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di Lux Nox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mostro che si è augurato di essere ***
Capitolo 2: *** La sua ombra come un mantello ***
Capitolo 3: *** La malattia dei suoi occhi equivale alla sua morte ***
Capitolo 4: *** L'angelo che divenne assettato di sangue ***
Capitolo 5: *** E lui ti raggiungerà negli angoli sperduti della terra ***



Capitolo 1
*** Il mostro che si è augurato di essere ***





Il mostro che si è augurato di essere
 
Quando era bambina, Kamiko aveva visto la morte in faccia, non una o due volte, ma migliaia. I corpi sparsi in un campo come grano seccato dalla siccità, uomini, donne, vecchi e bambini mandati a morire per una causa che ai suoi occhi non valeva la pena di combattere. Come si decretava la fine di una persona solo perché apparteneva ad un altro villaggio? Chi lo diceva che era un nemico? Che non avesse un figlio, una madre o un padre che ne stava aspettando impaziente il ritorno? E la coscienza, quella sarebbe mai stata pulita?
Kamiko non aveva più che quattro anni quando venne la grande guerra e si mangiò la sua famiglia, i suoi amici e i conoscenti. La guerra era una grande Signora rossa, con un bellissimo abito scarlatto e la pelle bianca come quella dei cadaveri, era sempre affamata e non si faceva scrupoli a cibarsi di vittime innocenti.
La Signora, un bel giorno d’estate, si era portato via anche suo padre, perforandolo davanti ai suoi occhi con un rapidissimo kunai in pieno petto, e, sua madre, che aveva assistito inerme alla scena, si premurata di  proteggerla con il corpo alla vista del massacro. Loro, appartenenti al Villaggio di Iwagakure, non si erano fatti scrupoli nell’uccidere un uomo in compagnia di sua figlia e della giovane moglie, solo perché stava indossando lo stemma di Konoha.
Sua padre era stato un ninja di Konoha.  Aveva combattuto per il suo Villaggio. Era morto per il suo Villaggio.
Kamiko non aveva mai amato la violenza, in passato era stata l’ultima risorsa a cui attendevo. Forse quando aveva litigato, dando delle sberle, ma lo aveva fatto solo perché era stata arrabbiata, non era mai stata abbastanza coraggiosa da togliere la vita a qualcuno. Lei si era sempre sentita diversa dai suoi amici d'infanzia. Lo aveva promesso quando era deceduto suo padre.
Mai usare la violenza. Ma le parole erano come il vento, volavano via, si sbriciolavano come castelli di sabbia dall’impeto del mare. Non era mai facile mantenere e Kamiko ne aveva avuto la conferma nel corso della sua vita.
Quando si uccideva per dovere, era orribile, terrificante ma in qualche modo gratificante, perché immediatamente nasceva la famosa scusa per sopprimere i sensi di colpa. C’era sempre un motivo del perché un essere umano si spingesse a tanto, ma quando uccidere era per piacere… era tutt’altro conto.
Dal primo omicidio ne seguivano altri, e quel piacere si trasformava in rimorso, in odio, in vendetta e in perdizione. E se non si trattava di piacere, cosa poteva essere? Oscurità? Oblio?
Kamiko non cercava una risposta, aveva smesso di inseguirla e di credere che fosse una brava persona. Lei era marcia, orrenda, un mostro.
La belva che Itachi Uchiha si era dimenticato alle spalle, in una notte di luna piena, con le stelle luminose che assistevano al bagno di sangue e allo scorrere del liquido rosso che seguiva le assi del pavimento, infilandosi tra gli spazi vuoti e gocciolando senza fine.
Il rosso le ricordava la sua missione. Il suo obiettivo. La sua ragione di vita.
Kamiko poggiò le mani sul tavolo di legno e saltò elegantemente come un gatto dall’altra parte, evitando dei kunai che si conficcarono sul muro con un suono sinistro.
Le arrivò dall’alto una palla di fuoco che riuscì a schivare in tempo rotolandosi e andando a sbattere contro una sedia conficcata per terra prima, quando il suo aggressore gliela aveva lanciato con forza. Kamiko ghignò e prese dal taschino due shuriken, sicura che avrebbe potuto eliminarlo come se niente fosse.
La taglia di Xorra non era una grossa somma, non abbastanza per riempirle le tasche e sfamarla per un’altra settimana o pagarle il vitto e alloggio alla pensione di Aoi. Quella vecchia taccagna minacciava di buttarla fuori con la sua roba se non avesse pagato in tempo, e Kamiko era sicura che l’avrebbe fatto se lei non facesse da guardia alla pensione decadente. Erano circa due anni che aveva messo radici lì, e per il figlio di Aoi avrebbe potuto viverci anche gratis se lei avesse accettato le sue avances.
Ma porca misera, gli affari non andavano a gonfie vele. Ultimamente, i criminali si tenevano alla larga dai guai e nessuno voleva sborsare soldi per proteggersi o vendicarsi di un torto subito.
Kamiko lanciò gli shuriken al clone di Xorra, che non riuscì sfuggire e sparì in una nuvola di fumo. Poi, scocciata di averci messo tanto (e di essersi rovinata il pranzo), estrasse la sua katana dal fianco destro e si scagliò su Xorra con tutta la sua forza. L’uomo, un grassone pelato di 160 kg, che controllava l’arte del fuoco a magnificenza, le sputò quello che doveva essere “ Sospiro del drago." Kamiko dovette roteare e saltare in alto, facendo una capriola degna di Gai Maito, con le sue immancabili scarpe con il tacco. Lo colpì proprio con il tacco sul mento e, infine, con la spada gli tagliò di netto il braccio funzionante.
Sentì le ossa frantumarsi e lo scroscìo di qualcosa di caldo sul viso quando si inginocchiò, puntandogli la katana alla giugulare.
-Un altro passo e sei morto.- lo avvertì seriamente.
Il sangue aderì  sugli abiti di Kamiko come una seconda pelle, e la ragazza provò la fastidiosissima sensazione di sporco attaccarsi e imprimersi in lei.
Lui la stava chiamando a distanza.
Le ossa reclamavano altre ossa.
Il sangue versato andava lavato con altro sangue.
Ma la reietta si sentiva sempre lei, non lui, che ovunque fosse, stava di sicuro tingendo altri quadri con corpi di innocenti. La danza macabra della morte accompagnava Itachi come una cantilena e Kamiko la poteva sentire in silenzio.
Doveva solo trovarlo. Alla fine avrebbe regolato i conti.
Occhio per occhio, dente per dente. La sua legge, il suo mantra, la sua nuova condizione di vita.
“Non si lasciano superstiti, Itachi. Mai.”
Xorra tentò di reagire ma Kamiko cominciò ad affondare la katana sulla gola, mantenendo di fede al suo avvertimento. – Sono una donna di parola, il cliente non mi ha specificato se ti vuole vivo o morto. Mi basta anche il tuo corpo per avere il compenso.-
La taverna era vuota, se non per il proprietario che scuoteva la testa inorridito, gli altri clienti era scappati appena era iniziata la battaglia tra i due.
Nemmeno tre minuti fa, constatò la ragazza.
-Kami-chan.- gridò la voce di una ragazzina sui quindici anni, fermandola appena in tempo dal tagliare Xorra a fettine.
-Non ti avevo detto di aspettarmi fuori?- la sgridò lei.
-C’era troppo silenzio e mi ero impensierita.- si giustificò Cho, una ragazza dai capelli castani e gli occhi scuri, appartenente al clan Akimichi. Come poteva portarsela dietro non lo sapeva ancora... Ma forse perché era brava a procurarle le pillole Akimichi e, anche, perché doveva un favore al padre di lei.
-Falla crescere, Kamiko-san, il mondo le insegnerà che non è tutto rose e fiori.- le aveva detto mesi addietro il padre di Cho.
-E proprio perché non lo è, non voglio che venga con me.- aveva replicato scocciata lei. Ma lui le aveva allungato un borsellino pieno di soldi e Kamiko era dovuto scendere a patti con la sua integrato morale, perché si stava facendo corrompere per pagarsi l’affitto.
-Ora che hai visto che è tutto a posto, esci fuori.-
Ma Xarro la interruppe, dandole una testata sulla fronte e facendola atterrare per terra. La katana le volò dalla mano e i suoi occhi si annebbiarono mentre le urla della giovane Cho si propagarono nella taverna.
“Bastardo…” Lo maledette mentre le esplodeva un forte mal di testa che si espanse per tutto il corpo.
Ci vedeva doppio. Quadruplo.
Xarro aveva sbattuto Cho contro una parete e la stava prendendo a calci, la ragazzina tentava di difendersi, parando i colpi ma era inutile contro 160 kg di grasso e pura malvagità. Cho venne colpita ripetutamente sui fianchi, in faccia e sulle braccia.
Kamiko tentò di rialzarsi ma la sua testa faceva capricci. Si sentiva persa, anche se era quattro volte più forte e veloce di Xarro, un ninja traditore da quattro soldi.
Un odore metallico le penetrò le narici e risvegliò in lei i suoi incubi.
Anche Itachi, quella sera, profumava di morte quando lo aveva beccato a scappare a gambe levate.
 
“Era notte piena, con una luna luminosa e beffarda che avrebbe illuminato e contaminato la vita di Kamiko per sempre.
Una leggera pioggia iniziò a cadere su Konoha e Kamiko si rifugiò sotto tetto di una casa. Il sole era calato da parecchio tempo e la ragazza si stava recando verso villa Uchiha. Il cuore le batteva fortemente, le guance erano arrossate sia dalla corsa che dall’imbarazzo di doversi dichiarare. Le ci era voluto molto a decidersi a fare il primo passo dopo la scomparsa di Shisui, ma aveva tanti dubbi
Se non era meglio rimanere amici? Itachi era già promesso a Izumi, sua fidata amica, e non sapeva nemmeno se lui ricambiasse, anche se il piccolo scoiattolo diceva di sì.
Ma Sasuke era un bambino, non tutto ciò che diceva andava preso sul serio.
-Stupida pioggia.- imprecò la ragazza guardando con aria distratta il cielo.
Non le importava molto della pioggia, ma raggiungere Itachi, quello sì.
-Itachi?- qualcuno che assomigliava a lui saltava sui tetti con una velocità impressionante. 
-È lui, ne sono sicura. - la ragazza lo seguì infischiandosene della pioggia che aumentava. Avrebbe riconosciuto l’andatura e il suo passo dovunque, anche all’inferno.
Aumentò il passo, saltando agilmente da un palazzo all’altro.
-ITACHI FERMATI!- gridò la ragazza all’amico dinanzi a sé.
Il moro fece finta di non sentirla e avanzò imperterrito con la sua corsa. Cosa aveva di così di urgente da scappare, quando le aveva chiesto lui stesso di parlare? Le aveva dato appuntamento sopra la montagna dove era scolpiti i volti dei Kage, ma non si era presentato e lei era andato a cercarlo, preoccupata.
-So che sei tu, è inutile che fuggi.-
D’improvviso il moro si fermò, come da lei sperato, e la aspettò sopra il tetto di un’abitazione decadente.
Kamiko fece un salto lungo e si avvicinò a lui ansimando dalla corsa.
Si era fatta bella, legando i suoi lunghi capelli castano- ramati in una coda alta, indossando il suo miglior vestito, gli sandali bianchi e addirittura truccandosi. Ma tutto il suo lavoro si era vanificato ora che si era bagnata come un pulcino ed era diventata un panda.
Non era l’unica che era messa male. Anche Itachi non era nelle sue condizioni migliori e quando se ne accorse rabbrividì.
-Itachi ma che…- il moro era sporco e lo sporco si scioglieva con la pioggia,  creando pozzanghere rosse sotto i loro piedi. 
Era coperto di sangue, osservò lei terrorizzata. Un campanello d’allarme si accese, ma lei lo spense subito.
Si fidava di lui. Era pur sempre Itachi Uchiha.
-Che cosa è successo?- si azzardò a chiedere spaventata.
L’occhiata vuota che le lanciò, cancellò via quel ragazzo gentile e buono dei suoi ricordi, alterandolo con uno che indossava i panni di un assassino.
-Ho sterminato il mio clan.- rivelò il ragazzo freddamente.”
 
Kamiko lanciò un urlo animalesco dalla rabbia. Una furia cieca la travolse facendo esplodere la sua abilità innata come se niente fosse, rompendo barriere erette in tanti anni di duro addestramento.
Il Kochou si risvegliò nei suoi occhi e nel suo corpo, penetrando nel suo chakra come un veleno. Gli occhi chiari divennero bianchi come la pelle della Signora, persero il colore azzurro sottraendolo e rubandolo. Rimasero solo due anelli fini neri; l’iride e la pupilla erano di un bianco puro e innocente, un bianco che le mostrava il passato e il presente, grazie al quale, poteva leggere le memorie e giocare con esse. La mente di una persona si trovava sotto il suo giogo.
Ma era al chakra che Kamiko avrebbe puntato, si alzò da terra e tolse i guanti che erano lunghi fino alle braccia.
E così fece, in modo silenzioso e inquietante.
Xarro non poté nemmeno capire cosa stesse succedendo quando si girò, perché Kamiko lo afferrò per il collo e lo alzò da terra con una forza sovraumana.
-Non avresti mai dovuto farlo.- gli disse, sorridendo come se due uncini le stessero tirando le guance all’insù.- Ti avevo avvisato, Itachi.-
-Chi… è..?- ma lei non lo lasciò finire, perché sussurrò le parole con cui avrebbe sentenziato la sua morte. –Porpora lenta. –
Le sue mani brillarono di una luce violacea e sinistra, mentre i pori della sua pelle si dilatavano e assorbivano il chakra dell’uomo velocemente, mentre lo sostituiamo con il veleno.
Xorra tento di ribellarsi ma Kamiko gli poggiò anche la mano libera sopra il cuore, bloccando il flusso del chakra e facendolo agonizzare nel suo stesso dolore. I lamenti del criminale furono soave musica per le sue orecchie, mentre immaginava qualcun altro al suo posto.
Ma mentre lo uccideva, la memoria di lui diventava sua, e la storia di Xarro si proiettava nei suoi occhi e si incideva nelle sue membra. Altri ricordi sconosciuti le appartenevano mentre drenava il chakra e l’esistenza di Xarro, e le scelte incomprensibili e la sua rabbia avevano un motivo.
Una storia.
Xarro era un padre e i suoi figli morivano di fame. Faceva di tutto per sopravvivere. I clienti erano i suoi creditori. E si difendeva da loro come meglio poteva.
Le mani di Kamiko presero a tremare e così anche la sua stretta sul collo di Xarro.
I cosiddetti sensi di colpa vennero a farle visita e a metterla di fronte alla realtà. Cosa diavolo stava facendo? Si stava trasformando in ciò che Itachi aveva augurato?
Un mostro.
 
Continua a rincorrermi, Kamiko, anche per sempre.
 

Eccomi tornata dopo una lunga assenza nel mio fandom preferito! Avero già pubblicato questa storia e l'avevo cancellata per mancanza di idee, e poiché ho visto Itachi Shinden-hen, non potevo non riproporla, modificata però. Spero che vi incuriosisca e rencensite per far sapere la vostra opinione. :) 

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Capitolo 2
*** La sua ombra come un mantello ***



La sua ombra come un mantello
 
-Qual è il tuo sogno, Kamiko?- le chiese Shisui quando lei aveva dodici anni.
Kamiko guardò da lontano Itachi allenarsi e rispose prontamente:-Superarvi. Essere la prima donna Hogake. Non dover più vedere morti in una guerra.-
Anche Shisui stava osservando Itachi e poi si girò verso di lei. –Ma non tutti sono d’accordo sull’ultimo punto.-
-Lo sarebbero se mostrassimo al mondo che si può vivere in pace.- disse convinta, guardandolo negli occhi. Shisui aveva gli occhi del colore del carbone, come quelli di Itachi, ma più grandi e meno severi.
Era il più grande tra loro tre ed era anche quello che aveva maggiori responsabilità, ma non aveva neinte da invidiare a Itachi, che era un genio nato o a lei che arrancava a mandare avanti la sua vita a pezzi.
-Ma te lo immagini un mondo pacifico?- Kamiko  rise a bassa voce.- Che idea folle che ho, si scannerebbero tutti per un non nulla.-
-Kamiko-chan, non tutti gli umani sono bestie.- commentò Shisui, distogliendo gli occhi da quelli di lei, troppo ingenui per comprendere la crudeltà, riportandogli su Itachi. -Guarda lui invece, potrebbe essere il futuro.-
Kamiko sorrise dolcemente. – Anche tu, Shisui-san.-
Il ragazzo rise di gusto. -Secondo te chi è il più forte, io o lui?-  
Kamiko arrossì, presa in contro piede, e balbettò dalla timidezza un “io” facendo ridere il ragazzo di gusto. Imbarazzata come non mai, gli diede dello pallone gonfiato e corse verso Itachi per allenarsi, senza rispondere alla domanda di Shisui. Ma nel profondo conosceva meglio di chiunque la risposta, ma non aveva intenzione di scoprirlo o rivelarlo ad anima viva.
Kami celesti, aveva dodici anni e una cotta era pur sempre un cotta.”
 
-Ahia.-
-Non ti lamentare, ti avevo detto di non intrometterti.- la rimproverò Kamiko, legandole la benda in modo troppo brusco.
Cho le fece la linguaccia, per poi tornare seria.
-A proposito, Kami-chan, perché l’hai lasciato andare? Con cosa la paghi Aoi-san?-
Kamiko le applicò la pomata sulla fronte e la ragazza gemette da dolore.
-Fatti gli affari tuoi. Di sicuro troverò un modo per pagare quella vecchia cornacchia.- sospirò la rossiccia, che il solo pensiero di doverla subire la metteva in agitazione.
Perché aveva risparmiato Xorra e perso tanti soldi?
“Non ne vale la pena.” Ci rifletté su. C’era di meglio in giro che meritava la sua attenzione e un ladruncolo traditore non faceva al caso suo.
-Sei diventata troppo sensibile ultimamente? Hai il ciclo? Sei incinta?- la tempestò di domande Cho che si beccò solo un pugno in testa e altro dolore gratuito.
Aveva una famiglia da cui ritornare. E chi era lei a decidere della sorte altrui?
Che si guardasse le spalle da un altro cacciatore di taglie, che diversamente da lei, sarebbe stato senza scrupoli. La cosa migliore era che si mettesse la testa a posto.
-Non so cosa mi è venuto in mente da farti da mentore? Su su, stai meglio adesso, dobbiamo partire se vogliamo raggiungere la pensione per sera.-
Kamiko cambiò gli abiti sporchi di sangue e li infilò nella borsa, davanti agli occhi di Cho che si grattava le ferite doloranti.
-Sono stati i soldi.- sussurrò la ragazzina ironicamente.
-Ti sento benissimo!- le disse Kamiko, intanto che si infilava una canotta e pantaloni aderenti, esclusivamente neri. Infine, indossò anche i guanti e si legò i capelli in una coda bassa.
-Siamo in una foresta, potrebbe spiarti chiunque! Non ti vergogni minimamente a mettere le tue grazie in mostra? Che razza di persona sei?-
-Una sana di mente, che perderà la pazienza facilmente se non la smetti di punzecchiarla.- le rispose infastidita, girandosi verso la direzione di Cho e le fece cenno di alzarsi.
-Mi fa male ancora il sedere, per tua informazione. Perché non mi hai guarita completamente?- le chiese curiosa l’altra.- Hai fermato il sangue di quel tale in pochi secondi, e per la tua povera allieva non fai nessuno sforzo.-
Kamiko sospirò.- Non sprecherò la mia energia per delle ferite superficiali che guariranno da sole, sono stanca. Forza, andiamo.-
Cho raccolse le sue cose da terra e fece delle smorfie di disappunto, ma non commentò ulteriormente durante il viaggio per il Paese dell’Erba.
Kamiko si rese conto di aver perso il controllo e di brutto. Non le accadeva da tempo, e il fattore scatenante era stato l’odore del sangue. Si era controllata al meglio in situazioni peggiori, anche quando aveva combattuto contro una forza portante e aveva dovuto usare tutte le proprie risorse al massimo. Maneggiava con cura il Kochou e lo usava altrettanto raramente, perché le sue proprietà erano pericolose e ancora sconosciute anche per lei. Era come un bambino che doveva imparare a scrivere, le era tutto difficile.
Le basi del Kochou erano semplici: toccando un soggetto poteva bloccare il suo chakra, ergo anche i suoi movimenti, e creare attacchi distruttivi capaci di frenare il flusso di energia che circondava un essere vivente. Ma il Kochou modificava, rubava e manipolava il chakra a proprio piacimento, sostituendolo con qualcos'altro. Inoltre, aveva scoperto degli ottimi trucchi per autorigenerarsi le ferite e quelle degli altri, un po' come facevano i medici, ma in maniera più potente. C'entrava il fatto che rubando troppa energia, era in sovraccarico, e per dissiparlo doveva in qualche modo rigettarlo nell'ambiente o in altri corpi, e le possibilità di riuscita erano un 50/50. Il Kochou era simile al Byagukan, funzionava efficacemente con il contatto, e ma con la distanza agiva per vie differenti. 
Aoi le stava aspettando fuori dalla pensione, inquietata e cerea in volto. Come se ci fosse una minaccia dentro la pensione.
La vecchia cornacchia, con la faccia rotonda, i capelli grigi corti e con il suo inseparabile kimono fucsia, si lisciava le maniche dall’ansia.
Kamiko entrò in modalità allerta e d’istinto, portò la mano sulla katana.
-Stai fuori, Cho.- le consigliò con il volto impassibile. Cho non si mise a protestare, capendo immediatamente i pensieri del suo mentore, e annuì, rimanendo indietro.
Erano le tre di notte e i vicoli del villaggio erano semivuoti, con qualche 
ninja di pattuglia o passante ubriaco che tornava a casa, che la salutavano come  se fosse una vecchia amica.
-Perché non c’è nessuno?- chiese, sbirciando con la coda dell’occhio l’entrata di legno della pensione.
Aoi le indicò la pensione. –Hanno prenotato tutte le camere, anche la tua. –
-Quindi, sono senza un tetto sopra la testa?- 
Aoi scosse la testa nervosamente. 
Kamiko alzò un sopracciglio dubbiosa, perché stranamente sentiva puzza di bruciato.  Aoi, avida di natura, in condizioni normali le avrebbe chiesto i suoi soldi, e avrebbe sbuffato solamente. Ma sbatterla davvero fuori dalla pensione, non l'avrebbe mai fatto. Takane, il figlio di  Aoi, che flirtava con lei ogni secondo, non le avrebbe mai permesso di andarsene. 
-Cosa mia nascondi Aoi-san? Dov'è Takane-kun?- chiese sospettosa. 
Aoi deglutì e le fece un sorriso di scuse. – Mi dispiace tanto, Kami-chan. Mi hanno chiesto se ci fosse qualcuno di interessante qui e mi è sfuggito il tuo nome.-
Kamiko strinse l’elsa della katana, sperando che la sua sensazione fosse sbagliata, ma conoscendo l'ingordigia di Aoi per il denaro, non si sbagliava.
-Ti cercano.- le disse Aoi, abbassando gli occhi per terra, colpevole di averla tradita.
Kamiko sentì un brivido famigliare salirle lungo la schiena e non era per niente nulla di buono, soprattutto se non sapeva chi la stava cercando.
L’ignoto non le era mai piaciuto, le sapeva di stretto, di buio, di non ritorno. Di paura.
E la paura faceva soltanto danni.
La paura generava la guerra.
E la guerra portava morti. Tra i quali c’erano innocenti come figli, madri e padri. E creava assassini.
Gli shinobi non erano altro che arme umane pronte a mietere vittime, qualsiasi fosse il loro grado; genin, chunin, jonin o anbu.
-Entra, ti prego, ti aspettano dal pomeriggio e uno di loro è molto impaziente. Potrebbe decidere di radere al suolo la pensione.- la supplicò Aoi disperata.
La prima cosa egoista che Kamiko pensò, era quello di lasciarla al suo destino, ma la curiosità ebbe la meglio, e così, fece il suo ingresso nella pensione buia e fredda. Aoi aveva persino spento la luce sotto la gentile richiesta del cliente, lasciandola completamente nell’oscurità. I suoi occhi dovettero abituarsi gradualmente al buio, e cominciò a distinguere le sagome degli oggetti nel pianterreno, tra cui sedie e tavoli vuoti, il bancone della reception e le figure di due uomini in lontananza.
Lunghe tuniche dall’alto colletto, con il tipico cappello di paglia da viaggiatori, sedevano in fondo alla stanza, di uno di loro poteva intravedere una lunga spada e dell’altro… niente.
Erano composti, immobili.
La attendevano, e chissà per qualche ragione sconosciuta.
-Voi chi siete?-
Sarebbe stato cortese presentarsi, salutare, ma erano tempi di guerra e la vecchia Kamiko era andata a farsi benedire. A ventun anni, la nuova Kamiko si era creata una certa reputazione con il soprannome di “La cacciatrice di orchidee”, e molti la cercavano per i suoi servigi rapidi e puliti, ma l’intento della ragazza era sempre migliorare. Migliorare. Primeggiare.
Uccidere. Ucciderlo.
-Avete chiesto di me? Se no, non fatemi perdere tempo prezioso.-
Non aveva un posto da cui tornare e il denaro non le bastava per prenotare un'altra camera con due letti. C'era anche Cho da sfamare, ma per pochi giorni avrebbe chiesto qualche favore.  
L’uomo alto rise a squarciagola.- Ha fegato la tua ragazza.-
Kamiko gli lanciò un’occhiataccia, e forse non fu l’unica presente nella stanza a farlo.
Li conosceva? Erano stati suoi clienti? 
Avanzò ancora, almeno per capire chi fosse il suo nemico, ma allo stesso tempo lo considerava anche una mossa sciocca da parte sua.
-Togli la mano dalla katana, ragazzina, non saresti mai in grado di sconfiggerci entrambi.- l’uomo si issò in piedi, mostrando in pieno la sua altezza di quasi due metri pieni. In confronto il metro e settanta di Kamiko era polvere di fronte a lui.
L’altro lo fermò poggiandogli una mano sulla spalla.
-Sei sicuro di farcela nelle tue condizioni?-
L’altro lo superò e il suo passo suonò famigliare alle orecchie di Kamiko, ma che non seppe indentificarlo. Era qualcuno del suo passato, ma chi?
L’oscurità non giocava a suo favore, era come se fosse cieca.
Lui si avvicinò e Kamiko glielo lasciò fare, ma tenendosi sempre pronta per un eventuale attacco. Si ritrovarono a mezzo metro di distanza. Uno di fronte all’altro.
La sensazione di famigliarità divenne disagio. Un pugno nello stomaco.
-Ti ho mai incontrato prima?- domandò spontaneamente la ragazza.
Lui scosse lentamente la testa, negando.
-Cosa volete esattamente da me, se nemmeno ci conosciamo?-
-Devi guarirlo, almeno rallentare la sua malattia.- rispose al posto dell’uomo di fronte a sé, il gigante burbero. –Pagheremo in monete d’oro.-
-Sei malato? Dove?- le sembrava che fosse in piena forma, con gli arti al proprio posto. Ma le malattie erano insidiose, diffondevano il loro germe minuscolo nel corpo e ci covavano per partorire e mangiare. Erano come la guerra, un altro spietato nemico.
Kaede era morta a causa di una malattia, il Kochou l’aveva uccisa, aveva rubato troppo dagli altri. E con quel troppo la sua mente aveva ceduto.
Lui portò un mano lentamente sugli occhi, e Kamiko smise di respirare.
Il suo gesto…
-Quanto mi pagate?- chiese per distogliere il pensiero lo sguardo da lui e dirigerlo verso l’altro. Forse era anche muto l’uomo.
-Molto.- le rispose il gigante.- Ma ad una condizione. –

Ecco qua un altro capitolo, spero che vi piaccia :)
 

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Capitolo 3
*** La malattia dei suoi occhi equivale alla sua morte ***




La malattia dei suoi occhi equivale alla sua morte
 
Quando le disse la condizione, Kamiko ridacchiò, sebbene non fosse molto conveniente perché si beccò una battuta poco decorosa da parte del gigante. Ma se il suo compagno desiderava che operasse bendata, sarebbe stato accontentato, ma che lei non si azzardasse a scoperchiare la mente del compagno, beh, quello era un po’ difficile. Lei non comandava il Kochou, era l’abilità ad avere voce in capitolo e se capitava, peggio per lui.
Ma glielo promise, dopo aver sentito il prezzo da tanti zero che il gigante le aveva proposto.
-Siediti.- gli ordinò, mentre si legava la benda per non vederlo. Tanto mistero per una guarigione, che futilità.
Magari è un nukenin, uno dei pezzi forti che nessuno vuole catturare.
Un giorno farà parte della sua lista, si promise Kamiko. Sentì che lui si toglieva il cappello e si accomodava davanti a lei.
Silenzioso come un serpente le prese le mani, Kamiko percepì che aveva dita lunghe e callose, dal troppo allenamento pensò lei, e gliele fece poggiare sopra le palpebre abbassate.
Kamiko disegnò con le dita i punti giusti per aprire i canali del chakra degli occhi dello straniero, però, prima fece un piccolo esperimento per risvegliare il chakra e concentrarlo sulle punta delle dita. Era già esausta per aver quasi guarito Xorra e Cho, e lo straniero aveva un problema molto più grosso.
La sua malattia gli stava consumando gli occhi.
L'abilità che usava, anche con molta frequenza, gli stava deteriorando la cornea, l’iride e la pupilla. Si domandò se non fosse uno Hyuuga, un traditore cadetto,ma si permise di non violare la mente dello straniero e di fare il suo lavoro al meglio.
Lui continuava a stringerle i polsi per precauzione, in modo stretto ma non violento, come se stesse tentando di trattenersi con la forza.
-Dovresti smetterla di sfruttare i tuoi occhi in questo modo, oltre a rimanere cieco rischi di morire.-
Lui ringhiò leggermente, ma Kamiko era un pochino curiosa di sapere chi fosse.
-E’ innata?-
E quando glielo domandò la morsa divenne più stretta, per cui Kamiko capì l’antifona, basta domande, per cui smise di farne.
Cercò i nervi, le arterie, i capillari e la carne, facendo fluire il chakra nel modo giusto, ma era quasi impossibile. Gli occhi erano danneggiati, lei poteva solo alleviare il dolore e posticipare l’inevitabile per breve tempo. Era impossibile guarirlo, la malattia era allo stadio finale, e doveva immaginarlo anche lo straniero. Ecco perché era l'aveva chiamata. 
-E’ un conto alla rovescia, il tempo sta scadendo e non so quanto, puoi resistere ancora.- osservò la ragazza, percependo spasmi di dolore malcelati con forza dallo straniero. Le si strinse il cuore… forse per pietà. 
Caricò le dita di molto più chakra per alleviare le sue pene, ma un altro gemito le fece capire che lo straniero era messo molto male. Ed era anche troppo orgoglioso. 
Una vita nasce. Una vita muore. Le ripeteva quel bastardo. Non puoi salvarli tutti, Kamiko.
Diede fondo a tutto il suo chakra, ad ogni briciola di energia, a ogni pezzetto della sua essenza. Della sua anima.
E imprecò come un vecchio marinaio per la sua incapacità. Ma aveva anche il fiato corto, il cuore che accelerava i battiti e la voglia di respirare ossigeno a mille.
Le iridi sotto le palpebre guizzavano sotto il suo chakra e lei era ad un tanto così dal perdere il controllo della sua abilità. Per cui dovette interrompere in modo aspro e veloce, togliendo le mani per non rubare le memorie altrui, ma lui la trattenne.
-Cosa fai? Se continuo, invaderò la tua privacy! Era la tua condizione.- lo informò lei prendendo una boccata d’aria allo stesso tempo.
-Continua.- le disse distaccato.
Aveva una voce bassa, rauca e stanca. Un tono di voce che vibrava, ordinava e pretendeva. Ma lei non sarebbe stata al gioco.
Era esausta di combattere, anche con le ombre del passato.
-Non ce la faccio più, ho bisogno di riposo.- gli confessò con rammarico.- Non sono al massimo della forma, oggi.-
Lo straniero, improvvisamente, liberò le mani di Kamiko e respirò pesantemente.
-Riprendiamo domani.-
-Davvero? Mi vuoi morta?-
-La somma salirà.- replicò composto, come se l’unica ad uscirne dolorante fosse stata lei e non lui.
Più soldi significavano raggiungere la sua meta. Si avvicinava a lui.
Pagherai il prezzo delle tue azioni.
 
“- Uffa, mamma, non voglio entrare.- la voce stridula di Kamiko protestava per non entrare nella casa di quella gente.
-Smettila Kamiko, te l’ho già detto gli Uchiha non sono mangiatori di bambini.- la rimproverò Kaede dolcemente. Scompigliò i capelli castani-ramati della figlia di sei anni ed entrò trascinandola con sé.
La porta principale si aprì e da lì uscì una meravigliosa donna con un viso da angelo. Davanti a quella figura dal viso tanto dolce, la bambina si nascose dall’imbarazzo dietro le gambe della madre. Forse aveva parlato troppo presto e ad alta voce.
La madre le consigliava spesso di abbassare il tono della voce se desiderava essere ascoltata. Le urla generavano altre ultra.
-Avanti Kami-chan, non fare la timida adesso.- la incitò la donna, la bambina non accennava a muoversi. Con fare gentile, Mikoto s'inginocchiò sul pavimento per accarezzarle il viso paffutello. Appena la mano di Mikoto le sfiorò la guancia, Kamiko timidamente uscì dal suo nascondiglio.
- Sei una bambina veramente graziosa Kamiko, quanti anni hai?- le chiese dopo averla lodata.
La castana esitò un attimo, per poi sciogliersi come un ghiacciolo davanti a tanta premura. Era davvero una bella donna Mikoto Uchiha e il suo sorriso ispirava fiducia e amore.
Kamiko si affezionò subito alla donna, senza neanche accorgersene. Se solo sua madre fosse più come Mikoto, sarebbe andato tutto per il verso giusto.
La piccola Kamiko Kuran del clan Doshi ci sperava ancora. Voleva crederci fino alla fine. Sua madre era una brava donna, ma a volte era assente, come quando si perdeva a guardare le foto di suo padre e perdeva la cognizione del tempo.
-Ha la mia stessa età mamma.- una voce dietro la donna la fece sussultare.
Mikoto voltò lo sguardo verso suo figlio maggiore e lo guardò affettuosamente.
-Finalmente ti sei fatto vedere.- gli disse invitandolo a presentarsi.
Kamiko osservò il ragazzo dagli occhi di pece, e si accorse che quei due profondi pozzi rubavano la luce del sole e non ne restituivano il riflesso.
Erano gli occhi di un “mangiatore di bambini”.
-Kamiko, lui è Itachi, mio figlio maggiore.-
Kamiko fece un cenno con la testa e si strinse contro la madre. Non gli piacevano gli occhi di quel ragazzino, sembravano occhi da adulto. Non rispecchiavano la sua vera età.
-Lo conosco. E’ stato assegnato al Team 2 prima di tutti gli altri.- disse la ragazza, leggermente invidiosa.
Kamiko era ancora una principiante che non sapeva infilzare con un Kunai nemmeno un ramoscello o centrare un bersaglio. Secondo il suo maestro era fatica sprecata per lei allenarsi, non avrebbe avuto un futuro da ninja, era un’incapace. Ma a Kamiko non interessava granché, per lei colpire equivaleva a far del male.
E fare del male non era nelle sue intenzioni.
-Sì, ho un figlio prodigio.- scherzò Mikoto, facendo l’occhiolino a Itachi.
Lui non smetteva di fissare Kamiko e la ragazza si sentiva a disagio.
“Vuole mangiarmi il cervello.”
-Se mia figlia avesse un briciolo del talento di Itachi.- sospirò Kaede, fintamente frustrata. Con la mano dietro la schiena la incitò di avvicinarsi a Itachi, ma la ragazzina non si mosse di un centimetro.
Lui non le piaceva. Era troppo per lei. E il troppo era eccessivo.
-Se non vi dispiace, mi andrei a occupare di Sasuke.- si scusò Itachi come se fosse un adulto e se ne ritornò dentro l’abitazione. 
-Chi è Sasuke?- chiese Kamiko a sua madre.
Mikoto rise. –L’altro mio figlio, il minore. Ti piacerebbe conoscerlo?-
Appena sentì la parola bambino, Kamiko si illuminò in viso. –Mamma, posso, vero? Posso?-
-E me lo chiedi pure?- replico la donna sollevata che Kamiko stesse superando dei stupidi pregiudizi che i bambini le avevano inculcato. –Dai muoviti, però, che non abbiamo molto tempo.-
Kamiko annuì, superando la sua momentanea timidezza. Si tolse le scarpe e inseguì l’ombra di Itachi, trovandosi di fronte al bambino più bello su cui avesse posato gli occhi. Mikoto e Kaede rimasero fuori a parlare.
-Ma sei uno scricciolo.- disse Kamiko avvicinandosi alla culla, dove vigilava un Itachi sorridente che aveva occhi solo per suo fratello.
Sasuke aveva gli stessi occhi del fratello, ma talmente innocenti quasi da far piangere la piccola Doshi, che era sensibile alla vista dei neonati.
I bambini erano il futuro del mondo. I bambini avrebbero cambiato il futuro, non ci sarebbe mai più stata una guerra come quella in cui suo padre era perito.
Kamiko non avrebbe mai più visto morti disseminati per terra.
-Assomiglia a tua madre.- disse giocando con lui. Il bambino allungò le mani per prendere il dito di Kamiko, ma appena lei lo spostava, lui la inseguiva rapito dalle sue movenze.
Itachi non rispose, continuò a osservare suo fratello.
-Pensi anche tu che sono una mangiatore di bambini?-
Kamiko si immobilizò di fronte a quella domanda, ma rise per non essere scoperta. Eccome se ci credeva, anche tanto.
Itachi aveva proprio lo sguardo di morte che gli altri bambini temevano. Ma un bambino non dovrebbe vedere la morte. Dovrebbe giocare, ridere e scherzare.
Dovrebbe vivere.
-Ne ho sentito parlare.- si giustificò lei continuando a giocare con Sasuke.
Itachi alzò lo sguardo su di lei, impassibile.
-Tu giudichi Kamiko. Lo fai senza prove. Non vedi mai la verità che si cela dietro. Per te è tutto bianco o nero, non cerchi di capire cosa c’è in mezzo.-
Kamiko, offesa, gli lanciò un’occhiataccia.- Dove Non è un ragionamento sbagliato ciò che faccio io.-
Itachi fece le spallucce e tornò a occuparsi di Sasuke, ma prima le rispose, zittendola. –C’è sempre un perché, Kamiko Kuran.- “
 
-Sensei, mi sente?-
Cho le scioccò le dita per farla tornare con i piedi per terra.
Kamiko sbatté le ciglia confusa, non sapendo dove si trovava e cosa stava facendo. La pensione si era riempita di nuovo dopo che i due visitatori si erano rintanati nelle rispettive camere. Aoi-san aveva un sorriso a trentadue denti quando aveva scoperto che la sua pensione non era stata rovinata di un centimetro, e che gli avvertimenti del suo nuovo ospite erano soltanto rimandate, finché Kamiko li era di supporto.
I due stranieri avevano ordinato in camera e silenziosamente avevano pagato in monete d’ora, sia l’alloggio che Kamiko. La prima parte della sua ricompensa la ragazza lo aveva di già intascato, e l’altra era a fine lavoro.
Kamiko aveva sprecato il suo chakra, la sua energia, per alleviare il dolore di un paziente in gravi condizioni. Non c’erano soluzioni alla sua malattia. Era spacciato in ogni caso, stava prolungando solo le sue sofferenze.
Lei non era un medico, non aveva le giuste conoscenze per salvarlo, anche se nel profondo sperava di essere una soluzione.
“E se stessi aiutando un assassino?”
Non era la prima volta che era scesa a compromessi con la feccia della società, c’erano stati casi che aveva lavorato per i signori della malavita ed era stata pagata profumatamente.
Girava e rigirava il ramen con i bastoncini, come se dovesse trovare una soluzione. I soldi le servivano, ma i due stranieri non le piacevano.
-Kamiko-chan, il cibo si raffredda se non lo mangi subito. Te l’ho preparato con il cuore.- Il figlio di Aoi-san si abbassò sul bancone, all’altezza di lei.
-Mi è passata la fame.- disse a Choi e a Takane. -Vado a risposare, domani non so se riuscirò a muovere un muscolo.-
Lanciò delle monete, sia per lei che per la sua allieva, a Takan e se ne ritornò in camera salendo le scale. Cho avrebbe spazzolato l'intero menù in poco tempo, ne era sicura. 
Le camere erano vuote a parte la sua, che condivideva con Cho, e quelle dei due stranieri. Il ristorante era strapieno, la gente voleva davvero mettere qualcosa sotto i denti a basso costo, anche se il cibo era alquanto scadente.
La camera 13 era di fronte alla sua.
Lo straniero malato.
Lo osservò con la coda dell’occhio prima di entrare nella sua stanza.
Porta rossa. Il tredici incollato con noncuranza da Aoi-san. Profumo di sangue fresco.
Sangue?
Era per caso un cannibale? Non ricordava che fosse ferito da qualche parte.
Kamiko afferrò lentamente la spada, allarmata, e si avvicinò piano alla porta. Passi silenziosi e misurati, come quelli di un ninja.
Un anbu.
Ex anbu.
Anche lei aveva raggiunto Shisui prima di disertare. Ma Shisui si era allontanato troppo, si era buttato oltre il precipizio e non aveva fatto ritorno.
Itachi lo spinto.
Itachi Uchiha.
Lo sterminatore di una clan.
-Ehi, va tutto bene?- chiese con voce calma.
La sua mano tremava, non dalla paura, ma per l’effetto boomerang del Kochou. Stava arrivando il momento di pagare le conseguenze della sua abilità innata. Tra dieci minuti il suo corpo sarebbe stato in preda alle convulsioni.
Cedere e rubare.
Togliere e aggiungere.
Un ciclo non perfetto. 50/50 di possibilità.
Vivere o morire.
Il Kochou.
Nessuna risposta da parte dello straniero. Possibile che stesse morendo? E se così fosse? Di cosa si preoccupava?
Era tutto bianco o nero. Vittima e assassino. Pace e guerra. Ma… c’era anche il perché. E quel perché meritava risposte.
Kamiko si tolse un guanto e con tutta la forza che le rimaneva richiamò il suo chakra. –Missile palla.-
Sulla sua mano si formò una sfera grigia opaca, che roteava su se stessa in senso antiorario. Era grande quanto un pugno, perché non poteva attingere dalla riserva di chakra più del dovuto. La mano in cui teneva la spada era percorsa da piccoli tremolii, per cui dovette rimettere la katana al fianco e affidarsi solo alle sue tecniche.
Kamiko spalancò la porta con un calcio ed entrò nella stanza come un fulmine.
L’odore di sangue fresco era ancora più forte, come se qualcuno ci stesse facendo un bagno, e Kamiko cercò nell’oscurità la figura dello straniero.
Chissà perché gli piaceva starsene al buio?
Forse, per essere liberamente perseguitato dai suoi fantasmi.
Il tremolio si diffuse anche al braccio. Poi passò alla spalla.
Più il Missile Palla era attivo, più sarebbe stato doloroso proseguire.
-Non fare un passo falso, se vuoi vivere.-
Si trovò bloccata tra lo straniero e ad un kunai puntato, in modo alquanto deciso, a pochi millimetri dal collo. Era stato così silenzioso e rapido, che non si era nemmeno accorta di essersi trovata in trappola.
Si era nascosto dietro la porta. Mi stava aspettando. 
L’odore metallico era dietro a lei.
Era lui che profumava di sangue

Eccomi tornata! Ora che Kamiko lo ha incontrato, cosa farà? Riuscirà a smascherarlo?

 

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Capitolo 4
*** L'angelo che divenne assettato di sangue ***


                                                                                       
                                                                                       
 

L’angelo che divenne assettato di sangue

 
Una goccia le cadde proprio sulla spalla scoperta. E poi un’altra, come la pioggia.
Ma non erano lacrime. Erano gocce di sangue.
Lui era ferito.
-Posso aiutarti.- gli disse per tranquillizzarlo.
Fece sparire il Missile palla, almeno per recuperare energia, e abbassò le difese per mostrargli la serietà delle sue parole.
 
“-Sei troppo ingenua Kamiko-chan. I tuoi nemici ti sconfiggeranno facilmente se continui a dispensare aiuti ovunque.- la sgridò Shisui.
-Che male c’è? Posso essere almeno utile!-
-C’è, Kamiko-chan, perché non tutti vogliono essere salvati.- le spiegò Shisui, interrompendo bruscamente il loro allenamento. La rispedì a casa senza nemmeno salutarla adeguatamente.”
 
Non tutti volevano essere salvati, se le ricordava bene le parole di Shisui, ma fin al tradimento di Itachi non ci aveva mai pensato veramente. Nessuno desiderava assolvere i propri peccati, preferivano vivere a modo loro, con le colpe dei loro assassinii.
Se Itachi voleva davvero essere aiutato, le avrebbe chieste una mano, non avrebbe mai massacrato la sua famiglia, persone che aveva conosciuto, aveva visto ogni giorno e salutato con quel sorriso gentile e di cui aveva spento l'esistenza. Come si era dovuto sentire quando al mattino aveva baciato sulle guance sua madre e la notte stessa l’aveva accoltellata con un kunai sul petto? Si era sentito libero? Aveva sfogato la sua rabbia repressa?  E quando Shisui si era suicidato? Perché non era andato da lei per condividere il dolore?  Non avevano amato forse la stessa persona?
Prima della fatidica notte, perché non si era confidato con lei? Poteva dissuaderlo, fermarlo da qualsiasi azione troppo avventata. Lui non sarebbe divenuto un assasino, lasciando orfano il proprio fratellino che in futuro prossimo avrebbe covato rabbia e rancore. 
Gli occhi chiari di Kamiko si oscurarono, mentre il profumo del sangue si mischiava con il sapore atroce dei suoi ricordi. Aveva un kunai puntato alla gola e le intenzioni del suo avversario non erano dei migliori, ma ricordare a Shisui, aveva contribuito a pensare immediatamente ad Itachi.
Al traditore.
Assassino.
“Un conto in sospeso.”
Il Kochou ribollì nelle sue vene, come se fosse stato risvegliato dalle sue viscere con forza e violenza, e necessitava di essere liberato. Sfogato.
Tutta la sua stanchezza si dileguò, come se non fosse mai esistita e, esasperata, tentò di trattenersi. Tuttavia, tra lei e al ninja traditore c’era soltanto uno strato d’aria sottile che li separava, ma il ragazzo, cosciente di ciò che andava incontro, la teneva a debita distanza come se il solo contatto della sua  pelle potesse bruciarlo sul momento. Ma Kamiko non era stupida, sapeva da cosa stava lontano: dal Kochou.
Anche lui avvertiva che la sua tecnica innata stava cercando di avere il sopravvento, per cui la liberò lentamente, sempre con il kunai puntato alla gola.
-Non è necessario.- rispose alla sua offerta di aiuto di prima. Aveva una voce bassa e roca, come se non avesse mai aperto bocca negli ultimi giorni. Dovette strizzare gli occhi per intravedere almeno il contorno della sua figura nel buio pesto, quando si ricordò che la pagava il doppio per non aver nessun contatto visivo.
-Chiudi gli occhi.- gli ordino il ninja.
“Che stupida clausola!” pensò irritata .“ Ma a quanto pare sono al verde, per cui ti accontento.”
-Va bene.- rispose irritata, obbedendo, ma tenendo i sensi all’erta.
“Un traditore rimane sempre un traditore.”
Il buio si aggiunse al buio ma usò l’udito per percepire i movimenti del ninja che da dietro, le passò a fianco con il massimo delle disinvoltura e ,poi, si diresse verso il letto. Sentì lo scricchiolio del materasso per via del suo peso, il rumore metallo che veniva poggiato per terra e il trascinarsi di stoffa contro il pavimento in legno.
Kamiko era ferma, dritta, con le gambe che si appesantivano sotto il suo peso. Il Kochou le aveva consumato il novanta percento di energia, doveva riposare ma quell’odore acre di sangue, che impregnava ancora la stanza, la faceva rimanere incollata lì. Era il maledetto perché che si era insinuato nella mente da cui non riusciva a scappare.
Poteva tornarsene in camera, ma lui, silenziosamente, le stava dicendo di restare.
“Non lo fa, non vuole cadere in basso perché è orgoglioso, proprio come lui.”
-Tieni.- le disse il ninja, prima di lanciarle qualcosa in faccia. Kamiko lo afferrò al volo, grazie a tutti gli allenamenti dove aveva sottoposto il corpo a reagire ad ogni tipo di minaccia, anche ad occhi chiusi.
-Mi dovrei fidare?- gli chiese sarcastica.- Tu e il tuo compare siete traditori e il fatto che non vogliate farvi vedere vi rende ancora più sospettosi. Questo..- indicò la fialetta.- potrebbe essere anche del veleno.-
- Non fare tante storie, sono solamente vittamine. E se di avessi voluta morta, lo saresti di già.-
le disse pratico lui.
-Grazie per l'incoraggiamento.- continuò sarcastica lei.
Calò un silenzio pieno di tensione nella stanza, un breve momento in cui il Kochou si fece sentire.
Era sempre dietro all’angolo, pronto ad esplodere ad ogni segno di debolezza di Kamiko, come una iena che divorava la sua carcassa, si cibava del suo corpo e le lasciava lunghe cicatrici nella mente. A Konoha il Kochou era stato un’ottima risorsa durante la Grande Guerra, la famiglia Doshi aveva prestato servizio come raccoglitori di informazioni, avevano fatto il lavoro sporco degli anbu, interrogando e torturando i prigionieri di guerra. Con un tocco, la memoria dei nemici era la loro. Un tutt’uno con l’anima altrui. Due pezzi che si fondevano.
Due persone in una.
La distruzione dell’anima.
Per cui i nemici li avevano uccisi, ogni membro della famiglia, da bambini ad anziani, nessuno era stato risparmiato, eccetto sua madre, Kaede.
E anche Kaede era impazzita. Si era persa lungo la strada, le memorie degli altri l’avevano sopraffatta  Ora spettava a Kamiko subire la medesima sorte.
Il Kochou reclamava il suo tributo.
La scossa partì dagli occhi e si espanse per tutto il corpo, ogni nervo venne consumato, ogni cellula reagì come se fosse un esplosione chimica, ogni piccolo muscolo si paralizzò e Kamiko si trovò a ruggire. Anche il dieci percento di energia si era esaurito e per questo, il prezzo da pagare sarebbe stato salatissimo.
Il tremolio andava su e giù, dalla testa ai piedi. Il Kochou mangiava il suo deposito di chakra, lo stava succhiando trasportandolo al centro delle sue iridi, la culla dell’abilità. Doveva esplodere, scaricare l'energia altrove, ma fu travolta da un scossa di dolore, così indescrivibile che, appena due secondi dopo, si trovò sul pavimento in preda ad un attacco di convulsioni.
Il buio venne a mangiarla. La signora rossa le stava per fare visita.
Kamiko aveva fame di energia.
La sua testa roteava, i suoi occhi anche, e il corpo non rispondeva ai suoi comandi… la fialetta che lo straniero le aveva dato, scivolò dalla sua mano e rotolò lontano da lei. I rumori divennero ovattati e passi pesanti si avviarono velocemente dove si trovava Kamiko.
“Non ti avvicinare.” Voleva gridargli. “Il Kochou divorerà anche te.”
 
“Era stato Itachi a presentarle Shisui, in un bel giorno di primavera. Era ancora il periodo in cui lei detestava il genio degli Uchiha, ma dopo avere conosciuto Shisui, seppe che non era inferiore a niente e nessuno, anzi, era da temere.
Shisui era un portento, più grande di loro di tre anni, fedelissimo a Konoha e un ragazzo dal cuore d’oro.
Kamiko lo aveva ammirato immediatamente, appena aveva posato gli occhi su di lui, e anche se era nettamente più debole dei due ninja, aveva tenuto alto la bandiera dei Kuran. Certo, Itachi e Shisui la sconfiggevano ad occhi chiusi, non si sforzavano nemmeno a combattere seriamente con lei, ma la ragazza non demordeva. Era risoluta a superarli, anche se in cuor suo sapeva che non avrebbe mai raggiunto i ninja più forti di Konoha. Erano due passi in avanti a lei, sempre. 
Si immaginava che un giorno li avrebbe visti come futuri Hokage, uno dopo l’altro, con l’assoluta certezza che avrebbero evitato di creare altre guerre. Erano portatori di pace, messaggeri di speranza, le loro mani non si sarebbero mai macchiate di crimini contro l’umanità.
Shishui ne era una prova, evitava di uccidere il nemico, lo tramortiva solamente, almeno era quello che Itachi le diceva. Okay, erano parole che spillava con la forza e le minacce ad Itachi. Ma  era difficile far parlare Itachi, era un’ottima spia, un pezzo di granito composto, nemmeno una piangere serviva a niente, mentre Kamiko era più ingenua, molto più credulona, per cui era facile fregarla. Itachi e Shisui non erano molto chiacchieroni ma per quello ci pensava lei a rallegrare la loro giornata. Shisui l’aveva soprannominata “parlantina” e, avvolte, Itachi ci rideva  su quando scherzavano su stupidaggini, ma purtroppo succedeva anche raramente negli ultimi tempi, perché finivano sempre per allenarsi o a parlare di tragedie. Il loro solito appuntamento era di trovarsi verso il pomeriggio al  campo di allenamenti.
Kamiko si presentò un giorno al campo, dopo la sua prima missione. Non c’era nessuno, come sospettava, così si sedette ad aspettare, ma non arrivò né Shisui né Itachi.
La sua prima missione era stato un vero fallimento, a causa del suo compagno di squadra Toshi che aveva mangiato dei frutti e aveva avuto una reazione allergica, gonfiandosi come un palloncino rosso, lei e Ken avevano dovuto sbrigarsela da soli mentre il sensei portava in un villaggio vicino Toshi. Non era riusciti a trovare nessuna traccia del ladruncolo del Villaggio della Cascata, avevano perso le tracce e poi, nessun abitante era molto riluttante a parlare con dei bambini inesperti. Soprattutto con Ken le ordinava di andare a destra e manca, come se fosse la sua servitrice, alla fine Kamiko si era spazientita e gli aveva tirato un pugno, che senza volere aveva bloccato il suo chakra. E così, alla fine, avevano dovuto aspettare l’arrivo del sensei per sbloccare Ken, con tanto di rimproveri più tardi.
Kamiko sbuffò, alcune volte il Kochou era fuori controllo ma non le aveva mai dato grossi problemi.
-Se potessi farlo sparire, non ci penserei due volte.- si disse sconsolata. La sua schiena le stava facendo male per colpa della cattiva postura e se la massaggiò.
-Se mamma potesse insegnarmi a controllarlo, filerebbe tuto liscio come l’olio, ma è talmente occupata con le sue stupide missioni che l’avrò vista al massimo tre volte questo mese.- continuò a lamentarsi la bambina. –Accidenti, vi detesto ragazzi!-
Si alzò da terra e decise che era l’ora di andarsene, ma scosse la testa.
-Va bene, se mamma non vuole farmi da mentore, sarò un’autodidatta.-
Si guardò intorno per verificare che non ci fosse nessuno e prese un profondo respiro, come aveva visto fare a Kaede, e allargò le braccia per drizzare le mani a palmi aperti.
Tutta l’energia circolava negli occhi e la sua mente era una  porta per accedere al Kochou, con la massima attenzione si sarebbe lasciata andare. Doveva solo abbandonarsi al potere.  Avere un punto fisso, un’immagine a cui aggrapparsi.
Selezionò un ricordo tra tanti e si concentrò al massimo:
Erano lei, Itachi e Sasuke nel giardino degli Uchiha, stavano giocando, meglio lei e Sasuke si divertivano, invece Itachi leggeva un libro, tendendoli d’occhio. Sasuke era un piccolo ommetto paffutello che Kamiko amava da morire e le stava coricato sulle spalle, aggrappato come un koala, mentre Kamiko imitava un cavallo gattonando. Izumi li aveva appena raggiunti con dei dolcetti dentro una busta, i preferiti di Itachi.
Il ricordo era dolce, molto dolce, non il più adatto per risvegliare il Kochou.
-Cosa dice mamma? Ogni esperienza negativa influenza il Kochou? Uffi, non mi va di piangere!-
Ma dovette farlo, attinse dalla sua perdita più grande, quella di suo padre. I shuriken che volavano, il fuoco del nemico, suo padre che combatteva e Kaede che la proteggeva con un ninja-copia. Calci, pugni, grida.
Kamiko si sentì perforare quando l’eco del shuriken che aveva colpito il padre si palesò di fronte a lei. Un rumore sordo. Muto.
Il suono della carne che si lacerava. Dolore. Dolore.
Rabbia.
Odio.

Kamiko realizzò che stava funzionando, perché il suo corpo stava rilasciando chakra, sui palmi si erano appena materializzate due deboli sfere di colore grigio perla. Intensificò la rabbia.
Suo padre era stato assassinato. Colui che l’aveva ucciso era libero. Vivo e vegeto.
Le ossa del suo papà giacevano dentro una fredda bara. La terra era la sua compagna.
Aveva tanto freddo il suo papà? Perché la guerra si portava via gli innocenti?
Le deboli sfere raggiunsero le dimensioni di un pallone da calcio e nel momento stesso in cui il dolore riversava in lei, le sfere aumentarono il loro volume. Erano brillanti. Energia pura. 
"Magnifico!"
Non riusciva a fermarsi. Non voleva farlo.

Grosse nubi minacciose,v enute da est, stavano oscurando gli ultimi raggi del tramonto e, tra poco, la pioggia avrebbe accompagnato la sua rabbia.
Si accorse che era davvero tardi, doveva tornare a casa, ma non sapeva come cessare il Kochou. La sua tecnica si stava rivelando incontrollabile. 
Le stava rubando l'energia. 
Le piccole mani tremarono e il respirò accelerò,
 Kamiko scoppiò subito a piangere dalla paura. –Smettila, fermati. FERMATI!-
I suoi occhi assunsero la tonalità delle nubi, poi, piano piano persero la cromatura grigia per diventare bianche come la neve, con solo due anelli di fumo al posto dell’iride. Riusciva a avvertire l’energia intorno, ogni vita nel raggio di duecento metri. Era bellissimo e terrifficante nello stesso momento, ogni vita era energia, anche lei. Ma non poteva fermarsi, il Kochou non glielo permeteva. Era spaventata.
Riconobbe il tocco di due mani sulle sue, ancora prima della sua presenza. Era arrivato uno dei suoi angeli, quello detestabile però.
-Potrei farti del male.- gli disse in un sussurro la ragazzina. Lui scosse la testa, silenziosamente, e anziché ascoltarla, fece aderire i loro corpi come se fosse un abbraccio. Kamiko fu talmente sorpresa che divenne un pezzo di legno, mai aveva avuto un contatto ravvicinato con Itachi come in quel momento. Lui che era così distante e lontano, non permetteva a nessuno di avvicinarsi.  
-Ascolta la mia voce.- le disse all’orecchio, mentre il Kochou stava iniziando a rubare il chakra anche del ragazzo. Gli stava facendo male.
–Fai un respiro profondo, molto profondo per calmarti, come hai fatto prima per risvegliare il Kochou, ma questa volta deve essere inverso, trattenilo.-
-Fa male.- 
-No, se si alimenta da me.-

Voleva chiedergli come faceva a sapere che stava usando il Kochou, ma si zittì e presto attenzione ai suoi consigli. Itachi non se lo meritava, lui non doveva sacrificarsi per lei, il Kochou lo stava spremendo come se fosse un limone. 
Respirò ancora, chiudendo gli occhi, ma lo stesso riusciva ad ammirare l'energia che circolava nell'aria. Itachi aveva l'energia viola, del colore delle violette, e se ne innamorò di quel colore.  "Bellissimo."
Inspirò i profumi dei fiori, degli alberi, dell’umidità e quello di miele di Itachi. Sapeva di buono. Di pulito.

-Localizza i canali del chakra. Bloccali.-
Kami-chan trovò in canali con facilità, partivano dal cuore e si come una ragnatela si espandevano sul corpo, sulle punte delle dita dove le due sfere stavano roteando su se stesse. Il Kochou era negli occhi, nella sua mente.
Oltre all’energia di Itachi, grazie alla quale si stava rinvigorendo, un’ondata di ricordi la travolsero come un fiume in piena, si trovò impreparata e nuda. Stava rubando dalla mente di Itachi momenti privati, intimi. Suoi.
C’erano i suoi genitori, Sasuke ovunque, combattimenti, Izumi avvolta in una luce soffusa, Shisui e Itachi. E lei.
Kamiko aveva un posto speciale nei pensieri di Itachi, era la bocca della verità. Della stupidità. Rimase un po’ ferita dalle considerazioni che Itachi aveva su di lei e non volle scavare oltre, si ritirò in se stessa, perché stava violando Itachi. Non voleva sapere.
E lui se ne accorse.
-Concentrati.- le sussurro con uno sforzo enorme.
Kamiko annuì e con tutta la forza in corpo, più spirito di volontà, trovò l’accesso del Kochou e riuscì a chiuderlo.”
 
C’era tanta energia. Troppi ricordi.
Troppa violenza. Sangue ovunque.
Sulle pareti, sui letti, sul lavandino. Sui visi delle persone.
Lui era ricoperto di sangue. Piangeva.
Una bestia ha il diritto di piangere? Un demone può mai redimersi? Lo sterminatore di un clan?
Kamiko socchiuse gli occhi, non era stesa sul pavimento ma sopra un letto vecchio che scricchiolava, doveva dire ad Aoi-san che i letti andavano aggiustati, erano messi davvero male. Un’ombra si stagliava ai suoi occhi, contorni sfocati, lineamenti familiari, mani callose e morbide tenevano le sue.
-Non osare violare la mia mente, cacciatrice di taglie, me ne accorgerò se lo farai.- la minacciò freddamente lui, come se stesse giocando con la sua vita, ma in cambio le stava donando il chakra. Era una sorte di favore? La stava ripagando? 
Kamiko voleva ridere, ma la sua gola non glielo permetteva. Era secca e gonfia.
-Se ti dico che profumi di miele, mi ucciderai? E' forte, copre anche la puzza di sangue…- tossì, interrompendosi proprio sul bello. Stava per fare una battuta.
-Respira profondamente.- le consigliò lui con voce impassibile. Stava diventando tutto sfocato, le luci andavano e venivano… ma quella voce…
Impossibile…Il tono... la frase.
L'unico era...
-Sei tu?- domandò con la voce impastata. Lui sfilò le mani dalle sue, interrompendo lo scambio di chakra e così, il dolore crebbe, i tremolii stavano tornando, ma dice, testarda qual'era, che non sarebbe svenuta prima di aver avuto una risposta. Lo straniero, ammiccò ad un sorriso e le chiuse le palpebre con una mano. I
l sonno ebbe la meglio, oscurando la sua vita come tempo addietro. 

Ciao, è da tanto che non mi faccio sentire con questa storia ma sono molto occupata, spero che vi piaccia ;)



 

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Capitolo 5
*** E lui ti raggiungerà negli angoli sperduti della terra ***


 







                                                                                                   


E lui ti raggiungerà negli angoli sperduti della terra
 
 
-Abbiamo fatto tanta strada per nulla.- gli disse scocciato il suo compagno di viaggio. –Il viaggio per raggiungere questo posto dimenticato da tutti è durato due settimane, e solo per trovare una guaritrice, che, a quanto pare, è una tua vecchia conoscenza e sembra l’unica che possa alleviare il tuo dolore… E adesso vuoi andartene? Senza neppure continuare a mangiare il meraviglioso ramen della vecchietta.-
Kisame era sconcertato, irritato anche, non riusciva a comprendere il motivo per il quale famoso Itachi Uchiha stesse scappando con la coda tra le gambe. Semplicemente potevano rapire la ragazza, per poi ucciderla senza il minimo problema, ma l’Uchiha scosse la testa dicendo: - Non ci serve una zavorra fino al covo, specialmente una Doshi.-
Appena sentì il cognome dei Doshi, le orecchie di Kisame si rizzarono come quelle di un cane e una luce pericolosa illuminò gli occhi.
-Una vera Doshi nella stessa locanda, è un incontro voluto dal destino! L’ultima che ho incontrato, non aveva le rotelle così a posto per poter riuscire ad assaggiare il suo potere.-
Itachi, disinteressato, lo fissò con quegli occhi scuri, tetri e macabri. Non disse nulla, ma i suoi silenzi sostituivano migliaia di discorsi. Raccontavano tutto.
Era uno di poche parole Itachi Uchiha, ecco perché andavano d’accordo, non c’erano fraintendimenti,  discussioni stupide come con Deidara.
Era la pace assoluta. Un’oasi.
-Tranquillo, mica la voglio mangiare.- e gli mostrò una lunga fila di denti aguzzi e taglienti.- Samehada è quella più interessata.-
Indicò, in fondo alla stanza, la sua lunga spada avvolta tra le bende, che si era agitata la sera prima, quando la cacciatrice di taglie era entrata nel suo radar. Il Kochou era simile alla spada, assorbiva e assorbiva chakra fino a riempirsi ed esplodere. Una bomba ad orologeria, che veniva ricaricata con altro chakra. Mentre Samehada cedeva in parte l’energia al suo proprietario, il Kochou era simile ad una sanguisuga, succhiava da ogni fibra muscolare l’energia, tanto da essere un’arma abbastanza pericolosa per il proprietario stesso dell'abilità.
Sorrise.
Chiunque fosse questa Doshi dalla lingua lunga, Itachi le aveva ceduto parte della sua forza per salvarla, ma il perché l’avesse fatto gli era ancora ignoto. Chi non conosceva bene Itachi, vedeva solo uno spietato assassino dall’aria minacciosa, però, per lui, che di tempo ne aveva trascorso con il genio degli Uchiha, capiva che ad Itachi gli importava di quella donna.
In passato era stata qualcuno di speciale, in effetti, non era la solita estranea con cui si intratteneva, ma una persona a lui cara... se no, perché disturbarsi tanto a ricaricarla come se fosse una batteria?
 “Erano amici?”
Osservò attentamente il suo compagno di viaggi mentre, con lo sguardo vuoto, fissava dalla finestra i palazzi circostanti. I suoi occhi erano tristi… pieni di nostalgia.
Come se avesse appena ritrovato un pezzetto di sé.
Un’amante.
La Doshi era stata una sua vecchia fiamma, ci metteva la mano sul fuoco.
“Ma guarda un po’, anche il solitario Itachi Uchiha si preoccupa di qualcuno.”
Kisame prese una mela dalla borsa da viaggio e la morse con i suoi denti affilati, senza perdere mai il ghigno dalla faccia. Sotto le bende, Samehada si agitò, e capì perfettamente che non era l’unico affamato nella stanza.
“La situazione diventa sempre più intrigante.”
 
“-Itachi!.- pronunciò con quella bellissima e dolcissima voce Sasuke.
Itachi si voltò di scatto ed i suoi occhi scuri brillarono intensamente. Era stato via settimane per una missione e rivederlo lo metteva sempre di buon umore.

Si sentì scoppiare dalla felicità, ma la trattene quando il suo fratellino comparve con Kamiko Kuran, la figlia di Kaede Doshi, mano nella mano. Suo fratello saltellava con un lecca-lecca in mano ma, poi,  lasciò la mano di Kamiko e prese la rincorsa verso di lui. Itachi allargò le braccia e lo prese al volo, facendolo roteare per aria.
Le risate spensierate di Sasuke cancellarono qualsiasi traccia di stanchezza dal suo corpo, era come se non si fosse mai allontanato da casa.
Kamiko li raggiunse poco dopo, con il sorriso sulle labbra e un altro lecca-lecca sigillato. Glielo porse, come offerta di pace.
-Congratulazioni, ho sentito che hai avuto successo!- gli disse sorridendo a trentadue denti, ma c’era qualcosa di molto forzato nella sua postura, come se gli costasse parlagli.
-Come sempre.- gli rispose freddamente il maggiore degli Uchiha, non certo per vantarsi, ma per vedere la sua reazione, che fu immediata: i muscoli della sua faccia si irrigidirono.
Kamiko strinse il lecca-lecca. -Per te.-
Itachi voleva rifiutare per davvero il suo regalo, ma Sasuke lo incitò a prenderlo. –L’ho scelta io fratellone, è il tuo preferito, gliel’ho detto anche a Kami-chan, ma non mi ha creduto...-
Era così
ingenuo il suo fratellino , che gli faceva male il cuore a dirgli di non frequentarla più, perché Kamiko non era una brava persona: lei aveva una bocca larga e velenosa. Tenma gli aveva consigliato l’altro giorno di non averci nulla a che fare, perché aveva sparso in giro che gli Uchiha erano davvero mangiatori di bambini.
Itachi non gli aveva creduto, per quanto Kamiko gli stesse poco simpatica, non avrebbe mai detto nulla per danneggiare Sasuke. Era vero che con Itachi era fredda e scostante, ma con Sasuke aveva tutt’altro rapporto, Kamiko impazziva per il suo fratellino.
Ma… l’aveva vista. Lei con la sua aria da petulante, rideva delle battute delle sue amichette senza il minimo problema.
“E’ lui il mangiatore dei bambini.
Ha lo uno sguardo cattivo.”
Fece scendere su fratello e gli disse di entrare in casa. Sasuke si lamentò, voleva allenarsi con lui e Itachi glielo promise per il giorno successivo. Con l’indice e il medio picchiettò sulla testa del fratellino.
-Me lo prometti?- gli chiese diffidente Sasuke.
-Sì.- rispose solennemente.
Appena Sasuke rientrò, Itachi si voltò tranquillamente verso Kamiko. Era da un anno che la conosceva, ma si erano scambiati al massimo due o tre saluti. Non sapeva che tipo fosse per davvero, ma dopo oggi avrebbe perso la sua maschera da brava ragazza.
-Non voglio che tu continui a vedere Sasuke.-
-Cosa? Perché?- domandò sorpresa la ragazzina. Era poco più bassa di lui, avevano stessa età, ma lei non era molto intelligente, anzi, apriva la bocca inutilmente.
- E’ lui il mangiatore dei bambini. Ha uno sguardo cattivo.- ripeté gelido Itachi le stesse frasi usate per schernirlo. Kamiko sbiancò in volto e il lecca-lecca, che aveva in mano, le cadde per terra.
Il sole stava tramontando, era un bel pomeriggio estivo, ma davanti all’entrata degli Uchiha era sceso il gelo.
Itachi stava aspettando delle giustificazioni che non tardarono ad arrivare, infatti Kamiko abbassò gli occhi per terra, colpevole, e si mise torturare la gonna nera.

-Io… cioè… hai sentito a Mikan.- sospirò pesantemente la ragazza. –Mi spiace.-
-Hai riso.- gli fece notare semplicemente lui, come se non gli importasse nulla, ma non era così...
Se Sasuke le avesse sentite? O suo padre? Non erano abbastanza gli sguardi diffidenti degli abitanti di Konoha? Perché tutti si accanivano contro la sua famiglia?

-Mi tratti come se fossi il tuo peggiore nemico.- continuò il ragazzo, pensando a tutte le ingiustizie che dovevano subire. Erano la polizia segreta, proteggevano il confine ma tutti a Konoha sapevano il loro vero ruolo: cani da guardia.
-Ti ho mi fatto del male?-
Kamiko sbarrò gli occhi, come se fosse stata colpita da un fulmine e si morse il labbro inferiore.
Scosse la testa. –Mi dispiace, non avrei dovuto ridere… io… volevo solo parlare con loro. Non è facile per me essere l’ultima ruota del carro.-
-Non è buona motivazione per ridere alle nostre spalle! La verità, Kamiko Kuran, lo sai meglio di tutti, non mi sei mai piaciuta, ma ho sempre avuto rispetto e la tua famiglia.-
Kamiko annuì lentamente. -Lo so e mi dispiace tanto… ma ti prego, non vietarmi di vedere Sasuke, è come un fratellino per me.-
-Perché hai riso allora?-
-Perché sono una persona stupida che vuole semplicemente farsi degli amici!- gridò Kamiko frustrata.
Era così che si sentiva? Sola? Abbandonata?
Era una sensazione molto familiare... sentirsi solo con tante persone che lo circondavano, soffocare mentre respirava e voler urlare in mezzo alla folla .
Il mondo era sordo. Gli esseri umani ciechi.  Itachi era solo proprio come lei.
Il giovane ninja sviò gli occhi da Kamiko, che si erano riempiti di lacrimoni, e guardò in alto, verso la montagna dov’erano scolpiti i volti degli Hogake. Potenti, misericordiosi ed eterni.
Itachi era invidiato. Odiato. Amato. Idolatrato dalle ragazze.
Era un onore per la casata.
Un promettente ninja per il futuro.
Un probabile Hogake.

-Che facciamo Itachi... vuoi essere tu il mio primo amico?-  scherzò tristemente Kamiko, tirando su con il naso.
Il genio degli Uchiha, riportò gli occhi scuri sulla ragazzina e la squadrò con molta circospezione. Si memorizzò ogni dettaglio del suo viso, delle sue iridi chiare, del suo corpo piatto e non sviluppato, e si decise.
-Sì, voglio essere tuo amico.-
Kamiko sgranò gli occhi incredula e dopo un paio di secondi scoppiò a ridere dal sollievo.
Di sicuro, era stata la peggiore scelta della sua vita, ma andava bene così, era pronto ad assumersi tutte le responsabilità.”
 
Quando si risvegliò, Kamiko urlò, era come uscire da un brutto incubo.
Era nella sua stanza, la riconosceva: con le sue pareti giallastre, il mobilio vecchio e consunto, due letti singoli cigolanti, un armadio in legno e il bagno di un metro per un metro.
Aoi-san doveva davvero fare una bella risistemata alla locanda, sembrava più una baracca decadente e fatiscente con i suoi colori cupi e tetri, per non parlare che cadeva a pezzi e se non fosse per la loro ottima cucina, la locanda avrebbe chiuso i battenti da un po’. Cho le saltò addosso come se niente fosse, non tenendo conto del suo peso non troppo leggero, e l’abbracciò.
-Non respiro.- si lamentò Kamiko, ma ricambiando l’abbraccio.
-Da quanto dormo?- le chiese per capire che giorno fosse.
L’allieva scrollò le spalle. – Un’intera  giornata, ma ti giuro, mi hai fatto prendere un colpo. Credevo che fossi morta quando quel tizio strano ti ha portata qui.- piagnucolò la sua allieva. L’unica che avesse mai avuto e si era promessa anche l’ultima, non voleva problemi da risolvere, non fin a quando la sua missione suicida non sarebbe stata portata a termine.
-Quale tizio strano?- chiese stordita Kamiko.
Aveva un vuoto di memoria, l’ultimo ricordo risaliva a... va bene, aveva guarito il nukenin, pagato Aoi-san e poi… cosa? Perché tutto si fermava lì?
Cho si allontanò per farla respirare e si sedette comodamente sul letto, che protestò con un brutto cigolio. Kamiko evitò di dirle che stava cadendo a pezzi ma
non era proprio in vena di bisticciare con la sua allieva.
-Alto, moro, di bell’aspetto e con due profonde occhiaie, sembrava che non dormisse da una vita. Non te lo ricordi? Era più esausto di te quando ti ha trasportata in camera.-
Lei scosse la testa.
-Era il nukenin che hai guarito l’altra sera.- le rivelò Cho impaziente. La sua allieva era sempre diretta, alcune volte anche troppo, ma non era cattiva, soltanto un po’ istintiva, agiva senza mai pensare come contro Xorra. Sarebbe potuta morire se Kamiko non avesse perso il controllo.
Ripensare a Xorra la mise di pessimo umore. 
“Avrei potuto ucciderlo, kami celesti!”
-Perché sarei dovuta essere in sua compagnia?- chiese più a se stessa che a Cho.
Non avrebbe mai trascorso la serata con un traditore, non quando il solo pensiero le faceva venire i conati di vomito e le ricordava ciò che doveva compiere.
Uccidere il suo ex migliore amico. Lo sterminatore degli Uchiha.
Colui che aveva costretto Shisui ad andarsene per sempre.
-Ci sarai andata a letto?- ipotizzò la ragazzina, ma si beccò come risposta un pugno di testa.
-Hai un po’ troppa immaginazione!-
Cho la fulminò con gli occhi. – Non è colpa mia se tu eri svenuto e lui a pezzi, che tipo di conclusioni potrei trarre se non mi dai qualche indizio?-
-Nessuno, se ci tieni alla tua pellaccia.- la sgridò Kamiko, ma i suoi occhi non erano seri, anzi, si sentiva bene. Rigenerata.
Ricaricata.
Riposata.
Arrivò un flash improvviso.
Il Kochou.
Il dolore.
Il sangue.
Miele.
Il suo olfatto poteva ancora percepire una leggera traccia di odore sulla sua pelle.
Si annusò i polsi, i palmi e infine la maglia... C’era ancora il sentore di miele.
“I suoi modi… erano simili a quelli di lui.
Inorridita si strofinò le mani, le braccia, si graffiò il viso e si strappò la maglia con rabbia.
Cho si alzò spaventata, come se Kamiko fosse posseduta dal demonio, ma la realtà era un’altra: il male l’aveva toccata. Le mani che avevano strangolato vittime innocenti avevano sfiorato i suoi occhi, le sue labbra... la sua pelle era contaminata.
Lei era contaminata dalla spazzatura.
-Kami-chan, fermati!-
Il mostro che si fingeva normale, che con tanta naturalezza le aveva chiesto di essere amici, di vedere oltre la superficie o le aveva insegnato ad amare il mondo, si era finalmente mostrato di fronte a lei.
L’aberrazione era stato nella sua stessa stanza.
“Gli ho offerto il mio aiuto e ho condiviso con lui la stessa energia.”
Si tolse i pantaloni e rimase soltanto con la biancheria intima, mentre tremava tutta.
“Avrei potuto ucciderlo se lo avessi saputo. Era lui? Devo accertarmene.”
-Sensei, cosa fai?- chiese preoccupata Cho.
Kamiko si sfilò i guanti lunghi e lasciò che la sua pelle respirasse l’aria. Il suo odio che cresceva a dismisura.
Il Kochou non si agitava nelle sue vene, nei suoi muscoli, era sazio di chakra.
Del chakra della bestia.
La stessa bestia che aveva strappato la felicità del suo scoiattolo. Il piccolo Sasuke che adesso come obiettivo aveva quello di vendicarsi.
Non ci aveva creduto con quando si era alleato con Orochimaru e aveva tradito Konoha. Non lo aveva mai immaginato capace di tanto, ma un po' se lo aspettava, l’odio bruciava le viscere ad entrambi.
“Avrei potuto salvare Sasuke se fossi rimasta?”
Era tutta colpa di  Itachi.
Dell’innominabile.
Lui aveva rovinato la loro felicità. E meritava di morire.
“Aspetto questo giorno da troppi anni, non mi scapperà più.”
Cercò determinata nell’armadio dei vestiti comodi di ricambio  ma tutto ciò che prese furono: un paio di pantaloni neri lunghi, una canotta blu e gli stivali con il tacco.  Si vestì in pochi secondi e, successivamente, si accorse che la sua katana mancava tra le armi.
Si diede della stupida, se lo era scordata nella stanza del nukenin, ma dalla rabbia uscì dalla stanza.
-Vattene da qui, nasconditi il più lontano che puoi. Capito?- le disse Kamiko a Cho. Alla ragazza ci volle qualche attimo per capire la situazione, ma poi non fece domande, perciò ne fu sollevata.
-Se non ti contatto entro domani, torna a Konoha… intesi?-
Cho annuì vigorosamente, con il cuore a pezzi.
Niente lacrime, l’aveva avvertita quando si erano presentate, una situazione del genere sarebbe successa prima o poi.
Solo un cenno, nessun convenevole, come se fosse tutto questo fosse normale. Ma non c’era niente di normale nella morte che toglieva ogni membro della famiglia, ogni amico o conoscente. La morte era naturale in sé, ma malata per i vivi.
La sua morte aveva il nome di Itachi Uchiha.
Se era lì, dall’altra parte della porta rossa, esisteva un unico modo per scoprirlo, cioé affidarsi alla tecnica che la massacrava ogni giorno: il Kochou.
E l'unico modo per poter sfuggire allo Sharingan serviva il dolore. Per contrastarlo si doveva ferire.
Il Kochou era inutile di fronte alle tecniche illusorie, era banale in confronto allo Sharingan. Era come un topo davanti ad un leone.
Kamiko Kuran bussò e attivò il Kochou.
Lui era suo.
 
-Se usassi lo Sharingan nei nostri allenamenti, saresti spacciata.- le disse Shisui serio.
Kamiko batté i piedi frustrata. – Come pensate migliorerò se non date il vostro massimo? E se un giorno dovessi essere il vostro nemico? Come farei ad affrontarvi?-
-Kamiko, non utilizzerò lo Sharingan solo per un tuo capriccio.- continuò Shisui, irremovibile nella sua decisione.
Kamiko alzò gli occhi al cielo. – Smettila di pensarci troppo, non sono così debole.-
Aveva provato a convincere Itachi, ma il grande genio non le aveva nemmeno risposto, e così l’aveva torturato parlando all’infinito senza fare pause ma si era sbagliata, Itachi era si era inetestardito.
Shisui però era peggio di lui.
-La mia risposta è ancora no, perché lo Sharingan non ha effetti collaterali solo su di te, ma si ripercuote anche su me.-
-Mi stai dicendo che potresti morire se lo usi troppo?- chiese angosciata la ragazza.
Shisui non confermò nulla, ma dal suo sguardo Kamiko capì tutto.”
 
La malattia aveva un nome. La rabbia anche.
La vendetta, chi lo sa.
Itachi Uchiha stava morendo, lentamente, grazie all’abilità innata della sua casata. La maledizione degli Uchiha si era finalmente avverta.
Non poteva essere più che contenta, ma perché le si era formato un groppo in gola?
 
“Non c’è spazio per il perdono in questo mondo spietato,
dal momento in cui nasci al mondo, la tua vita è intrisa di sangue e menzogne...
e la tua anima si sta corrodendo lentamente, esattamente come la mia.
Rincorrimi, Kamiko, fallo finché non avrai più fiato in gola
e la tua carne diverrà mangime per i vermi.”


 
Eccomi tornataa, spero che vi piaccia.

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