Aster

di La Setta Aster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Voce fra le Stelle ***
Capitolo 2: *** routine ***
Capitolo 3: *** Non si è Mai Soli ***
Capitolo 4: *** Nuovi Amici ***
Capitolo 5: *** Gente della Notte ***
Capitolo 6: *** Il 'Miracolo dei 15 Giorni' - fase finale ***
Capitolo 7: *** Extraterrestre, Portami Via ***
Capitolo 8: *** Risposte ***
Capitolo 9: *** Esseri Umani ***
Capitolo 10: *** Maestro e Compagno ***
Capitolo 11: *** La Bestia Dormiente ***
Capitolo 12: *** La Febbre del Sabato Sera ***
Capitolo 13: *** Tavola Fredda Galattica ***
Capitolo 14: *** Space Oddity ***
Capitolo 15: *** Social Network ***
Capitolo 16: *** In Viaggio ***
Capitolo 17: *** L'Arrivo ***
Capitolo 18: *** Stella Cadente ***
Capitolo 19: *** Ospite Inatteso ***
Capitolo 20: *** Pianeta Alieno ***
Capitolo 21: *** Ti Sento in Me... Aster ***
Capitolo 22: *** Qualcosa è Sopravvissuto ***
Capitolo 23: *** Messaggio dagli Abissi ***
Capitolo 24: *** In Pericolo ***
Capitolo 25: *** Bad News ***
Capitolo 26: *** Benvenuti all'Inferno ***
Capitolo 27: *** Coming Back to Life ***
Capitolo 28: *** La Ragazza che Cadde sulla Terra ***
Capitolo 29: *** Echi dal Passato ***



Capitolo 1
*** Voce fra le Stelle ***


La notte si stendeva sopra i grandi occhi neri, pupilla bianco quarzo della ragazza dalla pelle ambrata. Un cielo terso, infinito, nel quale lei amava perdersi, nelle sere d’estate, quando il firmamento era libero da nubi, nudo. Le piaceva lasciar annegare gli occhi e la fantasia in quei miliardi di vicine e lontane stelle. Immaginava di potersene andare da quel pianeta, e vagare per i sistemi, visitando mondi mai visti prima. Desiderava ardentemente abbandonare casa per girovagare a zonzo per la galassia. Voleva vivere la sua vita da ribelle, lontano da gente che le diceva cosa doveva fare e come farlo, per poi sputarle in faccia sentenze su sentenze, senza nemmeno sapere chi fosse lei veramente. Vedeva davanti a se una mensola senza premi, una strada senza ancora risultati, solo sogni. Se solo potessi dar prova del mio talento... facendo ciò che so fare meglio: ciò che amo fare. L’amaca aveva smesso di dondolare già da un pezzo. La ragazza se ne stava sdraiata su di essa, nuda, e con una mano si carezzava il corpo. La mano scivolò fino all’inguine. Ma gli occhi: Quegli occhi così profondi, come lo spazio, non si staccavano mai da una stella, quasi invisibile. Tentavano di mantenere il contatto visivo. La casa, poco distante dal campo dove la ragazza attendeva il sonno, si fece buia: la famiglia di lei stava per addormentarsi. Nonostante questo e nonostante la casa non fosse poi così vicina, lasciò dei leggeri gemiti, sempre più forti, prendere il posto dei sommessi sospiri che l’accompagnavano nelle sere solitarie. Quel momento era solo suo. E la notte lo rendeva libero, ma anche sicuro, e protetto. Da dietro l’albero al quale era ancorata l’amaca si vedeva una delle due lune del pianeta, la più grande, bianca come la neve e solcata da un lato in ombra, che metteva in risalto quello in luce. Sembrava voler dimostrare che non vi è mai una sola parte di luce o una sola parte di ombra. Di lì a poco, anche la compagna avrebbe fatto capolino dall’orizzonte, come un debole sole dalla fioca luce, stanco forse di illuminare tanta ipocrisia. Quella luna era detta ‘la luna ondeggiante’, in quanto, a intervalli di tre ore, sbirciava il mondo da ovest, per poi, un’ora circa più tardi, sparire. Questo moto era derivato dall’attrazione della luna più grande e quella del pianeta. La sfera bluastra che fluttuava di fianco alla ragazza trasmetteva una canzone proveniente da un lontano pianeta, intercettata dalle pattuglie extraplanetarie durante i controlli delle civiltà ‘giovani’. Aster era affascinata da quel pianeta, dalla sua civiltà, dalla sua storia. Le sarebbe piaciuto conoscere un cosiddetto ‘umano’. Amava la loro musica, la loro cultura, la loro arte. Era una civiltà perfetta, e prometteva di entrare a far parte di lì a pochi secoli delle civiltà progredite della galassia. Aster sperava di vedere quel giorno. Solo qualche secolo pensava io sono giovane, una ragazzina! Voltò lo sguardo verso est, e le parve di cadere di nuovo nella realtà da un sogno. A diversi chilometri si stendeva la città di Agora, uno dei principali spazioporti del pianeta Neo Cydonia. Un ricamo di luci – l’autostrada interplanetaria – rattoppava il cielo sopra Agora, delineando le rotte aeree. Due fili luminosi si alzavano solitari per poi perdersi fra le stelle; quelle erano le corsie che dal pianeta conducevano allo spazio: le corsie meta-planetarie. La ragazza amava immaginare le astronavi che trafficavano fra lo spazio ed i pianeti. Fantasticava su avventure meravigliose vissute da uomini e donne d’azione, pronte ad affrontare l’ignoto. Un giorno partirò su una di quelle astronavi, nella corsia meta-planetaria, diretta chissà dove nella galassia! Ci sono tante cose da vedere, tante civiltà da conoscere e scoprire! Vedrò esplosioni solari balenare nel nero, vedrò duplici stelle che orbitano insieme come luna e pianeta. E conoscerò gli umani, imparerò a suonare la chitarra. È una promessa, papà.

Perso chissà dove nella galassia, il padre era stato imbarcato su una nave di soccorso diretta su una colonia, attaccata da una forma di vita predatrice autoctona. Tutto ciò che rimase di lui e del suo equipaggio fu la nave, malandata e dismessa, che ora era di proprietà della moglie, madre della ragazza che ora stava volando con l’immaginazione. Forse fu quel trauma a portare la bambina di allora alle fantasie perdute fra nebulose lontane e pianeti sconosciuti. Riprese a guardare le stelle, nell’ultimo sospiro di piacere dato dalla delicatezza delle sue stesse dita e da un pensiero che ormai da tempo la assillava: un umano. Sognava la Terra con disperata ossessione. Non poteva credere che la galassia fosse tutta lì, nei disastri che si sentivano negli ologiornali, nelle cattive notizie; voleva credere di poter incontrare una civiltà ancora pura, come quella degli umani. Tornò a concentrarsi su quella stella, una volta ritrovata, che – lo percepiva – doveva essere il sistema solare, o forse addirittura la Terra. Fissava, fissava, come se guardandola, essa potesse rispondere. Rivolse qualche pensiero, qualche parola, concedendosi a una fantasia infantile. C’è nessuno lassù? Qui Aster, da Neo Cydonia, alla ricerca di un occhio che come il mio cerca altri occhi puntati a questo telo nero tempestato di diamanti. Questo pensò, e nella testa della ragazza parve giungere un sospiro, una voce perduta nello spazio, giunta fino a lei come attraverso un oceano, a cavallo delle onde. Un altro cuore è diretto verso l’universo, alieno, com’è il tuo pianeta? Aster, da bambina, aveva un’immaginazione fuori dal comune. Lei era in grado di creare mondi e addirittura altre entità pensanti nella sua testa. Poteva intrattenere dialoghi con la sua stessa fantasia, senza prevedere le risposte che essa avrebbe dato. Pensava d’istinto, si potrebbe dire. Ma non riusciva più a farlo da quando aveva abbandonato la fanciullezza in favore della pubertà. Si sorprese grandemente nel sentire la sua fantasia risponderle ancora. Attribuì come causa di quella voce l’aver ceduto a pensieri infantili, come parlare ad una stella con la mente. Ma nonostante la razionalità che stava sempre più imponendosi in Aster, ella decise di arrendersi a quella speranza da bambina, di credere che dall’altra parte della galassia, qualcuno le avesse risposto. Sono sdraiata su un’amaca ormai ferma, la notte è limpida. Tu, misterioso compagno, cosa fai? Anche io sono sdraiato, anche io guardo le stelle, anche io penso a te.

In quel momento, Aster immaginò come sarebbe potuta nascere una storia d’amore con quel dialogo, probabilmente frutto della sua fantasia.

Una storia d’amore fra noi? A distanza di anni luce, dolce aliena, io ti amerei, poiché dal mio pianeta l’amore è fuggito perla paura.

La voce aveva sentito tutto? Doveva per forza trattarsi di qualche suo amico immaginario dell’infanzia. Si ricordò che da piccola faceva spesso quel gioco: si piazzava seduta sull’erba, a qualunque ora del giorno sebbene prediligesse la notte, e, parlando attraverso il microfono di una vecchia ricetrasmittente che le aveva portato l’amico del padre ora carcerato, parlava al cielo; parlava, parlava, e udiva le risposte del suo cuore. Ma stavolta volle credere che non si trattasse di un gioco.

Siamo nella stessa condizione, allora. Rispose Aster anche tu sei molto solo, laggiù?

Ora non più

Ora non più: anche lui ci credeva. Ma adesso era meglio riposare, o il test di guida aeronautica del giorno seguente sarebbe stato un disastro. Tanto andrà male comunque, sono una frana nelle guide.

Vorrei poterti dare una mano, io ho già la patente di guida.

Aveva sentito tutto il pensiero sulla giornata seguente.

Ah, già, voi umani guidate ancora i veicoli di Terra. Beh, non vi ci abituate, non dureranno.

Come sai che sono un umano? Siamo gli unici nell’universo, oltre a voi?

No, ma ho percepito dentro di me che sei umano.

Amica mia, ora riposa, e buona fortuna per domani.

Concluso quel delirante e bambinesco dialogo, che però coccolava come un bagno fresco in una giornata afosa, distolse lo sguardo, facendo cadere il contatto. Aster si rese conto di quanto le fosse stato naturale decidere di credere a quella conversazione con un umano. Era ancora un po’ fanciulla, in fondo, e di questo se ne compiacque a tal punto che comprese di non avere la minima intenzione di crescere, di diventare ‘matura’ e ‘responsabile’, non voleva diventare una ‘cittadina modello della comunità galattica’, voleva essere la pecora nera della famiglia, quella che non dava mai ascolto ai genitori, al costo di farsi male e fare da sola le proprie esperienze. Sì, la sua vita sarebbe stata quella: alla ricerca di voci rimbalzate fra le stelle, messaggi in bottiglia che si adagiano sulla sua spiaggia da chissà quale male, da chissà quale mano. Con la mente ancora lontana da Neo Cydonia, la ragazza dalla pelle color mogano si addormentò, cullata dalla dolcezza della speranza.

*

A diversi anni luce di distanza, ma non così tanti come sembrano, su un pianeta chiamato Terra, una favolosa biglia blu, un ragazzo di paese scrutava lo spazio dalla finestra di un abbaino, in cerca di risposte. Risposte alle mille domande che lo assillavano, ma ad una più di tutte andava cercando risposta: l’Uomo è solo nell’universo? Non si dava pace, non sopportava di credere a quello che dicevano tutti, che in quel grande infinito non ci fossero altri occhi alle stelle, altre speranze, amori, odi, delusioni… rifiutava di sentirsi così abbandonato. Anche perché, se era uno sconosciuto sul suo stesso mondo, dove sarebbe potuto essere ‘a casa’? Sentendo di guardare migliaia di vite diverse, sparpagliate nella galassia e pronte a suonare una chitarra insieme a lui, continuava a vagare con lo sguardo in una timida notte, che si nascondeva dietro stralci di nubi chiare, come la fanciulla nella mente del ragazzo copriva i seni e l’inguine con dei veli di seta. Avvicinò alla bocca una sigaretta, e ne trasse un profondo respiro, per poi sbuffare un nugolo di fumo nell’aria aperta. Poi si alzò in piedi sul letto sul quale era sdraiato e respirò l’aria un po’ più pulita, fresca, ma non frizzantina come quella di montagna. Fumare, non fumare... con tutto l’inquinamento che c’è fra Varese e Malpensa, la mia casa ne è intrisa. Non cambia nulla rifiutare le sigarette. Strade e hotel avevano divorato la maggior parte della natura di quel piccolo paese troppo poco tranquillo, oramai. Nel 2018 l’ambiente non era migliore degli anni addietro, ma solo peggiore. Al telegiornale erano sempre in agguato notizie pessime: nuovi cataclismi naturali, nuove vittime per le guerre, gente che muore di fame, una politica sempre più corrotta, e tante altre disgrazie che gravavano sul pianeta. Ogni tanto il ragazzo si divertiva ad immaginare maniere per sistemare i problemi del mondo. Ma sapeva bene che anche se ne avesse trovate sarebbero state inattuabili. Mi sembra che il genere umano stia correndo sempre più inevitabilmente verso la sua fine. Lo sento nelle notizie, lo vedo nella società. A volte mi vergogno io stesso di essere uno di loro. Gli esseri umani provano un piacere perverso nell’odiare. Ma io no. Perché io no? Io e miei amici preferiamo amare, e per questo ci chiamano ‘sfigati’. Ma chi siamo noi veramente? A volte mi sento un estraneo, come se non appartenessi a questo mondo, come se esso stesso mi volesse indicare l’uscita. Vorrei poter viaggiare per le stelle sulle astronavi di Guerre Stellari, incontrando civiltà meravigliose come quelle dei fumetti di fantascienza. Tra film, e canzoni, e i libri perdo il senso della realtà ma forse quelle sono le cose più reali in un mondo di falsità. Il giorno seguente sarebbe dovuto andare a scuola, e avrebbe passato quelle sei ore a sopportare i soliti insulti, a veder andare in modo disastroso anche l’ultima verifica di latino del quadrimestre, a subire l’indifferenza della ragazza che gli aveva rubato il cuore. Dopo due bocciature, sapeva bene che la scuola doveva essere il suo primo pensiero, ma non lo era; agli insulti c’era ormai abituato, ma a soffrire per l’indifferenza dell’amore non lo si è mai. Si sentiva anche un po’ stupido, a patire tanto per una ragazza, se pensava che nel mondo ci sono persone che muoiono, che al mattino sentono spari invece che il canto di un gallo, che hanno paura per un parente malato, che provano veramente un dolore inimmaginabile, ogni giorno. Ma non poteva farci niente: quegli occhi verdi, con striature marroni e venature azzurre lo avevano intrappolato nel loro sogno. Non aveva mai visto occhi così. Lei andava dicendo che è un difetto genetico. Ma quale difetto? I tuoi occhi sono bellissimi, come fai a non capirlo? Per di più, essendo giugno, l’aria salmastra del mare già s’intrufolava nelle narici degli studenti, e le belle ragazze iniziavano a scoprire le gambe affusolate, le sinuose braccia, e a volte anche i ventri dai fianchi sensuali. James Cervi non amava le ragazze con fisici secchi ed inconsistenti: lui amava le ragazze col fisico giusto, né troppo magre, né troppo grasse, con belle guance, le forme come Marylin Monroe, e anche i seni, che non guastavano mai. Insomma, rifiutava i canoni di bellezza dettati dalla televisione e dalla moda, in favore di ben più meravigliose idee di donna ideale, rubate a Prassitele, scultore greco autore della splendida Afrodite di Cnido, oppure a Skopas, altro eccelso scultore, che con la sua Menade Danzante ispirò l’arte erotica antica e moderna, quella che si basa sul desiderio, non sulla volgarità.

James Cervi, di padre italiano e madre americana, abitava in un paese troppo vicino all’aeroporto di Malpensa, che non aveva mai visto notti così buie e pulite da poter scorgere l’ incantevole via lattea, né, da quando avevano costruito nuove vie di connessione coi paesi vicini, strade tanto pacifiche da poterci camminare nel mezzo, stanchi, magari allegri dopo una bevuta con i veri amici in un locale blues poco affollato, e rigorosamente col naso in su, senza porre attenzione al cammino. Eppure, quella notte, qualche stella caparbia brillava abbastanza forte da permettere alla sua luce di vincere la coltre di inquinamento che soffocava quella parte di Terra. Jim prese a fissarne una in particolare; non sapeva perché proprio quella, ma gli parve che fosse lei stessa a chiedere la sua attenzione. E lui, in un attimo di smarrimento fantasioso, decise di concedergliela. Il ragazzo credette di sognare, quando nella sua testa risuonò una voce, forse femminile, indistinta come un’immagina vista attraverso un velo d’acqua increspata.

C’è nessuno lassù? Qui Aster, da Neo Cydonia, alla ricerca di un occhio che come il mio cerca altri occhi puntati a questo telo nero tempestato di diamanti.   

Questo Jim udì. Ma non poteva essere altro che il frutto della sua immaginazione, doveva essere così. Nonostante questa convinzione, si domandò perché non avrebbe dovuto inventarsi un amico extraterrestre col quale dialogare? Chi lo avrebbe potuto credere pazzo, se quelle parole restavano nella sua mente, dove ogni pensiero è sicuro, protetto, intimo? Così, rispose.

Un altro cuore è diretto verso l’universo, aliena, com’è il tuo pianeta?

Da quel momento, le menti e i cuori di James Cervi, uno sconosciuto sul pianeta terra divorato dalla sua età turbolenta, e quelli di Aster, estranea sul pianeta Neo Cydonia, si toccarono per la prima volta, preannunciando così un legame che supera gli anni luce, un sentimento più forte dei buchi neri, che a loro volta sono considerati la più devastante potenza dell’intero universo. James ancora non sapeva che la sua nuova amica immaginaria in realtà si chiamava Aster, e anche lei, come lui, lo aveva scambiato per una fantasia; che anche lei, come lui, era tormentata dal desiderio di evasione dal proprio mondo che non si accorge della sua presenza; che anche lei, come lui, si perdeva fra libri e film canzoni, nel tentativo di dimenticare il grigiore della realtà; che anche lei, come lui, tendeva gli occhi alle stelle.

Ben presto, conclusa la comunicazione, James fu colto dal sonno, che gli portò sogni dolcemente senza senso, ma con gli schizzi di colore dello spazio che correva oltre quella cornice, oltre quella finestra nel soffitto dell’abbaino di Via del Campo.



ANGOLO DEGLI AUTORI:
Per chi di voi segue la mia storia'I Racconti di Keras il Libro', in Aster troverà moltissime analogie, sebbene sia doveroso precisare che questo lavoro è di gran lunga precedente. Infatti, Aster nasce da un me stesso alle prese con la prima adolescenza. le tematiche che affronto sono le medesime, bene o male: il mondo visto attraverso gli occhi sognanti di un ragazzo o di una ragazza. Questo racconto, però, possiede anche il lato fantascientifico, che mi consente di dare sfogo alla mia passione per la notte. Questo, più di ogni altro particolare, mi preme di descrivere bene. quindi, se la mia storia vi ha lasciato qualcosa, e dopo averne letto questo primo capitolo vi è venuta voglia di guardare il cielo, non esitate a farlo.
_Hanck, de La Setta Krypteia
 

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Capitolo 2
*** routine ***


Il fastidioso rumore della sveglia urtò le orecchie di James, che sapeva di non poterla zittire per tornare a dormire. Fra lamenti e sbuffi esasperati, il ragazzo finalmente si alzò, si vestì, fece colazione, lavò i denti, indossò il suo cappello da cowboy in cuoio, corse verso l’autobus che l’avrebbe portato fino al Viale dei Tigli, a Gallarate, dove stava il suo liceo classico Giovanni Pascoli. Appena entrato, le solite persone iniziarono a ridacchiare facendo la solita battuta “è entrato il vaccaro”. Il tipico ragazzino ben vestito, profumato e imboccato dai genitori si avvicinò a James. “sai, forse dovresti smettere di indossare quel cappello, altrimenti la testa potrebbe andare a fuoco e farti bocciare altre sei volte!”. Altre risate. Incassa, James, resisti ed incassa! “oh, non piangere” continuavano “te li sei voluti tu gli insulti: se vai in giro con un cappello da cowboy non puoi pretendere che la gente non ti prenda per il culo” era proprio ciò che James stava aspettando. “quindi” disse lui “tu mi stai dicendo che è colpa mia se vengo sfottuto a morte, che è colpa mia perché indosso un cappello come questo” si levò il copricapo, poi riprese a parlare “ricordi quel prete che disse che la colpa delle ragazze vittime di stupro era solo loro, perché indossavano vestiti che ispiravano malizia? Ecco, tu sei fatto della stessa pasta, hai fatto lo stesso ragionamento, devi esserne fiero”

L’avversario ridacchiò “e tu devi essere fiero di esserti fatto bocciare due volte”

Codardo. “codardo, quando sei in difficoltà perché le mie parole ti hanno messo al muro fai sempre riferimento a quello, sei patetico”

“le tue parole mi hanno messo al muro?” sghignazzò, per poi scoppiare in una risata forzata, isterica. Poi, si voltò, e si allontanò.

Quale gusto ci prova a recar dolore agli altri? Non capisco. Jim Andò a sedersi, e prese il suo telefonino, al quale collegò un paio di cuffiette, e chiuse gli occhi per ascoltare Sound of Silence, canzone folk satura di significato, del duo Simon & Garfunkel. Subito di seguito, i Black Sabbath presero il sopravvento. L’odio per la razza umana lo pervadeva come un gelo profondo, denti di ghiaccio gli attanagliavano il cuore, massacrandolo. Si sentiva tradito dalla sua gente, che un tempo amava, come amava le persone, prima di conoscerne il loro volto malvagio. Per questo preferiva isolarsi, essere emarginato, insultato, ma con un motivo per lottare. Il sabato la sua rabbia trovava sfogo nelle canzoni che componeva con il suo gruppo: il pomeriggio c’erano le prove, la sera si suonava in qualche locale, a volte. Quando cantava, James gridava contro la società, non importa quale fosse il testo o il genere. Non suonavano quasi mai heavy metal, si mantenevano sul rock, blues e folk, ma quello gli bastava per urlare. James osservava il mondo e tentava di dare un suono a ciò che vedeva. Presto avrebbero avuto successo. Oppure mai; la società non voleva sentirsi dire che il mondo andava male, che bisognava rimboccarsi le maniche per salvarlo, la società voleva dimenticarsi di tutto dietro ad una fallace risata. Se qualcuno tentava di illuminare la verità dinnanzi agli occhi dei ciechi, questi lo prendevano per pazzo. Era più comodo e facile credere che andasse tutto bene. Mentre ascoltava Child in Time gli correvano davanti agli occhi della mente visioni di morte, disperazione, distruzione. Erano immagini atroci, che accompagnate dal maniacale assolo e il testo apocalittico, lo commuovevano, arrossandogli gli occhi. Creava sempre immagini, interi cortometraggi dedicati alla canzone che ascoltava, per accompagnare le note. Mentre si perdeva in quei momenti si sentiva più che mai solo. Tutte le persone intorno a lui non esistevano, erano vermi che strisciavano verso il baratro, e lui sapeva di essere stato colpito in pieno come detrito dalla marea. Provava ribrezzo, guardando i suoi compagni di classe che perdevano tempo senza mai dedicarsi alle persone, al mondo. Preferivano insultare il modo di vestire, la provenienza di una persona, le sue scelte. Una giustificazione per dire a se stessi di avere ragione nel compiere il male di qualcuno la trovavano sempre. Ma James si sentiva superiore a tutto quello. Sapeva che lui e i suoi amici erano diversi da quella incomprensibile massa informe di fango che si spandeva nelle strade. Questo non è il mio pianeta. Non è la mia vita. Voleva parlare alla Terra con la musica, ma troppo pochi potevano sentire. Agli umani piace essere sordi, ciechi, muti, agli umani piace il proprio male, anche se non capisco ancora perché. Finita anche quella canzone – ormai mancava poco al suono della campana – iniziò a tradimento una musica che gli fece tornare il buonumore, e James si dimenticò dell’odio in favore dell’unico vero amore della sua vita, l’unico corrisposto: l’amore per i viaggi. Busindre Reel portò la sua fantasia in luoghi lontani, su isole dalle bianche spiagge calde, con palme ricurve su un mare cristallino. Vedeva un sole dal colore arroventato che s’andava a tuffare nelle chiare e fresche acque. Questo aleggiava nella sua mente, anche se probabilmente Hevia non pensava a quelle immagini, scrivendo quella musica. Nel frattempo, erano arrivati i suoi amici: Paolo, un autentico ‘gigante buono’, Giovanni, un ragazzetto magrolino ed occhialuto, e una coppia di ragazze, Monica e Abigail; Monica era una ragazza piacente, con un paio di occhiali spessi che non guastava la sua bellezza quasi infantile e dolce, sebbene in pochi fossero in grado di notarla, offuscati come sono tutti dalla tv. Ella si era creata un suo mondo nei libri che scriveva, un po’ come faceva James con le canzoni che scriveva e componeva con la chitarra. Il ragazzo, tempo addietro, aveva confessato a Monica di essersi innamorato di lei, ma questa aveva occhi solo per un’altra femmina: Abigail, sosia dell’attrice Natalie Portman, attratta da Monica per la sua propensione al distaccamento dalla realtà. Ora, le due ragazze godevano una relazione felice ed appassionata, con rarissimi litigi. Altri amici attendevano con ansia la sera di quel sabato, per potersi trovare tutti insieme in una serata nel giardino della casa di uno di loro. Mentre in classe si salutavano, fra loro si instaurava un senso di sicurezza, come se il loro affetto potesse creare una barriera difensiva che li proteggesse dal mondo.

*

Aster fu ridestata dalla sveglia squillata dalla sfera che ancora fluttuava al suo fianco. Ben conscia di essere in ritardo, corse verso casa, si fiondò in camera sua per vestirsi, e senza nemmeno fare colazione, prese il primo trasporto che riuscì a trovare per la scuola di volo dello spazioporto di Argo. In poco tempo arrivò alle soglie dell’ elegante edificio puntellato di raffinate torri luccicanti e acuminate che svettavano verso il cielo come spine dal terreno, dalle quali partivano centinaia di navette, trasporti, astronavi e altri velivoli che portavano nel proprio abitacolo un istruttore e un novellino, che sperava di non andarsi a schiantare. Quel giorno, il novellino era Aster. Corse verso l’ascensore gravitazionale che l’avrebbe lanciata al piano della sua navetta, dove l’istruttore la stava già aspettando sotto un arco argenteo, oltre al quale una piattaforma che estendeva verso l’esterno come una linguaccia.

“speriamo che tu non sia in ritardo anche nel frenare in caso di prossima collisione” scherzò l’uomo, paziente e gentile come pochi altri riuscivano ad essere, in quel tripudio di isteria che era il ‘pianeta paradiso’. Pianeta paradiso… pensò Aster lo è solo per i turisti. Ma in fondo anche a me piace, è casa mia, e so di vivere in un posto meraviglioso, vivo in mezzo al verde, con molti campi liberi intorno a me; che c’è chi invece vive in sobborghi di sporcizia e malavita. Ma ciò non mi distoglie dal mio sogno di viaggiare per lo spazio.

“mi scusi, prometto che oggi la guida sarà liscia e rilassante!”

“ ‘liscia e rilassante’ non erano forse gli aggettivi che hai utilizzato prima della guida di settimana scorsa, quando per poco non ti schiantavi sul monte Perseo?” rispose l’altro, con ironia. Aster tacque, un po’ imbarazzata. Entrò nell’abitacolo, che altro non era che una sfera di energia riflettente, solida e che resisteva ad ogni urto, tranne che al fuoco dei laser. Alla vista pareva fatta di vetro intagliato con forme geometriche, ma non era certo altrettanto fragile. Quel materiale, alla base della costruzione galattica, si chiamava hyle, e preso in diverse combinazioni chimiche assumeva diversi colori, diversi stadi, diverse caratteristiche, insomma. Il resto della nave poteva essere un rivestimento di carrozzeria con svariate forme. Il velivolo che avrebbe dovuto pilotare Aster era a ferro di cavallo, costruito con quella che l’umano intravisto in sogno la sera prima avrebbe chiamato ‘materia esotica’, cioè una materia sconosciuta sulla terra, color grigio argentato, chiaro di giorno, molto scuro di notte, flessibile ma solido. Era anch’esso un derivato del hyle. Andò al posto di guida, mentre il suo istruttore si posizionò poco sopra di lei, leggermente spostato indietro, su un sedile che gli permetteva di sdraiarsi comodo. La ragazza posò le ginocchia sugli appositi cuscinetti, mentre i suoi piedi, puntandosi, spingevano due pedali posti sotto i sedili. Era, dunque, in posizione inginocchiata, leggermente protesa in avanti, e il sedile sul quale sedeva fluttuava, di modo tale che la navetta seguisse i movimenti del pilota. Le mani, invece, erano libere di muoversi agilmente sui terminali; questi ultimi, comparvero non appena furono interpellati dalla pilota. Erano ologrammi che inviavano al cervello segnali elettrici, ed essi suggerivano ai neuroni responsabili del tatto che ciò che le mani stavano toccando era solido, sebbene in realtà altro non fosse che un ologramma. Come ultima cosa, indossò un visore simile a dei grossi occhiali luminosi. Poteva vedere anche dietro di se e ai suoi lati, ma con immagini ridotte in confronto allo spazio lasciato per la visuale di fronte. Aster li detestava, e sapeva bene che le sarebbero stati utili solo a scuola di volo, giacché nessuno li usava anche dopo aver superato l’esame. Il velivolo viaggiava con l’Energia Cosmica, un tipo di energia eterna, rinnovabile, pulita e molto potente, che è presente in ogni essere vivente e in ogni spazio fra essi, ciò che non ne è toccato o non è Energia Cosmica è nulla. Essa veniva incanalata nei generatori EC dai Sacerdoti del Terzo Occhio, anziani di ogni specie che meditando e intonando il suono armonico che richiamava e concentrava l’Energia Cosmica – sulla Terra sarebbe stato un La maggiore a 432hz –  riuscivano a plasmarla, per poi metterli al servizio della galassia.   

“bene, Aster, puoi partire”.

Quando il suo istruttore pronunciò quella frase, Aster, sovrappensiero, accelerò talmente improvvisamente che prima di avere la situazione sotto controllo s’intrufolò in una rotta aerostradale, rischiando un pericoloso incidente. La sua prontezza di riflessi fu maggiormente pronta a dominare la situazione piuttosto che a prevenirla. Evitò tutte le altre navi e, meglio ancora, aggiustò la rotta e si mise delicatamente in coda. Dopo un attimo di panico, l’istruttore si mise le mani tra i capelli argentati.

“Aster, non penso che questo vada a tuo favore, sai? Se vuoi posso chiedere se entrare all’improvviso in un’aerostrada possa essere considerato un atto di eroismo”

“chiedo scusa. Ero sovrappensiero”

“non te lo puoi permettere, mentre sei in volo. L’aria è ricolma di pericoli, tanto quanto il terreno lo è per i tuoi umani. Devi stare più attenta, ragazza”

Il suo istruttore non era mai aggressivo con lei, sapeva che non era il tipo di persone che necessita un duro addestramento, ma solo di sentirsi dire dove e come sbagliava in maniera civile. Aster sentiva già troppe parole acide. Le bastò uscire dalla navetta e mettersi sulla strada – a piedi – per la sede d’insegnamento dell’arte musicale. La zona nella quale stavano i due istituti nei quali Aster era abituata andare tutti i giorni da ormai qualche mese, si trovavano nella Zona di Insegnamento e Libera Istruzione, luogo dove risiedevano tutte le sedi dove veniva praticato l’insegnamento di qualsivoglia disciplina. Era il quartiere didattico di Neo Cydonia. Nonostante si dicesse ‘Libera Istruzione’, Aster non era mai stata libera di inseguire davvero i suoi sogni; “non ti porteranno mai da nessuna parte, finirai a fare la guardia ai carcerati, e questo solo grazie al lavoro che faceva tuo padre” le diceva sua madre, facendola sentire oppressa come da un muro d’acqua che la sovrastava e annegava. Tornando al sentiero di raffinati sassi bianchi ben posizionati e levigati che stava percorrendo Aster; usciva da uno degli edifici un gruppo di suoi coetanei, che le si avvicinarono, decisi a seguirla.

“abbiamo visto dalle vetrate la tua manovra da manuale, Aster” disse uno di loro.

“eri distratta, per caso?” disse un altro.

“oh, stavi forse pensando a uno dei tuoi umani? Nudo, magari, e ti divertivi su un suo ologramma, eh?” attaccò una ragazza di quel gruppo.

“sei così ossessionata da loro, forse perché sei una cavernicola come loro… sì, devi essere davvero intelligente se vuoi essere come loro”

A questo punto, Aster perse le staffe, e si voltò. “tu non hai nemmeno idea di chi o cosa siano gli umani, sono io quella che ha passato la sua giovane vita fino ad ora a sognarli. E se tu avessi un minimo di cultura a riguardo, invece di sputare sentenze dall’abisso della tua ignoranza, sapresti che sono in grado di fare grandi cose, di creare meraviglie e di provare sentimenti che esseri infidi e perfidi come te non potranno mai provare! Ah, a proposito, tu che tanto biasimi gli umani per la loro fragilità d’animo, nel loro cedere troppo facilmente all’odio, sappi che sei la prima a renderti fragile nel tuo cedere all’odio nei miei confronti. Fossi in te andrei a casa a sotterrarmi dalla vergogna”

Nessun’altra risposta arrivò dalle labbra velenose di quei giovani; solo insulti senza senso. Ma Aster non ci faceva più caso: aveva vinto. Persone come loro si vedono sempre come stereotipi della cattiveria in svariati film e racconti umani. Ma se sono consci di essere stereotipi negativi, perché perseverano nel loro errore? Fra se e se pensò che forse erano stati i filosofi umani ad ispirarla nell’arte della retorica, arte che da sempre coltivava con successo.
Presto giunse alla sua destinazione, e seguì con molto interesse la lezione sulla musica. Ma purtroppo non sarebbe mai bastato: per poter progredire di livello istruttivo ed accedere a nuove facoltà, nuovi istituti, avrebbe dovuto ottenere valutazioni positive in ognuna delle precedenti, non solo quelle che le interessavano. Era un sistema molto semplice, quella scolastico, ma insensato, nel pensiero di Aster. Lei aveva un’idea di scuola e didattica tutta sua, decisamente rivoluzionaria. Tant’è che lei non aveva alcuna voglia di sprecare il suo tempo, il suo cuore e la sua fantasia in lezione che non le interessavano minimamente. Tanto me ne scorderò appena passati i test, possono starne sicuri! Non sarei mai utile alla società galattica in questo modo, quindi insegnarmi ciò che io non voglio imparare è pressoché inutile. Dentro di lei una voce tenue le diceva che stava sbagliando, che non si può pensare di vivere facendo solo ciò che piace, che la galassia non gira in quel modo. Aster sapeva di essere ancora una ragazzina ingenua, ma rifiutava quel pensiero. Perché? Si chiedeva Perché la gente non può vivere di ciò gli piace? Sembra scontato che sogni siano per i ragazzini e le ragazzine sciocchi come me. Ma io so quello che voglio, e anche se sto sbagliando voglio sbagliare con tutta me stessa, che bruci ‘fare la cosa giusta’, se devo vivere in una maniera che non mi piace! Non finirò come una donna di mezza età che tira a campare, che lavora solo per portare a casa il pane, io voglio andare a letto col sorriso stampato, da adesso fino alla vecchiaia, per la miseria! Sulla strada di casa, osservò sopra di lei la Luna Bianca, schiaffeggiata dalla forte luce del sole. La luna rimaneva sempre più o meno nella stessa posizione, ruotando insieme al pianeta, e fino al tramonto il sole la illuminava, prima di nascondersi alle sue spalle. Aster pensò che era triste guardare un corpo celeste così dolce e sapere che era un rifugio per criminali e malavitosi: la Luna Bianca, o Galata, era la grande prigione nella quale venivano rinchiusi i detenuti del pianeta. Vi era un’immensa struttura sotterranea, un vero e proprio mondo sotto la superficie lunare, nel quale i carcerati venivano scaraventati; non vi erano sbarre se non i portelloni degli ascensori che portavano nuovi detenuti in prigione, ed erano strettamente sorvegliati. Qualunque cosa, qualunque mondo emarginato ci fosse stato sotto Luna Bianca, era giurisdizione dei detenuti stessi. La ragazza si immaginava sempre quei luoghi a metà fra la Los Angeles di Blade Runner e la New York di 1999: Fuga da New York, due dei film terrestri che aveva visionato più volte, sempre con grande passione. Aster, quando era una bambina, vedeva la grande Luna Bianca sopra la sua testa occupare una buona parte del cielo, e le sembrava meravigliosa, così illuminata dalla luce del sole, da sembrare un’immensa sfera di marmo eburneo. Quando scoprì cosa fosse in realtà, sotto quel manto candido, ebbe paura che i criminali potessero caderle addosso. La paura passò con l’età, e anche la convinzione che quel luogo fosse malvagio. Un amico di suo padre, una persona che sapeva sempre far ridere Aster, e di ritorno da ogni viaggio intergalattico le portava un oggetto esotico, che ora arricchiva la collezione della ragazza, quella persona così allegra era fra i condannati all’ergastolo in quell’incubo; le accuse erano contrabbando e omicidio di un medico che pretendeva una cifra smisurata per le medicine senza le quali la moglie dell’uomo sarebbe sicuramente morta. Lo fece. Dopo aver folgorato il medico, rubò tutte le scorte di medicinali che aveva, e, avendone tenute per se una parte relativamente piccola, iniziò un vero e proprio contrabbando di infusi di erbe e fiori che su Neo Cydonia non crescevano nemmeno. Ripensando a quell’episodio, Aster si rese conto di quanto, in realtà, nessun crimine è compiuto con la volontà di fare del male, se non quello di un pazzo: ogni crimine è compiuto per fare il proprio bene, o quello di una persona cara. Chi ruba, di norma, è chi ha bisogno di soldi; chi uccide, di norma, lo fa per ira, per gelosia, per disperazione, e in ogni momento chi compie il misfatto è convinto di poter migliorare la propria condizione tramite esso.

In mezzo a millemila pensieri e fantasie, in mezzo alle mute parole della madre di Aster, che la rimproverava dicendole di dover mettere più impegno nella propria istruzione e asserendo che suo padre sarebbe deluso, in mezzo alla luce del sole che percorreva l’arco solare, fino a sparire dietro alla Luna Bianca, la giornata di Aster si concluse. Guardava dal soffitto trasparente della sua camera la luce grigio-rosata del sole che si nascondeva dietro al biancore della luna più grande. Una lieve curva si intravvedeva oltre l’orizzonte: era Kuma, la luna che ondeggiava da un tropico fino al polo sud, creando così le grandi maree degli oceani sub equatoriali, e di conseguenza animali che avevano trovato maggiore sicurezza negli abissi più profondi.

Presto ci sarebbe stato il Flogos Kron, un periodo ti tempo che preannuncia la notte nel quale il sole supera la Luna Bianca e ricompare come barlume di luce arroventata, un nastro di seta infuocata, nascosta da una parte da Kuma, dall’altra da Galata, quasi come se il sole volesse a tutti i costi illuminare Neo Cydonia, ma non riuscisse mai a passare. Nella zona temperata, poco più in alto del tropico nord, vi erano alcuni periodi in cui Kuma spariva del tutto, e la Luna Bianca si scostava leggermente, ma mai abbastanza da consentire al sole di regalare a Neo Cydonia un tramonto completo, che permeasse tutto ciò che gli occhi potessero vedere. Aster amava immaginare come potrebbe essere un tramonto come quelli visti nei film terrestri, però sul suo pianeta; la luce rossa accecante pervade ogni cosa, rende cremisi i campi, le valli, i monti, e luccica sulle torri dello spazioporto e delle sedi d’istruzione nel quartiere didattico. Ma sapeva che un giorno avrebbe almeno visto la Terra e i suoi colori, e i suoi tramonti, e i suoi abitanti.

La notte prese il sopravvento, e con lei spuntò finalmente la stella che Aster ormai chiamava Terra. Tornò a puntarla come con un laser. Sentì ancora che l’amico alieno stava guardando il cielo, come la sera prima.

Amico mio, dimmi: anche da te le persone sembrano nate per odiare ed essere odiate?

Sai, stavo giusto pensando la stessa cosa, è tutto il giorno che mi frulla per la testa. È incredibile che dovunque la questione si ripeta! Io e te abitiamo ad anni luce di distanza, eppure pensiamo le stesse cose della società!

Anche tu sei un sognatore che combatte tutti i giorni contro tutto e contro tutti?

Anche tu sei una superstite, che sopravvive giorno per giorno solo perdendosi in mondi che nemmeno esistono?

Siamo davvero simili, io e te.

Sì, lo siamo. Ora perdonami, devo dormire. Buonanotte, amica mia.

Buonanotte, alieno.

*

Era la seconda notte che James sentiva quella voce, e già gli appariva naturale. Era come se quella conversazione andasse avanti da sempre, oppure come fossero due chiacchiere con una vecchia amica, una persona che lo conosce bene, e lo capisce. L’ora era troppo tarda perché Jim proseguisse coi suoi pensieri, e il sonno lo sconfisse.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Questo capitolo vuole mostrare com'è la vita quotidiana dei nostri due protagonisti, James sulla Terra, Aster su Neo Cydonia. Permane quella disperata voglia di fuggire lontano, che tanto era cara alla musica e al cinema degli anni '60 e '70. Qui mi sono anche cimentato nelle descrizioni del pianeta alieno, dalle strutture come lo spazioporto di Argo, ai particolari del paesaggio naturale, come le due lune. Spero veramente vi piaccia il mio modo di immaginare l'universo e i suoi infiniti mondi. 
_Hanck, La Setta Krypteia
 

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Capitolo 3
*** Non si è Mai Soli ***


Aster aspettava da tanto tempo quel momento: il ritorno della sua migliore amica, la sua unica amica. Era partita per partecipare a una ricerca archeologica, lei studiava le civiltà antiche dei vari pianeti, trovando le analogia fra loro. Era una ragazza giovane, ma estremamente intelligente. In quanto i pianeti della galassia a poter vantare resti di civiltà antiche  intelligenti – che si siano evolute o meno in civiltà moderne – erano milioni, se non addirittura miliardi, la strada era ancora colma di scoperte che giovani storici e archeologi in erba avrebbero potuto compiere. Hypatia, così si chiamava la ragazza in questione, si appoggiava alla teoria che ogni civiltà di ogni pianeta abbia dovuto seguire un unico filo conduttore, che ogni specie intelligente si sia evoluta nella stessa maniera, seguendo uno schema di età ben preciso: età neogenia, che è quella di passaggio dallo stadio quadrupede a quello eretto, e che comprende quella parte di storia che precede l’invenzione della scrittura; età infantile, che ingloba in se le età del bronzo e del ferro, e si protrae fino all’invenzione dell’acciaio e\o dell’energia a vapore; segue l’età fanciulla, turbolento periodo in cui la tecnologia consente di progredire tanto nell’evoluzione quanto – attraverso guerre e distruzioni – a una maturazione sociale e culturale; ora giunge l’età che Aster preferiva, per quanto riguardava la Terra: l’età adolescente, che sul pianeta azzurro cavalca il Novecento, scontrandosi con l’età fanciulla nel bel mezzo di esso, e che è caratterizzata da una presa di coscienza (gli anni ’60 e ’70 per David Bowie) che segue il sopracitato periodo di guerre e distruzioni, riscontrabili nella storia umana come le Guerre Mondiali; questa fase dura solo un paio di secoli, a volte anche meno, e si conclude con l’età matura, in cui l’assetto politico e sociale inizia a stabilizzarsi, e si incominciano a superare ostacoli all’evoluzione come il razzismo e le classi, prendendo il via verso l’età adulta, che può vantare i primi viaggi spaziali verso altri pianeti e le prime colonizzazioni. Inoltre, ogni età fino a quella adulta porta con se un livello di autodistruzione: ogni civiltà necessita di farsi guerra ed autodistruggersi per poter scoprire nuove tecnologie – in quanto la guerra è ottimo espediente per l’evoluzione tecnologia – e per essere in grado, dopo l’età adulta, di comprendere il valore della pace. Questa è una congettura poco accreditata, ma Hypatia decise di seguirla ugualmente. Secondo tale ipotesi, ogni civiltà, prima di giungere al volo spaziale, deve necessariamente aver superato ogni genere di odio, altrimenti non si spiegherebbe come il superamento di una scoperta come quella dell’Energia Cosmica (tutte le civiltà galattica sono giunte prima o poi a scoprirla, per viaggiare nello spazio esterno al proprio sistema solare attraverso al manovra di curvatura, e quindi in un tempo brevissimo) possa essere avvenuto senza una totale autodistruzione. Occorre, pure, una grande saggezza per comprendere tale energia, o essa sarebbe in grado di portare un intero pianeta – se non una galassia o addirittura l’universo – alla sua estinzione. Ma allora come mai la galassia nella quale Hypatia e Aster vivevano non conosceva la pace universale descritta dalla teoria come fosse un’utopia? Come mai ancora regnava il degrado? Dei confusi reperti rinvenuti su alcuni pianeti, come ad esempio Marte nel sistema solare, lascerebbero immaginare che la civiltà galattica che venne prima di quella attuale si fosse trovata ad affrontare una misteriosa minaccia, forse la ribellione di macchine da loro create (che implica quindi la creazione di un nuovo ciclo di età dedicate ad una civiltà sintetica intelligente destinata ad evolversi), e quindi fosse stata costretta a creare delle armi. Questa civiltà, che viene chiamata degli Arcaici, svanì, forse sconfitta dalle macchine che poi, col tempo, non avendo uno scopo, smisero di riprodursi (lo scopo istintivo degli organici è procreare, ma non quello di creature sintetiche, e rimanere senza uno scopo è una situazione fatale per ogni specie), ma lasciò come eredità una tecnologia che prevedeva l’uso di armi. Ora, la civiltà galattica attuale ebbe un periodo buio, un enorme ‘buco’ nella storia, che impedisce di conoscere come si sia venuti in possesso di tali tecnologie, quindi anche in questo caso la strada è aperta ai teorici. Morale, la galassia era sconquassata da diversi conflitti armati. Ma non è finita qui: si teorizzano anche altre due età, che però nessuna civiltà vivente della galassia aveva ancora raggiunto, quella anziana e quella occidente; la prima è una età talmente avanzata che la saggezza è ormai parte della vita quotidiana, e ognuno prende piede alla vita dei suoi coesistenti, e si è in totale armonia con l’Energia Cosmica, che ormai è compresa da ogni individuo. Sarebbe durante questa età che avviene la totale pacificazione e l’abbandono delle armi. Infatti, se si raggiunge la sopracitata armonia con l’Energia Cosmica, non si deve temere alcun male dalla natura, non vi sarebbero più feroci bestie aliene pronte a sfamarsi delle carni dei coloni planetari. Persino gli edifici naturali prenderebbero il posto di quelli artificiali, e questo spiegherebbe la mancanza di antichissime rovine delle scorse civiltà che avevano raggiunto l’età anziana. La seconda è un mistero: durante quest’ultima, la galassia è scenario di una pace che regna sovrana, e non vi sono più differenze di specie, nessuna appartenenza a determinati pianeti, e bastano pochi secondi per attraversare lo spazio. Ma cosa accade dopo è un arcano anche per i teorici. Probabilmente si abbandona la vecchia galassia, pian piano si lascia casa alla ricerca di nuove risposte a nuove domande, finché tutto ciò che resta della antica civiltà non è che fumo e polvere.
  
Questi i pensieri che spesso Hypatia esponeva ad Aster, intrattenendo con lei i più costruttivi dialoghi mai avuti da giovani di Neo Cydonia, nell’ultimo decennio. E adesso avrebbero finalmente potuto parlarsi di nuovo faccia a faccia, per ore. Ma per il momento, le due si persero in un abbraccio fraterno e gioioso. Erano davanti alla rampa dalla quale Hypatia era scesa, insieme ai suoi compagni di ricerca, dal Trasporto Passeggeri Mesa-planetario (TPM, o più semplicemente Trasporto). Si trovavano a diversi di metri di altezza, e la banchina era solo una delle centinaia che fuoriuscivano da quella torre argentea, del tutto simile a quella dalla quale Aster era partita durante l’aeroguida con l’istruttore. Ora però le torri erano talmente tante da occupare l’orizzonte: era l’immenso e appariscente spazioporto di Argo, che si estendeva fino a confondersi con la città, sede turistica del pianeta. Aster si scostò dall’abbraccio, e la squadrò un poco: era dimagrita, probabilmente per le fatiche del lavoro, e per qualche pranzo saltato, ma non perdeva la sua bellezza. La pelle, in netto contrasto con quella di Aster, era chiara come la superficie di Galata, e gli occhi completamente azzurri, come se dentro di essi nascondesse un mare intero. Solo un paio di pupille nere – come quelle degli umani – si distinguevano. Il naso calava diritto dalla fronte, delineando un perfetto profilo greco, che Aster ben conosceva, sebbene il suo naso fosse più simile a quello delle popolazioni autoctone del Kenya sul pianeta Terra. Oltre al corpo, invidia di molte ragazze di Neo Cydonia, ma mai messo al servizio della banalità, si notavano senza dubbio i capelli, rossi come un tramonto africano, avrebbe detto la ragazza dalla pelle ambrata.

“devi raccontarmi ogni dettaglio, anche come andavi al cesso!” disse emozionata Aster.

“ti dirò tutto, ora vieni a casa con me, ho un bel po’ di fame e non vedo la mia cameretta di due mesi!” rispose lei.

*

Quella mattina, la vittima degli insulti non era James, ma Monica. Il ragazzo avrebbe preferito essere preso di mira, piuttosto che veder soffrire un’amica. Preso dall’ira, non aveva nemmeno provato a rispondere: che dire, dinnanzi a tanto odio? Cosa può il buonsenso e la retorica contro un odio tanto ignorante e folle? James non rispose, ma scaraventò il ragazzo contro la cattedra, facendogli urtare lo stomaco contro lo spigolo. Avendo appena fatto colazione, essa si ripresentò presto, e finalmente la bocca di quell’ignobile individuo fu utile a rigettar spazzatura. La cosa che divertì Jim fu che per evitare di venire considerato ‘uno spione’ o ‘una mammoletta’ dalla classe, si rifiutò di dire che era stata opera di James Cervi. “che la mia generosità ti sia di esempio, Cervi” gli disse, ma la risposta non gli fu favorevole: “ma quale generosità? Avevi solo paura che tutta la sezione B ti considerasse come uno che va a lagnarsi dai professori invece che risolvere i problemi, a partire da te stesso” non capisco, è stato in grado di evitarmi una visita in presidenza, sapendo che nella mia situazione mi sarebbe potuta costare la bocciatura, pur di mantenere una reputazione che non gli si addice?

Portò Monica in biblioteca, durante l’ora buca che sarebbe seguita, unico luogo sicuro della scuola, per dei reietti come loro. La prese fra le braccia, stringendole le spalle.

“non dirlo ad Abigail, lei sa come essere crudele coi suoi nemici, non voglio che lo sappia”

“non ti preoccupare, Monica, la tua ragazza non lo verrà a sapere… non da me, almeno”

Monica singhiozzava sommessamente. Le aveva detto, il verme, di essere “brutta, lesbica, e l’’ingiustizia vuole che sia fidanzata con una ‘gnocca’ come Abigail, che spreco”, e altre offese che andarono solo ad aggravare la situazione fragile della ragazza.

“resisti, amica mia, fra poco partiamo, ce ne andiamo da questa città e andiamo a suonare in Toscana! E ti voglio carica per spaccare, con la tua batteria!”

Proprio in quel momento, guidata forse dal pianto di Monica, si fece viva proprio Abigail, che chiese immediatamente spiegazione. La ragazza in lacrime dovette faticare per impedire che si compisse una strage, ma alla fine si sedettero tutti e tre ad un tavolo, tutti lì per consolare Monica. Nel momento del bisogno, è dovere degli amici aiutare, sempre.

“ti hanno detto che sei brutta e che è uno spreco che tu stia con me?” ripeté Abigail “ebbene, possono considerarmi ‘gnocca’ quanto vogliono, ma non mi avranno mai, nemmeno se non fossi lesbica; io voglio te, e solo te, e ti trovo la creatura più sexy sulla faccia della terra! E poi sai quanto adoro accarezzarti mentre sei sdraiata sul letto…”

“va bene, forse è il caso che io vada, ora, vi lascio sole” ridacchiò Jim, mentre Monica era già tornata a sorridere, pensando ai momento più intimi con Abigail.

“vai, Jim, mi è parso di vedere Giovanni, da qualche parte, ma Paolo ed Edoardo credo se la siano bigiata insieme” disse Abigail, ridendo.

“che bifolchi!” così dicendo, fece per andarsene, ma fu richiamato da Monica.

“Jim!” si voltò, incontrando gli occhi della ragazza “grazie” disse poi sorridendo.

Di tutta risposta, James recitò “fere kardìa”, citando l’Odissea, ‘sopporta, o cuore’, era la formula che utilizzavano fra di loro per darsi manforte.

fere kardìa” ripeterono in coro le due ragazze.

Con questo saluto, James prese l’uscita della biblioteca, diretto al bar per il secondo caffè nel giro di un paio d’ore. Fu lì che trovò gli inconfondibili occhiali e il caratteristico aspetto da ‘nerd’ di Giovanni. Appassionato di fumetti, era il talentuoso tastierista del gruppo. Stava leggendo Death Note, uno degli episodi finali, seduto da solo ad un tavolino, con una brioche abbandonata a metà e una tazzina vuota.

“Gio!” lo salutò. Ma come risposta, il ragazzo alzò una mano in segno di silenzio: stava finendo di leggere, gli mancavano poche pagine. Jim attese con pazienza, mentre si sedeva al tavolo con lui. Ci mise poco, l’amico, a divorarsi quegli ultimi fogli di carta, che per un occidentale sarebbero stati scambiati per l’inizio del libro (i manga, fumetti giapponesi, si leggono partendo da quella che per un europeo o un americano sarebbe stata la fine).

“Jim” lo salutò infine, offrendogli il palmo da battere.

“finito il tuo fumetto?”

“è meraviglioso, non so come tu faccia a non amare i fumetti e i cartoni giapponesi”

“beh, Death Note mi piace, insieme al capolavoro Cowboy Bebop, mi sono pure scaricato le colonne sonore!”

“ma tu ami solo un dieci percento dell’infinito universo della cultura fumettistica giapponese!”

“sei tu il nostro esperto, io sono il malato di cinema e di rock n roll!”

Giovanni interruppe la conversazione per mettere via il fumetto e finire di mangiare la sua colazione. Nel frattempo, James gli domandò se fosse al corrente di quello che era successo a Monica.

“no, che le è successo?” chiese il compare mentre masticava.

“era in lacrime, l’hanno insultata tanto da costringerla a piangere”

“figli di cagna! Non si vergognano mai di loro stessi! Ma fra poco prenderò la cintura nera, mi manca solo l’esame, e poi vedi che mazzo quadruplo gli faccio!”

“persino un pacifista come me sarebbe d’accordo: dove i genitori falliscono arriva la Setta Krypteia!”

“giusto, a quella gente manca qualche calcio nel sedere dai genitori”

“per una volta che gli adulti possono rendersi utili” rise Jim.

Poi, cambiando argomento, passarono a parlare della loro vacanza imminente.

“sei pronto alla Toscana, Gio?”

“finché ci offrono l’alloggio in cambio di serate, certo!”

“beh, abbiamo un repertorio bello vasto, ogni sera due ore di concerto e non possiamo ripetere canzoni già eseguite a meno che non le chieda il pubblico”

“cominciamo con una canzone tratta da un album dei Led Zeppelin per ogni sera”

“anche più di una! E mi raccomando, Giova, nelle canzoni dei Deep Purple devi essere all’altezza della tastiera di Jon Lord”

“ci provo, ma lui è l’unico vero… Lord della tastiera!”

Giovanni era famoso per le sue battute squallide. Lo squillo della campanella fece sapere ai ragazzi che era giunto il momento di rientrare in classe. James dovette salutare il compagno, in quanto frequentavano classi separate: Giovanni non era stato bocciato neanche una volta, ed aveva un anno in meno di James, quindi frequentava l’anno successivo. Era imbarazzante pensarlo, per Jim, ma nessuno, nella Setta Krypteia glielo aveva mai fatto pesare. Quel gruppo di amici era tutto ciò che aveva, e la sua unica ragione per essere felice. Sapeva di essere molto fortunato, per quello, e sapeva anche che senza di loro non sarebbe mai riuscito a sopravvivere in quel mondo. Era grato di ogni parola che riusciva a scambiare con loro. Non era grato ad alcun dio, egli non era credente, ma voleva essere grato proprio ai suoi amici, per esistere, per essere così come erano, con la promessa di non cambiare mai. Eterni giovani come Peter Pan, destinati a vivere per sempre in un sogno, tentando disperatamente di avverarlo.  

*

Hypatia si gettò sul letto come se il suo corpo fosse solo un supporto per i vestiti. Aster si sedette accanto a lei, aspettando che iniziasse a raccontare.

“allora, Hypatia, dimmi che hai visto, che hai fatto, se ti sei divertita, tutto quanto!” domandò curiosa.

“no, non se ne parla, Aster, sentirai tutta la storia che ho da raccontare stasera, alla festicciola che ho organizzato qui a casa col mio gruppo di ricerca”

Aster vide svanire il suo sorriso. Si sentì pugnalata alle spalle, tradita. Un’altra dimostrazione che l’universo non era posto per gente come lei. “come festicciola? Gruppo di ricerca?”

Hypatia si mise seduta, guardando Aster negli occhi. “Aster, tu resti la mia migliore amica, senza la quale non vivrei, ma questo viaggio mi ha fatto capire che esistono altre persone con le quali due come noi starebbero bene per una serata”

Aster non rispose.

“non sei sola, Aster” la voce dell’amica era carezzevole.

“va bene, Hypatia, proverò a fare amicizia, questa sera”

“però non fare come al nostro solito, ci conosco e ti conosco troppo bene: quando ci invitano alle feste e ci fanno sentire in colpa se non andiamo ce ne stiamo in disparte per tutta la durata dell’evento finché non sono loro a sentirsi in colpa; quindi, promettimi che non farai così”

“d’accordo, te lo prometto, ma per il momento ci resta ancora un pomeriggio intero da passare insieme, dico bene?” Aster sperava di poter strappare a quella giornata almeno qualche ora da sola con la sua migliore amica.

“se mi fai i tuoi occhioni dolci e ci mettiamo comode potrei anche raccontarti il viaggio in anteprima, ma solo perché sei tu, e per le immagini e gli ologrammi dovrai attendere stasera, intesi?”

“intesi, e ora forza, mettiti vestiti comodi e stendiamoci sul letto come se fossimo ancora bambine!” disse, convinta ora di non aver affatto perso una sorella.
Aster raccontò a Hypatia delle sue notti, delle sue deliranti fantasie sull’interlocutore alieno. Era strano come di giorno quelle apparissero follie, mentre di notte prendevano un senso e diventavano concrete, un po’ come la paura del buio. L’amica ascoltava, senza mai pensare che Aster fosse pazza o ridicola. Era solo diversa da come gli altri avrebbero voluto vederla, sincera con se stessa. E poi, se lei era considerata strana, il resto della galassia doveva essere davvero un agglomerato di pazzie.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
In questo capitolo i personaggi presentati sono senza dubbio molti, in confronto ai solitari capitoli precedenti. Qui si possono riscontrare per la prima volta alcune delle caratteristiche che rendono gli amici di James ed Aster persone del tutto fuori dal comune, ma non così distanti da un ipotetico lettore (anch'egli senza dubbio fuori dal comune, ndS). Si accenna anche a La Setta Krypteia, piccola concessione alla nostra casata, che però vede membri con particolari che si differenziano da quelli reali o addirittura individui inesistenti all'interno della Setta. Ma che dire? era un modo per sentirci parte della storia. Nella versione originale di Aster non dovevano esserci riferimenti, anche perché noi non esistevamo ancora. Fu Hanck, autore di gran parte del racconto, a decidere di cambiare qualcosa, di rendere il tutto più vicino a noi. La verità è che lo stesso manoscritto originale non esisterà più, di qui a qualche capitolo, vediamo aggiungersi personaggi, episodi, cambiano gli eventi, e poi ci sono altri autori che mettono il loro zampino creativo. Questo capitolo, ad esempio, ha ricevuto solo la supervisione di Hanck, e queste note le scrive un autore anonimo della Setta, me medesimo. Unica parte scritta interamente da lui è la parentesi dedicata alle teorie sull'evoluzione galattica, tratta da appunti presi sa un foglio volante dimenticato nel dizionario di latino. Speriamo tutti che sia riuscito a farvi comprendere le sue congetture (che sembrano seguiti di una cena a base di... funghi! ndS). Ora basta, sto rubando spazio alla storia. Un saluto a chiunque ci stia leggendo, non esitate a farci sapere se vi piacciamo! 
_ La Setta Krypteia 

 

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Capitolo 4
*** Nuovi Amici ***


Aster era tremendamente in ansia per l’imminente serata. Incontrare altre persone le creava non pochi problemi, non pochi quesiti. Che persone erano? Cosa avrebbero pensato di lei? Si sarebbe potuta fidare? Le sue esperienze con la maggior parte di Cydonensi si erano rivelate dolorose, e in seguito a queste ultime era divenuta meno fiduciosa e molto più guardinga nei confronti di chiunque. Attendeva il campanello con implacabile angoscia. L’amica se ne accorse, e posandole le mani sulle spalle le disse che sarebbe piaciuta a tutti quanti, che erano tutti fatti della stessa pasta con cui erano fatte loro, introversi e timidi ricercatori che preferiscono la compagnia di rovine e antiche tombe che quella degli altri. Si erano trovati grazie a quel viaggio, e avevano tutti gli stessi interessi.

Durante l’attesa le due ragazze si improvvisarono modelle, indossando tutti i vestiti disponibili in quella casa alla ricerca di quello giusto per la serata. Quando Hypatia propose ad Aster una serie di vestiti decisamente scoprenti, corti e che avrebbero messo in risalto le sue forme, ella si domandò se l’amica non stesse cercando di trovarle un ragazzo.

“ma no, Aster! È solo che non indossi mai vestiti, e sei bellissima, ti starebbero una favola!”

“non sono bella, non secondo il novanta per cento delle persone abitanti in questa galassia”

“non così tanto, piccola, chi non ti vede bella sono solo i ciechi, quelli che non guardano la bellezza, ma la popolarità” disse Hypatia “e ora forza, spogliati e indossa quest’altro vestito, quello col triangolo che scopre l’ombelico”

Devo anche mostrare il ventre? Per chi mi devo far carina? Inizio a preoccuparmi.

Mentre Hypatia tentava di chiudere un vestito che ormai le stava largo, accompagnata dalle risate e dai commenti di Aster “sei dimagrita troppo”, una voce risuonò per il locale attraverso il collegamento vocale, l’evoluzione del terrestre citofono.

“Hypatia, siamo noi, apri!” insieme a quella voce maschile si udivano altri schiamazzanti suoni.

“apertura porte” ordinò la padrona di casa, levandosi gli indumenti e optando per uno dei pochi abiti che ancora aderivano bene ai suoi fianchi troppo snelli.

Quando Aster sentì che era scattata la serratura, l’ansia crebbe tanto che provava l’impulso di fuggire. Le due amiche si diressero verso la sala, di modeste dimensioni e che presentava un tavolino in vetro indurito davanti ad un morbido e largo divano; due poltrone di tessuto verde erano poste di fronte ad esso. Il proiettore olografico che faceva da muro, in modo tale che sedendosi sul divano lo si sarebbe potuto osservare, in quel momento era spento, e lo schermo si era fatto trasparente per fungere da grande finestra che correva lungo tutta la parete. Il branco di ragazzi e ragazze si era riversato nella sala, occupando il divano. Approfittando di quel momento, in cui nessuno si era ancora accorto di lei, Aster prese posto su una delle due poltrone. A lei, però, si avvicinò un ragazzo, appartenente ad una specie galattica chiamata N’Krì, e infatti presentava tutte le caratteristiche degli abitanti del pianeta N’Krizàdan: pelle grigia, con svariate tonalità, grandi occhi sporgenti, protetti da lunghe ciglia e folte sopracciglia; il naso era totalmente inesistente, sostituito da una sottile membrana che ricopriva due piccoli fori al centro del volto, in modo tale da filtrare l’aria respirata come nessun altra specie della galassia era in grado di fare. Infatti, la milizia N’Krì veniva usata nelle missioni all’interno di zone intossicate da veleni e gas nocivi, in quanto non avevano bisogno di maschere né di ossigeno, gli bastava non utilizzare la bocca per respirare; motto dei soldati: “tappiamoci la bocca!”, e a volte utilizzavano del nastro adesivo o altri espedienti ingegnosi per non aprire mai le labbra. Questo ragazzo N’Krì, insomma, si avvicinò ad Aster con fare timido, ma tutte le intenzioni di essere amichevole.

“ciao” disse semplicemente “tu devi essere Aster, Hypatia non faceva che parlare di te, sei l’unica cosa che le è mancata di casa sua, e le sei mancata veramente tanto, credi a me”

Rimase colpite dal sentire quelle parole. Ma era ben lungi dal fidarsi di quell’individuo.

“anche lei mi è mancata molto” rispose. 
 
In quel momento, Hypatia si accorse che ancora non aveva presentato Aster ai suoi nuovi amici. “signore e signori, gente che ha dedicato la vita a studiare gente morta da milioni di anni, vi presento l’unica persona vivente che vale davvero la pena di conoscere, Aster!”

La ragazza arrossì, mentre tutti quanti si avvicinavano per conoscerla, per stringerle la mano, per salutarla. Il ragazzo che per primo le si era avvicinato fu scostato dalla folla. Si sentiva un poco oppressa, ma mai tante persone erano state ansiose di conoscerla. Ma quanti loro non avrebbero poi parlato male di lei con Hypatia? E se anche la sua migliore amica fosse parte di quel girone infernale in cui si rinnegano gli amici in cambio della popolarità? Non ci poteva credere, e si consolò del fatto che le sue non erano che congetture, e non avevano alcun riscontro nella realtà. Sono solo sociopatica, tutto qui.

Di lì a poco, il tavolino era stracolmo di bevande alcoliche e cibi non esattamente salutari, ma sicuramente buoni. Aster era brilla, ma questo la aiutò grandemente nel socializzare. Hypatia stava raccontando tutte le sue avventura. Era principalmente diretta ad Aster, che non conosceva gli avvenimenti di quel viaggio di ricerca, ma era anche un modo per ricordare con allegria l’esperienza appena trascorsa.

“… e quindi ci trovavamo davanti ad una scelta: obbedire al nostro capo e lasciar perdere il sito 22 oppure proseguire con gli scavi, a costo di farci crollare tutto in testa”

“e che avete fatto?” domandò Aster, curiosa.

“aspettate, perché io questo non me lo ricordo?” chiese un compagno.

“perché tu non eri assegnato al sito 22, quel giorno, Suni” gli rispose una ragazza.

“ovviamente disobbedimmo” riprese Hypatia “e in piena notte mettemmo in moto i macchinari, e il nostro talentuoso scavatore Brako ci ha portati sani e salvi fino alla camera che tentavamo di raggiungere da ormai una settimana”

Aster provava una grande invidia per quelle avventure, ma era felice di sentirle raccontare dalla sua migliore amica.

“là siamo riusciti a trovare le prove che quel pianeta era stato colonizzato da una forma di vita aliena che potrebbe essere riconducibile agli Arcaici”

“non abbiamo ancora prove di questo, il sito è andato distrutto dopo poco, per un crollo” prese parte un altro dei ricercatori “per quanto ne sappiamo potrebbero essere gli antichi Cydonensi durante i Secoli Bui della storia galattica”

Infatti, durante quel periodo storico, non avendo alcun tipo di riscontro, potrebbe essere accaduto di tutto, e si parla quattro secoli di apparente assenza della vita intelligente nella galassia, trascorsi quasi seimila anni prima, agli albori della comunità galattica.

“pensala come vuoi, io resto della mia idea”

“giusto, Hypatia, sei la più esperta di tutti noi sugli Arcaici!” la supportò una collega “dico bene, Aster?”

Sentendosi chiamata in causa all’improvviso, fu presa dal panico, ma trovò le parole molto prima di quanto avrebbe fatto da sobria “io conosco Hypatia da tutta la vita, e lasciate che dica una cosa, su di lei:” attese che l’attenzione fosse rivolta alle sue parole “mentre gli altri bambini, suoi coetanei, giocavano ancora con i giochi virtuali e litigavano per il possesso di una navicella giocattolo, lei aveva già abbastanza esperienza nel settore per intrattenere discorsi anche coi suoi insegnanti”

Era vero:la propensione di Hypatia per la ricerca era sbocciata fin dalla tenera età.

“oh, Aster esagera”

“no, no! Tu sei una giovane promessa di ogni tipo di scienza!” la lusingò “sentendo le tue parole mi sembra impossibile che le vicende del passato possano essere andate in maniera diversa dalle tue teorie, e oltre a questo sei anche l’amica migliore che una solitaria senza speranza come me potesse sperare di incontrare!” l’alcool parlava per lei, ma Aster sapeva che ogni parola le uscisse dalla bocca era dettata anche dal cuore. Nonostante avesse bevuto poco, la sua parlantina iniziò a sciogliersi.

“e che dire di Aster? L’ultima vera sognatrice di Neo Cydonia, destinata a fare strada! Scriveva racconti e poesie da fare invidia a tutta la galassia, e all’età di otto anni! Senza contare che è sempre stata la massima esperta di umani, su questo e altri pianeti!”

Questa amichevole ‘battaglia di complimenti’ si concluse con un tenero abbraccio barcollante, con il sottofondo degli applausi di tutti i presenti. Nel chiacchiericcio generale, una voce si alzò fra le altre: era il ragazzo N’Krì. “ti interessano gli umani?”

“ah!” esclamò Hypatia “Aster, ti presento Istor, e con lui andresti molto d’accordo, gli piacciono gli umani”

Sta forse cercando di fidanzarmi? L’imbarazzo, in quel momento, pareva bruciare le gote di Aster, ma il suo stato di ebbrezza le permise di andare avanti con la conversazione. Anzi, non disse una parola: al polso portava un orologio che era in grado di trasportare in se i codici olografici di oggetti tridimensionali, e riprodurli davanti a se in ogni momento. Dall’orologio richiamò una scheda dati, che venne poi inserita in un terminale di controllo dello schermo a parete. Questo s’illuminò, ma rimanendo abbastanza trasparente da consentire di vedere la notte da quella casa molto più vicina alla città rispetto all’abitazione di Aster. Si udì un suono, una musica: era l’aggressivo e tremendamente potente suono della chitarra di Ritchie Blackmore nel brano dei Deep Purple “ah, Highway Star!” esclamò Istor, avvicinandosi ad Aster per parlare con lei sopra il caos di voci divertite che urlavano e ballavano sulle note della canzone.

“la conosci?” chiese Aster, sorpresa.

“come posso non conoscerla? Adoro i Deep Purple, secondo me sono il gruppo umano migliore di sempre!”

“io non so scegliere, ce ne sono troppi: Led Zeppelin, Beatles, Rolling Stones, Deep Purple… e che mi dici dei cantautori?”

“Eugenio Finardi mai sentito?”

Aster sgranò gli occhi: conosceva un cantautore umano a lei sconosciuto. “no”

“ti consiglio di ascoltare qualche sua canzone, è la voce dell’adolescenza umana nella penisola chiamata Italia”

Doveva assolutamente raccogliere informazioni su quel cantautore e anche su quel luogo chiamato Italia.

“e se ti dicessi David Bowie?” propose lei.

“mi pare naturale, Space Oddity è un capolavoro!”

“accidenti, sei un fenomeno!”

Andarono avanti a parlare per ore e ore della Terra e degli Umani. Istor amava la saga di Star Trek, mentre Aster quella di Star Wars, e discussero di quello per un bel pezzo; poi passarono a creare liste dei migliori chitarristi della storia del rock, e di lì altri elenchi, per attori, registi, romanzieri, e così via. La serata era ormai giunta a mattina. Nessuno aveva intenzione di lasciare la casa, avrebbero riposato e il pomeriggio del giorno seguente se ne sarebbero andati. L’atmosfera era sonnecchiante, la musica calma e rilassante: Halleluja aleggiava, nella versione di Bon Jovi, cullando i presenti e guidandoli verso il sonno con una morbida mano. C’era chi già dormiva, favorito dal buio che ormai si era disteso sulla stanza, spezzato solo dalla luminescenza della parete, sempre più debole man mano che la musica diventava calma, come se lo schermo avesse capito di non dover infastidire gli occhi stanchi con troppa luce. Aster stava rannicchiata sul divano, ora decisamente ubriaca, e accanto a lei sedeva Istor, che non distoglieva lo sguardo da una spallina del vestito di Aster, caduta. Con gli occhi cercò di raggiungere il triangolo che si tagliava nell’abito scoprendo qualche centimetro in più del suo corpo, ma lei era rannicchiata in modo da coprirlo. Senza alcun preavviso, come se avesse capito quali pensieri si dibattevano nella testa di Istor, la bella fanciulla si mise seduta, mostrandogli l’apertura all’altezza del ventre. Non fece capire che lo aveva fatto apposta, e come scusa si stiracchiò. Questo non fece altro che far ribollire il ragazzo alieno, che non levava un attimo lo sguardo da lei. Aster non pensava nemmeno a cosa stesse facendo: aveva voglia di farsi notare da lui. Si mise sdraiata, con un braccio dietro la testa. Le gambe erano accarezzate dalla delicata luce fioca della grande Luna Bianca, e apparivano ancora più eleganti e lisce. Con il dorso della mano, Istor prese ad accarezzale timidamente una coscia, tremante come se la ragazza potesse sbranarlo da un momento all’altro. Sentiva la pelle di lei, fresca nella calda notte estiva, e vellutata. Abbandonò la gamba per dirigere le dita verso il triangolo. Percorse i suoi lati infinite volte, prima di osare a passare due dita sull’ombelico, che sporgeva leggermente come un piccolo bottone. Aster ebbe un sussulto: quell’atto la faceva impazzire. La mano del ragazzo si aprì, e il palmo ricoprì la parte scoperta della pancia. Poté sentire il cuore che batteva, anche da quella distanza dal petto.

“ti prego, fallo ancora” sussurrò lei, con voce fremente.

Senza dire una sola parola, tornò a passare le dita laddove stavano accarezzando prima. Lei si mise sdraiata sulla sue gambe, porgendogli il ventre. Sentiva premere qualcosa sulla schiena. In quel momento si rese conto quell’istante era il più vicino al sesso che avesse mai avuto. Iniziava a scoprire se stessa anche come un corpo femminile in grado di attrarre i pensieri maliziosi dei ragazzi. Mentre Aster era in quella posizione, Istor si chinò lievemente verso il viso di lei, e, con labbra insicure, la baciò.   

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Aster e la sua prima esperienza amorosa! La nostra piccola cresce! ;-) Ma chi conquisterà il suo cuore? Istor sarà riuscito a farle dimenticare i suoi sogni? Non contateci troppo ;-P Di questo capitolo mi piace anche come Hypatia tentasse disperatamente di far uscire la bellezza di Aster, convincendo lei stessa di essere bella. Credo sia importante, per lei, visto e considerato che è stata da sempre emarginata per le sue stranezze. Buon proseguimento, e alla prossima!
_Helen, La Setta Krypteia

 

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Capitolo 5
*** Gente della Notte ***


“allora è deciso, sto arrivando” disse James al telefono.

“ti aspetto, e preparo le birre” rispose Graziano, il suo migliore amico, che lui chiamava ‘fratello’.   

Il ragazzo si sistemò sulla testa il suo cappello, sebbene fosse sera inoltrata. Le vie d’asfalto erano deserte, il che era un fatto atipico, dopo la costruzione di una nuova strada, scavata nel verde tagliando a metà il bosco che aveva accolto fra le sue fronde l’infanzia di James e quella dei suoi più vecchi amici. Con le cuffiette nelle orecchie, e la musica a proteggerlo dal mondo, il ragazzo camminò svelto per arrivare alla casa dell’amico, una delle poche a possedere ancora un campo da coltivare. In molti avevano proposto a suo padre di vendere il terreno, ma quando si decise a farlo, per favorire la costruzione di un centro commerciale, Graziano era ormai maggiorenne, e per la legge di ereditarietà dettata nel testamento di suo nonno, al compimento dei diciotto anni del primogenito maschio di ogni generazione, la proprietà e responsabilità del campo gli sarebbe passata come una fiaccola. Così, ora Graziano ne era l’unico proprietario, e si prendeva cura del terreno. Per farlo, dovette frequentare una scuola che gli consentisse di apprendere i segreti dell’agricoltura. Stava giusto passeggiando per il campo, ancora incolto, quando il suo migliore amico arrivò alle soglie di casa sua. Quando si incontrarono, si scambiarono prima una vigorosa stretta di mano, poi un abbraccio fraterno.

“forza, vieni. Ho preparato un dondolo senza telo superiore, per guardare le stelle, come piace a te. È proprio davanti al campo” lo accolse Graziano.

James si lasciò guidare, sebbene conoscesse quella casa, quel campo, e la foresta che si stendeva davanti ad esso. Notò con immenso piacere che di fianco al dondolo vi era un secchio stracolmo di ghiaccio, dentro al quale erano incastrate delle bottiglie di ottima birra rossa. Senza dire altro, infatti, i due si ritrovarono seduti comodamente, dondolandosi, e sorseggiando la bibita alcolica.

“allora, Jim, racconta un po’, com’è?”

“facciamo che prima me lo dici tu, perché io sono venuto qui con la precisa intenzione di farti morire di noia coi miei discorsi, e intendo farne uno noioso e lungo” rispose James. L’amico ridacchiò.

“beh, che dire. La scuola non va. Non riesco a trovare una ragazza, e nemmeno tu…”

“touchet”

“il mio campo ci impiegherà anni a diventare il mio sogno, ma vedrò quel giorno, e magari faremo un sacco di soldi con la nostra band. Intanto litigo con mio padre, che mi dice che sono un fallito, che quando morirò di fame mi pentirò di non aver venduto il campo, e allora per disperazione lo venderò a un prezzo misero, e quelli si approfitteranno di me. Che bello, eh? Ora tocca a te, sfiniscimi pure”.

James si schiarì la gola, e prese fiato, come se dovesse recitare l’intera Divina Commedia tutta d’un fiato. Ovviamente, era un’esagerazione.

“anche coi miei non va bene. Mi dicono più o meno le stesse cose: che sono un fallito, che se spero di fare soldi con la band mi sbaglio di grosso perché finirò come tutti quanti quei mediocri uomini sognatori che vanno ad elemosinare sulle strade più trafficate. Mi rompono perché dopo due bocciature ancora vado male a scuola. Ma se nella mia testa ho ben altro che lo studio, non è che dopo due bocciature mi metto a studiare. Comunque, l’altro giorno stavo guardando le stelle, come al mio solito. Pian piano ho sentito dentro me una strana sensazione, come se uno di quegli astri mi stesse guardano, e volesse parlarmi. E sai che ho fatto?” fece una pausa. Quando vide che l’amico taceva, ma lo fissava, proseguì “gli risposi. So che sembra una cosa infantile, ma lo feci. Vorrei dirmi che è stato un momento di fantasia prima di dormire, ma la verità è che ci credo davvero. Ho bisogno di dire al mondo hey, tu non vuoi accorgerti di me? Che non trovo amore, che ho pochi amici, mentre i più stronzi hanno tutto, non vuoi accorgerti di me? Di noi? Allora io ti frego e me ne vado per la concorrenza”.

“vorresti andartene dalla Terra?”

“esatto. Alla fine è un pianeta quasi distrutto, anche la foresta amazzonica sta crepando sotto i ferri. E per quanto riguarda la mia vita, non c’è niente per cui vada la pena di continuare a vivere in questa casa, solo voi, solo la Setta Krypteia e il gruppo. So che non è poco, non è poco per niente, ma io voglio qualcos’altro, e finché avrò questo vuoto dentro non sarò mai felice. Voglio seguire il mio cuore nomade, e non vedere questi umani mai più per tutta la mia fottutissima vita. C’è troppa sofferenza qui! Non so nemmeno da dove cominciare, sono rimasto muto, senza parole! Nella mia testa vive un mondo che io non vedrò mai realizzato, non qui”. James si fermò un istante, riflettendo su ciò che stava dicendo. “cazzo, ti sto parlando come se dovessi partire domani per il pianeta Vulcano. Lo vedi? Nemmeno ci faccio caso, è come se dentro me sapessi che è tutto vero, oppure il confine che nella mia mente divide realtà e fantasia si sta pian piano dissipando come una luce nella nebbia che s’infittisce”

“sai di cosa hai bisogno? Di una bella vacanza. Fra due giorni la scuola è finita. Partiamo subito, immediatamente, quel giorno stesso, verso la Toscana, e ci troviamo un alloggio finché non potremo andare al campeggio Arcobaleno, dove ci aspettano otto serate di spettacolo e tante belle ragazze in costume!”

James rimase dubbioso. “Gra, purtroppo i miei non mi consentiranno di partire finché non sapranno se sono promosso. In caso contrario, potrò dire addio alla vita. Devo attendere la telefonata”

“e cosa faresti se non partissi? Rimarresti tutto tempo seduto a fissare il tuo telefono di casa, a perdere anni di vita per ogni volta che squilla, col terrore in gola di ricevere la fatidica chiamata. È ora di fare una pazzia, è ora di scappare di casa, portarsi dietro gli strumenti e andare a suonare da qualche parte!”.

Dopo un’attenta riflessione, James decise che se poteva tirare un tiro mancino al mondo, era proprio quello.

“ci sto” disse risoluto.

“siamo persi in una marea di carne umana, che parla e tace, sente ed è sorda,vede con occhi di cieco” canticchiò Graziano. James sorrise, per la trasposizione in lingua italiana della loro canzone Walking Down the Dead Boulevard. E dopo il loro pezzo, passarono a cantare canzoni degli anni ottanta, da Livin on a Prayer a Don’t Stop Believin’. Tutto questo accadde nella foresta: attraversando il campo a piedi scalzi, raggiunsero la foresta e vi si inoltrarono, in piena notte. Era la loro foresta, e nessuno la percorreva tanto quanto loro, nessuno la conosceva tanto quanto loro. Più di una volta i genitori, che guardavano il loro mondo con mediocre realismo, ripetevano che era pericoloso, ma non potevano capire, non avrebbero mai potuto capire. Loro erano gli unici a conoscere le foglie cadute sul sottobosco così bene da poter percorrere quei sentieri morbidi e profumati anche senza luci; chiunque altro avrebbe dovuto utilizzare il supporto di una luce, anche i famigerati satanici di Somma Lombardo, e quindi sarebbe stato facilmente visibile. Erano loro i ragazzi della notte, vampiri che succhiavano il midollo della vita per sopravvivere. Cantavano Gente della Notte, e la notte era il loro momento, la loro libertà e la loro liberazione: quando quasi tutti gli esseri umani della città dormivano, e la pace regnava un poco più salda, fra le precarie fronde degli alberi del bosco, che respirava come se stesse esalando i suoi ultimi fiati di vita, conscio di essere malato terminale di quella grave malattia che si propaga annientando tutto quanto, cioè l’uomo stesso. L’ultima canzone che cantarono insieme fu Mad World, nella malinconica versione di Gary Jules, subito dopo Stand By Me. Graziano era sdraiato sul solito tronco di un albero abbattuto da una vecchia tempesta; James, coricato a tre metri da terra, fra due possenti rami di un grosso albero di fico, osservava come da abitudine il cielo stellato, stavolta attraverso un varco fra le fronde degli alberi. Ormai avevano trovato le posizioni più comode. Presero a parlare come se avessero vissuto svariati anni di sofferenze. Parlarono del mondo e dei suoi problemi, della società, ripeterono le stesse cose fino a renderle banali, ma mai false. Quanti altri, sulla Terra dicevano le stesse cose? Trite e ritrite erano quelle parole, eppure la gente le sentiva senza mai ascoltarle. Quando sentirono il bisogno di un’altra birra, presero la via di casa. La bevvero in silenzio, con la gola secca dal parlare e la lingua stanca. Subito dopo, James s’incamminò verso il suo abbaino, desideroso di un buon sonno. Ripercorreva la via di casa, stavolta camminando con un tempo lento e rilassato, cosa che risultava difficile, in quegli anni. I passi risuonavano nel silenzio, mentre si posavano delicatamente sull’asfalto. La strada era illuminata da pochi, deboli lampioni, che fra essi lasciavano un profondo vano oscuro. Da piccoli, lui e Graziano fingevano che la luce li avrebbe protetti dal male, quindi attraversavano correndo lo spazio di tenebre fra un lampione e l’altro, sparando raggi laser con le torce elettriche a destra e a manca. In quei tempi, non molti anni prima, in effetti, ancora non avevano costruito tutte quelle strade e quegli hotel, e ancora molti più alberi arricchivano la foresta, proprio lì a fianco, adiacente al parco del Ticino, e molti più prati in cui correre si stiravano nei paraggi. E l’autostrada era così lontana da non sentirla. James adesso era sfiorato troppo spesso da fastidiose automobili. Le luci di Malpensa una volta erano nascoste da un enorme albero nel giardino di James, ora abbattuto dalla tempesta del 2009. La notte pareva tornare al crepuscolo, avendo i fari dell’aeroporto che si stagliavano nel cielo, che urtavano le nuvole. I cittadini di quel paesino non avrebbero mai più avuto la pace di un tempo. Tutto in nome dell’ ‘evoluzione’. James si fermò sotto il raggio più luminoso di uno dei lampioni, in mezzo alla strada. Sperò col cuore che fosse il raggio traente di qualche astronave. Chiuse gli occhi, e alzò lo sguardo, respirando a pieni polmoni il profumo della notte. Quel momento di pace non durò a lungo: l’irritante clacson di un’auto lo destò, e fu costretto a levarsi dal mezzo della strada.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
La notte ha sempre avuto un fascino enorme, o almeno permettetemi di parlare per me. io vivo più di notte che di giorno, quando la luce acceca e offusca la vista. ho amato anche il sole, molti tramonti, ma mai nulla mi ha stregato come la notte. la notte, sì, un cielo stellato o coperto di nubi, ma sempre un cielo di notte. Ho scoperto di non essere il solo ad amare questo buio sensuale e passionale, tanti altri, nel mondo, scambiano l'alba per il crepuscolo. 

 

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Capitolo 6
*** Il 'Miracolo dei 15 Giorni' - fase finale ***


James si svegliò col cuore che batteva già forte. Chi me l’ha fatto fare di andare a letto così tardi, ieri sera?! Avrei potuto riposarmi, o ripassare in vista delle tre maledette interrogazioni di oggi! Incespicando nei pensieri angosciosi sulla scuola e sulle difficoltà della giornata, James si alzò dal letto, si cambiò, e trangugiando un caffè corse verso la bicicletta, e con quella pedalò come se fosse inseguito dai suoi professori fino a Gallarate. Quando riuscì a sedersi in classe tirò un sospiro di sollievo, riprese fiato, per poi fiondarsi sui libri, leggendo a fatica a causa dei battiti cardiaci. Ancora col fiatone, James ripassava, mentre i compagni di classe tentavano di distrarlo per godere di un altro suo brutto voto. Ma ciò che dicevano gli entrava da un orecchio e gli usciva dall’altro. Lo sventurato alunno che era stato messo di vedetta dai ragazzi più popolari della classe annunciò l’imminente arrivo della professoressa, al che nel giro di pochi secondi, ordine e silenzio regnarono sovrani come se tutti i demoni di quella classe si fossero mimetizzati nei panni di angeli. L’insegnante di filosofia non era certo la più terribile dell’istituto, anzi, era molto comprensiva, umana; ma se doveva dare brutti voti non poteva tirarsi indietro per favorire la sua bontà alla professionalità. Non appena entrò, James le si avvicinò con un sorriso terrorizzato ma risoluto stampato sul volto.

“mio caro italoamericano, non aggredirmi così per un autografo, fammi almeno entrare in classe e posare la mia roba”

“mi vorrei offrire” disse subito James. I compagni scoppiarono a ridere.

“che stronzi, i tuoi compagni di classe” scherzò l’insegnate “fossi in te andrei a lezione di arti marziali e gli farei un sedere come una capanna, ma torniamo a noi” quest’ultima frase la pronunciò senza nemmeno riprendere il fiato.

“mi vorrei offrire” ripeté James.

“sì, ho capito, prendi una seggiola e vieni qui di fianco a me, così siamo più appartati”

“ma non è giusto!” insorse una tediosa voce con fare arrogante.

“cosa non è giusto?” domandò l’insegnante.

“gli altri li fa uscire a parlare davanti a tutti, perché lui no?”

“perché quando si è offerto volontario per parare le chiappe a voi, lo avete schernito. E dimmi: con tutti gli altri avete fatto così?” attese una coraggiosa risposta, che non arrivò mai. “no, ergo per evitare risate e scherzi che potrebbero metterlo in difficoltà, lo farò colloquiare solo ed esclusivamente con me”

Questa sì che è un’insegnante coi controcoglioni pensò James peccato sia raro trovarne. Si sedette di fianco alla professoressa, e la fissò finché non giunse la domanda.

Le lancette corsero veloci, e quando James rispose in maniera esauriente all’ultima domanda, la docente decise che si sarebbe meritato un sette, dicendo “hai studiato bene, ma devi ancora migliorare nell’esposizione”. Oh, a me un sette basta e avanza “migliorerò, professoressa, grazie”

Non c’era tempo per festeggiare: arrivava un’altra interrogazione. L’insegnate di questa non era buona come la precedente, ma totalmente indifferente alla vita scolastica. Arrivata al culmine della pensione, la professoressa di latino e greco non aveva più interesse nell’insegnamento, né le importava un granché del destino degli studenti. Ma non per questo era malvagia. Parlava spesso con gli alunni di cose che non avevano nulla a che vedere con la didattica, e ne parlava persino durante le verifiche. La cosa migliore di avere una prof stanca ma simpatica è che se si fanno gli occhi dolci alla ‘gatto con gli stivali’, e hai avuto una interrogazione almeno da cinque, un sei te lo regala, tanto la pagano comunque. Quando entrò in classe, James si fece trovare col libro aperto davanti a se, e il naso immerso in una falsa lettura. Attese che la professoressa si fosse sistemata, prima di intervenire con fare timido ed impaurito.

“mi scusi, professoressa, potrei offrirmi in latino?”

“vieni pure, tanto non avevo voglia di spiegare a pochi giorni dal mare”

Si avvicinò alla cattedra con l’aria di un condannato che va al patibolo. Puntava tutto sulla pena. E funzionò: allo squillare della campanella, ottenne un buon voto, che lo salvò anche in latino. Ora però, a due ore da quel momento di gioia, rimaneva la prova più difficile: un’interrogazione con la più terrificante, subdola, conservatrice, arpia, crudele insegnante di tutto il Pascoli, e senza dubbio anche la più temuta, la professoressa di Italiano. James avrebbe dovuto essere sufficiente anche in quella materia, o sarebbe significata la bocciatura con quattro materie insufficienti. Ma si sentiva più al sicuro, ora che era riuscito a rendere sufficienti almeno due materie. Fu preso da una grande euforia, sperando che le insegnanti avrebbero tenuto conto dell’impegno finale, tanto che decise di non ripassare, ma di chiacchierare coi suoi amici, che, a differenza degli altri, lo avevano sempre sostenuto. A volte si finisce per dormire sugli allora anche quando si sta annegando. Quel momento non durò molto: non appena si udirono dietro l’angolo gli inconfondibili tacchi pesanti dell’insegnante di ferro, la vedetta tornò in classe inneggiando alla fine del mondo. James si sentì gelare il sangue nelle vene. Quando calò il silenzio, i lenti passi risuonarono come campane degli inferi. Una donna con fare da imperatrice, acida e con gli occhi di ghiaccio, prese possesso della cattedra, e squadrò i suoi sudditi.

“James Cervi, ho sentito che ti sei offerto in altre due materie. Mi ha fatto piacere sentire che ti sono andate bene. Mi piacerebbe molto negarti la possibilità di uscire interrogato e darti una meritatissima insufficienza, ma purtroppo sei l’unico che manca da sentire. Spero che tu sia pronto, perché dato l’andamento di questo quadrimestre – e di quello prima – dovrei farti domande su tutto il programma”

Ma come si permette di darmi l’insufficienza in italiano? Io che scrivo storie fin da quando sono bambino? Io, proprio io che amo i racconti? E per cosa, perché non le sto simpatico, perché i voti li basa su quello, meretrice che non è altro!

James stavolta non fingeva: si comportava come se fosse diretto a sedersi sulla sedia elettrica.

Il tempo gli sembrò non passare mai, e guardava sempre l’orologio. Iniziò esponendo timidamente, fra i balbettii, la lezione, ma poi giunse la domanda che lo fece ammutolire. Da quel momento, l’interrogazione andò sempre peggio. Ormai era perduta la speranza, ma la serpe ci teneva a continuare a seviziare la sua preda. Quando finalmente sentì il suono liberatore della campana, James poté andare al posto, deluso ma sollevato che fosse finita. Per il resto della giornata, non fece altro che guardare il vuoto e attendere la fine di quella giornata.

Una volta a casa, vi entrò come un fantasma riferendo ai suoi genitori i suoi risultati, e poi disse di avere un forte mal di testa. Con queste parole, si congedò nella sua stanza. Suo padre, però, lo raggiunse. Quando sentì che stava salendo le scale per l’abbaino, chiuse la porta a chiave.

“e quindi adesso hai sotto matematica col tre e storia col quattro, insieme ad altre due materie fra cui italiano col cinque. Dopo due bocciature non dovresti nemmeno avere debiti! Lo vuoi capire che qui c’è in gioco il tuo futuro? Se speri di far carriera con la musica, allora accomodati, ma io non ti mantengo a vita! Mi senti?” la risposta già la sapeva: James si era disteso sul suo letto, aveva tirato la tendina davanti alla sua finestra di osservazione, e si era conficcato le cuffie nelle orecchie. Si era isolato dal mondo, come amava fare.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Salve, sono uno degli autori della Setta. Questo capitolo è stato prodotto a quattro mani direttamente con Hanck, che si rifiutava di scrivere un intero capitolo ambientato a scuola da solo, asserendo che sarebbe stato banale. Sebbene non fosse pienamente soddisfatto del risultato, posso dire di esserlo io: a mio parere questo episodio raccoglie in se molte delle sensazioni che uno studente prova nei confronti della didattica durante un anno scolastico. Spero che anche in voi - studenti e non - abbia suscitato emozioni forti come le ha provate James durante questa dura giornata scolastica. Voleva riprendere il disagio di uno studente emarginato dai più e che non trova conforto nemmeno a casa, dove i genitori lo tormentano per il suo pessimo andamento scolastico (Jim non ha interesse per il mondo reale). L'unico luogo in cui è al sicuro è il suo mondo fantastico, isolato da tutto e da tutti

 

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Capitolo 7
*** Extraterrestre, Portami Via ***


La notte era tarda, ma a James Cervi non importava: se ne stava sdraiato sul tetto di casa sua, appena fuori dalla finestra dell’abbaino, scrutando le stelle, come ogni notte. Mio caro mondo, nel caso non te ne fossi accorto, io sono qui, vivo nella tua società. Un minimo di riguardo sarebbe gradito, grazie. Cordiali saluti, uno sfigato. Il suo messaggio, in quel momento, era diretto al mondo, al suo mondo. Lui era un ragazzo che non sentiva affatto di essere normale, non come tutti gli altri. Viveva nell’abbaino di Casa sua per poter avere il cielo più vicino e gli esseri umani più lontani. Pluribocciato con una gran voglia di fuggire dal mondo, James si stava distaccando sempre più dalla realtà, facendo preoccupare i genitori e i parenti. Ma loro non potevano capire, per loro la sua era una malattia del cervello da curare con psicologi e medicine, non potevano capire affatto che quel ragazzo aveva solo bisogno di un mondo che semplicemente non esisteva. Nella sua mente aveva un’utopia che non avrebbe mai visto, un insensato vortice di emozioni, esplosioni, che a volte per poco non lo commuovevano al solo immaginare. Non era raro che gli occhi luccicassero sotto un cielo terso e splendido come in quella serata, dinnanzi all’infinito. Aveva diciassette anni, ma si sorprendeva ancora come un bambino davanti a un fulmine, e si emozionava ancora nel vedere tante bellezze che per un adulto diventano quotidiane. L’anima del ragazzo si distaccò dal corpo e prese il volo alla ricerca di strani nuovi mondi, suoni, sapori, profumi, emozioni. Per un attimo, solo qualche sera prima, gli era parso di essere ascoltato da qualche altro cuore, nell’universo. Sentì che due occhi come i suoi, solo non terrestri, anche in quel momento osservavano insieme a lui ciò che si estendeva per uno spazio infinito, col naso in su. Non si sentiva più solo. Forse era soltanto la sua mente che si ribellava a quel profondo senso di solitudine che non se ne voleva andare, come la puzza di pesce che si imprime nei capelli. Ma che male c’era a non volersi sentire soli? Diavolo, dico queste cose proprio io che non credo in alcun Dio! Alla fine, che diritto ho io di criticare i religiosi, io che parlo con le stelle. Decise di aprire un dialogo con la sua fantasia. Si concentrò sulla stella che sembrava chiamarlo, finché non riuscì ad immaginare, quasi a vedere un tunnel di luci argentee e diamantine, un canale di comunicazione mentale verso quell’interlocutore che, dall’altra parte della cornetta, stava ascoltando lui. Mai come in quel momento gli sembrò più vero.
Extraterrestre, se veramente esisti, vieni qui, ti prego. Disse alla sua amica al di là dal cielo. Prendimi e portami via da qui, portami lontano, sul tuo od altri pianeti. Non m’importa. A cavallo di stelle comete, a zonzo per la galassia, tu ed io, vienimi a prendere e portami via di qui. Questo era il messaggio che ripeteva con disperata speranza, come se quella che era ben conscio essere solo fantasia infantile potesse rivelarsi qualcosa di più. Per qualche minuto, permise alla sua età di cedere ai dolci e vertiginosi morsi dell’immaginazione oltre i confini di ciò che da tutti era ritenuto possibile. Stringeva i denti. Nel suo cuore sapeva che se avesse ripetuto quel segnale per altro tempo, sempre di più, sempre più forte, sarebbe riuscito a richiamare il suo interlocutore al là del cielo.

*

Aster dormiva profondamente, ancora sdraiata sulle gambe di Istor, e con ancora la sua mano premuta sul ventre. La notte si era fatta silenziosa, da quando lo schermo aveva smesso di inviare musica, allo scoccare del sonno anche nell’ultimo dei presenti, che fu appunto Aster. Ormai iniziava a sorgere il sole, ma lei fino a un paio di ore prima stava fissando il soffitto, confusa. Quella notte non aveva parlato con il suo amico, non aveva osservato le stelle. E il suo primo bacio lo dette non a un umano, ma ad un N’Krì. Lo stesso ragazzo che per tutta la notte le aveva accarezzato l’ombelico, lo stesso che non aveva mail levato il palmo dalla sua pancia. Ma quello non doveva essere il suo primo passo verso l’essere ‘donna’, lei si sentiva ancora bambina, voleva restare ancora bambina, ancora ragazza. Forse no, forse fare l’amore non avrebbe implicato l’abbandono di ogni fantasia. Quasi per caso, le tornò alla mente che quella mattina sarebbero stati resi noti i risultati di tutti gli esami sostenuti da Aster, e l’ansia la ritrovò come una bestia predatrice che dilania una preda, in fuga fino a qualche attimo prima. Riuscì ad addormentarsi solo stringendo a se il braccio che la cingeva. Ed è durante la fase del sonno nella quale i sogni si fanno vividi, che Aster vide fugaci immagini di una casa, buia, e poi, sdraiato sul tetto di essa, un ragazzo; i tratti somatici, i vestiti, lo sguardo, tutto portò il subconscio di Aster ad intuire che si trattasse di un umano. Doveva essere il suo amico terrestre, e pareva voler dire qualcosa ad Aster, qualcosa di molto importante, ma lei non poteva sentire: non era in ascolto. Un atroce senso di colpa la prese, come se avesse perduto l’occasione di una vita per qualche carezza. Nel sogno la sensazione era molto più vivace di quanto sarebbe stata nella realtà. Presto, però, quella serie di immagini confuse svanì nel nulla, lasciando il posto a un altro sogno, che Aster non ricordò, una volta sveglia. Quando ciò accadde, l’unica presenza sveglia e vigile era Hypatia, che osservava compiaciuta lei ed Istor, e più precisamente la mano del ragazzo.
“è incredibile, ti sei lasciata toccare la pancia nell’unico punto in cui era scoperta!” le disse a voce tanto bassa da rendersi difficile da sentire.

“sì, la stessa pancia che ora è in subbuglio, così come la testa” borbottò.

“e ti ha toccata lì?”

Aster si voltò sorpresa. “no! Che tipo di ragazza credi che io sia?” alzò involontariamente la voce, e l’amica le fece segno di abbassarla.

“non so, eravate così intimi… non è mica un male, sai?”

“tu lo hai fatto?”

Hypatia si avvicinò. “non ho ancora fatto sesso, se è questo che intendi, ma un paio di coccole sì”

Era strano, per Aster, pensare ad Hypatia nuda in un letto, con un ragazzo, nudo anch’egli, che faceva l’amore con lei.

“non mi ha toccata lì, ma…” si arrestò, non sapendo come proseguire la frase.

“ma cosa? L’ombelico?”

Annuì, facendo ridacchiare di soddisfazione l’altra.

“lo sapevo! È sempre stato il tuo punto debole!”

“pareva saperlo meglio lui di me”

“oh, non ti preoccupare, Istor non è più esperto di te”

Poi ci fu una pausa, e di nuovo ripiombò il silenzio sulla stanza. Fu Hypatia a rompere il ghiaccio con un commento che fece sciogliere Aster dalla tenerezza.

“sapevo fin da quando siamo diventate ragazze che il tuo primo bacio sarebbe stato timido all’inverosimile, tremante e tanto impaurito quanto dolce. Sapevo che sarebbe accaduto in casa, in un momento in cui nessun altro poteva vedervi o sentirvi, e sapevo che sarebbe successo di notte, con un ragazzo introverso quanto te, ma che ti vede per quello che sei: bellissima” Aster si sarebbe potuta commuovere “non dar retta a ciò che dicono gli altri, perché ci sarà sempre qualcuno, come me, come Istor, come tutti qui dentro, che ti trova fantastica, sotto tutti gli aspetti” riprese fiato, per evitare di commuoversi a sua volta, poi disse la frase che fece scoppiare entrambe in un pianto gioioso, colmo di amicizia e affetto “ti voglio bene, sorellina”

Fuggendo dalla stretta di Istor, la ragazza si alzò per abbracciare l’amica. In ginocchio, sul pavimento della casa di Hypatia, mentre il sonno regnava sovrano, le due ragazze si strinsero.

“sei la migliore persona con la quale si possa vivere una vita, e troverai l’amore, perché ti meriti ogni felicità dell’universo, Hypatia!”

A colazione, mentre tutti smaltivano la sbronza e si alzavano con facce stropicciate come un foglio di carta, Aster aveva preso a raccontare le disavventure di due piccole amiche troppo curiose e con tanta voglia di correre in giro per i campi. Raccontò di quando, senza dire nulla ai genitori, presero zaino, provviste, e partirono a piedi per il monte Perseo. Furono ai suoi piedi verso sera, essendo partite la mattina. Quando tornarono, il giorno seguente, non erano né denutrite né tantomeno stanche, ma si dovettero subire una bella lavata di capo dai preoccupatissimi genitori. Hypatia, poi, raccontò di quando Aster si ruppe una gamba cadendo da un dirupo, e fu frenata solo dalle fronde degli alberi che s’innalzavano sotto di esso. Strisciò fino ad una pianura che si apriva in mezzo alla foresta, per rendere più semplice ai soccorsi aerei individuarla. Adesso Aster si sentiva davvero parte di quel grande gruppo, sentiva di aver trovato nuovi amici. Ma quella gioia fu distrutta quando, quattro ore più tardi, dovette accompagnare la madre a ritirare i risultati degli esami: fu bocciata in quattro materie su dieci, impedendole il passaggio al livello successivo. Sua madre era furiosa, le urlava contro come se fosse la peggiore feccia nell’intero universo. Le disse parole talmente gelide da vincere il caldo dell’estate, e far desiderare una calda coperta ad Aster. Quella voce iniziò a convincerla di essere una fallita, di non avere futuro nei sogni. Eppure, quella notte lei era ancora là, sull’amaca, ad osservare il cielo, con le lacrime agli occhi, e stavolta non erano lacrime di gioia.
Ti prego, rispondi! Disse al suo amico terrestre se sei in ascolto, voglio che tu sappia che se potessi partirei ora per la Terra, verrei lì da te, a conoscerti! Voglio andarmene da qui!

 Rivolse il suo messaggio alla Terra, al suo compagno, con una tale forza e con una tale disperazione, da vedere sopra di lei una scala, una scala dei colori dell’arcobaleno che si protraeva laggiù, nello spazio, e raggiungeva gli occhi di quel ragazzo, quello che vide in sogno. Lo sentiva, lo stava toccando, era come se fosse proprio lì con lei, a due passi dall’amaca dove era sdraiata. Le lacrime passarono, e altre immagini iniziarono a farsi vivide nei suoi occhi.

Tutt’un tratto, le sue vene vibrarono, le pupille cristalline si dilatarono, il cuore pulsava violentemente. Sentì dentro di se una strana sensazione, come se quella stella la stesse chiamando a se. Aveva forti vertigini, e vedeva quel lontano punto luminoso diventare sempre più vicino. Non capiva se fosse un sogno: volò prima attraverso l’atmosfera di Neo Cydonia, poi attraverso le stelle, vide per un solo secondo i suoi agognati pianeti e i sistemi, e le nebulose, e le astronavi sfrecciare negli spazi degli spazi, fino a giungere su uno splendido pianeta azzurro, verde e marrone. Era diretta nella parte in ombra, cadeva fra miliardi di luci che sembravano un nuovo universo, ma erano solo città troppo illuminate. Man mano che si avvicinava al terreno, si accorse che il suo obiettivo era un sprazzo di dolce buio e protetta oscurità, un piccolo paese verso la parte continentale di una penisola che pareva stendersi sul più soave mare di tutto il pianeta. Infine, atterrò sul tetto di una casupola isolata in un campo incorniciato a sua volta dalla città; da una grande finestra posta su un lato del tetto, aperta, scorse il sogno di tutta una vita da ragazza. Era un essere umano, sdraiato come lo era lei poco fa, su un letto e, come lei, osservava il cielo, sbuffando del fumo che traeva da una stecca con un’estremità incandescente. Ora le parole erano chiare: Extraterrestre, portami via. Altro non vide, quella sera: fu sbalzata ancora nel suo corpo su quell’amaca della solita, vecchia, Neo Cydonia. Era stato un sogno? O forse qualcos’altro? Adesso le sue chiacchierate attraverso lo spazio iniziavano ad apparirle più vere che mai.

*

Proprio in quell’istante, sfidando gli anni luce, James, prima di addormentarsi, ripeté ancora una volta la formula che dalla notte precedente gli si agitava nella mente. 


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Evidente il riferimento alla canzone ‘Extraterrestre’, di Eugenio Finardi, brano che ha per primo in assoluto ispirato questo racconto, che, come avrete notato, è molto musicato, e spesso costruito su vere e proprie colonne sonore, che vengono dettate - implicitamente o esplicitamente - al lettore. È stato anche divertente collaborare con alcune autrici della Setta per costruire i dialoghi fra Aster ed Hypatia - che leggerete anche nei prossimi capitoli, frutto delle medesimi mani femminili - e mettere in relazione la disperazione giovanile che affligge i due protagonisti, uno terrestre e uno Cydonense. Si può dire che da questo capitolo la trama s'infittisca, si faccia più definita. Al prossimo capitolo!
Ps: chiediamo tutti umilmente perdono per il ritardo, ma in questo periodo la tempistica sarà un tantino lunghina causa esami ed impegni personali. La Setta Ktypteia si scusa per il disagio. Dlin Dlon.

 

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Capitolo 8
*** Risposte ***


Era calata la notte, sulle torri del porto di Argo. Per tutto il giorno che seguì la visione, Aster dovette sentirsi pugnalare il cuore ad ogni occhiata della madre. Pareva aver perduto ogni diritto, e il senso di colpa era tanto forte da farle accettare ogni parola, per quanto atroce potesse essere, riferita a lei dalla donna che l’aveva messa al mondo. Non trovava pace, né sonno, e ripensava alle delusioni che aveva dato a sua madre. Non aveva nemmeno voglia di indagare sul significato del sogno ad occhi aperti della sera prima. Anzi, iniziava a convincersi che forse non era stato altro che quello: un sogno particolarmente vivido. Non era nemmeno sicura di ciò che aveva visto. Era triste. Nemmeno il panorama della notte la confortava. Non pensava ad altro che ad un futuro che diveniva sempre più labile. Qualunque cosa si fosse prefissa di fare, non sarebbe mai riuscita a portarla a compimento. Posso promettere a me stessa che la smetterò di fantasticare e inizierò a prendere la mia vita un po’ più sul serio, ma sono certa che non servirà a nulla. L’unica soluzione è fuggire da questo caos alla ricerca di una risposta alle mie domande, alle mie speranze. Voglio realizzare i miei sogni e voglio smetterla di far soffrire mia madre, ha già patito abbastanza. Quanto vorrei avere un’occasione per dimostrare quanto valgo, partire per un’avventura nella quale farò cose talmente grandi che tutti mi ameranno. Sono pensieri che forse ho ereditato dalla cultura umana, ma proprio per questo mi sento diversa dagli altri, da tutte le innumerevoli specie che fanno parte della Comunità Galattica. Sono un pochino umana, si può dire. Stavolta la musica terrestre era inviata dalla sfera blu direttamente nella mente della ragazza, a fare da colonna sonora ai suoi pensieri. Life on Mars pareva parlare proprio di lei, e come al solito David Bowie aveva capito chi fosse Aster, meglio ancora di quanto lo avesse compreso lei stessa. Ascoltando quella canzone almeno una volta al giorno, non poteva fare a meno di ripetersi ogni singola volta accidenti, sono io!  Tutt’un tratto, accadde qualcosa che sorprese Aster, e catturò la sua attenzione: durante il momento di silenzio che seguiva la fine di una canzone e precedeva l’inizio di un’altra, sentì un rumore, come un debole allarme, un ‘bip… bip’. Aster ordinò alla sfera blu di non inviare più alcun suono, e di insonorizzare la sua stanza in entrambi i sensi, di uscita e di entrata. Fatto ciò, il suono non sparì affatto.

“aumenta la luminosità della stanza” disse. La vetrata che fungeva da muro inclinato fin sopra al letto, s’illumino lentamente, mostrando i poster olografici di diversi film terrestri, di gruppi musicali e cantautori. Fra di essi spiccava quello cartaceo del cantautore preferito di suo padre, lo stesso che con sole tre o quattro canzoni conosciute aveva stregato la giovane Aster: proprio David Bowie. Proveniva direttamente dalla Terra, quel grosso pezzo di carta rettangolare, e per lei era una reliquia alla quale teneva moltissimo. Il padre della ragazza aveva visionato anche un vecchio film che lo vedeva protagonista, ma lei non ricordava il nome; pensava spesso a quale potesse essere il titolo di quel lungometraggio, si tormentava per trovarlo, perché sarebbe stato un modo di onorare suo padre, e di portare avanti ciò in cui loro due credevano. Era importante, ma fino a quel momento il nome del film era rimasto un peso nel cuore della ragazza. Uno scaffale in legno costruito a mano apposta per lei, con legno degli alberi di Neo Cydonia, era straboccante di libri, anch’essi fatti apposta per Aster: erano racconti terrestri, captati dalle pattuglie sulla Terra, e che l’intraprendente ragazza aveva trascritto su carta, con una penna ad inchiostro che si era fabbricata. Per i coetanei di Aster, ma anche per gli adulti, i vecchi ed i bambini, lei era strana, fissata con gli esseri umani e mai concentrata su ciò che faceva. ‘persa nelle sue fantasie’, così la definivano gli scienziati della mente. Ma né loro né altri avrebbero mai capito Aster, solo Hypatia, suo padre e se stessa. Il rumore proveniva dal vecchio baule dei ricordi, dove Aster teneva gli oggetti che avevano segnato diversi momenti della sua vita. Era da tempo che non aggiungeva nulla a quei ricordi. Incuriosita, prese la chiave dal suo comodino – persino quello in legno, sul quale era posata una lampada fluttuante – e aprì il lucchetto. Fece tutto con molta lentezza, un po’ per timore, un po’ per convincersi che stava accadendo qualcosa di importante. Le dita scorsero sull’apertura, fino ai bordi laterali, poi, sentendo i polpastrelli che tastavano con eccitazione la fessura, spalancò il baule. Sotto a mille oggetti, strani agli occhi degli altri, Aster vide illuminarsi ad intermittenza una luce rossa. Scostò con delicatezza e cautela le cianfrusaglie e le vestigia di una giovane vita, fino a scoprire che la luce proveniva dalla pietra posta al centro di un bizzarro amuleto, che era appartenuto a suo padre, e che fu lui stesso a donare alla figlia. Lo ispezionò a lungo, finché decise che troppe domande necessitavano una risposta. Così, si vestì con vestiti comodi e scuri, e si diresse da Hypatia, l’unica che l’avrebbe aiutata ad entrare in una zona militare riservata, dove l’astronave di suo padre, sede, credeva lei, di informazioni sull’amuleto, era tenuta all’ancora. Un coltellino multiuso mi sarà più che utile, e prese un piccolo cilindro argentato che creava oggetti solidi su una estremità con una tecnologia di metallo liquido plasmabile. Infine, indossò i suoi occhiali con visore notturno, e fu pronta per partire alla ricerca di risposte. Quando la curiosità e un pizzico di pazzia si alleano col cuore di un giovane, nulla sembra troppo grande per essere affrontato.

Aster inviò attraverso il suo orologio – che aveva mille e uno usi, oltre a quello di ricreare oggetti solidi – un messaggio vocale all’amica, che ben presto si affacciò alla finestra.

“Aster! Che ci fai qui? È notte fonda!” domandò.

La ragazza, mimetizzata nell’ombra grazie alla sua pelle scura e agli indumenti neri che indossava, alzò l’amuleto per mostrare la luce rossa lampeggiante. Hypatia si sporse per vedere meglio. “arrivo” disse poi. Si cacciò addosso qualcosa e raggiunse Aster.

“che cos’è questo coso?”

“è un vecchio oggetto appartenuto a mio padre, me lo aveva portato da una delle sue avventure”

“e perché lampeggia e continua a fare ‘bip’?”

“non so, ha iniziato stanotte, ma so che se voglio risposte, dovrò cercarle nel computer di bordo della nave di mio padre”

“ma, Aster!” esclamò l’altra “si trova ormeggiata in un capanno militare, ed è sotto stretta sorveglianza!”

Infatti, quel mezzo era stato ritenuto ‘potenzialmente pericoloso’, in quanto avrebbe potuto contenere oggetti o addirittura creature ostili, raccolte durante i molti viaggi per la galassia, schizzando da un pianeta all’altro.

“c’è solo una persona che ha l’autorizzazione, la chiave d’accesso e lasciapassare per entrare nella nave”

Aster annuì. “mia madre”

“non ti consentirà mai di entrare”

“e avrei anche l’autorizzazione a requisire la nave” continuò la ragazza, ignorando gli avvertimenti dell’amica.

“che intendi fare, allora?”

Gli occhi color quarzo divennero due fessure. “la ruberò”

Detto questo, corse di nuovo a casa, seguita dall’amica. Entrarono nell’abitazione senza far rumore, sulle punte dei piedi. Erano silenziose come felini. Rubare in casa mia, che mi son ridotta a fare. La tessera doveva trovarsi nello studio della madre, dove lei organizzava gli articoli per il videogiornale dove lavorava. Aster si pose davanti alla porta, e posò una mano sul pannello che fungeva da maniglia, ed essa si aprì, sibilando. Sperò che quel rumore non avesse ridestato la donna che dormiva al piano superiore. Lo studio era un gran caos, colmo di piccoli schermi per gli appunti, sparsi ovunque, e computer. Inoltre, la finestra che dava sulla piana dove Aster amava riposare sull’amaca era aperta, e il vento, attirato dall’apertura della porta, fece tintinnare delle campane tubolari, collegate ad uno scaccia sogni. Hypatia richiuse immediatamente la porta, ma nella fretta fece rumore coi piedi. Digrignarono entrambe i denti, col cuore che pulsava isterico. Aster prese a cercare nella cassettiera dove sua madre teneva i documenti del padre. Ed eccola là: una busta di un materiale simile alla plastica terrestre, contenente dei vecchi fogli di carta – vecchi quanto la nave – e, insieme a quelli, una piccola cornice rettangolare, che, se attivata da un apposito scanner laser, si sarebbe illuminata e avrebbe rivelato la sua natura di contenitore dati virtuale, concedendo al possessore – se corrispondente alle descrizioni che la tessera avrebbe inviato allo scanner una volta attivata – di visitare o riappropriarsi del mezzo. Presa dall’eccitazione, Aster agguantò il malloppo, e fuggì via contraendo i muscoli delle gambe per diminuire l’impatto dei piedi e fare meno rumore. Subito dietro di lei, la seguiva Hypatia. Una volta fuori e lontane dalla casa, le due ragazze si guardarono.

“hai trovato quel che cercavi?” domandò Hypatia, speranzosa di veder felice l’amica.

“sì, Hypatia, ce l’ho!” disse, mostrando la tessera rettangolare.

“e adesso che farai?”

Una brezza scompigliò i capelli delle amiche. Aster sapeva cosa avrebbe fatto, ma le parole parevano voler restare nella bocca e non uscire. Si fece forza. “entrerò nella nave di mio padre, ma ora, pensando… sento che le risposte che cerco non le troverò là”

Hypatia rimase muta per un tempo che parve essere infinito.

“le troverò sulla Terra”

Gli occhi dell’amica si fecero umidi, poi lucidi. Prese le mani di Aster fra le sue. “amica mia, sorella” le disse “so che le risposte ai quesiti di tutta la tua vita stanno a migliaia di anni luce da qui, ed è sempre stato tuo destino fare follie per ottenerle”

Gli occhi di entrambe, ora, lasciavano sfuggire delle lacrime, protette dalla notte, che brillavano, toccate dalla luce lunare.

 “grazie, Hypatia, sei tutta la mia vita!”

Le due ragazze non sapevano che quello che si diedero in quella notte fu l’ultimo di una lunga serie di teneri abbracci che le avevano accompagnate in ogni orario della loro esistenza. Avrebbero dovuto attendere diverso tempo prima di poter provare di nuovo le stesse emozioni d’amicizia, e ormai sarebbero state entrambe donne.

“non ti dimenticherò mai”

“neanche io, sorellina, neanche io”

Quando si allontanarono da quella stretta d’affetto, Hypatia disse ad Aster di correre verso la sua meta, e di non voltarsi indietro. Ma Aster lo fece. Se fosse stata sua madre a dirglielo, o chiunque altro, avrebbe obbedito, ma per Hypatia fece un’eccezione, rivolgendole sguardi bagnati e salati, con occhi gonfi e rossi.
Quando giunse alle porte del forte militare dove era tenuta l’astronave di suo padre, Aster dovette asciugarsi le lacrime e schiarirsi la voce. Una barriera bloccava l’ingresso, e davanti ad essa vi era un piccolo capanno montato solo per lo scopo di ospitare le sentinelle. Un sottufficiale era di guardia, e fermò Aster non appena si avvicinò.

“ferma! Chi sei?”

“mi chiamo Aster, ho un lasciapassare”

“e qual è il motivo della tua visita a quest’ora?”

Il militare era armato di un fucile energetico, che sparava proiettili singoli o piccole raffiche, concentrando l’Energia Cosmica in un colpo letale, che bruciava alla temperatura di una stella, ma convogliando tutto il calore in una sfera grande quanto un pollice, senza che esso potesse disperdersi.

“è passata la mezzanotte, oggi divento maggiorenne” mentì “e volevo battezzare la maggiore età visitando il passato di mio padre, la sua astronave”

Detto questo, Aster porse la tessera all’uomo. Questo la prese, e utilizzò uno scanner per far accendere un piccolo schermo azzurro nel riquadro color acciaio. La tessera trasferì le informazione allo scanner, che era munito a sua volta di una piattaforma su cui leggere ciò che conteneva.

“Teti, figlia di Leonta, si avvale di questa dichiarazione di Diastin, marito di Teti e figlio di Anfiarao, per requisire, per un tempo indeterminato e per scopi privati, il mezzo per viaggi spaziali di proprietà dello stesso Diastin” il sottufficiale leggeva con tono apatico e sistematico, come una macchina.

“legga più sotto”

“al compimento dell’età matura, Aster, figlia di Teti e di Diastin – proprietario del mezzo – potrà avvalersi di tutti i vantaggi contemplati dal possesso di questa tessera”

Così, dicendo solo che era autorizzata e senza fare altre domande, restituì la tessera ad Aster e aprì i cancelli. Quella era la Zona Militare: chilometri e chilometri di magazzini, basi sperimentali, laboratori, rampe di lancio, hangar e caserme, oltre ad un piccolo spazioporto personale. Il sottufficiale che aveva accolto Aster incaricò un’altra guardia di scortare la ragazza fino all’astronave descritta dalla tessera. E così fu: dopo aver camminato in mezzo alle fioche luci notturne dei lampioni, per almeno un quarto d’ora, l’uomo in divisa si fermò davanti ad un hangar chiuso.

“questo è il posto” disse, prima di pigiare un bottone di fianco al portone d’ingresso “ecco, ora il soffitto all’interno si sta aprendo, casomai volessi far decollare la nave. Hai compiuto la maggiore età, giusto? Dovresti essere valida per il volo, allora”

Senza pensarci due volte, Aster ringraziò e chiese di aprire il portone. È incredibile, basta una tessere valida per avere tutto questo potere! La burocrazia è davvero fuori da ogni logica. Con la pressione di un altro pulsante, questo si spalancò, mostrando ciò che conteneva. Gli occhi di Aster si spalancarono tanto da uscire quasi dalle orbite. Il vascello aveva ancora lo scafo – una volta eburneo, ora sporco – ammaccato, danneggiato, e ogni ferita inflitta nel metallo poteva raccontare una storia emozionante. Sul dorso s’innalzava un pilone che si concludeva sulla sommità con una grossa sfera trasparente, ma nonostante fosse translucida era molto più resistente del resto dello scafo, in quanto costruita con un materiale più moderno, lo stesso hyle, e questo lasciava intendere che quella parte del vascello fosse stata aggiunta in seguito. Eccitata come non era mai stata, Aster si diresse subito verso il portellone d’entrata, lo aprì, ed entrò. Era piuttosto grande, come astronave con equipaggio di sei persone. Ma per Aster non fu difficile trovare la strada per la cabina del capitano, suo padre. Non appena il suo piede si posò sul pavimento della stanza, questa s’illuminò di decine di terminali, schermi, che a loro volta rendevano visibile un gran disordine di carte, agende olografiche e altri oggetti sparpagliati su scrivanie e per terra. Una sfera blu come quella di Aster comparve dal nulla e le si piantò davanti al naso.
“bentornata, Aster” disse una voce femminile. Lei era sgomenta, ma chiese ugualmente chi fosse a parlare.

“il mio nome è Kibernete, che nell’antichissima lingua significa ‘pilota’. Per tutti questi anni ho vegliato su di te senza avere il permesso di dialogare, fino al momento in cui tu saresti tornata. Sono l’astronave di tuo padre, e ho una coscienza come ce l’hai tu”

Queste parole lasciarono Aster di pietra. Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa chiedere. Aveva appena scoperto che la sfera blu lasciatale da suo padre altro non era che la sua stessa nave, a quanto pare cosciente. Una vera e propria intelligenza virtuale.

“come sapevi che sarei venuta?” chiese infine.

“non lo sapevo. E nemmeno tuo padre lo sapeva. Ma lui contava sulla tua curiosità. Per un motivo o per un altro, saresti venuta, pronta per ereditare le sue ricerche, e matura abbastanza da portarle avanti. Dunque, io so, ho visto quale motivo ti ha spinta qui. Un richiamo: ciò che porti nella tua tasca ha le sembianze di un amuleto, ma è un congegno che tuo padre ha creato per avvertirlo se la nave avesse ricevuto messaggi, e con quelle fattezze avrebbe potuto utilizzarlo anche durante viaggi su pianeti arretrati; a quanto pare, c’è un messaggio”

“ha smesso solo poco fa di fare uno strano rumore”

“non appena il messaggio giunge a me, quel dispositivo inizia a lampeggiare; se viene ignorato per diverso tempo, emette il suono che tu hai sentito, a intervalli di un’ora. Adesso, giovane Aster, vuoi sentire cosa ha da dirti quell’amuleto?”

Aster era ancora più incerta, ma la curiosità era il difetto e il pregio che in lei brillava con più forza.

“riferiscimi il messaggio”

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Un colpo di scena infittisce la trama, e ormai Aster non può più tornare indietro: è decisa a partire, abbandonare Neo Cydonia per intraprendere unìavventura! Nei prossimi capitoli accompagnerete la ragazza Cydonense nel suo viaggio fino alla Terra! ;-)

 

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Capitolo 9
*** Esseri Umani ***


“vuoi dirmi che è un messaggio di soccorso?” domandò Aster a Kibernete.

“non posso confermarlo. I messaggi mentali sono i più potenti conosciuti, riescono a viaggiare per l’universo senza bisogno di essere ritrasmessi per giungere a destinazione. Qualcuno, dal pianeta che tu chiami Terra, ha inviato un messaggio con la sua mente – una mente assai forte –, e questa nave lo ha captato, essendo all’avanguardia, nel campo delle ricezioni di messaggi mentali. La cosa sorprendente, è che lo abbia captato anche tu. Tuo padre aveva ragione, tu sei speciale”.

Aster si sentì pervadere dall’emozione. “dimmi cosa devo fare”

“ti posso dire cosa tuo padre avrebbe voluto che tu facessi. O quello che credo tu voglia fare. Non sei nata per stare a Neo Cydonia a fare ciò che fanno tutti. Sei nata per vedere cose che gli altri non potrebbero nemmeno immaginare, per sentire suoni che vorrai far sentire a tutti, per provare sapori che faranno venire voglia di poter mangiare per sempre. Questo è il momento, e la Biomira – la forza naturale che, secondo tuo padre, era riconducibile a una sorta di destino – vuole che il pianeta che ti chiama sia la Terra, che chi ha inviato quel messaggio fosse umano. Allora, figlia di colui che mi ha resa cosciente e fatto vivere indimenticabili avventure, sei pronta a ereditare questa nave? A ereditare me?”

Aster era pronta a dare la risposta più folle e determinata della sua giovane vita. “sono pronta”. Decise di dirlo senza pensarci, e di rifiutare qualunque ragionamento che l’avrebbe portata alla madre, a Hypatia, ad Istor, alle sue responsabilità.

Kibernete le suggerì poi di inserire nel terminale principale della nave l’amuleto di suo padre. Quando lo fece, si aprì un nuovo ologramma semisolido, che poteva essere oltrepassato, ma necessitava una volontà cosciente per selezionare una determinata opzione. Esso si propagò per l’intera stanza, dopo che Kibernete avesse calcolato in un millisecondo le dimensioni della stanza e la sua forma, per rendere ottimale la visualizzazione. Rappresentava la galassia, poi la visuale corse a una velocità cento volte superiore a quella della luce – se fosse stato un viaggio reale con un’astronave – fino alla via lattea, dalla quale emergeva un pulpito, un segnale luminoso: era la Terra.

“qui puoi selezionare la tua destinazione. Al resto penso io”

“perché la Terra lampeggia?” chiese Aster.

“perché ho analizzato le tue conoscenze in correlazione al segnale dell’amuleto di tuo padre, e ho triangolato la posizione dalla quale giungeva il segnale. Posso anche dirti cosa contiene il messaggio mentale”

Aster si fece prendere da un’improvvisa euforia. “dimmi tutto!”

“Extraterrestre, se veramente esisti, vieni qui, ti prego. Prendimi e portami via da qui, portami lontano, sul tuo od altri pianeti. Non m’importa. A cavallo di stelle comete, a zonzo per la galassia, tu ed io, vienimi a prendere e portami via di qui”

Un brivido le corse lungo la schiena, mentre ascoltava i pensieri, desideri e speranze di quel ragazzo umano, perché erano i suoi stessi pensieri, i suoi stessi desideri, le sue stesse speranze. Sapeva per certo che c’era qualcun altro nella galassia che provasse le sue stesse sensazioni, adesso aveva la sicurezza che quella voce proveniente dall’infinito buio siderale era reale, e desiderava lei.

“tuo padre non si sbagliava, giovane Aster. Tu hai un cuore umano. E uno potente, se posso permettermi. Sapeva che sua figlia sarebbe stata importante, sarebbe stata diversa dagli altri, più simile a quella strana specie capace di compiere azioni orribili e altre meravigliose. Troppi dei cuori delle generazioni nate fra le scie delle astronavi e la convinzione di essere padroni della galassia non sono più in grado di provare emozioni come quelle che tu provi ora. Tuo padre non si sbagliava. E adesso andiamo!”

L’astronave si alzò gravitando poi prese il volo con forza, e superò il varco nel tetto dell’edificio. Prima ancora che le guardie potessero voltarsi a vedere coi loro occhi cosa stava succedendo di così diverso da tutte le altre sere, il vascello era ormai sfrecciato verso mondi lontani. La velocità aumentava sempre di più, eppure tutto era così silenzioso; l’unico rumore era quello dell’aria sferzata dalla prua. La direzione era verticale: il cielo. S’immisero in una corsia metapaletaria insieme a moltissime altre astronavi. Uscirono dall’atmosfera, e furono circondati in ogni dove dall’abbraccio del cosmo, tuffandosi in un’immensità di stelle. Dovunque si guardasse vi erano astri celesti, perduti nell’armonico caos dello spazio. Era talmente vasta, quella visione, che le centinaia di astronavi che ordinatamente entravano ed uscivano dal pianeta parevano così sparute. Si faticava quasi a vederle, man mano che si allontanavano in direzione dell’avventura. Accelerarono alla velocità massima consentita dai motori a Energia Cosmica fino al Curvatore, un meccanismo dalla forma circolare – un cerchio matematicamente e geometricamente perfetto -, grande quanto una piccola cittadina, che se attivato da un segnale creava un vortice all’interno del quale lo spazio veniva curvato, in modo tale da raggiungere un punto qualsiasi nella galassia, a seconda dei calcoli del viaggio. Essendo pericoloso, in quanto se solo venisse compiuto un errore il rischio era di essere spediti fuori dalla galassia, o in una stella, il calcolo veniva lasciato alle intelligenze artificiali o ai calcolatori delle astronavi. Kibernete calcolò un salto che si avvicinasse il più possibile al Sistema Solare. Il viaggio era iniziato.

*

James si avvicinò a Sofia per dichiararle il suo amore. Erano appena usciti da scuola, e mentre lei camminava sulla via di casa era l’unico momento in cui era sola. Perché le ragazze si muovono sempre in branchi?

“Sofia!” la chiamò dalle spalle. Lei si voltò.

“Jim! Ma tu non facevi l’altra strada per andare all’autobus?”

“non sto andando a casa. Volevo parlare con te”

Sofia s’incupì, ben sapendo cosa il ragazzo le stava per chiedere. “dunque, cosa dovevi dirmi?”

James prese fiato. Il cuore batteva come John Bonham. Era anche peggio della sensazione che provava prima delle interrogazioni. Alla fine, si decise a parlare.
“Sofia, mi sono innamorato di te. Non so come, non so quando, e non so nemmeno perché. Quando mi parli di te mi accorgo sempre più che tu saresti la ragazza perfetta per me”

“ma tu non sei il ragazzo perfetto per me” tagliò corto Sofia. Si pentì subito della freddezza con la quale gli aveva parlato. “senti, Jim. Sei una bravissima persona, e un ragazzo interessante. Ma io e te non staremmo mai bene insieme. Non sai chi sono. Io sono una ragazza che preferisce andare a divertirsi in discoteca piuttosto che guardare un film seduta su un divano. A me piace vivere! In questo mondo, non in uno creato da te, capisci? Io non sono come te, non sono… ecco…”

“strana” completò lui. Lei annuì.

“mi dispiace, Jim, davvero. Sono certa che troverai l’amore, ma non in me”

Queste furono le ultime parole che disse, prima di proseguire per la sua strada, senza nemmeno voltarsi indietro, o avrebbe notato che James era rimasto immobile. Un gruppo di suoi insopportabili compagni di classe aveva seguito tutto, e ora era pronto nella crudeltà di ognuno dei suoi membri ad infierire.

“direi che il tuo fascino da ragazzo strano ma speciale non ha attaccato” iniziò l’attacco.

Se me l’avesse detto Graziano avrei riso. Ma non loro.

“e ti dico anche il perché. Mi sento magnanimo, ti do pure un consiglio”

“non mi servono i tuoi consigli”

“sai quante ragazze ho avuto?”

“a giudicare dal tuo livello di conoscenza dell’amore almeno quante io: nessuna. Hai solo ingannato qualche ragazzina portandola a ballare, baciandola senza nemmeno metterci passione, e magari lei hai anche palpato il culo”

“ora ascoltami bene, pluribocciato di merda! Lei non ti vuole perché a differenza di te non è una sfigata! Non si è fatta bocciare due volte per far spendere tanti altri soldi ai suoi genitori come hai fatto tu! Ma tanto è tutto inutile, non capiscono di aver fatto un figlio coglione”

“e i tuoi genitori non capiscono di aver partorito lo sterco del genere umano. In confronto gente che non è nemmeno mai andata a scuola è la salvezza del pianeta Terra”

“parli proprio come uno sfigato. Mi chiedo se anche i tuoi genitori sono così”

“tuo padre deve essere sicuramente come te, uno schifo, o non avrebbe tirato su uno verme come te. Ce ne sono sempre troppi di genitori che tirano su i futuri stronzi della società”

“almeno i miei non hanno tirato su uno che si fa bocciare due volte e va ancora male a scuola, che non trova una ragazza da quanto è sfigato e che è e sarà sempre un fallito, e una delusione per i propri genitori, a differenza di quelli come me, che invece danno molte soddisfazioni”

“se i tuoi non sanno di aver cresciuto un male per la società non è colpa loro”

“senti, quelli con tanti problemi come te si suicidano, tu perché non ti suicidi?”

“perché sono già in troppi quelli che si tolgono la vita per colpa di cancri dell’umanità come te. E tra l’altro questa è istigazione al suicidio, complimenti: hai appena ufficializzato che i tuoi genitori hanno tirato su un delinquente”.

A queste parole l’avversario batté in una velata ritirata, sfoderando insulti insensati e banali, giusto per andarsene con la soddisfazione di averlo insultato per ultimo.

Forse ha ragione. Pensava James mentre percorreva a passi rapidi l’asfalto che conduceva alla stazione. Il cielo era scuro, nessun raggio di sole filtrava. Mi lascio insultare da gente come loro. Non pensarci nemmeno! Chi sei tu? Sono una delle tue personalità. E ti assicuro che ne hai molte, forse troppe, per un essere umano solo. Sei solo una mia fantasia che si ribella alla verità che sono un rifiuto. Se non la fantasia, cosa guiderà i tuoi pensieri? Cosa ti rende speciale? Io non sono speciale. Eppure la tua stessa fantasia ti contraddice. Eppure sai bene di non aver mai attaccato una persona, ti sei sempre e solo difeso, e hai sempre cercato di essere buono con tutti. Già, ma il mio caro pacifismo non è servito un granché, visto che nessuno mi rispetta per quello che sono. Non è vero. Le persone che valgono ti sanno apprezzare. I comuni umani lasciali alla loro sventura. Essi viaggiano in una via dritta e triviale, che porta in una sola direzione. Essi non vedono, non sentono, non parlano. Tu sei diverso, e non gliela darai vinta. Tu sei un soldato senza armi che combatte una dura guerra, ma sei determinato, e non cederai, non diverrai come loro, né diventerai violento, perché vorrebbe dire aver perso. Capisci? Lasciami ascoltare un po’ di musica.

James si guardò intorno. Vedeva le persone camminare e correre per strada. Continuava a non vedere altro che morti viventi, che senza una ragione di vita si avviavano con riluttanza verso la loro fine. Nessuno di loro deciso a lasciare una parte di se nella storia del mondo, anche solo un figlio che sia pronto ad essere migliore del padre, così da migliorare sempre il mondo stesso. Un tempo non era così: prima James era un bambino vivace e fantasioso che amava stare in mezzo alla gente. Vedeva in ogni persona che incontrava una storia. Qualcuno diceva al telefono “sto tornando a casa, finalmente ti rivedo!”, e James immaginava che quell’uomo fosse un eroe, di ritorno da una missione segreta per salvare tutto ciò che ama, ha rischiato la vita e la persona che lo aspettava a casa lo avrebbe creduto in viaggio di lavoro. Oppure una donna sola ad un tavolo, magari aspettava qualcosa o qualcuno, forse un uomo giunto in nave da terre lontane, di cui s’innamorò da ragazza, e da allora sparito. Probabilmente nemmeno lei ricordava se fosse stata una storia d’amore o un sogno. Tutte quelle storie ora avevano perso senso. Ora odiava il genere umano. James voleva solo tornare ad amare le persone con cui condivideva il mondo, voleva riguardare la gente con gli occhi meravigliosi di un bambino. Ma non era possibile, e più ci pensava più si chiedeva cosa spingesse gli altri a voler ostacolare a tutti i costi la felicità delle persone che quelli non riuscivano a comprendere. James ricordò il pensiero della scorsa notte, quella speranza così infantile, che chiedeva ad un extraterrestre di portarlo via. Da bambino – a James pareva passato tanto tempo – immaginava intere storie. Storie meravigliose a bordo di vascelli spaziali, o navi pirata, oppure sotto gli oceani. Costruiva vere e proprie scenografie, in tutta la casa. I suoi genitori si arrabbiavano, e gli dicevano di mettere tutto in ordine. Ma non capivano: il bambino non poteva distruggere il mondo che si era creato, non poteva uccidere i suoi amici personaggi, non poteva! E non lo avrebbe fatto, prima doveva subirsi una sgridata. Non smise mai di costruire mondi, non smise mai di sognare, non smise mai di essere quel bambino. Le emozioni scorrevano ancora in lui come fiumi, cascate, come imponenti navi rompighiaccio che si facevano strada nel gelido nord del mondo. Doveva solo riscoprire quel piccolo cuore, quegli occhi che si sorprendevano di tutto. James era stato messo di fronte alla cruda realtà quando non era ancora pronto – non lo sarebbe mai stato –, ed era invecchiato, o almeno una parte di se lo aveva fatto. Ora si sentiva le lacrime agli occhi, e decise di piangere. Davanti a tutti, voleva mostrare di cosa era capace, voleva mostrare di saper ancora piangere. Ma per ogni lacrima che gli rigava il viso, l’odio che era dentro di se veniva esorcizzato, pezzo per pezzo, lacrima dopo lacrima. Doveva a tutti i costi trovare il modo di far rinascere il bambino. James decise di dedicarsi Confortably Numb, che instaurò intorno a lui, tramite le cuffiette ben incastonate nelle orecchie, quella dolce coperta protettiva che è la musica

*

Uscirono dal salto ad una distanza accettabile dalla meta, ma ancora troppo lontana. Ora proseguivano con i propulsori. L’astronave, modificata dal padre di Aster, sarebbe stata in grado di viaggiare in curvatura senza bisogno di alcun meccanismo esterno. Ma non era mai stata sperimentata la manovra, prima di allora, e comunque avrebbe potuto compiere tratti molto brevi; per questo – spiegò Kibernete alla passeggera – per fuggire, l’Intelligenza Virtuale aveva approfittato del Curvatore.

Aster studiava con interesse le diversità fisiche degli esseri umani. Doveva creare un corpo nel quale tramutarsi per celare la sua identità. Secondo gli antropologi di tutta la galassia, seguendo la psicologia degli umani, la reazione di un cervello umano all’incontro con una nuova forma di vita non autoctona del proprio pianeta è la paura. Aster, però, una volta riuscì a captare un video amatoriale dalla Terra, in cui vedeva un bambino che rideva mentre un cane – così gli umani chiamavano quella splendida forma di vita – gli annusava la faccia. Il titolo era ‘il mio bambino conosce per la prima volta gli animali. È bellixxxximo!!! XD’. In primis, Aster notò che la lingua utilizzata nel titolo era una variante popolare, e una possibile futura lingua ufficiale, dell’italiano, in assoluto la lingua che Aster preferiva, per eleganza e bellezza. Secondo fatto di cui la ragazza extraterrestre si sorprese era di non vedere il bambino spaventato, sebbene il cane gli avesse avvicinato il muso, e quindi anche le fauci. Trovava interessanti i bambini umani, essendo totalmente diversi dagli esemplari adulti. In tutte le altre specie della galassia, i bambini erano in grado di comprendere fattori semplici dopo meno di un anno, e acquisivano la parola a un anno. I bambini umani ci impiegavano il doppio, il triplo, il quadruplo. E vivevano molto di meno della specie Cydonense. Quindi, i terrestri avevano un tempo decisamente limitato per apprendere, provare sentimenti, vivere. Questo comportava reazioni emotive fortissime: gli umani provavano emozioni di una forza che avrebbe devastato il pacifico cuore di un monaco del Terzo Occhio.

“presto scoprirai tutto ciò che gli antropologi non sono stati in grado di scoprire, Aster. Nessuno ha mai avuto contatti diretti con loro da tempi che loro hanno ormai dimenticato; hanno tutti timore degli umani, timore di non sapere come comportarsi con loro, forse”

“io cambierò le cose. Uno di loro mi ha chiamato, lo hai sentito. Gli chiederò tutto ciò che voglio sapere, e lui potrà chiedere a me tutto ciò che vorrà sapere”
Nel frattempo, Aster aveva concluso il progetto del corpo che avrebbe sostituito il suo sulla Terra. Era un corpo leggermente più snello del suo, e la pelle leggermente più chiara, ma dal colore che le ricordava il suo. Gli occhi neri e infiniti come lo spazio. Non essendo terrestre, la ragazza tentò di ricreare un corpo che risultasse attraente per gli esseri umani. “ecco fatto, assomiglia all’attrice Zoe Saldana, che ne pensi, Kib?”

“non sarà un po’ troppo magra?”

“è più o meno come me, credo. Tu cosa sai dei gusti dei maschi umani?”

“sono fra i più svariati. Ma la donna considerata il più famoso simbolo di sensualità della storia del loro cinema, Marilyn Monroe non era certo snella come il tuo prototipo”

“ma anche Zoe Saldana è ritenuta bellissima, eppure è molto magra”

“come ho detto: i gusti sono fra i più svariati; cambiano da persona a persona, sono estremamente soggettivi”

Aster diede nuovamente un’occhiata al suo progetto, che vedeva proiettato accanto a se tramite un ologramma. Quando fu soddisfatta, ordinò a Kibernete di iniziare a lavorarci, di modo che fosse pronto per l’arrivo, previsto a due giorni da quel momento. Poi, si diresse verso una vetrata che dava sullo spazio. “è splendido” disse con voce sognante “io non ne avevo idea”

“sì, lo è” asserì Kibernete.

Aster si sentì improvvisamente e dolcemente sola, libera dagli sguardi e dalle parole degli altri, come quando stava sulla sua amaca nelle notti più calde. Aveva ancora addosso i vestiti aderenti neri che aveva usato per il furto, ma ora un angolo di ventre era scoperto. L’idea di potersi spogliare e camminare per la nave senza alcun velo addosso la eccitava, le dava la sensazione di essere padrona di quel mondo. Chiese a Kibernete di aumentare la temperatura, poi iniziò a spogliarsi, levandosi prima la maglietta, poi tutto il resto. Accarezzandosi immaginava che qualcuno le dicesse di essere bellissima.

“Aster, perché ti sei tolta i vestiti?”

“l’unico modo che ho di sentirmi libera e bella è questo: spogliarmi lontano dagli occhi di tutti quanti e fingere di vivere in un mondo in cui non ho bisogno di coprirmi mai. Sento che il mio corpo è mio e solo mio”

Si diresse verso il ponte d’osservazione, una sfera di hyle posta in cima alla nave, che svettava su un alettone dorsale, ma non era tanto grossa da creare problemi alla manovrabilità. Aster osservava l’infinito che regnava in ogni direzione. La velocità di crociera era nettamente inferiore a quella della luce, ma nonostante questo era una considerevole accelerazione. Per superare il sole e raggiungere la Terra, che in quel momento si trovava dalla parte opposta a quella dalla quale giungevano Aster e Kibernete, ci avrebbero impiegato solo un paio di giorni, una volta superata la velocità della luce. Eppure, alla ragazza dagli occhi sognanti e lucidi di commozione, le stelle parevano ferme dall’osservatorio della sua piccola astronave, una molecola nella galassia. “nemmeno sembra che ci stiamo muovendo. Io non riesco a credere che viaggiamo a una velocità tanto grande”

“è l’incredibile vastità dello spazio. Ti prometto che non sarà la cosa più sorprendente che vedrai nei tuoi viaggi”

Aster era intrisa di un’inebriante gioia e spensieratezza. Era come tornare bambina, ma ora stava vivendo realmente le avventure che tanto aveva sognato. Si lasciò sfuggire una lacrima. Poi si sdraiò a terra e si posò una mano sul ventre, sentendo quando si alzava e s’abbassava durante la respirazione. Era in pace.
“Kibernete” chiamò con voce amichevole.

“cosa c’è, giovane Aster?”

“che suono ha il silenzio?”

Kibernete attese un istante prima di rispondere, il che era sconcertante per un’intelligenza virtuale. La domanda di Aster aveva messo in difficoltà persino la nave.

“non posso conoscerlo. Lo spazio è molto silenzioso, potrebbe esplodere questa nave e non si sentirebbe assolutamente nulla, ma non so dirti quale sia il suo suono”

“Mi sembra strano che un’intelligenza artificiale non sia in grado di rispondermi”

“io sono diversa. Tuo padre mi ha reso in grado di imparare molto più in fretta, in correlazione allo standard di apprendimento delle specie organiche della galassia, ma non conosco tutto. Anche io devo imparare, e spesso ho bisogno che qualcuno più saggio o esperto mi spieghi ciò che voglio sapere. Le altre intelligenze artificiali, invece, non sono in grado di imparare più di ciò che gli è stato impiantato con l’imprinting di base”

Aster guardò sotto di se il vascello, come se stesse guardando negli occhi Kibernete. “sei quanto ho di più vicino a un’amica che non sia Hypatia, sai? Forse sei meglio tu degli organici”

“ti ringrazio, giovane Aster”

Mentre osservava l’astronave, la ragazza si rese conto che solo la sua intelligenza virtuale aveva un nome, Kibernete, ma non lo scafo. Che nome si può dare ad un’astronave? Aster rimuginò sulla sua esperienza di immersione nella fantascienza degli esseri umani. La sua mente si spostò dai romanzi al cinema, per finire nella musica, quando si ricordò il nome del personaggio alieno creato da David Bowie: Ziggy Stardust.

“Kibernete! Ho trovato un nome a questa astronave! Allo scafo, se non altro”

“riferisci pure”

“Ziggy Stardust!” disse emozionata. Quel nome era perfetto per la nave ereditata da suo padre.

“mi sembra ottimo; è il nome di un album di David Bowie”

“e anche il nome del suo più celebre personaggio”

Aveva trovato anche il nome per la sua nuova casa: ora era davvero pronta a solcare gli oceani di stelle dello spazio. Kibernete riprodusse fra le mura della nave e della sfera la canzone Ziggy Stardust, che ritenne decisamente azzeccata ai viaggi nello spazio.

*

 James stava sdraiato sul tetto si casa sua, con la camicia sbottonata e la lampo slacciata, protetto dall’oscurità della notte. Fumava una sigaretta all’aria aperta. Erano tanti anni che non andava più sul tetto di casa sua, da quando suo padre gli aveva fatto una brutta lavata di capo, e ora iniziava a riprenderci l’abitudine. Ora non gli avrebbero detto nulla, sapevano che non li avrebbe comunque ascoltati. Non potevano capire quale sensazione di libertà conferisse a James quel luogo. Era più vicino alla natura, al suo amato cielo stellato, e più lontano dall'essere 'coi piedi per terra'. Quando gli adulti o anche i suoi coetanei gli dicevano che doveva stare coi piedi per terra, che doveva concentrarsi sulla realtà invece che sulle sue fantasie, James sentiva che non stavano parlando con lui, ma con l’ammasso di carne che stava loro davanti. In quei momenti, nella sua testa risuonava Shine on You Crazy Diamon, che sovrastava le parole e dava pace allo spirito. Il mondo esterno al suo era un agglomerato di caos e rumori insopportabili, e la musica era la salvezza, insieme agli altri due soldati del suo mondo privato, cinema e letteratura. L'aria gli pizzicava il petto, ma a lui non dispiaceva: Era il tocco della libertà. E dal giorno seguente sarebbe stato libero anche dagli impegni scolastici, e in più era il giorno della sua amata lezione di chitarra. Il momento di imparare cose nuove ed esercitarsi con la pratica di routine era un'ora dedicata solo a lui e alla sua chitarra, poteva suonare senza che i suoi gli rimproverassero di applicarsi troppo alla musica e troppo poco allo studio. Trasse un profondo respiro, libero dal fumo.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Aster è finalmente partita, e viaggia a gonfie vele! Mentre Jim si isola ancora di più dal mondo esterno, dopo essere stato preso di mira per l'ennesima volta da compagni di classe crudeli. Si guarda intorno e vede, con estremo pessimismo, una melma informe di odio e di violenza. Tutto ciò che è esterno al suo mondo, alla sua musica, al suo gruppo di amici reietti, è malvagio e pericoloso. Si ricrederà? Lo scopriremo più avanti nella storia! ;-)

 

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Capitolo 10
*** Maestro e Compagno ***


“prima accordiamoci” disse Alessio, un uomo basso, con un orecchino e un cappello di paglia sempre in testa, che insegnava a Jim l’arte del suonare la chitarra. Suonava la più bella chitarra su cui gli occhi di Jim avessero mai avuto la fortuna di posarsi: una Ibanez semiacustica, il cui corpo raffigurava una cartina coloniale settecentesca, ingiallita dal tempo, che assumeva un colore tendente all’arancio grazie al legno di ciliegio. Le meccaniche parevano essere state create per la perfezione. Aveva qualcosa di molto speciale quella chitarra, qualcosa di arcano. La tastiera, in palissandro, aveva i particolari in madreperla, ed era incredibilmente vicina alle corde; particolare, questo, delle chitarre semiacustiche che a chitarristi come Jim rendeva più facile e svelto suonare e far danzare le dita sui tasti, intervallati da barre di ottone; ma strumenti di quel genere avevano anche un difetto: le note alte, infatti, il più delle volte gracchiavano, e i banding più estremi risultavano difficoltosi e dal dubbio risultato. Inoltre, le semiacustiche davano il meglio con un suono pulito o in overdrive, e peccavano quando la distorsione diventava più aggressiva. Ma quella chitarra, soprannominata Golden Age, tutti questi difetti non li aveva, e, anzi, nelle mani del giusto chitarrista, dava alle note alte un suono angelico, solido e delicato, che perdurava finché il vibrato le consentiva. E quando la si distorceva, il suono che ne usciva era dolce e crudele come il mare. Jim la suonò una volta soltanto, e gli parve che fosse lei a dirgli cosa fare. Vi era una totale sintonia fra musicista e strumento. Si creava un tandem armonico di spirito e matematica, cuore e mano, emozione ed esternazione. Alessio diceva che però quella chitarra, per mantenere il suo effetto, doveva essere suonata con un’accordatura in La maggiore a 432hz. Qual è la differenza, visto che la normale accordatura vede un La a 440hz? Cosa possono fare solo otto hertz di differenza? Jim ancora non comprendeva bene le spiegazione di Alessio.

“dovrei essere accordato come te, ora” disse Jim, dopo che ebbe tirato l’ultima chiave, quella del Mi cantino, ché era un poco allentata.

“bene, comincia ad improvvisare su questa base”

“in che tonalità è?”

Alessio ridacchiò. “ascolta”

Jim, pronto a tutto, tese l’orecchio, pronto ad improvvisare su qualunque base. Questa volta gli andò bene: una ballata blues in La minore, mielosa e malinconica, come una passeggiata sotto la luna. Erano le sue preferite. I due musicisti continuarono a suonare, alternandosi il ruolo di ritmica, e la parte da solista ogni quattro battute. Quando finirono, i legni delle loro tastiere erano umidi di sudore, e i calli sulle punte delle dita di Jim erano sbucciati come ginocchia di un bambino.

“è stato divertente!” esclamò Jim.

Alessio sospirò. “sì, lo è stato. E ci conviene far tesoro di questi momenti, Jim”

Il discepolo guardò il maestro con volto interrogativo. “che vuoi dire”

“che probabilmente dal prossimo gennaio, se va male già da settembre, chiuderemo i battenti. Non ci sono abbastanza fondi per tenere aperta la scuola di musica”

Jim rimase impietrito. Quella scuola ormai era una famiglia, una delle più potenti valvole di sfogo. Era un momento in cui condivideva musica con un maestro e un amico, insieme a chiacchiere e storie. Spesso Alessio gli raccontava di quando, da ragazzino, girava per l’Italia con la sua rock band, che non vide mai la fama, ma concesse a tutti i suoi membri di vivere meravigliose avventure a zonzo per la penisola. Tutti quei momenti felici non potevano finire. Perché non vi era mai un attimo di pace? Sempre e solo cattive notizie giungevano alle orecchie di Jim. Iniziava a non sopportarle più. Ma poi pensava che nel mondo c’era chi stava peggio di lui, e si sentiva in colpa per aver creduto di stare male. Era terribile non potersi nemmeno crogiolare nelle lamentele e nel piangersi addosso, ché ci sarebbe sempre stata una persona più in diritto di lui di lamentarsi. Non vi era conforto se non nel mondo da lui creato, e nel quale andava via via perdendosi.

“non può chiudere la Lira di Orfeo!” Lira di Orfeo era il nome dell’associazione di istruzione musicale nella quale faceva apprendistato Jim.

“e invece pare che alla banca non importa se noi aumentiamo la cultura del paese, a loro importa solo dei soldi che non possiamo dargli. Ma potrò continuare a insegnare a casa mia”

“non è la stessa cosa! Non ci saranno più le suonate di gruppo con tutti gli studenti, alle sei, tutti i giorni, gratis. Non ci saranno più gli incontri casuali con gli altri apprendisti, gli scambi di opinioni, brani, gadget per gli strumenti, la convivenza, la collaborazione! Non ci saranno più i viaggi e le avventure per andare ad esibirsi con la scuola, quelli sì che erano spettacoli!”

“lo so. Anche a me piange il cuore, ma non ho potere in questo”

Jim non disse nulla.

“quanti soldi servono a salvare la scuola?”

“più di quanti potresti mai guadagnarne”

“spara una cifra!”

“cinquemila euro”

“beh, non sono poi così tanti, non si possono mettere insieme i soldi di tutti quanti per raggiungere la cifra?”

“non essere ridicolo, già i genitori faticano a sborsare i settanta euro al mese richiesti, dovrebbero pagare circa cinquecento euro l’uno, se non di più”

Le soluzioni sfuggivano dalle mani delle idee di Jim. Finché non ebbe un’illuminazione: i Blues Brothers.

“la banda!” esclamò Jim eccitato.

“come?”

“la banda! Ricordi? Nel film The Blues Brothers facevano un mega concerto per salvare il convento dove erano cresciuti! Dobbiamo fare un concerto!”

“nessun concerto porta cinquemila euro a una scuola di musica”

“ti prometto che ci riuscirò, dammi una settimana di tempo per pensare, e quando tornerò dalla mia vacanza avrò la soluzione”

Alessio si prese un istante per pensare.

“non voglio illuderti, ma spero davvero che la tua fantasia riesca ad elaborare un piano. Non ho mai amato essere realista, e non lo sarò ora. Ti aiuterò, se servirà”

“grazie, Master & Commander!” scherzò Jim.

La lezione doveva essere conclusa da almeno mezz’ora, ma i due musicisti continuarono a suonare senza badare al tempo, e al mondo che cambiava di minuto in minuto fuori dall’alone di musica. Di lì a poco sarebbe arrivato anche Graziano, per la sua lezione di basso, e dopo quella, avrebbero fatto un’ora di musica comunitaria: tutti gli studenti che suonano insieme come un’orchestra. Era un momento emozionante, quando molti strumenti – una decina di studenti – si univano a creare un mondo di armonia.

Quando videro Graziano, insieme a Francesco, l’insegnante di basso elettrico di Graziano, Jim e Alessio gli parlarono del problema della scuola. Quel dolce universo parallelo che era quel luogo, quelle stanze, quelle voci, si sarebbe sgretolato. Ma, come Jim sapeva, Graziano appoggiò a pieno il progetto dell’amico, promettendo che sarebbero divenuti famosi per salvare la loro amata scuola di musica.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Questo capitolo è liberamente tratto dalla storia della scuola di musica in cui militavano Hanck e Unconfortable Eye, che ora ha chiuso i battenti da ormai tre anni.
A noi (Hanck & Uncomfortable Eye) sarebbe piaciuto riuscire a salvarla, ma purtroppo quella volta i nostri sogni non sono bastati, bisognava agire, ma le responsabilità verso casa - o, meglio, le catene che ci legavano a casa - ci hanno impedito di entrare in azione. In questa storia, dunque, abbiamo voluto scrivere ciò che avremmo voluto fare, e forse in questo universo a parte che è quello di Aster riusciremo a salvare la scuola. O forse no... 

 

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Capitolo 11
*** La Bestia Dormiente ***


La scuola era ormai finita da tre giorni. Il giorno che James stava vivendo in quel momento era un venerdì, e il sabato seguente avrebbe dato una grande – per così dire – festa a casa del suo amico fraterno Graziano, con tutti i suoi – pochi – amici e la band, con la quale avrebbe suonato nel giardino, dopo aver ottenuto il permesso del comune. Ma non era ancora detto che quel momento di gioia e divertimento sarebbe giunto: venerdì, il giorno degli scrutini, era arrivato. In un lasso di tempo che andava dalle due alle quattro del pomeriggio, il telefono avrebbe potuto portare, insieme a quel suono terribile, la notizia della sua bocciatura. Erano le tre, il periodo più asfissiante dell’attesa, quello in cui le telefonate agli sventurati erano più frequenti. Jim guardava il telefono di casa come se fosse una feroce bestia sanguinaria, pronta a dilaniarlo. La massacrante attesa, un’angoscia viscerale, che non lasciava spazio ai pensieri positivi. La testa pulsava, le mani erano gelide, nonostante fosse giugno. Ma era un freddo che le coperte non potevano riscaldare, quello della paura. Le mura di quella casa parevano una quarantena autoimposta, strette corde; avrebbe voluto sbottonarsi il colletto di quella casa per respirare, ma non poteva, dovunque andasse gli occhi del telefono lo seguivano, e l’ansia s’era insediata in ogni molecola di ossigeno di quella casa. Le orecchie stavano allerta come quelle di un gatto spaventato, o di un cieco che cammina in una selva tenebrosa, in una notte di nebbia autunnale. Come un fantasma, l’immagine, la sensazione che il telefono potesse squillare da un momento all’altro lo tormentava, perseguitava. Si sentiva come un uomo bendato, con le spalle a un muro crivellato, in attesa solo dell’ordine, detto ad alta voce. Ogni altro rumore era attutito, dissipato, come ascoltato da sotto una coperta d’acqua; un vicino cantiere, una sega elettrica, cani che abbaiano, un aereo, le macchine…  la speranza era ancora accesa, ogni attimo che passava senza quel suono stridulo e agghiacciante del telefono era un attimo in più di vita, un attimo in più di ansia. Forse non sarebbe mai squillato, forse sarebbe andato tutto per il meglio. Ma fino alla conferma di questa speranza, le orecchie ascoltavano attente e tormentate, gli occhi avevano paura di guardare, quindi lanciavano fugaci occhiate all’aggeggio, senza fissarlo troppo, per non provocarlo, per non svegliarlo. Jim nemmeno si muoveva, se doveva passare davanti al telefono di casa lo faceva con estrema cautela. Il suo supersenso – parte del cervello collegata alla credenza del sovrannaturale – gli suggeriva che quell’ammasso di plastica e circuiti era suo nemico, un terribile nemico che ora stava dormendo. Nella mente di Jim passavano pensieri di un futuro fragile, un sogno funambolo, la delusione data ai suoi genitori, la certezza di non avere certezze. Dopo un lungo e atroce scambio di sguardi fra i due avversari, Jim decise che non poteva star lì ad aspettare. Indossò il suo cappello, si infilò le scarpe, prese la sua amaca e uscì di casa. Fece tutto ciò in fretta e furia, per paura di quel suono maledetto. Anche mentre si allontanava temeva in ogni istante di poter udire un colpo alle spalle, il suo nemico che si era accorto della fuga di Jim. Ogni passo che lo allontanava da casa gli donava sempre più pace. Mentre dentro Jim si muoveva un verme di ansia che gli contorceva il ventre, la giornata pareva volerlo aiutare, accarezzandolo con un caldo sole estivo. La potente luce solare non urtava gli occhi del ragazzo: quella luce, quel calore, erano ciò di cui aveva bisogno. Iniziava a sentirsi meglio. Le mani da fredde, umide ed intorpidite si stavano riprendendo. Anche il freddo pian piano svaniva. Quando vide le verdi e sinuose fronde degli alberi del bosco, anticipate dalla bassa brughiera, sì sentì libero dal terrore. Si addentrò subito nel fitto della foresta, dove non poteva passare nessuno, lontano dalla strada battuta. Si diresse nel luogo dove lui e Graziano erano soliti andare per rilassarsi, lo stesso angolo di bosco dove qualche notte prima avevano cantato e riso dopo una bevuta tra fratelli. Era il luogo perfetto per il suo intento: il sole, attraverso le foglie delicate delle fronde, creava un’atmosfera gradevole, immersa in un verde naturale che conferiva serenità agli animi e dolcezza ai corpi. Jim trovò due alberi alti e robusti; si arrampicò circa a metà di uno, e legò ad un ramo una cima dell’amaca, e poi ripeté l’operazione anche con l’altro albero e l’altra cima. In questo modo, poteva stendersi e rilassarsi, riposare nella maniera che piaceva a lui: coi piedi ben lontano dalla terra. In breve tempo, prese una matita e il suo diario, dove spesso scriveva, parlava con se stesso, appuntava versi di canzoni, descrizioni di ciò che vedeva. Era il momento più rilassante che aveva da molto tempo, e doveva essere solo suo. Scrisse fiumi di grafite, incise almeno una dozzina di fogli di diario, fatto a mano e rilegato con carta di Bucarest raffigurante, tramite un disegno ad inchiostro di mare, una nave in mezzo a una tempesta. Esorcizzò le sue paure scrivendole, per poi passare a descrivere l’immensa pace che provava nel trovarsi a quattro metri dal suolo, immerso nella natura.

Mi sento un po’ stupido a preoccuparmi della scuola, se penso che la bellezza di questo bosco potrebbe essere rimpiazzata da un orrendo hotel pronto ad accogliere uomini grassi e ricchi. Comprendo i tuoi sentimenti. Ma senza un titolo di studio come potranno gli altri umani seguirti e fidarsi di te nella lotta per questo pianeta? Suppongo tu abbia ragione. Che io abbia ragione. Ma per cosa combatteremo se siamo a un passo dal distruggerci? Sono come un ratto che vuole abbandonare la nave prima che affondi. E questa nave sta affondando. Ci uccidiamo per il petrolio o per qualunque altro insulso motivo. Quando finirà saremo rimasti in pochi, e che faremo senza il nostro prezioso petrolio? La nostra intera civiltà ora si basa su quello. Finiremo miseramente? Quali speranze abbiamo? Avete la speranza di chi combatte ancora. Come te, come i tuoi amici. Quando salverete la vostra scuola di musica sarà la dimostrazione che si può vincere. Prima salvate la musica, metaforicamente, e poi aprite gli occhi al mondo. Questo è ciò che dovete fare, la vostra, la tua missione.

 Proprio mentre era immerso nei suoi pensieri, una voce giunse dal basso.

“Jim” lo salutò Graziano “che ci fai lassù?” gli domandò sorpreso.

“cerco pace per i miei sensi, tu che ci fai qui? Cioè, mi fa piacere vederti, ma ti hanno chiamato?”

“nah, ho quattro debiti”

“cazzo, forse era meglio la terza bocciatura”

“tu hai avuto oggi gli scrutini, vero?”

Jim impallidì, quando la morsa della paura lo riprese. Controllò il cellulare. Maledetta tecnologia, non si è mai al sicuro, con te! Annuì.

“vedrai, terranno conto del tuo talento nella scrittura”

“e se così non fosse? Mi spieghi che futuro avrei io? Tre bocciature, nessuna esperienza di lavoro, solo tanti sogni”

“a volte bastano quelli! Vedo nel tuo futuro soldi, fama, e tante donne nude intorno a te che si fanno accarezzare i seni”

“addirittura? Accarezzare i seni?” rise l’amico.

Graziano riuscì a distoglierlo dal suo terrore, e a fargli dimenticare della chiamata finché non furono le quattro e dieci, e Jim fu al sicuro. Festeggiarono con un abbraccio, dopo che Jim fu sceso, e poi si salutarono per tornare ognuno a casa propria. Ora non dovevano fare altro che attendere la folgorante serata nel giardino di Graziano, l’unico luogo abbastanza lontano dalle altre case da consentire ad una rock band di sfogarsi. 

ANGOLO DELL'AUTORE
Signori, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perché di Hanck ha solo la supervisione stilistica, e in principio era una 'scena tagliata' negli appunti, ma ora abbiamo deciso di proporvela, in tutta la sua ironia. Si è capito, vero, che la scena deve essere comica? Insomma, qualcuno di noi ha provato veramente quelle sensazioni, e noi crediamo che qualche lettore ci si possa addirittura immedesimare, ma, diciamocelo, paragonare il telefono a un mostro pronto a divorare Jim, e tutta quella ansia così atroce era tanto esaltata da voler suscitare il sorriso... beh, se invece vi siate totalmente angosciati, tanto meglio, vuol dire che siamo stati bravi a descrivere le emozioni di Jim :-D grazie per essere arrivati fin qui nella lettura!
ps: abbiamo migliorato carattere e distanze fra i paragrafi, appena avremo tempo faremo questa modifica anche agli altri capitoli. 

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Capitolo 12
*** La Febbre del Sabato Sera ***


La chitarra di Andrea suonava l’elettrizzante riff di Thunderstruck, con le veloci pennate alternate, canzone perfetta per iniziare una festa. Una trentina di invitati – molti più di quanto sperato, anche se molti erano conoscenti, più che amici – si misero a  intonare il coro di versi animaleschi, al quale presto si aggiunse anche la voce aggressiva ma femminile di Alice, mentre Jim, col suo fido cappello e una giacca di jeans aperta, duettava con lei e suonava la parte ritmica di Malcolm Young, fratello del celebre chitarrista Angus degli AC DC. Inoltre, avevano aggiunto componenti per ogni canzone, in quanto nel gruppo c’erano anche altri strumenti, come la tastiera di Giovanni o il sassofono di Paolo, che in quella canzone aveva un lungo e mirabolante assolo con il contralto. Gli invitati erano scatenati, tutti amanti del rock, e una volta conclusa la canzone, proposero ognuno un pezzo diverso da far suonare al gruppo, ma prima ci sarebbe stata l’immancabile presentazione.

“signore e signori, amici, amici di amici e imbucati!” Jim catturò la loro attenzione “siamo qui riuniti stasera”

“per festeggiare l’inizio dell’estate!” s’intromise Alice, vestita da hippie, rubandogli il microfono. Ma Jim certamente non si era offeso, erano una famiglia. Comunque, il pubblico esultò.

“un caldissimo saluto dal gruppo che vi farà scatenare, i Chaos Within!” ovazione “perché, come diceva Nietzsche, se non si porta il caos dentro di se, non si può creare una stella danzante!”

“e ora passiamo a presentare i ragazzi che vi faranno sognare!” grida e fischi “a cominciare dal padrone di casa, il bassista, Graziano!” applausi. Si fece avanti in prima posizione e alzò il basso elettrico. Era vestito con indumenti che richiamavano il trash metal anni ’80.

“la cantante più sexy del Kentucky, Alice, che per inciso non è del Kentucky” la ragazza fu presentata da Jim, mentre il bassista lasciava il posto della pole position.

“James, l’italoamericano che è giunto in Italia con una chitarra, una voce che spacca, e un sogno: suonare alla sagra dell’uva!” Alice ricambiò il favore.

“Giovanni, il talentuoso tastierista, il nuovo Jon Lord!” i due amici si alternavano i nomi da presentare.

“un sassofonista d’eccezione, Paolo!” dall’angolo oscuro nel quale era rintanato, di fianco alla batterista, venne nella posizione delle presentazioni vestito elegantemente.

“il riff che avete sentito all’inizio della canzone era eseguito dal nostro Jimmy Page personale, Andrea!” Andrea trasportava uno stile nel vestire che ricordava il grunge anni ’90.

“e ora, se i vostri cuori battevano ad un ritmo, quello era il ritmo di Monica, la nostra incredibile batterista donna!” al nome, detto da Alice, Abigail – che era presente alla festa – gridò come per nessun altro membro del gruppo. Anche perché la sua fidanzata, quando saliva su un palco, diventava incredibilmente intrigante: più svestita che coperta, con una maglietta che arrivava alle costole, minigonna e senza scarpe né calze, quando suonava i suoi seni si trasformavano in palloni da basket. Abigail adorava vederla suonare, non solo perché la eccitava, ma anche perché vedeva che finalmente anche la ragazza dimenticava i giudizi dei suoi compagni di classe e si convinceva di essere accattivante. Ed era tutto ciò che chiedeva.

“e come dimenticare il nostro incredibile fonico, che sfuma alla fine delle canzoni più dolci, mette l’eco in quelle dei Pink Floyd, il distorsore alla voce e mille altri effetti sintetizzati: Edoardo!” il pingue ragazzo, vestito come fosse un disk jockey negli anni ’80, alzò le mani da dietro la sua console, e, tramite il computer collegato agli amplificatori e al mixer, si presentò con la colonna sonora della 20th Century Fox.

“e infine il nostro manager, Massimo, che però per questo concerto non è servito assolutamente a niente!” disse ancora Jim, sebbene fosse il turno dell’amica.

“ma che resta un grande amico!” concluse Alice “e ora Rock N Roll!”

Questa era la formula magica per scatenare il ritmo negli strumenti. Alle tre parole ‘rock n roll’ Monica iniziò a colpire la batteria alla maniera di John Bonham nella canzone, titolo della quale era proprio nella formula magica pronunciata da Alice. Mentre Jim faceva sempre la ritmica e pensava ai cori, Andrea improvvisava fino al momento dell’assolo. Giovanni non ebbe difficoltà con la tastiera, e Paolo si adattò con gran maestria, riuscendo a far suonare bene anche un sassofono in un pezzo rock dei Led Zeppelin.

Alla fine dell’esibizione, ormai non ne restava uno sobrio, degli invitati, e anche i musicisti, fra una pausa e l’altra, si erano dati alla birra, chi rossa e chi bionda. Vi erano coppie che si baciavano, come Abigail e Monica, Alice con il suo ragazzo, Massimo e la sua ragazza, e poi altri coi quali Jim aveva condiviso poche esperienze. Lui e gli scapoli del gruppo erano seduti ad un tavolo, congratulandosi per la serata e balbettando parole incomprensibili in mezzo ai singhiozzii. Graziano perse la scommessa di bere una birra da sessantasei tutta d’un fiato… la perse, quella scommessa, per terra insieme alla cena. Ma rideva, mentre dava di stomaco.

Eccolo, il lato positivo, l’unico lato positivo dell’alcool: le risate da ebeti. Non credi che dovresti darti una regolata? Ah, un’altra mia personalità? Ne hai molte, lo sai. Io sono qui per raddrizzarti un po’, sono la parte di te che vuole vederti con un futuro, una sistemazione, una vita felice e una famiglia. Allora sei nel posto sbagliato, ficcati nella testa di qualcun altro. Non te ne rendi conto, vero? Questa gente sta usando Gra come un giocattolo, si approfitta della sua ospitalità e lo deride. E non puoi nascondere a me i tuoi pensieri: stai pensando che in fondo ho ragione, e i tuoi momenti migliori con il tuo migliore amico li hai passati quando lui era sobrio, quando era in se stesso. Sta’ zitta, fammi bere in pace.

Jim prese Graziano sotto braccio e lo accompagnò in bagno. Nella grande casa di campagna, il bassista aveva due bagni, e per fortuna, perché uno dei due era occupato da due fidanzati che facevano sesso. Anche Monica ed Abigail si nascosero nella stanza di Gra, una volta ottenuto il permesso dal padrone di casa, che più che annuire fece ciondolare la testa in segno di assenso. Di norma Jim detestava le feste con molta gente, e per lui che ancora non aveva accarezzato mai il corpo nudo di una donna, l’odore del sesso lo spaventava. Non sapeva perché, lo desiderava con tutto se stesso, passare i polpastrelli dalle cosce di una ragazza fino al ventre, e poi su, lungo la linea dell’alba, fino ai monti del nord; lo desiderava, ma lo temeva. Era l’atto più intimo che si poteva avere con una persona. Durante l’amplesso si è letteralmente due persone unite in una sola, fusi insieme. Non vedeva l’ora di scoprire cosa si provava. E tutti questi pensieri, uniti alle fantasticazioni sulle due amiche chiuse nella stanza di Graziano, Jim li faceva mentre il suo migliore amico riproponeva il pasto al gabinetto. Un’autentica serata rock, devo dire, anche se ora mi stenderei volentieri sulla mia amaca a guardare le stelle. Sento come se la mia amica spaziale stesse venendo da me proprio in questo momento, pronta a spogliarsi per farmi scoprire il dolce mondo dell’amore in tutti i suoi sensi. Ma che sto pensando? Sono ubriaco fradicio. I pensieri erotici sono i più sinceri che si possono fare su una ragazza. Ma di cosa blateri? Tu puoi dire a una ragazza che la ami, che è bellissima, ma intanto vagare con la mente alle forme di un’altra. Ma quando sei solo, chiuso dentro te stesso, e il mondo intero sbattuto fuori, senza nessuno che può entrarti nella testa per porre giudizi, e scegli di pensare a una determinata fanciulla, magari che conosci, in quei minuti lei diventa la più bella del mondo, per te. È incredibile, la mia fantasia può trasformare una masturbazione in qualcosa di romantico.

Edoardo aveva impostato una playlist di lenti, fra cui Wonderful Tonight, Knockin on Heaven’s Doors, il classico Little Wing, e altri pezzi adatti ad orecchie esauste e gambe molli. Qualcuno tentava ancora di ballare, con goffi risultati, ridicoli perlomeno. Si sentiva nell’aria, che la festa era finita. I due fidanzati uscirono dal bagno, Monica ed Abigail tornarono dalla camera coi capelli scarmigliati e l’aria soddisfatta, e Jim e i suoi amici erano seduti allo stesso tavolo.

“allora, Jim, non dirmi che non ti sei divertito” gli domandò Graziano.

“non è il mio genere di serata, ma è stato comunque piacevole, però…”

“però?”

“però qui era pieno di belle donzelle, ma nessuna per noi” rispose Paolo per Jim, che annuì.

“guardiamo in faccia alla realtà, ragazzi, siamo sfigati, forever alone!” disse Edoardo.

“andiamo gente, diciamo la verità, che non ci abbiamo neanche provato, siamo rimasti a questo fottuto tavolo tutto il tempo!” Giovanni aveva ragione, disse ciò che tutti quanti sapevano.

“ma sì, meglio così, qui ci son ragazze che conosciamo, meglio aspettare la Toscana per farsi avanti, così se dovesse andare a buon fine ce le portiamo a letto e poi finisce lì”

“sì, Andrea ha ragione!” lo sostenne Graziano.

“allora, l’ultimo brindisi alla Toscana!” propose Jim, e tutti alzarono i loro bicchieri di plastica, appena riempiti di spumante.

Mentre il giardino iniziava a desolarsi, e pian piano la gente se ne tornava a casa propria, Jim e Graziano, che rimasero soli dopo aver salutato i compagni, si misero a guardare le stelle sul loro dondolo.

“perché non riusciamo a trovare una ragazza? Beh, tu ne hai avuta qualcuna, ma non era mai nulla di serio, qualche bacio per un paio di settimane e basta, dico bene, Gra?”

“dici bene. Secondo me dobbiamo solo essere noi stessi, ma anche meno timidi. Dobbiamo buttarci a pesce, chissene frega se poi va male, abbiamo diciotto anni, il nostro tempo della decina è quasi agli sgoccioli!”

“miseria, mancano due anni, hai appena compiuto i diciotto e già ti vuoi scaraventare sui venti?”

“la verità è che il tempo, a quest’età, corre alla velocità della luce. A volte mi viene voglia di chiedergli se può rallentare e aspettarmi, che sono stanco”

“il caro Kronos non aspetta nessuno, amico mio, lo sai”

Durante una pausa fra le parole, i due amici respirarono a pieni polmoni l’aria notturna, la più buona delle ventiquattrore, quella che preannuncia la dolce brezza mattutina che sa di rugiada.

“in Toscana mi butterò, io voglio un corpo di ragazza, lo voglio toccare, le voglio dire che è tanto bella da farmi male, e voglio che lei mi dica che è mia, che posso baciarla dove mi pare, e voglio che le piaccia”

“e passare la lingua in ogni dove! Disegnare sul suo corpo un affresco di puro desiderio”

“hey, mi piace! Questa me la segno per una canzone!”

Ridendo e pensando alle femmine, la notte si protrasse a giorno, e i due ragazzi furono colti dal sonno proprio lì, sul dondolo. L’ultimo pensiero di James era rivolto alla sua misteriosa amica nello spazio.

Ti prego, vieni, ti voglio con tutto me stesso, ti amerei come nessun altro nella galassia saprebbe fare. L’effetto dell’alcool non sarebbe svanito fino al mattino seguente, trasportando anche un gran mal di testa.    

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Capitolo 13
*** Tavola Fredda Galattica ***


Ormai Aster e Kibernete erano vicini al Sistema Solare. L’ultimo viaggio attraverso il Curvatore li aveva portati nei suoi pressi, pochi anni luce di distanza, ma quando si attraversa lo spazio bisogna tenere da conto che qualunque spostamento potrebbe richiedere molto tempo. Nel caso della ragazza che fuggì dal proprio mondo per inseguire i suoi sogni, si trattava di pochi giorni. Ma all’interno dell’astronave, il cibo iniziava a scarseggiare. Si trovavano a navigare poco distanti dalla nebulosa che gli umani chiamavano Testa di Cavallo, che presentava importanti rotte commerciali, e quindi punti di sosta per i viaggiatori della galassia. Avrebbero fatto rifornimento in uno di quelli. Kibernete individuò la posizione della tavola fredda più vicina, e vi impostò la rotta di conseguenza.

“Kib…” disse ad un certo punto Aster, quasi sovrappensiero.

“cosa c’è, piccola?”

Aster non era sicura se continuare e far fuggire quella domanda che spingeva come un ariete per uscire dalle labbra. Alla fine, si convinse: non era scappata da Neo Cydonia per tirarsi indietro. “parlami di mio padre”

Kibernete, a quella domanda, rimase muta per un istante. Doveva sfogliare i suoi ricordi, non i suoi dati, e fare affidamento sulla sua personalità.

“tuo padre era un uomo impavido,” cominciò “a volte incosciente, ma un leader eccezionale; sapeva esattamente cosa doveva fare e quando farlo, e anche se non ne aveva idea, dava l’impressione di avere la situazione sotto controllo. Si era guadagnato il rispetto e l’ammirazione dei suoi uomini, tant’è che quando un pianeta lo condannò a morte per furto di una reliquia…”

“e la rubò davvero?” la interruppe Aster.

“ti sorprenderesti di quante leggi ha infranto tuo padre, e sì: era anche un cacciatore di tesori” rispose “rivendeva oggetti rari e preziosi ai musei e ai ricercatori per poter poi investire il ricavato in nuove imprese”.

“dicevi, del pianeta?”

“era un pianeta di tipo gamma”

“che vuol dire?”

“vi sono tre tipi di pianeti abitati da forme di vita intelligenti: alfa, pianeti che presentano civiltà in grado di viaggiare nello spazio; beta, pianeti abitati da società pre-spaziali; e infine gamma, pianeti sui quali vivono popoli non ancora in grado di viaggiare nello spazio, ma già in possesso di tecnologie avanzate, spesso eredità di una precedente colonizzazione”

“capisco. Mi parlavi della condanna”

“fu imprigionato e condannato a morte, dicevo, ma i suoi uomini lo liberarono, rischiando la loro vita e l’integrità della consapevolezza del pianeta mostrando questa nave in volo e le nostre armi in azione”

“non potevate nascondere la Ziggy Stardust con l’invisibilità?”

“all’epoca non era ancora materia di commercio, era un progetto tenuto segreto. Solo un paio di anni più tardi tuo padre lo sottrasse al laboratorio scientifico della Capitale”

Aster era confusa ma eccitata nell’apprendere che il padre era a tutti gli effetti un avventuriero della galassia, senza leggi né padroni.

“raccontamene un’altra, delle sue avventure” 

“temo di non essere brava a raccontare, non è nel background della mia mente artificiale”

“ah, sono certa che ti basta fare pratica e lasciarti trasportare dalle emozioni, tu che sei così avanzata da poterle provare”

Kibernete, allora, tentò di canalizzare il suo flusso emotivo verso i suoi ricordi, provando bene o male le stesse emozioni dei momenti rivissuti nel racconto.
Abbassò le luci e soffuse l’illuminazione, sapendo quale tipo di atmosfera fosse più consona.

“avevamo caricato a bordo un’ambasciatrice, doveva portare degli accordi di pace fino a Diamantia, la capitale della comunità galattica, e porre finalmente fine, tramite un consiglio straordinario e l’ultimo dibattito fra le due specie in guerra, agli scontri. Ma i signori della guerra che finanziavano il combattimento avrebbero visto una grossa fetta dei loro affari andare in fumo, e allora hanno attaccato questa nave con vascelli appartenenti alla specie aliena avversaria a quella dell’ambasciatrice. Tuo padre salì a bordo dell’astronave nemica, l’ammiraglia, rapì il capitano mentre la Ziggy Stardust era impegnata in una battaglia navale contro cinque navi, e lo costrinse a confessare. Quando lo fece, registrò tutto quanto, prima di far esplodere lo scafo spaziale e fuggire. Tornato sulla Stardust, ormai praticamente in fiamme, prese il timone e si prodigò in una serie di manovre evasive, seminando i pirati stellari”

Aster era estasiata dalla storia, sebbene doveva riconoscere che il talento dell’intelligenza artificiale non fosse insito nella sua natura. Non glielo fece comunque notare.

Ecco che i sensori rilevano nelle vicinanze la loro meta: Tavola Fredda ‘Spazio Siderale’, il luogo giusto per fare rifornimento. Ogni tavola fredda e tavola calda dello spazio profondo presentava un’offerta per i viaggiatori: pacchetti a pagamento comprendenti cibo e bevande di diversa natura. Si trattava di una piccola stazione spaziale a forma di disco, che galleggiava nello spazio come una bolla di sapone sospesa nell'aria; da essa si protraevano come raggi di un sole dipinto i canali di attracco, le banchine. La Ziggy Stardust dovette prima chiedere l’autorizzazione ad entrare, che gli fu accordata in men che non si dica. L’astronave prese posto di fianco ad una delle banchine, ed iniziò le manovre di avvicinamento. Con grande cautela vi posò il portellone d’uscita posto all’estremità della sfera di hyle – ve ne erano diversi, dislocati sullo scafo, ma erano obsoleti e richiedevano una stanza di atmosfera – e per fare ciò si curvò fino a porgere la parte superiore al boccaporto, realizzato anch’esso in hyle. Esso era poi collegato tramite un lungo tunnel alla stazione spaziale. Non appena la sfera si premette contro il portello d’entrata del canale, il materiale di cui erano fatti si fuse insieme, creando uno sbarco sicuro, e a gravità zero, per facilitare i movimenti. Aster si vestì con una aderente tuta nera, stivaletti e guanti del medesimo colore. Voleva apparire come una cosmonauta esperta, e desiderava strappare qualche storiella ai viaggiatori dello spazio.

Percorse il tunnel partendo con una lieve spinta. Infatti, in assenza dell’attrito di gravità basta un piccolo movimento perché esso sia eterno; Aster, se non vi fosse stato nulla a bloccare la sua avanzata, non si sarebbe mai arrestata per tutta l’eternità. Invece, giunse con un tonfo alla porta che dava sulla tavola fredda. Anche quest’ultima priva di gravità, si vedeva percorsa da individui fluttuanti che si muovevano fra dei terminali che offrivano i rifornimenti tramite la loro selezione sugli schermi. Il soffitto era alto e trasparente, al centro del quale pendeva un grosso lampadario di luce gialla elettrica, a forma di tante piccole gocce che ciondolavano da una nuvola. Ma Aster, oltre a scegliere i rifornimenti tipici di Neo Cydonia – provenienti direttamente dal pianeta – volle far visita alla zona in cui si poteva consumare liberamente il cibo. Un’altra porta la divideva dal resto della stazione, in quanto all’interno della zona di consumazione vi era gravità. Infatti, un ologramma proprio davanti all’accesso mimava le operazioni da fare per superare la camera di atmosfera che seguiva, e poter finalmente entrare nella vera e propria tavola fredda. Aster compì tutte le procedure necessarie, e fu infine sommersa da una marea di persone che parlavano sorseggiando una bevanda calda, oppure sedute ai tavoli mentre sputavano pezzetti di cibo parlando con qualche tizio appena conosciuto. La sala era ben illuminata e completa di ogni comfort, fra cui delle cuccette insonorizzate che coprivano una delle pareti, poste ad incastro ad alveare a tappezzare l’intero muro. Ce n’erano centinaia. Erano piccole, grandi quanto bastava per un letto, una piccola luce blu e un armadietto posizionato sopra, di fronte al cuscino. Una volta serrata la cuccetta, veniva anche resa priva di gravità. Questo perché quelle condizioni favoriscono il sonno, una corretta circolazione, la digestione e rallentano ogni infezione. Ma non v’era tempo per riposare. Così, Aster si diresse verso il centro della sala, dove trovava sede un punto di ristoro circolare, con buffet per i più affamati, ristorante per i più raffinati, e la immancabile tavola fredda. Aster pagò relativamente poco per poter mangiare quanto desiderasse al buffet. Si caricò un vassoio che le fu offerto da un automa col corpo costruito in hyle flessibile, e perfettamente in grado di prendere le sembianze di un cittadino di Argo. Ogni abitante della galassia preferisce essere servito da un proprio complanetario. Vi erano anche creature con quattro braccia, altre con tre dita per mano, altri ancora bassi e snelli, o alti e tozzi. Era un agglomerato di etnie e culture impressionante. La ragazza Cydonense raccolse il suo coraggio e prese posto ad un tavolo di avventurieri – forse pirati – dello spazio profondo. Erano tutti adulti, ma ridevano e scherzavano come ragazzini. Uno di loro assomigliava ad un umano, o ad un altro Cydonense. Aveva i capelli argentei che dovevano apparire corti, ma erano talmente spettinati e poco curati da sembrare un’armata allo sbaraglio. Aveva una benda cibernetica sull’occhio destro, che appariva come un piccolo schermo azzurro, e attraverso quello vedeva anche dal lato cieco. Stava giocherellando con un coltello, fatto di un acciaio proveniente da una cometa: del colore della magnetite, era duro come il diamante. Quando Aster prese posto accanto a lui, tutti si ammutolirono, e quello la squadrò male. Lei sorrise con fare ignorante e prese a mangiare di gusto ogni pietanza avesse nel piatto. Senza dire una parola, il Cydonense avvicinò il coltello a un tentacolo di piovra purpurea del pianeta Idra, uno dei cibi presenti nella portata della ragazza, lo infilzò, e poi se lo portò alla bocca. Lo assaporò in segno di sfida. Aster, così, lo guardò come fosse un vecchio amico. Prese lentamente dal piatto dell’avversario ben due tentacoli della medesima creatura, e li divorò in un sol boccone. Questo scatenò sommesse risatine.

“qual è il tuo nome, bella ragazzina?”

“Aster, buon uomo, e il tuo?”

“il mio nome è ‘cosa vuoi dalla mia vita’ ” rispose sarcastico.

“sentire una delle vostre avventure”

L’altro scoppiò a ridere di gusto. “avventure?”

“noi siamo mercenari, lavoriamo per soldi, e non è di certo come passeggiare in giardino” disse un altro.

“ha l’aria di una ragazzetta che aveva tutto ma è scappata di casa per vivere grandi avventure” disse ancora un nuovo tizio, robusto e con la pelle dello stesso colore di quella di Aster.

Da quel momento tutti i presenti iniziarono a darle contro. Ma il Cydonense li fermò battendo un pugno contro il tavolo. Al che, Aster disse che avrebbe potuto pagare per ogni storia raccontata. Quello che doveva essere il capitano, l’individuo con un solo occhio e una benda cibernetica, la guardò con una tenace intensità, e ora pareva addirittura interessato.

“dimmi la tua storia, ragazza, e sarà quello il mio pagamento”

“hey, cos’è questa cosa, adesso si rifiuta un pagamento?” si lamentò uno smilzo.

“no, si fa quello che dice il capitano” lo fulminò.

“vi conviene obbedire al capitano, o vi fa fuori tutti quanti con il suo coltello, fidatevi” disse il tizio grosso dalla pelle scura, con voce profonda. Era sicuramente il secondo in comando, il primo ufficiale.

Il capitano tornò a guardare Aster. Non era spaventata, nemmeno un po’.

“sì, è vero” rispose al secondo ufficiale “sono fuggita. Mio padre era un avventuriero e ci ha lasciato le penne prima di realizzare il suo sogno: scoprire tutto ciò che si poteva scoprire sulla Terra e sugli umani. Io sono in viaggio verso quel pianeta per compiere il  mio destino, fuggire dalla routine e dall’ipocrisia di Neo Cydonia e vedere il sogno di mio padre e i miei divenire finalmente realtà”

Senza staccare gli occhi dalle sue labbra, il capitano annuì, come se sapesse perfettamente di cosa stesse parlando.

“ora tocca a te” disse Aster.

“ beh,” rispose l’altro, schiarendosi la voce  “c’è stata quella volta che io e Marcus” il tizio grosso ridacchiò mentre leggeva un giornale virtuale su una piattaforma olografica “eravamo imbarcati su un vascello di ricerca, dovevamo proteggere la spedizione scientifica. Ad un certo punto sentiamo che gli scienziati di bordo parlavano di un problema al carico. Dapprima credevamo si trattasse di un guasto, o che si fosse danneggiato. Ma non potevamo immaginare che invece… continua tu, Mark” passò la parola all’amico.

“che invece si trattasse di un orribile xenomorfo, con la pellaccia dura e scura come lo spazio più tenebroso, artigli come le lame più affilate, possenti muscoli, e poi degli strani anemoni urticanti che gli uscivano come tentacoli da quel muso orripilante e cupo, con occhi scavati che ti parlavano di una sola cosa: morte”
Ci fu solo un secondo di silenzio, prima che il capitano riprendesse la parola.

“quel mostro fece silenziosamente fuori dodici membri dell’equipaggio”

“e quanti erano i membri dell’equipaggio?” chiese Aster, curiosa.

I due sorrisero “senza contare noi?” “undici”.

“rimase in vita solo il capo della sezione scientifica, che conosceva quella creatura come se ci fosse cresciuto assieme” concluse il capitano.

Aster lì per lì sperava in una storia un po’ più lunga, ma già la sua fantasia stava elaborando un lungometraggio degno di essere premiato.

“e tu, Aster, hai altre storie per noi?” ora fu Marcus a domandare.

La ragazza fece mente locale, e scelse con cura.

“un amico di mio padre era sposato con una bellissima donna di Argo” iniziò “parevano la coppia perfetta, sempre in viaggio, sempre così teneri, felici, appassionati. Io volevo diventare come quella donna, da grande. ma un brutto giorno, lei si ammalò. Il marito si rivolse all’unico medico in grado di curarla, ma quell’infido essere approfittatore gli chiese una cifra che lui non avrebbe mai potuto sborsare. Così, prese la decisione più drastica della sua vita avventurosa: uccise il medico, rubò tutte le sue scorte di medicinali e le regalò ai bisognosi del pianeta, creando una vera e propria rete di contrabbando di medicinali. E riuscì a curare sua moglie, che però adesso vive sola” attese, prima di spiegarsi “lui è rinchiuso nella prigione della Luna Bianca”

Marcus fece una smorfia “pessimo luogo in cui marcire”

“già. Spero un giorno di farlo evadere e rendere onore a mio padre, al suo amico e alla donna che mi ha ispirato ad essere ciò che sono”

Il capitano sorrise quasi dolcemente. “mi sarebbe piaciuto conoscere tuo padre, e tutti i suoi amici. Come si chiamava?”

“Diastin”

“no” rispose scuotendo la testa “non ci ho mai lavorato insieme – io ricordo bene tutti i nomi dei miei colleghi, non si sa mai che mi servano un giorno –” rise “ma sarebbe stato un buon compagno d’affari, ne sono certo”

Aster sospirò, con gli occhi persi nei ricordi “già, e lo sarei stata anche io per lui”.

Queste parole chiusero la loro piccola chiacchierata. “ora devo proprio andare” disse alzandosi. Quando fece per allontanarsi, il capitano la inseguì e la fermò per un braccio, con le rudi maniere di un mercenario.

“aspetta”

Aster si fermò.

“senti, se tu fossi più vecchia o io più giovane ti scoperei fino a ingravidarti due volte in una, ma visto che sei una ragazzina, ho pensato di farti un altro regalo” così dicendo, le porse il suo coltello. Al vedere quel gesto, Marcus, dal tavolo, sgranò gli occhi, facendoli uscire letteralmente dalle orbite, caratteristica della sua specie.

“ciò che mi hai raccontato oggi mi è piaciuto. E sento che tu hai qualcosa di speciale, che fra tutte le persone che incontro nei miei viaggi tu sei certamente una della quale farei bene a ricordarmi”

La ragazza sorrise emozionata ed un poco imbarazzata.

“questo coltello apparteneva a mio padre, e fu lui a dirmi di cederlo a qualcuno degno. Il mio istinto – o come accidenti lo vuoi chiamare – mi dice che quel qualcuno sei tu”

Non sapeva come ringraziare. Prese il coltello e lo osservò, ci passò sopra le dita per saggiarne la forma, la consistenza. Infine, disse semplicemente “grazie” e si allontanò. Aveva capito fin da subito che la storia di quel capitano era simile alla sua, solo molto più triste. Prima di tornare alla Ziggy Stardust, Aster chiese al proprietario del locale di immettere nella sala di consumazione la canzone Heroes, subito dopo averla cercata e trovata. Lei non poté vederlo, ma il volto del suo nuovo amico, già salutato con un addio, si fece tenero e un lieve solco si disegnò su di esso. L’esperto capitano e i suoi uomini si chiesero quale tipo di stregoneria avesse compiuto, quella ragazzina Cydonense per aver suscitato tanto interesse, invece che astio, come invece accadeva con chiunque altro. Aster aveva portato la gioia vera nel cuore di chi forse non sarebbe mai stato padre, non avrebbe mai avuto famiglia, ma avrebbe avuto la libertà e la condanna di non possedere nemmeno una casa. Ma non poteva essere solo quello. Forse, pensò la giovane, lei aveva qualche tipo di potere sulle menti simili alla sua. O forse il capitano nascondeva qualcosa, ma Aster non poteva che fantasticare su quale potesse essere la risposta. Dopo quella pausa alla tavola fredda Spazio Siderale, sarebbero tutti tornati a fare i duri, quei mercenari ma per quell’istante, per quella canzone, potevano permettersi di cedere.

ANGOLO DEGLI AUTORI
Buongiorno, autostoppisti della galassia! Un capitolo scritto a più mani, questo, aggiunta dell'anno scorso alla versione originale, ora rivista e leggermente allungata (prima non si raccontava nessuna storiella di aventure passate, ma ci avevamo messo uno spoiler grosso come una casa che ora abbiamo deciso di non rivelare, ndK). Questo capitolo voleva aggiungere alla storia un po' di quel sapore da viaggio, da Travelling Blues, che solo le tavole fredde sanno regalare. Ci piaceva l'idea che Aster facesse una sosta in una sorta di 'autogrill spaziale', venendo completamente investita da quella che è la frenetica vita dei corrieri stellari, esplorando quello che è un punto d'incontro di centinaia di storie diverse, alcune di corsa e altre in pausa. Speriamo che vi abbia suscitato le stesse emozioni che ci hanno travolto scrivendo questo capitolo, immaginando di essere noi stessi degli autostoppisti della galassia. Fateci sapere cosa ne pensate! ;-)

 

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Capitolo 14
*** Space Oddity ***


Aster fluttuava nel vuoto della sfera, ridendo come una bambina. Trovava la gravità zero incredibilmente divertente, sebbene i suoi movimenti fossero assai rallentati.

“Kib, e se mettessi la tuta e uscissi nello spazio?”

“nello spazio non v’è aria, riusciresti a malapena a muoverti, e non ti divertiresti un granché”

“non vado là per muovermi, ma per rimanere sospesa nello spazio”

“rischi di perderti”

“mi legherò all’astronave, non temere”

Così dicendo, si rivestì, percorse tutta la nave fino ad una stanza circolare con una serie di armadietti e tute spaziali appesi ai muri. Un campo di energia violacea divideva quel luogo da un’anticamera, la camera di depressurizzazione a sua volta divisa dall’esterno da un nuovo campo di energia. L’anticamera serviva per consentire di entrare ed uscire dall’astronave mantenendo le condizioni climatiche interne stabili. In pratica, il cosmonauta, una volta sicuro che la barriera che si frappone fra lui e la camera interna fosse attiva, si posizionava fra i due campi energetici, poi dalla camera di depressurizzazione veniva risucchiata via l’aria e tolta la gravità; in seguito, la seconda barriera si disattivava, esponendo l’astronauta al vuoto spaziale. Una volta rientrato nella camera di depressurizzazione dopo il viaggio, i due campi energetici venivano riattivati, l’aria e la gravità ristabilite, e solo dopo questo procedimento era possibile rientrare a bordo. Aster conosceva bene le procedure grazie ai racconti di suo padre. Una volta le disse che la nave aveva subito un danno allo scafo, e che lui dovette uscire nello spazio per ripararlo esternamente, mentre i pirati lo bersagliavano. La ragazza prese una tuta bianca, dai raffinati lineamenti e un casco sferico trasparente, di hyle, altamente oscurato. Indossare la tuta fu assai complesso, per via di tutte le chiusure ermetiche di sicurezza. Per ultimo, caricò un pesante zaino sulle spalle, che altro non era che i propulsori, i comandi dei quali erano situati sui lati dei guanti. Era pronta, si trovava nell’anticamera. Stava per chiedere a Kibernete di farla uscire, quando si accorse che non aveva sigillato bene il casco. Questo errore le sarebbe costato la vita: sarebbe morta in pochi secondi, prima ancora che per la mancanza d’ossigeno, per la temperatura; nello spazio, non essendoci aria a trasportare il calore, si contano tre soli gradi kelvin, cioè – 270, 15°, temperatura in grado di ibernare un corpo organico come quello umano o Cydonense in una manciata di istanti. Invece, in prossimità di corpi celesti che riflettono la luce solare – come la Luna che orbita intorno alla Terra – si contano duecento gradi centigradi, la temperatura ideale per cuocere nel forno un pollo e farlo arrostire per bene. Aster sistemò il casco e controllò ancora una volta l’intera tuta, poi si convinse di essere davvero pronta.

“Kibernete, disattiva i campi di energia” disse con gran timore.

L’IA obbedì, dopo aver reso l’ambiente dove stava Aster più simile a quello esterno. La ragazza prese coraggio, collegò il cavo da aggancio della tuta alla nave, poi si spinse nello spazio aperto con i propulsori a EC. Tutt’attorno a lei: il nulla più soave. Oscurità spezzata solo da sparuti punti luminosi che erano le stelle, e nonostante fossero così lontani, l’uno dall’altro, agli occhi di Aster apparivano tantissimi, talmente tanti da sovrastare ogni cosa, ogni pensiero. Rise. Sapeva bene che ognuno di quei punti ospitava un sistema di pianeti, su qualcuno dei quali poteva esserci la vita. La galassia era tanto vasta che le specie conosciute potevano essere un dieci per cento. E la galassia di Aster era meno di una molecola nell’universo. Le faceva venire le vertigini, pensare a quanto infinitamente vasto fosse il misterioso cosmo. E lei vi stava fluttuando dentro, ed era microscopica, tanto piccola che provare a darle una misura in relazione all’universo avrebbe fatto venire il mal di testa a qualunque scienziato. Era un niente nel Gigantesco. Tutto era troppo grande, per lei, fuori dalla Ziggy Stardust. Quando si voltò, Aster ebbe un mancamento: aveva percorso un centinaio di metri, ma l’astronave già era tanto piccola da rendersi difficile da vedere, nonostante il suo colore bianco, poiché nessuna luce la illuminava, a parte i piccoli fari dello scafo. Il cavo poteva protrarsi per al massimo cinquecento metro, e Aster aveva intenzione di percorrerli tutti quanti. Attivò i propulsori, e fu lanciata verso l’ignoto, con la sicurezza di essere legata alla Ziggy Stardust tramite il cavo.

“Kib!” esclamò emozionata.

“dimmi, giovane Aster”

this is major Tom to ground control, i’m stepping through the doors, and i’m floating in the most peculiar way, and the stars look very different today” cantò Aster, mentre Kibernete inviava al suo casco quella stessa canzone, Space Oddity, per l’appunto.

Fu in quel momento, con la musica a risuonare in quel’immenso silenzio di tomba, che avvenne l’impensabile: giunto al termine della sua lunghezza, il cavo non sopportò l’urto dell’eccessiva velocità di Aster, e si spezzò. Lei fu strattonata, e cambiò traiettoria.

“Kib!” urlò.

“cambio la rotta, Aster, vengo a riprenderti!” in quel frangente traspariva tutta la sensibilità dell’IA, che gridò angosciata “usa i propulsori e vienimi incontro!”

Aster si guardò intorno, in tutte le direzioni, disperata, cambiando direzione e verso con isteria. Non riusciva a trovare l’astronave in quell’infinito nero.

“non ti trovo! Qui è tutto nero, non trovo più nulla!” nello spazio profondo non vi sono fonti di luce che illuminino le superfici “Mi sono persa!” la voce era sempre più smorzata dal terrore più profondo “e continuo a viaggiare, sono veloce, troppo veloce!”.

“ti ho sul radar, non preoccuparti, vengo a prenderti!”

Dal ponte di comando della Ziggy Stardust non si vedeva che il vuoto, ma un continuo allarme intermittente aumentava il ritmo man mano che la nave si avvicinava ad Aster. Null’altro si udiva: “bip… bip… bip” Aster nel frattempo viaggiava a considerevole velocità verso la perdizione “bip… bip… bip” Kibernete riusciva a provare paura, e in quel momento ne aveva molta, perché se avesse perso la ragazza dal radar, ella sarebbe stata preda dello spazio profondo “bip… bip… bip…” eppure a lei non pareva nemmeno di muoversi “bip… bip…” aveva rinunciato ad usare i propulsori, ma sentiva dentro di se che Kibernete stava venendo a salvarla “bip, bip, bip” era vicina, a pochi metri di distanza, e già le pareva di intravvedere alle sue spalle una figura bianca. Era la sua immaginazione: l’astronave, laddove non vi era alcuna luce, appariva nera come se non fosse mai stata di altro colore.

“sono qui, piccola Aster” disse la voce.

Ben presto, un gancio meccanico appartenente ad un drone da esplorazione, la afferrò per i fianchi. La navetta era di forma ovale, con due bracci meccanici che metallo plasmabile, che potevano cambiare forma in relazione all’utilità in una determinata mansione; quando si voltò per rientrare a bordo con Aster fra le braccia, lei poté rivedere lo scafo della sua cara Ziggy Stardust. Nel casco, intanto, si ripeteva per la seconda volta di fila la canzone che aveva tenuto compagnia alla ragazza per tutto il tempo.

Una volta nella camera, libera dai propulsori, Aster si levò il casco, che ancora trasmetteva Space Oddity, e trasse i più profondi respiri della sua vita. I capelli erano fradici di sudore, il cuore iniziava solo in quel momento a diminuire i battiti, mai stati così forti e martellanti. Quando si spogliò della tuta, si accorse che non un solo centimetro dei suoi abiti era salvo dal sudore; era zuppa come se fosse stata sotto un diluvio. Levati anche quei vestiti, iniziò a tremare dal freddo, e prese una coperta termica per scaldarsi. Poi, si chiuse nella cabina del capitano, rannicchiata in un angolo del letto, sotto le sicure lenzuola.

“Kibernete”

“sì, mia piccola Aster?”

“è il momento di superare la velocità della luce” disse “è il momento di fare il salto”

“come desideri”

Sopra al letto della cabina si apriva, attraverso un’ampia finestra, il cosmo. Si poté vedere lo spazio piegarsi nella manovra di curvatura, creando un tunnel luminoso che avrebbe condotto l’astronave dritta nel sistema solare. Nonostante la disavventura appena vissuta, la ragazza fissava ancora le stelle, sdraiata su quel morbido materasso che le scaldava la pelle sudata. Guardo le stelle come fai tu, amico mio, da una finestra. La sua mente adesso era rivolta al suo futuro incontro con il suo amico tra le stelle. Sto arrivando, aspettami. Non poteva sapere che anche lui la stava aspettando.   


ANGOLO DELL'AUTORE
"This is Major Aster to Ground Control [...] and I'm floating in the most peculiar way! [...] here I'm floating 'round my tin can, far above the moon. Planet Neo Cydonia is blue and there's nothing I can do" 
Ebbene sì, Aster fa un tuffo nel nero infinito e prova vertigini all'idea di galleggiare nell'immensità delle immensità. Chi non si sentirebbe minuscolo? 

 

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Capitolo 15
*** Social Network ***


Più o meno nei pressi di Urano, appena superato Plutone, Kibernete frenò la corsa e diminuì considerevolmente la velocità. In realtà, l’astronave non accelerò che di un quarto della velocità della luce: fu lo spazio stesso a spostarsi. In questo consiste la manovra di curvatura: tramite una tecnologia basata sull’Energia Cosmica, si può creare un tunnel spaziotemporale, all’interno del quale lo spazio si piega fino ad unire il punto di partenza al punto di arrivo. È come disegnare un punto A e un punto B su un foglio di carta rettangolare. La via più breve per giungere da A a B sarebbe una linea retta, direbbe un umano. Ma un abitante della galassia sa che la via più breve è piegare il foglio affinché A e B non coincidano. Comunque, l’astronave aveva ormai superato anche Giove. Finalmente la Ziggy Stardust giunse in vista della Terra. Man mano che si avvicinavano al pianeta, esso prendeva sempre più colore, fino a diventare la splendida biglia blu che Aster aspettava da tanto tempo di vedere. Le più sconvolgenti emozioni scossero l’animo di Aster: suo padre che le sorrideva e le diceva che era la sua piccola cosmonauta, i film guardati al suo fianco, le canzoni che lui le aveva fatto conoscere. Davanti a quel piccolo, splendido pianeta, prendevano vita in una frase “ecco la Terra, papà” disse, con copiose lacrime che le sgorgavano dagli occhi.

“lui sarebbe fiero di te” le disse Kibernete.

Ora la zona al sole mostrava un oceano e una parte di quel lungo continente sdraiato da polo a polo che divideva due immense distese d’acqua azzurra, e che gli umani chiamavano America. La destinazione, però, era l'Italia, penisola che si stirava nelle acque del Mare Mediterraneo. Quella parte del globo vedeva i confini delle zone più abitate delineati da recinti di luci che si riconoscevano chiaramente anche dallo spazio. Altri luoghi, invece, come la profonda Africa, erano oscuri, arcani, e parevano chiamare Aster per nome, invitandola a visitarli.

“Kib… pensi che vedrò mai quei luoghi?” domandò Aster.

“non lo so. Ma ho paura” rispose con un tono che mai Aster avrebbe creduto di percepire dalla voce di un sintetico.

“paura? E come mai?”

“i miei segnali individuano un potente filtro che qualcuno ha posto intorno alla Terra: non tutte le trasmissioni riescono a passare, solo quelle che vogliono loro

“loro chi?”

L’attesa prima della risposta non era certo un buon segno.

“io avrei una ipotesi, e credo che tu sappia quale sia”.

Aster sapeva bene: i potenti della galassia volevano nascondere la Terra e l’umanità. Ma perché? Cosa nascondevano? Cosa si celava fra quei colori così meravigliosi che ricoprivano il pianeta? sotto quelle grosse nuvole vaporose che prendevano dominio su una parte di un grande oceano.

Voglio scoprire cosa mi stanno nascondendo. Cosa stanno nascondendo a tutta la galassia. E avrò le mie risposte.

Decisero di attendere ad entrare nell’atmosfera, e rimanere mimetizzati in orbita ancora per qualche giorno, di modo da fare ricerche sul ragazzo che Aster aveva visto in sogno, e dal quale era diretta. Trovarono qualcosa di incredibile, sensazionale per lo studio degli esseri umani: uno spazio virtuale nel quale un oceano di individui condividevano parole, immagini e una vita fittizia. Lo chiamavano Social Network. Era una fonte incredibile di informazioni su chiunque, informazioni su chi fosse, quale lavoro facesse, quali fossero le sue passioni, idee, i suoi pensieri, e molto altro ancora. Aster, emozionata dalla scoperta, prese a sbirciare nelle vite di svariate persone, cercando il mittente della chiamata. Innanzitutto, attraverso i suoi ricordi identificò grossomodo la zona dalla quale era stato inviato il messaggio mentale. Chiese a Kibernete di preparare una cernita di tutti i ragazzi che abitavano nella zona di quella che nella mappatura terrestre è detta ‘provincia di Varese’, e che potevano corrispondere a una descrizione che si potrebbe fare di Aster stessa, oltre ai dettagli estrapolati dal ricordo del sogno. Era certa che chi l’aveva chiamata doveva essere simile a lei, o le loro menti non si sarebbero mai toccate, non a quella distanza. In pochi secondi, Kibernete elaborò i milioni di dati, preparando un lungo elenco di ragazzi, migliaia di persone. Sapevo che ce n’erano tanti!

Le ore passavano, ma Aster non era mai stanca. Davanti a lei, su un ologramma scorrevano tantissime identità diverse, ma simili, in fondo. Qualcuno preferiva i Beatles, qualcun altro invece preferiva i Rolling Stones. Ma tutti, o quasi tutti, sembravano essere accomunati dalla sofferenza per la solitudine, l’emarginazione, e solo in quegli spazi virtuali sembravano trovare conforto. Essi temevano la società, la criticavano, si sentivano come i trecento spartani di Leonida che combatterono valorosamente contro diecimila persiani, e morirono per salvare tutto ciò che a loro era caro: la libertà. Ma provare una simile sensazione nei confronti di una società che avrebbe dovuto accoglierli… perché? Perché? Credevo fossero molti di più i ribelli. Ogni libro, film, canzone combatte proprio contro quelle persone che sembrano essere ‘la società’. Perché tutti i sognatori, tutti quelli come me, che mi sarebbero amici, non si uniscono per combattere insieme con ogni forma d’arte? Nessun grande uomo o grande donna è contro di loro, semmai è contro la cosiddetta ‘società’. Non capisco.

Dopo diverso tempo, riuscì a trovare il profilo di un ragazzo che riconobbe essere il suo bersaglio. Era lui: cappello da cowboy in testa, chitarra in mano; italo-americano – quindi doveva parlare due lingue – e appassionato di avventura, che sia essa avventura nello spazio o sulla terra o per mare. Ma fu un particolare ben preciso a convincere Aster che il ragazzo con cui aveva a che fare era lo stesso che le aveva inviato il messaggio. Sul suo ‘diario’ del profilo di Social Network, egli aveva scritto un suo pensiero, i versi di una canzone: “extraterrestre, portami via, voglio una stella che sia tutta mia; extraterrestre, vienimi a pigliare, voglio un pianeta su cui ricominciare”. Era lui. Si trattava della canzone Extraterrestre, di Eugenio Finardi, ma ancora più importante, pareva aver ispirato l’ultimo messaggio ricevuto dalla ragazza, quello di soccorso. Aster, ancora nuda, si carezzò il ventre come se il ragazzo potesse vederla, come se fosse lui stesso ad accarezzarla. 


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Un breve capitolo che mette in gioco un fattore cardine della società moderna: il Social Network. Si può essere pro o si può essere contro, ma è inevitabile scontrarci il muso. Si potrebbe parlare addirittura di 'Era del Social Network', è il carattere distintivo di queste genereazione, oltre ad essere un magazzino incredibile di dati sociali e umani. Insomma, è un resoconto della nostra civiltà, di quella che corre oggi, almeno. Immaginate, fra mille anni, un archeologo che riesca ad entrare nei database di Facebook, saprebbe stilare un modello di quello che è l'umanità oggi, nel bene e nel male, dal punto di vista non più dei grandi uomini, ma da quello dei popolani...
 

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Capitolo 16
*** In Viaggio ***


Un’estate passata a studiare, questo sarebbe stata. Ma i suoi genitori ormai lo sapevano, e sapevano anche che negargli la vacanza con gli amici non sarebbe servito a niente. Jim non era un ragazzo pigro. Se non studiava era perché aveva tutt’altro per la testa: la sua chitarra, il suo microfono, le stelle. Ciò non lo giustificava affatto, ma aiutava Jim a non sentirsi una totale nullità. Quella notte dormì più tranquillo, e la paura già aveva lasciato il posto all’emozione per la vacanza imminente. Circa a sei ore dalla mezzanotte, Graziano sarebbe passato davanti a casa sua, col furgoncino da hippie di suo nonno, dove avrebbe caricato gli strumenti, in quanto la sala prove dove riposava tutta la loro mercanzia musicale era, in effetti, il garage della casa di Jim. Dopo la serata della scorsa notte, James, per comodità, riportò tutto il complesso strumentale nella sua sala prove. Poi, altre due persone avrebbero trovato trasporto nel furgoncino Volkswagen: Andrea, appassionato di fisica, e Massimo, che era anche tesoriere. Jim, invece, con la grossa macchina da viaggio dei suoi avrebbe potuto trasportate il resto della band, aggiungendo due posti nell’ampio spazio che altrimenti sarebbe stato dedicato al bagagliaio. I suoi passeggeri consistevano in: Alice, migliore amica di Jim e Graziano; Monica, ora scatenata più che mai; Edoardo, il tipo di persona che nessuno vorrebbe veder mancare alle feste, tanto eccelle nella simpatia; Giovanni era l’esperto dell’occulto, nonché appassionato di manga e anime; Paolo, infine, alto, robusto e muscoloso ma totalmente incline al rifiuto della violenza, era il portentoso sassofonista.

Il sole portò con se il giorno tanto atteso, e Jim ancora doveva finire di preparare molte cose per il viaggio. Per questo alle cinque era già al lavoro. Epiphone Dot ‘Dotty’ rossa nella custodia rigida, Ibanez Gio ‘Angie’ bianca, in quella morbida, la chitarra acustica con cassa armonica media e di color blu oceanico trovava posto sotto un braccio; microfoni buoni e microfoni rotti cacciati in uno zaino senza alcuna distinzione, testi, computer, hard disk, plettri, gadget, delle copie del loro primo disco inciso, e altri oggetti come coltellino svizzero e mappe varie. Si preparò come se dovesse partire alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza. Quando Graziano lo chiamò al cellulare, Jim ancora doveva raccattare le ultime salmerie.

“Jim, scendi, che dobbiamo caricare gli strumenti e passare a prendere gli altri” gli disse attraverso il telefonino.

“finisco di preparare le ultime cose e arrivo!” rispose tenendo il telefono all’orecchio con la spalla, mentre trafficava con le corde di riserva per la chitarra.

“sei sempre l’ultimo, Jim, sbrigati!”

“ma se ci sono solo io, ora? Dài, arrivo, caro, aspettami in tanga che faccio prima”

La risata che ne seguì si sarebbe potuta udire anche senza telefono.

“obbedisco, amore!” scherzò l’amico.

Poco dopo, Jim correva fuori di casa per raggiungere la macchina, col padre al seguito – bruscamente svegliato dalla preparazione dei vettovagliamenti – e due valige di medie dimensioni, un paio di zaini e la chitarra acustica, soprannominata ‘Cuore dell’Oceano’. Il padre portava le due chitarre elettrice in spalla, due amplificatori sottobraccio e due per le mani. E non sarebbe stato l’ultimo viaggio.

“ciao, Gra”

“ciao, Jim”

I due si scambiarono una stretta di mano, e poi insieme iniziarono a caricare tutti gli strumenti nel furgoncino di Graziano. Primo fra tutti a dover essere caricato, però, doveva essere lo strumento più grosso: la batteria. Cominciarono portando tutti gli strumenti presso il mezzo per facilitarne il carico. Ecco arrivare Jim con un tom – uno dei tamburi che fanno parte della batteria – nella mano destra, l’altro tom, quello un poco più grosso, nella sinistra, subito seguito da Graziano, con il rullante e il raid – il piatto – mentre Jim già era corso a prendere la grancassa, portandola da solo per dimostrare a se stesso di non aver perso smalto dall’ultima estate, quando doveva mostrare un buon fisico alle belle ragazze in costume. Quella volta, grazie all’amico fraterno, che lo allenò, riuscì nell’intento di non apparire come un pallido e magrolino ragazzo misterioso, come aveva sempre fatto al mare, ma non trovò comunque nessuna ragazza per passare una notte da leoni. Forse questa volta sarebbe stato diverso. Riuscirono con successo a far stare tutti quanti gli strumenti, salvando il posto per il pilota, Graziano, e i suoi due passeggeri, uno davanti, uno immediatamente dietro. Asciugandosi la fronte sudata e fredda per la frescura della brezza mattutina, i due si diedero uno sguardo, decisi a non prendersi nemmeno un attimo di riposo.
“i fratelli Winchester non si fermano mai, pronti a partire!” disse Jim, alludendo alla serie televisiva Supernatural, della quale i due erano divenuti fan già da qualche anno, sebbene iniziasse già a diventare ‘vecchia’. L’avevano conosciuta grazie ad amici che ne avevano parlato all’uno e all’altro separatamente. Fu solo un caso che scoprirono di essere appassionati della stessa serie televisiva, e che bene o male stavano guardando le stesse puntate. Il resto delle serie lo visionarono assieme, in una sola estate. Avevano persino scritto una canzone dedicata alla serie, in perfetto stile Black Sabbath.

“mai, Sammy” rispose a tono Graziano, scambiando col fratello un pugno amichevole.

Una volta nella sua macchina, Jim collegò una ricetrasmittente alla radio, e la sintonizzò su quella del furgoncino di Graziano. Prepararono tutto in vista di viaggi lunghi per la penisola, e magari anche per il mondo. I loro sogni li portavano già in Inghilterra, America, Australia, a combattere per la pace in Africa, a combattere per le foreste in Sud America. A combattere ovunque, con le armi della musica.

“ Gra, mi senti?” domandò Jim alla radio.

“sì, Jim, forte e chiaro! Pronto a partire per questa avventura?”

“passiamo a prendere gli altri, non vedo l’ora di essere in autostrada per mettere su gli AC DC a bomba!”

“facciamo sentire un po’ di sano rock agli autisti stressati!”

Detto questo, partirono, uno in coda all’altro. Jim avrebbe caricato sulla sua auto anche le valigie di tutti quanti. Graziano era diretto da Andrea, e Jim lo seguiva a ruota. Quando il furgoncino si presentò sulla soglia del chitarrista, il ragazzo, poco più basso di Paolo, circa un metro e ottantasei contro il metro e ottantanove del sassofonista, stava già aspettando con i suoi bagagli. Era abbastanza robusto da far sembrare quelle pesanti valigie un paio ombrelli tascabili.

“Andre!” esclamarono i due sui mezzi.

“ciao, ragazzi” rispose, con quel cenno di apatia che caratterizzava il ragazzo. Non era un tipo noioso, né perennemente serio, ma si lasciava andare solo quando stava da un po’ di tempo in compagnia dei suoi amici. Una conversazione con lui iniziava sempre seriamente, per poi magari ritrovarsi a terra dalle risate. E farlo ridere era sempre una gran soddisfazione.

“salta su, Jimmy Page, si parte per la Maremma!” lo incitò Graziano.

“beh, Jim e il suo cappello sono già pronti a fare i butteri” scherzò.

Non aveva tutti i torti: Jim, infatti, aveva indosso abiti che parevano rubati a Indiana Jones, o a Clint Eastwood oppure semplicemente in un negozio turistico del Texas.

“e indosserò con fierezza questo copricapo mentre cavalcherò per le praterie”

Prossima tappa era Massimo, il manager. Lui, invece, si fece aspettare, prima di mostrare la sua figura molto magra, gli occhiali e la fascia che portava sempre in testa, per levargli i capelli dalla fronte.

“scusa, tesoro, non abbiamo con noi le brioche” lo salutò Graziano.

“non fa niente, le ho portate io, e sono solo per me” rispose con un linguaccia affettuosa.

“ora passiamo a prendere il tuo equipaggio, capitano Kirk” disse Andrea, riferito a Jim.

“con immenso piacere, Scotty” l’altro stette al gioco.

Gli ultimi passeggeri attendevano tutti insieme in piazza, davanti alla chiesa neoclassica decisamente aberrante, per un appassionato di arte come Jim. Fu facile trovare posto per parcheggiare, a quell’ora, soprattutto d’estate. I ragazzi erano seduti sul sagrato in pietra, alcuni sulle valige, e quando videro arrivare i mezzi, fecero segno con due dita sul polso, come ad indicare un orologio invisibile, per ricordare agli amici che erano in ritardo. Di tutta risposta, Jim parcheggiando, alzò prima il dito medio, poi, insieme agli altri che stavano sul furgoncino, sporse fuori dal finestrino le famose ‘corna’, gesto apotropaico rinomato per essere stato introdotto da Ronnie James Dio come simbolo del rock. Con una manovra da manuale, i veicoli furono presto parcheggiati davanti alla chiesa, pronti per essere caricati di valigie e passeggeri.

“era ora che vi faceste vivi, a meno che non vogliate farla l’anno prossimo, la vacanza” disse Alice, accomodandosi di fianco a Jim, e sorridendo.

“per una volta che sono gli uomini a farsi attendere” rispose Jim.

“credevamo vi avessero rapiti gli alieni, o i templari!” scherzò Giovanni.

“Gio, per favore, non posso fare sei ore di viaggio – perché con Jim al volante è impossibile impiegarci di meno – a sopportare i tuoi alieni e i tuoi complotti” disse Edoardo, ma abbracciandolo sarcasticamente subito dopo.

“suvvia, stiamo per partire per una splendida avventura tutti assieme, amici!” Monica si esaltò a tal punto da emettere un gridolino acuto che avrebbe potuto svegliare il parroco del paese, che riposava nella casa a fianco alla chiesa.

“signori, qui siamo tutti pronti, motori caldi, cuori saldi... Non vedo motivo per indugiare oltre” fu l’ultima sentenza di Paolo, mentre per ultimo saliva dalla stiva della grossa automobile di Jim, facendosi spazio fra le valigie. Era incastrato come il tassello di un puzzle, e i bagagli che gli sistemarono dietro dopo che fu salito gli bloccavano l’uscita. Ai suoi lati, altri bagagli gli impedivano di guardare fuori dai finestrini. Solo uno spiraglio davanti a lui gli consentiva di dare uno sguardo ai suoi amici e alla strada davanti.

“datemi un I wanna rock!” incitò Jim, collegato anche alla radio. Dal suo equipaggio tanto quanto da quello di Graziano, arrivò la risposta, eccitata e pronta al viaggio.

*
Nel frattempo, la navicella di Aster e Kibernete era ancora in orbita sopra i ragazzi in viaggio.

“Aster”

“cosa c’è, Kibernete?” Aster si rialzò dal comodo letto, stropicciandosi gli occhi dopo un riposo.

“si sta mettendo in viaggio, e pare che sia insieme ad altri compagni di viaggio, suoi amici”

Spalancò gli occhi per la sorpresa, mettendosi seduta sul letto. “incontrerò altri esseri umani simili a lui?” esclamò emozionata “non posso crederci!”

“sarà una enorme occasione per te di raccogliere punti di vista simili ma non uguali; ma ciò non toglie che si stanno spostando, e quindi il piano di atterrare vicino all’abitazione di James Cervi, colui che ti ha chiamata, non è più attuabile”

“non puoi calcolare il loro percorso?”

“non sull’intricata ragnatela di strade terrestri” rispose Kibernete “ma sto captando delle comunicazioni provenienti dai loro veicoli, posso cercare di capire la loro destinazione, se la citano o la accennano”

“voglio ascoltare!” ordinò Aster, curiosa tanto che il suo cuore prese a battere con mirabile forza. Kibernete obbedì, e presto nella stanza si udirono le parole che dovevano appartenere a un maschio.

“vi annuncio che siamo appena entrati in autostrada, e questo vuol dire finestrini abbassati e Thunderstruck a bomba!” “no, Jim, prima voglio Highway to Hell!” “ma avete rotto con gli AC DC, mettete su Immigrant Song dei Led Zeppelin!” “nessuno ha voglia di Bon Jovi?” “no!” fu un coro a rispondere a quest’ultima proposta, richiesta da una voce femminile.

Stanno parlando di musica, ne sono sicura! Discutono su quale musica ascoltare durante il viaggio.

“ va bene, abbiamo cinque ore di viaggio se non di più davanti a noi, quindi prima ci ascoltiamo gli AC DC, poi i Led Zeppelin, poi Bon Jovi, poi il cd che io ho preparato per il viaggio, con tutte le canzoni da viaggio stile Roadhouse Blues o La Grange” “ben detto, Jim, dritti verso il campeggio Arcobaleno sulle note del rock n roll!”
Campeggio Arcobaleno! Abbiamo una pista! “Kibernete, hai sentito?”

“ho sentito, ma sulla loro strada ci sono almeno una dozzina di campeggi omonimi, tutti chiamati ‘Arcobaleno’, e non posso sapere dove siano diretti”

“continuiamo ad ascoltare”

Passò qualche minuto prima che tornassero in contatto radio. “ sta’ attento!” “ma che cazzo fai?” “voglio solo prendere i biscotti nel mio zaino!” “dovremmo far spostare Paolo, è impossibile arrivarci!” “fatemi provare” si udì poi un gran frastuono “ma almeno leva il tuo culetto sexy dalla ricetrasmittente, Ed!” “ragazzi, cosa combinate nell’Enterprise?” “Ed ha fame e nel tentativo di farsi strada fra le valigie ha ucciso Monica ed è caduto sulla ricetrasmittente” “pareva tanto uno stupro di gruppo” “per Monica non fa niente, è sacrificabile” “stronzo!” “lo sai che ti amo, piccola” “ma io no, mio caro” “ne ero al corrente”

“stanno colloquiando con grande affetto, è un ottimo segno” osservò Kibernete.

“è vero, iniziano già a starmi simpatici!” rise Aster, sempre più emozionata.

Ma finora non mi avete ancora detto nulla di utile sulla vostra destinazione, ragazzi, avanti. Aster immaginava come sarebbe stato essere parte di quella banda di pazzi scatenati che ridevano, scherzavano, e si volevano un gran bene. Era commossa per tutto quello che aveva trovato, per quello che sentiva dai ragazzi in viaggio e per l’idea che di lì a poco li avrebbe incontrati. Subito, un dubbio atroce spense la sua felicità in un attimo: gli piacerò? Saranno pronti ad accogliere un’aliena?
“torna a sorridere, giovane Aster, sei una sognatrice come loro, e sei anche bella, in ogni tua forma; non hai nulla da temere: piacerai ad ognuno di quegli umani, e saranno felici di accoglierti nel loro gruppo” la rincuorò Kibernete “e poi sarai la prima aliena da milioni di anni ad avere contatti diretti con loro, con la loro società, con la loro anima, e sarai in grado di compiere passi nella ricerca antropologica ma raggiunti prima d’ora. Promettimi solo che starai molto attenta. Nulla toglie che potrebbero essere pericolosi”

“non ti preoccupare, amica mia, sarò prudente, e grazie per il conforto. Tornerò con grandi notizie, è un giuramento!” con queste parole, Aster posò la testa sul cuscino e tornò a riposare, senza smettere di ascoltare le comunicazioni dei ragazzi umani”

*
I due veicoli divoravano l’asfalto. La strada correva rapida e sicura. Le ruote parevano volersi staccare dal suolo per spiccare il volo.

“keep your eyes on the road, your hands upon the wheel!” cantava Jim, seguito da entrambi gli equipaggi. I cori dei ragazzi riecheggiavano nella velocità dell’autostrada. Il tragitto continuò fra le risa, le chiacchiere e le canzoni finché la fame non fu più forte della fretta; e non solo la fame: più o meno metà di loro non tratteneva più il bisogno di una toilette. Non dovettero attendere molto, prima che una familiare ‘A’ di ‘Autogrill’ apparve agli impavidi avventurieri dell’autostrada. La proposta di un buon pasto e dei servizi igienici era troppo allentante per tirare dritto alla volta di altre tre ore di viaggio o forse più. Così, Jim in testa seguito da Graziano con tutto il suo equipaggio, prese posto con l’auto, grato di aver trovato facilmente un parcheggio. In due o tre si diressero con calma verso l’edificio, già addentando con il pensiero un panino, mentre tutti gli altri corsero come forsennati verso la scritta ‘wc’, speranzosi di trovare i gabinetti non occupati e di potersi liberare immediatamente. Quando ebbero tutti finito coi servizi igienici, trovarono i propri compagni già seduti ad un tavolo, mentre si gustavano un panino nel sacro silenzio della fame.

“non aspettateci, mi raccomando” disse ironico Edoardo, prendendo posto su una sedia rubata ad un tavolo vicino.

“avevamo fame” gli rispose Andrea con la bocca ancora straripante di cibo appena masticato.

“e poi non potevo attendere per vedere lo spettacolo di Alice che si divora molto mascolinamente un camogli” scherzò invece Jim. Ricevette di tutta risposta un dito medio, e un sorriso a bocca piena.

Poco più tardi, giunti tutti al dolce, Jim, sotto richiesta specifica di Alice, stava raccontando una delle loro avventure, un concerto in una cantina, un Irish Pub che poteva essere riutilizzato come rifugio anti-atomico, per quanto scendeva in profondità sottoterra. All’interno, assomigliava in tutto e per tutto al Cavern Club, solo con qualche particolare irlandese.

“per portare gli strumenti laggiù ci facemmo aiutare dai clienti del locale, alcuni dei quali là proprio per vedere noi” raccontava “ricordo che uno dei bassi di Gra cadde dritto in testa a un poveretto” con queste parole scoppiarono tutti a ridere, ricordando la scena.

“lo avevo preso dal manico, e ha fatto effetto leva, non lo reggevo! È lui che non lo ha preso!” si difese Graziano.

“non hai scuse, hai spaccato la testa a un fan, sei un killer!” lo schernì Paolo “trauma cranico!”

“e quando finalmente riuscimmo a montare tutti gli strumenti” continuava Jim “Gio vomitò, proprio sul palco”

“che schifo, me lo ricordo, abbiamo dovuto fare tutto il concerto con la chiazza sul palco, vicino alla mia batteria!” commentò Monica.

“senza contare che abbiamo pure iniziato in ritardo perché abbiamo dovuto pulire tutto e aspettare che Gio si riprendesse” aggiunse Alice.

“oh, sentite! Sono claustrofobico e quel luogo non solo era sottoterra, pieno zeppo di gente e con poco ossigeno, ma dovevamo pure suonarci!” si difese il ragazzo.

“beh, anche lui ha ragione, dài” lo appoggiò Paolo.

Edoardo, a quel punto, prese parola dicendo che nonostante tutto quella sera riuscirono a fare colpo su alcune ragazze e alcuni ragazzi, che però erano già fidanzati.

“sapete, con le luci che nascondevano la faccia di Jim, mentre invece aveva la camicia aperta e i pantaloni abbassati fino alle anche stile Robert Plant, persino lui fece colpo su una ragazza!”

“e per non parlare di Monica, che in jeans e reggiseno, senza maglietta, faceva ballare le tette ogni volta che picchiava la batteria”

“e Alice, allora? Camicetta scollata e ombelico in vista, era proprio uno schianto!”

“e io, che col mio vomito sensuale ho fatto colpo su tutto il locale, maschi e femmine!” rise Giovanni, per fare un po’ di autoironia.

Comunque, convennero unanimemente nell’affermare che il livello musicale e scenico di quel concerto fu eccezionale, spettacolare. Infiammarono quella cantina, e anche se non brillavano di bellezza, avevano acceso nei cuori e negli intimi del loro pubblico un desiderio morboso ed effimero. Probabilmente se una di quelle ragazze avesse potuto avere Jim lo avrebbe desiderato meno, ma vedendolo su quel palco pareva un alieno da un altro mondo, portandosi dietro un fascino attorniato da un’aurea di mistero. Alice riuscì a sentirsi bellissima, mentre suonava l’arpa in Stairway to Heaven, e percepì l’odore della brama di sesso che pervase l’aria. Nessuno le aveva mai detto che la desiderava più di ogni altra donna, nessun ragazzo si eccitava al solo vederla in penombra. Ma era proprio quella magia, la magia del palco, che la rese una dea del suo angolo. Ognuno dei musicisti si prese la libertà di reputarsi tale, solo per quell’istante, solo su quel piedistallo. Anche Monica, da sempre presa in giro dai compagni di classe, incapaci di cogliere e apprezzare la bellezza nelle persone ma sempre più ansiosi di criticarne le peculiarità, persino lei si sentì speciale, si sentì libera di scoprirsi per mostrare il suo erotismo al mondo, e dimostrare che poteva essere bella. Non era l’arena di Wembley, ma una cantina di persone che li acclamavano già era la gloria più grande, per loro. E si godevano il loro momento come ogni musicista rock dovrebbe fare, dominando la scena, donando tutto se stesso al pubblico.

Prima di proseguire nel loro viaggio, gli amici si scambiarono ancora storielle di concerti passati, e poi passarono a consolare Monica, che sentiva la mancanza di Abigail, che era dovuta partire con i suoi genitori: non aveva avuto scelta. La batterista ancora non sapeva che in realtà la sua ragazza la stava solo aspettando al camping, e si sarebbe fatta viva come sorpresa solamente nella sera del concerto. Resistere tanto senza dire nulla alla sua amata Monica le costava una gran fatica, ma l’immagine della sua faccia quando l’avrebbe vista la convinceva ogni volta a tener duro.

Col sole del primo pomeriggio, la rock band era di nuovo in viaggio per le autostrade e superstrade d’Italia, sperando di non doversi fermare di nuovo per qualche emergenza fisiologica o meccanica. Infatti dovettero fare sosta almeno una dozzina di volte ancora. E Jim filmò ogni fermata e parte del viaggio, tanto che Edoardo iniziava ad irritarsi. Gli altri, invece, soprattutto le ragazze, si divertivano a farsi notare, esibendosi in azioni del tutto ridicole, come cantare a squarciagola Bad Reputation.
Durante una delle fermate, Alice, che era dovuta scappare ai servizi igienici di un altro Autogrill, ritrovò, al suo ritorno, i suoi amici sui mezzi, motore acceso, che partirono a tutto gas non appena lei ricomparve, diretti verso la corsia di accelerazione. Ovviamente si sarebbero fermati prima, ma vedere Alice che correva dietro all’auto di Jim urlando “ma sì, certo, lasciatemi qua, tanto sono solo la cantante!” non aveva prezzo.


Angolo degli Autori:
Dunque, sono partiti, "alla ventura!". Questo capitolo doveva divertire, e doveva introdurre il lettore al gruppo, farlo interagire coi suoi componenti, far sentire le risate, e doveva far emozionare tanto quanto si sono emozionati i personaggi. Dopotutto, il tema del viaggio trova in questo capitolo una summa dello stile avventuroso autostradale della Setta Krypteia. Speriamo, dunque, che via abbia divertito! ;)

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Capitolo 17
*** L'Arrivo ***


Il sole aveva superato il mezzo dell’arco celeste ormai da un pezzo, ma la sua incontrastabile potenza rendeva asfissiante anche solo soffermarsi sotto di esso. Se Jim non avesse avuto il suo fido cappello si sarebbe ustionato la testa. Monica, dal canto suo, avendo l’abbronzatura tipica delle terre del sud, non temeva l’azione dei raggi. La vegetazione aveva da tempo abbandonato la consueta brughiera in favore delle palme e dei pini marittimi. L’aria era deliziosamente intrisa di salsedine, il mare non doveva distare molto, e con esso la loro destinazione. Ma non poteva essere così facile: non potevano giungere finalmente a un comodo letto in cui gettarsi come panni sporchi, non senza perdersi una decina di volte.

*
“te l’avevo detto che dovevi girare a destra!” “ma a destra c’era una strada dritta in mezzo ai campi, vuoi distruggere gli strumenti?” “tanto dobbiamo comunque guidare su terreni tutt’altro che lisci, quindi…” “ma se dobbiamo entrare nella pineta cosa ci andiamo a fare fra i campi di grano?” “ragazzi! Un cartello!” “è lo stesso di dieci minuti fa!”

“pare si siano persi” constatò Kibernete.

“se si perdono loro che ci abitano, su quel pianeta, capisco perché non abbiamo potuto calcolare il loro tragitto”

Aster non si stancava mai di stare in ascolto, e nemmeno levava lo sguardo dal pianeta colmo di vite che si agitavano sotto la Ziggy Stardust. Doveva mancare poco tempo, poche ore e l’astronave sarebbe entrata nell’atmosfera, protetta dalla mimetizzazione dello scafo che la rendeva invisibile. Kibernete stava già studiando una zona d’atterraggio. Ma Aster era davvero pronta per abbandonare la sicurezza della sua nuova casa errante? Sarebbe riuscita a sopravvivere da sola su un pianeta alieno? Non restava che scoprirlo.

*
Il terreno irregolare, butterato di buche e cune, faceva tremare e sobbalzare i passeggeri dei due veicoli. La preoccupazione di ognuno di loro andava agli strumenti: un’accozzaglia di chitarre, bassi, microfoni, tastiere, sassofoni, una batteria, diversi strumenti strani – fra cui per fortuna non figurava l’arpa di Alice – che si scontravano come durante una marea, col rischio di rovinarsi. Quando finalmente, con l’esaltante sottofondo di Sweet Home Alabama, varcarono le soglie del campeggio, il gruppo si mise ad urlare “finalmente!”. Probabilmente furono odiati fin da subito dai poveri turisti che tentavano di riposarsi dopo un anno di fatiche. Guardando fuori dai finestrini, i ragazzi già adocchiavano fanciulle coperte solo da costumi, mentre Alice trovava la sua parte guardando gli animatori del campeggio. Il duo di veicoli a motore – nessuno dei quali di piccola stazza – dovette trovare spazio nel parcheggio interno, per fortuna all’ombra. L’aroma di resina s’insinuò nelle narici dei ragazzi con estrema dolcezza, e il mare pareva tanto vicino da poter già sentire la schiuma sui piedi e gli schizzi sul ventre. Ma non c’era tempo per fantasticare sulle fresche acque azzurre della Maremma: quella sera stessa avrebbero avuto un concerto nell’area svago del campeggio.

“forza, signorine, è ora di sbarcare gli strumenti!” ringhiò Edoardo, come fosse un sergente istruttore.

“e fate in fretta! Se credete che la prof di ginnastica del liceo di Gallarate sia crudele non mi avete conosciuto quando qualcuno mi fa fare tardi ad un concerto!” scherzò Andrea.

“questo perché di norma tu arrivi in ritardo da solo” gli rispose Alice a tono.

“calmi, ragazzi, incasinarci in giro con gli strumenti è una pessima idea, quindi questo è il piano:” James prese le redini “io e Gra prendiamo una chitarra e un basso e andiamo alla ricerca dei nostri bungalow, prendiamo le chiavi, e poi guidiamo tutte le spedizioni fino alla base, mentre Monica e Giovanni – che hanno gli strumenti più ingombranti – aspettano qui e fanno la guardia”

“va bene, ma perché portarsi dietro basso e chitarra se poi dovete fare altri viaggi con noi?” domandò Paolo.

“ma è ovvio, mio caro: per far colpo sulle donne” rispose Graziano.

Così dicendo, caricarono sulle spalle i loro strumenti e partirono alla volta della reception. Dei cartelli di legno a forma di freccia fungevano da indicazioni, sebbene fossero pochi e la loro ricerca difficoltosa. Fu un’impresa anche solo trovare il loro primo obiettivo. Chiesero immediatamente le chiavi per i bungalow corrispondenti alla loro prenotazione, e anche le direzioni. Non persero tempo a guardarsi in giro: seguirono alla lettera la strada che gli era stata descritta, ma senza un minimo di successo. Si persero almeno cinque o sei volte, e ricevettero chiamate iraconde dai loro compagni.

“cominciamo bene” commentò James “isteria già al primo giorno”.

Dopo una mezz’ora buona riuscirono a venire a capo della matassa di vie incastrate fra le case mobili, le tende, le roulotte, i camper, e, tutti felici, trovarono la loro meta. La casa era immersa nella pineta, in mezzo a tante altre, abbastanza distanziate da far godere agli inquilini un delizioso riposo in silenzio. Un grazioso scoiattolo si sfamava sopra il tetto di uno dei due bungalow che avrebbero accolto i ragazzi. Subito, una volta dentro, Jim e Gra si liberarono dei pesi alle spalle, osservarono compiaciuti la loro abitazione, sorridendo. Fu un’altra telefonata a risvegliarli. Richiusero a chiave le porte e corsero al punto di raduno.

“perché ci avete messo tanto?” si lamentò Alice.

“questo posto è un labirinto!” si difese Graziano.

“ci sono pure i cartelli” fece presente Monica.

“non sono chiari, che cavolo!” rispose James.

Concluso un veloce e per nulla aggressivo battibecco, iniziarono a caricarsi in spalla quanti più strumenti possibile, mentre Monica e Giovanni, come promesso, rimasero a fare la guardia, in attesa del proprio turno. Quando il silenzio tornò a regnare, e gli unici altri rumori appartenevano alla natura, Monica trasse un gran respiro profumato.

“è così idilliaco, qui, un vero e proprio locus amoenus

“Monica, basta latino, ti prego!”

“hai ragione, ma guardati intorno: la pace più assoluta”

“sì, sì, la pace, il mare, e i bikini!”

Monica scoppiò a ridere. “sì, anche quelli”

“però hai ragione, venire in questi posti, in mezzo alla natura, ti allontana dai problemi”

“e immagina essere immersi davvero nella natura! Voglio dire, immagina di avere una casa in Canada, in riva ad un lago, lontano mille miglia da ogni centro abitato”

“nah, io sono un tipo da città, folla, casino… insomma qualunque cosa pur di non rimanere solo la notte”

Monica non era affatto come lui, ma in quel gruppo ognuno di loro era diverso, e tutti si apprezzavano nelle loro diversità, nei loro pregi e nei loro difetti. Ben presto i compagni furono di ritorno per la seconda ondata, il secondo viaggio per finire di trasportare gli strumenti, dopodiché avrebbe seguito la manutenzione, e poi, se fosse rimasto del tempo, avrebbero anche visto la spiaggia.

*
“appena cala la notte su questo versante della Terra, giovane Aster, prendi la navetta e scendi sulla superficie del pianeta” spiegava Kibernete “ho impostato la rotta verso il mare, poco distante dalla costa più vicina al punto in cui gli obiettivi si sono fermati. Utilizzerai la tuta subacquea per raggiungere la terraferma, poi ti addentrerai nella selva e cercherai con la mente il tuo interlocutore, non dovrebbe essere difficile trovarlo”

“ho capito, Kibernete, grazie” rispose Aster, traendo un profondo sospiro angosciato.

“hai paura, piccola?”

La ragazza non rispose subito. Lei stessa dubitava di quella che sarebbe stata la risposta. Annuì, ma senza fiatare.

“è comprensibile, stai per cadere su un pianeta alieno che non hai mai esplorato, entrerai in contatto con una razza sconosciuta, non devi vergognarti”

“ma è quello che ho sempre voluto, capisci? Ho paura, ma la manderò a farsi fottere e realizzerò i miei sogni, in culo a tutti quelli che dicevano il contrario!” emise un risolino isterico.

“se non altro sei pronta a comunicare con loro”

“beh, il contatto mentale dovrebbe rendermi conscia della sua lingua, ma lo stile devo impararlo il prima possibile”

Guardava incessantemente la Terra, senza sosta, in continuazione, studiava le sue venature con cura maniacale, come se stesse disegnando nella sua mente una mappa di quel pianeta.

Che immensi oceani! Pensava ci saranno immerse creature magnifiche e titaniche come sul mio mondo?

Ascoltava le conversazioni dei ragazzi per telefono. Parevano persi di nuovo, e tentavano di ritrovarsi all’interno del campeggio. Hanno un pessimo senso dell’orientamento, devo convenire.

*
“e anche l’ultimo strumento è in casa!” esclamò Monica, sistemando la grancassa in un angolo.

“fatti forza, Kentucky Woman, e pensa che stasera già ci aspetta una sfacchinata fino all’area feste” disse Edoardo.

“ma scusa, Jim, perché cavolo non abbiamo portato già là gli strumenti?” domandò Giovanni.

“io non lascio una strumentazione da centinaia di euro alla mercé di chiunque”

“ma chi vuoi che rubi una batteria” intervenne di nuovo Edoardo.

“io concordo comunque con Jim, così abbiamo il tempo di rilassarci un po’ e stare tranquilli” rispose Monica, sostenuta anche da Paolo e Andrea.

Adesso era giunto il momento di smistarsi nelle case. James, Graziano, Andrea, Paolo ed Edoardo avrebbero occupato uno dei due bungalow, il resto del gruppo prese residenza in quello accanto. Nel primo, si apriva una veranda, affiancata da due braccia dell’abitazione formando una ‘L’, che avrebbe ospitato grandi partite a carte e birre ghiacciate dopo i concerti, fra le parole della notte. Una porta conduceva in un locale che fungeva da cucina e sala da pranzo, munito anche di divano e televisore. A sinistra della veranda, invece, una grossa finestra era incastonata nel muro, e tradiva la presenza della stanza matrimoniale. Il braccio opposto, invece, ospitava un letto a castello e uno singolo. Per quanto riguarda il secondo edificio, era di fronte, assolutamente identico, evidentemente pensato e montato apposta per i campeggi. Pareva uscito da una catena di montaggio. Comunque, in quell’edificio ci sarebbero stati in quattro, e lo spazio era un poco più disponibile, tanto che fu ceduto a loro il compito di tenere la batteria di Monica. Ma le case erano una mera formalità, sicché si sarebbero scambiati i letti praticamente ogni notte, e probabilmente avrebbero dormito per terra, pur di non stare separati dopo l’eccitazione di gruppo delle serate sul palco.

“e ora che abbiamo sistemato anche le valigie, tutti al mare!” strillò Alice.

“prima crema!” obiettò Paolo.

“scordatelo, noi ragazze ce la mettiamo da sole! Voi maschi spalmatevela fra di voi”

“ma che maliziosa!” scherzò il compagno.

Per raggiungere il mare dovettero noleggiare alcune biciclette, in quanto per raggiungere la spiaggia avrebbero dovuto affrontare una lunga marcia nella tenerezza della pineta, in mezzo ai profumi dell’estate, per poi attraversare il paese. Il sottobosco scricchiolava sotto gli pneumatici delle mountain bike, fragrante come il pane appena sfornato, un tappeto di aghi di pino. Il tragitto fu piacevolmente turbolento: ogni buca, ogni radice che faceva sobbalzare i ragazzi non faceva altro che risvegliare i loro sensi dal torpore di nove mesi di studio. Anche incastrarsi nella sabbia e dover proseguire a piedi mentre gli altri, agitando la mano, correvano verso il mare, fu gradevole. In quel caso il povero compagno lasciato indietro – anche se poi l’intero branco si fermò ad aspettarlo – era Giovanni. Attraversarono il piccolo paesino marittimo, dove le bancarelle spuntavano come funghi in ogni dove, nonostante non fosse una grande città. James adocchiò un negozio di dischi, Monica una libreria, Edoardo invece si fece una mappa locale dei ristoranti “stasera si mangia qui, prima del concerto!” disse. Graziano propose, dunque, di mangiare per le sette di sera, alle otto avrebbero preparato il palco e alle nove e un quarto avrebbero aperto la serata con Whole Lotta Love. Ben presto iniziarono a fare bella mostra del proprio corpo le schiere di ragazzi e ragazze di ritorno o in viaggio per le sabbie e gli ombrelloni. L’emozione di sentire l’acqua fresca lavar loro di dosso la calura si faceva forte come il sole che picchiava. Ognuno dei ragazzi portava, incastrato nello zaino, un piccolo ombrellone. Solo James pensò bene di portarne uno grande, e dovette tenerlo fra le bretelle della sacca e la sua schiena. Era decisamente scomodo. Ecco che una distesa gialla come scorza di limone iniziò a mostrarsi, sempre più vicina. Una volta legate le bici ad un palo, i ragazzi presero il via in una corsa folle verso un luogo, in mezzo a quella spiaggia, in cui prendere residenza, posare gli zaini, e piazzare gli ombrelloni che avrebbero raffreddato la sabbia rovente. I piedi bruciavano, ma non importava a nessuno. A velocità disumana, erano già tutti in acqua meno Paolo e Andrea, che leggevano tranquilli all’ombra, sdraiati a petto nudo su un paio di teli da mare, occhiali da sole indosso. James stava passeggiando sul bagnasciuga, osservando l’immensità del mare, e immaginando quali incredibili meraviglie potesse nascondere. Gli venne voglia di rubare una barca nel vicino porto del paese e prendere il largo. Mentre imprimeva le sue impronte nella sabbia bagnata, i suoi amici lo distolsero dalle sue fantasie prendendolo di forza, sollevandolo, e gettandolo in acqua. All’inizio fu una sensazione fastidiosa, quella del freddo sulla pelle calda, ma poi iniziò a non farci più caso, tanto era preso a schizzare i suoi compagni per una divertita ripicca. Monica e Alice prendevano il sole su due materassi gonfiabili, ma nemmeno per loro durò molto, quell’attimo di pace e tranquillità. Occhialini indosso, Giovanni era andato ad esplorare le acque un po’ più profonde, e presto fu seguito anche da Jim. Mentre i due ragazzi rimasti a guardia dell’accampamento erano persi fra le parole l’uno del Deserto dei Tartari, l’altro de Il Trono di Spade, si fece vivo l’immancabile ‘cocco bello’, che percorreva la spiaggia gridando, appunto “cocco bello!” e sventolando una fetta della noce, fresca, bianca e zuccherina. Andrea non si fece scappare l’occasione.

*
“il corpo umano che utilizzerai è quasi pronto, Aster, ancora qualche ora di perfezionamento, ma quali indumenti indosserai?”

Aster rimase perplessa: non ci aveva mai pensato. Non poteva certo presentarsi con indumenti Cydonensi al cospetto di un altro pianeta.

“non puoi creare alcuni degli indumenti più utilizzati dai giovani della Terra?” chiese a Kibernete.

“ma certo, ti farò avere una lista al più presto”.

Così fu: vi erano canottiere, pantaloncini che scoprivano persino le cosce, strani calzari formati da una pianta e un supporto che si andava ad incastrare fra l’alluce e l’indice. Comunque, per quella stagione, l’estate, i vestiti erano all’insegna della pelle; capi d’abbigliamento molto scoprenti, per favorire una temperatura corporea il più fresca possibile. Ma non solo: l’estate era la stagione più calda, e il calore spinge a desiderare l’accoppiamento, o almeno qualche avventura amorosa, e lo scopo di quei vestiti era, appunto, attirare il sesso opposto. Aster scelse una camicetta senza maniche, leggera, di lino, d’un giallo canarino quasi trasparente. Un paio di jeans piuttosto corti le avrebbero coperto le gambe quel tanto bastava. Ma per i piedi optò per scarpe da ginnastica. Ora poteva dar mostra di un corpo nuovo, che lei stessa aveva progettato, e non voleva risparmiarsi; il suo obiettivo era ricominciare da capo sulla Terra, diventare amata, desiderata, e trovare persone che, come lei, sognavano, sognavano, senza mai fermarsi.

*
I ragazzi erano tutti sdraiati ad asciugarsi. Jim si sforzava di non fare fantasie su Monica, mentre su Alice non ne aveva nemmeno la tentazione, tanto erano legati come amici. Riprese a guardare il mare, attraverso le lenti scure di un paio di occhiali da sole tondi nello stile di John Lennon. Era così immensamente puro, inviolato, casto. I suoi abissi erano il regno dell’ignoto, nessun occhio umano aveva ancora classificato tutta la flora e tutta la fauna, anzi, nemmeno un decimo. I misteri che si celavano sotto quella coperta colorata di tutte le tonalità del blu affascinavano Jim almeno quanto quelli che si perdevano fra le stelle. Se solo fosse nato con la vocazione per il mare, avrebbe imparato a navigare e avrebbe solcato gli oceani, e così avrebbe viaggiato per il mondo intero, attraverso le acque. Un marinaio con la passione per l’avventura.

“allora, Jim, come ti sembra la spiaggia?” gli chiese Paolo.

“beh, sai com’è, troppo turistica, per i miei gusti…”

“eccolo, il lupo solitario” commentò qualcuno.

“e poi non c’è niente, solo sabbia e acqua. Io amo le spiagge sperdute, ricolme di scoglie che nascondono meraviglie, dovunque, e magari una barriera corallina.

Insomma, quelle spiagge dove gli occhi possono godere di tutti gli incanti che la costa marittima può dare”

“Jim, qui puoi godere di tutti gli incanti che un paio di natiche possono dare” scherzò Edoardo.

“ma siete fissati, voi maschi!” si lamentò Alice.

“per quanto siano belle le ragazze che passano davanti a me, io continuo a desiderare una bella nuotata fra i pesci, i ricci di mare, gli anemoni, i coralli, le vongole, le cozze, le ostriche…”

“insomma, hai voglia di un fritto misto”  rise Andrea.

“no, sono serio. Ho voglia di mare, in tutti i suoi aspetti”

“beh, ci sei, amico” disse Graziano.

Era vero: e la certezza che il mare sarebbe stato lì, senza muoversi, lo rincuorava. Gli avrebbe fatto visita ogni giorno, magari andando a cercare in auto qualche spiaggia come quelle che piacevano a lui. E lo avrebbe visto di notte, con la luna che ci si specchiava vanitosa.

Ma adesso era il momento di tornare, farsi una bella doccia, riposarsi dalle fatiche del viaggio, e attendere giocando a Uno – il famoso gioco di carte – che le ragazze fossero pronte per andare a cenare nel ristorante adocchiato da Edoardo. Il che richiedeva di solito almeno un’ora, se non novanta minuti. Durante la pedalata di ritorno, James si sentì sollevato come se stesse respirando elio, sapendo di aver lavato via le sue ansie nel mare. Ora era libero dalle angosce, almeno fino a settembre.

*
Orbita Terrestre, ore 23.49, 11.49pm

Kibernete svegliò Aster con un allarme generale che risuonò per tutta la nave. La ragazza si gettò fuori dal morbido letto, chiedendo spiegazioni.

“qualcosa sta tentando di bloccare i miei sistemi, e non ci è più possibile intercettare le trasmissioni provenienti dal pianeta”

“siamo tagliati fuori? Sono gli umani?”

“escluso, loro non possiedono una tale tecnologia”

“e allora chi?”

“ritengo che tu conosca la risposta”

Qualcuno, con la tecnologia di chi viaggia per la galassia, stava cercando di allontanare la Ziggy Stardust dalla Terra. Ma perché? E chi? Aster formulò, nella sua mente, l’ipotesi che si trattasse della polizia extraplanetaria di Neo Cydonia, arrivata fino a Kibernete, inviata dalla madre. O forse qualcosa di molto più oscuro: i potenti della galassia stavano nascondendo la Terra. E Aster ne avrebbe scoperto il motivo.

“quanto tempo ho?”

“per ora sono stabile”

La ragazza corse verso il laboratorio, un locale saturo di un’aria pesante, e caratterizzato da un numero spropositato di ampolle, provette, alambicchi, terminali, gabbie vuote, scatole trasparenti da esperimento, e altri oggetti ad uso scientifico. In un angolo vi erano due vasche poste in diagonale, chiuse da una vetrata curva. Aster si spogliò ed entrò in una di esse. “avvia il trasferimento!” ordinò. Nell’altra vasca la attendeva il suo corpo umano. Tutt’intorno a lei iniziò ad aleggiare una specie di vapore luminescente. Questo si saturò dell’energia vitale di Aster, di quella che gli umani chiamano ‘anima’. Man mano che il vapore si prendeva ciò che lei era, si sentiva sempre più debole, come se stesse morendo. Era una sensazione terribile, ma sapeva che di lì a poco sarebbe finita. Un istinto latente la costringeva a tenersi sveglia, a fuggire quel sonno malsano, ma alla fine cedette. Riaprì gli occhi da umana. Quando la vetrata si spalancò, il nuovo corpo di Aster cadde sul pavimento, fradicio di sudore. Vomitò una prima volta, poi una seconda, rischiando di soffocare.

“devi respirare, Aster!” la intimò Kibernete.

Si sforzò di caricare l’aria dentro di se, ma fu subito presa da forti spasmi di tosse. I suoi polmoni erano come svuotati, e gonfiarli così in fretta le recò una fitta ai bronchi che la fece piegare su se stessa.

“piano!”

Ci riprovò, calmandosi e regolando una respirazione rilassata. Fece fare pratica ai suoi nuovi organi respiratori. L’apparato circolatorio era già funzionante, ma Aster si sentiva intorpidita, come se il suo corpo stesse ancora dormendo, e pian piano stesse riacquistando sensibilità. Vomitò un’ultima volta, e poi si diresse verso il bagno. Là si lasciò cadere per qualche minuto l’acqua addosso, per ripulirsi. La pelle era collosa, e anche se perse minuti preziosi, Aster sapeva che una doccia rapida era la soluzione migliore. Conclusa quella, però tornò nel laboratorio, e aprì una piccola scatola argentata, dentro alla quale si erano già formati i vestiti da lei scelti. Non cera tempo per preparare una valigia. Li indossò in fretta, sacrificando la muta nautica, e prese il suo orologio, insieme all’amuleto di suo padre, ora adibito a ciondolo. Con gambe da cervo si fece strada fino alla stiva, dove, attraverso un procedimento simile a quello che aveva utilizzato per uscire nello spazio, avrebbe raggiunto l’esterno a bordo di una navetta. Quest’ultima l’aspettava parcheggiata in fila insieme ad altre tre uguali, nella piccola stiva. Lo scafo, a forma di goccia, era color grafite, e vedeva incastonata nel rigonfiamento, una sfera di hyle. Aster aprì quella sfera tramite un portello sulla parte superiore. Una volta entrata, il portello si richiuse, e il materiale si fuse, facendo sparire ogni traccia d’apertura. I terminali che Aster stava imparando a conoscere a scuola di volo non tardarono a comparire.

“i sistemi di volo delle navette sono disattivati, dovrò guidarti da qui” avvisò Kibernete.

“e tu che farai?”

“tenterò di portare giù la nave, durante la tarda notte, e affonderò nelle acque al largo della costa dove sei diretta. Non appena avrò debellato la minaccia ti contatterò tramite il tuo orologio”

“Kib…”

“cosa, giovane Aster?”

La ragazza sospirò un attimo, capendo che non aveva ancora realizzato di essere nel pieno di un’emergenza. “fa’ attenzione, va bene?”

“ne ho passate di peggiori. Molto peggiori” rispose sicura “e ora va’!” così dicendo, aprì tutti i portelloni, disattivò l’attracco magnetico che fissava la navetta all’interno della stiva, e la scaraventò fuori bordo. La nave avrebbe tentato di resistere fino a notte fonda, quando era stato prefissato l’atterraggio, per poi precipitare, frenata dai motori ausiliari d’emergenza che avrebbero evitato di trasformarla in una cometa, e favorita dal sistema di occultamento che la rendeva invisibile agli occhi, nascondendo l’impatto con le ombre della notte.

Aster vide il suo amato sogno avvicinarsi a lei a una velocità vertiginosa. La navetta iniziò a vibrare leggermente – era progettata apposta per gli sbarchi – ma il materiale di cui era fatta, insieme all’invisibilità, le consentirono una discesa lontana dagli occhi indiscreti degli umani, senza che potessero vedere lo scafo né la scia infuocata che avrebbe invece lasciato dietro di se come traccia una qualsiasi astronave umana. Il mare si avvicinava. Sempre di più. Sempre di più. Ed ecco che la punta andò ad infilzare per rima le acque, nel punto che Kibernete aveva programmato: né troppo vicino alla costa da rischiare di impattare col fondale nella caduta, né troppo lontano, per evitare ad Aster una lunga e stancante nuotata in un mare alieno. Ora, lei e la navetta erano immerse nel pianeta Terra.

Angolo degli Autori:
Non siamo morti, nossignore! Siamo solo lenti come la lebbra, lo sappiamo... Ma finalmente Aster è sulla Terra, il suo viaggio nello spazio l'ha portata a destinazione, e ora comincia la sua avventura terrestre! 
Avvisiamo che è in stesura una seconda versione di Aster, che verrà pubblicata, una volta finita, separatamente, ma ora proseguiremo nella pubblicazione di questa versione, fino alla conclusione (quanti -one! XD), starà a voi, se avrete voglia di imbarcarvi anche in quell'avventura, decidere quale versione sarà meglio! ;-) 
_ La Setta Krypteia 

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Capitolo 18
*** Stella Cadente ***


Terra, provincia di Grosseto, al largo della costa toscana, Italia, 00.23

L’acqua circondava, ricopriva, abbracciava la navetta. Aster illuminò la sfera di hyle – in modo che lei dll’interno potesse vedere chiaramente, ma dall’esterno lei sarebbe rimasta occultata dalle tenebre – e vide tutt’intorno a se un mare molto più trasparente di quello di Neo Cydonia, il quale era arrossato dall’ingente presenza di minerali ferrosi nelle miniere sottomarine. Eppure, non scorse nemmeno un pesce. Ma non c’era tempo per meravigliarsi: doveva uscire da lì. La sfera di hyle era rimasta intatta, ed era, a tutti gli effetti, una bolla d’aria. Avrebbe potuto usarla per tornare in superficie, ma poi? Chiunque avrebbe potuto vedere la sfera – l’unico meccanismo di mimetizzazione era installato a bordo dell Ziggy Stardust, non ve ne erano anche per le navette extraplanetarie, nessuno avrebbe mai immaginato di utilizzarne una per uno sbarco –, e comunque non avrebbe mai raggiunto la costa. E fu in quel momento che scoprì che sotto la superficie dell’acqua il segnale di interferenza non giungeva. Subito, Aster accese i motori, e a quel punto fu pronta per avvicinarsi alla terraferma quel tanto che bastava da poter nuotare.

*

Terra, provincia di Grosseto, Italia, 19.25, 7.25pm

Il ristorante era addobbato nel più minuzioso stile della tradizione marinaresca: reti da pesca che pendevano dal soffitto, fiocine appese alle pareti, acquari contenenti astici e altri crostacei ancora vivi, bancone a forma di barca, svariate riproduzioni dei quadri di William Turner e di altri pittori del mare. I ragazzi erano seduti ad un tavolo, e già avevano divorato il pane, in attesa dei loro piatti, come da tradizione. I maschi erano usciti già vestiti per il concerto – Jim con una camicia bianca aderente, coperta da un gilet di jeans senza maniche, e il suo immancabile cappello –, ma le ragazze no: si erano fatte tutto il tragitto nella pineta in bicicletta con vestiti e tacchi, ben truccate.

“ho fame” fece presente Edoardo.

“non lo avrei mai detto” rispose a tono Paolo.

“io mi mangerei anche te, Ed” scherzò Andrea.

Monica stava fissando l’acquario, Alice si mangiava le unghie. La puntualità non era il piatto forte, in quel ristorante. Ma dopo quasi quindici minuti di attesa, i piatti iniziarono ad arrivare. Ognuno aveva ordinato qualcosa di diverso, per avere più scelta. Infatti, tutti iniziarono subito a rubare il cibo da bocca a Giovanni, che gridava vendetta.

“così tutti assaggiamo tutto” disse Alice con la bocca piena.

Si abbuffarono tutti tanto che furono sazi nel giro di poco tempo, tutti tranne Jim e Alice, che, dovendo cantare, era necessario che avessero lo stomaco leggero.

“allora è tutto deciso” disse alla fine, rompendo il ghiaccio, Gra “la scaletta, intendo, le cavolate da dire ogni tanto e tutto il resto”

“mi raccomando, la prima a salire sul palco sarà Monica” spiegò Jim “che prenderà posto alla batteria”

“Jim, ti prego, lasciaci mangiare in pace, ormai sappiamo a memoria come fare, lo abbiamo provato centinaia di volte!” si lamentò Edoardo.

“più di due settimane fa!” ribatté l’altro.

“beh, sappiamo tutti quanti quando salire, con gli strumenti già pronti a spaccare, e correndo come se fossimo in ritardo” disse Paolo.

“esatto!” esclamò Jim eccitato. “già mi vedo: sarà come al Madison Square Garden!”

“Jim, noi non siamo mai stati al Madison Square Garden” lo ammonì Alice.

“eddai, lasciami sognare!”

Terra, provincia di Grosseto, Italia, 21.37, 9.37pm

Tutto era pronto: la batteria era stata montata sul palco, le chitarre collegate tramite cavi jack al mixer, così come il basso, il microfono, la tastiera e un computer per utilizzare il sintetizzatore e ottenere effetti sonori altrimenti impossibili da riprodurre. L’aria si faceva carica di tensione. Salire sul palco era di certo più divertente, ora che se la cavavano tutti piuttosto bene coi loro strumenti, ma persisteva la paura di sbagliare, la paura di avere gli occhi addosso. La prima volta che i Chaos Within andarono in scena fu disastroso: a Jim si bloccò la voce e cantò come se gli fosse andato un pezzo di pane di traverso; Monica era impaurita e più che picchiare sulla batteria la accarezzava; Alice era tutt’altro che convincente come primo ufficiale, e gli altri erano talmente spaventati da non riuscire a guardare in faccia il pubblico. Ma questo era il loro diciassettesimo concerto, e ormai avevano imparato come padroneggiare il palcoscenico e la folla, e nonostante l’ansia si presentasse in un primo momento ogni volta, quando la musica fluiva come un fiume, la sua avanzata trascinava via ogni problema, ogni cattiva vibrazione. Davanti al piedistallo vi era una piccola pista da ballo, e oltre quella si stagliavano tavoli occupati in ogni dove, tanto che il chiacchiericcio stava diventando assordante, e i movimenti di posate parevano tanti piccoli insetti indaffarati. Era giunto il momento di destarli: tutto era pronto, tutti erano ai loro posti, col cuore in gola e le mani tremanti. Andrea e Jim tenevano le mani pronte ad alzare i volumi delle chitarre non appena fosse stato il momento; non tenevano il suono subito al massimo della sua potenza per evitare che la chitarra andasse in feedback, cioè emettesse un fastidioso fischio dovuto al riverbero, e amplificato dall’alto volume. Giovanni non vedeva l’ora di improvvisare sulla sua tastiera. Alice si scaldava la voce. Il suo ventre, scoperto poiché indossava solo un gilet di jeans corto sopra al costume e una gonna a vita bassa, si agitava, così come la sua gola, nella respirazione. Paolo era certo che non appena il pubblico avesse capito di che canzone si trattava, quella che avrebbe aperto il concerto, si sarebbe chiesto cosa ci facesse un sassofono lì; era pronto a dimostrargli che lui poteva suonare il sassofono in qualunque genere. Monica aveva già preso posto. Lei, totalmente in costume e coperta solo da una gonna di jeans, non si sarebbe mai aspettata di trovare Abigail in mezzo a tutte quelle persone. Si sarebbe mostrata solo alla fine della canzone di apertura, e l’avrebbe abbracciata forte, e baciata, e dopo avrebbe suonato con la grinta di John Bonham.

Monica fece un profondo respiro, prima di compiere il balzo: quando le sue bacchette – con la forma delle bacchette magiche di Harry Potter – iniziarono a percuotere il rullante con pelle sabbiata della batteria e il charleston, già nei più appassionati di rock nel pubblico non v’era alcun dubbio. E se ancora ce n’erano, di dubbi, furono spazzati via dall’impetuosa chitarra di Andrea, che, salendo di corsa sul palco, fece vibrare gli animi col riff di Rock ‘n Roll. Jim gli stava dietro con la sua chitarra, improvvisando fills, cioè brevi fraseggi (in questo caso di chitarra) simili ad assoli, ma molto più brevi e quasi mai studiati in precedenza. Il loro compito principale è quello di ‘riempire’ battute nelle quali vi è solo una ritmica. Graziano si era scatenato, quasi aggredendo le quattro corde del suo basso. Paolo aveva già dato fiato al sassofono, che, con enorme sorpresa di tutti, pareva essere stato creato per quella canzone. Giovanni, poi, picchiava le dita sulla tastiera con grande energia, improvvisando anch’egli come se non avesse mai suonato altro per tutta la sua vita, pareva un giovane John Lord smilzo e con gli occhiali. E la voce di Alice si espanse, quando venne il suo momento, con una potenza travolgente. I suoi piedi, scalzi, si muovevano rapidi ed eleganti, e le sue gambe facevano ondeggiare una gonna molto corta, ma morbida. La sua sensualità aveva già catturato gli occhi di alcuni ragazzi. La canzone coinvolse tutto quanto il pubblico, non solo gli amanti del genere, e creò un’atmosfera energica e frizzante, mentre il sudore già imperlava il corpo di Monica, facendolo risplendere sotto i riflettori. Jim si era sbottonato completamente, approfittando dell’assolo di sax di Paolo. Infatti, ogni singolo strumento, comprese entrambe le chitarre, ebbe il suo momento di gloria con un assolo, più o meno breve, conferendo alla canzone la durata di ben sette minuti e sessantatre secondi. Quando si concluse, con una nota coronata – cioè una nota che può essere tenuta fin quando si ha voglia o qualcuno non da il segnale di chiudere – Alice si inchinò, respirando affannosamente, e caricando le proprie batterie con gli applausi esaltati di ogni singolo individuo, tutti quanti furono presi da quella spirale di euforia.

“signore e signori, benvenuti a questa serata, qui, oggi, coi Chaos Within, direttamente da Gallarate!”

Gli applausi non volevano fermarsi, nemmeno quando Alice passò a presentare i membri, che si inchinarono a loro volta dinnanzi al pubblico. Con qualche battuta si strapparono persino delle risate autentiche e genuine. E poi fu il momento di Abigail: corse incontro a Monica, che si precipitò giù al palco. Le due ragazze si trovarono in un saldo abbraccio, e poi presero a darsi fugaci baci, che si conclusero in un ultimo, lungo ed appassionato. Si baciarono dinnanzi a tutto il pubblico di quella sera, e che lo approvasse oppure no, a loro non interessava. Era il regalo più bello che si potesse fare alla batterista. Ma non si poteva attendere: il classico rock Smoke on the Water doveva prorompere fra quelle orecchie e suscitare un’altra ovazione.

*

Terra, provincia di Grosseto, al largo della costa, Italia, 01.15

Si stava allontanando dal bersaglio, lo percepiva dentro di se. Ormai costeggiava le spiagge tenendo fuori dall’acqua parte della navetta per vedere meglio dove fosse diretta. Ma non riusciva a comprendere quale fosse la sua meta, di tanti chilometri di sabbia quale fosse quello su cui dirigersi. Si lasciava guidare dalle luci degli insediamenti marittimi, ma qual era il suo faro? Il margine di errore di Kibernete era minimo, ma nel tentare di ritrovare la rotta, Aster temette di essersi allontanata ancora di più. Fu allora che decise di cercare il suo amico della Terra col pensiero. Scandagliò ogni zona in entrambe le direzioni, come quando, dall’amaca di casa sua, trovava ogni volta la Terra, ma ora lungo la costa, non più per il cielo, finché non trovò proprio lui, proprio la mente che cercava. Non era distante, avrebbe potuto raggiungere quel luogo a nuoto. Parcheggiò la navetta sul basso fondale, poi aprì la sfera, e una impetuosa cavalcata d’acqua la travolse. Trattenne il fiato, tentò di non farsi sopraffare dalla pressione, che comunque le fece dolere le orecchie. La spinta la fece roteare in una serie di capriole per le quali perse l’orientamento. Quando finalmente riprese equilibrio, tentò di aprire gli occhi, ma le bruciarono tanto da costringerla a richiuderli immediatamente. Senza la vista e senza una rotta precisa, fu presa dal panico. Esaurì presto la sua scorta di ossigeno. Nuotò dove la spinta idrostatica la dirigeva, verso l’alto. Fu una gioia incredibile, quando le sue mani toccarono di nuovo l’aria. Si sentì quasi in salvo, almeno il problema dell’aria era risolto, ed ora si sarebbe potuta strofinare gli occhi per darsi un’occhiata in giro. Ma prima respirò, tante volte, una più difficoltosa dell’altra: affondava ogni volta. Mentre cercava di stare a galla e caricare ossigeno nei polmoni, fu tratta a fondo, e bevve dell’acqua di mare, accorgendosi così che era disgustosamente salata, come mai la sua lingua avesse assaggiato prima di quel momento. Ma adesso, Aster era di nuovo sommersa, e ormai l’acqua le si era insediata in ogni cavità, nel naso, in bocca, nelle orecchie. Con un’ultima fatica, tornò di nuovo in superficie. Ma sapeva che rischiava di affogare, che la morte in quel mare alieno era una possibilità. Non poteva, non poteva fallire ora, non così vicina a realizzare l’obiettivo di due vite, la sua e quella di suo padre, perito ancora prima di avvicinarsi alla sua realizzazione. Rifiutò quella possibilità, mise in moto le gambe, agitandole in maniera convulsa e scoordinata, ma almeno riuscì a stare a galla quel tanto che bastava per adocchiare un lume proveniente dalla costa: sarebbe stata quella la sua meta. Prima di iniziare a nuotare riprese fiato con la cura di una discreta nuotatrice, e cercò per un’ultima volta la mente del ragazzo umano. Aveva una rotta, e una volontà tale da portarla fino alla spiaggia senza che sentisse troppo la fatica. Iniziò a nuotare.

*

Terra, Provincia di Grosseto, Italia, 23.50, 11.50pm

Jim stava bevendo a grandi sorsi una birra scura, insieme ai suoi amici e compagni di musica. Monica ed Abigail erano mano nella mano, sedute al tavolo, ma tutti sapevano che di lì a breve avrebbero salutato cordialmente il gruppo in favore di una camera appartata. Un ragazzo già stava corteggiando Alice, e forse anche lei avrebbe passato una nottata di fuoco. Quando ormai Jim era convinto di non aver fatto colpo su nessuna, e che anche per quella serata l’unica bionda sulla quale avrebbe posato le labbra sarebbe stata un’altra birra, si presentò a lui una fanciulla, doveva avere uno o due anni in meno, forse tre, ma a lui non importava, in quel momento, perché il cuore prese a battergli fortissimo per la paura. Dai castani ricci, e con la pelle olivastra. Aveva il volto di una fiamma sudamericana, e il corpo snello di chi ama mostrarlo. Portava una larga maglietta verde che si strappava in obliquo, scoprendo un angolo di pancia fino alle costole. Come si muoveva, lo stralcio di veste lasciava intravvedere anche il resto. Non indossava pantaloni, ma solo un costume in parte coperto dalla lunghezza dell’indumento superiore. Si sistemò un ricciolo dietro l’orecchio.

“mi siete piaciuti” disse lei, fintamente intimidita.

“grazie”rispose semplicemente Jim.

“e tu hai una voce davvero prorompente”

“prorompente”, che bell’aggettivo, inusuale per il registro dei giovani di oggi.

“e suoni la chitarra con una passione che si infiltra nelle vene del pubblico” il linguaggio apparteneva ad una lettrice accanita, e forse anche autrice di qualche storia tenuta nascosta in una diario.

“sapevo che una ragazza come te mi guardava”

Troppa sicurezza, mio caro Jim, non sei così esperto nel campo delle donne, non farle credere il contrario.

“e avevi ragione” quella frase fece scattare un allarme nella testa di Jim, come se si stesse cacciando in un guaio, in una situazione pericolosa.

“vieni” ammiccò poi lei. A quel punto, il ragazzo non poté nascondere il suo timore, il suo imbarazzo e l’inevitabile insicurezza. Ma pareva che lei lo avesse capito molto bene: era una esperta predatrice, e prediligeva carne fresca, a quanto pare, non già segnata dalle esperienze sul campo. Gli prese una mano e gli fece da guida nella fresca pineta marittima. Nel frattempo, lui cercava di rompere il ghiaccio, ma i suoi tentativi si concludevano sempre con brevi scambi di battute subito dissipati.

“non devi per forza dialogare con me, dobbiamo solo fare sesso” disse lei con un sorriso.

Allora è vero, sta per succedere! Non è un errore! Dannazione, mi sento come quando sono prenotato a un’interrogazione di matematica eppure spero che la prof se ne dimentichi. Jim era un topo in trappola: nessuna via d’uscita, e pian paino si dirigeva verso il luogo dove senza dubbio avrebbe dovuto andare fino in fondo nel suo intento. I suoi amici gli avevano strizzato l’occhio, forse invidiosi di quell’occasione. Il mattino seguente sarebbe stato soddisfatto di essere divenuto un uomo, di aver fatto sesso con una ragazza. Il mattino seguente sarebbe stato un uomo, sì, ma il ragazzo desiderava fosse già quel momento, gli sarebbe piaciuto compiere un’ellissi di sei o sette ore, per camminare per le strade come un adulto fatto e finito. Per quanto riguardava il fare sesso con una perfetta sconosciuta, questo lo turbava. Avrebbe volentieri ceduto quell’occasione a qualunque dei suoi amici, tanto era forte la paura. In quel momento dei pensieri iniziarono a ronzargli in testa come fastidiose mosche: Jim, è la tua prima volta, vuoi davvero sprecarla con una femmina che a malapena conosci? Io dico che non devi sempre attendere il momento più opportuno, la persona giusta, attendere che tutto sia perfetto, con le candele, l’incenso… la vita non si programma! Hai questa occasione di toglierti dai pensieri la tua prima volta, fallo, e poi sarai a briglia sciolta! Se dovesse andare male, devi considerare la possibilità che la notizia trapeli attraverso la ragazza. Adesso una terza parte. Per la miseria, mi sto rompendo in mille pezzi!

La ragazza lo fece entrare, mentre lui le chiedeva quale fosse il suo nome, con voce soffocata.

“Irene” rispose lei.

“Irene” ripeté “è un nome molto bello, in greco antico significa pace”

“ah sì? Figo!” mentre diceva queste parole si slacciava le scarpe col tacco.

Oh, cavolo, inizia.

Poi lo condusse verso la camera. E una volta là, si levò la maglietta con una tale velocità che Jim a malapena ebbe il tempo di eccitarsi. Ed ecco che, senza permettere al ragazzo di sfiorarla, fu nuda.

Ma come, così? Avrei dovuto spogliarla io! Accarezzarle i fianchi mentre le levavo la maglietta, baciarle le gambe mentre le sfilavo le mutandine, e sospirare sommessamente dinnanzi ai seni.

Gli saltò addosso, e in men che non si dica fu nudo anche Jim.

Sta succedendo troppo in fretta, non riesco a sentire altro che angoscia!

Lei iniziò a leccargli il collo, poi la lingua strisciò in mezzo al petto, lungo l’addome, finché giunse laddove puntava fin da subito. Ma si accorse che la situazione non era affatto bollente. Così, per rimediare, gli prese la mano e se la strofinò prima sul ventre, poi sui seni. Gli disse poi di stringerle i capezzoli. Niente. Jim sentiva di essere attratto da quella bellissima ragazza, ma gli girava la testa, gli pareva di dover finire quel supplizio il prima possibile, come se dopo una grande ansia giungesse la noia. Eppure, dinnanzi a lui stava nuda una femmina dal corpo invidiabile, sensuale, un corpo che parlava di sesso a chiunque lo guardasse. E una mano delicata di fanciulla lo stava ora lentamente conducendo verso l’oggetto del suo più carnale ed intimo desiderio, e anche della sua più timida paura. Quando sentì un caldo, umido piacere, fu lì che iniziò a risvegliarsi in lui la passione. Due dita di lui si avventurarono fin dentro la ragazza, e cominciarono a chiamare a gran voce i suoi gemiti, che non tardarono. Continuò così finché la bella giovane non lo piantò contro il cuscino con le mani, guardandolo con malizia.

“non ho la pillola, e tu non hai i guanti… ma qualcos’altro posso dartelo” con queste parole, scese nuovamente la linea dell’alba, scivolando con le labbra fino il pube, dove diede a Jim tanto piacere da farlo gemere a sua volta.

A mezzanotte e mezza, egli ancora non aveva letteralmente consumato la sua prima volta, ma aveva passato una notte incandescente con una ragazza, nudi, ricoprendosi di carezze, baci, e ‘coccole’.

Terra, Provincia di Grosseto, Italia, 1.45 am

Persino Jim si sorprese di quanto tempo fosse passato dacché, dopo aver saggiato lo splendore di un corpo nudo di ragazza, si fosse diretto in spiaggia, e avesse acceso un piccolo, indiscreto falò. In quel tempo fumò almeno sei sigarette, accendendole col fuoco del focolare. Osservava il mare, secondo grande ignoto che lo affascinava fin da bambino. Chissà quali segreti nasconde, questa eterna distesa d’acqua salata. Jim amava e temeva il mare, così come amava e temeva l’ignoto. Ma la sua passione per esso sovrastava qualsiasi paura. Dal mare oscuro, i suoi occhi si alzarono fino a trovare il cielo. Il confine fra firmamento e acqua ondeggiante era impercettibile, come un crepuscolo fra un sogno e l’altro. Un altro essere umano, forse, si sarebbe stancato di osservare gli infiniti dopo qualche minuto, forse quindici. Ma Jim no. Sapeva di essere perfettamente in grado di rimanere sveglio per la notte intera, a pensare, a riflettere, a sognare, e ad osservare i suoi due amici, Cielo e Oceano, timidi anch’essi, tanto da non voler mostrare i propri segreti. Ma fra loro e Jim vi era un taciturno dialogo, in cui si raccontavano di tempi passati e futuri, di mondi alieni e giganti del mare.  Forse sotto quell’acqua, il capitano Nemo conduce il Nautilus verso qualche meraviglia sottomarina. E forse sopra quel cielo il Millennium Falcon sfreccia alla velocità della luce. Che meraviglia, questa pace, questo silenzio. Mi pare di poter sentire gli atomi cantare, intorno a me. E gli atomi intorno a lui cantavano per davvero, insieme al cosmo intero. Jim si era portato con se la sua chitarra acustica, del colore della notte e dell’oceano più profondo, e la prese in grembo. Tastò con un dito il quinto tasto della sesta corda, che avrebbe riprodotto la medesima nota della quinta corda: un La. Osservò con enorme interesse e stupore un fenomeno tanto familiare quanto semplice, che aveva sotto gli occhi tutti i giorni. Mentre pizzicò solo la sesta corda, si mosse da sola vibrando anche la quinta, della medesima nota. Ebbene, Jim concluse che quella era la volta in cui notò l’estrema potenza dell’armonia. Essa, tramite – ad esempio – il suono, è in grado di muovere da sola una corda di bronzo, tirata, tanto che pareva fosse un fantasma a farla vibrare. I due La suonavano insieme, e Jim non smetteva di pizzicare la corda. A quel punto, una serie  di riflessioni presero il sopravvento sulle fantasticherie e sui ricordi erotici della bella ragazza. Tutto è armonia o tutto è caos? Che vuoi dire? L’universo è una strampalata accozzaglia di percezioni caotiche oppure è armonia di sensibile e sovrasensibile? E se il caos fosse parte dell’armonia? E se il caos fosse contemplato sul piano armonico? Se ne facesse ordinatamente parte? Prendiamo in considerazione i dinosauri, specie millenaria e potentissima, spazzata via in un battito delle ciglia dell’occhio terrestre da un meteorite, il caos, appunto. Ma l’armonia della Terra non ne è stata intaccata, ma è rinata. Anzi, sono giunti gli esseri umani, creature perfette, nel loro meccanismo, in grado anche di colloquiare, costruire, evolversi in società. E se persino la distruzione che l’uomo stesso sta portando al pianeta sia contemplata dalla sua armonia? Persino le guerre ci hanno portato importanti innovazioni, che ci hanno consentito di evolverci, in armonia con il nostro stato di specie dominante. Ma che stai dicendo? Le guerre portano sofferenze e devastano vite che potrebbero invece amare, costruire esperienze, provare emozioni e sentimenti diversi dall’odio e dalla disperazione. Forse questa dicotomia è necessaria. Se esistesse solo l’armonia e non vi fossero mai guerre, non ci sarebbe nessuna presa di coscienza, nessuna rivoluzione, e ci stagneremmo culturalmente, non saremmo in grado di comprendere appieno il valore della pace; oppure saremmo già un mondo perfetto, cosa impossibile: nulla esiste che non possa cambiare mai,e ciò che è perfetto non cambia mai, per questo la perfezione non esiste. Se invece il mondo soffre a causa delle guerre, ci sarà sempre qualcuno che lotta per la pace, e la pace avrà dunque un valore tanto forte da indurre la gente a combattere per essa, coi mezzi non violenti della parola, dell’arte, dei simboli. Forse inizio a capire anch'io il tuo ragionamento. Quindi tu dici che la guerra è parte dell’armonia? Che la guerra fra caos ed armonia è, a tutti gli effetti, armonia essa stessa? Sì, perché una forza in grado di creare una complessa struttura organica estrapolandola da un singolo embrione, deve per forza aver contemplato anche questo, a cosa l’umanità sarebbe andata incontro! Inoltre, un pianeta che è rinato dalla devastazione chissà quante volte, anche prima dei dinosauri, è dimostrazione di come l’armonia sia una potenza inesorabile, inarrestabile. Solo i buchi neri possono qualcosa contro di essa, il caos estremo, in cui persino le leggi della fisica non hanno più valore.

 Il suo fiume di pensieri sul caos e sull’armonia dovette essere frenato, in quanto, poco distante, a Jim – che nel buio vantava una vista molto acuta – parve di intravvedere una figura umana distesa su bagnasciuga. Curioso, si avvicinò ad essa. Quando fu abbastanza vicino, notò che era una ragazza, dalla pelle scura, sdraiata ventre a terra. Non respirava.

“oh, cazzo!” imprecò il ragazzo.

La voltò, e iniziò a praticarle il massaggio cardiaco, completando la manovra con la respirazione bocca a bocca. Dovette allontanare un particolare ciondolo che disturbava la manovra, facendolo scivolare lungo il collo di lei. Continuò così, sperando che si riprendesse, o tenendosi pronto a chiamare i soccorso. Ma non ce ne fu bisogno: fra pesanti spasmi di tosse, la ragazza sputò fuori dai polmoni una ingente quantità d’acqua salata. Jim si allontanò un poco per farla respirare. Quando si fu ripresa abbastanza da riuscire a parlare, le chiese “stai bene?”. La ragazza lo fissò un momento, poi aguzzò la vista, e infine sgranò gli occhi.

“benissimo”

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Ebbene, eccoci qui! Aster ha finalmente incrociato gli occhi con Jim, avendo interrotto anche i suoi deliri pseudo-filosofici da pensatori della fantascienza. Poco prima Jim stava per affrontare un passo molto importante, e non volevamo disegnarlo come un macho che già alla prima volta è capace di far volare una ragazza su un altro pianeta, ma si è fatto prendere dal panico, dall'agitazione. Ha avuto comunque una bella nottata, si può dire, ma per il momento non ha ancora superato il rito di passaggio. Ma la trama non gira intorno allo stato sessuale del protagonista, ma sulla ragazza aliena che è fuggita da casa per incontrare gli umani, e ora finalmente li ha incontrati! Addirittura è stata salvata dall'umano con il qula aveva dialogato attraverso lo spazio e il tempo! Quali conseguenze avrà questo incontro? Seguiteci e scoprirete con quali espedienti, classici o meno, i giovani autori 'in erba' (tanta,ndK) della Krypteia daranno una svolta alla trama! ;-) 

 

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Capitolo 19
*** Ospite Inatteso ***


La ragazza se ne stava seduta sua una sedia di plastica, bagnata fradicia, infreddolita – più per lo sforzo e per lo shock che per la temperatura – e con un asciugamano sulle spalle, in vece di coperta. Fissava un po’ il vuoto e un po’ la scena che le si pareva davanti: era circondata da alieni, che si agitavano e parlavano. Una di loro si avvicinò, tenendo in grembo dei vestiti ben piegati.

“questi dovrebbero andarti bene, anche se sei decisamente più magra di me” disse la ragazza dai lunghi capelli castani “a proposito, hai un fisico da paura!”

“ce l’hai anche tu, Ali, piantala” la rincuorò un’altra.

“da che pulpito, Natalie Portman!” scherzò colei che fu chiamata ‘Àli’.

“hey, devo essere gelosa?” fu una terza femmina a parlare.

“sai, Monica, che il mondo è pieno di bellissime donne” le parlava con voce suadente “ma nel mio ce n’è una sola” da queste parole scaturirono incredibili dolcezze, frasi da innamorati e un fugace bacio, prima di tornare alla coscienza di ciò che stava accadendo e ricomporsi.

Due femmine che si amano, e stanno insieme! Accidenti, sarebbero condannate dalle mie parti! Eppure sembrano così felici, così attratte l’una dall’altra.

Nella galassia, infatti, vi era qualcosa di tremendamente marcio, che Aster aveva ignorato. Era tutto ‘normale’, tanto che ormai da diversi secoli non erano apparse domande o addirittura forme di ribellione. O, almeno, così si credeva. La ragazza extraterrestre sarebbe andata a fondo di quella faccenda, avrebbe scoperto cosa c’era sulla Terra che tanto qualcuno cercava di nascondere e poi avrebbe puntato ai misteri della galassia, sempre che i due non fossero collegati. Era quello il suo obiettivo, e sentiva che quei baci fra ragazze era il primo passo. Aster trovava quell’atto innaturale e ripugnante, ma dentro di se percepiva come una sensazione di sbagliato, come se qualcosa in quel suo modo di pensare fosse tremendamente sbagliato, come se le fosse stato messo a forza nella testa da parole gentili e amichevoli.

Il ragazzo che l’aveva salvata se ne stava sulla porta della stanza. A lui si avvicinò Ali, e alla ragazza fu offerta una di quelle stecche che si usavano sulla Terra: spuntava da un contenitore rettangolare decisamente primitivo. “stizza?” domandò lui.

“sì, grazie” rispose lei, accettando, e quindi afferrando la stecca che sporgeva. Era bianca per circa quattro quinti e color ocra per un quinto.
‘stizza’? questo è il nome di quella cosa?

Aster si rese conto che quel corpo umano, nel quale era camuffata, le conferiva una basilare conoscenza delle lingue terrestri, o almeno di alcune, e una pronuncia perfetta per ognuna di loro. Deve essere l’imprinting della Ziggy Stardust, ma è incompleto. Molti vocaboli mancano, e non sono in grado di strutturare frasi complesse. Per fortuna che ho studiato la lingua terrestre italiana per conto mio, almeno quaggiù sarò più sciolta nel parlare. Quella inglese è forse quella nella quale sono più sciolta, ma non mi servirà, entro questi confini.

“come sta?” chiese un ragazzo sconosciuto, robusto nella muscolatura, di statura media e con la barba sfatta.

“chi è?” fu la domanda di un altro, basso e assai magro, con un paio di arcaici occhiali con lenti di vetro.

“è single?” domandò un altro ancora, pingue e anch’egli occhialuto, prima di beccarsi una pacca dietro il capo da un compagno, alto più di tutti gli altri.

Il salvatore di Aster le si avvicinò.

Dio, è terrorizzata! Guardate la sua faccia, sembra che sia appena stata stuprata, o che sia circondata da alieni! Pensaci tu a consolarla, no? Prima di tutto scopriamo che ha passato, questa poverina.

“stai bene, ragazza?” le chiese.

Ella rispose “sì”, balbettando. I capelli tremarono, quando la bocca si aprì, mutando la quiete che la ragazza stava cercando di imporre al suo corpo, e una goccia di acqua cadde da una ciocca. Alcune erano appiccicate al volto, altre grondavano. Necessitava una doccia calda e poi qualcosa per asciugarsi. Per lei, quella notte estiva era particolarmente gelida.

“ce la fai a dirmi il tuo nome o prima vuoi bere qualcosa di caldo? O preferisci qualcosa di alcolico”

“alcolico?” chiese lei, con la voce sempre spezzata.

“sì, abbiamo qualche bottiglia di spumante comprata al discount, più utile se si è giù ubriachi, sa di plastica” rise lui.

“magari avessimo il Cartize che imbottigli tu, eh, Jim?” disse l’amico pingue.

Jim!

“in viaggio con noi? Una bottiglia di vetro? Sarebbe andata in frantumi”

Vetro, avevo letto di questo materiale!

“Zoe” rispose infine Zoe.

“Zoe?” ripeté “è un nome stupendo, sai che in greco antico significa Vita?”

Ma fai l’etimologia del nome a tutte le ragazze che vuoi rimorchiare?

“sul serio? Mi piace” iniziava a riprendersi “e io quindi posso chiamarti Jim, giusto?” lui annuì.

“sì, e poi ci sono…” Zoe gli troncò la frase, riconoscendo alcuni dei nomi degli individui presenti. “Monica” disse indicandola “Ali” poi rivolse lo sguardo ad Abigail “Natalie Portman”. Come qualunque altro terrestre, i ragazzi si misero a ridere di gusto.

“ha il senso dell’umorismo, però!” esclamò il ragazzo che svettava su tutti.

Mentre Monica preparava un tè alla nuova ospite inattesa, Jim le fece fare conoscenza con tutti gli altri, presentandoli uno ad uno come faceva spesso ai concerti, con una punta di scherzo. Poi, quando Zoe finalmente sorseggiava la bevanda, con un viso incredibilmente sorpreso e confuso, i compagni cominciarono a discutere intorno al dovere o meno dar tetto a Zoe per almeno una notte.

“sapete che se ci scoprono i tizi del campeggio ci fanno un culo come una capanna?”

“ma cosa vuoi che dicano? Male che vada aggiungo io dei soldi, se lei non se lo può permettere” disse Jim.

“poi credete davvero che ‘sti tizi siano tutto il giorno lì per controllare che la rock band abbia i membri giusti nelle case? Ma per favore, qui c’è un andirivieni di ragazzi e ragazze che si portano in stanza i loro ‘rimorchi’, e nessuno se n’è mai accorto!”

“ma la nostra amica è un tantino… vistosa, sai com’è: se in una casa ci sono solo bianchi…”

“ragazzi, ma vi sembra il caso di parlare con lei qui davanti?” mise tutti a tacere Abigail.

“Abigail ha ragione, per stasera nessuno avrà da obiettare se le cedo il mio letto” oppure lo condividete “e poi domani troveremo una soluzione” sentenziò Jim.

In tutto questo, Zoe rimase muta. Ad un certo punto, quando tutti iniziavano a smistarsi nelle proprie stanze e nelle rispettive abitazioni, il ragazzo che portava il nome ‘Graziano’, ma tutti chiamavano ‘Gra’, prese da parte Jim e gli parlò lontano dalle orecchie della ragazza ospite.

“Jim, ne sei certo? Non conosciamo la sua storia, non sappiamo chi sia”

“l’ho trovata mezzo annegata sulla spiaggia, coi polmoni pieni d’acqua, ed è spaventata a morte, non credo proprio che ci ammazzi nel sonno”

“va bene, magari non è pericolosa in se stessa, ma può portare guai. Non pensi che se era in quello stato forse qualcuno l’ha ridotta così? Magari c’è dietro una storia più complicata di quel che pensiamo”

“che intendi dire?”

Graziano sospirò. “non so,ma quella ragazza odora di problemi con la droga. Mi sembra che da quando quella ragazza sia arrivata debbano arrivare gli scagnozzi della camorra da un momento all’altro, o qualche altro sicario pronto a farle fare la fine che avevano in progetto”

“se arriva la mafia sarei ben felice di far fare a loro la fine che si meritano: annegati nel loro stesso sangue”

“questo fa molto heavy metal, ma loro hanno i cannoni”

“se avessero armi non l’avrebbero fatta annegare, la ragazza, no?”

“forse non volevano farlo sembrare un omicidio”

“se non hanno il coraggio di accollarsi la responsabilità di un omicidio non ce l’hanno nemmeno di entrare in un bungalow di notte e trucidare i suoi occupanti”

L’amico prese a lisciarsi la barba corvina e mugugnare da perfetto sospettoso.

“secondo me ti fidi tanto perché ti piace, sei rimasto stregato”

“che? Ma va!” esclamò Jim.

“dài, è la copia di Zoe Saldana!”

“mi sento solo responsabile, insomma, l’ho salvata, dopotutto, non posso abbandonarla ora, non ti pare?”

“io dico solo che non mi sorprenderebbe trovarvi a letto, un giorno, un giorno non distante” ridacchiò.

Detta questa ultima battuta, Jim accompagnò Zoe mostrandole dove avrebbe dormito, ma non prima di essersi fatta l’agognata doccia calda ed essersi asciugata per bene. Le ragazze le fornirono asciugamani e phon per i capelli, oltre ad una veste da notte, e Zoe a quel punto non seppe quali parole usare per dire ‘grazie’.

“non basterebbe il più vasto degli imprinting per trovare le parole giuste per ringraziarvi!” disse. Quella frase suscitò una divertita perplessità, ma nessuno vi diede troppo peso.

Jim attese seduto al tavolo da pranzo che la sua ospite finisse la doccia, e nel frattempo scriveva e strimpellava motivetti con la chitarra acustica, suonando delicatamente con le dita per non fare troppo rumore. Quando Zoe aprì piano la porta del bagno, mostrò una chioma tanto scompigliata e gonfia che i capelli parevano asciugati da un individuo totalmente incapace di utilizzare un phon.


Per lo meno il pigiama è messo dritto. Glielo dovresti strappare di dosso, non controllare che sia dritto! Ma dico, a null’altro pensi? Altrimenti non sarei la parte istintiva e irrazionale di Jim, no? Mi farete diventare pazzo. Non hai nulla di più di ciò che hanno gli altri esseri umani, se non la fantasia di darci una voce nostra. 

“stai bene? Ti sei rilassata?”

“sì, quella doccia andava bene, e quel ‘phon’ è molto divertente” sorrise.

“dalle tue parti non si usa?”

Questa domanda fece ammutolire Zoe.

“non ti va di raccontarmi la tua storia? Da dove vieni, come sei finita su quella spiaggia, dove sei diretta… dove dovresti essere ora? Sai, le domande esistenziali di routine”

“adesso sono davvero stanca, perdonami, domani ti racconterò ogni cosa di me”

Jim concordò sul fatto che dovesse andare a dormire al più presto. E così fu. Quella notte, Aster, ora conosciuta come Zoe, non guardò le stelle: era immersa nella sua stella preferita, quella che fissava ogni giorno, quando il firmamento si mostrava nel buio. Ormai non si poteva tirare indietro, era in corsa, nella maratona del suo sogno. Era circondata da umani, il suo amico fra le stelle l’aveva salvata dall’annegamento, e adesso lui era fuori, seduto sulla veranda insieme a Graziano, e discuteva a proposito di un ‘Sol’ prima di un ‘Do’, o viceversa, seguito poi da un ‘Re’.

“no, io dico di metter prima il Sol, poi il Do, così viene più dolce e malinconica, si addice di più al testo”

“ma è più figa come dico io, Do, Sol e Re!”

“così ha il sound troppo energico, vivace”

“ma è perfetto, abbiamo una nota e poi due quinte! Sol è quinta di Do, Re è quinta di Sol, è una perfetta gradinata che sale verso le stelle!”

“va bene, proviamo così, ma se poi non mi convince cambiamo!”

“tuo il testo, tua la canzone”

Stanno scrivendo canzoni! È tutto così meraviglioso, è quello che ho sempre sognato! Sono certa che domani riuscirò a dialogare con tutti loro, voglio scoprire che tipi di persone sono.

Zoe era eccitata oltre ogni immaginazione, ma in quel momento la stanchezza vinse l’emozione, e chiuse gli occhi della giovane extraterrestre, al caldo fra delle coperte terrestri.

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Zoe, alias Aster, ha conosciuto anche gli altri membri del gruppo di Jim, e si sforza di non apparire terrorizzata. Forse lei stessa credeva di reagire in maniera più spavalda, ma alla fine sembra sciogliersi un po', e ora non resta che vedere cosa accadrà il giorno dopo! 
_ La Setta Krypteia

 

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Capitolo 20
*** Pianeta Alieno ***


Zoe fu la prima a svegliarsi: l’emozione la costrinse ad abbandonare il letto per andare ad esplorare la zona boschiva. Soprattutto doveva trovare il modo di entrare in contatto con Kibernete. Ancora non sapeva come fare, ma lo avrebbe fatto. Passeggiava per il sottobosco, ben godendosi la frizzante aria che solo in un mattino sotto la pineta marittima del pianeta Terra ella avrebbe potuto respirare. Le pareva così buona, su per le narici, sulla lingua. Era aria di libertà. Eppure i livelli di anidride carbonica del pianeta – aveva controllato diverse volte – erano talmente alti che al suo precedente corpo avrebbero probabilmente causato problemi. Ma non era la composizione chimica il fattore determinante di quella delizia, erano proprio le emozioni suscitate dal camminare sul pianeta che, enigmatico, si era presentato come oggetto del desiderio della sua vita e di quella di suo padre, Diastin, primo capitano della Ziggy Stardust. E mentre passeggiava, Zoe pensava, osservava, ammirava la bellezza di quegli alberi, della flora, della vegetazione aliena. Ogni tanto spuntava qualche fiore dai colori vivaci.

Sono sulla Terra, ancora non ci credo!

Pensò bene di tornare al campo base senza fare troppo tardi: la aspettava una chiacchierata con il suo salvatore.  

*

Orbita Terrestre, diverse ore prima

Kibernete lottava disperatamente contro il virus che pian piano stava abbattendo tutte le barriere. Era inarrestabile, l’astronave stava perdendo il controllo. Il primo sistema a cadere fu il rifornimento di ossigeno, poi l’atmosfera. Ciò significava che se ci fosse stata ancora Aster a bordo, sarebbe morta. Chiunque avesse attaccato l’astronave, aveva tutte le intenzioni di uccidere  l’equipaggio. Ma quel nemico non era visibile, non si poteva affrontare: si trattava di un nemico che aggredisce dall’interno, e poco alla volta devasta ogni cosa, divora i sistemi, prende il controllo. Ma chi? E perché? Cosa c’era dietro quell’attacco? Non c’era tempo per farsi domande, la velocità di calcolo di Kibernete era limitata a qualche secondo dalla sua personalità, e adesso l’Intelligenza Virtuale aveva pochissimi sistemi attivi, non era in grado di dedicarsi anche alla meditazione di quesiti. L’obiettivo del virus era chiaro: controllare o distruggere, senza possibilità di dialogo. In entrambi i casi, la Ziggy Stardust non aveva speranze contro una tale potenza tecnologica. In pochi secondi, il software cedette, e il nemico ebbe accesso anche all’hardware: poteva manovrare la nave a suo piacimento, cancellare dati, acquisirne altri. Se non che Kibernete riuscì a compiere l’unica opzione rimasta per concedere ad Aster la possibilità di un ritorno.

Dallo spazio, quello scontro silente appariva immobile, statuario, come un monumento. Ma la Ziggy Stardust era tornata visibile, tanto agli occhi quanto ai radar terrestri. I satelliti potevano intercettare l’astronave aliena. Tutt’un tratto, quello che prima era un combattimento interno e fermo, immerso nello spazio orbitale della Terra, si fece movimento: la nave prese la direzione della superficie, e quando fu entrata nell’atmosfera, caricò una sempre maggiore velocità, diretta verso il Mar Mediterraneo. Kibernete tracciò la rotta basandosi su quella di Aster, ma nel caos che infuriava fu un’operazione difficoltosa anche per un computer. Una volta impostata quasi casualmente la destinazione, utilizzò i sistemi di emergenza per dirigere la nave verso quella direzione, per poi abbandonarsi in caduta libera, disattivando, quindi, anche il virus. Avrebbe riattivato i propulsori di freno atmosferico a circa centocinquanta metri da terra, e poi si sarebbe totalmente disattivata. Sulla meta ancora regnava la notte.

*

Jim si svegliò trovando il letto di Monica ancora intatto: doveva aver dormito in tenda con Abigail, e si saranno date alla pazza gioia. Ma anche Zoe non era presente all’appello. Se n’è andata? Peccato, era davvero carina. Dobbiamo trovarla, potrebbe avere ancora bisogno di aiuto.
  
Non ci fu bisogno di cercarla, ché proprio mentre Jim faceva per partire alla sua ricerca, la ragazza si presentò alla soglia della casa. Jim rimase impietrito, come sovrappensiero, di certo non aspettandosi di ritrovarsela davanti.

“Zoe” disse lui.

“James!” sorrise felice.

“chiamami pure Jim" sorrise a sua volta "dove sei stata?”

“ho fatto un giro qui intorno”

“stai bene? Ti sei ripresa totalmente?”

Come dire al ragazzo di aver subito il trauma del trasferimento in un corpo diverso dal suo, per poi precipitare su un pianeta alieno potenzialmente pericoloso, in un mare estraneo, di notte, e quindi di aver nuotato fino a riva tanto da rimanere priva di forze?

“sì, sto abbastanza bene” rispose semplicemente, anche se sentiva un gran bisogno di mangiare.

A quel punto i due presero a guardare in basso, senza rivolgersi la parola, finché lui non ruppe il ghiaccio “mi sento in parte responsabile per quello che è successo, mi consentiresti di offrirti almeno la colazione?”

“ne sarei felice!” Zoe si rese subito conto che oltre ad essere contenta di quell’atto di galanteria, lei era priva di soldi “anche perché tutto ciò che avevo è andato perduto in acqua, non ho un soldo, mi dispiace. Ma non voglio approfittarne, accetto per questa volta, ma troverò un lavoro al più presto”

“non ti preoccupare, puoi rimanere da noi quanto ti pare” le parlò con una tale gentilezza che Zoe si sentì in colpa per aver accettato.

L’aliena era emozionata come una bambina, quando Jim le porse una “ciambella, non esattamente un gourmet, ma sul palato è una meraviglia”. Assaggiò con foga e curiosità il cibo straniero, e parve apprezzarlo molto. Non amò allo stesso modo la bevanda nera e amara che invece Jim bevve con gran gusto. La chiamavano ‘caffè’, gli umani. Zoe assunse un’espressione di ribrezzo, ma tentò di nasconderla subito, e bevve il prima possibile la disgustosa sostanza.
“allora, Zoe” prese parola ad un certo punto Jim “ti ho trovata sulla spiaggia quasi catatonica, adesso mi vuoi dire da dove vieni?”

Zoe rimase sorpresa e confusa, abbassò lo sguardo.

“tu mi hai salvata, non solo dal mare” confessò “da dove vengo? Non importa, là non mi vogliono. Non sarò un peso per molto, lo prometto, ma non chiedermi altro sul mio passato”

“ah, sei una little runaway!”

“una cosa?”

“la canzone di Bon Jovi! Sei un fuggiasca, scappata di casa per distruggere la routine e trovare la tua strada”

“esatto!” Zoe fu sollevata di sapere che lui la capiva.

“ti capisco. Quanta strada hai fatto?”

“ah! Ho fatto gli anni luce, credimi!” e infatti non mentiva.

“va bene, resta enigmatica. Beh, benvenuta nel club. Sai suonare uno strumento?”

L’imprinting del corpo di Zoe avrebbe dovuto possedere un background da chitarrista, ma non era stato ancora caricato, quando Aster si impossessò dell’involucro.

“no, mi dispiace”

“beh, ti troveremo un lavoro, non temere”

Decisero di passeggiare fino alla spiaggia, parlando del più e del meno. Lui le raccontò di come solo un paio di anni prima era entrata in vigore la legge secondo cui era possibile acquisire la patente di guida a sedici anni, e dopo un solo anno di pratica era possibile guidare anche auto di grossa cilindrata. Disse che era stata una manna dal cielo, per loro (sebbene molti altri temevano che sarebbe vertiginosamente cresciuto il tasso di incidenti): potevano mirare a spingersi più lontano per i concerti, portando con loro tutta la strumentazione. Aster ricordò le sue lezioni di volo, e rise, pensando a cosa avrebbe detto il suo istruttore sapendo che aveva attraversato la galassia a bordo della più sofisticata astronave dedita ad uso privato. Pensò che era stata una fortuna che fosse un vascello dotato di intelligenza artificiale dedita anche al pilotaggio, in questo modo Aster compariva come capitano e passeggero non guidante: nessuna legge infranta per la mancata acquisizione della patente di volo. Passarono a parlare dei concerti di Jim. Si trovarono in sintonia per quanto riguarda la musica: anche Jim amava David Bowie, ma lui era decisamente più esperto di lei, e conosceva molti più gruppi, cantautori e complessi. Lui le raccontò anche del suo mestiere, di come imparò a suonare la chitarra, a cantare.

“a ispirarmi come chitarrista ci fu per primo Mark Knopfler, frontman dei Dire Straits, mentre la passione per il canto giunse con Matthew Bellamy, che invece canta e suona nei MUSE, gruppo che devo assolutamente farti conoscere!”

“sono ansiosa di ascoltare le loro canzoni, allora!”

“cielo, gli acuti di Bellamy sono eccitanti come il corpo di una bella ragazza!”

Jim si accorse che iniziava ad assumere la parlantina che di solito aveva con gli amici. Sentiva Zoe come un’amica, o qualcosa del genere.

“un corpo come il mio?” questa frase lasciò Jim di stucco, e iniziò sentirsi agitato, a balbettare.

“beh, devo dire che sei molto diretta” seguì un attimo taciturno “ma certo! Cioè, sei una ragazza molto bella, perché dovrei negarlo? Solo che… sì, insomma…” non sapeva che dire.

Proprio in quel momento giunsero alla spiaggia, e la sabbia cancellò quel momento imbarazzante. Era insolitamente piena di gente, e durante la notte doveva esserci stata una bella marea, perché i segni dell’acqua avevano bagnato gran parte della spiaggia.

“è strano” osservò Jim “sono tutti vestiti, nessuno è in costume, e tutti fissano il mare e scattano foto, selfie…”

Chiese informazioni ad un tizio, e la risposta fu tanto sorprendente quanto scioccante: “durante la notte, o la prima mattina, qualcosa è caduto in mare, al largo, e io credo sia un Ufo, ma il governo ci dirà che è un piccolo meteorite, o un aereo sonda”

“perché dovrebbe?” domandò Zoe.

Nessuno le rispose, ma lei non indagò oltre.

A Zoe venne subito in mente che doveva essere la Ziggy Stardust, precipitata mentre tutti dormivano. Adesso aveva una pista, e doveva seguirla. Ma non poteva ancora parlarne a Jim e agli altri, avrebbe dovuto agire di nascosto. Jim vide che c’erano degli uomini vestiti di nero, che osservavano la scena da un’auto del medesimo colore, grande ma elegante. Stavano parlando in una ricetrasmittente. Ad un certo punto, aprirono le porte del mezzo e fecero per dirigersi sulla spiaggia, quando un altro uomo, questa volta in abiti grigi, ma sempre molto formali, li fermò, e, mostrando loro un cartellino di plastica, li convinse a tornare in auto e ad andarsene. L’uomo in grigio aveva dei capelli rubizzi e ben regolati, e quando si voltò mostrò una carnagione caucasica, uno strato rado di barba e due occhi chiari, Jim non capì se azzurri o verdi. Chi era quell’uomo? E perché aveva allontanato gli agenti?

*

Su un lontano pianeta, Neo Cydonia, una madre piange sempre una figlia scappata di casa. Ma la donna che generò Aster non piangeva: ella sapeva che la sua prole avrebbe seguito le orme del padre. Non riusciva, infatti, ad immaginare, nella mente, un futuro diverso da quello che la ragazza stava intraprendendo. Fuggire dai dolori della vita, fuggire dalla mediocrità, fuggire dal grigiore monotono di una vita ordinaria, questo, la madre lo aveva sempre saputo, sarebbe stato il viaggio di Aster. Ma cosa aspettava dietro l’angolo? Sapeva bene che gli umani erano capaci di compiere azioni mostruose, mentre Aster era stata cresciuta in mezzo alle loro meraviglie, alle loro creazioni più fantastiche.

*

“vorresti noleggiare una barca? Sei sicura che sia una buona idea? Dopo il tuo naufragio di ieri sera?” domandò Jim.

“voglio vincere le mie paure, e fare un giro di notte per queste acque” disse risoluta Zoe.

“qui non si tratta di paura, è pericoloso”

“lo devo fare, capisci?”

Jim tacque, non sapeva che rispondere. Gli sembrava irresponsabile acconsentire ad aiutarla, e nella mente del ragazzo si agitava un pensiero: se le succedesse qualcosa mi sentirei io il responsabile, e non riuscirei a perdonarmelo. Ma, alla fine, Jim sapeva che lui avrebbe voluto fare lo stesso, se fosse stato nelle condizioni di Zoe.

“va bene, ti aiuterò, ma solo se mi lascerai venire con te”

Zoe non poteva chiedere di meglio.

“va bene, andiamo appena si fa sera”

“io in realtà dovrei suonare ogni sera, qui. E poi non possiamo prendere una barca a caso, dobbiamo noleggiarla, ci toccherà aspettare fino alle sette di domani, poi potremo noleggiare un paio di barcacce per tutti noi e andare a farci un giro; intanto, perché non vieni al concerto a vederci suonare? che ne dici?”

Questa sera vedrò un vero gruppo musicale in concerto!

“ci sto!”

ANGOLO DEGLI AUTORI
Aster decide di curiosare in giro per quel luogo alieno e scopre che fine ha fatto la Ziggy Stardust. Ovvio è che il suo atterraggio non è passato inosservato dalle autorità terrestri, ma un misterioso individuo vestito di grigio blocca l'indagine dei Men in Black. Chi sarà? Come mai ha impedito che la Ziggy Stardust venisse scoperta? Chi leggerà vedrà! ;-) ci teniamo ad avvisare che nonostante i nostri biblici tempi di pubblicazione siamo sempre qui! ;-) grazie di cuore per chi non ci ha abbandonati! 

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Capitolo 21
*** Ti Sento in Me... Aster ***


ATTENZIONE!
In questo capitolo sono presenti particolari che potrebbero fargli meritare un rating rosso. Ci sembrava ingiusto privare le fasce minorenni dei lettori di leggere questa storia per un solo capitolo, quindi abbiamo deciso di pubblicare Aster in rating arancio, e scrivere ora, qui, questa avvertenza. Buona lettura, e grazie in anticipo per la comprensione ;-) _ La Krypteia  

Zoe avrebbe rivelato quella notte stessa a Jim la sua vera identità, e ora sapeva anche come trovare la Ziggy Stardust: l’amuleto di suo padre avrebbe rivelato la posizione della nave, e isolando una parte – forse l’unica salva – di Kibernete nella sfera blu, che avrebbe a sua volta segnalato la direzione ai ragazzi. E allora non sarebbe rimasto che acquistare un mezzo acquatico. Qui si proponeva il problema del denaro: Zoe vide che sulla Terra veniva utilizzata una valuta materiale, più precisamente cartacea o di metallo. Lei aveva conosciuto solo un metodo di monetazione virtuale, non vi era valore economico che potesse essere duplicato da uno degli strumenti come l’orologio di Aster, nella galassia. E lei avrebbe seguito esattamente quel procedimento: avrebbe incanalato nel suo orologio i dati della forma, del materiale, colore, rune, composizione chimica, tutto per poi poter avere a disposizione una cospicua riserva di denaro, duplicando ogni moneta o banconota che trovasse.

Durante la giornata, Zoe vide i suoi nuovi amici esercitarsi in maniera quasi scoordinata con i propri strumenti, per circa un’ora, poi la presero con loro e la introdussero ad alcuni giochi di carte. Le raccontarono anche alcune storie, soprattutto intorno alle avventure vissute insieme, come gruppo musicale, nei loro concerti. La ragazza aliena si sentì straordinariamente partecipe, ma desiderò aver potuto vivere quelle esperienze lei stessa. Fece anche molte domande a Monica ed Abigail, a proposito della loro storia d’amore. Le pareva impossibile, ma erano felici oltre ogni immaginazione, assai più di molte coppie di Neo Cydonia che erano considerate ‘modelli da seguire’. Anche la discussione che naque di seguito, riguardo la scuola, la interessò enormemente. Ascoltando i discorsi dei ragazzi umani, si fece un’idea di come doveva essere la didattica su quel pianeta, o, almeno, in quel paese. Le differenziazioni territoriali su uno stesso pianeta erano inconcepibili, per Aster, – provenendo dai sistemi galattici controllati dalla Comunità Galattica, era abituata a pensare ad un pianeta come ad un unico territorio – così come molte altre sfaccettature delle società umane. Fece una gran fatica a comprenderle, ma sarebbe arrivata a conoscerle.

In mezzo a tante domande, ma anche tante emozioni, derivate dalla vicinanza con gli umani, venne la sera, e i suoi amici umani si preparavano per il concerto. Era elettrizzata come se fosse ad un concerto dei Rolling Stones. Vide Monica spogliarsi della maglietta per rimanere in costume, e si sentì così simile a lei da poter quasi comprendere il sentimento che Abigail provava per lei: sentirsi uniche insieme, potersi amare nell’orgoglio di essere uniche, diverse, e di poter smentire le malignità degli altri con una potenza così naturale come l’amore. Jim non era da meno: un gilet di jeans decisamente femminile, ma per un musicista rock non era che appena stravagante. Andrea, Giovanni e Paolo, sul palco, erano i più sobri. Alice era provocante come lo sarebbe stato una ragazza in cerca di avventure erotiche. Massimo, silenzioso, osservava dal pubblico. Quella serata, fu la chitarra di Andrea ad aprire il concerto, con un pezzo che, Zoe lo avrebbe scoperto solo a fine canzone, si intitolava “You Shook Me all Night Long, signore e signori, dei mitici AC DC! Sì, perché noi vogliamo farvi vibrare le ossa, questa sera, e vogliamo sentire i vostri cuori palpitare, le belle gambe delle ragazze ballare, e le natiche sode agitarsi al ritmo della nostra musica! E ora, invece, oscillate i vostri sensuali fianchi femminili, ma non solo, per Baba O’Riely, degli Who! Dedicata a tutti i giovani in viaggio per trovare se stessi, ma con l’obiettivo di naufragare dolcemente nelle acque della giovinezza!”

Mentre ancora Jim stava parlando, Edoardo, attraverso un sintetizzatore, inviò uno squillante effetto tintinnante, e Zoe si sentì una bambina che per la prima volta scopre luoghi diversi da casa, e guardava Jim agitarsi ai colpi di tastiera con la stessa meraviglia, con gli stessi occhi stupefatti. Alice improvvisava frasi vocali e brevi assolo di voce, oltre a duettare per determinati versi con Jim. L’effetto era esaltante, unito alla potenza di suono derivata da un sassofono incredibile e sorprendente. Le corde della chitarra vibravano, percosse dal plettro di Andrea. L’energia,  l’emozione scaturita da quella musica folgorante era incomparabile a tutto ciò che era possibile udire nella galassia. Aster era cresciuta in mezzo ad una musica virtuale talmente studiata, talmente impeccabile da essere vuota di sentimento. E quei suoni erano preposti al rilassamento, mai all’eccitazione. Per questo non erano così in pochi a conoscere ed amare la musica umana. Altrove, nella galassia civilizzata, la musica era creata da una persona sola, che, attraverso un collegamento neuronale, trasmetteva una musica da lui pensata ad un registratore di pensieri – un aggeggio simile ad uno schermo dati come quello che Aster aveva trovato nello studio di suo padre, ma che registrava sogni, pensieri, e tutto ciò che si può contemplare, anche i ricordi più profondi e dimenticati –, che a sua volta lo riproduceva. Ma in questo modo non esistevano musicisti, leggende della musica, e non esisteva un squadra, un gruppo, ognuno che dava il meglio di se su un palcoscenico. Non esistevano più nemmeno i concerti, ormai. Ma adesso Aster era sulla Terra, e stava ascoltando gli Who. Non aveva la minima intenzione di perdersi una nota o un movimento di Jim, a costo di non battere ciglio fino a far seccare i bulbi oculari.

Lo spettacolo si concluse con una canzone che, solo ascoltandola, pareva penetrare fra i neuroni, prendendo l’anima per mano, e portandola a saltare in viaggi stellari. Il titolo era Planet Caravan, e Aster sentì che non avrebbe mai permesso alla sua mente di dimenticarsi quel titolo. L’intero concerto fu per Zoe un’incredibile corsa attraverso un mondo da tempo sognato. Quando anche l’ultimo brano fu eseguito, Jim corse subito da lei, senza nemmeno accorgersi che la ragazza della notte scorsa lo stava intercettando. Quest’ultima, però, non parve adirata, semplicemente cercò fra i musicisti qualcun altro che fosse intenzionato a passare la nottata fra le sue gambe vellutate. Zoe non attese neanche una qualsiasi parola di Jim, che subito lo tempestò di complimenti su di lui, sul gruppo, sulla musica, e per poco non si lasciò scappare che sul suo pianeta non si sentiva più quella musica emozionante. Si trattenne dal chiedere se alcune canzoni eseguite fossero le loro, immaginando che l’avrebbe considerata ignorante nel settore. Non voleva apparire come una ragazza aliena, che non conosceva la musica del pianeta, che non sarebbe stata in grado di inserirsi. Jim le prese le mani e le disse di calmarsi, ché loro non erano i Beatles.

“abbiamo solo fatto un paio di cover, tutto qui”

“ma quel suono! Quel suono così puro, e con tutti quegli strumenti magnifici che ti riempiono le orecchie fino a entrarti nelle vene per far scorrere il sangue come il Cosmo comanda! E poi vedervi suonare, essere in sintonia con ciò che facevate, eravate fantastici, incredibili! Non posso credere a tutto questo…” la ragazza continuava a muoversi, mentre parlava con tono euforico.

“Zoe, mi sembra di capire che tu non abbia mai assistito ad un concerto” rispose, incamminandosi verso il fitto del bosco, insieme agli altri membri del complesso, ed alcune ragazze che li seguivano.

“non uno così, devo ammetterlo”

“purtroppo nell’era della rete, nell’era di MTV, nell’era in cui la musica è diventata strumento del capitalismo, ormai i concerti non sono più quegli eventi ai quali non si poteva mancare. Io ho parlato con gente che ha visto in concerto i Led Zeppelin, i Deep Purple, i Beatles! E oggi? Chi è che può dire di regalare l’anima al pubblico, da un palcoscenico? Ah! Ma ad agosto i MUSE sono in concerto a Milano, e io non me li perderò, parola mia!”

I Muse? Devo conoscerli, e poi andrò a quel concerto!

La destinazione della loro camminata era la spiaggia. Zoe se ne accorse quando, mentre era assorta nelle parole di Jim come intricata in dolci fili di morbida lana, sentì la sabbia sotto i piedi scalzi. La notte era limpida, ed accoglieva gentile sotto una coltre di stelle vivissime i corpi sudati dei ragazzi e delle ragazze che si erano ormai accasciati in riva al mare per guardare in alto. Graziano, che era fra loro, estrasse la solita scatola contenente le ‘sigarette’, e la porse a Zoe, avvertendola che “non è una sigaretta, if you know what I mean”, e a quel punto, Jim rassicurò invece che “non è tanto pesante, tranquilla, qui nessuno di noi regge un granché”

Zoe non sapeva cosa dire, o cosa fare. Non sapeva con cosa aveva a che fare. Ma alla fine, pensò che non era certo stato il buonsenso a portarla sulla Terra, ed accettò. Jim si avvicinò a lei, ed estrasse un piccolo aggeggio a forma di parallelepipedo, rosso, poi da un’estremità fece schizzare una lingua di fuoco, che andò ad arroventare la punta della stecca che ora stava fra le sue mani. Zoe attese di vedere cosa avrebbe fatto il ragazzo. Osservò come inspirava, come tratteneva il fiato per poi gettare fuori il fumo. Così, quando Jim gliela porse, anche lei trasse un insicuro respiro. Le venne l’istinto di tossire, e lo fece, tossì come se le fosse andata dell’acqua per traverso. Qualcuno ridacchiò, ma senza malignità. Jim le venne ancora più vicino, e le mise una mano sulla pancia.

“devi inspirare piano, con calma, rilassando i bronchi, poi tieni dentro per catalizzare, ed infine espira” spiegò “e, se vuoi un consiglio, guarda il cielo” tolse la mano “vedi altri mondi” sorrise sognante.

Ritentò. Ancora una volta, l’istinto naturale del suo corpo le diceva di gettare fuori quel fumo tossendo, ma lei non lo fece: si sforzò di eseguire le istruzioni di Jim. Pian piano si abituò, e iniziò a provarci uno strano gusto. Attendeva sempre il suo turno, ma la strana stecca era abbastanza lunga da concedere ad ognuno più di un paio di volte, prima di finire in cenere. Le gambe di Zoe erano lievemente piegate, mentre stava seduta, sprofondando nella sabbia fresca e umida. La gonna scivolava maliziosamente lungo le cosce. Intorno a lei, il mondo iniziò a scorrere più lentamente, prendendosi la calma, per una volta, di attendere le fantasie di Aster. Voltò la testa da un lato, e vide che Abigail e Monica erano nude, e si accarezzavano, si baciavano, lungo tutto il corpo, si stringevano, facevano l’amore, senza veli e senza vergogna, davanti ai loro amici. La lingua di Zoe era asciutta. Voltò la testa dal lato opposto, con una straordinaria lentezza, e notò che anche Jim era nudo, e suonava la chitarra elettrica anche senza amplificazione, quasi immaginandosi un assolo psichedelico  cosmico. Graziano, insieme ad una ragazza non del gruppo, stava anch’egli facendo sesso, ma si era allontanato di una decina di metri, per essere protetto dal buio. Altri, invece, come Massimo, che aveva una fidanzata che l’aspettava a casa, o come Giovanni, che non aveva nessuna ragazza con cui volare, si erano gettati fra le onde serali. Senza nemmeno pensare a cosa stesse facendo, ma sentendosi guidata come da un’altra Aster, lei si alzò, e si spogliò completamente. Si sentiva ubriaca, la testa pulsava, e il cuore batteva forte, ma lei si sentiva in pace, in armonia con ogni suo senso. Amava la delicata brezza che le accarezzava il corpo nudo, amava l’odore di salsedine, amava sentire la sabbia tra le dita dei piedi scalzi, amava sentire i cauti gemiti di piacere di Monica ed Abigail, accompagnati da calde parole. La vista era confusa, per ogni volta che voltava lo sguardo pareva fosse il mondo a muoversi. Vide Jim, che ora fumava una sigaretta sdraiato, col cappello a fargli da cuscino. Zoe tentò di inginocchiarsi di fianco a lui, ma in realtà cadde goffamente sulle ginocchia. Gli prese la mano e se la portò al collo, dal quale scese, facendo compiere alle dita del ragazzo un lungo ed erotico viaggio lungo tutta lei, l’autostrada del piacere. I polpastrelli si soffermarono sull’ombelico, come quelli di un altro ragazzo, giorni addietro, che adesso era troppo lontano da quell’istante. A quel punto, Jim poté continuare da solo, lungo le gambe levigate. Tornò presto verso l’alto, accarezzando, mentre la fissava negli occhi, arrossati, con disperata passione, le labbra umide e calde in mezzo alle cosce. Zoe raggiunse il membro del ragazzo, dopo aver compiuto il medesimo percorso, quasi fosse un mandala, e iniziò a tirare la pelle, prima da una parte, poi dall’altra. Entrambi iniziavano a gemere, e quando sapevano che non potevano più fuggire l’uno dall’altra, Jim la allontanò, scaraventandola a terra. Coprì ciò che fino a poco prima era tra le delicate dita di Zoe, lo coprì con un sottile rivestimento trasparente, e quando questo fu fatto, si avventò su di lei, baciandola dovunque, e poi penetrando in lei con una furia piena di passione. Lei prese e gridare sommessamente di piacere. Ad un certo punto, si dimenticò di tutto il resto dell’universo, finché non rimasero solo lui e lei. E toccò la mente di Jim come lui aveva fatto con il suo ombelico, provocando un effetto ancor più inebriante.
Jim non sapeva cosa stesse succedendo, sentiva Zoe dentro la sua mente, che l’accarezzava, così come lui era fisicamente dentro di lei. Pensò si trattasse degli effetti del fumo. Ma era come se sapesse, in fondo al suo cuore, che Zoe, in realtà, era l’amica con cui aveva parlato attraverso lo spazio e il tempo, attraverso lo specchio della Terra, attraverso gli anni luce, giungendo, la sua voce, alla mente di lei all’istante.

Ti sento in me… Aster.

Quelle parole erano tutta la felicità che mancava ad Aster per commuoversi. Le lacrime uscivano copiose dagli occhi, mentre godeva del piacere del sesso e di quello sbocciato dall’abbraccio con la mente e l’anima di Jim. Il ragazzo rallentò finanche a fermare la propria carica, segno che ormai l’Atto era giunto alla sua conclusione con un fulmine di piacere. Uscì dal corpo di Zoe, e cercò nei suoi vestiti un fazzoletto, nel quale rinchiuse il rivestimento trasparente. Graziano, invece, non si era fatto problemi a gettare il suo fra le acque del mare, inquinandolo, ma non gl’interessava. Zoe si rialzò, tremante, le gambe fragili, la schiena sudata ricoperta di fini granelli di sabbia come un vestito. Lui la prese di forza in braccio e la portò fino alla sponda. Quando entrò nel mare, entrambi sentirono l’acqua fredda contrastare la calura delle loro pelli madide di sudore. Jim cullò dolcemente Zoe, tenendola in braccio come un gatto, e facendola nuotare. Lei guardava il cielo, intanto, vedendolo esplodere di centinaia di colori, ed ognuno di essi le parlava, non con la voce, ma con immagini, sensazioni, suoni che rimbalzavano nella testa. In mezzo a quel tripudio di follia dell’anima, Aster trovò i suoi pensieri, li vide. Vide se stessa, come voleva essere, vide una strada che le prometteva infiniti sogni. Il cielo aveva così tante storie da raccontare, ma per quella notte, fra le braccia di Jim, il sonno prese il sopravvento sulle palpebre frementi di Zoe.

Una carovana di pianeti procedeva silenziosa nello spazio, perduta nell’infinito buio cosmico. Una cometa impostava la rotta verso il cuore di un sole, mentre un’altra stella esplodeva chissà dove, nell’universo, portando con se intere civiltà, interi sistemi planetari. Ma nessuno ne udì nemmeno gli echi.

ANGOLO DEGLI AUTORI
Finito di leggere? niente segnalazioni? Grandioso! Grazie! XD 
Ecco... Diciamo pure che abbiamo un tantino esagerato con gli effetti del fumo (non ne abbiamo esperienza diretta '_'), ma volevamo scrivere un capitolo che ricordasse una specie di Woodstock, molto 'Hippie', ecco XD per scriverlo ci siamo ascoltati per una dozzina di volte almeno Planet Caravan, Strange World e innumerevoli canzoni dei Pink Floyd, che, asicuriamo noi, hanno un effetto decisamente allucinogeno, senza dover per forza fare uso di droghe XD Comunque sia, speriamo che questa esperienza psichedelica vi sia piaciuta, e ci auguriamo di non aver infastidito i lettori. Grazie per essere giunti fin qui, cari lettori, ci ritroviamo nella prossima puntata di: ASTER! ;-) 

_Helen & Riordan

 

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Capitolo 22
*** Qualcosa è Sopravvissuto ***


Zoe aprì gli occhi che ormai il mattino andava per il pomeriggio. Dormiva in un lettuccio a castello, in basso, ancora stretta fra le braccia di Jim, ma almeno una coperta nascondeva il suo corpo, ancora nudo. Sentiva il ventre di lui premerle contro la schiena, mentre respirava con un ritmo regolare. Un respiro più profondo annunciò il risveglio del ragazzo, che per prima cosa diede un bacio delicatissimo sul collo di Zoe.

Accidenti, cosa è successo ieri notte? Ho un gran mal di testa, sono affamata, come se non mangiassi da mesi! E credo di aver fatto l’amore con Jim.

“diavolo, sono ancora sotto la roba, mi sa!” disse Graziano, scendendo goffamente dal suo letto, sopra le teste di Jim e Zoe. Quest’ultima trasalì, portandosi addosso le lenzuola al fine di coprirsi meglio il corpo.

 “non dirlo a me, Gra!” rispose Jim a tono, salutandolo. Poi, Graziano si rivolse a Zoe “e tu come stai? Troppo in botta?” poi si scusò appena si accorse che era ancora nuda. In effetti anche Jim parve accorgersene solo in quel momento. Probabilmente, invece, se n’era accorto, ma non aveva la lucidità per rendersi conto che era piuttosto imbarazzante.

Lei non sapeva cosa rispondere, in che modo comportarsi. Era agitata, sentiva di aver fatto qualcosa senza pensarci, di averlo fatto e di non poter tornare indietro.

“un po’ di mal di testa, e molta fame” rispose infine.

“sì, è così per tutti” ridacchiò Jim.

“forza, allora, la colazione è pronta, e noi siamo gli ultimi all’appello, credo” disse Graziano.

“ti darò subito dei vestiti” disse Jim, alzandosi.

Così, ancora scossa, Zoe si alzò, accettando i vestiti che Jim le offrì, dopo averli recuperati dal guardaroba di una delle sue amiche: una canottiera bianca senza maniche e un paio di pantaloncini verde chiaro molto corti; ai piedi poté indossare le sue scarpe, mentre dovette rinunciare ai vestiti che indossava la sera prima: erano stracolmi di sabbia. Jim fece andare avanti l’amico, in direzione del bar del villaggio, per rimanere solo con la femmina che la notte prima gli aveva regalato la sua più vera notte d’amore passionale. Presto furono lontani dalle orecchie di chiunque potesse riconoscerli, e i loro lenti passi non disturbavano nemmeno gli aghi di pino che andavano a formare un morbido tappeto sotto i piedi. Jim non parlò subito, e Zoe era rimasta ammutolita, nella disperata attesa che lui rompesse il ghiaccio. Lo fece con una risata imbarazzata.

“Zoe, io…” si bloccò subito. Non aveva il coraggio di guardarla negli occhi “riguardo quello che è successo ieri sera…”

Zoe temeva e sperava di aver unito la sua mente con quella dell’umano, di modo tale da avergli fatto comprendere la sua natura aliena.

“io non so come spiegare come sia andata… eravamo fatti, e tu eri così bella… ho sentito il bisogno quasi animale di spogliarmi davanti a te, e tu hai fatto lo stesso, poi mi hai preso una mano, e a quel punto non ho capito più niente” il silenzio di Zoe metteva Jim sempre più in imbarazzo. Era strano, per lui, sentirsi in quel modo dopo la notte passata con un’altra ragazza, lo stesso giorno in cui Zoe comparve sulla spiaggia, tenendo conto del fatto che il loro primo incontro era avvenuto ben oltre la mezzanotte. Forse si era infatuato di lei? Dopo così poco tempo di conoscenza? E perché per Irene non provò la stessa cosa? Avrebbe potuto pensare che con Irene non aveva fatto che un timido sesso, ma sapeva bene che per Zoe il cuore batteva in maniera molto diversa, dolce ed emozionata. Lo sai, ti stai innamorando di lei. Capita, quando si salva una ragazza, che i due si leghino, tipica fiaba, banale e scontata. Si tratta di biochimica, è naturale. Ma tacete, non ci credo che io possa essermi innamorato di una ragazza che conosco solo da un paio di giorni, e della quale non so praticamente nulla. Con Sofia ci avevi pensato per mesi, ci avevi messo un bel po’ a capire che ti piaceva, e guarda come è finita; secondo me l’amore è improvviso. Quanto siamo sdolcinati, tra poco dovremo somministrarci dell’insulina!

“è stato meraviglioso, Jim” Zoe spezzò il cono di silenzio.

“sì, lo è stato, Aster, eri davvero fantastica, e il tuo corpo era…” non fece in tempo a concludere la frase, che Zoe s’era fermata, impietrita.

“come mi hai chiamata?”

Jim era rimasto confuso e sbigottito, non si era reso conto di aver usato un altro nome per rivolgersi alla ragazza. Ci ripensò… Aster... da dove era uscito quel nome? Come mai l’aveva chiamata così?

“io…” balbettò “io non lo so, mi è venuto spontaneo”

Aster sorrise, felice. “allora l’ho fatto, ho unito la mente con te!”

Jim sgranò gli occhi e la guardò come se si fosse messa a raccontare di draghi e unicorni nell’armadio di casa sua. “come scusa?”

“la mente!” ripeté lei eccitata “la tua mente e la mia si sono accarezzate come i nostri corpi!”

“cosa? Ma io… tu…” Jim voleva dirle che era pazza, voleva che la smettesse di parlare di cose assurde, ma la verità era che anche lui, in fondo al suo cuore, sentiva che la notte scorsa era accaduto qualcosa. Ricordava della sua amica fra le stelle.

“Aster” disse semplicemente.

Con disinvoltura, la ragazza si avvicinò, e posò le labbra su quelle di lui. Il contatto, unito all’emozione di coppia scaturita dall’atto d’amore del bacio, unì nuovamente le loro menti. Era come se entrambi fossero rinchiusi in un mondo perfetto, lontano da ogni dolore o problema. Non percepivano se stessi come corpi, ma come entità, e non comunicavano, ma esistevano all’interno di un universo parallelo, del quale loro erano creatori e padroni. Loro, in quel luogo ultraceleste erano ogni cosa, erano tutto, erano l’essenza stessa. Nulla Era che loro non Fossero, e, in realtà, non esisteva il nulla. Non è possibile descrivere ciò che era quell’iperuranio. L’unico modo che avevano i due ragazzi per comunicare era attraverso sensazioni, positive, in quel caso, e potevano mostrare all’altro dei ricordi. Jim, non essendo pratico di telepatia, e non riuscendo a controllare le proprie emozioni bene come Aster, le parlava utilizzando ricordi che contenessero parti delle frasi che lui voleva far percepire a lei. Quando il collegamento scomparve, Jim ed Aster si ritrovarono di nuovo faccia a faccia, e adesso anche lui sapeva la verità. Nonostante quello che temeva, il terrestre non ebbe alcun residuo di emicrania o altro. Si sentiva come se fosse appena tornato da un lunghissimo viaggio, a malapena ricordava di quel luogo e di quel tempo, ma era talmente felice, talmente emozionato, che per poco non si commosse. Le accarezzò il viso.

“Aster”

Durante la colazione, Zoe e Jim si scambiavano continui sguardi e sorrisi. Ma sapevano bene che gli altri non dovevano sapere, nessuno degli altri ragazzi doveva conoscere la natura della ragazza, nessuno doveva sapere chi fosse Aster. Almeno finché non sarebbero stati pronti.

Non ci posso credere! Lei è un’aliena! Quanto potrei chiederle, quante domande potrei farle! È incredibile, ho appena appurato l’esistenza di altre forme di vita intelligenti nella galassia! E la cosa strana è che non mi spaventa, e sono a malapena sorpreso, solo tanto emozionato. Questo perché nella tua mente l’esistenza di altri occhi che guardassero le stelle da una prospettiva diversa da quella terrestre è sempre stata una certezza. E la forma umana di Aster ti consente di evitare la reazione che il tuo cervello avrebbe con il suo vero corpo. Se anche il suo corpo da aliena è così sensuale, è il benvenuto! Ragazzi, ho appena scoperto di aver avuto un rapporto sessuale con un’aliena mentre ero fatto, abbiate pietà!

Non posso credere, sono praticamente fidanzata con un umano! Ed è successo tutto così in fretta… inoltre il mio corpo umano era preparato a un amplesso! Non era vergine! Deve essere un ‘difetto’ di progettazione. Significa che se mai Jim ed io faremo di nuovo l’amore, e lo faremo con il mio vero corpo, dovrò superare la prova che tutte le donne superano, e dovrò sanguinare. Alcune femmine, nella galassia, preferiscono perdere la verginità per vie chirurgiche, senza patire dolore, così come il parto. Ma io no, io voglio sanguinare, e voglio che sia Jim a farmi sanguinare. Quando ho toccato la sua mente ho sentito in lui come la speranza di un sogno. Sembra strano, ma mi sto innamorando di lui.

Graziano si accorse degli sguardi fra l’amico e la nuova ragazza. Alternava sospetto e speranza che, finalmente, Jim avesse trovato una ragazza con la quale passare almeno quei giorni, un’avventura estiva. Ma cosa sapevano di lei? Era giunta a loro in condizioni così strane, svenuta su una spiaggia, dal mare. Chi era? Da dove veniva? Eppure pareva emanare un’aura positiva, che portava gli altri a fidarsi di lei. Ma Graziano non voleva cedere, avrebbe indagato non appena fosse stato opportuno. Chissà quali segreti poteva nascondere quella misteriosa ragazza…

*  

Il relitto della Ziggy Stardust aspettava pazientemente sul fondo del mare, attendeva il ritorno del capitano. Intanto, tutto dormiva. O, almeno, l’intera nave. L’acqua ormai aveva preso possesso di ogni anfratto, tutto era sommerso, e silenzioso. Alcuni pesci avevano persino pensato bene di trovare rifugio all’interno del vascello spaziale. Solo un lieve segnale d’emergenza, ad un certo punto, riuscì ad essere inviato ad Aster da un occhio socchiuso di Kybernete, prima di tornare nel torpore. Il virus, una volta eliminato il bersaglio, se n’era andato avvolto nel mistero, così com’era venuto. Ora la Ziggy Stardust era adagiata sul fondale marino, inerte, ma pericolosamente individuabile, tanto dagli umani, quanto e soprattutto da qualunque altra nave della galassia. E mentre il letargo dell’astronave aveva lasciato ogni sistema in balìa del virus, quest’ultimo aveva aperto ogni scompartimento, porta, e fessura della struttura, per far allagare prima l’interno dello scafo, e per farlo affondare. Ma in questa operazione, anche le capsule di criostasi erano state aperte, risvegliando qualcosa che doveva rimanere celato, che il padre di Aster aveva preferito nascondere in una camera nascosta utilizzata per il contrabbando di esseri organici. Adesso quel qualcosa era libero di nuotare fino alla costa aliena, forte di una capacità di adattamento ambientale unica nel suo genere, per cercare carne. Si trattava di una creatura che per cacciare seguiva i residui di onde neuronali sparse in un’area, cioè riconosce una specie dal tipo di uso che fa del proprio cervello, che viene percepito dall’essere in questione tramite una sorta di telepatia. Era ormai questione di tempo, e a breve avrebbe trovato la mente a lui più familiare, quella che aveva percepito quando fu ibernato, quella di Diastin, quella di Aster. E l’incauta ragazza Cydonense aveva lasciato una enorme traccia psichica quando aveva unito la sua mente a quella dell’umano, facilmente rilevabile da un cacciatore come quello che adesso era affamato e pronto a predominare anche su un territorio alieno. 

ANGOLO DEGLI AUTORI
Finalmente Jim sa di essere in presenza della sua amica tra le stelle, sa che la sua non era solo una fantasia, ma una realtà! E sa anche di averci fatto l'amore! Ma, anche se la maggior parte del capitolo è incentrato sui nostri due piccioncini che si ritrovano dopo quelle ultime parole sussurrate attraverso lo spazio e il tempo, ci giunge una inquietante novità: Qualcosa è Sopravvissuto! Una creatura si è risvegliata dal fondale marino, e ora è libera di mietere vittime dove ne troverà. E si da il caso che abbia scelto come prima vittima proprio Aster. Cosa sarà, un Alien, un Predator, UFO Robot? Lo scoprirete nelle prossime puntate! ;-) 

 

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Capitolo 23
*** Messaggio dagli Abissi ***


 Di nuovo sulla spiaggia, ma stavolta sotto un caldo sole che arroventava la sabbia, invece che renderla fresca e piacevole. Giovanni si lamentava con Andrea di non aver trovato una ragazza con cui passare una bella serata. Infatti, loro due erano ancora più timidi e riservati di Jim. Così, seduti su due teli, all’ombra degli ombrelloni, discutevano di come Jim abbia fatto grandi passi, dall’essere un rifiutato, uno ‘sfigato’, ad aver ‘rimorchiato’ due ragazze in due notti.

“e pare che con Zoe ci sia anche un piccolo inciucio, che dici?” constatò Andrea.

“già, beato lui” sospirò l’altro.

“beh, tu hai sempre me, no?” ridacchiò Paolo, arrivando alle sue spalle.

“su, ragazzi, alla fine nemmeno io ho rimorchiato, solo Jim e Gra” intervenne Edoardo.

“e Monica con Abigail, ma questo è naturale”

“sì, hanno fatto sesso focoso da strafatte, sulla spiaggia”

 “e Alice?”

“non so, appena esce dall’acqua interroghiamola su dove sia stata ieri sera”

Durante le loro chiacchiere da pettegoli, tenevano d’occhio Jim, che, mentre giocava come un ragazzino con gli amici, aveva ormai integrato Zoe nel gruppo. Anche lei, infatti, si divertiva, e rideva. Jim era un poco imbarazzato all’idea di baciarla e toccarla in pubblico, e a vederli parevano essere soltanto amici che sguazzavano nell’acqua insieme. La ragazza dalla pelle ambrata indossava un costume intero nero, prestatole da Abigail, che con piacere le aveva ceduto, asserendo che sarebbe stata “uno schianto, Zoe!”, e ricevendo così un affettuoso ghigno geloso da parte di Monica. Ma Zoe non si era limitata ad indossare il costume, aveva insistito per tenere al polso quel suo curioso orologio, che mai si era levata da quando l’avevano incontrata, così come il medaglione. Nessuno obiettò, comunque, chi poteva sapere in cosa consistevano? Nemmeno Jim lo immaginava. In effetti, si dimenticò quasi di avere a che fare con una ragazza aliena. Una reazione bizzarra, pensava ogni tanto, nei confronti di una creatura che viene da un altro pianeta, e che quindi sarebbe stata la scoperta più importante dai tempi di Galileo. Alla domanda “siamo soli nell’universo?” James Cervi poteva, con ferma sicurezza, rispondere “certo che no!”, come aveva sempre sognato di fare. Doveva essere a causa dell’unione psichica con Aster che a Jim tutto quello che stava accadendo appariva, emozionante certo, ma naturale.

Quando ormai i polpastrelli dei ragazzi erano ridotti a chicchi d’uva passa, uscirono tutti, un poco infreddoliti e con le labbra salate. Un uomo stava urlando a squarciagola per attirare clienti, nella speranza di vendere qualche coccio di cocco fresco che mitigasse la calura estiva. Quando fu captato dalla scatenata ciurmaglia, quest’ultima s’alzò di scatto e si mise a correre come un esercito di vichinghi verso il malcapitato, lasciando Jim e Zoe da soli. Il povero mercante, a sua volta, si volse in fuga, terrorizzato, mentre era rincorso dalla mandria dei ragazzi, che sventolavano banconote da cinque euro come fossero bandiere pirata. La scena, buffa ai limiti del ridicolo, fece ridere di gusto entrambi i ragazzi rimasti di guardia all’accampamento. Sia l’umano che la ragazza Cydonense, infatti, scuotevano la testa divertiti. Ma ora che erano rimasti soli, era arrivato, per Jim, il momento di sommergere Zoe di domande.

“Aster”

Lei capì subito, non appena udì quel nome uscire dalle labbra ancora salate di Jim, che avrebbe dovuto raccontargli tutta la sua storia. E, onestamente, non vedeva l’ora di farlo.

“se mi chiami così dev’esserci un motivo: vuoi delle risposte, vero?”

“non sarebbe folle chiederti se mi leggi nella mente” ridacchiò lui.

“no, era solo prevedibile” rispose lei, con una risata sommessa.

Ne seguì un istante di silenzio, nel quali Jim tentò di capire a quale domanda avrebbe voluto avere risposta per prima. Cosa chiedo? I misteri dell’universo? Quante specie esistono nella galassia? Qualche tipo di domanda esistenziale? Mettila sul ridere, introduci il discorso chiedendo se anche sugli altri pianeti ci sono delle squallide telenovelas che inquinano il piccolo schermo. Ma no, falle domande sulla cultura del suo pianeta, sull’arte aliena, la loro musica, la loro architettura, tutto! Sarebbe logico domandarle, invece, come sia giunta fino alla Terra, quale tecnologia abbia sfruttato, quale fonte inesauribile è stata trovata per consentire viaggi nello spazio, e così velocemente. Hanno forse scoperto come curvare lo spazio – e di conseguenza anche il tempo – in funzione di un punto A e un punto B, per fare in modo che essi finiscano per coincidere? E come ottengono da una fonte di energia un rendimento pari a uno? Come possono ottenere il massimo del lavoro senza implicare la perdita di calore residuo?

“mi dici perché sei voluta venire sulla Terra? Con tanti pianeti nella galassia proprio qui, perché? È forse l’unico abitato oltre al tuo?”

“oh, no, ce ne sono innumerevoli, ed ognuno abitato da specie diverse, con una loro storia, una loro cultura”

“e allora perché la Terra?”

Aster lasciò divagare lo sguardo nei ricordi di suo padre, che comparvero dal nulla, appena la domanda fu posta di nuovo, e che assediarono la sua mente.

“mio padre” disse semplicemente.

“tuo padre?”

Lei annuì. “sì, mio padre era un avventuriero della galassia, oggi era un corsaro, domani un cacciatore di tesori, oppure ancora un sicuro passaggio a pagamento attraverso insidiosi sistemi. Il tutto con la scusa di essere una specie di ‘ranger’” ridacchiò, poi tornò sul discorso “Ma ciò che più lo affascinava era la Terra” Jim era confuso “la Terra e gli umani”

“non capisco, cosa si può trovare di interessante sulla Terra?”

“ma come? La vostra cultura, la vostra storia, la vostra tecnologia! Più che in qualunque altro pianeta quaggiù c’è la storia stessa dell’evoluzione, ed è ancora in corso! Anche la vostra scoperta del viaggio nello spazio, in maniera rudimentale, fu immaginata da uno scrittore quando ancora l’acciaio era una novità! Avete un’evoluzione incredibilmente rapida!”

“Jules Verne” constatò Jim “Dalla Terra alla Luna

“esatto! Io l’ho letto” Zoe si pavoneggiava palesemente.

“come l’hai letto? Come hai fatto?” domandò sorpreso.

“mio padre è stato in grado di ottenere diverse informazioni sulla Terra dai suoi contatti fra gli esploratori di pianeti, anche se stranamente molto di ciò che trapela dovrebbe essere riservato, quindi immagino che ci sia dell’altro che a mio padre è stato tenuto nascosto, e io voglio scoprirlo”

“beh, sei qui, ragazza, e ci sono anch’io”

Mentre parlavano, il medaglione di Aster s’illuminò e cominciò ad emettere un suono. Subito, l’attenzione della ragazza fu catturata dall’aggeggio che portava al collo. Lo studiò con attenzione, mentre Jim la guardava con aria interrogativa.

“è un segale di soccorso, Jim, un segnale d’emergenza!”

“che significa?”

“che attivandolo si materializzerà una sfera blu che cu guiderà fino alla mia nave”

Jim fu preso dall’eccitazione. Una vera nave spaziale? Che ha viaggiato nel cosmo, che è atterrata su altri pianeti! La vedrò!

“allora andiamoci!” esortò Jim.

“no, non ora. Stanotte, lontano dagli occhi di tutti”

“è per questo che volevi uscire in barca” osservò “ma ricorda che una luce blu si nota certamente meglio di notte che di giorno”

Era un’osservazione molto acuta, per un umano, avrebbe pensato un comune Cydonense.

“le vostre barche possiedono luci”

“ma io non ho una barca”

A quel punto, Aster sorrise con la furbizia negli occhi. “di questo mi occuperò io”

“vuoi rubare una barca?”

“certo che no! Facciamo un giro per il porto e vedrai”

Così, durante il pomeriggio Jim e Zoe si distaccarono dal gruppo per far visita alle imbarcazioni ancorate alle banchine, una di fianco all’altra, come un parcheggio. Ce n’erano di piccole come scialuppe, altre un poco più grandi, a motore, altre invece erano più grosse, a vela, e alcuni erano veri e propri yacht. Jim amava passeggiare per porti, gli ricordava quando lo faceva con suo nonno. Era abitudine dell’anziano uomo passare le prime ore del pomeriggio e il tramonto al porto di Rapallo, a pescare. E quando, a dicembre, Jim e la sua famiglia passavano il Natale in quel grazioso paese marittimo, il ragazzo trascorreva molto tempo ad osservare la barche e il mare, ascoltando il padre di suo padre che raccontava storie sui pirati, di uomini che, un giorno, stanchi della vita sulla terraferma, abbandonano tutto e si tuffano in una nuova esistenza solcando le onde. Fu su uno scoglio in riva al Mar Ligure che Jim si sentì leggere, nel corso di cinque inverni, Moby Dick, racconto che, in pratica, lo accompagnò per gran parte della sua infanzia. Quando perse suo nonno, la grinta, la voglia di prendere una nave e fuggire lontano, vagare per mari, quella grinta ribelle crebbe ancora di più. Era il suo sogno: avere una nave e lasciare la terraferma, e avrebbe realizzato quel sogno, per lui e per suo nonno. Mentre Jim raccontava a Zoe la storia di suo nonno, si fermò davanti a una barca a vela, in legno, dalla poppa tozza come quella di una baleniera, ma ovviamente molto più piccola, e la prua, invece, pareva creata per sferzare il vento come una fregata, e accoglieva una polena raffigurante un serpente marino, probabilmente un Leviatano. L’albero maestro era alto, per catturare il vento con ampie vele, ma non così alto da sbilanciare la nave. Una finta coffa si ergeva sopra di esso, troppo piccola per ospitare un uomo, ma un bambino ci avrebbe con piacere giocato a fare il pirata; per il momento, era solo il nido di qualche gabbiano. Come nelle barche un poco più moderne, non esisteva castello di prua. A poppa, sotto al cassero, si apriva la balconata dell’appartamento abitativo che prendeva il posto della cabina del capitano. E ancora sotto di essa, era scritto a caratteri coloniali molto raffinati: Amerigo, il nome dell’imbarcazione.

“è questa, Zoe” disse Jim sospirando, e ne fece seguire un breve silenzio. “è questa la barca dei miei sogni, ho deciso, quella che mi porterà molto, molto lontano da qui”

“quello potrei farlo io”

Non giunse nessuna risposta, ma quel discorso finì in quel momento, quando Zoe fece emergere due piccole sfere gialle, quasi impercettibili alla luce del giorno, dal suo orologio, e le inviò sulla Amerigo. Jim la guardò sbalordito e un po’ sbigottito.

“niente domande, andiamocene” lo troncò la ragazza aliena, mentre tendeva il braccio per accogliere nuovamente le due sfere nell’orologio.

Prima di avere una risposta, Jim dovette attendere la notte, quando Zoe lo ricondusse alla spiaggia. Agli amici, il ragazzo disse che lei avrebbe desiderato fare di nuovo l’amore laddove lo fecero per la prima volta. Ma sapeva bene che la questione era molto più importante, e, per sua sfortuna, se Graziano poteva definirsi suo fratello c’era un valido motivo: oramai entrambi potevano scrutare negli occhi dell’altro e sapere cosa gli passasse per la testa. E Graziano aveva intuito, quindi, che Jim nascondeva qualcosa. A chiunque altro sarebbe parso stupido sospettare, ma quei due amici fraterni avevano un legame forte ed inscindibile.

“cosa ci facciamo qui, Aster?” chiese Jim, rivolgendosi alla ragazza con il suo vero nome.

“aspetta e guarda”

Dall’orologio si alzarono nuovamente le due piccole luci, che ora erano perfettamente visibili, grandi quando una caramella. Schizzarono verso il mare, poco più in là della riva. Si fermarono, poi cominciarono a ruotare, sempre più vorticosamente, fino a creare, al centro della circonferenza che formavano, una terza luce, molto più luminosa, che scoppiettava. Tutt’un tratto, ogni luminescenza svanì, lasciando le pupille di Jim, ormai disabituate all’ombra, totalmente cieche per qualche secondo. Quando riottenne la vista, davanti a lui, solo una decina di metri oltre il bagnasciuga, sei era materializzata la Amerigo. Non potendo crederci, si strofinò gli occhi. Era proprio lei, con la polena a forma di Leviatano. Guardò Aster, che era compiaciuta del suo operato.

“come hai fatto?” chiese, ancora incredulo.

“voi umani non utilizzate alcun marchio di protezione per la riproduzione molecolare, e così tutto ciò che non è organico su questo pianeta, io lo posso ricreare, senza che l’originale sia distrutto”

Jim non sapeva se commuoversi, avendo finalmente realizzato un suo sogno, oppure continuare ad immaginare quante altre cose avrebbe potuto fare con quell’orologio. Ma tenne a freno l’avidità, e corse ad abbracciare Aster, poi la baciò, facendola sorridere. Ma un altro paio di occhi stavano osservando quella scena.

La barca era spaziosa, ma completamente vuota: Aster non aveva ricreato anche tutto ciò che nell’originale stava all’interno. Meglio, pensò Jim  potrò arredarla a modo mio, e per cominciare, le cambierò il nome: si chiamerà Pequod!

Le vele erano essenziali e semplici da utilizzare. Quella sera la brezza consentiva una navigazione placida e rilassante. A Jim pareva di partire su un vascello pirata alla volta dell’avventura più meravigliosa. Corse al timone, mentre Aster gli indicava di seguire un fioco bagliore azzurro che spuntava a qualche chilometro di distanza.

“là sotto c’è la mia nave” asserì emozionata.

“come faremo a raggiungerla se è sul fondo del mare?”

“con il mio terminale da polso farò apparire dei caschi idroconvertitori, che catturano l’ossigeno presente nell’acqua per concentrarlo nel respiratore. In questo modo l’unico problema rimasto sarà il freddo”

“di quello non ti preoccupare, non è il primo bagno notturno che facciamo, dico bene?”

 Le stelle apparivano opache, come viste attraverso un velo, ma Jim immaginava che sopra di loro vi fosse un cielo pieno di luci e colori meravigliosi. Non stava più nella pelle: non bramava ancora il corpo di Zoe, non voleva entrare nell’astronave solo per fare sesso con lei, no, questa volta lui voleva vedere una vera nave spaziale, toccare quello scafo che aveva viaggiato attraverso gli anni luce. La luminescenza blu era sempre più vicina, e così anche il momento di scendere negli abissi, alla scoperta del mezzo con il quale Aster aveva raggiunto il pianeta Terra.

“com’è la tua nave?” chiese Jim.

“è un luogo meraviglioso in cui vivere, secondo me” rispose con orgoglio Aster “ha grandi stanze dedicate a garantire un confortevole soggiorno nello spazio, un laboratorio che per me è ancora un mistero, e tanti altri luoghi, tutti incredibilmente incastrati alla perfezione in una nave grande quanto una fregata. Ma la parte che preferisco della mia nave – o, meglio, della nave di mio padre – è la sfera di hyle”

“che cos’è?”

“una sfera posta sulla sommità del vascello, dalla quale, a gravità zero, è possibile contemplare l’infinito”

“dev’essere meraviglioso… e che mi dici di quel ‘hyle’?”

“è il materiale che sta alla base di ogni nostra costruzione. Si ricava dall’Energia Cosmica, e non è altro che quest’ultima condensata a formare un oggetto solido, duro e resistente, anche se il laser lo rende vulnerabile agli urti; ma è plasmabile a piacimento”

“come lo si lavora?”

“è necessario usare la mente, non la forza del corpo, e gli unici in grado di piegare l’Energia Cosmica al proprio volere sono i Monaci del Terzo Occhio: gruppi di persone appartenenti a tutte le etnie della galassia che decidono di condurre una vita solitaria, su un pianeta incontaminato, per allontanarsi dai dolori e dalle apprensioni della vita comune. In questo modo raggiungono una tale pace, dentro di loro, e un tale silenzio nella loro mente, da poter udire il canto degli atomi, e così l’universo gli appare come un singolo luogo, intriso di energia, un’ energia che fa sì che tutto sia come debba essere, che i corpi dei viventi siano perfetti quali sono, che ogni pianeta nasca e cresca bellissimo nella sua natura. Richiamano a loro tale energia e la modellano, intonando una nota musicale, quella degli stessi atomi e del movimento dei pianeti, una nota che sulla Terra sarebbe identificabile con un La suonato a 432hz”

Ora Jim capiva i discorsi del suo maestro. E se fosse stato anche lui un alieno? Chissà quanti altri potevano esserlo. Nella sua classe c’era un ragazzo, fragile, indifeso come un cucciolo impaurito, che era bersaglio degli scherzi più crudeli. Che ne sapevano, di quel ragazzo? Sarebbe potuto essere lui stesso un uomo caduto dalle stelle. Chiunque sarebbe potuto esserlo, per quanto ne sapevano gli altri individui, e proprio perché nessuno conosce veramente chi gli cammina accanto, tutti dovrebbero avere rispetto di tutti. Ma purtroppo non accade, e alla sofferenza che può racchiudersi in una persona vanno ad aggiungersi inutili e micidiali dolori portati da altri esseri umani.

“e come è possibile la produzione in massa di questa materia, se solo questi Monaci del Terzo Occhio sono in grado di lavorarla?”

“essi hanno ormai da molto tempo creato centri di istruzione in cui insegnano come creare oggetti di hyle, ma gli altri segreti dell’enorme potere derivato dall’Energia Cosmica rimangono esclusiva dei loro pianeti monastero. Plasmare l’energia per farla passare dallo stato etereo allo stato solido è un procedimento ritenuto di infimo livello, quindi i Monaci non si sono fatti troppi problemi ad insegnare come farlo ad alcuni studenti – che a loro volta insegnano ad altri – scelti tramite selezione piuttosto rigide: nessun reato, cittadino modello, analisi cerebrale positiva al riconoscimento di un tipo di psiche non incline all’impulsività né all’egocentrismo, o altre problematiche che potrebbero trasformare un individuo in un pazzo omicida con il potere di creare oggetti con l’hyle”

Era affascinante, per Jim, ogni singola parola che Aster diceva a proposito della galassia. Ancora non si rendeva bene conto che le scoperte che stava facendo in quei minuti erano addirittura più importanti di qualsiasi altra scoperta scientifica mai fatta. Per il momento voleva solo ascoltare il più possibile, conoscere ancora tanto di quel cielo che per tanto tempo aveva osservato con amore, ammirazione, e vertigini. Si creavano nella mente di Jim splendide immagini dell’infinito, dello spazio, della galassia per come la narrava Aster, vedeva i monaci sul loro pianeta isolato, meditare intonando un Om a 432hz, come  il suo maestro gli aveva insegnato a fare con la chitarra.

La luce blu si fermò in un punto, e allora Aster e Jim seppero che era il momento di gettare l’ancora; anche se avessero colpito lo scafo, era improbabile che, se non lo aveva danneggiato una caduta dall’orbita, lo avrebbe fatto un oggetto di ferro, seppur pesante. Il bagliore creava ipnotici giochi di luce sulle onde del buio mare serale, agitate appena dalla brezza. Quando scese al di sotto dell’acqua, la sua luminosità diminuì, donando al velo d’acqua il colore di uno zaffiro attraversato dai raggi del sole. Aster, emozionata e sorridente, consegnò a Jim una piccola maschera, triangolare, con un boccaglio, e delle lenti azzurre progettate con guarnizioni di un materiale morbido e flessibile, per farle aderire comodamente al volto. La ragazza aliena disse di indossarlo, e l’umano obbedì, nonostante non notasse alcun laccio che potesse tenere la maschera premuta contro la faccia. La avvicinò al volto, e, ad un certo punto, sentì come se lo stesso materiale di cui era composta la maschera si stesse fondendo con la sua pelle. Preso dal panico, tentò di strapparla, ma era come strappare parte della propria carne. Jim percepiva quell’oggetto come un’unghia, o un dente, o comunque un osso che fuoriusciva dalla pelle, parte del corpo ma priva di sensibilità. Aster lo fermò dal tentativo di levarsi quella maschera, dicendo che la avrebbe tolta una volta a bordo della nave; gli mostrò una specie di bobina. Per tranquillizzarlo, lasciò fuoriuscire dalla bobina un getto di vapore – o, almeno, a Jim parve vapore – che, rivolto verso il viso del ragazzo, fece staccare immediatamente la maschera. Il giovane, sorpreso, la tenne fra le mani, osservandola, e poi si portò le mani al volto, notando che, dove prima quello strano materiale si era fuso con la pelle, non era rimasto che un contorno di sudore.

“scusami, dimenticavo che voi terrestri ancora non avete queste tecnologie” disse Aster, con una punta di ironia divertita.

“se queste maschere servono per respirare sott’acqua, come mai non l’hai usata al tuo arrivo qui? Ti saresti evitata di rischiare la morte per annegamento”

“non sapevo cosa mi sarebbe successo, e mai avrei dovuto permettere ad un umano qualunque di entrare in contatto con una tecnologia aliena. Infatti sono svenuta, sulla spiaggia, chiunque avrebbe potuto vedermi indossare una maschera aliena”

In effetti aveva senso, pensò Jim.

Indossata nuovamente la maschera, e spogliati dei vestiti che non fossero adatti al bagno, Aster si caricò solo di uno zaino impermeabile preso in prestito da Jim, del suo orologio e del ciondolo che mai aveva allontanato da se; insieme al ragazzo terrestre, si tuffarono nel cupo ventre delle acque notturne. Attraverso le lenti, il mondo da oscuro di faceva illuminato, mantenendo i colori naturali di ogni cosa, con solo una leggera saturazione azzurrina. Pareva che gli occhi stessi di Jim emanassero la luce necessaria a vedere. Aster, poco più avanti di lui, nuotava con quella che lui vedeva come una grande eleganza, sebbene fosse palese che la sua abilità nel nuoto era basilare; il suo corpo seminudo apparve tanto sensuale che il ragazzo dovette cedere ai propri istinti: con un rapido movimento di braccia e di gambe, la raggiunse, scivolando lungo le sue cosce, e poi abbracciandola, accarezzandole il ventre, e ballando con lei una danza marina che li faceva somigliare a due delfini in amore. Giravano, roteavano, nuotavano, si accarezzavano. Giocando nell’acqua, i due giovani innamorati giunsero presto a destinazione, sfidando la forza che li spingeva verso la superficie. Jim per un istante si dimenticò delle sue fantasie erotiche sul corpo di Zoe, e rimase esterrefatto nel vedere il vascello spaziale, incagliato su fondale. Era grande quanto un cacciatorpediniere o una fregata. La luce blu era ferma davanti a quella che appariva a tutti gli effetti come un portellone d’entrata aperto, sul fianco dello scafo, verso la chiglia. Sempre che quella si fosse potuta chiamare ‘chiglia’. Aster fece comparire dal suo orologio una schermata tridimensionale, sospesa nell’acqua, e attraverso qualche procedimento, ordinò alla sfera blu di entrare e fare strada. L’interno dell’astronave era allagato, ma fu comunque facile, per Jim, nuotare fino ad una sorta di sala controllo, seguendo Aster. Ma entrambi iniziavano a patire il freddo. Si facevano strada attraverso corridoi dalle pareti tondeggianti, dagli angoli smussati e con rarissime linee spezzate. Ciò rendeva l’ambiente più confortevole, e pareva quasi che l’astronave ‘abbracciasse’ i suoi occupanti, dando un senso di protezione, che doveva incidere sulla psicologia dell’equipaggio, compensando il senso di perdizione ed abbandono dello spazio infinito. Dopo aver vagato per un tempo che a Jim fu utile ad immaginarsi quel vascello stellare schizzare qua e là per la galassia, la sfera blu, seguita dai due ragazzi, si fermò in un grande locale, pieno di quelli che Jim interpretò come terminali, addossati alle pareti. Essendo la nave inclinata, tutto ciò che non era ben saldo sul proprio posto era scaraventato a terra, e aveva raggiunto un angolo della sala, accatastandosi. Vi erano parecchi vetri rotti, o almeno cocci di un materiale simile al vetro. Alcuni pesci temerari già approfittavano del portello aperto sul fianco della nave per entrare ed esplorare il nuovo ambiente. Aster attivò uno dei terminali, che s’illuminò, creando uno schermo tridimensionale color indaco, simile a quello che Jim aveva visto alzarsi dall’orologio della ragazza. La luce scaturita dall’ologramma illuminò un poco di più la stanza, mostrando gli angoli bui che gli occhiali subacquei non illuminavano. Jim vide quelle che gli sembravano essere due vasche, e gli ricordarono quelle di criostasi di vari film di fantascienza. Aster attivò qualcosa, e l’acqua nella stanza iniziò a scendere, ma questo voleva dire aggrapparsi in fretta a qualcosa o finire insieme al catasto di oggetti nell’angolo della stanza. Vi era un tavolo, e pareva fissato con cura al pavimento, così Jim vi si aggrappò. Ma non ce ne fu bisogno: con qualche scossa che i ragazzi non percepirono, in quanto ancora a mollo nell’acqua, l’intera astronave si mosse, quel tanto che bastava per disincagliarsi e adagiarsi diritta sul fondale marino. Quando finalmente i due furono all’asciutto, Aster utilizzò la bobina che portava nello zaino impermeabile per levare le maschere ad entrambi.

“benvenuto sulla Ziggy Stardust, Jim” disse lei con orgoglio ed emozione.

Avrebbe potuto rispondere in un’infinità di modi, ma Jim decise di rimanere zitto, con la bocca penzoloni, guardandosi intorno con meraviglia. Aster corse ad un secondo terminale, lo attivò, e poi, tenendo premuto un bottone che pareva sospeso nell’aria, parlò: “Kib, mi ricevi?”

Starà contattando il suo pianeta?

“Kib, sei in linea? Ti prego, dimmi che ci sei…”  

Provò diverse volte, chiamando il nome ‘Kib’, ma la risposta non giungeva mai. Aster pareva rattristata, e angosciata.

Non puoi abbandonarmi ora, Kib, non voglio crederlo!

Poi, le venne un’idea, perché corse via dalla stanza. Jim si apprestò a starle dietro, e la seguì. Salite delle rampe di scale – Aster pensò che non era ancora prudente arrischiarsi a prendere un ascensore –, giunsero in una stanza più piccola, ma comunque spaziosa, che presentava un grande letto addossato alla parete di fronte, al lato del quale, sul muro, si apriva una specie di oblò, del diametro di mezzo metro almeno, che ora dava sul fondo del mare. Un’altra vetrata – che doveva essere fatta di hyle, intuì Jim, altrimenti si sarebbe frantumata in seguito all’impatto – era posta sopra al letto, come quella dalla quale il ragazzo terrestre osservava le stelle nelle notti d’estate.  Posta immediatamente di fianco vi era un’ampia scrivania, priva però di cassetti: molti schermi che furono rinvenuti per terra – scaraventati dall’urto dell’atterraggio – erano contenitori digitali, venduti già gravidi del prodotto al quale avrebbero fatto da custodie, ed incapaci di contenere altri oggetti; questi schermi avevano in memoria la composizione di un oggetto, che poi veniva letta e riprodotta in un oggetto solido. Con una simile tecnologia era inutile mantenere l’uso di ingombranti cassetti. Un tavolo circolare, anch’esso ancorato al pavimento, era posizionato al centro della stanza, piuttosto basso, ad indicare che il padre di Aster preferiva sedersi per terra, su dei cuscini, piuttosto che sulle sedie. Vi era anche una piccola dispensa a muro e un bagno, quest’ultimo era composto da uno sgabello con un buco in mezzo, una piccola conca che, pensò Jim, doveva servire per lavarsi le mani, e un locale interno sferico di modeste dimensioni: si trattava della doccia. Ma nulla di tutto quello poteva bastare per un equipaggio proporzionato, in numero, alla grandezza della nave; l’unica soluzione plausibile per Jim era che si trattasse della cabina del capitano. Lo confermarono altri terminali olografici, sparsi qua e là, addossati alle pareti come quelli trovati nella precedente sala. Come nel precedente caso, a terra vi erano svariati oggetti, fra cui schermi di ogni dimensione, con immagini e scritte, che Jim immaginò essere la versione futuristica dei libri, o dei documenti. Aster si era appostata a lavorare presso uno dei terminali più grossi sulla sinistra e, mentre il ragazzo umano osservava meravigliato la cabina, aveva inserito il ciondolo che portava al collo in uno scompartimento apposito. Fu a quel punto che tornò la luce, un’illuminazione calda e piacevole, che parve far aumentare all’istante la temperatura, ma senza alcuna sorta di trauma da escursione termica: era come se quella temperatura fosse sempre stata tale, mite, e mai Jim avesse provato freddo. Era una strana sensazione, per l’alieno, ma tutto meno che sgradevole. Tutti gli altri terminali facenti parte dello scafo si attivarono.

“Kib?” domandò ancora Aster.

Un’amichevole voce femminile, che pareva scaturire dalle pareti stesse della nave, come se risuonasse l’intero vascello di quel suono, parlò: “bentornata a bordo, piccola Aster”.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Innanzitutto ci scusiamo per la nostra scarsa istruzione in campo fisico, in particolare chiediamo venia per qualsivoglia errore di termodinamica XD 
Dopo una divertente introduzione che vede i nostri ragazzi passare una piacevole giornata al mare (ci teniamo a precisare che nella versione originale visitavano i ogni capitolo una meta diversa, che fossero paesini, città, si andava da Pisa a Volterra, ma diventava una normale storia di ragazzi, cadeva sul piano fantascientifico), ecco che Jim realizza ben due sogni: possiede una barca e visita un vascello spaziale. Che dire, non capita tutti i giorni! XD Kibernete si è risvegliata, ed è ora delle presentazioni, che dite? Al prossimo capitolo, e grazie a tutti coloro che ci seguono! Siete nei nostri cuori, eroi! ;-)
 

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Capitolo 24
*** In Pericolo ***


“Kib!” esclamò Aster “non sai che gioia è per me risentire la tua voce!”

“per me è bello rivederti, ragazza”

“aspetta, l’astronave ha una coscienza?” domandò Jim, sempre più incredulo.

“sì, è una delle poche intelligenze virtuali in grado di apprendere come una mente senziente. Mio padre l’ha voluta così” rispose Aster.

“hai finalmente trovato gli umani, ne sono felice”

“lui è Jim” lo presentò.

“piacere, Jim, io sono Kibernete, coscienza virtuale della Ziggy Stardust, fregata spaziale da esplorazione comandata da Aster, figlia di Diastin, precedente capitano della nave”

James era alquanto incerto su quale fosse la risposta più adatta da dare. Credeva che l’intelligenza superiore della IV avrebbe potuto testare la sua attraverso le sue risposte e i suoi comportamenti. 

“ehm… piacere”

 La sua insicurezza divertiva Aster, che ridacchiò tra i denti.

“Kib, posso rientrare nel mio corpo?” chiese poi la ragazza extraterrestre.

“il tuo corpo è rimasto ferito durante l’atterraggio, moriresti se vi rientrassi ora”

Aster si fece seria. “vuoi dire che non potrò mai più ritornare nel mio vero corpo?”

“no, Aster, dico solo che ci vorrà del tempo per curare le ferite inflitte al fisico, e, considerato che mi hai appena riattivata, inizierò immediatamente i lavori”

“quanto ci vorrà?”

“nella peggiore delle ipotesi, sette rivoluzioni solari, misura standard terrestre definita come ‘settimana’, ma vedrò bene di concludere i lavori in anticipo”

“grazie Kib. Bene, ora hai conosciuto anche tu Jim”

“perdonami se ti interrompo, Aster”

La ragazza si arrestò, sorpresa. “cosa succede?”

“quando sono stata scollegata e la nave ha perso il controllo, si sono aperte le celle di detenzione – che tuo padre utilizzava per il contrabbando – del laboratorio di ricerca. Fortunatamente una soltanto era occupata, ma il suo ospite potrebbe rappresentare un problema”

Aster adesso era palesemente spaventata agli occhi di Jim, che nel frattempo elaborava le informazioni e le parole delle due voci femminili sottoforma di immagini.

 “di cosa si tratta?” domandò lui.

Poco dopo, Jim e Aster erano in una stanza con grandi schermi olografici alle pareti, e altri terminali; erano seduti ad un tavolo, dal cui centro si alzava un ologramma tridimensionale color azzurro e indaco, con varie tonalità a seconda dei colori effettivi, e che si adattava al punto di vista di ogni spettatore, senza sacrificare quello degli altri osservatori. Ciò che mostrava pareva essere un modello che si era animato ed era fuggito dagli studi della Stan Winsotn Academy: una creatura scura, quadrupede, con affilati artigli simili a quelli dei velociraptor, specie di dinosauri, e una lucida corazza naturale che, di forma, ricordava quella degli scorpioni. Il muso era dominato da un elmo di osso nero, con due protuberanze acuminate che dovevano fungere da zanne; solo due occhi, due biglie nere scavate in altrettanti affossamenti dell’elmo, trasparivano. Dalla bocca, invece, fuoriuscivano tanti tentacoli, stretti e lunghi, che somigliavano ad anemoni.

“quei tentacoli” spiegava Kibernete “producono una potente tossina paralizzante, mentre con delle ghiandole poste in fondo al palato, questo alieno sputa sulla sua preda un acido, che corrode carne, ossa e organi, consentendo poi a questo essere di cibarsi di una poltiglia di sostanze nutritive, aspirandole dalla bocca e assorbendole dai tentacoli”

“caspita …” esclamò Jim “non credevo potessero esistere simili creature”

“ne esistono non dissimili sul tuo stesso pianeta, Jim” osservò l’IV.

“e adesso questa cosa è sulla Terra” disse Aster.

“sì, e, seguendo i protocolli galattici, è necessario eliminarla o catturarla”

“come mai nessuno si è mai accorto della sua presenza sulla nave?”

“la stanza dove era tenuta sotto ibernazione la creatura fu zelantemente celata da tuo padre, per assicurarsi che, se la nave fosse caduta in mani sbagliate, qualsiasi cosa fosse stata rinchiusa in quella stanza, compresi esseri viventi nella cella criogena, sarebbe rimasta nascosta e al sicuro” poi si apprestò ad aggiungere “ma più spesso Diastin la utilizzava per nascondere oggetti o creature che era necessario trasportare da un posto all’altro celandone l’esistenza ai controlli doganali” fece una breve pausa, poi concluse dicendo “ero stata programmata per ‘dimenticarmi’ questa informazione finché non fosse stata aperta la cella. In questo modo non ci sarebbe stata maniera di venire a conoscenza del segreto che conteneva, nemmeno se un virus razziatore avesse rubato tutte le informazioni” spiegò “almeno finché tuo padre stesso non avesse aperto la cella”

“voglio vedere la stanza”

“ma certo, segui il segnale luminoso sul soffitto”

Una linea tratteggiata rossa si accese sopra le teste dei ragazzi, sospesa nel vuoto. Fecero per seguirla, quando la voce di Kibernete si fece risentire “tuo padre, Aster, chiamava queste creature Venatori”.

Senza rispondere, Aster riprese il suo cammino. Non lo avrebbe mai dato a vedere, ma era terrorizzata, e al tempo stesso voleva trovare quell’essere, quel Venatore, ed eliminarlo, credendolo, forse, responsabile della scomparsa di suo padre. Quando Jim le toccò la mente vide un enorme rispetto ed ammirazione per la vita animale: non avrebbe mai avuto desiderio di uccidere una creature priva di odio - di cui erano pieni gli esseri ‘evoluti’ - senza una ragione.

La stanza era bene illuminata con una chiara luce bianca, per rendere visibile ciò che custodiva. Non esistevano lampadine, nell’astronave, ma solo globi luminosi che fluttuavano lungo i perimetri delle stanze e dei corridoi. All’interno del locale pareva esserci stata una battaglia: tutto era distrutto, a soqquadro. Aster prese a frugare fra le macerie, in cerca forse di qualche terminale. Jim si sentiva poco utile, e infatti non gli era possibile essere più d’aiuto di quanto avrebbe potuto esserlo un semplice spettatore. In fondo alla stanza vi era un piccolo locale, adibito alla criostasi, che doveva poter ibernare anche più creature insieme. Le pareti erano morbide, ma, spiegava Aster, doveva essere tolta la gravità, o al primo urto tutti quei “ghiaccioli finirebbero per spezzarsi”. Il meccanismo della gravità doveva essere indipendente, perché altrimenti l’atterraggio della Ziggy Stardust sulla Terra avrebbe sicuramente mandato in frantumi l’alieno congelato; ma il portello fu comunque aperto insieme a tutti gli altri dal virus cibernetico. Vi era dell’acqua, quella del ghiaccio sciolto, ma nessun altro elemento che portasse all’alieno.

“quali altre informazioni è riuscito a scoprire mio padre su questa specie?”

“nulla di rilevante, le sue zone di caccia sul pianeta natale, metodi di riproduzione…”

“stili di caccia?” domandò Jim.

“ottima domanda, Jim!” approvò Aster.

“questa creatura percepisce le attività neuronali, e così distingue una creatura da un’altra, può giudicare se un determinato avversario è debole oppure in grado di sostenere uno scontro, e può anche prevedere quando la preda è sulla difensiva o si prepara ad attaccare, e persino quando è ignara della sua presenza”

“merda, sembra creato apposta per la caccia” disse Jim.

“no, non è stato creato da nessuno, è la natura che a volte sa essere davvero micidiale” Aster parlò con una punta di ammirazione.

“e per quanto riguarda i suoi metodi di riproduzione?”

“riproduzione sessuata, attraverso lo scambio di sostanze spermatiche dalla bocca. In mancanza di un partner, il Venatore può auto fecondarsi, ma necessita di un corpo estraneo, un ospite in cui ‘coltivare’ la sostanza sopracitata per poi nutrirsene; utilizza gli organi riproduttivi maschili per trarre dal DNA della specie a cui appartiene lo sperma ciò che gli occorre. È una perfetta macchina, il suo organo riproduttore seleziona automaticamente i tratti più utili per sopravvivere in un determinato ambiente, e di solito per cacciare i nemici naturali della specie da cui il DNA deriva; di solito però, preferiscono, forse per istinto, accoppiarsi con membri della loro stessa specie, anche perché il sessanta per cento dei feti di parti di tipo asessuato nascono morti o con gravi malformazioni”

Jim e Aster erano sempre più oppressi dal terrore, ma insieme anche dallo stupore, dalla meraviglia.

“un perfetto organismo” citò Jim.

Non posso crederci: nel giro di pochi giorni scopro che non siamo soli nell’universo, faccio sesso con un’aliena, e vengo a sapere che esistono simili creature! È a dir poco pazzesco! E affascinante! E pericoloso!

Aster guardò Jim e ammiccò un sorriso “le vostre armi non funzioneranno mai”

Mentre la ragazza aliena camminava con passo sicuro e risoluto per quei corridoi, Jim tentava di capire cosa le passasse per la testa.

“intendi dare la caccia a questo mostro?”

“l’ho portato io qui”

Giunsero in una immensa sala che doveva essere la stiva. Alcune navette a forma di goccia, con una sfera nel mezzo, erano sparse senza un ordine preciso, e qualcuno avrebbe dovuto sistemarle.

“provvederò al più presto alla sistemazione delle navette, e richiamerò quella che hai utilizzato per sbarcare, è ancora in mare” disse Kibernete.

Addossati ad una parete, vi erano degli armadietti, con strane rune che ne indicavano, probabilmente, il contenuto. Aster ne aprì uno, mostrando come erano fatte le armi aliene.

“Aster, questo essere è letale, pericoloso, e tu stai mettendo a rischio la tua vita” la avvertì Jim.

“perché, fuggendo di casa per intraprendere questo viaggio non l’ho già fatto?”

L’intraprendente giovane avventuriera delle stelle prese una pistola dallo scompartimento. Non era come quelle terrestri, bensì era come un bracciale che percorreva l’avambraccio fissandosi con due lacci, come gli scudi spartani. Posta all’altezza del polso, poteva essere richiamata verso la mano tramite una sicura. La struttura dell’arma, tubolare, era disposta a due settori: una, la canna, sormontava il dorso della mano; era argentata, e sulla sommità presentava una conca, al centro della quale era posizionata una spina, da cui veniva sprigionata l’energia letale. Il secondo settore era l’impugnatura, un piccolo manubrio attorno al quale si poteva stringere la mano, con una specie di grilletto a pressione nel mezzo che doveva venire premuto dal dito indice. Anche tale manico era posto lungo l’avambraccio, e giungeva al palmo con la pressione di un bottone posto sotto all’arma. Il tutto in venti, trenta centimetri al massimo. Quando Aster lo indossò, i lacci si adattarono automaticamente al suo braccio.

“ti prego, fermati, pensaci: metti a rischio la tua vita, affrontando questa cosa senza avere esperienza, senza aver nemmeno mai sparato!”

“senti, Jim” s’impose lei “se vuoi andartene, fallo. Ma questo non è l’essere umano che mi ha chiamata, che mi ha chiesto di portarlo via da questo pianeta. Quel ragazzo avrebbe affrontato la morte, pur di vivere davvero. E se ognuno ha la sua visione preferenziale di vita, io ho la mia, e credo sia simile alla tua. Non dirmi che, se potessi, non partiresti con me, alla volta dello spazio, verso nuovi mondi! E credi che laggiù non incontreremo pericoli? È proprio quando metto a rischio la mia vita, James, che mi sento viva”

Jim era stanco della routine, annoiato dal grigiore degli altri esseri umani, dal loro disprezzo per la fantasia, per l’avventura, anche solo per il piacere di avere una storia da raccontare. “hai ragione, Aster, verrei con te” disse infine, sorridendo, e sentendosi in colpa per non aver reso giustizia al Jim che voleva salvare dal mondo esterno “insegnami a usare queste cose”

Anche Jim indossò un’arma aliena, e gli parve di essere un bambino con un giocattolo. Aster lo condusse in una stanza adiacente, un lungo locale, in fondo al quale comparvero dei bersagli olografici, non dissimili da quelli umani: un cerchio, giallo, percorso da due linee diagonali, blu, che si intersecano a formare un X. Altra forma geometrica presente nell’ologramma erano dei quadrati rossi, che, da piccoli al centro, si facevano sempre più grandi man mano che ci si allontanava da esso. Aster chiese poi a Kibernete di avvicinare un paio di bersagli, fino a cinque metri.

“mio padre diceva sempre a mia madre di insegnarmi a sopravvivere, casomai un giorno non fosse tornato” raccontava lei, mentre chiamava l’impugnatura premendo l’apposito pulsante, e, stringendola, fece scattare in avanti lo stretto cilindro argentato in avanti, fino a superare le nocche “i primi tempi ricordo che lei piangeva, ma poi sorrideva e annuiva, sicura di ritrovarlo sempre alla porta di casa, un giorno”

“e lo ha fatto?” domandò Jim, dopo una breve pausa che diede tempo ad Aster per ricordare suo padre, e il fatto che in realtà, da ormai molto tempo, non tornava alla porta di casa. “ti ha insegnato a sopravvivere?”

Di tutta risposta, piazzò un discreto colpo contro il bersaglio, che schizzò scintille, esplodendo, e ricreandosi dal nulla poco dopo. Non era un centro, ma se fosse stato un bersaglio vivente, non avrebbe avuto scampo.

“sì” rispose con un sorriso.

Toccò a Jim, ma non gli erano stati utili videogiochi o simulazioni, e nemmeno i lunapark, perché mancò il bersaglio. Notò, però, che non vi era alcun rinculo. Il colpo nemmeno si vide, ma nel momento stesso in cui premette il grilletto, si udì un lieve boato, seguito da una fontana di scintille scaturite da un punto preciso nella parete in fondo: il proiettile aveva colpito là.

“come faccio a colpire il bersaglio, senza nemmeno un mirino?”

Aster lo guardò e ridacchiò. “semplice, devi creare un mirino con la tua mente”

“cosa?” domandò stupefatto.

“quando hai parlato con me attraverso le stelle, non ti è sembrato di vedere come un tunnel che s’alzava dai tuoi occhi fino al cielo?”

Jim ci pensò qualche secondo, poi, senza nemmeno annuire, provò a riprodurre lo stesso effetto. Si concentrò, fissò il bersaglio a lungo, quasi senza battere ciglio. Iniziò a vedere solo il bersaglio, tutto il resto divenne sfocato, fino a lasciare, appunto, un tunnel nitido fino all’obiettivo. Deciso, sparò un colpo. Il proiettile non andò a segno che di striscio, e non essendo un centro potenzialmente mortale, non fece altro che mutilare l’ologramma.

“ti occorre solo un po’ di esercizio” commentò Aster.

E infatti per almeno un’altra ora rimasero nell’astronave a sparare agli ologrammi.

Quando tornarono alla spiaggia era ormai notte inoltrata, quasi mattina. Si sdraiarono sulla sabbia fresca, e Jim si accese una sigaretta. Sbuffava nugoli di fumo, fissando il cielo, che pian piano si coloriva, nascondendo le stelle dietro una luce rosata. Era forse il momento in cui la pace lo raggiungeva, e si sdraiava accanto a lui, come ora stava facendo Zoe. La ragazza gli prese la mano e la portò verso la sua pancia, scoprendola dalla maglietta. Jim la accarezzava, fissando due occhi intensi e profondi, dolci e illuminati dalle prime voci dell’alba. Era ancora bagnata e salata, la sua pelle, dalla nuotata nel mare notturno. Lei stava per rivelargli, guidando le dita di lui, il suo punto debole, quello che la faceva impazzire, ma proprio in quell’istante, i due sentirono una voce provenire dalle loro spalle.

“voi due!” era Graziano, che ringhiava. “tu!” riferì un ruggito a Zoe “stai lontana da Jim! Ho visto i tuoi trucchetti!”

“Gra, calmati, so che tutto questo ti sembrerà incredibile, ma stammi a sentire!” Jim tentò di calmarlo.

“no!” rispose urlando l’amico “non sai chi o cosa sia, da dove viene, ti starà manovrando!”

“se avesse voluto farmi del male lo avrebbe fatto mentre eravamo soli!”

“magari le sue mire vanno molto più in alto!”

“ma per favore, l’abbiamo trovata in stato quasi catatonico su una spiaggia”

“forse era proprio il suo piano”

Mentre i due discutevano, Zoe si era abbassata la maglietta, imbarazzata e impaurita.

“Graziano, ti prego di credermi, io sono venuta qui per conoscere voi umani, perché capirvi, e parlarvi, era il sogno di mio padre, e non ha mai potuto realizzarlo per un motivo che io non ho mai compreso, ma forse ora sto giungendo a una risposta”

“umani? Tu chi sei veramente, da dove vieni?”

“è più semplice se te lo mostro”

“non vorrai entrarmi nella testa? Scordatelo!”

“va bene, allora ti racconterò tutto dall’inizio” disse Zoe, seccata. “io vengo da un pianeta chiamato Neo Cydonia – o almeno, questa è la traduzione nella vostra lingua –, sono fuggita requisendo l’astronave di mio padre, scomparso da sei anni, per incontrare Jim, che, vincendo gli anni luce, mi ha chiamata con un messaggio che proveniva direttamente dalla sua mente”

“dalla sua mente? Come è possibile?”

“ha fatto un uso delle sue potenzialità, potenzialità che molti umani ancora devono scoprire. Comunque sia, la mia nave è stata vittima di un cyber attacco molto potente, e credo che qualcuno voglia tenere i viaggiatori dello spazio lontani dalla Terra. Io voglio scoprire perché, e perché mio padre non ha sfidato questa forza atterrando comunque. Lui era caparbio, se non ha visitato questo pianeta ci deve essere un motivo”

“e c’è dell’altro” s’intromise Jim. Zoe lo guardò, fulminandolo. “deve sapere”

“sapere cosa?” insistette Graziano.

Jim organizzò un buon modo per avvertirlo del pericolo “dunque, non è semplice da dire” cominciò “quando la nave di Zoe è atterrata, danneggiata, qualcosa è fuggito da un laboratorio segreto celato all’interno dello scafo. È un essere molto pericoloso, e adesso è libero”

Graziano guardò Zoe come se volesse strangolarla “e tu hai portato questo mostro fino a noi?”

“no, io non sapevo che fosse sulla nave! Era nascosto! Non sono io il nemico, semmai l’artefice del cyber attacco!”

La discussione si protrasse finché Zoe non prese la decisione di condurre Graziano insieme a lei sulla Ziggy Stardust. Jim era titubante al pensiero di lasciarla sola con l’amico, essendo egli molto ostile nei confronti dell’aliena. Ma il ragazzo era talmente scosso e disorientato che prima di fare qualunque mossa azzardata avrebbe voluto andare fino in fondo a quella questione.

“se deve fidarsi di me tanto vale che prima mi fidi io di lui, giusto?” disse Zoe “ad ogni modo, il mio vero nome è Aster, figlia di Diastin” si presentò a Graziano.

Nella mente del giovane umano si agitavano una moltitudine di pensieri. Forse Jim era morto, e quello era solamente una copia, forse anche lui sarebbe morto di lì a poco? Non lo sapeva, ma decise di affrontare la situazione. Se il suo migliore amico era morto, che senso aveva non rischiare la vita per vendicarlo, e vivere nel rimorso? Se invece era effettivamente Jim, quello con cui aveva appena discusso, egli si fidava di Aster, e quindi poteva sforzarsi anche lui.

Così, i due, la ragazza aliena e il reticente umano, svanirono sotto le acque, lasciando Jim in attesa sulla spiaggia. Quando fecero ritorno, Aster avvisò Jim che loro tre, ogni giorno, per un’ora almeno, avrebbero fatto esercizio con le armi, presso il poligono di tiro della Ziggy Stardust, e nel frattempo lei avrebbe fatto ricerche su dove potesse trovarsi il Venatore. Graziano non avrebbe mai lasciato che Jim affrontasse un tale pericolo da solo, o comunque senza il suo aiuto, e Aster fu solo felice di accogliere un altro compagno nella caccia, anche se lui la intimò i non chiamarlo amico, almeno non ancora.

“mi ha raccontato nei dettagli la sua storia, mi ha raccontato del suo mondo, della sua fuga, mi ha raccontato di suo padre, e mi ha… ‘presentato’? Sì, mi ha presentato la sua nave” disse Graziano, di ritorno. “ma ora dobbiamo avvisare gli altri, non possiamo tenergli un simile segreto”

“capirebbero?” domandò Jim, non troppo fiducioso.

Graziano sospirò. “di loro ci possiamo fidare, questo è ovvio, ma forse per una cosa del genere sarà meglio che prima ci chiariamo le idee noi stessi. Inoltre se questa storia del mostro è vera, meglio che per il momento loro ne rimangano all’oscuro, saranno più protetti”

Anche se Aster non vedeva l’ora di rivelarsi, dovette concordare con Graziano: “gli esseri umani sono giovani e delicati, ed è meglio fare bene attenzione alle conseguenze e all’impatto che un evento simile può scatenare su di loro”

ANGOLO DEGLI AUTORI
E anche Graziano è venuto a sapere che Zoe in realtà è Aster. Bene, senza dubbio quella ragazza sa tenere un segreto! XD Jim fa la conoscenza di Kibernete ed esplora un'astronave aliena, la prima volta (ne sei sicuro? :-P ndK) nella storia dell'umanità! E deve portare iella, quel ragazzo, perché come ci mette piede arriva la notizia di questa creatura, il Venatore... Non so se siamo riusciti a rendere per bene di che genere di terrificante bestia si tratta, ma dalle bozze (disegnate malissimo dalò sottoscritto, ndRiordan XD) pareva realmente paurosa! Un "perfetto organismo", a chi diamo il premio della Setta per aver riconosciuto la citazione? ;-)
Alla prossima puntata! 


 

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Capitolo 25
*** Bad News ***


 Il mattino seguente, Aster aveva preceduto la sveglia di tutti i suoi amici, così, dopo aver copiato alcune monete e banconote, si diresse verso il luogo dove erano soliti fare colazione, per acquistare una ‘ciambella’ per ognuno di loro, e sorprenderli alla loro sveglia. Giunse al bar decisa ed emozionata, già immaginandosi le facce soddisfatte dei ragazzi umani nell’assaporare quel cibo così saporito e fragrante. Chiese subito dieci ciambelle, e presentò al venditore una banconota da venti euro. Fu subito accontentata: erano ancora calde, e con la temperatura afosa di quella giornata lo sarebbero rimaste a lungo. Attese il resto, che il ragazzo del bar fu lento a prendere. Ciò diede il tempo ad Aster di guardarsi intorno, osservare quei pochi esseri umani che erano sveglia già di prima mattina. Vi era un signore che si stava addentrando nell’età anziana, ma che manteneva un portamento del tutto dignitoso. Stava leggendo una specie di grosso libro, con un numero di pagine piuttosto esiguo, rispetto allo standard di lunghezza dei libri, e senza copertina rigida: erano solo pagine di carta che pareva sporca accostate l’una all’altra. Sulla pagina iniziale, che doveva fungere da copertina, Aster vide delle immagine e delle scritte, alcune più grosse, altre più piccole. Ad un certo punto, l’uomo se ne andò, abbandonando sul tavolo una tazza ormai vuota, un piattino che una volta aveva accolto forse una brioche con la marmellata, e, soprattutto, il grosso libro che stava leggendo. Incuriosita, Aster si avvicinò, quasi scordandosi dei suoi soldi: dovette venire richiamata dal ragazzo che l’aveva servita. Allungò una mano verso di lui, senza distogliere lo sguardo dal libro, quasi per paura che qualcuno glielo portasse via.

Come è possibile che quell’uomo abbia abbandonato un libro? Nemmeno aveva finito di leggerlo, era a metà! Non capisco …

Si sedette al tavolo, posandoci sopra tutti i sacchetti bianchi e macchiati di olio che contenevano le colazioni dei suoi amici, e prese tra le mani il libro. Il titolo era scritto molto in grande, in alto, ma vi era un’altra scritta decisamente imponente, che richiamava subito l’occhio: “la cantante araba Aletheia si esibisce sul palco insieme a Roger Waters” lesse. Capì che si trattava di pagine di cronaca: un giornale cartaceo. Quasi automaticamente, iniziò a far scorrere gli occhi su un paragrafo racchiuso in un riquadro immediatamente sotto a quella scritta. Diceva che la cantante rock Aletheia, da sempre in lotta per la libertà del medio oriente dai talebani, dagli americani e dagli israeliani, era salita sul palco per un concerto insieme alla nota star Roger Waters, ex bassista dei Pink Floyd, immediatamente oltre il muro del pianto, per far sentire la sua voce a Netanyahu.

Americani? Che minano la libertà degli altri popoli? Stento a crederci. Inoltre credevo che gli arabi fossero un popolo belligerante, invece qui parla di desideri di pace. Però devo ammettere che dalla foto questa ‘Aletheia’ sembra bellissima, così esotica… E quei capelli corvini che si agitano, catturati in una fotografia, mentre alle sue spalle un uomo della saggezza di Roger Waters divide il palco con lei. E che dire di Israele? Dopo quello che hanno passato gli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale come può essere che siano loro stessi carnefici?

Doveva ottenere risposte, e avrebbe domandato sicuramente a Jim. Stava iniziando a chiedersi se tutto quello che sapeva sugli umani non fosse una messa in scena, una fantasia. Altri articoli parlavano di una “crisi economica in fase di risoluzione” e allora pensò come può essere?pare che vi siano diverse guerre in corso tra l’occidente e i paesi mediorientali, dalle fotografie sembra così atroce come situazione; una crisi dovrebbe aggravarsi in tempi di guerra, non risolversi.

Verso le pagine conclusive il libro trattava di sport. Si sorprese che il giornale si dedicasse con tanta disinvoltura ad argomenti ludici  pur essendo intriso di pessime notizie a proposito di guerre, attentati, omicidi; ma convenne che se ogni volta che un umano leggeva un giornale trovava solo cattive notizie avrebbe ceduto al pessimismo.

Mentre era assorta nella lettura, fu colta col naso immerso nel giornale da Jim, che dovette toccarle la spalla per distoglierla dall’attenta analisi di ogni riga.

“Zoe” disse Jim “che sono questi sacchetti?”

Aster si era completamente dimenticata del suo acquisto.

“oh, sono ciambelle” rispose, ancora sovrappensiero “per voi” si sforzò di sorridere.

Jim pensò che fosse a causa del legame mentale che ormai li univa, ma percepì nella ragazza aliena qualcosa che poteva somigliare alla tristezza, ma era più delusione.

“come mai sei delusa, Aster?” le chiese, usando il suo vero nome.

Sospirò, e non disse una parola, ma gli mostrò il giornale.

“sei triste per quello che gli umani stanno facendo?”

“me l’aspettavo che gli umani non fossero tutti come te, mi avevi avvisata, ma questo giornale rovescia completamente quello che sapevo di voi”

“ah, in prima pagina c’è Aletheia!” esclamò Jim leggendo la copertina.

“credevo che gli americani fossero eroi, come nei film!”

Jim scoppiò a ridere “non potevi essere più lontana dalla verità!”

Dopodiché, le disse che lui aveva deciso di non addentrarsi troppo nelle questioni di politica, perché non era molto portato per capire come ruota veramente la società. Ma aveva la persona giusta per illuminarla sulla reale situazione degli umani, e che avrebbe potuto rispondere alle sue domande meglio di lui.

“Giovanni, spiegale bene cosa vedrebbe scritto su questo giornale se dicesse la verità” Jim aveva chiamato a raccolta tutti i compagni per accorrere a divorare la colazione gentilmente offerta da Zoe.

Mentre tutti mangiavano, ringraziando di cuore la loro nuova amica, Giovanni si schiarì la voce e prese a dare uno sguardo alle notizie. Continuava ad annuire con la testa e con versi. Pochi secondi di lettura, e fu pronto.

“dunque” cominciò “questo giornale fa vedere gli arabi come cattivi e gli americani come i buoni, come sei arrivata alla conclusione che invece non è così semplice?”

“l’ho intuito dal primo articolo: una ragazza che lotta per la libertà, oltretutto sostenuta da Roger Waters: ho subito capito che qualcosa nella concezione americana della libertà non andava”

“sei una ragazza intelligente, si vede che sei già piuttosto esperta di come funziona la società”

Aster si sentì lusingata, essendo lei nuova di quel pianeta.

“tutto cominciò durante la Seconda Guerra Mondiale…” fu interrotto da Jim, che lo pregava di non iniziare un discorso che durasse intere ere geologiche, ma di arrivare subito al punto. Questo parve indispettire Giovanni. “non si può ‘arrivare subito al punto’, quando si tratta di insabbiamenti e occultamenti! Non posso descrivere un albero ad un cieco se prima non gli dico che è fissato al suolo con delle radici, non credi? Così come se sono il capitano del Titanic devo sapere che non basta avvistare la punta dell’iceberg ed evitarla, perché sotto al livello del mare c’è una montagna ghiacciata che mi buca la chiglia” le metafore di Giovanni furono convincenti, ma Jim gli scongiurò di non metterci tutto il giorno.

“allora” riprese “dopo la Prima Guerra Mondiale la Germania era in ginocchio. Allora cosa pensa di fare lo Zio Sam? Finanzia segretamente la ripresa della Germania e sprona un pazzo esaltato pieno di rancore di nome Hitler a riversare la sua rabbia sull’Unione Sovietica, nemesi degli Stati Uniti. Ma questo cane rabbioso, una volta ottenuti i finanziamenti, capisce che può continuare anche da solo, i tedeschi in questo sono maestri. Inizia a fare strage di ebrei, omosessuali, chiunque non fosse ariano o perfetto nella visione di Hitler dell’umanità. E non solo: partì alla conquista dell’Europa intera. L’America non avrebbe mai immaginato che una sola nazione avrebbe potuto dichiarare guerra al mondo. Ma quello scellerato di Hitler lo fece. Ora, finché lasciò in pace gli Stati Uniti, questi ultimi non si disturbarono ad entrare in guerra. Ci volle un brutale e atroce attacco da parte dell’impero giapponese a Pearl Harbour per convincerli a mettere in campo l’esercito più numeroso che quella guerra avesse mai visto, sebbene deficitasse di materia cerebrale, a mio parere. Il punto è: gli USA da sempre hanno questa strategia, e cioè finanziare qualcuno affinché faccia il lavoro sporco – in questo modo non si sporcano quella loro facciata da supereroi – e quando diventa troppo potente trovano una scusa per farlo a pezzi. Devi sapere che il medio oriente non era messo così male prima dell’arrivo degli americani, anzi! Sono stati loro – e questa è storia, non complottismo – a togliere il potere ad un laicato che minacciava di portare i paesi arabi a rivaleggiare con USA, Europa ed Asia nel mercato economico, e lo fecero finanziando quelli che ora vengono chiamati terroristi. Ma c’è un altro fattore da considerare: il duplice interesse che gli Stati Uniti hanno nel massacrare gli arabi. Da una parte devono togliere ai palestinesi la possibilità di consolidarsi, e quindi di avere un governo saldo, il che non converrebbe ad Israele; dall’altra, invece, c’è il carburante di tutte le guerre moderne: il petrolio. I governanti laici arabi, quelli che vorrebbero vedere il medio oriente divenire civilizzato come l’Europa, per iniziare a costruire questo sogno avevano bisogno di moltissimi soldi. Nessun problema: il loro territorio è ricco di petrolio, che è chiamato ‘oro nero’ mica per niente. Ma allo Zio Sam non andava bene, perché il petrolio lo volevano loro ad ogni costo. Ecco che si inventano scuse su scuse per attaccare il medio oriente ed impossessarsi del petrolio” poi prese a parlare come una donnicciola, impersonificando gli Stati Uniti d’America “oh, mamma mia, i beduini coi trenta cammelli berberi hanno testate nucleari che manco la Russia durante la Guerra Fredda! Dobbiamo intervenire!”

“per farla breve, Zoe, le guerre in medio oriente sono volute da Stati Uniti ed Israele, che incoraggiano, più o  meno direttamente, e finanziano i gruppi estremisti” spiegò Jim.

“o almeno questo è quello che pensa il nostro complottista Giovanni, poi se è vero o no è tutto da vedere” disse Alice.

“ci sono fatti lampanti! È impossibile non intuire nulla! Guarda anche come ogni volta che c’è una crisi o la Palestina si avvicina ad avere la stessa dignità di un paese europeo, un attentato, stragi, convincono il mondo intero a portare la guerra in medio oriente!”

“ma prove concrete?”

“le prove ci sono, basta saperle vedere e capire che sono prove. Non ti sarai aspettata una comunicazione ufficiale, vero?”

“io non mi aspetto niente, io canto” rispose lei con un fiero pavoneggiarsi, mentre mordeva un boccone di ciambella. 

Tutte queste ragnatele, le menzogne, le ingiustizie… I morti!

“ma non perdere la speranza nel genere umano, Zoe, guarda noi e vedrai che la ristabilisci in un lampo!” la rassicurò Jim.

“io l’ho persa da un pezzo, ma vedere Monica e Abigail ancora insieme mi rincuora non poco” disse Giovanni.

Le due ragazze, finendo di mangiare la colazione, lo ringraziarono per quello che per loro era un enorme complimento. Le due ragazze si guardarono intensamente e si sorrisero: era vero, il loro amore era la più grande vittoria per la libertà.    

ANGOLO DEGLI AUTORI
Questo capitolo è stato fortemente voluto dall'associazione 'complotti & co della Setta Krypteia'.
Dunque, da dove cominciare? Dalle scuse? Probabilmente sì. La politica è sempre un tasto dolente da premere, ma ci eravamo resi conto che Aster era giunta sulla Terra, ma non aveva minimamente idea di come realmente fossero i suoi abitanti. Gli unici umani coi quali aveva instaurato un rapporto erano Jim e i suoi amici. Ci tenevamo a dare alla ragazza aliena una 'scomoda verità', mostrarle gli umani er quello che sono in realtà, ma senza togliere la speranza in un futuro migliore. Comunque sia, è doveroso precisare che noi non abbiamo la presunzione di imporre queste nostre idee come verità. Anzi, essendo giovani e scemi molti aspetti storici e politici potrebbero esserci sfuggiti, o peggio: giunti a noi errati. 
Ci quguriamo di non aver turbato nessuno, e se così fosse scrivete una recensione critica per farci prendere nota, ma questo capitolo non si muove da qui :-P
Ps: se invece avete notato errori saremo felici di corregerli! XD

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Capitolo 26
*** Benvenuti all'Inferno ***


Aster era nel laboratorio della Ziggy Stardust, intenta a svolgere vari lavori su diversi terminali. Aveva chiesto a Kibernete di chiamare Jim e Graziano, che si stavano allenando nell’armeria della stiva. In breve tempo furono entrambi in laboratorio, curiosi di sapere cosa desiderasse. Aster doveva ammettere che l’aveva emozionata la semplice azione di convocare due membri dell’equipaggio “Kib, fa’ venire qui Jim e Gra, devo parlargli” “sarà fatto”. Era lusingata dalla loro velocità.

“di che hai bisogno?” domandò Graziano, mentre Jim beveva dell’acqua. Erano entrambi fradici di sudore.

“ho analizzato una delle vostre ‘sigarette’, e non indovinerete mai cosa ho trovato” disse.

I due umani si guardarono, senza sapere bene cosa pensare. Scuotendo la testa, ammisero di non avere idea di quale potesse essere la sensazionale scoperta.

“sto ancora cercando di mettermi nell’ottica che su questo pianeta la verità vada cercata lontano da ciò che è fin troppo evidente, quindi ho fatto queste analisi, ed il risultato è sconcertante” pareva voler temporeggiare. Prese fiato, poi parlò “vi stanno tenendo nascosto che queste ‘sigarette’, come voi le chiamate, sono micidiali! Un uso eccessivo può uccidere un uomo, anche il più robusto. E non è tutto: contengono una sostanza che crea dipendenza, in pratica vi rende schiavi. Credo che sia una violenta soluzione al sovrappopolamento del pianeta: non potete farne a meno, ma vi uccide, e in questo modo porta un grande numero di umani alla morte, diminuendo la popolazione in eccesso. È crudele, oltre che inaccettabile”

I due ridacchiarono, e questo lasciò Aster piuttosto sconcertata.

“cavolo, ci hai fatto venire qui per farci la lavata di capo? Non ci posso credere!” disse Graziano “se volevo una ramanzina andavo da mia madre”

“Aster, noi lo sappiamo, c’è anche scritto sui pacchetti”

La ragazza aliena sgranò gli occhi “lo sapete? Eppure perseverate in questo scempio!”

“andiamo, non puoi farci la morale, direi che abbandonare il tuo pianeta per intraprendere un pericoloso viaggio nello spazio non è meno pericoloso!” protestò Jim.

“se dovessi rischiare la mia vita per esplorare un pianeta alieno lo farei, su questo puoi contarci” ribatté lei “perché è un buon motivo per rischiare la pelle, ma voi vi state uccidendo perché siete schiavi della sostanza! Non siete voi a volerlo, ma la dipendenza!” i toni di Aster iniziavano a farsi più alti.

“noi non siamo schiavi, possiamo smettere quando vogliamo” intervenne Graziano, un po’ seccato.

“ può darsi, ma quella sostanza agisce sulla volontà: finché non lo vorrà lei non lo vorrete nemmeno voi!”

“la verità è che non è facile, Aster” ammise Jim.

“nulla di più facile, per la Ziggy Stardust! La semplice doccia della mia cabina annienta tossine nocive e qualunque sostanza pericolosa, anche sconosciuta: basta inserire un campione della sostanza, isolarlo da altri elementi, e registrarlo come nocivo. Al resto ci pensa la doccia”

Jim era perplesso: voleva davvero smettere? Graziano, invece, era irremovibile: “io non mi faccio fare il lavaggio del cervello”

“sarebbe più un lavaggio del tuo corpo” disse Aster.

“ho comprato un basso elettrico per fare rock, e non puoi dire cosa fare ad uno che suona rock! Non lascerò che una donna mi dica cosa fare e cosa non fare!” così dicendo, uscì dalla stanza, diretto verso l’uscita. Con riluttanza indossò la maschera subacquea aliena.

Jim e Aster rimasero soli.

“so cosa si prova a sentirsi dare direttive che non vorremmo seguire, ma credimi: questo non è un ordine. Se tu volessi affrontare da solo una flotta di pirati spaziali io verrei con te, e se decidessi di entrare in un buco nero, io ti seguirei, a costo di morire, pur di vivere intensamente un altro istante”

Jim la guardò, e, lottando contro la parte di se che voleva sputarle in faccia, insultandola, accettò.

Quando tornarono in superficie, Graziano li trafisse entrambi con uno sguardo carico di biasimo. Non aveva rivelato nulla ai compagni: Jim sapeva che il suo migliore amico, suo fratello, non lo avrebbe tradito nemmeno sentendosi tradito egli stesso.

*

Nei due giorni che seguirono, Aster non mancò ad un solo concerto dei suoi nuovi amici, così come Jim e Graziano non persero un solo appuntamento con la ragazza per addestrarsi all’uso delle armi aliene, sebbene l’astio sopito creava un’atmosfera satura di tensione. Di solito gli addestramenti avvenivano intorno alla una di notte, quando a nessuno sarebbe parso strano non vedere i tre compagni. Monica ed Abigail si ritagliavano sempre, durante quell’orario, un po’ di tempo per loro, e chi non dormiva già, festeggiava ancora ai tavoli dove prima sedeva il pubblico dei Chaos Within. Kibernete era costantemente alla ricerca di possibili tracce del Venatore, ma, fino a quel momento, senza successo. Aster, mentre i suoi due compagni umani, quelli a conoscenza del suo segreto, si addestravano, passava in rassegna tutte le informazioni che suo padre aveva raccolto sulla creatura alla quale stavano ora dando la caccia.
Nulla di interessante pensava tra se e se o almeno, nulla di utile. Sembra essere solito vivere in zone sulfuree, come isole vulcaniche, quindi è anche presumibile che sia un cacciatore della giungla. La sua è una dieta varia, ma comunque sia, prima di mangiare un cibo, lo scioglie. Molte erano le informazione, ma il più delle quali sarebbero servite per scrivere un rapporto di classificazione, per registrare l’animale nell’elenco delle specie conosciute, l’elenco più lungo della galassia, costantemente in crescita. Niente, poteva trovarsi a chilometri di distanza, in quel momento. Ma la fanciulla Cydonense si rincuorava nel vedere Jim e Gra che miglioravano di giorno in giorno. Ciò che la rendeva fiera non era il loro talento nell’uso di un’arma, ma che avessero imparato ad utilizzare uno strumento a loro alieno.

Mentre Jim scopriva ogni giorno di più la cultura di Neo Cydonia, e, in generale, della galassia a cui appartenevano tanto lui quanto Aster, lei imparava moltissimo sul pianeta Terra, sulla sua storia, il suo passato, presente, e come veniva immaginato il futuro. Rimase innamorata della carta dei libri: sentirla tra le dita mentre leggeva avidamente, divorando pagine e pagine ogni ora che aveva libera; al tatto, ma anche all’olfatto, era così diversa la carta terrestre, simile, ma diversa, da quella Cydonense. Si perse nella lettura di quello che era il libro preferito di Monica: Moby Dick. Infatti, una sera, la batterista, vestita con una giacca in pelle talmente corta da coprire ben poco del suo corpo, e un paio di jeans a zampa di elefante, si prodigò nel suonare un lungo assolo di batteria, introdotto e concluso da una parte strumentale, che prendeva il nome, appunto, dal romanzo di Melville Moby Dick, ed era stato ideato ed eseguito da John Bonham dei Led Zeppelin.

Jim e Graziano erano intenti ad allenarsi con le armi, quando Kibernete rivelò all’equipaggio di avere un’idea su quale potesse essere l’attuale ubicazione del Venatore. Avrebbe cercato una zona con fonti di acqua sulfurea, o comunque con presenza di zolfo, il cui odore avrebbe rassicurato la creatura. Vi erano due possibili luoghi che rispondevano alle caratteristiche ed erano situati ad una distanza che il Venatore avrebbe potuto percorrere: Saturnia e un luogo chiamato l’Inferno di Dante. Jim avrebbe voluto ispezionare Saturnia come prima tappa, ma Graziano insisteva sul fatto che un luogo chiamato Inferno di Dante non poteva che essere la scelta migliore, a parità di fattori. Tirarono una moneta: testa, Saturnia, croce, Inferno.

*

Massimo aveva la coincidenza di lì a due ore. Avrebbe preso il treno fino a Milano, dove avrebbe cambiato, per poi dirigersi a Gallarate. Era stato chiaro su questo: li avrebbe seguiti in campeggio come loro manager, ma non sarebbe rimasto per tutta la settimana. E così, all’alba del quinto giorno, sarebbe salito sul treno delle otto e quarantacinque. Jim e il suo amico fraterno Graziano si offrirono di accompagnarlo, insieme a Zoe, approfittando dell’occasione per dare un’occhiata alle spiagge vicine, così da poter poi condurre la ciurmaglia ad una soffice distesa di sabbia, isolata  e solitaria, lontana dalla fastidiosa massa di turisti. Ma, ovviamente, quella era la ragione ufficiale per cui non sarebbero tornati a pranzo e avrebbero tardato nel pomeriggio: in realtà avrebbero ispezionato l’Inferno di Dante, alla ricerca del Venatore.

Dal binario, Jim, Gra ed Aster guardarono il treno portarsi via Massimo, e i due ragazzi presero a salutarlo agitando dei fazzoletti bianchi, rigorosamente usati, e prodigandosi in improbabili scenate di disperazione. Affacciato dal finestrino del malandato treno ormai antiquato, l’amico in partenza mandava affettuosi baci, intimando i compagni di non dimenticarlo mentre andava a combattere i nazisti in Normandia. Aster vide quei tre amici riuscire a divertirsi e a ridere anche dovendosi salutare, pur sapendo che lo avrebbero rivisto dopo pochi giorni. Jim e Gra sapevano che avrebbero dovuto affrontare un mostro alieno, ma questo non gli impediva di apprezzare quei momenti di serenità. Amava questo lato degli umani. Si chiese se fosse un lato insito unicamente della natura umana. Si rese conto di conoscere i suoi complanetari ancora meno di quanto aveva imparato a conoscere gli umani. Ma non se ne fece una colpa: furono loro a non concederle la volontà di conoscerli.

Quando la portiera dell’auto si chiuse, Aster sentì come una gelida scossa elettrica drizzarle la spina dorsale: si avvicinava lo scontro. Anche gli altri due compagni di viaggio percepirono una certa variazione nelle note dell’aria: un misto di adrenalina e paura. Jim accese il motore, e la radio con esso. Il disco riproduceva un pezzo dei Van Halen, ma lontano dal sound che li rese famosi: il brano in questione era Humans Being, che accompagnò l’annuvolarsi del cielo. Titani neri come la notte s’appropinquavano gridando battaglia. I venti spiravano furenti, e la stessa aria parve assumere un colore verdastro. Ma la tempesta si avvicinava a Grosseto, quindi sarebbe potuta giungere all’Inferno di Dante solo dopo tre o quattro ore almeno. Ciò nonostante, Jim premette l’acceleratore tentando di arrivare il prima possibile, forse più per impazienza che per paura di trovarsi in mezzo ad una tempesta, anche da qualche anno a quella parte i temporali erano in grado di scatenare addirittura dei tornado, soprattutto su suolo maremmano. I capricci del tempo tropicale erano risultato del cambiamento del clima, e Jim, che guidava un’auto a benzina, non poteva lamentarsene.

La strada si concluse in un parcheggio arido, ai piedi di un rialzamento del terreno dal quale sgorgava un filo di fumo: era una conca di fango bollente. Alle spalle di questa, una piccola collina rocciosa. Una volta fermata l’ automobile, i ragazzi scesero, notando che non c’era nessuno in visita. Gli occhiali da sole non servivano più, delle leggere nuvole si erano posate delicatamente sul sole, mantenendo così il caldo, ma senza permettere alla luce di urtare gli occhi. Era comunque il preludio del temporale che si erano lasciati alle spalle.

“bene, iniziamo la ricerca, e tenete le vostre armi pronte all’uso” disse Aster, consegnando ad ognuno delle armi da polso.

Un sentiero in salita sorpassava, su un fianco, una conca di fango, e passava oltre, fiancheggiando la collina coperta solo da roccia, terra e arbusti. Piccole bocche di fumo si aprivano nel terreno lungo tutto il sentiero. Giunti in cima, dinnanzi ai ragazzi si apriva uno spettacolo desolante e mozzafiato: un campo di conche di fango, geyser, colonne di fumo, e terra dai colori infernali: rosso fuoco, giallo acceso e nero, per via del terreno vulcanico.

“benvenuti all’Inferno!” annunciò Jim, facendo ridere Aster, e scaturire appena un sorriso malevolo sul volto di Gra. Jim fu lieto di essere riuscito a distrarre Aster, ma Gra era impassibile: sentiva che nell’amico scorreva rabbia, non paura.

“la leggenda vuole che il grande poeta fiorentino Dante Alighieri si sia ispirato a questo luogo per la stesura dell’Inferno, celebre parte dell’opera in versi La Divina Commedia” lesse Aster da un pannello illustrativo.

Graziano parve disinteressato. Si avvicinò alla ragazza.

“nessuna traccia del Venatore?” domandò, un po’ seccato.

“no” rispose lei “tenete gli occhi aperti”.

Jim, però, teneva gli occhi aperti per lo spettacolo che gli si pareva davanti agli occhi, e già la sua fantasia faceva immensi viaggi, sull’incontro con il Venatore, sul quel luogo così mistico, che attraverso i colori accesi e il calore torrido, umido e soffocante, creava un’atmosfera rallentata, ovattata, estraniante e confusa. Dovette togliersi il cappello per far respirare la testa. Si passò una mano tra i capelli, già madidi di sudore, appiccicati gli uni agli altri. Notò che anche Aster si permetteva di far correre per quel campo incandescente i suoi sogni. Graziano, invece, era concentrato sugli anfratti, e desiderava febbrilmente trovare la creatura. I ragazzi iniziavano a disperdersi, a correre, vagare per tutto il campo, e Aster temeva che potessero cacciarsi nei guai.

“ragazzi! Di qua prosegue!” urlò Jim, giunto in fondo alla piana.

Una stradicciola si apriva negli arbusti aguzzi e feroci fino a un lago di fango grigio ribollente.

“sembra di essere su un pianeta alieno” sospirò estasiato il ragazzo.

A chi lo dici pensò Aster divertita.

“il Venatore non c’è, Gra. Ma in compenso qui c’è un panorama mozzafiato”

“no, Jim, non mi darò pace finché non lo troverò. Non possiamo permettere che uccida qualcuno”

L’amico lo guardò con uno sguardo che racchiudeva in se preoccupazione e affetto. “so che tu non lo fai per il destino delle possibili vittime, ma perché hai bisogno di sfogare la tua rabbia. Lascia che ti dica questo: non essere così ansioso di porre fine alla sua vita”

“ma non è un essere umano, Jim”

“non importa, non sai nemmeno se pensa oppure no, non sai niente di lui e lo vuoi uccidere! Allora noi per cosa combattiamo, con la nostra musica?”

Non fece in tempo a rispondere, che furono attirati dalle grida provenienti da Aster, che urlava “lui è qui!”

Avvistarono il Venatore: massiccio, un groviglio di terrore nero che si dimenava. I ragazzi accorsero verso l’aliena, mentre lei utilizzava uno dei fucili che portava nel suo inventario per dare del filo da torcere all’avversario. I proiettili luminosi che non venivano scaraventati contro il mostro, in uno zampillare di scintille, andavano a finire in ogni direzione, sulle rocce, nel terreno, davano fuoco ad alcuni arbusti isolati. Appena Jim e Gra furono vicini abbastanza, Aster li cercò con lo sguardo, felice che fossero lì insieme a lei. In quell’attimo di distrazione della ragazza aliena, la bestia le piombò addosso, e alzò una zampa per strapparle via il volto con un’artigliata. Ma prima ancora che fosse pronto il colpo, Jim e Gra ferirono con una raffica di proiettili il Venatore, che con un verso a metà fra sibilo angosciato e ruggito furioso, si avventò su Jim a una velocità impressionante. I proiettili lo avevano ferito, ma nient’altro. Quale corazza animale poteva opporre resistenza a un raggio laser? Gra puntò l’arma verso una cavità sul muso della bestia, che doveva essere un occhio, o comunque una feritoia nella corazza, e fece fuoco. Con uno scatto serpentino, il mostro si volse in fuga, accompagnato dallo stesso verso agghiacciante.
Dopo averlo colpito, il ragazzo tentò di inseguire l’essere, ma rinunciò quasi subito. Jim, invece, si alzò, a fatica per correre da Aster. Non era ferito, ma aveva ricevuto un colpo micidiale allo stomaco, aveva battuto testa e schiena, e anche le costole gli dolevano.

“va tutto bene? Sei ferita?” domandò col fiatone alla ragazza, ma Aster gli fece segno di correre.

“tornerà!”

Puntando le armi ad ogni sbuffo di fumo, i tre ragazzi fecero ritorno, di corsa, ai mezzi.

“voi andate, io lo aspetto qui” disse Gra.

“tu, solo, contro quella bestia? Non la considero nemmeno un’opzione” rispose Jim.

“per me è l’unica opzione”

“abbiamo valutato male le sue forze, non credevo fosse così resistente alle nostre armi!” obiettò Aster.

“io non ti lascio qui, e nemmeno ci resto, quindi ora Sali in macchina o giuro su R. J. Dio che sciolgo la band appena arrivo al campeggio!”

Questa minaccia lasciò l’amico pietrificato e basito: avrebbe rinunciato davvero al suo sogno? Decise di pensarci in un altro momento, e salì in macchina, alle spalle di Jim.

 Il Venatore non li disturbò, pareva svanito, o forse si era definitivamente ritirato. Una nuvola di sabbia nera si scatenò come una trottola impazzita, quando le ruote dell’auto guidata da Jim sfregò ferocemente contro il terreno, nella fretta di fuggire.

Gra si affacciò dal finestrino e guardò verso il campo di battaglia dal quale si stavano ritirando “arriva!” gli gridò dal finestrino.

Jim diede uno sguardo agli specchietti retrovisori, ma non vide nulla. Tutt’un tratto, sentirono un colpo dall’urto tremendo sul tettuccio: era lui. Jim improvvisò una guida a zig zag, per destabilizzare il Venatore. Aster, che era seduta al posto della passeggera, si sporse dal finestrino e, tentando di dominare la paura che serpeggiava dal mostro al suo cuore, prese la mira e centrò il muso del Venatore, mutilandolo di gran parte dei suoi tentacoli. Quello fu scaraventato fuori bordo, e quando si rialzò, fissò il veicolo allontanarsi a velocità decisamente sopra alle restrizioni concesse dal codice della strada. Aveva rinunciato alla caccia, o almeno per il momento. Fece ritorno al suo territorio, ferito, ma vivo, e deciso a preservare la propria vita contro ogni tentativo di eliminazione. 

Angolo degli Autori
Non siamo spariti, so che lo pensavate ma siamo ancora vivi e vegeti, e alcuni pure maturati, pensate unn po'! XD Abbiamo modificato questo capitolo rendendolo un po' più coerente e realistico, per quanto un racconto di fantascienza per ragazzi possa esserlo... XD Inoltre, ci siamo resi conto che non sempre riuscivamo a gestire con successo tutti quei personaggi, non sempre riuscivamo a dar loro il giusto spazio, la giusta importanza per conferirgli una caratterizzazione e un ruolo, seppur marginale, all'interno della storia, ma senza tediare il lettore con troppi aneddoti, che rallentano la trama. Per questa ragione, abbiamo levato di mezzo il personaggio che all'interno del racconto era caratterizzato in maniera più scialba e frammentaria: Massimo. insomma, dite la verità: manco vi ricordavate che esisteva! XD
Beh, ora che siamo tornati speriamo davvero di esserci molto di più, puntiamo a finire di pubblicare Aster entro settembre, così poi per l'autunno possiamo iniziare a pubblicare qualche altra gustosa sorpresina ;-) Alla prossima, un abbraccio a tutti voi coraggiosi dalla Setta! :-D


 

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Capitolo 27
*** Coming Back to Life ***


Fu solo dopo una buona mezz’ora di guida silenziosa che i ragazzi poterono tirare un sospiro di sollievo. Jim guidava ormai tranquillo, ma decise comunque di accostare lungo il margine della strada, verso un campo aperto, quando vide che la tempesta gli veniva incontro. Parcheggiarono uno dietro all’altro. Il cielo era diventato scuro, e le nuvole assunsero forme minacciose, imponenti e terrificanti: era in arrivo una violenta tempesta. Da qualche anno a quella parte i tornado erano sempre più frequenti su suolo maremmano. Il clima italiano si avvicinava sempre più a quello tropicale. Si poteva udire il cupo brontolio dei tuoni in lontananza e il vento che portava con sé l’avvertimento di rimanere il minor tempo possibile in campagna. I colori delle nuvole erano impressionanti, con ogni tonalità di grigio e verde. Si muovevano, le nuvole, le si poteva vedere mentre, sopra le teste dei ragazzi, si affrettavano a portar tempesta. I viaggiatori scesero dai mezzi.

“adesso ti sembra il caso di preoccuparti, Jim, oppure vuoi ancora ridere e scherzare?” disse Graziano, scendendo dal furgone.

“non ho mai detto di prendere la cosa sotto gamba, sono preoccupato!”

“ah sì? E per cosa? Anche io sono preoccupato, e sai perché? Perché un temibile mostro alieno ha quasi ucciso il mio migliore amico!”

“e allora perché invece di correre da me – sai, potevo essere ferito dopo essere stato assalito – sei andato dietro al Venatore?”

Gra titubò per un attimo, cercando una risposta adeguata “forse perché se finalmente lo avessi ucciso avremmo messo fine a tutto questo!”

“non è vero, tu stavi solo cercando un modo di sfogare la rabbia che ti porti dentro!”

“questo è ridicolo”

“no, non lo è, invece! Io ti conosco meglio di quanto ti conosca tu stesso”

Graziano lo guardò, ma subito dopo abbassò lo sguardo.

“ok, adesso basta!” intervenne Aster. “avete ragione entrambi! Il Venatore deve essere eliminato, è un predatore molto pericoloso, e si trova su un pianeta alieno. Vorrei poter fare altro, ma ucciderlo sembra essere l’unica soluzione. Ma dobbiamo farlo per le giuste ragioni, e senza sacrificarci in inutili atti eroici. Gra, se hai un problema di rabbia così lo peggiori solamente, e, credimi, quando sarà morto ti sentirai uno schifo, o peggio, ti piacerà. E da lì alla depravazione è un passo”

“ma tu che ne sai della mente umana?” rispose l’altro con tono sprezzante.

Ci fu un lungo momento di silenzio. Iniziò a gocciolare, poi si rafforzò fino a divenire una violenta pioggia. Aster alzò il naso, come se la pioggia potesse lavare il corpo dallo stress. Le gocce frustavano il volto, ma in maniera piacevole. Erano fredde, ma nella calura estiva erano ben accette.

“e il mostro era sulla sua nave, è colpa sua se ora siamo in questa situazione” aggiunse Graziano.

“ora non rifarti con lei, Gra!”

“cos’è, te la da per una notte e tu ti fidi ciecamente? Credevo che la parola di un fratello valesse di più di quella di uno sconosciuto”

“non quando non ragioni!” i toni iniziavano ad alzarsi.

I due si stavano scaldando anche troppo, e la discussione minacciava di finire in una brutta litigata.

“ragazzi, vedo una fattoria poco più in là, sembra in rovina, abbandonata, probabilmente; ci conviene spostarci laggiù. Tra poco il tempo sarà talmente violento da impedirci il ritorno a casa, ci conviene aspettare là che la tempesta passi” disse Aster, che aveva estratto dal suo inventario una specie di lente che doveva fungere da cannocchiale.

“fanculo, io torno a casa” sentenziò Graziano.

“no, tu non lo fai! Non ci metti tutti a rischio e tantomeno ci lasci qui!” ribatté l’altro.

Così, risaliti silenziosamente sulle autovetture, si apprestarono a raggiungere la fattoria. Era una struttura lignea, probabilmente un fienile, ma non aveva nulla da spartire coi folkloristici fienili del sud degli Stati Uniti. Per fortuna, Jim riuscì ad incastrare l’auto tra le macerie e gli strumenti rotti ed abbandonati. In breve tempo, giunse la tempesta. La grandine cadeva sul tetto del fienile, facendo un gran frastuono, ma ormai le orecchie dei ragazzi ci avevano fatto l’abitudine. Era quasi rilassante. Nel frattempo, Aster aveva deciso di lasciare ai due amici un attimo di intimità.

 “vuoi farmi la predica, Jim?”

“non voglio farti la predica, ma solo farti ragionare: la strada che stai percorrendo dove ti porterà? Te lo dico io: A rovinare la tua vita!”

“è la mia vita”

“e a noi non pensi? Noi che ti vogliamo bene? Devi renderti conto che, anche se sarebbe bello pensarlo, le nostre vite non appartengono a noi” lo guardò, cercando gli occhi dell’amico “appartengono a chi è stato toccato nel profondo dalle nostre vite stesse”

“sono giovane, sono un rocker, lasciatemi divertire un po’”

“tu hai superato il divertimento da troppo, ormai” il silenzio cadde tra i due, prima che Jim aggiungesse “e poi essere rocker non significa diventare degli alcolizzati, dei rifiuti umani! Il rock è ribellione alle ingiustizie, è sfogare la rabbia con la musica e non con la violenza. Quello lo fanno gli uomini che picchiano le mogli, i figli, o si distruggono da soli con alcool o droghe. Vuoi diventare così?” Jim colpì nel segno.

Gra, furioso, uscì dall’auto sbattendo la porta. Aster capì che non era il caso di tentare un dialogo con lui, ma entrò volentieri in auto con Jim. Non si dissero nulla, ma al ragazzo fece piacere averla accanto, lo rassicurò, come se lei fosse un caldo focolare durante una tempestosa notte autunnale.

La pioggia ancora cadeva incessante, ma la grandine iniziava ad acquietarsi. Una trave cadde dal tetto, aprendo uno squarcio che lasciò entrare l’acqua. A quel punto, per evitare che una trave cadesse anche sull’auto, decisero di uscire dal fienile: ormai il pericolo tornado era passato oltre, verso altre terre. Gra era già fuori, sotto la pioggia, cercando conforto nella loro carezza.

Pareva ancora notte. Il temporale proseguiva con scrosciante acqua che cadeva con violenza, e rigava i vetri dei finestrini con rivoli d’acqua. I movimenti che le gocce disegnavano erano frenetici. Il vento era ancora feroce, segno che a non molti chilometri di distanza si stava scatenando il tornado.

Ad un certo punto, Jim sentì bussare al finestrino: era Gra. Le portiere non erano bloccate: non voleva entrare, ma che gli desse il permesso di entrare, voleva parlare. Aster, capendolo, sorrise a Jim.

“mi troverai nel fienile” disse. Jim tentò di fermarla, ma la ragazza, ostinata, corse verso il fienile, accennando un sorriso dolce ed amichevole, ma cauto, anche a Gra.
Il ragazzo prese posto accanto all’amico.

“avevi ragione, Jim. Io porto dentro di me tanta rabbia, verso mio padre che ha abbandonato me e mia madre, verso la scuola, verso il lavoro, il mondo della musica che sembra un pantano dal quale è difficile emergere. Sono arrabbiato, e ho un problema con l’alcool, questo lo sai”

“sì, lo so, ma non volevo farti da chioccia. Mi sono sempre fidato della tua forza di volontà”

“non so quanto tu abbia fatto bene”

“il solo fatto che tu sia qui dimostra che la mia fiducia era ben riposta”

Graziano rimase in silenzio per qualche minuto, un silenzio lungo e carico di parole che avrebbe voluto dire. “non voglio uccidere io il Venatore. Sento che mi distruggerebbe. Lo farò solo se costretto. Non voglio finire come quegli uomini rovinati che non aspettano altro che la morte o un altro bicchiere. Voglio smettere”

“e lo farai, fratello mio, smetterai. Perché io e te abbiamo un destino, e finire come alcolizzati non è nei programmi. Io mi fido ancora di te, e mi fiderò sempre. Però tu non tradirmi, chiaro?”

“chiaro” pareva rincuorato, ma non lo diede a vedere. “puoi chiedere ad Aster di venire qui? Credo di doverle delle scuse” aggiunse poi.

Appena Aster entrò, e si sedette al posto del guidatore, guardandolo con estremo affetto, lui ricambiò lo sguardo, disse “voglio smettere col fumo”.

Lei annuì “certamente, sai che posso farlo” poi aggiunse “e posso anche levarti il vizio dell’alcool, è tutta una questione di chimica, e può essere risolta” nemmeno finì di parlare, che l’altro la interruppe.

“no, quello è un duello tra me e lui, e voglio vincerlo con le mie forze”

Aster gli sorrise, e in quelle labbra Graziano vide la speranza che da sempre aveva accompagnato Jim, quella speranza che gli dava forza. Iniziava a capire perché l’amico fosse innamorato di quella imprevedibile ragazza aliena.

Quando la tempesta si placò, Graziano si era tolto due pesi dallo stomaco, si era riappacificato con il suo amico fraterno, James, e si era scusato con la ragazza aliena che aveva fatto irruzione nelle loro vite, portandoli a vivere un’avventura che li stava già cambiando per sempre. Erano tutti addormentati, nell’automobile, e su tutto regnava il silenzio. L’impercettibile ronzio della pioggia, ora fine e sazia, era un rilassante sottofondo, che aveva conciliato il sonno e aveva adagiato i viaggiatori tra le morbide braccia di Morfeo. 

ANGOLO DEGLI AUTORI:
In questo capitolo la maschera di carta che Graziano aveva messo sul viso per nascondere la propria rabbia viene sciolta dalla pioggia, mostrando tutta la sua fragilità, ma anche l'enorme forza di reagire, per scusarsi battendo il massiccio macigno dell'orgoglio, per ammettere a se stesso di avere una parte oscura che, come per chiunque, va accettata e combattuta strenuamente. Quando si vince, il prezzo vale la pena dello sforzo: si ritorna alla vita, si ritorna ad amare le persone, la vita stessa, il mondo.
_ Hanck

 

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Capitolo 28
*** La Ragazza che Cadde sulla Terra ***


La pioggia lacrimava ancora finemente, infangando il terreno, quando i tre ragazzi fecero ritorno al campeggio.
Parcheggiarono l’auto e s’incamminarono verso il bungalow dove avrebbero trovato i loro amici. Già nelle menti di tutti e tre si agitavano menzogne e storie per spiegare come mai Jim ed Aster avessero i vestiti stracciati, fossero feriti e sudici. Trovarono l’intero gruppo riunito davanti al bungalow in cui faceva camerata Jim. C’era chi giocava a carte, chi leggeva, chi chiacchierava, ma tutti avevano qualcosa in comune: il sonno. Le loro espressioni erano chiare, quel tempo aveva messo a tutti una gran voglia di stendersi e dar riposo alle palpebre. Ma quando videro tornare i compagni, non mancarono di rimproverar loro l’esagerata lentezza con la quale avevano svolto i loro compiti lontano dal campo base. Per un attimo, i tre appena rientrati sperarono che nessuno avesse voglia di far domande sull’aspetto malandato di Jim e della fanciulla che ancora a tutti era nota come Zoe. Ma le domande non tardarono ad arrivare.

“Ehm…” esclamò Paolo, alzando gli occhi da Il Deserto dei Tartari proprio mentre i due malconci fecero per scappare in casa dedicando agli amici solo un fugace saluto.

Appena quell’esclamazione attirò gli occhi di Andrea, il giovane chitarrista sgranò gli occhi “che avete combinato?” domandò.

Jim frenò la sua corsa verso la stanza dove avrebbe potuto recuperare dei vestiti. In quel momento, Aster si rimproverò di non essersi ricordata che portava il costume da bagno sotto i vestiti, le sarebbe bastato spogliarsi per non dare nell’occhio; ma altri due problemi li avrebbero traditi: Jim, che non poteva certo rientrare in intimo come se nulla fosse e poi i graffi e le ferite, che necessitavano di essere lavate e disinfettate.

“Jim, Zoe, sembra che avete preso parte al Fight Club!” commentò Abigail.

“e perché invece Gra è solo sporco?” fu invece la domanda di Giovanni.

“mi pare ovvio: lui non è uno che si fa colpire!” rispose Edoardo.

“beh, Eddie, ma ciò implica che abbiano davvero fatto a botte” osservò Alice.

“se li lasciamo parlare forse ci spiegheranno che è successo senza bisogno di fare congetture su mostri alieni o templari!” Jim ridacchiò, come se la risposta l’avesse già data Monica.

Aster guardò i due ragazzi.

“è andata così:” prese parola Graziano “io non ho i vestiti a brandelli perché in quel momento non ero con loro”

Grazie, amico, sei stato davvero utile come un’aula universitaria a Schopenhauer!

“io e Aster ci siamo avventurati in una conca, una specie di caverna dalla quale esce del vapore”

“tipo geyser!” s’intromise Gra.

“geyser?” chiesero un po’ tutti, con aria sorpresa e stranita.

“senza corde? Avreste dovuto avere ustioni alle mani, e su tutto il corpo!” notò Andrea.

“e poi dove siete stati per trovare dei geyser?” chiese Edoardo.

“in un posto chiamato l’Inferno di Dante, vi ci dobbiamo portare, è davvero spettacolare!”

A quel punto, intervenne Aster, fermando Jim e facendosi avanti.

“credo di dovervi la verità” disse. Jim si preoccupò, ma poteva capire bene come mai lei volesse esporsi. Graziano invece ne era sollevato, e forse provava anche una punta di ammirazione. Lui avrebbe fatto lo stesso. “ma non qui, se devo mostrarmi per quella che sono in realtà vorrei che mi seguiste fino ad una spiaggia isolata, col furgone”

I ragazzi avevano talmente tante domande che preferirono non farne nessuna, e obbedirono. Gra si mise alla guida, con gruppo compatto accomodato per tutto il mezzo.
Quando trovarono il luogo adatto, il tempo minacciava di tornare a ruggire.

“non è un tempo per navigare” osservò Jim.

“un vero peccato” rispose Aster.

“navigare?” chiese invece Abigail.

“ho capito, sei una specie di fanciulla che ha deciso di girare il mondo in barca in solitaria, vero?” propose Monica.

“più o meno” ammise Zoe “e non in solitaria, con una amica” pensava a Kibernete.

“oh, ha una amica, la cosa si fa interessante!” commentò Paolo, a sproposito.

Il furgoncino faticò a frenare a causa della sabbia, tanto che Jim si sentì in dovere di ricordare all’amico che poteva tranquillamente parcheggiare prima della distesa sabbiosa, che le loro gambe erano perfettamente funzionali alla camminata di venti metri fino alla spiaggia. Questo clima sereno e disteso rincuorò i ragazzi, e in particolare i tre reduci dallo scontro.

Aster camminò fino al bagnasciuga, seguita da tutti gli altri, incuriositi. Tutti esclusi Jim e Gra, che rimasero vicino al furgoncino.

“sai, Jim” cominciò l’amico “forse sto iniziando a capire come mai vai cercando una ragazza, e anche come mai ti sia innamorato così in fretta di lei”

“che intendi dire?”

“beh, lo sai, mi conosci: io ora rabbrividisco al solo pensiero di una relazione, una ragazza che mi dice cosa fare, chi essere, cosa non fare e chi non essere”

“non tutte sono così, guarda Aster”

“lei è aliena”

“guarda Monica, o Abigail”

“sono lesbiche, Jim” iniziarono a ridacchiare.

“allora guarda Alice!”

“lei è più aliena di Aster!” scoppiarono a ridere. “però quant’è vero: Aster è una delle umane migliori che abbia mai incontrato, e non è nemmeno umana!” questo umorismo li fece pensare.

“ne hai conosciute così poche, di umane … Secondo me Aster non è poi così diversa da moltissime ragazze della Terra”

“cosa te lo fa dire?”

“perché assomiglia a me. E di ragazze che mi somigliano ce ne sono, forse anche più dei ragazzi!”

“ciò non toglie che siete unici”

“e chi non lo è? Per questo ogni persona è una sorpresa! Non generalizzare, vedrai che prima o poi incontrerai una ragazza che ti farà succedere quel che a me è successo con Aster”

“da oggi potrei crederlo, amico mio” questa era forse la risposta che Jim aspettava di sentire da tanto tempo, e ora era come potersi sdraiare su un letto comodo dopo aver scalato una impervia montagna.

Nel frattempo, Aster parlava agli altri amici.

“non sono stata del tutto sincera con voi, a partire dal mio vero nome”

“non ti chiami Zoe?” esclamò qualcuno.

Lei scosse la testa “mi chiamo Aster”

Jim e Gra stavano facendo commenti spiritosi sulle facce che i loro compagni avevano assunto al momento della rivelazione, e soprattutto quando la ragazza aliena mostrò il suo orologio factotum in azione: fece comparire la barca con la quale lei, Jim e Gra raggiungevano il punto esatto in cui era precipitata la Ziggy Stardust. Furono distratti da un fulmine che doveva essere caduto vicino, perché non passò più di mezzo secondo che il tuono seguì l’accecante luce. Il vento correva verso il mare: stava caricando un altro temporale. Senza preavviso, l’acqua iniziò a grondare. Un colpo alla testa di Jim fu l’annuncio che il cielo stava per scatenare anche ondate di grandine. Aster e i ragazzi corsero verso il furgoncino, dopo che la ragazza ebbe scomposto la nave e rimessa nell’inventario, per trovare riparo dove poter proseguire il discorso della ragazza che cadde sulla Terra.

“portiamo il furgoncino sotto la pineta, così sarà al sicuro dalla grandine!” disse Jim, mentre superava il cofano per andare a sedersi al posto del passeggero.

“ma che bravo, così siamo proprio a portata fulmini: mai stare sotto un albero durante un temporale!”

Aster raccontò ai suoi nuovi amici la sua storia, i motivi per cui aveva abbandonato il suo pianeta, il suo viaggio, il suo trasferimento corporale, il naufragio per mano di un virus intelligente e l’astronave appartenuta un tempo al suo scomparso padre, Diastin.

“le ho dato il nome del personaggio più celebre creato dal mio cantante terrestre preferito: Ziggy Stardust”

“David Bowie!” l’emozione che quel nome poteva suscitare in Paolo era commovente.

“ha anche buoni gusti musicali, hai capito!” scherzò Alice.

“possiamo visitare la tua nave?” chiese Monica, curiosa, e speranzosa di una risposta affermativa.

“ma certo! Sarebbe un piacere e un onore!” la risposta riempì tutti di eccitazione e di impazienza “non appena il tempo permetterà di navigare”.

Prese poi a rispondere alle domande che piovevano più fragorose della pioggia stessa, che infuriava all’esterno insieme al vento feroce e alla grandine. Si trovò a dover spiegare la galassia in cui viveva. Era bizzarro parlare di qualcosa di tanto banale a qualcuno che invece lo trovava interessante e, soprattutto, nuovo.

“quindi…” Andrea era interessato alla politica “al Consiglio Galattico vengono eletti cinquecento membri, ma non uno per razza, vengono eletti senza badare alla specie, giusto?”

“esattamente, se fossero uno per etnia aliena, sarebbero decine di migliaia”

“sono così tante le civiltà progredite?” domandò Paolo.

“come sono? Come hanno fatto a non distruggersi tra loro, o a non conquistare altri pianeti più deboli, come questo?”

“avete trovato una fonte di energia che dia il massimo del lavoro senza calore residuo?” domandò Giovanni.

“una domanda alla volta, ragazzi!” scherzò, cercando di trovare la forza di ridere. Era molto stanca. Non aveva sonno, era solo stanca, e aveva voglia di lavarsi e di dormire. “le civiltà progredite sono molte, sì, ma si concentrano a un settore pari al dieci per cento della galassia, perché oltre quel dieci per cento non vi è stato ancora nessuno, solo sparuti avventurieri e mappatori stellari. Esistono delle leggi, dettate dal Consiglio, che ha potere legislativo, esecutivo ma non giudiziario; per quello ci pensano le varie regioni appartenenti ai governi autoctoni”

“non capisco, c’è un governo centrale ma ogni regione, ogni pianeta… fa come gli pare?”

“il settore conosciuto della galassia, detto Aletheia, è diviso in varie regioni, che riconoscono un governo che le unisce, a parte i Sistemi Periferici, troppo distanti perché il potere centrale possa influenzarli, e di solito sono luoghi pericolosi. Tornando ad Aletheia, dove il Consiglio Galattico ha potere. Gli Aspidi, ad esempio, hanno un regno, formato da diverse etnie, la cui capitale è un pianeta, ma non chiedetemi il nome, non l’ho mai ricordato. Gli N’Krì, invece” la sua mente per un istante andò ad Istor, e alla notte in cui lui le aveva sfiorato timidamente l’ombelico “sono una specie totalmente soggetta alle decisioni del Consiglio, e non hanno un governo proprio. Il Consiglio, infine, si propone di mettere delle limitazioni al potere dei singoli governi, per evitare soprusi e guerre. Ad esempio, se il regno degli Aspidi decidesse di attaccare la Terra, il Consiglio ordinerebbe all’intera flotta galattica – o almeno quella del settore Aletheia – di mobilitarsi contro gli Aspidi”

“ora capisco”

“ma ora parlaci di te: com’è il tuo mondo?” domandò Abigail emozionata “hai un ragazzo a casa? Oppure hai ceduto del tutto alla chitarra di Jim?”

Aster ridacchiò sommessamente. “non ho un ragazzo, anche se prima di partire in effetti…”

“in effetti cosa?” incitò Paolo, curioso.

“esatto, in effetti cosa?” intervenne Jim, che già immaginava di doversi scontrare con un enorme alieno con quattro braccia nerborute e poteri mentali in grado di schiacciarlo in un istante.

“prima di partire, la mia migliore amica, Hypatia, mi aveva presentato un ragazzo N’Krì di nome Istor”

“ah sì?” commentò Jim, un po’ ingelosito.

“non abbiamo fatto niente, ma io indossavo un vestito piuttosto spinto, il primo della mia vita, e… beh, ci stavamo per addormentare, dopo una festa, e lui ha scoperto il mio punto debole, ma giuro che non ci ho fatto sesso”

“e qual è il tuo punto debole?” chiese Monica.

Aster rise.

“l’ombelico” rispose Jim al posto suo, con un sorriso malizioso.

“Jim però è stato il primo con cui lo abbia mai fatto, anche se con questo corpo e non con il mio”

“quindi si può dire che ancora non lo abbiate fatto per davvero” osservò Paolo.

“aspetta, lo avete fatto?” interruppe Giovanni, sorpreso “quando?”

“sì, Giova, la sera che eravamo fatti” gli rispose divertita Abigail.

I ragazzi scoppiarono a ridere nel vedere lo sguardo impressionato di Giovanni “io dormivo” le risate aumentarono. Era strano quanto fosse naturale parlare di argomenti ‘umani’ come il sesso con una ragazza che veniva da un pianeta estraneo distante anni luce.

“sì, Gio, tu quando fumi ti addormenti subito, ma ne son successe di cose, quella sera!”

“rimarranno negli annali dei Chaos Within!”

“alla prossima serata così, però, devi portarci qualche tua amica aliena da farci conoscere!” scherzò Graziano, malizioso.

A quel punto, una domanda giunse spontanea, da parte di Monica.

“hai intenzione di ripartire presto?”

Aster si ricordò che doveva ancora rivelare come mai lei e Jim fossero così malmessi.

“sono venuta qui per conoscere voi, e state certi che se dovessi ripartire presto tornerei a trovarvi molto più spesso di quanto crediate! Ma non devo divagare, ho qualcosa di molto importante da dirvi”

La curiosità salì alle stelle: quando una ragazza aliena dice che ha qualcosa di importante da dire, gli umani ascoltano.

“sulla mia nave era tenuto rinchiuso un Venatore, ossia un predatore alieno molto pericoloso. Era nascosto in una cabina utilizzata, tra le altre cose, per il contrabbando”

“fammi indovinare: adesso è libero!”

“Giovanni, non devi indovinare la trama, lasciala parlare!” Edoardo sgridò l’amico.

“mi duole confessare che ha ragione: quando la Ziggy Stardust è precipitata si è liberato, ed ecco il motivo per cui io e Jim abbiamo un aspetto peggiore del solito”

“tipico” commentò Giovanni.

“Jim, se mai, tu non hai mai avuto un brutto aspetto, nemmeno ora che sei sporca e coi vestiti stracciati! Anzi, hai un aspetto molto sensuale, sai?” Alice non pareva affatto interessata al Venatore.

“fammi capire: tu e Jim avete affrontato quel mostro?” domandò Andrea con un mimino di senno.

“e Graziano, anche, ma lui non se l’è fatto saltare addosso!” rispose Jim.

“magari era in cerca di amore!” scherzò Monica.

“come ne siete usciti vivi?” Paolo pareva interessato e anche un po’ scosso.

“con gioco di squadra e coraggio” si vantò Graziano.

“e adesso con gioco di squadra e coraggio dovremo togliere il furgoncino dal pantano, ringraziamo il grande eroe” lo schernì Jim.

Mentre tutti ridacchiavano e presero a fare domande scherzose sul Venatore, Aster pensò alla loro reazione. Rimase sorpresa, e non capiva ancora se in negativo o in positivo. Si sarebbe aspettata terrore, ansia, crisi di panico, qualcuno l’avrebbe odiata per aver portato un mostro del genere sulla Terra, e si sarebbe anche aspettata che qualcuno avesse preso le valige e avesse fatto ritorno a casa, fuggendo. Invece scherzavano, e c’era addirittura chi proponeva di attendere la fine della tempesta lasciandosi cullare dal dolce suono della pioggia nelle braccia di Morfeo. Alla fine, decise che era positivamente sorpresa.

Mi chiedo se questi umani siano speciali oppure sia una loro caratteristica. È vero, stanno prendendo sottogamba il problema, ma è come se il Venatore sia, per loro, l’avventura che io cercavo nello spazio. Sapevo che le nostre menti erano affini! È rassicurante pensare che nella galassia ci siano cuori che battono all’unisono col mio. Probabilmente è questo che intendono quando dicono “non siamo soli, nell’universo”. 

Non ci volle molto che i ragazzi seguirono l’esempio di Giovanni e presero a dormire beatamente, più contenti per Aster che spaventati da lei. Anche lei provò a dormire, con quel dolce sentimento nel cuore, sapendo di essere al sicuro, tra amici. Quasi si commosse, riflettendo su quanta strada aveva fatto per trovarli, ma ora era insieme a loro, e poteva voler bene ad ognuno di loro e loro avrebbero ricambiato. Sentiva nostalgia di casa, di sua madre e di Hypatia, ma, addolcendosi, pensò a quando avrebbe presentato alla madre il suo fidanzato alieno, o quando l’amica si sarebbe fidanzata con uno di loro. Rise.

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Alla fine Aster si rivela ai suoi amici umani, e scopre che non sono così diversi da lei, che è aliena. Jim e Gra si sono riappacificati, e anche il rapporto con Aster non potrebbe andare meglio. Ma c'è ancora un Venatore in circolazione! Il gruppo di amici è più compatto che mai, ora che la tempesta è forte. Si avvicina a grandi falcate il finale di questo racconto (che ci abbiamo messo anni a finir di pubblicare!), quindi restate con noi, non abbandonateci e ne varrà la pena! ;-)

 

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Capitolo 29
*** Echi dal Passato ***


Aster non lo aveva mostrato a Jim né a nessun altro: prima doveva capire lei stessa cosa pensare. Si stava rigirando fra le dita della mano destra il coltello che trovò conficcato tra le costole del Venatore. Era affilato, e niente, a parte il calore di una stella, ne avrebbe smussato il filo: era forgiato con materiale proveniente da una cometa, irrobustito da infiniti viaggi passando dal costeggiare soli roventi alle gelide temperature spaziali. Era esattamente identico a quello che le aveva donato il capitano dei pirati che aveva incontrato alla tavola fredda Spazio Siderale.

Ecco perché era stato così gentile con me: conosceva mio padre. Deve essere così. Quando avrò eliminato il Venatore partirò di nuovo, alla ricerca del capitano di quel gruppo di pirati, con la promessa, però, di tornare ancora sulla Terra, e scoprire cosa mio padre cercava qui. Magari sarà lui stesso a dirmelo. Mio padre potrebbe essere vivo! Oppure no, e io sto solo fantasticando… Ma alla fine fantasticare mi ha portato qui.

Forse era sopravvissuto allo scontro con il Venatore, e tutto ciò che gli aveva lasciato era quel coltello fra le costole: alla fine, se quella creatura era stata imprigionata, e con ancora l’arma bianca in corpo, chi poteva essere stato? Nel cuore di Aster iniziavano ad agitarsi le speranze più luminose, e già gli occhi della sua fantasia la vedevano nel trovare suo padre, riempirlo di domande, poi abbracciarlo e volare di nuovo verso la Terra, dove gli avrebbe presentato Jim e gli altri amici umani che si era fatta durante il suo breve soggiorno sul pianeta.

In quel momento arrivò Jim, che la colse di sorpresa, posandogli le mani sulle spalle e iniziando a massaggiarle.

“non riesci a dormire?” chiese.

Aster scosse la testa, mentre rimuginava, cercando di capire se parlare a Jim della sua scoperta oppure no.

“qualcosa non va?” fu la seconda domanda del ragazzo.

La Cydonense sospirò. “pensavo a mio padre… Per il momento ancora non so cosa pensare, ma…” gli mostrò il coltello “tu non puoi saperlo, ma questo è un evidente indizio che potrebbe portarmi a scoprire cosa è successo a mio padre”

“pensi che sia ancora vivo?”

“non so cosa pensare, te l’ho detto. Ma so che se c’è anche una minima speranza di trovarlo, voglio coglierla”

Jim si prese del tempo per riflettere, durante il quale prese posto di fianco a lei.
 
“Aster, se è vivo e non ti ha mai contattata, forse non vuole essere trovato”

“forse non può, magari ha qualcuno alle costole e non vuole portarlo fino a me e mia madre”

Jim dovette constatare che quell’ipotesi era sensata.

“quindi partirai?” domandò il ragazzo, con una non velata nostalgia nella voce.

“no, non prima di aver catturato o ucciso il Venatore, e comunque tornerei”

“torneresti? Per concludere le tue ricerche qui?”

Aster guardò Jim con occhi umidi e sognanti, dolci, grandi, profondi, e colmi di desiderio.

“per te”.

Nessun’altra parola: Jim portò una mano tremante fino alla maglietta di Aster, poi ve la fece scivolare sotto, raggiungendo la pelle. Cercò il punto debole della ragazza, e quando lo trovò, prese a stuzzicarlo con le dita. Lei inarcò la schiena, e si alzò la maglietta, scoprendo il ventre fino alle costole. Il suo istinto le diceva di strapparsi di dosso quel fastidioso tessuto, e spogliarsi per il ragazzo che la desiderava. Ma non poteva, non davanti a tutti quegli occhi. Quella situazione le ricordò per un istante Istor: notte, tutti dormono eccetto lei e un giovane che gioca a farla impazzire. Chissà come stava, ora, cosa faceva, se pensava a lei… Ma tutti quei pensieri appartenevano al suo passato da ragazzina Cydonense. Ora era una cosmonauta. Prese il dito di Jim e lo premette contro l’ombelico finché non parve volersi trafiggere. Mentre con la mano sinistra il ragazzo stava al gioco della fanciulla, con la destra accarezzò ogni millimetro di pelle nuda, fin dove la maglietta lasciava scoperto. Ma andò anche oltre: infilò la mano sotto la coppa del reggipetto, sentendo il seno di lei riempirgli la mano. Palpò il morbido frutto, capendo che non poteva più resistere: a quel punto non gli sarebbe importato degli altri, l’avrebbe posseduta lì, in quel momento. Ma un rumore improvviso lo portò d’istinto a scostarsi da lei, che si ricoprì veloce la pancia. Non si trattava di un Venatore, era solo Edoardo che tirava su col naso mentre russava. Ma ormai, i due ragazzi se lo dissero con uno sguardo, il momento magico era stato spezzato. Notando l’espressione di Jim, che ad Aster ricordava un cucciolo sgridato, lei gli stampò un piccolo bacio sulle labbra, elegante, affettuoso, colmo di tenerezza, che fu subito seguito da un secondo; nessuno dei due avrebbe potuto dire chi per primo si avventò sull’altro in quel secondo bacio, ma fu un impeto di passione travolgente, che li riempì di euforia, rilassando i nervi ed eccitando gli animi, e concedendo alle membra la soddisfazione che cercavano per potersi assopire definitivamente, in attesa della ormai vicina aurora. 

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Rieccoci! Non siamo svaniti in un wormhole! XD Un breve capitolo, ma che apre le porte a decine di quesiti, decine di nuove strade, ma che dico, centinaia, che Aster possa percorrere! Spetta solo a lei decidere su quale via incamminarsi, come farlo e con chi. Ma prima, c'è ancora un Venatore che deve essere reso inoffensivo! Al prossimo capitolo, cosmonauti! ;-) 

 

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