La caduta

di Aoboshi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mano del destino ***
Capitolo 2: *** il Mortifero ***
Capitolo 3: *** un nuovo ruolo ***
Capitolo 4: *** Ricordi: Madain Sari ***
Capitolo 5: *** Ricordi: la cerimonia ***
Capitolo 6: *** Ricordi: la memoria del focolare ***
Capitolo 7: *** Ricordi: la fuga ***
Capitolo 8: *** Ricordi: ciò che sta alla fine ***
Capitolo 9: *** Ricordi: L'angelo ribelle ***
Capitolo 10: *** Ricordi: Il terano e il jenoma ***
Capitolo 11: *** "Sono Kuja, tu chi sei?" ***
Capitolo 12: *** Risveglio ***
Capitolo 13: *** Walzer ***
Capitolo 14: *** Chiaro scuro ***
Capitolo 15: *** Chi può mostrarsi per quello che è? ***
Capitolo 16: *** Frammenti perduti ***
Capitolo 17: *** Cassandra ***



Capitolo 1
*** Mano del destino ***


-Avete forse bisogno di aiuto!?- la voce di Kuja risuonò affilata nella biblioteca. Cassandra trasalì, non poteva scegliere un momento peggiore, il piede le scivolò dallo scaffale, la ragazza serrò le dita sul ripiano superiore e rimase lì appesa cercando di riprendere l’appoggio, sfortunatamente l’ampio vestito non le fu d’aiuto, le gambe le penzolavano pericolosamente nel vuoto. Se fosse scivolata ci sarebbero stati quattro metri di nulla e un mago fuori come un terrazzo ad attenderla. Non poteva vedere Kuja da lì, ma era sicura che stesse sogghignando. L’aveva sorpresa a posta, ne era certa, aveva atteso il momento giusto per entrare in scena, come un predatore. Faceva sempre così, aspettava il momento buono, aspettava di vederla in bilico, per darle la spianta finale e farla cadere.
Io non cadrò!
Kuja era un avvoltoio, vestito di chiffon e seta, ma pur sempre un avvoltoio
Oh, le piume ce le ha!
In quella posizione le braccia cominciarono a dolerle e la presa si allentava ogni secondo di più. La ragazza serrò i denti, si maledisse per essere entrata là dentro invece di pensare alla fuga e abbandonare quella gabbia di matti. Eppure, quando era uscita dal tugurio di metallo in cui Kuja l’aveva relegata, era passata davanti a quell’enorme sala piena di libri fino al soffitto. L’impressionante libreria a muro l’aveva richiamata con una tale intensità da farla “rallentare”. Era rimasta lì ore a divorare i libri.
Sospirò, non poteva che incolpare se stessa e il suo animo da topo di biblioteca. Quella stanza era un incanto, un ampio salone circolare in cui smarrirsi. Non appena era entrata, l’aveva accolta una statua dalla disarmante bellezza: un angelo con l’espressione eterea, le mani giunte, circondata da  ampie ali chiuse. Cassandra aveva messo un piede alla volta in quella sala impregnata di un alone di mistero e bellezza, quasi temendo di spezzare un sortilegio, come se, ad un tratto, i suggestivi decori sul pavimento, impreziositi dalla luce rifratta in schegge arcobaleno dalle vetrate, potessero svanire. Le porte erano tutte in vetro finissimo e colorato, gli aloni dei candelabri sempre accesi le facevano brillare come gemme. Ma la libreria era qualcosa di inimmaginabile, non appena la vide il respiro le si bloccò nel polmoni. La struttura si articolava su due livelli per poi spiegarsi sino al soffitto, ad accoglierla c’era una grande cupola intarsiata di fregi e sculture, dotata di una cavità centrale che inondava di luce il piazzale sottostante. Cassandra si perse  nei corpuscoli di luce sospesi in aria come diamanti.  Entrambi i livelli della biblioteca erano incorniciati da affascinanti cariatidi dal viso angelico e dalle vesti drappeggiate. La ragazza si chiese chi mai potesse aver scolpito quelle statue, erano talmente belle da sembrare vive e da incutere timore. Al livello superiore della libreria si poteva accedere soltanto tramite una scala di mogano scuro. Cassandra si gettò subito sulle sezioni alte. Appena era entrata aveva capito due cose, che non sarebbe uscita tanto presto e che lì avrebbe trovato ciò che Daguerrero non era riuscita a fornirle: la storia della sua gente. La ragazza si inerpicò per i vari ripiani della biblioteca, ammirando talvolta gli affreschi squisiti delle pareti. A malincuore, ammise che la dimora di Kuja era di una bellezza disarmante.
Ma ora che lo aveva davanti, si maledisse per tutto il tempo perso e per essersi lasciata intrigare dal fascino di quella sala. Erano le conseguenze di una vita consacrata ai libri.
Ora so, cosa ha provato Ulisse.
Kuja l’aveva scoperta e lei penzolava precariamente sopra di lui. Il mago fece distrattamente un gesto con la mano, la scala di mogano le scivolò accanto. Cassandra la guardò, era proprio accanto a lei, bastava mettere il piede sul piolo ligneo e… Si voltò dall’altra parte, fece forza sulle braccia, riuscì a portare l’addome alla stessa altezza del ripiano, issò una gamba e si stabilizzò, lontana dal volo di quattro metri e dall’indesiderato aiuto. Poteva farcela da sola, non aveva bisogno di quella finta gentilezza. Sprimacciò le gonne del vestito e si voltò raggiante verso Kuja. Il mago si scostò annoiato la piuma dai capelli.
– Inutili sprechi di energia…  - scosse la testa lasciando brillare i sottili capelli argentei alla luce.
Cassandra avrebbe voluto fulminarlo con lo sguardo, lui e il suo tono saccente
– Vossignoria mi permette di chiederle come è uscita dalla sua … camera?- riprese scrutando  con attenzione il ripiano di libri davanti a lui.
Camera!?
Sì, a Daguerrero, magari, si era abituata ad un certo tenore di vita -se non alto- comunque dignitoso, ma la celletta fredda di metallo non sarebbe rientrata neanche negli standard di un vagabondo di Dali. Le sembrava di vivere in una grossa cisterna, la notte prendeva sonno a fatica immaginandosi travolta dall’acqua. Tra l’altro sul pavimento c’erano delle scanalature che ricordavano tanto un congegno ad estrazione, pronto ad aprirsi per farla precipitare chissà dove. Rabbrividì.
Benvenuti  nuovi incubi!
Non che l’uomo – e qui aveva più dubbi che sul resto- davanti a lei fosse meno inquietante o non animasse già i suoi sogni peggiori. Il mago passeggiò lasciando scorrere pigramente il dito affusolato sul dorso degli innumerevoli volumi ospitati in quella biblioteca. Lo vide accarezzarsi le labbra con le dita, le quali lasciarono una scia satinata al loro passaggio.
Oh per la gloria di Bahamut, il lucidalabbra no!   
Kuja alzò lo sguardo su di lei in attesa
Che diamine ha da guarda… Ah, mi sa che vuole che gli risponda…
Si morse il labbro inferiore, Kuja la guardava compiaciuto. Cassandra avrebbe preferito annegare che raccontargli come era uscita da lì. Come poteva dirgli che aveva sfruttato la sua natura di multi-forma per sgattaiolare via?  Proprio lei che appena aveva messo piede in quel ritrovo di pazzi gli aveva urlato contro che-mai e poi mai- avrebbe usato le sue abilità. Kuja la guardava tronfio, sotto il suo sguardo capriccioso stava macchinando qualcosa, come faceva sempre. Cassandra arretrò, la sicurezza della solida libreria alle sue spalle, lontana dal ciglio del largo scaffale.  
-Mia signora avete forse perduto il dono della parola?- la nota di rammarico era talmente falsa da farle chiedere se la prendesse per stupida - Mi sembravate più tosto loquace quando vi ho incontrata…- 
Incontrata, ma che, davvero!?
Cassandra sentì le mani pruderle,  avrebbe solo voluto scagliare contro  quel damerino  tutti i libri della biblioteca, o forse solo uno di sinonimi e contrari, visto che il suo ospite non conosceva la differenza tra “rapita” e “incontrata”. Ma si trattenne, un po’ per rispetto ai libri e anche perché sfidare il mago, sarebbe stata un’idea tutt’altro che brillante. Kuja era pericoloso, lo sapeva,  i suoi sensi glielo avevano urlato non appena lo aveva visto e continuavano a intimarle di stargli lontano e di non provocarlo.  Ma a volte la tentazione era troppo forte
-Sarà colpa del servizio!- rispose lei vaga.
Kuja inarcò le sopracciglia. Cassandra udì un ringhio cupo, si voltò e rimase di sasso, oltre la porta principale, vide comparire gli occhi feroci del drago d’argento. La bestia era appollaiata nell’atrio antistante alla biblioteca e aveva alzato la grande testa squamosa. Cassandra rabbrividì, le sue aspirazioni di vita erano più alte rispetto a diventare cibo per lucertole alate.  Fu questioni di secondi, il fiato le mancò, un forza invisibile le premette contro i polmoni, bloccandola. Cassandra si sentì stringere in una grande mano.
L’hai provocato, dannazione!
 Ma era tardi, l’incantesimo di Kuja la trascinò giù, non si dette neppure pena di afferrarsi a qualche scaffale. Atterrò in piedi, ma in modo tutt’altro che delicato. Il mago la guardava, quella stramaledetta espressione compiaciuta stampata su quella faccia dai lineamenti troppo sottili . Se non fosse stato narcisista, odioso, autocelebrativo sino all’ossessione, vanitoso, arrogante e… Cassandra perse il filo del discorso, si chiese come dovesse finire. Per un secondo le caddero gli occhi su quelli acqua marina del mago, accarezzati da folte ciglia nere- le tornò in mente.
Scosse la testa avvilita-lei non aveva ciglia così lunghe-  Se fosse stato meno… Kuja, il mago si sarebbe anche potuto dire bello. Era strano, non doveva avere più di venticinque anni, ma i lineamenti androgini e delicati lo facevano sembrare anche più giovane, di sicuro sottolineavano il suo carattere infantile.
-Perdonate la mia invadenza, ma mi allarmava vedervi in una posizione così precaria!-
Cassandra sbuffò e si tolse la polvere dal vestito, si accorse di farlo ogni qual volta era agitata. Osservò torva il suo ospite, gli eidolon dentro di lei esigevano il suo sangue. Cassandra lottò per tenerli sotto controllo. Da quando era in quel posto maledetto, li sentiva ruggire sempre più forte, il loro richiamo era diventato un inquietante mantra nei meandri della sua mente. Talvolta la notte la passava imprigionata in orribili visioni in cui perdeva completamente il controllo, lasciando svanire la sua coscienza nell’oblio. Alzò gli occhi verso quelli di Kuja, era solo sua la colpa. La stava obbligando ad affrontare il suo incubo peggiore, anzi la voleva costringere a diventare, il suo incubo peggiore.
-Io sarò sempre in una posizione precaria- gli sibilò a denti stretti. Si fronteggiarono in silenzio.
-Mia cara, ho il sospetto che proprio non vogliate dilettarmi con l’interessantissimo resoconto della vostra fuga… Non vi inorgoglisce il pensiero di essere stata l’unica ad aver ragione delle mie astuzie!?-
-L’orgoglio…- fece un inchino. Se lui poteva essere teatrale, perché lei doveva essere da meno?- E’ l’intimo compagno della stupidità!-
Kuja increspò le labbra in una smorfia annoiata -Parole ineccepibili –
ma le distese un istante dopo in un sorriso. Era terrificante il modo in cui passava con facilità da un’emozione all’altra -Tuttavia prive un qualsiasi effettivo significato!-
-Come credete…- non era proprio dell’umore di cominciare una discussione sull’etica, con chi di etica non ne capiva davvero nulla. Kuja la fissò con sguardo indecifrabile per qualche secondo. Quando taceva, era forse più pericoloso di quando attaccava una delle sue elucubrazioni. In effetti, Cassandra, fu felice di avergli assestato quel contentino. Aveva imparato presto, a Daguerrero, che la gente odiava ricevere la ragione senza possibilità di ribattere. Fintanto che tra loro regnava il silenzio, la ragazza prese a cercare una via di fuga, ma c’erano, Kuja e il suo drago a sbarrarle le uscite
Mi hanno circondata!
In quel momento le sembrò che persino le statue la stessero scrutando deridendola, fu una sensazione orribile, Cassandra si chiuse nelle spalle.
-Tenete per voi i vostri segreti se questo vi allieta- disse ad un tratto il mago schioccando la lingua. Cassandra lo fissò, era troppo presto per tirare un sospiro di sollievo. Kuja alzò i suoi occhi color non-ti-scordar-di-me, su di lei, belli, inquietanti, ma belli.
-Piuttosto mi chiedo se possiate svelarmi una curiosità…-  si era messo a leggere i titoli dei libri davanti a lui, pensieroso. Cassandra cominciò a chiedersi cosa accidenti stesse cercando. Se pensava che gli avesse rubato qualche volume, stava cercando invano, lei non era certo una cleptomane come lui.
-Di che genere?- non sapeva dirsi perché, ma una sensazione orribile prese a strisciarle dentro.
- Sarei molto curioso di sapere dove abbiate imparato quel motivetto così accattivante!- sbottò di colpo pieno di entusiasmo. Sembrava un bambino a cui si mostrava per la prima volta l’arcobaleno. Cassandra si raggelò. Kuja le sfoggiò un sorriso innocente
– Sì, una melodia sublime e voi, se mi permettete, siete una cantante più che discreta … Come faceva…-
si portò una mano alla bocca come se si stesse scervellando per ricordare. Ma, era una farsa, Cassandra lo sapeva, dentro di lei l’agitazione aumentava in un rapsodico crescendo, fino a chiuderle i polmoni.
No, no ti prego fa che non sia ...Supplicò dentro di sé che i suoi timori fossero infondati, ma l’amaro alle porte della gola le diceva qualcosa di diverso.
                          
“So many dreams were broken and so much was sacrificed
Was it worth the ones we loved and had to leave behind?

 
NO! Gli occhi di Cassandra divennero vacui, la voce di Kuja emulava perfettamente la melodia, adattandola al suo tono più grave e carezzevole, come se l’avesse ascoltata ormai innumerevoli volte, ed era così infatti. Cassandra si sentì mancare,  la sala prese a vorticare, in quella stanza erano in quattro, lei, Kuja, il drago e il panico.  
 
So many years have past, who are the noble and the wise?
Will all our sins be justified?


La melodiosa voce del mago, nella sua mente, si sovrappose alla sua, che singhiozzante aveva cantato quella canzone.
Ogni.
Singola.
Notte…Da quando era lì.    

The curse of his powers…
 
-Vi prego…- supplicò a mezza voce, fu praticamente un guaito – Vi prego, smettetela!- sentiva le lacrime bruciarle dietro gli occhi, deglutì cercando inutilmente di calmare la gola riarsa dalla disperazione.
Kuja si fermò, mettendo il broncio offeso, come se la sua ospite non avesse gradito quel dono del cielo.
Ma fingeva, oh se fingeva. Il mago le aveva lanciato un chiaro messaggio. Lui sapeva tutto, sapeva chi era e sapeva anche come aveva fatto ad uscire: sapeva che si era trasformata in Siren per addormentare i mostri a guardia della sua cella, che si era trasformata Ixion per fuggire attraverso l’elettricità dei congegni lì presenti e  che aveva usato quei due perché erano gli unici che le lasciassero un minimo margine di coscienza. Kuja sorrise, gli occhi ricolmi di un entusiasmo nauseante
–Sentitevi libera di vagare tra queste mura, dama D’Oeilvert  …
Tanto non andrete da nessuna parte…Completò Cassandra ancora sotto shock.
-Sono certo che sia un po’ come tornare a casa, per voi…- poi Kuja camminò verso uno scaffale della biblioteca, passò il dito toccando vezzosamente ogni dorso rivestito ed emettendo un “mmm” finché non ne uscì un volume di pelle nera con i rinforzi in ottone. Il mago si avvicinò a Cassandra sfoggiando uno dei suoi sorrisi più accattivanti, le mise il volume tra le mani
–  Non metto mai i miei preferiti troppo in alto, mi ero dimenticato di avvisarla- le sussurrò suadente – Buona lettura …- le augurò  mentre si avviava verso il suo drago, il quale si rialzò elegantemente da terra, attendendo il suo padrone.
-Vi attendo questa sera a cena, così mi direte cosa ne pensate! – le annunciò Kuja mentre saliva agilmente sulla sua cavalcatura alata -… Spero che il vostro terano non sia troppo arrugginito…- aggiunse maliziosamente a bassa voce, ma Cassandra aveva sentito. Il fruscio di ali riempì il silenzio della biblioteca, la creatura si alzò in volo, ma Cassandra aveva occhi solo per quel volume tra le sue mani. Sulla copertina ruvida e scura spiccavano, come lingue di sangue, delle rune. Le gambe cedettero, Cassandra si ritrovò a terra, il libro tra le mani che la derideva  :“La caduta di Tera” recitava il suo titolo.
La caduta, già, quella che ormai affrontava ogni giorno da quando era lì.
 

NdA: Ciao a tutti, scusate se parto in quarta, ma così per lo meno vi annoierò di meno (si lo so siete scettici e fate bene). Dunque tra i chiarimenti dovuti c'è la canzone di Cassandra: ho scelto "Hand of Sorrow" dei Within Temptation. Per chi non la conosce consiglio vivamente di ascoltarla se piace il genere. L'ho scelta perchè -in modo molto forzato- mi fa pensare a Kuja e poi perchè ritengo rappresenti in parte anche Cassandra. Poi perchè mi piace davvero tanto, infatti il titolo si ricollega proprio alla canzone. Ho fermato Kuja al verso "the curse of his power" perché per Cassandra quello è il verso più penoso, in quanto lei guarda il suo potere come ad una maledizione. Per cui vedere Kuja scavarle dentro con una tale facilità la terrorizza, dato che lei ha cercato di reprimere quella maledizione da quando era piccola. Spero di chiarire questo e altri punti nei capitoli successivi o nelle altre storie della raccolta.  
Bene, passo al momento delle scuse: 
mi spiace per i notevoli orrori di sintassi, lessico e battitura, senza considerare il fatto che non riesco ad essere scorrevole neppure per sbaglio. E -per quanti mi stanno odiando per la prevedibilità della trama e la scontatezza di Cassandra- mi spiace, non sono davvero riuscita a caratterizzarla meglio, spero di riuscirci nei prossimi capitoli (ahime sì, ce ne saranno altri, mi scuso anche di questo).
Ringrazio quanti vorranno dare una possibilità al mio racconto, spero che vi piaccia o che per lo meno non vi faccia desiderare di bruciare il computer, questo sarebbe già un buon inizio. In più ringrazio tantissimo chi  si arrischierà a darmi un parere, sorbendosi non solo il racconto ma anche le mie digressioni. Se i vostri nervi reggeranno, allora sappiate che siete più tosti della bilancia della regina Brahne...

Bene sto degenerando, mi fermo prima di mettere giù qualche altra sciocchezza. Davvero un grazie sentito a chi spenderà il suo tempo e anche a chi,  con sviluppato senso di autoconservazione lascerà cadere nel vuoto della sezione l'eco dei miei racconti (si sono melodrammatica, c'è una ragione se mi è simpatico Kuja no!?)

Ps persiste il problema delle "o"

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Capitolo 2
*** il Mortifero ***


-Aiuto, ti prego…- un dolore lancinante la stava squarciando, aveva urlato, urlato disperatamente. Qualcosa le si era avvinghiato al cuore, ai polmoni, invadendoli tutti e impedendole di respirare. Una sostanza nera le si diffuse anche negli occhi oscurandole la vista
-Ti prego, papà, papà, aiutami!- piangeva disperatamente mentre anche gli arti smettevano di risponderle rendendola prigioniera del proprio corpo.
-Cassandra, Cassandra, puoi farcela! Resisti!- l’uomo sotto di lei diventava sempre più piccolo. Mentre una puntura costante le stava perforando le spalle, un turbinio di piume bianche l’avvolse, vide le sue braccia allungarsi e rispondere ad una volontà che non le apparteneva.
-Padre!-chiamò disperata. La figura di suo padre era ormai svanita e lei era perduta.
Sei nostra, Cassandra!
La risata femminile e tagliente come un coltello risuonò acuta nella sua mente.
 
Un forte clangore la strappò ai sui incubi, Cassandra si alzò di scatto, il petto si alzava ed abbassava ad ampi intervalli, la fronte era madida di sudore. Si sfiorò il volto e guardò le braccia: normali, rosee.
Un sogno, è stato solo un sogno.
Eppure non smetteva di tremare, quella voce le solleticava ancora gli angoli più bui della mente, una minaccia latente, mai del tutto scomparsa. Una mano ossuta l’afferrò per il collo del vestito.
-Andiamo, stupida!- le sputò tra i denti uno dei due raccapriccianti giullari. Venivano lì quasi ogni giorno e la sottoponevano al suo incubo peggiore. Cassandra guardò con orrore la porta della sua cella aperta.
No, vi prego basta…
Zon e Son, i due diabolici giullari, Cassandra non aveva mai apprezzato i clown, ma quello era un abuso, i due erano dei mostriciattoli deformi alti sino al suo ginocchio, indossavano gli stessi vestiti, solo di colori diversi, uno era rosso, l’altro blu. Zon la trascinò fino alla soglia della sua cella, Cassandra prese a dimenarsi.
-Lasciami!- gli ringhiò puntando i talloni e strattonando via il collo dell’abito. La ragazza rotolò sul pavimento di ferro, il medaglione le rimbalzò sulla trachea, fermandole il respiro per un secondo.
-Insostenibile!- saltò il giullare.
-Insopportabile- rispose l’altro
-Inaccettabile!-
-.Ina…-
Cassandra fece saettare gli occhi verso una via di fuga, era ancora terrorizzata dal suo sogno, non poteva sopportare oltre, doveva andarsene.  Fece forza sulle ginocchia e scattò verso l’uscio aperto, il suo slancio si scontrò con una barriera, Cassandra venne sbalzata sul pavimento. Un rivolo di sangue le scese dal naso.
-Maledetto…- ringhiò ancora. Doveva immaginarlo, Kuja monitorava ogni sua mossa, non poteva fuggire. Non ebbe modo di riprendersi che uno dei giullari l’afferrò per i capelli, l’altro le infilò gli artigli nel polpaccio. Cassandra cacciò un urlo di dolore mentre sentiva le unghie del mostro penetrarle nella carne.
-Padron Kuja vuole risultati!- gracchiò Son.
-Risultati al più presto!- ribatté l’altro leccandosi il sangue dalle dita. Cassandra non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
-Risultati immediati!-
-Ris…-
Il torpore si impossessò di lei, abbassò gli occhi sui puntini rossi sulla sua gamba, Zon doveva averle iniettato del veleno. Si consolò, per lo meno non avrebbe sentito le inutili digressioni dei due clown. Osservò passiva le varie sale della reggia mentre i due la trascinavano verso i sotterranei. Lo splendore della reggia, man mano che scendevano, svanì gradualmente. Il marmo venne sostituito dalla roccia più grezza, i decori si fecero sempre più sobri, i corridoi più stretti e meno luminosi, le ampie vetrate divennero strette feritoie soffocate.
La vera faccia di questo posto.
Poco alla volta tornò presente a se stessa, Zon aprì con un incantesimo la pesante porta della cripta.      
Era un rozzo blocco sbozzato alla meglio nella pietra grezza, sulla facciata erano accennati i profili di alcune rune sconosciute e qualche altra iscrizione. Il blocco strisciò rumorosamente verso l’alto, liberando il passaggio. Son la spedì dentro, Cassandra si ritrovò al centro della saletta.
Benvenuti signore e signore ad una nuova entusiasmante estrazione…
La cripta era una piccola cella circolare, sul pavimento erano scolpiti una serie di cerchi concentrici in cui vi erano inseriti simboli simili a quelli del portone. La ragazza accarezzò penosamente le scanalature sotto di lei, chiuse gli occhi, sapeva cosa l’aspettava, non c’era bisogno di guardare.
Si dia inizio allo spettacolo
Son e Zon presero a girarle attorno,  le loro voci da cornacchie ripeterono cantilenanti le formule del rito. Cassandra percepì i cerchi dell’incanto circondarla e serrarsi sempre più stretti a lei, prendevano e lasciavano, contraendosi ed estendendosi come un cuore pulsante. La nenia divenne un ronzio indistinto conficcato al centro della sua testa. Arrivò la prima scossa. Cassandra si voltò sulla schiena, gli occhi sgranati, le unghie conficcate nella pietra nel vano tentativo di reggersi a qualcosa. Zon e Son non erano che macchie nel suo campo visivo, avrebbe voluto urlare, implorargli di smettere, ma ormai era tardi, era incapace di muovere la bocca. Arrivò la seconda scossa, Cassandra inarcò la schiena senza fiato, mentre un primo artiglio provò a squarciarle il petto. Urlò. Sentì l’incantesimo strisciarle dentro, scavarle nella mente e nel cuore per portare fuori tutto quello che lei aveva cacciato disperatamente a fondo. La magia le strappò il primo legame, un paio di occhi color ametista la fissavano.
Ixion… Il cavallo nitrì scuotendo la criniera cosparsa di scariche elettriche . Cassandra gridò ancora, un altro legame spezzato, per un attimo il cuore le si era fermato. Il cavallo saltò imbizzarrito nella sala per poi svanirle nel petto, dissolvendosi nel nulla. Non ce l’avevano fatta, l’eidolon non si era distaccato da lei.
Fermi!  
Ma non potevano sentirla e certo non si sarebbero fermati. Avevano impiegato settimane per spezzare quei due legami i quali, ormai fragili, si rompevano più facilmente. La mano dell’incantesimo le strinse l’anima, scavando e afferrando il secondo eidolon. Cassandra sentiva come una trivella nel petto, cercava di dimenarsi, ma era quasi peggio. Il sortilegio lo prese e lo riesumò, dal profondo della ragazza. Un’altra forma luminosa le apparve davanti agli occhi pieni di lacrime di dolore.
Siren… la sua voce era poco più di un guaito.
L’eidolon la guardava contrito, era forse l’unico con cui avesse una sorta di confidenza. L’unico la cui sete di distruzione era inesistente.
Resisti!
La voce, dolce e melodiosa, le ricordava quella di sua madre, ma era attraversata da una nota di terrore.  Sta per rompersi!
Il biondo eidolon sgranò i grandi occhi color topazio, si precipitò accanto a Cassandra accarezzandole il volto con le ali, le prese una mano. Il corpo di Cassandra tremava sotto le scosse dell’incantesimo che la stava smembrando. Chi c’è dopo?
La ragazza era terrorizzata, sentiva anche lei il sigillo della sua volontà cedere. Siren la guardò con compassione e amarezza.
Ce la faremo. Cercò di rassicurarla l’eidolon. Un’altra scossa e Cassandra strisciò la nuca sul pavimento, gli occhi sgranati sino all’inverosimile cercarono disperati l’eidolon.
Chi c’è dopo di te!? La stava supplicando, un’angoscia cieca le stava risalendo dal profondo.  
Gli occhi di Siren furono attraversati da un’ombra, lo spirito deglutì. Il dolore fu lancinante, Cassandra cacciò un altro urlo che superò le parole di Siren. Il penultimo legame si infranse.  Cassandra vide un artiglio grande quanto la sua gamba squarciarle il petto, la schiena si inarcò in modo innaturale. Cassandra sbarrò gli occhi, lo sguardo disperato alla ricerca di Siren.
E’ Zalera. Siren sgranò gli occhi atterrita. Hanno liberato il Mortifero…
L’esper prese a svanire così come era apparso. Mentre si dissolveva, le accarezzò la fronte.
Ce la farai, io resterò con te!
Siren ritornò a lei, come prima Ixion. Intanto la voragine dentro di lei cresceva; il sapore di sangue le occluse le vie respiratorie, una massa nera e informe le oscurò la vista; un’altra lacerante artigliata venne fuori. Cassandra mandò fuori un urlo disumano, poi lo sentì, una voce roca e graffiante, come proveniente da una tomba antica quanto il tempo.
Odore… di … vita… inebriante…
Cassandra sgranò gli occhi. Davanti al mostruoso essere, i suoi incubi divennero realtà. Incapace anche solo di parlare, la ragazza vide il mostro chinarsi su di lei. Cassandra fissò le orbite vuote del teschio; questi aprì la bocca, soffiandole addosso l’alito mefitico. Siamo una sola cosa, adesso!
Cassandra scivolò nell’oblio, mentre il Mortifero emergeva dai meandri dei suoi incubi peggiori.
 
-Il padrone non sarà contento!- affermò Zon davanti alla prima luce di eidolon. Ancora una volta, nonostante fossero riusciti a portarlo in superficie, il primo esper non si era distaccato dalla maledetta umana nelle loro grinfie. Avevano semplicemente visto la ragazza dimenarsi e fissare il vuoto davanti a sé
-Il padrone non sarà soddisfatto!- ribatté Son.
Anche il secondo eidolon non rispose, rimanendo ancorato alla volontà di Cassandra.
-Continuiamo?- gracchiò Zon.
-Dobbiamo fermarci?- domandò Son. Il loro incantesimo si scontrò con qualcosa
-Un terzo eidolon!- esultò uno dei giullari.
-Ci proviamo?- chiese l’altro
-Ci riusciamo!- sorrise maligno il compagno. I due giullari ripresero la nenia, i cerchi di energia si allargavano e stringevano sulla ragazza. Cassandra era ormai imprigionata nel loro sortilegio, prigioniera dei suoi spiriti.
-Eccolo!- dissero insieme i due mostri. Visualizzarono il legaccio, il loro incantesimo si serrò su di esso, strappandolo. La tensione esplose, scaraventando i due giullari contro le pareti di roccia. Son e Zon scivolarono per terra, le loro teste dondolavano innaturalmente. Non appena alzarono gli occhi, i due si guardarono.
-Al padrone non piacerà!-
-Il padrone ci ucciderà!-
Al centro della stanza, dove prima giaceva il corpo straziato di Cassandra, torreggiava un enorme scheletro alato. Il teschio portava due lunghe corna ricurve, il mantello nero e stracciato si confondeva con il profilo aguzzo delle ali corvine.  Dalla schiena del mostro si innestava il busto di una bellissima donna bendata dai lunghi e sottili capelli neri, la donna accarezzò il volto scheletrico del suo compagno.
-Siamo liberi- Sussurrò dolcemente la sacerdotessa.
Le orbite vuote dello scheletro  si illuminarono come rubini sanguigni , il ruggito del Mortifero scosse le fondamenta della reggia del deserto.
Il mostruoso essere spiegò le enormi ali nere e si lanciò contro i due giullari. Son e Zon chiusero i loro occhi, l’alito mefitico del Mortifero reclamava famelico i due gemelli.
La vibrazione di incanto esplose rapida, i due giullari furono avvolti da una barriera.
-Cosa, esattamente, è successo qui?- gli occhi di Kuja brillavano eccitati, i due lapislazzuli erano puntati sul magnifico e terrificante eidolon.
-Mio signore…- piagnucolò un giullare. Il Mortifero prese a colpire con i suoi artigli la barriera del mago. Kuja tenne le mani luminose in alto, sostenendo la loro protezione.
-Senza fretta, giovani compagni…- commentò Kuja osservando ipnotizzato quel mostro – Dove è la nostra leggiadra ospite?-
Il Mortifero scagliò un ulteriore attacco, la barriera si frantumò. Kuja eluse l’attacco, un colpo energetico frantumò la pesante porta della cripta.
-Toglietevi di mezzo in fretta, d’accordo!?- gli occhi ferini saettarono verso i suoi servi. Zon e Son lasciarono la stanza in pochi istanti.
Feccia. Kuja si scostò un ciuffo argenteo dalla fronte
-Benvenuto nella mia umile dimora…-  Kuja guardò con occhi avidi quel capolavoro. Eccolo, il potere degli esper, il tormento di Garland, era davanti a lui in tutta la sua magnificenza. Per tutta risposta il Mortifero sfiatò il suo miasma velenoso, una nebbia verdognola e invasiva. Kuja sorrise chiudendosi in una nuova barriera
–Odio gli esseri così irragionevoli!- si scostò la piuma dal viso sottile, la barriera esplose in mille schegge incandescenti, investendo l’eidolon. Le luci dei frammenti dell’incantesimo lanciarono aloni simili a delle piccole torce nella nebbia.   Kuja non si lasciò distrarre dalla bellezza pirotecnica del suo incantesimo, schivò agilmente l’artiglio del nemico, il quale emerse a tradimento dalla foschia tossica in cui la cripta era avvolta.  Kuja si incurvò attorno al braccio mostruoso dell’essere, lo afferrò saldamente mentre le sue mani si infuocavano, cercando di bruciare la carne viva che ricopriva l’ossatura sporgente del Mortifero . I sensi del jenoma vibrarono, Kuja mollò la presa mentre, facendosi forza sul braccio di Zalera, fece una capriola.
Il colpo sacro gli sfiorò la guancia.
-Suvvia, Cassandra, è un deludente spreco di abilità!-  ma il mago non fece in tempo ad atterrare, la lunga gamba dell’eidolon lo colpì. Kuja richiamò un’altra protezione, il colpo venne indebolito, lui e la sfera in cui si era protetto vennero scagliati contro la parete. Le fondamenta della reggia tremarono, la sfera si incastonò nel muro, prima di svanire. Il soffitto prese a tremare, dei grossi tocchi di pietra si staccarono precipitando sull’antico pavimento.
Se continuiamo in questo modo, dovrò trovare un’altra magione!
Gli occhi acuti del jenoma scrutarono la polverosa baraonda, c’era un silenzio innaturale, qualcosa gli pizzicò un angolo del cervello. Kuja si allontanò con uno scatto dal muro prima che delle braccia lo afferrassero. Ancora i suoi sensi erano in allerta, questa volta Kuja richiamò la sua vibrante energia, sulle dita apparvero delle scintille, con gli occhi sgranati per l’eccitazione, il mago scagliò la sfera di energia contro il nuovo avversario. Una pira illuminò l’ambiente,  Kuja si avvicinò al corpo consumato dal suo fuoco: un cadavere. Il mago si scansò all’ultimo, un altro morto vivente aveva cercato di colpirlo, Kuja gli servì un calcio tale da spedirlo contro la parete. Il jenoma fece avvampare le fiamme nelle sua mani, illuminando l’ambiente circostante e disperdendo la nebbia verdognola. Al centro della cripta, circondato da morti viventi, c’era Zalera.
Questo potere…
-I miei complimenti, madame!- disse sprecandosi in un inchino.  Lui e Zalera erano circondati da morti, al minimo cenno del loro signore, Kuja era certo si sarebbero avventati su di lui. Non una gran minaccia, ma, certamente, un’efficace diversivo per il loro signore.  Una risata femminea e cristallina risuonò tra le mura della cripta, Kuja alzò lo sguardo al busto di donna alle spalle del Mortifero. Era di una bellezza terrificante con quella pelle candida e i capelli lisci e scuri come le piume dei corvi, al centro della benda zaffiro, brillava una gemma.
-Sprecate il fiato, insulso jenoma… la vostra amica non può sentirvi-
Gli occhi di Kuja si ridussero a due fessure. Insulso jenoma!?
Non gli piacque il tono di quella donna, anche se era uno spirito, nessuno poteva dargli del jenoma alla leggera. Ma tenne a bada la furia cieca che poco alla volta stava riemergendo dai meandri del suo essere.
-Con chi ho dunque il piacere di parlare?- mascherò l’irritazione con un falso gesto di cortesia.
La donna si voltò verso il teschio cornuto sotto di lei, accarezzando ipnotizzata le ali. Sarebbe potuto sembrare un segno di affetto, ma era una visione troppo grottesca per associarvi un simile aggettivo.
-Zalera- la nuova voce non aveva nulla della precedente eleganza femminile, bensì era l’urlo di due voci sovrapposte – Noi siamo ciò che attende le anime perdute, i guardiani corrotti della morte!-
Gli zombie si scagliarono contro Kuja, il mago eluse gli attacchi con una rapidità inaudita, scorrendo rapido tra gli avversari, tempestandoli di attacchi. Dette fuoco all’armata dell’oltre tomba, ma per quanti ne facesse fuori, ce ne erano sempre di nuovi. La mente del mago elaborò in fretta, doveva assoggettare quell’essere ai suoi desideri. Era difficile combattere mentre la sua testa andava alle grandi cose che avrebbe potuto fare con un potere simile a sua disposizione. Il profumo dell’ambizione gli solleticava l’animo
– Incantato!- il mago fece un’enorme pira con i suoi avversari –Questo è dunque il momento delle dovute presentazioni!-
-Sappiamo chi sei, jenoma!- lo ammonì la donna. Kuja digrignò i denti, le avrebbe fatto volentieri saltare la testa se l’avesse chiamato ancora così, ma non avrebbe potuto, gli spiriti non erano facili da decapitare, ripiegò sulla retorica.
-Orbene, allora saprete che la vostra libertà è un mio merito!- si guardò distrattamente le unghie curate
–Sono quasi certo che non assaporavate la libertà da tempo… - altri zombie vennero fuori dalle macerie, Kuja sospirò dando immediatamente fuoco ai nuovi nemici, sembrava di essere alla festa di compleanno di un bimbo, gli zombie brillavano come candeline –Perdonate l’impertinenza, ma non è semplice adempiere ai miei doveri di ospite con i vostri servi che cercano di uccidermi!-
-Non abbiamo interesse nelle vostre insulse parole, jemona!- rispose freddamente la donna.
-Oh!- il tono falsamente sconcertato cercò di coprire il moto di rabbia – Curioso, non fosse stato per il mio generoso intervento, voi, grande Mortifero sareste ancora imprigionato nel fragile corpo di una donnina…-
Lo scheletro cornuto emise un ringhio basso e minaccioso. Gli occhi di Kuja mandarono un bagliore di soddisfazione, ecco cosa dava fastidio all’eidolon: ricordare il suo vincolo all’essenza di un miserabile umano.
-Credete forse che vi portiamo riconoscenza?- lo ammonì severa la donna. Kuja si accorse che non parlava, la sua voce gli echeggiava nella mente, come se avesse accesso libero ai suoi pensieri, la cosa lo infastidì.
Kuja si massaggiò le tempie–La gratitudine è sentimento  assai raro di questi tempi- lasciò guizzare gli occhi sul Mortifero – Sebbene sia innegabile il mio contributo ad eliminare quello sciocco contenitore che vi ingabbiava, non pretenderei mai la vostra gratitudine!-
-E cosa vorrebbe dunque la creatura di Garland da noi…-
Un fuoco gli bruciò il petto, l’ira prese a scorrere assieme al sangue, una smorfia di disgusto gli stirò il viso. Kuja dovette trattenere il suo impeto rabbioso. Era una partita delicata e Zalera era maledettamente subdolo, stava cercando di irritarlo, ma il suo odio per Garland e la sua sfrenata ambizione erano qualcosa di troppo importante per cedere alle provocazioni del giudice dell’oltretomba.
-Una collaborazione!- affermò aprendo le braccia e sorridendo con fare accattivante – Vi offro la possibilità di prendere tutte le anime che desiderate, di spiegare le vostre ali funeste su Gaya e saziare la vostra sete… al prezzo di una!-
-Alludi forse alla nostra guardiana?-chiese con voce neutra la donna.
- Affatto!- sogghignò il mago, forse quell’eidolon non era così lungimirante come sembrava –Tenete pure la sua petulante anima con voi, se la cosa vi rallegra… No…- alzò gli occhi luminosi e feroci
-L’anima che voglio è quella dell’osservatore stellare, la sua, voglio che sia lui il primo a varcare i cancelli dell’oltre tomba!- era quasi assuefatto da quel sogno, era un passo più vicino. L’inebriante forza di Zalera avrebbe spazzato via il suo maledetto creatore, e solo lui, Kuja, sarebbe rimasto a regnare incontrastato su Gaya e su Tera. Lo vedeva già in ginocchio, il maledetto vecchio, schiacciato dalla potenza dell’eidolon. L’eccitazione gli animò il petto, i respiri del mago si fecero più lunghi e ansanti.           
-Dunque ci offri la vita del tuo creatore- rise la donna, poi il tono si fece affilato –Quale generosa offerta, piccolo jenoma! Perché mai dovremmo…-
Il jenoma sgranò gli occhi, quella maledetta donna, il desiderio di squartarle la gola si fece sempre più forte
-Perché…- e questa volta il tono di voce tradì tutto il suo risentimento – Come vi ho liberato, vi posso rispedire in fondo a quella minuscola prigione di carne e sangue a marcire finché la vostra maledetta ospite non crepa!- lo sibilò a denti stretti, sputando con astio ogni parola. Si era sbilanciato un po’ troppo.
La risata di Zalera rimbombò nella cripta, il tono non piacque affatto a Kuja, il quale vagliò l’ipotesi di fare a pezzi quell’abominio, a prescindere dalla sua risposta.
-Ci stai forse minacciando, piccolo jenoma!?- lo schernì l’eidolon  -Lascia che ti dica una cosa, l’insulsa anima che ci imprigionava si è frantumata in pezzi così piccoli che neppure in un millennio, tu o il tuo creatore, sareste in grado di  ricomporre!-
Kuja sgranò gli occhi, avvertì una fitta – Non credo di …-
Ma l’eidolon rise ancora –Non c’è minaccia, perché non esiste più alcuna prigione!-
Per un istante il modo si fermò, gli occhi acquamarina guardarono in modo nuovo quell’essere terrificante.
Morta…Kuja non riuscì a trattenere un conato di vomito, gli sembrava tutto tremendamente irreale. No che non era morta, Cassandra non poteva essere morta. La sua voce risuonò come un sussurro sommesso nella  mente del mago. Kuja scosse la testa, non era morta,  l’avrebbe saputo, l’avrebbe sentito se fosse morta.
-Qualche problema jenoma, mi pare di averti sentito dire che potevamo far ciò che volevamo della nostra prigione…-lo stava deridendo, quell’essere disgustoso, più morto che vivo, quel dannato essere che aveva ucciso Cassandra… Kuja serrò i pugni per impedire al flusso di magia di fuoriuscire violento. Doveva fare i conti con quella verità, se Cassandra era morta, lui aveva perso il suo vantaggio e questo voleva dire…
-Ascoltami bene, jenoma, non ci sarà vita che non reclameremo… a cominciare dalla tua!-
Il ruggito di Zalera fece vibrare le pareti. Kuja aveva già erto la sua barriera, il suo richiamo era arrivato freddo e perentorio alla sua cavalcatura. La cripta esplose, Zalera  aprì le immense ali, ingrandendosi fino a sfiorare i tre metri.  Kuja scattò verso l’alto, tra polvere e macerie cercò un bagliore argenteo. Lo colse. Le grandi ali membranose del drago fendettero l’aria rapide, Kuja posò i piedi sulla groppa del suo compagno. L’urlo di Zalera fu un raccapricciante connubio di strilli, Kuja vide l’eidolon puntare verso di lui.
Maledizione.
Spronò la sua cavalcatura, il drago ruggì e partì rapido tra i venti. La mente di Kuja era persa in un caotico flusso di pensieri: l’eidolon lo inseguiva. Cassandra era morta. Non avrebbe avuto modo di vendicarsi di Garland perché il Mortifero esigeva la sua testa. Cassandra era morta. I suoi sogni di gloria erano destinati a fallire miseramente. Cassandra era morta.
NO!
Kuja si sporse verso il muso del drago, fissò accigliato gli occhi della sua cavalcatura, sapeva dove andare. Il drago colse, virò con decisione, separando le correnti d’aria. L’alito della morte era sempre più vicino. Kuja superò la familiare catena montuosa, sotto di lui, il deserto sfilava rapido, i sottili capelli color argento gli danzavano davanti al viso, fretta, doveva fare in fretta. Il mare accolse lui e il suo drago, la vasta distesa zaffiro brillava sotto il sole. Miglia, miglia interminabili lo separavano dal suo dannato obiettivo.
Resisti.
Una pioggia di sfere di energia gli piombò addosso assieme ad una raffica di piume nere e affilate come coltelli. Una gli ferì il braccio, Kuja accolse con orrore la lingua cremisi macchiare la bianca manica vaporosa.
-Più veloce!-  urlò al drago. Il richiamo di Kuja rimbombò potente, in pochi attimi, le strida di uno stormo di draghi argento riempirono l’aria tesa. Zalera volava veloce e i suoi colpi sacri andarono a decimare la protezione di Kuja. Finalmente all’orizzonte comparve una lingua di terra. Kuja salutò entusiasta il continente dimenticato.
-Sei finito piccolo jemona-
Kuja fece avvitare il proprio drago, eluse l’offensiva di Zalera, l’eidolon era però davanti a loro e bloccava il passaggio. Il mago lasciò fluire la sua rabbia, una raffica di colpi infuocati si abbatté sull’eidolon, il quale si coprì con le possenti ali. Kuja sfruttò l’occasione per proseguire la sua folle corsa. Finalmente, nell’insenatura dei monti, dopo sterminate miglia di deserto, vide il profilo della sua salvezza. Un colpo esplose, il drago ruggì, Kuja avvertì la stessa fitta della sua cavalcatura. La città era praticamente sotto di loro. I due precipitarono, il mago riuscì a richiudere in una barriera se stesso e il suo drago. L’impatto fu durissimo. Kuja rotolò nella sabbia sanguigna, mentre una sensazione orribile gli bloccò la bocca dello stomaco. Il fiato gli si bloccò nei polmoni, fu come sentire una mano strisciargli dentro e afferrargli il cuore, impedendogli di battere. Una disgustosa sensazione di impotenza si impossessò di lui.
E’ necessario. Strinse i denti, cercò di mettere a fuoco il panorama davanti a lui. I venti trasportavano un’irritante sabbia rossastra, la quale si infilò ovunque, nelle narici, negli occhi, nella bocca. Tra i sospiri del vento, Kuja vide emergere  una gigantesca figura nera, le ali sembravano un gigantesco mantello di quel signore della morte. Kuja trattenne una smorfia di disgusto.
-E’ la tua fine, distruttore di Gaya…- lo schernì la voce di Zalera. L’eidolon dette un possente colpo d’ali. Kuja guardò il suo drago, era riverso a terra, tra la sabbia, a molti metri da lui, oltre il confine, il petto scaglioso si alzava e abbassava lentamente.
Perfetto!
Il fruscio di ali lo informò che Zalera era atterrato dietro di lui. Kuja si sforzò di girarsi, l’eidolon torreggiava minaccioso su di lui, le orbite vuote del teschio sembravano quasi fissarlo, promettendo un oblio per nulla allettante.
-Le tue ultime parole, insulso jenoma!-la voce di Zalera era altera e affilata.
Kuja sfoggiò un sorriso sghembo
-Sì, benvenuti a Oeilvert!-
Uno sfrigolio improvviso riempì l’aria attorno a Zalera. L’eidolon fece per muovere un passo, ma l’aria attorno a lui era diventata un mulinello impenetrabile . Kuja accolse con piacere le strida di Zalera. Un vortice di scariche si avvolse attorno all’enorme Mortifero, il quale cadde in ginocchio, il suo secondo busto umano tossì schiacciato dalla barriera anti magica dell’antica città terana.
-Cosa hai fatto!-la voce mostruosa non era più quella di una donna, ma il coro di anime maledette dall’eidolon. Kuja rise entusiasmato da quello spettacolo meraviglioso. Le scariche si abbatterono sull’eidolon, mentre il vortice di sabbia gli imprigionava le gambe. Zalera provò a fuggire inutilmente, dei tentacoli neri lo tennero stretto al terreno, serrandosi sulle ali, spezzandogliele, finché la figura venne completamente coperta dal vortice di sabbia. Le acute strida costrinsero Kuja a coprirsi le orecchie, il mago si trascinò lontano dal marasma, ridendo sguaiatamente davanti alla dipartita del suo nemico. La tempesta di sabbia coprì tutto fin anche le grida dell’eidolon, poi, finalmente tornò il silenzio. Il profilo di Oeilvert si stagliava poco più a fondo, con i suoi cancelli diroccati. Kuja si rialzò, barcollava appena, era strano non sentire il flusso di energia magica, talvolta doveva soffocare il singulto di una risata. Il mago camminò fino nel punto in cui era svanito Zalera. Lì, tra la polvere e la sabbia, qualcosa si contorceva. Kuja fece qualche passo in avanti, la risata gli si strozzò in gola.    
 
-Padre- se la voce non fosse stata così roca, probabilmente sarebbe stata un grido - Vi prego…non lasciatemi…- Cassandra era in preda agli spasmi. Kuja era a un passo di lei, ipnotizzato dal suo contorcersi disumano.
-Vi prego padre… FA MALE!- sgranò gli occhi prendendosi la testa tra le mani.
Kuja arretrò, c’era qualcosa di grottesco e innaturale nella sofferenza di quella donna.
E sei tu l’artefice.
Questo pensiero gli fece venire la nausea, non c’era nulla di bello in ciò che vedeva. Talune volte, la distruzione di città, la voce della guerra, gli erano sembrate belle, un nutrimento irrinunciabile per la furia dentro di lui, ma non aveva mai fatto i conti con ciò che aveva davanti.
Gli occhi di Cassandra erano coperti da una patina dorata e iridescente, la ragazza si accovacciò in posizione fetale mentre, comunque, le scosse non le permettevano di mantenere a lungo alcuna posizione. Kuja non sopportò oltre, dette le spalle alla carcassa sanguinolenta e si avviò verso il drago.
–PADRE! – non fu un urlo, ma un latrato. Cassandra sputò sangue, rotolò sulla schiena e conficcò le unghie nel terreno –Non lasciatemi sola…- fu solo un sussurro.
Kuja si fermò. Cassandra strisciò verso di lui, sotto di lei si disegnò una scia di sangue e polvere. Il mago si voltò, una smorfia d’angoscia dipinta in viso, osservò la creatura ai suoi piedi. Che accidenti voleva da lui, perché non moriva in silenzio!? Cassandra era sudata, le ciocche mogano erano attaccate alla fronte, il diadema con le foglie d’argento era andato distrutto, la ragazza teneva una mano serrata attorno al medaglione che portava al collo. Lo sguardo cupo del jenoma rimase ipnotizzato da lei. Non era morta. Qualcosa si sciolse dentro di lui, la possibilità di sfruttare la sua forza non era ancora del tutto perduta.
Non è morta…
Kuja si piegò sulle ginocchia, osservando più da vicino il volto della ragazza. Gli occhi dorati le impedivano di vedere qualsiasi cosa. Zalera non aveva del tutto mentito, quell’estrazione aveva frammentato i suoi ricordi spedendola in uno dei tanti incubi di cui era vittima. Kuja conosceva quasi tutti ormai. Da quando l’aveva portata alla reggia del deserto, l’aveva monitorata ogni girono, l’aveva vista mentre si prendeva le ginocchia tra le braccia e si rannicchiava,  o quando, se non riusciva a prendere sonno,  canticchiava il suo motivo straziante per darsi coraggio. L’aveva vista quando aveva picchiato contro la porta urlando che lo odiava e che non si sarebbe piegata, che non sarebbe diventata il mostro che lui voleva.
Kuja serrò i pugni, come era familiare quella scena e come era strano vederla dall’altra parte.
-Perdonatemi padre…- biascicò lei contro il terreno – Non ho mantenuto la promessa… fa… male…-      
Il rumore di passi venne coperto dal fruscio del caldo vento di Oeilvert.. Cassandra sgranò gli occhi sul cielo della sua infanzia, poco alla volta il torpore sedò i suoi sussulti, poi le palpebre si chiusero e finalmente il vero oblio la accolse. La testa della ragazza scivolò sul petto di Kuja. Il mago l’aveva presa in braccio, era leggerissima, sulle guance sporche di terra e sabbia le lacrime lasciarono dei piccoli rivoli lucidi. Kuja sbuffò, finché non usciva da Oeilvert, le sue forse restavano esigue, stette attento a non incorrere in qualche nemico, era così frustrante quella sensazione di impotenza. L’espressione di Cassandra si contrasse, Kuja le scostò una ciocca della fronte sudata.
-Tranquilla fiore del deserto, il più è fatto!- non appena attraversò il confine della città dimenticata, il flusso magico investì Kuja, il quale si inebriò della sua stessa forza. Fece un profondo respiro, il drago, scrollatosi di dosso la sabbia, volò verso di lui. L’enorme bestia planò delicatamente,  nonostante la mole, ed espose il fianco, permettendo a Kuja di salire più agilmente. Non appena gli salì in groppa, il mago cinse le spalle dalle ragazza con un braccio, alzandole appena rispetto alle gambe, la lasciò scivolare verso di lui, dandole modo di accucciarsi al suo petto. Il respiro leggero di lei, sulla pelle, gli procurò un brivido. l drago grugnì. Kuja lo fulminò con uno sguardo.
-Muoviamoci, abbiamo un’armata di zombie da scacciare!-   
Il drago si alzò sulle zampe, le ali presero a mulinare, finché non si staccò da terra. L’aria calda gli accarezzava la pelle, Kuja abbassò lo sguardo sulla ragazza, non aveva più l’espressione contratta, Cassandra, serena, dormiva tra le sue braccia.    
 
Restava solo un legame, quello dell’eidolon più potente,  ma, Kuja se lo ripromise, l’avrebbe spezzato solo con il consenso di lei.


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NdA: grazie per coloro che leggeranno, alcuni dovuti chiarimenti. L'eidolon dell'inizio (parte in corsivo) non è Zalera, così come la sua voce non è la stessa della sacerdotessa del mortifero. Mi scuso per eventuali errori. La storia ha preso una piega molto più dark del previsto (O.O), certo non avevo intenzione di raccontare di allegri unicorni a spasso sugli arcobaleni, ma neppure un contrasto così forte. Penso che aggiungerò alla raccolta qualcosina in più sul passato di Cassandra, penso a questo punto che qualche chiarimento sia necessario.

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Capitolo 3
*** un nuovo ruolo ***


Il volo fu piacevole, assaporare la libertà in groppa al suo drago d’argento, mentre sotto di lui, il mare e la terra si prostravano adoranti, era qualcosa di incredibile. Ripensò a quando lo fece per la prima volta, quando si sentì davvero libero, lontano dalle ingerenze di Garland e dalle sue torture. L’aria sfilava veloce come le onde; le ali del drago erano un manto piumato stagliato nell’azzurro del cielo. Un gemito lo riportò alla realtà e alla ragazza tra le sue braccia. Era inutile, quel ciuffo non voleva saperne di stare al suo posto, lontano dalla fronte. Kuja sospirò e glielo spostò. Cassandra scosse appena la testa, per un attimo aggrottò gli occhi chiusi, poi si strinse più forte a lui. Kuja rise, era strano, tenere così la sua prigioniera, o meglio, la sua pedina. Sembrava così fragile, il viso sottile, gli occhi a mandorla e le labbra rosee. Le aveva asciugato le lacrime. Ammise con un sospiro che non avrebbe potuto fare diversamente. In un modo o nell’altro quel suo abito l’avrebbe bruciato, tanto valeva usare le maniche per pulirle il viso, invece di lasciarsi imbrattare l’addome o il petto. Se c’era una cosa che lo infastidiva più di Garland o della mediocrità, era il sangue; era così sporco, viscido, appiccicoso, una sostanza impossibile da smacchiare, per questo quando poteva lasciava ai suoi sotterfugi l’incombenza della battaglia, lui non voleva essere toccato, dopotutto era una recita, quella era la sua parte. Sentì il palmo soffice di Cassandra appoggiarsi al suo petto, Kuja sgranò gli occhi: e se fosse stata sporca di terra e sangue!?  Fece per togliersela di dosso, ma finì ad incrociare le dita in quelle della ragazza. Notò che Cassandra aveva le mani sottili, bianche e quasi perlacee alla luce del sole. Uno scossone, il drago grugnì. Kuja sospirò sdegnato, cosa accidenti prendeva alla sua cavalcatura.
-Buono…- commentò annoiato.
Si chiese perché tutti i suoi collaboratori dovessero essere così irritanti, sempre a seguire pulsioni futili e sconosciute: sentimenti, morale, bontà, amicizia. Trattenne una risata. Persino, l’amore. Tutte sciocchezze ed illusioni, affascinanti per il modo in cui incantavano la gente senza sfere di energia. Cosa erano le persone, se non comparse nel suo grande spettacolo!?
Abbassò lo sguardo su Cassandra, dopotutto lui sceglieva comparse di una certa qualità, questo era certo.  Finalmente la reggia del deserto fu in vista, il jenoma colse il bagliore vivace delle sue vetrate. Il drago volava rapido verso l’ingresso, nascosto sotto la propaggine rocciosa. Kuja lo fermò, probabilmente nel sotterrano c’erano ancora tracce dello scontro con il Mortifero, sarebbe stato meglio accedere dalle sue stanze. Il mago spronò il drago sino al suo balcone in marmo, chiaro e splendente sotto il sole. La bestia alata mosse le ali con meno rapidità cercando di mantenere la quota.
-Mi spiace madame, ma il viaggio è finito!- recitò lui, più per tenere fede al suo personaggio che non per la ragazza, ancora imprigionata nel suo sonno.
Kuja scese agilmente dalla groppa del drago, tenendo stretta Cassandra. Il drago fece per andarsene, il fruscio di piume riempì l'aria.
-Ossequi alla tua solerzia, nobile socio!- disse chinando leggermente la testa.
Una cascata di capelli argentei gli finì davanti agli occhi. Sospirò, con la ragazza in braccio non poteva certo scostarseli
-Siete decisamente un peso, mia cara!- abbassò lo sguardo su di lei.
Le pelle della ragazza era diafana per i giorni passati segregata, i capelli scuri le si attorcigliavano in morbide curve attorno alle guance lisce, la bocca leggermente schiusa, le ciglia nere come la pece solleticavano la guancia. Non riuscì a trattenere un sorriso, certamente, i suoi poeti prediletti dovevano aver avuto una simile visione per descrivere le magnifiche dame dei loro drammi. Cassandra sarebbe sembrata  una bambola, se non fosse stato per il leggero tremolio delle ciglia. Kuja attraversò l’ampia bellavista del suo balcone, scostò l’alta anta della sua porta a vetri e entrò nelle sue stanze. Tutto l’arredamento era come lui, unico, sublime, irreale nella sua perfezione, uno scenario da favola. I marmi lilla e crema regnavano sovrani in quel tripudio di forme morbide e sinuose, il letto, avvolto dal baldacchino di seta, era a pochi metri dalla portafinestra. Kuja vi adagiò sopra Cassandra, spostandole delicatamente la testa sul cuscino di piume d’oca. Continuò a fissarla, fossero stati in una fiaba, lei probabilmente sarebbe stata una perfetta principessa addormentata, fragile, delicata. Le scostò quella ciocca ribelle dal viso, trattene un sorriso, quella ciocca era così ostinata, eppure, non ci fosse stata, non avrebbe potuto sfiorarle le guance. Forse, in una storia diversa, lui avrebbe potuto ricoprire un ruolo diverso, forse quello di impavido eroe con l’armatura scintillante- non i rivestimenti di latta dei plutò-  scosse la testa, no, il suo ruolo era perfetto, lui era perfetto così, inarrivabile, etereo. Fece un sorrisetto, ecco perché evitava le gentildonne, così belle nei loro fronzoli e poi così deludenti nel resto. Cassandra gemette. Kuja le passò una mano sulla fronte
-Non temete, fiore del deserto, non mi riferivo certo a voi…-
Già, Cassandra, lei non era come le gentildonne che aveva conosciuto, lei era… vera.  Era incapace di recitare, ogni sua uscita teatrale era così goffa da farlo ridere, quasi provò compassione. Cassandra era talmente cristallina da non riuscire a mentire o ingannare la gente, chissà come era riuscita a sopravvivere in quel covo di lupi senza che le dilaniassero le tenere carni. Ma la cosa più strana era il suo potere, Kuja non se ne capacitava, Cassandra avrebbe potuto perfettamente ridurre in cenere Alexandria e invece viveva nascosta, tra i volumi di Daguerrero.
Gli eroi sono solo per i libri…
Kuja lasciò vagare lo sguardo nella grande camera da letto signorile, l’arioso soffitto a volta ospitava degli affreschi squisiti, immagini di angeli e demoni, cieli e pianeti, fusi in un’armonia di linee e  colori. Spostò gli occhi sulla toilette d’avorio oltre il letto, lo specchio gli rimandò il suo stesso riflesso, ammise che quell’immagine era perfetta per un quadro: lui, chino sulla bella fanciulla addormentata. Per un istante non si riconobbe, non riusciva a capire quale espressione ci fosse sul suo viso, sembrava soddisfatto come sempre, ma in maniera diversa. Si alzò dal letto con un sospiro. Lo scontro con il Mortifero doveva averlo sfinito più di quanto avesse creduto, tra l’altro quel parassita di donna era nel suo letto e lui non poteva neppure stendersi. Il viso gli si deturpò in una smorfia, dopotutto era il suo letto, ed era a due piazze! Scosse la testa, forse era il caso di stracciare i suoi abiti sudici e indossarne di nuovi, lasciando a Morfeo le cure della sua ospite. Fece per alzarsi, ma avvertì una debole pressione sulla mano. Le dita di Cassandra sfioravano le sue. Che male c’era se avesse provato un ruolo diverso? L’avrebbe ingannata per qualche istante, niente di più, poteva fingere solo finché non si fosse svegliata. Chi gli impediva di recitare anche quel ruolo? Sebbene gli venisse sempre a noia, la parte dell’eroe,  magari per quel poco poteva anche risultare gradevole. Nessun l’avrebbe mai saputo… Scostò delicatamente le dita della ragazza dalle sue. Si alzò e camminò verso la piccola libreria a muro, amava essere circondato dai suoi libri prediletti, aveva mobili simili disseminati in tutta la reggia. Aprì la vetrinetta e ne tradusse un libello, accarezzò la copertina ruvida e purpurea, poi richiuse l’anta leggera e camminò rapido verso il letto. Salì dal lato opposto a quello di Cassandra, attento a non turbare il suo sonno e a non increspare neppure le coperte leggere. Quasi come se l’avesse chiamata, Cassandra si voltò verso di lui, una mano sotto il cuscino, l’altra appena scostata dal petto. Kuja l’alzò poco alla volta, mettendole il volumetto sotto le dita, poi, guardando il gioco di castani e neri  tra le cicche morbide della sua ospite, la sua voce avvolse la camera, accarezzando le parole, modulando i suoni e attingendo alla sua memoria straordinaria. Recitò tutte le poesie del volume, intanto fuori il sole tramontava sul mare tingendo la camera di colori infuocati. La stanchezza ebbe la meglio su Kuja, il quale le cedette volentieri.
 
Quando si risvegliò era già sera, Kuja socchiuse gli occhi, l’aria più fresca del deserto gli provocò qualche brivido sulla pelle, si voltò verso Cassandra, dormiva ancora profondamente, con quel solito ciuffo dispettoso arricciato sul naso. Il jenoma sorrise e glielo assicurò dietro un orecchio, la ragazza storse appena il naso prima di rilassare la sua espressione. Kuja rimase ipnotizzato a guardarla ancora un po’, sembrava fatta di porcellana. Una tristezza viva gli pulsò dentro: se non si fosse mai più svegliata!? Se Zalera aveva detto la verità, allora Cassandra sarebbe stata bloccata in un incubo per sempre. Kuja si sentì pervadere da una sensazione sgradevole. Sgranò gli occhi, qualsiasi traccia di stanchezza era svanita. Non ce la faceva a guardarla, non con il rischio di doverla vedere così per sempre. Il jenoma si ritrovò a boccheggiare, avrebbe dato qualsiasi cosa per vederla aprire gli occhi, sorridergli, magari mentre gli diceva che lo aveva sentito, che era rimasta incantata dalle sue declamazioni poetiche. Kuja guardò angosciato la ragazza accanto a lui: ma quali pensieri stava facendo!?
Scese in fretta dal letto, la sua farsa era durata troppo a lungo, non doveva importargli nulla di lei, era solo uno strumento, niente di più. L’amaro gli scese in bocca, si cambiò dietro il paravento e lasciò la camera velocemente, aveva dormito abbastanza e l’esercito di maghi neri doveva essere ultimato. Era stata una recita, solo una recita. Kuja si chiuse la porta alle spalle e appoggiò la schiena contro di essa, si passò una mano tra i capelli. Rise. Era talmente bravo come attore da ingannare persino se stesso, si era decisamente calato troppo nel personaggio.
Quando c'è il talento...
Si, non poteva essere altrimenti, eppure si sentiva ancora strano, agitato. Doveva tenersi occupato, scacciare quella sensazione insensata che aveva addosso.
-Son, Zon!- chiamò certo che i due mostriciattoli lo sentissero. I due giullari accorsero al richiamo come cani. Kuja rimaneva sempre disgustato, erano degli esseri deformi e grotteschi.
-Ha chiamato padrone!-
-Siamo ai suoi ordini signore!-
Kuja non li guardò si limitò ad affrettare il passo. Lontano, doveva andarsene lontano, dove il volto addormentato di Cassandra non avrebbe potuto raggiungerlo
-Sellate il drago, Alexandria mi attende!- si fermò. No, il suo drago implicava una permanenza breve, e lasciare lì, Son e Zon, con Cassandra, senza di lui…si voltò pensieroso verso i suoi mostruosi  sottoposti.
-No, anzi, preparate l’invincibile, partirete con me, ho bisogno di tenervi a corte!- E lontano da Cassandra
-Sentito Zon!-
-Si torna a casa Son!-
Kuja sorrise di traverso. Si, loro e la loro donna elefante, sarebbe basta la vista di Brahne a cancellare il viso di Cassandra. Che modo infame per sfuggire a un brutto pensiero.
-Chiamate anche due maghi neri, li voglio a guardia delle mie camere!- il mago superò i due, stava praticamente scappando via. Si ritrovò nella biblioteca, ansante, incapace di ammettere che stava scappando.


NdA: questa volta il brano è raccontato dal punto di vista di Kuja, spero di rimanere il più fedele possibile al personaggio,anche se per quello che ho in mente è un po' difficile. Spero si avverta il contrasto tra il suo modo di essere e il confronto con emozioni che di fatto non riesce a capire e lo lasciano confuso. Poiché non ha mai conosciuto niente di diverso dalla sete di potere, ho pensato che magari cercasse di giustificare qualsiasi affetto con la logica o convincendosi di aver solo recitato.  

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Capitolo 4
*** Ricordi: Madain Sari ***


-Cassida, Cassida!- la voce severa le arrivò distante. Cassandra fece una smorfia, non aveva alcuna intenzione di svegliarsi.
-Mmm- gemette riavvolgendosi nelle coperte ruvide. Tela, tutto di tela in quel posto, tela e roccia, roccia e tela, e a svegliarsi non ci avrebbe guadagnato nulla. Tra l’altro, quello non era neanche il suo nome, se avesse solo pronunciato quello vero, avrebbe aperto almeno un occhio. Continuò a fingere di dormire.
Finì malamente giù dal letto, rotolò sul pavimento (di pietra) e si massaggiò il nascente bernoccolo sulla testa.
-Oh mamma… andiamo!- la figura della donna si stagliava scura e altera davanti a lei.
La madre era di una bellezza senza pari, minuta, ma dalla forte presenza. Lungo le braccia ed il collo, la vernice colorata disegnava rune e simboli sinuose,  spiccando vivida su quella tela bruna, striandola come il manto dei kwaul. I folti capelli scuri le cadevano ribelli sulla schiena; portava un grande copricapo piumato, un oggetto che Cassandra avrebbe sempre voluto provare, ma che ovviamente non poteva neppure sfiorare. Tra le piume di quel copricapo, faceva capolino il corno color avorio della donna. Cassandra si toccò involontariamente la fronte, lei  non lo aveva, c’era solo l’accenno del bernoccolo.
Il fisco della donna era asciutto, come si indovinava attraverso le poche parti lasciate libere dal vestito di pelli di mostri. Gli occhi viola erano infossati in quel viso sempre troppo severo e rigido. Aveva un aspetto selvaggio e regale, ma troppo distante.
 La donna picchiò impaziente il terreno con la sua asta piena di anelli e pendagli, il tintinnio dei decori si diffuse nella camera
-Sono il Sari, Cassida, devi chiamarmi con il mio nome!-
E allora tu chiamami Cassandra…
Serrò i pugni, non avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo. Abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi, alle caviglie e ai polsi brillavano cupi i braccialetti di ottone e di legno smaltato.
Manette…
-Devi prepararti, Cassida!- continuò la donna marciando fino alla porta, o meglio, all’apertura nella parete che spacciavano per porta. Il mantello di pelle strisciò, accompagnato dal tintinnare dei pendagli
-Tra poco avrà inizio la cerimonia – disse in tono altero senza voltarsi. Cassandra l’ascoltò passiva
-Cerca di presentarti in tempo, ne va della tua ammissione nella nostra comunità!- la donna uscì fuori facendo scampanellare le tende. Cassandra percepì il tonfo sommesso dell’asta di sua madre appoggiarsi al terreno, mentre si allontanava. Serrò i pugni, le nocche erano diventate bianche, i singhiozzi erano venuti prepotentemente fuori.
Dove sei, papà…
Lei non avrebbe mai fatto parte di quella stupida comunità- le lacrime le annebbiarono la vista, puntuali come sempre- che avesse voluto o meno. Camminò mogia verso l’unico specchio della casa, se casa si poteva chiamare quella stanzetta ricavata dalla roccia, piena di insetti, tappeti e impregnata di incenso. Si asciugò il naso e fissò il suo riflesso. La ricevettero i suoi stessi occhi gonfi e rossi, scuri e non viola, come quelli di sua madre.
Non aveva più di otto anni, aveva lo stesso sguardo infossato della madre, torvo, ma per fortuna non aveva quello stramaledetto corno. Era l’unica, l’unica aspirante sciamana senza corno. Non che fosse effettivamente un grande problema, c’erano diverse leggende legate ad abili sciamani sprovvisti, ma lei non era una grande sciamana, era solo una bambina e di spiriti non ne sapeva davvero nulla. Sospirò alla sua faccia tonda, lei non doveva neppure essere lì, odiava quel posto: Madain Sari, il villaggio degli evocatori. Abbassò lo sguardo  sul tappeto;  sua madre, il “Sari”, aveva lasciato una bacinella di creta piena d’acqua. Almeno in quello l’aveva accontentata
“Non capisco perché questa diffidenza, il momento della purificazione è una celebrazione giornaliera importante nella nostra comunità!”
Sbuffò, non si sarebbe lavata tra loro per niente al mondo. I  bagni comuni, puff... Non avrebbe fornito altre ghiotte occasione per lasciarsi insultare dagli sciamani. Almeno sua madre aveva il buon gusto di disprezzarla di nascosto. Forse le avrebbe voluto più bene, se magari non le avesse ricordato suo padre. Cassandra alzò gli occhi furenti sullo specchio: lei era fiera, di ricordare suo padre!
L’alieno, il mostro, lo avevano chiamato in ogni modo e maniera possibile, lui e quelli della sua gente. Peccato che gli sciamani non li avessero offesi prima che la gente di suo padre insegnasse loro ad ascoltare la voce di Gaya; prima, di scoprire i flussi di energia;  prima, di capire come costruire il loro villaggio, dopo la distruzione del precedente; prima ancora che quella semplice sciamana si innamorasse del misterioso forestiero proveniente dalle stalle. Le lacrime le bruciarono gli occhi, si sciacquò il viso, l’acqua fredda le pizzicò le guance. Sarebbe voluta tornare a quei tempi, quando gli sciamani e i terani vivevano insieme, quando sua madre e suo padre si amavano e loro erano una famiglia. Il pianto venne fuori più forte di prima, la bambina prese a tremare e si accovacciò contro il muro.
Se sua madre non fosse stata così fredda, se sua madre non fosse stata un mostro, loro sarebbero stati ancora tutti insieme. Invece, lei aveva preferito la carica di Sari alla sua famiglia. Cassandra si chiese se avesse mai davvero amato suo padre o se era tutta una farsa per lasciarsi rivelare i segreti di quella gente. Di sicuro, quando l’avevano cacciato, lei non aveva battuto ciglio, era rimasta altera e imperturbabile, mentre lui attraversava i cancelli di Madain Sari per non farvi più ritorno. Le sfuggì un singhiozzo a quel ricordo. Rivide suo padre, nell’aria rossiccia e calda del pomeriggio, voltarsi verso di lei, con gli occhi colmi di dolore, a chiudere la gruppo di terani. Lei aveva cercato di correre da lui, di raggiungerlo, di implorarlo di rimanere, o di portala con sé, ma la mano di sua madre le si era arpionata sulla spalla. Cassandra aveva cercato di divincolarsi.
“Lasciami andare, lasciami andare con lui!” l’aveva urlato con tutta la sua disperazione, quell’urlo le bruciava ancora la gola,  ma la donna l’aveva fermata;  i suoi occhi, viola e gelidi, l’avevano trafitta
“Tu appartieni alla comunità degli evocatori, Cassida!”
Bugie, erano solo bugie; lo sapevano tutti che lei non apparteneva agli sciamani, non era capace di ascoltare le voci degli spiriti neppure per sbaglio. I suoi maestri la vessavano ogni volta, perché incapace di richiamare anche il più semplice spirito o incantesimo.
“E il sangue avvelenato che ha avuto la meglio…” aveva commentato Adihiro Carol, il prodigioso dodicenne capace di ascoltare la voce di Madein. La evitavano tutti e, anche quando cercava di passare inosservata, sentiva gli sguardi pesanti della “comunità”. Sapeva bene che l’unica ragione per cui non era stata esiliata anche lei era il suo rapporto diretto con il Sari, ma ancora si chiedeva perché sua madre fosse ostinata a tenerla lì. Magari era per una qualche specie di orgoglio, dopotutto anche in minima parte, il sangue di sciamano scorreva in lei; o forse era una punizione per suo padre, separandolo da ciò che amava più al mondo. Cassandra si alzò, aveva gli occhi spenti, tanto valeva andare al muro dell’evocazione ed essere umiliata per l’ennesima volta, non solo davanti ai suoi maestri e coetanei, ma davanti a tutti gli sciamani. Tirò su col naso, magari, dopo una cosa del genere, sua madre si sarebbe convinta a lasciarla andare per la vergogna.   



NdA: spero che questo capitolo non dispiaccia, volevo scendere un po' più nel dettaglio con la storia del mio personaggio originale e anche lanciare le basi per spiegare come è nata la faida tra Tera e Gaya, l'idea mi è venuta leggendo del boss nascosto Ozma... Scusate per gli errori, per i coraggiosi che si arrischieranno a leggere, lasciatemi pure qualche opinione, giuro che non mordo ^.^

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Capitolo 5
*** Ricordi: la cerimonia ***


-E’ inammissibile…-
-Davvero sconcertante…-
Cassandra ascoltava a testa bassa, il brusio generale la circondava, chiudendola in un anello di solitudine. La comunità degli sciamani aveva salutato i suoi nuovi e giovani componenti, lei era stata l’ultima. La prova consisteva nel richiamare un eidolon minore, ed eseguire un incantesimo di cura su un mostro malato. Sapeva che avrebbe fallito, ma per quanto se lo aspettasse, questo non diminuì affatto la delusione.
La luce del mezzo giorno illuminava il muro degli eidolon, gli sciamani si erano tutti raccolti lì per la cerimonia. Davanti all’effige di Alexander c’era il Sari circondato dai saggi, il resto delle persone erano sedute in cerchio. Dopo che i suoi coetanei avevano superato le prove erano corsi tra le braccia delle loro famiglie. Lei non avrebbe potuto, neppure se ne fosse stata capace.
-Cassida Drall-
Cassandra, Cassandra, io mi chiamo Cassandra!
La frustrazione prese a bruciarle dietro gli occhi, non ebbe il coraggio di alzare la testa, sapeva quale fosse l’espressione di sua madre, non era necessario passare in rassegna anche quelle degli altri.
La voce di sua madre era severa come sempre, la punta di disprezzo molto più acuta del solito, ovviamente.
– Vuoi ritentare la prova?-
Si sollevò un nuovo vociare più forte
-Ma se non è stata capace…-
-Nessuno ha mai fallito queste prove…-
-… Non ha neppure il corno…- 
Cassandra deglutì, sentiva l’amarezza in circolo assieme al sangue, aveva le unghie conficcate nel palmo fino quasi a entrarle nella carne. L’animale tremava, bisognoso di cure davanti a lei. Non rispose. Sapeva che la stavano guardando tutti. Sentiva i commenti dei suoi coetanei come se glieli stessero sussurrando nell’orecchio
-Incapace-
La bestiola guaiva.
-Bastarda-
La guardava con occhi supplici, ma lei non poteva aiutarla.
-Sangue avvelenato-
-Avanti, Cassida!- la voce di sua madre si alzò più forte rispetto al cupo coro alle sue spalle – Richiama un incanto di cura!-
Cassandra fissò assente il muu davanti a sé. Una goccia di sudore le scese lungo la tempia. Provò ad alzare le mani, tremavano irrimediabilmente. Gli occhi dell’animale la ingoiarono, stavano soffrendo, stavano soffrendo insieme.
-Guarda, guarda come fallisce ancora!-
Cassandra ricacciò indietro le lacrime. Cercò di ignorare la voce di Adihiro e di concentrarsi sul mostro davanti a sé. Cercò il flusso magico nel suo essere, cercò la piccola traccia di magia, come le avevano insegnato, ma dentro di lei sentiva solo il dolore, l’angoscia e la frustrazione. Le mani le ricaddero lungo i fianchi.
-Non ci riesco…- biascicò. Nuovamente gli sciamani si sollevarono in un vociare violento e insoddisfatto.
Il Sari  batté il pesante scettro di legno, richiamando tutti all’ordine e tutti tacquero.
-Coma hai detto?- sibilò la donna nel silenzio più totale. Tra una mandria di piros e il Sari, Cassandra avrebbe volentieri affrontato i piros.
-Non ne sono capace…- il tono delle voce era piatto. Cassandra sentiva soltanto qualcosa di vischioso e nero che le ribolliva dentro.
-Lo dicevo che non era una sciamana…-
-Visto… neanche tutto il buon sangue del Sari…-
Voci, troppe voci che ripetevano quello che lei sapeva, che era una fallimento, che quello non era il suo posto. Qualcosa si mosse dentro di lei.
-Se non evochi quell’incanto, la comunità non potrà ammetterti tra le sue fila, lo capisci questo?- la rimbeccò severa il Sari.
Basta
-Non mi importa…- ripeté a se stessa, ma sua madre la sentì e così il resto della platea.
-L’avete sentita!?-
Zitti.
-E’ pazza!-
Vi prego basta.
-Dovrebbero cacciarla!-
State zitti.
-Lo faranno di sicuro!-
Per favore…
-E’ feccia proprio come suo padre!-
Sgranò gli occhi. “Feccia… proprio… come … suo…”
-Cassida Drall, evoca quell’incanto di cura, adesso!- urlò all’esasperazione il Sari. Un tonfo secco zittì il brusio. I saggi sgranarono i loro occhi cisposi e superbi. La luce di mezzo giorno venne improvvisamente oscurata, un nuvolone scuro si estese su Madain Sari.
-Ho detto…- fu un ringhio basso e continuo, le scariche elettriche le danzavano attorno agli occhi diventati bianchi e luminosi. I capelli si muovevano come serpenti, animati anche loro dalla tensione
–DI STARE ZITTI!
Seguì un’esplosione di fulmini, il Sari evocò rapida una barriera attorno ai saggi, mentre invece, il resto degli sciamani venne investito dal thundaga senza avere il tempo di proteggersi. Uno dei fulmini colpì il muro dell’invocazione, provocando una chiazza nera grande quanto una testa. Gli evocatori erano a terra, atterriti, incapaci di rialzarsi. Cassandra era al centro, il viso infantile distorto in una smorfia divertita, i piedi sollevati da terra mentre lasciava scorrere una miriade di scintille bianche tra le dita. In muu davanti a lei era stato carbonizzato.
-Oh… no… Cassandra…- la donna vide i saggi rialzarsi dietro di lei, tutti stravolti da quell’attacco impossibile.
Ad un tratto echeggiò un urlo. Tutti spostarono lo sguardo, richiamati da quella voce strepitante.
Adihiro Carol era imprigionato in una stretta di fulmini,  urlava e scalpitava inutilmente. Cassandra guidava il tornado di scariche, conducendo a lei  il ragazzino. Myra, il Sari, sentì il sangue nelle sue vene raggelarsi, quella non era sua figlia, non era neppure una bambina. I  capelli scuri di Cassandra si erano allungati sino a diventare un crine sottile e bianco, le pelle si fece nerboruta e violacea, coperta da una manto di peluria sottile e lucida.
-Dillo ancora! -la voce pareva una sorta di nitrito - Di ancora cosa siamo io e mio padre!-
Il ragazzino si dibatteva inutilmente come un pesce nella rete, Cassandra stava serrando la stretta e stava aumentando il voltaggio. Adihiro era terrorizzato, incapace di articolare anche un solo pensiero tra tutte quelle maledette scariche. Myra rimase imbambolata.
No… E’ presto, troppo presto. Il suo sguardo spaesato si piantò sugli anziani, vide avvampare l’orrore e l’odio nei loro occhi, aveva cercato di contenerlo, ci aveva provato per quattro anni. Myra capì che era finita, nulla di quanto avesse detto o fatto avrebbe più potuto risparmiare sua figlia.
Gli occhi egli sciamani presero a brillare, sul muro delle invocazioni, i ritratti degli eidolon si fecero luminosi.
Cassandra…
Avvenne tutto in fretta, un turbinio di piume avvolse Myra, dietro di lei, un essere dall’aspetto femminile aprì le grandi ali striate di biondo. La sciamana si voltò supplice verso Siren, tra le due si instaurò un sofferto dialogo silente. Non importava quanto le avrebbe fatto male, quanto sarebbe stato terribile non averla più con sé. Era stato il suo primo eidolon, un’amica, non solo uno spirito, ma era in gioco la vita di sua figlia e niente a confronto aveva importanza. Lo strappo si aprì, Myra cadde a terra sorreggendosi al suo bastone, le unghie raschiarono contro la terra rossa. Siren, libera,  saettò veloce verso Cassandra, aprì le grandi ali e l’avvolse, proteggendola dagli attacchi di Shiva e Ifrit, richiamati dagli sciamani. Myra cercò di controllare il dolore dovuto alla mancanza dello spirito, ormai era andata, aveva perso Siren, sperò fosse per una buna causa. Cassandra lasciò andare Adihiro, si voltò verso Siren, gli occhi feroci si posarono sul nuovo avversario.
-Fermati Ixion!-
La voce della sirena fu melodiosa ma solenne. Un nitrito proruppe potente e irrisorio
-NO!- Una scarica cercò di colpire la sirena, i colpi esterni si erano abbattuti sulle sue ali, si aspettava di sentire Myra gemere,  quando un eidolon veniva attaccato, era il suo sciamano ad accusare il colpo, ma non fu così. Myra l’aveva lasciata andare.  Siren cantò, il tempo scivolò più lento nella sua melodia, i volti furibondi degli sciamani si contraevano con una lentezza tale da farli sembrare statue di cera.
-Lasciala Ixion!- ordinò la sirena
Attraverso gli occhi di Cassandra l’eidolon lasciò trasparire tutto il suo odio, rise, buttando la testa all’indietro.
-Lasciarla!? Questa è la libertà, stupida traditrice!- Ixion la fissò disgustato –Ci hanno usato e poi dimenticato, i terani pagheranno per ciò che hanno fatto! Distruggeremo Gaya, così Tera non potrà rinascere!-
-Distruggeremo!?- Siren provò una scossa, il sorriso diabolico di Ixion deformò il viso di Cassandra
-Sai quanti eidolon sono stati dimenticati? Sai quanti spiriti sono stati insultati, o… relegati?-
Una consapevolezza oscura scese su Siren, era come temeva Myra, era esattamente come aveva pensato, quasi nove anni di attese e speranze del tutto vane.
-Lei… Ixion lei non può essere…-
Lo sguardo dell’eidolon si fece grave
-Meglio io, Siren, gli emissari del cielo non sono famosi per la loro misericordia…-
Siren guardò la figlia della sua umana, Cassandra era come lei, come Ixion. Il sangue della gente di Tera scorreva nelle sue vene, la magia di quel popolo si era fusa alle capacità degli sciamani, non erano gli eidolon a prestarle i poteri, lei era un eidolon, e lei prestava il suo corpo a loro. E se Cassandra era il collegamento degli spiriti perduti di Tera, allora il potere di Alexander sarebbe stato il loro ultimo problema.
-Ixion- la voce era bassa, Siren li aveva isolati rispetto alla baraonda di Madain Sari, i due eidolon erano in una realtà a parte. Siren vedeva scorrere attorno a loro un turbinio di piume e scariche di pura elettricità
-So che…-
-NO!- la fermò l’eidolon –Tu non lo sai… Non sai cosa vuol dire essere dimenticati, non sai cosa vuol dire vedere il proprio mondo crollare mentre la sete dei tuoi protetti assorbe e distrugge ciò che abbiamo difeso per secoli…-        
 Siren deglutì, quante volte si era sentita in trappola, quanti sciamani avevano usato in modi improponibili i suoi poteri. Lei era una guardiana, come tutti gli altri eidolon, e prestava il suo essere per proteggere Gaya, ma l’immagine di Myra fermò il suo corso di pensieri. La sua umana, lei era stata una donna saggia, lei l’aveva trattata con rispetto, come dovevano gli sciamani, non l’aveva mai usata, non l’aveva mai considerata uno strumento. Siren si sorprese a percepire quei vecchi e sopiti sentimenti che i secoli trascorsi avevano cancellato, una volta era stata un essere vivente anche lei, un titano della natura, ma con dei sentimenti e delle pulsioni. Alzò gli occhi su Ixion, anche lui aveva sofferto, in un modo inimmaginabile, al punto di lasciare solo rabbia. Siren chiuse gli occhi
-Allora voglio capirti… Tu stai combattendo contro di lei, vero? Hai preso il controllo di Cassandra prima che lei potesse fare lo stesso…-
Il corpo di Cassandra si irrigidì, gli occhi di Ixion mandarono dei lampi, Siren aveva avuto ragione, in qualche modo, Ixion aveva cercato di proteggere Cassandra, lo ripugnavano i terani, ma dopotutto, sapeva quanto quella piccola ibrida fosse come lui.
-Si sveglierà presto…- ammise in un guaito – E cancellerà ogni cosa…-
Siren sussultò, si avvicinò ad Ixion, allungò a lui una mano
-Non sarai più solo…-disse dolcemente. Il tornado attorno a lei si fece più stretto, sentì la propria stessa essenza risucchiata in quel vortice. Aveva assaporato la libertà per qualche secondo, ma per amore di Gaya e anche per la sua umana, l’avrebbe sacrificata. Ixion allargò i grandi occhi, il corpo di Cassandra cambiò in quello di un maestoso stallone dal manto ametista, il lungo corno sulla fronte era circondato da elettricità. Ixion abbassò la testa mentre Siren lo accarezzava, poi il flusso di energie l’avvolse;  lei, Ixion e Cassandra furono stretti nelle spire di magia. La realtà riprese a scorrere normalmente, Madain Sari riapparve timidamente nella foschia di polveri e detriti. Gli sciamani erano ancora tutti lì, ad osservare spaventati il grosso globo di luce e vento che aveva avvolto la maledetta figlia del Sari. Quasi tutti speravano che quell’energia la facesse fuori una volta per tutte e  che l’ultima maledizione dei terani svanisse assieme a lei, ma, non appena il turbine si diradò, il corpicino della bambina ricadde sulla pietra. Myra era già su di lei, bagnò le guance piene di sua figlia con le lacrime, il copricapo di piume era insudiciato dalla polvere, per terra assieme al bastone. Myra protesse la figlia nel suo abbraccio, richiamò Carbuncole, il cui diadema brillava fulgido nel lucido pelo color prato.
-Trova Shimazu…-
L’eidolon annuì con il musetto da cucciolo e svanì in una miriade di scintille, Myra alzò gli occhi, ora erano lei e la figlia, contro tutta la comunità.



NdA: Ciao a tutti, ho postato questi ultimi due capitoli uno dietro l'altro, ho voluto essere breve nel precedente per far, ehm, riflettere meglio sul capitolo. Dopo questo seguiranno appena altri due o tre stralci della vita di Cassandra prima di Kuja, volevo un po' addentrarmi negli intrighi di Garland e presentare, presto, il famigerato padre di Cassandra, l'uomo delle stelle, come l'ho fatto soprannominare. Spero che la lettura non sia pesante e che il peronaggi di Cassandra non urti i nervi di molti  

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Capitolo 6
*** Ricordi: la memoria del focolare ***


-Non posso farlo!- il tono perentorio non lasciava adito ad obiezioni.
Le fiammelle del falò danzavano nella sera, la loro luce ambrata scolpiva il profilo dell’uomo seduto lì con le braccia sulle ginocchia. Era serio, lo sguardo grave fissava le lingue fiammeggianti, i lineamenti erano lisci e morbidi, sembrava avere non più di ventisei anni, anche se gli occhi tradivano molte più esperienze.
I capelli gli ricadevano in ciocche più lunghe davanti agli occhi. Myra pensò che dovesse tagliarglieli, o presto gli sarebbero arrivati sino alla bocca, la quale era una sottile striscia appena più rosea sulla pelle abbronzata. La luce di Madain Sari faceva quell’effetto. Quando era arrivato lì, sette anni prima, le aveva ricordato un giglio: la pelle chiara, i capelli castani, striati di biondo e gli occhi scuri, quasi color catrame. Quegli occhi si alzarono su di lei ed erano supplici.
-Devi… - l’uomo si rialzò, fece qualche passo verso di lei. Myra si sottrasse, il tintinnio dei suoi bracciali risuonò assieme allo scoppiettare del fuoco.
-NO!- non voleva sentire quella storia un momento di più - Ci sarà un altro modo, non voglio!- scosse la testa, odiava sembrare una bambina, ma non poteva accettare una cosa simile. L’uomo la fissò, si avvicinò lentamente, come faceva con gli animali feroci, e la cinse tra le braccia. Myra fece per divincolarsi, ma non resistette, le sue difese crollarono come un castello di carte, affondò il viso nelle spalle dell’uomo  e prese a singhiozzare.
-Non voglio che tu vada via, non puoi lasciarmi…- si scostò appena per osservarlo meglio.  Shimazu aveva uno sguardo cupo, sicuramente i suoi occhi guardavano al loro futuro e, a giudicare dallo sguardo, non doveva essere affatto roseo.
 Non appena si accorse dell’occhiata attenta della donna, Shimazu rilassò la propria espressione, le accarezzò il viso. Sentire la pelle di Myra sotto le dita gli produsse un brivido: come poteva rinunciarvi!?      
- Non possiamo rimanere oltre Myra, la comunità si è espressa!- doveva farla ragionare, per quanto doloroso fosse. L’ingratitudine degli sciamani, paradossalmente, era stata provvidenziale.
 Myra si staccò con forza, le fiamme danzarono negli occhi color ametista.
- La comunità può anche bruciare all’Inferno!-
Eccola, la sua guerriera, la fiera e selvaggia sciamana che lo aveva conquistato, decisa nelle sue scelte, incurante delle opinioni altrui.  Era così fiero di lei, anche se questo rendeva tutto più difficile.
-Myra…- lo sguardo della donna si fece duro. Shimazu sospirò, lei era giovane, erano uno spirito indomabile, ma non era stupida, doveva solo farla ragionare  – Non  ti accetteranno mai come Sari se non ci allontani!-
Myra serrò la mascella, gli occhi si ridussero a due fessure –Credi possa preferire loro a te!?- fu un sibilo basso e minaccioso. Shimazu si prese il ponte del naso tra le dita. Era stanco, tremendamente stanco.
-Myra…-
-Credi che possa svendere te e i tuoi fratelli per le assurdità di vecchi, ingrati, sciacalli!?- gli afferrò il volto, costringendolo a guardarla negli occhi – Hai una così bassa opinione di me!?-
Un tempo, forse, avrebbe azzardato a dire che tutti gli abitanti di Gaya erano avidi come i terani, meno potenti, più superstiziosi e pronti a tradire il prossimo con la stessa semplicità del mero respirare. Ma non dopo averla conosciuta, non dopo essere stato travolto da quella tempesta di ideali ed emozioni. No, non aveva una bassa opinione di lei, al contrario, Myra era tanto, per lui, tutto. Ma non poteva permetterselo, non doveva cedere, quel sacrificio era necessario. Non spostò lo sguardo, puntò i suoi occhi color catrame in quelli di lei, sapeva dove fare perno, qualcosa su cui neppure Myra poteva obiettare.
 -O me, o Cassandra, Myra!- e le difese della donna si frantumarono all’istante. Lasciò andare il volto di Shimazu, le mani le ricaddero sulle gambe, disarmata. Come poteva chiederle tanto. Shimazu osservò l’angoscia arrampicarsi sul viso di lei, era così doloroso, ma dovette ignorare la fitta al petto. Le prese una mano e la strinse nelle sue, il tono si addolcì
- Non puoi chiedermi di rimanere, Myra, non se questo mette in pericolo Cassandra! E’ più sicuro per lei, che io e la mia gente lasciamo questo posto- Per sempre… Non ebbe il coraggio di terminare la frase.
Myra emise un gemito, già la vista le sia annebbiava per le lacrime, le sue dita si intrecciarono a quelle di lui
-Deve esserci un altro modo!- la sua donna indomabile, conoscendola avrebbe smosso i mari e i monti, sarebbe stata capace di tutto, di tutto, per proteggere chi amava e anche lui, per questo voleva andarsene.
Myra percepì il tentennamento nei suoi occhi, lei e la sua vista da falco, lo conosceva bene, troppo, lo leggeva come un libro aperto e lui non si capacitava del come.
-Andremo via insieme, io e Cassandra verremo con voi! La proteggeremo insieme, nessuno potrà minacciarci!- il suo sguardo era così determinato, forte. Lui avrebbe voluto crederci, con tutto se stesso, ma il profilo del vegliardo in nero irruppe prepotentemente nei suoi pensieri.
No, contro di lui, avevano ben magre speranze. Serrò i pugni, spostò lo sguardo sul fuoco sotto di loro.
Era stata la loro rovina, quel vecchio pazzo li aveva condotti alla fine, lui e la sua folle ambizione. La sua sete di potere e controllo li aveva spinti a esautorare tutte le risorse di Tera, li aveva convinti a ripudiare ogni forma di umiltà, li aveva educati alla presunzione e così Tera era crollata. Il vecchio aveva avvelenato le loro menti per secoli, forte della sua arroganza, aveva reciso ogni legame con gli spiriti vitali di Tera. Voleva il potere per sé, per loro, talmente era assuefatto dalla vanagloria della loro razza. Ma i terani avevano pagato caro il prezzo della loro insolenza. Nella mente di Shimazu i ricordi della disastrosa colonizzazione presero a scorrere come un fiume in piena. Si erano fidati di quel vecchio un’ultima volta ed era stata definitivamente la fine. Dopo quella tragedia, ai pochi superstiti precipitati su Gaya, non era rimasto che leccarsi le ferite, del vecchio millantatore neanche l’ombra, e così, liberi dal suo veleno avevano prosperato come nei Tempi Lieti. Poco alla volta i terani si erano adattati al nuovo pianeta, si erano diffusi, ma i secoli li avevano ormai decimati, così come la nostalgia della propria terra natia.
Rimasero solo loro, una comunità di appena dieci persone, destinate a perire, nel giro di pochi anni. E così, al nuovo tramonto di Tera, lui, il maledetto vecchio, dopo secoli di vergognoso silenzio, era tornato.
Li aveva cercati, li aveva trovati, e, con nuove illusioni e menzogne, ammantate da belle parole di rivalsa,  era pronto a condurre anche Gaya alla distruzione.
Non stavolta!
Shimazu aveva qualcosa di più prezioso dell’ambizione o dell’asettica autocelebrazione di una razza di sciocchi. No, non voleva più saperne di colonizzazioni, di anime, di vendetta. Il vecchio era pazzo, aveva millantato nuovi possenti corpi persino. Nuovi manovrabili  corpi!
-Shimazu…- la voce di Myra lo riportò a sé, a Madain Sari, all’unico posto doveva aveva conosciuto la felicità. Doveva proteggerli, doveva proteggerli tutti e andare via era il modo più efficace. No, non poteva portarle con loro, non finché l’occhio del vecchio era puntato su di loro. Il vecchio sapeva che erano una minaccia, sapeva che i terani non erano più come una volta, troppo feriti per cedere ancora alle menzogne. Per questo avevano lasciato Oeilvert, si erano diffusi, avevano trasmesso il loro sapere agli sciamani, per prepararli, per dare loro modo di proteggersi, usando ciò che il vecchio più temeva. Poco importava della loro ingratitudine, finché sua figlia fosse stata tra loro, al sicuro, per lui i conti erano pari.
-Proteggi Cassandra!- le disse secco.
-Non senza di te!-
Perché era così difficile, perché doveva fare così male.
-Myra…-
-Ci deve essere un altro modo, io non ti permetterò di andare via!- gli afferrò le mani. Quegli occhi, così decisi ad ancorarlo a lei, lo commossero. Più guardava quella donna, più la sua risoluzione vacillava, come avrebbe sopportato non rivederla più, come avrebbe vissuto senza la risata di sua figlia. Avrebbe solo voluto dire sì, sempre, portarle con sé e non lasciarle mai. E parlò
- Se ripristinassi la barriera di Oeilvert…- cercò di fermarsi, ma gli occhi di Myra si riaccesero subito.
Shimazu si maledisse per quella dannata speranza, doveva essere nel sangue dei terani crearsi così facilmente delle illusioni.
-La barriera antimagica impedirebbe all’Occhio di vederci, impedirebbe all’uomo in nero di scoprire che Cassandra è…-
Shimazu sgranò gli occhi e le coprì la bocca. Si guardò intorno, fuori di sé dal terrore. Non dovevano dirlo, nessuno doveva sapere, e soprattutto lui non voleva ricordarlo, aveva trasmesso a sua figlia le colpe dei terani. Myra sbuffò togliendosi la mano di lui dalla bocca.
-Non è ancora detto che lo sia!- la interruppe secco. Era una bugia, lui sentiva il potere latente ruggire, indomito, dentro sua figlia. Non era come il suo, il sangue di sciamano aveva risvegliato ciò che i terani avevano scioccamente ripudiato ed esigeva vendetta.
Oeilvert…
Tutte le soluzioni orbitavano attorno alla loro vecchia città. Il giorno in cui quel potere sarebbe straripato, se anche la presenza degli sciamani avesse fallito, allora Oeilvert e la sua barriera sarebbero stati l’unica soluzione. Lì, il vecchio, i suoi terrificanti fantocci con la coda- scimmiottanti imitazioni dei terani- , non li avrebbero mai più rintracciati. Shimazu guardò Myra. Era incredibile, ogni volta che perdeva la speranza, quella donna era capace di risvegliarla. La sua fuga senza meta si era trasformata in una vera e propria missione di salvataggio, quella donna era nata per essere una guida, era nata per essere il Sari e lui non poteva, con la sua presenza, toglierle quel diritto. Magari, con l’andare degli anni, se avesse fallito i suoi progetti, lei  l’avrebbe dimenticato e, con Cassandra, sarebbe stata in grado di costruirsi una nuova vita. Come era doloroso quel pensiero, lui non ce l’avrebbe mai fatta, Myra era tutto, era la sua vita, lì dove ormai pensava di averla perduta.
No, doveva farcela, per lei, per lui e per Cassandra. Sarebbe tornato ad Oeilvert, con i suoi, avrebbe riattivato la barriera antimagico e, prima o poi, con sua figlia e sua moglie accanto, l’avrebbe fermato:  la vecchia serpe, il vegliardo maledetto, Garland avrebbe pagato!   


NdA: continua così questa carrellata di "ricordi" di Madain Sari, la passeggiata per l'infanzia di Cassandra però, giungerà presto al termine, quindi, tranquilli, non vi annoierò più di tanto con questi excursus forse troppo fuori tema. Mi scuso per eventuali errori/orrori e spero che il capitolo non risulti noioso, volevo aggiungerci un'altra parte, ma così trovo sia già abbastanza lungo. Spero di aver risposto almeno in parte ad eventuali domande su Tera, Cassandra, Shimazu e le dinamiche della colonizzazione. Se non dovesse essere chiaro, vi prego, domandatemi pure!
Per i riferimenti temporali, ho pensato che, dato che Garland ha una vita impropriamente lunga per uno odiato così tanto, ho esteso questa caratteristica a tutti i terani, la cui aspettativa di vita è molto, molto, molto lunga. Per quelli periti su Gaya ho pensato sia una sorta di nostalgia talmente radicata da farli morire prima. Quindi sì, il padre di Cassandra ha millenni sulle spalle e, sì, lui c'era al momento della prima, fallimentare colonizzazione. Ora però vi faccio io una domanda, secondo voi, adesso, dove ci troviamo temporalmente rispetto alla storia principale di FF9 ;)?
Bene, ringrazio i lettori pazienti che seguono questo lungo racconto. Spero di leggere presto le vostre impressioni, positive o negative che siano, davvero, sono aperta ad ogni critica, mi bastano anche due parole tipo "fai schifo" ecc... la cosa peggiore è lasciare nell'indifferenza un lavoro, quindi, detestatelo pure se lo merita, però, ditemelo xD

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Capitolo 7
*** Ricordi: la fuga ***


The child without a name grew up to be the hand 
To watch you, to shield you, or kill on demand 
The choice he made he could not comprehend 

 
La voce familiare e lontana intonò quel canto avvolgente; immagini, delicate e piccole come lucciole, ferirono l’oblio,  riportando un barlume di coscienza in quel nulla senza fine.
Lei e i suoi genitori nei boschi vicino a Madain Sari, i bagni sulle coste, la morbidezza delle piume dei chocobo durante le cavalcate con suo padre. Sua madre che le cantava quella strana, dolorosa nenia, da quella data precisa, da  quando suo padre, Shimazu, venne scacciato dal villaggio.
 -Cassandra, Cassandra svegliati!- una supplica disperata, un richiamo accorato. La bambina contrasse le sopracciglia, il nero attorno a lei venne scacciato con fatica. La testa le pulsava, era come sentire dei sussurri indefiniti attorno a lei, li sentiva spingere in ogni angolo della testa, sulle prime pensò fossero ricordi, poi, con orrore dovette cambiare idea. In un momento venne assalita dalla memoria, lei, la cerimonia, quella voce… Prese a tremare e nuovamente il suo corpo non le rispose, spalancò gli occhi atterrita, sua madre era accanto a lei. Myra l’abbracciò forte
–Non temere, non temere- parlava veloce, a voce bassa, ma terrorizzata –Ci sono io, tua madre è qui!-
Cassandra lasciò vagare lo sguardo impaurito nella grotta che le ospitava. Era una voragine nera e scura come la bocca di un gran dragon, non aveva l’aspetto di una dimora, ma un nascondiglio.
Un fuocherello scoppiettava lanciando ombre inquietanti sui muri. Quelle macchie di oscurità assunsero una forma più definita e Cassandra li vide, passò in rassegna i loro volti, la deridevano: il profilo di uno stallone con un corno ritorto e affilato, due figure abbracciate, una donna e un mostruoso scheletro con gli occhi rubino e infine, l’ultima ombra, quella che ingoiò le altre, pronta a ingoiare anche lei. Cassandra urlò in preda al panico.
-Cosa hai visto?- la madre si voltò cercando sulle pareti vuote l’artefice di quella crisi, ma non c’era nulla, solo ombre indistinte lanciate dalle fiamme. Sua figlia tremava in preda alle scosse, non riusciva più a mantenere il controllo. Myra le pianse addosso stringendola con tutta la sua forza, tremando assieme a lei, e cantava, cantava tra i singhiozzi, mentre le lacrime bagnava il volto della figlia.
-Resisti Cassandra, ti prego resisti! E’ solo un incubo, solo visioni!-
Cassandra chiuse gli occhi, si concentrò sul calore di sua madre, si lasciò travolgere da tutto quell’affetto e si ancorò ad adesso, ascoltando solo quella voce un po’ ruvida ma piena di amore. I tremori non si interruppero, però riuscì a riottenere un margine di controllo. Myra si staccò, il viso si aprì in un sorriso teso, le accarezzò il volto.
-Brava Cassandra…-
-Dove siamo, mamma!?- la bambina si guardò intorno evitando le ombre. Sentiva la tensione crescere e il viso tirato di sua madre fece aumentare quella sensazione.
-Siamo al limitare delle grotte ovest, ci stanno cercando Cassandra!- la voce di Myra tremava.
Cassandra sgranò gli occhi. Non stavano cercando sua madre, stavano cercando lei e le ragioni erano ovvie.
-Mamma…- gemette –Vogliono… vogliono…- un singhiozzo le impedì di terminare. Sua madre la strinse ancora forte al petto. Cassandra si lasciò avvolgere dall’odore di sandalo e incenso.
-No!- esclamò la donna –Non ti toccheranno, non ti faranno nulla!-
Ma un coro di voci feroci emerse dalle ombre, lo scalpiccio della folla divenne un ritmico metronomo di quei momenti interminabili. Le stavano cercando davvero.
Myra spense immediatamente il fuoco, afferrò la figlia e si appiattì alla parete di roccia.
-Le avete trovate!?-
-Quella traditrice conosce questi posti meglio delle fiere!-
-Non possono essere andate via!- 
La luce delle loro torce li rendeva simili agli spiriti dimenticati della foresta. Cassandra sentì i muscoli di sua madre guizzare, alzò lo sguardo su di lei, la mascella era contratta, gli occhi viola brillavano nel buio feroci. Non appena l’alone delle torce oltrepassò l’apertura della grotta, la stretta di Myra si allentò.
-Dobbiamo andare!- la informò sbrigativa.
La mano della donna si artigliò al braccio della piccola. Myra la trascinò fuori, silenziosa come un gatto, si sporse oltre l’apertura rocciosa, scrutando attentamente i loro inseguitori mentre si allontanavano.
Sempre con la stretta ammanettata sul braccio della figlia, corse via, trascinando la bambina tra le rocce e gli avvallamenti. Cassandra si sforzò di non cadere, tremava ancora, gli arti le rispondevano a malapena. Ogni volta che inciampava,  sentiva i muscoli di sua madre tendersi, così da sollevarla, per impedirle di cadere. La scarpinata fu lunghissima, i rovi e le schegge di Madain Sari la graffiavano, era come se anche quel posto stesse cercando di ghermirla e ferirla, proprio come i suoi abitanti, Cassandra annaspava mentre le voci dentro di lei alzavano i loro toni, cercando di invaderla. Il cuore le batteva all’impazzata. Sebbene fosse notte, dall’altura su cui erano, nei pressi della cascata, poteva vedere alcune case degli evocatori, una miriade di fiaccole si disperdeva nelle vie del pluebo alla loro ricerca. Cassandra guardò spaventata quelle formiche di fuoco.
-Non ti faranno del male…- ripeté Myra a denti stretti, Cassandra si voltò, sua madre stava parlando più a sé stessa che a lei. La bambina si chiese come, come aveva potuto dubitare di sua madre. Era diversa, completamente diversa, ma era lei, era la madre dei suoi ricordi ed era tornata a proteggerla.
Myra e sua figlia scesero la parete rocciosa, inevitabilmente, i sassi e i detriti accompagnarono il loro slittare frenetico. Myra doveva mettere più distanza tra loro e gli sciamani, doveva raggiungere i confini di Madain Sari e sarebbero state salve. Erano sul versante ovest, alle alture dietro le abitazioni della famiglia Carol, a un miglio dal centro abitato.  Non appena precipitarono sul terreno sconnesso, un forte terremoto fece tremare la terra. Myra sollevò sua figlia con un braccio, dalle crepe emerse del fumo, e la figura di Titan torreggiò su di loro in tutta la sua spaventosa potenza.
-Le ho trovate!- urlò qualcuno. Myra sbatté il suo bastone sul terreno, gli occhi viola si illuminarono mentre una scarica di energia dipartì dal gambo della sua asta fino all’eidolon.
-Lasciaci passare!- ordinò con voce grave il Sari. L’eidolon si contrasse nelle scosse, poco lontano, il suo evocatore stava subendo lo stesso trattamento. Lo scalpiccio della folla era però troppo vicino. Titan provò a resistere, ma Myra intensificò il suo richiamo, senza Siren fu molto più difficile. Cassandra assistette impotente al braccio di ferro tra sua madre e l’eidolon. Le nocche di Myra divennero bianche attorno al manico della sua asta, il cui bordone brillava fulgido, ferendo le tenebre. Titan si dissolse, ma Myra cadde carponi. Cassandra si precipitò su sua madre, la preoccupazione le permise di riprendere il controllo del proprio corpo.
-Mamma!- cercò di farle d’appoggio. Myra si issò sul bastone.
-Non è nulla, andiamo!- tagliò corto la donna. Ma non fecero neppure in tempo a muovere un passo, un cerchio di fuoco le circondò.
-Allontanati da quell’essere Myra!- annunciò una voce affilata.
 Myra si parò davanti a sua figlia, impedendo alle fiamme di lambirla.
-Sono deluso Myra, molto, molto deluso, disonorare la carica di Sari…- le fiamme si diradarono, rivelando la folla attorno a loro. Cassandra passò in rassegna i volti degli sciamani, grottesche maschere di disprezzo, i loro occhi così uguali erano solo per lei. Cassandra si strinse alla lunga gonna di pelle di sua madre.
-Lasciateci andare!- sibilò Myra a denti stretti. Gli occhi viola erano diventati due fessure, i denti bianchi brillavano affilati alla luce delle torce
-Consegnacela Myra, non costringerci a farti del male, tu sei una di noi… - davanti a loro parlava il più anziano degli sciamani, un uomo sulle sessantina, con lunghi capelli bianchi raccolti in una coda. Cassandra se lo ricordava, aveva riservato a suo padre lo stesso sguardo che ora aveva per lei.
-E’ mia figlia!- ringhiò Myra.
-No, nessun grembo umano poteva produrre quell’abominio!- rispose a tono il vecchio –Ci siamo illusi che il nostro sangue potesse neutralizzare il veleno di quegli esseri, ma ci sbagliavamo!  Non possiamo permettere che quella cosa circoli libera nel nostro mondo! E’ un pericolo Myra!-
-State lontani da lei!- ribatté feroce la donna, lo sguardo ferino inchiodò tutti i presenti.
-Sei il Sari, Myra, il tuo compito è di proteggere la nostra comunità!- la riprese severo il vecchio.
-Io sono sua madre!- ripeté la sciamana – Non vi lascerò farle del male!-
-Mi spiace, Myra, ma la comunità si è espressa! Sciamani!-
La folla attorno a loro si strinse, dalla terra, dalle piante, si sollevò un flusso sconfinato di energia, mentre gli occhi degli evocatori si facevano luminosi. Di sottofondo fu come sentire il martellare concitato di tamburi di guerra, le voci degli eidolon si sollevarono. Myra sentì quello spaventoso flusso di energie sollevarsi sino al cielo, era coma la risacca di uno tsunami, pronto a travolgerle. La donna spostò completamente la piccola dietro di sé, ma non sarebbe bastato. La sciamana guardò sprezzante l’anziano davanti a lei, non chiuse gli occhi accusatori neppure per un momento.
-Voi non le avete mai dato un’opportunità, avete solo sfruttato il sapere dei terani, per poi scacciarli come moscerini! Questa comunità pagherà il prezzo della sua presunzione!- urlò loro Myra.
-Taci, traditrice!-
L’enorme ondata di energia venne rilasciata, Myra sgranò i suoi occhi ametista, Cassandra era stretta a lei, singhiozzando disperatamente. La donna le premette il volto contro la gonna, non doveva guardare, non c’era bisogno che guardasse. I getti di ghiaccio, fuoco e fulmini si infransero contro la barriera scarlatta. Myra si voltò sorpresa, Cassandra alzò lo sguardo perso, una sagoma scura attraversò il cielo. Qualcosa cadde, un’ombra nera atterrò pesantemente sulla terra rossa, sollevando un polverone. Il cuore di Cassandra si fermò. La figura dava a lei e a Myra le spalle, ma non era necessario guardargli il volto per capire chi fosse. Cassandra le aveva sognate innumerevoli notti, quelle spalle, e, ogni volta, si svegliava prima di raggiungerle. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Prima ancora di proferire parola, sentì la voce commossa di sua madre.
-Shimazu… sei tornato!-
L’uomo si voltò appena, i capelli biondi erano scossi dal colore delle fiamme, il profilo scuro era ancora elegante e attraente come se non fosse passato neppure un giorno da quell’addio.
-E’ tardi Myra, dobbiamo andare prima che…-
Avvenne tutto troppo velocemente.
Dal villaggio di Madain Sari si sollevò un  urlo disumano. Un uomo ruzzolò giù dalla bassa scarpata, le fiamme erano attaccate al suo corpo. I presenti rimasero allarmati, lo sguardo di Shimazu si fece duro.
-Troppo tardi- affermò in tono asciutto –E’ già qui!-
Altre strida riempirono l’aria, ghiacciando i cuori dei presenti.
-Signore… signore…- biascicò lo sciamano avvolto dal fuoco, si rotolò per terra, ma le fiamme sembravano tutt’altro che naturali, non si sarebbero estinte prima di consumarlo.
-E’ l’occhio, signore, è l’Occhio!-
I presenti alzarono lo sguardo sul cielo, atterriti. Le fiamme di Madain Sari erano alte come il palazzo di Alexandria,  erano come dei riflettori lanciati sul cielo, lì, al centro di una grossa ombra spigolosa,  c’era un gigantesco occhio dall’iride rossa, come il sangue degli sciamani, che da lì a poco, sarebbe stato versato.






NdA: ciao a tutti, giovani coraggiosi, siamo quasi alla fine di questo viale dei ricordi, lo so cosa starete pensando "non finisce mai" e... Lo so, sto navigando fuori tema con una semplicità disarmante, però ehm, non posso farci nulla. Spero in definitiva che a quanti si arrischiano a leggere, la storia piaccia. Ammetto che è stato un po' difficile scrivere questo capitolo, perchè volevo fosse alla stessa stregua del secondo (il "Mortifero") e poi volevo fosse coerente con la piega della storia. Avevo bene in mente i momenti, dovevo solo ricollegarli. Penso sia chiaro a che punto siamo invece con la storia originale, vero!?

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Capitolo 8
*** Ricordi: ciò che sta alla fine ***


Le fiamme arrivarono sino al cielo nero e terso, facendo brillare ancora di più il gigantesco occhio. Myra si voltò verso il suo villaggio, i profili della case erano svaniti sotto le lingue di fuoco, le urla erano diventate un tutt’uno di strida assieme al crepitare delle case.
-Shimazu!?- negli occhi della donna c’era solo l’orrore della sua gente straziata –Cosa significa!?-
 Il terano si voltò, i gravi occhi scuri si rivolsero al Sari
-Te lo avevo detto Myra, prima o poi sarebbe arrivato!-
Myra sbiancò, anni di bugie, di sacrifici, aveva persino finto di odiare sua figlia per difendere sia lei che il suo popolo: tutto, tremendamente, inutile. Un fruscio di ali richiamò la sua attenzione, nell’oscurità vide guizzare gli occhi brillanti di un drago albino.
-Dobbiamo andare Myra, non abbiamo tempo!- disse l’uomo indicando il drago. La folla attorno a loro si era dispersa, chi scappava, chi cercava invece di tornare verso il villaggio per trovare i suoi.
-Come è possibile !?- Myra non riusciva a staccare gli occhi da quello spettacolo terrificante. Sentì il tocco leggero di suo marito sulla spalla, una sensazione familiare ma lontana.
- Lo hanno attirato, richiamando tutte quelle energie, avrà pensato fosse un attacco perpetrato nei suoi confronti!- le spiegò l’uomo serrando la mascella. Alla fine dei conti, visto come si era messa la situazione, forse, quell’attacco, avrebbe potuto fare al caso loro, ma era la sua casa a bruciare, la sua gente a perire, una parte di lei a consumarsi.
-Dobbiamo andare, sono quasi certo non sappia di noi, ma non dobbiamo sfidare la sorte e…-
-Cassandra!- disse ad un tratto Myra. La donna si guardò intorno, sua figlia era svanita nella confusione generale. Il cuore prese a batterle all’impazzata, mentre il panico le si arrampicava lungo la gola.
Afferrò il braccio di Shimazu, conficcandogli le unghie nella carne –Dobbiamo trovarla!-
L’uomo fischiò, il drago si abbassò di quota; il terano allungò un braccio, issandosi alla zampa della bestia, risalendo velocemente in groppa alla creatura.
-Cercala via aria, io mi muoverò a piedi!- gli disse risoluta la donna. Shimazu annuì, deciso a ritrovare sua figlia. I due si separarono, mentre dietro di loro, le case più antiche del pluebo avevano cominciato a crollare, vinte dai flares. 
 
Senti questo profumo!?
La voce dentro di lei era insidiosa e ipnotica. L’emozione di rivedere suo padre le aveva fatto perdere il controllo, permettendo a qualcosa di strisciare nella parte più alta della sua coscienza. L’esplosione, poi, aveva acceso i sensi di quella presenza, assottigliando ancora di più il controllo della bambina.
Quella cosa stava smaniando e, più Cassandra cercava di resisterle, più questa cercava di dilaniarla con i suoi artigli.
La presenza aveva preso il controllo, Cassandra vedeva il suo corpo inerpicarsi sulle rocce sconnesse, sempre più veloce, sempre più eccitato, la frenesia di quello spirito la stava travolgendo. Ogni resistenza si stava rivelando inutile.
Lo senti questo profumo!?
Quella domanda stava diventando un’inquietante mantra nella sua testa. Cassandra sentiva solo le narici bruciarle mentre i fumi neri e velenosi si alzavano alti. La bambina arrivò sino ad un altopiano, la città in fiamme era sotto di lei, poteva vedere i corpi carbonizzati di alcuni sciamani mentre tentavano di fuggire o ripararsi. Le fiamme non smettevano di bruciarli, li inseguivano come se fossero vive. Alle urla degli evocatori si aggiunsero le strida di uno stormo di draghi d’argento. La bocca di Cassandra si allargò in un sorriso. Le creature planavano rapaci sui superstiti ghermendoli e  falciandoli senza remore.
Cassandra aveva paura, il panico la bloccava, impedendole anche di riprendersi la sua mente. Non riconosceva quello spirito, non era lo stesso della cerimonia. Una zaffata di sangue e fumo la investì, allora la presenza dentro di lei guaì dalla gioia più cristallina e inquietante.
Lo senti questo profumo!?
Cassandra aveva la nausea, tutto prese a vorticare mentre le fiamme si facevano macchie insieme ai corpi maciullati. Un drago d’argento volò basso, dagli artigli affilati, cadde qualcosa, il peso piombò giù a qualche metro da lei. Gli occhi della bambina brillarono osservando la carcassa sanguinolenta di un qualche evocatore. Il disgusto le serrò la gola, avrebbe voluto urlare, ma la cosa dentro di lei stava gioendo eccitata, alzando le braccia per ricoprirsi di quella macabra pioggia.
-Smettila!- urlò allora la bambina, al limite. La sua angoscia fu talmente forte da vincere le resistente dello spirito, il quale abbassò le braccia e si fermò. Cassandra si ritrovò faccia a faccia con delle orbite vuote, dall’oscurità della sua testa emerse un essere spaventoso. Erano due corpi malamente saldati assieme, quello di una donna dalla terrificante bellezza e quello di uno scheletro dalle lunghe corna ritorte. La bambina si sentì mancare, ecco cosa aveva dentro. Ora sapeva a cosa si riferiva la voce della donna, ora lo sentiva, il profumo di cui parlava:  l’inebriante odore che lo stava eccitando, era il fetore di morte.
 
Cassandra richiamò tutte le sue energie. Ora che lo vedeva, sapeva anche cosa voleva, sentiva perfettamente la fame di anime che lo agitava. Non poteva permettere di liberare una simile mostruosità. Al limite della disperazione, la bambina cercò di mettere in pratica tutti gli insegnamenti degli sciamani. La creatura strideva e si dibatteva, squarciandole la mente nel tentativo di sfuggire. La bambina sentiva la sua psiche assottigliarsi, mentre la sete di anime e sangue le invadeva le viscere e le faceva riardere la gola.
NO!
Urlò, riuscendo a allacciare a sé quella creatura. Il Mortifero cercava di aprire le ali verso la libertà, Cassandra combatté con tutta la sua forza di volontà. Era inutile sfruttare le conoscenze degli evocatori, loro puntavano a liberare gli spiriti, lei, invece, doveva  sigillarli.
-Lasciaci, sciocca bambina! – le ringhiò addosso la donna – Lasciai giudicare le loro anime! –
Cassandra cercò di resistere, strinse i pugni anche solo per mostrare che aveva un minimo di controllo sui suoi arti. Zalera le artigliò il petto, alla bambina sfuggì un urlo.
-Cos’è, hai a cuore le sorti di questi infimi esseri?- la creatura aveva un tono suadente – Dopo tutto quello che ti hanno fatto? –
-Non gli farete del male!-
La creatura rise, fu come una cascata di vetri infranti, Cassandra raggelò, ma non cedette.
-E’ così dunque!? Ti hanno odiata per anni, stupida bambina, la tua esecuzione si sarebbe consumata da lì a poco e tu hai il coraggio di difenderli? Non ricordi quanto ti hanno fatto soffrire, non ricordi di aver desiderato la loro morte ogni giorno, immaginandoti a torreggiare sulle loro carni!?-
Cassandra sbiancò, il fiato le si bloccò il gola. Era vero, quando le occhiate si facevano più feroci, quando i sussurri diventavano più affilati, lei lo aveva desiderato. Dopo che avevano cacciato suo padre, dopo che l’avevano disprezzata, senza mai accoglierla davvero, la sete del loro sangue era diventato un desiderio costante. La voce del Mortifero non faceva che ripeterglielo, la fame di anime reclamava il suo pasto. Non poteva resistere, lei era quello, gli sciamani avevano ragione, lei era un mostro, per questo sua madre la odiava. Si fermò, quel pensiero la paralizzò, la voce di Zalera si placò.
-No- disse un’altra voce da qualche parte nella sua testa, era familiare, ma non riusciva a capire perché
-Tua madre non ti odia, non ti ha mai odiata!- nell’oscurità della sua mente, si delineò un profilo delicato come luce, era una donna, dai capelli corti e biondi, con un paio di ali sulla schiena e un’arpa assicurata al petto, gli occhi topazio erano supplici. Cassandra la riconobbe, solo una volta aveva visto sua madre combattere, e fu contro uno stormo di piros, li aveva addormentati grazie a lei, Siren, mettendo in salvo la sua comunità. L’eidolon era proprio come quella volta, bello, armonioso, solare.
-Siren… Come è…?-
-E’ stata tua madre, mi ha ceduta a te per proteggerti!- le spiegò la creatura prendendo sempre più consistenza; il suo corpo non sembrava più fatto di sola luce, ma prese lo stesso spessore del suo e di Zalera. Siren le poggiò le mani delicate sulle spalle –Lei non voleva farti soffrire, sperava che, prestando lei stessa meno attenzione a te, la comunità l’avrebbe imitata, permettendoti di vivere tranquilla. Lei non voleva tutto questo Cassandra, lei voleva solo proteggerti!-
-E suo padre!?- ringhiò allora Zalera, la voce non era più né dolce né suadente, era solo un raccapricciante coro di toni disperati –Lo ha tradito, lo ha abbandonato!-
-NO!- rispose deciso l’eidolon alato – Fu Shimazu a dirle di allontanarlo, per impedire ai terani di sapere di Cassandra-  Abbassò il volto contrito sulla bambina – I tuoi genitori si sono sempre amati e ti hanno sempre amata, Cassandra, non rendere vani i loro sforzi, resisti!-
Cassandra guardò l’ediolon senza riuscire a fermare le lacrime, era vero, i suoi genitori le volevano bene, al punto da fingere , al punto di allontanarsi pur di garantirle un’esistenza tranquilla. La bambina alzò lo sguardo sulla creatura mostruosa.
-Gli sciamani mi hanno sempre odiata…- disse allora con voce atona –Ogni giorno, da quando mio padre è andato via, mi hanno sempre messa da parte, mi hanno sempre insultata…-
-Ti prego Cassandra…- gemette Siren.
-E io sentivo l’odio crescere, sognavo di ucciderli tutti, di fare quello che loro facevano a me…-
Zalera rise vincente a quelle parole, assaporando il gusto di quelle anime perdute, il suo regno di morti, presto sarebbe aumentato.
-Ma ora so, che non ero io!- una catena di luce frustò l’eidolon maledetto. Zalera emise un ringhio sordo.
-Io non ho mai voluto la loro morte, io volevo essere loro amica, volevo la mia mamma e il mio papà!  Volevo vivere con loro, volevo che fossimo tutti in pace! E’ per questo che soffrivo!-
Siren spiegò le ali proteggendo la bambina dalla tempesta di colpi del Mortifero. Intanto, un turbine di scie dorate si avvinghiò attorno a Zalera, le cui strida echeggiarono nella mente di Cassandra.
Le ali nere appassirono, le catene si strinsero con più forza al grosso eidolon, mentre questi si dibatteva inutilmente.
-Io non voglio essere un mostro! –
L’eidolon oscuro scomparve nel vortice di luce, la sua presenza venne sigillata nel profondo della bambina. Siren svanì poco dopo, Cassandra riaprì gli occhi sul rogo della sua città, stava piangendo, ma per lo meno poteva tornare dai suoi genitori.
 
Cassandra si allontanò dal corpo maciullato, finalmente le voci dentro la sua testa erano cessate, lo stesso però non valeva per i lamenti degli sciamani feriti. La sua voce si confuse con quella degli altri disperati, alla ricerca di aiuto. Capì perché Zalera smaniava di uscire, le strade di Madain Sari sembravano invase da un fiume di fuoco. Cassandra riuscì a sgattaiolare via sino al versante ovest, era ferita, barcollava, le pietre e il fuoco avevano provveduto a fare di lei l’ennesimo fagotto di bruciature ed escoriazioni, ma non si arrese. La disperazione rendeva assai difficile orientarsi, ogni roccia le sembrava uguale alle altre, ogni rovo o cespuglio, nulla che potesse suggerirle un indizio. Non seppe dire per quanto camminò, ma, sfinita, crollò sulle ginocchia, sporca di cenere e terra, piangendo. Aveva la voce roca per quanto aveva urlato, dei suoi genitori neppure l’ombra, intanto le fiamme della città non accennavano ad estinguersi sebbene non fossero propriamente una minaccia per dov’era. Pianse a lungo, disperatamente, finché un fruscio non catturò la sua attenzione. Il suo cuore le martellò nel petto
-Mamma, papà!?- alzò la testa dalle braccia, si alzò in piedi di scatto –Mamma!-
Due occhi sgranati pieni di odio brillarono nell’oscurità. Cassandra raggelò, la carcassa del vecchio anziano si trascinava tra le rocce e i detriti, era ricoperto di croste e bolle, ma gli occhi, quegli occhi, erano animati da un odio inestinguibile.
-Mostro…- sputò il vecchio. Cassandra arretrò, il vecchio si fece spazio, i flussi di energia si liberarono da ogni poro della vecchia pelle incartapecorita –E’ colpa tua, è solo colpa tua!-
Era impazzito, la bambina se ne accorse dalla bava e dal cerchio bianco degli occhi, l’uomo avanzava barcollando, era come un non-morto sorretto solo dal disprezzo.
-Tu, tu e tuo padre, siete una maledizione!- un forte colpo di tosse gli esplose nel petto, il sangue scuro gli colò dalla bocca assieme alla bava.
-No…-  provò a dire Cassandra- Io…-
-Mostro!- ringhiò il vecchio –Sapevo che Myra era una debole, che era corrotta, avrei dovuto avvelenarla allora, quando tu le rubavi la vita nel grembo!-
Cassandra sentiva le energie del vecchio crescere, non poteva dargli le spalle, arretrava, ma l’uomo sembrava deciso da inseguirla persino all’inferno.
-Ma c’era sempre lui, Shimazu, sempre lì, sempre a vigilare come un avvoltoio sul suo seme di rovina appena piantato! Io lo sapevo, lo sapevo che saremmo stati maledetti, lo sapevo e avevo ragione-
-Mio padre non c’entra niente!- ribatté la bambina, aveva le lacrime agli occhi, la paura stava lentamente scorrendo dentro di lei, fluendo alle gambe sottili, ma era sfinita e non ce l’avrebbe fatta a fuggire. 
- Tuo padre era un mostro, un parassita, proprio come lo sei tu! Guarda come ha ridotto la nostra casa! Ma rimedierò, rimedierò e tu non sarai più una minaccia, io spezzerò la maledizione!- il flusso di energie esplose, Cassandra non riuscì neppure a gridare, dietro le spalle del vecchio si aprì un enorme voragine fiammeggiante. Dal fondo di quel corridoio infernale, una figura galoppava minacciosa verso di loro. Cassandra sgranò gli occhi. A tutta velocità, da quel corridoio di energie, emerse la sagoma di un gigantesco cavaliere. L’elmo cornuto era posto sulla testa scheletrica, gli occhi rossi della cavalcatura brillavano come rubini, la loro luce si specchiava sull’armatura aguzza. L’essere brandì l’enorme spadone .
Cassandra si sentì quasi risucchiare da quelle energie, puntellò i piedi per terra mentre questi strisciavano tra i detriti, ma la potenza spirituale dello sciamano era incredibile. La bambina cadde in ginocchio, alzò gli occhi pieni di lacrime verso quella bocca infernale.
-Muori, mostro…- il vecchio alzò le braccia al cielo, la sua figura  magra si stagliò nera e sottile come un’ombra sotto la bocca del vortice -  Nutri la tua spada del suo sangue, spezza il suo maleficio, colpisci!
ZANTETSUKEN!-
Odino alzò la spada; incapace di distogliere lo sguardo, Cassandra fissò la sua fine, la paura e la disperazione si erano fuse nel nulla, stava per morire e lo sapeva, non aveva senso scappare, non aveva senso richiamare Siren, e, a quel punto, neanche più aveva paura. La spada si staccò dalla presa dell’eidolon, veloce come una saetta; Cassandra vide il filo della lama brillare sinistro.
-Cassandra!- la voce familiare e maschile infranse quell’incantesimo, Cassandra si voltò, suo padre era a cavallo di un drago albino, le cui squame brillavano come madreperla in quello scenario infuocato. Vide gli occhi di suo padre svuotarsi per la disperazione, lei sorrise, perché almeno aveva potuto guardarlo un’ultima volta;  la spala l’avrebbe raggiunta in un secondo. Un altro fruscio, un ruggito possente, una sagoma nera di frappose tra la lama e la bambina. Shimazu spronò la cavalcatura, il drago ruggì a sua volta, planando mentre il suo cavaliere si lanciava giù. La spada si infranse contro una barriera, Cassandra vide i frammenti energetici sfrecciarle attorno al viso, guardò davanti a lei, sua madre le sorrideva da sopra una spalla. La bambina fece per parlare, sua madre l’aveva salvata, sua madre stava lì, stava bene e…
Un rivolo nero spiccò all’angolo della bocca del Sari, Cassandra abbassò gli occhi  su sua madre. La lama di Odino le attraversava lo stomaco, la mitica arma si stava ormai dissolvendo, ma non prima di aver nutrito la sua sete. Il sangue di Myra copriva la lama fulgida venandola di cremisi. La spada scomparve e così il vortice, dissolti in effluvi energetici. Shimazu si era avventato sul vecchio sciamano, il suo drago ronzava sopra di loro per proteggerli dai suoi fratelli color argento.
Ma non contava, non contava più nulla. Myra si accasciò a terra, le braccia lunghe e asciutte avvolte attorno allo stomaco. Cassandra si slanciò su di lei per prenderla, provando quasi sollievo, sentendo i capelli scuri della madre solleticarle le braccia.
-Mamma!?- Cassandra non sapeva cosa fare, sentiva il sangue insudiciarle tutto, sorreggeva sua madre nelle sue esili braccia. Myra sorrideva, gli occhi ametista brillavano lieti.
-Mamma!- chiamò ancora Cassandra, la voce sempre più roca, la paura era diventata angoscia e la pungeva come un ago, l’attraversava come la lama di Odion aveva fatto con sua madre.
-Va bene, va bene, va tutto bene…- biascicò il Sari, alzò una mano sul volto della figlia, Cassandra si strinse il palmo alla guancia.
-Mamma, oh mamma, ti prego non…-
Myra scosse la testa, il sorriso era aperto sul suo volto, sembrava felice, ma nonostante questo la fitta di Cassandra non cessava, era come se le stessero strappando la pelle di dosso, sentiva lo strappo centimetro dopo centimetro.
-Perdonami Cassandra…- la voce di sua madre era un sussurro – Perdonami per il dolore, per averti lasciata nella paura, per i sogni caduti nel silenzio e per i ricordi che non ho potuto darti…-
-No, mamma, ti prego, mamma no!- doveva fermarla, doveva impedirle di parlare, doveva impedirle di dirle addio, così non se ne sarebbe andata, così sarebbe rimasta, per sempre. Il flusso di lacrime le annebbiò la vista, voleva fermarle, voleva sembrare forte proprio come lo era stata sua madre, davanti a tutti i problemi che avevano affrontato, davanti a tutti i sacrifici che aveva sostenuto.
-Non andartene mamma, ti prego non lasciarmi, non posso, non posso farcela, mamma ti prego…- dentro di lei, anche Siren stava soffrendo, il dolore dell’eidolon, si sommò al suo. Lo spirito si rintanò sofferente in un angolo della mente di Cassandra, incapace di assistere a quella scena.
-Puoi farcela, Cassandra- Myra socchiuse gli occhi, era sfinita –So che ce la farai, so che riuscirai a controllarlo…-
-No, no- la bambina scosse la testa, strinse più forte a sé sua madre, quasi per trasmetterle la sua forza vitale –Non senza di te, mai senza di te!-
Myra sorrise commossa –Sì invece, ce la farai Cassandra, anche senza di me… anzi lo hai già fatto- le forze le fluirono via, assottigliandosi sempre più, Myra chiuse gli occhi, le palpebre erano ormai troppo pesanti
-Ti voglio bene Cassandra… sono fiera… di te…-
La mano ruvida del Sari le scivolò via dalla guancia. Cassandra sbarrò gli occhi, il corpo di sua madre si rilassò. Tutto parve rallentare, il vento, il fumo, le fiamme; persino suo padre mentre inveiva contro il vecchio sciamano ormai stramazzato. Era morta, sua madre non c’era più, non l’avrebbe più rivista, né lei, né i suoi occhi ametista così severi, ma comunque pieni di affetto. Non avrebbe più sentito la sua voce mentre le cantava la sua canzone, non l’avrebbe mai più abbracciata o protetta, era sola. Non aveva senso, non poteva essere. Il suo cuore cominciò a battere lentamente, nulla meritava più di sopravvivere, non ora che sua madre non poteva più vederla, lei era Madain Sari, lei era il suo mondo, e ora che non c’era più, anche il mondo doveva svanire con lei. Una risata cristallina risuonò tra i meandri della sua mente; avrebbe distrutto tutto, Madain Sari e ogni singolo centimetro di quel posto insulso abitato da esseri miserabili. Il potere si ravvivò dentro di lei come una fiamma, non era Zalera, non era Ixion, né Siren, era qualcosa di diverso, di profondo, di incontenibile e devastante, era ciò che stava alla fine, era l’Ultima.

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NdA: Dopo settimane di silenzio, con le scene di questo e del prossimo capitolo che ogni tanto spuntavano come margherite, alla fine l'ho messo giù. Scusate per gli errori, ecc, spero che vi piaccia, html permettendo allego anche una piccola immagine: Cassandra e la sua maledizione ^.^ Un saluto a quante seguono questa storia con una pazienza invidiabile, siete meravigliose! 
 

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Capitolo 9
*** Ricordi: L'angelo ribelle ***


 

-Meraviglioso…- fu praticamente un sospiro di ammirazione, i riflessi infuocati si specchiarono nell’iride acquamarina. L’uomo mosse qualche passo uscendo dall’ombra, doveva avvicinarsi, quel potere era come un richiamo. Lo aveva avvertito già sul ponte dell’Invincibile, mentre guardava Madain Sari consumarsi; era stato come un canto sommesso, ma affascinante: la voce del potere. Non era l'abilità degli sciamani, ma qualcosa di meglio. Il mago aveva mosso l’osservatorio alla ricerca della traccia energetica. Il suo cuore batteva frenetico nel petto, la magia gli scorreva implacabile nelle vene, inebriata da quel richiamo di forza. Stava impazzendo, quel flusso era di una potenza straordinaria, lo accarezzava, lo attirava a sé e lui non voleva resistere. I muscoli erano tesi sotto la pelle, l’eccitazione regnava sovrana, persino la sua coda si muoveva senza posa.
Infine l’aveva trovato, gli bastò seguire la fulgida lama di Odin, e così poté ammirare quello spettacolo senza eguali. Aveva assistito ad innumerevoli drammi, tragedie e commedie, ma, nello scenario di distruzione di Madain Sari, quello era davvero qualcosa di magnifico.

La donna si era lasciata trafiggere, la spada le aveva attraversato il petto di madre, versando il suo sangue sulla figlia. Il vecchio sciamano si era accasciato morente, linciato da una terza persona. Il messaggero oscuro non si soffermò, i suoi occhi erano solo per quella tragedia inebriante: una madre sacrificatasi per la figlia, un ‘infallibile cliché. Quasi si complimentò con se stesso per aver messo in scena quello spettacolo, al punto da dimenticare la vera ragione che lo aveva condotto lì… Quella ragione rivendicò vanitosa l’attenzione del jenoma.

Un’energia incontenibile esplose non appena la donna spirò, dalla sua creatura si diffusero delle onde energetiche le quali si allargavano e comprimevano ritmiche. Il jenoma si sentì mancare non appena quelle onde gli sfiorarono l’anima. Eccolo, il richiamo di forza. Gli occhi si fecero grandi e cupidi, i piedi si mossero da soli, doveva averla, doveva avere quel potere travolgente.

Con quel potere… Garland…

Sporse una mano, le maniche di seta vorticavano attorno al braccio candido, pochi passi e avrebbe raggiunto il nucleo di energie.

-TU!-

Una raffica di schegge affilate lo investì, il jenoma venne colto alla sprovvista, ma durò poco, il reflex si alzò in un secondo, proteggendolo e dandogli modo di eludere l’attacco. Gli occhi acquamarina guizzarono feroci: chi osava colpirlo!?

Le mani si illuminarono pronte a scagliare un contro incantesimo, un sorriso sinistro si aprì sul volto delicato e femmineo. Chiunque avesse avuto l’ardire di colpirlo, era praticamente già morto. Una nuova scarica cercò di prenderlo; il jenoma, schivò, irritato, dovette procrastinare l’attacco. Si avvitò in un mortale all’indietro, atterrò aggraziato sulle punte, scostandosi vezzosamente la piuma dalla fronte, dissimulando il proprio fastidio con un sorriso.

-Tedioso ed insistente…!- un flare gli passò appena a un millimetro dal volto, sentì la scottatura bruciargli sulla guancia, era stato veloce, troppo, per essere un comune mago.

-Vo…-

-Sta lontano da mia figlia!- sillabò ogni parola con astio, le fiamme illuminarono il volto dell’aggressore: un uomo sulla trentina in apparenza, l’accenno di barba sul mento cesellato, i capelli biondi, lisci, lunghi sino alle spalle e gli occhi… due pozze color catrame, brillanti per l’odio.

L’espressione del jenoma si caricò di risentimento, ma riuscì a celarla dietro un sorriso ferino.

-Cos…-

-Non l’avrà- gli urlò l’uomo furibondo - Dì al vecchio pazzo che distruggerò lui, o chi per lui, se oserà sfiorare mia figlia!- le vene sulle braccia dell’uomo brillavano come fili di luce, lasciando filtrare la magia sino alla punta delle dita.

Non è possibile… il jenoma osservò meglio quell’uomo, lo sguardo, il tipo di attacchi, la velocità di reazione e anche solo la loro potenza… Non poteva essere, non era possibile, Garland aveva detto…

Un sorriso si aprì radioso sul volto del jenoma.

“… Vecchio pazzo” quelle parole gli risuonarono ilari nel cervello, una eccitazione incontenibile gli esplose nel petto. Il jenama cercò di trattenere la risata, lo sguardo si ravvivò. Era un terano, quello davanti a lui, era un maledetto terano. Non ebbe altro modo di ridere di quella scoperta sensazionale, il terano si avventò su di lui, un turbine di areoga lo investì, combinato a una pioggia di fira. Il jenoma si chiuse nella barriera reflex, tra gli scorci di fuoco e vento, vide il terano saettare tra i cerchi energetici creati dalla ragazzina.

 

-Cassandra!- Shimazu era disperato, non avevano tempo, non più, il tirapiedi di Garland era già tra loro; quel bizzarro ammasso di veli e piume era più pericoloso di quanto il suo abbigliamento lasciasse intuire.

-Cassandra!- le ondate di energia erano come la forte corrente del mare, lo travolgevano, gli si riversavano addosso, lo spingevano per poi riattirarlo come la risacca dell’oceano, era come barcamenarsi in una tempesta. Gli occhi di Cassandra brillavano come fuochi fatui, svuotati di ogni coscienza.

Shimazu si lanciò con disperazione verso di lei, allungò un braccio, estendendo le dita sino allo stremo, un’altra ondata lo investì, ma fu più forte, serrò i denti e non si lasciò travolgere. Finalmente la mano incontrò il braccio di sua figlia, serrandosi attorno ad esso.

-CASSANDRA!-

Fu un istante, gli occhi senza espressione di sua figlia si riaccesero di coscienza, richiamata dalla disperazione di suo padre

-Cassandra, Cassandra, non cedere!- le urlò. Il vortice di energie si fece sempre più violento, i due erano al centro di un ciclone, le scariche magiche attraversavano impietose il corpo di Shimazu, svuotandolo della sua forza, ma resistette, per sua figlia, avrebbe strisciato anche all’inferno.

-Papà…- guaì con un fil di voce, fece per sporgere l’altra mano, Shimazu la prese, ancorandosi a lei per evitare che le spire del vortice lo sbalzassero via.

-Richiamale Cassandra, richiama la tua energia!- fu una supplica più che un ordine. Shimazu cercò di sintonizzare le sue energie magiche su quelle impazzite di sua figlia, era come se un fiume volesse avere ragione dell’oceano, ma doveva provarci. Per un po’ il tornado parve placarsi. Cassandra lo guardava sperduta, gli occhi pieni di lacrime, le quali le scendevano sul volto sporco di sangue e fuliggine.

-Forza Cassandra, puoi farcela, puoi controllarlo!-

La bambina scosse avvilita la testa – No… mamma è…-

-NO!- Shimazu la interruppe, mai avrebbe accettato di sentirlo – Non è morta Cassandra, la mamma ci sarà sempre, il suo spirito non ci abbandonerà mai, non se noi la pensiamo, non se noi agiamo come avrebbe fatto lei! Cassandra non lasciar morire la mamma, se cedi, il suo spirito non potrà vivere attraverso te! Esaudisci il suo desiderio, Cassandra: resisti!-

Il boato del vortice proruppe violento, per un istante, gli parve la voce risentita di una donna. Shimazu dovette puntellare i piedi a terra e reggersi con forza, non avrebbe mai mollato la presa.

-Papà...- stava piangendo. Shimazu sorrise sollevato

-Cassandra!- si avvolse a sua figlia abbracciandola e proteggendola dalle sferzate di vento- Sei tornata! Perdonami Cassandra, perdonami se non sono stato in grado di proteggervi!-

-Papà, io...-

-Commovente a dir poco, ma questo dialogo non è previsto nella sceneggiatura!- un paio di occhi acquamarina brillarono tra le raffiche di vento. Un flare colpì a tradimento Shimazu e sua figlia. Il terano venne sbalzato via, il vortice attorno a Cassandra si rialzò esultante, riavvolgendola nelle sue spire.

-Papà!- Cassandra cercò di attraversare la barriera energetica, ma questa la rispediva indietro impedendole di spostarsi -Papà, aiuto!- tra le spire del vortice, la risata cristallina di una donna risuonò ilare. Cassandra vide le immagini di Ixion, di Siren, persino Zalera, vorticarle attorno. Sgranò gli occhi atterrita, se stavano andando via, perché si sentiva così smarrita, perché aveva paura. Cassandra cercò di sporgersi, di immerge le mani nel tornado, per afferrarli, ma questi le scivolarono via tra le dita. Una sensazione terribile le serrò la gola, Cassnarda avvertì un'ombra alzarsi dentro e dietro di lei; in quel marasma la bambina vide brillare degli occhi topazio, la risata si fece più forte.

Sei perduta, Cassandra!

 

Shimazu rotolò sulle rocce, fece per rialzarsi, ma una pesante suola di metallo si piantò sul suo petto, impedendogli persino di respirare

-Pensavo che vi foste tutti estinti... Guarda che curioso imprevisto!?- commentò il jenoma.

Shimazu piantò i palmi per terra, uno scossone si diffuse sotto di loro, il jenoma eluse il terremoto con straordinaria agilità, fermandosi a mezz'aria, grazie al levita. Shimazu si rialzò in piedi, gli occhi fissi sul tornado attorno a sua figlia.

-Cassandra!- fece per correre, ma il jenoma gli si parò davanti. Shimazu era fuori di sé, nel palmo gli brillava già un flare furibondo -Togliti di mezzo, idiota!-

Shimazu afferrò la testa dell'avversario, il quale non fece in tempo a spostarsi. Il terano gli fece esplodere il flare in pieno volto, scagliandolo poi lontano. Mentre correva verso la colonna di energia e vento, sentì un fruscio di ali, il drago albino volava al suo fianco. Shimazu gli si lanciò in groppa, spronandolo a più non posso, arrivò sotto al tornado, pronto a urlare il nome di sua figlia a pieni polmoni

-Aiuto, papà...- la voce di sua figlia arrivava debole attraverso il muro di vento. Shimazu prese a bombardare di colpi il vortice, aprendo solo pochi varchi di qualche secondo.

-Ti prego papà...- era allo stremo, l'ombra le era entrata nel cuore, aveva preso possesso della sua mente, strisciando dentro il suo corpo come veleno, impedendole di muoversi. Non poteva supplicare nessuno, quell'essere aveva relegato gli altri eidolon lontano, in un posto inaccessibile. Cassandra rimpianse persino Zalera. Un dolore lancinante la stava squarciando, stava urlando, disperatamente. Lo spirito le si avvinghiò al cuore, affondando lì i suoi artigli, invadendo ogni parte di lei. Una sostanza nera le si diffuse anche negli occhi oscurandole la vista

-Ti prego, papà, papà, aiutami!-

-Cassandra, Cassandra, puoi farcela! Resisti!- l’uomo sotto di lei diventava sempre più piccolo. Shimazu fece per oltrepassare il vortice, ma la tempesta di aria mise in seria difficoltà anche il drago; il terano sporse una mano, le scariche lo attraversarono crudeli, cercò di sfiorare sua figlia, ma una sferzata di vento lo colpì, allontanandolo definitivamente.

-Padre!-chiamò disperata. La figura di suo padre era ormai svanita e lei era perduta.

Mia, Cassandra!

E fu l'oscurità

Il vortice si fece più alto, le energie le scorrevano addosso violente sballottando la sua coscienza in ogni dove, Cassandra si sentì affogare in quel marasma di emozioni, rabbia, pensieri e sentimenti, le immagini del suo passato, di quello di suo padre, si mischiarono in un' unica voce, quella della presenza che la stava schiacciando. Non vedeva più nulla, avvertì solo un dolore tremendo alle spalle, la bambina si inarcò innaturalmente mentre la schiena veniva squarciata da tre paia di gigantesche ali candide, il suo corpo si allungava innaturalmente. La pelle cambiò, la sfumatura umana si perse nelle tinte madreperlacee di quella nuova pelle. I capelli si allungarono, serici e sottili, scendevano lisci sul petto generoso coperto dalla candida veste intarsiata d'oro, appena sollevata dalle sottili dita della creatura. L'occhio dell'Invincibile venne coperto, inghiottito dalla mole di quell'essere straordinario. Le iridi topazio brillavano cupide sotto le spesse ciglia nere e arcuate, la bocca carnosa si arricciò in un sorriso, illuminando i lineamenti fini e armoniosi del volto angelico. Sotto l'angelo si estendeva il complesso ingranaggio di un'elica, circondata da anelli armillari. Improvvisamente la pelle della creatura mandò un bagliore illuminando a giorno le rovine di Madain Sari. Le poche case rimaste in piedi vennero investite dall'ondata di energia, sgretolandosi miseramente.

 

 

NdA:Lo so, lo so, speravate che uno tsunami mi mettesse a tacere per sempre... E invece no, eccomi qui a continuare questo racconto che sta venendo lunghetto!  Scusate per gli errori, sfortunatamente office non li rileva molto bene e io sono una frana a ricorreggere... Spero che il capitolo sia interessante, mi sono sempre chiesta come Kuja avrebbe reagito davanti ad un "originale" ^.^. Ho avuto un po' di problemi nel separare i vari momenti in realtà, quindi questo e i prossimi capitoli potrebbero risultare poco fluidi, spero ovviamente di no, però nel caso avviso xD.

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Capitolo 10
*** Ricordi: Il terano e il jenoma ***


-Straordinario!- Il sorriso del mago era spiegato come quello dell'eidolon. Quella potenza era inebriante, il jenoma se ne sentì invaso, i suoi poteri erano eccitati, gli scorrevano con ancora più ardore nelle vene
-Così è questa...- la voce era un filo sottile, vibrante per l'emozione – La vera forza che ti metterà in ginocchio... La potenza che ti spaventava tanto, stupido vecchio... E' bellissima! Socio!-
Il mago richiamò il suo drago, il quale si scrollò la polvere di dosso volando verso il suo compagno. Il jenoma gli saltò in sella al volo, alzandosi sempre più di quota, gli occhi immersi in quello spettacolo straordinario. Presto tutto quel potere sarebbe stato solo suo, l'idea lo eccitava sino a farlo impazzire. Il drago riuscì a sollevarsi sino a orbitare attorno al grande eidolon.
-Benvenuto su Gaya, meravigliosa creatura!-
L'eidolon spostò lentamente la testa, gli occhi erano socchiusi, disinteressati. 
Il sorriso del mago si perse in un secondo, l'angelo emise un'ondata di energia devastante. 
Mentre affogava nelle raffiche di energia e vento qualcosa si serrò attorno al suo polso, gli occhi acqua marina si sforzarono di mettere a fuoco il suo soccorritore. 
-Razza di idiota!- lo riprese quello fissando la sua rotta – Non è nulla che tu possa controllare!-
Il mago vide le possenti ali del drago albino muoversi rapsodiche, si stavano allontanando dall'angelo, dalla sua agognata arma. La magia fluì più veloce dei pensieri, le mani si illuminarono di flares, il mago le scagliò contro il cavaliere, il quale mollò sorpreso la presa. Il mago si ritrovò a precipitare, l'aria gli sferzava il volto, ad un tratto accusò un dolore atroce alla schiena, come una scarica. Il fianco possente del drago era ancora accanto a lui
-Dovresti ringraziare il vecchio pazzo per questa!- lo riprese con un sorriso feroce il terano, la sua mano era serrata attorno alla coda argentea del mago; questi sgranò gli occhi pieni di risentimento. Shimazu richiamò un tuona, l'incanto si propagò nel corpo del jenoma, questi si accasciò sfinito. Il terano lo issò sul dorso del drago, poi spronò la sua cavalcatura all'inverosimile, doveva mettere abbastanza miglia tra lui e il gigantesco angelo ribelle. 
-Lasciami... andare...- biascicò allora la carcassa argentea dietro di lui. Shimazu serrò la mascella
-Niente mi farebbe più piacere- si voltò guardandolo di sguincio – Ma quella cosa tiene prigioniera mia figlia e tu mi aiuterai a liberarla!-
Un gracchiare sordo emerse a risposta, il jenoma si girò sulla schiena sorridendo sornione, aveva il volto coperto di cenere, persino i vestiti erano consumati dai colpi energetici -Perché dovrei...-
Il jenoma non ebbe modo neppure di respirare, Shimazu lo afferrò per il collo, gli occhi carbone lo inghiottirono – Ascoltami bene, ammasso mal assortito di carne, sono quasi sicuro che il tuo istinto di sopravvivenza abbia ancora la meglio sulla tua stupidità! - gli afferrò la testa e la girò verso l'enorme eidolon dietro di loro – E' arrabbiata, distruggerà qualsiasi cosa, non potrai controllarla da solo!-
Gli occhi del jenoma mandarono una scintilla di rabbia, la quale venne immediatamente repressa da un grugnito irritato. Shimazu mollò la presa e lasciò modo al mago di sistemarsi sul drago.
-Qual'è il piano, terano!?- 
Shimazu spronò il drago, alzandosi di quota, l'aria sfrecciava affilata come lame sulla sua pelle
-L'Invincibile ha degli scudi di contenimento, funzionano ad energia magica, devi invertire le frequenze principali, sincronizzarle con quelle dell'eidolon, posiziona l'occhio su di lei, poi attivali, indebolirai la sua volontà!- spiegò serioso il terano senza staccare gli occhi dall'aereonave sopra di loro
-Vuoi dire che potrò controllarla!?- la voce del jenoma tradiva tutta la sua eccitazione. Shimazu si voltò mostrando un sorriso ferino 
-Non è un eidolon come gli altri, non si lascerà controllare, sarebbe necessaria una volontà ancora più forte e, visto il tuo tentato suicidio di poco fa, posso attestare che tu non ne sia in possesso!- 
-Tu si invece?- la voce velenosa tradiva tutta la sua acredine, come osava quell'essere rivolgersi così a lui.
-Lo spero!- commentò a denti stretti Shimazu. Pensò a Myra, lei era stata forte, la sua volontà era stata ferrea per tutto quel tempo, glielo doveva, almeno per una volta, sarebbe stato forte anche lui come lei.
-Chiama il tuo drago e fa in fretta!- lo rimbeccò Shimazu. Il jenoma chiuse gli occhi. Passarono pochi minuti prima di sentire il fruscio di ali sibilare nel vento accanto a loro. Il mago si mise in piedi sulla cavalcatura albina, poi saltò verso il suo compagno. I due draghi volarono fianco a fianco.
-Aspetta che sia abbastanza vicino, poi punta l'occhio su di lei e cerca di colpirla con il raggio giusto, avremo meno di qualche minuto!- gli urlò Shimazu. 
Il jenoma sorrise  -Cosa ti fa credere che non ti tradirò al momento opportuno!?- 
Shimazu gli restituì lo stesso sorriso – Ne sono certo, infatti!- spronò la cavalcatura tra i cieli, sfrecciò verso il lucente angelo distruttore. Il mago lo osservò per qualche secondo, poi si diresse rapido verso l'Invicibile. 

L'angelo increspò la bocca piena in un sorriso mentre con una mano mosse le acque dell'oceano, alzandole in giganteschi Tsunami, rise sentendo l'eco contrariato di Leviatano, ma cosa poteva in confronto a lei. Le ali si mossero annoiate producendo raffiche di vento violente, tutto, avrebbe distrutto tutto. 
Sorrise radiosa, avrebbe distrutto il sogno dei terani  riducendo in polvere  Gaya. 
-Ultima!- l'urlo di una mosca le fece arricciare il naso, era già il secondo insetto a tediarla.
Si voltò, pronta a schiacciare quel fastidio. Il viso di quell'umano entrò nel suo campo visivo.
Terano!
 Una furia cieca le esplose nel petto e, insieme, anche un richiamo indistinto, di una qualche anima perduta nella sua mente.

Padre...
Ultima sgranò gli occhi color topazio. Non avrebbe mai ceduto la sua libertà, doveva distruggere quell'essere prima di diventare ancora una volta prigioniera di un disgustoso corpicino.   
-Lasciala andare, Ultima! Lei non ha colpe e neanche questo posto!-
L'angelo non trattenne una risata, le possenti ali l'alzarono facendola torreggiare sul minuscolo terano
-Non ha colpe dici!? Quanto puoi essere illuso, Shimazu!?- l'angelo osservò il brivido percorrere la schiena del suo avversario – Credi che non vi conosca uno per uno, voi inutili parassiti di mondi?  Shimazu, l'ultimo terano sopravvissuto su Gaya, la tua sola condizione è una condanna a morte!- 
gli occhi si illuminarono e così le vene sotto la pelle perlacea, Ultima era pronta a colpire, Shimazu richiamò un reflexaga. Non appena la folgore si infranse sulla barriera questa esplose in una miriade di frammenti energetici brillanti come rubini. 
Shimazu continuò ad orbitare attorno all'eidolon.
-Fermati Ultima, tutto questo non ha senso!-
L'espressione dell'eidolon si fece severa – Come non aveva senso distruggere il vostro mondo! L'avete fatto invecchiare precocemente, gli avete sottratto i suoi protettori, ce lo avete strappato, accecati dall'ambizione! - gli occhi si fecero due fessure ricolme di odio – Ho custodito il cristallo per  millenni, ho visto nascere e crescere la vita su Tera, per cosa!? Per essere umiliata in una prigione di carne e sangue! Voi terani non dovete sopravvivere, preferisco vedere l'Universo perire, che dare a voi una seconda opportunità!-
-Non farlo, Ultima!-
L'ediolon sorrise feroce – Non crucciarti, raggiungerai presto la tua amata!- gli occhi color topazio si animarono di fiamme scarlatte. Le mani lasciarono le vesti candide, riempiendosi di energia candida e pura, attorno all'angelo di disposero in cerchio una miriade di sferette luminose come le stelle. Due raggi dipartirono dall'iride dell'Invincibile, Shiumazu fu costretto a coprirsi il volto, mentre le strida agghiaccianti di Ultima trafiggevano il cielo terso. Non appena la luce si fece meno intensa, il terano vide Ultima circondata da due strati di scariche elettriche. L'angelo era fermo, gli occhi trasudavano odio, sebbene in apparenza sembrasse calma.
-Osi imbrigliarmi, misero fantoccio?- rise crudele – Non mi piegherò certo ad una volontà tanto debole...-
L'angelo provò a muovere le ali, il mago sentì una fitta attraversargli la mente, cadde carponi sul ponte dell'Invincibile. 
-Lui forse no, ma con me la storia è diversa!- Shimazu volò fino al viso dell'angelo. Il terano richiamò a sé le sue energie, il flusso gli attraversò le vene come un fiume in piena, gli occhi si fecero luminosi, mentre le vene brillavano come fili di luce sotto la pelle. 
Shimazu attinse al ricordo di Myra, alla sua compostezza, alla sua forza. Il terano liberò tutta la sua forza, ogni cellula del suo corpo contribuì a quel flusso energetico senza pari, quella, era la vera forza del terani. 
Shimazu liberò il colpo, Uitima sgranò gli occhi allarmata. Non appena fu colpita, il mago nell'areonave si liberò dall'influsso dell'eidolon, corse verso i comandi dell'Invincibile, sincronizzando le nuove frequenze e mirando nuovamente all'angelo. Il nuovo raggio fu ancora più forte del primo, Ultima venne avvolta dai due colpi. Le scariche di energia le percorsero la pelle frantumandola come vetro. L'angelo urlò mentre le spire energetiche dissolvevano la sua forza. Il jenoma assistette folgorato allo spettacolo. Il terano sotto di lui stava legando la propria volontà a quella di Ultima, se anche lui ne fosse stato capace, avrebbe potuto sfruttarla come un'arma. Qualsiasi eidolon, con quella nuova scoperta, poteva essere controllato e assoggettato. Per Ultima avrebbe soltanto dovuto attendere il momento giusto, bastava avere il contenitore e...    
Nell'oscurità, una piccola carcassa precipitava verso terra, un balenio candido ferì il cielo. Shimazu afferrò sua figlia al volo, era sfinito, non riusciva neppure a stringere le braccia attorno a sua figlia, ma non c'era tempo per riposare, la sua collaborazione con il fantoccio di Garland era già finita, sicuramente, il mago avrebbe puntato a sua figlia e lui doveva proteggerla. 
Shimazu spronò ancora una volta il suo compagno. Il mare oscuro si era finalmente calmato, in capo a poche ore avrebbe albeggiato. Cassandra era ancora priva di sensi, la bambina era sporca di cenere, la pelle era tumefatta soprattutto in prossimità delle articolazioni. Un ringhio sordo attraversò il cielo, Shimazu si voltò, dietro di loro, un intero stormo di draghi d'argento si era lanciato all'inseguimento
-Maledetto!- 
Sul drago più grande, con le braccia incrociate e la bocca distorta in un ghigno, c'era il fantoccio di Garland
-Vai!- urlò Shimazu alla sua cavalcatura. Il drago ringhiò feroce mentre sbatteva le ali rapido. 
Ce la dobbiamo fare!
Shimazu digrignò i denti, strinse forte a sé Cassandra, non l'avrebbe lasciata nelle mani di quel pazzo. 
Le spiagge rocciose del continente sfilavano sotto di loro, dopo di ché li accolse il mare, una distesa purpurea rischiarata appena dai raggi dell'alba nascente. 
Una raffica di piume affilate cercò di colpirlo, Shimazu andò in avvitamento assieme al drago, schivando l'attacco. Portò una mano alle spalle lanciando un tuonoga. Finalmente la terra rossastra del continente dimenticato sorse sopra l'oceano scuro. La polvere gli infiammò le narici, aveva sempre sperato di calcare quei cieli insieme a Myra e a Cassandra. Shimazu cercò di scacciare l'amaro nella sua bocca, non poteva ancora disperarsi per la morte di Myra, sarebbe sempre stata una voragine aperta nella sua anima, ma non poteva condannare anche sua figlia per questo. I colpi dello stormo, così come le loro strida, si fecero sempre più vicine, era come sentirli sfiatare sul collo. 
Gli occhi di Shimazu brillarono, l'insenatura rocciosa...
Una fitta la braccio lo distolse dalla sua meta. Il terano si voltò furente.
Il pupazzo argenteo era a qualche metro da loro, le mani ancora brillanti per l'incanto lanciato 
-Sono immensamente mortificato per i modi...- disse portandosi una mano alla fronte.
Shimazu ringhiò scagliandogli contro un flare. Il fantoccio non riuscì a schivarlo del tutto, gli occhi acquamarina brillavano accesi dallo scontro. 
-Vedremo se Garland ha così ragione ad essere fiero di voi, feccia!- sibilò scostandosi una ciocca argentea dalla fronte. Shimazu andò in picchiata verso l'insenatura rocciosa. Lo stormo di draghi rimase a ruggire, lontano dalle porte della città lì nascosta. Il mago non si curò del loro strano comportamento, sebbene anche il suo drago stesse opponendo resistenza.
-Forza!- incitò, aveva gli occhi puntati sulla sua preda. Percepiva l'energia del terano farsi sempre più debole; nel tentativo di legare la sua volontà a quella di Ultima, lo sciocco aveva ridotto di molto la sua aspettativa di vita, impiegando in quell'impresa una buona parte delle sue energie vitali; non poteva lasciarsi sfuggire una simile occasione. 
Il terano virò rapido evitando lo spuntone di un precipizio aguzzo come il dente di uno molboro, il mago dovette imitarlo, sebbene il suo drago strisciò contro la parete rocciosa facendo precipitare alcuni massi giù per la scarpata.  
-Pensi basti così poco!?- gli urlò dietro mentre eludeva i detriti. Shimazu non rispose vedeva il suo obiettivo distendersi sotto i suoi occhi, finalmente. Il suo drago guaì, Shimazu gli dette un colpetto, si alzò in piedi cercando di mantenere l'equilibrio e sua figlia. La bestia si abbassò di quota, Shimazu saltò stringendo Cassandra in quella paterna armatura. 
Il mago ignorò il lamentarsi della sua cavalcatura, sorrise folle vedendo le sue prede ormai completamente alla sua mercé. Il suo sorriso radioso appassì in pochi istanti, non appena una stretta dolorosa si serrò attorno ai suoi polmoni. Il drago d'argento emise un guaito roco, prima di precipitare; il fantoccio di Garland sentì quella cosa strisciargli dentro, comprimerlo e lacerarlo mentre le sue energie magiche svanivano, avrebbe voluto urlare, ma non ne aveva né la lucidità e neppure più la forza. 
Shimazu attraversò la barriera, ormai era abituato a quella sensazione di stordimento, riuscì a reprimere bene la nausea, nonostante le sue condizioni fisiche fossero critiche, rotolò per terra, ma non appena finì di mangiare la polvere, controllò che almeno sua figlia stesse bene. Cassandra aveva ancora gli occhi chiusi, era tremendamente pallida
-Tranquilla, piccola mia, ora siamo al sicuro!- 
Shimazu tossì, sangue e polvere si erano fusi in corpuscoli pesanti e appiccicosi che andarono a impiastricciargli la faccia sudata. La vista era appena annebbiata, ma la determinazione del terano non conosceva limiti. Si alzò in piedi, dimenticando la fatica, i cancelli di Oeilvert erano dietro di lui, Shimazu si voltò e si avviò verso di essi; un rantolio lo fermò. 
Il terano si voltò, a qualche metro da loro, stava strisciando un cadavere sanguinolento. Shimazu lo fissò, l'espressione disgustata gli deturpò il volto. Sentiva una tale rabbia scorrergli dentro, adesso che erano al sicuro, percepiva lo scorrere degli eventi con maggiore violenza: Myra era morta per colpa di quell'essere indegno. Il terano marciò verso quell'insulto alla natura. Non appena gli fu davanti, lo girò con un calcio; l'essere artificiale rantolò ancora qualcosa, ma Shimazu colpì una seconda volta, voltandolo nuovamente a pancia in giù. Sotto il velo ormai stracciato, intravide il movimento azzardato della coda. Il primo istinto di Shimazu fu quello di staccarla: era la firma di Garland quella. 
-Disgustoso, indegno...-
-Perchè... ci metti... così... tanto...- fu poco più di un guaito. Shimazu sussultò -Stupido vecchio... cosa aspetti ad uccidermi...-  
Questa volta Shimazu lo girò sulla schiena, con appena più garbo -Cosa hai detto?- 
L'impatto con la barriera aveva trascinato il loro inseguitore molto lontano dalla realtà.
-Mai!- sputò tra i denti il fantoccio – Non ti servirò mai! Preferisco crepare... Non eseguirò mai più i tuoi ordini!-
Shimazu guardò sua figlia, in qualche modo anche lei era stata giudicata per le sue origini. Il terano si allontanò, lasciando il mago a rotolarsi sfinito nella polvere. 



NdA: Esatto, sono tornata a scocciare, va be', tanto basta saltare atleticamente i miei racconti e tutti felici ^.^ 
Grazie a tutti coloro che hanno speso un po' di tempo su questo luuuongo racconto pieno di smielaggini. Avrei dovuto aggiornarlo molto tempo fa, in realtà, nel file sono molto più avanti, ma distribuirò i capitoli poco alla volta, spero completi di qualche disegno. Chiedo venia per gli errori/orrori ortografici e non, spero di non annoiare più di tanto. La vera difficoltà è stata dividere i vari passi, perché appunto, in realtà sono molto più avanti rispetto a quello che ho pubblicato. Spero che il capitolo piaccia e che dire... i ricordi stanno giungendo al termine ^.^ 

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Capitolo 11
*** "Sono Kuja, tu chi sei?" ***


Le stelle erano bellissime, brillavano come piccoli diamanti nel cielo, tutte con un'intensità diversa. Le nebulose  avvolgevano gli astri  come per rivestirli di seta. Finalmente una notte serena, non come quella precedente. La distruzione di quel villaggio, le fiamme attrono all'angelo distruttore, erano state uno spettacolo straordinario, ma sfiancante. Il mago senza poteri si alzò a sedere, la branda sotto di lui puzzava di stantio, come tutto del resto. 
Oltre le sbarre della sua cella, sentì un fruscio, segno che gli stavano portando da mangiare, sebbene, chiamare cibo quella poltiglia, era un lusso che non poteva permettersi. 
Sospirò, non avrebbe sopportato oltre quegli odiosi golem servitori. 
“Sono Kuja, tu chi sei?”, quella dannata domanda, lo stava facendo impazzire. Quelle guardie improbabili puntavano a portarlo sll'orlo della follia, quasi più di quanto quello stupido vecchio non avesse giù fatto. Ora che era senza i suoi abiti, abbigliato solo di una casacca ruvida e per nulla elegante , non sapeva neppure più lui, chi fosse. La sua coda odiosa faceva lì capolino. No... volevano condurlo alla pazzia più completa, quella sì, che era tortura. 
La figura scura zampettò fino alle sbarre, Kuja era già lì per aggredirla, prima, di sentire quell'odiosa domanda. L'immagine di una figuretta piccola e impacciata fece capolino, la pallida luce delle stelle, filatrata attraverso la grande apertura sulla cella, rivelò le piccole mani di una bambina, chiuse attorno ad un vassoio improvvisato. Kuja rimase a fissare quella piccola ombra incerta, aveva gli occhi grandi, spalancati, un po' per la paura, un po' per qualcosa che non riusciva a decifrare.
Ha visto crepare sua madre... E' impazzita pure lei...
I capelli erano lunghi e disordinati, scuri come gli occhi, sulla tela candida del viso.
Kuja si rimise supino, aveva l'arma definitiva a portata di mano, ma non poteva neppure sfiorarla. 
-Signore...-
“Sono Kuja, tu chi sei?” ripeté mentalmente malcelando un sorriso ironico. La bambina rimase lì davanti alle sbarre, si piegò appena facendo scivolare il vassoio di pietra.
-Papà ha detto di mangiare tutto, signore, ha detto che non possiamo più tenerla qui...-
Kuja cercò di controllare un sussulto, lo volevano uccidere? Pensò a come afferrare il collo di quella bimbetta per poi strozzarla come si conveniva.
-Ha detto di mettersi in forze perchè la strada per il primo centro abitato è lunga!-
Kuja si alzò a sedere di scatto. Non riusciva a capire, come poteva quel terano essere così stupido, se l'avesse lasciato libero, cosa gli impediva di tornare e...
Sorrise mesto. Non sarebbe mai tornato, né si sarebbe avvicinato a quel luogo per nessuna ragione, sentirsi svuotato era terribile. Avrebbe trovato altri modi per distruggere il vecchio, e comunque, lo sapeva, il terano non aveva ancora molti  tramonti da vedere, le sue energie erano andate nello scontro con Ultima. Il mago pensò un po' alla bimbetta, avrebbe presto seppellito anche il paparino, oltre che sua madre. Lo sguardo gli cadde allora su di lei, attorno al collo le brillava qualcosa, come un medaglione. La bambina se ne accorse e si portò subito le mani al collo. Kuja si avvicinò al vassoio e prese a mangiare   
-C'è carne di zuu, ma ho messo anche le costolette di rana... io non avevo fame...-
spiegò imbarazzata la bambina. Kuja si chiese cosa provasse, era stata la protagonista di una tragedia, solitamente le rappresentazioni non indagavano sui sopravvissuti, in quel caso aveva la possibilità di approfondire. 
-Bello- disse addentando garbatamente una costoletta di rana. Quel maledetto terano, almeno per sua figlia, era in grado di cucinare qualcosa di decente -Il medaglione, intendo...-
finalmente lo sguardo della bimba si infranse, solo per un secondo, la manina candida era stretta attorno al ciondolo sino a tender le nocche. 
-Era il regalo che papà voleva farle...- la bimba si alzò. Kuja sentì qualcosa serrargli la gola, era una sorta di... magone!? 
-Fare a chi...?- chiese senza pensarci.
La bambina soffocò un singhiozzò, abbassò lo sguardo e si voltò
-Alla mamma...-
dopodichè si allontanò lasciando solo il jenoma.
“Sono Kuja, tu chi sei?”... adesso poteva rispondere a quella domanda, lui era un mostro.
Kuja allontanò il pasto, che differenza faceva lasciare quel posto in forze o meno, l'importante era abbandonarlo e dimenticare. 


NdA: Salve a tutti, spero di terminare al più presto questa long. Come al solito, spero che la lettura non sia stata particolarmente tediosa, per fortuna, in questo caso, non è stata neppure troppo lunga! Non ho molto da dire se non fare i miei soliti ringraziamenti (noiosa come poche eh, non mi smentisco mai) a chiunque abbia avuto la pazienza di leggere. Mi scuso in anticipo per gli eventuali errori ed orrori ortografici e grammaticali. Un grande bacio!

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Capitolo 12
*** Risveglio ***


Oeilvert... 
Cassandra sorrise osservando un'ultima volta le mura della sua casa, il tramonto tingeva di arancio le scale principali. La ragazza aprì le braccia e inspirò; l'odore di terra le pizzicò le narici, era sempre così, in quella città dormiente. Riaprì gli occhi e si voltò verso il portone scuro. Oeilvert l'aveva vista crescere, era stato il palcoscenico della sua adolescenza, ma non era più il posto che poteva chiamare casa.
Sorrise mesta, portandosi una mano al medaglione, aveva già salutato la tomba di suo padre; ora, quel ciondolo era tutto ciò che le rimaneva dei suoi. Erano passati otto anni, dalla morte di sua madre e dal ritorno di suo padre. Si era sempre chiesta se a sua madre Oeilvert potesse piacere, ma ovviava pensando che Myra avrebbe amato ogni luogo in cui loro tre sarebbero stati assieme. 
Per quanto la riguardava, in quella città si era sentita paradossalmente libera, nonostante suo padre le avesse proibito categoricamente di allontanarsi dai cancelli. 
Padre...
Lui era morto, si era spento irrimediabilmente. Anno dopo anno, Cassandra lo aveva visto invecchiare precocemente, l'aveva lasciata quasi sei mesi prima, le aveva espresso un unico desiderio: “sii felice”. 
La ragazza soffocò un singhiozzo, doveva lasciare quella città, ogni angolo era un ricordo di suo padre e di quegli anni passati assieme. Era come vedere la sua città attraverso un vetro. La solitudine, inizialmente era stata un balsamo, nel giro di tre mesi, era diventata un incubo. 
Si era spesso chiesta dove sarebbe andata e cosa avrebbe fatto, aveva ricordi confusi del suo villaggio natale e, in ogni caso, sentiva sempre qualcosa di sgradevole serrarle la gola ogni volta che ci pensava. 
Durante le lezioni di geografia, con suo padre, aveva spesso immaginato il mondo e le sue regioni, i vari continenti, villaggi, abitanti, ora aveva la possibilità di vederli , libera da quell'apprensione che mai aveva abbandonato suo padre, neppure in punto di morte. Cassandra sospirò. Fortunatamente suo padre non le aveva strappato la promessa di rimanere lì anche dopo la sua morte. Si sentiva un'estranea in quelle strade ormai, una persona diversa dalla bimba in compagnia del suo amato padre. Fece un respiro profondo, era inutile temporeggiare, anzi, forse deleterio. Cassandra mosse tranquilla i suoi passi verso i cancelli della città. In lontananza percepì l'eco lontana di una creatura che conosceva bene. La luce crepuscolare abbracciò le rovine della sua casa, Cassandra si voltò distendendo il volto, si chiese dove avrebbe riprovato quella sensazione di appartenenza, quale sarebbe stata la sua nuova casa e se potesse mai essere bella come quella che stava lasciando. Un'ombra fugace le passò sopra, la raffica di vento fu più forte, Cassandra si spostò i capelli dal viso, sorridendo verso il nucleo di quell'improvvisa raffica. Le ciocche scure si erano annodate attorno al diadema d'argento, l'ultimo regalo di suo padre. Due occhi rubino la fissavano, il drago si appollaiò esattamente fuori dai cancelli di Oeilvert. Cassandra gli sorrise, era stato suo padre a insegnarle come richiamarlo, quello sarebbe stato il loro ultimo volo insieme. La ragazza fece un inchino e così fece il bestione. Cassandra mosse gli ultimi passi fuori da Oeilvert, facendo un profondo sospiro. Cercò di mantenersi calma, mentre attraversava la barriera. Lei e suo padre avevano impiegato i primi anni lì a soffocare la sua maledizione, di quegli spiriti ormai non aveva che ricordi nebulosi, i quali affioravano soltanto in incubi confusi. La barriera le scivolò addosso, era come attraversare un muro d'acqua invisibile, il cuore le batteva all'impazzata; non appena anche le sue forze provarono ad emergere Cassandra si irrigidì, trattenendo il respiro. 
No, neppure una voce, l'allenamento aveva dato i suoi frutti, quelle voci avrebbero taciuto per sempre e la maledizione sarebbe stata sotto controllo. Cassandra salì in groppa al drago, era così strano sentire la pelle ruvida di questi sotto le sue mani. Ora stava solo da scegliere dove andare. La ragazza  passò in rassegna i racconti di suo padre sui luoghi che aveva visitato. Ripensò al tono caldo, ai racconti fiabeschi di palazzi con spade luminose adibite a torri, di cittadine lambite da piogge perpetue, o ai paesini di strani nanetti “trullallero trullalà”. I racconti di suo padre erano così belli, lei amava il suo modo di raccontare e, più di una volta, aveva insistito per farsi raccontare la storia delle loro origini, del perché fossero lì e di dove fossero finiti gli altri abitanti di quella splendida città, suo padre era sempre stato evasivo. Ad un tratto ricordò la storia della città biblioteca. Un paradiso di libri, in cui i saggi di Gaya si riunivano per conservare e ampliare il loro sapere. Il drago si alzò sulle zampe muovendo le ali per sgranchirle. 
Sì, Cassandra si convinse, sarebbe andata lì, e, se mai non avesse trovato ciò che cercava, si sarebbe mossa ancora e ancora. Il drago aprì le ali lasciando passare il vento sotto di esse. Cassandra si strinse al grande collo. Il sole stava tramontando su Oeilvert. Il vento sferzava sotto di lei, Cassandra aprì le braccia mentre con gli occhi chiusi assaporava la libertà accarezzarle la pelle.
Daguerrero, la sua nuova casa, la stava aspettando. 
Dopo aver preso un altro profondo respiro, Cassandra sorrise alla sua nuova vita e...
riaprì gli occhi.

-Cosa...- era intontita, la luce era troppo forte per i suoi occhi ancora pastosi, il suo ciuffo le solleticò il naso, provò a stropicciarsi gli occhi tentando anche di essere più presente a se stessa. Cos'era successo, perchè si sentiva così stanca, e, soprattutto dov'era?
-Papà?- la sua voce echeggiò nella grande camera signorile. Non appena sentì l'eco delle sue parole sussultò: era inutile chiamarlo, suo padre era morto da tempo. La ragazza si portò una mano al ciondolo, accarezzandone la superficie irregolare per i decori. Sorrise mesta, si sentì ancora così bambina, nell'inseguire il fantasma dei genitori. 
Ma loro non ci sono più...
L'odio di una vita le serrò la gola, i suoi poteri le avevano tolto i genitori, la sua casa e ora anche la libertà. Una maledizione, aveva cercato di sfuggirle per anni, ma alla luce dei fatti era stato inutile, sarebbe stato poi più facile cedere, affondare nell'oblio, lasciando a quegli spiriti ingordi il suo essere.
Non è questo che ti hanno insegnato!
Sorrise. Era vero, se si fosse lasciata andare avrebbe perso tutto, alla fine dei conti, finire in quella prigione dorata aveva avuto i suoi risvolti positivi, quel mago psicopatico era l'unico collegamento tra lei e la civiltà perduta a cui apparteneva suo padre. Sebbene neanche Kuja conoscesse bene la natura del suo potere, sembrava saperne molto sui terani. Nel libro che le aveva prestato, Cassandra aveva trovato un'infinità di informazioni. La ragazza serrò le mani, le dita incapparono nel dorso di un libro. Cassandra rimase sulle prime spiazzata, lo prese tra le mani, rigirandoselo curiosa. Era un libello dalla copertina riccamente decorata, un'edizione elegante e ben tenuta. La ragazza lo aprì, era un libro di poesie, le tornò così in mente il suo strano sogno. Mentre un vortice cercava di risucchiarla nell'oscurità, una voce l'aveva trattenuta, era stato un sussurro delicato, ma era stato abbastanza per non cadere. 
Non è possibile...
Cassandra guardò ancora la camera, non era di certo la sua prigione e non ricordava neppure come ci fosse arrivata, indagò nella sua memoria. Il ricordo dell'estrazione le squarciò la mente come un fulmine. Cassandra lasciò cadere il libro.
Ce l'aveva fatta, Kuja aveva liberato Zalera. L'aria le venne meno, sgranò gli occhi nauseata, l'aveva violata, quel maledetto aveva infranto gli sforzi di una vita. L'elettricità si materializzò in scariche impazzite attorno a lei. Sentiva solo il boato dell'ira ruggirle dentro. Cassandra saltò giù dal letto, non importava dove fosse, l'avessero pure sottratta alle grinfie di quel pazzo, lei l'avrebbe trovato e gli avrebbe fatto pagare sino all'ultimo torto. Attraversò la camera correndo, afferrò la maniglia della porta circondandola di scariche elettriche, la fece praticamente saltare. Uno strano fantoccio venne scaraventato via dal colpo. Cassandra si precipitò fuori dalla camera. Riconobbe il corridoio, segno che fosse ancora nella reggia del deserto. Si voltò e vide altri strani pupazzi accorrere. Le iridi lasciarono posto all'elettricità, Cassandra materializzò nelle mani dei globi elettrici e li scagliò contro gli inseguitori. I fantocci furono investiti dai suoi colpi, finendo miseramente folgorati, caddero a terra privi di vita. Cassandra aveva un solo obiettivo e ne ripeteva il nome nella testa come un mantra feroce.
Kuja
Non appena lo scoppiettare delle scariche si placò, Cassandra distinse il tintinnare delicato di una melodia. Non si lasciò incantare dalla bellezza delle note o dallo splendore inquietante del motivo, c'era un'unica persona in quella reggia ad essere in grado di suonare, e di certo non erano i disgustosi gemelli.
Cassandra corse a perdifiato seguendo ipnotizzata le note.
Io lo uccido
Il corridoio sfilava rapido sotto i suoi piedi, la musica si faceva sempre più distinta, prendeva consistenza come il colore sulla tela di un pittore. 
Io lo ammazzo
Superò la scalinata con l'ennesima effige di un angelo dalle splendide fattezze. Cassandra si impedì di fargli saltare la testa, era inutile prendersela con la reggia, quando poteva vedersela con il suo proprietario. 
Cassandra attraversò l'ampio atrio, il cui pavimento era dominato da un gigantesco mosaico. Bastava intraprendere il corridoio davanti a lei, si accedeva attraverso un arco a tutto sesto, sorretto da splendide colonne color madreperla. La ragazza l'attraversò, la melodia si diffondeva dal pianoforte, invadendo tutta l'ampia camera. Cassandra non si soffermò su nulla che non fosse il detestato pianista. La mutaforma sentiva il suo odio crescere sempre di più. La mani si illuminarono raccogliendo altre scariche energetiche, pronte a colpire l'ignaro ospite al pianoforte. 
-Kuja!- era fuori di sé, pronta a scagliare il suo attacco contro quel mostro che l'aveva violata. 


NdA: e finalmente ci siamo arrivati, Cassandra si è svegliata, più arrabbiata che mai e pronta a friggere Kuja come una cotoletta. Per sapere i successivi sviluppi sarà necessario attendere il mio prossimo aggiornamento, quindi, i poveri lettori imprudenti saranno al sicuro sino a nuovo ordine.
Passo alle me solite scuse, forse in questo capitolo ci saranno non pochi errori/orrori grammaticali soprattutto per qualche condizionale, mi scuso in posticipo e prego chiunque riscontri dei problemi ed errori di vario genere, di segnalarmelo :) non voglio rovinare la vita di nessuno con la mia "ignIuranza" .
Dunque spero che il capitolo non risulti noioso e spero che piaccia, un bacio grande a chiuque stia leggendo (e anche a chi se lo è saggiamente risparmiato xD)
 

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Capitolo 13
*** Walzer ***


Si sentiva un'anima in pena, stava passeggiando lì davanti da praticamente un'ora. Distrattamente lanciava uno sguardo al lungo corridoio; il mago nero era davanti alla porta dove lo aveva lasciato 
Maledizione.
Kuja tornò indietro. Cosa accidenti gli importava se si fosse svegliata o no, se il mago vigilava ancora, voleva dire che stava ancora dormendo. Sussultò, no, Cassandra non stava dormendo, la ragazza era perduta, non addormentata. Era passata una settimana, da quando aveva lasciato la reggia. Kuja aveva raggiunto Alexandria, misurandosi con l'orrido pachiderma. Ogni volta la trovava sempre più grassa, se non l'avesse fatta fuori in un tempo ragionevole, quel pallone con le braccia, avrebbe potuto divorare Gaya e addio ai sogni di conquista di Garland. La permanenza nel castello era stata insostenibile, era stato sul punto di folgorare quel bisonte con la corona innumerevoli volte, lei, il suo stupido regno e qualsiasi altra cosa. Problemi, problemi su problemi. La principessa era stata persino rapita, un ulteriore contenitore di eidolon semovente che non collaborava. Kuja strinse i punti, l'ira era diventata una compagna immancabile dei suoi globuli rossi.  
Perchè non si sveglia!?
I piedi lo riportarono allo sbocco del corridoio, il mago nero era ancora lì fermo. Le nocche di Kuja si fecero ancora più pallide e tese. Inutili, stupidi fantocci! Neppure il walzer n°1 era riuscito a concludere qualcosa di buono; quel suo dannato fratello lo aveva sconfitto.
Perchè non si sveglia!?
Quell'odiosa domanda lo stava facendo impazzire. I primi giorni ad Alexandria, aveva cercato di chiudere occhio, Branhe gli aveva allestito una camera meravigliosa nel castello, grande, ariosa ed elegante; un letto sontuoso con coperte di seta e broccato, i cuscini in piume d'oca, ma, era riuscito a dormire!? 
Macché...
Si era rigirato in quelle coperte elegantissime sino all'alba. Il primo giorno, data la straordinaria bruttezza della sovrana del regno, si disse che forse era rimasto traumatizzato, ma doveva smettere di incolpare il grasso di Brahne di qualsiasi cosa, anche perchè, le nobilissime cicce, questa volta non c'entravano davvero nulla. 
Perchè quello stupido fantoccio era ancora lì!? Perchè non correva da lui a dirgli che la stupida occupatrice illecita di letti si era svegliata!?
Kuja tornò sui suoi passi per l'ennesima volta. Si barcamenava lì davanti senza posa, spiava il mago nero come se fosse chissà quale nemico. Fece per andar via, lui aveva cose molto più importanti da fare; lo stupido fantoccio lo avrebbe chiamato, se avesse avuto novità. Inutile, i piedi lo riportarono indietro, proprio come era successo ad Alexandria. I suoi programmi erano ben diversi, doveva ritrovare Garnet e estrarle quei maledetti eidolon, schiacciare quella formica di suo fratello e allestire la flotta della palla di ciccia travestita da regina. La sua permanenza ad Alexandria doveva essere molto più lunga, ma, per la sua insofferenza, era volato sino a Toleno. Dato che le notti le passava insonni, tanto valeva seguire qualche spettacolo. Le tragedie avevano sempre avuto un effetto catartico su di lui, ma ancora una volta...
All'esasperazione, quando ormai la domanda “sarà sveglia?” era diventata una sorta di litania initerrotta nel suo cervello, si era lanciato giù da uno dei ricchi balconi, saltando in groppa al suo drago argenteo, il quale aveva emesso per tutto il viaggio grugniti accusatori.  
E' per il potere!
Lo aveva detto al drago, lo aveva ripetuto a se stesso. Non gli importava un accidente della ragazza, voleva solo poter disporre liberamente della sua forza, riuscendo così a finire Garland una volta per tutte e poi, perchè no, convincere la damina rimanere lì con lui. Non le aveva neppure mai chiesto quale libro preferisse, o se avesse mai visto una tragedia. Se si fosse svegliata, magari l'avrebbe potuta portare a Toleno a vederne una, le avrebbe recitato i suoi passi preferiti.
E' per il potere...   
Kuja spiò ancora da dietro l'angolo del corridoio, il mago nero era ancora lì davanti, fermo e impassibile. 
Maledizione
Il jenoma si riportò spalle al muro, e se il mago lo avesse visto, e se magari quella stupida e il fantoccio si fossero messi d'accordo per giocargli quel tiro!? Era plausibile, quell'odiosa donna era capace di conquistare le persone a suon di … di... o insomma a suon di quello che sapeva fare meglio, ovvero essere fastidiosamente Cassandra.  Kuja si lasciò scivolare sul muro, si portò una mano sulla fronte: quello era il risultato di una settimana buona di insonnia. Ormai non riusciva neppure più a seguire il flusso dei suoi stessi pensieri. Era sfinito e la stanchezza permetteva a domande come “perché faccio tutto questo?”, “perchè io?” o simili, di torturarlo senza posa. L'attività, almeno, lo teneva occupato e distante da quelle domande velenose a cui si era aggiunta anche “e se non si svegliasse?”.
Kuja sospirò e fece per alzarsi in piedi, era ridicolo, davvero ridicolo, le unghie gli penetrarono nel palmo, il dolore lo risollevò appena.
Non si sveglierà...
Quella constatazione lo svuotò, il jenoma si trascinò sino alla stanza della musica, aveva bisogno di riversare la sua angoscia in qualcosa o avrebbe distrutto la reggia del deserto in un battito di ciglia. La strada fu dannatamente lunga, ma non appena vide il grande pianoforte nero come la pece, riprese a respirare. Le mani scivolarono sulla tastiera, dipingendo tristi paesaggi e sensazioni. Kuja cercò di annullarsi in quel flusso di note e pensieri, chiuse persino gli occhi, voleva andare lontano, in un mondo dove, magari, la damina addormentata avrebbe riaperto gli occhi solo per lui. 

-Kuja!-
Non può essere...
Il mago sgranò gli occhi. Non era possibile...
Era lì, sulla soglia, circondata da scariche elettriche saettanti, i capelli mossi si arricciavano attorno al viso, sospinti dalla tensione, gli occhi brillavano per la rabbia e per il potere, dando alla pelle una sfumatura perlacea. Era una visione, indossava giusto una veste da notte lunga e candida, segno che i maghi neri avevano fatto il loro lavoro nell'accudirla, ma intravedendo le spalle sottili e l'incavo elegante di quel collo da cigno, pensare ai maghi neri era impossibile. Era lì, era sveglia, questo era l'importante.
-Cassandra!-
Kuja si alzò di scatto dallo sgabello, le mani ricaddero pesantemente sulla tastiera, producendo una cacofonia indescrivibile, sebbene, nella testa del jenoma, risuonava solo il suo nome, quello che lei aveva pronunciato. 
-Sei sveglia...-

Da quando era uscita dalla camera come una furia, sino alla soglia della stanza della musica, Cassandra aveva avuto un solo obiettivo: fare al forno quell'avvoltoio travestito da odalisca. Poi era successa una cosa strana: i colpi erano già scoppiettanti nelle sue mani, lei lo aveva chiamato, così, per farsi vedere bene mentre gli scagliava addosso le sfere di energia ad alto voltaggio e lui si era voltato. In un secondo, tutta l'acredine e la rabbia erano svanite, trasportate via da quel blu impossibile delle iridi del mago. I colpi energetici si erano così dissolti nelle sue mani e, di colpo, la ragazza si era dimenticata del perchè fosse lì.
-Cassandra...- la voce del mago era stata un sussurro, aveva gli occhi sgranati, da quando era lì non gli aveva mai visto quell'espressione – Siete sveglia...-
No, non era più molto sicura di esserlo. Forse in realtà dormiva ancora e quello era uno strano sogno in cui un mago folle suonava il piano per una damina addormentata. Era lei, o Kuja sembrava davvero felice di vederla?
Sei indubbiamente tu!
Rimasero a fissarsi per qualche secondo, quando poi gli occhi del mago scesero lungo il suo volto sino al collo e poi...
Ehi tu!
Cassandra si riscosse coprendosi seno e spalle con le braccia, certo, aveva la camicia da notte, ma era sottile   come l'aria, in pratica. 
Eh ora come ne esco...
Si disse che la prossima volta che avrebbe voluto folgorare qualcuno, non si sarebbe dovuta lasciar distrarre, voleva usare l'effetto sorpresa, ma il suo ospite sembrava un pezzo avanti, lui e il suo stupido sguardo disarmante da “sono felice di vederti”. Sbuffò, era felice di rivedere i suoi poteri, non lei.            
Per lo meno, quando vide l'espressione un po' contrariata del mago, non appena lei si era coperta, si lasciò sfuggire un sorriso divertito e, anche il suo ospite, parve uscire fuori dal sogno, facendo tornare tutto alla normalità: lei prigioniera di un pazzo maniaco ossessivo compulsivo.
-Pare abbiate preso alla lettere il “fate come a casa vostra”...- gli occhi del mago mandarono un guizzo.
-Non mi pare di avervelo mai sentito dire!- commentò Cassandra.   
– Molte dame troverebbero disdicevole tale abbigliamento!- la piccò il mago.
Cassandra lo guardò stranita – Non mi sembra, che stiate facendo molto per non guardare...- 
Kuja non trattenne un sorriso – E voi per coprire...-
Questa volta la ragazza non riuscì a non diventare l'equivalente di un grosso pomodoro di Dali. 
Fortunatamente, si ricordò di essere lì prigioniera e che, in effetti, un rapitore non aveva poi tutte queste ragioni di criticare il suo abbigliamento, soprattutto visto ciò che lui indossava. Certo, lei era in camicia da notte, ma quello che faceva capolino sotto il pareo velato del mago, era quasi sicura fosse il genere di intimo in voga tra le cortigiane di Toleno. In quel momento però furono raggiunti da una moltitudine di quei cosi strani e goffi, molto simili a spaventapasseri con ampi sombreri. 
-MiO SignoRE!- chiamò uno di loro con voce meccanica. Cassandra li osservò meglio, il loro volto era scuro, il grosso cappello impediva di vedere i lineamenti di quei cosi, solo gli occhi spiccavano luminosi.
-lA Sua OSPite sI E' SveGLiaTA!-   
Cassandra spostò lo sguardo smarrito dai grossi spaventa passeri al padrone di casa. 
Cos'era, oltre a rapire le fanciulle adesso Kuja si dava anche al voodoo!? Cosa erano tutte quelle bambole lì? Era rimasta talmente sorpresa da non accorgersi dello scatto del suo ospite. Kuja si era portato accanto a lei, prendendole la mano e alzandola sino alla spalla. La ragazza rabbrividì al contatto, Kuja parve accorgersene, perchè sorrise sardonico.
-Me ne sono accorto- rispose con voce tagliente alla sue bambole – Ma avrei preferito saperlo con un certo margine di anticipo!-
Cassandra si schiarì la voce.
-Avete dunque qualcosa di interessante da dire, madame?- 
Cassandra abbassò lo sguardo e cercò di resistere alla tentazione di schiaffeggiarlo. 
-Vi avrebbero avvisata, vostra grazia - la ragazza accennò un inchino per rendere più ridicola quella farsa – Se non avessero avuto...- ripensò a come aveva fatto saltare la porta della camera -... un contrattempo!-
Lo sguardo di Kuja si illuminò, Cassandra poteva scorgervi una certa preoccupazione, solo allora, sospettò che la stanza in cui era stata, fosse proprio quella del mago. 
-Quale genere di contrattempo!?-
Cassandra abbassò lo sguardo e borbottò -Ho fatto saltare la porta...- 
Kuja si voltò verso di lei, per un istante sembrò sorpreso, ma la sua espressione tornò strafottente come sempre – Ebbene... trovate qualcosa di adatto alla nostra ospite, per quanto piacevole, tale abbigliamento potrebbe distrarci dalla cena...- la guardò di sottecchi e Cassandra lasciò vagare gli occhi per non incontrare quelli del mago – E affrettatevi a sistemare la porta...Ah, accendete il grammofono, ora che andate-
-Sì SIGnoRE!- le bambole si inchinarono e, dopo poco, barcollarono via. Cassandra li osservò ipnotizzata mentre si allontanavano. Kuja ne approfittò per lasciar scivolare la mano della giovane nella sua, passando delicatamente l'altra sulla vita sottile di lei. Quando Cassandra se ne accorse, era già nel gioco delle braccia del mago e la musica aveva cominciato a diffondersi dolcemente in quella sala. 
-Mi chiedo se non si ardito sperare che una dama avvezza a presentarsi in abiti da notte, abbia ricevuto ugualmente lezioni di danza...- 
Cassandra si voltò verso di lui disorientata, la parola “danza” la fece trasalire, ma ormai era tardi e Kuja si stava già sapientemente muovendo nella sala, guidandola in quella pratica misteriosa che la spaventava forse più di Ultima stessa.
Cassandra stava annaspando. Perduta nel panico più completo, cercò di obiettare qualcosa, ma Kuja le fece fare una giravolta impedendole di proferire parola. Kuja si dimostrò estremamente bravo, conduceva quel ballo con maestria, schivando i passi falsi della sua compagna, sembrava tranquillo e rilassato come mai la sua ospite l'aveva visto. Sembrava un gatto persiano, con gli occhi socchiusi, la bocca leggermente incurvata nel suo solito sorrisetto irriverente, i capelli lisci e sottili che si muovevano appena lambendogli il volto chiaro. La vetrata della sala lasciava filtrare il blu della sera, avvolta dalle luci soffuse delle candele, accarezzata dal flusso della melodia e cullata dal compagno di ballo, Cassandra smise di pensare troppo ai suoi piedi. Kuja si era lanciato in quel valzer a suo rischio e pericolo, se anche lei gli avesse schiacciato un piede (per un po' aveva pensato di pestarglielo di proposito), si sarebbe sentita sollevata da qualsivoglia responsabilità. 
Kuja l'allontanava e avvicinava, senza lasciarla mai, ogni volta che le riprendeva la vita, stringendola a sé, Cassandra tratteneva il respiro. Si accorse solo allora che il mago giocava con le sue dita, intrecciandovi talvolta le proprie o lasciando scivolare la mano di lei nel palmo. Le danze alternavano ritmi più tranquilli a pezzi più vivaci, Cassandra si sorprese di quanto potesse essere bello e non riuscì a fare a meno di sorridere. Forse non si era mai svegliata e quello era semplicemente uno strano sogno in cui il suo ospite era meno sgradevole di quanto in realtà si era dimostrato. 
-Non siete arrabbiato?- chiese ad un tratto la ragazza.
Kuja le fece fare un'altra giravolta e la riprese, gli occhi questa volta tradirono una certa instabilità, cui lei era abitata scorgervi ormai -Intendo... quella era la vostra stanza e...-
Il mago parve rilassarsi impercettibilmente, aprendo il solito sorrisetto.
-Ho avuto ospiti peggiori!- rispose semplicemente. Cassandra si chiese se il mago non rapisse giovani donne con cadenza semestrale, ma preferì non chiedere, stranamente Kuja sembrava poco incline alle chiacchiere, evento più unico che raro, visto i precedenti. 
Il mago la guardò esitante, si schiarì appena la voce -Spero che... il soggiorno sia stato di vostro gradimento!- 
Cassandra in quel momento sussultò, non si era aspettata di continuare a parlare, fissò per qualche istante il mago, il quale le restituì lo stesso sguardo intenso di quando l'aveva vista nella stanza. Entrambi rimasero intrecciati in quell'intrico di sguardi, la musica si era affievolita e loro poco alla volta si erano fermati. Cassandra non badò al fatto di essere molto più vicina al mago di quanto non fosse mai stata, ma era talmente bello fissare quelle iridi dall'anima color lapislazzuli e i contorni zaffiro, da dimenticare tutto il resto. Poco alla volta la pupilla si era dilatata, fagocitando l'anima più chiara di quegli occhi incredibili, eppure Cassandra li trovò ugualmente belli. Si era aspettata che il suo strano ospite si rotolasse nella colonia o in qualche altro veleno per il naso, invece, non c'erano invadenti zaffate di profumo. Era difficile stabilire quale odore avesse, era buono e le ricordava qualcosa, la ragazza chiuse gli occhi per metterlo a fuoco. A volte, anche quando era a Daguerrero, lo faceva per ricordare gli odori di Oeilvert o di Madain Sari. Fu un momento fugace, Kuja aveva un odore che ricordava molto bene, sapeva di “stelle”, un po' come suo padre, ma in maniera diversa; l'unica parola che le venne per descrivere l'odore di Kuja fu “casa”. Quella parola le tolse il respiro, Cassandra sussultò, riaprendo gli occhi impanicata. Il viso di Kuja sfiorava il suo e anche lui aveva gli occhi socchiusi.
Cosa sta...
-SIGnorE!- la voce metallica fece saltare entrambi, Cassandra fece un balzo indietro, voltandosi verso la bambola dietro di lei, fece di tutto, per non riportare lo sguardo sul suo ospite. Il pupazzo teneva sul braccio dei vestiti, la stoffa era scarlatta e lucida come il raso.
-Oh, avete fatto in fretta...- tono stranamente neutro per uno abituato a declamare ogni sua frase come la massima di un grande filosofo, pensò Cassandra.
-Mia cara- la ragazza fece un altro salto, sulle prime temette che l'avesse sentita, ma se Kuja avesse potuto leggerle nella mente, forse non sarebbe stato poi così gentile con lei – Credo sia arrivata l'ora di cena, vi ringrazio per avermi dedicato del tempo- Kuja accennò un inchino.
Smettila di sorridere come un'ebete, scema!
Cassandra scosse la testa, sì, doveva togliersi quell'aria trasognata; quel posto puntava a farla impazzire, cosa sarebbe accaduto se fosse finita come il suo ospite? Avrebbe cominciato ad indossare veletti e perizomi anche lei!? Rabbrividì al solo pensiero. Kuja prese l'abito dalle braccia del suo sottoposto e lo porse alla ragazza -La taglia credo sia quella giusta- 
Ehi tu, la zona occhi è più alta, più alta ti dico!?
-Non vi dispiace se ho scelto qualcosa di più vivace rispetto ai suoi soliti indumenti...-
Oddio, definisci “vivace”! 
L'incubo di dover indossare un abito “vivace” come quello del suo ospite la raggelò, o meglio, la fece diventare paonazza per l'imbarazzo. In effetti, il quantitativo di vesti sul corpo di Kuja era davvero scarso.  
Meno male che ci ho pensato solo ora... 
Almeno in apparenza, la foggia degli abiti era simile a quella che aveva indossato sino a quel momento, sperò di non avere sorprese. La ragazza prese il vestito dalle mani del suo ospite e accennò anch'ella un inchino. 
-Grazie!- bofonchiò. Non alzò lo sguardo, non aveva il coraggio di guardarlo. Rimasero così qualche secondo, forse lui sperava di inchiodarla con una delle sue occhiate, ma la ragazza non azzardò ad alzare la testa.
-Bene, la cena sarà servita tra poco, spero di vedervi in orario...-
-E se volessi riposarmi un po'?- lo apostrofò la ragazza prima di andarsene, questa volta si voltò verso Kuja, il quale la guardò divertito 
-Ritengo vi siate riposata abbastanza, se lo giudicate necessario... potremmo aumentare le attività notturne se il posto le viene a noia...- 
Cassandra si pentì immediatamente della piccata, bofonchiò un “è già tutto troppo attivo, grazie” e sgattaiolò via seguita dal mago nero. Kuja la fissò finché la figura sottile della sua ospite non svanì dietro l'arcata, improvvisamente, quella settimana, non gli parve più così nefasta. 


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NdA: Ehilà signori, partono le note scuse di Aoboshi ^.^ Perdonate l'italiano scorretto, gli errori di grammatica e la pessima narrazione, spero che per le meno il capitolo non sia troppo noioso o eccessivamente romantico o simili, sto aggiornando in stile tartaruga, un bacio a tutti!
 

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Capitolo 14
*** Chiaro scuro ***



-Oh...- fu tutto quello che riuscì a dire davanti al suo riflesso. Non avrebbe scommesso un guil bucato sulle abilità di acconciatore del fantoccio con il sombrero e invece...
I capelli erano raccolti sulla nuca, i suoi ciuffi ribelli domati nell'acconciatura, solo due le scendevano in riccioli davanti alle orecchie. Le labbra cremisi richiamavano l'elegante vestito scarlatto da lei indossato. Il corpetto sbracciato le stringeva la vita affusolata rendendola ancora più fine, l'ampia gonna cadeva a campana coprendole le scarpette rubino. Le spalle e il decolté quasi brillavano a confronto con la stoffa sanguigna, sul lato sinistro si articolava una rosa di tulle e raso nera come la pece. I petali di stoffa circondavano il pistillo di rubino, coprendo del tutto la spalla sinistra. 
Io non esco vestita così...
Era troppo, rivoleva i suoi rassicuranti abiti blu notte, quello scollo esagerato le faceva mancare il respiro. Si chiese cosa mai fosse venuto in mente al mago per portarle un vestito simile.
Be' non è difficile immaginarlo.
Il suo sguardo fu catturato dai suoi stessi occhi scuri, lambiti dalle ciglia lunghe e nere come le piume di un corvo.  Qualcosa in quell'immagine la spaventava, quell'abito, il suo aspetto, era diversa, estremamente diversa da come era entrata.
Da quando ti hanno catturata, vorrai dire.
Quello era l'effetto della sua permanenza lì, l'aveva resa irriconoscibile, l'aveva spedita in pasto ai suoi incubi e non bastava un balletto improvvisato a cancellare quella realtà. 
Era strano, il trucco non le ingentiliva i lineamenti, bensì li rendeva affilati. Lo sguardo seducente accennava ad una malizia mai posseduta. Le sembrava di vedere una gemella oscura in quello specchio, era assurdo pensare che le stesse restituendo proprio la sua immagine 
Io non sono questa!
No, non voleva essere la sua immagine riflessa, il terrore di vedere quell'espressione crudele e compiaciuta sul volto la fece trasalire, era come se l'oscurità stesse cercando di inquinarla, da fuori, visto che lei cercava in tutti i modi di resistere.  
-PaDRoN KUjA AttENdE!- la voce meccanica del fantoccio fu un richiamo lugubre alla realtà. 
Cassandra lo guardò scossa. No, non ci voleva andare, ogni attimo vicino a quell'essere la destabilizzava, la metteva costantemente a contatto con le sue paure, più gli stava accanto più il rischio di vedere la sua immagine cambiare, diventava un pericolo palpabile.
Io non voglio cadere...
Ma era difficile e si chiese fino a quale punto avesse preso dai suoi, fino a dove il loro esempio l'avrebbe guidata. Le parole di un vecchio fantasma le echeggiarono nella mente
“Sei un mostro...”
Era vero? Lei era un mostro? Non è che avesse in realtà ingannato tutti e persino se stessa, forse lei era davvero il mostro crudele della sua infanzia e Kuja glielo stava solo ricordando. Chi dei due indossava una maschera, lui o lei? 
Cassandra prese a tremare, la testa le ronzava, nel profondo, le voci dell'eidolon avevano ricominciato a bisbigliare. Chi si sarebbe sacrificato per lei, quale vita avrebbe dato in cambio per mantenere quella parvenza di normalità? Sua madre, suo padre? 
Adesso che era sola, la sua maledizione chiedeva un nuovo tributo di sangue. Cassandra alzò gli occhi vacui sul suo irriconoscibile riflesso, mai come allora, si era sentita sull'orlo del precipizio.  
-PadRoN Ku...-
-Andiamo...- non ce la faceva a guardarsi ancora, non era quella la persona che avrebbe voluto vedere nello specchio. In realtà, avrebbe solo voluto rivedere, per un istante, sua madre, in quel riflesso, ma forse, si disse con rimorso, non c'era davvero mai stato nulla di sua madre in lei. 

Attraversare i corridoi scuri e vuoti della reggia fu come una lunga passeggiata verso il patibolo. La luce soffusa delle candele rivelava la natura diabolica di quelle statue angeliche, quella reggia così bella in apparenza, le sembrò una casa degli orrori, troppo silenzio, troppa oscurità annidata lì dentro. Cassandra si chiese quanto in basso l'avrebbe portata a questo incontro il mago, quasi provò pena per se stessa, poteva davvero essere così debole, poteva il ricordo del suo passato perdersi così miseramente. 
Entrò nella sala da pranzo, Kuja era in piedi davanti al camino e, non appena lei varcò la soglia, lui si voltò. Gli occhi brillarono soddisfatti, l'ospite la raggiunse velocemente.
-Mi permettete...- disse porgendole il braccio. Cassandra accettò passiva. Si sentiva svuotata, la consapevolezza di non aver resistito all'estrazione l'aveva avvilita.
Kuja invece era rilassato, tronfio, Cassandra lo guardò di sottecchi 
Ti odio
Una volta, quell'espressione non le avrebbe mai sfiorato la mente.
Ma ora le cose sono cambiate, damina.
-Siete... sublime- Cassandra si voltò verso Kuja, l'ospite teneva gli occhi chiusi e aveva inspirato profondamente, come per assaporare quelle parole. Cassandra fece scivolare via il braccio, Kuja aprì gli occhi di colpo e sorrise ferino, forse gli sembrava un gioco, anche molto divertente. 
-Cosa mia cara, non siete abituata ai complimenti?-
Cassandra lo guardò praticamente freddata. Kuja rincarò vedendo vacillare la volontà della sua prigioniera. Era nelle sue mani, quella piccola, dolce, fanciulla, era creta da modellare. 
-Vi prego di accomodarvi mia cara!- le scostò la sedia, Cassandra si abbassò meccanicamente. Era come quando veniva posseduta da un eidolon, guardava il suo corpo, percepiva la realtà attorno a sé, ma non poteva fare nulla per cambiarla. Quella era la vera prigione, non la sua cella, non la reggia del deserto, ma l'incapacità di reagire, di imporsi al destino. 
Cominciarono a mangiare, i fantocci del mago portavano silenziosamente le portate, Cassandra li fissava inespressiva, si chiedeva quale differenza corresse tra loro. La ragazza li osservò per tutta la cena. Ad un tratto, quando le portate smisero di arrivare, Kuja si alzò, sorrideva sornione non appena il suo sguardo cadeva su di lei. Il mago si portò sino alla bocca del camino, Cassandra colse il luccichio del calice di vino.       
-Siete una persona curiosa madame… – la voce di Kuja la fece sussultare. Durante tutta la cena, se ne accorse solo allora, Kuja era rimasto in silenzio. 
-Perdonatemi!?- l’idea di essere definita “curiosa” da Kuja non la entusiasmava per nulla, al contrario. Cassandra fu costretta a voltarsi. Gli occhi di Kuja brillavano animati dalla fiamma del camino, il suo sguardo era affilato come la lama di una spada. Era forse geloso dei suoi stessi fantocci, dato che avevano attirato l'attenzione della sua ospite?
Nella magnifica sala da pranzo, era sceso il silenzio, i fantocci si erano volatilizzati, lasciando soli i due conviviali. Kuja si appoggiò pigramente allo stipite del camino, una posa  studiatissima, neanche ci fosse un pittore lì nascosto per fargli un ritratto. A Cassandra venne quasi voglia di girarsi e cercare il matto che li stava ritraendo, sarebbero stati un’ottima illustrazione per un libro di favole, pensò la ragazza … in cui nessun principe l’avrebbe mai salvata dal mago cattivo.    
Kuja socchiuse gli occhi, come se stesse ascoltando qualche sublime melodia . Quella posizione lo faceva sembrare un  viziato persiano di casa. Kuja riaprì gli occhi riprendendo a mescere distrattamente il vino
-I miei maghi neri... – si ravvivò un ciuffo davanti agli occhi – Li avete guardati con un certo interesse, erro?-
Cassandra rimase in silenzio, si era accorto di tutto, come sempre, fingeva disinteresse per tutto e tutti, ma Kuja era un fine osservatore, pronto a cogliere il minimo tentennamento dei suoi avversari. Non era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Alle volte si chiedeva come sarebbero andate le cose, se avesse davvero ceduto del tutto, se avesse dato ascolto alla voce, sottile e seducente, di quell'angelo rinnegato.
-Mi sorprende che non vi siate mai chiesta come sarebbe liberare il  vostro strabiliante potere… –
Cassandra si pietrificò, le mani presero a tremare. Kuja aveva alzato lo sguardo con il fantasma di un sorriso sul volto e la stava fissando.
-Forse mi sono sbagliato… sapete, credevo che voi eruditi foste affascinati dagli esperimenti…- lì dove c’era un sorriso, Kuja mise il broncio, come un bambino discolo che aveva detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.
Liberare il mio potere… 
Le parole di Kuja le solleticarono l’orecchio. Dell'estrazione precedente, la sua personalità si era infranta, aveva sentito gli artigli di Zalera reciderle ogni barriera, ma cosa sarebbe accaduto se lei, volontariamente, avesse deciso di accedere a quel potere. I dolorosi ricordi delle sue prime esperienze le serrarono la gola.  Quando avevano combattuto a Daguerrero, mantenere viva la sua coscienza contro le personalità dei suoi eidolon era stato arduo, non lo faceva da tanto e richiamare anche solo Ixion e Siren l'aveva sfinita. Quegli spiriti che abitavano nel suo corpo non erano certo stati così felici di essere risvegliati, soprattutto dopo  gli anni di prigionia.  Ultima l’aveva praticamente svuotata di ogni sua volontà, ancora una volta, Cassandra aveva rischiato la prigionia. Ultima esigeva libertà e distruzione, Cassandra sentiva ancora la sua voce tintinnarle suadente nell’orecchio.  
Sgranò gli occhi allarmata.
-Mi chiedo cosa vi spaventi così tanto…- sussurrò Kuja. Nella sala risuonò l’eco dei suoi passi, Cassandra si voltò nuovamente verso il tavolo, il petto le si alzava e abbassava faticosamente. Le mani di Kuja scivolarono lungo il bordo dello schienale. I sensi di  Cassandra scattarono, un vago senso di minaccia la circondò. Kuja prese a passeggiarle attorno come uno squalo. La ragazza aveva le mani sul grembo, lasciare la sala era impossibile. Cassandra annaspò alla ricerca di una qualsiasi via di fuga, ma con orrore si accorse di non averne. 
Prigioniera, sempre e comunque
Si sentiva sempre frustrata, non c'era modo di sottrarsi, di cambiare le carte in tavola, lei era prigioniera del destino, poteva piegarsi e cadere, chi avrebbe potuto biasimarla se si fosse abbandonata una volta per tutte.
- Voi siete sensibile a forze che molti altri ignorano, il vostro udito percepisce frequenze sconosciute ai più…-
-Sbaglio o mi state forse dando della pazza, Kuja?- rispondere con sarcasmo era l’unica cosa che le restava da fare.
Il mago sfoggiò un sorriso accattivante  – E’ così che la gente definisce le perone complesse…-
O gli psicopatici come te!
Cassandra si morse la lingua, Kuja le ronzava pericolosamente attorno, era stato capace di rompere i legami di Zalera, presto, avrebbe tentato lo stesso con Ultima. Non l'avrebbe uccisa sino a quel momento, non ora che il suo obiettivo poteva sembrargli così vicino, ma lei non doveva tirare troppo la corda. Il mago era pericolosamente instabile, una parola di troppo poteva rivelarsi letale.
-E voi, Kuja, vi ritenete una persona complessa?- cercò un modo elegante di rimbeccarlo, ringraziò le ore passate sui testi di retorica. Il sorriso del mago si allargò, doveva piacergli davvero tanto parlare di sé.
E’ così che le persone insicure cercano di affermarsi.
-Oltre ogni modo, mia cara! Voi non mi ritenete tale?- chiese quasi ferito. 
Niente da fare, sembrava sempre un attoretto da melodramma di serie B. Cassandra sorrise, chi era davvero prigioniero, lei della sua maledizione, o lui delle sue molteplici maschere.
-Oltre ogni modo certamente…-
Gli occhi di Kuja brillarono.
Mi sa che non gli è troppo chiaro che gli ho dato del pazzo!  
Non fece in tempo neppure a sbattere gli occhi, Kuja le era balzato alle spalle, Cassandra sussultò
No, mi sa che se ne è accorto…
Il mago le passò le mani sulle spalle, Cassandra rabbrividì sentendo il fiato caldo di lui lambirle le spalle nude. Kuja le scostò il ricciolo dietro l'orecchio. Il desiderio di allontanarsi urlando da lui si fece sempre più forte, ma era seduta e lui le bloccava ogni via di fuga.
-C’è chi si fregia della propria complessità e chi se ne vergogna amaramente… Voi a quale fazione ritenete di appartenere?- la voce di Kuja le si insinuò nella testa. Cassandra vide scorrerle davanti agli occhi tutti gli anni passati a relegare in fondo al suo spirito le sue energie, ricordò tutti i dolorosi sforzi per soffocare la sua natura, mentre gli eidolon le ruggivano feroci in un angolo recondito della sua mente.
Sempre lì, sempre pronti a riemergere non appena la sua volontà si fosse fatta più debole, in attesa di prendere il sopravvento.  L’aria le mancò. Kuja si allontanò senza staccare gli occhi da lei, un sorriso vincente stampato sul volto,  gustò l’effetto delle sue parole sulla sua ospite.  
-La vostra energia è di una potenza straordinaria- rincarò Kuja- Lo so, l'ho vista!- 
Non mentiva, ogni volta che si avvicinava a quella ragazza sentiva l’immensa aura del potere che le scorreva dentro, un marasma di forza ed energie capaci di rivoltare il mondo.
Ed è proprio questo che voglio!
Pensare a tutta quella forza distruttiva lo inebriava, persino le sue energie presero a ruggire richiamate da quel canto latente. La vide sussultare, sorrise compiaciuto, anche lei lo stava sentendo e ne era affascinata.
Kuja risvegliò le sue energie improvvisando seducenti sinfonie, modellandole nell’aria, richiudendo la sua fragile ospite nel suo giogo. Il mago osservò il suo capolavoro all’opera, solo un occhio avvezzo alla magia sarebbe stato in grado di vedere il sottile vortice energetico in cui la ragazza era imprigionata, una gabbia fatta d’aria, realizzata solo per lei. Kuja arretrò, riprese il calice dalla mensola del camino, assaporandone un sorso, fingendo indifferenza. Gli umani erano così noiosi alle volte, era così facile corrompere i loro piccoli cuori , bastava usare le parole giuste, il tono giusto e la loro esitazione già apriva una breccia nelle loro fallaci difese. Era stato facile con Brahne, lo sarebbe stato anche con quella damina davanti a lui, sapeva dove fare perno, l’ambizione, la superbia, tutti colori con cui dar vita alla sua opera d’arte.  Un’altra parola e la sua ospite sarebbe capitolata e lui avrebbe avuto tanto potere da mette in ginocchio Gaya… e forse anche un altro vecchio avvoltoio.  
Mai Cassandra, non cedere mai!
 La voce severa  di suo padre le riecheggiò nella testa. Lui, suo padre, era stata la sua unica guida quando il mondo non la capiva. Le aveva insegnato a prestare orecchio alle forze dalla natura e alle sue energie, a dominarsi e a resistere alla tentazione di lasciarsi andare all’oblio del suo potere, di tenersi lontana dal canto ammaliatore del potere.
Quando il mondo non ci capisce, siamo noi a dover fare un passo per comprenderlo. Le si strinse il cuore al pensiero di suo padre. La vera forza sta nel riconoscere quando posare la spada, questo distingueva un mercenario da un guerriero – suo padre glielo aveva insegnato.   Intanto la voce di Kuja aveva ripreso il suo canto suadente   
 -Non vi siete mai chiesta come sarebbe sentirla scorrere liberamente  nelle vostre vene?-
Certo che me lo sono chiesto
-Vedere dove arrivano le vostre capacità e spingerle sempre più in là, dove nessuno prima di voi si è mai spinto?- pregustava già la forza di Ultima scorrergli nelle vene mentre la ragazza davanti a lui era lì per spezzarsi come un fuscello. Kuja dovette trattenersi dal ridere davanti alla semplicità di quella sua farsa. Ancora un piccolo passo per spingerla definitivamente nel baratro
-Immaginate di mostrarvi al mondo per chi siete davvero, Cassandra, la gloria della perduta Oeilvert… Tutti coloro che vi hanno derisa, ignorata e dimenticata sarebbero proni davanti a voi a implorare la vostra misericordia e a ripetere il vostro nome!- Troppo facile – Mi dica, Cassandra non sarebbe meraviglioso, non dover fingere di essere qualcun altro!- la sinfonia era arrivata alla sua sezione aurea, il continuo crescendo degli incanti era arrivato al suo culmine attendendo l’ovvio epilogo. Cassandra  abbassò la testa. Kuja era già esultante di gioia, la forza di Ultima era sua!
-Mi chiedo cosa ne sappiate voi...-
Un sussurro, una piccola crepa che insidiosa aveva cominciato ad estendere la sua scia, l’incantesimo era spezzato. Kuja rimase senza fiato, fissò la figura minuta davanti a lui e per un solo istante la vide torreggiare su di lui. Qualcosa gli bloccò il respiro. No, non poteva essere, non era assolutamente… 
Cassandra si voltò verso di lui, non tremava, al contrario. Gli occhi color carbone sostennero lo sguardo del mago, il quale sentì quegli occhi sondarlo, scavargli dentro.
-Prego!?
Cassandra distese il viso in sorriso limpido –Quello che ho detto… siete l’ultima persona che può vantare di mostrarsi al mondo per quella che è!
Un brivido gli attraversò la spina dorsale, la coda gli tremò. Kuja sbarrò gli occhi,  per un solo istante, ma fu abbastanza, quella donna aveva visto cosa gli si agitasse dentro. Cercò di darsi un contegno, ma la sua rete di lusinghe si era dissolta. Kuja mascherò la sua ira dietro un sorriso falso, il fuoco della sua rabbia lo implorava di disintegrare la donna davanti a lui. Cosa gli importava di Ultima, quella damina aveva osato guardarlo, osava persino giudicarlo, si era messa sul suo stesso piano, nessun potere straordinario poteva valere quell’onta. Già nelle vene sentiva quel pizzico capriccioso pronto ad emergere in tutta la sua potenza esplosiva, ma bastò guardarla. No, non poteva ucciderla, non ora che erano pari. Avrebbe ottenuto quello che voleva, ad ogni costo avrebbe pareggiato la partita. Sorrise ferino alla sua ospite
-Parlare con voi è stato illuminate!-
-Alla prossima “illuminante” discussione, allora…- la donna fece un mezzo inchino allontanandosi dalla sala. Il passo da prima misurato accelerò non appena fu abbastanza lontana da Kuja, il cuore le batteva a mille. C’era andata vicina, pericolosamente vicina. Aveva visto la scintilla assassina agitarsi negli occhi del mago, non l’aveva uccisa, ancora, e questo valeva più di mille discorsi.


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Capitolo 15
*** Chi può mostrarsi per quello che è? ***


Nervoso, era tremendamente nervoso da giorni: il piano stava andando a rilento e quella sciocca damina non aveva alcuna intenzione di collaborare. 
Maledetta principessina!
Il mago era appoggiato al pesante banco di faggio, dette un pugno risentito sul piano, facendolo tremare sino ai piedi. Erano passati almeno tre giorni dalla loro cena: lo spocchioso avanzo di Daguerrero aveva osato insultarlo, usando la sua scontatissima retorica da saccente. Un brivido gli percorse la schiena, lo sguardo penetrante e severo di Cassandra gli ricomparve, vivido, nella mente.
"Siete l'ultima persona... che può mostrarsi per quella che è"
La rabbia gli divampò dentro, nello scatto d'ira, Kuja scaraventò contro il muro una sfera di energia.  Cosa ne poteva sapere lei? Un'insulsa umana, anzi, peggio: un'insulsa terana. 
Lei e i suoi erano la maledetta radice dei suoi problemi.  Kuja aveva cominciato ad odiare i terani già da un po', grazie all'avvoltoio in nero, e il padre della sua prigioniera non aveva, certo, migliorato la situazione, come la figlia, del resto. 
Ma Cassandra non era solo una stramaledetta terana, no, era anche una mezza umana, una sciocca, mezza umana, sul perenne precipizio della follia.
Come me...
Kuja si bloccò, quel pensiero era apparso nella sua mente dal nulla. Il jenoma boccheggiò come se fosse a corto di aria. No, lui era unico, inimitabile, il connubio perfetto tra la bellezza e la sciagura. Non aveva neppure finito di pensare, immediatamente gli tornarono in mente Cassandra e Zalera. Kuja sbuffò irritato: quella sciocca non faceva che sfidarlo, nella totale inconsapevolezza, come nella più violenta volontà, di fargli saltare i nervi. 
Quella donna era un problema, lo era stato dal primo istante in cui aveva messo piede in quel posto e la sua influenza stava solo aumentando. La parassita scorrazzava liberamente nel palazzo: distruggeva porte, occupava stanze, una piaga, una piaga senza il benché minimo gusto nell'abbigliarsi, vista la fine degli squisiti modelli che lui le aveva, gentilmente, fornito.  L'aveva sottovalutata, l'infida creatura, da prigioniera, era diventata una scomoda inquilina, pronta a mettere bocca su tutto, persino sul suo modo di agire.
Deve andarsene!
Probabilmente avrebbe fatto solo meglio ad ucciderla, i suoi poteri sarebbero stati solo un pericolo, se non gli fossero stati asserviti. Già la vedeva correre da Gidan ad offrirgli il suo aiuto contro il mago cattivo. Un basso ringhio gli emerse dal fondo della gola. 
Non avrebbe mai messo le mani su di lei, suo fratello non gli avrebbe tolto, anche, lei. 
Mia.
La violenza di quel pensiero gli fece pulsare le tempie, Kuja si massaggiò gli occhi. Si chiese in quale dramma si fosse invischiato e, soprattutto, come poteva uscirne. 
Si sentiva estraneo nella sua stessa reggia e questo non andava bene, ma non poteva certo fare fuori quell'odioso peso, non prima di aver capito come ottenere da lei quei dannati eidolon.
Se la uccidi, in qualche modo li potresti ottenere...
Kuja scosse la testa, e se uccidendola rischiava di danneggiarli!? Inoltre, la paura di vederla bloccata in un incubo senza fine era stata un'esperienza angosciosa  e, riviverla, era completamente fuori discussione. 
No, non era un pericolo che era disposto a correre, già aveva temuto di perderla... 
 Scosse ancora la testa, ovviamente, intendeva, di perdere gli straordinari poteri della giovane, non lei in sè. Per quanto lo riguardava la fanciulla poteva anche rimanere consumata dal suo potere, purché lui fosse riuscito a mettervi sopra le mani. 
Tutto per distruggerti, Garland!
Eppure si sentiva lo stesso inquieto, sarebbe stato molto meglio se la fanciulla non avesse corso rischi, o che anzi avesse collaborato, affrontando Garland insieme a lui e conquistando, insieme, ogni centimetro di Gaya e di Tera. L'avrebbe riportata nella sua vera casa e lei gliene sarebbe stata grata. Già la vedeva sorridere estasiata davanti ai meravigliosi e ameni scenari terani, nulla, certamente l'avrebbe resa più felice. 
Per un istante Kuja osservò il suo riflesso sul tavolo marmoreo: stava sorridendo.
Immediatamente si riscosse. Qualsiasi cosa stesse accadendo in quella maledettissima reggia, doveva finire all'istante. Non era più concentrato, e il suo piano aveva bisogno della massima attenzione e dedizione per essere realizzato e portato al termine, non poteva permettersi di sbagliare, neanche a costo di perdere Cassandra. 
Le unghie gli entrarono nel palmo della mano, se avesse stretto di più, certamente si sarebbe ferito, e certo, non poteva tollerare di sprecare il suo sangue per quella damina. 
Si alzò dal tavolo e prese a percorrere lo studio, il cigolare dei suoi stivali era forse più fastidioso dello scoppiettare della brace. Niente, la sua tolleranza non riusciva a raggiungere un punto, stava impazzendo, qualsiasi cosa lo avrebbe portato ad incenerire il mondo, solo per quella sciocca donneta. Si avvicinò al mappamondo, rigirandoselo tra le mani. Doveva essere suo, tutto il pianeta, e anche Tera e anche...
L'occhi gli cadde sull'indicazione di Madain Sari. Possibile che fossero morti tutti, che non fosse sopravvissuto neppure un maledettissimo sciamano, oltre la sua mutaforma?
Picchiettò, impaziente, le dita sul mare del continente della Nebbia, passò i suoi occhi acqua marina sui nomi di tutte le città che avrebbe potuto conquistare.
Partiva da Alexandria, poi Lindburg, la piovosa Burmecia...
"Quando la trovammo, fu dopo una tempesta..."
Kuja sgranò gli occhi, non tanto per aver ricordato il tono pachidermico della grassa sovrana di Alexandria, quanto per quel dettaglio: "la trovammo".
-La...- ripeté, accarezzò la cittadina di Alexandria, in un istante gli tornò in mente anche il ciondolo luminoso della piccola passerottina.
E immediatamente ebbe la sua epifania. La damina di Daguerrero sarebbe stata al sicuro, nella reggia, sveglia e pimpante come la piaga che era, ma lontana dalla battaglia e da Garland. Qualsiasi cosa fosse accaduta, avrebbe potuto dare in pasto al vecchio il pulcino di Alxandria e non il suo fiore del deserto. 
Davanti agli occhi del mago si aprivano nuovi orizzonti, era stato tutto davanti a lui per così tanto tempo ed era stato talmente occupato dal non accorgersene.
Per via del piano ovviamente...
Immediatamente  chiamò a gran voce i maghi neri, c'erano moltissimi affari da predisporre e intrighi da creare, proprio come amava. Alexandria lo stava richiamando, sarebbe partito l'indomani mattina, al sorgere del sole. Il mago uscì trafelato dal suo studio, attraversò gli squisiti corridoi, i suoi piedi lo condussero passo dopo passo sino alle celle.
Si ritrovò davanti a quella della sua prigioniera, la pesante porta metallica gli restituì il suo riflesso. Il metallo freddo accolse il palmo della sua mano, ne accarezzò lentamente la superficie, la dama di Oeilvert era lì, a cantare, a pensare, forse a leggere o ricordare. Sarebbe stato via a lungo, forse troppo, magari era solo un bene, qualsiasi cosa gli stesse facendo quell'essere, cominciava a sfuggire al suo controllo.
Un fruscio caracollante lo riportò alla realtà, Kuja si voltò verso l'inserviente di paglia e magia. 
-E' mia volontà che la prigioniera rimanga tale, ogni uscita non prevista, sarà vostra responsabilità... Quando torneranno i giullari, sarà loro compito continuare le estrazioni...!-
-Si PAdrON kUjA!-
Il mago fissò con disprezzo prima il suo fantoccio, poi si voltò verso la porta, la mano ne sfiorava ancora la superficie. Per un istante si chiese se mai, la sua prigioniera, avrebbe sentito la sua mancanza. Quel pensiero lo fulminò. 
-A presto, fiore del deserto!- Kuja si allontanò velocemente dalle prigioni, lasciò lì il suo sottoposto. In poco tempo si ritrovò nell'atrio della reggia, guardò la sublime scalinata marmorea, si sentiva stranamente pesante. Chiuse gli occhi ed emise un respiro profondo, forse volare sul suo drago gli avrebbe fatto bene. Dette le spalle alla grande scalinata:
il clangore degli stivali echeggiò lugubre nei corridoi.

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NdA: Ciao a tutti,, dopo la pausa estiva sono tornata alla carica, per ora è un capitoletto breve in cui, ancora una volta, Kuja si ritrova a lottare un po' per l'egemonia domestica, . Presto arriveremo alla conclusione, per cui, signori, rallegratevi, questa luuunga caduta, sta arrivando ad un termine, dunque, preparatevi un bel paracadute, perchè appunto, già si vede terra e non vorrei che finiste spiaccicati! Sciocchezze a parte, spero vi piaccia il capitolo e al prossimo aggiornamento, un bacio grande
Boshi 

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Capitolo 16
*** Frammenti perduti ***


"Sei l'ultima persona che può mostrarsi per quella che è..."
Le sue stesse parole si persero nel flusso lento dei suoi pensieri. Le immagini, i toni, le discussioni, i ricordi, tutto fuso in un unico grande vortice di emozioni, ogni immagine evocava un colore diverso, come un infinitesimo pezzo di puzzle che lentamente andava a comporre un disegno più grande.
La mia vita
Rivide i volti delle persone che avevano costellato la sua esistenza, dagli anziani di Madain Sari, sua madre, suo padre, i viaggiatori di Daguerrero. Volti e sorrisi, magari insignificanti, ma che in qualche modo avevano contribuito a fare di lei, quello che era. Sopra tutti i volti, finalmente  completo, ecco che apparve un volto familiare, dai linamenti delicati e sottili, l'espressione sardonica e annoiata dipinta su quel viso troppo perfetto per essere umano. Gli occhi inconfondibili brillavano come lapislazuli, i capelli serici e argentei incorniciavano quel viso dall'aria dispettosa e superba. Ci mise un po' a riconoscere effettivamente chi fosse, ma appena vi riuscì, cercò di distendere le labbra in un sorriso.
Sorridere, un'azione facile, come ricordare, ma, nel suo caso, altrettanto doloroso.
E tutto, in effetti era riconducibile a quel ricordo, quel viso, quell'esistenza a cui, infine, aveva sacrificato la propria.
Cassandra socchiuse appena gli occhi
Va bene così... va bene così...

Più in alto...
Sentire l'aria di libertà sferzarle il volto era stata una sensazione piena e viva, le aveva riempito i polmoni, il cielo limpido era solo per lei. Il grugnito del rettile alato sotto di lei le fece riaprire gli occhi.
-Per noi... solo per noi- rettificò Cassandra ridendo. Aprì le braccia per lasciarsi avvolgere dall'aria e dalla libertà. Il medaglione le batteva sul petto, le catenine tintinnavano le une sulle altre, attorcigliandosi senza un ordine. Attraverso il profilo cremoso delle nubi, Cassandra riuscì a scorgere un'ombra scura; avrebbe avuto modo di godere di tutta la libertà possibile, ma solo dopo e soprattutto, lo avrebbero fatto insieme: lei e Kuja. 
Ad un tratto, il drago sotto di lei tremò, Cassandra gli accarezzò il dorso
-Avanti, sarà rapido, torneremo a casa, presto e rivedrai il tuo socio!- lo rassicurò. Cassandra alzò allora lo sguardo sulla sua meta. 
Per Bahamut...
Il cuore si fermò. A spaccare l'immensità del cielo c'era un enorme veivolo, un mostro spaventoso, dal muso aguzzo: l'Invincibile, la nave dell'Osservatore. La fiancata della nave riluceva tetra alla luce del sole, uno zaffiro arricchito di fregi dorati, simboli di una lingua aliena, ormai noti alla dama di Oeilvert. Cassandra strinse automaticamente il suo medaglione, mentre il cuore cercava di ricominciare a battere.
Ce la farò, ce la devo fare... 
L'immagine di Kuja, addormentato sulle coperte setose del grande giaciglio della camera signorile, con l'espressione finalmente serafica, le riempì gli occhi.      
Per te...
Cassandra spronò la sua cavalcatura, decisa. Inspirò la sferzata di aria, avrebbe guardato in faccia il suo destino, l'essere a cui era sfuggita per una vita. Qualcosa si smosse, l'immensa areonave vibrò, come se avesse percepito l'imminente arrivo della sua avversaria. 
Per un istante, gli occhi di Cassandra andarono alla prua dell'aereonave, oltre la vetrata, nonostante la luce del sole, intravide il profilo scuro e rachitico di un manichino nero, le voci dentro di lei si alzarono gridando un solo nome, conosciuto solo di fama. 
Garland!
il ruggito degli eidolon la invase, ma questa volta, a differenza delle altre, non c'era più alcuna volontà di fermarlo
"Mi sorprende che non vi siate mai chiesta come sarebbe liberare il  vostro strabiliante potere… "
Sì, se lo era chiesto e, finalmente, stava per trovare una risposta.


Va bene così...
-Dunque la gloria di Oeilvert... Pensavo foste morti tutti... e invece...- la voce del vecchio non tradiva alcuna sorpresa o fastidio, era il tono piatto tipico di un'assunzione senza significato 
-Davvero una forza spaventosa... Sfortunatamente inutile, mi chiedo chi ti abbia protetto sino ad ora...- si fermò un istante contemplando la pulsante creatura  davanti a lui.
L'aspetto di quell'ammasso suppurante di piume, tessuti e sangue era a dir poco disgutoso 
- Ma non credo avrà importanza... Oh un momento- un rantolio feroce ma ovattato lo interruppe. L'Osservatore di Mondi si voltò verso l'altro cumulo sanguinolento di squame e muscoli. Il drago argenteo, sebbene allo stremo emise un basso ringhio di rabbia.
-Mi pare di aver già visto una cavalcatura simile- dalla grande creatura sopra di lui caddero alcune piume, candide, Garland ne prese una e la polverizzò tra le dita.
-Anzi, sai, mia cara ... Credo di sapere chi ti abbia mandato, chissà se sarà felice di rivederti?- Garland fissò con più attenzione quella che era stata la dama di Oeilvert. 
Della fisionomia umana era rimsato poco, i capelli striati d'argento e onice le coprivano il petto e il torace, erano stati ridotti a lunghe liane impregnate di sangue; dalla schiena dipartivano tre coppie di ali, le cui piume, come i capelli, andavano dal binco al nero; il corpo era completamente deformato e non solo dalle innumerevoli ferite, quanto dalla violenza delle continue metamorfosi a cui lo aveva sottoposto, non ultima, la liberazione dell'angelo ribelle. Tutto quel potere, sprecato in un contenitore così inefficiente... L'osservatore stellare si chiese se anche i suoi adorati jenoma avessero potuto contenere una forza simile, certo, se quell'essere insulso era sopravvissuto così a lungo, le probabilità di sopravvivenza delle sue creature sarebbero comunque state maggiori e soddisfacenti. Il petto dell'avversaria si alzava lentamente, era una scossa impercettibile. Il vecchio si accarezzò la barba ispida e bianca, poteva nascerne un esperimento molto interessante. 
-Quanto è forte il desiderio di rivederlo?- chiese distrattamente alla sua avversaria. La creatura era sospesa sul telaio interno della gigantesca sala di comando, il capo era piegato sul petto, le lunghe braccia violace erano incastrate nel complesso sistema di travi e tubi, ad eccezione di deboli scossette, era chiaramente sul punto di spirare.
Va bene così...

L'adrenalina prese a scorrerle rapida nelle vene, il sangue le pulsava nelle tempie, non perse tempo, lo scontro di una vita la stava chiamando. Si lanciò nel vuoto, lasciando indietro il drago. La sferzata d'aria l'accolse. 
Siren
Un paio di bionde ali le si apì sulla sua schiena, nel turbinio di piume, Cassandra le fece sbattere, sentendole precisamente, come estenzione del suo corpo.
Nessuna inibizione...
Cassandra aprì la bocca, l'onda sonica investì la prua dell'aereonave, facendola vibrare. Il mezzo allora prese a muoversi nella sua direzione. 
Che lo scontro abbia inizio!

Garland stava parlando, aveva parlato ininterrottamente, da quando era entrata in quell'inferno e, temeva, anche fino a quando ne sarebbe uscita. Non poteva neppure ridere di se stessa, persino l'ironia era svanita, ingoiata da uno o dall'altro eidolon probabilmente. L'unica nota positiva era il silenzio nella sua mente per lo meno, visto che ambire a quello esterno era fuori discussione. Le voci degli eidolon erano svanite, neanche più un sussurro nei meandri della sua mente, e sarebbe stata la liberazione più grande, se in realtà il prezzo non fosse stato così alto, ma andava pagato e lei, lo aveva fatto, eidolon dopo eidolon.

-GARLAND!- il grido della sirena venne accompagnato dal fragore di vetri infranti. Una sfera di energia cercò di colpirla, le ali riuscirono a indebolire l'impatto, ma la sirena venne scagliata contro il freddo metallo dell'abitacolo. Fece per rialzarsi, ma la vibrazione energetica suggeriva l'imminente colpo dell'avversario 
Ixion...
Un raggio di energia venne scagliato contro di lei, in una turbine di scintille, il corpo della sirena svanì, eludendo il colpo, svanendo in una saetta di luce.
-Chi osa...- 
Un nitrito feroce echeggiò nell'enorme cabina, l'aereonave prese a vibrare, circuiti ed indicatori ticchettarono folli, poi arrivò il primo scossone. Il vecchio dovette reggersi al corrimano dell'abitacolo. I circuiti interni del suo sistema operativo cercarono di elaborare gli eventi, ripercorse tutti i codici di memoria, finchè non trovò l'informazione giusta: era davanti ad un eidolon, ma non di Gaya, no, era qualcosa di famigliare, molto... era un eidolon di Tera, uno dei tanti che, lui e i suoi inventori, avevano eliminato secoli prima.
 
Già con Ixion la sua coscienza si era indebolita, Siren aveva cercato di mantenerla vivida, ma rivedere Garland, rientrare in una delle costruzioni della loro casa, Tera, li aveva fatti esplodere. Risentimento, vendetta, rivalsa, avevano travolto l'eidolon di Gaya con una violenza inaudita e Cassandra con lei. E, se già con Ixion, era stato difficile mantenersi coscienti un minimo, almeno sincronizzando il proprio furore su quello della creatura, il resto, fu indubbiamente peggio.

La scossa di ripristino la stordì, controllare il flusso dei pensieri, nella forma di folgore, era stato difficile, scaricare colpi mirati, impossibile, così come difendersi dal meccanismo di protezione elettrica innescato dal vecchio. Cassandra fu costretta ad uscire dai circuiti per non finire dissipata tra le correnti di sicurezza dell'Invincibile. 
Non puoi farcela
La severa voce femminile le risuonò decisa nella testa.
Liberaci!
Le intimò la voce del Mortifero
NO!
Cassandra era a terra,  sul ponte dell'areonave, lo sguardo impassibile di Garland la guardava dall'alto del piano di comando. Il cristallo nell'armatura del vecchio androide prese a brillare, si preparava a scagliare u nuovo attacco.
Liberaci!
NO!

Il cristallo emise un raggio, Cassandra si voltò allibita verso la sorgente della luce, il panico spalancò le porte della sua mente, un vortice nero avvolse i suoi pensieri.
La luce sanguigna venne assorbita dall'oscurità, la raffica di vento e piume nere fece sembrare l'interno dell'Invincibile come in balia di una pioggia di pece. 
-Interessante- commentò il vecchio. 
Cassandra si ritrovò ad osservare il suo avversario dal basso.
-Mi chiedo quanti abbiano trovato rifugio nel tuo spirito...- 
Maledetto vecchio!
Cassandra si voltò alla sua destra, verso la sorgente di quella voce; nel trionfo di piume scure e lucide, emerse il busto di una donna bellissima con una benda color zaffiro a coprirle gli occhi. L'attenzione della dama di Oeilvert venne richiamata da una raffica di raggi energetici, istintivamente la donna mosse rapidamente la mano artigliata : una miriade di piume nere, come proiettili di cristallo, si abbatté sul suo avversario 
Ma cosa...
Cassandra si voltò, il metallo della copertura interna dell'areonave le restituì il suo riflesso: una creatura enorme, nelle orbite del teschio cornuto, brillavano delle luci rosse, sulla spalla destra della creatura si innestava il busto della bellissima donna dai capelli corvini 
Non è...
Non riuscì neppure a terminare il pensiero, degli anelli energetici la circondarono, la donna dai capelli corvini allargò le braccia liberando una scarica di saette sacre

Devi combattere, Cassandra!

Gli attacchi di Garland si susseguirono, uno dopo l'altro, la sacerdotessa creava incantesimi di difesa, ma spesso i colpi del vecchio andavano a segno. Cassandra cercava di mantenere attiva la sua coscienza, ma attacco dopo attacco la rabbia degli eidolon cresceva minando la sua coscienza e disperdendola nella foga.
Un flare di Garland colpì la sacerdotessa, Cassandra urlò dal dolore mentre la seconda mente del Mortifero emergeva assetata di vendetta. La dama d'Oeilvert avvertì gli artigli del Mortifero tranciarle la mente per sorgere implacabile. Cassandra venne inghiottita dall'oblio. 

Adesso basta!

Una luce scarlatta ruppe le tenebre, Cassandra avvertì un dolore lancinante alla testa, dall'oscurità più profonda della sua mente, vide emergere una figura. Per la prima volta, si ritrovarono una davanti all'altra.
Tu sei...
Davanti a lei, in una tempesta di piume candide, era apparsa una donna maestosa dai lunghi capelli lisci e argentei, indossava una lunga veste candida, fregiata di intrecci dorati. Sulla schiena della donna vi erano tre paia di ali. Gli occhi topazio dell'angelo la guardavano severa. Cassandra rimase senza fiato, c'era qualcosa di solenne e terribile in quella visione. L'angelo emanava un'aura di potenza senza eguali, se il Mortifero l'aveva spedita nell'oblio, la forza di Ultima sarebbe bastata a cancellare definitivamente la sua esistenza e quella di tutta Gaya.
Ed è quello che farò!
Cassandra rimase raggelata, la voce dell'angelo era senza espressione, come se avesse fatto un'osservazione a dir poco ovvia.
NO! Non lo farai!
L'angelo si limitò a guardarla con freddezza 
Non ti farò uscire da qui!
Ultima mosse leggermente una mano, in uno sprazzo di luce, si aprì una finestra sull'Invincibile, mostrando lo scontro tra il Mortifero e Garland
Non puoi impedirmelo, dama d'Oeilvert, non più, almeno!
Non è... possibile...Come fa a combattere se io sono...
Cassandra si tastò il corpo, con orrore vide che le proprie mani sprofondavano nel nulla, come se fosse diventata inconsistente
E' quello che è accaduto, infatti
Ultima rispondeva a tutte le sue domande ancora prima che lei le potesse pronunciare 
Il Mortifero è stato indebolito, non riuscirà ad avere la meglio, la sua amata è stata ferita troppo gravemente... Per colpa tua
Non volevo, ma non potevo permettere che prendesse il sopravvento, non potevo  cedere, non potevo cadere...
In quell'istante un colpo di Garland colpì impietosamente l'eidolon, Zalera emise un ruggito raccapricciante. Ultima distolse lo sguardo dalla finestra, la quale svanì in una nube di fumo così come era apparsa. L'angelo socchiuse gli occhi, le lunghe ciglia candide coprirono leggermente gli occhi topazio 
Non lo hai ancora capito, Cassandra? Tu sei già, caduta!
Non appena Ultima pronunciò le sue estreme parole, Cassandra si bloccò, come se fosse stata appena fulminata, fece per parlare, per muoversi, ma appena ci provò sentì un crepitio come se avesse appena calpestato un vetro rotto.
Ultima la guardava con sufficienza. La dama d'Oeilvert abbassò lo sguardo, il suo corpo era cosparso di crepe
Addio, dama d'Oeilvert...
NO! 
La voce di Cassandra venne coperta dal fragore della sua coscienza infranta, il corpo della ragazza si frantumò in una miriade di frammenti di luce.
Ultima guardò insensibile la delicata pioggia di schegge, sfirandone alcune con la punta delle lunghe dita
A noi, Garland! 
Ultima alzò le braccia aprendo le immense ali, una luce scarlatta l'avvolse e, infine, anche l'angelo ribelle riemerse dalle profondità del suo esilio.
   
Va bene così... dopotutto... va bene così...   
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NdA: Buongiorno a tutti signori (o buona notte, non ne ho la più pallida idea, al fine siamo arrivati, questa è la fine della dama D'Oeilvert, ,  sconfitta e dimenticata :3. Si, si, sono decisamente una personcina allegra xD

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Capitolo 17
*** Cassandra ***



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E forse un giorno tornerò, forse un giorno riaprirò ancora gli occhi e mi specchierò nei tuoi. Non so quando, ma spero succeda prima o poi. Mi dispiace, mi dispiace tanto, per tutto.

Ho capito solo adesso quanto ero arrabbiata, quanto non avessi perdonato ai miei genitori di avermi lasciata sola. Ero una bambina egoista, incolpavo loro della mia maledizione. Ho cercato di dimenticare chi ero, i giorni e i mesi si susseguivano a Daguerrero sempre uguali mentre il ricordo del mio passato si frantumava in tanti piccoli pezzi.

Poi arrivasti tu, il ruggito del tuo drago fece riemergere tutti i ricordi del mio passato, risvegliò gli spiriti dentro di me, riportandomi al mondo cui appartenevo. Non ho esitato un solo istante, volevo combattere, volevo tornare me stessa. Sentivo la tua magia richiamare la mia, ma quali speranze avevo di vincere contro di te? Il mago di Tera, la disfatta di Gaya...

Quando mi sono risveglata nella tua reggia, credevo di essere nel mio peggiore incubo, invece avevo appena cominciato a svegliarmi. Ho imparato a conoscerti, a capirti e a seguirti nella tua personalità frammentata e instabile, placandola, sfidandola, come tu ogni giorno facevi con me.

So che non mi perdonerai, io non l'ho fatto con i miei genitori, tu non lo farai con me... C'è qualcosa di estremamente crudele nel sacrificarsi per gli altri, per le persone che ami, una perte di loro ti odierà sempre per averli lasciati. Ma non posso fare altrimenti, non posso lasciarti incatenato ad un destino che non ti appartiene, voglio restituirti la libertà di capire chi sei, come tu hai fatto con me.

E' buffo, ho avuto una vita di libertà per capire chi fossi, eppure l'ho imparato nel poco tempo assieme a te, imprigionata nella tua reggia, come ero imprigionata nelle mie paure.

Ma adesso no, ora sono libera, volo, l'aria mi scorre sulla pelle, è fresca e viva, come io credo di non essere più. Ho fallito, Garland è stato più forte, ma non vincerà per sempre e un giorno lo fermerai, forse anche un po' grazie a me, o a Ultima, o a entrambe.

Per ora mi accontento di averti visto, di essermi immersa ancora in quel gioco di verdi e azzurri. Mi accontento della sofferenza che hai provato nel vedermi, ho capito quanto ti ho ferito con il mio sacrificio. Sono crudele, lo so, ma una parte di me ha riconosciuto quella stessa disperzione che provai con mia madre e poi con mio padre; la provai perchè li amavo, come tu amavi me e io te...

Ricordo quando mi portasti via dalle rovine di Oeilvert, ricordo quando mi leggesti quel racconto, aspettando il mio risveglio. Il tuo tocco sulla mia pelle è vivido come una fiamma. Ricordo tutto e porterò questa memoria con me, lì dove questi ricordi si raccolgono.

Vedo il vento scorrermi accanto, così la luce, l'acqua. Ci sono altri come me, piccole luci, l'essenza di altre vite, sono i miei silenziosi compagni di viaggio, anche loro con il proprio passato, i propri ricordi. Andiamo tutti nello stesso luogo, siamo rapidi bagliori nel vento. A te piacerebbe volare così veloce, neppure il tuo drago potrebbe raggiungermi. Spero che tu non riesca a raggiungermi, mai. Non voglio che tu sia solo un ricordo, una mera memoria.

Oh, ecco la meta, è un castello avvolto nella nebbia, sembra un po' triste, ma non importa. L'aria è così ovattata, anche i miei compagni stanno rallentando. Mi accorgo solo ora di essere immensamente stanca, i miei ricordi sono pesanti, intensi, troppo. Credo di avere sonno, credo che chiuderò gli occhi, proprio qui, in questo mondo di cristallo, proprio adesso, qualche istante soltanto. Ripenso ancora ai tuoi occhi, Kuja, ai tuoi capelli serici tra le mie dita, penso di star sorridendo, anche se non ho più né un viso né nulla, sono solo un ricordo. Chiudo gli occhi che non ho più...

Forse un giorno mi sveglierò, forse un giorno potrò rivederti e dirti che sarai sempre il mio ricordo.

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Cassandra 



NdA: Signori, questo è l'ultimo capitolo, la caduta finesce qui, spero che la lettura non sia stata tediosa o fastidiosa o pesate. Lascio questo capitolo bonus, non adatto a chi ha già il diabete alto :3 un bacio
 

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