La sposa dei Caraibi

di Doineann
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capricho Arabe ***
Capitolo 2: *** ASTURIAS ***
Capitolo 3: *** LA PALOMA ***
Capitolo 4: *** ROSITA ***



Capitolo 1
*** Capricho Arabe ***


1. CAPRICHO ARABE

Il sole timido del mattino aveva appena cominciato a dare colore all’infinita distesa d’acqua, solo apparentemente innocua, che circondava l’isola. Una ragazza dalla folta chioma scura costretta in un mugno alto sul capo si sistemava, come consuetudine, all’interno di una barchetta fatiscente, con reti e remi al seguito. Seppur non fosse una grossa imbarcazione, né tantomeno una barca desiderabile, la mora aveva dotato quella catapecchia galleggiante di un nome, Bailarina, e la considerava il suo più grande bene. Non che possedesse molte altre cose all’infuori di quella, in realtà. 

 

Aveva sì una casa, che tuttavia non riconosceva più tale da quando gli Inglesi, durante la guerra di San Juan, attaccarono la città per conquistarne la fortezza. Buona parte delle abitazioni del posto vennero rase al suolo dai cannoni affamati di macerie della marina Britannica e quelle che miracolosamente scamparono i colpi di cannone vennero bruciate e depredate dai soldati sbarcati sulla terra ferma. Dopo un anno e mezzo dall’accaduto la capitale contava ancora la metà delle abitazioni presenti prima dell’attacco. Allo stesso modo, erano venute meno le forze fisiche dell’isoletta: molti uomini persero la vita nell’episodio sanguinolento, altri rimasero mutilati ed altri ancora vennero presi e fatti prigionieri sui velieri della corona inglese. 

A peggiorare la situazione, dopo una quarantina di giorni dalla conquista di San Juan, complici le pessime condizioni igieniche e la mancata sepoltura di un numero elevato di cadaveri, si aggiunse una pestilenza che si diffuse nella città a ritmi spaventosi. Più o meno fortunatamente, ciò costrinse gli invasori a lasciare l’isola, battendo in una ritirata a scoppio ritardato. 

La giovane ragazza dalla chioma scura era sopravvissuta a quella serie di catastrofi proprio grazie all’imbarcazione. 

Quando tornata a casa dopo una giornata di pesca con l’unico uomo che l’aveva accolta a bordo – una ragazza nella “ciurma” era pur sempre di pessimo auspicio – e l’aveva trovata tra le fiamme, fu colta dal panico. Non curante della guerra e dei soldati che avrebbero potuto prenderla e abusarne, gridò a gran voce i nomi dei suoi genitori, ma dall’interno dell’abitazione si sentiva solo un gran scoppiettio di legna. Con la pelle ancora bagnata d’acqua ed arsa dalla salsedine, provò ad addentrarsi tra le mura tanto familiari, ma la strada le fu tagliata dal crollo del soffitto, che portò con sé anche una buona quantità di polvere. La ragazza fu svelta nel sottrarsi al fato che era stato preparato per i suoi genitori. La consapevolezza di non poter fare nulla per loro la travolse come un’onda anomala a ciel sereno. 

La prima bracciata verso la superficie la diede quando, con un velo a copertura del capo, fece uso dei vicoletti della città di mare per raggiungere la casa dell’unico volto amico che conosceva sull’isola, il pescatore. I suoi polmoni si ritrovarono nuovamente privi d’aria alla vista delle macerie della casa di Don Comacho. Lo trovò accasciato a terra, appoggiato malamente alla fontanella prima bianca ed ora strisciata di rosso vivo, del suo giardino. La ragazza si offrì di aiutarlo a raggiungere il mare, il grande amore del pescatore brizzolato, per permettergli di dire addio a questo mondo cullato dalle onde e accarezzato dalla brezza marina. Lui scosse appena il capo e con le poche forze rimaste le chiese invece di prendere il largo da sola, per allontanarsi almeno momentaneamente dall’inferno che San Juan era diventata. Le disse che avrebbe potuto tenere la barca con la promessa di prendersene cura come di un figlio. Infine, aggiunse  Lei l’avrebbe aiutata. La ragazza non insistette nel chiedere chiarimenti per quella strana frase, ritenendola null’altro che un ultimo delirio di un uomo solo da vent’anni, spesso appellato come bicho raro

Così fece: aspettò nella foresta l’arrivo della notte e quando l’oscurità calò sulla città, ne approfittò per avvicinarsi al porto. Non c’era il canto delle cicale ad allietare quella serata, in cui anche il cielo si era tinto di sangue, solo il triste pianto delle vedove. 

Non fu semplice far passare inosservata quella barchetta solitaria, l’unica rimasta a sfidare i grandi velieri inglesi attraccati in porto. La mora si fece il segno della croce dopo essere saltata a bordo del peschereccio malandato, fu allora che con il cuore in gola sussurrò al legno «Va bene, possiamo farlo. Dobbiamo solo guizzare silenziosamente tra questi colossi. So che possiamo farlo, non mi abbandonare.» 

Le sue mani tremavano mentre slegava la corda che teneva la barca attraccata al molo, sapeva che il continuo tagliare il mare dei remi causava dei distinti ciak che avrebbero potuto portarla alla fine dei suoi giorni. Ma cos’altro poteva fare? 

«Graziosa come una ballerina, incisiva come un barracuda.» Ripeté per scaramanzia le parole che Don Caracho era solito mormorare alla sua amata barchetta prima di partire per il mare sconfinato; non fece in tempo ad afferrare i remi con le mani che già questa aveva cominciato a prendere il largo. Pensò che, forse, la fortuna era dalla sua parte per una volta. Decise allora di cavalcare l’onda ed approfittare della corrente finché possibile: prese la coperta, unico oggetto che era riuscita a trovare a casa del pescatore, e  la usò per nascondersi nella concavità dell’imbarcazione. Si sdraiò prona, in modo da poter controllare con lo sguardo la rotta della barca. 

Agli occhi dei soldati della marina Inglese, quella piccola barchetta sembrò stregata: serpeggiava tra i corsari come se qualcuno la stesse pilotando da sotto, come se i pesci stessi la stessero portando con grande cura al riparo dagli orribili avvenimenti della città. Un marinaio la segnalò al capitano, che svelto imbracciò il fucile per fare fuoco: nessuno, fantasma o uomo che fosse, aveva il permesso di lasciare l’isola. Prese la mira alla cieca e quando ebbe il dito sul grilletto un’improvvisa ondata di vento scosse il veliero, facendo cadere l’uomo sul proprio fondoschiena. Quando riuscì a rimettersi in piedi, Bailarina era sparita. 

Forse fu la stanchezza, forse lo stress accumulato nelle ultime ore, di fatto gli occhi della latina rimasero chiusi per ore. Fu il sole caldo del giorno dopo a farla svegliare e come prima cosa, Santana notò che il caro cullare delle onde era cessato. Si levò la coperta di dosso e si ritrovò in una baia sconosciuta. 

Passò più di un mese nella terra ospitale, nutrendosi di pesci e frutti della foresta. Tutte le volte che, prendendo il largo per pescare, si allontanava eccessivamente dalla riva alla volta di San Juan, il mare calmo s’increspava fino a creare onde scoraggianti che portavano Santana a pensare che, forse, il suo ritorno avrebbe tardato di un altro giorno. 

Quando finalmente il tempo fu dalla sua parte, remò per giorni prima di intravedere il profilo familiare della città natale: il porto era sgombero dalle navi della corona inglese e la vivacità della città di mare sembrava aver riacquistato parte della sua energia. 

Tornata sulla terra ferma, ebbe una strana sorpresa rimettendo piede tra ciò che era rimasto di casa sua. Innanzitutto, quella che aveva lasciato come catapecchia era stata ricostruita, sebbene alla spartana, ed in secondo luogo, non era vuota come si aspettava che fosse. Un garzone, dall’acconciatura improbabile e dalla faccia da cernia dormiva rumorosamente su quella che era stata la branda dei suoi genitori. Santana sguainò silenziosamente la spada arrugginita di Don Caracho e mettendo su l’espressione più minacciosa del repertorio si avvicinò al colosso dormiente. Posizionò la punta della spada a pochi centimetri dal pomo di Adamo del ragazzo e gridò a gran voce «Chi vi ha dato il permesso di entrare nella mia casa!» 

Il poveraccio si svegliò di soprassalto e quasi non si infilzò da solo quando, dallo spavento, si tirò su alla svelta. Essendo disarmato, pur avendo un grande vantaggio fisico, il malcapitato sgranò gli occhi e deglutì sonoramente prima di domandare intimorito «E voi chi siete?! ».  Santana aprì bocca per rispondergli, ma fu preceduta dal vocione dell’uomo, che aveva nel mentre messo in moto il cervello. «Questa era la casa dei Lopez - », « Corpo di mille balene, so bene di chi era questa casa! Ci vivo! »

«-Non è possibile! Mastro Yanes mi ha spergiurato che i Lopez sono morti nell’assedio. Cristóbal, Luzia e.. »

«Santana!»

«Santana! Esatto! La conoscevate, per caso? Vi hanno lasciato in eredità la dimora? Maledetto Yanes, questa volta lo appendo all’asta della fortezza.»

«Sono io!» Esasperata dal grado di stupidità del giovane, la ragazza si portò le mani ai capelli, che sciolse, e battendosi più volte la mano sul petto ripeté: «Sono io Santana Lopez! E voi, non so chi siete -»

«Noah Puckerman, Señorita, - »  « - ma giuro che siete nel posto sbagliato. Avete cinque secondi per levare le tende! Uno!»

Con la spada puntata verso il petto del ragazzo ora in piedi, usò la mano libera per tenere il conto dei secondi a sua disposizione.

«Due!» 

Lui guardò prima lei poi la spada ed infine alzò gli occhi per incontrare quelli scuri della mora. Quello che le rivolse fu uno sguardo a dir poco divertito.

«Tre!» 

«Mi dispiace insistere, ma ormai questa è casa mia. Inoltre - »

«Quattro!»

«- Con questa ferraglia non penetrereste neanche una vela sgualcita.»

«Adesso basta, fuori da qui!»

«Ha saltato il cinque, zuccherino. Dovrebbe ricominciare da capo.»

Fu così, più per forzatura del destino che per vero caso, che Santana divenne amica di Puckerman, noto in tutta la città per le sue conquiste marcate a nome “Puck”. Per quanto lei non volesse ammetterlo, fu una vera manna dal cielo. 

Grazie a lui scoprì anche il soprannome che le persone del posto le avevano assegnato. Quella scoperta sì che fu un caso.

Noah aveva insistito tanto perché la ragazza lo portasse con sé a pescare, perché gli insegnasse il mestiere e perché, sulla terra ferma, non sapeva cosa fare. Come vide il peschereccio, il suo volto si fece pallido.

Riconobbe immediatamente l’imbarcazione soggetto delle più fantasiose leggende udibili nei peggiori bar di San Juan grazie all’inconfondibile colore della barca. La vernice vecchia, gialla e rossa a righe verticali anziché orizzontali. «Il fantasma di Borikén!»  Cominciò a urlare, come un bambino che riceve il suo primo fioretto, «Non ci posso credere! Sei il fantasma di Borikén e non mi hai detto niente!?» Santana era dell’umore adatto a gettarlo in mare senza alcuna esitazione, ma l’ebreo glielo impedì inconsapevolmente stringendole le spalle con quelle sue manone. 

Quella mattinata fu impossibile pescare un singolo pesce poiché Noah, troppo eccitato per la scoperta, non riuscì a tenere la bocca chiusa neppure per un secondo. L’aveva deliziata con tutte le storie che aveva sentito su di lei. 

Scoprì così che Bailarina, per il modo in cui era riuscita a fuggire dalla città in quella sera d’assedio, per il suo serpeggiare incantato, si era guadagnata il nomignolo. Si diceva che lo spirito stesso dell’isola quella sera fosse fuggito da San Juan, abbandonando i nativi alla loro sorte. Qualcuno aveva ingigantito la faccenda con dettagli surreali, tanto incredibili da parer sicuramente veri alle orecchie dei marinai stanchi e affamati che popolavano le osterie e le taverne. Hanno provato a bombardare la barca, ma lo spirito di Borikèn ha capovolto la galera inglese!, si dice fosse spinta dai pesci del mare. Quando videro la giovane latina fare ritorno all’isola su quell’imbarcazione, apriti cielo. Borikèn ha scelto la figlia del mare, l’ha salvata dagli abissi in cui s’era gettata quando vide Don y  Doña Lopez ardere vivi; alcuni azzardarono addirittura che la ragazza non fosse fatta di carne ma di solo spirito, che fosse insomma un fantasma a tutti gli effetti. Altri osarono che fosse semplicemente una maledetta, destinata ad una vita di sciagure perché donna di mare. Di fatto, nessuno sull’isola la guardava più nello stesso modo e, alla luce di quella scoperta, Santana cominciò a capire il perché.

 

Come ogni mattina, per guadagnarsi qualcosa e per avere di che mettere sotto ai denti, prese il largo prima che il sole potesse sorgere pienamente. La giornata si fece calda in poco tempo e Santana si accorse troppo tardi di aver dimenticato la fiasca di acqua che era solita portarsi dietro per idratarsi. Uno spreco, pensò, essere circondata dall’acqua e non poterne bere neanche un sorso. 

Guardò speranzosa la rete che aveva gettato, se il mare fosse stato gentile con lei forse avrebbe potuto fare ritorno al molo alla svelta con pesci a sufficienza da vendere e si sarebbe potuta dissetare. Ma la rete, leggera, sembrava essere vuota.

Sospirando, tornò a sdraiarsi a naso in sù. Non aveva neanche la speranza che qualche nuvoletta transitasse in corrispondenza del sole per darle una tregua dal caldo cocente, il cielo era terso, totalmente sgombero. 

Don Comacho le aveva sempre sconsigliato di gettarsi in mare anche se per un battito di ciglia durante la pesca, per una svariata serie di motivi. Innanzitutto, avrebbe spaventato i pesci, annullando quindi ogni sforzo compiuto fino a quel momento; secondariamente, le ricordava lui, il mare è pieno di insidie. Una corrente sbagliata, un imprevisto di qualsiasi natura e avrebbe perso barca, bottino e vita. Non che la mora avesse mai realmente pensato di tuffarsi: non era una gran nuotatrice. Per amor del vero, non era affatto una nuotatrice, ma la cosa aveva smesso di spaventarla.

A Santana non era mai parso verosimile che il mare potesse portarle via ciò che le aveva dato: la vita. Come poteva una cosa tanto bella e maestosa essere pericolosa se non addirittura mortale? Quale Dio lo aveva dotato di tanta grazia e sciagurato con un così grave peso? 

Scosse lievemente il capo per scrollarsi quei pensieri di dosso e, sempre tenendo gli occhi chiusi, rimase in ascolto del mare. Non passò molto perché senti in lontananza il rumore che fanno i delfini giocosi nell'acqua, fece appena in tempo a tirare su il busto che l'imbarcazione si inclinò bruscamente prima da un lato e poi dall'altro. Santana afferrò i bordi laterali del legno per non cadere in mare e rimase ancor più scioccata quando vide una persona appoggiata alla poppa. 

Una persona. Appoggiata. Alla poppa.

È il caldo, pensò, ho le allucinazioni. Sono disidratata, nel mezzo del nulla, e ho le allucinazioni. Al diavolo i pesci Bailarina, facciamo ritorno a San Juan immediatamente. Pensato ciò, con un’improvvisa goffaggine, armeggiò per prendere i remi che sembrava aver perduto in quello sputo di barca, desiderosa più che mai di tornare sulla terra ferma. 

La ragazza appena comparsa, come se potesse sentire i suoi pensieri o forse soltanto divertita dalla trepidazione della mora, si mise a ridere in un mondo tanto aggraziato che Santana ebbe il timore di non avere le traveggole: neanche la sua mente avrebbe potuto creare qualcosa di tanto perfetto. 

Da quelle labbra rosee era uscito un suono tanto dolce che avrebbe potuto ascoltarlo per ore senza accorgersi più dello scorrere del tempo né del logorio del sole sulla sua pelle. Lunghi capelli biondi le incorniciavano il viso, i suoi occhi erano azzurri come il mare dei Caraibi nelle belle giornate estive, quando l'acqua diventava di quel blu più blu che Santana aveva guardato incantata una marea di volte. 

«Sei buffa quando sgrani gli occhi in quel modo.» Disse la ragazza spuntata dall'acqua, con un gran sorriso stampato su quell'angelica faccia. 

Santana smise di cercare i suoi temi malandati e adottò la stessa espressione di chi era appena stato colpito da un fulmine. Si guardò attorno e realizzò realmente solo allora che la giovane era venuta fuori dal nulla: non c'erano barche attorno a lei e la riva era decisamente troppo lontana per essere raggiunta a nuoto. Che fosse stata vittima di un naufragio? Come aveva fatto a resistere così a lungo? Non c’erano segni di pezzi di legno galleggianti. Aprì bocca per domandarle se avesse bisogno di aiuto, ma la coda argentata che spuntò dalla distesa di azzurro le smorzò il fiato in gola. Non poteva essere..? 

«Come ti chiami?» La incalzò nuovamente la bionda. Ma Santana viaggiava su rotaie tutte sue, aveva smesso di ragionare e prestare attenzione ai rumori quando quella folle idea l'aveva colpita. Poteva essere tanto assurda da essere vera. Aveva sentito dei racconti a riguardo, ma li aveva sempre sentiti provenire da bocche corrotte dal rum. 

«Sei una sirena.» Disse allora, riprendendo la presa sui bordi della barca. 

Per tutta risposta, con un sorrisino malandrino sul viso, l'altra riportò sinuosamente in superficie la sua maestosa coda di pesce e la fece sparire con un sonoro ciak nell’acqua. 

«Io mi chiamo Brittany e tu dovresti essere Santana.» Continuò gongolante la creatura, alla quale sembrava importare poco che la mora fosse di poche parole. «Ti ho vista in difficoltà, ho pensato che questo potrebbe esserti utile.» 

Detto ciò, sparì sott'acqua, dove gli occhi di Santana non potevano seguirla, ma solo per far ritorno alla superficie esattamente nel punto in cui la latina era fermamente aggrappata alla barca. Santana fece come un lampo a mollare la presa per mettere della distanza tra lei e la sirena di cui, come le aveva raccontato Don Comacho, non poteva né doveva fidarsi.

Brittany non si fece comunque intimorire, ma anzi tirò fuori dall'acqua un cappello triangolare, bombato al centro, appartenuto ad un capitano che aveva sfidato il mare e aveva perso. 

«Ho visto che voi bipedi lo usate per ripararvi la testa anche se non capisco come facciate a sopportarlo. Potrebbe ripararti dal sole.» La bionda si sporse maggiormente verso l'interno della barca, per consegnare il cappello direttamente nel grembo della ragazza che non dava certo segno di volerla incontrare a metà strada per ringraziarla del pensiero gentile. 

Lo avrebbe voluto fare, in realtà, ma la vista del seno nudo della sirena le aveva congelato il sangue. Non che guardasse il seno alle ragazze, normalmente, ma Brittany glielo stava praticamente sventolando in faccia e Santana era una persona curiosa. Inoltre, era un'amante della bellezza e sapeva riconoscere una cosa bella quando le deliziava la vista: indubbiamente il seno più bello che avesse mai incontrato. D’improvviso, l’essere seduta le sembrò una gran benedizione: se fosse stata in piedi le sue gambe tremanti l’avrebbero certamente regalata al mare.

«Hai paura di me?» Tentò allora la bionda, nella speranza di sentire nuovamente, seppur per un secondo, la voce roca della mora. 

Santana si accigliò in fretta e fece un gran scuotere di capo, con le labbra sempre sigillate. 

«Non sembrerebbe.» Brittany incrociò le braccia sul bordo del peschereccio e posò il mento sull'avambraccio posto sopra l'altro. Sporse il labbro inferiore all’infuori e Santana ebbe qualche problema a trovare l’aria necessaria a farle funzionare il cervello.

«Non mi guardi neanche. Non ti piaccio?»

Come una bambina colta a rubare le ciliegie, Santana si sentì arrossire. La carnagione scura non lo dava molto a vedere, ma le sue guance presero fuoco. Avrebbe voluto dire che la verità era tutt’altra, che Brittany pur avendo le sembianze di una donna risvegliava in lei un desiderio che non aveva mai provato prima. Si limitò invece a dire «So cosa fate ai marinai.»

«Ma tu non sei un marinaio e io non sono come le altre sirene.» Osservò la bionda, con gentilezza sovrumana.

«Cosa dovrebbe farmi credere che non stai mentendo? Un cappello?!» Santana alzò i toni e questo sembrò disturbare la sirena, che per la prima volta prese le distanze dalla ragazza. Con uno sbuffo d’aria di frustrazione, la latina gettò il copricapo ai propri piedi, come se nella stoffa dell’oggetto fosse insito un pericolo nascosto.

«Dovresti metterlo sulla testa, Santana..» Suggerì con un filo di voce la creatura, come intimorita da un rifiuto. 

Santana sgranò gli occhi e per la prima volta si voltò per sostenere lo sguardo cristallino dell’altra. «Come sai il mio nome? Mi hai spiata?» 

A quelle parole la bionda sembrò realmente ferita. In parte perché era vero, in parte perché la cosa sembrava disturbare la ragazza. «È vero che ti ho seguita, Santana, ti ho controllata, ma solo perché tu continui a tornare da me.» 

Santana aggrottò la fronte. Tornare da lei? Se non la conosceva neanche?!? 

«Basta!» Sbottò allora, al limite della pazienza e della sanità mentale. «Tutto questo non è reale!» Brontolò esasperata, portandosi le mani sugli occhi «Il sole mi ha dato alla testa. Tu non sei reale, il tuo cappello non è reale e nulla di tutto questo sta succedendo davvero!»

«Ma io sono r–»

«Lasciami in pace!» urlò la mora in risposta a pieni polmoni.  Nuovamente la barca dondolò prima da un lato e poi dall’altro.

Quando Santana riaprì gli occhi non c’era più ombra della bionda, né del suo dono. 

Lo aveva davvero soltanto immaginato o era accaduto quello che aveva appena pensato di aver vissuto?

Scossa dall’esperienza, diede ancora un’occhiata alla rete –vuota - e più decisa di prima, dopo averla raccolta, si mise a remare per tornare a San Juan. 

Dovette bagnarsi la fronte più volte, non era abituata a ripiegare al molo sotto al sole cocente di mezzogiorno. Solitamente aspettava che questo fosse già nell’arco discendente e non al suo picco, conosceva le storie di quanti, stremati dalla fatica, ci avevano rimesso le penne. Si tolse anche la camicia per porla a riparo della chioma scura scottante, che per via del colore attirava ancor più luce. Per mille diavoli, si disse, se quel cappello fosse stato vero mi avrebbe tolto una bella seccatura

Quando finalmente intravide il molo, libero dagli altri pescherecci probabilmente ancora intenti a guadagnarsi la pagnotta, con cui il mare era stato più clemente, notò come prima cosa che il suo amico Noah non era lì ad aspettarla. 

La seconda cosa che la colpì, forte come una pagaiata ricevuta in testa, fu un oggettivo nero dalla forma familiare. 

Il copricapo era posato sulla cima del piolo a cui Santana era solita legare Bailarina


 


L'idea mi frullava in testa da un po' e ho deciso di rendervi partecipi delle mie fantasie.
Ogni capitolo avrà il nome del componimento musicale che lo ha inspirato e che quindi immagino come colonna sonora della storia narrata. Non è fondamentale conoscere le varie melodie, anche se a mio parere danno una sfumatura in più alla vicenda. 
Ho un paio di capitoli pronti che conto di pubblicare a cadenza settimanale. La storia intera non conterà più di cinque- sei capitoli al massimo. Baciotti a chi è ancora in questo fandom in decadenza! /m
(Ancora una volta, tutti gli errori-orrori sono miei. :3 Accettateli come vostri fratelli.)

 

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Capitolo 2
*** ASTURIAS ***


Per amor della sua sanità mentale, aveva deciso di tenere il cappello senza chiedere troppe spiegazioni in giro. Non dovette neanche domandare a Puck se quello scherzetto era stato opera sua, perché quando rincasò con quell’accessorio tra le mani le prime parole dell’ebreo furono «Per la bandana di Barbanera, non posso crederci! A chi hai fregato quel cappello, zappaterra fortunata?» 

Certo, l’idea che quella sua presunta allucinazione fosse in realtà accaduta realmente non era più allettante di quanto lo fosse la possibilità di una burla del destino, specie perché se fosse stato un dono di Puck o di qualche abitante del paese non avrebbe dovuto torturarsi al pensiero dell’esistenza delle sirene. 

Apprese, dopo una lunga consultazione con l’amico che osservava il cappello come il più grande tesoro, che era sicuramente appartenuto ad un pirata, perché “le donnine della marina britannica non hanno tanto buongusto” . Dalla condizione della stoffa, a dir di Noah, doveva trattarsi del copricapo di un pirata di ottimo calibro, proveniente da un’altra terra. “Non ne fanno di gioiellini del genere nei Caraibi”.

Santana pur di sbarazzarsi dell’oggetto che la costringeva a ricordare la non-più-allucinazione avuta in mare, si era offerta di regalarlo all’amico, che a giudicare dagli amorevoli commenti e complimenti che indirizzava al cappello sembrava apprezzarlo molto più di lei. Per sua sfortuna, Noah aveva rifiutato la sua offerta. Riteneva che fosse più appropriato sulla testa del fantasma di Borikén che su quella di un apprendista fornaio con un debole per l’oceano, e dire che Santana aveva evitato di nominare la sirena nel suo racconto anche per evitare che la superstizione di Noah potesse essere usata come pretesto per rifiutarsi accettare quel dono di seconda o terza mano. All’amico non aveva confessato tutta la verità anche perché mostrare le sue debolezze era un comportamento che la latina aveva sempre ripudiato. 

Tuttavia, non era riuscita a nascondere sufficientemente bene la sua preoccupazione in merito all’accaduto, così fu costretta a confessare di aver avuto un qualcosa di vagamente familiare ad un malore al largo. 

Dapprima Noah si era offerto - per meglio dire, le aveva imposto - di mollare quello straccio di lavoro che aveva guadagnato con impegno per dedicarsi interamente a Santana: non s’era mai vista una ragazza veleggiare nella vastità dei mari da sola. Anche ai mozzi, nelle stive e sui ponti che pulivano quotidianamente, spettava un compagno. Puck avrebbe preferito veder dannata la sua anima piuttosto che favorire le condizioni perfette per la scomparsa della ragazza tra le onde affamate di lupi di mare.

Santana ne fece una tragedia: non si era mai fatta mettere i piedi in testa da un uomo e non avrebbe certo cominciato da quell’energumeno. Le urla di rabbia provenienti da casa Lopez risuonarono con forza nel quartiere di San Juan Adjacent e per dimostrare che faceva sul serio la latina gli tenne in muso per tutta la sera, rifiutandosi inoltre di parlargli. Puck, in un tentativo disperato, provò a buttarla sulla sicurezza, perché di quello si trattava, ma la mora non vide ragione. Per quanto lui cercasse di farle capire che la reputava al pari di un uomo, questa continuava a dargli contro sostenendo che quell’improvvisa scenata fosse dovuta a null’altro che al senso di superiorità sessista del ragazzo.

Per l’ennesima volta fu Noah a fare un passo indietro, come aveva dovuto fare in numerose occasioni dalla nascita della loro amicizia. Essendo il senso di protezione verso Santana maggiore del suo orgoglio personale, l’ebreo le propose un compromesso accomodante per entrambi. Santana giurò, croce sul cuore, di esternare senza vergogna i momenti di debolezza fisica e Noah in cambio le promise di prendersi cura di lei sulla terra ferma. Quello era l’unico strumento in mano al ragazzo: stabilire assieme all’aiuto del medico del paese un tempo ragionevole di “riabilitazione” da trascorrere a terra in seguito a manifestazione di cedimenti del suo fisico.

Così, il giorno seguente, Santana fu costretta a restare sulla terra ferma. Attese con molta impazienza il ritorno di Noah dal lavoro, non riuscendo ad ingannare l’attesa in nessun modo. Era come se la vita senza il mare, per lei, fosse priva di emozioni. Si era alzata di buon ora per dare una ripulita alla casa che, fino a quel momento gestita dal ragazzo, cominciava ad assumere le fattezze di un porcile. Per quanto lavoro ci fosse da fare, in breve tempo la ragazza si ritrovò con le mani in mano a fissare il soffitto. 

Ad ogni modo, pur dopo un tempo che le parve infinito, Noah rincasò e senza neanche perdere un minuto per pranzare porse il braccio alla latina, che lo prese con riluttanza, e l’accompagnò fino alla casa dei curatori della città. 

H. y L. Berry leggeva l’insegna fatiscente inchiodata sopra alla porta. Santana ricordava cosa le aveva detto sua padre una volta su quei due.

Hiram e LeRoy erano giunti all’isola da ormai dieci anni e si diceva che fossero cugini alla lontana, con lo stesso cognome. Non avendo tracce alcune della loro vita prima dello sbarco in Porto Rico, i nativi furono costretti a credere a quello che i due guaritori, o meglio medici come preferivano essere chiamati loro due, dicevano quando interrogati sulla loro vita personale. 

Erano due persone per bene, riservate sì, ma con un gran cuore. Anche loro erano ebrei come Noah, ma a differenza sua i due avevano deciso saggiamente di insediarsi nel ghetto ebreo della città per comodità di professione. I portoricani, coloni spagnoli, non amavano vedere sbandierate fedi diverse da quella cristiana ed il fatto che gli ebrei si radunassero quasi in segretezza aiutava la convivenza generale, che alle volte manifestava comunque qualche screzio.

Quando Hiram e LeRoy giunsero a San Juan, con loro v’era anche una bambina della stessa età di Santana, dal carattere egocentrico e, per essere una femmina, un po’ troppo estroverso. Rachel Berry era figlia legittima di Hiram, dal quale la gente diceva non avesse preso neanche un capello, e viveva come immaginabile assieme al padre e allo zio, che non mancava mai di chiamarla e trattarla come una figlia. Non era raro sentire LeRoy richiamare l’attenzione della mora con un dolcissimo mija

I due misero su in fretta uno studio di cura aperto a tutti. Nonostante la religione differente, grazie alle conoscenze mediche dei Berry, sconosciute agli altri guaritori di San Juan, quel posticino divenne presto il centro di cura più frequentato della città portuale. Ciò aiutò moltissimo i Berry economicamente e socialmente, fu solo dopo essersi affermati come dottori rinomati che i tre cominciarono a vivere pienamente della vita politica ed artistica della capitale. 

«Noah! Cos’hai combinato questa volta? Ha di nuovo lasciato la mano sotto al – Doña Lopez!» La ragazza spuntata da dietro la porta per accogliere i nuovi pazienti di suo padre interruppe il suo monologo alla vista di Santana. Le aveva sempre incusso una specie di timore quella fanciulla dagli occhi neri privi di sensibilità. Squadrò per ben due volte la strana coppia che aveva davanti prima di farsi da parte, mettendosi a lato della porta. «Vi prego di perdonarmi, giuro di non aver perso le buone maniere. Per favore, accomodatevi.» 

I due fecero come detto e mentre Puckerman s’intratteneva a parole con la giovane Berry, Santana girovagò con lo sguardo all’interno della sala d’aspetto. La stanza in questione non era niente meno che il salotto di Hiram e LeRoy. La casa infatti era strutturata su due piani: quello inferiore veniva usato come studio medico vero e proprio, mentre al piano alto c’erano le stanze da letto dei tre. 

Davanti agli occhi di Santana, proprio di fronte a lei, c’era un clavicembalo premuto contro il muro. Aveva sentito dire che la ragazza lo suonasse per ingannare l’attesa dei parenti intrappolati nella sala, in attesa di notizie dei familiari trattati da Hiram e Leroy. Attaccati alle pareti, invece, c’erano diversi dipinti  raffiguranti paesaggi immaginari, esistenti solo nella fantasia di LeRoy, visto che ne portavano la firma. In opposizione allo strumento musicale si trovavano le scale che portavano al piano superiore e a fianco al primo scalino c’erano due panche di piccola misura, Santana si era messa a sedere su una di quelle.

«Avviso subito mio zio del vostro arrivo.» Sentì dire da Rachel, che come un gatto salì le scale per richiamare LeRoy. Era lui, solitamente, ad occuparsi dei casi meno gravi, ossia di tutti coloro che si presentavano alla loro porta con gli arti ancora attaccati alle giunture corrette e privi di sanguinanti visibili. Hiram, invece, si occupava del resto. 

«Potremmo prendere spunto da qua per casa nostra, ‘Anita.» Suggerì Noah, sedendosi accanto a Santana. 

«Casa mia è perfetta così com’è. Se non ti piace puoi sempre tornare a vivere dove vivevi prima.»Brontolò in risposta la mora, tropo irritata dall’intera situazione per rispondere pacatamente all’idiozia dell’amico.

Noah si ammutolì e rimasero in silenzio finché Rachel e LeRoy non si fecero vivi. Assieme, tutti e quattro, si accomodarono nello studio del pian terreno     dove dissero abbondantemente della situazione di Santana.

«Non è raro che accada tra la gente del mare.» Aveva inizialmente decretato l’uomo dai capelli ricci e la carnagione olivastra. «Immagino che i vostri pasti siano composti principalmente da pesce?» 

«Esclusivamente.» Si era intromesso Noah, che proprio non poteva stare con la bocca chiusa. «Non i miei, signore, io so variare. Accetto il pane e le verdure che la terra offre, ma lei è un palato difficile da accontentare.»

Santana aveva messo su un bel broncio, indispettita, ma non era bastato a scamparle l’amara diagnosi con conseguente cura: una dieta più corretta e completa per attrezzare il suo corpo di tutta la forza necessaria a tenerla in piedi anche sotto al sole cocente e la completa astensione dalle acque del mare per almeno una settimana. 

«Dovete riposare, pequeñita, se volete rimettervi in sesto.»

Sulla porta, come colpo di grazia, Rachel la congedò dicendo:«Non dovete preoccuparvi, il tempo passerà prima ancora che possiate accorgervene. Verrò a farvi visita giorno per giorno!»

Santana si era sentita morire. Le risposto che non era necessario, ma la giovane ebrea non sentì ragioni. 

Quelli furono i sette giorni più lunghi della sua vita. Rachel arrivava ogni giorno alla stessa ora e per quanto la sua compagnia fosse meglio di nessuna compagnia, la latina non riusciva a non considerare  come pura tortura i periodi di tempo a contatto con quella ragazza logorroica. Era certa che a fine giornata, pur non avendo fatto niente, era più stanca di quanto sarebbe stata se solo fosse uscita a pescare. Le uniche note positive arrivavano quando la piccola Berry anziché inondarla di parole le chiedeva di parlarle del mare, unico luogo in cui per mancanza di coraggio e di possibilità non era mai stata.



Dopo una settimana trascorsa lontano dal suo unico grande amore, la latina non poteva dire di sentirsi realmente rigenerata né felice e come un assuefatto all’oppio in astinenza, la mattina dell’ottavo giorno aveva deciso in gran segretezza di tornare al molo per ricominciare la sua mansione. 

Era uscita prestissimo e si era mossa nel silenzio più religioso: non aveva nessuna intenzione di svegliare quell’orso di Noah che sicuramente avrebbe tentato di dissuaderla e fermarla, facendole perdere tempo prezioso.

Il cielo era cupo, non per l’assenza del sole che ancora doveva nascere ma per i grossi nuvoloni di tempesta che appesantivano l’orizzonte. Ma a Santana, che per sette estenuanti lunghe notti non aveva toccato l’acqua salata dell’isola e si era sentita morire giorno dopo giorno, tutto ciò non importava. 

Il mare era sempre stato gentile con lei e lei non era una stolta. Sapeva quando rispettare le sue leggi, sapeva quando realmente era necessario portare la barca a riva al riparo dalle onde, conosceva la potenza del mare in burrasca e quel cielo non le sembrava richiedesse tali misure. 

Sopra San Juan la volta celeste non gridava morte e distruzione. Pittoresco, si disse mentre armeggiava per slegare la cima che teneva Bailarina vincolata al molo. Era vero, se non altro il paesaggio aveva acquisito quel gusto in più che i villeggianti Spagnoli tanto amavano. 

Nero sul cielo lontano, azzurro misto a grigio sopra alla sua testa. Qualche barchetta come la sua ormeggiata in porto, le ombre dei marinai assopiti solo immaginabili lungo il legno del molo. Poi lui, il mare, oggetto di ogni suo pensiero: un deserto di blu intervallato dalla schiuma bianca delle onde che s’infrangono l’una sull’altra. 

Avrebbe piovuto? Con ogni probabilità. Le onde sarebbero diventate grandi? Sicuramente, ma la latina contava di avere almeno un paio di ore prima che tutto ciò accadesse ed era decisa a sfruttarle al meglio. 

Con il cappello in testa salpò alla volta del mare aperto, se non raccogliere i frutti di una grande pesca almeno per godere della quiete che la distesa di blu aveva da offrire. 

Don Comacho le aveva ripetuto allo sfinimento che un vero pescatore ha fiducia nel mare e accetta le sue scelte e le sue sfide. Un pescatore non si oppone al suo destino perché giorno dopo giorno gli abissi portano alle loro reti i loro frutti, vite e vite di esserini squamati senza i quali un uomo come lui, e adesso una donna come lei, perirebbero in breve tempo. Le aveva detto che capitava quindi che, in cambio di tutta questa gentilezza, l’anima del mare prendesse qualche nave, per tenerne i tesori rubati, o la vita di qualche uomo sciagurato, che pagava il prezzo per l’intera umanità. 

Il vecchio lo aveva visto più volte: navi spezzate dalla forza delle onde, uomini a mare trascinati in basso dalla corrente. 

Per gentilezza o per dimostrare l’apprezzamento del pasto, capitava anche che la distesa blu sputasse qualche vestito, pezzi d’indumenti. 

Dà qualcosa su cui piangere alle vedove, diceva, e qualcosa da rubare ai pirati di fortuna

Sapeva di poter sfruttare la tempesta al meglio prima dell’arrivo della pioggia. 

Negli anni, con l’esperienza e la documentazione, aveva imparato molte cose sui pesci. Aveva scoperto, ad esempio, che questi tendono a cibarsi maggiormente prima dell’arrivo di un abbassamento di temperatura. La ricerca disperata di cibo li spinge a cercare anche a pelo d’acqua. Alcuni di loro, forse impazziti, cominciavano anche a saltare in presenza di un cielo in tempesta, come per avere uno scorcio del mondo degli umani prima di ritornare, soddisfatti, tra le alghe e le stelle marine. Se Dio desiderava, qualche pinna sfortunata anziché ripiombare tra le acque in cui era nata finiva nel legno della barca di qualche pescatore e allora la festa era doppia. 

Santana diede uno sguardo alla debole ombra della barca riflessa sull’acqua: l’ora era ottimale e il punto raggiunto dalla mora si rivelò vincente: gettata la rete, dopo poco tempo cominciò a raccogliere i primi frutti. 

Tra la meraviglia verso il mondo marino e la felicità per la prospettiva di un’ottima giornata di pesca dopo sette giornate di secca, il tempo volò. Passò talmente in fretta che trascorse senza che Santana se ne accorgesse. Quando le prime gocce di pioggia le bagnarono il viso, la ragazza capì il suo errore e quasi si mangiò le dita: aveva atteso troppo a lungo. Si era lasciata incantare.

Alzò lo sguardo verso il cielo, che mai fu clemente verso gli uomini, e tutto ciò che vide fu nero. Anche verso la costa il tempo sembrava essere cambiato, non c’era più traccia di quell’azzurro grigio delle nuvole amiche. Come aveva fatto a non notarlo?

Rombo di tuono in lontananza, onde spettacolari ma poco amichevoli all’orizzonte, la barca piegata dal lato della rete ormai stracolma di pesci d’ogni tipo. 

Tutto ciò che poteva fare, oltre al remare in direzione del porto troppo, troppo lontano, era pregare: pregare perché Bailarina resistesse anche a quell’avventura, pregare che il mare le concedesse salva la vita un’altra volta.

Se ritorno a riva giuro che per prima cosa imparo a nuotare.

Tentando di tenere lontana la paura, stillò alla svelta una lista di priorità da tenere in quella situazione, poi agì. Non aveva fatto tutta quella strada per niente e non era intenzionata a lasciare il suo bottino alle onde.

Si sbrigò a raccogliere la rete, troppo pesante per essere caricata a bordo con la solita velocità e leggerezza. Ci mise il doppio del tempo che impiegava solitamente e dovette anche alzarsi in piedi per sfruttare al massimo le sue forze. A minare la sua stabilità, sferzate di vento improvvise. 

Era come se il cielo ed il mare fossero in competizione in una gara a chi ha più forza. Una sfida a braccio di ferro tra le forze della natura in cui Santana si ritrovò sfortunatamente schiacciata tra i palmi dei due opponenti. 

Quando ebbe finito di caricare la barca, si mise nuovamente a sedere e per quanto sapesse che fosse controproducente e sfiancante, prese i remi e cominciò a vogare verso casa.

Indipendentemente da quanto Santana remasse, la corrente sembrava volerle impedire di far porto a San Juan. 

Le raffiche di vento ad intervalli quasi regolari la tiravano indietro, verso il largo, ogni metro guadagnato con fatica e sudore della fronte era un metro perso per volere del cielo. 

In poco tempo la sua camicetta era già fradicia dal misto tra pioggia e acqua salmastra, era un miracolo che il cappello di cui aveva accettato la presenza fosse ancora seduto sul suo capo e non fosse ancora volato via. 

In quell’inferno la barchetta gialla e rossa non faceva che prendere gran boccate di acqua, offerta dalle onde che sballottavano il legno da una parte all’altra senza pietà. 

Era davvero l’inferno: il continuo scrosciare dell’acqua non dava pace alla sua anima e le onde, una dopo l’altra, continuavano ad infrangersi sulla prua della barca. Non un attimo di respiro.

Prima a destra, poi a sinistra, acqua su acqua, colpo su colpo. Imperterrito il mare costringeva Bailarina a salire e scendere in un moto eterno di dannazione, non importava quanto Santana stesse facendo per mantenere un po’ di stabilità, non era destinata a mantenerla. 

Le onde le si infrangevano addosso senza pietà da ogni fronte. Nel momento di risacca era il vento a tormentarla, i suoi capelli sembravano aver preso vita da tanto svolazzavano nell’aria. 

Una stretta al cuore. Se cado in acqua è la fine.

Il fragore dei tuoni le ricordavano costantemente che no, non sarebbe riuscita ad uscirne viva. Non era il pessimismo a parlare, bensì la realtà dei fatti: avrebbe potuto dire due volte la coroncina del rosario che le sue preghiere questa volta non sarebbero state ascoltate.  

E di nuovo, colpo su colpo, acqua su acqua, non un attimo di respiro. L’impatto con il mare burrascoso la portava talvolta a colpire con gli arti inferiori la parte interna della barca, i pesci pescati non riuscivano più a capire se era il mondo degli umani quello in cui si trovavano o quello in cui erano nati. 

Nella disperazione, per far guadagnare qualche centimetro in superficie alla barca, Santana mollò i remi per gettare freneticamente l’acqua fuori da Bailarina

Per un attimo ebbe la sensazione di esser salva perché il mare dietro di lei pareva esser diventato piatto. Non fu che un istante di pura illusione: il mare alle sue spalle era sì piatto, ma solo perché l’aveva spinta sull’orlo di un’immensa onda fronteggiata, dall’altra parte, da un muro d’acqua anche maggiore. 

Santana ebbe solo il tempo di prendere l’ultimo respiro prima di essere travolta dalla potenza del mare. 

Gli ultimi istanti avvennero a rallentatore: il vento aveva spostato la barca perché anziché infrangersi di prua contro l’onda, Bailarina picchiò di striscio, sul fianco. Quando l’onda si chiuse su sé stessa, come una bocca affamata che si chiude sopra al proprio boccone, la barca fece come un lampo a rovesciarsi. 

Guardando in alto, Santana si disse che per una come lei, questo era forse il modo più dolce di dire addio alla terra dei vivi. Vide il cielo nero darle un ultimo saluto, poi come un sipario che si chiude per celare le quinte, così il mare fece la sua comparsa e centimetro dopo centimetro coprì, sopra la sua testa, ogni straccio di nuvola.

L’acqua fu l’ultima cosa che vide.

 

 

La prima cosa che sentì, fu il dolce sciabordare che tanto le era familiare. Nulla di paragonabile allo scrosciare del mare in tempesta: il dolce rumore che l’acqua crea quando, con amore, abbraccia la riva. Quando insistentemente, a intervalli regolari, ricorda alla terra ferma che in qualsiasi stagione, in qualsiasi condizione, l’unica certezza è la sua presenza. Una promessa, mare e terra come marito e moglie. Solo più fedeli.

La seconda cosa che sentì, fu una strana sensazione. Come uno zampettio sul braccio, di zampe piccole e appuntite. Avrebbe volentieri aperto gli occhi per controllare chi o cosa causasse lo strano formicolio, ma tutto ciò che vedeva era il buio. Nero completo. Non riusciva neanche ad ordinare ai suoi muscoli di muoversi.

Se questo è l’inferno, si disse, potrei abituarmici.

La terza cosa che sentì, fu l’acqua che timidamente le bagnava i piedi nudi. Per un momento, per un momento soltanto, le sembrò che l’acqua fredda fosse riuscita a risvegliare le sue dita, che rabbrividendo al contatto si erano ritratte, impaurite.

La quarta cosa che sentì, fu un pizzico, dolorosissimo, sul labbro inferiore. 

Quello la portò ad aprire gli occhi e, come se fosse venuta alla vita per una seconda volta, si tirò su di scatto per tossire, quasi non fosse più abituata a respirare l’aria che le bruciava i polmoni. Non era sicura di ciò che era successo, ma nel movimento si era sentita urlare. Quando aprì gli occhi un’altra volta, trovò subito la luce del sole fastidiosa, specie quella riflessa sulla spiaggia formata da fine sabbia bianca. Una tortura.

Peggio della voce di Berry? No, niente di tanto insopportabile.

Il pulsare del suo labbro inferiore le ricordò che doveva esserle successo qualcosa proprio in quel punto. Quindi, mentre con la coda dell’occhio osservava un granchio giallastro di modeste dimensioni allontanarsi, si portò il dorso della mano alla bocca. 

Doveva essersi tagliata, perché una buona dose di sangue riversava dal suo labbro. Mi mancava il labbro spaccato

Fortunatamente per lei, si diceva che il sale del mare curasse ogni ferita. 

La quinta cosa che sentì, fu una risata. Una risata familiare, incantevole, delicata. 

Quella risata. 

Santana alzò immediatamente lo sguardo per portarlo verso il mare: il deserto. Una distesa d’acqua calma, sgombera. Uno scroscio portò la sua attenzione verso un gruppo di scogli poco lontani dalla riva. Le sembrò di scorgere un guizzo argentato.

Malamente si mise in piedi, per avvicinarsi maggiormente ai grossi sassi di mare, ma dopo pochi metri cadde. Le sue gambe, stanche, avevano qualche problema a tenerla in piedi. Glielo stava gridando ogni fibra muscolare, siediti Santana

Ma testarda, Santana si rialzò. Ondeggiò come un fuscello scosso dal vento, con i piedi ancorati nella sabbia, ferma, in attesa di un segnale. 

Un gabbiano si avvicinò similmente agli scogli immersi nell’acqua, ma fu subito allontanato dalla coda argentata, che sembrava parecchio infastidita dalla presenza. 

Santana non ebbe dubbi e neppure il suo cuore, che come un pazzo aveva cominciato a martellarle il petto: si lanciò in una maldestra corsa verso il mare. «Tu!» Urlò, come una pazza, mentre con l’acqua che già le arrivava alle ginocchia avanzava passo dopo passo dentro alla distesa di blu. Un altro scroscio le fece temere che l’apparizione che si era presentata a lei se ne fosse già andata, o fosse in procinto di farlo. «Aspetta!» 

Fece giusto in tempo a terminare la parola che intravide nell’acqua davanti a lei una chiazza gialla, seguita da una maestosa coda di pesce, avvicinarsi a lei. Santana fece dei grossi passi indietro, come impaurita da un possibile attacco. 

Nel giro di un secondo, ad un metro da lei, la creatura si erse statuaria dall’acqua. Il suo corpo era nudo, le sue gambe tremanti ed instabili quanto quelle della latina giusto pochi secondi prima. Il suo volto era rilassato, in grado di trasmettere una certa quiete. 

«Ben svegliata.» Azzardò incerta la creatura. Prima che potesse anche solo provare a muovere un passo verso la latina, l’incalzare dell’onda flebile dietro di lei le fece perdere l’equilibrio. Santana fu lesta nell’andarle incontro.

Le sue braccia si strinsero attorno al busto della bionda e a quel contatto un ricordo confuso affiorò alla sua mente. 

Immagini appannate e sfuocate si susseguirono davanti ai suoi occhi. Si ricordò di come l’acqua attorno a lei diventasse sempre più scura e la superficie solo una luce lontana. Poi di nuovo quella coda argentata, una stretta ferma attorno alla vita. Le forze farsi più rare, la continua disperata e illogica ricerca di ossigeno anche in mezzo al mare.

«Mi hai salvata.» Non fu che un sussurro, ma bastò alla bionda perché annuì flebilmente. «Perché? Il tuo lavoro non è salvare i marinai, ma annegarli.»

«Ma tu non sei un marinaio, Santana. Non è quello che desidero per te.»

La mora aggrottò la fronte, visibilmente confusa dall’affermazione della creatura marina che, come un agnello appena nato, si ergeva instabilmente tra le sue braccia. Brittany lesse i dubbi sul volto stanco della latina, le sue sopracciglia scure aggrovigliate chiedevano, esigevano gridando a gran voce una spiegazione. «Appartengo al mare e il mare appartiene a me. Conosco i suoi desideri perché i suoi desideri sono anche i miei.»

Santana prese il suo tempo per decifrare e comprendere quello che le era appena stato comunicato. 

Ripensò alla prima volta che era salita in barca con Don Comacho. 

Il giorno prima l’uomo si era lasciato convincere dalla bambina solitaria che sedeva triste sulla spiaggia e che instancabilmente guardava i marinai salpare luna dopo luna, con aria sognante. La ragazzina non poteva certo sapere che in quello che sarebbe stato il suo primo giorno in mare, quest’ultimo sarebbe stato agitato. 

«Conto fino a cinque, poi me ne vado senza di te.» Gracchiò il vecchio, che già si era pentito di averle dato la possibilità di prendere il largo assieme a lui. 

Santana era solo una bambina, spaventata dalle onde irrequiete che sballottavano la barca a remi dell’uomo. In più, il fatto che non sapesse nuotare non la invogliava certo a buttarsi nell’oceano con quel tempaccio. Ma era la sua unica occasione, prendere o lasciare. Così si fece forza e si convinse a lasciare andare il resto della gonna che fino a quel momento aveva stretto in pugni chiusi. «Lo faccio, lo faccio!» 

Sbottò veloce per fermare la conta del pescatore, che aveva già quattro dita alzate. 

Chiuse gli occhi dopo aver calcolato bene le distanze e posò prima un piede all’interno della barca, poi l’altro. Come fu seduta, il vento gradualmente cessò il suo incalzare e le onde si fecero più gentili. 

«Gli piaci», aveva semplicemente detto Don Comacho, con il sorriso di chi la sa lunga. Santana, troppo spaventata e troppo ingenua per indagare oltre, aveva semplicemente accennato un sorriso. 

Poi le tornò alla mente l’avventura dell’anno passato, quella che le aveva fatto conquistare il titolo di fantasma di Borikén. Quando la sua barchetta si era mossa tra i giganti della marina britannica, come mossa da uno spirito proprio. 

Le sue labbra si dischiusero lentamente, fino a formare una “o”. 

Brittany approfittò del momento per raccogliere un po’ di acqua con le mani e gettarla sul labbro inferiore della latina, tagliato dalla chela di granchio. Santana fu costretta ad abbandonare i suoi pensieri perché quel gesto la colse inaspettata. 

«Brucia un po’, lo so, ma almeno smetterai di sanguinare.» Si giustificò la bionda, con una breve risata.

«Sei stata tu.» Mormorò Santana, alla quale delle condizione del proprio labbro non importava più di molto. «Sei stata tu tutte quelle volte.»

Brittany annuì, ma lo fece senza il solito sorriso che accompagnava ogni sua movenza. Sapeva già che da lì a poco, Santana avrebbe messo insieme tutti i pezzi del puzzle e la riconoscenza sarebbe stata sostituita alla svelta da ben altri sentimenti.

«Sei .. stata tu.» Disse ancora, con voce ferma e testa alta. Poi, come disgustata, la mora sciolse la presa che teneva in piedi Brittany ed indietreggiò alla svelta. Se era in grado di controllare le correnti e le onde del mare, allora..

«La tempesta.. Sei stata tu! Sei stata tu a distruggere la mia barca!»

Il cenno del capo della bionda fu appena visibile, ma bastò come conferma. «Avevo bisogno di parlarti.»

Furiosa, con un diavolo per capello, Santana le girò le spalle e a grandi passi, calciando  impulsivamente l’acqua, tornò a riva. 

Non poteva credere alle sue orecchie. Aveva infranto la promessa fatta a Llorenço Comacho in punto di morte, non era stata capace di prendersi cura della sua barca ed il tutto perché quella bionda meravigliosa dalla mente diabolica doveva parlarle. 

Aveva perso letteralmente tutto quello che possedeva perché una sirena aveva bisogno di parlarle! 

«Brittany era tutto quello che avevo!» Le urlò rabbiosa, voltandosi solo per constatare che la sirena era rimasta dove l’aveva lasciata. 

Per un attimo la sirena sorrise, come rallegrata dal fatto che la latina ricordasse il suo nome, poi si incupì. «Perdonami,» rispose l’altra, con la testa bassa, «ero arrabbiata. Pensavo non volessi più vedermi dopo quello che hai detto l’ultima volta.»

«E hai pensato che tentare di uccidermi fosse un buon metodo per farmi cambiare idea?» 

«Se fosse vero quello che dici ora non saresti viva. Il mare ottiene sempre quello che desidera.» Mormorò timidamente la sirena, che nel mentre a gattoni era avanzata fino alla riva. «Non ti ho più vista per giorni, Santana, avevo bisogno di stare con te.»

«È colpa tua se sono sparita!» Sbottò acida la latina. 

«Non mentire a te stessa.» Rispose calma la ragazza del mare. «La paura è un sentimento umano ed è stata lei a tenerti schiava, non io.»

Santana non poté fare a meno di notare il modo in cui la sirena aveva pronunciato la parola umano, come se lei non capisse quel genere di emozioni. Eppure l’aveva vista con le sembianze umane, il suo viso era quello di una donna. Come poteva disprezzare parte di ciò che la componeva? 

«Ma non ha importanza, adesso. Sono felice che il tuo amore abbia vinto la paura. Ma tu non sembri felice di rivedermi.»

La mora si morse la lingua. Quella sirena l’aveva fatta impazzire, aveva sabotato la sua uscita in mare e le aveva distrutto la barca. Poteva essere felice di vedere lei?  

«Scusami se non capisco perché sia stato necessario coinvolgermi in una tempesta per vederci. » Optò per una risposta a metà. 

«Se te lo spiegassi non capiresti.» Disse inizialmente la sirena, con fare sbrigativo. Poi, notando che il viso della latina aveva già cominciato a farsi grigio di nuovo, si corresse. «Siamo creature impulsive, Santana, distruggere è nella nostra natura. Distruggiamo per ottenere quello che desideriamo, lo avrai di certo sentito dire.»

Santana, stanca e confusa, sconsolata e priva ormai della forza per ribattere si limitò ad annuire. Rivolse lo sguardo al cielo, domandandosi se mai fosse servito a qualcosa pregare Dio perché la salvasse dal mare tutte le volte in cui si era rivolta a Lui.

Il suo destino non sembrava più dipendere da quel Dio di cui tutti parlavano, alla luce delle nuove rivelazioni. Poi, con fare disfattista, ripose l’ascia di guerra e si avvicinò alla sirena seduta sulla sabbia. 

Si sedette accanto a lei e non poté fare a meno di notare quanto le sue gambe, pur ricoperte da qualche alga, fossero slanciate e marmoree. Era la prima persona così bianca che vedeva. 

«Non so nuotare.» Le confessò, come se fosse un gran segreto. Come se potesse cambiare qualcosa in tutto quello che era accaduto, come se piagnucolare ad una creatura marina potesse ridarle indietro Bailarina

«Lo so.» Rispose sorridente la bionda. Sembrava quasi andasse fiera di quella piccola informazione. Allora Santana le domandò:

«C’è qualcosa che non sai di me?»

La bionda annuì, posando la mano sul dorso di quella di Santana. «Non so quanto è grande il tuo amore per me.»

La mora sentì un brivido scenderle lungo la spina dorsale. Quel tono di voce, l’espressione insicura dipinta su quel viso ammaliante.. D’improvviso capì le storie dei marinai che aveva sempre ritenuto folli per aver consciamente detto addio a questo mondo per una sirena. In quel preciso istante anche lei avrebbe fatto di tutto per vedere un sorriso su quelle labbra.

«Come posso dimostrartelo?» 

Era sicura di averle già dimostrato fino a che punto si fidasse di lei, solo il fatto che più volte avesse sfidato il mare aperto senza neanche saper nuotare doveva pur significare qualcosa nei sentimenti non umani della sirena. 

La mano di Brittany sulla pelle di Santana cominciava ad essere più bagnata e leggera di quanto era sembrato in precedenza. 

Per sentito dire, sapeva che le sirene, dopo un lungo periodo fuori dall’acqua, si trasformavano in schiuma. Brittany sembrò avere la stessa preoccupazione perché, mentre tentava di alzarsi in piedi con poco successo, sussurrò confusamente «Ora è tardi, devo andare.»

A Santana si strinse il cuore. Si cinse le spalle con il braccio della sirena e sostenendola con la mano libera l’aiutò ad alzarsi. 

Dopotutto, le doveva la vita. Ritornarle il favore era il minimo che potesse fare. 

 




***
Spero il capitolo vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me. Nel prossimo avremo il vero inizio dell'intera vicenda, che renderà la storia più movimentata. Fino ad allora, ciurma dei 115, siete liberi di tracannare rum a galloni. 
A mercoledì prossimo! 

 

 

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Capitolo 3
*** LA PALOMA ***


LA PALOMA


Ritornare a San Juan non fu per niente facile. Santana non sapeva neanche in quale parte dell’isola si trovasse al momento. 

Aveva fatto dei calcoli mentalmente, usando ciò che ricordava della tempesta. Per esempio, ricordava chiaramente che il vento era di scirocco, proveniente da sud ovest. Ricordava con terrore come cercasse di remare a sud, per rivedere il molo settentrionale di San Juan, ma le raffiche la spingevano indietro.

Poteva essere finita a Palo Seco o a Toa Baja, luoghi che conosceva solo per sentito dire. Trovò la sua risposta solo addentrandosi all’interno della flora da cui nasceva la spiaggia. Conciata com’era, dubitava che se anche si fosse imbattuta in una città qualcuno si sarebbe fermato per prestarle servizio. 

Non che l’eventualità di trovarsi su un’isola deserta la spaventasse più di tanto, comunque, aveva già fatto i conti con la solitudine e con i problemi quotidiani della sopravvivenza nella natura selvaggia. Ciò che realmente la spaventava era non avere uno straccio di imbarcazione con cui fare ritorno a San Juan. 

Dopo una giornata di perlustrazione, vide le sue paure concretizzarsi. Prima di addormentarsi, per la prima volta nella sua vita, si domandò cosa ne fosse di Noah. Era preoccupato per lei? Era andato a cercarla? 

La mattina seguente fu il sole a svegliarla. Fu facile così identificare due punti cardinali e ricavare gli altri due. 

Seppur lo stomaco cominciasse a farle male per la fame, Santana mise da parte i bisogni primari per far fronte a problemi più grandi. Aveva scorto, durante la perlustrazione del giorno precedente, numerose palme e un buon numero di tronchi. 

Non aveva bisogno di una zattera perfetta, né di una zattera spaziosa. Aveva bisogno di qualcosa di resistente per tornare a casa. 

Il lavoro fu stancante, le sue mani, a forza di strappare foglie di palma con cui tenere insieme i vari pezzi di legno, si erano riempite di tagli. Dire che a fine giornata, alla luce del sole del tramonto, Santana avesse delle perplessità sulla riuscita del suo piano sarebbe riduttivo. 

La fiducia della mora, tuttavia, non era riposta nelle sue capacità di carpentiere improvvisata, ma nel mare. 

Le stelle avevano già fatto la loro comparsa quando Santana si decise, dopo gli ultimi “perfezionamenti”, ad avvicinare quell’ammasso di legna al mare. 

È fatta di materiale galleggiante, Santana, non può sprofondare.

- Può sprofondare se si slega.

Se dovesse slegarsi mi aggrapperò al tronco più grosso e pregherò il Signore.

Annuì alla voce che le stava dando manforte, d’altronde quali possibilità aveva? O si gettava o restava su quell’isola a morire di fame. 

«Non so quanto è grande il tuo amore per me.» L’eco delle parole della sirena le tornarono in mente nel momento più appropriato, come ulteriore spinta positiva. Dimostra a Brittany quanto ami il mare.

Raccolta ogni fibra di coraggio, Santana mise i piedi nell'acqua, affiancata ad ogni passo dalla zattera di fortuna che era riuscita a costruire nel giorno. Ad occhio, dire che misurasse più di un metro e mezzo quadrato era dir tanto. 

Per remi aveva null'altro che le mani e raccolte nella camicia logora, adoperata come un fagotto da picnic, qualche frutto che aveva messo da parte per il viaggio. 

Si era accorta durante il giorno di aver già perso il cappello di pelle che le era stato donato dalla sirena. In quanto persona di mare, a modo suo, la mora era troppo superstiziosa per non pensarlo come un cattivo auspicio, come se il mare si fosse già ripreso parte di quello che le aveva dato ed ora fosse impaziente di strapparle via dalla carne anche l'anima. Rabbrividì al pensiero, ma era ormai tardi per fare marcia indietro.  

Con le stelle per bussola, Santana navigò con lo sguardo alto tutta la notte. Aveva la possibilità di correggere grossolanamente, di tanto in tanto, la rotta, nonostante le correnti le stessero prestando un grosso aiuto. 

Prima dell'alba le parve di scorgere terra in lontananza e così fu realmente. Fece il possibile per avvicinarsi senza infrangersi sulle scogliere. Da lì, alla luce del sole, decise di costeggiare l'isola fino a San Juan, di modo che se anche un'onda avesse travolto e capottato quello scorcio di bosco galleggiante, gridando abbastanza forte, qualche pescatore potesse salvarla. 

Arrivare al molo in cui aveva passato anni della sua vita fu quanto di più stancante. Quando, accompagnata dal rossore soffuso del tramonto, raggiunse finalmente il porto sicuro, amorevolmente familiare, era certa di essere allo stremo delle forze. 

La zattera resistette fino alla riva, poi si aprì in due sotto al peso di Santana. Con le labbra e la pelle arse dalla salsedine e secche per la disidratazione, la mora alzò lo sguardo verso il borgo. 

A giudicare dal gruppetto di persone che l’additava e dal numero di persone che invece, più umanamente, le stava correndo incontro, il suo ritorno non era passato inosservato. 

Quel giorno arrivò a casa grazie a Noah, che dopo essere stato avvisato corse in portò alla velocità della luce per prestare soccorso all'amica, come promesso qualche tempo prima. 

Santana non era mai stata tanto felice di trovarsi sulla terra ferma. 


Senza più barca e senza più reti, Santana non aveva un futuro roseo ad attenderla. Aveva già contato i soldi che aveva messo da parte vendendo i frutti del mare, ma non erano neanche lontanamente sufficienti a permetterle di comprare una barca nuova. 

Nonostante tutto, non riuscì a resistere al richiamo del mare. Andò al molo per offrirsi come mozzo ad ogni equipaggio che ombreggiava, ma nessuno voleva avere a che fare con una donna, per di più una donna con quel tipo di  reputazione. 

Fantasma di Borikén, figlia del diavolo, ormai aveva sentito di tutto sul suo conto. 

Per calmare il suo animo irrequieto e quasi vinto, passeggiò sulla spiaggia di sabbia dietro casa di Don Comacho, lasciata a se stessa dopo la scomparsa del buon uomo, che in vita se ne prese cura come di una figlia. 

«Ti ho trovata.»

Non aveva neanche bisogno di voltarsi per sapere a chi appartenesse quella voce. L'unico suono umano in grado di darle pace al cuore. 

Santana accennò un sorriso, domandandosi se realmente la ragazza l'avesse cercata ai quattro venti o se fosse solo un modo per iniziare la conversazione. Nel cuore, il timore che non le importasse molto della differenza, non con quel viso angelico  vicino a sé. Fermò il suo passo quando giunse di fronte a lei, non l'aveva mai incontrata al chiaro di luna. Per quanto possibile, sembrava più bella che mai con il pallore della stella a risaltarne i lineamenti. 

Bella e dannata. 

«Se non ti conoscessi direi che non sei felice di vedermi. Cosa ti rattrista?» domandò pacata la sirena. 

«No, al contrario. Sono qui per te.» cominciò la mora, ostentando un altro sorriso. Poi si corresse: «Sono qui grazie a te,» si rivolse alla donna con voce riconoscente, consapevole della veridicità di quelle parole povere. Infine, con una straziante malinconia, aggiunse «ma non ho più niente.»

La sirena parve non capire. Sdraiata prona sulla sabbia scura e fredda della notte, dopo aver incrociato le braccia sotto di sé alzò lievemente il busto, per vedere meglio la latina in viso. Certe cose vanno dette con gli occhi fissi su quelli di chi ascolta.

«Hai il mio cuore, non è abbastanza?» 

Santana sgranò gli occhi, aveva capito bene? Certo, sapeva che la bionda parlasse per conto del mare, ma sperava che potesse godere di avere anche il cuore della sirena. 

Sono creature senz'anima, dannate in eterno. Incantano gli uomini e dopo averli stregati li portano negli abissi per divorargli la carne. Sperano che nella carne sia nascosta anche l'anima: solo rubandola possono averne una. Non farti convincere dal loro inganno, non hanno cuore e mai l’avranno. 

Oh, Don Llorenço, se solo potessi aiutarmi adesso.’  Non era una stolta: sapeva che se anche l’uomo fosse stato lì presente in carne ed ossa e con la forza l’avesse portata via dalla creatura, non sarebbe stato sufficiente. 

Era tardi ormai per rimediare agli effetti di un corteggiamento durato anni, Santana avrebbe continuato a cercare il mare, e con lui Brittany, per il resto della sua vita.

«E tu hai il mio.» Santana ruppe il gradevole silenzio che era calato su di loro parlando sinceramente. 

«Lo so, adesso.» completò Brittany, che con le dita disegnava di chissà quale mondi sulla sabbia bagnata. «È stata una prova di fiducia molto forte..» 

Santana capì dal modo in cui la sirena aveva preso a mordicchiarsi il labbro che non era tutto, c’era di più, e questo di più che Brittany cercava doveva essere qualcosa di tanto immenso da mettere a disagio anche una creatura come lei. 

«Ma?» Provò a incoraggiarla la pescatrice, che nel frattempo si era seduta di fronte a lei, dove la sabbia era asciutta e non c’era rischio di bagnarsi gli unici calzoni che le erano rimasti da indossare.  

«Siamo creature diverse, Santana, abbiamo modi diversi di esprimere il nostro amore o di richiederlo.»

La mora inclinò lievemente la testa da un lato, come se potesse aiutarla a decifrare quello che Brittany, per un motivo o per un altro, si rifiutava di dirle. «Ora sei tu quella che non sembra felice di vedere me.» Borbottò la latina, increspando già la fronte. 

«È proprio questo il problema.» Commentò la sirena, sempre presa dalle figure astratte che, sotto alle sue dita, prendevano vita sulla sabbia. «Sono felice di vederti, ma non mi basta.»

«Io non capisco, » la interruppe la pescatrice, ancora provata dall’esperienza vissuta per dimostrare quanto fosse grande il suo amore per il mare. Aveva affidato la sua vita in mano a Brittany, l’aveva lasciata al giudizio delle onde dell’oceano. Come poteva non bastare? Cosa poteva fare ancora?

«Quando voi umani vi amate non cercate forse di più di un semplice vedere?» Domandò Brittany, senza lasciare alla latina la possibilità di dar voce ai suoi dubbi. «Non bruciate dal desiderio di possedervi in modo esclusivo?»

L’unico modo in cui il desiderio, al momento, bruciava Santana, più che essere esclusivo era carnale. Deglutì sonoramente, la bocca asciutta per l’improvvisa agitazione, gli arti congelati. Dì qualcosa. «I-io..» 

«In un certo senso siamo simili.» Proseguì la sirena, del tutto indifferente alla reazione della mora. «Ma quando il mare ama qualcuno..»

Gli distrugge la barca. Santana fu tentata di dirlo, ma la serietà negli occhi di Brittany, solitamente accessi dalla voglia di scherzare, la convinse a desistere e a rimanere in silenzio ad ascoltare.

«…Offre una certa cosa incambio di un’altra.» 

Brittany alzò lo sguardo per incontrare quello di Santana, come per assicurarsi che la stesse ancora ascoltando. 

«Cosa offre?» 

«Quello che io posso offrirti,» riprese la bionda, con una voce tanto suadente da scivolare come seta pregiata dal mare alle orecchie di Santana, «è il dominio dei mari.»

Alla mora crollò la mascella. Il dominio dei mari. Il controllo dei mari affidato per la prima volta ad una donna e quella donna sarebbe stata lei. Poi però, suonò un campanello di allarme nella sua testa che le mise un po’ di sale in zucca. Era troppo bello per essere vero, doveva esserci una sorta di inganno, un contro. 

Se l’offerta era il dominio dei mari, quello che chiedeva in cambio doveva avere un valore esorbitante. Santana fece due calcoli: non aveva mai rubato tesori preziosi e non possedeva grandi ricchezze. Anzi, l’unica cosa di valore barattabile le era stata già portata via dalla sirena. 

«Non ho niente da darti. Non ho neanche più una barca.» Mormorò Santana, tornando alla realtà.

«Se il problema è la barca dovrai solo chiedere, Santana. Il mare ti darà tutto ciò che desideri.» Rispose prontamente la bionda. 

La latina, incantata dal movimento sinuoso della coda di pesce della sirena, dischiuse le labbra per accettare la proposta della bionda, anche senza aver sentito la seconda parte del patto. Una pezzo di lei, quello che sotto alla pelle si stava contorcendo silenziosamente d’anticipazione, aveva il timore di conoscere già cosa le avrebbe chiesto.

«Qual è il prezzo per il dominio dei mari, Brittany? Dimmelo, sinceramente.»  

La sirena sentì il bisogno di avvicinarsi alla ragazza seduta sulla riva. Aveva appreso con l’esperienza che gli uomini preferivano ricevere certe notizie quando avevano a fianco una spalla a dar loro man forte. Come uscì dall’acqua la sua coda di pesce lasciò il posto alle gambe che dopo tutti quegli anni non aveva ancora imparato ad usare e gattonando arrivò fino a Santana.

«Per sette anni avrai il controllo di tutto ciò che popola gli oceani. I pesci si getteranno nelle tue reti per sfamarti, i venti obbediranno alle tue richieste, il popolo del mare si schiererà dalla tua parte…» Santana alzò lo sguardo al cielo, erano tutte cose che già sapeva. Sembrava quasi che Brittany avesse paura di svelarle il prezzo da pagare per un dono del genere.

«E continueremo a vederci?» Domandò, interrompendo il discorso della sirena.

«Sai già che appartengo al mare. Se lo vorrai, sarà il mare a portarmi da te.» A Santana parve una risposta soddisfacente.

«Cosa succederà dopo?»

«Allo scadere dei sette anni il mare prenderà te e la tua vita. Solo così potrò averti per me.» Brittany sorrise, ma lo fece senza la consueta lucentezza. 

Santana cominciò a capire cosa avesse voluto dire la bionda quando, dopo averla salvata, le aveva detto che la loro natura era distruttiva. Cosa poteva essere più distruttivo dello sgretolare la vita della persona amata per coronare il loro sogno d’amore?

Scrollò le spalle e sospirò vinta. «Il mio cuore è già tuo.» Provò la latina, nella speranza che ripeterlo una o magari cento altre volte avrebbe giovato la sua causa. Poteva dimostrarle il suo amore anche in altri modi, senza doverle dare la vita.

Brittany annuì, cercando la mano della latina con la sua e non appena queste si trovarono, la sirena non attese un secondo per intrecciare le dita a quelle di Santana. 

«Santana..»

«Io sono già tua!» Urlò nuovamente la ragazza, saltando in piedi. Stava accadendo tutto troppo in fretta ed era tutto troppo assurdo.

«Dimostralo. Accetta la mia proposta.» Implorò Brittany da terra.

Santana scosse il capo con poca sicurezza. «Non posso.»

«Sì che puoi,» Osservò testardamente la sirena, per nulla scoraggiata da quella reazione. «devi solo dire sì.»

Ancora una volta, indietreggiando, Santana scosse il capo. Dischiuse le labbra per parlare ma prima che potesse proferir parola, Brittany la pregò. «Se non vuoi dire sì, almeno non dire no. Ti lascerò del tempo per pensarci, ma non dire subito no. So che non è quello che vorrebbe dire il tuo cuore.»

 

La sirena fu fedele alla sua parola. Lasciò talmente tanto tempo a Santana riflettere che questa passò le ore della notte a rimuginare sulla sua proposta. 

Il dominio dei mari per l’amore di una sirena e la sua vita. L’amore di una sirena per sette anni in cambio di una vita priva di affetti. 

Santana si rigirò nel letto.

A quanti, prima di lei, Brittany aveva promesso il suo amore? Quanti avevano detto addio per sempre a questo mondo sperando di diventare il per sempre di una sirena? Santana amava il mare, ma non era certa di avere un amore tanto incondizionato. Non si sarebbe accontentata dell’illusione di un amore eterno in cambio del dominio dei mari. No, in cambio della sua vita avrebbe chiesto di più. Avrebbe chiesto la certezza di un amore eterno per entrambe le parti. Questo, chiaramente, se mai avesse avuto il coraggio di accettare una richiesta tanto folle quanto allettante.

Nonostante i gravi pensieri, la stanchezza dei giorni precedenti riuscì a vincerla e a regalarle qualche ora di sonno. 

Sempre più spaesata dall’assenza di Bailarina, perduta per sempre, Santana ebbe non pochi problemi nel svagarsi. 

Uscì di casa di prima mattina per un rapido giro nel paese, che in ogni sfaccettatura le ricordava di ciò che aveva perduto. 

I legni dei tetti le ricordavano quelli della barca di Don Comacho e i colori sgargianti dei mattoncini delle case le riportavano il pensiero a Brittany e alla sua personalità estroversa e allegra. 

Pur di sfuggire dai fastidiosi pensieri, la latina si infilò nel primo negozio sulla sua via e per sua grande fortuna si ritrovò nel forno per cui lavoricchiava l’amico Noah. Nella speranza di poter scambiare qualche parola con una qualsiasi anima viva, salutò il proprietario e dopo aver acquistato il minimo indispensabile si soffermò nel locale più del consueto. Tuttavia, dopo il terzo cliente che entrando nel negozio e notando la ragazza preferiva girare i tacchi, il grezzo omaccione a capo dell’impresa dopo essersi scusato con la mora per l’assenza sparì nel retrobottega dove avveniva la magia della cottura dei cibi e a Santana non sfuggirono le parole che rivolse a Noah. Il succo era che “quella strega della tua amica” li avrebbe mandati in rovina se solo si fosse intrattenuta un altro minuto nel negozio e che di certo il proprietario non si sarebbe fatto problemi a cacciare lui e la “poco di buono” dal locale e dalla città. 

Santana non attese neanche che il ragazzo uscisse dal retrobottega per chiederle gentilmente di uscire. 

Con l’amaro in bocca la latina fece marcia indietro verso casa. Certo, era felice di aver fatto ritorno a San Juan sana e salva dopo essere stata dirottata e abbandonata in un’isola deserta, ma a quale prezzo? I suoi concittadini la evitavano come la peste, sicuri più che mai che per scamparla viva Santana avesse fatto un patto con il diavolo o con il re dei mari. 

Che amara ironia, pensò Santana. Le superstizioni dei marinai erano ben più lungimiranti di quanto si potesse immaginare.  

Per un attimo pensò di suonare il campanello dei Berry per passare almeno un’ora in compagnia di chi, era certa, non l’avrebbe rifiutata. Poi ricordò il brutto vizio di Rachel di fare troppe domande, la curiosità a suo avviso era una dote ammirabile se espressa in piccoli cenni. 

Finì quindi con lo stare da sola. Pranzò circondata dal silenzio e fu nel silenzio che le nacque una strana idea. 

Sempre con il cappello in testa, aspettò il secondo sole del pomeriggio per raggiungere la spiaggia della baia dietro al giardino di Don Comacho e una volta giunta a destinazione si spogliò dei pantaloni, della camicia e delle scarpe.  L’ultimo indumento a lasciare il suo corpo fu il cappello. 

Si avvicinò timidamente al mare, come aveva fatto quando per la prima volta aveva messo piede sulla barca del pescatore, e ne scrutò le acque. Non erano profonde fino a metri e metri dalla riva, proprio come ricordava. Perfette per mettere in pratica la sua idea. 

Non sapendo bene da dove partire, mosse qualche passo nell’acqua prima di allungarsi per dare qualche bracciata. Il primo tentativo fu fallimentare, pur essendo ad una profondità ridicola Santana si fece prendere dalla paura irrazionale di annegare e non riuscì a tenere la testa fuori dall’acqua. Bevve a tal punto da pensare di poter vomitare.

Svelta uscì dal mare per riprendere fiato e coraggio, forse avrebbe dovuto chiedere aiuto a qualcuno di esperto. Per sua sfortuna, però, Noah non aveva molto tempo libero e non conosceva nessun altro tanto bene da potergli chiedere di insegnare a nuotare. Se solo Don Llorenço fosse stato ancora vivo, avrebbe certamente approfittato della sua bravura per imparare. 

Spinta più dalla rabbia del tentativo andato male che dal coraggio vero e proprio, Santana si alzò in piedi, prese una buona rincorsa e si lanciò in acqua con la testa, come aveva visto fare a qualche marinaio in porto. 

Manco a dirlo, fu una pessima idea. Come scordandosi di essere sott’acqua, prima ancora di dare qualche bracciata per risalire, la latina aprì la bocca ingerendo nuovamente una buona quantità di acqua salata. Questa volta però a portarla in superficie furono due braccia sicure, familiari.

Santana fece un gran tossire e la sirena per tutto contro si mise a ridere. Indispettita, non appena ebbe riempito i polmoni di più aria e meno acqua, la latina fece in fretta a rivolgersi a lei in rimprovero. «Non hai niente di meglio da fare che seguirmi tutto il giorno? Hai finito le barche da affondare?»

Brittany le sorrise dolcemente, lasciando che Santana muovesse qualche passo indietro e si reggesse da sola.

«Ho molte cose da fare, ma niente è meglio che stare con te.» La corresse gentilmente, disturbando maggiormente la latina che nel mentre aveva già aggiunto sul suo viso un bel broncio. 

Per nulla intenzionata a lasciare che le labbra carnose della mora rimanessero incurvate in giù per un secondo di più, Brittany aggiunse:«Cosa stavi cercando di fare?» 

Santana rispose con un borbottio appena percepibile, tanto che la sirena dovette chiederglielo un’altra volta.

«Sto imparando a nuotare.» Ripeté più chiaramente Santana, domandandosi come non potesse essere ovvio agli occhi dell’altra.

«Oh,» Le sopracciglia bionde della sirena si incresparono all’inverosimile «ma stai facendo tutto sbagliato.» 

Santana inarcò un sopracciglio per esprimere la sua nascente irritazione. Sì, qualcosa le aveva fatto capire che il suo metodo non fosse esattamente quello vincente. 

«Non preoccuparti, ti insegno io.» Aggiunse Brittany poco dopo. Si avvicinò alla ragazza e con un sorriso d’anticipazione le porse entrambe le mani. Santana dovette pensarci qualche secondo prima di realizzare che fidarsi della sirena in quell’occasione non sarebbe stato tanto diverso dal lanciarsi in mare aperto con una zattera fatiscente. 

Quando finalmente le strinse le mani, la bionda fu lesta nel spostare la propria presa sotto le spalle della latina, mentre con gli occhi fissi sui suoi la trascinava lentamente dove le acque erano più profonde.

Santana si accorse di non riuscire più a toccare il fondale con i piedi e la nuova sensazione fu sufficiente a farle stringere le braccia attorno al collo della sirena. Non era più così convinta di voler imparare o almeno non in quel modo.

«Non credo sia una buona idea, preferirei a riva.» Confessò con quanta più paura nella voce.

Brittany le sorrise, cercando di ricavarsi qualche centimetro in più per respirare meglio nonostante la stretta asfissiante della latina. 

«I pesci non imparano a nuotare sulla riva, dove il mare è più movimentato, e neanche tu dovresti.» 

«Non sono un pesce.» Protestò Santana e fu il turno di Brittany di inarcare un sopracciglio. 

«Sicura? Pensavo di aver visto delle pinne qui sotto.» Come finì di parlare, la latina sentì una strana cosa morbida, solleticante e quasi viscida toccarle le piante dei piedi. La risata di Brittany in seguito all’espressione sul viso della latina le fece poi capire che quello che aveva sentito non era che la coda della sirena.

«Lasciati andare, Santana.»

Quelle semplici parole furono sufficienti a gelare il sangue della latina, che sgranò gli occhi terrorizzata. Aveva intenzione di convincerla a suicidarsi? Era quello che si otteneva in cambio di tanta fiducia verso una creatura degli abissi? 

«Non letteralmente.» Aggiunse ridacchiando Brittany, che pur di tranquillizzarla spostò una mano sulla sua schiena, accarezzandola amorevolmente. «Lasciati andare dentro. Non puoi galleggiare se non sei a tuo agio e non puoi nuotare se non galleggi.»

Santana sapeva che la sirena avesse ragione, ma lasciar andare la sua paura non era tanto semplice quanto pensare di farlo. 

Ancora una volta sentì la coda di Brittany solleticarle i piedi e come risposta involontaria Santana cominciò a muoverli. Ogni volta in cui la latina fermava il movimento, la sirena le solleticava le piante dei piedi ed il meccanismo si rivelò vincente. 

La latina prese lentamente confidenza con l’acqua, cominciando ad apprezzare il modo in cui l’acqua scivolava tra le dita divaricate dei piedi. «È come camminare, solo senza terraferma.»

Brittany incurvò le labbra in un sorriso dolce. «Anche meno faticoso.» 

Santana fece una smorfia. Forse per la sirena, ma la latina aveva il fiato corto pur non avendo percorso un metro. Era sempre sorretta dalla presa della bionda e tutto quello che aveva fatto fino ad allora era stato abituarsi all’essere circondata fisicamente dal mare. 

Brittany sembrò seguire la sua linea di pensiero perché, senza preavviso, fece scivolare un braccio fuori da quella specie di abbraccio. Inizialmente Santana fu terrorizzata, si tranquillizzò però quando sentì il palmo aperto della sirena contro il suo ventre. 

Era certa che se non fosse stato per la sua carnagione scura in quell’istante le sue guance sarebbero diventate di un rosso fuoco. Quando la sirena fece una leggera pressione sulla pancia di Santana, cercando di farle assumere una posizione più orizzontale che verticale, la latina si diede mentalmente dell’idiota per aver travisato le intenzioni della bionda.

«Continua a muovere i piedi.» La istruì Brittany, che continuando a tenere una mano sul ventre della mora, con delicati colpi di coda, portò i corpi legati delle due a muoversi nella distesa di blu.

Santana ebbe l’impressione di saper nuotare realmente: i suoi piedi si stavano muovendo e, tra le braccia della bionda, la baia si stava allontanando alle sue spalle. 

Continuarono così finché le labbra della latina divennero di un colore più violaceo del solito e le sue mani sembrarono voler mettere su delle squame vere e proprie. Brittany la scortò fino a riva, dove decise di soffermarsi un altro po’ in compagnia della latina. 

Quando il suo corpo fu fuori dall’acqua, come era successo le volte precedenti, la coda argentata della sirena cambiò fino a prendere le sembianze di due gambe in carne ed ossa. Fu il turno di Santana di sorreggere la compagna d’avventure: la prese sotto braccio e camminando a fianco a lei la portò dove aveva lasciato i vestiti.

«Dev’essere strano sentire questo pizzichi sotto ai piedi giorno dopo giorno.» Commentò Brittany, riferendosi al modo in cui sentiva la sabbia picchiettarle sulle piante ad ogni passo. 

«È per quello che portiamo le scarpe.» Le fece notare pacificamente Santana, indicandole i suoi stivali poco distanti.

«Oh, i copri-piedi.» Mormorò Brittany, che si allungò sulle gambe della latina senza tante remore e dopo aver agguantato uno stivale provò ad infilarlo. Sembrò abbastanza delusa dal fatto che quella misura non le calzasse, dire che fino ad allora aveva pensato che tutti i piedi degli uomini erano della stessa grandezza. 

«Grazie per oggi.» Sussurrò Santana, incantata dalle movenze della sirena che con rammarico si stava sfilando lo stivale troppo stretto.

Brittany annuì silenziosamente, rendendole la scarpa che le aveva preso e posando una mano sul dorso di quello scuro della latina. «Lo farei tutti i giorni, se volessi. Tutto quello che voglio è stare con te.»

Santana si morse il labbro inferiore sentendo la tristezza nelle parole della sirena. La loro situazione era realmente un rompicapo: ciò che portava felicità ad una riempiva di una strana tristezza l’altra e viceversa. La latina radunò in fretta i pensieri. 

A che pro rifiutare la sua richiesta? La vita degli ultimi giorni trascorsa sulla terra ferma le aveva provato che se realmente si fosse imbarcata per i sette mari, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, né lei avrebbe pianto per la perdita di quelle poche amicizie che aveva. La sua scelta era tra una possibile lunga vita di rimpianti, emarginazione e occhiatacce ed una vita di altri sette anni, circondata però da tutto ciò che poteva rallegrarle la permanenza sulla terra.

«Se la tua proposta è ancora valida,»

«–Lo sarà finché non capirai che è l’unica via.» La interruppe con trepidazione la sirena.

«io accetto.» Finì Santana, con un filo di voce. 

Brittany sorrise, prima trascinata dall’euforia e poi più tristemente, dando una debole stretta alla presa, quasi a volersi complimentare con lei per la tanto sudata decisione. 

«Non lo rimpiangerai.» Le assicurò Brittany, che si era intanto messa a sedere sulle ginocchia. «Non ci resta che sigillare il patto.»

Santana alzò la testa con curiosità, domandandosi cos’altro ancora dovesse fare per dimostrare quanto tenesse al mare e alla bionda. «Sigillare..come?»

«Con il gesto più antico. È pur sempre una promessa di amore.» Chiarì con ovvietà la sirena, che ora le accarezzava timidamente l’avambraccio. Santana sentì il cuore martellarle il petto ed ebbe la certezza di aver capito bene quando incontrò gli occhi chiari della creatura marina, che la stava quasi implorando silenziosamente. Così la latina si sporse finché le sue labbra non incontrarono quelle della bionda.

Brittany aveva già vissuto storie simili e aveva dato baci dello stesso tipo a molti uomini, ma in quel preciso istante sentì nelle viscere che con lei sarebbe stato diverso. Era la prima ragazza a cui offriva il suo amore e con ogni certezza, sarebbe stata l’ultima.

«Voi umani sapete così tanto di terra.» Mormorò confusa la sirena una volta lontana dal viso della latina, mentre con perplessità si passava la lingua sulle labbra. 

Rimasero così, in silenzio, mano nella mano, a contemplare il sole del tramonto fino a quando Brittany sciolse le dita dalla presa per fare un lento ritorno al mare. 

Era già distante cinque metri dalla riva quando si girò per richiamare la latina. «Oh, Santana? Hai tre giorni per radunare una ciurma. Al tramonto del terzo giorno torna qui, troverai un regalo ad attenderti.»

*****
Buongiorno, miei prodi. Temo che una decina di noi si sia persa in mare, non ho bottiglie di rum con cui convincervi a restare, ma la promessa di un futuro capitolo più divertente mercoledì.
Dunque, radunate i vostri effetti personali e aggregatevi alla nascente ciurma di pirati dei caraibi con una bella "X" sul foglio affisso alla taverna più squallida di San Juan.

So che la prima parte di questo capitolo fa tanto MacGyver, ma tenete a mente che tutto quello riportato dal narratore è realtà mista a leggenda. ;D 
Detto ciò, ci si vede a bordo!

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Capitolo 4
*** ROSITA ***


ROSITA

 

 

«Ohh, che… bella la vita, che bella davvero, la vita del bucanier! Su e giù per il mare io voglio viaggiar del pirata mi piace il mestiere, ohhhh!»

Santana batté il boccale di birra sul tavolino rotondo già in precarie condizioni a cui lei e Puck erano seduti. «Giuro che se ricominciano un’altra volta glielo spacco in testa!» Gridò irosa, riferendosi al bicchiere di vetro.

La sera prima aveva fatto appena in tempo a dire a Puckerman di aver bisogno di un equipaggio che già il quasi-fornaio aveva appeso il grembiule al chiodo e, dopo essersi offerto come suo vice, le aveva organizzato una serata di reclutamento presso l’osteria più frequentata di San Juan, el Tiburón Borracho. 

Santana nutriva comunque i suoi ragionevoli dubbi. Chi mai sarebbe stato tanto folle da proporsi come marinaio di una nave inesistente il cui capitano era una donna? 

«Non preoccuparti, penso a tutto io,» le disse l’ebreo, «tutto quello che dovrai fare sarà fare presenza. Che tu lo voglia o meno hai già una fama in città e io so esattamente come sfruttarla!»

L’ottimismo dell’amico aveva visto la fine dei suoi giorni nell’istante esatto in cui i due misero piede nell’osteria. Il ragazzo accompagnò la mora fino al bancone, dove ordinarono da bere per entrambi, e approfittò di quella specie di “palco” per presentare la ‘nobile impresa’ agli ubriaconi presenti. L’annunciazione fu accolta, come immaginabile, da scroscianti risate di scherno. Solo i più superstiziosi avevano evitato di unirsi al coro sardonico, troppo timorati per prendere in giro il fantasma di Borikén. 

Notando l’espressione di pura collera sul viso della mora, Puck decise saggiamente di portarla a sedere ad un tavolino più appartato, ma non prima di avvisare i presenti interessati dello spostamento del capitano.

«Vuoi dire che non ti piacerebbe averli a bordo? E io che pensavo di chiedergli di unirsi a noi.. Per movimentare un po’ le tratte, sai?» Commentò il ragazzo in risposta, biascicando qualche parola. 

Santana lo fulminò con lo sguardo: piuttosto che arrivare a tanto avrebbe solcato i mari da sola. Al diavolo la ciurma e i quattro chitarristi ubriachi. 

Fu al finire della serata che il secondo membro del futuro equipaggio dei pirati più grotteschi che il mare avesse visto si presentò loro. Era un ragazzo che doveva aver avuto grossomodo la loro stessa età, anno più anno meno, e aveva l’aria di essere tremendamente goffo. 

Santana non trattenne l’espressione schifata che le nacque sul viso alla vista dell’individuo. Una specie di gigante impacciato, con la pancetta da bevitore seriale e due piedi ingombranti quanto le palette dei remi che le onde le avevano distrutto qualche tempo prima. 

«Ti sei perso?» Lo schernì prontamente la latina, ricevendo un calcetto sullo stinco dal suo auto acclamato vice. 

«Io? ..Ehm, no. Cioè, sì, ma è stato prima di arrivare qui.» Mormorò confusamente il marinaio, con le guance rotonde già paonazze. 

Oh, perfetto. Un imbecille. 

Santana tenne lo sguardo fisso su quello di Noah, convinta che se solo lo avesse guardato abbastanza intensamente i suoi pensieri si sarebbero uniti a quelli dell’amico. Puck capì dal sopracciglio che lentamente si stava inarcando le intenzioni poco gentili della latina. Per questo giocò d’anticipo e, rubando una sedia al tavolo a fianco, invitò il bonaccione a sedersi.

«Perché non ci racconti la tua storia?» Lo spronò, mentre questo prendeva posto.

Il marinaio annuì, cercando una posizione che lo mettesse a suo agio. «Il mio nome è Finn Hudson.»

Il sangue di Santana bollì solo al suono del cognome inglese del ragazzo. Non avrebbe permesso al nemico di salire sulla sua nave immaginaria. 

«Prima di imbarcarmi aiutavo mio padre nella bottega. È così che mi sono fatto questa.» Divagò allegro, mostrando una strana cicatrice sul palmo della mano. «Non ricordavo che il ferro fosse caldo e, beh, adesso ho un promemoria ben visibile!»

Esasperata, Santana sospirò pura disperazione dal naso mentre si prendeva la fronte tra le mani. Un imbecille con i fiocchi.

«Un fabbro!» Tuonò felice Noah,  che per dare vita alla sua improvvisa contentezza diede due grosse e sonore pacche sulla spalla al ragazzo. «Sai anche dare il filo alle lame?»

«È una cosa più da arrotini.» Gli fece notare Finn «Ma posso imparare se è un arrotino che cercate.»

«Dicevi qualcosa riguardo all’esserti perso?» Gracchiò buia Santana, riportando i due bambini alla realtà.

«Come? Oh, sì. Quello è successo dopo. La marina inglese impose ai primogeniti maschi di ogni famiglia di arruolarsi per dare sostegno alla flotta ed essendo io figlio unico e maschio» accentuò l’ultima parola guardando Santana «dovetti abbandonare incudine e martello per stracci e vele. La nave su cui capitai doveva sbarcare nel sud delle americhe, ma una tempesta ci portò fuori rotta. Vagammo per settimane, senza mai recuperare la rotta. Sono stati i giorni più grigi della mia esistenza.»

«E così sei arrivato in questo scorcio di paradiso.» Finì per lui Noah. 

«Quello è stato dopo aver fatto naufragio a Punta Cana.»

«Perché mai vorresti aggiungerti alla nostra ciurma?» Tagliò corto la mora, con i nervi a fior di pelle. 

Il marinai, messo a disagio dalla risolutezza mista a maleducazione della donna, s’irrigidì sulla sedia, si schiarì la voce e con lo sguardo basso provò a rispondere. «Siete la mia unica possibilità per non morire di fame. Nessuno vuole aiutare un inglese, da queste parti.» Ogni sua parola risuonava con una punta d’amarezza. Conosceva gli orrori che i britannici avevano portato in Porto Rico, ma sapeva anche che era una questione di tempo perché si impadronissero nuovamente dell’isola. 

«Sai maneggiare una spada?» Domandò Noah, precedendo di poco l’insulto mai nato della latina. Finn annuì in risposta. 

«Allora io ed il capitano ti diamo il benvenuto a bordo.»

 

La sera seguente, i tre fecero ritorno all’osteria con le stesse intenzioni del giorno prima. Con loro grande sorpresa, al loro ingresso nel locale furono accolti dal caos

La prima scena che si presentò davanti ai loro occhi fu il viso di un uomo, chiaramente ubriaco e altrettanto chiaramente pestato. Questo guardò i tre senza vederli realmente, solo per poi crollare ai loro piedi.

«Una rissa! Quale modo migliore per dimostrare le tue doti di capitano?!»Cinguettò felice Noah, che senza dare tempo all latina per protestare la prese sotto braccio e la portò con sé in mezzo alla mischia.

«Non penso sia una buona idea, Puck!» Provò Finn, che con la sua goffaggine si fece largo nella folla di marinai imbestialiti. «Se davvero vogliamo salpare, beh, penso che allora il capitano serva vivo.» 

Santana per la prima volta da quando il balenottero aveva fatto la sua comparsa nelle loro vite pregò perché Noah non lo ignorasse, ma non andò così. 

«Tu fatti valere, io vado a rimediare un cappello!» Urlò l’ebreo nell’orecchio della latina, sparendo poi nella marea di uomini. 

«E adesso?!» Domandò il marinaio, con tanta apprensione da ricordare a Santana il modo in cui era solito parlarle suo padre.

«Adesso cerca di non prenderle, Hudson!» 

Prima che potesse finire la frase, un uomo uscito dal nulla gli cadde addosso. Era di corporatura esile, i suoi lineamenti erano delicati e la sua pelle curata come quella di una donna. Sul suo mento non c’era traccia della tipica peluria da lupo di mare.

Questo, pensò Santana, è finito qui per sbaglio. Lei e Finn ebbero qualche secondo per capire cosa fosse successo e perché si trovassero a terra, poi un energumeno con una sedia tra le mani li caricò come un toro carica il torero alla corrida.

«Madre de Dios!» Esclamò la latina, che prendendo il ragazzo incosciente per un braccio con l’aiuto di Finn si spostò abbastanza in fretta per vedere l’energumeno inciampare sui propri passi e sfracellarsi al suolo con la sedia sotto il suo corpo, accompagnato da un discreto tonfo.  

«Ci ha caricati!» Brontolò incredula Santana, contro l’espressione sempre vaga e intontita del marinaio. 

«Figlio di un cane.» Continuò il suo monologo «Ora basta, qualcuno deve insegnare a tutta questa gente a stare al proprio posto. Tu tieni d’occhio la bambola finché non si riprende.» Data l’ultima istruzione a Finn, sfoderò la lama arrugginita che aveva portava alla cintura e inferocita si fece largo per menare botte a destra e a manca.

 

Al piano di sopra Puck avanzava tra le scazzottate dei marinai, facendo razzia di cappelli. Ogni volta che gliene capitava uno per le mani lo prendeva e lo provava di fronte alle facce attonite dei poveri derubati, troppo ubriachi e troppo concentrati nelle loro faide per curarsene veramente. 

 

Finn aveva trovato rifugio sotto ad un tavolo per tenere al sicuro il ragazzo che Santana gli aveva affidato. Approfittò del boccale di alcolico indefinito caduto dalle mani di un ometto paffuto e pelato, che colse miracolosamente al volo, per provare a risvegliare il bell’addormentato. 

 

Un ometto con i capelli selvaggiamente ricci e la fronte madida di sudore prese a urlare come un folle. «Kurt!» Questo aveva l’aria di essere un barista o il suo sguattero, visto e considerato lo straccio che portava legato in vita. Schivò un cazzotto per puro caso, riparandosi dietro alla colonna in legno del pub. 

 

Santana era sicura che sarebbe impazzita. Tra la banda che suonava animatamente come per schernire quell’ammasso di ubriaconi violenti, il costante rumore di vetri e denti che s’infrangevano sul suolo e il continuo andare e venire di persone ora amiche, ora nemiche, anche un prete avrebbe perso la calma. 

Era un tutti contro tutti, non c’erano logiche in quella battaglia. Se questo è il mondo dei pirati, si disse, io vorrei tornare ad essere una pescatrice

Un uomo con una spada ben più in forma della sua le sbarrò la strada con una grossa, grassa risata. Nell’altra mano teneva una bottiglia semi vuota. La lama arrugginito si scontrò con quella affilata più e più volte, alla fine Santana dovette giocare sporco per uscire da quel duello impari: approfittò dell’equilibrio precario dell’uomo poco sobrio e quando la sua spada cozzò per l’ennesima volta con quella dell’altro le bastò spingerlo con lo stivale per atterrarlo. 

Non lasciò tuttavia che la bottiglia nelle sue mani facesse la stessa fine.

 

«Svegliati, bello.» Lo incoraggiò Finn dopo avergli svuotato l’alcolico in faccia. Gli diede delle leggere pacche sul viso per fargli ritornare i sensi e piano piano, il ragazzo aprì le palpebre. Dischiuse le labbra per parlare, ma la prima cosa ad uscire dalla sua bocca fu il sangue. «Oh, le hai prese alla grande.» Fu l’unico commento del marinaio.

 

«Ehi, quello è mio!» Le braccia del biondino si chiusero attorno alla vita muscolosa di Puck. Aveva finalmente trovato il cappello dei suoi sogni, peccato solo che appartenesse all’unico narcisista di San Juan. Per scrollarselo di dosso Noah provò gli sferrò un pugno sui reni, che non fu però sufficiente a fermare lo scatto d’ira del biondo dalle labbra giganti. 

L’ebreo sentì la schiena sbattere contro quella che aveva tutta l’aria di essere una ringhiera. «Frena amico, te lo lascio!»

Ma la supplica dell’ex fornaio non pose fine alla rabbia ubriaca dell’altro, che non curante della propria vita e di quella  del furfante che aveva provato a rubargli il cappello, spinse entrambi al piano di sotto dopo un volo di tre metri buoni.

  

Santana aveva raggiunto il cuore della rissa, dove un marinaio vestito di tessuti pregiati non faceva che biascicare minacce a gran voce. «Ne ho per tutti! », ripeteva, «Chi vuole assaggiare i pugni più duri dell’isola si faccia sotto! Da soli, a gruppi di due, fatevi sotto!»

Dev’essere l’idiota che ha scatenato quest’inferno, pensò Santana che dietro di lui ribolliva dalla rabbia. Strinse le dita attorno al collo di bottiglia che aveva precedentemente rubato all’uomo con cui aveva duellato e senza pensarci due volte la infranse sulla testa dell’energumeno, che come un sacco di patate crollò a terra. 

Per qualche istante scese il silenzio, poi un altro uomo le corse incontro, con un “yaaaargh!” per grido di battaglia. 

In quel preciso istante, Noah crollò dal cielo proprio sul corpo dell’ubriaco coraggioso che si stava scagliando contro la latina.

«Puck!» 

 

Finn approfittò della calma per sgattaiolare fuori dal tavolo, con il ragazzo malconcio sulle spalle. Era certo che se lo avelle lasciato a camminare da solo sarebbe piombato al suolo senza forze e benché al marinaio non importasse molto della vita del bambolotto, voleva dimostrare al suo nuovo capitano di essere in grado di adempire ad un ordine. 

«Kurt!» il ragazzo riccioluto si precipitò immediatamente al fianco di Finn per prestare soccorso al ragazzo che aveva caricato sulle spalle. «Mettilo giù o giuro che..»

Finn avrebbe ascoltato volentieri il resto della minaccia ridicola che lo sguattero stava per finire, ma fu fermato dalla debole voce del ragazzo dal viso glabro. «No, Blaine, lui è a posto.»

 

«Sto bene, sto bene!» L’assicurò prontamente l’ebreo. 

«Ancora per poco, bastardo.» Minacciò il biondino intontito, sdraiato accanto a lui. 

Santana guardò i due come fossero lo spettacolo più raccapricciante che avesse mai visto. I suoi occhi incontrarono quelli lucidi del biondo, che fece in fretta e furia si mise in piedi e chinò il capo davanti alla mora, portandosi una mano al petto.

«Oh, pardon señorita, non mi ero accorto della sua presenza.»

«Per te è capitano Lopez, carogna!» Tuonò prontamente Noah pochi metri più in là. 

In un batter d’occhio, nella taverna cominciarono a risuonare i soprannomi che nel tempo erano stati affidati alla ragazza. 

“È il fantasma di Borikén – si dice che stia radunando una flotta – quella ragazza è maledetta. Ha venduto l’anima al diavolo! – Dicono abbia fatto ritorno da Tortura su una zattera stregata.”

Santana provò ad ignorare tutto quel vociare, concentrandosi sull’amico a cui aveva offerto la mano per aiutarlo ad alzarsi.

«Non è stata la mia idea migliore.» Scherzò l’ebreo, massaggiandosi la schiena. Santana concordò con lui con un cenno del capo.

«E per la cronaca,» sbottò la mora rivolgendosi alla folla di superstiziosi ubriachi che fino a qualche momento prima erano in lite e che ora si stavano invece abbracciando fraternamente, «non è una flotta che cerco, ma un equipaggio.»

Poi si voltò verso il volto amico e, stanca, sussurrò «Andiamo a cercare Hudson.»

 

Non fu difficile trovarlo. Finn si era messo a sedere ad un tavolo nell'unico punto completamente sgombero della taverna. Ciò che Santana non riusciva a capire guardandolo da distante era chi fosse il terzo ragazzo con cui il marinaio e il quasi-uomo dalla faccia priva di peli stessero parlando. La mora era quasi certa di averlo già incrociato per le strade di San Juan, ma non riusciva ad assegnare a quella faccia un nome convincente. 

Sentì distintamente Finn dire "eccoli, è quella!" dopo averla additata come aveva visto fare solo alle scimmie. Santana arrivò al tavolo accompagnata da Puck con un'espressione tutt'altro che accogliente sul viso. 

Ciò non fermò il ricciolino sconosciuto dal saltare in piedi come una molla e dal rivolgersi a lei con le mani giunte davanti al mento. «Capitano, vi sono immensamente riconoscente per la vita del mio amico.» 

L'amico in questione, quello che Finn era riuscito a salvare in un modo a lei sconosciuto, accennò ad un timido sorriso mentre con la mano destra teneva un canovaccio bagnato su una guancia, probabilmente per alleviare il dolore o fermare la fuoriuscita di sangue. 

«Il vostro nocchiere mi ha detto che cercate nuove forze per il vostro equipaggio. Io e Kurt vorremmo farne parte, come segno di riconoscenza.» 

La mora fulminò Hudson con lo sguardo, proprio non ricordava di averlo nominato nocchiere. Manco fosse stata pazza, affidare il timone ad uno zappaterra incapace di recuperare la rotta dopo settimane di navigazione alla cieca. Tanto valeva metterlo nelle mani di un cieco. 

«Se è la sola riconoscenza a muovervi, restate dove siete. Il mare è troppo vanitoso per prestare amore a chi non lo venera.» 

Tutti e quattro i ragazzi presenti si scambiarono sguardi confusi, non era semplice capire perché parlasse del mare come di una persona. Blaine, per sé, si chiese cosa cambiasse alla mora al sentire una motivazione differente. Se quello di cui realmente aveva bisogno erano uomini, allora perché fare tante scene? Perché non accettare semplicemente la loro offerta?

«Insisto. Questa terra non ha più niente da offrirci in ogni caso e dopo questa sera temo non avremo neanche più un lavoro. La disperazione è un movente più accettato presso la vostra ciurma, capitano?»

Santana arricciò le labbra. Il ragazzo non era la sua più grande simpatia e solo per il modo in cui si era rivolto a lei avrebbe volentieri scaraventato lui e la sua sedia a terra, ma la sua perseveranza e la sua sfacciataggine erano due caratteristiche che in un futuro secondario le sarebbero potute tornare utili. 

«Benvenuti a bordo.» Sibilò delicatamente, dicendosi che a quel punto la sua cominciava realmente ad essere una ciurma al limite del ridicolo. 

Una pescatrice, un fornaio, un fabbro improvvisato marinaio ed uno sguattero e mezzo. Brittany si sarebbe sicuramente messa a ridere alla vista di una tale squadra.

«Se le iscrizioni sono ancora aperte, vorrei aggiungermi anche io.»

I cinque si girarono incuriositi verso la fonte del suono. Quando davanti a loro trovarono gli occhi verdi del biondino che aveva attaccato Puck solo un quarto d'ora prima, a Santana venne quasi da ridere. 

«Tu!» L'ebreo, già sul piede di guerra, lo additò con l'indice prima di muoversi con passi minacciosi in sua direzione. Santana alzò una mano in aria, per fare segno a Puckerman di fermarsi esattamente dove si trovava. 

I tre si osservarono silenziosamente per una manciata di secondi, come se stessero dialogando con i loro occhi, poi il biondo ruppe il silenzio. 

«Il mio nome è Samuel Evans. Sono uno storico, un appassionato delle avventure degli uomini, siano esse reali o frutto dell'immaginazione di qualche balordo. Conosco le voci che circolano sul suo conto, Doña Lopez, e che io sia dannato se lascio correre questa occasione. Ho anche dell'esperienza con il mare. Ho tenuto i diari di bordo di decine di imbarcazioni, navi che con prove scritte hanno lasciato un segno nella storia. Vi prego, lasciate che salpi con voi.» 

Santana incurvò le labbra in un sorriso giocoso. L'idea di avere le sue future avventure messe per scritto per quanto la spaventasse da un lato, dall'altro l'allettava non poco. 

Come una gatta si mosse suadente verso lo storico, giunta di fronte a lui posò la mano sinistra sulla sua spalla sinistra è molto lentamente gli girò attorno. Si fermò solo quando fu esattamente dietro di lui: appoggiò il mento alla sua spalla destra e dettò la sua legge. 

«Ad una condizione.» 

Il respiro del biondo si fece corto a tal punto che Santana pensò lo stesse trattenendo. 

«Qualsiasi cosa.» Balbettò in risposta, poco più forte di un filo di voce. 

Beffarda, la mora allungò le mani per arrivare al capo del ragazzo, dove era posato il cappello che aveva dato vita alla rissa con Puckerman. 

«Questo diventa suo. » Concluse, lanciando il copricapo ad un Noah gongolante e soddisfatto. 

Indispettito ma deliziato dalla notizia del suo nuovo incarico, Samuel non trattenne l'eccitazione. «Bene, quando salpiamo? Questa sera, domani mattina?» 

Santana scosse il capo. «Domani sera, dopo il tramonto, Puckerman verrà a recuperarvi fuori da questa bettola.»


Il momento tanto atteso arrivò prima che i nascenti pirati potessero rendersene conto. 

Santana si stava incamminando pensierosamente verso l'ex casa di Don Llorenço Comacho quando una fastidiosa voce femminile arrivò alle sue orecchie. 

«Doña Lopez!»

«Non ho tempo adesso.» Provò a liquidarla, senza voltarsi indietro. 

«È importante!» Insistette la voce alle sue spalle, che a giudicare dai passi incalzanti e svelti che Santana sentiva avanzare sulla strada di terra battuta, la stava recuperando. 

«Ne va del mio futuro, è fondamentale che mi ascoltiate. Oh, cielo, oggi ha fatto più caldo del solito non trovate?»

Santana puntò i piedi a terra, fermandosi improvvisamente, e chiuse gli occhi per rivolgere la sua personale e insolita preghiera al Signore. Dio degli ebrei, io lo so che è una tua creatura e che se l’hai messa al mondo probabilmente devi avere i tuoi buoni motivi che sfuggono a me come al resto di San Juan, ma per favore evita di mettermela sempre tra i piedi. Se non puoi fare questo allora dammi la forza per sopportarla perché altrimenti te la rispedisco in questo preciso istante e allora sarai tu a doverla sopportare.

«Cosa, Berry?»

La ragazza bassina che l'aveva letteralmente pedinata sgranò gli occhi. «Cosa cosa? Ossia, cosa non capite? Ho parlato troppo veloce? È una cosa che tendo a fare troppo spesso, mio padre me lo dice sempre anche se zio LeRoy lo rimprovera puntualmente. Ma voi sapete com'è, crescere circondata dagli uomini, o si parla anche da soli o si corre il rischio di diventare muti e scontrosi come loro. Non che voglia insinuare che voi siate diventata particolarmente scontrosa perché siete stata cresciuta più da un pescatore che dai vostri genitori, però spero vogliate concordare con me sul fatto che la vostra natura sarebbe stata profondamente diversa se solo aveste avuto più figure femminili a–»

«Cosa è talmente importante da non poter essere rimandato?» Tagliò corto Santana, seriamente tentata di tramortirla con il ferro vecchio che portava legato in vita. Sulla Terra non poteva esistere essere più irritante di quella ragazza e se una tale mostruosità esisteva, la latina era più che sicura di non volerla incontrare. 

«Oh. Subito al sodo, eh? Giusto, questa sì che è la risolutezza dei marinai. Tutto e subito! Reti e pesci, ancore e.. ami! Ho capito. Dunque, perdonate la franchezza ma se così volete che sia, sarò breve. Ho sentito che state radunando una ciur-»

«No, grazie.» Detto ciò riprese a camminare più decisa che mai ad ignorarla. Santana non poteva credere alle sue orecchie. Proprio quella piccola rompi scatole doveva bussare alla sua porta? Non sapeva neanche che forma avesse una barca e di tutto punto si sentiva di saltarci sopra? No, neanche in centinaia di lustri.

«Ma non mi avete neanche fatta finire di parlare! Dovete ascoltare per convincervi, ho preparato un discorso che elenca i motivi per cui posso essere un'ottima serpe di mare e solo un capitano sprovveduto rinuncerebbe a conoscerli!»

«Innanzitutto non è serpe, ma lupo di mare.» Chiarificò immediatamente Santana. «In secondo luogo: no e no rimarrà Finché il cielo non diverrà terra e viceversa.»

Rachel si zittì per qualche istante e la latina ebbe quasi l’impressione di averla vinta. Poi però:«Immaginavo avreste reagito così. Quindi voglio rendere noto che mi imbarcherò lo stesso, clandestinamente.»

«Berry!» Urlò esasperata la mora, fermando per la seconda volta la sua marcia. «Ho detto di no, dannazione! Sono io il capitano e sono io a decidere chi sale e chi non sale sulla mia maledetta nave e ho già esternato la mia scelta, non ti voglio neanche come clandestina! Che poi, per amor Divino, come puoi essere clandestina se mi avvisi della tua clandestinità prima ancora di diventare una clandestina?!»

Rachel sorrise come se fosse la cosa più semplice del mondo. «È perché sono una clandestina educata.»

Santana la fissò allibita per svariati secondi, non era mai riuscita a capire fino a che punto quella sorta di demenza fosse vera. 

«Doña Lopez, per favore. Siete la mia –»

«Unica speranza? Ultima spiaggia? Sì, lo so, è una cosa che mi sento dire spesso, ultimamente.» 

«Non capite. Se resto qui sarò presto data in sposa a Don Isai De Thiago. » Protestò con convinzione la ragazza bassina. «Lui è un ottimo compagno, non fraintendetemi, tuttavia l’eventualità del trascorrere tutta la mia vita con lui..» Si interruppe solo quando prese coscienza del paesaggio circostante. «Non vorrei sembrare irrispettosa, ma questa strada è privata. Stiamo violando dalle due a sei leggi infrangendo questo domicilio.»

Santana si lasciò andare ad una risata di scherno. La ragazza tanto timorata da rifiutarsi di mettere piede nella proprietà di un vecchio pescatore deceduto era la stessa che pochi metri prima si era proposta di partire per il mare. Cos’avrebbe fatto alla loro prima razzia di preziosi? 

Vedendola come un’opportunità per sbarazzarsi della palla al piede, la latina si aggiustò il cappello sul capo e dopo aver calpestato l’erba verde del giardino di Don Comacho si voltò verso di lei. «Finché il chiarore del sole illuminerà l’isola io sarò sulla spiaggia ad attendere. Se nel frattempo trovassi il coraggio di oltrepassare questo giardino, entrare nella casa – o ciò che ne rimane – di Llorenço ed uscirne con un gingillo a prova della tua prima impresa, potrai spalare con noi.» 

«Ma quella casa è un rudere.» Provò ad argomentare Rachel, ma la latina le aveva già rivolto le spalle e si stava allontanando verso la riva. «Non è di buon auspicio violare il rudere di un defunto! Senza contare che nessuno ci mette piede da più di un anno e mezzo, potrei imbattermi nel suo cadavere putrefatto! O peggio, nelle ragnatele! Doña Lopez! Mi state ascoltando!?»

 

Santana si sedette sulla sabbia asciutta della spiaggia, con il sole del tramonto come unico compagno. 

Rivolse uno sguardo carico di speranza verso le acque, silenziose e cariche di mistero, riportando alla memoria le parole che tre giorni prima la sirena le aveva rivolto prima di sparire in quelle stesse acque che stava fissando. 

Troverai qualcosa ad attenderti

La latina si alzò in piedi e per scorgere un’eventuale traccia di una qualsiasi imbarcazione, s’immerso nell’acqua fino alle ginocchia dopo essersi accuratamente tirata su i pantaloni di tessuto molle. Neanche oltre quell’insenatura c’era la benché minima apparenza di un veliero o tantomeno di una barca a remi. 

Farai la figura dell’idiota, la provocò una voce nella sua testa. Vedrai che festa ti faranno dopo aver scoperto che li hai presi in giro.

Ma Santana si fidava ciecamente del mare e della sua rappresentate, Brittany, che pur essendo per natura descritta come ingannatrice trasudava fiducia e lealtà da ogni poro o squama che fosse. 

I primi a raggiungerla furono un paio di gabbiani affamati, che forse in ritardo si posarono con delicatezza a pelo d’acqua per cercare qualche pesce rimasto indietro, come loro. Poi il suono di risate sguaiate arrivarono alle sue orecchie, seguiti dai proprietari: Noah, il fabbro, i due della locanda ed il ragazzo con il debole per la scrittura, o qualunque altra idiozia avesse detto. 

I sei si scambiano i saluti e per i primi minuti si accontentarono di parlare del più e del meno. 

Ma con l’ansia e la trepidazione alle stelle, fu difficile per tutti evitare il grande elefante nel mezzo della stanza. 

«Allora..» Iniziò Finn, massaggiandosi le mani impacciatamente. Fece una smorfia strana prima di farsi portavoce del dubbio collettivo. «Dov’è la nostra barca?»

«Pazienta.» Sentenziò Santana, ostentando sicurezza con lo sguardo vispo rivolto alle onde.

E così fecero. Si sedettero tutti sulla spiaggia e, pazientemente, in religioso silenzio, attesero. Almeno finché il silenzio non fu disturbato da una voce stridula. 

«Doña Lopez!» Seguì uno strillo che fece accapponare la pelle a tutti quanti. Santana si voltò timorosa di vedere la sua paura diventare carne. Davanti ai suoi occhi Rachel Berry avanzava a passo incerto dal giardino che portava alla spiaggia con niente meno di un gatto tra le braccia.

Il ragazzo della locanda, Kurt, fece sentire la sua voce per la primissima volta. «Ma quella non è–» 

«Rachel Berry.» Concluse Finn con voce sognante. 

A Santana si accapponò la pelle. Notò solo al suo avvicinarsi di come fosse malconcia la ragazza: il viso sporco di polvere, le ragnatele tra i capelli, la veste con chiazze scure di sporco ed il pallore di chi ha appena visto un fantasma. 

Rachel sventolò il trofeo in pelo ed ossa davanti alla latina, che rispose con una smorfia di disgusto. «Ecco la vostra prova. Ho passato le pene dell’inferno per recuperarlo, povero micio spaventato, ma con che cuore avrei potuto lasciarlo nella casa di un fantasma? Chissà quanti orrori hanno già visto queste pupille stanche. Per la cronaca, ho deciso di chiamarlo Fifì, sta chiaramente per fortunato visto che questo pulcino ha avuto un’immensa fortuna ad essere salvato da quel luogo tenebroso e putrido. Ora mi aspetto che onoriate la vostra parte del patto.»

Santana spostò lo sguardo dal gatto alla ragazza più e più volte. 

«Quale patto?» Domandò Puck, alle loro spalle.

«Doña Lopez ha detto che se avessi superato la sua sfida mi sarei potuta aggiungermi a voi.» Lo informò prontamente Rachel.

«Beh, immagino che con una donna come capitano non possa essere di maggiore sfortuna navigare con un’altra femmina a bordo.» Commentò Blaine, incrociando le braccia al petto.

«Se portassimo a bordo anche il gatto la sfortuna si bilancerebbe. È risaputo che i gatti siano portatori di buona sorte.» S’intromise il biondino, che alzatosi in piedi si pulì le mani dalla sabbia sui vestiti. 

«La buona o la cattiva sorte» cominciò Kurt borbottando, «è l’ultimo dei nostri problemi. Non so se ve ne siete accorti, ma non abbiamo neanche una barca su cui salire. Cosa stiamo aspettando, esattamente? Che un magico veliero spunti dal nulla da un momento all’altro?! »

I ragazzi cominciarono a battibeccare mentre Rachel sembrava essere intenta a coccolare il gatto e a rassicurarlo riguardo il suo futuro destino. Santana, invece, al limite di una crisi di nervi, si prese il cappello tra le mani e di nuovo s’incamminò verso il mare. 

Gli altri, vedendola, sembrarono quietarsi. 

La latina sospirò con il naso e si prese nervosamente il labbro inferiore tra i denti, aveva una sola idea in testa per porre fine a quella situazione e non le rimaneva che aggrapparcisi con le unghie nella speranza della riuscita. 

 

«Devi solo chiedere, Santana. Il mare ti darà tutto ciò che desideri.»

 

Deglutì rumorosamente al ricordo della voce melliflua che con immensa calma le aveva spiegato le regole del gioco. Poi si chinò lievemente verso la distesa d’acqua e sussurrò: «Ho bisogno di un veliero, Brittany. Ho un disperato bisogno di un veliero, per cui se volessi essere così gentile da accordarmi questo favore io te ne sarei riconoscente a vita.»

Come terminò la frase, all’orizzonte, dove le acque erano più profonde, uno strano gorgoglio prese vita. La ciurma appena nata della ragazza rimase con il fiato sospeso. 

Spuntò prima un legno, quello dell’albero maestro, poi le vele bagnate dall’acqua da cui stavano uscendo ed così, poco a poco, l’intera nave. 

Tutti osservavano quel fenomeno incredibile a bocche aperte: un veliero di ottimo legno era appena sbucato dalle acque oscure del mare notturno e lentamente si avvicinava alla riva. 

«Sei veramente la figlia del diavolo.» Mormorò Samuel Evans, con più meraviglia nella voce che terrore.





*****
Buon rientro a scuola a tutti gli studenti! 
Questo è un piccolo promemoria che dice: la fanfiction non è né archiviata né morta. 
Spero il capitolo vi sia piaciuto, a presto il resto della storia! Fatemi sapere se c'è ancora qualcuno che segue la ff. 
Bye! 

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