Ossessioni di una mente geniale

di Yennefer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tetto del Bart's Hospital ***
Capitolo 2: *** Il cellulare di John ***
Capitolo 3: *** Il giardino della villa ***
Capitolo 4: *** Il bagliore rosso in mezzo al fogliame ***
Capitolo 5: *** Una nottata di allucinazioni ***
Capitolo 6: *** L'incisione sul letto ***



Capitolo 1
*** Il tetto del Bart's Hospital ***


"Potresti darmi un minuto? Per me stesso. Ti prego." Sherlock Holmes, consulente investigativo, era in piedi sul muretto del tetto del Bart's Hospital. Davanti a sè un volo a destinazione unica, dietro di sè un uomo dalla mente criminale più brillante di tutta Londra; pericoloso e psicopatico, egli aveva rovinato la sua reputazione rendendolo colpevole del rapimento di due bambini e lo aveva messo nella condizione di scegliere tra la sua vita e quella dei suoi unici amici, minacciati da ben camuffati assassini. Nessuno sapeva bene come si erano ficcati in quella situazione, tutto ciò che sapevano era di avere a che fare con un disturbato mentale e un sociopatico.
Jim Moriarty alzò le spalle acconsentendo alle sue richieste e si diresse a passo lento verso le scale, sicuro di averlo battuto una volta per tutte e di essersi liberato di parte delle sue ossessioni. Sherlock guardò giù, osservando le persone che trascorrevano la loro giornata ordinaria: tutte quelle menti inferiori, inconsapevoli di ciò che stava accadendo sopra il loro naso. E d'un tratto cominciò a ridere.

Jim si fermò confuso e si voltò di scatto "Cosa?" chiese con rabbia e insicurezza.
"Cosa c'è?"
"Cosa non ho considerato?!" Un velo di paura riusciva a leggersi nei suoi occhi. Sherlock continuò a ridere ignorandolo, poi si girò e scese dal muretto con un balzo, camminando verso di lui e ripensando ai suoi amici, ignari di star rischiando la vita in quell'esatto momento. "Non hai intenzione di fermarli." Jim lo guardava con aria confusa "Certo! Gli assassini possono essere fermati, c'è un codice di richiamo o una parola o un numero." Fece una pausa per girargli attorno "Non c'è bisogno che io muoia...se ho te!" Sorrise beffardamente, Jim capì le sue intenzioni e rispondendo al sorriso si fece tranquillo "Oh, quindi pensi di riuscire a farmi annullare l'ordine?" Sherlock annuì e Jim scosse la testa in segno di disapprovazione.
"Sherlock, nemmeno tuo fratello o tutti i cavalli del re riuscirebbero  a farmi fare qualcosa che non voglio."
"Si, ma io non sono mio fratello ricordi? Io sono te. Pronto a fare qualunque cosa, pronto a bruciare. Pronto a fare ciò che le persone comuni non farebbero. Vuoi che ti stringa la mano all'inferno? Allora non rimarrai deluso."
Jim aggrottò le sopracciglia fissandolo negli occhi "Nah, non ti credo." disse "Sei una persona comune. Nah, fai solo lo spaccone. Tu stai dalla parte degli angeli."
Sherlock sostenne il suo sguardo "Oh, sarò pure dalla parte degli angeli... ma non pensare neanche per un secondo che io sia uno di loro." senza dargli il tempo di rispondere si sistemò la sciarpa blu sotto al colletto e continuò il discorso "E ti dirò di più. Tu vuoi vedermi morire perchè sei ossessionato da me, ossessionato che ci sia una mente brillante come la tua in giro e per questo vuoi eliminarmi. Ma come mi dicesti tu stesso un tempo: Tu hai bisogno di me o non sei niente." Jim lo guardò, nuovamente con aria confusa, passando lo sguardo da un occhio all'altro. Un senso di imbarazzo lo assalì, come se una delle cose più banali gli fosse sfuggita da sotto al naso per tutto quel tempo. Sherlock aveva ragione: aveva bisogno di lui.
Un tremito di paura lo attraversò, era stato colto impreparato e non sapeva cosa rispondere.

"I-io..." Jim fece un passo indietro poi si voltò, dandogli le spalle. Dopo qualche secondo estrasse il cellulare dalla tasca e mandò un messaggio a qualcuno, fissando il pavimento una volta che lo ebbe inviato "Hai ragione, Sherlock. Ho bisogno di te." disse "Ma non pensare che sia finita qui, sai benissimo che anche tu non puoi fare a meno di me." si voltò nuovamente per ritornare faccia a faccia con lui "E poi ammettilo che questa sfida tra noi ti stava piacendo, è questo quello che cercavi! Aiuti la polizia a risolvere i casi solo per sentirti soddisfatto e intelligente, io ti stavo solo dando una mano a trovare un caso che non ti annoiasse, oltre che ovviamente cercare di eliminarti, credevo ci fosse posto per un solo cervellone in questa città. Ma per tua fortuna non ho più intenzione di ucciderti, nè di bruciarti. Perchè infondo siamo uguali io e te, la gente ci è inferiore ed è noiosa e noi abbiamo bisogno di uno sfogo." Jim Moriarty gli porse la mano, Sherlock era evidentemente sorpreso dalle sue parole e stava analizzando la situazione con attenzione, lasciando che la mano del suo acerrimo nemico rimanesse al vento "Oh, andiamo! Solo una stretta di mano! Da buoni rivali..." Sherlock lo squadrò e infine gli strinse la mano. Jim gli diede uno strattone tirandolo a sè e con uno scatto premette le labbra sulle sue per qualche secondo. Poi tornò a guardarlo negli occhi con aria seria e folle, sussurrando "Torna pure alla tua vita di investigatore e ci rivedremo presto...Sherlock Holmes."egli cominciò a ridere dirigendosi verso le scale, poi richiuse la porta alle sue spalle facendo un gran rumore. Sherlock prese a respirare velocemente, riflettendo su quell'ultimo discorso. Cominciava a dubitare su quello che gli aveva detto, se Jim aveva ammesso di essere ossessionato da lui, doveva ammetterlo anche lui? Per un attimo fu preso dal panico e restò in piedi dov'era, vedendosi crollare addosso le sue convinzioni. Forse era solo una verità scomoda da digerire, per questo rifiutava di credere alle parole di Moriarty. Prese quel dubbio che aveva iniziato a crescere dentro di sè dal momento che lo aveva lasciato da solo sul tetto, lo prese e lo nascose nel suo profondo. Sherlock Holmes non ha sentimenti, essi sono solo una limitazione per sè e per il suo lavoro. Il sole cominciava a essere già abbastanza alto nel cielo e il vento aveva cominciato a tirare, facendogli svolazzare il cappotto. Ne aveva abbastanza di quel tetto e aveva bisogno di pensare.



Una settimana più tardi i giornali riportavano ancora le notizie riguardanti l'abbaglio che la polizia aveva preso sulla sua colpevolezza nel rapimento dei bambini: "qualcuno" aveva rilasciato informazioni.
Sherlock Holmes innocente. Cosa combina la polizia?

Sherlock abbassò il giornale portandosi una mano alla fronte, era seduto con le gambe accavallate sulla sua poltrona preferita. John Watson salì le scale del loro appartamento con un altro giornale in mano e si diresse verso di lui porgendoglielo  "Leggi la prima pagina" 
"Lo so già." Rispose lui freddamente.
"Richard Brook inventato da Jim Moriarty "l'Intoccabile" per screditare l'eroe del Reichenbach." Citò John con aria interrogativa "Sherlock sono giorni che te ne stai seduto su quella poltrona a riflettere. Si può sapere che gli hai detto per fargli cambiare idea così?" Chiese invano "Me ne sono andato credendo che Mrs. Hudson stesse per morire e quando sono tornato mi hai semplicemente detto che avevi sistemato le cose. Come hai fatto?" Sherlock rimase seduto con le gambe accavallate, ignorando le domande quanto John ignorava che egli avesse rischiato la vita su quel tetto. John sbuffò annoiato e si diresse in cucina, aprì il frigorifero per nervosismo ma non vi trovò nulla quindi lo richiuse immediatamente.

Mrs. Hudson comparve dal nulla alle sue spalle, facendolo sussultare "Qualcosa la affligge, caro?" chiese con il suo solito tono di voce gentile e disponibile. "Oh, no. Grazie per averlo chiesto, sono solo un po'... preoccupato."
Mrs. Hudson abbassò la voce per non farsi sentire "E' per Sherlock, vero? E' sempre per lui." John si passò una mano tra i capelli abbassando anch'esso la voce "Da giorni se ne sta seduto su quella poltrona, il massimo che fa è suonare il violino. Non cerca casi, non parla. E' successo qualcosa di grave,lo sento. A parte per i giornali è tutto troppo tranquillo là fuori." Sherlock aveva cominciato a suonare, ignorandoli completamente. Poteva essere che Jim stesse ossessionando anche lui? E perchè mai? Fece una smorfia per aver sbagliato una nota, riprendendo subito la melodia "Lo guardi, ha in mente qualcosa e non vuole parlarmene." ripetè indicandolo. Mrs. Hudon lo guardò con un'espressione materna e comprensiva "E' fatto così quando ha bisogno di riflettere, ormai dovrebbe saperlo. Ma spesso fa arrabbiare anche me con quei suoi modi rudi." disse annuendo "Vedrà che quando avrà pensato abbastanza le racconterà tutto! Nelle coppie a volte è così!" gli fece un sorriso di incoraggiamento con qualche pacca sulla spalla e tornò nelle sue faccende. John aggrottò le sopracciglia "Mrs. Hudson, per l'ultima volta...  non siamo una coppia..." sospirando si girò, restando in cucina a fissare Sherlock con preoccupazione mentre questi suonava. Sapeva bene che egli non era un tipo facile da affliggere. E sapeva bene che di lì a poco sarebbe successo qualcosa, doveva solo capire in che genere di situazione si sarebbe cacciato.



 

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Capitolo 2
*** Il cellulare di John ***


Mrs. Hudson non ignorava quanto i due amici odiassero che mettesse a posto il loro appartamento, tuttavia ogni volta che saliva le scale, anche se non lo dava a vedere, la polvere e il disordine la facevano infuriare e le saliva una voglia irrefrenabile di mettere tutto a posto. Quel giorno la stanza era più disordinata del solito, vari libri erano sparsi sul tavolo senza un ordine preciso e la polvere sul davanzale del caminetto, sul pavimento e persino sul teschio conservato aveva raggiunto livelli epici.
La anziana donna aprì la porta che dava alla sala. Considerato che Sherlock, da qualche giorno, non si alzava prima di mezzogiorno si era finalmente decisa a dare una spolverata veloce a quei luridi mobili. "Questi ragazzi d'oggi...sempre a vivere in mezzo al disordine!" pensò ad alta voce.
Erano le dieci e mezza del mattino, Sherlock Holmes stava ancora dormendo e John Watson era già uscito da diverso tempo per andare a lavoro. Da un paio di giorni dimenticava di mettere in carica il suo cellulare e quel mattino era uscito di fretta, lasciandolo incuratamente sul tavolo della sala per paura di arrivare tardi. Da quando c'era stato quell'incontro sul tetto John era diventato nervoso e turbato dal comportamento del suo amico. Lo evitava, non rispondeva alle sue domande e, cosa che lo faceva preoccupare più di tutte, passava il tempo con affianco il cellulare, pur sapendo che aveva ordinato a chiunque nei giorni precedenti di non cercarlo. E così come gli pareva che Sherlock si stesse lasciando andare anche John, di riflesso, era diventato sbadato e noncurante.
Intanto nella stanza di Sherlock, un sonoro *BIP* notificava finalmente l'arrivo di un messaggio.
Egli aprì gli occhi e si svegliò di soprassalto, come se avesse aspettato quel momento da tutta una vita. Avendo oridinato a chiunque di non cercarlo mai, e vista la scarisità di contatti che teneva in rubrica, sapeva benissimo chi fosse stato a mandarglielo ancora prima di controllare se ci fosse un mittente. Si sfregò gli occhi e si mise a sedere, raccogliendo il cellulare dal comodino.

Ti sono mancato? Buona fortuna, ci vediamo presto. JM

Sherlock si passò una mano tra i capelli sbuffando, nessun apparente indizio su ciò che lo aspettava, ma se Moriarty si era mosso era certo che Lestrade, detective che spesso richiedeva la sua collaborazione nei casi difficili, lo avrebbe in qualche modo avvisato di qualche crimine o assassinio. Inoltre il modus operandi di Jim Moriarty gli era già ben noto ed era pronto a scommettere che aveva di nuovo qualche ostaggio con sè. Quindi si vestì di fretta, sapendo già chi avrebbe sentito per primo.
 Mrs. Hudson spolverava la mensola del camino canticchiando, non si era ancora accorta che Sherlock si stava dirigendo in cucina con aria seria. Così mentre passava lo straccio notò un cellulare abbandonato a se stesso nel bel mezzo della confusione e lo raccolse per esaminarlo.
"Mrs. Hudson!" la chiamò con il tono più grave che potesse avere "Per favore, la smetta di venire di nascosto a pulire l'appartamento o quanto meno non neghi di essere una cameriera oltre che una padrona di casa." la anziana donna sussultò, girandosi verso di lui "Oh, Sherlock! Già sveglio..." disse con la stessa faccia di un bambino colto con le mani nella marmellata "Abbiate almeno un po' più di cura per voi stessi lei e il suo amico, vivere in mezzo alla polvere fa male!"
Sherlock era nervoso, finse di ignorare completamente il discorso della padrona di casa per esaminarla dalla testa ai piedi.
"E' il cellulare di John quello che ha in mano?" recò lo sguardo verso l'oggetto "L'ho trovato adesso, dimenticato in mezzo al disordine generale, pensavo di poterglielo almeno lasciare nella sua camera."
"Non entri nelle nostre camere, lo dia a me e la PREGO, la smetta di pulire di nascosto." ella fece un'espressione rassegnata e tornò di sotto farfugliando frasi di disapprovazione. Sherlock attaccò il cellulare alla corrente aspettando che si accendesse, ormai in segreto ne aveva memorizzato il PIN, nel caso ci fossero state delle emergenze. Forse Lestrade, non potendo scrivere a lui, avrebbe cercato di avvisare John.
Non fece in tempo a digitare il PIN che fu invaso letteralmente dai messaggi, il primo era così inutile che per un attimo fu tentato di cancellarlo.

Hey John, mi chiedevo se per sabato sera avessi impegni... io comunque sono libera! DANY ricevuto ieri alle 6:34 P.M.

Sherlock fece un cenno di disappunto con la testa, decidendo di non perdere tempo con tutti gli altri messaggi e cercare direttamente, se ce ne fossero stati, quelli di Lestrade.

John, abbiamo bisogno di voi. Si sono verificati diversi rapimenti nelle ultime ore, chiama se puoi. Lestrade. ricevuto ieri alle 7:58 P.M.

Bingo. Se fosse stato l'unico avviso Sherlock l'avrebbe chiamato immediatamente, ma notò che un secondo messaggio era stato mandato poche ore prima, quella mattina.

So che potresti essere arrabbiato anche tu per l'accusa di Sherlock e tutto il resto, ma ci sono in gioco delle vite umane! Raggiungeteci a D'Arblay Street  al Burton Cafè entro l'1. Lestrade ricevuto oggi alle 9:49 A.M.

A primo impatto quel messaggio gli parve strano. Sapeva che se egli avesse davvero avuto bisogno del suo aiuto sarebbe direttamente venuto da lui o comunque non avrebbe esitato a chiamarlo lo stesso. Ripensò a D'Arblay Street, ricordandosi di esserci passato con John tempo addietro, nel corso del loro primo caso assieme.
Comprese con evidenza che quest'ultimo messaggio non era stato mandato dal vero Lestrade e la cosa gli puzzava fortemente di trappola. Controllò l'orologio, constatando che aveva ancora tempo per raggiungere il luogo entro l'ora prestabilita, chissà cosa sarebbe successo se non si fosse presentato.
Non aveva dubbi su cosa fare. Raccolse il cappotto dall'attaccapanni e scese le scale "Mrs. Hudson! Potrei non tornare per un po'!" gridò senza aspettare una risposta. Dopodichè si sistemò la sciarpa e uscì di casa per fare un salto a quel Burton Cafè.
Mezz'ora dopo si trovava nel luogo. Per le strade era tutto troppo tranquillo e normale, quella trappola era così evidente che non aveva neanche la voglia di evitarla e anzi era sempre più incuriosito dalla situazione. Si fermò davanti al Cafè per controllarlo in ogni suo dettaglio, ma non c'era molto da notare poichè questo era vuoto, il cellulare vibrò.

Vieni dentro, ti aspetto. JM

Sherlock ebbe un tuffo al cuore che non comprese, alzò la testa verso la vetrina e si diresse verso l'entrata. Nonostante il cartello con la scritta "chiuso" la porta si aprì senza problemi richiudendosi di scatto. Le sedie erano sui tavoli e la luce era spenta, a passo lento raggiunse il bancone e incrociò le braccia.
"Gradirei un cappuccino, grazie!" disse con sarcasmo.
Si udì il rumore di passi e Jim comparì dal retro "Non ha letto il cartello? Siamo chiusi." rispose con un sorriso di sfida.
Jim non si era vestito bene come al solito, portava una maglietta attillata e dei normalissimi jeans scuri. "Scusa la tenuta casual ma stavolta non sono qui per motivi di lavoro."
"Dunque era un lavoro per te uccidermi?"
"In parte." rispose facendo spallucce "Insomma ti sei scomodato a fregare il cellulare a Lestrade solo per incontrarmi." osservò Sherlock appoggiandosi con la schiena al bancone
"Oh, c'è molto di più." Jim incrociò le mani dietro la schiena avvicinandosi lentamente e assunse un tono infantile "Vedi non volevo solo incontrarti, sono qui per rapirti." fece una faccia falsamente dispiaciuta "Quindi confido che tu abbia già capito perchè non hai alcuna scelta se non quella di seguirmi."
Sherlock lo guardò incurante mentre passeggiava per il locale "Hai rapito anche Lestrade, eh?" Jim rise "Il buon vecchio Greg, è stato troppo facile tirarlo in trappola, un po' come per te."
"Ma certo era così ovvio."
"Ma certo!" Calò il silenzio per qualche secondo "Quindi dove vorresti portarmi?" chiese infine Sherlock, spazientito. Jim rise nuovamente "Ad uno speciale... appuntamento." Sherlock aggrottò le sopracciglia e Jim continuò a sorridere passeggiando per il locale. Se non altro aveva fatto bene ad avvisare la padrona di casa che non sarebbe tornato per un po'.

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Capitolo 3
*** Il giardino della villa ***


Erano le cinque del pomeriggio e John aveva appena finito il suo turno del noioso lavoro occasionale che si era trovato. "Sono a casa!" esclamò entrando nell'appartamento. "Che giornataccia...". Convinto di poter trovare come al solito Sherlock intento a leggere un buon libro o a suonare si era già preparato psicologicamente alla freddezza con cui lo trattava ultimamente. Salì le scale e salutò il vuoto senza guardare, tirandosi dietro la porta; ma c'era troppo silenzio in casa e di solito una risposta almeno al saluto la riceveva sempre.
"Sherlock?" si girò cercandolo inutilmente con lo sguardo. John si grattò il capo bloccato davanti all'uscio, forse era uscito per farsi un giro, non poteva starsene sempre chiuso in casa. Fece un giro notando che l'appartamento era esattamente come l'aveva lasciato quella stessa mattina, tranne per il suo cellulare che era stato attaccato alla corrente.
Sospettoso scese al piano di sotto, chiamando a gran voce la padrona di casa per chiederle informazioni.
"Cosa c'è, John? Ti va del tè?" domandò la anziana donna facendo capolino dalla cucina, aveva appena messo le bustine dentro la teiera.
"Ha visto Sherlock? Di solito mi aspetta sempre a quest'ora." Chiese mentre con una mano rifiutava gentilmente l'invito "E' uscito stamattina di fretta, urlando che sarebbe tornato tardi o qualcosa del genere." John annuì e tornò nel suo appartamento. Lanciò la giacca sul divano e vi si sedette qualche minuto per pensare. Perchè aveva messo il suo cellulare in carica?
Si alzò e lo staccò dalla corrente, constatando che oramai era completamente carico ed acceso, non appena vide i messaggi capì immediatamente che Sherlock era andato a leggerglieli. "Certo, avrebbe anche potuto avvisarmi, lasciarmi un biglietto..." esclamò non appena lesse i due messaggi di Lestrade. Ormai era tardi per raggiungerli sul luogo, così compose il numero e decise di chiamarlo.
La linea era libera e il cellulare squillava e squillava... ma nessuno venne a rispondere, neanche al cellulare di Sherlock. John si buttò sul divano chiedendosi cosa stesse succedendo.



"Cosa credi che succederà?" chiese Sherlock seduto su un divano.
"Non credi che qualcuno si chiederà che fine ho fatto prima o poi?" il suo cellulare gli era stato sequestrato e aveva appena finito di squillare nelle tasche di Jim. Dopo l'incontro al Cafè era stato bendato lungo il tragitto in macchina, e lui l'aveva portato in una delle sue tante case sparse per Londra. In particolare si trovavano nel salotto in una villa con un giardino enorme, Sherlock ci aveva già dato un'occhiata e a giudicare dai rumori che aveva percepito in macchina poteva dire con tranquillità che si trovavano a sud, appena fuori Londra.
"Dov'è Lestrade? Per quanto hai intenzione di tenerlo coinvolto?" Per tutto il tempo Sherlock non aveva fatto altro che riempirlo di domande. Jim si appoggiò ad una parete incrociando le braccia, era dannatamente serio.
"Quanto sei noioso, perchè non ti godi il soggiorno?" Sherlock si appoggiò coi gomiti sulle sue ginocchia, assumendo un'espressione di finto stupore "Vorresti farmi credere che mi hai portato qui solo per godermi il soggiorno?" Jim andò a sedersi accanto a lui, assumendo la sua stessa postura. Non era in vena di battute, a dire il vero era molto nervoso e non voleva rispondere. Sherlock invece era perfettamente a suo agio, guardava davanti a sè e aspettava semplicemente la prossima mossa.
Per qualche minuto la sala fu attraversata da un silenzio imbarazzante, a cui Sherlock non diede alcun peso, dopodichè Jim si voltò e aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non ne uscì nessuna parola. Frustrato si alzò e fece per lasciare la stanza "Fa come fossi a casa tua." disse prima di andarsene.

La prima cosa che Sherlock notò nei giorni successivi fu la totale assenza di telefoni o connessioni a internet che probabilmente erano stati tolti prima che venisse portato lì, dopodichè notò la maniacale cura dell'ordine che veniva sempre tenuta nelle stanze, totalmente il contrario della sala disordinata e polverosa del suo appartamento.
Ma la cosa che cominciava a inquietarlo erano i silenzi di Jim. Ogni volta che si aspettava dicesse o succedesse qualcosa egli cambiava stanza, lasciandolo da solo. Per quanto fosse intelligente quando voleva era davvero instabile e irrazionale. E anche se Sherlock ancora non voleva ammetterlo più passava il tempo in quella villa e più i dubbi sul loro legame si rafforzavano e prendevano forma in qualcosa che non poteva accettare.

Alla mattina del quinto giorno Jim si trovava sdraiato sul suo letto guardando il soffitto, per tutto quel tempo aveva cercato un modo di passare del tempo con Sherlock e fargli capire cosa stava provando. Ci aveva provato e non ci era ancora riuscito, qualcosa lo bloccava e la cosa lo frustrava alquanto. Non si era mai trovato in quella situazione, era come se stesse dipendendo totalmente da una persona ed era una cosa che non riusciva a concepire.
Nella sua vita era sempre stato libero da legami di quel tipo ed era abituato anzi al contrario, ovvero che la gente dipendesse da lui. Si alzò e andò a guardarsi davanti allo specchio, situato sopra una scrivania. Un impeto d'ira lo colse, prese l'oggetto e lo scaraventò a terra distruggendolo per poi ritornare come se nulla fosse un secondo dopo, decise che non poteva andare avanti così poichè si stava rendendo ridicolo e vulnerabile, forse sarebbe tornato al suo piano originale e prima o poi l'avrebbe direttamente ammazzato, togliendo il problema alla radice.

Quel pomeriggio si recò in giardino, dove Sherlock era intento a leggere sotto un grande albero.
Jim si posizionò davanti a lui lanciandogli il cellulare "Vattene." disse semplicemente "Scusami?" Sherlock chiuse il libro con un gesto, alzando la testa "Sei libero, per il momento."
Sherlock lo guardò per un attimo dal basso all'alto "E che mi dici di Lestrade?"
"Era un bluff, gli ho solo fregato il cellulare." disse Jim come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. Sherlock si alzò scuotendo la testa "Non me ne vado." Jim sorpreso si apprestò a chiedere perchè "Mi hai tenuto qui per cinque giorni e in ognuno di essi hai provato in tutti i modi a dirmi qualcosa, credi che non me ne fossi accorto?" chiese. Jim fece una smorfia e lo squadrò dalla testa ai piedi, dopodichè si avvicinò bagnandosi le labbra con la punta della lingua. Sherlock lo osservava aspettandosi una risposta, ma Jim non disse nuovamente nulla, non rispondeva. Si limitava a fissarlo negli occhi con una smorfia di incertezza in volto. Uno psicopatico e un sociopatico nello stesso luogo, entrambi clinicamente quasi incapaci a provare amore o quanto meno a comprenderlo. Eppure si trovavano lì, l'uno davanti all'altro, consapevoli dell'attrazione reciproca senza però capirla veramente a fondo.
Così Sherlock, una volta che capì che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, fece un passo avanti e gli mise una mano sulla spalla, avvicinandosi al suo orecchio con disappunto "Sei un codardo, Jim." sussurrò. Dopodichè lo guardò negli occhi e in un attimo, senza sapere cosa stava per fare,  intrecciò le sue dita tra i capelli di Jim e avvicinò le sue labbra. Lo baciò con una sorta di disgusto e ammirazione.
Egli si lasciò trasportare ricambiando con passione, al contrario di quella volta che l'aveva baciato sul tetto per sbeffeggiarlo. Una volta che si staccò Sherlock si appoggiò alla sua fronte "Cosa sto facendo?" si chiese fissando il vuoto, Jim gli sollevò il volto impulsivamente "Stai ammettendo la verità."
"Che verità?" Chiese egli prontamente.
"Il nostro legame".
"Mi pare che neanche tu volessi ammetterlo fino ad un secondo fa." Sherlock non voleva e non poteva accettare di avere un qualche sorta di legame con un malato mentale. Uno che rapiva le persone e minacciava di farle esplodere per noia, era contro sè stesso. E se non era amore ma pura e semplice attrazione, come poteva fare per evitarla?
 Nonostante tutti i suoi dubbi quella situazione lo eccitava ed erano giorni che non avrebbe voluto altro che trovarsi proprio lì davanti a lui. Inoltre Jim, non comprendendo l'amore, fino al rapimento era rimasto convinto di poter sfruttare in qualche modo quella situazione a suo favore e di averlo in pugno. Il tutto si era ribaltato nel momento in cui aveva provato a dichiarare i suoi sentimenti e ora era Sherlock a tenere le redini. Senza che se ne rendessero conto si lasciarono andare per la seconda volta, si baciarono come due adolescenti che scoprono per la prima volta di piacersi. Jim lo attirava a sè con le mani sotto la giacca, Sherlock gli tormentava i capelli. Si attiravano quasi volessero diventare un tutt'uno e niente avrebbe potuto fermarli.

Un minuto dopo si ritrovarono sdraiati sul prato, Jim gli slacciò il cappotto. "Questa cosa è diventata più grande di noi, devi accettarla." Sherlock rotolò in modo di trovarsi sopra di lui. "Non posso." Disse semplicemente, così Jim rotolò nella direzione opposta "Ma non puoi negarla." In tutta risposta Sherlock gli sfilò la camicia dai pantaloni accarezzandogli i fianchi, gli stava fancendo perdere il controllo più di quanto egli pensasse e questo lo metteva leggermente a disagio. Jim passò a baciargli il collo compulsivamente mentre la sua giacca veniva abbandonata sul prato. Rotolarono avvinghiati infrangendo i muri che fino ad allora ognuno di loro si era dato in quel campo. Senza più le giacche le loro camicie si sporcavano di terriccio e prato, ancora bagnato dall'ultima piovuta e i brividi di freddo non facevano che incrementare quell'eccitazione.
 Sherlock sapeva che non avrebbe dovuto lasciarsi andare ma la cosa era davvero diventata più grande di loro.
Rimasero su quel prato, cercando di far durare quel momento il più a lungo possibile, poichè in cuor loro sapevano che le cose sarebbero presto cambiate.

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Capitolo 4
*** Il bagliore rosso in mezzo al fogliame ***


Bastò uno sguardo all'aria. Una semplice occhiata sul muro sopra alla portafinestra che dava sul giardino, quasi casuale. Sherlock aveva ancora la mente distratta, impegnata a concentrarsi sulla pelle liscia di Jim, praticamente svestito e sopra il suo corpo avvinghiato , incapace a ritornare in lucidità. Ma gli bastò uno sguardo per bloccarsi di sasso. 

Guardò prima il muro, poi Jim, poi di nuovo il muro e con una spinta lo allontanò da sè velocemente. Si alzò in piedi con un balzo, avvicinandosi alla portafinestra e allungando un braccio sopra di essa, come per afferrare qualcosa e ritirarla a sè. Si fece improvvisamente serio.
"Una telecamera." affermò semplicemente Sherlock scrutandovi all'interno. Era stata ben nascosta in mezzo al fogliame ma non abbastanza perchè coprisse quella flebile lucina rossa che ogni 30 secondi circa lampeggiava nel vuoto.
Guardò di nuovo Jim di istinto, quasi per ottenere una conferma, ma aveva capito. Un' espressione di orrore e delusione totale gli attraversò il volto; era così ovvio... così palese. La cosa più banale che avesse mai potuto immaginare... eppure era riusciuto a fregarlo.
Non era mai esistito alcun legame o forma di amore pazzo nascosto tra la follia della sua mente. Esisteva solo un inganno, non era stato che un altro dei giochetti mentali di Jim Moriarty. Iniziò a muovere la testa in segno di negazione e dissenso, instupidito.

Jim, che ancora si trovava seduto sul terreno umidiccio col fiato corto, lo guardava perplesso. E, mentre il suo cuore si fermava, per un nano secondo giurò di essere morto e risorto mille volte.
"Sh- Sherlock, aspetta..." cercò di fermalo.
Sherlock staccò i fili della telecamera di scatto e la gettò a terra nell'esatto punto in cui avevano iniziato a rotolare e cominciò a raccogliere i suoi vestiti da terra.
Poi si rivestì nel modo più veloce che potesse e fuggì senza guardarsi indietro. Rietrò in casa a passo svelto e uscì in strada sbattendo la porta. Sapeva che non vi aveva posto alcun allarme nonostante l'avesse rapito, Jim certamente aveva immaginato che Sherlock sarebbe rimasto al gioco. Ma non questa volta, e nonostante avesse capito il suo trucco egli l'aveva ingannato così bene e così nel profondo che si sentì crollare il mondo addosso. Era umiliato e ferito, camminava per strada in stato confusionale e senza una meta precisa, scioccato dalle emozioni che non pensava avrebbe mai potenzialmente potuto provare... finchè non decise di sporsi in strada per richiamare l'attenzione di un taxi e se ne andò.

Jim per un bel po' era rimasto seduto sul terreno a prendere freddo. Senza il calore corporeo di Sherlock là fuori si gelava. Aveva capito dal primo sguardo che non avrebbe potuto fermarlo, eppure era così ingiusta come situazione.
Raccolse la telecamera da terra fissandola con disgusto, era la prima volta nella sua vita che i suoi piani non raggiungevano il loro scopo, ma la cosa che più lo mandava in bestia era che questa volta si era fatto un autogoal dritto nella porta del suo cuore.
 Guardava la telecamera imbambolato, instupidito. Così furioso con sè stesso che avrebbe potuto prendere fuoco.
A passo leggero e ad andatura lenta rientrò in casa lasciandosi la portafinestra dietro aperta, dopodichè si girò di scatto e se la tirò dietro più forte che poteva rischiando di romperla. Era in scacco ma aveva deciso la sua ultima mossa, l'ultima suicida speranza prima che il re andasse in matto e quella sera collegò la telecamera allo schermo per riguardare la irreale scena avvenuta qualche ora prima nel maledetto giardino della sua maledetta villa.

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Capitolo 5
*** Una nottata di allucinazioni ***


"E' un consulente criminale... un consulente criminale... criminale... consul... crim..." dice una voce ripetuta affievolendosi sempre di più. Ti guardi in giro spaesato e non capisci, ti trovi nella tua solita vecchia stanza ma qualcosa è diverso, qualcosa di strano è capitato là attorno. All'improvviso dalla porta entra lui: Jim Moriarty. Chiude la porta dietro di sè con cura appoggiandocisi sopra, poi si gira e ti fissa con quegli occhi raggelanti e quel mezzo sorrisetto inquietante che ti è rimasto impresso fin dal primo incontro "Mi sei mancato, sexy" dice semplicemente. Tu però sei sempre più confuso, cerchi di chiudere gli occhi e scacciarlo via col pensiero ma all'improvviso una cascata di mele ti cade addosso catapultandoti in pigiama in mezzo a Piccadilly Circus, dove su tutti gli schermi pubblicitari compare la sua immagine.
"Did you miss me? Did you miss me? Did you mftzzz need me? Do you need me?
...fffttzzz...
You need me, Sherlock."
Recita una voce cantilenante da uno schermo. Scappi correndo. Ti impanichi. Un'altra voce inizia a sussurrarti nell'orecchio "Sono la tua ossessione... OSSESSIONE!". Inciampi. Sei di nuovo nel tuo letto con lui affianco "Sei un cattivo ragazzo, Sherlock... Sher... lock..." pronuncia il tuo nome con un leggero accento irlandese e sul momento pensi di adorarlo. Una telecamera gigantesca riprende il tutto sopra di te e Jim accenna alla pubblicazione di quel video per svergognarti, facendosi beffe di te con una gran risata. Poi di nuovo il panico, la nebbia e infine un barlume. E ti risvegli sudato nella tua solita camera da letto, continuando ad avere l'immagine del suo corpo davanti ai tuoi occhi
.
 
 
"MRS. HUDSON!" urlò John dal piano di sopra "Ha preso conoscenza!"
Mrs. Hudson corse su per le scale con fare maldestro e preoccupato e si precipitò in camera di Sherlock per constatare che stesse bene, come se l'affermazione di un medico e per di più suo amico non le bastasse. Sherlock era ancora confuso e molto frastornato. Ci fu un'unica cosa che si limitò a dire, ripetendola in loop come nelle cantilene che avevano risuonato nella sua testa durante lo stato di incoscienza "Mai abbassare la guardia, mai..." e "Stupido errore umano."
Era stato il suo vecchio amico John a trovarlo. Dopo essere fuggito dalla sua prigionia era sceso dal taxi a Regent's Park, aveva parlato con un giovane senzatetto che gli passò qualcosa e dopo svariati minuti si era ritrovato a camminare fino a Baker Street in stato confusionale, accasciandosi infine sulla porta di casa. Svenuto.
John cercò di farlo riprendere completamente, gli sistemò il cuscino sulla testiera del letto, lo sollevò e lo fece sedere, indeciso sul da farsi. Sherlock si guardava attorno instupidito, alla fine lo riconobbe seduto accanto a lui cominciando a porgergli scuse goffe e John lo guardava con una espressione mista tra sollievo, rabbia e preoccupazione. Sapeva benissimo perchè Sherlock si trovasse in quello stato e non riusciva a concepirlo in alcun modo.

"Ti sei di nuovo bucato, eh?" accennò fissandogli il buco ancora visibile sul braccio.
"Sai, voglio sperare che questo non sia il motivo di questa tua sparizione, quant'è durata? Cinque giorni? Una settimana?"
Sherlock cominciava a riprendere lucidità e guardando il suo amico decise che non aveva il cuore di raccontargli la verità, si strofinò un occhio impacciatamente e incominciò "John non puoi neanche immaginare quello che è successo..." ma non riuscì a finire la frase, il suo amico lo interruppe all'improvviso alzandosi di scatto
"Gesù Cristo, Sherlock! Ho avvertito Lestrade, tuo fratello, tutti quanti! Ti abbiamo cercato per tutta Londra senza avere il minimo indizio su cosa ti fossi andato a cacciare!" disse e rimase fermo in piedi con una mano ancora per aria. “Lestrade, come sta Lestrade?” chiese lui di fretta e furia, ricordandosi la storia dei messaggi.
“Sta benissimo, e per tua informazione a D'Arblay Street non c’è mai stato alcun rapimento, abbiamo interrogato molto nei dintorni.” Sherlock annuì. Questo lo sapeva già considerato che l’unico rapimento avvenuto era stato il suo e questo né Lestrade né John avrebbero potuto saperlo. Si passò una mano tra i capelli e si sistemò a gambe incrociate pronunciando la seguente frase con tutta la calma possibile, cercando di non lasciar trapelare nulla "E' molto più serio di tutti i crimini che siamo andati a risolvere, John. Mi dispiace essere... bhe essere stato me stesso nascondendoti quello che stava accadendo, preferirei tuttavia che tu ne rimanessi fuori"
John rimase allibito e confuso, lo fissò per qualche altro secondo e poi con una smorfia di disapprovazione si apprestò ad uscire dalla stanza. "Dove vai?" gli urlò dietro Sherlock
"Ho bisogno di una boccata d'aria, poi vado da un'amica e non so se torno. Tu è meglio se riposi." rispose lui con voce seria "Non dormire supino mi raccomando."
John uscì e Sherlock rimase per parecchio tempo seduto a riflettere, ancora mezzo incosciente. Dopodichè cercò di alzarsi per andare a farsi una doccia ma cadde dal letto non riuscendo a camminare, quindi si sistemò nel migliore dei modi sotto le coperte, vestito e sporco com'era, e si addormentò.
 
Qualche ora più tardi Jim si intrufolò nella sua camera passando per la finestra. Era notte fonda e fuori il vento fischiava prospettando una tempesta coi fiocchi. Lui però era lì, fermo davanti al letto con il suo vestito elegante e la sua portatura impeccabile, pulito e profumato a guardarlo dormire sorseggiando del tè. Poi ne appoggiò la tazza sul comodino e si avvicinò a Sherlock sedendosi nello stesso posto in cui si era seduto John prima. Era totalmente ossessionato da lui che per un attimo gli parve romantica la fantasia di sgozzarlo nel sonno con una mano e con l'altra accarezzargli i capelli cantando una ninna nanna. Jim però non aveva più alcun interesse ad ucciderlo. Gli passò un dito lungo la colonna vertebrale su fino al collo e fece per dargli una carezza.
"Sono sveglio." bofonchiò Sherlock e Jim si arrestò "Non ti ho detto di fermarti. Cosa vuoi?"
Sorrise ma non continuò comunque "Sono venuto a precisare che non pubblicherò quel video, caro. Non mi interessa più screditarti. Non mi interessa più nulla a dir la verità"
Sherlock si voltò e si mise nuovamente a sedere come per dimostrare attenzione al discorso
"Vedi, se non fossi scappato frignando ti avrei rivelato che inizialmente quello era il mio piano: intrappolarti nella spirale delle emozioni per poi screditarti pubblicamente col video ed eventualmente… bhe cercare di ucciderti, ci avrei trovato gusto." fece una pausa "Non che mi sia difficile, potrei ammazzarti qui e ora se lo volessi" rise come se fosse stata una battuta. Sherlock si limitava a guardarlo "Ma che vuoi farci, sono umano anche io dopotutto e come vedi mi son lasciato prendere un po' troppo da questo nostro piccolo giochetto."
"Non è un giochetto." sbottò Sherlock "Hai messo in pericolo delle persone solo per attirare la mia attenzione." Jim rise nuovamente affermando "Continui a ripeterlo come un mantra , io continuerò a risponderti che tu ti sei proprio divertito a risolvere i miei enigmi." cadde il silenzio, per qualche minuto tutto ciò che si sentì fu un tuono rimbombare e una ambulanza per strada che correva chissà dove a portare aiuto.
"Tesoro, sono ossessionato da te. Non c'è momento in cui non riesca a valutare il pensiero di aprirti in due e rubarti il cuore, io e te assieme non ci annoieremmo mai perchè siamo superiori, Sherlock, e in qualche modo condividiamo la stessa passione per i crimini. C'è solo un grosso intoppo per farla funzionare: non possiamo continuare a giocare a guardia e ladri, ci sono degli affari di mezzo che non posso permettere di lasciarti rovinare... a meno che..."
Sherlock sapeva già cosa gli stava per proporre e avrebbe voluto rispondere che non gli interessava, che quel legame era troppo malato e che avrebbe preferito continuare la loro disputa fino all'eventualità di precipitare tutti e due giù da un vecchio ospedale come il Bart's. Tuttavia non disse nulla e si limitò a squadrarlo; così Jim, spazientito, si mise a cavalcioni su di lui facendo smorfie da pazzo "Ascoltami Sherlock lo sai bene che ti darei la caccia in lungo e in largo, se non accetti sarò la tua lenta fine e non starò semplicemente a guardare mentre continui a risolvere gli stupidi omicidi col tuo amichetto Lestrade." fece un'espressione talmente allucinata da sembrare finta, sussurrando "Ti trascinerò talmente in basso da farti implorare di ammazzarti e io starò a guardare dall'alto senza dartene la minima possibilità."
Sherlock si lasciò offuscare nuovamente dalle emozioni, sembrava ci stesse prendendo gusto, e si gettò sopra Jim con un bacio appassionato, ribaltandolo a testa in giù. Infine si staccò guardando Jim sorridere. "Non te ne darei la soddisfazione" disse. Poi si allontanò dal letto e si recò a farsi una doccia.

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Capitolo 6
*** L'incisione sul letto ***


L’acqua scorreva leggera sopra il corpo di Sherlock, lavando via oltre allo sporco tutti i segni delle impurità che aveva commesso ore addietro con il suo peggior nemico…o miglior nemico? Oramai non sapeva neanche più come definirlo. Prese lo shampoo e cominciò a lavarsi con cura la sua folta chioma, adorava prendersi cura dei suoi capelli, se li strofinò per bene e lasciò che l’eccesso scorresse via lungo le sue gambe. A dirla tutta adorava farsi la doccia in generale perché lo aiutava a schiarirsi la mente ed entrare in quello stato che lui chiamava “Palazzo Mentale”, dove poteva premeditare in pace le sue azioni. E cavolo se ne aveva proprio bisogno.

Fuori era iniziata la tempesta e Jim lo attendeva con pazienza in camera con un’espressione beffarda, consapevole del fatto che ormai, anche se il piano di farsi gioco di lui era passato in secondo piano, Sherlock avesse accettato la situazione e riconosciuto che in fondo a modo loro – e in maniera molto distorta – si amassero a vicenda.
Sherlock chiuse l’acqua e si trascinò verso l’accappatoio con tutta la tranquillità del mondo, si asciugò i capelli, si fece la barba e infine tornò in camera con solo un asciugamano addosso, soltanto per scoprire che Jim si era sdraiato completamente nudo sul suo letto, con semplicemente una cravatta addosso.
C’erano i suoi vestiti sparsi per tutta la camera ma Sherlock rimase impassibile, come se tutto fosse stato perfettamente normale e lo fissava negli occhi con sfida, mentre Jim sorrideva nella maniera più psicotica possibile. Si alzò, gli andò incontro e si sistemò a due centimetri dalla sua faccia attendendo.
“Ebbene? Hai intenzione di spiegarti?” chiese Sherlock. Jim sollevò un sopracciglio “Voglio proporti una sfida. Non mi piace come si è conclusa la tua visita a casa mia, ammetti che nessuno dei due ne è rimasto soddisfatto.” fece una pausa passandosi la lingua sulle labbra “Ti provocherò e se cederai dovrai attenerti incondizionatamente ai miei piani, ok ?” Sherlock continuava a fissarlo impassibile, senza dare segno di alcuna reazione.
Così Jim gli sfilò l’asciugamano buttandolo a terra e passò a baciargli il petto fino a risalire sul collo, dove lasciò il segno dei suoi denti con un morso. Poi prese ad accarezzargli i fianchi con un mano mentre con l’altra stava per raggiungere le parti delicate. Sherlock però lo strattonò per la cravatta prima che potesse sfiorarlo, provocandogli una risata. “Tu sei pazzo.” Esclamò “L’hai capito solo ora?” disse Jim in tutta risposta. Sherlock prese a baciarlo violentemente, facendolo indietreggiare fino al letto dove inevitabilmente, dopo essersi esplorati tra gemiti e graffi, consumarono la loro passione.
 
Passò un’ora ed entrambi erano rimasti sdraiati nel letto a debita distanza a fissare il vuoto, come se avessero fatto entrambi una cosa totalmente sbagliata e se ne fossero pentiti immediatamente dopo, conservando però una sorta di sollievo per essersi tolti quel peso. Quindi lasciarono che gli unici suoni presenti fossero quelli dei tuoni e della pioggia che ricadeva violentemente sul terreno di fuori. Il fatto aveva soddisfatto e disturbato entrambi a tal punto di non essere più sicuri sul da farsi. Infine fu Sherlock a rompere il silenzio per primo.
“Che intenzioni hai?” disse semplicemente. Jim fece spallucce, serio, e poi si voltò a guardarlo “Ho intenzione di non volermi annoiare, Sherlock.” lo fissò per qualche altro secondo, poi si allungò per lasciargli un bacio sulla guancia, si rivestì e uscì dalla finestra nell’esatto modo in cui era entrato, incurante della pioggia. Sherlock rimase a guardare le tende che svolazzavano per via del temporale e i lampi che illuminavano la stanza di tanto in tanto. Quando fece per alzarsi a chiuderle notò che Jim aveva lasciato un messaggio piuttosto infantile: sulla parte inferiore del letto erano state incise con un coltello le parole MORIARTY SLEPT HERE e un inquietante smile a lato. Sherlock gli tirò un calcio e andò a chiudere le finestre.

Così passarono i giorni e Sherlock attese un segno da parte di Jim con impazienza e nervosismo, trovava buffo il fatto che Jim si fosse rifiutato infine di proporgli il suo piano, dopo tutto quello che era successo. John nel frattempo gli parlava di rado e soltanto per lo stretto necessario, da quando l’aveva ritrovato senza conoscenza davanti alla porta di casa gli era sembrato che l’amico lo stesse mettendo da parte e il suo presentimento sul fatto che Sherlock fosse in un guaio più grosso di lui si faceva sempre più reale, era in pessime condizioni.
Una settimana dopo circa Sherlock si trovava a suonare in salotto quando finalmente gli squillò il telefono

Oggi pomeriggio, solito vecchio tetto. Torniamo a giocare, Sherlock. JM

Recitava soltanto l’sms. Non perse altro tempo e lasciando John e le sue faccende a casa prese immediatamente un taxi per il Bart’s Hospital.
 
Entrò in fretta e furia dirigendosi verso l’obitorio “Sto cercando Molly Hooper.” Chiese informazioni ad una ragazza sulla trentina che tentò invano di persuaderlo ad andarsene, Sherlock la squadrò dalla testa ai piedi come faceva spesso con le persone che non gli davano retta. Una leggera sbavatura di rossetto sulla parte destra della bocca, i capelli raccolti alla meglio ma il resto del trucco e della sua pulizia personale era impeccabile, nascondendo una leggera sfumatura di occhiaie, qualche schizzo di sangue sul camice da dottore e un cercapersone in mano, come se stesse aspettando qualcosa di importante. “Dottoressa posso capire che ha passato una nottataccia con quello che evidentemente non è più il suo fidanzato, capisco benissimo che vuole mantenere un tono al lavoro e che è una giornata piena di impegni in quanto il suo capo ovviamente non la sta lasciando in pace e i suoi pazienti sono in condizioni gravi ma si tratta di un’emergenza, ok?”
 La dottoressa rimase con la bocca aperta stupita, senza sapere che cosa dire mentre Sherlock faceva segno che l’avrebbe semplicemente attesa nel suo laboratorio con aria annoiata.
Molly Hooper era una specializzanda di medicina che spesso aiutava Sherlock e John con le loro analisi chimiche per risolvere i vari casi e prima che questa storia con Jim Moriarty cominciasse a prendere risvolti disturbanti si era messo d’accordo con lei nell’eventualità che Sherlock dovesse morire sul tetto di quell’ospedale.
Molly entrò nel laboratorio con leggerezza, soffermandosi sulla porta giocherellando con le dita “Ciao, non ti fai vedere da un bel po’.” esordì con un mezzo sorriso ma lui non rispose e lei si precipitò ad aggiungere qualcosa “Sai mi stavo preoccupando per te, tutte quelle storie sui giornali, la tua scomparsa... il fatto che tu non abbia avuto più bisogno di me…” Sherlock si alzò dalla sedia e la raggiunse “Molly la scorsa volta non c’è stato bisogno di mettere in atto il nostro piano. Confido che tu l’abbia presa come una buona notizia.” dichiarò semplicemente e lei lo guardò con aria interrogativa “Questa volta credo che la situazione sia un tantino più complicata…” non aggiunse altro, sapeva che lei avrebbe capito e rimasero lì a discutere per la mezz’ora successiva. Dopodiché Sherlock attese.

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