Keros

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'angelo e la vampira ***
Capitolo 2: *** l'angelo e la vampira, parte 2 ***
Capitolo 3: *** Fuoco ***
Capitolo 4: *** cucciolo demoniaco ***
Capitolo 5: *** Scoprire ***
Capitolo 6: *** Volare ***
Capitolo 7: *** Stelle e rane ***
Capitolo 8: *** Maestri ***
Capitolo 9: *** Crescere ***
Capitolo 10: *** Conoscere ***
Capitolo 11: *** Sognando. parte prima ***
Capitolo 12: *** Sognando, parte seconda ***
Capitolo 13: *** Caccia. parte prima ***
Capitolo 14: *** caccia. parte seconda ***
Capitolo 15: *** Verità -parte prima- ***
Capitolo 16: *** Verità -parte seconda- ***
Capitolo 17: *** Ereditario ***
Capitolo 18: *** Addestramento-parte prima- ***
Capitolo 19: *** Addestramento -parte seconda- ***
Capitolo 20: *** Riunione ***
Capitolo 21: *** Cielo ***
Capitolo 22: *** Sophia ***
Capitolo 23: *** decisioni -prima parte- ***
Capitolo 24: *** decisioni- seconda parte- ***
Capitolo 25: *** Apparenza ***
Capitolo 26: *** Alleati ***
Capitolo 27: *** Guerra ***
Capitolo 28: *** Perdono ***
Capitolo 29: *** Giovani ***
Capitolo 30: *** Progetti e verità ***
Capitolo 31: *** Bimba angelo ***
Capitolo 32: *** Imperi -Parte prima_ ***
Capitolo 33: *** Imperi -Parte seconda- ***
Capitolo 34: *** Teologia ***
Capitolo 35: *** Anima ***
Capitolo 36: *** Spiazzato ***
Capitolo 37: *** Demoni e umani ***
Capitolo 38: *** Tentatori del nuovo millennio ***
Capitolo 39: *** Insistere ***
Capitolo 40: *** Primavera ***
Capitolo 41: *** Compleanno umano ***
Capitolo 42: *** Pensieri ***
Capitolo 43: *** Facciamo un patto ***
Capitolo 44: *** Lo faccio per te ***
Capitolo 45: *** Demoni pettegoli ***
Capitolo 46: *** Cambiamenti ***
Capitolo 47: *** Vino, biscotti e cioccolata ***
Capitolo 48: *** Proposte ***
Capitolo 49: *** Compleanno di demone -parte prima- ***
Capitolo 50: *** Compleanno di demone -parte seconda- ***
Capitolo 51: *** Nella notte -parte prima- ***
Capitolo 52: *** Nella notte -parte seconda- ***
Capitolo 53: *** Scontrarsi ***
Capitolo 54: *** Discutere ***
Capitolo 55: *** Animo di demone ***
Capitolo 56: *** Delusione e giudizio ***
Capitolo 57: *** Cambiare ***
Capitolo 58: *** Nomi e Sogni ***
Capitolo 59: *** Ciò che si è ***
Capitolo 60: *** Padre ***
Capitolo 61: *** Conflitti ***
Capitolo 62: *** Valzer di fierezza ed odio ***
Capitolo 63: *** Visite ***
Capitolo 64: *** Lo splendore delle stelle ***
Capitolo 65: *** Rinascere ***
Capitolo 66: *** Studiare ***
Capitolo 67: *** Questo nuovo mondo ***
Capitolo 68: *** Teppisti ***
Capitolo 69: *** Risvegli ***
Capitolo 70: *** Viva il re ***
Capitolo 71: *** Gran Balli e proposte ***
Capitolo 72: *** Vita ***
Capitolo 73: *** Torneo -parte prima- ***
Capitolo 74: *** Torneo -parte seconda- ***
Capitolo 75: *** Torneo -parte terza- ***
Capitolo 76: *** Giudici e Giudicati ***
Capitolo 77: *** Ciondolo ***
Capitolo 78: *** Allievi e maestri ***
Capitolo 79: *** Mille anni ***
Capitolo 80: *** Principi ***
Capitolo 81: *** Piani ***
Capitolo 82: *** Fuga ***
Capitolo 83: *** Apocalisse ***
Capitolo 84: *** Rinascita ***



Capitolo 1
*** L'angelo e la vampira ***


1

L’ANGELO E LA VAMPIRA

Parte prima

 

Il loro primo incontro era avvenuto qualche secolo prima della venuta di Cristo. Al tempo lei era molto giovane, un’apprendista, e lui si stupì molto quando la vide. Era una ragazzina, acerba ed inesperta, ed era stato inviato lui, l’Arcangelo Mihael, per rispedirla all’Inferno. Si era chiesto perché. Perché chiamare lui, il generale delle truppe celesti, colui il cui compito è debellare Lucifero in persona, per una mocciosa? Un qualsiasi altro angelo esorcista avrebbe svolto senza difficoltà alcuna quella missione! Sospirò, preferendo non contraddire le Alte Sfere.

La osservò. Era poco più di una bambina, con forme solo vagamente accennate e movimenti ancora poco aggraziati. Aveva qualcosa però nello sguardo, qualcosa di magnetico che le permetteva di svolgere egregiamente il suo lavoro. Lei era, anche se da poco, una tentatrice. Una demone vampiro, il cui compito era spingere gli esseri umani a compiere azioni disdicevoli per poterne rubare l’anima. Ovviamente il compito dell’Arcangelo era evitare che quelle anime cadessero nelle mani dei demoni.

Riuscì a seguirla agilmente per le strade, nonostante la folla accorsa per il mercato: i capelli rossi di lei erano fin troppo vistosi. Stava accanto ad un contadino e lo spingeva a sperperare denaro in futilità.

“Ma non ti vergogni?” mormorò l’Arcangelo, affiancando la demone.

Lei si voltò e lo riconobbe subito come abitante del Paradiso. Inaspettatamente, sorrise. Mihael invece non mutò espressione. Il tempo si era fermato attorno a loro, nessun mortale era in grado di vederli per ciò che erano realmente, o di udirli parlare.

“Ciao” salutò lei “Scusa ma... perché dovrei vergognarmi, creatura celeste? È stato quest’uomo ad evocarci e chiedere denaro per la sua famiglia. Se poi lo getta al vento in prostitute e stronzate, non è certo colpa di noi demoni, ma della sua natura. Gli esseri umani sono stupidi”.

“Tu non comprendi la vera essenza dell’Uomo. Sei solo una ragazzina, ancora troppo giovane”.

“O forse sei tu ad essere troppo vecchio, non trovi?”.

Lei ghignò divertita e lui le mostrò la spada, senza però sfoderarla.

“Tornatene da dove sei venuta, non voglio fare del male ad una bambina” parlò l’Arcangelo, lentamente.

“Come sei noioso. Ad ogni modo, chiamami Carmilla. E non in altro modo”.

“Come preferisci. Ma torna all’Inferno. Ricordati che sarebbe una lotta impari. Io non provo dolore, tu sei disarmata..”.

“Allora fai finta di nulla e gira al largo, no?”.

“Ti ho visto mentre compivi un peccato, cioè tentare un umano. Il mio compito è rispedirti negli Inferi. Se tu non stessi facendo del male, avrei l’obbligo di non interferire”.

“Perché in cielo vi date tanta pena per gli Uomini? Sono deboli, sciocchi...”.

L’Arcangelo mostrò segni di impazienza e posò la mano sull’elsa della spada. Lei sapeva che, se l’avesse estratta, la luce sprigionata da essa l’avrebbe ferita, costringendola alla ritirata. Non smise di sorridere e si mosse rapida. Si coprì la testa con un velo e sparì fra la folla. L’Arcangelo arricciò il naso. Riusciva a percepire chiaramente un potere demoniaco, ma odiava correre! Ora che i due non parlavano più fra loro, il tempo aveva ricominciato a scorrere normalmente e la giovane si era confusa fra gli esseri umani. La fuga però non durò a lungo perché lui conosceva molto bene quei luoghi, quella città considerata sacra. Afferrò Carmilla per un braccio, costringendola a fermarsi. Accanto ad una fontana,  con un gesto benedisse l’acqua e minacciò la demone di buttarcela dentro.

“Mi arrendo!” fu costretta a dire Carmilla “Torno a casa. Torno all’Inferno. Posso almeno avere l’onore di conoscere il nome di chi mi ha calcinculato di sotto, così da poterlo riferire al mio superiore?”.

“Mihael. Porta tanti saluti a mio fratello Lucifero”.

“Divertente... Guarda che mica tutti i demoni riferiscono direttamente al Grande Capo! Io non l’ho mai visto di persona, se non da lontano”.

“Salutalo da lontano, allora...”.

L’Arcangelo era serio, impassibile. Lasciò andare il braccio della giovane, che se ne tornò a casa.

 

I loro scontri furono frequenti nei secoli successivi. Lei cresceva, si faceva più scaltra e più brava e non sempre l’Arcangelo riusciva a riportare l’anima dell’umano tentato lungo la via del Paradiso. Questo aveva messo Carmilla in una posizione di prestigio, perché Mihael era considerato un avversario davvero potente ed ogni vittoria su di lui era motivo di orgoglio. Fra scontri, insulti e fastidio reciproco, trascorse il tempo.

Correva l’anno 717, l’autunno. Era in corso l’ennesimo assedio a Costantinopoli. Carmilla aveva percepito la presenza di più di un angelo, come sempre accadeva quando le guerre di religione divenivano un pretesto per far bisticciare Paradiso ed Inferno. Lei non voleva esserne coinvolta in alcun modo, non quella volta. Camminava lungo le mura, osservando gli scontri. Allungò lo sguardo e si stupì nel vedere Mihael, da solo, appoggiato ad una di quelle pareti. Lei si immobilizzò, non volendo scatenare un inutile scontro, e lo spiò di nascosto. L’Arcangelo era invisibile agli umani e teneva la testa bassa. Si reggeva alla lancia, scudo abbandonato in terra e schiena contro le mura. Carmilla notò che era sporco di sangue ma sapeva bene che gli angeli non potevano essere feriti, perciò doveva avere ucciso o ferito qualcuno. Scendeva una lieve pioggia, perciò la demone non capiva se Mihael stesse piangendo o fosse solo bagnato. I riccioli biondo scuro spuntavano da sotto l’elmo e gli si erano attaccati al viso, assieme all’acqua ed al sangue. Poi alzò lo sguardo, e gli occhi azzurri di lui brillarono nella penombra. Lei capì di essere stata notata ed uscì allo scoperto.

“Ci mancavi solo tu, demone...” sospirò lui.

“Non sto facendo niente” si affrettò a rispondere Carmilla “Nessuna tentazione. Ti prego, non rimandarmi all’Inferno”.

“Non ne avrei la forza” ammise Mihael, staccandosi alla parete a fatica.

Incrociò lo sguardo di lei e notò subito che era diverso, malinconico.

“Brutta giornata anche per te, demone?” domandò.

“Diciamo che sto attraversando una fase non molto felice, Arcangelo. Spiegami: perché si fanno la guerra adesso?”.

“Non lo so. Io non l’ho mai capita la guerra. Non ne ho mai compreso il senso. Forse... è come hai detto tu: gli uomini sono stupiti. Ma anche fra demoni ed angeli ci facciamo la guerra, perciò...”.

“Meglio evitare la gara per decidere chi è più stupido. Senti... sta iniziando a diluviare. Visto che tanto siamo tutti idioti... che dici di una tregua fino a quando il cielo non si rischiara? Io abito qua vicino”.

“Perché vivi a Costantinopoli? All’Inferno non c’è posto?”.

“Forse te lo spiegherò. Io ora rientro, tu fai come credi...”.

Mihael era perplesso. Voleva vederci chiaro in quella faccenda e decise di seguirla. Non stava mentendo, effettivamente lei aveva una casa in quella città. Era piccola e disastrata ma viveva lì... Che cosa strana. Si guardò attorno, mentre Carmilla lo invitava ad entrare.

“Cosa sono tutte queste erbe appese al soffitto?” chiese, togliendosi finalmente l’elmo e provando un immenso sollievo.

“Faccio medicine” spiegò lei “In qualche modo si deve pur vivere...”.

“Ma tu sei una demone vampiro, una procacciatrice. È quello il tuo lavoro”.

“Non sto più all’Inferno. Le cose sono cambiate...”.

L’Arcangelo storse il naso, dubbioso. Continuava a guardarsi attorno, con le armi strette in mano.

“Rilassati” parlò ancora lei “Hai l’aria stanca. Stenditi pure e riposa, io ho degli infusi da preparare. Appena smetterà di piovere potrai andartene dove ti pare”.

“Scherzi?! Dovrei dormire a casa di un demone?”.

“E che potrei mai farti? Morderti sul collo? Sono una demone vampiro ma credo che il sangue angelico per me sia alquanto nocivo. E poi guarda che anche tu mi stai sulle palle, però non mi sembrava bello lasciarti sotto il diluvio”.

Mihael non era molto convinto, ma si sentiva sempre più debole dopo giorni passati a combattere. Dovette per forza posare scudo e lancia, che si erano fatti di colpo pesanti da portare.

“Ti preparo qualcosa per tirati su” aveva detto lei ma, quando fu pronta, l’Arcangelo era stato sconfitto dalla stanchezza e si era addormentato.

Carmilla rimase ad osservarlo, con un mezzo sorriso. Lo trovava quasi carino, ora che teneva chiusa la bocca!

 

 

Ciao a tutti! Qualche mio “fan” già conosce Keros ed alcuni dettagli della sua storia. Qui ho voluto raccontare le sue vicende per intero, dal “principio”.

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Capitolo 2
*** l'angelo e la vampira, parte 2 ***


2

 

L’ANGELO E LA VAMPIRA

 

Seconda parte

 

Delle voci risvegliarono l’Arcangelo. Aprì gli occhi e, da dietro la tenda che nascondeva il letto, vide Carmilla che consegnava dei rimedi medicinali ad alcune persone giunte a casa sua. Dopo aver ringraziato, gli umani se ne andarono e tornò il silenzio.

“Perché lo fai?” chiese Mihael.

“Faccio che cosa?” rispose lei, risistemando delle erbe.

“Perché aiuti  gli umani? Sei un demone. I demoni fanno solo cose cattive”.

“Non è vero! E poi ti ho già spiegato che lo faccio per vivere. Pagano i miei servigi”.

“Ma tu sei una procacciatrice di anime, non un medico!”.

“Ho lasciato l’Inferno”.

“Perché?”.

“Ma quanto sei impiccione!”.

Lei sbottò, chiudendo di colpo un cassetto ed accigliandosi. Fece notare all’Arcangelo che fuori c’era il sole e poteva andarsene.

“Dimmi perché” insistette lui “Cosa c’è sotto?”.

Si era messo seduto sul letto, rendendosi conto di aver privato del giaciglio la padrona di casa. Un po’ se ne vergognò. Stiracchiò le grandi ali. Si sentiva molto meglio, anche se non vedeva l’ora di tornare a casa. Purtroppo la guerra era ancora lunga e lui doveva difendere quella città, che i demoni bramavano.

“Lo vuoi proprio sapere?” sospirò lei, porgendo all’Arcangelo un infuso alle erbe.

Mihael ringraziò ed annuì.

“Grazie a te..” iniziò a raccontare Carmilla “..all’Inferno ero diventata piuttosto famosa. Questo aveva fatto sì che giungessi fino al palazzo del re. A Lucifero sono piaciuta quasi subito, sono diventata una delle sue donne. Il periodo al palazzo reale è stato molto piacevole, lo ammetto...”.

“Non scendere nei dettagli, per favore”.

“Oh, andiamo... Siamo persone adulte!”.

“Ma io certe cose non le faccio”.

“Ah... già.. quindi.. poverino, sei vergine?”.

“Sono puro. Come tutti gli angeli. Ora continua...”.

Carmilla voleva porre altre domande a riguardo ma preferì tacere e riprese la sua storia.

“Il palazzo del re ha tante femmine, ero in buona compagnia. Lilith, la prima accolta a palazzo, in un certo senso comandava. Io però, giunta ad un certo punto, ho iniziato a sentire che mi mancava qualcosa. Sognavo un figlio, con tutta me stessa. Sapevo che anche il re provava desideri simili ma, purtroppo, nessun piccolo ha preso vita in me...”.

La demone dava le spalle all’Arcangelo, che non riusciva a coglierne l’espressione.

“E quindi lui ti ha scacciata?” suppose Mihael.

“Oh, no. Nessuna fin ora è stata in grado di accontentare il sogno del re ma lui continua a voler bene alle sue donne, non ne scaccerebbe mai nemmeno una”.

“E allora...?”.

“Me ne sono andata di mia volontà. Mi sentivo in colpa, inadeguata”.

“Ma tu lo ami? Tu ami il re?”.

“Come si ama un dio. Lo venero. Lo adoro. Fra le sue braccia mi sentivo speciale, ma non amata. Lui non ama le sue donne, il suo cuore è altrove. Io me ne sono andata per capire dove mi conduceva il mio”.

“Il tuo cuore? Dove ti ha condotto?”.

“Per ora qui” sorrise debolmente lei, voltandosi “Starò qui finché potrò. Poi cambierò città forse. Viaggerò...”.

“La tua natura avrà il sopravvento, prima o poi”.

“Vedremo. Tanto, finché ci sarà la guerra, tu mi sorveglierai. Dico bene?”.

Mihael stava riprendendo le sue cose. Fuori splendeva il sole e l’Arcangelo si sentì subito bene appena i raggi lo sfiorarono. Ringraziò ancora e poi si decise ad allontanarsi. Altri angeli lo stavano cercando e velatamente lo sgridarono per essersi nascosto.

 

L’autunno lasciò lo spazio all’inverno. Carmilla non vedeva l’ora che la guerra finisse. Un po’ perché le condizioni di vita della città peggioravano e un po’ perché non ne poteva più di sentirsi sempre osservata da Mihael, che controllava eventuali usi di poteri demoniaci.  Pure l’Arcangelo era stanco, voleva tornarsene a casa. Era una vera seccatura dover combattere e fare da baby sitter alla vampira dai capelli rossi.

Una notte, era quasi primavera, Mihael riposava assieme ad altri angeli nei pressi di una basilica dedicata a Sophia. Subito riconobbe la figura di Carmilla. Sbuffò, perché si chiedeva che stesse combinando, nell’oscurità. Fermò con la mano uno dei fratelli angelici, che volevano seguirlo per aiutarlo.

“Dove vai, demone?” chiese lui, seguendola.

“A fare un giro. È proibito?” si stizzì lei, accelerando il passo.

“Dai, tornatene a casa. Ho sonno...”.

“E vai a dormire! Gli angeli non dovrebbero essere tutti a nanna con il buio?”.

“Non posso, se ti so in giro”.

“Fai finta di non saperlo! Che palle!”.

Carmilla camminò rapida fin fuori dalle mura, diretta al porto. L’assedio era finito, la gente era chiusa in casa o nelle taverne. Mihael la seguì in silenzio, perplesso. Lei si avvicinò all’acqua. Togliendo le scarpe, immerse per qualche istante il piede in mare, poi ritraendolo perché la temperatura non era delle migliori. Si udiva solo l’infrangersi delle onde ed il fruscio delle erbe che la demone stava cogliendo. Crescevano lungo le mura e lei le recideva, poi riponendole con cura in una borsa. L’Arcangelo la osservava. Com’era cresciuta dalla prima volta in cui l’aveva vista! La tenue brezza le muoveva i capelli e le stoffe che la vestivano, mentre lei si muoveva lieve e con grazia.

“Fila a dormire, angelo” mormorò lei “Non ho intenzione di commettere alcun peccato. Sto solo raccogliendo le mie erbe medicinali con la luna piena”.

Mihael alzò lo sguardo. In cielo vi era una luna grande e magnifica, come non ne vedeva da secoli. La notte era stellata e si rifletteva sul mare.

“Aspetterò il tuo rientro. Mi sentirò più sicuro”.

“Quanto sei noioso...”.

Lui non sorrideva mai e lei gli fece una smorfia.

“E così...” parlò poi Carmilla, capendo che non lo avrebbe allontanato “...l’assedio è finito”.

“Sì. Sto per tornare a casa”.

“Quindi ci salutiamo. Io non sono più una nemica, non verrai più mandato a controllarmi. Sei libero, almeno da me!”.

“E pensi che possa fidarmi?”.

“Mi hai spiato per mesi. Che ho fatto? Proprio niente. Su, fammi un sorriso. Non mi avrai più fra i piedi”.

Lui rimase in silenzio, non fidandosi per niente.

“Sei rimasto sempre uguale” riprese lei “Dalla prima volta in cui ti ho visto, non sei cambiato nemmeno un po’. Nemmeno nell’espressione. Io invece...”.

“Sì, tu sei cambiata molto”.

“In bene o in male?”.

“In bene, direi. Quel che ho visto in questi mesi e lodevole per un demone”.

“Sono cresciuta. Non sono più una bambina...”.

“Lo vedo”.

Aveva terminato di raccogliere le erbe. Si avvicinò all’Arcangelo, che la fissò con aria interrogativa.

“Le stelle si riflettono nei tuoi occhi, Mihael”.

Lui arricciò il naso un paio di volte, scuotendo la testa come a voler dire “ma che stai dicendo?!”.

“Un po’ mi mancherai” sorrise la demone “Un pochino...”.

“Che...?”.

“Ed io? Ti mancherò? Mi mancheranno le nostre piccole guerre, anche se non troppo”.

“Perché dovrebbe mancarmi il fatto di doverti inseguire continuamente e lottare per riavere le anime che tenti?!”.

“Lo immaginavo” distolse lo sguardo lei, guardando di nuovo il cielo.

“Hai finito con quelle erbe? Rientri a casa adesso?”.

“Impaziente. Sono una vampira. A me piace gironzolare di notte”.

Mihael sospirò e lei rialzò gli occhi.

“Vai a riposare. Non farò nulla di male, angelo. La guerra è stata lunga...”.

“Tu pensa al tuo lavoro, che io penso al mio”.

“E se ora facessi il bagno? Tu puoi guardarmi nuda o poi non sei più puro?”.

“Smettila di dire scemenze!”.

L’Arcangelo iniziava a sentirsi in imbarazzo. Lei gli stava molto vicino e parlare di certi argomenti lo infastidiva. Lei parve cogliere quel lieve fastidio e sorrise divertita.

“Mihael...” mormorò poi, allungano lievemente il collo e baciando il suo nemico.

Lui si ritrasse d’istinto.

“Ma che fai?!” sibilò lui, scostando la testa “Che speri di ottenere?!”.

“Niente” alzò le spalle lei “Volevo solo baciarti”.

“Ma... io...”.

Lui iniziò a farfugliare cose insensate, scuotendo la testa.

“Smettila!” rise lei “Per un bacio... quante storie! Non lo faccio più, era solo per salutarti. Una specie di regalo di addio. Non arrabbiarti”.

“Regalo d’addio?” ripeté lui, sforzandosi di calmarsi.

“Eh sì. Se io non caccio più anime, non hai motivo di combattermi. Non ci rivedremo tanto presto. O forse sì, ma non come nemici. Sarà per puro caso”.

“Tu confidi troppo nel tuo autocontrollo...”.

“Divertente. Non ci confido proprio per niente... di fatti, voglio un bacio decente come regalo d’addio. Per favore, concedimelo”.

“Ma no! Ma che pensieri hai per la testa?!”.

“Da demone”.

Lei ghignò  divertita. Mihael sembrava un bambino imbarazzato. Ne sfiorò il viso e lo costrinse a guardarla negli occhi. Lui rimase in silenzio e lei si allungò di nuovo, per dargli un altro bacio. Questa volta fu molto più lungo e, inaspettatamente, lei si sentì cingere dall’Arcangelo.

“Finalmente” furono le prime parole della tentatrice “Finalmente percepisco un pizzico di calore da parte dell’Arcangelo del Sole!”.

Mihael non sapeva bene che dire e che fare. Erano rimasti abbracciati, stretti sotto la luce della luna. Lei sorrideva, con gli occhi chiusi.

“Cosa provi?” sussurrò Carmilla “Che cosa desideri?”.

Lui non sapeva che dire. Desideri? Era una creatura del cielo, era al di sopra da desideri e bisogni. Non necessitava di nulla, se non della luce di Dio. Però in quel momento... Che strano... Era inspiegabilmente felice e non ne capiva il motivo. Inclinò la testa per baciarla ancora, era una sensazione piuttosto piacevole, che non aveva mai provato prima. Che fosse quello l’amore degli uomini? Quel desiderio di avvicinarla a sé, nonostante fosse un demone suo nemico? Quella voglia di sentire il sapore delle sue labbra? E poi... la strinse. Si chiedeva che cosa stesse facendo, che cosa gli stesse succedendo.

“Lascia che ora faccia io un regalo a te...” mormorò lei, dandogli piccoli e lievi baci.

“Un regalo?”.

La demone sorrise, passò le mani sul petto dell’Arcangelo.

“Ti voglio” gemette lei sottovoce “Desidero averti”.

“Carmilla...”.

“Ah, la prima volta che mi chiami per nome!”.

Si unirono in un bacio molto più passionale dei precedenti. Le stoffe che coprivano lei stavano cadendo, una dopo l’altra. La sensazione della carne nuda sotto le dita era nuova per l’Arcangelo, mentre la demone con mani esperte lo stava spogliando.

“Sei bellissima...” le disse lui.

Lei ringraziò con un altro bacio e lo tirò a sé, stendendosi accanto alle mura. La luce della luna ne illuminava la pelle e la rendeva candida, davvero magnifica.

“Vieni, mio Arcangelo” sorrise “Vieni a prendere il tuo regalo”.

Mihael ebbe un istante d’esitazione ma poi la raggiunse. Carmilla socchiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un piccolo gemito quando lui entrò in lei. Gli tuffò una mano fra i capelli, attorno al collo. I movimenti dell’Arcangelo erano impacciati, poco esperti, ma lei lo guidava. Era dolce, come una danza elegante. Mihael imparava in fretta. Accelerò leggermente il ritmo e lei gemette di piacere.

“Oh, Mihael” ansimò Carmilla “Non sai quanto io abbia sognato questo momento”.

I due si chiamarono per nome, fra i sospiri, mentre la loro unione si faceva sempre più intensa e rapida. I denti da vampiro di lei si mostravano e brillavano alla luce della luna. Si teneva aggrappata alla schiena di lui con forza.

“Non fermarti” supplicò “Amor mio...”.

Lui chiamò il suo nome con dolcezza, a quanto pare lei lo gradiva molto. Che sensazione d’estasi! L’Arcangelo spinse con più forza, soddisfatto nel sentir  godere la demone sotto di sé. Carmilla ansimava e lanciava piccoli urli di piacere. Era molto diverso da come era abituata, era diverso l’amore di angeli e demoni. Era ugualmente intenso, ma diverso. Ruotò gli occhi, sentendo i suoi muscoli irrigidirsi d’istinto, raggiungendo l’orgasmo. Non trattenne un gemito di puro piacere e percepì che anche l’Arcangelo era giunto all’apice di quell’atto proibito.

“Ho visto il paradiso” ansimò lei, sfinita e felice, stringendo ancora Mihael a sé.

Lui rimase in silenzio, immobile per qualche istante. Poi rialzò il busto e guardò lei in viso. Non sapeva che cosa dire, non sapeva che cosa fare. Si scostò, guardandosi attorno. Guardò anche verso l’alto.

“Mihael...?” lo chiamò la demone, vedendolo confuso.

“Io... Io non dovevo...” farfugliò l’Arcangelo, tirandosi indietro e passandosi una mano fra i capelli.

Carmilla fece per ribattere ma lui si stava già rivestendo, ripetendo frasi insensate. Percepì una presenza e si voltò di  scatto. Non si aspettava di certo di trovarsi di fronte il fratello maggiore, Lucifero.

“Ci spiavi? Guardone...” quasi ringhiò.

“Ammetto di essere stato nei paraggi per un po’...” ghignò Lucifero, nascosto nell’ombra “...sei stato un angelo cattivo...”.

“Non infierire...”.

“Non sto infierendo. Sto cercando di farti ragionare. Sembri sconvolto”.

“Certo che lo sono. Io... Ho commesso un grave peccato”.

“Non esagerare. Scopare non è poi così grave. Peggio se avessi sterminato una famiglia o... non so... hai presente quelle cose che ti fa fare papà? Tipo sterminare intere città?”.

“Smettila, serpente. Devo confessare quanto fatto”.

“E perché? Fratellino, ragiona. Non sei stato punito. Non vedo fulmini o cose simili, e tu sai che Lui ti ha visto di sicuro. Perché andare nei casini con il mondo celeste, quando Lui pare d’accordo? Ti avrà concesso una notte di divertimento in cambio dei tuoi servigi. Vedilo come un premio”.

“Stai delirando!”.

“Mihael!”.

Il demone dovette afferrare il fratello per il braccio. Questi era ancora confuso ed agitato, non era in grado di reagire adeguatamente.

“Mi costringi ad agire in un solo modo” parlò Lucifero, obbligando l’Arcangelo a guardarlo negli occhi.

Questi lanciò un gemito e cadde in terra. Il demone sospirò. Si voltò verso le mura, dove vide la bellissima Carmilla addormentata. Gli mancava, ma non poteva costringerla a tornare all’Inferno.

“Quando vi risveglierete, non ricorderete nulla di quanto successo” sussurrò, prendendo fra le braccia la demone e riportandola dentro le mura “Ho già visto in troppi cadere per sentimenti definiti proibiti. Saprò come farmi ripagare per il favore...”.

La portò fino in casa e la adagiò a letto.

“Ti sembrerà tutto un sogno, mia bella Carmilla”.

 

L’Arcangelo si svegliò poco dopo, confuso. Si convinse di essere caduto per la stanchezza. La battaglia lo avevo provato molto, anche se in sé provava uno strano senso di soddisfazione che non capiva. Era tempo di tornare in Paradiso, aveva perso fin troppo tempo in quella città!

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Capitolo 3
*** Fuoco ***


III

 

FUOCO

 

Carmilla aveva intuito subito che qualcosa era diverso in lei. Fu di certo felice quando confermò i suoi sospetti, anche se era piuttosto confusa al riguardo. Era incinta, ma non ricordava. Sapeva che le demoni tentatrici come lei restavano gravide quando lo decidevano, e lei era da un pezzo che lo aveva deciso, però non ricordava il padre. Non ricordava il momento esatto in cui si era concessa ed a chi. Lo trovò strano ma non molto rilevante: avrebbe amato il suo piccolo ogni giorno di più! Desiderava tanto essere madre!

Quando lo sentì muoversi per la prima volta, fu una gioia per lei indescrivibile. Spesso si sforzava di ricordare il padre ma proprio non ci riusciva.

Intanto in città la gente spettegolava e lanciava occhiate inopportune. D’un tratto, non la vedevano più come una donna buona che li curava. Gravida e senza un marito, con quei capelli rossi, era di certo una puttana! A lei importava ben poco il parere degli altri, specie degli umani. Visto che non volevano accusare qualche rispettabile signore di città, girò la voce che fosse figlio di qualche invasore turco, la cui testa insanguinata pendeva come monito su una picca, oppure frutto di un patto con il Diavolo. Il Diavolo… Lo aveva pensato pure lei. Il suo re. All’inizio si era detta che era impossibile, perché mancava da molto da palazzo, ma poi le era venuta in mente un’immagine. Ricordava lui, i suoi inconfondibili occhi arancio, che la invitava a dormire. Che fosse davvero giunto da lei una notte e non lo ricordava? Non ne era convinta, perché giacere con il re era un’esperienza del tutto indimenticabile, però… Sorrise all’idea. Lui aveva promesso che avrebbe nominato regina colei che gli avesse dato un figlio. Regina Carmilla, come suonava bene! Si passò una mano sul ventre che cresceva e ghignò: non vedeva l’ora di vedere la sua creatura!

 

Era una brutta giornata, nuvolosa e fredda. Il nove dicembre, Costantinopoli si preparava per l’ormai prossimo natale. Carmilla se ne stava chiusa in casa, pensierosa se tornare all’Inferno oppure attendere pazientemente che la festa passasse. Era stanca e già si era messa a letto quando udì le campane che davano l’allarme. Un incendio! Si alzò, spaventata: lei non era il genere di demone resistente al fuoco! Sentì le voci di chi fuggiva, le grida. Capì che l’incendio si avvicinava e che doveva scappare e raggiungere il mare. Corse, per quanto potesse con il ventre così grosso, e lasciò la sua casa. I vicoli erano stretti, le fiamme si diffondevano rapidamente ed ebbe l’impressione che provenissero da ogni luogo. Fu costretta a rallentare, perché avvertì una forte contrazione. Era presto, si disse, ma la paura e la fuga dovevano aver anticipato il parto. Si disse che avrebbe raggiunto un luogo sicuro per la sua creatura, ad ogni costo. Si sforzò di ignorare il dolore e proseguì, ma ben presto la sua fuga finì: un edificio era crollato e le impediva di proseguire. Chiamò aiuto, disperatamente. Entrò in una delle case a fianco, sperando avesse un’uscita su un altro vicolo più sicuro. Si strinse il ventre, lanciando un grido di dolore e chiedendo ancora aiuto. Non trovava un’uscita, stava crollando tutto, consumato dalle fiamme. Inciampò e cadde, urlando ancora per il dolore. Tento più volte di rialzarsi e più volte ricadde. Se avesse potuto piangere, lo avrebbe fatto. Ma i demoni non possono piangere, fa parte della loro maledizione. Vide uno spiraglio ancora libero, accanto ad una finestra che dava sulla piazza. Lei non ci sarebbe mai passata ma la sua creatura sì! Un’altra contrazione, un’altra disperata richiesta d’aiuto rivolta verso quella piccola apertura.

Con la schiena contro quel che restava di una parete, Carmilla vide il fuoco circondarla. Il dolore era ormai continuo, non poteva più impedirlo o rimandare. Spinse, chiedendo ancora aiuto. Inaspettatamente, una voce la chiamò per nome.

“Sono qui!” gemette lei “Aiuto!”.

Comparve un demone fra le fiamme. Grande e grosso, lei lo riconobbe subito. Asmodeo! Suo amico da sempre, era venuto a prenderla! Sorrise nel vederlo ma subito lanciò un altro grido. Le fiamme l’avevano ormai raggiunta. Però il suo unico pensiero era il bambino, spinse forte per farlo nascere. Asmodeo spalancò le ali, per spegnere l’incendio. Lui era immune al fuoco e sapeva bene che per Carmilla non era così. Si mosse in fretta per raggiungerla, per spegnere le fiamme che la lambivano. Lei urlò e piantò gli artigli in terra, in un’ultima spinta che portò la sua preziosa creatura nel mondo. Poi ricadde all’indietro, sfinita. Asmodeo raggiunse entrambi e li portò fuori, lontani dall’incendio. Subito si accorse che lei era grave, le ferite e le bruciature la ricoprivano. Ostinatamente stringeva un minuscolo neonato, che si dibatteva ed urlava. Anche sul piccolo erano giunte le fiamme, bruciando delle ali appena accennate. Ali d’angelo! Asmodeo notò la cosa e provò quasi disgusto. Poi vide che sul corpo del bambino, su quasi tutto il suo lato sinistro e la schiena, le bruciature stavano lasciando spazio ad intricati disegni blu scuro.

“Portalo dal re” riuscì a dire lei “Portalo da lui. Promettimi che lo farai”.

“Lo farò “ rispose “Però…”.

“Diventerà bellissimo “.

Carmilla baciò il suo piccolo e poi morì, fra le braccia di Asmodeo. Il grosso demone rimase in silenzio, triste per la sorte di lei. Poi guardò il neonato che strillava e lo trovò rivoltante. Però aveva promesso di portarlo dal re e lo avrebbe fatto, ci avrebbe pensato lui!

 

Re Lucifero era inaspettatamente ancora nella sala del trono, non in compagnia di qualche femmina discinta, quando Asmodeo tornò a palazzo. Stupito nel vederlo lì, l’elegante signore dei demoni attese di udirlo aprir bocca.

“Vostra maestà…” si inchinò Asmodeo “…porto notizie da Costantinopoli”.

“Costantinopoli?” alzò un sopracciglio il re “Pensavo che l’assedio fosse terminato”.

“Lo è, mio re. Ma devo ahimè riferirvi che la demone vampiro Carmilla, che un tempo scaldava le vostre notti qui a palazzo, è perita in un incendio”.

“Carmilla…” mormorò Lucifero, con le unghie che grattarono i braccioli del trono “…morta…”.

Asmodeo chinò la testa.

“Per colpa di chi?” volle sapere il re.

“Signore… non ho idea di cosa o chi abbia provocato l’incendio. Sono spiacente”.

Da un lato, Lucifero era addolorato. Era affezionato a Carmilla, ma una parte di lui era quasi sollevata. La faccenda con Mihael non lo lasciava tranquillo. Poi udì una specie di miagolio. Mosse le orecchie a punta, chiedendosi per quale motivo Asmodeo miagolasse.

“Cosa tieni lì con te?” domandò Lucifero, come sempre curioso.

“Mi è stato detto di portarvelo” iniziò Asmodeo “Lo ha partorito Carmilla. Ho visto su di lui ali d’angelo, signore. Sono bruciate, ma…”.

“Lui? Un maschio? Mostramelo”.

Il re si alzò, scese i pochi scalini che separavano il trono dal pavimento e camminò verso Asmodeo.

“Io consiglio di eliminarlo, maestà. Parrebbe un orribile ibrido”.

“Mostramelo” scandì di nuovo Lucifero, scostando un ciuffo di capelli neri dal viso.

Forse il grosso demone a capo delle guardie aveva ragione, forse andava eliminato. Sarebbe stato meglio per tutti, se davvero era un sangue misto. Asmodeo scostò il braccio e mostrò il neonato al suo signore. Strillava, spaventato , affamato e dolorante. Si voltò verso Lucifero e questi vide due occhi ambrati che lo fissavano. Due occhi troppo grandi e lucidi per essere demoniaci, nonostante fossero dello stesso colore di quelli di Carmilla. Seconda cosa che il re notò fu quella massa di capelli rossi, anch’essi ereditati da Carmilla. Asmodeo si stupì nel vedere il suo signore chinarsi verso quel bambino.

“Lo definisci orribile…” parlò Lucifero “…io penso sia bellissimo”.

Il re prese in braccio il piccolo e si rialzò. Nonostante fosse sporco di cenere e sangue, Lucifero ne era rimasto stregato. Gli ricordava i suoi fratelli, piccoli angeli, quando lui stesso era ancora in Paradiso ed era il maggiore. Sapeva che quella creatura era un ibrido ma non poteva pensare di ucciderlo. Congedò Asmodeo e tentò di calmare il bimbo.

“Sei una meraviglia” gli disse “E guarda qua che bei dentini da demone vampiro! Avrai fame…”.

Gli porse il dito indice ed il piccolo lo morse, d’istinto. Questo lo calmò. Il Diavolo sospirò. Forse stava diventando troppo sentimentale. Si incamminò lungo il corridoio con il bambino in braccio, fino a raggiungere l’ingresso dell’ala riservata alle sue concubine. Bussò e come sempre aprì Lilith, la prima donna ammessa in quel palazzo. Lei rimase in silenzio, fissando il piccolo.

“Ha bisogno di essere nutrito, pulito e coccolato “ spiegò Lucifero "Non mangiatelo, per cortesia".

Il neonato era ancora attaccato al dito del re ma poi lo lasciò, arricciando il naso e gonfiando le guance. Aveva una faccia troppo buffa e Lilith sorrise.

“Mi sa che è un po' forte il sangue del re per te, piccino” rise lei, prendendolo in braccio.

“Prendetevene cura. È il figlio di Carmilla. Io vi raggiungo tra poco”.

“Che amore! Come si chiama? E lei dov’è?”.

“Lei è morta. Lui…” pensò il re, osservandolo “…lui è... frutto di un atto d'amore. Eros. Una ciliegia. Kerassì. Keros. Lui è Keros”.

Lilith sorrise. Portò il neonato dalle altre donne e spiegò l’accaduto. Porse il seno al piccino e lo chiamò “principe”.  Doveva essere così, doveva essere il figlio del re. Lo aveva nutrito con il suo sangue, gli aveva dato un nome e lo aveva accolto a palazzo. Doveva essere l’erede che tutti aspettavano!

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Capitolo 4
*** cucciolo demoniaco ***


4

CUCCIOLO DEMONIACO

 

Il re era rilassato. Leggeva un grosso volume scritto a mano parecchi secoli prima con sangue ed anime dannate. Mezzo disteso su un divanetto in pelle rossa, agitava la coda ed il piccolo Keros la inseguiva. Ogni tanto il piccolo ruzzolava in terra o inciampava sui suoi stessi piedi, ancora impacciato nei movimenti. Continuava a ridere, inseguendo la coda, che lo risollevava quando non ci riusciva da solo. “Coda” era una delle prime parole a senso compiuto che il bambino aveva pronunciato fino a quel momento. Lucifero si divertiva a stare ad osservarlo, trovando irritante solo il fatto che ogni tanto quel piccolo demone vampiro inseguisse la coda per morderla.

Keros si era ribaltato e stava ridendo, tenendosi i piedi e rotolando di fianco, lungo il pavimento nero. Il re scosse la testa, con un sorriso. A volte si chiedeva se la scelta di accoglierlo all’Inferno fosse stata giusta. Quel piccolo era davvero piccino e fin troppo adorabile. Già dimostrava di possedere una certa empatia, cosa non molto da demone. Ed inoltre piangeva, cosa per niente da demone! Il re si chiedeva se quel salsicciotto goloso dai capelli rossi non stesse meglio in cielo.

Si era perso nei suoi pensieri, mentre Keros aveva raggiunto la coda e la scuoteva, quando si udì bussare alla porta. Sentiva distintamente le voci di Asmodeo ed Azazel, che discutevano fra loro su non capiva cosa. Capì solo un “Io ho bussato. Parla tu!”.

“Avanti!” incitò per un paio di volte.

Ma poi si stancò ed aprì la porta con i suoi poteri. Azazel ed Asmodeo si misero sull’attenti, piuttosto agitati.

I due erano molto diversi fra loro. Asmodeo era generale degli eserciti e capo delle guardie di palazzo, di conseguenza era di corporatura massiccia e stazza importante. I suoi muscoli erano ricoperti da varie cicatrici di guerra e nel complesso incuteva un certo timore. Al contrario, Azazel era minuto ed agile. Era l’araldo del re, un demone messaggero, ed era necessario fosse estremamente veloce. Anche lui presentava qualche cicatrice ma risaliva ai tempi della caduta.

“Ebbene?” incalzò re Lucifero “Che volete?”.

I due si fissarono, indecisi su chi dovesse parlare.

“Sto perdendo la pazienza” cantilenò il re, con un mezzo ghigno inquietante.

“Vostra maestà…” prese coraggio Azazel “…ho eseguito gli ordini, come richiesto. Ho consegnato il comando di resa al ribelle ed il suo esercito, però… ecco…”.

“Non ha obbedito” concluse Asmodeo “E si è messo in marcia verso i confini della capitale”.

“E…?” incalzò Lucifero.

“Non siamo riusciti a fermare la sua avanzata. È giunto fino ai cancelli” ammise il generale, distogliendo lo sguardo e preparandosi ad affrontare l’ira del suo re.

“Dunque…” parlò, con inaspettata calma, il Diavolo “…mi state dicendo che il mio miglior diplomatico ed il generale che sorveglia la città più importante dell’Inferno… non sono stati in grado di fermare un branco di sovversivi di livello inferiore? E invece di combattere e proteggere la popolazione, se ne stanno qui a cianciare con me?”.

“Signore, noi…” azzardò Azazel.

“Silenzio!” lo zittì il re, alzando la voce e facendo scattare la coda in avanti, cosa che indispettì Keros.

Il piccolo arricciò il naso con fastidio e protestò. Lucifero si alzò ed i due sottoposti si inchinarono.

“State pure qui” sibilò il re “Ci penso io. Voi tenete a bada il piccolo. Non fatelo uscire da qui. O è un compito troppo complesso?”.

Azazel ed Asmodeo mormorarono parole di scusa, mentre il re lasciava la stanza sbattendo la porta.

 

Keros rimase seduto sul pavimento ed alzò lo sguardo verso i due sottoposti. Li conosceva, vivevano in un’ala apposita del palazzo, quindi non si agitò nel vederli. Si guardò attorno, in cerca di un gioco. Azazel ed Asmodeo si fissarono, mentre il piccolo tentò di togliersi una scarpa.

“Ma tu…” ruppe il silenzio Azazel “…pensi davvero che sia…?”.

“Il figlio del re?” gli rispose Asmodeo “Non lo so. È così…”.

“Tenero”.

“Schifosamente tenero, esatto”.

“Però… noi non sappiamo com’era fatto nostro fratello Lucifero da piccolo. È il maggiore di tutti noi, quando siamo nati già non era più un infante. Il primo ricordo che ho di lui è quello di un giovane angelo magnifico. Magari da bambino era un cosetto adorabile come questo moccioso”.

“Tu dici?”.

Asmodeo era perplesso. Ricordava quelle ali d’Angelo e trovava rivoltante che quel bambino, che lo fissava con grandi occhi d’ambra, potesse un giorno dargli degli ordini. Non capiva la fissazione del re per quel marmocchio, che allontanò con un piede ed una smorfia.

“ Attento” ghignò Azazel “Un giorno quel pidocchio che disprezzi tanto potrebbe diventare il tuo re”.

“Preferirei tornare in Paradiso! E tu sai quanto mi nausei il Paradiso!”.

“Non spetta a noi decidere. E comunque il re si comporta in modo diverso con lui, unico. È geloso ed iperprotettivo. Anche quando siamo entrati prima in stanza, se lo hai notato, si è mosso come a proteggerlo. Non lo ha ancora designato ufficialmente come principe ereditario, però…”.

Asmodeo fece una smorfia. Keros continuava a fissarlo e la cosa lo infastidiva.

“Lunga vita al re” si limitò a commentare poi, avviandosi verso la porta.

“Hei! Dove vai, coglione?! Non puoi lasciarmi solo con il piccolo. Io non ho figli, non so come si fa!”.

“Improvvisa, stronzetto”.

“Ma hai degli ordini!”.

Asmodeo ignorò Azazel e continuò a camminare.

“Asmodeo!”.

“Portalo da Lilith!”.

Azazel tentò di ribattere. I due erano sulla porta e continuarono a discutere, senza accorgersi che Keros si era alzato in piedi ed era sgattaiolato fra loro, uscendo sul corridoio. Si voltarono, sentendo un odore familiare, di sangue.

Il re era rientrato e Lilith lo osservava, trattenendo il fiato. Stessa cosa facevano i due demoni adulti, trovando lo spettacolo leggermente inquietante. Lucifero era ricoperto di sangue ed in mano reggeva quel che restava del corpo del suo nemico, che aveva divorato in parte. Sul volto, aveva stampato un ghigno sadico, ma poi notò il bambino per il corridoio. Mutò espressione. Keros era fermo e serio. Lucifero rispose al suo sguardo, temendo di vederlo scoppiare a piangere o gridare in preda al terrore. Ma il piccolo sorrise e poi si mise a ridere, raggiungendo il re correndo a braccia aperte. Lucifero lo sollevò e Keros spalancò la bocca, mostrando i denti da vampiro. Il re gli offrì un pezzo del nemico ed il bambino lo gradì. Il Diavolo aveva solo un taglio sulla guancia, che il bambino percepì e ci poggiò una manina sopra, per poi assaporarne il sangue.

“Il mio Keros “ sorrise il re, orgoglioso “Il mio meraviglioso cucciolo demoniaco!”.

Lanciò solo uno sguardo di rimprovero ad Azazel ed Asmodeo, poi congedandoli perché era stanco e con ben poca voglia di discutere oltre. Keros rise, vedendo lo sguardo spaventato dei due sottoposti al passaggio del loro signore.

 

Il giorno dopo, il re sedeva alla scrivania con Keros in braccio. Di fronte ad una piantina dei regni infernali, Lucifero stava modificando alcuni confini in seguito alla dipartita ed al tradimento del giorno precedente. Asmodeo ed Azazel erano stati convocati. Il loro signore non li sgridò, ma li invitò a non disobbedire un’altra volta.

“Volevo scusarmi per i dubbi espressi riguardo al piccolo” si inchinò Asmodeo “È che…”.

“Asmodeo…” gli rispose il re “…quando eri piccino, eri un angelo cicciottello e sgraziato, che a malapena si coordinava in volo. E mi chiedevo cosa avresti mai potuto fare nella vita. Ed ora eccoti qua. Sei il mio generale, fra i più forti demoni dell’Inferno. Perciò smettila di giudicare il mio piccolo dalle apparenze, se non vuoi che racconti a tutti quanto eri adorabilmente grasso da bambino!”.

Azazel trattenne una risata ed Asmodeo annuì. Il re consegnò ad Azazel i documenti con i cambi di confine e congedò entrambi. Keros intanto era concentrato sulla giacca del Diavolo, piena di nastri.

“Ma che stai facendo?” chiese Lucifero al bimbo, che rispose con un versetto.

Il demone guardò meglio e notò che Keros aveva allacciato a fiocco tutti i nastri della giacca. Non poté fare altro che emettere un verso di protesta, mentre il bambino scoppiò a ridere. Lucifero rispose a quella risata e gli accarezzò la testa, chiamandolo di nuovo “mio cucciolo demoniaco”.

 

 

E nel prossimo capitolo…scopriremo i piaceri del palazzo del re! A presto!

 

 

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Capitolo 5
*** Scoprire ***


5

SCOPRIRE

 

La camera nera era illuminata solo da poche candele, che le donavano inquietanti riflessi rossi. Lucifero camminò lento, raggiungendo il proprio letto celato da eleganti tendaggi di seta. La pelle bianca di Lilith era ancora più simile alla pallida luna nella notte. Lei sorrise, venendo giungere il suo signore.

“Mia cara…” ammise lui “…sono davvero stanco”.

“Lo so” sorrise lei “Siamo qui per aiutarvi a spogliarvi”.

Il re ghignò lievemente, percependo la presenza di un’altra delle sue femmine dietro i tendaggi, a letto.

“Avete portato Keros con voi oggi” mormorò Lilith, togliendo con dolcezza il mantello dalle spalle del suo re.

“Te ne ha parlato?”  rispose il demone, mentre anche l’altra donna si avvicinava per aiutare Lilith.

“Mi ha raccontato tutto. I suoi occhi brillavano”.

Keros più cresceva e più diveniva curioso. Faceva migliaia di domande. Il Diavolo non era certo di fare la cosa giusta, con un bambino, ma alla fine lo aveva portato con sé per risolvere un problema ad uno dei cancelli ed il piccolo aveva avuto modo di vedere di persona quel che accadeva all'Inferno. Aveva visto anime torturate che urlavano di dolore e demoni felici di infliggere loro sofferenza.

“Ti adora” aggiunse Lilith “Parla di te come fossi un dio…”.

Fra lacci, cinghie e stoffe, le vesti del re erano quasi del tutto tolte. Il demone era lieto di sentirsi dire frasi simili, e lei proseguiva il suo racconto narrando di come Keros descrivesse Lucifero mentre sottometteva anime e diavoli.  E le mani di lei si incrociarono sul petto ora nudo del re, mentre le ali di lui svanivano dando modo alla demone di poggiare i seni sulla schiena libera. Lui strinse una di quelle mani e sorrise. Lilith era la sua preferita. Non poteva dire di amarla ma il suo modo di essere, così fiera e orgogliosa, lo eccitava. Lei non poteva essere sottomessa, non la poteva avere con la forza. Era lei che decideva e si prendeva quel che voleva, l’unica creatura a cui Lucifero concedeva certi privilegi. Le altre femmine a palazzo erano Succubus, con tutt’altro atteggiamento.

“E per te non è lo stesso?” mormorò lui “Non sono un dio?”.

“Voi siete molto più di un dio” fu la risposta che Lilith diede, accarezzando il viso del re e poi baciandolo.

Ora si faceva cingere, guardandolo negli occhi. Con un sorriso malizioso, ed un gesto delicato sulla spallina della propria veste, rimase nuda dinnanzi al suo signore.

“Siete così stanco da non volermi?”.

“Solo da moribondo potrei non volerti”.

Steso a letto, il demone lasciò che Lilith lo raggiungesse. Lei rimase ferma qualche istante a fissarlo, giocando con i capelli neri di lui che si confondevano fra le lenzuola.

“Fa di me ciò che vuoi, bambina” le sussurrò lui “Come sempre “.

La demone si mosse abilmente sopra al suo signore. I ricci di lei erano sciolti e scendevano morbidi, incorniciandone il corpo color del latte. Lui ebbe un fremito e tirò a sé la Succubus, che era al suo fianco a letto. La baciò e la strinse. Lilith lasciò un piccolo gemito di piacere e poggiò le mani sul petto del suo signore. Lucifero ne accompagnò i movimenti, seguendone il ritmo sempre più rapido. Si conoscevano bene, sapevano perfettamente come soddisfarsi a vicenda. La Succubus si faceva baciare e toccare, il demone amava osservare i loro volti eccitati. Poi Lilith risollevò del tutto il busto, passandosi una mano fra i capelli ed ansimando. Le sue labbra semichiuse si lasciavano sfuggire gemiti sempre più ravvicinati. Lui ignorò temporaneamente la Succubus e raggiunse quelle labbra con le sue per pochi istanti. Lilith cinse il collo del re con una mano, affondando nei lunghi capelli neri, mentre con l’altra lo strinse piantando le unghie sulla schiena del Diavolo. I gemiti erano diventati grida di piacere, da parte di entrambi. Lui ne baciò il seno e poi risalì. I loro movimenti si erano fatti violenti e rapidi. Le ali di Lucifero si erano spalancate e Lilith si faceva avvolgere da quegli artigli, quelle membrane nere e l’inconfondibile luce del suo re. Lanciò un ultimo grido, avvolta e stretta al demone, all’apice del suo piacere.

“Magnifico, come sempre” commentò piano, dopo qualche istante.

Lei si era concessa a molti altri demoni ma solo con Lucifero provava sensazioni così forti. Lui lo sapeva perfettamente. La vide stendersi a letto e poi si voltò verso la Succubus, scattando di colpo per afferrarla. Lei finse di non essere d’accordo e di opporre resistenza, ridendo. Improvvisò un canto, il suo potere: Lorelay, che incantava i marinai. Il re amava sentirla cantare, entrò in lei ed udì la voce di sirena incrinarsi e divenire altalenante, in gemiti acuti.La bocca stava mutando, riempiendosi di denti mostruosi.

“Mio signore” ansimò lei “Ancora. Non fermatevi!”.

Lui non aveva alcuna intenzione di fermarsi e spinse più forte. Ringhiava. Lei strinse con una mano le lenzuola di seta nera e trattenne il fiato, per poi sfogarsi in un grido.

“Tutta vostra. Sono tutta vostra” parlò, con il respiro molto accelerato.

La loro unione continuò, con continui cambiamenti di posizioni. A lui piaceva osservare il volto delle sue donne quando raggiungevano l’orgasmo. Ne sfiorava le labbra mentre si schiudevano e provava un’intensa soddisfazione nel percepire il loro corpo tendersi e fremere.

“Vi ho soddisfatto, mio signore?” domandò lei, tranquilla.

“Sempre, piccola. Sempre” gli rispose lui, dandole un bacio sulla fronte.

Il demone si era messo sulle ginocchia e sorrise, poi mosse di scatto la testa. Aveva sentito un rumore. D’istinto, la Succubus si coprì con il lenzuolo, per quanto possibile. Lucifero accentuò la sua luce e vide la causa del rumore: il fiero piccolo portatore di un folta chioma rossa.

“Keros!” esclamò il re.

“Ciao” si limitò a dire il bambino.

Aveva il viso sporco di miele e le mani tutte pasticciate.

“Che fai qui? Da quando sei qui?” continuò Lucifero.

“Dolcetti”.

“Hai mangiato tutti i dolcetti al miele che ho nascosto in camera?!”.

Il bimbo annuì.

“Li avevo nascosti per non farteli mangiare tutti e potermeli godere in pace più tardi…”.

“Posso venire a dormire nel lettone?”.

Senza aspettare risposta, Keros si era arrampicato sull’alto letto ed aveva raggiunto Lilith e Lorelay. Lucifero sospirò divertito e si stese fra le due donne.

“Stavate facendo un bel gioco?”si incuriosì il bimbo.

“Sì… un bel gioco” rise il re.

“Posso giocare anche io?”.

“No. È un gioco da grandi. Da grande, ci giocherai”.

“E mi divertirò?”.

“Un sacco”.

Il demone sbadigliò. Le due donne erano un po' imbarazzate.

“E si gioca sempre nudi?” riprese il piccino dopo qualche istante.

“Sì. Così è più divertente”.

“Dev'essere un gioco faticoso”.

“Sì… ora di dormire”.

Keros si girò verso Lilith, attaccandosi al seno.

“Non sei un po' grande per succhiare le tette?!” gli chiese il Diavolo.

“Lo hai fatto anche tu prima!” ribatté il bambino, tornando ad attaccarsi. Lilith arrossì ed il demone rise.

“Bene” commentò, realizzando che il cucciolo doveva aver visto praticamente tutto “Avrò meno cose da spiegarti quando sarai grande! Ora dormi”.

“Non vai sotto le coperte? Sei sudato, poi prendi freddo e ti viene il mal di pancia”.

Lilith diede ragione al bambino, che nel frattempo aveva scavalcato la pancia in questione per raggiungere la Succubus ed ottenere un po' di latte pure da lei.

“Ma non sei pesante?” si sentì ancora parlare Keros, con aria perplessa “Se non la schiacci, lei fa meno fatica. E non fa versi come le anime torturate. Poi perché vi baciate in bocca? Schifo…”.

“Un giorno anche tu lo farai” gli spiegò Lorelay “Proverai il desiderio di farlo”.

“Non credo”.

Lilith porse del vino a Lucifero, Keros si mosse verso il punto opposto del letto e per poco  non scivolò di sotto. Il re lo afferrò al volo.

“Stavi per vedere le stelle!” esclamò il demone, allarmato.

“Cosa sono le stelle?” si sentì chiedere dal piccolo.

“Giusto… non le hai mai viste! Ti porterò presto a scoprirle! È una cosa che va fatta per forza!”.

A Keros brillarono gli occhi. Iniziò a ridere e parlare di cose a caso, saltando sul letto, felice. Lucifero sospirò. Sbadigliò ma il piccolo si arrese solo quando lo vide assopirsi, accoccolandosi poi fra le sue braccia.

“Ti voglio tanto bene" sussurrò “Scusa se ti ho mangiato tutti i dolcetti”.

Il demone non rispose, addormentato.

“E domani devi farti la barba, perché hai la faccia che punge” concluse.

Quella frase Lucifero la udì e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, sempre ad occhi chiusi. Affievolì la propria luce, segno che il sonno aveva avuto il sopravvento. Keros si fece cullare da Lilith, fino a crollare ed iniziare a sognare.

 

Quel giorno il re aveva convocato Mefistofele e lo accolse con un sorriso compiaciuto. L’abito rosso del procacciatore di anime era inconfondibile e Lucifero lo riconobbe appena imboccò il corridoio. Il piccolo Keros osservò con curiosità il nuovo arrivato, appena fu entrato in ufficio. Mefistofele rispose allo sguardo e salutò con un cenno ed un inquietante sorriso, incorniciato da un pizzetto a triangolo. Era più alto della media degli altri demoni e si inchinò leggermente dinnanzi al re, facendo frusciare la stoffa del mantello a terra. Keros trovò divertente quel rumore e rise. Lucifero invitò il bambino ad uscire, per giocare con altri piccoli demoni. Poi offrì da bere al convocato.

“Ad un altro splendido lavoro portato a termine” alzò il calice il re.

“Non è stato difficile” finse modestia Mefistofele “Gli umani sono davvero deficienti. Ottenere le loro anime e trascinarle all’inferno è semplicissimo”.

“Sei il migliore in questo campo”.

“Dopo di Voi, ovviamente”.

“Ammetto che è un pezzo che non mi diletto in attività simili. Sono arrugginito”.

“La stupidità umana è immutata”.

“Da tanto non lascio l’inferno. Pensavo di portare di sopra il piccolo, una di queste sere”.

“Occhioni d’ambra nel mondo umano? Dite sia pronto? A me sembra ancora piccino”.

“Non lo porterei fra gli umani! Solo a vedere il cielo, le stelle”.

“Che cosa romantica…”.

“Non ho l’età per portarci le ragazze per pomiciare, ci porto il bambino ad imparare qualcosa”.

I due risero. Mefistofele si concesse un altro bicchiere di vino, guardandosi attorno. L’ufficio del re non era un luogo dove si entrava spesso. Lucifero dava udienza in quel luogo solo a chi convocava lui stesso, oppure in casi d’emergenza.

“Ho deciso di concederti un terreno a sud della capitale, oltre il fiume” parlò di nuovo il re “Come premio per i tuoi successi. Sarai libero di farci ciò che preferisci”.

“Mi onorate” si inchinò di nuovo Mefistofele.

“Sono sempre generoso con chi lo merita. Così come sono pronto a distruggere chi osa non rispettare le mie volontà. Distruggere in senso fisico, ovviamente”.

“Ne sono a conoscenza”.

“Prenditi pure un periodo di vacanza. Rilassati come ti aggrada”.

“Vino, donne e ben lontano dal regno umano. Grazie”.

Lucifero ridacchiò, consegnò al sottoposto un documento per il terreno e lo congedò.

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Capitolo 6
*** Volare ***


6

VOLARE

 

Tornò il silenzio nell’ufficio del re, dopo la partenza di Mefistofele. Escludendo le grida di dolore delle anime, non vi erano altri suoni se non il ritmico avvicinarsi dei passi rapidi di Keros. Lucifero si concentrò su altre questioni, distratto dallo scalpiccio dei piedini del piccolo, che correva lungo il corridoio. Lo vide dirigersi in fretta verso l’unico sbocco senza porte, che conduceva ad una terrazza che si affacciava al giardino sottostante.

“Keros!” lo chiamò, allarmato.

Il re scattò in piedi e si mosse in fretta, gridando al bambino di fermarsi. Lo vide saltare di sotto e Lucifero spalancò le ali, gettandosi per recuperarlo. Erano molto in alto ma per fortuna il battito delle ali del demone gli permise di recuperare il cucciolo prima che si schiantasse. Lo strinse fra le braccia, ma non riuscì ad atterrare bene e si ritrovò a picchiare il terreno con una spalla e l’ala sinistra. Strinse i denti per non emettere gemiti di dolore ed allarmare il piccolo, che iniziò a protestare.

“Lasciami! Voglio volare!” si lagnò.

“Volare?” ansimò il demone, per la corsa e la botta.

“Sì! Gli altri bambini aprono le ali se cadono. E volano”.

“Ma… Keros, tu non hai le ali. Non puoi volare”.

Il mezzo demone si mostrò molto deluso da quelle frasi. Il re si rialzò, facendo cenno alle guardie, che erano accorse alle grida del loro signore, di non preoccuparsi. Con le ali, nascose allo sguardo il viso di Keros, che iniziava a rigarsi di lacrime. Una volta in stanza da soli, Lucifero mise seduto il bimbo su un tavolo e controllò non si fosse fatto male.

“Perché non ho le ali?” piagnucolò Keros.

“Non tutti le hanno. Lilith, per esempio, non le ha. C’è chi ha le ali, chi la coda, chi gli artigli… Tu hai i denti da vampiro, che molti altri non hanno. E vedi bene nel buio totale”.

“Ma io voglio volare. Lo voglio tanto!”.

“Ed io vorrei tanto piangere e non posso. Ma posso fare molte altre cose”.

“Ma perché non puoi?”.

“I caduti non possono piangere, è la loro maledizione. Le ultime lacrime le ho versate qui, prima che facessi costruire il palazzo. Appena precipitato dal cielo, avevo realizzato quel che avevo perso ed ho pianto. Però poi non ci sono più riuscito“.

“E come mai dovresti piangere? Sei triste?”.

“A volte sì, può capitare. Capita a tutti. Ma io non posso, e resta quel nodo alla gola…”.

Keros si asciugò le lacrime ed abbracciò il re. Così facendo si accorse della ferita del signore infernale e fece un faccino mortificato.

“Ti sei fatto male per colpa mia. Mi dispiace”.

“Keros, l’Inferno è pieno di gente che soffre…”.

“Ma soffrono perché sono cattivi! Meritano di soffrire!”.

“Io sono il più cattivo di tutti” mormorò Lucifero “Ed ora chiama Lilith, per favore. E tu vai a cambiarti, sei sporco di terra. Ti porto a vedere le stelle”.

“Le stelle?”.

“Sì. Se mi prometti di non piangere più davanti agli altri demoni. Con me e le tue mamme puoi farlo, ma con altri no. Mi hai capito?”.

“Sì… Me lo avevi già detto…”.

Senza dire altro, il bambino portò Lilith da Lucifero poi andò nelle sue stanze. La demone chiuse la porta dietro di sé.

“Dammi una sistemata, per favore” parlò il re, indicando la spalla e l’ala.

Lilith annuì. Lentamente aiutò il suo signore a togliere la lunga giacca scura e pulì la ferita.

“Siete fortunato…” mormorò “…da quell’altezza potevate anche rompervi qualcosa”.

“Sono caduto da ben più in alto, mia cara”.

Lei iniziò a bendarlo, con il necessario riposto in quella stanza.

“Il piccolo si è fatto male?”.

“No”.

“Lo avete protetto per bene”.

“Questa notte lo porto a vedere il cielo stellato”.

“Siate prudenti. Gli angeli ci sorvegliano”.

Il re annuì. Era distratto. Forse era il momento di dire a quel bambino tutta la verità. Fin ora, visto che fra demoni non si usavano quasi mai i termini “papà” e “mamma”, non aveva avuto grossi problemi. Ma forse era giunto il momento e la meraviglia per le stelle lo avrebbe aiutato. Keros sapeva tutto su Carmilla, ma null’altro riguardo il suo patrimonio genetico. Solo il signore dei demoni sapeva di chi fosse realmente figlio quel bambino.

“Con nessun altro cucciolo vi siete mai comportato così” constatò Lilith, finendo il bendaggio “Vado a prendervi una giacca nuova, così nemmeno si nota la fasciatura”.

Quando tornò, Lucifero era ancora pensieroso.

“Lui è speciale” le disse “Unico”.

“Confessatemelo. È vostro? È il vostro bambino?”.

“Non geneticamente. Ma ho piena intenzione di crescerlo come tale, se me lo concederà”.

“Capisco…”.

Lucifero sorrise docilmente, e si chinò per baciarla, passandole una mano fra le cosce. Lei si accigliò, non gradendo molto che qualcuno prendesse l’iniziativa in quel modo. Poi il re le augurò la buonanotte, trovando Keros fuori dalla porta, pronto a vedere le stelle.

 

Scusate per la brevità. Doveva far parte del capitolo precedente ma, per ragioni a me oscure, questa parte non era stata aggiunta. A presto!

 

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Capitolo 7
*** Stelle e rane ***


7

STELLE E RANE

 

Lungo il corridoio nero, si potevano ammirare numerosi quadri raffiguranti il re Lucifero, intento a fissare con aria minacciosa i passanti. Nel suo impareggiabile narcisismo, si era fatto ritrarre lungo le epoche ed i secoli trascorsi. C’era chi favoleggiava di un dipinto nascosto, il più antico, che mostrava qualcosa che ormai stava svanendo dalla mente dei caduti, ovvero il re quando era la più bella creatura del Paradiso.

Keros attendeva il demone sotto il ritratto in cui compariva pure lui, poco più che neonato, in braccio a Lucifero , che fissava accigliato l’osservatore cingendo il piccolo, in atteggiamento protettivo.

“Sei pronto?” domandò il re, e Keros annuì.

“Prima di andare…” continuò il demone, incamminandosi lungo il corridoio “…qualche piccola regola. Innanzitutto cerca di obbedire, se ti dico di tornare a casa non voglio sentire lagnanze di alcun genere. In secondo luogo, ti porterò in una zona non frequentata dagli umani, ma non si sa mai. Se ne dovesse comparire uno, cerchiamo di non farci notare. Oggi non ho voglia di perdere tempo con la stupidità di quelle scimmie glabre. Punto tre, se si materializza qualche angelo, non ti spaventare. Ricorda che ci sono io, penso io a quei fastidiosi cosi piumosi”.

“Capito” annuì di nuovo il bambino.

Seguì il re, aggrappandosi alla coda, impaziente. Al loro passaggio, demoni vari si scansavano allarmati. Il piccolo trovava sempre divertente quella scena. Raggiunsero una stanza che Lucifero aprì con una chiave.

“Un giorno imparerai anche tu come muoverti al di fuori di qua. Per ora, non prendere iniziative” ammonì il signore dell'Inferno.

Il re in realtà non aveva bisogno di quella stanza specifica per uscire dagli inferi, ma il suo ingresso oltre quella soglia era un chiaro messaggio ai suoi sottoposti: non ci sono, non rompete le palle e rilassatevi. Prese in braccio Keros, che si era messo un vestito semplice di colore scuro per confondersi nella notte.

“L’inferno ha tante porte” spiegò il Diavolo, indicando complicati simboli in terra, racchiusi in forme circolari “Ma noi siamo liberi di muoverci anche senza passare per esse. Più diventerai potente e più ti sarà facile aprire nuovi percorsi. Ora ti porto in un luogo dove vado quando proprio non ne posso più e voglio stare da solo”.

Il bambino vide gli occhi del re illuminarsi e sotto i suoi piedi comparve un complicatissimo disegno. Svanirono entrambi da quella stanza vuota e piena di simboli, per materializzarsi in aperta campagna. L’erba era molto alta, la notte illuminata da un piccolo spicchio di luna. Il demone tenne il bimbo in braccio e gli ordinò di fare silenzio. Annusò l’aria e si concentrò su ogni suono. Si udiva il frinire dei grilli ed il lento sciabordio di un fiume. Quando si convinse che non ci fossero pericoli, lasciò Keros a terra. Il bambino era avvolto dall’erba e rise per il solletico.

“Ecco le stelle” le indicò Lucifero e Keros spalancò gli occhi, affascinato.

“Come sono belle!”.

“Vero? Pensa che brillano da miliardi di anni in cielo”.

“Almeno loro sono più vecchie di te?”.

“Che domanda impertinente…”.

“Ma io da grande potrò venire nel mondo umano?”.

“Certo. Poi dipenderà da cosa farai da grande. Sai che i demoni hanno tanti ruoli…”.

“Ed io potrò fare quello che voglio?”.

“Certo”.

“Voglio fare il demone custode “.

“Indubbiamente saresti originale…”.

“E questo cos’è?” domandò ancora il piccolo, riferendosi al canto del grillo.

Il re iniziò a spiegare pazientemente ogni cosa. La lingua dei demoni era complessa, ma il piccolo si impegnava e tentava di ricordare tutto. Poi il bambino fu distratto dall’ennesimo suono nuovo.

“C’è un fiume!” sorrise “Come da noi. Sai che io so i nomi dei fiumi dell'Inferno?”.

“Bravo…”.

“Stige, Cocito, Averno, Flegetonte, Lete, Aconte…”.

“Averno è un lago. E si dice Acheronte”.

“Quello che ho detto!”.

Keros raggiunse la riva. Era diverso da quelli infernali, non emetteva fumi sulfurei e non vi nuotavano anime erranti. Era più limpido e tranquillo ed il bambino rizzava le orecchie per capire cosa emettesse il suono che lo incuriosiva.

“Non bagnarti” gli disse il re, ma il piccolo era già a mollo fino alle ginocchia.

“Vai via!” si stizzì Keros “Fai scappare la cosa che fa rumore, con la tua luce!”.

Lucifero indietreggiò, capendo che il piccolo stava dando la caccia ad una rana. Lo vide saltellare in acqua per poi comparire con la bestiola fra le mani.

“Ecco!” sorrise compiaciuto il cacciatore.

“Hai preso una rana” gli spiegò il re.

“È tutta liscia a scivola”.

“È viscida”.

“Sciscida?”.

“Viscida. Vuol dire che è liscia e scivola”.

“È visciscidissima”.

Il demone sorrise.

“Posso mangiarla?” chiese Keros.

“Non è proprio questa gran bontà…”.

Il bambino la osservò bene ma poi la rana riuscì a fuggire. Keros arricciò il naso, infastidito, e ricominciò la sua “caccia”. Ordinò di nuovo al re di allontanarsi, quasi con rabbia. Lucifero scosse la testa divertito. Quel cucciolo trovava più interessante una rana delle stelle.

“Non andare al largo” gli disse, prima di allontanarsi di un po'.

Socchiuse gli occhi, godendosi la lieve brezza, sempre attento ad ogni rumore. Sedette, poggiando la schiena contro un albero.

“Vieni rana, vieni!” chiamava il bambino, fra le canne e l’erba alta della riva.

L’udito sviluppato del demone gli permetteva di cogliere ogni fruscio emesso da Keros perciò, anche se a volte scompariva nell’erba, sapeva sempre dove fosse.

“Poi devo raccontarti una storia” lo informò il demone, ma il piccolo era distratto dall'anfibio.

Lucifero si rilassò e socchiuse gli occhi. Sentiva il piccino che giocava in silenzio. Però poi lo udì parlare, con tono infastidito.

“Ho detto: vai via!” sbottò Keros “Vattene!”.

Il cucciolo era riuscito a catturare di nuovo la rana e la stringeva fra le mani. Era felice, ma la punta di una lancia si frappose fra lui e la bestia e fu costretto a mollare la presa. Alzando lo sguardo, Keros arricciò il naso e si accigliò.

“Mi devi una rana!” sbraitò, stringendo i pugni.

Di fronte a lui si era materializzato un angelo, precisamente l’arcangelo Mihael, che fissava il bambino con aria di rimprovero ed arricciando il naso a sua volta.

“Che pensavi di fare con quella povera bestia? E chi sei? Non sembri un demone” parlò l’abitante del Paradiso, con voce calma.

“Che cosa ti importa? Riprendimi la rana, adesso!” ribadì Keros, ad alta voce “Ed io, se proprio vuoi saperlo, sono demone!”.

“Ma tu sai chi sono io?”.

“Un angelo. Che ha fatto scappare la mia rana”.

“Io sono Mihael, l’arcangelo esorcista. Il mio compito è rimandare all’Inferno le creature come te”.

“Non mi fasi paura!  Lucifero mi ha detto di non averne”.

L’arcangelo si avvicinò e Keros reagì, scattando. Nel buio, fra le mani del bambino comparvero due piccole fiamme. Il bimbo, stupito, sobbalzò e si spensero. Stava per perdere l’equilibrio, ma alle sue spalle lo afferrò Lucifero, con sul viso un’espressione minacciosa. Stava ringhiando contro Mihael.

“Chi è questo bambino?” domandò l’arcangelo “Non ti ci vedo troppo a fare da baby sitter, Stella del mattino”.

“Non ti deve minimamente importare, fratellino. E comunque ho fatto da baby sitter a tutti voi angioletti, tempo fa. Sono il maggiore, lo hai scordato?”.

“Chi sono i suoi genitori?”.

“Carmilla lo ha messo al mondo. Vuoi sapere anche come?”.

Mihael rimase qualche istante in silenzio. Ricordava Carmilla, ed effettivamente quel piccolino le somigliava. E ricordò anche che lei aveva accennato al fatto che fosse stata la compagna di Lucifero. Poi la sua mente era confusa, aveva dei vuoti.

“È tuo, fratello? È tuo figlio, Satana?”.

“Tranquillo. Anche se fosse, non ti chiederei di tenermelo mentre vado a tentare menti umane”.

“Ma tu sai bene, traditore, che il tuo erede non può esistere. Se lui fosse tuo figlio, lo dovrei uccidere immediatamente “.

Accompagnò quella frase puntando la lancia verso la gola di Keros, che si sentì stringere dal re dei demoni.

“Osi puntare la tua arma contro un bambino? Papà ne sarebbe felice?” ringhiò il demone.

“E tu osi ringhiare contro di me? Lo sai che io sono destinato a sconfiggerti. E non parlare del Padre. Non nominarlo”.

“Vai a fotterti, ti farebbe bene!”.

Keros era confuso. Il re sembrava preoccupato, il piccolo lo percepiva. Ma lui voleva mostrarsi forte e ringhiò a sua volta.

“Sei tutto bagnato. Ti avevo detto di non giocare in acqua…” tentò di distrarlo Lucifero, mettendolo a terra e vestendolo con la propria giacca “Prenderai freddo. Copriti e lascia che parli io a questo angelo. Aspettami vicino all’albero”.

Il cucciolo obbedì, correndo avvolto dall’enorme giacca del re.

“Che hai fatto al braccio?” chiese Mihael, notando il bendaggio al braccio di Lucifero.

“Altra cosa che non ti deve importare. E ora sparisci. Ho promesso al bambino una bella serata, a guardare le stelle, e tu stai rompendo i coglioni”.

“È figlio tuo?”.

“Sei noioso”.

“Lo è o no?”.

“Fa lo stesso. Se proverai ad avvicinarti a lui con intenti minacciosi, non esiterò ad attaccarti”.

I due si fissarono negli occhi, in silenzio. Poi Lucifero si voltò e si diresse verso il piccolo, dicendogli che era ora di tornare a casa. Keros si lasciò prendere in braccio.

Tornati agli inferi, il piccolo mostrò tutto il suo sdegno.

“Quel Mihael mi deve una rana” sbottò, arricciando il naso “Stronzo”.

“Ma che bella parola…”.

“Da grande voglio fare il tentatore. Voglio sfidarlo come faceva la mia mamma. Sottrargli le anime”.

“Farai ciò e vuoi, te l’ho detto”.

Keros sorrise, anche perché i sottoposti del re erano stati presi alla sprovvista dal ritorno anticipato del loro sovrano ed erano molto agitati. Lucifero li ignorò. I suoi propositi riguardo a dire la verità al piccolo erano svaniti. Il bimbo stava inveendo contro gli angeli e non gli sembrava il caso di svelargli la realtà. Lo portò fino in camera.

“Ho visto che hai fatto il fuoco prima” sorrise, aiutando il cucciolo a cambiarsi per dormire.

“Non so come…”.

“Domani che ne dici se parliamo con Asmodeo? Lui usa il fuoco, potrebbe insegnanti”.

“Tu non riesci?”.

“Io non mi brucio, ma non riesco ad evocarlo come hai fatto tu”.

“Un giorno sarò un demone potente, vedrai! Mihael sarà costretto a tornarmi la rana e molto di più! “.

“Ottimo...”.

Il re si avviò verso la porta.

“Comunque...” lo fermò Keros “...io so che non sei il mio papà”.

Lucifero si voltò e tornò verso il letto. Sedette accanto al bambino, già con le gambe sotto le coperte.

“Ah sì? Lo sai?”.

“I figli di Asmodeo assomigliano al papà. E così tutti gli altri bambini. Io e te non ci somigliamo”.

“Non molto…”.

“Però non importa. Tanti piccoli demoni non hanno un papà o non sanno chi è. Tu ti comporti come un papà, ed a me va bene così “.

“Va bene…” sorrise il re, spiazzato.

“Ed il tuo papà? È vero che Mihael è tuo fratello?”.

“Il mio fratello minore, sì. E di mio padre non parlo”.

“È Dio, giusto? Lo hai visto?”.

“Certo…”.

“E come è fatto?”.

“È come lo immagini. Ad alcuni sembra un vecchio, chi vede una fiamma, chi sente una voce… A me compariva come una luce. Era una bella luce, rassicurante. Poi la sensazione è cambiata, prima che cadessi. Ora il suo aspetto mi acceca e non riesco a sopportarlo”.

“Quindi… Se io lo immagino come un dolcetto al miele, compare come dolcetto al miele?”.

Il re scoppiò a ridere. Poi scompigliò i capelli del piccolo e si rialzò. Adorava quel marmocchio. Riusciva a farlo sorridere con qualsiasi argomento, anche quelli che amava di meno.

“Ho fame” ammise Keros.

“Ti faccio portare dei dolci?”.

“No… ho fame di qualcos’altro”.

Lucifero lo fissò e capì. Gli porse il braccio ed il bambino ne morse il polso, iniziando a succhiare il sangue.

“Stai crescendo…” constatò il demone “…mi sa che è tempo che inizi ad imparare a procurarti il nutrimento. Piccolo vampiro…”.

Quando fu sazio, il bimbo si staccò e si leccò i baffi. Poi si rilassò a letto.

“Grazie per avermi fatto vedere le stelle” disse, tirando su le coperte.

Lucifero non rispose. Spense la candela a bordo del letto del bambino con due dita ed augurò la buonanotte.

“Stella del mattino…” rifletté il bimbo, senza poi dire altro.

Il re lasciò la stanza, con la propria luce riflessa sul pavimento nero e lucido della stanza. In quel momento, tendeva al rossastro. Una volta uscito dalla camera, si fissò il polso. Il morso di Keros era decisamente profondo e sanguinava ancora. Stava davvero crescendo in fretta…

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Capitolo 8
*** Maestri ***


8

MAESTRI

 

Il re stava osservando in silenzio Keros, che pasticciava con il cibo che aveva nel piatto. Erano soli nella grande sala da pranzo, con il lungo tavolo illuminato da candelabri scuri ed attorcigliati. Lucifero era seduto capotavola ed il bambino era alla sua destra, dinnanzi ad un piatto pieno per metà.

“Ho fame” esordì il piccolo.

“Mangia quello che hai davanti” gli rispose il demone, sorseggiando un po’ di vino “Smettila di giocarci”.

“Ma io ho fame di un’altra cosa!”.

“Finisci quello e poi ne parliamo”.

Il piccolo punzecchiò con il cucchiaio quel che aveva nel piatto, con una smorfia. Si voltò verso Lucifero e mostrò i piccoli denti da vampiro.

“No!” lo bloccò subito il re “Ti ho già spiegato che non puoi nutrirti spesso del mio sangue”.

“Ma io ho fame! Voglio quello! Il sangue!” piagnucolò Keros.

“Non puoi. La smetti di fare i capricci?”.

“Solo un po’! Dai! Poi farò il bravo”.

“Non potrei mai chiederti di fare il bravo. A me basta che non rompi le palle al sottoscritto”.

“Stronzo”.

Lucifero alzò il calice verso il bambino, con un ghigno divertito, e tornò a concentrarsi su alcuni fogli che aveva fra le mani.

“Cattivo” incalzò il piccolo.

“Il più cattivo di tutti, cucciolo. Piuttosto… come vanno le lezioni con Asmodeo? Ti diverti?”.

“Sì, ma è difficile”.

“Fosse semplice, non servirebbe un maestro per imparare a dominare il fuoco”.

“Oggi sei di cattivo umore”.

“Un pochino, in effetti. Ma su, parlami. Che fate? Ci sono altri apprendisti assieme a te?”.

“No, Asmodeo insegna solo a me. Adesso mi tratta bene, non mi guarda nel modo strano con cui mi guardava prima”.

“Asmodeo è uno di quelli che giudica dalle apparenze. Ma ora che sa che usi il fuoco, come lui, ti vede sotto una luce nuova”.

“Mi fa arrabbiare, perché così faccio le fiamme. Se no non riesco”.

“Imparerai”.

“Sì. Ed un giorno andrò da Mihael e gli darò fuoco al sedere”.

Il re ridacchiò, notando poi con disappunto di avere il calice ormai vuoto.

“Ora di andare al lavoro” borbottò “E per te ora di andare a fare gli esercizi di grammatica. Un demone tentatore che non sa scrivere i contratti… non è credibile”.

Keros annuì. Scese dalla sedia, decisamente troppo alta per lui. Affiancò Lucifero e tentò di nuovo di impietosirlo, mettendosi una mano sulla pancia e mugugnando. Sperava di convincerlo di essere quasi morto di fame.

“Ho detto di no!” sibilò il re, agitando leggermente la coda.

Il bambino abbassò la testa. Poi si voltò di colpo e tentò comunque di morderlo, saltando.

“Fame!” ripeté più volte, mentre Lucifero lo afferrava e cercava di fermare la sua irruenza.

“Finiscila!” lo sgridò il demone, bloccandolo con due mani “Smettila di agitarti come un tonno all’asciutto. Sei un tonno?”.

“No, non sono un tonno…”.

“E allora stai fermo”.

“Fame!”.

Si mosse e morse la mano del demone, che la ritrasse. Notò che nella stanza era entrato Azazel, che osservava la scena in silenzio e trattenendo un sorriso divertito.

“Che c’è?” gli chiese Lucifero, scocciato, mentre Keros gli si era arrampicato sulla testa con l’intento di mordergli il collo.

“Alukah è qui, maestà” spiegò il messaggero “Lo faccio entrare? Oppure…”.

“Oh sì, fallo entrare. Immediatamente! È arrivato al momento giusto!”.

Invitato da Azazel, nella stanza entrò un demone molto pallido e dallo sguardo estremamente luminoso. Tranne che per quello sguardo, il suo aspetto non presentava nulla di demoniaco. Privo di coda, corna ed ali, poteva essere scambiato per un essere umano che non vedeva i raggi del sole da un paio di anni. Keros lo osservò di sfuggita ed il nuovo arrivato gli sorrise, aprendo leggermente la bocca, mostrando canini da vampiro. Il bambino si fermò di colpo, permettendo a Lucifero di liberarsi della sua irruente presenza di dosso.

“Un cucciolo decisamente vivace” furono le prime parole del convocato.

“Alukah!” sorrise il re “Non sono mai stato così felice di vederti. Da quanto tempo?”.

“Da un pezzo, direi. Helel ben Shahar… figlio dell’Aurora! Posso avere l’ardire di chiedere come stia mia madre Lilith?”.

“Direi perfettamente. Dopo ti concederò di salutarla. Ora… vorresti dare un’occhiata al piccolo apprendista affamato?”.

Alukah si inchinò leggermente e porse la mano a Keros. Indossava dei guanti rossi ed il bambino strinse la mano con aria seria.

“Sarà per me un onore insegnarti a procacciarti il cibo, piccolo. Qual è il tuo nome?”.

“Keros. E tu sei un demone? Un vampiro?”.

“Entrambe le cose, come te”.

Il bambino annuì e lo osservò meglio. Aveva i capelli mori stretti in una coda che gli arrivava poco oltre le spalle ed un vestito che riprendeva la moda umana di quel momento. Non sembrava un demone.

“Ti insegnerò tutto quello che un piccolo vampiro deve sapere” continuò “Assieme a mio figlio”.

“Ricordavo che tu avessi due figlie!” si stupì Lucifero “Ricordo male?”.

“No, maestà. Ricordate benissimo. Ho due figlie, Deber e Keteb. Che ormai sono grandi. Ma ho anche un figlio, più o meno dell’età del principe”.

“Non ti è di impiccio occuparti di due bambini in una volta?”.

“Affatto. Anzi, lo ritengo un notevole vantaggio. Però vorrei chiedere quali sono i miei margini di manovra. Cosa devo insegnarli? Posso portarlo con me nel mondo umano?”.

“Ovvio. Fai tutto il necessario per renderlo il più autonomo possibile. Io non posso soddisfare la sua fame e voglio solo il meglio per il suo sviluppo. Di recente ha iniziato anche l’addestramento come demone di fuoco e questo consuma molte energie, e di conseguenza ha sempre fame!”.

“Posso capirlo, povero piccino. Demone vampiro che controlla anche il fuoco. Notevole. Chissà quali altre sorprese ci riserverai, giovane principe”.

“Nel mondo umano?” si stupì Keros “Ci andrò davvero? Intendo… fra gli umani?”.

“Esatto” annuì Lucifero.

“Senza di te?”.

“Ci sarà Alukah con te. Vedrai che ti piacerà”.

“E se spunta qualche angelo?”.

“Ti proteggerò io” lo rassicurò il vampiro “Ci divertiremo”.

Alukah porse la mano al bambino, che rimase fermo alcuni istanti. Lanciò un’occhiata a Lucifero, che gli sorrise. Keros allora si decise e l’afferrò, lasciandosi accompagnare.

“Ve lo riporto fra qualche ora” furono le ultime parole del vampiro.

Il re rimase seduto e seguì con lo sguardo il bambino che lasciava la stanza, per mano ad Alukah. Provò una strana sensazione, mista fra orgoglio e paura. Orgoglio, perché stava crescendo in fretta e sviluppava qualità notevoli. Ma anche paura, perché sapeva com’era terribile il mondo e in cuor suo sperava che quel cucciolo restasse sempre piccolo.

 

Il sole stava tramontando nel mondo umano e Keros osservò con meraviglia quell’evento. Accanto a lui, Alukah ed un bambino dai capelli spettinati ed il sorriso vampiresco. I mortali stavano preparando la cena, accendendo fiaccole e fuochi per le strade.

“Restatemi vicini, bambini” ordinò l’adulto, camminando per una strada di sassi con a fianco i due piccoli.

Il vampiro salutò educatamente un paio di distinti signori, che risposero al saluto. A Keros era stato regalato un cappello, per coprire i capelli un po’ troppo vistosi. Bastava lo tenesse ancora per un po’, poi con la notte quel rosso ciliegia non avrebbe dato eccessivamente nell’occhio.

“Cattureremo un umano?” domandò Keros.

“Ma no!” rise l’altro bambino “Non siamo ancora capaci! Ah… io mi chiamo Nasfer. Tu?”.

“Keros. Quanti anni hai?”.

“Trecento e cinque. Tu?”.

“Trecento e due. Quasi gemelli”.

“Già”.

Risero e Alukah sorrise.

“Sentite gli odori del mondo umano?” disse ai piccoli “Sono molto diversi dal mondo demoniaco, vero? Imparerete a riconoscerli, a capire quali sono utili alla vostra caccia e quali evitare”.

“Ma è vero che i vampiri possono girare solo di notte?” domandò Keros.

“C’è molta differenza fra demone vampiro e vampiro derivante da sangue umano”.

“Cioè?”.

“Ma non sai niente!” lo derise Nasfer “I demoni vampiro possono stare al sole perché sono demoni. Ma preferiscono girare di notte perché è più facile trovare cibo senza dare nell’occhio. I vampiri umani invece sono umani diventati vampiri dopo il morso di un demone vampiro che ha voluto farli diventare così. Quelli sono più fragili e muoiono al sole. E hanno anche paura di altre cose, come l’argento. Inoltre i vampiri umani succhiano solo il sangue. Noi demoni a volte mangiamo anche la carne. Giusto, papà?”.

“Dici bene. Voi nati dopo Cristo dovete solo cercare di non avere molto a che fare con le croci. Indeboliscono la vostra natura demoniaca”.

Keros non aveva mai visto una croce ma annuì.

“Non ci sono tante regole da seguire” riprese l’adulto “Come demoni, non potere entrare in una casa senza il permesso del suo occupante. Almeno non ora che siete così piccoli e deboli, con il tempo diventerete abbastanza forti da potervi entrare per un po’. Dovete cercare di non dare nell’occhio, perché se la gente è contraria alla nostra presenza tira su un casino tremendo e siamo costretti a cambiare zona. Quindi dovete imparare a scegliere prede che non destino troppo scalpore. Perciò niente bambini, persone in vista o importanti, giovani e belle fanciulle… Quando sarete più grandi, potrete anche spingervi oltre, ma per ora siete troppo piccoli per correre rischi”.

“Quindi chi possiamo mangiare?”.

“Persone sole, vagabondi, pellegrini… gente che nessuno cerca o non del posto. Ovviamente dobbiamo cambiare zona a volte, perché se gli umani si spaventano rendono più difficoltosa la caccia. Quando sarete più grandi, avrete un territorio vostro dove vi muoverete per cibarvi, senza competere con altri vampiri. Più sarete potenti e più umani avrete a disposizione. Ma ora vi faccio vedere come catturare il nutrimento”.

I due bambini seguirono Alukah lungo i vicoli.

“Vi sconsiglio gli ubriachi” parlò ancora l’adulto “Hanno un pessimo sapore. Ogni umano ha un gusto diverso, a seconda di cosa mangiano e di dove vivono. I nobili sono i più buoni, seguiti dai preti. Ma sono i più difficili, la gente si accorge subito della loro mancanza”.

“E non possiamo nutrirci di demoni?” chiese Keros.

“Certo. Ma potete farlo solo con demoni di livello inferiore al vostro, altrimenti il loro sangue vi fa male. Il re ti concede un assaggio di sé ma lo avrai notato anche tu che quando esageri poi stai male”.

“Sì. Mi viene tanto mal di testa e mal di stomaco”.

“Questo perché il tuo corpo non riesce a reggerlo. Invece di un umano potete consumare la quantità di sangue che volete. L’importante è che muoia, perché se resta in vita poi potrebbe raccontare a tutti quanto successo e la gente vi darebbe la caccia. Ed è solo uno spreco di energia”.

“Quindi noi da soli possiamo nutrirci con un umano intero?”.

“Ora un umano in due. Siete piccoli. Una volta adulti, quanti umani vorrete in una notte. Basta mantenere una certa discrezione, per evitare scocciature”.

L’adulto fece segno ai piccoli di fare silenzio. Nel buio, si udivano passi che si avvicinavano. Keros rizzò le orecchie a punta, capendo di avere un udito di certo superiore a quello di un umano. E pure la sua vista era migliore, perché il mortale non aveva visto i tre demoni vampiro mentre invece per loro era come se si muovesse in pieno giorno.

“Guarda attentamente come fa il mio papà” sussurrò Nasfer, mentre il vampiro si allontanava verso la preda.

Si mosse in fretta, Keros fece fatica a coglierne i movimenti. Lo vide avvicinarsi al mortale senza emettere nemmeno un suono. Lo bloccò e l’umano cadde in terra. Poi fece cenno ai piccoli di avvicinarsi ed i due bambini lo raggiunsero.

“Nutritevene” ordinò l’adulto.

I piccoli erano molto affamati ed iniziarono a cibarsi. Alukah intanto stava all’erta, nel caso qualcuno comparisse nei paraggi.

“Imparerete ad essere silenziosi, rapidi” parlò piano, mentre i bambini mangiavano “Ed a procurarvi il cibo senza il mio aiuto. Un passo alla volta…”.

Keros sorrise felice. Sporco di sangue, fissò con sguardo pieno d’ammirazione il suo nuovo maestro. Ora sì che aveva la pancia piena!

 

Lucifero fissava il soffitto. Socchiuse gli occhi, rilassandosi. Seduto nel suo ufficio, udì la porta spalancarsi e Keros saltò sul tavolo, salutandolo. Il re sobbalzò, risollevando la schiena.

“Ma non bussi mai?” gli disse.

“Ti ho spaventato?” rise il bambino, poi salutando la donna che stava sotto la scrivania in legno scuro.

Il demone non rispose. Sospirò, reggendosi la testa con le nocche della mano destra. La donna fece per uscire da sotto il tavolo ma  il demone la fermò con la mano libera.

“Mi sono divertito tanto” continuò Keros “Non vedo l’ora di imparare a fare come fa Alukah. È bravissimo”.

“È il migliore. Io per te scelgo sempre il meglio, piccolo mio” gli sorrise Lucifero.

“Ora vado da Asmodeo. Vediamo se riesco a fare un fuoco più grande. Non ho più fame! Mi sento fortissimo!”.

Gli occhi del bambino brillavano intensamente ed il re lo trovò ancora più bello del solito. Poi il cucciolo scese dal tavolo e corse via, sbattendo la porta e ridendo. Il demone si ributtò sullo schienale dell’alta poltrona, lanciando una rapida occhiata alla femmina, con un ghigno un po’ perverso.

“Dovrò regalargli un collare con il campanellino” mormorò divertito, accarezzando i capelli della demone e socchiudendo di nuovo gli occhi.

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Capitolo 9
*** Crescere ***


9

CRESCERE

 

Dopo una nottata passata a giocare e divertirsi, maestro ed allievi erano in casa a riposare. Keros non era stanco, e giocava sul pavimento con una trottola, ma Nasfer si era addormentato fra le braccia del padre. Alla fine, anche l’adulto aveva ceduto alla stanchezza ed aveva chiuso gli occhi. Il mezzodemone cercava di non fare rumore, per non disturbare. La casa era piccola ed un po’ disastrata, ogni movimento produceva scricchiolii e strani suoni inquietanti, ed iniziava a farsi sentire il freddo. Avvolto in una piccola coperta, Keros vide passare in strada tre individui. Per un umano qualsiasi sarebbero sembrati semplici stranieri di passaggio, ma il piccolo vedeva chiaramente le loro ali. Angeli? Cosa ci facevano tre angeli in giro per la città? Chiamò sottovoce il suo maestro ma poi decise di non svegliarlo e di “indagare” per conto suo. Aprì la porta e raccolse una piuma variopinta da terra.

“Scusami…” chiamò il bambino, senza mostrare alcun timore “Questa è tua? L’hai persa?”.

Porse la piuma all’angelo al centro, che fissò il piccolo con aria interrogativa.

“Come mai pensi che l’abbia persa io?” domandò la creatura celeste, convinto di avere di fronte un bambino umano.

“Perché avete le ali di colore diverso e le tue sono fatte così” si limitò a dire Keros.

I tre angeli si lanciarono uno sguardo interrogativo. Un semplice umano non avrebbe dovuto vedere le ali sulle loro schiene, in quel momento.

“Come ti chiami, piccino?” chiese il primo angelo, con grandi ali rossastre, chinandosi un pochino “E da dove vieni? Dove sono la tua mamma ed il tuo papà?”.

Keros non aveva voglia di rispondere. Continuò a porgere la piuma all’angelo che l’aveva persa e rimase in silenzio.

“Che cosa dici che sia?” sussurrò il terzo angelo, usando il linguaggio del Paradiso.

“Non sembra un demone” gli rispose quello centrale “Forse è un umano un po’… speciale”.

“Percepisco un potere in lui” si unì il primo angelo “Che però non riesco a comprendere”.

“Finitela di borbottare” si accigliò Keros “Non vi capisco”.

“Scusaci” gli sorrise il primo, con voce calda e gentile “Io mi chiamo Camael. Qual è il tuo nome?”.

“Keros” si arrese il bambino, ricordando gli insegnamenti del re riguardo “all’essere educati”. Certo che gli angeli erano davvero insistenti…

“Piacere di conoscerti, Keros” si unì l’angelo al centro “Sì, quella piuma l’ho persa io. Ma non posso riattaccarla perciò puoi tenerla. Dicono che porti fortuna…”.

“Grazie…”.

“Prego. Sei davvero un bravo bambino”.

Keros rimase perplesso nell’udire quelle parole. Lui un bravo bambino? Detto da un angelo?

“La tua mamma sarà fiera di te” si aggiunse il terzo.

“Io non ho una mamma” rispose il piccolo “E nemmeno un papà. Sono grande ormai”.

“Grande?”.

I tre angeli ricominciarono a borbottare fra loro. Quello centrale, dalle ali con sfumature verdi, sembrava preoccupato.

“Non possiamo lasciarlo qui da solo” furono le sue parole “Qualche demone potrebbe approfittare. Siamo stati mandati qui proprio perché pare che in questo villaggio vi siano dei demoni!”.

“Hai ragione” annuì Camael “Sempre che lui non sia…”.

“Forse dovremmo portarlo da Mihael. Lui riconosce le anime malvagie…”.

Keros comprese solamente “Mihael”, in mezzo a tutte quelle frasi in angelico, e gli bastò. Fece un passo indietro, sapendo quel che faceva Mihael ai demoni.

“Vieni con noi” gli porse la mano l’angelo centrale “Qui è pericoloso stare da soli”.

“Venire... Dove?” alzò un sopracciglio il bambino.

“In un bel posto. Se la tua mamma è morta, possiamo andare a cercarla insieme”.

“La mia mamma?”.

Per qualche istante, il piccolo fu quasi convinto. Mosse qualche passo verso gli angeli ma una voce familiare lo bloccò.

“Keros!” gridò Alukah “Allontanati da loro!”.

Il bambino si guardò attorno, indeciso. Il maestro chiamò l’allievo con più insistenza.

“Alukah!” lo riconobbe l’angelo centrale “Dunque sei tu il demone che ci hanno segnalato. Questo piccolino è tuo figlio?”.

“No, Remiel. Mi è stato affidato dal re in persona, affinché gli insegni a sopravvivere come demone vampiro. Prova un po’ ad immaginare che fine farebbero le tue belle penne se provassi a torcergli anche solo un capello”.

“Non pensavo fosse un demone” si fece serio l’angelo “In lui percepisco qualcosa di… strano”.

“Fai pure tutte le concezioni che vuoi” ghignò il demone vampiro.

Camael fissò i suoi due fratelli angeli ed i tre ebbero lo stesso pensiero, nello stesso istante. Il re in persona aveva affidato quel piccolo? Che fosse… il figlio del Diavolo? L’erede del loro fratello maggiore? Una simile evenienza metteva i brividi ed era meglio avvisare le alte sfere. Alukah intuì le loro idee e si affrettò a tirare Keros a sé. Non erano degli angeli soldato ma preferiva non arrivare allo scontro diretto.

“Sparite, angeli” cercò ti intimorirli “O sarò costretto a chiamare altri come me”.

Non era in grado di farlo, non in fretta, ma cercava di intimorire gli abitanti del Paradiso. I tre angeli parlottarono ancora fra loro e poi si allontanarono. Keros stringeva ancora fra le mani la piuma di Remiel ed il maestro gli lanciò un’occhiata molto poco rassicurante.

“Devi stare più attento” lo sgridò “Sei ancora molto piccolo”.

“Ma hanno detto che mi mostravano la mamma…” tentò di giustificarsi il bambino.

“Se tu fossi un umano, con madre umana, sarebbe possibile per gli angeli mostrarti la sua anima. Ma lei era una demone. Quelli come noi non hanno un’anima. Quando moriamo, ci dissolviamo. Gli angeli diventano luce mentre noialtri diveniamo polvere e svaniamo. Non avrebbero mai potuto mostrarti tua madre”.

Keros rimase in silenzio. Guardò la grande piuma colorata e decise di tenerla con sé, con aria pensierosa.

“Informa il re di quanto successo, quando rientrerai a palazzo” riprese Alukah “Probabilmente ci dobbiamo spostare. Oppure procedere con il tuo esame con un certo anticipo, così da permetterti di tornare negli Inferi in sicurezza”.

Il piccolo annuì. Voleva fare tante domande, come ad esempio perché angeli e demoni erano sempre in guerra fra loro, ma il suo maestro non aveva l’aria di voler discutere.

 

Le regole erano semplici: nel palazzo reale, Keros doveva indossare un piccolo campanellino. Trovava quel suono piacevole, quindi non fu un problema. Con un tintinnio lieve, il bambino camminava lungo i corridoi, diretto verso le stanze del re. Le guardie lo informarono che non si trovava lì e che doveva cercarlo altrove. Lui però insistette ed entrò nella camera, apparentemente vuota. In realtà, ormai lo aveva imparato, quando Lucifero non voleva essere disturbato sapeva bene come nascondersi. Keros raggiunse il letto e vi salì, per poi guardare verso l’alto. Il demone, nel buio, era appollaiato fra le travi del tetto, perfettamente incastrato in un punto praticamente impossibile da individuare, tutto appallottolato nelle ali. Sorridendo, il bambino tolse le scarpe e si arrampicò a sua volta, sfruttando i piccoli artigli che aveva ai piedi. Sapeva perfettamente che il re era sveglio e consapevole della sua presenza, ma lo ignorava. Così, irritante come solo un bambino testardo può essere, Keros iniziò a stuzzicarlo con una mano, punzecchiandogli le ali e chiamandolo per nome.

“Lucy!” ripeteva, con insistenza, sapendo perfettamente che il re odiava essere chiamato così.

Alla fine, il demone si arrese e socchiuse le ali con un sospiro.

“Ciao” sorrise Keros.

“Ma perché sei così testardo?” mormorò Lucifero, sbadigliando.

“Mi hai detto tu che non devo mai arrendermi quando voglio una cosa”.

“Questo non includeva piallarmi le palle tutto il giorno…”.

“Esagerato. Volevo dirti che stasera proverò a catturare il mio primo pasto da solo, senza l’aiuto dell’arconte Alukah”.

“Hai già terminato l’addestramento?!”.

“Non so. Il mio maestro dice che sono pronto…”.

Il re si voltò verso il bambino, appeso a testa in giù al suo fianco. Non erano trascorsi ancora due secoli da quel primo giorno di insegnamento nel mondo umano, ma forse erano stati sufficienti. Si fidava del giudizio di Alukah, doveva essere così. Come passava in fretta il tempo…

“Perché mi fissi così?” domandò il bambino, ridendo.

“Niente. È che pensavo che sei cresciuto. Quanti anni hai adesso?”.

“Quattrocentoventuno”.

Il re annuì, pensieroso. Corrispondeva ad un bambino di circa otto anni.

“Se passo l’addestramento… cosa mi regali?” ricominciò a parlare Keros, dopo un po’.

“Ah, ecco perché sei venuto a rompermi i coglioni! Che cosa vuoi?”.

“Io… Voglio un cucciolo”.

“Un cucciolo?!”.

“Sì. Uno di quelli grandi con le ali con cui ti muovi per l’Inferno”.

Lucifero tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo aveva temuto di sentirsi chiedere un tenero cagnolino o qualcosa di simile. Per fortuna il piccolo chiedeva di poter allevare una creatura simile ad un drago, molto richiesta dai demoni privi di ali. Era una bestia impegnativa e difficile da gestire, ma era certo che quel testardo semidemone dai capelli per aria sarebbe stato in grado di prendersene cura.

“Se l’Arconte Alukah mi dirà che sei stato bravo e che l’addestramento è concluso, allora avrai il tuo cucciolo. Te lo prometto. Ti prenderai cura di lui fin dall’uovo, una grossa responsabilità che però tu, che stai diventando grande, sarai in grado di prenderti sulle spalle”.

Keros annuì, con un sorriso raggiante. Poi si lasciò cadere e finì al centro del letto, rimbalzando felice.

“Vado a prepararmi. Ciao!” spiegò, saltando giù “Non dirò alle guardie che sei lì, promesso!”.

Il bambino non aveva raccontato al re tutta la faccenda degli angeli, perché sapeva che si sarebbe preoccupato per nulla. E poi voleva fare l’esame, dimostrargli di essere grande e pronto. Così tornò dal suo maestro di corsa, con un sorriso soddisfatto ed una piuma colorata nascosta nella manica.

 

“Che cosa ha detto il re?” volle sapere Nasfer.

Keros fissò il figlio del suo maestro, senza rispondere. Non voleva dire una bugia a chi considerava un suo amico! Raggirò la domanda ed iniziò a parlare del cucciolo che Lucifero gli avrebbe regalato.

L’esame era semplice: il bambino doveva procurarsi un pasto da solo, senza aiuto del maestro, rispettando tutte le regole e gli insegnamenti. Keros li aveva ben in mente, mentre calava la sera e si preparava, però voleva anche dimostrare di essere bravo, non solo “promuovibile”. Iniziò a cercare una preda, senza fretta. Sapeva che gli umani avevano un sapore migliore sotto i trent’anni, poi iniziavano ad “invecchiare” ed anche il loro sangue ne risentiva. Sapeva inoltre di dover evitare ubriaconi e consumatori di strane sostanze perché rischiava di assumere a sua volta tali sostanze.

Si aggirò per i quartieri “per bene” della città, dove era più difficile passare inosservati. Avrebbe dimostrato la sua bravura! Alukah non si sentiva tranquillo. Osservava l’allievo da lontano e si guardava attorno, temendo di veder comparire di nuovo gli angeli che, in questo caso, sarebbero intervenuti perché il bambino avrebbe attaccato un umano. Come avrebbe potuto giustificarsi dinnanzi al re?

Per fortuna, non successe nulla di particolarmente rilevante durante l’esame. Keros individuò un giovane straniero e se ne nutrì, dimostrando di essere del tutto autonomo sotto quel punto di vista. Agì in modo impeccabile e, come segno di riconoscimento, donò il cuore della vittima al suo maestro. Questi sorrise, orgoglioso, e spinse il figlio a cercare di fare lo stesso. Nasfer, piuttosto affamato, iniziò a gironzolare in cerca di cibo, mentre un messaggero era stato inviato ad informare il re sul buon esito dell’esame.

“Nasfer?” lo chiamò Keros “Vuoi una mano?”.

Non udendo risposta, il piccolo mezzosangue si distrasse, iniziando ad osservare i riflessi delle candele che si intravedevano nelle case ed il vociare di qualche umano ancora sveglio. Poi udì la voce del compagno di allenamento, piuttosto allarmata, e decise di raggiungerlo di corsa. Un angelo, emettendo una forte luce, si era frapposto fra Nasfer e la sua vittima. Il piccolo demone, abbagliato, aveva lanciato un gemito di protesta. Keros non esitò e corse ancora, diretto verso la creatura del Paradiso.

“Lascia stare il mio amico!” esclamò, tirando un calcio alle gambe dell’angelo.

Questi si stupì molto di quel gesto e non trattenne un sorriso, piuttosto tenero.

“Perché non avete fermato me?” continuò Keros “Vi facevo vedere io! Che seccatori siete voi angeli!”.

“Il nostro compito è proteggere le creature di Dio” spiegò l’angelo, con voce dolce “Se tu interferisci con l’esistenza di chi crede in qualcosa di diverso, non è affar nostro”.

“Andate via! Tutti gli angeli devono andare via e lasciarci in pace” insistette il sanguemisto.

“Sei un assassino!” si sentì rispondere, e sollevare da terra.

Preso in braccio, Keros si ritrovò faccia a faccia con un secondo angelo: Mihael. Il bambino rimase in silenzio solo qualche istante e poi aprì la bocca, mostrando i denti da vampiro e lanciando dei versi con l’intento di risultare minaccioso. In realtà, otteneva l’effetto contrario ma l’espressione di Mihael non mutava.

“Ancora tu?” si stupì l’Arcangelo “Sei il moccioso che andava a spasso con Lucifero?”.

“Sì, sono sempre io. Mi devi una rana!” sibilò Keros, cercando di mostrarsi cattivissimo.

“E lui dov’è? Si è stancato del suo nuovo giocattolo?”.

“Non sono affari tuoi. Mettimi giù!”.

Mihael fissò negli occhi il piccolo, cercando di scorgerne la vera natura.

“Sei strano, piccolo” commentò poi “Non sei del tutto un demone”.

“Sono un vampiro” rispose Keros, ancora cercando di mordere l’angelo.

“Potrei esorcizzarti. La parte demoniaca svanirebbe e si mostrerebbe quel che resta, qualunque cosa sia”.

“Vai ad esorcizzare tua sorella, se ne hai una! Lasciami!”.

Keros iniziò a dimenarsi come un pazzo ma Mihael lo tenne stretto, anche quando il bambino riuscì a mordicchiarlo. Alukah, allarmato dalle grida del figlio, giunse sul posto ma fu costretto a rimanere immobile, perché consapevole di non poter competere con Mihael.

“È solo un cucciolo” cercò di dire.

“Che un giorno diverrà grande, grosso e pericoloso” ribatté l’Arcangelo, con lo sguardo che mutava colore ed iniziava a brillare.

Keros lanciò un gemito di protesta, cercando di non guardarlo negli occhi. La creatura del Paradiso iniziò a pronunciare parole complicate e il piccolo si sentì a disagio. Serrò le palpebre ma quelle parole lo stordivano.

“Lasciami!” gemette, sentendo il desiderio di piangere e sforzandosi di non farlo.

Un forte scossone lo sorprese, si sentì lasciare andare e ruzzolò a terra. Riaprendo gli occhi, vide Lucifero che immobilizzava Mihael e lo fissava.

“Esorcizza questo” mormorò il re, con un ringhio ben più minaccioso di quelli di Keros.

Alukah corse a raggiungere Keros e lo trascinò via, nonostante le proteste, e lo portò al sicuro in casa assieme a Nasfer. Rimasero in silenzio, intimò ai piccoli di non parlare, ed attesero.

Nel buio, dopo qualche tempo, udirono dei passi. Alukah trattenne il respiro, cercando di nascondere se stesso ed i bambini nell’ombra. Keros però si dimenò e fuggì via, correndo verso quei passi.

“Lucy!” gridò, lanciandosi fra le braccia del re.

“Il mio cucciolo” sorrise il demone “Stai bene, vero?”.

“Sì”.

“Sei stato bravo. Ma ora dobbiamo andare a casa…”.

Alukah si inchinò leggermente dinnanzi al suo signore, notando che era ferito in modo lieve.

“Quell’Arcangelo fa tanto lo spaccone ma alla fine non ha il coraggio di iniziare l’Armageddon” ghignò il re “Ed ora, Keros, saluta e andiamo”.

“Tornerò domani?” chiese il piccolo, ancora in braccio al demone.

“No, cucciolo. Hai passato l’esame, il tuo addestramento è concluso. Non è più necessario che torni qui”.

“Ma… Io voglio giocare”.

“All’Inferno non puoi giocare?”.

“Sono sempre da solo…”.

Keros non aveva il coraggio di dire che Nasfer era sua amico, perché il re più volte gli aveva ripetuto che i demoni non hanno amici ma solo “compagni di convenienza”.

“Adesso andiamo a casa ed io manterrò la mia promessa: avrai il tuo uovo. E poi è ora di crescere ed iniziare nuovi percorsi”.

Il bambino girò il viso verso il maestro e Nasfer. Gli sorrise, anche se non molto convinto.

“Mi verranno a trovare?” chiese Keros, fissando il re.

“Certo. Ma prima Nasfer deve terminare l’addestramento” annuì Alukah.

Non volendo prolungare troppo dei saluti per lui inutili, Lucifero si affrettò a tornare all’Inferno.

“Vicino a te mi rovino sempre i vestiti” sorrise al piccolo, notando che la piccola zuffa con il fratello minore aveva stracciato in qualche punto le stoffe che indossava.

“E il mio uovo?” incalzò il bimbo.

“Appena mi diranno che una di quelle creature ha deposto le uova, andremo insieme a scegliere il tuo”.

“E intanto con chi gioco?”.

“Giocare a cosa?”.

“Non so. Inseguirsi, nascondino…”.

“Tutto qui? Prendimi, allora!”.

Keros alzò un sopracciglio, perplesso. Poi capì che cosa intendesse il re e sorrise, iniziando a correre per il corridoio. Era strano sentire delle risate all’Inferno ma in quel momento si sentirono forti e cristalline, prodotte da un piccolo mezzodemone con un campanellino alla caviglia.

 

Rieccomi!! Il primo capitolo che aggiungo da quando è nata la bimba. Mi tiene impegnata ma piano piano andrò avanti con tutte le storie!!

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Capitolo 10
*** Conoscere ***


10

CONOSCERE

 

Quella creatura che stringeva fra le braccia era bellissima, dallo sguardo luminoso e tentatore. I capelli scuri le ricadevano sulle spalle ma di certo il re non si concentrava su certi dettagli.

Era piuttosto distratto, nonostante tentasse di venir ipnotizzato dal movimento ritmico di quei seni perfetti. Sobbalzavano seguendo le spinte di quell’unione carnale.

“Mio signore” gemette lei, eccitata.

Lucifero non le rispose. Gli piaceva vederla in preda all’estasi, era uno spettacolo di cui non si stancava mai. Però era distratto, e quella femmina pareva non notarlo minimamente. Fosse stata Lilith, si ritrovò a pensare, avrebbe colto al volo e sicuramente gli avrebbe chiesto cosa frullasse per quella testa cornuta. Ma Lilith non c’era.

Quando quella demone se ne fu andata, soddisfatta e ancora seminuda, il re si ritrovò a girare per il palazzo, guardandosi attorno in cerca di qualcosa. Di qualcuno.

“Non angustiatevi” gli parlò Azazel “Ho inviato una missiva ad ogni pattuglia e diramato avvisi ovunque. È solo un bambino, non può essere andato lontano”.

 “E se gli fosse capitato qualcosa?” ribatté Lucifero “Non è mai uscito da palazzo da solo!”.

“Tutti gli uomini di Asmodeo sono stati mobilitati. Tutti in città lo stanno cercando. E nei villaggi vicini sono stati informati. Tornerà presto a casa. Abbiate fiducia, signore”.

“Ho smesso di avere fiducia su certe cose, da un pezzo. Qualcuno non ama l’idea che possa avere un lieto fine…” quasi ringhiò, rivolgendo lo sguardo verso l’alto.

“Ma noi il finale ce lo creiamo, è per questo che noi demoni abbiamo preteso il libero arbitrio e siamo fuggiti dalla rigida predeterminazione del Paradiso. È per questo che vi abbiamo seguito, Stella del mattino”.

Il re sorrise debolmente. “Non pensiamo a questo” parlò, dopo qualche istante “Voglio che tutta Dite sia messa a soqquadro finché il principe Keros non sarà trovato. Che abbia la priorità su qualsiasi altro pensiero o progetto. Chiaro?”.

Azazel annuì, e corse a sua volta a cercare il bambino.

 

 Il re ripensò a come quella giornata fosse iniziata. Aveva svegliato il piccolo di buon ora per scegliere l’uovo che gli aveva promesso. Keros, raggiante, si era messo a correre come un matto per arrivare alle stalle. Lì, ad attendere entrambi, un paio di demoni che si prendevano cura delle bestie. Erano animali maestosi, usati spesso in guerra. Era possibile cavalcarli e fargli prendere il volo, dopo un lungo addestramento.

“Da questa parte” invitò una demone, prendendo Keros per mano.

 Il bambino si voltò verso Lucifero , che lo incoraggiò a seguire la donna mentre lui si intratteneva con un altro demone. Keros  fu condotto fino ad un recinto coperto, dentro cui una di quelle creature se ne stava arrotolata. Con l’aiuto di un paio di forti giovanotti, la donna fece muovere l’animale e rimasero scoperte tre uova. Fra ringhi e urla, il bambino fu incoraggiato a scegliere quale adottare. Prese coraggio, spaventato da quegli animali enormi, e ne afferrò uno, dopo averli toccati ed osservati. L’uovo era grande quasi quanto Keros e fece fatica a raggiungere di nuovo Lucifero.

“È una buona cucciolata?” stava chiedendo il re.

“Come richiesto, sono state far accoppiare le migliori bestie. Ne nascerà una creatura magnifica” rispose il guardiano di quell’allevamento.

“Ottimo”.

 I due si accordarono su costi e spazi.

“Keros…” parlò Lucifero “Puoi lasciare qui l’uovo. Lo cureranno loro per te”.

“No!” si rifiutò il bambino “È mio!”.

Il demone tentò di insistere, senza risultato. Keros si avviò convinto verso il palazzo, stringendo quell’uovo gigante.

“Mi raccomando” gli disse l’allevatrice “Tienilo al caldo e nascerà!”.

 Il bambino camminò impacciato dal peso. Percorse i corridoi di casa, diretto alle sue stanze.

“Dallo a me” si offrì il re “Te lo porto io in camera”.

“No! Ti ho detto che è mio e ci penso io!”.

“Sei testardo come tua madre!”.

 Il demone rimase ad osservare Keros che, imperterrito, provava a salire le scale. Borbottando qualcosa sul fatto che non voleva frittate giganti per terra, Lucifero prese in braccio il piccolo e lo condusse su fino al piano dove aveva le stanze private.

“Dormirà con me” spiegò Keros, con sul viso stampata un’espressione d’orgoglio.

“Va bene” fu la risposta, rassegnata, del Diavolo “Ma ricorda che, se dovessi averne bisogno, alle stalle sono sempre pronti ad aiutarti”.

“Non serve. Ora vai via!”.

“Ma… Neanche si ringrazia? “.

Keros era sulla porta, già pronto a chiuderla, ma si fermò a quelle parole. Il suo sguardo si fece luminoso e sorrise con sincerità.

“Grazie per questo uovo” esclamò, raggiante.

“Prego. E ricordati che devi anche fare i compiti”.

Il bambino borbottò qualcosa e chiuse la porta. Il re trattenne una risata e tornò al lavoro.

Rimasto solo, Keros aprì uno dei suoi libri ed iniziò a leggere ad alta voce, seduto a terra, stringendo l’uovo. Storia. Gli piacevano i libri sulla storia dell'Inferno, erano interessanti. Poi poteva sempre chiedere informazioni ulteriori al re, che lusingava ricordandogli tutte le vittorie in battaglia. C’erano state davvero tante guerre negli inferi e Keros sapeva che un giorno avrebbe dovuto pure lui combattere a fianco del sovrano. Anche per questo Asmodeo gli stava insegnando le tecniche d’uso del fuoco. Già si immaginava, grande e potente che uccideva nemici. E non vedeva l’ora di iniziare a rubare anime. Lucifero però era stato categorico: doveva prima diventare abbastanza forte da poter affrontare almeno un angelo minore, o sarebbe stato troppo pericoloso.

 “Un giorno io salirò sulla tua groppa e voleremo insieme” sorrise all’uovo, accarezzandolo “E ora andiamo nell'archivio, che devo prendere un libro nuovo”.

 Stringendolo, Keros lo portò con sé fino alla grande stanza dove il re aveva riposto tutti libri utili per lo studio del bambino. Cercò fra gli scaffali per un po' e poi tornò dall’uovo , poggiato in terra.

“Forse dovrei scaldarti di più…” si disse, evocando le fiamme in una mano.

Il fuoco rosso si accese fra le dita del bimbo e si avvicinò. Però non aveva piena padronanza di quella tecnica e inavvertitamente incendiò anche il libro.

 

“Come sarebbe a dire?!” sbraitava Lucifero, nel suo ufficio “Lo sapete che voglio un ordine perfetto delle entrate. Non potete aver smarrito un intero registro di dannati!”.

“Perdonateci, Signore” stavano supplicando due demoni, prostrati in terra.

“ Perdonarvi un cazzo! Sapete quante migliaia di anime vi erano scritte? I loro peccati e la zona in cui sono state confinate… Era tutto scritto! Da delle mani molto più utili delle vostre!”. 

“Ci scusi…”.

“Rivoglio quel registro al giusto posto! Se ciò non avverrà in ventiquattro ore, pretendo che voialtri deficienti lo riscriviate da capo!”.

“Ma…ma Signore! Sapere quante e quali persone vi erano riportate è…”.

“Impossibile? Stracazzi vostri! L’alternativa è la vostra testa, su un bel piatto, da dare in pasto a Cerbero!”.

“Ma noi…”.

Il re li interruppe con un gesto della mano. Annusò l’aria. Era abituato a sentire odore di zolfo e bruciato ma non in modo così pungente fra le mura di casa.

“A che state dando fuoco?!” sibilo, senza ricevere risposta.

Lasciò l’ufficio e cercò di capire. Una delle ancelle indicò il piano superiore, le stanze private del principe.

Non molto in vena di restare calmo e tranquillo, Lucifero salì le scale, stringendo i pugni e spalancando la porta di scatto. Oltre la soglia vide Keros, che tentava di spegnere il piccolo incendio che si era creato.

“Ma che hai combinato?!” si stupì il demone, estinguendo le fiamme spalancando le ali.

Il bambino abbracciò l’uovo.

 “Allora, signorino?” incrociò le braccia il re “Hai la vaga idea di quanto costino i libri? Qualcuno li deve scrivere tutti a mano, sai? E tu quanti ne hai rovinati in pochi istanti?”.

“Volevo scaldare l’uovo…” cercò di giustificarsi Keros, chinando la testa.

“E per uno stupido uovo mandi in fumo dei libri?!”.

“Non è stupido! È il mio uovo! È il mio amico!” cambiò radicalmente atteggiamento, ringhiando.

“Attento a dove lo lasci. Asmodeo potrebbe mangiarselo!”.

“No! Cattivo! Sei cattivo!”.

“E tu sei la nuova piaga d’Egitto! Adesso va subito fuori di qui. Fila in camera tua. Non voglio sentir volare una mosca da quella stanza almeno fino a stasera, sono stato chiaro?”.

Keros annuì, non sapendo che altro dire.

“Studia. E non combinare altri disastri“ concluse Lucifero, dando le spalle al bambino e tornando alle sue faccende.

Da quella volta, il bambino non era stato più visto.

 

“I demoni non piangono” si era ripetuto più volte nella testa Keros, camminando con l’uovo in braccio.

Era uscito da palazzo, conoscendo un sacco di passaggi segreti, e cercava un posto dove sentirsi al sicuro. Aveva fame, girava da ore, ma non voleva tornare a casa. Vide alcune guardie a servizio di Asmodeo e cambiò immediatamente direzione, spaventato per il suo uovo. Finì nel cortile di una casa e d'un tratto fu catturato da un intenso odore dolce. Cercò di capire da dove provenisse e vide un grosso vassoio di biscotti. Si avvicinò, furtivo, approfittando del buio, ma subito udì una voce che gli ordinava di tenere giù le mani. Si accucciò, per non farsi vedere. Dopo qualche istante, tentò di percepire qualche suono, per capire se ci fosse ancora qualcuno.

“Inutile che ti nascondi” si sentì dire “Vai via. Quei biscotti sono per il mio papà”.

Keros sollevò la testa. Era stata una bambina a fermarlo. Doveva avere qualche centinaio di anni meno di lui. Nel guardarla, il piccolo si lasciò sfuggire una risatina.

“Cos’hai da ridere?” si accigliò lei.

“Niente. È che pensavo fosse un adulto e invece sei solo una femmina”.

Lei a quelle parole si infuriò.

“Stavo per offrirti un biscotto. Ma, visto che sei un colossale stronzo, non lo farò!” sbottò, voltandosi.

“Aspetta!” la fermò Keros “Ti chiedo scusa… è stata una brutta giornata” ammise, chinando la testa.

“Dov’è la tua mamma?” si intenerì la bambina.

“Io non ho una mamma”,

“Oh… nemmeno io”.

I due piccoli rimasero in silenzio, osservandosi in lieve imbarazzo.

“Io sono Lilien” si presentò alla fine lei “Sono figlia del decaduto Azazel”.

Keros non rispose. Non voleva svelare la sua identità.

“Sei vestito molto elegante” continuò la bambina “Sei un nobile?”.

Non volendo mentire, Keros annuì.

“Un principe? Come nelle favole?” sorrise lei.

“Sono scappato” tagliò corto lui “Non dire a nessuno che sono qui”.

“Nemmeno al mio papà?”.

“Esatto. Io…”.

Si udì un rumore e la bambina fece segno a Keros di nascondersi. Azazel entrò nella stanza.

“Con chi parli, Lilien?” domandò alla figlia.

Il demone aveva l’aria piuttosto stanca e sorrise debolmente quando la bambina lo rassicurò dicendo che stava giocando da sola.

“Ti ho portato la cena” spiegò il padre, poggiando un pacco sul tavolo “Mangia e fila a letto presto”.

“Ma papà… non resti con me? È tardi” si lagnò la bimba, guardando con occhi languidi il genitore.

“Non posso” sospirò Azazel, chinandosi per guardare in viso la figlia.

“Ti avevo fatto i biscotti”.

“Li mangerò dopo. Vedi… C’è stata un’emergenza”.

“Guerra?”.

“No, tranquilla. Stiamo cercando il principe. Il re è molto preoccupato”.

“È triste? Come te quando è morta la mamma con i miei fratellini?”.

“Certo. È molto triste, in ansia. Quel bambino è prezioso e teme di averlo perduto. Se tu sparissi, ti cercherei ovunque! Ed io devo aiutarlo, capisci? Dopotutto… È pur sempre mio fratello, oltre che il re. E quando la nostra famiglia è stata distrutta, ci è stato vicino. Capisci?”.

La bambina annuì. Azazel le passò una mano fra i capelli, molto scuri e con qualche riflesso verde. Poi si rialzò e riprese il volo,spalancando le ali. Lilien sospirò. La piccola coda demoniaca le si arricciò e poi si voltò verso il punto dove Keros si era nascosto. Si stupì di non vederlo più.

 

La luce emessa da Lucifero nel buio era simile a quella di un fuoco ed intensa come una stella. Vederla illuminare quel che per l’Inferno era il cielo, era strano. Raramente il re lasciava il palazzo e quando lo faceva solitamente era per combattere. Oppure celava quella luce, preferendo intrattenersi in modo discreto per il suo mondo. Azazel lo aveva affiancato, riferendo che era stata pattugliata un’altra zona della città, senza risultato.

“Dove può essere?” mormorò Lucifero, guardando la capitale dall’alto della torre su cui si era appollaiato.

“Lo troveremo. Forse si è nascosto, stanco o affamato. Avrà trovato rifugio” cercò di rassicurarlo Azazel.

“Sai meglio di me come questo regno è pieno di demoni pronti ad uccidere cuccioli altrui. E lui non sa come funziona questo impero, non ancora. State controllando anche il mondo umano?”.

“Certo. Però… È un ragazzo sveglio e…”.

“Ma ancora così piccolo…”.

Il messaggero non sapeva che altro dire e si separò dal re per riprendere le ricerche.

 

Keros camminò piano lungo le vie in pietra della zona del mercato. Sempre con l’uovo stretto a sé, iniziava a non sentire più i piedi per la stanchezza. Quanto avrebbe voluto le ali in quel momento…

D’un tratto, qualcuno lo strattonò. Allarmato, soffiò e mostrò i denti.

“Siete il principe!” esclamò una donna “Vi stanno cercando tutti”.

Il bambino rimase in silenzio.

“Che Vi è capitato?” continuò lei “Tenete… Mangiate qualcosa”.

Gli porse un piattino con un po’ di carne, su degli spiedini, che Keros mangiò volentieri.

“Mi sono perso” ammise, chinando la testa “Mi riaccompagnerebbe a casa?”.

La donna sorrise, intenerita, e lo accompagnò fino a palazzo. Fra vari viottoli e quartieri, il bambino aveva perso del tutto l’orientamento e, anche se vedeva le torri della sua casa, non riusciva ad avvicinarsi ed aveva l’impressione di girare in tondo.

 

Tornato a palazzo, ad accoglierò trovò Lilith, anche lei in pensiero. Lo abbracciò e ricompensò con oro e gioielli la donna che aveva riportato il bambino. Dopo aver chiesto spiegazioni, che non ebbe, trascinò il principe a fare un bagno e darsi una sistemata. Keros rimase in silenzio. Una volta fatto il bagno, si rinchiuse nella sua stanza.

Non appena il re fu avvertito del ritrovamento del bambino, tornò in fretta a palazzo e congedò tutti quelli che erano impegnati nelle ricerche. Scese di nuovo la calma nel regno, salvo per le solite grida delle anime.

Lucifero entrò di corsa nella camera di Keros e lo sorprese sul pavimento nero, chino a scrivere su dei fogli. I due si fissarono in silenzio per qualche istante.

“Stai bene? Non sei ferito, vero?” finalmente si decise a parlare il demone.

“Sto bene” mormorò il bambino.

“Cosa stai facendo?”.

Il bambino continuò a scrivere ma poi si bloccò. Aveva sbagliato una lettera con l’inchiostro e la piuma e sapeva di dover ricominciare daccapo.

“Non mi sgridare” esclamò di colpo, con gli occhi lucidi “Giuro che li riscrivo. Li riscrivo tutti”.

“Ma cosa?”.

“I libri. I libri che ti ho rovinato. Te li riscrivo tutti, te lo prometto!”.

“Oh, Keros… Ma cosa vuoi che me ne importi?”.

“Scusa…”.

“Scusami tu. Sai… Quando mi arrabbio dico un sacco di stronzate. Non devi farci molto caso. E poi…”.

“Quindi non sono la nuova piaga d’Egitto?”.

“Vuoi esserlo?”.

“No!”.

“Allora non lo sei”.

“Ho sentito che eri triste e preoccupato. E poi non volevo tenere un papà lontano da casa”.

“Non ho capito del tutto quello che hai detto, ma…”.

“Io non volevo che qualcuno fosse triste. Pensavo fossi arrabbiato e non mi volessi più”.

“Non potrei mai non volerti più. Sei come un figlio per me, lo sai. La più preziosa creatura dell’Inferno”.

Keros si lasciò abbracciare e serrò le palpebre per non piangere, come gli aveva insegnato il re dei demoni.

“Dici che anche il tuo papà sia in pensiero per te?” domandò, e Lucifero storse il naso.

Il piccolo alzò la testa e lo fissò negli occhi.

“Dici che anche il tuo papà sia in pensiero per te?” insistette.

“No, non credo” rispose infine il re “Io e lui abbiamo un rapporto… diverso”.

“Cioè?”.

“Tu non mi odi. Spero…”.

“No. Mi fai arrabbiare, sei uno stronzo, ma ti voglio bene”.

“Ah, meno male. Non avevo voglia di aver cambiato pannolini e dato pappette per sentirmi dire che mi odi”.

“Ma il tuo papà deve volerti bene. Secondo me è preoccupato. Pensa a te”.

“Certo. Mi pensa e mi usa come capro espiatorio per ogni cazzata che accade per il mondo umano. Me ed Azazel. La colpa è sempre degli altri e…”.

“Ok. Ho capito. Voi adulti siete strani. E complicati”.

“Hai ragione. Hai proprio ragione…”.

“E adesso vai a lavarti. Puzzi!”.

“Scusa se ho volato tutto il giorno per cercarti…”.

Keros rise ed anche il re.

“Hai tenuto quell’uovo tutto il tempo con te?!”.

“Sì, ma non dire ad Asmodeo che è qui. Non voglio che lo mangi!”.

“Guarda che era uno scherzo. E se ci prova… Avvisami, che lo picchio”.

Il bambino sorrise. Dopotutto, non era male stare a casa propria…

 

Scusate il ritardo!! Sto cercando di aggiornare più spesso ma… Che impresa!! Nel prossimo capitolo si cresce ;)

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Capitolo 11
*** Sognando. parte prima ***


11

SOGNANDO

Parte prima

 

Quanto tempo era passato? Se lo chiedeva Lucifero, osservando dall’alto della torre l’arrivo di Alukah. Da quanto tempo non si incontravano? Probabilmente il figlio di Lilith si chiedeva lo stesso, varcando la soglia del palazzo reale. Osservò i quadri, notandone di nuovi, e sorrise. Al suo fianco, il giovane Nasfer lo seguiva sentendosi decisamente in soggezione. Le guardie reali sorvegliavano gli ingressi ed incantevoli fanciulle attraversavano i corridoi con risatine divertite. Finalmente, i due raggiunsero la porta che chiudeva la sala dei ricevimenti reale.

“Che gioia vederti, Alukah!” esordì il re, seduto sul suo trono nero.

“Anche per me è lo stesso, vostra maestà” rispose il vampiro, inchinandosi leggermente.

“Non usare troppi convenevoli con me. Ti ho visto nascere” ghignò Lucifero, sorseggiando del vino in un calice d’argento “Non dirmi che quel giovanotto che è accanto a te è Nasfer”.

“Sì, è mio figlio Nasfer. So che sono stato convocato personalmente, ma ha tanto insistito per venire a palazzo”.

“Non è un problema” sorrise Lucifero “Sentiti libero di ficcare il naso in giro, mentre io e tuo padre discutiamo di lavoro”.

“Grazie, altezza” si inchinò Nasfer, non aspettando altro e congedandosi.

“Com’è diventato grande…” riprese il sovrano, una volta che il ragazzino fu uscito “Quanti anni ha adesso?”.

“Si avvicina ai settecento, maestà”.

“Crescono così in fretta… Ma vieni con me. Cambiamo argomento. Lascia che ti offra qualcosa e parliamo di lavoro. Ho un certo affare da proporti…”.

 

Nasfer si guardava attorno, meravigliato. Ricordava poco di quel luogo, che aveva visitato solo una volta quando era molto piccolo. Udì le voci dei soldati e cercò di capire da dove provenissero. Forse dal cortile? Vi si diresse a passo svelto e si bloccò, trovando un’enorme bestia a sbarrargli la strada. Era color cenere, con enormi ali come il sangue ed occhi d’oro. L’animale rimase immobile, nonostante Nasfer si fosse messo in posizione d’attacco.

“Non la guardare negli occhi” si sentì dire “O ti mangerà. Lo ha già fatto altre volte”.

“Mi… mi mangerà?” mormorò il vampiro, cercando di capire chi avesse parlato.

“Esatto. Sei nuovo? Non ti ho mai visto…”.

“Nemmeno io vedo te, se è per questo…”.

“Alza gli occhi”.

Nasfer alzò lo sguardo, attento a non fissare la bestia, e vide che qualcuno stava cavalcando quella creatura. Quel qualcuno lo stava salutando con la mano. Osservandolo meglio, l’ospite sorrise.

“Keros!” lo chiamò per nome “Sono io! Sono Nasfer!”.

“Chi?”.

Calò il silenzio e poi Keros rise, scendendo dalla creatura.

“Sto scherzando. Mi ricordo di te, Nasfer”.

“È passato un po’ di tempo”.

“Puoi dirlo. E sei cresciuto… Parecchio”.

Nasfer ghignò. Era di una spanna più alto di Keros e di corporatura più grossa, importante. Anche se era solo un ragazzino, già si vedeva che sarebbe diventato un demone massiccio. Keros, al contrario, era piuttosto esile. Teneva i capelli rossi legati in una coda e sul viso ostentava una strana espressione spavalda.

“È una femmina?” chiese l’ospite, indicando la bestia.

“Sì. La sto addestrando per portarla in guerra” annuì Keros “Non è feroce come sembra. Di solito…”.

“Allora…” continuò Nasfer, guardandosi attorno lievemente in imbarazzo “...è qui che vive un principe…”.

“Già. Ma non serve chiamarmi principe o cose simili. Sono Keros. Cosa fai nella tua vita adesso? L’addestramento da vampiro suppongo lo abbia concluso da un pezzo”.

“Ho imparato a trasformarmi”.

“Figo. Da cosa?”.

“Lupo. Come mio padre”.

“Forte!”.

“Ma tu sai usare il fuoco. Quello è meglio”.

“Dipende. Magari qui all’Inferno è più utile ma nel mondo umano… Meglio fuggire nell’ombra piuttosto che dare fuoco alla gente!”.

“Vero. Però… Io vorrei entrare nell’esercito reale. A servizio di Asmodeo. Essere addestrato da lui”.

“Partecipa alle selezioni. Le fanno continuamente. Sai… Muoiono spesso…”.

“Lo so. Ci ho provato. Ma dicono che sono troppo giovane ed io penso di star perdendo tempo”.

“Posso parlarci io”.

Nasfer rimase in silenzio. Fissò Keros con aria interrogativa.

“Posso parlare io con Asmodeo” sorrise il principe “Ti valuterà direttamente. Ricordati che a lui piace la sicurezza. Se ti chiede se sai fare una cosa, tu rispondi sempre di sì”.

“Lo faresti davvero?”.

“Certo”.

“Perché? Cioè… Grazie! Sei un grande e…”.

Keros non ascoltò il resto della frase. Si arrampicò sul muretto che delimitava il giardino ed invitò Nasfer a fare lo stesso. L’ospite lo guardò, perplesso. Poi seguì l’esempio. Giunto in cima, sedette e rimase a bocca aperta. Davanti a loro, le guardie reali si stavano addestrando.

“Ti brillano gli occhi” ghignò Keros.

“Che spettacolo” esclamò Nasfer “Quanto vorrei essere fra loro!”.

“Asmodeo!” gridò il principe, mentre chi aveva a fianco si voltava con fare allarmato.

“Asmodeo!” chiamò ancora Keros, fino a quando il grosso demone non raggiunse il muretto.

“Ditemi, principe” parlò il generale, guardando in altro verso i due giovani.

“Lui è Nasfer” lo indicò “Ha fatto l’addestramento da vampiro con me. È il figlio di Alukah e nipote di Lilith. Vorrebbe far parte dell’esercito reale”.

“Le referenze genetiche sono interessanti” annuì Asmodeo “Alle prossime selezioni sarò io stesso a giudicarlo. Prima di qualsiasi altro aspirante. Sai combattere?”.

“Sì” si affrettò a rispondere Nasfer.

“Bene. Ci vediamo alle prossime selezioni. Mi raccomando: puntuale. O già perdi punti, recluta”.

Con un inchino, il generale si congedò dal principe e tornò alle sue faccende. Sulle sue grandi spalle e sul petto campeggiavano encomi di ogni tipo, che scintillavano in modo quasi ipnotico. Aveva affrontato moltissime battaglie e ne portava i segni, ma anche i premi.

Keros balzò giù dal muretto, tornando a poggiare i piedi nel giardino reale. Nasfer rimase ancora qualche istante a contemplare l’esercito, che si muoveva compatto in formazione. Poi scese a sua volta.

“Vi ringrazio” si decise a parlare, dopo qualche istante “Grazie per la fiducia che riponete in me”.

“Dammi del tu” storse il naso Keros.

“Perfino Asmodeo ha usato l’onorifico con Voi!”.

“E allora? Sono un ragazzino. È strano. Non lo fare”.

“Va bene. Ma…”.

“Ora tu mi devi un favore. E so già cosa chiederti”.

Nasfer annuì, mentre Keros osservava le rose nere del giardino. Per qualche istante, ripensò al fatto che aveva portato una di quelle rose sul luogo dove era nato, dove era deceduta sua madre. E da quella volta le rose nere crescevano in quel luogo, e solo in quel luogo.

“Voglio andare nel regno umano” spiegò.

“Certo. Che problema c’è?” alzò le spalle Nasfer.

“Vedi… Dopo l’incidente avvenuto durante l’addestramento, quello con gli angeli, il re non vuole più farmi andare fra gli uomini senza scorta. Ma è noioso. E ogni volta chiede perché ci voglio andare, a fare che cosa eccetera eccetera… bla bla bla. E mi ritrovo ad essere sorvegliato da gente pallosa e vecchia, che vede pericoli ovunque. Tecnicamente, a lui basta che con me ci sia qualcuno che sappia dove non avere a che fare con gli angeli. Tu lo sai, vero?”.

“Certo. Ho vissuto tutta la vita schivando gli angeli”.

“Perfetto. Allora andiamo”.

“Adesso?”.

“Hai altro da fare?”.

Nasfer scosse la testa e seguì Keros all’interno del palazzo. Come principe, chissà quali altre cose avrebbe potuto concedergli! Continuò ad osservare con ammirazione ogni angolo di quel luogo, dai candelabri fino agli intarsi sulle porte. Keros si era cambiato ed aveva lasciato detto a Lilith che avrebbe fatto tardi, senza specificare troppo la sua meta. Solo spiegando che “mangiava fuori”.

 

Il giovane principe amava il mondo umano. Respirò a pieni polmoni l’aria pura, priva di zolfo. Il canto degli uccelli, il mutare di colore del cielo, il tramonto, le stelle… Perfino il suono delle campane! Amava tutto del mondo umano, ma sapeva di non farne parte. E sapeva anche che molte cose in esso, come la neve o il gelo, potevano danneggiarlo gravemente. Da quando era piccolo, trovava estremamente piacevole mettere i piedi nelle acque fresche e prendere il sole in riva al fiume. Fu la prima cosa che decise di fare e Nasfer si limitò a fissarlo, fermo poco più in là. Non amava molto la luce del giorno.

“Scusa la domanda indiscreta…” si azzardò a dire, osservando Keros spaparanzato sull’erba con calze e scarpe messe in disparte per non bagnarle “Ma quel tatuaggio…”.

“L’ho sempre avuto” si limitò a dire il principe.

“Sì, ma…”.

“Che ne dici di fare un giro in città? Mi sta venendo fame. Guidami nella zona migliore”.

Si alzò di scatto, lanciando uno schizzo d’acqua a Nasfer, che rise.

I due, camminando con la luce del tramonto, sembravano due normali ragazzi in abiti eleganti. Keros in particolare, con l’abito in velluto e broccato, aveva l’aspetto di un giovane nobile. Incuriosito, entrò in alcune botteghe, provando dei cappelli con la piuma. Erano la moda del momento e decise di acquistarne un paio, sfoggiando una vanità degna di re Lucifero. Rispose in modo vago al sarto che chiedeva chi avesse confezionato il bell’abito che indossava e pagò con delle monete d’argento. Poi spese una  cifra considerevole per comprare un libro da regalare al re, spezie e qualche candela. Il tutto con Nasfer che lo guidava per le strade.

“Di certo parleranno un po’ di noi” ridacchiò Keros, osservando lo sguardo incuriosito e avido dei mercanti.

“La cosa non mi dispiace” gli rispose Nasfer, mentre un paio di nobildonne si chiedevano da quale famiglia provenissero quei due giovinetti.

“Ora di cena” esordì, di colpo, il principe.

Oramai era scesa la notte e molti già si affrettavano a rientrare in casa.

“Lilith mi sgrida se non mangio” continuò, seguendo il collega lungo le vie.

“Deve essere piuttosto eccitante vivere con lei” mormorò Nasfer, alzando le sopracciglia con fare malizioso.

“Mi ha allattato. Non posso vederla in modo eccitante. Però di certo è una bella donna”.

“Tutte quelle femmine… Il palazzo quante ne ha?”.

“Come concubine del re, dici? Non lo so. Mai contate. Penso una cinquantina”.

“Tutte belle come Lilith?”.

“Certo. Il re vuole solo il meglio”.

“E tu non hai mai…”.

“Mi vuoi chiedere se io ho qualche femmina a palazzo per me? No! Non credo di avere ancora l’età per…”.

“Quindi non le hai mai viste nude?”.

“Certo. Un sacco di volte però… Molte di loro mi hanno fatto da mamma, non le trovo eccitanti”.

“E… Come sono fatte?”.

“Beh… Hanno… le tette e…”.

“E sono belle?”.

“Le tette? Sono… rosa. E… tonde e… Ma perché mi chiedi queste cose?”.

“Per conversare un po’. Sai… Sei il principe e non so bene di che cosa si parli con un principe”.

“Un giorno potrò avere pure io le mie donne. Ma ora non ci penso. Prima voglio finire l’addestramento da procacciatore di anime”.

“Ma perché? Intendo dire… Sei il futuro re! Perché fare bassa manovalanza?”.

“Non è detto che io sia il futuro re. Non sono stato designato come principe ereditario. E poi…il re non lascerà il suo posto a breve. E intanto che faccio? Come procacciatore, posso girare il mondo umano come mi pare!”.

“Io, fossi il futuro re, starei tutto il giorno in ozio”.

Keros rise.

“Voglio ripetere ancora una giornata come questa” annuì poi “Tu che dici, Nasfer? Io mi sono divertito. Possiamo anche visitare altri posti, fare altre cose”.

“Se provate questo desiderio…”.

Camminando lungo le strade, si imbatterono in una coppia di giovani che cercavano di celarsi ad occhi indiscreti nel buio. Iniziarono a baciarsi appassionatamente e non notarono l’avvicinarsi dei due demoni vampiro.

“Gli esseri umani sono proprio stupidi” fu il commento di Nasfer.

Keros sorrise e divise la coppia, dopo averli osservati un po’ per divertimento. Piantò i denti nel collo di lui, mente Nasfer zittiva la ragazza. Il principe avvertì subito la meravigliosa sensazione di piacere che gli provocava il nutrirsi di sangue. Alzò lo sguardo, che brillava nel buio, vedendo il suo collega che si avventava sul collo della giovane e, allo stesso tempo, ne esplorava il corpo con le mani, facendole lanciare dei gemiti. Poi la lasciò andare e si voltò verso Keros, con il viso sporco di sangue. Il principe ghignò, mostrando i denti a punta. Si sentiva strano, stordito.  Forse quell’umano aveva nel sangue qualcosa di particolare. Non lo sapeva ma gli era sempre stato detto che doveva seguire il suo istinto, i suoi desideri. Quindi non si pose alcuna domanda, non tentò di riflettere. Si avvicinò a Nasfer… E lo baciò.

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Capitolo 12
*** Sognando, parte seconda ***


12

SOGNANDO

Parte seconda

 

 

Per qualche istante, Keros provò una sensazione nuova. Sentiva i suoi sensi appagati, soddisfatti. Ma subito dopo sopraggiunse qualcosa di molto diverso. Percepì dolore, bruciante dolore, e si sentì respingere in malo modo. Stordito, capì che Nasfer lo aveva colpito, ferendolo lungo il petto e sul braccio sinistro.

“Sei completamente impazzito?” ringhiò il giovane figlio di Alukah, sputando un paio di volte per terra “Ti sei bevuto i neuroni? Cosa pensavi di fare?!”.

Keros cercò di rispondere, ma riuscì solo a balbettare qualcosa, ancora confuso e dolorante.

“Tu…” riprese Nasfer “…tu sei figlio della meravigliosa Carmilla! Creatura che dopo secoli è ancora nei ricordi e nelle fantasie di molti. Tu… Sei figlio di colui che veniva descritto come il più bello degli angeli!”.

Il principe rimase in silenzio, consapevole del fatto che tutti lo credessero figlio di Lucifero.

“Ma tu… Come puoi avere tale genetica in corpo?!” la voce di Nasfer era decisamente infastidita “Tu… Coso strano! Come puoi essere stato concepito da simili creature?!”.

“Nasfer… io…”.

“E, soprattutto, pensavi davvero che un coso come te potesse avvicinarsi ad uno come me e restare impunito? Una roba con quei disegni assurdi addosso ed un ridicolo nome da femmina!”.

“Keros non è…”.

“Come speri di poter fare il tentatore? Non potresti farlo nemmeno fra un milione di anni!”.

“Io…”.

“Non posso credere che tu lo abbia fatto per davvero. Ma che pensavi? Che fossi gentile per un qualche motivo che andasse oltre l’interesse per il fatto che sei il principe e mi tocca obbedire? La sola idea che tu possa diventare re mi disgusta…”.

“Scusami”.

“Ed ora pure chiedi scusa? Che demonietto patetico che sei. Ma poi… Sei veramente un demone? Per me Carmilla ti ha trovato in qualche buco sperduto ed ha avuto pietà. Chissà che miserrima creatura era la tua genitrice. Gli altri demoni non fanno che ridere di te”.

Keros non sapeva che rispondere. Vide Nasfer agitarsi e ringhiare infastidito, e distolse lo sguardo. Non sapeva che fare. Si sentiva in imbarazzo, anche lui incapace di capire perché avesse compiuto un simile gesto. Il figlio di Alukah si allontanò, con fare deciso. Il principe girò gli occhi verso i cadaveri degli umani che erano stati la loro cena. Giacevano in terra, uno accanto all’altro. Con un sospiro, capì che era tempo pure per lui di rientrare, o avrebbe rischiato di ritrovarsi in qualche guaio.

 

Giunto a palazzo, Keros si affrettò a rinchiudersi nella sua stanza. Tolse l’abito che indossava, squarciato ed insanguinato, e tentò di darsi una sistemata. Passò ben poco tempo prima che un bussare deciso alla porta lo costringesse ad accelerare quel che stava facendo. Gettò gli abiti sotto al letto e si assicurò di aver ben coperta la ferita.

“Avanti… È aperto” esclamò poi.

Come immaginava, nella camera entrò il re, con un mezzo sorriso.

“Hai fatto tardi” gli disse.

“Mi ‘spiace. Io…”.

“Te lo facevo solo notare. Dove sei stato di bello? Ti sei divertito?”.

Keros raccontò a grandi linee quel che aveva fatto prima che tramontasse il sole. Lucifero intanto osservava gli oggetti che il principe aveva portato dal mondo umano.

“Cos’è questa roba?” si chiese, indossando uno dei cappelli con la piuma.

“Va di moda fra gli uomini” spiegò Keros “Viene considerato molto elegante”.

“Ah, queste manie moderne…”.

Il demone annusò le candele e le spezie.

“Quelle pensavo di distribuirle fra le donne del palazzo” spiegò il principe.

“Ma che bravo…”.

“Ed il libro è per te”.

“Per me?”.

Il re si stupì. Prese con cura il volume fra le dita ed iniziò a sfogliarlo con delicatezza.

“Sto lavorando per mantenere la promessa che ti feci tempo fa. Sto riscrivendo tutti i libri che ti ho rovinato da piccolo. Però quando ho visto quello, ho pensato che potesse piacerti”.

“Deve essere costato una fortuna”.

“Nulla che un principe non possa barattare…”.

“Ti ringrazio. Ma raccontami… com’é il mondo di sopra? Sarà almeno un secolo che non ci vado…”.

Keros iniziò a raccontare ma poi Lucifero lo fermò, con un gesto della mano. Annusando l’aria, il demone si voltò verso il ragazzo con aria interrogativa.

“Sento odore di sangue” disse.

“Sì. Mi sono nutrito…”.

“Sento odore di sangue non umano. Sei ferito? Sono stati gli angeli?”.

“Cosa? Gli angeli? Ma no!”.

“E allora cosa è successo?”.

Il principe tentò di non spiegare l’accaduto ma lo sguardo del re era potente e lo costrinse a svelare il nome di Nasfer.

“Ma non è stata colpa sua” si affrettò ad aggiungere.

“Certo…” sbottò il re, scettico “…ti ha ferito per sbaglio…”.

“È una storia lunga”.

Keros non aveva alcuna intenzione di scendere nei particolari ed abbozzò un sorriso. Lucifero alzò un sopracciglio e si fece silenzioso.

“E va bene…” disse infine il re, alzando le spalle “A ognuno i suoi segreti. Ti lascio riordinare le tue cose. E torno alle mie faccende. Sarai stanco”.

Il principe annuì, sbadigliando per finta.

“Buona notte…”.

Quando finalmente il demone fu uscito dalla stanza, il giovane tirò un sospiro di sollievo. Si lasciò cadere sull’ampio letto nero e lì rimase, incapace di dormire ma con nessuna voglia di fare altro.

 

Non sapeva dire quante ore erano trascorse. Era rimasto immobile, a fissare il soffitto affrescato. Fu la voce di Lilith a riportarlo alla realtà.

“Il re mi ha mandato a controllare la ferita” spiegò, entrando in camera.

“Il vecchio si preoccupa sempre troppo” rispose Keros, restando steso.

“È che non sei sceso per la colazione. Non è da te”.

“Ero stanco. E poi ieri mi sono nutrito parecchio”.

“Anche oggi andrai in giro con Nasfer?”.

“Non credo che lui voglia rivedermi di nuovo…”.

“Oh… Allora chissà perché è stato convocato d’urgenza”.

Il principe balzò a sedere di colpo, ripetendo l’ultima frase in tono interrogativo. Alla conferma di Lilith, lasciò le comode lenzuola del matrimoniale e abbandonò la stanza.

 

Si precipitò lungo le scale, ripide ed in pietra, e si ritrovò davanti alla porta segreta che si apriva sulla sala ricevimenti. Da lì il re raggiungeva gli alloggi privati e Keros sbirciò. Vide Nasfer inginocchiato e, poco più indietro, suo padre Alukah con sul volto un’espressione preoccupata.

“È solo un ragazzo, altezza” stava dicendo proprio Alukah e Lucifero lo fissava, accigliato.

Il principe cercò di capire qualcosa di più, ma si erano unite troppe voci confuse. Sul trono, Lucifero sembrava in collera. Al suo fianco, serio, stava Asmodeo. Era in piedi, con le braccia conserte dietro alla schiena. Sulla porta, molti curiosi si stavano radunando.

“Che succede qui?” ebbe finalmente il coraggio di dire Keros, entrando.

“Faccio rispettare le leggi del regno. Mi pare ovvio” gli rispose il re, senza voltarsi a guardarlo.

“Le leggi? Di cosa? Non sarà mica per la faccenda di ieri? Fatti gli affari tuoi! Ti ho già spiegato che non è stata colpa sua”.

“Keros… il mio compito è mantenere la disciplina in questo regno. Disciplina che si ottiene solo con il rispetto della gerarchia. Tu sei il principe e nessuno di rango inferiore deve osare toccarti”.

“Ma sono cazzi miei di chi mi tocca, dove e perché…”.

“Keros…”.

“Non è stata colpa di Nasfer. Se vuoi punire qualcuno, punisci me. Sono qui!”.

“A quello provvederò dopo, se proprio ci tieni”.

“Che cosa hai intenzione di fargli?”.

“Lo sai che la pena per simili atti sovversivi è la morte”.

Keros rise. “Scherzi, vero? Per un graffio?”.

“Non è la conseguenza da punire, bensì il gesto in sé”.

Il principe si avvicinò al trono, salendo sui pochi scalini che lo separavano da terra. Giunto dinnanzi al re, si chinò ed allungò la mano, sfiorandone il viso ed aprendo su esso un lieve graffio.

“Uccidimi” mormorò.

Lucifero si passò un dito sulla ferita, dalla quale era uscita una goccia di sangue, e se lo portò alla bocca.

“Ti prego. Lascia che d’ora in poi le mie faccende me le risolva da solo” continuò Keros “Lascia che ti dimostri che sono in grado di ottenere il giusto rispetto, senza che qualcuno lo pretenda per me”.

Il demone rimase in silenzio qualche istante.

“Alukah” chiamò poi, ed il vampiro alzò lo sguardo “Porta via tuo figlio. Insegnagli un po’ di disciplina, perché la prossima volta non sarò così clemente. Andatevene”.

Alukah si inchinò più volte e portò via Nasfer, che riuscì solo ad incrociare per qualche istante lo sguardo di Keros.  Il principe approfittò della confusione che seguì, fra proteste per chi sperava in un’esecuzione e chi lodava il re per la sua bontà, per tornare nelle sue stanze. Il re, reggendosi la testa con una mano, con il gomito poggiato al bracciolo del trono, alzò lo sguardo verso Asmodeo.

“L’adolescenza è una brutta età” parlò il capo delle guardie, intuendo i pensieri di Lucifero.

“Già. C’è chi fa scoppiare una guerra in Paradiso e tenta Eva e chi invece graffia il diavolo. Ad ognuno il suo… Ma lui è ancora un bambino”.

I due si fissarono e si scambiarono un sorriso.

“Sto invecchiando per queste cose…” concluse il re, facendosi portare da bere.

 

“Papà, non è stata colpa mia!” ripeteva Nasfer.

“Può anche essere colpa di Gesù Cristo, non me ne frega un cazzo!” lo rimproverò Alukah “Keros è il principe! Lo capisci? Qualsiasi cosa sia successa, qualsiasi ordine ti abbia dato o qualsiasi azione abbia commesso… Tu obbedisci e stai zitto! È così che funziona! Se hai voglia di soverchiare il potere, sappi che è una guerra persa in partenza. Nessuno può sconfiggere il re e mettersi contro suo figlio è la più grande stronzata che tu possa fare”.

“Ma che stai dicendo?!”.

“Mettiamola così… Se il principe, o il re, ti ordinano di toglierti i pantaloni e farti fottere, tu togli i pantaloni e ti fai fottere. Chiaro?!”.

“Ma perché?!”.

“Perché è così che vanno le cose!” sbraitò Alukah “Il re si trova in quella posizione perché ha sconfitto, e può sconfiggere, ogni singolo demone esistente. E forse pensi che il principe sia debole ma ti sbagli. Io lo percepisco. È più potente di te. Perciò smettila. E chiedi a Lilith di porgere le scuse a Keros da parte tua”.

Nasfer tentò di protestare, senza successo.

 

Dal canto suo, Keros credeva che la questione fosse chiusa ma purtroppo il re non gli dava tregua. Una volta raggiunto il ragazzo, iniziò a chiedere cosa fosse successo esattamente. E, soprattutto, perché il ragazzo non avesse reagito dinnanzi ad un attacco.

“Sei più forte di lui” gli stava dicendo “Perché non lo hai massacrato? Non aveva nemmeno un graffio!”.

“Sono affari miei” arricciò il naso il principe.

“Gli affari tuoi sono anche affari miei!”.

“Non necessariamente…”.

Lucifero si fece più assillante. Keros sospirò. Dopo un bel po’ di insistenza, il giovane si arrese e raccontò quanto successo. Il re rimase in silenzio, non aspettandosi una cosa simile.

“Non so cosa mi sia preso” ammise Keros, seduto sul letto “Finito di nutrirmi, mi sono sentito così strano… Era come un sogno. Provavo un desiderio assurdo. È normale?”.

“È del tutto normale” lo rassicurò Lucifero, serio “Capita a tutti”.

“Davvero?”.

“Certo. Solo che crescendo riesci a controllare quella sensazione ed incanalarla nella giusta direzione”.

“Nella giusta direzione?”.

“Sì. Magari picchiando qualcuno o scopando qualcuno di consenziente. Non sei più un bambino. Me ne accorgo, forse, un po’ tardi”.

“Capisco…”.

“C’è altro che vuoi chiedere?”.

“Non vorrai mica farmi discorsi stile api e fiori, vero?!”.

“Ti servono? No perché mi pare che le cose ti siano state mostrate in modo più che esplicito fin da bambino”.

Keros si lasciò sfuggire una risatina. Poi tornò serio. Il re stava di nuovo giocando con la piuma del cappello, che il principe aveva poggiato su una scrivania.

“Io sono veramente figlio di Carmilla?” chiese poi, volgendo lo sguardo altrove.

“Ovvio!” sbottò il re “Gli somigli tantissimo”.

“Davvero? Perché lei era bellissima…”.

“E tu forse non lo sei? Chi ti ha messo in testa certe idee? Quella rana di Nasfer?”.

“Oh, andiamo. Sono così strano”.

“Definisci il termine strano”.

“Non sono molto demoniaco, no? Dai, non fare finta di non capire!”.

“Bene. Definisci il termine demoniaco”.

“Mi sfotti? Io sono piccolo, con questi disegni orrendi e…”.

“Smettila. Ogni creatura che vive all’Inferno è unica ed irripetibile, particolare in qualche modo. Non permetto che tu ti senta inferiore a loro, non ne hai alcun motivo. Il corpo che hai è magnifico e devi avere rispetto di esso. Io un tempo ero il più bello degli angeli, vuoi che mi metta a fare i paragoni rispetto a ciò che sono ora? Ognuno di noi nasce in modo diverso, ognuno di noi ha cose belle e uniche. Quei disegni che porti sul corpo sono unici, sono magnifici. Tutto quel che tu sei è magnifico. Devi esserne fiero. E portarne rispetto”.

“Ma che parli a fare tu? Non hai mai avuto problemi del genere!”.

Lucifero lasciò trascorrere qualche istante. Poi si scosto un grosso ciuffo di capelli dagli occhi e distolse lo sguardo.

“Lascia che ti racconti una cosa” mormorò poi, tornando a fissare il principe.

Il giovane si stupì. Il demone gli mostrò la mano sinistra, su cui si notava un anello inciso a motivi intrecciati.

“Quando ero in cielo…” iniziò a raccontare il re “…ero il più bello ed il primo creato. Ma assieme a me era nata un’altra creatura. Sophia”.

“La parte femminile di Dio?”.

“Sì. Meravigliosa. Splendida. Perfetta. Ed io me ne innamorai. Al tempo non c’erano certo tanti precedenti, perciò non capii minimamente quel che mi stesse accadendo”.

“Che hai fatto allora?”.

“Ho parlato con mio padre. Non vedevo alternative. Al tempo mi era sembrata la cosa più giusta”.

“Uh, che cosa brutta…”.

“Già. Puoi immaginare la reazione. Mi sentii dire che provavo una cosa sbagliata, che dovevo pentirmi, che commettevo peccato e via dicendo. Ed io mi sono sentito davvero strano, fuori posto, colpevole…”.

“Ma lei…?”.

“Ovviamente, nonostante le ore passate a pentirmi, i sentimenti che provavo per lei non accennavano a mutare. Anzi! Si facevano più forti! Così decisi di confessarle tutto, anche perché per cercare di guarire da quello che mi sembrava una grave anomalia, eravamo stati separati. Rivedendola, ho capito che non era un peccato. Era amore, e non l’amore che gli angeli provano per Dio. E l’ho baciata”.

“Wow…”.

“Ci siamo regalati questi anelli come segno di legame eterno. E detti tante di quelle stronzate da far ribrezzo allo zucchero. Mi spingeva a rimanere fedele ai miei ideali, a lottare per ciò che volevo…”.

“Quindi eravate innamorati. E poi? Cosa è successo?”.

“Non lo so. So solo che io sono qua. E lei è rimasta in cielo”.

“Ti ha spinto ad iniziare la guerra contro Dio e poi non è rimasta al tuo fianco?”.

Lucifero alzò le spalle, con un mezzo sorriso. “Come vedi… tutti prima o poi hanno problemi simili”.

“Ma l’amore che cos’è?”.

“Un’utile sopravvalutazione di un semplice istinto necessario per la sopravvivenza della specie”.

“Eh?”.

“Lascia stare. Piuttosto, non farti troppe seghe mentali. Un giorno troverai la persona che ti accetta per quello che sei e che anche a te piacerà. Ma fino a quel momento… Fai pratica! E ricorda che amore e sesso sono due cose ben distinte. La prima è un casino. Concentrati sulla seconda”.

Keros fissò il demone con aria piuttosto confusa. Lucifero rise.

“Ora io devo tornare al lavoro, Keros. Che dici se domani andiamo a caccia?”.

“Davvero? Io e te da soli? Bello… Come mai?”.

“Per tirarti su il morale”.

Il principe annuì, mentre il re si avviava verso la porta.

“Ah… È vero che Keros è un nome da donna?” riuscì a chiedere il giovane.

“Per alcune tradizioni sì. Ma non per quella che ho scelto io. Si tratta di un nome ebraico che significa "curva di disonestà". Carino, no? Per i greci invece è il nome di un’isola e deriva dal nome di una divinità legata alla fertilità. Quel Nasfer dice un sacco di stronzate. Non darci troppo peso”.

“Non ci do peso..”.

“Nella vita incontrerai tante persone. Molte di esse le troverai insopportabili, alcune le apprezzerai, certe le vorrai uccidere ed altre le ucciderai per davvero. Fa tutto parte della vita. Vai avanti. Tutto scorre, mai sentito?”.

Keros annuì.

“Non hai fatto nulla di male” concluse il re, con un ghigno “Se era intelligente, ne avrebbe approfittato. Sei comunque il principe!”.

 

Rimasto solo, Keros si fissò il braccio tatuato con un certo fastidio. Era davvero schifato da quei segni. Ruotò gli occhi, quando alla porta qualcuno bussò.

“Basta gente per oggi. Lasciatemi in pace!” si lagnò e nella stanza entrò una donna.

“Le camere del re sono al piano superiore. Avete sbagliato stanza” le disse, dopo averla inquadrata.

Lei rise, divertita.

“Voi siete il principe, giusto?” chiese, con voce dolce.

“Sì. Il principe strambo…”.

“Allora non ho sbagliato stanza”.

“Prego…?”.

“Sono un regalo. Da parte del re”.

La donna scostò un velo semitrasparente che portava attorno al collo. Keros rimase qualche istante in silenzio, con un’espressione da ebete.

“Rilassatevi, principe. E ditemi che posso fare voi”.

“Che cosa dovrei… Cioè…”.

Il giovane tentò di formulare una frase compiuta. Lei rise.

“Voi sapete che faccio nella vita, immagino” sorrise la donna, allungando un braccio coperto da morbidi veli “Sono una Succubus, una demone del sesso. Nulla può imbarazzarmi. Chiedete pure tutto quel che volete”.

“Io…”.

Keros la osservò. Era così bella e così aggraziata! Fra i lunghi capelli portava perle e catenine d’oro, intrecciate fra i ciuffi di un’intricata pettinatura. Indossava una veste composta da diversi veli sovrapposti, di colori diversi, che andavano a creare sfumature in continuo movimento. Era scalza, ai piedi portava solo una cavigliera collegata all’alluce con una catena. Se ne stava ferma, con le gambe leggermente incrociate, come pronte per danzare.

“Qual è il vostro nome?” riuscì infine a chiedere il principe.

“Il mio nome?” si stupì la donna.

“Sì. Dovete averlo un nome, no?”.

“Certo. Mi chiamo Raija. Ora potete darmi del tu, vi va?”.

Lui annuì, salutandola con un baciamano.

“Coraggio” incitò lei “Come posso soddisfarvi?”.

“Io… non lo so. Non ho mai…”.

“Non è un problema. Lasciate che vi faccia rilassare un po’…”.

La donna invitò Keros a chiudere gli occhi ed iniziò a massaggiargli le spalle, complimentandosi per la bellezza di quei capelli rossi.

“Hai avuto tanti uomini, Raija?”.

“Uomini, donne... È il mio lavoro, principe”.

“Ma io come potrei… insomma… Non sono capace di…”.

“Il sesso è come scrivere. Più si fa pratica e meglio è. Ed io sarò lieta di insegnarvi. Sono la migliore”.

Il principe arrossì. Lei tentò di dargli un bacio, ma lui la fermò. “Niente baci sulle labbra, per favore”.

La demone obbedì e lo baciò sul collo. Keros sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

“Come siete teso, signore. Rilassatevi…”.

Keros non riusciva proprio a sciogliere i nervi. Continuava a pensare a quanto successo con Nasfer e la sua mente vagava altrove.

“Permettetemi di togliere un velo per voi” mormorò lei, spogliandosi di una delle stoffe che la copriva.

“Sei molto bella, Raija” ammise il giovane.

“Grazie. Ed adoro dare e ricevere piacere. Perciò lasciate che vi mostri quel che so fare”.

Il principe annuì, non sapendo che altro fare. Era tutto così diverso… Quando si era ritrovato ad osservare Lucifero in determinate situazioni, lo aveva visto sicuro di sé, perfettamente consapevole di quel che voleva ottenere e come ottenerlo. Keros non pensava che fosse così difficile fare lo stesso. Era come impietrito, spaventato. E se lei poi reagisse come Nasfer? Che doveva fare per non farsi attaccare?

La demone ignorava quei pensieri e con mani esperte scopriva il petto di lui.

“Oh, giovane principe…” disse, con tono dispiaciuto “…che vi hanno fatto qui?”.

Prima passò un dito sulla ferita e poi, lentamente, usò la lingua. Keros trattenne il fiato.

“Che buon sapore avete, mio signore” sussurrò Raija.

“Posso assaggiare il tuo?” si ritrovò a dire il ragazzo.

Lei non rispose. Scoprì il collo e lasciò che il demone vampiro vi affondasse i denti. Lanciò un gemito e Keros lo trovò molto eccitante. Era solo un assaggio, qualche sorso di prezioso sangue, ma quel poco gli bastò per annebbiare in parte il suo giudizio. La morse di nuovo, questa volta sulla spalla. Poi ne scoprì un seno e lasciò il segno dei canini anche su di esso.

“Ti faccio male?” si preoccupò e lei scosse la testa.

Un po’ impacciato, il giovane ne cinse la vita, invitandola a danzare. Raija danzò e, ad ogni piroetta, uno dei veli che la copriva cadeva in terra e scivolava lungo la pelle della succubus. L’ultimo di essi, color del cielo, la donna lo usò per abbellire le sue movenze. Lasciò che ne accarezzasse la pelle e poi lo avvolse attorno al collo di Keros, che lo annusò.

“Vi piace il mio profumo?” domandò lei “Lo volete su di voi?”.

Il principe sorrise, ma bloccò la mano di lei che tentava di spogliarlo. Prima di lasciarla fare, spense le poche candele della camera. Raija ammise di non riuscire a vedere nulla.

“Sarà come un gioco” le spiegò lui “Spero ti piaccia…”.

In realtà, il giovane voleva celare i tatuaggi ad occhi indiscreti. Non lo aveva mai fatto prima, ma quella sera non si sentiva a suo agio. La demone si lasciò trascinare a letto e riuscì a capire di trovarsi sopra al principe.

Lui rise, più per l’imbarazzo che per qualsiasi altra cosa.

“Sto cercando una cosa” cantilenò lei, tastando con le mani chi stava sotto di lei.

Keros intanto si godeva la nuova sensazione che un seno nudo gli donava sulla pelle. Era piuttosto piacevole il tocco vellutato delle dita di lei, che scendevano sempre più in basso e si insinuavano fra stoffe e vesti.  Lui rimase immobile, chiudendo gli occhi. Come demone vampiro, era perfettamente in grado di vederla nel buio totale. Però non gli sembrava giusto, così decise di serrare le palpebre. Si lasciò sfuggire un gemito quando lei, risollevando il busto, permise al principe di penetrarla.

“Le piace come gioco?” sussurrò la demone.

“Oh, sì!” gemette lui.

“Sono brava?”.

Lui non rispose. Era sopraffatto dalle sensazioni piacevoli che provava. Dal profumo e dal sapore di lei, dal suo muoversi ritmico e da quella voce. Quelle parole, che poi divennero gemiti e sospiri di piacere, cancellavano ogni altro pensiero. I denti da vampiro si mostrarono d’istinto, mentre gli artigli si piantavano fra le lenzuola. E capì per quale motivo Lucifero apprezzasse tanto quel gioco.

 

Ciao a tutti! Il mio aggiornamento prima di Pasqua. Avevo in mente una scena finale ben più esplicita, ma avere la bambina sempre attaccata peggio di un koala… diciamo che smorza l’entusiasmo! Cercherò di rimediare presto!

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Capitolo 13
*** Caccia. parte prima ***


13

                                                                                                   CACCIA         

 

PARTE PRIMA

 

Perso in lontani pensieri, Keros osservava il paesaggio. In groppa ad una veloce creatura infernale, inseguiva anime erranti assieme a Lucifero. Il vento soffiava con insistenza e faceva lacrimare gli occhi al giovane, che si chiedeva come facesse il re a rimanere impassibile. In quella zona dell’Inferno, l’odore di zolfo era lievemente più pungente e non vi sorgevano città. Era il terreno ideale per liberare qualche anima per poi inseguirla, in un sadico gioco punitivo.

“Adoro quando strillano” ghignò Lucifero, dopo aver trafitto una preda con il suo arco.

Ovviamente le anime non morivano, ma soffrivano terribilmente e lanciavano grida agghiaccianti. A Keros non facevano minimamente pietà, perché sapeva che la loro permanenza agli inferi era determinata da condotte esecrabili in vita. Anche lui, risvegliato dai pensieri da quello strillo, tese il suo arco e colpì un’errante, con un sorriso divertito.

“Pensavo ti fossi incantato” lo stuzzicò il re “Cos’è che ti fa distrarre tanto?”.

Keros non rispose. Non sapeva cosa dire. La sua vita, dopotutto, non poteva considerarla di certo brutta. Stava studiando per diventare un tentatore e procacciatore di anime, e questo gli permetteva di gironzolare per il mondo umano piuttosto a lungo, come apprendista del suo maestro. Imparava le lingue umane, che doveva conoscere alla perfezione per potersi relazionare con loro, ed i loro costumi. Nel mondo dei demoni trascorreva il tempo fra caccia, feste di palazzo ed incontri occasionali. Doveva essere felice, ma a volte si lasciava sfuggire un sospiro, dovuto da non sapeva dire che cosa.

“Cosa tiene così impegnata la tua testolina color ciliegia?” continuò Lucifero, dopo aver scoccato un’altra freccia contro un’anima.

“Niente di particolare” alzò le spalle Keros, con una strana voce altalenante dovuta alla pubertà.

“Non raccontarmi cazzate” gli sibilò il re, accigliandosi leggermente.

“Niente di particolare, davvero”.

“Ok… Va bene. Sono poco convinto, ma non insisto. Piuttosto… Come va l’addestramento con Mefistofele?”.

“Dovresti chiederlo a lui. Io non so giudicarmi da solo”.

“Lo sto chiedendo a te. Ti diverti? È quel che ti piace?”.

“Sì. Direi di sì. Perché?”.

“Hai sempre quella faccia strana. Come se ti mancasse qualcosa”.

“Anche tu hai spesso quella faccia! Anche adesso”.

“Keros… Quel che mi manca, nel mio caso, sono le ferie”.

Entrambi risero. Poi il giovane colpì un’altra anima, che lanciò un grido acuto e straziante.

“Però…” riprese Lucifero, dopo un po’ “…in effetti ci sono un paio di cose a cui sto pensando”.

“Tipo ricordarti il nome di quelle tre con cui sei stato ieri notte?” ghignò Keros, spronando la sua cavalcatura ad accelerare per raggiungere un gruppo di anime in fuga.

“Dei nomi poco mi importa” si lasciò sfuggire un sorriso il re “Pensavo al fatto che ci sono un paio di faccende di cui vorrei discutere con te. Fra un’anima ed un’altra”.

“Parla pure. Ti ascolto”.

“Per prima cosa… mi chiedevo se non fosse il caso di parlare di famiglia. Intendo dire che sei abbastanza grande per sapere chi sia tuo padre”.

“Tu sei mio padre”.

“Sai che non è così”.

“Sì, invece. Mi hai cresciuto. Sei tu mio padre. Ne avevamo già parlato”.

“E non c’è nulla che tu voglia sapere su di lui?”.

“Solo una cosa: è ancora vivo?”.

“Sì…”.

“E l’ho mai incontrato?”.

“Sì”.

“Bene. Non mi serve sapere altro”.

“Sei sicuro?”.

Keros inseguì un’anima, senza rispondere. Il re lo raggiunse, spronando la sua cavalcatura.

“E l’altra cosa su cui volevi discutere?” parlò il ragazzo, senza incrociare lo sguardo del demone ma rimanendo concentrato sull’anima che intendeva catturare.

“Riguarda il tempo che passa”.

“Eh già, pensa te…”.

“Pensavo di presentarti al regno come principe ereditario”.

Il giovane bloccò la propria corsa di botto e si voltò verso il re, con aria interrogativa.

“Che c’è?” si stupì Lucifero “Perché quella faccia?”.

“Sei impazzito?”.

“No. Perché?”.

“Perché nessun demone sarà mai disposto ad accettarmi come re!”.

“Mica intendo dire che domani tu sarai re! Con calma…”.

“Ma manco fra un milione di anni mi vorranno! Non so nemmeno se terminerò l’addestramento…”.

“Che? Che blateri, adesso?”.

“Mi hai visto bene?”.

“Sì. Sono vecchio, ma non ancora cieco! E se ricominci con la storia che non sei all’altezza di questo e di quest’altro… giuro che ti prendo a sberle!”.

“Ma dai! Perché proprio io? Intendo dire… A palazzo ci sono tante donne e molte di loro hanno avuto figli. Perché proprio io? Non sono più figlio tuo di quanto non lo siano loro!”.

“E perché no? Dammi una sola ragione. Serve una figura giovane, nuova. Noi di prima generazione siamo inquadrati e ormai nauseati. Tu ami quel che fai. Ami l’idea di diventare un tentatore ed è questo che voglio. Voglio la passione. E tu ne hai. Ne hai molta”.

“Passione? Io?”.

“Sì. E non mi interessano i discorsi sul fatto che ti senti ridicolo con quel tuo corpo o cose del genere. Il corpo che hai è magnifico, già te l’ho detto. Ed ogni singolo corpo è magnifico, e non perché lo ha creato Dio o cazzate simili. Ognuno ha dei lati belli ed altri un po’ meno belli, chiedi al tuo maestro come valorizzare tutto ciò che sei. Non sei come lui? Non sei come il tuo maestro? Ovvio. Nessuno è come lui. Così come nessuno è come te. Ognuno è unico. E poi non conosco adolescente che non si guardi e dica di non piacersi”.

“Allora dammi il tempo di valorizzarmi”.

“In che senso?”.

“Prima di annunciare a tutti che io sono il principe ereditario, dammi il tempo di poter mostrare a tutti che ne sono degno. Che ho raggiunto obbiettivi importanti, come portare al regno delle anime sconfiggendo degli angeli. O sottomettendo dei nemici del tuo potere”.

Il re rimase in silenzio. E poi annuì, con un sorriso.

“È un patto” gli disse, allungando la mano verso quella di Keros e stringendola.

“Sì. Te lo prometto. Per i miei mille anni, per la mia maggiore età, potrai dire a tutti che sono il tuo erede, perché ti giuro che ne sarò degno”.

 

Osservando il suo maestro, Keros pensò di aver parlato un po’ a sproposito. Mefistofele era scaltro, affascinante ed ipnotico. Con gli umani, giocava. Li traeva in inganno con estrema facilità e sottraeva loro l’anima con piacere e soddisfazione.

“Oggi voglio prendermi una pausa” aveva comunicato, inaspettatamente, al suo allievo, passeggiando per il mondo terrestre “Ci pensi tu all’umano ed alle sue richieste assurde”.

“Come?! Ma io non sono in grado. Non sono pronto” era stata la risposta di Keros.

“Senti…” sospirò Mefistofele “…in questo lavoro, la sicurezza in sé è fondamentale. Devi credere in te ed essere certo delle tue capacità”.

“Ma…”.

“Il se ed il ma sono termini che non devi MAI usare. Ed adesso dimmi: di che hai paura? Di sbagliare? Guarda che capita a tutti. In questa caccia continua, qualche anima la perderai di certo. Perché ricorda che, anche se dovessi svolgere un lavoro perfetto, c’è sempre quella clausola di merda della redenzione finale. Ovvero se un umano alla fine dei suoi giorni si pente, può anche essere stato il peggior figlio di puttana della storia, se viene perdonato poi va in paradiso. Sai quante volte mi è capitato? L’importante è non demordere, e passare all’anima successiva”.

“Ma non voglio rovinare tutto il lavoro che hai fatto fin ora”.

“E come? E poi, ragazzo… Vuoi o no fare questo mestiere? Lo hai scelto tu. Pensavi fosse più semplice?”.

“No. Solo che…”.

Mefistofele ruotò gli occhi. Keros si guardò attorno, mortificato. Il maestro era parecchio più alto dell’allievo e quindi guardarlo dall’alto al basso gli veniva facile.

“Hai forse paura dei paragoni padre/figlio?” ipotizzò Mefistofele, alzando un sopracciglio.

“Paragoni?” mormorò Keros.

“Sì. Insomma… Hai capito! Tutti si aspettano grandi cose da te. Sei il figlio del capo. Sei il figlio di Lucifero. Io sono figlio di Dio, perciò capisco certi tuoi timori. Però vedi… Essere figlio suo offre dei vantaggi. Certo, non potrai mai essere come lui. Lui è il primogenito, il più forte, il più bello, eccetera. Ma tu hai qualcosa che lui non ha: il totale libero arbitrio”.

“Lucifero ha il libero arbitrio!”.

“Ah sì? Chiedigli che succede se decide di lasciare l’Inferno e cambiare mestiere”.

“Che succede…?”.

“Muore. O almeno credo. Ci abbiamo provato solo una volta noialtri della prima generazione a lasciare gli inferi. E sai che succede? Dobbiamo rientrarci, trascorso un determinato periodo. Altrimenti stiamo male, molto male. Specie tuo padre. Ecco perché torno spesso giù di sotto. Tu, e tutti i demoni di seconda, terza e successive generazioni, non avete questi problemi. Non sei stato maledetto da Dio, perciò potresti anche decidere di aprire un’osteria e mandare a fanculo tutto”.

“Nemmeno se io divenissi il re, lui potrebbe andarsene dall’Inferno?”.

“Potrebbe andarsene solo se chiedesse perdono a Dio. Non accadrà mai! E lì torniamo al discorso della sconfitta che abbiamo fatto pochi istanti fa. Dinnanzi ad una sconfitta, perché ricorda che noi demoni siamo stati sconfitti e cacciati dal Paradiso, sì può reagire in due modi: distruggersi o distruggere. Puoi piagnucolare per sempre oppure puoi reagire e spaccare tutto, avere la tua rivincita. Il re ha creato l’Inferno, si è creato un regno dove è Dio. Dove comanda e dove l’occhio divino non può giungere. Certo, non è fra i più ospitali ma non deve esserlo. L’Inferno è l’immagine della rabbia che porta dentro Lucifero”.

“Ed è una cosa buona essere così pieno di rabbia?”.

“Mi chiedi se gli farebbe bene un periodo di psicanalisi? Certo che sì. Ma questi non sono affari miei. Io devo pensare a te, giovane pupillo della famiglia reale. Vuoi fare questo mestiere?”.

“Sì”.

“Allora impegnati!”.

 

L’uomo che stava tentando in quel periodo Mefistofele era un dottore, o perlomeno si definiva tale. Aveva studiato molti campi e rami della conoscenza, giungendo infine alla magia nera. Keros non ne capiva la ragione. Il suo maestro gli aveva spiegato che l’essere umano è dotato di intelligenza ma che, quasi sempre, questa dote veniva sprecata in modo scemo. Ed in molti casi questa dote era parecchio minuscola nel cervello umano. Non era il caso di quel dottore tedesco, che di certo brillava di intelligenza ma probabilmente non aveva ben capito dove indirizzarla. Il giovane allievo, che trovava la lingua tedesca al pari del peggior dialetto degli inferi, aveva osservato il suo maestro mentre abilmente stringeva un patto con quell’essere. Desiderava un attimo di felicità. Uno soltanto. Non sembrava così difficile da accontentare. Ma, come aveva avuto modo di spiegare Mefistofele, gli esseri umani si dividevano in due categorie. Il primo gruppo si rialzava ad ogni affanno ed era facile portarlo al riso o al pianto, provava momenti di pura gioia e si risollevava dopo il dolore. Il secondo era quello composto da creature che, se fossero divenute padrone del mondo, si sarebbero chieste perché non possiedono pure la luna. Purtroppo quel dottore faceva chiaramente parte del secondo gruppo.

“Non devi avere timore” aveva ghignato Mefistofele “Anche se non è mai contento, ha fatto un patto con noi. Dobbiamo solo avere pazienza”.

Keros aveva imparato che gli esseri umani in sostanza chiedono sempre le stesse cose: amore, fama, ricchezza, salute, felicità. Ed aveva anche imparato a diffidare di chi chiedeva certi favori per altri, perché quel loro sacrificio spesso veniva considerato da Dio come un atto degno del Paradiso. Per fortuna capitava raramente, perché di base l’uomo era stato creato egoista ed idiota. E la donna? Già… Perché raramente le donne stipulavano simili patti?

“Perché sono più furbe” aveva spiegato il maestro “E sono più complicate. Non cercano, solitamente, fama e potere. Preferiscono amore ed attenzioni. Ma poi sanno come fregarti. Tutti noi siamo stati fregati almeno una volta da una donna. Perfino il re. Non so se te ne ha parlato”.

“Sophia? Sì, me ne ha accennato”.

“Io gli avevo detto di lasciar perdere, quando eravamo ancora angeli. Ma era già testardo ed orgoglioso come ora. Adesso organizza quei festini con le donne definite streghe ma poi gli umani le bruciano e Dio le accoglie in cielo perché uccise ingiustamente. Figurati se sul rogo una non prega per la salvezza…”.

“Però anime femminili ce ne sono all’Inferno”.

“Certo. Di donne stronze è pieno il mondo. Mai detto il contrario. Così come ci sono le demoni tentatrici. Sono rare, ma ci sono. Come tua madre”.

“Conoscevi mia madre?”.

“Tutti la conoscevano. E tu hai molti tratti in comune con lei. Dovresti sfruttarli”.

Keros rimase in silenzio. Osservò il suo maestro mentre mostrava a quel dottore nuove conoscenze e lo spingeva oltre ogni limite.

Un paio di volte era capitato che incrociassero qualche angelo, che sorvegliava la situazione e cercava di convincere l’umano a dedicarsi al pentimento ed alla penitenza. L’allievo aveva imparato a non provare più timore nei loro confronti, anche se preferiva non stuzzicarli.

Quel pomeriggio, gli angeli avevano tentato di seguire Mefistofele e l’umano tentato ma erano spariti quando la meta del demone era diventata un ritrovo di giovani fanciulle.

“Non esiste uomo in grado di resistere allo spettacolo di una bella donna dinanzi agli occhi” aveva ghignato il demone.

Keros si era soffermato ad ammirare quelle donne. Erano belle, comprendeva perché alcuni angeli fossero caduti e divenuti demoni perché innamorati di loro. Ed anche il tentato non era rimasto indifferente, pur avendo sempre quella faccia da “mi fa schifo la vita”. Ora l’allievo iniziava pure a comprendere perché Lucifero fosse così irritato da certi suoi atteggiamenti: si ripromise di essere più soddisfatto della sua vita. Dopotutto non aveva ragione di lamentarsi…

 

“Oggi è andata bene con l’umano, no?”.

La giornata era terminata, e maestro ed allievo ne stavano discutendo.

“Direi di sì” sorrise Mefistofele.

“Chiedo scusa se non ho voluto agire di persona. Domani lo farò. Lo giuro”.

“Bravo. Sarebbe ora…”.

Keros arrossì.

“Però…” mormorò “…ecco…”.

“Cosa c’è? Io oggi avevo ben altri programmi,sai? Ma non si può lasciare questi stupidi umani da soli nemmeno per qualche ora. Se li intercettano gli angeli, è un’anima persa!”.

“Domani. Domani potrete dedicarvi a ciò che desiderate, maestro. Mi occuperò io dell’umano. Però…”.

“Non iniziare a darmi del Voi. Mi fa sentire vecchio. E però che cosa? Parla!”.

“Vi prego, fatemi capire. Parlatemi. Ditemi cosa c’è di bello in me. Spiegatemi come posso tentarlo, da solo. Cosa c’è in me che mi rende adatto a fare il procacciatore?”.

L’allievo aveva chinato la testa, con fare remissivo e di supplica.

“Vuoi che te lo dica?” biascicò Mefistofele, servendosi del vino.

“Sì, vi prego”.

“Benissimo. Allora, tanto per cominciare, spogliati”.

“Che…?!”.

Keros arrossì e non rialzò la testa, spalancando gli occhi e continuando a fissare il pavimento.

“Spogliati” ghignò il maestro, afferrandogli il viso “Fallo e poi ti spiego, ragazzino”.

 

Aggiornamento!! Confesso che quel che seguirà non lo avevo inizialmente inserito nella storia ma una fan (lei sa chi è… ha commentato la storia :P) mi ha fatto venire questa idea. A presto. Prestissimo! (spero)

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Capitolo 14
*** caccia. parte seconda ***


14

CACCIA

 

PARTE SECONDA

 

“Perché… Perché dovrei farlo?” balbettò Keros, mentre Mefistofele ghignava divertito.

“E perché no? Obbedisci, allievo”.

“Ma che senso ha?”.

“Devi imparare ad avere fiducia in te, no? Se riuscirai a fare quel che ti dico, non avrai più paura di nulla. Avanti. Spogliati!”.

Il giovane rimase immobile per qualche tempo, perplesso. Mefistofele sedette, con una risatina divertita. Si trovavano in una stanzetta buia, illuminata solo da poche candele, nel mondo umano. Accanto alla finestra, un semplice tavolo in legno e due sedie, una delle quali stava utilizzando il maestro. Dal lato opposto, un letto che solitamente usa solo Keros, perché Mefistofele rientrava all’Inferno quando era stanco. Non vi era molto altro, ma per il lavoro che dovevano svolgere era più che sufficiente.

“Non capisco…” mormorò Keros.

“Non devi capire. Devi obbedire”.

Il giovane allievo comprese di non avere alternativa ed iniziò a togliere le vesti che lo coprivano.

“Sei parente di Ramsete?” commentò Mefistofele, notando le bende che celavano i tatuaggi su buona parte del corpo del ragazzo.

“No. Non sono una mummia” si sentì rispondere, con tono infastidito.

“E allora perché quelle bende? Hai forse cicatrici di cui ti vergogni? Tranquillo, tutti i demoni ne hanno. Ho detto che devi spogliarti. Completamente!”.

“Ma…”.

L’apprendista procacciatore d’anime non si mosse.

“Che c’è?” stuzzicò il maestro “Hai ancora il cazzetto da moccioso? Dalla tua voce altalenante, devo dedurre che l’adolescenza è in corso. Per caso certe cose non sono ancora cresciute?”.

“Sono cresciute benissimo” furono le parole, infastidite, di Keros.

“Allora spicciati. Voglio averti nudo davanti a me. Fallo, o ti spoglio io”.

Il principe si arrese e si spogliò completamente, svelando anche tutti i tatuaggi.

“Comprendo la tua riluttanza” si fece serio il maestro, passando con lo sguardo ogni singolo centimetro del suo allievo “Quei disegni sono davvero strani. Meglio coprirli dinnanzi a chi non conosci. E davanti agli umani, che non sono abituati a simili cose”.

“Bene… Posso rivestirmi?”.

“Certo che no. Abbiamo appena iniziato! Ora guardami negli occhi e fingi che io sia un umano di cui vuoi l’anima. Convincimi. Fammi capire che tu possiedi quel che desidero”.

“Però… io non so che cosa desiderate!”.

“Non lo sai nemmeno quando incontri un umano per la prima volta. Ma ai suoi occhi devi risultare sicuro ed allettante. Devi tentarlo, convincerlo che ha un assoluto bisogno di te. Convincerlo che tu possiedi tutto ciò che al mondo brama”.

“Ma…”.

“Piantala! Smettila di ribattere e cianciare”.

“Ma perché devo farlo nudo?!”.

“Già te l’ho detto: se riuscirai ad essere convincente così, nudo e vulnerabile, qualsiasi altra situazione sarà una passeggiata”.

“Per me siete solo un pervertito”.

Mefistofele rise, mormorando un “non hai ancora la minima idea di chi hai davanti”.

L’allievo capì che era meglio obbedire. Prima finiva quella “prova”, e prima poteva tornare a rivestirsi. Chiuse gli occhi. Quando li riaprì, brillavano leggermente.

“Bravo. Usa il tuo potere” ghignò compiaciuto il maestro “Non tentennare. Sguardo fiero, spalle dritte e sicurezza. Secondo te un umano firma un contratto con un demone esitante? Deve essere assolutamente certo di dare la sua anima a chi saprà accontentarlo al cento per cento”.

Keros annuì. Prese un respiro, accentuando ancora di più la luce negli occhi, e infine sorrise. Mefistofele sedeva su una sedia e rispose a quel sorriso, curioso di vedere come l’allievo avrebbe tentato di conquistare la sua anima. Il giovane camminò, senza distogliere lo sguardo dal volto di chi aveva di fronte. Doveva sembrare sicuro di sé ed allo stesso tempo doveva tentare la sua vittima. Subito pensò al demone che lo aveva cresciuto. Lucifero riusciva sempre ad ottenere quel che voleva, con o senza i vestiti addosso. Scostò dal viso un ciuffo di capelli rossi, con fare civettuolo, e si avvicinò a Mefistofele.

“Convincimi che possiedi tutto ciò che mi serve” lo incalzò ancora il maestro.

Il giovane sfoggiò il suo sorriso più convincente e raggiunse la sedia del suo precettore. Si lasciò osservare, camminò lentamente attorno a Mefistofele. Le sue movenze erano delicate. Il pavimento sotto i suoi piedi non emetteva un solo suono, nonostante fosse vecchio e logoro, scricchiolante con un nonnulla. Dopo essersi fatto ammirare, Keros si chinò.

“Io ho tutto ciò che desideri” sussurrò all’orecchio del maestro, lasciando che una mano scivolasse sulla pelle di chi voleva tentare.

“Sei come tua madre” si sentì dire, mentre Mefistofele lo afferrava per i polsi e lo tirava a sé “Davvero hai tutto ciò che desidero? Sei disposto a darmelo?”.

“Ogni cosa ha un prezzo…”.

“Ed il tuo quale sarebbe?”.

L’allievo rimase in silenzio, concedendo al maestro di osservarlo più da vicino e sentirne il profumo della pelle. Rimase in silenzio, a riflettere, e poi rispose.

“Sangue” disse.

“Sangue?” chiese conferma Mefistofele.

“Voglio bere il tuo sangue. Siete un demone, non avete un’anima. Ma il sangue è più importante. Il sangue è ciò che voglio”.

“Sei sicuro di riuscire a gestirlo?”.

Maestro ed allievo rimasero in silenzio a fissarsi, con gli occhi di Keros che si facevano sempre più luminosi.

“Ho capito…” ghignò il demone, porgendo il polso al giovane principe “…dai… Te lo sei meritato”.

Questi fissò il punto in cui avrebbe voluto affondare i canini e rimase immobile.

“Che ti prende? Non hai più fame?” chiese Mefistofele, avvicinando il braccio al ragazzo.

Keros aveva appetito, bramava quel sangue. Però era consapevole delle conseguenze che comportava il contatto con il potere che non poteva gestire. Un tempo Lucifero gli concedeva qualche goccia di sangue ma non da saziarlo ed a volte poi gli provocava malessere e dolori. Senza contare il dettaglio della perdita d’inibizioni che non sapeva del tutto controllare…

Da quando aveva imparato a cibarsi autonomamente, e raramente aveva morso dei demoni, se non a livello inferiore e quindi innocui. Il maestro probabilmente intuiva il pensiero dell’allievo, ma continuò ad incitarlo.

“Perché non ti credi all’altezza?” gli disse, afferrandone il viso con due dita.

“Io… non…” farfugliò Keros, infastidito.

“Sei un magnifico tentatore. Hai un notevole potere. Usalo. Nella vita potrai ottenere ciò che vuoi, per come sei. Certo… Devi avere il coraggio di prendertelo…”.

Il ragazzo si sentì lusingato a quelle parole, anche se sospettava fosse tutto un trucco. Ma lasciò perdere ogni pensiero ed affondò i denti nel polso del suo maestro. Subito il sangue caldo gli riempì la bocca e scese lungo la gola. Ne percepì il potere, e si sentì carico di energia. Lasciò che il proprio sguardo di illuminasse e che la sete si placasse. Poi riprese fiato e ghignò, con un rigolo di sangue che ne bagnava le labbra e parte del viso. Elegantemente, si ripulì con il dorso dell’indice. Mefistofele rimase in silenzio ad osservarlo, tirandolo poi di nuovo a sé.

“Ed ora?” sussurrò all’orecchio “Il pagamento lo hai avuto, tocca a me”.

Keros, intontito dalla nuova forza che gli scorreva in corpo, dapprima si lascò afferrare e poi rise.

“Lo dicevo io che siete un vecchio pervertito” furono le sue parole, divertite.

“Ma che hai capito?! Quel che voglio è che ti occupi per un giorno del mio umano, come si era detto all’inizio di tutta questa conversazione”.

“Come il mio maestro desidera” sorrise in modo strano l’allievo, inebriato.

“Anche se…”.

Il principe si sentì trascinare di nuovo per i polsi fino ad avere il respiro del suo maestro sul collo.

“…ho sempre sognato di farmi tua madre…”.

Keros la trovò leggermente inquietante come frase ma lasciò che chi l’aveva pronunciata gli accarezzasse i capelli e la schiena.

“Ora meglio che vada” si fermò Mefistofele “Ho delle simpatiche fanciulle che mi attendono questa sera. Non vorrei fare brutta figura… Non so se mi spiego”.

Il principe si lasciò sfuggire una smorfia divertita.

“Occupati tu dell’umano finché non torno” concluse il maestro, indossando l’elegante mantella “E rivestiti, ovviamente. Oggi hai imparato un’importante lezione”.

L’allievo annuì. D’un tratto si sentiva molto più sicuro di sé e delle sua capacità. Si ricompose, riproponendosi di sfogare l’estasi per il pasto più tardi, ed uscì a controllare la preda.

 

Il dottore era stupito nel vedere l’allievo e non il maestro varcare la soglia della propria casa e dello studio. Era affamato di conoscenza, voleva porre ogni tipo di domanda, ma non sapeva se quel giovane poteva soddisfarlo. E poi nella mente continuava a tormentarlo un pensiero.

“Voi avete una famiglia?” ebbe poi l’idea di chiedere “Voi demoni avete mogli e figli?”.

“Il matrimonio è sacro a Dio” lo derise Keros “Certo che no. I demoni non si sposano. Però possono avere una o più compagne fisse, se lo desiderano”.

“Ed i figli?”.

“Che vuoi sapere? Se ci riproduciamo come voialtri? Certo, facciamo figli. Sostanzialmente con chi capita”.

“E voi ne avete?”.

“No. Per due ragioni. Uno: sono giovane. Due: odio i bambini”.

“Anche io lo dicevo da giovane. Però poi…”.

“Sì, sì… credici. Perché formuli una domanda simile?”.

“Perché il mio desiderio è conquistare il cuore di una fanciulla”.

“Pensavo volessi la conoscenza!”.

“Sì. Anche. Però…”.

“Capisco… E la fanciulla sai chi sia o ancora aspetti?”.

“So chi sia. Ma non so se un demone può spingere all’amore…”.

“Può spingere alla lussuria. Che è ciò che realmente vuoi”.

Il dottore rimase in silenzio qualche istante. Poi sorrise.

“Siete mai stato innamorato?” incalzò.

“Lasciamo perdere…” tagliò corto il principe.

“L’amore dei giovani. Mera illusione o vera luce che muove il mondo?”.

“Ok…” storse il naso, perplesso, Keros “Che devo fare? Vuoi il coraggio per dichiararti o la forza per distruggere un concorrente?”.

“No… io… in realtà… Vorrei che qualcuno le parlasse di me. Lei crede che io sia un pazzo, penso abbia paura di me”.

“Avrebbe forse torto? Hai evocato un demone e ti diverti con la magia nera”.

“Lo so. Vorrei che qualcuno la convincesse che sono un buon partito. Così che io possa dopo avvicinarmi senza incutere timore. Ecco… Credo che questo sia un incarico adatto a voi. Non avete l’aria minacciosa, come il vostro maestro”.

L’apprendista tentatore pensò che fosse la richiesta più stupida del mondo. Poi udì il suono delle campane del paese, che chiamavano in chiesa per i vespri.

“Bene…” parlò, con calma, sistemandosi un guanto “…meglio che mi affretti. La fanciulla starà per entrare in chiesa. Qual è il suo nome?”.

“Ma… Voi siete un demone! I demoni entrano in chiesa?”.

“Io sono speciale. Lo vedrai…”.

Sul viso del mezzodemone comparve un ghigno che l’umano non riuscì ad interpretare. Ma capì che la sua richiesta sarebbe stata esaudita. E quindi espresse tutta la sua riconoscenza.

“Vi ringrazio!” esclamò, con un mezzo inchino “L’avete già incontrata. Più volte mi sono avvicinato senza avere il coraggio di dichiararmi. È la giovane dai capelli d’oro che lavava i panni al fiume. Lei si chiama Margherita. E voi? Qual è il vostro nome?”.

“Puoi chiamarmi come ti pare. Il mio nome appartiene a me”.

Dando le spalle al dottore, Keros lasciò quella casa angusta e piena di odori nauseanti, dovuti agli ingredienti che il dottore usava per i suoi intrugli, e si incamminò verso la chiesa. Pensò a quanto fossero irritanti gli umani e la loro fissa di conoscere i nomi di tutti. Il nome di un demone era sacro, non doveva mai essere rivelato all’essere umano, o si rischiava. Se la preda lo avesse usato in un esorcismo, per il demone avrebbe significato sconfitta certa. Così, quando si ritrovò al cospetto di quella Margherita, si presentò con un nome falso. Riconobbe subito la fanciulla in questione. Per Keros rientrava nel normale standard umano: niente di speciale. Ma per gli uomini del paese era una delle più belle.

La ragazza fu subito piuttosto diffidente, ma il notare che lo straniero era giunto fino in chiesa un po’ calmò i suoi sospetti. Keros incrociò il suo sguardo azzurro e, sfruttando i proprio poteri, spinse la donna a parlargli.

“Mai mi sarei aspettata di vedervi qui” ammise Margherita.

Vestita in modo molto elegante, con un lungo abito color pastello, portava dei fiori fra i capelli intrecciati. Di tutto questo, il principe notò solo il fatto che il collo di lei era imprudentemente scoperto.

“Come mai vi stupisce la mia presenza, madame?” mormorò, mentre entrambi attendevano l’inizio della messa nel piccolo cortile della chiesa.

“Corrono voci. Su di voi e sul vostro… maestro? Ma se entrate qui, è evidente che siano infondate. Anche se fin ora non vi ho mai visto in questo luogo sacro”.

“Purtroppo il mio maestro mi tiene molto impegnato”.

“Ma la messa è un obbligo per un uomo per bene!”.

“Di fatti sono qui…”.

Margherita non sembrava convinta, ma il potere di Keros la spingeva a restare accanto a quello sconosciuto.

“Cosa vi ha spinti in questa cittadina?” chiese, vinta dalla curiosità.

“Il mio maestro ed il dottore stanno svolgendo importanti ricerche assieme”.

“Dicono che usi la magia nera…”.

“Che assurdità. Voci messe in giro da chi di scienza non capisce nemmeno le basi”.

“E allora perché il dottore non si vede più in chiesa?”.

“Voi andreste fra gente che vi crede una specie di servo di Satana? Vorrebbe almeno una voce amica, fra decine di calunnie”.

“Calunnie?”.

“Sembro forse uno che pratica magia nera? O che tollero il suo utilizzo dinnanzi agli occhi?”.

“No…” ammise lei, dopo un attimo di silenzio “Voi… siete un nobile, vero?”.

“Sì, e voi siete una fanciulla estremamente attenta ed intelligente. Nonché devota e pia donna di fede. Un giorno sarete una bellissima e ideale sposa”.

Margherita arrossì.

“Sono certo…” continuò il principe “…che una dama come voi ha molti pretendenti e vostro padre è in cerca di quello più appropriato”.

“Sono certa che anche per voi è lo stesso” sorrise lei, ancora rossa in viso “Chissà quante nobildonne aspirano a divenire la vostra consorte”.

“Spero di no. Almeno la mia donna, vorrei sceglierla senza l’intromissione della famiglia… un giorno”.

“Anche voi sperate in un matrimonio d’amore?”.

“Per voi è così?”.

La ragazza annuì. E si udì l’ultima campana, quella che indicava il prossimo inizio della messa. Keros porse il braccio alla donna, invitandola ad entrare. Lei, dopo essersi fatta il segno della croce con l’acqua santa, lo osservò fare altrettanto. Poi presero posto ed iniziò la cerimonia. Keros si guardava attorno con discrezione. Imitava quel che Margherita faceva ed ascoltava i canti stonati delle persone. La chiesa era piccola ma era presente praticamente l’intero paese, e molti erano curiosi di sapere chi fosse quel giovane straniero. Keros però non diede modo alla folla di scoprire molto. Si offrì di riaccompagnare la ragazza a casa, visto che nel frattempo era sceso il buio.

“Continuo a chiedermi come mai un gentiluomo come voi si accompagni a quello strano individuo” riprese lei, camminando piano.

“Intendete il mio maestro?”.

“Le scelte di famiglia spesso non si comprendono”.

“Non dovete temere il mio maestro. È stravagante ma non vuole la vostra anima” ghignò Keros, notando gli sguardi incuriosito di alcuni passanti.

“Siete una persona piacevole. Non lo avrei mai detto…”.

“Visto? Le prime impressioni, a volte… Per non parlare delle malelingue!”.

“Capisco. Cercherò di non ascoltare. E farò notare a tutti che siete entrato in chiesa ed avete pregato accanto a me. Un uomo malvagio non farebbe mai una cosa simile, giusto?”.

“Giusto. E ora, giunti alla vostra dimora, vi auguro la buonanotte cercando di straparvi una promessa”.

“Dite…”.

“Promettetemi che non darete troppo peso ai pettegolezzi. Il dottore è un uomo per bene. Un uomo intelligente, di scienza. Ricco e generoso. Ed in cerca di una donna come voi. Una donna capace, sveglia. E con un cuore buono”.

“Come sapete che ho un cuore buono?”.

“Volete forse negarlo?”.

“E voi? Che cosa cercate?”.

Keros non rispose. Salutò Margherita con un baciamano ed augurò la buonanotte. La ragazza, leggermente stordita dal potere del mezzodemone, rientrò in casa. E sorrise all’idea che il dottore si dichiarasse.

 

Per quello che aveva fatto quel giorno, il principe ricevette le lodi del suo maestro. L’anima dell’umano era ormai nelle loro mani e, quando finalmente l’ebbero condotta agli inferi, Mefistofele invitò l’allievo a festeggiare. Non passò molto tempo prima che il giovane fosse in grado di procurarsi da solo un’anima, da portare al re.

Lucifero era sempre più fiero di lui, anche se con il passare del tempo le preoccupazioni iniziavano a farsi sentire. Entrare in chiesa non rientrava fra le capacità da demone. Però il sorriso orgoglioso che mostrò quando portò la prima anima all’Inferno lo convinse che probabilmente era quello il suo destino. Finalmente era il principe che meritava di essere. Era sicuro di sé, curioso, entusiasta e, soprattutto, con un potere invidiabile. E rapidamente si stava avvicinando al compleanno numero mille…

 

 

p.s. il “dottore” è ovviamente Faust e la storia è quella di Marlowne (in cui l’anima di Faust finisce all’inferno, a differenza della versione di Goethe).

p.p.s. visto che mi sono già giunti messaggi strani a riguardo, non penso che la donna ideale sia quella descritta nel capitolo. Ma era l’ideale dell’epoca.

A presto!

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Capitolo 15
*** Verità -parte prima- ***


 

15

VERITÁ

 

Keros in quel momento provava molta rabbia. Sapeva che sbattersi per l’ennesima volta quell’umana non avrebbe in alcun modo giovato al suo umore. Stupida, stupida umana. Voleva gridarle in faccia che era una creatura insulsa ed idiota, inutile come tutti gli altri della sua specie. Voleva urlarle che aveva pure un pessimo sapore, che la sua anima era scialba e priva di bellezza. Ma alla fine era rimasto in silenzio, con i pensieri altrove. “Dopotutto” si disse “Se penso troppo alla stupidità di questa femmina, mi si ammoscia”. La ragazza invece, figlia di un pastore protestante, era in estasi e non faceva altro che lanciare gemiti di piacere. Keros trattenne un ringhio. Ripensò alla giornata appena trascorsa, al lungo abito regale che aveva indossato ed alla cerimonia dei mille anni. Come da tradizione, tutti i giovani che giungevano a quell’età, alla maggiore età, dovevano giurare fedeltà al regno ed il re li incoraggiava a seguire i propri sogni per mostrare a tutti il massimo delle capacità possibili.

La giornata era iniziata con un regalo. Oltre alla sontuosa veste nera, con ricami, mantello e motivi color del sangue, il re aveva regalato al suo pupillo un’elegante spada. Con l’elsa in oro, e la lama con dettagli dello stesso colore, quell’arma era un autentico gioiello d’artigianato e Keros se ne innamorò immediatamente. La indossò con orgoglio, sfilando assieme agli altri della sua età. Non erano in molti, Lucifero li esaminò e diede ad ognuno consigli preziosi. Poi iniziò il cerimoniale del giuramento, al termine del quale il sovrano degli Inferi li aveva congedati, permettendo ai ragazzi di andare a festeggiare. E lì era iniziato il disappunto di Keros. In ogni istante, il principe aveva creduto che quello sarebbe stato il giorno in cui sarebbe stato proclamato l’erede legittimo, dinnanzi a tutto il regno. Ma il re non ne aveva fatto parola e così il giovane, non più in vena di festeggiare, se ne era tornato nel mondo umano. Lì, ad accoglierlo, quella stolta femmina che ora si stava fottendo.

Aveva deciso di sfogare la propria rabbia su quell’umana e quindi l’aveva presa con forza, stanco di vederla elemosinare membri maschili per il paese, colta da un’improvvisa voglia. Keros comprese che il potere del proprio sguardo demoniaco era amplificato, ora che era furioso, e la ragazza non era in grado di trattenere gli istinti. E per questo, già in parte irretita dal principe che bramava la sua anima, aveva perso ogni freno.

La villa era deserta, era uno dei tanti luoghi in cui i demoni passavano i periodi nel mondo umano. Era splendida, raffinata, Keros aveva preteso che fosse degna di un principe. Ma all’umana non importava nulla degli arredi e dello sfarzo. Urlava frasi ben poco adatte alla figlia di un pastore, mentre lui tentava invano di farla tacere. Si fece più violento, cosa per lui inusuale in certe circostanze.

“La mia anima” gemette lei “La mia anima è vostra”.

“Ovvio” si stizzì Keros “Io sono un demone. Pensi forse che in Paradiso accolgano una succhia uccelli demoniaci come te?”.

La ragazza si scompose qualche istante a quelle frasi ma poi i movimenti vigorosi del principe avvolsero i suoi sensi. Gridò, dapprima di puro piacere e poi di dolore. Keros, giunto al culmine del fastidio, aveva affondato i denti nel collo di lei. Quello sì che dava soddisfazione! L’atto sessuale con una semplice umana non permetteva ad uno della sua razza di raggiungere l’apice del piacere ma il sangue, che colava lungo la gola e sul petto, sì. Morse con forza, ignorando il fatto che l’umana lo supplicasse di smettere. Continuò fino a quando non lo travolse l’estasi ed allora lasciò la presa, concedendosi un gemito di soddisfazione. Poi ghignò alla ragazza, scostandole i capelli dal viso.

“Attenderò la tua anima all’Inferno” le sussurrò “Ho un sacco di amici che non vedono l’ora di conoscerti. In ogni modo possibile”.

La fanciulla non rispose. Era morta e Keros lo sapeva benissimo. Ora la trovava molto più bella.

 

Lasciando l’umana al piano superiore, a letto, il principe scese le scale e si diresse verso il salone principale. Lì, qualche giorno prima, aveva dato una grande festa in maschera ed ancora percepiva i profumi dei diversi invitati, fra sangue e anime. Un grande lampadario a gocce di cristallo pendeva dal soffitto, con le candele spente. I pavimenti erano in marmo bicromato e sulle pareti, fra archi e stucchi chiari, erano appesi dei ritratti con cornici in oro. Keros sedette su una poltrona dello stesso colore dei suoi capelli. Da lontano, essa sembrava decorata con motivi floreali ma, avvicinandosi, si poteva notare che il legno con lamina d’oro era sbalzato con scene di battaglia e nudi. Versandosi del vino, guardò fuori dalla finestra, da dove si vedeva il grande giardino della proprietà. Era distratto ma percepì l’arrivo del re. Come ogni dimora di stallo per demoni, anche quella aveva al suo interno un portale che conduceva direttamente all’Inferno, celato in una della tante stanze. I due si fissarono in silenzio. Erano entrambi vestiti con abiti tipici del periodo, il 1700, con prevalenza di colore scuro. Lucifero, con un mezzo sorriso, chiese di  poter aver del vino. Il principe lo servì, in una coppa d’argento, senza parlare. I tacchetti delle scarpe di entrambi rimbombavano nella sala. Poi il grande orologio a pendolo comunicò la mezzanotte.

“Bella casa” esordì il re, dopo qualche apprezzamento al vino.

“Tanto fra poco dovrò spostarmi” rispose Keros “Sono qui da una decina di anni. Ho già ottenuto cinque anime e la gente inizia a chiedersi per quale motivo non invecchi”.

“Già. Gli umani e la loro inutile vita…”.

“Già…”.

“Mi aspettavo di vederti festeggiare con gli altri della tua età” riprese Lucifero, dopo qualche istante di silenzio.

“Non ero in vena” ammise il principe, arricciando il naso come era solito fare quando era infastidito.

“E mi è concesso sapere il perché?”.

“Tu che dici?”.

“Keros… Tu non eri in vena di fare festa ed io non sono in vena di perdere tempo con giochetti da bambini”.

“È che… È da tutta una vita che non fai che ripetermi che io sono il tuo erede. Lo ripetevi sempre quando ero insicuro e non ne ero affatto convinto. Ti ho chiesto di darmi del tempo per esserne degno e si era concordato che il giorno della cerimonia dei mille anni avresti comunicato a tutti la notizia. Dove ho sbagliato? Cosa ho fatto o non ho fatto? Non sei soddisfatto di me? Non ho raggiunto gli obbiettivi che speravi?”.

“Tutt’altro. Io sono fiero di te e ti considero mio degno erede”.

“E allora perché?”.

“La verità? Be’… Quando sono entrato nelle tue stanze, poco prima dell’inizio della cerimonia, ti ho visto in modo diverso. Con quegli abiti, il lungo strascico rosso, i capelli sciolti, la spada al fianco e lo sguardo serio… Mi hai ricordato tuo padre”.

“Mio padre?!”.

“Sì. Gli somigli. E questo mi ha fatto riflettere”.

“Perché? Non vuoi sangue bastardo come erede? Ne abbiamo già parlato altre volte, no? Tu sei mio padre, tu mi hai cresciuto. A me non interessa sapere altro. Qual è il problema?”.

“Il problema…” sospirò il re, abbozzando un mezzo sorriso dopo l’ennesimo sorso di vino “…è che io voglio che tu sappia altro. Perché dichiararti principe ereditario comporta il fatto che tu rimanga per sempre legato all’Inferno, cosa che potresti evitare”.

“In che senso? Io sono un demone, non posso non essere legato all’Inferno!”.

“Sei un demone, certo. Ma non del tutto”.

Keros alzò un sopracciglio, distogliendo la sua attenzione dal panorama esterno.

“Tu per me sei la più preziosa delle creature” riprese Lucifero “Ricordo ancora quando mi prendevo cura di te. Quando ti leggevo le favole, ricordi?”.

“Certo. Con i commenti inopportuni al riguardo. Tipo dare del coglione al principe. Ma questo cosa ha a che fare con…”.

“Ricordo quando hai capito che potevi allontanare i miei incubi. Ricordo quando ti provavi i miei vestiti, ancora troppo grandi. Ricordo quando mi cercavi per un abbraccio o per del cibo. Ricordo tutte le cose divertenti che abbiamo fatto insieme e quasi non mi capacito. Sei un uomo, adesso. E non mi pare vero. E probabilmente avrei dovuto dirti la verità tanto tempo fa, ignorando il fatto che tu non la volessi sapere”.

“Papà… Basta con questi discorsi assurdi! Io…”.

“Keros… Tuo padre è un angelo”.

Lucifero pronunciò l’ultima frase tutta d’un fiato e Keros si zittì. Si fissarono, qualche istante, e poi il principe scoppiò a ridere. Il re non capì quella reazione ed inclinò la testa.

“Bello scherzo” rise Keros “Per un attimo c’ero cascato. Divertente”.

“Scherzo?”.

“Ovvio. Gli angeli non fanno certe cose”.

“E dove sta scritto?”.

“Nella Bibbia? Credo…”.

“In realtà la seconda caduta, quella narrata nel libro di Enoch, parla proprio di angeli che si sono congiunti con delle donne”.

“Non usare questi termini da finto chierichetto. La conosco la storia. Agli angeli è andato in tiro vedendo qualche umana e ci hanno fatto sesso. Generando i Nephilim, i giganti”.

“Alcuni di essi si erano innamorati, avevano creato una famiglia. Ma a Dio non è piaciuto, e questi angeli sono stati cacciati e tramutati in demoni”.

“Lo so. Per questo so che quel che hai detto prima è uno scherzo. Gli angeli non si accoppiano. Altrimenti diventano demoni”.

“Credo che in questo caso sia stata fatta un’eccezione”.

Altro silenzio. Questa volta Keros non rise.

“Rifletti…” prese di nuovo la parola Lucifero “…tu puoi entrare in chiesa, tranquillamente. Gli esorcismi ti provocano solo un lieve fastidio. Sei in grado di versare lacrime. Vedi il colore delle anime. Provi empatia. Ed i segni che porti sul corpo…”.

“Ok… Ho capito…”.

“Mi ‘spiace non avertene parlato prima. Forse…”.

“Oh, no. Meno male che non lo hai fatto. Ho passato molti secoli convinto di non essere un degno demone. Se avessi saputo di esserlo sono in parte… non so che avrei fatto”.

“Volevo che lo sapessi. Volevo che tu fossi consapevole del fatto che, se decidessi di vivere nel mondo umano, potresti farlo. E potresti andare perfino in cielo”.

“Ma un attimo… Perché mi hai allevato? Non hai provato il desiderio di uccidermi?”.

“No, mai. Sei il figlio di mio fratello. Ti ho sempre visto come una specie di… regalo del fato. Io non potevo avere figli e, per legge divina, nemmeno mio fratello. Eppure, in questo modo, tutto in un certo senso si è sistemato”.

“E l’angelo… sa di me?”.

“No. Ho cancellato la sua memoria. Sinceramene, non lo volevo all’Inferno e sapevo che, consapevole del peccato commesso, sarebbe corso a confessarsi alle alte sfere e sarebbe stato punito. Ho preferito fare in modo che dimenticasse. Ho pensato che fosse meglio per tutti”.

“Quindi tu sai che angelo è, giusto? Cioè... non sai solamente che è un angelo ma sai anche di che angelo si tratta”.

“Sì”.

“Una volta mi hai detto che io ho incontrato mio padre. È davvero così?”.

“Non ti ho mai mentito”.

Keros tornò a distogliere lo sguardo. Fuori il cielo si stava annuvolando, ormai erano coperte quasi tutte le stelle. Ripensò alle creature angeliche che aveva incontrato nella sua vita e cercò di cogliere delle somiglianze. Remiel? Camael? Ancora conservava la piuma di Remiel, da quando era una bambino. Lungo la sua strada ne aveva incrociati tanti, fra vigilanti, custodi, arcangeli… Pensò alle loro capacità, a quel che lui era in grado di fare. Vedeva il colore delle anime, la loro purezza. Era in grado di giudicarle, sapeva a quale di esse spettava l’Inferno. Poi c’era il fuoco… Sua madre non era demone di fuoco. E, come il lampo che illuminò di colpo il cielo, un’idea gli balzò alla mente. Si volto verso Lucifero, rimasto seduto.

“Lo hai capito?” domandò il re.

“Non può essere lui” mormorò Keros “Io… No, non è possibile”.

“Perché?”.

“Mihael…”.

Seguì un  altro lampo e poi un tuono. Non sentendosi molto a suo agio, il re mosse la coda con fastidio. Odiava i temporali, gli ricordavano il fulmine con cui era stato cacciato dal Paradiso.

“Fra noi non cambia nulla” si affrettò a dire, alzandosi “Tu resti sempre il mio piccolo e, se ne sei convinto, sarò più che lieto di comunicare a tutti che sei il mio erede legittimo”.

“Ma gli altri come la prenderebbero la cosa? Intendo dire... Sono il figlio dell’ammazza demoni. Del più odiato dell’Inferno”.

“No, tu sei figlio mio. Lo hai detto tu, diverse volte. E continuerà ad essere così. Solo volevo che tu sapessi che, se non ti senti a tuo agio all’Inferno, sei libero di agire come preferisci”.

“Ho capito…”.

Il giovane annuì, sentendo cadere le prime gocce di pioggia.

“Io ora, perdonami, devo andare. I temporali mi fanno saltare i nervi. Vieni con me?”.

“Ti raggiungo fra un po’…” scosse la testa Keros “Ho un cadavere al piano di sopra, ricordi?”.

“Giusto. Ma non scappa da lì, no?”.

“Preferisco sistemare le cose per ordine. L’anima, invece, dovrebbe essere già arrivata di sotto”.

“Sarò lieto di collocarla al giusto posto”.

Lucifero incrociò lo sguardo del principe. Non aveva l’aria particolarmente turbata. Chiese un paio di volte se poteva andare, se stesse bene, e Keros lo incitò a tornare a casa.

“Sistemo l’umana e vengo giù” lo rassicurò.

“Sarò lieto di rispondere ad ogni tua domanda” assicurò il re “Di qualsiasi tipo. Immagino che…”.

“Non voglio sapere alcunché. Lo hai detto prima, giusto? Fra noi non cambia nulla”.

“Sicuro?”.

“Sì…”.

Lucifero fece per insistere ma l’ennesimo tuono lo convinse a lasciare il mondo umano.

 

Non appena percepì lo svanire della presenza del re, Keros cambiò decisamente atteggiamento. Si sentì sopraffare da un attacco di panico e quasi svenne. Non riusciva a pensare a niente se non a bestemmie. Camminò su e giù lungo il salone, ripetendosi che era solo uno strano sogno e che doveva dimenticare quella notte. Era quasi riuscito a convincersi, con respiri profondi. Si concentrò su altro, come ad esempio il fatto che aveva un cadavere in camera. Di mangiarselo non ci pensava nemmeno, quell’umana non aveva per niente un buon sapore. Così, sbuffando, la avvolse nel lenzuolo. Avrebbe scavato un buco nel giardino, tanto chi poteva mai venire a controllare?

“Io… Un mezzo angelo…” rise, nervosamente “Ma scherziamo? Io, che uccido la gente, la tento e ne rubo l’anima. Ma per favore…”.

Spalancò la finestra, con l’intento di buttare il fagotto con il cadavere dalla terrazza, per evitare lo sforzo delle scale con quel peso fastidioso. Fuori pioveva forte. Ci fu un altro lampo.

“Ma vai a cagare…” imprecò, rivolto al cielo “Come se l’incazzato dovessi essere tu!”.

Gli rispose un tuono. Con il fagotto sulla spalla, si apprestò a lanciarlo quando notò di essere osservato. Un arcangelo “familiare” lo fissava. Sul volto, avevano la stessa espressione mista fra stupore ed orrore.

“Ave…” non trovò altro da dire Keros. E Mihael arricciò il naso.

 

Rieccomi! Spero di riuscire ad aggiornare presto

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Capitolo 16
*** Verità -parte seconda- ***


16

VERITÁ

Parte seconda

 

“Ave” salutò Keros, con lo sguardo rivolto verso l’Arcangelo, che fluttuava sulla sua testa.

Pioveva e non trovò altro da dire. Mihael a sua volta rimase in silenzio. Poi si decise a parlare, indicando il fagotto con il cadavere.

“Empio demone!” si accigliò “Hai ucciso un’innocente”.

“Innocente…” ridacchiò Keros, avvicinandosi al bordo della terrazza.

“Non osare profanare un corpo umano in questo modo!”.

“Sapessi in quanti altri modi è stato profanato…” borbottò piano il principe, poi rivolgendo un semplice sguardo all’Arcangelo e poggiando il cadavere in terra.

“Dovevo ucciderti quando eri un bambino. Avrei salvato delle vite” proseguì Mihael.

“Può darsi…”.

“Credi forse di prendermi in giro, immonda creatura?”.

“No. Ma avrei da fare. Non ti si bagnano le penne sotto la pioggia?”.

Keros era decisamente infastidito. Aveva sempre odiato quell’Arcangelo ed ora, osservandolo, lo trovava doppiamente irritante. E le parole di Lucifero lo facevano rabbrividire.

“Quale orrendo sotterfugio…”.

Mihael scese e poggiò i piedi sulla terrazza. Si udì il clangore dell’armatura che indossava. Nonostante la pioggia, quella creatura angelica era perfetta. Non un capello fuori posto, non una sola penna umida. E con il lungo mantello rosso che pareva mosso dal vento. Keros, al contrario, era bagnato fradicio. Sperava di riuscire almeno a rientrare in casa, ma l’Arcangelo si era piazzato davanti alla porta, spalancando le ali aranciate.

“Di che sotterfugio vai vaneggiando?” sbuffò il giovane “E, comunque, se vi da tanto fastidio il cadavere, lo lascio lì. Arrangiatevi voialtri angioletti. Basta che ti levi dalle palle. Ho freddo”.

“Parlo dei discorsi deliranti del tuo sovrano”.

“Ci stavi spiando? Certo che non avete proprio un cazzo da fare in cielo…”.

“Il mio compito è sorvegliare il re degli Inferi. E di conseguenza ho udito le vostre chiacchiere. Comprendo il voler ingannare me e le volte celesti, ma raccontare simili menzogne anche al proprio figlio…”.

“Io non sono suo figlio”.

 “Probabilmente non vuole che si sappia. Perché il figlio del caduto non può che essere eliminato”.

“Io non sono suo figlio. E non voglio discutere di questo. Voglio solo tornare a casa”.

“Non crederai mica a quelle parole? Credi che un Arcangelo possa cedere a simili bassi istinti e congiungersi carnalmente con una demone?”.

“No. Ma credo che un angelo possa innamorarsi. L’amore non è un peccato, giusto?”.

“L’unico amore concesso a quelli della mia stirpe è l’amore per Dio”.

“Senti… A me non frega un cazzo. Ok? Voglio lasciarmi alle spalle questa giornata e…”.

“E riprendere quanto prima ad uccidere innocenti?”.

“Ed aridaie con ‘sti innocenti! Non sono innocenti. Sono solo stupidi. Lei ha ceduto a me la sua anima, di sua volontà. Non l’ho chiesta io. Credimi, era davvero un’anima schifosa”.

“Non sta a te giudicarlo”.

Mihael mostrò la spada e Keros alzò le mani al petto.

“Sono disarmato” disse, osservando la lama “E non so volare. Ho detto che torno a casa, di mia spontanea volontà”.

“Devo punirti. Per tutte le vite che hai sottratto”.

L’Arcangelo iniziò a pronunciare una formula in latino, Keros alzò un sopracciglio.

“Per essere uno che spia…” commentò il principe, incrociando le braccia “…devi essere un po’ sordo. Gli esorcismi su di me non funzionano”.

La creatura celeste rimase qualche istante piuttosto perplessa. Provò dei versi differenti, ma non ottenne comunque il risultato sperato.

“Capisco…” si ricompose “Come figlio del traditore, devi avere qualche capacità particolare”.

“Va bene… È come dici tu. Ora però voglio andarmene da qui. Vogliamo entrambi la stessa cosa, no? Che io torni a casa, non è così? Puoi osservarmi mentre me ne vado, se ti va”.

“Mostrami i segni che hai sul corpo”.

“Che…?”.

“I segni di cui parlava il caduto. Mostrameli”.

“Non ci penso proprio. Perché dovrei farlo?”.

“Mostrameli!”.

“Non prendo ordini da un piumino in armatura e gonnella!”.

Mihael scattò in avanti, con l’intento di afferrare il braccio di Keros, che indietreggiò. L’ Arcangelo però era assolutamente deciso a capire di che segni avessero parlato in precedenza i due demoni e quindi tentò di avvicinarsi ancora. I due si guardarono negli occhi qualche istante. Lo sguardo ambrato di Keros e quello azzurro cielo di Mihael erano entrambi illuminati, brillavano. In una frazione di secondo, le loro forze si incontrarono. Il fuoco dell’Arcangelo si sprigionò ma qualcosa in Keros si accese. Non le solite fiamme ma bensì un’energia diversa, che bloccò il colpo della creatura celeste. L’impatto fra le due energie fu così violento che i due furono scaraventati ai lati opposti della terrazza, iniziando a precipitare al piano di sotto.

 

“Perdonatemi, maestà, ma questa volta devo rimproverarvi” si rabbuiò Lilith, seguendo il re lungo i corridoi “Lasciare un ragazzo da solo, dopo una notizia del genere…”.

“Non mi sembrava scosso!” si affrettò a dire Lucifero, rientrando nelle sue stanze.

“Keros è fatto così. Vuole dimostrarvi di essere forte. Sempre. Ma è ancora molto giovane. Io non so chi sia suo padre, e quanto sconvolgente possa essere la cosa, ma è comunque una notizia che cambia la vita. Magari non è in grado di esprimerlo a parole, ma ritengo che abbia bisogno di una persona accanto”.

“Io non sono di certo il più adatto. Cianciare non è mai stato il mio forte”.

“Ma incoraggiare sì. Inoltre voi siete un padre per il principe. Non rivelerò ad altri la verità. Nessuno saprà che non è vostro figlio se non sarà lui stesso a volerlo rivelare”.

“Ti ringrazio. Ha chiesto di essere annunciato come ereditario”.

“E voi che pensate di fare?”.

“Accontentarlo. Però questo è stato prima che…”.

“Tornate immediatamente da quel ragazzo. Ha bisogno di voi, adesso. Dovete parlarne. Anche se non è vostro figlio, lui…”.

“Ti sbagli. Non sarà sangue del mio sangue ma lui è mio. Lui è mio figlio. Lui è unico. E voglio solo che sia felice”.

“E allora non dovreste stare qui”.

Il re e la demone si fissarono. Lei sorrise.

“Non so fare molto il padre…” ammise Lucifero.

“Fare il genitore è molto più difficile che regnare su un branco di demoni”.

“Puoi dirlo…”.

“Ma voi siete di certo in grado di fare bene entrambi”.

“Mia cara… Sai sempre come adularmi. È per questo che ti adoro”.

 

Mihael aprì le ali ed attutì la caduta. Si scosse, non capendo bene quel che fosse successo. Che razza di demone si ritrovava ad affrontare? Ancora aveva impressi quegli occhi.

“Carmilla…” mormorò, senza pensarci.

Nella sua mente balenò un ricordo. Ma l’Arcangelo scosse la testa: doveva essere l’ennesimo inganno diabolico. Cercò con lo sguardo il suo avversario e trasalì nel vederlo in terra. Era avvolto da una luce argentea, o così gli parve in un primo momento. Guardando meglio, Mihael si accorse che quella luce erano in realtà giovani e sottili ali angeliche. Avvertì la propria sicurezza vacillare.

“Ragazzo” lo chiamò, non sapendo che nome evocare “Tutto bene?”.

Keros, stordito, non rispose. Aprì gli occhi, sentendo la voce dell’Arcangelo. I due non erano vicini, le energie sprigionate li avevano scagliati in punti diversi, ma comunque il giovane provò un certo timore. Un attacco, ora, non era in grado di sopportarlo. E cos’era quella luce? Non capiva…

“Ragazzo…” di nuovo la voce di Mihael risuonò fra la pioggia.

Ora anche lui era bagnato, la pioggia cadeva fra i capelli biondo scuro, lanciando riflessi con la luce dell’aureola.

Nel frattempo, Lucifero aveva usato il portale all’interno della casa e si guardava attorno, in cerca di Keros.

“C’è nessuno?” gridò, giocherellando con i tasti del pianoforte e cercando di percepire qualche suono “Sei già di nuovo al lavoro?”.

Stette attento a non rivelare troppe informazioni, non sapendo se ci fosse qualche estraneo in casa. Poi girò l’occhio arancio verso il giardino e vide Keros in terra. Le ali, una volta che il giovane aveva ripreso i sensi, si erano dissolte. Il re, non percependo entità estranee, fece comparire le proprie e le usò per coprire il principe dalla pioggia battente. Mihael, vedendolo arrivare, non aveva potuto fare altro che andarsene senza farsi vedere, con la testa piena di strani pensieri.

“Stai bene?” domandò Lucifero.

Keros annuì, felice nel vedere quelle ali nere coprirlo e proteggerlo dal temporale.

“Cos’è successo?” continuò il demone, notando una piuma di Mihael.

“Io… Non lo so” ammise il giovane “Ero sulla terrazza. E poi… Non so”.

“In terrazza?”.

Lucifero si voltò e vide la terrazza in questione.

“Come ci sono arrivato qui?” si chiese Keros, mettendosi a sedere “Intendo… Senza uccidermi!”.

“Non ne ho idea. Ma sai… A volte capitano le botte di culo” cercò di sdrammatizzare il re.

“Ricordo solo che c’era Mihael”.

“Ricorderai. Ora sei scosso. Che dici, torniamo a casa? Vedrai che con una bella dormita poi ti sarà tutto più chiaro”.

 

“Come quando ero piccolo” si ritrovò a pensare Keros, una volta in camera.

Lui, a letto con un mezzo sorriso, e Lucifero, che controllava in modo ossessivo che andasse tutto bene.

“Sto bene” ripeté, per l’ennesima volta, il principe “Voglio scordare questa giornata. Fingere che non sia mai successa. Fingere di non sapere”.

“Non è negando ciò che sei che troverai la felicità” lo rimproverò, velatamente, il re.

“E che alternativa ho? Non posso svelare a tutti la verità. Finirei ucciso. E poi… mi disgusta. Io odio Mihael”.

Lucifero non disse nulla. Non poteva di certo iniziare discorsi sul fatto che non di devono odiare i propri genitori… Osservò lo squarcio nel bell’abito di Keros e tornò a chiedere se fosse ferito.

“Sto bene!” sbottò il principe “Solo qualche graffio e botta”.

“Ok… Quindi dimentichiamo la giornata di oggi. E poi? Ora che si fa?”.

“Io… Voglio essere mandato nelle terre del nord ad addestrarmi a combattere”.

“Keros… Non serve! Hai già l’addestramento di Asmodeo”.

“Be’, non è servito! Quando ho avuto davanti quello stronzo di Mihael, non ho saputo far niente!”.

“Mihael è il peggiore che un demone possa incontrare. Quasi nessuno sa come fronteggiarlo”.

“Non importa. Io voglio diventare più forte. Voglio saperlo combattere. Voglio ficcargli dove dico io quella sua cazzo di spada!”.

“Ok…”.

Il re era perplesso, non sapeva se quella rabbia fosse sincera o solo frutto del momentaneo shock.

“E voglio essere l’ereditario” continuò il ragazzo, accigliato “Lo pretendo. È tutta una vita che vengo cresciuto per questo”.

“Va bene. Organizzerò la tua partenza per le terre del nord. E prima che tu vada, annuncerò a tutti che sei il principe ereditario. Va bene?”.

“E non voglio mai più sentir dire che quello è mio padre. Sei tu mio padre. Io sono un demone”.

“D’accordo”.

Scese il silenzio. Lo sguardo di Keros si velò leggermente di tristezza e sospirò. Poi tornò a guardare il re, che cercava di capire come si fosse creato quello squarcio sulla veste del principe.

“Grazie per essermi venuto a prendere” mormorò il giovane.

“Era mio dovere. Anzi… Scusami per essermene andato. Insieme avremmo spiumato quel rompicoglioni di Mihael!”.

“Sarà per la prossima volta” risero insieme.

“Ora riposa” lo salutò il re “Ti farò confezionare nuovi vestiti”.

 

Lucifero subito si operò per accontentare i desideri di Keros. Asmodeo trovò l’idea dell’addestramento extra ottima. Specie dopo aver appurato che gli angeli avevano evidentemente preso di mira quel poveretto! Ma doveva essere per via del suo potere, per il numero di anime che aveva condotto all’Inferno.

“Sicuro non sia troppo duro? Nelle terre del nord vengono solitamente mandati i demoni traditori o coloro che necessitano di un qualche tipo di punizione” chiese, perplesso, il sovrano.

“Maestà” sorrise Asmodeo “Tutti i giovani demoni si sottopongono ad addestramento militare. Il fatto che lui voglia intraprendere un periodo al nord è segno di grande coraggio. Il popolo apprezzerà ancora di più il suo valore”.

“Dici?”.

“Per essere accettato come figlio del re, specie se sarà nominato ereditario a tutti gli effetti, dovrà fare molto. Voi vi siete guadagnato la vostra posizione con il sangue”.

“Noi siamo una generazione diversa” sospirò Lucifero, alzando gli occhi verso uno dei quadri con Keros da bambino “Ed il tempo scorre così in fretta adesso. Una volta, non sembrava passare mai. Da quando c’è Keros, invece, per me va tutto di corsa. Ed anche nel mondo umano cambia tutto di corsa. Forse la nostra generazione dovrebbe farsi da parte”.

“Forse la nostra generazione dovrebbe guidare la nuova, affinché possa raggiungere le stesse mete”.

“Chissà…”.

La coda del re ondeggiava, arricciandosi. L’idea di tornare di nuovo a sedersi in ufficio a fare sempre le stesse cose gli provocò un certo fastidio. Non  era per nulla sicuro che quello fosse il destino del suo piccolo cucciolo demoniaco ma si sforzò di convincersi che era quello che lui voleva, quello lo rendeva felice.

 

Non passarono due ore prima che una delle ancelle accorresse a chiamare il re, piuttosto preoccupata.

“Il principe” parlò, facendo un inchino “Chiede di voi, maestà. Non esce dalla sua stanza e grida che vuole vedervi”.

Lucifero non diede modo alla donna di dire altro e salì di sopra, a passo svelto lungo le scale che lo conducevano ai piani superiori. Il corridoio con le stanze di Keros era buio, spoglio. Il giovane non aveva ancelle personali, non aveva consorti e preferiva passare il suo tempo nel mondo degli umani. Il demone raggiunse la porta, davanti alla quale si erano radunate delle serve curiose.

“Sparite” diede ordine il sovrano “Tornate al lavoro”.

Sì udì un “Povero ragazzo”, assieme a “Chissà cosa gli è capitato” e “Mihael lo ha ferito?”. Lo sguardo di Lucifero si fece minaccioso, e tutte si allontanarono alla svelta.

“Sono qui” esordì poi, entrando nella stanza del principe.

Keros era ancora a letto, ma nascosto dalle coperte. Si intravedeva solo mezzo occhio ed un ciuffo rosso.

“Che combini?”.

“Hai chiuso la porta?” mugugnò il ragazzo.

“Sì…”.

“E non c’è gente fuori?”.

“No. Che succede?”.

Keros si rialzò lentamente, guardò il sovrano con un’espressione leggermente impaurita. Lucifero non disse nulla. Inclinò la testa ed attese. Il ragazzo sospirò ed abbassò il lenzuolo, permettendo alle ali argentee di aprirsi. Il demone rimase senza parole, alzò gli occhi, sforzandosi di richiudere la bocca che si era aperta in un’espressione di stupore.

“Sono…” mormorò.

“Sono ali!” gridò Keros “Ali piumate! Sono… sono…”.

“Sono magnifiche!” lo interruppe il re, avvicinandosi per sfiorarle con le dita “Mai prima d’ora ho visto ali d’angelo d’argento. Sembrano fatte con la luce delle stelle”.

“Che…?”.

Il re le accarezzò. Erano ancora molto giovani e fragili, quasi impalpabili, piccole rispetto alle dimensioni che avrebbero dovuto avere su una schiena adulta.

“Cosa ci fanno lì?!” riprese Keros “Io dormivo e…”.

“Sono loro che ti hanno salvato quando sei caduto dalla terrazza, evidentemente”.

“Toglile!”.

“Come..?”.

“Levamele! Ci deve essere un modo! Io non le voglio!”.

“Keros… È tutta una vita che vuoi volare!”.

“Sì ma non con queste cose piumose! Come faccio a stare all’Inferno con loro?!”.

“Quello non è un problema…”.

Il sovrano sorrise, nonostante lo sguardo terrorizzato di Keros.

“Rilassati” lo invitò “Chiudi gli occhi”.

Il principe non obbedì subito. Il re lo invitò di nuovo a rilassarsi.

“Ora fai un respiro” continuò Lucifero “E chiudile”.

Keros, a fatica, obbedì. Una volta chiuse, le ali svanirono.

“Visto?” ammiccò Lucifero “Funzionano come tutte le nostre ali. Le apri e le fai comparire quando ne hai bisogno”.

“Ma io non ne ho bisogno. Non le voglio! E perché si erano aperte così, a caso?”.

“Forse hai sognato di cadere. Non preoccuparti. Controllarle è facile, ma all’inizio ti dovrai impegnare un pochino”.

“Non voglio. Levamele. Estirpamele! Strappale! Dai loro fuoco!”.

“Tu sei nato così, piccolo mio. Il fuoco, lo stesso che ha lasciato quei disegni su di te, aveva incenerito le piccole ali neonate che avevi. Ma ora che sei cresciuto, sono tornate”.

“Ed io non le voglio. Io sono un demone!”.

“E allora comportati da demone. E queste cadranno e diverranno come le ali da demone”.

Il principe si ammutolì. L’idea di avere ali maledette gli piaceva.

“Fra tre giorni ci sarà la cerimonia” cambiò argomento il re “Il tempo di farti preparare un abito degno di quel che sei e sarai. Nel frattempo, riposati. Rilassati. E non guardarmi con quell’aria da cucciolo…”.

“Io… Io sono un demone, vero?”.

“Tu sei ciò che vuoi essere, Keros. Te l’ho sempre detto”.

 

Ecco la seconda parte. Nel prossimo capitolo lo farò divertire un po’. Poveretto, non si diverte mai :P

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Capitolo 17
*** Ereditario ***


17

EREDITARIO

 

Il lungo tavolo da pranzo era apparecchiato ai lati opposti. Keros e Lucifero mangiavano in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri. Al regno era stato dato l’annuncio, quella era la prima sera ufficiale da principe ereditario per Keros. E la vigilia della sua partenza per le terre del nord. Fuori si potevano udire le grida dei festeggiamenti che si protraevano, lungo le vie della capitale. Al contrario, nella sala vi era silenzio. Il giovane si stava godendo una cena speciale, sapendo che in addestramento avrebbe mangiato tutt’altro.

“È molto buono” commentò, facendosi portare un altro dolce.

“Felice che sia di tuo gradimento” annuì il re.

Keros non rispose. Vestiva ancora con l’abito da cerimonia, con lo strascico che circondava la sedia di legno nero intrecciato. Guardò fuori, non capendo perché la gente avesse tanta voglia di festeggiare, poi tornò a fissare le candele le cui fiamme ondeggiavano in modo ipnotico.

“Ci tenevo a dirti…” sospirò Lucifero “…che non sei obbligato a partire. Non devi dimostrarmi alcunché”.

“Guarda che non si tratta sempre di te” sbottò, in modo poco educato, il principe “Non tutto ruota attorno a te”.

“Lo so. Non sono tuo nonno”.

Il giovane rimase qualche istante in silenzio e realizzò che il re si riferiva a Dio.

“Voglio farlo per me stesso” ribadì “Non ha nulla a che vedere con te, con Mihael, con il regno o con chiunque altro. Voglio dimostrare a me stesso di esserne in grado. Di essere forte”.

“Non riceverai alcun trattamento di favore. Astaroth non accetta certe cose” parlò il re, allungando il cucchiaino con il dessert sopra la fiamma di una candela.

“Non mi aspetto alcun trattamento di favore” gli rispose Keros, con aria perplessa.

Rimase in silenzio ad osservare Lucifero che arroventava il cucchiaino, facendo sciogliere la dolce crema del dessert, per poi passarci sopra la lingua.

“Il viaggio sarà impegnativo” continuò il re, gustandosi la crema.

“Lo so”.

“Le terre del nord sono quel che rimane dell’Inferno originale, quello in cui sono caduto”.

“Lo so! Mi credi un bambino?”.

“No. Anche se sembra ieri quando eri solo un cucciolo che tentava di succhiarmi il sangue, proprio in questa stanza. Ora è tutto diverso…”.

“Vero. Ora mi rado”.

“Io non intendevo…”.

“E mi sego”.

“Dico solo che devi stare attento”.

“Mi pensi stupido? O sprovveduto?”.

“No, Keros. E non comprendo tutta questa rabbia. Ma forse con l’addestramento ti passerà. Riposa, non ti sarà facile dormire nei giorni a venire. Cerca di essere al massimo delle forze”.

“Sì… Ok…” storse il naso il principe “Ma tu smettila di parlare come un vecchio”.

“Sono vecchio. E voglio la tua felicità, lo sai”.

“Allora smettila di assillarmi. Vedrai che sarò molto più felice. Fai il Diavolo, porca puttana!”.

Lucifero sorrise, forse ricordando una conversazione simile con suo padre, tanto tempo prima. Con un inchino, si congedò da Keros. Chiamandolo “principe”, augurò la buonanotte e chiese cortesemente al giovane di passare a salutarlo prima di partire, il giorno seguente. Il ragazzo annuì. Poi si alzò ed andò a cambiarsi. Non aveva alcuna intenzione di andare a dormire, ma con lo strascico si sentiva un cretino.

 

Elegantissimo, con i capelli rossi raccolti con un nastro, camminò lungo le vie della capitale. Vi erano molti demoni, in vena di far festa. Vi era una gran confusione, grida, musica e risate. C’era chi lo riconosceva e voleva salutarlo, o rendergli omaggio, e chi non sapeva chi fosse e lo ignorava. Di certo l’abito di velluto nero, con catene color sangue, non passava inosservato. Raggiunse un locale di cui aveva sentito parlare altri giovani demoni che abitavano a palazzo. Come immaginava, era gremito e con un gran viavai di clienti. Si avvicinò al bancone, che aveva una singolare forma ad esse. Sgabelli argento brillavano alla luce di candele e specchi. Una bella demone stava cantando, in modo decisamente sensuale, mentre alcuni ballerini di entrambi i sessi si esibivano e lentamente si spogliavano. Keros decise di sedersi in un punto da cui la visuale fosse buona. Non passò molto tempo prima che una cameriera lo raggiungesse, rimanendo qualche istante senza parole.

“Ma tu sei il principe!” esclamò “Ti ho visto alla balconata del palazzo reale qualche ora fa!”.

“Sono io…” non negò Keros, con un mezzo sorriso.

“Oh, cazzo! Sei davvero tu!”.

La cameriera corse a chiamare altre colleghe, che iniziarono a fare le allegre civette.

“Posso toccarti?” chiese una, mentre un’altra saltellava sul posto.

Il ragazzo era perplesso ma sorrise ancora.

“Che state facendo?!” esclamò una profonda voce maschile, piuttosto infuriata “Non rompete le palle ai clienti ed andate a lavorare!”.

“Ma papà!” si lagnò una delle ragazze “Lui è il principe!”.

Da dietro il bancone, emerse un grosso demone che si avvicinò a Keros.

“Chiedo perdono da parte delle mie figlie” si affrettò a dire “Spero non abbiano detto nulla di irrispettoso..”.

“Ma no… Va tutto bene” rise il giovane.

“Non ci capita spesso di avere clienti illustri, è per noi un onore” continuò il padre demone, proprietario del locale.

“Voglio offrire da bere a tutti” ammise Keros “Oggi voglio festeggiare”.

Si udì un grido di soddisfazione da parte dei presenti.

“Andate a lavorare!” ordinò di nuovo il padre, rivolto alle giovani cameriere “Smettetela di dare fastidio”.

“Sei bellissimo!” cinguettò una delle ragazze, prima di allontanarsi.

“Hai la fidanzata?” chiese un’altra, ed il padre la cacciò con un ringhio.

“Chiedo di nuovo perdono” mormorò, rivolto al principe “Sono in cerca di marito. E ne ho ben dieci da sistemare…”.

“Sono molto carine. Sono certo che non avranno problemi…” fece l’occhiolino il ragazzo, sorseggiando il liquore che una delle cameriere gli aveva portato.

I bicchieri si susseguirono, invitò a ballare alcune ragazze e spettegolò con altre. Si era sparsa la voce che sarebbe partito per le terre del nord, ed alcuni demoni ci tennero a fargli sapere che ne ammiravano il coraggio. Iniziando a sentirsi a disagio, Keros tornò ad avvicinarsi al bancone. Il proprietario subito lo raggiunse, assicurandosi fosse tutto a posto.

“Tutto perfetto” assicurò il principe “Però… Mi chiedevo a chi devo rivolgermi per andare al piano di sopra”.

I due si fissarono, con un ghigno.

“Vado a chiamare la mia signora” mormorò il barista, con un occhiolino divertito.

Dopo pochi minuti, un’elegante signora invitò il ragazzo a seguirla. Scostando una pesante tenda rossa, salirono insieme lungo ripide scale.

“Il principe vuole divertirsi nel suo ultimo giorno prima della partenza” sorrise la demone “E noi lo faremo divertire alla grande. Vedrete. Richieste particolari?”.

Keros era rimasto in silenzio. Il piano superiore era decisamente diverso da quello inferiore, con eleganti divani rossi e lampadari in oro, specchi e candele. Molti demoni, maschi e femmine, molto poco vestiti, camminavano ed entravano nelle varie stanze.

“Vi piacciono bionde? Brune?” incalzò la proprietaria “Una per tipo? Magari con qualche fanciullo nel mezzo? Non siate timido. Nella mia carriera ho udito qualsiasi tipo di richiesta”.

“Non ho richieste particolare in quel senso” si decise a parlare Keros “Però ho un desiderio. Vorrei ci fosse il buio totale, e che le ragazze non siano in grado di vedere nell’oscurità”.

“Vi piace giocare. Capisco” sorrise la demone “Vado subito a preparare la vostra stanza. Nel frattempo, accomodatevi. Vi faccio portare un drink”.

Il principe sedette su uno dei divani rossi e si guardò attorno. Era pienamente intenzionato a togliersi qualche sfizio prima di partire. E quel locale era famoso per avere le migliori succubus della capitale, dopo quelle al servizio del re. Godendosi l’ennesimo bicchiere di liquore, Keros notò con la coda nell’occhio un giovane, che subito si nascose nell’ombra, rimproverato da quello che doveva essere uno dei figli dei proprietari. Per qualche istante, si chiese perché venisse rimproverato in quel modo. Aveva udito chiaramente un “Non farti vedere, tu!”. La curiosità però si era rivolta altrove, quando la padrona di quel luogo lo aveva gentilmente invitato a seguirla verso la stanza riservata. Con un sussurrato “buon divertimento”, la demone si congedò e lo  pregò di entrare.

Keros vinse l’originaria titubanza e varcò la soglia. La stanza era completamente buia, come aveva richiesto. Lui, come demone vampiro, vedeva chiaramente ogni cosa. Non era lo stesso per le ragazze che sedevano sul letto, una accanto all’altra. Si erano voltate verso l’ingresso, incuriosite.

“Buonasera” salutò Keros, togliendosi le rumorose scarpe con il tacchetto “Facciamo un gioco?”.

Le giovani demoni risero.

“Venitemi a prendere” ghignò il principe “Vediamo chi mi trova per prima”.

Iniziò a camminare piano, parlando per farsi raggiungere. Le Succubus, nel buio totale, si muovevano a tentoni. Si sfiorarono, sobbalzando per la sorpresa.

“Vi siete trovate” rise Keros “Datevi un bacio e ricominciate a cercare me”.

Ripresero le ricerche, con una risatina. Il buio faceva sentire Keros al sicuro. Così non avrebbe dovuto nascondere i tatuaggi e questo lo faceva sentire decisamente meglio. Con fare baldanzoso, continuò a chiamare le ragazze e camminare piano per la camera. Accidentalmente, urtò un mobile. Le demoni, che conoscevano bene la stanza, si voltarono d’istinto verso quel luogo, cercando di raggiungerlo in fretta.

“Mi avete beccato” ghignò Keros, mentre una delle succubus raggiungeva le sue braccia.

“Qual è il tuo nome?” le chiese il principe.

“Potete chiamarmi Dolce” sussurrò lei.

“E tu?” continuò il ragazzo, raggiunto dall’altra demone.

“Io per voi sono Milly” si sentì rispondere.

“Che nomi zuccherosi. Posso assaggiarvi?”.

Keros morse entrambe. “Questa è una cosa che un angelo non farebbe mai” si ritrovò a pensare, mentre mani esperte lo spogliavano, tastando nel buio. Una delle demoni lo mordicchiò sulla spalla. Il principe la spinse sul letto, con un ghigno. Trascinò con sé anche l’altra succubus e si ritrovarono tutti e tre su quel letto, che profumava di fiori. Cosa estremamente rara e preziosa all’Inferno. Dolce subito salì a cavalcioni sul principe, esclamando che era stata lei a trovarlo per prima e quindi toccava a lei.  Lui la lasciò fare, pretendendo altro sangue da Milly. Sentì il rosso liquido scorrergli in gola, unito alla sensazione morbida delle cosce di Dolce che gli circondavano i fianchi.

“Sono qui per soddisfarvi, signore” sussurrò Dolce “Desidero avervi dentro di me. E voi? Mi desiderate ardentemente?”.

“Non chiamarmi signore” le rispose lui, afferrandola e penetrandola.

Lei sobbalzò e poi lanciò un gemito. Keros ghignò, soddisfatto. Amava guardare la curvatura delle labbra di qualcuno che godeva assieme a lui. Ed amava lo sguardo che si veniva a creare. Nel buio completo, vedeva i seni di lei che sobbalzavano, mentre poggiava una mano sul petto che alla luce avrebbe dovuto coprire per celare i tatuaggi. In quel modo, invece, poteva apprezzare le dita vellutate che lo accarezzavano con sempre più convinzione. Anche Milly lo toccava. Aveva provato a baciarlo ma lui si era scostato, esprimendo il desiderio di evitare quel tipo di contatto. Per sentirla gemere, come stava facendo Dolce, scivolò con la mano fra le sue gambe, scostando la minuscola stoffa che la copriva.

“Salta, Dolce. Danza. Cavalca. Magnifico…” gemette Keros.

Lei piantò le unghie, Milly fece altrettanto. Quando la succubus che lo sovrastava si fermò, stendendosi a fianco del principe, la sua collega chinò la testa. Lui era un giovane demone, lei una succubus esperta che iniziò ad usare la bocca e la lingua sul membro del cliente. Lui assaggiò il sangue di Dolce. Avvinghiati tutti e tre, scambiandosi morsi, graffi e carezze, il ragazzo percepì l’estasi salire sempre di più. Quando raggiunse l’orgasmo, una sensazione nuova gli attraversò la schiena. Le ali, che erano state chiuse e celate, di colpo si erano aperte. Per fortuna, nel buio, le due donne non lo avevano notato.

“Tutto bene, mio principe?” mormorò Milly “Avete un buon sapore…”.

Lui trattenne il fiato, mentre lei si passava la lingua sulle labbra.

“Tutto ok…” riuscì a dire, imprecando nella sua testa per le ali. Avrebbe dovuto imparare anche a controllarle mentre faceva sesso. Che rottura!

Si accorse che le due succubus lo stavano fissando, forse cercando di cogliere un segnale d’appagamento.

“Oh…” capì lui “Che meraviglia. Io… Sono senza parole. E voi, fanciulle, siete soddisfatte?”.

“Tornate da noi quando finite l’addestramento” miagolò Milly “Avete le dita magiche!”.

“Anche voi. E le gambe, i denti, la bocca… Vi penserò mentre sarò via”.

“Che onore” ridacchiò Dolce, sfiorando le dita del demone “Sarà un privilegio guidare nella vostra mente questa mano nelle lunghe giornate solitarie d’addestramento”.

Keros ridacchiò, un po’ in imbarazzo. Dubitava di trovare il tempo per concedersi tanti momenti solitari nell’addestramento.

“Beata la creatura che sceglierete per avere al vostro fianco” gli disse Milly “Che potrà avervi ogni notte”.

Il giovane non rispose. Era un po’ stanco ma il pensiero di quelle ali lo tormentava. Odiava sempre di più la sua doppia natura. Perfino le scopate ora gli rovinava!

 

Lasciata la stanza, incrociò di nuovo quel ragazzo, che si affrettò a nascondersi. La proprietaria del locale raggiunse il principe con un sorriso, per accertarsi che il servizio fornito fosse stato di gradimento. Keros annuì ed indicò l’ombra del demone che si stava allontanando.

“Chi è?” chiese “Prima lo stavano rimproverando aspramente”.

“Non è nessuno, mio principe” storse il naso lei “Spero non vi abbia infastidito”.

Costretto ad uscire allo scoperto, gli fu ordinato di inchinarsi dinnanzi a Keros e chiedere perdono.

“Perdono?” si stupì il principe “Per cosa?”.

“Scusate se vi ho arrecato disturbo” mormorò la creatura, prostrata.

Sul corpo, segni di percosse recenti.

“Quanto costa?” volle sapere Keros.

“Chi?” ghignò la proprietaria del locale “Lui? Mio signore, abbiamo di meglio per farvi terminare la serata…”.

“Intendo per portarlo via da qui. Quanto volete per cedermelo?”

“Ma… Io… Non saprei… non ha un grande valore. È un semplice servo difettato”.

“In questo caso, lasciate che vi faccia una libera offerta”.

Il principe porse una sacca con delle monete. La demone, guardandole, subito ordinò al servo di alzarsi e di obbedire al nuovo padrone.

 

Insieme, i due lasciarono il locale e si incamminarono nel buio, verso il palazzo reale.

“Come ti chiami?” domandò Keros.

“Simadé” rispose, docilmente, il servo.

“Bene, Simadé. Ora sei libero. Puoi andare dove ti pare”.

“Posso venire con voi? Ho sempre vissuto in quel luogo… non conosco altro. A palazzo sono certo che potrei essere utile… Forse…”.

“Capisco. Ti hanno portato in quel bordello da bambino?”.

“Sono un prigioniero di guerra, vostra altezza. Ero molto piccolo quando sono stato portato via dalla casa dei miei genitori, uccisi e sconfitti. Sono figlio di ribelli”.

“E fin da bambino hai avuto quella cicatrice sul viso?”.

Il servo cercava di coprirsi il volto con un mantello, ma Keros ne aveva visto i tratti con chiarezza.

“No…” balbettò “Questa me l’ha fatta un cliente. Non era soddisfatto. Mi ha bruciato con una candela e sfregiato con un coltello”.

“Per questo quella donna ti ha definito un servo difettato?”.

“Sì. Una volta ero una delle creature che portava più profitto. Ma con il volto deturpato molti clienti non mi hanno più voluto, perché dicono che induca paura e disgusto”.

“Ora nessuno alzerà di nuovo le mani su di te”.

Calò il silenzio. Keros cercava di conversare, con qualche domanda amichevole, ma il suo interlocutore non rispondeva, se non con un rispettoso “Sissignore”.

Una volta rientrati a palazzo, il principe gli fece segno di seguirlo. Raggiunsero il piano con le stanze dell’erede al trono.

“Potrai assistermi, come mio servitore personale. Se ti va”.

“Che dovrei fare? Siete voi il mio padrone, decidete voi che fare di me. Non conta ciò che a me va di fare”.

Keros sospirò. Aprì la porta della propria camera e lo invitò a seguirlo. Sciolse i capelli e buttò la giacca in un angolo. Poi si gettò sul letto, stiracchiandosi.

“Senti…” iniziò, incrociando lo sguardo perplesso del servo “…io non ho bisogno di altra gente che mi tratti come un principe. Non ho bisogno di dovermi sempre comportare come un pomposo cazzone. Capisci? Vorrei tornare in questo palazzo e potermi rilassare, almeno nelle mie stanze. Non voglio serve femmine perché tutti si aspettano che le sottometta fra le lenzuola e cose simili. Voglio…”.

“Un amico?”.

“Sì. Direi di sì. Alla fine io e te siamo praticamente coetanei, mi sembra…”.

“Io… Forse…”.

“Insomma… Va bene se vuoi renderti utile, però sai cosa mi renderebbe davvero felice?”.

“Non so”.

“Qualcuno che mi coccoli” rise Keros, mostrando la lingua “Qualcuno che mi faccia rilassare, senza dover sempre essere il super principe mega demone che tutti si aspettano”.

“Sono bravo a fare le coccole” rispose al sorriso Simadé.

“Domani io devo partire. Così tu avrai il tempo di ambientarti qui a palazzo. Imparare quel che devi fare, conoscere chi ci vive… Vedrai che ti troverai bene”.

“Ma... Se voi andate via…”.

“Tornerò. Non posso portarti dove sto andando adesso”.

“E qui… Vedrò anche il re?”.

“Certo. Vive qui…”.

“Perché io? Perché avete scelto me?”.

“Non lo so. Chiamalo destino. Ora vorrei fare un bagno. Vieni, ti mostro la tua stanza così intanto ti sistemi”.

Il servo si lasciò sfuggire un’esclamazione di gioia quando vide la camera. Per secoli aveva dormito in terra o su pochi cuscini. L’idea di avere una stanza tutta per sé, lo riempiva di felicità.

“Grazie, signore” riuscì a dire.

“E di cosa? Sono anni che il re mi rompe le palle dicendo che devo riempire queste stanze…”.

“E io…”.

“C’è un po’ di polvere. Sistemala pure come meglio credi. Ti farò avere degli abiti e tutto quello che non hai”.

Detto questo, Keros lasciò Simadé e si concesse un lungo bagno. Il re aveva ancelle e serve che preparavano l’acqua con sali e profumi, il principe si sentiva in imbarazzo per via dei tatuaggi e preferiva fare tutto da solo. Socchiuse gli occhi. Sapeva che simili comodità per un po’ non avrebbe potuto concedersele.

 

Uscito dalla vasca, attraverso la porta che lo collegava alla propria camera, Keros sobbalzò nel vedere Simadé nella stanza. Avvolto in una vestaglia, il principe inclinò la testa.

“Perdonatemi. Vi ho spaventato” si scusò il servo, che si era un po’ ripulito.

Aveva chiarissimi occhi grigi, molto rari per un demone, e la capigliatura scura che accentuava la chiarezza delle iridi.

“Puoi andare a dormire” gli disse Keros.

“Prima vorrei coccolarvi un po’…” ammise il servo, con un sorriso.

“Che…”.

“Vedrete che poi vi sentirete rinato”.

Il principe era titubante. Simadé si avvicinò per toglierne la vestaglia e si ritrasse di scatto quando sfiorò i tatuaggi che erano emersi da sotto la stoffa.

“Perdonatemi” si affrettò a dire “Temevo fosse una barriera magica. Sono stato ferito anche da una cosa del genere…”.

“No… Io…ho sempre avuto questi segni” ammise Keros, tentando di nasconderli di nuovo.

“Questo vi rende indubbiamente originale. Fanno lo stesso effetto della mia cicatrice…”.

Dopo l’imbarazzo ed il silenzio, Simadé si avvicinò di nuovo.

“Avete dei capelli magnifici. Potrò acconciarveli, quando tornate?”.

“Va bene…” mormorò il principe, ancora a disagio per la reazione del servo dinnanzi ai tatuaggi.

“Posso avere la luce di una candela?” chiese, docilmente, il servo.

Keros ne accese una con una mano.

“Oh, demone di fuoco!” sorrise Simadé “Allora ho il massaggio perfetto!”.

Il principe si lasciò convincere e si stese a letto. Il servo afferrò la candela e lasciò che qualche goccia  di cera scivolasse sul petto dell’ereditario, che trattenne il fiato. I tatuaggi reagirono e si espansero, raggiungendo le gocce calde, per poi ritirarsi nella posizione originaria. Furono aggiunte altre gocce, Keros dovette ammettere che era una sensazione piuttosto piacevole. Avvicinando il fuoco alla pelle del principe, il servitore poi poggiò la candela ed iniziò a passare le mani nei punti scaldati dalla cera. Che strana sensazione, si disse Keros, mista fra il caldo della fiamma ed il tocco freddo di mani decise. Era particolare. Piuttosto piacevole. Simadé lo aveva spogliato dalla vestaglia e le gocce di cera erano state fatte cadere anche su altre parti del corpo del giovane ereditario. Prima il calore e poi il massaggio.

“Dovrò rifarmi il bagno…” sussurrò Keros, con gli occhi semichiusi.

“Allora lasciate che vi dia altre ragioni per farlo” gli rispose Simadé, umettandosi le labbra con un ghigno.

Il principe non rispose. Era bello sentirsi accarezzare in quel modo. Poi si sentì attraversare da un brivido improvviso e si concentrò per non far comparire le ali. L’incubus, l’equivalente maschile della Succubus, aveva spostato il suo massaggio in altre zone. Sentendosi stimolato ed eccitato, il principe tirò Simadé verso di sé e lo morse, assaggiandone il sangue. Questi si lasciò sfuggire un lieve gemito che Keros trovò adorabile. Erano entrambi piuttosto minuti, ancora giovani. Quel loro intreccio di corpi gli sembrava quasi un gioco, come quando i bambini facevano la lotta mordendosi e graffiandosi.

Quando tornerò sarà tutto diverso, pensò il principe. Quando tornerò, sarò come tutti si aspettano che io sia. Sarò come un vero demone deve essere!

 

Con questo caldo, scrivere certi capitoli… Che fatica :P a presto!

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Capitolo 18
*** Addestramento-parte prima- ***


18

ADDESTRAMENTO

-parte prima.

 

Keros si risvegliò con un gran mal di testa. Forse aveva decisamente esagerato la sera prima… Ancora assonnato, si alzò dal letto. Aveva preparato l’indispensabile per la partenza, lanciò solo un ultimo sguardo dal balcone. Da lì, vedeva le guardie che costantemente sorvegliavano il palazzo. Non vi erano altre creature, tutti ancora dormivano. In silenzio, si apprestò a lasciare la stanza. Sobbalzò trovando Simadé fuori dalla porta.

“Volevo augurarle buon viaggio” sorrise l’incubus “Posso essere utile?”.

“Io… Non…” borbottò il principe, ancora piuttosto intontito “Vieni con me…”.

Insieme scesero le scale e raggiunsero la zona del palazzo adibita alle cucine ed alle stanze della servitù. Keros chiamò vicino a sé una donna, e la presentò a Simadé.

“Lei coordina tutta la servitù del palazzo” spiegò il principe “Sarà lei a dirti cosa fare in mia assenza. Grazie a lei imparerai in fretta”.

“Al vostro ritorno…” annuì la donna “…questo ragazzo sarà un perfetto assistente personale!”.

Keros si congedò, lasciando lì Simadé. Ricominciò a camminare in fretta, verso l’uscita.

“Non saluti tuo padre?” gli parlò una voce femminile.

Sapeva che si trattava di Lilith, una delle poche persone che potevano rivolgere simili parole al principe reale.

“Salutatelo voi per me” rispose, con un mezzo sorriso “I vostri saluti saranno di certo più graditi”.

Lilith voleva avvicinarsi, porgere saluti più appropriati a chi si apprestava a stare via molto, ma Keros non gliene diede modo e lasciò l’edificio.

 

L’addestramento si svolgeva in una zona impervia dell’Inferno. Senza edifici, inadatta a viverci, era popolata da bestie pericolose. Intravedendo una di quelle bestie, Keros pensò all’uovo che aveva fatto nascere da bambino. La creatura nata da quell’uovo ora era stata affidata al suo nuovo servo e si rese conto che era lei ciò di cui avrebbe sentito di più la mancanza. Dopo parecchi giorni di cammino, sapeva di essere giunto alla meta, anche se non vedeva anima viva. Percepiva però delle presenze.

Era buio, il terreno era nero e roccioso, così come nera era l’aria. Un forte odore di zolfo e fumo, ben più forte di quello della capitale, gli fece arricciare il naso. Poggiò la sacca con le sue cose e cercò di capire che cosa stesse percependo. Poi capì di essere sotto attacco da più fronti. Si difese come poté ma era circondato e si sentì sollevare da terra, preso per i polsi. Due grossi demoni, gemelli, lo squadrarono.

“Che bella bestiola avete catturato questa sera…” parlò una voce, androgina.

Dal buio, si avvicinò un’ombra e il principe capì immediatamente chi aveva davanti. Ancora sollevato per i polsi, si dimenò fino a farsi lasciare, cadendo ai piedi di colui che parlava. Era un demone elegante, che stringeva fra le mani una frusta intrecciata. Camminò, con alti stivali con il tacco, fino a raggiungere il principe. Ne scostò il viso con il manico della frusta.

“Tu devi essere Astaroth” ipotizzò Keros.

“Tu?” storse il naso il demone, con quattro corna affusolate “Mettiamo bene in chiaro alcune cose, fragolina. Per prima cosa, qui non frega un cazzo a nessuno chi tu sia o sia stato. Qui sei una recluta, l’ultimo arrivato, hai la stessa importanza di una nocciolina. Devi portare rispetto a me, che sono colui che ti farà capire cos’è veramente l’Inferno, ed ai tuoi compagni. Se vorrai a tua volta rispetto, te lo dovrai guadagnare”.

“Ok…”.

La frusta di Astaroth schioccò, a pochi centimetri dalle orecchie di Keros.

“Ok?! Oh, ora ti ho inquadrato. Moccioso insolente. Che tu sia il figlio del re qui non conta una sega, chiaro? Perciò impara ad usare in modo adeguato la lingua, o verrai punito di conseguenza. Rivolgiti a me in modo adeguato, chiaro?”.

“Sì… Sissignore” annuì Keros.

“Meglio, fragolina. Ora alzati. Non credere che qui ci sia qualcuno che ti porti le valige”.

Il principe si alzò in fretta, sistemandosi per togliere la polvere che aveva su capelli e vestiti. Alcuni demoni risero.

“Non avrai tempo per la messa in piega e la cipria al naso” ghignò Astaroth, giocherellando con la frusta “Qui obbedirai ai miei ordini. Sempre. Se stai dormendo ed io ti chiamo, devi correre. Se stai mangiando ed io ti chiamo, devi correre. Se ti stai segando pensando alla sorella del tuo migliore amico, devi correre. Se stai piangendo pensando alla mammina, devi correre. Chiaro? Farai quel che ti dico, quando te lo dico. Dimentica il tuo bel palazzo, con i suoi balli in maschera, i dolcetti d’alta cucina e le servette che ti allacciano le scarpe. Capito?”.

“Capito…”.

“Perfetto. Per prima cosa, mostrami quel che sai fare”.

Astaroth urlò un nome e comparve una demone. Aveva l’aria piuttosto aggressiva, vestita con pelli e corazze di animali di quella zona. Sorrise divertita, quando vide il principe.

“Combattete” ordinò Astaroth, invitando la donna a non uccidere la nuova recluta.

La femmina scattò immediatamente. Keros gettò la borsa a terra e basto quel breve attimo per perdere di vista l’avversaria. Era sparita, nascosta fra rocce e piante. Gli altri demoni facevano un gran baccano per impedirgli di percepirne la presenza con l’udito. Lei provò ad attaccarlo dall’alto. Lui riuscì a reagire in tempo e si scansò. La demone, capendo che aveva di fronte qualcuno in grado di vedere al buio, cambiò strategia e sfruttò il territorio che la circondava. Lo conosceva molto bene, quindi per lei fu facile tendere un agguato. Keros l’attaccò con il fuoco, stanco di vederla saltellare a nascondersi. Lei schivò le fiamme, spalancò le ali e scese in picchiata, allungando una gamba. Era estremamente veloce e colpì più volte il principe, che contrattaccò come poteva. La demone sembrava divertirsi, deriderlo.

“Fragolina!” chiamò Astaroth.

Keros si voltò, ricordando tutti i discorsi che gli erano stati propinati in precedenza, e la demone lo atterrò colpendolo alle spalle.

 

“Sai perché ti ha sconfitto?” ridacchiò Astaroth.

Keros, ancora a terra, arricciava il naso con fastidio. Gli altri demoni ridevano.

“Perché è una stronza?” ipotizzò il principe.

“Anche. Ma principalmente perché conosce il territorio ed ha colto subito i tuoi punti deboli. Inoltre tu sei stato un vero coglione a distrarti”.

Keros non rispose. Non sapeva che anche le donne si addestrassero, si stupì nel vederne un gruppetto fra gli spettatori a quello spettacolo imbarazzante.

“Sei un demone di fuoco” riprese Astaroth “Cosa interessante. E vedi al buio. Ma non credere che queste qualità ti aiuteranno. Cercherò però di insegnarti ad essere meno coglione… Per ora direi basta perdere tempo con il culo per terra. Questo vale per tutti. Ricominciate a correre”.

Tutti i demoni iniziarono a correre, lungo un percorso d’addestramento fatto di ostacoli ed imprevisti dovuti alle bestie ed alle piante autoctone. Il principe capì di doversi unire a loro.

“Dove lascio la mia roba?” chiese, indicando la propria sacca.

“Corri, fragolina!” gli urlò, di risposta, Astaroth.

“Non mi chiamo fragolina!”.

“Tu qui ti chiami come cazzo decido io. Ed ora muoviti!”.

Capendo che era inutile ribattere, il principe iniziò a correre dietro ai suoi nuovi compagni d’addestramento.

 

Smisero di correre dopo diverse ore. Sfinito, Keros iniziò a chiedersi cosa gli fosse passato per la testa. Che ci faceva lì? Però scacciò subito quel pensiero. Doveva farcela!

Vide gli altri demoni allontanarsi, addentrandosi fra alberi neri.

“Ti consiglio di fare altrettanto, nuovo arrivo” suggerì una demone “Devi procurarti il cibo”.

“Oh…ok…grazie…che tipo di cibo?”.

“Quello che c’è. Se ci riesci. E poi dovrai crearti un rifugio per dormire”.

“Che? Ma io pensavo…”.

“Pensa meno e muoviti di più. Te lo consiglio!”.

 

Keros tentò invano di catturare qualcosa. Però non conosceva la zona e non gli andò troppo bene. Raccolse qualche frutto, consapevole di doversi impegnare di più. Serviva la carne per avere le energie sufficienti a sopportare l’evidente pazzia di Astaroth. Era stremato, quindi rimandò la costruzione del giaciglio a dopo una bella dormita. Non riposò molto a lungo però, perché udì la voce di Astaroth che lo chiamava.

Corse a raggiungerlo, lo trovò intento a fissarsi le unghie smaltate, seduto su una sedia di tronchi e foglie.

“Ti ho dato forse il permesso di dormire, fragolina?”.

“No” ammise il principe “Però gli altri dormivano ed io…”.

“E tu niente. Tu devi fare quello che ti dico io. E non ti ho detto di dormire. Gli altri si sono meritati il riposo, tu no”.

“Che volete che faccia, signore?” si arrese il giovane.

“Già meglio. Vedrai che bel lavoro farò con te, principessa fragola”.

Keros si morse il labbro, con fastidio, ma rimase in silenzio.

Astaroth gli lanciò ordini a caso per ore. Alla fine, pretese di vedere il giaciglio del principe. Il giovane sospirò e tentò di creare qualcosa di vagamente decente. Ma era stremato e buttò cose a caso, tanto per far felice il generale.

“Ti sconsiglio di accontentarti di un mucchio simile” commentò Astaroth “Ma se ti senti soddisfatto, dormi pure”.

 

Il giorno seguente iniziò con l’ennesima corsa. Alcuni demoni furono richiamati e si dedicarono alla lotta. Keros li osservava, distratto. Sembravano tutti più forti e determinati di lui.

“Non abbatterti” mormorò un demone che gli correva a fianco “Tutti noi siamo stati picchiati da quella femmina. Lei ha terminato l’addestramento, ma le piace stare qui…”.

Il principe storse il naso non sapendo come potesse piacere restare in un luogo simile. Però dovette ammettere di sentirsi sollevato, un pochino.

Per l’ora del pasto, Keros trovò il proprio giaciglio completamente distrutto dalle bestie del posto.

 

“Siete qui per essere addestrati” parlò Astaroth, camminando davanti alle reclute in fila “E farò di tutto per farvi rimpiangere la vostra scelta”.

Sorrise, qualcuno si lasciò sfuggire una risatina. Il generale era vestito di scuro. I vari encomi che portava sul petto erano gli unici punti di luce. Dietro di sé, trascinava un lungo mantello nero, per coprirsi dai venti gelidi che in quel momento sferzavano incessanti. Provenivano dal Cocito, la zona fredda, ed erano insopportabili.

“Io sono un demone di prima generazione, come sapete” riprese Astaroth “Quando quelli come me furono cacciati dal Paradiso, tutti insieme ci ritrovammo in un luogo come questo. Interamente come questo. Niente belle città, niente bei palazzi, niente comodità. Niente luce. Come pensate che ci siamo sentiti? Alcuni di noi ne furono devastati, si lasciarono morire. Ma il nostro re, Vostra Altezza Lucifero, rese l’Inferno il mondo che conoscete. Voi, demoni di seconda, terza, quarta e via discorrendo generazione, avete trovato tutto pronto su un bel piattino. Questo fa di voi dei demoni un po’ meno demoni? Penso di sì. Ma non temete: sono qui a rimediare a tutte le vostre lacune”.

Il suo ghigno era malvagio, Keros percepì un brivido lungo la schiena. Capì che avrebbe dovuto metterci molto più impegno di quanto credesse per superare quell’addestramento.

Finito il discorso, Astaroth diede ordine di mettersi a coppie e combattere. Poi chiamò a sé il principe e lo condusse nel suo rifugio. Era una tenda, fatta con pelli e corazze di animali vari.

“Siediti” lo invitò, mettendosi comodo.

Keros si guardò attorno. Quel posto era decisamente più confortevole del mondo esterno. Era caldo, grazie alle pelli, ed aveva qualche confort come sedie, tavoli ed alcolici.

“So che l’esordio non è dei migliori. Faccio con tutti così” sorrise Astaroth, maleficamente.

“Non dovevo aspettarmi nulla di diverso” ammise Keros, restando in piedi.

“Tu sei il figlio di Carmilla, giusto?”.

“Sissignore”.

“Hai i suoi occhi. Era una gran donna…”.

“Pare la conoscessero tutti…”.

“Probabilmente è così. Gran gnocca. Tu hai le sue capacità?”.

“Di seduzione? Circa…”.

“Sei un vampiro. Usi il fuoco. Che altro sai fare?”.

“Io? Ecco…”.

Non sapeva cosa dire. Pensava agli demoni là fuori. I gemelli erano grossi il doppio di lui e parecchio più minacciosi.

“Fragolina…” gli sorrise Astaroth, questa volta con meno cattiveria “…non ti hanno insegnato a non giudicare un demone dall’aspetto?”.

“Me lo hanno ripetuto mille volte. Ma non ho mai imparato”.

“Ah, ecco. Perché vedi… La femmina che ti ha sconfitto, così come me e perfino tuo padre il re, non siamo di certo grandi, grossi, pelosi e brutti. Dico bene?”.

“Dite bene ma come fate a…?”.

“Sono bravo ad intuire i pensieri. E poi io ed il re abbiamo parlato di te. Era preoccupato, sai? Ti faccio queste domande non per impicciarmi dei fatti tuoi ma per trovare per te il perfetto compagno d’addestramento. La creatura con cui compirai maggiori progressi”.

“Capisco…”.

“Dunque… Che sai fare? Sei un tentatore? Un Incubus? Un punitore?”.

“Io sono un tentatore. Circa”.

“Che vuol dire ‘circa’?”.

“Devo ancora completare il mio percorso di studi”.

“L’anima finale, intendi? Sei molto giovane ancora! Per quanto riguarda il fuoco, so che ti ha addestrato Asmodeo quindi sono certo che saprai usarlo egregiamente. Poi…?”.

“Non mi viene in mente nulla…”.

“Così arrogante eppure con l’autostima sotto i tacchi. Sei ben strano”.

“Parecchio, sì…”.

“Va bene. Da domani combatterai anche tu. Ti farò sapere con chi. Oggi osserva quel che fanno gli altri”.

Keros obbedì. Osservò i suoi compagni, divisi in coppie. Alcune erano miste ed era quelle che destavano maggiormente la sua attenzione. Rabbrividì per il freddo. Capì che restando fermo si sarebbe congelato e così tentò di copiare qualche mossa. Sobbalzò quando vide una delle femmine accanto a sé, con espressione perplessa.

“Cerchi di fare come loro?” chiese lei.

“Cerco di non morire di freddo…”.

“Uno come te non può contare sulla forza bruta. Concentrati sull’agilità. Devi essere veloce, più veloce di qualsiasi demone ben più grosso di te possa comparire sul tuo cammino”.

“Grazie, però…”.

“Dai… Ti mostro come si fa. Il generale Astaroth mi ha insegnato praticamente tutto…”.

 

 

Capitolo corto, ma sto per andare in ferie e sto leggermente uscendo ti testa :P comunque, vi lascio il link alla mia paginetta fb appena nata. Lì carico le storie (come questa, ovviamente) ed alcune fan art. Ne ho caricata una da pochissimo proprio su questo capitolo. Sarei molto felice se gli deste un’occhiata. E magari lasciate un like ;) a presto!!

 

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Capitolo 19
*** Addestramento -parte seconda- ***


ADDESTRAMENTO

-parte seconda-

 

“Pericolo!” urlò il demone che faceva da vedetta “Al riparo! Pericolo!”.

Un’enorme bestia stava piombando sull’accampamento d’addestramento, con l’intento di procurarsi un buon pasto. Tutti si misero a correre, in cerca di un rifugio adatto. Non tutti però ne furono in grado e la creatura piombò su uno dei gemelli, che con la sua grossa stazza non riusciva a muoversi molto in fretta. Un corno del demone volò via, arrivando ai piedi di Astaroth. Nascosto in un anfratto fra le rocce, con alle spalle parte della truppa in addestramento, fece segno a tutti di tacere e stare fermi. Qualcuno propose di aiutare il collega in difficoltà, Astaroth ringhiò di risposta. Se ne stava sull’ingresso di quella grotta improvvisata e tentava di capire se tutti gli altri sotto il suo comando fossero al sicuro.

Nel frattempo, il gemello attaccato lanciava grida d’aiuto, mentre il fratello dirigeva sguardi di supplica al generale. 

“Fate silenzio!” sibilò Astaroth “È la legge della natura. Lui muore e voi sopravvivete. È così che funziona! Fate i demoni! E fate silenzio!”.

“Ma è mio fratello…” si azzardò a rispondere il gemello al sicuro.

“E con ciò?” si accigliò ancora di più Astaroth “Sai quanti fratelli ho visto morire? Quanti fratelli ho perso e non vedrò mai più? Se quello non fosse tuo parente, te ne fregheresti altamente. E non tentare di negarlo”.

Scese il silenzio. Poi una gran luce attraversò l’ombra di quel rifugio. Una fiammata aveva raggiunto la bestia, che aveva ringhiato infastidita. La creatura aveva smesso di attaccare il demone, ferito e piuttosto confuso, e si guardava attorno, tendando di capire da dove provenisse quel fuoco. Fra gli scheletri neri degli alberi infernali, che si nutrivano di fiamme e fiumi sulfurei, bisognava muoversi in fretta. Senza indugio, si rischiavano gravi ferite a causa di spine e veleni, Keros saltellava da una pianta all’altra. Distrasse l’animale ancora un paio di volte, incitando il gemello ferito a correre al riparo. Vedendo che il collega non riusciva a muoversi molto in fretta, usò di nuovo il fuoco. Questa volta evocò una fiammata alta, che creò un muro temporaneo fra lui e l’animale. Questo gli permise di trascinare il demone attaccato dentro un’insenatura di roccia. Nel buio totale, trattenne il fiato mentre la creatura ringhiava e scavava in cerca della preda.

“Sarebbe questa l’ora di arrivare, principessa? Eri a dipingerti le unghie?” sibilò il gemello ferito, con un ghigno.

“Ti ho appena salvato le chiappe!” sbottò Keros, ansimando per la fatica.

“Ok. Però ammettilo che ti dipingi le unghie”.

“Ma no!”.

“Hai la faccia come il culo…”.

“Il mio culo è bellissimo”.

Rimasero in silenzio, prima di ridere insieme.

“Senti come quella bestia scava per riuscire a trovarci!” commentò ancora il gemello.

“Sente l’odore del sangue. Sei ferito in molti punti” gli rispose Keros.

“Sempre meglio che essere morto, non trovi?”.

Quando fuori tornò il silenzio, segno che l’animale si era arreso e si era allontanato, i due riemersero dal loro rifugio. Altri demoni in addestramento li raggiunsero, per sincerarsi delle loro condizioni. Fra le risate e i commenti di gioia, stemperando la tensione, tuonò la voce di Astaroth. Chiamava Keros, e lo chiamava con il proprio nome. Segno che era davvero in collera. Il principe lanciò qualche sguardo ai colleghi e poi raggiunse il generale, mettendosi sull’attenti.

“Sei qui da un po’, dico bene?” ringhiò Astaroth.

“Sissignore” si limitò a dire Keros.

“E allora dovresti ormai aver imparato come funzionano le cose. O no? Sei forse stupido?”.

“Io…”.

“Rispondi! Sei stupido?”.

“Nossignore”.

“Allora sei uno stronzo”.

“Nossignore”.

“Vi ho spiegato, più e più volte, a tutti quanti voi, che qui non conta quel che accade al singolo individuo. Il mio compito è tentare di far portare a termine l’addestramento a più cadetti possibili, non a tutti. Secondo te, Lady Fragola, è meglio perdere uno di noi o mettere in pericolo l’intero gruppo?”.

“Io…”.

“Non devi rispondere. Perché la risposta è ovvia. Piuttosto, razza di fragaria cremisi, che stracazzo ti è saltato in mente?! Perché rischiare il culo per salvare uno dei gemelli, con il quale non fai altro che litigare? Ti sei fumato i neuroni? Ti si è addormentato l’istinto di sopravvivenza?”.

Keros non rispose.

“Parla!” sbraitò Astaroth.

“Io non pensavo fosse giusto che morisse” ammise il principe.

“Perché?”.

“Perché è un mio compagno d’addestramento. Stiamo affrontando le stesse prove e le stesse difficoltà. Litighiamo, non ci sopportiamo, ma non è giusto che muoia. E soffra”.

“E perché? Parli di giustizia proprio in questo luogo. L’inferno è luogo di sofferenza!”.

“Credo che non esista luogo più adatto degli Inferi per parlare di giustizia. Qui vengono puniti coloro che in vita hanno commesso peccati gravissimi. Gli Inferi sono luogo di giustizia e non ritenevo necessario far morire un collega, dato che avevo la possibilità di aiutarlo”.

“E se crepavi a tua volta? Avrei perso non uno ma due uomini. Ed avrei dovuto dire a tuo padre che sei morto come un povero coglione, per tentare di salvare la vita ad uno a cui manco stai simpatico”.

“Ma si aiuta solo chi ci sta simpatico?”.

“No, non si aiuta e basta”.

“E perché?”.

“Perché è così che fanno i demoni!”.

Keros fece per ribattere ma non disse nulla. Astaroth lo fissò con aria interrogativa.

“Non ti preoccupare” aggiunse, con un ghigno “Sei qui per questo. Per imparare ad essere un vero demone”.

“No…” scosse la testa Keros “Non voglio essere un demone così”.

“Come…?”.

Il principe non rispose.

“Torna immediatamente al tuo posto” ordinò il generale, con il viso rosso dalla collera “Non voglio più udire una sola parola da te. Sei qui per imparare la disciplina ed è quello che ti insegnerò. Ora sparisci dalla mia vista. E se ti azzardi a commettere un altro errore simile, ti farò frustare. Chiaro?”.

“Sissignore”.

“E per quanto riguarda il demone che hai salvato… Porgigli i tuoi saluti, perché ferito così com’è è destinato a morire dopo una lenta agonia. Incapace di procurarsi cibo ed acqua, creperà di stenti. Spero che la cosa ti renda felice”.

Il generale non ricevette risposta. Keros si allontanò, riprendendo i soliti esercizi d’addestramento. Era diventato più veloce, più forte, ma il suo animo non riusciva proprio ad accettare certe situazioni.

 

“Tieni” si udì nel buio.

Il ferito, che si era nascosto nel buio per tentare di non essere di nuovo facile preda, riconobbe subito il principe.

“Ti ho portato qualcosa da mangiare” insistette Keros.

“Hai cacciato per me?” si stupì il demone.

“Ma scherzi? Figurati se faccio fatica per te, che non fai che sfottermi. È che ho catturato una bestia grossa. Troppo grossa per me”.

“Ti rovina la linea?”.

“Problema che tu non hai, culone!”.

Si lanciarono uno sguardo infastidito che durò qualche istante.

“Se ti scopre Astaroth…” mormorò il ferito, accettando il cibo “…saranno guai per te, fiorellino”.

“Tanto saranno guai lo stesso. Non sono certo il suo ideale di soldato”.

“In realtà credo che tu non gli dispiaccia. Sei una sfida”.

“Già… Io devo essere sempre particolare”.

“Mi pare sia giusto che sia così, no? Un giorno, sarai re”.

“Sarò re solo nei brevi tempi in cui il sovrano attuale vorrà andare in vacanza. Credi veramente che mai lascerà il suo posto?”.

“Non lo so. Non mi interessa. Non sono un nobile”.

“E nemmeno sei molto intelligente, unicorno”.

“Non offendere il fatto che ho un corno in meno. Ne ho altri tre… a differenza tua!”.

Keros rispose con un ghigno. “Almeno adesso non ti confondo più con il tuo gemello!” commentò.

“Quello è facile. Lui è un cagasotto. Non mi ha aiutato nemmeno per sbaglio!”.

“Siete lenti. Non riusciva a rotolare fino al nemico. Ora mangia. Io me ne vado a dormire”.

“E se facessi la spia con Astaroth?”.

“Fai pure. Buonanotte…”.

 

Il re sbadigliò. Si stava annoiando e guardava dalla finestra, spaparanzato su una poltrona color del sangue. Si era già ritirato nelle sue stanze e sorseggiava superalcolici nell’attesa di riuscire finalmente ad addormentarsi. Da fuori, udiva le urla delle anime condannate e le loro suppliche.

“Potevate pensarci quando eravate in vita, creaturine disgustose” mormorò, pensando a quale nuova tortura introdurre in alcuni gironi.

Per lui era divertente sentir soffrire gli umani. Li odiava, li trovava rivoltanti, inutili e stupidi. Decisamente inferiori. E in parte responsabili della sua caduta, dato che si era rifiutato di inginocchiarsi dinnanzi a loro.

“Io sono stato creato dalla luce. Perché mai dovrei inginocchiarmi al cospetto di chi è creato con il fango? Certe cose ancora non le capisco”.

Dopo il terzo bicchiere, Lucifero rizzò le orecchie. Aveva percepito qualcosa e cercava di capire cosa fosse. Qualcosa di mosse nell’ombra ed il re scattò in piedi, pronto ad affrontare un nemico.

“Chi è là?” ringhiò “Come sei arrivato nelle mie stanze? Come hai superato i controlli delle guardie?”.

“Le tue guardie le conosco bene” si sentì rispondere “Conosco tutti i loro punti deboli. Così come conosco i tuoi…”.

“La tua voce…”.

Il padrone di casa aveva già udito quella voce. Ma no, si disse, non può essere.

“Se vuoi uccidermi…” ricominciò a parlare “…ti comunico che in pochi secondi avrai tutti i demoni del palazzo qui. Sicuro di volerli affrontare tutti? Inoltre, il mio erede non perdonerebbe certi atti sovversivi”.

“Non voglio ucciderti. Non sono uno sprovveduto. Solo una creatura priva di senno attaccherebbe il proprio nemico nella sua dimora, dove meglio conosce il terreno d’azione”.

“E allora cosa vuoi? Un autografo?”.

L’intruso camminò verso la luce della candela. Era avvolto in stoffe chiare, il volto coperto da un cappuccio. Titubante, rifletté ancora qualche istante e poi mostrò il viso.

“Mihael!” esclamò Lucifero “Che storia è mai questa? Non è concesso a quelli come te di venire qui. Sono questi i patti! Questo è il mio regno!”.

“Lo so. Tranquillo. Non sono qui come tuo nemico”.

“Ma allora…”.

Il re osservò chi aveva di fronte. L’Arcangelo era piuttosto sporco, visibilmente affaticato. Gli occhi color del cielo brillavano intensamente e Lucifero sfidò quello sguardo.

“Attendevo la tua comparsa nel mondo umano” parlò, piano, Mihael “Ma ultimamente non ti sei fatto vedere. Quindi ho capito che l’unico modo era recarmi qui”.

“Qualsiasi cosa voglia dirmi, puoi mandarlo elegantemente a fanculo”.

“Di chi parli?”.

“Lo sai di chi parlo…”.

“Non è stato il Padre a mandarmi qui. Ho agito per mia scelta. Per mia volontà”.

“In poche parole… Hai deciso di suicidarti! Un mio comando e ti saranno tutti addosso. Hai considerato questa opzione?”.

“Sì. Ma confido nel tuo buon senso. Ci sono cose molto importanti di cui dobbiamo discutere”.

“Io non ho nulla da dirti”.

“Nemmeno io ho qualcosa da dire a te, avversario”.

“E allora che vuoi? Che fai qui?”.

“Sono qui per il ragazzo”.

“Keros?”.

“È questo il nome che gli hai dato? È così che chiami… il figlio di Carmilla?”.

“Sì…”.

“Dove si trova? Vorrei parlargli”.

“Al momento non è possibile. Non si trova a palazzo. E poi che vuoi da lui? Fargli la predica?”.

“Non ho alcuna intenzione di fargli del male. Hai la mia parola. E tu sai che non mi è concesso mentire”.

Lucifero e Mihael si osservarono in silenzio. Nessuno dei due si fidava dell’altro.

“Cosa vuoi da Keros?”.

“Parlare. Voglio parlare con lui” ribadì l’Arcangelo.

“E tu hai affrontato l’Inferno e la possibile ira di Dio solo per parlare? Rischiare di essere ucciso in ogni momento, vivendo lontano dalla grazia a cui sei abituato, solo per chiacchierare?”.

“Non voglio chiacchierare! La faccenda è seria”.

Mihael sobbalzò, quando si udì l’urlo straziante di un’anima tormentata. Lucifero trovò la scena divertente e ridacchiò.

“Che posto orribile dove vivere” commentò l’Arcangelo, a mezza voce.

“Non è una mia scelta” sbottò Lucifero.

“Certo che lo è. Sei tu che ti sei ribellato e…”.

“Non parliamo di questo. Farmi incazzare è a tuo rischio e pericolo”.

“Non voglio litigare. Non voglio combatterti. Voglio solo parlare con lui. Con quel ragazzo”.

“Perché?”.

“Serve chiederlo? So che di te non posso fidarmi, che menti continuamente e che ogni tua parola è pronunciata da lingua di serpente ma… Su tutto questo cosa c’è di vero? Ho visto le sue ali. Ho visto le ali di quel giovane. E da quella volta ho dei ricordi che balenano in mente di colpo, come attimi passati. Delle tue parole non mi fido, però questa volta ti supplico di essere sincero. Non mentirmi, fratello. Quel giovane è…”.

“Figlio tuo e di Carmilla? Sì, è così. Keros è il frutto del tuo peccato, per usare termini a te congeniali”.

Mihael rimase in silenzio. Sul viso comparve una smorfia, all’ennesimo grido di dolore delle anime.

“Vedila così…” ghignò Lucifero, offrendo un bicchiere di vino all’Arcangelo “…ora abbiamo una cosa in comune: ci siamo divertiti con la stessa donna”.

 

Bentornata a me medesima dalle ferie! Nonostante i problemi con pc e connessione, ecco il capitolo nuovo :) Vi anticipo già che nel prossimo capitolo ci sarà un incontro fra parenti con ben poco affetto. In attesa del prossimo capitolo, vi rinnovo l’invito a fare un giretto nella mia nuova paginetta FB. Se mi lasciaste un like, sarei davvero felice :) GRAZIE

 

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Capitolo 20
*** Riunione ***


 

20

RIUNIONE

 

“In nome dell'unica religione, grazie all’infinita benevolenza del tuo dio, ti condanno alle eterne fiamme dell’Inferno” rise, sadicamente, Keros.
Aveva scovato, durante il suo turno di guardia, un'anima errante e si stava divertendo a torturarla. Ignorava le suppliche e le richieste di pietà, citando in modo ironico le formule che sentiva pronunciare fra gli esseri umani. Lungo la propria vita aveva assistito ad ogni tipo di strambo processo, da quello contro le streghe ai più strani esorcismi contro gente che con i demoni non aveva mai avuto a che fare. Ed in tutto il mondo compariva la stessa frase: unica e vera religione. Keros non si era mai interessato più di tanto alla teologia, anche se tecnicamente ci viveva in mezzo. Girando per la Terra aveva incontrato demoni di altre religioni e a volte Lucifero gli parlava di Dei antichi, e moderni, con cui si incontrava. 
“Da che zona sei fuggita, creaturina lurida?” sibilò il principe, piantandole gli artigli in un braccio.
Come tutte le anime condannate, essa possedeva un marchio che indicava il peccato per cui era condannata alla pena eterna. Non fece in tempo a scovare quel segno, tracciato da uno dei giudici infernali, poiché venne interrotto dalla voce insistente di un suo collega di addestramento. Qualcuno all'accampamento lo voleva vedere, ma il farfugliare eccitato del demone non era stato molto chiaro al riguardo.

Era strano che Lucifero si presentasse senza troppe cerimonie, senza araldo, annunci ufficiali o cortei reali.
Perciò Astaroth ne fu molto stupito e si affrettò a richiamare tutti i suoi allievi, per rendere omaggio in modo appropriato all'Imperatore degli inferi. Dopo aver appreso che Keros era momentaneamente di guardia, Satana si concesse un'ispezione alle truppe in addestramento, che si erano radunate.
“Che magnifici esemplari” commentò il sovrano “Lieto e stupito di vedere anche delle donne ad affrontare una tale sfida. Siete l’orgoglio del nostro regno e del nostro popolo”.
“Sì…” sorrise Astaroth “Le donne sono quelle più cazzute, qui in mezzo”.
I due demoni ridacchiarono. 
“Posso allietarvi con qualche combattimento, altezza? In attesa del vostro prezioso figlio…” propose Astaroth e Lucifero annuì, con un sorriso. 
Di sfuggita, il re lanciò un'occhiata alla creatura che lo seguiva, partita con lui dal palazzo reale e celata sotto un cappuccio. Le dedicò un ghigno divertito.

“Perdono per il ritardo” furono le prime parole di Keros, appena giunto all'accampamento “Ma quest’anima mi ha rallentato”.
“Un fuggitivo?” si leccò i baffi uno dei demoni gemelli.
“Porta il marchio degli assassini!” si aggiunse un altro cadetto.
“Come ha fatto a fuggire?!” si chiese Astaroth, lasciando che i suoi allievi vi si divertissero “Non abbiate alcuna pietà. Fatela a pezzi. Tanto poi si ricompone”.
Lucifero si lasciò sfuggire una risata, quando notò lo stato in cui l’aveva ridotta Keros prima di affidarla ai compagni. Il ragazzo si era messo sull'attenti, aspettando ordini. 
“Sissignore" rispose immediatamente, non appena Astaroth gli ebbe spiegato che il re era giunto fin lì per parlargli in privato e che era momentaneamente sospeso il turno di guardia.
Lucifero suggerì di concedere a tutti quei promettenti soldati qualche ora libera e la reazione fu di entusiasmo.


Ritirati nel rifugio che Keros con il tempo si era creato, re e principe rimasero qualche istante in silenzio. Poi il ragazzo sospirò.
“Ti mancavo?” stuzzicò “Se ti serve qualcosa, vieni al sodo. Ho parecchio da fare”.

“A palazzo si sente la mancanza della tua chioma ciglieggiuta” ghignò il Signore degli inferi.

“E l’incappucciato chi è?”.
“Sono qui per questo”.
Il principe si era creato un angolo relativamente comodo con pelli e ossa di animali che aveva ucciso. Non era certo lussuoso o di bell’aspetto, ma teneva lontane creature pericolose ed intemperie. 
“Per prima cosa…” iniziò a parlare il re “…sono fiero di te. Seconda cosa: qui c'è qualcuno che vuole parlarti con una certa urgenza”.
Colui che accompagnava il re, avvolto in stoffe chiare, abbassò il cappuccio e mostrò inconfondibili occhi azzurri. 
“Mihael?!” sobbalzò Keros “Cos'è? Uno scherzo? Siete impazziti?! Sapete che succede, se qualcuno degli altri lo vede?”.
“Lo sappiamo. Conosce i rischi che corre. Rilassati” allungò una mano Lucifero, e Keros si ritrasse.
“Intendo dire se capite cosa potrebbe succedere a me! Sto cercando di farmi un nome, una reputazione. Non voglio passare per quello che prende il tè con gli angioletti!”.
“Ha fatto tutta questa strada solo per incontrarti e parlarti” continuò il re, con calma.
“E chi dice che io voglia parlarci?” fu la risposta, parecchio irritata, del principe. 
Lucifero sospirò e lo prese da parte. Mihael, dato che i due conversavano in demoniaco, poteva solo intuire il senso dei dialoghi.
“Keros…” riprese Lucifero “…rilassati. Nessuno sa chi si cela sotto quelle vesti chiare, o lo immagina. Ha affrontato un viaggio lunghissimo, pieno di pericoli e…”.
“Tanto gli angeli non possono essere feriti!” interruppe Keros.
“All'Inferno le cose funzionano in modo diverso, ragazzo. La luce divina non giunge fin qui, e questo lo rende vulnerabile e debole. È qui per sua volontà, non per ordine dell'onnisciente rompicoglioni. È un padre, Keros, che cerca di trovare un dialogo con suo figlio. Un figlio che di certo non si sarebbe mai immaginato di avere, o che comunque non si aspettava con una natura come la tua. È un padre che, nonostante tutti i secoli che avete trascorso come nemici, è qui per cercare di conoscerti. Non è da tutti. Almeno cinque minuti glieli concederei…”.
Keros sbuffò. Lanciò un'occhiata verso Mihael, che era rimasto in piedi ed in silenzio. 
“Odio quando fai il saggio” sibilò il ragazzo.
“Per fortuna non succede spesso” mostrò la lingua Lucifero “Vado a scambiare due parole con Astaroth, così vi lascio soli…”.
Il principe tentò invano di protestare. Rimasto solo con l'Arcangelo, si rassegnò.
“Io non ho nulla da dire” furono le sue parole, in perfetto Angelico “Ma ho le orecchie pronte per ascoltare”.
“Come conosci così bene la lingua degli angeli?” chiese Mihael.
“Lucifero me la insegnò quando ero piccolo. È molto più semplice del demoniaco, a mio parere. Ora parla. Non ho molto tempo a disposizione. Sono qui per addestrarmi, non per cianciare".

“Me lo hai fatto diventare un mostro" ghignò, soddisfatto, Lucifero “Anche se qualche schiaffo ben assestato ancora glielo darei”.

“È il mio lavoro” rispose, con finta modestia, Astaroth.
I due, nel lussuoso rifugio del generale, sorseggiavano liquori e ricordavano i tempi passati.
“Come se la cava? Sii sincero” volle sapere Satana, tornando al presente e pensando a Keros. 
“Bene, direi. Il primo periodo è duro per tutti ma poi non ha avuto grossi problemi”.
“Sei sicuro? Nessun tipo di problema? Nessun atteggiamento particolare?”.
“Se c'è una cosa su cui mi sento di fare un appunto e su determinati modi di agire che reputo… Fuori contesto”.
“Procedi…”.
“Nulla di grave, sia chiaro. Solo che a volte il ragazzo si mostra un po'… Non so come dire… Troppo altruista”.
“Cioè?”.
“Qui vige la regola dell'ognuno per sé, ma è come se non fosse in grado di seguirla. Se un suo compagno è in difficoltà, lo aiuta. E questo non per mettere in discussione la mia autorità, come credevo all’inizio, ma perché ritiene giusto farlo. Questo non è molto demoniaco. C'è un lato del suo cuore che è… ecco... Empatico. Ed a questo io non posso porre rimedio. Posso insegnargli a combattere ed uccidere, a sopravvivere in situazioni estreme e farsi valere… Ma non posso spegnere quella piccola fiamma gentile”.
“Capisco…”.
“Non che sia una cosa negativa” si affrettò a dire Astaroth “Solo che non è… Usuale! Anche se bisogna dire che è comunque facente parte della seconda generazione, e forse l'ereditarietà di tratti angelici è più probabile”.
“Che consigli mi dai a riguardo, Astaroth?”.
“Consigli? Io? A voi? Altezza, io non…”.
“Non ho detto che li seguirò. Ma intanto dammeli. Che faresti, se fossi in me?”.
“Sinceramente? Io credo che quel ragazzo un giorno possa essere un grande re. Però non so se sarà mai del tutto soddisfatto. Quel lato gentile, come regnante, di certo non potrebbe alimentarlo come vorrebbe. Le opzioni, secondo me, sono due. O si fa in modo che quella fiammella si estingua, mettendo a nudo ogni lato malvagio possibile, oppure la si lascia bruciare più intensamente. Ignorando questo lato, come cerca in ogni modo di fare, non farà altro che ingigantire la sua frustrazione”.
Astaroth, a gambe accavallate ed i tacchi bene in vista, attendeva una qualche reazione da parte del re. Questi, rimasto in silenzio, svuotò il bicchiere e si limitò ad annuire. Alzò lo sguardo. Fuori gli altri demoni in addestramento stavano ancora lottando, torturando l'anima fuggitiva in base ai desideri del vincitore. Dentro di sé si disse che avrebbe partecipato volentieri a quel gioco.

Keros e Mihael non si erano detti molto. Si fissavano, come studiandosi. L'Arcangelo fece una smorfia, all'ennesimo grido di dolore dell'anima. 
“Perché fai così?” non capì il giovane “Quell’anima è stata condannata. In vita ha commesso degli omicidi. È giusto che paghi”.
“Lo so. Ma lo trovo comunque spiacevole…” mormorò Mihael. 
“Torna a casa presto, allora. Qui le cose vanno così…”.
Piuttosto stanco, l’angelo sedette in terra, fra le pelli e la nuda pietra. 
“Parlami di te” riuscì a dire, mentre Keros sbadigliava.
“Che dovrei dirti? Ho detto fin da principio che mi limito ad ascoltare”.
“Va bene. Allora inizio io. Volevo solo… Chiederti scusa. Per non averti creduto, averti insultato e tante altre cose che tu suppongo sappia già”.
“Hai fatto tutta questa strada per dirmi questo? Potevi lasciare un bigliettino ad un demone a caso”.
“Ci tenevo a farlo di persona. Prima non credevo ad una sola parola. Tutta la faccenda di Carmilla e Costantinopoli mi sembrava inventata solo per farmi perdere il controllo e le staffe. Ma da quella sera, quella in cui ti ho visto le ali, ho iniziato a ricordare. E mi sono sentito profondamente in colpa. Come avevo potuto dimenticare? Come avevo potuto non capire?”.
“Ora ricordi tutto?”.
“Si. All’inizio ho avuto paura. Ho provato a parlare con il Padre ma non è di grandi parole. Non sapevo come fosse giusto reagire, se fingere l’indifferenza o affrontare la realtà. Ho deciso di iniziare da qui. Un piccolo passo…”.
“Io non posso considerarti mio padre. Non mi hai cresciuto…”.
“Lo so. E non lo pretendo. Ma non voglio ignorare la faccenda. Parlami di te. Tu di me suppongo sappia già tutto…”.
“Già… Be'… Io mi chiamo Keros. Sono un demone vampiro, rubo le anime agli imbecilli ed erediterò il trono reale. Non penso ci sia altro da dire”.
“Keros… Ti ha chiamato Lucifero così. Vero?”.
“Sì. Così come ha dato il nome a te…”.
“Ed è un nome che…”.
“Scusate se interrompo” irruppe Lucifero, spostando la tenda di pelli “Keros, ragazzo mio, che ne dici di mostrarmi quel che in addestramento ti è stato insegnato?”.
“Molto volentieri!”.
Il principe ghignò soddisfatto. Circondati da altri demoni, nell'arena l’addestramento, re e principe iniziarono a lottare. Mihael trovò la cosa a dir poco spaventosa, ma i due combattenti ridevano divertiti. 
“Da tanto non bevo il tuo sangue” si leccò le labbra Keros, afferrando per gioco la coda di Satana.
“Te lo concedo se riesci a prendertelo!” gli sorrise, sadicamente, il re. 
Le urla degli spettatori si facevano sempre più alte e incalzanti. Keros era in difficoltà, stava lottando contro il più forte dei demoni, ma determinato a dimostrare le sue capacità. Il sovrano notò i miglioramenti, complimentandosi. La rissa continuò ancora per parecchio, fra l’entusiasmo dei cadetti.
“Ho una proposta per te” ansimò Lucifero, dopo aver atterrato Keros ed avergli concesso qualche goccia di sangue “Stammi a sentire…”.

Ciao a tutti! Ci tenevo a ringraziare chi ha seguito la storia fin qui e chi si è unito alla mia pagina fb. Al prossimo mese!!!

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Capitolo 21
*** Cielo ***


21

CIELO



Keros si chiedeva come fosse arrivato a quel punto. Davvero si era fatto convincere? Non ci poteva credere. Era una serata piacevole, si vedevano le stelle. In un bosco, distanti da sguardi umani, Lucifero, Mihael e Keros si erano dati appuntamento. 
“Vedi di trattarmelo bene” mormorò il re, fissando l’Arcangelo.
“Tranquillo” rispose il fratello “Nessuno si trova male in Paradiso. Tranne te…”.
Scese uno strano silenzio. Keros, che si stava specchiando al fiume per sistemarsi al meglio, storse il naso scorgendo il proprio riflesso. Con addosso la veste bianca degli angeli, si sentiva molto strano. 
“Apri le ali” lo invitò Lucifero “Mostramele”.
Il ragazzo sospirò e le aprì. 
“Ora sono abbastanza grandi da permetterti il primo volo” fu il commento del diavolo.
Keros alzò lo sguardo per osservarle. Nonostante tutti i suoi sforzi, erano rimaste immacolate ed angeliche
“Sii felice” mormorò Lucifero, spezzando l'ennesimo silenzio.
“Ti comporti come se fosse un addio” lo derise il principe.
“Non a molti viene voglia di lasciare il Paradiso. Specie per tornare all’Inferno”.
“Ma fidati che io non ci penso proprio di passare il resto della mia vita vestito da tenda
E senza quei particolari divertimenti che tu immagini…”.
“Lo scopriremo. Ora andate, con l'alba potrebbe comparire qualche umano”.
Mihael annuì e fece segno a Keros di seguirlo. Il giovane rispose con un cenno, non molto convinto, e cammino appresso all'Arcangelo, lanciando un’ultima occhiata al re, che stava scomparendo fra la nebbiolina del primo mattino. 
Senza parlare, il mezzodemone osservò Mihael mentre in pochi secondi apriva un portale con tratti azzurri. Lo seguì attraverso di esso e serrò gli occhi, perché si ritrovò avvolto da una luce accecante. Per qualche istante vide solo bianco, udì la voce dell'Arcangelo.
“Non mentire agli angeli” parlava Mihael “Non ho raccontato loro la verità, non sanno chi tu sia veramente. Sarai descritto come qualcuno che ha avuto da poco le ali. Fra gli umani a volte succede”.
“Succede che cosa?”.
“Che muoiano o vivano in una condizione tale da meritarsi le ali. L’esempio più classico che mi viene in mente è qualcuno che perde la vita per salvare quella di qualcun altro”.
“Capisco…”.
“Non scendere troppo nei dettagli, per ora. Vedilo come un periodo di prova. Se ti piacerà, allora racconteremo tutto”.
“E cosa potrebbe succedere?”.
“Staremo a vedere. Per ora cerca solo di ambientarti".
Keros annuì. Si stava gradatamente abituando alla luce ed iniziava a mettere a fuoco ciò che lo circondava. Rimase senza parole. L’aria profumava di incenso e miele, si udivano cori angelici e musiche sublimi. Tutto era bianco, con colonnati e marmi decorati in argento e oro. Il mezzodemone vide le anime sorridere e lanciare esclamazioni di giubilo. Gli angeli erano più composti e silenziosi, ognuno con una sfumatura di ali differente. L’intero ambiente era strutturato attorno ad un fascio di luce che saliva in verticale, attorno al quale pregavano anime e creature celesti. Quella luce era molto intensa, Keros la trovò leggermente fastidiosa. Intento ad osservare, sobbalzò quando percepì qualcosa sfiorargli le mani. 
“Benvenuto” si sentì dire. 
Un angelo, dalle ali perlate, gli stringeva le mani e gli sorrideva. Aveva un tale sguardo, luminoso e sincero, che Keros non riuscì a trattenere un sorriso di risposta, ed un grazie moderatamente entusiasta.
“A nome del Paradiso tutto, ti do il benvenuto” riprese l'angelo, questa volta congiungendo le mani e prostrandosi in un lieve inchino “Il mio compito è guidarti in questo luogo, che ora è la tua casa”.
“Oh….Grazie…” farfugliò Keros, confuso e fino a quel momento convinto che sarebbe stato Mihael a fargli da Cicerone per il cielo.
“Per prima cosa, ti mostro il tuo nuovo alloggio. Poi ti porto a fare un giro. E sentiti ovviamente libero di pormi tutte le domande che desideri”.
“D’accordo…”.
Ancora spaesato, il principe seguì la sua guida lungo le strade candide, notando su di sé molti sguardi incuriositi.
“Perdonali…” sorrise l'angelo “Non capita molto spesso un nuovo arrivo con le ali”.
“Sul serio? Pensavo che molte anime che muoiono prendessero le ali…”.
“Ah, no! Solo le più meritevoli. E sono abbastanza rare”.
“E l’aureola?”.
“Quella è riservata ai santi. Chissà… Magari un giorno l’avrai pure tu!”.
“Ne dubito fortemente…”.
Camminarono ancora per un tratto e Keros udì chiaramente alcuni commenti sul colore argenteo delle proprie ali, definite magnifiche.
“Se non sono troppo indiscreto…” chiese la guida “Come è successo? Come hai avuto le ali?”.
“Sinceramente non ricordo” ammise il mezzodemone “Ricordo che stavo sulla terrazza e poi… Il fuoco, un boato e mi sono ritrovato per terra con piume ovunque”.
“Capisco… Tranquillo, è del tutto normale non ricordare i dettagli all’inizio. Molti sono spaesati, specie se sono passati a miglior vita con un evento traumatico e non previsto”.
“Passati a miglior vita?”.
Keros era perplesso ma poi ricordò i discorsi di Mihael. Non doveva mentire ma nemmeno svelare la verità. Annuì, non molto convinto.
“Ricordi il tuo nome?” si sentì chiedere ancora.
“Keros. Io sono Keros” si affrettò a rispondere, con un sorriso.
“Keros? Con significato greco o ebraico?”.
“Fa differenza?”.
“In greco può fare riferimento al nome dell'isola, che prende spunto dalla dea della fertilità Cerere, Kereios. Oppure ha a che fare con la parola “ciliegia" e con il dio dell'amore. In ebraico significa “curva di disonestà”. Direi che è parecchia la differenza…”.
“Preferisco collegarlo a Kairos, uno dei figli della dea della notte e connesso alla sofferenza della guerra”.
“Sei un soldato? Cioè… Eri un soldato?”.
“Non proprio. Però so combattere”.
“Magari il tuo ruolo sarà proprio questo. Ci sono i soldati anche qui in Paradiso”.
“Vedremo…”.
“Già. Il tuo ruolo ti verrà affidato appena questo verrà comunicato”.
“In che senso?”.
“Hai notato qualche creatura con sei ali, vero? Quelli sono i Serafini, i più vicini a Dio. Quando arriva una creatura come te, questi attendono che Dio gli comunichi quale sarà il ruolo che svolgerà in cielo. Appena sapranno quello destinato a te, ne verrai informato”.
“Quindi… Non posso scegliere quel che voglio fare?”.
“Quel che sarai ti verrà indicato da Dio. Lui sa qual è il ruolo migliore per te”.
“E se non mi piace?”.
“Impossibile. Il Padre sa cosa è meglio per te”.
Perplesso, Keros non aggiunse altro. Si guardava attorno, notando tutta una serie di casette identiche. Bianche, con qualche decoro in oro, erano disposte una accanto all'altra. L’angelo condusse Keros fin sulla soglia di una di esse.
“Questa è la tua” sorrise “Prego, entra”.
L’interno era molto semplice, con pochi arredi e bianco candido.
“Qui è dove alloggerai" spiegò la guida “Puoi apportare delle modifiche, se vuoi. O lasciare tutto così com'è. Prima che tu lo chieda, non c'è la cucina perché qui si mangia tutti assieme in una zona apposita”.
“Tutti assieme?!”.
“Sì. Siamo in parecchi, è vero. Ma è anche vero che tecnicamente non abbiamo bisogno di nutrirci, se non in casi particolari. Quindi il pasto diventa un momento conviviale, dove lodare Dio e conoscersi”.
“Capisco…”.
“Nell'armadio hai dei vestiti, per ora identici a quello che indossi. Quando avrai il tuo ruolo, vi saranno aggiunti dei dettagli specifici. Ma a questo penseremo dopo”.
Keros annuì, osservandosi in uno specchio e trovandosi ancora piuttosto ridicolo. La sua guida lo invitò a seguirlo, per proseguire il percorso. 
“Qui non ci sono chiavi o lucchetti. Sei libero di entrare ed uscire, da casa tua come in quella degli altri”.
Il mezzosangue annuì di nuovo, chiedendosi come avrebbe ritrovato casa sua fra tutta quella fila identica. Il giro proseguì fino ad un grande edificio imponente, con un colonnato all'ingresso ed il soffitto a volta. All’interno, un’unica, grande scrivania. Davanti ad essa una fila di persone, Keros intuì che fossero anime. 
“Qui vengono smistati i nuovi arrivi" gli fu spiegato “Vedi? Le anime si avvicinano al tavolo e pronunciano il proprio nome. Dietro quella porta, alle spalle della sedia su cui sta seduto quell’Angelo, sono custoditi tutti i volumi con tutte le persone del mondo. Tutte quelle meritevoli di avere un posto in Paradiso, ovviamente. In base a quanto scritto sul libro, verranno accompagnate nel settore più adatto, dove godere della beatitudine eterna”.
“E chi compila questi libri?”.
“Ci sono degli angeli appositi. Vieni…”.
Salutando la creatura seduta alla scrivania, ed il suo assistente che cercava i volumi con il nome corrispondente, Keros e la sua guida salirono le scale. Al piano superiore, sotto una cupola decorata a mosaico in oro, tantissimi angeli erano chini su tavoli avorio. I loro occhi brillavano, illuminati dalla luce che entrava dalle molte finestre, e scrivevano con inchiostro dorato. 
“Questo è il settore adibito alla stesura dei libri delle anime. È uno dei ruoli possibili. Quel gruppo laggiù, invece, si occupa di testi sacri”.
Si avvicinarono ad un gruppo di angeli che sedeva dinnanzi a tavoli disposti in cerchio. Le pagine che stavano riempiendo erano piene di meravigliose miniature e disegni.
“Che cosa scrivono?” sussurrò Keros, non volendo disturbare il silenzio.
“Dipende. Alcuni trascrivono testi antichi, altri poesie e preghiere, altri canti sacri ed altri ancora avvenimenti nel Mondo degni di nota. Libri sulle stelle, sul creato e sugli accadimenti passati e presenti, sia della Terra che del Cielo. Poi vengono trascritti messaggi o comunicazioni che devono viaggiare da una parte all’altra del cielo, o che vanno recapitati ad angeli momentaneamente fra gli uomini o in alcuni casi agli umani stessi”.
“Questo mi piace” ammise il principe “Mi piacerebbe stare qui”.
“Ma deve essere Dio a dirtelo. O meglio, i Serafini tramite Dio”.
“E non posso nemmeno provare? Insomma… Intanto che aspetto che mi dicano dove devo andare e che devo fare…”.
“Suppongo non ci sia nulla di male. Però bisogna chiedere al capo settore. Vieni con me”.
Camminarono fra tavoli e angeli, fino a raggiungere una porta d'oro. La guida bussò ed attese. Sentendosi dare il permesso, entrò e fece segno a Keros di seguirlo. 
La stanza era semicircolare, con pareti affrescate rappresentanti il cielo sereno. Sul soffitto costellazioni incise ruotavano attorno ad un’apertura da cui filtrata una luce fortissima, che cadeva esattamente al centro della scrivania posta al centro della stanza. Il pavimento era bianco come il latte, a volte sfumato d'azzurro. Due angeli stavano osservando Keros e la sua guida. Il mezzodemone, dagli studi che aveva intrapreso, li riconobbe e rimase in silenzio. 
“Damabial!” parlò l’angelo seduto alla scrivania, rivolto a colui che aveva condotto il mezzosangue fin lì  “Cosa ti porta qui?”.
Con grandi e  profondi occhi azzurri scrutò Keros, che rispose con un piccolo inchino
“Lui è il nuovo arrivato, Arcangelo Gabriel” sorrise Damabial “Ed è rimasto affascinato da quel che accade in questo luogo. Si chiedeva se fosse possibile trascorrere un periodo di prova, in attesa del ruolo definitivo”.
“Fatti vedere, ragazzo” si intromise l'altra creatura celeste presente nella stanza.
Con ali blu come la notte, era leggermente più alto rispetto agli altri presenti. 
“Dicono ti abbia accompagnato Mihael. È così?”. 
Keros annuì.
“Wow” commentò Gabriel, con uno strano tono di voce quasi sarcastico.
“Wow?” ripeté Keros.
“Di solito non succede” gli sorrise l’Arcangelo “Il musone ha sempre altro da fare”.
“Musone?” continuò il mezzosangue.
“Non preoccuparti. Non fa quella faccia perché ha un qualche problema con te. No. È la sua faccia. Lui ha problemi con l’universo”.
“Non sorride più da tanto tempo” concluse l’angelo dalle ali blu “Ma sono questioni ormai lontane. Pensiamo al presente. Io sono l'Arcangelo Uriel. Tu?”.
Keros sapeva benissimo chi fosse, così come sapeva che Mihael non sorrideva più dal giorno della caduta di Lucifero. Rispose alle presentazioni ed alle varie domande che gli venivano rivolte. 
“Hai una famiglia?” volle sapere Gabriel.
“Mia madre è morta quando sono nato. Del mio vero padre non posso dire molto. Sono stato cresciuto da… Mio zio. Tutti lo considerano un poco di buono, ma se non fosse stato per lui io sarei morto subito dopo la nascita”.
“Se tu sei qui, non può che averti insegnato i giusti valori. Un giorno lo rivedrai in cielo” lo rassicurò Gabriel, non capendo la risatina di Keros.
“Forse tua madre è qui” ipotizzò Uriel.
“Dubito… Non era molto credente”.
“Capisco. In ogni caso, la vita terrena è solo un passaggio”.
Il mezzodemone annuì. Non sapeva bene cosa dire. Osservava le aureole sul capo dei due Arcangeli e le vedeva risplendere di luce. 
“Per me non è un problema se vorrai venire qui a scrivere” riprese Gabriel “Lavoro da fare c'è sempre”.
Keros ringraziò con un inchino. 
“Ora continua pure il giro” invitò Uriel.

“Quindi il tuo nome è… Damabial?” domandò il principe, una volta tornati fra le strade del cielo.
“Eh sì” sorrise l’angelo.
“Posso chiamarti Dammy? Più rapido…”.
“Come preferisci”.
Insieme proseguirono. Videro il luogo in cui ci si riuniva per mangiare, salutando gli angeli addetti alla preparazione dei pasti. Incrociarono un paio di cherubini dalle quattro ali e Keros notò che le vesti si facevano sempre più sontuose ad ogni livello. I Serafini sembravano davvero dei re. 
Seguendo il sentiero, la guida invitò il principe ad osservare l’addestramento e l’allenamento dei soldati. Subito Keros individuò le ali aranciate di Mihael. 
“Qui i guerrieri si preparano alla lotta contro i demoni. Vieni”.
Damabial condusse Keros proprio da Mihael, che stava impartendo ordini. Il mezzodemone non poteva che trovarci una certa similitudine con Asmodeo e le guardie del palazzo. L'Arcangelo gli rivolse uno sguardo che non seppe interpretare.
“Mi hai detto che sai combattere…” incalzò la guida “…magari ti piacerebbe provare a mostrare a Mihael quello che sai fare”.
‘Io…” mormorò Keros, non sapendo bene cosa dire.
“So bene come lotta il ragazzo” si udì la voce di Mihael, che continuava ad osservare i propri soldati.
“Oh… Ottimo” sorrise l'angelo.
“Continuate pure il giro. Avrò modo di mostrare al nuovo arrivo come funzionano le cose in un altro momento” concluse l’Arcangelo guerriero, senza voltarsi e con le mani incrociate dietro la schiena.

“Ti ha rivolto la parola” commentò, stupito, Damabial “Spesso nemmeno gira gli occhi e continua i suoi affari”.
“Pensa te…” non nascose il suo fastidio Keros.
“Mihael è un po’ particolare. Penso dipenda dall'avere a che fare con i demoni tutti i giorni”.
“Sarà…”.
Preferendo cambiare argomento, i due ripresero il cammino. Visitarono il settore adibito alla creazione delle vesti che indossavano, la cui maestria di mani angeliche si mostrava soprattutto nei sontuosi abiti di Serafini e Cherubini. Era un lavoro ricco di dettagli e ricami, di cui Keros apprezzò la fattura. 

Quando i due giunsero nei pressi nel gruppo angelico che cantava, il mezzodemone notò una moltitudine di anime intente a pregare, osservando la luce.
“Ma quindi….La luce è Dio?” si chiese, esprimendo un concetto ad alta voce.
“La luce è DI Dio” specificò la guida.
“E lui dove sta? Non si fa mai vedere?”.
“Lui comunica direttamente solo con alcuni. E questi poi riferiscono. La sua luce basta a tutti per donare forza, coraggio e immensa gioia”.
“Ah… Pensavo che ogni tanto si mostrasse. Sai… tipo affacciarsi al balcone o cose così”.
Damabial ridacchiò, divertito. Dopo aver definito Keros “un nuovo arrivo decisamente simpatico”, lo condusse al centro del coro.
I cantori e i musicisti erano perlopiù Serafini ed angeli semplici, ma non mancavano altri ranghi. A dirigerli, due Arcangeli identici, alti un paio di spanne più degli altri. Le loro ali erano grigio scuro e vestivano in chiaro, con ricami in oro e verde. Si voltarono entrambi verso il nuovo arrivato e la sua guida. 
“Ali d’argento” commentò uno di essi “Come brillano. Molto belle”.
“Io noto di più i capelli” sorrise il secondo “Immagino ti fosse difficile passare inosservato, anche al piano di sotto”.
“Piano di sotto?” chiese Keros, sentendosi spiegare che parlavano del mondo umano. 
“Io sono Metatron” si presentò il primo gemello “Lui è Sandalphon. Sì, siamo gemelli”.
“Lo avevo intuito” ridacchiò Keros, presentandosi e notando, avvicinandosi, che i due erano albini.
“C'è una cosa che chiediamo a tutti i nuovi alati” furono le prime parole di Sandalphon, con sul viso uno strano ghigno. 
“E sarebbe…?” iniziò a preoccuparsi il mezzodemone, mentre i gemelli si lanciavano uno sguardo d’intesa.
“Vogliamo sentire la tua voce” gli risposero in coro.
“Quale voce? Cioè… Voi volete che io canti?! Ma no... Io...".
“Perché no?” di nuovo in coro.
“Perché mi vergogno!”.
“E di cosa?” rise Metatron “Nessuno è qui per deluderti. È una cosa che chiediamo a tutti…”.
“E che dovrei cantare? Non conosco i testi…”.
“A noi basta l’intonazione” spiegò Sandalphon “Facci una scala”.
Notando la perplessità di Keros, Metatron usò la propria voce e fece sentire al nuovo arrivo quel che intendeva. Il mezzodemone trovò quella voce una delle più belle che avesse mai sentito ed il suo imbarazzo aumentò. Nel mondo dei demoni cantava, ma sempre di nascosto.
“Non essere timido” lo incoraggiò Damabial. 
Keros ripeté la scala, a mezza voce.
“Ragazzo, andiamo! Nessuno ti mangerà, ma fuori la voce!” gli disse Metatron “Coraggio!”.
Il nuovo arrivo fu costretto a ripetere la scala più volte, ogni volta spronato ad alzare il tono. Sentendosi a disagio, con tanti angeli che lo fissavano, Keros chiuse gli occhi. Cercò di isolarsi e portare la mente altrove, cosa non facile con i due gemelli che continuavano a cianciare. Iniziò a canticchiare una canzoncina che conosceva, in un tono piuttosto basso. Parlava di dame e cavalieri, in un’epica avventura. Gliela cantava Lucifero quando era piccolo, anche se solo sotto supplica. Sorridendo a quel ricordo, la sua voce si fece più sicura e forte. Non era angelica, non era limpida come quella del coro, ma era forte e armoniosa. 
“Mi piace come canti” ammise Sandalphon “Davvero. Non mi spiacerebbe averti nel coro. Anche se non so se te la caveresti molto bene con la lirica da canti sacri. Suoni uno strumento?”.
“Sembra un colloquio di lavoro…” ci scherzò su il mezzosangue “Ad ogni modo, sì. Suono il pianoforte ed il violino”.
“Pianoforte? Ci sono degli organi qui da noi. Certo… L'organo è un pochino più complesso del pianoforte, ma avrai un sacco di tempo per imparare” fu il commento di Metatron.
“Ti insegneremo noi” confermò Sandalphon.
“Mi piacerebbe. Grazie” ammise Keros, trovando affascinante il suono dell'organo.
“Ora però dobbiamo continuare il nostro giro” si intromise, quasi bruscamente, Damabial “Riprendete pure i vostri canti”.

“Perdonami. Forse volevi trattenerti ancora un po'…” si scusò la guida “Ma vorrei mostrarti prima tutto quanto, per poi lasciarti libero di dedicarti alle attività che preferisci”.
“Tranquillo… Posso farti una domanda?” rispose Keros, mentre riprendevano il cammino verso un altro settore del Paradiso.
“Tutte quelle che vuoi”.
“Ho notato dei bambini nel coro… Chi sono?”.
“Bambini umani”.
“Bambini umani? Intendi… bambini morti?”.
“Ne muoiono parecchi, sai? E le loro anime nella maggior parte dei casi sono così pure da meritare le ali. C'è un settore per loro, dove gli angeli li intrattengono e li fanno giocare”.
“E non sono tristi? Intendo dire… Sono senza la madre…”.
“Loro sanno che un giorno la rivedranno. E la luce di Dio li rende spensierati. Vuoi vederli?”.
Keros, perplesso da quei discorsi, preferì rimandare a più tardi.
“Ma quindi… non ci sono figli di angeli?” chiese poi, timidamente.
“Figli di angeli? Certo che no. Noi siamo immortali!”.
“E coppie ce ne sono? Tipo marito e moglie?”.
“Assolutamente no. L’unico amore che ci serve è quello di Dio. La sua luce ed il suo calore ci ristora e ci appaga”.
“E mai nessuno ha provato il desiderio di…?”.
“Non è rimasto in Paradiso. Gli angeli che provavano pensieri impuri sono stati cacciati”.
“Capisco… A te non è mai successo?”.
“Cosa? Di innamorarmi? Io sono innamorato. Innamorato di Dio. Anche a te succederà”.
“Sinceramente non credo molto nell’amore. Specie nei confronti di una luce…”.
“Cosa ti spinge a dire una cosa del genere?”.
“La realtà. La vita. E ora cambiamo argomento…”.
Continuando a vagare per le strade candide, Keros notò molti angeli che camminavano su alte mura. Non erano abbigliati come i soldati ma il loro sguardo era costantemente rivolto al di fuori della città. 
“Cosa fanno quelli?” domandò il principe.
“Sono i vigilanti. Controllano ininterrottamente quel che accade fra gli uomini”.
“Gli angeli custodi?”.
“No, quelli sono nel mondo umano. Molti di loro ci vivono, confondendosi fra gli abitanti della Terra. Poi spetta agli umani decidere se seguire la voce di chi è angelo o farsi tentare da chi è diavolo”.
“E per tua esperienza cosa accade più spesso? Si fanno tentare o resistono?”.
“Io credo nella loro bontà. Però è davvero facile per loro cadere in tentazione”.
Keros trattenne un ghigno. Ora la sua curiosità era stata risvegliata da una torre sorvegliata. Era anch’essa bianca con decori in argento e una grande porta d'oro. Con tutte le finestre chiuse, il nuovo arrivo si chiese chi potesse viverci o a che cosa servisse. 
“Quella è la dimora di Lady Sophia” lo anticipò Damabial.
Keros annuì, intravedendo una finestra socchiudersi. Che si fosse affacciata? Non ne era sicuro, ma preferiva non rivolgere domande in merito alla sua guida. Cominciava a sentirsi spaesato, con troppe novità attorno.
“Vorrei tornare nel mio alloggio” ammise “Avrei bisogno di riordinarmi le idee…”.
“Comprendo perfettamente. Devi ambientarti! Bene, ti accompagno” gli sorrise Damabial, rassicurante.

Rimasto solo, Keros tentò di trovare un punto della casa che non fosse immerso nella luce. Iniziava a pulsargli la testa. Si stesse a letto ed affondò la testa sotto il cuscino. Trovò quella posa quasi rilassante e chiuse gli occhi. Non sapeva dire quanto tempo fosse passato prima dell'arrivo di Mihael. L'Arcangelo voleva sapere cosa ne pensasse il ragazzo di quel luogo e se c'era qualcosa che voleva approfondire. Keros, dopo aver chiesto come passassero il tempo le anime tutto il giorno, azzardò una domanda su Sophia.
“Non esce mai dalla torre?” domandò. 
“Può uscire quando vuole” gli rispose Mihael “Non può lasciare il Paradiso senza essere accompagnata da un altro Angelo”.
“E perché?”.
“Lunga storia. Legata alla caduta. Non deve interessarti più di tanto”.
“Capisco…”.
“Ti hanno già affidato un ruolo?”.
“No. Sinceramente spero non abbia a che fare con preghiere e cose simili…”.
“Sarà quel che verrà stabilito. Ma come posto ti piace?”.
“C'è così tanto silenzio. Nessuno grida, corre o ride. È strano…”.
“Dovrai abituarti”.
“Si. I libri sono magnifici e anche l’idea di cantare ogni tanto non mi dispiacerebbe. E le ali vedo che piacciono a tutti. Potrei avere qualche cosa in più in camera? Tipo una scrivania?”.
“Certo. Così potrai esercitarti con la scrittura e la lettura. Farò in modo che tu ne abbia una. Per quanto riguarda il cantare ed il ridere, ti inviterei ad avere un atteggiamento consono al luogo in cui ti trovi. Ma sono certo che sai meglio di me cosa intendo”.
“E se… dovessi venir affidato al tuo gruppo? A combattere contro i demoni?”.
“Che ci sarebbe di male?”.
“Che non ho voglia di farlo!”.
“Qui non si fanno le cose in base a quel che si vuole fare”.
“E ti sta bene così? Nel senso… Sei felice? Non sembra…”.
“La mia preoccupazione e serietà deriva da quel che vedo ogni giorno. Un mondo perfetto, rovinato da colui che è caduto”.
“Un mondo noioso. E non è colpa sua. Dio poteva creare gli uomini più intelligenti!”.
“Evita discorsi simili in cielo, per favore…”.
Il mezzosangue non rispose. Non sapeva nemmeno che dire. Doveva ambientarsi, questo lo sapeva. Aveva riscontrato molte similitudini con il mondo a cui era abituato, doveva solo abituarsi alle differenze. Magari avrebbe anche trovato qualcosa che lo convincere a restare…

 

Il capitolo è un pochino lungo… chiedo perdono :P il prossimo cercherò di renderlo più “small”. È quel che accade quando si creano file al cellulare e non più al pc…

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Capitolo 22
*** Sophia ***


22

SOPHIA

 

“Ho paura” ammise Keros.

“Paura di cosa? Su… Non fare il bambino” gli rispose Mihael, in tono stizzito.

“E se non ci riesco?”.

“Perché non dovresti riuscirci?”.

Keros guardò giù.  Sotto i suoi piedi, si apriva un crepaccio creato da una cascata. L’umidità, grazie a qualche raggio di sole, formava un arcobaleno. Il regno degli umani mostrava uno dei suoi lati più belli ma Keros non riusciva a farci caso. Si era preparato a lungo, si era impegnato per giungere a quel punto. Eppure ora era terrorizzato, e non si sentiva per nulla pronto.

“Un bel respiro” lo invitò Mihael, alle sue spalle “Un bel respiro e via”.

“E se…”.

“Più ci pensi e peggio è”.

“Ma…”.

“Chiudi gli occhi”.

Keros obbedì e fece un bel respiro profondo. Poi percepì una mano sulla schiena che, con un colpo deciso, lo spingeva giù. Non sentendosi più la terra sotto i piedi, un grido gli si bloccò in gola. Spalancò le ali, d'istinto. Le piume scintillarono al sole ed il mezzodemone iniziò a precipitare.

“Concentrati!” sentì gridare Mihael.

Si scosse, stringendo i pugni e ricacciando in gola quell’urlo che non era riuscito ad emettere. Era quello che aveva sempre sognato e non poteva avere paura. Era Ora! Era il suo momento! Rispose al vento, che gli sferzava le guance, con un vigoroso battito d'ali. La corrente lo avvolse e si lasciò sollevare. Un sorriso comparve sul suo viso. Stava volando! Si sollevò fin oltre al crepaccio, raggiungendo Mihael che si stava complimentando per l’ottimo lavoro con sul volto la solita espressione seria. Poi Keros deviò e volò in basso, seguendo il corso della cascata. Era felice ed espresse la sua gioia con un grido entusiasta.

“Fai attenzione!” gli urlò Mihael, che spalancò a sua volta le ali e lo seguì.

La cascata si tuffava in un lago circondato dalla vegetazione.

“Sto volando!” esclamò Keros “È la cosa più bella del mondo!”.

L'Arcangelo atterrò e continuò a seguire le piroette del mezzodemone con un po' di apprensione. Si voltò, percependo una presenza demoniaca. Immediatamente riconobbe la figura di Lucifero, nascosto fra la vegetazione. Fece per intervenire ma si accorse che il diavolo stava osservando il volo di Keros. Nel suo sguardo brillava l'orgoglio e sul viso gli si apriva un sorriso raggiante.

“Sono fiero di te” mormorò Lucifero, sicuro che la sua voce sarebbe stata coperta dal forte rumore della cascata. Poi scomparve, quando vide Keros tornare verso quel punto della radura.

Mihael rimase in silenzio dinnanzi a quella scena. Si sentì un po' strano, capendo per l’ennesima volta quanto fosse importante Keros per Lucifero.

Il mezzodemone raggiunse l'Arcangelo ed atterrò in modo piuttosto maldestro, scoppiando a ridere.

“Mi hai visto?” chiese, ancora ridendo “Non ci credo! So volare!”.

“Gli atterraggi sono un discorso a parte. Imparerai…”.

L'espressione di Mihael non cambiò e Keros si ricompose, rialzandosi e sistemandosi la veste.

“Immagino che gli angeli non facciano così” mormorò “Chiedo perdono…”.

“Il tuo entusiasmo è giustificato” annuì Mihael “Ora riposati. Sarai stanco. Prendiamoci un po' di tempo qui, fra gli alberi".

Le piume del sanguemisto erano tutte spettinate ed il giovane tentò invano di sistemarle.

“Come si fa?” domandò poi, rivolto all’Arcangelo.

“A sistemare le penne? Non è complicato. Devi solo avere un po' di pazienza” fu la risposta, accompagnata da un delicato gesto della mano come dimostrazione.

Keros imitò quel gesto e le sue piume un pochino smisero di assomigliare ad un mucchio disordinato ed arruffato. Mihael gli offri un pezzo di pane e lo invitò a mangiare per recuperare le forze.

“I primi voli sono impegnativi…”.

Il ragazzo accettò con gioia quella merenda. La consumò in silenzio, seduto sull’erba. L'Arcangelo era in piedi, che osservava lo scorrere del fiume.

“Posso farti una domanda?” parlò il sangue misto, una volta terminato il pane.

“Finché avrò tempo per risponderti, parla pure” annuì Mihael.

“Potresti parlarmi della mamma?”.

“Carmilla intendi?”.

“Sì. Mi parli di lei?”.

“Immagino che i demoni già ti abbiano raccontato tutto quel che c'è da raccontare”.

“Conosco il loro punto di vista. Non il tuo. Com'era la mamma? Cosa ti ricordi?”.

“Carmilla…” iniziò Mihael, con un sospiro. Non aggiunse altro, per qualche istante. Si voltò e sedette accanto a Keros, finalmente guardandolo in viso.

“Carmilla era unica” disse “Carmilla aveva un buon cuore. Era speciale, innamorata della vita e del mondo. Non era come gli altri demoni. Lei voleva aiutare. E voleva conoscere. Era curiosa, intelligente, creativa e…”.

“Bella?”.

“Meravigliosa. Possedeva quella bellezza che ti resta dentro. Quello sguardo che non dimentichi. E tu possiedi lo stesso sguardo”.

“Me lo dicono spesso. Però io non sono come mamma”.

“Io credo che tu sia esattamente come lei. Ma, come lei, hai bisogno di tempo per comprendere quel che c'è in serbo per te. E ciò che il tuo cuore desidera”.

“E quanto tempo ci vorrà ancora?”.

“Abbi fede, ragazzo. Se non riesci a riporre il tuo credo in Dio allora abbi fede nel futuro, nella speranza. Volare ti ha reso felice, hai realizzato un sogno. Ora rincorrine un altro”.

“A te cosa renderebbe felice?”.

“Io sono felice”.

“Non si direbbe, ma mi fido. Ora dovrei rientrare… Ho promesso a Gabriel che lo avrei aiutato con alcuni documenti”.

“Allora corri. Gabriel sa essere davvero scorbutico se si arrabbia…”.

Keros annuì, felice di poter prendere il volo ed aprire il portale per il Cielo da solo.

 

“Ora puoi anche smetterla di nasconderti” parlò Mihael, ad alta voce, girando gli occhi verso gli alberi.

Una volta che Keros se ne fu andato, Lucifero spuntò, con un ghigno soddisfatto sulla faccia.

“Tranquillo” commentò “Me ne torno subito a casa. Solo una domanda : come se la passa ai piani alti il mio ciliegino?”.

“Keros se la passa bene, direi. Non gli è ancora stato affidato un ruolo ma svolge molte attività. Canta nel coro, suona l’organo, aiuta in cucina, scrive e studia”.

“So però che a volte va dagli umani”.

“Spesso. Segue i Custodi e impara da loro. È affascinato dall’uomo. Non lo trova rivoltante, come fai tu”.

“Sicuro?”.

Mihael non ne era affatto sicuro ma annuì.

“Il mio piccolo ha l’animo buono” sorrise Lucifero “Magari diverrà angelo custode”.

“Non ti infastidisce la cosa?”.

“No. Affatto. Voglio la sua felicità. Io l’ho cresciuto, è vero. Ed in lui ho riposto molti sogni. Ma vedi… I figli non sono ciò che noi vogliamo. Noi genitori possiamo loro insegnare delle cose e guidarli ma poi saranno loro a prendere la strada che desiderano. Che dovrei fare? Punirlo perché non fa quel che voglio? Non sono quel tipo di padre…”.

“Tu non sei un padre”.

“E tu non ti comporti come tale. Keros ha bisogno di affetto, come tutti. Se a te basta l’amore di Dio, e so che non è così, per lui non è lo stesso. È troppo pretendere da te un abbraccio però potresti dedicargli qualche parola gentile, senza fare sempre il militare!”.

“Sei l’ultima creatura al mondo che può dare consigli sull’amore”.

“Già. Hai ragione. Ma vedi… L'amore ci fotte tutti, prima o poi”.

Con un ghigno, Lucifero scomparve fra gli alberi. Ed a Mihael non restò altro da fare che rientrare a casa.

 

Keros raggiunse la grande sala dell'archivio trattenendo il suo entusiasmo per il volo. Gabriel lo attendeva ma non era solo. Il mezzosangue si fermò sulla base della scalinata. Accanto all'Arcangelo, seduto come sempre alla scrivania, stava in piedi una donna dalle molteplici ali. Con lunghi e meravigliosi capelli biondo scuro, Keros ne rimase ammaliato. Capi subito di chi si trattasse e, quando lei si voltò, si inchinò con rispetto. Lei sorrise ed il suo sguardo brillò.

“Ti stavamo aspettando” spiegò Gabriel “Santa Sophia desidera parlare con te”.

“Per me è un onore” riuscì a dire Keros e lei lo invitò a seguirla.

Fra piume e ciocche color dell'oro, Sophia risplendeva.

“Io so chi sei veramente” mormorò lei, quando i due si ritrovarono in una zona della città priva di orecchie indiscrete.

“Voi sapete…?”.

“So che sei il figlio di Mihael”.

“Sul serio?!”.

“Io sono Sophia. Sono la conoscenza. Questo vuol dire che so tutto quel che è successo nel passato e tutto quel che accade nel presente. Perciò con me puoi comportarti come preferisci, non hai nulla da nascondermi”.

Keros si sentì sollevato. Chiese dove stessero andando ma lei non rispose e continuò a camminare.

“Io sono Sophia. Sono la conoscenza" ripeté, sospirando ed iniziando a salire una ripida scalinata di cui non si vedeva la fine “Conosco ogni cosa. Il mio sguardo vede tutto, nel mondo e fra gli universi. Ma c'è un luogo dove i miei occhi non possono guardare…”.

Salirono fino ad una porta d'oro. Nessun'altro angelo in vista. Sophia fu la prima a varcare la soglia e fece cenno a Keros di fare altrettanto. Il sangue misto obbedì e rimase ammaliato da quel che vide. Un magnifico dipinto riempiva la parete e rappresentava varie creature angeliche. Riconobbe Mihael, Gabriel e tanti altri. A molti invece non seppe dare un nome. Al centro dell'opera era raffigurata Sophia con accanto un altro angelo dalle molteplici ali. Keros intuì subito chi fosse e rimase senza fiato. Era la creatura più bella che avesse mai visto, con un sorriso limpido e gli occhi luminosi come le stelle. I capelli li aveva scuri e lunghissimi, mossi come quelli di tutti gli angeli. Con indosso una veste cullata da un vento sottile, volgeva lo sguardo verso lo spettatore che ammirava il dipinto.

“Nessuno viene più qui" riprese Sophia “Nessuno vuole ricordare. Io sì…”.

“Quello è…?” riuscì a dire Keros.

“Sì. Quello è Lucifero. Il più bello.  Dietro di lui puoi vedere dipinti Asmodeo, Astaroth, Azazel…”.

Il giovane osservò meglio. Erano molto diversi ora. Non riusciva quasi a credere che potessero essere stati, tempo fa, di simile aspetto.

“Nessuno vuole ricordare. Io invece voglio sapere. Il mio sguardo non può spingersi oltre le porte dell'Inferno. Perciò dimmi, Keros… È davvero come raccontano?”.

“Per un'anima dannata… È pure peggio di quel che raccontano” ridacchiò il ragazzo “Ma per chi ci abita non è poi così male”.

“Ti manca? Pensi siano gli inferi la tua casa?”.

“Mi manca chi ci vive. Per il resto, non saprei. Alla fine, devo sempre fingere. Qui devo trattenere il mio lato demoniaco, all’Inferno devo celare il lato angelico. Non posso mai essere pienamente me stesso. Mi sento comunque… incatenato”.

“Cerchi un posto dove essere del tutto te stesso?”.

“Sì…”.

“Chissà se esiste. Anche se non sembra, tutte le creature del mondo provano in parte quel che provi tu. Pensi che io non sia tentata di correre fuori da qui e mettermi a ridere, a gridare o fare altre cose non molto angeliche?”.

“E perché non lo fate?”.

“Perché ci si adatta, ragazzo. Si controlla i propri istinti”.

“Ci si reprime…”.

“Può darsi. Molti demoni avranno un lato o qualche reminiscenza angelica che terranno ben nascosta. Ci si deve adattare all'ambiente. È sopravvivenza”.

Keros storse il naso.

“Raccontami… Com'è lui?” domandò poi Sophia, guardando il dipinto con aria sognante “È davvero come dicono?”.

“Ha un po’ di strane parti in più rispetto a quel disegno ma non è così terribile. Insomma… Niente piedi caprini, pelle rossa e tripla testa mangianime”.

Sophia prese le mani di Keros, che la fissò perplesso.

“Parlami ancora di lui” insistette lei “Dimmi: è felice?”.

“È vivo. Quindi ogni tanto lo è ed ogni tanto no. In linea di massima penso di sì…”.

“Ti ha mai parlato di me?”.

“Certo. Un sacco di volte”.

Osservando ancora il dipinto, trovando strano il viso del demone che lo aveva cresciuto su quel corpo d'angelo, Keros raccontò quel che gli era stato narrato. Sophia fece lo stesso, ricordando i giorni trascorsi in Paradiso.

“L’ultima volta che l'ho visto…” ammise lei “…è stato quando il fulmine lo ha trafitto. Colpito da Dio, è precipitato. Ricordo il suo sguardo che si tingeva d'arancio e ricordo il suo grido di dolore”.

“Perché non lo avete cercato? Perché non lo avete seguito?” domandò il mezzodemone.

“Sono stata imprigionata qui. Non mi è permesso recarmi nel regno umano senza un angelo che mi accompagni. E con che angelo potrei, secondo te, andare ad incontrarlo? Qui hanno tutti paura perfino di pronunciarne il nome. Ho tentato di fuggire ma ogni volta le milizie mi hanno riportato qui…”.

“Ma voi… Lo volete rivedere? Lui è convinto del contrario e che…”.

“Io darei qualsiasi cosa per rivederlo! Siamo nati nello stesso istante…”.

“Però… forse c'è un modo…” si fece meditabondo Keros, sorridendo nel vedere Asmodeo con i boccoli biondi “Lasciatemi spiegare!”.

 

Nel frattempo Mihael aveva ricevuto la visita di Metatron e Sandalphon, i due gemelli.

“Ti consiglio di fare attenzione” parlava Metatron.

“Non si trova alcuna informazione in merito” aggiungeva Sandalphon.

Discutevano sul fatto che la ricerca di un ruolo per Keros, e l'indagine sul motivo per cui aveva ricevuto le ali, non stava andando come si sperava.

“Non risulta nulla a suo nome” continuava Metatron “Sembra come comparso dal nulla. Non sono state rilevate azioni particolarmente meritevoli da ricevere le ali. Non riusciamo nemmeno a capire dove sia nato e quando”.

“È un ragazzino” alzò le spalle Mihael “Perché dovrei stare attento?”.

“Potrebbe essere un trucco demoniaco!” gli rispose Sandalphon.

“E secondo voi Dio permette ad un demone di entrare in Paradiso? Questo è assurdo. Piuttosto saranno certi archivi con delle lacune”.

“Sai bene che i nostri archivi non hanno lacune, Mihael…”.

“E allora chi sta sbagliando? Dio?”.

“Questo non è possibile!”.

“E quindi…”.

Mihael, con quelle poche parole, sembrava aver convinto i gemelli. Forse la loro era solo paranoia! 

“Tieni comunque gli occhi aperti” suggerì Metatron, prima di tornare per la sua strada.

“So meglio di te come è fatto un demone” stava iniziando a spazientirsi l'Arcangelo “Di certo non canta preghiere a Dio! E ora lasciatemi lavorare. Vado a combattere demoni veri!”.

“Ti hanno mai detto che sai come essere irritante?” mormorò Metatron, osservando Mihael aprire le ali ed allontanarsi “Ma spero tu abbia ragione…”.

 

Buon anno!! Magari per qualcuno questa sarà la lettura d’attesa della mezzanotte! A presto… Ho in mente di far succedere un sacco di casini (scusate se vado a rilento e se le scene yaoi e sexy mancano da un po'… Mi rifarò più avanti! Giuro!).

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Capitolo 23
*** decisioni -prima parte- ***


23

DECISIONI

-prima parte-

 

 

Chino su un grosso libro, Keros si era appena dedicato alla lettura. Dopo aver aiutato vari angeli negli archivi, riordinando documenti e volumi, quel giorno aveva deciso che voleva terminare quello scritto. In mezzo agli alati, impegnati a compilare e scrivere, non si faceva molto notare.

“Come mai una lettura simile?” si sentì chiedere.

Alzò lo sguardo e vide che a parlargli era stato un Serafino, lo capì dalla veste e dal numero delle ali. Immediatamente si mise in piedi e si inchinò, in segno di rispetto.

“Tu sei l’ultimo arrivato, vero?” domandò ancora il Serafino.

“Sissignore”.

“Ho saputo che formuli domande inopportune agli angeli che vigilano sugli uomini…”.

“Domande inopportune, signore?”. Keros era perplesso. “Se ho arrecato fastidio o danno, chiedo perdono. Non comprendo…”.

“Hai chiesto loro come mai non intervenissero dinnanzi a comportamenti malvagi degli umani. E, da quel che mi è stato riferito, hai poi difeso i demoni dicendo che non era loro la colpa”.

“Signore, io…”.

“Il Signore è uno soltanto. Io sono Vehuia. Chiamami così”.

“Va… va bene. Ad ogni modo… Ricordo quell'episodio. Non era presente alcun demone e gli angeli hanno risposto che gli umani sono malvagi per colpa dei demoni”.

“Loro sanno quello che dicono. È il loro mestiere. E tu, al contrario, un mestiere qui ancora non lo hai”.

“Non mi è stato affidato. Vero…”.

“E questo ti ha portato a leggere volumi riguardanti la Caduta?”.

“Mi incuriosiva. Non pensavo fosse proibito…”.

“Non lo è”.

“Oh… Bene…”.

“Ma non è… Usuale”.

“Ho tante domande nella testa. Non voglio disturbare e quindi cerco le risposte nei libri”.

“Rivolgimi pure tutte le domande. Fuori di qui, se lo ritieni un luogo poco opportuno a quel che vuoi sapere”.

“Ho promesso ad Uriel di aiutarlo a sistemare alcuni volumi e…”.

“Allora andiamo. Potrai chiedere mentre svolgi il tuo compito”.

In realtà Keros non aveva alcuna voglia di parlare con quel Serafino dallo sguardo severo. Ma capì di non avere scelta. Camminando fra gli scaffali, spostando e cercando libri, tentò di restare in silenzio il più a lungo possibile. Capendo che tanto Vehuia non se ne sarebbe andato, seguendolo per l’intera sala, il mezzosangue prese coraggio ed aprì bocca.

“Voi eravate presente prima della guerra del Cielo…” iniziò, ed il Serafino annuì “…ebbene io… Non capisco il perché. Cosa ha provocato simili eventi”.

“La gelosia. L’invidia. Il Nemico voleva essere come Dio ed ha trascinato con sé i suoi compagni corrotti, governati dall'odio, dalla lussuria e dal peccato”.

“Sophia però mi ha parlato d’amore. Ed anche voi tutti mi parlate d’amore. Un Dio misericordioso e buono, come può scagliare una folgore contro suo figlio? E come può punire per sempre chi ha sbagliato? Non dovrebbe essere il Dio del perdono?”.

“Certi atti non possono essere perdonati. Inoltre richiederebbero pentimento. Ed il caduto non proverà mai pentimento. La superbia lo guida. La rabbia”.

“Ma è stato Dio a crearlo. Non aveva previsto che avrebbe poi…”.

“Era il prediletto. Il primo creato. Helel ben Shahar, il portatore di luce, era praticamente pari a Dio. Ma ad esso era inferiore perché ha lasciato corrompere il suo animo da pensieri impuri, che lo hanno reso debole ed oscuro”.

“Pensieri impuri? Come l'amore che provava per Sophia?”.

“Amore? La sua era solo gelosia. Gelosia perché gli umani avevano qualcosa che lui non poteva avere e quindi, come un bimbo capriccioso, ha agito di conseguenza. E Sophia, immacolata nell'animo e nel corpo, non ha saputo distinguere un vero sentimento da una bugia. Per fortuna Dio l'ha protetta, tenendola con sé in Paradiso”.

“Però Sophia è la sapienza. Dovrebbe sapere tutto. Anche se una persona mente…”.

“Tu non sai di cosa è capace il Nemico. E per fortuna la tua vita ha seguito una tale virtù da concederti le ali ed il Cielo, senza avere nulla a che fare con le anime dannate”.

“E queste anime dannate, se non ci fosse l’Inferno, dove andrebbero? Quel che è successo, doveva accadere. O mi sbaglio? Dio sapeva e…”.

“Se non ci fosse stata la caduta, non ci sarebbero anime dannate. Perché l’uomo sarebbe ancora nel paradiso terrestre a bearsi dei doni divini”.

“Non so… Io credo che molti umani siano malvagi”.

“E la malvagità è colpa del Caduto”.

“Lucifero non ha creato gli umani. È stato Dio!”.

“Non nominare quel nome! Non farlo mai!”.

“Perché? È un nome come un altro! Hai paura che venga a prenderti?!”.

Immediatamente, dopo quella frase, Keros tacque. Si rese conto all’istante di aver esagerato. Vehuia, sforzandosi di mantenere il controllo, non ribatté.

“Ora ho io una domanda per te" mormorò il Serafino, notando lo sguardo impietrito del giovane “Tu… Tu chi sei realmente? Perché sei qui? Non mi sembri un santo e nemmeno un beato. Dunque perché hai le ali? Perché sei fra gli angeli?”.

“Io… Io non lo so…”.

Scese di nuovo il silenzio.

 

“Ora… Scusate, ho da fare” riuscì a farfugliare il mezzosangue, e si allontanò in fretta, mentre Vehuia lo seguiva con lo sguardo.

 

Keros sapeva che non era consono correre. Ma provava un gran desiderio di farlo ed attraversò la scalinata che conduceva alla biblioteca quasi inciampando nei sandali. Notò i volti di chi lo incrociava, con un’espressione mista fra il perplesso e lo spaventato. Raggiunse i suoi alloggi e lì vi rimase, per riordinare le idee. Pensò a che giorno fosse e realizzò che ormai mancava poco alla luna piena. Immerso in pensieri confusi, si sentì stranamente sollevato nel sentire la voce di Mihael. L’Arcangelo, che aveva raggiunto il figlio appena messo a corrente degli accadimenti della biblioteca, si stupì nel trovare Keros decisamente avvilito. Non era abituato a simili espressioni in Paradiso.

“Sei venuto a rimproverarmi?” ipotizzò il mezzosangue “So di aver detto cose non adeguate. Ma…”.

“Sono solo venuto a vedere come stai" si affrettò a dire Mihael.

“Come sto? Bella domanda… non saprei. Immagino che in Paradiso siano tutti felici e contenti. Perciò…”.

“Io non sono felice e contento…”.

“Oh… In questo caso… ecco… Diciamo che mi sento a disagio. Qui sono tutti così perfetti. Calmi, controllati e composti. Tutti con il loro compito, non si annoiano mai, sempre con il sorriso. Ma non si ride, perché non è consono. E si ringrazia un Dio che non parla mai, che non si vede mai. Mi sento… fuori posto. Voi angeli siete così…”.

“Impiccioni e cagacazzi”.

“Come…?”.

Non aspettandosi quelle parole da parte di Mihael, Keros rimase ad osservarlo mentre questi si sistemava su una sedia, con un sospiro.

“Mi hai sentito. Noi angeli siamo dei cagacazzi. A volte in senso buono, a volte no. La verità è che molti di noi sono ancora traumatizzati dalla caduta e temono sempre che possa accadere di nuovo. Oppure temono di essere puniti. Quindi tutto quello che è anche solo leggermente fuori dallo schema ordinario viene visto con diffidenza. Non è colpa tua. Tu sei giovane, sei curioso. Ed è naturale che voglia sentire entrambe le parti in questa storia. Forse è giunto il momento di svelare la verità”.

“Intendi raccontare a tutti che io e te siamo…? Non so. Non penso sia una buona idea”.

“Perché? Sapendo chi sei, capiranno perché ti comporti in un determinato modo”.

“Sì ma non so se è il momento giusto. Ne verresti danneggiato.  Insomma… Guarda che razza di figlio che ti ritrovi! Che penserebbero tutti coloro che ti rispettano e ti stimano?”.

“Che dovrebbero pensare? Sei curioso, intelligente, capace e con voglia di aiutare”.

“Ed uno che fa anche molte cose poco angeliche che non sto ad elencare. Non so… non penso sia il momento”.

“Va bene. Quando quel momento arriverà, non mi tirerò indietro. Dio ha voluto la tua nascita, Dio saprà cosa è giusto per te”.

Keros sorrise, rincuorato da quelle parole. Sapere che aveva qualcuno che lo sosteneva anche in Cielo lo faceva sentire molto meglio.

 

Illuminato dalla luna piena, Keros aspettava. Le sue ali d’argento riflettevano piccole luci, come il cielo notturno. Nascosto fra le fronde degli alberi, non molto distante da dove poco tempo prima aveva spiccato il primo volo, guardava le stelle con un mezzo sorriso. La notte sulla Terra era magica, l’aveva sempre affascinato. Abituato a vedere nel buio, attendeva…

Un fruscio.

“Stai invecchiando” rise il mezzodemone “Non sei più silenzioso come un tempo”.

“Non ho più quei cinque o sei millenni…” si sentì rispondere, con una risata.

Il mezzodemone rispose a quella risata e spalancò le braccia, correndo ad abbracciare chi stava spuntando fra gli alberi.

“Che entusiasmo!” ghignò Lucifero, lasciandosi abbracciare “Carenze d’affetto in Paradiso?”.

“Non sai quanto!” rise Keros “Hai seguito la mia lettera! Sei vestito elegante…”.

“Sì. Ho inoltre mandato molti demoni in quella città che mi hai scritto. Ora mi vuoi spiegare che succede? Mi vuoi portare a vedere l’opera?”.

Il diavolo rise ancora e Keros mostrò la lingua. Aveva fatto recapitare una lettera al re dei demoni, consegnandola ad uno dei guardiani degli inferi. Ovviamente non mostrandosi come angelo.

“Ho creato un diversivo” spiegò il giovane “Gli angeli correranno tutti dai demoni che hai mandato fra gli umani, lasciandoci in pace. Ho una sorpresa per te. Una grande sorpresa!”.

“Per questo mi hai fatto conciare in questo modo?”.

“Stai benissimo. Molto elegante”.

“Anche tu con la tunica da angioletto non stai male…”.

“Sorvoliamo…”.

“Ma ora spiegami tutto”.

Keros sorrise ancora. Lucifero aveva legato i capelli, in una strana acconciatura a cui chiaramente aveva lavorato Lilith. L’abito nero, in velluto, era ricamato finemente in argento e brillava leggermente alla luce della luna. Il re teneva celata la sua vera identità, trovando più consono girare per il mondo umano senza corna, coda o altro di particolare.

“C'è una persona che non vede l’ora di incontrarti” rivelò Keros, trattenendo a stento l’entusiasmo.

“Una persona che non vede l’ora di incontrare me? Sei sicuro?” ghignò il demone.

“Tu hai fatto molto per me ed ora voglio ripagarti così. Ora tu…”.

“Lucifero!” chiamò una voce di donna, poco distante “Sei davvero tu? Vieni qui da me!”.

Il re l’aveva subito riconosciuta e, spalancando gli occhi, si era istintamente nascosto dietro un albero.

“Che ti prende?” storse il naso Keros.

“Sophia?” mormorò il demone “Lei è…?”.

“Sì! E non vede l’ora di rivederti! Non è una cosa bellissima? Dai, non fare il timido…”.

“Come hai potuto portarla qui?”.

“Te l'ho già spiegato. Gli angeli sono distratti, impegnati in quella città dove hai mandato tanti demoni. Ed io ho potuto portarla qui perché Dio le concede di lasciare il Cielo se accompagnata da un angelo. Capisci? Però non penso abbiate moltissimo tempo… Perciò spicciati e…”.

“Ma… Lei non mi ha mai visto come sono ora”.

“E allora?”.

“La fai facile tu, principino dal faccino coccoloso! Io ero il più bello fra gli angeli e lei mi ricorda così! Non so se…”.

“Mi hai sempre insegnato che nessuno può giudicare cosa sia normale, bello o strano. Pensi che lei, dopo tutto questo tempo, stia a perdersi dietro a simili cose?”.

“Invidio il tuo punto di vista, piccolo. Così favolistico…”.

“Muoviti!”.

Keros prese Lucifero per un braccio e tentò invano di farlo muovere. Il re non si spostò di un solo centimetro, prendendosi facilmente gioco del mezzodemone.

“Senti…” alzò le braccia Keros “…io ho fatto il possibile. Ora spetta a te. Lei è là, ti aspetta. Decidi tu. Puoi andare ad incontrarla oppure startene qui a nasconderti”.

“Se lei mi vedesse e fuggisse via…”.

“Non accadrà. Credimi”.

“Ma lei è rimasta sempre la stessa. Ne sono certo. Perfetta e bellissima…”.

“Ripeto: tua scelta. Vi lascio. Vado a sorvegliare i dintorni, in caso venisse qualcuno di indesiderato…”.

Lucifero vide il mezzosangue allontanarsi fra gli alberi. Lo udì dire qualcosa a Sophia, seguita da una risata angelica. Poi tornò il silenzio. Prese un respiro.

“Andiamo!” si disse “Sei il re dell’Inferno, mica un moccioso! Che stai facendo?!”.

Per niente rassicurato, si voltò. Da dietro l’albero, riusciva a scorgere una figura. Era bella come la ricordava, forse anche di più. Alzando lo sguardo, percepiva la presenza di Keros. Come era bello l’entusiasmo dei giovani…

 

Ciao a tutti! Il prossimo capitolo sarà un po' un casino. Ed arriverà molto presto (spero)!

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Capitolo 24
*** decisioni- seconda parte- ***


 

24

DECISIONI

-seconda parte-

 

Gli alberi della foresta erano illuminati dalla luce di Sophia. Così come il suo gemello Lucifero, anch’ella splendeva e la notte accentuava quell' effetto. Le ali di lei, dodici, restavano aperte e si riflettevano fra le acque del fiume. Con la candida veste che scintillava, il viso incorniciato da capelli oro ed aureola, sorrise. Al fianco, legata da una cinta ricamata, una borsa che lei accarezzava. Il re dell’Inferno, che la osservava e restava nascosto, non riuscì a trattenere un sospiro.

“Perché non vieni da me, Lucifero?” domandò lei.

“Sei così bella…” parlò lui.

“Sono sempre io. Vieni qui. Voglio vederti”.

“Una creatura come me non si deve avvicinare a te. Tu sei la perfezione. Tu sei la creazione più bella di Dio”.

“Sai che non è vero…”.

Sophia, stanca di aspettare, si incamminò verso il punto in cui sentiva provenire quella voce.

“Ti manco?” chiese, non amando il silenzio.

“Ogni giorno. Ogni momento” ammise Lucifero.

“Allora mostrati. Lascia che ti abbracci!”.

Capendo di non poter ancora a lungo restare nascosto, il demone lasciò l’ombra. Con aspetto mutato, senza mostrare la vera natura, rimase immobile dinnanzi ad un massiccio tronco d’albero.

“Fratello!” si illuminò lei, sollevando leggermente la veste e raggiungendolo.

“Sophia…”.

Rimasero fermi, guardandosi negli occhi, quasi increduli, a pochi passi l’uno dall'altro. Rivedersi, dopo tutto quel tempo, pareva incredibile.

“Mostrami come sei per davvero” ruppe il silenzio lei.

“No. Non voglio che il tuo cuore si spaventi”.

“Mostrami. Non voglio parlare con una menzogna. Rivelami quel che sei”.

Lucifero la guardò negli occhi. Sospirò, chinando poi il capo. Stringendo i pugni, mutò. Trattenne il fiato, notando le lacrime che iniziavano a rigare il viso di Sophia. Non sapendo come interpretare quell'atto, girò lo sguardo. E lei corse. Scattò di colpo e raggiunse il re, abbracciandolo forte e ripetendo il suo nome. Lui solo dopo qualche istante riuscì a muoversi ed accarezzarle il capo.

“Sei cambiato” mormorò Sophia “Ma sei sempre tu. Sì… sei tu”.

“Più vecchio e malmesso ma sì… son sempre io”.

“Ho ancora il tuo anello" mostrò lei, alzando la mano e facendo risplendere il gioiello all’anulare.

“Ricordo quel che ti dissi quando te lo diedi…”.

“Lo pensi ancora? Vuoi ancora che io sia tua per sempre? Vuoi ancora che io sia tua moglie?”.

“Lo voglio. Ma tu non puoi più essere mia. Tu appartieni al cielo. Tu sei luce. Io tenebre”.

“Posso vederla?” parlò lei, dopo essere rimasta in silenzio per qualche istante.

“Vederla?”.

“La cicatrice. Quella cicatrice…”.

La mano di lei si poggiò sul petto di Lucifero, che non rispose. Sophia indugiò sui bottoni della camicia candida del demone, fino a scoprire la pelle e vedere i segni di quel che era un profondo squarcio provocato dalla folgore divina.

“Ti ha fatto male?” chiese lei.

“Mi hanno fatto male tante cose nella vita…”.

I loro sguardi si incrociarono di nuovo e questa volta si unirono in un lungo bacio.

“Non voglio tornare in cielo” ammise Sophia.

“L’Inferno non è per te”.

“Il mio posto e accanto a te. Ovunque tu sia”.

Si baciarono di nuovo, stringendosi forte.

“Conosco ogni cosa…” ammise la bionda creatura angelica “…ma ben poco ho provato sulla mia pelle. Voglio che tu mi insegni. Voglio essere tua per sempre”.

Lucifero la osservò con un mezzo sorriso. Doveva ammetterlo: gli sembrava di avere davanti una fanciulla. Una fanciulla dal cuore puro, mentre lui portava sul viso e sul corpo tutti i segni dei millenni passati. Averla accanto gli ricordava quei tempi ormai lontani, quando ancora splendeva di luce oro e non rosso sangue. Quando ancora loro ed il mondo erano giovani. Ricordando quei giorni, alla mente tornò tutto l’amore che lo aveva legato a Sophia, a tutti i desideri che aveva ricamato attorno alla sua figura. E quel ricordo lo travolse, portandolo a dimenticare ogni possibile freno. L’aveva sempre voluta, ed ora era lì. La riempì di baci e lei rise. Sollevandola da terra, il demone girò su se stesso ridendo a sua volta. Finirono in terra, dandosi un altro bacio.

“Ti amo” mormorò lei.

Lui ghignò, sollevandole la veste bianca ed accarezzando la bianca pelle delle gambe di quell’angelo perfetto.

“Mi farai male?” domandò Sophia.

“No. Gli angeli non provano dolore” la rassicurò lui.

Gli occhi arancio del demone brillarono, mentre puntava le mani in terra, fra le ali aperte di lei. Sorridendosi, Sophia incrociò le braccia attorno al collo del suo amato e lo abbracciò. Accogliendolo dentro di sé, sentì di non essere mai stata così felice. Chiamò il nome di Lucifero, mentre lui le ripeteva di amarla.

Per Sophia era una sensazione nuova, mai provata prima. Ed anche il demone si sentiva strano. Quante donne aveva posseduto nella sua lunga vita? Eppure quel che provava ora con lei era completamente diverso. Si sentiva come avvolto in una nube, sospeso in un mondo diverso dove esistevano solo lui e Sophia. Non voleva più uscire da quella nube, non voleva più uscire da lei. Ogni movimento donava ad entrambi un intenso piacere, sempre più forte. Sophia gemette, sorridendo solleticata dal pizzetto di lui sul collo. Raggiunse l’orgasmo senza trattenere una chiara espressione di piacere.

“Amore mio…” le sussurrò Lucifero, spalancando le ali.

 

Keros guardava il cielo stellato, appollaiato su uno degli alberi più alti. Si stavano addensando le nubi, il tempo cambiava. Storse il naso, non amando bagnarsi le penne. Sobbalzò di colpo, quando una voce lo chiamò per nome.

“Dove si trova Sophia?”.

Il mezzosangue si stupì nel trovarsi davanti Mihael, e non rispose.

“Dove si trova Sophia?” domandò ancora l'Arcangelo, lentamente e con un tono leggermente alterato.

“Nel bosco” si limitò a dire Keros.

“È sola?”.

Il ragazzo non rispose.

“Tu sei consapevole di quel che comportano simili azioni sconsiderate?”.

Keros continuò a non rispondere.

Altri angeli guerrieri raggiunsero Mihael, guardandosi attorno.

“Sophia è nel bosco” spiegò l'Arcangelo “Andiamo a cercarla. E state attenti. È molto probabile che ci sia il caduto…”.

Si alzarono esclamazioni turbate.

“Niente paura” rimase calmo Mihael “Dio è con noi. Andiamo”.

“E tu lo sei?” finalmente parlò Keros.

“Sono cosa?” rispose l'Arcangelo, sfoderando la spada.

“Sei consapevole di quel che comportano simili azioni sconsiderate?”.

Il soldato del cielo non rispose, facendo segno ai suoi compagni di seguirlo.

 

“Perché è un peccato?” mormorò Sophia, accoccolata fra le braccia di Lucifero.

“Non l'ho mai capito…” ammise lui.

“Non mi sento cambiata…”.

“Dio non ti lascerà mai cadere. Non ti permetterà mai di venire all’Inferno”.

“Ma tu mi ci porterai, vero? Io e te, insieme!”.

“Lui non te lo concederà. E di certo non concederebbe mai a me un dono come te, che allevierebbe ogni pena infernale”.

Sophia si sollevò a sedere di colpo, con un’espressione contrariata. Lui si mise seduto a sua volta e le dedicò un altro bacio.

“Non voglio tornare in cielo!” quasi urlò lei, mentre veloci si avvicinavano gli angeli.

“Ci rivedremo…”.

“No! Lui non lo permetterà! Mi rinchiuderà, non potrò più lasciare le mie stanze! Non voglio!”.

“Sophia…”.

“Portami con te!”.

“Non posso. Se lui non lo vuole, ti farebbe solo soffrire. Così come soffro io se passo troppo tempo fuori dagli inferi. Non lo capisci? Io ti amo. Ma non sono io a decidere”.

“Soffrirei. Sono disposta a farlo. Sono pronta a farlo!”.

“Io non potrei mai più sorridere, sapendo che stai soffrendo”.

Sophia rimase in silenzio, versando qualche lacrima. Poi affondò la testa sulla spalla del demone e lo abbracciò forte.

“Non voglio che tu soffra” ammise poi, mentre lui le sussurrava che sarebbe andato tutto bene “Mi fai una promessa, Lucy?”.

“Dipende…”.

Lui la guardò in viso, scostandole una ciocca di capelli e baciandole la fronte.

“Promettimi che sarai felice, Lucy. Magari non subito, magari non oggi, ma un giorno. Promettimi che un giorno sarai felice. Un giorno penserai a me e sarai felice. Felice anche per me”.

“Anche per te?”.

Le voci degli angeli erano vicine, già si intravedevano nel buio. Anche Keros stava raggiungendo la coppia di amanti, non vedendo alternative. Sophia sorrise, guardando negli occhi Lucifero e baciandolo. Nell'aria, le voci degli angeli. In bocca il re degli inferi percepì un sapore familiare, che però non si aspettava.

“Sophia!” gridò.

Lei sorrideva ancora ma nel ventre si era conficcata la lama d’oro di un’arma vecchia come il mondo. Custodita in quella borsa che portava a fianco, il pugnale forgiato per uccidere gli angeli ed i demoni ne logorava le carni. Il sangue ne usciva copioso ma lei non smetteva di sorridere. Si accasciò e Lucifero la strinse, chiamandola.

“Andrà tutto bene” le ripeteva, in modo continuo “Dio non permetterà la tua morte".

“Dio non è padrone della mia vita” sussurrò lei, stringendo la mano del demone.

Gli angeli rimasero impietriti da quel che videro.

“Che hai fatto?!” riuscì a dire Mihael “Satana! Allontanati subito!”.

“Chiama aiuto, non vedi?” urlò Lucifero, mentre il cielo si faceva sempre più nero “Chiama Raphael ed i guaritori! Muoviti!”.

Mihael si accigliò ma diede l’ordine di chiamare i guaritori ad un paio di angeli soldato.

“Promettimi che sarai felice” sussurrò Sophia.

Il demone stringeva la mano di lei, ma percepiva che quella stretta andava affievolendosi. La luce oro della più bella creatura del paradiso si stava spegnendo e così anche il suo calore, la linfa dell’esistenza. Prima che i guaritori arrivassero, gli occhi di Sophia si erano offuscati, privi di vita. Il corpo angelico iniziò a dissolversi e nulla rimase di lei, se non un pugnale insanguinato ed un anello che era riuscita a lasciare fra le dita del suo amato. Lucifero aprì la mano, vedendo quel cerchio oro al centro del palmo. Quell’anello, promessa di amore eterno, era tutto quello che gli restava. Lanciò un grido.

“Sophia…” mormorò Keros, incredulo e confuso.

Il giovane incrociò lo sguardo perso nel vuoto del re dei demoni e poi quello rigato di lacrime degli angeli. Mihael era serio. Keros non aveva il coraggio di guardarlo. L'Arcangelo si avvicinò a Lucifero, ancora immobile e chino sul sangue di lei. Senza parlare, Mihael raccolse il pugnale.

“Dovrei ucciderti” sibilò, puntandolo verso il demone “Ma sarebbe una liberazione per te. Meriti di vivere e ripensare ogni giorno a questo istante. Ogni giorno. Ogni momento. Per l’eternità”.

Ora anche Mihael piangeva. Non si aspettava una risposta da parte del fratello maggiore, che di fatti non arrivò.  Con un gesto, gli angeli svanirono. Solo Mihael rimase e guardò il figlio. Keros chinò la testa. Con le mani incrociate, lo sguardo del giovane si posò sull’anello che portava al dito medio. Vi era inciso il sigillo reale, dono ricevuto al momento della sua investitura come principe ereditario.

“Perdonami…” riuscì a dire, rivolto al padre, a Lucifero ed a Sophia.

Poi si avvicinò al re, poggiandogli una mano sulla spalla. Così facendo, il palmo gli si tinse di rosso sangue. Non riuscì a dire nulla, si sentiva mortificato per quanto successo. Ma in cuor suo sapeva quel che doveva fare. Chiuse le ali, facendole svanire. Mihael immediatamente capì e tornò in cielo. Si udì un tuono: Dio era in collera.

 

Tolti i sandali e con la veste rovinata dagli inferi, Keros rientrò al palazzo reale. Lilith fu la prima a vederlo e gli sorrise. Poi notò le mani insanguinate e la veste distrutta.

“Cosa è successo?” domandò, preoccupata “E dov'è il re? Dovevate incontrarvi, mi aveva detto”.

“Hai ragione” annuì Keros “Potresti chiamarmi Azazel ed Asmodeo? È urgente…”.

Senza perdere tempo, il giovane raccontò quanto successo ai demoni che riteneva più di fiducia. Narrò la morte di Sophia, sorvolando su alcuni dettagli che potessero svelare la propria natura angelica. Le reazioni furono molto diverse, ma ognuno di essi pensò al proprio re. Azazel sapeva cosa significasse perdere la persona che si ama e rimase in silenzio. Asmodeo era rimasto accanto a Lucifero fin dall'inizio di quell’amore. Avevano combattuto per esso ed ora provava una gran rabbia. Come poteva Dio aver permesso una cosa simile? La bellissima Sophia persa per sempre? Ringhiò.  Lilith, che amava il suo signore e sapeva fin troppo bene quanto lui amasse Sophia, si mostrò subito molto preoccupata.

“Lui dov'è?” chiese subito.

“Di certo non mi voleva fra i piedi. Almeno per un po'…” ammise Keros, ancora scosso ed agitato.

“Chi altri sa di quanto successo?” parlò invece Asmodeo.

“Nel regno dei demoni solo voi” lo tranquillizzò il principe “Di voi mi fido, ciecamente. E so che conoscete il re da molto più di me. Io… Sinceramente non so che cosa fare. Non vorrei arrecare più danni di quanto non abbia già fatto".

“Tu non arrechi danni, piccolo cucciolo!” lo abbracciò di nuovo Lilith ed il giovane arricciò il naso.

“Credo che la cosa migliore al momento sia aspettare” propose Asmodeo ed Azazel annuì “Il re avrà bisogno di riprendersi. Non penso possa essere in condizione di regnare, almeno non per stanotte. Nel frattempo qui ci siamo noi. Vi aiuteremo, principe”.

“Farò in modo che la voce per ora non si diffonda” si aggiunse Azazel “Poi ricordiamoci che non può rimanere nel regno umano molto a lungo. Rientrerà quando non resisterà più”.

“E, se non dovesse tornare, proverò a parlarci” concluse Lilith “Per ora cerchiamo di agire nel modo più naturale possibile. La notizia della morte di Sophia prima o poi giungerà anche in questo mondo. E, nel caso il re non fosse presente, spetterà a noi calmare gli animi”.

“Sophia era amata” ringhiò sommessamente Asmodeo “Era amata da tutti noi. E tutti sanno quanto ella fosse amata dal nostro re…”.

Keros si stupì nel vedere una simile reazione in Asmodeo. Il grosso demone tratteneva a stento la rabbia e tremava, digrignando i denti. Non lo aveva mai visto così! Forse era vero: tutti amavano Sophia!

“Cerchiamo di mantenere le apparenze” interruppe Lilith “Keros… va nelle tue stanze e datti una sistemata. Facciamo un bel respiro. Lucifero ha fatto molto per noi ed ora è tempo per noi di fare qualcosa per lui in questo momento difficile. Avanti… Abbiamo un regno a cui pensare”.

Si guardarono ed annuirono. E intanto Lucifero, incapace di piangere, veniva bagnato dalle lacrime del cielo portate dal temporale.

 

Come promesso, ho aggiornato presto! Quest’anno ho già caricato tre capitoli a questa storia e la cosa mi rende abbastanza soddisfatta. A presto e… Bentornati all’Inferno!

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Capitolo 25
*** Apparenza ***


 

25

Apparenza

 

Simadè intrecciava e pettinava con cura i capelli del suo signore. Li stava adornando con perle dorate e trecce complesse. Keros, seduto in silenzio davanti allo specchio della propria stanza, lo lasciava fare. Il demone, mentre il principe si trovava lontano per addestrarsi, era vissuto a palazzo ed aveva imparato tutto il necessario per servire al meglio l’erede al trono. Oltre alla capigliatura, Simadè aiutò Keros ad indossare la lunga veste regale, allacciando con fiocchi e catene il complicato intreccio che la chiudeva.

“Rispondimi sinceramente, Simadè” parlò Keros, scegliendo un orecchino.

“Parlate pure, altezza” fu la risposta del servo.

“Nella vita… conta l'apparenza. Dico bene?”.

“L’apparenza?”.

Il principe sospirò, mentre l'Incubus ne contornava pesantemente gli occhi di nero, rendendoli lievemente spettrali.

“Non conta quel che siamo veramente…” riprese Keros “L'importante è mostrare agli altri quel che vogliono vedere. Giusto?”.

“Mio signore… Sinceramente non comprendo del tutto da dove possa scaturire tale ragionamento ma… suppongo abbiate ragione. Le persone attorno a noi si aspettano determinate cose, determinati atteggiamenti. Insomma… Io non posso mettermi a correre nudo per le sale reali, per esempio”.

“E ti piacerebbe farlo?”.

“Non ci ho mai pensato…”.

Keros non parlò e continuò a specchiarsi, trovando strano quel suo aspetto dopo il tempo trascorso fra gli angeli.

“Se posso avere l'ardire di riportarvi un esempio…” riprese l’Incubus, finendo di sistemare i capelli “…durante i miei giorni di servizio qui a palazzo, mi è capitato di avere a che fare con il re. Ed in alcune situazioni, era chiaro che gli mancavate molto. Era una persona diversa da come si mostra al popolo. E voi lo sapete meglio di me. Per governare, mostra il suo lato freddo e crudele. Però in realtà non è solo così, ha molte sfaccettature. Questo vale un po' per tutti”.

“Il popolo si aspetta da me che io sia un principe…”.

“Suppongo di sì, altezza”.

“Bene. In questo caso… Mostrerò loro il principe migliore che possa esistere!”.

 

Camminando lungo il corridoio, con il lungo strascico regale che frusciava sul pavimento lucido, Keros riconobbe alcuni suoi colleghi di addestramento. Era lieto di vedere che fossero riusciti ad entrare nel corpo delle guardie regali. Vedendolo, salutarono rispettosamente e si misero sull’attenti. Il principe tentennò, provando il desiderio di scambiare quattro chiacchiere. Ma capì che gli impegni regali erano ben più urgenti.

Scortato da Asmodeo, Keros raggiunse l’ufficio dove Lucifero svolgeva le sue pratiche. Con la corona poggiata immediatamente sul tavolo, perché lo infastidiva sulle orecchie, il principe iniziò a leggere alcuni documenti. Azazel, con un inchino, si mise a spiegare quali fossero le questioni più importanti da sbrigare e quali invece potevano essere momentaneamente accantonate.

“Abbiamo appena ricevuto una richiesta dalla città alleata di Gehenna” spiegò il demone messaggero, mostrando la missiva “Richiedono approvvigionamenti. A quanto pare il loro raccolto non è stato buono”.

“La nostra città è ben fornita?” chiese Keros, osservando la lettera ed il timbro del demone che la governava.

“Sissignore. Certo” annuì Azazel.

“Allora mandate quanto richiesto. Gli alleati vanno sempre trattati bene”.

“Provvedo immediatamente ad inviare l’ordine. Necessito solo del sigillo regale…”.

Il principe scrisse personalmente l’ordine e lo timbrò con l’anello con inciso il simbolo del re. Come primo atto da sostituto reggente, si sentiva soddisfatto.

 

Erano trascorsi diversi giorni ormai. Lilith, preoccupata, aveva raggiunto re Lucifero nel mondo umano. Lo aveva trovato, nascosto fra le insenature della roccia che portavano alla cascata. Con lo sguardo perso nel vuoto e rivolto verso l’alto, il demone cantava. Lilith lo chiamò, senza risultato.

“Ti proteggerò” cantava Lucifero “Passerà il giorno, finiranno i secoli. Vieni fra le mie braccia, a noi il tempo non interessa. Ti proteggerò in eterno. Ogni lacrima, un bacio. Ogni brivido, un sorriso. In eterno. Quando tutto si spegnerà, comprese le stelle, saremo noi l'unica luce. Uniti in un abbraccio eterno. Eterno amore”.

“Mio signore…” mormorò Lilith.

Ancora più in apprensione, lei si avvicinò al demone e ne sfiorò la mano. Lui guardava il nulla, ebbe un fremito quando percepì il contatto con Lilith.

“Altezza” chiamò ancora lei “Tornate a palazzo…”.

Accompagnò quelle parole con un abbraccio, poggiando la testa sulla schiena del re ed incrociando le mani sul petto. Lui strinse quelle mani, dopo qualche istante.

“Vi prego” sussurrò lei “Venite con me. Lasciate che mi prenda cura di voi”.

“Mia cara…” parlò finalmente il re “A che scopo prendersi cura di uno come me? Quando sono caduto, il mio cuore è stato trafitto dalla folgore divina. Credevo di averlo perduto, che vi fosse un buco al posto di esso. Lei mi ha ricordato che non è così. Lei… Il mio cuore è morto con lei”.

“Altri vi amano, altezza. Il dolore che provare è immenso, non so che farei se io dovessi perdervi…”.

“Che faresti? Dovresti tornare all'Inferno, fra molti altri demoni che ti venerano”.

“Ma siete stato voi a salvarmi, non altri demoni. Siete voi che mi avete accolta, quando sono stata cacciata dal paradiso terrestre. So che i nostri sentimenti sono diversi da quelli che legavano voi e Sophia, però…”.

“Sono fiero di averti accolta”.

Lucifero si sciolse da quell'abbraccio e si allontanò di qualche passo, senza mai voltarsi verso di lei.

“Dovreste tornare a casa. Sapete bene che non potete stare tanto tempo lontano dagli inferi”.

“E che mai potrebbe capitarmi? Sto soffrendo. Ma che importa? Il dolore fisico non sarà mai pari a quello che provo dentro. Il voler piangere e non poterlo fare è straziante. E poi…”.

“La vostra casa vi attende. Non vi sentireste meglio, squartando qualche anima? Punendo peccatori? Oppure…”.

“E perché?”.

“Perché siete il Diavolo!” sorrise Lilith “Il potente signore degli inferi! Voi avete creato il vostro regno. Avete dato una casa ed uno scopo ai demoni caduti. È il vostro orgoglio!”.

“Oh, Lilith… Io…”.

“Aspetto con ansia il vostro glorioso ritorno. Siete caduto e per primo vi siete rialzato. Ora so che riuscirete a fare lo stesso”.

Il demone rimase in silenzio. Poi, finalmente, si voltò.

“Questa volta…” ammise “…rialzarmi pare impossibile. So che devo farlo. Però… non ancora. Perdonami, Lilith. Ho bisogno di tempo…”.

Lilith si avvicinò, abbracciando di nuovo il suo signore. Rimase in silenzio, capendo che il re non aveva bisogno di altre parole, in quel momento.

 

Dopo aver ascoltato i sudditi e terminato ogni noiosa pratica burocratica, Keros si era unito agli allenamenti di Asmodeo ed i suoi soldati. Non voleva dimenticare quanto appreso durante il periodo trascorso con Astaroth e pensò che un po' di combattimento potesse solo aiutarlo a rilassarsi. Tentò di confrontarsi con colei che in addestramento l’aveva sconfitto.

“Ma allora sei il figlio del re per davvero” ghignò lei, divertita.

Lui rispose usando una tecnica che aveva appreso in Paradiso. Creò una barriera attorno a sé, facendo letteralmente rimbalzare indietro la demone che tentava di attaccarlo.

“A questo ti è servito il periodo di addestramento extra?” ghignò lei, felice di poter avere uno scontro interessante.

Asmodeo osservò il tutto con un sospiro, non sapendo se di fronte avesse soldati o bambini.

 

Lucifero, solo e nascosto nel buio, non reagì quando percepì l’avvicinarsi di una presenza celeste. Gemette sommessamente e tornò ad accovacciarsi con il viso rivolto verso la parete rocciosa.

“Fratello…” lo chiamò l’Arcangelo Mihael, quasi sussurrando.

Il demone non gli rispose, e non si voltò.

“Perché sei ancora qui, fratello?” insistette l'Arcangelo.

Ancora silenzio.

“Non dovresti stare nel mondo umano…” parlò sempre la creatura celeste.

Il silenzio. Poi un tuono. E Mihael sospirò.

“Fratello… Volevo solo dirti che… mi dispiace”.

A quelle parole, le orecchie a punta del demone si scossero leggermente.

“Mi dispiace per come ho reagito” continuò l'Arcangelo “Non penso davvero che tu debba morire soffrendo lentamente. E non credo sia stata tua la colpa della morte di Sophia. Tu l'amavi. Sono certo che tu l'amassi. Nonostante tu sia re dell’Inferno e signore dei demoni, so che tu ne eri innamorato. E lei era innamorata di te. Comprendo il tuo dolore e… ti chiedo scusa”.

Lucifero girò il viso lentamente. Nel buio, il suo sguardo brillava di rosso acceso. Incapace di celare la vera natura, a causa del troppo tempo trascorso nel regno umano, mostrava ogni cicatrice e bruciatura.

“Comprendi?” mormorò, con profonda voce roca.

“Sì” annuì Mihael “Anche io ho perso la donna che amavo. E non c'è giorno che passi senza che mi chieda se era in mio potere cambiare qualcosa, per impedirne la morte. Ogni giorno cerco di capire la ragione per cui siano successe tante cose”.

“Ed a che conclusioni giungi?” rispose il demone, sollevandosi leggermente.

“Nessuna. Nessuna che mi soddisfi. So solo che è la volontà di Dio ma…”.

“Non la comprendi? E la cosa non ti fa incazzare?”.

“Incazzare…?”.

“Sì, incazzare! Perché Dio permette che accadano certe cose? Perché lasciar morire chi non lo meritava? Perché punire noi, poveri stronzi peccatori, tramite chi ci aveva amato?”.

“Fratello… Io…”.

“Abbiamo peccato. Peccato in che modo? Lussuria? No, non credo. Noi non volevamo solo la carne. Noi eravamo innamorati per davvero, come non capita praticamente mai in questo grande universo imperfetto. Siamo stati puniti e perché? Perché amavamo qualcuno molto più di quanto non amassimo Lui? Ammettilo, Mihael. Se te ne fosse offerta la possibilità, tu rinunceresti a tutto ciò che sei pur di riaverla. Rinnegheresti le schiere celesti per lei. Tu ami il padre, ma non follemente come ami lei”.

Mihael rimase in silenzio.

“Io so che vuole punirmi” riprese Lucifero “Ha sempre voluto punirmi. Lui fa il suo lavoro, ed io il mio. Ma Sophia… che mai centrava Sophia in tutto questo? Non sarebbe stata una punizione esemplare indurire il suo cuore, in modo da impedirle di amarmi ancora? So che Dio può farlo, lo ha fatto con il faraone d’Egitto ai tempi dell’Esodo! E allora perché? Aveva forse compreso che lei amava me più di quanto non amasse il suo creatore? L'ha lasciata morire perché lei doveva amarlo incondizionatamente, senza dividere tali sentimenti con me? Sophia era devota. Era intelligente. Era speciale. Ma disgraziatamente il suo cuore apparteneva interamente a me. Ed è morta. Questo mi fa incazzare tantissimo”.

“Fratello, tu…”.

“Anche tu devi provare lo stesso. Devi, almeno in qualche angolo di quel tuo cervellino circondato da aureola, provare rabbia. Devi, cazzo!”.

Il demone si alzò in piedi, e Mihael trattenne il fiato qualche istante: l'aspetto del fratello maggiore era spaventoso. Inoltre era visibilmente fuori di sé.

“Non sono qui per farmi aggredire” si affrettò a dire l'Arcangelo “Vorrei solo che tornassi a casa tua”.

“E perché? Guarda che l’Inferno funziona anche se io non ci sono. Le preziose anime che ci spedisci vengono comunque punite”.

“Non è questo che mi preoccupa”.

“E allora che vuoi? Papà ti sgrida se mi lasci gironzolare nel mondo dei suoi preziosi figli prediletti?”.

“Un Arcangelo non può essere in pensiero per suo fratello?”.

“Se è un fratello demone, non è tanto normale…”.

“Torna a casa. Per favore. Comprendo il tuo dolore ma è vivendo la tua vita che riuscirai ad andare avanti. Credi forse che lei ti avrebbe voluto qui, così? Non ha forse sempre espresso il desiderio che tu sia felice?”.

Lucifero tornò ad accucciarsi, avvolgendosi in parte dalle ali. Era vero, Sophia voleva la sua felicità. Però non riusciva proprio a capire come avrebbe potuto essere di nuovo felice. Girò ancora gli occhi verso Mihael. Percepì un velo di tristezza, che un tempo non c’era.

“È tutta apparenza, vero?” mormorò.

“Che cosa?” si accigliò Mihael.

“Tutto. Noi non vogliamo combatterci. Noi non siamo felici. Eppure…”.

“Eppure questa è la nostra vita. È nostro compito trovare qualcosa che ci renda felici. Che ci renda orgogliosi di esistere”.

“Tu lo hai trovato quel qualcosa?”.

“Qualcuno. Si chiama Keros. Mio figlio”.

Lucifero rimase visibilmente stupito da quella risposta.

“Mio figlio…” riprese Mihael “È la prova vivente che a volte le cose non vanno come ci aspetta. A volte, sbagliando, succedono cose meravigliose. Mi rattrista saperlo all’Inferno, e mi rattristano molte altre cose, ma che dovrei fare? Piangere per l’eternità? No. Io sono l'Arcangelo Mihael, creato dal fuoco così come tu fosti plasmato con la prima luce delle stelle. Dio mi ha generato per giudicare e punire le anime impure ed è quello che farò, fino alla fine dei tempi. Tutti si aspettano da me che sia irreprensibile e senza peccato. Lo sappiamo entrambi che non è così, ma è così che mi mostro. È così che voglio che mi vedano. Tu e Sophia eravate stelle gemelle. So bene che la sua sofferenza era anche la tua. Ma tu devi mostrarti forte e potente, o il tuo stesso regno ti schiaccerà. Se la rabbia ti da la forza per fare questo, allora sii il più furioso del creato”.

“Keros… Lui è…”.

“Lui ti ammira. Lui ti vuole bene”.

“Lo so…”.

“Fratello… Sai bene quanto me come funziona questo mondo. È immutato da tanto tempo. Vuoi cambiarlo? Non lo farai di certo restando lì a fissare il muro”.

Lucifero tornò a voltarsi, dando le spalle a Mihael. Non parlando più, ignorando l'Arcangelo, dopo un po' udì il fratello minore andarsene. Si girò e capì di essere di nuovo solo, con soltanto una piuma arancio abbandonata a fargli compagnia.

 

Il principe Keros aveva appena scoperto che i gemelli che tanto lo avevano tormentato in allenamento erano figli di Asmodeo. Lo aveva scoperto perché il generale lo aveva ringraziato, per aver salvato la vita al figlio.

“Contro quella bestia feroce…” narrava il gemello rimasto con un corno solo “…non ha esitato a salvarmi”.

Asmodeo, appreso l’accaduto, aveva subito ringraziato il principe.

“Ora siamo pari” aveva sorriso Keros “Tu, Asmodeo, mi hai salvato dalle fiamme quando ero neonato. Senza si te, non sarei qui. In cambio, si può dire, ho salvato tuo figlio. Non devi ringraziarmi, ti ho solo restituito il favore”.

Con un inchino, il generale aveva risposto a quel sorriso ed a quelle frasi. Poi aveva lasciato i giovani a discutere fra loro, percependo solo vagamente qualche frase riguardante delle femmine che svenivano al solo pensiero di poter parlare con il principe.

“Ma tu hai una donna?” chiese il gemello con entrambe le corna.

“Non sono un po' troppo giovane per trovarmi una compagna fissa?” storse il naso Keros.

“Guarda… Mia sorella si è già prenotata” rise l’altro gemello.

“Grazie per il pensiero” ghignò il principe “Ma al momento avere una fidanzata è l’ultimo dei miei programmi”.

“Facci un fischio quando cambierai idea. Sai… Prima o poi un erede al regno lo dovrai dare. Fra quanto pensi di agire in quel senso?”.

“Fra duemila anni o giù di lì. E comunque sappiate che nemmeno il re mi stressa al riguardo, perché mai dovreste farlo voi?!”.

“Perché Astaroth ci ha insegnato ad essere pettegoli!” risero all’unisono, poi facendosi seri di botto quando notarono l’arrivo di Azazel.

“Vogliate scusarmi, altezza” si inchinò il messaggero “Ho una missiva da riferire urgentemente. E privatamente”.

Keros capì che la questione doveva essere piuttosto seria ed annuì, seguendo Azazel all’interno del palazzo reale.

“Altezza…” esordì il messaggero, una volta che lui ed il principe furono lontani da orecchie indiscrete “È giunta voce di un prossimo attacco al ducato di Sheol”.

“Da parte di chi?!”.

“Non lo sappiamo. È una città alleata ed ha voluto comunicarci l’approssimarsi alle sue mura di un esercito non identificato. A quanto pare anche piuttosto vasto”.

“Chiamami Asmodeo. Voglio tenga pronti dei soldati, in caso servissero rinforzi. Nel frattempo, esigo messaggeri in continuo movimento. Dobbiamo sapere di chi si tratta, chi attacca, di che numeri parliamo e se la cosa potrebbe coinvolgere anche altri territori oltre al ducato”.

“Sissignore!”.

Azazel si allontanò in fretta e Keros sedette sulla sedia dove sempre sedeva Lucifero.

“Andiamo…” gemette “…una guerra? No, una guerra no!”.

 

Aggiornamento di febbraio! Ne arriverà presto un altro, ora che ho terminato l’altra storia a cui stavo lavorando (“Diario segreto di Lucifero"). Ciao!!

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Capitolo 26
*** Alleati ***


26

ALLEATI

 

La mappa degli Inferi era aperta e distesa sul grande tavolo della sala dei ricevimenti. Tutt’attorno, molti demoni stavano discutendo animatamente. Keros, seduto capotavola, fissava quella piantina con aria lievemente smarrita. Le voci in quella stanza erano davvero molte e la tensione iniziava a farsi sentire. La notizia di un attacco era circolata in fretta e la situazione era peggiorata. La città alleata di Sheol era stata colpita da un esercito ostile e sotto di esso era caduta. Ora quell’esercito si muoveva in fretta, diretto verso i territori della capitale. Non riuscendo a comprendere chi fossero i nemici, il principe aveva convocato i diversi reggenti delle città alleate e conosciute. Molti avevano risposto a quell'appello e stavano riempiendo la sala dei ricevimenti. Ci si guardava attorno, cercando di capire chi mancasse.

“Inaudito un tale attacco” commentava qualcuno.

“Chiunque sia, lo annienteremo” si aggiungeva qualcun altro.

“Ma il re dov'è? In un momento come questo…” si sentì.

“Signori!” alzò la voce Asmodeo, in piedi accanto a Keros “Cerchiamo di darci una calmata”.

“Direi di fare l’appello” propose Azazel.

“Sì” annuì il principe “Vediamo chi ha risposto alla nostra adunata e chi manca”.

“Ho qui un paio di risposte da assenti giustificati” continuò il messaggero, porgendo a Keros delle lettere.

Il giovane lesse con attenzione ed annuì.

“Segnate già sulla cartina dell’Inferno l'alleanza con chi ha scritto queste risposte” ordinò poi “E ora…”.

“Ma scusate…” interruppe un grosso demone con una profonda cicatrice su buona parte del viso “…non sarebbe il caso che a dare ordini sia il re? Perché devo obbedire alle parole del più giovane della stanza?”.

“Il re è impegnato in altre faccende" rispose Keros, cercando di nascondere il suo fastidio.

“Quali faccende? Cosa c'è di più importante di questo?”.

“Non credo siano affari tuoi, Mammon” arricciò il naso il principe.

Il demone fece per ribattere ma fortunatamente qualcosa lo distrasse. Lilith entrò dalla porta, invitando tutti ad abbassare i toni. Poi informò che Furcas e Malaphar, i due demoni guaritori, non erano presenti perché impegnati a curare i feriti della battaglia di Sheol.

“Ma dunque chi manca?” domandò Zagan, un demone alchimista.

“Iniziamo a fare l’appello e…”.

“Scusate il ritardo!” interruppe tutti Alukah, piombando nella stanza “Perdonate, altezza. Ero in missione nel mondo umano. Sono arrivato il prima possibile”.

“Stavo già per inserirti nell'elenco dei traditori” scherzò Asmodeo ed Alukah gli mostrò la lingua.

“Sono lieto di vedervi, maestro” sorrise Keros.

“Maestà… Non sono il vostro maestro da un sacco di tempo!”.

“Sarete sempre il mio maestro”.

“Siparietto carino ma ora vediamo chi manca?” si stizzì Hammon “Se c'è una guerra alle porte, meglio muoversi. Troviamo di chi è la colpa!”.

“Sarà quel cagacazzi di Samyaza” ipotizzò qualcuno.

“Quel cagacazzi di Samyaza è seduto qui” sibilò il demone chiamato in causa.

“Per favore, non litighiamo” alzò di nuovo la voce Asmodeo “Iniziamo l’appello”.

Uno dopo l’altro, i convocati furono chiamati ad alta voce da Azazel. Ogni alleato presente veniva segnato sulla mappa. Si delineavano i confini dei fedeli all'impero di Lucifero e si evidenziavano le zone scure, quelle dove non vi erano certezze a riguardo. Poi, alla fine, tutti vennero congedati, per permettere l’organizzazione degli eserciti in vista della guerra ormai prossima.

 

Rimasto solo con Azazel ed Asmodeo, Keros si concesse qualche sorso di tè.

“Asmodeo…” domandò poi “In quanto tempo saremo pronti a partire per la battaglia?”.

“L'esercito imperiale è sempre pronto. Lo guiderò in vostra vece con orgoglio” rispose il generale.

“Non ho bisogno di qualcuno che combatta in mia vece”.

“Con tutto il rispetto…. Non accadrà mai che io vi conceda di andare in guerra”.

“Scusa…?”.

“Se dovesse accedervi qualcosa, il re non me lo perdonerebbe mai. E nemmeno io me lo perdonerei. Siete ancora molto giovane e…”.

“Ma lo hai visto anche tu! Prima gli altri demoni non facevano che esprimere dubbi sul fatto che sia io a regnare e prendere decisioni. Come apparirei ai loro occhi se dessi inizio ad una guerra e rimanessi qui a far niente? Devo dimostrare loro che sono un degno principe!”.

“Comprendo il vostro discorso ma non conosciamo il nemico. Siamo realisti, analizziamo per un attimo i fatti. Escludendo i convocati, i demoni rimasti sono ben pochi. E così pochi demoni non possono organizzare l’esercito che ha attaccato Sheol! Questo può voler dire che si nascondono dei traditori fra chi ha giurato fedeltà. Perciò non so chi mi troverò davanti in battaglia, non conoscerò preventivamente i suoi punti deboli e dovrò improvvisare. Sinceramente, non me la sento di improvvisare con accanto il figlio del re. Sarebbe un rischio troppo elevato”.

“Che l’esercito sia composto da traditori, da demoni semplici o da pazzoidi raccolti per strada, io ho il dovere di combattere per il mio regno. E tu non potrai impedirmelo".

“Altezza…”.

“Azazel! Che gli alleati comunichino quando in grado di unirsi all’esercito reale. Prima risolviamo questo casino e prima potremo tornare ad occuparci di altro”.

Azazel subito si apprestò a radunare altri messaggeri per eseguire gli ordini. Asmodeo tentò ancora di far ragionare Keros ma invano. Il principe si era incamminato a passo svelto lungo il corridoio, ignorandolo.

 

“Di che lingua si tratta?” si sentì chiedere all’improvviso.

Keros interruppe di botto il proprio canto, di natura angelica, e vide il suo servo sull'uscio della stanza. Era trascorso qualche giorni ed ormai la battaglia era alle porte.

“Posso portarvi un po' di tè?” propose Simadè, notando come il principe fosse nervoso.

“Non riuscirei a dormire comunque” ammise Keros, buttandosi in diagonale sul letto.

“È comprensibile…”.

“Puoi pure ritirarti. Non ho bisogno di altro, per ora”.

L’Incubus fece per uscire, con un piccolo inchino. Si fermò sulla porta.

“Signore…portatemi con voi” esclamò tutto d'un fiato.

“Come…?”.

“Portatemi con voi. Avrete bisogno di nutrimento, di sangue. Ed io posso essere il vostro pasto, quando necessario. Non sono bravo a combattere però potrei…”.

“Non sei mica un cestino da picnic!” lo interruppe il principe “Qui starai molto meglio, credimi. Io ci rimarrei volentieri. Ma ho un ruolo ben preciso…”.

“Vorrei fare qualcosa. Il vostro regno è anche il mio regno!”.

“Qui ci sono molte cose da poter fare per il regno. Non mi sentirei a mio agio a sapere che potresti morire per poter essere la mia merenda…”.

“Ma…”.

“Se vuoi…” inclinò la testa leggermente il mezzodemone “…puoi essere adesso la mia merenda. Che ne dici? Posso fare il pieno prima della partenza…”.

Simadè sorrise.

“Ne sarei lieto” ammise, avvicinandosi al letto.

Keros si rigirò, osservando l'Incubus nella sua breve camminata. Durante la permanenza a palazzo, aveva smesso di coprirsi il viso, nonostante fosse in parte deturpato. Così facendo, i suoi occhi quasi bianchi spiccavano in modo netto. Il mezzodemone, a digiuno di sangue da molto tempo, subito lo afferrò e lo trascinò verso sé. Affondò i denti e Simadè si lasciò sfuggire un gemito, chiudendo gli occhi. Qualche goccia di sangue cadde sulle lenzuola scure. Keros sorrise, provando dopo tanto tempo il piacere di sentire il sapore del sangue caldo in gola. Il servo, steso a letto, sentì sussurrare il proprio nome. Riaprendo le palpebre, vide il volto del suo signore che lo osservava. Con il corpo, lo sovrastava.

“Sai…” ammise Keros, leccandosi le labbra “…hai un ottimo sapore”.

“Grazie…”.

“Sono in astinenza da tante cose, ultimamente…” mormorò il sanguemisto, sbottonando la camicia candida e continuando a sorridere “…che dici? Sazieresti anche altri miei appetiti?”.

“Io… io…”.

Simadè balbettò. Era visibilmente arrossito.

“Andiamo!” rise Keros “Sei un Incubus! La tua natura è quella di soddisfare carnalmente le persone!”.

“Lo so… Ma voi… siete così…”.

“Così…?”.

“Così diverso da ogni altro demone con cui ho avuto a che fare. Voi siete… speciale”.

“Non immagini quanto…”.

“Posso baciarvi?”.

“Non sulle labbra. Da qualsiasi altra parte, va benissimo”.

Simadè allora si sollevò leggermente e baciò il petto scoperto del suo signore. Da quella posizione, lo aiutò a disfarsi della camicia e lo strinse fra le braccia.

“Vi prego…” sussurrò il servo “…non permettete alla guerra di porre fine alla vostra vita”.

“Farò tutto il possibile…” rispose Keros, prendendo ancora un assaggio di sangue.

Le mani di Simadè era abili e riuscirono piuttosto in fretta a spogliare del tutto il giovane principe. Visibilmente eccitato, il mezzodemone cercò il contatto con la pelle morbida dell'Incubus.

“Posso dedicarvi il mio massaggio speciale?” gli propose il servo, scivolando con le labbra lungo il petto ed il busto.

Keros non rispose. Si stese a letto, fra i cuscini. La bocca di Simadè era scesa, donando baci lungo il suo cammino. Il principe socchiuse gli occhi, gustandosi una fellatio eseguita da un esperto del settore. “Ma come possono gli angeli fare a meno di certe cose?” si chiese, gemendo per il piacere.

 

Un messaggero come Azazel non amava il mondo umano. Non gli interessava frequentarlo eppure si era sentito in dovere di agire. Una volta raggiunto il luogo dove Lucifero se ne stava rintanato, fu subito indeciso se proferire parola o meno. Temeva reazioni strane da parte del re, ma alla fine prese coraggio.

“Maestà…” esordì, e subito venne interrotto da Satana, che lo invitò ad andarsene.

“Lasciatemi solo dire quanto segue” insistette Azazel, schiarendosi la voce “Io non sono caduto con voi. Non facevo parte del gruppo di fedelissimi, come Asmodeo o Furcas. Io sono caduto dopo, assieme a Samyaza e gli altri che lo seguirono. Ero un vigilante, sorvegliavo gli esseri umani. Come altri, mi sono innamorato di una delle donne dei mortali. Insieme, angeli e femmine umane hanno avuto dei figli, i nephilim. Dio ci ha puniti. I nostri figli e le nostre amanti sono divenuti polvere, cenere e nulla più. Noi angeli condannati all'eternità dell'Inferno. Ricordo il primo giorno da caduto. Ero spaventato, dolorante, depresso e furioso. E ricordo che vi ho incontrato. E sapete cosa mi avete detto? Che a guardare al passato non si ottiene nulla. Mi avete detto che ciò che è stato ormai non si può più cambiare e che è nel presente che bisogna concentrare le energie, per creare un glorioso futuro. Queste frasi mi hanno sempre fatto andare avanti. Anche quando ho perso la consorte che avevo agli inferi, e sono rimasto solo con mia figlia. È stata dura ma ho sempre cercato di rialzarmi”.

Lucifero si limitò ad agitare un po' la coda.

“Vedervi così…” continuò Azazel “…mi fa incazzare. Io comprendo il vostro dolore, lo comprendo benissimo. Ma vi ricordo che davanti a voi avete un futuro che…”.

“Quale futuro?” sbottò, di colpo, il re “L’eternità della dannazione? Che meraviglia. Che consolazione!”.

“No. Io parlo del futuro che creiamo. Delle conseguenze che le nostre azioni portano su chi abbiamo al nostro fianco. Sta per iniziare una guerra”.

“Ci sono sempre state le guerre”.

“Vostro figlio Keros combatterà. In vostra vece. Abbiamo tentato di farlo ragionare, di farlo desistere. Ma è testardo, proprio come voi. Ora… Se avete intenzione di rimanere lì seduto per i prossimi millenni, sono cazzi vostri. Però, vi supplico: non permettete a quel ragazzo di prendere parte ad un conflitto dall'esito incerto. Non vi importa più di niente e nessuno? Sono certo che per Keros fareste qualsiasi cosa. Fratello… Non permettere che muoia!”.

Azazel attese qualche istante di ricevere una risposta, o perlomeno di notare una reazione. Lucifero non si mosse.

“Ora devo andare…” mormorò il messaggero “…sarò sempre l'araldo della famiglia reale. Il principe mi aspetta…”.

 

Circondato da altri demoni alleati, Keros era fieramente in groppa alla propria creatura. Da quando l'aveva vista uscire dall’uovo, era trascorso molto tempo. Ora, bardata con nastri e pezzi d'armatura, era pronta alla sua prima battaglia importante.

“Non avere paura…” sussurrò il padrone alla propria bestia.

In realtà, probabilmente, Keros era molto più spaventato di lei. Non era mai stato in mezzo ad una grande guerra, ne aveva solo sentito parlare. Per qualche istante, si chiese chi poteva mai pregare una creatura come lui. Di certo Dio non lo avrebbe ascoltato. Eppure desiderava tanto pregare, affinché tutto si rivelasse solo un incubo. Sapeva di non poter mostrare simili debolezze, perciò mascherò i suoi timori dietro ad un ghigno beffardo.

“Attendiamo ordini, altezza” si sentì dire.

Asmodeo, in armatura color del sangue, incuteva di certo molta paura. Keros alzò lo sguardo, osservando la bandiera con il sigillo reale che sventolava. La battaglia stava per iniziare, fra rocce e spuntoni di una valle disabitata.

“Mettiamo fine a tutto questo” scandì il principe, osservando i nemici “Distruggiamo i sovversivi. Che fra loro non resti nemmeno un superstite!”.

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Capitolo 27
*** Guerra ***


27
GUERRA


Il comando di Keros fu seguito dal gesto di Asmodeo, che dava ordine a tutti i demoni di iniziare l'attacco.
Si alzò un grido collettivo e suonarono i corni. Il principe lanciò un ultimo sguardo a coloro che aveva accanto, augurandosi in cuor suo di rivederli tutti in vita. La carica partì, in groppa a grosse creature demoniache. Mantelli e bandiere di vari colori sventolarono ed accompagnarono i loro proprietari con un lieve suono continuo.
Non avendo mai partecipato ad una battaglia di simile portata, Keros rimase qualche istante indeciso sul da farsi. Poi notò come tutti i suoi maestri non avessero avuto esitazione alcuna e capì che doveva mostrare loro di essere stato un degno allievo. Sfoderò la preziosa spada che avevo ricevuto in dono al millesimo compleanno e si scagliò contro i nemici.
Anche l’armatura e la veste che indossava erano un regalo per quell'occasione. Tolse i guanti, richiamando fiamme rosse con la mano sinistra. La luce del fuoco si rifletté sull'argento degli spallacci e sui dettagli in metallo che decoravano l’intero vestito. Era quasi interamente nero ma, grazie alle fiamme, si riempiva di riflessi color del sangue. Asmodeo osservò con orgoglio il principe mentre usava il potere del fuoco contro la moltitudine di nemici che aveva davanti. Lo stesso faceva la bestia che cavalcava l’erede al trono.
Il generale gridava comandi ai soldati, Azazel ed altri messaggeri volavano instancabili per recapitare quelle parole per l'intero ampio esercito. Fu ordinato a tutte le bestie di prendere il volo. Keros decise che non sarebbe stato molto saggio per lui restare in groppa alla propria creatura. In caso di caduta, avrebbe avuto l’istinto di aprire le ali angeliche e non poteva immagine le reazioni dei demoni presenti. Lasciò quindi che la belva si librasse in volo con le altre e lui rimase a terra. Le creature affrontarono vari demoni che tentavano un attacco dall'alto, usando i diversi poteri in cui si destreggiavano.
“Dov'è il principe?” si allarmò Asmodeo, notando come non cavalcasse più l'animale addestrato.
Quando lo vide circondato da truppe nemiche, tentò di raggiungerlo. Altri demoni ostili però lo bloccarono, costringendolo a combattere e dimenticare i suoi propositi.

“Lilith!”.
Il nome della succubus rimbombò per il palazzo semideserto. Le guardie reali erano tutte in guerra, tranne pochi solitari soldati tenuti a guardia in caso di agguati.
“Lilith!” urlava il re, sempre più forte.
Danneggiato dal molto tempo trascorso nel regno umano, Lucifero mostrava numerose ferite aperte e bruciature. Aveva un aspetto spaventoso ed una serba fuggì via, spaventata. Nella fuga, finì con lo scontrarsi proprio con Lilith. Lo sguardo di terrore non le abbandonava il viso, nonostante il sorriso della succubus.
“Lilith!”.
La demone si affrettò a raggiungere il re. Perfino lei, avvezza all’aspetto di Lucifero, sentì prevalere la paura per qualche istante.  
“Dov'è il mio cucciolo demoniaco?” domandò Satana, con gli occhi iniettati di sangue.
“Keros?” chiese conferma Lilith.
“Sì, Keros. Chi altri?”.
“Altezza… Keros è in guerra. Abbiamo tentato in ogni modo di impedirglielo ma…”.
“Dov'è la battaglia?”.
“Dov'è…?”.
“Dove combattono! Sei rincoglionita?”.
“No, è che… voi…”.
“Ti faccio paura, eh?” ghignò il re “Hai dimenticato quei giorni. Hai dimenticato il volto del tuo re quando ti ha salvata!”.
“Perdonatemi, maestà!”.
“Non ho tempo, adesso. Dimmi dove combattono!”.
“Io… Non lo so!”.
“Come non lo sai?!”.
“È compito di Azazel ed Asmodeo gestire queste cose. Io…”.
Lucifero ringhiò
“Però…” si affrettò ad aggiungere lei “…qualche soldato è rimasto. Forse loro lo sanno. E…”.
“Io so dove stanno combattendo” li interruppe una voce.
Lucifero si voltò e si ritrovò a fissare Simadè, sceso lungo i corridoi dopo aver udito delle urla.
“Parla” ordinò il sovrano.
“A sud est della città di Hammon, nella valle porpora. Il principe me lo ha rivelato alla vigilia della partenza”.
Il re sorrise, in modo decisamente inquietante.
“Portami immediatamente l’armatura” comandò poi, e subito Simadè corse nelle stanze di Lucifero.
Molto più lucido in quel momento di Lilith, il servo non si fece impressionare dall'aspetto del sovrano. Lo vestì più in fretta che poté, incitato dalle urla del signore degli Inferi che lo intimava di sbrigarsi.
“Ma… altezza!” furono le parole di Lilith “Non vorrete mica combattere? Siete ferito, stanco e…”.
“Il mio posto è in guerra. Dovrei esserci io in prima fila e non Keros. È ora di far tornare tutto come deve giustamente essere".
Lucifero poi spalancò le ali e raggiunse il portico, da dove spiccò il volo.

Con addosso il sangue dei nemici, Keros continuava a combattere. Si faceva strada fra orde di demoni inferociti, brandendo la spada ed evocando il fuoco.
“Ammazzatelo!” si sentiva urlare “Ammazzatelo! È il figlio del re!”.
Sempre più avversari lo circondavano, molti immuni alle fiamme demoniache. Intensificò il proprio potere, richiamando più energia nelle mani. Questo fece sì che i disegni che celava sulla pelle si espandessero, mostrandosi anche in parte sul viso e sulle mani.
“È maledetto!” commentò qualcuno.
“Quei segni non sono demoniaci!” notò qualcun altro.
Il principe si passò con destrezza la spada da un palmo ad un altro, evocando il fuoco con la destra. Le fiamme sprigionate fra quelle dita però erano diverse, non più rosse bensì di un acceso color blu.
“State indietro!” intimò il mezzodemone.
La fiamma blu e celeste si fece sempre più viva ed alta. Keros la indirizzò verso uno di quei demoni resistenti al fuoco degli Inferi. Questi dapprima rise, ribadendo di essere immune alle fiamme, e poi urlò di dolore. Guizzanti lingue azzurre lo divorarono, come tanti fuochi fatui che risucchiavano la vita.
“Fuoco angelico!” gridò uno degli attaccati, prima di dissolversi.
Il principe sorrise soddisfatto. Era stato l'Arcangelo Mihael ad insegnargli quella tecnica. Continuò ad usarla, fino a quando una spada calò pesante su di lui. Per parare il colpo, non fece in tempo a richiamare la barriera protettiva e dovette usare la propria arma. Avvertì una fitta alla spalla, per la posizione irregolare a cui era costretto e per il contraccolpo.
“Ammazzate il figlio del re” scandì bene quel nemico, coperto da una pesante armatura che ne copriva il voltò.
Keros afferrò l’elsa della spada con entrambe le mani, pronto a combattere.
“Provaci" ghignò l’erede al trono.
Era inebriato dall'odore del sangue di tutti coloro che aveva ucciso e che ora imbrattava parte del mantello nero ed i grossi stivali. Ne aveva anche sulle mani e sul volto, ne leccò un po' con la lingua.
“Provaci ad un uccidere il figlio del re” ripeté, poi urlando: “Plebeo sovversivo!” e lanciandosi all'attacco.
Iniziò un duello fra spade, a suon di fendenti. Fra affondi e parate, lo stridente rumore del metallo infastidiva le sensibili orecchie di molti demoni. Keros, con lo sguardo del colore delle scintille che le due lame provocavano, lottava con ferocia.
“Ti ammazzerò, finto demone!” ringhiava il nemico.
“Avrò la tua testa!” gli rispose il principe.

“Padre!” chiamò Lilien, dopo l'ennesimo volo come messaggero “Ho visto Belzebù”.
“Belzebù?” si stupì Azazel “Non era presente fra gli alleati…”.
“Di fatti, papà, è fra le schiere dei nemici. In molti lo seguono”.
“Vola immediatamente ad avvisare Asmodeo e comunicagli la posizione di quel traditore dal corpo di mosche!”.
La ragazza obbedì e volò rapida. Lungo il percorso però incrociò un altro demone che in principio non riconobbe. Poi, vedendo i simboli sull'armatura, capì come doveva agire.
“Altezza!” lo raggiunse “Vostra altezza, Lucifero!”.
Con un breve inchino, la giovane indicò al re la posizione di Belzebù, il probabile promotore di quella rivolta. Lo sguardo del re si fece ancora più feroce.

L’annuncio dell'arrivo di Lucifero si diffuse rapido fra nemici ed alleati. Erano tutti perfettamente consapevoli che il Signore dell’Inferno era il demone più potente.
“Lieto di vederti” lo salutò Astaroth, con una scintillante armatura argento con riccioli a sbalzo.
“Dov'è mio figlio?” si limitò a chiedere il re, vedendo come molti degli avversari tentavano prudentemente di fuggire e ritirarsi “E chi sono questi nemici? Non li conosco…”.
“Sono giovani, altezza. Pare che Belzebù, assieme ad altri demoni di rango più basso, abbiano radunato orde di ragazzi di nuova generazione e li abbiano mossi contro di noi e la famiglia reale. In quanto al principe, non è molto che ho avuto il piacere di vedere il suo fuoco blu incenerire chi lo sfidava".
“Fuoco blu?”.
“Non è una cosa che gli ho insegnato io…”.
Lucifero si sollevò da terra, semplicemente usando il proprio potere: voleva a tutti i costi individuare Keros.
Nel frattempo, Asmodeo si era messo sulle tracce di Belzebù.
“Eccolo!” lo indicò Samyaza, con l’elmo che non riusciva a celarne i lunghissimi capelli color del bronzo.
“Questa volta giuro che lo ammazzo!” ringhiò il generale.

Il duello di spade continuava. Circondati da chi continuava a ripetere che Belzebù si stava ritirando, Keros ed il suo avversario si battevano. Il principe capì di avere di fronte un degno sfidante, abile con l’uso della lama. Capì anche che non poteva permettersi di sprecare troppe energie, in vista di altri scontri successivi.  Era però difficile chiudere la faccenda, iniziava a farsi sentire la stanchezza. Ansimando, i due si squadravano.
“Non mi farò battere da un demone come te” ringhiò il nemico.
Keros rispose a quel ringhio. Odiava essere etichettato con tale disprezzo, come fosse qualcosa di malriuscito. Ricominciò ad attaccare con più decisione e ferocia. Un demone come lui? Cosa aveva poi di così diverso? Attorno vedeva chi aveva più corna, chi più code o ali. C’era chi usava il fuoco e chi il ghiaccio del Cocito. C’era chi era in grado di uccidere con il veleno e chi con l'ipnosi, chi cambiava forma e chi divorava l'avversario, chi era in grado di condurti alla follia con uno sguardo e chi faceva lo stesso con un grido. Allora perché definire sempre lui il “diverso”? Diverso da chi? Da cosa? I segni sulla pelle ora gli marchiavano la guancia sinistra, accentuando l’arancio del suo sguardo irato.
“Metterò a tacere tutti i demoni come te!” furono le parole del principe.
Quelle parole accompagnarono l'ultimo colpo, che tagliò di netto la testa dello sfidante. Keros effettuò quel gesto con un ghigno soddisfatto. Il capo e l’elmo dell’avversario caddero in terra, così come il corpo si afflosciò sulle ginocchia. Cadendo, la testa decapitata lasciò l'involucro metallico che la proteggeva e svelò un paio d’occhi spalancati che Keros notò immediatamente. Nel vederli, il giovane ebbe un sussulto. Sapeva di essere circondato, sapeva che molti nemici stavano per attaccarlo. Eppure non riusciva a distogliere lo sguardo da quei due occhi spalancati. Li conosceva quegli occhi. Li conosceva bene. Lasciò andare la propria spada, grondante di sangue.
Tutto veniva avvolto da una luce fortissima, emessa da Lucifero. Era sempre più intensa e costringeva in molti a chiudere gli occhi. Si udirono grida, tanti fuggirono o vennero inceneriti da quel bagliore. Si espandeva rapidamente e presto illuminò tutto il campo di battaglia. Keros sentì il calore di quella luce sulla pelle, ma non reagì.
“Nasfer…” riuscì soltanto a mormorare, prima di cadere a terra.

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Capitolo 28
*** Perdono ***


28

PERDONO

 

La prima sensazione che percepì fu quella della morbida seta sotto le mani. Piuttosto confuso, Keros aprì gli occhi. Si trovava nella sua stanza, a letto. Riconobbe subito gli stucchi e le stoffe scure del baldacchino. Udì il grido di un'anima tormentata. Alzandosi a sedere, provò un certo fastidio alla spalla ed un gran mal di testa. Decise di alzarsi, cautamente. Era scalzo ed indossava una semplice tunica nera senza maniche, legata in vita da una fascia argento. Con i capelli sciolti, e qualche fasciatura a coprire le ferite della battaglia, si incamminò per il corridoio e lungo le scale. In testa aveva una marea di domande, non capiva e non ricordava molte cose. Quando imboccò il corridoio che conduceva all'ufficio del re, fu rincuorato dal sentirne la voce. Lucifero stava discutendo animatamente con un gruppo di demoni. Keros riuscì a sentire solo parte del discorso, che riguardava la fuga di Belzebù. Il sovrano stava lasciando precise disposizioni ai presenti sulle zone da setacciare, con l'obbligo di portargli il demone vivo, per poterlo torturare di persona.

“Se a trovarlo sarò io…” domandò Asmodeo “…posso almeno staccargli un braccio?”.

“Anche due” gli rispose il re “Per quel che mi riguarda, puoi anche staccargli le palle. Basta che me lo porti vivo, così che possa fargli capire una volta per tutte perché non ci si ribella".

Keros era rimasto in piedi, fermo, in mezzo al corridoio. Da lì poteva vedere quel che accadeva nell'ufficio, senza avere il coraggio di andare oltre. Fu una delle serve, intenta a versare il vino al sovrano, a notarlo per prima. Pochi istanti più tardi, lo sguardo di sovrano e principe si incrociarono. Il sangue misto trattenne il fiato, mentre Lucifero si alzava. Per un momento, il giovane pensò che fosse saggio fuggire. Alla fine rimase dov’era ed il re lo raggiunse, abbracciandolo forte.

“Perdonami!” gemette Keros, avvolto in quell'abbraccio.

“C'è stato un momento…” ammise il demone “…in cui ho temuto di non rivederti più”.

“Perdonami” mormorò di nuovo il principe.

L'abbraccio lasciò intravedere una porzione della gamba del sangue misto, senza più coprirne i tatuaggi.

“Anche sulla gamba ha quei segni…” sussurrò un demone ad un altro.

Keros udì quelle parole e si sentì a disagio. Ovviamente anche il re le aveva udite e si scagliò in fretta contro il demone che le aveva pronunciate. Ne spinse il viso contro il tavolo di legno massiccio, sbattendo rumorosamente la coda in terra.

“Che problemi hai?” sibilò Lucifero, ricevendo in risposta solo balbettii confusi.

“Vi prego!” lo raggiunse Keros “Non è assolutamente necessario! So quanto questi segni non siano graditi alla vista di molti, purtroppo al risveglio ero troppo confuso per farci caso. Chiedo perdono per l'inconveniente”.

“Ma che stai…” tentò di protestare il re.

“Piuttosto…” continuò il principe “…ne approfitto per ringraziarvi. In guerra avete combattuto con onore e coraggio, siete formidabili. Il vostro contributo è stato fondamentale per il regno”.

In risposta si udirono commenti imbarazzanti e di finta modestia.

“Sapete quello che dovete fare” tagliò corto il re “Andate. Lasciateci soli”.

Quando nella stanza rimasero solo re e principe, Lucifero chiuse la porta.

“Come stai?” chiese poi il demone, mentre Keros distoglieva lo sguardo.

“Bene…” mormorò il mezzodemone “Ho solo mal di testa”.

“Ottimo…”.

“Ti chiedo scusa. Davvero” furono le parole di Keros, che ruppero l’ennesimo silenzio.

“Per cosa?”.

“Come per cosa?! Per… tutto. Per la guerra, per questo casino e… per Sophia”.

“Oh, piccolo! Non è stata colpa tua!”.

Il demone abbracciò di nuovo il principe.

“Sì, invece. È stata colpa mia!” insistette Keros “Io… sono un disastro!”.

“Ragazzo! Semmai dovrei essere io a chiederti scusa, per averti lasciato solo in un casino simile! Tu non  hai nulla di cui farti perdonare. Anzi, da quel che mi è stato detto, sei stato molto bravo”.

“Bravo?”.

“Un perfetto principe regnante. Sono fiero di te. Riuscirai a perdonarmi? Non volevo farti vivere la guerra…”.

“Ma…cosa è successo? Io ricordo solo che stavo combattendo e… quella testa…”.

“Siediti…”.

Lucifero indicò una sedia e versò da bere in due calici, offrendone poi uno al giovane.

“A quanti ho tolto la vita?” mormorò Keros “E me ne sono reso conto solo nel momento in cui ho visto cadere la testa di un amico…”.

“Amico?!” storse il naso Satana “Ha tentato di ucciderti! E non solo una volta…”.

“Mi ha aggredito, è vero. Ma io ho le mie colpe”.

“Ti avrebbe ammazzato! Non avevi alternative!”.

Il mezzodemone bevve un sorso, poi tossendo perché era un liquore piuttosto forte.

“Hai fatto la cosa giusta” continuò Lucifero “Adesso forse non ne sei convinto, perché comunque era un tuo compagno di addestramento. Però…”.

“Ho ucciso il figlio del mio maestro! Lui mi ha istruito ed io lo ripago così?”.

“Alukah poteva insegnare a suo figlio ad essere meno coglione!” sbottò il re, infastidito.

“Ma quante altre persone ho fatto soffrire? A quanti padri ho tolto i figli? Quante donne aspetteranno invano il loro compagno per causa mia? Quanti orfani che…”.

“Finiscila! Tu ti sei difeso! Hai protetto il tuo regno e la capitale. Non avevi altra scelta”.

“Ed uccidendo che cosa ho ottenuto? Vendetta”.

“Se qualcuno vorrà vendicarsi, lo batterai. E…”.

“Non parlo solo di me! Un giorno potrei avere dei figli, no? E se venissero loro coinvolti in questo gioco eterno? Mettere in pericolo innocenti per scelte sconsiderate!”.

“Keros, questo è l'Inferno. L'Inferno è rabbia, odio, vendetta…”.

“E non sarebbe ora di cambiarlo?”.

Lucifero osservò in silenzio il principe, che svuotò la coppa.

“Come vorresti cambiarlo?” domandò poi il re.

“Vorrei cambiare molte cose. Siamo demoni, i demoni cambiano e quindi anche la loro casa deve cambiare. Non come gli angeli ed il paradiso”.

“Anche gli angeli ed il paradiso cambiano. Magari non esternamente, ma interiormente credimi che molte cose sono cambiate. Nulla può restare immutato”.

“Vorrei che tutta questa rabbia e questo odio si concentrasse sulle anime da punire, sugli umani peccatori”.

“Intendi senza più guerre fra demoni? Pura utopia…”.

“Può darsi…”.

“Keros… ora ti senti in colpa. Volevi bene a Nasfer, vuoi bene ad Alukah e ti penti delle tue azioni. Ma passerà. Tutto passa, credimi. Vai a fare un giro, trova il modo di sfogarti. Poi vedrai che ti sentirai meglio”.

“Però prima mi spieghi quel che è successo?”.

Il re accarezzò con affetto la testa di Keros. Il principe era rimasto seduto, coppa vuota fra le mani, con aria malinconica. Il sovrano, in piedi, iniziò a raccontare. Spiegò che Belzebù, da sempre desideroso di sedere sul trono, aveva deciso di approfittare della notizia di una momentanea assenza di Satana. Non trovando alleati fra demoni antichi, sconfitti troppe volte dal re, si era creato un nutrito gruppetto di fedeli fra le nuove generazioni. Promettendo terreni e ricchezze, era riuscito a radunare un esercito. Durante la battaglia, Lucifero aveva utilizzato il proprio potere e sconfitto i ribelli, riuscendo a salvare il principe che nel frattempo era stato circondato. Il giovane, dopo aver decapitato Nasfer, non era stato in grado di rimanere lucido.

“Quindi la guerra è stata colpa mia” sospirò Keros “Non mi ritenevano all’altezza”.

“La colpa, se proprio vogliamo cercarla, è mia. Perché ti ho lasciato solo. E ti ho costretto a vivere tutto questo”.

“Ma io ti ho tolto Sophia!”.

“Non sei stato tu ad ucciderla. Ora smettila di tormentarti. Cerca di rilassarti e tentiamo di andare avanti al meglio”.

Il principe si lasciò abbracciare di nuovo. Lo sguardo di Lucifero e l'intero corpo del sovrano portavano i segni della battaglia e del tempo trascorso nel mondo umano. Era pallido, con il viso scavato e gli occhi malinconici. Keros voleva chiedere ancora perdono ma non trovò altre parole. Ascoltò in silenzio altre cose che il sovrano aveva da dirgli. Poi decise di congedarsi, sentendo di nuovo la testa pulsare.

 

Steso nella vasca del proprio bagno privato, il principe fissava il soffitto. Una lacrima ne bagnò la guancia ed immediatamente l'asciugò con la mano, vergognandosene. Nel silenzio, udì chiaramente dei passi nella camera adiacente.

“Simadè!” chiamò.

Il servo subito entrò e salutò con un inchino.

“Siete qui!” parlò “Perdono se non ero al vostro fianco al momento del risveglio. Aiutavo Furcas con i feriti e…”.

“Non devi scusarti" lo zittì Keros “Il re mi ha raccontato che lo hai aiutato con l'armatura”.

“Sì… Ho tentato di rendermi utile come potevo".

“Passami l'asciugamano".

Simadè obbedì, indugiando qualche istante ad osservare il giovane immerso in acqua.

“Vedo che i segni che avete sul corpo sono tornati come prima…” commentò il servo, senza staccare gli occhi dal mezzodemone.

“In che senso?” mosse le orecchie Keros, uscendo lentamente dalla vasca.

“Quando siete stato portato qui, ne avevate anche sul viso ed in buona parte del corpo. Ma ora sono come sempre”.

“Non lo sapevo. Indagherò sulla cosa. Ora aiutami, devo far visita ad una persona".

 

Non si aspettava di ritrovarsi a percorrere un corridoio così buio e polveroso. Senza nemmeno una candela, Keros camminò ed udì propri passi riecheggiare per il palazzo. Credeva di incontrare servitori, guardie… nessuno! Fra le mani, stringeva una pergamena con il sigillo reale. Nell'oscurità, il mezzodemone raggiunse la sala principale. Lì una figura, accovacciata, si voltò di scatto. Un paio di occhi rossi si illuminarono.

“Maestro" si affrettò a dire Keros “Sono io".

La luce rossa si affievolì leggermente.

“Altezza…” mormorò Alukah.

Il demone vampiro era chino sui resti dell'armatura del figlio e li fissava in silenzio.

“Maestro, io…”.

“Non chiamatemi maestro. Non usate l'onorifico con me. Come da disposizioni, lascerò questo palazzo. Lasciatemi solo…”.

“Io non voglio che lo lasciate".

Il mezzodemone si inchinò.

“Ma che fate?” si stupì Alukah.

“Sono qui per porgervi le mie più sentite scuse. Maestro… So che avete rinunciato al vostro territorio per fare ammenda ma… voi non avete colpa alcuna. E vorrei ne riprendeste il possesso".

Dicendo questo, il principe porse la pergamena al vampiro.

“Perché chiedete perdono? È stato mio figlio a sbagliare. Ed io a non insegnargli a stare al suo posto. Voi avete fatto esattamente quel che ci si aspetta da un demone".

“Non avrei mai voluto arrecarvi un simile dolore".

“Dolore? La mia è rabbia. Rabbia per aver cresciuto un figlio traditore. Vergogna per non aver compreso che cosa avesse in mente. Sollievo per non aver visto sterminata la mia intera famiglia dopo un simile atto sovversivo".

“Non avete nulla di cui vergognarvi. Nasfer era un ottimo guerriero, egregiamente addestrato. Aveva le proprie idee, ma…”.

“Ma perché chiedete perdono? Siete stato un perfetto principe, avete guidato la nazione in battaglia, preso le decisioni giuste e mantenuto un atteggiamento degno di vostro padre. E ora? Ora venite qui a chiedere scusa? Un vero demone non chiede mai scusa".

“Un vero demone?”.

“Vi ho visto in guerra. Avete usato delle tecniche che non appartengono al mondo infernale".

“E con ciò?”.

“Nulla. Dico solo che, almeno nell'atteggiamento, dovreste tentare di fare il demone completo".

Keros si accigliò.

“Maestro…” rispose poi, con voce ferma “…io vi stimo, vi rispetto. Non provassi simili sentimenti, vi insulterei. Perché un demone non deve chiedere perdono? Siamo forse divinità? Siamo forse come colui che ha cacciato i ribelli dal paradiso? Siamo forse al di sopra di tutto e di tutti, talmente pieni di sé da non essere in grado di capire quando si ha commesso un errore? Io non sono Dio, e non voglio nemmeno esserlo. Io sono una creatura imperfetta e le creature imperfette commettono errori. Sono fiero di essere imperfetto. E sono stufo di sentirmi costantemente giudicare come fossi una strana bestia. Perfino voi…”.

“Altezza…”.

“Io amavo Nasfer. Durante tutto il nostro addestramento non ho fatto altro che ammirare le sue doti ed il suo atteggiamento da vero demone. Volevo essere come lui. Volevo essere come voi. Ma io non sono così. E, giusto perché lo sappiate, il re stesso chiede scusa. Per essersi allontanato troppo a lungo per motivi personali. Evidentemente nemmeno lui è un vero demone".

“Io…”.

Keros depose la pergamena accanto ai piedi di Alukah, rimasto accovacciato.

“Questo pezzo di carta vi permette di mantenere la terra ed il palazzo vostro e di Nasfer. Se poi proprio volete disfarvi di tutto, dividete fra confinanti e donate i vostri possedimenti ad altri che hanno subito perdite".

“Perché lo fate?” domandò il vampiro, quando il principe già si stava allontanando.

“Perché per diritto tutto questo spetterebbe a me, che ho ucciso colui che qui viveva. Miei sono i territori di Nasfer ed i vostri, dato che li avete riconsegnati al re per avere pietà della vostra stirpe. Io mai potrei toccare le vostre figlie o la vostra casa. Perciò vi restituisco tutto".

“Ma…”.

“Chiedo solo di poter avere un palazzo per me. Un singolo palazzo. Dove potermi ritirare in pace, da solo, se mi verrà voglia di farlo. Il resto, resta tutto come prima".

“Oh… altezza…”.

“Perdonami ancora, Alukah…”.

Senza dire altro, il giovane lasciò il palazzo. Vi percepiva l'essenza di Nasfer. Ricordò l'addestramento e quel bacio. Quell'unico bacio che mai avevano dato le sue labbra. Era meglio rientrare a casa…

 

“Non so perché tu lo abbia fatto…” ammise Lucifero “…ma se ti fa stare meglio, lo accetto".

Keros annuì.

Era steso a letto, con sul capo una pezza d'acqua fredda. Aveva un gran mal di testa. Il re, seduto fra le lenzuola al suo fianco, tentava di tirarlo su di morale raccontandogli stupidaggini.

“Ti ricordi quando da piccolo hai rubato i dolci dalla cucina? E li hai mangiati tutti? Ricordi che mal di pancia?”.

“Ricordi quando ti ho bruciato i libri?” rispose il principe “Ebbene li ho riscritti tutti. L'ultimo l'ho terminato in Paradiso ed è nelle tue stanze, fra i manoscritti".

“Grazie…”.

“Io mantengo le promesse".

“Bravo il mio ragazzo".

Lucifero passò una mano fra i capelli del giovane e lo fissò perplesso. Affondò con più decisione la mano fra i ciuffi rossi.

“Mi fai male!” protestò Keros.

“Oh... ma… Qui c'è una sorpresa!”.

“Di che parli? Ho i pidocchi?”.

“Ma no, che dici! Vedo un cornino".

“Un cosa?!”.

“Un piccolo corno. E qui eccone un altro. Due piccole corna. Ecco spiegato il mal di testa!”.

“Sei serio?!”.

Keros si sollevò a sedere, di colpo.

“Sono serissimo! Sei un demone! Un vero demone! Il mio piccino ha le corna! Dobbiamo festeggiare!”.

“Ma com'è possibile?”.

“La guerra, il sangue nemico… Chi lo sa? Ma che importa! Hai le corna! Hai le corna!”.

Il principe finalmente sorrise, contagiato dall'entusiasmo del re. Poi si alzò, avvicinandosi allo specchio. Erano lì, per davvero. Piccole, che lentamente spuntavano, due corna blu. E ne fu davvero fiero.

 

Eccomi! Questa volta vi lascio il link per un “GIOCHINO” a tema Keros. Sarei lieta di vedervi partecipare :)

 

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Capitolo 29
*** Giovani ***


29

GIOVANI

 

La grande sala ricevimenti era bardata più del solito per l'occasione. Lucifero sedeva sul trono, al suo fianco stava Keros, su un seggio pressoché identico. I due erano entrambi vestiti in modo regale e portavano le rispettive corone. Il vociare dei molti demoni presenti era sempre più forte. D'un tratto il re, vedendo entrare l'ultimo ospite atteso, si alzò. Questo fece sì che tutti si ammutolissero.

“Benvenuti” esordì il diavolo “State pure comodi, sorseggiate del vino e prestatemi ascolto per qualche istante…”.

I convocati alzarono i calici e sorrisero. Keros, con a sua volta un calice fra le mani, picchiettava l'anello che portava al dito contro la superficie argentea. Era una festa, una celebrazione per la fine della guerra. Il principe però non riusciva ad essere più di tanto allegro.

“Sapete bene perché siamo qui" parlava Lucifero “A molti di voi verranno dati terreni, gratifiche e quant'altro. Siete stati eroici, grandi guerrieri. Ma prima ci terrei a chiarire una cosa…”.

Lucifero allungò il braccio verso il lato sinistro della sala, dove aveva fatto sistemare tutti i più giovani combattenti.

“Ho udito molte voci che trovo alquanto fastidiose. Molti di voi sono convinti che questa guerra sia stata provocata dai giovani. Nulla di più falso. La prova è qui, davanti ai vostri occhi. Fra questi ragazzi, vi sono coloro che hanno agito nel modo migliore…”.

Keros si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, quando alcune ancelle affiancarono il re, porgendo un grosso scrigno.

“Simadè…” chiamò Lucifero “…vieni avanti".

Il servo, confuso, si guardò attorno, forse in attesa di veder comparire un altro con il suo stesso nome.

“Vieni" lo incoraggiò Keros.

Una volta al cospetto del re, si inginocchiò.

“Alzati" ordinò il sovrano, aprendo lo scrigno ed estraendo quella che a tutti gli effetti era una medaglia al valore “Hai aiutato il tuo re e servito questa città nel miglior modo possibile. Indossa questa con orgoglio”.

Simadè arrossì, incredulo, mentre il re gli stringeva la mano.  Keros si congratulò e incitò gli altri demoni a fare altrettanto, con un applauso.

Uno dopo l'altro, tutti i giovani presenti furono chiamati e premiati. Chi per il coraggio, chi per i nemici uccisi, chi per il supporto offerto alle truppe… Tutti vennero ringraziati e premiati. Fra loro vi era anche Lilien, la figlia di Azazel. Il demone messaggero sorrise con fierezza alla sua bambina.

“Ognuno di voi dev'essere fiero” sorrise Lucifero “Non mi importa se siete figli di servi o di nobili, io non credo nella predestinazione. Che ognuno di voi combatta per ottenere ciò che desidera, che quel sigillo che ora portate al collo vi ricordi sempre il vostro valore".

I giovani osservavano quanto ricevuto con incredulità e gioia. Vi era inciso il simbolo reale, una concezione riservata a pochi.

“Ora procederemo con la cerimonia per le vecchie generazioni" ghignò il re “Ma per voi giovani sarà noioso. Per questo ho organizzato una piccola sorpresa".

“Un'altra?” lo fissò Keros.

“Al piano di sotto, quello che comunemente viene usato come semplice sotterraneo, ho fatto preparare una sala solo per voi. Musica, cibo e nottata libera. Noialtri vecchi resteremo ai piani alti, senza disturbarvi. Divertitevi".

“Davvero?! Per sotterranei intendi la sala delle torture?” mormorò il principe.

“Anche. Tanto al momento è vuota. Vai a giocare…” rispose il sovrano, invitando il ragazzo ad alzarsi.

Keros fece per ringraziare, alzandosi, ma una voce interruppe ogni cosa.

“Maestà!” si udì urlare Asmodeo “L'ho preso!”.

Il generale entrò nella stanza trascinando Belzebù per un polso e scaraventandolo al centro della sala. I demoni presenti reagirono con rabbia e disappunto, ringhiando e agitando le code.

Lucifero li zittì alzando una mano. Il re ed il prigioniero si fissarono, con odio.

“Non avevo dubbi che lo avresti trovato, mio generale" commentò il diavolo, senza distogliere lo sguardo dal traditore “In quanto a te, Belzebù, ho una voglia matta di eviscerarti per scoprire se veramente sei fatto di mosche come dicono. Non riesco a concepire una punizione adatta per te se non una lenta agonia che ti porti alla morte…”.

Keros, tornato a sedersi, non disse nulla. Lucifero lanciò solo uno sguardo nella sua direzione.

“Tuttavia…” riprese il Signore dei demoni “…non è a me che hai fatto un torto. Hai scatenato una guerra per spodestare il mio erede, il legittimo successore al trono. Perciò non sarò io a decidere la tua condanna, ma bensì mio figlio Keros. Inchinati dinnanzi al tuo principe ed ascolta ciò che ha da dire".

Il giovane si stupì ed in principio non disse nulla, fissando il sovrano. Poi si alzò e prese un profondo respiro.

“Io ti detesto" esordì “Non perché tu non mi ritenga all’altezza di fare il re. Di fatto, sono io con un trono alle spalle. Tu invece stai strisciando in terra. Capisci dunque che la tua opinione non mi tange minimamente. Ti odio perché per colpa tua molti hanno perso la vita. Per colpa tua c'è chi ha perso un padre, una madre, un figlio, un amico… E per cosa? Perché hai voglia di poggiare il tuo grosso culo lì sopra?”.

Keros indicò il trono e Belzebù ovviamente non rispose.

“Non poggerai mai il tuo grosso culo lì sopra!” continuò il principe “E sai perché? Perché i re non fuggono come vigliacchi dinnanzi al nemico. Il re dei demoni non fugge nemmeno dinnanzi a Dio ed i suoi angeli! E pretendi forse di poterlo fare tu, che ti nascondi dietro ad un esercito di ragazzini plagiati? Vorrei che il tuo destino fosse la morte, ma sappi che non sarà così. Sarebbe troppo semplice. Inoltre sono consapevole che al tuo fianco hai chi ti rispetta, ti vuole bene, e sinceramente non voglio che gente simile mi venga a rompere i coglioni piagnucolando perché ti ho ucciso. No. Io ordino che ti venga tolto tutto. I tuoi possedimenti, i tuoi averi, il tuo rango… Ordino che tutto ciò che ti ha reso ricco e potente venga distribuito fra coloro a cui hai causato un lutto. Che mai più ti sia concesso di organizzare un esercito, di avere chi ti serve od obbedisce ai tuoi comandi. Sii tu meno della mosca che danza sui cadaveri di chi è morto per causa tua”.

“Meglio la morte!” interruppe Belzebù.

“Ammazzati da solo, se è la morte che desideri" concluse Keros, tornando a sedersi.

Con un gesto, il sovrano fece trascinare via Belzebù, che continuò a protestare ed inveire contro chiunque.

“Sono fiero della decisione che hai preso" mormorò Lucifero “Non avrei potuto trovare punizione migliore. Ora però vai a divertirti…”.

“Non sono molto in vena…” ammise il principe.

“La vena te la fai venire. Su… alzati!”.

Il re invitò l'erede a seguirlo. Insieme scesero i pochi scalini che sopraelevavano i due seggi dal pavimento, assieme ad un elegante tappeto rosso damascato. Lucifero chiamò a sé i giovani, rimasti in attesa di un ordine per poter andare a festeggiare.

“Prendetevi cura di lui" ghignò Lucifero, poggiando affettuosamente una mano sulla spalla del principe e fissando i ragazzi che aveva di fronte “È un pochino giù di corda".

“Ci pensiamo noi, maestà!” sorrise Lilien “Non si preoccupi".

 

L’ampia sala nel sotterraneo si riempì presto di giovani demoni festaioli. Grandi fontane scorrevano su calici di cristallo, riempiendoli di vino ed alcolici infernali. Alcune anime suonavano, incatenate al muro. L'oscurità era lievemente rischiarata da piccole lucciole dal bagliore rosso. Splendide Succubus e prestanti Incubus, con abiti pressoché inesistenti, si aggiravano fra gli invitati pronti a divertirsi e far divertire, porgendo vassoi con varie prelibatezze.

Keros si guardò attorno. Riconobbe l'angolo in cui sedeva il re mentre torturava i traditori, sorseggiando quel che voleva. La riserva speciale e privata di Lucifero era protetta in una bacheca chiusa a chiave. Il principe però aveva la chiave… per la prima volta! Ignorando tutti i presenti, decise di sperimentare quel che il re aveva da offrire. Aprì un paio di bottiglie dall'aria piuttosto antica e pregiata, dopo essersi accomodato al tavolo adiacente alla vetrina. La fragranza che sprigionò riempì i polmoni del giovane principe, che socchiuse gli occhi deliziato. Keros si inumidì le labbra con il primo liquore aperto, trovandolo decisamente forte ma con un sapore unico. Poi ne assaggiò un altro, cercando di coglierne tutte le sfumature di sapore.

“Ed a noi non offrite nulla?” squillò una voce.

Il principe alzò un sopracciglio.

“Tu sei la figlia di Azazel, giusto?” si limitò a commentare, versandosi altro da bere.

“Esatto. Ed il re ha ordinato di tirarvi su il morale".

“Non ne ho bisogno".

“Perdonatemi ma come bugiardo fate un po' pena…”.

Keros girò gli occhi verso Lilien, notando al suo fianco la presenza di Simadè.

“Che strano vedervi così…” commentò il sanguemisto, assaggiando altri alcolici.

“Così…?” inclinò la testa la messaggera, servendosi da bere.

“Ti ho sempre vista in abiti da lavoro in giro per il palazzo.  Con i pantaloni ed il resto di quella specie di divisa da uomo. Simadè invece è sempre vestito in modo semplice. Oggi invece siete elegantissimi".

“Grazie… Se vuole essere un complimento” sorrise lei, accennando un inchino con la lunga gonna “Ma ammetto di trovarmi meglio con la divisa da maschiaccio piuttosto che con bustino e crinolina".

Sia Lilien che Simadè vestivano secondo la moda del momento, come la maggior parte dei giovani presenti.

Simadè andò a sedersi accanto al principe e la messaggera fece lo stesso. Keros riempì i loro calici e bevve in silenzio, osservando la parete di alcolici del sovrano.

“Allora…” riprese Lilien, ridacchiando “Ora avete le corna. Che è successo? La fidanzata se l'è spassata con un altro demone? Scherzo, ovviamente…”.

“Quale fidanzata?” fece una smorfia il mezzodemone.

“Ma come?! Io pensavo che l'erede al trono fosse… sistemato! O perlomeno con un esercito di pretendenti".

“Sono bravo ad ignorarle…”.

“Quindi possiamo dire che siete sulla piazza. Aspettate che lo sappiano le mie amiche…”.

“Possiamo dire che attualmente la cosa non mi interessa".

“Siete un romanticone ed aspettate quella giusta?”.

“Circa…”.

Bevvero ancora. Simadè sorrise, facendo cenno ad una Succubus di portargli del cibo.

“Sei un golosone" lo derise Keros, rubandogli un pezzo di dolce al cioccolato.

“Ma quindi…” ghignò Lilien, reggendosi la testa sul tavolo “…voi due scopate? Intendo… fra di voi?”.

Keros e Simadè si fissarono. Poi risero.

“È capitato" ammise il principe.

I tre giovani ridacchiarono, iniziando a parlare di assurdità.

 

Azazel si guardava attorno, visibilmente nervoso. Lucifero gli porse un bicchiere di vino.

“Cosa ti turba? La festa non è di tuo gradimento?” lo stuzzicò il sovrano.

“Non sono abituato ad avere mia figlia fuori dal mio controllo…” ammise il messaggero.

“Il solito esagerato. È una donna ormai”.

“Lo so che è una donna. E so che è circondata da giovani demoni sbavanti".

“E con ciò? Ormai ha l'età giusta per farsi circondare".

“Non scherziamo…”.

“Non sto scherzando. Tu piuttosto… Cerca si rilassarti. Guarda quante belle donzelle!”.

Azazel storse il naso, poco convinto. Dopo qualche sorso di vino però parve stare un po' meglio.

“Non ho intenzione di prender moglie" commentò, sorridendo “Se vi piace discutere di cose simili, dovreste iniziare ad accasare vostro figlio".

“Io non parlo di matrimoni! Parlo di sano e rovente sesso. Il sesso non si discute: si fa! E tua figlia mi sembrava più che dell'umore giusto".

Azazel fece per protestare ma Lucifero lo zittì con un dolcetto ed altro vino. Il sovrano ghignò ancora, ricordando il caratteristico profumo che aveva percepito sulla fanciulla, e trascinò il messaggero a festeggiare.

 

La musica nel sotterraneo era cambiata. Ora le anime suonavano un valzer.

“Voi andate spesso nel regno umano…” constatò Lilien, fissando Keros.

“E con questo, madame?” rispose lui, perplesso.

“Voi sapete ballare su questa musica?”.

“Certo. È il valzer. Va molto di moda adesso fra i mortali, anche se suscita qualche polemica".

“Potreste insegnarmi? È un ballo così romantico… e poi è nuovo! Basta con questi motivetti da 1200! Ormai siamo alle porte dell'800!”.

“Non è difficile…”.

Il principe si alzò, porgendo la mano guantata alla fanciulla. Lei sorrise e si lasciò portare al centro della sala. Gli altri demoni rimasero ad osservare, molti cercando di imparare a loro volta quei passi. Il principe cinse la vita si Lilien ed iniziò a spiegarle come muoversi. Lei in principio inciampò sui suoi stessi piedi e sul vestito.

“Come una principessa" ridacchiò.

“Una principessa imbranata” le rispose Keros, con un ghigno divertito.

“Che antipatico che sei! Ovvio che non hai la fidanzata!”.

“Ma chi la vuole?!”.

Nonostante l'impaccio iniziale, la giovane messaggera iniziò a capire come ballare e non calpestare piedi altrui. Altre coppie provavano a ballare a loro volta, con risultati più o meno buoni. Molte fanciulle si limitavano ad osservare con ammirazione le giravolte del principe.

“Ti guardano tutti" sussurrò Lilien.

“Guardano entrambi" corresse Keros.

Danzando così vicini, il sanguemisto percepì un lieve offuscamento dei sensi.

“Hai un buon profumo" disse a colei con cui stava ballando.

“Profumo? Non ho addosso alcun profumo…”.

“Allora è la tua pelle a sprigionare questa fragranza dolce…”.

“Per me siete ubriaco" rise lei.

In realtà il profumo di lei altro non era che un segnale di richiamo per i demoni maschio, che sempre più fra i presenti si stava facendo sentire. Alcuni iniziarono a litigare, per ottenere i favori delle donzelle presenti. Fra le botte, qualcuno finì nella fontana del vino. Molte coppie, aiutate dalla musica e dal tasso alcolico nelle vene, iniziarono a scambiarsi effusioni piuttosto spinte. Lilien, ancora stretta fra le braccia del principe durante il ballo, spinse leggermente in avanti il viso. Keros scostò il volto.

“Non voglio baci sulle labbra" sbottò, inclinando la testa e chinandosi sul collo di lei.

Quel profumo lo stava decisamente stordendo e, passando la lingua sulla pelle bianca della messaggera, ne fu totalmente rapito.

“Vieni con me" le disse sottovoce, accompagnandola fino ad un punto in ombra della sala.

Abilmente, il principe aprì un passaggio segreto che conduceva alla grande biblioteca reale. Certo che tutti fossero impegnati in festeggiamenti vari, condusse Lilien a passo svelto fino alle proprie stanze. Non capiva più nulla, desiderava solo possederla. Lei allo stesso modo ignorava qualsiasi altra cosa, nonostante si trovasse in sale in cui aveva sempre sognato entrare, e strinse a sé il mezzodemone. Gli abiti che indossavano erano complessi, fra catene e lacci. Keros spinse la messaggera sul letto ed affondò le mani fra i vari strati di stoffa della gonna che ne copriva le gambe. Risalì lungo la pelle, fino a raggiungerne i fianchi. Con eleganza le sfilò l'intimo di pizzo nero. Lei intanto tentava di sciogliere i lacci del busto, trovando difficoltoso respirare.

“Moda del cazzo…” sibilò il principe, strappando i nastri con impazienza e scoprendo il seno della fanciulla.

“Mio padre mi ucciderà…” riuscì a commentare lei, osservando i movimenti sicuri del mezzodemone, che si spogliava in fretta e del superfluo.

Fra le stoffe e la crinolina, si fece strada quasi divertito. Giocò un po' con la coda della messaggera. Lei parve impaurita, per qualche istante. Incrociò le braccia sul seno scoperto. Lui le sorrise, dandole un bacio sul collo.

“Maestà…” sussurrò la messaggera.

“Keros. Io sono Keros” le rispose il principe, di nuovo inebriato da quel profumo.

Con tutti i sensi avvolti da quella fragranza, il mezzodemone ghignò. Il suo sguardo si illuminò d'arancio e la fece sua. Lei sorrise, accogliendo il principe in sé, fra stoffe e pelle nuda. Lo desiderava ardentemente, mossa da quell'istinto che non poteva controllare. Era una demone, era una donna, ed il corpo la spingeva ad accoppiarsi, a cercare e provare piacere. Lui era un demone, per metà, e non riusciva a resistere a quel richiamo. Ad ogni spinta, lei lo stringeva più a sé.

“Sei tutto mio questa notte, Keros" mormorò.

“Fino a quando non mi implorerai di smettere" gli rispose lui.

Lilien lanciò un gemito e poi un altro, accompagnando i movimenti di lui.

“Sono vostra questa notte…” ansimò docilmente “…non smettete! Ve ne prego… Non fermatevi fino al termine di questo giorno!".

Keros trovò tremendamente eccitante quel tono di voce, e la strinse più forte, avvolgendola fra le braccia. Lei si lasciò circondare e lanciò un grido, quando i denti di vampiro del principe affondarono nella carne del morbido collo. Quel gesto accese ancora di più il desiderio e lei inarcò la schiena, prossima all'orgasmo. Lo raggiunse puntando le unghie sulla schiena di lui e graffiandolo, spalancando poi le ali da demone. Stringendolo forte fra le braccia e circondandone la schiena con le gambe, Lilien avvertì un brivido quando anche Keros giunse al termine dell'amplesso. Rimasero stretti l'uno all'altro, l'uno dentro l'altro, per qualche istante. Poi lei ricambiò quel morso sul collo, pur non avendo denti da vampiro, ed il principe si sentì di nuovo travolgere dall'eccitazione.

 

Non sapeva dire quanto tempo aveva trascorso fra le lenzuola con quella donna. La aiutò a rientrare a casa, evitando di essere vista dal padre o da chiunque altro. Tornando a palazzo, gradatamente riprese lucidità. Si stupì di se stesso, non era da lui lasciarsi andare in quel modo. Ma era stanco per pensarci, così si diresse verso la camera da letto. Non si aspettava di trovarvi Simadè, intento a cambiare e sistemare le lenzuola.

“Che fai?” biascicò Keros.

“Il mio lavoro" si sentì rispondere “Solo un attimo e…”.

“Non è necessario. Sarai stanco pure tu, fila a dormire!”.

“Veramente…” confessò il servo, sprimacciando il cuscino “Non sono affatto stanco".

“Ah, no? Be' ... immagino che la festa di sotto possa…”.

“Sono geloso" ammise Simadè e Keros alzò un sopracciglio “Speravo di divertirvi un po'… con voi due".

“Intendi me e Lilien? Mi ‘spiace… Lei è tornata a casa. Però, se vuoi… puoi avere me".

Il giovane Incubus si voltò verso il principe, con un ghigno. Con mani esperte lo svestì da catene, giacca con le code e camicia. Il mezzodemone si disfò di stivali alti ed altre catene. Si lasciò spogliare completamente, nel buio della camera. Si sentiva a suo agio, sapendo che il servo non avrebbe visto i tatuaggi che lo inquietavano.

“Sono lieto che la guerra non abbia lasciato gravi segni su questo corpo…” commentò Simadè, raggiungendo il principe a letto e baciandone più volte la schiena “La vostra pelle è così liscia e perfetta…”.

Keros non rispose. Si rilassò, lasciandosi cullare da quella voce e facendosi coccolare dalle mani del sottoposto. Questi lo accarezzava e lo baciava.

“Vi è piaciuta la festa, maestà?” domandò Simadè.

“È stata una piacevole sorpresa…”.

L'Incubus sorrise, con ancora al collo il riconoscimento dato dal re. Il principe vide quel sorriso nel buio e sorrise a sua volta.

“Simadè…” parlò piano, abbracciando il cuscino “Voglio dimenticare. Non lasciare che la mia mente si affolli di nuovo di pensieri tristi. Voglio godere. Godere fino ad addormentarmi. Scopami".

Il servo rimase in silenzio qualche istante.

“Vi farò rimpiangere le calde cosce di quella femmina" sibilò poi, con un ghigno.

 

Ma ciao! È passato un po' di tempo ma spero che lunghezza di questo capitolo perdoni la mia assenza! E, chi vuole, passi a dare un occhio in pagina. Appena caricato un nuovo disegno a tema Keros. https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=246389442602554&id=166597243915108 A presto!!

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Capitolo 30
*** Progetti e verità ***


30

PROGETTI E VERITÀ

 

“Non serve più che indossi i campanellini, sai?” furono le prime parole che disse Lucifero, senza staccare gli occhi dai fogli che studiava.

Quella frase fece sorridere Keros, appena svegliato. Aveva raggiunto il re in ufficio e si era stupito nel trovarlo già lì, tutto concentrato sul suo lavoro.

“A me piacciono i campanellini" rispose il principe, scuotendo con allegria il braccialetto che indossava.

“Mi hai già portato un'altra anima? In meno di una luna?”.

“Gli umani sono sempre più stupidi. Poi era un'anima facile. Quando arriva la mia anima finale? Quella per farmi passare l'esame?!”.

“Perché tanta fretta? Solitamente lo si affronta attorno ai duemila anni".

“Non aspetterò più di novecento anni!”.

“Piccolo testone…”.

Keros si appollaiò sulla sedia di fronte alla scrivania del sovrano e ne spiò il lavoro.

“Ancora la roba di Belzebù?” storse il naso il giovane.

“Già. A quanto pare lo stronzo aveva parecchia pecunia. E la sto conteggiando tutta, per poi dividerla fra chi ne ha diritto. Come hai ordinato alla festa".

“Ma devi farlo proprio tu? Intendo dire… Non è una cosa molto regale far di conto, no?”.

“Hai ragione. Ma preferisco occuparmene di persona. E poi… ho bisogno di tenere la mente occupata".

“Capisco…”.

Il principe notò che all’anulare e al medio Lucifero portava entrambi gli anelli che per tanto tempo erano stati al dito suo e di Sophia. Notandolo, provò subito una punta di tristezza. Il senso di colpa non lo aveva mai abbandonato.

“Papà…” mormorò dopo un po' “…pensavo… Andiamo a fare un giro? Solo io e te".

“Un giro?”.

“Sì. Come facevamo una volta. Tornare vicino a quel fiume dove mi portavi da piccolo, chiacchierare, perdere tempo, dare la caccia alle anime…”.

“Ho molto da fare, Keros. Poi certi luoghi, nel mondo umano, saranno di certo stati travolti dalle scimmie glabre. Perché lo chiedi? Devi parlarmi di qualcosa?”.

“No. È solo che… Da quando sei tornato, non hai mai preso una pausa. Dovresti riposare".

“Non ne ho bisogno”.

“Non hai un bell'aspetto".

Lucifero alzò gli occhi e fissò Keros. In silenzio.

“Che c'è?” balbettò il giovane “Così mi spaventi".

Il diavolo non rispose. Tornò a concentrarsi sui documenti che aveva sotto il naso. Non aveva parole con cui ribattere. Dalla morte di Sophia, non era mai stato in grado di essere di nuovo se stesso. Era svogliato, stanco. Vuoto. Era bravo a fingere, dietro a feste e ghigni di circostanza, ma non riusciva ad imbrogliare chi lo conosceva bene. Il malessere che provava in sé si rifletteva anche esteriormente e quello era più complicato da nascondere. Gli occhi leggermente incavati e l'accenno di capelli bianchi faceva discutete più di un suddito.

“Hai qualche compito per me?” tentò di cambiare argomento il mezzodemone “Anche a me piacerebbe avere la mente occupata, ma al momento non ho umani da tentare".

“Passa dall'archivista e fatti dare l'elenco dei danni e delle famiglie con lutti. Così iniziamo a farci un'idea di come distribuire la ricchezza di quel figlio di una mosca…”.

 

L'Arcangelo Gibriel osservava in silenzio Mihael. Il guerriero sembrava tutto assorto nella cura della propria spada. La lucidava senza dire una parola. A gambe incrociate, fra le scalinate bianche del Paradiso, l'arma brillava sempre di più.

“Per quanto tempo hai intenzione di rimanere lì impalato, Gabry?” sbottò Mihael, specchiandosi sulla lama della spada.

L'Arcangelo messaggero sobbalzò. Lo sguardo serio di Mihael non mutò ed attese risposta.

“Perdonami" parlò Gibriel “Non era mia intenzione infastidirti. Volevo solo parlarti di una cosa”.

“Parla".

“Qui? Non preferiresti…?”.

“Parla".

Mihael tornò a concentrarsi sulla propria spada, dando le spalle al fratello.

“Devi sapere…” esordì Gibriel, in piedi qualche scalino più in alto “…che quel ragazzo è stato visto nel mondo degli umani".

“Quale ragazzo?”.

“Lo sai quale ragazzo. Keros. È stato visto mentre tentava degli esseri umani. Mi spiace essere io a dirti che è caduto. È un demone…”.

“Perché vieni a dirlo a me?”.

“Perché mi sei sembrato molto legato a lui. Però non mi pare che la notizia ti turbi più di tanto…”.

Mihael non rispose.

“Fratello…” sospirò Gibriel “…fra me e te non ci sono mai stati segreti. Eppure ho l'impressione che mi sfugga qualcosa. Di quel giovane non sono riuscito a recuperare alcuna informazione, ed è strano. Tu invece lo conoscevi bene. Perché?”.

Mihael si alzò, senza però voltarsi. Rifoderò la spada.

“Non abbiamo segreti" disse, guardando altrove “Su di me puoi sapere quel che vuoi".

“Mi stai dicendo che per sapere la verità devo cercare fra i tuoi fascicoli, fra tutto ciò che ti riguarda? È così?”.

L'Arcangelo guerriero spalanco le ali aranciate. Solo in quel momento si voltò verso Gibriel, con la solita espressione seria. Il fratello fece per aprire ancora la bocca ma Mihael già era volato via.

 

Dopo il giro dall'archivista, un demone di nome Zagan che viveva arrampicato fra scaffali di documenti infernali, Keros era tornato in ufficio dal re. Si era fatto portare una fetta di torta e mangiava soddisfatto, spulciando fogli vari ed annotando il necessario su un altro foglio. Lucifero continuava a riportare numeri sempre più grandi.

“Posso farti una domanda?” parlò il diavolo ed il principe annuì, con la bocca piena di dolce al cioccolato.

“Sii sincero" mormorò il re, sospirando in cerca di un foglio che non trovava “Sei tornato all'Inferno per causa mia?”.

“Causa tua?!” storse il naso Keros.

“Ci sei tornato perché lo hai visto come un obbligo?”.

“Obbligo? No, non direi. Ho pensato di non avere alternative".

“Sei felice di questa scelta?”.

“Di certo mi diverto più qui all'Inferno. Il Paradiso è... angosciante".

“Angosciante?! Il Paradiso?”.

“Sì. È opprimente. Sembra che abbiano tutti una scopa su per il culo e vivano nella paura che qualcuno gliela tolga".

Lucifero non riuscì a trattenere una risata, a cui si unì poco dopo il principe.

“Cambiando argomento…” ridacchiò ancora il diavolo “…non mi hai ancora detto se ti sei divertito alla festa".

“Quella post bellica? Sì. È stata una bella sorpresa".

“Hai conosciuto qualche femmina?”.

“Perché lo chiedi?”.

“Così. Per sapere. Sarei felice di sapere che qualcuno, oltre a quel sovversivo a cui hai tagliato la testa, ti ha rapito il cuore".

“Perdonami ma non voglio proprio parlare di questo… anzi, sai che c'è? Ho visto abbastanza per rendermi conto che io l'amore non lo voglio".

“Hai visto abbastanza?!”.

“Sì. Tu, Azazel… Ho visto come l'amore vi ha ridotti. Ed io non voglio finire così. Perdonami…”.

“Come se si potesse scegliere, ragazzo mio…”.

“Certo che si può scegliere!”.

Lucifero allungò un dito verso la torta del ragazzo, rubandone un fiocco di panna. Allo stesso tempo, scosse la testa.

“Si può scegliere” insistette Keros, allontanando la mano del sovrano con la forchetta.

“Credi di poter decidere di chi innamorarti?!”.

“No. Ma posso decidere come agire. Posso decidere se farmi prendere da fantasie per deficienti o agire in modo razionale e non lasciare che certi sentimenti abbiano la meglio. Tipo se mi dovesse mai piacere qualcuno, andarmene dall'altra parte del globo terracqueo a cercare anime!”.

“Sei ottimista..”.

“No. Sono razionale. Non sono istintivo come te".

Lucifero alzò un sopracciglio. Ridacchiò di nuovo.

“Non ridere…” sbottò il principe.

“Va bene. Allora… Mettiamola così: se è quello che vuoi, ti auguro di non innamorarti mai".

“Grazie…”.

 

Gibriel osservava la pagina che aveva davanti, incredulo. Il grosso volume, aperto sul tavolo bianco latte, forse mentiva? Provò un sentimento che odiava provare: la rabbia. Tentò di controllarla, con un profondo respiro.  Come aveva potuto? Rilesse di nuovo, volendo essere assolutamente certo di aver capito. Mihael e Carmilla? Un angelo ed una demone? E Keros… Keros era il figlio di Mihael? E Mihael non ne aveva mai parlato? Una volta accantonata la rabbia, si fece spazio la gelosia. Come aveva potuto non parlargliene? Nemmeno un vago accenno.

“E ora che faccio?” si chiese l'Arcangelo, con una smorfia.

Non sapeva come mantenere un segreto simile. Mosse nervosamente le mani e poi decise di raggiungere Mihael.

 

Dopo aver trascorso diverse ore su vari documenti, Keros si era concesso un po' di allenamento in cortile. Stava lottando assieme ad Asmodeo quando intravide una figura vagamente familiare avvicinarsi sotto al porticato.

“Lilien?” si stupì “Come sei arrivata fino a questa zona del palazzo? Fa parte dell'area privata che…”.

“Lilith mi ha accompagnato” lo interruppe lei “Vorrei parlarti un attimo”.

“Ok…”.

Perplesso, Keros congedò i demoni con cui si allenava e si avvicinò alla ragazza.

“Prima che tu ti metta a parlare…” storse il naso il principe “…una domanda: non ti ha mandato qui il re, vero?”.

“Il re? No…”.

“Ah, bene. Non volevo ti avesse coinvolta nel suo solito discorso riguardante il fatto che le mie stanze sono vuote e via discorrendo".

“Ah…no…non…”.

“Perfetto! Allora sono tutt'orecchie. Che devi dirmi?”.

“In realtà devo farvi solo una domanda: la volete una famiglia?”.

“Intendi dire moglie e figli? Mai! Ma non puoi essere venuta fin qui solo per chiedermi ‘sta cosa…”.

“In realtà mi basta. Perdonate l'interruzione. Me ne torno a casa".

“Che?!”.

Keros rimase alquanto stupito. Inclinò la testa, vedendo Lilien allontanarsi in fretta. La seguì, afferrandola per un braccio.

“Dove vai?!” la fermò “Cos'è questa storia?”.

“Nulla. Vi ho già detto che non mi serve altro. Lasciatemi!”.

“Ma non ha senso! Dimmi la verità. Lilith ti ha fatto venire fin qui solo per questo?”.

“Io a lei non ho detto nulla!”.

Keros non lasciò la presa ed insistette, in modo non molto delicato. Lei reagì tirandogli uno schiaffo. Il principe si accigliò.

“Non mi piace che mi si nascondano le cose" ammise il mezzodemone “Che state tramando? Che succede?”.

“Tramando?! Paranoico! Non sto tramando nulla".

“Però…?”.

“Però cosa?!”.

“Che succede?”.

Keros ripeté quell'ultima frase finché lei, esasperata rispose.

“Succede che sono incinta!” gridò.

Il principe lasciò immediatamente il polso della figlia di Azazel, che ne approfittò per svicolare e fuggire lungo il corridoio.

“Aspetta!” la chiamò lui “Aspetta, ti prego!”.

Inseguendola, la raggiunse con facilità. Lei si fermò, distogliendo lo sguardo. Tremava ed era, se fosse stata in grado di farlo, prossima a piangere.

“Tranquilla" le sussurrò Keros, abbracciandola “Perdonami, sono stato decisamente brutale poco fa. Incinta? Davvero? Sono io che…?".

Lei non rispose. Si lasciò abbracciare ed annuì soltanto.

“Cosa pensavi di fare?” continuò il mezzosangue “Fuggire e fingere che non sia vero?”.

“Ci sono tanti modi. Voi una famiglia non la volete. Io nemmeno. Perciò…”.

Lui si sciolse dall'abbraccio e fissò Lilien quasi con rabbia.

“Che c'è?” alzò le spalle lei “Siamo demoni. I cuccioli muoiono e vengono abbandonati ed uccisi continuamente!”.

“Non succederà in questo caso".

“E perché?!”.

“Perché già in troppi sono morti per causa mia".

“E con ciò?! Che ha a che fare tutto questo con i morti in guerra?!”.

“Posso salvare ed aiutare una vita. Ed ho intenzione di farlo. Qui a palazzo ci sarà sicuramente chi vorrà prendersi cura del bambino".

“Parla al plurale. Praticamente tutti i demoni partoriscono più di un piccolo, ed io facevo parte di una cucciolata di otto fratelli!”.

“Quindi quanti ce ne sono lì dentro…?”.

“Non so. Ma ad ogni modo…”.

“Ad ogni modo adesso vieni con me. Parliamo con il re, con calma. E vedrai che una soluzione si trova”.

“Il problema è mio padre. Mi ucciderà. Ed ucciderà te".

“Ti ucciderà? Non credo. Sai chi porti in grembo?”.

“Non lo so. Ti ho detto che…”.

“L'erede al trono!”.

“Che…?”.

“Io sono il principe ereditario. Non ho altri figli. Perciò…”.

Lilien non aveva minimamente considerato la cosa e rimase in silenzio.

“Ora andiamo. Siamo persone adulte e…”.

“Circa…”.

“No, niente circa! Abbiamo più di mille anni, quindi siamo adulti! E gli adulti sì, fanno stronzate ma devono sapersi comportare di conseguenza. Non è la fine del mondo…”.

“Parli come se tutto fosse facile".

“Non lo è. Non lo è nemmeno per me. Non è un gioco. Ma siamo in due, il casino lo abbiamo combinato assieme, no? Quindi ora andiamo. Io sono qui. Tranquilla. Non sarai sola, tutto il palazzo reale scommetto che farà a gara per aiutare…”.

“Quando ti comporti da principe, e non da cazzone, non sei tanto male…”.

 

“Perché non me lo hai detto?!” chiese Gibriel.

Mihael, nella sua stanza, non rispose. I due Arcangeli erano soli.

“Rispondimi!” incalzò il messaggero.

“Che dovrei dirti?” mormorò Mihael.

“Perché non mi hai raccontato la verità? Un figlio! Si tratta di un figlio, non di una stupidaggine da niente!”.

“La storia è complessa…”.

“Ma noi siamo fratelli! Ci siamo sempre detti tutto!”.

“Non è stato semplice neppure per me".

“E adesso? Che devo fare? Chi altro lo sa?”.

“Lo sapeva Sophia. Solo Sophia, qui in cielo".

“E ora…?”.

“Ora non so. Tu lo sai. Se vuoi, puoi raccontarlo a tutti. Nemmeno io so che fare…”.

“Raccontami tutto, con calma… Non dirò nulla agli altri, se non vuoi. Promettimi però che d'ora in poi non mi nasconderai altre cose. Ok?”.

“Te lo prometto…”.

Mihael alzò la testa e Gibriel gli sorrise.

“Abbiamo combattuto insieme, fratello. Non ti nasconderò più nulla".

Il messaggero apprezzò molto quella frase e, nonostante Mihael non fosse per nulla d'accordo, abbracciò il guerriero.

 

Lucifero rideva, come un pazzo.

“Chi sarebbe quello razionale? Non istintivo come me?” sfotteva.

“La smetti di ridere?!” sibilò Keros.

Il giovane e Lilien erano in piedi, davanti alla scrivania del re. A fianco, a braccia incrociate e poggiato contro il muro, stava Azazel.

“È più forte di me" rise ancora il sovrano.

“Ma che comportamento maturo. Davvero…”.

“Dai, non te la prendere! Era da tempo che non mi facevo una risata! Sono contento! Dico sul serio!”.

Lilien fissò il principe e poi il proprio padre, che agitava la coda nervosamente.

“Ma perché prima non mi hai parlato di avere una donna?” chiese Satana.

“Non è la mia donna!” si affrettò a dire il sanguemisto.

“Confermo” annuì Lilien “Non sono la sua donna. Non sono nemmeno sua amica!”.

“Ah… Ok…” si trattenne dal ridere ancora il re “La cosa non cambia. Adesso sistemiamo tutto, ragazzi".

“Sistemiamo?!” ringhiò Azazel, rivolto a Keros “Io ti tiro il collo! Razza di…”.

“Azazel! Calma!” lo fermò Lucifero “Ragioniamo. È una cosa bella”.

Il re si alzò ed abbracciò Lilien, che arrossì di colpo per la sorpresa.

“Ora chiamo Lilith" continuò il diavolo “La tua bimba sarà coccolata e seguita. Come una principessa”.

“Io… vivrò qui a palazzo?!” si stupì lei.

“Ovvio! Partorirai una cucciolata di principini!”.

Azazel parve rabbonirsi sentendo quelle frasi, anche se non del tutto. Lucifero, percependo e capendo il nervosismo del messaggero, tentò di calmarlo con del buon vino.

“Su, Azazel…” gli mostrò la lingua Satana “…è la vita”.

“Non prendetemi per il culo, altezza. Per cortesia…” fu la risposta.

“Dai, su! Brindiamo!”.

Il capo dei demoni mise un braccio attorno al collo di Azazel, che soffiò come un gatto.

“Brindiamo!” insistette il diavolo.

“Ma andate a fare in…”.

Lucifero tirò a sé il messaggero, ridendo. Allo stesso tempo, fece segno ai due giovani di lasciare la stanza. Lilien e Keros non se lo fecero ripetere, notando che il nervosismo di Azazel non era scemato.

Una volta fuori, si guardarono negli occhi.

“Sarà una bella avventura" sorrise il principe.

“Sarà un bel casino…” sospirò lei “In famiglia non siete mica tanto normali…”.

 

Ciao! Spero di aggiornare presto! Tante nuove cose in arrivo!!!

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Capitolo 31
*** Bimba angelo ***


31

BIMBA ANGELO

 

Il 1800 si era rivelato un secolo molto interessante. Fra poeti maledetti ed assenzio, Keros si stava divertendo parecchio. All'Inferno tornava raramente, quando ci poteva trascinare qualche anima tentata. Aveva deciso di fare una sorpresa a Lucifero ed era rientrato a palazzo senza preavviso, con una bella bottiglia di “fatina verde" in dono. Lo aveva trovato chino sul pianoforte, intento a suonare una melodia perfetta. Senza disturbare, il principe era rimasto in disparte ad ascoltare. Il sovrano era totalmente preso dalla musica e si accorse solo dopo parecchio tempo della presenza del sanguemisto.

“Continua pure” lo invitò Keros “Non era mia intenzione disturbarti”.

“Suona con me" lo invitò il re.

“Non sono capace. Non so suonare bene come fai tu…”.

“Impara".

Lucifero attese che il principe lo raggiungesse e ricominciò a suonare. L'erede tentò di seguirlo nel miglior modo possibile, creando così una melodia a quattro mani.

“Mi hai portato l'assenzio" notò il re, con un ghigno soddisfatto.

“Sì. È tutto per te…”.

Keros, che come sempre seguiva la moda umana, tolse la tuba e la poggiò fra le corna di Lucifero, che fissò perplesso quel cappello.

“Sei qui per restare un po' di più?” chiese Satana.

“No. Non credo. È che devo spostarmi di zona ed ho bisogno di riorganizzarmi un po'. Poi devo fare rapporto per il registro".

“Puoi anche rallentare, ragazzo. Non ho questa grande necessità di anime…”.

“Ma io mi diverto!”.

Senza aggiungere altro, Keros si congedò e raggiunse il piano con le sue stanze. C'era silenzio, cosa ultimamente piuttosto inusuale. Stando attento a non far rumore, il principe aprì cautamente una delle camere e controllò fosse tutto in ordine. Lilien dormiva, tranquilla, con accanto quattro cuccioli. Erano tutti accoccolati stretti e riposavano tranquilli. Una piccina invece era lasciata in disparte. Dormiva sola, abbandonata in un angolo. Keros sospirò ed andò a prenderla, portandola nella propria camera. La bambina era diversa dalle sue sorelline e dal suo fratellino. Aveva capelli ed occhi molto chiari, e per questo Lilien l'aveva fin da subito rifiutata. Fortunatamente, grazie alle cure delle varie balie presenti nel castello, era ancora in vita. Somigliava troppo ad un angelo, in molti avevano suggerito di lasciarla morire.

“Povera la mia piccolina" le mormorò Keros, mentre lei si faceva scaldare fra le coperte.

Come il resto della cucciolata, era molto piccola e delicata. Era stato il principe a decidere per lei il nome di “Sophia" e, nonostante il forte disaccordo della madre, aveva insistito affinché crescesse come gli altri.

“Questa notte dormirai con me" la rassicurò il giovane padre “Domani vedremo il da farsi. Sono stufo di tornare a casa e trovarti sempre sola ed abbandonata…”.

La bimba gli dedicò un sorriso e strusciò la testolina, come farebbe un gattino felice. Poi lentamente si addormentarono entrambi.

 

“Perché Sophia stanotte era da sola?” domandò a Lilien il giorno successivo.

“E me lo chiedi? Appena è nata te l'ho detto. Io quella non la voglio. È orribile" si sentì rispondere.

Keros rimase dapprima senza parole davanti ad una frase simile. Poi i due iniziarono a litigare, come spesso accadeva quando le loro strade si incrociavano.

 

“Fate venire il mal di testa a tutto il palazzo" ghignò Lucifero.

Nella grande sala di pranzo, re e principe erano da soli, ai lati opposti del tavolo.

“Cerco di restare fuori casa il più possibile. Così ti limito il fastidio" si stizzì Keros, finendo di consumare il proprio pasto.

“Ma pure lei è spesso via. I piccoli sono in compagnia di Lilith ed altre donne di servitù”.

“I piccoli. Tutti tranne Sophia".

“Litiga con i suoi fratellini".

“Non è vero. Sono i fratellini che la trattano da schifo. Idem le donne che se ne dovrebbero prendere cura".

“Seguono le disposizioni della madre".

“Ma la madre è una stronza!”.

“E questo è l'Inferno. Che futuro potrà mai avere quella creaturina?”.

“Un futuro come tutti gli altri. Perché dovrebbe ssere diverso?”.

“Me lo chiedi sul serio?”.

Keros scosse la testa. Dopo essere rimasto in silenzio qualche istante, alzò lo sguardo ed incrociò quello del sovrano.

“Dimmi la verità” parlò “Se io fossi nato biondo, sarei stato soppresso?”.

“Biondo con ali d'angelo? Asmodeo ti avrebbe lasciato bruciare nelle fiamme. Senza dubbio alcuno".

“Capisco…”.

“Adesso hai dei dubbi perché sei il padre. Ma se tu vedessi la situazione da fuori, usando la razionalità, capiresti che la morte è la soluzione migliore per lei".

“Ma è solo una bambina. Che ne sai di che può diventare?”.

“Questo mondo non le permetterà di divenire alcunché. Io ti ho protetto, ti ho difeso e ti ho sostenuto. Ma tu avevi geni evidenti. Avevi denti da vampiro, lo sguardo di tua madre…”.

“E chi ti dice che lei non possa mostrare tratti demoniaci in futuro?”.

“E chi ti assicura che questo accada? Fa parte del ciclo naturale delle cose. Ha gli occhi di Mihael: nessun demone la accetterà mai, dovesse pure divenire la più potente di noi".

“Ma questo è stupido! Allora si cava gli occhi e si colora i capelli? Così d'un tratto per tutti va meglio?”.

“Non dire stronzate. Hai avuto cinque cuccioli, puoi anche lasciarne morire uno. Non cambia niente”.

“Non puoi averlo detto sul serio…”.

Keros ora er in piedi. Lucifero era rimasto immobile, si era limitato ad alzare gli occhi.

“Mi ‘spiace. L'Inferno è un posto di merda. Devi valutare il meglio per la bambina. E per chi le sta attorno".

“Si chiama Sophia. Ed è tua nipote".

“Tecnicamente, no. Tecnicamente è figlia tua e di Lilien. Questo fa di me al massimo un prozio".

“Com'è che sono tuo figlio solo quando ti va comodo?! Mi hai spinto tu ad avere questi piccoli!”.

“Io non spingo a far nulla. Io mostro la realtà dei fatti, le scelte possibili. Poi sta a te…”.

“Se tutti ti avessero detto di ammazzarmi, lo avresti fatto?”.

“Nessuno può dirmi quel che devo fare".

“Ma se fosse successo?”.

“La questione non è la stessa. Tu avevi tratti demoniaci".

“Quindi dovevi sopprimermi quando mi sono spuntate le ali da angelo”.

“Keros… non…”.

Il principe si allontanò, senza attendere altro. Lucifero sospirò, una volta rimasto da solo. Fare il genitore era davvero una cosa complicata…

 

Entrare in chiesa non era mai stato un problema per Keros. Sapeva che era il modo migliore per attrarre l'attenzione. Aveva osservato quasi divertito la grande statua dedicata a San Michele Arcangelo ed aveva acceso una candela. Così facendo, si era messo in contatto con Mihael e si erano dati appuntamento al tramonto, in una taverna. Al calare del sole gli angeli erano molto meno attivi. Keros, già seduto al tavolo ed abbigliato come un umano dell'epoca, si stupì nel vedere arrivare due figure. Uno era sicuramente Mihael, pure lui in borghese e con abiti umani, e l'altro? Sono quando raggiunse il tavolo vi riconobbe Gibriel, con i lunghi capelli biondi nascosti nella tuba.

“Perdona l'intrusione” parlò proprio Gibriel “…spero di non disturbare".

“Lui sa chi sei" aggiunse Mihael, sedendosi di fronte al principe.

“Ah. Sa che sono…?”.

“Il figlio di Miky. Sì, lo so".

“E da quando?!”.

“Non molto, a dir la verità. Guardandovi però qualche somiglianza si nota…”.

“Se lo dici tu…”.

Dopo alcuni convenevoli, i tre ordinarono da bere  ed iniziarono una cena a base di pesce e specialità locali. Chiacchierando del più e del meno, con Gibriel che guidava la conversazione, Keros attese pazientemente che l'atmosfera si facesse rilassata e tranquilla. Poi riuscì finalmente a confessare di essere diventato padre. Gibriel mostrò un grande entusiasmo alla notizia.

“Con chi? E quando?” domandò invece Mihael, senza lasciar trasparire una grande emozione.

“Con Lilien, la figlia di Azazel. Una cinquantina di anni fa" rispose il principe.

“Quindi ora sembrano più o meno come degli umani di un anno?”.

“Circa…”.

“Suppongo siano dei demoni…".

“Ho avuto cinque piccoli. Un maschio e quattro femmine. Però…".

“E come sono?” si intromise Gibriel “Scommetto che sono bellissimi".

“La prima a venire al mondo della cucciolata è stata Carmilla. Ho deciso io il nome, perché ha i capelli come i miei ed i dentini da vampiro. Poi sono nate due gemelle identiche, con capelli verde scuro e occhi viola, come la mamma. Lilien ha deciso di chiamarle Vixa e Kaya, in memoria della madre e della sorella che ha perso. Hanno coda ed ali da demone. Il maschio ci ha messo un po' a nascere ma alla fine si è deciso. Ha il mio sguardo ambrato ed i capelli scuri. Denti da vampiro, ali e coda. Poi…”.

“E come si chiama?” interruppe Gibriel.

“Chi?”.

“Il maschietto. Non lo hai detto…”.

“Ah… già… Si chiama Nasfer. In memoria… di un amico”.

“E poi manca una femminuccia, dico bene?”.

“Esatto. Ed è per questo che vi ho chiamati. Lei è… diversa”.

“Diversa in che senso?”.

“Non ha tratti demoniaci. Non assomiglia ai suoi fratelli. Così… ho pensato di chiedere il vostro aiuto. Non può vivere all'Inferno”.

“Per prima cosa, dovremmo vederla" commentò Mihael “Poi decidere".

“Ve la vado a prendere… mi aiuterete?”.

“Faremo tutto il possibile" assicurò Gibriel.

 

Davanti alla fontana del paese, Keros mostrò la piccola. Era notte e lei era lievemente spaventata. Il sorriso di Gibriel però la rassicurò subito.

“Ha i tuoi occhi, Mihael" commentò l'Arcangelo messaggero “È bellissima".

“Si chiama Sophia…” ammise il principe.

“Sophia…” ripeté Mihael “Che progetti hai per lei?”.

“Come vedete, non ha nulla di demoniaco…”.

“Fra gli umani?” propose Gibriel “Potrebbe starci?”.

“Gli umani crescono in fretta” scosse la testa Mihael “Dovrebbe spostarsi continuamente o vivere isolata".

“Portiamola su con noi, allora" sorrise ancora il messaggero.

“E se poi dovesse diventare un demone?”.

“Esiste un modo per scoprirlo. E tu lo sai…”.

“Quale modo?” si intromise Keros, stringendo la bambina ed osservando i due Arcangeli.

Mihael non rispose. Si avvicinò ulteriormente alla fontana e ne toccò l'acqua, pronunciando parole a bassa voce.

“Se ha preso da me…” ghignò il mezzodemone “…l'acqua santa non le fa nulla".

“Mai provato l'acqua benedetta dagli angeli? Facile non farsi male con quella creata dagli uomini…” si sentì rispondere.

Keros non seppe che dire. L'Arcangelo lo stava invitando a dargli la bambina.

“Se non ha tratti demoniaci, non le accadrà nulla" lo rassicurò Gibriel.

“E se li ha?” ribatté il principe, poco convinto.

Mihael non rispose e continuò ad allungare le braccia verso la piccola. Keros sospirò e gliela concesse. Poi chiuse gli occhi, vedendola avvicinarsi alla grossa fontana circolare. Sophia immerse una manina nell'acqua e rise, iniziando a giocarci.

“È pura" esclamò Gibriel “Niente di demoniaco!”.

“Siamo sicuri?” storse il naso il mezzosangue.

“Prova tu…” lo invitò Mihael.

Keros era scettico. L'acqua santa non gli aveva mai fatto del male. Allungò le dita verso la fontana e subito le ritrasse, lasciandosi sfuggire un sibilo infastidito.

“Visto? L'acqua benedetta dagli angeli è diversa. Più potente. Ti sei fatto molto male?” si preoccupò l'Arcangelo guerriero.

“No. Non è nulla…” borbottò il giovane, nascondendo la mano “Quindi? Ora con Sophia che si fa?” cambiò subito argomento.

“La teniamo noi!” esclamò Gibriel con entusiasmo “E senza dover nascondere nulla. Diremo la verità: abbiamo sottratto ai demoni una piccina che demone non è”.

“Voi… Lo fareste davvero? Intendo… Crescere la bambina in Paradiso?”.

“Certo" annuì Mihael “È quello il suo posto. Crescerà felice ed amata, nessuno le vorrà mai fare del male".

“Oh… È meraviglioso…”.

Keros rimase in silenzio e sorrise alla piccina. Nel suo sguardo, subito comparve un velo di tristezza. Era consapevole che per lui le porte del cielo erano ormai chiuse, e quindi non l'avrebbe rivista molto facilmente. Però sapeva che quella era l'unica soluzione possibile. Lui non poteva tenerla con sé, era pericoloso e difficile.

“Verrà trattata come una principessa" lo rassicurò Gibriel, intuendone i pensieri “Crescerà e diventerà la più bella delle creature del cielo".

“A me basta che sia felice" rispose il principe “E non sia mai più sola".

Accarezzò il viso della piccola, sorridendole.

“Ora vai in un posto bellissimo" le spiegò “Dove nessuno ti prenderà in giro o ti maltratterà. E non preoccuparti: andrà tutto bene. Sarai felice".

La bambina, non potendo rispondere perché ancora incapace di parlare, inclinò il capo. Era perplessa. Era abituata a vedere andare via il padre, lo incrociava piuttosto raramente, e non capiva bene quel che stava succedendo.

“Avrai sue notizie ogni volta che vorrai” mormorò Mihael “Ora però dobbiamo andare. Presto sarà giorno ed abbiamo del lavoro da sbrigare…”.

“Vi ringrazio infinitamente" si inchinò Keros, non riuscendo a dire altro.

 

Lilien non diede peso all'assenza di Sophia. Pensò che finalmente qualcuno l'avesse uccisa. Anche gli altri cuccioli non ci fecero molto caso, abituati a lasciarla in disparte. Per Keros perciò fu facile evitare l'argomento. Intravide gli occhi argento di Simadè nel buio del corridoio e lo congedò, volendo solo essere lasciato in pace.

“Che avete fatto alla mano?” chiese il servo.

Il principe la nascose, rispondendo con un semplice “niente" ed entrando in camera. Solo, prese dal bagno personale alcune piante che aveva imparato ad usare grazie a Raphael ed iniziò a bendare l'arto ferito. Sembrava una bruciatura, che ne avvolgeva le dita e parte del dorso.

“Che hai fatto alla mano?”.

Il principe sobbalzò sentendo quella frase, pronunciata nel buio. Uscito dal bagno, aveva trovato Lucifero ad attenderlo, seduto sul letto.

“So quel che è accaduto" continuò il re.

“Di che parli?” storse il naso Keros, toccandosi la ferita.

“Di Sophia. So quel che hai fatto…”.

“E vuoi rompermi le palle?”.

“No. Sapevo che sarebbe successo. Sapevo che avresti preso la decisione giusta".

“Intendi dire… che…”.

Il re si alzò ed abbracciò il principe.

“Anche se tutto l'Inferno me lo avesse ordinato, io non ti avrei mai soppresso. Tu sei mio figlio. Sei sempre mio figlio, non solo quando mi va comodo. E so che per quella bambina provi un sentimento simile a quello che io provo per te. Ero sicuro che avresti agito bene. Ma dovevo farti capire che qui non era posto per lei. Non con una madre che non la vuole e con un padre sempre nel regno degli umani. Forse avrei potuto proteggerla, ma non avrei mai potuto renderla felice. Lei non è un demone".

“Lo so. Lei è pura. Così ha detto Gibriel…”.

“Ti mancherà. Ma sappi che sono fiero di te. Mi perdoni? Sono stato un po' stronzo per convincerti…”.

“Non del tutto. Alla fine, io non ho mai voluto una famiglia. Ma vederla lì… sola… Ho pensato al fatto che io quando ero così piccino giocavo sempre con te. Ed ho pensato che spettasse a me fare qualcosa… So che non le mancherò”.

“Questo non puoi dirlo. Ora dedicati ai tuoi altri quattro piccoli".

“Loro non hanno bisogno di me... e poi c'è un locale nuovo che voglio vedere".

“Un locale?”.

“Nel mondo umano. Si chiama Mulin Rouge. Vieni con me?”.

 

Gli anni passano!! Il 1900 è alle porte… Pronti?

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Capitolo 32
*** Imperi -Parte prima_ ***


32

IMPERI

-Parte prima-

 

Mentre il 1800 si era rivelato un secolo molto stimolante dal punto di visto demoniaco, il secolo successivo era parso fin da subito più complesso. Molteplici demoni procacciatori di anime si erano riuniti a palazzo, in una sorta di meeting per discutere della situazione. L'uomo stava cambiando in fretta, il mondo stava mutando. Keros personalmente non ci faceva molto caso.  Per lui gli uomini erano e rimanevano stupidi, facilmente manipolabili. Lucifero concordava con il suo erede ma allo stesso tempo tentava di tenersi aggiornato sul mondo esterno. Da un lato vedeva demoni spaventati da alcune cose, come l'era industriale, e dall'altro pareri del tutto opposti. Keros era affascinato dalle novità ma restava cauto, non amando molto il chiasso di metro e treni. Ammetteva di sentire la mancanza di feste in maschera, concerti di pianoforte e duelli di spada. Durante una pausa di quella sorta di riunione di esperti, ne aveva approfittato per mostrare al regno un oggetto che reputava affascinante. Era un revolver, dono dell'imperatore dell'impero Austroungarico. Ogni casa ricca e potente aveva almeno un demone al seguito e Keros aveva fatto amicizia con Francesco Ferdinando.

“Non hai paura di sbagliare mira e fare male a qualcuno?” lo rimproverò velatamente Lucifero, osservando il principe sparare alle lanterne poste attorno alle mura.

“Io non sbaglio mai" assicurò il sanguemisto “È genetico".

“Genetico?”.

Il diavolo ripensò al fatto che di fronte aveva il figlio di Mihael, patrono delle armi e delle forze armate. Di certo l'Arcangelo non sbagliava mai un colpo…

Il revolver era decorato riccamente e scintillava fra le mani del proprio padrone.

“Ma fra gli umani ora usano quelle cose?” volle sapere uno dei presenti al meeting.

“Già…” confermò Mefistofele “…bisogna stare attenti. Una volta mi è capitato di vedere un demone colpito da uno di quegli aggeggi. Non se l'è cavata facilmente ed ha sofferto parecchio. Non mi stupirei se anche gli angeli si stessero armando in tal senso".

“Gli angeli con le pistole? Ma dai!” rise qualcuno.

“Mihael con un cannone sotto la gonna" rise qualcun’altro.

“Ridete pure" si stizzì Mefistofele “Ma qui le cose non sono per nulla belle. Gli umani sono sempre più incazzati, egocentrici e pazzi. Non voglio ritrovarmi un fucile puntato in bocca. Meglio imparare ad usare le loro stesse armi, come fa il principe".

Keros non ascoltò i vari discorsi. Era perplesso. Sì, quell'arma era terribile ma una volta finiti i proiettili che ci faceva? In un corpo a corpo non vi era il tempo di ricaricare. Pensò che una bella sfida spada contro spada fosse mille volte più bella ed interessante.

“Perdonate, altezza…” si sentì chiamare.

Si voltò, trovandosi accanto un demone estremamente elegante, con il panciotto ed un bastone da passeggio dall'aspetto decisamente costoso.

“Non ho mai avuto l'onore di conoscervi, principe. Mi chiamo Belial, procacciatore di anime fin dai tempi antichi".

“È un piacere" sorrise Keros.

“Mi chiedevo fosse possibile discutere di affari con voi…”.

“Che genere di affari?”.

“Anime, ovviamente. Vedete… Sto lavorando ad un progetto molto importante ma ho qualche problema di natura tecnica. E voi mi sareste di immenso aiuto, se è vero ciò che dicono”.

“Che dicono, di grazia?”.

“Che il vostro potere è così grande da permettervi di entrare in terra consacrata senza subire danni".

“È questo ciò che dicono?”.

Il mezzosangue si sentì lusingato. Sorrise, compiaciuto. Essere considerati potenti e non più strambi era una grande vittoria.

“Mi chiedevo se potevate aiutarmi. Si tratta di un progetto molto importante".

“Parlamene…”.

“Sono molto vicino ad ottenere le anime di un'intera famiglia. E non una famiglia qualsiasi. Siete mai stato in Russia?”.

“Tempo fa. Tendo ad evitarla perché odio il freddo".

“E come darvi torto? Ad ogni modo, se siete stato in Russia, di certo avrete sentito parlare dei Romanov”.

“Gli zar?! Possiamo ottenere le anime degli zar?!”.

“Sono riuscito a far avvicinare un certo Rasputin. Grazie ai miei consigli, ed a qualche trucco, ha guarito un paio di volte i figli malaticci della zarina e compiuto altre cosette interessanti. Lo zar Nicola è già del tutto soggiogato ma manca ancora un piccolo passo…”.

“Che dovrei fare?”.

“Dimostrare che non siamo demoni. Girano voci e sospetti, specie fra i più anziani della famiglia. Ma se voi andaste in chiesa con loro, mi faceste vedere come un pio uomo fedele a Dio… Secondo me cadrebbero tutti ai nostri piedi".

“Tutto qui? Andare a qualche messa, pregare un po' e fingermi religioso? Non c'è problema. Quando si comincia?”.

Belial ghignò soddisfatto. Keros rispose a quel ghigno, facendo lievemente brillare gli occhi.

 

La reggia dello Zar era immensa, ricca di oggetti preziosi e con la servitù in perenne movimento. C'era il rischio di perdersi, fra stanze e corridoi. Per Keros era stato facile intrufolarsi a corte, accanto a Belial. Fra sfarzo ed oro, il principe aveva recato in dono una pregiata raffigurazione di Santa Sofia, a cui lo Zar era particolarmente devoto. Pregare dinnanzi ad essa, assieme alla famiglia, non era stato affatto un problema per il sanguemisto. La parte più complicata della missione si era rivelata la neve. Keros odiava la neve. Il gelo lo indeboliva e l'inverno Russo non era esattamente il clima ideale per un demone di fuoco come lui. Per limitare al massimo i danni ed i disagi, il principe tornava spesso all'Inferno per qualche ora, o qualche giorno, raccontando agli Zar di viaggi e lievi malesseri. Ad ogni rientro, Lucifero lo pregava di lasciar perdere, trovando troppo pericolosa la situazione.

“Ho tutto sotto controllo" aveva rassicurato Keros, notando una vistosa fasciatura al polso del sovrano.

Entrando, aveva incrociato Azazel ed Asmodeo e pure loro presentavano ferite e bendaggi.

“Che è successo?” ghignò il principe, divertito “Ti lascio solo qualche giorno e rimani coinvolto in una rissa?”.

“Scempiaggini” si era limitato a commentare il re.

Lilith non era stata in grado di dire molto di più. Probabilmente perché non vi era molto da dire. Non era raro che venissero alle mani, e Keros un po' rimpianse di non essere stato presente. Con un lieve accento russo, camminando lungo i corridoi, raccontò a Lucifero si essersi fatto fare una foto.

“E che roba è?” aveva attorcigliato la coda il diavolo.

“È come un quadro… Circa… Vedrò di procurarti qualche macchina".

“E perché te la sei fatta fare?”.

“Allo Zar piace. Si fa spesso ritrarre. Così ha voluto una foto di gruppo ed io ho accettato".

“Intendi dire che c'è una macchina che ti ha ritratto come in un quadro?”.

“Sì”.

“Una macchina che non puoi assoggettare con il tuo potere e che quindi ti avrà visto per quello che sei?”.

“Papà… È una scatola con un buco. Con delle lenti ed altre varie cose. Non è una creatura senziente".

“Ma gli uomini non vedono quel che sei. Non vedono il colore dei tuoi capelli, dei tuoi occhi, e…”.

“Ah, tranquillo. La foto è in bianco e nero. E di certo non giro con le corna di fuori".

“E se qualcuno dovesse vedere quella foto fra, che so, mille anni? Come lo giustificheresti?”.

“Intanto spero di non essere identico a come sono ora, fra mille anni. Dovesse accadere prima, che problema c'è? Mi invento un parente. Uno zio o un bisnonno".

“Devi essere più prudente".

“E tu meno paranoico. Anche per il grammofono rompevi i coglioni ma ora ti piace".

“Quello è un altro discorso".

“È la stessa cosa. Hai paura dei cambiamenti. Stai invecchiando".

“Non è vero. È che gli umani non mi piacciono, e tu lo sai. Perciò me ne sbatto le balle dei loro cambiamenti. Mi adeguerò alle loro mode di merda quando vorrò tornare su a divertirmi di nuovo con qualche anima pirla. E poi… Le cose cambiano in un modo che non mi garba. Ricordi quando andavamo insieme a vedere le decapitazioni, durante la rivoluzione francese? O i roghi per la caccia alle streghe?”.

“Certo. È stato uno spasso".

“E adesso la gente che fa? Come si diverte? Stanno passando di moda perfino i grandi balli in maschera, i valzer, i grandi poeti, i concerti di pianoforte… Che fanno tutto il giorno per divertirsi?!”.

“Non ci sono più roghi in piazza, è vero. Però ci sono impiccagioni e fucilazioni. Se vuoi ti avviso la prossima volta, così vieni a vedere anche tu. L'opera è molto in voga, e so che ti piace. E secondo me gradiresti anche il cinema”.

“Keros… O usi termini a me noti, o traduci. Lo sai che è almeno mezzo secolo che non vado a fare un giro di sopra…”.

“In verità non l'ho mai visto di persona questo cinema. Però me ne hanno parlato molto bene. Magari potremmo andarci insieme".

“Sistema questa faccenda dei Romanov, in fretta, e poi ne riparliamo".

“Pare quasi che ti scocci…”.

“Che tu stia in mezzo alla neve, vestito come un cretino, per cercare anime?”.

“Capisco che il colbacco sia un po' strano, però…”.

“Sei proprio un testone".

“È un'intera famiglia! Perfino più di una famiglia, perché stiamo assoggettando perfino servi, autisti, visitatori…”.

“Cos'è un autista?”.

“Quello che guida l'auto, mi pare ovvio…”.

“E sarebbe…?”.

“Sì ma cazzo, papà! Sei antico! Metti il naso fuori da qui ogni tanto, sul serio!”.

Lucifero pensò per qualche istante ad una risposta adeguata, finendo poi con l'assestare un sonoro e ben più efficacie scappellotto sulla nuca del principe.

 

La notizia dell'attentato di Francesco Ferdinando arrivò al palazzo dello Zar in serata. I giovani figli di Nicola non erano stati informati in modo diretto, e tentavano di scoprire quel che accadeva grazie ai servi od alle persone in corte. Keros non si preoccupò più di tanto, pensando che si trattasse della solita stupida possibile guerra. Nei giorni seguenti la situazione peggiorò e fra i potenti ed i consiglieri militari si iniziò a parlare di entrata in battaglia.

“Non devono entrare in guerra” parlò Belial, discutendone anche con Rasputin.

A Keros spiegò che, se fossero stati uccisi, molti membri della famiglia non sarebbero andati all'Inferno, di conseguenza ne avrebbero perse le anime. Però, come era prevedibile, la Russia entrò in guerra.

 

Capitolino breve. Il prossimo arriverà molto presto (è già pronto) ma sarà un pochino impegnativo, quindi ho preferito spezzare il racconto in due fasi. A prestissimo!

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Capitolo 33
*** Imperi -Parte seconda- ***


33

IMPERI

-Parte seconda-

 

Non passò molto tempo dall'inizio della guerra prima che a tutti i demoni fra gli umani venisse dato l'ordine di rientrare agli inferi. Con urgenza, i tentatori abbandonarono i mortali che stavano irretendo.

Keros arrivò a palazzo reale e subito capì il motivo per cui erano stati tutti richiamati. I morti, e di conseguenza le anime, erano aumentati esponenzialmente a causa delle battaglie in corso. Gestire il flusso in arrivo era impegnativo.

“Nemmeno durante la peste del 1300 ho avuto una tale mole di lavoro…” borbottava l'archivista, aiutato direttamente da Lucifero.

Collocare le anime in tempo di guerra non era semplice, perché peccati e peccatori si mescolavano in modo confuso, fra omicidi ed ordini discutibili. Il re, vedendo Keros, lo accolse con un sorriso sollevato.

“Cos'è tutto ‘sto casino?!” domandò il principe.

“Guerra…” rispose il sovrano.

“Ne hanno fatte altre, prima d'ora…”

“Questa è diversa. Stanno litigando tutti. Guerra mondiale".

“Oh… E che ti serve che faccia?”.

“Di sicuro non portarmi altre anime. Qui ce ne sono già troppe".

“Lo avevo intuito…”.

“Ti dispiace occuparti dei lavori di ampliamento?”.

“Io? Sei sicuro? Hai sempre progettato tu ogni settore…”.

“E con ciò? Ho una marea di anime da sistemare e non so dove, perché non c'è posto. E non ho tempo per pensarci perché, come vedi, archivisti e giudici hanno bisogno del sottoscritto. Sono sicuro che ne sei in grado".

“Suppongo di sì…”.

“Hai carta bianca. Basta che fai in fretta".

“Agli ordini!”.

Keros era raggiante e fiero. Occuparsi del territorio infernale era un privilegio. Nella sala del trono, dove campeggiava un'immensa piantina dell'Inferno, aveva convocato vari addetti ai lavori. Si era fatto indicare le zone più critiche e poi aveva suggerito varie soluzioni possibili. Alcuni settori non potevano essere ampliati facilmente, perché circondati da altri territori.

“E se scavassimo?” ipotizzò il principe.

“Scavare, altezza?”.

“Sì. Verso il basso, non dovremmo avere grosse limitazioni. Così da avere molto più spazio per le anime attuali e future. Anche in previsione di un'eventuale nuova pena…”.

Ingegneri e tecnici presero appunti ed annuirono. Keros fece loro altre richieste, volendo modernizzare un pochino l'ambiente in generale.

“Cerchiamo di sbrigarci” incitò il sanguemisto “E, in caso di problemi, non esitate a contattarmi”.

Una volta avviati i lavori, il principe raggiunse il sovrano. Lì cercò di aiutare come poteva, fra archivi ed anime da giudicare. Poi approfittò di un attimo di calma per tornare nel regno umano.

 

“Perché, invece di tentare, non provi a… guidare?” furono le parole di Mihael.

Keros, che fissava un'icona di Sophia, non si stupì nel sentire la voce dell'Arcangelo.

“Guidare?”.

“Hai capito quel che intendo…”.

Il giovane mezzodemone, con addosso una divisa militare russa, tentava comunque di rimanere nei paraggi dello zar e famiglia.

“Non sono capace…” mormorò, con un mezzo sorriso.

“Provaci. Quel che state facendo, tu e quel demone, fa sì che tutta la famiglia venga pesantemente maledetta”.

“E chi ti dice che non sia quel che voglio?”.

“Perché vuoi una cosa simile?”.

“E perché Dio vuole una guerra mondiale?”.

“Questa è una faccenda diversa".

“Se lo dici tu…”.

Mihael lanciò uno sguardo di rimprovero verso Keros, che lo ignorò, così come ignorò lo stesso sguardo di Lucifero, venuto a sapere delle sue ripetute scappatelle nel mondo umano.

“Perché rischiare la vita per delle anime?!” sibilava il sovrano infernale, una volta che il sanguemisto ricomparve all'Inferno, bloccandolo contro il muro.

“Sono molte anime…”.

“Ne ho fin sopra i coglioni di vedere anime nuove. Non mi servono. Non le voglio".

“Le voglio io!”.

“Perché?!”.

“Belial ha voluto il mio aiuto. Non lo deluderò. Non fallirò".

Lucifero inclinò leggermente la testa, con una smorfia.

“Preferisci morire piuttosto che fallire?!”.

“Preferisco dare tutto me stesso piuttosto che arrendermi".

“E tutto questo orgoglio da dove ti viene?”.

“Non lo so. Forse da te…”.

“Che…”.

Keros guardò dritto negli occhi il diavolo per qualche istante e poi girò la testa.

“Non voglio fallire…” ripeté piano.

Satana si accigliò, stanco di sprecare energia per discutere.

“Il mondo degli umani adesso è pericoloso" disse, con sul volto un'espressione decisamente cupa “E qui ho bisogno di te. Il regno ha bisogno di te. Se saprò che sei tornato nel regno umano prima della fine della guerra, ti farò rinchiudere nella torre a nord. Chiaro? Incatenato come i peggiori sovversivi”.

“Non puoi farlo!”.

“Scommetti?! Non sfidarmi. Se non vuoi pentirtene amaramente. Non ho pazienza per sopportare le tue cazzate adolescenziali, che fra l'altro dovrebbero essere finite da un pezzo!”.

“Tu non devi permetterti di…”.

Lucifero ringhiò e serrò la mano attorno al collo del principe. Con le iridi che si tingevano di rosso, frustò la coda sul pavimento e vi lasciò un solco. Keros capì immediatamente di dover cambiare atteggiamento e si affrettò a mostrare sottomissione.

 

Per un po', il sanguemisto si fece obbediente. Limitò al massimo le visite fra i mortali, sempre in divisa russa. Ebbe modo di salire su un treno, avvenimento che trovò piuttosto piacevole. Continuò a seguire le anime che bramava anche dopo l'inizio della rivoluzione perché, anche se non possedevano più il titolo di “Zar", erano comunque molte anime illustri.

Era luglio. Alla famiglia, tenuta sotto arresti domiciliari in una villa in mezzo alla foresta, venne dato l'ordine di prendere le valigie e prepararsi ad un trasferimento. Il principe, sospettoso, tentò di capire qualcosa di più. I militari che sorvegliavano i Romanov erano concentrati su di loro, mettendo in secondo piano la servitù ed i collaboratori che avevano a seguito. Questo permise a Keros di rimanere leggermente defilato, mentre la famiglia veniva messa in fila. Successe tutto rapidamente. Non era un appello, bensì un'esecuzione. Si iniziarono ad udire colpi d'arma da fuoco, accompagnati da urla di terrore. Keros riuscì a soffocare un grido, a fatica. Comprese che doveva assolutamente allontanarsi da lì. L'esecuzione proseguì, con alcuni proiettili che venivano respinti dai vistosi gioielli che i Romanov ancora indossavano. Diamanti e pietre preziose emettevano un rumore inquietante, fra strilli e lacrime di chi li indossava. Assordato dagli spari, il mezzodemone iniziò a correre. Alcuni proiettili lo sfiorarono, con un sibilo minaccioso. Uno dopo l'altro, stavano morendo tutti.  Nobili, servi, consiglieri…

Il sanguemisto continuò a correre. Dietro di lui sapeva di avere altri aspiranti superstiti, inseguiti. Li sentì cadere in terra, abbattuti dai proiettili. Doveva riuscire ad aprire il portale e tornare a casa. Ma non poteva farlo in piena vista, con gli umani che lo fissavano. Rincuorandosi perché chi stava sparando non aveva una grande mira, evocò il fuoco e lo scagliò contro uno degli alberi. Questi, complice anche il gran caldo estivo, si incendiò immediatamente. Gli inseguitori, intimoriti da quell'avvenimento improvviso, distolsero l'attenzione il tempo necessario per permettere a Keros di aprire un portale e tornare all'Inferno.

 

Mentre i russi tentavano invano di capire cosa fosse successo, il principe ricomparve nella stanza del palazzo reale dove i portali per il mondo umano conducevano. Ansimando, si lasciò cadere in ginocchio.

“Cazzo…” sibilò, consapevole di aver rischiato molto e perso altrettanto.

La prima domanda che percorse la sua mente fu “Ma non dovremmo essere noi i demoni?”. In quella guerra aveva visto compiere atrocità immani, gesti crudeli verso innocenti e scene degne del peggiore dei gironi infernali. Come potevano uccidere bambini e ragazzi così a mente fredda? Provò ribrezzo ed un lieve timore. Riprendendo fiato, tentò di ricomporsi. Sapeva che, se Lucifero avesse capito quanto successo, sarebbe andato su tutte le furie. Aprì cautamente la porta, sbirciando lungo il corridoio. Fortunatamente, era deserto. Tutti erano impegnati a sistemare anime ed il palazzo era silenzioso e buio. Sgattaiolò fino alle sue stanze, chiudendosi nel bagno. Aprì l'acqua della vasca, ancora con le mani che tremavano. Tolse le vesti russe, controllando le ferite. Per fortuna erano solo graffi, dovuti ai proiettili ed ai rami degli alberi. Per calmarsi, lasciò che la vasca si riempisse e vi sciolse delle erbe. Nell'acqua praticamente bollente, il profumo si sprigionò all'istante. Finì di spogliarsi ed entrò in vasca, stringendo i denti per il lieve bruciore procurato dalle ferite. Lasciò che l'acqua scorresse ed immerse la testa ed il viso. Così facendo, gli parve di alleviare ogni sensazione. Il desiderio di riprendere aria lo riportò in superficie e ringhiò. Con le mani ancorate ai bordi della vasca, una volta che la tensione cominciò ad abbandonarlo, iniziò ad avere la meglio la rabbia. Aveva perso le anime, e la cosa lo mandava in bestia. Le aveva perse perché, uccisi in quel modo, i Romanov ed il loro seguito erano divenuti vittime e martiri. Keros pensò fosse una magra consolazione essere riuscito ad ottenere l'anima di Rasputin e di altri accanto a lui. Era furioso e grattò la superficie della vasca con le unghie. Insultò se stesso per una buona mezz'ora prima di venire interrotto da un boato e da un grido pieno d'ira.

“Keros!” stava sbraitando Lucifero, sfondando la porta della camera “Dove cazzo sei?!”.

“Ma che vuoi?! Sto facendo il bagno!” tentò di giustificarsi il principe.

Il sovrano spalancò l’uscio della stanza ed il sanguemisto lanciò un verso di protesta.

“Posso avere un po' di privacy?!” sbottò il giovane “Almeno al cesso!”.

“È tutto il giorno che ti cerco!” continuò a sbraitare il re.

“E non puoi aspettare che finisca di lavarmi?!”.

“E perché?! Siamo due maschi, non hai nulla di particolare da coprire".

“Esci di qui!”.

“Dove sei stato?”.

“A farmi i cazzi miei. Esci di qui!”.

“Rispondimi!”.

“Esci!”.

“Non darmi ordini!”.

“Fottiti!”.

Keros si era alzato in piedi, schizzando acqua un po' ovunque. Lucifero era rimasto impassibile, anche se visibilmente alterato. Annusava l'aria ed osservava il suo erede.

“Sento odore di sangue" iniziò il re, accigliato ma calmo “E di polvere da sparo. Sento l'odore della paura. Sei stato nel mondo umano, vero? Hai disobbedito".

Il principe non rispose. Non sapeva bene che cosa dire. Negare l'evidenza era impossibile ma come giustificare il fallimento?

“Hai rischiato la vita, non è così” continuò Lucifero “Per delle anime…”.

“Io…”.

“Keros… Ma non ti rendi conto che…”.

“Senti… Ho avuto una pessima giornata, ok? Vorrei solo essere lasciato in pace. Ti prometto che adesso ti aiuterò di più, non tornerò a caccia di anime fino alla fine della guerra. È questo che vuoi?”.

“Io voglio che tu sia al sicuro. Quindi sì, preferirei che evitassi di passeggiare fra trincee e bombe a mano.  Siamo tutti stanchi. Anche io vorrei essere lasciato in pace, buttarmi a letto e farmi una dormita. Ma, indovina un po'…? Non posso! Perciò piantala di piagnucolare e vestiti. Mangia qualcosa e vedi di darmi una mano, o qui usciamo tutti di testa".

Keros rimase qualche istante immobile, con i capelli color ciliegia che ricadevano in malo modo lungo la schiena e parte del viso. Si aspettava una lunga predica o qualcosa di peggio. Si limitò ad annuire, chiedendo un asciugamano.

 

Lasciando la stanza, intravide Simadè e Lilien che giocavano con i cuccioli. Erano alle prese con le prime lezioni di volo ed i loro codini si agitavano entusiasti.

“Papà!” lo chiamò la piccola Carmilla.

Il sanguemisto non era abituato a farsi chiamare così e sorrise. Poi notò come tutta la cucciolata amasse giocare non Simadè, che parve quasi in imbarazzo. Keros aveva saputo, da voci di palazzo, che l'incubus e Lilien trascorrevano molto tempo insieme, probabilmente erano più che amici. Ma in quel momento aveva altro per la testa e si affrettò a raggiungere Lucifero, che ormai era sull'orlo di una crisi di nervi.

 

La guerra finì qualche mese più tardi, a novembre. Si fece grande festa, per celebrare il cessare di quell'enorme mole di lavoro. Keros e Belial discussero a lungo sulla Russia e sulla famiglia dello Zar. Nonostante Belial continuasse ad elogiare la buona volontà e le capacità del principe, questi non smetteva di farsi domande. Si chiedeva come altro avrebbe potuto agire per poter evitare il fallimento. Quanto accaduto lo ossessionò fino a quando il re, bussando alla porta della camera, lo riportò alla realtà. Aprendo, Keros si ritrovò di fronte ad una bella torta con le candeline accese. Alzò un sopracciglio.

“Buon compleanno" esclamò Lucifero “Non dirmi che te ne sei dimenticato”.

Effettivamente non ci aveva fatto minimamente caso al tempo che passava.

“Il mio compleanno…” mormorò, confuso.

“Sono mille e duecento. Cifra tonda! Guarda che bella torta. È al cioccolato".

“Grazie…”.

Il sanguemisto, non sapendo che altro dire, soffiò sulle candeline.

“So che cosa desideri" ghignò Lucifero “Tu desideri l'anima finale. Purtroppo non ne ho a disposizione però, in compenso, mi è stato detto che c'è molto materiale interessante in America. È da un po' che non ci passi. Che dici? Ci vai a fare un giro?”.

 

Così, dopo aver deposto un fiore fra le mura di Istanbul, in memoria della propria madre, Keros iniziò a braccare qualche anima nel nuovo continente.

“Mi sa che dovrò farmi la patente…”.

 

Devo dire che è faticoso scrivere questi capitoli… Far incrociare tutto con la storia reale non è mica facile :p come non è facile scrivere i capitoli al cellulare (che corregge a caso) causa pc scassato.

Volevo ringraziare la consulenza di Mizu Ryu (È su EFP) riguardo ai Romanov. E poi ovviamente tutti quelli che stanno seguendo la storia! A presto!

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Capitolo 34
*** Teologia ***


34

Teologia

 

Negli anni successivi al termine della prima guerra mondiale, Keros aveva viaggiato molto. Il primo periodo in America era stato piuttosto divertente ma poi, con la caduta della borsa, pure quel luogo si era fatto deprimente. Si era allora mosso verso oriente, fra Cina, India e Giappone. Lì le religioni erano diverse, ci vivevano molti meno uomini da tentare, ma vi erano un sacco di cose da imparare. Grazie ai suoi poteri, per il mezzodemone era facile entrare in luoghi a molti proibiti. Palazzi imperiali, feste importanti, cerimonie spettacolari… Tutte le porte gli venivano aperte. Era una bella sensazione, amava sottomettere e deridere gli umani. Li aveva sempre trovati piuttosto stupidi ma, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, li additò come assoluti deficienti.

Rientrò all'Inferno su ordine del re, questa volta senza obiettare troppo. Lo trovò intento a giudicare anime, con la sigaretta accesa di sbieco in bocca. Il fumo era un vizio che Lucifero aveva acquisito da relativamente poco e che il principe trovava leggermente fastidioso. Ma era inutile discutere con Satana. Capì che era molto più opportuno rendersi utile ed iniziò a trascrivere, assieme agli archivisti, il nome e la pena per ciascuna anima appena giudicata. Grazie ad alcune modifiche, gli inferi erano diventati più pratici. Ora vi erano collegamenti diretti, tramite telefono, fra i vari settori. E tutti potevano essere controllati dal re, che aveva modo di essere informato immediatamente in caso di emergenza. Anche se ci aveva messo un po' per non sobbalzare ad ogni squillo o allarme. Un grande padiglione mostrava tutto il territorio ed alcune luci indicavano se i diversi settori erano perfettamente funzionanti o con qualche intoppo. Keros amava quel nuovo sistema. Lucifero trovava carine le lucine rosse che si illuminavano in caso di emergenza.

In quel momento, tutto procedeva in modo piuttosto regolare, salvo l'alto numero di anime in arrivo per colpa della guerra. Così il principe si ritrovò con strani pensieri in testa.

“Posso farti una domanda?” chiese a Satana, continuando a scrivere su un grosso volume.

“Se questo non rallenta il tuo lavoro, certo!” rispose il diavolo, marcando un'anima ed affidandole la pena eterna.

“Dio esiste per davvero?”.

“Mi stai chiedendo se mi sono cacciato dal Paradiso da solo?” alzò un sopracciglio il re, perplesso.

“No. Cioè… Non so. Ho come l'impressione che non ci sia”.

“All'Inferno è normale che non lo percepisca. È impossibile".

“Lo so. Ma anche quando ero in cielo… o fra gli umani… Sembra più un concetto astratto, piuttosto che qualcosa di reale. Non è che per caso è morto?”.

“Sarebbe interessante… Come figlio maggiore, si aprirebbe un singolare dibattito sull'eredità…”.

“Dai…”.

“Manderei a zappare tutti i miei fratelli piumati ed il paradiso diventerebbe un enorme parco divertimenti per demoni annoiati. Poi potrei…”.

“Riesci a fare il serio?!”.

“Potrei mettere una fontana di cioccolata al centro della città, al posto del coretto degli angioletti, e sarebbe bello se…”.

“Io ti ho fatto una domanda!”.

“Va bene… scusa… Cercavo di alleggerire il discorso. Come sei musone! E poi come ti vengono certe idee?!”.

“Non capisco il suo atteggiamento. Tutto qui".

“L'atteggiamento di chi? Di Dio?”.

“Sì. Un'altra guerra mondiale. Tutti che si ammazzano fra loro e non fa nulla. Non potrebbe farsi sentire? Stile una voce fuori campo che tuona ‘finitela di litigare per queste cazzate, stronzi!’. Ovviamente detto in modo più divino. Oppure, se non vuole farlo lui, non può mandare qualche angelo? Non sarebbe compito di un padre intervenire quando i figli litigano? Se no a che serve?!”.

“Keros… Mi fai domande complicate. Sinceramente io non penso a Dio, mi fa troppo girare i coglioni. Di teologia dovresti discutere con l'altra parte della famiglia, quella dotata di penne e piumini…”.

“E perché? Mi direbbero solo che Dio è un grande e sono io che non lo capisco…”.

“Tu prova. Magari quando c'è un po' meno ressa di anime. Sia mai che fai cadere qualche angioletto…”.

 

Curioso, Keros non attese molto prima di andare a cercare risposte. Riuscì a contattare Gabriel. Aveva immaginato che Mihael sarebbe stato troppo impegnato con il giudizio delle anime. L'Arcangelo non poteva allontanarsi molto dai suoi doveri, perciò invitò il sanguemisto a raggiungerlo agli archivi. Keros, con la semplice tunica d'angelo, sapeva che in Paradiso avevano altro a cui pensare e non avrebbe dato troppo nell'occhio. Sedette di fronte alla scrivania di Gabriel ed attese pazientemente che finisse di scrivere su un volume bianco.

“Bene…” esordì l'Arcangelo, chiudendo il libro “Innanzitutto sono lieto di vedere che le tue ali sono ancora argentee ed angeliche. Significa che il tuo animo è buono”.

“Sarà… Ho commesso ogni tipo di peccato, eppure son ancora qua…”.

“Anche alcuni santi, prima di divenire tali, hanno commesso ogni genere di nefandezza”.

“Non sono qui per discutere di questo…”.

“Lo so. Tu sei qui perché ti fai domande su Dio. Ebbene io più di tanto non posso dirti. Dio deve parlare al tuo cuore, alla tua anima".

“Non ho un'anima. Ed il cuore è solo un muscolo…”.

“Ok… Cambiamo strategia. Mai sentito il libero arbitrio?”.

“Certo".

“Gli esseri umani hanno il libero arbitrio. Non possiamo intervenire più di tanto, e tu lo sai”.

“Ma nella Bibbia Dio è intervenuto per molto meno!”.

“Erano altri tempi…”.

“E che cosa è cambiato?”.

“Siamo invecchiati, suppongo. Hai presente l'entusiasmo che ti prende l'inizio di un progetto? Quando sei pieno di energia e speranze? Ecco… Quel tempo è passato”.

“Intendi dire che Dio si è stufato del ‘progetto umanità’?”.

“Non dico questo. Dico solo che ci mette meno entusiasmo, ecco. O almeno credo sia così…”.

“Non ha senso".

Gabriel sorrise leggermente, reggendosi la testa con una mano.

“Per lui non è così?” domandò poi.

“Per Lucifero, dici? No…” alzò le spalle Keros “…che io sappia, prova sempre lo stesso quantitativo di schifo per l'umanità. Nulla di più o di meno".

“Lui era quello, fra noi, con più fervore ed enfasi... La superbia lo ha rovinato".

“Dio lo ha creato così. Deve aver sbagliato qualche cosa nell'assemblaggio”.

Gabriel sorrise di nuovo, trattenendo una risata.

“Dio non sbaglia" mormorò l'Arcangelo “Ma ci si mette un po' a capirlo. Appena terminata la guerra avvenuta qui in Paradiso, avevo dubbi. Ma poi si sono dissipati. Ogni cosa avviene per un disegno divino. Se Lucifero non fosse caduto, dove andrebbero le anime malvagie? Chi le punirebbe? Il peccato originale era necessario, l'uomo doveva bramare il frutto della conoscenza. Hai visto anche tu quali meraviglie è in grado di creare…”.

“Sì… E quali crudeltà compiere".

“Sono creature imperfette…”.

“Sono creature stupide!”.

“A volte sì… Però, vedi, dipende tutto da quel che vuoi considerare. C'è chi, come il Caduto, intende scorgere in loro solo i difetti e chi, come noi angeli, ne riusciamo a comprenderne le potenzialità. Sono artisti, poeti, credenti dal buon cuore. Non nego vi siano umani corrotti, crudeli e idioti. Ma confido che quelle categorie siano in minoranza".

“Mi sa tanto di no…”.

“Sei libero di credere in quel che vuoi. Anche tu hai libero arbitrio. E anche a te Dio può parlare, se ti fermi ad ascoltare. Se credi veramente".

Keros storse il naso, poco convinto. Poi un rumore di passi lo distrasse. Voltandosi, subito riconobbe la figura di Mihael, che si avvicinava lentamente. Raggiunse la scrivania di Gabriel e vi poggiò un grosso libro. I due Arcangeli si fissarono. Mihael era visibilmente stanco, con i capelli in disordine e lo sguardo spento.

“Sono bambini…” mormorò.

“Bambini?” ripeté Gabriel.

“In questo libro…” parlò di nuovo Mihael, sempre a mezza voce “…ci sono bambini. Sono tutti nomi di bambini. Bambini che sono morti. Spetta a te archiviarli".

Gabriel fisso il volume, sospirando.

“Tutti bambini…” ripeté Mihael, con una lacrima che gli rigava il volto.

Il principe trattenne un ringhio di rabbia. L'Arcangelo guerriero però, come intuendo i suoi pensieri,  lo invitò a seguirlo.

 

Camminarono fra scaffali e nomi archiviati, fermandosi di tanto in tanto. Ad ogni sosta, Mihael spiegava perché quel nome compariva fra gli elenchi del paradiso. C'era chi era morto per salvare delle vite, chi si era sacrificato per un bene superiore, chi era stato ucciso perché si rifiutava di portare a termine un ordine ingiusto…

“Come vedi…” commentò Mihael “…non sono tutti crudeli mostri".

Keros annuì, colpito da certe storie e rattristato.

“Non farti influenzare da ciò che vedi all'Inferno" riprese l'Arcangelo “Non tutti gli uomini meritano la condanna eterna. Chi la merita, ovviamente l'avrà. Ma non sono tutti così. Pensi forse che tua madre si sarebbe messa a curare creature tanto ignobili? Pensi che avrebbe rinunciato alla sua vita al palazzo reale ed alla sua essenza di demone per aiutare degli stronzi?”.

“Mi fa sempre strano sentirti dire delle parolacce…”.

“Il comandamento dice di non nominare Dio invano. ‘Stronzo' non rientra fra i nomi di Dio. O forse per qualcuno sì, ma non certo per me…”.

“Non riesco a capire se sei serio oppure sarcastico, perdonami…”.

“Immagino… Ho sempre la stessa espressione. Ma non stiamo discutendo di questo”.

“Però…”.

“So che è complesso. So che, soprattutto ora che c'è una guerra mondiale, sia facile pensare che gli uomini meritino tutti la morte e che la colpa sia di Dio…”.

“Non mi verrai mica a dire che la colpa è del diavolo, no?”.

“No. So bene che spesso l'uomo più credente e religioso si rivela il più malvagio”.

“E allora perché Dio non fa nulla?”.

“Se i tuoi cuccioli litigano, li vai a separare?”.

“No!”.

“E perché?”.

“Perché sono demoni. E poi perché non mi interessa…”.

Dopo quella frase, Keros rimase in silenzio.

“Non è vero che non ti interessa” riprese Mihael “Non avresti portato la piccola Sophia qui, se fosse così. Tu vuoi bene ai tuoi figli, ma li lasci fare. Sai che hanno una lezione da imparare. Sai che, una volta feriti, eviteranno di rifare le stesse cose".

“Ma non è vero. E la stessa cosa vale per gli uomini. Non imparano. Con la differenza che i miei figli sono solo dei cuccioli. Con una madre psicopatica!”.

“Chi vuole ascoltare la voce di Dio, la voce della propria coscienza, agirà in modo da giungere in paradiso. Gli altri… Sai già che fine fanno. Tu puoi parlare ai tuoi figli ma questi non è detto che ti stiano ad ascoltare".

“Allora io alzo la voce e tiro un paio di ceffoni. Vedi poi come ascoltano…”.

“Ma questo li obbligherebbe ad ascoltare. Violerebbe il libero arbitrio".

“Ma…”.

“Keros… Tutti stiamo male per questa situazione. A me sinceramente fa venir da piangere. Altri saranno furiosi, dubbiosi, spaventati… Ma passerà anche questo. Come è passata la peste, l’inquisizione, le varie rivoluzioni… Tutto passa. Se l'umanità vorrà, imparerà. Altrimenti non farà che accelerare il cammino verso il giudizio finale. Non spetta a noi cambiare le cose".

Il mezzosangue era perplesso, ma decise di non fare altre domande. La voce di Dio non riusciva proprio ad udirla. Lasciò il Paradiso, intravedendo sua figlia Sophia fra i molti bimbi appena giunti in cielo. Giocava con loro, sorridendo felice. Rientrò all'Inferno con ancora molte domande, che capì non avrebbero mai avuto risposta. Lucifero urlava contro qualcuno, lo si udiva per tutto il palazzo. Lui di certo rientrava nel gruppo dei furiosi. Altri demoni invece covavano dubbi e paure. Keros camminò lungo il corridoio, raggiungendo il giardino, fra le rose nere. Il re urlava ancora ed i piccoli litigavano, assieme ad altri cuccioli. Il principe si avvicinò al gruppo di bambini osservandoli. Erano molto piccini, come bimbi d’asilo, eppure la loro ferocia era terribile.

“Adesso basta" tuonò il sanguemisto, facendo sobbalzare i presenti.

Alcuni adulti presenti si stupirono, non abituati a vedere l'erede al trono da quelle parti.

“Basta!” ripeté Keros, dividendo con la forza due piccoli demoni “Finitela! Vi state facendo male".

Alcuni di loro sanguinavano e si lamentavano, in preda al dolore ed alla paura.

“Nasfer!” lo sgridò il principe “Tu sei più forte, non dovresti agire così! Il tuo compito è proteggere chi è più debole".

“E perché?” chiese il bambino, perplesso.

“Perché così fa un re. Siamo demoni. Comportiamoci da demoni, e non da stupidi umani".

Il cucciolo rimase in silenzio. Poi si voltò verso un altro bimbo rimasto a terra. Gli porse la mano, aiutandolo a rialzarsi e mormorando delle scuse.

“Saper combattere è necessario” continuò Keros “Ma non lo è assolutamente attaccare chi non è in grado di difendersi. D'ora in poi voglio vederti lottare solo con tuoi pari, in allenamento".

“Sì, papà…”.

“E la stessa cosa deve valere per tutti gli altri".

Gli adulti annuirono, invitando i bambini ad obbedire. Era sceso il silenzio, neppure Lucifero urlava più.

 

Gli anni passarono. La guerra finì e ne iniziarono altre. Keros gironzolò per il mondo umano senza troppa convinzione. Prendeva qualche anima, osservava lo scorrere del tempo. Iniziò un nuovo millennio. Poi un giorno udì una frase che attendeva da tempo: “Keros, ho l'anima finale per te!”.

 

Ci siamo! I giorni nostri sono giunti… e tante cose devono ancora accadere!

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Capitolo 35
*** Anima ***


35

Anima

 

“Tutto qui?” era stato il commento di Keros, alla vista del minuscolo fascicolo che gli porgeva Lucifero.

“È la tua anima finale…” si era sentito rispondere “Non posso darti troppe informazioni".

“Cos'ha di così speciale?”.

“Lo dovrai scoprire”.

Perplesso, il principe aveva letto le poche righe riguardanti l'anima in questione. Vi era solo un indirizzo. Decise di partire subito all'esplorazione, nonostante il re lo avesse rassicurato con vari “se dovesse essere troppo difficile non ti preoccupate, puoi rinunciare" e “non è necessario che ti metta immediatamente all'opera". Seguendo l'indirizzo, sapeva che si sarebbe trovato in pieno inverno e quindi, non amando il freddo, si era vestito per bene.

Appena giunto sul posto, nel cuore della notte, capì di non essersi vestito abbastanza. La neve era alta e lui odiava la neve. Si coprì parte del viso con un cappuccio e tentò di fare in fretta. La casa era isolata, in mezzo ad un bosco. Keros si disse che non avrebbe mai potuto vivere in un posto simile. Drizzò le orecchie, cercando di percepire la presenza di cani o altri animali da guardia. Non sentendone, si avvicinò ulteriormente. Osservò un grosso SUV nero parcheggiato poco distante dall'ingresso, che però non aveva l'aria di essere molto usato. Salì in silenzio la scala in legno che conduceva alla porta d'accesso. Era blindata ed il mezzodemone preferì non fare fatica. Girò l'angolo e trovò un terrazzino. Da lì fu una passeggiata entrare in casa.

Si ritrovò in cucina. Annusò l'aria. Il frigo era quasi vuoto e Keros rubò una mela. La casa era molto grande e si stupì di vedere un solo piatto nel lavello. Masticando la mela, gironzolò per il piano terra. Era polveroso, molte stanze probabilmente non venivano aperte da mesi. Il camino spento, un pianoforte abbandonato e tante porte chiuse. Desolante, si ritrovò a pensare il sanguemisto.

In quello che aveva tutta l'aria di essere uno studio, Keros trovò un portatile ed una marea di libri, molti lasciati aperti sulla scrivania. Il principe sbirciò, incuriosito, alcuni titoli. Parlavano di lingue antiche.

Su uno degli scaffali della libreria a muro, spiccava una foto: un matrimonio. Una coppia sorridente, in abito nuziale, che posava per quel ricordo. Forse vivevano due umani in quella casa? Lo sposo e la sposa? O forse era la foto di qualche figlio o nipote? Continuò ad indagare al piano superiore. Trovò un salotto, una stanza vuota ed una camera inutilizzata. Poi un bagno ed un'altra camera, questa volta matrimoniale, deserta e impolverata. Iniziava a chiedersi se davvero ci vivesse qualcuno in quella casa quando finalmente, aprendo silenziosamente l'ennesima porta, vide un umano coricato a letto. Era avvolto dalle coperte ma, da quel poco che riuscì a scorgere, Keros intuì che si trattasse dello sposo della fotografia. E la sposa? I capelli neri dell'uomo erano più lunghi ma era sicuramente lui, probabilmente qualche anno dopo. E perché era solo? Keros inclinò la testa. Che la sua anima proibita fosse la solita, banale, questione di cuore da risolvere?

Ritenendosi soddisfatto ed avendo esplorato tutta la casa, compreso il soppalco deserto, si decise ad uscirne. Aveva alcune domande che frullavano in testa, dubbi su quale strategia usare e su che cosa rendesse quell'anima così speciale. Non capendolo, camminò nella neve continuando a rimuginare. Piuttosto distratto, non si accorse delle presenze che lo pedinavano. Quando percepì qualcosa di strano, non fece in tempo a reagire. Intontito dal gelo e preso alla sprovvista, ringhiò e finì a terra. Assalito da tre diversi demoni, sentì la gamba sinistra bruciare.

Reagì e colpì uno di essi, uccidendolo all'istante. Il cadavere si dissolse in polvere nera ed il principe tentò di distruggere un altro assalitore.

“Come osate attaccarmi?” ringhiò, ammazzando il secondo demone.

Il terzo, l'ultimo rimasto, iniziò a correre verso la foresta. Keros, per nulla desideroso di passare troppo tempo nella neve, si accigliò. Era molto più veloce del proprio avversario e lo immobilizzò a terra facilmente.

“Chi sei?” esclamò, non nascondendo la furia che provava.

“A morte” ansimò il demone “A morte la famiglia reale".

“Stai farneticando. Come ti permetti?!”.

“Ci avete esiliati! Abbiamo perso una guerra, è vero, ma il nostro odio non morirà mai. Belzebù re!”.

A quelle parole, Keros provò ancora più rabbia e fracassò il cranio del suo avversario. Ripensare a quella guerra, e solo il sentir pronunciare il nome di Belzebù, lo faceva bruciare d'ira.

Una volta che del suo avversario non fu rimasto altro che polvere al vento, il mezzodemone si rialzò. Ansimò, provando un forte dolore alla gamba. Si accorse di sanguinare copiosamente e la cosa lo infastidì. Non andava affatto bene! Si trovava in mezzo al gelo, indebolito dal freddo e dalla battaglia. Inoltre, ne era certo, qualcosa di strano aveva iniziato a circolare nel suo sangue. Guardò la ferita. Probabilmente gli era stato inoculato un sonnifero o una droga, perché i sensi gli si appannavano sempre più. Si sforzò di rimanere sveglio, tentando di trovare le energie necessarie per aprire il portale e tornare a casa.

Tremava. Si udì un forte boato. Keros trasalì, capendo subito che si trattava di un colpo d’arma da fuoco. Poi ne udì un altro, accompagnato da un grido. Il principe cadde a terra, nel tentativo ultimo di fuggire, ma una figura si avvicinava rapida.

“Chi è là?” tuonò una voce “Andatevene!”.

Nella neve, il principe gemette. Con il cappuccio calato sulla testa e la nevicata sempre più fitta, faticò a capire.

“Cazzo!” udì poi, ed una mano calda lo sfiorò “Ti ho colpito io?”.

Keros scosse il capo.

“Chiamo un'ambulanza!” di nuovo la voce.

Keros scosse il capo di nuovo, con più convinzione. Sarebbe stato un vero disastro!

“Ok… Allora ti porto dentro. Tranquillo. Ci penso io. Come ti chiami? Da dove vieni?”.

Il principe, con la mente sempre più confusa, non rispose. Aveva paura, lo doveva ammettere, ma non aveva energie per reagire. Si sentì sollevare e quasi subito perse i sensi.

 

Riaprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il camino acceso. Il tepore lo fece subito stare meglio. Poi avvertì un vago senso di stordimento e dolore, cosi si alzò a sedere e verificò la situazione. La gamba era fasciata, sotto la veste stracciata. Tentò di riordinare le idee e trasalì, notando una presenza. L'umano, il padrone di casa, era seduto su una poltrona non molto distante dal divano dove Keros si era risvegliato. Con sommo sollievo del principe, egli stava dormendo. Che cosa aveva visto esattamente quel mortale? Preferì scoprirlo in un secondo momento, decidendo di rientrare agli inferi.

 

Rimase tranquillo nei propri alloggi per qualche giorno, pensando al da farsi. Nel frattempo aveva dato modo alla ferita di rimarginarsi. Non era grave, per nulla profonda, ma la sostanza che tramite essa era entrata in circolo nel sangue del principe ci aveva messo un po' a svanire. Non appena si sentì meglio, decise che l'unica cosa da fare era presentarsi dall’umano e verificare quanto avesse visto e compreso. In abiti da mortale, ben coperto da un lungo cappotto nero ed una sciarpa, aprì il portale nel bosco e camminò fino all'ingresso della casa. Capendo che era inevitabile che l’uomo avesse visto i capelli color ciliegia, non li mascherò o modificò con i poteri, mantenendoli inalterati. Sperando che per il mortale non fosse qualcosa di troppo strano…

 

“Non sai che gioia sia per me rivederti!” furono le prime parole che il padrone di casa pronunciò.

Keros lo fissò perplesso, dopo aver ottenuto il permesso di entrare.

“Credevo di essere impazzito" continuò il mortale “Di essermi sognato tutto. E invece… Meno male! Sono ancora sano di mente! Posso offrirti del tè? Caffè?”.

“Tè, grazie…”.

“Siediti. Accomodati. Mi scuso ancora per averti spaventato l'altra notte. Pensavo fossero i soliti bracconieri. Non sai quanti ne scaccio da queste parti. Mi hanno ucciso due cani, scambiandoli per chissà quali animali selvatici. Invece stavolta c’eri tu…”.

“Mi hai salvato la vita. Sono qui per ringraziarti. Però…” interruppe il principe, mentre il mortale girava da una parte all'altra della cucina “…ho la memoria confusa. Puoi raccontarmi quel che è successo esattamente?”.

“Oh… Ma certo. Ecco il tuo tè. Non è un granché, mi sa. Non ricevo molti ospiti…”.

Keros non commentò, ma in effetti era decisamente disgustoso. Attese con pazienza di scoprire cosa avesse visto l'umano, osservandolo. Aveva un bello sguardo, che pareva familiare. Tendeva verso il verde e brillava, a volte. Cosa singolare, per un mortale. Ma doveva essere anche per quello che era definito “possessore di un'anima finale".

“Dunque…” iniziò a raccontare l'uomo “In realtà, non ho molto da dire. Stavo dormendo, ho sentito dei rumori e delle grida. Pensavo fossero cacciatori di frodo o ladri e sono uscito con il fucile. Ho sparato un paio di volte in aria ed ho notato del sangue in terra. L'ho seguito, convinto si trattasse di un animale ferito, e invece ho trovato te. Ti ho portato in casa e fasciato la gamba. Dato che eri gelato, ho accesso il camino ed atteso il tuo risveglio. Malauguratamente mi sono addormentato sulla poltrona ed al mio risveglio ero solo in casa”.

“Perché lo hai fatto?” volle sapere Keros, sospettando secondi fini da parte di un umano che aveva capito con chi aveva a che fare.

“Cosa?”.

“Perché mi hai aiutato? Non mi conosci".

“Tu aiuti solo le persone che conosci?”.

“No… ma… Chi ti dice che io non sia un ladro? O un assassino? O vattelapesca?”.

“Preferisco correre il rischio, piuttosto che lasciar soffrire qualcuno".

“Oh… E non c'erano altre persone con me?”.

“Suppongo ci fossero, qualcuno deve averti ferito. Ma io non le ho viste”.

Keros sorrise. Era una buona notizia: l'umano non aveva visto gli altri demoni.

“Ed hai notato qualcosa di strano?” domandò ancora il sanguemisto.

“Strano in che senso?”.

“Non saprei… Dimmelo tu. Io non ricordo…”.

“Direi nulla di particolare. Mi ‘spiace… Non sono molto d'aiuto…”.

“Va bene così…”.

“Poi, certo… Escludo il fatto che eri vestito in maniera un pochino pittoresca. Ma deduco, dal tuo accento, che tu sia straniero. Andavi forse a qualche fiera?”.

“Fiera? Intendi stile fenomeno da baraccone?” si infastidì leggermente Keros.

“No. Cose simili non credo esistano più. Intendevo fiera cosplay o simili. Chiedevo anche per la tinta dei capelli…”.

“Tinta…?”.

“Hanno un colore bellissimo. E non ha stinto nella neve. Però…”.

“Non è una tinta. È il mio colore naturale. E ti ringrazio per trovarlo bellissimo".

L'umano rise e Keros arricciò il naso, ulteriormente infastidito.

“È il mio vero colore!” ribadì poi, senza che il mortale gli credesse.

“Va bene…” ridacchiò il mortale.

“Ora meglio che vada" si alzò il mezzodemone, trovando irritante quell'essere.

“No… Aspetta! Posso chiederti un favore?”.

“Mi hai salvato la vita. Chiedi pure…”.

“Io vivo qui da solo. Come avrai notato, la casa è vuota ed in mezzo al nulla. Secondo me non è un caso che tu sia passato da queste parti. Hai bisogno di un posto dove stare?”.

“No. Ho una casa. Più grande e decisamente meno gelida di questa…”.

“Capisco…”.

“Come mai vivi solo? Non hai una moglie? Una fidanzata?”.

“Ero sposato. Ma abbiamo divorziato…”.

“Mi ‘spiace…”.

“Da quando è andata via, la mia vita è molto più solitaria e monotona. Raramente mi capita di parlare con qualcuno, di ricevere visite. Se non ti dispiace, ti andrebbe di essere tu la mia visita?”.

“Cioè?”.

“Il favore che ti chiedo è questo: vienimi a trovare. Ogni tanto. Prometto di procurarmi un tè decente".

“Fammi capire… Sono un perfetto sconosciuto e mi chiedi di venirti a trovare?”.

“Sì. Non so perché. Mi piace parlare con te, suppongo…”.

Keros annuì. Dovevano essere i poteri demoniaci a portare il mortale a simili desideri.

“Verrò” informò il principe “Se è questo che vuoi…”.

“Ti aspetterò”.

Keros fece per andarsene, uscendo di casa fra la neve.

“Posso sapere il tuo nome?” parlò ancora l'umano.

“Chiamami come vuoi…” alzò le spalle il principe.

“Io sono Ary. Cioè… Puoi chiamarmi Ary. Il mio nome è molto più lungo e noioso…”.

“Me lo racconterai quando ci rivediamo, Ary".

Il mortale finalmente rientrò in casa ed il mezzodemone si allontanò in fretta. Faceva troppo freddo per i suoi gusti! Sorrise, soddisfatto. Ottenere quell'anima sarebbe stato molto più semplice del previsto! Era un umano solo, facilmente tentabile. Era caduto in trappola da solo! A quel pensiero, Keros ridacchiò sotto i baffi e tornò a casa.

 

Primo capitolo di Giugno per voi!!

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Capitolo 36
*** Spiazzato ***


36

Spiazzato

 

Il secondo incontro fra Keros e l'anima speciale era avvenuto pochi giorni dopo, come concordato. Il principe non aveva alcuna intenzione di passare troppo tempo con quell'umano, che trovava lievemente irritante. Perciò aveva preferito attendere qualche giorno e presentarsi più rilassato possibile. Spuntando dalla foresta, trovò l'uomo intento a portare della legna in casa. Avvolto in sciarpa e cappotto, il sanguemisto lo fissò qualche istante e poi proseguì verso l'ingresso. Subito oltre la porta, il tepore del camino acceso lo fece sorridere soddisfatto.

“La temperatura è di tuo gradimento?” domandò l'umano, rientrando.

“Decisamente…”.

“Ottimo!”.

Keros sorrise, raggiungendo il salotto ed osservando il fuoco. Abbassò la sciarpa, scoprendo il viso, e rimanendo in silenzio. Si stupì quando vide comparire il mortale con solo le maniche corte.

“Io sono abituato al freddo" parve intuire l'uomo, che mostrava forti braccia da taglialegna.

“E surriscaldi casa tua… Per me?”.

“Gli ospiti sono ospiti. O no?”.

Ary sorrise e Keros rimase spiazzato. Che strano umano aveva di fronte…

“Ho portato il tè” cambiò argomento, mostrando un pacchetto che aveva nella tasca del cappotto.

“Perfetto! Ed io ho preso dei dolci".

 

Si accomodarono al tavolo della cucina ed iniziarono a discutere del più e del meno.

“Posso chiamarti Kerasi?” chiese il mortale “Significa ciliegia in greco".

“Lo so…” mormorò Keros, spiazzato per la seconda volta per via della somiglianza con il proprio vero nome.

“Io… Mi chiamo Aristoteles. Ti supplico, chiamami Ary!”.

“Aristoteles?! Ma che…”.

“Nome è? E pensa che sono stato fortunato. Altri bambini hanno ricevuto nomi ben peggiori all'orfanotrofio".

“Sei orfano?”.

“Già…”.

Il principe annuì, comprendendo in parte il perché di tanta solitudine. Sorseggiò un po' di tè e rubò qualche biscotto in più. Resisteva a tutto tranne ai dolci…

“Io non ho mai conosciuto mia madre" parlò poi, cercando in ogni modo di entrare in sintonia con la propria anima finale.

“E tuo padre?”.

“Mio padre… Possiamo dire che sia complicata la faccenda…”.

“Sa che esisti?”.

“Sì. Ma si limita ad osservare il tutto dall'alto. Mi ha cresciuto… mio zio".

“Io ho sempre voluto sapere qualcosa sulla mia vera famiglia. Ma non ho mai scoperto alcunché. Le suore, coloro che mi hanno allevato all'orfanotrofio, non sapevano nulla”.

“Dalle suore? Cattoliche?”.

“Esatto. Le maniache della preghierina continua e dalla citazione biblica facile”.

“Mi pare di intuire un certo disappunto".

“Hai ragione. Ed ora dirò una cosa che a molti dà fastidio: io non credo in Dio".

“Ah… Sei uno di quelli…”.

“In che senso?”.

“Nulla!” si affrettò ad aggiungere Keros.

Il mezzodemone iniziava a capire qualche cosa in più. Gli atei erano complicati. Le anime, al momento della morte, seguivano i desideri di chi le ospitava. Un'anima, in un corpo non credente, era destinata a dissolversi. E lui necessitava un'anima intera, per poter passare l'esame finale.

“Tu sei un credente, Kerasi?” parlò l'uomo.

“In un modo leggermente singolare… ma non amo molto Dio. Insomma… Non mi vedrai mai con il rosario in mano e cose simili".

“Bene… Non volevo offenderti con discorsi contro il divino”.

“Fanne quanti ne vuoi. Bestemmia e fa quel che ti pare. Non sono io Dio, perché dovrei offendermi?”.

“Non riesco proprio a credere. Ci ho provato… Ma sono cresciuto fra altri orfani! Ogni giorno pregavamo per qualcosa di semplice: una famiglia. Volevamo l'amore. Non soldi, fama o altro. Solo l'amore di una famiglia. Che razza di Dio permette a tanti bambini di soffrire? O che razza di Dio permette guerre, carestie, malattie…”.

“Che razza di Dio uccide innocenti?”.

“Vedo che comprendi. Preferisco pensare che non esista, piuttosto che credere che sia uno stronzo. Mi fa piacere non sembrare un pazzo. Ma ora cambiamo argomento. Il tuo vero nome non vuoi dirmelo. C'è qualcosa che posso sapere? Da dove vieni? Quanti anni hai? Che fai nella vita?”.

“Palami prima di te…” ghignò Keros “Che fai per poterti permettere una casa come questa?”.

“Sono un ricercatore universitario”.

“Non mi risulta che sia una professione molto remunerata…”.

“No, infatti. Questa casa l'ho fatta costruire con i soldi ottenuti con le vendite del mio libro”.

“Scrivi?”.

“Scrivevo. Ultimamente non ho molte idee”.

“Che genere di libri?”.

“Fantasy".

“Fate e gnomi?”.

“Angeli e demoni".

Keros si lasciò sfuggire una risatina.

“Sì… In molti ridono" ammise l'umano.

“Sai perché rido io?”.

“Perché il fantasy viene giudicato per bambini…”.

“No. Io rido perché sei ateo. Non credi in Dio ma credi in angeli e demoni?”.

“Non credo esistano. Anche se sarebbe interessante".

“Perché proprio angeli e demoni?”.

“Mi affascinano come figura. In particolare i demoni. L'autodeterminazione, la ribellione, la voglia di conoscenza, cambiamento…”.

“Capisco…”.

“Già… È divertente che uno come me lo dica, vero? Intendo dire… Vivo qui solo, esco pochissimo, non riesco a lasciarmi alle spalle il passato…”.

“Anche i demoni hanno qualche problema con il passato…”.

“Ho voluto io una casa isolata, per potermi concentrare. Mia moglie non era convinta, di fatti è andata via appena ha potuto. Ed ecco che mi ritrovo in mezzo al niente senza alcuna voglia di uscire. Esco solo se non posso farne a meno e sono felice di rintanarmi qui…”.

“Sei un solitario”.

“Sono un disastro…”.

“Un disastro?”.

Keros mormorò l'ultima frase, sorseggiando ancora un po' di tè. L'umano rimase in silenzio ed il principe notò come il sorriso del mortale fosse in realtà solamente una maschera.

“Ognuno commette errori…” parlò il mezzodemone “…e magari ora ti sembra di essere su un vicolo cieco. Ma le strade nella vita sono tante. Basta capire quale imboccare, e poi si può sempre cambiare…”.

“Grazie. Ma…”.

“Hai un cuore buono”.

“Come lo sai?”.

“Lo so. E ti mostrerò altre strade fra cui scegliere, se vorrai seguirle…”.

L'umano non rispose subito.

“Potrei avere una copia del tuo libro?” chiese Keros, sorridendo “Mi hai incuriosito. E lo leggerò volentieri, prima di tornare a trovarti".

“Tornerai?”.

“Fra qualche giorno. E prometto che ti racconterò qualcosa su di me. Ci stai?”.

“Certo!”.

Il sorriso di Ary era sincero, lievemente ammaliato dal potere del principe. In quel momento, avrebbe acconsentito a qualsiasi richiesta!

 

Keros bussò alla porta dell'ufficio del re, qualche giorno più tardi. Lo trovò intento a giocherellare con il computer, con lo sguardo perso di chi dovrebbe lavorare ed invece bighellona allegramente.

“Posso parlarti?” domandò il principe.

“Parla pure. Tutto bene?” rispose il re, con la sigaretta di sbieco in bocca. Ridacchiò, osservando lo schermo.

“Mi ascolti?” sbottò Keros.

“Ti ascolto. So fare due cose insieme, ragazzo…”.

“Dai un'occhiata a questo libro, per favore?”.

“Che roba è?”.

“Un libro scritto dall'umano che possiede la mia anima finale".

“Uno scrittore? Di che scrive?”.

“Angeli e demoni”.

“Ma che carino…”.

“Leggi".

“Keros…non ho voglia di perdere tempo con le solite storielline da umani. Io…”.

“Leggi!”.

“E va bene…”.

Lucifero sospirò. Prese fra le mani il libro rilegato e lesse il punto che indicava il principe. Parlava di Asmodeo e lo descriveva.

“Come ti sembra?” domandò il sanguemisto.

“Una descrizione decisamente accurata…”.

“Sono tutte così. Perfette. Leggi quella di Lilith. E Azazel. E Astaroth. Sembra li conosca tutti di persona".

“Alquanto bizzarro…”.

“Alquanto impossibile. Qualche altro demone ha tentato, prima di me, di ottenere quell'anima? O ha vissuto da quelle parti, svelando certi dettagli?”.

“Se fosse, sarebbe da frustate sulle palle. Troppi dettagli personali. Ci complica il lavoro!”.

“Che faccio adesso? Nel libro non ci sono, però…”.

“Chiederò agli archivisti di fare una ricerca al riguardo, ma potrebbe volerci moltissimo tempo. Lo sai che hanno sempre molto lavoro.  Potrebbe aver incontrato un demone da piccolo o chissà dove. Sai se ha viaggiato molto questo umano?”.

“Non saprei…”.

“Posso essere sincero? Io ti consiglierei di lasciar perdere. È troppo rischioso. Conosce troppi dettagli. Rischi di farti imprigionare, esorcizzare o peggio…”.

“Non intendo rinunciare alla mia anima finale! Fai muovere il culo agli archivisti! Nel frattempo… Cercherò di scoprire il più possibile da lui".

“Keros…”.

“Sarò prudente. Te lo prometto. Ma devo scoprire la verità. Non conviene anche all'intero regno sapere come certe descrizioni siano nate? Potrei capirne un paio fatte bene, ma tutte…”.

“Va bene… Cerca di scoprire la verità. Però sii prudente. E non esitare a chiedere aiuto, intesi?”.

“Intesi…”.

“Salvo questo, come ti sembra l'umano? E l'anima?”.

“Mi sembra il solito stupido umano piagnone. Niente di che…”.

“Attento. Gli umani sono cambiati”.

“Lo so. Ma sono rimasti comunque stupidi. Questo è ateo. Ma avrò la sua anima, te lo assicuro".

“Faccio tifo per te. Però rinnovo il mio invito ad essere prudente".

Keros annuì. Ora moriva dalla voglia di rivedere l'umano. Ma doveva attendere fino al giorno successivo...

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Capitolo 37
*** Demoni e umani ***


37

Demoni e umani

 

“Come sei cresciuto…” furono le parole, improvvise di Lucifero.

Keros rispose con un mugugno interrogativo. Stavano cenando assieme, cosa che non accadeva da moltissimo tempo. Su richiesta del principe, si tentava di renderla una consuetudine. Da quando aveva iniziato la propria avventura per l’ottenimento dell'anima finale, al sanguemisto era risultato molto utile scambiare pareri e dubbi con il re.

“Gli ultimi secoli sono stati impegnativi…” sospirò il sovrano “…da tempo non riuscivamo a concederci una cena in pace. Fra il lavoro e le guerre, la testa era sempre altrove".

“Ti trovo meglio, però” mormorò Keros “Intendo... Non hai l'aria stravolta e consumata che hai avuto dopo… lo sai…”.

“Dopo la morte di Sophia? Già… Il tempo passa. Anche per te. Quanti anni hai adesso?”.

“Ne compio mille e trecento a fine anno".

“Davvero? Caspita… Toccherà festeggiare”.

“Ci penserò per quella volta. Ho ancora tempo".

“Ormai sei un adulto. Tra poco avrai pure la tua anima finale e diverrai un maestro. Sembra ieri che giocavi con la mia coda…”.

“Se vuoi ci gioco ancora".

I due sorrisero, sorseggiando del vino. Quella sala era rimasta invariata nei millenni, illuminata dalle candele ed abbellita da quadri ed arazzi. Come sempre, il cibo era squisito ed entrambi si godevano il pasto con soddisfazione.

“Rimanendo in tema di anima finale…” riprese Lucifero “…gli archivisti hanno rilevato la presenza di disertori vicino alla zona dove dimora il mortale”.

Il principe annuì. Dovevano essere quelli che aveva ucciso la prima sera. Non aveva parlato dell'attacco con il re e nemmeno del salvataggio da parte del mortale. E non aveva alcuna intenzione di farlo.

“Dici possano aver in qualche modo parlato con l'umano?” chiese l'erede “Avergli fornito le informazioni che poi ha riportato sul libro?”.

“Non lo so. Ma ho lasciato disposizioni affinché vengano scorticati" ringhiò il re.

“Ci ho già pensato io".

“Oh… Buono a sapersi. A questo punto, che pensi di fare?”

“Parlerò con l'umano. Con i miei poteri, dovrà dirmi la verità!”.

“Attento. Lo sai… gli umani…”.

“Gli umani sono diversi. Lo so. Me lo hai già detto! Non sono più un bambino, saprò giudicare la situazione".

“Faccio il tifo per te…”.

Bevvero altro vino. Keros osservò il re. Era sempre impeccabile, in abito broccato di velluto nero. Nonostante qualche capello bianco, non era per nulla diverso dal ritratto appeso alla parete.

“Hai qualche nuova donna?” domandò il sanguemisto “Ti vedo più tranquillo”.

“No, direi di no. È che con la tecnologia faccio meno fatica a gestire questo posto".

“Oh… Capisco…”.

“E tu? Non sarebbe ora che ti facessi qualche nuova compagnia? Hai bisogno di rilassarti. Tu e Lilien non fate che litigare…”.

“In effetti…”.

Il giovane ci aveva pensato, una di quelle sere. Solo, nella propria stanza, si era chiesto cosa si provasse ad addormentarsi accanto a qualcuno che si rivedrà poi la mattina successiva.

“Pensavo di chiedere a Lilith. Lei conosce molte ragazze…” ammise “…appena avrò ottenuto la mia anima finale, pensavo di trovarmi un pochino di compagnia non troppo litigiosa”

“Concubine? O concubini?”.

“Chiamiamoli così…”

“Ottima idea!  E magari chissà… Qualcuno riuscirà a rapirti il cuore”.

“Ma anche no, grazie”.

“Perché?!”.

“Ne abbiamo già parlato".

“Ok. Ho capito… Mi accontento. Lo sai che io voglio solo la tua felicità. Ed ora godiamoci il dolce e poi fila a dormire. Domani ti aspetta una lunga giornata dal mortale…”.

“Sì, mammina" lo derise il principe.

“E ricordati che Mefistofele ti ha invitato in quel suo nuovo locale"

“Vero…”.

Quasi lo aveva dimenticato. Il suo maestro aveva aperto un locale, non troppo lontano dalla dimora dell'umano. Keros si era ripromesso di passarlo a trovare. Era curioso di vedete come uno dei tentatori più famosi ottenesse le anime nel ventunesimo secolo…

 

Il principe tornò dall'umano dopo quattro giorni. Si era preso un po'di tempo per terminare la lettura del libro ed indagare ancora su possibili demoni nei paraggi. Non aveva trovato notizie di presenze infernali recenti in zona, se non qualche esiliato. Felice per la momentanea comparsa del sole, anche se ormai al tramonto, sorrise e bussò alla porta. Gli stivali affondavano nella neve all'ingresso, segno che l'umano non aveva messo piede fuori dall’uscio da dopo la nevicata. Passò del tempo, prima che il padrone di casa si degnasse di aprire. Una volta dentro, Keros rabbrividì.

“Ti aspettavo due giorni fa" commentò l'uomo, con un tono di voce neutro ed annoiato “Il camino è spento".

“Posso accenderlo io?” si offrì il mezzodemone, tremando leggermente.

“Come vuoi…”.

Il tentatore si diresse svelto in salotto. Approfittando dell'assenza dell'umano, rimasto in cucina, richiamò il fuoco fra le mani e subito ci fu una bella fiamma accesa e scoppiettante.

“Hai fatto presto…” si sentì dire.

“Sono abbastanza esperto...”.

In cucina, il mortale stava preparando il tè.

“Che succede?” domandò Keros “La casa è buia, fredda. È come se fossi rimasto seduto immobile per quattro giorni".

“Solo per due…” ammise l'uomo.

“Come…?”.

“Sono rimasto a letto per due giorni. Mi sono alzato solo per venirti ad aprire".

“Sei malato? Hai la febbre?”.

“No…”.

Keros si guardò ancora attorno e poi fissò l'umano. Notò il suo sguardo, sfuggente e spento. Anche l'anima brillava fievolmente.

“Sei in cura da qualcuno?” parlò il sanguemisto, facendosi serio “Hai qualcuno che ti segue?”.

“No… è solo un periodo. Passerà”.

“Periodo che dura da quanto?”.

“Non lo so…”.

Il principe si avvicinò, aiutandolo a preparare il tè. Aveva vissuto abbastanza tempo accanto ad un depresso, sapeva riconoscerne i segnali.

“Perdonami per non essere venuto due giorni fa" mormorò “Cercherò di non rifarlo".

“Non sei obbligato a venire".

“Sì, invece. Me lo hai chiesto tu… Ed io sono in debito con te".

“Ma che dici…”.

“Senti… Ormai è tardi per il tè, no? Che dici se andiamo a cena in città? Così esci. Io non conosco bene il posto… Fammi da Cicerone. Mi farebbe piacere".

“Non ho molta voglia di uscire…”.

“Mettiamola così: io sto morendo di fame ed in casa hai solo del tè!”.

“Giusto…”.

 

Il giro in centro fu molto interessante. Keros non era abituato alle città morderne, con tutte le luci ed il caos. Il traffico, la musica dei locali, la folla… Già il tragitto in macchina lo aveva un po' messo a disagio. Il mortale lo aveva accompagnato fino ad un ristorante poco distante dall'università.

“Qui è dove lavori?” domandò il sanguemisto, indicando l'imponente edificio.

“Sì” rispose l'umano “Anche se faccio quasi tutto da casa. In questo periodo sto traducendo un testo antico. Sono un assistente, faccio quello che mi viene chiesto…”.

“E ti sta bene così?”.

“Perché no? Mi piacerebbe insegnare, un giorno. Ma prima devo fare la gavetta…”.

“Ma perdonami… Quanti anni hai?”.

L'umano, seduto al tavolo e con il menù davanti agli occhi, abbozzò un sorriso.

“E tu?” rispose “Mi avevi detto che mi avresti raccontato qualcosa di te".

“Vero…”.

“Ebbene...?”.

“Dunque… Posso dirti che sono nato a Costantinopoli”.

“Istanbul?”.

“Chiamala pure Bisanzio, se ti piace di più. Il concetto non cambia".

“Quindi sei turco? Interessante. E come mai ti trovi da queste parti?”.

“Affari…”.

“Che genere di affari?”.

“Di vario tipo. Posso farti io una domanda?”.

“Ho trentadue anni".

“Oh… Bene… ma ora mi preme sapere un'altra cosa".

L'uomo attese qualche istante. Sorseggiò il vino che aveva appena ordinato, in attesa dell'antipasto.

“Chiedi pure" disse poi, poco convinto.

“Ho letto il tuo libro" iniziò il sanguemisto “L'ho trovato molto interessante. Volevo sapere una cosa: da dove hai preso l'ispirazione per i personaggi? Non so… Sono tuoi amici? Qualche tuo conoscente ti ha dato degli spunti? Te li sei sognati di notte?”

“Che domanda strana… Non saprei risponderti, sinceramente. Perché? Sono troppo strani?”.

“Al contrario. Sono fin troppo familiari".

“Capisco. Non saprei. Semplicemente me li immagino così”.

“Nessuno ti ha aiutato?”.

“No. Ho fatto tutto da solo".

“Sei sicuro?”.

“Ma sì! Lo so che sono diversi dal solito. Tutti mi hanno fatto notare che Lucifero dovrebbe essere più spaventoso, magari rosso e con le gambe da capra. Ma…”.

“Non l'ho mai capita la faccenda della capra…”.

“Nemmeno io”.

Gli antipasti erano arrivati ed i due iniziarono la cena. Keros non amava molto il cibo umano solitamente ma era così affamato che avrebbe mangiato qualsiasi cosa. Un bambino correva fra i tavoli ed il principe lo fissò con fastidio.

“Non ami molto i bambini, vero?” ridacchiò il mortale.

“Se rompono le palle no, non li amo. Tu?”.

“A me piacciono. Ho sempre voluto essere padre".

“Hai un sacco di tempo per diventarlo".

“Io non posso avere figli. È il motivo per cui ho divorziato da mia moglie".

“Sul serio?! Per una cosa del genere?! Ma esistono le adozioni. E tu, da orfano, dovresti saperlo".

“Lo so. Ma lei era ossessionata ed alla fine ci siamo resi conto che era diventato tutto troppo difficile. Eravamo sempre tesi, arrabbiati. Io mi sentivo inadeguato, lei cercava di fingere che non fosse così. Si era rotto qualcosa, capisci?”.

“No. Ma non sono affari miei. Non sono un grande esperto d’amore e dintorni".

“Sei giovane. Quanti anni hai? Venti?”.

“Un po' di più… ma grazie per vedermi più piccolo".

Keros si stava godendo il primo, assieme al vino. In proporzione, lui aveva l'equivalente di ventiquattro anni umani, perciò sentirsene dare di meno lo fece sorridere. Si guardò attorno, osservando il locale e gli altri umani presenti. Era una bella serata, non avrebbe mai pensato di dirlo.

 

Sulla via del ritorno, il principe trovò piacevole il rivedere le stelle in cielo. In centro era impossibile, mentre in montagna, dove viveva l’umano, erano ben visibili e splendide.

“Farà freddo questa notte…” commentò il mortale, fermandosi davanti all'ingresso.

“Già… Ma qui fa sempre freddo" mormorò Keros, affondando la faccia nella sciarpa.

“Vieni davanti al fuoco?”.

“Solo un altro po'. Devo discutere di una cosa con te".

“Davvero?”.

Il sanguemisto annuì. Entrò in casa, raggiungendo il salotto con il camino e rimanendo immobile a fissare la fiamma. Era indeciso sul da farsi.

“Di che vuoi discutere?” chiese il mortale.

Keros si voltò ed il suo sguardo si illuminò leggermente. Doveva scoprire la verità.

“Parlami dei personaggi del tuo libro” cantilenò, in modo ipnotico “Chi te ne ha parlato? Chi te li ha descritti?”.

“Nessuno. E… perché fai così? Sei strano…”.

“Non mentirmi!”.

“Non sto mentendo. Sono interamente frutto della mia immaginazione. Se non è così, se per sbaglio ho copiato qualcuno, chiedo scusa".

“Nessuno te ne ha parlato? Nessuno ti ha dato l'idea? Non mentirmi”.

“Nessuno. Te lo giuro. Non sto mentendo. Ma perché? Perché lo chiedi?”.

Il principe sospirò. Doveva decisamente cambiare atteggiamento con quel mortale. Doveva provare una via diversa, un diverso approccio.

“Perché lo chiedi?” insistette l'umano.

“Perché io sono un demone" ammise Keros “E conosco tutti i personaggi del tuo libro…”.

 

Ultimamente aggiorno con un pochino più di frequenza, con capitolini brevi ma “intensi”. A PRESTO!

 

 

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Capitolo 38
*** Tentatori del nuovo millennio ***


38

Tentatori del nuovo millennio

 

“Io sono un demone" aveva ammesso Keros.

Non era una cosa rara rivelare di essere demoni, in caso di evocazione da parte di un umano. Ma in quel caso non vi era stata alcuna evocazione. Qualcosa gli diceva che però era quello l'approccio giusto.

Il mortale rimase in silenzio qualche istante e poi scoppiò a ridere.

“È uno scherzo?” rise.

“No" confermò il principe, rimanendo calmo.

“Come no…”.

L'umano ridacchiò ancora.

“Perché dovrei inventarmi una cosa simile?” incrociò le braccia Keros.

“Non ne ho idea. Forse hai bevuto troppo a cena".

“Che devo fare per dimostrarti che dico la verità?”.

“Non lo so. Non so cosa facciano i demoni!”.

Il sanguemisto era perplesso. Non sapeva bene come agire. Non voleva spaventare l'umano con corna e tratti spiccatamente diabolici. Storse il naso, riflettendo. Poi scostò un ciuffo di capelli, mostrando le orecchie a punta.

“Carine” annuì l'uomo “Chi te le ha fatte? Sono vere?”.

“Non me le ha fatte nessuno! Sono mie! Sono nato così!”.

Il mortale allungò una mano e le toccò, con molta poca delicatezza. Keros protestò, scostando la testa.

“Sono fatte bene. Avevo sentito parlare di questa moda".

“Moda?!”.

“Sì. Di farsi fare le orecchie a punta dal chirurgo. O i denti da vampiro. Cose strane. Ma se a uno piace così…”.

“Ma guarda che…”.

“Sì, sì. Sono vere. Sono tue. Ok. Fai giochi di ruolo?”

“Solo a letto. Che ha a che fare con le mie orecchie?!”.

L'umano rise ancora. Il principe allora decise che era inutile continuare a discutere. Meglio lasciar perdere, per quella sera. Preferì congedarsi ed andarsene, lasciando al mortale la notte per dormire.

 

Non avendo molto sonno, e sentendosi lievemente punto nell'orgoglio, Keros decise di passare per il locale di Mefistofele. Dall'esterno, con un'insegna al neon rossa come il sangue, non era diverso da un qualsiasi locale umano con ballerine poco vestite ed alcol. Si chiamava “Mephistofel”. Il buttafuori all'ingresso lo riconobbe subito e lo lasciò entrare, con un mezzo inchino. Il mezzodemone non amava molto la musica alta, lo infastidiva parecchio. Si fece strada fra mortali ubriachi, tavolini circolari e luci soffuse, fino a raggiungere il bancone. Chiese del titolare e, dopo solo qualche istante, Mefistofele comparve con un gran sorriso stampato sul volto. In quel secolo portava i capelli corti e vestiva come un umano, con jeans attillati e camicia lievemente aperta. Sembrava una rock star di bell'aspetto.

“Maestro…” lo salutò Keros.

“Macché maestro. Chiamami zio. O al massimo usa il mio nome. Non ho nulla da insegnarti ormai".

Il demone abbracciò il principe, ridendo. Fra le mani stringeva un calice dalla forma bizzarra. Batté una mano sul bancone ed ordinò al barista di prepararne uno uguale.

“Non risparmiarti con gli ingredienti" puntualizzò “È per mio nipote!”.

Keros, ancora stretto in abbracci non desiderati, attese il drink e poi seguì il tentatore in una saletta privata.

“Questo si chiama Shaytan” spiegò Mefistofele, indicando il calice “È il drink della casa. Per i demoni è un po' diverso rispetto alla versione data dagli umani…”.

“Lo immagino…” ghignò il principe, trovandolo un po' forte.

“Sono lieto che tu sia qui. Come procede con l'anima finale?”.

“Bene… Circa. Insomma… La faccenda è lunga".

“Immagino. Una volta era più facile. In gioventù ci evocavano e facevano i coglioni. Adesso questi campano cent'anni! Hanno un sacco di tempo per pentirsi. Sempre se non li spingi a…”.

“Non sono mai arrivato a quel punto".

“Non ti è mai servito. Ma ricorda: meglio rinunciare ad un'anima piuttosto che rischiare la pelle. Lo dico per te. Il re mi ha accennato ad un libro…”.

“Sì. Sto indagando…”.

“Ottimo. E ricorda che capita a tutti di perdere un'anima. Pazienza. Se ne prende un'altra!”.

“Questa non la perderò. È la mia anima finale! Piuttosto… Come funziona qui? C'è un demone come buttafuori ed altri demoni nel locale…”.

“Ho assunto i buttafuori per pararmi il culo. Sai… In caso di polizia e grane simili. Qui circola roba non proprio legale. È un luogo dove fornisco agli umani quello che vogliono. E gli umani vogliono cose che li danneggiano, come la droga o l'alcol. O il sesso con sconosciuti occasionali".

“Quindi è una specie di locale per tentare la gente?”.

“Esatto. Gli umani entrano, ottengono quello che vogliono ed escono. Ma poi tornano. Tornano sempre".

“Interessante. E i baristi?”.

“Quelli sono umani con regolare patto di sangue. Loro lavorano per me ed io in cambio gli do quel che desiderano. Fama, una casa grande, auto di lusso e via discorrendo… Spero crepino giovani, così non hanno il tempo di pentirsi per le minchiate fatte".

“Mi pare un'impresa ben avviata. Quante anime hai ottenuto?”.

“In media faccio una decina di anime al mese”.

“Wow! Ma sono tantissime! E nessun angelo è venuto a dare fastidio?”.

“Certo. Ma è libero arbitrio. Nessun umano è costretto ad entrare qui. Perciò non possono farmi niente".

“Fantastico".

“Puoi dirlo. Facciamo un brindisi? Ai tentatori del nuovo millennio".

“Ai tentatori!”.

Risero, bevendo ancora un po’.

“Magari ti assumo, una volta che ottieni l'anima finale".

“Ci penserò” ghignò Keros “Potrebbe essere divertente”.

“Visto che sei qui… Che ne dici di aiutare il mio business?”.

“In che modo? Che vuoi che faccia?”.

“Esibisciti. Sul palco. Fra i demoni presenti vi sono dei miei allievi, hanno bisogno di qualcuno che gli mostri come si fa. È un locale di spogliarellisti, donnine poco vestite e simili. Inoltre oggi ho un addio al nubilato fra il pubblico. Faresti un regalo alla futura sposa?”.

“Ma più che volentieri" ridacchiò il principe “Dammi solo un abito adatto…”.

“Vieni con me. Farai un figurone!”.

 

Mefistofele sorrise orgoglioso quando vide Keros sul palco. Sembrava ieri quando ancora erano maestro ed allievo, ed il giovane principe provava vergogna per il proprio corpo ed aspetto. Ora, invece, era del tutto diverso. Il sanguemisto si muoveva con disinvoltura, con sul volto la sicurezza di chi sa di possedere una bellezza unica. Con un lieve scintillio negli occhi, Keros ammaliava tutti i presenti, convincendoli di avere di fronte la creatura più bella dell'universo. Con una dose minima di potere, riusciva a celare i tratti più spiccatamente demoniaci e divenire perfetto. Togliendo lentamente la camicia nera, non mostrò i tatuaggi ma una pelle abbronzata e pronta ad essere toccata da coloro che allungavano le mani verso il palco.

“Sei tu la festeggiata, dico bene?” mormorò il mezzosangue, chinandosi sulla futura sposa seduta in prima fila.

La giovane annuì, arrossendo.

“Io sono il tuo regalo per te, stasera” continuò il principe, facendo l'occhiolino.

Dopo essersi divertito ancora un po' sul palco, Keros invitò la futura sposa e le sue amiche nel privé. Era molto elegante, con divani in velluto nero e rosso, un tavolo circolare lucido, luci soffuse ed una fragranza dolce nell'aria. Fra un drink ed un altro, le umane furono subito stordite. Ridendo, si contendevano gli abiti e gli accessori che il principe toglieva. Un bracciale, una catena d'argento, la camicia, una scarpa…

Il mezzosangue rise. La stupidità umana era indecente! Un paio delle invitate iniziava a stare male e vomitare mentre la futura sposa restava immobile, ammaliata dal principe.

“Sono il tuo regalo" le mormorò Keros, avvicinandosi “Vuoi scartarmi tu?” alludendo ai pochi abiti che ancora indossava.

Lei arrossì ancora e sorrise, come un bambino che ha appena ricevuto un sacchetto di caramelle. La cintura dei pantaloni del mezzodemone era già fra le mani di una delle damigelle d'onore, che la abbracciava come fosse la cosa più bella del mondo. Il tentatore era soddisfatto di come una minima dose di potere ed alcol riducesse quel gruppetto di donne. La futura sposa stava tentando, con movimenti impacciati e resi ancora più incerti dai vari drink consumati, di togliere i pantaloni di colui che aveva di fronte.

“Ti aiuto io!” si propose un'amica, subito seguita da altre due ragazze.

Keros rise, salendo sul tavolino e porgendo la mano alla sposa.

“Fai con calma…” la rassicurò “…spetta solo a te scartare il regalo".

Lei ridacchiò in modo idiota.  Da fuori si udivano grida di uomini arrapati che esclamavano vari complimenti alle ballerine che si esibivano sul palco del locale. Con estrema fatica, e concedendosi un altro alcolico, la festeggiata era riuscita a levare i pantaloni in pelle del principe, sorridendo felice.

“Posso tenerli?” mormorò, stringendoli ed ondeggiando come una bimba con una bambola.

“Veramente pensavo di lasciarti qualcosa di meglio…” mostrò la lingua Keros, passando il dito indice sull'elastico dei boxer “Ma puoi tenere anche i pantaloni, se li vuoi".

La ragazza saltellò dall'entusiasmo. Fuori un uomo era svenuto perché una ballerina gli aveva tirato il reggiseno. Con le mani che tremavano per l'eccitazione e per l'ebrezza, la futura sposa rideva imbarazzata, mentre le amiche la incitavano a spogliare il mezzodemone dai capelli color ciliegia.

“Che caldo che fa qui!” disse una delle amiche, iniziando a sua volta a spogliarsi.

“Ma come siete belle" sorrise Keros, guidando le mani della futura sposa.

In quella stanza ora più di qualcuno era nudo, o quasi.

“Vieni al mio compleanno?” chiese un'amica.

“E al mio?” si unì un'altra.

“Vengo tutte le volte che volete" ghignò il sanguemisto “Ma ora è il turno di questa splendida futura sposa!”.

La giovane era in imbarazzo, o probabilmente era solo rimbambita dal troppo alcol. Si lasciò stringere da Keros, che le sussurrò romanticherie all'orecchio. Lei arrossì e si lasciò baciare il collo. In un attimo erano stesi sul divanetto, accarezzando il velluto con la pelle nuda. D'improvviso la futura sposa non era più in imbarazzo. Vinta dal potere del tentatore, non riusciva in alcun modo a resistere.

“Vuoi la mia anima?” mormorò lei.

“…prego?” si stupì lui.

“Si dice che in questo locale si perda l'anima. E ne vale la pena".

“Lascia che ti dia un valido motivo per concedermela".

Con un ghigno, Keros prese la ragazza fra le braccia ed entrò in lei. La futura sposa non oppose alcuna resistenza, bramava con tutta se stessa quell'atto. Gemette di piacere, non avendo mai provato nulla di simile. Le amiche, quelle rimaste abbastanza lucide, si morsero le labbra per l'invidia. Ma non dovettero attendere a lungo prima di essere accontentate a loro volta. Keros, non provando particolare piacere nell'unione sessuale con un mortale, non ebbe alcuna difficoltà a soddisfarle tutte.

 

Dopo l'essersi rivestito, con abiti che gli fornì Mefistofele, Keros si apprestò a lasciare il locale.

“Perché non torni?” propose il demone “In molti sono rimasti ammaliati da te. Possiamo metterci d'accordo ed organizzare delle serate apposite. Balleresti con qualche bel ragazzo?”.

“Faccio tutto quello che vuoi” sorrise Keros.

“Allora tornerai?”.

“Ma certo. Ogni quanto ti servo?”.

“Posso chiamarti io? Tipo una serata al mese. Poi chissà… Potrebbero richiedere di te per qualche festa particolare…”.

“Fai pure”.

“Sicuro? Non ti distraggo dall'anima finale?”.

“Ma figurati. Tieni".

Keros porse a Mefistofele un piccolo marchingegno ovale. Con uno schermo illuminato, emise un piccolo suono quando entrò in contatto con l'oggetto simile posseduto dal demone.

“Che bella cosa la tecnologia" rise Mefistofele “Ora posso chiamarti".

Sul display dell'oggetto, comparve il nome di Keros. Era un sistema nuovo, che permetteva ai demoni di comunicare fra loro e con l'Inferno, anche quando si trovavano nel mondo umano.

“Ti sei divertito?” chiese il maestro.

“Mi hanno offerto l'anima spontaneamente. Come fosse un gioco".

“È il nuovo millennio. Fra qualche anno passeremo a riscuotere”.

“Ottimo. Ora torno a casa. Il re mi starà aspettando… Come fossi un bambino!”.

“Sarai sempre il suo bambino. A presto!”.

Keros si congedò. Procurarsi nuove anime era sempre piacevole…

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Capitolo 39
*** Insistere ***


39

Insistere

 

“Quindi se appendo un crocefisso e ti spruzzo d'acqua santa, ti faccio male?” ridacchiava l'umano.

“Non sono quel tipo di demone” rispose Keros, ancora tentando di convincerlo ad accettare la realtà.

“E che tipo di demone sei?”.

“Un tentatore. E vampiro".

“Quindi scappi con l'aglio?”.

“No. Quello vale solo per i vampiri che un tempo erano umani".

“Bello…e che poteri hai? Ti trasformi in pipistrello? Possiedi la gente?”.

“Rubo le anime agli umani idioti e che mi fanno incazzare”.

Il mortale rise ancora. Keros ruotò gli occhi al cielo. Sospirò, osservando l'orologio appeso al muro. Quanto tempo perso…

“Posso giocare anche io?” riprese l'uomo.

“A cosa?”.

“Al gioco che fai tu. Se tu sei un demone, io chi posso essere? Un cavaliere in armatura? Un bardo?”.

“Lo scemo del villaggio?”.

All'ennesima smorfia divertita, il principe iniziava a perdere la pazienza. Ma il mortale non accennava a smettere e faceva domande ed affermazioni inopportune.

“Sai… Forse ho trovato qualcosa che puoi fare per iniziare a convincermi".

“Cosa?” subito rispose Keros, speranzoso.

“Vieni con me…”.

Il padrone di casa cambiò stanza, uscendo dalla cucina ed attraversando il corridoio. Entrò in una saletta piena di libri, scaffali ed una scrivania. Sommersa in parte da volumi aperti e cianfrusaglia varia, sembrava essere di un adolescente disordinato. Un computer acceso, e con lo schermo che sfarfallava, attirò l'attenzione del mortale.

“Vedi questo libro?” indicò un grosso volume accanto alla tastiera “Lo sto traducendo. È in una lingua antica, desueta, per questo mi servono molti altri libri per trovare i termini corretti. Ma tu, che hai detto di avere più di mille anni, non dovresti avere alcun problema. I demoni sanno tutte le lingue…”.

“Solo Lucifero le conosce tutte. Però posso dare un'occhiata. Se è una lingua con cui ho avuto a che fare…”.

“Prego!”.

Il sanguemisto si avvicinò. Sapeva che libri simili andavano trattati con una certa delicatezza, perciò non lo toccò. Sbirciò alcune parole e sorrise.

“Lascia fare a me" si toccò il petto con orgoglio “Avevo solo quattrocento anni, ma questa me la ricordo".

“Ah sì?”.

Evidentemente ben poco convinto, il mortale alzò un sopracciglio.

“Devo scrivere la traduzione al pc?” si informò Keros.

“Sì. Aspetta… Ti mostro…”.

Aprendo una cartella, e creando un nuovo documento, l'uomo lasciò il posto alla scrivania.

“Scrivi qui. Sai usare un pc? O all'Inferno non ci sono?”.

“Sono migliori di questo. Ora lasciami lavorare".

“Mi prendi in giro?”.

Il principe sospirò. Iniziò a leggere ad alta voce il testo, scritto con glifi ormai quasi dimenticati. Non ebbe alcuna difficoltà ed il padrone di casa rimase stupefatto.

“Ora mi credi?” mormorò il sanguemisto, iniziando a scrivere.

“Hai studiato quel che ho studiato io. Bello".

“Ma…”.

“Ah, no. Giusto. Tu sei un demone…”.

“Fammi una cioccolata calda con la panna. È il minimo. Una di queste sere mi farai perdere la pazienza…".

“Cioccolata in arrivo!”.

 

“Cioè…fammi capire… Tu ti sei messo a lavorare al posto suo?!”.

Lucifero era perplesso. Non capiva che strategia avesse in mente l'erede.

“Lo so, è strano” ammise Keros “Ma…”.

“Non farti mettere i piedi in testa!”.

“Non mi mette i piedi in testa!”.

“Sei sicuro?”.

“Sicurissimo. A questo proposito… Come si traduce questa parola?”.

 

“Se io voglio darti la mia anima, che devo fare? Intendo dire… Come funziona?”.

“Perché lo vuoi sapere? Tanto non mi credi!”.

“Giusto per sapere…”.

Mortale e mezzodemone stavano di nuovo discutendo sulla veridicità delle parole di Keros. Il sanguemisto era già all'opera sulla traduzione, seduto alla scrivania. L'uomo si apprestava ad iniziare a leggere un nuovo libro, appena arrivato alla biblioteca dell'università. Era passato per là portando i primi capitoli della traduzione, per farli controllare a chi ne sapeva più di lui. Alla conferma che lo scritto era perfetto, si era complimentato con Keros e lo aveva lasciato fare.

Approfittando delle prime giornate di sole, il mortale si era sistemato sulla terrazza, libro alla mano. Il principe preferiva di gran lunga starsene in casa, trovando il clima esterno ancora troppo rigido. In alcuni punti, in giardino, si trovava ancora la neve.

Cioccolata fumante a portata, si mise a rileggere l'ultimo capitolo tradotto. Era un pezzo che non lavorava su cose simili, si sentiva di nuovo uno scolaretto. Allungò lo sguardo verso lo stereo abbandonato su uno scaffale. Amava la musica, era tentato… ma si trattenne. Non osava immaginare che razza di musica amassero i mortali, visto lo schifo che rimbombava nel locale di Mefistofele.

Aveva riletto e corretto, già al lavoro sulla pagina successiva, quando il volto lievemente stravolto dell'umano si mostrò sulla porta.

“Che c'è?” gli chiese Keros, perplesso.

“Sei mai stato in Russia?” domandò l'uomo.

“Sì…perché?”.

“Con lo Zar?”.

“A che ti serve saperlo?”.

“Questo sei tu?”.

Il mortale girò il libro che stringeva fra le mani. Dove indicava, vi era uno foto in bianco e nero. Ritraeva varie persone ma una in particolare, accanto allo Zar, aveva attirato l'attenzione dell'umano.

“Oh…” si limitò a dire Keros, riconoscendo la foto.

Era lui. Era proprio lui. Cento anni prima, in abiti decisamente differenti, ma per nulla cambiato in viso.

“Ma allora è vero. O è tuo nonno?” biascicò il portatore dell'anima finale.

“Sono io. Te l'ho detto: sono un demone. E, ora che ci penso… Perché non mi fai una foto?”.

“Una foto?”.

“Va bene anche se usi il cellulare…”.

Il mortale, sospettoso, frugò fra vari cassetti finché non trovò la propria macchina digitale. Era impolverata, non toccata da almeno un paio di anni. Dopo aver trovato le pile, inquadrò Keros e sobbalzò. Il potere del principe agiva sui sensi umani, ingannava gli occhi e faceva sì che nessuno notasse la natura demoniaca. Ma attraverso uno schermo era tutto diverso. Perché non ci aveva pensato prima? In quello schermo si vedeva quello che era, con lo sguardo ambrato che brillava.

“Ma allora tu sei…?”.

“Un demone. Mi sembra di avertelo ripetuto abbastanza volte. Sei contento adesso?”.

“Sì. Cioè… No! Ho un sacco di domande da farti. Io… ecco… Ma come…?”.

“Prenditi un minuto. Riordina le idee…”.

“Hai le corna?”.

“Vuoi vederle?”.

“Sì…”.

“Prometti di non spaventarti?”.

“Oh… Ok… Va bene…”.

Keros sospirò. Non sapeva se fosse la strategia giusta ma assecondò i desideri dell'umano. Assopì i propri poteri, mostrando le corna e lo sguardo da demone.

“Sei un demone per davvero…” riuscì a dire il mortale.

“Già…”.

“E che cosa vuoi da me?”.

“È una storia lunga. Però, riassumendo, direi che sono qui per la tua anima”.

“La mia… anima?”.

“Sì. Però nel mezzo c'è stata la faccenda del salvataggio. E poi sei ateo. Quindi la cosa si è un pelino incasinata".

“Incasinata? Io…”.

“Non capisci. Tranquillo: è normale”.

“Ma se la situazione è incasinata… Perché sei qui? Ci sono sette miliardi di mortali. Perché resti qui?”.

“Perché tu sei speciale. Tu sei un'anima speciale, che desidero avere. E poi sono ancora in debito con te, ricordi? Sono qui perché me lo hai chiesto tu".

“Che cos'ho di speciale?”.

“È la tua anima ad essere speciale…”.

“E tu la vuoi?”.

“Sì… Ma…”.

“A cosa ti serve?”.

“A superare un importante esame”.

“Che devo fare per dartela?”.

“Prego…?”.

“Che devo fare per dartela? Io non credo in Dio, perciò non andrò in Paradiso. Di conseguenza, andrò all'Inferno. Se per te la mia anima è importante, almeno sarà utile a qualcosa. Servirò a qualcosa almeno da morto!”.

“Non è così semplice. Se non credi, la tua anima si dissolverà. Niente Paradiso o Inferno. Capisci?”.

“Per questo mi hai svelato la tua vera natura? Per farmi credere?”.

“Anche… ma…”.

“E quindi? Che dovrei fare?”.

“Io sono in debito con te" riprese Keros, parlando sinceramente e con lo sguardo schivo “Perciò non ritengo giusto ingannarti o farti del male. Sono qui perché me lo hai chiesto, è vero. E un demone rispetta il proprio contratto. Ma sta a te decidere. Ora che sai la verità , puoi ordinarmi di non tornare più”.

“E tu obbediresti?”.

“Per onorare il mio debito, sì”.

Il mortale attese qualche istante.

“Sii sincero" riprese, dopo alcuni attimi “A te da fastidio venire qui? Avere a che fare con me?”.

“All'inizio ammetto che ti avrei scaraventato giù da un dirupo. Ma ora non mi dispiace. Insomma… Sei una sfida interessante".

“Non posso essere in collera. Dopotutto… Tu mi hai detto la verità. Sono stato io a non crederti".

“Sei una persona razionale. Non ci si può vergognare di questo…”.

“E quindi ora… Che succede?”.

“Nulla. Se tu vuoi che torni, tornerò ancora. E, se ci riuscirò, un giorno avrò la tua anima. Me la dovrò guadagnare…”.

“Davvero nel mio libro le descrizioni dei demoni sono perfette?”.

“Sì. Altro aspetto su cui dovrò indagare…”.

“E ci sono altri demoni qui vicino?”.

“Mio zio ha aperto un locale. Se vuoi…”.

“Posso conoscerlo?”.

Il padrone di casa aveva drasticamente cambiato atteggiamento. In principio era spaventato, confuso, ma ora sul volto vi era un'espressione diversa. Era curioso, eccitato. Era d'un tratto consapevole dell'esistenza di un mondo tutto nuovo. Il sanguemisto, al contrario, non sapeva se aveva agito nel modo giusto. Però, si disse, doveva tentare il tutto per tutto. Insistere, fino ad ottenere quella preziosa anima.

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Capitolo 40
*** Primavera ***


40

Primavera

 

Il sanguemisto aveva atteso un po' prima di assecondare la richiesta dell'anima finale, che sognava vedere un locale gestito da demoni. Non voleva mettere troppa carne sul fuoco, preferiva affrontare una nuova scoperta alla volta.  Vi erano tante domande a cui il mortale esigeva risposta e Keros, finché poteva, rispondeva. Doveva ammettere che, da quando aveva svelato la propria natura di demone, la situazione era diversa. L'uomo era sinceramente interessato, rivolgeva domande su storia e passato e condivideva i dubbi che covava dai tempi della laurea. Il principe aveva dovuto ricredersi: rispetto alla media, quell’umano era meno stupido del solito. Si era fatto pure più intraprendente, invitando il mezzodemone a mostre e concerti, uscendo spontaneamente di casa e ritrovando un sincero sorriso. Però continuava ad insistere: voleva vedere com'era un luogo gestito dai demoni. Nonostante gli avvertimenti, continuò ad insistere ed alla fine il tentatore cedette.

 

Al locale di Mefistofele, il mortale era spaesato. Non abituato a frequentare posti simili, non aveva bene idea su dove guardare e come comportarsi. Keros, percependo il suo imbarazzo, lo accompagnò dal proprietario e dai suoi umani.

“Tu sei Mefistofele!” lo riconobbe subito l'uomo che, nonostante fosse piuttosto alto, risultava di una buona spanna al di sotto del demone.

“Ci conosciamo?” storse il naso il tentatore.

“No…ma…”.

“Lui è Ary" si affrettò a spiegare il principe “È l'umano che…”.

“Ah! Ora ho capito!” sorrise Mefistofele “Lo scrittore! Mi hai descritto benissimo, ti ringrazio. E mi hai reso molto affascinante”.

“Avete… letto il mio libro?”.

“In parte. Ma lascia che ti presenti alcune persone. Mio nipote si dovrà preparare, mi occuperò io di te. Vedrai che ti divertirai".

“Preparare? Per cosa?”.

“Per lo spettacolo, ovvio!”.

Il mortale non disse altro, mentre Keros si allontanava a passo svelto. Ora si sentiva ancora più fuori posto, ma Mefistofele lo accompagnò ad un tavolo. Lì sedevano i mortali che volutamente avevano stretto un patto con il padrone del locale, entusiasti di conoscere un nuovo umano tentato. Con un drink davanti, si accomodarono tutti ed iniziarono a parlare.

“E così…” si incuriosì il possessore dell'anima finale “Voi avete evocato il demone?”

“Esatto" confermò un ragazzo.

“E come avete fatto?”.

“Solite cose. Seduta spiritica, formule in latino… Quasi per gioco, insomma. Tanto loro, i demoni, non aspettano altro”.

“E che cosa avete chiesto?”.

Risposero in vario modo, da chi aveva chiesto denaro a chi successo. Qualcuno aveva voluto donne oppure amore eterno.

“Quindi tu non lo hai evocato?” domandò una ragazza “Ti ha cercato lui?”.

“Sì… io… all'inizio non sapevo fosse un demone".

“E quando lo hai scoperto, cosa hai fatto? Come hai reagito?”.

“Io… non pensavo fosse veramente un demone. Ci ho messo un po' per credergli".

“E poi?”.

“Poi? Niente…”.

“Cosa hai chiesto?”.

“Nulla… cioè… è una storia complicata e…”.

“Eccolo sul palco!” interruppe uno dei baristi.

A vederlo così, avvolto da un lieve barlume di potere da tentatore, il mortale ebbe un sussulto. Keros, non lo si poteva negare, era splendido. Tutti avevano occhi solo per lui, uomini e donne, demoni e mortali.

“Allora…” ghignò Mefistofele “Che ne pensi? Ti piace il mio locale?”.

“Ammetto che non è il genere di posto che frequento abitualmente. Però…”.

“C’è una bella vista" concluse il demone, indicando Keros.

“Già…”.

“Non ti fa molto piacere se gli altri lo guardano così, vero?” intuì una cameriera seduta al tavolo.

“No… in effetti…”.

“Tranquillo. È normale. Ti piace. I demoni hanno qualcosa in più che nessun umano potrà mai farti provare. Se vai a letto con un demone, fidati che non vorrai più giacere con un mortale. È tutta un'altra cosa!”.

“Ok ma…”.

“Vorresti che lui concentrasse le tue attenzioni su di te? E invece, mi ‘spiace, stasera il tuo tentatore si scoperà quel gruppetto in prima fila, che ha pagato profumatamente per questo".

“Non è il mio tentatore. E quel che fa sono affari suoi!”.

“Ma sì, Ary. Hai ragione" lo distrasse Mefistofele “Vuoi che ti porti qualche bella ragazza? Per farti compagnia? O preferisci un altro drink?”.

“No, grazie. Per entrambe le offerte. Voglio solo…”.

“Stare qui a guardare? Come preferisci...”.

Il padrone del locale ghignò, mentre Keros continuava ad esibirsi. Ignorò del tutto le disposizioni del mortale e fece portare ancora da bere, assieme ad un paio di belle ragazze.

 

A spettacolo ed intrattenimento privato terminato, Keros raggiuse suo zio Mefistofele ed il gruppo di umani.

“Allora…” sorrise al mortale che voleva farsi chiamare Ary “…ti sei sentito a tuo agio?”.

“Come Dracula alle Maldive a mezzogiorno” rispose l'uomo.

“Eppure… Ti ho visto con delle belle fanciulle. Ed hai il viso ricoperto di rossetto”.

“Mica solo il viso" rise una cameriera.

“Io…” farfugliò il mortale.

“Non devi giustificarti" scosse la testa il mezzodemone “Sei un adulto e sei libero di agire come preferisci".

“Però… Io non…”.

“Dai. Andiamo a casa. Devo rientrare all'Inferno fra poco, ho alcune cose da sbrigare".

Il mortale annuì. Dopo aver salutato i vari demoni e loro umani sotto contratto, si allontanarono sul grosso SUV nero di Ary.

“Sai…” mormorò Keros, lungo la strada “Non devi sentirti in imbarazzo. Ogni tanto fa bene lasciarsi andare”.

“Lo so. Ma non era mia intenzione".

“Ti sei divertito, almeno? Ti avevo avvisato che non era un locale per te”.

“Ogni quanto ti esibisci?”.

“Una volta al mese, circa. Perché?”.

“Così… Per sapere…”.

“Vuoi venire a vedermi? Tutte le volte che vuoi".

“In realtà…” ammise l'umano, dopo aver schivato una grossa buca con l'auto “…ho provato un certo fastidio".

“Perché ti ho lasciato lì da solo? Sì, forse non avrei dovuto e…”.

“Non è questo. Provavo fastidio perché tutti ti guardavano. E si avvicinavano. E…”.

“Eri geloso?”

“No! Cioè…”.

“Anche a me ha dato fastidio vedere tutti quei segni di rossetto. Tu appartieni a me!”.

“Io… che?”.

“Tu… Dai, lo hai capito. Abbiamo un contratto. In quel senso…”.

“Oh. Ok. Ad ogni modo… Lo spettacolo è stato bello. Sei molto bravo".

“Ti ringrazio. E la prossima volta vedrò di farti divertire di più”.

 

Arrivati a casa, Keros decise di non entrarvi.  Era molto tardi, e doveva tornare agli Inferi in fretta.

“Perché vai sempre nel bosco?” alzò le spalle l'umano.

“Ho aperto un portale per l'Inferno. Così non faccio fatica a spostarmi”.

“E non puoi aprirne uno in casa?”.

“Sì… Volendo".

“E perché non lo fai?”.

“Vuoi un portale per l'Inferno in casa?!”.

“Perché? Potrebbe uscirci qualche bestia strana?”.

“In linea di massima no".

“Allora fanne uno nello sgabuzzino. Così sarà più comodo per te".

“Come preferisci. Ma ora devo andare. Ci penserò la prossima volta. Buonanotte".

“Torni domani?”.

“Fra due giorni, come sempre".

“Domani è il mio compleanno…”.

“Oh… In questo caso farò un'eccezione. A domani".

Keros si allontanò in fretta, nel buio. Nel cielo, brillavano molte stelle. Sotto i piedi del principe, i rametti e le foglie in terra non producevano alcun suono. Nell'aria, vi era una lieve fragranza di fiori. Era primavera, e Keros era di buon umore. Preferiva di gran lunga gironzolare senza neve, vento gelido e temperature sotto lo zero. Canticchiò fino al portale, e tornò a casa.

 

A palazzo, dopo essersi concesso un bagno, il principe trovò il re ad attenderlo. Il buon umore dell'erede al trono non era passato inosservato e circolavano voci ed ipotesi fra le più disparate.

“Sei stato da Mefistofele?” chiese Lucifero, attendendo il principe per poter iniziare una breve riunione con alcuni altri demoni.

“Sì” annuì Keros “Vi saluta tutti".

“Devo passare anche io per quel locale…”.

“Perché non ci vai dopo la riunione? Ti farebbe bene…”.

“Potremmo andarci assieme" rise Asmodeo “Come i vecchi tempi. A tentare umani e divertirci".

“Suppongo che sia fattibile” ammise il re “Ma ora siamo qui per parlare di altro".

Riuniti per discutere su alcuni aspetti pratici, fra cui il decidere in quale settore spedire gli inventori dei tormentoni estivi, i vari demoni passarono da un argomento ad un altro. Molti dei presenti, fra le altre cose, erano incuriositi dal mondo umano moderno e chiedevano a Keros quanto fosse mutato dal secolo precedente.

“Io ho cambiato mansione" ammise un ex tentatore “Non riuscivo più a comprendere l'umano moderno. Troppo incasinato e difficile da convincere".

“Sono cambiati sotto alcuni aspetti" ammise Keros “Ma sotto altri, sono sempre gli stessi. I desideri che provano non sono più di tanto mutati. Trovo che Mefistofele abbia trovato un modo perfetto per accaparrarsi anime semplici".

“Ed in gran quantità!” aggiunse Lucifero “C'è però da dire che gli umani sono aumentati esponenzialmente di numero in pochissimo tempo. È perciò normale che il numero delle anime entranti sia maggiore”.

“Molti mortali stanno perdendo la fede" lo corresse il principe “In molti sono atei, o agnostici. Oppure riscoprono antiche religioni".

“Noi siamo le antiche religioni" ghignò il re “Molti antichi Dei sono divenuti demoni".

“Dubito che Zeus stia all'Inferno…”.

“Qualcuno venera Zeus?! Nel nuovo millennio?!”.

“Ti stupiresti. Divinità antiche, natura, culti dimenticati… Un sacco di stranezze".

“A me basta che sempre di meno credano in tu sai chi. Il resto, poco mi importa. E poi so di molti umani che ci venerano”.

“Vero. In molti venerano demoni".

“Altri umani che non hanno capito un cazzo. Io sono per il libero arbitrio, per la libertà totale. Se un mortale vuole compiacermi, non è certo rendendosi schiavo di un culto”.

“Quindi… Gli atei ti stanno bene?”

“Gente che non crede in Dio. E non va in Paradiso. Ottimo. Lo sai che fra me ed il vecchio è in corso una sorta di gara. Non mi frega se le anime si dissolvono: mi basta che non vadano in Paradiso. Se poi finiscono all’Inferno… Meglio!".

“Sì, ma… Se ci servisse l'anima di un ateo?”.

“La tua anima finale è di un ateo?”.

“Già…”.

Più di un demone commentò con versi di dubbio e sorpresa.

“Nulla di che" alzò le spalle Lucifero “Non serve che creda in Dio. Basta che creda in noi. E ci crederà, vedrai. Sono certo che stai facendo un ottimo lavoro. Si capisce dal fatto che sei così di buon umore!”.

Keros arrossì, compiaciuto. La riunione proseguì ancora per qualche ora e poi ognuno tornò al proprio palazzo e territorio.

 

Il principe si era concesso un buon tè assieme al sovrano, prima di ritirarsi per dedicarsi ad altre faccende. I cuccioli di casa stavano correndo per il corridoio, inseguendo una palla. Fra i lanci, avevano combinato un sacco di disastri, fra cui ribaltare e rompere un portacandele. Per rimediare, si stavano organizzando con colla e pennarelli. Simadè, disperato, tentava invano di farli stare buoni.

“Sono ingegnosi…” commentò Keros, osservandoli.

“Del resto…” ghignò il diavolo, sorseggiando tè “…si dice che l'intelligenza si erediti dalla madre…”.

“Oh… Ecco perché tu sei così”.

Lucifero si voltò verso l'erede, arricciando la coda. Poi scosse la testa e rise.

“Era già rotto, nonno" informò, convinta, la piccola Carmilla.

“So che non è così. Ma non fa niente" fu la risposta del diavolo.

“Ma così crescono senza disciplina!” protestò Keros.

“E con ciò? Sono demoni! E poi il padre sei tu. Non è compito mio educarli. Sono il nonno… Il mio scopo è viziarli!”.

“Ci stai riuscendo benissimo…”.

“Lo so. Modestamente…”.

 

Ciao a tutti! Ultimamente aggiorno spesso, spero non di dispiaccia. Capitolino breve ma ne arriverà presto un altro (lunedì prossimo). Vi lascio un saluto, siete sempre di più a seguire questa storia e la cosa mi rende alquanto felice :3 vi rinnovo l'invito alla mia paginetta. È piccina ma ha tanti disegni di Keros che aspettano di essere scoperti.

 

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A presto!

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Capitolo 41
*** Compleanno umano ***


41

Compleanno umano

 

Keros era piuttosto assonnato quando raggiunse la casa del mortale. Splendeva un sole caldo, di metà primavera, e la cosa lo riempiva di energia ed entusiasmo. Però non aveva dormito e questo lo intontiva leggermente. Suonò educatamente alla porta ed entrò, trovando Ary intento a digitare messaggi sul cellullare.

“Pensavo non saremmo stati soli…” commentò il mezzodemone, che si era lievemente schermato per apparire come un normale umano.

“Lo pensavo anch'io" ammise il festeggiato “Avevo invitato dei miei colleghi ma mi stanno tutti scrivendo che hanno da fare…”.

“Oh…”

“La verità è che gli scoccia venire fin qua. E probabilmente gli sto pure un po'sul cazzo…”.

“Ma dai!”.

“Meglio, no? Ho preso la torta per otto persone e siamo solo io e te. Potrai portarne pure a casa…”.

“Interessante…”.

“Questi prima confermano e poi non vengono. Del resto… Non sono un bambino, dovrei smetterla di organizzare feste di compleanno! È che erano anni che non avevo la voglia di organizzare qualcosa. Va a finire sempre così…”.

“Io ci sono!” sorrise Keros “E ti ho portato un regalo!”.

Il pacchetto non era proprio ben fatto, segno che il mezzodemone non era un grande esperto in materia, ma lo porse con orgoglio al mortale. Questi sorrise, dimenticando per qualche istante i messaggi di rifiuto dei colleghi.

“Aprilo. Sono stato sveglio tutta la notte a cercare qualcosa di adatto!” incitò il principe.

“Anche i demoni si fanno i regali di compleanno?”.

“Solo per le date importanti. Ma non parliamo di demoni adesso! Aprilo!”.

L'uomo tolse il nastro rosso e cercò di non strappare troppo la carta color della notte. Dentro vi trovò un libro dalla copertina scarlatta ed una veste del colore della carta. Aprì il libro con curiosità.

“È magnifico!” esclamò, notando come fosse interamente scritto a mano e pieno di glifi e decori.

“Voglio insegnarti un po' di demoniaco” ammise Keros “Questo libro ci aiuterà”.

“Davvero?!”.

“Sì…”.

Ary, visibilmente entusiasta, esaminò la veste ripiegata. Era una specie di giacca con le code, stile millesettecento. Riccamente decorata e ricamata, aveva bottoni e dettagli in oro.

“Ha l'aria di essere molto costosa…” commentò, quasi avendo paura di toccarla.

“Provala. Non so se è la misura giusta. Ho scelto un po' ad occhio”.

Il mortale la indossò, facendo poi un giro su se stesso. Era perfetta!

“Ti sta benissimo!” sorrise Keros “Sembri un elegante demone di città”.

“Sul serio?”.

“Sì. Ti piace?”.

“Tantissimo. Non so cosa dire. Quanto hai speso? Io non…”.

“Non si dicono i prezzi dei regali!”.

“Giusto… Ma…”.

“Ora che si fa? Io avrei un'idea…”.

“Io…”.

Keros, avvicinandosi al mortale per aiutarlo a togliere la giacca, indugiò qualche istante. Le mani sul petto del mortale, lo fissò e poi sorrise.

“Accompagnami allo sgabuzzino. Apro un portale, ti va?”.

“Mi faresti vedere come?”.

“Sì. Dopotutto è casa tua e senza il tuo permesso non potrei…”.

“Non vedo l'ora! Andiamo!”.

 

Dopo aver svuotato lo sgabuzzino, che conteneva qualche scopa e scatoloni chiusi con lo scotch, Keros si mise subito all'opera. Per prima cosa, si procurò un piccolo taglio sulla mano. Poi iniziò subito a tracciare i complicati segni che componevano il portale. Allo stesso tempo, pronunciava parole incomprensibili in demoniaco. Il mortale osservava tutto con assoluto interesse, senza distogliere mai lo sguardo. Per usare al meglio il proprio potere, il principe non celava l'aspetto da demone. Nel buio, il suo sguardo ed il portale iniziavano ad illuminarsi.

“Un normale umano avrebbe paura… O almeno, dovrebbe averne” commentò il mezzosangue, continuando il disegno.

“Probabilmente hai ragione. Si vede che non sono tanto normale" rispose il padrone di casa, accucciandosi accanto al sanguemisto per vedere meglio.

Una volta tracciati tutti i segni, Keros si alzò. La sua voce, con le ultime parole in demoniaco, attivò il portale. Questi si accede di luce color del sangue ed i glifi creati si misero a roteare. Poi tutto svanì, senza lasciare traccia alcuna.

“Ma… Dov'è finito?!” si guardò attorno l'umano.

“Da nessuna parte…” lo rassicurò il principe, allungando il piede verso il punto dove fino a qualche secondo prima brillava il portale. Così facendo, lo riattivò.

“Solo con un tocco demoniaco si apre. Così nessun mortale rischia di finirci dentro".

“E se accadesse? Intendo dire… Se io lo attraversassi, cosa mi accadrebbe?”.

“Intanto deve essere attivo. Altrimenti, con un tocco mortale, non accade nulla. Dovessi riuscire a passare, di certo all'Inferno non sopravvivresti. I demoni ti farebbero a pezzi”.

“Oh…”.

“Bene…” si stiracchiò Keros “Che ne dici di dedicarci al dolce? Sono un po' stanco, ho bisogno di ricaricare le energie con una buona dose di zuccheri!”.

“Aprire un portale è faticoso?”.

“Abbastanza. Ma con un pezzo di torta sarò come nuovo”.

“Sei un demone molto goloso o siete tutti così?”.

“La gola è un peccato. Abbiamo tutti un debole per il buon cibo… però, lo ammetto, io sono piuttosto goloso!”.

“Meglio. Perché ne ho parecchia di torta da farti mangiare!”.

 

Rifiutando le candeline e le canzoni di compleanno, il festeggiato aveva tagliato una grossa fetta per Keros. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle piccola corna dell'ospite, quasi impercettibili ora che il principe era tranquillo e non in collera, e si era incantato a fissarle. Il sanguemisto lo notò e si sentì in lieve imbarazzo. Si concentrò, per farle svanire.

“No. Perché?” chiese il mortale.

“Mi fissavi… pensavo…”.

“Sono simpatiche. Con me puoi anche fare a meno di celarle”.

“Ok ma… Non fissarmi troppo senza dire niente…”.

“Ti piace la torta?” cambiò drasticamente argomento l'uomo.

“È deliziosa. Un giorno dovrò portarti uno dei dolci delle mie parti. O magari potrei preparartelo… Che ne dici? Ti potrebbe interessare?”.

“Se non è tossico per gli umani…”.

“No, non lo è. È una tentazione. Ma ora godiamoci questa ottima torta. E facciamo un brindisi. A te, con l'augurio di festeggiare tanti altri compleanni!”.

“Grazie”.

Rimasero in silenzio, mangiando con gusto il dolce e sorseggiando vino frizzante.

 

“Penso sia stato uno dei compleanni più memorabili della mia vita" rise il padrone di casa, una volta sazio.

“Sul serio?”.

“Assolutamente. Insomma…quanti possono dire di aver visto aprire un portale per l'Inferno il giorno del proprio compleanno?”.

“Penso non in molti, in effetti!”.

Keros ridacchiò. Ary prese piatti e bicchieri, iniziando a lavarli.

“È la tua festa. Lavali domani!” suggerì il principe.

“Non mi piace vederli lì. Puoi mettere la torta avanzata in frigo?”.

“Certo. E poi scegliamo un bel film idiota ed andiamo a spaparanzarci sul divano”.

“Ottimo programma!”.

Il mezzodemone, dopo aver riposto il dolce in frigorifero, sedette sul tavolo e si soffermò a fissare il mortale. Girato di schiena, stava ancora lavando i piatti. Lo osservava mentre muoveva leggermente la testa, scostando i capelli neri stretti in una coda. Si ritrovò a sorridere, perché raramente si era sentito così.

“Ecco… Ora...” il festeggiato si voltò, asciugandosi le mani con uno straccio.

“Sì?” gli rispose Keros, inclinando leggermente la testa.

Si fissarono qualche secondo. Poi il mortale si mosse in avanti, dando un lieve e brevissimo bacio sulle labbra al sanguemisto. Subito si ritrasse.

“Perdonami. Io… non so cosa mi sia preso… però…”.

Il tentatore era rimasto immobile, stupito da quel gesto. L'unico altro bacio che aveva mai dato sulle labbra, aveva avuto pessime conseguenze. E poi davanti a sé aveva un umano! Un semplice, stupido umano! A vederlo così imbarazzato, e ripensando al tocco delle loro labbra, capì di non trovarlo né semplice né stupido. Che stava facendo? Che conseguenze poteva avere? Non importava. Voleva essere felice, assecondare i propri desideri! Sorrise e tirò a sé il mortale, unendosi a lui in un lunghissimo bacio. Era bello, era strano… Preferiva non rifletterci molto. Sentiva le mani dell'umano su di sé, che si facevano sempre più audaci.

“Aspetta!” disse d'istinto il mezzodemone, scostandosi.

“Hai ragione… una cosa alla volta… Ti chiedo scusa…” mormorò Il padrone di casa, vergognandosi un po'.

“Non è questo…” distolse lo sguardo il principe, richiudendo un paio di bottoni della camicia.

Non voleva che si vedessero i tatuaggi ma, fra la mancanza di sonno ed il portale aperto, era troppo stanco per riuscire a schermarli a lungo.

“Vorrei tanto rivederli…” ammise Ary.

“Cosa?”.

“Quei tatuaggi".

“Come li hai…?”.

“Quando ti ho curato. Ricordi? Il nostro primo incontro. Eri svenuto e ti ho fasciato la gamba. Ho visto solo un pezzo di quel disegno… e speravo di poterlo osservare meglio".

“Perché?!”.

“Perché è bello. È un bel tatuaggio”.

Keros non sembrava convinto. Aprì leggermente la camicia, mostrando il disegno più complicato che portava sul corpo: il tatuaggio che decorava la spalla sinistra. L'umano lo osservò, in silenzio.

“Perché lo nascondi?” chiese poi “Non ho mai visto un tatuaggio così bello. Io, ne avessi uno così, lo metterei sempre in mostra".

“Tu… Lo pensi davvero?”.

“Perché? Non capisco…”.

“Sai… Gamba e braccio sono collegati dal disegno. Vuoi vederlo tutto?”.

“Resta qui stanotte. E mostrami tutto quello che vuoi”.

 

Nessuno lo aveva mai trattato in quel modo. Nessuno era stato in grado di accettare ogni suo aspetto, a partire dai tatuaggi. E, ne era certo, stava accadendo tutto senza che stesse usando i propri poteri da tentatore. Era felice, e si sentì uno sciocco ad averlo compreso solo in quel momento. Accanto al letto matrimoniale, in quella camera rimasta chiusa troppo a lungo, Keros si lasciava baciare. Non voleva pensare, si impose di non farlo. Il mortale era impacciato, probabilmente perché non si era mai ritrovato in determinate situazioni con un uomo. Quando il mezzodemone rimase senza camicia, si soffermò di nuovo sui tatuaggi.

“Fin dove arriva?” mormorò, passando con l'indice lungo il fianco sinistro di chi aveva di fronte.

Il principe, con un mezzo sorriso, guidò quella mano fino all’altezza della cintura.

“Fin dove immagini…” rispose, mentre entrambi restavano con sempre meno vestiti addosso.

Quella mano si mosse ancora e finì sui boxer. Il sanguemisto, apprezzando molto quel tocco, ricominciò a baciare l'umano e lo strinse a sé. Lo trascinò a letto, con la sensazione che donava la pelle nuda ad inebriarlo. Si sentiva stranamente tranquillo, a suo agio, nonostante la luce accesa. Sperava che anche il mortale provasse sensazioni simili e non gli mise fretta. Era evidente che si trovava in una situazione nuova e probabilmente era in imbarazzo. Keros lo baciò ancora e gli sorrise. Questo parve donargli una notevole dose di sicurezza ed eccitazione. Ricambiando il bacio, e non staccandosi da quelle labbra dal sapore dolce, si fece decisamente più intraprendente. Il sanguemisto ebbe un lieve sussulto, sentendosi penetrare. Sorrise, compiaciuto, non desiderando altro.  Socchiuse gli occhi, soddisfatto nel sentire i gemiti di piacere di quell’anima finale, che vibrava eccitata durante quell'atto.

“Ary…” sussurrò il tentatore.

I movimenti si facevano più rapidi, così come i sospiri eccitati di entrambi.

“Ary…” mormorò di nuovo Keros, d'un tratto comprendendo la situazione.

Stava provando piacere, un piacere intenso che nessun altro umano gli aveva mai fatto provare. Si lasciò sfuggire un grido eccitato, tentando di mantenere il controllo. Ma ormai era tardi, non riuscì a fermarsi o concentrarsi a sufficienza. Percepì l'orgasmo del mortale, che alzò lo sguardo al cielo qualche secondo. Poi spalancò gli occhi perché, di colpo, le ali argentee del sanguemisto si erano spalancate.

Il tentatore rimase in silenzio, ansimando. Mai con un essere umano aveva provato l'orgasmo. Mai con un essere umano aveva spalancato le ali.

“Sei la creatura più bella che io abbia mai visto" gli sussurrò dolcemente il padrone di casa, chinandosi ed abbracciandolo.

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Capitolo 42
*** Pensieri ***


 

42

Pensieri

 

Keros riaprì gli occhi nel cuore della notte. La luna, il cui pallido bagliore entrava dalla grande finestra della stanza, contornava gli oggetti della camera con luce argentea. Ci mise qualche istante, per realizzare dove si trovasse e che cosa stesse facendo. Era nudo, con le ali ancora visibili, steso a letto accanto ad un mortale profondamente addormentato. Si mise a sedere, indeciso sul da farsi. Che stava combinando? Quello era un umano! Come era mai possibile che un mortale lo condizionasse in quel modo? Lo guardava, mentre riposava tranquillo, e non provava altro desiderio se non quello di restargli accanto. Ma perché? Si scosse, piuttosto confuso. Forse era meglio riordinare le idee altrove…

 

Giunto a palazzo, il sanguemisto raggiunse in fretta le proprie stanze. Si guardò allo specchio, prendendo un profondo respiro. Che gli stava succedendo? Perché si sentiva così felice e, allo stesso tempo, fuori posto?

“Avete fatto tardi…” si sentì dire.

Simadè era sulla porta, pronto a servire il principe.

“Sì…” mormorò Keros.

“Vi porto la cena? Avete bisogno di altro?”.

“Siediti, per favore. Ho una cosa da chiederti. Un consiglio…”.

“Ne sarei onorato".

Il mezzodemone si stese a letto, Simadè preferì sedersi ed osservarlo.

“Come si capisce se si è innamorati?” domandò Keros.

“Come si capisce? Perdonatemi ma… non siete più un ragazzino. Dovreste saperlo".

“Ebbene: non lo so. In compenso so che tu sei innamorato, di Lilien. Dimmi come si capisce".

“Non è facile da spiegare. È un insieme di pensieri, ragionamenti, reazioni… Vi sentite felice quando siete in compagnia di quella persona, ci pensate sempre, volete averla accanto…”.

“E poi…?”.

“Poi provate desiderio. Desiderio fisico. E magari fantasticate su un futuro ipotetico. Ma perché, se posso saperlo, fate una simile domanda?”.

“Ammetto di non capire più me stesso. Non so se sono innamorato oppure se…”.

“Oh. Ma voi lo siete di sicuro!” interruppe il servo, con un ghigno.

“E come lo sai?”.

“Da come vi comportate ultimamente. Tutto il palazzo lo sa. Siete distratto, con la testa fra le nuvole, di splendido umore e sorridente. A volte perfino canticchiate. E sospirate. Sospirate con quello sguardo sognante…”.

“Io non… non me ne ero accorto!”.

“Siete molto innamorato e sarei davvero lieto di sapere di chi. Girano delle scommesse…”.

“Ma no! Io…”.

“Di che parlate?” interruppe Lilien, entrando di colpo nella stanza e buttandosi sul letto.

“Il principe è innamorato" spiegò Simadè.

Subito la demone ridacchiò ed iniziò a punzecchiare il sanguemisto, con canzoncine infantili a tema sentimentale.

“Piantatela!” sbottò Keros, arricciando il naso “Non è divertente".

“E perché?!” si stupì Lilien.

“Mi ero ripromesso di non innamorarmi. Ho visto che conseguenze porta l'amore. Non voglio avere il cuore a pezzi…”.

“Non tutti gli amori finiscono così...”.

“Questo sì. È inevitabile “.

Subito il principe pensò al fatto che l'umano sarebbe vissuto molto poco, meno di un secolo. Lo avrebbe lasciato solo in così poco tempo… Il solo pensiero, lo rattristò.

“Altezza…” si intromise Simadè “Se posso darvi un consiglio: non rimuginate troppo. L'amore è istinto. Ed alcuni di essi vanno vissuti e basta. Magari poi ci spezzano il cuore, ma prima di quel momento ci rendono davvero molto felici. Se questa persona vi rende felice, perché soffrire pensando a quel che sarà? Inoltre, se siete molto innamorato, ignorare questo sentimento vi renderà solo più affranto. Non siate sciocco. Vivete il momento!”.

“Dici?”.

“Ma sì!”.

“Kerosino innamorato!” ridacchiò Lilien “E non ci dici di chi? Dai! Siamo i tuoi confidenti!”.

“Io vi definirei più degli scopamici" storse il naso il sanguemisto “E dove sono i tuoi cuccioli?”.

“I NOSTRI cuccioli, vorrai dire. Stanno dormendo. O facendo danni da qualche parte, suppongo…”.

Il mezzodemone scosse la testa, tentando di togliersi di dosso la demone. Fortunatamente, un lieve bussare alla porta interruppe tutti quegli strani discorsi.

“Maestà!” sobbalzò Simadè, vedendo entrare Lucifero.

“Vi ho interrotti? Scusate…” ghignò il re.

“Nessuna interruzione” mosse una mano Keros.

“Stiamo solo spettegolando" annuì Lilien.

“Bene. Ok… Keros, che fai domani sera?” riprese il sovrano.

“Nulla. Credo. Perché?”.

“Devo assentarmi per un paio di giorni.  Vado in visita al palazzo di Samyaza e vorrei che mi sostituissi".

“Non c'è problema”.

“Sicuro? Non è che ti scoccia? Ti distraggo dall'anima finale o da altre faccende che…”.

“Quali altre faccende?”.

“Quelle che ti fanno canticchiare stupidaggini per il corridoio. Ci siamo capiti, no?”.

“Ah… ma… anche tu pensi che io…?”.

“Che tu sia strano e rimbambito? Sì. Lo pensano tutti. E preferisco pensare che tu sia innamorato, piuttosto di crederti del tutto rimbecillito senza motivo”.

Il principe non disse nulla. Non aveva idea di cosa rispondere.

“Allora…” incalzò Lucifero “…mi sostituisci per due giorni?”.

“Sì…” mormorò Keros.

“Che ti prende adesso?!”.

Il sanguemisto aveva sospirato di nuovo, guardando un punto imprecisato della camera.

“Pene d'amore?” ridacchiò Lilien.

“Ma lasciami in pace!” sibilò il mezzodemone, iniziando un breve bisticcio.

“Ok. Adesso basta!” li zittì il re “Voglio parlare da solo con mio figlio. Uscite!”.

Simadè obbedì immediatamente. Lilien si lagnò un po' ma alla fine dovette lasciare la camera, chiudendo la porta dietro di sé.

 

“Ora siamo soli. Dimmi: qual è il problema?” parlò Lucifero, sedendo sul letto accanto all'erede.

“È complicato…” sospirò Keros.

“Prova a fare un riassunto".

“È che… ecco… Sono successe delle cose che non avevo calcolato. Ed ora non so che fare. Mi scoppia la testa…”.

“Non può essere poi tanto grave. Che sarà mai accaduto?!”.

“Ho fatto sesso".

“E con ciò? È un problema?”.

“Con una persona con cui non avevo in mente di… Cioè… Non so come spiegare…”.

“Hai fatto sesso con qualcuno con cui non avevi in mente di fare sesso?”.

“Circa…”.

“Si chiamano rapporti occasionali, ragazzo. Continuo a non capire perché ti agiti tanto".

“Mi agito perché ora non so cosa fare. Credo… che questa persona mi piaccia, e anche molto. Ma so che vivere un amore del genere è sbagliato. So che sarebbe una storia che mi incasinerebbe l'esistenza!”.

“E di chi mai ti sei innamorato?! Non sarà mica un angelo, vero?”.

“No!”.

“Meno male. Ne sono sollevato. Nel senso… non ti avrei impedito di esprimere i tuoi sentimenti, ma non ne sarei stato molto felice. Dunque… Tornando al tuo problema, prova a fare un elenco dei pro e dei contro".

“Un elenco…”.

“Sì. Scrivi, nero su bianco, gli aspetti positivi e negativi che questa storia può avere. Per esempio potrebbe essere positivo che ti renda felice. Questo varrebbe già molti punti".

“Che mi renda felice?”.

“Sì. Se avere accanto questa persona ti rende felice, rende la tua vita più bella, allora perché rinunciarvi? Devi inseguire la felicità, ragazzo mio. Se una cosa ti rende felice, allora non può essere sbagliata".

“Mi rende felice anche uccidere umani per nutrirmi del loro sangue…”.

“Ed il problema esattamente dove sarebbe?”.

Keros trattenne un sorriso. Di certo non poteva svelare di avere tutti quei dubbi su un semplice umano, il re non avrebbe mai approvato. Però l'idea dei pro e dei contro gli pareva buona. Così decise, una volta rimasto solo in stanza, di scrivere subito il proprio elenco.

 

Ricomparve dal mortale a mattina inoltrata. Lo trovò davanti al computer, intento a scrivere e sorseggiare caffè.

“Non so come funzioni nel mondo dei demoni…” iniziò a parlare Ary, senza distogliere lo sguardo dal pc “…ma nel mondo umano non è molto cortese andar via in piena notte, senza dire nulla".

“Perdonami" sospirò Keros “Avevo bisogno di riflettere".

“E secondo te per me non vale lo stesso?”.

Finalmente i loro sguardi si incrociarono, ed il principe sorrise d'istinto.

“Sei un demone" riprese l'umano “Secondo te, non mi pongo dei dubbi a riguardo? Per quel che ne so, tutto questo potrebbe essere solo un modo subdolo per ottenere la mia anima. Potresti avermi incantato e costretto a provare sentimenti di cui mi stupisco. Anche la mia testa è piena di dubbi".

“Allora… Parliamone. Discutiamone insieme, ti va? So che ho sbagliato ad allontanarmi nel cuore della notte ma, come puoi vedere, ora sono qua".

“Va bene…”.

“Non ho usato il mio potere ieri notte. Non ho mai usato le mie doti di tentatore per spingerti a fare sesso con me. Quel che sta succedendo è del tutto imprevisto".

“Ma precisamente… Per te che cos'era? Intendo… Ieri notte. Era sesso oppure…?”.

“Non lo so. So che non ne sono pentito. E so che sono così felice, quando sto accanto a te, da dimenticare qualsiasi altra cosa. E tu? Cosa pensi sia stato?”.

“Qualsiasi cosa fosse, vorrei accadesse ancora. E ancora. Però… Resti comunque un demone. Come faccio a sapere che non è tutto un inganno?”.

“Penso non sia possibile capirlo. Devi solo fidarti di me".

Il padrone di casa rimase in silenzio. Keros inclinò la testa, non sapendo bene che cosa fare.

“Forse…” parlò poi il sanguemisto “…abbiamo bisogno di altro tempo per decidere. Avrò molti impegni nei prossimi giorni, dovrò stare lontano da questa casa e da te fino alla fine della settimana. Nel frattempo, potremo riflettere e capire. In quei giorni starò distante, quindi il mio potere non influirà in alcun modo sulle tue decisioni. Tutti i sentimenti che proverai, non saranno provocati dalla magia demoniaca. E…”.

“E poi? Sono la tua anima finale, dopotutto".

“Se vorrai che io sparisca dalla tua vita, lo farò. A malincuore, ma lo farò”.

“Oh…”.

“Ora ti lascio lavorare".

“Non sto lavorando. Cioè… non proprio. Ho iniziato un nuovo romanzo”.

“Davvero? Che bella notizia".

“Parla anche di te. Se non ti infastidisce…”.

“Scrivi pure tutto quel che vuoi".

“Vieni qui. Ti faccio leggere un pezzo".

Keros si avvicinò, sbirciando e leggendo sullo schermo. Vi era descritto il loro primo incontro. Sorrise, ripensandoci.

“Ho avuto l'ispirazione appena mi sono svegliato” ammise il mortale “Il profumo che hai lasciato sulle lenzuola deve avermi risvegliato il lato da scrittore".

“Buono a sapersi…”.

Il mezzodemone decise di terminare la lettura comodamente seduto sulle gambe dell'umano, che si divertiva a far ruotare la sedia d'ufficio su cui stava.

“Con me non serve che le nascondi, sai?” mormorò, sfiorando con la mano la schiena di Keros.

“Sono scomode in casa" ammise il principe “Ma spero di potertele mostrare di nuovo".

“Perché non adesso?”.

“Come…?”.

Il mortale strinse a sé il sanguemisto, baciandolo con un certo trasporto. Il tentatore contraccambiò quel bacio. Sentì una delle mani dell'umano scendere ed infilarsi sotto la cintura.

“Voglio vedere le tue ali…” sussurrò Ary.

Il mezzodemone ghignò, alzandosi in piedi.

“Ora te le mostro" rispose, iniziando a sbottonare la camicia.

“No. Voglio essere io a farle comparire" ribatté l'umano, baciando di nuovo colui che aveva di fronte ed usando entrambe le mani per abbassarne i pantaloni.

Keros lo lasciò fare. Chiuse la porta, voltandosi verso di essa. Così facendo, permise al mortale di cingerlo da dietro. Con le braccia tese e poggiate sull'uscio in legno, il principe chiuse gli occhi. Il mortale ne accarezzava il petto, mentre iniziava a possederlo. Il mezzodemone guidò quella mano verso il basso, risollevando leggermente il busto. Percepiva il respiro affannoso e sempre più accelerato dell'umano sul collo. Fu lieto di provare di nuovo quella potente sensazione di piacere. Sovrastò la mano del mortale che, nell'eccitazione si muoveva sempre più rapida attorno al membro eretto del principe. Il sanguemisto chiuse di nuovo gli occhi. Gemeva per il piacere e sentire l'umano fare lo stesso lo trovò estasiante. Lo sentiva dentro di sé e, allo stesso tempo, percepiva quella mano muoversi sempre più rapida.

“Voglio vedere le tue ali!” ansimò il padrone di casa.

Il principe non rispose. Non aveva nulla da dire. Sperava che quel momento non finisse. “Non fermarti" ripeteva nella sua mente “Ary, non ti fermare!”. Quegli attimi, che precedevano di poco l'orgasmo, li amava. La mano libera del mortale andò a stringere quella che Keros premeva contro la porta. I movimenti dell'uomo si erano fatti irruenti ed ogni spinta costringeva il mezzodemone a lanciare un gemito appassionato.

Una goccia di sudore ne bagnò il viso e sorrise. Le ali non comparvero di botto, come nella notte precedente. Si schiusero piano, avvolgendo i due amanti in un abbraccio argenteo. Rimasero in silenzio, uniti, ansimando.

“Spero ti sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me" mormorò Keros, con un ghigno soddisfatto.

Non aveva bisogno di ricevere risposta: il volto dell'umano era espressione di pura estasi.

 

Ve lo avevo un pochino promesso. Nella descrizione del racconto si parla di Yaoi e fin ora non ne avevo messo un granché. Ma ora… Eccoci qui: soft Yaoi per voi :p A presto!

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Capitolo 43
*** Facciamo un patto ***


43

Facciamo un patto

 

“Altezza!”.

La voce riecheggiò nella sala del trono. La stessa parola, fu ripetuta più e più volte finché, spazientita, colei che la pronunciava non puntò i piedi.

“Keros!” esclamò.

Solo in quel momento il principe girò gli occhi, notando un'altra presenza nella stanza.

“Non serve gridare, Lilith" parlò il sanguemisto “Cosa ti serve?”.

“Vi sto chiamando da mezz'ora!” alzò le braccia Lilith.

“Ah, sì?”.

“Sì. I ricevimenti per oggi sono terminati. Potete tornare in ufficio oppure ritirarvi in stanza”.

“Non mi dispiace stare qui"

Il principe sorrise, sorreggendosi la testa e fissando il soffitto. La sala del trono era magnifica, ricca di sfarzo e meraviglie. Arazzi, dipinti, stucchi e dettagli preziosi non potevano che incantare chiunque vi entrasse.

“Lilith… Sai perché Lucifero è da Semhiaza?”.

“No, Keros. Ma non mi è sembrato un motivo serio. Penso che semplicemente volesse fare quattro chiacchiere con il suo amico. Sai… Semhiaza è il demone che ha guidato la seconda caduta. Sono molto simili, sotto certi aspetti”.

“Oh, capisco. Sono felice che si svaghi un po'. Ne ha bisogno”.

“Avete perfettamente ragione”.

 

Lucifero e Semhiaza si erano concessi una serata al “Mephistophel". Il padrone del locale, orgoglioso di avere ospiti illustri fra i tavoli, era di splendido umore.

“Cosa vi offro, maestà?” sorrise, fiero.

“Stupiscimi, Mefistofele" gli rispose Lucifero, ricevendo il cocktail della casa.

In un bicchiere affusolato ed intagliato, il liquore rosso come il sangue luccicava con le luci della sala.

“Keros viene ancora qui ad esibirsi?” volle sapere il re.

“Certo, maestà” annuì Mefistofele “L'ultima volta ci ha portato il mortale, quello con l'anima finale".

“Come ti è sembrato?”.

“Il principe sta usando un’ottima strategia. L'umano è ateo, quindi non basta fargli commettere gravi peccati. Ma Keros ha fatto ben altro! Lo ha fatto innamorare!”.

“Innamorare?!”.

“Sì! Quello stupido umano è innamorato perso di Keros! L'ho capito appena ha messo piede nel locale. È perfetto! Una volta morto, farà tutto il possibile per restare accanto al suo amato. Perfino andare all'Inferno! Lo sta legando a sé in modo che non riesca a stare senza il demone che ama. È perfetto! Una volta morto, l'anima finirà all'Inferno di sicuro. Specie se si accoppiano. A Keros non costa nulla e per l'umano significa dannazione eterna!”.

“Geniale" convenne Semhiaza, sorseggiando il liquore.

“Non sapevo di questa sua strategia" ammise Lucifero “Ma è davvero molto interessante. Il mio ragazzo è speciale".

“Ne sa una più di te" sghignazzò Mefistofele, proponendo un brindisi.

 

Dopo un ulteriore giro di cocktails, i tre demoni uscirono su un terrazzino esterno, dove era possibile fumare. Da lì, si vedevano tutti coloro che entravano nel locale. Osservandoli, i tentatori ipotizzavano cosa potessero desiderare.

“Quello per me vuole più soldi" indicò Semhiaza “Guardate come finge di essere ricco, con addosso oggetti contraffatti”.

“Giusto. E per me quello vuole le donne" ne indicò un altro Mefistofele “Guardate come osserva tutte le femmine come fossero merce da supermercato".

“Quello invece…” ghignò Lucifero, espirando il fumo della sigaretta e puntando un umano particolarmente grasso “…vuole solo una torta alla crema".

Mefistofele ridacchiò e, una volta terminata la propria sigaretta, si congedò per poter tornare al lavoro.

“Sapete…” iniziò Semhiaza, rimasto solo con Lucifero “…dovreste portarci Lilith un giorno. Vi divertireste".

“Hai ragione” annuì il re “Se salisse sul palco, farebbe morire più di qualcuno”.

“È una donna bellissima. Ed a voi fedele, in un certo modo. Avete mai pensato di prenderla in moglie? Come regina, sarebbe perfetta".

“Lei non accetterebbe mai un legame come il matrimonio. Poi io ho promesso di sposare colei che fosse stata in grado di darmi un figlio".

“Sì ma…”.

“Dove vuoi portarmi con questa conversazione, Semy?”.

“Da nessuna parte in particolare, Lucy. Lo dicevo solo per ricordarvi che la vita va in avanti, non all'indietro".

“Ma dai. Non mi dire…”.

“Il vostro sguardo lo conosco bene. Non dovete attendere che il dolore svanisca da solo. Dovete essere voi a farlo svanire".

“Ma di che parli?!”.

“La morte della donna che si ama non si supera. Rimarrà sempre lì. Ma il cammino dell'esistenza prosegue. Io sono caduto perché innamorato di un’umana, con cui ho avuto un figlio. Dio ha mandato gli angeli ad uccidere entrambi ed ha reso me un demone. Inutile dire che avrei preferito la morte. La differenza fra noi era proprio questa. Voi avevate sempre quella luce negli occhi. Una luce di speranza, di sfida, che io avevo perso. Ma ora quella luce non la vedo più”.

“Mi sembra di sentire le farneticazioni di Azazel…”.

“Era il mio braccio destro, prima di cadere. Era un ottimo consigliere”.

“Come per me Asmodeo. Ed alla fine ce lo siamo presi tutti quanti nel culo".

“Siete pentito?”.

“Pentito? Mai! Solo incazzato. Ma non è una novità”.

“Lei era bellissima. Così come era bellissima Carmilla. So che saprete voltare pagina…”.

“Chissà…” sospirò il sovrano, gettando il mozzicone della sigaretta “Magari un giorno la vedrò. Magari un giorno incontrerò una donna speciale. Magari un giorno vedrò in lei una regina…”.

“Questo è lo spirito giusto, fratellone"

“Fratellone no, ti prego!”.

“Riflettici: sei la creatura più vecchia del cosmo. Dopo Dio, ovviamente".

“E rifletterci a che conclusione dovrebbe portarmi?!”.

“Dovreste ormai aver capito che nulla è eterno”.

“Tranne i miei giramenti di coglioni…”.

“Già… Può darsi!”.

 

Quei tre giorni erano parsi lunghissimi a Keros. Quando vide rientrare Lucifero a palazzo, sorrise con entusiasmo. Il re scosse la testa, divertito, sapendo bene che quel sorriso era rivolto altrove.

“Quando avrò l'onore di conoscere la creatura che ti rende tanto felice?” chiese, apprestandosi a tornare in ufficio.

“Conoscere? Perché?” alzò un sopracciglio il principe.

“Come sarebbe a dire? È così che si fa!”.

“Non so. Un giorno…”.

“Hai paura che possa fare qualcosa di strano?”.

“Anche. Poi… mi serve tempo! Insomma…”.

“Smettila di farfugliare! Fa quello che ti pare! Piuttosto… cerca di usare delle precauzioni, se non vuoi altri eredi".

“Veramente…”.

“È un maschio?”.

“Sì…”.

“Lo sospettavo. Meglio così! A me basta vederti sorridere! Posso almeno sapere come si chiama? O da quale demone caduto discende?”.

“Sei un impiccione".

“Lo so!”.

“Ne parleremo con calma. Ora devo andare”.

“Ok… Va bene. Speravo in un po' di sana conversazione che…”.

“La prossima volta. Non sei stufo di parlare con me?!”.

“E perché dovrei?”.

“Perché sei…”.

“Almeno dimmi come procede con l'anima finale!”.

“Bene. Direi… bene…”.

“Sei riuscito a scoprire di più riguardo al fatto che ci ha descritti così bene in quel suo libro?”.

“Veramente no…”.

“Prova a chiedergli di descriverti gli angeli".

“Perché?”.

“Magari è un profeta. Ci ho pensato solo adesso. Se descrive in modo corretto anche gli angeli, potrebbe essere destinato a ricevere una missione da parte di Dio. O cose del genere”.

“Ok. Proverò. Ora vado…”.

 

Forse, si disse, era andato via in modo troppo brusco. Però aveva fretta! Voleva raggiungere al più presto il mortale e sapere quel che aveva pensato in tre giorni. Fremeva per conoscere l'esito dei suoi ragionamenti. Entrò in casa attraverso il portale e scese le scale, sicuro di trovare l'umano davanti al computer.

L'uomo sobbalzò, non avendo udito i passi di Keros e vedendoselo spuntare sulla porta.

“Non volevo spaventarti. Come promesso… sono qua" salutò il principe.

“E ne sono davvero felice".

“E dunque… a che conclusione siamo giunti?”.

“Io…”.

“Posso dirti un paio di cose, prima?”.

“Certo!”.

“Per prima cosa, io sono un demone vampiro. Mi nutro di sangue, anche umano. Ed è capitato che uccidessi qualcuno. Ovviamente non accidentalmente, so quando fermarmi. Se uccido, è perché voglio farlo".

“Va bene. Insomma… preferisco non pensarci ma, alla fine, sei un demone. Non posso aspettarmi che ti nutra di pane azzimo ed acqua".

“Seconda cosa: voglio una promessa da te".

“Di che tipo?”.

“Se mi vuoi accanto, voglio che accetti questo patto. Voglio che tu non dica mai stupidaggini riguardo la tua anima. Non voglio la tua anima".

“Non vuoi la mia anima?! Ma io pensavo che…”.

“Sono innamorato di te" ammise Keros, girando lo sguardo “E spero che anche tu lo sia di me. Perciò non voglio la tua anima, non la voglio più. Averla significherebbe condannarla per l'eternità all'Inferno”.

“Ma non sarei condannato comunque, se ti amassi?”.

“Ci sono tanti modi per andare in Paradiso. Tranquillo… so come fare. Ma tu non devi cederla a me. Non devi pensare di volermi concedere la tua anima, perché se la leghi a me non saprò cosa inventarmi. Capito?”.

“Capito. E quindi…?”.

“Quindi io ora voglio stare qui, con te. So che la tua vita, rispetto alla mia, è breve. Mi piacerebbe però coglierne ogni istante. Però…”.

“Però…?”.

“Tu che cosa hai deciso? Sappi che, se non è tuo desiderio avermi qui, me ne andrò e non mi rivedrai. Comprenderei il tuo punto di vista. Sono un demone, dopotutto. Ed è normale che tu possa provare paura”.

“È vero. Ho paura. Però sai una cosa? Sono stufo di avere paura. Che cos'ho da perdere? La mia vita è una solitaria lotta per non lasciarmi andare all'oblio perché troppo debole per reagire. Tu mi stai donando la forza, ed è una sensazione bellissima. Vorrei tanto che tu restassi qui, con me. Vorrei tanto che tu mi amassi, tanto quanto ti sto amando io ormai da mesi".

Keros sorrise, rimanendo però ancora fermo sull'uscio. L'umano si alzò, avvicinandosi.

“Tuttavia... c'è una cosa che voglio sapere" mormorò, sorridendo a sua volta.

“Chiedi pure" rispose il sanguemisto.

“Qual è il tuo nome? Il tuo vero nome?”.

“Il mio nome?”.

Il principe rimase qualche istante in silenzio. Sapeva che non doveva mai rivelare il nome a chi stava tentando, tentennò ma poi annuì.

“Non ti sto tendando" sorrise “Perciò puoi saperlo. Keros. Io sono Keros".

“Mi sei mancato, Keros" ammise l'umano, abbracciandolo.

“Anche tu, Ary".

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Capitolo 44
*** Lo faccio per te ***


44

Lo faccio per te

 

L'umano osservava con interesse il mezzodemone, alle prese con la cucina. Keros non era abituato ad usare determinati tipi di tecnologia e quindi aveva qualche difficoltà con gli elettrodomestici. Quello che odiava di più era la lavatrice, ma in quel momento tentava invano di far partire il frullatore.

“Ti serve una mano?” si era offerto Ary.

“Faccio da solo!” aveva risposto, testardamente, il principe.

Dopo aver schiacciato tasti a casaccio, il sanguemisto si era messo ad insultare l'aggeggio elettronico, nello specifico offendendone la madre. Il mortale aveva trattenuto una risata ed era rimasto a guardarlo, incuriosito e desideroso di sapere la prossima mossa del tentatore.

“Non me lo rompere!” dovette intervenire, quando Keros iniziò a sbattere il frullatore sul tavolo.

“È rotto!” sibilò il mezzodemone.

“No. È solo staccato. Devi infilarlo nella presa della corrente, se vuoi che funzioni!”.

“Ah…”.

Keros, imbarazzato, borbottò qualcosa e poi riprese a cucinare. Stava preparando, come promesso, una ricetta del mondo dei demoni. E, mentre lo faceva, ripeteva ad alta voce gli ingredienti in demoniaco. Questo permetteva all’umano di imparare nuovi termini. Da quasi un mese i due convivevano sotto lo stesso tetto e Keros era entusiasta.

“Non avete i frullatori all'Inferno?” volle sapere il padrone di casa.

“Sì. Ma io non li uso”

“Hai altri che cucinano per te?”.

“Esattamente. Così come ho altri che lavano la mia roba. Maledetta lavatrice…”.

“Non te l'ho mai chiesto: all'Inferno ci sono molti titoli nobiliari, giusto?”.

“Sì. E dipendono dal grado angelico che possedeva il demone prima di cadere. Più elevato era di rango e più prestigioso è il titolo nobiliare all'Inferno”.

“Ma quindi hanno tutti un titolo".

“No. Solo quelli più importanti".

“E la tua famiglia a che ramo appartiene? Chi è il tuo antenato illustre? Deduco che, dato che hai dei servi che cucinano e lavano per te, tu debba avere un avo potente”.

“Quanti giri di parole…”.

“Insomma… mi vuoi dire il tuo grado nobiliare?”.

“Perché?!”.

“Perché no?”.

“Non voglio parlare di demoni e Inferno".

“Quando potrò conoscere tuo zio? Sarei onorato di conoscere colui che ti ha cresciuto”.

“Anche tu?! Ma cos'è questa fissazione?!”.

“Anche lui vorrebbe conoscermi?”.

“Sì. E non accadrà. Non molto presto, perlomeno".

“Perché?”.

Keros non rispose subito. Ricominciò ad impastare, imbrattando tutto di farina.

“Tuo zio non sa che io sono un umano, vero?” mormorò il mortale.

“Già…” ammise il sanguemisto “A lui non piacciono gli umani. Se lo scoprisse, farebbe tutto il possibile per intromettersi e tentare di dividerci. Non per farmi un dispetto, ma perché proprio non sopporta gli uomini. Capisci? Sarebbe a rischio perfino la tua vita!”.

“Oh. Capisco…”.

“Ti farò conoscere altri parenti, se vuoi. Ho tanti zii…”.

“Magari!”.

“Ora lasciami lavorare".

Con il matterello, Keros se la cavava abbastanza bene. Nonostante il suo odio nei confronti degli elettrodomestici, la cena non stava venendo affatto male

“Stai preparando anche il dolce per farti perdonare?” ipotizzò Ary.

“Perdonare? Perché? Che ho fatto?”.

“Guarda che lo so che stasera ti devi esibire al locale. Lo so che staranno tutti lì a sbavare per te e cose del genere…”.

“Tranquillo" sorrise Keros, montando la panna “Ho una sorpresa".

“Una sorpresa?”.

“Accompagnami al locale e vedrai!”.

 

Il Mephistophel era gremito di gente. Fuori dagli ingressi, lunghe file di aspiranti clienti attendevano per poter entrare. Keros ed Ary riuscirono a sfuggire a fan e code grazie all'ingresso riservato.

“Sono tutti qui per te?” si guardò attorno il mortale.

“Non esagerare. E adesso accomodati pure al tavolo ed aspettami. Spero di stupirti!”.

Mefistofele aveva intravisto l'ex allievo ed aveva raggiunto l'umano, invitandolo a sedersi. Ary continuò ad osservare quel luogo e notò una figura nell'ombra, che immediatamente gli fece provare un brivido lungo la schiena. E proprio quella figura allungò la mano, facendo cenno di sedersi al tavolo. Titubante, il mortale si avvicinò.

“Non mordo, sai" ghignò la figura, spegnendo la sigaretta nel posacenere “Siedi al mio tavolo. Da qui c'è un'ottima vista del palco”.

“Avete ragione. Da qui si vede proprio bene. Vi ringrazio…”.

“Di nulla. Vi ho visti entrare assieme, suppongo tu ci tenga a vederlo per bene, quando si esibisce".

Ary arrossì leggermente, prendendo posto ed ordinando da bere.

“Voi siete un demone?” domandò poi.

“Si nota?”.

“Non molto. È che so che qui ci sono molti demoni…”.

In realtà l’umano era terrorizzato da quello sguardo, non sapeva spiegarsi perché.

“Ti infastidisce se fumo?”.

“No, affatto. Fumo anch'io, a volte".

“Pessima abitudine, per un mortale".

“Lo so… me lo dice sempre anche Keros!”.

“Keros? Ti ha detto il suo nome?”.

“Sì… Lo so che è strano. Suppongo che voi non lo diciate mai".

“No, infatti. Io non ho bisogno di dirlo. Il mio nome in realtà lo sai già. Così come lo sanno tutti quelli che, come figli di Eva, incrociano il mio sguardo".

“Voi… voi siete Lucifero".

“È un piacere conoscerti”.

“Eh…?”.

“Non hai sentito?”.

“A voi non piacciono gli esseri umani. Lo sanno tutti. Perciò…”.

“Esatto. Non mi piacete. Non mi siete mai piaciuti. E suppongo tu sappia anche il perché”.

“Perché Dio preferisce gli esseri umani".

“No. Perché Dio pretende che io, generato dalla prima essenza delle stelle, mi inchini dinnanzi al fango".

“Io non mi sento fango".

“Siete forme di vita basate sul carbonio. Tecnicamente: terra”.

“Romanticamente: diamanti. È sempre carbonio...".

“Artisticamente: matite. È sempre carbonio!”.

Ary ridacchiò, non riuscendo a trattenersi.

“Mi fa piacere che tu sappia ridere della tua specie” alzò le spalle Lucifero.

“Sono consapevole che non sia perfetta. Poi l'idea di essere una matita mi diverte”.

“Contento tu…”.

Le luci si fecero soffuse. Anche Mefistofele era incuriosito, non avendo chiaro quel che Keros avesse in mente. Aveva chiesto di far comparire molte Succubus e così era stato. Ma perché?

Il principe camminò lentamente fino al centro del palco. Era sceso il silenzio, tutti lo fissavano. Lui sorrise, con gli occhi truccati che scintillavano con le poche luci che lo inquadravano. Con un profondo respiro, prese coraggio. Quel che stava per fare non era usuale per quelli della sua specie.

“Buonasera” salutò, con tono mellifluo “Lieto di vedervi così numerosi. Quest'oggi ho una dedica speciale per i miei fan”.

L'ultima frase la pronunciò volgendo lo sguardo verso Ary, che sorrise d'istinto. Poi Keros fece un altro profondo respiro e chiuse gli occhi. Quando tornò il silenzio, dopo l'entusiasmo espresso fra il pubblico per la dedica, il principe iniziò a cantare. Non lo aveva mai fatto davanti ad un pubblico, se non in mezzo al coro angelico in Paradiso. Non aveva voce demoniaca, non voleva che i demoni lo sentissero, ma capiva che quello era l'unico modo per accontentare gli umani, Ary compreso.

La voce di Keros era magnifica. I mortali presenti erano incantati, totalmente soggiogati dal potere che il tentatore sprigionava. Per quella ragione il principe aveva richiesto la presenza delle Succubus, e di qualche Incubus. La voce del sanguemisto era in grado di risvegliare molteplici sensazioni e desideri. In quel caso, i presenti erano spinti a perdere ogni controllo, commettendo peccati principalmente carnali. I demoni invece erano in silenzio, allibiti. Su alcuni di loro era comparso uno sguardo malinconico.

“Che… che succede?” mormorò Ary, fissando Lucifero.

Il demone, con la sigaretta di sbieco, era con la mente persa in pensieri lontani. Fra ricordi del passato e stupore per la strana scelta dell'erede, tentò di concentrarsi sull'umano al tavolo. Cosa aveva di speciale quell'anima? E perché Keros non si stava semplicemente spogliando, invece di far udire a tutti quella voce che così tanto richiamava i cieli del Paradiso? Un'idea gli balenò in mente, accompagnata da un brivido.

 

Una volta terminata l'esibizione, il tentatore tornò in camerino per cambiarsi, lanciando un ultimo sguardo verso l'umano. Sorridendosi a vicenda, Lucifero li fissò con lieve fastidio.

“Dovresti raggiungerlo" suggerì Mefistofele, rivolto ad Ary ed indicandogli la via “Per essere il primo a complimentarsi per l'ottimo spettacolo. Grazie a lui, moltissimi umani si sono del tutto rimbambiti e stanno impazzendo con le Succubus. Avrò le loro anime molto in fretta!”.

Una volta che il mortale si fu allontanato, Mefistofele notò lo sguardo lievemente torvo di Lucifero.

“Perché gli hai dato un simile suggerimento, Mefisto?” sibilò il re.

“Perché quel ragazzo ha un piano. Per ottenere l'anima finale, ha fatto innamorare l'umano. Dopo la canzone, di certo quell'essere inferiore sarà preda di una moltitudine di voglie. Che in camerino potrà sfogare. Ho dato una mano a Keros, tutto qui. Ho sbagliato?”.

“No…”.

Il sovrano sospirò, poco convinto. Con una mano fra i capelli, si concesse un altro drink.

 

“Sei stato bravissimo!” sorrise Ary, entrando nella stanza dove Keros si cambiava.

“Ti è piaciuto?” rispose al sorriso il principe, togliendo il trucco dagli occhi.

“Sì. Ma perché hai stravolto così tanto il tuo spettacolo?”.

“L'ho fatto per te".

“Per me?”.

“Mi avevi detto che eri geloso. Così ho pensato di sistemare tutto. Non mi piaceva l'idea di sedurre e scopare umani sconosciuti. Ho te adesso. E questo mi basta".

“Sei sicuro? Intendo dire… i demoni non hanno bisogno di più compagni per…”.

“Che domande strane che fai. Stiamo assieme, no? E fra gli umani della tua zona non mi pare sia di moda la poligamia. Quindi che problema c'è?”.

“Nessuno… suppongo".

“Bene. Ora andiamo a casa. Ho una certa voglia…”.

“Mi prometti che tutto questo è reale? Che non è solo un trucco per avere la mia anima?”.

“Ancora?! Chi ti ha rimesso in testa questa idea scema?”.

“Ho sentito Mefistofele che…”.

“E tu credi più a lui che a me?!”.

“No. Cioè…”.

“Ary… sono stufo di tentare di convincerti!”.

“Oh… perdonami se ho dei dubbi sulle reali intenzioni di un demone!”.

“Anch'io avevo dubbi sull’intelligenza umana, non farmi riemergere simili dubbi in testa!”.

Il mortale stava per rispondere ma Keros lo zittì con la mano.

“Devo farti una domanda" esclamò “Con chi parlavi al tavolo? Nella penombra non so se ho visto bene…”.

“Ero seduto al tavolo con Lucifero" ammise Ary “Ed è stato piuttosto strano. Ed inquietante".

“Ti ha spaventato?”.

“All'inizio. Ma poi mi sono quasi divertito”.

“Di che avete discusso?”.

“Di umani… Lo conosci bene? Intendo… so che è il re e che…”.

“Mi ha cresciuto lui".

“Che…?!”.

“È lui lo zio di cui ti ho parlato. Ma ora andiamo a casa. Voglio allontanarmi da questa musica orrenda! Aspettami in macchina. Parlo un secondo con Mefistofele e ti raggiungo”.

“Va bene. Però…”.

“Dopo parliamo. Ora vai, per favore. Sono stanco…”.

 

Nel buio, Keros stava raggiungendo il SUV nero. Aveva appena ricevuto i complimenti di Mefistofele per l'ottimo spettacolo e si era lasciato alle spalle l'orgia in corso nel locale.

“Lo so che sei lì” si voltò, con un tono di voce molto più neutro del dovuto “Che ti serve?”.

“Volevo solo salutarti" ghignò Lucifero “È da un po' che non passi da casa".

“E da quando questo è un problema?”.

“Andiamo… Lo sappiamo entrambi quel che devo dirti".

Keros tirò leggermente le orecchie all'indietro. Non aveva voglia di parlare in quel momento e nemmeno di perdere tempo in chiacchiere.

“Lo sai che io voglio solo che tu sua felice” riprese Lucifero “Ma in questo momento penso che tu ti sia bevuto il cervello. Ho visto come vi guardate, ho percepito quel che vi trasmettete. Sei innamorato di un umano. Ti rendi conto delle conseguenze? Per non parlare della stupidità che…”.

“Sono fatti miei!” si stizzì il mezzodemone.

“Non ti faccio la predica perché mi diverte! Lo faccio per te! Sei il principe ereditario. Pensa cosa accadrebbe se altri demoni scoprissero che…”.

“Che gli altri demoni non si impiccino! È la mia vita, non la loro!”.

“Hai ragione. Però… perché? Piccolo mio… Perché un umano?! Io vorrei solo il meglio per te!”.

“Se tu lo conoscessi, capiresti che lui è il meglio per me!”.

“Per quanto? Cinquant'anni? E poi?”.

“Poi ribadisco quel che ho già detto: sono affari miei!”.

“Ma non pensi a quel che potrebbe succedere? Gli hai perfino svelato il tuo nome! E se lo usasse contro di te? Sai che fine hanno fatto quelli come noi che si sono innamorati di un umano? Quelli rovinano tutto ciò che toccano… Pensa a quel che hanno fatto alla tua povera madre”.

“Mi fido di lui. E poi come vedi, a me non è successo proprio nulla. Evidentemente Dio mi ignora. Perciò fallo anche tu! Lo hai appena detto: sarà per poco. Passati quegli anni, sarà tutto come prima".

“E soffrirai. Lo sai che è così”.

“A te ha forse fatto differenza? Pur sapendo di poter soffrire e fare una stupidaggine, non hai rinunciato a Sophia!”.

“Ma che ha a che fare tutto questo con Sophia?!”.

“Fa lo stesso. Tutti di dicevano di non farlo, ma hai agito di testa tua!”.

“E ti sembra che mi sia andata bene?!”.

Il principe non rispose. Non sapeva come ribattere.

“Non ti obbligo. Non ho intenzione di farlo" sospirò Lucifero “Spero solo che non ci siano grosse conseguenze. Lo sai bene che lassù non amano molto che gli si tocchi gli umani".

“È ateo. Fuori dalla giurisdizione. E sono certo non sia successo solo a me di vivere una situazione simile”.

“Lo hai trascinato in un mondo pericoloso per un mortale".

“Lo difenderò. Io… Lo so che è una follia. Ma sono felice. Al futuro penserò quando sarà inevitabile".

“Non è molto intelligente…”.

“Buonanotte, papà”.

L'ultima frase era stata pronunciata con un sospiro da Keros. Non voleva discutere oltre, era stanco quel che bastava da non sopportare più certi discorsi. Già nella sua testa aveva domande a sufficienza!

 

“E così…” provò a rompere il silenzio Ary, una volta giunti a casa “…ti ha cresciuto Lucifero".

“Possiamo non parlarne? Non stasera?” sbottò Keros, aprendo il frigo e prendendosi una birra.

“Ok. Però… avete discusso? Non gli piaccio molto, suppongo…”.

“Sono fatti suoi. A me non serve di certo la sua approvazione”.

“Ed il tuo vero padre? Non so chi sia, ma pensi che Lucifero potrebbe…?”.

“Ary… Basta parlare adesso, ok?”.

“Ok… Volevo solo…”.

“Posso avere un po' di silenzio? Ho la testa che esplode per colpa della musica del locale".

L'umano annuì. Capì che non era il caso di insistere. Keros aveva quasi finito la birra, direttamente dalla bottiglia, e si voltò verso il lavandino. Notò, quasi con disappunto, che non vi erano piatti sporchi dimenticati.

“Ho fatto aggiustare la lavastoviglie" ammise Ary “Una sorpresa per te. Adesso siamo in due ed ho pensato che potrebbe andarci comoda".

“Un altro aggeggio che dovrò imparare ad usare?”.

“No. Faccio io. Guarda… È facile!”.

L'umano aprì lo sportello e mostrò che all'interno vi erano tutte le stoviglie della sera. Mentre il mezzodemone si preparava per uscire, aveva sparecchiato in fretta. Mancavano solo un paio di bicchieri, che si offrì di mostrare al tentatore dove andassero messi.

“Aspetta!” tentò invano di fermarlo Keros, mentre il padrone di casa allungava la mano su un bicchiere.

Per la rabbia dovuta ai pomeridiani tentativi falliti di usare il frullatore, il principe aveva scheggiato uno dei bicchieri che gli era capitato a tiro. Malauguratamente, il mortale toccò proprio quel punto e finì col tagliarsi.

“Ma non potevi lasciar perdere?!” sbottò il mezzodemone.

“E tu non potevi buttare il bicchiere, se era rotto?” ribatté l'umano, usando uno strofinaccio per coprire la ferita.

Scese il silenzio. Il tentatore percepiva chiaramente l'odore del sangue. Unito al nervosismo che gli scorreva in corpo, voleva assolutamente trovare al più presto il modo di sfogarsi. Senza parlare, si alzò da tavola e raggiunse Ary, baciandolo e costringendolo a gettare in terra lo strofinaccio. Poi ne osservò la mano e, dopo essersela portata alle labbra, baciò anch'ella, assaporando il sangue.

“Hai un buon sapore" mormorò.

“Davvero? Io… Non sei arrabbiato per…”.

“Ary… ti ho già detto di smetterla di parlare!”.

Ricominciando a baciare il mortale, il giovane principe si lasciò guidare dalla rabbia e dall'entusiasmo. Ary, stupito ma per nulla dispiaciuto da come il tentatore lo stesse obbligando al ruolo di passivo, lasciò che il demone facesse quel preferiva. Quella notte, fu Keros a prendere il controllo. Ed il mortale non riuscì a trattenere un “ti amo", mentre si stringevano in quell'amplesso.

 

Ciao!! Capitolo leggermente più lungo dello “standard" abituale ma spero non risulti meno scorrevole. Il prossimo sarà decisamente più stupido :p a presto!

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Capitolo 45
*** Demoni pettegoli ***


45

Demoni pettegoli

 

Spaparanzato al sole, Keros si rilassava in spiaggia. La fine delle vacanze scolastiche era vicina e Ary sapeva che presto avrebbe dovuto rientrare al lavoro. In quegli ultimi giorni di Agosto però, il mortale era riuscito a convincere il mezzodemone a trascorrere un paio di giorni al mare. Nonostante il tentatore non amasse l'idea di passare il tempo a nascondere i tatuaggi, alla fine l'umano aveva avuto la meglio. Ed era riuscito a convincere Keros che poteva mostrare tranquillamente i tatuaggi e riposare. Era stata, dopotutto, una buona idea perché molti turisti avevano lasciato commenti di ammirazione e complimenti per i disegni che il principe aveva sul corpo. Si stavano godendo la lieve brezza marina, in totale relax.

“Che splendida idea hai avuto" sorrise Keros, stiracchiandosi.

“Vero? Preferisco la montagna, ma ero sicuro che a te sarebbe piaciuto davvero moltissimo. È una spiaggia poco affollata, bella e con un ottimo cibo a pochi passi. Stasera ho già prenotato in un posto che conosco".

“Mi fido” annuì il mezzodemone, guardandosi attorno.

L'umano era seduto, coperto in parte dall'ombrellone. Leggeva un libro ma poi, approfittando del fatto che Keros non dormiva più, sfruttò le conoscenze del tentatore per finire le parole crociate.

“Che stai facendo?” domandò il mortale, vedendo come Keros si guardasse attorno.

“Nulla. È che mi sento osservato…” ammise il principe.

“È sicuramente una tua impressione. Ora che ne dici se ci facciamo un bagno? Muoio di caldo…”.

“Che esagerato!” si alzò in piedi il sanguemisto “Vieni! Voglio tuffarmi dalla scogliera!”.

 

“Sei un vecchio spione!”.

A quelle parole, Lucifero sobbalzò. Non essendosi accorto di avere compagnia, era stato preso alla sprovvista da quella voce.

“Smamma, Mihael!” sibilò.

“Perché te ne stai qui ad osservarli? Non hai niente di meglio da fare?!”.

“Vuoi proprio saperlo? No, non ho un cazzo da fare".

“So che non è così”.

“Impicciati degli affari tuoi!”.

Il demone stava spiando Keros ed Ary. Con i propri poteri, agli umani presenti si mostrava come un grasso turista spalmato sull'asciugamano. In realtà, era seduto a mezz'aria ed osservava l'erede al trono, con accanto Mihael. Ovviamente anche l'Arcangelo era invisibile ad occhi mortali, e non capiva il comportamento del sovrano degli Inferi.

“Perché lo fai?” domandò ancora Mihael “Non puoi andare là e salutare?”.

“Certo. Adesso io e te mettiamo il costume da bagno a fiori ed andiamo a fare un castello di sabbia!”.

“Non coinvolgermi nei tuoi progetti bislacchi".

“Non passa per l'Inferno da mesi. Non ho sue notizie da quando l'ho visto al Mephistophel. Sono quasi due mesi di silenzio!”.

“E allora? Non è un po' grande per raccontarti come passa il tempo con gli amichetti?”.

“Quello non è il suo amichetto. Lo sai, vero?”.

“Lo so”.

“E non hai nulla da dire?!”.

“Non vedo perché te ne stupisci. A me gli umani piacciono”.

“Sì ma… forse non hai ben capito… Quei due giocano a ‘infila la banana', non so se comprendi…”.

“Lo so. Sono innamorati. E fanno l'amore. E con questo?”.

“Sei ubriaco?! È un umano!”.

Mihael alzò le spalle. Lucifero era sconcertato da quella reazione. Si aspettava qualcosa di molto diverso dall'Arcangelo del sole.

“Guardalo bene” indicò Mihael “Guarda Keros. Lo hai mai visto così felice?”.

Il sovrano infernale si soffermò su quel dettaglio. Il principe stava ridendo, divertendosi molto. In effetti, il demone doveva ammetterlo, era da un bel po' che non vedeva l'erede ridere in quel modo.

“È vero. Ora è felice. Ma per quanto tempo lo sarà? E poi… È un umano!”.

“Smettila di ripetere che è un umano. Lo so! Keros avrà riflettuto, in tal senso”.

“No! Come non hai riflettuto tu con Carmilla ed io con Sophia. Gli è andato il cervello nei pantaloni!”.

“E che pensi di poter cambiare? Pensi di potergli fare una predica tu? Proprio tu? Suvvia… Vorrebbe dire che tu il cervello te lo sei fumato, fra una sigaretta ed un'altra".

“Il mio cervello sta benissimo! È il tuo che è svolazzato via, come le tue piume quando fai la muta!”.

“Non faccio la muta! Non sono un'anatra!”.

“Per me potresti anche essere un grosso pinguino con l'aureola. Il concetto non cambia!”.

Lucifero si accese l'ennesima sigaretta e storse il naso, agitandosi in strani tic nervosi.

“Fratello, rilassati" mormorò Mihael “Nulla accade per caso. Io non vedo nulla di male in due ragazzi che si amano".

“Ma non hai proprio in mente i precedenti?! Gli angeli cacciati dal Paradiso perché innamorati? L'uccisione della loro progenie?”.

“Lucy… Pensavo di non essere io a dovertelo spiegare ma… sono due maschi. Vedi, fra maschi, certe cose non…”.

“Lo so! Mi hai preso per un idiota?!”.

“E allora perché ti scaldi? Non possono generare alcuna progenie!”.

“Fa lo stesso. Lo sai che lui si incazza se gli si tocca gli umani e si commettono simili imprudenze. Ed ha un modo tutto tuo di punire. Carmilla, Sophia… sono morte!”.

“Lo so”.

“Andiamo! Carmilla è morta per colpa degli uomini! Se fosse rimasta tranquilla all'Inferno, lontana da questa razza di bamboline di pantano e da te, sarebbe ancora viva".

“E Keros non esisterebbe. Vero. Ma non è stata colpa degli umani”.

“Allora ammetti che è stato Dio?”.

“No. Qui non stiamo parlando di quello che è stato. Parliamo di due persone che si amano molto e che tu, vecchio demone pettegolo, stai spiando. Spiando perché è evidente che sei geloso".

“Sono preoccupato, non geloso. E leggermente disgustato. Un umano… che porcheria!”.

“Sei geloso. Perché ritieni Keros una tua proprietà. Perché è l'unico figlio che potrai mai avere!”.

“Questo è tutto da vedere…”.

“No, è la verità. Hai perso il potere di creazione che avevi in Paradiso. Non potrai mai e poi mai avere figli. Non continuando a fare il demone. Ma tu sei il re dei demoni, perciò…”.

“Tecnicamente tu, come angelo, non avresti neanche dovuto pronunciare parole inerenti alla sfera sessuale e invece ti sei riprodotto. Tutto è possibile!”.

“Se Dio lo vuole".

“Fanculo Dio! Stiamo andando fuori tema! Io resto comunque preoccupato”.

“Preoccupato…”.

“E lo dovresti essere anche tu! È tuo figlio! Non temi conseguenze? Non temi che possa essere punito o ucciso, come è successo alla sua splendida madre? Senza contare che sono due uomini… sappiamo entrambi che papà non gradisce. Eri tu uno degli angeli di Sodoma, giusto?”.

“Giusto. Se riceverò ordini al riguardo, ci penserò. Per ora, auguro loro tanta felicità”.

“Io no. Non permetterò che succeda qualcosa a Keros!”.

“E che pensi di fare?”.

“Lo vedrai. Lo riporterò al sicuro, lontano da questo branco di discendenti di quel pirla di Adamo!”.

“Attento a quel che fai. Ti tengo d'occhio. Sempre!”.

“E poi dai a me dell'impiccione pettegolo…”.

 

La sensazione di essere osservato non lo abbandonava, ma aveva deciso di ignorarla. Era felice! Uscì dall'acqua, rabbrividendo leggermente, ed il mortale lo seguì.

“Ti va un gelato?” propose Ary, correndo poi a prenderlo.

Keros amava il gelato. Specie se accompagnato da uno spruzzo di panna, e se lo stava godendo con gioia.

“Stavo pensando…” iniziò l'umano “…che potremmo comprare una casa al mare. Che ne dici?”.

“Una casa al mare? Ma a te non piace molto il mare!” si stupì il sanguemisto.

“Lo so. Ma fra poco in montagna, dove c'è casa nostra, farà molto freddo. Ed io so quanto odi il freddo. Qui al mare farà comunque più caldo, non ci sarà la neve, e…”.

“Ary! Non devi adattarti alle mie esigenze! Mi vestirò di più, starò accanto al fuoco… Sarà un lungo inverno per me ma non importa. Vedrai che troverò il modo di riscaldarmi…”.

“Sicuro?”.

L'uomo sorrise all'occhiolino di Keros, che ghignò malizioso. Era una giornata stupenda. E non si sentiva più osservato.

 

Era una giovane donna che camminava lentamente lungo il marciapiede. In spalla portava uno zaino e trainava due grosse valige. A capo chino, cercava di non far notare le proprie lacrime. Lucifero la osservava, aspettava solo il momento giusto per avvicinarsi. Stanca, lei si fermò e nascose il viso fra le mani. Il demone, vestito come un elegante uomo d'affari, attraversò la strada e la raggiunse. Seduta su una panchina, la donna non notò subito quell'uomo che si avvicinava.

“Perdonatemi" mormorò Lucifero “Non è mia consuetudine importunare le fanciulle ma… Mi è concesso sapere per quale motivo state piangendo? C'è qualcosa che posso fare per voi?”.

“Non credo possiate aiutarmi" ammise lei, asciugandosi le lacrime “Grazie per l'interessamento, comunque…”.

“Posso almeno offrirvi un caffè?”.

“No, grazie. Siete molto gentile ma… Ho troppe cose a cui pensare”.

“Ed almeno sapere il vostro nome?”.

“Leonore. Io mi chiamo Leonore".

“Tell this soul with sorrow laden if, within the distant Aidenn, it

shall clasp a sainted maiden whom the angels name Leonore”*

“Già… Allan Poe… A mio padre piaceva molto quella poesia".

“È bellissima, a mio parere. A voi non piace?”.

“Certo. Ed è raro incontrare qualcuno che ne reciti i versi così bene. Siete un insegnante di letteratura inglese?”.

“No. Ma non siamo qui per parlare di me. Raccontatemi quel che vi è successo, bella Leonora".

“Ho perso il lavoro".

“Oh, brutto affare. Specie al giorno d'oggi! Ma non dovete demoralizzarvi”.

“Lo so. Il problema è che io ero in affitto. Il mio padrone di casa, appena lo ha saputo, mi ha ratificato lo sfratto. Ho cercato un nuovo lavoro, ma non ho trovato nulla. Così non ho potuto pagare la retta mensile ed ora non ho un posto dove stare!”.

“Non avete qualche parente? O amico?”.

“I miei genitori sono morti. Non ho nessuno. Ho provato a chiedere a qualche amico, ma non hanno un posto per me…”.

“Nemmeno un fidanzato? O un ex collega di lavoro?”.

“Non ho un fidanzato. Sono sola. Senza una casa, senza un lavoro… La mia vita è inutile!”.

Ricominciò a piangere, mentre Lucifero tentava di consolarla. Il demone conosceva bene la situazione della donna, era stato lui stesso in parte a provocarla. Con poteri e conoscenze, l'aveva condotta esattamente dove voleva. Ora le serviva solo una piccola spinta...

“Non ci credo che una ragazza bella come voi non abbia nemmeno un ex fidanzato nostalgico a cui chiedere un aiuto!”.

“Ma non potrei mai chiedergli una cosa del genere!”.

“E perché no?”.

Lo sguardo aranciato di Lucifero incrociò quello ceruleo di lei ed una scintilla di energia attraversò le iridi della donna.

“Forse…” parlò l'umana, sotto l'influenza del potere di Lucifero “…forse una persona ci sarebbe…”.

 

“Io te lo avevo detto che dovevi metterti più crema solare" sghignazzò Keros.

Una volta rientrati dal loro week-end al mare, ed aver consumato un'ottima cena a base di pesce, era stato subito chiaro ad entrambi che l'umano stava diventando di un leggero color aragosta.

“Io mi scotto sempre” protestò Ary, chiedendo al mezzodemone se potesse aiutarlo con il doposole “È uno dei motivi per cui preferisco stare fra i boschi”.

Keros, al contrario, si sentiva rigenerato. Pieno di energie, era tentato dal desiderio di farsi un bel volo nella notte. Avrebbe trascorso volentieri molti altri giorni simili a quello che ormai stava per concludersi.

“All'Inferno come trascorrete le vacanze?” domandò il mortale, sobbalzando quando la crema gelida ne toccava la pelle scottata.

“Non ci sono molte vacanze all'Inferno" ammise il principe “Ma a molti piace il mondo umano. Qualche isola sperduta o grande metropoli piena di cose da vedere e da fare… Spesso visitano musei o città antiche, per ricordare…”.

“Quindi il mondo umano è il villaggio vacanze dei demoni?”.

“In alcuni casi, sì”.

“E gli angeli non dicono nulla?”.

“Non possono. Intervengono solo se il demone agisce in modo concreto e negativo contro un essere umano. Ma non succede spesso…”.

“Sarei curioso di sapere che ne pensano gli angeli di noi".

“Difficile dirlo…”.

“Magari in cielo abbiamo qualche fan. Insomma… Ci sarà qualcuno che fa il tifo per noi, no? O sono tutti dello stesso parere di Lucifero?”.

“Ha così tanta importanza? Io ti amerei anche se Dio stesso mi dicesse di non farlo".

“Ma lo dice? Nel senso… parla ogni tanto?”.

“Sinceramente, io non l'ho mai sentito".

Suonò il campanello. I due si fissarono, piuttosto stupiti. Fuori era buio da un pezzo e mai nessuno si spingeva fin lì.

“Vado io" si offrì Ary “Sarà qualche escursionista che si è perso”.

Keros ne approfittò per lavarsi le mani dalla crema doposole che aveva ancora fra le dita. Udì un lieve vociare e poi una donna comparve sulla porta della cucina. Continuava a ringraziare, con lievi inchini. Il sanguemisto osservò i movimenti che quei capelli biondo cenere erano costretti a compiere. Lei parve non fare minimamente caso al mezzodemone, che storse il naso.

“Lei è Leonore" spiegò finalmente Ary “È la mia ex moglie… e resterà qui per un po'!”.

 

 

 

*tratto da “Il Corvo" di Edgar Allan Poe.

 

Ecco il capitolo a tema “marino" :p A presto, con tante piccole novità!

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Capitolo 46
*** Cambiamenti ***


46

Cambiamenti

 

“Che cosa sta combinando Lucifero?”.

Keros si stupì nell'udire una simile domanda. Alzò gli occhi, senza fermare quel che stava facendo. Era all'aperto, nel boschetto accanto alla casa, alle prese con la legna. Stava spaccando grossi ciocchi, consapevole che ben presto si sarebbe acceso il fuoco. Il vento si stava intensificando, diventando lievemente fastidioso, ma il principe era intenzionato a terminare il lavoro.

“Che cosa sta combinando Lucifero?” si udì ancora.

“E per quale motivo dovrei saperlo io, scusa?” sbottò il mezzodemone, spaccando un altro ciocco a metà.

“Sei il suo erede…”.

“E con questo? Non fa di me la sua balia…”.

Girando leggermente le orecchie per il fastidio, il principe fece scintillare la lama dell'accetta che stava usando.

“Sei nervoso?” suppose l'Arcangelo.

“Ho molto da fare. Non distrarmi con le chiacchiere".

“Le mie sono chiacchiere importanti".

Keros sospirò. Mihael lo stava fissando, a braccia incrociate.

“Allora?” incalzò l'angelo “Non sai proprio dirmi nulla?”.

“Perché me lo chiedi? Che sta facendo?”.

“Lo vedo spesso con una donna".

“E che cosa c'è di strano?”.

“Pensi voglia ottenerne l'anima?”.

“E che vuoi che ne sappia?!”.

“Non te ne ha parlato?”.

“No!”.

Il mezzodemone riprese a spaccare legna, piuttosto infastidito.

“Forse l'hai incontrata. È biondo cenere, capelli lisci, occhi sul grigio...”.

“Temo di aver capito di chi parli”.

“Davvero?”.

“Sì. E dovevo intuirlo. Maledetto rompicoglioni!”.

“Lo stai dicendo a me?”.

“Ma no. Anche se lo meriteresti. La donna di cui parli è Leonore. È la ex moglie di Ary”.

“E Lucifero che ha a che fare con lei?”.

“Sono certo che l'ha convinta lui a venire qui a vivere. E sicuramente userà i suoi poteri per farla di nuovo innamorare dell'ex marito".

“Sarebbe carino. Riunire una coppia…”.

“Lo fa solo per separare me ed Ary. Proprio non ci riesce a star fuori dalla mia vita!”.

“Credo sia solo preoccupato per te".

“Da quando lo difendi?!”.

“Non lo difendo. Cerco di capire".

Il principe legò assieme alcuni ciocchi, con l'intento di portarli nella legnaia.

“Ti serve aiuto?” domandò Mihael.

“Se ti annoi…”.

L'Arcangelo seguì il ragazzo lungo il sentiero, portando a sua volta della legna. Keros era irritato. Possibile che non ci fosse un modo meno faticoso per prepararsi all'inverno?

“Non c'è nessuno in casa" mormorò “Puoi mantenere il tuo aspetto. Ary è al lavoro e Leonore è in città. O almeno così mi hanno detto…”.

 

Seduti al tavolino di un bar, Lucifero e Leonore si erano concessi un caffè. Dal loro primo incontro erano trascorsi un paio di mesi ed avevano avuto modo di rivedersi spesso. Lei quel giorno era un po' abbattuta, perché non riusciva a trovare un lavoro.

“Eppure mi accontenterei di qualsiasi cosa!” sospirò.

“Non devi dire così. Ci sarà un lavoro che sogni fare, no?” le rispose Lucifero.

“Certo. Ma non posso essere d'impiccio ad Ary per sempre!”.

“Impiccio? Ti ha per caso detto che devi andartene o che gli dai fastidio?”.

“No. Ma…”.

“Ma allora il problema non si pone! Una ragazza come te, con i tuoi studi e le tue capacità, non deve accontentarsi. Vedrai che presto avrai la tua occasione”.

“Occasione?”.

Il potere di Lucifero convinse la donna, che annuì e tornò a sorridere.

“Non perdere la speranza. E nemmeno il sorriso, bella Leonora. Ora dimmi… come ti trovi a casa del tuo ex marito? Spero non litighiate…”.

“No. Nessun problema. Come amici, non siamo male”.

“E per quanto riguarda l'altro coinquilino?”.

“Come lo sai che…?”.

“Credo di aver omesso qualche dettaglio…”.

“Lo conosci?”.

“Lui è… mio nipote. L’ho cresciuto io. Con lui come te la cavi?”.

“È tuo nipote?! Davvero?! Ottimo… cioè… mi piacerebbe sapere qualcosa di più su di lui. È un pochino… sfuggente!”.

“Lo supponevo. Cosa vorresti sapere?”.

“Intanto non sarebbe male sapere come si chiama. Ho provato a chiederlo ma sia lui che Ary si sono tenuti sul vago".

“Fa il misterioso. Che cattivo ragazzo…”.

Lucifero si sentì sollevato nell’apprendere che l'erede non era del tutto sprovveduto. Perlomeno non così tanto da rivelare il proprio nome ad una mortale sconosciuta.

“Io lo chiamo Kerasi. Ciliegia” sogghignò il demone.

“E dici si offenderebbe se facessi lo stesso?”.

“E perché dovrebbe?”.

“Non so… comunque… Di cosa si occupa? Fa il ricercatore?”.

“In un certo senso…”.

“È un ragazzo decisamente singolare. Insomma… se ne va in giro con i capelli amaranto e legge libri in lingue incomprensibili…”.

“Ultimamente non ci vediamo spesso. Sono felice di poter avere un modo per sapere come sta. Spero tu possa avvertirmi tempestivamente, nel caso gli accada qualcosa di spiacevole".

“Volentieri! Ma… viveva con te?”.

“Fino a non molto tempo fa, sì. Poi con il nuovo lavoro si è trasferito".

“Ed i suoi genitori?!”.

“Sua madre è morta. E suo padre… ha una posizione che gli impedisce di avere apertamente dei figli".

“Non sarà mica figlio di un prete?!”.

“Una specie…”.

“Oh… Ed è tuo fratello? Il padre di Ciliegia, intendo".

“Già. Il mio fratellino”.

Leonore annuì, sorseggiando il proprio caffè.

“Non riesco proprio ad inquadrare una cosa” riprese, dopo un po' “Ciliegia avrà almeno una ventina d'anni. I suoi genitori devono essere stati molto giovani quando lo hanno concepito. E tu stesso devi essere stato molto giovane quando lo hai preso con te".

“Giovani? Di certo incoscienti. Tutti quanti, io per primo probabilmente. Ma è stata una delle decisioni migliori della mia vita”.

“Che bello sentire una frase del genere! Si vede che gli vuoi molto bene, come ad un figlio”.

“Ti auguro un giorno di provare lo stesso sentimento, lo stesso legame".

“Ti ringrazio! Tu non hai figli tuoi? Una moglie? Una donna che ami?”.

“La donna che amavo è morta…”.

“Ma è terribile! Mi dispiace tanto!”.

Leonore d'istinto allungò la mano verso quella di Lucifero, mostrando un sincero cordoglio.

“Non oso immaginare quanto sia doloroso perdere la persona che si ama!” mormorò poi.

Il demone si stupì per quella reazione. Non era abituato alla compassione dei suoi confronti. Solitamente veniva sempre accusato, incolpato per quel che gli accadeva attorno. Quella donna invece era realmente dispiaciuta. Scostò la mano, comprendendo che quel gesto derivava solamente dal fatto che lei non conosceva tutta la storia, tutta la verità.

“La vita è fatta anche di questo" si ritrovò a dire il re “Ma bisogna guardare avanti, giusto? Lungo il tuo cammino c'è stato un divorzio ma dubito che questo ti impedisca di sperare in un futuro diverso".

“Giusto… Allora auguriamoci a vicenda la felicità. Che ne dici?”.

Lei sorrise. Lui rispose a quel sorriso, divertito. Era incredibile come gli umani fossero strani!

“Che ne dici di accompagnarmi a casa?” propose Leonore “Così saluti tuo nipote".

“Ottima idea. Da questa parte, bella Leonora!”.

 

Una volta terminato il lavoro, il mezzodemone invitò l'Arcangelo in casa. Mostrò una delle foto di Leonore, per essere certi che lei fosse realmente la donna che Mihael aveva visto con Lucifero. Alla conferma dell'Arcangelo, Keros non nascose la sua irritazione. Offrì all'ospite qualcosa da bere, pur sapendo che avrebbe rifiutato come sempre.

“Quindi anche lei vive qui, adesso?” chiese Mihael, mentre il principe si concedeva una bibita dalla lattina.

“Già…” annuì il sanguemisto “E, da quando è qui, ammetto di essere un po' confuso".

“Confuso riguardo a…?”.

“A quel che sto facendo. Io amo Ary. Lo amo davvero tanto. Però, forse, non dovrei considerare solo la mia felicità. Forse per lui sarebbe meglio stare con qualcuno della sua specie".

“Ha cambiato atteggiamento con te?”.

“Non proprio… è che in questo periodo passa molto tempo all'università. Sai… finalmente è riuscito a diventare insegnante, non solo assistente a chiamata, e quindi ora non lavora più di tanto da casa”.

“Capisco…”.

Dopo un sospiro, Keros iniziò a raccontare quel che era cambiato. Leonore, ormai in quella casa da un paio di mesi, si era sistemata in una delle camere più piccole. Si era stabilito che al padrone di casa spettava la matrimoniale, agli ospiti le camere piccole. Il mezzodemone aveva subito notato il lieve imbarazzo di Ary, ed aveva obbedito senza troppe obiezioni. Spostandosi nella stanza accanto a quella con il portale, poteva verificare che non accadessero spiacevoli incidenti. Si era adattato, rassicurato dal fatto che la situazione era temporanea e che presto sarebbe tornato tutto come prima. Senza svelare alla donna il vero nome e la natura di demone, Keros osservava in silenzio. Vedeva i due umani parlare fra loro, ricordare il tempo trascorso insieme all'università, ridere e raccontarsi molte cose. Si sentiva tagliato fuori, ed in un certo senso voleva esserlo. Non intendeva scoprirsi con un'umana sconosciuta e non intendeva coinvolgerla in affari che non la riguardavano. Sapere che era stato Lucifero a convincerla a venire in quella casa lo faceva davvero infuriate. Però, doveva ammetterlo, era lieto di sapere che lei trascorreva del tempo con il demone: era tutto tempo in meno con Ary!

“Ma lei lo sa che siete amanti?” domandò l'Arcangelo, osservando alcune foto appese alle pareti.

“Non le è mai stato detto in modo esplicito. Pensavo se ne andasse alla svelta, oppure che ci arrivasse da sola! Da quando è qui, io ed Ary non troviamo mai… del tempo per noi! Mi manca…”.

“E questo lui lo sa?”.

“Spero di sì! Spero provi lo stesso. In caso contrario… non so. Tu che pensi debba fare?”.

“Io? Non sono la persona più adatta per parlare di simili argomenti”.

“Lucifero lo odia. So che mi direbbe di lasciar perdere e tornare subito all'Inferno".

“Devi seguire il tuo cuore. È una cosa banale da dire, ma è così. Rifletti su ciò che è meglio, per te e per il mortale. Lucifero fa solo il suo lavoro: cercare di ottenere più anime possibili. Potrebbe avere facilmente quella di lui e di lei, se riuscisse a farli riunire”.

“Lo difendi troppo, ultimamente…”.

“Può darsi… Ma ricorda che a volte i padri agiscono in modo poco comprensibile per i figli. Ma lo fanno solo per il loro bene".

“Non gli lascerò avere l'anima di Ary. Non andrà mai all'Inferno!”.

“E come pensi di fare? Ha commesso un paio di peccatucci non trascurabili…”.

“Lo sai meglio di me che c'è sempre un modo. La sua anima non finirà fra i patimenti eterni. Non soffrirà per l'eternità. Lo aiuterò io, quando sarà il momento. E spero di non dover avere a che fare con te che provi a sbatterlo di sotto!”.

“Lo sbatterò di sotto se dovrà essere così. Fin ora hai ragione. Ha commesso peccati ma nulla a cui non si possa rimediare. Insomma… Non ha commesso un omicidio! Ed inoltre ancora non crede in Dio, perciò al momento è un'anima destinata a dissolversi. Ti starebbe bene anche così?”.

“Lucifero non lo avrà”. Keros accompagnò quella frase con lo schiacciamento della lattina fra le mani, che poi gettò nel cestino con una smorfia.

“E riguardo a lei?” chiese invece Mihael, guardando negli occhi la ragazza in una foto.

“Non è compito mio. Non sono mica un angelo custode!”.

“Capito… Per lei cercherò io di far qualcosa".

“Di quel che capita a lei, a me poco importa. Perdona la franchezza”.

“Sei comunque un tentatore e procacciatore di anime. Non mi aspetto di certo benevolenza per l'umanità. Ricordati, però, che tua madre ha scelto una strada ben più nobile ad un certo punto…”.

“Ed è morta. Ti ringrazio ma… ci terrei a vivere ancora un bel po', se non ti dispiace. Non morirò per colpa degli umani. Per quanto ami Ary, continuo a considerare la maggior parte di loro dei decerebrati”.

“Lo immaginavo. Ma tieni a mente che la Terra è stata creata per l'uomo. Così come sono stato creato io, e gli angeli tutti. Siamo stati creati per servire l'uomo, ogni cosa è stata fatta per lui. Agli angeli spetta il Paradiso, che però non appartiene ad essi. Anche se lo vedi come una creatura inferiore, è per lui che tutto esiste".

“Ma è una creatura inferiore! Noi siamo più potenti, e decisamente meno stupidi”.

“Però è così che vanno le cose. L'uomo è la sua creazione prediletta, come un tempo lo era Lucifero”.

“A me sembra che Dio ignori tutti, prediletti o meno”.

“Può essere. Ma questo non vale per me. Il mio compito è proteggere gli umani, amarli e guidarli come fossero il mio gregge".

“Sai che definirli un gregge di pecore già di per sé mi fa intuire quanto poco li consideri intelligenti?”.

“Lo so meglio di te che sono stupidi. Se fossero intelligenti, non si farebbero sottomettere dalle religioni e non si farebbero trascinare in guerre assurde per divinità che li ignorano".

“Ma…!”.

“Ma questo io non l'ho mai detto. E ora…”.

Si udì il rombo di un motore. Subito dopo, la voce di Leonore ed un rumore di portiera che si chiudeva. Keros si avvicinò alla finestra. La donna si faceva portare sempre in città da Ary, perché con la sua vecchia auto non si fidava ad affrontare sentieri di montagna da sola, ma quella non era l'auto di Ary.

“Grazie per il passaggio!” esclamò Leonore “Vieni a cercare tuo nipote?”

Lucifero guidava un'auto sportiva color nero metallizzato, con interni in pelle e finiture d'argento. Mihael, dopo aver celato il proprio aspetto angelico, uscì ad osservare assieme a Keros.

“Bella macchina, bro” commentò.

“Ti ringrazio" ghignò Lucifero “Vuoi fare un giro?”.

“Non ho la patente. A che dovrebbe servirmi?”.

“A rimorchiare".

“Bro?!” esclamò Keros, piuttosto confuso “Siete impazziti? C'è stato uno scambio di personalità o vi siete lobotomizzati e non me ne sono accorto? Bro e macchine sportive?! È crisi di mezza età, per caso?”.

“E tu sei invecchiato di colpo? Da quando sei così rompipalle?!” fu la risposta divertita del re dell'Inferno.

“Io non sono rompipalle!”.

“Sono qui per parlarti, non per farmi piallare i maroni".

“Se è per questo, anch'io vorrei parlarti!”.

“E lui che ci fa qui?”. La domanda fu rivolta indicando l'Arcangelo.

“Io vado dove mi pare!” incrociò le braccia Mihael “Sono cazzi miei!”.

“Ok. Potete non litigare?” li interruppe Keros “Vorrei discutere di altro…”.

Leonore si era prudentemente allontanata, capendo che era meglio non immischiarsi in problemi di famiglia. Poi fra loro discutevano in una lingua che non comprendeva. Aveva udito un “bro". Che quello biondo fosse il fratello prete? Meglio non indagare e rientrare in casa…

“Ricordati quel che ti ho detto" furono le ultime parole di Mihael, rivolte a Keros, prima di congedarsi a sua vola ed allontanarsi fra gli alberi “A volte i padri fanno cose strane".

“Ma di che parli?” sibilò Lucifero, subito zittito dal mezzodemone.

“Parla con me, adesso" lo interruppe il principe “Che pensi di fare?! Perché ti intrometti in faccende che non ti riguardano? Perché hai convinto lei a venire qui?!”.

“Sto lavorando, ragazzino” incrociò le braccia il demone, lievemente accigliato.

“Questo è il mio territorio. Ci sto lavorando io! Non puoi venire qui e intralciarmi! Sono le regole!”.

“Tecnicamente, io non sto intralciando alcunché. Tu hai rinunciato all'anima del mortale, non lo stai tentando. Perciò sono libero di fare quello che mi pare. E, anche se così non fosse, io sono il re. Questo significa che comando io. Se ti stai dimenticando simili regole di base della gerarchia, forse è il caso che te ne torni a casa a fare un ripassino".

“Stai cercando di separare me ed Ary!”.

“Sto cercando di mostrarti la realtà. E poi chissà… magari potrei ottenere l'anima di lui e lei in un colpo solo!”.

“Ary è mio! Gira al largo, vecchio!”.

“Bada a come parli, marmocchio! La mia pazienza è piuttosto limitata, lo sai”.

“Aspetta che dica a Leonore chi sei veramente! E poi vediamo se ancora ascolta quello che hai da blaterare!”.

“Tu solamente provaci ed io ti farò rinchiudere. Non metterai più piede nel mondo umano. Ti sconsiglio di tirare troppo la corda con me. E comunque non sono qui per discutere di simili cazzate".

“E allora cosa vuoi?”.

Il re sospirò, accendendo l'ennesima sigaretta. Keros, innervosito, lo fissò con lieve fastidio. Stava notando qualche piccolo cambiamento nel demone. Da un lato, era lieto che il sovrano avesse ripreso a tentare le anime. Sembrava quasi più giovane.

“Perché hai convinto Leonore a venire qui?” incalzò il principe “Perché sei così insistente?”.

“Ho perso tua madre. Non farò lo stesso con te".

“Mia madre è morta per un incendio. Lo sai bene che a me il fuoco non fa alcun male".

“Ma il gelo sì. E presto qui farà molto freddo. Nevicherà".

“Anche l'anno scorso faceva freddo e nevicava".

“Sì, ma tu tornavi a casa. Stavi un giorno dall'umano e poi passavi un periodo all'Inferno, così le tue energie si ricaricavano. Un periodo prolungato al freddo ti indebolirà”.

“Per questo sto facendo la legna. Per accendere il fuoco del camino…”.

“Perché sei così testardo?!”.

Keros, a braccia incrociate, arricciò il naso. L'auto di Ary stava risalendo lungo il sentiero, per poi parcheggiare davanti a casa. L'umano subito riconobbe Lucifero e, dopo aver salutato con un cenno della testa, si affrettò a rientrare in casa. Il re dei demoni alzò la voce.

“Se ti amasse davvero…” disse, nella lingua del mortale “…non ti permetterebbe mai di trascorrere tanto tempo al gelo, rischiando la vita!”.

“Sto bene!” lo zittì Keros “Sto benissimo!”.

“Andiamo! Hai pure rinunciato alla tua ricerca! Non stai più indagando sul perché quell'uomo ha scritto quel libro sui demoni, con delle descrizioni così dettagliate. Sono cose che non vanno ignorate!”.

“Lasciami in pace!”.

“Keros!”.

“Senti… papà… io capisco i tuoi dubbi”. L'atteggiamento dell'erede di colpo non era più aggressivo. Si passò una mano fra i capelli e sospirò. “Papà… ti prometto che rientrerò all'Inferno se il gelo mi darà problemi. Per qualche ora. Ma ora lasciami stare, va bene? Fidati di me!”.

Il re dei demoni alzò un sopracciglio. Scosse la testa, non sapendo che altro dire.

“Non dirò a Leonore chi sei veramente" aggiunse il sanguemisto “Continua pure a tentarla”.

Lucifero ridacchiò. Vedeva quella donna spiarli dalla finestra e la salutò con la mano.

“Io faccio il mio lavoro” si congedò il re, salendo in macchina “Se la cosa interferisce con le tue questioni amorose, non mi interessa".

“Benissimo. Nemmeno a me interessa se le mie questioni amorose interferiscono con il tuo lavoro".

“Basta che poi non ti lamenti se ti prendo a ceffoni…”.

“Anche io ti voglio bene, papà” rise Keros “E come umano sei davvero figo".

“Fai il bravo. Ti tengo d'occhio…”.

 

Ciao a tutti, fan di Keros! Scusate per la profusione di dialoghi ma erano necessari :p a presto, con altre novità!

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Capitolo 47
*** Vino, biscotti e cioccolata ***


47

Vino, biscotti e cioccolata

 

“Sono lieta che vi piaccia!” sorrise Leonore, osservando Ary e Keros durante la cena “Ho voluto provare una nuova ricetta".

“Tutto delizioso" commentò Ary “Ma non dovevi disturbarti".

“È il minimo che possa fare! Poi mi piace cucinare per te. Lo facevo già quando eravamo fidanzati! Anche a te è piaciuta la cena, Kerasi?”.

“Sì…” ammise Keros, seppure poco convinto.

“Tuo zio mi ha suggerito quel che poteva piacerti. Il dolce l'ho fatto con le mele e la crema".

“Mio zio è un gran pettegolo”.

“È così gentile! Ed affascinante” sospirò lei, con aria sognante “E colto. Abbiamo parlato di storia antica ieri sera ed è stato molto stimolante. Capita sempre più raramente di incontrare uomini in grado di partecipare a simili conversazioni. Poi ama la musica, l'arte...”.

“Ma è single. Un motivo c'è. Fidati!”.

“Chissà. Per me è solo una sua scelta. Non è ancora pronto ad aprirsi ad un nuovo amore dopo Sophia”.

“Ah… ti ha parlato di Sophia? Sta puntando sul sentimentalismo…”.

“Puntando?”.

“Niente. Parlavo da solo. Di cose non importanti. Ora potete pure andare a dormire. Domani mattina partirete presto come sempre, suppongo. Perciò andate a riposare, che a sparecchiare ci penso io”.

“Sicuro di poter affrontare la terribile lavastoviglie?” ridacchiò Ary.

“Sì, sì. Coraggio… andate!”.

Leonore si alzò, augurando la buonanotte e ritirandosi al piano di sopra. Ary rimase qualche istante ad osservare Keros, che si versò del vino.

“Spegni pure la luce" mormorò il sanguemisto “Io ci vedo benissimo al buio".

Con la donna umana al piano di sopra, il principe era finalmente libero di mostrare il vero aspetto. Nella notte, i suoi occhi ambra brillavano intensamente. Uscì sul terrazzino da cui si accedeva dalla cucina, volendo guardare un po' le stelle.

“Stai bene?” gli rispose Ary, raggiungendolo.

“Sinceramente? Non lo so".

“Ti senti debole per via del freddo? Perché si può accendere il fuoco e…”.

“Il freddo non c’entra niente".

“Ok. Allora… cosa c'è? Ultimamente ti comporti in modo diverso".

“Da quando c'è Leonore mi comporto in modo diverso!”.

“E perché?”.

“Ma come perché?!”.

“Oh… ok, dovevo supporlo. Mi dispiace che si sia creata questa situazione. Sei… geloso?”.

“Certo che sono geloso! Io vi vedo. Siede belli insieme. Siete felici. Io sono di troppo, qua in mezzo".

“Ma che stai dicendo?! Io e lei abbiamo divorziato. Siamo amici, nulla di più. E non ci sarà mai nulla di più!”.

“Ma…”.

“Keros! Io sono innamorato di te! Tranquillo… lei non mi porterà via! Devi solo avere ancora un pochino di pazienza. Appena troverà lavoro, tornerà tutto come prima. Te lo prometto”.

“Davvero?”.

“Certo! Che ne dici? Facciamo un brindisi?”.

“Va bene. A che cosa?”.

“A noi. Al sentimento che ci lega".

“Oh, Ary…”.

“Ti fidi così poco di me?”.

“Non è una questione di fiducia. È che conosco quanto sia semplice tentare gli umani. La loro natura è debole, specie davanti all'amore…”.

“Sono più che sufficientemente tentato da te. Non ho bisogno di altro".

Keros sorrise. Poggiò il bicchiere ormai vuoto sulla ringhiera della terrazza. Ary fece lo stesso, avvicinandosi così di molto al mezzodemone.

“Sai…” mormorò l'umano “…Leonore ora è di sopra. Siamo soli. Io e te. Che ne dici se…?”.

“Lo hai mai fatto di notte nel bosco?” ghignò di risposta il principe, tirando a sé il mortale e baciandolo.

Continuarono a baciarsi appassionatamente, abbracciandosi. Keros si sentì sollevato. Stringere di nuovo il proprio amato fra le braccia lo rassicurava. Lo baciò ancora, nel buio. Poi una forte bagliore illuminò la notte si udì un grido. Leonore, rientrata in cucina, aveva acceso la luce. Se ne stava ferma davanti al frigo e guardava i due amanti dalla finestra. Il principe, perplesso, ci mise qualche secondo a capire che lei aveva urlato perché gli aveva visto le corna.

 

“Scusate!” si affrettò a dire lei “Che imbarazzo. Non pensavo foste di sotto. Io…”.

“Tranquilla. Noi…” tentò di rispondete Ary, sistemandosi la camicia dopo il passaggio delle mani indagatrici di Keros.

“Non sapevo che… voi due… Mi dispiace! E tu… tu che cosa sei?! Hai gli occhi che luccicano come quelli dei gatti! Ed in testa…”.

“Respira" le suggerì il mortale, raggiungendola in cucina “Una cosa per volta. È vero, io e lui stiamo assieme. E lui è…”.

“Un demone" ammise Keros, come fosse una cosa normalissima.

“Sono davvero dispiaciuta per… tutto. Che stupida a non accorgervi che voi due…”.

Leonore era arrossita, continuando a farfugliare.

“Non eravamo mica nudi. Su…” scherzò il mezzodemone, con un ghigno divertito.

“Un demone…” riprese a farfugliare lei “E vi stavate baciando. Ed io sono solo una gran invadente. Scusate ancora. Ma… un demone… come è possibile? E poi… Ary, tu sei gay?!”.

“Non so quale delle due cose la sconvolga di più” commentò il sanguemisto, guardando l'umano “Vi lascio da soli. Avete molto di cui parlare. Me ne vado a nanna".

“Ma…” fu la risposta di Ary.

“Buonanotte, tesoro" ghignò Keros, sfiorando il viso di Leonore.

Lei era pallida e sobbalzò a quel gesto. Lo seguì con lo sguardo lungo le scale.

“È un demone?” sussurrò, rivolta al padrone di casa “Un demone vero?”.

Il principe, il cui udito era di certo molto più sviluppato di quello degli umani, rise. Una risata malvagia, che riecheggiò per la casa.

“Sì” confermò Ary “È un demone vero. Ma tranquilla, non è tanto cattivo".

“È un demone!”.

“Sì ma… lo fa apposta a spaventarti. Non ti farà alcun male".

“Sei sicuro?!”.

“Circa…”.

“E come hai conosciuto un demone?”.

“Come hai fatto tu, suppongo".

“Io?!”.

“Suo zio…”.

“Ah… giusto. Mi sembrava strano che fosse un uomo vero. C'era il trucco…”.

“Se lo conosci, non puoi più farne a meno. Siediti. Se vuoi, ti racconto tutto".

“Va bene… tanto, mi è passato il sonno!”.

 

Asmodeo ed Azazel stavano giocando a carte. Tutto procedeva come al solito all'Inferno e i due erano tranquilli, fin troppo annoiati. Non notarono l'avvicinarsi di Lucifero, che rimase a fissarli qualche istante.

“Vi pago per questo?” commentò il re, ed entrambi i giocatori sobbalzarono per la sorpresa e lo spavento.

“Noi… stavamo…” tentò di giustificarsi Azazel.

“Pianificando complicate strategie belliche, immagino" interruppe il sovrano.

“Ecco…”.

“Stavate cazzeggiando. Lo so. Conosco bene come si cazzeggia. Ultimamente lo sto facendo spesso pure io…”.

“Maestà… vogliate perdonarci se…”.

“Potete anche smetterla di blaterare”

Asmodeo si stupì. Il demone sorrideva.

“Continuate pure!” si congedò Lucifero.

“Dove… dove andate?” mormorò Azazel.

“A cazzeggiare!”.

Il diavolo si allontanò, ridacchiando.

“Dici sia impazzito?” mormorò Asmodeo.

“Avrà scoperto qualche droga nuova. Come quella volta dell'assenzio…” rispose di rimando Azazel.

“Speriamo sia solo quello e non demenza senile…”.

 

La mattina seguente, Keros scese le scale canticchiando. Non perché fosse particolarmente felice, ma perché voleva scacciare la noia.

“Hai una voce molto bella" si sentì dire.

Sobbalzò e vide Leonore in cucina, che sorrideva davanti ad una tazza di tè.

“Ne ho preparato un po' anche per te, vuoi?” continuò, rivolta al mezzodemone che annuì.

“Volevo chiederti scusa" parlò ancora, mentre il sanguemisto intingeva biscotti nel proprio tè “Non avevo capito quel che legava te ed Ary. Sono stata molto invadente e suppongo di averti irritato. Ero convinta fossi un ragazzo in Erasmus, o un collega di lavoro che…”.

“Mi stai dicendo tutto questo perché temi possa farti qualcosa di prettamente demoniaco?” mormorò Keros, fissando il biscotto prima di mangiarlo.

“Io…”.

“Tenti di rabbonirmi perché così non ti uccido e rubo l'anima?”.

“Potresti farlo?”

“Rubarti l'anima? Tecnicamente sì. Ma non sono interessato".

“E tuo zio?”

“Mio zio che cosa?”.

“Vuole la mia anima?”.

“Non lo so. Quello è strano. Difficile da capire".

“Ora però capisco perché sa così tante cose del passato. Immagino lo abbia vissuto”.

“Già. In storia siamo imbattibili…”.

“Non puoi dirmi il tuo vero nome, Ary mi ha spiegato perché. Ma… puoi dirmi se compari in qualche testo? Tipo la Bibbia o il Dizionario Infernale?”.

“No. Sono un demone giovane".

“E tuo zio vi compare?”.

“Oh sì. Lui decisamente sì”.

“Giovane… quindi quando sei nato?”.

“Nel 718”.

“Hai mille e trecento anni?!”.

“Tra poco, in effetti. A dicembre".

“Sarebbe per me un vero piacere prepararti qualcosa di speciale. Un dolce o qualcos'altro. Per sdebitarmi del fastidio che ho procurato".

“Guarda che non serve. Non voglio per davvero la tua anima".

“Fa niente. Intanto, te lo prometto, lascerò molti più spazi a te ed Ary. È giusto che stiate assieme, da soli. Sono una persona adulta, potete fare quello che volete! Non mi vergogno e nemmeno mi scandalizzo. Anzi… sono felice che Ary abbia trovato un nuovo amore".

“Ok…”

Keros, perplesso, continuò a mangiare biscotti.

“Ti va di andare in città con me?” propose lei “Dobbiamo fare la spesa e poi vorrei fare un giro per i negozi. Ary si è raccomandato di assicurarmi che tu abbia degli abiti caldi, ora che arriva il freddo".

“Va bene…”.

“Voglio davvero andare d'accordo con te. Ok? Quindi, se c'è qualcosa che ti infastidisce, dimmelo subito".

“Mi infastidisce che tu ti sforzi di fare le cose. Se non ti va, fai a meno".

“Io non vedo l'ora di andare a fare shopping con te".

“Sei una di quelle che non vedeva l'ora di avere un amico gay, vero?”.

Leonore rise. Keros scosse la testa, divertito. Che strambi erano gli umani!

“Andiamo" si alzò il principe, finita la colazione “Guido io".

“Hai la patente?”

“Ho tutto quello che vuoi!”.

 

Il mezzodemone aveva appena acquistato un nuovo cappotto. Con i soldi che chiedeva a Mefistofele, in cambio delle serate in cui si esibiva, si era tolto qualche sfizio. Si osservava allo specchio con un mezzo sorriso.

“Ti sta molto bene" si complimentò Leonore, che stava per provare dei jeans.

“Grazie…”.

Keros amava ricevere complimenti. Seguì l'umana in una serie di altri negozi del centro commerciale, sentendosi effettivamente molto più rilassato. La vetrina di una gioielleria attirò poi la sua attenzione. Un paio di orecchini con pendente a mezzaluna brillavano in vetrina.

“Sono bellissimi!” esclamò l'umana “Anche se un po' cari…”.

“Ed il problema dove sarebbe?” parlò una voce.

“Ma per caso ti piace pedinarmi?” sbottò Keros, intravedendo il riflesso di Lucifero sulla vetrina.

“Un pochino. È stato bello vedervi fare shopping, con le ragazze che si girano a guardarti il culo quando passi…”.

“Lo fanno davvero?!”.

“Te ne stupisci? Ad ogni modo, se ti piacciono, posso comprarteli io quegli orecchini. È da un po' che non ti vizio. Che ne dici?”

“Io…”.

“È deciso. E per la bella Leonora? C'è qualcosa che ti piace?”.

“Non saprei…” balbettò lei, mentre entravano in negozio.

Keros scostò un ciuffo di capelli, provando gli orecchini.

“Le tue orecchie sono normali adesso" ridacchiò la mortale.

“In che senso…?” si intromise Lucifero, cercando qualcosa di bello per Leonore.

“Lo sa che siamo demoni" sussurrò il principe.

“Come sarebbe?!”.

“Lo ha scoperto. Lunga storia".

“Ma non è un problema" rise lei “Insomma… è strano. Non mi interessa. Quando ti ho conosciuto, stavo piangendo. Camminavo per strada e piangevo. Nessun'altra persona si è avvicinata per tentare di capire se poteva fare qualcosa per me. Perciò… demone o no, con voi mi diverto! Poi… ci sarà da discutere sulla faccenda della mia anima…”.

“Che meravigliosa fanciulla” ghignò Lucifero, donandole un bracciale “Ora che ne dite se vi offro della cioccolata con panna?”.

 

“Sembra che abbiate passato una bella giornata” sorrise Ary quella sera.

“Sì!” sorrise Leonore “Ma ne parliamo domani. Ora devo uscire”.

“Appuntamento galante?” ipotizzò il mortale.

“Circa…”.

Fu Lucifero l'accompagnatore di Leonore e venne a prenderla con la macchina, in un abito più elegante del solito.

“Wow…” mormorò Keros “Lui sì che sa come farsi bello…”.

“Siete pronta, madame?” chiamò il demone, ovviamente in aspetto umano, ed i due svanirono lungo il sentiero.

“Quindi… questa sera siamo solo io e te?” notò Ary, voltandosi verso Keros.

“A quanto pare…”.

“Cosa hai comprato di bello?”.

“Pensavo di mostrartelo più tardi. Ho anche un regalo per te…”.

“Davvero? Cos'è?”.

“Te lo mostro solo se mi prometti di indossare solo il mio regalo per le prossime… due ore!”.

“Ok… ci sto. Cos'è?”.

“Una cravatta! Ed adesso fila a letto. E spogliati".

“Solo se ti spogli anche tu".

“Sarò già nudo prima di arrivare alla fine delle scale, amor mio!”.

 

Ciao a tutti! Tenterò di aggiornare di nuovo entro il week-end, perché poi sarò senza pc per una decina di giorni. Se ce la faccio, ci sentiamo presto. In caso contrario… ci si sente a settembre. Un anno più vecchi (è quasi il mio compleanno) :p ciao!

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Capitolo 48
*** Proposte ***


48

Proposte

 

Leonore camminava distrattamente lungo il parco che attraversava il centro città. Il vento faceva volare foglie multicolore, le ultime che ancora erano rimaste tenacemente attaccate ai rami degli alberi. Aveva appena sostenuto l'ennesimo colloquio ed incrociava le dita, sperando che finalmente fosse la volta buona. Nel frattempo, si era segnata altri annunci in agenda. Chiuse i bottoni del cappotto, provando un po' di freddo. Aveva qualche ora libera ed era lieta di vedere il suo appuntamento già seduto sulla panchina, con il viso rivolto alle nuvole. Lei sorrise ed affrettò il passo. Lui, notandola, si alzò cavallerescamente in piedi.

“Sono in ritardo?” domandò Leonore.

“Affatto!” la rassicurò Lucifero “Ero qui solo da qualche minuto. Ora dimmi… che vuoi fare?”.

“Se non ti dispiace, vorrei restare un po' seduta qui. È tutta la mattina che corro qua e là”.

“Prego. Come preferisci".

Lei sedette, poggiando la borsa. Poi sollevò la testa e fissò il cielo.

“Che belle le nuvole" sospirò “Devono essere molto soffici"

“In realtà non lo sono per niente. Ma lo sembrano”

“Che cosa ci vedi?”.

“Dove?”.

“Nelle nuvole. Che forma vedi in quella nuvola lì?”.

Lui seguì il dito della mortale e fissò la nuvola qualche istante.

“Un criceto infilato in una melanzana" ammise.

“Un… cosa?”.

“Perché? Tu cosa ci vedi?”.

“Un albero".

“Oh… decisamente una cosa più normale”

“Senti… questa mattina, tuo fratello è venuto a parlarmi".

“Mio fratello? Quale? Ne ho tanti…”.

“Quello che era a casa quel giorno. Il padre di Ciliegia".

“Il fratello rompicoglioni, ho capito. E che ti ha detto?”.

“Mi ha messo in guardia da te”.

“E che hai risposto?”.

“Che sono affari miei".

“Ottimo…”.

“Ma perché lo ha fatto? Intendo dire… Ciliegia è un demone, giusto? Ed anche suo padre, no? Allora perché agisce contro di te?”.

“La situazione è complessa e non mi va di discuterne. Piuttosto… avrei un discorso molto ma molto serio da fare con te".

“Del tipo…?”.

“Del tipo: so che cosa desideri. E so come fartelo ottenere, se vuoi. Non posso obbligati, ovviamente, ma vorrei tu riflettessi sul fatto che io sono il re dei demoni e posso far realizzare i tuoi sogni".

“I miei sogni... intendi…?”.

“Intendo un bambino. Non è ciò che più desideri?”.

“Sì. Ma come…?”.

“Ti capisco. Anche io ho provato lo stesso desiderio per millenni. Invano. Il mio piccolo Ciliegia è il mio tesoro più prezioso".

“E come si può fare? Cioè… dagli ultimi esami che ho fatto, pare che nemmeno per il mio corpo sia tanto semplice…”.

“Io ho un potere. Notevole. Basterà un rituale. Un pochino complesso, ma fattibile”.

“E poi?”.

“Poi che cosa? Resterai incinta e partorirai tuo figlio".

“Ed in cambio? E sarà un bimbo umano?”.

“Certo che sarà umano! Per quel che riguarda il pagamento… immagino ti sia facile intuirlo!”.

“La mia anima? E quella del bambino?”.

“Il bambino non posso saperlo. Intendo dire… potrebbe diventare un serial killer o uno stupratore di pulcini, che ne sappiamo? Ma non nascerà destinato all'Inferno".

“Ed io? Io potrò stargli accanto? O morirò appena sarà nato?”.

“La tua morte prematura non rientra nel contratto".

“Oh… e quanto tempo ho per pensarci?”.

“Tutto il tempo che vuoi. Io ho letteralmente l'eternità a disposizione".

“Va bene. Allora… ci penserò. Ci sarai al compleanno di Ciliegia?”.

“Non lo so. Mi lascia perplesso il fatto che voglia farlo fra gli umani e con anche suo padre".

“Saremo solo in sei. Il festeggiato, io, Ary, tu e tuo fratello”.

“Appunto! Ci penserò… pensiamo entrambi, che ne dici?”.

“Pensiamo entrambi?! Ma cosa…?”.

“Rilassati. Non parlare. Ascolta la musica del mondo”.

“La che…?”.

“Silenzio…”.

Rilassandosi, Leonore tornò a guardare le nuvole. Chiuse gli occhi. Che cosa avrebbe dovuto sentire? Il traffico, i clacson, le grida dei passanti… Poi iniziò a percepire altro. Udì il fruscio del vento, il canto degli uccelli, lo scricchiolio delle foglie… Era bella la musica del mondo! D'istinto, sempre ad occhi chiusi, sorrise e strinse la mano di colui che aveva accanto. Lucifero, perplesso, fissò quella mano. Che strani erano gli umani in quell'epoca…

 

Keros stava armeggiando con lo stereo. Sapeva che da lì usciva la musica, ma ogni volta ci metteva un po' a capire come. Schiacciava tasti ed andava a tentativi, felice quando finalmente raggiungeva lo scopo. Troppe funzioni, si giustificava. Quando aveva capito come far partire un cd, ecco che Ary voleva musica alla radio o su chiavetta. Perché era tutto così elettronico? E perché si era permesso di sfottere Lucifero perché “non stava al passo con i tempi"?

“Devi alzare la leva del volume" suggerì Ary, vedendo il mezzodemone in difficoltà.

“Lo so” mentì Keros, alzandola di botto e facendo sparare al dispositivo della musica altissima.

Questo spaventò parecchio il principe, dalle orecchie particolarmente sensibili, che preferì nascondersi dietro al divano.

“Ma che fai?! Spegni questo casino!” urlò il mortale, per farsi sentire.

Capendo che Keros non si sarebbe mosso dal proprio nascondiglio, si alzò ed abbassò il volume. Poi si accucciò accanto al divano e sorrise al mezzodemone, che distolse lo sguardo per l'imbarazzo.

“Perché non mi suoni qualcosa al piano?” suggerì Ary “Così non ci serve la radio".

“Non sono bravo…”.

“So che non è vero. Ma, se non ti va, non fa niente…”.

Il sanguemisto non rispose. Le sue orecchie erano ancora doloranti.

“Lo sai che non vedo l'ora che sia il tuo compleanno?” riprese a parlare l'umano.

“Io no…” ammise Keros “Non sono sicuro di aver fatto bene ad invitare qui Lucifero ed il mio vero padre. Litigano sempre!”.

“Troveremo il modo di non farli litigare. Cerca di essere ottimista! Piuttosto… cosa hai in mente? Qualche gioco? Un tema?”.

“Non so… non sono un grande esperto".

“Allora chiederemo a Leonore, ti va? Non vede l'ora di organizzare qualcosa per te. Sempre che non ti dia fastidio…”.

“Ultimamente è stata molto gentile con me. Andiamo d'accordo. Perciò, se ci tiene, faccia pure. Spero solo che i soliti due litiganti non facciano troppo casino".

“Se hanno le orecchie come le tue, basterà alzare il volume dello stereo!”.

Keros ridacchiò. Finalmente trovò il coraggio di uscire da dietro il divano e sgattaiolare fuori, raggiungendo il tavolino al centro del salotto.

“Sai…” sorrise Ary “Ci tenevo a farti sapere che sono davvero felice che tu faccia parte della mia vita”.

“Sicuro? Anche se corrompo la tua anima?”.

“Tu hai salvato la mia anima! Non fosse per te, probabilmente a quest'ora mi sarei già sparato in testa! Mi hai insegnato a reagire, a guardare avanti. Mi hai fatto capire che per ottenere le cose bisogna cambiare, muoversi. Sono un insegnate di ruolo adesso, grazie a te. Aspettavo invano che le cose andassero in modo diverso ma, ora lo so, se si vogliono cambiare le cose bisogna per primi cambiare se stessi. Se la nostra vita non ci piace, e vorremmo che fosse differente, è compito nostro modificare quel che non va. Perché facendo sempre le stesse cose, tutto resterà allo stesso modo! Tu mi hai dato la forza, il coraggio. Un nuovo lavoro, un nuovo libro… una nuova vita! Questo non mi pare sia una corruzione. Mi sembra più un gesto da… angelo! E scusa se questo paragone magari ti offende”.

“Sei molto gentile a dirmi tutto ciò. Ma questo non toglie il fatto che io e te scopiamo. E questo al cielo non piace”.

“Me ne farò una ragione!”.

Ary ghignò. Keros scosse la testa, rassegnato. Che strani erano gli umani in quell'epoca...

 

“Che strani gli umani di oggi. Un tempo, sapendo che eri un demone, tremavano dal terrore. Adesso invece si divertono. Sembra tutto un gioco…” parlottava Lucifero, rimasto da solo al parco, percependo la presenza di Mihael.

“Un gioco orribile!” commentò l'Arcangelo.

“Il solito gioco. Da secoli, secoli e secoli. Solo che ora i mortali sembrano divertirsi". Il demone sbadigliò, allungando le gambe e restando seduto sulla panchina.

“Quella donna… perché vuoi l'anima di quella donna? Erano secoli che non tentavi qualcuno”. L'Arcangelo lo raggiunse, restando in piedi controvento.

“Calmati, riccioli d'oro. Non ha firmato alcun contratto. Non puoi spaccarmi le balle per qualcosa che non ho fatto".

“Ma che farai! Io so che vuoi farle un contratto!”.

“Ed io so che tu sai che esiste il libero arbitrio. E se lei decide di darmi l'anima tu, bell'angioletto, t'attacchi a ‘sto gran c…”.

“Sempre così volgare!” lo interruppe di botto Mihael, incrociando le braccia.

“Ed a tuo figlio non dici nulla?” ghignò il re, accendendo una sigaretta.

“Lui ama quell'umano. È diverso".

“Oh, ma che romanticone!”.

“Perché non credi nell'amore? Tu amavi Sophia!”.

“Ed è proprio per questo che è morta. Così come per amore è morta Carmilla. Se devo scegliere fra vivere come sono o morire per un po' di smancerie romantiche, preferisco la prima opzione".

“Non tutte le storie d'amore portano alla morte!”.

“Le mie sì! Quelle dei demoni, sì. Vedrai. La faccenda di Keros e di quel mortale sarà un completo disastro. E sai cosa mi dà più fastidio? Che lui non lo capirà finché non sarà troppo tardi! Avrò quell'anima e Keros soffrirà in eterno per questo”.

“Non è detto che l'avrai".

“Non mi risulta che fare sesso con i demoni rientri fra le caratteristiche d'ammissione al Paradiso. O mi sbaglio?”.

“Non ti sbagli. Ma…”.

“Ma allora quell'anima sarà mia. O si dissolverà. In ogni caso… a Keros si spezzerà il cuore. Esattamente come con quel mostriciattolo di Nasfer. Per secoli mi ha piallato i maroni con quel ragazzo, perché lo ha umiliato. Figurati per quanto romperà dopo una storia come quella che sta vivendo adesso! Ma a te che importa? L'importante è che vinca l'amore…”.

“Stai delirando".

“No. Sei tu che non riesci a capire. Ma non me ne stupisco. Tu il dolore non lo capisci…”.

“Il dolore?”.

“Saprai anche cos'è la tristezza ma la luce di Dio ti conforta, ti risolleva. Tu non sai cosa vuol dire quando quella luce si estingue, quando tutto attorno a te pare spegnersi. E quando tu stesso vorresti spegnerti per sempre. No… tu questo non lo capisci. E non lo capirai mai. Però prova a fare uno sforzo. Almeno per Keros…”.

“Io non voglio che Keros soffra".

“E allora pensa a lui, non a quel che faccio io. Che tanto, lo sai… lei appartiene già a me!”.

 

Persa nei suoi pensieri, Leonore non si era nemmeno accorta del tempo trascorso. Si era messa a gironzolare per il centro, senza una meta. Rifletteva sulle parole di Lucifero, su quell'ipotetico patto che poteva stringere. Ne valeva la pena? Sospirò, fermandosi accanto ad un negozio di articoli per l'infanzia. Vedeva le culle, i lettini, tutti quei vestitini minuscoli… D'istinto, si portò una mano al ventre. Che fosse davvero possibile che potesse generare una vita? Che aveva da perdere? Essere madre era sempre stato il suo sogno!  Dopotutto, pensò, quel demone le piaceva. Questo comprometteva di molto la sua posizione, e probabilmente non avrebbe mai potuto avere l'accesso al Paradiso. E allora? Si chiese perché, visto che i demoni le parlavano, non intervenisse qualche angelo. Il suo angelo custode, per esempio, dov'era? Perché non le offriva qualche valida alternativa?

“Devo chiedere qualche dettaglio in più” mormorò, fissando una culla di cui si era innamorata “Valuterò l'offerta…”.

Continuò ad essere sovrappensiero anche una volta rientrata in casa. Keros la fissava, inclinando la testa, e lei nemmeno se ne accorgeva. Il mezzodemone alzò un sopracciglio. Sapeva bene cosa voleva dire essere sotto il dominio del potere di Lucifero!

“Mi hanno detto che posso occuparmi della tua festa" parlò Leonore, di colpo.

Il principe non sapeva cosa dire.

“Ti senti bene?” le domandò.

“Ho alcuni pensieri che mi passano per la testa".

“Uno di questi riguarda Lucifero?”.

“Anche…”.

“Attenta a quel che fai con lui…”.

“Sono una donna adulta. Mi prendo carico delle mie responsabilità. Ad ogni modo, tornando alla tua festa…”.

“Sei libera di agire come meglio credi. Sia per quel che riguarda Lucifero, sia quel che concerne la mia festa. Divertiti. Io non ho preferenze”.

“Ottimo… ora me ne vado in stanza a riflettere. Vedrai: sarà una festa stupenda!”.

“Lo so che non stai pensando alla festa…”.

Il mezzodemone seguì con lo sguardo la mortale lungo le scale. Ary era nello studio, seduto davanti al pc. Keros lo raggiunse, curioso come sempre. L'umano gli sorrise.

“Non trovi che siano carini?” domandò il padrone di casa.

“Chi?”.

“Leonore e Lucifero. Perfino i loro nomi suonano bene insieme…”.

“Conosco troppe donne con la L. Leonore, Lilien, Lilith…”.

“Conosci Lilith?”.

“Vuoi conoscerla anche tu? La conoscono tutti. E comunque no, non sono carini. Andiamo… Lucifero vuole solo la sua anima! Dovresti metterla in guardia".

“E perché non lo fai tu?”.

“Perché sa che io e lui siamo in momentaneo conflitto. Non mi ascolterebbe”.

“Io sono il suo ex marito. Mi ascolterebbe ancora meno! E poi secondo me sono carini".

“Se lo dici tu…”.

“Ma tu sei più carino".

“Vorrei ben dire…”.

Keros ghignò. Si accoccolò fra le braccia del mortale. Voleva tenerlo al sicuro! Al sicuro per sempre! La vita umana, così fragile ed effimera, necessitava protezione! La vicinanza di Lucifero non faceva altro che alimentare i timori e le paranoie che già gli riempivano la testa. Temeva la prossima mossa del re dei demoni.

“Ti amo" sussurrò, socchiudendo gli occhi “Ricordatelo, Ary. Qualsiasi cosa possa mai succedere, ricordati che io ti amo".

“Anch'io ti amo. Anche se il mio amore avrà la semplice durata di una breve vita umana…”.

 

Mini capitolo, il secondo della settimana! Per un paio di settimane sarò senza pc quindi non potrò aggiornare. Sigh. Ci sentiamo fra una quindicina di giorni (spero!!)

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Capitolo 49
*** Compleanno di demone -parte prima- ***


49

Compleanno di demone

-Parte prima-

 

Un tocco leggero. Keros mosse solo lievemente le orecchie e continuò a dormire, rigirando la testa. Si strinse di più nelle lenzuola. Di nuovo un tocco leggero, che ne spostò i capelli sul viso. Il mezzodemone arricciò il naso, lievemente infastidito. Un bacio sul collo gli provocò un brivido lungo tutta la schiena.

“Buon compleanno” udì sussurrare.

Il principe aprì gli occhi, chiedendosi che ore fossero. Era buio pesto, notte fonda. Ancora abbracciato al cuscino, sbadigliò e cercò di non riaddormentarsi.

“Ary…” biascicò “Ma che ore sono?”.

“È da poco passata la mezzanotte. Buon compleanno!”.

“Perché… perché mi hai svegliato?”.

“Volevo essere il primo a farti gli auguri!”.

“Oh… grazie…”.

“E ora… che ne dici di festeggiare un po', prima di tornare a dormire?”.

“Che cos’hai in mente?”.

“Tu che dici?”.

Keros intravide un ghigno sul viso del mortale, che lo baciò di nuovo sul collo.

“Sei pazzo?” mormorò il mezzodemone “C'è Leonore di là!”.

“E allora?”.

“Quella, se si sveglia, è capace di venire qui in camera a chiedere cosa stiamo facendo e se può unirsi!”.

“Se è quello che vuole…”.

“Ary!”.

“Scherzo!”.

Il mortale scostò parte del lenzuolo che copriva la schiena del sanguemisto. Keros rabbrividì, non amando molto la temperatura esterna, ma venne subito rassicurato.

“Ti scaldo io" sussurrò dolcemente l'umano ed il mezzodemone non oppose resistenza.

 

Li attendeva una lunga giornata. Su richiesta di Leonore, Keros era stato obbligato ad uscire di casa. Indossando cappotto e sciarpa, aveva raggiunto la città assieme ad Ary, per poi prendere una diversa direzione. L'umano si era recato al lavoro ed al mezzodemone era rimasto un lungo elenco di commissioni da svolgere, fra cui ritirare la torta di compleanno. L'idea lo allettava, sapeva che in pasticceria avrebbe trovato tantissimi dolci interessanti con cui accontentare la propria golosità. Però doveva attendere l'orario prestabilito e perciò, nel frattempo, prese a gironzolare per la città, assolvendo altri compiti come passare per la posta e la pulitura a secco. Una volta terminate le commissioni, salì su una delle torri che delimitavano il centro storico ed osservò le viuzze e le piazze. Turisti e passanti scattavano foto da quella postazione, mentre il mezzodemone si limitava ad ammirare il mondo dall'alto. Notava il traffico congestionato su alcune vie, gruppi di giovani che passeggiavano al parco, anziani diretti dal panettiere e uomini d'affari incollati al cellulare. Grazie all’udito sviluppato, riusciva a percepire molte voci, come quella della maestra che richiamava i suoi alunni dalla ricreazione o quella del muratore che discuteva con il collega. La città da lassù pareva proprio bella, brulicante di vita e di angoli da esplorare. Erano stupidi gli umani, quasi sempre, ma il loro mondo non era tanto male! Il trillo del telefono lo riportò alla realtà, dopo aver divagato con la mente a pensieri riguardanti il tempo che passa ed il come quella città doveva essere diversa mille e trecento anni fa: era ora di mangiare!

Dopo la breve pausa pranzo con Ary, Keros era tornato a dedicarsi alla totale nullafacenza per il centro. Aveva trascorso del tempo in libreria, regalandosi un volume a tema storico, dopo un caffè ed un saluto al negozio d'animali. Leonore gli aveva suggerito di passare dal parrucchiere per “farsi bello per l'occasione", ma il mezzodemone non avrebbe mai permesso a mani umane di tagliargli i capelli. Così aveva atteso il tramonto, dondolando pigramente su un'altalena del parco, ricordando altri suoi compleanni con vago disagio. Era trascorso troppo tempo, troppi secoli… ma ora poteva andare a ritirare la torta!

 

“Siamo pensierosi?” stuzzicò Ary, mentre percorrevano il breve tragitto che li separava dal parcheggio.

“Stavo pensando…” ammise Keros, addentando un pasticcino alla crema “…che sono più vecchio della maggior parte degli edifici di questa città. Della maggior parte degli oggetti e del paesaggio che vedo".

“E non ti era mai capitato?”.

“No. All'Inferno, è quasi tutto molto più datato di me".

“Se vuoi dopo passiamo per il museo di storia naturale. Là ci sono i dinosauri" rise l'umano, aprendo la portiera ed aiutando il mezzodemone a sistemare in modo sicuro la torta ed i pasticcini.

“Proposta allettante" mostrò la lingua Keros “In cambio, potrei portarti in una nursery. I demoni della tua età sono praticamente dei neonati".

“Devono essere carini i demoni da neonati”.

“Come gli umani. Ma mordono fin dalla nascita…”.

“Wow…”.

Il mortale, entrato in macchina, controllò di sfuggita alcune raccomandate e poi accese il motore.

“C'è una cosa però di cui vorrei parlarti" esordì il principe, dopo qualche metro.

“Dimmi pure” sorrise Ary, abbassando la radio.

“Seriamente. Io sono molto preoccupato per Leonore”.

“Preoccupato per Leonore? E perché?”.

“Come perché?! Lucifero!”.

“Keros… Leonore è una donna adulta. Credo che non sia nostro compito prenderci cura di lei come fosse una mocciosa. Sono sicuro che sa badare a se stessa".

“Credimi: non lo sa. Non si può badare a se stessi con Lucifero intorno. È il suo potere! E temo voglia per davvero la sua anima…”.

“E anche se fosse? Noi non possiamo far altro che metterla in guardia, cosa che abbiamo già fatto più volte. Più di questo? Che fare? Rinchiuderla in una torre?”.

“Cerca di fare il serio!”.

“Lo hai detto anche tu che il potere di Lucifero è estremamente difficile da sconfiggere, specie per un umano. Anch'io sono preoccupato, temo le possa fare del male. Ma fin ora lei mi sembra felice, come lo siamo io e te. Pure tu volevi la mia anima, all'inizio”.

“Però io poi ho cambiato idea. Cosa che Lucifero non farà. Lui odia gli umani, siete la cosa che più detesta in assoluto!”.

“Leonore compirà le sue scelte, Keros. È il libero arbitrio, dopotutto".

“Ma lei è mia amica. Negli ultimi mesi è stata così gentile con me… il minimo che possa fare è impedirle di commettere uno sbaglio che la condannerà per l'eternità”.

“Faremo del nostro meglio. Ma ora non crucciarti, ok? È il tuo compleanno! Sorridi!”.

“Prometti di non uccidermi se, per caso, i miei due padri ti distruggono la casa?”.

“Metterò i danni sul loro conto…”.

 

Appena messo piede in casa, Keros rimase senza parole. Leonore aveva addobbato il corridoio ed il salone con stelle e piccoli decori luminosi, così da dare l'impressione di ammirare il cielo notturno. I tavoli e tutto quello che vi era su di essi, dai tovaglioli ai sottobicchieri, richiamava lo stesso tema. La musica, soffusa, era un concerto di violini e pianoforte.

“Che meraviglia!” commentò il padrone di casa “Hai fatto un ottimo lavoro, Leonore!”.

Lei sorrise ed attese i commenti del festeggiato, che ammirava ogni piccolo dettaglio.

“Mi è stato detto che adori le stelle ed il cielo" spiegò la mortale al sanguemisto, che si complimentò sinceramente.

“Gli ospiti saranno qui a momenti. Meglio tirar fuori le bibite dal frigo…” furono le parole di Ary, dopo aver scattato qualche foto con il cellulare.

Si diresse in cucina e lì trovò un ospite inatteso: un gatto. Un gatto tutto nero se me stava acciambellato su una sedia, con un occhio mezzo aperto.

“Che micio bellissimo! Da dove arrivi? Vuoi un po' di latte? Ti faccio i grattini sulla pancia?”.

Tentò invano di fare amicizia fino all'arrivo di Keros, che fissò il gatto storcendo il naso.

“Offrigli vodka con ghiaccio, vedrai che ti risponde" sbottò il sanguemisto, mentre il gatto ghignava divertito e prendeva le sembianze di Lucifero.

“Oh…” arrossì leggermente il padrone di casa “…mi scuso per ogni cosa inopportuna che posso aver detto".

“Non c'è problema" ridacchiò il demone “Sono consapevole di essere un gran bel micio irresistibile”.

“Da quanto tempo sei qui?” volle sapere Keros, togliendo peli dal cuscino della sedia.

“Abbastanza. Mi sono fatto un bel sonnellino. Ah… auguri! Ti ho portato un regalo. È sul tavolo, in salotto”.

“Dopo guardo, grazie…”.

Il re ghignò ancora, guardandosi attorno. Leonore non fu affatto stupita di vederlo, come se sapesse della sua presenza felina.

“Che vestito incantevole" si complimentò il diavolo “E gli addobbi sono molto carini. Forse un po' troppo chic per i miei gusti, ma la festa non è la mia".

Lei sorrise, finendo di preparare i tavoli. Indossava un lungo abito blu, molto elegante, che richiamava il tema della giornata. Lucifero invece si era vestito in modo più “moderno", non troppo formale. Con i lunghi capelli stranamente sciolti, sfoggiava un completo jeans e camicia. I pantaloni neri erano strappati in qualche punto e, fra catene e piccole borchie, sufficientemente aderenti da lasciare poco spazio all'immaginazione. La camicia, stranamente bianca, la portava con gli ultimi due bottoni aperti, mostrando così una collana d'argento raffigurante il proprio marchio.

Leonore, incantata da quegli occhi lievemente truccati, sospirò e lo trovò bellissimo.

Keros preferì vestirsi con uno stile più demoniaco, con ricami e riccioli intricati di colore rosso, sulla stoffa nera. Mentre Leonore ed Ary finivano di apparecchiare la sala, si era ritirato in stanza per sistemare i capelli, acconciandoli con piccole catene e punti luce. Quando fu soddisfatto del risultato, raggiunse il tavolo delle bibite. Su di esso era comparso un buono vino infernale ed un'altra bibita con la stessa provenienza, decisamente più alcolica.

“Miky è in ritardo” constatò Lucifero, mangiando una patatina al formaggio.

“Probabilmente ti sta spiando da un bel pezzo, come sempre" rispose Keros, aprendo una birra “E spunterà quando ne avrà voglia. Nel frattempo, non mi pare tu ti faccia problemi. Ti stai rimpinzando di patatine".

“Che vuoi farci? Devo pur passare il tempo…”.

Ary si unì al banchetto e così fece Leonore, quando qualcuno bussò alla porta. Il festeggiato andò ad aprire, sapendo già chi fosse. Mihael, con in mano un pacchetto infiocchettato alla bene e meglio, salutò educatamente ed entrò. Anche lui era vestito in jeans e camicia, ma senza strappi e con pantaloni azzurro pastello.

“Non avete motivo di coprire la vostra identità" spiegò Keros, rivolto a Lucifero e Mihael “Qui lo sanno tutti che cosa siete. Perciò non sforzatevi troppo e date pure libero sfogo ad ali, code e quant'altro…”.

“Sto bene così, grazie" rispose l'Arcangelo “Le ali sono solo un impiccio dentro casa”.

“Come preferisci… grazie per essere venuto. Non credo sia stato facile accettare, per entrambi. Ma voi siete entrambi mio padre, e ci tenevo ci foste in un momento come questo. So che spesso non lo dimostro ma… io vi voglio bene. E spero non litighiate oggi!”.

Lucifero, che esprimeva con molta più facilità i propri sentimenti rispetto a Mihael, rispose a quelle frasi con un abbraccio divertito.

“Un angelo…” stava ripetendo Leonore “Sto guardando un angelo!”.

“Arcangelo" la corresse Ary “Meglio essere precisi. Magari si offende…”.

“Nessuna offesa" rassicurò Mihael, nascondendo un certo imbarazzo. Non era abituato a partecipare a feste od occasioni simili, se non di tipo religioso.

“Bene…” interruppe ogni discorso il principe “Non so voi, ma io ho fame! Prendo la torta. Sedetevi a tavola".

 

Il dolce era delizioso e, nonostante le porzioni abbondanti, non ne avanzò nemmeno una briciola. Poi Ary porse al festeggiato un pacchettino rettangolare, invitandolo ad aprirlo. Keros obbedì e rimase perplesso.

“Che roba è?” domandò.

“Un lettore MP3! Non lo avete all'Inferno?”.

“Non credo. Però è da un po' che non giro per negozi. A cosa serve?”.

“Aspetta. Ti faccio vedere".

Il mortale collegò le cuffie ed accese il dispositivo. Avvicinandosi al mezzodemone, accostò una delle cuffiette all'orecchio del festeggiato, che si lasciò sfuggire un “Oh!”.

“Così, se vuoi sentire la musica, puoi farlo con questo" spiegò il mortale “Anche nel cuore della notte, senza disturbare nessuno e senza litigare con lo stereo. Niente spaventi. Basta un tasto per farlo partire e puoi metterci le canzoni che vuoi. Ti piace?”.

“Spero di capire come funziona…”.

“Ma certo! È semplicissimo! Basta schiacciare il tasto centrale per farlo partire".

“E gli altri tasti?”.

“Servono per il volume o per selezionare la canzone”.

“Capisco… farò pratica! Grazie. Mi rincuora non dover più toccare quel maledetto stereo!” ridacchiò Keros  “Ora voglio aprire il pacchetto di Mihael".

Togliendo la carta color panna, il sanguemisto trovò due libri con la copertina in pelle. Privi di titolo, era evidente che fossero fatti a mano. Aprì il primo, quello più in alto, ed i mortali non riuscirono a trattenere lo stupore davanti a simile bellezza. La prima pagina era riccamente decorata con miniature e foglie in oro.

“Ovviamente…” specificò Mihael “La lettura di entrambi i volumi dev'essere ad esclusivo uso personale".

Concluse la frase fissando Lucifero, che gli fece una boccaccia.

“Ah… ma certo!” annuì Keros, capendo che doveva essere la copia di uno dei volumi che tanto aveva chiesto al padre, riguardante i tempi precedenti alla guerra del Paradiso.

“Il secondo volume invece è da parte di Gabriel. Dice che ne avete parlato e che ora è tutto tuo. Non ho idea di che cosa contenga, ma spero tu lo gradisca”.

Il principe alzò un sopracciglio, con aria interrogativa. Aprì il volume e lesse qualche riga, subito comprendendo il contenuto e sorridendo. Era una copia dei verbali e degli appunti depositati da Mihael riguardanti Carmilla, ogni loro incontro fin dal primo tentativo di esplorazione umana da parte della demone. Lo chiuse, senza svelare all'Arcangelo la verità.

“Ringrazialo molto. Terrò questi libri come dei tesori inestimabili” mormorò, con un piccolo inchino.

“Ora posso darti il mio?” sorrise Leonore, non stando più nella pelle e porgendo un foglio a Keros.

“Che… cosa…?”.

“È un buono per una cena!” spiegò la mortale “Nel ristorante più esclusivo e romantico della città. Ho un'amica che ci lavora e sono riuscita a farvi avere due posti, ovviamente per te e per Ary, tutti per voi. Lo chef preparerà un menù apposta solo per voi due, con tanto di saletta personale e musica. Spero non abbiate impegni per domani sera!”.

“Che idea carina!” commentò Ary.

“Vi meritate del tempo per voi!”.

“Ho sempre sognato di andare a mangiare in quel locale. Ma è sempre strapieno! Vedrai, Keros, sarà una serata magnifica!”.

“In un locale famoso, una stanza solo per noi con menù esclusivo? Grazie, Leonore!” esclamò il festeggiato.

“Ho pensato che tu possiedi già molte cose" spiegò lei “Ma di bei momenti con il proprio innamorato non se ne trascorrono mai abbastanza. Giusto?”.

“Hai avuto un'idea magnifica. Ti ringrazio".

L’umana si alzò in piedi e si fece abbracciare, felice di aver fatto un regalo gradito.

“Ora manca Lucy" commentò poi, indicando il demone.

“Lui detesta essere chiamato Lucy" le sussurrò il sanguemisto.

“Oh… scusa!” arrossì Leonore.

“Mi hai portato il vino, giusto?” continuò Keros “Ed il liquore".

“Sì” annuì il diavolo “Ma pensi che potrei regalare solo quello a te, nel giorno del tuo compleanno?”.

“Non lo so. Io…”.

“Tieni".

Il re lanciò un pacchetto sul tavolo, dopo averlo estratto dalla tasca. Il principe lo aprì e vi trovò un mazzo di chiavi, con un indirizzo scritto sulla targhetta.

“Che significa?” domandò il festeggiato.

“Se non puoi batterli, unisciti a loro. Così dicono" sospirò il sovrano “Visto che non vuoi saperne di tornare a casa, nonostante il freddo di questo postaccio di montagna, ho deciso di fornirti un'alternativa valida e più adatta alla tua salute".

“Mi hai comprato una casa?!”.

“Io VI ho comprato una casa. Ad entrambi. Una casa vicino al mare, non troppo distante dal luogo di lavoro del tuo amato mortale. È isolata, tranquilla, adatta ad un demone come te. Così, spero, trascorrerai l'inverno in un posto dove non vieni sommerso dalla neve già ad ottobre. Mi sentirò molto più tranquillo sapendo che almeno non ti ammalerai per il freddo".

“Davvero ci ha comprato una casa?!” si stupì Ary.

“Ovviamente questa dimora resta tua, non pretendo che vi trasferiate. Solo che tu costringa Keros a trascorrere del tempo in un luogo un po' più caldo. Per il suo bene, almeno ogni tanto".

“Ma è magnifico! Ne avevamo parlato, io e Keros. Pensavo di vendere questa casa per comprarne una in un luogo più mite. Ora è tutto più semplice…”.

“Poi, una volta che sarai morto, la casa resterà a Keros o a qualche altro demone di sua scelta".

“Ovviamente!”.

“Non iniziare a parlare di gente che muore!” interruppe il principe.

“Ok” ghignò il re “Facciamo un brindisi al festeggiato?”.

 

La serata proseguì in modo tranquillo, fra giochi da tavolo e racconti su Keros da piccolo. Ad un certo punto, il festeggiato si alzò.

“Scusate" spiegò “C'è una cosa che devo fare prima che questo giorno sia concluso. Voi continuate pure a festeggiare, torno fra poco".

“Perché non porti Mihael con te?” propose Lucifero.

Il sovrano sapeva quel che il mezzodemone voleva fare. Gli era costata parecchia fatica pronunciare quelle parole. Non amava l'idea che colui che considerava l'unico figlio e prezioso erede trascorresse del tempo con il vero padre.

“Mihael?” chiese conferma Keros.

“Sì” sospirò il demone “È la cosa giusta”.

 

Sono tornata!! Eccomi!!! È stata una fatica riuscire a concludere in tempo ma alla fine… eccoci qua! E riprendo con gli aggiornamenti settimanali (computer permettendo). A presto!

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Capitolo 50
*** Compleanno di demone -parte seconda- ***


50

Compleanno di demone

-parte seconda-

 

Rimasti soli, Leonore, Ary e Lucifero si erano concessi un caffè. Il padrone di casa, in leggero imbarazzo, non sapeva in che modo iniziare una conversazione. Il demone, notandolo, ghignò divertito. Fuori era buio pesto ed il vento fischiava fra gli alberi, facendosi chiaramente udire all'interno della casa.

“Io…” finalmente ebbe il coraggio di dire il mortale “Volevo ancora ringraziare per i regali”.

“Non c'è di che" alzò le spalle Lucifero “Lo hai visto in mezzo a che clima di merda vivi? Non permetterei mai al mio prezioso Keros di ammalarsi per questo. Inoltre… mi duole ammetterlo ma tu, umano, hai una buona influenza su di lui".

“Una buona influenza?!”.

“Sì. Da quando ti conosce, ha acquisito maggiore sicurezza in se stesso. Prima non avrebbe mai e poi mai sfoggiato i propri tatuaggi, come invece faceva quest'estate. E suppongo sia una buona cosa che si mostri interamente per quello che è: angelo, demone e via discorrendo… Con te lo fa! Con te è totalmente se stesso e questo è magnifico. Mi auguro che la cosa continui anche dopo la tua dipartita”.

“Lo spero anch'io…”.

“Speri nella tua dipartita?!”.

“No! Spero che continui a vivere in modo positivo. E che sia felice".

“Tu non sei male. Se non fossi un umano, ti avrei già spalancato le porte del palazzo reale. Vi amate davvero e spero che un giorno Keros riesca ad amare qualcun altro allo stesso modo".

“La felicità non deriva dall'amore" si intromise Leonore “Non si può passare tutta la vita ad aspettare che qualcuno ci salvi o ci doni l'amore eterno. La felicità è dentro di noi, e possiamo viverla sia da innamorati che da soli. Così come possiamo essere tristi in entrambe le situazioni. Noi auguriamo a Keros la felicità, giusto? Speriamo sia felice, in qualsiasi modo scelga di vivere in futuro".

“Che cosa strana da dire" ammise Lucifero “Ad ogni modo, hai ragione. Non si deve mai aspettare che la nostra felicità dipenda dalla presenza o dall'assenza di qualcuno”.

“E adesso… che ne dite di smetterla di fare i seri e di giocare a Twister?” mostrò la lingua la mortale.

 

Nella notte, le luci della città erano ipnotiche. Il traffico, i lampioni e le insegne al neon erano cose a cui Keros stentava ad abituarsi. Osservava tutto dall'alto, appollaiato sulla cupola di Santa Sofia, ad Istanbul. Mihael aveva fatto lo stesso ed osservava i pochi umani rimasti per strada a quell'ora. Soffiava una lieve brezza fredda ed il mezzodemone rabbrividì.

“Vengo sempre qui il giorno del mio compleanno" spiegò, accucciandosi ed annusando la rosa nera che stringeva fra le mani “Porto un fiore alla mamma".

“È un gesto molto bello" annuì Mihael.

“Dici? Alla fine la sua anima si è dissolta, il suo corpo è bruciato. Non esiste più nulla di lei…”.

“Esiste nei ricordi, miei e di tanti altri. Ed esiste in te. Una parte di lei fa inevitabilmente parte di te".

“Parlami ancora di lei. Dov'era la sua casa, qui ad Istanbul?”.

“Adesso la città è molto cambiata. Viveva all'interno delle vecchie mura, lungo quella strada”.

L'Arcangelo indicò un punto della metropoli e Keros tentò di immaginare come fosse a quel tempo.

“Ci sei entrato? Come viveva?”.

“Era una dimora molto semplice, piccola, con una sola stanza divisa da una tenda”.

“A palazzo era una delle concubine del re. Ricca, servita e circondata da comodità…”.

“A lei non interessava essere ricca o agiata. Avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa con i suoi poteri, sai? In passato, come tentatrice, aveva sedotto moltissimi uomini e da loro aveva ottenuto anime e ricchezze. Ma era venuta a vivere qui con un intento ben diverso. Ha iniziato ad aiutare le persone e probabilmente è stato questo ad avvicinarci".

“Quando le hai confessato il tuo amore?”.

“Io… non l'ho mai fatto".

La voce di Mihael si era fatta triste, malinconica. Sospirò, ripensando a quei giorni.

“Ma… avrete passato del tempo assieme. Glielo avrai fatto capire, no?” inclinò la testa Keros.

“Non credo. Non è stata una vera e propria storia la nostra…”.

“Io in qualche modo sono nato, giusto? Perciò…”.

“Ah… in quel senso tu intendi…”.

L'Arcangelo arrossì e distolse lo sguardo. Il mezzodemone, al contrario, ridacchiò.

“Perché arrossisci?” domandò, divertito “Siamo adulti! E so bene che Carmilla, come tentatrice, ha fatto sesso con un sacco di persone. Per quello spero che tu le abbia fatto capire i tuoi sentimenti… per sapere se almeno una volta lei abbia fatto l'amore, e non solo sesso".

“Sei più esperto di me sull'argomento, poco ma sicuro”.

“Raccontami! Voglio sapere più cose possibili!”.

“Non ti parlerò di come ho giaciuto con tua madre! È da depravati!”.

“Il vostro primo bacio? La prima volta che l'hai vista felice? Un appuntamento che ricordi?”.

“Te l'ho già detto: la nostra non è stata una vera storia d'amore…”.

“Ok… capito…”.

Il sanguemisto era lievemente deluso. Riprese a guardare le luci della città addormentata, in silenzio.

“Eravamo al porto" riprese a parlare, inaspettatamente, Mihael “Subito fuori le antiche mura, lei era andata a cogliere erbe nel plenilunio. È stato lì il nostro primo bacio”.

“Plenilunio, il rumore delle onde, il riflesso delle stelle…” sorrise Keros, con aria sognante.

“Già. E, se vuoi proprio saperlo, è lì che sei stato concepito".

“Al porto? Wow… sono un figlio del mare" ridacchiò il mezzodemone.

“Era così bella. E così… speciale! Mai nella mia vita ho incontrato un'altra creatura come lei. Era unica e non c'è giorno in cui mi chieda come sarebbero ora le cose se io fossi stato lì con lei, a salvarla da quelle fiamme che l'hanno portata via".

“Forse, se Lucifero non ti avesse tolto la memoria…”.

“Chissà. Ma io credo sempre che le cose accadano per volere di Dio. Si possono fare delle ipotesi però, alla fine, le cose dovevano andare come sono andate. Sarebbe stato un vero problema se io fossi caduto".

“Caduto? Intendi dire… divenuto un demone?”.

“Certo. È il destino degli angeli che commettono peccati carnali”.

“E… non ti sarebbe piaciuto essere un demone assieme a lei?”.

Mihael aprì la bocca, come a voler dire qualcosa, ma poi la richiuse e rimase in silenzio. Keros alzò gli occhi, cercando di decifrare lo sguardo del padre, perso verso un punto lontano. Rispettò quel silenzio, concentrando le proprie attenzioni su un umano che passeggiava al buio.

“Ed io dici che potrei cambiare?” domandò poi il sanguemisto, notando lo sguardo perplesso dell'Arcangelo.

“Intendi dire diventare del tutto un angelo?”.

“No, quello non è possibile. Ho ucciso delle persone".

“E con questo? Anch'io ho ucciso delle persone".

“Tu hai seguito un ordine di Dio. Io uccido per nutrirmi…”.

“E questo per te è un criterio di valutazione? Gabriele è stato in guerra, Uriel ha ucciso i primogeniti d'Egitto, io ho distrutto Sodoma e Gomorra…”.

“Wow…”.

“E sai quanta gente ha ucciso Lucifero?”.

“Io… non ne ho idea!”.

“Solamente una famiglia. E per una scommessa fatta con Dio, ai tempi in cui ancora bisticciavano per passare il tempo, prima di Gesù e quel che ne seguì. Se contiamo il numero dei morti, Lucifero merita il paradiso più della maggior parte degli angeli”.

“Che cosa inquietante… Ma comunque io intendo un altro tipo di cambiamento. Parlo di divenire umano. Uno come noi è mai diventato un umano?”.

“Non credo sia mai successo. Tu vorresti diventare un umano?”.

“Non lo so… Ci stavo pensando…”.

“Per restare assieme a colui che ami?”.

“Sì. Invecchiare, cambiare e vedere il mutare del tempo assieme”.

“E lui credi sia d'accordo?”.

“Non lo è. Ma è la mia vita”.

“Considera i rischi. La natura umana è mutevole. La vostra storia potrebbe durare fino alla vecchiaia così come finire domani mattina".

“Parli come Lucifero, lo sai? Solo con qualche parolaccia in meno…”.

“Che cosa inquietante…”.

“Comunque… credi sia possibile?”.

“Renderti umano? Proverò ad informarmi al riguardo. Ma tu riflettici bene”.

“Lo farò…”.

 

Lucifero si era dimostrato particolarmente bravo a giocare a Twister, nonostante si lamentasse per la vecchiaia. Leonore stava ridendo come una matta.

“Ma non riesci a mettere il piede sul rosso?” stava dicendo Ary.

“Non ho le gambe lunghe come le tue!” aveva ribattuto Lucifero, rimanendo in equilibrio per un pelo.

“Tanto vinco io!” rideva Leonore.

“Siete tutti matti voialtri…” sbottò divertito il re, prima di cadere con il sedere sul tabellone del gioco.

“Dobbiamo fare più spesso delle serate così” annuì Ary.

“Però ora si sta facendo tardi. Dove sono Keros e Mihael?” si chiese la mortale, rialzandosi in piedi.

“Staranno spettegolando" ipotizzò Lucifero, mentre tirava fuori una specie di cellulare dalla tasca.

“E quello cos'è?” si incuriosì Leonore.

“Un aggeggio fastidioso che mi avvisa in caso di problemi all'Inferno. Visto che il mio erede bighellona sulla terra, se voglio allontanarmi mi tocca portarmi dietro questo coso. Alcune questioni posso risolverle anche senza tornare di sotto”.

“È comodo allora".

“Sì… salvo quando alcuni demoni lo usano per mandarmi messaggini sui cazzi loro. Tipo Azazel che mi parla della sua nuova morosa o Asmodeo che si lagna per gli errori della lavanderia".

“Anche all'Inferno esiste la maledizione delle chat di gruppo…” ironizzò Ary, iniziando a sistemare i tavoli.

“Pensa che rottura di coglioni…”.

 

Mihael e Keros si stavano salutando. La loro ultima conversazione riguardava la piccola Sophia, la bambina affidata alle cure del Cielo. La piccola aveva lasciato una bella lettera all'interno del libro che l'Arcangelo aveva donato al festeggiato.

“È una bambina meravigliosa" ammise Mihael “La adorano tutti. Gli altri eredi come stanno?”.

“Sinceramente…” ammise Keros, con imbarazzo “È da un po' che non li vedo. Sono un pessimo padre…”.

“È chi può dirlo? Io il mio non lo vedo da almeno un millennio".

“Buono a sapersi…”.

“Ora rientra in casa. Fa freddo qua fuori per te”.

“Hai ragione" rabbrividì il mezzodemone.

Entrando, trovò Leonore ed Ary che stavano finendo di riordinare.

“Lucifero è dovuto andar via" spiegò lei “Ha suonato quell'affare che porta sempre con sé”.

“Capito" sorrise Keros “Ora andate pure a dormire. Finisco io di sistemare. E grazie mille per i regali".

“Di niente" rispose al sorriso la mortale “A questo proposito… ho un favore da chiedervi”.

“Parla pure”.

“Domani sera, dopo cena… cercate di divertirvi! Insomma… tornate a casa con calma!”.

“Ti serve la casa libera per un po'?” intuì il sanguemisto.

“Sì… io ho, ecco…”.

“Torneremo il più tardi possibile” rise Ary “Fai pure quello che vuoi!”.

 

La festa è finita, tutti a nanna!! A presto!!

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Capitolo 51
*** Nella notte -parte prima- ***


51

Nella notte

-parte prima-

 

Ary e Keros si stavano godendo la cena. Il cibo era delizioso, l'atmosfera unica ed il locale era davvero esclusivo. Il principe, abituato a sfarzi di gran lunga più eccessivi ed esagerati, non voleva altro che trascorrere del tempo in santa pace con il mortale. Complimentandosi a vicenda per l'abito scelto, in entrambi i casi molto elegante, ridevano e si rilassavano.

“Ho una sorpresa per te" parlò, ad un tratto, l'umano.

Con sé portava una valigetta d'ufficio, in pelle nera e cinghie in argento. La aprì con un sorriso compiaciuto e ne estrasse un libro, con una splendida illustrazione in copertina ed il titolo stampato in rosso cupo.

“La prima copia" spiegò Ary, porgendo il volume a Keros.

“Il tuo nuovo libro?” intuì subito il mezzodemone.

“Sì. Dalla prossima settimana sarà in vendita. Ed io ci tenevo a farti avere la prima stampa".

“È meraviglioso! Posso avere un autografo?” rise il principe, sfogliandolo incuriosito.

“Leggi la dedica…”.

Keros lesse e rimase in silenzio. “All'uomo che amo", vi era scritto “Al mio demone dal cuore d'angelo, che ha reso possibile tutto questo".

“Volevo fossi tu il primo ad averlo fra le mani" continuò Ary “Ed ovviamente questa copia è per te".

“Io… non so cosa dire. Ogni giorno trovi il modo di stupirmi, e non è semplice con uno di mille e trecento anni!”.

“Ne sono onorato. Mi sento speciale. Magari è l'unicità della mia anima a rendere possibile tutto questo… o, molto più probabilmente, la tua vicinanza. Spero che fra noi le cose non cambino mai".

“Le cose cambiano sempre. È inevitabile. Fa parte della natura dell'uomo…”.

“E allora spero che fra noi le cose cambino sempre in meglio!”.

“Mi piace come idea!”.

Keros sorrise di nuovo, sorseggiando dell'ottimo vino ed aspettando il dessert. Più trascorreva del tempo con il suo amato e più si convinceva che il proprio desiderio di divenire un umano non era sbagliato. Adorava l'idea di mutare, crescere ed invecchiare con colui che gli sedeva di fronte. Ma di tale desiderio non ne fece parola alcuna quella sera...

 

Leonore era nervosa, lo doveva ammettere. Quando udì bussare alla porta, prese un profondo respiro. Diede solo un'ultima occhiata allo specchio vicino all'ingresso, dicendo a se stessa che doveva stare calma e sistemandosi gli orecchini. Era passata dalla parrucchiera quel pomeriggio ed ora i lunghi capelli biondo cenere erano mossi e con qualche riflesso più chiaro. Dopo essersi data un'ultima controllata, aprì e sorrise.

“Puntualissimo" commentò.

“Come sempre, mia cara" sorrise di rimando Lucifero “Sei elegantissima”.

“Grazie… accomodati".

Il re entrò in casa, dando un rapido sguardo all'orologio che ticchettava in corridoio.

“Volevi parlarmi…” mormorò il diavolo.

“Sì. Ho riflettuto molto su… quella faccenda. Ho preso la mia decisione: voglio farlo!”.

“Perdona la mia momentanea ignoranza ma… cos'è che vorresti fare esattamente?”.

“Il patto! Ho deciso di sottoscrivere un patto. Si dice così, giusto?”.

“Capisco… permettimi allora, prima di procedere, di concederti ancora qualche momento. Prendiamo un po' d'aria. Dove ti piacerebbe andare?”.

“Ma… perché…?”.

“Vieni. Conosco i tuoi desideri".

Leonore, titubante, non capiva bene quel che stava succedendo. Prese per mano il demone e tutto cambiò, in un solo battito di ciglia.

“Dove… dove siamo?!” riuscì a dire, senza lasciare la mano del sovrano.

“Prenditi qualche istante per guardarti attorno. Sono sicuro che lo puoi capire da sola".

La mortale rimase alcuni secondi ferma, ad osservare il demone che si accendeva una sigaretta. Poi distolse lo sguardo. Erano in alto, il vento le scompigliava i capelli, e le luci della città erano intense.

“Siamo… siamo a Parigi!” sorrise “E questa è…”.

“La Torre Eiffel. Già…” annuì Lucifero.

“Ho sempre sognato andare a Parigi! E da qui è una meraviglia! Le stelle, le luci…”.

“Lo so… Non è male".

“Ho come l'impressione che a te nulla possa piacere per davvero…”.

“Ti sbagli. Molte cose mi piacciono. Solo che, sai… dopo millenni di esistenza, è estremamente difficile trovare qualcosa che mi sembri nuovo o spettacolare. Posso dire di aver fatto qualsiasi cosa nella vita. Più e più volte…”.

“Sembra quasi angosciante".

Lucifero alzò un sopracciglio, non sapendo cosa rispondere a quell'umana.

“Allora…” riprese Leonore “Come funziona? Cosa devo fare per firmare il patto con te?”.

“Sei davvero sicura di volerlo fare? Sai che ti attende l'eternità all'Inferno?”.

“Lo so. Io tento di venderti l'anima e tu cerchi di dissuadermi? Perché? Non capisco”.

“Non lo so" sospirò il diavolo “E tu perché sei così convinta? Sei sicura di voler far arrivare un bambino in questo mondo?”.

“Che intendi?”.

“Gli umani sono crudeli. Guerre, fame, imbrogli, perversioni… Non fraintendermi, io sono il primo a sguazzare in certe cose. Ma io sono un demone. E comunque ritengo di avere un'etica ben più solida della maggior parte dei mortali".

“Essere madre è quello che ho sempre desiderato. Lo so, non è una scelta priva di conseguenze ed è vero che il mondo è un posto crudele. Ma è anche un posto magnifico, pieno d'arte, di bellezza, d'amore. E non esiste amore più grande di quello che lega madre e figlio. Non voglio altro. Davvero…”.

“E va bene" alzò le spalle Lucifero “Restiamo ancora un attimo qui. La notte è ancora lunga…”.

La mortale annuì. Il demone stava fissando le stelle, ignorando del tutto qualsiasi cosa di creazione umana. Leonore si chiese a che cosa il re stesse pensando, con quell'aria distratta. Lei era ancora molto nervosa ma si sforzò di rilassarsi. Era una magnifica serata, dopotutto!

 

Dopo il ristorante, Keros ed Ary si erano spostati al Mephistophel ed erano circondati da demoni e umani tentati. Sul palco si stavano esibendo delle Succubus dagli abiti argentati, che brillavano quando colpiti dalle luci del locale. Mefistofele, dopo aver fatto gli auguri al nipote, stava raccontando di come Lucifero e Lilith si erano esibiti in un tango, qualche sera prima, ed avevano irretito un sacco di mortali. Il principe si stupì nel sentirsi dire questo, sapendo che a Lilith non piaceva per niente girare per il mondo umano.

“Le cose cambiano" ghignò Mefistofele “Anche il tuo umano si sentiva fuori posto nel mio locale mentre invece adesso sembra perfettamente a suo agio".

Keros rise, notando Ary al proprio fianco con sul viso un'espressione rilassata e divertita. Ordinò altro da bere, sapendo che sarebbe stata una lunga serata, e ricominciò a spettegolare con Mefistofele.

 

“Adesso mi vuoi dire come funziona? Che devo fare?” incalzava Leonore, una volta rientrati a casa.

“Ascoltami molto attentamente" si rassegnò Lucifero “Perché, se sbagli qualche passaggio, sono affari tuoi. Chiaro? Non rispondo di eventuali errori da parte dei contraenti".

“Va bene…”.

La voce del demone si era fatta seria, così come la sua espressione, e la mortale ne fu leggermente turbata. Ma si sforzò di mostrarsi convinta e determinata, annuendo con sicurezza.

“Svolgerò un rituale, ok? Al termine di questo rituale, entro l'alba, toccherà a te. Entro l'alba, dovrai concederti ad un uomo. Chi vuoi. Può essere il tuo ex marito o il primo che incontri per strada, non ci interessa. L'importante è che prima dell'alba ti scopi qualcuno. Capito?”.

“Capito… e se entro l'alba non riesco a…?”.

“Il rituale non sarà valido. E non lo ripeterò, perché è così che funziona. Non chiederò nulla, in quello caso. La tua anima resterà a te".

“Va bene…”.

“Poi le cose procederanno come abbiamo già concordato. Il bambino sarà tuo, umano, resterà con te e tu vivrai con lui. Quando accadrà, quando morirai, verrò a prendere la tua anima. Il modo in cui morirai non avrà nulla a che fare con me, o con altri demoni. Se sei d'accordo, procediamo con il rituale”.

“Quanto dura il rituale?”.

“Poco. Se vuoi, iniziamo subito. Anche se non abbiamo fretta…”.

“Che devo fare?”.

“Andiamo di sopra”.

Leonore seguì Lucifero lungo le scale, fino a raggiungere la camera da letto. La mortale ebbe un sussulto, intimorita. Perché il diavolo non usava i propri poteri per convincerla del tutto? Non riusciva a capirlo.

“Spogliati e stenditi a letto” ordinò il demone “Tranquilla… devo solo fare dei disegni su di te. Non essere timida…”.

La donna rimase immobile qualche istante. Chiuse la porta, pur consapevole che nessuno avrebbe potuto vederla al di fuori del diavolo, arrossendo leggermente.

“Vuoi che mi giri? O che esca dalla stanza?” le sorrise gentilmente Lucifero “Spengo la luce e chiudo le tende? Io non ho problemi nel buio totale…”.

“No… non serve… Dammi solo un attimo, per favore".

“Ma certo".

Il re sedette su una cassapanca di legno, distogliendo educatamente lo sguardo. Lei iniziò a spogliarsi, lentamente.

“Posso farti una domanda?” mormorò Leonore, tentando di superare l'imbarazzo.

“Tutte quelle che vuoi" rispose Lucifero, senza girare gli occhi.

“Hai mai fatto l'amore con un'umana?”.

“Mi sono scopato un sacco di mortali. Me lo hanno chiesto in molte".

“Non intendo fare sesso. Dico fare l'amore, amando la donna”.

“Con un’umana? No, mai. Perché?”.

“Dicono sia diverso. Fare l’amore e fare sesso, intendo”.

“E non lo sai? Ti sei concessa solo da innamorata?”.

“Sì…”.

“Che fanciulla romantica…”.

Lei non rispose, non sapendo che dire. Era nuda ora e si copriva pudicamente con la mano. I capelli, sciolti, ricadevano sul seno che si intravedeva fra le ciocche. La pelle chiara aveva ormai perso ogni ombra di abbronzatura estiva ed era segnata solamente da qualche piccolo neo. Lucifero aveva alzato gli occhi. Non si era aspettato di ritrovarsi di fronte una fanciulla così timida ed impacciata, che quasi gli ricordava le vergini che nei tempi antichi tremavano a sentir pronunciare il suo nome. Era abituato ad avere a che fare con donne piuttosto disinibite, vogliose.

“E se non riesco a convincere un uomo a giacere con me?” chiese Leonore, sedendo sul letto.

“Il rituale serve anche a questo” la tranquillizzò il demone “Il mio potere farà sì che tu risulti irresistibile. Non potrà farne a meno. Proverà un desiderio folle ed accecante".

“Oh…”.

Lei arrossì di nuovo, sempre tentando di coprirsi.

“Perché fai così?” le domandò il diavolo “C'è forse qualche cosa di te che non ti piace? Dovresti essere fiera del tuo corpo, così come tutti dovrebbero andare fieri di quel che sono e mostrarsi".

“E allora perché tu non mi mostri come sei veramente?”.

“Come sono veramente?!”.

“La coda. Le corna. Le ali. Perché ti mostri come umano?”.

“Per non spaventarti. Si tratta di due faccende molto diverse. Tu non puoi spaventarmi mostrandoti nuda…”.

La mortale non sembrò del tutto convinta. Con una smorfia, si stese a letto. Lui rimase qualche istante a guardarla e poi estrasse un piccolo pugnale dal taschino della camicia. Leonore, d'istinto, urlò spaventata.

“Tranquilla!” si affrettò a dire il re “Non ti devo tagliare o ferire. È per me. Devo usare il mio sangue…”.

“Ti farà male?”.

“Ho sopportato sicuramente di molto peggio. Sei pronta? Iniziamo?”.

Con un cenno d'assenso, la donna tentò di rilassarsi ed allargò le braccia. Il demone la osservò qualche istante, mentre lei guardava altrove timidamente.

“Sinceramente…” ghignò il re “Non so dirti la differenza che prova un essere umano fra sesso ed amore. Però posso assicurarti che fra mortale e demone le cose cambiano parecchio. Ti piacerebbe provare?”.

“P… provare? Intendi…?”.

“Tu che pensi, dolcezza?”.

Leonore incrociò lo sguardo di Lucifero, che brillò leggermente, e rimase senza fiato. Il potere del caduto era assoluto e la ipnotizzò, come un brivido che la attraversava da capo a piedi, convincendola che non voleva altro che Satana dentro di lei.

 

“Ho una domanda per te".

Ary camminava, nella notte, accanto a Keros. Si erano lasciati alle spalle il locale di Mefistofele, passeggiando nel buio del sentiero che conduceva alla via di casa. Il principe aveva un po' freddo, ma non ci faceva troppo caso. Stare accanto all'umano, oltre all'aver alzato un pochino il gomito, lo scaldava.

“Cosa vuoi chiedermi?” rispose il mezzodemone.

“Io ti ho visto spesso avere a che fare con i demoni. Ma con l'altra metà della famiglia…”.

“Gli angeli intendi? Sì, con loro ho pochi contatti. Alla fine, sono stato cresciuto dai demoni. Inoltre sono in pochi a sapere chi sono davvero. Si contano su una mano…”.

“Davvero?!”.

“Ovvio. Se i demoni sapessero che in realtà sono per metà un angelo… sarebbe un disastro! Stessa cosa vale per gli angeli. Gli unici a sapere la verità, oltre a te e Leonore, sono Lucifero, Mihael e quell’impiccione di Gabriel. Nessun'altro lo sa. E va bene così, credimi…”.

“Dev'essere stato difficile tenere fin ora nascosta la cosa”.

“A dir la verità no. A nessuno viene in mente che possa esistere un ibrido angelo-demone a questo mondo”.

“Oh... capisco".

“Dici sia ora di rientrare? Non amo molto la temperatura esterna attuale”.

“Certo. Credo che ci siamo tenuti lontani da casa per abbastanza tempo. Torniamo alla macchina…”.

Keros era raggiante. La cena, la musica, le stelle… era stata una serata magica e non vedeva l'ora di concluderla fra le lenzuola. Al solo pensiero, sorrise e si avvicinò all'uomo che amava, baciandolo. Si tennero stretti qualche istante, abbracciandosi.

“Hai tanto freddo?” sorrise Ary “Vuoi che ti scaldi?”.

“Sì, ho tanto freddo. Ti prego scaldami. Scaldami adesso!”.

Iniziarono a baciarsi con maggior trasporto, uscendo dal sentiero e sprofondando nella neve. Spinto contro un albero, il mezzodemone affondò una mano fra i capelli del mortale. Con l'altra mano tentava di spogliarlo quel che bastava, fra un bacio ed un altro. Poi però si fermò, rizzando le orecchie. Il mortale lo fissò perplesso, senza capire. Il principe fece segno di fare silenzio, di parlare sottovoce.

“Che succede?” sussurrò Ary.

“Al mio segnale…” gli rispose Keros “…inizia a correre lungo il sentiero, ok? Corri e non voltarti, chiaro?”.

“Ma che dici? Cosa…?”.

“Corri!”.

Il mezzodemone spinse con forza l'umano e qualcosa piombò fra loro. Una creatura massiccia, a cui se ne affiancarono altre. Nonostante fossero avvolti da folti mantelli di pelliccia, Ary capì subito che aveva di fronte dei demoni. Ed erano furiosi, spaventosi.

“Corri!” ordinò ancora Keros “Tranquillo, a loro penso io. Ma non posso proteggerti. Ti prego, mettiti al sicuro!”.

Indeciso sul da farsi, e consapevole di non poter aiutare in alcun modo il sanguemisto, Ary pensò che forse avrebbe potuto contattare Lucifero grazie a Leonore. Con quel pensiero in testa, si allontanò più in fretta che poté. Nel mentre il principe, con un ringhio infastidito, si apprestava a combattere.

“Avete interrotto la mia serata perfetta" sibilò, infuriato “Vi caverò ogni singolo organo mentre siete in vita e pasteggerò con i vostri cadaveri!”.

 

Hola! Come va? Pensavo di far stare tutto in un capitolo ma no, mi tocca rimandare alla prossima volta!! A presto!

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Capitolo 52
*** Nella notte -parte seconda- ***


 

52

Nella notte

-parte seconda-

 

Rimasero ad osservarsi, occhi negli occhi, qualche istante.

“Non mi fai paura" mormorò Leonore “Ed i tuoi occhi… i tuoi occhi sono meravigliosi. Meravigliosi e malinconici".

Lucifero non rispose. Lei lo aveva supplicato, mentre erano avvolti dall’estati dell'amplesso, di mostrarsi per quello che era. Lo aveva desiderato ardentemente e lui l’aveva accontentata, non aspettandosi altro che terrore. Leonore però, ancora sotto il parziale controllo del potere del demone, non si era spaventata. Dinnanzi a coda, ali, corna e cicatrici, era rimasta in silenzio. Affascinata, incuriosita, e solo lievemente turbata.

“Ora sarà meglio proseguire con il rituale" furono le parole del diavolo.

Iniziò a tracciare con il sangue complessi simboli lungo tutto il corpo della mortale, dopo essersi procurato un taglio al braccio con il pugnale.

“A chi stai pensando?” domandò Leonore.

“A che ti riferisci?”.

“Hai lo sguardo di chi ha la mente lontana. Stai pensando a lei?”.

Il sovrano finse di non aver capito a chi l'umana si riferisse. In realtà quei capelli biondi, quello sguardo e quello strano modo di fare erano fin troppo familiari. Non poteva fare a meno di pensare a Sophia, mentre finiva i glifi necessari al rituale. Una volta che ebbe terminato l'ultimo simbolo, l'intero disegno brillò per qualche istante.

“Ora puoi tranquillamente farti una doccia e lavare via tutto" spiegò lui.

“Ma… e il rituale?!”.

“Funziona così. Ha già iniziato ad agire, lavati pure. Ricordati di concederti ad un uomo prima dell'alba, ed andrà tutto come previsto. Ma dubito tu voglia farlo ricoperta di sangue e disegni strani, no?”.

“Hai... hai ragione. Allora io ora mi lavo per bene e poi…”.

“Esatto. Ora meglio che vada. Ho un lavoro piuttosto impegnativo da gestire…”.

“Ok. E… posso darti un bacio?”.

“No, non credo sia il caso".

“Capisco… E se… avrò bisogno di vederti?”.

“Traccia il mio simbolo".

Il demone tolse la catena che portava al collo, il cui ciondolo rappresentava il sigillo di Lucifero, e gliela porse.

“Traccia il mio simbolo” spiegò “Se avrò voglia, verrò. Ma non preoccuparti: ci rivedremo. Io ci tengo a controllare che i miei patti vadano a buon fine. Clienti soddisfatti…”.

“E non ho nulla da firmare? Di solito non si firma?”.

Il diavolo rifletté qualche istante. Poi scosse la testa.

“Non serve. Ora va a lavarti. Io devo andare".

 

Ary corse lungo il sentiero, nella completa oscurità. Arrancò fra sassi e sterpaglie, deciso a raggiungere la propria dimora. Pensò che, se lui fisicamente non poteva fare molto contro un branco di demoni, qualche danno avrebbe potuto provocarlo con un grosso SUV lanciato lungo la strada! Gli tremavano le mani quando tentò di aprire la portiera con il mazzo di chiavi che portava in tasca. Finalmente riuscì a salire ed accendere il motore, schiacciando forte sull'acceleratore. Corse verso il punto dell'aggressione, alzando di colpo i fari. Una figura spaventosa si mostrò e ringhiò contro il mezzo, con occhi scintillanti e la bocca grondante di sangue. Il mortale lanciò un grido, spaventato, e vide le pupille del demone arrotondarsi e lo sguardo della creatura mutare.

“Keros?” mormorò l'umano.

Era lì il mezzodemone, con quell'espressione spaventosa rivolta verso il SUV. La camicia candida era macchiata di sangue, così come il sangue ne rigava il viso. Fra le labbra, aperte in un lieve ringhio, due canini bianchi come la neve che copriva il sentiero. Il tentatore aveva riconosciuto l'auto, dopo aver reagito d'istinto per la sorpresa, ed aveva notato gli occhi spaventati del mortale. Non sapeva che fare, non voleva spaventarlo ulteriormente, e per fortuna fu l'umano a parlare, dopo aver aperto il finestrino.

“Sali, presto!” lo incitò Ary “Andiamo a casa prima che ne arrivino altri!”.

Keros non rispose e salì in macchina, pulendosi il viso con la manica della camicia.

“Sei ferito?” si preoccupò il mortale, leggermente pallido.

“No" parlò, finalmente, il principe “Solo qualche morso o graffio”.

“Li hai… uccisi? Uccisi tutti?”.

“Dovevo farlo. Ci avevano visti, e sentiti. Se ne avessero parlato in giro, sarebbe stato un disastro. Ora devo informare immediatamente mio padre".

“Tuo padre? Quello vero o quello adottivo?”.

“Ora che ci penso… entrambi! Non è normale che girino creature simili per il mondo umano. Ci sono delle regole da seguire, territori da rispettare. Farò aumentare la sorveglianza. Non voglio che tu o Leonore corriate dei rischi per colpa di simile marmaglia".

Ary non disse nulla. Era ancora molto agitato ma tentava di non mostrarlo. Sobbalzò quando udì il grido di Keros, rivolto al dispositivo che lo metteva in connessione con l'Inferno.

“Rispondimi, vecchio!” ringhiava in demoniaco “Che cazzo stai facendo?!”.

Lucifero, impegnato in altre faccende, non rispondeva alle chiamate del figlio adottivo. Il principe, innervosito, ringhiò di nuovo. Sapeva che per contattare Mihael doveva attendere l'alba.

“Stai bene” tentò di smorzare la tensione il mortale “Non ti hanno fatto del male. Ora andiamo a casa e…”.

“Non volevo spaventarti. Scusami”.

“Sei un demone. E sei incazzato, si vede dalle dimensioni delle tue corna".

Keros alzò lo sguardo. Non ci aveva fatto molto caso.

“Promettimi solo di tentare di controllarti a casa, ok?” sdrammatizzò l'umano “Me la distruggi se no!”.

“Adesso metto a lavare questa camicia, perché me l'hai regalata tu e ci tengo, e poi vado subito all'Inferno a parlare con Lucifero. Ti va bene? O vuoi che resti di guardia?”.

“Preferirei non restare da solo nella notte, se è possibile che ci siano altri demoni nei paraggi. Ma potresti sempre avvisare Mephisto e farlo passare per qua a farmi da baby-sitter…”.

“Proverò di nuovo a contattare mio padre con il mio dispositivo…”.

“Ed io mi berrò almeno due caraffe di tè calmante…”.

 

Entrarono in casa parlando sottovoce. Le luci erano spente, l'auto di Leonore parcheggiata nel vialetto. Probabilmente lei era già a dormire, pensavano, e non la volevano svegliare. Notando l'agitazione di Ary, Keros lo guidò fino alla camera da letto e poi gli parlò con dolcezza. Guardandolo negli occhi, usò i propri poteri e l'umano si rilassò fino ad addormentarsi profondamente. Il principe si sentiva in colpa: doveva averlo spaventato molto!

Tentando di nuovo di contattare Lucifero, Keros entrò nel bagno con la lavatrice. Si era tolto la camicia e si avvicinò all'apparecchio con sguardo infastidito: odiava la lavatrice. La odiava moltissimo, perché quasi mai riusciva a farla partire. Forse doveva aspettare ancora qualche istante prima di far dormire Ary… Era talmente concentrato su rabbia e frustrazione, che non aveva notato la luce accesa e la mortale immersa nella vasca idromassaggio.

“Oh mio Dio!” esclamò Leonore “Che è successo?!”.

Keros sobbalzò, nascondendo la camicia insanguinata e distogliendo subito lo sguardo dalla donna.

“Sono in mezzo alle bolle, tranquillo” parlò ancora lei “Ma che è capitato? È sangue?”.

“Sì… scusami… ma stai tranquilla: non è sangue mio o di Ary".

“Meno male! State bene entrambi?”.

“Ci hanno attaccati dei demoni. Ma va tutto bene. Io… ti lascio fare il bagno".

“Devi mettere in lavatrice la camicia?”.

“Sì… io… non vorrei doverla buttare…”.

“E non sai come si fa a farla partire?”

“Già…”.

Il principe ammise a fatica le sue lacune in campo elettronico. Aveva schiacciato tasti a caso senza risultato, innervosendosi ulteriormente. Leonore tentò invano di spiegare il tutto restando stesa nella vasca.

“Passami l'accappatoio" si arrese infine “Faccio io".

Il sanguemisto le porse l'accappatoio, stando attento a non posare lo sguardo su luoghi inopportuni. Lei si alzò, coprendosi subito ed uscendo dall'acqua. Era rimasta in quella vasca per un po', a riflettere. Era giunta alla conclusione che non era quello il modo per avere un figlio. Forse non era quello il suo destino…

“Prima mettiamo l'antimacchia" spiegò la mortale, spruzzando del prodotto sulla camicia. Keros osservò tutto, con curiosità. Doveva ammetterlo: faceva schifo in economia domestica!

“Scusami…” mormorò, imbarazzato “Non volevo interrompere il tuo bagno".

“Tanto dovevo uscire comunque. Ero lì da un po'… Voi, escludendo i demoni, avete passato una bella serata?”.

“Splendida. Grazie per la cena. È stato tutto perfetto".

“Mi fa piacere sentirlo".

“E tu? Ti sei rilassata?”.

“Ho passato decisamente una bella serata, sì…”.

“Bene…”.

Leonore aveva strofinato la camicia con cura. Poi aveva aperto l’oblò della lavatrice e spiegato a Keros come fare. Lui ringraziò, ancora in imbarazzo, mentre lei faceva partire il lavaggio.

“Lui è stato qui?” domandò il principe, avvicinandosi alla donna.

“Lui chi?’.

“Lo sai chi… Sento il suo odore, percepisco la sua presenza".

La mortale non sapeva che dire. L'atteggiamento del mezzodemone era cambiato di colpo e un pochino la spaventava. Si era fatto serio e sospettoso, si avvicinava senza guardarla ed annusando l'aria. Le era addosso, ne riusciva a sfiorare il collo. Per un attimo, Leonore temeva che volesse morderla.

“Lo sa che mi innervosisce se viene in questa casa senza il mio permesso" sbottò Keros, senza allontanarsi dall'umana “E su di te lo sento così forte... Non mentirmi. È stato qui”.

“Sì, lui… è stato qui. Lucifero è stato qui" ammise Leonore e Keros ringhiò.

Già innervosito da quanto accaduto lungo la serata, l'apprendere che perfino Lucifero agiva alle sue spalle lo infastidiva molto. Non gli importava se vedeva quella mortale per la città ma quella era la casa che divideva con l'uomo che amava! Quella era la sua casa, il suo territorio, e non gradiva che Lucifero ci entrasse senza nemmeno avvisare. E l'odore che aveva quella femmina… com'era strano…

Lei, in piedi contro il mobile accanto alla lavatrice, stringeva e sé l'accappatoio, non sentendosi a proprio agio. Lui le alzò il viso con due dita, guardandola negli occhi. Leonore tremò, incrociando quello sguardo aranciato. Tentò di indietreggiare, ma dietro di lei vi era una cassettiera in legno, dove andavano riposti i detersivi. Lui era serio, silenzioso. Senza dire una parola, infilò le mani fra le pieghe dell'accappatoio. L'umana, sotto l'influsso del potere di Lucifero, lasciò che il sanguemisto la scoprisse. Nuda, ipnotizzata e stordita, attese che il principe la possedesse. Si protrasse verso di lui, con un piccolo gemito, provando un desiderio ardente. Per Keros fu lo stesso, non provò altro desiderio se non quello di entrare in quella femmina. Era ancora nervoso, furioso, e sfogò parte di quelle sensazioni in quel rapporto. La mortale lo stringeva forte, bramando ogni movimento del principe. Non si chiamavano per nome, non si sussurravano parole d'amore. Semplicemente godevano, entrambi avvolti da un potere che non riuscivano a contrastare.

“Non ti fermare" gemette lei “Vieni dentro di me. Ti supplico, ancora! Vieni dentro di me!”.

Non era da lei agire così, così come non era da Keros usare una tale foga. Erano uniti, si muovevano sempre più in fretta, con sempre maggiore passione e furia. I loro respiri si erano fatti rapidi ed ansimanti, fra gemiti ed esclamazioni di piacere. Quando lei raggiunse l'orgasmo, strinse forte il sanguemisto a sé, lanciando un grido, e poi si stese, ribaltando la testa all'indietro e percependo ogni istante di quel piacere intenso. Era diverso da quello che aveva provato poco prima con Lucifero. Il re era stato avvolgente, era stata un'esperienza che aveva coinvolto ogni singolo centimetro di se stessa, come se il sovrano fosse stato in grado di eccitare ogni sua singola cellula. Con Keros era stato diverso. Capì quando anch'egli raggiunse il massimo piacere e lo strinse ancora a sé. Sfinita, ansimante per la fatica, ci mise qualche istante per riprendersi. Ancora stringeva forte Keros a sé quando si accorse di quel che effettivamente era successo. E per Keros doveva essere lo stesso perché la fissava stranito, come appena destatosi da un sogno. Lui indietreggiò, confuso.

“Mi… mi dispiace!” riuscì a dire.

Convinto di aver agito per rabbia, vittima dell'istinto demoniaco e non del potere del rituale di Lucifero, si sentì in colpa e si subito tentò di capire se avesse fatto del male a Leonore. La donna, a sua volta piuttosto confusa, realizzò quanto successo.

“Oh mio Dio…” mormorò “Lo abbiamo fatto! Io e te abbiamo…”.

“Mi dispiace!” le rispose Keros, visibilmente agitato “Non so cosa mi è preso! Ti ho fatto male? Ti ho spaventata? Che cosa orribile ho combinato!”.

“Ma io… io dovevo…”.

Lei arrossì. Dalla finestra si poteva notare il cielo che iniziava a schiarire: era quasi l'alba.

“Oh mio Dio" ripeté ancora la mortale “Lo abbiamo fatto prima dell'alba".

“Che c'entra l'alba?” alzò un sopracciglio Keros.

“Io… devo confessarti una cosa… però so già che ti arrabbierai”.

 

Terminata la seconda parte. E ora? Posso dirvi che vi dovrete aspettare un po’ di risse :p

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Capitolo 53
*** Scontrarsi ***


53

Scontrarsi

 

Gli sguardi a palazzo erano allegri, rilassati. Contagiati probabilmente dal buon umore di re Lucifero, perfino i servi ridacchiavano mentre sbrigavano le faccende. L'allegria però lascio spazio allo stupore, e ad una lieve preoccupazione, quando comparve Keros. Usando il portale fra le mura dell'edificio, il principe si incamminò a passi decisi lungo il corridoio, diretto all'ufficio del sovrano. Si alzò un brusio fra i presenti, per via dell'espressione irata dell'erede al trono, per poi scendere il silenzio quando la porta fu spalancata in malo modo dinnanzi al re. Lucifero non si scompose, ordinò soltanto che lui ed il principe fossero lasciati da soli.

“Lo hai fatto apposta!” iniziò Keros, quando la porta dietro di sé fu chiusa dall'ultimo demone che se n'era andato.

“Di che parli?” rispose Lucifero, continuando a fissare uno degli schermi che aveva davanti e premendo tasti piuttosto distrattamente.

“Lo sai di che parlo!” quasi ringhiò il principe.

“Non mi fingo onnisciente, so di non esserlo, perciò no. Io non so di che parli".

“Lo sapevi che sarebbe successo. Lo hai fatto apposta per dividere me ed Ary! Non potevi farne a meno, vero? Non resistevi senza interferire nella mia vita!”.

Il re alzò un sopracciglio, perplesso. Scostò leggermente la sedia e, finalmente ignorando lo schermo, fissò Keros con aria interrogativa.

“Non fare finta di non capire!” inveì il mezzodemone “Tu hai sempre in mente qualche cosa di strano, non fai nulla per caso! Perciò lo so che lo hai fatto apposta e ora io…”.

“Io veramente non so di che parli" lo interruppe, con tono calmo, Lucifero.

“Leonore! Hai fatto un patto con lei!”.

“Ah, di questo parli. E che ci azzecca la storia tua e del tuo amante, perdonami?”.

“Doveva fare sesso entro l'alba! Il tuo potere! Il tuo fottuto potere! Lo sapevi che sarebbe successo! Sapevi che lei si sarebbe scopata uno di noi, che ci avrebbe spinti a tradire! Per un demone sarà anche normale scoparsi tutto quello che cammina e respira, anche se ha una compagna, ma per un umano no. O almeno così dovrebbe funzionare".

“Intanto il mio fottuto potere lo uso come mi pare" iniziò a spiegare il diavolo, sempre restando tranquillo “In secondo luogo, Leonore non era obbligata a farlo con qualcuno in particolare: poteva uscire di casa e scegliere chi voleva. Oppure restarsene in camera e non scopare affatto, annullando il patto. È stata una sua scelta, lei mi ha chiamato e supplicato di stipulare un patto per avere un bambino ed è così che funziona. Non posso inventarmi nuovi metodi".

“Potevi stare lontano, tanto per cominciare!”.

“Che tante storie fai per una scopata! Era sotto l'effetto del mio potere, i due umani si sono accoppiati. Punto. Basta. Non serve mica che…”.

“Lei ha fatto sesso con me!”.

“Che cosa?!”.

L'espressione del re mutò all'improvviso, così come il tono della sua voce. Una lieve scintilla rossa brillò fra le sue iridi ed agitò la coda, d'un tratto nervoso.

“Tu hai fatto in modo che io… Io ho tradito l'uomo che amo!” riprese Keros, muovendo le braccia in modo fin troppo esagerato “E per che cosa?! Per un cazzo di patto che tu hai convinto a fare perché…”.

“Ma che stai farneticando?!”.

“Ti avevo avvisato! Ma me lo dovevo aspettare. Tu… tu e la tua convinzione di sapere sempre cosa sia meglio per me! Sei entrato nel mio territorio! Dovevi farti i cazzi tuoi!”.

“TU dovevi farti i cazzi tuoi, ragazzino!” reagì il diavolo, alzandosi e frustando la coda, marcando con ferocia il “tu" iniziale.

“Io sto lavorando, Keros!” continuò a parlare, senza dare tempo al principe di ribattere “Tu, invece, stai perdendo tempo! Non stai cacciando anime, non hai un territorio! Io, invece, ho agito per fare quel che mi compete, ovvero ottenere anime!”.

“Ma tu…”.

“Tu un cazzo! Adesso mi stai a sentire! Ti sei accoppiato con quella donna ma io, come patto, ho promesso che sarebbe nato un bimbo mortale, umano in tutto e per tutto! Se nasce un ibrido bastardo il patto decade! E sai che significa? Significa che perdo l'anima per cui ho lavorato per mesi! E non è mai successo! In miliardi di anni di carriera, non ho mai perso un'anima per cui avevo personalmente fatto un patto! E sei tu quello che si incazza?! Ma come osi incazzarti TU, quando io ho la tentazione di strangolarti con le mie mani?!”.

“Potevi andare altrove a cercare anime!”.

“È stata lei a cercarmi! Dovevo forse rifiutare solo perché tu sei momentaneamente in calore e con il cervello disattivato?! E poi come ti permetti?! Formulare simili accuse contro di me, che ti ho sempre difeso e sostenuto, anche adesso che stai evidentemente buttando nel cesso l'opportunità di ottenere un'anima unica, speciale. Solo perché vuoi fotterti l'involucro che la contiene!”.

“Tu non fai altro che dirmi quel che devo fare, altro che sostenermi!”.

“Io ti prendo a ceffoni finché non ti ribalto la testa all'indietro, se non taci! Sono disposto ad accettare il tuo amore per quell'umano, a sorvolare sul fatto che ignori i tuoi doveri di procacciatore e cazzeggi da ormai un anno sulla Terra correndo rischi incredibili, ma non tollero che si interferisca con il mio lavoro! Mi manda in bestia che qualcuno interferisca con il mio lavoro!”.

“E gli altri demoni? Quelli che ci hanno attaccato? Non dirmi che nemmeno quella era una strategia per eliminare il problema!”.

“Quali demoni?! Ma che stai dicendo?!”.

“Non sai nemmeno che demoni sono presenti nel mondo dei mortali?!”.

“No, non posso controllarli tutti e sapere dove si trova ogni singolo demone sulla Terra. Ma potresti chiederlo a tuo padre, lui lo sa di sicuro!”.

Keros rimase sconcertato da quelle parole. Con tono denso di rabbia e nervosismo, Lucifero aveva pronunciato quelle frasi quasi ringhiando.

“Mio… padre…” aveva ripetuto il principe, che considerava il sovrano il proprio padre.

Lucifero non rispose, forse pentendosi di quanto detto ma non volendo di certo ammetterlo.

“Bene” incrociò le braccia Keros “Forse dovrei proprio parlare con lui. Suppongo che un padre assente possa essere meno dannoso di un padre con manie d'onnipotenza sulla mia vita".

Il mezzodemone si pentì subito di quelle parole, nel momento stesso in cui le pronunciava, ma era troppo furioso per rimangiarsele.

“Fa quel che credi” tornò a sedersi il diavolo, sempre agitando la coda “Ma ricorda che sei un demone. Devi smetterla di giocare a fare l'umano"

“Be' forse umano è quel che voglio essere!”.

“Stai scherzando?!”.

“No! Diventerò umano! Così non interferirò più con il tuo lavoro e non ti farò più sfigurare con il mio amore mortale!”.

“È la cosa più stupida che tu possa fare!”.

“Probabilmente è la stessa cosa che hai pensato quando mia madre ha lasciato l'Inferno".

“Sì, in effetti. Ma qui tutti son convinti di saperne più di me. Perciò fate, arrangiatevi. Va’ pure. Fai come vuoi. Però lo sai già che io controllerò Leonore, nella speranza che il marmocchio sia mortale e non un mezzo incrocio. Perciò adeguati, perché gironzolerò ancora vicino al tuo prezioso umano".

“Se oserai fargli del male, te la vedrai con me".

“Non minacciarmi, ragazzo. Sei nato ieri! Sei troppo giovane per permetterti di alzare la voce con me!”.

“E tu sei troppo vecchio per incazzarti tanto per un'anima! Vai in pensione se il lavoro ti fa dare i numeri!”.

“Ma come ti permetti?!”.

Lucifero si rialzò in piedi. Sbatté le mani e la coda e gridò ma Keros gli stava dando le spalle, lasciando la stanza. Fuori vari demoni fissavano re e principe con preoccupazione, non sapendo che pensare. Non avevano capito quel che si erano detti ma le urla avevano messo in allarme l'intero palazzo. Il mezzodemone non diede spiegazioni. Si sentiva a disagio per tutte le cattiverie che era stato in grado di pronunciare ma non lo lasciava a vedere. Raggiunse la stanza con i portali e lasciò l'Inferno.

 

Keros raggiunse la casa di Ary a metà mattinata. In aria si percepiva un buon profumo di caffè e brioche calda. Scese le scale lentamente, per ritrovare una parvenza di calma interiore. Leonore sedeva a tavola e mangiava biscotti con il latte mentre Ary si stava versando il caffè in tazza, in piedi accanto alla moka. Lei incrociò lo sguardo del mezzodemone e si morse nervosamente il labbro inferiore.

“Sei tornato!” sorrise il padrone di casa “Hai parlato con Lucifero di quei demoni che ci hanno attaccati?”.

“Sì… anche…”.

“E cosa ha detto?”.

“Niente di che. Io… devo parlare con te".

Il mezzodemone aveva sospirato, mentre il mortale si mostrò subito piuttosto preoccupato.

“Che succede?” si chiese l'umano “Qualcosa non va?”.

Il tentatore sedette accanto a Leonore, confessando di aver ceduto agli istinti ed averla posseduta fisicamente.

“Ma non è stata colpa sua!” si affrettò ad aggiungere lei “Sono stata io!”.

“Immagino…” borbottò Ary, scettico “Un incidente…”.

“È stato il potere di Lucifero” continuò a spiegare Leonore “Ho fatto un patto con lui e non ho potuto evitarlo. Sono molto imbarazzata e dispiaciuta…”.

“Il potere di Lucifero? C'era anche Lucifero?” chiese ancora Ary.

“No. Però il suo potere…”.

“A casa mia…”.

Il mortale teneva la tazza fra le mani, appoggiato al bancone della cucina, indeciso su cosa dire.

“Sono… mortificato" ammise Keros “Non pensavo che quel potere potesse…”.

“Vado al lavoro adesso. Devo andare" tagliò corto Ary, andando a prendere il cappotto.

“No, aspetta!” tentò di convincerlo il mezzodemone “Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Non uscire di casa con il broncio, per favore…”.

“Il broncio? Intendi come fanno i bambini? No, non è il mio genere…”.

“Ma…”.

“Lasciami andare a lavorare, Keros. Sono già in ritardo. Sinceramente, non ho molto da dire. Siete adulti e…”.

“Non era nostra intenzione!” interruppe Leonore.

“Immagino”.

“Non fare il sarcastico”.

“Faccio quello che mi pare, esattamente come fate voi. Il nostro matrimonio è andato in pezzi per questo sogno di maternità, che mi ha fatto sentire inadeguato ed in colpa per anni. Pensavo di essermi liberato di questo spettro ed invece eccolo qua. Di nuovo. Non ho altro da dire. Vado al lavoro".

“Keros ti ama. Ha voluto dirtelo proprio per questo!  Avremmo potuto tenertelo nascosto. Se io avessi incontrato te ieri notte, prima di Keros, saremmo finiti io e te a letto".

“E Keros mi avrebbe sorriso, nel saperlo?”.

“No…” ammise il mezzodemone “Sarei corso ad insultare Lucifero”.

“Ed io corro al lavoro. Immagino abbiate delle cose su cui discutere, dato che avrete un bambino”.

“Non è detto!” alzò le mani la mortale.

“È dettissimo, purtroppo" sospirò Keros “Il rituale di Lucifero funziona sempre”.

“Bene. Congratulazioni. Vado a lavoro”.

L'umano tagliò corto e si allontanò verso la macchina. Il mezzodemone girò le orecchie, avvilito ed ancora incazzato.

“Ti aiuterò a risolvere la cosa" tentò di consolarlo Leonore “Mi sento così in colpa…”.

“Sapessi io quanto mi sento in colpa… e quanto sono incazzato!”.

“Con me?”.

“Non lo so. Di sicuro con me stesso…”.

 

Quella stessa sera, Lucifero aveva fatto il suo ingresso nella casa mortale. Keros ed Ary sedevano in salotto, leggendo dei libri davanti al camino. Il mezzodemone era mezzo steso sul divano e girava gli occhi molto spesso, verso la poltrona dove sedeva il mortale.

“Ti ho trovato!” commentò Lucifero, in demoniaco “Ho fatto fare delle ricerche riguardo i demoni che vi hanno attaccato, se vuoi stare a sentire. Ovviamente le ricerche sono ancora in corso…”.

“Potevi mandarmi un messaggio… ho altro per la testa in questo momento".

“Tu hai sempre altro per la testa ultimamente!”.

“Scusate se interrompo…” si intromise Ary “Potreste non parlare nella vostra lingua a casa mia? Capisco solo la metà di quel che dite e la cosa mi infastidisce”.

“Come fai a capire metà di quel che diciamo, di grazia?” incrociò le braccia il sovrano.

“Gli sto insegnando il demoniaco” spiegò Keros.

“Tu che cosa?! Ma lo sai che non si può fare! Che devo fare con te?!”.

“Niente, rassegnati”.

“Ma come sarebbe a dire ‘rassegnati’?!”.

“E gradirei anche che andaste a litigare fuori casa mia" interruppe di nuovo l'umano, senza alzare lo sguardo dal libro.

“Fai tacere il tuo umano" sbottò Lucifero, rivolto a Keros “Se non vuoi che mi incazzi".

“Questa è casa sua. Devi adeguarti!” gli rispose il principe.

“Adeguarmi?! Io?!”.

Il re terminò la frase con un verso di stizza e lasciò la stanza. Il sanguemisto si voltò di nuovo verso Ary, immerso nella lettura. Rimase in silenzio, osservandolo con un sospiro. Aspettava un segno, una parola, ma il mortale non aprì bocca. Avrebbe atteso. Attese pazientemente che il suo amante volesse di nuovo parlargli. Nel frattempo, si accucciò di nuovo sul divano con aria colpevole ed abbattuta.

“Ho solo bisogno di tempo" aveva rassicurato Ary. Però a Keros mancava già così tanto…

 

Il re aveva intuito come potesse sentirsi Leonore e l'aveva raggiunta in cucina, dove sorseggiava tè reggendosi la testa.

“Non sentirti in colpa" mormorò il demone, usando il proprio potere “Concentrati su ciò che sarà. Diverrai madre, avrai un bambino. Sarà tutto perfetto, esaudirò ogni richiesta possibile, bella Leonore!”.

Lei, rassicurata e tramortita dai poteri del demone, sorrise e ringraziò. 

“Sarai una splendida mamma, non crucciarti per altre questioni” ammiccò il diavolo “Sai come contattarmi, se hai bisogno di me. Ora torno al lavoro”.

 

All'Inferno i demoni erano un po' perplessi. Il diavolo era nervoso ma non dava spiegazioni. Aveva solo vagamente accennato ad Asmodeo qualche dettaglio, riguardante la testardaggine dell'erede. Si era sentito rispondere che anche Carmilla era così, cocciuta e determinata. Purtroppo l'unica soluzione è imparare a conviverci…

“Conviverci un cazzo…” aveva borbottato Lucifero, cercando di concentrarsi sul lavoro.

 

Una parte di risse per voi :p

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Capitolo 54
*** Discutere ***


54

Discutere

 

“Ok… fate silenzio!”.

L'Arcangelo Mihael era in piedi, in abiti cerimoniali, dinnanzi ad una folla di creature angeliche di varia gerarchia. I più rumorosi, i soldati, non riuscivano a tenere a freno le proprie preoccupazioni. Mihael tentava invano di farli tacere, prossimo a perdere la pazienza. In quella sala del Paradiso, vi era una gran confusione.

“Fate silenzio ho detto!” alzò la voce Mihael.

“Non è necessario gridare…” lo ammonì a bassa voce Uriel.

“Nemmeno cianciare a vanvera tutti assieme!” ribatté l'Arcangelo, stizzito.

Tutti esigevano spiegazioni, dopo le notizie giunte in Cielo. Si era venuta a sapere della presenza di demoni privi di controllo che avevano messo in pericolo vite umane. Il tutto senza che Vigilanti e Soldato sapessero identificarli.

“È compito tuo capire chi sono, Mihael" commentò un Serafino.

“Ci sto lavorando" fu la risposta.

“In che modo? È uno scandalo che simili cose accadano! Dove stava la sorveglianza?” si udì dire fra la folla.

“Che combini? Guarda che l'ho visto quell'essere dai capelli rossi" furono invece le parole di Vehuia “Quello che un tempo fingeva di essere un angelo! Ci devi delle spiegazioni”.

“Non vi devo proprio niente" incrociò le braccia Mihael “Io ho un lavoro impegnativo. Non sto tutto il giorno seduto sul mio culo a leggere libri sacri o cantare canzoncine in coro! Io combatto i demoni! Pensate sia facile?”.

“Mai detto che sia facile!” si offese leggermente il Serafino “Solo che ci sarebbero delle cose da chiarire".

“Solo a Dio debbo delle spiegazioni, non certo a voi! Vi assicuro però che controllerò personalmente la zona ed amplierò il personale di sorveglianza. Parlerò con il Nemico, così da verificare alcuni dettagli”.

“Che dettagli vorresti verificare con lui, scusa?!” si allarmò un Cherubino.

“Io credo che alcuni di questi demoni non siano tentatori o procacciatori. Temo siano semplicemente fuggiti dagli Inferi".

“In questo caso li dobbiamo ricacciare di sotto!” suggerì un soldato.

“Se ne troveremo altri in vita, è quel che faremo. Fin ora l'essere dai capelli rossi si sta rivelando un angelo custode eccellente".

“O un ricercato particolarmente bramato dai suoi simili…”.

“In ogni caso non dovete preoccuparvi" tagliò corto Mihael “Vi assicuro che a nessun umano verrà fatto del male. Ora, se non vi dispiace, sarebbe il caso di agire e non di perdere tempo in discorsi da salotto!”.

 

Seduto sul trono, con alle spalle stendardi ed effigi inquietanti, Lucifero incuteva di certo timore. Metteva in soggezione, Keros lo doveva ammettere, ma non voleva che il sovrano notasse simili sensazioni. Per camuffare quel lieve brivido che lo attraversava, il principe mostrò sul viso un'espressione di pura indifferenza.

“Mi hai fatto convocare?” mormorò, incrociando le braccia dietro alla schiena.

“Rivolgiti in modo consono al tuo sovrano, Keros" gli rispose Lucifero, con un guizzo minaccioso nello sguardo.

“Mi avete fatto chiamare, maestà?” corresse il principe.

“Meglio. Ti ho chiamato qui per… richiamarti all'ordine, si può dire".

“Che cosa vorrebbe d…”.

“Silenzio!”.

Keros si irrigidì, annuendo soltanto.

“Ti ho chiamato qui" riprese il re “Per ricordarti che esiste qualcosa che esigo che tu rispetti: la gerarchia. Tu sei il principe ereditario, è vero. E questo ti permette di essere un cazzone con alcune categorie di demoni. Ma non con tutti. E, ovviamente, assolutamente non con me. Ti ho chiamato qui per ricordarti che non sei un maestro, non sei ancora giunto al termine di determinati percorsi, e non puoi fare quello che ti pare. Il tuo atteggiamento è inaccettabile ed è mio compito, essendo a tutti gli effetti il tuo superiore nonché tutore, rimetterti in riga".

“Ma io…”.

“Ta-ci!” scandì Lucifero “Certi atteggiamenti spavaldi, irriverenti e da perfetto stronzetto, non saranno più tollerati. Ti ho concesso fin troppa libertà in questi ultimi secoli, e un po' me ne pento. Hai forse dimenticato tutti gli insegnamenti di Astaroth? L'addestramento speciale nei territori impervi degli inferi?”.

“No, certo che no!”.

“Ti era stata inculcata la disciplina ed il rispetto!”.

“No… che io ricordi, ero rimasto comunque il solito coglione".

“Esigo venga rispettata la gerarchia, Keros. Tutto qui. Per quanto tu sia il principe ereditario, simili atti sovversivi non li tollererò oltre".

“Di che atti parlate, illustrissima altezza?”.

“Ecco… già quest'ultima frase da te pronunciata rientra nell'elenco. Ti prendi gioco di me, come fossi un vecchio demente, sicuro che tanto non potrei mai farti del male. Sicuro che nessuno oserà reagire dinnanzi al figlio del re. Ebbene voglio che questo atteggiamento cambi radicalmente. Già altre volte ti ho sgridato e ripreso, ora mi sono stancato. Non posso dovermi giustificare dinnanzi ai miei sottoposti, che si chiedono perché non sono in grado di inculcare la disciplina nella testolina del mio erede. Tutto l'Inferno mi teme e mi rispetta e di certo non mi farò prendere per i fondelli da un ragazzino viziato".

“Che vuoi da me? Che vuoi che faccia? Vuoi che mi inchini? Che faccia il leccaculo come Asmodeo o Azazel?”.

“A quei due io l'ho rotto il culo, ai tempi. E sanno che potrei rifarlo di nuovo. Per questo obbediscono. Ed è ora che anche tu capisca questo semplice concetto: io sono più in alto di te. Sono più potente, più forte, più influente, più capace e…”.

“Più vecchio, lo so. Che significa tutto questo?”.

“Significa che, irriverente testa a ciliegia, che d'ora in poi non avrò alcun riguardo. Se mi farai di nuovo girare le palle, ed ultimamente lo fai spesso e ti riesce pure facile, userò metodi non molto affettuosi. Sai che posso farti molto male. E se non riesco a farti piegare dinnanzi a me con le buone, lo farò con le cattive. Io sono il re dell'Inferno e nessuno deve permettersi di scassarmi i coglioni, chiaro?”.

“Chiaro…”.

“E per quanto riguarda il tuo desiderio di diventare umano… spero vivamente di non aver cresciuto un figlio tanto stupido!”.

Keros girò lo sguardo, non sapendo che dire.

“Ora va'…” lo congedò Lucifero “Non osare mai più sfidarmi, mezzosangue. Perché non avrò pietà alcuna".

Il principe si congedò con un inchino e lasciò in fretta la sala. Il sovrano sapeva come incutere timore, come rendersi inquietante e minaccioso. Ripensandoci, Keros si rese conto di essere stato un tantino irriverente ultimamente. Ma non era pentito, anche se ora lo turbava la minaccia del padre adottivo. Pensieroso, camminò lungo il corridoio. Raggiunse le proprie stanze, dopo un lungo periodo d'assenza. Lilien era al lavoro e nell'ala del palazzo riservata al principe gironzolava solamente Simadè, mentre i cuccioli erano a lezione. Il fedele servo sorrise al proprio padrone e si offrì di preparare un buon tè. Il mezzodemone rifiutò con un mugugno. Distratto, sospirò ed entrò nella camera.

“Qualcosa vi turba, altezza?” domandò il servitore.

“No… questioni di famiglia" borbottò Keros, indeciso sul da farsi.

“Sono certo che tutto si risolverà! Appena voi ed il sovrano avrete ottenuto preziose anime, tutto andrà meglio. Ora, forse, vi è un pizzico di competizione”.

“Competizione?”.

Keros si ritrovò a riflettere. Per il regno intero lui era nel mondo umano per recuperare l'anima finale, un'anima unica e preziosissima. I sudditi non vedevano l'ora di celebrare la buona riuscita di un simile evento, omaggiando il proprio principe trionfatore. Ma le cose non stavano procedendo come tutti si aspettavano! Lui non avrebbe ottenuto alcuna anima, non avrebbe riportato alcuna vittoria sul Cielo! Quando questo si saprà, realizzò il sanguemisto, saranno tutti delusi. Probabilmente Lucifero era già molto deluso, nascondendo simili sentimenti dietro ad un velo di rabbia e prediche! Avrebbe deluso tutti e per che cosa? Per amore? Per un umano? Un umano che, fra l'altro, aveva già deluso con il tradimento.

“Il re è indubbiamente il demone Alpha" sorrise Simadè “E non è facile conviverci, specie se si è abbastanza potenti da poter risultare un leader. Però sapete bene che è lui la creatura più potente dell'Inferno e sfidarlo è un gesto da stupidi.  Spero che queste frasi non vi offendano…”.

“No, hai perfettamente ragione. Devo imparare a controllarmi, anche quando mi fa incazzare. È lui il sovrano…”.

“Immagino sia difficile…”.

“Lo è. Poi ultimamente mi sono successe alcune cose e… ammetto di essere parecchio nervoso”.

“Volete che il vostro Simadè vi faccia rilassare come sapete voi?”.

Keros ci pensò qualche istante e poi scosse la testa.

“Spero torniate presto a palazzo" ammise il servo “Trionfatore, ovviamente!”.

“Ti ringrazio, Simadè”.

Il principe ne accarezzò il viso, pronunciando quelle ultime parole. Probabilmente anche quel suo fedele servo sarebbe rimasto profondamente deluso nell'apprendere la verità.

“Sapete che a me potete raccontare tutto” mormorò il servitore.

“Lo so. Però ci sono delle questioni su cui preferisco non discutere. Solo il re conosce in parte certe cose… e le prediche si sprecano!”.

“Magari non sono prediche. Ma solo consigli".

“Magari…”.

 

Subito dopo il tramonto, Lucifero era comparso da Leonore. Dopo aver spiegato al padrone di casa che Keros era impegnato in ricerche riguardanti i demoni comparsi nel mondo umano, il demone stava suonando il pianoforte su richiesta dell'umana. Lei, con la musica, si era sentita molto più rilassata. Poi il sovrano degli inferi si congedò momentaneamente ed uscì in terrazza, brontolando contro il marchingegno che lo metteva in comunicazione con l'Inferno.

“Sei ancora qui?!” si sentì dire, e sobbalzò per la sorpresa.

L'Arcangelo Mihael lo stava fissando, a braccia incrociate.

“Pensavo che gli angioletti andassero a nanna dopo il tramonto” riuscì a borbottare il diavolo.

“Non se c'è qualche demone a spasso fra gli umani. Specie se quel demone sei tu".

“Che vuoi? Perché mi scocci?”.

“Ho dovuto aumentare la sorveglianza a causa di demoni girovaghi non identificati".

“Hei, sto cercando anche io di risolvere quella questione!”.

“Non mi sembra che tu ora ci stia pensando".

“Sai come vanno le cose. Se vuoi salvare l'anima della pulzella, provaci pure. Lo so come funziona il libero arbitrio".

“E Keros?”.

“Keros ha la sua vita. Fa quello che gli pare. Rompigli le balle personalmente!”.

“Sai… vuole diventare umano".

Lucifero abbandonò immediatamente il ghigno che sfoggiava sempre e storse il naso. Anche l'espressione di Mihael era mutata, passando dall'imbronciato al preoccupato.

“Lo so" ammise il diavolo.

“E cosa ne pensi?”.

“Penso sia uno sbaglio! Un enorme sbaglio! E tu? Non avrai mica intenzione di aiutarlo, vero?!”.

“Non è mai successo che un demone diventi umano. Potrei provare con un esorcismo, ma non so come potrebbe andare a finire".

“Non provarci nemmeno! Non esorcizzerai mio figlio!”.

“Gli esorcismi semplici su di lui non hanno effetto, lo sai. E poi, tecnicamente, è mio figlio”.

“Tecnicamente devi farti gli affari tuoi!”.

“Sono affari miei! Comunque non penso sia una buona idea che diventi umano…”.

“Allora non lo aiuterai,  giusto?”.

“Ancora non lo so. Sto valutando…”.

“No! Macché valutare! È una follia! Non osare avvicinarti a Keros!”.

“Altrimenti?”.

“Ti spiumo!”.

“Non sono un tacchino!”.

“No, in quel caso ti avrei farcito infilandoti delle castagne nel culo".

“Sei pazzo! Ma non inizieresti la guerra santa per un mezzodemone".

“Scommetti?”.

“Qualcosa non va?” domandò Leonore, educatamente, spuntando dalla porta.

“Niente" le sorrise Lucifero “Torna dentro, bella Leonore. Non prendere freddo".

“Non ascoltate le parole del demonio, giovane mortale” si allarmò Mihael.

“Io ascolto quel che voglio” ribatté in fretta la donna.

“Vi state facendo plagiare" continuò l'Arcangelo “Vi ha tentato".

“No, sono stata io a chiamarlo. Io l'ho evocato ed io ho chiesto di stringere un patto. Non trattatemi come una povera fanciulla sottomessa e sciocca. È stata una mia scelta!”.

“Potete ancora pentirvi. Chiedere il perdono di Dio”.

“Non voglio chiedere perdono. E nemmeno pentirmi".

“Hai sentito le parole della pulzella?” ghignò Lucifero.

“Fai silenzio. Con le tue parole l'hai convinta ad abbracciare il sentiero oscuro".

“Ho già detto che non è così!” alzò la voce Leonore “Tante volte ho pregato Dio e mai sono stata ascoltata. Ora è tardi ed è inutile che incolpiate Lucifero. La colpa è mia, se colpa la si può definire. Il diavolo ha solo fatto avverare il mio desiderio. E ora sparite, per favore. La vostra luce mi infastidisce".

Mihael mosse lievemente le ali, irritato. Non proferì ulteriori parole e volò via.

“Sei una fanciulla coraggiosa” si complimentò il diavolo, appena l'Arcangelo fu svanito.

“Ho detto solo la verità” alzò le spalle Leonore.

“Attenta, bella Leonora. Quel che ha detto Mihael è vero: puoi ancora ambire al Cielo. Puoi pentirti, chiedere perdono, purificarti… ottenere il Paradiso".

“Perché me lo dici?”.

“Correttezza contrattuale, immagino. Non stuzzicare troppo le creature sovrannaturali. Non tutte sono come Miky…”.

“Finché avrò te al tuo fianco…”.

“Bella, coraggiosa e astuta Leonora… Attenta a quel che fai. Stai giocando un gioco pericoloso”.

“Peggio di gettarmi fra le braccia del signore degli Inferi, che mai potrei fare?”.

“Non resta che scoprirlo…”.

 

A presto! Molto presto! Intanto vi lascio un link per un disegno di “Halloween Keros" :)

 

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Capitolo 55
*** Animo di demone ***


55

Animo di demone

 

Per rilassarsi, Keros amava volare. Era da molto che non si concedeva un volo in solitaria, libero da pensieri. Avvolto dal buio, nonostante il freddo pungente, sfruttava l'assenza di presenza umana fra le montagne circostanti. La casa del mortale chiamato Ary era a poca distanza, riusciva a scorgerne le luci dall'alto. Volare gli calmava i nervi, lo aiutava a riflettere. Nell’oscurità, nel silenzio della notte, udiva solamente i versi di qualche animale notturno ed i suoni della natura, come il vento fra gli abeti e lo sciabordio del ruscello. Quando però udì delle voci, scese immediatamente di quota, nascondendosi fra gli alberi e facendo svanire le ali, stringendosi nel mantello per il freddo.

“Sei ubriaco!” parlava uno.

“Ti dico di no!” ribatteva un altro uomo “Ho visto un fottuto angelo!”.

“Gli angeli non girano di notte. Non ci vedono al buio!”.

Keros capì subito che i due che discutevano fra loro erano demoni, anche se parlavano in lingua umana. Che ci facevano due demoni lì? Rimanendo nascosto, contattò l'Inferno con il marchingegno che portava con sé, chiedendo quali creature demoniache si trovassero in zona. Appreso che non risultavano demoni registrati nei paraggi, decise di indagare. Seguì le due creature nel bosco, saltando silenziosamente da un albero ad un altro.

“Chissà che cazzo hai visto" sbottò uno degli spiati.

“Un angelo, ti ho detto! Sono sicuro!”.

“Sarà stato un gufo!”.

“Un gufo di un metro e settanta?!”.

“Un altro animale allora! Uno più grosso!”.

“So quello che ho visto!”.

“Alcolizzato! Torniamo dagli altri, ho sonno!”.

I due si girarono e tornarono indietro, lasciando impronte storte sulla neve. Keros continuò a seguirli, sfruttando i propri sensi da vampiro. Si erano addentrati nel bosco più fitto, dove spariva ogni sentiero percorribile. Raggiunsero un gruppetto di altri demoni, che si celavano fra alberi ed ombre. Il mezzodemone tentò di riconoscerne qualcuno, senza riuscirci. Ne percepiva molti, senza capire cosa ci facessero lì, e decise di contattare di nuovo gli inferi, questa volta tentando di parlare con il re. Si stupì molto quando fu la voce di Azazel a rispondere.

“Azazel? Da quando rispondi tu a questo contatto?!”.

“Risponde chi capita, altezza…”.

“E Lucifero dov'è?”.

“Impegnato".

“Immagino a fare che cosa. Ad ogni modo… mi localizzi sullo schermo?”.

“Certo, principe".

Azazel fissò il sofisticato computer che aveva davanti agli occhi e vide chiaramente il segnale trasmesso dal dispositivo in uso da Keros.

“E mi confermi l'assenza di altri demoni nelle immediate vicinanze?”.

“Sullo schermo non compaiono. Faccio una rapida ricerca nei registri?”.

“Sì, svelto".

Keros attese in silenzio, solamente qualche istante. Poi Azazel parlò, confermando quanto detto dal principe.

“In questo caso…” ordinò il mezzodemone “Fammi parlare con Asmodeo".

“Sì, altezza. Provvedo immediatamente".

 

Malaphar si era appena allontanato dalla casa del mortale, tornando all'Inferno, dopo aver visitato Leonore. Alla donna era stato spiegato che non poteva recarsi in ospedale per le normali visite di controllo, perché vi era il rischio che qualche medico potesse notare qualcosa di strano in caso di gravidanza demoniaca. Lei aveva compreso la situazione, immaginandosi la faccia di un dottore umano che nota un paio di corna nell'ecografia. Lucifero però l'aveva subito rassicurata, dicendole che i migliori esperti degli Inferi l'avrebbero monitorata ed aiutata. In principio la donna si era spaventata ma, dopo la prima visita di Malaphar, era stara convinta di essere in buone mani.

“E sai che puoi contattarlo in ogni momento" aggiunse il re dei demoni, che aveva tenuto d'occhio il medico diabolico.

Lei si limitò ad annuire. Si sentiva un po' stanca e decise di prepararsi un tè con le erbe suggerite e procurate da Malaphar. Invitò Lucifero ad accettare un caffè e scese le scale, lasciando la camera, per raggiungere la cucina. Il demone seguì la mortale ed intravide Ary in uno stanzino, percependo un lieve odore di polvere da sparo.

“Che stai facendo, mortale?” chiese, con voce bassa e leggermente inquietante.

L'uomo non rispose ed il demone si avvicinò. Fra le mani, il padrone di casa stringeva un fucile.

“Spero tu non stia pensando di fare qualcosa di stupido" ghignò il diavolo.

“Lo sto pulendo. Presto i bracconieri torneranno qui in zona".

“E tu li uccidi?”.

“No! Certo che no! Li spavento e basta".

“Peccato. Sarebbe stato più interessante sapere che sei un killer che sotterra umani nel bosco".

“Solo una mente malata può partorire un'idea simile".

“Attento a come parli, umano. Io non sono Keros. Se mi fai girare i coglioni, ti impicco alla grondaia dinnanzi all'ingresso".

“Balle. Il diavolo non uccide. Questo lo sanno tutti".

“Ma torturo che è un piacere… vuoi vedere?”.

 

“Principe…” mormorava Asmodeo dagli Inferi “Non posso obbedire ad un tale ordine, senza il permesso di re Lucifero!”.

“Non riesco a contattarlo. E questa è un'emergenza. Mi prendo io ogni responsabilità” ribatté Keros “Ho bisogno dei tuoi uomini! Mi servono rinforzi, in fretta!”.

“Ma… altezza…”.

“Altezza un cazzo! Obbedisci! Sono sovversivi!”.

“Ne siete certo?”.

“Sono fuggiti dall'Inferno. Vivono segretamente nel mondo umano. Muovi il culo e vieni a sterminarli, prima che contatti gli angeli e lasci a loro tutto il merito!”.

“Però… ecco…”.

“Vuoi che me ne accerti? Lo faccio subito. Ascolta bene”.

“No! Aspettate! Altezza!”.

Il principe già non ascoltava. Scese dall'albero su cui si nascondeva, attirando l'attenzione su di sé.

“Lo conosco quello!” esclamò uno dei demoni nel bosco “È l'erede al trono!”.

“Quello che ha condannato all'oblio Belzebù!” confermò una Succubus.

“Riportiamolo dal suo papà!” suggerì un grosso demonio appollaiato ad un ramo “Un pezzo alla volta!”.

Si alzarono voci e grida contro la famiglia reale.

“Chi siete?” domandò Keros, restando calmo.

“A te che importa, principino?” sibilò una demone dai capelli violacei e lo sguardo da serpente “Ti annoiavi a palazzo e sei venuto a fare una gita?”.

“Chiedo soltanto. È educazione. Voi mi conoscete bene, a quanto pare. Io, al contrario, non so chi siete. Perciò ve lo chiedo. Non mi sembra una cosa complicata da capire".

“Noi siamo i dimenticati. Siamo i reietti. Banditi e braccati, per aver perso una battaglia. Dopo ogni guerra, gli sconfitti rimasti in vita vengono condannati. Sterminati o imprigionati. Ma voi no, voi reali avete preferito concederci di sopravvivere. Togliendoci però ogni avere, ogni possedimento. Come si può vivere agli Inferi così? Umiliati, senza un luogo dove vivere?”.

“Voi siete i seguaci di Belzebù?” capì il mezzodemone “Coloro che lo hanno seguito nel suo piano di conquista, ormai quasi trecento anni fa?”.

“Ed i loro discendenti…”.

Il sanguemisto rimase in silenzio qualche istante, guardandosi attorno.

“Ho notato dei cuccioli” parlò poi, con tono fermo ma per nulla minaccioso “Questo è un luogo ostile per la maggior parte dei demoni. Rientrate agli inferi, tutti quanti, e provvederò io stesso a farvi aiutare”.

“Aiutare?! Ma chi lo vuole il vostro aiuto?!” sibilò più di qualcuno.

“Posso farvi dare almeno delle case. Un modo per sostentarvi e…”.

“Ed essere umiliati per sempre! Noi siamo i perdenti, e lo saremo per l'eternità. Rientrando, saremo solo circondati da coloro che ci deridono.  Primo fra tutti il sovrano: Lucifero".

“Tenterò di fare in modo che questo non accada. Vi prego… l'alternativa è che vi stermini tutti".

“Ma con chi credi di avere a che fare?”.

“Con un branco di demoni giovani, o deboli, senza addestramenti specifici. Non si può vivere a lungo al di fuori dell'Inferno, se non per ottenere anime o per missioni per contro del re”.

“E vuoi ucciderci tutti tu?” ridacchiò un demone con molte corna “Guarda che lo so che tu sei un demone di fuoco! Sei debole nella neve, a queste temperature”.

“Tu non sai un cazzo…” ringhiò Keros, evocando una fiamma azzurra e preparandosi a combattere.

 

Lucifero fissava incuriosito l'arsenale dell'umano. Nella stanzetta in cui era stato tracciato il portale per l'Inferno, erano riposti diversi fucili e relative munizioni.

“Hai il porto d'armi?” si chiese il demone.

“Certo” rispose il mortale.

“E non hai mai ucciso qualcuno? Nemmeno per sbaglio?”.

“No, mai".

“Ma avresti voluto?”.

“Che razza di domanda è?!”.

Ary continuò a pulire i fucili con cura, controllandoli con attenzione.

“Non sei emozionato?” cambiò argomento il re.

“Per…?”.

“Per il bambino! Diventerai padre, in un certo senso".

“Non sono stato io a…”.

“Lo so. Ma dubito che a Keros importi qualcosa di questo suo piccolo bastardello in arrivo. Insomma… non ha mai mostrato particolare interesse per i bambini".

“L'ho notato. Ma questo bambino sarebbe suo, sarebbe diverso".

“No, perché? A malapena li sopporta i suoi figli a palazzo!”.

“Figli? Lui ha dei figli?”.

“Sì, perché? Non lo sapevi?”.

“No!”.

Lucifero mormorò un “ops" lievemente mortificato.

“Ha una compagna?” volle sapere Ary “Una moglie? E quanti figli ha?”.

“Non ha una compagna, e nemmeno una moglie. Ed i cuccioli sono cinque”.

“Cinque incidenti, immagino…”.

“No, un incidente solo che ha portato a cinque conseguenze. I demoni sono prolifici…”.

“Cinque gemelli. E non me ne ha mai parlato".

“Calmati. Per Keros non è una questione importante".

“Ma lo è per me! Quali altre cose mi ha nascosto?”.

“Non saprei dire. Ma ti consiglio di riporre il fucile, ora che sei di umore alterato".

Il mortale rispose con una specie di strano ringhio e continuò a pulire l'arma, con sempre maggior foga.

 

Il combattimento durò poco. Con il sopraggiungere delle truppe di Asmodeo, i sovversivi furono sterminati.

“Alcuni sono fuggiti" notò Keros “Credo che possano avere un altro rifugio, da qualche parte fra queste montagne.

“Con il permesso del re, manderò delle pattuglie di ricerca" annuì Asmodeo.

“Farò io rapporto al sovrano. Potete rientrare a palazzo” li congedò il principe.

Rimasto solo, con addosso il sangue degli sconfitti, si guardò attorno sconcertato. La neve avrebbe coperto ogni traccia, lasciando in evidenza solo dei segni sugli alberi e qualche oggetto dimenticato ed appartenuto ai cadaveri. Vi erano degli ingressi sotterranei, che conducevano al di sotto delle radici delle conifere. Con il fuoco angelico, aveva dissolto ogni anima demoniaca. In silenzio, sospirò. Perché lasciarsi uccidere piuttosto che accettare la sconfitta e rientrare all'Inferno? Quale moto di inutile orgoglio, e stupidità, poteva condurre a tanto? Doveva immediatamente fare rapporto al re, informandolo su quanto successo. Prima però voleva rendersi di nuovo presentabile e, inoltre, uccidere e dilaniare aveva risvegliato l'animo di demone, che bramava godere dei piaceri della carne di cui sentiva la mancanza. Pensava ad Ary, lo desiderava ardentemente, e corse lungo il bosco per raggiungerlo.

 

Il mezzodemone entrò nella casa mortale con una mezza risata. Leonore, finito il tè, stava leggendo un libro in salotto, vicino al camino. Il principe la notò e poi guardò in alto, lungo le scale. Da dentro lo stanzino al piano superiore si vedevano delle ombre. Intuì solamente qualcosa e scattò subito, ancora in tensione dopo la battaglia. Aveva riconosciuto la figura di Lucifero e di Ary, ed era certo di aver visto un fucile.

“Cosa pensi di fare?” ringhiò Keros, raggiungendo il re ed il padrone di casa.

Il sovrano emise solo un verso perplesso, vedendosi piombare davanti l'erede in evidente collera. Poi osservò meglio il sanguemisto, notandone i vestiti rovinati ed il sangue.

“Che hai combinato?” si accigliò “Hai fatto a botte?”.

“Allontanati subito da Ary!” gli ringhiò Keros, allargando le braccia per coprire l'umano.

“Non posso lasciarti solo un attimo che ti ficchi nei casini?!” ribatté il diavolo.

“Ed io non posso allontanarti un attimo senza che tu venga a ficcare il naso!”.

“Puzzi di sangue. E di morte. Sei alterato, fuori di testa. Ti consiglio di restartene buono per un attimo, fare un bel respiro e chiudere la bocca, prima di dire altre cazzate!”.

“Io non sono alterato!”.

Ary indietreggiò d'istinto, sentendo il tentatore gridare. Aveva le corna ben in vista, lo sguardo carico di collera ed un aspetto molto poco rassicurante, perciò il mortale pensò fosse meglio non avvicinarsi troppo. Keros trovò quell'atto piuttosto fastidioso, ma preferì concentrarsi sul padre adottivo. Lucifero era molto irritato dall'atteggiamento dell'erede, che già più volte aveva invitato a calmarsi.

“Smettila di dirmi di calmarmi!” ringhiò il principe “Non ti devi avvicinare ad Ary!”.

“Non mi pare sia ferito…”.

“La tua lingua è incapace di stare al suo posto, tentatore!”.

“Su questo ti do ragione” ghignò il diavolo “Ma ricorda che io dico sempre la verità”.

‘Già” interruppe Ary “Almeno lui non ha figli segreti".

“Figli? Chi ti ha…?” borbottò il mezzodemone.

“Lucifero mi ha detto che hai cinque figli. È forse una bugia?”.

“No. Ma…”.

“Perché non me ne hai mai parlato?”.

“Perché glielo hai detto?!” chiedeva il principe al sovrano.

“Pensavo lo sapesse già!” si giustificò Satana.

“E perché avrebbe dovuto saperlo?! Non è importante!”.

“Non è importante?!” sobbalzò il mortale.

“No, non lo è!” rispose, convinto, Keros “E sono stanco di discutere per delle scemenze!”.

“Scemenze?! Scherzi?!”.

“Devi calmarti, ragazzo" lo invitò di nuovo il sovrano “Fra qualche ora sarai più lucido".

“Smettila di darmi ordini!”.

“Sono il re. Io devo darti ordini. Obbedisci, ogni tanto".

Il principe ringhiò, scagliandosi contro il signore degli Inferi. Fra gli insulti, i due iniziarono ad azzuffarsi lungo il corridoio. Ary tentava invano di farli smettere, mentre Leonore non sapeva che fare. In collera, i due reali mostravano una notevole ferocia, con le corna in vista e lo sguardo scintillante d'ira. Keros sbatté contro una vetrina, mandandola in frantumi e scagliando schegge di vetro lungo tutto il corridoio. Il padrone di casa, colpito al viso da qualche scheggia, lanciò un gemito e si passò una mano sul volto insanguinato. Leonore gridò, spaventata, e la rissa terminò. Le due creature sovrannaturali rimasero a fissarsi qualche istante, minacciandosi con lo sguardo, poi le loro attenzioni si concentrarono altrove. Keros si voltò, notando la donna accanto ad Ary, che si prendeva cura delle lievi ferite. Davanti a quella scena, rimase senza parole.

“Che ti è saltato in mente?!” esclamò il mortale, rivolto al tentatore “Come vi permettete di fare questo in casa mia? Azzuffarvi come animali e distruggermi casa. Siete impazziti?!”.

“Io…” tentò di parlare il sanguemisto, non sapendo cosa dire.

“Sei entrato e, senza alcun motivo, hai aggredito Lucifero. Non mi stata facendo alcun male. Mi stava solo raccontando quel che tu non ritieni importante".

“Ary…”.

“Taci! Sono stufo di essere circondato da sotterfugi e misteri. Sono stufo di scoprire quel che accade alle mie spalle. Dici di amarmi e poi mi tradisci, mi nascondi i tuoi figli, mi distruggi casa, mi ferisci… In quale altro modo vuoi farmi del male? E non hai pensato a Leonore?!”.

“Io non…”.

“Fuori da casa mia!” indicò la porta l'umano “Forse, se ve ne state un po' fra la neve, vi si rinfrescano le idee! Fuori, tutti e due".

Il mezzodemone osservò i due mortali, irritato da quelle parole. Vedeva lo sguardo preoccupato ed amorevole di Leonore, notava il ghigno di Lucifero. Girando lievemente le orecchie per il fastidio, lasciò la casa senza aprire bocca.

 

Capitolo lunghetto ma spero “succoso". E gradito, soprattutto :) a presto!

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Capitolo 56
*** Delusione e giudizio ***


56

Delusione e giudizio

 

Quando Lucifero fu messo a conoscenza dei fatti accaduti nel bosco, convocò immediatamente Keros ed Asmodeo. Il generale si prostrò, ammettendo che non avrebbe dovuto procedere all'attacco senza il permesso del sovrano. Aggiunse però che avevano riportato una schiacciante vittoria.

“I sovversivi…” meditava il re, camminando qua e là lungo le pareti del suo ufficio “I banditi, i reietti, i servi di quella piaga ambulante di Belzebù! Lui non era presente?”.

“Nossignore. O almeno… non è stato individuato" si affrettò a rispondere Asmodeo.

“Pensavo che renderlo meno di niente lo annientasse. Mi sbagliavo. Dovevo ammazzarlo l'ultima volta che me lo sono trovato davanti, altro che lasciarlo ancora respirare!”.

“Perdonami ma…” si intromise Keros, con aria calma e le mani incrociate dietro alla schiena “Non abbiamo certezze al riguardo. I fuggitivi potevano essere solo suoi seguaci di un tempo, nostalgici che ormai non vedono il loro idolo da secoli".

“Mi avete detto che erano giovani, di conseguenza privi di vera capacità di giudizio e scelta. Dubito possano agire senza un capo. Non ne sono capaci… se non per commettere cazzate"

“Come fascia d'età credo si avvicinassero molto alla mia!” sbottò il principe.

“Appunto…”.

“Ti ricordo che tutto è partito da Belzebù, un vecchio troglodita che fa sempre le stesse cose da millenni. Uno che è convinto di avere sempre ragione e di agire sempre nel migliore dei modi".

“Se ti riferisci a quel che ho detto all'umano, dato che so che il tuo cervello è incapace di pensare ad altro, non è di certo colpa mia se tu hai omesso un dettaglio non proprio minuscolo. Credevo che, nel tuo perdere tempo a bighellonare in superficie, almeno un accenno alla tua prole fosse uscito".

“Ti avevo detto di farti gli affari tuoi!”.

“Ed io ti avevo ordinato di rispettare gli ordini e la gerarchia! Non puoi comandare l'esercito reale a tuo piacimento! Non puoi iniziare una battaglia senza il mio permesso!”.

“Ho provato a cercarti. Ma eri troppo impegnato a cianciare!”.

“Non riesci proprio a vedere la realtà delle cose? Sei un demone, Keros! Un principe! Hai dei doveri, dei compiti precisi, un ruolo da rispettare. È ora che tu la smetta di fare il bambino!”.

“Non vuoi proprio capire, vero? Non riesci a comprendere certi legami…”.

“I legami si spezzano, ragazzo mio. Continuamente. Asmodeo… lasciaci soli, per cortesia. E tranquillo… non prenderò provvedimenti nei tuoi confronti per quanto successo".

“Grazie infinite, maestà!” si inchinò più volte il generale.

“Ma ricorda: se si ripeterà, ti userò come stendardo. Sono stato chiaro?”.

Il grosso demone soldato annuì e lasciò la stanza in fretta. Rimasti soli, re e principe si squadrarono qualche istante.

“Io lo amo" mormorò Keros, con gli occhi che brillavano per l'ira.

“E lui ti ha sbattuto fuori casa nella neve. La cosa non ti dice niente?” rispose allo sguardo il sovrano.

“Lui… lui non sa che…”

“Lui sa che nella neve sei debole. Lui sa che, subito dopo una battaglia, il gelo può esserti fatale. Lo sa bene. E ti ha sbattuto fuori. Keros… forse tu ancora lo ami, ma per lui le cose sono cambiate. E devi fartene una ragione".

“Menti!”.

“Lo sai che io non mento mai".

“Sei solo un manipolatore! Tu non vuoi che io sia felice!”

“Al contrario. Io cerco solo di indicarti la verità. Sta a te interpretarla...”.

“Io voglio vivere a modo mio! Voglio decidere io! Voglio essere libero da te! Dovresti capirlo, no? Sei come tuo padre!”.

“Che cosa?!”.

Quell'ultima frase fece sobbalzare Lucifero per l'ira.

“Io come mio padre?!” ringhiò Satana “Se fossi come lui, tu saresti morto da tempo! Ricordati che sei una specie di abominio agli occhi di Dio! Il figlio di un atto proibito, di un peccato gravissimo! Ti ho dato tutto quello che nessun'altro avrebbe mai potuto e voluto darti! E mi accusi di essere come Dio?! Che ha condannato la sua creazione prediletta a vivere di stenti a causa di una mela di merda!? Che ha condannato me a vivere qui a badare alle anime della sua creatura malriuscita e mortale?! Io come mio padre?!”.

“Non sono forse anche io per te un abominio? Un sanguemisto innamorato di un mortale?”.

“Non sei un abominio. Sei solo stupido! Continui a non comprendere! Io cerco di proteggerti!”.

“Non voglio la tua protezione! Voglio la mia vita! E voglio che tu ne stia fuori!”.

“Vuoi questo? Lo vuoi veramente?”

“Sì!”.

Il re si accigliò, in silenzio. Frustò la coda un paio di volte, prima di aprire di nuovo bocca.

“Allora va per la tua strada” esclamò, serio “Sei un adulto. Fa quello che credi. Ma vedi di non cercarmi fra qualche giorno perché ti sei cacciato in qualche casino!”.

“Cosa…?!”.

“Ti do questo consiglio, Keros. Ascolta attentamente: sei alterato, dopo la battaglia. Sei stanco, abbattuto per la questione del mortale e confuso. Ritirati nelle tue stanze, dormi e rifletti qualche istante. Tutto ti sembrerà più chiaro a mente fredda. Quando avrai raggiunto un verdetto accettabile, che non sia una sorta di mucchio confuso di idee inconcludenti, vieni da me. Vieni qui, da me, e discutiamone con calma. Sono disposto ad ascoltarti, nonostante mi abbia rivolto l'insulto peggiore possibile".

“Secondo te è questa la soluzione ai miei problemi?”.

“Vuoi forse che ti dica che preferirei vederti rinchiuso in miniera piuttosto che discutere un altro giorno su mortali e stronzate?! Sono stufo, Keros! Sono stanco e sì, sono vecchio! Ma sono il re e qui si fa a modo mio. Se sei disposto ad accettarlo, a seguire il tuo ruolo da principe ereditario e tentatore di mortali, non avrò più nulla da rimproverarti. In caso contrario, sinceramente io non so più che cosa fare. Ti ho dato ogni cosa ed a te non basta”.

“Mi hai tolto ciò a cui tenevo di più!”.

“Un amore effimero, destinato a perire comunque come una rosa d'inverno?”.

“Era la rosa più bella di tutte, per me. Quanto vorrei che tu lo capissi!”.

“Ci provo, Keros. Ma pretendi un po' troppo, non trovi?”.

Lucifero aveva smesso di gironzolare per le pareti ed il soffitto ed era tornato a sedersi, lanciando uno sguardo allo schermo che monitorava l'Inferno.

“Sei tu lo stupido" lo accusò il sanguemisto, dopo qualche istante di silenzio “Aggrappato ad un amore passato, che non ti potrà mai più dare felicità! Ancorato al ricordo di una sconfitta a cui non vi è rimedio! Io almeno ci provo a cambiare la mia vita…”.

Satana alzò gli occhi, agitando la coda e fissando il suo interlocutore con fastidio. Reggendosi la testa con una mano, mostrò il suo disappunto con una smorfia.

“Obbediscimi, Keros" mormorò, lentamente “Vai a dormire. Ne parliamo dopo, quando saremo entrambi più calmi".

“Io non voglio obbedirti! Perché dovrei?!”.

“Perché io sono il re!” urlò il diavolo, alzandosi di colpo e battendo entrambe le mani sul tavolo “Tutti lo hanno capito qui, tranne te!”.

“Avanti! Alza la voce! Sgridami perché non obbedisco ai tuoi ordini! Magari impari anche a lanciare qualche fulmine! Che ne dici di un bel diluvio? O di far incidere dei comandamenti sulla pietra?”.

“Adesso mi hai rotto proprio i coglioni, ragazzino!”.

Con un balzo, il re fu sopra a Keros, atterrandolo. Il principe reagì, evocando le fiamme angeliche e provocando un'ustione piuttosto rilevante al braccio del sovrano. Lucifero, ulteriormente incollerito da quel gesto, colpì con violenza il sanguemisto, che finì contro il muro. Senza esitare, il principe ringhiò e contrattaccò. Fra graffi, morsi, calci ed insulti, i due si azzuffarono per un po', mettendo a soqquadro l'intero ufficio. Alla fine, come era prevedibile, fu Lucifero ad avere la meglio. Immobilizzò Keros e ne schiacciò il viso contro il pavimento, ringhiando.

“Fila nelle tue stanze" sibilò il re “O ti ci spedisco io a calci, ragazzino!”.

A Keros non restò altro da fare se non arrendersi e ritirarsi, senza dire più nulla.

Dolorante, sfinito e ferito, il principe raggiunse le proprie stanze al palazzo reale e crollò addormentato, senza rivolgere la parola a Simadè o qualsiasi altro servo. Al risveglio, sedette sul letto ad iniziò a riflettere. Ignorando le voci dei servitori, prese una decisione e lasciò l'edificio.

 

Il sovrano, in collera, si era fatto medicare. Le fiamme di Keros ne avevano rovinato la pelle del braccio fino alla spalla e parte del collo. Camminando lungo il corridoio, ancora ringhiando, iniziò ad osservare i quadri di palazzo. Molti raffiguravano Lucifero da solo ma il re si fermò sotto un grosso dipinto di Keros, regalo per i mille anni dell'erede. Era stato volutamente appeso accanto ad un ritratto di Carmilla. Il diavolo sospirò, sentendosi sempre più stordito dalle ferite provocate dalle fiamme blu evocate dal sanguemisto.

“Che devo fare, Carmilla? Non so più che inventarmi" mormorò, a bassa voce “Perché è così complicato?”.

Lucifero sorrise malinconicamente, ricordando i tempi in cui Carmilla viveva a palazzo. La bellezza della vampira era famosa in tutto il regno, così come lo erano le sue doti di tentatrice. Era una peccatrice, una procacciatrice di anime ed un'efferata assassina. Abbagliante, misteriosa, sensuale… Una vera demone. Una degna regina, si ritrovò a pensare Lucifero. Eppure, nonostante fosse fra le più strabilianti creature dell'Inferno, aveva incontrato la morte nel regno umano. E questo dopo essere profondamente cambiata, al punto di decidere di aiutare gli umani facendo loro da curatrice. Che si fosse pure lei innamorata di un mortale? Oppure era stata in grado di vedere qualcosa di speciale in quelle creature? O forse era stato il sentimento per Mihael a renderla così diversa dalla Carmilla famosa in tutto l'Inferno? Lucifero era consapevole che a molte domande non avrebbe mai avuto risposte ma di una cosa era certo: lei voleva dargli un figlio e si era allontanata per non esserci riuscita! Era delusa, nonostante il sovrano l'avesse rassicurata e trattata come una principessa, concubina d'eccellenza.

“Non voglio perdere il mio prezioso cucciolo" ammise il diavolo, sempre rivolto al quadro “Non voglio che sia deluso da me, da se stesso, dalla sua vita… ma che devo fare?”.

“Nulla" si udì una voce femminile.

“Lilith…” la riconobbe subito Lucifero, pur senza girarsi ed avendola alle spalle.

“Non potete fare nulla, maestà. Se non far capire al principe che gli volete bene. Anche lui vi vuole bene e le scelte che compie non le fa per ferirvi o per deludervi. È un adulto ormai, ma ancora molta strada davanti. Errori da commettere, traguardi da raggiungere… è vostro figlio, ma non vi appartiene. Abbiate fiducia in lui: vedrete che ogni cosa si risolverà”.

“Le tue parole mi confortano. Però sai che io sono un demone crudele. E lui tira molto la corda…”.

“Lo so. È testardo, come i suoi genitori…”.

“Puoi essere brutalmente sincera?”.

“Certo”.

“Io somiglio a mio padre?”.

“Non lo so. Forse a volte sì…”.

“E che devo fare per non somigliarci?”.

“Siate libero. Sempre. Libero da regole. Libero da preconcetti. Libero dal passato".

Lucifero non disse altro. Osservò ancora il quadro e poi si allontanò, diretto verso le stanze dell'erede. Si stupì di trovarle vuote, senza nessuno in grado di dirgli dove il principe fosse andato. Nella camera, tutto era in ordine. Non si notavano mancanze o cose fuori posto tranne un singolo dettaglio, che al re balzò all'occhio immediatamente: un anello sul comodino. Avvicinandosi, Lucifero capì che si trattava di un gioiello familiare, che lui stesso aveva donato al mezzodemone. Si trattava dell'anello del principe ereditario, il simbolo che identificava il demone che lo indossava come il futuro reggente dell'Inferno!

 

Keros non si aspettava di trovarsi dinnanzi un simile scenario. Attraversò l'uscio di un palazzo impolverato, lasciato a se stesso. Le finestre serrate, con pesanti tende che le nascondevano, di certo erano chiuse da molto. Il mezzodemone chiamò a gran voce qualcuno, sentendo solamente l'eco della propria voce. Salì lungo le scale in marmo scuro, starnutendo per la polvere, guardandosi attorno. I lampadari di cristallo, coperti da teli e sporcizia, non si accesero. Tutti i mobili erano avvolti da stoffe piene di polvere, le porte scricchiolavano, i pavimenti gemevano sotto i passi del mezzodemone. Entrò in una delle stanze, ancora percependo una certa stanchezza, trovando quella che pareva una camera. Anche lì tutti i mobili erano coperti e Keros si cercò un posticino per riposare. Stava quasi per addormentarsi quando capì di non essere da solo e scattò in piedi, trovandosi di fronte Alukah.

“Maestro!” mormorò il sanguemisto “Siete voi!”.

“Altezza…” si inchinò leggermente il demone vampiro “…perdonate se vi ho infastidito. Credevo fosse un intruso. E chiedo perdono per lo stato in cui versa questo palazzo, che vi appartiene”.

“Basta solo spolverare. Piuttosto… chiedo perdono per essere piombato qui senza preavviso…”.

Quello era il palazzo richiesto da Keros secoli prima, in seguito alla guerra. Aveva ottenuto quei terreni, li aveva dati in concessione ad Alukah chiedendo solo quell'edificio in cambio.

“Posso restare qui, maestro?” chiese Keros, umilmente.

“Questa è casa vostra, altezza. Ed io non sono più il vostro maestro".

“Ed io non sono più il tuo principe”.

Il sanguemisto mostrò la mano, dove un tempo si vedeva l'anello reale, ora priva di gioielli.

“Io ti ho provocato un immenso dolore" riprese Keros “Perciò, se ti infastidisco, fammelo sapere immediatamente. Lo comprenderei e me ne andrei subito”.

“Questa resta comunque casa vostra. Fate quel che preferite".

“Sii sincero con me”.

“Altezza…”.

“Non chiamarmi così”.

“La sincerità? Difficile esprimerla. Ma è nella mia natura, lo ammetto…”.

“Cosa è successo? Il tuo territorio non mi è sembrato come un tempo. Pare come abbandonato a se stesso, danneggiato…”.

Alukah sospirò ed iniziò a raccontare, spiegando che dopo la guerra non era stato più lo stesso. Dopo aver perso l'amato figlio Nasfer, non aveva più dato importanza a molte cose. Il suo territorio all'Inferno, il proprio ruolo di procacciatore, la casa dove viveva… Sentendosi solo, non era riuscito a trovare una ragione per riprendere a vivere come prima. Approfittando di questo, molti demoni avevano attaccato e saccheggiato quei luoghi e quelle terre, uccidendo popolazione e depredando villaggi. Keros, amareggiato, si sentì in colpa.

“Non ho agito nel migliore dei modi con mio figlio" precisò Alukah “È cresciuto senza che io mai riuscissi a fargli capire quale fosse il suo posto e come relazionarsi con il potere”.

“Noi figli a quanto pare siamo bravissimi a non capire…”.

“L'anello… che cosa…?”.

“Te lo spiegherò. Però ora vorrei solo sapere se posso restare qui".

“Certo…”.

“Se ti arreco in qualsiasi modo sofferenza o fastidio, me ne vado immediatamente”.

“È difficile" rispose il demone vampiro, dopo aver riflettuto qualche istante “Ma penso non si debba vivere nel passato. Per quanto sia doloroso, non riavrò ciò che ho perso ed è inutile rinunciare a vivere per questo. Però…”.

“Ti darò tutto l'aiuto possibile. Ti aiuterò a sistemare il territorio, a scacciare chi vuole impadronirsene ed insieme riporteremo questi luoghi a splendori e sfarzi degni di un Arconte. Nemmeno io voglio rinunciare a vivere, maestro...”.

I due si fissarono negli occhi, entrambi con un velo di malinconia nello sguardo.

“Qualsiasi cosa sia successa…” gli mormorò Alukah “Andrà tutto bene. Ne sono certo".

“Promettimi solo che non dirai al re che sono qui".

“Se il re lo chiederà, non mi è concesso mentire…”.

“Se lo domanderà, allora rispondi. Ma altrimenti non inviare alcuna comunicazione al riguardo. Grazie…”.

 

Ho aggiornato per un pelo! Non temete, Ary and co. torneranno... a presto!!

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Capitolo 57
*** Cambiare ***


57

Cambiare

 

Il sole non era mai particolarmente piaciuto a Lucifero, probabilmente perché ormai abituato alla tenue e spettrale scarsa luce infernale. Però quel giorno decise di muoversi in pieno giorno, trovandolo più consono ed adatto. Pensando fosse scortese piombare in casa d'altri d’improvviso, usò un portale esterno e passeggiò fino all'ingresso. L'aria era gelida, anche se intravedeva qualche fiore primaverile, ma per fortuna Leonore aprì in fretta. Rimasero a fissarsi sull'uscio, in silenzio, qualche istante.

“Posso entrare?” parlò piano il demone “Sono qui per scusarmi".

La donna si scostò e lasciò che l'ospite entrasse.

“Stavo per andare a riposare qualche ora…” ammise lei.                 

“Il padrone di casa è fuori?” domandò allora il sovrano infernale.

“No. Ma sta lavorando. Puoi venire un po' su con me…”.

Il diavolo seguì la donna lungo le scale. Lei, a piedi scalzi ed abiti comodi, sedette sul letto e si slegò i capelli.

“Mi hai molto spaventata" ammise “Mi avete spaventata entrambi, tu e Keros".

“Sono venuto per scusarmi proprio per questo. Non era proprio il caso che ci azzuffassimo in quel modo, in casa d'altri, con te in un momento così delicato…”.

“Credevo non venissi più. È trascorso un po' di tempo…”.

Lucifero annuì, osservando meglio quella mortale. Nonostante gli abiti larghi, si iniziava ad intravedere la gravidanza e questo fece inconsciamente sorridere il demone.

“Ho avuto qualche problema" ammise il diavolo, toccandosi il braccio e sedendo a sua volta sul letto.

“Ti sei ferito qui, durante quella rissa?”.

“No. Ho avuto un piccolo diverbio fra le mura domestiche. Keros ha usato il fuoco angelico e le conseguenze si sono fatte sentire per un bel pezzo. Sono rimasto stordito e debole per giorni".

“Keros ti ha fatto così tanto del male?!”.

“Non è stata colpa sua. Ha agito d'istinto, suppongo… Ed io devo imparare che quel ragazzo possiede un'arma in grado di farmi vedere le stelle ed i pianeti dal dolore!”.

“Sei ferito?”.

“Ormai è quasi tutto passato…”.

Leonore intravedeva la fasciatura, sulla mano e parte della spalla, lasciata scoperta dalla camicia leggermente aperta.

“Vorrei solo che tu mi promettessi una cosa" mormorò lei, sfiorando la mano del demone.

“Dimmi pure, bella Leonora”.

“Promettimi che simili cose non accadranno più. Niente più risse fra te e Keros qui in casa".

“Lo prometto. Niente più risse" annuì Lucifero, suggellando la promessa baciando la mano che lo sfiorava.

“Ora mi sento molto più tranquilla!”.

“Bene… È mio compito fare in modo che la tua gravidanza sia felice".

Leonore si portò la mano al grembo.

“Non vedo l'ora di sentirlo muovere!” ammise.

“È ancora presto…”.

“Anche se mi hai spaventata, io non posso essere in collera con te, capisci? Perché è grazie a te se questa vita cresce in me. È grazie a te. E, anche se dovesse nascere un demone, non credo che la mia anima debba appartenere a nessun'altro se non a te".

Lucifero non sapeva cosa rispondere. Non si aspettava simili parole, specie da una mortale gravida di una creatura ancora non ben definita.

“Grazie" mormorò ancora lei, poggiando la testa sulla spalla del sovrano.

Il diavolo rimase ancora in silenzio. Non era abituato a farsi ringraziare così candidamente, sinceramente. Era una sensazione nuova, e per lui provare cose nuove era estremamente raro. Così raro che non capì bene come reagire. Lei lo stava abbracciando, accarezzandolo come fosse una persona amata. Si lasciò avvolgere ancora qualche istante e poi le sorrise.

“Leonore…” mormorò “Lascia che ti aiuti a riposare meglio…”.

Facendola stendere dolcemente, la guardò negli occhi, sorridendo ancora. Lei arrossì ed il diavolo si stupì di nuovo. Abituato a demoniesse discinte e mortali smaniose di essere possedute, non aveva a che fare con molte fanciulle dalle gote rosse. Forse Sophia era arrossita… o forse nemmeno lei! Quella timidezza, quel pudore inaspettato, lo eccitò. Non era una cosa che accadeva spesso, con i mortali! Le dedicò un bacio sul collo, distendendosi accanto a lei ed accarezzandola. Agilmente con le mani si intrufolò sotto la maglietta e poi scese, lentamente. Leonore sentiva quella mano che scendeva e quel bacio sulla pelle. Schiuse le gambe piano, accompagnando quella mano con un movimento lento del busto. Il demone la toccava, con dita esperte, e le mormorava di rilassarsi. Era eccitata, le bastava il suono della voce del re degli inferi per provare piacere. E quella mano che aveva fra le gambe, che si muoveva sotto gli slip in modo perfetto, la fece gemere. D'istinto lo baciò, più e più volte, desiderandolo.

“Voglio fare l'amore" gli sussurrò piano “Facciamo l'amore, adesso. Ti prego, fallo con me".

Il demone sapeva che era la propria vicinanza a provocare simili voglie. Si lasciò baciare, e supplicare, ancora per poco. Fu diverso dalla prima volta, diverso dalla loro precedente unione. Il diavolo non sfogò frustrazione ed eccitazione momentanea ma fu delicato, quasi romantico. Un regalo, si disse, per la bella Leonora. Raggiunsero l'orgasmo dolcemente, fra baci e sospiri di piacere.

“È bello" mormorò la mortale, abbracciandolo “È tanto bello fare l'amore con te…”.

Lui non le rispose. Si lasciò stringere ancora per un po', prima di separarsi da lei.

“Ora riposa" le suggerì, mentre lei affondava la testa nel cuscino.

“Tornerai presto?” chiese Leonore.

“Aspettami…”.

Rientrando dopo un'intera giornata di caccia agli intrusi, Keros era piuttosto stanco ma soddisfatto. Alukah aveva dato ordine di risistemare al meglio il palazzo rimasto abbandonato a se stesso e così era un continuo viavai di operai, servi ed artigiani indaffarati. Rientrare e notare la differenza in quell'edificio era una delizia per gli occhi e Keros annuì, soddisfatto. Si era fatto concedere una porzione del territorio dell'antico maestro, per procurarsi anime da portare all'Inferno e potersi sostenere in modo indipendente. Facendo consegnare le anime ad Alukah, manteneva un certo anonimato e riportava il prestigio al nome dell'Arconte.

“Che tanta gente fastidiosa hai fra i tuoi terreni…” borbottò il mezzodemone.

“Ne sono consapevole…” rispose Alukah, osservandolo dall'alto della rampa di scale.

“Uccidere è stato semplice. Non sono creature potenti o preparate. Solo irritanti".

Keros iniziò a salire quella rampa, raggiungendo l'Arconte in silenzio. Questi, piuttosto serio, si limitò ad osservarlo.

“Vado a sistemare la mia futura stanza…” spiegò il sanguemisto, con un mezzo sorriso.

“Quando avrete cacciato ogni intruso…” chiese il vampiro “… tornerete a palazzo? O almeno farete sapere al re che siete qui?”.

“Non credo. Se per te non è un fastidio…”.

“Non lo è. Ma, da padre, vi prego perlomeno di avvisare il sovrano. Non dico di comunicare la vostra posizione, ma perlomeno far sapere che state bene. Sapete che vi sta cercando…”.

“Forse fra qualche tempo…” borbottò Keros, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Appena Leonore si fu addormentata, Lucifero lasciò la stanza e scese le scale. Si guardò attorno e raggiunse l'uscio della stanza dove il padrone di casa lavorava. Davanti al computer, il demone notò che indossava delle cuffie. Il re si chiese se quelle cuffie fossero state indossate per non udire alcuni sospiri amorosi un po' troppo spinti. Educatamente, il diavolo bussò sulla porta aperta.

“Serve qualcosa?” domandò l'umano, senza distogliere lo sguardo dal pc.

“Volevo scusarmi per alcuni comportamenti avuti fra le mura di questa casa. Ho promesso a Leonore che non ci saranno altre risse fra me e Keros nella tua dimora…”.

“Va bene…”.

“E, a questo proposito, sono qui per chiedere a quanto ammontano i danni. Vorrei rifonderti ogni centesimo…”

“Non so che dire. Onestamente non ricordo quanto mi è costata la vetrina che mi avete distrutto…”.

“Una stima?”.

“Vi farò sapere…”.

Lucifero provò un lieve fastidio. Quell'umano aveva un atteggiamento irritante, di voluto disinteresse. Non staccava nemmeno gli occhi dallo schermo.

“Ti scoccia che io sia qui, umano? Non è così?” incrociò le braccia il diavolo.

“Sinceramente: non mi interessa. Sto cercando di lavorare, se non ti dispiace".

“Apprezzo il tuo coraggio. Ma disprezzo parecchio la tua stupidità”.

“Me ne farò una ragione…”

“È perché mi sono scopato la tua ex moglie?”.

“Sono affari vostri. Io e Keros abbiamo fatto molto più rumore, ne sono certo, e Leonore non si è lamentata".

“A questo proposito… Per caso Keros si è fatto sentire? Un messaggino, una mail, una lettera profumata…?”.

“Nulla…”.

“Capisco… se per caso dovesse contattarti, potresti farmelo sapere? Sai… non ho idea di dove sia”.

“Non sarà rimasto fuori nella neve?!”.

“No, all'Inferno è tornato ma poi non so dove sia finito. E sono lieto di vederti cambiare espressione, finalmente!”.

Il mortale non disse altro. Era preoccupato. Finalmente il suo sguardo si era scostato dallo schermo del pc, per qualche istante temendo per la vita del tentatore.

“Lo sai…” ricominciò a parlare Lucifero “Keros non poteva far nulla. Il mio potere è troppo grande e non ha potuto opporre resistenza. Le cose dovevano andare in modo diverso, è vero, ma non lo ha fatto di proposito…”.

“Il vostro potere gli impediva, per caso, di dirmi che aveva dei figli?”.

“No… quello no… Ma non dovresti pensarci troppo. Intendo dire…”.

“È una questione di principio! Lui sa tutto della mia vita!”.

“Perdonami ma la tua vita è durata uno sputo. Quella di Keros un millennio ed una manciata di secoli. Comprenderai che le tempistiche ed il numero degli avvenimenti sono differenti…”.

“Doveva parlarmene. È come se io non gli avessi raccontato che Leonore era mia moglie! Sono avvenimenti importanti!”.

“Ed io ti do ragione. Però, diciamocelo, vale la pena? Se davvero vi amate così tanto, perdersi in questo modo che senso ha?”.

“Non ne ha… non ha alcun senso…”.

“E allora il problema dov'è, perdonami? Il fatto che si sia scopato Leonore non dipende da lui, non puoi incolparlo. È fastidioso, lo comprendo, ma la causa è mia. Insultami pure, a me non interessa. In secondo luogo, che lui non ti abbia parlato dei propri figli è un atto abbastanza grave. Ma perdonabile suppongo, no? Insomma… non è che ti ha nascosto di aver stuprato tua madre! E non te l'ha tenuto nascosto… semplicemente non ha voluto parlarne. Ma perché a volte sa essere davvero cretino, non perché voglia farti un torto!”.

“Vedremo, ok? Quando, e se, vorrà di nuovo parlarmi…”.

“Ti manca. Si vede subito. Se non dovesse tornare?”.

Ary non rispose. Non voleva rispondere e non sapeva nemmeno che cosa dire. Riprese a lavorare al computer.

“Se ti dovesse chiamare, o contattare in qualche modo…” mormorò Lucifero, avvicinandosi alla porta “Digli che lo aspetto a casa. E che mi dispiace”.

“Fate lo stesso, per favore…”.

“Certamente. Ora ti lascio lavorare. Fammi sapere per il prezzo della vetrina. Non mi piace essere in debito con qualcuno…”.

 

Alukah non era entrato in quella stanza per un periodo, lasciando a Keros la possibilità di crearsi una camera di proprio gusto. Il mezzodemone, trovando rigeneranti i momenti di solitudine, si era messo a decorare e dipingere le pareti. Bussando, Alukah entrò e rimase in silenzio, ammirando quanto fatto fino a quel momento. Il soffitto e parte del muro rappresentavano uno splendido cielo stellato, con punti di luce ottenuti da pitture oro, argento e preziosi incastonati. Tutt'attorno, le siluette nere di rami d'albero, a ricreare una foresta immersa dall'oscurità notturna e contornata da riccioli dorati. Keros sedeva al centro della stanza, con in mano un piccolo pennello sporco di rilucente color oro.

“Toglie il fiato" ammise Alukah “È stupendo".

“Grazie…” rispose il sanguemisto, a mezza voce.

“Diventerà una camera splendida. Degna di un principe!”.

“Non mi stancherei mai di guardare le stelle”.

“Dove avete imparato simili tecniche?”.

“Da… amici".

Keros non sapeva bene che rispondere. Era il Paradiso il luogo dove aveva appreso come realizzare decori di quel genere, e non poteva di certo dirlo ad Alukah!

“Mi cercavi?” domandò il mezzodemone, senza alzarsi e pulendo il pennello con un piccolo straccio.

“Sì… sono giunte notizie dalla capitale. Il re vi sta cercando, è molto preoccupato!”.

“Sa che sono qui?”.

“No. Ma…”.

“Che mi lasci in pace! È tutta la vita che cerco di essere come lui desidera! Ho fatto di tutto per essere come tutti si aspettavano, per essere come tutti vogliono che un principe infernale sia. Ho rinunciato ad una parte di me per essere accettato e per che cosa? Per niente! Quando finalmente sono stato in grado di accettare del tutto me stesso, di andarne fiero ed esserne felice, ecco cosa ottengo. Sono solo… e sinceramente non so più che strada intraprendere".

“Nella vita simili periodi possono capitare" annuì Alukah, sedendosi accanto all'allievo “Ma davanti a voi vi è ancora un lungo cammino, ricordatevelo! Se pensate di aver intrapreso la strada sbagliata, di dover cambiare prospettiva o aspirazione… fatelo! Voi potete ottenere quel che volete!”.

“Tu non capisci… e non so come spiegarti certe cose".

“Provateci! Me lo ripeteva sempre mio figlio, quando gironzolava con i suoi amici per il settore cinque, nel regno umano".

“Nel settore cinque?! Ma… È lo stesso settore dove vive l’anima finale che dovevo ottenere!”.

“Davvero?!”.

“E vi erano altri demoni con lui?”.

“Sì, non saprei dirvi quanti…”.

“E sai se vivono ancora in superficie? Chi erano? Dimmi tutto quello che ti viene in mente!”.

“Dunque… Dopo il diverbio avuto con il re, non so se ricordate…”.

“Quando ci siamo baciati io e Nasfer. Certo… lo ricordo piuttosto bene".

“Ottimo. Dopo quel diverbio, avevo suggerito a mio figlio di girare al largo da palazzo e territori limitrofi, cercando di concentrarsi sulla caccia e sul miglioramento delle proprie capacità. Lui era frustrato, perché voleva entrare nelle fila delle guardie reali, ma alla fine si era lasciato convincere e trascorreva molto tempo nel mondo umano. Assieme ad altri demoni di età simile alla sua, aveva trovato degli amici e, se devo essere sincero, non so cosa facessero tutto il giorno. A me importava solo che fosse felice e lontano dal re”.

“In quella zona, ho trovato alcuni sovversivi che si nascondevano dopo l'esilio ordinato da Lucifero dopo la guerra…”.

“Sì, immagino che Belzebù abbia trovato tante piccole menti plagiabili in quel gruppetto. E suppongo che i sopravvissuti siano tornati in superficie, una volta finito tutto… Non mi sono mai piaciuti particolarmente, non saprei dire molto di più”.

“Sai se da qualche parte risultano degli elenchi? Una lista dei nomi di questi demoni?”.

“So che Nasfer aveva una specie di registro, dove erano riportati molti nomi. Serviva per stabilire alcuni ruoli a rotazione come i turni di guardia, i procacciatori di cibo, gli addetti alle pulizie di quella specie di covo dove si ritrovavano…”.

“E sai dove si trova? Il registro, intendo".

“Suppongo in una delle sue stanze. Non le apro da secoli…”.

“Posso cercarlo?”.

“Certo. Però… capite che non è molto regolamentare che io sappia certe cose…”.

“Non ti coinvolgerò. Ma devo capire alcune cose. Sai se avevano contatti con gli umani? Oltre che per cibarsene, ovviamente…”.

“Sì, ne avevano…”.

Lo sguardo di Alukah cambiò, facendosi schivo. Keros comprese quella reazione: evidentemente aveva assistito a parecchie infrazioni delle regole, forse da parte del proprio stesso figlio, e tentava di preservare l'onore della famiglia.

“Tenterò di scoprire il più possibile… grazie!” sorrise il mezzodemone, per la prima volta pieno di entusiasmo dopo tanto tempo!

 

Scusate il ritardo ma eccovi il capitolo nuovo! A presto!

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Capitolo 58
*** Nomi e Sogni ***


58

Nomi e sogni

 

Per anni Leonore si era immaginata quel momento ed ora era lì, con un sorriso emozionato stampato sul viso. Lei e Lucifero, dopo essere riusciti a convincere Ary a prestar loro la macchina, si stavano dando allo shopping per il bimbo in arrivo. Il diavolo aveva concesso al mortale, in cambio, la decappottabile sportiva, con la raccomandazione di andare a rimorchiare. Ary aveva ignorato quelle ultime frasi ed era andato al lavoro con la piccola utilitaria di Leonore.

Leonore si guardava attorno, indecisa su cosa scegliere per prima cosa. Doveva comprare tutto il necessario per la camera, la culla e molto altro, ma i modelli in vendita erano così tanti… Una commessa gentilmente iniziò a spiegarle quali erano le diverse opzioni. Satana le aveva dato piena libertà di spesa e si sentiva decisamente fuori posto in quel luogo fatto di orsetti disegnati sui muri e profusioni di colori pastello.

“Quanto manca al lieto evento?” chiedeva la negoziante, guidando Leonore fra le file di culle e lettini.

“Ancora qualche mese…” sorrise lei.

“Suppongo sia il primo figlio”.

“Già. Sono emozionata!”

“Lo sarà di certo anche il papà!”.

L'umana subito precisò che non era Lucifero il padre, mentre il diavolo osservava varie coppiette impegnate a scegliere corredini e giocattoli. Si chiese se effettivamente tutti i padri presenti fossero i veri futuri genitori e rabbrividì quando vide alcuni nonni: per un attimo si era immaginato il proprio padre che gli dispensava consigli genitoriali.

Dopo parecchio tempo, finalmente gli acquisti erano conclusi ed il diavolo stava caricando scatole ed imballaggi in macchina. Si sentiva osservato, e sapeva benissimo da chi. Propose alla mortale un gelato, ignorando chi lo spiava ed il fastidioso cicalino proveniente dal marchingegno che lo collegava all'Inferno. Leonore accettò volentieri, essendo sempre piuttosto affamata e stanca.

 

Un nome continuava a spuntare, su ogni registro. Un nome ricorrente, senza però alcun altro appunto che potesse aiutare a capire. Tutti gli altri nominativi, riportati in vari registri e quaderni, erano sempre seguiti da qualche riga esplicativa sul ruolo o la funzione temporanea. Erano elencati tesorieri, cuochi, ladri, procacciatori, allevatori, sorveglianti… ma accanto a quell'unico nome mai nulla. Solo, a volte, delle cifre che potevano essere un orario, probabilmente. Dopo mesi di ricerche, Keros non sapeva più che cosa inventarsi. Non voleva disturbare Alukah, sapendo che certi argomenti potevano turbarlo o rattristarlo. Però in quel momento non vedeva alternative. Aveva scoperto un sacco di elenchi ed era quasi riuscito a riordinare il tutto, eliminando tutti coloro che risultavano morti in guerra. Si chiese quanti fra questi aveva ucciso personalmente, fra la battaglia e gli scontri successivi.

Prese coraggio, tenendo fra le mani uno dei vari registri, e si incamminò verso le stanze di Alukah. I due edifici, dove risiedeva ora il mezzodemone e dove invece viveva l'Arconte, erano stati risistemati e notevolmente abbelliti, rendendoli meno angoscianti. Bussò educatamente e chiese udienza. Dopo aver discusso del più e del meno, Keros prese coraggio e domandò quel che lo tormentava.

“Chi era Marianne?” chiese.

Alukah si irrigidì, come se fosse l'ultima domanda che voleva farsi rivolgere.

“Perché lo chiedete?” riuscì a mormorare.

“È l'unico nome che non riesco a collegare. Spunta spesso ma non ha nulla che mi aiuti a capire chi fosse…”.

“Era… un'umana".

“Un'umana? Una preda? Una donna che qualcuno stava tentando?”.

“Non proprio…”.

“Non potete dirmi altro?”.

“Non so…”.

“Capisco… Cercherò di scoprirlo da solo. Anche se sono mesi che ci impazzisco".

L'Arconte, seduto in silenzio accanto alla finestra, osservò con la coda nell'occhio i movimenti di Keros e lo fermò, con un sospiro.

“Sono passati quasi trecento anni, dopotutto…” parlò piano “Venite qui, vicino a me. Non voglio che orecchie indiscrete ascoltino…”.

Keros obbedì, fermandosi accanto al tavolo su cui l'antico maestro poggiava una mano. Gli mostrò il registro, indicando il nome.

“Marianne era una fanciulla dalla pelle bianca e dai capelli color cioccolato. Sorrideva sempre ed era fin troppo intraprendente… Nasfer l'amava".

Il mezzodemone sobbalzò a quelle parole: un demone innamorato di un'umana! Capì subito perché Alukah era restio a parlarne! Era una cosa proibita, che gettava altre ombre sulla già pessima reputazione del figlio ribelle.

“So che era una cosa disgustosa e proibita" si affrettò a dire l'Arconte “Ho tentato in ogni modo di farlo ragionare ma Nasfer era un vero testone. E litigavamo continuamente, perché diceva che non dovevo intromettermi nella sua vita e cose del genere…”.

“Non definirei disgustoso un legame d'amore…”

“Ma spero che tutto questo non esca da questa stanza! Ci manca solo che si sappia in giro che mio figlio si faceva una mortale. Quale onta per il nome di famiglia!”.

“E che cosa è successo? Che fine ha fatto?”.

“Marianne? Non lo so”.

“Dopo la guerra, non l'avete cercata?”.

“Dopo la morte di Nasfer, non mi interessai più di nulla. Figuriamoci se mi importava dove fosse finita un'umana!”.

“Oh…”.

“La loro vita è così effimera…” aggiunse Alukah, notando la delusione sul viso dell'allievo “Probabilmente, non vedendo comparire Nasfer per un po', si sarà trovata un altro umano con cui stare… Ma che importa? So che il mio erede ha compiuto un atto proibito, ma non ho potuto impedirlo. Ho tentato davvero di tutto, credetemi”.

Keros distolse lo sguardo, fissando quel nome scritto sul registro. Era scritto con cura, con inchiostro scuro fra fogli ingialliti e rovinati, fra mille altri nomi riportati in fretta e con poca attenzione.

“Voglio farti una domanda, Alukah…” mormorò, leggendo distrattamente vari titoli sui libri dell'immensa libreria a muro.

“Prego…”.

“Cosa differenzia un angelo da un demone?”.

“Intendete fisicamente o…?”.

“Mentalmente. Cosa cambia fra il Paradiso e l'Inferno? Non è forse la ricerca di libero arbitrio, ed il tentativo di sfuggire alle regole, che hanno fatto in modo che gli Inferi sorgessero?”.

“Io…”.

“Ora ti confesserò una cosa e, sinceramente, me ne sbatto altamente se vorrai raccontarlo in giro: io sono innamorato. Di un essere umano".

Alukah sobbalzò, incrociando le iridi ambrate dell'allievo.

“Voi…” tentò di rispondere, senza sapere che dire.

“Uno dei motivi per cui io e Lucifero ci siamo riempiti d'insulti ultimamente e proprio questo. Io amo un essere umano! Amo un mortale, e lui ama me. O almeno… era così prima che Satana intrecciasse i fili dei suoi intrighi attorno al nostro destino!”.

“Io… non ne ero a conoscenza…”.

“Lo so. Ci sono molte altre cose che potrei raccontare, molte altre mostruosità sul mio conto e sul mio modo d'agire. Ma che importanza può mai avere? Nessuno mai potrà accettare quel che sono e quel che ho fatto…”.

“Keros…”.

“Ary… ma che ci faccio qui? Il mio posto non è qui, fra mille stanze vuote che non saprò mai come riempire…”.

Con lo sguardo perso, non gli importò se sulla guancia iniziò a brillare e scorrere una lacrima. Alukah osservò quell'avvenimento con stupore, sapendo che i demoni erano maledetti e non gli era concesso piangere, non erano in grado di farlo. Il mezzosangue si voltò, lasciando che il maestro non potesse non vedere chiaramente quella lacrima, e non disse altro.

 

Osservati dagli angeli, Lucifero e Leonore si stavano godendo un gelato seduti su una panchina al parco. Il demone percepiva chiaramente Mihael e Gabriel e tentava di ignorarli.

“Ultimamente mi sento davvero strana" ammise la mortale.

“Ne hai parlato con Malaphar?” rispose il diavolo, incrociando lo sguardo lontano di Mihael.

“Sì…”.

“E che cosa ti ha detto?”.

“Che probabilmente sono incinta di un demone… ed il mio corpo sta reagendo. Che significa?”.

Lucifero vide la donna accarezzarsi il pancione.

“Significa che il tuo corpo si adatta ad un simile ospite. Mi dispiace…”.

“A me no. È il mio bambino. Demone o umano, lo amo già. Ma perché mi sento così? Odo cose strane, vedo in modo diverso…”

“È come una piccola possessione, capisci? Un piccolo demone dentro di te, una versione ridotta di una vera possessione fatta da un demone adulto”

“Oh… e resterò sempre così?”.

“È probabile. Colpa anche dei nostri… incontri. Il mio potere fluisce in te, seppur in minima parte".

“Io… sto diventando un demone?!”.

“Non lo so. Non succede spesso che un’umana resti incinta di un demone. È un'unione proibita e quindi non saprei citarti precedenti. Però potrebbe essere possibile… Mi ‘spiace non poter essere più utile".

Leonore accarezzò di nuovo il proprio grosso ventre e sorrise leggermente: il piccolo aveva scalciato!

“Sarà quel che sarà” mormorò “Non vedo l'ora… anche se ammetto di essere un pochino spaventata”.

“Posso fare qualcosa per te?”.

La mortale scosse la testa. Anche lei aveva notato la presenza di Mihael e Gabriel e li osservava, incuriosita. Creature così belle non potevano essere semplici umani! Sentendosi scoperti, i due Arcangeli non poterono far altro che smettere di fare i furtivi. Si avvicinano alla panchina, lentamente. Vestiti in bianco, con i capelli biondi mossi dal vento, attiravano di certo l'attenzione! Lo sguardo di Mihael era severo, mentre quello di Gabriel era concentrato su Leonore.

“Maschio!” parlò proprio Gabriel, indicando il pancione “È maschio!”.

“Lo supponevo" annuì la donna, sorridendo.

“Ah… perdonate la maleducazione. Ave, Leonore. Sono Gabriel…”.

“Quello dell'Annunciazione?”.

“A quanto pare… Posso?” domandò l'Arcangelo, allungando leggermente la mano.

“Certo…”.

Ottenuto il permesso, Gabriel accarezzò Leonore, percependo un calcetto.

“È umano, Gabriel?” domandò Mihael.

“Perché vuoi saperlo?” sbottò Lucifero “Vuoi forse fargli del male?”.

“No, finché non riceverò ordini al riguardo".

“È tuo nipote, sai? È stato Keros. Dovresti festeggiare!”.

“Ma…” tentò di dire Gabriel, mentre Mihael lo zittiva, preferendo non parlarne.

“Magari nasce con le alette da angelo. Che ne sappiamo?” alzò le spalle Lucifero “Finché qualcuno non ti ordinerà di ucciderlo, o fargli del male, non potrai alzare un dito.  E ti avviso che, quando e se quell'ordine dovesse arrivare, sappi che ti darò tanti di quei calci in culo da farti desiderare di avere una mammina da cui andare a piangere!”.

“Mi dovrei spaventare?” alzò un sopracciglio Mihael.

“Sì, credo che dovresti".

I due si sfidarono apertamente, accigliati e palesemente irritati l'uno dall'altro.

“Ragazzi… finiamola!” sbuffò Gabriel “Siete noiosi!”.

“Faccio il mio lavoro!” ribatté Mihael.

“No. La donna non è sotto l'influsso di Lucy!” lo zittì l'Arcangelo “Almeno… non adesso. Quindi non si parla di tentazione o di peccatrice in cerca di salvezza. Si è donata volutamente a lui e, senza ricevere ordini espliciti, non puoi agire direttamente. Perciò è inutile che fai il permaloso…”.

“Ma tu da che parte stai?”.

Lucifero ridacchiò, finendo la propria merenda.

“Hai poco di cui ridere tu!” lo ammonì Mihael “Lo sai che il Padre va in collera quando tenti gli umani!”.

“Va in collera per molto meno!” alzò le spalle il demone, giocherellando con il bastoncino del gelato “Dovrebbe farsi vedere da uno psichiatra. È evidente che non controlla la rabbia"

“Smettila di farneticare!”.

“Andiamo! Vuoi degli esempi? Non credo ti servano. E non dare la colpa a me. Tranne che per la mela, di cui mi prendo il merito, il resto non mi compete".

“Ma…” sussurrò Leonore a Gabriel “Sono sempre così?”.

“Sono esasperanti, vero?” le rispose l'Arcangelo.

“Perché non te ne torni all'Inferno, invece di tentare questa povera donna?” continuava Mihael.

“E tu perché non te ne vai a fanculo?” fu la risposta di Lucifero.

“Finitela!” alzo la voce Gabriel “Leonore è sola. Ha bisogno di qualcuno che le stia accanto. Spetta a lei decidere chi, e pagarne le conseguenze relative. Non possiamo obbligarla a seguire una o l'altra strada! Ha pregato spesso chiedendo un bambino, io lo so bene. E magari questo bambino sarà un dono, una creatura meravigliosa come lo è Keros. Vorreste forse che non fosse mai nato? Eppure è un figlio proibito. Se vogliamo dirla tutta… il tuo peccato, Mihael, è ben più grave di quello di Leonore! Eppure…”.

“Dove vuoi andare a parare?” arricciò il naso l'Arcangelo guerriero.

“Le cose accadono per una ragione. Una ragione che spesso solo Dio conosce. Perciò, visto che fin ora non ci sono giunti ordini al riguardo, è inutile battibeccare per stabilire chi sia quello maggiormente in torto!”.

“Che belle parole!” sorrise Leonore “Ad ogni modo… non mi piace vedervi litigare. Non discutete a causa mia, ho già causato abbastanza problemi in giro".

“Perdonaci" annuì Gabriel “Non volevamo spaventarti".

“Adesso andiamo” si alzò Lucifero, porgendo la mano alla mortale “Ary ci aspetta. E, da come vedo il cielo, tra poco pioverà. I miei fratellini ci sorvegliano, avrai modo di parlarci un'altra volta".

Lei annuì, un po' titubante. Salutò i due Arcangeli con un lieve inchino, sentendosi lievemente in soggezione. Aveva tante domande per quelle creature angeliche, di cui aveva sentito tanto parlare lungo tutta la sua esistenza, ma il re dei demoni la teneva per mano e preferì seguirlo.

“È stato un piacere!” la salutò Gabriel “Buona serata".

“Passate per un tè, se vi va" rispose lei, camminando piano e sorridendo.

 

“Vaffanculo. Vaffanculo tu, tu e tu. Specialmente tu!” sbraitava Lilith, indicando vari demoni davanti a sé.

“Perché dovrei obbedirti?!” rispondeva un demone guerriero.

“Perché altrimenti ti strappo le palle!” ringhiò lei.

“Non sei la regina! Solo il re ed il principe possono darci ordini! Ed i loro successori”.

“Sei ridicolo. Ma, se questo è il tuo desiderio, aspetta qui un attimo".

Elegantemente, Lilith lasciò l'ufficio del re qualche minuto e poi tornò con il piccolo Nasfer, il figlio di Keros, per mano.

“Buonasera" salutò educatamente il bambino, serio in volto e lievemente accigliato.

“Mi dispiace aver disturbato le sue attività quotidiane, principino Nasfer" sorrise Lilith “Ma questi signori ti volevano"

“È uno scherzo?!” ringhiò uno dei demoni presenti.

“No. Ed ora, altezza, potreste dare qualche ordine a questa plebaglia?”.

Nasfer si schiarì la voce e, con una certa eleganza, mandò a fanculo tutti i presenti, uno ad uno. Lilith sorrise soddisfatta. Li vide lasciare l'ufficio, brontolando, e chiese alla Succubus se aveva svolto bene il proprio compito.

“Siete un principino perfetto" sorrise Lilith “Scusate il disturbo. Presto rientrerà Lucifero, ci penserà lui a rimetterli definitivamente in riga".

“Ho sempre sognato dare qualche ordine”.

“Allora tutto a posto…”.

“Però…”.

“Però?”.

“Nulla…”.

Il bambino voleva chiedere se si avevano notizie di suo padre, il principe ereditario. Nessuno, tranne Lucifero, era a conoscenza della decisione di Keros di abbandonare quel ruolo, lasciando l'anello a palazzo. Il piccolo però non aprì bocca. Lilith e Lucifero evitavano di parlarne in sua presenza e quindi, si disse, probabilmente non volevano parlarne proprio!

 

Preso coraggio, quella sera Keros si affacciò alla finestra del primo piano sbirciò, nel buio. Sorrise, in principio. Quella stanza, dove un tempo dormiva solamente Leonore, ora era pronta ad accogliere una nuova vita. Lei ed Ary, con l'aiuto di Lucifero, avevano sistemato il lettino e tutto il necessario. Ora il re era tornato all'Inferno ed i due mortali erano soli.

“Non posso crederci…” diceva lei, accarezzando i bordi della culla “Presto arriverà…”.

“Hai pensato a qualche nome?” parlava invece Ary, finendo di montare una giostrina con dei pupazzetti.

“Sì. Ma deciderò sul momento… sarà una sorpresa!”.

“Mi piacciono le sorprese!”.

Lei rise, raggiante di felicità. Ary rispose a quella risata. Keros, che udiva ogni loro discorso grazie all'udito sottile, sospirò: sembravano davvero una bella famiglia! E lui che diritto aveva di rovinare tutto questo? Ary! Lo avrebbe sempre difeso, perché sicuramente altri demoni si sarebbero messi in cerca di quell'anima speciale, e lo avrebbe sempre amato. Ma Ary non lo avrebbe mai saputo…

Ridiscese a terra, ignorando la lieve pioggia.

“Hai per caso intenzione di colpirmi?” parlò, rivolto ad una presenza che lo osservava fra gli alberi.

Una demone, sobbalzando per la sorpresa, storse il naso per essere stata scoperta.

“Vuoi uccidermi?” le domandò ancora Keros.

“Avrei tutte le mie buone ragioni per farlo!” ribatté lei, avvicinandosi al sanguemisto.

“Sei molto giovane. Quanti anni hai? Ottocento? Che ragioni mai avresti di uccidermi?”.

“Per colpa tua, mio padre è morto in guerra".

Il mezzodemone sospirò: ancora quella guerra, ancora quei morti.

“Puoi portarmi al vostro rifugio?” parlò ancora il tentatore “Sei di quelli che vivono segretamente nel mondo umano, giusto?”.

“E perché ti ci dovrei portare?”.

“Perché devo parlarvi".

“E chi mi dice che posso fidarmi?”.

“Mettila così: se ciò che ho da dire non vi piacerà, sarete in molti contro di me. Su un terreno che conoscete molto meglio di me: sarà facile uccidermi. In caso contrario… si vedrà!”.

“E se non ti ci porto?”.

“Lo farai… perché altrimenti ti stacco la testa e la appendo ad un albero come fosse una decorazione natalizia. Sono stato chiaro?”.

La giovane, nonostante il tono di voce di Keros si fosse mantenuto calmo e pacato, si spaventò molto e decise di fare strada.

 

Ok… metà di questo capitolo non era previsto ma spero comunque sia gradito xd alla prossima!!

 

 

 

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Capitolo 59
*** Ciò che si è ***


59

Ciò che si è

 

Inoltrandosi nella foresta, Keros seguiva la giovane nell'oscurità della notte. Ignorando la pioggia, insieme camminarono con passo deciso fino a raggiungere una sorgente. Dietro di essa, celata da simboli magici, l'entrata di una grotta.

“Chi comanda qui?” domando il mezzodemone, proseguendo il percorso.

“Nessuno" gli rispose la giovane, dopo aver oltrepassato l'ingresso “Prendiamo le decisioni tramite riunioni ed i ruoli sono stabiliti da registri e richieste specifiche. Non vogliamo un capo: non ci serve".

“Demoni democratici? Suona quasi ridicolo…”.

“Fai silenzio! Qui il tuo sangue nobile non conta nulla!”.

Raggiunsero un'ampia sala, dove si creava una piccola risorgiva d'acqua limpida, a cui demoni attingevano. Tutt'attorno, lungo la parete, tante piccole grotte che donavano ospitalità ad un singolo abitante o ad una famiglia. Lungo lo scorrere dell'acqua, c'era chi cucinava, chi stendeva pelli di varia natura, chi intagliava il legno, chi intrecciata tessuti…  Come in una grande piazza, vi era un gran viavai ma Keros fu subito notato. Scese il silenzio, interrotto solo da ringhi e qualche sibilo. Arrampicati e nascosti fra anfratti di roccia e stalattiti, molti occhi ora osservavano il sanguemisto.  Occhi sospettosi, incolleriti e lievemente impauriti. Fra essi, però, vi erano anche un paio di occhi familiari: Alukah, volendo capire cosa l'allievo avesse in mente, era riuscito a seguirlo ed attendeva di scoprire la prossima mossa del tentatore.

“Sono qui per parlarvi" spiegò Keros, notando un certo grado di astio.

“E perché dovremmo ascoltare?” urlò qualcuno, dall'alto di un'insenatura della grotta.

“Io intanto parlo. Poi sta a voi…”.

Mormorarono, ringhiarono e sibilarono, mentre il mezzodemone continuava ad osservare quel luogo e quelle persone. Molti erano giovani, al di sotto dei mille anni, e la maggior parte pareva appartenere alla fascia d'età compresa fra il primo ed il secondo millennio. Numerosi bambini, nati dopo la guerra, correvano dalle proprie madri.

“Ho scoperto molte cose su di voi" iniziò a parlare Keros “Ho scoperto chi siete, come mai siete qui e che cosa fate. So che, non trovando un posto nel regno dei demoni in seguito alla guerra, vi siete creati una specie di regno alternativo. So che ancora odiate il mondo che vi ha rifiutato, di cui teoricamente pure io faccio parte".

“Teoricamente?!” rise, sarcasticamente, un demone “Sei il figlio del re! Sei l'erede al trono! Sei a capo di tutti coloro che ci hanno esiliati!”.

“Ho rinunciato a quel ruolo" ammise il sanguemisto “Non ero adatto. Non secondo gli standard demoniaci. Ho finto per troppo tempo di essere qualcosa che non sono. Lasciate che vi permetta di comprendere meglio…”.

Senza aggiungere altro, Keros chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Quel che stava per fare significava molto per lui ma poteva essere pericoloso, non sapendo le reazioni dei presenti. Avrebbero potuto aggredirlo in gruppo ed ucciderlo! Ma ormai aveva deciso: fece un sorriso e spalancò le ali.

Scese il silenzio. Il principe riaprì le palpebre, notando su di lui tutti gli occhi puntati. Molti spalancati per lo stupore, molti altri increduli e perplessi. Con le corna, le ali e quel disegno che spiccava da sotto la camicia aperta, era una creatura che nessuno si aspettava di vedere. Alukah, nascosto nel buio, non poteva credere a quel che vedeva. Dovette faticare moltissimo per non farsi scoprire, lasciandosi sfuggire un'esclamazione di stupore e lieve disgusto, per poi lasciare quel luogo in fretta.

“Ma tu che roba sei?!” chiese un ragazzino, mentre tutti si avvicinavano lentamente.

Un bambino, alle spalle del mezzodemone, scattò e sfiorò le ali, per poi fuggire via di corsa urlando: “Mamma, papà! Sono vere! È un angelo?”.

“Che cosa sono?” mormorò Keros, congiungendo le mani “Non lo so. O, perlomeno, non lo so del tutto… Spero vogliate perdonarmi se non riuscirò a rispondere a tutte le possibili domande che mi farete".

“È un trucco?” parlò una donna.

“No. Non credo proprio. Questo è quel che sono. Un'originale stranezza, mi definirei".

“Sei un angelo?” mormorò timidamente una bambina.

“No. Perlomeno… non del tutto".

“Sei quindi un demone?” insistette la piccola.

“No, non sono del tutto nemmeno un demone”.

“Ah ma allora…?”.

“Che cosa sono? L'ho già detto: non lo so. Lasciate che vi parli. Poi starà a voi giudicare e decidere quel che sono…”.

C'era chi ipotizzasse che fosse tutto uno scherzo, chi un trucco o una trappola. C'era chi aveva paura si trattasse di un angelo venuto a giudicarli e chi una strana bestia. Qualcuno pregava, sottovoce.

“Io mi chiamo Keros, come sapete” iniziò a parlare il sanguemisto “Sono cresciuto a palazzo, sono stato addestrato dai più illustri demoni del regno per divenire vampiro, procacciatore e tentatore: un degno principe. Sono cresciuto, sono stato in guerra, ho conosciuto la morte e l'amore. Sono un demone? Sì, lo sono. Ma non del tutto. Queste ali? Le ho dalla nascita, ma le fiamme le avevano divorate e sono ricomparse solo quando i miei poteri me lo hanno concesso. Le ho odiate, all'inizio. Così come ho odiato quei segni che attraversano tutto il mio corpo. Ma ora ho compreso che fanno parte di me, di quel che sono. Sono un angelo? Sì, lo sono. Ma non del tutto".

Il sanguemisto sorrise ad un bambino che lo osservava, meravigliato.

“Io chi sono? Sono Keros, semplicemente Keros. Non sono solo un angelo. Non sono solo un demone. E sono qui perché credo che voi, più di ogni altra creatura al mondo, possiate comprendere. Non siete pure voi considerati demoni, ma non del tutto? I demoni e gli angeli non ci accettano, o comunque non ci accettano del tutto. Ed io sono stanco di fingere di essere solo una parte di me. E sapete chi me lo ha fatto capire? Un umano! Un umano che mi ha amato e che io ancora amo”.

“Un umano…?” si udì più di qualcuno dire.

“Sì. Giudicatemi pure. Io, bislacca creatura dal sangue bastardo, vi rimetto a voi. Ho bisogno di sapere che, da qualche parte nell'universo, vi è qualcuno in grado di comprendere. Di accettare. Non credo che ne esistano altri come me, anche se spero un giorno di incontrarne, ma sono stufo di dover fingere di essere solo una parte di me stesso! Sono stufo di fingere di essere del tutto un demone, anche se non lo sono. Stufo di comportarmi come tutti si aspettano che mi comporti. Ho bisogno di sapere che esiste un posto dove possa essere il demone che desidero essere: un demone che è per metà un angelo!”.

Nessuno all'inizio rispose, poi un giovane si fece avanti. Era lievemente accigliato.

“Tu chiedi molto" disse, con voce ferma e severa “Tu hai ucciso molti di noi".

“Lo so. Non lo nego" ammise Keros “E, se devo essere sincero, non sono pentito. Era una questione di vita o di morte, uccidere o essere ucciso. Ho ucciso molte volte. Per difendermi, per nutrirmi, per rabbia… E suppongo che la maggior parte di voi abbia fatto lo stesso".

“Può essere…” fu la risposta, borbottata.

“In circostanze diverse, qualcuno di voi avrebbe potuto uccidermi. Comunque non mi aspetto accoglienza a braccia aperte. Sto solo cercando di capire. Io ho compreso il vostro pensiero ed ho mutato la mia opinione a riguardo. Trovo ingiusto che siate confinati, per scelta o per obbligo, qui. E, se me lo concedete, vorrei provare a cambiare questa situazione”.

“Ed in che modo?” si stupì una ragazza, incuriosita e probabilmente stufa di quelle grotte.

“Lasciatemi provare. Lasciate che, almeno per alcuni di voi, possa provare a cambiare il destino. Volete tornare all'Inferno? Volete vivere fra gli umani? Volete restare quel che siete? Proviamoci! Proviamoci assieme! Ma, per favore, non restate intrappolati in ruoli e situazioni che odiate!”.

“Certe cose non si possono cambiare!” commentò qualcuno, e molti annuirono.

“Ma cambieranno, ve lo garantisco”.

“E se noi non ti vogliamo?”.

“Me ne andrò”.

“Conosci il nostro nascondiglio!”.

“Uccidetemi, dunque”.

Ci fu di nuovo silenzio, interrotto solamente da lievi brusii. Poi la giovane che aveva condotto Keros in quel luogo gli si avvicinò.

“Ora voteranno" spiegò “Tutti coloro che hanno compiuto i mille anni, potranno esprimersi su quanto da te richiesto. Appena avranno deciso, ti verrà comunicato. Nel frattempo… non so…”.

“Me ne starò buono qua fuori" sorrise il mezzodemone.

“Posso farti un'ultima domanda?” intervenne un altro abitante della grotta.

“Certamente".

“Hai visto i registri, hai detto. Quali?”.

“Quelli di Nasfer”.

“Oh… lo ricordo bene. E che cosa hai trovato di così interessante da spingerti qui a dirci queste cose? Cosa ti ha fatto cambiare idea sul nostro conto?”.

“Un nome: Marianne. Una mortale. Il fatto che lui amasse una mortale, che altri amassero degli umani, mi ha spinto a chiedermi se avesse ancora senso fingere di essere quello che non sono”.

“Sì, ad alcuni di noi è capitato di amare degli umani. Pur essendo storie effimere, come la vita di quelle creature dotate d'anima, è successo e succederà ancora".

“Qualcuno per caso sa dirmi che fine ha fatto Marianne?”.

“Di sicuro ora è morta. Son passati quasi trecento anni da quando…”.

“Lo so! Intendo… se qualcuno sa che cosa ha fatto dopo la morte di Nasfer".

Guardandosi fra loro, mormorarono un nome più volte e si voltarono verso una delle rientranze. Una demone, una fra le più anziane abitanti di quel luogo, si sentì chiamata in causa.

“Voi sapete cosa è successo a Marianne?” domandò Keros, speranzoso.

Lei, con l'espressione annoiata e leggermente scocciata per essere stata infastidita, storse la bocca in una smorfia.

“Che cosa ti importa?” sibilò “Che differenza fa?”.

“Lo sapete?”.

“Sì… ma non so se voglio dirlo a te, coso strambo!”.

“Grazie…”.

“Marianne era una fanciulla tanto tenera” sospirò la demone “Direi ingenua. Ed innamorata. Ma le cose sono andate come sono andate e non è rimasta a lungo qui. Mi sono occupata io di sua figlia"

“Figlia? Lei e Nasfer hanno avuto una figlia?”.

“Sì, Elenì.  Non lo sapevi? Una mezzosangue, umana e demone, nata poco dopo la fine della guerra. È cresciuta in fretta, più in fretta di un demone, ma non in fretta come un semplice mortale”.

“E ora… dov'è?”.

“È rimasta qui fini a quando non ha incontrato quell'altro mezzodemone. Essendo entrambi per metà umani, sono andati a vivere in città, fra i mortali”.

“In città? Dove?”.

“Chiedi a Padre Hiyada".

“Padre… Hiyada?”.

“Lo trovi al convento, nella capitale. So che avevano entrambi contatti con lui. Di più non so dirti…”.

“Mi avete detto molto più di quanto mi aspettassi. Grazie!”.

La donna alzò le spalle, con indifferenza. Keros le dedicò un inchino, riconoscente. Poi capì che gli abitanti di quel luogo stavano iniziando a consultarsi per stabilire la sua sorte, e quindi si incamminò verso l'uscita. La giovane, che lo aveva accompagnato fin lì, lo seguì. Il mezzosangue sedette fra i rami di un albero e lei lo raggiunse, incuriosita. Lo fissò qualche istante, mentre lui alzò semplicemente un sopracciglio.

“Non mi aspettavo le ali" ammise lei “Sono belle…”.

“Grazie…”.

“Quindi… sei veramente il figlio del re?”.

“Ha importanza?”.

“No. Però… tuo padre è un angelo?”.

“Mio padre è colui che mi ha allevato: Lucifero".

“Ah. E… sei mai stato in Paradiso?”.

“Sì”.

“E com'è? Bello come dicono?”.

“No… non per me".

Lo sguardo di lei era sognante, perso in chissà quale sogno mentale. Lui trattenne una risata divertita.

“È una noia" le rispose ancora “Non si può correre, non si può ridere, non si può cantare qualcosa che non sia un’ode a Dio, non si può leggere qualcosa che non sia considerato degno del Paradiso… insomma… non fa per me”.

“Ma c'era gente felice?”.

“Molta. Gli angeli, quasi tutti, sono felici. È la luce di Dio".

“E tu… lo hai visto Dio?”.

“No… tu vorresti vederlo?”.

“Forse. Non lo so… Ma tanto non è possibile! Io sono una demone!”.

“Anch'io. Eppure…”.

La ragazzina sorrise.

“Posso stare qui con te, mentre decidono se accoglierti con noi?” chiese poi.

“Se lo desideri… Non vuoi più vendicarti?”.

“Uccidere o essere ucciso. Non mi piace, ma lo capisco. Se io uccido te, altri verranno per uccidere me. E si andrà avanti così all'infinito, giusto? È una cosa stupida! Ed io l'ho capito solo ora…”.

“C'è chi non lo capisce mai. Ma tu sei molto intelligente. Sono sicuro che da grande farai grandi cose".

“E che potrò mai fare?! Sono bloccata qui, fra demoni privi di addestramento completo, senza poter entrare all'Inferno!”.

“A te cosa piacerebbe fare?”.

“A me…?”.

“Sì. Cosa sogni?”.

Lei storse il naso, pensierosa. Ciondolando con i piedi dal ramo, ci mise qualche istante a rispondere.

“Io voglio badare ai piccoli" disse.

“Badare ai piccoli?”.

“Sì. Tanti bambini sono rimasti soli dopo la guerra e sono cresciuti da soli, o sono stari lasciati morire. Io vorrei occuparmi di piccoli soli. All'Inferno ce ne sono sempre tanti, guerra o non guerra...".

“È una cosa bellissima! Estremamente nobile!”.

“Grazie! Lo pensi davvero?”.

“Ma certo!”.

Lei arrossì. Non aveva mai svelato a nessuno quel desiderio ed era estremamente felice adesso, dopo quel complimento.

“Saresti un buon re" sorrise “Ne sono sicura”.

“Non voglio assolutamente esserlo ma… grazie!”.

 

Era trascorso qualche giorno. Keros, accettato all'interno delle grotte da quasi tutti i loro occupanti, si stava ambientando. Aveva conosciuto molti giovani demoni dal talento innegabile, ma che purtroppo come rinnegati non potevano ricevere un addestramento completo. E lui, senza esame finale, non poteva insegnare in modo ufficiale quel che sapeva. Aveva anche conosciuto molti orfani, che venivano controllati dall'intera comunità ma che sognavano una sistemazione diversa. Stava imparando i loro nomi, i loro volti… Si stava guadagnando la loro fiducia, a piccoli passi. Aveva anche tentato, invano, di contattare Alukah.  Nel frattempo, non trovandolo presente in convento, aveva pure fissato un appuntamento con Padre Hiyada. Avrebbe dovuto attendere un po’, e non vedeva l’ora di parlarci, ma resistette alla tentazione di sorprenderlo in casa come un comune ladro.

Soddisfatto, si era poi recato al Mephistophel.

Il proprietario del locale, sempre lieto di vederlo, lo invitò a sedersi ad un tavolo e bere un drink.

“Non ti vedevo da un pezzo!” salutò Mefistofele, accendendo una sigaretta.

“Ho avuto da fare" ammise Keros, godendosi il drink.

“Tutto il regno ti cerca! Il re è quasi impazzito! Posso almeno dirgli che stai bene?”.

“Ok…”.

“Ma dove vivi adesso?”.

“Per conto mio. Non importa più di tanto…”.

“Uhm… ok…”.

“E tu? Come te la passi? Il locale va bene?”.

“Benissimo! Amo questo posto e tutto quello che mi procura, dal piacere alle anime fresche".

“Ottimo…”.

“Senti ma…” abbassò di colpo la voce Mefistofele “… posso farti una domanda un po'… strana?”.

“Prego".

“Ti spiego… è pazzesca questa cosa, non ci credo manco un po' ma… vedi… qualche sera fa, passeggiando nel bosco, mi sono imbattuto in Alukah. Ora… io sapevo che non era più di tanto giusto con la testa, da quando ha perso il figlio, ma non mi aspettavo fosse COSÌ fuori di testa!”.

“Sto perdendo il filo…”.

“Ti dicevo… l'ho visto nel bosco e si è messo a farneticare. Mi ha parlato di figli bastardi con gli umani, di grotte misteriose ed altre cose assurde. Ma quello su cui più insisteva era questo: le ali. Blaterava insensatezze, affermando che tu hai le ali d'angelo. Da manicomio, insomma".

“E la tua domanda sarebbe…?”.

“Sono tutte assurdità, vero? Cioè… tu non hai le ali d'angelo! Mi viene da ridere al solo pensiero!”.

“Ridi pure!” alzò le spalle Keros, bevendo qualche sorso con gli occhi socchiusi.

“C…cioè? Tu hai…?”.

“Le vuoi vedere?”.

“Mi prendi per il culo?! Tu non puoi avere ali d'angelo! Tu sei il figlio del re! Tu sei un demone! Tu sei un tentatore! Tu sei…”.

“Le vuoi vedere?”.

“Sì, ti prego!”.

“E che mi dai in cambio?”.

“Che…?”.

“Sono un tentatore: non do mai nulla per nulla. L'ho imparato da te, Mefisto”.

“Che cosa vorresti?”.

“Ho un paio di amici in cerca d'impiego. Sono bravi, te lo assicuro. E volenterosi d'imparare".

“Come tentatori, dici? Procacciatori?”.

“Sì…”.

“E che problema c'è? Certo! Portameli pure!”.

“Un problema c'è, a dire il vero”.

I due si fissarono. Mefistofele fremeva per conoscere il seguito ma Keros se la prendeva comoda, cercando di portare la situazione del tutto a proprio vantaggio.

“… non hanno un addestramento completo” terminò, infine, la frase. Con una calma ed una naturalezza tali da far sembrare la cosa del tutto normale.

“Intendi dire che hanno meno di mille anni? Non lo hanno ancora terminato?”.

“No. Hanno circa la mia età. Ma non hanno concluso l'addestramento base perché sono stati banditi dopo la guerra, assieme alle loro famiglie. Vorrei che li addestrassi e che li assumessi”.

“Frena!” borbottò Mefistofele “Mi stai chiedendo di addestrare e dare lavoro ad un gruppetto di sovversivi? Sai in che guaio potrei ritrovarmi? E chi mi garantisce che siano demoni gestibili e non dei coglioncelli con voglie anarchiche?”.

“Io te lo garantisco. Mi prendo interamente la responsabilità, in caso di qualsiasi problema".

“Mi pari il culo in ogni caso?”.

“Puoi contarci".

Mefistofele non sembrava del tutto convinto. Fece una smorfia, dubbioso, ma poi allungò il braccio e strinse la mano del sanguemisto.

“Va bene, accetto" disse “Ora però mostrami quelle ali…”.

Keros lo accontento senza più alcuna vergogna. In una stanzetta privata, le spalancò e mostrò le piume argento con un sorriso quasi orgoglioso. Mefistofele le osservò, affascinato ed incantato, come un bambino davanti ad una nuova scoperta. Si chiedeva come fosse possibile, le toccava e non riusciva a crederci.

“Ma il re lo sa?” mormorò.

“Lo sa” annuì il sanguemisto “E le guarda proprio come stai facendo ora tu".

“Oh be’…” ridacchiò il demone “Io te l'ho sempre detto: sei speciale. Visto? Ho sempre ragione!”.

L'allievo sorrise. Si stupì di quella reazione. Si aspettava il disgusto, la paura o lo sconcerto, mentre invece Mefistofele pareva felice, probabilmente ricordando i giorni in cui anche lui, sulla schiena, sfoggiava qualcosa di molto simile.

“Ti manca il Paradiso?” domandò il mezzodemone.

“No" rispose sinceramente il tentatore “Ma a volte è bello scorgerne un pezzettino…”.

 

Ciao! Altre piccole novità. E preparatevi perché nel prossimo capitolo vi attendono nuovi colpi di scena ;) a presto!!

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Capitolo 60
*** Padre ***


60

Padre

 

Tormentare non dava più soddisfazione come un tempo. Nemmeno in quel frangente, in cui normalmente si sarebbe divertito. Dopo aver ricevuto la comunicazione della fuga di un cospicuo gruppo di anime, Lucifero aveva dato loro la caccia lungo i territori infernali. Assieme ad Asmodeo ed altri fidati soldati, avevano impiegato ore per recuperare ogni fuggiasco e riportarlo al giusto patimento eterno. Volendo evitare altre possibili idee d’evasione, e di ribellione nei confronti dei demoni addetti a quel settore, il re si stava accanendo su qualche anima in modo particolarmente crudele. Però, se ne accorse quasi subito, non provava alcun piacere nel farlo. Non era più come un tempo! Si ritrovò a pensare che l'ultima volta aveva punito simili atti assieme a Keros, ed insieme si erano molto divertiti.

Terminò il proprio compito in fretta e poi tornò a palazzo, stupito di trovarci Alukah ad attenderlo. Dai tempi della guerra, i due non avevano avuto molte occasioni per incontrarsi e perciò vederlo lì, in piedi davanti alla porta dell'ufficio, lasciò lievemente perplesso Lucifero.

“Alukah…” lo chiamò, mentre l'ospite restava immobile e salutava con un rispettoso inchino “È forse successo qualcosa di sgradito?”.

“Maestà…” rispose il vampiro, senza rialzare la testa dall'inchino “Sono qui per parlarvi da padre a padre. Spero che quel che ho da dire non vi arrechi troppo dolore".

Il sovrano percepì il proprio cuore mancare qualche battito.

“Keros?” ipotizzò “È successo qualcosa al mio Keros?”.

“Lasciate che vi spieghi…”.

Entrando in ufficio, i due sedettero e chiusero la porta dietro di sé, ordinando di non venir disturbati per alcuna ragione. Alukah, dopo qualche istante di titubanza ed incertezza, iniziò a raccontare. Narrò l'arrivo del principe nel suo palazzo, di come insieme avevano risistemato il territorio ed i possedimenti infernali circostanti. Continuava a scusarsi, per non aver informato immediatamente il re riguardo la posizione di Keros, e intanto proseguiva il racconto. Omettendo alcuni dettagli, come l'amante umana di Nasfer, svelò il nascondiglio dei sovversivi.

“I sovversivi per il mondo umano?!” si stupì Lucifero “E Keros che voleva farci? Spero sterminarli!”.

“Lui… Oh, maestà, non so come dirvelo ma… pare che il principe abbia ali d'angelo!”.

“Le hai viste?”.

“Sì… con questi occhi...”.

“Ne hai parlato con qualcuno?”.

“S… solo con Mefistofele. Ero confuso e mi è sfuggito” balbettò il vampiro “E poi il principe… le ha mostrate a tutti!”.

“Tutti chi?”.

“I sovversivi nella grotta! Tutti le hanno viste! Io le ho viste e poi… non so! Ha detto che non vuole più fingere di essere un demone per intero. Maestà… voi…?”.

“Sapevo delle ali” ammise il sovrano “Ma gli avevo sempre suggerito di non mostrarle fra i demoni! Ed i sovversivi? Che hanno fatto? Lo hanno attaccato?”.

“No. Pare che… facciano amicizia adesso. Keros non torna più nel mio territorio e preferisce stare in quelle grotte colme di traditori".

Il re sospirò, un po' per il sollievo ed un po' per l'angoscia: quel ragazzo era una continua fonte di preoccupazioni!

“Sono profondamente dispiaciuto” abbassò la testa Alukah “Per essere portatore di simili spiacevoli notizie".

“Non ti devi preoccupare. Mi hai portato la notizia che più bramavo: la certezza che il mio Keros è vivo, sta bene. Ora so anche dove si trova. Perciò non crucciarti troppo. Comprendo anche la tua decisione di non comunicarlo tempestivamente. Keros è stato tuo allievo e hai voluto assecondare un suo desiderio”.

“E ora? Intendo dire…”.

“Per quanto riguarda i sovversivi, attendo di capire cosa ha in mente il principe. Non voglio compiere gesti affrettati. Ovvio che terrò sott'occhio la situazione. Per ora, mio buon amico, tentiamo di non smuovere troppo le acque".

“Agli ordini".

“Riguardo alle ali… non so davvero che cosa dire. Non le aveva quando era in addestramento con te, perciò non temere errori di giudizio o sviste. Le aveva da neonato ma sono bruciate, salvo poi ricomparire una volta raggiunto un certo livello di potere. Lui voleva distruggerle… ma io non ho voluto. E, pensandoci, sono felice che si accetti a tal punto da mostrarle pubblicamente. Sarei lieto se lo facesse con tutto il regno, pronto a pestare a sangue chiunque possa avere qualcosa da ridire. Tu non hai qualcosa da ridire, vero?”.

“Io? N… no, altezza!”.

“Bene. In questo caso, per esserti preso cura del mio erede e per avermi comunicato la notizia per me più importante, ovvero il fatto che sta bene ed ha un luogo in cui stare, ho l'obbligo di ricompensarti”.

“Ricompensarmi? Ma per che cosa?”.

“Keros per me è la cosa più preziosa che esista. Da padri, dovremmo capirci".

“Sì…”.

“E allora che viva con i sovversivi o che mostri le ali in giro per me non conta nulla. Mi interessa solo che stia bene. E che sia felice. Spero tanto che lo sia!”.

Alukah rimase in silenzio e distolse lo sguardo, divenuto triste e malinconico.

“Cosa succede, Alukah?” lo chiamò Lucifero, avvicinandosi alla sedia.

“Nulla" rispose il demone vampiro “È solo che certe cose avrei dovuto pensarle anch'io, prima di perdere mio figlio".

Inaspettatamente, il suddito si sentì toccare sulla spalla dal diavolo. Non era un gesto molto comune, raramente il re dei demoni mostrava empatia, e quindi Alukah si stupì davvero molto.

“Non posso ridarti la vita che hai perso" parlò Satana, ignorando lo stupore del sottoposto “Posso solo ridarti altro, che al tempo ti avevo sottratto. Ti restituisco il titolo di Arconte, con tutti i privilegi che ne conseguono. Mio figlio sarà comunque proprietario dei terreni in passato sotto il controllo di Nasfer, ma tutto il resto, comprese le future eventuali conquiste, spetteranno a te”.

“Oh… Grazie! Grazie, vostra maestà! È molto più di quel che merito!”.

“Mi servi fedelmente praticamente da quando sei nato! Ed il fatto che tu non sia corso a sbandierare ai quattro venti certe verità mi fa comprendere quanto tu sia fedele a questa casata ed a questo regno”.

“Servo vostro, sovrano degli Inferi".

“Ora torna a casa e non ti preoccupare: sistemerò la faccenda”.

Alukah si congedò, con un ulteriore inchino. Lucifero si lasciò cadere sulla sedia, con un gemito. Keros era vivo, stava bene, ma che combinava?! Era impazzito? Doveva assolutamente parlarci! Lasciò l'ufficio, raggiungendo le proprie stanze, e si concesse un momento per sé. Sotto la doccia generava sempre idee mirabolanti, si era detto, e lasciò che la propria mente seguisse il flusso dell'acqua. Rigenerato, con la mente lucida e con ben chiaro come agire al meglio, si rivestì con un ghigno soddisfatto. Concesse solo in quel momento un rapido sguardo al marchingegno rassomigliante ad un telefono che solitamente portava con sé. Sobbalzò notando che Lilith e Malaphar tentavano di contattarlo da un pezzo: doveva raggiungere subito Leonore!

 

Colui che si ritrovò davanti era molto diverso da come se lo aspettava. Credeva di dover parlare con il tipico prete di mezza età in sovrappeso, senza molti capelli ed il sorriso idiota. E invece ad aprire la pesante porta in legno antico fu un uomo dallo sguardo di ghiaccio, severo e minaccioso, alto di statura e magro quasi da far spavento. Con la grossa croce d'argento in bella vista, squadrò Keros da capo a piedi.

“Padre Hiyada?” ipotizzò il mezzodemone.

“In persona. Siete voi quello che insistentemente mi cerca da settimane?”.

“Esattamente".

“E per quale motivo?”.

Keros non poteva raccontare del tutto la verità. Alcune suore, ferme lungo il corridoio, li osservavano e origliavano.

“Sono qui per cercare informazioni riguardo ad una persona di nome Elenì. Mi è stato detto di chiedere a voi…”.

“E chi ti ha dato questa informazione?”.

“Un'amica…”.

“Cosa vorreste sapere? Siete forse un suo parente? Perché non posso rilasciare simili informazioni a perfetti sconosciuti”.

“Sono qui per conto di suo nonno. È ancora in vita e, venendo a conoscenza dell'esistenza di una discendenza, non si dà pace. Ovviamente è piuttosto anziano e non può pensarci personalmente. Così ha mandato me a cercare ogni informazione possibile".

“Potete provarmelo?”.

“So che sua madre si chiamava Marianne e suo padre è morto in guerra”.

“Venite con me…”.

Il prete storse il naso, restando serio, e fece strada. Lungo una ripida scalinata illuminata solo da candele e poche fioche luci, salirono fino al piano successivo e si addentrarono in un'ala dell'edificio evidentemente non frequentata da anni. Fra polvere e ragnatele, padre Hiyada aprì a fatica una porta con una chiave d'oro e fece accomodare Keros. Anche lì le luci erano scarse e si percepiva un forte odore d’antico: il principe lo amava!

“Perdonate la scortesia" sorrise, di colpo, il prete “Troppe suore dalle orecchie grandi e la lingua lunga. Posso offrirvi da bere?”.

Aprendo una scrivania cigolante, padre Hiyada si servì da una bottiglia richiusa nel cassetto. Keros rifiutò, cercando di capire cosa stesse succedendo.

“Innanzitutto…” proseguì il prete “È un vero piacere conoscervi di persona, altezza!”.

“Ma… come sapete che…?”.

“Che siete il principe Keros? Perché sono un demone anch'io!”.

 

Il silenzio. Lucifero non amava molto il silenzio, non era abituato. Camminò cautamente lungo il corridoio, dopo essere comparso nella casa di Ary tramite il portale aperto da Keros.

“C'è nessuno?” chiese, temendo il peggio.

Con suo sommo sollievo, Lilith fece capolino dall’ingresso della camera di Leonore con un largo sorriso sul viso.

“Sta riposando" sussurrò la Succubus.

“Oh. È…?”.

“È nato. È un bel maschietto. Ma… venite, venite a vedere!”.

La demone continuava a sorridere ed il diavolo la raggiunse, stando attento a non fare troppo rumore. Leonore era a letto, seduta con la schiena contro una pila di cuscini. In braccio stringeva il proprio piccolo, che dormiva tranquillo. Nella stanza, assieme a madre e figlio, Malaphar ed Ary lanciarono uno strano sguardo al re.

“Avete bevuto?” sibilò Lucifero.

Del bambino riusciva a scorgere solo un ciuffo di capelli color biondo scuro, come quelli della madre. Lei lo invitò a venire più vicino.

“Congratulazioni” le sussurrò il re.

“Grazie…” rispose Leonore, raggiante “Lascia però che ti mostri una cosa…”.

Delicatamente, accarezzò la testa del neonato. Il demone non capì il motivo di quel gesto ma rimase a guardare. Il bimbo lanciò un versetto di protesta ed iniziò ad agitarsi, dimenandosi un po'. Più si svegliava e più mostrava una particolarità che lasciò senza parole il re: emetteva una luca rossastra. Muovendo le gambine, si era liberato dalla coperta che lo avvolgeva e si poteva scorgere un piccolo codino demoniaco ed un paio di fragili ali draconiche.

“Io… non capisco…” ammise Lucifero “Keros non ha le ali e la coda da demone!”.

“Già” annuì Lilith “E voi siete l'unico demone ad emettere quella luce, Lucifero. Rossa ed inquietante come il sangue, ma pur sempre una luce".

“Ma allora…”.

“È evidente che il bambino non è di Keros" spiegò Malaphar “Direi che di chi sia… è alquanto ovvio!”.

“Congratulazioni" ridacchiò Ary, rivolto al re “Vado ad aprire una buona bottiglia di vino. Che dite?”.

Lucifero era rimasto senza parole, con lo sguardo fisso su quella piccola creatura che ora lo osservava con fiammeggianti occhi arancio.

“Vi lasciamo soli. Andiamo a bere!” ammiccò Lilith, trascinandosi dietro Malaphar e seguendo Ary “Spero riusciate ancora a proferir parola!”.

“Forse sto sognando” mormorò il demone “Com'è successo?”.

“Oh, andiamo…” gli sorrise Leonore “Sappiamo bene entrambi come è successo!”.

“Non in quel senso! Intendo dire…”.

“Comprendo quel che vuoi dire. Si vede che io sono speciale…”.

“E perché?”.

“E che ne so? Però che dici… ora me lo merito un bacio?”.

 

“Un demone? Sei un demone?!” sobbalzò Keros “Un demone… prete?!”.

“Un demone per metà. Sono figlio di un umano e di una Succubus. Per gli angeli sono una specie di abominio da distruggere perciò quale copertura migliore? Nessuno viene a cercare un demone in un convento!”.

“In effetti…”.

“Viaggio molto, così nessuno si fa domande sulla mia età, tranne qualche vecchia considerata psicopatica. Poi dir messa è divertente…”.

“Interessante impiego…”.

“Ed essendo per metà umano, le croci e le altre varie cose sacre non mi fanno alcunché. Ma torniamo all'argomento principale: Elenì. La cercate davvero per conto del nonno?”.

“Alukah, suo nonno, è stato il mio maestro. Non l'ho ancora informato ma penso sarebbe lieto di apprendere l'esistenza di una discendenza”.

“Discendenza bastarda? Non saprei…”.

“Elenì dov'è? La figlia di Nasfer dove si nasconde? Non ditemi che è una suora…”.

“Al tempo glielo avevo suggerito ma ha rifiutato con disgusto. Purtroppo, da quel che ne so, non è più in vita".

“Oh…”.

“Era la compagna di mio fratello Rakesh, mezzodemone come me. Aspetta… ti mostro una foto".

Frugando fra vari cassetti, il prete trovò una fotografia che porse al principe. La ragazza aveva gli stessi occhi di Nasfer mentre lui, Rakesh, mostrava tratti indiani. Con lunghi capelli neri, abbracciava la donna che amava.

“Sono morti entrambi?” domandò Keros, con tristezza.

“Sì…”.

“Come?”.

“Gli angeli. Quelli come noi o trovano un bel nascondiglio o sono destinati alla morte su ordine di Dio".

Il principe annuì, piuttosto deluso.

“Però…” aggiunse Hiyada “Forse potete trovare il loro bambino. Che bambino ora non è più, suppongo…”.

“Un bambino? Umano? O demone?”.

“Umano. Me ne sono occupato personalmente quando è nato, per tenerlo al sicuro. L'ho fatto battezzare e tenuto qui in convento fino alla maggiore età”.

“E dov'è ora?”.

“Lasciami cercare… Questo posto era un orfanotrofio fino ad una ventina di anni fa. Di bambini ne sono passati parecchi… Molti anche demoni a metà!”.

“Un orfanotrofio?”.

“Sì. L'ho tenuto al sicuro, senza raccontargli la verità.  Per non esporlo a rischi, capisci? Forse ricorda qualche storia che gli narravo quando era piccolo… Poi gli ho fatto avere una borsa di studio e ci siamo persi di vista. Vorrei sapere, in effetti, come se la passa".

Keros continuò ad osservare la foto, mentre il prete mezzodemone cercava chissà che cosa fra gli scaffali della polverosa libreria. Il principe fissava quei capelli neri, quello sguardo, il sorriso di lei ed altri piccoli dettagli.

“Ary…” si ritrovò a sospirare e Hiyada si voltò, alzando un sopracciglio.

“Aristoteles, sì. Ha combinato qualche cosa?” furono le parole del prete.

“È quello il suo nome?”.

“Il nome umano, sì. Ovviamente i suoi genitori gliene hanno dato un altro ma non credo che lui lo sappia…”.

Quanti bambini con quel nome potevano mai esserci? Troppi punti in comune, ma non poteva crederci. Hiyada finalmente aveva terminato la sua ricerca e stava sfogliando un grosso libro.

“Ecco!” indicò.

La pagina che aveva aperto mostrava qualche foto e delle date. Un neonato, un bambino e poi un ragazzo con lo sguardo fiero, fra le mani stringeva il diploma. Keros lesse tutte le date, le informazioni e qualsiasi altra cosa vi era scritta.

“Ary!” sorrise “Il mio Ary!”.

“Prego…?”.

Dall'entusiasmo, il principe abbracciò chi aveva di fronte, ripetendo “grazie" a mezza voce. Quando finalmente si fu calmato, capì che doveva delle spiegazioni a Hiyada e tentò di spiegare a grandi linee il motivo di quella gioia.

“È la notizia più bella che potevate darmi!” si ritrovarono entrambi a pensare.

 

Tante novità  :p vi ho sorpresi?

E, per il compleanno di Keros, ho fatto un piccolo disegno nuovo su di lui. Se volete, lo trovate a questo link: https://www.facebook.com/SagaFrirry/photos/a.171370666771099/376220769619420/?type=3&theater

Fatemi sapere cosa ne pensate! :P E, sempre se non sapete che altro fare, vi ricordo che esiste una paginetta fb ed una Instagram (Sagafrirry)

A presto!!

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Capitolo 61
*** Conflitti ***


61

Conflitti

 

Keros era molto indeciso sul da farsi. Ora aveva un segreto molto interessante fra le mani però non sapeva come gestirlo. Svelare la verità ad Alukah lo avrebbe reso felice? Sapere di avere un discendente di sangue umano lo avrebbe rallegrato o turbato? E se poi Ary fosse stato in pericolo, una volta scoperta la realtà? Gli angeli gli avrebbero dato la caccia?

“Che devo fare?” si chiese.

Decise che si sarebbe consultato con altri mezzosangue alle grotte, lì forse avrebbero compreso meglio i diversi punti di vista.

 

L'Inferno era in festa. Lucifero, seduto al suo solito posto, era pensieroso e poco concentrato sul lavoro. Fuori i demoni ridevano, festeggiando la notizia del nuovo principe appena nato. Lilith, come sempre attenta agli umori del sovrano, sedette sulla scrivania dell'ufficio, proprio di fronte al diavolo, ed incrociò le gambe. L'abito rosso cupo che indossava si scostò e mostrò molto più del dovuto.

“A che pensate, maestà?” mormorò la Succubus.

“A tante cose. Sono indeciso sulla decisione da prendere" ammise il re.

“Riguardo a cosa?”.

“All'erede. Ed a sua madre".

“Lo supponevo. Sto già organizzando al meglio tutto quanto per loro".

“In che senso?”.

“Pensavo che venissero a vivere qui, no?”.

“È quello su cui stavo riflettendo…”.

“Non capisco… volete lasciarli vivere nel mondo umano?”.

“Devo ancora decidere".

“Cosa provoca tanta indecisione? Lei ha ceduto a voi la sua anima, appartiene all'Inferno, ed il bambino è chiaramente un demone! Questo è il luogo per loro!”.

“Non so. Non è un posto così allegro dove vivere…”.

“Ma sono demoni! Lei lo sarà di certo diventato dopo aver concepito un piccolo diavolo! Senza contare la promessa che avete fatto al regno! Tutti aspettano di vedere la regina!”.

“Regina?!”.

“Sì….”.

“Hai ragione. Colei che mi darà un erede, sarà la mia sposa. L'ho promesso. Ma dici sia possibile? È un umana…”.

“No, non lo è più. E penso che nessuno possa avere qualcosa da ridire, visto che è madre di vostro figlio".

“E tu? Tu cosa penseresti?”.

“Di vedervi sposato? Scelta vostra. Perché me lo chiedete?”.

“Mi sei sempre stata fedele. Non voglio che ti possa sentire in qualche modo lasciata da parte…”.

“Io odio anche solo il suono della parola Matrimonio. Figuriamoci se intendo in qualche modo essere gelosa di una donna sposata!”.

“Ovviamente i nostri momenti insieme non mancheranno…”.

“Se la sposa ne sarà lieta… Ad ogni modo, da donna, consiglio di parlare con la diretta interessata e poi decidere assieme. Sarò molto felice di organizzare un evento epico!”.

“Non avevo dubbi a riguardo”.

 

“Si è addormentato?” sussurrò Ary, sbirciando nella camera.

“Sì” sorrise Leonore.

“Ho preparato il tè. Ne vuoi?”.

“Si, grazie. Ma nel salottino, non vorrei che si svegliasse...”.

Il padrone di casa scese in cucina e portò su un vassoio con due tazze e la teiera fumante. Versò il tè mentre Leonore sedeva nel salottino ed insieme si concessero quella piccola pausa.

“Com'è essere la mamma di un piccolo demone? Ti stai abituando?” domandò Ary.

“Sono trascorsi solo pochi giorni e devo ammettere che no, non mi sono ancora abituata! Ma mi abituerò! Del resto… pure io non sono del tutto umana adesso!”.

“L'avevo notato".

“Davvero?”.

“Sì. Hai qualcosa di diverso. E spero che tutto questo ti renda felice”.

“Molto. Anche se…”.

“Se…?”.

“Non so se potrò restare a lungo nel mondo umano. Lo capisci? La cosa mi rattrista, anche per te”.

“Non devi pensare a me!”.

“Ma tu mi stai aiutando moltissimo, e lo hai sempre fatto anche in passato. Sei mio amico e lasciarti qui da solo…”.

“Sono un adulto. Devi pensare a quel che è meglio per te e per il bambino. Insomma… è il figlio di Satana! In un certo senso… hai partorito l'Anticristo!”.

“Che stupidaggine…”.

“Può darsi…”.

“Sai… per un po' avevo pensato di chiamarlo come te".

“E poi, grazie a tutte le divinità esistenti, hai cambiato idea. Meno male!”.

Leonore rise ed anche Ary, lasciando cadere qualche goccia di tè sul tavolo.

“Espero è un nome stupendo" aggiunse il mortale “Molto adatto".

“Grazie. E grazie per il tè. Ora me ne vado a letto. Buonanotte!”.

“Notte! Io torno al lavoro di sotto. Se serve, chiamami. Andrò a letto fra molte ore, mi sa!”.

“Cerca di non chiedere troppo a te stesso, Ary… A domani!”.

“Sogni d'oro".

“Finché il piccolo non si sveglia…”.

L'umano tornò davanti al computer e riprese il suo lavoro. Sospirò, quando il proprio sguardo si posò sul libro antico che stava traducendo assieme a Keros. Quanto sentiva la mancanza del mezzodemone!

 

Erano trascorse alcune ore quando udì un rumore al piano superiore.  Ary pensò che il piccolo si fosse svegliato e guardò l'orologio. Era un cucciolotto che non amava molto riposare, a quanto pare! Poi il lieve rumore era diventato un gran fragore di vetri rotti e Leonore gridò.

“Andate via!” urlò la donna ed il mortale scattò in piedi.

Salì le scale ed afferrò il fucile che teneva nello sgabuzzino. Entrò in camera e vide Leonore contro il muro, che stringeva a sé il figlio. In terra, la finestra era in frantumi ed un paio di intrusi minacciavano la donna e le ordinavano di consegnare il bambino.

“Fuori da casa mia!” sibilò Ary, puntando il fucile.

“Che pensi di fare, umano? Non puoi sconfiggerci” ringhiò uno degli intrusi “Ti consiglio di abbassare la tua arma ed andartene, se non vuoi morire pure tu!”.

“Morire?!” tremò Leonore.

“Chiama Lucifero” le disse Ary, senza distogliere lo sguardo dai due intrusi “Esci dalla camera. Bado io a questi finché posso!”.

“Lucifero ci ha cacciati dall'Inferno e noi ora uccideremo il suo marmocchio!” sibilò uno dei due nemici.

Capendo di aver a che fare con creature sovrannaturali, l'umano sparò qualche colpo con la consapevolezza di non poter essere più utile di così. Con un ringhio, i demoni mostrarono denti acuminati e sguardo luminoso. Furiosi per il dolore provocato dai proiettili, si scagliarono contro l'umano con rabbia. Per difendersi, Ary sparò ancora e usò il fucile come una mazza, colpendo i suoi due avversari con tenacia.

Leonore, nello stanzino in cui si apriva il portale per l'Inferno, fu estremamente sollevata quando vide comparire Lucifero. Il demone ordinò alla donna di rimanere al sicuro, assieme al neonato, e raggiunse Ary. Per il re degli Inferi fu facile sconfiggere gli intrusi e distruggerli.

“Demoni bastardi!” ringhiò, mentre si riducevano in cenere “Traditori!”.

“Volevano uccidere il bambino" ansimò Ary, stremato dal combattimento.

“E tu lo hai difeso. Umano: sei stato estremamente coraggioso. Sappi che ti sono debitore e potrai chiedermi tutto quel che vorrai. Hai salvato mio figlio e la sua preziosa madre!”.

“Ho fatto solo il mio dovere di padrone di casa".

“Stai bene? Sei ferito?”.

“Io… non so… sono un po' indolenzito…”.

“Mi stupirei del contrario…”.

Leonore era preoccupata e raggiunse la camera con apprensione. Poi sorrise, sollevata.

“Non è al sicuro qui" mormorò il padrone di casa, indicando mamma e bambino “Hanno detto che lo devono uccidere perché li avete cacciati dall'Inferno".

Il demone si voltò verso la donna, che cercò conforto dallo spavento. Abbracciata al diavolo, con il piccolo che si guardava attorno avvolto dal contatto dei due genitori, ringraziò ancora l'ex marito.

“Vado a prendere qualcosa per coprire le finestre rotte" sospirò Ary “Altrimenti chissà che altro può entrarci".

“Faccio venire dei demoni ad aiutarti. Mi pare il minimo" commentò Lucifero “Ora diamoci tutti una calmata. Siamo piuttosto agitati, mi pare".

L'umano sorrise, poco convinto, spostando qualche vetro rotto. Il diavolo incrociò il suo sguardo.

“Ti senti bene?” domandò “Hai delle strane pupille".

Il mortale non rispose. Sbatté gli occhi qualche volta, toccandosi la testa.

“Siediti" suggerì il re degli Inferi “Chiamo Malaphar a fatti controllare".

“Cosa ti senti, Ary?” si avvicinò Leonore.

“Non lo so" ammise l'umano “Mi sento… stordito… come se…”.

Non finì la frase. Barcollando, quasi cadde a terra svenuto. Lucifero riuscì ad afferrarlo al volo, con estrema facilità. Lo mise steso a letto e dopo pochi istanti comparve Malaphar sulla porta.

“È successo qualcosa al bambino?” ipotizzò il demone guaritore, piuttosto preoccupato.

“Il bambino sta bene" lo rassicurò il sovrano “È per l'umano che ti ho chiamato".

“Mi avete chiamato per un umano?!”.

“Ha salvato la vita a mio figlio, combattendo contro demoni traditori”.

“Notevole, per un mortale. Sul serio, sono colpito dal suo coraggio".

“Ora fai il tuo lavoro e curalo!”.

Il re accompagnò Leonore ed il piccolo fuori dalla stanza, dedicando un po' di coccole all'erede.

“Andrà tutto bene, vero?” mormorò la donna.

“Se devo essere sincero, non posso assicurartelo… Sai, con i demoni non si sa mai che…”.

Il discorso fu interrotto da un timido colpo alla porta. Qualcuno aveva bussato ed il demone, previdente, fece segno a Leonore di non parlare. Chi poteva essere a quell'ora? Poteva essere una trappola! Socchiuse gli occhi e poi sorrise.

“Tranquilla” parlò “Puoi andare ad aprire".

La donna scese lungo le scale ed aprì. Si stupì molto nel vedere Keros davanti all'ingresso. Lo abbracciò forte e lo invitò ad entrare.

“Perdonami per l'ora" borbottò il mezzodemone, imbarazzato e piuttosto insicuro “Ero molto indeciso ma alla fine ho preso coraggio. Devo parlare urgentemente con Ary".

“Lo sta visitando Malaphar" gli rivelò Leonore.

“Malaphar? Perché?”.

“Storia lunga. Vieni al piano di sopra".

Camminando, Keros vide Lucifero. Il sovrano teneva in braccio il proprio cucciolo ed il sanguemisto lo notò con un certo stupore.

“Un momento…” alzò un sopracciglio “È figlio tuo?!”.

“Già. Non è carino?” ghignò il re.

“Molto ma… com'è possibile?! Significa che tu… No, guarda, adesso non ho voglia di pensarci!”.

“Anch'io non ho voglia di pensare a dove tu sia stato fin adesso…”.

“Meglio. Ary…?”.

Il sovrano indicò la porta e Keros entrò.

“Che è successo qui?!” esclamò, notando i vetri rotti ed il mortale steso a letto privo di sensi.

“Purtroppo l'umano è stato morso" furono le parole di Malaphar.

“Morso? Da chi? E perché?”.

“Degli intrusi” rispose Lucifero “Dei traditori sono entrati qui, con l'intento di uccidere il bambino. Lui ha coraggiosamente difeso madre e figlio”.

“Ma è stato morso" concluse il guaritore “Ed il morso di un demone è mortale per un umano".

“Cosa?! Che stai cercando di dire?!” iniziò ad agitarsi Keros.

“Mi stupisco che sia ancora in vita" parlò ancora Malaphar, con tono di voce ed espressione del tutto indifferente.

“Non c'è nulla da fare?” chiese Lucifero.

“Farò tutto quel che posso, maestà. Ma è comunque un debole umano".

“Ma no!” interruppe Keros, ma poi non aggiunse altro.

Doveva svelare la verità? Era una cosa sicura? Però, forse, la discendenza demoniaca poteva aiutarlo nella guarigione e nella cura.

“No che cosa, scusami?” storse il naso Lucifero “So che sarà difficile accettarlo per te. Però…”.

“Lui… non è del tutto umano" confessò alla fine il sanguemisto.

“In che senso?!”.

“Lui ha… sangue demoniaco… “.

“È per metà un demone?!”.

“No, non per metà. Suo nonno era un demone completo. I suoi genitori erano demoni per metà”.

“E per l'altra metà?”.

“… umani".

“Umani?! Quale demone ha iniziato questa indecente rimescolanza di razze? Chi era il demone puro?”.

“Io… non vedo perché sia importante…”.

“Lo è” si intromise Malaphar “Sapere da che tipo di demone discende può aiutarmi a capire come guarirlo, o almeno provarci".

“Vampiro. Era un demone vampiro".

“Chi era? Voglio il nome" insistette Lucifero “E spero per lui che sia morto…”.

“Tu dovresti solo stare zitto" lo indicò Keros, iniziando ad infastidirsi “Tuo figlio è nato da un'umana! Perciò taci!”.

“Ma come ti permetti?!”.

“Però ha ragione" sospirò Leonore “Possiamo non litigare su questo e concentrarci su Ary? Se morisse, non me lo perdonerei".

“Hai ragione" ammise il sovrano “Vorrei tanto non litigare più con te, Keros".

“Ed io voglio salvare Ary! Malapahar, se c'è qualcosa che posso fare…”.

“Essendo un discendente di demone vampiro…” ipotizzò il guaritore “… il potere del sangue potrebbe aiutarlo. Però questo potrebbe risvegliare in lui la natura demoniaca. Potrebbe peggiorare la situazione, se il corpo da mortale non sarà in grado di reagire".

“L'alternativa è lasciarlo morire per il morso, giusto?”.

“Giusto".

“Allora non vedo il motivo di pensarci oltre. Come funziona il potere del sangue?”.

 

Lucifero, sentendo l'impellente bisogno di sfogare il suo nervosismo con una sigaretta, uscì sul terrazzino della camera. Demoni bastardi, incroci di razze, di cui non era a conoscenza? Mezzosangue che volevano uccidere il suo prezioso cucciolo? Di certo non sarebbe rimasto fermo a guardare! Con il dispositivo che lo metteva in contatto con l'Inferno, chiamò Alukah.

“Maestà!” si affrettò a rispondere il demone vampiro “Come posso aiutarla?”.

“Tu mi hai detto di conoscere le coordinate del rifugio dei traditori, giusto?”.

“Quelli rintanati nel mondo umano? Sì, certo".

“Perfetto. Mandamele immediatamente”.

“Agli ordini!”.

Il re attese solo qualche istante prima di ricevere quel che aveva richiesto ed inoltrò quei dati ad Asmodeo.

“Sterminali tutti" ordinò al generale “Che non ne resti nemmeno uno di questi sovversivi che osano provare a fare del male alla mia prole!”.

“Prole?” si udì.

Alzando lo sguardo, Lucifero vede Mihael, che fluttuava a mezz'aria. Circondato da luce d'oro e arancio, l'Arcangelo era circondato da un alone di regalità a cui era difficile restare indifferenti.

“Ciao, fratellino" lo salutò il diavolo.

“Prole? Dunque è vero. Hai avuto un figlio" proseguì Mihael.

“Anche tu. E con ciò?”.

“La faccenda è diversa".

“No, la faccenda è la stessa. Ho usato lo stesso metodo".

“Smettila di fare l'idiota!”.

“Ok. Ma ora ho da fare”.

“Ho sentito. Hai mandato a sterminare sangue impuro”.

“Esatto. Roba che toccava fare a te, da quel che mi risulta! Non è compito degli angeli evitare che i demoni tentino gli esseri umani? Non dovrebbero anche evitare che questi scopino fra loro?!”.

“Purtroppo, se l'umano si innamora, è poco quel che possiamo fare. Motivo per cui non ho potuto impedire a Leonore di accoppiarsi con te!”.

“Oh, ma che carino. Però, ammettiamolo, è un po' una cagata. Far innamorare gli umani è semplicissimo!”.

“Tutt'altro! Parlo di veri sentimenti, senza l'uso dei poteri demoniaci".

“Ditelo che non avevate voglia di lavorare. Ed adesso tocca a noi demoni rimediare al casino. Grazie tante. Mi serviva lavoro extra!”.

“Sono demoni fuggiti dall'Inferno. La responsabilità è la tua!”.

“No. Se toccano gli umani, è giurisdizione vostra”.

“Sei tu il re dei demoni!”.

“Oh ma chissenefrega! In questo momento Asmodeo ed alcuni altri soldati li stanno eliminando. E mi auguro che la cosa non si ripeta".

“Anche alcuni miei soldati sono andari in quel luogo”.

“Davvero? Lavoro di squadra?”.

“Lavoro fatto come si deve. Voi demoni vi fate sempre sfuggire qualcosa”.

“E tu che ci fai qui? Non hai proprio voglia di lavorare, eh?”.

“Sono qui per la tua prole. Non è forse frutto dell'unione fra te ed un'umana? Se sapevo che poteva restare incinta, ti avrei fatto congelare le palle da Raphael quella sera!”.

“Quanta poesia…”.

Mihael si accigliò, mentre Lucifero ridacchiava divertito.

“No… un momento” divenne di nuovo serio, di colpo, il re “Sei qui per uccidere mio figlio? Sul serio?!”.

“È di razza impura…”.

“Anche il tuo!”.

“… e sappiamo entrambi quali conseguenze può portare il figlio di Satana nel Mondo. È l'Apocalisse!”.

“E tu credi agli scritti deliranti di un umano che evidentemente si spippava tutto lo spippabile?!”.

“Era ispirato da Dio".

“Allora pure Dio era sotto acidi. L'hai letta quella roba?!”.

“Ho degli ordini, Satana. Fatti da parte".

“Col cazzo. È di mio figlio che parli, non di un pacco postale!”.

“Non costringermi a combattere contro di te!”.

Lucifero, con rabbia, mostrò il dito medio e ringhiò.

 

“Perdonami se ho fatto tardi" mormorò Keros “Perdonami se sono stato lontano da te".

L'umano, a letto, era ancora privo di sensi. Il mezzodemone gli aveva donato qualche goccia di sangue, nella speranza di farlo guarire. Si sentiva in colpa e lo osservava, con il viso sulle lenzuola. Ne osservava il viso pallido e le labbra rosate, desiderando il risveglio di colui che amava. Non riuscì a resistere a lungo prima di dargli un bacio, nonostante fosse incosciente. Poi sospirò e tornò ad accovacciarsi accanto al letto.

Udì delle voci, brillò qualche luce all'esterno e cercò di capire. Uscì e vide angeli e demoni che si fissavano. Rientrati dalla loro missione di sterminio, si erano incontrati nel cielo notturno. E Keros vide prima Lucifero e poi Mihael e notò quanto i due fossero vicini. Così vicini e così minacciosi, l'uno contro l'altro! Non era un buon segno!  Doveva tentare di fare qualcosa…

 

Eccomi! Scusate il ritardo! Questo è l'ultimo capitolo prima delle feste. Poi Keros farà una piccola vacanza fino a Gennaio. Va a fare festa pure lui :p a presto!!

 

 

 

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Capitolo 62
*** Valzer di fierezza ed odio ***


62

Valzer di fierezza ed odio

 

Gli angeli ed i demoni, in due schieramenti contrapposti, si fissavano. Mihael e Lucifero, scesi a terra, continuavano ad insultarsi. Keros uscì dalla casa mortale e si apprestò a raggiungere le creature ultraterrene, con l'intento di fermare la possibile rissa di gruppo. Aveva chiesto a Leonore di chiamare Lilith, l'unica che solitamente riusciva a far ragionare il sovrano infernale. Aveva già in mente un discorso ma si fermò, quando fu abbastanza vicino ai parenti. Cosa ci facevano per il mondo umano? Se lo era chiesto, scendendo le scale. Vedendoli, percependo odori ed osservando il sangue su spade e lance, comprese. Si arrestò, accigliandosi, con un nodo alla gola. Sapeva cosa avevano fatto. Sapeva che avevano ucciso tante persone che conosceva. Provò una gran rabbia, mista all'angoscia suscitata dal solo pensiero di aver perso tanti amici. Percepiva la loro essenza, l'odore del loro sangue e delle loro vite spezzate.

“Altezza!” la voce di Lilith lo riportò alla lucidità “Altezza, che succede?”.

“Litigano" si limitò a rispondere Keros, piattamente “Come sempre".

“Ma qui… nel mondo umano! Dobbiamo fare qualcosa!”.

“Lascia che si ammazzino!”.

“C… come?!”.

Lilith rimase sconcertata da quelle parole, e nel vedere il principe dare le spalle a tutti gli angeli ed i demoni radunatasi in quel luogo. Cercò invano di richiamare l'erede al trono ma senza successo, così decise di agire da sola e camminò spedita verso Lucifero e Mihael.

“Siete impazziti?!” esclamò la Succubus, spalancando le braccia “Siete nel mondo degli umani! Potrebbero vedervi in qualsiasi momento!”.

“Siamo in mezzo al nulla" la corresse Lucifero.

“Il tuo cervello è in mezzo al nulla, maestà! I mortali moderni hanno un sacco di aggeggi strani. Hanno satelliti, droni, telecamere… senza contare che qualcuno di loro potrebbe essere così stupido da farsi un giro per questi boschi in piena notte!”.

“E perché dovresti tu, meretrice, preoccuparti degli umani?” chiese un angelo.

“Non mi preoccupo degli umani. Mi fanno schifo gli umani, a partire da Adamo! Mi preoccupo delle possibili conseguenze di questo vostro incontro. Ma se siete così stupidi da non capirlo, forse meritate di ammazzarvi fra voi, come suggerisce il principe Keros!”.

Quel nome provocò un certo brusio. Da un lato i demoni si chiedevano perché il principe potesse dire una cosa del genere e, nello stesso istante, gli angeli cercavano di ricordare dove avessero già sentito quel nome.

“Siamo qui per adempiere al nostro compito" parlò Mihael, sovrastando il mormorio dei presenti “Il figlio del diavolo deve morire!”.

“Allora ammazza Keros" gli propose, fra lo stupore dei parenti, il re dei demoni “Avanti. Usa la tua bella lancia contro il petto di un uomo! Sarebbe più onorevole rispetto al trafiggere un neonato, dico bene?”.

“Ma che state dicendo?!” sibilò Lilith ed il demone la zittì con una mano.

“Non potrai mai farlo, vero?” proseguì Lucifero, ghignando verso l'Arcangelo.

“La questione è diversa. E tu lo sai" sbottò Mihael “Non farci perdere tempo. Dio ci ha dato l'ordine di uccidere tutti coloro nelle cui vene scorre sangue impuro. Tuo figlio è frutto di un'unione con una mortale, ed è mio compito porre fine alla sua vita”.

Il sovrano stava per ribattere, quando uno degli angeli richiamò l'attenzione di Mihael, trascinando con sé una ragazza per un braccio. Il grido di protesta della giovane fece voltare di nuovo Keros: era Tabihira, la ragazzetta che lo aveva condotto la prima volta al rifugio dei sovversivi!

“Una fuggitiva?” ghignò Lucifero “Progenie di traditrici creature. Lascia che sia o a sporcarmi le mani, angioletto. Non la farò soffrire molto!”.

“Ce ne sono degli altri!” parlò qualcuno, seguito da pianti e gemiti di protesta.

“Sono tutti bambini?!” constatò l'Arcangelo.

Fra Mihael e Lucifero furono trascinati cinque bambini di varia età, oltre a Tabihira. Lei tentò di far loro scudo, invano.

“Come siete fuggiti dal nostro attacco, moscerini?” ringhiò Asmodeo “Permettete che me ne occupi io, Maestà!”.

“Agli angeli piace uccidere i bambini" rispose, beffardo, Lucifero “Lascia che si divertano!”.

“Ma che stai dicendo? Non è vero che…”.

“Lasciateli in pace!” urlò Keros, raggiungendo i figli dei traditori.

Il re tentò invano di zittirlo con lo sguardo, senza ottenere gli effetti sperati.

“Fatemi capire…” sibilò il principe “State qui a litigare per uccidere dei bambini?! Avete sterminato innocenti ed infanti e ne volete ammazzare degli altri?! Sul serio?!”.

“Innocenti? Nessun innocente!” lo corresse il diavolo “Traditori! Savngue bastardo!”.

“Traditori?! Bambini! Avete ucciso un sacco di bambini! Erano discendenti di qualcuno che forse ha tradito, o ha solo pensato di farlo! Oppure semplicemente figli di qualcuno che sognava di vivere in modo diverso!”.

“Sai che non è possibile" precisò Mihael, con tono di rimprovero “I demoni devono vivere all'Inferno”.

“All'Inferno!” diedero manforte molti angeli “All'Inferno e là soltanto!”.

“Siete degli assassini!” riprese Keros, convinto “In nome di Dio od in nome di Satana, sempre assassini siete!”.

“Smettila di farmi la predica!” lo minacciò il demonio “Uccidiamo questi bastardelli e torniamo a casa! Ovviamente portando con noi la mia progenie".

“Non toccherai questi piccoli" allargò le braccia il mezzodemone “E ti ricordo che sono pure io di sangue bastardo. Perché non mi uccidete?”.

Lucifero sospirò, stanco di discutere. Fra demoni ed angeli si mormorava “Che ha detto?”, “Sangue bastardo?”, “Perché parla in questo modo?”.

“Sempre gli stessi discorsi" mormorò Keros, quasi rassegnato “Sono impuro, sono bastardo, sono un sanguemisto, ho vissuto fra i traditori e gli umani. Quindi dovreste volermi uccidere entrambi, dico bene? Da un lato Lucifero e dal lato opposto Mihael. Chi vuole iniziare?”.

“Keros…” tentò di imbastire un discorso l'Arcangelo.

“Che aspetti?” lo interruppe il principe “Trafiggimi! Se meritavano di morire quelle creature nella grotta, allora dovete porre fine alla mia vita. O no?”.

Le mani di Keros stringevano la lancia di Mihael, fissandolo negli occhi con una certa tristezza ma con gelida determinazione.

“Che cos'ho io di diverso da loro?” parlò amareggiato il mezzodemone, indicando i piccoli dei traditori.

“Che coraggio…” ammise Asmodeo, seguito da altri commenti simili.

I demoni erano meravigliati da quel gesto, orgogliosi del proprio principe impavido. Fra gli angeli c'era chi incitava Mihael ad agire e chi si chiedeva chi fosse quel pazzo. Ricominciavano a litigare fra loro, con insulti di varia natura.

“Smettila!” esclamò Mihael, ritraendo la lancia.

“Perché non lo uccidete?” si chiese uno degli angeli soldato “È figlio del diavolo? È un demone tentatore! Vuole tanto morire…”.

“Prova a far del male al principe e ti strappo tutte le penne!” minacciò Asmodeo, seguito dal ringhio di molti demoni.

“Piantatela!” li zittì tutti Keros “Stiamo parlando di bambini. Non sappiamo cosa potranno fare da adulti. Sapete che uno dei demoni, per metà umano, ora è un prete? È rispettato ed amato, si occupa di orfani e predica la parola di Dio".

“Che orrore!” gemette qualche demonio.

“Chi vi dice che non sia possibile che altri facciano lo stesso? O che fra loro non si celino futuri diavoli in grado di agire come i loro simili? In base a cosa avete deciso che non son degni di essere angeli, demoni o quel che gli pare?!”.

“È compito di Dio giudicare" spiegò Mihael “Noi dobbiamo obbedire e…”.

“Vuoi giudicare? Bene. Giudicami!”.

“-Ma cosa stai…?”.

“È il solito, antico, valzer. Valzer d'odio, gli uni per gli altri. Sfida eterna fra Cielo e Inferno, contesa di anime di ignari mortali che vivono la loro vita perlopiù ignorandoci. È il nostro lavoro, giusto? Bianco e nero, buoni e cattivi. Tutti gli angeli sono santi, tutti i demoni sono malvagi. E Dio è al di sopra di tutto, la sua voce illumina le coscienze e salva dagli inferi. Io credevo di averla sentita quella voce. No, non in Cielo. Non in Paradiso l'ho udito parlare ma qualcosa si era acceso nel mio cuore poco tempo fa. Ho conosciuto un demone che ha salvato delle vite, che porta una croce al collo. Ho vissuto accanto a demoni che non cacciavano anime, non uccidevano umani, non tentavano mortali… vivevano in pace, ed erano felici! Ed ho pensato che, se davvero Dio esiste e ci parla, allora doveva aver permesso tutto questo. Doveva aver permesso l'esistenza di simili creature, creature come me! Ma evidentemente mi sbagliavo, perché le avete sterminate. E quindi non rientrava fra i piani di Dio la loro esistenza. Ma allora che senso ha? Perché far innamorare, vivere e credere? Perché concedere a Lucifero un figlio, per poi farlo uccidere? Perché concedere la fede per poi portarla via? Perché far amare per poi portare all'odio? Mi viene da chiedermi se Dio esiste per davvero o se forse siamo noi che interpretiamo a caso quel che crediamo che voglia!”.

“A caso?!” sibilò qualcuno.

“Volete giudicarmi? Bene… Io sono nato nel mondo umano, da una demone di nome Carmilla. Era una tentatrice, una vampira, che ha trascinato una moltitudine di anime mortali all'Inferno. Ma poi è diventata guaritrice, salvando vite ed aiutando malati. Asmodeo, nonostante amasse Carmilla e fosse geloso della gravidanza, e nonostante il mio aspetto non esattamente demoniaco, ha salvato la mia vita e mi ha portato dal re, da Lucifero. Lui mi ha cresciuto, nonostante sapesse la mia vera identità”.

“Vera identità?” alzò un sopracciglio più di qualcuno.

“Mi ha allevato, mi ha cresciuto come un figlio, mi ha voluto bene. Ho vissuto agli inferi, in Cielo, nel mondo umano… ed ho visto che le cose non sono solo bianche e nere! Anche i demoni fanno cose buone, anche gli angeli commettono peccati! Io sono il frutto del peccato di un angelo! Io sono il frutto della bontà dei demoni! Il figlio del diavolo non è per forza destinato a divenire malvagio, così come il figlio di un angelo non deve per forza essere un santo! Nessun bambino merita di morire ma, se ritenete che qualcuno debba essere ucciso, sono qui! Avanti… giudicatemi!”.

Keros spalancò le ali angeliche, mostrando il proprio aspetto. Con le corna, le ali e lo sguardo color ambra, fece ammutolire tutti i presenti.

“Mia figlia è un angelo” sorrise il mezzodemone “È la prova che anche chi vive sempre all'Inferno può creare qualcosa di buono. Sono fiero di quello che sono, non mi importa più quel che tutti voi pensate. E, se l'umano che amo morirà, non avrò nemmeno più una ragione per arrampicarmi lungo la via dell'esistenza. Però vi prego, mi rivolgo a tutti quanti voi, lasciate in vita i bambini. Dio non può davvero volete che dei bambini muoiano”.

Scese uno strano silenzio, fatto di sguardi perplessi e stupiti. I demoni avevano compreso che il loro principe non era figlio del re, e non era neppure del tutto un demone, e gli angeli erano sconvolti nell'apprendere che colui che aveva parlato non era un angelo poi caduto ma bensì un angelo a metà. Figlio di un angelo. Era davvero possibile?

“Sono pronto ad essere giudicato" insistette Keros “Dinnanzi agli uomini, agli angeli, ai demoni e perfino dinnanzi a Dio. Ma questi bambini no. Questi piccoli cresceranno. Fate sì che da adulti la bilancia decreti il loro destino”.

D'un tratto, come destati da un sogno, angeli e demoni ricominciarono a discutere ad alta voce. Keros si accucciò e rassicurò i bambini.

“Ogni volta che penso di averci capito qualcosa, e di aver trovato il mio posto nella vita, ecco che devo ricominciare da capo. Oh be'… fa niente" mormorò ai piccoli, con un mezzo sorriso “Ma non abbiate paura, perché nessuno vi farà del male".

Una gran tristezza lo avvolse, udendo di nuovo i litigi delle creature sovrannaturali che lo circondavano.

“Ma ora dove andrai?” chiese uno dei piccoli “E noi dove staremo?”.

Keros non fece in tempo a rispondere perché la voce di Lucifero sovrastò tutte le altre.

“Silenzio!” urlò, zittendo chi invocava la morte del principe “Che cosa cambia?! Mi rivolgo a voi, demoni di ogni sorta. Non avete forse avuto fin ora assoluto rispetto per Keros? E non perché ve l'ho imposto io ma perché il ragazzo se lo è meritato! Ha combattuto al vostro fianco, ha tentato anime, ha appreso da voi moltissime cose e vi ha dimostrato di essere degno di portare la corona. Cosa cambia, anche se ha ali d'angelo? Questo lo rende meno demone ai vostri occhi? Vi devo forse ricordare che anch'io avevo simili ali? E, come me, anche molti di voi? Devo forse ricordarvi che fra voi c'è chi è caduto per amore? Amore per creature umane. Stesso amore che ora prova Keros e che voi disprezzate.  Ci ho messo un po' a capirlo ma… la nostra guerra è contro Dio, non contro chi è demone, anche se solo in parte. Costui è mio figlio, ed io ne vado fiero. Non sono mai staro così fiero di lui! E spero che anche il suo vero padre provi un tale orgoglio.  Perché coraggio e forza non mancano nel suo cuore. È demone tanto quanto è angelo e tanto quanto è qualsiasi altra cosa voglia essere. E se qualcuno vorrà fargli del male, angelo o demone che sia, se la vedrà con me".

I demoni si ammutolirono. Ricordavano le prodezze del principe, le sue doti ed abilità. Nonostante lo sconcerto provocato da quelle ali angeliche, lo riconobbero come degno demone e tacquero. Dal lato opposto, Mihael si avvicinò a Keros e gli porse la lancia.

“Con questa…” spiegò “Trafiggerò il petto del re degli Inferi, alla fine dei giorni. Così sta scritto. Ma per farlo dovrò impugnare quest'arma con risolutezza e fede. Il mio cuore, ora, non è puro. Così come non lo è quello di molti. Quello di tutti. Perché tutti commettiamo degli sbagli, solamente Dio non ne fa. E so che su quest'ultimo punto Lucifero ha parecchio da ridire. Ad ogni modo, io non voglio peccare di superbia e ritenermi perfetto. Io non sono Dio, ed a volte sbaglio. Da quando sei nato, la mia fede e la mia risolutezza hanno vacillato più volte, ma ora tutto pare più chiaro. Dio ti ha voluto, così come sei. Né bianco, né nero. E, forse, un giorno spetterà a te giudicarci tutti. Chiedo perdono per i miei peccati, dinnanzi a Dio e dinnanzi a te, che sei il mio unico e prezioso figlio. Nessun'altro bambino verrà ucciso stanotte, neppure il neonato figlio del Diavolo. Che l'età adulta li conduca verso un più equo giudizio".

Keros era rimasto in silenzio, non sapendo che cosa dire. Sfiorò la lancia dell'Arcangelo, che brillò leggermente.

“L'odio può cessare solo se ognuno guarda dentro di sé” concluse Mihael “Dio ti giudica degno di vivere, quella luce è insindacabile. Che la faccenda finisca qui. Sentiti libero di vivere come meglio credi… angelo o demone che sia. E ama. Ama chi è in grado di amarti, ama chi ha visto chi sei per davvero fin dal primo momento. Andiamo!”.

Fece segno agli angeli di seguirlo, per tornare in Cielo. Qualcuno protestò la l'Arcangelo lo zittì subito.

“Abbiamo commesso già abbastanza atri sconsiderati, oggi. Abbiano tolto la vota a chi andava più accuratamente giudicato. Ora andiamo… se Dio vuole che agisca diversamente, o se non apprezza il mio operato, che fermi il mio cammino".

Nulla accadde e gli angeli si allontanarono, tornando in Paradiso. Potevano avere qualche dubbio su Mihael ma si fidavano ciecamente del giudizio divino, ed in quel caso Dio pareva non avesse nulla da ridire.

Lucifero, una volta che tutte le creature angeliche se ne furono andate, prese un profondo respiro. I demoni attendevano un suo ordine, incerti sul da farsi.

“Torna a casa" suggerì Keros, prendendo in braccio uno dei bambini sopravvissuti all'attacco di quella notte “Porta con te Leonore ed il piccolo. Il mondo umano non è sicuro, a quanto pare…”.

Il re non sapeva che rispondere. Probabilmente era la cosa migliore da fare.

“Non preoccuparti” aggiunse il mezzosangue, con un tono di voce piuttosto amareggiato “Mi occupo io di questi bastardelli, come vi piace chiamarli…”.

Prese per mano altri due piccoli e li chiamò a sé, incamminandosi verso la casa umana.

“Keros…” tentò di trovare le parole il re, dopo aver rispedito gli altri demoni all'Inferno.

Il principe si stupì di trovarsi di fronte Lilith, sorridente.

“Degno figlio di Carmilla” gli sussurrò “Con chi si sia accoppiata, poco mi importa".

Lievemente in imbarazzo, non sapendo che rispondere, Keros rientrò in casa con i bambini e Tabihira. Offrì loro qualcosa da mangiare, notando la loro tristezza. Avevano perso tutto: la casa, la famiglia…

Leonore stava preparando le proprie cose e quelle di Espero, consapevole della prossima partenza per l'Inferno. Il piccolo dormiva tranquillo e Ary era immobile a letto, ancora privo di sensi. Keros sospirò.

“Puoi sistemare i bambini nella mia stanza" propose Leonore “È una matrimoniale. Staranno stretti, ma per un periodo dovrebbe bastare…”.

“Io posso dormire sul divano in salotto" annuì Tabihira.

“Ma… come vi siete salvati?” volle sapere il mezzodemone.

“Conosco molti cunicoli segreti. Stavo giocando con loro ed ho cercato di portarne in salvo il più possibile. Non ho avuto molto successo…”.

“Hai fatto tutto il possibile. Sei stata fantastica. Ora riposa. Non sei ferita, vero?”.

“Solo qualche graffio…”.

“Vado a prendere delle bende".

Dopo aver medicato la ragazza e due dei piccoli, che presentavano qualche bruciatura, preparò le stanze. Nel frattempo Leonore, accompagnata da Lucifero, aveva attraversato il portale assieme al neonato Espero. In pensiero, combattuta per le condizioni di Ary e per il futuro che l'aspettava, fu incoraggiata da Lilith: doveva agire nel modo migliore per Espero. Re e principe non si parlarono, entrambi piuttosto stanchi.

“Domani passerà Malaphar" assicurò Lilith, prima di attraversare il portale a sua volta “Per controllare Ary. Che pensi di fare?”.

“Per ora dormire…”.

“Oh… allora buonanotte. Sei… sei stato molto coraggioso".

Con un mezzo inchino, Lilith lasciò la casa. Rimasto solo, Keros controllò i piccoli, che si erano addormentati. Tabihira si era sistemata in salotto, vicino al camino. Il principe le augurò la buonanotte e poi raggiunse la stanza di Ary. Sembrava tranquillo ed il mezzodemone gli donò qualche goccia di sangue, sperando di vederlo guarire presto. Poi cercò una coperta e, avvolgendosi in essa, chiuse gli occhi. Domani sarebbe stato un altro lungo giorno…

 

Rieccomi! Primo capitolo dell'anno…

Non so perché, ma questo capitolo mi ha fatto venire in mente la canzone “Figlio del dolore" di Celentano (il ritornello). Se non la conoscete, ve la consiglio. È una di quelle che mette letteralmente i brividi! Per quel che riguarda Keros… spero di riuscire di nuovo ad aggiornare ogni settimana! A presto!

 

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Capitolo 63
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Keros non si aspettava di sentir bussare alla porta ed ancor meno si aspettava di trovarsi di fronte Mefistofele. Lo osservò, perplesso, non sapendo che cosa fare. Era forse lì con intenzioni non proprio amichevoli? Il demone lo fissò, serio, solo per qualche istante. Poi sorrise.

“Allora… è vero?” domandò Mefistofele.

“Cosa?” alzò un sopracciglio Keros.

“Che sei figlio di… quello là, insomma. Ci siamo capiti…”.

“Sei qui per offendere? O per infierire? Comunque sì, è vero… mi dispiace che tu ti senta preso in giro. Credevi di aver addestrato il figlio del re e invece…”.

“Non mi sento preso in giro! Anche se sì, sono offeso. Ma non con te… posso entrare?”.

Confuso, Keros indicò a Mefistofele la cucina ed offrì del vino.

“Sono offeso" ammise il demone, dopo qualche sorso “Hanno ucciso i miei camerieri! Quei ragazzi che mi hai mandato, ricordi? Ora ho problemi di personale. E chi mi rifonde? Perdo clienti, con demoni in meno nel locale! Ma da chi dovrei andare a lamentarmi? Dal re? Non credo proprio!”.

“Io…”.

“Tu… perché pensi che io possa sentirmi preso in giro?! Ti ho addestrato e vado fiero del risultato. Ed il fatto che tu sia mezzo angelo mi gonfia doppiamente d'orgoglio".

“Che…?”.

“Ho reso un mezzoangelo un tentatore! Ti ho fatto svelare e coltivare il tuo lato sensuale, malvagio, sadico. Ti ho reso un procacciatore di anime. Penso di essere stato piuttosto bravo!”.

“Davvero? Non pensi che sia stato strano o… rivoltante?”.

“Strano forse un pochino. Rivoltante certo che no. Ma torniamo a parlare d'affari. Che pensi di fare ora? Ho sentito che sei chiuso qui con un umano moribondo ed un gruppo di figli dei traditori. Qual è il tuo piano? Come pensi di vivere? Continui a fare il tentatore?”.

“Al momento no” ammise Keros, preparandosi un tè.

“Resti qui per l'umano?”.

“Sì…”.

“Capisco… Malaphar lo ha visto?”.

“Malaphar è costretto dal re a venire qui. Ma curare un umano per desiderio di un mezzo angelo… credo lo trovi abbastanza schifoso”.

Mefistofele non disse nulla e sorseggiò ancora vino.

“Secondo te…” prese coraggio Keros “Perché non è stato punito?”.

“Chi?”.

“Mihael. Per aver… avuto me”.

“Bella domanda! Me lo sono chiesto pure io e sai a che conclusione sono giunto? Secondo me a Dio non importa. Una volta controllava tutto, umani ed angeli. Interveniva per delle sciocchezze, osservava ogni cosa e rompeva le balle per qualsiasi cosa. Chiedi ad Alukah quanto rompeva un paio di millenni fa! Ma ultimamente non fa nulla. Qualche apparizione di dubbia natura ma nulla di più. Oppure ha dovuto scegliere fra il punire Mihael, rinunciando all'Arcangelo che dovrà combattere durante l'Apocalisse, ed il chiudere un occhio. O anche due… Ma che differenza fa?”.

“Mi chiedevo solo che cos'ho io di diverso…”.

“Tutto, direi. Ti dispiace così tanto essere unico?”.

“Io…”.

“Sei di nuovo insicuro?” ghignò Mefisto “Come quando eri piccolo? Devo per caso farti spogliare di nuovo?”.

“Ma anche no!”.

“Devi credere in te stesso e nelle scelte che fai. Se hai rivelato a tutti la verità, è perché pensavi fosse la cosa giusta da fare. Se resti qui con quell'umano, è perché credi sia la cosa migliore! Non sei forse convinto?”.

“Io… Forse hai ragione. È che non ho molto aiuto. Sinceramente, ho paura che i demoni ora vogliano uccidermi. E che lo vogliano anche gli angeli!”.

“Io non voglio ucciderti. Il re vuole ucciderti?”.

“Non credo…”.

“Non penso proprio. Non dopo essersi fatto un mazzo tanto per crescerti. Quindi dov'è il problema? Ti difenderai. E vincerai, perché sei stato addestrando alla grande! Difenderai le tue scelte ed i tuoi territori. E l'umano, ovviamente!”.

Keros, dopo qualche istante di perplessità, sorrise.

“Hai ragione" ammise “Non sono un cucciolo. Che tentino pure di uccidermi o ferirmi, mi difenderò. E difenderò chi ho accanto!”.

“Questo è il giovane tentatore che ho addestrato! E ora posso farti un'altra domanda?”.

“Certamente".

“Posso vedere i piccoli che hai qui con te?”.

“Perché?”.

“Credo che uno sia figlio di un mio ex dipendente…”.

Il demone fissava la porta, da cui si intravedevano delle figure. I bambini stavano spiando i due adulti, disobbedendo a Keros che li aveva invitati alla prudenza. Sentendosi chiamati in causa, i cuccioli entrarono in cucina. Mefistofele, con il tipico ghigno sul viso, indicò uno di loro e chiese conferma.

“I tuoi genitori lavoravano per me, vero?”.

Quando il piccolo ebbe annuito, il tentatore si chinò per osservarlo meglio.

“Che tipo di demone sei?” volle sapere “Vampiro? Mutaforma? Elementale? Ipnotizzatore?”.

“Io faccio il ghiaccio con le mani".

“Oh… mi andresti proprio comodo nel bar" ridacchiò Mefistofele “Scherzo, ovviamente. Ad ogni modo, se ti va… io sono un maestro, al momento senza allievi. Vorresti venire con me?”.

“Sei serio?” mormorò Keros.

“Serissimo. I suoi genitori erano molto portati. Non mi interessa se erano traditori o presunti tali. Se non hai qualcosa in contrario…”.

“Deve decidere il bambino".

Il piccolo sorrise, entusiasta.

I due adulti discussero ancora un po' di altre questioni meno importanti e, quando se ne andò, Mefistofele portò via con sé il cucciolo demoniaco. Promise a Keros di tornare a presto a controllare la situazione, ordinando al mezzosangue di non lasciarsi scoraggiare.

Di nuovo solo, Keros si sentì sollevato. Era davvero felice di sapere Mefistofele dalla sua parte! Ed era ancora più felice di aver trovato una sistemazione per uno dei piccoli. Ma ora doveva tornare da Ary…

 

“La smetti di fissarmi come se ti avessi pestato la coda?” sibilò Lucifero, rivolto ad Asmodeo.

Il re dell'Inferno era appena uscito dalla stanza dove Leonore ed Espero dormivano ed era tornato in ufficio. Spaparanzato in diagonale sulla sedia, era irritato dallo sguardo del generale. Il grosso demone soldato non diceva una parola, ma non riusciva a nascondere il proprio disappunto.

“Apri la bocca" lo minacciò il sovrano “O vattene a fare in culo! Odio quella faccia!”.

“È troppo vigliacco" ipotizzò Lilith, entrando alle spalle del generale e raggiungendo il re “Forse è infastidito dal fatto che presto avrà una regina che un tempo era umana".

“Per quel che mi riguarda…” sbottò Amodeo “Quella è umana e basta. Ma non sono affari miei”.

“Esatto!” gli ringhiò contro Satana “Non sono affari tuoi! E ora smettila!”.

Asmodeo si limitò a fare un verso, che irritò ancora di più il re degli Inferi. Frustrando la coda, il diavolo si alzò in piedi. Doveva essere un monito per il sottoposto, che non colse del tutto il messaggio.

“È Keros che ti infastidisce, vero? L'aver salvato dalle fiamme il figlio dell'Arcangelo Mihael. È quello il problema, vero?”.

“Non è Keros il problema" finalmente parlò Asmodeo “Ma suo padre. Perché c'è chi ha amato un umano ed è stato tramutato in demone? Perché angeli sono caduti mentre lui è ancora lì?”.

“Meglio così, non trovi? Vorresti Mihael qui all'Inferno?”.

“Vorrei fosse punito. La giustizia divina non esiste forse più?”.

Lucifero tornò a sedersi, quasi rilassandosi.

“Asmodeo…” parlò, accendendo una sigaretta “Tu ti ritieni più forte di Mihael?”.

“Io? Più forte? Io… non so…”.

“Te lo dico io: no, non lo sei. Mihael è l'Arcangelo più potente fra le milizie celesti, e sai bene che pare sia destinato a sconfiggermi. L'ho addestrato io in Paradiso, ricordi? Quando eravamo tutti dei piumini. Perciò conosco la sua forza e so che ti è superiore. Come demone, Mihael sarebbe un tuo superiore. E, forse, perfino il re”.

“Il re?! Mihael?! Pazzia!”.

“Crudele ironia divina. Per fortuna papà non ha punito il suo pupillo. Meglio per tutti noi. O forse preferivi lui al mio posto?”.

“Assolutamente no, maestà…”.

“Allora la questione è chiusa. E per quel che riguarda Keros… Spero non commetta altre pazzie, e torni presto a casa. Altre cose non mi interessano, e di conseguenza non devono interessare nemmeno a te! O a chiunque altro qui all'Inferno!”.

 

Da giorni ormai Mihael si era ritirato nelle proprie stanze a pregare. Non aveva alcun desiderio di incontrare altri angeli, o chiunque volesse parargli. La verità era ormai chiara a tutti, i pettegolezzi si sprecavano perfino in Paradiso. Un Arcangelo padre era un'assoluta novità e nessuno sapeva bene come comportarsi. Dal canto suo, Mihael non aveva idea di come giustificare la maggior parte degli accadimenti. Pregava, pregava in attesa di una risposta che non arrivava. 

Poco distante, Raphael e Camael discutevano sottovoce. Raphael il guaritore preparava un medicamento e Camael lo aiutava.

“Credi che Mihael uscirà presto dal suo raccoglimento?” si chiese Raphael “Mi fa preoccupare”.

“Deve solo smetterla di preoccuparsi" sorrise Camael.

“Preoccuparsi?”.

“Io rappresento l'amore puro, perciò so che non ha compiuto alcun peccato. Quella giovane demone da cui ha avuto un figlio non era una creatura malvagia, che lo ha tentato per indurlo in errore. Il loro legame era d'amore, amore vero. E Keros è il giusto frutto di quell'amore. Nessuno di noi dovrebbe giudicarlo, nessuno di noi ne ha l'autorità. Mihael non deve fare ammenda, altri angeli dovrebbero chiedere perdono per la loro gelosia e superbia".

“Le tue parole sono molto belle, Camael. Ma Mihael dovrebbe rappresentare tutti noi”.

“E lo fa. Non ha forse giudicato e protetto gli umani da esseri malvagi, per millenni? Il suo amore per Carmilla non ha mutato il suo modo di lavorare, lo ha reso solo di più larghe vedute. Non trovi? A me Keros piace. È gentile”.

“Ed assassino…”.

“Ha salvato anche delle vite. E molte delle vite che ha tolto erano di demoni, come fanno molti angeli. Mi piace vederlo come una specie di angelo speciale…”.

Raphael era perplesso ma si fidava del fratello, che rappresentava l'amore.

“Poi…” riprese Camael “Non ricordi che anche tu ti sei affezionata a quella creatura? A quell'umana? Come si chiamava? Sarah?”.

“Sarah era un’umana che ho aiutato a liberarsi dal fastidio di Asmodeo. Non ero innamorato di lei!”.

“Sei sicuro?”.

“Era promessa sposa di Tobia! Sta tutto scritto nella Bibbia!”.

“Mi fido…”.

Lo sguardo di Camael era poco convinto. Raphael quasi ribaltò un barattolo con delle erbe per l'imbarazzo e si voltò, dando le spalle al fratello per evitare di far notare il rossore sulle proprie guance.

“Credi sia successo solo a te?” insistette Camael “Molti angeli si sono innamorati. Alcuni hanno seguito il loro cuore, altri hanno ceduto alla tentazione ed al peccato, concedendosi solo per soddisfare un istinto e non per vero amore. Quest'ultimo gruppo è caduto, ma chi ha amato con il cuore è ancora qui in Cielo".

“Davvero è successo spesso?” si stupì Raphael.

“Più spesso di quanto tu pensi. Certo… solo Mihael ha avuto un figlio con una demone…”.

“Ed i figli fra angeli ed umani? I Nephilim?”.

“Quegli angeli sono caduti ma si sono congiunti con gli umani e solo perché li hanno trovati belli, non perché se ne sono innamorati”.

“Sicuro?”.

“È il mio lavoro…”.

“Mi fido".

“L'amore è dove meno te lo aspetti. Anche fra angeli…”.

“Fra angeli?!”.

Camael non disse altro. Vedeva Gabriel, che camminava rapido fino alla dimora di Mihael. Bussò con insistenza, finché l'Arcangelo guerriero non gli aprì.

“Spero non gli abbia portato dei fiori" ironizzò Raphael, con un mezzo sorriso.

 

La notte era limpida, leggermente fredda. Keros aveva acceso il fuoco del camino e messo a dormire i piccoli. Si preparava ad andare a dormire a sua volta, dopo aver fatto la doccia ed aver bevuto una tisana. Malaphar era passato di corsa, giusto a dare un controllo distratto. Infastidito, era subito tornato all'Inferno. Stanco, il principe si aspettava quella reazione e non ci fece troppo caso. Era ormai pronto a dormire quando udì un rumore. Rimase in silenzio, lungo il corridoio, muovendo le orecchie per cercare di sentire meglio. La porta dello sgabuzzino si aprì di qualche centimetro e una voce familiare chiese il permesso di entrare. Keros sorrise, quando un paio di grandi occhi argento si mostrarono nel buio.

“Simadè!” esclamò il mezzosangue, piacevolmente stupito.

“Posso entrare, Signore?” mormorò il servo, sottovoce.

“Ma certo! Che bello vederti! Come mai sei qui?”.

“Ho pensato che… aveste bisogno di compagnia ed aiuto".

“Hai ragione. Mi serve proprio un po' di sostegno”.

“Oh… bene. Temevo di essere d'impiccio…”.

“E Lilien? I miei piccoli?”.

“Lilien come sempre fa la messaggera, quindi è quasi sempre fuori da palazzo. I bambini sono in addestramento”.

“Non sono a palazzo nemmeno loro?”.

“No! Vivono con i loro maestri ed imparano a vivere a seconda della loro natura. Ovviamente tornano saltuariamente a palazzo, ma…”.

“Ma hanno solo trecento anni!”.

“E con ciò?”.

A Keros sembrava fosse qualcosa di assurdo ma poi, riflettendo, ricordò che anche lui a quell'età era stato affidato alle cure di Alukah per imparare a nutrirsi e sopravvivere come demone vampiro.

“Non dovete temere" riprese Simadè “Sono in ottime mani. Il re li adora!”.

“Lo so. Però…”.

“Potete andare a trovarli. I vampiri sono nel mondo umano ad imparare…”.

“Sul serio? Sai dirmi in che zona?”.

“No… ma posso scoprirlo!”.

“Mi renderesti molto felice!”.

“Ottimo!”.

Simadè sorrise, fiero. Poi si guardò attorno, curioso.

“Posso vederlo?” chiese.

“Chi?”.

“L'umano…”.

Keros trovò la richiesta piuttosto singolare. Accompagnò il Succubus fino alla porta della camera.

“È molto bello" commentò il servitore “Non mi stupisco che vi abbia fatto innamorare…”.

“Amo molte cose di lui. Però…”.

“Però?”.

“Sta morendo, Simadè. Sta morendo ed io non riesco ad aiutarlo…”.

“È il destino degli umani".

“Sì, ma lui è in quello stato per colpa mia! Non riesco ad immaginare il mio futuro con il peso della sua morte sulle spalle”.

“Molte morti peseranno su di noi, la nostra vita è lunga e piuttosto incasinata. Ma ricordate che io sono qua, a sostenervi. Se può servire a qualcosa…”.

“Non trovi rivoltante il fatto che ami un umano?”.

“No… sono solo un po' geloso".

Con un mezzo sorriso, i due lasciarono la stanza.

“Che cosa posso fare per aiutare?” domandò Simadè.

“Cerca di scoprire dove si addestrano i miei piccoli. Ora vorrei solo riposare. Domani vedrò di darti altri compiti. Va bene?”.

“Ottimo! Allora mi metto subito all'opera! A domani!”.

Il servitore lasciò la casa, pronto a fare ricerche. Keros, rimasto solo, tentò di mettersi a letto ma udì di nuovo un rumore. Si alzò, convinto fosse Simadè che aveva scordato qualcosa, e sobbalzò quando si trovò davanti Lucifero.

Il demone era serio, quasi infastidito.

“Dov'è l'umano?” borbottò il re.

“A letto…” rispose Keros, confuso “Perché?”.

“Andiamo. Proviamo misure più drastiche".

“Cosa intendi?!”.

Il sovrano camminò convinto fino alla camera e si lasciò sfuggire un lieve ringhio quando si trovò davanti Mihael.

“Che fai qui?!” fu il commento del mezzodemone, rivolto ad entrambi.

“Probabilmente abbiamo avuto la stessa idea" ipotizzò l'Arcangelo.

“Io e te la stessa idea?!” rise Lucifero “Mi sembra impossibile!”.

“Io sono qui per aiutare l'umano” parlò Mihael, calmo “Con una goccia del mio sangue, dovrei riuscire a guarirlo”.

“Oppure ucciderlo…”.

“Già. Hai ragione. E tu? Che avevi in mente?”.

“Io… forse hai ragione, abbiamo avuto la stessa idea… ucciderlo o salvarlo, belle alternative".

“Con il tuo sangue demoniaco, diverrà di certo un demone”.

“O morirà, perché troppo potente. E con il tuo sangue angelico diventerà… boh, non lo so!”.

“Non lo so neanche io. Ma sempre meglio che condannarlo a vivere agli inferi come demone!”.

“Un momento!” interruppe Keros “Siete seri?! Volete salvarlo davvero?”.

“Sì” incrociò le braccia Lucifero “Ora dicci che sangue vuoi".

“Che…?!”.

“Scegli. Vuoi che sia io, Satana, a donargli una goccia di sangue? O vuoi quello di Mihael?”.

“In entrambi i casi potrebbe morire, giusto? Perché il vostro potere è alto".

“Esatto. Ma sta crepando lo stesso! Perciò…”.

“Non potete chiedere a me di compiere una scelta simile per lui!”.

“Tu lo conosci molto bene" cercò di farlo ragionare Mihael “Pensa a quel che vorrebbe".

“Andiamo!” sbottò il diavolo “È facile! Come demone, starete assieme. Come angelo, o altra creatura mezza santa, non potrete amarvi. Decisione semplice!”.

“No, per niente! L'Inferno non è di certo un luogo stupendo, per chi non ci è abituato!”.

“Anche se non starà con me, non importa" sospirò Keros “Quel che conta più  di ogni altra cosa è che sia felice. Cosa lo renderà più felice? Non posso saperlo…”.

“Ti fai troppi problemi…” sbuffò il re.

Il mezzosangue era perplesso, confuso. Non sapeva che cosa fare e si stava innervosendo. Poi, di colpo, riprese la calma.

“Dicono che il fato non esiste, che ogni cosa accada per una ragione” mormorò “Se è vero, lascerò che accada quel che è giusto che accada”.

“Cioè?” alzò un sopracciglio il sovrano.

Keros prese il bicchiere che stava sul comodino accanto al letto e lo riempì per metà di acqua. Poi si avvicinò all'Arcangelo ed al Diavolo.

“Una goccia ciascuno" spiegò il principe.

“Diluito, così non dovrebbe fargli troppo male" capì Mihael, facendo colare una singola goccia nell'acqua.

“Non capisco perché lo fai" ammise Lucifero, imitando lo stesso gesto “Ma fa come vuoi”.

Dopo aver aggiunto anche il proprio sangue, Keros mescolò con cura. Poi si avvicinò ad Ary e gli accostò il bicchiere alla bocca. Gli concesse solo un sorso e poi attese. Non accadde nulla, angelo e demone si fissarono perplessi.

“Dagliene ancora" incitò Lucifero.

Il principe concesse un altro sorso all'umano e poi indietreggiò. Ancora nulla.

“Che strano" commentò l'Arcangelo “Forse è troppo diluito. Oppure…”.

Gli occhi di Ary si spalancarono di colpo. Keros sobbalzò e lo chiamò per nome, sfiorandogli la mano. Il battito cardiaco del mortale si faceva sempre più rapido, mentre con occhi vitrei fissava il vuoto. Sempre più caldo al tatto e rosso in viso, iniziava a far preoccupare tutti i presenti.

“Ary!” urlò Keros “Dimmi qualcosa!”.

Il mortale spalancò la bocca, come a voler urlare, ma non emise alcun suono. Il cuore era sempre più rapido, pompava ad un ritmo pericolosamente sostenuto, mentre il corpo dell'uomo si irrigidiva in tensione.

“Ary!” chiamò di nuovo il principe e l'umano si rilassò di colpo.

La testa coi lunghi capelli corvini ricadde di lato sul cuscino, chiudendo di nuovo gli occhi.

“Il suo cuore…” gemette il sanguemisto “Il suo cuore si è fermato!”.

 

 

Scusate il ritardo. Ma spero che la lunghezza ripaghi l'attesa ;) a presto!

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Capitolo 64
*** Lo splendore delle stelle ***


64

Lo splendore delle stelle

 

La mente di Keros si offuscò per qualche istante, sprofondando nel buio. Si scosse, imponendosi di reagire, e riprese lucidità.

“Ary!” urlò, tentando di rianimarlo.

Mihael e Lucifero non parevano particolarmente sconvolti, abituati alla vista di umani morti o morenti.

“Sarebbe morto comunque" fu il commento del re dei demoni, con il viso privo di espressione.

Keros si voltò di scatto, dedicando al diavolo il peggior sguardo possibile, con un bagliore rossastro negli occhi.

“Lui non può morire!” esclamò il principe, iniziando il massaggio cardiaco “Ci sono troppe cose che devo dirgli. Ci sono troppe cose che deve ancora fare. Non gli permetterò di crepare adesso!”.

“Ammiro la tua testardaggine" scosse la testa Lucifero “Però ricorda che…”.

“Taci!”.

Keros ignorò ogni altra cosa, volendo solo far risvegliare Ary. Ma il tempo passava, ed ancora quel cuore non voleva saperne di emettere alcun battito. Frustrato, il principe batté forte i pugni contro il petto del mortale, mentre calde lacrime iniziavano a scendergli lungo le guance.

“Keros…” tentò di dire Mihael, non sapendo bene che parole usare.

“Non è possibile!” si alzò in piedi il mezzodemone, iniziando ad inveire contro l'umano “Non puoi morire! Non dopo tutto quello che ho scoperto! Non dopo tutto quel che ho capito! Sono quasi impazzito, per un motivo o per un altro! Sono stato fra suore, preti, umani di ogni sorta, mezz’umani assurdi e… ora? Non puoi! Non ora che mi era parso di comprendere lo schema tracciato per me! Non te lo permetto! Sono un egoista del cazzo, porca puttana, ed ho bisogno di te! Ho bisogno di capire che tutto quel che ho fatto fin ora ha un senso e che non devo ricominciare tutto daccapo! Non ti azzardare a lasciarmi qui! Ary! Ti odierò per sempre se oserai crepare così!”.

Gli sguardi perplessi di Mihael e Lucifero si incrociarono, mentre Keros accompagnava le sue ultime parole con uno schiaffo. Sconfitto, il sanguemisto tornò ad accoccolarsi accanto al letto, afflitto, cercando di nascondere il volto fra le lenzuola.

“Smettila di singhiozzare" lo derise Lucifero “Alza la testa!”.

“Vaffanculo" biascicò Keros.

“Idiota…”

Il principe rialzò la testa di scatto, ringhiando.

“Lasciami in pace!” sibilò il sanguemisto, con volto cupo e minaccioso.

Il sovrano scoppiò a ridere e l’ira del principe si fece più accesa, trasformandolo nella creatura dalle corna blu notte che erano soliti vedere gli abitanti degli inferi.

“Come puoi ridere di questo?!” ringhiò il mezzodemone “Pezzo di merda!”.

Il giovane fece per scagliarsi contro il re, che continuava a ridere, ma Mihael lo afferrò saldamente per un braccio. Ignorando le proteste, l’Arcangelo tentò di calmare il figlio con parole ferme e rassicuranti… che ovviamente Keros ignorò!

“Ma interrotti il tuo cianciare iroso un attimo e guarda!” lo derise ancora Lucifero, indicando il letto.

Solo in quel momento il mezzodemone si voltò verso Ary. L’umano era sveglio, e fissava i presenti con aria interrogativa.

“Ary!” riuscì a pronunciare il tentatore, probabilmente convinto di sognare.

“Keros…” rispose il mortale, con un filo di voce.

Il principe si avvicinò, stringendo finalmente la mano calda del proprio amato. Riusciva chiaramente a percepire un battito cardiaco forte, regolare: il suono più bello che mai avesse udito!

“Cosa… cosa succede?” si chiese l’umano “Che cosa è successo?! Perché ci sono loro nella mia camera?”.

“Storia lunga. Molto lunga” ammise Keros “Non so nemmeno da dove iniziare! Ci sono talmente tante cose che devo dirti!”.

“Già…” borbottò Lucifero, fissando Mihael “E noi ce ne dobbiamo andare, vero?”.

“Sì… noi… abbiamo molto da fare” biascicò di rimando l’Arcangelo.

“Grazie” disse loro il mezzodemone “Per tutto…”.

“Grazie, qualsiasi cosa abbiate fatto” aggiunse Ary e Keros trattenne una risata.

“Ho i papà migliori del mondo” ammise il vampiro “Anche se a volte voglio ucciderli entrambi…”.

“E… i bambini chi sono?”.

I piccoli ospiti, figli dei traditori, si erano affacciati per curiosità ed il mortale li aveva notati, non riconoscendoli.

“Ti racconterò anche questo. Ma partiamo dal principio…”.

 

Keros narrò tutto quel che aveva scoperto sulla famiglia di Ary, sul suo passato, e tentò di riassumere tutto quello che era successo in quei mesi di separazione.

“Mi sei mancato tanto…” mormorò, alla fine.

“E quindi io… ora cosa sono?” si sentì chiedere dal padrone di casa.

“Non lo so. Suppongo che lo scopriremo presto…”.

“Pazzesco. Il prete che mi ha cresciuto… è per metà un demone?! Ed i miei antenati erano demoni! Mi sembra così… assurdo!”.

Poggiato con la schiena contro la sponda del letto, il mortale fissava il soffitto. Era turbato, decisamente confuso, ed un pochino spaventato.

“I tuoi antenati sono in vita” lo corresse colui che aveva di fronte.

“Sono in vita…? Ma non mi hai appena detto che…?”.

“I tuoi genitori sono morti, è vero. Ma altri della famiglia sono in vita”.

“Ho dei parenti?! Demoni?!”.

“Esatto”.

“E come si chiamano?”.

“Il parente più diretto che hai si chiama Alukah. È il tuo bisnonno”.

“Alukah?! Il demone vampiro di anime della Bibbia? Il tuo maestro?”.

“Esatto!”.

“Il padre del tizio di cui ti eri innamorato?”.

“Ehm… già…”.

“Cioè… tu ti eri innamorato di mio nonno? Ok… è un po’ strano…”.

“In effetti…”.

“Ma… pensiamo ad altro. Dici che questo mio parente voglia vedermi? Conoscermi?”.

“Non lo so. Dipenderà anche da quel che succederà. Non so quali saranno le conseguenze del sangue di angelo e demone che hai in corpo…”.

“E… quali sono le possibilità?”.

“Sinceramente non ne sono affatto sicuro. Non è una cosa che accade ogni giorno. In linea di massima, direi che potresti diventare demone. Dato che in parte hai sangue demoniaco dalla nascita, il potere mio e di Lucifero potrebbero amplificarlo e renderlo di tratto dominante. Dall’altro lato, invece, abbiamo il sangue di angelo. Quello non ho proprio idea di che possa fare”.

“Potrei anche rimanere un semplice umano?”.

“Possibile anche questo. Solo il tempo ce lo potrà dire”.

“Quanto tempo, esattamente?”.

“Altra cosa che non so…”.

Il padrone di casa fece un sospiro, mordicchiandosi il labbro inferiore. Odiava l’idea di non sapere quel che lo aspettava!

“E Leonore?” domandò poi “Sta bene? Ed il suo bambino?”.

“Stanno entrambi bene e sono all’Inferno”.

“Lei e Lucifero sono… sposati?”.

“No. Da quel che ho capito, stanno progettando una cerimonia d’incoronazione. Diverrà regina, non sposa”.

“Mi pare una buona cosa, no? Lei ne è felice?”.

“Ary… continui a farmi domande a cui non so rispondere!”.

“Non fa niente” rise l’umano “Sai… sono molto felice! Devo ringraziarti per tutto. Non sapevo nulla di me e ora conosco il nome dei miei genitori, ho un passato e perfino un parente! È il regalo più speciale che potessi farmi, dico davvero”.

“E… non sei ancora arrabbiato con me?”.

“Arrabbiato? Per…?”.

“Per tutte le questioni che ci hanno fatto litigare. Le risse in casa con Lucifero, la mia gelosia, la piccola faccenda dei miei figli…”.

“Sono faccende di cui torneremo a discutere, immagino. Ma sono così sollevato! Credevo di non rivederti più!”.

“Sapessi io… mi sei morto davanti…”.

“Ma ora sono qui. Noi SIAMO qui. È questo quel che conta, giusto? Ed insieme affronteremo quel che verrà”.

“Certo… qualsiasi cosa accada, qualsiasi conseguenza potrà portare quel sangue, io starò accanto a te. Ed ora basta fare i sentimentali. Sarai stanco, immagino. O affamato. Vuoi qualcosa da mangiare?”.

“Preparami un po’ di tè, se non ti dispiace. Ho lo stomaco un po’ sottosopra…”.

“Vado!”.

Keros si alzò dal letto e raggiunse la porta della camera. Si voltò, con un sorriso sul volto.

“Sai…” disse, prima di scendere le scale per entrare in cucina “…nei tuoi occhi ora si vede l'intero splendore del cielo di stelle. Spero mi concederai di guardarli per sempre!”.

“Non fare troppo lo sdolcinato. Altrimenti vomito!”.

“Come darti torno? Arrivo subito…”.

 

I primi giorni trascorsero tranquilli. Il padrone di casa si stava riprendendo, dopo il lungo periodo di immobilità. Con qualche esercizio, iniziava a potersi concedere qualche ora in piedi senza troppo sforzo. Keros gli raccontava tante cose, sulla famiglia demoniaca e sulle creature dal sanguemisto. Intanto, tentava di continuare ad aiutare alcuni studenti. Il mezzodemone aveva comunicato all’università la decisione del mortale di prendersi un anno sabbatico, da dedicare alle proprie ricerche personali. Questo aveva permesso la presenza di uno stipendio minimo, cosa a cui Keros non aveva mai dovuto pensare prima di quel momento. Si era sempre arrangiato con questioni legate all’Inferno ma con Ary aveva deciso di seguire una strada più “terrena”.

“E se poi io diventassi un angelo?” aveva chiesto l’umano “O una specie di zombie vampiro?”.

“Non importa. Io starò accanto a te e vivrò come te”.

“Gentile da parte tua ma… non ti mancherà la vita da principe?”.

“Ho vissuto mesi in una grotta! Posso farcela a fingere di essere umano! Mefistofele mi ha fatto lavorare nel bar ma, ti prometto, se tu rimarrai del tutto umano allora io mi comporterò come tale. Sarò umano, almeno apparentemente, finché vivrò qui con te”.

“Ed i piccoli dei traditori?”.

“Sto cercando di trovare una soluzione anche per loro. Una cosa alla volta…”.

“Però… devo dire che non mi sento molto umano, ultimamente”.

“Cioè?!”.

“Non saprei. Una sensazione…”.

“Spiegati meglio!”.

“Sono più sensibile. Agli odori, ai sapori, alla luce…”.

“Strano. Ma descrivimi queste sensazioni in modo più dettagliato!”.

Ary descrisse come poteva quel che provava, ma era difficile. Erano entrambi seduti sul divano, e fissavano il fuoco nel camino. Keros sosteneva che lo aiutasse a riflettere…

Non passò molto tempo prima che si sentisse bussare alla porta. I due si fissarono, perplessi. Era notte, fuori era buio e faceva molto freddo. Chi poteva essere? Il mezzodemone andò cautamente ad aprire.

Rimase alquanto stupito di vedersi davanti l’elegante vampiro che lo aveva addestrato per secoli!

“Dunque è vero?” domandò Alukah.

“Che cosa, maestro?” finse di non capire Keros.

“Che qui abita un mio nipote. È vero che un discendente del mio adorato figlio Nasfer è in vita?”.

“Sì… però…”.

“Però che cosa?!”.

“Lui è…”.

“Lo so che cos’è! Non mi interessa! Fammelo vedere!”.

“Ma…”.

Alukah entrò in casa senza attendere altro. Keros era preoccupato. Che intenzioni aveva il suo antico maestro? Odiava gli umani, quasi quanto Lucifero! Eppure, in quel momento, il vampiro osservava il mortale in silenzio. Senza reazioni eccessive, lo osservava a distanza di sicurezza. Il mortale era seduto sul divano, ancora debole e piuttosto perplesso. Perché quel tizio inquietante, vestito tutti di nero e pallido da far spavento, lo fissava? E perché restava in silenzio?

“Hai gli occhi dell’umana che lui amava tanto” parlò infine Alukah “Hai lo sguardo che tanto amava Nasfer. Sei davvero… mio nipote?”.

 

 

Ciao! Sì, ci ho messo un po’ ad aggiornare. Purtroppo l’influenza mi ha stesa. Sigh… cercherò di recuperare!!

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Capitolo 65
*** Rinascere ***


65

Rinascere

 

All'Inferno, il generale Asmodeo camminava per il palazzo reale quasi con noia. Controllava che tutto fosse in ordine, qualsiasi cosa questo termine volesse dire all'Inferno. Con la testa pensava a molte cose. Non riusciva a stare tranquillo con la mente, fra Leonore futura regina e Keros mezzo Arcangelo. Dove si sarebbe andati a finire, continuando di questo passo? Se lo chiedeva, trascinando i piedi lungo il corridoio. D'un tratto, udì qualcuno cantare. Era una voce femminile ed il demone ne fu incuriosito. Gli sembrava di conoscere quella canzone, ma proprio non ricordava dove l'avesse già sentita. Seguì la melodia e salì le scale in pietra, raggiungendo il piano riservato al sovrano. Sapeva che non doveva andarci, se non per emergenza, ma era troppo curioso. Aprì la porta in legno nero che lo divideva dal corridoio dell'ala privata e capì che a cantare era Leonore, con in braccio il principino Espero. La donna camminava avanti ed indietro, tentando di far addormentare il piccolo. Il demone rimase nascosto, in silenzio. Il canto proseguiva ed Asmodeo si sentì piuttosto stordito. Ricordi lontani si stavano destando nella mente del generale e lo facevano sentire a disagio. Che strana sensazione… Quelle parole… Lei era di schiena e si muoveva lentamente, avvolta in un morbido abito con lo strascico color della notte. I capelli biondo scuro risaltavano ed erano ricchi di onde e nastri. Di colpo, smise di cantare e si voltò verso Asmodeo. Nella penombra, gli occhi di entrambi brillarono intensamente.

“Che succede?” si allarmò lei, ricordando che ad Asmodeo era proibito trovarsi lì, se non per emergenza.

“Nulla!” si affrettò a rispondere il generale “Sono passato a controllare perché… mi era sembrato di percepire qualcosa di strano ma… mi sbagliavo!” mentì.

“Meno male! Mi sento davvero molto rassicurata dall'idea che ci sia tu a vegliare”.

“Mi lusingate. Ma… posso fare una domanda?”.

“Certamente”.

“Quella canzone… dove l'avete imparata?”.

“Non te lo so dire, mi dispiace. La conosco da sempre. Perché?”.

“Nulla… Non importa. Meglio vada…”.

Imbarazzato ed impacciato, il generale si allontanò in fretta e tornò al piano terra. Aveva alcuni dubbi da togliersi dalla testa…

 

Alukah continuava ad osservare Ary, cercando di levarsi ogni perplessità possibile dalla mente. Quell'umano era strano, per essere un mortale. Keros, ancora sospettoso, non si fidava e voleva capire le reali intenzioni del maestro. Restava in piedi, a braccia incrociate, mentre l'ospite ed il padrone di casa sedevano su divano e poltrona.

“Cosa vi ha spinto a cambiare idea?” chiese il sanguemisto “Fino a non molto tempo fa, ricordo che schifavate gli umani e la loro esistenza".

“Vero" ammise Alukah, candidamente “E, all'inizio, non provavo sentimenti diversi per la situazione attuale.

Solo l'idea di avere un erede di sangue mortale mi disgustava. Ma poi ho udito delle voci. Tutto il regno ha iniziato a parlare del mezzo umano bastardo che ha difeso con coraggio la futura regina ed il neonato figlio del re. Ci vuole fegato, per fare una cosa simile. Tutti discutevano di quanto avvenuto, lodandoti ammirati. Così mi son detto che non poteva essere poi così male questo mio erede… Coraggioso, forte e leale! Poi sei sopravvissuto al morso di demoni velenosi, quindi non puoi essere un misero, flaccido e smidollato umano. Di quelli di cui mi nutro volentieri".

“Ma che razza di discorsi…” incrociò le braccia il principe.

“Poi ha rubato il cuore al mio allievo, che so non essere uno sprovveduto. Siete di gusti difficili, altezza, perciò quest’uomo dev'essere davvero speciale!”.

“Lo è. Ma…”.

“Sei geloso? Tranquillo… non te lo porto via!”.

“Ci mancherebbe altro!”.

“Iniziamo con le presentazioni. Ancora non so qual è il tuo nome, umano".

“Il mio nome? Ary. Ary va benissimo" riuscì finalmente a parlare il padrone di casa.

“Ary? Non è un nome molto demoniaco…”.

“È il nome che mi è stato dato…”.

“Che ne dici di… Arikien? Il diminutivo è sempre Ary, ma con una diversa etimologia".

“Che significa?”.

“È un numerale" spiegò Keros “Significa: il primo. In effetti, saresti il primo umano a cui accadono certe cose".

“Non mi dispiace come nome".

“Usalo pure, allora" sorrise Alukah.

“Quindi, stando a come si organizza il mondo demoniaco, voi siete il patriarca della famiglia?”.

“Non usiamo il termine patriarca" corresse il vampiro, incrociando le mani e piegandosi in avanti con un mezzo sorriso “Anche perché, nel nostro caso, non calzerebbe molto. Io sono figlio di Lilith, perciò il capostipite della famiglia è lei. È lei la prima gemma del nostro grande albero di famiglia".

“Lilith?! Wow. Sono… onorato. E poi? Ho altri parenti in vita?”.

“Molti. Ho due figlie, che hanno molti figli. E Lilith ha un lungo elenco di eredi. Se, come si dice, in te si risveglierà sangue demoniaco, potrai conoscerne qualcuno”.

“E se non mi risvegliassi come demone?”.

“Non sarebbe per me un problema. Ma per molti altri demoni sì…”.

“Quindi… come agiamo? Come si fa a capire?”.

“Potremmo provare con l'addestramento dei piccoli. A volte, anche fra i cuccioli demoniaci non si comprende bene che ruolo possano avere. Con qualche piccolo esercizio si potrà capire…”.

“E non sarà pericoloso?” si allarmò Keros.

Alukah rispose con una risatina divertita. Di certo non voleva mettere in pericolo un suo erede! Doveva solo organizzare qualche esercizio…

 

“E perché Asmodeo era nelle tue stanze?” si chiedeva, perplesso, Lucifero.

Leonore aveva raccontato lo strano incontro avvenuto poche ore prima, con un sorriso. Trovava divertente la gelosia del sovrano e si divertiva a stuzzicarlo, ora che lo aveva tutto per sé in camera.

“Diceva di aver percepito un pericolo. E si era sbagliato. È stato molto gentile…”.

“Gentile? Asmodeo? Se lo dici tu…”.

“Non è successo niente! Non mi ha nemmeno sfiorata”.

“Devi stare più attenta. Sei all'Inferno, non alla fiera di paese!”.

La donna storse il naso, leggermente infastidita. Il bambino dormiva nella culla e lei si svestì, per indossare la camicia da notte. Sciolse i capelli e sistemò la candida veste ricamata. Lucifero la osservava, in silenzio. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle curve sensuali, da quel seno arrotondato e quella pelle candida. Come poteva trovarla ogni giorno più bella? Leonore notò quello sguardo e sorrise.

“Sembri un angelo, sai?” mormorò il demone.

“Ed è un bene o un male?”.

“Decidi tu…”.

Il sovrano si avvicinò e le diede un bacio.

“Ti stai abituando a vivere qui? È un bel cambiamento rispetto al mondo umano…”.

“Smettila di chiedermelo. Il mio posto è accanto a te, ovunque tu sia…”.

“Ovunque io sia…”.

Quelle parole… Erano così familiari e così dolci! Leonore continuò a sorridere e rispose al bacio del re.

“Sto imparando a ballare, sai?” mormorò, facendosi abbracciare.

“Per me?” rispose Lucifero.

“Per la cerimonia d'incoronazione. Voglio sia tutto perfetto!”.

“E lo sarà. Al massimo mi pesterai i piedi…”.

“Idiota!”.

Risero entrambi. Leonore si fermò ad osservare il sovrano che si preparava per concedersi un po' di riposo, e sbottonava la camicia senza distogliere lo sguardo dalla donna. Lei sedette a letto e si mordicchiò il labbro inferiore.

“Non rivestirti" gli sussurrò.

“Come tu ordini" ghignò il demone, raggiungendola.

La veste leggera che copriva la donna si scostò facilmente fra le dita di Lucifero. Attenti a non svegliare il prezioso erede, iniziarono a fare l'amore con dolcezza.

“Ti amo. Ti amo tanto" mormorò Leonore, stringendo forte il demone a sé.

Lucifero non rispose a quelle parole. Sorrise, donando alla futura regina ciò che in quel momento desiderava di più: un intenso ed indimenticabile piacere.

 

Il mondo umano non era il luogo preferito di Asmodeo, lo doveva ammettere. Gironzolava, in attesa. Sapeva che sarebbe comparso, prima o poi. Doveva farlo! Non dovette attendere molto prima che una luce attirasse la sua attenzione. Alzando li occhi, si trovò davanti la veste e lo sguardo color ametista di Rapahel.

Ogni angelo aveva il proprio demone e Raphael aveva proprio Asmodeo come nemesi. Sbirciò il generale con sospetto. Che ci faceva nella notte, in mezzo alla città, solo? Che aveva in mente?

“Scendi" ordinò Asmodeo “Devo parlare con un angelo".

“Come sei scortese. Come mai sei qui?” rispose l'Arcangelo, poggiando i piedi a terra.

“Ho una domanda da farti, angioletto. E spero di ricevere una risposta esaudiente".

“Una domanda?! Che cosa strana…”.

“Vieni con me".

Asmodeo si incamminò lungo la strada illuminata. Pochi mortali la percorrevano, vista l'ora tarda. Angelo e demone si confondevano fra loro, celando il loro vero aspetto. Per sfuggire dal freddo dell'inverno, il generale trascinò l'Arcangelo in uno dei tanti locali notturni di quella città umana. Raphael era a disagio, ed accettò con riluttanza, ma era suo compito capire quel che aveva in mente l'abitante degli Inferi.

“Che vuoi chiedermi, diavolo?” borbottò l'Arcangelo “Sbrigati, che me ne torno a casa”.

“Promettimi solo che non ne parlerai troppo in giro".

“Non faccio promesse ai demoni. Dovresti saperlo…”.

“Bene. Fa come vuoi…”.

“Dimmi quel che vuoi sapere. Vediamo che posso fare".

“Io… Mi chiedevo… Dove vanno gli angeli, quando muoiono?”.

“Gli angeli non muoiono. E tu lo sai”.

Asmodeo attese qualche istante. Si era ordinato un superalcolico, mentre Raphael si gustava un latte macchiato, fra lo sguardo ironico dei mortali presenti.

“A volte succede. E tu lo sai…” ribatté il generale.

L'Arcangelo distolse lo sguardo, concentrandosi su alcuni quadri di dubbio gusto appesi alle pareti.

“Sai che è successo, Raphael” incalzò Asmodeo.

“Lo so. Che ti devo dire?” sbottò Raphael.

“Lei… lei è tornata da Dio?”.

“Lei…”.

“Sophia”.

“Lo so. Ma non posso rispondere. Non la vedo in Cielo, non la percepisco. Perciò non so dirti dove sia e cosa le sia successo".

“E se… fosse rinata?”.

“Rinata?! Ma la rinascita non rientra fra i dogmi esistenti nel nostro mondo!”.

“Lo so! Ma non sappiamo cosa succede, giusto? Potrebbe essere!”.

“Ma come ti vengono in mente certe idee?! Hai bevuto?!”.

“Sì, ho bevuto. Ma le mie idee non hanno niente a che fare con l'alcol! Potresti dirmi, con assoluta certezza, che non possa succedere? Puoi dire con totale convinzione che mai e poi mai un angelo potrà rinascere dopo la morte?”.

“Io… E come faccio a dirlo?! Certe cose le sa solo Dio! Solo Dio può avere simili certezze".

“Ma comunque Sophia non è con Dio…”.

“Non mi risulta. Ma perché lo chiedi?”.

“Quella donna… io quella donna la vedo, e la sento. L'ho sentita cantare e… quella canzone era una canzone del Cielo! Nessun umano dovrebbe conoscerla. Eppure lei…”.

“Non so di chi parli".

“Di quella femmina! Quella che ha avuto un figlio con Satana".

“Ah. Magari è stato lui a cantare. E lei l'ha imparata…”.

“No. Lei mi ha detto di conoscerla da sempre! Poi come ha potuto una semplice mortale avere un figlio con il Diavolo? E l'hai vista? Come si muove, come parla, come ti guarda…”.

“Se questa umana fosse la rinascita di Sophia, dovrebbe essere una creatura angelica. No? Non un demone! Non ha molto senso che viva all'Inferno!”.

“Non so… Sono confuso…”.

Raphael era perplesso. Per lui era troppo assurdo che Sophia fosse rinata in una semplice umana, poi diventata una demone fattrice di piccole creature tartariche. Fissava la tazza ormai vuota di latte macchiato, mentre le luci e la musica del locale lo stordivano. Come potevano i mortali divertirsi tanto in un luogo simile? Al tavolo di fronte, un gruppo di ragazze osservava angelo e demone con risatine interessate. L'Arcangelo non colse la cosa, nonostante i suggerimenti di Asmodeo, e finse indifferenza. Il demone, al contrario, si alzò ed invitò a ballare le fanciulle. Raphael rimase ad osservarli. Vedeva il suo nemico muoversi con sicurezza, comprendere perfettamente ogni comportamento umano e reagire di conseguenza. Reggendosi la testa con la mano sinistra, l'Arcangelo rimase quasi affascinato. I demoni erano in perfetta in sintonia con il mondo mortale! Era mai possibile che i diavoli fossero connessi, molto più degli angeli, con gli umani? Possibile che il Cielo si fosse allontanato così tanto da quelle creature?

“Tutto a posto, tesoro?” domandò una cameriera in jeans e maglietta corta.

“Sì” annuì Raphael “Portami un White Russian. Abbondante. E per il mio amico un White Lady…”.

 

Ogni giorno che passava, Ary si sentiva sempre più in forze. Passava il tempo leggendo storie ai bambini dei sovversivi e cercando di capire quali cambiamenti avvenivano in lui. Si era accorto di alcune cose, ma Keros lo teneva buono. Aveva come ordine di stare tranquillo fino a completo recupero fisico. Nel frattempo, il mezzodemone cercava di proseguire il più possibile con la vita da umano. Era stufo, fra commissioni, spese e mortali con cui avere a che fare. Ma alla fine tornava a casa e sorrideva, vedendo Ary. Quella sera, era rientrato abbastanza tardi. Aveva trovato il padrone di casa davanti al fuoco, avvolto in una coperta, concentrato su un libro.

“Com'è andata oggi?” chiese Ary, mentre Keros toglieva la giacca e le scarpe.

“Una rottura di palle" ammise il sanguemisto “Ma se è così che vive un mortale…”.

“Ma vivere così non ti rende infelice? Insomma… devi fingere di essere un umano e…”.

“Smettila. Dove ci sei tu, ci sono io. E va bene così. I bambini?”.

“A letto”.

“Ottimo…”.

“Senti… pensavo… Io mi sento bene. Non è che potrei iniziare a seguire quella specie di addestramento di cui parlava Alukah?”.

“Ne sei sicuro?”.

Sbadigliando, Keros si accoccolò accanto ad Ary, che lo baciò con un sorriso sornione. Il mezzodemone lo lasciò fare, felice di essere finalmente rientrato a casa. I baci si fecero sempre più appassionati.

“Ok…” si scostò il principe “Basta così. Sono un po' stanco…”.

Ary non ascoltò e riprese i suoi baci, stringendo forte il proprio amato.

“I bambini…” mormorò il sanguemisto, iniziando a rispondere a quei baci.

“Dormono…”.

“Si sveglieranno…”.

“Alla loro età tu, come demone, hai visto di peggio”.

“Ah… io…”.

Keros non riusciva a trovare altre scuse.

“Lascia che ti dimostri che sto bene" ghignò Ary “Come discendente delal Succubus Lilith, è mio compito avvolgerti dal piacere, amor mio!”.

Senza rispondere, il sanguemisto si lasciò amare.

“Mi sei mancato" ammise, mostrando le ali.

 

Keros si era risvegliato qualche ora più tardi, steso davanti al fuoco che stava per spegnersi. Lo ravvivò allungando la mano, usando il proprio potere demoniaco, e si sciolse dall'abbraccio con Ary. Aveva udito un rumore e cercò di capire cosa fosse.

“Simadè!” lo riconobbe, lungo il corridoio.

“Scusate se non mi sono annunciato…”.

“Fa niente. Hai scoperto dove sono i miei figli?”.

“Hem… sì…”.

“Ottimo!”.

“Non… non avete freddo?”.

Il principe si accorse di essere mezzo nudo e ridacchiò divertito. Poi rifletté un attimo.

“Simadè…” parlò poi “Non è che tu per caso sai spiegarmi come usare la lavatrice?”.

 

Rieccomi con l'aggiornamento del lunedì :3

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Capitolo 66
*** Studiare ***


66

Studiare

 

Rientrando a casa alcune ore dopo il tramonto, Keros sorrise nel vedere Ary alle prese con i compiti. I piccoli demoni, grazie a Tabihira, imparavano la lingua e la scrittura degli Inferi. Il mortale partecipava volentieri alle lezioni, imparando a sua volta.

“State facendo i compiti?” salutò il mezzosangue.

Ary annuì e notò dietro a Keros quattro bambini.

“Potete mostrarvi per quel che siete adesso" mormorò il principe, ed i piccoli svelarono ali, code ed altri tratti demoniaci.

“Altri piccoli sperduti?” domandò il padrone di casa.

“No. Volevo presentarteli. Questi sono i miei figli".

Il mortale rimase senza parole, per qualche istante. I quattro cuccioli, abbigliati come dei normalissimi esseri umani, si guardarono attorno. Con ali e code celate, li si poteva scambiare per dei bambini qualsiasi.

“Piacere di conoscervi" salutò Ary.

Nasfer fu il primo a muoversi, allungando la mano verso il padrone di casa e stringendogliela.

“Io sono Nasfer" si presentò, con educazione, il bambino.

Ary notò nel bimbo lo stesso sguardo ambrato di Keros, anche se in parte celato dietro un ciuffo di capelli scuri.

“Tu devi essere Carmilla" ipotizzò l'umano, indicando la piccola dai capelli rossi.

L'unica del gruppo senza ali, lei annuì e distolse lo sguardo viola.

“E loro sono Vixa e Kaya” concluse Keros, indicando due bambine identiche.

Le principesse si inchinarono. Non vi era alcuna differenza fra loro. Stessi capelli verde scuro, stessi occhi violetti, stessa fisionomia.

“Resteranno con noi?” si incuriosì Tabihira.

“Vedremo…” ammise Keros, dubbioso “Per stanotte sì…”.

Il mezzodemone prese gli zainetti che i bambini portavano con loro e li sistemò all'ingresso, mentre i piccoli esploravano la casa.

“Grazie. Significa molto per me conoscerli” esclamò Ary.

Nasfer si unì agli altri cuccioli, approfittandone per fare qualche esercizio di scrittura, mentre il mortale osservava i comportamenti degli ultimi quattro arrivati. Vixa e Kaya erano visibilmente curiose, coinvolte dalla situazione, e facevano mille domande a tutti. Chiedevano nomi, provenienza, età e molte altre cose come ad esempio cos'erano determinati oggetti ed a cosa servissero. Carmilla era invece molto più interessata ad Ary e voleva parlarci, per conoscerlo meglio. Nasfer ignorava tutto e tutti e continuava a scrivere su un quadernetto, in silenzio. Ad Ary sembravano troppo piccoli per andarsene in giro per il mondo, lontani dai genitori, ma pareva che per i demoni fosse normale.

“Che ne dite se prepariamo un dolce?” propose Keros, scatenando immediatamente l'entusiasmo di molti bimbi.

Carmilla si mostrò subito molto interessata e si avvicinò al padre per aiutare. Le gemelle invece iniziarono a giocare fra loro, assieme a qualche altro cucciolo, correndo e ridendo. Dividendosi i compiti, si iniziò a fare l'impasto, con uova, latte, farina e tutto il necessario. Non seguendo una ricetta, Keros improvvisava con quel che c'era in casa. Quasi tutti i compiti sul tavolo sparirono, per lasciare spazio a zucchero e teglie. Nasfer sospirò, senza però smettere di scrivere.

“Vieni" lo invitò Ary, chinandosi sul bambino “Ti serve un posto più tranquillo, giusto?”.

Il cucciolo era dubbioso, ma alla fine seguì il mortale nello studio. Il padrone di casa fece un po' di spazio, liberando un angolo della scrivania, ed invitò il principino a prendere posto. Lì tutto era più calmo, silenzioso, e quindi più adatto a fare i compiti.

“Sei molto bravo" si complimentò Ary “Scrivi molto bene".

“Grazie…”.

“Non ti piace l'idea di preparare una torta con tuo padre?”.

“No. Non è una cosa da demone".

L'umano si stupì. Nasfer era già di nuovo chino sul suo quaderno, concentrato.

“Perché non è una cosa da demone?”.

“Perché dovrebbe esserlo?”.

“Non lo so. Ma secondo te cos'è una cosa da demone?”.

“Tu sei un umano. Non puoi capire…”.

“Vuoi sapere come la penso io?”.

“Come vuoi… questa è casa tua, comandi tu".

“Secondo me essere un demone significa fare quello che si vuole. Ragionaci un attimo: gli angeli non possono agire in determinati modi, perché altrimenti cadono e vengono puniti. Gli umani, allo stesso modo, vengono mandati all'Inferno. I demoni invece possono fare quel che vogliono. Fare il demone perciò, per me, è agire come si vuole e quando si vuole".

Nasfer arricciò la coda, sollevando la penna e la testa. Poi sorrise, finalmente.

“Forse hai ragione" ammise “Allora diciamo che ora preferisco fare esercizi di scrittura. Però poi la torta vengo a mangiarla".

“Ottimo! Ora ti lascio tranquillo a studiare. Chiudo la porta?”.

“Grazie".

 

Finito il dolce, Keros decise di portare a caccia i piccoli che lo desideravano. Rimasero in casa solo i privi di tratti da vampiro, come Vixa e Kaya, ed Ary li aiutò a prepararsi per andare a letto. Una volta spente tutte le luci, l’umano uscì per concedersi una sigaretta. Amava il silenzio della notte, la calma e le ombre inquietanti che creava la foresta. Girò lo sguardo verso gli alberi, percependo qualcosa che non riusciva ad interpretare. Udì un fruscio lieve e preferì gettare la sigaretta, concentrandosi su quel che lo circondava.

“Mi vedi?” domandò una voce che pareva provenire da ogni luogo.

Girando il viso, Ary si fermò, rivolto verso un punto preciso.

“Sì” ammise “Ora sì. Buonasera, Alukah".

Il vampiro si avvicinò e raggiunse il mortale, con un ghigno soddisfatto. Nel buio totale, non era molto normale che un umano vedesse qualcosa.

“Giochiamo un po'?” propose il vampiro “Vediamo di svegliare il tuo sangue".

Ary accettò, anche se non sapeva bene cosa intendesse Alulah per “giocare". Lo seguì fra gli alberi ed attese. Il vampiro sfidava il mortale ad individuarlo nel buio, tentando di utilizzare al massimo i sensi. Era un ottimo esercizio ed Ary si accorse di poter migliorare velocemente. Dall'occhio sinistro, nell'oscurità, vedeva molto meglio. Conosceva bene i rumori usuali della foresta, perciò fu relativamente facile per lui individuare suoni strani o insoliti. Lui ed Alukah si inseguirono per un po', fino a quando l'umano non mostrò una certa stanchezza.

“Non esageriamo" si fermò il vampiro “Inutile fare sforzi inutili. Ad ogni modo… non puoi considerarti del tutto un semplice mortale. Vedi e percepisci in modo diverso, te ne sei accorto?”.

“Sì…” annuì Ary, continuando a guardarsi attorno, stupendosi della propria vista.

“E stai diventando più veloce. Secondo me, con un esercizio quotidiano, diventeresti molto più bravo. Te la senti?”.

“Io sì. Ma Keros…”.

“Keros è un tantinello iperprotettivo. Ma se migliori non potrai che dimostrargli che non deve temere nulla!”.

“Forse…”.

“Sei un adulto, no? E poi non ha motivo alcuno di rompere. Lui, piuttosto, dovrebbe pensare a terminare il proprio percorso di studi…”.

Ary non ribatté. Si sentiva un po' in colpa per quel fatto, consapevole di essere lui l'anima speciale che Keros doveva condurre all'Inferno. Ammettendo di essere stanco, si congedò da Alukah e rientrò in casa.

“Io non sono iperprotettivo” sibilò Keros, nell'ombra della cucina lasciata a luci spente.

“Vuoi farmi morire d'infarto?!” sobbalzò Ary, chiudendo la porta d'ingresso e togliendo la giacca “Da quando sei rientrato?”.

“Da una mezz'ora. Vi stavo spiando".

“Ah… Buona caccia?”.

“Abbastanza da riempire i pancini, sì. Tu ti sei divertito?”.

“Sì ma ora ho proprio bisogno di dormire. Se c'è posto a letto… stiamo un po' stretti".

“È una situazione temporanea".

“Lo so. Ma pensavo che, volendo, potremmo vendere questa casa e quella al mare che ci ha regalato Lucifero. E comprarne una più grande dove ci stiamo tutti. E così potrai tenere i tuoi figli con te…”.

“Io non posso far loro da insegnante. Non finché non avrò passato l'esame finale. Perciò presto dovrò affidarli di nuovo ai loro maestri. Ma ho visto che la mansarda piace ai nostri piccoli ospiti. L'hanno trasformata nel loro regno segreto".

Il padrone di casa rise, salendo le scale e raggiungendo la camera da letto nel buio.

 

“Non dormi?” mormorò Keros.

Aprendo gli occhi, aveva notato che colui che aveva accanto non stava affatto riposando.

“Non ci riesco” ammise Ary.

“Che succede?” si tirò su a sedere il mezzodemone, sbadigliando “Brutti sogni?”.

“No. È che… è tutto così strano!”.

“Che cosa è strano?”.

“Mi sembra che sia tutto più luminoso. E tutto più rumoroso!”.

“Sono i tuoi sensi di demone che si acuiscono. Ti ci dovrai abituare, temo”.

“Ma è terribile!”.

“Prova con dei tappi per le orecchie. Purtroppo non so che altro suggerirti…”.

Ary si rigirò nel letto, nascondendo la testa nel cuscino. Keros uscì silenziosamente da sotto le lenzuola e raggiunse la cucina. Tentando di fare meno rumore possibile, preparò un infuso con varie erbe che aveva messo ad essiccare. Con estrema cautela, risalì di nuovo le scale e rientrò in camera. Cercò di capire se Ary fosse riuscito ad addormentarsi. Poggiò la tazza sul comodino, producendo solo un lieve tintinnio. A quel suono, il padrone di casa reagì e saltò, atterrando il mezzodemone per terra. Keros rise.

“Cos'è? Un nuovo gioco?” ridacchiò il principe, poi notando lo strano sguardo di chi lo attaccava “Sono io!”.

Di risposta, ebbe solo un ringhio sommesso.

“Ary! Calmati. Va tutto bene!”.

Keros si divincolò, tentando di sfuggire a quella presa. Ma il suo temporaneo avversario era molto più grosso e pensante di lui, e non riusciva proprio a liberarsi. Tentò di farlo ragionare ancora per un po' e poi usò metodi molto meno delicati.

“Finiscila!” sbottò, spingendo Ary contro il muro.

Subito però venne attaccato di nuovo e fu costretto a difendersi. Doveva ammetterlo: era molto più veloce e forte di un umano! Non era più un umano! E lo aggrediva con sempre maggior furia, con quell'unico occhio tinto di rosso. Con un ulteriore scatto, Keros si sentì mordere sul collo. Erano denti acuminati, di chi provava urgenza di nutrirsi e desiderava sangue caldo.

“Ah! Avevi fame!” sorrise Keros “Potevi dirmelo…”.

Ary gradatamente si stava calmando, ad ogni sorso, allentando la presa e rilassandosi. Quando fu soddisfatto, si leccò le labbra e rimase qualche istante ad osservare Keros, che aveva costretto a stendersi a letto. L'occhio sinistro demoniaco era ancora leggermente iniettato di sangue, mentre il destro pareva molto spaventato. Il mezzodemone sorrise, rassicurando il suo compagno con un bacio. Lo sguardo del padrone di casa era smarrito, confuso, come se non capisse quel che stava succedendo. Poi Ary sogghignò, con un guizzo demoniaco in una delle iridi. Keros inclinò la testa, invitandolo a bere altro sangue. Ma non ricevette un morso, bensì un bacio: un caldo bacio appassionato. Disteso, si lasciò sottomettere senza opporre alcuna resistenza. Ricordava le prime volte in cui l'estasi del sangue aveva preso il sopravvento, in cui i suoi sensi si erano appannati e si erano interamente concentrati sul desiderio e sulla lussuria. Ricordava quella volta… quel bacio dato a Nasfer, ormai più di mezzo millennio prima. Ricordava il profumo di quel bacio ed ora quel profumo lo percepiva di nuovo.

Già non molto coperto, lasciò che Ary lo svestisse, con una certa foga. Lo strinse forte a sé e sorrise. Era diverso, era tutto diverso. Più selvaggio, più violento… più demoniaco! Sapeva che era il sangue a provocare una simile voglia, un così incontrollabile vigore, e lasciò libero sfogo all'erede di Alukah. Probabilmente stavano facendo un po' troppo rumore, fra il cigolio del letto e le varie esclamazioni di piacere, ma a nessuno dei due importava più di tanto. Ary di colpo inarcò la schiena, con un lieve ringhio, e poi affondò di nuovo i denti nel collo di Keros. Quel gesto, unito al poderoso e deciso movimento del bacino, lasciò il mezzodemone senza fiato per qualche istante. Poi non riuscì più a trattenersi e lanciò un gemito di piacere, raggiungendo l'orgasmo. Anche l'amante gemette, ma in modo diverso. Il suo fu più un grido, di piacere ma anche di dolore. Si portò la mano alla testa, non capendo perché ci vedesse del sangue, e si udì un rumore sordo, mentre alcune cose caddero dalle mensole.

“Oh, mio demone!” sorrise Keros, ancora affannato.

Lui le vedeva. Keros vedeva le ali che si erano spalancate sulla schiena di Ary! Così come intravedeva quell'accenno di corna che tanto infastidivano il padrone di casa.

“Andrà tutto bene" mormorò, stringendo l'ormai non più umano fra le braccia “Ora dormi accanto a me, mio meraviglioso amore".

Le parole del principe parvero calmare Ary, che si rilassò completamente ed in breve tempo si addormentò. Il sanguemisto sorrise di nuovo. Com'era felice in quel momento! Ary, il suo Ary, non era più un semplice mortale!

“Non ti perderò” sussurrò piano “Rimarrai per sempre accanto a me!”.

 

Nei giorni successivi, Ary tentò di abituarsi gradatamente alle novità. Il suo corpo cambiava, così come il suo modo di percepire le cose. All'inizio si era chiesto se fosse colpa degli incidenti di Keros con la lavatrice, ma poi aveva dovuto arrendersi all'evidenza: le camicie gli stavano tutte piccole non perché si fossero ristrette con il lavaggio sbagliato, ma perché lui era diventato più grosso! Si nutriva esclusivamente del sangue del mezzodemone, non sentendosi ancora pronto ad affrontare l'assassinio, e così attendeva in casa da solo durante le battute di caccia del vampiro. Una di quelle notti, percependo un rumore, si ritrovò davanti un paio di fin troppo sensuali occhi viola.

“Buonasera, signorina" salutò educatamente, aprendo la porta d'ingresso.

“Da cosa intuiresti che io sono una signorina?” si sentì rispondere, con tono leggermente infastidito.

“Non so…” ammise Ary, in imbarazzo “È che mi sembrate piuttosto giovane".

“Ti ringrazio. Ad ogni modo… dov'è Keros?”.

“Keros è fuori adesso. Ma potete aspettarlo in casa, se volete”.

“Sono qui per riprendermi i miei figli. Non li avrà mica lasciati soli con te, vero?!”.

“Sì.  Cioè… non tutti…”.

“Non tutti?!”.

“È fuori a caccia. Ha lasciato a casa Vixa e Kaya".

“E perché?!”.

“Perché… loro non sono demoni vampiro…”.

Il padrone di casa, sentendosi inspiegabilmente aggredito, si accigliò con aria perplessa. La donna, che camminava lungo il corridoio d'ingresso, si guardava attorno. Si chiedeva come potesse un principe, abituato agli sfarzi del palazzo reale, vivere in luogo così… umano! Storse il naso, probabilmente disgustata. Ary notò quell'espressione ed iniziò ad innervosirsi. Ma qualcosa gli impediva di essere aggressivo con quella femmina… Lei si accomodò in cucina, accavallando le gambe su una sedia e fissando l'orologio appeso al muro. Con una mano allungata sullo stivale che le arrivava oltre al ginocchio, decise di attendere lì il padre dei suoi figli. Non dovette attendere molto, con sommo sollievo di Ary che non sopportava quel silenzio. Keros entrò in casa, usando le chiavi, con davanti a sé i cuccioli vampiri della casa. Davanti a tutti stava Nasfer, che notò la madre e si lasciò sfuggire un’espressione mista fra la preoccupazione e la rassegnazione. Carmilla salutò con la mano. Gli altri piccoli si avviarono lungo le scale, pronti a dormire con il pancino pieno.

“Keros!” sbottò la donna, alzandosi.

“Lilien…” si limitò a rispondere lui, con calma, togliendosi la giacca.

“Che cosa pensi di fare? Perché i miei figli non sono con i loro maestri?”.

“Rilassati… È una situazione temporanea!”.

“E con quale diritto li hai sottratti dagli addestramenti?!”.

“Sono i miei figli!”.

“Ed anche i miei!”.

Ary, intuendo che la situazione sarebbe stata poco piacevole per i bambini, li prese con sé e li accompagnò in salotto. Accese la radio, coprendo la voce dei genitori che litigavano, e tentò di distrarli con dei disegni.

 

“Non coinvolgere i miei figli nella tua stramba vita mezza umana!” ringhiò Lilien.

“Qui di umano non c'è praticamente più nulla. E comunque sono affari miei. Sono anche i miei piccoli, e voglio passare del tempo con loro” ribatté Keros, chiudendo la porta della cucina.

“E perché?!”.

“Perché sono i miei cuccioli! Ed a loro non dispiace stare con me".

“Ma tu non puoi addestrarli! Non hai passato l'esame finale!”.

“Lo so…”.

Lilien sospirò. Si era un po' calmata, passandosi la mano fra i capelli e mordicchiandosi le labbra.

“Senti ma… è vero?” mormorò poi.

“Cosa? Che sono mezzo angelo?”.

“Sì…”.

“È vero".

“Ed è per questo che ho partorito una creatura bionda e per nulla demoniaca?”.

“Sophia? Sì, è probabile. Anche se suppongo conti anche il fatto che Azazel era biondo da angelo…”.

“E… potresti dirmi come è finita?”.

“Finita?”.

Il principe non comprese subito di cosa si stesse parlando. La demone non era più aggressiva. Sembrava confusa, stordita. La sua voce, fino a quel momento decisa e rancorosa, si era fatta lieve e titubante.

“L'hai uccisa, giusto?” mormorò “Come?”.

“No, non l'ho fatto… scusami…”.

“Tu non…?”.

Keros scosse la testa e Lilien cambiò espressione. Gli occhi, prima colmi di collera, ora si erano fatti grandi e leggermente impauriti.

“La mia bambina è viva?” chiese conferma.

“Sì. È con mio… padre".

“Tuo padre? Il tuo vero padre? Intendi dire…”.

“Mihael. È in Cielo, assieme a tutti gli altri angeli”.

“E… sta bene? È felice?”.

“Felicissima”.

Keros non si aspettava di ricevere un abbraccio. Era la prima volta che Lilien mostrava quel lato vulnerabile, il lato di madre che riceve una notizia che le alleggerisce il cuore.

“Perché non superi l'esame finale?” sussurrò lei, ancora stretta in quell’abbraccio.

“E come potrei? Non posso rubare l'anima all'uomo che amo…”.

“Ma perché dovresti rubargliela?!”. La messaggera si scostò, per guardare negli occhi il principe. “Perché rubargli l'anima? Non è necessario!”.

“Certo che lo è! È quel che prevede l'esame! Bisogna consegnare l'anima finale agli Inferi!”.

“Ma lui è un demone adesso, no? Quindi tecnicamente appartiene all'Inferno. O no? In un certo senso, hai consegnato l'anima agli Inferi".

“Io… non ci avevo pensato…”.

“Penso valga come cosa, suppongo”.

“Ma è un'idea magnifica!”.

Questa volta fu Keros ad abbracciare Lilien, poi staccandosi ed agitando le mani in modo sconnesso.

“Devo subito andare a parlare con mio padre!” commentò il principe “Quello demoniaco, ovviamente…”.

“Sì, ok… poi…”.

“Poi potrò essere il maestro dei miei figli!”.

“L'idea mi piace. Però…”.

“Però? Che problema c'è adesso?!”.

“Niente… è che girano strane voci nel regno dei demoni. Voci di guerra… Purtroppo non so molto di più, perché quel tipo di messaggi vengono affidati solo ad Azazel".

“Motivo in più per cui è il caso che vada a parlarci immediatamente!”.

 

Ary, nel buio e seduto a terra davanti al camino, leggeva un libro. L’occhio demoniaco brillava ad ogni parola, scorrendo rapido, mentre il fuoco acceso lo faceva scintillare intensamente. Le corna sulla testa gli si notavano appena, ma non gli provocavano più alcun dolore. Le ali invece erano chiuse e nascoste.

Sul divano alle sue spalle, avvolti dalle coperte, Carmilla e Nasfer dormivano uno accanto all'altro. Si stupì molto nel veder entrare Lilien, da sola, dalla porta. Alzò lo sguardo, senza muoversi dal tappeto, aspettandosi un'altra predica, ma lei sorrise.

“Perdonami" parlò piano lei, per non svegliare i piccoli “Siamo partiti nel modo sbagliato. Spero di non averti fatto incazzare troppo…”.

“No… Io… Posso capire la situazione. Credo…”.

“Ad ogni modo… io sono Lilien".

Ary depose il libro ed allungo la mano verso la donna, presentandosi a sua volta. Lo sapeva chi era, Keros ne aveva parlato a volte, ed a quanto pare anche per lei era lo stesso.

“Sei carino" strizzò l'occhio la messaggera “Capisco perché piaci tanto a Keros".

“Grazie. Anche lei è molto carina”.

“Lei chi? Dammi del tu…”.

Lilien sedette in terra accanto ad Ary e sbirciò quel che leggeva, non capendo un granché della scrittura umana.

“Sei bravo con i bambini” proseguì lei, notando i cuccioli addormentati “Quanti figli hai?”.

“Non ne ho…”.

“E allora tutti i bambini della casa? Non dirmi che sono di Keros…”.

“No. Ma credo che lui possa piegarti meglio. Lui è il tuo compagno, no?”.

“No, non lo è. È il TUO compagno. Io con lui ci ho solo scopato. Ma con te è diverso. Lui ti ama. E comunque ora è da re Lucifero. Ed è meglio che me ne torni pure io a casa".

“Porti con te i tuoi figli?”.

“No. Per ora no…”.

La demone si alzò, molto lentamente. Si sistemò la gonna, corta quel che bastava per non dare spazio all'immaginazione, e lanciò un ultimo sguardo ai propri cuccioli.

“Ci vediamo presto" salutò poi, lasciando la casa dal portale.

Ary, una volta rimasto solo, si scosse. Si era svegliato da una specie di torpore, provocato dalla vicinanza di quella demone. Doveva assolutamente parlarne con Keros… ma per adesso era meglio andarsene a dormire!

 

Salve a tutti! Finalmente ho aggiornato! Ci ho messo un po’, ma alla fine ci sono riuscita. Per farmi perdonare, ho scritto un bel capitolo lungo e “corposo” :3 Devono accadere ancora alcune cose… alla prossima!

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Capitolo 67
*** Questo nuovo mondo ***


67

Questo nuovo mondo

 

“Siete emozionato?”.

Le parole di Simadè suonavano lontane. Keros si stava rimirando allo specchio, non riuscendo a trattenere una certa tensione. Intrecciò le mani nervosamente, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal proprio riflesso. Simadè sorrideva, continuando a sistemarne i capelli e gli ultimi dettagli. Per la prima volta, il principe sfoggiava le ali d'angelo in bella vista agli Inferi, senza provare vergogna alcuna.

“Siete… maestoso" mormorò il servo.

Il mezzodemone sorrise. Passò la mano guantata sui bottoni d'oro che spiccavano lungo tutto il busto di quell'abito cerimoniale. Non poteva credere che quel giorno fosse arrivato! Aveva sognato, immaginato e visualizzato nella propria testa quei momenti, moltissime volte. Ma viverlo nella realtà era completamente diverso! Udì i rintocchi dell'immenso orologio dei corridoi di Lucifero: era quasi ora!

 

Poche stanze più in là, Arikien era altrettanto nervoso. Leonore era lì, seduta accanto al successore di Alukah, in silenzio. Le urla delle anime non davano più fastidio dalla donna, ormai abituata all'Inferno. Per lui invece era la prima volta, ed ammetteva di provare un certo disagio. Inoltre, non sapeva bene come avrebbe dovuto comportarsi, cosa avrebbe dovuto dire. In una veste che richiamava la moda umana di qualche secolo prima, non riusciva a credere di essere lui quello che si rifletteva nello specchio. Con le ali e le corna in bella vista, prese un profondo respiro al rintocco dell'orologio.

“È ora" sorrise Leonore “Vieni".

Come se quei rintocchi dettassero il ritmo, si aprirono le porte e tutti si mossero. Diretti verso una grande sala, che raramente veniva aperta, molti abitanti del palazzo seguirono quel piccolo corteo capitanato da Keros.

“La commissione è al completo” parlò un demone “Aspettano solo voi, altezza".

Il principe annuì. Rimase ad osservare quella porta chiusa. Era altissima, riccamente lavorata ed antica quanto il palazzo stesso. Girò lo sguardo, sorridendo ad Ary che si trovava alle sue spalle. Era ora. Erano tutti lì… iniziava il suo esame finale!

 

Solo a Keros fu concesso entrare ed il giovane principe si trovò immediatamente in soggezione. Nonostante conoscesse bene tutti i demoni presenti, non poteva non provare un certo timore. Su delle semilune sospese, sedevano demoni antichi ed importanti, abbigliati in modo tradizionale e regale. Lucifero era il più alto nella sala, e fissò l'erede in silenzio. Il principe si guardava attorno con discrezione, incuriosito da quella sala in cui non era mai entrato. Sembrava un teatro, o un tribunale, ed a lui toccava il ruolo di unico attore o di imputato, circondato da sguardi giudicanti. Alcuni posti erano vuoti, stranamente, ma l'aspirante maestro non voleva pensarci troppo.

“Benvenuto, figlio di Carmilla" parlò un grosso demone, con un pesante mantello di pelliccia sulle spalle, che Keros non conosceva “Posso dire di essere onorato di poter ammirare con i miei occhi il demone di cui tutti parlano: colui che porta ali d'angelo all'Inferno!”.

Keros rispose al saluto ed a quelle frasi con un inchino rispettoso.

“Io sono Orobas" proseguì il demone “Suppongo tu sappia perché sei qui dinnanzi a noi, giovane tentatore. Come puoi vedere, fra noi sono presenti i tuoi maestri. Mefistofele, Alukah, Astaroth ed Asmodeo ci hanno illustrato il tuo percorso fino ad oggi. Siamo qui per giudicarti, per verificare se sei degno di poterti fregiare del nome di maestro. Avremmo delle domande per te, sei pronto?”.

“Si, sommo Orobas".

Keros lo conosceva di fama, ora che ne aveva udito il nome, e sapeva che era uno dei demoni con cui Lucifero si confidava su questioni delicate e diplomatiche. Vedeva i suoi maestri, anche loro in abiti cerimoniali, assieme ad altri di cui non poteva essere certo delle generalità. Riconobbe Semiyaza, Furcas e Mammon.

“Ci è stato raccontato qualcosa di alquanto singolare.  La tua anima finale è un pochino… particolare, dico bene?”.

Keros annuì, con un mezzo sorriso.

“Il nostro compito…” spiegò una donna con quattro corna e la voce inquietante “È stabilire se questo percorso può risultare valido ai fini dell'esame finale. Possiamo considerare un'anima finale quel che proponi? Possiamo accettare una tale stranezza? Tanto per iniziare, vorremmo che tu ci illustrassi il tuo percorso. Dal primo approccio con quest’anima fino al giorno attuale”.

Il principe annuì ed iniziò a raccontare. Ricordò il primo giorno, la notte in cui per la prima volta aveva incontrato Ary. Narrò di come si erano approcciati l'uno all'altro, di come la natura di demone dell'umano si era lentamente mostrata e di come ogni giorno trascorso avesse cambiato entrambi. Ricordare quei momenti lo riempiva di emozione, e sorrise involontariamente. A racconto terminato, alcuni demoni borbottarono fra loro sottovoce. Poi uno di loro si alzò e parlò, rivolto agli altri membri della commissione riunita.

“Vorremmo parlare con l'anima in questione” furono le parole pronunciate “Mai fin ora è accaduto. Fin ora le anime scendevano negli Inferi e venivano punite, bastava la registrazione di tale anima per poter accertare il fatto che apparteneva all'Inferno. In questo caso, invece, la creatura è in vita. È quindi nostro compito verificare che tale anima sia ora proprietà di questo mondo".

Keros non disse nulla, d'un tratto indeciso sul da farsi. Essere proprietà di quel mondo significava essere abitante degli Inferi, senza alcuna alternativa possibile. Significava escludere categoricamente il regno del Cielo e il mezzodemone non era sicuro di voler tale futuro per Ary.

“Fate entrare l'anima” ordinò Lucifero, non cogliendo l'indecisione del proprio erede.

Ary entrò lentamente. Keros si fece momentaneamente da parte, mentre l'intera commissione fissava il successore di Alukah. Davanti a tutti quei demoni, l'umano non poteva che sentirsi spaventato. Perfino Lucifero, che conosceva bene, lo turbava. Dunque era quello il reale aspetto del Signore dell'Inferno…

 

Nel silenzio, Ary lanciò un'occhiata a Keros. Nessuno dei due sapeva cosa aspettarsi ed il mutismo della commissione era inquietante. Stavano sfogliando dei fascicoli, relazioni scritte dal principe su cui vi era spiegato l’intero percorso svolto fino a quel momento. Ad un tratto, iniziò a parlare Semiyaza. Il demone, con un abito verde scuro che metteva in rilato il rame dei lunghissimi capelli, rifletté qualche istante e poi fissò Ary con un mezzo sorriso.

“Benvenuto” salutò “Suppongo tu sappia il motivo della tua presenza qui. Comprendi la mia lingua?”.

“Se parlate lentamente, sì” rispose l'umano.

“Perfetto. Ora ti farò delle domande. Rispondi sinceramente, o come meglio credi. Sappiamo che possiedi sangue demoniaco, ed è chiaramente visibile su di te. Se non conoscessimo la tua storia, potremmo scambiarti per un demone autoctono e nato come tale. Il nostro compito, ora, è stabilire fino a che punto il tuo animo riflette quel che si vede all'esterno. Tutto chiaro?”.

“Sì…”.

“Dunque… Io qui leggo che la natura del principe ti è stata svelata praticamente fin dal principio. Era chiaro che lui fosse un demone. Quel che vogliamo sapere è conoscere la tua reazione. Cosa hai pensato? Cosa hai provato, lungo questo percorso e queste rivelazioni?”.

Il mortale attese qualche istante, rielaborando nella mente quel che voleva dire. Doveva rispondere al meglio, era importante per la promozione di Keros!

“All'inizio non ci credevo" ammise, sorridendo a quel ricordo “Quando il principe mi ha confessato di essere un demone, ho pensato subito ad uno scherzo. Sono sempre stato piuttosto scettico".

“Il fascicolo riporta il fatto che sei un orfano, cresciuto in un istituto gestito da religiosi. Che rapporto hai con la religione, con la fede?”.

“Non sono un credente”.

“Non credi nell'esistenza di Dio?”.

Ary rifletté. Perché mai un demone voleva sapere se era ateo o meno? Che differenza poteva mai fare?

“Non credevo potesse esistere, fino a non molto tempo fa" ammise “Non ci credevo e non mi interessava. Ora, lo devo ammettere, sono costretto a rivedere le mie posizioni. Insomma… ho davanti a me il Diavolo, perciò devo dedurre che da qualche parte ci sia anche Dio".

“E questo come influisce sul tuo vivere?”.

“Direi che non influisce per nulla. Se Dio esiste, non è il genere di entità che potrei pregare o in cui mi sentirei di riporre la mia speranza o la mia fede".

“E come mai?”.

“Perché…”. Il mortale ripensò ad alcuni passaggi della propria vita e rifletté su come vedeva il mondo. Storse il naso, prima di rispondere. “Perché non ho bisogno di un Dio così”.

“Così…?”.

“È vostro padre, no? Non mi sembra il caso di infierire…”.

“Infierisci pure" si intromise Lucifero, con un ghigno soddisfatto sul viso.

“Sinceramente… il mondo è un disastro. L'essere umano è un disastro. Mi ero convinto che fosse fatto così, esaminando il tutto da un punto di vista scientifico. L'uomo è un animale, anche se leggermente più evoluto di altri, e come tale si comporta. Si fa la guerra da sempre, si odia da sempre. Ha le capacità di vivere in modo diverso ma non lo fa. In sostanza, è malvagio. E se esiste un Dio che se ne sta lì a guardare tutto questo… significa che è altrettanto malvagio. E non ho bisogno di pregare un malvagio".

“Uh. Blasfemo!” ridacchiò il sovrano “Malvagio come me, intendi?”.

“No. All'Inferno viene punito chi ha commesso peccati, come chi viene messo in galera perché ha commesso un reato. Questa non è malvagità: è giustizia".

Lucifero si poggiò sulla sedia, reggendosi la testa. Che strana risposta…

“Perciò…” riprese a parlare Semiyaza, approfittando del silenzio “Se ti venisse data la possibilità di andare in Paradiso, tu…”.

“In Paradiso?! Io?!” interruppe Ary “Ma mi avete visto? Dubito che uno come me, con ali e coda, possa trovare le porte aperte e gli striscioni di benvenuto…”.

“I miracoli…”.

“Non mi serve un miracolo. Non adesso. Ci speravo quando ero un bambino, e sognavo una famiglia ed una vita diversa. Mi serviva, probabilmente, quando non avevo più prospettive o quando la mia vita si era spenta, e sentivo di girare in tondo senza una via d'uscita. Lì, forse, avrei apprezzato un miracolo di Dio. Pensandoci… Keros è stato il mio miracolo. E non ho bisogno di altro".

“Dunque saresti disposto a legare per sempre la tua anima all'Inferno?”.

“Certo. La mia famiglia appartiene a questo luogo. Così come vi appartengono le persone più importanti della mia vita. Perché mai dovrei andare in Cielo? Non avrei nessuno ad attendermi”.

“Ma ti piace qui?” riprese Lucifero “Sii sincero…”.

“Suppongo mi debba abituare…”.

“No. Non ci si abitua. Mai. Credimi…”.

Il sovrano si era sporto leggermente, fissando negli occhi il mortale. In quello sguardo, Ary era riuscito a scorgerci malinconia, rancore ed una punta di follia. Quegli occhi erano di una profondità spaventosa.

“Che progetti hai?” domandò Mefistofele “Ora sei un demone, giusto? Che pensi? Come vedi il tuo futuro? Desideri diventare un tentatore, o un succubus come la matriarca Lilith? “.

“Ancora non lo so…” ammise l'uomo “Ci sono ancora tante cose che devo scoprire su di me…”.

“Avrai delle aspirazioni. Che facevi da mortale?”.

“Volevo diventare professore universitario. Ma mi ero perso per strada… ora voglio ricominciare, ed ho la possibilità di farlo”.

“Con Keros…?”.

“Keros è il mio miracolo. Keros è la mia vita. Ma chissà come possono cambiare le cose fra mille o più anni… Un passo alla volta. Per ora ecco i miei primi passi all'Inferno".

“Parlando ancora di divinità…” si espresse una demone dalla pelle nera “Dio non è uno soltanto. Alcuni di noi, un tempo, erano Dei. Qui all'Inferno regnano angeli caduti, ma non solo. Molti sono antichi Dei, dimenticati e snaturati per colpa della religione che venne dopo di loro. Molti avevano templi e gente adorante. Quelli come loro… come li vedi?”.

“Percepisco la vostra potenza" ammise l'uomo “E comprendo la vostra rabbia. Le religioni antiche mi hanno sempre affascinato. Però non posso esser certo di voler adorare qualcuno di voi, seppur Dio antico e misterico. Sono disposto ad obbedire, ovviamente. Rispetterò la gerarchia, mi inchinerò e mi inginocchierò dinnanzi a colui che mi sovrasta di grado, ma non so se mi riuscirà mai possibile venerarlo come una divinità”.

“Ho capito… un'ultima cosa: ti sei mai nutrito di sangue umano? Hai mai ucciso?”.

“No…”.

“Hai almeno mai assaggiato il sangue?”

“Sì. Non umano”.

“Ed hai intenzione di divenire un vero demone vampiro, che si nutre di umani e demoni? Che uccide, per placare la propria fame?”.

“Io… non lo so. Non so se vorrò mai uccidere…”.

La commissione non rivolse altre domande. Dopo un rapidissimo consulto, congedarono tentato e tentatore, invitandoli a lasciare la stanza.

 

“Sono il tuo miracolo?” mormorò Keros ed Ary gli sorrise.

Uno accanto all'altro, attendevano che la porta si riaprisse. Aspettavano il verdetto, il termine di quell'esame finale. Entrambi si chiedevano se le risposte che avevano dato erano state soddisfacenti e convincenti. Entrambi temevano di aver detto troppo o troppo poco. A supportarli in quegli attimi, vi erano anche Lilien, Leonore, Simadé ed altri conoscenti del mezzodemone.

“Sarai un maestro straordinario” sussurrò Ary.

“E tu un demone perfetto" gli rispose Keros.

Il tempo scorreva lento, troppo lento. Il nervosismo saliva. Quando la porta si aprì, e furono chiamati i nomi di entrambi, il principe prese un profondo respiro prima di entrare.

La commissione fissava il candidato e l'anima, al centro della stanza. Il silenzio faceva agitare non poco il sanguemisto, che si alzava e si abbassava sulle punte dei piedi nervosamente. Questa volta, fu Astaroth a prendere la parola. Il demone, con gli immancabili tacchi alti e lunghe unghie smaltate, era incredibilmente serio. Con un diadema fra i capelli, a ricordarne il titolo nobiliare, lasciò trascorrere ancora qualche istante. Il resto della commissione si era seduta, in silenzio, e tutti gli occhi erano puntati su Keros.

“Mio allievo…” iniziò a parlare Astaroth “Abbiamo esaminato il tuo percorso fino ad oggi, giungendo ad una conclusione. Prima però di svelarti la nostra decisione, permettimi di dirti alcune cose".

Keros annuì, non sapendo se preoccuparsi o meno.

“Sei stato un ottimo allievo, nelle terre più selvagge degli Inferi. Tuttavia, già all'ora, avevo intuito qualche particolarità in te. Avevo colto un lato che tu ti ostinavi a voler rinnegare, celare. Forse perfino cancellare. Ricordo di averne discusso con Vostra Maestà Lucifero interpretando, erroneamente, quel lato come un rimasuglio di DNA angelico che tutti noi caduti ancora possediamo. Avevo sentito di cuccioli nati con alcuni tratti angelici, che però ovviamente non erano stati lasciati in vita. Non potevo certo immaginare la realtà dei fatti, al tempo! Nonostante la mia riluttanza iniziale, suggerii al sovrano di non permetterti di sopprimere quel lato di te. Quell'empatia, quella grazia… Uccidendole non avresti fatto altro che trovare infelicità. Ricordo anche di averti spinto ad essere te stesso, così come ogni tuo maestro ha fatto, imparando ad amare ogni singola particolarità che ti contraddistingueva. Lo ricordi?”.

“Sì, maestro. Lo ricordo" ammise il principe, un po' in imbarazzo.

“E ricordi quale è stata la tua reazione?”.

“Ricordo di aver nascosto sempre e comunque un lato di me. Per tanto tempo".

“Dati gli ultimi accadimenti, ora che ho appreso a mia volta di chi porti il sangue nelle vene, sotto certi aspetti comprendo la tua riluttanza. Ciononostante… ammira che splendore! Da ragazzino insicuro, che cerca di sembrare qualcosa che non è, a uomo forte e sicuro di sé. La magnificenza di simili ali d'angelo solo un mentecatto vorrebbe dissolverla. La fierezza in questi occhi, in cui si possono intravedere le fiamme degli Inferi e la vastità del Cielo, metterebbe in soggezione anche il più potente dei diavoli. Keros: sei bellissimo! Ed ora tu mi guardi e sorridi. E so che in tanti te lo hanno detto e ripetuto, ma solo ora anche tu ci credi davvero. Finalmente anche tu ci credi per davvero! Prima, probabilmente, pensavi che ti venisse detto perché un lato di te non si vedeva. Io ora vedo te, il vero e totale te stesso, e ti trovo bellissimo”.

“Grazie…” mormorò il mezzodemone, in lieve imbarazzo.

“Detto questo… Dovevamo giudicarti, decidere se sei degno di essere un maestro. Sai bene che questo esame non può essere ripetuto, e sinceramente ti avrei consigliato di non avere troppa fretta. Sei uno dei più giovani che han voluto proporci questa sfida e l'hai proposta in un modo decisamente singolare. Hai creato un caso zero, un primo nuovo modo di ottenere l'anima. Tutto questo non è molto ortodosso, credo tu ne sia consapevole".

“Lo sono. Io…”.

“Silenzio, per cortesia. Abbiamo alcune riserve. Per esempio… chi si occuperà della crescita demoniaca dell'anima finale? Ovviamente ha ancora un lungo percorso davanti. Dovrà imparare a nutrirsi ed a vivere come un demone vampiro, non come un umano che sorseggia sangue principesco. Solo una volta compiuto quel passo, solo dopo aver ucciso, lo si potrà definire un demone interamente. Poi spetterà a lui scegliere. Ricapitolando: l’anima non può andare in Cielo, questo ormai è certo. Non siamo però del tutto sicuri che, con i suoi pensieri da ateo, non possa poi dissolversi in nulla come una qualsiasi anima senza fede”.

“Ma non è quel che accade ai demoni?” interruppe Ary.

“Prego…?” alzò un sopracciglio Astaroth.

“I demoni, quando muoiono, non si dissolvono in polvere?”.

“Noi demoni non abbiamo un'anima. Tu hai l'anima, essendo in parte con sangue umano. Commettendo un peccato mortale, e credendo in qualcosa, sarai legato all'Inferno. Altrimenti, alla morte, l'anima si dissolverà”.

“Io però non mi definisco ateo. Io credo in qualcosa. In qualcuno".

“In cosa?”.

“In Keros".

Il mezzodemone spalancò gli occhi, perplesso.

“Io credo in Keros" continuò Ary “Io amo Keros. Lui, come ho già detto, è il mio miracolo. Io credo in lui, e gli devo tutto. Se mi chiedete di cedere la mia anima a qualcuno, quel qualcuno sarà sicuramente Keros. E posso farlo anche subito, se volete. Devo firmare un qualche tipo di contratto? Patti di sangue o cose del genere?”.

I demoni della commissione ridacchiarono. Quel mortale doveva aver visto troppi film…

“Questo cambia tutto" sorrise Astaroth “Se il vostro legame di carne e sangue è così forte, tanto da farti rinunciare alla natura ed all’anima umana, allora i nostri dubbi si dissolvono. La tua anima appartiene all'Inferno, perciò l'esame è da ritenersi interamente superato”.

Keros non aprì bocca, senza sapere cosa dire, mentre Ary sorrideva.

“Da questo giorno…” ricominciò a parlare Astaroth “Voi, principe Keros, siete un maestro. E tu, giovane un tempo mortale, ora sei ufficialmente riconosciuto come demone di nome Arikien. Il principe, ed il tuo antenato Alukah, provvederanno a terminare il tuo percorso di transizione. Keros… vieni avanti".

Il mezzodemone, ancora senza parole, camminò fino a raggiungere Astaroth. Il demone sorrise, così come tutti i presenti.

“A nome di tutta la commissione, vi diamo il benvenuto nella categoria dei maestri".

Al sanguemisto fu appuntato un monile sul petto, con una catena d'oro. Tutti i maestri portavano quel ciondolo, ed ora anche lui poteva sfoggiarlo.

“Congratulazioni” gli mormorò Astaroth, ed il resto dei demoni presenti ripeterono quella parola a turno.

“G… grazie" riuscì finalmente a parlare Keros.

“Ora puoi andare" fu congedato “Sii fiero di te stesso".

Il mezzodemone si inchinò ripetutamente e lasciò la stanza, seguito da Ary. Chiuse la porta dietro di sé, ancora incredulo. Fuori aspettavano di sapere come fosse andata, non capendo come interpretare quel silenzio. Poi Keros non riuscì più a trattenere la felicità e scoppiò a ridere per l'entusiasmo.

“È fatta?” chiese conferma Leonore.

“È fatta!” confermò Keros, ricevendo un abbraccio.

“E ora che si fa?” sorrise Ary “Come festeggiate voi demoni un evento del genere?”.

“NOI demoni, vorrai dire" lo corresse Keros “Ad ogni modo… non ne ho idea, lo ammetto!”.

“Potremmo organizzare una festa" proposte Lilien “Come quando avevamo solo mille anni! Insegniamo ad Arikien come di divertono i demoni".

La porta nel frattempo si era riaperta ed i membri della commissione si stavano allontanando, dedicando altri complimenti al principe.

“Chi si unisce a noi stasera?” propose Mefistofele “Vi invito tutti. Ad ubriacarci o fare altro, dipende da voi. Voglio essere il primo ad offrire da bere a questo nuovo, piccolo maestro! Voi che dite, ci state?”.

“Certo che sì!” annuì il sanguemisto “A stasera!”.

Keros ancora salutava e ringraziava per i complimenti, dando le spalle alla porta. Si sentì afferrare e stringere forte. Il principe si irrigidì qualche istante, prima di capire chi lo stesse avvolgendo.

“Il mio piccolo cucciolo demoniaco…” mormorò una voce.

“Il mio grande e bellissimo papà” rispose Keros, rispondendo all'abbraccio di Lucifero.

“Sono molto fiero di te" proseguì il sovrano.

“Vieni a festeggiare con noi al Mephistofel questa sera?”.

“Farò il possibile” sorrise il Diavolo “Devo prima verificare alcune cose. Hai notato i posti vuoti, suppongo…”.

“Sì. Che cosa…?”.

“Nulla, non ti preoccupare. Corri a far festa!”.

Il re si allontanò lungo il corridoio, lasciando Keros al suo entusiasmo.

“Ora la tua anima appartiene me" sghignazzò il principe, rivolto ad Ary.

“Pensavo lo sapessi già” fu la risposta “E mica solo quella…”.

“Che intendi dire?”.

“Puoi chiedermi qualsiasi cosa, oltra all'anima. Una mano, un braccio, una gamba… il cuore…”

“Mi andrebbe comodo il tuo cuore. Il mio l'ho dato a te, tempo fa".

“Che cosa pateticamente e teneramente romantica" commentò Lilien “Propongo di andare a cambiarci e prepararci per il Mephistofel. Che dite?”.

“Ti do del tutto ragione" ghignò Keros “Questo abito è di una scomodità assurda".

“Allora a dopo" si congedò Leonore.

“Tu vieni con me" parlò Keros, prendendo per mano Ary “Perché toglierci i vestiti inutilmente? Rendiamo più divertente la cosa…”.

 

Scusate il mostruoso ritardo. Ormai aggiorno poco, chiedo scusa :( tenterò di recuperare! A presto!

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Capitolo 68
*** Teppisti ***


 

68

Teppisti

 

Il Mephistophel era riservato ai demoni quella sera. Attorno ad una grande tavola, sedevano e bevevano facendo un gran casino. Keros propose l'ennesimo brindisi, ridendo. Lucifero porse un pacchetto all'erede. Tutti parvero stupiti, perché solitamente venivano donate delle spade per celebrare il superamento dell’esame finale.

“Ho pensato che le spade fossero un po' antiquate" ammise il sovrano, mentre Keros svelava una splendida pistola.

Era nera lucida, con decori in argento ed incastonature color del sangue.

“È bellissima!” la ammirò il principe, rigirandola fra le mani.

“Credo che, se gironzolerai ancora nel mondo umano, ti sarà più utile avere una pistola piuttosto che una spada. Ha anche cinque proiettili. Magari dopo vorrai provarla…”.

“È stupenda! Ed i decori… riprendono i disegni del mio tatuaggio! Ti ringrazio!”.

“L'umano sembra confuso" ridacchiò Mefistofele, indicando il possessore dell’anima speciale.

“Da noi si regalano altre cose per le laurea…” ammise Ary.

“Non più!” lo corresse Keros “Ora sei un demone!”.

“E ora?” ghignò Lucifero “Avevamo discusso di una certa questione, prima che iniziassi a dedicarti all'anima finale. Ricordi?”.

Il mezzodemone arricciò il naso, perplesso. Sinceramente non ricordava. Il re, distratto dai cicalini emessi dall’aggeggio che lo metteva in comunicazione con l'Inferno, sospirò. Lilith, seduta accanto al sovrano, fece cenno a Keros di avvicinarsi e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Il principe tornò a sedersi, dopo essersi alzato per ascoltare la voce di Lilith che sedeva dalla parte opposta del tavolo.

“Ricordo vagamente…” ammise.

“Cosa? Siamo curiosi" si intromise Astaroth.

“Si era parlato di concubine" ghignò la Succubus.

“Concubine!” scoppiò d'entusiasmo Mefistofele “Sarebbe ora! E sarebbe una splendida idea! Anche per il nuovo demone…”.

“Eh?” fu la reazione di Ary, e molti risero.

“Potremmo organizzare un evento, per permettere al principe di scegliere e farsi scegliere!” propose Alukah.

“E perché solo il principe?” gli rispose Mefistofele “Organizziamo un evento che permetta a tutti gli invitati di trovare quel che cercano”.

“Ma io…” si intromise Arikien “Credevo che i demoni non cercassero un compagno o una compagna. Mi è stato ripetuto più volte che sono rare le coppie fisse"

“Di fatti chi parla di coppia fissa?” rise Lilith “Questi eventi si organizzano per creare un'alleanza ed ottenere prole il più potente e prestigiosa possibile. Le fanciulle faranno la fila per il principe. E lui potrà trovare fra loro le concubine con cui popolare le proprie stanze, procreare figli sani e forti e mantenere gli alleati fedeli alla famiglia reale. Capisci? È una cosa importante".

“Capisco… però…”.

“Però tu sei ancora dentro di te un umano" storse il naso lei “Non ti garba che il tuo Keros si conceda altrove".

“Ma no, non è quello il punto. Io mi rendo conto che millenni con sempre e solo lo stesso partner sessuale sia una rottura. Solo che… non credo faccia per me…”.

“Probabilmente alcuni tuoi istinti non si sono ancora del tutto risvegliati. Non hai mai provato l'irrefrenabile desiderio di scoparti una demone".

“Io…”.

“O forse sì” ghignò Lucifero, notando un lieve rossore sulle guance dell'anima speciale.

Ary non rispose. Era arrostito ed aveva distolto lo sguardo.

“Ah, sì?” si stupì Keros “E che hai fatto?”.

“Nulla!”.

“E perché?”.

“Ma… che razza di domanda è?!”.

“Si tratta di Lilien, vero? È ricettiva in questo periodo e tu la incuriosisci”.

“E che dovrei fare secondo te?!”.

“Scopare, mi pare ovvio! Ti sentirai subito meglio".

“Sei ubriaco?”.

“Un pochino…”.

“Magari con una demone riusciresti ad avere dei figli" suppose Lucifero “Chissà. Ultimamente succedono un sacco di cose strane. Tornando a noi… che genere di evento avevate in mente?".

“Che ne dite di un torneo?” propose Alukah “Di quelli come si facevano un tempo. I rappresentanti, e le rappresentanti, delle varie casate si mettono in mostra con varie prove di destrezza e combattimento. L'uso della spada, l'utilizzo dei propri poteri in lotte fra casati…”.

“Bello!” sorrise Mefistofele, facendo portare un ulteriore giro di alcolici “Io ci sto!”.

“E che ne dite di un ballo?” parlò invece Lilith “Più raffinato, più elegante. Dove tutti i demoni possono sfoggiare la propria beltà ed il proprio fascino. Magari un ballo in maschera, dove tutto si svela a poco a poco".

“Wow" fu il commento di Astaroth.

“Perché non entrambi?” suggerì Lucifero, con un ampio sorriso “Solo il meglio, per il mio erede. E così avremo modo anche di festeggiare degnamente la nascita di Espero e la nuova regina".

“Incorporare l'incoronazione di Leonore a simili eventi? Sarebbe magnifico" annuì Lilith “Tu che cosa pensi, Keros? Cosa vorresti?”.

“Cosa voglio? Voglio tutto!” ammise il mezzodemone “E che tutti godano in mio onore ed in onore del mio fratellino Espero".

 

La serata proseguì con numerosi altri drink. Alla fine, quando il grado alcolico fu abbastanza alto, la compagnia decise di fare una passeggiata per il mondo umano. L'unico non molto convinto pareva Lucifero, che continuava a fissare ad intermittenza l'aggeggio infernale. Ary li osservava con curiosità. Anche se molto diversi fra loro nei loro aspetti umani, a partire dal colore della pelle, erano tutti magnifici. E con accessori in pelle nera che attiravano decisamente l'attenzione! In particolare, Keros e Lucifero indossavano cappotti lunghi fin quasi alle caviglie ed alto colletto. Catene e bottoni non mancavano, ed emettevano un rumore tintinnante quasi ipnotico. Camminando, i demoni ridacchiavano e si raccontavano aneddoti di varia natura. Il Diavolo li ignorava, accendendosi una sigaretta. Aveva affiancato Ary, che non aveva alzato troppo il gomito e fissava perplesso il principe, che all’opposto era visibilmente ubriaco.

“Quante novità, eh?” mormorò il sovrano, facendo sobbalzare l'umano.

“Io… può essere…” fu la risposta.

“Ti vedevo silenzioso, per quello ho chiesto. Non sei obbligato a far nulla di particolare. Ti ci devi abituare".

“Ma… durante l'esame non avevate detto che non ci si abitua?”.

“Non ci si abitua all'Inferno. Ad essere demone invece dopo un po' ci si fa l'abitudine. Credimi".

“Oh… Va bene".

Lucifero rise sotto i baffi e continuò a fumare. Poi alzò lo sguardo, che emise una lieve scintilla. Un gruppo di persone si stava avvicinando, nel buio delle strade cittadine. Mefistofele riconobbe, fra quelle persone, dei demoni a lui familiari e sorrise.

“Vi unite alla festa?” esclamò il tentatore, entusiasta.

Si stupì di non riscontrare altrettanto entusiasmo sui volti di chi avevano incontrato. Scese uno strano silenzio nervoso.

“Problemi?” si chiese Azazel.

“Diccelo tu" fu la risposta di un demone dal corno spezzato “Ti crea problemi avere in famiglia un impuro mezzo umano?”.

“Che hai detto?!” sibilò Keros, sapendo che parlava dell’uomo che amava.

“Hai sentito benissimo. O essere un bastardo per metà angelo rende sordi?”.

Il principe, senza dare il tempo a chiunque di rispondere a quella provocazione, assestò un poderoso cazzotto in faccia al demone, atterrandolo. Quel gesto, scatenò in pochi istanti una rissa.

“Ma… che fate?!” spalancò le braccia Lucifero “Siamo nel mondo umano! Piantatela!”.

Però nessuno ascoltava, tranne Ary che non sapeva che fare.

“Non restare lì impalato!” lo incoraggiò Alukah “Aiutami a mettere a tacere questi stronzi!”.

In minoranza, il gruppetto di sovversivi tentò di darsi alla fuga ed iniziò un inseguimento per le strade della città.

“Tornate qui!” minacciò Satana “Brutti coglioni! Nel mondo umano non possiamo fare quello che ci pare! Volete forse che arrivino gli angeli?!”.

Fra le bestemmie, il Diavolo tentò invano di far ragionare i suoi sudditi. Sembravano un branco di teppisti, che si inseguivano con coltelli e catene. Sfruttando le proprie capacità sovrannaturali, saltavano e scattavano da una strada ad un’altra, da una parete ad una terrazza. Non ci volle molto tempo prima che si udissero le sirene della polizia.

“Dove andate?” gridava Keros “Scappate?! Prima insultate e poi scappate?! Vigliacchi!”.

Arrampicato su un pianerottolo, vedeva da lontano colui che lo aveva deriso.

“Guarda, papà!” ghignò, impugnando la pistola “Guarda come uso il tuo regalo!”.

“Come pensi di poterlo colpire da così lontano?” sghignazzò Mefistofele, divertito.

“Io non sbaglio mai!”.

Il principe sparò due colpi, che andarono a segno. Keros rise sadicamente e si udirono ovazioni entusiaste, mentre il colpito cadeva e moriva.

“Sei impazzito?!” sbraitò invece Lucifero “Nel regno mortale non possiamo fare simili cazzate!”.

La rissa riprese. Le sirene della polizia si fecero sempre più vicine e Satana iniziò davvero ad innervosirsi. Non poteva certo ammettere che un demone si facesse arrestare! Specie per una rissa in stato di ebrezza! E se qualche umano avesse notato qualcosa di strano? Adesso eran sempre pronti con il cellulare in mano, per fare video e tentare di acchiappare like! Guardando in su, tentando di scorgere l'intero gruppo di demoni, Lucifero fu quasi investito dall'auto della polizia, che gli tagliò la strada. Trattenendo un'imprecazione, non trovandola adatta davanti ad un umano delle forze dell'ordine, se la lasciò sfuggire quando invece vide che a scendere dall'auto fu Mihael. In divisa da poliziotto, lanciò un'occhiata minacciosa al Diavolo.

“Miky?” sibilò il demone.

“Sono il santo protettore delle forze armate, non lo sai? Ed ora richiama i tuoi demoni, se non vuoi che spari a tutti in faccia!”.

“Guarda che ci sto provando!”.

Altri angeli scesero dalle auto, tutti in divisa ed aspetto da umani.

“E che pensi di fare?” stuzzicò il Diavolo, osservando Mihael “Arrestarci tutti?”.

“Ti ho già detto che vi sparo. Sparo a tutti! E adesso ordina a tutti di riestrare all'Inferno!”.

“Ed io ti ho già detto che ci sto provando! Ma non mi ascoltano!”.

“Bugiardo. Io e te non possiamo volere la stessa cosa!”.

“Fottiti, Mihael!”.

Lucifero sbraitò contro i demoni, nel tentativo vano di riportarli all'ordine. Li minacciò più volte, ed udì qualcuno ridacchiare.

“Keros, prega di non essere tu quello che ride. Perché se no a casa vedi che ti faccio…” ringhiò.

Percependo che molti si erano radunati sopra al tetto di un alto edificio, il sovrano si arrampicò lungo una scala antincendio che circondava lo stabile. Odiava fare le cose alla maniera umana, senza poter usare le ali o i propri poteri! Mihael diede ordine ai suoi sottoposti di sorvegliare ogni uscita, per non lasciare vie di fuga ai demoni. Poi rincorse il Diavolo, che nel frattempo era giunto in cima a quella specie di grattacielo. Lì i suoi sudditi ancora si azzuffavano. Molti sanguinavano, ricoperti di graffi, tagli ed alcuni fori di proiettile. Uno era sicuramente morto, steso a terra a faccia in giù. Pioveva.

“Avete finito di fare gli stronzi?” ringhiò il re “Finitela immediatamente! Avete richiamato gli angeli!”

“È quello che facciamo di solito!” si udì in risposta “Hai per caso paura?”.

“Gli angeli non sentono il dolore, coglioni! Noi sì! E sanno come farci molto male! Hanno le pistole!”.

“Da quando sei un vigliacco?”.

“Ma voi avete idea di quel che può succedere?! Obbedite!”.

“Oh! Qualcuno qui ha paura dell'ira di Dio" rise qualcuno.

Lucifero, rosso in viso per la rabbia, stese chi rideva con un singolo calcio.

“Obbedisci, scarafaggio!” tuonò il Diavolo e si udì uno sparo.

Era Mihael, che richiamava all'ordine ed al silenzio.

“Tornate immediatamente all'Inferno!” furono le parole, ben scandite, dell'Arcangelo.

“Torna a casa, angioletto!” biascicò, ubriaco, Azazel.

“Taci, testa di minchia!” lo zittì Satana “Ed obbedite!”.

“Da quando prendi ordini dai piumati?! Ma quanto male siamo messi?!” lo derise uno degli aggressori.

“Vedrai poi agli Inferi come sarai messo tu, dopo che ti avrò dato una ripassata!”.

La discussione si fece sempre più accesa, fra demoni che si rifiutavano di obbedire ad un re che parlava come un arcangelo e angeli che ripetevano a rotazione sempre le stesse frasi.

“Smettila di darmi ragione!” mormorò Mihael, rivolto a Lucifero “Tu sei mio nemico!”.

“Ti ci metti pure tu adesso?!” sibilò il Diavolo.

“Tu sei mio nemico! Noi dobbiamo combattere fra noi! Torna ad essere il mio nemico!”.

“Ma che vai blaterando?!”.

“Io ho bisogno di un nemico! Non ha senso la nostra esistenza, in caso contrario".

Stanco di discutere, Satana tentò di trascinare qualche demone con sé. Infuriato, urlò di nuovo a tutti i suoi sottoposti. Poi un lampo ed un tuono fortissimi fecero tremare l'intero edificio. Keros dapprima rise, ancora sotto l'effetto dell'alcol. Poi si accorse che un fulmine aveva colpito in pieno Lucifero…

 

 

Rieccomi! Scusate se non sono costante con gli aggiornamenti, ma riesco a ritagliarmi sempre meno tempo con la bimba! A presto…

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Capitolo 69
*** Risvegli ***


69

Risvegli

 

Il boato era stato fortissimo, così come la luce. Ary, che si stava azzuffando in un gruppetto di demoni relativamente distanti dal punto d’impatto del fulmine con il corpo del re, fu sbalzato all’indietro. Per qualche istante, udì solo un fortissimo fischio alle orecchie e intravide diavoli che correvano a caso.

“Keros!” gridò, preoccupato.

Non aveva capito che cosa fosse successo, cosa stesse succedendo. Gli aggressori si disperdevano, qualcuno gridava. Ricominciò ad udire altri suoni, oltre a quel fischio fastidioso. Udiva le sirene, della polizia o forse dell’ambulanza. O erano i vigili del fuoco? Erano fiamme? Era forse esploso qualcosa?

“Riesci ad alzarti?” si sentì chiedere, probabilmente da qualcuno che aveva ripetuto quella frase un sacco di volte prima che Ary lo sentisse.

“Cosa è successo?” chiese l’anima speciale, scuotendo la testa e rialzandosi lentamente.

“Un fulmine ha colpito Lucifero”.

“Che…?”.

“Devi tornare a casa, di corsa. Presto qui sarà pieno di umani e dovrai giustificare sangue, segni di lotta e le fiamme. Io me la svigno. Vieni con me?”.

Arikien capì solo in quel momento di avere davanti a sé Alukah.

“Non posso andare all’Inferno” rispose “Devo tornare a casa mia. Ci sono i bambini là e non posso lasciarli da soli”.

“Capisco. Vieni con me allora. In fretta!”.

Ancora confuso, Ary seguì Alukah lungo le scale antincendio. I demoni stavano tutti fuggendo, gli angeli si erano già ritirati in Cielo.

“Dov’è Keros?” gridò l’uomo, continuando a correre.

“Non preoccuparti per lui” lo rassicurò Alukah “Lui è il principe. Di sicuro Asmodeo o altri alti ufficiali e generali lo hanno già riportato a casa senza dargli modo di protestare. È la procedura in caso di emergenza”.

“Capisco… Ma sai se sta bene? E Lucifero?”.

“Non so nulla. So solo che devi muoverti. Arrivano gli umani!”.

“Sì, ma…”.

“Cristo, muoviti! Non vorrai mica farti arrestare?!”.

Arikien chiuse la bocca ed accelerò il passo, lungo i vicoli. Albeggiava, e molti mortali stavano accorrendo sul posto. Elicotteri, poliziotti, volanti… E molte luci si stavano accendendo nelle stanze dei grattacieli che circondavano quell’edificio in fiamme.

“Salite!” ordinò qualcuno.

Girandosi, videro Mefistofele a bordo di un’auto sportiva con aerografato sul cofano il logo del locale che gestiva il demone.

“Grazie, fratello” ghignò Alukah “La strada la conosci”.

Insieme, si allontanarono in fretta da quel luogo e raggiunsero la casa di Arikien, dove i vari bambini mezzodemoniaci lo attendevano con apprensione.

“Che casino abbiamo fatto” ridacchiò Mefistofele “Queste sì che sono belle serate!”.

“Ogni tanto ci sta anche bene…” ammise Alukah “Ma non tanto spesso. Sono vecchio per certe cose!”.

“No, non sei vecchio. Abbiamo la stessa età! È che stai diventando ciccione e sedentario, non riesci più a correre come un tempo, ammettilo. Ma non perché sei vecchio, ma perché ti sei pappato troppi umani!”.

“Stronzo” rise il vampiro, salutando Ary e congedandosi.

Rimasto solo, il padrone di casa ci mise un po’ per calmarsi. Non era abituato a simili botte di adrenalina e corse improvvise! Tentò invano di contattare Keros per buona parte della giornata, senza ottenere risposta. Poi, la sera seguente, un giovane messaggero bussò alla sua porta.

“Vostra altezza vi attende” si limitò a dire “Seguitemi, voi ed i piccoli”.

 

L’urlo di Lucifero era stato udito distintamente per tutto l’Inferno. La rabbia, il dolore e lo strazio avevano fatto vibrare le pareti degli Inferi e tremare i suoi occupanti. L’oscuro signore delle tenebre si era ritrovato fra le mura del proprio palazzo, avvolto dalle spine delle rose nere. La luce accecante del fulmine aveva, per pochi secondi illuminato quel mondo solitamente buio. Il sangue colò sui fiori, donando loro un’inquietante sfumatura. Gli altri demoni, dopo i momenti di panico ed immobilità, accorsero appresso al proprio sovrano. Questi lanciò un altro grido, provando un fortissimo dolore, e si agitò per liberarsi dalle spine che lo avvolgevano. Provocandosi ulteriore dolore e ferite, illuminò lo sguardo per la rabbia e nessuno dei presenti riuscì in alcun modo a porre fine a quell’agitazione. Fortunatamente, Leonore corse lungo le scale e raggiunse il giardino. Con i capelli biondi lasciati lunghi sulle spalle, l’abito bianco che terminava con un lunghissimo strascico e gli occhi lucidi per l’apprensione, fu in pochi minuti accanto al suo amato.

“Amor mio!” lo chiamò.

L’udire quella voce, nel buio della cecità momentanea provocata dalla folgore, calmò immediatamente il re. Si trascinò fuori dai rovi e accasciò fra le braccia di lei, inginocchiata e di cui ora la veste si tingeva di rosso sangue.

 

Keros si risvegliò piuttosto stordito. Le orecchie gli dolevano e fischiavano, per via del forte rumore provocato dal tuono. Inoltre, la testa gli pulsava e faticava a capire quanto successo. Steso, iniziò a comprendere dove si trovasse: era nella propria camera all'Inferno. Ed era da solo. Allungò la mano per azionare il dispositivo che richiamava i servi. Dovette attendere solo qualche minuto prima che comparisse Simadè sulla porta.

“Siete sveglio. Buongiorno!” salutò il servitore, con sollievo.

“Sai fornirmi una spiegazione riguardo alla mia condizione attuale?” biascicò Keros, rimanendo disteso.

“Avete perso i sensi e siete stato riportato qui".

“Perso i sensi? Perché?”.

“Suppongo per il forte rumore provocato dalla saetta".

Il principe alzò un sopracciglio.

“Non ricordate?” suppose Simadè.

“Non proprio. Che ho fatto ieri sera?”.

“Da quel che mi hanno detto, avete sparato ad un demone, vi siete ubriacato e poi siete svenuto dopo che un fulmine ha colpito Lucifero".

“È tutto molto vago…”.

“Probabilmente perché eravate sbronzo, altezza".

“Già…”.

Il mezzodemone si alzò a sedere, passandosi una mano sul viso.

“Vi porto qualcosa per farvi stare meglio?” propose il servo.

“Ma… che è successo dopo? Come sta il re? Ed Ary dov'è?”.

“L'arconte Arikien è stato riportato a casa propria, come da sua richiesta. Doveva occuparsi dei bambini, a quanto pare. Riguardo al sovrano, non so dirvi molto. Il guaritore Furcas voleva parlare con Voi, una volta sveglio”.

Keros mugugnò qualcosa. La testa gli doleva e si sentiva ancora intontito. Si fece aiutare per vestirsi e fece cercare Furcas. Il dottore era lieto di vedere il principe in piedi, anche se con una faccia non molto sveglia.

“Ho un ottimo antidoto per il doposbornia, altezza” propose il guaritore e Keros mugugnò qualcosa di incomprensibile.

“Dimmi come sta il re. E non alzare troppo la voce, ho mal di testa”.

“Vostra maestà Lucifero è momentaneamente a riposo forzato. Anche se brama uccidere, sbudellare e via discorrendo, è meglio che eviti lo stress. Gli ho somministrato una pozione per farlo dormire, dormire parecchio. Per dare modo al cuore di riprendersi dalla scossa, comprendete?”.

“Comprendo. Ma non è grave, quindi?”.

“Non può alzarsi ed andare a ballare una giga, se è questo che volete sapere. Anche se lui vorrebbe. L’ho sedato, e per un po’ dovrà stare tranquillo. Mi pare quindi d’obbligo suggerire un momentaneo cambio di sovrano, onde evitare lo stress ed il nervosismo eccessivi”.

“In poche parole, passi a me la palla. L’avevo intuito. L’anello con il sigillo lo ha Azazel?”.

“Sì, altezza. Permettetemi però di offrirvi qualcosa per rendervi più…”.

“Presentabile? Fa niente. Un po’ di trucco e sembrerò una superstar. Mi rassicura sapere che il re sta bene”.

“E voi? Ci sentite bene? La vista? Il fulmine non ha provocato danni?”.

“Mi fischiano un po’ le orecchie. Ma passerà, suppongo. La vista mi sembra normale. In caso, ti farò sapere. Grazie…”.

Dopo aver recuperato il sigillo regale da Azazel, Keros chiamò a sé Simadè e Lilith. Grazie alle loro mani, ne era certo, il proprio aspetto principesco e scomposto diventasse degno del sovrano degli Inferi.

“Mandate a chiamare Arikien” ordinò poi “Con tutti i bambini”.

 

Non sapeva dire per quanto tempo era rimasto privo di sensi. Quando aprì gli occhi, Lucifero fu davvero felice di udire la voce di Leonore che cantava. La vista offuscata, la mente confusa, sovrapposero la figura di lei e quella di Sophia.

“Sophia…” mormorò e lei sorrise.

“Che bello vederti di nuovo sveglio” rispose la donna.

Toccandosi il petto, il sovrano percepì bende e dolore. In un momento, alla mente gli balenò quanto successo e scattò, ritrovandosi seduto e con il respiro affannato. In un ringhio sommesso, si sentì di nuovo bruciare di rabbia e sofferenza.

“Calmati. Sei tornato a casa. Sei tornato da me” mormorò Leonore, avvicinandosi e sfiorandone la mano.

“Cos’è questo rumore?” domandò lui, con voce roca “Sento delle voci. Molte voci”.

“È il tuo popolo che ti acclama” sorrise ancora lei “La voce della folgore divina si è sparsa per l’intero regno. E tutti sono pronti ad adorarti, unico e degno sovrano in grado di sfidare e provocare Dio, senza temere la sua punizione. L’unico in grado di strappare il figlio di Mihael e l’angelo prediletto dal Paradiso”.

“Angelo prediletto… un tempo ero io, dicevano…”.

“Chissà. Magari lo sei ancora. Io credo che Dio ti ami tantissimo”.

Lucifero alzò un sopracciglio, perplesso e lievemente irritato.

“Bevi” offrì lei, porgendo una ciotola “Furcas ha detto che dovevo fartelo mandar giù tu, appena ti svegliavi”.

“Dall’odore, fa schifo”.

“Serve ad attenuare il dolore”.

Il re obbedì, riluttante. Fece una smorfia, disgustato.

“Perdonami. Ti ho chiamata di nuovo Sophia” sospirò poi, tornando ad appoggiarsi sul cuscino.

“Puoi chiamarmi come preferisci. I nomi sono solo lettere, cambiano nel tempo…”.

“Sì, ma…”.

“Sciocco. Sciocco fratello che ancora non capisce” rise Leonore e Lucifero si chiese se per caso stava impazzendo.

“Che cosa non capisco?”.

“Non capisci proprio? Oppure la sai, la verità. Secondo me lo sai. Tu sai… sai chi sono. Sai chi siamo. Eppure a volte la tua mente non ha dubbi”.

“A volte…”.

“Sempre. Io sono qui e ci sarò sempre, amor mio. Gli angeli non muoiono. Gli angeli ritornano. Ed io sono qui, per te. Avevo timore, timore che Dio potesse portarti via. Ma ora ho capito che non c’è nulla che possa fare. Io sono nata per te, io sono stata creata per te ed assieme a te. E tu sei nato per me, creato assieme a me. Lucifero, fratello mio…”.

“Tu… tu sei veramente Sophia?! Ma come…?!”.

“All’inizio non lo sapevo. Ma durante la gravidanza ho acquisito lentamente sempre più coscienza. E quel fulmine mi ha risvegliata definitivamente”.

Il re aprì la bocca, come a voler dire qualcosa, senza trovare le parole.

“Mi prendi in giro?” disse poi “Sto sognando?”.

“No. Per questo dico che Dio ti ama molto. Perché sei qui. Ti ha riportato da me. Il tuo posto è qui, accanto a me. Assieme a nostro figlio”.

“Sei tu sei qui, sei veramente qui, allora Dio dev’essere davvero molto geloso. Ecco il motivo del fulmine nel petto. Spera forse di distruggere il mio cuore. Ma il mio cuore… non mi appartiene più”.

Leonore dedicò un bacio al re, sfiorando le ferite con le dita. Questo donò un immediato sollievo a Lucifero, che ricambiò il bacio.

“Questo, allora, appartiene a te…” commentò il sovrano, infilando l’anello di Sophia al dito di Leonore “Che tu sia davvero la mia amata sorella tornata in vita, o un’umana divenuta demone per generare mio figlio, vorrei che lo indossassi”.

“Io sono entrambe le cose, mio signore!” sorrise lei, con una scintilla dorata negli occhi.

 

Preparatevi a qualche altro piccolo cambiamento! Ringrazio per tutte le recensioni ai capitoli precedenti. Purtroppo ho qualche problema con le risposte (il sito non mi carica le risposte dal cel). Cercherò di risolvere presto. Grazie a tutti :3 A presto!!

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Capitolo 70
*** Viva il re ***


70

Viva il re

 

Quando Ary si svegliò, ci mise un po' a capire dove fosse. Ancora stordito dal sonno, intravide Keros seduto davanti al grande specchio della camera infernale. Attorniato da servi che lo vestivano, il mezzodemone si preparava per la giornata da sostituto del re. Sorrise quando vide che il proprio amato si era svegliato.

“Sei magnifico" mormorò Ary, rimanendo steso a letto.

“Ti ringrazio" gli rispose Keros, lasciandosi pettinare i lunghi capelli rossi “Devo avere l'aspetto di un re".

“A me sembri un dio".

“Esagerato!”.

Con lo sguardo ambrato messo in risalto dal trucco, Keros osservò la propria immagine allo specchio. L’abito scuro, ricco di ricami e dettagli preziosi, scendeva lungo la schiena fino a formare uno strascico. Ogni bottone riportava il simbolo reale e brillava in modo ipnotico. Le stesse punte di luce continuavano fra i capelli ed i gioielli, assieme ad un lieve tintinnio. La corona argento, quella da principe ereditario, spiccava fra le due corna blu. Una volta pronto, Keros si alzò e si voltò verso Ary. Ridacchiò, congiungendo le mani sotto le ampie maniche, e mostrò la lingua.

“Le signorine ti aiuteranno a vestirti" indicò il mezzodemone, mentre Ary si voltava a fissarle “Poi sei libero di gironzolare dove vuoi. Fatti un bagno, fatti coccolare… Io oggi avrò un po' da fare, ma per pranzo potremmo mangiare assieme. Che dici?”.

Ary annuì, non sapendo che altro dire.

“Ti suggerisco la biblioteca" continuò il principe “Puoi accedervi anche da questo piano, ma ti consiglio di girare un pochino ed esplorare. Puoi raggiungere il corridoio centrale, quello che porta alla sala ricevimenti, e poi girare sulla destra. Poi prosegui fino alla quinta porta a sinistra. Tutto chiaro?”.

“Più o meno…”.

“Sono sicuro che te la caverai. Ora vado… A più tardi!”.

Il ticchettio regolare dei tacchi del sanguemisto si allontanò gradatamente ed Ary sospirò. Notò quanto fosse affollata quella stanza, fra servi e serve, e realizzò di essere nudo…

 

Mentre Keros era impegnato con le incombenze reali, Ary si era vestito e stava vagando per il castello. Camminava, guardandosi attorno, incuriosito. Era stupito da quanto quel luogo potesse essere bello, nonostante si trovasse al centro dell'Inferno.

Con un sorriso, intravide Lucifero in giardino. Sembrava di buon umore, ridacchiava assieme ad Asmodeo e discuteva animatamente. Il fulmine aveva lasciato qualche segno sul corpo del demone, che si intravedeva sotto alle vesti. In particolare, sul viso e sul collo, alcuni segni neri rassomigliavano a sottili radici che andavano svanendo. Si notava, dai suoi movimenti, che provava ancora dolore ma sorrideva, probabilmente rilassato dalla temporanea mancanza di lavoro. Fuori dal palazzo, molti demoni ancora osannavano il proprio signore con entusiasmo.

Ary continuò a camminare, deciso a raggiungere la biblioteca. Non fu facile trovare la porta, fra cunicoli e corridoi, ma quando finalmente intravide i libri della sala rimase senza parole. Il soffitto era altissimo, le entrate e le scalinate si inerpicavano su più piani ed i volumi riempivano gli scaffali lungo tutte le pareti. Il profumo della carta era inebriante. Consapevole di non capire buona parte della lingua scritta, Ary decise di dedicarsi allo studio della lingua ed aveva trovato i libri adatti. Stava studiando con diligenza, seduto su un tavolo in legno e chino su un grosso libro antico, quando udì un’incantevole voce espandersi per tutta la biblioteca. Cercò di capire da dove provenisse, guardandosi attorno. Poi una risata dal tono familiare. Nell'ombra, intravide Lilien assieme ad un’altra donna. Risero e poi si scambiarono un bacio, accorgendosi solo in quel momento della presenza dell'uomo.

“Non volevo disturbarvi…” arrossì Ary.

“Non essere in imbarazzo" ridacchiò Lilien “Non volevamo interrompere il tuo studio…”.

“Ah… no… io…”.

La messaggera si avvicinò, seguita dall'altra giovane demone.

“Come ti trovi a palazzo?” domandò, salendo sul tavolo ed accavallando le gambe.

“Non male…”.

“Pensavi peggio?”.

“Già…”.

Rimasero in silenzio, lui decisamente in imbarazzo e lei divertita dalla situazione.

“Dunque…” borbottò poi Ary “Era lei a cantare?”.

“Sì. È una nuova serva, le sto spiegando un po' come funzionano le cose. È la figlia di Lorelai, una delle concubine del re".

“Lorelai? La sirena del Reno? Ecco perché una voce così bella!”.

“Esatto! Si chiama Undinnè. Coraggio… canta ancora un po' per noi!”.

La giovane ricominciò a cantare.  Ary sospirò, incantato.

“Questa voce è in grado di ammaliare uomini e demoni" sorrise Lilien.

“Semplicemente divina. Senza offesa, ovviamente” riuscì a dire Ary.

Undinnè arrossì.

“Ora ti lasciamo studiare" si alzò Lilien.

“Ma… potete anche restare, se volete…”.

Il canto ricominciò. Era una melodia sensuale, simile a quella che spingeva i marinai fra le braccia delle sirene e li portava alla perdizione ed alla morte. Appannava i sensi, offuscava la mente. Ary ascoltava, con attenzione, e si perdeva ad osservare la fanciulla che gli stava di fronte. Era minuta, dai lunghi capelli color del mare ed un abito che ricordava l'oriente. Non era particolarmente formosa o sensuale, ma possedeva una bellezza particolare che suscitava di certo interesse.

“So che cosa provi" sussurrò Lilien “E non te ne devi vergognare. Siamo entrambe ricettive, in questi giorni. Per questo ci eravamo nascoste qui. Per schivare i demoni più insistenti e per… sfogare i nostri istinti fra noi”.

Ary ricordava vagamente qualcosa, riguardo all'essere “ricettivi", e tentò di dire qualcosa. Ma reprimere l'istinto di demone era estremamente complesso, specie per chi lo era da poco.

“Non è irresistibile?” stuzzicò ancora Lilien “Canta per te. Dovresti darle qualcosa in cambio".

“Qualcosa in cambio…?” mormorò, piuttosto confuso, l'uomo.

“Sei ancora troppo umano" lo derise la messaggera “Fai quasi tenerezza".

Ary si sentì punto nell'orgoglio. Si alzò, per ribattere, ma non trovò parole convincenti e rimase in silenzio. Undinnè si era avvicinata, smettendo di cantare, e Lilien l'aveva baciata di nuovo sulle labbra. Poi la melodia era ricominciata e lo sguardo della demone si era posato sull'uomo. Si era avvicinata ulteriormente ed Ary l'aveva costretta a rimanere in silenzio, stringendola di scatto a sé  e facendola sobbalzare.

“Che cosa vuoi da me, sirena?” domandò lui.

Lei, stupita da quella reazione, dopo qualche istante di smarrimento si rilassò con un sorriso. L'uomo rispose a quel sorriso, maliziosamente.

 

Keros raggiunse la biblioteca tramite un passaggio che lo collegava direttamente dalla sala ricevimenti reale. Percepì subito Lilien, che poi vide appoggiata con la schiena contro un tavolo. Sorrideva, soddisfatta. Poco più in là, Ary ed Undinnè erano uniti in un atto sessuale quasi violento, fra graffi e gremiti.

“Come lo hai convinto?” domandò il principe alla messaggera.

“È stato facile" ghignò lei “Fa bene ad entrambi".

“Chi è lei? Non mi sembra di conoscerla".

“La figlia di Lorelai. È qui per imparare a fare la serva. La sua famiglia risulta fra i sovversivi che il re ha sconfitto e sottomesso”.

“Una elementale d'acqua, dal canto ammaliatore come la madre?”.

“Esatto…”.

“Non so se mi aggrada sia una semplice serva…”.

“Era quello che speravo…” ghignò ancora Lilien.

 

Nel frattempo, i due amanti si erano divisi, soddisfatti e lievemente imbarazzati. L'imbarazzo salì notevolmente di livello quando entrambi notarono la presenza di Keros ed il suo sguardo interessato.

“Vi siete divertiti?” ridacchiò il principe.

Ancora ridacchiando, il mezzodemone invitò la demone ad avvicinarsi. Mezza svestita, la osservò mentre si faceva ammirare e girava su se stessa.

“Ma sei deliziosa!” commentò poi Keros “Semplicemente deliziosa!”.

Lei arrossì.

“Lucifero non deve averti ancora vista, altrimenti ti avrebbe di certo aggiunta alla schiera delle sue concubine. Non ti piacerebbe?”.

“Oh… mi piacerebbe. Mi piacerebbe molto!” ammise Undinnè.

“E se invece divenissi una mia concubina? Lilien, cosa ne pensi?”.

“Lei a me piace" ammise la messaggera “In tutti i sensi. E non credo piaccia solo a me…”.

L'ultima frase l'accompagnò con un ghigno divertito ed un cenno rivolto ad Ary, che ancora non capiva del tutto quel che aveva fatto.

“Però, se vuoi essere mia concubina…” mormorò Keros, camminando attorno alla ragazza “…devi dimostrarmi di esserne all'altezza. Pensi di essere adatta?”.

“Lasciate che vi mostri quel che so fare, mio principe".

Undinnè cominciò a cantare. Ary tornò in uno strano stato d'intorpidimento, mentre Lilien e Keros ascoltavano con attenzione la sirena. Il principe non era immune al potere di quel canto e sorrise, con approvazione.

“Deliziosa" ripeté “Semplicemente deliziosa!”.

Lei ridacchiò, arrossendo di nuovo.

“Tu cosa dici, Ary? Non è deliziosa? Cosa dici? La assaggio?”.

Non ricevette alcuna risposta, come si aspettava, e tirò a sé la ragazza. Le diede un piccolo morso sul collo, facendole emettere un piccolo gemito.

“Sai…” sussurrò Lilien, raggiungendo Ary “…ora si accoppieranno di sicuro”.

“Non mi sembra una cosa negativa…”.

“E tu?”.

“Io che cosa?”.

“Vorresti assaggiarmi?”.

“I…io…”.

Non era stato in grado di rispondere. L'istinto lo aveva reso incapace di compiere scelte consapevoli.

 

Quando riprese lucidità, Ary si accorse di essere steso sul pavimento della biblioteca. Osservava il soffitto, affrescato con intricati disegni neri ed argento. Rimase qualche istante a fissare il lampadario pendente, che era enorme e risplendeva con bagliori intensi. Keros rise e lo riportò del tutto alla realtà. Anche le due donne risero, senza però alzarsi dal pavimento.

“Benvenuto all'Inferno!” commentò il principe “Non è tanto brutto, non trovi?”.

Erano tutti e quattro nudi, più o meno lucidi.

“Mi sono giocato la pausa pranzo" commentò Keros “Ma ne è valsa la pena!”.

“Ma… che…” tentò invano di dire Ary, borbottando cose senza connessione e ributtandosi sul pavimento scuro con un mezzo sorriso.

Keros si sistemò alla bene e meglio e lasciò la sala, per tornare al lavoro. Lilien si alzò, porgendo poi la mano ad Undinnè. Le due donne si alzarono e si rivestirono.

“Attento” rise Lilien, girandosi verso Ary e facendo l'occhiolino “Potrebbe entrare qualcuno!”.

 

Quella sera, Ary attese l'arrivo di Keros nella grande sala da pranzo. Era solo, e provava un certo imbarazzo. Fissava uno dei candelabri che decoravano la sala ed annusò l'aria, percependo un piacevole profumo di pietanze che non riusciva a riconoscere. Il principe lo raggiunse dopo più di mezz'ora, scusandosi.

“Il lavoro è lavoro" gli sorrise Ary “Ora però ho una gran fame. Mangiamo!”.

Sorseggiando vino, iniziarono a consumare il pasto portato dai servitori. Risero, ripensando a quanto successo nella biblioteca. Poi la porta si aprì e Keros si alzò di scatto, vedendo entrare Lucifero assieme a Leonore.

“Non alzarti" sorrise il re “Sei tu il sovrano adesso, anche se solo temporaneamente!”.

Lucifero prese posto e Leonore fece altrettanto.

“Cosa ne pensi nel mio palazzo, Arikien?” fu la prima domanda del re, dopo aver assaggiato la prima portata.

“Lo trovo estremamente bello. È… pittoresco"

“Inquietante?”.

“A volte. Ma nel complesso lo trovo maestoso oltre ogni aspettativa".

“E non ti manca casa tua?”.

“Mi mancano alcune cose, lo ammetto".

“La luce del sole, suppongo".

“Anche…”.

“Tranquillo. Tra poco sarò di nuovo il sovrano a tempo a pieno e tu e Keros sarete liberi di scorrazzare dove più vi aggrada. Penso fra qualche mese…”.

“E i bambini?”.

“I bastardelli discendenti dei sovversivi? Stanno qua a palazzo".

“Ho notato. Però nessuno provvede alla loro istruzione o addestramento".

“E che cosa pretendi? Sono orfani e non di famiglia prestigiosa. Per tutti gli orfani dell'Inferno funziona così. O imparano a sopravvivere da soli oppure crepano lungo il cammino".

“Che cosa triste…”.

“È la legge della natura. Vale per tutti così. Anche per gli animali o per gli esseri umani".

“Io sono un orfano ed ho avuto un’istruzione!”.

“Perché qualcuno si è preso la briga di impartirtela. Vuoi quei piccoli? Sono tutti tuoi. Però sappi che il percorso è in salita e difficilmente troveranno un modo per vivere in modo decente, se arrivano all'età adulta".

“Però… forse io avrei una possibile diversa soluzione".

Il re sorseggiò un po' di vino, gustandosi degli stuzzichini che anticipavano la seconda portata.

“Sentiamo…” mormorò, poco convinto.

“Prima volevo sapere se il nostro debito è estinto".

“Hai salvato la vita di mio figlio, hai aiutato Keros a credere veramente in sé e, grazie alla tua anima speciale, ho conosciuto Leonore. Il nostro debito non potrà mai essere estinto, mi sa…”.

“In questo caso, ho una proposta per annullare il debito!”.

“Parliamo in privato di questo. Va bene? Ora vorrei discutere con il principe di Gran Balli e tornei”.

“Pensavo di aspettare di vederti del tutto guarito” ammise Keros.

“Sto sempre bene quando si tratta di andare a caccia di femmine. Sarà un ballo grandioso! Sempre che tu non abbia cambiato idea riguardo alle concubine…”.

“No, affatto. Anzi, ti dirò… ho trovato una concubina proprio oggi!”.

“Notizia splendida. Raccontami tutto, adesso che arriva il dolce!”.

 

Scusate il mostruoso ritardo d’aggiornamento!! Vi mando tanti bacini Kerososi per farmi perdonare (o Lilithiosi, se preferite!)

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Capitolo 71
*** Gran Balli e proposte ***


 

71

Gran Balli e proposte

 

Ary era cambiato e Keros lo aveva notato. Se lo aspettava, doveva accettare e comprendere la nuova natura da demone, ma su certi aspetti provava un certo fastidio. Da qualche mese, si era fatto molto più nervoso e territoriale. Fin troppo protettivo nei confronti di Undinnè, la sorvegliava ed allontanava da lei ogni altro demone, specie se di sesso maschile. La causa di tale comportamento era sicuramente da ricercare nel prepotente risveglio dell'istinto, che lo aveva portato prima ad accoppiarsi con lei e poi a prendersene cura. Razionalmente sapeva che non era necessario, sapeva che il palazzo del re era sicuro per una concubina del principe, ma non riusciva a farne a meno. Era diventato aggressivo perfino nei confronti di Keros, se provava ad avvicinarsi troppo a lei. Lilith trovò la cosa quasi romantica, tenera. Mai aveva visto un demone così protettivo nei confronti di una femmina appena conosciuta, e che probabilmente portava in grembo prole non sua. Keros al contrario trovava la cosa alquanto stupida ed inutile, e si chiese come avrebbe reagito l'inconscio dopo la nascita di altri piccoli da lui non programmati. Lilien, la più felice di tutte per la situazione che si era venuta a creare, attendeva con ansia l’imminente Gran Ballo, che le avrebbe permesso di trovare altre possibili fonti di piacere e svago, consapevo che tale evento quasi coincideva con il parto della sua adorata Undinnè. La giovane, che mai prima d'ora aveva vissuto simili eventi, trovava incredibilmente piacevole e rassicurante la presenza di Arikien. Era forte e le infondeva coraggio, oltre che a farla sentire sempre al sicuro.

 

“Keros… la colpa è tua che ancora non hai imparato ad usare i contraccettivi" lo derideva Lucifero.

“Ma cosa ha a che fare tutto questo con i contraccettivi?!”.

“Ingravidi femmine a caso e poi ti lamenti delle conseguenze. Sei tu lo stupido, non chissà chi! E se nascono altri cosi con le piume?”.

“Lo sai che l'istinto prende il sopravvento. Poi parli proprio tu, con lo scricciolo nato da un'umana!".

“La mia è una faccenda diversa. Però hai ragione. Poi se ci riesce Lilien ad evitare cucciolate…”.

“Ad Ary piace giocare al papà. Lascia che si diverta. Ed io sono cambiato. Posso essere una figura genitoriale decente. È solo che mi scoccia stia spesso con lei. Dopotutto… È la mia concubina, non la sua!”.

“E facci le cose a tre, no? Quanti problemi inutili…”.

Keros capì che discutere non lo avrebbe portato da nessuna parte. In ufficio, firmava documenti mentre il sovrano controllava che tutto stesse procedendo in modo corretto. Ormai Lucifero era quasi del tutto guarito e presto sarebbe tornato a fare il re a tempo pieno.

“Posso chiederti una cosa?” riprese il demone, fissando la mappa dell'Inferno appesa alla parete.

“Chiedi pure" annuì Keros, cercando di decifrare l'incomprensibile scrittura di Azazel.

“Quando pensi di dedicarti ad un allievo?”.

“Che razza di domanda è?!”.

“Suppongo che, ora che io tornerò al lavoro e tu sarai libero di fare quel che ti pare, ti dedicherai al bighellonaggio selvaggio. Insomma… un paio di secoli di pausa da tentazioni, impegni formali e cose simili. Un paio di secoli da dedicare all'uomo che ami".

“Non ti paiono un po' troppi un paio di secoli? E poi no, pensavo solo di far trascorrere un periodo per il mondo umano ad Ary. Manca ad entrambi. Ma non troppo lungo, perché abbiamo delle responsabilità”.

“Di che parli?”.

“Lo sai. Sono un adulto adesso. Sono un padre, presto lo sarò di nuovo, e sono un principe. Ci sarà il ballo e poi il torneo. Sceglierò ragazzi e ragazze con cui riempire le mie stanze ed il mio letto. Ary ha conosciuto la sua famiglia e Alukah lo sta addestrando. Il nostro posto è qui, all'Inferno".

“E ti sta bene?”.

“Pare non abbia molte alternative…”.

“Ma che dici?! Tu sei libero di fare quel che vuoi, te l'ho sempre detto!”.

“Riprendi il discorso. Perché chiedevi di un allievo? Hai in mente qualcuno?”.

“Veramente, sì. Ma tra un paio di secoli".

“Oh… di chi si tratta?”.

“Dello scricciolo".

Keros posò la piuma con cui firmava. Alzò lo sguardo, fissando il re che passeggiava per il soffitto.

“Sei serio?” esclamò.

“Serissimo".

“Tu… vorresti che io addestrassi tuo figlio?!”.

“Esatto. Se non hai altri impegni, ovviamente…”.

“Ma io… io sono stato addestrato dai migliori demoni del regno, non da un novizio!”.

“Appunto! Loro saranno occupati con un progetto che ho in mente e che sto portando avanti assieme ad Arikien".

“Insieme ad Arikien?!”.

“Te ne parlerà dopo il ballo, quando non avrai più obblighi da sovrano. Tornando a noi, penso che tu sia perfetto per addestrare la mia piccola stella della sera. Sei un concentrato del meglio del regno e vorrei che Espero fosse altrettanto. Inoltre chi meglio di te può prepararlo a quel che lo aspetta? Essere principe ed affrontare gli angeli…”.

“Io… io sono onorato! Lo farò volentieri e con orgoglio".

“Ne ero certo!”.

Lucifero scese con un balzo e fissò Keros, sorridendo. Doveva congedarsi, gli ultimi preparativi per il ballo non poteva perderseli!

 

La sala da ballo era la più grande del palazzo. Era immensa, ricca di arazzi e decori sfarzosi. Il pavimento in marmo era lucido e scuro, pieno di riverberi grazie alle luci delle candele. Tendaggi rosso sangue coprivano le alte finestre, che davano sul giardino di rose nere. In quell'occasione, agli ospiti era stato permesso di visitarlo e di passeggiare per esso, pur stando attenti a non rovinare i fiori. Candele e specchi, assieme ai lampadari ed i candelabri, creavano un’atmosfera magica, surreale. Diversi musicisti erano accorsi da tutto il regno, per poter mettere in mostra il proprio talento, ed iniziavano già a suonare. I primi ospiti, in maschera come era stato richiesto, varcavano la soglia.

La famiglia reale si fece attendere, entrando trionfalmente fra la folla già radunata. Lucifero e Leonore, che si tenevano per mano, lasciarono senza fiato molti dei presenti. Lei, in abito vittoriano e maschera color del cielo, indossava dei guanti ed usava un ampio ventaglio per coprirsi il viso. Lui, in nero ed argento, portava la corona ed il suo abito era un intreccio di stili ed epoche, che lo rendevano unico. La maschera del sovrano era scura e con sembianze animali, una sorta di muso di lupo ne copriva il volto. Al loro ingresso in sala, la folla si scansò e permise che fosse proprio quella coppia ad aprire le danze. Con un inchino, lei si fece condurre in un valzer che lasciò gli invitati estasiati.

 

“Come funziona questa cosa del ballo?” aveva domandato timidamente Ary a Simadè.

“È facile" aveva sorriso il servo, in attesa dell'ingresso di Keros “Ci saranno varie musiche ed ogni demone sarà libero di esprimere al meglio quella che preferisce, quella che sente più nelle sue corde. Ballando, cantando, od esibendosi in altro modo, ogni invitato potrà mettersi in mostra. Sfoggiando il meglio di sé, tenterà di attirare l'attenzione di potenziali compagni o compagne”.

“Interessante… Sarà affascinante da osservare".

“Osservare? Non intendi partecipare?”.

“Non sono un granché in certe cose…”.

“Allora sedetevi e lasciatevi ammaliare".

Arikien aveva scelto un abito verde e nero, con dei motivi che richiamavano le spire del serpente. La maschera ed il trucco evocavano lo stesso animale. Non si sentiva molto tranquillo, per via della lontananza sa Undinnè, ma gli era stato assicurato che le migliori ancelle l'avrebbero riempita di attenzioni fino alla fine del ballo. Farla partecipare a tale festa, nella fase finale della gravidanza, era fuori discussione. Decise di rilassarsi con del vino e guardarsi attorno, tentando di riconoscere gli ospiti. Astaroth vestiva come un uccello, con lunghe piume che formavano un mantello ed un copricapo munito di becco. Il suo fascino era indubbio e già alcuni commensali lo bramavano. Mefistofele aveva scelto tutt'altro stile ed era un incrocio fra uno zombie ed un motociclista ubriaco. Lilith si era vestita in oro, come una principessa indiana od una divinità orientale. Lilien portava fiori e piante appuntare sul vestito, che aveva un lunghissimo strascico, e voleva rappresentare la natura.  Altri erano vestiti da divinità antiche, richiamando il loro passato, o da animali.

Le canzoni si susseguivano, in molti già avevano danzato, ed ecco che comparve l'unica creatura che in quel momento Ary volesse vedere: Keros. Il principe rimase qualche istante in cima alla scalinata che portava alla sala, poggiato sul balcone, ed osservò i presenti.  Una maschera nera ne copriva per metà il volto mentre, sulla metà libera, intricati disegni di rami con spine scure circondavano gli occhi ambrati e truccati di cremisi e oro. Qualche rosa nera ne adornava i capelli così come rose nere ne decoravano l'abito con ricami e rilievi. Interamente in colore nero e scarlatto, il travestimento dell'erede non passò inosservato. Keros scese lentamente le scale, mostrando eleganti scarpe con un leggero tacco quadrato, mentre l'orchestra cambiava nuovamente genere musicale. Arikien, nel vederlo, aveva chiaramente percepito il proprio cuore accelerare all'impazzata. Era una rosa nera, un fiore raro quanto stupendo, ed Ary avrebbe voluto fosse tutto per sé. Ma già in molti cercavano di avvicinarsi più del dovuto, nel tentativo di attirare l'attenzione del principe. Questi chiacchierò un po' con alcuni ospiti e con Lucifero, per poi voltarsi verso Ary. Lo intravide fra la folla, e gli sorrise. Però non si avvicinò, limitandosi a fare un cenno con la testa. Il nuovo demone non capì quel gesto e rimase leggermente deluso nel vedere il suo amato allontanarsi. L'orchestra terminò una canzone ed iniziò subito una nuova melodia. Le prime note richiamavano qualcosa di orientale, di arabo o forse di turco. E lì Ary capì che quella doveva essere la canzone di Keros, la canzone con cui il principe sentiva maggior sintonia. Ovviamente non solo lui si iniziò a muovere, ma l'attenzione della maggior parte dei presenti era rivolta principalmente su Keros. La melodia iniziava lenta, con un flauto ed un violino. Poi si univa un suono particolare, che il nuovo demone non riconobbe, simile ad un clavicembalo. Il tutto si abbassò di un paio di toni, mentre il mezzodemone si muoveva piano, con una sensualità rara. Di colpo, tutto mutò. La musica si fece incalzante, veloce e ritmata. Keros accelerò i movimenti, esibendosi in piroette e movenze che perfino Lucifero ignorava che l'erede potesse fare. La melodia accelerava, i danzatori si mischiavano e si scambiavano di posto, volteggiavano assieme e si sollevavano, in uno spettacolo che sembrava tutto fuorché improvvisato. Era tutto così rapido, così incalzante, ed Ary lo trovò irresistibile. Si unì al ballo, e si ritrovò a girare e vorticare con sconosciuti e sconosciute. Rideva, tutti ridevano, felici ed eccitati. Veloce, sempre più veloce, finché tutto finì di colpo. Si immobilizzarono, alcuni caddero a terra. Ary restò in piedi, con lo sguardo rivolto verso Keros. Il principe era steso, con la schiena leggermente inarcata e le ali spalancate che si allungavano sul pavimento di marmo. Ansimava, per la fatica e per la soddisfazione, ed allungò una mano verso Ary. Questi si mosse, l'unico fra i ballerini, e raggiunse il suo amato per stringerlo fra le braccia e donargli il bacio più appassionato che poteva dare.

 

La festa era continuata, fra varie danze e spettacoli. Ary ne era rimasto piacevolmente soddisfatto. In molti facevano i complimenti a Lucifero, oltre che per la guarigione ormai avvenuta, per una tale serata. Alla fine, quando gli ospiti iniziarono ad allontanarsi, era stato raggiunto lo scopo del gran ballo. Coppie e gruppi uscivano e si allontanavano, felici di aver trovato il giusto abbinamento con altri demoni. Ad un gruppetto di fanciulle e fanciulli fu chiesto di restare a palazzo, con l'onore di entrare a far parte del grande harem del re o del ristretto numero di amanti del principe. Arikien e Keros avevano scelto assieme, per poi incamminarsi verso le stanze private. Rimasti soli, subito il nuovo demone strinse a sé il principe. Lo baciò e lo tenne stretto, colto da un irrefrenabile desiderio. Era l'istinto, che come sempre ne appannava i sensi, ma era consapevole di quel che faceva.

“Ti voglio" gemette, scoprendo il petto del principe e baciandolo ancora.

Keros si limitò a sorridere, ansimando leggermente ed allungando le mani per aiutare l'amato nel suo intento. Si baciarono ancora, sempre più intensamente, scoprendosi e toccandosi a vicenda.

“Ti voglio!” ripeté Ary, passando la lingua sul collo del mezzodemone e stringendolo forte alle spalle.

“E fottimi" lo incitò Keros, ansimando “Che cazzo aspetti?”.

Si amarono con selvaggio istinto, con passione demoniaca. Fusi assieme, il piacere che si provocavano l'un l'altro li faceva gemere ed ansimare. Keros si inarcò, sollevando la testa e guidando la mano dell'uomo che amava sul proprio membro eretto. Quei movimenti non gli permisero più di trattenere un “Ah!” di puro piacere.

“Ti amo" mormorò, poi urlandolo in preda all'eccitazione.

“Sei magnifico” gemette Ary, accarezzandone la pelle con la mano libera ed accelerando sempre più il ritmo.

Keros non rispose. Socchiuse gli occhi e si concentrò interamente sul piacere che provava. Guidava quelle mani, accompagnava ogni movimento, in una danza d'estasi sempre più intensa.

“Io…” gemette dopo un po' “Io sto per…”.

“Vieni assieme a me" lo invitò Ary “Insieme. Io ora…”.

Morse Keros, che aprì la bocca in un gemito eccitato.

“Vieni" ansimò il principe, mordendo a sua volta e portando entrambi all'orgasmo.

 

“Che cosa stai progettando con mio padre?” domandò Keros, steso nudo nel letto.

“Con Lucifero?” rispose Ary, che lo osservava.

“Sì, ovvio. Mi ha parlato di un progetto che avete…”.

“Storia lunga…”.

“Parlamene".

“Ma ora sono stanco!”.

Dopo aver provato tre diverse posizioni e tre diversi orgasmi, i due amanti erano soddisfatti e pronti al riposo. Ma Keros aveva quella domanda in testa…

“Si tratta di un'idea che ho in mente da un po'…” spiegò allora Arikien “E vorrei il tuo appoggio".

“Parla".

“Si tratta di una scuola".

“Una scuola?”.

“Sì. Per gli orfani. Ho visto che qui all'Inferno nessuno bada a loro. Io vorrei aprire una scuola, un istituto, dove possano anche fermarsi a dormire se privi di dimora. Con maestri che insegnino loro varie cose e gli permettano di poter crescere ed affermarsi, sopravvivere!”.

“È un progetto ambizioso. E costoso…”.

“Il re lo appoggia. Ed anche Alukah e Mefistofele. Sono disposti a fare da insegnanti".

“E tu… tu che faresti? Non sei un maestro”.

“Io mi occuperei dei piccoli e della sorveglianza notturna. Mi occuperei delle tante piccole cose della vita di un bambino".

“E… pensi di poterlo fare da solo?”.

“No. È per questo che vorrei il tuo appoggio!”.

“Ary… pensaci bene. Un simile progetto ti costringerebbe a rimanere praticamente sempre all'Inferno. Ti costringerebbe a vivere sempre e solo in mezzo ai demoni".

“Lo so. Ma io sono un demone adesso. È giusto così. Devo solo trovare un edificio adatto".

“Io… io ho un edificio per te".

“Davvero?!”.

“Il palazzo che ho fatto costruite nel territorio di Alukah, dopo la guerra. Ora è tuo".

“Dici davvero?! È immenso! Grazie! Lo sapevo che potevo contare su di te!”.

“Già. Io ti amo. È così che si fa con chi si ama, giusto?”.

“Grazie!”.

Arikien si chinò a baciare Keros, prima di distendersi al suo fianco ad assopirsi. Il principe fissò il soffitto e sospirò: lo amava, ne era certo, ma una vita solo all'Inferno lo opprimeva!

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Capitolo 72
*** Vita ***


 

72

Vita

Il parto di Undinnè fu lungo e complicato. La corporatura estremamente minuta della giovane aveva reso difficile il travaglio e la nascita, portandola quasi in punto di morte. Fortunatamente, ad assisterla aveva i migliori medici e la più esperta levatrice del regno: Lilith. Dopo ore estenuanti, la puerpera aveva dato alla luce quattro cuccioli. Purtroppo uno di loro, una femmina, non aveva mai aperto gli occhi. Arikien aveva insistito per assistere e fissava con orgoglio i tre piccoli che sonnecchiavano tranquilli. Undinnè, stremata, riposava e nella stanza era rimasta solamente Lilith.

“Volevo farti i complimenti” sussurrò la tentatrice “Ho assistito a tanti parti e tu sei un rarissimo caso di maschio demone che decide di non lasciare la stanza. Il tuo contributo è stato prezioso, le hai dato coraggio. Sei stato molto bravo”.

“Grazie…” mormorò Ary, lievemente in imbarazzo.

“Sono due maschi ed una femmina. Avete pensato a qualche nome?”.

“Veramente no… Suppongo che ci penserà Keros”.

“Per tutti e tre? Almeno per il tuo, potresti scegliere tu”.

Il vampiro fissò i cuccioli, confuso. La femmina assomigliava alla madre, per quel poco che si riusciva a capire. Era molto piccola, con i capelli tendenti al violetto ed i denti da vampiro. Uno dei due maschi non era particolarmente grande ma sfoggiava già l’inconfondibile ciuffo rosso di Keros. L’altro maschio era piuttosto grosso, ed aveva complicato di parecchio il parto. Aveva le ali, piccole ali da demone, ed i capelli scuri. Arikien era perplesso, mentre li guardava. Come potevano presentare caratteristiche genetiche così differenti l’un l’altro?

“Noi siamo come i gatti” sorrise Lilith “Hai presente? Una gatta può accoppiarsi con più maschi e partorire cuccioli di più pretendenti. Se vi siete divertiti a fare le orge, ragazzacci, a volte succede…”.

“Intendi dire che il maschietto dai capelli neri è di certo mio?”.

“Quello ciccione? Sì, direi di sì. Sempre che tu non pensi che Keros e Undinnè si siano divertiti con un altro demone dai capelli neri, le ali ed i denti da vampiro. Visto quanto sei stato attaccato a questa giovane, direi che non corri il pericolo che si sia concessa ad altri sconosciuti”.

“E la bambina?”.

“Chissà. Magari quando cresce si capirà… Ora pensa ai nomi. Io vado ad informare il re”.

 

L’entusiasmo di Nasfer travolse Keros, seduto alla scrivania infernale ed intento a firmare documenti. Si era scatenata una piccola rivolta fra le anime in quei giorni, ed il principe stava provvedendo ad emettere ordini per punire i colpevoli in modo adeguato. Nasfer entrò nella stanza e saltò sul tavolo, saltellando con gioia e lanciando gridolini eccitati.

“Ho un fratellino!” urlò “Finalmente ho un fratellino! Ha i capelli rossi, papà! È il mio fratellino!”.

“Calmati…” alzò un sopracciglio Keros “Di che stai parlando?!”.

“Il mio fratellino! Undinnè mi ha fatto un fratellino!”.

“Sono nati i cuccioli di Undinnè? Oh… bene…”.

“Lilith mi ha detto di dirtelo. Sono tre, ma l’altro non so se è il mio fratellino”.

“Eh?”.

“Sono tre” spiegò Lucifero, entrando in stanza con un sorriso divertito “Due maschi ed una femmina. Ma un maschio pare non sia tuo…”.

“E di chi dovrebbe essere? Dello spirito santo?”.

“No. Di colui che è rimasto appiccicato a quella femmina dal momento in cui se l’è scopata”.

“Sei elegante e poetico come sempre…”.

“Io sono un vero signore! E tu muovi il culo e sparisci da qui. Fila immediatamente dalla tua concubina e lascia fare a me il lavoro sporco”.

“Ma io…”.

“Sparisci!”.

 

Obbligato da Lucifero, Keros abbandonò il posto di lavoro e si incamminò verso le proprie stanze. Nasfer saltellava davanti al padre, che non mostrava particolare entusiasmo. Undinnè si era svegliata, e chiacchierava con Lilien ed Arikien. Carmilla osservava con sguardo sognante la sorellina appena nata e rivolgeva centinaia di domande alla levatrice. Il principe rimase qualche istante ad osservare Arikien, che ammirava con aria orgogliosa e felice il proprio cucciolo. Aveva una luce negli occhi che mai prima di quel momento gli aveva visto.

“Keros!” lo notò Lilith “Altezza, congratulazioni! Il parto è stato un po’ complicato, ma alla fine i tre cuccioli sono sani e forti. E la madre si riprenderà presto”.

“Bene” annuì il principe.

“Posso scegliere io il nome per lei, mamma?” parlò Carmilla, indicando la nuova nata.

Lilien fissò Undinnè, che sorrise e fece un cenno d’assenso con il capo.

“Vasilissa. Voglio chiamarla Vasilissa”.

“Regina?” sbottò Nasfer “Perché vuoi darle un nome che significa regina? Dopo la nascita di Espero, è a malapena una principessa di secondo grado!”.

“Perché mi piace così!” puntò le braccia Carmilla, mostrando la lingua con una smorfia infastidita.

“È un bel nome” le sorrise Undinnè.

“Per i maschietti…” si intromise Arikien, guardando Keros “Pensavamo a Koknos e Mavros”.

“Rosso e Nero?”.

“Non sono di tuo gradimento?”.

“Sono carini”.

“Dai, vieni a vederli!”.

Il principe si avvicinò, schivando Nasfer che continuava ad esternare entusiasmo per il fratellino. Arikien teneva in braccio il piccolo dai capelli neri, mentre Undinnè stringeva quello con i capelli rossi. La bambina dormiva, in una culla accanto al letto. Keros li osservò, rispondendo al sorriso smagliante che sfoggiava Ary. Non sapeva bene che cosa fare. Vedeva l’entusiasmo nei volti dei presenti e si lasciò contagiare: una nuova vita andava sempre celebrata!

 

Dopo aver lasciato riposare Undinnè ed i piccoli, il principe era tornato nell’ufficio di Lucifero per aiutarlo. Nonostante le proteste del re, che ormai era perfettamente in grado di riprendere pienamente le mansioni di sovrano infernale, il principe non si mosse dalla sala se non dopo diverse ore. Stanco delle proteste del diavolo, sbuffò e si allontanò di nuovo. Pensò di fare un giro nel mondo umano, e cercò Arikien fra le stanze private. Lo trovò chino su un libro.

“Vado a fare un giro di sopra” parlò Keros “Vieni con me?”.

“Non posso” mormorò Ary “Alukah vuole presentarmi all’intera famiglia e non voglio fare figuracce. Così sto studiando tutta la genealogia della casata”.

“Buona fortuna…” si lasciò sfuggire Keros, sapendo quanti figli e nipoti comprendesse l’albero genealogico a cui era legato Ary.

“Buona serata” gli sorrise Arikien, senza staccare gli occhi dalle pagine che leggeva.

 

Keros respirò a pieni polmoni l’aria del mondo umano. Era diversa da quella infernale ed il cielo era sempre uno spettacolo. Le stelle, la luna, la brezza della sera… tutte cose a cui non intendeva rinunciare per nulla al mondo! Corse, cercando di liberarsi da tensione, dubbi e stanchezza mentale. Era padre di splendidi e sani cuccioli, era un maestro, era un tentatore rispettato e potente ed aveva chi lo amava alla follia. E allora il problema dove stava? Perché una parte di sé era così titubante e confusa? Voleva liberare la mente e così, dopo essersi un po’ svagato per le campagne, si addentrò per le vie di una vicina città. Gruppi di ragazzi vagavano in cerca di locali e divertimento notturno. Keros ne avvicinò un paio, sfruttando i propri poteri, e li convinse in poco tempo a compiere azioni poco raccomandabili. Ubriachi, sotto l’effetto di droghe e sostanze strane, schiamazzavano per la strada ed iniziarono a litigare fra loro. Il principe si allontanò prima che arrivasse la polizia per arrestarli. Trovò un altro gruppo facile da tentare e questa volta calcò un po’ più la mano, portandoli prima all’estasi con un’orgia improvvisata e poi alla follia con un alcolico troppo forte che gli bruciò il cervello. Dopo averne assaggiato il sangue, li lasciò e si allontanò canticchiando. Non si era accorto che qualcuno lo osservava…

 

Assieme ad Arikien, Lucifero stava condividendo l’entusiasmo per la nascita dei tre piccoli. Cercando Keros, aveva trovato solo l’amante nelle stanze private e lo aveva invitato a condividere qualcosa da bere assieme ad altri in vena di far festa. Brindavano alla nascita, congratulandosi con la giovane madre. Approfittando della presenza di vari demoni di alto livello, il re incominciò a discutere seriamente riguardo alla scuola che Arikien aveva in mente. Iniziarono a calcolare i costi e le tempistiche, raccogliendo adesioni fra maestri e tutori.

“La trovo un’idea molto interessante” commentò Asmodeo “Molti orfani muoiono oppure diventano degli inutili parassiti incapaci di svolgere una qualsiasi mansione. Con un istituto simile, riceveranno la giusta istruzione e la giusta guida. Se gli angeli sapessero, si incazzerebbero di certo! Ovvio… Ci saranno dei costi…”.

“Vitto, alloggio, vari stipendi… Ma nulla di impossibile” annuì Lucifero.

“Potremmo aprire delle iscrizioni” propose Azazel “Offrendo la possibilità anche a chi non è orfano di frequentare le lezioni, dietro compenso. Pagando una quota, proporzionata alle capacità finanziarie della famiglia, i bambini ed i ragazzi potranno frequentare le lezioni che scelgono e preferiscono. Che ne pensate?”.

“Mi sembra un’ottima idea!” sorrise Arikien “Un progetto in grande!”.

“Anch’io voglio andare alla scuola di zio Arikien!” sorrise Nasfer.

“Sarà un progetto impegnativo e che richiederà molto tempo e dedizione” constatò Lucifero, sorseggiando del vino “Sei pronto, anima speciale?”.

“Io lo sono” ammise Ary “Ma spero di avere sostegno…”.

“Parli di Keros, vero? Non mi sembra che ti ostacoli”.

“Ma nemmeno mi pare particolarmente entusiasta. O forse mi sbaglio…”.

“Vedila così: è un giovane demone. Molti altri, alla sua età, sono ben lontani dal completare gli studi e spesso non hanno nemmeno idea di che fare nella vita. Deve compiere una scelta ma, in questo caso, ti chiedo di considerare il fatto che tu sei un uomo di più di trent’anni. Hai compiuto un determinato percorso, commesso la tua sana dose di errori e cazzate e deciso saldamente quel che desideri. Keros è sempre stato un po’… particolare. Abbi pazienza”.

“Ho tutta la pazienza che volete. Però lui non parla apertamente”.

“Non lo fa mai. Ma ora non pensiamoci. Brindiamo a questi tre piccoli pulcini neonati. E per un glorioso futuro a noi ed a qualsiasi progetto ci venga in mente di creare!”.

 

Keros era osservato da un gruppetto di angeli, che attendevano gli ordini di Mihael per intervenire. L’Arcangelo però non si mosse. Sospirava, constatando come il figlio si comportasse come un demone in tutto e per tutto. La cosa gli provocava, oltre che ad una buona dose di fastidio, anche un certo dispiacere. Sognava ancora, doveva ammetterlo, di vedere il ragazzo fra le schiere angeliche. Si apprestava a raggiungerlo, per intimargli di tornare all’Inferno, quando assistette ad una scena che non si aspettava. Una ragazza, sola nella notte, chiedeva aiuto. Un ragazzo la importunava, minacciandola. Keros ignorò il fatto che l’umano avesse una pistola e che gliela puntasse contro con convinzione. Affrontò il mortale, mettendolo in fuga dopo una breve rissa, e si assicurò che la ragazza tornasse a casa senza ulteriori problemi. Il principe sorrideva soddisfatto quando si voltò e si trovò davanti il volto imbronciato di Mihael e di un paio di altri angeli.

“Salve” salutò Keros “Me ne stavo tornando a casa”.

“Perché lo hai fatto?” lo fermò Mihael “Perché hai aiutato quella ragazza? Le hai salvato la vita!”.

“Dovevo farla crepare?”.

“No! Però… perché lo hai fatto? È tutta la sera che ti comporti da demone, portando alla perdizione anime deboli, e poi…”.

“Non capisco il motivo del tuo disappunto. Tu è tutta una vita che fai l’Arcangelo eppure una sera ti sei scopato mia madre. Questo non ti ha reso meno Arcangelo, giusto?”.

Alcuni angeli si trattennero per non ridacchiare o lanciare commenti inappropriati.

“Questa è la cosa più stupida che…” tentò di ribattere Mihael, ma Keros gli sorrise.

“Me ne vado a casa” si congedò il principe “I miei cuccioli mi aspettano…”.

 

Non voleva parlare. Non voleva sentire. Arrivato a casa, ritiratosi nelle sue stanze, Keros aveva trovato Arikien ad attenderlo. Era lieto di questo ma non fu altrettanto lieto di sentirsi dire “Vorrei parlare con te”. Odiava quelle parole. Potevano significare un milione di cose diverse. Così, per sfuggire temporaneamente alla discussione, si era rinchiuso in bagno. Immerso nella vasca, sperava di poterci rimanere per delle ore. Poi prese un profondo respiro, arrendendosi all’evidenza, e decise di affrontare la realtà. Uscì con un sorriso apparentemente rilassato e sedette accanto ad Arikien, pronto ad ascoltare.

“Voglio che tu sia sincero con me” iniziò l’anima speciale.

“Lo sono” annuì Keros.

“Voglio che tu mi dica, sinceramente, che progetti hai per il tuo futuro”.

“Perché me lo chiedi?”.

“Perché non voglio trascinarti in progetti che non ti interessano. E non voglio obbligarti a vivere in modo diverso da come desideri. Perciò avanti… dimmi come vorresti il tuo avvenire”.

Il principe rimase in silenzio, qualche istante. Che domanda complicata… Però anche Lucifero gli chiedeva da un pezzo di riflettere sulla propria vita, ed un paio di pensieri in mente li aveva.

“Ary, tu… tu sei felice?” parlò, infine.

“Io? Non potrei essere più felice. Ho una famiglia, un passato, degli antenati, una bella casa, un progetto in corso che sognavo da tempo, una creatura meravigliosa che mi ama ed un figlio. Non potrei davvero chiedere di più. Ora so chi sono e so dove voglio andare”.

“Sei felice anche se sei sempre all’Inferno?”.

“Sì, certo. Tu no, suppongo”.

“No. Io sono un tentatore. I tentatori vivono fra gli Inferi ed il mondo umano. Io amo il mondo umano, anche se non mi ci trasferirei in modo definitivo. La mia vita voleva essere così. Come quella di Mefistofele. Viaggiare fra i due mondi, portando anime all’Inferno e trascorrendo lunghi periodi altrove”.

“E che cosa è cambiato?”.

“Ora ci sei tu. E tu vuoi vivere sempre qui. La scuola che vuoi ti impegnerà per tutto il giorno, non potrai permetterti mesi o anni per il mondo umano. Io, non so perché, mi ero immaginato un futuro in cui io e te avremmo vissuto come tentatori. Almeno per un certo periodo”.

“Il tuo periodo sabbatico dopo la fine degli studi…”.

“Circa… Comunque è fuori discussione. Ora hai altri progetti ed altre priorità, ed è giusto così”.

“E dunque? Che pensi di fare? Io pensavo che, visto come ti eri comportato con i piccoli dei sovversivi, avessi appoggiato volentieri quel che ho progettato”.

“E lo appoggio. Ma sinceramente non penso di essere molto portato ad occuparmi di bambini ogni giorno ed in ogni momento”.

“Allora ascolta la mia proposta. Vedi se può piacerti. Io, come sai, non sono un maestro. Perciò nella scuola io sarò un tutore, mi occuperò principalmente dei bambini più piccoli e della sorveglianza dei dormitori. Accoglierò e mi occuperò delle esigenze di chi vivrà nell’istituto, in attesa di una nuova possibile famiglia. Ma ovviamente non sarò da solo. Ci saranno altri tutori, oltre a me. Tu intanto potresti fare da insegnante esterno e trascorrere dei periodi nel mondo umano, assieme agli alunni pronti ad affrontare tale passo. Questo ti permetterebbe di vivere al di fuori degli Inferi, seppur con ragazzini al seguito. Anche in questo caso, se lo desideri, potresti essere affiancato da altri tentatori e potrai allontanarti per cercare anime quando vorrai. E, te lo prometto, ci prenderemo assieme dei periodi di vacanza. Solo io e te. Non sarà come trascorrere secoli da soli fra i mortali, lo so, e non sarà come passare secoli a tentare gente lontano da qui ma…”.

“Ma può starmi bene” interruppe Keros.

“Davvero?”.

“Ci vuole un compromesso. Io non rinuncio a te, e steso nella vasca temevo che invece quello fosse il tuo pensiero. Voglio che il nostro cammino continui insieme”.

“Sì ma… sarai felice? È quello che vuoi?”.

“Non posso prometterti che lo sarò per sempre, perché mi piace variare. Ma ci penserò strada facendo”.

“Mi basta. Per ora…”.

“Ed ora concentriamoci sul torneo. Sarà grandioso, vedrai!”.

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Capitolo 73
*** Torneo -parte prima- ***


73

Torneo

-parte prima-

 

La piccola Carmilla si stava sistemando davanti ad uno specchio. Poco più in là, le sue sorelle gemelle litigavano per una motivazione futile. Nasfer attendeva l’arrivo di loro padre Keros. Il bambino era elettrizzato per il torneo e tutti si erano abbigliati al meglio, sapendo che molti spettatori li avrebbero ammirati sul palco reale. Demoni da ogni parte del regno iniziavano a varcare le mura della città, raggiungendo la grande piazza principale. Con stendardi e maestosi destrieri, formavano un corteo che gli abitanti della capitale ammiravano affascinati. Tutti bardati ed in armatura, i partecipanti al torneo seguivano un percorso preciso che li avrebbe condotti fino all’arena, con un’entrata trionfale ed una sfilata per il pubblico.

“È ora!” si udì per i corridoi del palazzo.

Quello era il segnale e l’intera famiglia reale si radunò per raggiungere gli spalti. Era un avvenimento vedere tutti i principi e le principesse tutti insieme e fuori da palazzo. Gli ultimi nati erano lasciati alle cure ed alla sorveglianza dei più qualificati, mentre l’edificio lentamente si svuotava per assistere allo spettacolo. Non appena Lucifero assieme a Leonore ed a tutti i principi si fu seduto, nella piazza iniziarono a sfilare i demoni e le vare casate. Ogni famiglia poteva presentare uno o più campioni, uomini o donne, che ordinatamente si presentavano al cospetto del palco reale. Con un inchino, veniva pronunciavano il loro nome e la dinastia a cui appartenevano. Lucifero, in piedi sul palco rialzato, rispondeva con un cenno del capo. Alla sua sinistra sedeva Leonore, che osservava ogni cosa con ammirazione. Alla destra aveva Keros, silenzioso ed a disagio. Il principe indossava l’armatura che aveva utilizzato in guerra e questo gli riportava in mente eventi e ricordi poco piacevoli. Quando intravide l’ingresso in arena di Arikien, con addosso l’armatura appartenuta a Nasfer, ebbe un tuffo al cuore. A colui che la indossava, lui aveva tagliato la testa. Colui che un tempo marciava con quell’armatura ora era morto, per mano della spada che portava alla cinta.

“Scusate” mormorò Keros, alzandosi ed allontanandosi senza dare troppo nell’occhio.

Prima che l’erede di Alukah giungesse dinnanzi al palco, il sanguemisto aveva lasciato la postazione ed era rientrato a palazzo. La distanza era poca, la piazza sorgeva davanti alle mura della casa reale, e lo raggiunse senza farsi notare. Nel silenzio, respirò profondamente. L’edificio era buio, silenzioso, e praticamente deserto. Camminò ancora lungo il corridoio, con la mente confusa. Nelle narici percepiva odore di morte, odore di guerra. Le mani sporche di sangue, i cadaveri lungo le strade, i gemiti dei feriti e le urla degli sconfitti. E lui era lì in mezzo, efferato assassino e crudele boia, circondato da nemici da uccidere. Chiuse gli occhi, tentando di scacciare quell’immagine, ma era sopraffatto dalla confusione e dal panico.

“Altezza!” lo notò una delle guardie rimaste a palazzo “State bene? Devo chiamare qualcuno?”.

Keros non rispose, continuò a camminare.

“Altezza?” insistette la guardia ed il principe si voltò di scatto, ringhiando.

“Ma… che…?” borbottò il giovane soldato, mentre si udirono passi svelti precipitarsi dai piani delle stanze private.

Prima che Keros reagisse in modo peggiore, aggredendo chi aveva di fronte senza alcun motivo, Simadé raggiunse il suo signore e lo chiamò per nome, congedando la guardia.

“Va tutto bene” mormorò il servo “Siete nel palazzo del re. Nessuno vuole farvi del male. Che vi succede? Respirate…”.

Keros si scosse, riprendendo lucidità e guardandosi attorno. Poi chiuse gli occhi, sedendosi a terra e reggendosi il viso con una mano.

“Decapitato” biascicò, sempre con Simadé al proprio fianco “Il sangue. Gli occhi spalancati e ormai spenti che mi fissano…”.

“Siete a casa” ripeté lentamente Simadé “Scacciate dalla mente i ricordi di guerra. Nessuno morirà oggi. Il torneo viene indetto proprio per evitare altre guerre e scontri inutili, per permettere ai demoni di sfogarsi in modo appropriato”.

Keros non rispose. Fissava il pavimento, che gli sembrava ricoperto di sangue lucido. Il servo si allontanò e tornò in pochi minuti, porgendo una tazza di tè al proprio signore. Qualche sorso lo fece calmare.

“Così state meglio?”.

Keros annuì.

“Non dovete vergognarvi, altezza. Siete stato in guerra ed eravate molto giovane. Avete assistito a scene raccapriccianti ed avete ucciso molte persone”.

“Sono passati trecento anni…”.

“Sì, ma forse l’indossare questa armatura e vedere altri demoni in abiti simili…”.

“Arikien indossa l’armatura di Nasfer. Quella che lui indossava… quando l’ho decapitato”.

“Oh. Allora è normale una reazione così”.

“No che non lo è! Io sono un demone!”.

“E… con ciò? Provate a parlarne con Amodeo. Lui le guerre le ha vissute tutte e vedrete che vi confermerà che in molti provano, a volte, sensazioni come le vostre. Paure, incubi, visioni… Non avete motivo di vergognarvene. Vedrete che con il mio tè starete subito meglio”.

Il principe sospirò. Dopo un altro sorso, si lasciò sfuggire una lacrima e la lasciò cadere in terra senza dire nulla.

“La guerra è orribile” riprese Simadé “La mia famiglia è decaduta a causa di una guerra. La gente muore, demoni vengono sfigurati e sconfitti. Morte. Ma questo torneo celebra la vita. È in onore del principino Espero e della regina Leonore. Qui i demoni sono amici, alleati, e nessuno verrà ucciso. L’armatura che indossava Nasfer ora la indossa Arikien, fieramente, e combatterà con essa. È la vita che continua, la celebrazione della forza del regno”.

Keros riuscì ad aprirsi in un piccolo sorriso.

“Coraggio!” sorrise a sua volta Simadé “Andate là fuori e mostrate a tutti la bellezza di un principe che combatte!”.

 

“Compagni demoni!” esordì Lucifero, a sfilata terminata “Benvenuti! Le più nobili e le più forti famiglie del regno sono qui, pronte a sfidarsi per decretare il vincitore! Tutto questo in onore della mia ormai prossima sposa, la regina Leonore. Ed ovviamente per il principe Espero”.

Fra il pubblico si alzarono ovazioni per i sovrani.

“Ma parliamo di premi. Per cominciare, il mio fedele capitano delle guardie vi osserverà attentamente e sceglierà fra voi qualcuno degno di entrare nell’élite dell’esercito imperiale. Inoltre, se attirerete determinate attenzioni, potreste entrare a far parte dei preferiti reali. Al vincitore assoluto, un dono”.

Leonore si alzò, mostrando una splendida spada che un paio di servi le avevano porto.

“Questa spada è il mio personale dono al vincitore. Su di essa è impressa il sigillo reale e rimarrà in possesso della famiglia vincitrice, nei millenni a venire. È di perfetta fattura, impreziosita da pietre preziose e metalli pregiati. Chiunque di voi la vincerà, la potrà sfoggiare con orgoglio. E ora ripassiamo le regole. Tutti i candidati si sfideranno in uno scontro iniziale, utilizzando tutti la stessa arma, che verrà scelta dalla regina. Non verranno ammesse altre armi, pena la squalifica. Saranno ammessi cambi di forma, utilizzo di poteri magici ed elementali, veleno ed ipnosi. Sarete tutti insieme, e gli sconfitti verranno eliminati dal torneo. Quando avrete raggiunto un numero prestabilito, il demone che vedete appostato su quella torre suonerà la tromba. I nomi dei rimanenti verranno scritti e riposti in un’urna e saranno le piccole mani della principessa Carmilla a scegliere e sorteggiare gli abbinamenti per gli scontri successivi, uno contro uno. Per motivi pratici, gli scontri si svolgeranno in diverse giornate, permettendo a tutti di recuperare le forze e dare il massimo. Ospiti miei e degli edifici più lussuosi della città, spero che questo torneo vi permetta di rimanere impressi nella memoria degli abitanti di Dite. Buona fortuna”.

Si alzò un grido d’entusiasmo, mentre i contendenti prendevano posto per il primo scontro.

“Dove sei stato?” mormorò il re, rivolto a Keros che era tornato al seggio accanto al sovrano.

“A fare un giro…” gli rispose il principe, vago.

“Stai bene? Ti vedo palliduccio…”.

“Sto benissimo. Non vedo l’ora di iniziare. Anche se non mi aspettavo di vedere Arikien fra i partecipanti”.

“E perché no? Basta che questo non ti distragga. Sei il rappresentante della famiglia reale, vedi di fare bella figura”.

“Cercherò di non farti annoiare…”.

Il principe si alzò, per dirigersi all’arena. A Leonore fu affidato il compito di scegliere quale arma far utilizzare a tutti i guerrieri e lei, dopo alcuni minuti di riflessione, aveva optato per un bastone lungo. Le sembrava l’arma più adatta a non provocare ferite gravi o morti. Una volta che tutti i guerrieri ebbero tra le mani il bastone, con il divieto di usare altre armi, gli scontri iniziarono.

 

Le famiglie rivali erano facilmente individuabili: si massacravano di botte in modo efferato, ben più feroci rispetto agli altri partecipanti. Arikien, in principio un pochino spaesato, non si lasciò spaventare dai demoni che lo circondavano ed iniziò a combattere. Lucifero osservava tutti con attenzione, trovando alquanto divertente lo spettacolo. Alcuni demoni non avevano nemmeno idea di come usare l’arma assegnata ed erano quasi ridicoli, mentre inciampavano e si infuriavano con loro stessi ed il bastone. Keros si guardava attorno, notando come in molti tentassero di evitare lo scontro con lui. Ridacchiò, divertito. Dovevano essere impauriti all’idea di ferire il rappresentante della famiglia reale, indispettendo Lucifero. Fu allora il principe a cercare la lotta, non volendosi annoiare troppo. Si muoveva con agilità, guadagnandosi gli applausi del pubblico e sconfiggendo avversari. I presenti stavano realizzando che sconfiggere, o comunque far bella figura, combattendo contro il principe, non poteva che arrecare prestigio e lustro al proprio casato. Lucifero ghignò soddisfatto, mentre il mezzodemone roteava il bastone e respingeva gli attacchi.

“Ma non temi che possano ferirlo?” domandò Leonore “Sembrano così feroci…”.

“Non corre alcun pericolo, tranquilla. È in grado di difendersi più che egregiamente”.

“Anche noi parteciperemo al torneo, un giorno?” chiese invece la piccola Carmilla.

“Certo, perché no?”.

“Però potevi organizzare una gare anche per i bambini, nonno!” sbottò Nasfer.

“La prossima volta. È un’ottima idea. Ora guarda il tuo papà che rompe qualche culo in quattro”.

Il Diavolo osservava deliziato, ed il pubblico gradiva ed applaudiva. Poi, nel guardare il principe, il re non poté fare a meno di notare una somiglianza che lo fece rabbrividire per qualche istante. Con il bastone, Keros aveva atterrato l’avversario e lo costringeva a terra. Sul viso, un’espressione seria e risoluta, nessun ringhio o smorfia di rabbia. Spalancando le ali argento, assomigliava davvero molto a Mihael. Poi lanciò un grido, espandendo il proprio potere ed evocando il fuoco angelico pronunciando una sola parola. Scese il silenzio, mentre molti si inchinavano in segno di resa. Passarono alcuni secondi e suonò la tromba, mentre Keros storceva il naso. Il sovrano si congratulò con i vincitori, mentre terminava la prima giornata del torneo.

 

“Ma che cosa ti è saltato in mente?!” sbraitava Lucifero quella sera.

I vari contendenti riposavano e Keros sospirava, innervosito. Il sovrano si stava dilungando in una predica fin troppo lunga.

“Ti sei bevuto il cervello?! Rispondimi!”.

“Ma che vuoi?!” sbottò il principe.

“Usare una parola angelica all’Inferno? Lanciare fuoco celeste durante un torneo nella capitale degli Inferi?! Ma che cazzo avevi in mente?!”.

“Io faccio quello che mi pare. Volevi che combattessi e l’ho fatto”.

“Sì, ma…”.

“Il mio lato angelico è più forte di quello demoniaco. Per quanto mi sforzi di migliorarlo, il sangue di demone non è in grado di lanciare attacchi di pari forza. Perciò il modo più rapido di vincere per me è far così…”.

“Tu sai combattere benissimo anche come demone, non era necessario questo teatrino piumato”.

“Hai ragione. È per questo che non intendo continuare il torneo”.

“Che…?!”.

“Ho capito che voi demoni avete paura. Ed io non voglio incutere timore inutilmente”.

“VOI demoni?!”.

Il Diavolo spalancò le braccia, sconcertato. Keros tentò di svicolare, incamminandosi lungo il corridoio e rendendosi conto che il nervosismo lo faceva sparlare.

“Somiglio troppo a mio padre. Per questo mi guardano con terrore. E non mi piace”.

“Sono IO tuo padre!” ringhiò Lucifero “IO ti ho cresciuto, IO ti ho allevato e ti ho permesso di essere quello che sei. Loro hanno paura perché sei MIO figlio, il figlio del sovrano supremo dell’Inferno e suo degno erede. Incuti timore perché sei potente, non perché assomigli a quello stronzo di Mihael!”.

“Ah, sì? Non perché quel bastone ricordi tanto quella lancia che ti trafisse e ti spedì negli Inferi?”.

Muovendo l’arma, fece scattare i riflessi del re. Keros ghignò, certo di aver ragione.

“E tu non è che non vuoi combattere per paura di dover lottare contro il tuo fidanzatino?!”.

“Almeno il mio fidanzatino sa combattere, non è solo seduto e fermo a fare da bella statuina da ammirare”.

“Ma come ti permetti?! Tu mi fai impazzire” sbottò il demone “Chi ti capisce è bravo! Che devo fare con te?”.

“Niente. Solo tapparmi la bocca. Perché?”.

Lucifero sospirò.

“Perché sei tornato all’Inferno, quando avevi l’occasione di fuggirne per sempre?” domandò poi, calmandosi.

“Perché sono un demone”.

“Sicuro?”.

Keros girò le orecchie a punta, ammutolendo. Decise che era meglio non dire altro e si allontanò, rinchiudendosi nella sua stanza. Non voleva combattere ancora. Gli piaceva, lo ammetteva, ma non voleva che i presenti provassero terrore. Non voleva risvegliare ricordi passati ed orribili, così come in lui si erano risvegliate nella mente scene di guerra. Si dovevano divertire, e meritavano di farlo, senza pensare al Paradiso. Lui sognava rispetto, ammirazione, ma non timore. E poi… certo che era un demone! Era assolutamente certo di esserlo! Sbatté la porta dietro di sé e sobbalzò nel vedere Arikien ad aspettarlo.

“Levati immediatamente quell’armatura” sibilò il principe, notando che ancora vestiva l’armatura in cui aveva decapitato Nasfer.

“Ed io che volevo farmi ammirare” scherzò Arikien “Come ho combattuto, secondo te? Non vedo l’ora di sapere chi sarà il mio avversario!”.

“Sei stato molto bravo. Però ora togli l’armatura, ti prego. O te la incenerisco”.

“Oh… Ok…”.

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Capitolo 74
*** Torneo -parte seconda- ***


74

Torneo -parte seconda-

 

I vari partecipanti alla grande giostra infernale si stavano risvegliando e preparando per gli scontri della giornata. Keros non aveva indossato l’armatura, non avendo alcuna intenzione di combattere. Stava scendendo le scale, diretto verso la sala da pranzo e con in mente una buona ed abbondante colazione a base di dolci vari, quando udì la voce di Asmodeo. Nulla di strano, stava discutendo con Lucifero come faceva spesso. Probabilmente faceva rapporto, da bravo generale, pensò il principe. Poi udì pronunciare il proprio nome e rimase ad ascoltare, dall’alto della rampa in pietra.

“Sì, lo so” sorrideva Lucifero “Ha combattuto davvero bene”.

“Un vero spettacolo, maestà” annuiva Asmodeo “E non ho potuto fare a meno di notare le sue tecniche. Ora comprendo il perché abbiate deciso di allevare il figlio dell’Arcangelo!”. 

“È figlio mio, generale. Sono certo che Carmilla approverebbe. Ma dicevi di avere una richiesta…”.

“Sì, vero… Ecco… Vedendo quelle tecniche di lotta, mi chiedevo se il principe potesse dare una bella svegliata alle nuove reclute. I demoni giovani non hanno idea di quel che un angelo può fare, prendono il tutto alla leggera. Ho paura che, al primo scontro diretto, si facciano brutalmente massacrare. E sapete bene quanto me che dobbiamo essere pronti, per la grande battaglia finale”.

“Intendi far combattere Keros contro giovani sbarbatelli strafottenti? Pensi forse che li tratterebbe meglio di come non farebbero gli angeli?”.

“Non credo che rientri negli interessi del principe esorcizzare o uccidere demoni. Al contrario, sapete bene che il compito degli angeli è sconfiggerci. Penso che una dimostrazione pratica di come un angelo possa far del male, anche in modo piuttosto crudele, non possa che far bene agli aspiranti tentatori e soldati”.

“Ne discuterò con il principe quanto prima. Ora prepariamoci, oggi ci saranno un sacco di scontri stimolanti al torneo!”.

“Agli ordini, maestà”.

Asmodeo si congedò, con un inchino, e si allontanò. Il re girò gli occhi, avendo subito percepito la presenza di Keros. Non disse nulla, limitandosi ad incamminarsi lungo il corridoio, illuminato solo dalla lieve luminescenza che mai abbandonava il corpo del sovrano degli Inferi.

 

“Battaglia finale”. Quelle parole tornavano costantemente alla mente di Keros, mentre assisteva agli scontri ed elogiava i vincitori. Spesso aveva sentito parlare della famigerata battaglia, l’Apocalisse, la fine di ogni cosa. Essa però era strettamente legata al fatto che Lucifero volesse tornare in Paradiso. Ora che accanto a sé aveva Leonore, la reincarnazione di Sophia, che desiderio aveva mai di riavere accesso al Cielo? Pensava che il pericolo di doversi ritrovare fra due fuochi, fra due padri che combattono alla fine del Mondo, se lo fosse lasciato alle spalle. Ma ora la preoccupazione lo punzecchiava, obbligandolo a rimuginarci continuamente. Se ci fosse stata davvero questa “battaglia finale”, che avrebbe dovuto fare? Lottare per i demoni o per gli angeli? In entrambi i casi avrebbe dovuto voltare le spalle a parte della propria natura. Sospirò, mentre la folla acclamava un giovane demone che aveva appena sconfitto il proprio avversario.

A sostituzione del principe, come rappresentante della famiglia reale, aveva deciso di mettersi in gioco Lilith. Era strano vederla combattere, indossare abiti adatti alla lotta e non alla seduzione, e molti fra il pubblico si stupirono. Si stupirono ancor di più quando la tentatrice mostrò le proprie doti di mutaforma, divenendo una civetta e schivando i colpi dell’avversario con agilità. Tornando alla forma umana, lasciò che per qualche istante le ali sostituissero le braccia, lottando ancora come una guerriera alata.

“Bravissima!” la applaudì Leonore.

“Bella e letale” ghignò Lucifero, poco prima che la tentatrice sconfiggesse definitivamente l’avversario.

Gli scontri si susseguirono, fra l’entusiasmo dei presenti. Keros osservava i propri figli mentre incitavano i guerrieri con energia. L’ultimo scontro della giornata fu quello fra Arikien ed un demone dal volto dipinto, appartenente alla famiglia di Furcas. Il principe si alzò in piedi, dedicando un saluto ed un incoraggiamento ad entrambi, ma solamente ad Arikien dedicò un sorriso, prima che questi si calcasse l’elmo sul capo. Il sanguemisto trovava ancora una lieve inquietudine nel vedere quell’armatura, nonostante tentasse in ogni modo di reprimere ogni sentimento che riteneva imbarazzante. Il combattimento fu guardato con interesse da molti, incuriositi dal quel nuovo e strano demone. I due avversari iniziarono ad affrontarsi con una certa ferocia, dettata dal fatto che nessuno dei due intendeva in alcun modo perdere. Il principe rimase sorpreso, non aspettandosi una tale spietatezza da parte dell’erede di Alukah. Era cambiato, ora era totalmente un demone, e non assomigliava più all’insegnante universitario che aveva conosciuto qualche anno prima. Se questo fosse un bene o un male doveva ancora capirlo…

Nella lotta, Arikien aveva perso l’elmo, sputando sangue e subito contrattaccando.

“Non se la cava male” commentò Lucifero, rivolto a Keros.

“Ha fatto notevoli progressi e molto in fretta” annuì il principe.

“Ed è all’Inferno solo per merito tuo, devi esserne orgoglioso”.

“Ma non è vero! Lui è…”.

Un forte botto zittì il mezzodemone, che sobbalzò temendo potesse succedere qualcosa ad Arikien. Fortunatamente quel rumore era dovuto al clangore prodotto dalle armature che si scontravano, in un corpo a corpo che conquistava sempre più il pubblico. D’un tratto l’anima speciale si fermò e sorrise. Richiamò a sé l’energia ed iniziò a mutare di forma. Come Alukah e Nasfer, anche Arikien era in grado di tramutarsi in un lupo.

“Il vampiro ed il lupo mannaro” ridacchiò il re, mentre Keros tratteneva il fiato nell’assistere a quel cambiamento.

Con il muso da lupo, Arikien attaccò l’avversario senza pietà, fino a quando questi non chinò il capo in segno di resa. Si levò un applauso, per entrambi, mentre l’araldo decretava il vincitore e ne pronunciava il nome a gran voce.

“Bravo!” applaudì il sovrano “Alukah dev’essere fiero del suo erede!”.

Gli spettatori urlavano, felici per aver assistito a molti scontri memorabili. I guerrieri non feriti in modo grave dedicarono un inchino a tutto il pubblico, ponendo fine alla giornata.

 

Quella sera, quando i combattenti si erano tutti ritirati nelle proprie stanze a riposare o farsi medicare, la famiglia reale era ancora in fermento per quanto visto lungo la giornata. In particolare i piccoli erano molto agitati, e mimavano alcune mosse viste in campo. Il re sorrideva divertito, mentre i bambini ruzzolavano per i corridoi. Il principe attese che la situazione si calmasse, aspettando con pazienza che tutti iniziassero a ritirarsi nelle proprie stanze, chiedendo a Lucifero una breve udienza. Il sovrano, che aveva intuito che qualcosa frullasse per la testa del principe, lo accontentò senza discutere troppo. Era lievemente scocciato, lo doveva ammettere, perché dopo una giornata così eccitante avrebbe preferito dedicarsi ad altre attività, e quindi accolse l’erede con un leggero agitare di coda. Keros lo percepì e tentò di essere breve e diretto.

“Ci sarà la guerra finale contro il Cielo?” chiese, senza troppi giri di parole.

“Che domanda è?!” sbottò Lucifero, seduto sul trono.

“Ho sentito quello che dicevate tu ed Asmodeo”.

“E con ciò?”.

Il buio della stanza era debolmente smorzato solamente dalla luce del re, volutamente piuttosto lieve.

“Ti ho fatto una domanda”.

“Tutto il giorno a rimuginare su una cosa del genere? Per quello sembrava stessi con la testa ovunque tranne che all’arena? Io non ti capisco. Ad ogni modo, certo che ci sarà! Prima o poi verrà la fine del Mondo, è inevitabile! Ed in quella circostanza le due fazioni si scontreranno per forza”.

“Perché per forza? Intendo dire… a te non interessa più il Paradiso, giusto? Sophia è qui con te, non hai interesse a rivendicare il Cielo”.

“Ci sono faccende di ben altro tipo, che non mi aspetto che tu comprenda. Non l’ho stabilito io, lo sai. L’Apocalisse non è una mia idea”.

“Ma cosa accadrà?”.

“Le profezie sono piuttosto vaghe e nebulose. In linea di massima, tutti gli umani dovranno essere giudicati in modo definitivo. Finiranno tutti all’Inferno o in Paradiso e fine dei giochi. Si chiuderanno le porte con il mondo umano”.

“Si chiuderanno le porte?”.

“Esatto. Capisci il perché della guerra? Vuoi passare l’eternità all’Inferno, senza possibilità di uscirvi mai più? Non preferiresti un piccolo angolo di cielo?”.

Keros rimase in silenzio. L’idea di non poter mai più camminare sul mondo mortale lo opprimeva. Ma lo opprimeva ancora di più l’idea di dover combattere per l’una o per l’altra fazione.

“Smettila di angustiarti” ghignò il sovrano “Non accadrà domani. In teoria”.

“Non sai nemmeno quando accadrà?!”.

“No, non spetta a me decidere. Perciò rilassati. E per quel che ha chiesto Asmodeo…”.

“Ci penserò… Ora vado a letto”.

 

Raggiungendo le proprie stanze, Keros trovò Arikien lungo il corridoio che passeggiava su e giù, con in braccio il piccolo Mavros.

“Non dorme ancora?” parlò piano il principe.

“No” scosse la testa Ary, sorridendo “Koknos e Vasilissa sono più tranquilli”.

“Senti… posso farti una domanda? Se ti va di rispondere…”.

“Tanto non posso dormire, perciò chiedi pure quel che vuoi”.

“Tu… sei cambiato. Sei un demone, sei feroce. Ti ho visto nell’arena. Hai avuto dei piccoli, sei entrato a far parte di una famiglia prestigiosa… Sei ancora convinto di… volere me?”.

“A che ti riferisci, scusa?”.

“Io non sono un demone completo, lo sai”.

“Intendi che un demone come me non dovrebbe voler fra i piedi un demone a metà?”.

“Ecco… detto in un modo meno brutale ma… sì, il concetto era quello…”.

“E perché? Tu sei più di un demone, questo ti rende doppiamente speciale. Solo che… forse sono cambiato troppo per te. O no? Intendo dire… non sono più colui di cui ti sei innamorato. O sbaglio? Dovrei essere io ad avere dei dubbi, non tu”.

“Io… Sì, sei cambiato. Ma tu sei stato l’unico ad accettarmi interamente. Se sei ancora in grado di amare ogni lato di me, io non posso che fare altrettanto”.

“Tu sei il mio angelo. Ed il mio demone. Ed il mio qualsiasi altra cosa tu voglia essere, sarai o sei stato. Per l’eternità”.

Keros sorrise. Sentirsi dire quelle parole, dopo che le preoccupazioni riguardo a guerre e battaglie lo avevano turbato per tutto il giorno, gli sollevarono notevolmente il morale.

“Non essere così insicuro” ghignò Arikien “Sei perfetto. Non dovresti dubitare di te”.

“Sono tutto fuorché perfetto…”.

“Sei mio. Non scordarlo mai”.

“Piano. Non ti faccio fare il demone alpha. A cuccia!” ridacchiò Keros, scherzando.

“Come desiderate, altezza” ribatté Ary, ridacchiando a sua volta.

Scuotendo la testa, il principe raggiunse la porta della camera. Lasciò il giovane padre alle prese con il proprio cucciolo e decise di riposare, sperando di non fare incubi di guerra come nella notte passata.

 

Per sfatare altri piccoli dubbi, ed approfittando del fatto che Ary non combattesse quel giorno, Keros si era allontanato ed aveva raggiunto il mondo umano. Deciso a voler comunicare con un angelo, sperando vivamente nella comparsa di Mihael, gironzolò accanto ad una cattedrale tentando di attirare l’attenzione degli abitanti celesti. Con disappunto, notò un paio di giovani demoni che scherzavano con i piccioni. Avevano di certo meno di mille anni, perciò il principe non capiva per quale motivo non fossero accanto a qualche maestro. Con il gran baccano che facevano, iniziavano a dare troppo nell’occhio. Il principe scosse la testa. Com’era prevedibile, alcuni angeli li raggiunsero per farli tornare al proprio posto. Confondendosi fra gli umani, vestiti da poliziotti, si identificarono immediatamente con i ragazzini. Mormorando loro che erano angeli e che dovevano rientrare all’Inferno, solitamente ottenevano la manifestazione di un certo timore, soprattutto nel caso di esemplari giovani. Ma in quel caso i demoni continuarono a fare gli spavaldi, sfidando gli angeli di obbligarli a tornare negli inferi.

“Che pensi di fare, angioletto?” sibilò uno dei due “Non mi fai paura! Sei solo un piccione cresciuto”.

L’angelo rispose afferrando per i polsi l’avversario, come a volerlo arrestare.

“Aiuto!” rise l’altro giovane demone “Il piumino ci minaccia!”.

Keros si accigliò. Che coppia di dementi! Era forse quello di cui parlava Asmodeo? Si avvicinò convinto alle due coppie di angeli e demoni ed afferrò uno dei giovani diavoli per un braccio, con molta meno delicatezza di quanto non avessero fatto gli abitanti del Paradiso.

“Volete farvi uccidere?!” ringhiò sommessamente, per non farsi udire dai mortali “Sapete che cosa possono farvi?”.

“Sono angeli!” lo derise il ragazzino “Quelli giocano con le aureole e le arpe! Che potrà mai succedere?!”.

“Idioti!”.

Gli angeli erano già pronti ad intervenire, quando una terza creatura celeste li interruppe. Mihael, anch’esso vestito da poliziotto, fermò lo scontro.

“Questi demoni impudenti verranno subito riaccompagnati all’Inferno dal loro principe” parlò “Non è vero?”.

Keros annuì.

“Non è necessario fare altro” concluse l’Arcangelo.

“Ma…” tentò di ribattere uno dei due angeli, subito zittito da Mihael con il solo sguardo.

“Ci penso io” assicurò Keros, afferrando per la collottola entrambi i ragazzi.

 

Rientrato all’inferno, il principe dedicò una bella ramanzina ad i due diavoli, che non parvero molto convinti.

“Volete vedere cosa è in grado di farvi un angelo?” li invitò Keros “Bene! Venite con me!”.

Li trascinò al cospetto di Asmodeo, che si limitò a fissarli con aria interrogativa.

“Portami tutte le reclute a cui vuoi far vedere come lotta un abitante del Paradiso, Generale!”.

“Subito, Altezza!”.

Asmodeo, entusiasta, richiamò le reclute in fretta e furia. Keros, piuttosto nervoso, era pronto a scagliare contro di loro tutto il proprio fuoco angelico!

 

“Ho dovuto fare rapporto” ammise l’angelo “Quei demoni andavano esorcizzati”.

“Non devi sentirti in colpa per questo” lo rassicurò Vehuia, un Serafino che aveva già incrociato il cammino di Keros in passato “Il comportamento di Mihael mi… turba. Mi chiedo come si comporterà, semmai dovesse ritrovarsi dinnanzi al principe in battaglia. Tenetelo d’occhio. E riferite a me ogni irregolarità”.

“Sì, sommo Vehuia”.

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Capitolo 75
*** Torneo -parte terza- ***


75

Torneo -parte terza-

 

“Siete già stanchi?” parlò Keros, ordinando ai giovani demoni di alzarsi.

Attorno al gruppetto in addestramento, si era creata una piccola folla di curiosi. Fra servi, soldati ed aspiranti guerrieri, erano rimasti in molti ad osservare le mosse del principe che tentava di insegnare ad un gruppo di ragazzini come combattono gli angeli. Lucifero scosse la testa, non apprezzando certi spettacoli, e diede ordine che tutti si recassero all’arena per gli scontri imminenti. Ormai gli sfidanti erano rimasti in pochi, e presto si sarebbe saputo il nome del vincitore del torneo. Keros non poté non notare lo sguardo di disappunto del re e rimase ad osservarlo in silenzio, mentre veniva annunciato il suo ingresso sul palco fra le ovazioni. Indossando un mantello nero ed una veste color della notte, anche il principe raggiunse gli spalti e non disse una parola. Vide alcuni dei bambini figli dei traditori, che attendevano l’inizio dei combattimenti. Il mezzodemone non comprendeva tutto quell’entusiasmo, ma era evidente che fosse l’unico fra i presenti a non percepire quella frizzante energia e voglia di vedere gente picchiarsi per giorni.

Lilith era stata in grado di aggiudicarsi un posto in finale, mentre Arikien si era dovuto arrendere dinnanzi alla brutale forza di uno degli eredi di Asmodeo. Una volta medicato, si era seduto accanto ad Alukah ed aveva tifato con entusiasmo durante gli scontri successivi. Contro Lilith, inaspettatamente, si era ritrovata un’altra donna. Keros la conosceva bene, era la ragazza che più volte lo aveva massacrato durante gli addestramenti con Astaroth. Era una femmina davvero feroce, ed aveva sbaragliato ogni avversario che si era ritrovata di fronte.

“Chi vincerà, secondo te?” mormorò il sovrano, rivolto al principe che gli sedeva accanto.

“Difficile a dirsi. Sono due stronze” ammise il sanguemisto, mentre la lotta iniziava.

Lilith era più esperta, memore di millenni trascorsi fra le avversità dell’Inferno. La sua avversaria era molto più giovane ed avventata, ma aveva dalla sua parte l’energia dell’età e la sfrontatezza acquisita con l’addestramento. Non si persero in inutili convenevoli ed iniziarono immediatamente ad affrontarsi, mentre il pubblico urlava e tifava. Fu uno scontro lungo, senza esclusione di colpi, ma alla fine Lilith si fermò. Con un gesto della mano, si voltò verso il re e sorrise.

“Lascio che sia questa giovane ad ottenere la vittoria” disse, soddisfatta “Penso che non potevo chiedere di meglio. Una gran femmina, la migliore combattente del regno”.

Si levarono applausi ed ovazioni, mentre il re si era alzato ed aveva decretato la vincitrice a gran voce. La ragazza si era inchinata, ancora incredula, ed aveva ricevuto in premio la spada promessa dal sovrano.

 

“Voglio offrirvi ancora attimi di diletto, miei sudditi” aveva parlato Lucifero, una volta concluso l’ultimo combattimento ed aver osannato a sufficienza la vincitrice “Volevo, prima di farvi rientrare ai vostri regni ed alle vostre solite attività, concedervi un ultimo, memorabile, momento”.

Si levò un applauso, mentre il re si levava elegantemente il mantello e scendeva in arena.

“Il re!” sussurrava il pubblico “Il re combatte!”.

Era un avvenimento a cui nessuno voleva mancare. Il sovrano era il più potente di tutti ed ogni suo combattimento era esempio di perfezione e mirabile dimostrazione di forza.

“Vieni, mio erede” invitò il Diavolo, allungando la mano verso Keros.

Questi sobbalzò, accigliandosi. Dannato vecchio, si ritrovò a pensare, che tentava di coinvolgerlo in simili stupidaggini!

“Avanti, mio erede” ghignò Lucifero “Approfitta di questo momento. Tutti qui non vedono l’ora di vederti combattere con ogni mezzo possibile. Ti concedo di usare i poteri angelici, se lo desideri. È tanto che non ho a che fare con simili energie”.

Il principe rimase immobile, qualche istante. Avrebbe tanto voluto declinare, ma equivaleva a farsi dare del vigliacco dall’intero regno. Così, dopo alcuni istanti in cui fulminò con lo sguardo il sovrano, si alzò. Con un sospiro, tolse anch’egli il mantello e slacciò qualche gancio nel complicato vestito. Con il tatuaggio del braccio in bella vista, storse il naso e si apprestò a combattere. Dal pubblico presente si alzò un applauso eccitato.

“Sono curioso di constatare di persona i tuoi progressi” mormorò il Diavolo.

I due si stavano studiando, camminando in tondo lungo il perimetro dell’arena. Arikien era perplesso, non capendo perché re e principe dovessero scontrarsi. Alukah, seduto al suo fianco, ridacchiava divertito.

“Puoi tornare a sederti, se non te la senti” derise Lucifero.

“Anche tu puoi tornare al tuo posto, se ti stanchi”.

“Frena la lingua, ragazzino!”.

“Risparmia il fiato, vecchio!”

Fu Lucifero a fare la prima mossa, scattando verso l’erede. Keros schivò facilmente quell’attacco, con un movimento rapido. Parò ed evitò ancora un paio di colpi.

“Smettila di giocare” sbottò, saltando all’indietro “Se vuoi uno scontro, almeno sii serio! Se no lasciami in pace!”.

Il re rispose con un colpo decisamente più forte, che lanciò il principe a terra.

“Come desideri!” rise il sovrano, spalancando le braccia.

Il mezzodemone si rialzò e subito contrattaccò, usando la balaustra che circondava l’arena come base per un salto orizzontale verso l’avversario. Lucifero saltò a sua volta, schivando quell’assalto, e usò la coda per infliggere una lieve ferita all’erede. Keros, irritato dal dolore e dall’atteggiamento del sovrano, ringhiò. Il diavolo subito contrattaccò ma l’erede fu rapido a reagire e creò una barriera attorno a sé. Il signore dei demoni vi sbatté contro e fu respinto con una scarica magica. Portandosi entrambe le mani al volto, la zona più colpita dalla scarica, il demonio borbottò un “E questo quando lo hai imparato?”, preparandosi poi a parare le fiamme che il principe gli stava lanciando contro.

Il pubblico era in estasi, mentre i due avversari si affrontavano a lanci di fiamme e salti. Di colpo Keros cambiò tipologia di fuoco, che si tinse d’azzurro, riuscendo a ferire il sovrano. Evitò poi il contrattacco spalancando le ali angeliche. Satana rincarò la dose e si fiondò contro l’erede ad artigli sfoderati, graffiandolo con ferocia. Il principe finì in terra, dolorante. Si voltò verso il re, che attendeva un segno di resa per terminare il combattimento, ringhiando sommessamente. Invece di sottomettersi, ripartì subito all’attacco.

“Ma quando la finiranno?” si preoccupava Arikien “Si stanno ferendo seriamente!”.

“Calmati!” lo derise Alukah “Il re non ammazza di certo il suo erede! Stanno giocando”.

“A me sembra che se le stiano dando di santa ragione…”.

“Si vede che hanno questioni in sospeso. Rilassati. A Keros basta chinare la testa e tutto finisce. Se continua, significa che è in grado di combattere e vuole continuare a farlo”.

Poco convinto, Ary trattenne il fiato. Keros era stato di nuovo scagliato in terra con forza e l’arena iniziava a tingersi con il sangue di entrambi. Gli spettatori accompagnavano lo scontro con tipo, ovazioni ed urla, soprattutto in caso di colpi particolari o scenografici. Era evidente che il principe stava avendo la peggio ma, con assoluta testardaggine, non aveva alcuna intenzione di sottomettersi. Richiamò di nuovo a sé il potere angelico e colpì violentemente il sovrano, fra lo stupore dei presenti. Lucifero, di tutta risposta, scagliò contro l’erede una potente scarica di energia demoniaca che lanciò l’erede contro gli spalti, fra il pubblico. Gemendo, Keros si rialzò a fatica ed  arrancò di nuovo fino all’arena. Satana lo colpì ancora, ributtandolo a terra. Le corna di entrambi erano visibili, grandi, ed incorniciavano benissimo i loro volti sporchi di sangue e deformati dalla rabbia. Il principe si rialzò in fretta ma, altrettanto in fretta, il diavolo lo afferrò per le braccia e gliele girò dietro alla schiena. Piegando le ali, strinse la presa e mormorò: “vuoi che ti uccida?”.

L’erede scossa la testa, rassegnato, dopo alcuni secondi d’attesa.

“Sei stato molto bravo” sussurrò poi il re, inchinandosi dinnanzi agli applausi del pubblico.

 

“Siete due idioti!” sbottò Lilith, curando le ferite di Lucifero.

“Ma su, è stato divertente” ghignò il re, sorseggiando vino.

“Keros è giovane ed orgoglioso, non dovevate spingerlo ad una simile sfida”.

“Son cose che formano, che rafforzano. Che gli fanno capire perché non deve fare lo sbruffone con me”.

“Intanto ti ha ferito…”.

“Vero. È potente, specie se sfrutta le abilità angeliche. Non mi ha rivolto la parola, finito lo scontro, ma sono sicuro che si riprenderà presto. Un po’ di riposo e sarà come nuovo”.

“Siete davvero idioti!” sibilò la demone, stringendo forte una fasciatura e facendo gemere il re.

 

Keros aveva raggiunto le proprie camere, in silenzio. Chiudendosi a chiave all’interno delle proprie stanze, aveva tentato di lenire il dolore delle ferite. Perdeva sangue, ma non aveva voglia di farsi vedere da un medico o da qualche servo impiccione. Aveva lasciato lo scontro a testa alta, con orgoglio, e non aveva intenzione di mostrare alcuna debolezza. Con una certa difficoltà, aprì un portale e si addentrò nel mondo umano. Seduto sul tetto della casa che un tempo era di Arikien, attese l’alba. Alle prime luci, non appena i raggi lo sfiorarono, subito iniziò a sentirsi meglio. Le ferite si rimarginarono ed il dolore si alleviò. Poi, sentendosi molto stanco, si trascinò fino alla camera da letto della casa, arrotolandosi nella coperta ed assopendosi quasi subito.

Un rumore lo svegliò, e si tirò su a sedere in pochi istanti. C’era qualcuno sul tetto? Non passò molto tempo prima che capisse che si trattavano di angeli. Trattenne il fiato, piuttosto preoccupato. Se avessero deciso di affrontarlo in quel momento, in cui era debole e stanco, non sapeva quali conseguenze avrebbe potuto riportare. Li sentiva discutere, in tono serio e concitato. Riconobbe la voce di Mihael, e questo un pochino lo tranquillizzò, ma capì subito che non stava discutendo con un sottoposto.

“Perché non intervieni?” domandava una voce che Keros sapeva di conoscere, ma che in quel momento non riusciva a collegare.

“Il nostro compito è difendere gli umani” rispondeva Mihael “E qui non ci sono umani. Perciò perché devo intervenire?”.

“Perché te lo ordino io!”.

“Con tutto il rispetto, sono io a capo degli eserciti angelici e decido io che fare in questi casi. Non avete autorità su di me in questo frangente”.

“Io sono un Serafino. Ti sono superiore di grado e ti ordino di rispedire quell’immondo essere all’Inferno ora. Subito”.

“Non è necessario. Nessun umano è in pericolo”.

“Obbedisci!”.

Il Serafino stava perdendo la pazienza, lo si poteva capire dal tono della voce. Mihael, al contrario, restava calmo e pacato.

“E quando verrà la fine del mondo?” incalzava il Serafino “Che farai?”.

“Combatterò, ovvio!”.

“Anche contro quello lì?”.

“Ma… di che parlate?!”.

“Alla fine di tutto, lo sai che dovrai spedire definitivamente agli Inferi anche lui. Lo farai oppure no?”.

“Innanzitutto non sappiamo da che parte si schiererà. Le sue ali sono ancora angeliche, il suo animo non è interamente demoniaco”.

“E questo chi lo ha stabilito?”.

“Ritengo di essere sufficientemente esperto in materia, Vehuia!”.

Keros sobbalzò, sentendo quel nome. Ricordava quel Serafino, che lo controllava mentre in Paradiso leggeva libri sulla caduta. Non gli era mai stato simpatico, e probabilmente la cosa era reciproca.

“Muoviti!” sbottò il Serafino, mentre il principe tentava di raggiungere la stanza con il portale per l’Inferno.

Mihael sospirò e raggiunse il figlio, fissandolo quasi con noia.

“Me ne sto andando” mormorò il mezzodemone “Non voglio problemi. Sono molto stanco”.

“Perché sei venuto nel mondo umano?”.

“Per il sole. Ero ferito…”.

“Perché eri ferito?”.

“Perché i demoni sono degli animali, ecco perché!” interruppe Vehuia “Rispediscilo subito agli Inferi!”.

“Ci sta tornando di sua spontanea volontà!” iniziò a spazientirsi Mihael.

“Farò rapporto, Mihael”.

“Ed a chi? A Dio? Buona fortuna!”.

Vehuia trattenne la rabbia e volò via, decisamente alterato.

“Me ne vado subito” si affrettò a dire Keros “Non voglio metterti nei casini…”.

“Nessun casino. Solo idiozia” storse il naso Mihael “Tu, piuttosto, non dovresti girare per il mondo umano se sei debole”.

“Lo so”.

“Se lo sai, perché lo fai?”.

“Non so. Idiozia, suppongo…”.

Il principe sospirò, piuttosto abbattuto.

“Che succede?” domandò l’Arcangelo, in un raro sprizzo di empatia.

“Niente… Torno a casa”.

Giunto sulla porta, pronto a rientrare all’Inferno, Keros si voltò verso il padre.

“Non voglio la fine del Mondo” confessò.

“Nessuno la vuole” rispose Mihael.

“E allora perché avverrà?”.

“Perché è giusto così”.

“Capisco…”.

Con un mezzo sorriso, il mezzodemone salutò con la mano e poi attraversò il portale. Una volta dall’altra parte, camminò nel buio per un po’. Voleva raggiungere la propria stanza in fretta, piuttosto debole e dolorate, percorrendo i corridoi del castello. Aveva i capelli rossi tutti increspati, il viso rigato dal sangue e gli occhi segnati dalla stanchezza. Nell’oscurità, si sentì afferrare e stringere.

“Keros!” parlò chi lo stringeva.

“Ary…” lo riconobbe il principe.

“Mi hai fatto morire di paura! Ero preoccupato!”.

“Davvero?”.

“Lo eravamo tutti! Dove sei stato?! Stai bene?”.

“Ti preoccupi troppo. Ho solo tanto sonno…”.

Il principe sorrise, felice di aver ricevuto quel genere di benvenuto.

“Oh, meno male! È tornato!” si sentì dire da Lilith e Leonore si unì a quei commenti di sollievo. Per tutto il palazzo si diffusero voci e si udì ad eco la frase “il principe è tornato”.

“Mi stavano cercando tutti?!” si stupì Keros.

“Ovvio!” sibilò Lucifero, raggiungendo l’erede zoppicando leggermente “Eri ferito e non davi più tue notizie!”.

“Ero nel mondo umano per il sole. Ora non sanguino più”.

“E se ti fosse successo qualcosa?”.

“Tipo essere aggredito e ferito da un mio zio incazzato? Già fatto per oggi, non trovi?”.

“Zio?”.

“Hai capito il concetto…”.

Il principe chinò leggermente la testa, mentre posizionava le mani nel gesto che per tutti i demoni significava sottomissione e resa. Non aveva voglia di discutere, vinto dalla stanchezza. Il re lo osservò, mentre si allontanava lentamente.

“D’ora in poi…” lo fermò “Voglio vederti sviluppare ogni lato angelico che hai”.

“Che…?”.

“Mi hai sentito. Sei potente, ma non abbastanza. Voglio vederti diventare il più potente di tutti”.

Keros sorrise, questa volta sinceramente.

“E la prossima volta sarò io a sconfiggerti?” suggerì.

“Tieni i piedi per terra” ghignò Lucifero “Non esagerare. Ora fila a dormire!”.

 

 

Ciao! È da un pochino che non vi lascio un saluto, giusto? Ora me ne vado un pochino in ferie, quindi mi prendo una piccola pausa (piccina piccina). A presto!

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Capitolo 76
*** Giudici e Giudicati ***


76

Giudici e Giudicati

 

La scuola che Arikien aveva tanto sognato era stata terminata e sistemata in tempi relativamente brevi. All’inaugurazione, Lucifero aveva tagliato il nastro con orgoglio, con accanto l’erede di Alukah ed alcuni maestri che avrebbero presto insegnato nella struttura. Molti erano stati i curiosi, accorsi ad ammirare quella novità, e molti furono gli iscritti. Su richiesta di Keros, era stato aperto un portale che collegava il palazzo reale all’edificio appena inaugurato. In questo modo il principe era libero di muoversi fra i due ambienti senza faticare, impiegarci troppo tempo o dare nell’occhio.

Il primo giorno di lezione e collegio, i corridoi erano affollati e rumorosi. Arikien osservò, dall’alto dell’androne delle scale, tutti i piccoli demoni che attendevano di iniziare. Quando furono presenti altri maestri, l’erede di Alukah si presentò ai futuri allievi.

“Benvenuti” esordì, con un sorriso compiaciuto “Io sono Arikien, appartenente alla stirpa di Alukah, e vi accolgo nella nuova scuola. Il mio compito sarà di occuparmi dei piccoli e di tutti coloro che, non avendo un tetto ed una famiglia, rimarranno qui a vivere. Accanto a me, invece, potete vedere i maestri che si occuperanno della vostra istruzione ed addestramento”.

I bambini ed i ragazzi osservarono il gruppo di adulti con curiosità. Qualcuno mormorò il nome del principe, avendolo riconosciuto fra i maestri. Dopo che ognuno di essi ebbe finito di presentarsi, spiegando i vari compiti, i bambini vennero divisi fra varie classi e stanze. Keros, che si occupava delle lezioni nel mondo umano, quel giorno aiutò Arikien a sistemare i piccoli nelle camere. Prima di condurre una classe fra i mortali, dovevano raggiungere un determinato grado di conoscenze e non poteva correre rischi il primo giorno. Fra i piccoli riconobbe molti dei figli dei rinnegati che aveva incontrato ed aiutato. Si chiese se, grazie a quell’istituto, avrebbero potuto trovare delle famiglie dove crescere.

L’istituto divenne presto famoso, e molti furono gli iscritti e gli adottati. Arikien era fiero della buona riuscita del progetto e perfino Lucifero si era congratulato, quella sera a cena, per i rapidi vantaggi che una simile struttura portava al regno. Ripensandoci, il vampiro sorriso. Nel buio, l’erede di Alukah cercava un libro fra gli scaffali dell’immensa biblioteca del palazzo reale per poterlo utilizzare il giorno successivo con i cuccioli. Era solo ed udì un grido. Subito scese dall’alta scalinata che conduceva ai ripiani più alti e si precipitò fuori. Un’anima, sfuggita al controllo, era sbucata all’improvviso davanti a Leonore e la donna aveva urlato, terrorizzata. Le guardie del palazzo avevano bloccato l’intrusa e la stavano trascinando via, mentre la regina si riprendeva.

“Tutto bene?” domandò Arikien, raggiungendola “TI ha ferita?”.

“Tutto bene…” ansimò lei “Ma è spuntata così, all’improvviso, e…”.

“Tranquilla. L’hanno catturata. Senti?”.

L’anima urlava disperatamente ed i suoi versi riecheggiavano lungo i corridoi bui. Leonore, ancora un po’ spaventata, si lasciò abbracciare da Arikien. Quel contatto la fece subito calmare e sorrise, sollevata. Rimasero qualche istante stretti l’uno all’altro e poi lei si congedò, ringraziando. Il vampiro si voltò e rientrò in biblioteca. Lì, un paio di occhi velati di rosso lo fissavano nel buio. Sobbalzò, sorpreso e inquietato.

“Maestà?” chiese “Siete voi?”.

“Attento, erede di Alukah” sibilò Lucifero, scendendo lentamente lungo la rampa di scale che collegava la biblioteca alle stanze private del re “Non mettere alla prova la mia ospitalità”.

“I… io… non capisco…”.

“Non capisci?”.

Il re, con quel passo lento e quegli occhi accesi, incuteva timore ed Arikien balbettò confuso. Lucifero, che lo aveva raggiunto, ora lo fissava minaccioso.

“Il mio debito è ripagato” sibilò il re “Ho permesso a progenie sovversiva di sopravvivere ed ho acconsentito a finanziare il tuo progetto. Mi sembra di essere stato piuttosto generoso, no?”.

“Sì, certo. Lo siete stato…”.

“E allora vedi di non farmi pentire delle mie azioni e della fiducia riposta in te. Mi auguro che d’ora in poi saprai restare al tuo posto”.

“Ma di che cosa… Non capisco…”.

“Questo palazzo non ha segreti, i miei occhi vi scrutano ogni anfratto. Lei è mia e nessun’altro la può toccare. Spero che ora tu abbia compreso”.

“Oh. Ma certo! Io… non si ripeterà”.

“Lo spero. Perché già a malapena riesco ad accettare il legame fin troppo simbiotico fra te e Keros, figuriamoci che potrei fare se ti vedo ancora appicciato alla mia sposa”.

“Domando perdono”.

Arikien comprese che era inutile discutere o ribattere. Si trovava al cospetto del demone più potente di tutti e quindi, non potendo fare altro, si inchinò in segno di resa. Lucifero annuì, convinto da quel gesto, e lasciò la stanza per raggiungere l’amata.

 

 Nel frattempo, Keros si era fatto consegnare l’anima fuggita per riportarla nel giusto settore. Nasfer aveva insistito per accompagnarlo ed insieme si addentrarono per i gironi dell’Inferno. Sul dorso della creatura che tanti secoli prima Keros aveva visto schiudere dall’uovo, padre e figlio trascinarono l’anima per terreni impervi e sconnessi. Abbandonare la città era sempre un’avventura, perché molti aspetti del paesaggio potevano mutare con il tempo. Il fuoco, il gelo ed il forte vento modificavano le rocce e l’ambiente.  Nasfer si era voltato a guardare l’anima, legata e costretta a camminare dietro alla bestia.

“Papà…” aveva domandato timidamente il bambino “Ma chi decide quali anime devono andare all’Inferno e quali in Paradiso?”.

“Gli angeli addetti a questo compito. Fra essi vi è l’Arcangelo Mihael, che giudica le situazioni più complesse”.

“E non si sbagliano mai?”.

“No. Tutte le anime all’Inferno ci sono perché è giusto che ci siano”.

“E come si fa a giudicare? E come si decide in che settore poi devono andare?”.

“Si tratta indubbiamente di un processo complesso. I giudici infernali devono valutare l’operato del mortale mentre era in vita e stabilire la punizione più adatta. A volte è semplice, altre volte vi sono molti fattori da prendere in considerazione. Ma in questo caso vi sono i tre giudici più saggi, che valutano da millenni ormai e sanno quel che fanno. In ultima istanza, se proprio non si raggiunge una soluzione, viene chiesto il parere di Lucifero”.

“Ed i colori diversi a che servono?”.

“I colori diversi? Tu vedi i colori diversi delle anime?”.

“Sì. Perché? Tu no?”.

“Io sì, ma non è una cosa da tutti”.

“Ah… no?”.

Nasfer, aggrappato alla schiena del padre, si guardava attorno abbastanza perplesso mentre assieme cavalcavano verso un settore infernale.

“Si tratta di una dote ereditata da tuo nonno, quello con le piume” spiegò il principe “Anche il colore delle anime aiuta a giudicare e stabilire dove vadano collocate. Appena nata, l’anima è bianca candida ma muta di colore, macchiandosi dei colori dei vari peccati. Gli assassini hanno l’anima di colore rosso, come il sangue, per esempio. E più peccati si commette e più quest’essenza si scurisce e perde luce. Vedere questa caratteristica rende più facile giudicare e punire”.

“Ed i demoni giudicanti hanno tutti questa capacità?”.

“Sì, è un requisito fondamentale per tentare di divenire un giudice degli Inferi”.

“E… tu perché non sei diventato un giudice, se possiedi questo dono?”.

“Perché ho scelto di fare quello che mi piaceva. E tu devi fare lo stesso”.

Il bambino annuì, mentre in lontananza vedeva una gran quantità di anime ammassate, che venivano smistate dalla lunghissima coda di un demone che si ergeva al centro di esse.

“Quello è Minosse” parlò Keros “Giudica e poi, con la lunga coda, divide le anime e altri demoni le portano nei vari settori. Alle sue spalle gli archivisti riportano tutte le decisioni prese”.

Il principe consegnò l’anima fuggita ad uno di quei demoni e lasciò che la trascinasse via assieme alle altre. Nasfer rimase ancora qualche istante ad osservare il lavoro del giudice e poi rientrò a palazzo assieme al padre.

 

Appena arrivati, si accorsero che qualcosa di importante doveva essere successa perché vi era gran movimento. Molti erano agitati e correvano voci, che però non si riuscivano a comprendere.

“Che succede?” chiese più volte il principe, senza ricevere risposta.

Solamente quando Lucifero lo raggiunse, con un sorriso smagliante sul viso, riuscì ad avere risposte.

“Alla fine è successo!” esclamò il re, raggiante “Finalmente! Non immagini quanto ne sia soddisfatto”.

“Ma di che? Che succede?”.

“È caduto!” rise Lucifero “Caduto, capisci? Non è più un angelo!”.

“Ma chi?”.

“Vieni! Non ci crederai!”.

Il sovrano accompagnò il principe lungo i corridoi, diretto ai sotterranei del palazzo. Keros trattenne il fiato, temendo il peggio. Quale caduta poteva provocare una tale gioia in Lucifero se non quella di Mihael? Tremò al solo pensiero ma, dinanzi a sé, legato e rinchiuso in una delle celle dei sotterranei, si trovò una creatura che lo stupì ancora di più: Vehuya.

Il Serafino era ricoperto di sangue, causato dalle ferite riportate dalla caduta e dalle corna che ne avevano sfigurato il cranio.

“Io non sono un demone!” continuava a ripetere, mentre i diavoli presenti ridevano della nuova condizione dell’angelo.

“Non è meraviglioso?” ghignò Lucifero “Cazzo, quanto mi è sempre stato sulle palle! Ora ce l’ho fra le mani e potrò torturarlo a mio piacimento! Godo al solo pensiero!”.

“Ma… che stai dicendo?” esclamò Keros.

Il re, che ancora sghignazzava, smise quando notò lo sguardo stralunato del principe. Senza capirlo, alzò un sopracciglio.

“Come fai a riderne?” mormorò il principe “Non ricordi quel che hai provato tu? Non pensi che stia soffrendo già a sufficienza?”.

“Certo che no! Ah, Vehuya! Lo senti? Si chiama dolore quel che provi. È una sensazione interessante, vero? E non puoi farci niente. La luce di Dio qui non arriva, nessuno lenirà la tua agonia, nessuno udirà le tue preghiere. Ora sai cosa si prova. Se sopravvivrai, perché non è detto che tu ci riesca, ti attende un’eternità all’Inferno. Sei felice? Dai, sorridimi!”.

Keros era sconcertato. Osservava Lucifero e poi si voltò verso Nasfer, che rideva a sua volta.

“Non c’è niente da ridere!” si stizzì il principe.

“Ma papà!” alzò le spalle Nasfer “Mi hai detto che chi è all’Inferno è all’Inferno perché è giusto che ci stia. Perciò lui merita di stare qui e gli sta bene!”.

“Io non merito di essere qui!” sbraitò Vehuya, tentando di liberarsi “Io non sono colui che ha commesso il peccato più grave. Perché io vengo punito? Perché io sì e lui no?”.

“Se parli di Miky, è presto detto” ghignò il sovrano “Lui è il cocco di papà. E poi sei tu l’invidioso, non Mihael. Invidia, gelosia… tutte cose che a papà non piacciono per niente, sai? E rabbia, quanta rabbia hai addosso! Sei un peccatore! E Dio non ti vuole più con sé!”.

“Non è vero!”.

La voce di Vehuya si era incrinata, per il dolore e la tristezza, e più di un demone aveva riso.

“Adesso basta, però” aveva interrotto la risata Keros, con un gesto della mano “Non è mica un animale da circo! Non serve stare qui a ridere di lui! Lasciatelo in pace!”.

“E perché dovrei?” incrociò le braccia il re, poco convinto.

“Perché già soffre e continuerà a farlo. Forse la solitudine lo tormenterà ancora di più delle tue risate. Avrai molto tempo per stuzzicarlo a tuo piacimento, quando si sarà ripreso e magari sarà pure in grado di ribattere a tono”.

“Piccolo figlio di sangue bastardo” sibilò Vehuya “Un giorno il Cielo capirà che ho ragione io. Capiranno gli angeli che colui che deve combattere i demoni mai alzerà un solo dito contro la sua progenie e si rischierà di perdere la guerra. Si perderà la guerra per colpa di un padre peccatore che ha infangato il sangue puro degli angeli ed ha generato te, le cui ali non meritavano di essere deturpate dal tuo abominio”.

“Le mie ali stanno benissimo” mormorò Keros, non cambiando espressione e spalancandole “A differenza delle tue. Non comprendo il disegno di Dio, e non mi interessa di comprenderlo, ma fossi in te non mi ci soffermerei troppo sopra. Qui la voce di Dio non si può sentire. Eri Serafino, diverrai demone potente, se sarai in grado di affrontare la realtà. In caso contrario, non incolpare me o mio padre. Incolpa piuttosto te stesso o il Dio che tanto preghi”.

“Non nominare Dio. Tu non lo puoi fare!”.

“Lui ignora me, io ignoro lui. E dovrai imparare a fare lo stesso, temo”.

Vehuya ringhiò, dimenandosi. Keros si voltò, allontanandosi. Altri rimasero lì, deridendo il Serafino caduto e compiacendosi di quanto successo, fino a quando il nuovo demone non si addormentò sfinito.

 

Il principe tornò dal prigioniero qualche ora più tardi, quando fu sicuro di trovarlo da solo. Gli portò del cibo ed un po’ d’acqua, non aspettandosi alcun tipo di ringraziamento. Vehuya lo fissò, rimanendo immobile e steso a terra.

“Cerca di mangiare” lo incoraggiò Keros “Hai perso molto sangue, devi rimetterti in forze”.

“Così potrete torturarmi con più soddisfazione, tu e Lucifero? Dico bene?”.

“Così non morirai. Ma la vita è la tua…”.

“Ed a te che importa?”.

Il principe, con ancora le ali argentee ben visibili, sospirò. La rivalità ed il sospetto continuo erano cose che iniziavano a stancarlo già da un pezzo. Fissò quella creatura, un tempo un meraviglioso Serafino, e provò una stretta al cuore. Insanguinato, con le vesti stracciate ed il corpo contorto per il dolore, Vehuya era quasi irriconoscibile. I capelli, del tipico color biondo degli angeli, andavano gradatamente scurendosi e lo stesso accadeva agli occhi di colui che aveva perso il Cielo. L’odore del sangue era intenso, così come quello della paura. Il principe si accorse che una lacrima gli scivolava lungo le guance mentre osservava Vehuya ed il caduto la notò.

“Non mi serve la tua pietà!” sibilò il nuovo demone “Non mi servono le tue lacrime!”.

“La pietà è una delle cose più rare, qui all’Inferno. E di lacrime dubito che ne vedrai altre, poiché solo io sono in grado di piangere in questo mondo. Volevo solo aiutarti, ma la scelta è tua. Se vuoi, me ne vado immediatamente”.

Il mezzosangue si voltò, con l’intento di allontanarsi, ma riuscì solo a compiere pochi passi prima che Vehuya lo fermasse. Avvilito, il nuovo demone sospirò.

“Che ne sarà di me?” domandò, mogio.

“Dipende da te” rispose Keros, tornando dinnanzi alla cella ed osservando il prigioniero “Se saprai trovare un modo per risollevarti ed accettare questa tua vita, potrai essere e fare diverse cose. Qui vengono puniti i peccatori, coloro che disobbedirono alla legge di Dio, e potresti quasi provare soddisfazione nel torturarli. Potresti divenire archivista, sorvegliante, messaggero… Qui i ruoli non vengono prestabiliti, ognuno può impegnarsi per divenire ciò che aspira essere”.

Vehuya non sembrava convinto. “Lucifero mi torturerà?” era il suo peggior timore.

“Se ti dimostrerai a lui fedele, non lo farà”.

“E se non mi dimostrassi tale?”.

“Allora ti sottometterà, come ha fatto con tutti colori che non hanno voluto obbedire. Qui comanda il più forte”.

“E tu? Ha sottomesso anche te?”.

“Io? Sono stato sconfitto da lui, come qualsiasi altro demone. Lucifero è il sovrano per una ragione”.

“E se volesse uccidermi?”.

“Lucifero non uccide a caso. Lo farà se sarà necessario, ma solitamente preferisce aumentare il numero di demoni ai suoi comandi e non sterminarli”.

“Così da averne di più quando marcerà per riconquistare il Paradiso. Quando verrà la fine del Mondo!”.

“Di questo io non voglio parlare. Mai. Ora cerca di mangiare e riposare. Vedrò di farti liberare quanto prima. Benvenuto all’Inferno”.

Il caduto gemette a quelle parole. Vide Keros allontanarsi, mentre le guardie poste all’ingresso dei sotterranei si inchinavano mentre passava.

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Capitolo 77
*** Ciondolo ***


77

CIONDOLO

 

Il tempo trascorso all’Inferno aveva angosciato e cambiato l’atteggiamento di Vehuya. Si era aperto e si era lasciato consigliare da Keros, calmando la propria rabbia nei confronti del mondo demoniaco. Parlandosi, il Serafino caduto aveva confessato al principe di aver smarrito il ciondolo della propria collana e di provare un dolore immenso per questo. Lo aveva perso nel mondo umano, poco prima di cadere, e se ne rammaricava molto. Non potendo recarsi personalmente fra i mortali, perché ancora debole e sotto sorveglianza, Vehuya pregò Keros di andare a cercarlo in sua vece. Il mezzodemone, che non perdeva mai un’occasione per gironzolare fra gli uomini, acconsentì volentieri e portò con sé i suoi figli più grandi.

Per i quattro cuccioli fu un modo piacevole di trascorrere un pomeriggio in compagnia del padre, cosa che non accadeva molto spesso. Seguendo le indicazioni di Vehuya, comparvero nei pressi di un paesino di campagna, con poche case ed un campanile dall’alto tetto a punta. Su un prato, attraversato da un sentiero di sassi, il gruppetto iniziò la ricerca. Il ciondolo era circolare, in argento, e recava inciso il glifo del Serafino, un segno di riconoscimento unico. Carmilla prendeva molto seriamente il compito e scrutava con attenzione fra le piante. Con grandi ed attenti occhi viola, osservava diligentemente il terreno. Vixa e Kaya, le due gemelle identiche, preferivano giocare e rincorrersi. Nasfer si guardava attorno, incuriosito dal mondo umano, e fu il primo a notare che non erano i soli su quel prato. Anche Keros vide tre persone, due adulti ed una bambina, e chiamò a sé i propri figli. Ne aveva compresa la natura e preferì stare sicuro: erano angeli, li riconosceva dalle auree, e forse stavano cercando la stessa cosa.

“Chi sono quelli, papà?” chiese Vixa.

“Angeli” ammise Keros “Restate vicini. Possono essere pericolosi”.

“A me non fanno paura!” sbottò la bambina.

Gli angeli si avvicinarono. Erano Mihael e Gabriel, assieme alla piccola Sophia.

“Papà, chi è quella bambina?” sussurrò Nasfer “Mi sembra di…”.

“Fate silenzio” li ammonì il principe “Troviamo quello che ci serve e andiamo via”.

Mihael li osservava senza parlare, mentre Gabriel scrutava il terreno e Sophia lo aiutava.

“Perché ci fissa così?” mormorò Carmilla, infastidita.

“Fa il suo lavoro. Ora cerchiamo di trovare quel ciondolo”.

Ripresero le ricerche. Nasfer però era fermo a fissare quella bambina, finché lei non ricambiò lo sguardo.

“Nasfer!” lo richiamò il padre “Ma che fai?!”.

“Quella bambina… è un angelo, vero?”.

“Sì”.

“Ha un’aurea bellissima. Non ne ho mai vista una così bella”.

“Hai ragione…”.

“Lei è… Io la conosco!”.

“Siete nati assieme. È la tua sorellina Sophia”.

Keros non era certo di voler rivelare certi dettagli ma non voleva mentirgli. La bambina si voltò verso Mihael, chiedendo conferma di quanto aveva appena udito. Quando l’Arcangelo annuì, Sophia sorrise e salutò il gruppetto di demoni.

“Posso andare a parlarle?” domandò Nasfer.

“Stai molto attento” storse il naso il principe.

“Lei è la mia sorellina! Non mi capiterà nulla di male!”.

Senza ascoltare altre proteste, il principino corse verso Sophia e la piccola fece lo stesso. Mihael e Keros si scambiarono uno sguardo, lievemente preoccupato. In paese iniziarono a suonare le campane e le gemelle identiche ne furono infastidite.

“Siete in gita?” parlò finalmente Mihael.

“Cerchiamo una cosa per Vehuya” rispose subito Carmilla e Keros le lanciò uno sguardo di rimprovero.

“Nessun oggetto angelico andrà mai all’Inferno. La collana che ha perso Vehuya deve tornare in Paradiso. Dobbiamo prenderla noi” ordinò l’Arcangelo guerriero.

“Noi facciamo quello che vogliamo!” sbatté i piedi Kaya.

“Demonietto impertinente”.

“Mio padre vi prenderà tutti a calci”.

“Kaya!” la zittì Keros, stringendola a sé e nascondendola dietro alle gambe.

Mihael fece per ribattere ma la vocina di Vixa interruppe ogni altro pensiero con un “l’ho trovato!”. Aveva trovato il ciondolo della collana e lo stringeva fra le mani, sventolandolo con entusiasmo.

 

Nasfer e Sophia si guardavano, uno di fronte all’altro, circondati dall’erba alta. Si erano allontanati di qualche metro dagli adulti, anche se sapevano di essere costantemente sotto controllo. La bambina sorrideva, con i capelli biondi che parevano splendere ad ogni movimento.

“Io mi ricordo di te” ammise la bimba, sempre con un sorriso.

“Io…” mormorò Nasfer chinando la testa imbarazzato “Mi dispiace per… essere stato cattivo. Ricordo che non avevo voglia di giocare con te. Mamma mi diceva di non farlo perché eri diversa, eri una creatura da evitare”.

“Anche a me hanno detto la stessa cosa di te. Sei un demone, non dovrei avvicinarmi. Ma io non credo che tu voglia farmi del male”.

“Sei la mia sorellina. Non si fanno male alle sorelle. Anche quando sono insopportabili…”.

Il bambino lanciò un’occhiata verso Vixa e Kaya, con una smorfia. Sophia rise, divertita.

“Sei mai stato in Paradiso?” chiese poi la piccola.

“No. Io sono un demone!”.

“Sei un bambino. Che potresti aver mai fatto di così terribile?”.

“Sono un demone. I demoni non vanno in Paradiso!”.

“Che noia” storse il naso la bambina “Si divide tutto in bianco e nero, buoni e cattivi. Io però vedo che il Mondo ha molte sfumature, ha molti più colori. Perciò non capisco il senso di questa divisione così netta”.

“Probabilmente perché sarebbe un casino…”.

“O forse sarebbe tutto più semplice. Sarebbe un mondo migliore, se non si cercasse sempre di dividere tutto in bianco e nero. Non trovi?”.

“Forse…”.

Nasfer era perplesso. Però era affascinato dalla sorella, che parlava in modo calmo e forbito, quasi ipnotico, e lo guardava con quegli occhi grandi e celesti. Era così diversa dalle bambine a cui era abituato! Intanto, gli adulti avevano iniziato a discutere e Gabriel chiamava con insistenza Sophia.

“Credi che potremmo rivederci?” chiese la bambina, capendo di doversi allontanare.

“Certo. Io… Spero di sì!”.

“Allora a presto, fratellone!”.

Sophia corse via rapidamente, raggiungendo Gabriel che la invitò a non allontanarsi di nuovo. Nasfer si voltò verso il padre, notando una certa tensione fra lui e Mihael. Forse era meglio starne lontani…

 

“Dammi subito quella collana!” ordinò Mihael, allungando la mano verso Keros.

“E perché dovrei?!” fu la risposta del principe, che stringeva fra le mani il ciondolo ritrovato da Vixa.

“Un oggetto celeste non andrà mai all’Inferno!”.

“Questo ciondolo è di Vehuya, ed io lo sto riportando al legittimo proprietario! Non vedo cosa ci sia di sbagliato!”.

“A che mai potrebbe servire ad un Demone un simile gingillo? Non è più in grado di sfoggiare un glifo angelico. Perciò ora me lo darai. O me lo riprenderò con la forza!”.

“Gira al largo! Vehuya me lo chiesto ed io ora glielo riporto!”.

Keros strinse a sé il ciondolo, con aria di sfida. Mihael sospirò profondamente, accigliandosi.

“Un secondo…” si intromise Gabriel “Prima che veniate alle mani, lasciate che vi spieghi”.

L’Arcangelo messaggero si avvicinò e parlò a Keros, rimanendo straordinariamente calmo e sereno.

“La caduta di Vehuya è un avvenimento che ha lasciato sconvolti in molti” iniziò a spiegare Gabriel “Un avvenimento del tutto inaspettato, che ci ha turbati. Molti amavano e rispettavano Vehuya e quel ciondolo, riposto in un luogo sicuro del Paradiso, darà modo a molti di ricordarlo”.

“Ma non è mica morto!” esclamò Keros, alzando un sopracciglio.

“Per noi è come se lo fosse” mormorò Gabriel “Si tratta di una grave perdita”.

“Ma non è morto” ripeté il principe “E rivuole indietro il proprio ciondolo, probabilmente come ricordo di quel che è stato. Glielo neghereste? Neghereste ad un caduto l’unico conforto?”.

“Se è caduto, un motivo c’è” sbottò Mihael “Ed inutile per lui rimpiangere quel che è stato, poiché mai più rimetterà piede in cielo”.

“E allora perché rivolete la collana per ricordarvelo? Tanto non tornerà!”.

“Non sappiamo cosa potrebbe fare un demone con un oggetto di simile fattura fra le mani”.

“Niente. È un ciondolo. Una collana. Tu che fai con una collana? Preghi? Dio non ascolta le parole pronunciate negli Inferi, perciò può pregare quel che gli pare!”.

“Te lo toglierò a forza dalle dita, se non mi consegnerai quel ciondolo immediatamente!”.

“Non lo avrai. L’ho promesso a Vehuya!”.

“Bene, allora”.

Mihael allungo la mano ed evocò la lancia con cui combatteva. Keros trattenne il fiato per qualche secondo. Normalmente, un demone sarebbe fuggito dinnanzi a quell’arma perché estremamente pericolosa, molto più della spada che l’Arcangelo portava al fianco. Ma in quella circostanza non indietreggiò, era pronto allo scontro, perché voleva a tutti i costi consegnare il ciondolo a Vehuya. Notando che la situazione non accennava a migliorare, Gabriel invitò la piccola Sophia a tornare in cielo con lui, per evitare che la bambina assistesse a spettacoli violenti. Nasfer raggiunse le sorelle, indeciso sul da farsi. Era il caso di rientrare all’Inferno? O forse poteva in qualche modo aiutare suo padre?

“Lascia che i miei figli vadano a casa” disse Keros, chiamando i piccoli a sé “E poi avremo modo di terminare la discussione”.

Mihael annuì e il principe si inginocchiò davanti a Nasfer, sorridendo e parlando piano.

“Tornate a casa adesso, ok?” mormorò, prendendogli la mano “Io arrivo subito. Tranquilli”.

“Ma papà, io ti posso aiutare!” protestò Nasfer.

“Certo. Mi puoi aiutare portando a casa le tue sorelle. Tu per ora sei l’unico in grado di aprire un portale. Perciò ora torna all’Inferno. Mi sentirò molto più tranquillo così, senza il rischio che qualche colpo vi raggiunga per sbaglio”.

“Ok…”.

Il piccolo non pareva convinto ma poi annuì e sorrise, ordinando alle sorelle di seguirlo oltre al portale.

 

“Ora che siamo soli…” furono le prime parole di Keros, rialzandosi e fissando Mihael “Puoi anche fare meno lo spaccone e dirmi la verità. Perché vuoi questo ciondolo?”.

“Te l’ho già spiegato” confermò l’Arcangelo, senza distogliere lo sguardo dal pugno chiuso in cui Keros stringeva l’oggetto celeste “Nessun manufatto angelico può finire fra le mani dei demoni”.

“Vehuya ora è un demone. Potrei comprendere se tale oggetto appartenesse ad un angelo ma ora il proprietario è un demone. Perciò…”.

“Perciò? Perciò ora me lo ridarai. O sarò costretto a combattere. Ho degli ordini da rispettare e li rispetterò, riportando quel ciondolo al giusto posto”.

“Il giusto posto è il collo di Vehuya!”.

“Non ora che è un essere impuro”.

“Pure tu lo sei, eppure sei lì! Con la tua bella aureola scintillante! Chi decide chi cade e chi no? In base a cosa? Sono tutte stronzate!”.

“Io non lo so perché io sia qui e Vehuya all’Inferno. È una domanda che mi tormenta da un bel pezzo, ormai. Ma se è questo il disegno di Dio…”.

“Il disegno di Dio è uno scarabocchio, fatto con i pennarelli grossi su un tovagliolo d’autogrill! Una porcheria!”.

Mihael non mutò espressione. Prese la lancia con entrambe le mani e Keros ringhiò, pronto a combattere. L’Arcangelo sferrò per primo il suo attacco ed il principe evocò la barriera, che lo difese e respinse il colpo nemico.

“Era un avvertimento” parlò serio l’Arcangelo.

“Lo avevo intuito…”.

Keros sapeva di non poter utilizzare il fuoco contro Mihael, perché non avrebbe sortito alcun effetto. Non era compito suo lottare contro Mihael, quello spettava a Lucifero! Eppure non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro. Non poteva evocare armi, a differenza dell’avversario, e capì che avrebbe dovuto lottare affidandosi solo al proprio corpo. Come durante l’addestramento con Astaroth, capì che avrebbe dovuto sfruttare al massimo i pochi vantaggi che aveva. Al secondo attacco, rispose con un agile balzo in avanti. Doveva tentare di avvicinarsi, se voleva colpire, ma Mihael mosse rapido la lancia e colpì Keros al fianco. Il principe finì a terra, diversi metri più in là, e gemette per il fastidio.

“Arrenditi” suggerì l’Arcangelo e il mezzodemone rifiutò.

Mihael si preparò a caricare di nuovo con la propria arma e Keros, rialzandosi, si mise in posizione di difesa. La lancia lo colpì ma riuscì ad afferrarla con entrambe le mani. L’abitante del Paradiso era stupito, perché normalmente un demone sarebbe stato respinto ed ustionato da quel contatto, ma realizzò subito che davanti non aveva un demone qualsiasi. Testardamente, il sanguemisto continuò a stringere fra le mani la lancia, spingendosi sempre più appresso all’avversario.

“Che pensi di fare?” sbottò Mihael “Non riuscirai a strapparmi l’arma di mano!”.

Con uno scatto, l’Arcangelo scostò la lancia di colpo e Keros fu sollevato in aria. I riflessi del demone furono molto rapidi ed immediatamente reagì, riuscendo a girarsi in tempo per colpire il rivale con un calcio sul viso.

“Ma che bravo…” commentò Mihael, dopo essersi ripreso da quell’evento inaspettato “Normalmente la lancia incute timore e fa capire a chi ho di fronte che non è il caso di scherzare, che è meglio desistere. Ma per te così non è stato e tutt’ora intendi continuare a combattere”.

“Certo che sì! Per chi mi hai preso?”.

“In questo caso… Io preferisco combattere ad armi pari”.

Con un gesto della mano, Mihael materializzò un’altra lancia e la porse al principe. Questi la fissò, perplesso.

“Se intendi ancora combattere, allora impugnala e fammi vedere quel che sai fare” incitò l’Arcangelo.

Keros allungò la mano ed afferrò l’arma, ancora un po’ sconcertato da quel gesto.

“Ora preparati” si accigliò Mihael “Perché ti sconfiggerò”.

 

“Nonno!” urlava Nasfer, correndo lungo i corridoi del palazzo Infernale e piombando nell’ufficio di Lucifero con un gran baccano.

Questi, che stava giocherellando con il cellullare, alzò un sopracciglio.

“Cos’hai tanto da urlare?” lo rimproverò con calma “Forse è una questione di vita o di morte? Datti una calmata!”.

“Io… credo proprio che sia una questione come dici tu!” ansimò il bambino.

 

Con un’arma fra le mani, Keros iniziò a lottare con maggior convinzione. Sapeva che Mihael aveva millenni di esperienza alle spalle, ed iniziava a chiedersi che cosa stesse facendo, ma non intendeva indietreggiare. Riuscì a parare qualche colpo e respingere i colpi dell’Arcangelo, prima di essere colpito nuovamente e rispedito indietro. Si rialzò e corse, spostando di lato la lancia dell’avversario e colpendolo con un calcio al ventre. Mihael rispose prontamente e Keros finì di nuovo a terra. Con rabbia, il principe attaccò di nuovo e questa volta le armi di entrambi finirono fra l’alta erba del prato. Il sanguemisto non lasciò il tempo all’Arcangelo di recuperare la lancia od evocarne un’altra e lo colpì a mani nude.

“Io non provo dolore” gli ricordò Mihael, colpito da un pugno.

Keros non ripose, preferendo continuare a combattere. Gli sembrava strano tutto questo, lottare in quel modo solo per una collana, ma tentò di non mostrare segni di cedimento. Però era consapevole di essere in svantaggio. L’Arcangelo non provava dolore, stanchezza, paura… Mihael lo colpì allo stomaco e lo spedì fra l’erba, impugnando poi la lancia e minacciando di trafiggerlo.

“Arrenditi!” sibilò l’abitante del Paradiso.

“Va bene… come vuoi… Però… Il ciondolo non ce l’ho io. Lo ha portato mio figlio all’Inferno!”.

Il principe mostrò le mani e stringeva un sasso, non più l’oggetto che l’Arcangelo bramava. Era riuscito ad affidarlo a Nasfer in quei pochi attimi in cui lo aveva convinto a tornare negli Inferi. Mihael lanciò un grido, il primo che Keros udiva così carico di furia. Solitamente colui che aveva di fronte era sempre pacato, serio e controllato ma in quel frangente si notava che qualcosa di ben più profondo lo turbava e lo spingeva ad infuriarsi. Keros intuì che doveva avere qualcosa a che fare con la caduta di Vehuya. Chissà quanti dubbi doveva avere l’Arcangelo guerriero! Tutti, demoni compresi, erano convinti che non ci sarebbero state altre cadute e che per questo Mihael fosse rimasto un angelo nonostante il peccato commesso con Carmilla. Ma Vehuya era caduto e Mihael non capiva. Mosso da un indicibile desiderio di espiare le proprie colpe, di calmare l’animo tormentato per un gesto ai suoi occhi gravissimo, il guerriero iniziò a colpire Keros con sempre maggior foga. Il principe comprese di non avere possibilità contro quell’Arcangelo infuriato. Doveva trovare il modo di fuggire, di salvarsi da quei colpi a ripetizione. Il sangue gli lasciava un sapore metallico in bocca ed il dolore iniziava a farsi insopportabile.

“Mihael!” si udì.

Gabriel fissava il fratello, stupito e scioccato da quel comportamento. Keros, approfittando di quel momento di distrazione, riuscì ad allontanarsi ed aprire il portale per tornare a casa.

 

Era ricomparso a palazzo reale. Incredulo e dolorante, si stese a terra. Il pavimento gelido di quella stanza vuota, quella dove i portali venivano attraversati, gli donò un po’ di sollievo dal bruciore che le ferite gli provocavano.

“Papà!” si sentì chiamare.

Carmilla, entrata nella stanza, voleva verificare che il genitore stesse bene. Dietro di lei, Lucifero e Nasfer.

“Stavamo per raggiungerti” spiegò il sovrano “Ero già pronto a spaccare la faccia a Mihael!”.

“Avete consegnato il ciondolo a Vehuya?” mormorò il principe, ansimando per la fatica.

“Certo. Ed hai la sua riconoscenza. Ma a che prezzo? Come sei ridotto?!”.

“Lui mi ha attaccato. Era furioso. Mi ha fatto… paura”.

“Dovevi averne prima di paura, idiota! Avrebbe potuto ucciderti!”.

Keros si voltò verso Lucifero. Lo stava fissando con rimprovero e disapprovazione. Il principe distolse lo sguardo.

“Riesci ad alzarti?” sospirò il re.

“Io… non credo…”.

“Su. Ti porto in camera e faccio chiamare un medico. Ogni giorno trovi il modo di farmi agitare… sei incredibile”.

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Capitolo 78
*** Allievi e maestri ***


78

Maestri ed allievi

 

Molti angeli si congratularono con Mihael. Non importava se non era riuscito a recuperare la collana, probabilmente inutilizzabile da un demone. Quel che importava era il fatto che aveva combattuto con risolutezza contro colui che non aveva mai avuto la forza di affrontare.

“Ora ha compreso che con noi angeli non si scherza!” annuì Gabriel “Ci prendeva troppo alla leggera”.

“Potrebbe sconfiggere la buona parte di voi!” sbottò Mihael, infastidito “Non vi siete resi conto di quanto sia forte? Io vinco grazie al potere di Dio. Senza di esso, non so fino a che punto potrei sovrastarlo. È giovane, decisamente troppo irruento, ma contro molti di voi potrebbe ottenere facilmente la vittoria”.

Un mormorio perplesso e preoccupato si levò fra le schiere.

“E poi non capisco perché ci teniate tanto che io lo combatta!” aggiunse l’Arcangelo “Si tratta di un demone come un altro!”.

“No che non lo è!” parlò un Serafino “E, quando arriverà la fine, sarà nostro avversario”.

“Non è detto. Ha ancora ali d’angelo”.

“Lo sai bene che non combatterà mai per il Cielo. Lo ha lasciato, ormai. È una creatura dell’Inferno, e per l’Inferno combatterà! Che ti piaccia oppure no, alla fine dei giorni sarà rispedito agli Inferi e mai più scorgerà la luce del sole. È così che è stato scritto”.

Mihael non rispose. Non sapeva più in cosa credere. Sarebbe davvero giunta la fine? E sarebbe accaduto tutto come predetto? Iniziava a non crederci più…

 

Alla principessina Carmilla era stato affidato il compito di sorvegliare Keros e somministrargli le giuste cure. La bambina aveva accettato volentieri, anche se il padre era un pessimo paziente. Non stava mai fermo, ignorando i consigli del medico che suggeriva riposo e relax, ed odiava le medicine prescritte. Per guarire dalle ferite inferte da Mihael, con il divieto assoluto di re Lucifero di recarsi di nuovo in superficie, era stato costretto a letto per diverso tempo e la cosa lo irritava. Il dolore era piuttosto fastidioso e la rabbia non lo abbandonava.

Vehuya era passato diverse volte a ringraziare, chiedendo cosa potesse fare per poter ricambiare il favore. Keros non aveva nulla in mente, in quel momento, e questo faceva sì che il caduto lo visitasse periodicamente in cerca di nuovi metodi per estinguere il debito. Spariva solamente quando vedeva avvicinarsi Lucifero, non volendo in alcun modo averci a che fare. Anche il principe sperava di evitare le prediche del re, ma ormai erano diventate un appuntamento quotidiano.

“Spero tu abbia imparato la lezione!” erano le parole con cui ogni giorno iniziava a rimproverare l’erede.

Keros annuiva, poco convinto, ed il sovrano continuava con lunghi discorsi riguardo ai pericoli, i rischi e gli errori commessi.

“Ho capito!” sbottò infine il principe, all’ennesima ora di ramanzina.

“Hai capito? Davvero? E che cosa hai capito?” ringhiò il Diavolo.

“Che Mihael è pericoloso e può uccidermi”.

“No! Che devi smetterla di rischiare la vita per delle cazzate! Riportare una collanina al proprietario non mi pare un motivo valido per azzuffarsi con il Cielo!”.

“Guarda che mi ha picchiato pure lui. Si vede che per il Cielo era un motivo valido per azzuffarsi con gli Inferi!”.

“In quel caso penso fosse tuo padre con le balle girate, cosa che capita a tutti. Ma tu, principino, potevi andartene prima che la cosa degenerasse. Perché dai così poca importanza alla tua vita?!”.

“Ma non è vero! Io non…”.

“Tu non fai che ficcarti nei guai. E per i motivi più stupidi! Mi fai girare le balle in un modo che nemmeno immagini quando fai così”.

“Però io non faccio altro che vivere. Forse il mio destino è morire inseguendo una causa stupida!”.

Lucifero gonfiò le guance, irritato. Si chiedeva se fosse il caso di rinchiudere il mezzodemone in qualche torre o prigione sorvegliata…

 

“Non date la luce di Dio per scontata” parlava Mihael ai suoi soldati “Non sappiamo cosa accadrà nel giorno finale, non sappiamo come sarà il Mondo e chi lo abita. Possiamo confidare nella nostra fede, nell’amore di nostre Padre, ma ricordiamoci che a combattere saremo noi. Noi, con le nostre forze, impediremo ai demoni di governare sulla Terra e sul Cielo, relegandoli per sempre all’Inferno”.

Gli angeli risposero con un grido, all’unisono.

“Nessuno potrà impedirci di far prevalere le forze del Paradiso” continuò l’Arcangelo “Nessuno potrà sconfiggerci. Ma dovremo lottare uniti, dimenticando che fra loro vi sono nostri fratelli, nipoti, compagni che un tempo condividevano con noi le stelle del cielo”.

Qualcuno mormorò il nome di Vehuya. Mihael lo udì ed annui, serio.

“Dio ci chiede di lottare anche contro coloro che un tempo amavamo. Come Vehuya, che fino a poco tempo fa ci guidava con il ruolo di Serafino”.

Gabriel e Raphael osservavano quell’addestramento, mantenendosi a debita distanza. Gabriel era stato un soldato, era stato inviato diverse volte a combattere, ed aveva condotto Maometto alla guerra. Ma da quei giorni non aveva più indossato l’armatura, deponendo le armi. Sapeva che spettava a lui annunciare la fine di ogni cosa, al suono della tromba celeste. Ma sperava ogni giorno che quel momento non arrivasse mai.

“Dici sia davvero così, fratello?” mormorò Raphael, serio.

Raphael non era mai stato un guerriero. Lui era un guaritore, dava sollievo al corpo ed all’anima, dava sollievo a tutti coloro che soffrivano sia fisicamente che spiritualmente. Non aveva mai voluto combattere e non aveva alcuna intenzione di farlo, anche se aveva un conto aperto con Asmodeo da secoli per questioni bibliche molto antiche.

“Davvero così che cosa?” rispose Gabriel.

“Dici che Dio voglia veramente che combattiamo contro coloro che un tempo amavamo?”.

“Vedi alternative?”.

“Non lo so. Ma non ci è sempre stato insegnato che dobbiamo seguire la via dell’amore? Non esiste una diversa via?”.

Gabriel sembrò divertito da quelle parole. Con la veste azzurro chiaro che ne copriva i piedi, parve fluttuare quando si voltò verso il fratello.

“Io percepisco Mihael. Percepisco la sua sofferenza” continuò Raphael, che invece vestiva di verde.

“La caduta di Vehuya lo ha turbato. Ha turbato tutti”.

“Il suo cuore è in cerca di conforto. L’amore che provava per lei non è svanito. Vorrebbe riuscire a salvare suo figlio dalla dannazione ma non sa che fare. E la voce del Padre è un ricordo lontano per tutti noi”.

“Lei? Dici quella femmina? Carmilla?”.

“La madre di suo figlio. Dell’unico figlio di angeli che non è stato condannato a morte, nato dall’unico angelo che poi non è stato punito con la caduta. Non trovi che questo possa turbare un animo, seppur forte come quello di Mihael?”.

“Il turbamento ed il dubbio sono sentimenti umani. Noi dovremmo confidare totalmente nella luce di Dio e nel suo disegno. Sono certo che presto nostro fratello riuscirà a calmare il suo cuore. Nel frattempo, è compito nostro fare in modo che non lasci mai la giusta luce”.

“Dici potrebbe essere attratto da diversa luce?”.

“Il più luminoso di noi, colui che è stato creato con la stessa materia delle stelle, ora regna all’Inferno. Perciò sì, bisogna sempre stare attenti perché alcune luci possono abbagliare e confondere. Ma parliamo di Mihael, il soldato. Non smarrirà la strada”.

“E se l’avesse già smarrita ma Dio lo tiene qui, in Cielo, perché gli serve nella lotta contro… l’avversario?”.

“Questo solo Dio può saperlo. Mi auguro proprio di no perché non lo vorrei mai come opponente. Sarà già una bella lotta contro quel ragazzo che si è rivelato essere suo figlio”.

 

Appena fu sufficientemente guarito, Keros ricominciò ad addestrare al combattimento alcuni soldati a servizio di Asmodeo. Oltre alle tecniche angeliche, motivo per cui era stato scelto per quel compito, aveva integrato le lezioni con i testi degli esorcismi. Tutti i demoni soffrivano quando udivano quelle parole ma proprio per questo il principe aveva deciso di pronunciarle. Coloro a cui stava insegnando dovevano imparare a sopportare e reagire. Gli angeli e gli umani potevano usarle ed indebolirli con facilità, ma non se imparavano a rafforzarsi dinnanzi ad esse e non farsi sconfiggere. Senza sottomettersi all’esorcismo, potevano divenire ogni giorno più potenti. Asmodeo, all’inizio perplesso dinnanzi a tale metodo, era rimasto poi piacevolmente stupito nel constatare personalmente i risultati. Ad ogni addestramento, gli allievi erano in grado di sopportare sempre più parole e rimanere saldi nei loro propositi molto più a lungo. Sapevano che avrebbero dovuto mettere in conto anche l’acqua santa o l’incenso, ma per ora Keros preferiva non calcare troppo la mano.

“Ottima idea la sua” aveva constatato Lucifero, avvicinandosi ad Asmodeo.

Entrambi osservavano l’addestramento delle giovani reclute, provando un certo fastidio nell’udire le formule in latino.

“Già” annuì il generale “Pensavo fosse inutile ma ho riflettuto sul fatto che continuamente noi demoni potremmo ritrovarci in una simile situazione di pericolo”.

Keros era serio. Reggeva fra le mani un pesante libro e, allungando la mano verso i giovani che aveva davanti, pronunciava l’esorcismo con convinzione.

“Con quello sguardo così autorevole…” mormorò Asmodeo, quasi vergognandosene “Sembra così tanto suo padre…”.

Lucifero rimase in silenzio. Non poteva negarlo. Quello sguardo, quell’espressione, appartenevano a Mihael e Keros ci somigliava sempre di più. Stava crescendo, il viso fanciullesco stava lasciando definitivamente spazio ai tratti duri dell’età adulta e matura. Fortunatamente quegli occhi non erano color del cielo, come quelli di Mihael. E per fortuna il rosso dei capelli si era sempre più accentuato. Ma quelle ali… quelle ali perché non volevano assumere tratti demoniaci? Perché si ostinavano ad essere così piumate e perfette? Il principe si sentì osservato e si voltò verso re e generale. Il sovrano rispose con un ghigno e Keros fece lo stesso.

“Per fortuna il mio cucciolo demoniaco non ha dimenticato come si sorride” ridacchiò Lucifero, tornando alle sue mansioni.

 

Ad addestramento completato, il principe raggiunse il sovrano e lo trovò alle prese con il piccolo Espero. Esattamente come faceva Keros da piccolo, il principino tentava di afferrare la coda di Lucifero con entusiasmo infantile.

“Quante energie” constatò il mezzodemone.

“Anche troppe, a dir la verità” rise il Diavolo “Lo vuoi tenere per un pochino?”.

“Ho i miei a cui pensare…”.

“Intendo come maestro”.

“Sei ancora convinto che possa fargli da maestro?”.

“Certo che sì. Ed in cambio io farò da maestro a te”.

“Da… maestro? In che senso?”.

“So che vuoi diventare più forte. So che vuoi avere i mezzi per sconfiggere Mihael, o perlomeno per non farti ammazzare subito. Ebbene sono pronto ad insegnare tutto quello che so. E mi aspetto che tu faccia lo stesso con Espero”.

“E non puoi occuparti direttamente di Espero?”.

“Il mio lavoro è impegnativo, Keros. Il piccolo ha bisogno di essere seguito ed addestrato costantemente.  Quel che ho in mente per te invece è breve ed intenso. Ti assicuro che un’oretta al giorno ti basterà!”.

Keros si voltò verso Espero, che saltellava e ringhiava per gioco.

“Ti farò diventare il migliore di tutti” ghignò il principe, convinto.

 

Ciao a tutti! È da un po’ che non commento. Vi comunico che intendo portare a termine questa storia entro la fine dell’anno. Siete pronti?

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Capitolo 79
*** Mille anni ***


79

Mille anni

 

Un sogno. Doveva essere un sogno. In quella notte di dicembre, con il freddo che solo lievemente infastidiva le membra, la vedeva danzare lungo quel che restava dell’antico porto di Costantinopoli. Con i lunghi capelli rossi sciolti alla brezza della sera, quel corpo sinuoso si muoveva per omaggiare la luna che splendeva in cielo. Mihael osservava quel ballo, in silenzio, incapace di parlare. “Carmilla” voleva chiamarla ma la sua mente gli ricordava che Carmilla, la sua amata Carmilla, era morta. E quindi quella donna chi era? Chi riusciva a destare in lui ricordi così vivi del suo unico amore?

“Carmilla!” udì, e l’Arcangelo sobbalzò.

A pronunciare quel nome, una figura che camminava nel buio. Quando i raggi della luna finalmente illuminarono colui che aveva parlato, Mihael trattenne il fiato. Lo sguardo ambrato brillò nella notte e di nuovo pronunciò quel nome: Carmilla.

“Keros…” sussurrò l’abitante del Paradiso, rimanendo celato alla vista e continuando ad osservare.

Erano secoli che non vedeva il proprio figlio, il tempo era trascorso e non se ne era reso conto. Quel che vedeva ora non era più un giovane mezzodemone ma un adulto fiero, con qualche cicatrice in più ed una voce più profonda ed inquietante. Per qualche secondo fu tentato di aprir bocca, di parlare a quel suo frutto proibito e sapere cosa era successo in tutti quegli anni. Si trattenne, capendo che probabilmente loro due non avevano ormai più nulla da dirsi.

E, se quello era Keros, allora la fanciulla doveva essere sua figlia! Com’era cresciuta e com’era diventata straordinariamente bella!

“Carmilla” chiamò ancora Keros “Dobbiamo andare adesso”.

“Arrivo, papà” annuì la ragazza, invitando il genitore a danzare con lei.

Mihael continuò ad ammirarli, mentre padre e figlia improvvisavano un breve ballo e poi si allontanavano per raggiungere il portale che li avrebbe ricondotti all’Inferno. Possibile che Keros non si fosse accorto della sua presenza? O forse lo aveva semplicemente ignorato, preferendo godersi lo splendore emanato della figlia alla luce della luna. Quel che era certo, era che in quei secoli, in quei due millenni trascorsi dalla morte della donna che amava, l’Arcangelo non l’aveva scordata ed anzi… il suo cuore ancora sobbalzava al solo pensiero di riaverla accanto.

 

Al palazzo infernale erano da poco terminate le celebrazioni per i due millenni di Keros e ci si preparava per gli ormai prossimi mille anni dei principi. Dopo un grandioso torneo, in cui Espero era stato il rappresentante della famiglia reale nonché il vincitore, re Lucifero aveva concesso a tutto il regno un’intera settimana di festa. Il sovrano, seduto alla scrivania, sorrise quando vide rientrare l’erede, che gradatamente riprendeva l’aspetto da demone.

“I tuoi cuccioli sono pronti per i mille anni?” domandò il Diavolo.

“Anche se non lo sono, ormai il tempo è giunto” ghignò Keros, orgoglioso dei propri figli.

“Il regno ha proprio bisogno di festeggiare e rilassarsi. Ho riservato anche per loro qualche sorpresa…”.

Di recente si era conclusa l’ennesima guerra agli Inferi, che aveva coinvolto il palazzo reale ed i suoi abitanti. I giovani principi erano stati tenuti al sicuro, con grande disappunto di Nasfer che aveva espresso il desiderio di combattere in prima linea, e Keros aveva marciato a fianco di Lucifero. La battaglia aveva donato al mezzodemone un paio di piccole corna in più ed una cicatrice sul viso, che ne segnava il sopracciglio sinistro e parte della guancia. Era cresciuto, era divenuto molto più potente, e non aveva più mostrato le ali. Rassegnato al fatto che sarebbero sempre rimaste da angelo, scomode per volare all’Inferno, le teneva sempre celate.

“Dov’è Espero? Anche lui fa vacanza oggi?” ipotizzò il sanguemisto.

“Sta giocando con Asmodeo…” sorrise Lucifero

Keros trattenne una risata. Espero giocava con Asmodeo come un gatto gioca con un topo. Il ragazzo, seppur ancora molto giovane, era incredibilmente forte e dotato di energia ineguagliabile. Con discrezione, il sanguemisto osservò dalla finestra le mosse di colui che era l’unico suo allievo. Addestrare il figlio del Diavolo si era rivelato un compito gravoso ed impegnativo, e lo aveva coinvolto totalmente, portandolo ad abbandonare il ruolo di tentatore. Sapeva che era una situazione temporanea, perché presto Espero sarebbe divenuto così potente da non aver più nulla da insegnargli. Non vedeva l’ora di poter tornare a fare il tentatore a tempo pieno, riscoprire il mondo umano che tanto era cambiato in quei secoli, rivedere l’alba…

“A che pensi?” si sentì dire e sobbalzò per la sorpresa.

“A niente” si affrettò a mentire, riconoscendo la sagoma di Arikien.

“Che pessimo bugiardo…” ghignò l’erede di Alukah.

Anche lui aveva preso parte alla guerra, ottenendo una medaglia al valore per aver ucciso uno dei generali sovversivi. Non era cambiato molto in quegli anni, si era solo fatto più sadico. Giocherellando con i capelli di Keros, che ricadevano lungo tutta la schiena, Arikien si fermò qualche minuto a spiare Espero che picchiava di santa ragione il povero Asmodeo.

“Dove sono i ragazzi?” domandò il principe, riferendosi a Koknos, Mavros e Vasilissa.

“A lezione. Ora li raggiungo…”.

Keros annuì. Arikien era riuscito a divenire un maestro di recente ed ora seguiva una piccola classe di giovanissimi demoni, addestrandoli sul mondo umano.

“Comunque quel ragazzo fa paura” ridacchiò il vampiro.

“Deve ancora imparare una cosa fondamentale” mormorò il principe.

“E sarebbe?”.

“Ad infrangere la barriera angelica. Quando imparerà, sarà invincibile. Quando imparerà, il mio compito sarà terminato come maestro. E lui sarà pronto per la guerra contro gli angeli”.

“E quanto credi che avverrà?”.

“Presto. Temo molto presto…”.

 

Le urla e le risate sadiche di Kaya si espandeva per tutto il girone. La giovane principessa aveva scelto di divenire una punitrice di anime peccatrici e stava imparando nuovi metodi per farle soffrire. Il suo maestro, Abbaddon, era fiero di quella ragazza. Era crudele, spietata, e nulla la fermava dal suo intento: punire. Con due grosse catene in mano, Kaya le faceva ruotare e percuoteva le anime, volando sopra di esse. Era ancora piccola, e doveva essere seguita dal maestro, ma presto avrebbe potuto ottenere un settore tutto per sé in cui torturare a proprio piacere.

“Sorella!” la chiamò Vixa, fermandosi sulla riva del lago ribollente in cui Kaya stava frustando anime.

Le due gemelle erano pressoché identiche. Minute, con lunghi capelli scuri ed occhi viola, assomigliavano molto alla madre. L’unica differenza chiaramente visibile in quel momento era il vestiario che indossavano. Kaya era vestita in pelle, con pantaloni e blusa aderenti, con un pesante trucco nero sul viso. Doveva incutere molto timore e le catene, gli occhi incavati ed i canini in vista aiutavano molto. Vixa aveva scelto una carriera ben diversa. Addestrata da Lilith, imparava a divenire una perfetta Succubus. In abiti succinti e tacchi alti, dimostrava qualche secolo in più rispetto alla gemella.

“Non hai lezione oggi?” domandò Kaya, raggiungendola.

“Lilith mi ha concesso il pomeriggio libero. Ha detto che deve aiutare Lucifero a preparare la festa per i nostri mille anni”.

“E sappiamo già in che modo lo aiuta” fece l’occhiolino Kaya, mentre Vixa arricciava la coda con fare malizioso.

“Vuoi provare a frustarne una?” invitò poi la punitrice, notando la curiosità della sorella.

“Magari! Dai, fammi provare!”.

“Prego. Son tutte tue…”.

Un ghigno apparve sul volto di entrambe, mentre un’anima colpita lanciava un grido di dolore.

 

Carmilla era rientrata a palazzo. Stava riordinando alcune erbe raccolte con la luna piena e sorrideva soddisfatta. Maestro Furcas sarebbe stato fiero di lei! Aveva iniziato l’addestramento da guaritrice da giovanissima e durante la recente guerra aveva avuto modo di imparare e fare molta pratica. Era fiera di poter seguire, in qualche modo, le orme della nonna materna. Molti avevano tentato di spingerla verso la carriera di tentatrice, ma la ragazza aveva da sempre le idee chiare su chi voleva divenire. Ad una delle figlie di Lilith, più anziana della principessa, era stato dato l’appellativo di “Carmilla” e girava per il mondo umano come tentatrice, ma a lei poco importava se per tutti la nonna era solo tentatrice e non guaritrice. La giovane principessa, legandosi i capelli, aprì un paio di boccette di vetro e si preparò a realizzare un unguento con le erbe raccolte. Osservava il quadro della sua omonima antenata ogni giorno, ancora appeso al muro del corridoio reale, e le sorrideva. Non avrebbe curato gli umani, non amandoli particolarmente, ma avrebbe aiutato moltissimi demoni. Il percorso era ancora lungo, lo sapeva, ma era certa che sarebbe divenuta una guaritrice perfetta!

 

La luce del sole illuminava gli occhi ambrati di Nasfer, che rideva divertito mentre raccontava un fatto spassoso che gli era capitato all’Inferno. Sophia ascoltava e rideva a sua volta. I due giovani, seduti fra l’erba alta, si godevano il sereno e la lieve brezza del mattino. Il giovane principe era cresciuto, surclassando in altezza il padre ed il re. Nessuno era riuscito pienamente a comprendere come mai, dato che i genitori erano entrambi piuttosto minuti, quel ragazzo era cresciuto così. Alto e magro, con i capelli scuri a riflessi verdi che ricadevano lisci sulle spalle e metà della schiena, stava intraprendendo il lungo e difficile addestramento per divenire giudice degli Inferi. Di nascosto, quando aveva del tempo libero, si recava nel mondo umano e vedeva Sophia, la gemella angelica.

“Cosa farete in Paradiso per il tuo compleanno?” domandò Nasfer, curioso.

“Non lo so” ammise lei “Non si celebrano molti compleanni in Cielo…”.

“Ma mille anni è un traguardo importante!”.

“Lo so. E so anche che all’Inferno faranno grande festa per te”.

“Per me e per le nostre sorelle. Non vedo l’ora!”.

“Già. Saremo adulti a tutti gli effetti. E… immagino che per un demone cambi molto”.

“Dici?”.

“Noi angeli siamo sempre uguali. Tu… immagino inizierai ad avere delle femmine. No? E cose del genere”.

“Voi angeli non vi sposate? Non avete dei compagni?”.

“No”.

“E… scusa la domanda… come nascono nuovi angeli? Li create plasmando le nuvole come fossero plastilina?”.

“Non nascono nuovi angeli. Io sono un avvenimento eccezionale. Gli angeli non muoiono, al massimo cadono. Quindi non serve un ricambio. Ogni tanto arriva qualche umano particolarmente bravo a cui spuntano le ali, ma ormai sono molto rari”.

“Non è triste? Intendo dire… non provi il desiderio di avere qualcuno accanto? Di amare qualcuno? Di…”.

“Noi angeli non abbiamo certi istinti e desideri. Potrà sembrarti strano, immagino. Sarò molto felice però di conoscere la tua futura compagna ed i tuoi figli”.

“Hei, non correre! Per carità! Non ci penso proprio di fare come papà!”.

“Che ha fatto di male?”.

“Ci ha avuti per errore, da troppo giovane, con una demone che a malapena sopporta. Ci ha ignorati per secoli…”.

“Per me è stato un bravo papà. Ha fatto molto più di quanto ci si aspetti da un demone. Giusto? Non fosse stato per lui, che mi ha affidato agli angeli, sarei morta”.

“Può darsi…”.

Nasfer era perplesso. Poi sorrise di nuovo, volendo cambiare argomento. Amava i momenti che trascorreva con lei e trovava frustrante doverla vedere di nascosto. Che avrebbero pensato all’Inferno se lo avessero visto? Il principe che si perde in chiacchiere con un angelo. Che vergogna!

“Comunque io non farei mai cambio” ruppe il silenzio Sophia.

“Con che cosa?”.

“Con la vita di qualcun altro. Non vorrei essere umana o demone. Vorrei solo che quelli come noi fossero liberi di vedersi, senza doversi nascondere. Se Mihael sapesse che sono qui con te…”.

“Immagina la reazione di Lucifero. Mi farebbe rinchiudere. Papà poi, da quando si è azzuffato con il nonno, non parla mai di angeli e non mostra mai le ali. È come se volesse rimuovere quel lato della famiglia…”.

“La guerra fra noi c’è sempre stata. E quando verrà quella finale…”.

“Tutti si aspettano che lotti al fianco del re. Ma perché mai dovrei farlo? Io sarò giudice, manderò le anime peccatrici nel posto che spetta loro, in base ai peccati commessi. Di quel che fanno gli angeli, poco mi importa! E poi… dicono che dopo la guerra verranno chiuse definitivamente le porte. Nessun passaggio per il regno umano, solo Inferno o Paradiso per l’eternità. Non voglio”.

“Nemmeno io! Non potrei più sedere sull’erba, cogliere un frutto o ammirare il Mondo. E non potrei più vedere te…”.

Lei sospirò, poggiandosi contro le spalle di Nasfer. L’aureola solleticò leggermente il viso del demone, che non sapeva che cosa dire. In quel momento, lo sapeva, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere colei che aveva accanto e per vederla sorridere. Non vederla più? Il solo pensiero lo opprimeva. Da quel giorno, quando erano bambini e si erano incontrati e parlati, si erano rivisti moltissime volte ed il loro legame si era fatto più forte. Che fatica sopprimere quella voce, quel desiderio da demone, che lo spingeva a desiderarla! Ne era consapevole ormai: lui la voleva. Voleva baciarla, possederla, danzare con lei ed averla per sempre. Come Lucifero con la gemella, ora Nasfer provava lo stesso desiderio. Ma non si sarebbe mai spinto oltre. Non avrebbe mai permesso la caduta di quell’angelo, la sua rovina.

“Devo andare adesso” mormorò.

“Anch’io” sospirò Sophia “Spero di rivederti presto”.

Nasfer non rispose. Era meglio non rischiare di lasciarsi sfuggire qualche parola di troppo…

 

La cerimonia dei mille anni era stata grandiosa, come tutti si aspettavano. Giurare fedeltà al re, ricevere da lui i migliori auguri e consigli, erano dei momenti che ogni giovane demone attendeva con impazienza. Keros vedeva i propri figli nel gruppetto dei ragazzi che quell’anno erano giunti a compiere il primo millennio. Era fiero dei suoi piccoli, anche se erano cresciuti molto in fretta e vederli lì, abbigliati in modo sontuoso e regale, lo faceva sentire quasi vecchio. Ma subito sorrise, scacciando quell’idea.

“Che bello vedere dei giovani demoni con così tante aspirazioni diverse!” parlava Lucifero, dall’alto della balconata che dava sulla piazza principale della capitale “Fra voi so che ci saranno futuri tentatori, messaggeri, torturatori, giudici… ogni sorta di categoria demoniaca. È bello vedere nei vostri occhi entusiasmo ed energia. Siete il futuro di questo regno, ognuno di voi unico a suo modo. Non dimenticatelo mai”.

I ragazzi sorrisero, emozionati. Per alcuni era la prima volta che potevano ammirare così da vicino il sovrano e, dovevano ammetterlo, metteva in gran soggezione.

“Ora siete cittadini adulti del regno dei demoni” aggiunse Keros, in piedi accanto al re “Siatene fieri e siatene consapevoli. Agite per gli Inferi ed agite per voi stessi. Ogni ostacolo che incontrerete sul vostro cammino sarà una sfida che sono certo saprete affrontare. Perché siete demoni. Ed il futuro appartiene a noi. A voi”.

Si alzò un grido d’approvazione. Poi re e principe si congedarono, lasciando ai ragazzi la possibilità di festeggiare. Erano stati organizzati spettacoli e musica, con liquori e cibi da tutto il regno.

“Sei preoccupato per le tue figlie?” ridacchiò Lucifero, incamminandosi lungo il corridoio buio con le mani dietro la schiena.

“Dovrei?” storse il naso Keros, mostrandosi tranquillo.

“A certe feste succedono sempre cose strane…”.

“Nasfer saprà allontanare presenze non desiderate. Se avranno altri programmi, non posso farci molto. Sono grandi, ormai”.

“Ammiro il tuo autocontrollo. E la fiducia che riponi in loro”.

“Sono loro padre. Devo avere fiducia in loro. Se non ne ho io, chi può averne?”.

“Giusto…”.

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Capitolo 80
*** Principi ***


80

Principi

 

Lungo il corridoio di quell’edificio collegato al palazzo reale, Espero borbottava fra sé e sé frasi di giustifica. “Non ho fatto niente di male” diceva “Non è successo niente. È per finta…”. Camminò nervosamente fino ad una porta chiusa, una delle tante. Una targhetta indicava la classe all’interno. Prese coraggio e bussò, consapevole di doversi mostrare il più risoluto e convinto possibile. Udendo “avanti”, entrò.

Subito tutti gli studenti presenti si alzarono in piedi, in segno di rispetto per il principe. Espero salutò e sorrise all’insegnante.

“Come posso aiutarla, altezza?” domandò il maestro, Arikien.

“Io… mi chiedevo se fosse possibile provare il simulatore di mondo umano che utilizzate in questa classe”.

“Certamente. Se avete il consenso di vostro padre”.

“Mio padre è molto impegnato. Non lo voglio disturbare per una cosa del genere…”.

“Capisco. Allora mi serve il permesso del vostro maestro”.

“E… perché?”.

“Perché non posso interferire con il suo piano d’insegnamento”.

“Ma è una simulazione. Non vado per davvero nel mondo umano. Non può succedermi nulla, giusto?”.

“Giusto. Ma preferisco non incorrere in sanzioni inutilmente. Se volete posso domandare io al vostro mentore se…”.

“Oh sì!” interruppe Espero “Io…”.

“Chiedo io” sospirò Arikien, cercando in tasca un piccolo marchingegno ovale.

Espero attese paziente, mentre Keros rispondeva borbottando alla richiesta dell’erede di Alukah. Alla fine concesse il permesso, anche se per nulla convinto, e riagganciò.

“Bene, principe” sorrise Arikien “Venite che vi aiuto a prepararvi”.

Tutta la classe indossava speciali occhiali ed elmetti, che proiettava virtualmente nel mondo degli uomini. Una volta indossato ed avviato, ci si ritrovava in una città umana e si percepiva ogni cosa, ogni rumore, odore o sensazione.

“La vostra missione…” spiegò il maestro, prima di avviare il programma “…è avvicinare un umano e provare a tentarlo. Ovviamente dovete individuare quello giusto, quello adatto. Se farete qualche errore, se verrete scoperti come demoni o ci saranno altri imprevisti, il programma si interromperà e la vostra simulazione sarà finita. Oppure la interromperò io a lezione terminata. Tutto chiaro? Ci sono domande?”.

Nessuno alzò la mano e il programma fu avviato. Espero sobbalzò, quando si ritrovò di colpo in un vicolo silenzioso della città virtuale. Camminò fino a raggiungere la strada principale. Erano fatte così le città umane? Le case, altissimi grattacieli lucidi, svettavano in alto e si ammassavano uno accanto all’altra. Su qualche finestra si scorgevano dei vasi di fiori, unica nota di colore. Era tutto molto silenzioso. Intravide un gruppo di umani in una piazza, probabilmente in attesa di un mezzo per sportarsi altrove. Fra loro non si guardavano, non si parlavano. Abituato alle urla continue degli Inferi, quel silenzio spaventava un po’ Espero. Le uniche voci che udiva erano quelle delle pubblicità proiettate fra i palazzi. Una campana rintoccò e il principe si voltò verso di essa. Camminando per un po’, scovò una piccola chiesa racchiusa fra i grattacieli. Attirato da quell’edificio, che forse un tempo spiccava sugli altri con quel campanile, decise di entrarvi. Com’era diverso il mondo lì dentro! Dipinti, statue, ori ed arazzi… il colore trasmetteva una sensazione piacevole. L’odore dell’incenso e delle candele era strano ma per nulla fastidioso, probabilmente perché si trattava solamente di una simulazione. Il principe si soffermò su uno dei quadri e rimase ad ammirarlo. Rappresentava uno dei tanti Santi degli umani, che sinceramente lui non conosceva. Però era realizzato così bene da impedirgli di guardare altrove.

“Che stai facendo?” domandò una voce.

Espero sobbalzò, cercando di ricordarsi al volo tutto quello che gli era stato insegnato nei secoli.

“Salve” salutò, alzando un braccio “Sto guardando il dipinto. È… proibito?”.

“No” ammise l’uomo, il prete di quella chiesa “Ma ormai non lo fa più nessuno. Guarda pure. Credevo fosti un ladro”.

Espero si guardò attorno. Quel luogo era deserto, eppure le campane avevano appena terminato di risuonare per ricordare l’inizio della messa.

“Ma…” si azzardò a parlare al principe “Qui non c’è mai nessuno?”.

“Come in tutte le chiese” alzò un sopracciglio il prete, che stava accendendo candele “Da che mondo venite?”.

“Da nessun mondo. Cioè… lo stesso da cui venite voi… io…”.

“Forse nel vostro Paese la gente si reca ancora in chiesa? Qui è da molto che i fedeli credono di salvarsi l’anima con delle donazioni. Tutto il Mondo dona alla chiesa ma nessuno vi entra mai. Nessuno prega, nessuno pensa più a Dio. Ma voi siete entrato. Forse il vostro cuore è stato colpito dal divino”.

“Come suppongo sia stato il vostro quando avete deciso di essere prete”.

“No. Io sono prete perché c’era il posto libero. Non devi far nulla e ti pagano pure. Il lavoro ideale”.

“Oh…”.

“Quel quadro ti piace proprio, vero?”.

“Chi rappresenta?”.

“Non lo so. Suppongo ci sia scritto da qualche parte. Tipo su quello scarabocchio che ha sulla bandiera che tiene in mano”.

Espero si soffermò su quel dettaglio.

“No, è solo una scritta in latino” parlò poi “Credo sia un passo delle scritture”.

“Latino? E chi lo conosce ai giorni nostri? Piuttosto… io ora vorrei tornarmene a casa mia. Ho suonato la campana, ho acceso le candele. Però voi siete qui. Volete che dica messa?”.

“Che…?”.

“Volete confessarvi? Sono cose che non ho mai fatto ma suppongo non siano molto difficili”.

“Siete un prete e non avete mai officiato una messa?!”.

“Solo funerali. E qualche battesimo, ma quelli sempre meno. Ai matrimoni nessuno ascolta, lo fanno in chiesa solo perché è più spettacolare”.

“Ma nemmeno a Natale?!”.

“Sul serio te ne stupisci?!”.

Espero rimase in silenzio. Non voleva farsi scoprire e così salutò educatamente e lasciò l’edificio. Camminò ancora, notando come i pochi umani che incrociava fossero del tutto persi in mondi virtuali che proiettavano davanti al viso. Udì la risata di un bambino, immediatamente zittito dagli infastiditi adulti che aveva accanto. Alcuni cani abbaiarono e nessuno li fermò. Il principe lo trovò strano, ma preferì non commentare. Il bambino però continuava ad osservarlo. D’istinto, Espero gli sorrise ed il piccolo fece altrettanto: era da tanto che non vedeva un sorriso!

Riprese il cammino, deciso a vedere e scoprire più cose possibili sul mondo umano. Trovò una via, piena di luci e negozi. Non era necessario entrarvi. In vetrina si sfogliava un catalogo virtuale, si sceglieva, si pagava e tutto arrivava a casa propria. Niente commessi, solo qualche addetto alla manutenzione nel caso il sistema avesse qualche problema. Stava ancora passeggiando quando una scritta gli comunicò che la simulazione sarebbe presto terminata. Piagnucolò quando gli fu tolto il casco.

“Mi ‘spiace, altezza” spiegò Arikien “Ma la lezione è finita”.

“Ma io voglio vedere ancora!”.

“Alla prossima simulazione posso riservarvi un posto”.

Espero si imbronciò, come un bambino decisamente più piccolo del ragazzino che era. Ma capì di non avere alternative e lasciò la classe.

 

Il principe rientrò al palazzo reale, sapendo di essere in ritardo per la lezione con Keros. Affrettò il passo ma poi si fermò: Nasfer si stava avviando verso la porta che conduceva al mondo umano! Che splendida occasione! Lo seguì silenziosamente, notando che doveva avere la testa fra le nuvole. Nasfer entrò nella stanza ed attivò il portale, usando specifiche parole che Espero udì. Il principino attese poi qualche istante, prima di aprire a sua volta quella porta ed attivare il passaggio con le stesse parole. Esultò quando si rese conto di trovarsi per davvero dai mortali! Ci era riuscito! Ed ora era libero di esplorare…

Non fece però che qualche passo, prima che qualcuno lo afferrasse per la collottola e lo trattenesse.

“E tu dove pensi di andare?”.

Un infuriatissimo Keros stava fissando con rimprovero il ragazzo, che tentò di giustificarsi balbettando.

“Se tuo padre sapesse che sei nel mondo umano…” continuò Keros “…sarebbero guai. Per te, per me e per tutti. Lo sai che gli angeli hanno tentato di ucciderti quando eri un neonato!”.

“Sì, e tenteranno di uccidermi appena sarò abbastanza grande da difendermi. Lo so…” mormorò Espero, rassegnato.

“Questo luogo è pericoloso per te. Gli angeli non aspettano altro che l’occasione propizia per ucciderti. Sei il figlio del Diavolo! Per loro rappresenti la fine del mondo!”.

“Lo so…”.

“E allora perché sei qui?!”.

“Io… volevo solo dare un’occhiata. Sarei tornato a casa presto, assieme a Nasfer”.

“Anche Nasfer dovrebbe evitare certe gite. Deve studiare per diventare giudice, non ha alcun bisogno di correre rischi fra i mortali”.

A Keros bastò avanzare di qualche passo, sempre tenendo Espero per la collottola, per vedere il figlio fra l’erba. Appena lo notò, rimase senza parole. Stava danzando, fra l’erba alta, assieme a sua sorella Sophia. Entrambi sorridevano e parevano non far caso al resto del mondo.

“Nasfer!” lo chiamò poi Keros, spezzando quel ballo e quella magia.

Il giovane, allarmato, si affrettò a nascondere Sophia dietro alle ali da demone. Poi capì chi lo aveva chiamato e si rilassò leggermente.

“Niente ali nel regno mortale!” sbraitò Keros, incamminandosi verso il figlio “È una delle prime regole che vengono insegnate! E che stai facendo?! Sei impazzito?!”.

“Io… lascia che ti spieghi…” tentò di parlare Nasfer.

“Non devi spiegare proprio niente! Tu… tu ti rendi conto dell’enorme rischio che state correndo?”.

“Stavamo danzando! E poi… siamo fratelli!”.

“Fratelli come Lucifero e Sophia?”.

“Ma no… io…”.

Nasfer farfugliò ancora ancora qualcosa e poi tacque, chinando la testa.

“Lei rischia di cadere e tu di essere ucciso” riprese Keros, questa volta con più calma.

“Lo so…”.

“Sophia… vai subito a casa, per cortesia”.

La giovane angelo seguì il consiglio, capendo che era la cosa migliore da fare in quel momento. Nasfer lanciò un’occhiataccia minacciosa ad Espero, che si nascose dietro a Keros.

“A casa, tutti e due” ordinò il mezzodemone “Prima che nascano altri guai!”.

 

Una volta rientrati a palazzo, Keros iniziò a rimproverare entrambi ma che una delle guardie lo informò che Lucifero lo richiedeva in ufficio. Immediatamente. Quell’ultima parola, fece intuire al principe che il sovrano doveva essersi accorto di quella breve “gita” nel mondo mortale. Digrignò i denti, promettendo ai due giovani principi che avrebbe ripreso più tardi la predica, e si allontanò in fretta.

Rimasto solo con Espero, Nasfer immediatamente si voltò e gli ringhiò contro.

“Marmocchio spione!” sibilò il futuro giudice.

“Io non sapevo che eri lì con la tua fidanzata piumata!” si affrettò a giustificarsi il ragazzino, mettendo le mani davanti al viso.

“Non è la mia fidanzata! È mia sorella!”.

“Vabbè, quello che è! Volevo solo andare nel mondo umano!”.

“E con tante persone che ci sono, dovevi farlo proprio con me?!”.

“Eri il primo che…”.

“Ora per colpa tua mi sarà impedito di tornare fra i mortali!”.

“È tutta la vita che mi è impedito! Inutile che mi urli contro!”.

“Irritante sgorbio”.

“Hei, bada a come parli! Sono il figlio di Satana!”.

“Potresti anche essere Dio in persona, per quel che mi riguarda!”.

“Toccami e il re ti condannerà a morte!”.

“Sono suo nipote!”.

“Keros non è suo figlio. Tu sei solo il figlio di un bastardo cresciuto dal re!”.

 

“Mi avete mandato a chiamare?” sospirò Keros, sulla porta dell’ufficio del sovrano.

“Che ci faceva mio figlio fra i mortali?” sbottò subito Lucifero.

“Ci è rimasto per qualche minuto. L’ho riportato a casa immediatamente”.

“Qualche minuto basta agli angeli per ucciderlo. E tu sai che non aspettano altro”.

“Lo so”.

Keros sospirò di nuovo. Era stanco di passare la vita a badare ad Espero, a sorvegliarlo continuamente ed educarlo, senza poter avere nemmeno un attimo di respiro. Sognava la vecchia vita, quando vagava per il mondo umano a suo piacimento e tentava le anime. Alzò lo sguardo, notando l’ennesima espressione di rimprovero sul volto del re. Chissà se sapeva anche di Nasfer e Sophia…

“Ti ho affidato la vita di mio figlio” riprese a parlare Lucifero “La cosa più preziosa che possiedo. Il tuo compito è impedirgli di fare cazzate e imparare ogni giorno ad essere più forte ed astuto”.

“Lo faccio. Ogni giorno. Ma non è più un bambino…”.

“Ha settecento anni, certo che lo è! Pensavo che tu fossi il più adatto ad addestrarlo. Mi sbagliavo?”.

“No, no di certo. Con me impara a combattere gli angeli, trovandosi di fronte le stesse tecniche che utilizzerebbe Mihael. Ma sta crescendo, comincia ad essere sfuggente ed indisciplinato”.

“Ora capisci cosa ho provato io, con te? Ci parlerò. Ma che non si ripetano mai più incidenti come quello di oggi. E ovviamente che non si faccia strane idee con il simulatore e cose simili”.

“Forse… si potrebbe recare dagli umani ma adeguatamente accompagnato. Così da evitare che tenti di andarci di nascosto”.

“Assolutamente no. Non è pronto. Farò sorvegliare la stanza dei portali. E poi…”.

Un grido interruppe ogni discorso. Una delle guardie entrò nell’ufficio, comunicando che i due principi si stavano azzuffando e chiedendo quali provvedimenti attuare. Keros e il re raggiunsero in fretta i due ragazzi, che si stavano prendendo a morsi, calci e pugni. Nessuno aveva il coraggio di intromettersi, temendo di fare uno sgarro alla famiglia reale.

“Piantatela!” tuonò Keros, afferrando Nasfer per il braccio.

Lucifero blocco suo figlio Espero, trascinandolo e poi gettandolo in un angolo a terra. I due litiganti, ansimando per la rabbia, continuavano a ringhiarsi contro.

“Nasfer!” sibilò il re “Sei un adulto ormai! Dovresti comportarti come tale!”.

“Ma lui…”.

“Lui è un bambino. E tu dovresti saper resistere alle sue provocazioni!”.

“Non sono un bambino” piagnucolò Espero, zittendosi immediatamente quando il padre frustò la coda a terra.

“Simili atteggiamenti non sono degni di voi” parlò ancora il Diavolo “Siete di principi! Non della marmaglia qualsiasi! Dovreste concentrare le vostre energie per migliorare le vostre tecniche, per divenire sempre più potenti. Ma per sconfiggere i nostri nemici, non per picchiarvi a caso!”.

“Domando scusa…” chinò la testa Espero, terrorizzato dal genitore infuriato.

“Che non si ripeta. O sarò costretto a prendere provvedimenti. Con entrambi. Sono stato chiaro?”.

Entrambi annuirono.

“Ora, Espero, tu vieni con me”. Lucifero afferrò il bambino per il braccio. “E tu, Nasfer, spero riceverai il giusto rimprovero da parte di tuo padre…”.

“Certamente” commentò, minaccioso, Keros.

Aveva decisamente un sacco di discorsi da fare a suo figlio…

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Capitolo 81
*** Piani ***


81

Piani

 

Lo sguardo di Nasfer era basso. Seduto su una sedia, fissava il camino acceso. Suo padre Keros era in piedi, con le mani dietro la schiena e gli occhi che brillavano alla luce delle fiamme. Entrambi in silenzio, non si guardavano.

“Verrò punito?” esordì, d’un tratto, Nasfer.

“Dovresti” sospirò Keros “Ma no. Non questa volta. Voglio solo assicurarmi che tu abbia ben chiaro alcuni rischi che corri”.

“Ma certo, è tutto ben chiaro. Fammi la predica e lasciami tornare alle mie faccende. Il mio maestro mi aspetta…”.

“Predica? Sei forse un bambino?”.

“No, ma non credo tu voglia fare altro. Giusto? Vorrai spiegarmi i pericoli che corro per colpa degli angeli, il rischio che lei cada per colpa della mia vicinanza e cose simili”.

“Vorrei. Ma tanto non ascolteresti. Dico bene?”.

Nasfer alzò gli occhi, perplesso. Keros si era avvicinato al fuoco e ci stava giocherellando con una mano, che si riempì di disegni blu.

“Non dovrei vederla più secondo te, vero?” domandò il giovane, scostandosi i capelli dal viso.

“Sinceramente? Ho paura. Paura di scoprire come potrebbero reagire gli angeli e paura di quel che potrebbe succede ad entrambi. Io ho rischiato la vita per una collana, capisci? Per una stupida collana, Mihael mi ha quasi ucciso. E forse mi avrebbe ucciso davvero, se non fossi riuscire a fuggire…”.

“È per questo che hai rinunciato ad essere te stesso?”.

“Di che parli?”.

“Le ali. Io me le ricordo le tue ali. Le mostravi sempre, una volta. Ora non più. È come se volessi celare in tutti i modi il tuo lato angelico. Perché?”.

“Perché ho compiuto la mia scelta. Vivo all’Inferno e all’Inferno vivono i demoni. Inoltre sono il maestro del principe ereditario e devo dimostrare di esserne degno, di essere il migliore. A volte non è facile ma, credimi, mi ha semplificato l’esistenza. Dopo la scorsa guerra, più nessuno si è rivolto a me come il figlio dell’angelo. Io sono un demone, sono in guerra contro gli angeli”.

“Ma… non sembrava fosse quello ciò che volevi insegnarmi quando ero più piccolo”.

“Speravo davvero che si potesse creare una realtà diversa, in cui gli scontri non fossero necessari. Ma sognavo. Erano le illusioni di un giovane testardo e non l’ho capito fino a quando non mi sono trovato ad un passo dalla fine. Non voglio che ti capiti lo stesso”.

“Suppongo che mi sarà vietato attraversare di nuovo il portale…”.

“No. Quello varrà per Espero, che è molto più a rischio di te. Io a te non vieto nulla, consapevole del fatto che tanto faresti tutto di testa tua. Ti consiglio però caldamente di riflettere. Gli Inferi non sono il posto di Sophia e se dovesse cadere non so quanto tempo potrebbe sopravvivervi. È un’anima pura, potrebbe perfino accettare di divenire un demone pur di seguirti. Ma ne soffrirebbe terribilmente”.

“E tu cosa ne sai? Magari qui potrebbe essere felice! In molti sono caduti e ora sono felici”.

“E quanti lo sono e ancora soffrono? Sophia l’ho affidata io al Cielo, ricordi? Qui non sarebbe sopravvissuta. Se ci fosse stata anche solo una possibilità, credi che l’avrei separata da me e dal resto della famiglia? Tu sei un demone puro, sei abituato all’afflizione di questo luogo. Sei abituato alle urla delle anime, al dolore, alle guerre… ci sei nato nel mezzo, sei parte di esso. Ma lei non è come te. Lei prova pietà, empatia, compassione… Lei è nata per stare nella luce, non per versare lacrime nelle tenere. E se tu le vuoi bene, o addirittura la ami, dovresti evitarle certe esperienze”.

Nasfer non rispose. Agitò la coda, leggermente nervoso.

“Il tuo maestro ti aspetta” lo congedò Keros “Cerca di ricordare quel che ti ho detto…”.

 

“Dove sei stata?” domandò Gabriel.

Sophia sobbalzò, convinta che nessuno l’avesse notata.

“A fare un giro” rispose, rimanendo sul vago.

“Guardo che so dove vai. E con chi” parlò piano l’Arcangelo.

“Ah sì?” mugugnò lei, arrossendo leggermente.

“Siediti accanto a me” la invitò Gabriel.

La ragazza obbedì, accomodandosi accanto all’Arcangelo. Gabriel stava dietro ad una scrivania bianca e scriveva, con calma e precisione, su un grosso libro d’oro. Poggiò la piuma con cui stava lavorando e guardò Sophia.

“Io so quasi sempre quel che accade nel Mondo” iniziò lui “Perciò è da un po’ che so con chi ti vedi. È tenero vedevi assieme, voi due fratelli, tuttavia temo che non tutti la penserebbero come me”.

“Chi altro lo sa?”.

“Nessuno, credo. Di sicuro non Mihael, o avrebbe dato i numeri”.

“Però… non facciamo nulla di male. Intendo… siamo fratelli, passiamo solo del tempo assieme come tali. Ci raccontiamo delle cose, ci facciamo compagnia…”.

“Lo so. Ma è un demone”.

“È mio fratello. Non mi importa se è un demone”.

“Non importa a te, ma purtroppo ci sono delle regole da rispettare”.

Sophia chinò il capo e Gabriel percepì la sua delusione.

“I demoni non cambiano” riprese l’Arcangelo “Non potrai mai farlo diventare come te. E dubito tu voglia la dannazione eterna…”.

“No, ma…”.

“Allora non credo tu possa avere ulteriori dubbi al riguardo”.

“Mio padre non è del tutto un demone. Forse anche Nasfer non lo è!”.

“Tuo padre ormai da un pezzo non cammina per il mondo al di fuori dell’Inferno, se non per rapidi momenti”.

“Perché sta addestrando Espero, il figlio di Lucifero”.

“Altra cosa che non va bene. Proprio per niente!”.

“Perché?”.

“Sei piccola per capirlo. E non te lo spiegherò. Ma sappi che c’è una guerra fra angeli e demoni e tu non dovresti prenderne parte in questo modo”.

“Io non intendo proprio prendervi parte!”.

“E allora stai lontano da quel demone. Ti trascinerà in situazioni che non vuoi”.

“Non lo ha fatto fin ora, perché dovrebbe iniziare proprio adesso?”.

“Perché siete adulti ormai. Avete mille anni e la sua natura è diversa dalla tua. Non hai idea di quello che è in grado di fare”.

“O forse sei tu che non sai come in realtà possa essere”.

Sophia si alzò. Si congedò educatamente, pur essendo piuttosto arrabbiata, e si ritirò nelle sue stanze. Non riusciva proprio a vedere in Nasfer un demone malvagio!

 

Lucifero non era dello stesso parere di Keros. Dopo un lungo e severo rimprovero al figlio, ordinò che la stanza con i portali venisse sorvegliata giorno e notte, per evitare che ad Espero venissero strane idee. Nasfer capì subito che, per recarsi nel mondo umano, avrebbe dovuto aprirsi un portale da solo, da qualche parte. Notò le guardie e continuò a camminare, andando oltre. Espero sedeva in fondo alle scale, con aria avvilita. Si reggeva le mani con la testa, mugugnando.

“Non guardarmi così” sbottò il principino, quando Nasfer si fermò ad osservarlo.

“Come ti starei guardando, scusa?”.

Il ragazzino girò la testa, tirando su col naso, dando le spalle al figlio di Keros.

“Ti sei preso una bella sgridata, vero?” ipotizzò Nasfer.

“Sì…”.

“Ti sta bene. Non avresti dovuto seguirmi”.

“Non sono affari tuoi!”.

“Certo che lo sono! Per colpa tua, ora mi tocca aprire un portale di nascosto per andare nel mondo umano! Per colpa tua, la stanza dei portali è sorvegliata e non la si può usare senza permesso!”.

“E ovviamente mio padre non ti darà mai il permesso di gironzolare fra i mortali per sbaciucchiarti una piumina angelica!”.

“Bada a come parli!”.

“Posso batterti ad occhi chiusi! Ma, se ci provo, subito arriva qualcuno a dividerci!”.

“A difendere te. Il prezioso moccioso del re”.

“Ti rode che ti abbia spodestato, vero? Prima di me, eri in linea diretta di successione”.

“Ma cosa vuoi che mi interessi…”.

“Scommetto che non hai il coraggio di affrontarmi. Hai paura, vero?”.

“Facciamo una cosa…” propose Nasfer, chinandosi ed abbassando la voce “…questa notte, vieni nella mia stanza. Quando tutti dormono, mio padre compreso, vieni da me. Ti porto nel mondo umano, lì nessuno ci disturberà”.

“Dici davvero?”.

“Sì, ma vedi di non farti beccare. Una volta lì, ti darò tante di quelle botte da costringerti a tornare a casa di corsa dalla mammina”.

“E se invece vinco io?”.

“Facciamo così: se vinci tu, mi offrirò personalmente di portarti ogni volta che vorrai dai mortali. Ovviamente di nascosto. Se vinco io invece voglio che chiudi quella boccaccia irriverente. Voglio che impari cos’è il rispetto e voglio che tu chieda a tuo padre di cambiare maestro”.

“Cambiare maestro? Ma perché?”.

“Perché mio padre è intrappolato all’Inferno per addestrare te. Rivoglio il mio papà, quello che mi sorrideva e mi accompagnava a cacciare umani. Rivoglio Keros, il mezzodemone libero di agire come meglio crede, senza dover sempre dimostrare di essere adatto ad insegnare all’erede al trono”.

“Oh… ok. Mi piace come idea. Affare fatto!”.

Espero ghignò, stringendo la mano a Nasfer.

“A questa notte!”.

 

Il voler “parlare urgentemente” di Gabriel non era mai un buon segno. Mihael lo sapeva ed attese con una certa apprensione l’arrivo del fratello. Sedeva impaziente nella propria abitazione, attento ad ogni rumore. Finalmente dei passi raggiunsero l’uscio e Gabriel entrò. Subito chiuse la porta dietro di sé e scostò le tende, mentre Mihael si alzava e lo fissava perplesso.

“Ma che succede?” si allarmò il guerriero “Qualcosa non va?”.

“Ho saputo delle cose. Ma vorrei prima discuterne con te” parlò piano Gabriel “Siediti, per cortesia”.

“Mi stai spaventando…”.

“Siediti!”.

Mihael obbedì, sempre più perplesso. Gabriel prese a sua volta una sedia e si accomodò di fronte al fratello.

“Ho saputo…” iniziò l’ospite “…che Keros si occupa dell’addestramento del figlio di… tu sai chi”.

“Giravano voci a riguardo da tempo” annuì Mihael.

“Ma queste non sono voci. Lo so per certo”.

“Hai una fonte attendibile?”.

“Sì. Keros sta addestrando il figlio del re dell’Inferno. E questo sai che vuol dire. Gli sta insegnando come reagire dinnanzi a tecniche angeliche. Ci mette in svantaggio contro l’Anticristo”.

“Cerchiamo di calmarci. Il figlio di Lucifero è ancora piccolo”.

“Ha ancora molto da imparare, di sicuro. Ma forse dovremmo fare qualcosa…”.

“E che dovremmo fare?”.

Gabriel sospirò.

“Ora ascoltami. Hai mai pensato a quel che succederà… dopo?”.

“Dopo quando?”.

“Dopo la fine. Quando ci sarà la battaglia finale. Lo sai che poi le porte di Paradiso e Inferno verranno chiuse”.

“Certo che lo so”.

“E questo significa che Keros sarà bloccato per sempre agli Inferi. Non lo vedrai più…”.

“So anche questo, Gabriel”.

“E ti sta bene?”.

“Certo che no. Ma che posso farci? Keros ha scelto di essere un demone”.

“E se… ci fosse un modo?”.

“Quale sarebbe?”.

Gabriel attese qualche istante, insicuro se continuare oppure no.

“Dato che sta addestrando il figlio del Diavolo…” riprese poi l’Arcangelo “…sarebbe facile convincere più di qualcuno che sia necessario fermarlo. E, dato che è in parte angelo, possiamo richiedere che venga imprigionato qui”.

“Imprigionato? Sei impazzito?”.

“Lascia che ti spieghi! Se lo imprigioniamo, lui non potrà insegnare altre tecniche angeliche all’erede del sovrano infernale e, una volta che la guerra sarà finita, potrà stare in Cielo. Per sempre! Non sarebbe una bella idea?”.

“Imprigionare mio figlio? Una bella idea?”.

“Per salvarlo dalle fiamme eterne!”.

“Obbligandolo a restare in Paradiso!”.

“Credi preferisca restare all’Inferno per l’eternità?!”.

“No. Cioè… non ne ho idea, sinceramente. Ma ora non me la sento di fare qualcosa. Non sappiamo nemmeno quando ci sarà la guerra finale! E l’addestramento sarà solo all’inizio”.

“Diciamo che interverremo se notiamo che l’addestramento è molto avanzato? O se la guerra è imminente?”.

“Ecco… detta così già mi suona meglio. Interverremo se le conoscenze dell’erede dovessero mostrarsi molto pericolose per il Cielo o se la guerra finale risulterà alle porte. Dovessi vedere che il figlio di Lucifero sta imparando a sconfiggerci grazie a Keros, sarò io il primo a fermarlo. In qualunque modo”.

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Capitolo 82
*** Fuga ***


82

Fuga

 

Il sonno tardava ad arrivare. Nonostante fosse sfinito, Keros continuava a fissare il soffitto della propria stanza senza riuscire a chiudere occhio. Solo, non faceva che rimuginare. Ripensava alle parole di Nasfer, a quel che aveva visto poche ore prima e a come riuscire a risolvere una questione non semplice. Espero pareva intenzionato a fare di testa propria, Nasfer pure. Ma era davvero giusto impedire loro di seguire determinati desideri? Era giusto impedire ad un ragazzo di esplorare il Mondo e ad un giovane di rivedere la sorella, seppur angelica?

“Ho compiuto la mia scelta…” sospirò sottovoce, visualizzando le proprie ali piumate.

Lo scontro avvenuto con Mihael secoli prima aveva lasciato profonde cicatrici sul corpo e nell’animo del mezzodemone. Non voleva che suo figlio e il suo allievo si ritrovassero in situazioni simili. Ma come spiegarlo ad un ragazzino o ad un giovane innamorato? Ricordava cosa volesse dire. Ricordava quel che aveva provato quando desiderava altro, quando disubbidiva alle leggi di Lucifero per inseguire sogni e speranze. Come si era ridotto così? Come era arrivato al punto di abbandonare la speranza in un mondo diverso?

Qualcuno bussò alla porta. In principio pensò di esserselo immaginato ma poi il suono si ripeté.

“Sì?” disse, senza muoversi dal letto.

“Altezza, perdonate il disturbo” mormorò Simadé “Per caso Espero è lì con Voi?”.

“No, perché dovrebbe?”.

Keros indossò al volo una vestaglia ed andò ad aprire. Il servo si scusò ancora per aver disturbato il proprio padrone e spiegò che il giovane principe non si trovava da nessuna parte. La regina, dopo aver saputo della litigata e predica ricevuta, aveva pensato di andare a parlargli. Voleva rassicurare il suo piccino, voleva capire il perché di tanta brama d’esplorazione. Ma non lo aveva trovato nella sua stanza né in nessun altro luogo del palazzo.

Vestendosi in fretta, Keros raggiunse gli altri abitanti della reggia, svegliati dal trambusto crescente. In vestaglia, pigiama o addosso la prima cosa trovata, la famiglia si stava ritrovando.

“Il mio bambino!” sospirava Leonore “E se fosse scappato? Lo hai rimproverato troppo duramente, Lucifero!”.

“No, affatto. Dovevo dargli anche un paio di bastonate, così dal letto non si muoveva per un po’!” sibilò il sovrano.

Lei fece per ribattere ma Lilith interruppe il discorso, chiedendo chi fosse stato l’ultimo a vedere il giovane principino.

“Era a cena con noi” rispose Lucifero “Ma non ha mangiato molto. Si è alzato senza salutare ed è andato in camera. O così ha detto”.

“Io l’ho visto entrare in stanza” annuì Simadé “Ma poi mi sono occupato di altre faccende…”.

Keros si guardò attorno. Vedeva tutte le sue figlie ed i figli minori ma una testa mancava all’appello.

“Nasfer dov’è?” chiese, senza ricevere risposte sensate.

“Perché?” alzò un sopracciglio il re “C’è qualcosa che non so? Dici possano essere assieme?”.

“Sarebbe un sollievo non saperlo da solo!” annuì Leonore.

“Che ti ha detto? Lo hai rimproverato, vero?” incalzò Lucifero, avvicinandosi sempre più a Keros.

“Certamente. Ma sono giovani. Non vorrei che…”.

“Che…?”.

“Si fossero recati nel mondo umano assieme!”.

Lo sguardo del signore dell’Inferno si infiammò di rosso.

“Però la stanza dei portali è sorvegliata” si affrettò ad aggiungere Vixa “Da dove sarebbero usciti?”.

“Tuo fratello sa creare portali in modo indipendente” sospirò il mezzodemone.

“E chi glielo ha insegnato?!” aprì le braccia il sovrano, con rabbia.

“Io. Mica è proibito! Non pensavo che portasse a spasso Espero, sempre se lo ha fatto” ammise Keros.

“Allora la colpa è anche tua. Vedi di trovare una soluzione!”.

“Sì, maestà”.

L’ultima frase era stata pronunciata con una smorfia ed un tono chiaramente infastidito. Lucifero frustò la coda un paio di volte, mentre Keros si dirigeva verso la stanza del figlio Nasfer. Lì, come aveva previsto, aveva trovato un portale realizzato da poco. Sbuffò, capendo che avrebbe avuto un bel po’ di problemi con quei due testoni. Attraversò il portale e si ritrovò nel mondo umano. In mezzo ad una radura, Nasfer ed Espero stavano litigando. Nel buio della notte, le scintille dei loro poteri si notavano fin troppo chiaramente.

“Basta!” urlò Keros “Idioti! Gli umani vi vedranno!”.

Altre luci si intravedevano nel cielo: gli angeli. Come prevedibile, le creature del Paradiso controllavano che nessun mortale potesse essere coinvolto o ferito.

“Fermali” ordinò una voce “O lo farò io”.

Il mezzodemone capì subito che a parlare era stato Mihael. Lo vedeva, sospeso ad ali spalancate, che fissava i litiganti con aria minacciosa.

“Umani! Si avvicinano!” urlò un altro angelo, poco più in là.

Keros capì che doveva agire subito. Corse da figlio ed allievo, ordinandogli di smettere. Riuscì a separarli per qualche istante, spiegando loro che umani e angeli li stavano raggiungendo.

“Ti uccido!” ringhiò a bassa voce Espero, mentre il sanguemisto lo tratteneva e faceva segno a Nasfer di allontanarsi.

“Marmocchio raccomandato” rispose Nasfer.

Keros sollevò di peso Espero e iniziò a camminare verso il portale, mentre il ragazzino gli si dibatteva fra le braccia e scalciava.

“Nasfer!” urlò “Torna subito a casa. O saranno gli angeli a fartici tornare e, credimi, non è piacevole!”.

“Lasciami!” continuava a sbraitare Espero.

Il maestro resistette ai morsi ed ai graffi del giovane allievo. Nasfer non si mosse. Un coro si alzò fra gli angeli, di colpo. Keros si arrestò, preoccupato.

“Nasfer!” lo chiamò di nuovo, mentre in coro si alzava sempre più forte.

Sapeva cosa stava per succedere. Stavano per usare un esorcismo contro Nasfer, che era ancora troppo giovane per sapere come reagire in modo adeguato. D’istinto, lasciò andare Espero e tentò di raggiungere il figlio.

“Non li ascoltare!” gli gridò.

Il giovane si era impietrito, sopraffatto da quelle voci e stordito dal potere degli angeli. Keros afferrò il figlio per un braccio, tentando di farlo muovere. Allo stesso tempo Espero, approfittando della situazione, si preparò a scagliare un altro attacco contro l’avversario.

“Piantatela!” tentò di farsi ascoltare il maestro, ormai senza pazienza.

Keros alzò una barriera attorno a sé, per evitare i colpi di Espero, e schiaffeggiò Nasfer per farlo rinsavire. Il coro angelico era sempre più potente. Espero correva veloce e si scagliò con tutte le sue forze contro la barriera del maestro. Questa scintillò, barlumi di elettricità e potere la attraversarono nel tentativo di respingere la furia del principino. Ma la foga del giovanissimo demone era troppa, così come incontenibile era la sua ira e la sua energia. La barriera si infranse, scagliando maestro ed allievi parecchio più in là. Senza parole, si guardarono fra loro restando a terra.

“Cosa è stato?” parlò qualcuno.

Gli umani si avvicinavano. Gli angeli erano pronti ad agire. Il mezzodemone capì che c’era una cosa soltanto che poteva fare: richiamò a sé le ultime energie rimaste e creò un portale per i due allievi, spedendoceli dentro a forza. Ci fu un lampo ed Espero e Nasfer erano scomparsi. Ansimando, Keros rimase disteso. Era ferito, stordito e senza forze. L’ultima cosa che vide, prima di chiudere gli occhi, fu la luce bianca ed accecante di un nugolo di angeli che si avvicinava.

 

Riapparsi a palazzo, Espero e Nasfer si fissarono ancora, frastornati.

“Ma che cazzo è successo?” riuscì a dire Nasfer.

“Non lo so. Io… penso di aver rotto la barriera angelica!”.

“Ma come?”.

“Non ne ho idea! Non c’ero mai riuscito prima!”.

“E poi? Non capisco… che mal di testa…”.

“Ti sei quasi fatto esorcizzare, coglione!” ridacchiò Espero, pulendosi il vestito da erba e ghiaia.

“Ma Keros dov’è? Dov’è mio padre?”.

Si guardarono attorno.

“Mi sa che è rimasto di là…”.

“Rimasto di là? Con tutti quegli angeli?! Dobbiamo andare a prenderlo!”.

“Andare a prendere chi?” interruppe Lucifero, mentre Leonore correva ad abbracciare Espero.

Nasfer spiegò quel che era successo. Subito Lucifero riattivò il portale e corse a salvare il sanguemisto. Di Keros però non vi era traccia alcuna. Nessun angelo, nessuna luce. Tutto svanito.

 

“Vi rendete conto di quel che avete fatto?” riuscì infine a dire Lucifero, una volta rientrato a casa ed aver udito il racconto dei principi.

“Noi… non volevamo…” provò a giustificarsi Espero.

“Lo so che non volevi, tesoro” tentò di consolarlo Leonore.

Il re aveva convocato i due giovani principi nelle proprie stanze e ora fissava il fuoco che bruciava su delle candele. Quelle fiamme gli ricordavano Keros.

“Che possiamo fare?” domandò Nasfer.

“Che potete fare? Ma vi rendete conto davvero di quel che è successo?”.

“Noi…”.

“Keros. Il mio Keros. È svanito. Capite? Il mio Keros, tuo padre, il tuo maestro… lui è…”.

Nasfer trattenne il fiato, scuotendo la testa.

“Morto” concluse il re.

“Ma no. Gli angeli non lo ucciderebbero mai! Ho visto Mihael là! L’ho visto!” si affrettò a dire il principino “Lui non lo permetterebbe mai!”.

“Keros è un demone. Loro sono angeli. C’erano degli umani lì vicino. Capite? Capite quel che avete fatto con la vostra testardaggine e stupidità? Cazzo, lo capite?!”.

“Calmati” mormorò Leonore, avvicinandosi “Questi ragazzi non lo hanno certo fatto apposta! Loro non…”.

“Silenzio!” ringhiò il sovrano “Non voglio più sentire una sola parola sul mondo umano, siamo intesi? Chiunque di voi verrà sorpreso anche solo a pensare di andarci, verrà incatenato e frustato. Sono stato chiaro? Il mio Keros è morto perché voi due non potevate fare a meno di andare a far i coglioni in un mondo che non vi appartiene!”.

“Adesso basta” parlò ancora, con calma, la regina “Credo che il loro cuore sia già sufficientemente addolorato”.

Lucifero non aggiunse altro. Fece segno a tutti di lasciare la stanza, mentre la voce della morte del principe Keros si diffondeva per il palazzo e per il regno. Qualche giorno dopo, alla luce del giorno, il Diavolo tornò in quel luogo. Sperava di trovare qualcosa, qualunque cosa, che potesse ricordargli chi aveva perso. Notava segni di lotta, fra la ghiaia e l’erba alta.

“So che mi stai spiando” parlò, senza voltarsi “Lo fai sempre, Mihael”.

“Che cosa stai cercando?” domandò l’Arcangelo, comparendo alle spalle del fratello maggiore.

“La cosa non ti riguarda”.

“Sei troppo vicino alle case degli umani”.

“Non me ne frega un cazzo degli umani. E tu… come puoi essere sempre così? Impassibile e composto, nonostante gli eventi? Non sei stanco? Non sei affranto?”.

“Sono stanco ed affranto tanto quanto te. Ma Dio mi dona la forza di continuare”.

“Cosa ne è stato del mio bambino? Cosa ne è stato di Keros?”.

“Tuo figlio ha infranto la sua barriera. Non potevo permettergli di insegnargli altro. Avrebbe messo in pericolo l’incolumità delle mie schiere angeliche che difendono gli Uomini”.

“Solo di questo ti importa? Solo della nostra guerra e degli Uomini?”.

“Sono stato creato per questo”.

Lucifero si voltò, guardando negli occhi Mihael. Coglieva in quello sguardo qualcosa di diverso, forse dolore o insicurezza.

“In questo caso…” mormorò Lucifero “…richiama tutti i tuoi eserciti. Se vuoi la guerra, guerra avrai. Per il mio Keros. Per lui, io ti sconfiggerò”.

“Attento a come parli. Iniziare una guerra fra noi significherebbe far partire un gioco ben più grande di noi. L’apocalisse e la fine dell’umanità”.

“Ti ho già detto che me ne sbatto il cazzo dell’umanità. E se non raccoglierai la mia sfida, il mio esercito li ucciderà tutti i tuoi preziosi umani, fra atroci sofferenze”.

“Tu sei pazzo”.

“Per te contano più quegli infimi esseri nati dal fango piuttosto che la famiglia e le persone che ami. Per te sono più importanti loro, che nemmeno pregano più, della donna che amavi. Per te è più importante proteggere l’umanità e seguire i tuoi ideali piuttosto che proteggere la vita di tuo figlio. È questo che sei”.

“Ma che cosa stai farneticando?!”.

“Se davvero Carmilla e Keros contano, o hanno mai contato per te, allora dimostramelo. Combatti! Combatti per loro e sconfiggimi! Mettiamo fine a tutto questo. Fammi vedere che non sei solo una marionetta mossa da una luce che ormai non parla più e che tu ti ostini a venerare come Dio!”.

“Ti farò tacere!”.

Mihael sguainò la spada, che sempre portava con sé. Lucifero sorrise, soddisfatto. Era l’inizio della fine, la fine di ogni cosa. E lui non aspettava altro!

 

Capitolo non molto lungo ma il prossimo sarà un pochino più impegnativo. A prestissimo!

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Capitolo 83
*** Apocalisse ***


83

Apocalisse

 

La tromba di Gabriel risuonava nel cielo, gli eserciti nemici si erano schierati ed erano pronti alla battaglia. Attendevano quel giorno da millenni, dai tempi della prima caduta, ed ora era giunto il momento. Alcuni erano increduli, si guardavano attorno senza troppa convinzione, mentre altri sembravano non aspettare altro. Le armature e le armi scintillavano, mentre il cielo si scuriva.

“Fai ancora in tempo a fermare tutto, fratello” mormorò Mihael.

“Non ho intenzione di farlo” rispose Lucifero.

I due erano a pochi centimetri di distanza e l’inizio del loro scontro decretò anche l’inizio dell’intera battaglia. Si alzò un grido e le due fazioni si attaccarono, in un turbinio di ali e scintille.

Espero lottava fieramente accanto al padre, senza alcun timore. Nasfer, in principio titubante, provava una forte rabbia dentro di sé. Gli angeli avevano ucciso suo padre e lui si doveva vendicare! Così dimenticò tutti i pensieri fatti con Sophia, sulla pace e sulla convivenza fra popoli, e lottò con ferocia. Si stupì quando davanti si ritrovò gli occhi azzurri della sorella angelica. Indossava l’armatura, era coperta in parte da un elmo, ma quello sguardo lo avrebbe riconosciuto ovunque!

“Smettila di combattere!” lo supplicò Sophia.

“Come puoi chiedermelo? Nostro padre è morto!” ringhiò Nasfer, minacciandola con la spada.

“Nostro padre è vivo. È imprigionato ma è vivo! Ti prego, aiutami a fermare questa follia!”.

“E come?!”.

“Vieni con me!”.

La ragazza lo prese per mano e insieme si allontanarono dalla battaglia.

 

La tromba di Gabriel svegliò Keros di soprassalto. Si guardò attorno, accecato dall’eccessivo bianco e dalla potenza della luce di quel luogo. Sentiva molte voci, concitate ed agitate, e passi svelti. La tromba riecheggiò di nuovo e fece vibrare le pareti. Il mezzodemone tentò di uscire da quella stanza vuota ma la porta era chiusa dall’esterno.

“Dove sono? Qualcuno mi sente?” chiamò il prigioniero.

Non era più stanco e nemmeno ferito. Riconosceva il tocco degli angeli guaritori, quasi sicuramente di Raphael. Ma per quale motivo si trovava lì? Non ricordava molto, se non che stava tentando di far ragionare i suoi allievi. Chiamò ancora ma il frastuono esterno copriva la sua voce.

“Ma che succede?!”.

Capì che doveva tentare di uscire da solo ed evocò il fuoco fra le mani. Questi però si spense appena accostato all’ingresso. Che altra tecnica poteva usare? Pareva brutto sfondare la porta a calci…

 

Tutto crollava. Palazzi, città, edifici di ogni tipo. Al passaggio degli eserciti, tutto ciò che l’Uomo aveva creato stava gradatamente svanendo, fra polvere e macerie. Si udivano grida, di feriti e fuggitivi, poi più nulla. Raphael rabbrividiva dinnanzi a quello spettacolo, rimanendo al sicuro in Cielo. Vide Sophia per mano a Nasfer mentre correva veloce fra le strade della città paradisiaca. Ma dove pensava di andare? Fortunatamente tutti i soldati erano impegnati in guerra o quel giovane sarebbe già stato ucciso! Intuì dove volessero andare e l’Arcangelo decise di precederli, incamminandosi svelto lungo il sentiero che in pochi conoscevano. Quasi scivolando sull’argento della strada, raggiunse l’edificio in cui Keros era stato rinchiuso. Non si trattava di una prigione, in Paradiso non era previsto nulla di simile, bensì di una casa angelica priva di arredamento e con le uscite sprangate.

“Papà!” chiamò Sophia “Papà, ti sei svegliato?”.

“Sophia!” rispose subito Keros “Che succede? Perché le trombe? E dove sono?”.

“Ti spiego tutto dopo! Ora ti dobbiamo liberare alla svelta. Stai indietro, c’è qui Nasfer con una spada!”.

Il mezzodemone indietreggiò di qualche passo, mentre Nasfer distruggeva la porta in legno con l’arma che impugnava.

“Andiamo!” incitò lei, non aspettandosi di ritrovarsi di fronte Raphael.

“Dove pensate di andare?” domandò l’Arcangelo.

“Dobbiamo fermare la guerra” spiegò Sophia.

“E come pensate di farlo? Con i buoni propositi? Tutti noi vorremmo fermarla!”.

“Mio padre può, ne sono convinta! Lucifero lo crede morto ma quando lo vedrà…”.

“Ormai è tardi, bambina…”.

“Lasciaci almeno provare!”.

“E per cosa? Fareste meglio a restare qui. Sopravvivreste tutti e tre e vivreste in Cielo, una volta che le porte di entrambi i mondi si chiuderanno per sempre”.

“Ma c’è la mia famiglia agli Inferi!” protestò Nasfer.

“Voglio tentare” si intromise Keros “I ragazzi possono restare qui al sicuro, mentre io provo a far ragionare le due fazioni. Se convinco Mihael e Lucifero, forse…”.

“E se ne venissi ucciso?”.

“Correrò il rischio”.

“Lascialo passare o ti tiro un pugno!” si udì una voce.

Tutti si stupirono molto nel constatare che a pronunciare quella frase era stato Camael, l’Arcangelo dell’amore puro.

“Ma cos…?” provò a ribattere Raphael.

“Questi giovani hanno rischiato tutto per venire qui. Un angelo ed un demone, per mano, sono venuti qui per tentare in ogni modo di riportare la pace. Hanno liberato il loro padre, un ibrido fra due specie che non dovrebbe nemmeno esistere eppure è qui. E forse, dico forse, è davvero l’unico in grado di fermare la fine del Mondo. Perché vuoi impedirlo, Raphael?”.

“Io… e va bene” sospirò il guaritore “Fate quel che volete!”.

 

Padre e figli corsero verso la guerra. La distruzione aveva avvolto il Mondo, l’odore di morte e di anime impregnava ogni cosa. I secoli passati a studiare la fisionomia di Keros aveva permesso la creazione di armi che abbattevano angeli e anime pure. I demoni uccisi svanivano in una coltre di fumo, gli abitanti del Paradiso in scintille d’oro. Il mezzodemone rimase immobile, sospeso a mezz’aria, osservando tutto quel disastro e quei cadaveri.

Lucifero e Mihael continuavano ad affrontarsi. Entrambi feriti, non si levavano gli occhi di dosso. Keros raccolte le proprie forze e scagliò un colpo di fuoco che divise i due contendenti. Il sovrano degli Inferi e l’Arcangelo alzarono lo sguardo e videro il sanguemisto, con un certo stupore.

“Basta! Vi prego!” gemette Keros “State distruggendo il Mondo!”.

Lucifero sorrise, felice nel vedere il suo protetto ancora vivo. Mihael invece era piuttosto contrariato da quella presenza.

“Ormai è tardi” ghignò il Diavolo “Unisciti a noi! Dov’è Dio? Te lo dico io: non c’è! Vieni qui e combatti, l’ultima guerra del Mondo! È stato l’Uomo stesso a volerlo, è stato Dio a volerlo: ci ha creati per fare la guerra!”.

“No!”.

“Non c’è più nulla da salvare”.

Keros si guardò attorno. Fuoco, sangue, polvere… era vero: non c’era più nulla da salvare! In terra solo cadaveri e morti, in cielo ancora scontri e corpi che precipitavano. Lucifero e Mihael si preparavano. Il sovrano era atterrato accanto a Keros, incitandolo ancora a partecipare a quella guerra. Mihael, con l’armatura che scintillava in modo quasi accecante nonostante il sangue ed i graffi, puntò la spada contro il Diavolo.

“Vieni pure, fratellino” ghignò Lucifero “Ti aspetto!”.

L’Arcangelo iniziò la sua discesa, deciso a dare finalmente il colpo di grazia all’avversario.

“Facciamola finita!” rise il demone, spalancando le braccia.

“Ma siete impazziti?!”. Keros non capiva. Che stavano facendo? Come potevano desiderare così tanto la morte? Come potevano essere così felici di vedere fratelli e sorelle cadere, svanire?

Il loro sguardo era acceso, infuocato, colmo d’ira. Come se non fossero loro stessi, come mossi da una volontà che non erano in grado di controllare del tutto, lanciarono entrambi un urlo di rabbia.

Nasfer e Sophia si strinsero, capendo che quell’unico colpo poteva determinare la fine della guerra, mentre le anime mortali svettavano verso il Cielo o svanivano negli Inferi. Keros chiuse gli occhi, non sapendo che altro fare, richiamando a sé tutta l’energia che ancora aveva. Creò la barriera più forte che mai era stato in grado di evocare, aprendo le braccia per riempire il cielo di luce. Quando il Diavolo e l’Arcangelo si scontrarono, si balenò un lampo che costrinse tutti a serrare le palpebre. Keros fu sbalzato all’indietro per quel colpo. Nel bianco, temporaneamente incapace di vedere, batté violentemente la testa su quel che restava di un edificio umano.

 

Quando riprese i sensi, vi era un insolito silenzio. Un silenzio inquietante. Keros si passò una mano sugli occhi, ancora infastiditi dal lampo sprigionato della barriera, e rizzò le orecchie. Si alzò a sedere, guardandosi attorno. Era solo! Silenzio, niente più battaglie. I cadaveri umani erano rimasti in terra, mentre angeli e demoni erano svaniti. E gli altri?

“Papà?” chiamò, rivolto a chiunque potesse rispondere a quell’epiteto.

Pronunciò altri nomi, di figli e amici, senza udire alcuna voce di rimando. Si alzò, scuotendosi e togliendo la polvere dalle vesti. La testa gli doleva e ancora sanguinava. Si passò una mano sul capo, ritrovandosi le mani sporche di rosso scarlatto. Fortunatamente il sole spuntò da dietro alle nuvole e questo aiutò a cicatrizzare quel brutto taglio. Appena riuscì a spiccare il volo con sufficienti energie, raggiunse i luoghi dove sapeva si aprissero portali per l’Inferno. Tentò di utilizzarli ma non successe nulla. Stupito, Keros ci riprovò. Tentò la stessa cosa con diversi portali, provò a crearne uno a sua volta ma nulla.

“Gli Inferi sono chiusi?” mormorò il mezzodemone.

Volò ancora un po’, cercando allora di mettersi in contatto con il Paradiso. Anche quelle porte però parevano chiuse. Atterrò, nel punto dove aveva ripreso i sensi, e storse il naso.

“Ma dove siete tutti?” chiamò ancora “Hei! C’è qualcuno?! Di sopra o di sotto, qualcuno mi sente? Sono rimasto qui!”.

Sperava di udire qualcosa, qualcuno, o di veder qualcuno venire a prenderlo e portarlo a casa. Paradiso o Inferno non faceva differenza, l’importante era non rimanere lì da solo! Sedette in quel punto, attendendo speranzoso. Qualcuno si sarebbe accorto della sua presenza, giusto? Qualcuno doveva venirlo a prendere! Non poteva rimanere lì da solo, nel mondo Umano! Un rumore gli fece girare il capo, allarmato. Non percepiva angeli o demoni eppure qualcosa si era mosso. Qualche maceria caduta? Qualche animale? Dopotutto l’Apocalisse prevedeva la fine dell’Uomo e delle sue opere, non di animali e natura.

“Aiuto!” chiamò una voce.

Aiuto? Qualcuno era in vita? Qualcuno c’era? Qualcun altro era rimasto? Keros scavò fra resti di cemento e terra, scorgendo un viso di fanciullo.

“Ci sono qua io” lo rassicurò il mezzodemone “Ora ti tiro fuori”.

Si unirono altre voci, altre richieste di aiuto. Un gruppetto di bambini mortali, sporchi e feriti, erano riemersi da quel che restava di una scuola. Nessun adulto, nessun’altro. Keros intuì che doveva averli protetti con la barriera che aveva creato, impedendogli di morire come il resto dell’umanità.

“Chi sei?” piagnucolò una bambina, spaventata.

“Un angelo?” azzardò un’altra bambina.

“Ha le corna!” notò un terzo bambino.

“Sono Keros” si limitò a dire il sanguemisto.

“Cosa è successo? La maestra…”.

La maestra era poco più in là, schiacciata da un muro di cemento.

“Siete rimasti solo voi” parlò piano il principe “Solo voi…”.

I bambini si guardarono, piangendo. Il mezzodemone non sapeva che fare, non sapeva come comportarsi davanti ad una scena simile. Li lasciò lì, abbracciati, e tornò a sedersi sullo spuntone di cemento contro cui era andato a sbattere. Il sole tramontava, la brezza lieve della sera ne muoveva le ali con dolcezza. Sospirò. Che poteva fare? Qualcuno però doveva venire a prendere quei bambini! Forse doveva ucciderli? Li guardò, mentre piangevano e si stringevano l’un l’altro. Dopotutto erano mortali. Primo o poi sarebbero morti lo stesso e allora Paradiso e Inferno dovevano accorgersi di quella presenza! Dovevano riaprirsi le porte per accogliere quelle anime! Si alzò, avanzando lento verso quel gruppo di piccoli. Era la cosa migliore: ucciderli e far sì che si ricongiungessero con i propri genitori e famiglie. I bimbi si voltarono tutti verso di lui e gli sorrisero. L’innocenza dell’infanzia: qual meraviglia!

“Grazie per averci salvato” parlò una bimba “Angelo o demone, siamo vivi grazie a te”.

Keros sobbalzò. Che doveva mai rispondere? Già pronto a sferrare il colpo di grazia, così facile spezzare la vita di quegli esseri così piccini, si trattenne.

“Non posso” sospirò, rassegnato.

“Che cosa?”.

“Nulla. Venite qui. Sarà difficile ma staremo assieme. Solo noi. Ce la faremo”.

“Ma non c’è più niente!”.

“Ci siamo noi. E questo ci basterà, vedrai…”.

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Capitolo 84
*** Rinascita ***


84

Rinascita

 

Un anno umano era insignificante per un demone e Keros si stupiva ogni giorno di più. Quei bambini, costretti a vivere in un Mondo completamente diverso da quello in cui erano nati, si erano dimostrati un vulcano di idee ed adattabilità. Il mezzodemone, abituato a disprezzare un po’ l’umanità, ora ne era meravigliato.

Sfruttando quel che era rimasto di quella realtà distrutta, il principe aveva insegnato loro quel che sapeva e quel che gli umani avevano di utile da trasmettere. Era riuscito a salvare una certa quantità di libri, trovando un edificio dove custodirli con gelosia e riguardo, e con questi poteva aprire gli occhi dei piccoli su realtà e fantasia. Non provava giusto che si dimenticasse e cancellasse quel che di bello l’umanità aveva realizzato ma non voleva ricreare quella vita, quegli uomini.

Per nutrirsi c’era la caccia, l’allevamento e l’agricoltura. Non facile per dei bambini ma crescevano straordinariamente in fretta! Per vestirsi per anni si erano accontentati di quel che era rimasto in vari locali distrutti, dato che Keros ben poco sapeva di filati e cucito.

Era frustrante rendersi conto che la vita da principe non aiutava molto in quei frangenti. Ma l’addestramento con Astaroth si era rivelato provvidenziale! Cacciare, difendersi e sopravvivere in un ambiente come l’Inferno rendeva la Terra una passeggiata. Poi aveva il vantaggio di evocare il fuoco.

I compiti erano divisi, seguendo le capacità e le preferenze dei bambini. Ogni giorno però c’era sempre spazio per storie e lezioni per tutti. E gli anni passavano…

 

Keros parlò loro di storia, geografia, universo, scienza, lingue e tradizioni. Non voleva dimenticare le arti come la musica, il canto, la poesia, la pittura… Era lì a sostenerli nella crescita, con le sconfitte e le delusioni, le gioie e le scoperte. Li incoraggiava, li guidava e rispondeva ad ogni domanda. L’unica parola che non aveva mai pronunciato era “Dio”. Aveva accennato ad angeli e demoni, più che altro per descrivere se stesso e la differenza con gli umani, ma non sapeva come parlare di religione. I bambini sembravano non averne bisogno, si affidavano a lui e basta. Parlò loro di esistenza, d’amore e di speranza. Li vedeva crescere, innamorarsi e generare la vita. Era lì con loro quando il primo bambino nacque, e si scatenò una grande festa. Era lì con mentre i piccoli divenivano splendidi uomini e donne. Ed era lì quando la vecchiaia sopraggiunse e il primo di loro chiuse gli occhi, abbracciando la morte. Versò lacrime assieme agli altri, uniti in quel momento così atteso e temuto. L’anima dell’uomo si mostrò e Keros la prese per mano.

“Ora cosa sarà di me?” domandò quell’essenza.

Keros non sapeva che rispondere. Con gli occhi lucidi, non capiva. Qual era il posto di quell’anima? Poi una luce avvolse il piccolo edificio dove tutti si erano riuniti per dare l’ultimo saluto. Aprendo la porta, non poté che piangere ancora una lacrima.

Un gruppetto di angeli e demoni erano comparsi e si fissavano, perplessi.

“Siamo sulla Terra?” si stupì Lucifero, guardando il cielo e il tramonto.

“Ma le porte erano chiuse” commentò Mihail “Come è possibile?”.

“Papà…” mormorò Keros, facendo girare il demone e l’Arcangelo.

I due osservarono colui che avevano di fronte. Era decisamente più trasandato rispetto a quando era principe e procacciatore di anime ma con lo stesso sguardo ambrato e pieno di speranza. Alle spalle del mezzodemone, un gruppetto di umani sbirciava quel che accadeva, senza capire del tutto.

“Keros…” riuscì finalmente a dire Lucifero “Tu… hai salvato l’umanità?”.

“Io…”.

“Tu hai fatto riaprire le porte” si unì Mihail.

“Tu… tu sei un miracolo” sussurrò il sovrano degli Inferi, raggiungendolo per abbracciarlo.

“Un’anima” notò qualcuno.

L’essenza era rimasta in piedi, fra angeli e demoni, senza sapere che fare. Nessuno aveva parlato più di tanto di Paradiso e Inferno in quella nuova realtà.

“Dove la portiamo? In Cielo?” chiese un angelo.

“Non possiamo” rispose Mihail “Non conosce Dio, non ha potuto scegliere fra le divinità che l’Uomo conosce e fra le diverse realtà di bene e male. Quest’anima non appartiene alla nostra religione”.

“E a chi appartiene allora?” domandò Keros, confuso.

“A te, suppongo”.

“Cosa…?”.

“Tu sei la cosa più vicina a un dio che questo nuovo Mondo abbia visto. Tocca a te scegliere come dovrà essere sistemata e dove”.

Il mezzodemone rimase in silenzio. Poi guardò l’anima, con un sorriso rassicurante.

“Tu che cosa vuoi?” gli disse, mentre i presenti brontolavano ritenendolo non “ortodosso”.

“Voglio restare accanto alla mia famiglia” ammise l’anima “Vederla crescere e sostenerla come posso”.

“E così sia allora”.

Scese il silenzio, mentre lo spirito si inchinava e raggiungeva il gruppo di mortali.

“Che strano modo di procacciare le anime…” ghignò Lucifero.

 

Trascorsero anni, secoli, forse millenni…. Keros non abbandonò mai quell’umanità, ritenendo necessario mantenere un certo controllo per evitare futuri conflitti. A quanto pare gli Uomini erano bravi a fare la guerra e il mezzodemone preferiva impedirla. Le memorie dei primi giorni non vennero mai perse, poiché il principe era sempre pronto a raccontare ed accogliere chi covava dubbi o domande. Angeli e demoni camminarono su quella Terra da quell’istante, da quella prima anima. Liberi di agire come preferivano, alcuni scelsero di vivere fra i mortali e in quel Mondo che molti avevano sempre sognato. Illuminati dal sole e dalle stelle, nacquero molti amori e molti bambini.

Non era più l’unica creatura di sangue misto fra angelo e demone, Keros lo sapeva, e osservava con orgoglio quei cuccioli con tratti angelici e demoniaci che giocavano assieme. Piccoli nati fra amori di diverse specie, fra cui i discendenti di Nasfer e Sophia. Ogni creatura, di Cielo e Inferno, aveva insegnato qualcosa a quell’umanità. Le anime dei defunti camminavano fra i vivi, risplendendo lievemente d’oro. Per mano ad Arikien, il mezzodemone osservava con orgoglio la nuova umanità che aveva aiutato a generare.

 

“E Dio?” si chiese Mihail, seduto accanto a Lucifero.

“Ha importanza?” rispose il demone, con un ghigno e la solita sigaretta.

Osservavano i bambini che giocavano, seduti al tavolo di un locale che si affacciava sulla piazza. Una piccola fontana zampillava e i piccoli si stavano schizzando a vicenda in quel giorno sereno.

“Dici avesse previsto tutto questo?” incalzò l’Arcangelo “Dici che, alla fine di tutto, volesse questo?”.

“Sinceramente? No, non credo. Se ci rifletti, questa realtà esiste grazie a noi due”.

“Non dire sciocchezze”.

“Tu hai generato Keros, colui che ha reso possibile tutto questo. E io l’ho cresciuto. Questa è la realtà che ci siamo costruiti, secolo dopo secolo. E ora ci godiamo la pace. All’Inferno le anime bruciano, punite dai demoni che desiderano ancora farlo. In Paradiso sono tutti beati, per l’eternità. E noi? Noi siamo disoccupati. Diciamo pure in pensione. È finita, Mihail. La nostra guerra eterna è finita. Dici che Dio volesse questo? Non lo so, non indagherò troppo. Non mi interessa. Sono libero, e questo mi basta. E lo sei anche tu”.

“Lo siamo tutti”.

“Grazie al frutto del tuo amore con quella signora laggiù”.

Lucifero indicò una statua che si ergeva accanto alla fontana. Raffigurava Carmilla, ricordata come la madre di colui che aveva salvato gli Uomini. Mihail osservò quella statua con una punta di nostalgia.

“E non ci vedi un disegno divino in tutto questo?”.

Lucifero rifletté, ispirando lentamente il fumo della sigaretta.

“No” rispose infine “Mi sembra solo un gran casino di casualità che, alla fine hanno portato a questo”.

“Il caso non esiste”.

“Dio non esiste. In questo Mondo, Dio non esiste. Esiste Keros, esistiamo noi, non siamo più re, soldati, generali… siamo due vecchi fratelli che, dopo una vita di litigi, se ne stan seduti al tavolino di un bar a spettegolare e sorseggiare vino. Vuoi forse altro?”.

“No” ammise Mihail, sfoggiando uno splendido sorriso.

Più di qualcuno giurò vedere il sole splendere con maggiore intensità per qualche istante, mentre l’Arcangelo continuava a dimostrare la propria gioia a quella realtà.

 

FINE

 

 

Questa storia è iniziata nel 2016. Sono cambiate moltissime cose, fra cui la nascita della mia bimba. Sono cresciuta, Keros assieme a me, ed eccoci qua. Non ci credo ancora: sono arrivata a quella parola. Quella parola “magica”, FINE. Prima o poi doveva arrivare, giusto? Volevo ringraziare TUTTI, tutti quelli che seguono la storia fin dal principio, chi la seguirà in seguito, chi l’ha amata e chi no. Non volevo un finale tragico: ci vuole speranza, giusto?

Grazie ancora. Da parte mia e di Keros.

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