A psychotic love story...

di PanStitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. - In viaggio. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Era una fredda giornata autunnale; il buio era calato in fretta su Gotham quella sera diffondendo un' atmosfera spettrale nell'aria.
Nuvole nere rattristavano la giornata, coprendo le poche stelle che brillavano ancora nonostante le luci dei neon.
Un uomo giaceva a terra supino, in una pozza di sangue e piscio; indossava una camicia viola, logora ed un orrendo paio di mocassini neri.
Il verde acceso dei suoi capelli faceva contrasto con le foglie secche sparse sull'asfalto. Un calcio sull'addome lo costrinse a riprendere i sensi.
Rotolò su un lato, tenendosi stretto lo stomaco.
Sentì un sapore metallico scendergli giù per la gola ed ebbe l'impulso di sputare.
Gocce di sangue e di saliva colpirono le scarpe dell'uomo mascherato di fronte a lui.
C'era qualcosa di strano nella sua bocca: sentiva qualcosa di freddo ed appuntito raschiargli il palato e chiudergli la gola; mosse la lingua e toccò qualcosa di morbido e caldo, poi vomitò i suoi stessi denti.
In un momento di follia si chiese come avrebbe fatto a mangiare ancora un cookie al cioccolato, poi capì che forse non sarebbe arrivato a vedere il sorgere di un altro giorno...quindi i biscotti erano un problema secondario.
Sentì uno strano, viscido calore alla gamba sinistra, raccolse le forze ed estrasse un proiettile dalla sua coscia, senza neanche una smorfia di dolore.
L'odore di polvere da sparo, misto alla puzza dei liquidi in cui stava sguazzando e della spazzatura di cui il vicolo era invaso, penetrava violentemente nelle sue narici.
Cominciò a ridere, ma nella sua risata non c'era niente di allegro. Era una risata isterica, grottesca, soffocata ma ben udibile nel silenzio di quella serata.
"Hai tanta voglia di ridere, buffone?" gli chiese Batman, irritato da tanta faccia tosta. "Potrei ucciderti anche adesso."
"Oh, no no no. Tu non lo farai..." tossì l'uomo, con quel poco che era rimasto del suo sorriso stampato in faccia. "Tu hai bisogno di me...senza di me, non sei niente."
Ricordava ben poco di quello che era successo dopo: aveva sentito la forza vitale abbandonarlo lentamente e si era ripreso solo il giorno successivo, quando si era svegliato in un letto di ospedale costretto a letto ed impossibilitato a muoversi.
Nella sua memoria erano impressi pochi, brevi flashback: gli interni della macchina del supereroe, un'infermiera dalla faccia sfuocata che cerca di mettergli una flebo, una maschera d'ossigeno bluastra sul viso.
Sentì qualcuno bussare alla porta ed entrare prima di ricevere una risposta. Era un uomo di mezza età, molto alto e robusto; indossava un camice bianco e parlava con voce calma e professionale:
"Signor Napier, vedo che si è ripreso molto velocemente. E' incredibile....davvero incredibile! Dato che non dimostra alcun segno di sofferenza, provvederò a farla internare all'Arkham Asylum entro domani."
Mr J. sbuffò, incredulo.
"Ancora non vi siete stancati di questo giochino?"  chiese, con un ghigno macabro dipinto sul viso.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. - In viaggio. ***


Era una fresca serata di metà settembre e qualche spiffero freddo entrava dagli infissi, portando con sè un lieve odore di vegetazione bagnata.
Era una giornata tranquilla in terapia intensiva: nessun decesso, niente urla, nessuna folle gara di corsa contro la morte per dottori e pazienti...ai suoi occhi era davvero tutto troppo noioso.
Gli piaceva gironzolare in quel piano, di solito, quando era particolarmente attivo...magari, a causa sua. Adorava ascoltare il dolce suono del caos,  percepire il dolore che aveva causato...lo trovava rilassante.
Era veramente stufo di starsene lì, costretto a rimanere immobile nel letto a sentire la puzza di malattie, ustioni, sudore ed escrementi mista a quella di vecchio, tipica dell'ospedale.
D'un tratto il suo medico varcò la porta, portando nella stanza una ventata di freschezza all'aroma di talco e lattice.
"Signor Napier..." borbottò sfogliando la cartella gialla che teneva in mano. "E' pronto per il trasferimento?" chiese con voce chiara e profonda.
L'uomo annuì, prima di essere ammanettato e preparato al trasloco nella sua nuova casa.







La camicia di forza gli prudeva da morire, costringendolo a contorcersi compulsivamente nel tentativo di provare sollievo.
Aveva lo stomaco sottosopra ed ogni volta che l'autofurgone faceva una curva rischiava di dare di stomaco e soffocare nel suo stesso vomito.
Non poteva girarsi a guardare la strada: anche se ci fossero stati i finestrini, la maschera che portava sul viso gli avrebbe impedito di voltarsi...così se ne stava lì, fermo a fissare l'interno scuro della vettura.
Dopo una lunga traversata con il traghetto e circa un chilometro di strada asfaltata, il furgone si fermò di colpo facendolo stolzare con violenza; gli sportelloni si aprirono lasciando entrare la luce del sole che lo accecò per un momento ed un'ombra nera salì rumorosamente sul mezzo.
"Benvenuto a casa..." disse con fierezza il Signor Arkham, un uomo semi-calvo sulla sessantina, che Joker aveva già avuto modo di conoscere qualche anno prima.
Due guardie lo fecero alzare, lo legarono ben stretto su una sedia a rotelle e lo aiutarono a scendere dal veicolo.
"Da oggi lei sarà il paziente numero 104." esclamò con un sorriso il medico, spillandogli un cartellino sul petto.
Attorno a lui si era radunata una piccola folla di medici e poliziotti, tutti intenti a scortarlo ed a cercare di capire quale sarebbe stato il suo passo successivo, per evitare che fuggisse...cosa che lui, in quel momento, non aveva la minima intenzione di fare.
Varcarono tutti insieme il grande portone di mogano intarsiato che teneva ben chiusi i peggiori criminali di Gotham City ormai da molto tempo, poi percorsero il corridoio grigio e spettrale, invaso dalle urla assordanti dei pazzi e dal sibilo leggero dell'elettricità.
Non era la prima volta che l'uomo prendeva dimora, per breve tempo, in quella struttura ed al contrario della sua scorta non provava alcun disagio a stare lì; quasi aveva pena dei poliziotti che si guardavano in giro con aria terrorizzata...uno di loro, un ragazzo che non sembrava neanche aver compiuto la maggior età, tremava così forte da far muovere la sua seduta e procurargli degli orribili segni sulla pelle coperta dalle cinghie.
Tanto erano tesi gli altri, fu l'unico ad accogersi che una splendida donna lo stava osservando nascosta dietro un angolo. Pensò che fosse molto bella: aveva una pelle di porcellana, un viso dai lineamenti così fini e delicati da sembrare un angelo, biondi capelli morbidi e lucenti legati in una stretta coda di cavallo e due grandi occhi sensuali, dello stesso colore del lago in cui la sua famiglia lo portava a campeggiare da bambino, nascosti sotto un paio di grandi occhiali da vista.
La sentì sussurrare il suo nome ed avvertì tutta l'ansia, il terrore e la preoccupazione che la attanagliava in quel momento...ma anche qualcosa di stranamente piacevole ed indefinibile.
Capì di poter sfruttare la situazione a suo vantaggio.
La guardò dritto negli occhi, perdendosi per un secondo in quel profondo lago di emozioni che poteva leggere nel suo sguardo... poi sparì, un po' dispiaciuto di non poter prolungare l'incontro, dentro la stanza numero 37.

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