L'avventura di una vita

di momoallaseconda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


Il leggero venticello che si era alzato in quella tiepida mattina, gli scompigliava la nera capigliatura afro.
Senz’altro, una manna dal cielo per le sue ossa stanche e doloranti.
Era bello starsene lì, seduto con i piedi a ciondoloni, sulla rupe più alta dell’isola.
Sotto di lui, il panorama era spettacolare e terrificante insieme. La valle, un tempo verdeggiante, la piccola cittadina semi diroccata, il fumo nero che si diradava nel vento, la baia, il porto fino allo sconfinato mare azzurro che si perdeva a vista d’occhio oltre l’orizzonte. La Sunny ormeggiata poco lontano. Il sole accecante brillava sopra di lui, preannunciando una splendida giornata. La mente sgombra da ogni pensiero.
Che delizia.
Non se la immaginava così, Raftel.
Credo che nessuno dei suoi compagni se la immaginasse così.
A dire il vero, non aveva mai pensato a come sarebbe stata… sapevano solo che ci dovevano arrivare, punto.
Era la tappa finale del loro viaggio.
Già, la tappa finale.
Sollevò lo sguardo, guardando un piccolo stormo di uccellini passargli sopra la testa, andare a posarsi sui rami più alti di un’enorme quercia poco distante da lui. Unico albero rimasto in piedi in quella zona boschiva. Un vero peccato…
Li osservò per qualche secondo, cinguettare allegramente.
Fa-Re-Sol-Fa-Re-Sol… aggrottò le sopracciglia (che non aveva Yohohoho), mentre una nuova melodia si faceva strada nella sua mente. Appena tornato sulla nave doveva ricordarsi di trascriverla.
Lo sguardo tornò sull’orizzonte.
Era finita.
Era finita davvero.
Il suo cervello cercava ancora di assimilare tutto quello che era accaduto nelle ultime due settimane (anche se lui, il cervello, non lo aveva più, Yohohoho).
La flotta dei sette…
I rivoluzionari…
La marina…
Raftel era stata testimone degli scontri più epici a cui avesse mai assistito, a cui chiunque, avesse mai assistito.
Quattro giorni di battaglia… era passata quasi una settimana da allora, e ancora si chiedeva come avessero fatto tutti a scamparla.
Beh… non proprio tutti tutti… ma era inevitabile…
Il respiro profondo che uscì spontaneo non attenuò minimamente il nodo alla gola che lo tormentava, silente, da giorni.
Non si può sostenere una battaglia di tali dimensioni e sperare di uscirne indenni; questo lo avevano messo in conto fin dall’inizio. L’isola ne aveva pagato le conseguenze, come ognuno di loro.
E faceva così male. E il panorama restava lo stesso bellissimo.
Law…
Ivankov…
Kinemon…
Hancock…
Marco…
Penguin…
Cavendish…
Caesar…
Bonnie…
…Garp… Jimbe…
Amici, fratelli, compagni. Morti.
Morti per un’ideale, per sapere la verità, per salvare qualcun altro, per la propria libertà… ma pur sempre morti.
Una lacrima, solitaria, stoica.
Incrociò le braccia, lasciando penzolare le gambe nel vuoto.
Cosa avrebbero fatto, ora? Come sarebbero tornati il gruppo spensierato di prima?
Il capitano contava su di loro. Dovevano essere forti per lui.
Un’altra lacrima. Due… ci può stare.
Sarebbero mancati per sempre a tutti.
Ma lui, Rufy, aveva perso troppo. Compagni, alleati fidati, il nonno che, nonostante tutto, adorava…
Una terza lacrima, per bagnare quel terreno arso sotto di lui, era altruismo.
Un altro sospiro, un nuovo nodo che si aggiunse alla bocca dello stomaco.
Un’altra lacrima, poteva permetterselo, era un musicista romantico.
Si, sarebbero mancati sempre. Ma lui aveva uno scheletro forte e aveva imparato, a sue spese, quanto fosse pericoloso vivere nel passato.
Le lacrime erano cose strane, uscivano da sole proprio quando non le volevi.
Per lo meno Akainu non sarebbe più stato un problema.
Contava solo il presente, ora.
Un’altra ancora, solo una, per favore.
Era doloroso ma andava fatto. Dimenticare mai, andare avanti necessario.
Smise di contare le lacrime e di cercar scuse. Uscirono incontrollate assieme ai lamenti di dolore.
Da quanto tempo stava piangendo?
Troppo poco. Era stato un codardo a trattenersi finora. Essere forti per gli altri spesso non basta.
Loro meritavano ogni goccia versata, ogni pugno nel terreno, ogni graffio sulla pelle.
Tra le lacrime gli venne da ridere. Non aveva pelle da graffiare in loro onore.
I pensieri si accavallavano gli uni agli altri. Cosa potevano fare? Come avrebbero potuto salvarli? Non c’era risposta.
Con la vista ormai appannata, pensò che, nonostante tutto, aveva ancora i suoi amici. Amici fidati, che aveva protetto e che lo avevano protetto, in ogni momento di quella assurda guerra. Guerra che era, finalmente, finita.
Era vero, non potevano più fare nulla per i loro compagni deceduti, tranne dar loro una degna tomba, come avevano fatto quella stessa notte. Un funerale vichingo. Il modo migliore di andarsene, per un pirata. Nel suo mare.
Si alzò in piedi, gli occhi di nuovo sull’orizzonte sgombro di nuvole.
“Ora riposeranno in pace.” un timido sorriso si affacciò sul suo viso scheletrico, mentre si asciugava le ultime lacrime.
Forza, era ora di ritornare in sé. Di ricominciare il lavoro. C’era un paese da ricostruire.
Con un ultimo sguardo alla baia di Raftel, si incamminò verso il sentiero a pochi passi da lui, che conduceva alla cittadina.
I suoi compagni lo aspettavano. Franky era bravo ma serviva l’aiuto di tutti. Poi chi la sentiva Nami? Pensò Brook, intravedendo già i primi tetti delle case.
In lontananza si sentiva il vociare allegro dei gruppi di lavoro, all’opera. Marine, rivoluzionari e pirati insieme.
Rufy doveva averne combinata una delle sue… era Usop quello che lo inseguiva urlando con un piccone o era Sanji?
“Brook!! Ma dov’eri finito??” il piccolo medico di bordo gli si parò davanti, bloccandogli l’ingresso in paese e facendogli venire un colpo “Ti sto cercando da un’ora! Dovevi aiutarmi ad aggiustare il recinto!” col musetto imbronciato era adorabile.
“Yohohoho!! Perdonami Chopper, ho perso la cognizione del tempo!”
La piccola renna sorrise, dolce “Tranquillo, ora sei qui! Tra cinque giorni si riparte e c’è ancora molto da fare! Inoltre, dobbiamo andare a prendere la legna per la festa di questa sera… Ma Brook, va tutto bene?” chiese, vedendo l’amico pensieroso.
“Si, certo!” si affrettò a rispondere, fintanto che raggiungevano insieme i compagni, riuniti nel centro della piazza.
Era Sanji, ora lo vedeva bene, quello che cercava di uccidere il capitano con una spranga di metallo, mentre tutti intorno ridevano, gustandosi la scena.
Il Re dei pirati, terrorizzato, che scappava dal suo cuoco di bordo, imbufalito.
I marine presenti erano allibiti, gli alleati sconvolti. Ma i Mugiwara ridevano di gusto.
Brook li guardò sereno e lasciò svanire i tristi pensieri, rispondendo sinceramente alla domanda del dottore, ancora al suo fianco, che attendeva di capire cosa turbasse il sempre allegro musicista della nave.
“Davvero, Chopper. Ora va davvero tutto bene! Yohohoho!!”
Si, Lovoon. È Finita. Potrò finalmente riabbracciarti!
E con un po’ di fortuna, sarebbero riusciti a ricucire anche i loro cuori.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


"Robin? Che fai qui da sola?"la diretta interessata sussultò nell’ombra, nel sentirsi chiamare, scoperta in castagna a piangere come una bambina.
Pensava fossero tutti ancora a festeggiare intorno al fuoco, per questo si era lasciata un po’ andare, lontana da occhi indiscreti, in quella piccola via del paese al limitare del bosco, seduta su di una vecchia panchina.
Anche dopo anni, le brutte abitudini sono difficili da dimenticare e piangere davanti ad altri la riteneva ancora una bruttissima abitudine.
“Ma, stai piangendo….?” Nuova domanda, ulteriore panico.
Guardando di sottecchi il nuovo venuto, si rese conto, con terrore, di non riuscire a spiccicare parola.
La sua mente, solitamente sveglia e attenta, quella sera non riusciva a trovare una scusa valida per lo spettacolo che stava dando di sé.
Accidenti… non lo aveva sentito arrivare! E adesso cosa poteva raccontare? Menti, si disse.
Si asciugò le ultime lacrime con il dorso della mano, sfoderò uno dei suoi sorrisi più dolci e guardò negl’occhi l’uomo che aveva di fronte.
Lo sguardo dolce del suo capitano, illuminato dalla luce della luna e sinceramente preoccupato nel trovarsela davanti in lacrime, le fece morire in gola il sorriso e la scusa stupida che si stava formando nella sua testa.
No, lui si meritava la verità. Da sempre, Lui si meritava la verità, da lei, ora più che mai.
“Rufy…” riuscì solo a mormorare il suo nome, prima di posare nuovamente lo sguardo a terra.
Lui non ci pensò due volte a sederlesi accanto e a prenderle una mano tra le sue, in un muto tentativo di conforto.
Robin sorrise, sinceramente questa volta, guardandolo.
“Scusami, non è niente, davvero. Ho solo pensieri tristi che continuano a girarmi nella testa da quando la battaglia è finita.”
“Che genere di pensieri tristi..?” le chiese un po’ titubante, stringendo maggiormente la presa sulla sua mano.
Sapeva che glielo avrebbe chiesto. La donna sospirò leggermente e spostò lo sguardo verso il cielo stellato sopra le loro teste.
La brezza leggera rendeva quella serata davvero bellissima. Il frinire dei grilli intorno a loro, la luna, le stelle, il vento che muoveva le foglie degli alberi, le chiacchiere dei loro compagni in lontananza, tutto bellissimo.
Il pensiero andò in automatico ai suoi Nakama… con loro era sempre tutto bello.
Rendevano la vita degna di essere vissuta.
La sua vita.
La vita che non avrebbe mai avuto se non avesse incontrato loro. Se non avesse mai incontrato Lui.
Lo stesso Lui che aveva appena passato giorni infernali. Lui che aveva perso il nonno e innumerevoli tra amici e alleati. Lui che sperava di non veder mai più versare lacrime come gli aveva visto fare fino alla sera precedente.
Lui che le sedeva accanto e che ancora attendeva una sua risposta.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con il futuro e si preparò a vuotare il sacco.
“È finita, capitano. ” Sorrideva serafica, come solo lei sapeva essere, anche in quel momento “Ho realizzato il mio sogno. Ne sono così felice! Erano anni che attendevo questo momento! Ho avuto giustizia per la mia isola, per mia madre, per Sauro… ma, la soddisfazione per esserci riuscita, mi ha portato a rendermi conto di molte cose, alle quali non avevo dato peso, finora. Ed ora che so tutto io… io…”

Rufy la ascoltava attento, lasciandola parlare.
La sua capacità di attenzione era migliorata molto negli anni.
In quei giorni, particolarmente duri per lui da sopportare, cercava di tenersi occupato il più possibile.
Le ferite si stavano rimarginando, le ossa non dolevano più come cinque giorni prima e osservava i suoi amici tornare alla vita un po’ per volta.
Aiutava nei lavori al paese e prendeva atto di cose che fino ad allora non aveva mai notato.
Troppo impegnato col suo sogno, non si era mai accorto di certi atteggiamenti di alcuni componenti della sua ciurma, ai quali ora cominciava a dare attenzione… sorrisi malinconici, occhiate furtive, sguardi inquieti…
Da giorni si allenava a riconoscere quei segnali inequivocabili in ognuno di loro, per poi correre dal mal capitato di turno per risollevargli il morale, ad ogni costo.
Finché non notò, quella mattina, una persona in particolare che li esprimeva tutti in maniera evidente.
Aveva capito che la sua archeologa aveva un tarlo che le rodeva dentro.
Mentre era sdraiato a terra e cercava di riprendersi dalle botte di Sanji (per aver tentato di rubare l’intero pesce spada preparato per il pranzo), aveva notato come i suoi Nakama ridessero spensierati delle sue consuete disavventure, tutti tranne lei. O meglio, l’aveva vista ridere con Nami ma, a differenza degli altri, lei non sembrava felice. Non era realmente lì con loro, in quel momento.
Le mancava qualcosa e lui sapeva bene cosa. Quel luccichio nello sguardo che aveva piacevolmente scoperto nei suoi occhi anni prima, durante una delle loro feste. L’aveva notato per caso, mentre la guardava ridere di felicità ad un complimento sincero di Chopper e ne era rimasto affascinato. Due zaffiri che brillavano di luce propria.
Da allora lo cercava sempre, nei suoi occhi, a conferma che, si, lei era felice lì con loro.
Robin non partecipava mai fisicamente alle loro buffonate, ma se notava quello scintillio quando incrociava il suo sguardo, tutto andava a posto.
Lei lo aveva sempre quando ridevano tutti insieme, ma quella mattina no.
E non era il suo solito contegno, no, c’era dell’altro…
Ragion per cui l’aveva tenuta d’occhio. Discretamente e a distanza, per tutto il giorno, fino a sera.
Erano tutti attorno all’enorme falò, costruito da Franky e Zoro nel pomeriggio.
Sanji aveva preparato tutte le sue pietanze più prelibate, mentre Brook strimpellava le sue melodie migliori, per l’occasione.
La festa era nel pieno del suo svolgimento e i due festeggiati si lasciavano andare con teneri e casti baci, nell’euforia generale.
Il suo fratellone si sposava, ancora non ci credeva!
Erano tutti lì per celebrare la notizia dell’imminente matrimonio di Sabo con la bella Koala.
Quel romanticone le aveva fatto la proposta davanti a tutti, tre giorni prima.
Non appena si era risvegliato dal leggero coma nel quale era caduto per quattrodici ore (dopo aver sconfitto da solo tre componenti della ciurma di Barbanera), aveva guardato intensamente Koala, rimasta al suo capezzale per tutto il tempo, ed era riuscito a formulare una sola, faticosa, parola: sposami.
Lo sconcerto sul volto dei presenti aveva sostituito presto la gioia per il suo lesto ritorno nel mondo dei vivi.
Nessuno aveva spiccicato parola per un minuto buono. Chi pensando scherzasse, chi troppo sconvolto per replicare. Chopper semplicemente pensò che forse aveva tralasciato di curargli qualche ferita particolarmente grave alla testa che lo faceva straparlare.
La reazione di tutti era normale… I due non erano una coppia, a quanto ne sapevano loro…
Ma Sabo era serio, come mai Rufy lo aveva visto.
Koala si era ripresa prima di tutti gli altri. Scoppiando a piangere, gli aveva buttato le braccia al collo, urlando un meraviglioso si! a pieni polmoni e facendo spaventare a morte Chopper per la salute ancora precaria del suo paziente, tra le risate generali.
Da quel momento non avevano più un avuto attimo di respiro.
La guerra era finita, ma c’era la città da ricostruire, gli abitanti da aiutare, i morti da seppellire…
Sabo era ancora convalescente, ma aveva ottenuto dal medico il permesso di alzarsi dal letto almeno per la cerimonia funebre della notte precedente. Aveva potuto salutare un’ultima volta i suoi amici.
Ora che la situazione si stava via via calmando, sia nel paese, che tra marine e pirati ancora sull’isola e, soprattutto, nei loro cuori, avevano deciso di indire per quella stessa sera i festeggiamenti del fidanzamento.
E proprio quella notte, gettando uno sguardo pieno di dolcezza ai futuri sposini, seduti abbracciati, lui l’aveva notata.
Mentre tutti erano impegnati ad ascoltare Usop raccontare una delle sue fantastiche false avventure, accompagnato in quell’occasione dalle sublimi note del violino di Brook, Rufy aveva scorso Nico Robin vicino al tavolo del buffet, da sola.
L’aveva vista guardarsi velatamente intorno, facendo attenzione che nessuno si accorgesse di lei e si era allontanata, verso il bosco. Lui aveva atteso qualche attimo poi l’aveva seguita di nascosto, tornando un attimo indietro per prelevare un paio di cosciotti di pollo dal tavolo (non si sa mai).
Voleva capire che cosa le prendeva. Erano Nakama, con lui poteva confidarsi. Perché non faceva mai sapere a nessuno quando stava male?? Testarda…
Gli ci volle solo un minuto per trovarla in quella via nascosta, in lacrime.
Fino a poco fa era una serata bellissima per tutti… ed ora, che cosa succedeva alla sua bella archeologa?
Perché si era interrotta a metà frase??

“Io… io…” Nico Robin era bloccata.
Come poteva dirlo senza risultare una sciocca sentimentale?
Rufy la guardava incoraggiante. Infondo cosa c’era di male se si confidava un po’?
Beh, forse lui non era proprio la persona giusta con cui discuterne… Nami sarebbe stata una scelta migliore.
Inoltre, non voleva dargli un altro pensiero, lui stava già male per conto suo senza doversi sorbire anche i suoi problemi.
Ma la navigatrice lì non c’era e il suo capitano sembrava ben disposto ad ascoltare una sua eventuale confidenza. Incredibilmente, era diventato più arguto di quanto potesse immaginare, in quegli anni… Aveva intuito che c’era qualcosa che non andava.
E di lui si fidava ciecamente, non l’avrebbe mai derisa.
Fece un respiro profondo.
“Voi siete la mia famiglia, Rufy!” iniziò decisa “Mi avete dato una casa e la possibilità di realizzare i miei sogni! Non potrò mai ringraziare i Kami abbastanza per avermi fatto incontrare la vostra ciurma ad Alabasta!
“Ora sono realizzata sia come archeologa che come pirata... e questo mi ha portata a pensare al mio futuro…
Che cosa farò adesso? Ho solo 32 anni e non so più cosa fare della mia vita!” terminò il suo piccolo sfogo amaramente, guardandosi le mani.

Rufy la guardava silenzioso.
Adesso capiva qual era il problema…
Sorrise mestamente tornando a guardarla, ma prima che potesse dire o fare alcunché, lei riprese velocemente la parola.
“Scusami, capitano. Non avrei dovuto… tu hai già i tuoi problemi. Non è giusto che ora ti sorbisca anche i miei, perdonami. “
“…”
“…”
“Robin…”
“No, davvero, non avrei dovuto…  va tutto bene. Non dovrei preoccuparmi così tanto. Non è la fine del mondo!” Concluse, controllando a malapena la voce, ancora lievemente rotta dal pianto.

Ma ci credeva davvero. Il semplice fatto di aver ammesso a voce alta il suo cruccio, l’aveva fatta sentire un po’ meglio.
Trascorsero qualche minuto ascoltando i rumori della notte. Finché Rufy non decise di rompere il silenzio.
“Sai… Sabo ha iniziato a parlare di figli, prima.”
Robin lo guardò sorpresa “Cosa? Di già?”
“Koala non è dello stesso avviso.” Aggiunse con una risatina.
“Ci credo, si sono appena fidanzati…”
“Io non immaginavo neanche che tra quei due ci fosse qualcosa! Sabo non mi ha mai detto che stavano insieme!”
“In realtà non erano una coppia o almeno, non lo erano nel modo più convenzionale del termine…”
“Cosa intendi…?” le chiese, sorpreso.
“Ho trascorso con loro due anni alla base dei Rivoluzionari. Non sono mai riuscita a classificarne il rapporto, ma si vedeva che non erano semplici amici. Credo che si amino da sempre ma, a causa della vita che facevano, non avessero mai potuto far uscire allo scoperto questo sentimento.”
Rufy annuì “E ora che la guerra è finita, Sabo ha deciso per tutti e due.” Concluse con un sorriso felice.
“L’armata rivoluzionaria ora non ha più motivo di esistere, ma so per certo che hanno deciso di rimanere insieme, comunque. Vogliono stabilirsi a Marijoa e contribuire alla formazione di un nuovo Governo Mondiale, molto diverso dal precedente.”
“Si, anche Koala me ne ha parlato.” Asserì il ragazzo. “Stavi pensando di seguirli..?”
La domanda la spiazzò. Era vero. Dragon glielo aveva proposto esattamente ventiquattr’ore prima e lei gli aveva chiesto un paio di giorni per poterci pensare. Proprio da lì era sorta la sua incertezza verso il futuro.
Titubante, pensò bene a cosa dire, prima di rispondere sinceramente.
“Ammetto di averci pensato. Con loro potrei continuare a studiare. E insieme fare grandi cose per il mondo! Hanno i mezzi giusti, finalmente! Cambieranno tutto! E, poi, come già sai, io non ho un posto dove tornare a differenza di tutti voi. Anche se considero la Sunny casa mia, sono stata bene con loro e non mi dispiacerebbe affatto seguirli… per lo meno, partecipare alla creazione di un nuovo modello di Governo cancellerebbe la mia paura dell’avvenire.” Mormorò con una risatina nervosa.
“Ma non ne sei convinta del tutto.” Quella sera Rufy si stava dimostrando fin troppo sagace. Aveva capito ancora una volta che qualcosa la bloccava. Riusciva a leggerle dentro come se fosse un libro aperto!
“Ieri, ho sentito Nami parlare con Usop. Lei ti ha chiesto di seguirla a Coco. Perché hai declinato il suo invito?”
“Voglio molto bene a Nami e so che sarei stata bene con lei e sua sorella… ma nello stesso momento in cui me l’ha chiesto, ho capito che non era quello che volevo. Non mi sarei mai sentita a mio agio. Ho preferito rinunciare.”
Rufy capiva. Era lo stesso anche per lui.
Usop aveva cercato di convincerlo a stare con lui e Kaya a Shirop, ma invano. Non era quello il posto dove voleva andare.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Robin gli chiese dove pensava di fermarsi, una volta ripartiti da Raftel.
“Per prima cosa, voglio tornare a casa. Rivedere Dadan, Makino e agli altri. Ma non mi voglio fermare a lungo. Ormai la mia vita è il mare. Se mi fermassi vorrei ripartire presto, lo so già.”
“Il richiamo del mare è troppo forte per un pirata.” Sorrise lei, capendo perfettamente.
“So da tempo che la vita tranquilla non fa per me…” rise lui.
Guardandolo ridere, la donna si rese conto in quel momento, che quella forse era l’ultima conversazione che avrebbe avuto con il suo capitano. Se fosse partita con i Rivoluzionari avrebbero preso, fin da subito, navi e strade diverse… chissà quando si sarebbero rivisti. La strana fitta che le venne all’altezza del cuore, le tolse il fiato. Non era certa di riuscire a lasciarlo di nuovo.
“Credo che dovresti andare a Marijoa. ” Rufy era tornato serio e non la guardava più. Fissava un punto fisso di fronte a sé.
“Perché dici questo?” gli chiese, col cuore in gola.
“Perché è quello che vuoi da sempre.” Le rispose, pacatamente.

Aveva capito prima di lei che era quello che realmente desiderava: rendere migliore il mondo che l’aveva resa una reietta fin da bambina. Trasformarlo, affinché ciò che era successo a lei non accadesse mai più a nessuno.
“Io non…” cominciò.
“Tra cinque giorni partiremo… ” la interruppe, guardandola finalmente negli occhi “So che hai paura. L’ignoto fa sempre paura. Ma tu sei forte! Sei una delle donne migliori che io abbia mai conosciuto, Robin! E se ti dico questo è perché ci credo davvero che tu possa cambiare le cose! Io SO che tu cambierai le cose! Sei una guerriera da quando eri bambina, non lasciare che la paura del futuro ti blocchi! Tu dovrai essere le fondamenta del nostro nuovo Governo! Io non smetterò mai di credere nella tua capacità di migliorare il mondo! Mai! Farai grandi cose nella vita, ecco perché credo che tu debba andare a Marijoa con i Rivoluzionari!”
Il silenzio che accolse il suo sfogo durò diversi, interminabili attimi, durante i quali credette di averla fatta piangere, dal momento che non osava alzare lo sguardo su di lui e il suo torace era pervaso da continui respiri brevi e accelerati.
Stava per chiederle perdono (forse aveva esagerato), quando la vide alzare gl’occhi su lui.
Ed ecco… si…
Eccolo lì il luccichio che non aveva visto quella mattina. Era tornato!
Si rilassò completamente mentre la fissava ridere di pura felicità.
Era tornato… aveva fatto il suo dovere.
Avrebbe fatto quanto e più in suo potere per vederglielo nello sguardo per sempre. E c’era riuscito.

“Grazie, Rufy. A quanto pare avevo bisogno di sentirmelo dire, per prendere una decisione! Hai ragione. Voglio contribuire anch’io alla creazione di una Nuova Era!”
Finalmente serena e con il sorriso sulle labbra, allentò tutta la tensione degli ultimi giorni.
L’aspettavano giorni di duro lavoro ma anche, sperava, di splendide soddisfazioni.
Il suo capitano le dava piena fiducia, anche se da lontano, e lei se la sarebbe fatta bastare per tutti gl’anni a venire.
Anche se partire con i Rivoluzionari voleva dire salutare i suoi compagni prima di quanto avesse immaginato.
“Non devi ringraziarmi. Io non ho fatto nulla. Le cose che ho detto erano vere. Avrai la forza necessaria per affrontare ogni ostacolo!”
Il suo sorriso era una delle cose che le sarebbero mancate di più, Robin già lo sapeva. Ma ne avrebbe conservato il ricordo meraviglioso per semp… “E poi stavo giusto pensando che dovrei venire anch’io a Marijoa…!”
……………………….…….eh…? Che aveva detto?
“Come?” lo guardò stupita, pensando di aver capito male.
Lui, una mano sotto al mento, l’altra a sorreggere il gomito opposto e lo sguardo pensieroso rivolto al cielo stellato, riformulò la frase.
“Si, insomma. Sono o non sono il Re dei Pirati?” sorrisone per la felicità scaturita dal suo nuovo titolo “Volevo diventarlo per essere libero! E ora che lo sono, voglio essere certo che la mia libertà non venga messa in pericolo! Quindi, ho deciso che farò una breve tappa alla mia isola, per poi riprendere il mare diretto a Marijoa. E lì, voglio controllare che i lavori in corso del nuovo Governo, vengano eseguiti nel massimo rispetto dei canoni classici della pirateria! Beh, per questo e perché do per scontato che lì si mangi da favola!”
Robin era a bocca aperta. “Stai dicendo sul serio..?” sentiva un leggero sorriso crescere agli angoli della bocca.
“Assolutamente! Fermarmi per un po’ in un posto che sarà il fulcro della nuova era non potrà farmi che bene! Nami e Zoro dicono sempre che dovrei crescere un pò… non li ho mai ascoltati… forse dovrei provarci, almeno…
“Pensa, potremmo vederci sempre, mi insegnerai un sacco di cose! Senza contare che avrò a disposizione del tempo per conoscere mio padre… e poi vorrei veder nascere i miei nipotini. Sabo sta contrattando, lui ne vuole sei, Koala uno… e ‘solo per fargli un favore’.”
“Non posso crederci…” Robin era senza fiato, gli occhi che brillavano più della luna.
“Credici, ne vuole davvero sei! Anche se, conoscendo la futura mogliettina, credo che andrà a finire male per lui se continua su quella strada…”
Robin ormai non conteneva più la felicità!
Rufy si sarebbe fermato con lei a Marijoa! Neanche nelle sue più rosee aspettative c’avrebbe mai sperato!
“Sai…” riprese lui pacato, e lei gli diede tutta la sua attenzione “credo che potrei trovarmi bene là… cosa ne pensi?”
“Sarà molto caotica come isola… piena di Re, funzionari, ambasciatori…” rispose, sorridendo teneramente e stando al gioco “…sicuro di farcela?” sollevò un sopracciglio, guardandolo.
“Con chi credi di parlare?” rise lui, fintamente offeso.
“E… ti fermerai molto…?” aggiunse lei, fingendo noncuranza.
“Beh, come dicevo prima, la vita del pirata è in mare… ma è anche vero che vorrei lasciare un po’ di spazio alla mia ciurma… negli ultimi cinque anni abbiamo vissuto ben pochi momenti di tranquillità e vorrei si godessero un po’ la vita noiosa sulla terraferma. Nami e Usop troveranno dei degni sostituti da accompagnare a casa loro. Per lo meno, ho una mezza idea su chi sia la persona a cui Nami vuole chiederlo…” Sorrise felice alla sua compagna. “E poi, tra qualche anno, non appena la stabilità del nuovo Governo sarà stata accertata e la mia libertà pure, vorrei riprendere il mare. E, se lo vorranno, chiamare a me le stesse persone che avevano fatto quella traversata anni prima, diventata poi l’avventura di una vita.
“Credi che corra troppo con la fantasia…?” le chiese, dolce.
Robin si asciugò una piccola lacrima, sorridendo; non si piange per le cose belle.
“Mi sembra uno splendido programma.”

Come li aveva descritti anni fa? Due zaffiri che brillavano di luce propria? Lo erano eccome.
Rufy non aveva mai capito perché gli importasse così tanto vedere quel luccichio nei suoi occhi, così potente da tranquillizzare il suo animo inquieto.
Forse a Marijoa avrebbe potuto scoprirlo…
Si… gli sarebbe tanto piaciuto scoprirlo.

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***




Il cinguettio degli uccellini lo risvegliò gradualmente mentre il sole faceva capolino dalle montagne.

La prima cosa che riuscì a pensare era che la testa gli doleva da morire. Dio, quanto aveva bevuto?
Rimase sdraiato a terra, respirando piano l’odore dell’erba fresca sotto di sé, cercando di rilassarsi, invano.
Aveva bisogno di una sigaretta.
Maledizione a Usop che gli aveva incenerito l’ultimo pacchetto la sera prima gettandolo, per sbaglio a suo dire, nel falò.
Aveva pure cercato di scusarsi inventando una stupida storia! Figuriamoci se lui si era dimenticato davvero le sue sigarette sopra la legna accatastata pronta per la brace!
Non lo aveva malmenato solo perché non riusciva a prenderlo! Quello scemo aveva imparato tecniche sopraffine nei due anni di separazione, ma non ricordava che lo sdoppiamento fosse tra quelle. Aveva cercato di acciuffarlo, ma la sua faccia continuava a raddoppiare e a ruotare in circolo. Che razza di tecnica era???
Ricordava solo di essersi arreso e di aver avvertito sapore di terra umida in bocca, poi più nulla, fino ad ora.
“Buongiorno bell’addormentato!” riuscì ad aprire mezzo occhio, giusto per riuscire a scorgere l’oggetto dei suoi pensieri: Usop stava in piedi sopra di lui, coprendogli il sole, con quella che sembrava una tazza di fumante caffè in mano.
“Come ti senti?” con un tono cauto, il cecchino gli si sedette accanto, con un tonfo secco.
Sanji si alzò a sedere con fatica. “Come se mi fosse passato sopra il Puffing Tom.”
“Questo dovrebbe aiutarti, allora.”
Mise a fuoco la tazza di caffè e l’accettò debolmente, con gratitudine.
Ancora assonnato, notò in fronte a lui i resti del falò della sera prima.
Il russare inconfondibile di Franky, poco lontano da lui, aveva trovato un degno rivale in quello di Bartolomeo. Profondamente addormentato e completamente ignaro di avere il sedere del carpentiere a due centimetri dal viso.
Individuò subito anche Smoker e Kobi. Svettavano chiaramente tra tutti i marine dormienti che riusciva a scorgere. Il primo per la serie di nuvolette di fumo che produceva anche da addormentato, il secondo perché aveva il vizio di borbottare nel sonno. Credo stia sognando delle ciambelle giganti…
Lo stomaco brontolava, ma non ci badò più di tanto. Prima doveva far smettere alla testa di vorticare furiosamente.
“Forse non ricordi molto, ma hai dato il peggio di te, ieri sera…” Mormorò naso lungo.
Le membra avrebbero mai smesso di dolergli così tanto..?
“Li hai visti, ok… ho anche compreso le tue ragioni, in parte… ma non è stato giusto reagire così!” continuò Usop.
…era ormai sicuro che quel dolore lo avrebbe accompagnato fino alla morte…
“Insomma… non è certo colpa loro se tu… beh… hai capito…!” aggiunse frettoloso, urtandogli un braccio con il gomito e risvegliandolo improvvisamente…
…eh…?
“Andiamo, non farmelo dire ad alta voce!!” pretese indispettito l’altro, incrociando le braccia.
“…ma di che diavolo stai parlando?” gli domandò, sorpreso.
“Di ieri sera, Sanji!!” esclamò il nakama, punto sul vivo.
Si era appena reso conto che non aveva ascoltato una parola del suo monologo. Si stava arrabbiando, ma la faccia inebetita priva di qualsiasi barlume di intelligenza di Sanji, lo fece tornare sui propri passi.
“Non ricordi proprio niente?” chiese cautamente.
“Di ieri sera ricordo solo i drink di Shanks.” Iniziò, calibrando le parole “Le mie sigarette con me. Tutti che ridevano e bevevano attorno al falò. Le mie splendide dee che ballavano illuminate dalla luna piena, e…” il tono mieloso che stava fiorendo sulla sua bocca, svanì veloce come era arrivato quando ricordò che cosa aveva visto. “Oddio…” sussurrò a sé stesso, lasciando cadere la tazza vuota a terra.
Ad Usop non sfuggì il repentino cambio d’umore del biondo. “Te lo ricordi adesso…?” azzardò.
Ma non ricevette risposta. Lo scrutò in viso, constatando che, si, la sua espressione sconvolta era chiara: se n’era ricordato.
L’ululato che seguì quella reminiscenza, scoppiò all’improvviso.
“LE MIE DEEEEEEEEE!!!!!! LE MIE BELLISSIME MERAVIGLIOSE SPLENDIDE DEE!!! COME? COME È POSSIBILE??”
“Sanji…?” Usop, preso alla sprovvista, tentò di allontanarsi dal fuoco dirompente che il compagno aveva preso a sprigionare intorno a sé.
Al diavolo il mal di testa. Qui c’era un onore da difendere!
“Come può essere accaduta una cosa simile senza che io ne avvertissi la benché minima avvisaglia???” arrabbiato, prese di forza il cecchino per il bavero, scuotendolo energicamente.
“E io che ne so?” mugugnò quello in risposta, cercando di non vomitare.
“Maledetti frega-dee… non la passeranno liscia!!” giurò deciso, a nessuno in particolare, mollando il nakama che cadde con un tonfo sonoro a terra.
Prese a camminare avanti e indietro, rimuginando sul da farsi, ignorando l’amico dolorante.
“Sono contento di vedere che ti sei ripreso…” borbottò quest’ultimo.
“Io invece non provo piacere nell’averti qui. Abbiamo un discorso in sospeso noi due!” rispose con tono acido l’altro, non smettendo di camminare.
“Ce l’hai ancora con me per le sigarette???” esclamò Usop, mentre si massaggiava il sedere.
“Mi hai trovato un nuovo pacchetto??” indagò Sanji.
Lo fissò sorpreso, grattandosi la testa “No…”
“E allora sono ancora arrabbiato!” Concluse il cuoco.
“…”
“…”
“La tua spocchia per l’astinenza da nicotina ha raggiunto i massimi livelli…” mormorò Usop, risentito.
Sanji lo ignorò completamente. Doveva concentrarsi.
Non poteva essere così difficile… dunque… il falò, la festa, i marine, le ciurme alleate, i ragazzi, le sue meravigliose compagne… davanti agli occhi rivide tutto come un flash, soffermandosi sull’ultima immagine, le ragazze.
Loro ballavano e…
Si strozzò con la sua saliva.
Non era uno scherzo della sua mente. Era tutto vero, solo che faticava a crederci.
Che diavolo c’entravano con loro??? Questa avrebbero dovuto spiegargliela.
“Usop, dove sono gli altri?” il cecchino lo guardò, accigliandosi.
“Perché lo vuoi sapere?” chiese, cauto.
“Voglio uccidere qualcuno…” asserì il cuoco.
Lo vide alzare gli occhi al cielo “Sanji, smettila. Ne abbiamo parlato anche ieri. Non ci puoi fare niente, è andata così! Non le hanno costrette, hanno scelto loro!” Allargò le braccia in segno di resa.
“Ma Nami-san… Robin-chan…” mormorò balbettando, titubante, rammentando ora sprazzi del dialogo avuto con lui la sera precedente, mentre era ubriaco. Non era ancora convinto a cedere del tutto.
“Senti, ieri hai fatto il diavolo a quattro quando le hai viste ballare intorno al fuoco. Eri fuori di testa!! Hai davvero esagerato! Santo cielo, volevi davvero ammazzare Rufy e Zoro!! Con tutto quello che il capitano ha già passato, hai avuto un gran coraggio!!” dichiarò serio. “Ti è andata bene che l’hanno tutti presa sul ridere, ma non hai fatto una bella figura…”
Sanji non trovò nulla con cui ribattere. Iniziava a ricollegare i pezzi.
Ricordò di aver notato Rufy e Robin emergere da una zona nell’ombra, oltre il bosco, insieme. Di averli visti sfiorarsi volutamente, per il resto della sera e cercarsi con lo sguardo quando non erano vicini.
Ricordò di aver provato un gran fastidio, nel rendersi conto che quel babbeo era riuscito a penetrare lo scudo di ghiaccio della bella mora, come lui non era stato in grado di fare mai.
Li stava ancora spiando di sottecchi, quando un’altra immagine si sovrappose a quella dell’archeologa.
Nami, la sua Nami-san, che beveva in un angolo boccali su boccali di birra in compagnia di quell’odioso arrotacoltelli dello spadaccino, entrambi già parecchio brilli.
Ricordò di aver avvertito il senso di fastidio acuirsi sempre più, mentre li guardava ridere insieme vicini, troppo vicini.
Le gambe che si incrociavano, le mani che si sfioravano… nulla sembrava casuale. Nemmeno il rossore diffuso sul volto della navigatrice, unito alle occhiate furtive che le lanciava Zoro, lo erano. Non sembrava affatto colpa dell’alcool!
Cosa stava succedendo quella sera??
Il culmine della disperazione lo raggiunse quando ricordò di averle viste afferrare, in simultanea, rispettivamente capitano e spadaccino per condurli a ballare con loro attorno al falò.
A quel punto, qualcosa scoppiò dentro di lui.
Si era avvicinato al  buffet e aveva prosciugato le riserve di Rhum e Cola (Franky non ne aveva più bisogno) preparate da Shanks quel pomeriggio.
Di quel che accadeva dopo rammentava poco.
Lui che si avviava verso di loro, decretando a gran voce la morte dei suoi migliori amici.
Un calcio lanciato a folle velocità verso Rufy. Nico Robin che faceva fiorire centinaia di braccia.
Zoro che si parava davanti a Nami, una mano alle spade. Un fulmine che lo stordiva.
Molte risate nervose attorno a lui e quel senso di odio e fastidio impellente, che non voleva andarsene.
Ancora arrabbiato, allontanarsi traballante. Cercare le sue sigarette, per constatare poi, che quella volpe del cecchino le aveva trasformate in cenere. Il senso di colpa che iniziava a farsi sentire.
Subito dopo, il buio.
 
Usop non parlava da qualche minuto.
Continuava a fissare Sanji prendere coscienza di quello che era successo.
Il suo volto teso e angosciato parlava chiaro. L’aveva presa male…
Non ne era particolarmente stupito. Sapeva bene quando ci tenesse alle loro compagne, forse fin troppo…
Nonostante tutto, la rabbia che lo permeava era strana.
Ripensò al comportamento visto la sera precedente e ai suoi monologhi sconnessi.
Si sorprese nel constatare sul suo volto fastidio e gelosia, ma non come li proverebbe un amante tradito.
Sembrava quasi… invidioso…?
Sbattè gli occhi di fronte a quella rivelazione inaspettata.
Era geloso marcio si, ma del rapporto che univa i suoi compagni!
Incredibile…
Non ci aveva mai pensato prima, ma era cambiato, il suo amico.
Troppo preso da cose più importanti (il suo sogno, affinare nuove tecniche, Barbanera, Akainu… Kaya…), negli ultimi due anni non c’aveva dato peso. Ma ora, che di tempo ne aveva a iosa, si trovò inaspettatamente a riflettere su cose che aveva recluso in un angolo del suo cervello.
Dal mancato matrimonio di due anni prima Sanji era, inevitabilmente, cambiato.
Spesso serio, fumava di più, faceva meno moine alle ragazze…
Non era più la stessa persona che aveva conosciuto quel giorno al Baratie. Dio, sembrava accaduto in un’altra vita…
Eppure sarebbe bastato così poco per farlo tornare a sorridere… al massimo due mesi di navigazione e una certa isola… con un bellissimo campo di girasoli…
Provò a sondare il terreno, senza farlo arrabbiare ulteriormente, prendendola alla larghissima. “Senti, Sanji… non è la fine del mondo! Quello che dobbiamo fare noi è solo essere felici per loro e sperare che una simile fortuna ci capiti quanto prima!” esclamò, sorridendo incoraggiante.
Il compagno si voltò a guardarlo, stancamente.
La rabbia, ormai passata del tutto, aveva lasciato il posto ad un’amara malinconia.
Prese fiato prima di mormorare “Io sono felice per loro… Davvero, Usop!” Aggiunse, alla vista di un’alzata di sopracciglia, scettica, da parte del cecchino.
“Non è proprio il modo di dimostrarlo, allora...”
“È solo che…” non era facile da ammettere “…ieri sera mi sono reso conto che… beh… insomma…”
“Si…?”
“Si, insomma… di essere solo…”
“…”
“…”
“È per questo che hai bevuto e hai fatto il pazzo?”
“Credo di si…”
“…”
“…”
“…mi sembra una scusa un po’ fiacca…” bisbigliò il cecchino.
“Tu hai Kaya, che ne sai?” replicò il cuoco, alzando un po’ la voce.
“Lo so, invece! Sono sempre stato solo anch’io! È vero ho Kaya, ma per quanto ne so al mio ritorno potrei trovarla già sposata ad un altro!” mormorò affranto, per la prima volta quella mattina “Siamo  sempre stati solo amici… lei non mi vede come un possibile fidanzato.”
Sanji non si diede per vinto “Io non l’ho conosciuta, ma ho sentito Nami nominarla molte volte. Da come ne parla sembra una ragazza meravigliosa che stravede per te e per le tue storie sceme!” Usop fece un sorrisetto. “Ma soprattutto, col sennò di poi, mi rendo conto che una donna innamorata è capace di riconoscerne un’altra… non dovresti temere rivali da questo punto di vista!” concluse, risoluto.
Usop lo guardò senza parole per un attimo, prima di sorridergli di cuore.
Sanji pensò che era il momento adatto per andarsene, aveva delle scuse da fare.
“In ogni caso…” esordì nuovamente il cecchino, prima che potesse fare alcunché “So bene cosa provi!”
Il ragazzo lo fissò con ritrovata sufficienza. “Non parlare di cose che non conosci!”
“Ti dico che lo so!” insistette.
“Piantala, Usop! Non hai idea di come stia!” garantì, serio.
“Ne so abbastanza per capire che sai di essertene andato da Dressrosa troppo presto!” Sanji sbiancò. “E lo credo anch’io!” concluse naso lungo, soddisfatto.
“Tu non sai niente!” mormorò stringendo i pugni.
Usop era deciso a restituire il favore e se quello scemo di un cuoco non si rendeva conto di avere il suo pezzetto di lieto fine a portata di nave, beh, sarebbe toccato a lui svegliarlo.
“Lei è una principessa… e allora? Diavolo, Sanji, tu sei ancora un principe!”
L’occhiataccia che gli lanciò avrebbe raggelato chiunque ma il cecchino, memore di aver finalmente coronato il suo sogno, si fece coraggio “Ti sei liberato dei tuoi demoni da tempo, hai realizzato le tue ambizioni… ti manca solo una cosa per essere felice e sai già cos’è! Lo sai da due anni! Da quando hai lasciato quell’isola!”
Sempre più teso, Sanji continuava a stringere i pugni ad ogni nuova parola dell’amico, fino a farsi sbiancare le nocche “Anche se fosse vero quello che dici, non significa che per lei sia lo stesso.” sentenziò.
Usop prese fiato per ribattere, distraendosi il tempo di un secondo, che bastò al cuoco per volatilizzarsi improvvisamente, lasciandolo basito a fissare il punto in cui poco prima c’era l’amico. Che cosa…?
“Buongiorno, ragazzi! Che sta succedendo? Vi sentivo urlare da laggiù.” Il cecchino ruotò su sé stesso per individuare la fonte di quella voce che conosceva bene. Ed eccola lì, la sua risposta.
Sanji, ritornato velocemente il solito amabile e zuccheroso gentleman, cercava di afferrare la mano di Bibi che, dolce come sempre, cercava di allontanarlo con garbo.
E ti pareva…
“Bibiiiiiiiii!!!!! Meraviglioso fiore del deserto!!! Che cosa ti porta dal tuo Mr. Prince??”
Usop soffocò una risatina. Almeno quelle cose non cambiavano.
“Vedo che stai meglio stamattina.” Esclamò soddisfatta la principessa, seguendo con lo sguardo l’ammasso di miele in forma umana, che le trottava attorno.
“Certo, mia splendida dea!”
“Ottimo! Allora, perché stavate urlando prima?” indagò, curiosa, guardandoli entrambi.
“Per le pene d’amore di Sanji…” esordì il cecchino, mentre lei lo fissava stupita.
Chiamato in causa, tornò serio “Piantala, Naso lungo…”
Ma fu Bibi a prendere parola “Oh, Sanji... ammetto che Rufy e NicoRobin sono stati una sorpresa anche per me, ma non puoi dire lo stesso per Nami e Zoro. Era palese da anni…”
Usop annuì energicamente, sotto lo sguardo, di nuovo affranto, del cuoco. “Si, è vero, ma io non mi riferivo a loro…” continuò “I pensieri del nostro latin lover, sono rivolti a qualcun altro…” garantì, sicuro.
“Ti ho detto di piantarla!” Sanji si stava alterando sempre più.
“Ma di chi parlate?” si intromise la principessa, sempre più curiosa.
“Ma di te, mia splendida, adorab…” Bibi si scansò appena in tempo dal suo abbraccio, facendo spiaccicare il cuoco sul terreno con la faccia.
“…della principessa di Dressrosa!” rispose l’altro, ancora in piedi.
“La principes… aspetta, intendi Viola?”
Sanji, ancora a terra, la fissò serio per la prima volta, così come l’amico.
“La conosci??” le domandarono entrambi all’unisono, sorpresi.
“L’ho incontrata circa due anni fa… ricordate il Reverie a cui avrebbero dovuto partecipare anche i Vinsmoke? C’era anche lei…”
 
“Le hai parlato?” il cuoco si alzò di scatto, illuminato da una nuova luce.
Era la prima volta che riceveva uno straccio di notizia di lei, dopo essersene andato dall’isola.
“Abbiamo stretto amicizia subito. Mi ha raccontato che cosa avete fatto per loro. È una ragazza molto simpatica, siamo rimaste in contatto! L’ultima sua lettera è di un mese fa, mi diceva di stare bene e che si stava impegnando molto ogni giorno, per il suo paese.” Esclamò, felice di portare buone notizie.
Sanji l’ascoltava rapito.
Dopo mesi di sofferenza finalmente sapeva qualcosa di lei da una fonte affidabile!
Più volte aveva pensato di scriverle, accantonando l’idea ogni volta. Non aveva quasi mai avuto un attimo di respiro dopo aver lasciato Dressrosa… il tempo gli era sempre mancato.
Bugiardo… mormorò una voce santa (che somigliava stranamente a quella di Usop), nella sua testa.
A sé stesso non poteva mentire.
Se avesse davvero voluto, il tempo lo avrebbe trovato.
La verità è che aveva paura. Paura di scoprire che per lei, lui non significava niente. Che si era immaginato tutto, che non aveva mai avvertito l’istintiva necessità di stargli sempre accanto, come la avvertiva lui.
Con Viola non era come con tutte le altre, se n’era accorto subito. Lei era diversa, Lui era diverso.
Non voleva sentirsi sbattere in faccia l’orrenda verità per l’ennesima volta, da una donna.
Soprattutto perché sapeva bene che il suo rifiuto, a differenza delle altre volte, lo avrebbe dilaniato.
No, meglio non sapere nulla e cercare di dimenticarla. Cosa facile all’inizio, ma che si rivelò più dura di quanto credesse.
Aveva pensato a lei ogni giorno, per due lunghi anni, e non accennava a smettere.
Il suo cuore batteva furioso ogni volta che qualcuno nominava Dressrosa, per caso. Cercava di accontentarsi del suo ricordo, divorando i giornali che riuscivano a trovare a caccia di qualche menzione al suo regno, trovandovi sempre articoli sporadici e mai nulla su di lei. Stava impazzendo da mesi…
Ma ora Bibi gli portava notizie fresche e per lui furono come la prima boccata d’aria dopo una lunga apnea.
Non gli bastava, ne voleva sapere di più e la incalzava.
La principessa rideva, guardandolo trasognato, lanciando sguardi complici al cecchino, ancora al suo fianco… avevano capito…
Al diavolo anche questo, si disse Sanji, io devo sapere tutto di lei! Prima di perdere la ragione completamente.
 
“Mi racconta sempre come procedono i lavori di ricostruzione della città, dopo la battaglia con Do Flamingo. Del suo rapporto con il padre e con sua nipote Rebecca. Ma soprattutto, non fa che elogiare la ciurma di Cappello di Paglia. Sa che ero una Mugiwara e ne parliamo senza timori. Ripete sempre che avrà un debito infinito verso di voi. In questo ci assomigliamo…” sorrise teneramente “…e spera un giorno di poter ricambiare, in qualche modo... È felice, Sanji. Molto felice!” concluse sospirando dolcemente, guardandolo sorridere inebetito, gli occhi lievemente lucidi.
Non aveva mai visto il ragazzo con quell’espressione emozionata, in viso. Gli occhi che brillavano come se non aspettasse altro dalla vita, se non quello che lei gli aveva appena raccontato.
Quello che gli passava per la testa era chiaro.
Era quasi commovente vedere con quanta disperazione cercasse notizie di Viola, pur cercando di mantenere una posa stoica e distaccata. La maschera di freddezza si stava via via sgretolando sempre più.
Non credeva che avrebbe mai visto Sanji soffrire per amore. Soffrire davvero.
Affrontava il dolore come un uomo, ma ne aveva già passate troppe… non si meritava di patire così tanto anche per questo.
“Sai…” esordì nuovamente, ben conscia di stare per sconvolgere il delicato equilibrio dell’amico “Mi ha parlato molto anche di te…” Il diretto interessato sollevò lo sguardo, sgranando gli occhi, mentre Usop riprendeva a fissarla, attento.
“Mi ha detto cosa hai fatto per lei. Di come tu sia stato l’unico a capire che fingeva di stare dalla parte di Do Flamingo. Di come l’hai salvata…
“Ha saputo del tuo mancato matrimonio, della lotta con Big Mom e della tua famiglia. È stata in pena per te per mesi. Mi chiede spesso se stai bene, se ho tue notizie. Purtroppo, fino a tre settimane fa non ho mai potuto darle nozioni certe. Le mie informazioni su di voi le prendevo dai giornali, e lo stesso faceva lei.
Sono felice di poterle finalmente rispondere sicura, la prossima volta.” Sentenziò felice.
Sanji non parlava. Continuava a mantenere un’espressione seria, rivolta a terra.
Bibi scambiò uno sguardo interrogativo con il cecchino, che le rispose con un’alzata di spalle.
Che succedeva? Non era felice di sapere che Viola pensava a lui?
Prima che potesse porgli qualsiasi domanda, il cuoco la precedette.
“Ti ringrazio, Bibi. Sapere che sta bene ed è felice è la sola cosa che volevo sapere. Adesso posso tornare al Baratie con l’animo più sereno.” Concluse, sorridendo mesto.
Qualcosa non tornava… avrebbe dovuto mostrare più entusiasmo!
“Sanji, ti ho appena detto che anche lei ti pensa! Tiene molto a te e ha sofferto per quello che ti è successo con la tua famiglia! Non significa niente per te…?” tentò, la ragazza, aggrottando le sopracciglia.
Ma Sanji non parlava. Fissava le sue scarpe e sembrava tutto tranne che felice.
“Amico, qual è il problema?” si intromise Usop.
Il soggetto in questione alzò nuovamente la testa fissando prima uno, dopo l’altro dei suoi amici. “Sapere che mi pensa mi fa davvero piacere ma… lo farebbe per ciascuno di noi. Non vuol dire che tenga a me nella stessa maniera in cui io tengo a lei…
“Davvero, Bibi, grazie per tutto. Per essere venuta ad aiutarci con Pell e gli altri, durante la battaglia e per avermi portato notizie di Viola. L’ho apprezzato moltissimo!” concluse con un sorriso sincero.
La principessa sgranò gli occhi.
Usop si grattava la testa, cercando di guardare da un’altra parte. La tristezza del suo amico era talmente palese da trapassargli la pelle ed entragli nell’animo.
“Ora, scusatemi. Vorrei prendere un’aspirina e mi sono anche reso conto di dovere le mie scuse a quattro cari amici.” Proseguì il cuoco, tentando di alleggerire quell’aria pesante che avvertiva attorno “Spero riusciranno a perdonarmi per aver attentato alla loro vita…”
“Sanji, aspetta! Forse… forse non mi sono espressa bene… Viola sta pensando seriamente di rinunciare al trono!” lo interruppe Bibi, alzando la voce. “E lo vuole fare per te!”
La fissò sorpreso. “Di che parli?”
“Lei… lei non pensa a te perché si sente in debito!” esclamò la ragazza, di rimando “È innamorata di te!”
 
Usop voleva i pop corn!
Gli sembrava d’essere ad uno spettacolo teatrale!
A quest’ultima uscita aggrottò le sopracciglia, colto alla sprovvista, mentre il suo amico sbiancava in maniera preoccupante.
“Non sto scherzando, Sanji…” riprese sicura la sua amica “Viola tiene a te più di quanto credi. Ti ama!”
Il cuoco non parlava... poteva vedere il suo cervello lavorare febbrilmente sotto il ciuffo biondo. Si stava scervellando per assodare la veridicità delle sue parole.
La faccia che aveva la diceva lunga.
Paura. Paura estrema di soffrire ancora. Era stato troppo male nella vita, non voleva più illudersi.
Bibi sembrò capirlo quanto lui. “È la verità, Sanji.
“Me lo ha confidato al Reverie e da allora non ha mai smesso di credere che saresti tornato a Dressrosa, un giorno. Non so come, ma è sempre stata certa che anche tu provassi qualcosa per lei! Ha parlato di una sorta di alchimia chimica scaturita tra voi da quella volta in cui ti dirò un calcio in pieno viso.” rise “Non ha mai cercato di contattarti perché voleva lasciarti del tempo per realizzare il tuo sogno, non voleva essere un ostacolo alla tua vita di pirata.
Ti sta aspettando da tanto tempo…
“Se non mi credi prendi la Sunny, va da lei e fattelo dire di persona.” Esclamò con un sorrisetto complice.
Il cuoco sembrò riprendersi a quelle parole.
Con espressione neutra e senza proferire verbo, rifece il nodo alla cravatta, allentata in precedenza, e si sistemò il colletto della giacca.
Successivamente, sotto lo sguardo attento dei suoi amici che non si perdevano una sua mossa, si stirò le pieghe dei pantaloni con le mani, e assestò il fazzoletto da taschino.
“Sanji…?” Bibi, confusa, azzardò una domanda, che le morì in gola non appena il ragazzo alzò lo sguardo su di lei.
Sul viso dell’amico si stagliava il sorriso più bello che avessero mai visto.
Li lasciò senza fiato.
È così che ci si sente, allora… Usop non poté impedirsi di pensarlo, intenerito.
Poi, sempre sorridendo dolcemente, fece ad entrambi un gesto di saluto col capo, si mise le mani in tasca e si avviò a passo sicuro verso la cittadina.
Bibi non riuscì a trattenere una lacrima di commozione, guardandolo allontanarsi.
Il cecchino spostò lo sguardo, notando solo allora Bartolomeo, poco lontano, ringraziare platealmente i Kami per aver potuto dormire a così stretto contatto con Franky, mentre il Boss lo guardava scuotendo la testa, rassegnato.
Mancavano quattro giorni alla partenza.
Non vedo l’ora di vedere Kaya…
Sanji ormai era diventato un minuscolo puntino.
Usop pensò a quello che gli aveva detto. Sapeva di avere ragione solo in parte.
I demoni del suo amico non se ne sarebbero mai andati del tutto, ma era molto fiducioso. Se Viola lo avesse aiutato, avrebbe potuto imparare a conviverci, un giorno.

 

 

ANGOLO AUTRICE:
Ciao!! Ecco (con un pò di ritardo) il nuovo capitolo. Volevo solo far sapere a quelle buone anime che leggono e recensiscono che purtroppo, causa impegni abbondanti, andrò un pò a rilento con la stesura dei capitoli, che saranno ancora credo massimo tre.... ringrazio tantissimo chiunque si soffermi a leggere le mie menate! ^-^ E prometto di portare a termine la storia il prima possibile!! Ancora Grazie a tutti!!
Momo


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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


Ventitré garze sterili.

Ventidue siringhe.

Dieci flaconi di disinfettante.

Sette lacci emostatici.

Centonove cerotti.

 

Appunto n. 18: reperire prima possibile aspirine e antidolorifici

 

Chopper terminò di trascrivere sul suo taccuino, il visino pensoso all’aria.

Sanji si era preso l’ultima aspirina il giorno prima e Sabo lamentava ancora forti dolori alla gamba.

Dovevano fare assolutamente rifornimenti alla prima isola.

Ormai mancavano solo due giorni alla partenza…

Girò lo sguardo, soffermandosi sulla parete alla sua destra.

Lo scaffale dei medicinali faceva bella mostra di sé, ogni giorno, inesorabilmente, sempre più spoglio.

Da una settimana faceva l’inventario ogni sera, prima di coricarsi. Era diventato automatico, un po’ come contare le pecore.

Faceva il giro di ronda per controllare i pazienti ancora allettati (non più così tanti), constatando felice che le guarigioni aumentavano a vista d’occhio. Aveva decretato Tashigi completamente fuori pericolo giusto tre giorni prima, ed era stata l’ultima ricoverata a serio rischio. Di lì a due giorni avrebbe dimesso tutti i suoi pazienti.

Poi, tornava nella stanza che aveva adibito a infermeria (e praticamente anche a magazzino), per stilare il nuovo inventario, prima di crollare sfinito sul piccolo letto della stanza.

Erano stati gentili gli abitanti di Raftel a concedere loro quella vecchia cascina per farla diventare il suo ospedale da campo. Se non fosse stato per loro non avrebbe saputo dove mettere tutti i feriti, dopo la battaglia.

E dove sistemare i morti…

Illuminato solo dalla luce della lampada sulla scrivania, si stropicciò gli occhi con lo zoccolo. La stanchezza si faceva sentire sempre di più ogni giorno.

Robin, Nami e Koala facevano del loro meglio, ma… se solo ci fosse stato Law ad aiutarlo…

Tirò su col naso. In quei momenti la tristezza si intensificava.

Aveva ammirato il Chirurgo della Morte per anni.

Dopo l’alleanza con il suo capitano la stima verso di lui era aumentata a dismisura. Aveva visto con i suoi occhi cosa era capace di fare e non poteva che esserne affascinato.

Non si meritava di morire così giovane. Nessuno di loro se lo meritava.

Jimbe, anche se con andamento scostante, era ormai uno di loro.

Quanto aveva sofferto per lui, quanto soffrivano tutti ancora…

Sanji per Iva.

Bartolomeo per Cavendish.

Zoro per Kinemon.

E Rufy...

Sapeva bene che nessuno lo incolpava di quelle morti. E, anche se andava ripetendo a sé stesso da giorni che, nonostante tutta la sua conoscenza e le sue medicine, per alcuni di loro, non ci sarebbe stato nulla da fare in ogni caso, non poteva impedirsi di sentirsi in colpa.

Se si fosse impegnato di più forse ora le cose sarebbero diverse...

Sospirò mogio, era difficile non ritenersi in difetto.

Si soffiò il naso con un fazzoletto, schiarì la gola e, senza staccare gli occhi dal suo taccuino, cercò di riprendere un aspetto professionale. Era ancora in servizio, dopotutto.

Dov’era rimasto…?

…aspirine e antidolorifici, specifici per ferite da…

Improvvisamente, un rumore assordante lo fece sobbalzare sulla sedia, spaventandolo a morte.

Qualcosa (che dal fracasso avrebbe detto fosse il carrello dei medicinali all’ingresso) doveva essere caduto rovinosamente a terra.

Chopper strabuzzò gli occhi. I suoi pazienti erano già a letto quando aveva finito il giro quindici minuti prima. Aveva di certo svegliato tutti!

Chi si permetteva di disturbare la quiete notturna di un ospedale?

Accese la luce dell’ingresso e si avviò alla porta col musetto imbronciato, per capire chi fosse il pasticcione di turno e fargli una bella lavata di capo.

Si era aspettato Rufy, o per lo meno Zoro, invece si stupì non poco nel trovarsi di fronte l’enorme mole del carpentiere di bordo, con il sedere all’aria, mentre cercava di recuperare tutti i medicinali caduti a terra.

Viceversa, non si meravigliò più di tanto nel trovarlo già in compagnia di due dei suoi pazienti più nevrotici, evidentemente buttati giù dal letto all’improvviso.

“Ho già chiesto scusa!!” ululava Franky, rosso in viso, mentre cercava di prendere un flaconcino finito sotto un mobiletto.

“Sai che me ne importa?? Non si entra così in un ospedale!! Qui c'è gente che sta morendo, idiota!!”

Bagy il clown e la sua diplomazia.

Chopper provò ad azzardare un “Veramente stanno tutti bene…” che venne completamente ignorato.

“Ti rendi conto che hai messo in serio pericolo la nostra incolumità? Potremmo avere un infarto in corso!” Hermeppo, inspiegabilmente sostenitore della strampalata tesi.

Franky si limitò a fissarli un po’ troppo scettico per i loro gusti. Entrambi in pigiama e visibilmente alterati, oltre che in buona salute, salvo per qualche cerotto, non incutevano il minimo terrore nel cyborg.

“Certa gente muore sempre troppo lentamente…” commentò tranquillo, sistemando l’ultima siringa sul carrellino rimesso in piedi.

Chopper roteò gli occhi.

“Che cosa? Vuoi vedere chi sarà il prossimo??” sbraitò Bagy, schiumante di rabbia, trattenuto a fatica per le ascelle, dal marine.

“Ora basta!” gridò il dottore, esasperato. “Voi due a letto! Franky, tu vieni con me!”

Hermeppo trascinò a forza il pirata, ancora furibondo, verso le camere, non osando disobbedire agli ordini del medico e lasciando soli i due Mugiwara.

“Strilli un po’ troppo per essere moribondo…!” gli urlò dietro Franky, divertito, per poi guardare il nakama che lo fissava imbronciato “Oh, che c’è? Non si può più scherzare…” esclamò nervoso.

“Andiamo…” mormorò quello, posato. Il cyborg lo seguì, teso.

Una volta dentro l’infermeria sciolse la lingua. “Scusa per prima, amico! Non l’ho fatto apposta! Stavo venendo da te e quel carrello era in mezzo al passaggio e…”

“Boss, respira! Tranquillo!” Chopper gli batté uno zoccolo sulla gamba. “Lo so che è stato un incidente.”

Franky si rilassò a quelle parole, buttandosi sul piccolo letto con un tuffo e rischiando di distruggere anche quello. Il Nakama si accomodò alla scrivania.

“Di cosa avevi bisogno tanto urgentemente da venire qui così tardi?”

“Ecco… non è che ti è avanzata qualche bottiglia di Cola, della riserva che ti avevo affidato per la battaglia?”

Il dottore lo guardò stranito. “L’hai finita tutta?”

“Non proprio… diciamo che Sanji l’ha scambiata per coraggio liquido, alla festa l’altra sera…” mormorò monocorde.

Chopper non trovò nulla con cui ribattere. Aprì, invece, il mobiletto accanto alla scrivania e ne estrasse cinque grosse bottiglie, contenenti una sostanza nerastra con le bollicine.

“Sono le ultime, è meglio se te le fai bastare per i prossimi giorni. Almeno finché non raggiungeremo la prossima isola.” disse, porgendogliele.

“Grazie, amico!” sorrise caloroso, afferrandole. L’occhio gli cadde sul taccuino ancora aperto sulla scrivania. “Come va con l’inventario?” chiese.

“Non così bene.” Mormorò il dottore, mogio “Speravo di avere più medicine per la partenza.

“Zoro e Rufy non si sono ancora ripresi del tutto, Brook ha bisogno del tutore per le ossa della gamba e Nami ha ancora la mano fasciata.

Manca così tanta roba… e non parlo solo di medicinali. Le altre navi sono nelle nostre stesse condizioni. Non possiamo chiedere ancora aiuto agli abitanti, sono già stati fin troppo gentili.” Concluse angosciato.

Franky lo squadrò, intenerito. Il suo fratellino si angustiava troppo.

I Mugiwara avevano dimostrato al mondo di avere la pelle dura. Non sarebbero stati qualche giorno di navigazione senza cerotti o carne, a minarne la forza.

“Per me non ti dovresti preoccupare, Chopper.” La renna alzò il visino. “Quando arriveremo alla prossima isola compreremo ciò che ci serve e anche di più.” ghignò “L’oro non ci manca…”

“Su questo hai ragione, Boss.” Sorrise il più piccolo. “Prima di trovare il tesoro non avevamo mai avuto così tanto denaro. Mi stupisco ancora di come riuscivamo a pagare il conto nelle taverne, dopo che Rufy le aveva ripulite.”

“Questo non sarà più un problema. A che è servito arrivare su Raftel se ci preoccuperemo ancora della disponibilità finanziaria delle nostre casse?” domandò, ridendo sguaiatamente.

“Per quanto riguarda gli abitanti di questo posto, poi, hanno di che essere felici con le suuuuper case che ho costruito per loro! Non hanno nulla di cui lamentarsi!”

“Hai ragione, Franky!” asserì il piccolo medico, sospirando rincuorato.

“Sabo come sta?” domandò il carpentiere, cambiando argomento.

Chopper sorrise. “Molto meglio. I rivoluzionari partiranno tra due giorni, come noi. Ho tutto il tempo per controllare lo stato di guarigione della ferita alla testa.”

“Oggi è stata una gran giornata!” commentò il compagno. “Koala non finiva più di ringraziarmi. Non pensava che sarei stato in grado di costruirle un altare e una sala ricevimenti che contenesse tutta l’isola, in mezza giornata.” Sorrise, allargando le enormi braccia “Non sapeva ancora con chi aveva a che fare!”

“È stata una bellissima cerimonia!” gli diede man forte Chopper, esaltandosi “Sabo è riuscito a restare in piedi per tutto il tempo, anche se con l’aiuto di una stampella! Deve amarla molto se ha resistito così tanto solo per regalarle un giorno così romantico.”

“Non è stato facile neanche avere Rufy come celebrante… ha fatto durare la funzione più del previsto!”

“Si, è stato davvero buffo! Continuava a scordarsi le battute! Per fortuna Robin, di nascosto, gli suggeriva ogni volta che si bloccava!”

“In ogni caso Sabo, poi, è rimasto seduto durante tutto il ricevimento!” aggiunse il carpentiere, con un ghigno “Direi che è valsa la pena sopportare un po’ di dolore...”

Il compagno rise.

Con un sospiro felice, Chopper ritornò col pensiero agli ultimi giorni.

Era stata dura.

La battaglia, già di per sé, aveva portato a ostilità e dissapori tra i sopravvissuti.

I marine si erano trovati improvvisamente catapultati in un mondo senza più poteri forti.

Tutto quello che avevano sempre creduto di sapere sul Governo Mondiale, era svanito in pochi giorni.

Non avevano più uno scopo, e questo aveva portato ad un crescente stato di nervosismo, prevalentemente tra i cadetti più giovani.

La convivenza tra marine e pirati non era stata facile fin dal principio, ma ognuno, di comune accordo, si era reso conto molto presto che era necessaria una sorta di collaborazione, per non impazzire.

Tutti, chi più chi meno, avevano compagni feriti che necessitavano di cure.

Tutti, erano responsabili della distruzione del paese e, di conseguenza, avrebbero dovuto lavorare per ricostruirlo.

Tutti, avevano morti da onorare.

Era stato raggiunto un compromesso unanime: tu fatti i fatti tuoi, che io mi faccio i miei.

E la cosa sembrava funzionare. Il più delle volte…

La giornata appena trascorsa aveva dato modo a tutti di alleggerire le piccole tensioni che ancora sfociavano, inevitabilmente, ogni tre per due.

Partecipare ad un evento felice come poteva essere un matrimonio aveva reso tutti molto più rilassati e disponibili gli uni con gli altri.

Nel complesso, valutò il piccolo medico con un sorrisetto, erano diventati un quadretto comico ed armonico allo stesso tempo.

“Sai, non ti ho ancora ringraziato, Chopper.”

L’interpellato alzò il visino, scrutando curioso il compagno, insolitamente serio.

“Si, insomma… per avermi salvato la vita!”

Il medico sgranò gli occhi.

“Contro Shiryu… quando hai scansato il colpo diretto a me… se non fosse stato per te, credo che ora non sarei qui ma sotto tre metri di terra…” mormorò, ghignando amaramente.

Chopper lo fissò, sorpreso.

“Probabilmente non te lo ha ancora detto nessuno, ma hai salvato ognuno di noi in queste settimane, amico!” proseguì, guardandolo negli occhi.

“Fr-Franky!! Dai, smettila!!! Così divento rosso!!!” balbettò il piccolo medico, molleggiando sulla sedia.

“Non sto scherzando!” ribadì il carpentiere, risoluto, facendo tornare la renna seria di colpo.

“Essere l’unico medico rimasto in mezzo a questo delirio, non è facile. Tu sei riuscito ad aiutare tutti, nessuno escluso… hai fatto l’impossibile e anche di più!” proseguì “È merito tuo se Brook può tornare da Lovoon con solo un osso incrinato! Merito tuo il braccio guarito in tempi record di Usop… e sempre merito tuo la gamba di Izo, le ecchimosi risanate di Hacchan, Mihawk, Kidd, Bellamy… Se Rufy ha ancora la forza di andare avanti e sorridere dopo lo scontro con Akainu!”

La bocca di Chopper toccava ormai il pavimento.

“Sabo era ad un passo dalla morte! Grazie a te è riuscito a sposarsi, oggi!

“Per non parlare di Nami, che se potesse ti farebbe un monumento dopo che hai riportato Zoro, per l’ennesima volta, tra i vivi!...e, prima che tu me lo chieda, non sto piangendo!!!!” affermò, strofinandosi gli occhi lucidi con forza.

Troppo sconvolto per replicare, Chopper ritornò a sedersi composto sulla sedia, fissando il carpentiere riprendersi dalla piccola crisi di pianto che l’aveva scosso.

Non sapeva bene cosa dire.

Aveva ben chiaro che il suo Nakama era emotivamente instabile… ma ora esagerava un po’.

Era lusingato, certo. Eppure non credeva di aver fatto nulla di così speciale, era il suo lavoro, fare il medico.

Lo stava dipingendo come un eroe, però non lo era. Aveva fatto un giuramento e tale andava rispettato.

La sua vita era dedicata da sempre alla cura del prossimo. Non potevano aspettarsi nulla di meno da lui.

Franky aveva forse intuito quanto lo angosciassero le morti dei loro amici e compagni…?

 “Chopper…” esordì nuovamente il carpentiere, come se gli avesse letto nel pensiero “…le perdite che abbiamo avuto sono state rilevanti e nessuna di loro è stata colpa tua! Lo sappiamo tutti… sono giorni duri per ciascuno di noi,ma tu hai fatto in modo di renderli migliori, volevo dirti solo questo. Quindi grazie, fratello.”

L’amico lo guardò sorpreso, per l’ennesima volta quella sera.

Fratello.

L’aveva chiamato Fratello. Non fratellino, come al solito.

Come mai…?

Franky aveva sottolineato quell’ultima parola con una certa enfasi.

Voleva forse dire che ora lo considerava un suo pari? Un compagno adulto, forte, capace e non più solo un fratello minore da proteggere…?

Quella considerazione gli scaldò il cuore e dovette trattenersi per non scoppiare a piangere.

L’uomo sorrise intenerito, di rimando. Si erano capiti al volo.

“È meglio che vada ora.” Proferì, alzandosi dal letto. “Domani dobbiamo caricare la nave e prepararci alla partenza! Dovremmo riposare entrambi.”

“Si… si è fatto tardi.” Confermò, con voce roca, la renna, allontanandosi a sua volta dalla scrivania.

Franky stava per oltrepassare la porta quando si fermò e si girò verso di lui.

“Sai, Chopper, dopo questa prova nessuno potrà mai più considerarti un tenero pelouche! Credo che le cose saranno un po’ diverse d’ora in avanti!” mormorò con un ghigno.

L’amico fece un sorrisetto complice. Un pensiero improvviso lo colpì, facendogli richiamare l’uomo. “Franky??”

Lui, ormai completamente fuori dalla stanza, si affacciò solo con la testa scrutandolo curioso, in attesa.

“Perché Nami mi farebbe un monumento per aver salvato Zoro?”

L’interpellato soffocò una risatina.

“Sei cresciuto, amico… ma per certe cose resti ancora il nostro adorabile fratellino!

Te lo spiegherò più avanti…” detto questo, tenendo ben strette le sue bottiglie, si congedò, salutando il medico e scomparendo nel corridoio.

Chopper rimase qualche istante a fissare la soglia della sua stanza, confuso. Poi, scrollò le spalle e chiuse la porta. Avrebbe indagato l’indomani.

Mentre si coricava pensò al dottor Hillk, per la prima volta da quando la battaglia era finita.

Gli mancava tanto…

Chissà se anche lui era orgoglioso di tutte le persone che aveva aiutato.

Non ho ancora una cura per tutte le malattie, dottore. Ma manca poco, ormai!

Presto avrebbe rivisto anche la dottoressa Kureha e le avrebbe mostrato cosa sapeva fare.

Non vedeva l’ora di sguazzare nella sua neve!

Con l’immagine delle sue montagne innevate e qualunque tipo di pensiero nefasto fuori dalla mente, si addormentò con il sorriso sulle labbra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTORE:

 

Ciaoooo. Sono tornata! Di tutti i cap. della storia questo è quello che mi convince meno L ma non potevo continuare a cambiarlo, ergo ho pubblicato la versione meno peggio :-p

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Grazie a tutti quelli che leggono silenziosi e a chi perde tempo ed energia nelle recensioni di sta roba (temeraria e gentilissima Zomi)! J

A presto!!

Momo

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


Angolo autrice:

Non mi dilungherò so che questo cap. lo aspettavate da un bel po’   u.u

scusate per la lunghezza ma non sono riuscita a tagliare in due parti!

Non potevo non postare il nuovo cap. in occasione del compleanno del nostro meraviglioso spadaccino… nella speranza di vederlo ricomparire presto…… dai Oda!

Vi lascio alla storia!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Finito!! Ti ho battuto di nuovo!!”

Zoro sgranò l’occhio buono, rischiando di soffocarsi con il rhum, guardando la navigatrice scaraventare con forza il boccale ormai vuoto, sul tavolo.

Poggiò con più calma il suo, svuotato un secondo di troppo rispetto a quello della donna.

Aveva vinto lei. Ancora.

Era la terza volta di seguito, quella sera.

Confuso e con la vista un po’ annebbiata, ci mise qualche secondo a mettere a fuoco l’espressione della cartografa.

Nami ci stava prendendo gusto, glielo leggeva in faccia. Quel sorrisetto di sfida, unito allo sguardo vittorioso che gli lanciava, erano tutto un programma.

Scosse la testa, rassegnato, guardando il suo bicchiere.

Tutto sommato non era poi un gran problema.

Gli importava poco di aver perso. A lui bastava aver trovato da bere.

“Beh, che succede? Come mai non ribatti nulla, stasera?” mormorò lei, la voce leggermente impastata dall’alcool.

Zoro alzò di nuovo lo sguardo.

I gomiti poggiati al piano, una mano a sorreggere la testa e uno sguardo interrogativo, Nami lo fissava, in attesa.

Ancora lievemente stordito, si fermò a guardarla qualche secondo di troppo, come succedeva spesso ultimamente.

Gli occhi color cioccolato, adornati da un leggero strato di trucco, gli sembravano così grandi e luminosi mentre lo scrutavano. Le gote rosse, imporporate dalle numerose bottiglie disseminate sul tavolo, la facevano somigliare ad un pomodoro maturo.

Era certo di avere in corpo più o meno lo stesso tasso alcolemico dell’amica, eppure si sentì improvvisamente lucido mentre si perdeva a guardarla in ogni sua più piccola sfaccettatura, imprimendosela nella mente, come se fosse stata l’ultima volta.

La pelle leggermente abbronzata, le lunghe gambe accavallate, l’ovale perfetto del viso… si sorprese per l’ennesima volta nel constatare quanto fosse attraente, Nami.

La mano appoggiata al tavolo, quella ancora fasciata per la ferita al polso, si muoveva ticchettando con le dita sulla superficie come a suonare i tasti di un pianoforte immaginario. I capelli sciolti che cadevano morbidi sulle spalle. La canotta bianca che aveva messo per contrastare il caldo afoso che si respirava nella piccola cucina della casetta dove i Mugi passavano la notte, da due settimane.

Fingendo un’indifferenza che non provava, scrollò le spalle, prima di rispondere.

“Non ho niente da dire. Ho perso. Andrà meglio la prossima volta.”

La cartografa lo squadrò interdetta, posando entrambe le mani sul tavolo.

“Ma come? Nessuna lamentela sul fatto che secondo te ho barato? Nessuna richiesta di rivincita?”

Lo spadaccino sbuffò, divertito.

Non sono così prevedibile come credi.

“Sei strano oggi, Zoro.” Mormorò, non smettendo di guardarlo.

Il ragazzo sospirò tranquillo, allungandosi sulla sedia e incrociando le mani dietro la testa a mo’ di cuscino.

Sapeva che non sarebbe passata inosservata la sua insolita docilità. Nami lo conosceva meglio di chiunque altro, eccezion fatta forse per Rufy.

“Non ho niente. Avevo solo voglia di bere e stare in pace, per coronare la giornata.”

Se non contava i tre giorni passati a letto, per riprendersi dallo scontro contro la ciurma di Barbanera e il Governo Mondiale, quella che stava finendo era stata la prima vera giornata passata in completo relax, da quando la battaglia era finita, ormai quasi due settimane prima.

Niente più cure mediche. Nessuna festa da allestire. Neanche più case da riparare.

A caricare la nave per la partenza del giorno dopo c’avevano pensato Franky, Usop e Brook.

Stranamente nessuno gli aveva chiesto niente per tutto il giorno.

Le uniche cose concrete che aveva fatto erano state una doccia, un cambio d’abito e levarsi di dosso gli ultimi cerotti.

Mah…

“Bastava dirlo, allora! Non ti avrei proposto nessuna gara. Avremmo potuto bere normalmente e non come se non ci fosse un domani!” affermò Nami, iniziando ad alterarsi. “Ho dato fondo a tutta la nostra riserva per una gara che non volevi nemmeno fare! Non mi dai neppure il gusto di vederti sconfitto!”

Zoro ghignò, mantenendo la posizione con le braccia dietro la nuca.

La solita mocciosa.

“Tranquilla, ho ancora qualche bottiglia sulla Sunny. Potremo bere di nuovo prima della prossima isola.” Annunciò sereno, chiudendo l’occhio, pronto ad un sonnellino pre-dormita notturna.

Questione di secondi ed era certo sarebbe partita a razzo in una filippica infinita contro di lui, strepitando arrabbiata. Si preparò mentalmente a salvaguardare le sue orecchie dai decibel che avrebbero captato di lì a poco, ma con sua sorpresa non accadde nulla.

Riaprì mezzo occhio, giusto in tempo per vederla sospirare pesantemente, mentre afferrava le bottiglie per buttarle nella pattumiera.

Si accigliò.

Senza più traccia di sonnolenza e completamente lucido, la osservò curioso poggiare le mani sul piano della cucina ed infossare la testa tra le spalle, dandogli la schiena.

Non dava segno di aver notato che fosse ancora sveglio.

La vide gettare uno sguardo assorto al mazzo di fiori poggiato vicino al lavandino, sistemato in un vasetto di fortuna, e sospirare di nuovo.

Erano quelli il problema..?

“Se non ti piacevano potevi buttarli… non penso che Koala se ne sarebbe accorta.”

Nami sobbalzò, girandosi di scatto a guardarlo.

“Mi hai fatto prendere un colpo!! Pensavo dormissi già!”

“Mi è passato…” rispose tranquillo “Allora? Perché li tieni se non li vuoi?”

Lei lo guardò interrogativa “Chi ha detto che non li voglio?”

Zoro si grattò la testa “Sembrava… ” mormorò, alzando le spalle.

Nami guardò il piccolo mazzo di fiori di campo e sorrise teneramente.

“Mi piacciono, invece. Sabo li ha raccolti a fatica, personalmente. Sono un simbolo d’amore. Non potrei buttarli neanche se volessi.”

Zoro aggrottò le sopracciglia.

“…A saperlo che bastava farti prendere un bouquet per renderti così dolce ti avrei portato a più matrimoni!” ghignò.

“Oh, e mi ci avresti accompagnato sempre tu?” lo guardò, furba.

Lo spadaccino esitò, preso in contropiede.

“Beh… si, perché no…?” mormorò, incerto.

Nami sorrise appena, tornando a guardare il mazzolino, e a Zoro non sfuggì il luccichio che aveva visto brillare per un istante nel suo sguardo.

Avvertì una strana stretta allo stomaco, mentre un’irragionevole voglia di vederglielo ancora negli occhi, lo assaliva. Deglutì.

Prese a seguire le sue mosse con occhio attento e, stranamente, teso.

La guardò sollevare il bouquet, sistemandolo nel lavandino per cambiare l’acqua al vaso.

Le mani lavoravano con precisione e delicatezza.

Senza riuscire a distogliere lo sguardo, rimase ipnotizzato dai suoi movimenti. Le braccia e le spalle, che si muovevano lentamente, in maniera elegante e aggraziata.

Seguì la linea immaginaria che partiva dalle scapole della ragazza e scendeva… scendeva per la spina dorsale, sui fianchi morbidi, verso le gambe fasciate in comodi shorts…

Scosse violentemente la testa.

La figura della navigatrice, ancora impegnata nel suo lavoro, gli stava provocando delle fitte persistenti all’altezza del costato.

Perché all’improvviso aveva caldo?

Si sentiva più stordito ora di quanto non lo fosse un’ora prima, ancora sotto l’effetto dell’alcool.

L’alcool…

Ma si certo! Si disse, esultando per la sensatezza di quel pensiero.

È certamente colpa del Rhum! Doveva essere ancora tremendamente ubriaco!

Era per quello che il cuore batteva così furioso da aver quasi iniziato a fare male.

Colpa sua quel nodo in gola. E sempre opera sua il fuoco ardente che aveva preso a bruciargli dentro quando aveva visto la piccola mano di Nami afferrare decisa i lunghi capelli e spostarne l’intero peso sulla spalla destra, permettendo così allo spadaccino di avere piena visuale della sua nuca e della porzione di collo lasciata scoperta.

Deglutì di nuovo e cercò di concentrarsi sul suo bicchiere vuoto, ancora sul tavolo, ragionando.

Si sentiva lucido come non mai, anche se estremamente inquieto.

Prese a fare dei respiri profondi, per calmare almeno il cuore.

Non era più tanto sicuro fosse opera dell’alcool.

Una cosa era certa. Non doveva più guardarla, non voleva sentire di nuovo quella stretta allo stomaco così incomprensibile ma, allo stesso tempo, stranamente familiare.

Sgranò gli occhi.

Era ben più che familiare.

In effetti, somigliava molto alla sensazione che aveva avvertito la sera della festa di fidanzamento del fratello di Rufy.

Si mosse a disagio sulla sedia, gli occhi ancora fissi sul tavolo, ricordando.

Avevano bevuto molto… Quasi tutti avevano deciso di dormire attorno al falò. Ma lei, Nami, voleva il suo letto e lui aveva deciso, DA SOLO e senza ALCUNA intromissione da parte sua, di accompagnarla a casa.

Il bernoccolo che aveva in testa e i vestiti bruciacchiati, come se li avessero colpiti un fulmine, erano dei chiari e lampanti segnali di quanto fosse ormai un uomo forte e capace di prendere le sue decisioni liberamente e senza costrizioni da parte di terzi.

Senza contare che aveva dovuto ammettere, controvoglia, quanto sarebbe stato meglio un comodo materasso, rispetto alla dura terra.

Aveva acconsentito.

Entrambi ancora un po’ alticci si erano avviati verso la casetta, inprecando (lei), prendendo qualche pugno (lui), ridendo e sostenendosi a vicenda per non cadere.

Arrivati si erano avviati verso le camere e al momento di salutarsi, Nami aveva oltrepassato quel confine invalicabile che li divideva da una vita: gli aveva augurato la buonanotte con un bacio sulla guancia.

Casto, tenero, un semplice sfioramento di labbra che aveva lasciato entrambi senza parole.

Sbigottito, non ebbe nemmeno il tempo di reagire perché la navigatrice, rossa in volto, era fuggita via, chiudendosi in camera sua.

Zoro non aveva aperto bocca per parecchio prima di rendersi conto di avere la cassa toracica a rischio di cedimento tanto il cuore batteva.

Sentiva la pelle bruciare laddove lei aveva posato le labbra.

Ricordò di avere dato nuovamente la colpa all’alcool e di essersene andato a dormire.

Stranamente, però, il sonno aveva faticato a venire…

Il giorno dopo non ne avevano parlato. O meglio, lui non aveva tirato fuori l’argomento perché era evidente che lei non lo ricordasse, ubriaca com’era. E, in ogni caso, non aveva significato nulla.

Erano amici, si disse. Poteva capitare una dimostrazione di affetto più… evidente, ogni tanto. Giusto…?

Lo stomaco sottosopra, ora, sembrava dirgli il contrario, mentre i suoi occhi tornavano sulla figura della ragazza.

Il bouquet di nuovo al suo posto, Nami si girò, nello stesso momento in cui lui alzava lo sguardo.

Un brivido gli corse lungo la colonna vertebrale mentre annegava in quel mare di cioccolato.

“È rimasto del gelato, ne vuoi?”

Noi siamo amici!

Perché guardarla negli occhi stasera era diverso?

“Non ce n’è molto, in realtà…”

Solo amici!

Perché all’improvviso l’idea di esserle solo amico gli stava stretta?

“A me non andrebbe, vuoi finirlo tu…?”

Siamo Nakama!

Perché anche lei non scostava lo sguardo?

Questa cosa non può cambiare!

La verità che custodiva quell'ultimo pensiero gli arrivò potente addosso, come un vento gelido ed ebbe il potere di risvegliarlo.

“Non voglio niente!” proferì, infastidito.

Scosse la testa. Non doveva permettere alla sua mente di fargli questi brutti scherzi!

“Non voglio niente…” ripeté, più calmo.

 

Lo vide distogliere lo sguardo e riuscì a malapena a trattenere la delusione.

Aveva sobbalzato nel sentirlo rispondere duro ed irritato ad una domanda così semplice.

Sorrise mesta, abbassando lo sguardo.

Già, è quello che capita quando qualcosa ti disturba. Chissà perché credo di sapere cosa, o meglio chi, continui a causarti problemi, Zoro.

Ma perché ancora si stupiva? Perché ancora sperava di poter avere con lui un rapporto d’amicizia normale?

Sospirò rassegnata, ma tranquilla.

Doveva smetterla di farsi queste paranoie, ma in sua presenza faceva fatica ad essere razionale.

L’idea che avesse in qualche modo tentato una sorta di approccio prima, dicendole che l’avrebbe portata ad altri matrimoni per renderla più docile, l’aveva fatta sorridere. In cuor suo non le sarebbe dispiaciuto, partecipare ad altre feste, con lui.

Ma, ora, era tornato il solito, vecchio, scorbutico, spadaccino.

Quello che sarebbe stato per sempre irraggiungibile.

E che di me non avrebbe mai capito niente…

A volte si chiedeva se lui la considerasse almeno un’amica, oltre che una compagna di ciurma e bevute.

Chissà perché si illudeva ancora.

E Zoro non accennava a smettere di fare quella smorfia, tanto che finì col farle corrugare la fronte.

Ma che aveva…?

Poi un lampo di comprensione la attraversò.

“Ti senti male, per caso?” chiese, con una certa urgenza nella voce. Si era appena rimesso!

 Il ragazzo la guardò di sottecchi.

“No, perché me lo chiedi?”

“È che hai un’espressione… insomma, prima avrei detto di noia… ma ora, sembri quasi… sofferente… sicuro che va tutto bene?” gli chiese, esitante. Se c’era una cosa che non voleva era irritarlo maggiormente.

Zoro, d’altro canto, non diceva nulla, continuava a mantenere lo sguardo basso.

Se fosse stata in una situazione normale gli avrebbe già tirato un pugno per riscuoterlo. Ma quello non era un giorno normale. L’aria era carica di elettricità, lo sentiva a pelle.

Era un bene che fossero rimasti gli unici occupanti della casetta, quella sera.

Quasi tutti avevano deciso di trascorrere l’ultima notte a Raftel, sparsi in giro, piuttosto che a casa con loro.

Rufy e Robin ospitati da Shanks.

Usop, Franky e Brook da Bartolomeo, con Bibi.

Chopper era ancora in ospedale.

Sanji era sparito quel pomeriggio, dopo aver trovato il coraggio di chieder loro scusa per l’altra sera.

Schioccò la lingua, prese una bottiglia d’acqua e la posò sul tavolo con due bicchieri, sedendosi.

Lo spadaccino la guardò finalmente in viso, aggrottando le sopracciglia.

“L’alcool è finito.” Mormorò, in risposta lei “E avevo sete.”

Lui non rispose, chiuse gli occhi e si stiracchiò sulla sedia.

Le sue movenze le fecero capire che stava per congedarsi, probabilmente per andare a dormire.

L’urgenza di trovare qualcosa, qualunque cosa, per trattenerlo ancora con lei, si fece pressante.

“Mi ha stupito vedere Mihawk.” Sussurrò, pacata. Il bicchiere alle labbra.

Aveva detto la prima cosa che le veniva in mente ed aveva fatto centro.

L’interesse del ragazzo si era risvegliato.

“Cosa intendi?” le chiese, indagatore.

Nami alzò le spalle “Non credevo che sarebbe venuto ad aiutarci, dopo quello che gli hai fatto tre mesi fa.”

Zoro ghignò. “E che gli avrei fatto?”

M guarda come cambia personalità quando si tocca la sua roba…

Lei sorrise. “Lo hai battuto e gli hai rubato il titolo. Ma, lo hai anche risparmiato.” Poggiò la testa su una mano, guardandolo furba “Se fossi stata io, col cavolo che sarei venuta ad aiutare in battaglia quello che mi ha sottratto la mia ragione di vita!”

Il ghigno del ragazzo si allargò ancora di più.

“Questo perché tu sei una strega senza cuore.” Mormorò, prendendola in giro.

Nami si finse offesa “Ah si? Sempre meglio che essere un’idiota con la testa vuota!”

Zoro sghignazzò.

“Perona ha fatto un buon lavoro.” Mormorò, tornando serio. “Gli è rimasta solo la cicatrice al volto…

“Per un attimo, su quell’isola, ho pensato davvero di averlo ucciso…”

La cartografa rischiò di soffocarsi con l’acqua.

Davvero si stava confidando?? Con lei??

Riprese un contegno adeguato velocemente, dandogli tutta la sua attenzione, restia a farsi scappare un’occasione del genere.

Zoro non sembrava essersi accorto di nulla. Lo sentì sospirare pesantemente.

“All’inizio, diventare il migliore significava porre fine alla vita del mio predecessore. Non era mai stato un problema per me.

“Ma poi… quello stesso uomo, per due anni è stato il mio maestro ed ho iniziato a rivalutare la cosa.

Fin dall’inizio dello scontro, nel bene o nel male, non avevo alcuna intenzione di ucciderlo!” chiuse gli occhi, ricordando.

Nami non si perdeva una sillaba.

Nessuno sapeva cosa fosse successo durante l’ultimo, definitivo scontro, con Mihawk.

Zoro aveva raccontato tutto solo ed esclusivamente al suo capitano.

La consapevolezza che, ora, si stesse aprendo con lei le scaldò il cuore, rubandole il fiato.

“Sapervi tutti al sicuro al largo, mi ha aiutato.” Continuò il ragazzo “Ho combattuto spingendomi al limite tante volte, ma quella era una battaglia diversa.” Fece un sorrisetto “Non ero certo di uscirne.”

Nami annuì, partecipe.

Lei lo sapeva bene. I Kami solo sapevano quanto era stata male in quei due giorni.

Non sapere come stava era stato logorante e le aveva aperto gli occhi.

Solo uno dei due sarebbe riemerso da quell’isola e doveva lottare con la logica che le imponeva di valutare anche l’idea di non rivederlo mai più.

Due giorni passati tra l’angoscia e la speranza.

Tutta la ciurma avvertiva la tensione e cercava di tenersi occupata.

Solo Rufy, stoico, non si era mai mosso. Seduto sulla polena a braccia incrociate, occhi determinati fissi sull’isola, attendeva l’esito dello scontro, mangiando solo le cose che Sanji o Robin gli portavano di tanto in tanto.

Quando il razzo segnalatore si era alzato dalla montagna al tramonto del secondo giorno, a decretare la fine dell’incontro come pattuito, Rufy aveva voluto andare personalmente a riprendersi il suo amico. In qualunque stato fosse, vivo o morto, doveva essere il primo a vederlo. Aveva voluto con sé solo Chopper, Franky e Sanji.

Non riuscì dire grazie a quale forza divina fu in grado di trattenersi dall’ordinare al proprio capitano di portarla con loro.

Li avevano aspettati per un tempo indefinito, col cuore in gola.

Scoprire che era ancora vivo era stato come rinascere una seconda volta.

C’erano voluti dieci giorni per rimetterlo in piedi e durante questo lasso di tempo, si era allontanata dall’infermeria giusto per sistemare la rotta o fare una doccia. Chopper aveva rinunciato a chiederle di riposarsi. Poteva dormire lì, un secondo letto c’era.

Era diverso da Thriller Bark…

Non riusciva ad allontanarsi da lui. E la cosa che la mandava in bestia era che non capiva perché!

Perché il cervello andava in tilt quando lui, nel sonno, le stringeva la mano?

Perché si angosciava tanto se vedeva che una sua ferita si era riaperta?

Perché il cuore sembrava andare in arresto cardiaco ad ogni suo ghigno sofferente?

Alcuni dei suoi compagni avevano preso a lanciarle persistenti occhiate inequivocabili, a cui non dava credito.

Impensabile, impossibile, oltre ogni previsione, era stato difficile ammettere con sé stessa la verità.

Ma aveva dovuto capitolare.

Ed ora, a tre mesi da quella rivelazione, le sembrava di averlo sempre saputo.

Era destino…

 

“Io credo che Occhi di Falco sia felice che tu l’abbia battuto.” Mormorò in un soffio, fissandolo seria.

“Tu credi…?” le chiese, scettico.

“Lui sapeva che eri l’unico degno di succedergli. Era il tuo destino batterlo. Altrimenti non si sarebbe mai preso il disturbo di allenarti. Se fossi stato un altro ti avrebbe ignorato o mandato a quel paese.” Zoro la ascoltava attento “Io credo, che lui abbia sempre saputo che prima o poi tu l’avresti superato.”

Lo spadaccino fece un sorrisetto “Una cosa tipo, l’allievo che supera il maestro? Di certo, però, non si aspettava di sopravvivere per vederlo.”

Nami rise, scuotendo i lunghi capelli “No, infatti. Gli hai tirato un gran brutto scherzo!”

Sghignazzarono per un po’, malinconici.

Fu Zoro a prendere parola per primo, guardandola fisso. “Che succede, Nami?”

Lei lo squadrò, presa in contropiede. “Pensavo…” ammise.

“Alle scuse patetiche che ci ha fatto oggi torcigliolo pazzo?”

La cartografa roteò gli occhi. “Smettila… è stato gentile. Non era obbligato.”

Il ragazzo si accigliò “Come ‘non era obbligato’?? Ha tentato di farmi la pelle!”

Nami fece una smorfia. “Come se fossi mai stato davvero preoccupato di questo! E poi, era ubriaco! Lo sai che non pensava nulla delle cose che ha detto… era triste per Viola…” asserì, mesta.

“Non la ritengo una motivazione valida per dare fastidio agli altri!” concluse lui, incrociando le braccia, imbronciato.

“Quando si è ubriachi si parla a briglia sciolta. Si fanno cose che da sobri non avresti mai il coraggio di fare. Se poi ci metti anche una buona dose di depressione, esce il lato peggiore di te…” mormorò lei stancamente, fissando il tavolo.

Zoro strinse gli occhi. Stiamo ancora parlando di Sanji…?

Probabilmente no.

Era più facile pensare che si fosse ricordata il bacio dell’altra sera, e che si stesse facendo delle paranoie assurde, soppesando a chissà quale risvolto problematico avrebbe potuto portare.

Dio quanto siamo uguali noi due…

Scosse la testa impercettibilmente, guardando con affetto la ragazza che aveva di fronte, fissare con sguardo perso il suo bicchiere.

Sarebbe stato un’idiota se non avesse ammesso, almeno a sé stesso, di averci pensato anche lui, a quell’eventuale risvolto. Doveva dirlo… se fosse stato positivo lo avrebbe preferito di gran lunga.

Quella complicità, quel senso di famiglia, con lei erano amplificati.

Il suo lato manesco e autoritario fuoriusciva per la maggiore, ma all’occorrenza dimostrava un’indole umana di rara bellezza. Difficile non gravitarle attorno quando lasciava uscire la sua parte più dolce.

Nami era il cuore della ciurma. La depositaria principale delle sofferenze e delle gioie di tutti.

Si era fatta carico di pesi infinitamente superiori alle sue spalle già da piccola e continuava, silente, ad essere la custode di ogni carico emotivo triste o felice, soggiornasse nei suoi Nakama.

Ricordava ancora il senso di beatitudine e sollievo che aveva provato quando, al suo risveglio dopo aver sconfitto Mihawk, l’aveva trovata al suo capezzale.

L’appellativo con cui spesso Sanji l’apostrofava era azzeccato in quel periodo: un angelo sorridente, che l’aveva assistito per giorni, instancabile.

Era felice di essere ancora vivo. Felice perché così lei, non era triste.

Era questa la Nami che avrebbe voluto vedere sempre, non l’isterica ragazzina o l’avara doppiogiochista, maschere create appositamente per celare quel lato del suo carattere troppo fragile.

La sua intelligenza e umanità, unite alla sua innegabile bellezza, la rendevano la donna perfetta che chiunque avrebbe sognato. E, aveva scoperto recentemente con un certa dose di inquietudine, lui compreso.

Certo, dirlo a voce alta era tutto un altro paio di maniche e avrebbe dovuto gelare l’inferno, prima.

Ma tant’era, perché ormai ci pensava da una settimana, ogni volta che restavano soli.

E, come un mantra, si ripeteva che Nami era sua amica. Una Nakama!

Che queste fantasie non dovevano neanche passargli per l’anticamera del cervello!

Che non doveva pensare ad un eventuale ‘noi’. Perché faceva paura e metteva angoscia. Ed era un pensiero che si imponeva di evitare.

Nonostante tutti i suoi buoni propositi non riusciva a fare a meno di pensarci.

La voglia di guardarla, di sfiorarla, era pressante. Al mattino, appena sveglio, non riusciva ad impedirsi di cercarla con gli occhi.

Stordito, iniziava a fare i conti con sensazioni evidenti e palpabili, che negli anni aveva relegato in un angolino della sua testa. Per forza quei giorni gli erano sembrati strani!

Non sapeva spiegarselo… era come se tutte le sue emozioni fossero state messe in stand-by dal suo cervello per cinque anni, per poi farle esplodere di colpo nell’ultima settimana.

Era impossibile, eppure gli sembrava di provarle da sempre.

Negli anni, sapendo di non potersi permettere distrazioni, aveva alzato un muro intorno a sé, non permettendo a nessun genere di sentimento di fuoriuscire, se escludiamo la fedeltà verso Rufy e la propria famiglia.

E ora…

Guardò le sue fidate spade, sempre al suo fianco.

Ora che la promessa fatta a Kuina era stata rispettata e la lealtà verso il suo capitano si era mantenuta salda fino alla fine, aiutandolo a raggiungere il suo sogno, si sentiva realizzato come pirata e spadaccino.

Ma come uomo, iniziava a rendersi conto di desiderare ben altro. Qualcosa che non avrebbe dovuto volere ma, a dispetto del suo orgoglio, il cuore faticava a restare nel petto quando lei lo guardava.

Non avrebbe dovuto permettere che accadesse!

La situazione doveva restare così… non aveva senso esporre alla navigatrice i suoi dubbi, parlarle di quegli strani sentimenti che sentiva crescere verso di lei, ogni giorno un po’ più forti.

Non aveva senso ammettere che, forse, non era più amicizia quella che provava per lei.

La loro avventura era conclusa, ormai… Nami era destinata a tornare nella sua isola, senza di lui.

Cosa avrebbe fatto dopo averla lasciata a Coco…?

Sarebbe riuscito ugualmente a vivere bene, sapendo di essersi lasciato sfuggire l’occasione di conoscere la verità? Perché una verità c’era. E, forse forse, iniziava ad intuirla…

 

“Chissà quando rivedremo Robin…” sussurrò lei, triste.

Il ragazzo la guardò assorto, con un sorrisetto “Ha preso la decisione giusta... E anche Rufy… lei saprà tenerlo a bada!”

“Ammetto che mi hanno sorpreso…”

“A me no.”

Nami lo guardò curiosa.

“Si avvertiva…” asserì lui, con alzata di spalle.

Lei non aggiunse altro, ponderando le sue parole.

Zoro aveva da sempre una sorta di sesto senso.

In battaglia gli tornava utile soprattutto perché riusciva spesso ad anticipare le mosse del nemico e avvertiva facilmente i pericoli che lo minacciavano.

Ma con gli occupanti della Sunny, dava il meglio di sé. Capiva al volo se qualcuno stava male, era triste o semplicemente voleva essere lasciato in pace. Non era empatia, era una cosa più viscerale. Qualcosa che gli veniva da dentro e che non poteva controllare.

Con pochi elementi, era in grado di valutare in rapidità, se era il caso di impicciarsi o no. Spesso propendeva per la seconda ipotesi, preferendo di gran lunga una dormita sul ponte della nave, intuendo che il suo intervento non era necessario.

Sfortunatamente (o fortunatamente se fosse dipeso da lui), tra i suoi Nakama questa abilità veniva scambiata ogni volta per menefreghismo acuto, tutti ormai certi che lui avesse il patrimonio emozionale di un fermacarte.

In realtà era solo molto bravo a scansare i problemi che non lo toccavano personalmente o che non mettevano in pericolo la famiglia.

Zoro era da sempre la loro roccia. Non aveva mai dato segno di avere alcuna minima debolezza.

A differenza della fedeltà assoluta che provavano per Rufy, quella verso Zoro era totale e indissolubile fiducia. Lui era quello su cui ognuno di loro faceva affidamento nei momenti peggiori. L’unico in grado di far ragionare anche quello scavezzacollo del loro capitano. L’unico che non si sarebbe mai tirato indietro, certi che li avrebbe fatti uscire dai guai ancora una volta.

Per una sorta di accordo comune non scritto, sapevano che se lui avesse vacillato anche tutti loro sarebbero colati a picco, capitano compreso. Ma non era mai successo.

Chissà se avvertiva anche quello che scaturiva da lei.

…io non vorrei guardarti cosi... non devo guardarti così…

Voleva ostinatamente un gesto che le confermasse quello che il suo cuore bramava più di ogni altra cosa.

Voleva disperatamente essere amata da lui.

Robin da una settimana le lanciava occhiatine insistenti, voleva che si facesse avanti. Voleva lasciarla felice.

Ma non sapeva quanto l’avrebbe annientata, venire rifiutata.

La loro avventura volgeva al termine e sembrava essere arrivato il capolinea anche per lei e i suoi sentimenti. Nonostante avesse solo ventidue anni, sentiva di aver passato abbastanza guai e avventure da bastarle per una vita intera.

Tornare a casa avrebbe significato la fine definitiva di tutto.

Non lo rivedrò più… Forse Robin ha ragione…

“Tu che pensi di fare quando saremo tornati nel mare orientale?” buttò lì, trattenendo impercettibilmente il fiato.

Lui non si scompose, alzò le spalle “Non lo so.” Ammise.

Nami annuì. Era certa di questa sua risposta. “Potrei avere una proposta per te, allora.” Mormorò, fissandolo furba.

Zoro alzò un sopracciglio, scettico. “Dubito sia qualcosa che mi interessi…”

“Non sai neanche cosa sia!”

“Non serve! Di solito, quando mi chiedi qualcosa con quella faccia vuol dire che sarà piacevole solo per te!”

Lei, sicura di avere il coltello dalla parte del manico, si guardò le unghie, distrattamente. “Per caso, ricordi quel certo debito che hai nei miei confronti…?”

Il verde sgranò l’occhio buono, sudando freddo. “Non ho alcun debito verso di te!” ringhiò.

“Oh, credo che tu ti stia sbagliando…” mormorò, astuta.

Zoro deglutì vistosamente.

O la va’ o la spacca…

 

“Stavo pensando che il mio agrumeto a Coco sarà cresciuto parecchio, ormai. Io e Nojiko dovremo lavorare sodo per mantenerlo bello e rigoglioso. Ho paura che da sole riusciremmo a fare ben poco. Ci servirebbe un po’ d’aiuto e, guarda caso, tu non hai altro da fare e mi devi già una discreta somma di denaro… per cui… beh, potresti venire a lavorare da me per un po’, per ripagarmi…”

Zoro la fissò.

Sta per caso cercando di…

Incrociò le braccia, squadrandola serio. “Potrei rifiutarmi…” mormorò, prendendola larga.

Credeva di aver intuito cosa gli stesse chiedendo tra le righe, ma voleva farglielo dire chiaramente.

Doveva essere certo di non esserselo sognato il tono esitante di lei mentre pronunciava l’ultima frase.

Non poteva permettersi un passo falso.

“Non ti converrebbe…” sussurrò, nervosa.

Il cuore prese a scalpitare, irrequieto.

“Robin può rinunciare e io no?”

Vuoi che resti con te, Nami…? Lo vuoi, o no?

“Lei non mi deve un sacco di soldi!” disse la navigatrice, imbronciandosi.

Zoro ghignò, sentendo il corpo in fibrillazione. “Ma io potrei voler fare altro… ora sono il miglior spadaccino del mondo…”

“È vero, ma un giorno non troppo lontano potresti arrivare a chiederti come sarebbe potuto essere…” sussurrò, tesa come una corda di violino “…lavorare in un agrumeto, intendo.” Aggiunse veloce.

Il ghignò aumentò e il cuore impazzì del tutto, facendogli girare la testa.

Volevano la stessa cosa…

“Non mi lasci molta scelta, allora…”

 

Nami tremò emozionata.

“Ormai, pensavo di averla fatta franca…” ammise, guardandola intensamente, comunicando con gli occhi tutto quello che non sarebbe riuscito mai ad esternare.

“Per fortuna me ne sono ricordata…” sorrise lei, il cuore che esplodeva nel petto. “Non volevo lasciarmi sfuggire l’occasione di vederti lavorare per una volta in vita tua!” gli fece la linguaccia.

“Strega…” sghignazzò il verde.

Sta succedendo davvero…? Anche lui… oh mio dio… anche lui…!

“Avrò almeno vitto e alloggio gratis, vero..?”

“Non esistono alberghi a Coco. Dovrai farti bastare casa mia…” alzò le spalle, fingendo noncuranza.

“Vedrò di farmela piacere…” sussurrò, inumidendosi vistosamente le labbra.

Nami sorrise raggiante, incapace di fare altro.

 

“È tardi. Domani si parte. Credo che dovremo andare a letto.” Si alzò, continuando a tenere gli occhi incatenati nei suoi. Era forse un invito…?

Quella bocca rossa, piena, invitante, sembrava dire di si…

“Ah, Zoro?” si fermò sulla soglia, colta da un pensiero.

Il ragazzo girò appena la testa, dando segno di essere in ascolto.

Nami tornò indietro “Dimenticavo…” mormorò, prima di posargli un tenero e leggero bacio sulla guancia, vicino alle labbra. “Buon compleanno…” sussurrò con un dolce sorriso, accarezzandogli maliziosamente la nuca.

Il verde ghignò apertamente, osservandola con la coda dell’occhio allontanarsi e sparire oltre l’uscio.

Pazzesco… era davvero un invito a seguirla..?

Sorrise di cuore, sentendosi leggero e rilassato.

Incredibile… Provavano le stesse cose ed avevano appena deciso di vivere insieme a Coco.

.............ed in casa non c’era nessun altro…………

Che diavolo stava aspettando???

Zoro le concesse cinque secondi vantaggio prima di catapultarsi nel corridoio.

Quella notte, la sedia caduta a terra nella foga, non fu l’unico rumore che quei muri sentirono.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***




Si calò gli occhiali da sole sugli occhi per ripararsi dai forti raggi che oltrepassavano dispettosi le alte cime degli alberi, respirando piano quel profumo di legno fresco che tanto conosceva e amava.

Si guardò attorno ammaliato, era circondato da arbusti meravigliosi: faggi, querce, castagni, abeti…
Il muschio profumato che cresceva disordinato sulle cortecce, le foglie morbide che gli accarezzavano il corpo robotico e il tappeto erboso soffice ed immacolato, lo facevano sentire in paradiso. Quel boschetto era stato davvero una scoperta affascinante.
Vi si era imbattuto due giorni prima fintanto che cercava provviste per il viaggio con Usop.
Gli occhi erano schizzati fuori dalle orbite mentre osservava con la bava alla bocca quella meraviglia della natura. Il cecchino aveva scrollato le spalle, mormorando un ‘si bello’ poco convinto e un po’ sorpreso ai suoi gridolini di gioia, prima di continuare il lavoro che gli aveva affidato Nami.
Ma il suo compagno non capiva. A Water Seven non c’era nulla del genere, quello era letteralmente il paradiso per un carpentiere!
Legno cosi pregiato difficilmente gli capitava sotto mano, già pregustava il momento in cui avrebbe trasportato sulla Sunny tutto quel ben di Dio, prima di farne un uso adeguato.
La bava alla bocca durò il tempo di un minuto, tanto era durato il suo sogno ad occhi aperti prima di rendersi conto con orrore a cosa stava pensando.
Stava seriamente valutando l’idea di radere al suolo quel boschetto…? Franky sgranò gli occhi, colpito dai suoi stessi pensieri. Sorridendo amaramente si accorse di quanto fossero ridicoli e assolutamente fuori luogo, l’isola era già stata fortemente provata, lui non avrebbe mai potuto portare ancora distruzione in un luogo tanto bello. Lo avrebbe lasciato così, anche se un angolino del suo cuore (quello che adorava il proprio lavoro), piangeva.
Sorrise per l’ultima volta a quei meravigliosi alberi, respirandone l’aroma a pieni polmoni, sapendo che avrebbero ornato ancora per molto tempo quella parte di Raftel vicina alla baia.
Sapeva già che gli sarebbe mancato quel profumo, anche se in realtà gli sarebbe mancata l’intera isola.
Afferrò le sue borse da terra, dove le aveva lasciate per gustarsi un’ultima immersione nel verde prima della partenza e riprese il cammino, direzione Sunny.
Mentre usciva dal bosco si guardò attorno, compiaciuto di cosa lasciava dietro di sé, non riusciva a credere di aver davvero pensato di abbatterli.
Passò per la piazza del paesino, dove avevano passato gran parte delle loro giornate e notò con piacere di non aver tralasciato nessuna crepa o calcinaccio. Ghignò, tutto era riparato e in ordine.
Salutò con la sua posa tipica qualche abitante che passeggiava, facendoli ridere. Ormai non si stupiva più nessuno della stravaganza dell’enorme cyborg.
Una volta arrivato al porto, notò immediatamente la grande quantità di navi presenti pronte alla partenza. Già lo sapeva, ma l’incredibile accozzaglia di individui così disparati tra loro, che interagivano più o meno pacificamente davanti ai suoi occhi, lo stupiva ancora come il primo giorno.
Dall’alto della sua statura scorse subito la Sunny, svettava luminosa, tirata a lucido dopo la battaglia, alla fine del molo tra la Red Force e la nave dei Rivoluzionari.
Avvicinandosi alla banchina non potè impedirsi di osservare la gente che gli stava attorno, affollando quel porto come mai era successo a memoria dell’isola. Ghignò sereno, il baccano era immane e veniva ogni direzione, ovunque si girasse vi erano persone intente a salutarsi, a caricare le navi, a lanciarsi maledizioni o semplicemente ad augurare un buon viaggio di ritorno al vicino di barca.
Non smettendo il cammino vide i marine rimasti sistemare le loro cose sulle navi, obbedendo ossequiosamente alle direttive di Fujitora e Sentomaru, ognuno a capo del proprio battaglione.
Passò oltre la nave dei Pirati Splendidi guardando alcuni di loro colloquiare con Sai e il resto della sua ciurma, portavano tutti la fascia da lutto al braccio. Sorrise mesto, al loro cenno di saluto.
Uno spostamento d’aria lo fece voltare verso sinistra. Izo e i suoi Nakama cercavano ancora di convincere Bellamy ad unirsi a loro, accerchiandolo mentre lui alzava gli occhi al cielo.
Franky alzò gli occhiali sulla testa, trattenendo una risatina. Izo sapeva come prendere le persone per sfinimento, nel bene o nel male, se ne sarebbero comunque andati insieme.
Proseguì il tragitto passando accanto alla principessa Bibi Nefertari, intenta a rispondere a monosillabi al falcone suo amico senza mai guardarlo, fissando allibita un punto alle sue spalle. Franky seguì curioso il suo sguardo, capendo subito il perché. Davanti a loro stava un tranquillo e fumoso Crocodile, intento a conversare amabilmente con un Hacchan ridacchiante. Sorrise, stupefatto anche lui, sembrava quasi un uomo normale.
A due passi da loro, sporto dalla balaustra e guardando il mare, Duval sfoggiava il suo fascino con Kayme tentando di farle l’occhiolino e fallendo come sempre. Lei, qualche metro sotto di lui, busto fuori dall’acqua e la pinna che si muoveva veloce sotto la superficie, rideva gioiosa al ragazzo.
Difficile credere di essere stati in guerra insieme a certi elementi…
La principessa si accorse di lui e si illuminò, salutandolo con la mano, come una bambina.
Stava per risponderle con un suuuper saluto, quando avvertì una forte spinta sulla spalla che lo colse impreparato. Qualcosa lo aveva urtato con forza, facendolo traballare.
Si girò subito, trovandosi di fronte la schiena di Bagy che si allontanava verso la sua nave. Lo guardò con sufficienza, assottigliando gli occhi, contrariato. Una volta a bordo, lo sentì chiaramente urlare “Addio fessi!” a chi di preciso non avrebbe saputo dire e scosse la testa rassegnato vedendolo prendere il largo.
I cerotti si levano ma l’idiozia non guarisce purtroppo.
Riafferrò le borse cadute a terra dopo lo spintone controllandole velocemente e alzando di nuovo gli occhi, inquadrò un altro gruppetto insolito.
Bepo stranamente affabile, era in compagnia di Shachi, Pekoms, Raizo, X-Drake e BonKure.
Che associazione strana si trovò a pensare Franky sconcertato, però parevano andare d’accordo, ridacchiavano pure a tratti. Provò un improvviso moto di affetto verso i due alleati Heart, senza più il loro capitano proprio come i Pirati Splendidi, avrebbero dovuto imparare a cavarsela da soli affrontando un viaggio ben più complicato di quello avvenuto finora. Bepo e Suleiman non sarebbero mai riusciti a sostituire Law e Cavendish, ma avrebbero potuto guidare i propri compagni verso un futuro più pacifico e sereno.
Era ancora concentrato sul gruppetto quando una risata sguaiata alla sua destra lo fece sussultare, focalizzando la sua attenzione sul vecchio Rayleigh. Ormai quasi senza fiato, sghignazzava liberamente guardando Gatto-vipera e Canistrice poco più in là, litigare furiosamente come ai vecchi tempi, avevano pure attirato un piccola folla di curiosi ridacchianti.
A non ridere affatto era invece Eustass Kidd. Poggiato ad un palo a braccia conserte, era intento a fissare in cagnesco la marmaglia che affollava il porto, visibilmente schifato. Franky lo osservò fare un cenno con il capo a Killer, accanto a lui, indicandogli la loro nave, il compagno annuì seguendolo senza fiatare, palesemente intenzionati a filarsela alla chetichella.
Di certo non voleva farsi vedere da Rufy, pensò con un sogghigno il carpentiere. Il suo capitano poteva diventare molto appiccicoso se ci si metteva e Kidd non sembrava uno da saluti lacrimosi e toccanti.
Con il vento a favore riuscirono a prendere il mare velocemente.
“Oi, Franky. Sei arrivato.” Si voltò, sentendosi chiamare e trovandosi davanti Sanji.
Vestito impeccabile, scarpe lucide e sigaretta alla bocca gli si avvicinava con le mani in tasca, dietro di lui un’altra nave, di marine stavolta, si accingeva a prendere il largo.
“Ehi, fratello!” lo salutò il cyborg “Sei riuscito a trovare da fumare!”
Il cuoco tirò una boccata avida, sprigionando una nuvoletta grigia attorno a lui.
“Già, i marine sono serviti a qualcosa, almeno.” Mormorò rilassato, indicando con il pollice gli uomini qualche metro dietro di lui. Franky sorrise.
Sanji aspirò una nuova boccata. “Sto aspettando che Rufy termini i suoi addii per andare alla Sunny.” mormorò, guardandosi attorno. “Se lo lascio solo rischia di non trovare più la strada…”
Solo allora il carpentiere notò il proprio capitano. In piedi sul molo, dava loro le spalle stringendo deciso la mano ad un ragazzino coi capelli rosa, che ricambiava emozionato.
Hermeppo, già a bordo, si sbracciava euforico salutandolo. Rufy gli sorrise, stranamente silenzioso, agitando una mano e facendo poi un cenno silenzioso e significativo al suo amico Coby, al momento dell’imbarco del marine.
Rufy si avvicinò ai suoi due Nakama con un gran sorriso in volto, ma dovette voltarsi nuovamente nell’udire il suo nome chiamato a gran voce. Tutti i presenti si girarono verso la fonte di quel richiamo, curiosi.
Franky non si era reso conto che quella fosse la nave di Smoker, il cacciatore bianco stava aiutando una Tashigi ancora convalescente a salire a bordo, quando aveva riconosciuto Rufy nel pirata che salutava Coby.
Cappello di paglia incrociò le braccia, guardandolo ghignante. “Che vuoi, fumoso?”
L’uomo lo fissò di rimando, emanando nuvolette di fumo attorno a sé. “La prossima volta che ci vedremo, non ci andrò leggero! Ti prenderò, Re dei Pirati!”
Rufy ridacchiò. “Prima dovrai trovarmi e non sarà così facile. Ormai hai una certa età…”
Smoker strabuzzò gli occhi. Dovettero accorrere Tashigi, Hermeppo, Coby ed un discreto numero di uomini per sedare l’ira furibonda del cacciatore, che tentava di tuffarsi a pesce sul molo, per avventarsi sul pirata.
“Suuuuper fratello!!” il carpentiere diede il cinque a Rufy, entusiasta.
Ricominciarono il cammino tra le risate dei marine e i saluti calorosi di Tashigi, ancora impegnata a trattenere Smoker. Franky alzò gli occhi al cielo afferrando Sanji per la collottola, prima che volasse via in un turbinio di cuoricini dopo aver sentito il bel capitano dire addio a ciascuno di loro, chiamandoli per nome.
Lasciò la presa sul cuoco solo in prossimità della ‘Going grande Rufy’, poco lontana dalla Sunny.
Alla loro vista l’intero Barto Club si esaltò, sbracciandosi e urlando, nella loro direzione. Il cyborg si ritrovò a pregare mentalmente che una qualche divinità curasse la pazzia di quegli uomini, un giorno.
Bartolomeo giaceva a terra svenuto, dopo aver ricevuto una leggera pacca sulla spalla da Rufy come saluto, ancora non reggeva bene l’emozione di trovarselo così vicino.
Il piccolo Leo, preoccupato, aveva preso a sventolargli un fazzoletto sopra il viso sperando di ridestarlo, aiutato dai suoi minuscoli compagni, mentre Cappello di Paglia lo squadrava dall’alto grattandosi la testa, non capendo cosa fosse preso al suo alleato.
“Cosa diavolo stai facendo, tu??”
Franky si voltò sorpreso verso Sanji, il cui urlo animalesco l’aveva distolto dal simpatico quadretto.
Seguì il suo sguardo di fuoco e focalizzò lo spadaccino della ciurma a pochi passi da loro, mentre veniva soffocato dall’abbraccio stritolatore della ragazzina fantasma di Thriller Bark. Di fianco a loro, Drakul Mihawk guardava la scena impassibile.
Il carpentiere sghignazzò, seguendo il cuoco imbufalito dirigersi a passo di marcia verso il ragazzo dai capelli verdi, ancora ostaggio della rosa.
“Ti decidi a mollarmi?? Sto soffocando!!” ululava Zoro, all’indirizzo della ragazza cercando di scostarla.
“Quante storie!” gli rispose lei sciogliendo l’abbraccio e puntandogli l’indice sullo sterno, assottigliando lo sguardo “Piuttosto, vedi di fare il bravo sai! Cerca di non far dannare troppo quella povera ragazza, è fin troppo per te!”
Zoro arrossì di botto “Cosa diavolo ne sai tu??” le chiese, gli occhi fuori dalle orbite.
Perona si mise le mani sui fianchi, furba. “Abbiamo chiacchierato un po’, stamattina… Horohorohoro!
Il ragazzo non riuscì a rispondere perché un calcio, lanciato a velocità sovraumana, si era schiantato sul suo cranio, appiattendolo al suolo.
Fintanto che il biondo cuoco percuoteva il povero spadaccino a terra, Franky affiancò l’ancora imperscrutabile ex flottaro e la ragazza fantasma, rimasta basita dall’arrivo improvviso di Sanji.
“Cosa credi di fare??” sbraitava truce, non smettendo di colpirlo “Ti approfitti anche della dolce Perona, adesso?? Non ti basta più la bellissima Nami-san?? La stai già tradendo?? Te le canto io, maledetto marimo frega dee!!!”
“Cosa diavolo hai detto??” Zoro si rialzò in un secondo praticamente illeso, spingendo via il compagno. “Cosa ne sai tu di Nami?” Poi squadrò sorpreso il resto di noi, compreso Rufy, richiamato dal fracasso. “Cosa accidenti sapete voi di questa storia??”
Franky fece spallucce, supportato dal sorrisone del capitano. “Lo sappiamo tutti cosa succede tra voi due…” asserì incrociando le enormi braccia.
Zoro arrossì fino alla punta dei capelli, indietreggiando suo malgrado.
Sanji si accese un’altra sigaretta, attirando l’attenzione di ognuno su di lui, prima di esalare un laconico “Credevi che ieri sera tutti avessimo deciso di passare la notte fuori, casualmente?”
Lo spadaccino ammutolì del tutto sconvolto, mentre Perona e Rufy ridevano sguaiati.
Mihawk scosse la testa sconsolato e a Franky parve di averlo sentito mormorare ‘e questo sarebbe quello che mi ha soffiato il titolo?’, prima di richiamare la ragazza fantasma in tono neutro, perché si preparasse alla partenza. Zoro si riscosse di botto.
La rosa annuì, girandosi a guardare i presenti e salutandoli. Scambiò un’ultima frettolosa stretta con quello che per due anni aveva considerato al pari di un fratello, sussurandogli dolce che non vedeva l’ora di diventare zia. Il verde sghignazzò, accettando ormai che i fatti suoi fossero di dominio pubblico.
Con uno sguardo serio ma carico di significato il suo vecchio maestro gli strinse la mano, prima di congedarsi dai presenti con un cenno e con la ragazza salire sulla loro imbarcazione. Zoro li salutò, mesto.
Il carpentiere sorrise intenerito, sembrava un giovane che si separava da padre e sorella.
Una voce richiamò Occhi di Falco, facendo voltare a sinistra tutti gli occupanti della banchina e il diretto interessato che alzò un sopracciglio.
Con un sorrisetto canzonatorio Shanks il rosso, accompagnato da Usop e Brook, aveva fatto la sua comparsa per salutare il vecchio amico.
“Chi si vede…” mormorò lo spadaccino tetro, guardando il nuovo venuto dal ponte della nave.
“Pensavi di scappare senza salutare, eh?” l’ex Imperatore si sporse dal molo per farsi sentire meglio, indicandolo “Ci si vede a Sabaody tra due settimane, al bar di Shakky! Non ti azzardare a darmi buca!”
Mihawk scosse la testa rassegnato, prima di fare un cenno di saluto generico e far salpare la nave, aiutato dalle sue scimmie. Perona si sbracciò contenta dalla balaustra finché non furono al largo.
Il rosso si concentrò sul resto del gruppetto, sfregandosi le mani. “Bene! Vogliamo andare, ragazzi? Ormai manca poco anche per noi!”
Rufy guardò Usop e Brook, curioso. “Ma che fate con Shanks, voi due?”
Il cecchino alzò le spalle. “Non arrivavate più! Nami stava dando di matto e siamo venuti a cercarvi.”
“E io mi sono unito a loro!” Shanks entusiasta sfondò una spalla ad Usop e Brook, con due sonore manate. I due cozzarono tra loro pronunciando lamenti doloranti.
“Yohohohohoh… auch… beh, è meglio andare adesso!” esalò lo scheletro tenendosi l’arto indolenzito.
Intorno a loro molte navi prendevano il largo placidamente.
Erano rimaste poche imbarcazioni ancora, una di queste era quella dei Rivoluzionari diretta a Marijoa, che avrebbe avuto un carico molto prezioso a bordo, lo stesso carico che ora stava consolando un Chopper in lacrime, attaccato alle sue gambe, con materne parole. Franky sorrise commosso, per l’ennesima volta in quella strana giornata.
Raggiunto l’ultimo natante della fila, la sua adorabile Sunny, prese nota della presenza di tutti i suoi Nakama sulla banchina ad attenderli e non solo.
Mentre Chopper era impegnato a riempire i pantaloni della loro archeologa di lacrime, Nami veniva stritolata da Laura in un abbraccio spaccaossa, al quale però la navigatrice rispondeva con altrettanta enfasi. Poco più in là Carrot aveva gettato le braccia al collo a Sanji e Brook, facendo venire un’epistassi ad entrambi, sotto lo sguardo divertito di Inazuma e Raizo della Nebbia.
Improvvisamente Franky avvertì una presenza accanto a sé che gli fece perdere il sorriso. Si voltò cauto, trovandosi davanti il faccione entusiasta di Laura. Per qualche motivo sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale, ma non era con Nami? prese ad indietreggiare, lentamente.
“Tu sei proprio il mio tipo!” esclamò la donnona rivolta a lui e il brivido si intensificò. “Dimmi… ti andrebbe di sposarmi?” Franky sudò freddo, perché gli pareva di aver già affrontato quella situazione?
“Eh… ti ringrazio per l’offerta ma credo non sia il caso!” riuscì a farfugliare, lei fece spallucce e inquadrò subito un altro possibile sposo in un bel marine, mollando il carpentiere lì da solo a tirare un sospiro di sollievo.
“Ehi, fratello!”
Franky si illuminò. “Ciao anche a te, sorella!” salutò garbato la bella ragazza che gli si avvicinava lentamente, al cui anulare brillava splendente la fede nuziale. “Dove hai lasciato tuo marito?”
Lei sorrise voltandosi, indicando con lo sguardo Sabo. Il biondo, stampella alla mano, abbracciava stretto Rufy piangendo a dirotto, mormorando frasi sconnesse tra loro, Franky avvertì distintamente un ‘sarebbe fiero di te’, seguito da ‘ci vediamo a Marijoa, vedi di non perderti’ e un ‘come diavolo ha fatto un babbeo come te a conquistare una come Nico Robin??’ Il carpentiere ghignò, intenerito.
“Sai, sono davvero contenta che sia tutto finito per il meglio!” sussurrò Koala non smettendo di guardare i due fratelli, ora entrambi in lacrime.
Franky annuì, si poteva andare molto peggio.
“Per merito vostro tutti noi siamo potuti approdare su Raftel!” continuò la castana “Se non fosse stato per l’indistruttibile Sunny che ci ha aperto la via, nessuno di noi sarebbe mai riuscito ad arrivare fin qui intero.” commentò, felice. Franky sospirò, era davvero orgoglioso della sua piccolina.
Lei si girò a guardarlo, una luce curiosa nello sguardo. “Come ci si sente ad aver realizzato il proprio sogno?”
Lui fece una smorfia. “Stanchi.” Ammise con una risata. “Ma anche suuuuuper felici!”
Koala sorrise, comprensiva, era lo stesso anche per lei.
“Non tutti abbiamo realizzato i nostri obiettivi.” proseguì il carpentiere. “Io sono stato fortunato.” abbracciò con gli occhi la sua nave, fiero. “Nami, Brook e Chopper scopriranno presto la gioia che si prova, come tutti noi.” concluse, con voce tremante e gli occhi lucidi. “Ma non sto assolutamente per piangere!” mormorò con voce stridula, palesemente falso, con tutte quelle emozioni non sapeva come avesse fatto a trattenersi finora. Koala lo fissò ridacchiando, passandogli un fazzoletto che accettò pur continuando ad affermare non fosse necessario e si soffiò il naso fragorosamente, sotto lo sguardo un po’ stomacato della ragazza. Al momento di restituirglielo, lei declinò gentilmente. “Oh no, tienilo pure! Ehm… vado a salutare Brook, a dopo!” esclamò frettolosa. Franky fece spallucce, mettendoselo in tasca.
Si avviò deciso verso il gruppetto dei Rivoluzionari, tutti intenti a ridere per i balletti comici di Rufy, Usop e Chopper. Dragon, poco lontano, parlava amabilmente con Shanks e Yasop che scuotevano la testa, loro malgrado divertiti dalla situazione.
Si trovò accanto alla mora archeologa della ciurma. Si sorrisero, guardando insieme quella scenetta spassosa. Robin batteva le mani a ritmo, ridendo contenta e Franky si sorprese a guardarla, con la coda dell’occhio. Realizzato il suo sogno, era cambiata in maniera impressionante! Era più rilassata, più felice, l’aveva perfino sentita fare una battuta! Sprigionava un’energia e una vitalità invidiabili.
Riportò lo sguardo sui suoi Nakama ancora impegnati a ballare, notando come gli occhi della bella mora puntassero solo su di una persona. Franky ghignò, sereno, alla fine non era merito solo della realizzazione del suo sogno se era rifiorita. Attirò la sua attenzione, toccandola con il braccio, lei tese l’orecchio in ascolto. “Quando Rufy verrà a Marijoa, conti di dirglielo apertamente?”
Lei sgranò gli occhi, arrossendo e il carpentiere rise, alla sua espressione imbarazzata.
Un rumore improvviso di ossa rotte attirò l’attenzione di entrambi facendoli voltare all’unisono verso destra. Sabo, imbufalito, aveva colpito Brook sulla testa con la sua stampella ed ora cercavano di trattenerlo in due dall’avventarsi sui poveri resti del musicista, franato a terra per il colpo che, incredibilmente, era riuscito a salvare la tazza di the che stava bevendo. Accanto a loro stava una Koala seccata che batteva un piede a terra, nervosamente. Franky andò a controllare il bernoccolo dell’amico tutt’ossa, formulando una muta richiesta di spiegazioni ai due compagni che bloccavano il Rivoluzionario.
Zoro scosse il capo ridacchiando, Sanji gli diede una risposta più chiara. “Brook ha chiesto a Koala il colore delle sue mutandine. Lei ha riso noncurante ma Sabo lo ha sentito...” mormorò, ridendo sotto i baffi.
Sabo riuscì a divincolarsi. “E per fortuna che ho sentito!! Quella è MIA mogl-” esclamò indicandola geloso prima di venire atterrato al suolo proprio da un pugno della dolce mogliettina.
“Sarò anche tua moglie ma sono ancora capace di difendermi da sola! E lui…” indicò Brook “…non era certo una minaccia! Piantala di fare il geloso quando non serve!” esclamò furibonda, mandando il povero Sabo  a far compagnia allo scheletro.
Robin le poggiò una mano sulla spalla, calmandola con un sorriso. Koala le mostrò i lucciconi agli occhi “Oh, amica mia!! Per fortuna che verrai anche tu con noi!! Mi dici come avrei potuto sopravvivere per anni con Rufy e Sabo, senza un po’ di supporto??”
“Ehi!!!” i diretti interessati risposero in simultanea, indignandosi.
Nico Robin e Franky si voltarono trovando al loro fianco il capitano, accorso dopo aver sentito il suo nome urlato dalla donna e Sabo, resuscitato, che squadrava torvo la compagna di vita.
Koala fece spallucce con una smorfia. “Dovete ammettere di essere entrambi piuttosto impegnativi!”
“Non è vero!!” esclamò Rufy, incrociando le braccia offeso.
“Ma se non hai neanche capito di cosa sta parlando…!” Nami arrivò in pompa magna, battendosi una mano sulla fronte esasperata.
Cappello di Paglia la guardò, dubbioso. “In effetti… di cos’è che stiamo parlando, esattamente?” chiese a nessuno in particolare, facendo ridere quasi tutti e stemperando un po’ l’agitazione.
Ormai il tempo era agli sgoccioli. Quasi tutte le navi erano partite ed il pomeriggio volgeva ormai al termine. Presto il sole sarebbe tramontato, lasciando spazio alla notte e il nuovo giorno sarebbe sorto su di un mondo nuovo e su di una ciurma, che avrebbe affrontato il viaggio insieme, per l’ultima volta.
Tutti avvertivano la tensione del momento, stemperandola a proprio modo.
Franky sogghignò, l’aria era carica di aspettativa e speranze.
Usop si appoggiò ad un suo robotico braccio, distogliendolo dai suoi pensieri e facendogli cenno con la testa verso una precisa direzione. Il carpentiere lo assecondò vedendo che Rufy aveva portato Robin in disparte, lontano dagli altri ma abbastanza vicino perché si riuscisse ancora a captare sprazzi della loro conversazione. Franky ed Usop concordarono quanto fosse brutto origliare e, sempre di comune accordo, decisero che l’avrebbero presa più come una forma di arte che come un mero atto di invasione della privacy, per cui fecero tanto d’orecchi, spostandosi e allungandosi a dismisura neanche avessero ingerito il frutto Gom-Gom, sotto lo sguardo basito di Chopper che li fissava curioso, mangiando una mela caramellata presa chissà dove. A pochi minuti dalla partenza Robin si era scoperta ancora un po’ titubante a lasciarli e, nervosa, si chiedeva se avesse preso la decisione giusta. Lui rideva scostandole i capelli dal viso, incoraggiandola a parole e con lo sguardo, prima di stringerla a sé promettendole che sarebbe arrivato presto a Marijoa, che le desse al massimo sei mesi. Lei rideva dicendogli quanto poco fosse fattibile fare tutto il viaggio in soli sei mesi mentre lui, mortalmente serio con il viso affondato tra i suoi capelli, la stringeva più forte chiedendole di fidarsi di lui, sarebbe arrivato su Marijoa in sei mesi a costo di arrivarci volando. Robin lasciò cadere una piccola lacrima, subito raccolta da una mano grande e forte. Si sorrisero, irrimediabilmente persi l’uno nell’altra. Franky ed Usop si scambiarono un’occhiata complice e intenerita. Avevano origliato abbastanza. Si allontanarono di qualche passo, senza farsi vedere, sempre con Chopper che trottorellava loro dietro.
Si avvicinarono al resto della ciurma, guarda caso Zoro e Sanji stavano litigando. Spada e gamba sguainata, erano già arrivati alle armi.
Tutti li lasciavano fare tenendosi a debita distanza, onde evitare di venire coinvolti, l’unica che ancora restava ostinatamente accanto a loro era Nami. Occhi assottigliati, braccia incrociate, un diavolo per capello grande quanto una portaerei, la navigatrice di Cappello di Paglia cercava di trattenersi dal fulminare entrambi con il suo bastone.
Nel frattempo i due sfidanti se ne dicevano di ogni.
“Non me ne frega niente di quello che pensano gli altri!” stava grugnendo Sanji, colpendolo di tacco con forza “Tu, in cabina con la dolce Nami-swan, non ci dormi!!”
“Guarda che nessuno qui ha detto questo!!” ululava Zoro, parando un colpo e tentando un affondo.
Franky, Usop e Chopper fecero tanto d’occhi nello scoprire il motivo di tanto astio.
“Yohohohohoh!!” si voltarono verso quella risata familiare, inquadrando Brook che rideva bevendo la tazza di the scampata ai colpi di Sabo.
Il cecchino parlò per tutti. “Stanno davvero combattendo perché Sanji non vuole che Nami e Zoro dormano nella stessa cabina?”
“Yohohohohoh! Già…” mormorò, pacato.
“Ma… ma chi gli ha messo in testa questa idea?” chiese ancora Usop, allibito.
“Yohohohohoh! Ha sentito Koala parlare con Nami della cabina che dovrà far ampliare, per poterci inserire un letto matrimoniale per sé e Sabo ora che sono sposati…” fece una pausa, per sorseggiare il suo the.
“E…?” lo incitò il cyborg, curioso.
Lo scheletro puntò lo sguardo sui due sfidanti. “Beh… Sanji ha dato di matto non appena l’ha sentita dire che per Nami sarà più semplice ampliare la stanza, avendo a bordo un carpentiere del tuo livello, Franky…!”
Tutti strabuzzarono gli occhi.
“Ovviamente, Nami ha negato fosse loro intenzione fare un passo del genere, per lo meno così presto. Ma Sanji si era già scagliato contro Zoro, inconsapevole di tutto dal momento che si era messo a fare un sonnellino mentre Koala parlava.” Concluse, sistemandosi la giacca.
Intanto il duello verbale e non, proseguiva. “Che diavolo hai nel cervello?? Né io, né Nami abbiamo mai detto di volerlo fare, quindi che problemi hai??” si animava lo spadaccino, cercando di deviare i colpi del compagno lontano dalla folla.
“Dovrai passare sul mio cadavere prima di azzardarti anche solo a pensare di poter dormire nello stesso letto della mia bellissima dea!!” continuava il cuoco, scagliando calci in ogni direzione nella speranza di colpirlo in un punto vitale.
“Punto primo…” dichiarò il verde iracondo, bloccando l’ennesimo tentativo del biondo con uno spintone abbastanza forte da gettarlo a terra e mettendosi davanti a lui, sovrastandolo. “…non credere che basti questo a fermare qualunque mia mossa!” esalò, indicandolo. “Avrei solo da guadagnarci con la tua morte!”
Sanji da terra, ringhiò roco.
“Punto secondo…” proseguì, guardandolo in cagnesco. “Quello che faccio o non faccio con la MIA ragazza è solo affare nostro! Non puoi più neanche lontanamente azzardarti a chiamarla TUA, dopo quello che abbiamo fatto ieri sera, capito??”
Un silenzio tombale seguì le parole del samurai che, accortosi troppo tardi dell’errore, diventò di una curiosa sfumatura bordeaux per la seconda volta quel pomeriggio.
“Credo…” mormorò Chopper, rompendo il silenzio e fissando ansioso i due “…di dover andare a prendere la mia borsa, scusate.”
Franky percepì il compagno allontanarsi, mentre anche Sanji riprendeva coscienza e si tuffava sull’amico/rivale al grido di ‘Dovevate solo dichiararvi!!! Marimo di merdaaaaaaa come hai osato deflorare la mia dea?!?!’ e puntando alla gola.
Il cyborg si grattò la testa, sconsolato. Tipico di Sanji pensare che non fosse successo altro, all’infuori di una appassionata dichiarazione d’amore…
“Che sta succedendo?” l’omone si voltò, Rufy e Robin erano stati richiamati dal fracasso. Al carpentiere non sfuggirono le loro mani vicine, ghignò nella loro direzione.
“Niente di che, tutto come al solito.” mormorò ai due compagni, mentre Usop e Brook ridacchiavano.
“Che ha Nami?” esalò l’archeologa, una punta di preoccupazione nella voce.
Tutti si girarono verso la navigatrice. Rossa in volto, occhi coperti dalla frangetta e col fiatone, stringeva convulsamente la sua arma tra le mani fino a farsi sbiancare le nocche. Intorno a lei una potente aura demoniaca nera si sprigionava nell’aria, inglobandola e accerchiandola, facendole fluttuare i lunghi capelli.
Col sennò di poi, Franky capì fosse un fenomeno esclusivamente dovuto all’elettricità statica derivante dal Clima Takt ma, sul momento, pareva posseduta e faceva davvero paura.
Sudando freddo vide Usop e Robin chiudere gli occhi di scatto, probabilmente immaginando cosa stesse per succedere, il carpentiere lo realizzò troppo tardi.
Un fulmine di immane potenza venne scagliato contro Zoro e Sanji, accecando tutti quelli che c’erano nei paraggi e alzando un vento tale che sollevò un polverone, mosse le fronde degli alberi e fece perfino agitare il mare e cozzare tra loro alcune navi.
Per svariati attimi si sentì solo un gran silenzio fatta eccezione per il rumore metallico di un bastone che veniva smontato e messo via, velocemente.
Franky rimase cieco per qualche secondo. Disorientato, sentì Usop correre via e solo dopo aver riacquisito a fatica la vista capì dove fosse andato. Con l’assistenza di Brook, si affrettava a porgere aiuto a due mucchietti di cenere che giacevano in mezzo alla banchina.
A Franky ci volle qualche attimo per capire che si trattava del Fratello Verde e del Fratello Biondo! Si precipitò anche lui con Robin e Rufy alle calcagna.
Zoro, vestiti carbonizzati e capelli fumanti, non sembrava stare troppo male se non contavano lo stato semi-svenuto con bruciature sparse per tutto il corpo.
Mentre Sanji… il carpentiere sospirò scuotendo il capo. Il cuoco, oltre all’assomigliare ad una bistecca al sangue e all’evidente mancanza di una scarpa stava fin troppo bene, ancora perfettamente in grado di emanare cuoricini dagli occhi alla vista dell’affettuoso aiuto che gli stava dando la mora archeologa.
Lui e Brook si scambiarono uno sguardo rassegnato, incredibilmente quei due se l’erano cavata anche quella volta.
La caciara aveva attirato tutto il Barto Club, i componenti della Red Force e l’intero gruppo di Rivoluzionari.
Chopper arrivò in gran carriera con la borsa del Pronto Soccorso, spingendo per riuscire a passare.
Profondamente contrariato fissava la rossa navigatrice avvicinarsi ai due moribondi, mentre estraeva tutto il necessario per una medicazione veloce. “Nami!! Ti avevo già detto che avevo poche medicine!! Perché li hai conciati così?? Mi tocca usare le ultime scorte di bende con loro adesso!!”
La ragazza fece una smorfia, arrabbiata. “Gli sta bene! Fortunati che non ho usato la potenza massima!” esclamò, posando le mani sui suoi fianchi.
Un movimento a terra attirò l’attenzione di tutti. Lo spadaccino si stava riprendendo e Rufy lo aiutò ad alzarsi. “Ti è andata bene, amico. Shishishishi!
“Già…” mormorò, prima di mettere a fuoco la donna che lo aveva quasi carbonizzato e fiondarsi su di lei, i denti a squalino e uno sguardo assassino. “CHE DIAVOLO TI È PRESO???? VOLEVI AMMAZZARMI???”
Lei lo affrontò a testa alta, puntandolo con l’indice. “Non ti ho fatto niente! E ringrazia perché avrei dovuto si, ammazzarti! Ma cosa ti viene in mente di dire?? Quelli sono fatti nostri!”
Zoro boccheggiò per un attimo, sapendo di essere in torto, prima di ribattere iroso. “NON È UN BUON MOTIVO PER FULMINARMI!”
“TE LO SEI MERITATO!!!” contrattaccò Nami, urlando per sovrastare la sua voce.
“MALEDETTA STREGA!!”
“IDIOTA DALLA TESTA VUOTA!!”
“Bene, direi che hanno fatto pace!” esclamò Rufy, sorridendo ai suoi compagni e dando le spalle ai due litiganti. Tutti i Mugi annuirono tranquilli sotto lo sguardo perplesso di Shanks, Bartolomeo, Sabo e il resto della folla. Un suono strascicato li fece guardare a terra. “Nami-swaaaaan ti difendo ioooooohhh oh oh…” biascicava mezzo morto Sanji, gli occhi a cuoricino e non perfettamente in grado di capire la situazione, con Chopper a tenerlo fermo per poterlo curare.
Usop sollevò un dito, esalando dubbioso. “Che dite? Ci prepariamo anche noi?”
Tutti i presenti si ricomposero sorridendo entusiasti e guardandosi l’un l’altro emozionati.
Era arrivato il momento.
 
 
 
 

 

 
 
Angolo Autrice:
Tremendo ritardo!! Lo so!! O.o  forse pensavate pure che non l’avrei più continuata… o magari non vi ricordavate neanche dell’esistenza della fic  ahahahahaha… eh… si… me lo meriterei.. u.u
Per quelli che ancora continueranno a leggere, grazie!!! Anche se avete a che fare con una ritardataria cronica…..
A presto.
Momoallaseconda

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


Raftel era una terra leggendaria.
Da sempre considerata l’isola del tesoro, in tanti anni ben pochi erano i pirati riusciti a spingersi fin là e a sopravvivere per raccontarlo.
Gold Roger con la sua morte l’aveva eletta suo personale dominio nonché guardiana della sua fortuna, e questo non aveva fatto che accrescere la smania di potere delle nuove generazioni. Molti ambivano al suo titolo, pochi avrebbero capito come ottenerlo.
L’isola era inespugnabile, dicevano che fosse impossibile da raggiungere per delle normali imbarcazioni, che fosse popolata da mostri peggiori dei Re del Mare e che vi dimorassero demoni sanguinari. L’alone di mistero che si portava appresso l’aveva resa un mito per ogni pirata che sognava l’agognato titolo e le sue ricchezze.
Anche i Mugiwara avevano dovuto fare i conti con quelle leggende quando si erano ritrovati improvvisamente sulla rotta giusta, scoprendo quanto quelle credenze fossero errate.
Arrivare fin lì non era stata una passeggiata, ma la futura miglior navigatrice del mondo e la ‘nave dei sogni’ sapevano il fatto loro. Il profilo irregolare dell’isola, avvolta dalle nebbie, si era presentato davanti a loro in tutto il suo terrificante splendore. Vi erano giunti di notte, in un silenzio surreale che metteva i brividi, ben sapendo di avere Barbanera e Akainu alle calcagna. Ci sarebbe voluto poco ai loro nemici per capire come giungere fin lì, dopo che il loro galeone aveva spianato la strada.
Attraccare e nascondere la nave era l’unica cosa da fare per sperare in uno scontro su territorio neutrale ed evitare di distruggere la Sunny, loro unico mezzo di fuga.
La battaglia era stata come già immaginato, violenta e con numerose perdite. Il diavolo aveva davvero fatto la sua comparsa su Raftel, solo che aveva ben altri lineamenti e aspirazioni.
Per come era andata, Franky si era trovato spesso a rimpiangere il momento in cui i capitani della ‘Flotta di Cappello di Paglia’ e i loro alleati, avevano preso ognuno in custodia un brandello della vivre card di Rufy.
Non appena la cartina aveva iniziato a bruciare, tutti nessuno escluso, erano venuti in loro soccorso, sprezzanti del pericolo contro ogni ragionevole logica. Senza il loro aiuto le cose sarebbero potute andare diversamente e quella volta la sola forza della ciurma di Cappello di Paglia non sarebbe bastata, con tutta probabilità Barbanera avrebbe vinto e per l’intero mondo sarebbero stati tempi duri.
La felicità che leggeva ora negli occhi di ognuno dei suoi compagni non sarebbe mai esistita e anche l’isola avrebbe subito pesanti danni, per non parlare dei suoi abitanti… ancora faticava a credere che fossero riusciti a nascondersi dal mondo per così tanto tempo, pur sapendo che ci fosse altro all’infuori della loro isola. Era gente insolita, ma stavano bene per conto proprio.
Franky sospirò mesto guardando il mare calmo del porto. Era stata una guerra immane e ne avrebbero per sempre portato le cicatrici soprattutto nell’animo; il senso di colpa li avrebbe logorati per tutta la vita, non era in programma perdonare sé stessi. Non avrebbe mai saputo dire se il gioco valeva la candela, ma si sarebbe impegnato per non rendere mai vane quelle morti, la vita che aveva ancora era una cosa preziosa, non andava sprecato nemmeno un attimo.
Sorridendo, diede le spalle alla distesa d’acqua e al sole tiepido del pomeriggio e si concentrò sul vociare dei  suoi Nakama, sulla banchina.
La giornata volgeva al termine, mancava poco al tramonto e ormai solo quattro navi erano rimaste in porto. Oltre alla Sunny, anche i Rivoluzionari e il Barto Club si erano trattenuti fino alla fine, come anche la Red Force che fu la prima a salpare.
Shanks abbracciò con trasporto Rufy. “Ragazzo mio, a presto!”
Poco più in là la stessa scena avveniva con Yasop e Usop, mentre il resto dei compagni attendeva già a bordo, sbracciandosi dalla nave e ricevendo addii esaltati. Dopo di ché anche la ciurma del Rosso prese il mare.
Erano già partiti, quando Rufy ricordò una cosa.
“SHANKS!” lo richiamò urlando, serio in volto.
Tutti si voltarono verso di lui, in attesa. Anche il diretto interessato si sporse in ascolto, come il resto della sua ciurma.
“HAI DIMENTICATO UNA COSA!!” lo videro allungare il braccio destro a dismisura, concentrato, fino a giungere in prossimità della testa dell’uomo e lasciarci cadere sopra il suo amato cappello di paglia.
Poi, sempre in silenzio, ritirò il braccio e sghignazzò nella sua direzione, mentre Shanks mostrava gli occhi lucidi toccando la paglia.
“HO MANTENUTO LA PROMESSA! ORA SIAMO PARI!” gli gridò dietro, finché erano ancora a portata di voce.
Il rosso ghignò e riprese l’uso della parola a quell’ultima uscita del suo pupillo.
“NON SAREMO MAI PARI, RAGAZZINO!” Prese in mano il cappello e con una precisione degna del suo cecchino, riuscì a rilanciarlo verso di lui a mo’ di frisbee, facendolo atterrare deciso tra le mani di Rufy come fosse stato a pochi metri. “LA NUOVA ERA AVRÀ BISOGNO DI CREDERE IN QUALCUNO, RE DEI PIRATI! LE FUTURE GENERAZIONI SONO NELLE TUE MANI, ADESSO! RENDIMI DI NUOVO FIERO DI TE!”
Franky e compagni strabuzzarono gli occhi, Shanks era davvero un uomo incredibile.
Rufy tiro su col naso, stringendo spasmodico al petto il suo tesoro più grande mentre la Red Force prendeva il largo sempre più veloce, allontanando quell’uomo che più di tutti aveva contribuito a creare la leggenda di un mondo migliore.
“A PRESTO!! SHANKS!!!!!!” Rufy si sbracciò, piangendo. Quello non era di certo un addio.
La nave scomparì all’orizzonte e Robin gli si fece accanto, sorridendogli complice.
Lui si asciugò le ultime lacrime col dorso della mano, guardandola sghignazzando.
Franky, al contrario, non riusciva a smettere di piangere dalla gioia ma anche per la tristezza di tutti quegli addii. “S-Siete fa-fantastici, raga-ragazziiiiii!!!” Usop gli diede delle pacche sulle spalle per calmarlo, ridendo per la sua reazione emotiva.
Sabo si fece avanti. “Direi che è il momento di andare anche per noi.” mormorò, attirando l’attenzione su di sé.
Rufy e Robin si guardarono, prima che il capitano la coinvolgesse in un abbraccio da mozzare il fiato.
Sanji la strinse a sé subito dopo, Chopper fu il successivo.
“Robin, ma tu dove andrai a dormire a Marijoa? Non ti sentirai sola?” mormorò la piccola renna, aggrappata alle gambe della donna, ancora restìa a lasciarla andare. Lei sorrise teneramente, accarezzandogli la testolina e asciugandogli le lacrime con un fazzoletto.
“Mi ospitano gli sposini per un po’… poi vedremo…” mormorò, lanciando un’occhiata allusiva a Nami, prima di lasciarsi abbracciare anche da lei.
Zoro le fece un rispettoso cenno col capo, lei per una volta lasciò da parte il contegno e strinse forte anche lui. “Mi raccomando spadaccino, ti affido la mia sorellina…” gli disse all’orecchio, in un sussurro udibilissimo. Il verde sospirò annuendo, prima di risponderle tranquillo “…Ed io ti regalo quella testa vuota del nostro capitano.” Facendo ridere i diretti interessati e sciogliendo l’abbraccio, ridacchiando. Nami si avvicinò al ragazzo, sfiorandogli la mano con la sua.
La mora li guardò insieme e sorrise dolcemente, prima di lasciarsi avvolgere dalla stretta vigorosa di Usop e dal garbato baciamano di Brook, che le fece alzare gli occhi al cielo, chiedendole per l’ultima volta il colore delle sue mutandine, non ricevendo altro che un bel sorriso in risposta. Si avvicinò infine al suo ultimo Nakama, Franky in tutta risposta, si asciugò le lacrime e la strinse goffamente a sé, con le sue enormi braccia robotiche. “A presto, sorella.” Mormorò il carpentiere, in modo che sentisse solo lei. “Ci mancherai moltissimo. Un giorno saremo di nuovo tutti insieme e solcheremo i mari.”
Robin sussultò. Se finora era riuscita a trattenersi, ora avvertiva gli angoli degli occhi iniziare a pizzicare.
Koala salutò tutti con un sorriso e la promessa di rivedersi presto, mentre Sabo mise da parte i dissapori e stritolò contento anche lo scheletro canterino.
Monkey D. Dragon osservava la scena impassibile, dando ai suoi uomini direttive per l’imminente partenza.
Girando il capo non potè impedirsi di cercare il figlio con gli occhi e quando incrociò il suo sguardo sorrise pacato. Si scrutarono per un attimo, durante il quale Franky potè giurare di percepire una muta conversazione aleggiare tra di loro. Si salutarono con un cenno del capo, ancora poco avvezzi ad un contatto fisico. Il carpentiere sperò intimamente che riuscissero a sviluppare un rapporto che andava oltre il ‘io-ti-guardo-tu-mi-guardi-ti-dico-tutto-con-lo-sguardo-e-fine’, una volta insieme su Marijoa. Avevano condiviso il dolore della morte di Garp, eppure era incredibile come il suo capitano perdesse tutta la sua baldanza e non riuscisse a spiccicare parola, in presenza del padre.
I Rivoluzionari erano a bordo, la nave era pronta alla partenza, l’archeologa temporeggiava.
Con un nodo in gola fissava uno ad uno i suoi Nakama, trattenendo quelle lacrime che spingevano per uscire in tutti i modi.
Sabo e Koala fecero un cenno di saluto a tutti i presenti mentre salivano sulla passerella, Dragon li attendeva serio in piedi sul ponte.
“Questo non è un addio, amici miei.” mormorò l’archeologa, facendo piangere ancor di più Chopper e sorridere gli altri. Un ultimo sguardo alla sua famiglia ed anche Nico Robin salì a bordo.
Si sporse dal parapetto sorridendo eterea mentre dalla banchina le inviavano saluti calorosi.
Una voce riuscì a sovrastare le altre facendo voltare tutti, compresi i Rivoluzionari.
“VAI A CAMBIARE IL MONDO, ROBIN!”
Cappello sventolante alla mano, Rufy la guardava con un’espressione talmente fiera e soddisfatta che le fece uscire a tradimento quelle lacrime che cercava ostinatamente di trattenere e, prima che se ne rendesse conto, stava piangendo a dirotto.
Koala la abbracciò per le spalle emozionata, mentre il resto dei Mugiwara si lasciava andare in ululati di gioia, accompagnati per l’occasione dai cori del Barto Club. Rufy non smetteva di sorridere ed agitare il cappello nella sua direzione, ma non si dissero altro.
In quel momento Franky realizzò quanto il suo capitano fosse cresciuto. Si vedeva quanto fosse orgoglioso di lei, quanto la ammirasse, quanto ne fosse innamorato e nemmeno se ne rendeva conto.
Sorrise tra sé e sé guardando la nave partire, ancora non ci credeva che quei due avessero trovato la realizzazione dei propri sogni anche l’uno tra le braccia dell’altra. Se cinque anni prima gli avessero detto che sarebbe finita così non c’avrebbe mai creduto.
Diede le spalle alla barca dei Rivoluzionari ormai lontana e si schiarii la gola, attirando l’attenzione dei presenti. “Allora ragazzi, pronti per un altro suuuuuuper viaggio??” esclamò, unendo gli avambracci verso l’alto e muovendo le gambe ad un ritmo che sentiva solo nella sua testa.
Alle esclamazioni di assenso dei Mugiwara, l’intero Barto Club non riuscì a trattenere l’emozione, scoppiando a piangere e ad urlare, esaltati. Stavano per fare il viaggio di ritorno con i loro beniamini!
Si erano offerti volontari per accompagnare a casa ciascuno di loro, dopo aver lasciato la maestosa Thousand Sunny a Water Seven con il carpentiere e non stavano più nella pelle!
Rufy si schiacciò il cappello di paglia in testa, ghignando entusiasta. “Andiamo!”
 
 
°
 
 
La Sunny aveva preso il largo da qualche minuto ed ora veleggiava serena verso casa.
Zoro se ne stava a braccia incrociate vicino all’altalena, guardando fisso l’isola che stavano lasciando. Qualche decina di metri dietro di loro, navigando placidamente, c’era la ‘Going grande Rufy’ di Bartolomeo. Fino a lì Zoro riusciva a sentire la ciurma intonare canzoni improbabili, palesemente inventate, che riguardavano ‘Rufy’, neanche a dirlo… ‘i Mugiwara’, accidenti… ‘la carne’, (?)… e, per ritornello qualcosa che suonava come ‘la gioia, concessa dagli dei, di amare tutti loro per sempre’...
Il ragazzo scosse il capo, decidendo di sorvolare sulla cosa, troppa fatica cercare di capire quegli uomini, e tornò serio a guardare l’isola.
Raftel era davvero meravigliosa vista dal mare, le sfumature del tramonto giocavano con i colori dei boschi e delle montagne. La nebbia che scendeva durante la notte avrebbe presto nascosto alla vista quel capolavoro della natura. Un vero peccato…
Si schiarì la gola, per farsi sentire dal resto dell’equipaggio con lui sul ponte. “Bene, partenza senza intoppi. In porto non c’erano più navi… Direi che possiamo dichiarare conclusa anche l’avventura su Raftel!” mormorò convinto.
Un mugolio lugubre accolse le sue parole e Zoro grugnì infastidito, assottigliando gli occhi.
“Vi state comportando come dei bambini!” proferì a voce alta, non staccando lo sguardo dall’isola in lontananza.
“Si…”
“Già…”
“Mmmm…”
“Nì…”
Il ragazzo fece una smorfia seccata, voltandosi verso il ponte inferiore dove l’intera ciurma era collassata a terra preda della depressione più nera.
Il verde si incupì. “Vorrei ricordarvi che siamo una ciurma di pericolosi pirati che ha appena trovato il leggendario tesoro di Gold Roger!”
“Aha… Si…”
“Già…”
“Aha…”
“Nì…”
“Piantatela di fare questi versi!!” li avvertì, con sguardo truce.
“Ma siamo tristi!!” mugugnò Chopper, emergendo per un attimo dall’alone nero che li  circondava, solo per ripiombarci dentro subito.
Zoro scosse la testa, innervosito. “Perché non avete insistito se volevate che restasse con noi?? Lei vi crede contenti per la sua decisione! Se non sbaglio, eravamo tutti concordi sul non tapparle le ali!”
Nami si infervorò. “Sei un’insensibile! Non hai capito niente…” esalò isterica, affiorando dalla nube nera depressiva con il pugno ben visibile indirizzato verso di lui.
Lo spadaccino si indignò, punto sul vivo. “Oh insomma, certo che ho capito! Ma eravate comunque tutti d’accordo con lei!!”
“Robin-channn!!” bofonchiavano intanto Sanji e Brook piangendo, stretti in un comico abbraccio consolatorio.
Zoro li ignorò. “Adesso basta, state diventando ridicoli!” esclamò risoluto.
Franky sollevò la testa dal pavimento, i lacrimoni agli occhi. “Fratello… sei senza cuore!”
Chopper gli diede man forte. “Un pezzo di ghiaccio!!” proferì triste, stringendo gli zoccoli.
“Yohohohoh… peggio di Moria!!” Brook si unì alle lamentele.
“Il solito marimo senza cervello…” Sanji, immancabile.
Usop alzò la testa da terra, sbattendo gli occhi confuso. “Ragazzi, perché ho la sensazione di averla già vissuta questa scena…?”
“Oh, per tutti i Kami…” mormorò Zoro alzando le braccia e allontanandosi dal gruppo, esasperato.
Giunto a prua, restò piuttosto sorpreso di trovarci l’unica persona che aveva un motivo valido per sentire la mancanza dell’archeologa. Incredibilmente, il suo capitano sembrava il solo a non essere caduto preda della depressione.
“Rufy?” lo chiamò, titubante.
Il moro, seduto a gambe incrociate sulla testa del leone, si voltò. “Oi, Zoro.” Lo salutò sorridente, prima di tornare a guardare il mare sconfinato davanti a lui.
Il verde ghignò tranquillo, sedendosi vicino al timone e chiudendo gli occhi, rilassandosi.
“Ancora non ci credo che sia finita, sono state settimane davvero pesanti per tutti…” Cappello di paglia si addossò meglio ad uno dei raggi e Zoro ci mise qualche secondo a capire che stava parlando con lui. Lo spadaccino si ritrovò ad annuire tra sé e sé partecipe, studiando la schiena del suo capitano.
“…L’arrivo su Raftel, Barbanera e il Governo Mondiale, Traffy e gli altri…” Zoro lo ascoltava attento. “…la scoperta del tesoro, Sabo, mio padre, il nonno che arriva facendo un gran casino come al solito…” Rufy si voltò a guardarlo, il sorriso enorme, gli occhi lucidi. “Sai, stavo pensando... lo so  che è stupido ma… mi sarebbe tanto piaciuto che Ace l’avesse visto…” esalò, la voce un pò roca.
Zoro sospirò, facendo un sorrisetto. “Non credo sia un pensiero stupido.”
Rufy ridacchiò. “Forse un po’ si…”
L’amico non rispose, sapeva che non ce n’era bisogno.
Entrambi persi nei propri pensieri, non si accorsero dell’arrivo silenzioso del resto della ciurma a prua, ognuno senza più traccia di depressione sul viso.
Nami, un sorriso dolce ad incorniciarle il viso, si sedette vicino al proprio uomo scompigliandogli la zazzera verde ricevendo un mugolio in risposta ed un braccio intorno alla vita.
“Ragazzi, vi rendete conto di cosa stiamo lasciando…” mormorò il cuoco, aspirando dalla sigaretta.
Non era una domanda e tutti sorrisero guardando il tramonto che tingeva di rosso il cielo davanti a loro.
L’aria iniziava a farsi pungente, presto sarebbe stata ora di cena.
“Io non riesco a non pensare alle taglie che avremo ora sulla testa a causa di Smoker…” latrò il cecchino, con una smorfia di dolore.
“Davvero?” chiese il piccolo dottore, gli occhi sgranati. “Credi che avremo ancora delle taglie, Usop??”
“Beh, perché no.” Si intromise l’enorme carpentiere, con un’alzata di spalle. “Smoker ha detto chiaramente che avrebbe continuato darci la caccia…”
“Cooosaaa??” esclamò la renna, spaventata.
“Piuttosto, Sanji...” Proferì tranquillo Franky, attirando l’attenzione su di sé “Per quanto tempo vuoi che ci  fermiamo a Dressrosa?”
Tutti presero a ridacchiare capendo al volo, mentre il biondo cuoco sorrideva compiaciuto, dietro il fumo della sigaretta.
Rufy sghignazzò. “E tu, Brook? Sei impaziente di rivedere Loovon?” chiese il capitano.
“Yohohohoh!! Non sto nella pelle!! Anche se… sapete, io la pelle…”
“…non ce l’hai!” terminarono per lui i Mugiwara al completo, ridendo.
“Yohohohohoh… non avrei saputo dirlo meglio!” mormorò il musicista gioioso, prima di voltarsi verso la rossa navigatrice. “Mia cara Nami-san, nel viaggio di ritorno tu avrai l’occasione di disegnare le isole che ti mancano per completare la cartina del mondo!”
La cartografa sorrise di cuore. “Si! Non vedo l’ora.”
Zoro la strinse un po’ di più, sorridendole. Lei lo scrutò un attimo prima di sussurargli dolce come non mai “Sai, disegnare la mappa del mondo non era il mio unico desiderio…” mormorò, accarezzandogli lievemente una guancia.
“Anch’io spero tanto di riuscire a terminare i miei studi…” mormorò Chopper abbattuto, il visino a terra.
Usop lo abbracciò, fissandolo sicuro. “Ce la farai senz’altro!!”
“Anche perché, se ce l’ha fatta naso-lungo a diventare un coraggioso pirata, tu fratello puoi fare tutto!” esclamò Franky, incrociando le braccia e ammiccando in direzione del cecchino.
“Forse dovrei offendermi ma non hai tutti i torti, Boss…” considerò quello, facendo ridere tutti.
Ancora seduto sulla polena, Rufy guardò i suoi amici con un’aria di malinconia negli occhi neri. Era bello e doloroso insieme, vederli ridere così rilassati. Chiunque guardandoli ora avrebbe detto che erano solo persone comuni che si divertivano in compagnia, ma il capitano sapeva che non potevano essere più in errore di così. Guardando il sole morire nell’oceano, i ricordi di una vita che sembrava lontana anni luce lo colpirono come un pugno nello stomaco e come un flash se li rivide tutti davanti appena un po’ più di bambini, ma con sogni già grandi e forse po’ troppo illusi. Una ciurma sgangherata a prima vista ma che col passare degli anni si era rivelata ben altro.
Erano…
…un ragazzino scemo che partiva dal suo paese con una barchetta, convinto di riuscire a trovare dei compagni con poco sforzo ed ambiva ad una vita troppo pericolosa per la sua età…
Erano, un cacciatore di pirati, legato mani e piedi ad un palo, i cui morsi della fame non avevano spento il fuoco ardente della promessa che si portava appresso…
Erano, una bambina diventata donna troppo presto, che arrivava a spegnere una miccia a mani nude, pur di proteggere uno sconosciuto dentro una gabbia…
Erano, un curioso personaggio con una bandana che, atteggiandosi a capo di una grande armata, usava le bugie come scudo contro un mondo che lo disprezzava…
Erano, un biondino troppo buono e gentile per lasciar morire di fame qualcuno, ma che non si faceva scrupoli a punire chi osava denigrare la sua cucina…
Rufy ridacchiò da solo, arrivando col pensiero anche su una nave ormai lontana.
Erano, una donna adulta, scaltra, un po’ macabra, loro nemica ma non per scelta, che si portava nel cuore un dolore così grande da essere più vasto dell’oceano…
Erano, una piccola renna, scambiata per un procione, che si nascondeva dietro un muro e riusciva a salvare la vita della sua navigatrice e l’anima della propria isola…
Rufy sospirò mesto, guardando il mare.
Erano, un bizzarro cyborg che rubava loro tutti i soldi e malmenava un suo compagno, prima di rischiare la vita per salvare tutti loro…
Ed erano, uno scheletro canterino dall’anima antica, sprovvisto di ombra ma che non perdeva la speranza di un riscatto, dopo cinquant’anni di solitudine…
Glielo diceva spesso nonno Garp… alla fine, si pensa sempre all’inizio. Rufy si ritrovò a dargli ragione, ora capiva cosa intendeva. Si sentiva il cuore così pesante, gonfio di amore e gratitudine, che dovette trattenersi per non piangere di nuovo. Gli individui che aveva intorno erano ben più che compagni, erano una famiglia. Una singolare, stravagante, pazza famiglia che non avrebbe cambiato per nulla al mondo.
I loro occhi riflettevano i suoi ricordi, ricordi effimeri di una vita vissuta appieno che aveva ancora molto da dare.
Rufy si tolse il cappello, prendendo a rigirarselo tra le mani, soppesando le parole da usare, cercando qualcosa da dire per far capire loro quanto, quanto contassero per lui. Sorrise tra sé e sé, sapendo che nulla di quello che avrebbe mai potuto dire sarebbe stato abbastanza, ma concordando allo stesso tempo che a loro non sarebbero serviti grandi discorsi, perché conoscevano bene l’uomo che si nascondeva dietro la facciata da ragazzino.
Perso nelle sue riflessioni solo dopo diversi minuti Rufy si ricordò che il silenzio non era prerogativa della Sunny e, sollevando lo sguardo, si accorse che tutti i suoi Nakama lo stavano guardando sorridenti in silenzio, chi nostalgico, qualcuno visibilmente commosso, altri ancora ebbri di felicità. Avvertì un piacevole morso allo stomaco realizzando che stavano tutti aspettando le sue parole, capendo perfettamente quanto lui desiderasse liberare quelle sensazioni che lo tormentavano confidandosi, così come lui per giorni si era fatto carico di ogni loro sofferenza.
Si aprì in un dolce sorriso, schiacciandosi l’amato cappello di paglia in testa.
“Voi sapete perfettamente chi sono, mi conoscete meglio di quanto io conosca me stesso.” Ridacchiò nervoso, sapendo di avere tutti gli occhi puntati addosso. “Non sono il genere di capitano che fa discorsi di incitamento o di commiato. Non so fare un sacco di cose, mangio tanto e mi metto nei guai da solo…” Nami alzò gli occhi al cielo, ridendo. “…mi piace inventare balletti stupidi e ridere, però non mi tiro mai indietro se c’è da combattere! Mi perdo quasi sempre e mi piace pescare! Si, pescare è divertente!” Usop scosse la testa sconcertato, Rufy sogghignò. “…E mi piace anche avere degli amici, su cui fare affidamento…” Zoro lo squadrò mesto abbassare gli occhi, fissandosi i sandali. “…quando sono partito da Foosha sapevo bene quello che volevo essere. La mia ambizione più grande è sempre stata diventare il Re dei Pirati, poco importava che nessuno credesse in me, io ero certo di potercela fare!” Chopper gli si avvicinò, tirando su col naso mentre Sanji aspirava una profonda boccata sprigionando nuvolette grigie, Rufy proseguì. “Sul nostro cammino abbiamo incontrato personaggi di tutti i tipi, affrontato sfide e vissuto più avventure di quante avrei mai potuto sognare…” si fece determinato “…ma tutto questo non sarebbe mai potuto accadere senza di voi, ragazzi. Sono grato al mio sogno perché se non fosse stato per lui, forse non sarei mai partito per mare e non avrei mai incontrato le persone meravigliose che siete!” Franky si asciugò una lacrimuccia, Rufy ghignò. “Abbiamo avuto anche noi i nostri momenti di sconforto, alti e bassi che fanno parte della vita, ma che siamo riusciti a superare perché ci fidavamo e tenevamo gli uni agli altri!” il the era ormai freddo, ma Brook non se ne curava affatto. Rufy allargò le braccia, con un sorriso enorme in viso ed un nodo fastidioso in gola. “I ricordi con voi sono infiniti, non so come potervi dire quanto siete importanti per me, ragazzi… la ciurma migliore che esiste! Mi avete dato la forza per affrontare Akainu e Barbanera… Senza di voi io non sarei niente! Il mio sogno non è niente, se paragonato all’avventura che abbiamo vissuto insieme…” deglutì, il nodo in gola era aumentato insieme ai battiti frenetici del suo cuore. “Voi siete stati il mio vero sogno.” Sussurrò, stringendo lo zoccolo di Chopper nella sua mano e sorridendo commosso ai suoi lacrimoni. “…quindi, volevo solo dirvi grazie. Grazie per avermi sopportato, per avermi fatto da mangiare, grazie per i giochi, per aver cercato di impedirmi di fare l’idiota, per aver sempre avuto fiducia in me, per avermi voluto bene… ma soprattutto, grazie, grazie per la meravigliosa avventura che mi avete fatto vivere!” concluse sorridendo, rosso come un pomodoro, strofinandosi gli occhi con forza.
Un leggero venticello mosse le vele e le fronde dei mandarini di Bellmere, prolungando la quiete, mentre le stelle facevano capolino nel cielo nero, in quella prima notte di viaggio.
Un silenzio innaturale seguì le sue parole, nessuno riusciva più a proferire verbo, tutti troppo emozionati e stravolti. Sapevano già quanto Rufy tenesse a loro, ma sentirglielo dire così apertamente aveva provocato un’ondata di commozione collettiva che non sapevano come affrontare. Le lacrime non erano più un optional e sgorgavano a fiumi dagli occhi di cecchino, dottore, carpentiere e navigatrice; gli altri tre, normalmente i più stoici, affrontavano la cosa con meno trasporto anche se con un innegabile miscuglio emotivo difficile da spiegare.
Poi con malcelata calma, Brook afferrò il suo violino.
La melodia prese presto forma tra sue mani ossute e ognuno si ritrovò attento e silenzioso ad ascoltare la versione più dolce e malinconica di quella canzone che ormai conoscevano bene.
Il liquore di Binks…
Il canto di accompagnamento del musicista era quasi un sussurro ma fece breccia subito nei cuori di ciascuno di loro, esprimendo perfettamente lo stato d’animo di tutti.
Questa non sarebbe stata la fine, ma l’inizio…
Le lacrime smisero di uscire, le mani di tremare e ascoltarono lo sciabordare delle onde contro lo scafo che si mischiava alla canzone creando un curioso ed ovattato contrasto di suoni. Si trovarono a sorridere, di nuovo composti, con uno scintillio furbo che brillava negli occhi di ciascuno.
In un attimo, come spinti da una forza soprannaturale, venne a tutti la stessa idea e si gettarono sul capitano, nel frattempo sceso dalla polena, per coinvolgerlo in un abbraccio stritolatore di gruppo.
Rufy non smetteva di ridere, schiacciato da quella marea di corpi addossati a lui che gli sorridevano con trasporto.
“SIIII RUFY-SEMPAIIII!!! TI AMIAMO ANCHE NOIIII!!!!!” l’urlo sovrumano di Bartolomeo li fece sussultare. Si voltarono tutti e gli occhi strabuzzarono nel vedere il capitano della seconda flotta a pochi metri da loro, sul ponte della sua nave, che si sbracciava contento e commosso dal loro abbraccio.
La ‘Going Grande Rufy’ aveva affiancato la Sunny senza che se ne accorgessero e ora i suoi occupanti lanciavano urla, montavano striscioni sgargianti e intonavano versi stonati al loro indirizzo per renderli partecipi della loro festa.
I Mugiwara si separarono lentamente sghignazzando e Rufy, Usop e Chopper si misero a salutarli, agitando le mani in aria.
Zoro prese parola, fissandoli torvo. “Io qui lo dico e qui lo prometto. Se Bartolomeo ha intenzione di farmi passare i prossimi due mesi in questa maniera, me ne vado e chiedo un passaggio ad un Re del mare!”
“Mi hai tolto le parole di bocca marimo…” mormorò convinto Sanji, accendendo una sigaretta, il momento di malinconia cessato per forza maggiore. “Solo che io avrei buttato lui fuori bordo con la ciurma e gli avrei preso la nave…”
Era ora di tornare ad essere i pericolosi pirati che molti ancora credevano fossero…
Nami annuì, contenta di vederli fare fronte comune per una volta e silenziosamente grata di tornare a respirare allontanando il magone e la minaccia di nuove lacrime. “Sono d’accordo sul rubare la nave! Chissà se hanno dei tesori nascosti in qualche angolino dimenticato…” mormorò pensosa, un simbolo inconfondibile al posto dei soliti begli occhi scuri che fece lanciare ad Usop un’occhiata al cielo.
Brook avanzò di un passo, mettendo il violino dietro la schiena. “Yohohoho!! Questo mi ricorda che dobbiamo ancora stabilire cosa fare del gigantesco tesoro che abbiamo nella stiva!!!”
Il capitano si illuminò. “È vero!! Non vedo l’ora di iniziare ad usare l’oro del tesoro!!” esclamò battendo le mani entusiasta.
Chopper si esaltò. “Oh si! Devo fare rifornimenti!”
Zoro annuì mesto “Mi sono rimaste solo un paio di bottiglie…”
Sanji si grattò la testa pensieroso. “Siamo a corto anche di cibo…”
Rufy diede man forte al pensiero del cuoco. “Si fantastica idea, Sanji! Li userò tutti per prendermi il più grosso cosciotto di carne che riesco a trov-!” un pugno lo appiattì al suolo, conficcandogli la testa tra le assi del ponte con notevole nonchalance, mentre il cuoco mormorava “Io non ho detto nulla del genere…”
“Ogni volta che mi sembra di aver intravisto un po’ di cervello sotto quella paglia, ecco che vengo riportata alla realtà! Prova anche solo a toccare quell’oro e ti butto a mare!!” lo ammonì la navigatrice, inviperita, il pugno ancora fumante.
Franky sollevò il capitano per un piede, estraendolo dal pavimento con un gesto secco. Scrollò un po’ il suo peso morto, prima di mollarlo con un tonfo tra le braccia del cecchino che si premurò di farlo riprendere.
Il carpentiere ghignò sereno tornando a fissare il Barto Club, ora impegnato a spegnere un piccolo incendio che avevano appiccato da soli ad una vela mentre cercavano di accendere i fuochi d’artificio che si vedevano sul ponte. “La cosa più bella è che ora avremo un lungo periodo di pace, tranquillità…
“…e noia tremenda!” esalò Rufy toccandosi cauto il bernoccolo sulla testa.
Usop lo fissò con un’aria imbronciata. “Guarda che è stata tua l’idea di separarci per qualche anno…”
“Beh, io mi annoio già!” mormorò il capitano tenendo il muso e incrociando le braccia, prima che tutti scoppiassero a ridere.
Un suono cavernoso proveniente dal suo stomaco li fece zittire, Rufy ridacchiò. “Tutto questo parlare di cibo mi ha stimolato! Sanji, ho fame!”
Sanji scosse la testa e spense la sigaretta con il piede, avviandosi. “Forza andiamo, ormai è ora di cena.”
Rufy scattò rapido verso il biondo. “Mi fai la faraona al forno con tante tante patate??” esclamò entusiasta, aggrappandosi al suo braccio e facendosi trascinare, Sanji proseguì il tragitto senza apparente sforzo. “Non abbiamo più carne, Rufy. Dovrai aspettare due giorni fino alla prossima isola.” mormorò, avviandosi verso la cucina.
“Ah… allora vorrà dire che mi accontenterò del pesce!” proclamò ghignando mettendo le mani sui fianchi e mollando finalmente il cuoco.
Sanji, già sulla soglia, si voltò tranquillo. “Non c’è neanche quello…
Il capitano sgranò gli occhi, scioccato. “Cosaaaa?? E allora cosa c’è da mangiare??”
“Beh…” esalò quello pensieroso, entrando nel suo regno. “Zucchine! Siamo pieni di zucchine! E porri anche…”
Rufy lo seguì indefesso fin dentro la stanza. “Solo zucchine per cena?? …….Ok posso sopportarlo... però voglio un cosciotto di pollo come contorno!” Ormai la voce di entrambi arrivava attutita al resto dei compagni fuori sul ponte, però non gli impedì di sentire distintamente il suono di una scarpa elegante che cadeva sopra un cranio vuoto, seguito da un urlo belluino. “Ti ho detto che non c’è carne, brutto scemo!!”
Brook si sistemò vicino all’albero con l’altalena. “Amici miei che ne dite di una canzone per rallegrare gli animi? Yohohohohoh!”
Chopper si animò, sedendogli accanto, entusiasta. “Siii, una che parli di pirati e zucchero filato!!”
“E di cyborg e ninja!!” propose Franky, unendo gli avambracci in aria.
“Non so se esiste una canzone del genere…” affermò Usop, dubbioso.
“Yohohohohoh! Qualcosa mi verrà in mente!” concluse lo scheletro, ridendo e accordando la chitarra.
“Usop, Franky, ballate con me!!” esclamò il piccolo medico, saltando in braccio al cecchino, mentre le prime note di quella strampalata canzone prendevano forma e i tre soggetti entusiasti assumevano le pose più strane andando a ritmo con il testo cantato da Brook.
Nami, ancora vicino al timone con lo spadaccino, osservò i suoi compagni dilettarsi felici in uno dei balli più scoordinati che avessero mai fatto mentre dalla cucina le arrivavano alle orecchie gli improperi di Sanji contro Rufy per aver tentato di scardinare la dispensa.
“Sai, mi mancherà tutto questo…” mormorò dispiaciuta dopo qualche attimo, voltandosi lievemente verso Zoro.
Lui la affiancò, una mano alle spade. “Sarà solo per qualche anno.” sussurrò serio “Senza più avventure per mare il tempo correrà veloce e prima che ce ne rendiamo conto sarà già ora di ripartire…”
Nami lo squadrò furba. “Avresti avuto di che annoiarti nel frattempo… fortuna che ti ho trovato qualcosa da fare!” ancheggiò nella sua direzione, sorridendogli maliziosa e incamminandosi verso la cucina, da dove proveniva già un invitante profumino di zucchine in padella.
Zoro ghignò sghembo alla luce della luna, prima di avviarsi anche lui.
“Senti un po’ mocciosa, a proposito di quella stanza da ampliare…”
“Oddio ne vuoi parlare ora??”
 
Accanto alla nave, un entusiastico Barto Club programmava in gran segreto un assalto in massa alla Sunny all’alba, per festeggiare insieme ai Mugiwara il primo giorno di viaggio, non sapendo che questo avrebbe decretato per loro un bagno nelle acque gelide e cristalline del Nuovo Mondo e la minaccia di vedersi rubare la nave.
 
“Ciurma!!! Stanotte in alto i bicchieri! Si brinda alla fine e al nuovo inizio!”
 
Solo il tempo glielo avrebbe detto, ma quel futuro radioso che agognavano era a portata di mano.
 
 
 
Vado a consegnar il liquore di Binks!
Noi siamo pirati e attraversiamo il mare...
le onde sono i nostri cuscini, la nave il nostro giaciglio...
la vela con il teschio il nostro cipiglio!

 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
Angolo autrice:
Ciao!! Ho fatto più in fretta del previsto ^.^ sono proprio contenta! E per chi se lo stia chiedendo, no non è l’ultimo capitolo… dovrete sopportarmi ancora solo per un’altra volta, per l’epilogo :-p che spero di riuscire a pubblicare presto! Ringrazio di cuore sempre chi recensisce, preferisce, segue… e chi legge in silenzio, spero sempre possa piacere! Grazie!!
momoallaseconda

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***



La vita era imprevedibile.
Iniziava casualmente per volere di qualcun altro e finiva spesso in un modo che non avevi scelto tu.
Era piena di paranoie e dubbi esistenziali che non potevi risolvere solo con la logica.
Non rimanevi quasi mai soddisfatto del presente e ignoravi cosa ti riservasse il futuro, anzi certe volte dovevi essere grato solo per la possibilità di averlo un futuro.
Le cose desiderate avevano la spiacevole caratteristica di arrivare troppo tardi o addirittura mai.
I momenti brutti ti insegnavano che qualunque cosa fosse successa occorreva stringere i denti ed andare avanti, perché i periodi bui passavano, non duravano per sempre ed era necessario trarre sempre il meglio da ogni cosa per poter essere davvero felici.
Clover una volta le aveva detto che l’importante non era quello che trovavi alla fine di un percorso, ma quello che provavi mentre lo percorrevi, e anche se la vita fosse stata difficile e brutta, molto brutta, lo era sempre meno della morte e ci sarebbero stati anche momenti felici, un giorno.
In un giorno di sole come tanti, Nico Robin si ritrovò a pensare seriamente a quelle parole.
Nell’arco della sua esistenza aveva avuto parecchio tempo per riflettere e aveva capito che la vita la si poteva progettare, ma non programmare. In effetti nessuno, nemmeno Clover che tutto sapeva, avrebbe mai potuto programmare l’arrivo di Rufy.
Come una brava gomma da masticare, il pirata era rimasto appiccicato a lei, ai suoi pensieri e alla sua vita, fin dal primo momento. Era inimmaginabile pensare che un ragazzo giovane, ingenuo e a volte dalla dubbia intelligenza, sarebbe arrivato come un uragano a sconvolgerle l’esistenza e a mettere in crisi ogni sua convinzione, come quando era andato a riprenderla in cima a quella maledetta torre. Aveva cercato di cancellare i propri errori punendosi, ma non era servito a nulla, in fin dei conti si sapeva già che la gomma da masticare era difficile da staccare.
Doveva molto a quel ragazzo. Sorrise nostalgica. Gli doveva davvero tanto, forse pure troppo.
Una nuova vita lontana dalla solitudine, degli amici sinceri, una protezione su cui poter fare sempre affidamento, la possibilità di fare ancora del bene per questo mondo e ultimo, ma non per questo ultimo, era grata per il suo amore, quello che le dimostrava ogni giorno di più anche dopo sei anni. Un amore che lei ricambiava senza remore, incondizionatamente, in un modo che non credeva possibile.
La vita era davvero strana. Non decidevi tu di venire al mondo e spesso non decidevi come andartene, ma potevi cambiare il presente e forgiarlo a tuo piacimento, infondo l’oggi era il giorno che ti faceva paura ieri.
Lei aveva patito pene peggiori dell’inferno ma la vita che aveva ora se l’era guadagnata, lottando per ciò in cui credeva e dando fiducia alle persone giuste.
Si era guadagnata la realizzazione del suo sogno, la possibilità di partecipare all’attuazione di un nuovo Governo Mondiale, si era meritata l’amore dell’uomo migliore del mondo e aveva avuto l’opportunità di partecipare alla creazione di una nuova vita. Aveva scoperto la gioia di essere madre, lei che una mamma non l’aveva mai avuta.
Il suo paradiso personale lo aveva trovato su quell’isola, in una casetta vicino al mare, con un uomo buono e un inaspettato bambino che le riempiva il cuore di un amore così profondo che a stento riusciva a quantificare.
Dopo tante sofferenze, con la certezza che la sua anima fosse ormai dannata e destinata a non avere mai espiazione, non pensava di poter sognare una vita così bella.
Tenere in braccio il suo bambino addormentato, coccolandolo come ora, la faceva sentire una persona completa. Non credeva che avrebbe mai scoperto cosa si provava ad amare qualcuno così tanto da dare la vita pur di non vederlo mai soffrire. Era bellissimo sapere di poter trovare la redenzione in lui, vivere un po’ più a lungo, continuare ad esistere attraverso il suo bambino, nei suoi ricordi.
Robin sorrise materna, per una volta ad un esserino che a tutti gli effetti poteva vantare di aver davvero generato lei, distogliendo lo sguardo da lui solo per posarlo sull’altra metà del suo cuore.
Rufy era in piedi davanti a loro, tanto per cambiare impegnato in una assurda discussione con il fratello.
Da quando si erano trasferiti tutti a Marijoa le loro liti erano all’ordine del giorno.
Robin rise piano, il padre di suo figlio si comportava spesso da sciocco, ma a lei non gliene poteva importare di meno. Una donna non cerca sempre un uomo che la faccia ridere? Non di sé magari, ma quelli erano dettagli irrilevanti perché con lui ogni attimo era sempre meglio di quello passato.
Koala la pensava diversamente mentre sbuffava irritata dal letto d’ospedale dove appena il giorno prima aveva dato alla luce la sua secondogenita e osservava con cipiglio seccato marito e cognato litigare, i lunghi capelli legati in una comoda treccia che torceva per il nervoso. Robin le sorrise complice, carezzandole lievemente una mano, cercando di infonderle con lo sguardo la stessa serafica calma che la contraddistingueva da sempre. L’amica sembrò capire e sospirò pacata, continuando a cullare la piccola Lyla e decidendo di donare a lei tutta la sua attenzione.
Si, Robin amava con tutta sé stessa la vita che si era guadagnata, anche se in certi momenti avrebbe desiderato un po’ di tranquillità in più… e che arrivasse sotto forma di pugno fumante di Nami.
Riportò gli occhi su compagno e cognato, scotendo piano la testa, facendo ondeggiare leggeri i capelli a caschetto tagliati dopo il parto, bene attenta a non svegliare il suo bambino, l’unico in quella stanza in grado di pareggiare col padre in quando a forza polmonare e che stranamente ancora non aveva dato cenno di fastidio per la discussione che aveva luogo in quella stanza da qualche minuto. Sospirò divertita, erano due adulti perché si intestardivano su cose banali come quelle? Cosa importava se Rufy aveva voluto chiamare loro figlio…
“…Ace? Che c’entra lui?” esalò il moro, come leggendole nella mente e catalizzando la sua attenzione.
Sabo lo fissava torvo. “C’entra! Mi hai soffiato il nome di mio fratello!”
Rufy mise il broncio. “Io non ti ho soffiato niente! Tu hai avuto due femmine, io un maschio! Sono arrivato per primo ed Ace era anche mio fratello!” rispose piccato, incrociando le braccia.
“Ma questo vuol dire che se il terzo sarà maschio io non potrò chiamarlo così!” ruggì testardo l’altro.
Koala, che aveva appena deposto la piccola nella culla di fianco al suo letto, a quell’ultima uscita non riuscì a trattenersi. “Il terzo cosa, scusa?” esclamò spalancando gli occhi e guardandoli scioccata, venendo ignorata.
“Tu potresti mettere il mio a tuo figlio!” proclamò improvvisamente Rufy, entusiasta per l’idea geniale.
Sabo lo guardò male. “Ottimo, allora appena sarai morto farò un figlio solo per mettergli il tuo nome!”
“Io non farò un terzo figlio!” proclamò Koala decisa ma ignorata nuovamente.
Rufy si rabbuiò. “Volevo solo aiutarti e poi non è mica obbligatorio essere morti!”
“Si, invece!”
“No!!”
“Si!!!”
“MA CHE DISCORSI FATE???” alla fine, Koala era esplosa. I due litiganti si girarono a guardarla, tranquilli.
“Tesoro, calma. Il dottore ha detto che non è il caso di far agitare la bambina in questi giorni!” le disse Sabo, con un sorriso dolce che voleva sembrare rassicurante ma sortì l’effetto opposto.
Koala fumava dalle orecchie. “Tesoro…” mormorò con voce stridula, facendogli il verso “…la bambina non ha problemi! Le tue idiozie fanno agitare me!”
Sabo stava per ribattere alla moglie, ma Rufy lo precedette. “Ho trovato!!”
Robin, Koala e Sabo si voltarono verso di lui, Rufy si entusiasmò. “Potresti chiamarlo Barbabianca oppure Roger!” esclamò soddisfatto, convinto di aver risolto un problema che i più giudicavano inesistente.
Koala sprofondò nei cuscini affranta, Robin iniziò a ridere, ma Sabo si mise a riflettere. “In effetti non è una cattiva idea, il nome del padre…” mormorò pensoso, prima di aprirsi in un grande sorriso. “Ok è deciso! Il mio terzo figlio lo chiamerò Dragon!”
A Rufy scivolò via il sorriso, mentre Robin si copriva la bocca con la mano per frenare le risate sempre più forti.
“Starai scherzando, spero!” esalò Rufy, gli occhi spalancati “Non puoi! È mio padre!”
Sabo si mise le mani sui fianchi. “Lo è stato anche per me!”
“Non va bene lo stesso!” proclamò il moro, profondamente oltraggiato.
“E chi mi ferma, tu??” lo sfidò.
“Certo! E poi non è mica morto! Tu li vuoi morti!”
“La soluzione è semplice…” si intromise Robin, un sorriso enigmatico in volto. “Basterebbe far fuori Dragon…”
Koala riemerse dai cuscini guardandola sconvolta. “Ti prego, non ti ci mettere pure tu!”
Sabo le ignorò e proseguì convinto. “Ripensandoci, è meglio che al terzo metta nome Garp!”
“Non ci provare!!” esclamò Rufy, sgranando gli occhi. Robin ormai tratteneva le risate a fatica.
“Siete due idioti! Tanto io il terzo non lo faccio!” esclamò Koala che sprofondò nuovamente tra i cuscini, chiudendo definitivamente la questione.
 
“Rufy?”
Il moro distolse gli occhi dal mare per posarli sulla compagna, trovandola che lo scrutava curiosa.
“Va tutto bene?” gli chiese.
Lui le fece uno dei suoi enormi sorrisi, annuendo e riprendendo il cammino con il piccolo Ace in braccio.
Robin non si lasciò ingannare, conosceva bene le espressioni di quell’uomo ed era da quando avevano lasciato la camera d’ospedale di Koala venti minuti prima che Rufy era strano, taciturno e fin troppo calmo.  Aveva un pensiero fisso da giorni, se n’era accorta, e ora credeva finalmente di aver intuito quale fosse.
Lo affiancò, riprendendo insieme a camminare sulla spiaggia, ormai quasi arrivati alla piccola costruzione che si vedeva in lontananza e che per sei anni avevano chiamato casa.
Robin prese ad osservarlo di nascosto, vedendolo puntare gli occhi sul mare, sui gabbiani che volavano nel cielo azzurro del mattino, sull’orizzonte sgombro di nuvole, distogliendo velocemente lo sguardo ogni volta per posarlo su Ace che ancora gli dormiva in braccio, ma riportandolo poi costantemente sulla distesa d’acqua infinita.
Robin sospirò dolce. Si, era palese cosa bramasse il suo uomo ed anche cosa temesse, lo capiva perché la stessa cosa succedeva anche a lei da giorni.
Dopo essere rimasto sopito per qualche anno, il richiamo del mare stava ora avendo il sopravvento su ogni altra cosa e se lo avvertivano loro, probabilmente stava accadendo lo stesso anche ai loro compagni.
Dal suo punto di vista sarebbe stata una scelta semplice, ma Rufy aveva una responsabilità da capitano, avrebbe dovuto decidere per altre otto persone, non certo che loro volessero riprendere il mare con lui, ed ora aveva anche un dovere come padre.
Robin sorrise notando il suo sguardo abbacchiato, non si meritava di prendere questa decisone da solo.
“Rufy…” attirò la sua attenzione. “Lo sai… non hai che da chiedere…”
Il moro spalancò gli occhi preso in contropiede e la donna proseguì. “Il mio lavoro qui è finito. Non c’è più alcun motivo per rimandare l’inevitabile.” mormorò saggia.
Rufy posò mesto lo sguardo sul bambino. “Ma… Ace è ancora così piccolo.”
Esitazione da padre, assolutamente non da lui dal momento che tra loro era certamente il meno apprensivo, ma quel contesto era diverso, non dovevano semplicemente andare al parco, si trattava di decidere se riprendere il mare, con tutti i pericoli del caso, insieme ad un bambino di nemmeno un anno a bordo.
Robin non demorse, pericoli ce ne sarebbero sempre stati, lei per prima era terrorizzata all’idea che accadesse qualcosa ad Ace, ma era altresì certa che sarebbero stati felici sulla Sunny. I loro compagni le mancavano molto e sapeva che Ace avrebbe avuto tanti zii e zie pronti a proteggerlo in caso di necessità. Era sicura che il richiamo del mare fosse giunto a lei e a Rufy nello stesso momento per un motivo e poi… voleva che il suo bambino crescesse con la famiglia al completo, amando il mare e vivendo mille avventure come i genitori.
Sorrise sicura al compagno, infondendogli coraggio. “Anche Ren è piccolo. Però non credo che quei due si faranno i tuoi stessi scrupoli…” Rufy accennò un sorrisetto, tornando subito serio guardando il bambino.
Robin contemplò il mare, carezzando la testolina di Ace.
“Capitano...” il moro sobbalzò sentendosi apostrofare in quella maniera, non si sentiva chiamava così da sei anni.
Lei lo fissò intensamente. “Gli altri ti mancano, così come a me. Lo vedo come ti manca navigare e vivere avventure per mare. Siamo rimasti nascosti per troppo tempo… vedrai, sapranno proteggerlo, tu saprai proteggerci tutti come hai sempre fatto!”
Rufy abbozzò un timido sorriso innamorato, toccandosi appena l’immancabile cappello di paglia che da sempre teneva sulla testa. “Ma che ho fatto per meritarti?”
Lei sembrò rifletterci un istante. “Salvarmi la vita ha aiutato…” mormorò ridendo.
Ace prese ad agitarsi tra le braccia di Rufy, attirando la loro attenzione. Rapiti lo osservarono aprire gli occhi ed elargire piccoli versetti ad entrambi, agitando le manine in aria, ben felice di essersi svegliato in braccio al papà. Rufy ridacchiò posando nuovamente lo sguardo sulla madre di suo figlio, vedendo nei suoi occhi il luccichio di zaffiro che tanto amava, diventare sempre più luminoso man mano che guardava lui ed Ace come se fossero stati la cosa più bella del mondo. Sospirò quieto con una determinazione vivace che brillava nello sguardo.
“Credo che il mondo si sia goduto abbastanza la sua tranquillità… È ora di fare un po’ di rumore!” proclamò ridendo, gli occhi sull’orizzonte.
 
°
 
La vita era faticosa.
Quante volte ci si chiede, nei momenti di sconforto che la vita offre immancabilmente, come potersi rialzare, come uscirne, come vivere le difficoltà senza causare altri danni?
Franky non lo sapeva. Lui, a suo tempo, quella domanda se l’era posta più come una sfida, decidendo da solo di tagliare i ponti col passato pur di non essere costretto a scontrarsi con i suoi demoni. Era molto più facile diventare qualcun altro, piuttosto di affrontare i problemi rimanendo sé stessi e questo il carpentiere Cutty Flam lo aveva deciso con notevole sollievo, diventando il criminale Franky. Chiunque lo considerava un mostro, quindi perché non appoggiare quella diceria e diventarlo veramente?
Ma anche così, con una vita apparentemente perfetta con la sua banda, c’era un sassolino che premeva nella scarpa, smanioso di uscire e nel mentre deciso a fare più male possibile.
Sapeva che avrebbe sempre avuto sulla coscienza la morte del suo maestro, pur non avendo colpe dirette.
L’avventura passata con Rufy e gli altri aveva rivalutato il suo concetto di espiazione dei peccati, portandolo gradualmente non solo a realizzare il suo sogno più grande, ma anche a capire di non poter più affrontare da solo i suoi timori. Era molto più facile aver fiducia in sé stessi se qualcuno altro prima si era fidato di te. Rufy aveva visto in lui il buono che non credeva più di possedere e lo aveva salvato.
Iceburg e gli abitanti erano stati felici di rivederlo dopo essere tornato a Water Seven, non credeva che lo avrebbero accolto così calorosamente. In sei anni aveva lavorato sodo per riabilitare il suo nome agli occhi dei cittadini, arrivando ad accettare la richiesta di Iceburg di diventare suo socio nella direzione della Galley-La Company (anche se di rado si faceva vedere quando c’era da sistemare le scartoffie, quelle le lasciava volentieri ad Asinburg), nonché a diventare un membro affidabile della comunità, pur mantenendo la vena di follia che da anni lo contraddistingueva continuando imperterrito ad indossare come capo di vestiario solo mutande e camicie hawaiane anche in ufficio e cercando sempre di migliorare il corpo robotico con qualche nuova tecnologia che puntualmente Vegapunk gli spediva dai remoti angoli del mondo dove soggiornava.
Eppure non sempre era sufficiente venire perdonato dagli altri, nella maggior parte dei casi eri tu a dover perdonare te stesso e, in quelle settimane primaverili, guardando il mare calmo dalle lunghe scalinate della metropoli dell’acqua, Franky aveva realizzato dopo tanto tempo di esserci finalmente riuscito.
Lavoravi tutta una vita per veder realizzati i tuoi scopi e qualche volta eri fortunato, ce la facevi.
Provava ancora angoscia per la fine orribile dei loro alleati su Raftel, ma capiva che erano morti da eroi e nessuno avrebbe mai scordato il loro gesto. Il legame che univa una vera famiglia non era quello del sangue, ma quello del rispetto e della fiducia reciproca e lui ormai considerava tutti, Iceburg, Pauly, la sua vecchia banda, Kokoro, Law, Cavendish… tutti la sua immensa famiglia, tenendo nel cuore un angolo speciale per otto persone particolari, delle quali sentiva la mancanza ogni giorno un po’ di più.
Sorridendo nostalgico, scostò gli occhiali da vista che avevano gradualmente preso il posto di quelli da sole, e si asciugò una piccola lacrimuccia, avviandosi verso il dock uno, sentendo il bisogno di rivedere una vecchia amica.
Capitava spesso che la nostalgia e la tristezza prendessero il sopravvento e in quei casi Franky trovava pace solo dirigendosi nel magazzino principale della Galley-La che confinava col porto.
Anche quella sera vi si recò ed una volta lì, la totale assenza dei soliti carpentieri non lo stupì più di tanto, ormai era il tramonto, erano tutti andati a casa. Salutò con uno dei suoi ‘Suuuuper’, Yokozuna che spesso trovava a fare la guardia notturna alle imbarcazioni non ancora terminate, per conto di Pauly.
La rana rispose gracchiando entusiasta e lo seguì saltellante lungo i corridoi bui, fino ad un anfratto semi nascosto alla vista, che portava ad una piccola insenatura all’interno del dock uno di cui pochi erano a conoscenza. Lì, occultata e isolata ma ancora in perfette condizioni, si ergeva in tutta la sua magnificenza, la meravigliosa Thousand Sunny.
Franky si beò di quella vista che mai lo avrebbe stancato, come fosse andato a far visita ad una figlia. Non la vedeva solo da qualche giorno, ma sembrava sempre troppo tempo. Con timore reverenziale, prese ad osservarla in ogni angolo, pronto a riparare eventuali graffi o danni, pur sapendo non fosse possibile trovarne essendo nascosta ai più da sei anni. Toccandole lo scafo ebbe il solito brivido, ultimamente stava capitando spesso. Da settimane avvertiva nell’aria qualcosa ogni volta che si avvicinava alla nave. Sentiva distintamente una sorta di elettricità, un cambiamento nell’aria, ma non sapeva bene come interpretare quei segnali. Stringendosi nelle spalle, convinto fosse solo una sua impressione, si congedò dalla nave, salutando la rana gigante e, lasciandola al suo lavoro, si diresse al quartier generale della Galley-La, preparandosi all’idea di una bella cenetta.
Ridacchiò da solo pensando a quanto gli mancassero i manicaretti di Sanji, anche se non poteva dire che i cuochi di Water Seven cucinassero male, solo che Sanji era più bravo, ecco. Soprattutto sentiva la mancanza di quelli che aveva preparato gli ultimi giorni insieme, grazie alle ricette che gli abitanti di Raftel avevano gentilmente condiviso con loro, essenziali per cucinare i pesci che esistevano solo nei dintorni dell'isola, il suo famoso All Blue. Ripensò con affetto agli occhi lucidi del cuoco quando aveva realizzato di averlo trovato per davvero, e anche alla sua decisione di non sfruttarlo. Proprio come lui, quando aveva deciso di non abbattere il boschetto, anche Sanji aveva capito che non sarebbe stato giusto depredare quel tratto di mare dei suoi tesori. Ne aveva giusto assaporato le prelibatezze preparandoli durante il loro soggiorno, con il benestare degli abitanti che di quel mare vivevano.
Stava ancora rimuginando su quegli splendidi giorni senza pensieri mentre camminava per i corridoi, quando notò la luce dell’ufficio che condivideva con Iceburg, ancora accesa e si stupì di trovarvi il socio impegnato nella lettura di alcuni documenti, con Mozu sua segretaria, che attendeva paziente con un blocchetto in mano.
Franky si schiarì la voce, entrando. “Che fate ancora qui? Non dovreste già essere a cena?” chiese curioso.
Iceburg sollevò lo sguardo un attimo, rimettendosi subito a leggere le carte. “Se non lo faccio io, qui non lo fa nessuno.” mormorò, facendo alzare un sopracciglio a Franky. “Sono le nuove regolazioni stilate dal Neo Governo Mondiale per quanto riguarda i nostri due treni marini, appena arrivate da Marijoa.” Iceburg lo fissò di sottecchi. “Hanno dato finalmente una disposizione efficace anche per il nostro mestiere. Stanno facendo un gran bel lavoro laggiù…” considerò, ammirato.
Franky, sedendosi di fronte al vecchio amico, non poté non sentirsi orgoglioso, la sua sorellina Robin stava davvero cambiando il mondo come speravano.
“Visto che sei qui…” proseguì l’uomo. “Dovrei farti visionare alcune carte per sistemare le fondamenta di Water Seven. Pauly ha detto che se diamo entrambi l’approvazione, può organizzare una squadra per il primo collaudo della chiglia sperimentale che hai ideato. È probabile che dovremo evacuare una parte della città, dobbiamo saperlo per tempo.” Gli passò dei fogli. Franky si sistemò meglio gli occhiali e li prese in mano studiandoli per qualche minuto, per poi restituirglieli con un ghigno. “Mi sembra un suuuper progetto! Per me potete iniziare quando volete, la chiglia è già pronta! Magari quest’anno ci riusciamo davvero a trasformare l’isola in una nave!” esclamò ridendo benevolo.
Iceburg annuì serio. “Immaginavo fossi d’accordo... bene, Mozu? Per favore, entro domani stila una lista dei fornitori da contattare e prepara un piano per l’evacuazione solo delle zone nei dock 2 e 3 per i prossimi due giorni. Fatti aiutare da Kiwi appena ha finito con il magazzino del dock 4. I cittadini saranno a spese della Galley-La, ospitati nei migliori hotel. Poi puoi congedarti, abbiamo finito per oggi.”
Mozu terminò di prendere appunti e con un gran sorriso si affrettò a lasciare la stanza, lanciando una raggiante occhiata al Boss, che restituì il sorriso.
Non appena la porta si fu chiusa dietro di lei, Iceburg prese parola. “Sei stato alla Sunny, oggi?”
Franky annuì. “Si, stasera.” mormorò stranamente poco loquace, gli occhi al soffitto.
Al socio non sfuggì. “Non sei mai stato bravo a nascondere le emozioni. Ultimamente sei più assente del solito e non parlo solo del lavoro, non ti ho più visto nemmeno fare uno dei tuoi stupidi numeri… che cosa succede?”
Franky lo guardò abbattuto. “…diciamo che ho una strana sensazione addosso…”
Iceburg si accigliò. “Che genere di sensazione?”
Il cyborg ghignò, titubante. “Non ne sono sicuro ma credo che qualcosa stia per succedere. Da qualche giorno ho un pensiero fisso e non riesco a levarmelo…” mormorò, lo sguardo puntato sulla finestra al cielo che si faceva via via più scuro.
Il sindaco aggrottò le sopracciglia, pronto ad azzardare un’ipotesi quando il bussare alla porta lo precedette. Senza attendere risposta Pauly e Tilestone entrarono come furie nell’ufficio. Alle occhiate stranite dei loro capi, si affrettarono a riprendere fiato per spiegarsi. “Scu- scusate! Anf anf… scusate per i mo-modi buschi!” Pauly deglutì rumorosamente, mentre il suo compare cercava di fare dei respiri profondi per calmare l’affanno della corsa.
“C-c’è una nave! Giù in porto! Una nave strana!”
Tilestone gli diede man forte. “U-una nave molto particolare! Anf… Do-dovete venire subito!!” esclamò affannato ma entusiasta guardando fisso l’enorme cyborg che restituì l’occhiata, esitante, gli occhi che si sgranavano.
Non sarà mica…
Iceburg si schiarì la voce, ignorando i due dipendenti, ed esalò un laconico. “Cutty Flam, credo che questo ufficio sia diventato troppo piccolo per noi due…”
Franky si girò appena, squadrandolo furbo da sopra la spalla. “…stai per caso cercando di cacciarmi?”
L’uomo fece spallucce. “Credo solo che i tuoi servigi non siano più necessari…”
“Ma davvero?” Franky sorrise, entrambi sorridevano.
Pauly e Tilestone avevano osservato lo scambio di battute senza battere ciglio, non capendoci nulla ma rendendosi conto subito di essere stati bellamente ignorati. Pauly, sigaro spento alla bocca, azzardò nuovamente un approccio. “Scusate, signor Iceburg, Franky, forse non avete capito! Dovete venire subito al porto! Sono arriv-”
Il cyborg lo zittì alzando in aria una delle sue enormi mani, continuando a ghignare in direzione del vecchio amico, nonché ormai ex-socio.
“Lo so Pauly, lo so…” sussurrò emozionato. “Sono loro…”
Credo che mi servirà una nave…
 
°
 
La vita era trasformazione.
Nascevi, crescevi, ti riproducevi e morivi. Solitamente l’esistenza non ti permetteva di avere più di questo, ma pochi fortunati riuscivano ad ambire a qualcosa di più.
Un sogno. La promessa di mantenerlo a tutti i costi. La gioia di portarlo a compimento. L’impegno di tramandarlo ai posteri.
Dentro ciascun essere vivente esisteva una qualche forza capace di annullare o ribaltare il proprio destino, bastava solo crederci. Infondo era questione di prospettive, quella che il bruco chiamava fine del mondo, il resto del mondo la chiamava farfalla. Qualcosa alla ‘hai lottato, non è stato facile, ma sei qui, più forte di qualsiasi altra cosa!’
La felicità arrivava quando meno te lo aspettavi, ma mai in maniera casuale, si insinuava attraverso una porta che non sapevi di aver lasciato aperta e ti mostrava un mondo diverso.
Per Chopper la vita avrebbe potuto essere molto peggio se non avesse incontrato la ciurma di Cappello di Paglia. Nel normale scorrere del tempo, la dottoressa Kureha lo avrebbe abbandonato andando a far compagnia al suo vecchio maestro e lasciandolo completamente solo.
Certe volte immaginava la sua vita se non avesse incontrato Rufy, se non avesse mai lasciato l’isola, se Hilk non fosse mai morto. Probabilmente avrebbe mantenuto le stesse ambizioni, destinato a non vederle mai realizzate e obbligato ad abituarsi all’idea. Aveva sempre saputo di avere un sogno un po’ troppo ambizioso, eppure non voleva arrendersi, non era per sé stesso che lo faceva. Certo poi c'erano malattie per le quali non avrebbe potuto fare nulla. I suoi studi si fermavano alle patologie che avevano cause ed effetti concreti e a tal proposito, doveva ricordarsi di scrivere ad Usop per sapere come andava...
Chopper sospirò. Sentiva addosso il peso degli ultimi anni come un macigno.
Anni e anni di studi, prove, viaggi solitari per mare, sconforti, analisi, pericoli… gli avevano permesso di acquisire non solo una maturazione fisica e caratteriale da venticinquenne, ma anche conoscenze mediche che si sarebbe solo sognato se fosse rimasto a Drum tutta la vita. Si vergognava dei suoi pensieri perché amava la sua isola, ma lasciarla era stata la cosa migliore che potesse fare, il trampolino di lancio che serviva per la realizzazione del sogno che condivideva con Hilk, e proprio il suo vecchio dottore tornava spesso a far capolino nei suoi pensieri quando si sentiva giù di corda per un fallimento, ricordandogli sereno di continuare che ce l’avrebbe fatta, ormai mancava poco.
Chopper avrebbe tanto voluto fargli sapere tutte le cose bellissime che aveva visto e raccontargli delle sue scoperte, parlargli davvero e non solo ricordarlo come un immagine evanescente nella sua testa.
Perché alla fine a furia di tentativi ce l’aveva fatta, c’era riuscito davvero!
I suoi studi non si fermavano, sapeva di avere ancora tanto da fare perchè nel mondo comparivano sempre nuove patologie ma, al momento, nella libreria del castello sapeva di avere a disposizione cure e rimedi per ogni malattia si fosse attualmente mai affacciata sul pianeta.
Il suo sogno non gli era mai sembrato meno presuntuoso come in quel momento, mentre imbustava l’ultimo campione di erbe mediche e le disponeva al loro posto sullo scaffale, ammirando il lavoro di una vita di fronte ai suoi occhi. Polverine, pasticche, vaccini, erbe rare, sciroppi… ma anche liquori, veleni, virus, batteri e ogni sorta di muffa, tutto catalogato e ordinato per categoria in grossi tomi o barattoli, perché si sa che non si può ambire al bene assoluto senza prima conoscere gli effetti del male.
L’equilibrio tra queste due forze era necessario, si trovò a riflettere Chopper inaspettatamente.
A legarle spesso c’era un intreccio sottile, leggero e molto complesso, ma indistruttibile che portava anche a fare scherzi curiosi.
L’equilibrio aveva deciso che nella vita era stato troppo fortunato ad incontrare i pirati i Cappello di Paglia e quindi, come una sorta di compensazione divina incontrollabile, aveva fatto in modo che la sua strada si incrociasse con quella di una vecchia conoscenza che credeva sepolta per sempre nel dimenticatoio.
Una piccola esplosione risuonò tra le pareti del castello parecchi piani sotto i suoi piedi, facendo sobbalzare dalla paura il giovane medico, prima di fargli alzare gli occhi al cielo, seccato. Lanciò un’occhiata alle carte ancora da sistemare e si avviò deciso verso le scale, appuntandosi mentalmente di vietare alla ‘vecchia conoscenza’ anche l’uso del giardino per i suoi esperimenti, da quel momento in poi.
Via via che si avvicinava alla fonte dell’esplosione e le voci si facevano più concitate, Chopper sbuffava sconsolato e intanto rimuginava sul come avesse fatto a cacciarsi in una situazione del genere. Ah già, lo aveva voluto lui.
Sempre a causa del debito che sentiva di avere con l’universo, all’epoca gli era sembrato doveroso proporre al suo vecchio mito, il dottor Hogback, di venire a stare da lui quando lo avevano incontrato per caso, durante il viaggio di ritorno, all’arcipelago Sabaody in evidente stato di povertà e degrado. Era un vecchio pazzo, lo sapeva bene e i suoi compagni si erano premurati di farglielo notare fino alla nausea, ma lui era stato irremovibile. Ufficialmente aveva giocato la carta della seconda occasione, ogni persona ne meritava una nella vita, tutti potevano cambiare anche chi era stato molto malvagio, ufficiosamente gli aveva fatto pena e lui era ancora troppo dolce e ingenuo. Dopo quattro anni che non lo vedeva gli era sembrato soltanto un pover’uomo che chiedeva un’occasione per riscattarsi e a lui era sembrata bellissima l’idea di redimere il proprio mito di adolescente da una vita vuota e miserabile.
Ora, dopo sei anni di difficile convivenza, poteva dire di essere riuscito nel suo intento, Hogback aveva riabilitato il proprio nome e contribuiva al benessere degli abitanti dell’isola. Ogni tanto aveva ancora brevi schizzi di follia passeggera, ma Kureha, che mal lo sopportava, riusciva a riportarlo sulla retta via con un colpo ben piazzato. Gli ultimi due anni erano stati i più faticosi perché al dottore si era aggiunto un nuovo inquilino al castello e, seppur molto più disciplinato e amabile di un tempo, spesso i due insieme risvegliavano in Chopper l’istinto primordiale di buttarli giù dalla rupe a cornate. Si era reso conto presto che era molto più facile vivere per mare con il costante pericolo della morte che incombeva sulla testa, che avere a che fare con Hogback e Absalom ogni santo giorno. Per lo meno, l’uomo leone spesso era assente per i suoi viaggi da reporter.
Sospirò profondamente, aprendo il grosso portone d’ingresso, facendosi investire da una fredda folata di vento.
Non appena mise piede fuori un capogiro lo colse inaspettato, tanto che dovette poggiarsi alla parete per non franare a terra. Ma cosa…?
Prese a fare dei respiri profondi, cercando di placcare i battiti frenetici del cuore, tentando al contempo di auto-visitarsi per capire cosa gli succedeva d’un tratto. Stava bene fino a poco fa!
Riprese lentamente il pieno possesso del suo corpo ed analizzò attentamente l’ambiente intorno a sé. Nell’aria c’era un odore strano e inconsueto che non riusciva a distinguere tra la chiara e persistente traccia di fumo dell’esplosione, ma oltre a quello non notò nulla di insolito nel parco che circondava il vecchio castello, se escludeva i suoi due coinquilini (perché quello erano a tutti gli effetti) poco distanti che gridavano alle prese con un fuocherello da nulla che stava provocando enorme panico in entrambi.
Chissà cosa gli era preso… si riscosse presto, etichettando la cosa come una probabile conseguenza del troppo studio e non ci pensò più, avviandosi deciso verso i due piromani della domenica che erano finalmente riusciti a spegnere il piccolo incendio.
Chopper li raggiunse a passo di marcia e quelli presero a ridacchiare imbarazzati alla vista dell’occhiataccia del giovane medico.
“Sbaglio o avevamo già discusso sul provocare o meno danni per futili motivi nel castello?” dichiarò la renna, pacato, indicando il cucciolo di Lapin che fuggiva nella foresta, il ciuffo di pelo bianco che Absslom ancora teneva in mano, le varie boccette disseminate in giro, il calderone bruciato rovesciato a terra nella foga e l’ormai tristemente noto fumo nerastro che si spandeva in giro.
I due si guardarono ed Hogback si fece avanti, fiducioso. “Fosfosfosfos! Tu avevi parlato del castello, non del parco intorno al castello…” tentò di precisare.
Chopper sbarrò gli occhi. “È lo stesso! Kureha si arrabbierà un sacco quando saprà che avete fatto un altro esperimento sui Lapin! So che vi annoiate ma cercare di trasformarli in conigli normali non vi aiuterà!” precisò incrociando le braccia.
Hogback e Absalom sudarono freddo a quelle parole, erano terrorizzati dall’anziana donna. “Non andrai a dirglielo, vero? Ti prego dottor Chopper, non lo faremo più!” Mugugnò l’uomo leone il viso a terra, ben sapendo di stare toccando il suo punto debole.
Chopper era cresciuto e il fatto di essere ormai un dottore di fama non lo rendeva più incline a ondeggi sconsiderevoli e imbarazzi come un tempo, ciò nonostante sentirsi chiamare così aveva su di lui ancora un po’ d’effetto e le guance gli si colorarono rapidamente. “Sc-sciocchi! Non vi coprirò ancora!” annunciò, coprendosi le orecchie.
“Davvero davvero, dottore?” chiesero in coro, melliflui.
Chopper non riuscì a trattenersi. “Pia-piantatela!” ridacchiò, ondeggiando imbarazzato. “…E va bene! Ma è l’ultima volta!” si riscosse, indicandoli serio con lo zoccolo. I due sospirarono di sollievo.
Una forte ventata gelida proveniente da nord spazzò via quello che restava del fumo nero e provocò a Chopper un nuovo capogiro inspiegabile. Absalom lo afferrò in tempo prima che cadesse a terra.
Stavolta era più forte… ma che mi succede?
“Ehi, renna. Tutto bene?” chiese l’uomo leone, preoccupato.
“S-si…” pronunciò a fatica.
Che strano… mi sembrava di aver sentito… ma no, devo essermelo immaginato…
“Che sta succedendo qui?” una voce lontana gli fece capire che la dottoressa Kureha era tornata dalla spesa al villaggio.
“Fosfosfosfos! Non lo sappiamo, Chopper si è sentito male all’improvviso.”
…eppure io l’ho sentito…
“Sta male? E tu allora? Sei un medico! Guarda che ha, no??” proferì quella, avvicinandosi seccata.
“Non ne ho avuto il tempo!!”
…legno… ferro… fiori di ciliegio… latte… paglia…
“Sembra solo un normale capogiro ma non mi fido di voi due! Non è svenuto, ma… sembra quasi in trance… ehi, Chopper mi senti? Sono Kureha!”
…si… non me lo sono immaginato…
“Chopper? Ho delle notizie da darti! Su riprenditi!”
…li sento... sento il loro odore…
“Su, andiamo! Dorton mi ha appena detto che è arrivata una nave che conosci bene in porto!”
Sono qui… sono qui!
“Cappello di Paglia è venuto a prenderti!”
………
………………
“Ecco ora è svenuto davvero…” commentò la dottoressa scotendo la testa. “Portiamolo dentro mentre avviso Dorton di condurre al castello i pirati… anche quel tipo poi, prima si preoccupa di far perdere le sue tracce per anni e poi scatena quel putiferio a Sabaody, che capitano ti sei scelto, Chopper! …Tu, uomo pinguino, prendi le mie borse e datti una mossa! Dobbiamo far rinvenire Chopper prima che arrivi Cappello di Paglia... E MAGARI NEL FRATTEMPO MI SPIEGATE ANCHE COS'È QUEL DISASTRO IN GIARDINO!!”
 
°
 
La vita era come un concerto.
Il direttore batteva il tempo con la bacchetta e la musica prendeva il sopravvento su ogni cosa, dimenticavi tutto e seguivi quelle note fino a fonderti con esse.
Anche per i meno esperti si intuiva la fatica e l’impegno professati per far si che tanti strumenti dai tanti suoni diversi, diventassero una sinfonia armoniosa e perfetta, di cui fare sfoggio.
La vita era esattamente così.
Nascevi e subito ti venivano date le direttive su come dovessi crescere, qualcuno batteva il tempo per te.
Ti veniva insegnato a diventare parte integrante della società e a seguire la massa, per creare insieme l’armonia ideale.
Non c’erano scappatoie, eri costretto a far parte di quel gioco all’incastro obbligato a perseguire un solo scopo, un solo tipo di strumento, per il resto dei tuoi giorni.
La maggior parte delle persone accettava di buon grado, ma c’erano casi rari a cui veniva riservato un trattamento speciale: i solisti.
Solitamente musicisti sopraffini e degni di nota, ma sprovvisti di pregi più meritevoli di altri per doti canore o strumentali. Semplicemente individui capaci, in grado di emergere dalla massa con eleganza sapendo sfruttare appieno la base musicale per creare un elemento nuovo ed inaspettato.
Persone così non ce n’erano mai state molte, eppure la vita poteva proseguire meravigliosamente lo stesso.
Quindi, perché sentirne la mancanza? Rifletteva Brook.
Perché senza di loro le persone non avrebbero avuto modelli da seguire. Si rispondeva.
Questo mondo aveva ancora bisogno di solisti? Assolutamente si.
Seguire la massa e non tentare di emergere da soli, sarebbe mai stata la scelta giusta? Assolutamente no.
Brook il ‘Re del Soul’, si riteneva un solista? Forse... o forse no.
Di certo un sognatore lo era ancora e la massa non la seguiva più da tempo, ma non mostrava più la verve necessaria per levarsi sopra gli altri e non desiderava nemmeno suonare per una folla che chiamava il suo nome. Quella era stata una bella parentesi, ma destinata a rimanere tale.
Allora era forse all’assolo finale? No, a quello non ancora…
Lui era certo di essere nel pieno, nel bel pieno dell’opera! In quel momento in cui tutti i musicisti, solista compreso, suonano all’unisono per creare l’incrocio di suoni più bello dell’intera composizione, l’attimo che aspetti dall’inizio, da quando il direttore d’orchestra batte due volte sul leggio per dare il tempo. Il momento migliore, quello che ti fa vibrare il cuore e che non vorresti finisse mai. Ecco, lui si sentiva così ogni giorno.
Erano passati sei anni da quando i suoi compagni lo avevano accompagnato ai Promontori Gemelli per incontrare Lovoon ed entrambi avevano sfruttato ogni attimo per recuperare il tempo perso.
Brook ormai non temeva più la solitudine, anzi la cercava spesso e violino alla mano con l’amico usciva in mare aperto con una barchetta gentilmente concessa da Crocus.
A volte stavano via per giorni, arrivando anche a far preoccupare il vecchio custode del faro, ma tornando sempre allegri e spensierati, ricchi di nuovi brani ideati in quelle ore di lontananza, sperando sempre di deliziare il suo amico, il vecchio Crocus e, chi lo sa?, in un futuro prossimo, anche i suoi compagni.
Si, Brook era molto felice della sua vita con Lovoon, però iniziava a provare sempre più nostalgia per i tempi passati. Gli mancava la vita sulla Sunny, desiderava riprendere a vivere nuove avventure per mare, ritornare ad essere un solista, e questa volta nulla lo avrebbe fermato dal portare con sé la sua balena, infondo faceva già parte dei Mugiwara da anni.
Si era separato dai suoi compagni quasi in lacrime ma con la speranza nel cuore di potersi rivedere tutti presto e certe volte gli mancavano così tanto che avrebbe voluto tirarli fuori dai pensieri per riabbracciarli.
Con queste considerazioni ormai abituali nella mente, Brook attraccò la barchetta al piccolo molo dei Promontori, dopo essere stato fuori per tre giorni, uscendone con un balzello agile. Lovoon gorgheggiò felice al suo indirizzo prima di sparire sott’acqua, per il suo abituale sonnellino pomeridiano.
Il musicista si diresse rapido verso il faro. Prima di tornare, era deciso a trascorrere la serata dedicandosi alla trascrizione dei nuovi componimenti che gli erano venuti alla mente mentre era in mare aperto, purtroppo ora temeva fossero attività che avrebbe dovuto rimandare, perché pur non avendo più gli occhi (Yohohoho!), aveva notato la presenza di un’altra barca attraccata al molo e sapeva bene di chi fosse. Aumentò l'andatura, bramoso di sapere che buone nuove potesse portare questa volta il Re Oscuro con la sua venuta.
Aperta la porta del piccolo faro trovò, come previsto, Crocus seduto al tavolo della cucina intento a servire una tazza di caffè caldo al vecchio amico Rayleigh, sorridente come sempre.
“Brook, finalmente!” I due uomini lo accolsero con enfasi gioiosa, invitandolo ad unirsi a loro. Lo scheletro non se lo fece ripetere e Ray gli diede una pacca amichevole sulla spalla ossuta.
“Yohohoho! Come mai da queste parti, signor Rayleigh? È tornato prima stavolta. Di solito non la rivediamo prima di due mesi.” Chiese educatamente, prendendo volentieri la tazza di thè che Crocus gli stava gentilmente porgendo.
“Lo so ma dovevo venire per forza. Stavo giusto raccontando a Crocus delle ultime notizie, ormai non si parla d’altro. Pure Shanks ne è rimasto scombussolato.”
Lo scheletro lo fissò composto, leggermente accigliato. “Che notizie?”
Il medico sospirò. “È tornato oggi dopo tre giorni in mare, Ray. Non sa ancora niente.”
Brook spostò lo sguardo dall’uno all’altro, confuso. Il Re Oscuro ghignò, allungandogli un quotidiano con la data vecchia di giorni. “Il mondo è di nuovo in fermento.”
Il musicista aprì rapido il giornale, gettando un’occhiata veloce ai titoli principali.
Un articolo di mezza pagina annunciava la nomina a grand'ammiraglio della Neo Marina di Smoker e, contemporaneamente, comunicava la data imminente del suo matrimonio.
Un trafiletto a lato invece, diceva che la ciurma dei Pirati Hearts continuava indisturbata la sua avventura per mare, dando noie per lo più all’ammiraglio Coby, costantemente sulle loro tracce.
Capendo non potessero essere queste le novità che diceva Ray, girò pagina e rimase piacevolmente sorpreso nel vedere due gigantografie affiancate raffiguranti una Bibi ed una Rebecca sorridenti, elegantemente vestite. L’articolo annesso riportava notizia che entrambe erano state nominate Regina della propria nazione nell’arco degli stessi giorni, probabilmente anche per suggellare e incrementare la gemellanza che già esisteva tra questi due grandi popoli. Ma lo stupore di Brook a fronte dell’incoronazione delle due amiche era nulla se paragonato a quello che provò leggendo la pagina seguente. Lesse velocemente l’articolo, poi un’altra volta e un’ultima per sicurezza.
Senza parole, dirottò lo sguardo sui due vecchi membri della ciurma di Gold Roger che gli sorridevano con fare saputo. Deglutì rumorosamente. “Sta succedendo davvero?”
Rayleigh sghignazzò sereno, mentre Crocus si abbandonava ridacchiando contro lo schienale della sedia. “Mi sembra di rivivere tutto un’altra volta…”
Brook non fiatò, troppo sorpreso per replicare.
Insomma, tutti loro avevano sempre saputo che Rufy era una testa calda e agiva per lo più d’impulso provocando spesso e volentieri disastri incalcolabili. Non lo vedeva da anni ma il musicista sperava in cuor suo che fosse maturato un po’ da quel punto di vista, almeno di riflesso, vista la costante presenza di Nico Robin al suo fianco. Invece, come a voler demolire ogni speranza, quello nella fotografia che rideva in piedi su una palazzina, di fronte ad una folla oceanica, era proprio il suo vecchio capitano.
Lo scheletro sbuffò, combattuto tra l’essere preoccupato, infuriato o compiaciuto, ma considerando Rufy uno spaccone precipitoso in tutti e tre i casi.
Monkey D. Rufy, altresì detto 'Cappello di Paglia', Re dei pirati in carica, aveva ufficialmente dato inizio alla nuova era della pirateria.
Lui aveva detto… Brook non ci voleva credere… aveva urlato ad una folla immensa all’arcipelago Sabaody che sei anni prima aveva nascosto il tesoro leggendario di Gold Roger, invece di tenerselo!
Non era possibile… cosa ci faceva Rufy a Sabaody?? E perchè aveva fatto quell'annuncio?? Brook non ci capiva nulla.
Stando a quanto diceva il giornale, di punto in bianco aveva fatto sapere al mondo che esisteva ancora un tesoro da cercare, facendo scattare così l’ingranaggio che dava il via ad una nuova epoca di pirati sognatori, prima che Sentomaru si gettasse al suo inseguimento sparendo tra i Grove.
“…E tutto questo accadeva quattro giorni fa!” esclamò il vecchio Ray, eccitato. “I giornali che ho nello zaino invece sono dei giorni seguenti e parlano di decine e decine di giovani aspiranti pirati partiti da ogni parte del mondo per tentare la conquista del tesoro che Rufy si è pure premurato far sapere non trovarsi più su Raftel, ma in un punto preciso della Rotta Maggiore, che ha disseminato di indizi…”
Brook lo ascoltava solo in parte, il resto dei suoi pensieri erano tutti concentrati nel trovare una spiegazione logica e plausibile al gesto sconsiderato del suo capitano.
Perché quello che il resto del mondo non sapeva, era che il tesoro era si stato nascosto nuovamente da loro, ma solo per venire utilizzato dai Mugiwara stessi come denaro di ‘scorta’ nel caso si fossero trovati in ristrettezze economiche una volta ripartiti tutti insieme per nuove avventure, come già stabilito.
Era stata un’idea di Nami, come sempre la più assennata tra loro, ed era sembrata un’ottima idea a tutti quella di prendere una piccola parte del tesoro per i rifornimenti del viaggio di ritorno e nascondere la maggior parte come ‘assicurazione’ nel caso avessero trovato difficoltà. Il futuro era sempre incerto, chi poteva sapere cosa avrebbe riservato loro? Meglio prepararsi ad ogni eventualità, s’erano detti.
Ma ora… Brook si schiaffò una mano scheletrica sul teschio, mugugnando abbattuto.
Ora Rufy passerà un brutto quarto d’ora tra le mani di Nami quando lo beccherà…
Era una sfortuna che Rufy avesse fama di essere onesto e giusto, oltre che il criminale numero uno per la Neo Marina, perché tutti avevano creduto senza indugi alle sue parole, certi stesse dicendo il vero.
…perché ha lanciato questa sfida al mondo proprio ora? Rifletteva Brook, continuando a sorseggiare il suo the e sfogliando i quotidiani dei giorni successivi con ritrovata calma.
…a causa di questa sua trovata chissà in quanti gli staranno col fiato sul collo…
Il musicista non capiva il motivo delle azioni sconsiderate del pirata di gomma.
…e pensare che tutti lo cercheranno in lungo e in largo senza immaginare che sia nascosto in un posto così semplice, probabilmente nessuno arriverà mai a capire che è a… “Gli altri invece come stanno? Hai saputo nulla su di loro?”
Brook alzò il viso (che non aveva, ma non era il momento, Yohohoho!), puntandolo su Ray che lo guardava in attesa, e poggiò la tazza di the. “…Non li sento da un po’, ma credo che sia normale. In ogni caso, non hanno motivo di stare male, ancora…” mormorò, abbozzando una risatina nervosa.
I due uomini si guardarono sereni, poi Rayleigh prese di nuovo parola scrutandolo furbo. “Sai, sta correndo una voce giù all’arcipelago, ultimamente…” Brook si fece attento. “…Rufy quel giorno è riuscito a sfuggire alla marina, ma da quel momento c’è chi giura di averlo visto salire su una grossa nave che partiva per Water Seven, la metropoli dell’acqua. Shakky stessa me l’ha confermato. Sembra che voglia riprendere il mare… A Water Seven non ci sono forse il vostro carpentiere e la Thousand Sunny? Che sta combinando Rufy, tu ne sai niente?” chiese scaltro, prendendola larga.
Dopo un attimo di esitazione durante il quale ognuna delle sue domande trovava finalmente risposta, Brook sorrise, scambiando uno sguardo d’intesa con Crocus e sentendo in lontananza i gorgoglii di Lovoon, riemersa dopo il sonnellino. Sollevò lo sguardo, indirizzandolo verso la finestra, verso il mare.
“Yohohoho! Water Seven, eh? Beh Rayleigh, sappiamo bene entrambi che Rufy è una persona imprevedibile e l’unica cosa certa che posso dirti è che se il mio capitano ha finalmente deciso di riprendere il mare, i membri del suo equipaggio sono gli ultimi a venirlo a sapere, ma saranno anche i primi che lui andrà a cercare… Yohohoho!”
 
°
 
La vita era un dono prezioso.
Andava vissuta necessariamente attimo per attimo, perché era unica e non ne avresti avuta un’altra dopo.
Non dovevi sprecarla, rovinarla, lasciarla andare, ma amarla incondizionatamente e profondamente.
Era facile vederla così, molto facile. Il difficile arrivava quando eri obbligato a mettere in pratica il tuo stesso credo, quando nei momenti di sconforto dovevi importi la risalita, convinto sempre e comunque che il male di vivere che ti stritolava, che ti opprimeva, fosse una tappa fondamentale per capire quanto si fosse attaccati alla vita e alla speranza.
Qualcun altro ti permetteva di venire al mondo, ma stava ad ognuno poi trovare il modo giusto per riuscire a vivere al meglio gli anni che venivano concessi. Pochi, tutto sommato, e passavano veloci.
Nello stesso arco di tempo di un battito d’ali, non eri più bambino e navigavi per i mari.
Per merito di una strana e pazza ciurma non ti consideravi più un fallimento, eri un pirata, adolescente certo e con tutti i tormenti del caso, ma in grado di governare la tua vita cercando di dare sempre il massimo.
E poi, ti ritrovavi adulto senza nemmeno accorgertene. Le bravate svanivano, le liti si attenuavano, il corpo cambiava, i sentimenti crescevano e maturavano sotto la cenere delle sigarette, il male di vivere spariva quasi del tutto, restava solo il rammarico di non essere riuscito a dare di più quando ne avresti avuto l’opportunità.
Un abbraccio, un segno di stima, un conforto, un grazie
Non era possibile credere che cinque anni valessero tutto sommato qualcosa di più rispetto ai novanta di una vita media. Erano stati molto significativi ma non era giusto pensare che tutto il resto fosse meno importante o meno degno di essere vissuto se paragonato a quei cinque anni di viaggio con quella ciurma di scavezzacollo.
Sanji si era rassegnato all’età adulta, alla crescita, all’affrontare problemi diversi dal capire cosa volesse Rufy per cena, perché la vita era una sola e lui aveva saputo apprezzare ogni momento degli ultimi sei anni. Si impegnava ogni giorno, ogni singolo giorno, per rendere felici le persone che amava e fare della sua vita un capolavoro.
Per quanto gli anni sulla Merry prima e sulla Sunny poi fossero stati tra i più felici della sua vita, il biondo cuoco sapeva che quelli trascorsi con lei, non avrebbero mai avuto paragoni. Proprio come non si conosceva ciò che si aveva prima di perderlo, Sanji non sapeva che cosa gli mancasse prima che arrivasse, lei che da sola era diventata tutto il suo mondo. La vita per lui correva in un’unica direzione da sei anni, sempre verso Viola, due anime solitarie che l’universo aveva stabilito doversi incontrare per forza. Era accaduto il miracolo che aspettava da una vita, innamorarsi di una donna e venirne ricambiato.
Non era servito poi molto se ci ripensava ora… un paio di moine da parte sua, un calcio ben piazzato da lei, farle saltare la copertura e rischiare conseguentemente la vita, andarsene al momento sbagliato... Sanji rise da solo, era bastato questo per trovare l’amore della sua vita in una donna forte, scaltra, capace di tenergli testa, che non aveva bisogno della sua protezione ma che sei anni prima aveva comunque deciso di seguirlo e diventare parte della sua vita, lontano dagli obblighi regali a cui era abituata, perché lei sapeva già di appartenergli e di essere destinata a ben altro.
Al Baratie c’erano tornati insieme. A Viola erano brillati gli occhi nel vedere il ristorante sul mare che avrebbe chiamato casa d’ora in avanti e nel conoscere il famoso Zef, che l’aveva accolta come una figlia. Sanji ricordava ancora con soddisfazione il momento in cui l’aveva presentata ai vari cuochi e camerieri, le mascelle che avevano toccato terra erano state parecchie.
Il ristorante che conosceva non era cambiato poi molto, appena due navi ed un sottomarino in più, ma vi aveva ritrovato la stessa aria di complicità e cortesia di un tempo, ornata occasionalmente da scatti d’ira, guerre civili e defenestrazioni di clienti per conti non saldati.
Sanji amava la sua vita, la nuova come la passata, e non ne sprecava nemmeno un attimo. I demoni dell’infanzia erano spariti annegati in occhi color del miele e non lo tormentavano più, i giorni scorrevano sereni e spensierati.
Sarebbe stato tutto perfetto, se non fosse per un piccolo dettaglio insignificante…
Ecco, solitamente lui non era tipo da lamentarsi per bazzecole. Negli anni aveva sopportato cose inimmaginabili senza battere ciglio, se si escludeva la gelosia verso le sue dee, i modi rozzi del marimo, lo stomaco senza fondo di Rufy, il terrore di Usop quando bisognava scendere su una nuova isola, le mosse strane di Franky, un cliente che non voleva pagare… ok, forse si arrabbiava spesso, però qui si parlava di cose ben peggiori!
C’era questa piccola e banale magagna che disturbava la sua vita perfetta, che lo faceva uscire dai gangheri come niente e nessuno era riuscito a fare, e lui aveva avuto Rufy come capitano!
Una cosa che in sei anni non era riuscito a risolvere e che lo tormentava senza tregua, nell’ilarità generale.
Una cosa che i suoi colleghi esibivano come fosse un trofeo, un motivo di vanto, quando Sanji avrebbe solo voluto non averci mai più a che fare! Anzi, l’avrebbe voluta distruggere con le sue mani…
“…PERCHÈ SONO PASSATI PIÙ DI DIECI ANNI, VECCHIO!! PERCHÈ DIAVOLO È ANCORA APPESO LÀ?? TI DECIDI A LEVARE QUEL MALEDETTO AVVISO DI TAGLIA DAL MURO??” esclamò Sanji furente, indicando un punto preciso della parete principale del ristorante, facendo voltare verso di lui qualche testa curiosa che pranzava.
Era la sua prima taglia, quella in cui avrebbe voluto venisse sfoggiata tutta la sua virilità e prestanza, che in realtà mostrava il disegno osceno di un anonimo biondino sovrappeso al posto di una sua fotografia.
A causa di un impiegato sottosviluppato della vecchia marina, che probabilmente era troppo scemo per riuscire a fare un identikit decente di un pirata pluricercato, tutti lo avevano associato per anni ad uno scarabocchio e i suoi colleghi non facevano mistero di adorare la cosa. Anzi, la mostravano fieri come spiegazione ad ogni cliente che si chiedeva il significato della curiosa polena della nave ‘Testa di melanzana’, attaccata al Baratie.
Non ne poteva più, da anni vedeva l’orrendo disegno appeso nella sala da pranzo senza poter fare niente per risolvere la cosa. Certe volte aveva persino pensato di incendiare la nave ammiraglia, ma sarebbe servito a poco.
Quel giorno poi ne era particolarmente infastidito dopo aver sentito Kayme, passata per di là in mattinata per un saluto con Hacchan e i Tobiou Raider, velatamente lasciare intendere che gli anni per lui non passassero mai nonostante la barba e i capelli più lunghi, guardando sorridente il disegno e non rendendosi conto di aver appena frantumato l'orgoglio al povero cuoco. Nella sua ingenuità ancora intatta, la sirena desiderava fare un complimento, ma ebbe solo il potere di risvegliare in Sanji il fuoco fatuo della dignità miseramente calpestata anni addietro e mai più recuperata.
Zef, seduto comodo in poltrona, leggeva svogliato il giornale senza dare adito alle escandescenze del suo non più troppo giovane pupillo, che aveva per lo meno avuto la decenza di aspettare la fine del pranzo, e quindi che Kayme e gli altri se ne andassero e ci fossero molte meno persone in sala, per inveire nuovamente contro di lui e il costruttore navale che aveva accettato di costruire la polena là fuori.
“Ho detto di no Sanji, smettila di insistere. Hai fatto una promessa anni fa, non puoi rimangiarti la parola.” mormorò senza guardarlo, non tentando nemmeno di quietare la sua furia.
Sanji ormai fumava dalle orecchie, gorgheggiò parole incomprensibili prima di ringhiare velenoso. “Me l’hai estorta con l’inganno!”
Zeff alzò lo sguardo divertito, sorseggiando il brandy che Paty gli aveva appena portato. “Per ogni cosa c’è un prezzo da pagare. Tu volevi che ti lasciassi dirigere la baracca e io volevo che quel caro ricordo rimanesse per sempre appeso là. Ora io sono andato felicemente in pensione e tu sei diventato capocuoco. È così che funzionano i compromessi.” ridacchiò piede rosso, tornando al suo giornale.
Paty, deciso a non perdersi l’ennesima sfuriata del biondino era rimasto nei paraggi e ghignando, diede man forte all’ex-titolare. “Avremmo anche la taglia più recente, ma quella hai scelto tu di tenerla e chi siamo noi per andare contro il capo?”
Sanji  lo incenerì con lo sguardo. “Ridete, ridete… un giorno vi ritroverete la ‘Testa di melanzana’ qui fuori, ridotta ad un colabrodo…” dichiarò serio, stringendo gli occhi.
Zef e Paty sghignazzarono. “Sono anni che lanci a vuoto questa minaccia, melanzanina. Ormai non ci crede più nessuno, anzi sei pure felice che quella nave abbia così successo tra i clienti…”
“Non so di che parlate, quell’obbrobrio non potrà mai farmi felice!” sospirò truce, rassegnato ormai a venir preso in giro dal vecchio mentore e dai suoi stessi dipendenti per chissà quanto ancora.
Era una battaglia persa in partenza lo sapeva bene gambanera, eppure non demordeva, un giorno ce l’avrebbe fatta a eliminare le tracce di quell’orrore dalla sua vita.
“A proposito…” mormorò Zef tornando serio, seppur con un guizzo ironico nello sguardo, senza staccare gli occhi dal giornale. “Hai letto le ultime notizie…?”
Sanji sospirò mesto, fissando un punto a caso della sala semi vuota, le mani in tasca. “Si…” esalò laconico, in risposta. “…spero solo che sappia quello che fa e che nel mentre non accada nulla a Robin-chan o a Ace…”
Zef e Paty si ritrovarono ad annuire, partecipi e divertiti dagli eventi.
Carne arrivò in gran carriera dall’ingresso, interrompendoli e catalizzando l’attenzione, tenendosi il cappello da cuoco con una mano perché non volasse via. “Un cliente non vuole pagare! Dice che il conto è troppo alto… ci pensi tu, capo?” chiese con una certa urgenza nella voce all’indirizzo di Sanji, ridacchiando.
Il biondino sbuffò contrariato, mentre Zef e Paty tornavano tranquilli alle rispettive occupazioni con un gran ghigno stampato in faccia.
“Si, arrivo…” dichiarò, avviandosi all’ingresso con le mani in tasca, desideroso di sbollire i nervi prendendosela con l’ignaro piantagrane.
Non fece in tempo a fare tre passi in quella direzione che un verso gutturale seguito da un peso morto che cadeva a terra, gli fece aggrottare le sopracciglia. In un secondo ne aveva inquadrato la fonte e vi si era avvicinato lesto constatando subito che si trattava chiaramente della figura pestata a sangue di un pirata, sfracellato contro le assi del pavimento proprio davanti alla porta d’entrata del ristorante.
Nessuno nella sala fiatava per lo sgomento, ma Sanji sospirò tranquillo, alzando lo sguardo e incrociando inevitabilmente in fronte a lui quello determinato della sua adorata Viola-chan che, gamba tesa e piede a martello, a quanto pareva aveva appena risolto il problema del conto troppo salato.
La vide ritirare la gamba silenziosamente ed accucciarsi accanto al viso del poveraccio a terra, sotto gli sguardi terrorizzati dei suoi compagni di nave che non muovevano un muscolo, e a quelli divertiti dei cuochi e dell’intera sala.
“Ora hai capito perché hanno messo questa dolce e delicata fanciulla alla cassa?” mormorò seria “Impara le buone maniere e cerca di non usare mai più quei modi arroganti con me…” continuò guardando il pirata, con il tono suadente e letale che Sanji ben conosceva.
Il tizio a terra aveva preso una botta tale che non sarebbe mai riuscito a spiccicare parola e Viola, intuendolo, si alzò apparentemente soddisfatta, lanciando al contempo un’occhiata di ammonimento ai compagni dell’uomo, che arretrarono, visibilmente impalliditi. “Qualcun altro ha qualcosa da dire sulla qualità degli ingredienti di questo ristorante o sulla bravura dei suoi cuochi?” chiese con calma sinistra, ricevendo occhiate terrorizzate e dinieghi convinti.
Dio quanto amava quella donna… Sanji mostrò un sorrisino compiaciuto, avvicinandosi a lei e non curandosi minimamente del fatto che gli aveva levato tutto il divertimento.
Vedendolo accostarsi, Viola gli sorrise dolce, allargando contenta le braccia per ricevere il suo braccio dietro la schiena ed abbracciandolo anche lei di rimando, mentre i pirati disincastravano il moribondo compagno dalle assi del pavimento e lasciavano una cospicua somma di denaro sul mobiletto vicino all’ingresso, con tanto di scuse e sguardi spaventati all’indirizzo della ‘coppia diabolica’ prima di congedarsi in tutta fretta.
Dopo averli visti, avevano finalmente riconosciuto i due dalla fama di irriducibili ossi duri che li precedeva e che sconfinava in tutto il mare orientale da anni.
Sanji, completamente dimentico di essere in una stanza con decine di persone, le lanciò un’occhiata carica di passione, incapace di staccare gli occhi da lei, prima di mormorare già sulle sue labbra. “Non si scherza con la mia signora…” Viola rispose con trasporto al bacio del suo uomo, stringendolo a sé maggiormente come se ne dipendesse la sua vita, prima di porvi fine altrettanto rapidamente, con una tirata d’orecchi che lo fece gemere.
Lei lo squadrò furba con un luccichio pericoloso negli occhi, le labbra ancora arrossate e lucide piegate in un sorrisino. “Vedi di ricordartene pure tu che non si scherza con questa signora!” gli sussurrò all’orecchio dolorante, riferendosi senz’altro all’episodio di quella mattina dove aveva fatto come al solito il cascamorto con la dolcissima Kayme ed era stato visto da lei. Il cuoco ridacchiò alzando gli occhi al cielo mentre lei gli sorrideva nonostante tutto innamorata e ancora abbracciata a lui senza alcuna intenzione di allontanarsi.
“Viola-chan quanto sei bella!!”
“Ti adoriamo!!”
“Sei fantastica!!”
Le urla dei vari cuochi presenti richiamarono la coppia dalla piccola nuvoletta rosa dove erano approdati e provocarono l’irritazione del biondo, che la strinse maggiormente a sé, incenerendo i colleghi con gli occhi mentre lei ridacchiava. “BRUTTI SCHIFOSI PIANTAGRANE, SMETTETELA DI FARE I CASCAMORTI CON MIA MOGLIE E TORNATE AL LAVORO PRIMA CHE DECIDA DI APPENDERVI AL SOFFITTO PER LE PALLE E USARVI COME ATTRAZIONE PER I TURISTI!!” …la finezza l’aveva scordata nell’altro grembiule.
Zef sogghignò sotto i baffi, guardando con la coda dell’occhio un paio di cuochi svolazzare attorno a Viola, giurandole amore eterno sprezzanti del pericolo, sotto lo sguardo divertito della ragazza e mortalmente oltraggiato del suo pupillo che aveva cercato di spingerli via con un calcio, allontanando –proteggendo, secondo lui– contemporaneamente lei da loro, non riuscendoci visto che Paty e Carne, con una luce sadica negli occhi, lo avevano preso alle spalle e lo stavano schiacciando a terra con il loro peso, dopo essersi seduti sopra di lui. Il vecchio Zef sospirò nella cagnara, addossandosi meglio allo schienale della poltrona che dava le spalle all’ingresso.
Lasciare il Baratie in mano loro era stata l’idea migliore da sei anni a quella parte. Aveva dovuto prendere atto che una donna, anche se non una qualunque, su quella bagnarola ci stava proprio bene, tanto più che a questa non aveva dovuto insegnare niente, sembrava nata per vivere su una nave ristorante. Quell’idiota del suo figlioccio era riuscito a conquistare una donna con i contro fiocchi che aveva pure rinunciato al trono di Dressrosa per lui. In sei anni era diventata una padrona di casa ineccepibile, scaltra e capace, Zeff non avrebbe potuto desiderare nuora migliore. Era capace con una sola occhiata di rimettere in riga Sanji quando questo si lasciava un po’ troppo andare negli apprezzamenti verso il gentil sesso che immancabilmente entrava dalla porta del ristorante, ma con enorme sorpresa di Zef, Viola si dimostrava fin troppo comprensiva circa la passione di Sanji per le donne, sapendo che non potesse farne a meno o, più probabilmente, rifletteva il vecchio piedi rossi, perché in cuor suo era certa che non l’avrebbe mai tradita, visto l’amore sconfinato che le dimostrava ogni giorno.
Per lei, per non intossicare il suo angelo, che non richiedeva tutte queste attenzioni, era anche quasi riuscito a smettere di fumare, se non si contavano i vaghi momenti di malinconia o di nervosismo, dove riusciva a fumare l’intero pacchetto in dieci minuti. Viola sapeva che era la sua valvola di sfogo e non lo obbligava mai a fare qualcosa che non volesse, ad esempio non batteva ciglio quando lui desiderava malmenare un incauto avventore pagante che aveva avuto però l’ardire di lanciare un apprezzamento troppo spinto a lei, soprattutto se questa era nel mentre di uno dei suoi spettacoli di flamenco. Esibizioni meravigliose, conveniva Zef, che avevano incrementato oltremodo la clientela già vasta del ristorante, attirando curiosi da tutto il mare orientale solo per vederla ballare e scatenando oltremodo le gelosie della sua melanzanina che, ringhiante e senza tante cerimonie, defenestrava ogni sboccato fan che veniva a contatto con le sue mani. La sua principessa non si toccava nemmeno col pensiero.
Zef ridacchiò perso nelle sue riflessioni, gettando un’occhiata a Viola, finalmente libera dalle minacce, vedendola all’improvviso perdere il sorriso e spalancare bocca ed occhi meravigliata, lo sguardo puntato sull’ingresso. Zef assimilò quel particolare in ritardo, rendendosi conto solo dopo qualche secondo che tutti nella stanza si erano improvvisamente bloccati, fermi come statue, fissando un punto imprecisato dietro la poltrona. L’unico che ancora si dimenava e lanciava improperi soffocati era Sanji, a terra mezzo soffocato dal dolce peso di Paty e Carne seduti su di lui che, come tutti, avevano smesso di colpo di ridere e fissavano la porta con sguardo incredulo. Zef si voltò curioso e ghignò compiaciuto nel medesimo istante in cui Sanji riusciva a scansare via i due cuochi e si alzava furibondo e scarmigliato.
“MA SIETE SCEMI?? CHE DIAVOLO VI PASSA PER LA TESTA??” ringhiò, continuando a dare le spalle all’ingresso.
Per un attimo nessuno rise né parlò e Sanji sembrò rendersi conto che qualcosa non quadrava. Scandagliò rapidamente la sala davanti a lui, notando il silenzio e gli sguardi vitrei di commensali e cuochi. Che cosa…?
Poi Paty, bocca spalancata e occhi fissi su un punto alle sue spalle, alzò un dito e indicò qualcosa dietro di lui, ma Sanji non lo guardava più. Lo sguardo incredulo gli era caduto sulla porzione di pavimento alla sua sinistra, dove un fascio di luce accecante faceva capolino dalla porta d’ingresso aperta, inondando il salone e stagliando chiaramente sulla soglia l’ombra tremolante di una figura inconfondibile che si allungava al suo fianco, là dove era stata per anni, proteggendolo e combattendo con lui, e Sanji capì subito, senza alcun bisogno di voltarsi, chi c’era alle sue spalle.
Con serafica calma, estrasse una sigaretta dalla tasca e la accese lentamente sotto lo sguardo attonito e silenzioso dell’intera sala.
“Ce ne hai messo di tempo…” mormorò tranquillo, aspirando avidamente una prima boccata.
Zef sogghignò tra sé e sé, mentre Viola mostrava le lacrime agli occhi e un sorriso di pura gioia, alternando lo sguardo da lui all’individuo ancora sulla porta che non accennava a muoversi né a proferire verbo.
Sanji sospirò una nuvoletta di fumo, prima di voltarsi finalmente e vedere quel sorriso enorme che mai aveva dimenticato, stagliarsi sotto la tesa logora di un vecchio cappello di paglia.
“…Però ora che me ne vado la taglia la togliete!!”
 
°
 
La vita faceva paura.
Era casuale, priva di certezze e sicurezze. Da un momento all'altro poteva colpirti un fulmine, o potevi cadere in mare, o inciampare nei tuoi piedi e battere la testa. Non era poi così difficile passare dall'altra parte.
In effetti, l'unica cosa certa della vita era che prima o poi tutti dovevano fare i conti con la morte, che fosse di un familiare, di un amico o, naturalmente, la tua. La fine purtroppo non la si poteva prevedere e, se non era improvvisa, arrivava sotto forma di lento e inesorabile decadimento, un processo inevitabile a cui non si sfuggiva.
Non aveva senso la morte, non aveva senso la vita, eppure si cercava sempre di trovare un equilibrio, per entrambe. Si sperava di vivere abbastanza a lungo da non avere rimpianti e che la morte giungesse su un'anima serena. Usop non se n'era mai preoccupato, credeva di avere molto più tempo.
Quando era tornato a Shirop sei anni prima, pensava di avere tutto il tempo del mondo.
Tempo per abbracciare Kaya, tempo per raccontarle le sue storie -vere, stavolta-, tempo per riuscire a farla innamorare di sé.
Sanji lo aveva spronato fino all’ultimo secondo perché si facesse avanti, prima di scendere dalla Going Grande Rufy una volta arrivati al Baratie. E lui ci aveva creduto davvero, con tutto l’animo, che il suo ritorno da eroe avrebbe fatto breccia nel cuore della ragazza.
Si sarebbe mostrato a lei in tutto il suo sfavillante splendore, abbagliandola e convincendo sé stesso di essere fantastico così come Sogeking  gli suggeriva da sempre, ma non era andata esattamente come se lo immaginava.
L’aveva ritrovata, quello si. Era bellissima come se la ricordava, certo. Dolce e delicata, sicuro.
Ma la sua Kaya, la donna che amava da sempre e che aveva lasciato piena di speranze a Shirop anni prima, non era più lei, era l'ombra della ragazza di un tempo.
La malattia che anni addietro la colpiva spesso e che sembrava essere stata debellata completamente, aveva ripreso il suo corso inesorabile nel suo già debilitato corpo, sempre più violenta e maligna, rendendola debole e stanca, come Usop non l'aveva mai vista.
Il loro primo incontro dopo lo sbarco era avvenuto nella sua grande casa, dove la vista di lei distesa su quel lettino asettico gli aveva provocato un orribile nodo in gola, ricordandogli la madre nella stessa condizione anni addietro.
Kaya era sveglia ed aveva trovato la forza per sorridergli dolcemente con gli occhi lucidi (non avrebbe saputo dire se per la malattia o per la felicità di poterlo rivedere) e mormorargli un ‘bentornato’ stanco ed affaticato, mentre Merry lo guardava sofferente e in pena, in piedi dall'altra parte del letto. Usop aveva risposto con un sorriso tirato,
l’aria che si faceva pesante ogni secondo di più che trascorreva in quella stanza, ma incapace di guardare altro che non fosse la sua più vecchia amica, emaciata e pallida, distesa su quel lettino bianco.
Si era fatto spiegare nel dettaglio la situazione da Merry. La malattia era tornata da un paio di mesi, con andamento altalenante e picchi di tre giorni ansiosi alternati a settimane di tranquillità, avevano interpellato più medici ma nessuno era stato in grado di aiutarla ed il vecchio maggiordomo non sapeva più che fare, Kaya non soffriva ma in quei giorni si sentiva così stanca da riuscire a fatica ad alzarsi dal letto. I dottori non trovavano una cura perché fisicamente non aveva nulla, lo stesso Chopper lo aveva confermato con un sospiro, dopo essere stato chiamato da Usop in fretta e furia. La diagnosi era chiara anche per lui: la paziente non aveva segni evidenti di malattie né di patologie particolari ma, per qualche motivo, il suo fisico era perennemente messo a dura prova da debolezza eccessiva e stanchezza cronica a cui non si poteva dare una causa. Le aveva prescritto una cura ricostituente basata su lunghe esposizioni al sole, respirare aria salmastra e una buona rosa di vitamine da prendere, più di questo Chopper non aveva potuto fare, omettendo di dire al suo vecchio amico che la sua impressione principale era che il problema della ragazza dipendesse da qualcosa che partiva dalla sua mente, ma aveva preferito non esprimerlo ad Usop, confidandolo però al maggiordomo Merry che aveva sospirato con fare saputo, giurando di tenerlo informato circa gli sviluppi. Chopper aveva però dato una buona notizia e cioè che senz’altro Kaya non era in pericolo di vita e, tra tutte le cose brutte che aveva dovuto affrontare in vita sua, Usop doveva ringraziare i Kami perché era certo non avrebbe retto se la morte se la fosse presa.
Il dottore gli consigliò di starle sempre vicino e sostenerla nei momenti in cui la malattia ricompariva e così aveva fatto, per sei anni. Usop aveva dovuto accettare il fatto di non poter far nulla di concreto per lei, tranne starle accanto ed aiutarla nella lenta ripresa, era tutto in mano alla volontà di Kaya.
I primi anni aveva avuto costanti ricadute periodiche, senza grossi drammi, ma che la obbligavano a tre o quattro giorni di fermo a letto, aiuto nella somministrazione dei cibi e nella vestizione. Usop stava da lei per tutto il tempo necessario a farla riprendere, raccontandole le avventure infinite vissute con la sua ciurma e lei non se ne stancava mai, ridendo e riprendendo colore giorno dopo giorno. Nei periodi in cui stava meglio riusciva a fare delle passeggiate, a trascorrere tutto il tempo che poteva all’aperto, a riprendere gli studi di medicina, non sapendo più se fosse o no il caso di indagare ulteriormente circa il suo problema.
Ogni volta Usop le era accanto ed ogni volta sperava che il periodo positivo non finisse, per continuare a gioire della compagnia di una Kaya dolce e in salute che lo faceva innamorare ogni giorno di più.
Ormai era palese per tutto il villaggio che fosse così, se ne erano accorti tutti. L’amore cieco ed assoluto che lui provava restava però relegato ai soli gesti, perché non si decideva a farsi avanti con le parole.
Usop la amava così tanto che era diventato automatico mettere il suo bene di fronte al proprio, anche se questo significava non esporsi mai per timore che lei si sentisse a disagio ed avesse una nuova ricaduta. Era così fragile, una petalo di rosa, una delicata piuma che non avrebbe retto il peso di un amore sconfinato come quello di Usop e si sarebbe spezzata pur di non dargli dispiacere, pur di non ammettere di non ricambiarlo, perché si Usop era certo che lei non provasse nulla per lui, se non contava il bene che gli voleva come amico e che non esitava a dimostrare.
Dopo anni passati ad accudirla e ad aiutarla, avrebbe dovuto accorgersi se lei fosse stata innamorata di lui, no? Avrebbe dovuto vedere differenze, gesti, sguardi, modi di porsi diversi… invece nulla faceva presagire che in sei anni lei avesse mai pensato a lui come a qualcosa di più che un amico. Faceva male, quelle poche volte che si permetteva di pensarci, faceva tanto male non poterla stringere come avrebbe voluto, ma si riscuoteva presto, sapendo di essere importante per lei in altri modi. Sanji ci aveva visto proprio male quella volta… avrebbe dovuto ricordarsi di farglielo sapere alla prossima visita al Baratie, o magari no… non voleva farsi compatire anche dall’amico con una vita sentimentale pressoché perfetta, bastavano già Carota, Cipolla e Peperone a farlo sentire inadeguato ogni volta perché non si decideva a farsi avanti. Ma loro non capivano. Era diventato un coraggioso pirata dei mari, ma sarebbe mai stato così forte anche di fronte al rifiuto della donna che amava? Non voleva scoprirlo.
Usop tutto sommato stava bene. Lavorava e trascorreva i suoi giorni con i suoi tre vecchi amici, ai quali si univano di tanto in tanto Bartolomeo e i suoi, quando passavano di là.
I suoi compagni gli mancavano moltissimo e molte volte la nostalgia era quasi insopportabile, ma quando era lontano lei gli mancava come l’aria e non vedeva l’ora di rivederla. Fortunatamente, Kaya negli ultimi tempi aveva avuto appena due ‘momenti’, come soleva chiamarli Merry in mancanza di un nome preciso alla malattia, curiosamente coincisi con i periodi duranti i quali Usop andava a fare visita ai compagni nel mare orientale e stava via per qualche giorno. Quando tornava, trovava Kaya in piena fase depressiva, ma ormai sapeva come prenderla e con poco la faceva tornare a sorridere e ad alzarsi dal letto.
Nell’ultimo anno non aveva più avuto alcun segno della malattia e Usop sperava sempre che fosse sparita del tutto perchè non danneggiasse più il suo fiore delicato. Ormai si accontentava di vederla sorridere in salute perché sapeva bene quanto la felicità potesse essere effimera. Arrivava quando si smetteva di lamentarsi dei problemi che si aveva e si ringraziava per tutti quelli che non si aveva e lui la prendeva così perchè non gli rimaneva che quello. Ringraziava per la possibilità di starle accanto sempre e comunque come in quell’assolato pomeriggio primaverile, seduti sull’erba fresca, guardando il mare, prendendosi una pausa dal lavoro e dagli studi di lei e scherzando tra loro come sempre.
Usop sospirò felice di essere con lei, di scorgerla serena sfogliare il giornale che si era portata, senza pensieri brutti a rovinare il loro idillio, beandosi della sua presenza vedendola accigliarsi e sgranare gli occhi, guardand-… eh?
Usop si rizzò a sedere in allerta, fissandola dritto in viso, improvvisamente ansioso. Era sul chi vive da anni e fremeva ad ogni suo irrigidimento del corpo come lo avesse vissuto sulla sua pelle.
Diede voce alla sua angoscia. “Che succede, Kaya?”
Ma lei non lo ascoltava, continuando a leggere il giornale rapita ed Usop si ritrovò a sudare freddo.
Appurato che non stesse per avere uno dei suoi ‘momenti’, doveva aver letto qualcosa di talmente sconvolgente da averla coinvolta totalmente. Riprovò, esitante. “Kaya, che cosa hai letto? Che succede?”
Lei si voltò verso di lui e lo sguardo che gli lanciò gli fece mancare il terreno sotto i piedi.
Cercò di sbirciare da sopra la sua spalla ma lei teneva il giornale rivolto costantemente verso di lei e non dava segno di volerglielo far vedere, anzi lo fissava con uno sguardo che metteva i brividi. Usop iniziò a spazientirsi. “Kaya, insomma! Che ti prende?” le chiese alzando i toni. Va bene che l’amava, va bene che era fragile, ma si stava preoccupando a morte!  Lei d’altro canto, respirava affannosamente ed aveva smesso di guardarlo, fissandosi le scarpe, il viso coperto dalla frangetta. Usop non riuscì a trattenersi, allungò il braccio per afferrare il giornale ma Kaya fu più veloce. Rapida, lo strappò in più parti, contorcendo le pagine sotto le sue mani, lacerando rabbiosamente i fogli che presero a cadere come coriandoli, disperdendosi nell’aria e intorno a loro, finché non ne rimasero che brandelli sparsi.
Il cecchino la guardava sconvolto. Ad occhi sgranati fissava la ragazza che aveva davanti, palesemente infuriata, senza riuscire a capire cosa avesse scatenato quella furia. Di una cosa era certo, però, quella non era Kaya!
La dolce ragazza che conosceva da anni non aveva scatti d’ira come quello senza motivo, anzi, non aveva proprio scatti d’ira! In quel momento realizzò che non l’aveva mai vista arrabbiata, nemmeno con Kuro lo era stata.
Ma che le prendeva?
La risposta non si fece attendere troppo. La giovane dottoressa si alzò in piedi, guardando l’amico di una vita ancora seduto a terra con un espressione di sofferenza pura in volto.
“Rufy ha ripreso il mare ed ha fatto sapere che il vostro tesoro è ancora nascosto da qualche parte…” mormorò tremante, deglutendo rumorosamente.
Usop la fissò sbigottito. Il suo capitano aveva detto di dare la caccia al tesoro…?
Si spalmò una mano sulla faccia. Rufy era davvero un idiota, si ritrovò a pensare innervosito.
Erano tutti d’accordo, perché si metteva a fare cose così stupide?? Usop alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Non vedeva l’ora di vedere l’ira di Nami abbattersi su di lui e, con quel pensiero in mente, ghignò tra sé e sè, facendo accigliare Kaya, che non si perdeva una sua espressione.
Dal momento che stupida non era, aveva chiaramente capito il motivo per il quale Rufy aveva deciso di indire una nuova ‘Era della pirateria’ proprio in quel momento e la cosa la stava devastando più di quanto avesse creduto, perché sapeva cosa sarebbe successo. La faccia felice di Usop le sembrò solo un’ulteriore conferma ai suoi dubbi e le provocò una stretta al cuore talmente dolorosa che le sembrò venisse trafitto da mille coltelli. Strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche e cercò con tutte le sue forze di non piangere.
“Se sei davvero così felice di andartene, perché sei tornato? Non potevi restare dov’eri e non tornare mai più qui??” gli chiese velenosa, senza riuscire a frenare i tremiti che la scuotevano e non certo per l'aria fredda.
Usop, che in tutto questo pensava ancora alla faccia cianotica di Rufy mentre veniva soffocato da Nami, non aveva afferrato la cosa più importante e sgranò gli occhi alle parole di Kaya. Andarsene…? Lui…?
Tentò di articolare una domanda ma la ragazza era ormai un fiume in piena. “Io non sono mai abbastanza per te! PERCHÈ IO NON SONO MAI ABBASTANZA PER TE, OTTUSO NASONE??” era terrorizzata glielo leggeva negli occhi, ma Usop non riusciva a capire, la fissava basito completamente senza parole.
Lei che lo chiamava ottuso nasone?? Ma che stava dicendo? Era impazzita??
Dagli occhi di Kaya avevano preso a scorrere le lacrime, ormai incapace di trattenerle. “NON NE POSSO PIÙ, USOP!! NON NE POSSO PIÙ DI SENTIRTI DIRE CHE SONO UN DELICATO E DOLCE FIORELLINO!! NON CAPISCI CHE È PER COLPA TUA CHE STO MALE?? SONO ANNI CHE MI RACCONTI DELLE TUE AVVENTURE PER MARE, DI QUANTO TI MANCANO I RAGAZZI E NAVIGARE CON LORO! SAPEVO CHE PRIMA O POI SAREBBE SUCCESSO, ME L’HAI DETTO TU CHE RUFY VOLEVA RIUNIRVI UN GIORNO, E OGNI DANNATA VOLTA CHE TU PRENDEVI IL MARE PER ANDARE A COCO, AL BARATIE O CHISSÀ DOVE, IO MORIVO DENTRO, TERRORIZZATA CHE NON TORNASSI PIÙ! CHE UNO DI LORO TI CONVINCESSE A RIPRENDERE IL MARE!! ORMAI PENSAVO CHE NON SAREBBE PIÙ ACCADUTO E INVECE ADESSO È SUCCESSO DAVVERO! RUFY STA VENENDO A PRENDERTI E IO DOVRÒ LASCIARTI ANDARE UN’ALTRA VOLTA!”
Scoppiò in un pianto a dirotto sotto lo sguardo sbigottito del cecchino che non sapeva bene cosa fare. Se ne stava lì fermo a farsi vomitare addosso parole amare per lei, ma senza senso per lui, mentre Kaya cercava in ogni maniera di chetare la crisi che l’aveva colta dopo aver letto quella notizia sul giornale.
Non poteva farci nulla, l’equilibrio faticosamente conquistato in tanti anni si basava unicamente sulla presenza o meno di Usop al suo fianco. Le c’era voluto tanto tempo per accettare l’idea di non poter essere considerata più di un’amica da lui, si accontentava di stargli accanto ma ora, sapendo che se ne sarebbe andato un’altra volta, qualcosa si era spezzato dentro di lei, il sottile filo della ragione era rotto e la bocca correva a briglia sciolta come non era mai riuscita a fare prima.
Sempre sotto gli occhi del cecchino, che sembrava esser diventato una statua di sale, riuscì miracolosamente a calmarsi e con voce malferma continuò a parlare, decisa ormai a vuotare del tutto il sacco, sapendo che sarebbe forse stata l’unica occasione che aveva per riuscire a dichiararsi. “Col tempo ho raggiunto la consapevolezza che la mia malattia è strettamente collegata a te. Ricordi quando ci siamo rivisti sei anni fa? Stavo male e non sapevo perché ma ora si. Io sapevo che stavi per tornare su Shirop e che non eri più quello di un tempo… eri un eroe! Venivi addirittura chiamato ‘Dio’ sul tuo avviso di taglia. Eri diventato un uomo forte, coraggioso, un pirata di fama, del tutto  irraggiungibile. Non avevamo più nulla in comune e ho avuto paura di rivederti, perché sapevo che un uomo come te non avrebbe mai visto niente di più di un’amica in una ragazzina anonima come me. Se avessi permesso ai miei sentimenti per te di uscire, avrei fatto una figuraccia colossale, perché ero sicura che tu non avresti mai contraccambiato il mio amore e questo mi ha fatto ammalare. Sono sempre stata cagionevole ed è bastato poco, la mia mente ha fatto il resto… Ma poi ti ho rivisto ed eri meraviglioso con me, grazie alla tua presenza riuscivo a stare meglio.” Usop la fissava ad occhi spalancati, troppo sorpreso per riuscire a rispondere in qualche modo, lei gli si avvicinò, sedendosi nuovamente al suo fianco e guardandolo fisso. “…Tu mi facevi stare bene con la tua sola presenza! Non eri cambiato, eri lo stesso ragazzino dolce che amavo, ma eri diventato anche un uomo meraviglioso, quello che ogni donna sognerebbe, e ogni giorno di più io mi innamoravo di te, pur sapendo di non avere speranze, perché tu eri buono con tutti e aiutavi sempre gli amici in difficoltà! Io non potevo ambire ad altro…” Kaya tirò su col naso, asciugandosi gli occhi rossi di pianto. “…Ma adesso non potrò più fare affidamento nemmeno sulla tua amicizia… Rufy verrà a prenderti e so che tu non aspetti altro da anni… devo lasciarti andare e questa cosa mi sta distruggendo…” mormorò, l'ultima frase rivolta più a se stessa che a lui.
Lui che aveva ormai il cuore che scoppiava nel petto e che aveva creduto di essere morto per un attimo dopo averla sentita dire chiaramente che era innamorata di lui da sempre.
Il respiro gli si fece accelerato di colpo, mentre con la mente rimetteva insieme i pezzi e capiva perché negli anni non aveva mai visto differenze nei suoi comportamenti da quando avevano 17 anni. Semplicemente perché per lei non ce n’erano, amava il ragazzino che era stato, amava l’uomo che era diventato, e questa consapevolezza era difficile da descrivere. Scoprire di essere ricambiato dalla donna che amava da tutta la vita lo aveva sconvolto, atterrito e allo stesso tempo fatto sentire in paradiso.
Kaya sollevò lo sguardo su di lui, vedendo la confusione sul suo viso e si morse una guancia per l'agitazione.
Lo sapeva, lo sapeva che lui non provava nulla per lei. Cosa sperava di ottenere? Una scusa? Una promessa che non l'avrebbe lasciata sola? Lo sapeva che sarebbero arrivati solo deboli e patetici farfugliamenti per levarsi dall'impiccio, se l’era cercata. Ne moriva ma allo stesso tempo si sentiva in colpa per averlo messo a fronte di un problema del genere. Se davvero non l'amava non avrebbe mai potuto fargliene una colpa ed ora cominciava a vergognarsi anche per lo sfogo di poco prima. Avrebbe dovuto stare zitta, Usop non ne poteva nulla se lei si era fatta dei castelli in aria, ma ormai non si poteva tornare indietro. Sostenne il suo sguardo, all'improvviso senza più nessuna voglia di combattere e preparandosi ad attutire il colpo.
Quando Usop finalmente riprese l'uso della parola le si rivolse con un tono esitante e incerto “Per-Perchè non me l'hai mai detto prima?”
Lei lo guardò mestamente, voltando poi il viso e fissando gli alberi in lontananza. “Perchè sapevo che non sarebbe cambiato nulla. Avrei dovuto stare zitta anche oggi.” commentò amaramente.
Usop si accigliò, gli faceva male vederla così. “Tu credi davvero che io non provi niente per te?”
Kaya si voltò, gli occhi fiammeggianti, la determinazione ancora viva in lei nonostante il cuore a pezzi. “Ne sono certa! Altrimenti mi avresti  fatto capire qualcosa in sei anni!”
Lui deglutì, preso in contropiede, allontanandosi impercettibilmente da lei e sfuggendo al suo sguardo indagatore.
Aveva ragione. Dio se aveva ragione. Da anni si vantava di essere diventato un valoroso pirata che incuteva timore e rispetto, conosciuto in tutti i mari e sfidato da molti nemici potenti senza provare mai paura, quando bastava un'occhiata dolce di Kaya diretta a lui per far crollare tutte le sue certezze e ritornare ad essere il pivello che era sempre stato davanti al primo amore. Il coraggio che aveva dimostrato in battaglia spariva di fronte al fatto che in sei anni non era mai stato in grado di farsi avanti con lei, troppo timoroso di un rifiuto.
“I-io... no, non è vero... i-io... insomma tu stavi male! Eri sempre malata, avevo paura di rompere...”
“Che cosa? Il mio delicato equilibrio?” lo interruppe astiosa. “Smettila di mentire Usop. Se davvero avessi provato qualcosa per me una cosa del genere non ti avrebbe fermato!”
Usop tentò di spiegarsi rapido “Non era questo che... oh, io...” si bloccò e fece un respiro profondo. “Io... io pensavo di non essere corrisposto!” mormorò a fatica chiudendo gli occhi, mentre lei spalancava i suoi per la sorpresa.
Un codardo, ecco come si sentiva. Un maledetto codardo che si era trincerato dietro la sua paura rischiando di perdere la cosa più bella che avrebbe mai avuto al mondo e c'era voluto vederla in lacrime col cuore spezzato per fargli realizzare quanto era stato idiota! Ma ora non lo sarebbe stato più!
Riaprì di scatto gli occhi e li puntò nei suoi, facendosi coraggio con la speranza che le leggeva nello sguardo. “Io non ti voglio come amica Kaya. Da sempre io ti voglio in un altro modo...” ma Kaya continuava a fissarlo dubbiosa.
“Non mentire.” lo avvertì sull'orlo del pianto.
“Non sto mentendo...” mormorò roco, il cuore in gola “...sono stato un bugiardo per troppo tempo, ma era a me che mentivo! Convinto che mi bastasse rimanerti accanto per essere felice e non provare a chiedere altro, come ora mi rendo conto avrei dovuto fare, ma avevo paura... paura di non essere abbastanza forte o bravo per chiedere di più...”  Usop deglutì, la gola in fiamme ma gli occhi determinati puntati su di lei che lo guardava esterrefatta.
“Hai ragione, se Rufy verrà a prendermi io andrò con lui.” Kaya abbassò lo sguardo, gli occhi lucidi che premevano per dare nuovo sfogo alle lacrime, ma Usop le sollevò delicatamente il viso con una mano costringendola a guardarlo. “...se Rufy verrà, io andrò con lui e tu… tu verrai con me!” la ragazza trattenne il fiato ad occhi spalancati. “…non ho più intenzione di soffocare quello che provo e vorrei tanto che tu rimanessi con me per il resto dei miei giorni!” Usop chiuse gli occhi un istante, cercando di frenare il battito impazzito del suo cuore, prima di riaprirli determinato e ardito come un uomo dovrebbe sempre essere nel momento più importante della sua vita. “Ti amo Kaya... ti ho sempre amata... Voglio che tu parta con me, con la Sunny, e lì in presenza dei nostri Nakama… voglio fare di te mia moglie...” esalò sicuro, con un coraggio che non credeva di possedere e senza abbassare lo sguardo incrociato con quello lucido di lei, illuminato dal sorriso innamorato che le stava nascendo sulle labbra.
Prima che potesse rendersene conto, Kaya l'aveva afferrato per il bavero della giacca e l'aveva attirato a sé, coinvolgendolo in bacio che sapeva di lacrime mal trattenute ma anche di amore e speranza, e che durò il tempo di un battito d’ali, ma fece strabuzzare gli occhi al cecchino e soprattutto aumentare in maniera preoccupante la sua tachicardia.
Ci volle la risata dolce di Kaya, di quella che ora avrebbe potuto -finalmente- chiamare la sua donna, per fargli riavere coscienza di sé. Ma dovette far forza sul proprio autocontrollo per non accasciarsi al suolo pur essendo già seduto, quando la vide annuire rossa in volto ma serena e innamorata, alla sua proposta, incatenando i loro occhi.
Per l’emozione avevano preso a tremargli anche le ginocchia.
Usop le sorrise, avvicinandola a lui e unendo di nuovo le loro labbra per suggellare la promessa.
In un ultimo barlume di lucidità realizzò che ci aveva messo davvero tanto tempo -troppo-  per cancellare del tutto la paura dalla sua vita e doveva ringraziare solo lei per questo. Sentendola totalmente abbandonata a lui con il cuore finalmente sereno, approfondì il bacio, giurando a sé stesso sul suo onore di pirata che non avrebbe mai più sprecato nemmeno un secondo di questa sua nuova vita.
 
°
 
La vita era meravigliosa.
Se avevi fortuna, poteva essere come volevi tu, potevi costruirla un passo alla volta, senza strafare.
Nessuno ti insegnava come fare, stava a te tirar fuori sempre il meglio da ogni situazione avversa, dalle più lievi alle più pesanti. Nascevi solo e morivi solo, ma l'intermezzo era una scoperta continua.
Se accettavi il fatto che la vita non avrebbe mai potuto essere perfetta, ti accorgevi che era lo stesso meravigliosa.
Se accoglievi tutti gli eventi indistintamente, e ne facevi tesoro, erano esperienze guadagnate.
Se avevi la speranza, la salute e l'amore, era meravigliosa, perchè la vita era troppo breve per avere rimpianti o sperare che accadesse qualcosa di meglio e sprecare ogni attimo nell'attesa.
Se credevi fermamente che tutto dovesse accadere per un motivo preciso riuscivi a vivere più serenamente. Affrontavi con tranquillità anche i problemi più complicati.
Se riuscivi ad essere sempre pronto, gli imprevisti della vita ti scivolavano addosso come acqua.
Si, la donna in cima alla scogliera credeva fortemente in ciascuno di questi principi.
Meditava sui misteri della vita mentre, seduta a gambe incrociate, osservava il mare piatto, sotto il sole caldo del mattino, con i lunghi capelli rossi che svolazzavano liberi nel vento.
Meditava e rifletteva. Rifletteva e meditava. Occhi aperti, occhi chiusi. Un occhio aperto ed uno chiuso.
Dopo nemmeno dieci minuti si diede per vinta, aprendo entrambi gli occhi e decidendo senza indugio che tale arte non fosse adatta a lei. Non era capace di reggere i ritmi del tipo strambo che le stava seduto a fianco ad occhi chiusi, gambe incrociate e schiena dritta, ormai divenuto un tutt'uno con la natura che li circondava.
Sbuffò piano, per evitare di disturbare almeno la sua di concentrazione, e prese a guardarsi intorno.
A pochi passi da lei si ergeva una modesta tomba bianca con dei fiori freschi. La girandola attaccata alla lapide girava veloce per il vento che arrivava dalla baia e riuscì a catturare la sua attenzione per qualche secondo, prima di spostare nuovamente lo sguardo di fronte a sé, al mare sconfinato, e sbuffare di nuovo.
Niente, non ce la faceva. Nami, detta Gatta Ladra, navigatrice di Cappello di Paglia, autrice dell'unica cartina che conteneva la mappa completa del mondo, nonché detentrice del premio 'pazienza estrema', non riusciva a rilassarsi!
Non ce la faceva, non era nelle sue facoltà! Ringhiò tra i denti. Poteva raccontarsi quanto voleva che la vita era bella, che doveva fare tesoro di ogni cosa, che le avversità rendevano più forti, ecc... ma la verità era che l'unica cosa che l'avrebbe fatta felice in quel momento sarebbe stato mettere le mani attorno al collo del suo più vecchio amico, nonché capitano, fino a renderlo cianotico e, a quel punto, l'avrebbe lanciato in mare e che l'acqua facesse il suo dovere. Altro che le zucchine, sarebbe stato terrorizzato da ben altro, quell'idiota!
Una mano grande si posò leggera sulla sua chiusa a pugno che stringeva spasmodica. Sussultò, girandosi a guardare Zoro, al suo fianco, evidentemente riemerso dalla seduta di meditazione a causa dei suoi continui grugniti.
Sospirò piano, osservandolo in silenzio infonderle con il solo sguardo la calma che non lo aveva ancora lasciato.
Sembrò funzionare perchè Nami riprese a respirare normalmente. Lo ringraziò con un cenno del capo.
Zoro rise guardandola e lo stomaco della ragazza fece una capriola all'indietro.
Dopo anni quella familiare stretta era ancora onnipresente ogni volta che lui le sorrideva.
“Non avevi detto che ci avresti almeno provato?” le chiese lui con un sopracciglio alzato.
Lei sospirò. “Ci ho provato, ma non fa me! Non riesco a calmarmi così... preferisco ancora il mio metodo!”
Zoro la guardò scettico. “Fare shopping sarebbe un metodo per calmare gli istinti omicidi verso Rufy?”
Lei annuì convinta. “Altrochè! Ma non hai imparato niente in tanti anni con me??”
Il ragazzo fece spallucce, poco incline ad approfondire l'argomento. “Come vuoi... io c'ho provato a proporti un'alternativa più economica...”
Nami sorrise teneramente. “Lo so e per questo ti ringrazio, ma facciamola finita. Tu ti tieni la meditazione, io lo shopping sfrenato!”
Zoro ghignò incrociando le braccia. “Basta che mi giuri di non rendere Ace orfano e Robin vedova.”
La cartografa si imbronciò. “Non posso promettertelo....”
Lo spadaccino ridacchiò “Lo sai com'è... I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere.” sussurrò sdraiandosi a terra ed estraendo due buste dalla tasca, porgendogliele. “Queste me le ha date Nojiko prima che arrivassi qui e ti trovassi da sola in preda alla rabbia a incenerire alberi e cespugli...”
Alla vista delle buste bianche gli occhi della donna si illuminarono, battendo le mani tra loro come una bambina. “Oh! Sono già arrivate? Hanno fatto prestissimo!” commentò guardando il mittente, mettendole poi in tasca senza aprirle.
Zoro la fissò curioso. “Non le leggi?”
“Oh, non c'è fretta. Carrot e Momo possono aspettare qualche minuto.” mormorò suadente al suo orecchio, avvicinandosi a lui sull'erba e posandogli una mano all'altezza del cuore. Zoro sogghignò sereno già pronto a stringere a sé la sua donna, quando si accorse in ritardo di un particolare. Si alzò a sedere di scatto, guardandola con gli occhi spalancati. “Momo?? Intendi Momonosuke? Perchè diavolo ti scrive ancora quello??”
Nami da sdraiata si mise un braccio a sostenere la testa squadrandolo tranquilla dal basso. “Non mi dirai che sei geloso di un ragazzino...”
Zoro soffiò nervoso dal naso, stringendo gli occhi. “Ma quale ragazzino! Ormai avrà quasi 18 anni!!”
“Appunto. È un ragazzino per me...” ribadì serena. “...E poi non darti pensiero, lo sai che sono tua.” precisò, con una naturalezza disarmante che lasciò un attimo interdetto lo spadaccino, prima di scuotere la testa e ridistendersi al suo fianco dove venne accolto a braccia aperte. “Si, sei mia...” mormorò divertito vicino al suo orecchio. “Vedi di ricordarglielo, però...” Nami ridacchiò contro la sua spalla, accoccolandosi meglio.
Lo osservò qualche secondo in viso, ascoltando il rumore del vento tra gli alberi e delle onde sotto di loro, prima di infrangere nuovamente il silenzio. “Quando hai intenzione di tagliarlo...?”
Lui la fissò di rimando, sorpreso. “Che cosa?”
La cartografa si accigliò. “Come che cosa? Parlo di questo!” dichiarò toccandogli il mento. “Con questo pizzetto e i capelli più lunghi assomigli a Mihawk sempre di più ogni giorno!”
Zoro sbuffò. “Non è vero, il suo è diverso!” affermò deciso, come fosse la milionesima volta che lo ripeteva.
Nami assottigliò lo sguardo storcendo la bocca. “Di diverso avete solo il colore! E non lo penso solo io, lo dice anche Perona!”
Lo spadaccino schioccò la lingua. “Dovete piantarla di fare comunella alla mie spalle voi due...”
Nami rise, stringendolo di più a sé, beandosi delle sue coccole e della calma che le infondevano le sue mani attorno alla vita. Capitavano di rado momenti di intimità placida e tenera tra di loro, solitamente si comportavano come cane e gatto, ma qualche volta uno dei due, se non entrambi, sentiva il bisogno di esternare l'amore in maniera più dolce ed affettuosa. Da anni si capivano al volo, senza bisogno di parlare, come due perfette metà di un'anima sola ed in fondo era pure normale, erano così simili loro due. Zoro non era tipo da effusioni in pubblico e lei per prima non le amava particolarmente da chiederglielo, ma l'uno capiva quando l'altro ne avesse particolarmente bisogno. E Nami preferiva di gran lunga tenere per sé il lato dolce che il suo uomo faceva uscire solo con lei e, ovviamente, con Ren quando non ne aveva combinata un'altra delle sue.
Come se le avesse letto nel pensiero, Zoro prese ad accarezzarle con movimenti circolari e lenti il ventre piatto, come aveva preso a fare spesso quando era rimasta incinta e anche dopo, facendola diventare una dolce abitudine nei loro momenti intimi rubati alla quotidianità.
“Dov'è Ren?” le chiese, come lei si aspettava. Sorrise.
“Dove vuoi che sia... in giro per il paese.” rispose, trattenendo una risata.
“Da solo??”
“Ovviamente no, scemo. Con tuo padre e tua sorella...” mormorò, ancora contro la sua spalla.
Zoro alzò gli occhi al cielo. “Piantala, Nami!”
Lei rise di gusto, mai stanca di prenderlo in giro. “Dai, devi ammettere che lo sembrano davvero!”
Lo spadaccino si imbronciò. “Non so perchè dobbiamo continuare con questa farsa...”
Nami si sollevò sui gomiti, guardando il mare. “E io non so perchè me lo chiedi ogni volta! Lo so, lo abbiamo detto quasi per gioco, ma ha funzionato! Non sarebbe stato affatto semplice spiegare ad un paesino tranquillo come questo chi fossero i due strani individui che venivano spesso a farci visita... ammettiamolo, Mihawk e Perona non sono due che passano facilmente inosservati! E lo sai meglio di me che dopo il periodo con gli uomini-pesce quest'isola è diventata molto diffidente con i forestieri…”
Zoro grugnì. “Lo so, però devo fare comunque un discorsetto a Perona! Va bene in pubblico, ma ormai recita anche tra di noi a casa!”
Nami lo guardò di sbieco con un sorrisino. Sapeva a cosa si riferiva ma sarebbe stato inutile, la ragazzina fantasma non avrebbe perso facilmente la naturalezza con cui aveva preso a chiamarlo 'fratellone' ad ogni occasione buona. In tanti anni Nami aveva imparato che Perona era capace di avere una discussione fruttuosa anche con le pareti di casa, oltre che a farsi filmini mentali su chiunque, e non avrebbe mai avuto cuore di risvegliarla dalla gioia palese che provava nel considerare tutti loro la sua famiglia allargata. Sapeva bene che anche a Zoro non dispiaceva poi molto, ma era certamente più difficile farglielo ammettere.
“Non mi sembra dia così fastidio a Mihawk essere chiamato papà da lei...” mormorò furba, sapendo di toccare il tasto giusto, Zoro non sarebbe mai andato contro il volere del suo vecchio maestro. “Tra l'altro Ren li adora e devo dire che Occhi di Falco mi ha stupito! Sembra proprio un nonno amorevole con lui, almeno quando è sicuro che nessuno lo guardi... Genzo sta iniziando a diventare geloso...”
Fu il turno di Zoro di ridacchiare. Non era scemo, se n'era accorto pure lui e la cosa non gli spiaceva affatto!
Fin da quando aveva saputo che Nami era rimasta incinta aveva sperato che l'essere lo spadaccino più forte del mondo sarebbe stato un ottimo elemento per invogliare il futuro figlio (o figlia) ad apprendere l'arte della spada e seguire le sue orme, ma aveva dovuto arrendersi presto all'evidenza.
Per qualche motivo, al suo bambino di quasi quattro anni, di esercitarsi con le katane giocattolo che gli regalava dalla nascita non poteva interessare di meno, anzi preferiva di gran lunga stare ore e ore nell'agrumeto della mamma a rincorrere farfalle o a disegnare sdraiato sull'erba.
Zoro non riusciva a capacitarsene. Spesso in quei momenti gli tornava alla mente quando Nami, ormai prossima al parto, aveva preso l'abitudine di immaginare come sarebbe stata la sua creatura una volta messa al mondo, fantasticando senza sosta sdraiata con lui nel loro letto. Con un'esaltazione da imminente mamma cercava di coinvolgerlo nei suoi sogni ad occhi aperti con poco successo. Zoro non riteneva necessario creare tali fantasie dal momento che non era interessato a sapere come sarebbe stato caratterialmente o fisicamente, l'unica cosa che bramava era tramandare le sue conoscenze sull'arma bianca a quello che considerava già il suo erede.
Nami accettava relativamente questa sua mancanza di curiosità verso il nascituro ma una volta non ce l'aveva più fatta, era scoppiata. “Nessuno ha mai deciso che il mio bambino debba per forza essere un samurai. Magari da grande vuole fare l'artista!” gli aveva detto, nervosa. Zoro aveva sollevato lo sguardo scoccandole un’occhiata piena di compatimento. Davvero Nami pensava che suo figlio potesse anche solo contemplare l’idea di una vita priva di spade e sfide mortali?
Si, a quanto pareva... ragionò lo stesso Zoro.
Lo pensava davvero e quel che era peggio era che dopo quattro anni era arrivato al punto da non poter evitare di rifletterci pure lui. Nami ci aveva visto lungo, o forse era opera sua.
Non c'era verso di coinvolgere il bambino nei suoi esercizi, ci aveva provato tanto. Ogni volta tirava fuori qualche debole scusa, ridacchiava in un modo che somigliava in maniera impressionante a Nami, e si sedeva composto per terra, entusiasta di guardarlo mentre si allenava. Ecco si, almeno era riuscito ad affascinarlo, adorava guardare il suo papà fortissimo mentre faceva i suoi esercizi, ma il suo interesse si fermava lì, non aveva intenzione di provare, al contrario sprizzava energia da tutti i pori quando qualcuno, di solito zia Nojiko che ci aveva visto lungo, gli regalava un nuovo albo per disegnare.
In cuor suo, Zoro si stava placidamente abituando all'idea di non vederlo mai con una katana in mano, ma non si dava completamente per vinto. Magari era tutta una questione di età, forse l'interesse sarebbe giunto col tempo, non smetteva di sperarci e, intanto, spingeva il bambino a trascorrere quanto più tempo possibile con Mihawk, ogni volta che lui e Perona passavano a trovarli. Era sicuro che vedere all'opera un altro spadaccino abile e grandioso, come doveva ammettere fosse il suo vecchio maestro, avrebbe potuto dare un'ulteriore spinta al bambino. Certo, che poi passasse anche un sacco di tempo con Perona da aver quasi iniziato a ridere come lei e a giocare con i suoi ninnoli, erano dettagli...
“Non diventerà mai una sorta di Perona in miniatura, sappilo...” dichiarò Nami, che aveva intuito i pensieri del compagno come se li avesse espressi a voce alta. Lui la fissò giustamente stupito, mettendosi seduto come lei.
Alzò le spalle. “Sei un libro aperto per me...” mormorò al suo indirizzo, sorridendo. “Ren ha una personalità tutta sua. Solo perchè adora Perona e Mihawk non vuol dire che diventerà come uno di loro due... anche se tu speri nel secondo...” aggiunse con una faccia saputa.
Zoro ghignò. “Hai ragione, somiglia troppo a quella strega della madre!”
Nami si pavoneggiò come le avesse fatto un complimento, mormorando un 'eh, che ci posso fare? Sono fantastica.' mentre lui riprendeva parola. “...in ogni caso mi piacerebbe smettesse almeno di giocare con le bambole...” mormorò lui storcendo la bocca e incrociando le braccia.
Nami sbuffò una risata. “A parte che non ci sarebbe nulla di male in caso, ma non le puoi chiamare bambole! Sono le bamboline voodoo di Perona, dovresti essere felice che stia imparando a mutilare più gente possibile! Anche se non lo fa con una spada...” esalò dubbiosa.
Zoro scosse la testa ridendo. Aveva smesso di tentare di capire suo figlio da tempo e si era rassegnato ad amare incondizionatamente quello strano esserino vispo, nonostante non riuscisse a trovare punti in comune con lui nemmeno a pagarne. Sospirò mestamente.
Nami lo guardò con fare saputo, ridacchiando nei suoi pensieri.
Chiunque quando conosceva Ren lo additava subito come la sua fotocopia in miniatura e forse per certi piccoli evidenti aspetti era anche vero, come per il colore di capelli e la passione nel disegno, ma lei sapeva benissimo che le sfaccettature più importanti del suo carattere le aveva ereditate da qualcun altro.
Suo figlio era identico a Zoro.
Era vero non si somigliavano fisicamente, né avevano gli stessi interessi, ma erano uguali in tutti gli altri aspetti.
Lo stesso spirito indomito dell'uomo lo vedeva nel bambino, ogni qualvolta affrontava una difficoltà, che fosse un disegno riuscito male o un'ingiustizia subita da uno dei suoi amichetti al villaggio, non si dava mai per vinto affrontando ogni cosa certo delle proprie capacità.
Aveva una curiosità infinita che spaziava ad ogni argomento, con una predilezione per le cose che apprendeva direttamente da Zoro. Ren era fiero dei suoi geni e non ne faceva mistero, idolatrando il padre sopra ogni cosa.
Mostravano la stessa attenzione e lo stesso amore nel prendersi cura delle cose a cui tenevano, fossero una spada o un gioco. Zoro non si era mai reso conto che all'inizio Ren temesse Mihawk, le sue cicatrici e il suo sguardo serio, ma una volta capito che lo spadaccino fosse qualcuno di molto importante per il suo fantastico papà, lo aveva rivalutato. Se Zoro lo ammirava, allora Occhi di Falco doveva essere una persona straordinaria e degna di essere presa in considerazione da lui. Ora solo Zoro riusciva a staccarlo da Mihawk!
Erano simili anche nel preservare il loro ideale di giustizia e coerenza. Per quanto piccolo, Ren ne sapeva abbastanza da capire quando questi due suoi ideali venivano a mancare e, come Zoro, si impuntava perchè tutto si risolvesse.
Nami ridacchiò da sola pensando al fatto che avesse ereditato pure lo stesso senso dell'orientamento! Ancora si stupiva di come avesse fatto Zoro a raggiungerla da solo in cima alla scogliera prima (anche se forse i lampi che svettavano dal suo bastone avevano fatto da stella cometa), ma era capitato più volte che fosse toccato a lei andare a recuperare uno o l'altro finiti chissà come in cima a montagne o in villaggi vicini, senza che riuscissero a fornire alcuna spiegazione logica, come non era raro trovarli entrambi addormentati sotto gli alberi del suo agrumeto mentre ne raccoglievano i frutti per lei.
Forse, rifletté Nami, avrebbe dovuto correre ai ripari finché era in tempo e cercare di raddrizzare almeno il figlio...
Zoro, che nel frattempo non si era perso una sua espressione, quando la vide contrarre le labbra, come a volersi trattenere dal ridere, gliene chiese il motivo, curioso.
“Stavo pensando a quando torneremo sulla Sunny. Vorrei chiedere a Brook di dargli lezioni di violino...” mormorò Nami pensosa, una mano a sorreggere il mento.
Zoro si strozzò con la saliva. “ANCHE QUELLO??”
Lei rise un sacco alla sua espressione sconvolta. Zoro si imbronciò. “C'è già tua sorella che lo vizia con albi da disegno e poesie... ci manca solo la musica...”
Nami spalancò gli occhi come avesse ricordato qualcosa all'improvviso. “A proposito... come sta Johnny?”
Il ragazzo alzò le spalle, visibilmente scocciato. “Piuttosto bene direi, non era nulla di grave! È il solito esagitato e tua sorella gli da pure corda! Quell'idiota mi ha chiamato per aiutare Nojiko col negozio perchè lui ha il raffreddore! Cioè, un semplice raffreddore! Da come mi aveva chiamato in preda all'agonia pensavo l'avesse morso un mostro marino!
E io sono stato pure gentile! Gli ho detto che li aiutavo volentieri ma che non mi sembrava stesse così male, e sai che mi ha risposto? Che dovevo farmi i fatti miei e che non era un raffreddore ma una febbre mortale! L'ha salvato solo il fatto che al mio ringhio si è nascosto dietro sua moglie e Nojiko è incinta, non volevo farla agitare, ma un giorno di questi lo affetto!!”
“Oh, il mio spadaccino tenerone...” Nami rise, guadagnandosi un'occhiataccia per la presa ingiro. “...ti manca tanto Sanji, vero?”
Zoro la guardò inorridito. “Che c'entra il cuocastro ora??”
Lei lo guardò furba. “Ti manca da morire litigare con qualcuno che sia capace di tenerti testa!” mormorò suadente sotto il suo sguardo oltraggiato. “Comunque tranquillo, ormai non credo che ci voglia più molto tempo...” disse fiduciosa gli occhi puntati sul mare.
Zoro ghignò in un modo che non aveva mai perso con gli anni. “Ammetto che iniziavo a sentire la mancanza di questa adrenalina... Abbattere i cacciatori di taglie che arrivano sull'isola non dà più lo stesso brivido, ho una gran voglia di menare le mani!”
Nami sbuffò. “Rufy si è impegnato parecchio, poteva anche avvertirci in una maniera più semplice!” sospirò “L'ho sempre detto che siamo una ciurma di sbruffoni!” Il compagno sghignazzò sereno.
Lì, seduti sulla scogliera più alta dell'isola, godendo l'uno della calda presenza dell'altro ed ammirando il mare isolati dal resto del mondo, era facile pensare che la vita fosse davvero meravigliosa.
Nami sapeva che non fosse esclusivamente un mantra per la meditazione quello che qualche minuto prima l'aveva portata a considerare la sua vita sotto un’altra luce.
Sei anni avevano creato qualcosa in ognuno di loro e difficilmente avrebbe ritrovato le stesse persone con cui era partita da Coco undici anni prima. Tutti erano cambiati e probabilmente qualcuno avrebbe avuto con sé un bagaglio emotivo più forte degli altri. Se la storia metteva fine ad un’epoca non si doveva viverla male, ma come il naturale scorrere delle cose e lei, dopo tanti anni di sofferenze, poteva vantare di aver raggiunto la vera felicità.
Non le sembrava più nemmeno una fine, guardare lo sconfinato mare azzurro fondersi con l'orizzonte chiaro, ma un nuovo ed emozionante inizio. Sorrise felice, sentendo l'aria venire da sud farsi più tiepida.
“Zoro?”
“Mh?”
“Il vento sta cambiando…”
E come un flash se li rivide tutti davanti agli occhi a bordo della Sunny. Diversi nell’aspetto forse, ma con lo stesso spirito di un tempo.
Un esagitato capitano, una donna enigmatica, un curioso cyborg, uno scheletro canterino, una piccola renna, un cuoco casanova, un cecchino nasone, uno spadaccino scorbutico, una ragazzina isterica…
La vita insieme era da sempre la loro avventura migliore.
E l’orizzonte non le era mai parso più bello.
 
 
 
 
 


 
 
 
Angolo Autore:
…e dopo innumerevoli  mesi, ansie e angosce (mie), disastrose scene tagliate, blocco dello scrittore, impegni, ansie e angosce di nuovo, certezze di non riuscire a finirla…. ecco che finalmente riesce a pubblicare l’ultimo capitolo!! Mi sono emozionata da sola! ^^
I bambini sono stati i miei preferiti… li ho immaginati così tanto che spero non siano sembrati troppo finti, fatemi sapere se potete!
So che negli ultimi tre paragrafi mi sono un po’ lasciata andare, ma sono i primi quattro membri! Era quasi obbligatorio che avessero più spazio...
E scusate per la lunghezza spropositata… L avevo deciso di tagliare il capitolo in due parti, ma poi ho pensato, perché devo rompere le scatole ancora di più a quelle buone anime che leggono dandogli la rottura di star là a cambiare pagina? E in più ho ricevuto un fantastico appoggio da una donna meravigliosa che continua a sostenermi sempre e comunque anche quando non penso di essere riuscita a fare granchè… Zomi, sei un mito!! Il pezzo di Usop, Nami e Zoro è tutto per te, perché leggendo le tue ultime storie (tra tutte Caffè al ginseng) mi hai dato l’ispirazione finale per terminare quando credevo che il blocco mi avesse del tutto resa arida! Non smetterò mai di ringraziarti!
Ringrazio infinitamente dal profondo del cuore le belle persone che mi hanno accompagnato fino alla fine… grazie davvero a tutti per le bellissime parole nelle recensioni, aggiungendo la storia tra i preferiti, ricordati, seguiti… non sapete quanto mi abbia reso felice in questi mesi sapere che la mia storia stava piacendo davvero! ^^
È una cosa bellissima e sono un po’ triste sia arrivata la fine, ma tutto finisce prima o poi!
Ancora grazie grazie grazie a tutti!
A presto,
momoallaseconda
 
 

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