccola, particolarmente posata e per bene viste le circostanze. Non erano raffinati quanto il signore degli occhiali bizzarri, ma erano gentili e si muovevano in modo composto. Due uomini erano vestiti totalmente di bianco, altri due di rosso e di nero. Un tizio dal volto tenebroso restava in silenzio all’angolo della mensa, un altro saltellava continuamente sul posto, volto cosparso di lentiggini. L’ultimo dei convitati era un ragazzo alto, dai capelli nerissimi acconciati in modo stravagante, sorridente e spavaldo, seducente e selvatico. Gli Scacchi, Il Re e la Regina di Cuori, Cane Pazzo, il Bianconiglio e lo Stregatto avevano finito di consumare il loro pranzo e si stavano scambiando le ultime frenetiche parole prima di abbandonare il tavolo.
Una lacrima di felicità scese dall’occhio destro di Hinata, paralizzato dalla bellezza del momento. Erano tutti lì, forse per ringraziarlo per ciò che aveva fatto per loro, forse per dimostrare a tutti che quello che Shouyou aveva raccontato non era nient’altro che la verità o forse, più semplicemente, perché gli volevano bene. Sembravano tutte persone normali, più miti e meno stravaganti di quanto lo fossero nel Paese delle Meraviglie. Nessuno aveva tratti animali, Cane Pazzo non era di Carta, i Sovrani non indossavano corone o diademi luccicanti. Probabilmente, come era stato per il Brucaliffo, nessuno di loro si sarebbe ricordato di lui, ma questo a Shouyou poco importava. Loro erano lì e andava bene così.
 
Si avvicinò al tavolo del signore con gli occhiali per porgergli la sua pietanza ai funghi. Dopo che lo ebbe fatto, percorse la strada al contrario in direzione di Kageyama, che lo aspettava con altre ordinazioni (ebbene sì, erano lui e Asahi a cucinare).
Una mano posatasi sulla sua spalla interruppe l’avanzata. Hinata si voltò: era colui che gli ricordava lo Stregatto.
<< Credo che questo appartenga a te, è scivolato dalla tasca dei tuoi pantaloni. >>
Ed era uno scacco, un Re Bianco. Hinata, dopo averne ammirato la bellezza e la precisione con cui era stato intarsiato, lo strinse nel pugno, sorridendo come solo nel Paese delle Meraviglie aveva imparato a fare. Incrociò lo sguardo incredulo di Tobio e poi osservò tutta quella gente che si rifocillava allegramente, gente matta, chiassosa, sfrontata e bizzarra e appurò di stare bene, capì di sentirsi completo, che la scacchiera era stata allestita per una nuova partita e che i giochi, in qualunque modo si sarebbero svolti, avrebbero potuto ricominciare.
 
Ogni giocatore ha sedici pezzi di fronte a sé, bianchi o neri. Di pedoni ce ne sono otto. In posizione A1 vi è la torre, accanto a lei il cavallo, poi un alfiere, il re, la regina, un altro alfiere, un altro cavallo e un’altra torre. Lo scopo del gioco è quello di dare scacco matto, ovvero attaccare il re avversario senza che questo abbia la possibilità di fuggire.
 
Cinque ore a partire da adesso.
 

 
 
 
 
Angolo dell’autrice: * tira fuori i fazzolettini e soffia il naso ripetutamente *. Voi non avete idea di quanto io sia emozionata, dispiaciuta, felice e euforica di aver concluso questa storia. In questo capitolo c’è tutta la tenerezza che non è emersa durante il racconto, c’è la felicità e la soddisfazione e sì, anche un po’ di amore meritato! <3 Non pensavo che sarebbe stato possibile realizzare un progetto del genere e non credevo che sarei stata in grado di mettere mano ad un testo così conosciuto come quello di Carrol. E invece eccomi qui per i ringraziamenti finali <3
Voglio ringraziare tutte le persone che hanno letto questa storia, quelle che l’hanno seguita fino alla fine e che, anche senza commentare niente, mi hanno fatto venire voglia di scrivere settimana dopo settimana. Grazie alle mitiche fanciulle che hanno lasciato il segno, in particolare Mew, Nanas e Ems, che non si sono lasciate sfuggire neanche un capitolo e che con le loro bellissime ed articolate recensioni mi hanno emozionato, e non poco.
Un grazie in particolare a Ems, che ha dovuto ascoltare tutte le mie riflessioni e che mi ha pazientemente consigliato più volte che cosa dovessi fare. Grazie per avermi dato, in particolare, il via per pubblicare questa storia, che senza di te, diciamocelo, non avrei nemmeno incominciato a scrivere! <3
Mi rivedrete preso su questi schermi perché, come vi avevo annunciato, tornerò molto presto con una raccolta di One-Shot e spero di sentirvi nuovamente tutte! Vi abbraccio fortissimo, curiosa di sapere che cosa ne pensate di questo ultimo capitolo (risponderò prestissimo alle precedenti recensioni). 
Stay Mad! <3 La vostra
_Noodle 

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