Inevitabili

di LoveLustHateDesire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Papa don't preach ***
Capitolo 2: *** "Tutto come cinque anni prima" ***
Capitolo 3: *** Come due calamite ***
Capitolo 4: *** Amy. ***



Capitolo 1
*** Papa don't preach ***


Papa, I know you're going to be upset 
'Cause I was always your little girl 
But you should know by now 
I'm not a baby 
“Quando avevi più o meno cinque anni, portai te e tua sorella a una partita degli Indians. Gli altri papà erano lì con i loro ometti, ma a me bastavano le mie principesse. Tua sorella seguì tutta la partita, ma tu ti addormentasti in braccio a me. Continuavo a sperare che non ci fosse nessuna azione avvincente, non volevo che gli spettatori facessero troppo chiasso: ti avrebbero svegliata. Invece niente, rimanesti addormentata in braccio a me fino alla fine della partita.”
Quinn lo ricordava benissimo, non aveva di certo bisogno che lui glielo rammentasse. Sapeva di aver fatto davvero un bel casino. E si sarebbe aspettata davvero di tutto, ramanzine, sfuriate, guerre del silenzio, commenti acidi per i successivi dieci anni, tranne essere sbattuta fuori casa.
E quando le disse “Anche tu. Esci subito da casa mia.” non riuscì a credere alle proprie orecchie.
Stava succedendo davvero a lei?
Il padre perfetto, orgoglioso delle proprie figlie perfette, orgoglioso della propria moglie perfetta, era davvero lui?
You always taught me right from wrong 
I need your help, daddy please be strong 
I may be young at heart 
But I know what I'm saying
 
Lei aveva bisogno di lui. Ne aveva un bisogno vitale, e glielo disse: “Sono tua figlia. E ti voglio bene, lo so che deve essere molto difficile per te, ma ora ho solo bisogno che il mio papà mi abbracci, mi stringa forte e mi dica che andrà tutto bene. Ti prego.”, ma l’unica cosa che ottenne fu un’occhiata delusa.
Delusa?
Le crebbe dentro una rabbia così vera, così reale, che se si fosse materializzata sarebbe stato un incendio tale da mandare a fuoco l’intera casa perfetta dei Fabray.
Ma era solo l’inizio e, in qualche modo, dopo la fantastica uscita del padre, Quinn capì che avrebbe dovuto aspettarsi di peggio.
La madre la guardò negli occhi per qualche secondo, sulla porta, mentre il padre la avvertiva che aveva trenta minuti per fare le valigie, e l’unica cosa che Quinn riservò a sua madre fu uno –Stronza. –  sentito, vivo, potente.
Poi si voltò, e vide il padre mettere il timer al microonde. –Valgo così poco?! – Esclamò. –Sono giovane e ho fatto un errore, è vero, ma valgo così poco?! Tua figlia, papà, vale davvero come un impiegato che hai licenziato? Certo, - Sospirò. – certo, che vale così poco, avevi in programma di farmi sposare al figlio di uno dei tuoi soci, è vero? Ma non sai se va bene una sposa non vergine, non è così?
La madre, il padre e Finn stesso rimasero immobili a quelle parole.
Quinn lo guardò così a lungo, con uno sguardo così pieno d’odio che, a confronto, lo “stronza” alla madre sembrava un complimento.
-Credevi che non me lo aspettassi, vero? Sono cresciuta, non credo più alle favole! Se solo Frannie sapesse, se solo Frannie sapesse.. – Ripeté, incredula, salendo di corsa le scale.
-Finn! Muoviti a darmi una mano!
The one you warned me all about 
The one you said I could do without 
We're in an awful mess, and I don't mean maybe - please 
 
Noah Puckerman era il padre di sua figlia.
Noah Puckerman non era mai piaciuto a suo padre, e gli sarebbe piaciuto ancora meno, se solo avesse saputo.
Noah Puckerman non sarebbe piaciuto a nessun genitore per la figlia, a dire il vero, e Quinn lo sapeva benissimo, ma per qualche strana ragione, lo stesso Noah Puckerman, piaceva un sacco alle ragazze.
Ed era vero, Quinn ne avrebbe potuto fare a meno, avrebbe potuto vivere benissimo senza Noah Puckerman, ma forse era proprio questo a renderlo così attraente ai suoi occhi: il fatto di non averne bisogno.
Lei non aveva bisogno di nessuno per essere felice, salvo una persona.
L’unico individuo a cui aveva lasciato la facoltà di avere qualche potere reale su di lei.
L’unico ad aver tradito la sua fiducia di bambina, facendole un torto a cui non avrebbe mai potuto rimediare. Non che fosse intenzionato a farlo. Ed era questo che faceva più male. Non gli era neanche balenata per la testa l’idea di accettarla, e di accettare con lei e il suo pancione, la sua bambina, sotto il suo tetto.
Lui la voleva sposata al figlio di un suo ricchissimo socio? E lei, per avere il suo amore, la sua attenzione, la sua approvazione, avrebbe dovuto sposare il figlio di un suo ricchissimo socio.
Come se fossero stati nell’Ottocento.
E lo odiava per questo, non per come era, un vecchio bastardo immolato ai soldi e al suo tornaconto, il cui unico obiettivo era quello di mantenere l’immagine perfetta e immacolata del marchio Fabray, ma per non essersi mostrato così com’era fin dall’inizio. Lo odiava per la sua ostentata ipocrisia.
 
Papa don't preach, I'm in trouble deep 
Papa don't preach, I've been losing sleep 
But I made up my mind, I'm keeping my baby, oh 
I'm gonna keep my baby.
 
La madre di Finn non l’aveva lasciata sola, la madre di Puck non l’aveva lasciata sola, la madre di Mercedes non l’aveva lasciata sola.
Perché lui sì?
Perché da lui non aveva avuto il diritto di avere un po’ di compassione per uno sbaglio fatto da ragazza?
Era qualcosa che l’avrebbe tormentata per sempre, ne era certa.
Una questione irrisolta, qualcosa di non concluso. E Quinn doveva andare avanti, in qualche modo, ma come poteva se non aveva chiuso definitivamente con il periodo del liceo?
Decise che doveva dare un taglio, a quella storia. Glielo aveva detto anche Shelby, a suo tempo, “La prima cosa che bisogna fare per diventare adulti? Smettere di incolparsi per gli errori commessi da ragazzini.”.
Shelby lo aveva fatto, Noah lo aveva fatto, il signor Shuester lo aveva fatto, persino Emma Pillsbury lo aveva fatto, ma lei, Quinn Fabray, non ci riusciva. Aveva chiuso con la Quinn che voleva vendetta, con la Quinn che voleva essere reginetta del ballo ad ogni costo, aveva chiuso con la Quinn in carrozzella e con la Quinn che doveva essere la prima in tutto.
Ma con la Quinn madre di Beth Corcoran, con quella ragazza, non ce la faceva proprio a tagliare i ponti. Non riusciva a spiegarselo razionalmente, ma sapeva, in qualche modo, che quella ragazza non aveva commesso un errore improvviso, che quell’errore avrebbe voluto ripeterlo per altre mille volte, se solo avesse potuto. 



CIAO PERSONE!!!
Allora, sono anni che non entro su efp, ma avevo tra i documenti di una vecchia cartella questa raccolta di racconti che avevo scritto su Quinn e Puck e mi son detta -Perché non pubblicarla?-.
PResto pubblicherò il secondo "capitolo"!
Per qualunque cosa, recensite, mi farebbe daaaaavvero piacere!
Beatrice

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Capitolo 2
*** "Tutto come cinque anni prima" ***


Il sole splendeva alto.
Una mattina di maggio, il cielo terso, qualche nuvola, un vento debole, gli alberi in fiore, qualche petalo che cade per terra.
Quinn usciva dall’ultima lezione del mattino, con i libri tra le braccia e la risatina “alla Quinn”.
I capelli biondi, lunghi, brillavano sotto la luce del sole e si muovevano seguendo l’oscillare della sua testa mentre rideva. Indossava la solita gonna né troppo lunga né troppo corta e una camicia blu notte.
Lui la guardava da lontano con le mani nelle tasche, osservava il suo volto cambiare espressione ad ogni persona che le si avvicinava, osservava i ragazzi provarci con un’elegante discrezione e lei allontanarli con una discreta eleganza.
Parlavano una lingua, ma in realtà ne capivano un’altra.
Forse era per questo che Quinn funzionava così bene nel quadretto: lei era sempre stata così. Era nata per quell’ambiente. E lui era nato per pulire le piscine.
Semplice, lineare. Due linee parallele che non si incontreranno mai, fatta eccezione per una piscina sporca.
E allora perché era lì?
La sopracciglia di Quinn si aggrottarono, le labbra le si arricciarono a papera e la sua mano corse istintivamente al fianco. Lui sorrise beffardo.
L’aveva visto e, tipico di Quinn, gli stava andando incontro svogliatamente ma con decisione.
Arrivò davanti a lui, lo guardò per interminabili secondi, lui accennò una risatina e lei sospirò.
Si erano mollati pochi mesi prima, era evidente che tra loro non avrebbe mai funzionato, dopo tre anni di continui tira e molla, Quinn aveva preso la sua decisione, una scelta che avrebbe dato una svolta decisiva alla sua vita: chiudere con Noah Puckerman.
Quindi, ritrovarselo fra i piedi in un momento che tutto era, fuorché opportuno, non le andava molto a genio.
-Puck. Che ci fai qui?
-Devo darti una cosa da parte di Shelby. – Le rispose, mettendo la mano in tasca. Tirò fuori un test di gravidanza.
Quinn scosse la testa, come a dire che non capiva, ma sbiancò appena lui disse: - Non credevo che l’avessi conservato.
***
Incinta.
E’ il quarto maledettissimo test che provo e la barretta è sempre, inequivocabilmente, blu.
Merda.
Afferro il cellulare e digito il primo numero che mi viene in mente.
-Quinn?
Quando sento la sua voce, realizzo che non voglio che lo sappia. Realizzo che di Noah Puckerman non mi fido, che ho fatto una cazzata e che lui non lo deve sapere.
-Puck, perché mi hai chiamata?
-Eh? Ma che dici?
-Oh, ti sarà partita inavvertitamente una chiamata. Ci vediamo a scuola.
-Ehi, Fabray, non att.. – Premo il tasto rosso prima di poter sentire la sua voce chiedermi di non mettere giù e i miei occhi ricadono sul test.
Il telefono squilla, ma lo sento lontano, lontanissimo, quasi fossi in una bolla.
Mi accarezzo il ventre, ma appena capisco che quello è istinto materno ritraggo la mano, spaventata.
Stupida, stupida, stupida. Con Noah Puckerman?! Fra le tante persone, con Noah Puckerman?
Ma dove avevo la testa?
Nella mia mente si delinea un piano perfetto.
Abortisco.
Non lo viene a sapere nessuno.
L’incontro con Puck cade nel dimenticatoio.
Sposo Finn.
Perfetto. Peccato che Puckerman non sembri essere dello stesso parere.
-Cosa c’è? – Dico scocciata, rispondendo al telefono.
-Mi è partita inavvertitamente una chiamata? Ma davvero? Avanti, Quinn…
-Quando mai ho avuto bisogno di te io, eh? Cosa c’è adesso, ti faccio pena? No, Puckerman, ti ho detto che ti è partita inavvertitamente una chiamata? E allora ti è partita inavvertitamente una chiamata. Punto.
-Ehi, ma che hai? Stai bene?
-Ciao Puck. – Dico, lanciando il cellulare per terra e scoppiando in un pianto isterico.
Fanculo.
La mia vita perfetta, il mio ragazzo perfetto, la mia famiglia perfetta, il mio nasino perfetto, i miei capelli perfetti, i miei voti perfetti. Non è servito a niente!
Una vita all’insegna della popolarità e del non fare casini e poi?
E poi ti ritrovi a dover condividere il ventre con una cellula metà tua e metà di Noah Puckerman.
Che cosa imbarazzante.
Porto in grembo il discendente di Noah Puckerman, oh mio Dio.
Che poi come lo potrei spiegare a Finn?
“Mi sentivo grassa ed ero ubriaca, il tuo migliore amico mi ha fatto due complimenti e siamo finiti a letto”?
No, non è andata esattamente così.
Butto tre dei quattro test di gravidanza e corro in camera, poso il primo test nel cassetto del comodino, lo chiudo a chiave e scendo a cena.
***
Quinn si passò una mano sulla viso, con un sospiro.
-Ho bisogno di un margarita.
-Oh, beh, okay. – Rispose lui, seguendola.
Quando furono seduti, l’uno davanti all’altra, lui decise di aprire bocca: - Mi ha chiesto di darti anche questa. – Le porse una busta, lei la prese e la mise nella borsa. –Credo che dovresti aprirla adesso.
Il cameriere portò il margarita e il bourbon, li posò sul tavolo e lei ne bevve avidamente un paio di sorsi.
Frugò nella borsa e ne estrasse la busta bianca. Piccola, di una carta ruvida, apparentemente grezza, ma in realtà di quelle che costano davvero tanto.
La sfiorò con un dito, disegnandoci dei piccoli cerchi.
Lui la osservava, curioso di scoprire quando avrebbe trovato realmente il coraggio di aprirla, e si dipinse un sorriso sul suo viso, piccolo, appena accennato, ma lei se ne accorse e lo fulminò con lo sguardo.
Uno sguardo talmente cattivo, fulmineo e istantaneo che il sorriso gli si congelò sulla faccia trasformandosi in una smorfia.
Improvvisamente, espirò e l’aprì. Ne tirò fuori una foto. La guardò, e sorrise. Non uno dei soliti sorrisi di Quinn, quelli falsi, fatti per apparenza. Era molto meno appariscente, molto più dolce, una dolcezza che avrebbe fatto sciogliere chiunque, una dolcezza delicata che non vuole mostrarsi, quasi fosse timida.
-Ha i tuoi capelli. I tuoi occhi. La tua determinazione. E’ una piccola Quinn Fabray.
-No, non è una piccola Quinn Fabray. E’ Beth. – Disse, sovrappensiero, e Noah si stupì per la sua spontaneità. Lei continuò a osservare la foto, quasi volesse consumarla con gli occhi, -Dio, com’è cresciuta.
-La terza parola che ha detto è stata Puck. – Disse lui, in un impeto di sincerità improvvisa. Lei ne rimase ferita e intenerita al contempo. Alzò gli occhi verso di lui e lo guardò, uno sguardo indecifrabile, probabilmente cattivo, ma era troppo stupita da tutto per mantenerlo a lungo. – Vai da lei regolarmente?
-Una volta alla settimana. Sono solo due ore di auto.
Svuotò il bicchiere di margarita e si portò le braccia al petto, chiedendosi se davvero c’era voluta una bambina col suo sangue nelle vene per far smuovere Puck dal divano: - Bene, ora dammi il test di gravidanza, e puoi andartene.
-Veramente ero venuto per chiederti di venire con me alla sua festa di compleanno.
-No.  – Rispose, immediatamente.
-Sai oggi che giorno è?
-Sì.
-Quindi, vieni con me alla sua festa di compleanno. Ci saranno tante piccole bambole, bambine vestite di rosa, Beth riderà.. Vieni con me.
-No. – Disse, abbassando lo sguardo sulla foto della bambina.
 
Shelby aveva pensato proprio a tutto. Aveva acquistato una casa lontana dalla città, con un sacco di camere e un giardino ampio. E un’altalena, uno scivolo, un tavolino per prendere il the con i peluches.
-Ma in che secolo crede che siamo? – Sussurrò Quinn.
Puck rise e corse a bussare alla porta.
-Oh, Noah, sono contenta che tu.. Quinn. – Disse, facendo cadere uno striscione che stava aprendo dal celofan.
-Ciao Shelby. Posso? – Chiese lei, entrando in casa prima ancora che la donna le desse il consenso. – Posso aiutarti?
Lei rimase a guardarla, attonita.
L’ultima volta che l’aveva vista aveva provato a farle portare via la bambina e, d’istinto, il suo sguardo corse a Beth, che era sul divano a guardare i cartoni animati.
-Tanti auguri, piccola! – Esclamò Puck, sedendosi accanto a lei. La immobilizzò e cominciò a farle il solletico.
Quinn guardò la scena, la immortalò nella sua testa e un sorriso triste le si disegnò in viso.
-Puoi andare, sei vuoi. – Shelby si chiese dove avesse trovato la forza di pronunciarla, quella frase, ma decise di passarci sopra. Era una ragazzina, allora.
-Beth, ti presento Quinn, una mia amica. – Disse Puck, prendendola in braccio. La bambina gli sussurrò all’orecchio, con il fare di chi sta per chiedere qualcosa di importante: - E’ la tua fidanzata?
-Quinn, sei la mia fidanzata?
-Ma certo. – Rispose lei, sedendosi di fianco a lui e dandogli un bacio sulla guancia, con una naturalezza tale che lasciò Shelby a bocca aperta.
Puck e Quinn aiutarono Shelby ad agghindare a festa il giardino: festoni rosa, piattini rosa, bicchieri rosa, tovaglioli rosa, e, qualche minuto prima che scattasse l’orario d’inizio, la donna si accorse che tutto era perfetto, tranne Beth che era ancora in pigiama, con i capelli biondissimi in disordine e una macchia di cioccolato vicino all’angolo sinistro della bocca.
-Quinn, vuoi pensarci tu?
Gli occhioni verdi della ragazza si posarono prima su Beth, poi su Shelby e infine su Puck che annuì sorridendo. Tese la mano alla bambina e si lasciò guidare fino in camera sua, dove fu chiaro che era perfettamente autonoma. Corse in bagno, prese uno sgabellino, vi si arrampicò su e si lavò la faccia. Quinn, intanto, si guardò intorno e i suoi occhi incrociarono una foto, in ospedale. Una Beth appena nata, un Noah Puckerman con la cresta seduto sul letto d’ospedale, dove una Quinn Fabray da poco sedicenne rideva guardando il ragazzo che faceva le smorfie alla bambina. Era sudata, stanca, e Noah la guardava, con un’espressione quasi sognante. Si chiese cosa sarebbe successo se lei, all’epoca, si fosse accorta di come lui la guardava. “Probabilmente l’avrei baciato.” Pensò, ma poi capì che non l’avrebbe fatto in nessun caso: lei voleva Finn. O meglio, il suo obiettivo era Finn, se fosse stata sincera avrebbe ammesso che non si era mai soffermata su cosa volesse davvero. Non l’aveva mai fatto.
La foto era posta in alto, di sicuro la bambina non l’aveva mai vista, ma Shelby aveva voluto appenderla ad un chiodo nella sua cameretta. Istintivamente, sperò che Beth un giorno la vedesse e provasse a cercarla. Poi realizzò che non avrebbe saputo come affrontare la situazione e finse di non aver pensato nulla.
Rimase per parecchio tempo a fissare quella foto, non sapeva neanche che gliel’avessero scattata.. Puckerman bussò alla porta, lei non lo sentì neanche e quando lui la vide guardare quella foto, si avvicinò a lei e le cinse un fianco con un braccio.
-Che fai, Puck?- Chiese lei, allontanandosi.
-Ehi, sei la mia ragazza, ricordi?
Lei tacque e si lasciò abbracciare.
Beth uscì dal bagno e corse in camera dove aprì l’armadio e prese un fiabesco vestitino rosa, pieno di perline e brillantini. – Vi piace? – chiese a Puck e Quinn.
-E’ bellissimo! – Esclamò lei, battendo un paio di volte le mani e sollevandola per farla sedere sul letto.
Una volta vestita, fu il turno dei capelli. Quinn la pettinò con delicatezza, e le intrecciò i capelli come sua madre faceva con lei da bambina. Gli occhioni verdi di Beth si rimirarono i capelli acconciati come aveva visto solo nei cartoni animati allo specchio.
-Sembri una principessa.
-Cenerentola.
-Ma certo, sembri Cenerentola. – si corresse, accarezzandole la schiena.
 
Qualche ora dopo, Noah vide Quinn appoggiata ad un muro che guardava Beth prendere il the servito da Shelby con le sue amiche.
-Ehi bellezza.
Lei si voltò e cominciò a camminare verso un’altalena che aveva visto di sfuggita al suo arrivo. Il ragazzo la seguì. Si sedette e cominciò a dondolarsi delicatamente.
-Sai che penso? – Disse, rompendo il silenzio.
-Cosa pensi?
-Che neanche Jackie Daniels le sarebbe stato male come nome.
-Un nome da rockstar. – Disse lui ridendo.
-Teatralità. – Sussurrò lei, ricordandosi quella settimana al Glee club.
Aveva girato per la scuola vestita di rosa con delle ciglia finte lunghe almeno dieci centimetri e Puck.. Puck le aveva fatto capire che non era sola. Lo guardò per qualche istante, cercando di ritrovare in lui l’eco del Noah Puckerman con cui aveva dato vita alla piccola Beth.
In quel momento Puck si voltò verso di lei.
-Puck! Quinn! Volete fare una foto con Beth? – Il richiamo di Shelby li riportò alla realtà, corsero verso la bambina e si misero in posa.
Quinn si sentiva maledettamente fuori luogo in quella posizione, sorridente, la bambina seduta sulle sue ginocchia e lei stessa seduta sulle ginocchia di Puck. Come se fosse stato tutto veramente al posto giusto. Lo era mai stato? Solo adesso, Quinn si rendeva conto che lì, in quell’immagine, non c’era nulla di giusto.
Avrebbe tanto voluto che lo fosse, ma lei aveva abbandonato Beth, aveva detto a Puck cose che di peggiori non se ne sarebbero potute dire e, ciliegina sulla torta, aveva provato a far perdere a Shelby la patria potestà sulla bambina. Quindi no, non c’era nulla di giusto in quell’immagine.
Eppure, Quinn non riusciva a trovare la forza di rompere quell’idillio. Perché un po’ avrebbe voluto crederci.
La ragazza rimise Beth con i piedini per terra e lei corse verso le sue amiche.
-Si sta facendo tardi e io domani ho lezione. Puck mi accompagni?
-Oh no, tu resti qui ancora un po’.
Quinn lo guardò a lungo e male. Molto male. Lui prese a correre per scappare via, lei lo inseguì.
Corsero per interi minuti per il grande giardino della casa di Shelby.
Poi lui cominciò a correre all’indietro, per prenderla in giro. –Vedessi che capelli hai adesso..!
-Non avresti dovuto dirlo.. – Disse lei, accelerando improvvisamente, con il risultato di cadergli addosso.
In un istante, il tempo si fermò.
-Riusciremo mai a baciarci in santa pace? – Disse lui.
-Sono fidanzata.
-Non sarebbe la prima volta.. – Sussurrò lui, azzerando le distanze tra loro.
-Intendi dire che sono una facile?! – Disse lei, appena le labbra di Noah Puckerman si furono posate sulle sue. Rotolò per terra accanto a lui e balzò in piedi. –Allora? Avanti, rispondi!
Lui si alzò sospirando.
-Intendo dire che devi tapparti la bocca e lasciare che io ti baci in pace.
-Ti ho detto che sono fidanzata.
-Ti ho fatto ampiamente capire che per me non è un problema. – Disse lui, camminandole incontro, come per farla indietreggiare. Raggiunsero un posto nascosto.
Quinn lo guardò con disapprovazione, lui rise. Proprio come era successo all’inizio di quella giornata.
-Com’è il tuo ragazzo?
-E’ alto, intelligente, serio, ricco.. Con i soldi del divorzio potrei vivere per tutta la vita come una regina.
-E si arrabbierebbe se sapesse di tutto questo?
-Non sa neanche di Beth, quindi evita altri sopralluoghi inopportuni.
-Se non glielo dici tu, non glielo dirà nessuno. Ora posso baciarti in santa pace?
-Non sono sicura che.. – E lui la baciò.
Non se lo aspettava, non era nel suo stile cedere alla spregiudicata corte di Noah Puckerman, ma sembrava tutto così.. così.
Sembrava giusto, sembravano giuste le sue mani che passavano sotto la maglietta e le sfioravano la pelle che non toccavano da tanto tempo. Sembravano giuste le sue dita che tracciavano il contorno dei suoi addominali scolpiti. Sembrava tutto.. come le era sembrato cinque anni prima. Semplicemente privo di errori. Lui che le baciava il collo così delicatamente, lei che provava a far finta che non le importasse, ma che in realtà se avesse smesso non glielo avrebbe perdonato.
Tutto come cinque anni prima. 


Eccoci qua!
Pubblico presto il secondo capitolo della storia non per fretta ma perché penso che, per come l'ho scritto, sia un crescendo.
Spero vi piaccia, non abbiate remore a recensire!
Beatrice

 

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Capitolo 3
*** Come due calamite ***


Quinn usciva da casa di fretta, i capelli le si scompigliavano con il vento, non era riuscita a truccarsi bene quella mattina e il mascara si era leggermente sbavato. Aveva una borsa, un ombrello e il portafoglio in una mano, le chiavi e tre libri nell’altra e si sarebbe fermata a fare ordine se non fosse stata in ritardo di dieci minuti.
-Dannazione. – Sibilò, quando le caddero la chiavi. Le pescò con il mignolo della mano più libera, consapevole che non avrebbe retto per molto. Quando riuscì finalmente a entrare in macchina, buttò tutto sui sedili posteriori e prese fiato.
Mise in moto e partì, superando di gran lunga i limiti di velocità. Inchiodò a un semaforo, maledicendo con tutta se stessa la brevità del verde, ma si accorse che a tutti gli effetti non c’era nessuno che attraversasse.
Premette il piede sull’acceleratore e ruotò il volante, quando si accorse di un uomo che attraversava dall’altra parte, troppo tardi per poter frenare.
L’uomo cadde a terra, lei frenò con forza e scese di corsa per soccorrerlo.
-Oddio, ma che stupida! Mi scusi! Sta bene? – Lo tirò su e lo guardò in viso. Era un po’ ammaccato, ma stava bene.
-Era la tua vendetta? – Le chiese, con un sorriso beffardo. Maledettamente bene.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Noah Puckerman, per un attimo tornò ad alcuni anni prima, l’ultimo incontro del Glee, l’ultima canzone cantata in quella sala, l’emozione che aveva provato. Sospirò e cancellò tutto, dal primo all’ultimo istante di ricordi che la sua mente aveva riportato a galla. Lo fulminò con lo sguardo, divertita. –Troppo poco cattiva per essere la mia vendetta.
-E di cosa dovresti mai vendicarti?
-Sei tu che hai la coda di paglia. – Gli rispose lei, avvicinandosi alla macchina. – Ci vediamo, Noah. – Sorrise.
-Sai anche tu che non sarà così.
Lei fece spallucce, gli sorrise ancora e chiuse la portiera.
Sentì un “Quinn!” urlato distante da lei, ma lo ignorò.
Quella parentesi della sua vita l’aveva chiusa e archiviata da troppo tempo e con troppa fatica per riaprirla così facilmente.
 
-Ed ecco la nostra ritardataria, Lucy Fabray. – Il suo collaboratore, Mark, la accolse nella sala, lei sorrise, fece un cenno con la testa e si sedette con le altre quattro persone.
-Chiedo venia. – Sussurrò, congiungendo le mani davanti alla bocca, un gesto che traboccava di dolcezza e ingenuità, tanto che fece sorridere tutti.
Si compiacque per le reazioni che aveva ottenuto e si riappropriò del piglio da donna in carriera che tanto le si addiceva: - Dunque, mi avevano già parlato di questa possibilità di lavoro e mi sono informata, perché l’idea mi alletta parecchio.
Mark l’aveva inserita in un progetto che sembrava fosse stato ideato per lei. Dopo la laurea in psicologia e la specializzazione di psicologia infantile, Lucy era perfetta e lui, nonostante non avesse mai avuto a che fare con Quinn ma avesse avuto contatti solo con la sua gemella di riserva, sapeva benissimo chi aveva davanti: sangue freddo e cuore di ghiaccio, fondamentali per lavorare immersa nelle emozioni, la ragazza aveva grandi possibilità. - Lucy nel campo è davvero formidabile, si adatta a qualunque cosa, non vi entra troppo emotivamente, quanto razionalmente, e, comprendetela, è fondamentale non essere troppo presi col cuore in queste situazioni. Per aiutare davvero questi bambini, ciò che è importante è essere accanto a loro con la testa. –
Lavorare con i bambini che devono subire o accettare la perdita del padre, che idea meravigliosa, nulla che toccasse più nel profondo Quinn di una cosa del genere. Sapeva che, per riuscire a lavorare in pace, avrebbe dovuto cancellare Quinn e convivere con Lucy per qualche tempo.
Aveva convinto Noah, quando stavano insieme, a cambiare direzione nella sua vita e aveva messo da parte la divisa dei marines per qualche tempo, ma da quando si erano mollati non aveva più avuto idea di quale fosse stata la sua decisione in merito all’arruolarsi. Si imbambolò per qualche istante, sperando con tutta la sua fede che avesse seguito la retta via che lei gli aveva indicato con tanta fatica, quando si risvegliò grazie ad un calcio sotto il tavolo da parte di Mark.
-Ecco, questo è l’elenco dei bambini che hanno richiesto la sua assistenza. Le faremo avere i fascicoli e fisseremo appuntamenti che poi le comunicheremo, a partire dalla prossima settimana. Buona giornata. – La congedarono e la ragazza scorse i fogli con gli occhi, che le caddero su un nome:
Beth Corcoran.
Trasalì.
-Un momento! – Urlò. Una donna, la più anziana, sulla sessantina, si voltò verso di lei. Non aveva parlato durante la riunione, si era limitata ad osservarla e solo ora Quinn capiva di farle molta tenerezza. Sangue freddo e un cuore di ghiaccio, lo sapeva anche lei, non le erano valsi un’adolescenza rose e fiori.
-Dimmi, cara.
-Beth Corcoran. – Fu solo capace di dire. Se avesse detto qualcos’altro, probabilmente si sarebbe tradita.
La donna alzò un sopracciglio, severamente.
-Sì?
Per un attimo Quinn sembrò prevalere su Lucy, ma la seconda la calpestò e prese in mano la situazione.
-E’ per caso una parente di Christopher Corcoran? Perché lo conosco e non vorrei mai venir meno alle leggi, capisce..
-No, non credo. Beth Corcoran è un ragazzina deliziosa. Ha una famiglia complicata, è stata adottata appena nata, sua madre non ha voluto far parte della sua vita, ma il padre sì. Troverà scritto tutto nel fascicolo, i genitori di sangue facevano parte di un gruppo di ragazzi di un corso extracurricolare di un liceo di Lima, e la madre naturale di una di questi l’ha adottata. Shelby, la madre adottiva, è una donna graziosissima e ha permesso al padre naturale di Beth, Noah, di conoscerla e di aiutarla a crescerla. Noah è talmente legato a questa ragazzina che vorrebbe un colloquio privato con lei per discutere di come questa sua decisione di arruolarsi può influire sulla bambina, di come comportarsi nei suoi confronti e tutto il resto.
-E’ Noah ad essersi arruolato? – Quinn era incredula.
-Non è più un ragazzino, avrà circa la tua età. E’ un ragazzo così disponibile, Noah, sei fortunata a lavorare con lui. E per Beth è stata senz’altro una fortuna averlo al suo fianco. Noah mi ha parlato anche della madre naturale di Beth, sai? Doveva essere una ragazza molto forte, determinata ai limiti della ragionevolezza. Una personalità complessa, senza dubbio, ma conoscerla avrebbe fatto bene a Beth. Non gliene si può di certo fare una colpa, era una ragazzina ed è scappata, come era normale aspettarsi. Noah è convinto che dovrebbe entrare a far parte della vita della bambina, nonostante tutto.
-Noah crede di sapere tutto, eh? – La interruppe Quinn, pentendosi all’istante di avere aperto bocca, ma la donna sembrò non averla neanche sentita.
-Noah la conosceva bene e teneva davvero a lei, quindi magari evita di citarla, per non farlo chiudere in se stesso, sai.. – Lucy annuì con un sorriso quieto. -Questa ragazza, Quinn, gli aveva davvero fatto perdere la testa.
-Aveva?
-Adesso ha una compagna, si chiama Addison, una ragazza adorabile. Stanno insieme da tre anni, ormai.
-E ne è innamorato o l’ombra di Quinn continua a seguirlo?
-Chi può dirlo? Perdonami, cara, ma devo proprio andare, ho un appuntamento fra mezz’ora. Ti fisserò personalmente la data per l’incontro con Beth, Shelby e Noah, vedrai che ti troverai bene con loro.
-Arrivederla. – La salutò la ragazza, con un cenno della mano.
Si sedette al tavolo della sala riunioni e rimase a fissare il nome di Beth sul foglio.
Mark fece capolino dalla porta. – Stai bene? Sei pallida come un cencio.
-Sì, sto bene, mi gira solo un po’ la testa, adesso mi passa.
 
Quinn fece uscire dalla sala il terzo bambino e la sua famiglia, accostò la porta e si versò del caffè, in attesa del successivo nucleo familiare.
Sfogliò il fascicolo del bambino con cui aveva appena parlato e sistemò gli appunti presi con una cura maniacale fino a quando non sentì bussare.
-Avanti. – Disse, voltata di spalle rispetto alla porta.
Una vocina stridula stava raccontando qualcosa, ma venne interrotta da un dolce ma fermo –Adesso raccontiamo tutto alla psicologa, tesoro.
Quinn si voltò con un gran sorriso che le si gelò sulla faccia quando vide chi aveva davanti. – Sa… - Si interruppe.
Le caddero gli occhi sulla bambina, su Puck, incredulo, e su Shelby, che strabuzzava gli occhi.
Sospirò, si riprese e scacciò dalla mente l’immagine dell’ostetrica che le dava in braccio il fagottino.
-Salve, sono Lucy Fabray. – si riprese, cercando di non far caso alla risata amara di Puckerman. Sorrise alla ragazzina, ormai Beth aveva dodici anni, e le posò una mano sulla schiena per accompagnarla alla poltrona che aveva sistemato di fianco alla sua. –Tu come ti chiami? – Le chiese ancora con voce dolce.
-Beth.
Con un riflesso incondizionato, la donna sorrise timidamente al sentire pronunciare il nome tanto sudato da lei e da Puck con la voce della bambina. – E loro devono essere la tua mamma e il tuo papà.
-Sì. – Rispose.
Quinn sospirò abbassando lo sguardo.
Shelby la guardò, sempre più interdetta. –Abbiamo sentito parlare davvero bene di lei, Lucy.
-Oh, beh, ne sono lusingata. Ma non siamo qui per me. Raccontatemi un po’ di voi.
A fine seduta, Quinn mandò via Beth indicandole un ufficio dove avrebbero dovuto farle “domande di natura anagrafica e prettamente tecnica”, facendosi promettere che sarebbe tornata la settimana successiva.
Quando rimasero soli, chiuse la porta, si voltò e la prima cosa che disse fu un chiaro: - Giuro che non ne sapevo nulla fino a quando non mi hanno consegnato l’elenco dei nominativi.
Poteva ingannare Shelby con qualche difficoltà, ma Noah la conosceva troppo bene: - Ovvero quando?
-Tre settimane fa. Ma capisci che..
-Certo che capisco, Quinn! Il problema è sempre lo stesso: avresti dovuto dimostrare che non sei un pezzo di ghiaccio, sarebbe caduta la tua copertura da donna forte e determinata. Come al solito, hai pensato a te stessa. Ma una scelta per il bene di Beth, tu, l’hai mai presa? – Sussurrò Puck, furente.
-Arruolarti in marina ti sembra una scelta per il bene di Beth?– Gli rispose lei.
-Non devo rendere conto a te delle scelte che prendo.
-Una scelta ti ho lasciato prendere e mi hai messa incinta! – Esclamò Quinn, interdetta.
-Io mi sono preso la responsabilità delle mie azioni.
-E io anche. Beth non avrebbe ricavato nulla dall’avermi al suo fianco, l’ho accettato e mi sono comportata di conseguenza. Ho fatto la mia scelta più di dieci anni fa, so gestire la cosa. Partecipare a questo programma è l’unica cosa adatta a lei che le posso offrire e non rovinerò tutto. Ma non c’è nulla che mi leghi a lei.
-Intendi, a parte metà del dna? – Disse Shelby con un sospiro.
-I cromosomi che le ho dato li userò solo per il suo bene. Dovete fidarvi. Come non mi sono immischiata nei vostri affari di famiglia fino ad adesso, non lo farò in futuro.
-Allora mi sta bene. – Concluse Shelby avviandosi alla porta.
-Cosa?! Ma ti è dato di volta il cervello? – Esclamò Puck. – Ha cambiato nome. Di nuovo. Ti sembra una sicurezza? - Shelby lo guardò eloquentemente, e lui si rivolse a Quinn: - Falle del male e te ne farò pentire.
-Chi sta rischiando di arrecarle un danno psicologico permanente sei tu.
Le parole di Quinn si rivelarono delle lame nel petto per Noah. –Tutta la tua disponibilità e il tuo amore non basteranno a diminuire il dolore che le darai. – Continuò lei, questa volta più dolcemente.
-Sai anche tu perché lo faccio.
-Finn non è una scusa sufficiente! Ha cantato una canzone alla sua ecografia, non vorrebbe di certo tutto questo.
-E tu cosa ne sai?
-Smettila di considerarmi un pericolo per tua figlia: non ho denunciato il legame di sangue perché so che avrà bisogno di sostegno a causa tua. Ancora una volta sto riparando ai tuoi errori, salvaguardando la salute mentale della tua bambina. Quindi vedi di non morire.
-E’ nostra figlia. E’ la nostra bambina.
Quinn lo guardò come Medea, a suo tempo, guardò Giasone.
Gli occhi traboccanti di odio.
La sua mano planò sulla faccia del ragazzo e il rumore fu secco e deciso.
Poi si voltò a riassumere la seduta, aspettando che uscisse, ma le sue parole continuavano a riecheggiarle nella testa “E’ nostra figlia. E’ la nostra bambina.”.
 
Puck scese dal pullman e si avviò verso lo studio presso cui lavorava Quinn.
Non ci poteva credere: non solo doveva andare ad un incontro con una sua coetanea per decidere come aiutare sua figlia, e la cosa era già abbastanza strana di per sé, ma la famosa psicologa, bravissima con casi del genere, era Lucy Quinn Fabray. La stessa Quinn Fabray che avrebbe dovuto mettersi in psicoanalisi per i successivi vent’anni prima di raggiungere una precaria stabilità interiore.  
Bussò alla sua porta e, quando lei gli aprì, si dovette trattenere dallo scoppiare in una sfuriata.
-Allora. – Esordì lei, sedendosi di fronte a lui e sfogliando un fascicolo senza guardarlo veramente. Gli dava alla testa l’idea che lei, che di Beth non si era mai interessata veramente, avesse tra le mani un intero plico di fogli che descriveva le sue paure più intime, i suoi lati più nascosti, cose che nemmeno lui sapeva. Gli dava alla testa l’idea che lei, ancora una volta, sbucando dal nulla, fosse riuscita in un battito di ciglia ad avere in pugno lui, la sua vita, la sua bambina e tutto ciò che c’era di importante per lui. Anche il lutto per Finn. Era tutto nelle sue dannatissime mani. E ciò che gli dava più alla testa era che avrebbe voluto vederla arrabbiata, rancorosa, amareggiata per la loro storia, per come era finita, avrebbe voluto vederla scoppiare, quando invece non trapelava nulla di tutto ciò.
-Penso che Beth sia al corrente di tutto, seppur in modo superficiale.
-Anche di te?
-Sto parlando di come rischierai la vita costantemente una volta che sarai partito. Beth l’ha accettato razionalmente ma non ha minimamente idea di ciò che vuol dire a livello emotivo, è triste all’idea, ma in realtà non l’ha accettato emotivamente, di sicuro non l’ha razionalizzato, non è pronta per digerire un lutto simile. Soprattutto perché vive un complesso di abbandono a causa dell’adozione. Siete stati davvero bravi a farla crescere senza farla sentire diversa, ma il complesso del rifiuto è innato e irrazionale ed era prevedibile che lo vivesse.
Puck stava per impazzire. Era lei ad averla data in adozione, era a causa sua se Beth viveva tutto questo e ne parlava come se fosse una faccenda alla quale era del tutto estranea. Sospirò.
-Che c’è? – Gli chiese Quinn, alzando un sopracciglio mentre i suoi occhi incontravano quelli del ragazzo.
-Stai parlando di tua figlia. L’ha data tu in adozione, l’hai messa tu in questa situazione, è a causa tua se si sente rifiutata. – Le disse freddo.
-Lo so. Ma il mio lavoro qui è dare dei pareri neutri rispetto alla faccenda, non di sicuro di stare a pensare che è mia figlia.
-No, non lo sai, perché se lo sapessi..
-Puck, stai zitto. – Erano anni che non lo chiamava Puck. Si era sempre limitata a Noah, il suo nome di battesimo, che era pronunciato in modo così freddo, così distaccato dalle sue labbra, da fargli avere un senso di repellenza al sentirlo. Lui non era Noah. Lui era Puck, lo stesso Puck dei mille “Hai fatto una cazzata, Puck!”; “Ma che fai, Puck?!”.
-No, non sto zitto. Tu hai dei problemi con me e tra le tue mani scorre la salute mentale di nostra figlia, quindi non sto zitto.
Lei lo guardò, fredda. – Credi davvero che io non voglia il bene di Beth?
-Beth è stata la causa della rottura del rapporto con tuo padre, a causa sua tua madre ti ha disconosciuta e poi ripresa sotto il suo tetto, Beth è il frutto di una notte che ha provocato il frantumarsi della tua vita perfetta, consideri Beth un tuo errore. Non è un problema se le cose stanno così, posso capirti.
-No, tu non mi capisci, non mi hai mai capita, sei solo un’idiota che crede di sapere tutto da quando porta quell’uniforme! Ti protegge, hai trovato il coraggio di affrontare quello che provavi per me, indossandola. Ti ho convinto a cambiare idea sull’arruolarti e ora torni qui? Non sei tu, Puck, e questo te lo potrà dire qualunque persona dotata di buonsenso. Tu sei un matto, un fuori di testa e non staresti mai alle regole di una caserma o di quello che è! Ed è per questo che funzionava tra noi, tu eri totalmente fuori dagli schemi, e puoi nasconderti, ma lo sei ancora adesso. Ed è proprio il fatto che tu ti nasconda a mettere in pericolo la salute mentale di Beth. Le daresti un dolore, una ferita mai più rimarginabile solo perché non hai il coraggio di mostrarti per quello che sei.
-Pensi che abbia bisogno di te, eh? Ho detto che sei la mia anima gemella, lo so, ma ero un cretino all’epoca. Ho rinunciato a me stesso per fare un favore a te.
-Che cosa? – Quinn rise di gusto. –Ma ti è dato di volta il cervello?
Noah si alzò e fece per uscire, ma Quinn lo fermò.
-Il motivo per cui ce l’ho con te.. – Cominciò. – E’ che hai sempre pensato che non volessi esser coinvolta nella vita di Beth. Mi hai sempre tagliata fuori dal vostro legame. Ero fragile, impaurita dal mondo, all’inizio dell’ultimo anno, e mi sono convinta di non essere adatta ad entrare nella vita di Beth. E probabilmente è vero, la bambina non aveva di certo bisogno anche di me lì in mezzo, ma avresti dovuto fare come hai sempre fatto. Avresti dovuto tornare a riprendermi e incollarmi ad una sedia perché capissi chi ero davvero. Sono stata una ragazza madre, e l’ho accettato solo quando ho parlato con Beth ieri, ma se tu avessi insistito un po’ di più, solo un po’ di più, l’avrei superato undici anni fa. Non l’hai fatto. Ti sei arreso con me. E questo non riesco proprio a mandarlo giù. Ora se vuoi, puoi andartene. Prima di darti indicazioni precise devo parlare un altro paio di volte con tua figlia. – Puck rimase impietrito. Quinn si alzò e andò alla scrivania, per riordinare delle carte.
Puck la raggiunse, la prese per un braccio e l’ultima cosa che Quinn sentì fu – E’ nostra figlia, te l’ho detto.
Poi ritrovò l’emozione di due elementi complementari che si incontrano, si scontrano, si vogliono, si allontanano e si riuniscono, come due calamite.
Lei e Puck. Due maledettissime calamite. 


Ecco, il terzo capitolo della raccolta di one-shot, ambientato cinque anni dopo il precedente! 
Spero che vi piaccia e per qualunque cosa, da un commento a un appunto, lasciate una recensione, sono sempre bene accette!
Grazie mille! Beatrice

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Capitolo 4
*** Amy. ***


Quinn si accarezzava il pancione, pensierosa.
-Tutto okay? – Le chiese Mark, che aveva inciso il nome della donna all’interno dell’anello che portava all’anulare sinistro.
-Scalcia, non mi dà un attimo di tregua.
-E’ una bambina impaziente. – Scherzò lui, inginocchiandosi accanto a lei e toccandole delicatamente la pancia.
-Già. – Asserì lei con un sorriso.
-Sai a quale nome pensavo? Ne ho trovato uno bellissimo.
-Ah sì? – Chiese lei, fingendosi interessata.
-Mamma! – Il piccolo William corse verso Quinn, abbracciandola.
-Ehi Will, sei tornato? – Lo accolse lei accarezzandogli distrattamente la schiena con un sorriso.
-Will, ti piace il nome Beth per la tua sorellina? – Gli chiese Mark, abbassandosi accanto a lui.
Lui annuì e poi corse in camera.
Quinn sbiancò. –Ehi, ti senti bene? Hai bisogno di zuccheri, sei pallida come un cencio.
-No, sto bene, sto bene. - La donna si legò i capelli e prese un pezzo di carta per farsi aria. – Questo caldo mi toglie il respiro.
Lui alzò le spalle, visibilmente preoccupato. –Allora, ti piace il nome Beth per nostra figlia?
-No. – Rispose d’istinto lei. –No, non mi piace, scusa, ma è breve, è poco incisivo, è poco significativo e mi ricorda la sorella rammollita di “Piccole donne”. – Disse, a mitragliatrice. -No, non mi ispira per nulla. Per nostra figlia ci vuole un nome che ispiri forza, che ispiri animo, che le dia un certo spirito. Che ne diresti di Sue?
-Sue mi sa tanto di capelli biondi, corti, tipo un marines. No, non mi piace. Eppure Beth è perfetto, secondo me! E’ delicato.
-Appunto! Mercedes? Mercedes è un nome stupendo e trasmette forza.
-Ma no..
-Che ne dici di Santana?
-Santana non si chiamava quella tua amica che detesti perché ha un caratteraccio?
-Sì, ma se era mia amica un motivo c’era. Ascolta, porto Will a fare due passi, ne riparliamo, okay?
-Ma è appena tornato da foot..
-William! Scendi, andiamo a fare una passeggiata!
 
Quinn rimase imbambolata a spingere William sull’altalena per dieci minuti buoni, pensando a tutto, tranne al figlio che la implorava di rallentare.
-Oh, scusa! – Esclamò, fermando l’altalena. Lo prese in braccio e si avviarono per il vialetto che li avrebbe condotti a casa.
Ma mentre Quinn si destreggiava tra il bambino in carne ed ossa e la bambina nella pancia, vide una vecchia conoscenza sulla sua strada.
La mano le corse al fianco ormai inesistente e le sopracciglia le si aggrottarono, ma le labbra a papera si aprirono in un gran sorriso. Lui sorrise di rimando e la abbracciò senza prestare attenzione alla bellissima ragazza bionda che aveva di fianco.
-Puck!
-Quinn!
Lei gli diede un sonoro bacio sulla guancia.
-Lui è William, Will lui è Noah. – Mentre scambiavano due parole e si stringevano la mano, Quinn non riuscì a distogliere l’attenzione da quella ragazza, giovanissima, non avrà avuto più di sedici anni, il viso dai tratti delicati, poco truccato, indossava un abito blu, corto, aderente, ma non troppo e aveva due splendidi occhi verdi, che venivano a volte coperti dal lungo ciuffo di capelli biondi che le sfiorava il viso.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma era il suo ritratto quando aspettava Beth.
-Be’, voi due vi conoscete già, ma è passato un po’ di tempo. Quinn, lei è Beth. Beth, lei è Quinn.
Quinn sbarrò gli occhi, li chiuse, prese fiato e li riaprì, in tempo per tappare la bocca a William che stava dicendo: - Ti chiami come la mia…
-Zitto, tesoro. Volete entrare, un caffè, un the?
-Mamma, chi è Quinn? – Chiedeva ancora il bambino, ma la donna fece finta di non ascoltarlo.
-Veramente siamo di fretta, ma un caffè mi andrebbe. – Rispose Puck. – Noi tre da soli. – Specificò.
“Come una vera famiglia”, pensò Quinn, ma non lo disse.
-Will, vai a casa e dì a papà che la mamma torna presto. Mi raccomando! Dritto a casa e non parlare con nessuno. – Gli accarezzò i capelli e il bambino corse per il vialetto che lo separava dalla casa.
Calò il silenzio.
Un imbarazzante e gravoso silenzio.
-Beh, non siamo solo noi tre. – Cercò di scherzare Puck, ma Quinn lo fulminò.
Camminarono per interi minuti in silenzio. –Beh, è passato davvero tanto tempo. – Disse Beth, con una voce che era a dir poco identica a quella di Quinn. La donna impallidì, Puck la guardò e rise di gusto. – Lo so… - Commentò solo, e Quinn gli diede una gomitata affettuosa.
Quinn le porse la mano con una naturalezza e una grazia che a Puck ricordarono uando avevano cantato per la prima volta insieme al glee club, sembrava che al mondo esistessero solo più loro due.
-E’ un piacere riincontrarti. – Rispose la ragazza, con un sorriso palesemente di circostanza. Quinn lo riconobbe, quel sorriso, e non riuscì a trattenere un –Sputa il rospo, ragazzina. – Nonostante implorasse se stessa con tutta la forza di non aprire bocca.
  – Non è affatto un piacere.  Puck mi ha vista crescere e invece mi tocca muovermi per intere miglia per poter scambiare due parole con te, la donna che mi ha concepita. E’ assurdo!
Se il tentativo di quelle parole era ferirla, non riuscirono nel loro intento. Quinn sorrise, lasciando a bocca aperta la ragazza. L’unica cosa che si rammaricava era di non aver donato una famiglia a Beth.
Poi, improvvisamente, capì che loro due, da soli, insieme, erano una famiglia. Che lei non c’entrava più nulla, aveva dato la vita a Beth e il suo compito era finito lì, l’aveva scelto lei. Improvvisamente, scelse di prendere una decisione da adulta, di rispettare le sue scelte da ragazza e di superarle, accettando le cazzate che aveva fatto, una ad una, compresa la peggiore.
La guardò. Era la sua fotocopia, sì, ma era ben diversa da lei. Aveva il sorriso assonnato di Puck, i gesti di Puck e le espressioni poco convinte di Puck: caratteri non ereditari, ma che si acquisiscono con il tempo trascorso insieme, con i pomeriggi passati a giocare con le barbie e non con i dieci minuti di tempo che lei  vi aveva passato insieme a qualche festa di compleanno. Puck non soltanto l’aveva vista con il vestitino rosa e i capelli perfettamente acconciati alle feste, ma l’aveva portata in vacanza, le aveva sorretto la testa mentre vomitava, l’aveva portata in braccio per infiniti chilometri quando si addormentava.
Quinn sorrise, frugò nella borsa ed estrasse un pacchetto bianco.
-Tieni, questo è tuo. Mi fa piacere vedere che Puck aveva ragione, sei la mia fotocopia. Forse non fa piacere a te, e hai ragione, sono scappata e non mi sono comportata da madre, ma nemmeno tu adesso saresti in grado di farlo. Non chiedo il tuo perdono, non lo spero neanche, ma spero che prima o poi sarai in grado di comprendermi e di capire che non ho voluto fare del male a te, ma che ero soltanto una ragazzina cresciuta. Nel frattempo, mentre cresci, tieni questo. Ci ho scritto anche la data.
-Un test di gravidanza?
-Il mio test di gravidanza. Il tuo test di gravidanza. Il nostro test di gravidanza. Puck è più forte di me, è stato un bene avere lui a fianco invece della sottoscritta. Sei migliore di me, Beth. O se non lo sei ancora, lo diventerai. – Le strinse il braccio con confidenza e poi ricadde nelle braccia di Noah, che la strinse a sé. Quando si straccarono guardò Puck per interminabili secondi: - Io e te abbiamo ancora un conto in sospeso, Puckerman.
-Non vedo l’ora di scontare la mia pena, Fabray.
-Fatti sentire, non sparire più. Buona fortuna, Beth, per qualunque cosa, adesso sai dove trovarmi. – Disse poi lei, allontanandosi sulla via di casa.
Non le era sfuggita, la reazione di Beth alle sue parole. Era evidente che non si sarebbe mai aspettata un discorso simile dalla donna che, in ogni caso, sotto ogni punto di vista, l’aveva abbandonata. Se la ragazzina sapeva reagire in modo schietto e diretto come ogni Fabray, era Quinn che aveva inventato quella tecnica. Sorrise, pensando a come sarebbe cresciuta in compagnia di Puck. Alla fortuna che aveva, ad avere un padre. Un po’ anomalo, ma un padre, che l’avrebbe accompagnata a fare il primo piercing, il primo taglio di capelli assurdo, il primo tatuaggio. Più ci pensava, più era sicura di averle fatto il più bel regalo che avrebbe potuto farle, lasciandola nelle mani di Puck.
Quando entrò in casa, disse solamente: - Hai ragione, Beth è un nome bellissimo, ma è già stato preso. Nostra figlia si chiamerà Amy.-
 Amy. La sorella stronza di “Piccole Donne”. Lo pensò, ma non lo disse. 



Eccoci qui, sono tornata! 
Scusate il mio ritardo, ieri sono stata al concerto di Ligabue ed ero presa dai mille preparativi... In ogni caso spero davvero che questo capitolo "di passaggio", se così vogliamo definirlo, vi piaccia e che mi scriviate una piccola recensione, per qualunque cosa.
A questo proposito, un doveroso "grazie" va a Celestina che recensisce tutti i capitoli!
Alla prossima! 

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