La ragazza che porta bellezza

di cristal_93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giorno in cui la mia vita cambiò per sempre ***
Capitolo 2: *** Le Ombre dal passato ***
Capitolo 3: *** Separazione ***
Capitolo 4: *** Ogni fine è un nuovo inizio ***
Capitolo 5: *** Succede tutto di notte a New York ***
Capitolo 6: *** Di bionde, fallimenti e vittorie ***
Capitolo 7: *** L'incontro tanto atteso ***
Capitolo 8: *** Rivelazioni e affiatamenti ***
Capitolo 9: *** Una vita per una vita ***
Capitolo 10: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 11: *** Magnus's concerns ***
Capitolo 12: *** Alec 's concerns ***
Capitolo 13: *** Emergenze e sorprese inaspettate ***
Capitolo 14: *** Uno Shadowhunter entra in un Caffè...splash! ***
Capitolo 15: *** Il muro inizia a incrinarsi ***
Capitolo 16: *** Extra - Chat tra Simon e Clary ***
Capitolo 17: *** Un incontro col passato ***
Capitolo 18: *** Uroboro ***
Capitolo 19: *** Hecate ***
Capitolo 20: *** Mai svegliare gatto che dorme ***
Capitolo 21: *** Nuove minacce all'orizzonte ***



Capitolo 1
*** Il giorno in cui la mia vita cambiò per sempre ***


1807, nei pressi di Edo, attuale Tokyo

Era un tardo pomeriggio invernale. Aveva iniziato a nevicare nelle prime ore pomeridiane e non aveva ancora smesso. Il giardino era ormai completamente nascosto sotto una coltre di neve come se fosse stato avvolto da una spessa coperta bianca.
Sora sedeva sugli scalini di pietra che collegavano il giardino all’engawa, e sebbene fosse inverno, invece di essere chiusa dagli shoshi la veranda era aperta come in estate, lasciando la casa esposta come se fosse un'unica entità con il giardino. Sora non se ne curava e lasciava che il vento gli soffiasse nei lunghi capelli rossi.

Gli piaceva il freddo, infatti indossava un semplice kimono di  leggero cotone verde, senza alcun juban sotto; i piedi scalzi poggiavano sui gradini di pietra sotto il limite del tetto spiovente. Sora stava attento a non bagnarsi i piedi, così non avrebbe dovuto sorbirsi la ramanzina della moglie: ogni volta che  entrava in casa con i piedi bagnati, lei lo costringeva ad asciugare ogni singola chiazza umida lasciata sul pavimento di legno.

Forse la donna pensava che così il marito ci avrebbe pensato due volte prima di riprovarci di nuovo, ma purtroppo era un’abitudine a cui Sora non era ancora riuscito a rinunciare, e anche se amava tanto la moglie,
ancora non era diventato capace di sopprimere certe inclinazioni della sua vita passata; per questo accettava le punizioni senza discutere, anche se in seguito si sforzava con tutto sé stesso di farsi piacere quegli stupidi arnesi di legno che ancora gli facevano sanguinare i piedi e che avrebbe volentieri buttato giù da un dirupo ogni volta che li indossava.

Nonostante tutta la sua buona fede, però, i sandali finivano immancabilmente per essere dimenticati da qualche parte in casa, il più delle volte sotto qualche mobile. La moglie però riusciva lo stesso ritrovare i sandali, e allora li prendeva e li rimetteva al loro posto come se nulla fosse, lasciando che fosse il marito a scegliere  se rimetterli o meno; anche se gli faceva rimettere tutto a posto quando sporcava per casa con i piedi inzaccherati, in cuor suo la donna si sentiva in colpa a costringerlo a fargli perdere questo vizio, perché sapeva che non era così che lui preferiva.

Quella di andare in giro scalzo, infatti, non era, come sarebbe sembrato da fuori, un brutto vizio, era molto di più: camminare a piedi scalzi sulla nuda terra faceva sentire Sora in comunione con il mondo; percepire la freschezza dell’erba al mattino, camminare sul letto fangoso di un fiume… tutto ciò gli regalava una meravigliosa senso di libertà. E non sopportava quegli affari di legno che imprigionavano i suoi piedi e lo rendevano sordo a certe sensazioni.

Anche la moglie aveva provato quella sensazione, ma solo il radicato rispetto per i costumi tradizionali le avevano impedito di gettare i sandali nel fuoco e seguire l’inclinazione del marito. Ciononostante, era stata molto felice di averla provata, come ogni volta che lui condivideva il suo mondo con lei; anche se alla fine gli toccava farsi perdonare, niente appagava più Sora dello vedere lo splendido sorriso di sua moglie, per cui avrebbe distrutto la casa e l’avrebbe ricostruita con le sue stesse mani, sasso dopo sasso, a partire dalle fondamenta.

Se però lui si sforzava in tutti i modi di mettere un freno alla propria natura per non dare disagi alla moglie, qualcun altro, invece, non se ne preoccupava minimamente e non si fermava troppo a pensare alle conseguenze. Come in quel momento: il motivo del sorriso di Sora e della sua presenza, nonostante il freddo, su quella veranda, resa umida dai fiocchi di neve che il vento depositava sul legno, non era lo spettacolo della natura che compiva il suo corso: era la piccola figura che c’era in mezzo.

Una bambina di sette anni, vestita solo di uno juban di lana che le arrivava alle ginocchia e le lasciava le gambe nude, saltellava scalza tra i cumuli di neve , inzuppandosi completamente i vestiti e i capelli ma ridendo gioiosa, dimentica del freddo o della lavata di capo che le avrebbe dato la madre prima di metterla in una tinozza di acqua calda e sfregarla fino a farla diventare più simile ad un panda rosso che ad una bambina.

Per amore della moglie, anche Sora cercava di disciplinare quel piccolo terremoto della figlia, ma il più delle volte (o meglio, sempre) finiva per lasciarla libera di seguire le proprie inclinazioni . Mai si sarebbe permesso di chiuderla nella sua stanza per punirla: sapeva che, impedendole di seguire il suo cuore, l’avrebbe solo bloccata, danneggiata irreparabilmente, e crescendo in quel modo non solo non sarebbe mai stata felice, ma sicuramente lo avrebbe odiato e non gli avrebbe mai dato la sua fiducia.

Sora voleva che crescesse felice, che trovasse il proprio posto nel mondo, che si costruisse da sola il percorso che avrebbe intrapreso nella vita invece di percorrere una strada decisa da altri per lei. Avrebbe sempre vegliato su di lei, naturalmente, ma senza essere invadente. La paura però in lui era molta, era una presenza costante nella sua vita che lo accompagnava ogni giorno di pari passo con la gioia che le sue ragazze gli regalavano, una gioia che purtroppo, per quanto potente, non riusciva mai a eclissare completamente l’angoscia che opprimeva il cuore di Sora.

C’era qualcosa di molto più grande e oscuro nel destino della sua bambina, qualcosa che nemmeno sacrificando anima e corpo temeva che sarebbe mai riuscito a eliminare dalla sua vita: il timore che il suo mondo tornasse a bussare alla sua porta e gli portasse via tutto ciò che aveva, tutto ciò che era la sua unica e sola ragione di continuare a vivere o anche solo di esistere, e senza cui sarebbe stato dannato e avrebbe perso sé stesso… di nuovo.

Sora non era un essere umano: era un Nekomata, un demone gatto di classe media appartenente alla razza degli Eidolon, i demoni mutaforma. I demoni, di natura, non hanno un’anima, motivo per cui non sono in grado di provare sentimenti.

Anche Sora era stato così, e se ci ripensava adesso, a distanza di anni, gli sembrava come se la sua vita di prima fosse stata solo un sogno, un lungo e bruttissimo sogno. All’inizio era stato un demone come tutti gli altri, senza un vero nome se non quello della propria razza d’origine. Essendo un demone medio era dotato d’intelligenza quasi umana, ed era in grado di capire il loro linguaggio.
Era giunto nel mondo terrestre sotto le spoglie di un bel giovane uomo, identico in tutto e per tutto ad un essere umano tranne che per gli occhi, dalla pupilla allungata come quella dei gatti, e dalle orecchie a punta.

Non sarebbe certo stato un problema però mascherare queste piccole differenze con un incantesimo: avrebbe celato la sua identità ai  mondani ( tranne che a quei pochi eletti dotati della Vista), agli altri Nascosti e agli Shadowhunters, quei maledetti cacciatori figli dell’arcangelo Raziel che avevano votato la loro vita allo sterminio dei demoni finché anche l’ultimo di loro non fosse ritornato nella dimensione Vuoto e là fosse rimasto confinato per sempre.

I poteri di Sora gli permettevano di assumere la sua vera forma se avesse voluto, ma anche con quelle sembianze era stato certo che non avrebbe avuto difficoltà. Non aveva scelto lui dove finire, una volta attraversato il varco tra le due dimensioni, ma ora non poteva fare a meno di chiedersi se non fosse stato destino, per lui, finire proprio su quelle montagne, in quel bosco sperduto fuori dai confini della capitale Edo.

Chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro: mai avrebbe smesso di ricordare ogni singolo minuto di quei fatidici giorni che avevano cambiato per sempre il corso della sua esistenza.


 
Era stato veramente un idiota. Lui e il suo stupido orgoglio: il fatto di avere forma umana non lo rendeva immune alla luce del sole. E invece, stufo di restare confinato in antri umidi e bui perché era piena estate, era uscito dalla grotta in cui aveva passato la notte… e aveva finito per bruciare quasi completamente.

Agonizzando, si era trascinato di nuovo nella grotta, dove aveva cercato di recuperare le forze, ma si era esposto troppo, e le ferite erano troppo gravi perché potessero guarire immediatamente. Impegnato a cercare di curarsi, aveva concentrato tutte le sue energie sul rimargino delle ferite, anche se così facendo aveva smesso di tenere attivo l’incantesimo di occultamento. In fondo però non c’era motivo di preoccuparsi: era in un bosco sperduto e lontano dalla civiltà umana, quante possibilità c’erano che qualcuno si avventurasse da quelle parti e lo scoprisse?

Più alte di quanto avesse pensato, a quanto pare: il secondo giorno di agonia, mentre cercava di restare lucido ignorando il dolore e al tempo stesso di lenire il bruciore, una figura si affacciò dall’entrata della caverna. Lui però non ci fece caso finché non gli si avvicinò e si chinò su di lui.

La prima cosa che il demone percepì fu un dolce profumo di gelsomino che attirò la sua attenzione tanto da portarlo a sollevarsi per odorarlo da vicino, ma le ferite gli mozzarono il fiato. Invece di cadere di peso sul suolo, però, venne delicatamente sostenuto da due braccia che lo sorressero gentilmente, e solo allora riuscì a vedere in volto il suo salvatore: era una bellissima ragazza orientale, dall’incarnato pallido come la luna, lunghi capelli neri come l’ebano che incorniciavano il viso minuto a forma di cuore, e due splendenti occhi dello stesso colore delle foglie degli alberi , che lo guardavano angosciati.


« Ogenki desu ka [
come stai] ???  » gli chiese, disperata.

Lui strinse gli occhi, ma lei insistette:


« Cosa ti è successo? ».

Pur non essendo completamente in sé, Sora si sentì confuso: perché quell’umana si stava preoccupando per lui? Perché non scappava di fronte alle sue orecchie a punta o ai suoi occhi da gatto? Lui era un demone, perché non lo lasciava al suo destino ? O forse… non aveva capito di trovarsi di fronte ad un mostro. E come avrebbe potuto capirlo, lei, una semplice mondana? Cercò di risponderle, ma non fu in grado di emettere alcun suono. Lei gli passò una mano sulla guancia, ma sotto il fastidio provocato dal contatto con le scottature, al demone piacque il tocco delicato di quella mano piccola e morbida. Fece appena in tempo a stupirsi di sé stesso che lei lo adagiò per terra e corse via.

Il demone fece una smorfia: era stato vicino credere che quell’umana avesse avuto compassione di lui, e invece era scappata, com’era ovvio aspettarsi. Se non fosse stato conciato così male, avrebbe addirittura riso della propria ingenuità. Fu però costretto a ricredersi ben presto: lei tornò qualche ora dopo con una bacinella d’acqua, delle bende e dei sacchetti di stoffa. Imbevette un panno e glielo passò sulle scottature, anche se lui avrebbe preferito scostarla e mandarla via, ma non riuscì a reagire in nessun modo se non con dei gemiti di dolore ogni volta che il panno gli toccò la pelle viva.

Non riuscì a fare niente nemmeno quando quella ragazza lo spogliò senza troppe cerimonie e proseguì il suo lavoro, completamente incurante del corpo nudo di lui, che desiderò avere le forze per poterla uccidere con un’intensità paragonabile solo alla potenza con cui il sole gli aveva bruciato la pelle. Di nuovo, però, non fu in grado di esprimere alcuno dei propri pensieri, e non ebbe altra scelta che arrendersi.


« Gomennasai [
mi dispiace]. Lo so che fa male, ma credimi, sto solo cercando di aiutarti. Permettimi di salvarti, onegai [per favore] » lo supplicò la ragazza.

Lui rise sprezzante dentro di sé: che senso aveva quella domanda se tanto stava facendo di testa sua e l’avrebbe fatto anche se lui fosse stato in grado di reagire?


« Ho portato con me delle erbe che fanno al caso tuo » aggiunse la giovane, ed estrasse delle foglie di aloe da uno dei sacchetti, prese un coltello e prima le privò della parte spinosa, ne incise il centro e spremette il contenuto gelatinoso sulle bruciature, che sfrigolarono quando furono toccate dalla sostanza e diedero segni di miglioramento. La ragazza si stupì dell’immediata efficacia delle sue cure, ma non si lasciò distrarre e medicò tutto il corpo del demone, per poi bendarlo subito dopo.

« Ecco fatto, ora devi solo riposare, e vedrai che presto starai meglio » disse sospirando soddisfatta.

Lui non produsse altra reazione se non uno sguardo vacuo e perplesso a cui lei rispose con un sorriso.


« Tornerò domani a vedere come stai e ti porterò qualcosa da mangiare, va bene? ».

Lui non rispose, e interpretando il suo silenzio come un assenso, lei se ne andò, ma prima gli accarezzò la guancia, si alzò e uscì, con i suoi lunghi capelli che frusciarono alle sue spalle lasciando dietro di sé una scia profumata. Il demone rimase stordito a fissare il punto in cui la donna sparì per un tempo interminabile, allungandosi per cercare ancora quel profumo di gelsomino, ma il dolore lo riportò alla realtà, e si ridestò. Cosa accidenti gli era preso, come aveva potuto farsi incantare così da un’umana?

Sospirò pesantemente e rimase a fissare il soffitto della grotta per tutta la notte, meditando di scovare quell’umana, non appena si fosse ripreso, e ucciderla con le sue stesse mani per averlo umiliato in quel modo. Ben presto però i suoi pensieri presero tutt’altra direzione, e invece che a come uccidere quella donna si soffermarono su dettagli decisamente più insignificant: il modo delicato e gentile con cui lei lo aveva toccato, il suo profumo meraviglioso, quegli occhi che non avevano avuto alcuna paura di lui, la morbidezza della sua mano. Il demone credette di impazzire e finì per agitarsi continuamente da una parte all’altra del suolo per ore; quando poi, il giorno dopo, la ragazza si ripresentò, lui balzò a gattoni e le soffiò contro. Per lo spavento lei fece cadere il cesto che aveva in mano, ma non scappò via. Alzò invece le mani tenendole in bella vista e si avvicinò lentamente.


« Va tutto bene… ti prego, stai calmo » cercò di rassicurarlo, senza mai distogliere lo sguardo dal demone. Lui arretrò , trascinandosi via da lei.

« Non ti farò del male… fidati di me… » continuò a dire la ragazza. Lui strisciò fino a sbattere contro la parete della grotta, e lì lei finalmente riuscì a raggiungerlo.

« Sono qui per aiutarti… non ti farò del male » continuò a ripetere per calmarlo, inginocchiandosi davanti a lui e abbassandosi fino ad essere all’altezza del suo viso.

Si guardarono negli occhi, l’umana e il demone, la foresta dello sguardo di lei nel cielo di quello di lui, per un tempo incredibilmente lungo, finché lei non cercò a tentoni dietro di sé fino a trovare il cestino caduto, da cui prese una coperta che mise sulle spalle dell'uomo. Lui guardò la stoffa che lo copriva , poi l’umana, e senza pensare allungò la mano e le sfiorò il volto.
Lei rimase sorpresa, ma poi gli premette la mano sulla propria guancia e sorrise. Quel sorriso provocò al demone una dolorosa fitta al petto, diversa da qualsiasi altra cosa avesse mai provato in vita sua, più dolorosa persino della luce del sole che gli aveva bruciato la pelle, e allontanò la mano come se si fosse scottato, ritraendosi ancor di più dalla ragazza.

Lei lo guardò confusa, poi però alzò le spalle e gli porse il cestino: dentro cui c’erano delle verdure e della frutta fresca. Lui alternò lo sguardo dal cestino alla giovane senza muovere altri muscoli se non quelli oculari. Lei allora gli mise in mano un pomodoro, ma lui continuò a guardarlo senza fare nient’altro, al che la fanciulla, sospirando, gli spiegò pazientemente che non era avvelenato e che avrebbe potuto mangiarlo senza problemi. Per renderlo più sicuro prese lei stessa il pomodoro e ci diede un morso. Vedendo che però lui non sembrava intenzionato a imitarla, credendo che fosse disgustato all’idea di mangiare qualcosa morso da qualcun altro, gliene mise in mano un altro. Stavolta lui lo guardò con più interesse, poi però lo posò per terra.


« Non hai fame? » chiese la ragazza.

Lui la guardò e scosse la testa, e anche se lei ne fu piuttosto sorpresa, non insistette oltre e rimise il pomodoro nel cestino.


« Come vanno le tue ferite? » .

Lui voltò la testa per non guardarla. Lei però non si lasciò intimorire e gli si avvicinò, spostò la coperta e mise allo scoperto le bende, ignorando deliberatamente i tentavi di lui di impedirle di togliergli anche quelle. Gliele tolse e scoprì che le ferite si erano completamente cicatrizzate, come se fossero state vecchie di giorni. Solo a quel punto la donna sembrò accorgersi delle orecchie a punta e degli occhi dalla pupilla verticale del suo protetto.


« Are? [ma cosa]... » disse sfregandosi gli occhi, ma quando li riaprì e vide che non era cambiato niente, abbassò le mani e guardò l’altro.

« Tu… tu non sei umano, vero? ».

Lui fece una smorfia e scosse la testa, sorridendo. Già si pregustava il gusto della paura che quell’umana avrebbe sicuramente provato nello scoprire la verità… e invece non andò così. Dopo un attimo di perplessità, lei gli si avvicinò.


« Ce l’hai… un nome? » gli chiese, proprio l’ultima reazione che si sarebbe aspettato da lei.

Non sembrava nemmeno spaventata o agitata, solo… intimorita, ma era un sentimento ben lontano dal terrore che il demone si era aspettato di percepire da lei. Tuttavia si rifiutò di nuovo di rispondere, anche se più perché non aveva una vera risposta a quella domanda che per la diffidenza personale. La ragazza lo scrutò, guardando le sue orecchie a punta, i lunghi capelli rossi, e infine i suoi occhi, su cui si soffermò più a lungo. Alla fine gli chiese:


« Ti dispiacerebbe se ti chiamassi… Sora?».

Lui la guardò confuso.


« Non mi piace l’idea di rivolgerti a te senza poterti chiamare con un nome » si affrettò a spiegare lei.

Il viso di lui, malgrado tutto, si illuminò, e di nuovo una strana fitta gli attraversò il petto mozzandogli il fiato e piegangolo in due dal dolore. La ragazza fu pronta a sorreggerlo, e quando il demone si calmò e alzò lo sguardo, si ritrovò a pochi centimetri da quello di lei, così tanto che riuscì a percepirne il respiro sulla pelle; stavolta però non provò alcun istinto di ritrarsi disgustato o di spingerla via. Lei non mollò la presa sulle sue braccia e cercò di sorridergli. A vederla di nuovo sorridere, lui provò di nuovo una fitta tremenda, seguita però anche da uno strano calore che, invece, gli provocò una sensazione molto piacevole. E fu quel calore a muovere le sue labbra e portarlo a pronunciare le prime parole da quando quella ragazza lo aveva trovato:


« Puoi farlo ».

Lei lo guardò confusa.


« Come dici? ».

Lui sorrise e disse:


« Puoi chiamarmi Sora, se ti fa piacere ».

Si stupì da solo delle proprie parole, ma era come se una forza sconosciuta gli avesse fatto uscire quelle parole dalla bocca senza che lui avesse potuto fare niente per fermarle. La giovane sbattè le palpebre, poi sorrise e gli prese la mano.


« Io sono Karin: Hajimemashite [piacere di conoscerti]… Sora ».
 


Si erano rivisti spesso, dopo quel giorno, ed era sempre stata Karin a venire da Sora. Qualche volta, appena ripresosi abbastanza da poter uscire nel cuore della notte, lui si era avventurato nel bosco per scoprire dove vivesse quella ragazza, ma ogni volta era stato sorpreso dall’arrivo dell’alba prima che avesse potuto anche solo individuare la sua presenza. Con il passare dei giorni Sora si fece via via più irrequieto, attendendo con impazienza l’arrivo di Karin come se ne andasse della sua salvezza, e quando lei finalmente appariva, la stretta al petto e quel calore ormai familiari tornavano puntualmente a far visita al demone. Lei gli portò spesso da mangiare, ma ben presto capì che lui non nutriva il minimo interesse per il cibo degli umani.

Iniziò presto a fargli molte domande, più su di lui che sul motivo per il quale si trovasse in quella grotta e in quelle condizioni, cosa da cui all’inizio Sora rimase molto infastidito, tanto che arrivò a ritrarsi da Karin e a guardarla con profondo astio soffiandole contro, al che lei allora si era scusata ed era andata via.

Solo che Sora si era sentito male a vederla allontanarsi così triste, ma più di questo era stato il pensiero di essere lui la causa della sua tristezza a fargli male, e allora aveva cercato di correrle dietro, ma in pieno giorno aveva rischiato di nuovo di morire bruciato svariate volte. Ogni volta, però, Karin era accorsa sentendo le sue urla, e ogni volta si era presa cura di lui senza abbandonarlo.
E Sora ogni volta si era tormentato alla follia a cercare di capire, senza riuscirci, le ragioni del suo comportamento: perché tornava sempre indietro ad aiutarlo nonostante lui la facesse soffrire?

Ci era voluto un po' perché Karin riuscisse a prevalere sulla diffidenza di Sora, ma qualcosa la imparò da sola guardando il demone: aveva capito, ad esempio, il motivo delle scottature sulla sua pelle, ed era stato quasi un sollievo venirlo a sapere, perché significava che non c’era nessun animale pericoloso nelle vicinanze che attentava continuamente alla vita del demone.

Questo però significava anche che lui non avrebbe mai potuto seguirla fuori alla luce del sole, o sarebbe andato incontro a morte sicura. Ciononostante, questo non l’aveva scoraggiata dal venirlo a incontrare ogni giorno, e per i primi tempi smise di fare domande per evitare che lui si arrabbiasse e commettesse qualche azione sconsiderata, limitandosi a controllare lo stato delle sue ferite per poi andare via subito dopo. Era stato lui a riprendere a parlare per primo, dopo molti giorni , e poco a poco erano riusciti a lasciarsi andare e a sostenere delle vere conversazioni degne di questo nome.

Sora scoprì presto che Karin era una persona molto curiosa, e provava uno strano senso di soddisfazione misto a perplessità quando la vedeva pendere letteralmente della sue labbra mentre le parlava del Mondo Invisibile. La cosa strana poi era che, malgrado si fosse sempre sforzato di pescare gli aspetti più crudi e macabri del suo mondo, lei non aveva mai smesso di guardarlo adorante, e non aveva mai ceduto il posto alla paura nemmeno una volta.
Il suo sguardo luminoso aveva reso Sora molto orgoglioso di sé, e allora era andato avanti ancora e ancora, solo per il gusto di vederla così felice e adorante. Aveva più volte cercato di convincere sé stesso che lo faceva solo perché le emozioni positive di quella ragazza erano un banchetto prelibato per lui, ma aveva smesso di crederci molto presto.

Qualche volta lei arrivò a fargli una sorpresa nel cuore della notte, in modo da potergli dare la possibilità di uscire da quella grotta senza rischi e trascinarlo in  una passeggiata nel bosco sotto la luce della luna, portandosi dietro una lanterna. Sora però si era accorto presto che, nonostante ciò, lei non riusciva a vedere molto bene al buio; lui però ci riusciva eccome, e infatti le aveva permesso di appoggiarsi e farsi guidare, così come lui si affidava a lei quando lo curava durante il giorno. Karin aveva accettato con piacere, stringendo la sua mano e mettendo la propria vita nelle sue mani senza esitazioni.

Con il passare del tempo,  Sora cominciò ad accusare qualcosa che non riusciva a spiegarsi, un malessere che non aveva niente di fisico, era più… interiore. Una sensazione di vuoto all’altezza dello sterno, che talvolta gli faceva così male da mozzargli il respiro e lo portava a graffiarsi il petto come una furia pur di attenuarlo in qualche maniera, senza
però nessun risultato. Ben presto aveva capito che si manifestava ogniqualvolta che Karin era coinvolta, sia che lei fosse lì di persona sia che lui la stesse semplicemente pensando, e allora iniziò a temere di essersi lasciato coinvolgere troppo da quell’umana e che questa lo avesse in influenzato irreparabilmente.

Provò allora ad allontanarla in tutti i modi, insultandola, dicendole cose orribili e cacciandola via ogni volta che la vedeva arrivare, ma la sofferenza provata nel vederla rattristarsi contribuì solo ad accrescere il suo dolore. Più soffriva, più diventò intrattabile, finché un giorno non arrivò addirittura a fare del male fisico a Karin colpendola con uno schiaffo.

Solo dopo averla vista a terra Sora sembrò rendersi conto di ciò che aveva appena fatto, e rimase a guardarla pietrificato. Lo sguardo che gli rivolse Karin … sarebbe rimasto impresso a fuoco nella sua memoria. Non era stato uno sguardo ferito, o sofferente, o spaventato, solo deluso. Rimase a fissarlo per un tempo lunghissimo , poi si alzò lentamente, molto lentamente, quasi per sfida, lo guardò un’ultima volta e corsa via.

Sora allora si accasciò al suolo cadendo in ginocchio, fissando con sguardo vacuo il pavimento finché non sentì un dolore allucinante, più forte di qualunque altro avesse mai provato fino a quel momento, straziargli il petto. Crollò a terra e si prese il petto tra le mani, urlando con tutto il fiato che aveva in gola. Rimase disteso sul pavimento della grotta per un tempo infinitamente lungo, e proprio quando iniziava a pensare di trascinarsi fuori per farsi bruciare definitivamente dal sole, un grido squarciò il silenzio e gli gelò il sangue, perché avrebbe riconosciuto quella voce tra mille: era la voce di Karin.

Non perse tempo a riflettere, e senza pensare si gettò addosso la coperta per proteggersi al meglio e uscì alla piena luce del giorno, mettendosi a correre come un forsennato, ignorando il dolore che il sole, malgrado la debole protezione di stoffa che lo copriva, gli infliggeva bruciandogli la pelle. Ma non si fermò, non perse neanche un secondo a porsi domande: voleva trovare Karin, voleva salvarla, nient’altro aveva avuto importanza in quel momento. Non gli importava neanche di morire: prima di consegnare quel guscio di carne alle fiamme che l’avrebbero trasformato in cenere avrebbe salvato Karin , a qualunque costo; dopo avrebbe accolto con gioia la sofferenza del fuoco e sarebbe tornato nel Vuoto senza obiettare… ma non prima di aver salvato quella ragazza umana.

Lei, che era rimasta sempre al suo fianco nonostante lui avesse cercato di allontanarla e si era presa cura di lui pur sapendo di essere di fronte ad un essere malvagio e pur sapendo di rischiare la vita ogni secondo che passavano insieme; lei, che con il suo coraggio, il suo sorriso e le sue cure amorevoli aveva portato un raggio di luce nel mondo buio in cui aveva sempre brancolato; lei, che con la sua purezza e gentilezza aveva fatto scoprire a lui, un essere maledetto, vuoto, anaffettivo…l’amore.
Sì, era proprio questa la risposta a tutte le domande di Sora, quella su cui aveva rimuginato per giorni e giorni e che lo avevano portato ad un passo dalla pazzia: si era follemente innamorato di Karin come non credeva fosse possibile, come mai avrebbe creduto sarebbe stato possibile per un demone.

L’amava, non avrebbe più potuto vivere senza di lei, e se lei fosse morta… non aveva voluto nemmeno pensarci. Perché non sarebbe morta, no: a costo di ridursi ad uno scheletro con brandelli fumanti di carne sulle ossa prima di riuscire a raggiungerla, l’avrebbe salvata. E glielo avrebbe detto. Le avrebbe detto cosa provava per lei, prima di lasciarla per sempre. Non l’avrebbe fatta soffrire ulteriormente: appena l’avesse salvata, sarebbe uscito per sempre dalla sua vita.

Prese a chiamarla a gran voce, fiutando l’aria alla disperata ricerca del suo odore, e quando finalmente la trovò, raddoppiò i suoi sforzi, per quanto il suo corpo glielo permise. Alla fine riuscì a raggiungerla, ma la gioia fu subito soffocata da una rabbia devastante: Karin era a terra, illesa ma terrorizzata, e davanti a lei c’era un imponente orso bruno piuttosto adirato.

Questi raspò il terreno e le si lanciò contro, ma non arrivò nemmeno a sfiorare la delicata pelle del collo di Karin: in meno di un secondo fu sbalzato via e sbattuto contro un albero. Alzò il muso e si ritrovò sovrastato da Sora, ma il demone era irriconoscibile: l'icore gli colava dalle ustioni su tutto il corpo, il capo era quasi completamente calvo con pochi capelli bruciacchiati, il volto infossato e arrossato, le orecchie allungate e appuntite più del normale, e gli occhi… le pupille erano completamente dilatate. Gli crebbero gli artigli, dalla bocca spuntatono affilati e sporgenti denti da gatto, che Sora tenne serrati e attraverso cui ringhiò verso l’animale. Niente del suo aspetto avrebbe potuto far pensare a quel giovane che solo pochi minuti era sembrato un essere umano malaticcio e bisognoso di cure, mentre lì, davanti a quella bestia, era solo quello che era veramente: un mostro.

Karin lo guardò allibita, ma non mosse un muscolo, né cercò di chiamarlo. L’orso si rialzò, ringhiò verso Sora e lo attaccò. Sora si acquattò e con un balzo si portò alle sue spalle: non appena l’orso si voltò, gli saltò addosso sbattendolo contro il suolo e gli affondò le zanne nel collo, stritolandolo senza pietà, mentre il povero animale si dibattè come un ossesso, artigliando alla cieca il suo avversario. Lui non mollò la presa , strinse ancora e ancora, sempre più. Il sangue colò a fiotti dalla ferita, ma Sora non si fermò nemmeno quando arrivò a spezzargli le ossa e l’orso smise di lottare: preso da una furia cieca, il demone lo scaraventò di nuovo contro un albero e si accanì su di lui artigliandolo senza riuscire a smettere.


« Sora, BASTA! ».

L’urlo di Karin gli attraversò la mente e lo bloccò, fermandolo dal proseguire oltre con quella carneficina, ma fu niente rispetto a quando sentì le braccia della ragazza cingerlo da dietro e abbracciarlo forte. Come in trance, si voltò nell’abbraccio fino a essere completamente di fronte a lei. Era più alto di qualche centimetro, per questo dovette abbassare lo sguardo, ma quando lo fece si sentì morire: Karin piangeva, e tremava tutta.


« Basta… smettila, ti prego… » lo supplicò tra le lacrime.

Lui la guardò come se non credesse ai propri occhi, come se lei fosse morta e ora stesse guardando un fantasma. Allungò la mano, ancora munita di artigli e sporca di sangue, e gliela passò sulla guancia, sporcandogliela di rosso.


« Ka… rin… » mormorò, prima che un fiotto di icore gli colasse dalle labbra e lo facesse collassare tra le braccia della giovane.

« NO! » urlò lei in preda alla disperazione.

Lo sollevò con sforzo e lo trascinò all’ombra di un albero, al riparo dalla luce del sole, dove lo sdraiò, gli tolse la coperta ormai inservibile e gli prese il viso tra le mani.


« Sora… Sora, guardami. Guardami, apri gli occhi, per favore! ».

A fatica, il demone obbedì, con un immenso sollievo da parte della ragazza che non aveva nulla a che fare con le sue pupille tornate alla normalità ma solo con la gioia di vederlo aprire gli occhi e guardarla.

« Karin… » mormorò flebilmente.

« Sono qui, sono qui! » ripetè con ansia prendendogli la mano tra le proprie.

Il demone produsse un debole sorriso.


« Stai… bene? ».

« Io sì, ma tu… tu… » disse, ricominciando a piangere. « Tu… perché l’hai fatto? Perché sei uscito, perché mi sei corso dietro rischiando di morire?! » .

Le lacrime le scivolarono lungo le guance e bagnarono la mano di Sora.


« Io… » rispose debolmente lui. « Io… non potevo lasciarti andare via… così… ».

Karin smise di piangere e sbattè le palpebre, poi però scosse la testa.


« Certo, immagino che volessi farla finita e uccidermi una volta per tutte… almeno così saresti stato pienamente certo che io non ti-»

« NO! » urlò Sora, ma tossì e sputò icore.

Karin cercò di alzarsi per andare a cercare aiuto, ma lui non la lasciò.


« No… non andare via, ti prego… » la supplicò.

Lei lo guardò tristemente, come chi ha sofferto così tanto che ormai ha perso ogni speranza di poter essere felice e non si aspetta  che altra sofferenza.


« Perché? Pensavo fosse quello che volevi » disse senza espressione, ma sentendosi arrabbiata e confusa: per quale motivo Sora si era ridotto in quello stato se fino a poco prima l’aveva insultata e le aveva intimato di non farsi più vedere? Perché, poi, l’aveva fatto? Non sarebbe semplicemente bastato lasciare che l’orso la uccidesse?

« No… io… ho mentito ».

Le parole di Sora la lasciarono senza fiato, tanto da farla risedere a terra e riprendergli la mano.


« Cosa… cosa vuoi dire? » sussurrò.

Passarono alcuni attimi di silenzio prima che Sora si decidesse a riaprire bocca:


« Ti ho… mentito. L'ho fatto perchè tu… tu... sei un essere umano e io un demone… un mostro… quello che ho fatto », e indicò con un cenno del capo i resti dell’orso « avrei potuto farlo anche a te, in qualunque momento… e se fosse successo, io… non me lo sarei perdonato… ».

Karin gli strinse la mano così forte che avrebbe potuto spezzargliela.


« Perché dici questo?... » disse con un filo di voce, di nuovo sull’orlo delle lacrime.

Sora chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e poi la guardò di nuovo, e Karin notò una luce nuova nel suo sguardo, qualcosa che non aveva mai visto prima in lui.


« Perché… mi sono innamorato di te ».

Il silenzio scese come una cappa sul bosco, non si sentì più nemmeno il frusciare delle foglie o i versi degli animali, era come se il tempo fosse stato congelato. E così anche Karin, che spalancò gli occhi e lasciò la presa sulla mano di Sora, rimanendo rigida come una statua.


« Non posso dire… di averti amata dal primo istante in cui ti ho vista: noi non... i demoni non provano sentimenti, noi…ce ne nutriamo e basta. Ma tu… con le tue cure amorevoli, la tua gentilezza, la tua… innocenza… hai fatto nascere qualcosa, in me. Mi hai fatto provare … una sensazione che pensavo non sarei stato in grado di sentire. E… forse però sarebbe presuntuoso dire che posso capire cosa sia… perché in realtà non lo comprendo ancora del tutto ».

Si interruppe per un colpo di tosse che gli fece sputare altro icore, ma riprese a parlare subito:


« Non posso dire di poterlo comprendere perché non l’ho mai provato prima, e… mi sono sempre chiesto perché voi umani sprechiate la vostra vita rincorrendo una cosa simile. Però… so solo che quando sono con te… quando ti vedo ridere, o mi sorridi, o mi guardi divertita, o mi prendi la mano… io sento come se tutto il resto perdesse importanza. Che non vorrei essere in nessun altro luogo  se non dove sei tu; che vorrei… starti vicino in ogni momento della giornata; che… quando non ci sei, io mi sento tormentato e ti cerco dappertutto; che quando ti vedo sento come… se mi fosse stato tolto un peso dal cuore. E… ogni volta vorrei stringerti a me, respirare il tuo profumo, passare le mani tra i tuoi capelli, e… non lasciarti andare più via. E’… amore, questo? ».

Le lacrime avevano ricominciarono a scendere dalle gote di Karin già da quando Sora le aveva rivelato di amarla, ed erano andate aumentando sempre più mano a mano che aveva continuato a parlare. Tuttavia la ragazza rispose con un debole cenno del capo, e Sora fece una smorfia.


« Devo essermi nutrito troppo di te… mi sono esposto troppo, ti ho permesso di entrarmi dentro. E ora… non posso più fare a meno di te… e questo non va bene… ».

« Perché no, Sora? » disse la ragazza, riuscendo finalmente a spiccar parola.

« Noi ci nutriamo dei vostri sentimenti e delle vostre emozioni, ma al tempo stesso le temiamo perché portano solo alla rovina. Tu… mi hai salvato, ma… mi hai anche rovinato. Io, un demone di classe media, mi sono fatto mettere in trappola da un’umana… ».

Karin strinse forte la mano di Sora.


« E ora mi odi, per questo? Vorresti uccidermi? ».

« Non posso » rispose Sora. « Ormai io… sono come un drogato; e tu sei la mia droga. Continuerai a distruggermi , ma allo stesso tempo mi salverai, non potrò più fare a meno di te. E se tu morissi… ne morirei anch’io. Io ti amo, Karin… ma … non posso sopportare tutto questo, tu… non te lo meriti ».

Inaspettatamente, la ragazza assottigliò lo sguardo.


« Non hai nessun diritto di decidere per me ».

Lo disse con una nota strana dura nella voce, qualcosa che Sora trovò piuttosto fuori posto, in lei. Provò a chiedere spiegazioni, ma lei lo mise a tacere con un gesto della mano.


« Anataga hakuchi [sei un idiota], Sora! Perché non me l’hai detto prima? Perché non hai risolto la questione fin da subito invece di portare avanti quella sceneggiata? Non m’importa se ho sofferto io… ma così facendo hai sofferto anche tu! E ti sei comportato come
un codardo! ».

L’ultima parola la urlò, e per Sora fu come ricevere uno schiaffo in faccia. Ma non rimase impassibile.


« Non potevo dirtelo… non ne avrei avuto il diritto… ».

« E perché no? » disse lei, guardandolo con un’espressione così gelida che Sora si sentì intimorito.

Strinse le mani, e le prima parole che gli salirono alla gola sarebbero dovute essere una domanda,  posta per rimandare ancora il tormento che da giorni gli serrava il petto, quelle parole che non aveva ancora la forza di pronunciare. Poi però si ricordò del modo in cui lei lo aveva chiamato, e capì che era perfettamente inutile cercare di scappare.


« Che speranze potevo avere… che tu mi amassi? » disse infine, sospirando pesantemente.

Karin sciolse la sua espressione fredda, ma Sora non le diede tempo di ribattere.


« Io sono un essere pericoloso. E tu… meriti di più. Meriti qualcuno con cui poter camminare alla luce del sole. Qualcuno con cui tu non debba mai nasconderti da niente e nessuno. Qualcuno che possa regalarti una vita normale… che sia degno di ricevere e ricambiare il tuo amore ».

Karin non rispose, rimase a guardarlo senza dire una parola, ma il cuore iniziò a batterle sempre più freneticamente nel petto. Sora distolse lo sguardo e chiuse gli occhi: tutto sommato si sentiva sollevato nell’averlo detto. Aveva ragione lei, avrebbe dovuto pensarci prima… e forse così avrebbe risparmiato sofferenze a entrambi.


« Non m’importa ».

A quelle parole, Sora spalancò gli occhi e si stupì nel ritrovare quelli della fanciulla di nuovo lucidi di lacrime.


« Non m'importa che tu sia un demone, non m’importa che potresti uccidermi in qualunque momento, non m’importa se, per vederti, dovrò aspettare la sera, o stare rinchiusa dentro una grotta buia. Non m’importa… perché questo sei tu, queste cose fanno parte di te, sono ciò che ti rendono … ciò che sei. Ed è proprio perché sei così che… che… ».

Strinse le mani con forza prima di terminare la frase:


« … che anch’io ti amo. E non c’è niente che cambierei in te neanche se ne avessi la possibilità: tu sei così, e io non mi sognerei mai di obbligarti a cambiare per diventare qualcosa che non sei ».

Sora la guardò con gli occhi spalancati e cercò di tirarsi su, ma ci volle l’aiuto di Karin per riuscirci, e alla fine si ritrovò il suo viso a pochissimi centimetri di distanza.


« L’amore non è solo provare sensazioni soffocanti o godere della compagnia dell’altro: l’amore, quello vero, è dannare sé stessi per l’eternità, è mettersi continuamente alla prova, è andare avanti e affrontare le difficoltà;  se è vero bisogna essere disposti a tutti per viverlo fino in fondo, e niente potrà mai cancellarlo, non importa quanto difficile possa essere, non importa quante volte il cuore verrà ferito o spezzato. Ed io non scapperei per nulla al mondo dai miei problemi, men che meno scapperei da te. Io… non è con le tue parole crudeli che mi feriresti; non è scavandomi nel petto con i denti per mordere il mio cuore pulsante. E’ sparendo dalla mia vita che mi uccideresti; è andando dove io non posso raggiungerti, dove non potrei essere parte della tua vita che mi uccideresti. E io voglio continuare a farne parte, non importa quanto dovrò sacrificare, o cosa dovrò sopportare: io voglio stare insieme a te. E se è il mio amore a darti forza, be', allora te lo darò, ti darò sempre amore… perché hai preso il mio cuore: ti appartiene, ormai, e so che non lo darò mai più a nessun’altro. E… non m’importa se i nostri problemi saranno più gravi di quelli degli altri: a costo di rispedire a mani nude tutti i demoni all’Inferno… o rimandare quei guerrieri angelici di cui mi hai parlato direttamente su in cielo dal loro Signore… non ti libererai di me così facilmente » disse la ragazza, guardandolo con aria di sfida.

Sora si ritrovò senza parole, niente di quello che avrebbe voluto dire era sufficiente per esprimere ciò che provava.


« Karin, io… » le parole furono troncate dalla labbra morbide di Karin sulle sue, e lui, dapprima confuso, ben presto si lasciò andare e rispose a quel bacio.

Il suo cuore incominciò a battere più furiosamente mentre un nuovo calore molto più forte dei precedenti, qualcosa di neanche lontanamente paragonabile a quella potenza oscura che aveva sempre fatto parte del suo essere sin dal principio della propria esistenza, gli invase il petto e si estese per tutto il corpo, bruciandolo. Lui però non se ne accorse, era troppo impegnato a stringere a sé Karin e a baciarla con sempre più trasporto, finché non caddero a terra. Si separarono di malavoglia solo quando ad entrambi venne a mancare l’aria, e Karin lanciò un gridolino di sorpresa.

Il demone si guardò perplesso e ne scoprì presto il perché: non era stata solo un’impressione derivata dalla forza dell’emozione che aveva provato a baciare Karin, il grande calore che aveva sentito prima era stato anche qualcos’altro, qualcosa che lo aveva curato e gli aveva fatto riassumere l’aspetto di sempre come se non fosse mai successo niente. Si passò le mani sulle braccia, tra i capelli, di nuovo fulvi e lunghi, sul viso e soprattutto sulle labbra, di nuovo lisce. Era di nuovo sé stesso.

No, non era più come prima, non più. E non lo sarebbe stato mai. Guardò la ragazza e le sorrise caldamente, poi allungò la mano e le accarezzò la guancia. Lei mise la propria mano sulla sua ed affondò il viso in quella carezza, al che il cuore di Sora si sciolse, e senza pensare l’ attirò a sé, affondò il viso nei suoi capelli e la strinse forte. Lei ricambiò con eguale slancio, aggrappandosi a lui come se stesse per scappare via. Fu lei a interrompere l’abbraccio, ma non si allontanò dalle braccia di Sora e appoggiò la fronte contro la sua. Il demone la guardò negli occhi e poi iniziò a strofinare il viso contro il suo, con lei che rideva e cercava di fermarlo.


« Scusa, mi dispiace » disse Sora, credendo di averla infastidita.

Lei scosse la testa sorridendo e si appoggiò contro il petto del demone, che la strinse forte e posò le labbra sui suoi capelli.


« Non mi hai ancora dato una risposta » disse Karin, alzando gli occhi.

Lui distolse lo sguardo, ma non rimase insicuro troppo a lungo.


« E’ inutile, ormai: anche se cercassi di allontanarti, torneresti sempre indietro... quindi mi arrendo. Congratulazioni, piccola umana: sei riuscita a intrappolarmi » sospirò alzando le braccia.

Karin ridacchio'.


« E così… » disse, poi  « voi demoni sapete cos’è in grado di fare l’amore… ma non lo conoscete? »

« No » disse Sora. « Tu sapresti dire cosa si prova a volare se non sai farlo? ».

La giovane scosse la testa, sorridendo.


« In questo caso, » aggiunse « permettimi di aiutarti a conoscerlo meglio » e lo bacio' di nuovo.



*Angolo autrice:

Salve a tutti. Questa è la mia prima fan fiction a tema Shadowhunters: finora sono stata solo una lettrice assidua, e leggendone così tante alla fine è “nata” una storia anche nella mia mente, e ora finalmente sono riuscita a darle forma. A dire il vero la mia intenzione iniziale era fare un prologo, che fungesse da introduzione alla vera storia, che durasse un solo capitolo, ma mi è venuta fuori così tanta roba che sono stata costretta a dividerlo in più capitoli, quindi vi avverto che la storia principale inizierà a partire del capitolo tre o quattro o già di lì, quindi mi dispiace farvi attendere, ma ci vorrà un po' prima di vedere i nostri Shadowhunters e Nascosti preferiti :-). Avrei voluto proporre prima questa storia, ma avevo paura ( e ce l’ho tuttora) di non riuscire a ricalcare fedelmente i caratteri dei personaggi originali e di rovinarli. Ho deciso lo stesso di provarci, se non riuscirò nel mio intento vi prego di farmelo sapere. Non so con quanta frequenza riuscirò a pubblicare, tra esami, tirocinio e poco tempo, ma spero almeno che il mio lavoro risulti gradito. Intanto grazie a chi è arrivato fin qui, se per favore vorreste lasciare un commento ne sarei più che felice. Mata ne, a presto :-).

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Capitolo 2
*** Le Ombre dal passato ***


Un brivido percorse la schiena di Sora, che si strinse le braccia intorno al corpo prima di capire che non era dovuto al freddo ma solo all’emozione di quel ricordo. Dopo aver chiarito la natura dei sentimenti che provavano l’uno verso l’altra, ci era voluto un po' di tempo prima che le cose tra lui e Karin diventassero stabili, soprattutto perché Sora aveva avuto serie difficoltà ad adattarsi a quella condizione del tutto nuova, per lui: quando mai si era sentito di un demone innamorato di un essere umano?

E poi… ritrovarsi improvvisamente ad avere qualcuno che si prendesse cura di lui, che non lo temesse o che non lo guardasse con odio o con disprezzo, era troppo strano, e difficile soprattutto, da accettare tutto in una volta. E questo influenzò negativamente il periodo che seguì, che fu costellato da continui sbalzi di umore da parte di Sora con lui che arrivò molto frequentemente a trovarsi a pensare alle novità della sua vita non più con felicità ma con rabbia smisurata, e talvolta odio. Dopo la serenità che lo aveva pervaso la prima volta che aveva baciato Karin, aveva pensato che cose sarebbero proseguite per il meglio e sarebbero diventate più facili, e invece così non era stato per niente.
Molte volte divenne cupo e irrequieto, talvolta arrivò a prendersela con Karin e a far sfociare le loro discussioni in litigi di prima regola, che terminavano spesso con lui che si allontanava da solo nel bosco e lì rimaneva finché Karin non veniva a cercarlo. Non importa dove Sora avesse deciso di nascondersi: lei era riuscita sempre a trovarlo.

E ogni volta Sora si era sentito sopraffare dalla commozione e dalla paura: perché Karin insisteva tanto, perché continuava a cercarlo anche se la faceva soffrire? E allora gli tornavano in mente le sue parole, e capiva che lo faceva proprio perché ci teneva a lui, che anche se sbagliava, la faceva soffrire o non era gentile e paziente , lei continuava a cercarlo perché lo amava, e sarebbe arrivata a cercarlo ovunque per sempre finché non l’avesse ritrovato.

Andò avanti così per molto tempo finché una volta, l’ennesima, durante un giorno di pioggia, Karin lo aveva ritrovato nascosto dentro un imponente albero cavo; era ancora lontana però che lui le era corso incontro e l’aveva abbracciata, travolgendola. Essere a terra però non li aveva fermati, e la ragazza lo aveva abbracciato forte e si era messa a piangere dalla gioia di averlo ritrovato sano e salvo.

Sora allora le aveva preso il volto tra le mani, e sotto l’acqua l’aveva baciata. Lei aveva ricambiato sorpresa, ma la sua sorpresa era aumentata ancora di più quando, tirandosi su, Sora era caduto in ginocchio ai suoi piedi, le aveva circondato il grembo con le braccia, e affondandovi la testa lo aveva supplicato di perdonarlo. Karin aveva provato una tenerezza e un amore indescrivibile nei suoi confronti, si era chinata al suo livello e lo aveva abbracciato forte, dicendogli che non c’era niente da perdonare e che lei gli avrebbe sempre teso la mano e l’avrebbe aiutato a ritrovare la strada perduta.

Sora allora si era rivolto al cielo, chiedendo a quel Dio che aveva voltato le spalle ai figli dei suoi Angeli caduti dal Paradiso cosa mai avesse fatto, lui, un essere dannato, per meritare una simile benedizione. Dopo molte controversie, alla fine erano andati a vivere a casa di lei, una villetta di legno ad un solo piano nascosta nel bel mezzo del bosco. Era costruita su un'intelaiatura di pali e travi di legno su cui erano inserite pareti esterne, costituite da pannelli scorrevoli in legno e carta di riso, circondata da un giardino e delimitata da un muro di rocce accatastate le une sulle altre. Nel giardino c’era anche un orto, in cui Sora aveva riconosciuto molte delle verdure che lei era stata solita portargli da mangiare i primi tempi, quando ancora non aveva idea con chi avesse a che fare; oltre alle piante commestibili aveva sentito anche il profumo di molte erbe medicinali, oltre anche a qualche albero da frutto, tra cui un melo e un ciliegio. Aveva riconosciuto subito la pianta di aloe con cui lei gli aveva curato le ferite, e d’impulso le aveva stretto la mano. Lei aveva seguito la direzione del suo sguardo e aveva sorriso, poi aveva ricambiato la stretta, e guidandolo davanti all’ingresso della casa gli aveva detto:

« Okaerinasai [
bentornato], Sora » .

Sora aveva aperto la bocca e sbattuto le palpebre, poi però aveva stretto forte la mano di lei e sorridendo aveva detto:

« Tadaima [sono a casa] ».

Da allora le cose erano filate per il verso giusto. Una volta Sora aveva chiesto a Karin cosa ci facesse lassù da sola, in mezzo al bosco, dove poteva essere ritrovarsi in pericolo in qualunque momento, e perchè non vivesse invece in città insieme alla gente, dove sarebbe stata al sicuro. Lei aveva cercato di sviare la domanda ricordandogli che nemmeno lui viveva insieme ai suoi simili, al che Sora aveva ribadito dicendo che i demoni non erano soliti vivere in comunità, non funzionava così le cose nel loro mondo.

Karin allora si era arresa e gli aveva spiegato che vivere su quelle montagne la rendeva molto più felice che stare in mezzo alle altre persone: preferiva essere circondata dal fragore dei tuoni nelle stagioni di pioggia, dagli ululati dei lupi di notte, dal canto degli uccellini al mattino e dallo stormire del vento tra le fronde degli alberi che non dai rumori di una città caotica, piena di gente urlante, di odori e sempre in fermento.

Ripensando all’orso che l’aveva quasi uccisa, Sora le aveva chiesto se non avesse paura delle belve, e lei gli aveva risposto che le facevano molto meno paura degli esseri umani e che era più al sicuro lì di quanto non lo sarebbe stata in casa di un uomo; gli animali seguivano la loro natura, prendevano quel che dovevano, non desideravano mai di più. Non erano egoisti e non sognavano di spodestare nessuno per allargare il proprio territorio, non uccidevano per piacere e non stavano a rovinare la vita degli altri per ottenerlo come invece facevano gli uomini.

Comunque non c’erano solo grandi predatori in quel bosco, ma anche creature di piccola taglia, e loro erano innocui, maggiormente. In ogni caso non le interessava vivere in città: lei preferiva di gran lunga guadagnarsi da vivere lavorando duramente, invece che dipendere da altri o vivere una vita in cui per lei c’era posto solo in un destino che la vedeva maritata ad un buon signorotto di città, moglie devota e impeccabile e madre dei bambini che avrebbero concepito insieme. Una vita da sogno, per le altre donne… ma non per lei. Lei voleva scegliere da sola la propria strada, voleva essere libera; libera come il vento.

Il demone si era un po' sorpreso delle idee che aveva dei propri simili, ma in fondo non poteva biasimarla, anche lui ora era un emarginato della sua gente, anche lui ormai guardava le attitudini comuni dei mostri come lui con uno strano senso di inquietudine e disagio, come se, accettando l’amore di Karin, avesse conseguentemente rinunciato al demone che era in lui, e in un certo senso era proprio così. Non sarebbe mai diventato un umano e non voleva neanche farlo, però poteva sempre sforzarsi di reprimere almeno le abitudini che non necessitavano di grandi sforzi per essere dimenticate.

Anche anche se la sua condizione era leggermente diversa da quella di Sora, lui e
Karin erano simili: erano soli contro il mondo, la loro vita era una continua lotta. Sora però era pur sempre un demone, mentre Karin era una semplice umana. Il demone non poteva fare a meno di ammirarla per il suo coraggio, quella ragazza riusciva sempre a sorprenderlo: fragile come cristallo fuori, forte come l’acciaio dentro, sicura di sé, di chi voleva essere e di cosa voleva fare della propria vita. Non conosceva molto bene gli umani, ma era sicuro che non fossero qualità comuni a molti.

Un po' lo intimoriva: in fondo era stato proprio quel fattore a trasformarlo e a renderlo diverso da come era sempre stato, ma era anche il motivo per cui Karin non era scappata da lui la prima volta che si erano incontrati, e di questo non poteva che essere grato. Si era trattenuto dal chiederle di più, avendo intuito quali fossero i motivi che l’avevano portata a prendere una simile decisione; la ragazza, invece, non aveva smesso di fargli domande sul Mondo Invisibile, e Sora aveva soddisfatto sempre la sua curiosità, ripagato dal sorriso luminoso di Karin, felice che il demone si fidasse di lei così tanto da svelarle ogni segreto del proprio mondo.

Qualche volta, però, la giovane era arrivata a sentirsi come una formica davanti ad un granello di sabbia, tanto la vastità di quanto Sora le raccontava l’aveva sentire piccola e insignificante, invertendo i loro ruoli e iniziando a pensare di essere lei quella che non era degna di lui, che avrebbe sicuramente potuto trovare di meglio al suo fianco di un’umana debole ed effimera che sarebbe sfiorita come un fiore in inverno e sarebbe morta. Quando gli aveva manifestato questo pensiero, Sora si era arrabbiato come non l’aveva mai visto fare, e le aveva detto, no, le aveva ordinato di non azzardarsi mai più a pensare a sé stessa in quei termini, perché non era affatto così: lei era tutto per lui, tutto, e non avrebbe mai più dovuto osare di pensare il contrario, mai. Lei allora si era commossa e lo aveva abbracciato, e lui aveva ricambiato, dandole della stupida: come poteva pensare di non valere niente?

Karin gli aveva dato un’anima, un cuore, una ragione di vita, un nome, un’identità: come avrebbe potuto Sora desiderare di meglio quando aveva ottenuto più di quanto avrebbe mai potuto desiderare? Il suo nome, poi… era stato scelto per puro caso, ma con il tempo aveva assunto un significato maggiore: un innalzamento dalle viscere della terra sotto cui i suoi simili erano stati relegati, lontano dalla luce del sole che li avrebbe uccisi se li avesse baciati con i suoi raggi, e lontani dalla Gloria del Paradiso, costretti a strisciare e a mangiare polvere come il serpente che irretì Eva facendole mangiare il Frutto Proibito. E un passo più vicino alla splendida mortale che tanto amava. Lei gli aveva donato una vita vera, le sarebbe appartenuto per l’eternità, anche quando di lei sarebbero rimaste solo ceneri sparse nel vento o quando sarebbero suonate le trombe del Giorno del Giudizio.

Purtroppo però l’amore verso di lei non aveva cambiato completamente la natura del demone, e anche se si era sforzato di sopprimerne il più possibile e di non fare più ricorso ai propri poteri, certe cose non potevano essere semplicemente messe da parte. Come il non potersi esporre ai diretti raggi del sole, per questo motivo fu costretto a rinchiudersi in casa durante le giornate di sole. Non era un gran sacrificio, in fondo, perché poteva restare sotto la veranda a guardare Karin affaccendarsi dietro l’orto e il giardino, osservare il sole infrangersi sui suoi capelli scuri o sui suoi occhi verdi, che diventavano così ancor più luminosi e più simili alla lucentezza propria delle foglie brillanti di rugiada del primo mattino.

Qualche volta lei lo prese in giro dicendo che era una vera fortuna non essere costretta a sgobbare il doppio per sfamare una bocca in più, un uomo come lui avrebbe fatto la gioia di molte donne. Sora però aveva potuto rispondere solamente con un sorriso appena accennato: sapeva che l’aveva detto per ridere, ma non era esattamente qualcosa su cui scherzare. Karin si era accorta del suo turbamento e da allora aveva limitato le battute, decidendo che non fosse il caso di correre troppo ed esagerare: Sora era ancora nuovo a quelle cose, era meglio dargli tempo per abituarsi.

Dopo qualche tempo, Karin gli aveva annunciato di aspettare un bambino, cosa che aveva portato una gran paura nel cuore del demone, non tanto per sé quanto per la compagna: oltre al fatto che le madri soffrivano molto durante la gravidanza, non sempre i figli di demoni riuscivano a vedere la luce del sole, e non voleva che Karin patisse anche quel dolore. E poi, il bambino… Sora si era ritrovato a sperare che nascesse un Ifrit: sarebbe stato più vulnerabile agli attacchi, ma almeno avrebbe avuto più possibilità di costruirsi una vita normale, lontana dal Mondo Invisibile e da tutto quello che lo riguardava, se avesse voluto. Non gli avrebbe nascosto da chi discendeva, questo no: appena fosse diventato grande abbastanza gliel’avrebbe spiegato, e poi l’avrebbe lasciato libero di decidere il proprio destino.

Avevano passato nove mesi in agonia, ma la loro attesa era stata premiata dall’arrivo di una splendida bambina, perfettamente in salute e gioiosa, identica alla madre in tutto e per tutto tranne che per gli occhi, blu come quelli del padre ma con la pupilla circolare invece che verticale, le orecchie a punta e la pancia priva, come per tutti i mezzodemoni, dell’ombelico, il marchio che testimoniava la sua sterilità. La gioia dei due era stata grande, ed entrambi si erano sentiti così pieni d’amore da commuoversi, soprattutto Sora. L’avevano chiamata Yumi, “la ragazza che porta bellezza”, in virtù dell’immenso amore che aveva generato nei loro cuori e anche di ciò che lei rappresentava, il frutto dei sentimenti di un demone verso un’umana. Sora si era reso conto che in avvenire questo avrebbe rappresentato un bel problema per lei, ma preferiva mettere il futuro in secondo piano, per poi pensarci quando sarebbe stato il momento.

I primi tempi erano stati un po' difficili per il demone: non aveva mai visto un bambino in vita sua, e tantomeno sapeva come bisognasse prendersene cura, per questo inizialmente rifiutò di prendere la bambina in braccio. Karin aveva cercato di tranquillizzarlo dicendo che era normale avere paura, che anche lei era molto spaventata ma che era certa che le cose sarebbero sicuramente andate meglio con il passare del tempo. Nessun genitore diventava immediatamente tale quando concepiva un figlio, e anche loro avrebbero dovuto imparare poco alla volta.

Sora non si era lasciato convincere, e aveva continuato a tenere le distanze da Yumi, finché, durante una notte in cui i pensieri non gli avevano dato tregua, e lui non aveva fatto che girarsi e rigirarsi sotto le coperte senza riuscire a prendere sonno, Yumi non si era messa a piangere. Temendo che potesse svegliare Karin, Sora si era alzato, e senza nemmeno pensare aveva preso in braccio la bambina.

Lei aveva smesso subito di piangere, aveva sbattuto gli occhioni blu e sorridendo aveva allungato le braccia verso il padre. Confuso, lui le aveva porto la propria mano, e lei gli aveva catturato un dito, intrappolandolo nella sua manina e agitandolo ridendo divertita. Sora si era sentito sopraffare dalle emozioni e aveva stretto a sé quel corpicino fragile, che si era aggrappato ai suoi capelli e gli aveva anche tirato un orecchio, ma lui non ci aveva fatto caso.

Karin, che si era svegliata e li aveva raggiunti silenziosamente, era rimasta sulla soglia a guardarli intenerita, non osando rivelare la propria presenza e rompere quell’attimo di intimità tra il compagno e la figlia: era un momento che apparteneva solo a loro, lei non doveva intromettersi. Sora però aveva alzato lo sguardo, le aveva sorriso e le aveva porto la mano. Lei l’aveva presa incerta, lui l’aveva portata di nuovo nel letto e l’aveva abbracciata, tenendo tra loro Yumi, che si era addormentata placidamente e non si era più svegliata. Anche Karin l’aveva seguita poco dopo, non prima di aver dedicato a Sora un sorriso dolcissimo. Guardando le sue ragazze dormirgli tra le braccia, il demone aveva giurato a sé stesso che non avrebbe mai permesso che gli succedesse niente di male, e che le avrebbe protette a costo della sua stessa vita.

Circondata dall’amore dei propri genitori, Yumi crebbe diventando una bambina allegra, amabile e piena di voglia di vivere, sempre con uno splendido sorriso sulle labbra, lo stesso della madre. Di lei manifestò ben presto anche il carattere testardo e irremovibile, se si metteva in testa qualcosa non c’era verso di persuaderla a fare il contrario. Del padre, invece, sembrava aver preso solo il colore degli occhi e la forma delle orecchie, nient’altro. Non diede mai prova di possedere dei poteri, cosa di cui lui fu estremamente sollevato, anche se sapeva che sviluppare la magia non era implicito e sopratutto non era sempre immediato,  potevano manifestarisi fin dalla nascita come anche secoli più avanti .

Yumi dimostrò anche di essere molto sveglia e curiosa: aveva solo quattro anni quando andò dal padre e gli chiese perché la mamma non avesse le orecchie a punta come le loro, o perché lui non avesse occhi con la pupilla rotonda. Prima che Sora potesse rispondere, però, lei gli aveva chiesto se erano loro due a essere diversi, e non la madre.

Sora aveva sospirato, e prendendola sulle ginocchia le aveva spiegato per bene ogni cosa: dei demoni, della loro dimensione, di come arrivavano in quel mondo dal loro, di come di natura non fossero in grado di provare sentimenti ma se ne nutrivano, di come anche lui all’inizio era stato come loro e di come l’amore di Karin avesse causato quel cambiamento irreversibile nella sua esistenza. Le aveva spiegato anche cos’era lei: una strega, come venivano chiamati i mezzodemoni di madre umana, e le aveva raccontato che i suoi simili avevano dei poteri magici e che venivano concepiti come dispetto da parte dei demoni e mai per amore, come invece era stata generata lei.

Le aveva spiegato anche che loro due erano immortali, mentre la madre, che era una semplice umana, un giorno sarebbe morta; le aveva rivelato poi che per il momento poteva portare il nome con cui l’avevano battezzata, ma con il passare dei secoli, se avesse voluto, avrebbe potuto cambiarlo e assumerne uno che avrebbe rispecchiato la sua personalità e che sentisse più consono a lei.

Yumi aveva ascoltato in silenzio e non aveva detto niente fino a che il padre non aveva smesso di parlare, e solo allora gli aveva chiesto se non c’era un modo per rendere la mamma immortale come loro e riuscire così a stare tutti insieme. Sora le aveva detto che no, non esisteva, a meno di trasformare Karin in una creatura del Mondo Invisibile. Yumi allora aveva chinato la testa. Il padre aveva sospettato che sarebbe scoppiata a piangere, invece lei l’aveva guardato e aveva sospirato dicendo che trasformare la madre l’avrebbe resa diversa da ciò che era e che non sarebbe più stata lei se fosse successo. E poi non potevano obbligarla, non sarebbe stato giusto nei suoi confronti.

Dopo aveva chiesto a Sora di mostrargli i suoi poteri: se un giorno per caso ne avesse sviluppati anche lei, essendo sua figlia voleva almeno vedere a cosa sarebbe potuta andare incontro. Il demone aveva scosso la testa, spiegandole della promessa fatta a sé stesso: avrebbe usato di nuovo i poteri solo in caso di estrema necessità; per proteggere la sua famiglia, era meglio non correre rischi inutili. Oltretutto, era l’unico modo che aveva per sperare di sopprimere il più possibile il proprio essere demoniaco.

Qui la piccola l’aveva guardato perplessa e gli aveva chiesto se non era un’intenzione un po' azzardata, seppur animata da buonissime motivazioni, scappare in quel modo dalla propria natura. Sora era rimasto molto basito dall’osservazione della figlia, poi però le aveva spiegato che non stava cercando di scappare, cercava solo di essere una persona migliore per il bene di Karin.

« Ma la mamma ti vuole bene proprio perché sei così » aveva detto Yumi. « Dici di farlo per il suo bene, ma non le stai facendo invece un torto? ».

Il demone non aveva saputo ribattere oltre, e aveva allargato le braccia mortificato. In seguito però aveva ripensato spesso alle parole della figlia, ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontare apertamente il discorso con Karin. La bambina allora aveva guardato il padre dritto negli occhi e gli aveva detto, molto seriamente, che era ancora troppo presto per prendere decisioni così importanti e che prima avrebbe preferito diventare grande, capire chi fosse e cosa volesse, costruire la propria identità e conoscere entrambi i mondi a cui apparteneva; solo allora avrebbe deciso cosa fare.

E poi aveva sorriso e gli aveva chiesto di aiutarla a crescere. Sora l’aveva stretta tra le braccia promettendole che avrebbe fatto di tutto per aiutarla, che avrebbe sempre potuto contare su di lui. Lei, di contro, gli aveva promesso che, quando sarebbe stata grande abbastanza e la mamma fosse scomparsa, sarebbe stata lei a prendersi cura di lui, e non l’avrebbe mai lasciato solo.
Il demone allora le aveva baciato la fronte e le aveva detto grazie. La piccola gli aveva chiesto per cosa l’avesse ringraziata, e lui le aveva risposto che la ringraziava di esistere, di essere la loro bambina e di essere così. Lei allora aveva sorriso e gli aveva dato un grosso bacio sulla guancia, e poi era corsa ad abbracciare la madre e a baciare anche lei.

Anche se non ci fosse stata Yumi a chiederlo, comunque, Sora sapeva per certo che non si sarebbe mai azzardato a chiedere a Karin un cambiamento così radicale. Avrebbe goduto di ogni singolo istante passato insieme a lei come se fosse l’ultimo, così che,  il giorno in cui lei si sarebbe spenta per sempre, Sora avrebbe avuto la certezza di aver vissuto intensamente la vita insieme a lei, e non avrebbe avuto alcun rimpianto.

Così erano passati gli anni, con Yumi che cresceva sempre più bella e felice, e anche molto curiosa: non passava giorno senza che chiedesse all’uno o all’altro genitore di raccontarle qualcosa dei loro mondi. Loro fecero di tutto per non invogliarla a far prevalere in lei nessuno dei due mondi, ma furono sempre più che disposti a saziare la sua curiosità, che sembrava infinita, come quella della madre.

Non sviluppò preferenze per uno o per l’altro, pendette letteralmente dalle labbra di entrambi, sia quando le si raccontava del Mondo Invisibile sia che le si parlava della società degli uomini, di tutti i vari ceti e regole di cui era composta. Era curiosa, sì, ma non ingenua o stupida: non prendeva per oro colato tutto quello che sentiva e diceva che, quando sarebbe stata più grande, sarebbe andata a vedere di persona come stavano le cose, le avrebbe imparate sulla propria pelle.

E già da piccolissima iniziò a esplorare da sola il bosco in cui vivevano, facendolo diventare ben presto la sua seconda casa. Ogni giorno era un’avventura, c’era così tanto da scoprire e imparare; arrivò ben presto anche a fare amicizia con gli animali che lo abitavano, dapprima quelli più piccoli e innocui, ma poi,  con sommo stupore dei genitori, anche coi grandi predatori senza essere per niente spaventata da loro e senza che questi minacciassero di saltarle alla gola se si avvicinava troppo.

Lei prese a voler bene a tutte le creature, dal piccolo uccellino al grande orso, li considerava parte della sua famiglia, una grande famiglia. A passare più tempo nei boschi che a casa propria, maturò ben presto uno spirito indipendente e ribelle, e più che restare a casa ad aiutare la madre con le pulizie o a coltivare l’orto, preferiva imparare tutto quello che c’era da sapere sulla vita nei boschi. Imparò ad arrampicarsi, a saltare da un albero all’altro, a muoversi senza produrre rumore, ad acquattarsi dietro ai cespugli senza essere vista, scovare le tracce, riconoscere le piante commestibili o medicinali da quelle velenose, oppure capire che tempo avrebbe fatto grazie all’odore portato dal vento, utile anche a percepire la presenza di animali nelle vicinanze.

Talvolta si alzava presto al mattino, e senza neanche fare colazione correva nel bosco, dove rientrava spesso al calar del sole. A volte vi restava anche di notte, a guardare le stelle o a dormire, sugli alberi o per terra insieme ai suoi amici dalla fulva pelliccia, che al mattino la riportavano a casa tenendola in groppa come una principessa sulla sua cavalcatura. Imparò anche ad affrontare i pericoli, anche se non aveva né zanne né artigli.

I suoi genitori smisero presto di fare storie: anche se Yumi tornava tutta sporca e inzaccherata dalle sue escursioni, era sempre così felice e piena di entusiasmo che era impossibile arrabbiarsi con lei, e passavano le ore successive ad ascoltare le sue avventure e le nuove scoperte della giornata. Sua madre arrivò a soprannominarla “Tara-chan”, tigrotta, e quando lo faceva Yumi si metteva a quattro zampe e le soffiava contro, agitando una mano come un gatto che graffia un albero, cosa che faceva scoppiare a ridere entrambi i genitori. Anche così, però, un bel bagno non glielo toglieva nessuno, minaccia che però non le faceva paura e non le impediva di ripetere da capo il copione il giorno dopo.

All’inizio Sora e Karin avevano ipotizzato che questo suo amore per la natura e per gli animali fosse dovuto, oltre che Yumi fosse per metà un demone, anche alla circostanza che vivevano isolati dalla civiltà e non c’erano bambini della sua età con cui giocare. Più di una volta si erano chiesti se era giusto che la loro bambina crescesse lontana dal mondo civile e dalla società e non fosse il caso, invece, di portarla in città a cercarsi degli amici tra i suoi coetanei.

Yumi era stata irremovibile: che senso aveva andare a conoscere dei bambini normali se tanto sapeva che non si sarebbe mai sentita come loro perché non era umana e perché aveva interessi e un modo di vedere il mondo che sicuramente loro non sognavano neppure e che avrebbero trovato strano tanto quanto il fatto che lei avesse le orecchie a punta? Tacitato il tentativo del padre di dissuaderla dalle sue idee parlandole di un incantesimo che avrebbe nascosto il suo vero aspetto: non voleva nascondersi, voleva essere libera, essere accettata per quello che era, non per quello che gli altri si aspettavano o volevano che fosse.

Non era perché non fosse consapevole dei rischi che poteva correre, era perché non si sentiva ancora pronta. Lei stessa doveva imparare a convivere con la sua natura mezzo demoniaca, anche se fino a quel momento non le aveva ancora dato nessun problema, e imparare ad accettarla, non a odiarla perché la rendeva diversa; vivere in mezzo alla gente nel suo stato attuale non le avrebbe di certo facilitato le cose. E comunque, non era per niente entusiasta all’idea di andare a vivere in un posto caotico, rumoroso e disordinato come la città, insieme a gente che pensava solo al progresso e non rispettava la natura, quand’era essa stessa a nutrirli con i suoi frutti. Oltretutto… chi decideva cos’era ”normale”?

Era una parola che assumeva significati diversi a seconda di chi la usava. Per la gente di città era normale andare a scuola, al lavoro, giocare per strada, vestirsi bene, guadagnare denaro, incontrare altre persone e stare a parlare anche per tutto il giorno. Ma già guardando Sora,“normale” assumeva già un significato completamente diverso, perché per lui era normale avere orecchie a punta e poteri magici, com’era normale per sua madre andare a zappare l’orto.

“Normale” era solo una parola, un’etichetta che imponeva di comportarsi in un certo modo o di fare certe cose. E i suoi genitori meglio di chiunque altro avrebbero potuto capirla: sua madre aveva lasciato la “normale” vita di città per ritirarsi in quei boschi e costruirsi da sola la propria vita, mentre suo padre aveva voltato le spalle ad una “normale” esistenza da demone per amore di sua madre. Yumi non voleva vivere sotto un’etichetta, trovava veramente stupido questa mania di dare un nome alle cose e ai comportamenti, serviva solo a complicare la vita degli altri, e lei voleva solo poter essere sè stessa.
E " sè stessa" per lei era
imparare tutto quello che c’era da sapere sulla natura, giocare con gli animali del bosco, fare a botte rotolandosi per terra, ridere ed essere felice insieme ai propri genitori.

I due si erano scambiati sguardi preoccupati, e allora Yumi aveva promesso che, per farli felici, avrebbe imparato anche le buone maniere e a essere obbediente come una bambina di città. Karin allora l’aveva abbracciata, e Sora aveva avvolto entrambe con le sue braccia, guardando orgoglioso la figlia: era una creatura a sangue misto, un incontro tra due mondi che viveva senza appartenere né all’uno né all’altro ma stando in mezzo, e ciononostante era felice lo stesso, perfettamente consapevole di sé e di chi voleva essere. Come si poteva non essere orgogliosi di lei?

Questo però non impedì a Sora di essere curioso e di provare a immaginare cosa o chi sarebbe diventata Yumi: una ragazza selvaggia protettrice degli animali ( perché Sora non dubitava per niente che sarebbe stata in grado di tenere testa ad un uomo adulto una volta cresciuta), o una contadina solitaria come la madre, coltivando un orto e vivendo in una casetta di legno.

Non che gli importasse poi davvero, l’unica cosa che non voleva per lei era che venisse in contatto con il Mondo delle Ombre, il resto non aveva importanza. Anche Karin era preoccupata per il futuro di sua figlia, e anche Yumi, pur non dicendolo ad alta voce, aveva paura del giorno in cui sarebbe andata via di casa per vedere il mondo. Le si stringeva il cuore al pensiero di lasciare i genitori, ma sapeva che era giusto così, anche gli uccellini prima o poi lasciavano il nido per volare lontano e vivere la propria vita. Per cui si limitava a tenere per sé questi pensieri e a sorridere alla madre e al padre, per non farli preoccupare e anche perché voleva che anche loro fossero felici.

Non ebbe fratellini, o quantomeno, non dai propri genitori… ma dal bosco sì. Aveva cinque anni quando un giorno trovò un cucciolo di lupo dal manto grigio di pochi giorni, con due tenerissimi occhioni azzurri, accanto al corpo della madre ormai in fin di vita con una profonda ferita all’addome. Aveva cercato di rassicurare la lupa dicendole che l’avrebbe salvata lei, ma l’animale l’aveva guardata intensamente e poi aveva chiuso gli occhi per sempre. La piccola aveva pianto a dirotto sul corpo della lupa, poi aveva scavato una buca all’ombra dell’albero dove l’aveva trovata e là l’aveva sepolta, tenendo in braccio il cucciolo che per tutto il tempo era rimasto a guaire tra le zampe della madre, prima che Yumi la sotterrasse.

Dopo aveva portato il piccolo a casa e spiegato la situazione ai genitori, dicendogli che ora era responsabile di quel cucciolino e che aveva bisogno di lei. Loro non avevano obiettato, avevano solo vietato alla bambina di renderlo un animale domestico. Yumi li aveva rassicurati dicendo che non lo avrebbe permesso: sarebbe cresciuto nel bosco e sarebbe diventato un lupo come tutti gli altri, non un cagnolino da tenere al guinzaglio.

Così era diventata una sorta di seconda mamma per il piccolo Ryuu, come l’aveva battezzato qualche tempo dopo averlo conosciuto, ispirandosi alla leggenda che aveva sentito dalla madre secondo cui la Tigre e il Dragone erano uniti da un legame indissolubile dall’alba dei tempi, e così sarebbe stato per loro: lei era la Tigre, quindi lui sarebbe dovuto essere il Dragone.

La sua permanenza nel bosco divenne praticamente fissa, almeno finché Ryuu non diventò grande abbastanza da potersela cavare da solo. Yumi lo crebbe aiutata anche dagli altri animali, così il lupo poté imparare a vivere nel bosco, cacciare e sapersi difendere come ogni altro suo simile, ma anche quando fu cresciuto non smise di essere fedele a Yumi e andare spesso a trovarla. Con il passare del tempo, i due divennero inseparabili: ogni giorno non era più la voglia di esplorare della bambina
o le carezze affettuose della madre a svegliarla , ma erano invece gli ululati impazienti del suo amico a quattro zampe. Appena lei usciva sulla veranda , lui le saltava addosso e le leccava la faccia, poi si lanciavano di corsa nel bosco, facendo a gara a chi era più veloce, e passavano le giornate esplorando, giocando, e facendo la lotta. Benché incapaci di comprendersi a parole, erano in perfetta sintonia, come se le loro menti e i loro cuori fossero collegati, e collaboravano insieme capendosi a vicenda semplicemente guardandosi o con il linguaggio del corpo.

Quello che era iniziato come un gioco divenne la realtà: il loro legame diventò indissolubile, e loro divennero una cosa sola, l’uno era la metà dell’anima dell’altro: Yumi era quella vivace, irrequieta, impetuosa e testarda, Ryuu quello calmo, tranquillo e razionale capace di metterle un freno anche quando l'impresa sembrava impossibile (cosa per cui Karin gli era molto grata): lui era quello che restava nascosto guardingo tra i cespugli se vedevano un altro predatore, lei quella che invece si avvicinava il più possibile per osservarlo da vicino, lui quello che stava sulla riva del fiume e aspettava paziente che le prede arrivassero a tiro, lei quella che si buttava direttamente in acqua per catturare i pesci schizzando Ryuu, lui quello che si teneva a distanza dagli alveari pieni di api ronzanti e strattonava Yumi per tenerci lontana anche lei, che invece sfidava la sorte e cercava di prendere il miele, ed entrambi erano quelli che poi scappavano a gambe levate per fuggire dai guai in cui Yumi li cacciava.

Divenne impossibile vederli separati, sembrava che vivessero e respirassero insieme, come se fossero parte di un unico essere diviso però in due corpi diversi. Nonostante le prime insicurezze, anche Karin arrivò ad affezionarsi a Ryuu e a considerarlo come un secondo figlio, mentre invece Sora smise ancora prima di provarci: malgrado le richieste della figlia, in lui era ancora presente il ricordo dell’orso che aveva cercato di uccidere Karin, e questo aveva generato nel suo cuore un profondo astio verso tutti i predatori ( alquanto ironico, considerato quanto lui stesso fosse un essere pericoloso, anche più di loro). Per far contenta Yumi, però, si impose di non rovinare la felicità dei suoi momenti insieme a Ryuu ( e visto che era praticamente impossibile separarli, ciò accadeva sempre ).

Reticenza del padre a parte, Yumi e Ryuu crebbero insieme come fratelli, ed era davvero così che apparivano, anche se uno era peloso e camminava a quattro zampe e l’altra aveva la pelle liscia e camminava in posizione eretta. Grazie alla sua amicizia con Ryuu, Yumi imparò una grande lezione, ovvero che non erano i legami di sangue a fare la famiglia, ma piuttosto quelli derivati dall’amore , dall’affetto e dalla fiducia reciproci. Non riusciva a concepire l'idea separarsi da Ryuu, pensare ad un mondo in cui lui non esisteva era come cercare di immaginare un cielo senza sole o una notte priva di stelle. Sapeva che un giorno sarebbe comunque successo, per questo si assicurava di vivere ogni istante con lui come se fosse l'ultimo e di non dare mai per scontata la sua presenza.

Erano stati anni felici, per tutti e quattro. Alle volte Sora si chiedeva se non fosse tutto frutto della sua immaginazione, se non stesse sognando. La sua felicità lo portò però a concepire anche molti pensieri foschi: sapeva che, se i suoi simili lo avessero scoperto, o peggio, se la sua storia fosse arrivata alle orecchie della potente Lilith in persona, la sua esistenza sarebbe stata completamente cancellata, prima in quel mondo e poi definitivamente nella dimensione dal quale proveniva.

Pensò però anche ad un’altra cosa: era impossibile a realizzarsi, ma se tutti i demoni avessero seguito il suo esempio e avessero cercato di convivere e relazionarsi con gli umani, forse le cose sarebbero potute andare meglio per molte persone. O quantomeno, magari potevano migliorare se fosse riuscito a dimostrarlo agli Shadowhunters. Aveva cacciato ben presto quel pensiero: se tutti i demoni avessero fatto come lui e deciso di stabilirsi definitivamente sulla Terra, immigrando in massa il muro dimensionale tra i due mondi, già sottile, sarebbe crollato definitivamente sotto l’urto dell’ondata di demoni che l’avrebbe attraversato. Inoltre, se i demoni fossero cambiati… non sarebbero più stati demoni.

Non sarebbe più esistito l’Inferno, e con esso il male, e senza il male la dicotomia che costituiva l’equilibrio del mondo sarebbe collassato, portando il mondo alla rovina. Lilith, poi, non avrebbe certamente apprezzato questo cambiamento drastico nella natura dei propri figli, e sicuramente sarebbe scesa sulla Terra di persona a punirli se avessero mai osato tanto. Oltretutto, contare sulla possibilità di un cambio di prospettiva da parte degli Shadowhunters era improponibile: gli Shadowhunters erano fermi nelle loro regole e nelle loro leggi, e irremovibili nelle loro convinzioni. La vendetta di Lilith sarebbe stata acqua fresca al confronto della furia di cui avrebbero dato prova se qualcuno avesse osato proporre loro un’idea così assurda, se non addirittura inattuabile, come quella di un mondo in cui umani, demoni e Shadowhunters vivevano in pace e armonia tra loro.

« Un giorno all’altro diventerà davvero una bestiolina » .

Una dolce voce interruppe il flusso dei pensieri di Sora, che tornò al presente e si voltò sorridendo verso la donna che prese posto accanto a lui. Karin era diventata sempre più bella nel corso degli anni, o forse era solo lui ad avere quell’impressione. Indossava un kimono celeste con sopra ricamati dei fiori bianchi, e aveva i capelli raccolti in una lunga treccia che le ricadeva sulla spalla.
A Sora non piaceva quando lei raccoglieva i capelli, preferiva quando erano sciolti, e poteva accarezzarglieli facendo scivolare le dita tra quelle ciocche morbide e setose. Karin lo faceva apposta perché sapeva che lui glieli avrebbe sciolti e pettinati con le sue stesse mani, e infatti Sora non mancò al suo impegno neanche stavolta e le sciolse la treccia, accarezzandole dolcemente i capelli. Lei sorrise e appoggiò la testa sulla spalla di lui, che la cinse con il braccio stringendola a sé.

« Voi demoni siete davvero così resistenti alle intemperie o vale solo per i selvaggi come te? » lo prese in giro Karin, guardandolo con dolcezza.

Lui ricambiò con un sorriso e un bacio sulla fronte.

« Non ci ammaliamo come voi umani e non abbiamo le vostre stesse esigenze. Se le assumiamo è solo per mescolarci a voi e non destare sospetti ».

« Ma qui non hai bisogno di nasconderti, no? » sussurrò Karin.

Sora non rispose, mentre le parole dettegli dalla figlia anni prima tornarono a pungolarlo. Certo che avrebbe dovuto continuare a nascondersi, sarebbe stato un disastro se avesse di nuovo perso il controllo e lasciato trapelare la sua aura demoniaca, o peggio, abbracciare di nuovo la propria natura assassina e arrivare a uccidere le sue ragazze; peggio ancora, l’idea di trovarsi ad assistere impotente mentre la sua famiglia veniva uccisa per colpa sua e vedere i Cacciatori strappare le orecchie a Yumi per portarsele via come riprova di aver ucciso una strega.

Sapeva che l’Istituto più vicino distava miglia e miglia da lì e in sette anni non aveva rilevato altra presenza se non quella degli animali del bosco, quindi per il momento si sentiva tranquillo, ma quanto sarebbe durata ancora? Non esisteva il “per sempre” nemmeno per un essere immortale come lui, e nemmeno per i figli di Raziel: un giorno sarebbero arrivati, di questo era assolutamente sicuro.  Non avrebbero certo lasciato un demone a piede libero, appena fossero venuti a sapere della sua esistenza sarebbero giunti in massa e vi avrebbero posto fine. Sora sperava solo di non farsi trovare impreparato, e infatti era costantemente all’erta. Non diede voce alle sue preoccupazioni per non turbare la serenità di Karin, ma la donna non era una stupida, ed era perfettamente consapevole che ogni istante tranquillo passato insieme poteva trasformarsi in qualunque momento nel respiro profondo prima del balzo(1*).

« Cerco solo di trattenermi per te e per Yumi… soprattutto per Yumi… anche se mi rendo conto che è perfettamente inutile. Ancora un po', e arriverà a fare le fusa e a strusciarsi contro le tue gambe, quando vorrà farsi perdonare per qualcosa » disse con un sorrisetto furbo.

Karin scoppiò a ridere.

« Vedrai che prima o poi ci toccherà dare la nostra benedizione a Ryuu, perché stai pur certo che Yumi non si separerà da lui per nessuna ragione al mondo ».

Sora fece una smorfia.

« E’ il suo otouto [fratello minore], non credo arriverà mai a provare un amore di quel genere per lui » disse con noncuranza.

Solo dopo qualche istante di silenzio si accorse del modo perplesso con cui Karin lo stava guardando.

« Karin? »

« Non ti toccherebbe minimamente se arrivasse a innamorarsi di un animale? » .

Il demone sospirò.

« Quel lupo è più che capace di proteggerla, ed è anche affidabile e leale, non importa se ha quattro zampe o non sa parlare » disse allargando le braccia come dire “ che vuoi farci, non è qualcosa che potremo impedire”.

Karin inarcò un sopracciglio e lo guardò finché Sora non sbuffò stizzito.

« Anche tu ti sei innamorata di qualcuno che non appartiene alla tua specie! » esclamò, esasperato.

Karin ridacchiò e gli prese la mano.

« E non me ne pento assolutamente, infatti. Anch’io mi fido ciecamente di Ryuu; mi dispiace solo… che Yumi non potrà avere bambini… »

« Non potrebbe averne in nessuno caso… » sussurrò Sora, stringendo forte la mano della compagna.

Lei si appoggiò contro il suo braccio.

« Perché i figli dell’Angelo riescono a procreare e gli stregoni no? » .

« Non ne ho idea... ».

Karin strinse il braccio del compagno, che mise la mano sulla sua e gliela strinse.  Raziel aveva forse dato pochi doni ai suoi figli, ma loro perlomeno vivevano con la certezza che ogni giorno poteva essere l’ultimo: la Morte per loro era una compagna costante che prima o poi sarebbe venuta a reclamare il suo premio. I figli di Lilith erano immortali, non conoscevano davvero il sollievo di porre fine alle proprie sofferenza sperando nel dolce oblio del sonno eterno.

Erano esseri dannati e avrebbero sofferto in eterno vedendo la gente intorno a sé morire una dopo l’altra, tutto scorrere, mutare, ma non loro, che sarebbero rimasti sempre gli stessi per tutte le ere del mondo. E se gli Shadowhunters fossero stati consapevoli dell’enorme peso che l’immortalità comportava,  non l’avrebbero di certo agognata così tanto.

« Non mi sembra coerente » aggiunse Karin, pensierosa.

« Che gli Shadowhunters possano procreare e gli stregoni no? » chiese Sora.

« No » rispose Karin, scuotendo la testa. « Che i mezzodemoni siano immortali e i mezziangeli invece no. Discendono anche loro da un essere immortale, no? ».

« Non so che dirti, Karin » rispose Sora alzando le spalle. « Non ero presente quando nacquero entrambe le specie, non ho idea del perché le cose al giorno d’oggi vadano in questo modo ».

Karin guardò la neve cadere per terra ed aggiungersi ai cumuli già formatosi.

« Hai mai incontrata la tua Signora? » chiese ancora.

« Lilith? No, mai. E non è la mia Signora: è la madre di tutti noi demoni, da lei discendiamo… ma non sono un suo servo ».

La donna guardò il compagno e si strinse a lui. Sora ricambiò e girò la testa verso di lei.

 « E comunque, » disse Sora, cambiando argomento e spezzando la tensione « Yumi è destinata a diventare una donna bellissima, avere al suo fianco il lupo l’aiuterà a tenere lontano i malintenzionati. Non che ne abbia bisogna, però… quale maschio prestante non cederebbe al suo fascino? ».

Karin assottigliò lo sguardo.

« Non guardarmi così, mi fai sentire in colpa » disse Sora, sorridendo.

Karin scosse la testa.

« Uomo o animale che sia, a me basta solo che lei sia felice. Forse è un po' presto per pensare a queste cose… anche se penso le conosca già… ».

« Non mi stupirebbe » aggiunse Sora, e insieme ridacchiarono.

« Mi sembrerà comunque strano avere un genero peloso che ulula alla luna… o forse mi sembrerà strano che quel genero sia qualcuno che ho visto crescere come se fosse mio figlio… » riprese Karin, facendosi pensierosa.

Sora inarcò un sopracciglio, mentre un sorriso malizioso si delineò sulle sue labbra, e prima che Karin se ne accorgesse la prese in braccio e le leccò la guancia.

« Fermo, che fai, smettila! » esclamò Karin, cercando di allontanarlo ma ridendo fino alle lacrime.

« E perché, scusa? Fai un po' di allenamento per resistere alle effusioni del tuo futuro genero, dovresti essermi grata » rise Sora, baciandole il collo.

Karin riuscì finalmente ad allontanarlo, solo che Sora non era un debole umano e la spinse contro il proprio petto, la cinse con un braccio per non farla scappare e mise l’altro dietro la testa, rapendola in un bacio dolcissimo. Karin finse di respingerlo, ma alla fine circondò il collo del marito con entrambe le braccia. Si staccarono solo quando respirare diventò necessario, restando a guardarsi negli occhi, pieni di tutto l’amore del mondo.

« Non sono il servo di nessuno, Karin, e non permetterò che succeda qualcosa a te e a Yumi. Voi siete la mia vita, non voglio perdervi » sussurrò Sora sulle labbra di lei.

« E io ti seguirei all’Inferno, se necessario » ribadì Karin a sua volta.

« E i demoni scapperebbero terrorizzati di fronte al tuo caratteraccio » la prese in giro Sora.

Karin gli prese il labbro tra i denti e lo morse.

« Va bene, hai ragione, me lo sono meritato » si arrese Sora, leccandosi il labbro.

« Non credere che basti, sai? » lo minacciò Karin.

Il demone sospirò.

« Vuoi delle scuse ufficiali in ginocchio? Se vuoi posso anche mettermi sui sassi aguzzi » disse Sora facendola scendere, ma lei lo bloccò.

« Karin? » disse preoccupato.

Ogni traccia di allegria era svanita dal volto della donna, i suoi occhi ora esprimevano una serietà che intimidiva Sora. Odiava quello sguardo: non si adattava per niente a lei, era come se sostituisse la sua Karin con un’estranea. Non l’assumeva spesso, ma quando lo faceva non presagiva nulla di buono. Era con quello sguardo che lo aveva rimproverato e poi gli si era dichiarata, e questo bastava a mettere Sora in agitazione.

« Non voglio le tue scuse » disse la donna. « Solo una promessa ».

Sora rizzò le orecchie e si fece attento. Karin guardò il proprio grembo, poi gli occhi del marito.

« Qualunque cosa deciderai, se un giorno arriverai a stancarti di me quando sarò vecchia e brutta, o quando non vorrai più avere a che fare con me o con Yumi per qualsiasi motivo, sia perché ci odi, o per proteggerci… voglio che tu mi prometta che me lo dirai, che non sparirai nella notte come un codardo senza lasciarmi alcuna spiegazione, ma che invece me la darai, non importa cosa tu scelga di fare dopo ».

Sora sbatté le palpebre, esterrefatto.

« Tesoro mio… » mormorò, prendendole le mani e guardandola negli occhi.

Si era innamorato di lei ogni giorno di più: al mattino, quando lei si svegliava e gli sorrideva, la riscopriva ogni volta come se fosse la prima. Non si era mai abituato al calore che gli inondava il petto ogni volta che lei rideva o semplicemente lo guardava, non aveva mai data per scontata la sua presenza neanche avendola affianco ogni giorno. E ancora non aveva smesso di stupirsi della gran forza che lei, apparentemente così fragile, possedeva. La rimise a sedere sulla veranda, si alzò in piedi, e prendendole le mani si inginocchiò davanti a lei nella neve.

« Karin » disse serio, guardandola senza vacillare. « Io sono tuo. Il mio corpo, il mio cuore, la mia anima, o quello che è… quello che tu hai generato… sono in mano tua. Io non appartengo al Vuoto, né a Lilith, Nostra Regina e Madre: io appartengo a te, solo a te. Ora, domani, per tutte le epoche avvenire. Non ti abbandonerei mai, e se per un malaugurato caso il destino dovesse allontanarci,  farei di tutto per tornare di nuovo da te. Ma finché mi vorrai con te, non lascerò il tuo fianco ».

Karin strinse forte le mani di lui e iniziò a tremare.

« Non intendevo chiederti tanto… » mormorò.

« Amore mio », disse ancora lui « tu sei tutto per me, e non c’è limite a quello che farei per te se me lo chiedessi. Puoi chiedermi tutto, anche di strapparmi il cuore dal petto e donartelo: lo farei senza esitazioni ».

Lacrime silenziose scesero dalle guance di Karin: amava quel demone come non aveva mai amato nessun’uomo in vita sua, e anche se sapeva bene di essere ricambiata, l’amore profondo di lui nei suoi confronti era una continua scoperta anche dopo tutti quegli anni.

Liberò le mani e si gettò al collo del compagno, facendo cadere entrambi nella neve. Lui la tenne stretta e affondò il viso nei suoi capelli profumati, mentre lei si strinse al suo petto. Non si erano sposati ufficialmente, ma anche se nei matrimoni le persone si univano giurando fedeltà e amore al coniuge finché Morte non fosse sopraggiunta, loro non ci credevano, perché non avrebbero permesso alla morte di recidere il loro legame: si sarebbero appartenuti per sempre.

Uno strillo ruppe il silenzio all’improvviso, e spaventati i due si alzarono in fretta, ma quasi ricaddero sulla neve per il sollievo di essersi preso uno spavento inutile: Ryuu era venuto a trovarli , Yumi gli era corsa incontro e gli aveva gettato le braccia al collo, rotolando nella neve con lui e ridendo di cuore. I suoi genitori guardarono inteneriti la scena, sorridendo mentre Yumi rideva e copriva la testa di Ryuu con la neve, con lui che se la scrollava di dosso colpendo la bambina con quei fiocchi gelidi.
Per ripicca, ad un certo punto Yumi prese della neve e ci fece una palla con cui colpì Ryuu sul muso, e allora lui si mise a rincorrerla per tutto il giardino, con lei che lo prendeva in giro e rideva fino alle lacrime, e quando lui le saltò addosso e l’atterrò, lei continuò a ridere, contagiando anche Sora e Karin.

Avendo visto Ryuu praticamente ogni giorno da quando era un cucciolo era facile non aver notato la sua crescita, per questo, a guardarlo ora, Sora e Karin erano sorpresi di quanto fosse cresciuto. Era diventato molto più grosso e alto di Yumi, e anche se lo conoscevano bene e si fidavano di lui, non potevano evitare di sentirsi in ansia ogni volta che vedevano quel colosso di carne avvicinarsi alla loro bambina.

« Non arriverà mai a trovarsi un branco » disse Sora soprappensiero.

La sua era una constatazione, più che una domanda, perché non c’era bisogno di domandare qualcosa di cui si sapeva già la risposta. Ryuu non avrebbe abbandonato Yumi: era stato lei ad allevarlo, a crescerlo, a insegnarli a vivere. Era lei il suo branco, forse un po' la considerava la sua compagna: le sarebbe appartenuto per sempre. In ogni caso, sia Sora che Karin erano certi che, se mai un giorno Ryuu avesse trovato un branco, Yumi non avrebbe avuto nulla da obiettare, anche se avrebbe sofferto molto.

Karin si girò verso di lui e sorrise dolcemente, ma un rumore di passi nella neve li fece voltare entrambi e si trovarono di fronte Ryuu, che spazzava la neve con la coda, e accanto a lui Yumi, fradicia e con le mani giunte all’altezza del cuore. Karin si chinò ad accarezzare il lupo, che le mise le zampe anteriori sulle ginocchia e le leccò il viso, con Sora che lo guardava con inequivocabile fastidio. Tornò a guardare la figlia, e solo allora si accorse che aveva smesso di ridere e aveva gli occhi lucidi.

« Piccola, cosa c’è? » disse preoccupato.

La bambina tirò su con il naso, allungò le mani verso di lui e le aprì, mostrando una rondine completamente intirizzita.

« O poverina » disse Karin, inginocchiandosi davanti alla figlia e toccando delicatamente l’uccello.

Sora la imitò, ma non osò allungare le mani e toccare quel corpicino inerme. Karin guardò la rondine e chiuse le mani della figlia su quel corpicino, coprendogliele con le proprie

« Non essere triste, Yumi, è ancora viva, e noi possiamo salvarla » disse.

« Davvero? » disse la bimba, illuminandosi.

« Certo » sorrise divertita Karin.

A volte Yumi era così seria che sembrava molto più grande della sua età, tanto che Karin rimaneva piacevolmente sorpresa quando invece si dimostrava per quello che era: una bambina con un cuore grande pieno di amore verso tutto e tutti. Karin ovviamente le voleva molto bene per entrambi i lati del suo carattere, ma provava una preferenza segreta per il suo lato infantile: i bambini, quando sono tristi, vogliono essere coccolati, ed era compito di una madre adempiere a questo dovere finché ai figli non tornava il sorriso. Non le dispiaceva che Yumi fosse molto matura per la sua età, ma le faceva piacere che, nonostante tutto, non fingesse perennemente di essere un’adulta e si ricordasse che sarebbe sempre stata ben accolta tra le braccia della madre per essere consolata e permetterle così di svolgere, ancora per un po', quello che era il suo ruolo nella vita di Yumi.

« Guarda, ora io e te la sfreghiamo con le nostre mani finché non la scaldiamo per bene ».

« Sì! » esclamò la piccola sorridendo.

Anche Karin sorrise, e anche Sora, come ogni volta che vedeva le sue ragazze felici. Yumi sfregò la rondine, e Karin la guidò nei movimenti, finché qualcosa non si mosse tra le mani di Yumi: le aprì e l’uccellino saltò in piedi sul suo palmo, completamente ripreso.

« Ce l’abbiamo fatta, mamma! » disse Yumi felice.

Anche Ryuu saltò nella neve dalla bella notizia, scodinzolando vivamente. Karin rise e abbracciò la figlia.

« Ora però faresti meglio a riportarla nel bosco e trovarle un riparo, è pericoloso per lei volare con questo tempo ».

La piccola annuì obbediente e si incamminò verso gli alberi, con Ryuu che la seguiva trotterellando al suo fianco. Karin sorrise mentre li guardava allontanarsi.

« Non sempre serve avere poteri per fare miracoli, Sora. Sora? ».

Il demone non l’ascoltava, guardava fisso l’ingresso del giardino con un’espressione di puro terrore dipinto sul volto.

« Sora, cosa c’è? » chiese Karin, ma lui la ignorò e corse verso la bambina.

Lei, completamente ignara di tutto, arrivò in prossimità dei primi alberi e lanciò l’uccellino verso l’alto.

« Yumi! » urlò Sora correndole incontro.

« Papà, cosa… » ma proprio in quel momento avvennero tre cose rapidamente: Ryuu si acquattò e prese a ringhiare verso gli alberi, Yumi si voltò terrorizzata verso di lui e l’uccellino che aveva appena salvato cadde con un tonfo nella neve, macchiandola di sangue. Yumi ebbe appena il tempo di accorgersi che qualcosa di sottile e metallico spuntava dal corpicino della rondine che Ryuu saltò tra gli alberi e morse il braccio di un uomo nascostosi in mezzo.

« Lasciami andare, dannata bestiaccia! » urlò, cercando di liberarsi, ma inutilmente: Ryuu lo trascinò a terra e gli saltò al collo, azzannandolo e lasciandolo inerte e sanguinante nella neve, poi saltò indietro, si caricò Yumi sulla groppa e corse verso la casa. Da dietro gli alberi spuntarono altri sei uomini, tutti vestiti di nero, con delle lame scintillanti tra le mani e strani disegni sul corpo.

Yumi si voltò appena per vederli e poi affondò il viso nel manto dell’amico, stringendosi forte alla sua pelliccia. Alla fine erano arrivati, li avevano trovati: gli Shadowhunters, i cacciatori di demoni. Da quel momento in poi, la spensierata vita di Yumi ebbe drasticamente fine.


*Angolo autrice

E alla vigilia del mio compleanno pubblico il secondo capitolo della mia fiction. Spero di non avervi annoiato con tutti questi discorsi filosofici. Detto questo, spero vi sia piaciuto il capitolo; il prossimo sarà intenso e movimentato, anche un po' tragico, ma non ho idea di quando riuscirò a pubblicarlo, perché ho molto da fare. Però è lì pronto per essere trascritto, quindi… Shinpaimuyou, non preoccupatevi. Mata ne, a presto!

Riferimenti:

(1*): frase di Gandalf ne Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re

 

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Capitolo 3
*** Separazione ***


Sbucarono dal nulla da dietro agli alberi, probabilmente avevano celato la loro presenza grazie ad un incantesimo di camuffamento così potente che nessuno era riuscito ad accorgersi di niente. O forse Sora non ci era riuscito perché era stato così preso da Karin che aveva abbassato la guardia. In ogni caso, era inutile cercare di capire come e perché, visto che saperlo non avrebbe certo fatto sparire magicamente quei Cacciatori.

Sora si precipitò verso sua figlia, che gli saltò in braccio non appena Ryuu fu abbastanza vicino, ma due Shadowhunters si erano messi al loro inseguimento e li avevano quasi raggiunti. Con disgusto, Yumi notò che nessuno degnò di uno sguardo il cadavere del loro compagno ucciso, e si strinse forte al padre. Lui la strinse di riflesso, ma in realtà si trovava da tutt’altra parte: i suoi occhi erano pieni delle agili figure degli Shadowhunters, dell’arsenale che portavano appeso alla cintura, dei marchi scuri che spiccavano sulla loro pelle e delle sfolgoranti lame angeliche che brandivano.

Tutto quello che aveva represso negli anni increpò il muro dietro cui li aveva relegati e cominciò a invadergli il cuore e a corrompere il suo animo. I ricordi degli ultimi anni iniziarono a offuscarsi nella sua mente, tutto sembrò svanire gradualmente come se non fossero mai esistiti e lui fosse sempre e solo stato quello che doveva essere, un Eidolon di classe media che mai si sarebbe sognato di donare il proprio cuore a un essere umano e rinunciare alla sua natura.

Iniziò a vederci rosso, mentre un forte desiderio di snudare le zanne, aggredire quegli sciocchi e affondare i denti nella carne morbida dei loro colli cominciò a prendere possesso di lui, manifestandosi in un tremolio eccitato lungo tutto il suo corpo, e lui cominciò a sorridere sempre di più e i suoi occhi ad assottigliarsi e a brillare…

« Otoo-san [papà! » gridò Yumi, e quel flusso di odio e morte che aveva cominciato a prendere il sopravvento su Sora s’interruppe di colpo così com’era iniziato refluendo violentemente verso il suo cuore, dove venne di nuovo chiuso e sigillato.
La mente di Sora si schiarì di colpo e lui boccheggiò, riacquistò il controllo di sé e tornò presente a ciò che si stava svolgendo intorno a lui: sentì l’umido e il gelo della neve sulla pelle, l’odore del vento e del freddo, l’aria che gli fischiava nelle orecchie e il ringhio di Ryuu acquattato ai suoi piedi. Più di tutto, sentì il calore del corpo della sua bambina tra le braccia, con lei che lo guardava preoccupatissima.

« Y…Yumi… io … » disse Sora incerto. Cos’avrebbe dovuto fare? Scusarsi? Ringraziarla di aver impedito che la sua vera natura tornasse a reclamare il diritto di guidare il suo corpo e le sue azioni? O al contrario sentirsi arrabbiato proprio perché, ancora una volta, era bastato pochissimo per fermarlo? La piccola però lo prevenne:

« Per favore papà, per favore! ».

Non aggiunse altro, ma il demone capì cosa gli stesse chiedendo: non di rinunciare alla propria natura, ma di abbracciarla senza però perdere sé stesso. Solo che, ora che era stato fermato, si sentiva solo confuso, e incerto. Il latrare di Ryuu lo distrasse e lo portò a fronteggiare i due Shadowhunters che si erano fermati davanti all’animale, mentre gli altri  quattro si trovavano alle loro spalle, armati di archi e balestre.

Adesso che era lucido, Sora riuscì a percepire la presenza di altri guerrieri nascosti nel bosco, e tanto bastò per snudare le zanne e mostrarle a quei Cacciatori, maledicendosi però nel frattempo: come aveva potuto essere così stupido da cadere in un’imboscata del genere? E perché era successo proprio in quel momento? Era impossibile pensare che fossero rimasti tutto il giorno sotto la neve ad attendere il momento opportuno, che poi quando sarebbe stato? Cosa sarebbe successo se Yumi e Ryuu non si fossero avvicinati agli alberi e li avessero smascherati? Soprattutto… da quanto erano lì, quando erano arrivati?

L’istituto di Shadowhunters più vicino si trovava a centinaia di chilometri da lì, quindi o era da molto tempo che sapevano che lui si trovasse da quelle parti ed erano riusciti ad arrivare solo recentemente, oppure lo avevano saputo solo da poco e avevano impiegato ogni mezzo per arrivare lì prima che potesse scappare, magari con l’aiuto corrotto o comprato ( se non addirittura voluto) di un qualche Nascosto.

Yumi si divincolò dalle sue braccia, ricordandogli che ancora la stava stringendo, e affiancò Ryuu alzando i pugni. Come sempre, il padre non poté fare a meno di esserne orgoglioso: era così piccola eppure così coraggiosa e impavida. Yumi non aveva paura di niente, e di certo non sarebbe rimasta dietro le quinte a farsi proteggere mentre suo padre e suo fratello rischiavano invece la vita in prima fila. Ryuu si avvicinò a Yumi senza guardarla, istintivamente, come due magneti che si attraevano l’un l’altro, o come due parti di uno stesso meccanismo che solo collaborando insieme potevano funzionare veramente. Perché è questo che erano, loro : due facce della stessa medaglia, due entità distinte che però, se messe insieme, generavano una grande forza.

« Hai commesso un grosso sbaglio a scegliere di rimanere qui ad allevare la tua progenie, mostro » esordì uno degli Shadowhunters, puntando la spada contro Sora.

L’altro tirò fuori una lama biancastra, mormorò qualcosa e la spada s’illuminò, come se un fuoco vi fosse stato acceso di colpo all’interno. Sora strinse i pugni: cos’avrebbe dovuto fare? Rinunciare a quello per cui aveva lottato contro sé stesso per anni ridiventando il mostro assassino che era sempre stato, o continuare a tenere duro e cercare un altro modo per cavarsela?

La risposta arrivò con una palla di neve lanciata da Karin in faccia allo Shadowhunter che aveva appena parlato, che fu colpito in pieno e cadde nella neve. Il suo compagno si  distrasse, e allora Yumi si chinò e lo colpì lateralmente alle gambe con un calcio, mentre Ryuu gli saltò addosso e lo buttò a terra.

Ma mentre l’uomo cadeva, Yumi prese la mano del padre e corse via, con Ryuu al seguito, e raggiunsero Karin, che si buttò tra le braccia di Sora e strinse anche lei la mano di Yumi. Il demone le strinse entrambe a sé e guardò la moglie negli occhi. Lei rispose con uno sguardo deciso e determinato: non aveva paura, era pronta a tutto. Ed era la risposta alle domande che Sora cercava ormai da anni. A dire il vero, la risposta gli era stata data fin dal primo momento, solo che le sue paure e le sue incertezze l’avevano soffocata: Karin lo accettava per quello che era. Era stato così fin dal primo momento e  sempre lei sarebbe stata al suo fianco senza abbandonarlo mai, non importa cosa fosse successo. Glielo aveva assicurato e dimostrato in più di un’occasione, ma lui aveva avuto troppa paura per rendersene conto. Ora capiva di essere stato uno sciocco.

Doveva proteggere ciò che aveva di più prezioso al mondo, e per farlo prima avrebbe dovuto sconfiggere il suo nemico più grande: i suoi dubbi. Si sentì stringere la mano, e abbassando lo sguardo incrociò quello di Yumi: era determinato come quello della madre. Anche lei aveva capito, anche lei era pronta. Guardò di nuovo Karin, che fece un breve cenno con la testa, e allora non ebbe più paura. Strinse forte le mani delle sue ragazze e chiuse gli occhi: un forte vento si alzò improvvisamente, frenando la corsa dei due Shadowhunters. Alzarono le braccia per proteggersi ma non fu sufficiente, e vennero sbalzati via insieme ai loro compagni. Rotolarono nella neve e sbatterrono contro il muretto, ma finalmente la situazione si calmò, e furono in grado di vedere di nuovo.

Rimasero però scioccati: l’aria era stata invasa da centinaia e centinaia di piccole fiammelle blu che danzavano e si rincorrevano tra di loro. Nessuna apparizione però fu più scioccante della trasformazione avvenuta in Sora: le orecchie si erano allungate, ed erano infiammate sulla punta, fuoco che brillava anche dietro ai suoi occhi. Il suo viso si era leggermente allungato e nella bocca aperta davano mostra di sè affilati e lunghi denti da gatto. Guardò gli Shadowhunters con aria di sfida, poi ringhiò sommessamente.

« Non credere di spaventarci con questi miseri fuocherelli, demone! » urlò uno di loro, mentre l’altro fece una segnale ai loro compagni, e una raffica di frecce si abbatté verso Sora e la sua famiglia, ma invece di colpirli si infransero contro un nugolo di fiamme blu innalzatosi improvvisamente e caddero a terra in pezzi. Lo Shadowhunter che aveva insultato Sora allora si lanciò in avanti brandendo qualcosa di lungo e flessuoso dalla tasca ma che s’infranse di nuovo contro le fiamme, che avvolsero l’arma e il braccio dello Shadowhunter.

Lui lanciò grida strazianti, e vani furono i suoi tentativi di spegnere quelle fiamme apparentemente inestinguibili. Le fiamme circondarono gli altri Shadowhunters, e loro brandirono le armi contro quei fuocherelli danzanti distraendosi dall’obiettivo. Approfittando della confusione, Sora prese le sue ragazze in braccio, ma quando fece per volgersi verso Ryuu, il lupo scosse la testa e balzò al di là del muretto.

« Ci seguirà correndo » disse Yumi, che aveva capito le intenzioni dell’amico.

Sora annuì e si sollevò in aria, sorvolò il muro di cinta e si tuffò nel bosco, con Ryuu che gli stava alle calcagna. Corsero tutti e due finché non arrivarono nelle profondità più recondite del bosco e Sora non fu certo di aver seminato i cacciatori. Non era ancora il momento di stare tranquilli, però: quei fuochi  erano stati più che altro un diversivo per rallentarli, non sarebbero certo bastati a fermarli. Per di più, gli Shadowhunters non si sarebbero fermati: avrebbero proseguito nella loro cacciai finché non avessero soddisfatto la brama di affondare le loro spade del corpo di Sora, e dopo di lui sarebbero passati a Yumi; quanto a Karin… era meglio non pensarci. Scappare era inutile, e non avrebbero potuto farlo per sempre, lo avevano fatto anche troppo e per troppo tempo: bisognava affrontare gli Shadowhunters faccia a faccia. E quindi rimaneva una sola cosa da fare, anche se faceva male, molto male. Sora si fermò in una radura e fece scendere le sue ragazze.

« Li abbiamo seminati? » chiese Karin, mentre Ryuu li raggiungeva di corsa e si buttava ai piedi di Yumi.

« Per adesso sì, ma torneranno… » disse Sora, lo sguardo perso verso la direzione da cui erano arrivati. Karin lo guardò e vide che stringeva i pugni, e i suoi occhi, che un attimo prima erano stati luminosi e minacciosi, ora si erano rattristati. Gli prese la mano e lui la strinse con forza, senza volgere lo sguardo verso di lei ma continuando a guardare il sentiero come se temesse che da un momento all’altro gli Shadowhunters sarebbero spuntati fuori. Era solo questione di tempo prima che la sua paura si avverasse, quindi bisognava sbrigarsi.

« Non possiamo farci trovare impreparati, dobbiamo escogitare qualcosa! » esclamò Yumi con le braccia intorno al collo di Ryuu.

Sora sorrise tristemente alla figlia.

« E qualcosa faremo, infatti » disse a bassa voce, quasi un sussurro.

Karin e Yumi lo guardarono interrogative, ma appena capirono cosa intendesse dire Sora, il bosco si popolò delle loro urla.

« No, no e no! Non esiste, non abbiamo alcuna intenzione di permettertelo! » esclamò Karin.

« Papà, non possiamo lasciarti da solo, resteremo con te e combatteremo al tuo fianco, non abbiamo paura! » aggiunse Yumi, mentre Ryuu confermò il proprio appoggio ululando e agitando la coda.

Sora li guardò uno ad uno negli occhi e sorrise tristemente.

« So bene che non avete paura » disse a Yumi, inginocchiandosi davanti a lei. « E so bene anche quanto valete. Ma Yumi… è per la vostra sicurezza. Se resterete con me, finirete per essere uccisi tutti quanti ».

« Tanto cercherebbero di ucciderci comunque, no? » ribadì la piccola. « Io perché sono una strega, la mamma perché opporrà resistenza e Ryuu perché cercherà di difenderci. Anche se ci separassimo da te, non avremmo comunque pace, vero? ».

Sora si morse le labbra: Yumi era davvero troppo intelligente, aveva una mente aperta e una visione del mondo che era impossibile cercare di spiegare a parole e difficile da comprendere, perché i suoi occhi sembravano dotati del potere di vedere attraverso le cose, di scavare nelle profondità nascoste fino alla loro essenza più intima. A volte lui stesso ne aveva paura, ma non in quel caso: mai come in quel momento era felice di sapere che la sua bambina non possedeva quell’innocenza propria di tutti i piccoli della sua età, quella che, in una situazione del genere, l’avrebbe portata a tremare terrorizzata tra le braccia della madre, a chiedere a entrambi cosa stesse succedendo perché non riusciva a capirlo, a piangere perché non voleva che papà se ne andasse. Invece lo capiva perfettamente, non aveva paura e non aveva alcuna intenzione di scappare e abbandonare il padre al suo destino.

E Sora capì che aveva avuto ragione lei, quella volta, quindi si era opposta all’idea di frequentare bambini della sua età: non si sarebbe mai trovata bene con i suoi coetanei, e non sarebbe mai stata in grado di instaurare un legame con loro. Yumi apparteneva ad un’altra dimensione, una dimensione in cui persino lui e Karin , che pure avevano un legame profondo con la loro bambina, non sarebbero mai stati in grado di capire veramente.

« No, non avrete pace » ammise sconfitto. « Ma avrete una possibilità in più per scappare: vogliono me, principalmente, se resterò indietro a trattenerli vi darò un vantaggio in più ».

« Papà… » cercò di dire la piccola, ma Sora scosse la testa.

« Yumi, tu conosci questi boschi meglio di chiunque altro, e hai molti amici, qui. Prenditi cura della mamma ».

La bambina guardò la madre con gli occhi lucidi, e poi di nuovo il padre.

« Tu… tu tornerai, vero? » .

Sora stette un attimo in silenzio, poi scosse la testa.

« Non lo so, piccola » ammise.

« Non voglio perderti… » disse ancora lei aggrappandosi alla manica del vestito di Sora.

« E non mi perderai, infatti » disse lui, e si voltò verso la moglie, che lo guardava anch’essa con gli occhi lucidi.

« Sora… » mormorò.

« Karin, per favore, dammi la collana ».

La donna obbedì e infilò una mano nella scollatura del kimono estraendone un medaglione in ferro battuto, di quelli che si aprivano. Glielo aveva regalato Sora, una delle rare volte che era sceso fino in città (camuffato con un incantesimo) per vendere le verdure che Karin coltivava. Ci aveva messo dentro un piccolo ritratto di loro due e Yumi, e quando lo aveva ricevuto Karin era stata così felice che aveva giurato che non lo avrebbe mai più tolto fino al giorno della sua morte.

Sora avrebbe preferito essere presente , starle accanto finché
 quel giorno non fosse arrivato, essere lui a toglierle quella collana dal collo e a metterlo al proprio, vicino al cuore, dove sarebbe rimasto per sempre, perché per sempre il suo cuore sarebbe appartenuto a Karin, anche se quello di lei avrebbe smesso di battere. Ora non sapeva nemmeno più quando o se sarebbe mai accaduto, poteva solo fare il possibile per assicurarsi che lei e Yumi riuscissero a scappare. Non sapeva come sarebbero andate le cose, ma voleva lasciare loro una possibilità per potersi incontrare di nuovo. Prese una ciocca dei propri capelli rossi e la recise, poi aprì il medaglione e ce la mise dentro.

« Cercate di mettervi al sicuro, e quando il pericolo sarà passato, dirigetevi alla città portuale più vicina. Non importa quanto ci vorrà… ma cercate di raggiungere l’Europa ».

« Perché? » chiese Karin, con un filo di voce.

Sora si rivolse a Yumi.

« Ti ricordi dello stregone di cui ti ho parlato? »

« Quale? » . Sora sospirò.

« Magnus Bane ».

A quel nome, Yumi si illuminò : Magnus Bane era un potente stregone, forse uno dei più potenti che la storia avesse mai ricordato. Sora gliene aveva parlato molto, un giorno di pioggia in cui lei e Ryuu si erano rintanati in casa perché non potevano giocare all’aperto. Per scacciare la noia Yumi aveva preso il futon , lo aveva steso vicino al padre, ci si era sdraiata sopra, e appoggiando la testa sulle mani gli aveva chiesto di raccontarle qualcosa sugli stregoni, mentre Ryuu le si era accovacciato affianco e si era messo a dormire.

Sora l’aveva accontentata come sempre, e quel nome era saltato fuori parecchie volte, tanto che alla fine Yumi aveva chiesto esplicitamente di parlarle di Magnus Bane. Sora le aveva detto che era lo stregone più conosciuto e temuto tra i demoni, nonché forse uno dei più potenti e pericolosi: egli era il figlio di uno dei Nove Principi dell’Inferno, e si diceva che i suoi poteri fossero ineguagliabili, che fosse esperto nell’evocare demoni di qualsivoglia rango e anche che fosse a conoscenza di incantesimi e magie estremamente rari e potenti.  Yumi aveva dondolato la testa e scalciato i piedi, dicendo che allora, gerarchicamente parlando, lei che era figlia di un demone di classe media era di grado nettamente inferiore a lui.

Sora aveva alzato le spalle rivelandole che in verità tra gli stregoni non correva questo tipo di distinzione, ma solo una basata sulla potenza o sulla anzianità. Il fatto di essere figli di demoni di rango più o meno alto non contava granché, visto e considerato che non tutti arrivavano a conoscere il proprio genitore demoniaco. E non valeva neanche per i demoni di sangue puro: gli stregoni erano pur sempre dei mezzosangue, non importava di chi fossero figli, e perlopiù venivano disprezzati da coloro che invece erano interamente demoniaci. Si era morso il labbro dopo essersi reso conto di aver detto troppo, ma Yumi, invece di ribattere, si era fatta pensierosa , e Ryuu, percependo chissà come il suo turbamento, si era svegliato e le aveva mordicchiato il collo, facendola ridacchiare.

Continuando a farsi coccolare dall’amico, Yumi aveva chiesto al padre di raccontarle qualcosa di più su quel Bane, e lui le aveva rivelato che si diceva che il suo tratto distintivo, come per lei erano le sue orecchie a punta, fossero gli occhi, dotati di una pupilla allungata come quella dei gatti, come i suoi. La piccola si era toccata soprappensiero le orecchie: tempo prima aveva pensato che, più il Marchio era visibile in uno stregone, e quindi più era difficile da nascondere, più la vicinanza con il suo lato demoniaco doveva essere grande, e di conseguenza più lui doveva essere detentore di grandi poteri. Se questo Bane però di distintivo aveva solo gli occhi, e ciononostante era uno degli stregoni più potenti in circolazione, allora la sua teoria faceva acqua da tutte le parti. Anzi, forse era vero proprio il contrario. O forse dipendeva solo da un discreto allenamento.

Quando Yumi aveva chiesto a Sora di dirle altro su di lui, il demone le aveva chiesto cos’altro avesse voluto sapere, oltre a quello che già le aveva spiegato. Era rimasto molto sorpreso quando Yumi gli aveva detto che avrebbe voluto sapere che tipo di persona fosse. La richiesta di Yumi aveva spiazzato Sora, come accadeva spesso quando si ritrovava a parlare con lei, e lui aveva allargato le braccia mortificato, spiegandole che non lo aveva incontrato e che sapeva solo quello che si diceva in giro, e cioè che fosse un tipo eccentrico, megalomane e strambo, che amava viaggiare, a cui piaceva coprirsi di ridicolo e che si accompagnava a uomini e donne, senza distinzioni.

Yumi  lo aveva guardato come se avesse voluto rimproverarlo, ma poi aveva decretato che non avrebbe dato peso a quelle storie finché non avesse incontrato Bane di persona. Sora l’aveva messa in guardia sulle preferenze dello stregone che, a quanto pareva, aveva una predilezione per coloro che avevano i capelli neri e gli occhi blu. Yumi aveva sventolato i capelli con una mano, e facendo l’occhiolino al padre aveva detto che così almeno avrebbe avuto più possibilità che Bane desiderasse conoscerla.

Lo aveva detto per scherzare, e non si era aspettata certo applausi, ma l’espressione seria di Sora l’aveva lasciata basita, e ben presto anche sulle sue labbra si era spento il sorriso e aveva allontanato il muso di Ryuu con una mano. Non avevano detto niente ad alta voce, ma entrambi sapevano cos’avevano pensato in quel momento. Yumi non aveva più fatto domande sullo stregone, ma aveva pensato molto spesso a lui, scoprendosi vogliosa di saperne di più sul suo conto.

Le sue però sapeva per certo non essere fantasticherie sciocche e infantili, di quelle che ti fanno sospirare e sognare a occhi aperti, sogni che però finivano inevitabilmente per infrangersi non appena inciampavano nella dura realtà e si dimostravano, appunto, per quello che erano: fantasie stupide, generate dal fumo rilasciato dal fuoco di paglia che il pensiero di qualcuno di popolare e famoso aveva generato nei cuori di fanciulle ingenue. Yumi non generò neanche una volta un pensiero simile verso Bane: come si poteva immaginare certe cose di qualcuno che nemmeno si conosceva, di cui non si sapeva nemmeno che aspetto avesse? Avrebbe tanto voluto incontrarlo, ma solo per conoscerlo, capire di persona se quello che si diceva su di lui era vero o no.

Forse però era meglio che questo non avvenisse: proprio perché non sapeva niente di lui, niente le assicurava sul tipo di reazione che avrebbe potuto avere se si fosse trovato davanti una figlia di demone concepita non per dispetto ma per amore. Da quello che suo padre le aveva raccontato spesso, lui che aveva infranto i tabù della propria razza era ormai condannato a essere considerato un reietto, un traditore, una pianta cattiva da estirpare per non permettere che le altre venissero infestate, e tutto perché si era innamorato di una donna umana.

Visto che Yumi era sua figlia, purtroppo questo la rendeva automaticamente una reietta come lui, una vergogna. Con che faccia avrebbe potuto presentarsi ad altri stregoni, loro che erano frutto di una violenza e non di un’unione amorosa come lei? Quasi sicuramente l’avrebbero odiata, e questo, quindi, valeva anche per Bane.

 Aveva tenuto per sé il suo interesse nei confronti di Magnus Bane, evitando accuratamente di riaffrontare l’argomento con il padre, certa che neanche lui avrebbe approvato granché che lei desiderasse di conoscere questo fantomatico stregone. Ora però la stava mandando letteralmente tra le sue braccia, insieme ad una ciocca dei suoi capelli… e questo voleva dire solo una cosa.

« Non concede i suoi servigi a chiunque » proseguì Sora. « Dovrete procurarvi molto denaro, non credo chiuderebbe un occhio solo perché Yumi è una strega… ».

Né Karin né Yumi ebbero bisogno di chiedere altro: sapevano cosa stava per succedere. E a Sora non servì chiedergli se avevano capito.

« Faremo tutto il necessario, a costo di inseguire questo stregone per tutta la vita » dichiarò risoluta Karin, stringendo forte il medaglione.

Yumi annuì con vigore, e Ryuu agitò forte la coda. Sora sorrise e guardò Karin, la sua compagna, la sua ragione di vita, l’umana che era riuscita a salvarlo dalla dannazione, che gli aveva fatto conoscere l’amore e lo aveva fatto rinascere alla vita, la vita vera. Si soffermò sui suoi lunghi capelli neri, che tante volte aveva pettinato con le proprie mani, annusato, e in cui aveva affondato il viso, sui suoi allungati e bellissimi occhi verdi, che erano riusciti a intrappolarlo sin la prima volta che si erano posati su di lui, che avevano saputo andare oltre il demone e raggiungere il suo cuore, la sua anima, che avevano saputo guardarlo come nessuno aveva mai fatto, sul suo viso pallido e lucente come la luna, che più volte aveva accarezzato e baciato, sulle sue mani piccole e morbide, che lo avevano curato, lo avevano sostento, gli avevano tenuto le sue, lo avevano condotto a casa, e che solo pochi minuti prima aveva stretto tra le proprie, giurando alla sua amata amore e fedeltà eterna, la vera eternità, non quella parvenza che i mortali decantavano con leggerezza. Sora avrebbe preferito trascorrere molto più tempo con lei, vederla diventare vecchia e bianca, tenerle la mano finché l’ultima scintilla di vita non avesse lasciato il suo corpo. Ora invece il tempo a loro disposizione era scaduto a sorpresa, e quella probabilmente sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero rivisti. Di riflesso allungò la mano e prese quella dell’amata.

« Karin… »

« Voglio restare con te, Sora, non voglio scappare » esclamò lei.

« Lo so » sospirò Sora. « Conosco bene il tuo coraggio, come potrei dimenticarmene? Sei la persona più forte che abbia mai conosciuto… ma se ti succedesse qualcosa non potrei perdonarmelo ».

« Sora… ».

« Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato… anche se speravo che arrivasse più tardi, molto più tardi… ».

Lasciò in sospeso la frase, non c’era bisogno di completarla, sapevano entrambi cosa Sora avesse voluto dire.

« Purtroppo ormai non posso più fuggire, Karin » continuò Sora. « Io sono un demone, la mia sola esistenza è sbagliata. Gli Shadowhunters sono stati creati per uccidere tutti quelli come me, non staranno a sentire le mie ragioni, non gli importerà se gli dirò che volevo solo vivere in pace con la mia famiglia, non crederanno che io vi amo ».

Karin strinse forte le mani del compagno.

« Glielo dirò io » esclamò. « Gli farò capire che tu hai un’anima, come me, come Yumi, come qualunque altro essere vivente sulla faccia della Terra. Tu non sei un mostro » .

Aveva il respiro rotto, era evidente quanto si stesse sforzando di ricacciare giù la disperazione che le stava attanagliando il cuore. Anche in quel momento, anche quando era ormai prossima a perdere colui che amava sopra ogni altra cosa al mondo, non voleva permettere alle emozioni di sopraffarla. E Sora fu di nuovo immensamente grato che fosse così forte: era grazie alla sua forza se non era scappata quando aveva scoperto di trovarsi di fronte ad un demone, era grazie a quella se era rimasta con lui, se era sempre tornata indietro nonostante lui l’avesse ferita in continuazione, era grazie a lei se aveva saputo accettare l’immortalità di Sora e l’idea che, mentre lei sarebbe avvizzita e si sarebbe spenta, lui sarebbe sempre rimasto lo stesso, e sarebbe andato avanti senza di lei.

Era grazie a quella forza che Sora aveva il coraggio di dirle quelle cose e lasciarla: se Karin non ce l’avesse avuta sarebbe morta già da tempo, e niente di tutto quello che avevano costruito, vissuto e ottenuto insieme, si sarebbe mai realizzato; se non fosse stata così forte, Sora non si sarebbe mai azzardato a dirle di scappare con la loro bambina, di espatriare e di andare a cercare uno stregone nascosto chissà dove da qualche parte nel Vecchio Mondo.

Sapeva che ce l’avrebbe fatta, che avrebbe dato tutta sé stessa pur di riuscirci, che sarebbe riuscita a sopravvivere e a trovare Magnus Bane. E già il fatto che volesse tentare di convincere quei cacciatori a riflettere era già prova di una forza e di una volontà immensi. Ma il suo coraggio non sarebbe stato sufficiente, anzi, sarebbe stato inutile se non addirittura sprecato nel credere all’illusione di un dialogo civile e diplomatico con i Nephilim.

« La tua parola non servirebbe a niente, penserebbero che io ti abbia traviato, che abbia sconvolto la tua mente. E poi, te l’ho detto: nemmeno una persona straordinaria come te, che è riuscita a cambiare uno come me, riuscirebbe a farli ragionare ».

« Amore mio… » mormorò Karin.

Sora le accarezzò il volto, perdendosi  nei suoi occhi 
verdi. Karin affondò il viso in quella carezza, e guardò a lungo il compagno: l’amava, l’amava come si può amare l’aria che si respira, o la luce dopo essere stati al buio a lungo, o il calore del fuoco dopo essere stati esposti troppo tempo al freddo e al gelo. L’amava con ogni fibra del suo essere, l’aveva amato ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e ogni secondo di più per tutto il tempo che avevano trascorso insieme.

Era sua, gli sarebbe sempre appartenuta, non importava cosa sarebbe successo. Si allontanò da lui senza dire più niente e indossò la collana. Sora allora si chinò e si rivolse alla figlia, che era rimasta a guardare i genitori in silenzio, stringendo Ryuu.

« Yumi… » disse Sora.

La piccola strinse ancora di più le braccia intorno al lupo, più per trattenersi dal lanciarsi tra le braccia del padre e non lasciarlo più che per trarne coraggio. Il lupo alternò lo sguardo da lei al demone, frustrando la neve con la coda, e Sora guardò con dolcezza la propria bambina: l’aveva presa in braccio la prima volta che era un fagottino urlante, l’aveva vista gattonare e poi alzarsi e muovere i primi passi, camminare, correre. L’aveva vista rotolarsi tra l’erba, giocare con gli animali del bosco, aveva visto i suoi occhi illuminarsi di gioia, l’aveva presa in braccio quando lei gli correva incontro e gli saltava addosso; l’aveva vista portare a casa un cucciolo di lupo indifeso e allevarlo come se fosse stato suo figlio, l’aveva vista giocare, crescere, vivere e respirare insieme a lui. Concepire l’idea quei due separati era impossibile, era come immaginare di tenere separate le due metà di un corpo.

Avrebbe voluto poterle restare accanto ancora per molto, vederla diventare grande, affrontare il mondo, starle vicino quando Ryuu se ne fosse andato, vedere se avrebbe cambiato nome o avrebbe mantenuto il proprio, scoprire se avrebbe mai sviluppato dei poteri e aiutarla a padroneggiarli.

Gli si spezzava il cuore lasciarla andare così, avrebbe voluto che vivesse felicemente tutta la sua infanzia, non che dovesse soffrire già così presto. E per di più la stava mandando da quel Magnus Bane: sapeva bene cosa si diceva di lui, ma era l’unico di cui sapeva che sarebbe stato in grado di aiutarle.

Non gli importava cosa ne sarebbe stato di lui, non aveva paura di quello che gli sarebbe successo: aveva a cuore solo che una sorte simile non capitasse alle sue ragazze, il resto non aveva alcuna importanza, sarebbe stato pronto a tutto. Non era certo però che sarebbero mai state lasciate in pace, specialmente Yumi; considerato poi quanto Magnus Bane avesse a che fare con i demoni, prima o poi sarebbe sicuramente venuto a conoscenza di lui e della sua storia, se non lo era già.

In cuor suo, però, Sora si ritrovò egoisticamente a sperare anche che magari decidesse di prendere Yumi sotto la sua ala e insegnarle l’uso della magia. Era una speranza sciocca, ma era tutto quello che aveva, se non ce l’avesse avuta si sarebbe arreso e non avrebbe lasciato andar via le sue ragazze per niente al mondo. Si allungò e accarezzò i capelli alla figlia.

« Papà… » fece la piccola.

« Sii sempre coraggiosa, Yumi, e non arrenderti mai, me lo prometti? ».

La bambina tirò su con il naso e annuì energicamente. Sora sorrise e poi, sorprendendo Yumi, si rivolse a Ryuu:

« Prenditi cura di loro, Ryuu; so di poter fare affidamento su di te ».

Il lupo piegò la testa da una parte all’altra, poi però ululò brevemente  e sbatté con più vigore la coda. Sora guardò la figlia e lei gli fece un cenno affermativo: Ryuu aveva capito, e avrebbe mantenuto il suo impegno. Sora sorrise e fece un’altra cosa che non aveva mai fatto prima d’ora: accarezzò la testa di Ryuu, e lui manifestò il proprio apprezzamento chiudendo gli occhi e ansimando con la lingua a penzoloni. Sora allora mise una mano sulla spalla di Yumi e l’altra su quella di Ryuu, e molto seriamente disse:

« Abbiate sempre cura l’uno dell’altro… figli miei ».

Il cuore di Yumi perse un battito e lei guardò scioccata Ryuu, che la guardò a sua volta, ed entrambi poi guardarono Sora: aveva riconosciuto Ryuu come figlio proprio, gli aveva dato la sua benedizione, e con essa la vita di sua figlia; lui che era sempre stato reticente nei suoi confronti, lui che aveva sempre avuto paura che un giorno l’istinto da predatore di Ryuu sarebbe prevalso e avrebbe ucciso Yumi, ora gliela stava affidando, e per sempre. Per Yumi fu troppo: lasciò finalmente Ryuu e si buttò al collo del padre, che la strinse forte e la baciò sulla fronte. Dopo che si furono separati, senza più guardare Sora Yumi prese la mano della madre e corse via. Il demone si voltò, ma subito si sentì chiamare.

« SORA! ».

Si voltò giusto in tempo per vedersi piombare addosso Karin, che lo abbracciò come se ne andasse della sua vita. Sora allora affondò il viso nel suo collo e respirò a pieni polmoni il profumo della sua pelle e dei suoi capelli. Karin si strinse a lui, passò le mano tra i suoi fulvi capelli, sulla sua schiena, fino ad arrivare al suo viso, dove lo guardò seriamente.

« Karin, Aishit- » fece per dire Sora, ma lei gli chiuse le labbra con un dito.

« Non dirlo, Sora » disse, seria. « Non dirlo. Questo non è un addio, noi ci rivedremo ancora » aggiunse in tono che non ammetteva repliche, lo stesso con cui lo rimproverava quando entrava in casa con i piedi sporchi, o con cui ammoniva Yumi di fare più attenzione quando andava nel bosco  o quando le proibiva di giocare con Ryuu in giardino perché non voleva che devastassero l’orto. Prese il volto del marito e poggiò la fronte contro la sua, con un nulla a separare i loro occhi, che si specchiarono e si riversarono gli uni negli altri.

« Mi hai fatto una promessa, demone » sussurrò Karin. « Vedi di mantenerla a ogni costo ».

L’altro si lasciò scappare un sorriso.

« Non cederò alle minacce di un umana: se mi salverò, sarà perché lo voglio io » disse con sfrontatezza.

Karin rispose con un sorriso altrettanto insolente, spezzato però dalle labbra di Sora sulle sue, che le fecero perdere il senso della realtà e quasi la fecero svenire. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non perdersi completamente e per imporre a sé stessa di staccare le mani dai capelli di  Sora a cui si era aggrappata, di non abbandonarsi tra le sue braccia e impedirgli di andare via. Anche Sora lottò con sé stesso, e fu con uno sforzo immane che riuscì a interrompere quel bacio e a staccare Karin da sé.

« Te lo giuro » sussurrò sulle sue labbra.

Karin sorrise dolcemente. Yumi trattenne le lacrime e strinse ancora Ryuu, come faceva ogni volta che i suoi genitori si baciavano. Era più forte di lei, ma ogni volta che li vedeva così, invece di essere felice provava solo una sofferenza immensa: sapeva bene che questo non avrebbe implicato che il loro amore per lei sarebbe cambiato, ma ciononostante li vedeva così persi l’uno nello sguardo dell’altro, così pieni d’amore, così… lontani, da sentirsi esclusa, un’intrusa. Quando si guardavano era come se, di colpo, il mondo intero sparisse, e rimanessero solo loro, e nessun’altro, escludendo completamente il resto. Compresa la loro bambina, che si sentiva così sola che allora abbracciava forte Ryuu, per non sentirsi perduta e per avere un fermo che la tenesse ancorata a terra e che non la facesse andare alla deriva nelle acque della tristezza e della solitudine.

Non le dava fastidio che i suoi genitori si amassero così tanto, ma questo non le impediva di sentirsi triste ogni volta che manifestavano il proprio amore reciproco. Non gliene aveva mai fatto parola ( non voleva rovinare la loro felicità), ma qualcosa loro dovevano averla intuita, perchè avevano preso a trattenersi in sua presenza. Ma quello non era per niente il momento di essere morali. Si separò da Ryuu, prese la mano della madre, e tutti e tre corsero veloci verso gli alberi, non guardandosi più indietro né fermandosi più. Neanche il demone si voltò a guardarli, e rimase ad ascoltare finché non fu più in grado di sentire i loro passi nella neve.

Quando questi divennero solo un flebile rumore perso in lontananza, mosse un piede in avanti, poi un altro, poi un altro ancora, finché non si ritrovò a correre. Corse come se avesse avuto Sammael in persona alle calcagna, e mentre correva il suo corpo venne avvolto dalle fiamme, sentì la pelle sciogliersi e le ossa schioccare, rompersi, riformattarsi  e allungarsi, la schiena ingobbirsi e gli arti allungarsi, ma ciononostante continuò a correre, dimentico del dolore e noncurante dei rami che gli sferzavano il volto durante la corsa. Il suo passo diventò sempre più felpato, e la sua posizione sempre più curva, mentre l’umano che era stato per otto anni scivolava via da lui come un vestito usato e lasciava posto gradualmente a quattro zampe pelose munite di artigli, ad un corpo flessuoso alto tre metri con muscoli che guizzavano sotto un folto strato di fulva pelliccia, a due cespugliose code lunghe come e più del corpo di cui facevano parte, ad un affilato muso da gatto con grandi e sfavillanti occhi blu, brillanti come il fuoco che circondava la punta delle code e delle orecchie, ad una bocca piena di denti affilati e appuntiti.

Dopo anni passati a rifiutarla, dopo aver lottato con tutto sé stesso per reprimerla, Sora finalmente indossò la sua vera pelle , e si mostrò per quello che era veramente: un gigantesco demone gatto a due code. Si sentì forte, potente, e soprattutto libero come non si era mai sentito per anni. L’euforia di quel momento gli fece quasi dimenticare tutto, mancò davvero poco che tornasse con la mente a com’era prima che la sua vita cambiasse così drasticamente, quando era un demone come gli altri e andava dove voleva, quando voleva e come voleva, lasciando ovunque terrore e distruzione sul suo cammino.

Ma fu questione di un attimo: la sua mente fu presto interamente occupata da un viso gentile, un viso con due splendidi occhi color delle foglie d’estate che gli mozzò il fiato e frenò bruscamente la sua corsa. Scosse la testa per togliersi dalla mente quell’immagine, ma fu inutile, e con essa ritornarono ben presto tutti i ricordi, insieme alla missione che avrebbe dovuto portare a termine, alla promessa che avrebbe dovuto mantenere, e al motivo per cui stava andando così risolutamente incontro alla morte.

Respirò affannosamente, ma ormai si era già ripreso. Sorrise: non aveva paura di morire, non se farlo voleva dire salvare ciò che aveva di più caro al mondo. Chiuse gli occhi, e dietro le palpebre chiuse gli apparvero i volti della sua compagna e della sua bambina che gli sorridevano. Non era affatto tornato quello di un tempo, non lo sarebbe ridiventato mai più, e sentiva che il suo “Io” attuale era molto più forte di quello precedente, perché era dotato di una nuova energia derivata dall’amore della sua compagna e di sua figlia, le sue ragioni di vita e ciò che doveva proteggere a qualunque costo.

Per un attimo gli scappò una smorfia: se fosse stato ancora quello di un tempo, avrebbe disprezzato gli esseri umani e quel sentimento patetico e inutile conosciuto come “amore”: era in virtù sua che gli umani vivevano e a causa del quale al tempo stesso si generavano i conflitti. Li aveva sempre disprezzati per questo, ma ora che anche lui era aveva provato sulla propria pelle quanto quel sentimento potesse essere potente, sapeva che non si sarebbe mai arreso e che sarebbe stata proprio grazie a quella potenza se avrebbe vinto. Riprese la corsa verso i suoi nemici, mentre i suoi pensieri andarono verso Karin.
Aspettami, amore mio: tornerò da voi… a qualunque costo fu il suo ultimo pensiero razionale prima di ringhiare al cielo e sfrecciare tra i boschi incontro al proprio destino.


 
Karin e Yumi corsero come due furie, graffiandosi coi rami che gli strapparono anche i vestiti, ma senza fermarsi. La piccola si guardò continuamente a destra e sinistra, sia per accertarsi che non le stessero inseguendo sia nella speranza di poter vedere il padre sbucare all’improvviso, sano e salvo. Ryuu le affiancava, ma entrambi guardavano preoccupati Karin: loro facevano gare di velocità da sempre, erano abituati a correre, ma lei no, e questo li stava rallentando non poco, anche se era evidente che Karin ci stava mettendo tutta sé stessa per tenere il passo degli altri due.

Tuttavia, nessuno disse niente, e anche se le sembrava di sentire i muscoli delle gambe contrarsi e aveva i piedi sanguinolenti, Karin non emise un solo lamento, e non rallentò mai l’andatura, cosa per cui Yumi l’ammirò non poco, e che servì una volta di più ( non che ne avesse davvero bisogno) a capire come mai suo padre si fosse innamorato di lei.  La sua forza era tale che, al suo confronto, persino un orso sarebbe impallidito, e lei sapeva bene quanto feroci e possenti fossero quegli animali.

Cominciò a imbrunire, e ben presto non furono in grado di vedere il sentiero, così le due furono costrette ad affidarsi a Ryuu, che le guidò a passo sicuro nel buio della boscaglia. Ad un certo punto, però, le gambe di Karin cedettero all’improvviso, e lei cadde a terra, trascinando con sé Yumi. Ryuu frenò bruscamente e corse in loro soccorso.

« Mamma, stai bene!? » chiese ansiosa la piccola, trascinandosi al fianco della madre.

« Sì…» mormorò lei con il fiato rotto, il viso in fiamme, e una mano poggiata sul petto, che si alzava e si abbassava velocemente, mentre lei ansimava per lo sforzo e cercava di riprendere fiato, ma scoprendosi del tutto incapace di muovere un singolo muscolo. Solo allora Yumi notò lo stato in cui erano ridotte le sue gambe e i suoi piedi, così sporchi di terra e sangue che non si capiva dove terminasse il sangue e iniziasse la carne.

Senza una parola, la fece girare di schiena e si prese i suoi piedi sulle ginocchia, massaggiandoglieli sporcandosi a sua volta le mani di sangue e terra. Ryuu guardò cosa stava cercando di fare l’amica e si fece avanti, cominciando a leccare le gambe e i piedi di Karin . La donna ebbe un brivido quando la lingua calda e bagnata del lupo le toccò la pelle, ma ben presto smise di farci caso, godendosi di quel piacevole seppur umido tepore che l’animale le stava regalando.

« La lingua di Ryuu è meglio di qualsiasi altro medicinale » disse Yumi, avendo avvertito la madre irrigidirsi.

Lei sorrise a fatica.

« Mi dispiace darvi così tanti problemi… » mormorò ansimando.

Yumi scosse la testa con veemenza.

« Non dire sciocchezze, mamma » disse, senza alzare lo sguardo. « Dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro, come abbiamo sempre fatto. Così, quando papà tornerà, potremo stare di nuovo tutti insieme ».

Non l’aveva detto con quell’innocenza tipica della sua età, l’aveva detto come se fosse stata una certezza assoluta, invece di una speranza o di un desiderio difficile ad avverarsi. Lei non aveva dubbi: suo padre sarebbe tornato, e su questo non nutriva la minima incertezza.

« Sì » rispose Karin, mandando un lungo sospiro. « Dobbiamo farcela, dobbiamo resistere ».

Yumi alzò gli occhi e annuì, e quando Ryuu ebbe pulito alla perfezione le gambe di Karin, si strappò quel che rimaneva delle maniche del suo juban e le usò per fasciarle i piedi.

« Tesoro no, così tu… » tentò di protestare Karin, ma Yumi fu irremovibile.

« Io ci sono abituata, lo sai » disse semplicemente Yumi, senza guardarla.

« Certo che lo so » sospirò Karin. « Ma è facile dimenticarmene ».

A quelle parole, la bambina alzò la testa.

« Preferiresti che non fossi così? ».

« Come? »

« Preferiresti che fossi una bambina come tutte le altre? » chiese Yumi candidamente, per pura curiosità, senza alcun astio nella voce.

Karin rimase un attimo in silenzio prima di rispondere.

« Mia piccola Tara-chan », disse dolcemente « tu sei speciale così come sei, e non ti cambierei con nessun’altro al mondo » e le accarezzò la testa.

Yumi arrossì e sorrise, poi strinse con fermezza le bende sui piedi della madre, annodandogliele con cura.

« Ecco fatto » disse soddisfatta, strofinandosi le mani.

Ryuu si fece avanti e gliele pulì dal sangue secco, ricevendo in cambio un bacio in mezzo agli occhi. Karin li guardò intenerita, ma malgrado le premure di Yumi, quando provò ad alzarsi le gambe non la ressero di nuovo.

« Mamma! » esclamò la piccola, correndo a sorreggerla.

« Scusami, tesoro… » mormorò la donna, ansimando.

Yumi scosse la testa e la fece sedere.

« Forse è meglio se ci fermiamo un attimo » decretò la bambina.

« Sì… ».

Si sedettero entrambe, e Ryuu si sdraiò accanto a Yumi, posandole la testa sulle gambe. Lei gli sorrise e iniziò ad accarezzarlo, guardandosi però intorno preoccupata: non si era mai addentrata in quella parte del bosco prima di allora, non sapeva dove andare. Certo, il suo senso dell’orientamento non l’aveva mai tradita, ma quella non era una delle tante esplorazioni giocose e spensierate che aveva fatto più volte insieme a Ryuu: quella era una situazione d’emergenza, e stavolta non erano responsabili solo delle proprie vite, ma anche di quella di Karin.

Non che la donna fosse esattamente qualcuno bisognoso di protezione, anzi, forse sapeva muoversi in quei boschi anche meglio di Yumi, ma era la prima volta che la bambina e il lupo si ritrovavano con qualcun’ altro che non fossero loro due. Se fossero stati da soli non ci sarebbero stati problemi, ma visto che erano con Karin allora avrebbero dovuto fare uno sforzo e adeguarsi.

« Dovremmo tornare indietro » disse Karin.

Yumi smise di accarezzare Ryuu e si voltò verso la madre, mentre il lupo drizzò le orecchie.

« Ma papà ha detto… » provò a dire la piccola, ma Karin la interruppe.

« Non intendevo dire ritornare da lui » e il suo voltò per un attimo si oscurò, manifestando il dolore che le procurava dire quelle parole. « Intendevo: dovremmo provare a tornare indietro, penso di aver riconosciuto un tratto di strada che però abbiamo superato: se riuscissimo a trovarlo e a percorrerlo, forse riusciremo a trovare... la grotta ».

« Oh » fece la piccola. « Intendi la grotta in cui hai trovato papà? ».

« Sì » disse Karin, sorridendo al ricordo, e anche Yumi sorrise: aveva sempre voluto visitare il luogo in cui Sora e Karina si erano conosciuti, anche se avrebbe preferito farlo in altre circostanze e soprattutto in compagnia di entrambi i genitori.

« Lo so che è buio, ma se facciamo attenzione dovremmo essere in grado di raggiungerlo e restarci almeno finché- » le sue parole vennero interrotte da Ryuu,  che balzò in piedi e iniziò a ringhiare, acquattandosi verso gli alberi.

Yumi lo affiancò e guardò anche lei in quella direzione, imitata da Karin, che si avvicinò ai due e appoggiò le mani sulle loro schiene. Yumi mise una mano sulla testa di Ryuu, che smise di ringhiare ma rimase comunque chinato, e seguendo la direzione del suo sguardo la bambina riuscì a capire perché fosse così irrequieto.

« Lo so che sei lì, vieni fuori! » urlò, rivolta verso un punto tra due alberi.

Si udì una risatina sommessa, e dalle tenebre spuntò fuori una figura di uomo.


*Angolo autrice:

Mi dispiace, questo capitolo avrebbe dovuto essere uno solo, e invece mi  venuto fuori così lungo che ho dovuto divderlo in due parti, ma non preoccupatevi, sto già lavorando alla seconda. Grazie a chiunqe sia arrvato fin qui, intanto :-).

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Capitolo 4
*** Ogni fine è un nuovo inizio ***


« Bene bene, chi abbiamo qui? Una mondana e una piccola strega ».

Yumi si acquattò con Ryuu mentra la madre guardò il nuovo arrivato con malcelato astio. La poca luce che ancora filtrava tra gli alberi illuminò la figura di un giovane
dalla carnagione pallida di circa una ventina d’anni: era a petto nudo, indossava solo dei pantaloni di stoffa verde, ed era scalzo. Incrociati sulla schiena portava una faretra con arco, mentre al fianco, fissati ad una cintura di cuoio, gli pendevano una spada e un pugnale. Aveva mani affusolate con lunghe dita sottili, e al dito della mano destra portava un anello d’oro, un semplice cerchietto senza incisioni o forme particolari.
Avrebbero anche potuto scambiarlo per un cacciatore… se non fosse stato per le orecchie a punta, che svettavano sotto una coltre di capelli che, in realtà sembravano più rami intrecciati e pieni di foglioline, e gli occhi, completamente grigi e privi di pupilla. Sia Yumi che Karin capirono subito di trovarsi davanti ad una fata.

Si ricordarono entrambe cosa gli aveva raccontato Sora al riguardo delle fate: erano esseri per metà angeli e per metà demoni, belli come i primi ma crudeli e senza scrupoli come i secondi, infidi, privi della capacità di mentire ma non di quella di rigirare la verità a loro vantaggio. Vivevano per lo più nei boschi, non perdonavano chi faceva loro un torto, non restituivano ciò che prendevano e non davano senza ricevere qualcosa in cambio.

Yumi inghiottì nervosa: forse avevano sconfinato nel territorio di quella fata senza saperlo. Karin non gli staccò gli occhi di dosso neppure un istante, mentre la mano salì lenta alla catenella che portava al collo: non era una combattente, e di certo non avrebbe potuto competere con un guerriero armato fino ai denti come quello, ma sapeva che le fate non tolleravano il ferro, il che era già un piccolo vantaggio per loro, anche se sarebbe stata in grado di combinare ben poco con quel gioiello.
Anche senza guardarla,  la bambina percepì il nervosismo della madre: finora Sora era sempre stato insieme a lei.

Yumi poteva contare su Ryuu, che le stava praticamente addosso come se lui e la bambina si fossero fusi in un unico corpo, e a lei bastava affondare la mano nella calda pelliccia del fratello o respirarne l’odore di cui era impregnata per calmare i nervi e sentirsi più sicura, ma sua madre… Da che ricordava, raramente l’aveva vista così tanto lontana fisicamente da Sora, e ora invece era da sola, mentre lei aveva Ryuu. Motivo in più per non farsi prendere dal panico e tenere alta la guardia: suo padre non c’era, quindi toccava a lei proteggere la madre. Non che fosse una codarda, ma anche se dotata di grande coraggio,  restava pur sempre una semplice umana, non avrebbe potuto reggere un confronto con una creatura sovrannaturale.

Nessuno aveva più detto niente da quando la fata si era fatta avanti, e il silenzio era rotto solo dai respiri dei quattro, che usciva dalle loro bocche condensandosi in nuvolette per il freddo. Il guerriero fatato li guardò uno per uno, soffermandosi in particolar modo su Karin, o almeno questa fu l’impressione di Yumi, prima che l’altro distogliesse lo sguardo e sorridesse.

« Come mai non siete ancora scappate? » chiese quello con superiorità. « Non mi temete? ».

Ryuu ringhiò sommesso. Yumi strinse la sua pelliccia con una mano, anche se la sua voglia di picchiarlo era intensa tanto quanto quella di Ryuu di volerlo azzannare.

« Anche se scappassimo ci inseguiresti comunque e ci raggiungeresti subito, quindi è inutile sprecare energie » disse freddamente Karin, guardandolo con aria di sfida e stringendo la collana.

La fata le rivolse un sorrisetto compiaciuto.

« Hai un bel coraggio, mondana, te ne rendo atto. Ma in fondo non dovrebbe sorprendermi più di tanto ».

Malgrado le precauzioni, Karin non poté evitare di sentirsi stupita da quell’affermazione.

« Di cosa stai parlando? » disse, con Yumi che si voltò a guadarla terrorizzata: mai dare retta ad una fata, poteva essere l’ultima cosa che facevi nella vita!  Ma ormai era troppo tardi, e la fata se ne accorse.

« Non mi aspetterei altro… dall’umana che ha mostrato un’indifferenza pressoché assoluta nel legarsi ad un demone di classe media e trasformarlo in un gattino docile e obbediente » ghignò.

Karin spalancò gli occhi e vacillò, e anche Yumi, suo malgrado smise di tenere alta la guardia.

« Come fai a sapere di me e….? » mormorò Karin.

L’elfo sorrise beffardo.

« So molte cose di te, umana: so che sei riuscita a irretire  un demone e a incatenarlo a te ».

« Questo non è… » provò a difendersi Karin, ma fu bruscamente interrotta:

« Sai benissimo anche tu che è la verità. E non posso fare a meno di chiedermi come tu, una semplice e debole umana, sia riuscita a fare una cosa del genere ».

C’era un forte astio nella sua voce, come se fosse stato lui il diretto interessato ad aver subito quella sorte, o come se un fatto del genere lo avesse profondamente offeso. Karin non ci prestò attenzione, ma si ritrovò incapace di rispondere.

« Ma forse ho io la risposta » riprese la fata. « Hai avuto pietà di lui, ti faceva pena perché era ferito gravemente e aveva bisogno di aiuto. Tu l’hai soccorso, ma hai finito per rovinarlo con le tue sciocchezze, la tua… umanità ». Sputò quasi quella parola, quando la pronunciò. « Lo hai condannato a non potersi più ricongiungere coi suoi simili, a rinnegare la propria natura. Ma sei stata una stolta a pensare che ricambiasse quel futile sentimento che voi chiamate “amore”: i demoni sono creature infingarde, totalmente incapaci di provare patetici sentimenti umani. Ti eri illusa che avesse un anima, un cuore… ma sei stata ingannata: lui aveva bisogno del tuo amore per continuare a sopravvivere. Per quel demone eri solo … una dispensa traboccante di energia da sfruttare e che era comodo avere con sé, nient’altro. E questa bimba mezzosangue, » disse, guardando Yumi con disprezzo « è stata solo un’aggiunta inaspettata, un’ulteriore fonte di energia ma comunque un personaggio in più da aggiungere alla recita che quel demone stava portando avanti. E ora siete qui e state scappando dal pericolo convinte che lui l’abbia fatto per proteggervi, e che tornerà a prendervi ».

Karin e Yumi si scambiarono sguardi stupefatti: come faceva quella fata a sapere così tante cose di loro? Lui si accorse delle loro espressioni sconvolte e allargò le braccia.

« Guardate in faccia la realtà, ingenue che non siete altro: quel demone vi ha manipolate per tutto questo tempo. Non tornerà mai a prendervi: verrà ucciso e, quando tornerà nel Vuoto, perderà ogni ricordo relativo alla sua patetica permanenza nel mondo dei mortali… incluse voi  ».

Le parole della fata penetrarono nel cuore di Karin come migliaia di aghi appuntiti, e lei impallidì. Anche Yumi sbiancò… ma perché si vergognava. Lei l’aveva sempre pensato: non che suo padre le stesse sfruttando, ma che stesse forzando la propria natura demoniaca a morire, la stesse reprimendo nell’angolo più remoto del proprio essere… inutilmente.

Quello che non era mai riuscita a capire, invece, era perché lui non avesse mai voluto affrontare l’argomento. Forse perché era sempre stato convinto di stare facendo la cosa giusta, ma non aveva capito che invece stava facendo qualcosa di inutile per cui nessuno lo avrebbe di certo lodato, anzi: se Karin l’avesse saputo si sarebbe sicuramente arrabbiata con lui.
Se avesse parlato sinceramente con Karin, infatti, lei allora gli avrebbe consigliato di andarsene per un po’, prendersi del tempo per pensare a sé stesso, magari andando dove non avrebbe potuto nuocere a nessuno e dove non avrebbero potuto scoprirlo. Ridiventare quello che era per non arrivare a impazzire irreversibilmente… per poi tornare quando fosse stato meglio o avesse voluto.

No, pensò Yumi: anche permettendoglielo, Sora non sarebbe mai andato via… perché avrebbe avuto paura che a loro potesse accadere qualcosa, se lui se ne fosse andato. Avrebbero gravato sulle sue spalle, sarebbero state solo un intralcio per lui, lo erano sempre state. Però Sora non aveva mai detto niente, e anche Yumi era stata zitta. O forse invece avrebbe dovuto stargli più vicino e aiutarlo? Parlarne con la madre e convincerla a fare il primo passo?

I pensieri cominciarono ad accumularsi nella sua testa, che ben presto arrivò a dolerle dallo sforzo di cercare di fare ordine in quella marasma ingarbugliata che si era creata. Karin non era messa meglio: il dubbio iniziò a roderla come un tarlo, scavando nel suo cuore e togliendole il respiro. Forse era vero, forse era stata solo un’ingenua… forse aveva solo mentito a sé stessa, forse quella di Sora era stata davvero tutta una messinscena per ingannarla…

La mano allentò la presa sulla collana e cadde a ciondoloni, ma poco prima che le parole della fata avvelenassero completamente il suo animo, si rizzò di colpo e scosse la testa con veemenza. No, non era affatto come diceva quel tipo. L’aveva visto coi suoi stessi occhi, le innumerevoli volte che si erano persi nel cielo di quelli di Sora, che l’avevano sempre guardata come se fosse la cosa più preziosa al mondo, o quando aveva abbracciato lei e Yumi neonata, o quando l’aveva visto giocare con la figlia; l’aveva sentito sulla propria pelle, ogni volta Sora l’aveva abbracciata e lei aveva potuto sentire il cuore battergli forte nel petto, e la delicatezza con cui l’aveva accarezzata.

Da ultimo, la solenne promessa che lui le aveva fatto sulla neve, tenendole le mani e inginocchiandosi davanti a lei: l’aveva guardato dritto negli occhi, e li aveva visti pieni una profonda sincerità, senza la benché minima traccia di menzogna, nonché pieni di tutto l’amore che si potesse concepire. E il loro ultimo bacio, la passione che ci aveva messo in quel seppur breve momento, il rumore del battito del suo cuore sotto le mani, la fermezza con cui le aveva tenuto la testa e immerso le dita nei capelli, facendo aderire i loro corpi come se avesse voluto fondersi con lei… Tutto questo non poteva essere una menzogna: era pressoché impossibile riuscire ad avere un simile controllo delle reazioni del proprio corpo. Sora non le aveva mentito, nemmeno quando le aveva donato tutto sé stesso: lui l’amava, come lei amava lui. Era questa la verità, non c’era niente di veritiero nelle parole della fata.

« Faresti meglio a tacere » disse aspramente Karin.

Lui smise di sorridere e divenne confuso. Karin chiuse gli occhi e richiamò il volto del marito: i capelli rossi come il fuoco che aveva stretto tra le mani ogniqualvolta che lui l’aveva baciata, le sue orecchie a punta, i suoi occhi color del cielo notturno attraverso cui aveva visto la sua anima, quell’anima che lui stesso le donato, insieme a tutto il suo essere…

« Io non ho idea di come tu faccia a conoscerci, non ricordo di averti mai incontrato in tutta la mia vita » e qui la fata sembrò rabbuiarsi  « o forse hai incontrato Sora in passato, non lo so. Ma in ogni caso… resta il fatto che tu non conosci il suo cuore, né tantomeno il mio. Tu non sai niente di noi e non hai nessun diritto di parlare come se fosse il contrario! ».

L’altro rimase impassibile.

« Voi mondani, così sciocchi ed emotivi, convinti che l’amore sia la risposta a tutto, così facili preda delle vostre emozioni » disse sprezzante.

« Parli davvero tanto, sai? » lo fulminò la donna, la mano di nuovo al collo. « Perché non fai quello che devi fare e basta? O parli a vanvera solo perché in realtà hai paura? ».

La fata sembrò piuttosto compiaciuta di quella reazione.

« Sei tenace, umana » sogghignò. « Quasi riesco a capire cosa ci abbia visto in te quel demone… ».

Per un attimo, ma solo per un attimo, Yumi ebbe l’impressione di vedere gli occhi grigi del giovane velarsi di malinconia. Guardò la madre, ma lei non la considerò. Allora guardò Ryuu, che ricambiò inclinando la testa di lato: perché Yumi aveva la sensazione che le stesse sfuggendo un tassello? Chi era quella fata? E perché sembrava conoscere la loro famiglia coì bene, anche se nessuno l’aveva mai visto? E poi… perché sembrava così sofferente nel guardare Karin? L’impressione durò poco, tanto che Yumi pensò di essersela immaginata, insieme al tono malinconico della fata, che riassunse la sua espressione maliziosa.

« Se entrassi a far parte del Regno Fatato diverresti una guerriera formidabile. E potresti anche diventare immortale » disse sorridendo, anche se non era affatto un sorriso amichevole.

« Non mi serve entrare a far parte del vostro mondo » lo freddò Karin. « E non m’importa nemmeno di vivere per sempre. Non se il prezzo da pagare è perdere me stessa ».

« Avresti la possibilità di stare accanto a coloro che ami » disse l’altro, e di nuovo Yumi scorse un lampo malinconico nei suoi occhi.

Karin inarcò un sopracciglio.

« Mi hai preso per una stupida? » disse. « So bene che, una volta entrati a fare parte del vostro regno, non è più possibile andarsene; come potrei stare accanto a coloro che amo se mi venisse reclusa la possibilità di rivederli? ».

« Loro vivranno per sempre » disse con una nota dura nella voce. « Tu invece vedrai sfiorire la tua bellezza e te ne andrai per sempre da questo mondo: vuoi davvero questo? ».

Karin abbassò lo sguardo e mise una mano sulla spalla della figlia.

« Sì » disse infine, senza incertezze. « Perché è così che deve essere: io sono una semplice mortale, e loro appartenenti ad un mondo soprannaturale. Non è facile, ma sapevo a cosa andavo incontro e l’ho accettato: non tornerò sui miei passi ».

« Sei pure una stupida: perché gettare alle ortiche la tua vita in questo modo? Perché sprecare energie aspettando il ritorno di quel demone, illudendoti che tornerà da te e che potrete continuare a vivere la vostra vita serenamente? Non potrai mai avere pace con lui, la tua vita diverrebbe una continua lotta per la sopravvivenza. Vuoi davvero sciupare la tua esistenza in questo modo? Con un essere che non potrà mai camminare con te alla luce del sole e con cui sarai sempre costantemente in pericolo per il resto dei tuoi giorni? »

« E tu perché ti interessi tanto della mia vita? Chi sei tu per giudicare e come fai a sapere così tante cose su di noi? Oltre a essere truffatrici, voi fate siete anche invadenti? » ribatté duramente Karin.

Il giovane assottigliò lo sguardo e strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche.

« Non parlare di cose che non conosci, umana… ».

« So quello che c’è da sapere » tagliò corto Karin. « Compresa la vostra mania di sviare i discorsi degli altri parlando d’altro invece di rispondere alle domande che vi vengono poste ».

« Bene » mormorò la fata. « Allora immagino che quel demone ti abbia anche ragguagliato su cosa succede a chi osa mettersi contro un abitante del Popolo Fatato, vero? » e fece scivolare la mano verso il fianco.

« Non abbiamo fatto niente di male! » esclamò Yumi, parlando per la prima volta.

La fata la guardò con disprezzo.

« Per favore » aggiunse la piccola. « Ci dispiace tanto aver invaso il tuo territorio, ma ti giuro che non ne sapevamo niente. Ti prego,  vogliamo solo andarcene e… ».

Il giovane guerriero la interruppe con un gesto della mano.

« Avete fatto anche troppo, piccola mezzosangue ».

Ryuu ringhiò e frustò l’aria con la coda, Yumi invece strinse i denti e produsse anche lei un leggero ringhio. Era una pallida imitazione di un ringhio vero e proprio, però fu sufficiente perché Karin la guardasse nervosa: conoscendo così bene sua figlia, e sapendo che era cresciuta lottando per gioco con animali di qualsivoglia stazza o pericolosità, non l’avrebbe stupita vederla mollare Ryuu e attaccare la fata come una gatta selvatica o, come la chiamava spesso, come una piccola tigre.

« Sei un mezzosangue anche tu, non hai diritto di insultarmi! » ribatté Yumi.

La fata fece produsse smorfia sprezzante.

« Non mettermi al tuo stesso livello, piccola strega: il nostro è un popolo fiero e antico, non ha niente da spartire con una mezzodemone nata da una debole madre umana ».

Stavolta il ringhio di Yumi fu molto più intenso e udibile.

« Sei molto combattiva » osservò il giovane. « E ancora non hai sviluppato le tue capacità… è un vero peccato… ».

« Non ho alcuna fretta » ribadì Yumi.

Subito dopo però si morse il labbro: l’aveva detto più per farlo star zitto che per altro, ma ormai non ci credeva più nemmeno lei, e come avrebbe potuto, viste le circostanze? Se avesse avuto dei poteri sarebbe potuta rimanere ad aiutare il padre a proteggere la madre senza essere costrette a separarsi da lui. E magari sarebbe riuscita a mandar via quella fata arrogante senza perdere tempo in chiacchere per guadagnare tempo e cercare nel contempo una via di fuga.

« Stai mentendo a te stessa, strega » disse lui, e Yumi si morse le labbra a sangue.

« Ti si legge in faccia che nemmeno tu sei pienamente convinta delle tue parole » proseguì il giovane. « In verità lo vorresti, vero? Vorresti il potere, l’hai sempre voluto, da quando hai capito di essere diversa, da quando è morta la madre del lupo che porti teco ».

A quelle parole,  Yumi si rizzò di scatto e sbattè le palpebre.

« E tu che ne sai della madre di Ryuu? » esclamò Yumi.

La fata storse la bocca a quel nome.

« Ryuu… gli hai dato anche un nome… e lo hai fatto pure diventare un animale domestico… ».

« N-No, io… » cercò di spiegare la piccola, ma l’altro continuò:

« Avresti dovuto abbandonarlo a sé stesso, lasciare che il cerchio della vita compisse il suo giro, che imparasse da solo a sopravvivere o morisse; invece l’hai preso con te, gli hai dato un nome, lo hai privato della sua libertà, esattamente come ha fatto tua madre con quel demone che sostiene di amare! ».

Yumi cadde in ginocchio, arpionando il terreno con le dita: era la verità, dannazione, e questa volta non ebbe scusanti per ribattere. Non era mai stata sua intenzione fare del male a qualcuno: aveva trovato Ryuu, solo e bisognoso di cure, e non ci aveva pensato due volte a scegliere di prenderlo sotto la propria ala finché non fosse stato in grado di cavarsela da solo.
Aveva fatto di tutto perché Ryuu non crescesse come un animale domestico, gli aveva insegnato tutto quello che riguardava essere un lupo, Ryuu era diventato un lupo come tutti gli altri, questo chiunque avrebbe potuto dirlo. Non c’era niente di sbagliato in quello che aveva fatto, no?

E invece sì: non gli aveva solo insegnato a vivere come un lupo, lo aveva legato indissolubilmente a lei. Erano cresciuti insieme, avevano giocato, fatto la lotta, gareggiato per vedere chi era più veloce, avevano passato ore e ore a osservare il comportamento degli altri animali, a guardare le stelle, a esplorare e scoprire anfratti inaccessibili, a scovare animali minuscoli di cui non si sarebbe mai indovinata l’esistenza; si erano ruzzolati tra le foglie secche d’autunno, avevano sguazzato nel fango inzaccherandosi a vicenda, tuffati nei cumuli di neve in inverno. Conosceva a menadito tutto di lui: l’odore di terra bagnata e selvatico della sua pelliccia, il calore della sua corpo, la forma del suo muso, il colore dei suoi occhi, l’umidità e la ruvidezza della sua lingua… avrebbe saputo riconoscere tutto questo a occhi chiusi, avrebbe saputo riconoscere lui a occhi chiusi, anche tra mille altri lupi.
Ryuu non era un lupo, era il suo lupo, il suo compagno di giochi, il suo migliore amico … suo fratello. Avevano vissuto praticamente in simbiosi, erano indiscutibilmente parte l’uno dell’altro, e Yumi avrebbe preferito perdere un braccio o una gamba piuttosto che perdere lui, anzi, avrebbe preferito perdere  la propria anima. No, non la sua anima: perché la sua anima era in Ryuu; lei era, Ryuu. E Ryuu era lei.

Ma un lupo sarebbe dovuto vivere da solo, o quantomeno in compagnia dei propri simili, non con delle persone. Lei l’aveva “condannato” a vivere legato da una catena invisibile al destino di una persona, non di altri animali: non sarebbe mai stato libero di vivere come ogni altro lupo fino al giorno della sua morte…
Un dolore acuto al braccio destro irruppe tra i pensieri vorticosi di Yumi, occupandone completamente il posto e oscurando qualsiasi altra cosa. Sbattendo gli occhi, non si stupì per niente di scoprire che era stato Ryuu che le aveva morso il braccio, ma non fece niente per allontanarlo.
Guardò invece la fata, che ricambiò con un sorriso beffardo, sorriso però che durò solo un attimo, il tempo per Ryuu di staccarsi dal braccio della bambina e ringhiare contro il giovane, che arretrò stupito.

Yumi invece si sentì solo molto confusa, e anche Karin, che guardava la figlia con viva preoccupazione ma non osava muoversi, sembrava piuttosto perplessa. Ryuu abbassò il muso e leccò la ferita sulla pelle della bambina, leccandole poi il viso e guardandola fisso negli occhi. Lei ricambiò perdendosi nelle profondità di quegli occhi azzurri di cui conosceva ogni sfaccettatura, su cui le bastava posarvi lo sguardo per leggere l’anima dell’animale. Lui non poteva parlare, ma riusciva lo stesso a comunicare con Yumi semplicemente guardandola negli occhi, come se le parole che voleva dirle vi fossero state scritte dentro nere su bianco.
Lo leggeva come un libro aperto, e lui leggeva lei, capiva sempre quando il suo animo era tormentato e aveva bisogno di conforto, quando era confusa, triste o arrabbiata anche se cercava di nasconderlo a tutti. Non con lui, però: era impossibile.
Lo stesso valeva anche per lei, e negli occhi dolci e sinceri dell’amico Yumi capì perché l’aveva morsa: non perché stava dando ragione al guerriero fatato, ma al contrario perché aveva torto marcio.

Il lupo lo manifestò voltandosi di nuovo e mettendosi davanti a Yumi per farle scudo con il proprio corpo, acquattandosi e scoprendo i denti alla fata. La bambina sospirò di sollievo e sorrise, e anche Karin si ritrovò a reprimere un sospiro, aprendosi anche lei in un enorme sorriso verso quello che considerava, a tutti gli effetti, come suo figlio. Incrociò però lo sguardo della fata e il sorriso si spense, sostituito da un’espressione gelida e tagliente come il ghiaccio.

« Come puoi vedere » disse freddamente. « A Ryuu non importa niente: Yumi lo ha cresciuto come solo una madre avrebbe potuto fare, e si sono sempre presi cura l’uno dell’altro. Yumi non l’ha vincolato: è Ryuu che ha scelto di restarle accanto; le vuole bene, e anche se dovesse cambiare, sarà lui a scegliere di farlo, non perché è uno stupido che non sa niente a decidere in sua vece ».

Ryuu manifestò il proprio assenso producendo un ululato prolungato. Yumi guardò verso la madre e la ringraziò di cuore con il pensiero. La fata spalancò gli occhi e scoppiò a ridere.

« Cerchi di rigirare il coltello per averlo dalla parte del manico, umana? Pensi di riuscire ad abbindolarmi? »

« No » disse tranquillamente Karin. « E’ solo la verità, e penso tu possa constatarlo con i tuoi stessi occhi ».

Quasi in risposta a quell’affermazione, Ryuu prese a leccare la faccia a Yumi. La fata smise di ridere e guardò la bambina, che lo ricambiò calma, senza la minima traccia di sfida o di ostilità nello sguardo.

« Mi dispiace se ho… “traviato” Ryuu » disse accarezzando l’animale. « Però… un po' forse è anche colpa tua ».

Il guerriero sbarrò gli occhi e anche Karin guardò la figlia come se le fosse spuntata una testa in più.

« Colpa… mia? » ripeté la fata a denti stretti.

« Visto che sai così tante cose su di me e sui miei genitori, mi vien da pensare che ci hai osservato di nascosto per tutti questi anni, anche se non capisco perché » proseguì la bambina. « E se, come dici tu, avrei dovuto lasciare Ryuu al suo destino… se tu ti fossi palesato prima che io potessi arrivare a mettere le mani su di lui, magari adesso sarebbe un lupo libero come tutti gli altri, o nel peggiore dei casi, sarebbe morto… ma non sarebbe uno “schiavo” ».

Stavolta la fata si sentì presa in contropiede: aprì la bocca per ribattere, ma si ritrovò incapace di formulare qualsivoglia replica per smentire le parole di Yumi perché… non poteva. E con questa consapevolezza arrivò anche la rabbia: lui, un membro del Popolo Fatato, era stato appena disarmato e messo nel sacco da una strega che era poco più che un’ infante?! Era assolutamente inconcepibile! La voglia di tagliare la gola di quella peste per un attimo prese il sopravvento e gli fece muovere la mano verso la spada, ma riuscì a frenarla prima che potesse sfiorarne l’elsa.

« Sei molto acuta, piccola strega » disse, sforzandosi di rimanere calmo. « Potresti arrivare molto lontano, un giorno, con queste tue capacità. Potresti addirittura arrivare a comandare su altri ».

Yumi scacciò qualcosa di invisibile con la mano.

« Non ho alcun interesse a dare ordini a chicchessia » replicò.

L’altro digrignò i denti.

« Tu però parli davvero tanto » intervenne Karin.

La fata spostò l’attenzione su di lei e la sua espressione furiosa lasciò il posto ad una tormentata.

« E’ vero » aggiunse Yumi, non notando il cambiamento della luce negli occhi del giovane. « Se vuoi farcela pagare perché ti abbiamo fatto un torto, come mai stai ancora perdendo tempo a parlare? A meno che tu… ».

Sembrò accorgersi solo in quel momento del fatto che stava guardando la madre e non lei, e un pensiero le illuminò il cervello.

« Tu… tu non sia interessato a noi, o meglio… alla mamma?? » esclamò, alzandosi di scatto in piedi e allargando le braccia per fare scudo alla madre, con Ryuu al suo fianco.

L’espressione furiosa dell’altro fu una più che chiara risposta alla sua domanda. Karin sbatté gli occhi e lo guardò  come se fosse stato un gigantesco verme bavoso e molliccio.

« E cosa speri di ottenere? Da me non avrai niente! » urlò, mettendo una mano sulla spalla della figlia e stringendo forte la collana da sotto il vestito.

Da furiosi che erano, i lineamenti dell’elfo si tesero in un’espressione davvero ma davvero furibonda.

« Bene » disse. « Avete sconfinato nel mio territorio, ma ciononostante avete avute il coraggio di ostentare una simile arroganza. Ho voluto essere clemente e offrirvi una possibilità per riscattarvi… ma se davvero  questa la vostra risposta… » e nel dirlo si portò la mano al fianco, « allora pagherete con la vostra vita! » .

Sguainò la spada e si lanciò su Yumi così velocemente che sembrò solo una macchia indistinta di colori, ma Ryuu sfuggì dall’abbraccio della bambina e azzannò il polpaccio della fata. Lui cacciò un urlo disumano e cercò di liberarsi, ma le fauci di Ryuu rimasero saldamente piantate nella sua carne, e allora il giovane alzò la spada e gliela piantò nella schiena. Ryuu lanciò un ululato straziante ma non mollò la presa. La fata affondò la spada ancora e ancora finché Ryuu finalmente cedette e si afflosciò lentamente nella neve, riuscendo però a guardare Yumi un’ultima volta prima che la luce dentro i suoi occhi si spegnesse per sempre.

Lei spalancò la bocca ma non emise alcun suono, e rimase lì con la bocca aperta, in imitazione dell’urlo profondo che avrebbe voluto lanciare, ma la voce sembrava esserle morta in gola, insieme al suo respiro, che le si mozzò nel petto. La fata estrasse la spada dal corpo dell’animale ansimando pesantemente, guardando però Ryuu non con astio ma con rispetto. Si portò una mano aperta sul cuore, chinò la testa e mormorò qualche parola nella sua lingua, chiudendo gli occhi.

Yumi invece non disse niente, smise di sentire, come il proprio cuore batterle furioso nel petto, e di vedere, come il corpo esamine di Ryuu, che pure occupava tutto il suo campo visivo oscurando il resto. Non respirava quasi nemmeno più, sembrava congelata. Così non vide la fata girarsi e avanzare verso di lei con la spada alzata, ma quando l’abbassò verso la bambina, qualcosa si sovrappose tra lei e l’arma, facendosi colpire al posto suo… qualcosa che lasciò una leggera scia di profumo di gelsomino al suo passaggio. Yumi alzò lo sguardo giusto per ritrovarsi davanti la schiena di sua madre, da cui spuntava la punta insanguinata della spada della fata. Lui si scoprì con orrore a guardare l’elsa dell’arma spuntare dal petto di Karin e barcollò all’indietro.

Karin però lo afferrò con forza e ricambiò con uno sguardo fiero e determinato, incurante della lama che aveva piantata nel cuore o del sangue che gocciolava dalla ferita e dalla sua bocca, portando lentamente via con sé la vita della donna, che però non sembrò affatto intenzionata a demordere. Si aggrappò più saldamente al braccio del giovane con una mano mentre con l’altra si strappò la collana dal collo e gliela premette sull’avambraccio. La fata cacciò un urlo e colpì Karin con una sberla, ma lei affondò le unghie nella sua carne e non mollò la presa, mentre la collana sfrigolò sulla pelle nuda del guerriero, che iniziò a dibattersi sempre più violentemente finché non riuscì a dare un calcio nelle costole a Karin.

La donna sbatté contro un albero e lì si accasciò, senza più muoversi, mentre il sangue si estese a macchia d’olio sotto il suo corpo. Il suo aguzzino ansimò tenendosi il braccio, su cui ora spiccava una grossa ustione, ma non sembrava importargli molto di essere ferito: si teneva il braccio, ma guardava Karin.

Yumi invece era a malapena voltata verso di lui, completamente assente con la mente: era come se che non si fosse resa conto che anche la madre era stata uccisa, o che, di lì a breve, anche lei avrebbe subito la stessa sorte. Avrebbe dovuto alzarsi, scappare, fronteggiare la fata, tutte cose che avrebbe fatto istintivamente se fosse stata nel pieno delle sue facoltà mentali… e invece non sentiva assolutamente niente, se non una morsa gelida al petto, più freddo di qualsiasi cosa avesse mai sentito in vita sua, più freddo persino della neve intorno a lei, che d’un tratto le parve quasi calda. Entrambi sembrarono completamente dimentichi l’uno dell’altro, il silenzio era rotto solo dal fischio del vento che soffiava leggero.

La fata continuò guardò il corpo di Karin con profondo orrore, come se non credesse a quello che vedeva. Avanzò un passo nella neve, poi un altro e un altro ancora, ma si bloccò prima di raggiungere la donna. Rimase immobile, curvato in avanti e con il braccio ferito proteso verso Karin come se lei fosse lontana all’orizzonte e lui non riuscisse a urlarle di fermarsi e aspettare. Restò lì immobile come una statua, e fu solo per riflesso probabilmente che si voltò verso Yumi, senza però vederla veramente.

« Lo vedi quanta morte e distruzione porti con te? » disse la fata. « Quante altre persone vuoi che soffrano per causa tua? Sei davvero sicura di volere tutto questo? ».

Sorrideva, ma il suo era un sorriso folle, di chi ha perso il lume della ragione e non è più padrone di sé o delle proprie azioni. Avanzò verso Yumi zoppicando, reggendosi a malapena sulla gamba lacerata. La bambina lo guardò appena, fissandolo con occhi vacui.

« Ormai non ti è rimasto più nessuno, piccola strega: vieni con me » disse, porgendole la mano. « Vieni con me, e giuro che andrà tutto per il meglio ».

Yumi abbassò appena lo sguardo.

« Se vengo con te… li riporterai indietro? » chiese senza espressione .

« La magia del Popolo Fatato è la più potente e antica che esista al mondo: è più antica del mondo stesso, più potente persino di quella dei demoni. Vieni con me, e ti prometto che troveremo di certo un modo per riportare in vita… ».

Yumi lo interruppe con un gesto della mano. La fata la guardò negli occhi, e un gelo improvviso gli pervase le membra, scavando fin dentro le ossa. Si guardò intorno, mentre uno strano senso di inquietudine cominciò a farsi strada in lui, e ad un tratto sentì uno strano formicolio sulla pelle. Guardandosi intorno, gli sembrò che la foresta stesse diventando sempre più scura e l’aria ancor più pesante e gelida, come se una cappa fosse stata calata dall’alto, ad avvolgere tutto.

« Non ti credo » disse semplicemente Yumi, e gli voltò le spalle.

La fata perse la pazienza e lasciò perdere le buone maniere.

« Mi hai davvero stancato, piccola strega! » esclamò afferrandole il braccio e forzandola ad alzarsi in piedi.

« Lasciami andare! » urlò Yumi cercando di liberarsi.

« Tu verrai con me, costi quel che costi! » ribatté la fata, stringendole il braccio così forte da poterle quasi spezzare il braccio.

Yumi continuò a ribellarsi, e lui, spazientito, la buttò a terra e le strinse il collo con entrambe le mani. Yumi si agitò e scalciò, ma a nulla valsero i suoi tentativi contro la forza del giovane. Lui strinse e strinse, quasi con disperazione, come se ucciderla avrebbe placato la sua sofferenza.

« La… scia… mi… »  articolò a fatica Yumi.

La fata scosse la testa, e con un sorriso folle aumentò ancora di più la forza nelle mani. Fu allora che Yumi alzò una mano e gli graffiò il braccio con tutta la forza che aveva. Lui mollò la presa e Yumi cadde a terra tossendo violentemente.

«Vile cane!!» imprecò la fata tenendosi il braccio.

Sentendo fin troppo dolore per quella che sarebbe dovuta essere una lieve ferita, si guardò l'arto e si rese conto con orrore che quelli sulla pella erano segni di artigli, non di unghie umane. Non fece però in tempo a porsi altre domande che un timido fuoco azzurro apparve nell’aria, danzando in circolo.  Lo guardò con sospetto, ma un altro si aggiunse al compagno, poi un altro, un altro e un altro ancora, finché tutta la radura non fu illuminata da quei fuocherelli azzurri sospesi per aria. Distratto da quei lumini, non prestò più attenzione alla bambina, ma ad un tratto quei fuochi cominciarono a danzare in circolo intorno a lui.

Dapprima sorpreso, il giovane capì troppo tardi cosa stava succedendo, e si voltò verso Yumi per prevenire la catastrofe, ma fu troppo lento: come un fiume in piena, i fuochi si coagularono gli uni sugli altri e si riversarono sulla bambina, illuminando la foresta a giorno. La fata si protesse gli occhi con una mano finché la luce non si attenuò, ma lo stupore lasciò posto alla paura: le fiamme, disperse sugli alberi e per aria, illuminarono la figura di Yumi, ancora accovacciata per terra. Ma non sembrava più lei: le orecchie si erano allungate, il viso aveva assunto tratti felini, gli occhi si erano assottigliati e le pupille si erano allungate, diventando verticali come quelle dei gatti; dalle labbra aperte erano ben visibili affilati denti da gatto con incisivi molto taglienti e canini acuti e lunghi . I piedi erano scalzi, ma attorno alle caviglie aveva come delle cavigliere di fuoco, così come attorno ai polsi e alla testa; le mani, munite di artigli ancora rossi di sangue, brillavano delle fiamme blu che circondavano i suoi polsi, donandogli dei riflessi violacei, fiamme visibili anche alle estremità di due cespugliose code nere come l’ebano spuntate da sotto la schiena, strappandole quello che rimaneva dei vestiti, e sulle punte dei capelli, che fluttuavano come un mantello nero.

Il guerriero la guardò sbigottito, rendendosi conto di aver compiuto un errore madornale a sottovalutare Yumi: aveva completamente trascurato il fatto che fosse per metà umana, proprio lui che, solo fino a pochi minuti prima, aveva rinfacciato a Karin quanto gli uomini fossero emotivamente deboli e instabili. Convinto di poter avere la meglio su quella bambina perché priva di poteri, aveva finito inavvertitamente per permetterle di svilupparli.

Anche se incuteva paura solo a guardarla, però, la fata trovò che fosse un evento davvero incredibile: pur se figlia di un demone Eidolon, erano veramente rari gli stregoni in grado di attingere potere dal proprio lato demoniaco e assumerne le sembianze. Quella piccolina… era speciale. E anche spaventosamente potente, malgrado la sua giovane età: l’aria era così satura della sua magia che lui riusciva a sentirla sulla propria pelle come se fosse stata percepibile a mani nude.
Se fosse cresciuta molto probabilmente un giorno sarebbe diventata un Sommo Stregone, nonché una minaccia per tutto il mondo dei demoni. Non poteva assolutamente permettere che scappasse, o peggio, che continuasse a vivere e diventasse grande. Veloce come un fulmine, prese l’arco e incoccò una freccia.

« Sarai un banchetto per i lupi! » e lasciò partire il colpo, che però venne bloccato a mezz’aria da un nugolo di fiamme azzurre e spezzata in due. Il guerriero fatato si irrigidì e perse la presa sull’arco, che cadde nella neve con un tonfo. Yumi volse per la prima volta gli occhi verso di lui: erano luminosi e feroci, gli occhi di un predatore…  gli occhi di un demone.
Il suo avversario ne rimase terrorizzato, ma non si perdette d’animo: tirò fuori il pugnale e si gettò di nuovo su Yumi, ma lei si acquattò e spiccò un balzo all’indietro, finendo sul ramo di un albero. Si accovacciò e guardò in basso verso il nemico come una fiera che ha puntato la preda, agitando le code.

La fata imprecò nella propria lingua natia e raccolse l’arco, incoccò una freccia e cercò di nuovo di colpire Yumi, ma lei si lanciò contro di lui e lo colpì a mezz’aria con un calcio. La fata sbatté contro un albero, ma arpionò il terreno con una mano facendo leva per tirarsi su e fronteggiare nuovamente la bambina. Lei balzò all’indietro, si alzò in piedi e divaricò le code: a quel movimento, i fuochi rimasti inermi a brillare nella radura circondarono la fata. Yumi allora alzò un braccio e spalancò la mano, e il suo nemico sentì come una morsa stringergli il corpo. Cadde in ginocchio tenendosi la gola e stringendo una mano sul petto, e del fumo azzurro si sprigionò dalla sua pelle. Yumi lo guardò impassibile, e quando la fata osò di nuovo incrociare il suo sguardo, lei chiuse la mano a pugno e sollevò due dita, che si infiammarono, allontanò il braccio… e con un gesto secco tracciò una linea nell’aria.

La bocca dell’elfo si aprì in un muto urlo eterno, rovesciò gli occhi all’indietro e il suo corpo si afflosciò a terra come un fiore appassito. Le fiamme si estinsero definitivamente, facendo ricadere il bosco nel buio quasi assoluto, illuminato solo dai fuochi che ancora illuminavano il corpo di Yumi, ma anche quelli si estinsero presto, e la bambina riassunse le proprie sembianze, cadendo a terra sfinita. Per un attimo rimase sdraiata ad ansimare, cercando di riprendere fiato e fare mente locale di cosa era appena successo,  le sembrava di essere appena uscita da uno stato di trance.
Si guardò i vestiti e scoprì di essere coperta da quelli che ormai erano solo brandelli sporchi e sfilacciati, mentre i capelli sembravano che avessero preso la scossa, e le orecchie le pizzicavano. Si premette le mani ai lati della testa sperando così di riuscire a calmare quel dolore pulsante che le causava tremende fitte e capire cosa fosse successo.

Quando però il suo respiro si regolarizzò e lei inspirò profondamente per riempirsi i polmoni di aria pulita, venne travolta da un’ondata di odori: la freschezza della neve, la terra bagnata, le foglie, persino il legno degli alberi e il muschio che li ricopriva… tutto sembrava aver acquisito una fragranza più forte di prima. Sì guardò intorno terrorizzata, ma facendolo si accorse anche di vederci benissimo come se fosse stata alla luce del giorno, anche se era ancora circondata dal buio più completo. E riusciva a sentire tutto, nonostante il silenzio tombale: il debole sospiro del vento, ridotto ormai a poco più che un sussurro, il frinire degli insetti notturni, le foglie che si agitavano delicatamente nel vento… tutto.

Era come se fino a quel momento i suoi sensi fossero stati indeboliti e di colpo avessero riacquistato il loro vigore, diventando più forti di prima. Forse anche un po' troppo. Terrorizzata da tutta quella confusione, si tappò le orecchie e si raggomitolò a terra, pregando che qualcuno spegnesse tutto e lo facesse smettere, ma così facendo le arrivò alle narici l’odore del sangue di cui le sue mani erano ancora sporche. Si tirò su a sedere guardandole  sconvolta, poi si voltò molto lentamente, accorgendosi solo in quell’istante del corpo esamine della fata. Bastò quella visione a farle ricordare tutto quello che era successo, che le piombò addosso come un macigno e la fece finalmente vedere i cadaveri di Ryuu, pieno di ferite e con la pelliccia intrisa di sangue, e della madre, riverso a terra  e con ancora la spada della fata piantata nel petto. Si mise a urlare, stringendosi i capelli tra le dita come per volerseli strappare: suo fratello e sua madre erano morti per colpa sua; e lei… aveva  ucciso un uomo.

E nemmeno sapeva come ci fosse riuscita, il suo corpo aveva agito per lei! Non aveva importanza nemmeno che fosse stato per leggitima difesa, non bastava a giustificare quello che aveva fatto e di certo la rendeva certo migliore di lui. Cadde a terra tremando convulsamente, si prese la testa tra le mani e urlò tutta la sua frustrazione al cielo, picchiando il terreno fino a ferirsi le mani, e quando non ebbe più voce si accasciò al suolo, completamente inerme.

Era un mostro: aveva ucciso una persona, lo aveva fatto con le proprie mani, non c’era nessuna scusa per questo. E non era così che avrebbe voluto diventare, lei avrebbe voluto sviluppare dei poteri per aiutare gli altri, non  per ucciderli. Ma si era sbagliata, si era completamente sbagliata: forse la verità era che aveva solo cercato di fuggire dalla propria natura, come suo padre, e questo era il risultato. E non c’era perdono per quello che aveva fatto, nessuno. Le venne l’asma, avvertì un forte senso di nausea al petto e riversò anche l’anima. Quando finalmente riuscì a riprendersi, si asciugò la bocca con la mano, ma essendo ancora sporca di sangue si sporcò il viso.

Prese ad agitarsi e ad allungare le braccia sul terreno tastandolo alla cieca alla ricerca dell’unico essere al mondo in grado di consolarla con il solo calore del proprio corpo, ma quando si ricordò che Ryuu era stato ucciso, le lacrime iniziarono a rigarle le guance. Lasciando che il suo corpo agisse da solo e rispondesse a quell’istinto che era proprio di lei da anni, si trascinò fino al corpo di Ryuu e lo strinse fra braccia, ma farlo servì solo a rinfacciarle la verità nuda e cruda e ad aumentare le sue lacrime: era freddo come il ghiaccio, il suo cuore non batteva più e il suo petto era immobile, segno che nessun fiato lo stava più attraversando.

Cosa più importante, non aveva più quel calore che tanto aveva amato, quello che l’aveva tenuta al caldo in nottate troppo fredde da passare fuori casa, quello che aveva stretto tra le proprie braccia quando ancora era una palla di pelo grigia per ricordarsi che era vivo e che sarebbe toccato a lei curarlo e far sì che rimanesse tale; quello che aveva più volte abbracciato in quel corpo ormai divenuto adulto per ricordare a sé stessa di essere viva perché, finché Ryuu fosse stato in vita, allora anche lei lo sarebbe stata,  perché loro erano una cosa sola, e non si sarebbero mai separati. Ora però era finita, finita per sempre: Ryuu era solo un cadavere, e quel calore che tanto le era familiare come fosse stato una parte del suo corpo, era morto con lui… insieme a una parte di lei. Yumi sentì il proprio cuore incrinarsi e sgretolarsi in mille pezzi, scoppiò a piangere a dirotto e strinse forte il corpo dell’amico tra le braccia.

« Ryuu… Ryuu, ti pregosvegliati... » lo supplicò, cullandolo tra le braccia come faceva quando era ancora un cucciolo.

Respirò l’odore della sua pelliccia e davanti agli occhi si susseguirono una catena di immagini: il giorno in cui aveva trovato Ryuu accanto al corpo della madre, come lo aveva stretto a sé mentre pregava per quel povero animale, quando lo aveva portato dai genitori per comunicargli la propria decisione, come l’aveva cresciuto aiutata dagli altri animali; ricordò quella volta che era finito per errore nella tana di una marmotta e lei aveva dovuto lottare duramente con il roditore per salvarlo, quella volta che, con Ryuu cresciutello, si erano spinti fin dentro la tana di un orso, e poi se l’erano date a gambe levate quando il legittimo inquilino era tornato a casa, e quella volta in cui, arrampicandosi su un albero, il ramo si era spezzato sotto di lei e Ryuu l’aveva salvata prendendola al volo. Ricordò ogni singolo istante passato con lui, e le sembrò anche di sentire gli stessi odori che li avevano circondati durante quegli avvenimenti e di provare le stesse emozioni. Quasi non si ricordava nemmeno com'era la sua vita prima che il lupo entrasse a farne parte: lui c’era sempre stato, in ogni momento, sia bello che brutto. Era stata una presenza costante, un’estensione del suo corpo che l’aveva sempre protetta come lei aveva protetto lui e che le era sempre rimasto affianco. E ora era addirittura morto per lei, ma quella non era una cosa di cui vantarsi, perché era stata tutta colpa sua.

« Ryuu… » mormorò, mentre lacrime bollenti caddero sulla pelliccia del lupo. « Amico mio, fratellino…per favore, torna da me… ».

Singhiozzando contro il manto argenteo del lupo, non si accorse che le mani le si illuminarono di una forte luce blu, luce che si riversò nel corpo dell’animale, illuminandolo. Yumi continuò a piangere senza accorgersi di niente, e così non si rese conto che il manto del lupo guarì dai segni della spada e fu purificato dal sangue; svanito in nuvolette azzurre , questo circondò il corpo dell’animale finché, all’improvviso, egli non si mosse. Yumi smise di piangere e allontanò il viso, e solo allora vide che il corpo di Ryuu brillava.  Si allontanò di scatto dall’animale come se scottasse, e lui, dapprima immobile, prese a muoversi sempre più convulsamente finché non riaprì gli occhi, quei luminosi occhi azzurri che Yumi aveva tanto amato. Si rizzò sulle zampe e scrollò il corpo, puntando poi lo sguardo verso l’amica, che lo fissò a bocca aperta.

« Sonna [no… non è possibile… non può essere vero]… » mormorò Yumi, che non riusciva a crederci, non poteva assolutamente essere possibile.

Doveva… sì, doveva essere sicuramente un sogno. Probabilmente si era addormentata sul petto di Ryuu come sempre e ora stava sognando di vederlo risorgere dalla morte e guardarla come se niente fosse successo. Si schiaffeggiò le guance, ma l’immagine di Ryuu non si mosse da dov’era e rimase a guardarla inclinando la testa di lato. Decretando che a quanto pareva doveva essere davvero impazzita e che quindi aveva bisogno di qualcosa di più doloroso per risvegliarsi completamente, Yumi si guardò intorno, e notando un frammento di una delle frecce della fata, la prese in mano.

Quando però fece per passarsela sul palmo, qualcosa di decisamente più doloroso di un taglio sulla pelle le trafisse il braccio sinistro e la immobilizzò, facendole perdere la presa sulla freccia, che ricadde nella neve. Si voltò lentamente, quasi avesse paura di scoprirne la fonte, ma il cuore minacciò di esploderle nel petto quando vide che era Ryuu , che aveva serrato la mandibola intorno al suo braccio e che la guardava con rimprovero. L’emozione rischiò di sopraffarla: allora non era affatto un sogno. Ryuu era davvero lì con lei.

« RYUU! » urlò Yumi e lo abbracciò, fuori di sé dalla gioia.

Il lupo scodinzolò nella neve e strusciò il muso contro la testa della bambina. Lei però si accorse presto che c’era qualcosa che non andava:  Ryuu si muoveva, certo, ma il suo corpo era ancora freddo come la neve. In un primo tempo lo attribuì al fatto che era rimasto riverso nel ghiaccio fino a quel momento e che quindi era normale che fosse ancora gelato. Affondando di più il viso nella sua pelliccia, però, si accorse che qualcos’altro non quadrava: il cuore di Ryuu non batteva. Lo allontanò da sé e solo allora si rese conto che aveva le pupille dilatate, e che dalla sua bocca non usciva il minimo respiro. Lo fissò terrorizzata come se lo vedesse per la prima volta, al che il lupo inclinò la testa di lato, guardandola interrogativo.

La bambina lo studiò come se fosse un completo estraneo: apparentemente sembrava lo stesso Ryuu di sempre, ma allora perché le sembrava allo stesso tempo così diverso? Il lupo piegò la testa dall’altro lato, poi le si avvicinò e le prese il collo tra i denti, mordicchiandola leggermente com’era sempre solito fare per farla ridere. E ci riuscì anche stavolta: Yumi finalmente scoppiò a ridere e lo abbracciò forte, dimentica completamente delle proprie paure: quello era davvero Ryuu, il suo Ryuu!
E se solo un attimo prima lo aveva tenuto lontano per paura, adesso non riusciva più a staccarsi: lo abbracciò, lo baciò, rise e pianse al tempo stesso. Da parte sua, il lupo dimostrò l’apprezzamento per quelle attenzioni scodinzolando allegramente e leccando il volto della bambina facendola ridere ancora di più fino a farla accasciare a terra, esausta. Quando riuscì a calmarsi e a riprendere fiato, si tirò su e si avvicinò a Ryuu, gli tenne la mani sulle spalle e lo guardò negli occhi, tornando subito a preoccuparsi.

« Ma cosa è successo?... » mormorò .

Ryuu ovviamente non poteva parlare, per cui di certo non si aspettava una risposta a quel pensiero espresso ad alta voce, ma contro ogni aspettativa le sue parole non rimasero inascoltate.

« Sei andata contro natura, strega ».

Yumi si irrigidì e strinse forte Ryuu, che scoprì le zanne e ringhiò, mentre la bambina cercò di controllare il tremito delle proprie ossa: quella voce… com’era possibile che riuscisse ancora a sentirla? Forse si era sbagliata, forse non l’aveva ucciso. Forse… si era immaginata tutto. Perché però , se era così vicina, al tempo stesso le sembrava che suonasse così lontana?

« Faresti meglio a girarti ».

Sempre tremando, lei obbedì, e rimase a bocca aperta: la fata era davanti a lei. C’era qualcosa di strano, però:  la sua figura era diventata blu argentea ed evanescente, come se il fumo dei fuochi blu di prima avesse preso forma.

« M-Ma tu… tu… » balbettò Yumi, guardando prima lui e poi il suo corpo, ancora riverso a terra.

« Fa silenzio, mezzosangue. Perché ti stupisci? Io sono morto, sei stata tu stessa ad uccidermi ».

Le parole del giovane colpirono Yumi e lei boccheggiò, tenendosi il petto con una mano. Ryuu si voltò verso di lei, ma la piccola lo tenne lontano.

« Tu… sei morto… ma allora come… ».

La fata sospirò nuovamente.

« Tuo padre non ti ha mai spiegato di cosa fosse capace? ».

Yumi scosse la testa.

« Diceva… che lo avrebbe fatto solo nel caso in cui avessi sviluppato i miei poteri… non voleva correre rischi » disse, tormentandosi le mani.

Il giovane si passò una mano sul viso.

« Stupido demone » borbottò. « Pensare di proteggere la propria figlia senza nemmeno metterla in guardia a cosa sarebbe potuta andare incontro ».

« Mio padre mi ha sempre messo in guardia da- » esclamò la piccola, ma venne bruscamente interrotta dall’altro.

« Forse ti avrà anche messo in guardia dal Mondo Invisibile, ma non si è curato di farlo da te stessa » disse seccamente.

Yumi si afflosciò a terra.

« Cosa stai dicendo?... » mormorò.

Il guerriero sorrise strafottente, ma ridivenne subito serio.

« Tuo padre era un Nekomata, un demone mutaforma » cominciò, ma fu subito interrotto da Yumi.

« Questo lo sapevo benissimo anch’io… » borbottò la piccola.

La fata fece una smorfia.

« Però non sai quali fossero le sue capacità, vero? » la sfidò.

A malincuore, Yumi fu costretta a dire di no: aveva visto di cos’era capace il padre solo pochi minuti prima, quando le aveva protette da quegli Shadowhunters. Il guerriero fatato sorrise soddisfatto.

« I Nekomata hanno poteri sui morti e sui fantasmi. Quei piccoli fuochi blu che hai visto... sono fuochi fatui, la manifestazione dell’essenza delle anime dei morti. E sono il fondamento del tuo potere: potrai evocare i morti e udire le loro voci quando nessun’altro potrà farlo. Potrai separare l’anima da un corpo ancora in vita… come hai fatto con me ».

Yumi iniziò a sudare freddo.

« I-Io avrei separato la tua anima dal tuo… corpo?... »

« Come puoi vedere tu stessa » sbuffò la fata allargando le braccia.

Yumi abbassò lo sguardo sulle proprie mani, le mani con cui lei stessa aveva compiuto un atto ancora peggiore dell’omicidio.

« M-Ma… allora… cos’è successo a Ryuu…? » chiese guardando l’amico.

Stavolta il suo interlocutore non sorrise.

« Il tuo egoistico desiderio di riaverlo accanto è stato talmente forte che i tuoi poteri si sono attivati senza che li controllassi: credo che tu abbia trasferito una scintilla della tua anima nel corpo di questo lupo ».

Yumi guardò negli occhi Ryuu, incapace di credere alle proprie orecchie: Ryuu era riuscito a tornare in vita grazie ai suoi poteri? Ma allora questo voleva dire che avrebbe potuto…

« Non ci credere troppo » la prevenne la fata.

Yumi si voltò di nuovo verso di lui aggrottando le sopracciglia.

« Il tuo amico non è tornato in vita: ti sembra che sia così, ma avrai notato che il suo cuore non batte più. Gli avrai pure dato una parte della tua anima, ma il suo corpo è ancora quello di un morto ».

Yumi aprì la bocca e la richiuse due volte prima di riuscire a spiccare parola.

« Q-Questo… questo vuol dire che… » balbettò.

« Non si decomporrà mai, non patirà più la fame, la sete o il sonno. Non sarà più nemmeno caldo e non sarà più vivo, ma nemmeno sarà morto: sarà un non-morto, per sempre. E smetterà di essere tale solo quando sarai tu a volerlo… o quando qualcuno ti ucciderà ».

Yumi si tenne il petto con le mani: questo era ancora peggio dell’idea di aver ucciso qualcuno. Condannare Ryuu a una non-vita… era di gran lunga più terribile. Ora non erano più “incatenati” solo figurativamente: lo erano per davvero. Guardò tremante l’amico, ma lui si acquattò e ringhiò verso la figura evanescente della fata, che non sembrò affatto intimorito.

« Puoi ringhiare quanto vuoi, ma ora non puoi più recarmi danno ».

Il lupo ringhiò ancora più forte, calmandosi solo quando Yumi, istintivamente, gli mise un braccio intorno al collo, un gesto innocuo che aveva fatto centinaia di volte, ma che servì nuovamente a ottenere l’effetto desiderato. E a riportare Yumi alle lacrime: quella per lei era solo un’alta riprova che Ryuu era ancora sé stesso, nonostante il suo cuore non battesse più, nonostante non respirasse più… nonostante non fosse più caldo. Anche la fata si accorse dell’atteggiamento del lupo, e per un attimo sembrò vacillare.

« Perché sei ancora qui? » mormorò Yumi, senza però guardare nessuno in particolare.

La fata rispose ugualmente, storcendo la bocca in una smorfia disgustata:

« Perché evidentemente mi sono rifiutato di perire per mano di una mocciosa mezzosangue. E perché volevo metterti in guardia ».

A quelle parole, Yumi alzò la testa.

« Dal tuo popolo? » chiese incerta.

« Da tè stessa » fu la secca risposta.

Yumi ebbe un brivido e strinse forte il pelo di Ryuu tra le dita.

« E’ bene che tu capisca fino in fondo che non sei diventata una dea che può riportare in vita gli altri, perché non lo sei » proseguì l’altro. « Riportare davvero in vita qualcuno richiede magie molto più potenti di quanto si possa immaginare, e altrettanti sacrifici. Quello che sei riuscita a fare per mero caso è solo una sciocchezza, una patetica infarinatura che non si avvicina nemmeno lontanamente alla vera Negromanzia, che è molto, molto più pericolosa e nefasta ».

Yumi si sentì più delusa che rattristata: era stato troppo bello per essere vero, ma forse non avrebbe dovuto crederci fin dall’inizio e capire subito di non essere improvvisamente diventata una divinità solo perché aveva appena sviluppato i propri poteri che, tra parentesi, ora non sentiva più. Era come se li avesse consumati tutti in una volta in quell’esplosione e ora si fosse svuotata.
Se non fosse stato per la figura evanescente della fata davanti a lei e la consapevolezza di avere i vestiti strappati, poi, avrebbe di nuovo pensato di essersi immaginata tutto. Aveva ragione lui, era andata contro natura: aveva acceso una parvenza di vita in un corpo morto, e lui ora poteva muoversi e tutto il resto… ma non sarebbe mai stato veramente vivo. Sarebbe dovuto rimanere un cadavere e basta, non c’era più posto tra i vivi, per lui. Di nuovo, per la seconda volta, aveva agito solo spinta dai propri interessi egoistici, non pensando alle conseguenze che le sue azioni avrebbero avuto su Ryuu. Di nuovo, aveva rovinato la sua esistenza.

« Voglio metterti in guardia anche da quello che ti aspetterà là fuori » riprese la fata, riconquistando l’attenzione della bambina, che fu felice di distrarsi dai suoi pensieri foschi.

« Non sei l’unica ad essere andata contro natura: tuo padre lo ha fatto prima di te » e nel dirlo sul suo viso si delineò una smorfia di puro disgusto. « Tu sei il prodotto delle azioni di quel depravato: finché rimarrai in vita sarai una prova, una testimonianza vivente del suo operato. Finché vivrai,  tutti sapranno che persino degli esseri immondi come i demoni possono divenire capaci di provare amore. Per questo, fintanto che sarai in vita, tutti i demoni temeranno che anche altri di loro potranno subire la stessa sorte di tuo padre… e allora sarebbe la fine. Saranno in molti a volere la tua morte, non avrei più un solo momento di pace, la tua vita sarà un’eterna fuga dalle colpe di tuo padre… ».

Yumi assimilò quelle parole una per una, stavolta senza battere ciglio: non le aveva detto niente di nuovo, sapeva già da molto tempo a cosa sarebbe andata incontro, il giorno in cui avrebbe deciso di conoscere il mondo. Sentirselo ripetere di nuovo contribuì solo a renderlo più vero e reale e a farlo gravare di più sulla propria anima, già carica di pesi tremendi.

« Sapevo già quello che essere figlia di un demone capace di amare avrebbe comportato » sospirò, scandendo bene le parole. « Ora che però ho scoperto i miei poteri… mi basterà imparare a padroneggiarli ».

La fata inarcò un sopracciglio e fece per ribattere, ma Yumi lo precedette.

« Quello che però non riesco a capire, invece, è perché tu sia rimasto per dirmi queste cose. Dopo tutto quello che hai fatto… per quale motivo hai perso tempo in questo modo? ».

Il fantasma si morse la labbra, e Yumi stavolta fu certa di vederlo rattristato, ma durò poco: la fata cancellò la sua espressione scuotendo la testa e ghignando.

« Volevo solo demolire le tue convinzioni di essere diventata onnipotente, perché non è così. Ricordati bene anche questo: ogni potere ha il suo peso, ma anche se ora è troppo presto perché tu ti renda conto di quanto grave sia il tuo, vedrai che un giorno finirai per esserne schiacciata… se non morirai prima per mano dei simili di tuo padre, o Lilith ti faccia la grazia di evitarti questa sofferenza… infliggendotene una ella stessa » disse, scoppiando poi a ridere.

Yumi ci vide rosso e Ryuu, al suo fianco, ringhiò più forte.

« A pensarci bene, però… » riprese la fata, girando la testa da una parte all’altra come a voler osservare meglio Yumi. « Con un simile potenziale un giorno potresti addirittura diventare un Sommo Stregone… e sarebbe un bel problema per molti. In fondo, non farei niente di male se anticipassi i tempi a tutti… » e sul suo viso si delineò un sorriso malvagio « … e finirti io stesso! » e si avventò su di lei.

Yumi alzò istintivamente la mano e supplicò i propri poteri di uscire, ma non sentì assolutamente niente, se non un gran vuoto. O forse era perché era talmente terrorizzata che non sapeva cosa fare per difendersi e fece quindi l’unica cosa che faceva quando aveva paura: strinse forte Ryuu. Invece del corpo del lupo però le sue braccia strinsero l’aria, ma un urlo umano le fece subito alzare la testa prima di potersi porre delle domande. Rimase scioccata da quello che le vide: Ryuu era diventato evanescente come la fata , e lo stava attaccando. Il giovane cercò di allontanarlo colpendolo con calci e pugni, ma Ryuu gli saltò alla gola e con un unico morso gliela squarciò. Essendo un fantasma, ovviamente, non versò sangue, ma la sua figura cominciò a svanire, fino a dissiparsi completamente nell’aria. Yumi si strinse le mani al petto, forse per contenere il battito impazzito del suo cuore che minacciava di esploderle.

Ryuu atterrò con leggerezza sulla neve, e avanzò verso la bambina, che non osò muoversi finché lui non le si sedette di fronte, e sotto i suoi occhi stupiti, riassunse l’aspetto che di sempre, tornando in possesso del proprio corpo. Yumi lo guardò esterrefatta e timidamente allungò la mano verso di lui, quasi temesse che potesse scomparire da un momento all’altro. In risposta, lui le leccò la mano, la lingua umida e ruvida come sempre, e anche se aveva perso quel calore che l’aveva sempre caratterizzata, Yumi non ebbe bisogno di altre prove per capire che Ryuu era tornato a essere una creatura in carne ed ossa, anche se non era più vivo. Allontanò la mano e strinse i pugni sulle ginocchia, guardando l’amico negli occhi e ricominciando a piangere.

« Ryuu… mi dispiace tanto… » mormorò tra le lacrime.

Il lupo scosse la testa e le leccò il viso. Compiendo un grande sforzo di volontà, Yumi lo allontanò. Ryuu la guardò confuso.

« Non va bene così, Ryuu, non è giusto che tu soffra questo per colpa mia, lo hai già fatto anche troppo, ora dovrò trovare un modo per liberarti da questa situazione… » disse la bambina, stringendo forte i pugni fino a sbiancare le nocche.

Il lupo piegò la testa da una parte all’altra, poi scosse il capo e si avvicinò alla bambina, le prese una mano con le fauci e la premette contro il proprio petto con la zampa, lì dove di norma avrebbe dovuto sentire il battito del suo cuore, dove però ora non c’era più niente. Yumi fece appena in tempo a mettere la mano sul petto di Ryuu che lui posò la zampa sul petto di lei.
Yumi però si sentì confusa: fino a quel momento era sempre stata in grado di capire l’amico, ma quel suo comportamento le era pressoché indecifrabile. Non riusciva a venirne a capo, cosa stava cercando di dirle Ryuu?

« Ti sta dicendo che voi due vi appartenete » disse una voce sopra le loro teste, una voce che di nuovo le gelò il sangue nelle vene. Questa però l’avrebbe riconosciuta tra mille, e non fu per niente sorpresa quando, sollevando lo sguardo, vide il fantasma della madre che troneggiava sopra di loro, sorridente e bellissima come era sempre stata.

« Okaasan [mamma] ! » esclamò Yumi, cercando di liberarsi di Ryuu, che si fece da parte e le permise di alzarsi e buttarsi addosso alla madre.

« Okaasan… Okaasan… » continuò a ripetere Yumi tra i singhiozzi, felice come non mai che anche sua madre non se ne fosse andata e che fosse rimasta con lei.

« Piccola mia, bambina mia… mio piccolo tesoro … » disse lei, accarezzandole la testa e cercando di calmarla.

Restarono abbracciate per un tempo indefinito, finché Yumi non si staccò e guardò la donna. Era rimasta la stessa anche lei, aveva ancora i vestiti strappati e le ferite di quando era morta, compresa l’ultima, che si manifestava come un’enorme chiazza rossa al centro del suo petto. Yumi la vide e si aggrappò ai vestiti della madre, iniziando a tremare.

« Okaasan… gomen- » un dito della donna le chiuse le labbra, stroncando sul nascere qualsiasi cosa stesse per dire.

« Non è stata colpa tua, Yumi: né la mia morte né quella di Ryuu » disse seriamente Karin.

« Sì, invece » ribadì Yumi. « Avrei dovuto proteggervi… lo avevo promesso a papà… ».

La donna le sollevò la testa.

« Non addossarti colpe che non hai, Yumi: tu hai fatto tutto il possibile, non hai niente di cui rimproverarti  ».

La piccola evitò lo sguardo della madre.

« Ce ne ho eccome » disse. « Ho trasformato Ryuu in un morto vivente… ma ciononostante lui non mi odia… ».

Sentendosi chiamato in causa, il lupo le si avvicinò e le mordicchiò la mano, che però Yumi scansò infastidita: non si sentiva in diritto di meritare le sue attenzioni.

« Non ti odia » disse Karin. « E anche lui non ti addossa nessuna colpa ».

L’animale confermò annuendo con la testa e scodinzolò.

« E vuole restare con te » aggiunse Karin. « Credo fosse questo il messaggio che voleva trasmetterti ».

Ryuu annuì di nuovo. Yumi si sarebbe affossata dalla vergogna: non era giusto che sua madre riuscisse a capire Ryuu più di quanto stesse riuscendo a farlo lei, non era assolutamente giusto.

« Ma perché? » insistette. « Perché vuole restare con me? Perché non vuole che io lo liberi? Questa è casa sua, deve restare qui, dove c’è sua madre… forse il suo spirito è ancora qui da qualche parte e lo sta aspettando… » disse, guardandosi intorno come a cercare di dimostrare la veridicità delle sue parole.

Ryuu scosse la testa e la posò di nuovo sul petto della bambina.

« Ryuu, ma tu… » disse, confusa. « Nonostante tutto… vuoi restare lo stesso con me?... ».

Il lupo, forse stufo che lei proprio non riuscisse a capire, le saltò addosso e la gettò a terra, tenendola inchiodata con le zampe sul petto e portando il muso a pochi centimetri dal viso di Yumi. Alla bambina bastò guardarlo negli occhi per capire finalmente che non gli importava quello che era successo o sarebbe accaduto di lì in avanti : lui le sarebbe sempre rimasto accanto. Era lei la sua casa, il posto a cui apparteneva e a cui sarebbe tornato sempre: non sarebbe mai andato da nessuna parte senza di lei.

« D’accordo, hai vinto, mi arrendo » disse Yumi alzando le mani.

Soddisfatto che Yumi finalmente avesse capito, Ryuu le leccò il viso, poi le scese di dosso e si mise seduto, scodinzolando allegramente. La bambina scosse la testa e tornò a guardare la madre, che le sorrise, al che la piccola sbuffò.

« Cos’è, vi siete coalizzati contro di me? » borbottò indispettita.

Karin ridacchiò e scosse la testa.

« Voi due vi appartenete, Yumi » ripeté. « Siete l’uno parte dell’altro, lo siete sempre stati, e ora lo sarete ancora di più. E sarà sempre così: voi siete la Tigre e il Dragone, il vostro legame è indistruttibile ».

La bambina guardò il lupo, poi abbassò lo sguardo e sospirò.

« E tu, mamma? Cosa ne sarà di te, adesso? ».

Karin stette qualche istante in silenzio.

« Io non potrò venire con voi » sospirò.

Yumi sollevò la testa, ma prima che potesse protestare, Karin le porse la collana con dentro la ciocca di capelli di Sora.

« Non potrò seguirti, Yumi, non nella strada che stai per intraprendere: devi andare là fuori e conoscere il mondo… il tuo mondo, quello a cui appartieni da quando sei nata. E io… non posso venire con te ».

« Ma… abbiamo promesso a papà che lo avremmo aspettato insieme… » mormorò la bambina.

Karin sospirò e le prese il volto tra le mani.

« Se venissi con te non riuscirei ad aiutarti in nessun modo con la mia presenza, ti sarei solo d’intralcio. Devi continuare il tuo cammino senza di me… senza di noi. Lo capisci, vero? » e fece cadere la collana nel palmo aperto di Yumi.

Lei la strinse con forza, inghiottendo le lacrime e annuendo: certo che capiva, non c’era bisogno di aggiungere altro.

« Brava la mia Tara-chan » sorrise Karin, poi si rivolse a Ryuu.

« Abbi cura di lei anche da parte mia, Ryuu, te ne prego ».

Il lupo ululò brevemente e agitò la coda, poi si fece avanti e permise a Karin di avvicinarsi e di dargli un bacio sul muso, a cui ricambiò leccandole il volto. Yumi sorrise tristemente, e quando la madre tornò a guardarla le buttò di nuovo le braccia al collo. Karin ricambiò stringendola fortissimo: la sua bambina stava per spiccare il volo. Anche se avrebbe voluto restarle ancora accanto e aiutarla, non aveva rimpianti: aveva avuto la possibilità di salutarla e augurarle buona fortuna, era più di quanto avrebbe potuto sperare di fare.

« Non ho potuto salvarti… mi dispiace tanto… » mormorò Yumi contro la sua spalla.

Karin le accarezzò la testa e le baciò la fronte.

« Non lasciarmi con il tormento di averti aggravato di un peso inutile, ti prego ».

La bambina iniziò di nuovo a piangere.

« Diventerò più forte » le promise. « E farò in modo che questo, » e indicò intorno a loro « non succeda mai più! ».

Karin le sorrise orgogliosa.

« Non smettere mai di combattere, Yumi. E un giorno, forse ci rivedremo ancora… noi quattro insieme » e sorridendole un’ultima volta si alzò in aria e svanì in una nuvola di fumo azzurro.

Yumi restò a guardare finché Ryuu non infilò la testa sotto il suo braccio e le mordicchiò la mandibola. Lei lo strinse a sé e sorrise.


- Epilogo -


Yumi guardò la propria casa come se la vedesse per la prima volta: lì era nata, lì era cresciuta, lì i suoi genitori l’avevano amata e protetta, lì aveva aiutato la madre a raccogliere le verdure e a imparare i nomi delle piante medicinali, lì aveva portato Ryuu quando era ancora un cucciolo, lì lui era sempre venuto a trovarla per giocare con lei, lì suo padre le aveva rivelato la verità sulle proprie origini. Quel luogo era pieno di ricordi, e non riusciva a reprimere il pensiero che stesse lasciando indietro una parte di sé.
Ma forse avrebbe dovuto iniziare a farci l’abitudine: lei era una mezzodemone, era immortale, avrebbe vissuto per sempre. Sicuramente si sarebbe trovata più volte in situazioni simili, e quella sarebbe diventata solo la prima di una lunga serie.

Però i ricordi li avrebbe portati nel proprio cuore. Quello che lasciava indietro era solo una costruzione di legno e pietra devastata dalle fiamme, come l’aveva trovata quando era riuscita a tornare a casa, la mattina dopo, insieme al campo disseminato di frecce e cadaveri straziati e carbonizzati ; del padre, nemmeno l’ombra. Non avrebbe saputo dire se era morto o meno, ma in ogni caso non si era lasciata prendere dallo sconforto.

Strinse forte il medaglione della madre, di cui aveva seppellito il corpo, trascinato fin lì con l’aiuto di Ryuu, in giardino, dopo averlo opportunamente liberato dai cadaveri, a cui aveva dato fuoco in un’enorme pira funebre. Aveva dato fuoco agli Shadowhunters con un acciarino, sia perché l’aveva ritenuto più significativo che farlo con i propri poteri sia perché non era riuscita a riprodurre neanche il più piccolo fuoco fatuo. Ma non si era demoralizzata: con un po' di pratica, prima o poi sarebbe riuscita a conoscere i propri poteri, a capire fino a che limite potevano arrivare e a padroneggiarli come si deve.

Aveva cercato a lungo lo spirito della madre, più per dirle addio come si deve che per rivederla un’ultima volta, ma lei sembrava essersi dileguata per sempre. Aveva pensato che probabilmente era ancora da qualche parte là fuori, e là sarebbe rimasta ad aspettarla finché non fosse ritornata indietro con suo padre, e sorridendo aveva rinunciato alla sua ricerca. Aveva seppellito anche il corpo della fata, ma nella radura, piantando poi la sua spada sopra la sua tomba. Gli aveva però preso l’anello, che ora scintillava sul dito medio della sua mano destra: non perché fosse bello o per avidità, ma perché voleva portare con sé qualcosa di lui che non le facesse mai dimenticare le sue colpe, così come le sue ultime parole; quelle le avrebbe conservate nel suo cuore per sempre, le sarebbe bastato guardare l’anello per ricordarsele una per una, in eterno.

Guardando la tomba del guerriero fatato, gli era tornato in mente anche qualcos’altro: lei portava solo morte e distruzione con sé… o almeno così aveva detto lui. Effettivamente, però, così era stato davvero; per di più, ora sapeva di poter vedere e parlare con i fantasmi, le anime di coloro che erano morti. La sua intera esistenza, in sostanza, aveva completamente a che fare con la morte.

Per questo, davanti alla tomba della sua vittima, oltre che assassino della sua famiglia, aveva deciso che avrebbe adottato un nuovo nome, oltre a quello che le era stato donato dai genitori: da quel momento in poi avrebbe assunto anche il nome di “Shin”, morte. E morta sarebbe anche stata la Yumi spensierata che viveva in una casa in mezzo al bosco con i suoi genitori, che passava le giornate a giocare e ridere con suo fratello e che era amata dai propri genitori. Era la fine per quella Yumi, morta con Ryuu e Karin, mentre era l’inizio della vita di Yumi Shin, la strega nomade alla ricerca di sé stessa che parlava con i morti, la ragazza che portava bellezza… e morte. Era una dicotomia un po' singolare, e più che un nome le sembrava una condanna, ma era un fardello che era disposta a sopportare: le sarebbe servito a non dimenticare mai chi era lei e a imparare a convivere con il peso dei propri poteri. In fondo, però, le si addiceva in pieno: lei stessa era una dicotomia particolare sin da quando era nata, essendo figlia di un essere portatore di distruzione e di uno invece portatore di amore. Amore e odio uniti in una sola persona, portatrice di distruzione e al tempo stesso di salvezza; questo era, e come tale sarebbe stata ricordata.

Con queste convinzioni in testa, e dopo aver riempito una sacca con tutto quello di commestibile e di vestiario ancora intatto che era riuscita a recuperare dalla casa, si mise in viaggio. C’erano molte cose da fare: imparare a conoscere e gestire i propri poteri, trovare il modo di accumulare abbastanza denaro, raggiungere l’Europa e trovare Magnus Bane per chiedergli aiuto… e molto altro ancora. L’aspettavano tempi duri, ma mentre camminava con la rassicurante presenza di Ryuu al suo fianco, Yumi giurò solennemente che non si sarebbe arresa finché non avesse portato a termine il compito che le era stato assegnato, anche a costo di girare il mondo per l’eternità: avrebbe imparato a controllarsi, trovato quello stregone e riportato indietro suo padre… e solo allora si sarebbe fermata e sarebbe tornata a casa, dove lei e la sua famiglia sarebbero rimasti insieme per sempre.



*Angolo dell'autrice:

E così si conclude l'immenso prologo introduttivo della nostra strega orientale :-). Un grazie sincero a chi è arrivato fin qui senza annoiarsi ( anche a chi ci è arrivato senza sentire il desiderio di uccidermi XD). Bè, che dire? Dal prossimo capitolo in poi arriveremo finalmente nella Grande Mela e comincieremo a trovare i personaggi che amiamo tutti ( prometto di fare del mio meglio). Però... non so quando lo scriverò. Non fraintendetemi, la traccia è pronta e deve essere solo sviluppata, però... è uscito il nuovo libro della mia scrittrice italiana preferita... e fremo dalla voglia di tuffarmi nella sua nuova saga. Mi dispiace lasciarvi così sulle spine, ma i miei scrittori preferiti hanno la precedenza ;-). Un grazie di cuore specialmente a laVampy e a Shamarr79 per le loro bellissime recensioni e il sostegno che sempre mi danno :-).

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Capitolo 5
*** Succede tutto di notte a New York ***


2007, New York
 
Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre
la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora
da una generazione di idioti      

A.Eninstein
 

Yumi si svegliò di soprassalto urlando a squarciagola e agitandosi così tanto da rischiare di cadere per terra e farsi male. Respirò affannosamente e le ci volle parecchio prima di riuscire a riprendere fiato e ricordare di non essere più in un bosco innevato sulle montagne di Tokyo, ma nel fatiscente, umido e gelido appartamento del condominio di New York che aveva preso in affitto ormai da cinque anni, e di essere sdraiata non sulla terra ghiacciata coperta di neve intrisa di sangue ma su un materasso duro come la roccia, seppur altrettanto gelido, tra lenzuola ruvide come la iuta. Ricadde all’indietro sul cuscino respirando sempre più regolarmente e sollevò il braccio destro per guardare l’orologio: erano le 2.30 del mattino.

Sbuffò e si coprì gli occhi con il braccio, aspettando che il tumulto nella sua testa si attenuasse, quando qualcosa di umido e freddo le leccò la guancia. Tolse il braccio e sorrise, senza però aprire gli occhi, accogliendo come una benedizione la lingua fresca di Ryuu sul viso accaldato e infilando un braccio sotto il suo petto per stringerlo a sé. Il lupo le leccò tutto il viso e si spostò verso la scollatura della canottiera, ma lei lo bloccò e lo spinse delicatamente via. Ryuu la guardò piegando la testa di lato.

«Non ci pensare nemmeno, ero-ookami [lupo perverso] » disse Yumi sorridendo.

Ryuu ululò brevemente e le saltò sul petto, leccandole ripetutamente la faccia.

«Yamete [fermati]! » rise Yumi, ma visto che il lupo non la smetteva cominciò a colpirlo con il cuscino, senza successo: la forza di Ryuu era estrema, e lei non poteva competere. Giocò d’astuzia e smise di lottare, ma quando lo sentì cedere gli circondò il collo con le braccia e gli spinse la mandibola in alto, stringendogli delicatamente la giugulare tra i denti. Il lupo allora girò la testa e chiuse la mandibola intorno al collo morbido della ragazza, che non mollò la presa.

«Affora? Come la fettiano? » mormorò Yumi con la sua pelle tra i denti.

Ryuu la ignorò e le mordicchiò il collo, al che lei snudò le zanne e mordicchiò a sua volta la pelle pelosa dell’amico. Ryuu si spostò sulla spalla della ragazza e lei gli morse la mandibola; lui allora si liberò e si posizionò sul suo braccio, che strinse un pochino più forte, e lei si sollevò e gli morse un orecchio. Andarono avanti con questo mordi-e-molla finché non finirono per incrociare gli occhi nello stesso istante, e nella stessa maniera lasciarono la presa, ricadendo insieme sul materasso.
Ryuu ululò di nuovo, ma stavolta Yumi gli chiuse prontamente la bocca con entrambe le mani, anche se in realtà era inutile: nessuno avrebbe potuto sentirlo, nessuno di normale, almeno, ma la ragazza preferiva evitare di disturbare qualsivoglia Nascosto che forse viveva lì e aveva la sfortuna di essere nello stesso condominio di un lupo che soffriva di insonnia.

Per fortuna la padrona di casa era una mondana qualunque, sennò sarebbe stato un bel problema convincerla a lasciare che Ryuu vivesse insieme a Yumi: gli animali erano vietati in quel condominio, anche se, a dirla tutta, né la ragazza né il lupo, che non avevano permesso nemmeno alla morte di separarli, importava niente di quella stupida regola. A dire il vero, comunque, era Yumi quella più rumorosa tra i due, e riteneva un miracolo che la donna non l’avesse ancora cacciata via per disturbo della quiete pubblica.

«Mattaku mou [accidenti], Ryuu » borbottò Yumi passandosi un braccio sugli occhi.

Il lupo le si accoccolò contro, accarezzandole il mento con la testa e mordicchiandole la mascella. La ragazza sorrise, ma strinse forte la pelliccia di Ryuu tra le dita e il braccio intorno a lui. Il lupo non poté fare altro che gemere piano: percepiva il dolore di Yumi come se lo stesse provando lui stesso. Riusciva a sentire sempre quello che provava Yumi, era stato così anche prima e così aveva continuato ad essere .

Sapeva però che, anche se avesse avuto la facoltà di parlare, lei non avrebbe mai voluto ricevere parole di conforto da parte sua:  aveva sempre ritenuto superflue quelle di conforto, se non inutili. Ryuu sapeva che Yumi non voleva parole vuote, aveva solo bisogno della sua presenza e che le permettesse di stringerlo in quel modo; non le serviva altro. Non le era mai servito nient’altro, in effetti… forse perché non aveva mai avuto opportunità di desiderarlo, visto che non aveva mai permesso a nessuno di arrivare così vicino alla propria anima. Si guardò d'istinto la mano sinistra, sul cui anulare capeggiava da più di cento anni un anello d'argento, le cui incisioni le facevano ancora stringere il cuore ogni volta che vi posava lo sguardo.

Posò poi lo sguardo sulla mano destra, dove faceva bella mostra di sé l’anello d’oro che aveva preso a quell’elfo il giorno in cui tutto era finito, o iniziato, a seconda dei punti di vista. Sospirò: ricordava a malapena di aver più dormito sonni tranquilli, dopo gli eventi di quel giorno. Il ricordo di ciò che era accaduto in quella serata d’inverno l’aveva perseguitata per anni, togliendole il sonno e aggravando il peso che sentiva sul cuore.

Se non avesse avuto Ryuu era certa che sarebbe impazzita, ma per fortuna ciò non era successo. Quell’elfo… le sarebbe piaciuto conoscere almeno il suo nome; non saperlo la portava a pensare a lui come a un oggetto, non ad una persona. Nell’interno dell’anello, però, aveva trovato una scritta in elfico che solo più avanti era riuscita a tradurre e a capire cosa dicesse: “Bryenh”, sole, nella lingua degli elfi.

Aveva studiato a lungo la lingua degli elfi, sapeva parlare, scrivere e leggere in elfico, e conosceva anche le loro tradizioni. “Conosci il nemico, conosci te stesso”, come disse il filosofo Sun Tzu; Yumi però non era una stupida, e sapeva bene che non sarebbe certo bastato restare sui libri per tutta la vita per conoscere il Popolo Fatato, ci voleva anche l’esperienza diretta. Negli anni, però, i suoi contatti con le fate erano stati piuttosto radi; da un lato era meglio così, dall’altro non le faceva presagire nulla di buono, ma in entrambi i casi non aveva mai certo perso tempo a gingillarsi e ad aspettare i loro comodi senza fare niente. Per “ingannare” l’attesa aveva deciso di imparare la loro cultura, anche se sapeva che non sarebbe bastata un’eternità per imparare a conoscere tutto quello che c’era da sapere sulle fate.

Per il momento le bastava essere riuscita almeno a decifrare la scritta sotto l’anello, anche se era certa che non fosse il nome dell’elfo, un po' perché non avrebbe avuto senso e un po’ perché l’anello le sembrava in tutto e per tutto una fede matrimoniale dei mondani. Era stato soprattutto quel dettaglio ad averle fatto sorgere il sospetto che quello fosse il nome di qualcuno di speciale per lui… qualcuno che sicuramente sapeva di lei e che prima o poi sarebbe venuta a reclamare la sua testa ( il Popolo Fatato aveva occhi e orecchie ovunque e aveva anche una buonissima memoria, per cui era impossibile che dimenticassero così facilmente un torto subito finché questo non veniva riscattato). Sbuffò: farsi mille paranoie era improduttivo, così come lo era occuparsi la testa di futili pensieri. Non aveva paura: quando sarebbe arrivato il momento, non si sarebbe fatta trovare impreparata.

Si trascinò fuori dalle lenzuola e posò i piedi sulle mattonelle gelide, rabbrividendo al contatto con la ceramica fresca. Si passò una mano sulla faccia: malgrado le attenzioni di Ryuu, era ancora sudata fradicia. Anche il resto del corpo era nello stesso stato: per colpa del sudore, i vestiti che indossava aderivano completamente alla sua pelle, così come i suoi capelli, che allontanò con fastidio.

Si alzò a fatica e barcollò verso il bagno senza accendere la luce, accompagnata da un solerte Ryuu che la seguì come un’ombra, pronto a sostenerla se fosse collassata sul pavimento. Sorrise stancamente, aprì la porta del minuscolo bagno e solo allora accese la sparuta lampadina appesa al soffitto, arrendendosi alla legge fisica secondo cui tutte le immagini riflesse sono generate da una luce, principio che purtroppo valeva anche se ci vedevi benissimo al buio come lei. Chiuse la porta e si appoggiò al lavandino, guardandosi allo specchio: questo le restituì l’immagine di una giovane donna di circa vent’anni, con lunghi capelli neri arruffati che incorniciavano un pallido viso a forma di cuore, ancora accaldato, e due allungati occhi blu sotto cui facevano bella mostra di sé delle occhiaie tremende. Una ragazza come tante, insomma, o almeno, questo era ciò che appariva a prima vista.

Posò una mano sulla superficie fredda dello specchio, appannandolo: odiava gli specchi. Erano oggetti che riflettevano solo la superficie delle cose, non la loro vera essenza. Erano… oggetti ingannatori, bugiardi. Quella non era lei: quella che aveva davanti era solo la sua forma, il contenitore portatore di ciò che era il suo vero essere, l’immagine superficiale che tutti vedevano ma che veramente pochi avevano cercato di superare per andare a esplorare e conoscere la vera essenza di ciò che davvero si celava sotto quel bel visino innocente.

Odiava quell’immagine di sé, odiava che gli altri la giudicassero solo per il suo faccino tanto carino quando in realtà era molto di più di questo. Purtroppo però era necessario che almeno la gente comune si fermasse a quella convinzione, se avesse scoperto la verità sarebbe stato molto peggio. Quando era da sola a casa, però, non c’era bisogno di fingere, anzi, detestava doverlo fare anche nella propria intimità. Ma le illusioni sono fragili come il vetro, e bastava davvero pochissimo per distruggerle.

Si tolse la canottiera senza staccare gli occhi dallo specchio, rimanendo in reggiseno, e raccolse i capelli in una coda: così facendo mise allo scoperto le orecchie, appuntite come quelle dei gatti, e il suo corpo pallido e magro, non pelle e ossa ma discretamente muscoloso, attraversato  da svariate cicatrici, specialmente sulla braccia, dove si vedevano segni di morsi, graffi e chiazze bianche di vecchie ustioni. L’immagine della ragazza normale fu spezzata, mostrando quella di una ragazza che di normale non aveva proprio niente… perché lei non lo era affatto: era una strega, una mezzodemone, figlia di una donna umana e di un Nekomata, un demone gatto mutaforma. Da quest’ultimo aveva preso tutto quello che la rendeva “speciale”: il colore degli occhi, blu come il cielo notturno, le orecchie a punta e molti altri fattori, come i suoi poteri e la sua immortalità.
Soprattutto l’immortalità: anche se aveva l’aspetto di una giovane donna di vent’anni, in realtà ne aveva ben più di duecento sulle spalle. Aveva smesso di invecchiare dopo essere arrivata al secondo decennio di vita, e da allora era rimasta praticamente immutata. Sapeva che sarebbe successo, era la benedizione e maledizione dei suoi simili: avere una vita lunga e rimanere eternamente giovani.

Non andava esattamente a braccetto con nessuna delle due cose, però: essere immortali voleva dire restare a guardare mentre le persone che amavi invecchiavano e morivano mentre tu restavi bello, giovane e fresco in eterno, senza preoccuparti delle rughe o dei capelli grigi. Non che fosse la sua massima aspirazione diventare una vecchietta decrepita bisognosa di appoggiarsi ad un bastone per camminare, ma le rughe restavano pur sempre un segno del tempo trascorso, la testimonianza che eri vivo da molto e avevi alle spalle una vita lunga e piena di esperienze; lei non lo sarebbe mai diventata.
Nessuno l’avrebbe guardata e avrebbe capito subito che erano passati anni e anni da quando era venuta al mondo, che era più vecchia di qualunque anziana sulla faccia della Terra e che aveva visto e vissuto cose che la maggior parte delle persone non sognavano neppure, o che mai immaginavano che avrebbe potuto aver vissuto.

D’altronde, chi si sarebbe aspettato certe cose da parte di una che sembrava poco più che un’adolescente? Se fisicamente però era rimasta la stessa, emotivamente e psicologicamente era cambiata molto, era anni luce rispetto alla ragazzina felice e spensierata che era stata un tempo. Avrebbe però sfidato chiunque a vivere a lungo e passare quello che aveva passato lei senza subire cambiamenti. Era pressoché impossibile arrivare alla veneranda età di duecento anni senza cambiare, in un verso o nell’altro. Forse però dire “veneranda” in realtà era un’esagerazione, almeno non guardandola dal punto di vista dei comuni mortali: per gli stregoni duecento anni non erano niente, era l’età di una ragazzina fresca di pubertà.

Anche se doloroso, era stato ciò che era successo in passato a formarla, a renderla la persona che era adesso; dimenticarlo, comportarsi come se non fosse mai successo niente, sarebbe stato come calpestarlo come se non avesse avuto alcun valore, come se tutti i sentimenti e le emozioni provati,  le persone con cui li aveva condivisi e i luoghi in cui li aveva vissuti non fossero mai esistiti. Yumi non avrebbe mai dimenticato niente del suo passato.

Non era solo il vedersi sempre uguale giorno dopo giorno il motivo per cui non amava guardarsi allo specchio, però, ce n’era anche un altro: nonostante le orecchie a punta e gli occhi blu, ogni volta che guardava la propria immagine riflessa, immancabilmente veniva sostituita da quella della madre. Gliel’avevano sempre detto che erano praticamente uguali, eccezion fatta per i dettagli sopra citati, ma ora che era cresciuta era in grado di constatarlo coi propri occhi. Ciononostante, era convinta che la madre era stata molto, ma molto più bella: lei non aveva mai avuto due enormi borse viola sotto gli occhi, il viso sciupato di chi non si prende molto cura di sé, le braccia e il corpo pieni di cicatrici; le mani, seppur affusolate e dalle lunghe dita sottili, erano ruvide e callose, segnate dalle fatiche di duecento anni passati a fare a botte, come testimoniavano le nocche scorticate e ruvide, a maneggiare armi, a praticare la magia, a toccare la pelle di demoni e infermi.

Certo, Karin aveva passato la vita a lavorare duramente nel campo per coltivare il cibo che poi avevano mangiato, ma Yumi ricordava perfettamente che le sue mani non erano mai state rovinate come le sue. Chissà cos’avrebbe detto lei se avesse visto com’era diventato il mondo, un posto completamente diverso da quello in cui avevano vissuto loro, che non avrebbero mai pensato, neanche negli loro incubi peggiori, che si sarebbe ridotto in quello stato. Sicuramente Karin sarebbe inorridita, specie se avesse saputo quanti boschi venivano rasi al suolo per far posto a costruzioni architettoniche, o quanti fiumi e laghi venivano inquinati per colpa dei rifiuti tossici che vi venivano scaricati dentro.

Gli uomini avevano preso in mano il mondo e l’avevano trasformato in un posto migliore(*1)… o almeno era questa la credenza comune. Yumi, ovviamente, non la condivideva per niente: era vero, da un lato forse le condizioni di vita e le vie di comunicazione e di informazioni erano decisamente migliorate, ma solo per gli esseri umani, che si erano affermati sempre di più fino ad arrivare alla punta della piramide soppiantando tutti gli altri. Uno scienziato umano un giorno aveva predetto che la tecnologia avrebbe schiavizzato gli uomini e li avrebbe resi degli idioti… e così infatti era stato.
E col passare degli anni sarebbe stato sempre peggio, Yumi era più che certa di questo. Ben presto la tecnologia avrebbe assunto livelli tali che avrebbe soppiantato completamente la forza lavorativa, e allora nessuno si sarebbe mai più rivolto a delle persone per svolgere lavori, se non quello infimo di accendere e sorvegliare le macchine, e così anche l'ultimo barlume del mondo che aveva conosciuto alla sua nascita sarebbe scomparso per sempre, ma non così i suoi ricordi.

Strinse forte il ciondolo che aveva al collo: i suoi genitori le mancavano terribilmente. Quel genere di sofferenza era insita nella natura di uno stregone, condannato a seppellire le persone amate e a soffrire per la loro mancanza, ma non era sufficiente a far smettere di sanguinare il cuore al ricordo di coloro che l’avevano messa al mondo e l’avevano tanto amata. Certo, aveva detto addio a molte persone in vita sua, per alcune avvertiva ancora un dolore lancinante nel petto anche a distanza di anni, ma non era niente paragonato a quello che sentiva per i suoi genitori: loro avevano e sempre avrebbero avuto un posto speciale nel suo cuore, e non avrebbe mai smesso di sentirne la mancanza. Sospirando, si spogliò completamente, si tolse l’orologio tenendo però addosso gli altri ninnoli, aprì il getto della doccia e ci si ficcò sotto non appena la sentì diventare calda. Ryuu entrò nella vasca con lei e prese tra i denti una saponetta appoggiata sul bordo, allungandola alla ragazza.

«Arigatou [grazie], Ryuu » sorrise lei.

L’altro tirò fuori la lingua e agitò la coda, schizzando acqua dappertutto. Yumi scosse la testa e cominciò a passarsi la saponetta sul corpo, spargendo nell’aria un delicato aroma di pino. Adorava il pino, le faceva pensare alle montagne dove era cresciuta. Per questo si premurava di avere sempre una scorta di saponette in casa, rigorosamente prodotti di erboristeria: ancora non era riuscita a farsi piacere i bagnoschiuma o i vari prodotti di bellezza per la cura del corpo che andavano in voga in quel secolo.

Disprezzava anche i cosmetici e i gioielli luccicanti: ne indossava qualcuno anche lei, certo, anche se non erano propriamente gioielli, ma avevano un profondo significato, non ninnoli inutili indossati solo per fare scena. Non era ancora riuscita a capire certi comportamenti della gente comune, specialmente sul perché perdessero tanto tempo dietro certi prodotti inutili per cercare di sembrare qualcuno che non erano: servivano solo per farsi apprezzare per quello che stava in superficie, non per come si era davvero.

Yumi proprio non riusciva a capacitarsi che la gente fosse diventata così stupida, ottusa, insensibile ed egoista ( o meglio, ancor più rispetto a come erano già ai suoi tempi). Più di una volta aveva ringraziato i suoi genitori di averla fatta nascere in un bosco, tra la natura incontaminata e viva: era stato proprio crescendo in quel mondo selvaggio che aveva imparato quali fossero le cose davvero importanti della vita. Non aveva mai dimenticato quei valori nemmeno dopo anni dal suo ingresso nella cosidetta “società civile”, e mai lo avrebbe fatto.

Che la chiamassero pure “ bestiaccia”, “sporca selvaggia” o “ gatta selvatica”:  questo era ed era orgogliosa di essere. Ne sarebbe sempre stata fiera, non le importava quello che dicevano gli altri, come non le importava di vestirsi come un maschiaccio, di non truccarsi, di non agghindarsi né di fare nessuna di quelle cose che generalmente ci si aspettava da una ragazza. Non avrebbe permesso a nessuno di cambiarla, e avrebbe combattuto con le unghie e con i denti ( letteralmente) per impedirlo.

Com’era diventato gramo e triste, il mondo… e come sentiva fortemente la mancanza dei vecchi tempi, quando le cose erano molto più semplici e le risorse dell’uomo erano molto più limitate. Soprattutto, sentiva fortemente la mancanza degli amati boschi in cui era cresciuta. Lei e Ryuu si sentivano pesci fuor d’acqua in città, e appena potevano scappavano da qualche parte sulle montagne o nei boschi fuori città, restandoci anche per giorni interi, il tempo di permettere ai loro veri sé stessi di respirare e tornare a vivere.

Non importava che fossero passati duecento anni e che ne avesse vissuti la maggior parte nel mondo civile: loro non erano e mai sarebbero diventati cittadini, sarebbero sempre stati la ragazza selvaggia cresciuta in mezzo ai boschi e amica degli animali, con cui pure aveva mantenuto l’empatia che aveva sempre avuto da piccola e con cui si trovava ancora a più agio che con le persone, e il lupo suo fratello e spirito guida, che si prendeva cura e vegliava su di lei. Se solo la gente comune avesse potuto vedere cambiare il mondo come avevano fatto loro forse un paio di domande se le sarebbe fatte, e ora le cose sarebbero andate diversamente. Yumi sospirò: aveva solo duecento anni di vita e già sentiva il peso dell’immortalità.

Chissà cos’avrebbe sentito allora di lì ad altri duecento. C’erano ancora molte cose da fare, quindi non avrebbe avuto certo tempo per annoiarsi:  molti posti da vedere, molta gente da conoscere… Aveva viaggiato in lungo e in largo, ma non aveva mai dimenticato le proprie origini, e benché ormai conoscesse molte lingue, non aveva mai smesso di far ricorso alla propria lingua madre. Le altre le usava raramente e solo quando la situazione la richiedeva; il giapponese invece era parte di lei né più ne meno come i suoi occhi allungati, e non sarebbe mai stato soppiantato. Non le pesava dover perdere tempo a spiegare ai suoi interlocutori cos’avesse appena detto: nessuno le avrebbe estirpato le radici dalla sua terra natia, e di certo non le avrebbe mai gettate nel dimenticatoio per abbracciare completamente la cultura locale, di cui ormai era cittadina da cinque anni.

Cinque anni… passati a brancolare nel buio. Aveva saputo che colui che inseguiva da tutta la vita vi abitava da molti decenni ormai, ma New York era veramente grande, e in tutti gli anni che era rimasta lì Yumi non era riuscita a trovare il benché minimo indizio su dove potesse abitare o quale fosse la sua occupazione ( sempre che ne avesse una, aveva sentito in giro che era parecchio fannullone sotto certi punti di vista).

Sapere che negli anni era diventato il Sommo stregone di Brooklyn aveva di certo fornito un valido punto di partenza su dove cercarlo, ma non aveva avuto fortuna. Recentemente aveva scoperto che aveva preso parte alla guerra che era scoppiata a Idris, e questo l’aveva parecchio frustrata, perché lei invece non aveva potuto esservi presente. Era incredibile che le fosse sfuggito di nuovo anche se era stata tanto così dall’avere finalmente la possibilità di incontrarlo.

Però non aveva trascorso quegli anni a New York a girarsi i pollici: nel tempo che aveva impiegato a cercarlo aveva imparato molte cose sulla città, grazie soprattutto ai fantasmi che l’abitavano, non visti dalla maggior parte della popolazione. Una cosa che aveva appreso ben presto su di loro era che erano ciò che di più pettegolo esistesse sulla faccia della Terra, ma in fondo non avevano altro da fare tutto il giorno, non era così strano che passassero il loro tempo a spettegolare.
E diventare così un’ utilissima fonte di informazioni di ogni genere, un’immensa catena invisibile che circondava la città e la sorvegliava giorno e notte. Essere una dei pochi a poterli vedere era uno dei vantaggi che essere figlia di un Nekomata offriva, ma Yumi non era un’ opportunista, né tantomeno un’egoista: anche se erano fantasmi restavano pur sempre delle persone, e come tali li avrebbe sempre trattati, non si sarebbe mai azzardata a sfruttarli come fossero oggetti.

Grazie a loro aveva imparato molte altre cose interessanti, ad esempio sulla locazione della sede dell’Istituto degli Shadowhunters di New York ( da cui si era tenuta altamente alla larga) o notizie relative a cosa succedeva nel Mondo Invisibile, tra cui quella fantomatica guerra. Benché fosse piuttosto famoso, su Magnus Bane invece non avevano saputo aiutarla molto, ma Yumi non si disperava: aveva seguito quello stregone per duecento anni, non si sarebbe certo arresa proprio ora che era così vicino.
Però… non lo pensava più con la stessa sicurezza di una volta. Erano passati due secoli, ed era solo una bambina quando aveva iniziato il suo viaggio, quando ancora non sapeva niente del mondo, e adesso… adesso invece l’aveva visto, aveva vissuto intensamente, aveva provato molte esperienze, sofferto molto… era cresciuta, insomma.

E non aveva la minima certezza che suo padre fosse ancora vivo e si ricordasse ancora di lei, men che meno della promessa. Ci aveva pensato spesso, ultimamente: aveva ancora senso andare avanti in quel modo, continuare quella che ormai poteva essere diventata una causa persa? E poi, con che faccia si sarebbe presentata da Magnus Bane, una volta trovato? Avrebbe tagliato corto e gli avrebbe subito detto di aiutarla a trovare suo padre? Non esisteva, no, a costo di dover passare altri due secoli a inseguirlo, non si sarebbe mai azzardata a rivolgersi a lui in quel modo. Però… la ricerca di suo padre era l’unica cosa che aveva, l’unico obiettivo che l’aveva portata a non mollare mai e ad andare avanti in tutti quegli anni; tolto quello… cosa le rimaneva?

Perse la presa sulla saponetta e questa scivolò sul fondo della vasca, mentre lei rimase con le braccia lungo i fianchi a fissare il vuoto rendendosi conto che forse aveva passato tutti quegli anni non ad inseguire Magnus Bane, ma il fantasma di suo padre.  Come sempre fece i conti senza l’oste, o meglio, senza Ryuu, che pur di non permettere che Yumi cadesse nel baratro senza fondo dei propri pensieri e vi ci si perdesse, avrebbe affrontato la morte ancora mille volte. Il lupo infatti si erse sulle zampe posteriori e poggiò le anteriori sulle spalle della ragazza, lappandole il viso e “destandola” dal suo incubo a occhi aperti.

«Accidenti a te, lupastro » borbottò Yumi sorridendo.

Lui scodinzolò allegramente e le mordicchiò il collo, lei ridacchiò e lo spinse via, chinandosi poi a recuperare la saponetta, che passò tra i capelli districandoli con le dita.Erano così lunghi che impiegò un bel po' per insaponarli come si deve, anche perché le sfuggivano sempre di mano e le andavano da tutte le parti; erano cocciuti e ribelli proprio come la loro padrona. Erano piuttosto scomodi, specialmente in battaglia o quando correva tra gli alberi, e qualche volta aveva pensato bene di tagliarli, poi però aveva riflettuto sul fatto che anche loro erano pieni di tutto quello che aveva passato durante la sua vita, avevano infinite storie annidate tra le loro ciocche, e tagliarli sarebbe stato come tagliare via una parte della propria storia.

«Tu sei fortunato a non avere di questi problemi… » mormorò all’amico, che la guardava in attesa.

Yumi finì di massaggiarsi la cute e risciacquò il tutto, posando la saponetta sul bordo della vasca senza neanche prendere in considerazione l’idea di insaponare anche Ryuu: anche se erano passati secoli, vivendo in mezzo a odori che non avevano niente di puro e genuino come quelli dei boschi in cui erano cresciuti, la pelliccia di Ryuu aveva mantenuto lo stesso odore di selvatico di sempre. O forse quello era l’odore dei ricordi Yumi che le era rimasto intrappolato nel naso, chi poteva dirlo? In ogni caso, a Yumi andava più che bene così, perché quello era l’odore di casa sua, della sua infanzia, che le bastava annusare per sentirsi al sicuro e per riportarle alla mente un sacco di ricordi che parlavano di tempi lontani, quando ancora le cose erano semplici e loro due erano la strana coppia di fratelli male assortita eppure molto affiatata che passavano le giornate a giocare, a rotolarsi per terra, a fare la lotta o a correre nei boschi. Di certo lei non gli veniva molto in aiuto con il proprio, ma Ryuu non sembrava affatto infastidito dalla scelta della ragazza di usare il sapone: non sarebbe di certo bastata una cosa così banale a nascondere l’odore naturale di Yumi, non a lui, l’unico essere al mondo che conosceva a menadito la vera essenza della ragazza, in ogni sua forma.

La ragazza sciacquò accuratamente il sapone rimasto impigliato nei suoi bracciali, specialmente in quello di cuoio che aveva al polso destro, sotto cui infilò le dita e ne disegnò il contorno, poi fece lo stesso con il bracciale di conchiglie al polso sinistro e per la collana che aveva al collo. Si massaggiò infine le tempie respirando profondamente l’aroma di pino che ancora permeava l’aria.
Ryuu guardò con interesse i rivoli di sapone residui fluire verso il tubo di scarico, dandogli delle piccole zampate per farli esplodere prima che sparissero per sempre. Yumi sorrise divertita, poi chiuse gli occhi, che si illuminarono da sotto le palpebre, e in un attimo fu asciutta, con volute di fumo che si alzarono dal suo corpo e dai suoi capelli, avvolgendola in una leggera nube di vapore.
Ryuu si mise sedute sulle zampe posteriori e la guardò paziente. Lei allora gli mise una mano sulla testa e aggrottò le sopracciglia, e in un attimo anche lui fu asciutto come prima di essere finito sotto la doccia. Mordicchiò giocosamente la mano della ragazza per ringraziarla e uscì dalla vasca, lei sorrise e lo seguì, tornando in camera e sedendosi sul letto completamente nuda.

Non era esattamente etico, ma non aveva nessuna fretta di infilarsi di nuovo in quelle prigioni di stoffa che erano i vestiti. Si buttò all’indietro ripensando con nostalgia ai boschi di casa sua, a quando aveva avuto la possibilità di andare in giro con un semplice straccio lungo i fianchi, a quando aveva più volte invidiato gli animali perché loro non avevano bisogno di niente e potevano andare in giro nudi senza che nessuno gli dicesse qualcosa. Lei invece aveva dovuto sforzarsi di imparare a coprirsi per integrarsi nella società, specie quando il petto aveva iniziato a crescerle e a darle fastidio anche, come gliene dava dover per forza di cose indossare un reggiseno. Riteneva una fortuna che i corsetti fossero passati di moda da quel pezzo, ma era stata tentata parecchie volte di ricorrere al “metodo amazzone”, lasciando però cadere quasi subito e imparando a conviverci, trovando alquanto bislacco temere di più un cambiamento naturale del proprio corpo che le implicazioni del suo lato demoniaco. Ryuu saltò sul letto e le posò la testa sul petto.

«Ironico, non trovi? » disse la ragazza, accarezzandolo. «Le persone passano metà della loro vita a disprezzarvi perché non siete come loro, ma alla fine siete migliori e più fortunati di noi sotto un sacco di punti di vista ».

L’animale le mordicchiò la mano. Yumi sorrise intenerita, voltandosi però verso la finestra e perdendosi di nuovo nei suoi pensieri: lei e Ryuu erano simili anche in questo, visto che era in quegli stessi termini che gli Shadowhunters pensavano dei Nascosti come lei e dei demoni. Peccato però che né lei né il lupo erano due che stavano buoni in un angolo a subire le ingiustizie, come invece facevano molti loro simili, anzi: più di una volta Yumi aveva seriamente rischiato di finire davanti al Clave come una criminale qualunque per il suo atteggiamento indisponente nei confronti degli Shadowhunters o perché si era rifiutata di prestar loro un servizio, ma anche in quel caso non era stata zitta e aveva sostenuto le proprie convinzioni senza battere ciglio.
Quei mocciosi semi-angelici… se volevano rispetto, allora prima di qualsiasi cosa avrebbero dovuto imparare a meritarselo. I rapporti tra Shadowhunters e Nascosti non erano cambiati granché nel corso degli anni rispetto a quando lei era bambina, ma almeno i cacciatori avevano smesso di portarsi a casa ali di fata o collane di denti di lupo mannaro come trofeo.

Non che i loro modi di fare o le loro direttive fossero migliorate chissà quanto, ma che continuassero pure così: Yumi non si sarebbe certo fatta piegare da dei bambocci che non sapevano niente del mondo e avrebbe continuato a far sentire la propria voce, anche quando le altre sarebbero rimaste in silenzio. Accarezzò distrattamente Ryuu, pensando  a cosa fare: di tornare a dormire non se ne parlava, ed era troppo scossa anche per provare a trascorrere le restanti ore notturne in meditazione, ma non le andava di restare lì a vegetare mentre i pensieri la infastidivano peggio di un poltergeist britannico ( e lei sapeva bene quanto fossero estremamente fastidiosi). Guardò fuori dalla finestra vedendo per la prima volta cosa c’era fuori: New York, illuminata praticamente a giorno anche di notte, la città che non dormiva mai, o la città dalla doppia esistenza: di giorno dominio dei mondani, di notte patria degli abitanti del Mondo Invisibile. Restò a fissare le luci dei lampioni ancora per un po', poi decise.


 
«Continuo a chiedermi cosa ci facciamo qui » sbuffò Alec per la forse centesima volta in un’ora.

Jace alzò gli occhi al cielo e si passò una mano sulla fronte, rispondendogli allo stesso modo per un’altrettanta volta.

«Perché ci hanno detto che Camille sarebbe venuta qui per parlare con qualcuno e noi dobbiamo scoprire le sue intenzioni ».

«LO SO perché siamo qui » ribatté Alec. «Quello che intendevo dire è che secondo me stiamo perdendo tempo: Camille non ha fatto altro che bere e provarci con mezzo locale ».

Ed era vero: da quando avevano ricevuto la soffiata che l’ex-capoclan dei vampiri di New York sarebbe passata in quel locale per parlare con un informatore, Alec e i suoi fratelli erano stati subito mandati a pedinarla, ma tutto quello che avevano fatto finora era stato rintanarsi in un angolo angusto ma purtroppo con una vista eccezionale su tutto il locale a spiare quella donna, che era passata da un uomo all’altro senza fermarsi veramente con nessuno e tenendo in mano un bicchiere di quello che sembrava vino ma che poteva benissimo essere un Bloody Mary, se non sangue naturale.

Ma non era solo questo a dare fastidio al giovane Shadowhunter: in quel locale c’era una confusione assurda, nonché un caldo infernale, e questo, unito alla calca di corpi di umani e Nascosti mescolati gli uni agli altri, che in quel momento sembravano solo essere parte di un unico grande corpo sudato e puzzolente, gli stava facendo venire un forte mal di testa, mentre i suoi piedi fremevano dalla voglia di levare le tende e andarsene per dirigersi verso Brooklyn, e da lì ad un certo loft… quasi gli avesse letto il pensiero, Jace scelse proprio quel momento per dire:

«Avere come fidanzato il luminare delle feste scatenate non ha proprio portato cambiamenti nella tua avversione per il divertimento, vedo ».

Alec arrossì e fece per ribattere, ma con una risata cristallina Isabelle si voltò verso di loro e lo prevenne.

«Fratellino, ma non lo sai? Alec è furioso perché in questo momento vorrebbe trovarsi tra le lenzuola abbracciato al suo bellissimo fidanzato e mangiarselo di- »

«OK, ora basta!! » la interruppe Alec adesso viola, mentre Jace e Isabelle ridevano a crepapelle.

«Per l’Angelo… » borbottò il giovane, tornando svogliatamente a guardare Camille senza però vederla veramente.

Anche se i discorsi dei fratelli lo imbarazzavano, però, purtroppo avevano ragione loro: l’unica cosa che avrebbe voluto fare era uscire da lì, precipitarsi a casa del suo ragazzo e passare la notte tra le sue braccia, non trascorrerla a tenere d’occhio una vampira psicopatica che poteva accorgersi di loro da un momento all’altra e mandare all’aria la loro missione. La verità però era che ancora non riusciva a credere che Magnus Bane, l’ultracentenario nonché bellissimo Sommo stregone di Brooklyn, avesse una relazione proprio con lui, Alexander Ligthwood, il più monotono, noioso e prevedibile Shadowhunter in circolazione.

Era passato poco tempo da quando aveva ammesso ( o meglio, sbattuto in faccia ) al mondo la sua relazione con lo stregone, ma aveva ancora qualche difficoltà a scendere a patti con la cosa. Forse era perché era difficile affrontare gli sguardi di disgusto che gli altri Shadowhunters gli riservavano, forse era perché aveva definitivamente perso la speranza di ottenere il rispetto di suo padre… o forse era semplicemente perché non riusciva a capacitarsi che uno bellissimo come Magnus, che risplendeva (letteralmente, considerato che amava riempirsi di glitter dalla testa ai piedi) di luce propria, che in teoria avrebbe dovuto guardare Jace o Isabelle… avesse deciso di stare con un tipo mediocre come lui.

Magnus però gli faceva notare di continuo di avere il brutto vizio di sottovalutarsi, che se si fosse guardato con più attenzione avrebbe capito di essere molto più speciale di quanto pensasse, e che era proprio questa sua dolce timidezza, unita alla sua innocenza e alla sua gentilezza, doti più uniche che rare in uno Shadowhunter, a piacergli di lui, e ad avergli permesso di notarlo, alla festa dove si erano conosciuti, in mezzo a quella combriccola di Shadowhunters combinaguai.
Era una persona eccezionale, e Alec si sentiva il ragazzo più fortunato del mondo ad averlo accanto, anche se proprio non riusciva a credere che qualcuno di così speciale avesse continuato a restargli accanto e a incoraggiarlo senza abbandonarlo, nemmeno dopo tutte le volte che Alec aveva ostinatamente negato di avere una relazione con lui.

A pensarci adesso, il giovane si vergognava da morire: Magnus non aveva fatto niente per meritarsi di essere trattato in quel modo, e non avrebbe meritato nemmeno di avere un ragazzo così egoista e codardo , ma invece era rimasto al suo fianco.
Alec alla fine era riuscito a vincere le proprie paure e ammettere di essere innamorato di un ragazzo, per di più stregone, baciandolo davanti a tutta Idris nella Sala degli Accordi. Si era sentito incredibilmente leggero nel farlo, felice di non dover più nascondere la propria omosessualità e di poter finalmente camminare alla luce del sole mano nella mano con il suo innamorato. E gli mancava in ogni istante della giornata trascorso lontano da lui, appena chiudeva gli occhi si ritrovava davanti il volto del fidanzato e il respiro gli veniva meno. Alle volte si spaventava per le reazioni che il solo pensare a Magnus scatenava nel suo cuore: fino a prova contraria era un’esperienza del tutto nuova per lui, non aveva mai provato niente di simile per nessuno, nemmeno per Jace, per cui aveva avuto una cotta da tempo immemorabile.

Guardare questo fattore da una nuova prospettiva ora lo faceva rendere conto che probabilmente quello dell’amore verso Jace era stato solo una scusa, un pretesto per non amare davvero qualcuno. La cosa che più lo terrorizzava, però, era temere di svegliarsi all’improvviso e scoprire di aver sognato tutto, vedere che la sua vita era ancora quella monotona di sempre, con lui sempre rigido e perfetto, occupato a seguire le regole e mantenere il buon nome della sua famiglia e a nascondere il suo amore non corrisposto per il suo parabatai, senza un bellissimo stregone dai brillanti occhi verdi screziati d’oro a sconvolgergliela.
Sbuffò: invece di essere con lui, magari sdraiato sul divano, a perdersi in quelle splendidi iridi da gatto, gli toccava stare lì a seguirne un altro paio, sempre verdi ma glaciali, che si spostavano da una parte all’altra come una trottola.

Perché, poi? Perché girare così tranquillamente in un locale pieno di Nascosti dove chiunque avrebbe potuto riconoscerla e far arrivare la voce all’attuale capoclan? Quello Alec proprio non riusciva a capirlo. O forse erano i Nascosti in generale a essere un mistero per lui, anche se ora era ufficialmente fidanzato con uno di loro. Forse però la sua era solo invidia: anche i Nascosti avevano le loro regole, ma avevano comunque più libertà di quanta non ne avessero gli Shadowhunters, e lo stesso valeva per i mondani. Loro potevano decidere cosa fare della propria vita; gli Shadowhunters no.
I Nephilim venivano al mondo che già avevano una vita, una carriera e un destino già progettati per loro ancor prima di essere concepiti nel ventre materno, a cui avrebbero dovuto attenersi fino alla morte e anche oltre. Praticamente non avevano libero arbitrio, nemmeno in merito di decidere cosa essere o come essere: guai se davi mostra di caratteristiche non inerenti ai canoni del Clave, venivi immediatamente messo alla sbarra, privato dei marchi e disconosciuto da tutti gli altri Shadowhunters, abbandonandoti a te stesso.

Per anni Alec aveva nascosto la propria omosessualità proprio perché sapeva che non sarebbe stata vista di buon occhio dal Clave (uno Shadowhunter omosessuale era un disonore, non era nemmeno degno di essere considerato un guerriero dell’Angelo), invece il suo coming out nella sala degli Accordi non aveva portato a nessuno dei risvolti negativi che aveva temuto per anni, salvo il disprezzo generale. Non aveva perso tempo a chiedersene il perché, non gli importava saperlo: quello che contava era non aver perso niente e poter continuare a vivere la propria vita assieme alla sua famiglia e al suo splendido ragazzo.
Era anche questo che gli piaceva di lui: era perfettamente a suo agio con sé stesso, non si curava del giudizio altrui sulle proprie scelte di vita o di abbigliamento ed era sempre così ilare che dopo un po' ti veniva voglia di sorridere a tuo volta. Alec però aveva notato che, ciononostante, il sorriso non si estendeva anche ai suoi occhi, che rimanevano velati di una profonda malinconia. Si chiedeva spesso se sarebbe mai riuscito, un giorno, a liberarlo da quel velo e a vederlo sorridere per davvero, come Magnus ci era riuscito con lui e gli aveva fatto scoprire la vera felicità.

Con la coda dell’occhio guardò Jace: era buffo come tutto fosse cambiato in così poco tempo. Se solo fino a pochi mesi prima solo a guardare il fratello si sarebbe sentito frustrato perché l’amava e non poteva dirglielo, odiando Clary per essere entrata di colpo nelle loro vite e averglielo portato via, ora per lui sentiva solo quell’affetto  che avrebbe effettivamente esserci tra due fratelli, anche se forse era sempre stato così e non era mai riuscito a rendersene conto se non dopo aver incontrato Magnus ( e dopo il quasi-bacio con Jace). Anche il suo rapporto con Clary era migliorato, ma nonostante tutto c’era un’ombra di cui non era ancora riuscito a liberarsi: la morte del fratellino Max per mano di Sebastian Morgestern era una ferita ancora troppo fresca da ignorare.
Non era ancora riuscito a darsi pace: lui era il maggiore, sarebbe stato suo dovere proteggere i suoi fratelli, ma invece di essere rimasto a vegliare sul fratellino era andato a salvare Magnus, e si sentiva estremamente combattuto per questo. Lo stregone evitava accuratamente di affrontare l’argomento, rispettando i silenzi del giovane e rimanendo sempre pronto a consolarlo quando aveva gli incubi o necessitava semplicemente del conforto della sua presenza.

Guardò la sorella: anche Isabelle soffriva profondamente, ma a differnza sua Alec non poteva permettersi di manifestarlo apertamente, non lui; avrebbe dovuto essere forte per i fratelli, anche se loro non ne avevano bisogno.  Sapeva però che Isabelle era andata da Magnus per chiedergli se era possibile resuscitare Max, ma lui era stato irremovibile, e con calma le aveva spiegato che riportare in vita i morti era magia nera, proibita, e in ogni caso lui non era ferrato in competenze del genere.
Le aveva poi chiesto, nel caso in cui lui avesse potuto disporre delle risorse necessarie, se sarebbe stata contenta di vivere con il senso di colpa di aver strappato una vita innocente pur di soddisfare il suo desiderio egoistico.

Qui Alec gli aveva confessato che avrebbe dovuto ritenersi fortunato a essere ancora vivo: era dura dire di “no” a Isabelle e passarla liscia, se lei voleva qualcosa allora doveva ottenerla a qualunque costo, senza obiezioni. Magnus gli aveva risposto che non sempre era possibile ottenere ciò che si voleva, non importa quanto intenso fosse il desiderio, e Alec non aveva ribattuto perché aveva capito perfettamente cosa intendesse dire. Anche lui comunque cercava di combattere il dolore buttandosi anima e corpo nelle missioni e facendo tutto il possibile per concentrarsi sull’obiettivo da realizzare, ma era veramente difficile mantenere il controllo se la missione era qualcosa di moralmente sfiancante come quella attuale.

Stava seriamente pensando di tirare fuori il telefono e chiamare Magnus, anche se erano le tre di notte e stava sicuramente dormendo e con quella confusione sarebbe stato impossibile farsi capire senza urlare nell’altoparlante, quando la musica cessò di colpo e la folla si radunò intorno ad una pedana su cui salì un uomo. Microfono alla mano, un sorriso a trentadue denti stampato sul volto, si rivolse al pubblico dicendo:

«Bene gente, vi siete scaldati abbastanza? » .

Un unico grande “Sììììììììììì” si alzò dalla folla.

«Allora siete carichi per l’avvenimento della serata: si dia inizio al Karaoke!! ».

Il pubblicò urlò come ad un concerto, alzandosi in piedi e battendo le mani. Anche Isabelle batté le mani entusiasta, mentre Jace inarcò un sopracciglio e Alec guardò perplesso verso la pedana.

«Karaoke? E che cosa sarebbe? ».

Isabelle si voltò spazientita verso il fratello con le mani sui fianchi.

«Magnus dovrebbe proprio spiegarti un paio di cosette » sbuffò.

«Non credo proprio troverebbe il tempo per insegnarli qualcosa visto che dedicano tutto il loro tempo a lezioni di anatomia » ribatté Jace, facendo ridere fino alle lacrime Isabelle e arrossire violentemente Alec.

Asciugandosi gli occhi, la ragazza si riprese e indicò la postazione del DJ.

«Adesso su quella pedana salirà qualcuno che sceglierà una canzone, il DJ farà partire la base e lui inizierà a cantare. Quel proiettore », disse indicandolo con un dito «proietterà alle sue spalle il testo della canzone, cosìcchè tutti possano seguire la canzone e capire se il cantante sta’ seguendo o meno la canzone nel modo giusto ».

Alec annuì poco convinto.

«E se non la segue? Cosa succede? »

«Gli tireranno dei pomodori » rispose Isabelle scoppiando di nuovo a ridere seguita da Jace, mentre Alec sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

«Raziel, aiutami tu… » borbottò esasperato.

Amava sua sorella più di ogni altra cosa al mondo, ma certe volte lo faceva andare fuori di testa ancor peggio di Magnus. E ciò non faceva che aumentare i suoi dubbi sul perché Magnus avesse notato lui invece di Isabelle: quei due erano praticamente uguali, sarebbero stati perfetti insieme, e invece…

«Vorrei tanto provarci anch’io » aggiunse Isabelle guardando la pedana con bramosia.

«Certo, e magari appendere un’insegna luminosa con scritto “Shadowhunters are here” per farci notare dalla bionda psicopatica » sbuffò Jace.

Isabelle lo guardò maliziosa.

«Problemi verso il genere, fratellino? »

«Solo verso quelli psicopatici… » borbottò il ragazzo, e Isabelle smise subito di sorridere perché sapeva che il fratello non stava affatto scherzando.

Lo aveva detto infatti perché aveva pensato a suo padre, o almeno, all’uomo che aveva creduto essere suo padre, Valentine Morgestern, e a Sebastian, che aveva creduto essere suo fratello. Ancora non era riuscito a smettere di pensare a Valentine in quei termini, e non era bastato aver scoperto di essere in realtà figlio di Stephen Herondale: Valentine lo aveva cresciuto, gli aveva insegnato a combattere e molte altre cose; Stephen invece era un estraneo di cui sapeva giusto il nome e quello che gli aveva lasciato nelle sue lettere, nient’altro. E ancora non era riuscito a scendere a patti con la cosa e arrivare a essere in pace con sé stesso: chi era, chi doveva essere?

Aveva creduto per anni di essere figlio di Michael Wayland, era stato allevato dai Lightwood dopo la sua presunta morte, poi gli era stato fatto credere di essere figlio di Valentine quando in realtà lui l’aveva solo cresciuto, non concepito, anche se comunque per un lungo periodo questo fattore lo aveva quasi portato alla follia, visto che aveva anche creduto che Clary, l’unica ragazza che avesse mai amato davvero in tutta la sua vita, fosse sua sorella e perciò proibita; solo dopo la Guerra a Idris aveva finalmente scoperto le sue vere origini e di essere figlio di un Herondale, di cui però non sapeva assolutamente niente.
Erano accadute troppe cose in una volta sola, e scoprire che Clary non era sua sorella aveva portato una piccola luce in tutto quell’oscuro ingarbuglio che era la sua mente attualmente, ma molti suoi dubbi non erano stati minimante sciolti ed erano ancora lì a dargli il tormento.

Alec si accorse della sua espressione e gli mise una mano sulla spalla. Jace si voltò e sorrise grato al suo parabatai, l’unico con cui bastava uno sguardo per essere capito al volo. I clienti intanto avevano iniziato a parlare tra di loro, indecisi su farsi avanti o cedere il posto a qualcuno che magari lo desiderava di più, quando una voce si alzò sopra a tutte le altre troncando qualsiasi discussione:

«Vorrei venire io, se possibile ».

Tutto il locale si girò in direzione della voce, compresi i tre Shadowhunters, e così videro che a parlare era stato un ragazzo, seduto al bancone e con in mano un bicchiere mezzo pieno.

«Bene, molto bene: accomodati, prego » disse l’uomo che aveva annunciato il Karaoke, sorridendogli e invitandolo a farsi avanti.

L’altro sorrise di rimando, posò il bicchiere e scese con grazia dallo sgabello su cui si era appollaiato, dirigendosi verso la pedana con la folla che si aprì al suo passaggio come le acque del Mar Rosso. I tre Nephilim lo scrutarono attentamente: era davvero difficile stabilire se era un Nascosto o un mondano, ancor più capire se era maschio o femmina. Indossava una felpa nera con il cappuccio alzato sopra la testa, da cui spuntava la visiera di un cappello grigio che gli oscurava il volto. Le lunghe gambe era fasciate in un paio di jeans scuri e calzava un paio di stivali neri leggermente rialzati e alti fino al ginocchio.
Anche le sue mani erano nascoste, fasciate da un paio di guanti di pelle scuri. In vita portava un marsupio, girato però non sul davanti ma dietro la schiena. C’era da dire però che si muoveva in maniera piuttosto elegante e sinuosa, a dispetto di com’era vestito.

«Ehi, guardate Camille » disse Isabelle, indicandola.

Jace e Alec seguirono la direzione indicata e notarono che la vampira guardava il ragazzo con una strana luce negli occhi, una luce che fino a quel momento non aveva avuto per nessuno, e sembrava piuttosto interessata a quel giovane. A quanto pareva doveva avere qualcosa che agli altri mancava, qualcosa che la vampira aveva cercato per tutta la sera e finalmente aveva trovato; era il momento che i tre ragazzi avevano aspettato per tutta la serata, e ciò li rese immediatamente guardinghi: ora c’era da capire quali fossero le intenzioni di Camille e nel caso proteggere il ragazzo. Lui intanto andò alla postazione del DJ e scorse con un dito l’elenco delle canzoni disponibili dall’album posato vicino alla console, riferì la sua scelta e il DJ gli fece cenno di accomodarsi.

Il giovane salì sulla pedana e prese il microfono, ci tamburellò le dita sopra e quando partì la musica iniziò a muovere il corpo seguendone il ritmo. Partirono un colpo di batteria seguito da alcuni accordi di chitarra, e il ragazzo ondeggiò il corpo e batté il piede a terra andando in avanti col busto a ogni colpo di tamburo, poi iniziò a cantare. Ben presto tutti smisero di parlare e rimasero ammutoliti ad ascoltare la voce del ragazzo: era dolce, melodiosa, carezzevole. Cantò e nel contempo seguì la canzone muovendo il corpo in perfetta armonia con la musica. Tutta la sala si ritrovò a guardare incantata quella figura in nero, seguendo i suoi movimenti eleganti e armoniosi, mai grezzi o scoordinati.

Il ragazzo cantò di una persona stanca della vita che si trovava sul bordo di un tetto, decisa a buttarsi di sotto per farla finita, con le luci della città che lo guardavano e contavano le lacrime cadere giù. Esitava a farlo, però, perché c’era qualcuno che era lì a tendergli la mano, supplicandolo di non farlo, di non mollare, di non lasciarlo solo. Suo malgrado, anche Alec si ritrovò totalmente concentrato su quel ragazzo, dimentico di qualunque cosa, di dove si trovava, perché era lì e con chi, non vedeva altro che quel giovane bardato di nero che cantava e danzava. Aveva una voce davvero meravigliosa, che scaldava il cuore e rendeva più sereno l’animo di chi ascoltava, malgrado il tono malinconico della canzone e il ritornello dirompente.

Come quello di Alec: d’un tratto gli parve che il dolore per la morte di Max si fosse attenuato, se non addirittura sparito, cosa che succedeva raramente. Soltanto Magnus era mai riuscito a regalare un simile sollievo al suo cuore tormentato, ma lui era Magnus, la persona di cui era innamorato, una delle poche persone della sua vita capace di farlo sentire bene con un sorriso, uno sguardo o con la sua sola presenza, e l’unico in grado di arrivare a toccare e far vibrare certe corde del suo essere; davanti a lui però non c’era Magnus, ma un perfetto sconosciuto, eppure stava riuscendo lo stesso ad alleggerire il peso sul suo cuore senza sforzo alcuno semplicemente cantando, portando via le sofferenze di Alec assieme alle note della canzone.

E non era l’unico che stava sortendo quell’effetto: persino Jace e Isabelle guardavano il ragazzo con profondo stupore, e con loro buona parte del locale. La cosa che però più attirò l’attenzione di Alec, oltre al modo in ci quel ragazzo stava coinvolgendo tutto il pubblico con i suoi movimenti… era che in realtà sembrava non stesse cantando, ma stesse dando voce alle parole delle canzone come se le stesse esprimendo lui stesso, come fosse lui la persona che stava supplicando qualcun’altro. Il modo in cui allungò la mano, come volesse che qualcuno l’afferrasse, e poi se la portò al cuore stringendola a pugno come se questo avesse iniziato a sanguinare, non fecero che rafforzare la sua convinzione.

Sarebbe anche potuto sembrare un ottimo attore, uno che di professione a coinvolgere il pubblico, ma non agli occhi di Alec, che invece era fermamente convinto che ci fosse dietro qualcosa di più profondo, che quel ragazzo non stesse recitando ma, al contrario, avesse fatto proprie le parole della canzone per lanciare un messaggio a qualcuno, un messaggio che sperava non rimanesse inascoltato… o addirittura stesse affidando la propria anima a quelle note e la stesse diffondendo tra gli astanti.

and if all that can’t hold you back… i’ll jump for you

Le ultime parole della canzone diedero una fitta al cuore di Alec, che si portò una mano al petto e guardò i fratelli, pensando nel contempo anche a Magnus: loro erano le persone più importanti della sua vita, e lui gli avrebbe sempre porto la mano, avrebbe fatto di tutto pur di impedirgli di cadere dal ciglio di quel tetto, a costo di trattenerli per sempre, saltando persino al posto loro; qualunque cosa, per salvarli.

La canzone terminò con un ultimo accordo di chitarra, e tutta la folla scoppiò in un grande applauso. Alec si riscosse guardandosi intorno disorientato, tornando di colpo alla realtà e ricordando tutto quanto, compreso il dolore lancinante al petto, che tornò a stringergli il cuore lasciandolo senza fiato. Si passò una mano fra i capelli, imprecando a bassa voce: ma che cavolo gli era preso? Come aveva potuto abbassare la guardia facendosi incantare in quel modo da una stupida canzone? Si sentiva quasi come… come se si fosse appena risvegliato da un incantesimo.

«Credo… che potrebbe essere una sirena » disse ai fratelli, scombussolati quanto lui.

«Io penso invece che potrebbe essere più un vampiro piuttosto bravo con l’Incanto, anche perché che ci farebbe una sirena in piena New York? » chiese Isabelle, ancora con la mano sul cuore.

La voce di quel ragazzo le aveva regalato un senso di beatitudine che non provava da molto tempo, forse da anni. Avrebbe voluto che continuasse ancora e ancora, che non finisse più, che durasse all’infinito, le facesse dimenticare tutto e la trascinasse al largo nell’oblio della pace dei sensi… ma purtroppo la canzone era finita, e la realtà le era piombata di nuovo addosso, lasciandole un gran vuoto nel petto. Alec poteva avere ragione, quel ragazzo poteva essere una sirena, o un vampiro; tutto meno che un mondano. Anche Jace era nello stato confusionale dei fratelli, di cui si era ricordato solo una volta finita la canzone, e ora si stava dando dello sciocco per essersi fatto abbindolare in quel modo. Però… non poteva negare che gli fosse piaciuto, anzi: per la prima volta dopo mesi si era sentito sollevato da tutti i suoi dubbi e le sue sofferenze. Pensò che potessero avere ragione sia Alec che Isabelle a proposito dell’identità di quel ragazzo, ma nel primo caso la domanda sul cosa ci facesse lì restava.

Il giovane, intanto, forse ignaro dell’effetto che la sua voce aveva avuto sul pubblico, sorrise alla folla e fece per restituire il microfono e cedere il posto a qualcun altro, ma un coro di proteste si levò dalla folla e qualcuno chiese pure il bis. Lui si guardò intorno e poi guardò il DJ, che sorrise a mo’ di incoraggiamento, e allora alzò le spalle e sospirò, scorse di nuovo l’elenco e indicò la nuova canzone, prese il microfono e risalì sulla pedana. Partirono degli accordi di chitarra e la canzone cominciò, molto più dolce della precedente ma altrettanto malinconica. Di nuovo il pubblico rimase presto incantato, di nuovo ad Alec e ai suoi fratelli sembrò di cadere sotto un incantesimo, di nuovo il ragazzo sembrò divenire un tutt’uno con la canzone.

E di nuovo Alec si ritrovò a immedesimarsi in quel brano senza rendersene conto: stavolta la canzone parlava di una vita ormai prossima alla fine, la vita di qualcuno che però sa che, anche se morirà, il suo amore rimarrà sempre in vita. La persona che ama sarà sempre sacra per lui, anche quando il suo corpo sarà morto, l’amore che prova per quella persona sopravvivrà, si ricorderà sempre di lei e della sua mano su di lui. La canzone proseguì, parlando di questa persona in grado di spezzare il ghiaccio con le sue parole, di salvare il suo amato semplicemente respirando, e anche se lui morirà sa che un giorno il mare li ricongiungerà.
Alec si ritrovò in lacrime senza volerlo: quelle parole era tutto ciò che custodiva dentro di sè, tutto quello che un giorno avrebbe voluto trovare il coraggio di dire a Magnus, tutto quello che provava per lui e che lo stregone era in grado di suscitare nl suo cuore semplicemente parlandogli o guardandolo.Tutto ciò che aveva nel cuore… era in quella canzone.

Ma non fu solo quello a renderla speciale: di nuovo, il ragazzo sembrò parlare invece di cantare, di nuovo sembrò aprire il suo cuore e condividerne il contenuto coi presenti; di nuovo, Alec sentì una forte empatia con lui, e anche uno strano moto di simpatia. Chissà se aveva scelto quelle canzoni apposta perché, come lui, non aveva il coraggio di dirle ad alta voce, o gli era mancata la possibilità. Ad un certo punto la canzone ebbe qualche secondo di pausa, il giovane mormorò le parole seguenti e poi, con un ritmo calzante, riprese a cantare con tutto sé stesso, scendendo dalla pedana e andando verso il centro della sala e coinvolgendo ancor di più il pubblico.

Dopo poco si girò e salì su una sedia, di lì ad un tavolo e poi sullo schienale di un divanetto, in perfetto equilibrio, e continuando a cantare ritornò sula pedana camminando sul bordo dei mobili senza la minima vacillazione; quando giunse di nuovo sulla pedana, piegò il busto verso destra, allargò il bracciò sinistro come a voler accogliere qualcosa tra le proprie braccia e cantò l’ultima parte della canzone, prolungando l’ultima parola finché la sua voce non si spense e la canzone non finì.
Ci fu un attimo di silenzio, poi il pubblico esplose di nuovo, urlando e battendo fortissimo le mani. Alec si riscosse e si asciugò in fretta le lacrime, e contro ogni buonsenso si unì all’applauso seguito a ruota dai fratelli, anche loro non del tutto padroni delle proprie mani, che sembravano animate di vita propria. Il giovane sorrise caldamente e si inchinò al pubblico, restituì finalmente il microfono e tornò al bancone, mentre un’altro ragazzo salì sulla pedana e ne prese possesso.

«E’ stato… wow » fu il commento di Isabelle, asciugandosi in fretta il mascara colatole sulle guance e guardando verso il ragazzo.

«Davvero… » fu il commento laconico di Jace, anche lui perso a guardare il giovane.

Alec era il più assorto dei tre: guardava il ragazzo senza nemmeno rendersi conto di essere in piedi, con le braccia lungo i fianchi, a fissarlo imbambolato come uno stupido. Fu quando notò una fin troppo familiare chioma bionda dirigersi verso il centro delle sue attenzioni che si riprese e richiamò all’ordine anche gli altri due.


*Angolo autrice:

Dopo tempo immemorabile, eccomi qui a pubblicare un nuovo capitolo. Mi dispiace averci messo così tanto, e ringrazio chi ha aspettato così pazientemente per tutto questo tempo, ma sono davvero incasinata con gli esami e… con problemi personali. Di nuovo ho scritto troppa roba e di nuovo ho dovuto dividerlo in due parti, quindi state tranquilli, il capitolo successivo arriverà molto presto. Spero che vi sia piaciuto, mata ne, a presto! :-)



 Riferimenti e citazioni:


(*2) frase presa da Le Origini – La Principessa


“Conosci il nemico, conosci te stesso” viene dal libro di Sun Tzu L'arte della guerra;

Le canzoni cantate da Yumi sono Don’t Jump e Sacred dei Tokio Hotel;

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Capitolo 6
*** Di bionde, fallimenti e vittorie ***


Yumi appoggiò la mano sul cuscino e fece leva salendo sullo sgabello con un unico movimento fluido.

« Una performance davvero notevole, Yumi: la tua voce è meravigliosa come sempre » le disse il barman, sorridendo.

« Grazie Ray, ma non ho fatto niente di che, penso che chiunque qui potrebbe far di meglio » disse con semplicità
riprendendo in mano il bicchiere.

L’uomo sospirò e scosse la testa.

« La solita modesta. Credimi, non mi servono i miei sensi di lupo per poterti dire che sei stata sublime, e poi solo un cieco non avrebbe notato come ha reagito il pubblico, non è un effetto che potrebbe ottenere chiunque ».

Lei scrollò le spalle e bevve un sorso. Il barista si appoggiò al bancone coi gomiti e la guardò negli occhi.

« Arriverà mai un giorno in cui ti renderai finalmente conto di quanto vali? ».

Yumi sbuffò nel bicchiere.

« Ray, » disse, posandolo sul banco « anche se sei diventato un uomo, ti ricordo che sono ancora più grande di te, e non mi va di sentirmi fare la paternale da uno che potrebbe essere mio figlio ».

Il licantropo sorrise caldamente.

« E comunque, » riprese la ragazza « lo sai come la penso: la troppa sicurezza di sé causa presunzione, e la presunzione è il primo passo sulla strada della superbia. E io non voglio diventare così ».

« Non si tratta di diventare superbi, Yumi » ribatté Ray, adesso serio. « Si tratta solo di dimostrare che sei molto più in gamba di certa gente più esperta di te che però proprio per questo si crede intoccabile… si tratterebbe di prendere il posto che davvero ti spetta nella nostra società ».

Yumi strinse forte il bicchiere.

« Non sono interessata a queste cose » disse. « E non voglio nemmeno essere d’esempio o da guida per altri: io voglio solo essere me stessa e vivere liberamente la mia vita ».

« So bene quanto vali, Yumi: tutto il Mondo Invisibile conosce il tuo valore, ma tu… tu stai sprecando tutto questo. Sono veramente in pochi ad avere davvero a cuore il destino dei Nascosti; tu sei tra questi, l’ho visto coi miei occhi: se non fosse stato per te, centinaia di noi avrebbero perso la speranza di vivere… io e la mia famiglia saremmo morti. Tu ci hai salvato, tu sei la stella che ha brillato per noi quando ogni speranza si era spenta; tu… saresti una buona guida per i Nascosti ».

Yumi assottigliò lo sguardo, e le iridi divennero verticali come quelle dei gatti.

« New York ha già uno stregone su cui contare, non ne ha bisogno di un altro che potrebbe scatenare un’inutile guerra tra stregoni, ci sono già stati troppi conflitti inutili in questo periodo… ».

« Tu hai combattuto in prima linea, sei venuta in mezzo a noi e ci hai aiutato come se tra noi non ci fosse alcuna differenza. E non l’hai fatto per senso del dovere, ma perché te lo diceva il cuore ».

La ragazza fece una smorfia.

« Licantropi, stregoni, fate, vampiri… facciamo parte tutti dello stesso mondo, no? E dobbiamo aiutarci l’un l’altro per far fronte alle varie minacce ».

« Già, i demoni sono stranamente aumentati in questo periodo; pensavo che li avessero tutti rimandati nel Vuoto dopo la sconfitta di Valentine… ».

« Non mi riferivo ai demoni, Ray » sbuffò la ragazza.

« Lo so, ma non ti riferivi nemmeno agli Shadowhunters, vero? Ti sei tenuta lontano dall’Istituto per tutti questi anni senza far sapere di te a nessuno, ma non li odi davvero, no? Nonostante quello che è successo sei ancora lì a sperare di incontrare qualcuno di ragionevole tra di loro. Come se fosse possibile… ».

Yumi si passò la mano sul viso.

« Avessi vissuto quanto me lo capiresti… ne ho incontrati per davvero di Shadowhunters ragionevoli… brave persone che non guardavano tutti i Nascosti dall’alto in basso e non avevano remore nell’intrattenere una conversazione civile con uno di noi senza far parlare le loro lame angeliche… ».

La sua mente volò involontariamente alla lontana Londra del XIX secolo, e la mano sinistra si strinse a pugno di riflesso. Ray sorrise dolcemente.

« Tu sei troppo buona Yumi, e vedi il bene in ogni cosa. Ma permettimi di dire che la tua è una battaglia persa in partenza, se pensi che un giorno sarà mai possibile andare d’amore e d’accordo con gli Shadowhunters: è impossibile ragionare con loro, non arriveranno mai a pensare a noi come delle persone e trattarci con rispetto ».

« Bè, intanto ci hanno permesso di avere un seggio nel loro Consiglio, e questo direi che è già un passo avanti » disse con noncuranza la ragazza, come se la cosa fosse un pettegolezzo fastidioso.

Ray la guardò serio.

« Sai bene a cosa mi riferisco » disse incrociando le braccia.

« Sì Ray, lo so… » mormorò sconfitta. « Ma che lo vogliamo o no, fanno parte di questo mondo proprio come noi, sebbene si credano superiori alle altre fazioni. Tutti noi generiamo l’equilibrio del mondo, se anche solo un componente venisse a mancare… l'armonia verrebbe spezzata ».

« E’ il tuo modo per giustificare quello che Valentine e il suo primogenito hanno fatto? » borbottò sommessamente Ray mostrando i canini e stringendo i pugni.

« Calmati Ray, meglio non svegliare il cane che dorme » lo rimbeccò Yumi, scherzando ma non troppo.

Il bicchiere che aveva in mano si incrinò al solo sentire quei nomi, ma lo lasciò andare prima che si riducesse in frantumi. Il lupo mannaro alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

« Comunque no » riprese la ragazza. « Sto solo dicendo che in natura esistono preda e predatore, e che anche se il secondo sarà sempre la rovina della prima, se la sua esistenza venisse cancellata anche quella della prima non potrebbe essere portata avanti ».

Il barman inarcò un sopracciglio.

« Tu e i tuoi discorsi filosofici… » borbottò poi.

« Le conseguenze dell’avere una lunga vita » disse Yumi, strizzandogli l’occhio.

« Dovrò iniziare a chiamarti “Gandalf”, allora… anche se sei una ragazza »

« Passo, grazie; mi è piaciuto il Signore degli Anelli, ma… non credo che Gandalf mi rispecchi » rispose Yumi, agitando la mano.

« Potrebbe, invece » ribadì l’altro. « Se tu lo volessi, potresti davvero diventare un- ».

La ragazza si fiondò letteralmente in avanti e gli tappò la bocca prima che potesse finire la frase.

« Non dirlo » disse, vicinissima al suo volto. « Ti prego… non dirlo ».

Ray si arrese e annuì col capo. Yumi lo lasciò andare e gli sorrise riconoscente. L’uomo sorrise di rimando e guardò il bicchiere della ragazza.

« Dammene uno d’acqua, per favore » lo anticipò lei, scolandosi quello che rimaneva del contenuto del bicchiere.

Il barman annuì e le posò davanti un bicchiere vuoto che riempì subito di liquido cristallino da una bottiglia sul bancone.

« Grazie » disse Yumi sorridendogli.

Ray sorrise in risposta e andò a servire altri clienti. Lei si portò il bicchiere alle labbra bevendo un grosso sorso e sentendosi rinascere. L’acqua le scese giù per la gola, rinfrescandogliela e cancellando l’appiccicoso dovuto alla dolcezza del prosecco appena bevuto. Non che le facesse schifo, ma dopo essersi seccata la gola a cantare aveva bisogno di reidratarla a dovere, e un alcolico non era esattamente la bevanda più indicata allo scopo, anche se si chiedeva perché lo avesse preso.
Non ricordava quasi come fosse finita da quelle parti, ma non doveva essere uscita di casa da molto prima di ritrovarsi di fronte alla porta del Pandemonium, uno dei locali più assiduamente frequentato dai Nascosti di tutta New York, un paradiso per chi amava scatenarsi, mettersi in mostra, cercare avventure da una notte o semplicemente bere.

Lei, a dir la verità, non rientrava in nessuna di quelle categorie, ma ciononostante le sue gambe le avevano fatto varcare la soglia del locale tranquillamente senza fare niente per impedirlo. Era stata una buona idea, tutto sommato, stordirsi un pò e lasciare le preoccupazioni fori dalla porta della discoteca, anche se sapeva già che, una volta uscita da lì, il silenzio sarebbe stato così assordante che le avrebbe fatto male. La notte era il momento della giornata che più preferiva, perché era quello in cui poteva essere veramente
sé stessa e andare in giro senza dover fingere niente.

Anche in quel locale però qualche mondano capitava sovente, ma non succedeva mai niente di così disastroso da spingere ad applicargli un incantesimo della memoria, stregarlo con l’Incanto dei vampiri o fargli bere pozioni fatate. Ormai comunque era in grado di riconoscere parecchie facce che frequentavano quel locale abitualmente, e qualcuno era anche gente che aveva incontrato anni addietro. Come Ray: l’aveva conosciuto che era ancora un bambino in fuga, con la sua famiglia di licantropi, dal Circolo di Valentine Morgestern. Aveva anche una sorella, ma lei non era ancora riuscita a rivederla, e anche se non sapeva che fine avessero fatto i loro genitori, sapeva che lei e il fratello si erano uniti al branco di licantropi di New York, anche se Ray non ne parlava molto volentieri.

Yumi rispettava la sua privacy e non faceva domande, accontentandosi di sapere che almeno si erano salvati, in un modo o nell’altro. Non erano propriamente amici nel vero senso della parola, ma c’era una buona confidenza tra di loro, anche se, a dirla tutta, era un genere di rapporto che aveva con parecchi Nascosti, sia nei confini Newyorkesi che oltre: lei si era sempre presa cura di loro per secoli, e specie per gli eventi di venti anni prima e anche recentemente, causati dalla spina nel fianco che erano stati Valentine e la sua combriccola di sterminatori.

Dopo la morte di Morgestern e del suo figlio primogenito nonché complice, le cose sembravano aver preso finalmene una piega positiva per sia per gli Shadowhunters che per i Nascosti, che a quanto pareva avevano finalmente ottenuto un seggio al Consiglio, uno per ogni rappresentante di ogni fazione, anche se questo non stava a significare che c’erano stati dei cambiamenti anche nella mentalità bigotta degli Shadowhunters.

Aver dei Nascosti nel Consiglio però era già un enorme passo avanti rispetto a quanto era accaduto in passato, magari con il tempo le cose sarebbero migliorate anche sotto altri punti di vista… o almeno, questo era la speranza che la ragazza coltivava nel suo cuore. Anche se la guerra era finita, comunque, lei non avrebbe mai smesso di proteggere i Nascosti: leiera una guerriera, combattere era la sua vita, e non sarebbe certo rimasta ad aspettare che il destino bussasse alla sua porta, anche se questo significava rimanere convolti nelle faccende degli Shadowhunters che, nove volte su dieci, erano la maggiore causa di problemi nel mondo.

Prese un respiro profondo e si appoggiò al bancone coi gomiti: si sentiva davvero svuotata. Le era sempre piaciuto cantare: la rilassava e le permetteva di liberare le parole non dette che le premevano dentro, specie quando i testi delle canzoni rispecchiavano in pieno il suo stato d’animo.

Yumi era contenta di essere capitata nella serata Karaoke, anche se non avrebbe mai creduto che un locale di quello stampo tenesse anche eventi del genere. Forse però si era lasciata andare un po' troppo, ma non aveva potuto farci niente, le note della canzoni l’avevano rapita e portata via, e lei non aveva più visto né sentito altro se non la propria voce e la musica.
Forse aveva anche messo a nudo la propria anima, lasciandola alla mercè di chiunque… o forse no.

Fece le spallucce e bevve un altro sorso: si era divertita, aveva  divertito
anche il pubblico, anche se non era stato intenzionale, e si sentiva più leggera; questo contava, non le importava scoprire che qualcuno tra la folla aveva capito che lei non stava semplicemente cantando, tanto si erano già sicuramente dimenticati di lei.

« Hai davvero un gran talento nel monopolizzare l’attenzione altrui, mia cara » disse una voce morbida e suadente alla sua destra.

Rettifica: quasi tutti si erano dimenticati di lei.

« Non era mia intenzione, o comunque lo faccio senza accorgermene » disse posando il bicchiere senza voltarsi.

« Non ti hanno insegnato le buone maniere? Quando qualcuno ti parla, tu devi guardarlo negli occhi ».

Yumi si trattenne a stento dallo sbuffare, ma fu più per curiosità che per buona educazione che si voltò… e rimase di sasso: seduta sullo sgabello accanto al suo c’era una donna di straordinaria bellezza. Aveva lunghi capelli biondi che le scendevano morbidamente sui fianchi, coprendola come una cascata dorata; il volto era un ovale perfetto, gli occhi erano verdi, ma un verde freddo, come di una foglia coperta di brina invernale. Indossava un succinto vestito rosso che le copriva a malapena le gambe e le sue forme generose. Teneva le gambe accavallate ed era appoggiata al bancone col gomito, mentre la testa era sorretta dalla mano come se fosse a godersi uno spettacolo.

Yumi la studiò attentamente: ogni cosa di lei era sexy e accattivante. Se fosse stata un animale avrebbe potuto pensare tranquillamente a lei come ad una fiera bellissima e feroce. Istintivamente annusò l’aria per percepire il suo odore, ma alle narici non arrivò niente. Solo allora sembrò accorgersi della carnagione pallida della donna e che il suo petto era immobile. Per confermare i propri sospetti, senza aspettare che aprisse la bocca, socchiuse gli occhi, che divennero occhi da gatto e si illuminarono d’azzurro. Erano molte le cose che i suoi poteri le permettevano di fare alle anime delle persone; tra queste, c’era anche quella di riuscire a capire a che razza appartenevano semplicemente guardando il colore dei loro spiriti: gli stregoni come lei si riconoscevano da un’anima dai colori caldi del fuoco; quella delle fate erano grigio-verde, come i boschi in cui vivevano e come i fiori di cui ornavano i loro capi o le loro Corti; i licantropi erano ambrati, come il colore dei loro occhi quando si trasformavano; gli Shadowhunters erano dorati come la luce del sole (alquanto ironico considerato che era proprio ciò che i demoni temevano più di ogni altra cosa), mentre i vampiri erano argentati.

Per i demoni era diverso: solo una strana massa indefinita giallognola-nerastra, come l’icore che scorreva nelle loro vene e come il puzzo di putridume che portavano con sé, mentre i mondani avevano un’anima bianca, semplice. In quella donna, invece, Yumi vide solo grigio-argento, la conferma che si trovava di fronte ad una vampira. Non la sorprese più di tanto in realtà, trovando più che azzeccato il precedente paragone che le aveva dato: i vampiri erano dei predatori formidabili, sia per la loro bellezza che per la totale assenza di odori in loro. Si riconoscevano anche per certi loro atteggiamenti da snob e provocanti, come quello di cui stava dando mostra la bionda.

Era bellissima, ma era una bellezza fredda, di quelle che potresti trovare in una statua di marmo, malgrado il calore che le sue movenze erano atte a provocare.
Le dava proprio l’impressione di essere una che riusciva sempre a far cadere le sue vittime nella rete, ma se credeva che avrebbe avuto vita facile anche con lei, allora avrebbe avuto presto una bella sorpresa. Nel pensarci, la mente della ragazza tornò di nuovo in quella lontana Londra del 1800, in un altro locale… con un’altra persona che aveva tentato di approcciarsi a lei in quel modo ma che poi era stata totalmente sconfitta e umiliata pubblicamente.

La mano sinistra le bruciò di nuovo e lei la strinse a pugno, mentre un dolore lancinante tornò a trafiggerle il cuore. Non importa quanti anni fossero ormai passati: soffriva ancora come se non fosse passato nemmeno un giorno, ed era certa che non sarebbe mai diminuito. Prese un sospiro e si spostò sullo sgabello in modo da essere faccia a faccia con la sua interlocutrice.

« C’è qualcosa che posso fare per lei, signorina? » disse bevendo un altro sorso di acqua.

Non le sfuggì però lo sguardo apprensivo di Ray alle spalle della vampira, che guardava come se avesse visto un fantasma. Yumi aggrottò le sopracciglia, ma gli fece un cenno d’intesa, e lui le rispose con un debole cenno del capo, mettendosi a pulire i bicchieri. La vampira sorrise maliziosamente e si chinò in avanti.

« Non c’è bisogno di essere così formali » disse provocante.

L’accento si notava a malapena, però era comunque evidente che non fosse propriamente di origini americane. Tuttavia Yumi non ci fece caso, dopotutto nemmeno lei era americana, e anzi, gli Stati Uniti erano forse più popolati da gente proveniente dall’estero che da nativi locali, quindi non era così raro imbattersi in uno straniero.

« Ci siamo appena conosciute, non posso rivolgermi a lei in tono confidenziale » disse rigirando il contenuto del bicchiere.

L’altra rise, di una risata dolce ma al tempo stesso molto falsa.

« E’ raro trovare ancora gente educata, al giorno d’oggi ».

« La buona educazione si è persa con l’invenzione della macchinetta del caffè… » borbottò Yumi alzando gli occhi al cielo.

La donna rise di nuovo e si fece più vicina. Yumi dovette fare appello ad ogni grammo di autocontrollo che aveva per non spingerla via e farla cadere dallo sgabello.

« Tornando a noi… » riprese la vampira « … sì, c’è molto che credo tu possa fare per me… piccola strega ».

Yumi avvertì un brivido che non era né paura né eccitazione, ma non lasciò trasparire il suo turbamento. Scostò con delicatezza la vampira, accavallò le gambe e si appoggiò con il gomito al bancone, intrecciando le dita delle mani e guardando la vampira con serietà.

« Come posso esserle utile, miss? ».

 L’altra si tenne la testa con la mano e sorrise, mettendo in mostra i canini.

« Solo compiendo per me un piccolo servizio che ti frutterà molto più di quanto tu possa sperare di guadagnare da un tuo normale impiego » disse melliflua.

Yumi alzò gli occhi al cielo e si morse le labbra per non sbuffare: nel corso degli anni aveva svolto lavori di ogni tipo, sia lavorando come una cittadina qualsiasi sia vendendo i propri servigi quando questi non andavano oltre quelli che erano i limiti della moralità civile, quali la vendetta, l’odio, o anche solo semplici dispetti. Non che nel lavoro civile fosse una che si facesse mettere i piedi in testa, ma doveva riconoscere che era soprattutto lavorando in nero che aveva maturato la propria indole professionale e sostenuta, talvolta fredda e inflessibile.

Ovviamente si era chiesta più volte se anche questo era implicato nella condizione di uno stregone, e conoscendone alcuni si era effettivamente convinta che sì, per loro era inevitabile arrivare a maturare un simile comportamento, ad un certo punto della loro vita, visto che, malgrado le diffidenze, erano in molti a rivolgersi agli stregoni per i loro poteri. Non le faceva molto piacere in realtà mostrarsi così seria e glaciale, ma aveva imparato ben presto che era necessario se volevi sopravvivere e impedire che gli altri si approfittassero di te. E per far capire che restavi comunque una persona che aveva le proprie regole e la propria moralità che non si abbasserebbe mai a fare il lavoro sporco pur di far soldi.

Nel corso degli anni si era fatta una certa reputazione come esorcista di fantasmi che di demoni, ma era parecchio tempo che qualcuno non veniva da lei a chiederle un servizio, togliendo tutte le volte che si era rifiutata di svolgerlo perché non li aveva ritenuti degni di essere portati a termine o perché non si era fatta conoscere. Ora quella vampira era lì a chiederle di svolgere un lavoro, ma qualcosa nella sua espressione le diceva che non era niente di piacevole e che aveva poco a che fare con quelli che in genere aveva svolto negli anni.

« Prego, mi dica pure: che genere di servizio posso farle? » le disse invitandola a proseguire.

La donna sorrise compiaciuta e si tirò lentamente su, come se si stesse stiracchiando, poi si allungò verso di lei.

« Un omicidio » sussurrò a voce così bassa che se non fosse stato per la sua vicinanza e per i sensi acuti di Yumi sarebbe rimasta inascoltata.

Lei sentì gli artigli pizzicare e un fuoco dirompente bruciarle dentro le vene, e fu solo grazie ad un morso piuttosto secco all’altezza dello sterno che non si alzò in piedi per dare fuoco alla vampira e a tutto il locale. Strinse così forte le mani che le sentì dolere e guardò verso la vampira con sguardo di sfida.

« Non so cosa le abbiano detto sul mio conto, ma io non compio quel genere di servizi ».

« Ne sei sicura? Perché io ho sentito tutt’altre storie… » sogghignò la donna intrecciando le dita sotto il mento.

« Bè, avrà sentito male. E ora, detto questo, le sarei grata se levasse le tende e mi lasciasse in pace: sono venuta qui per passare una serata tranquilla, non per lavorare ancora » disse gettando però uno sguardo in tralice alla folla.

La sua interlocutrice seguì la direzione del suo sguardo e ridacchiò.

« Hai davvero uno strano concetto di “ serata tranquilla” ».

« E il suo quale sarebbe? Sgozzare i malcapitati nei giorni pari e sedurre i superstiti in quelli dispari? ».

Non avrebbe voluto essere così acida, ma stava iniziando ad avere delle serie difficoltà a trattenere il suo lato demoniaco, con le unghie che premevano contro i guanti e le zanne che le si stavano allungando dentro la bocca. Cominciò a valutare seriamente l’idea di assecondarlo e permettergli di sfogarsi su quella donna, ma poi chi andava a spiegare al capoclan di New York perché avesse fatto a pezzi uno dei suoi membri? La vampira rise di nuovo, di una risata dolce e amara al tempo stesso e si sporse in avanti. Yumi, di riflesso, si ritrasse.

« Non mordo, sai? O almeno… non lo farò adesso » disse maliziosa, mostrando i canini e passandoci sopra la lingua.

« Io invece farò molto peggio se si azzarderà ad avvicinarsi ancora » disse Yumi, portando la mano sinistra su quella destra, pronta a togliersi il guanto.

L’altra piegò la testa di lato, e i capelli scivolarono dalla spalla e le caddero sul davanti.

« Davvero arriveresti a rovinare tutto questo? Non vorresti invece… approfittarne? » disse con voce accarezzevole.

Yumi cominciò ad avvertire delle fitte tremende alla testa che non avevano niente a che vedere con la musica a palla. Capì subito che la donna stava cercando di usare l’Incanto su di lei, e senza pensarci si morse le labbra a sangue. Si sentì subito meglio, ma l’espressione dell’altra la fece tornare subito guardinga: aveva smesso di sorridere e si era rizzata lentamente, come se fosse stata umiliata gravemente.

« Dunque è vero quello che dicono di te ».

« A proposito che non sono una facile preda? Sì, almeno quella parte della mia reputazione è vera » disse Yumi, cercando di mantenere fermo il tono di voce.

« No, a proposito del fatto che se indisponente, testarda e che non sai stare al tuo posto » ribadì l’altra, snudando i canini.

Yumi non si lasciò intimorire.

« Non ho mai permesso a nessuno di mettermi in piedi in testa, men che meno di impressionarmi in questa maniera. Detto questo… sayonara [addio] , miss » e si alzò dallo sgabello, ma due uomini le si pararono immediatamente davanti bloccandole il passaggio.

Anche in mezzo a tutte quelle luci riuscì a distinguere subito la loro pelle grigiastra, il fisico emaciato, l’aria di chi dovrebbe farsi una bella dormita e lo sguardo vacuo e spento che avevano entrambi.

« Non costringetemi a usare le maniera forti » gli intimò, ma loro non si mossero di un millimetro.

Yumi allora si voltò verso la vampira, che la guardava divertita.

« Se ci tiene ai suoi succubi, le consiglio di farli allontanare subito! » .

Non voleva far delle male a quegli uomini, ma ancora una scintilla e sentiva che sarebbe esplosa.

« Lasciatela andare! » disse Ray comparendo improvvisamente a fianco di Yumi con il viso già trasfigurato e gli artigli sfoderati.

La vampira ridacchiò portandosi una mano alle labbra.

« Ma che cavaliere, così giovane e incosciente » disse leccandosi di nuovo le labbra.

Ray ringhiò verso di lei, ma Yumi gli mise una mano sulla spalla.

« Ray, per favore, non immischiarti: non voglio essere la causa di una faida tra vampiri e licantropi ».

« Ma Yumi… » tentò di protestare il giovane, ma lei fu irremovibile.

« Per favore, fa’ come ti chiedo ».

Il licantropo guardò prima lei, poi i due succubi e poi la vampira e infine sospirò, dileguandosi nella folla. Anche Yumi sospirò: non si sarebbe mai perdonata se fosse successo qualcosa a Ray per colpa sua, e lui ne aveva già passate troppe. Con riluttanza tornò a sedersi al suo posto.

« Brava bambina » disse la vampira avvicinandosi a lei.

« Non tiri troppo la corda, sono sempre in tempo per darle una lezione » mormorò a denti stretti.

L’altra non smise di sorridere.

« Non lo farai, però. Non vorrai certo che tutta questa gente ti veda all’opera, vero » avvicinò di più il volto « mia cara Shinimajo [strega della morte]? ».

Il cuore di Yumi perse un battito e lei iniziò a sudare freddo e ad aver paura per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata. Dunque lei sapeva. Sapeva chi era e cos’era in grado di fare, per questo le aveva chiesto di assolvere un simile compito. Proprio quando si era appena convinta che lì in America nessuno sapesse chi fosse e che mai avrebbe saputo di lei, eccola lì, servita su un piatto d’argento ad una vampira fuori di testa che la guardava come una preda molto ambita su cui era felice di aver messo le mani.

Strinse i pugni sul bancone: era stata convinta di quello che faceva il giorno in cui aveva deciso di assumere il nome di “Portatrice di morte”. Le parole però avevano un grande potere, e nel corso degli anni molta gente aveva trasformato il suo nome in una condanna, un marchio impresso a fuoco sulla pelle che bruciava costantemente. Da quando era arrivata a New York non aveva ancora dato mostra di quel lato di sé, quello che negli anni l’aveva portata a essere considerata una portatrice di sventura, il gatto nero della malasorte, una superstizione spaventosa sussurrata sottovoce per tenere lontano il malocchio, un personaggio immaginario da usare contro i bambini quando facevano i birichini. Finora il popolo dei Nascosti americani aveva visto solo una parte di lei, quello combattivo, quello che non aveva remore a farsi avanti contro i nemici più pericolosi e aiutare gli altri.

Per loro lei era Yumi Shin la Strega Guerriera, la Tigre Nera… ma erano all’oscuro dell’altro lato della sua personalità, quello che portava il nome di Strega della Morte. Un po' per mantenere un basso profilo, un po' perché, da quando aveva ampliato le proprie capacità aveva deciso di ricorrere ai suoi poteri negromantici  il meno possibile, non si era ancora fatta conoscere nel Nuovo Mondo sotto quell’aspetto. Ora invece saltava fuori quella donna che sembrava sapere benissimo chi fosse lei, e questo la indusse a pensare fosse molto ma molto più vecchia di lei, o semplicemente che avesse dei buoni informatori. Appoggiò i gomiti sul bancone e intrecciò le dita.

« Dunque… lei sa » disse, guardandola di profilo.

« Sì, io so » rispose l’altra.

« E, di grazia, cosa effettivamente sa? » insistette Yumi mantenendo però un tono calmo.

La vampira appoggiò gli avambracci sul ripiano e si sporse verso la ragazza.

« So che sei una strega mutaforma » sussurrò accattivante.

Yumi fece una smorfia.

« So che se in grado di mietere le anime degli esseri viventi… », la ragazza alzò gli occhi al cielo e prese a giocherellare con il bicchiere vuoto, « … e che sei alla ricerca di Magnus Bane ».

Il bicchiere scivolò dalla presa di Yumi e si frantumò a terra, ma lei non ci fece caso. Quelle semplici parole ebbero il potere di risvegliare ogni singola cellula del proprio corpo come se qualcuno le avesse tirate con dei ganci. Anche se si sforzò di rimanere impassibile, il suo corpo dovette tradirla, perché il sorriso della donna si allargò ancora di più.

« Hai inseguito Magnus per molto tempo, vero? » disse, godendo della reazione dell’altra. « Tutti questi anni a corrergli dietro… ».

Yumi cominciò a vederci rosso, ma non distolse lo sguardo un solo istante da quello della vampira.

« Deve essere stato sfiancante corrergli dietro per anni edificando migliaia di castelli in aria che potrebbero venire distrutti nell’arco di un minuto » continuò imperterrita la donna. « Ciononostante, se davvero sei così ossessionata dall’idea di volerlo incontrare… potrei accontentarti e mettere fine alla tua folle corsa… se  tu accetterai la mia proposta » e si appoggiò sulle mani, gongolando della risposta affermativa che era certa sarebbe arrivata.

Yumi abbassò lo sguardo, mentre il suo cervello lavorò frenetico: maledetta vampira, di tutto quello che poteva sapere di lei, proprio il tasto dolente doveva arrivare a premere. Ma non stette a rimuginarci troppo su.

« No » fu la secca risposta quando alzò lo sguardo.

La vampira smise di sorridere e abbassò le mani.

« Come hai detto, scusa? » disse con calma, ma già senza più la malizia precedente.

« Ha sentito benissimo » rispose Yumi. « Non accetterò mai la sua proposta, non importa cosa mi offrirà in cambio ».

L’altra strinse i pugni e digrignò i denti, sforzandosi di mantenere il controllo.

« Sei veramente una sciocca » disse sprezzante.

« Se questo vuol dire essere una persona ragionevole, bè, allora sono più che felice di esserlo » ribadì Yumi.

« Invece sei davvero una stupida, e per di più ingenua » ribadì l’altra. « Hai la possibilità di realizzare il tuo desiderio più grande e invece la getti via così? Per cosa, poi, lotti così strenuamente? Per fare tuo il Sommo Stregone? Non avresti la minima possibilità con lui, e anche se, a quanto vedo, sei la sua combinazione preferita, si cederebbe a te solo per pietà: ti considererebbe solo uno delle tante botte e via che ha consumato durante la sua vita, non saresti niente; solo un misero passatempo ».

Fu il colmo: Yumi sbatté con forza la mano sul bancone e ruggì alla vampira snudando finalmente le zanne, alzandosi con tanta impetuosità che rovesciò lo sgabello. I clienti al bancone si alzarono e si allontanarono precipitosamente dalle due, qualcun'altro smise di ballare e osservò con attenzione la scena, iniziando però a temere il peggio. Anche la vampira rimase impressionata dalla reazione della ragazza, ma riguadagnò ben presto la sua compostezza.

« Un animale » mormorò con disprezzo. « Una bestia selvatica, ecco cosa sei: che speranza pensi di poter avere con lui, mostriciattolo selvaggio? »

« Shizuka ni [silenzio]! » esclamò Yumi, ma la sua voce fu più simile ad un ringhio.

Del fumo iniziò a innalzarsi dal bancone e un forte odore di plastica bruciata a permeare l’aria. Yumi tolse in fretta la mano, lasciando comunque un’enorme chiazza nera, e la costrinse contro i fianchi: stava per perdere il controllo, se non usciva subito di lì rischiava veramente di fare una strage.

« Lei non sa niente di me! » continuò, cercando di tenere a bada il tremore del proprio corpo. « Crede davvero che cadrei così in basso? Sì, lo voglio conoscere, è tutta la vita che spero di incontrarlo… ma non per i motivi che crede lei, e anche se fosse davvero così, se per farlo devo macchiarmi le mani di sangue innocente, bè, allora preferisco continuare a rincorrerlo, a costo di doverlo fare per tutta la vita. Ma non mi abbasserò mai ad essere il capro espiatorio di qualcun altro!! ».

Respirò affannosamente e guardò la vampira con sguardo di sfida, certa che, anche senza vederli, gli occhi le fossero diventati da gatto. L’altra non sembrò minimamente scalfita da quello scoppio d’ira e si alzò con calma, fronteggiando Yumi senza timore.

« Stai facendo il più grande sbaglio della tua vita, piccola mezzosangue: credi davvero di poterti rivolgere a me in questa in questa maniera?? ».

Yumi ringhiò sommessamente.

« E’ lei quella che dovrebbe cambiare approccio » sibilò tra i denti. « Chi mi chiama in quel modo finisce spesso per fare una brutta fine ».

Si sentiva sempre più carica, percepiva il fuoco scorrerle nelle vene e gonfiarle i muscoli, lo sentì pregarla di lasciarlo libero.

« Non tollero imposizioni, men che meno da una mezzosangue(*1) » sibilò l’altra.

Yumi fece per ribattere nuovamente, quando alle narici le arrivò una zaffata di marcio che purtroppo conosceva molto bene. Si guardò attorno alla ricerca della fonte ed eccolo lì: pigramente adagiato su una sedia, un ragazzo all’apparenza normalissimo guardava nella loro direzione con il sorriso furbesco di chi è stato invitato ad un banchetto e ha appena trovato un piatto succulento che non ha alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire.

« Chikushou [maledizione]! » esclamò alternando lo sguardo da lui alla vampira e poi alla folla, e decise: lasciò alcune banconote sul piano e sparì veloce in mezzo alla calca.

Fu così svelta che nemmeno i due succubi fecero in tempo a fermarla, ma quando vide il ragazzo correrle  dietro, la vampira gli intimò di seguirlo.
 


Yumi uscì dalla porta sul retro e balzò svelta sul tetto dell’edificio, acquattandosi e guardando in basso, in attesa. Non dovette aspettare molto: il ragazzo uscì poco dopo, guardandosi intorno sorridendo eccitato.

« Lo so che sei qui, piccolina, non serve che ti nascondi » disse sorridendo come un’ebete.

« Non era mia intenzione, infatti » disse Yumi.

L’altro alzò la testa e sorrise ancora di più nel vederla stagliarsi contro il cielo, le braccia incrociate e una gamba piegata in avanti e poggiata sopra un bordo rialzato. Nonostante l’abbigliamento, trasudava fierezza e coraggio, e servì solo a renderla più appetibile al ragazzo, che si leccò le labbra e gongolò soddisfatto.

« Ero venuto per qualche deliziosa mondana, e invece ho avuto una fortuna pazzesca! » esclamò strofinandosi le mani.

Yumi inarcò un sopracciglio.

« Abbiamo una concezione molto diversa della parola “fortuna” » disse. « Per me ad esempio equivale a passare ventiquattr’ore senza incrociare voialtri ed essere costretta il giorno dopo a bruciare i miei vestiti perché non v’è altra soluzione per liberarli dal viscidume di cui me li impregnate ».

L’altro rise e continuò a mangiarsela con gli occhi.

« E smettila di sbavare in quel modo » continuò schifata la ragazza. « Non sei il mio tipo, e comunque credo proprio che ti rimarrei sullo stomaco se provassi a mangiarmi, sono un boccone piuttosto duro da digerire ».

Il tipo si curvò in avanti allargando le braccia, agitandosi senza smettere di sorridere.

« Una vera fortuna! » ripeté, come se non avesse sentito le parole dell’altra. « Incontrare di persona la piccola Negromante è al tempo stesso un’occasione irripetibile e un grandissimo onore! Anche se non sei graziosa come ho sentito dire, perché sei così bardata? ».

Yumi alzò gli occhi al cielo e si calò la visiera del cappello sul viso.

« Non sono affari tuoi. E continuo a non condividere il tuo entusiasmo, hai davvero così tanta voglia di essere rispedito all’Inferno? » borbottò ironica.

L’altro scoppiò a ridere e sorrise, ma fu un sorriso molto malvagio.

« Ti stupisci così tanto? » disse, senza più traccia di divertimento nella voce. « Eppure ormai dovresti sapere perché sei così ambita… figlia del Reietto».

Yumi si immobilizzò e alzò lentamente lo sguardo, stringendo i pugni. L’avevano chiamata in molti modi in vita sua, e ormai aveva più titoli che anni di vita, così tanti che se la gente aveva mai sentito parlare di lei era stato per via di uno di loro, non per il suo nome di battesimo. Non ci faceva molto caso di solito, li lasciava scivolare via come se fosse impermeabile, abbastanza restia ad abbandonare il proprio nome e a rischiare di avere una crisi d’identità. Quel titolo in particolare, però… quello proprio lo odiava.

La figlia del Reietto: era così che la chiamavano i demoni. Suo padre era un emarginato, un esiliato. I demoni non avevano un’anima, non erano fatti per amare; suo padre invece era stato “contaminato” da quel sentimento così puro e allo stesso tempo così potente quale era l’amore che, a quanto pareva, gli aveva causato uno spontaneo e inevitabile esilio dal Vuoto. Yumi sapeva che non vi era ritornato, anche se non aveva idea di che fine avesse fatto e se fosse ancora vivo, soprattutto. .

« Dovresti sapere, ormai… che per noi sei un bocconcino irresistibile » continuò imperterrito l’altro, leccandosi le labbra.

Yumi digrignò i denti mettendo in mostra le zanne: i demoni avevano iniziato a saltare fuori che lei era ancora una bambina e aveva un controllo bassissimo dei propri poteri, e se non ci fosse stato Ryuu a proteggerla sarebbe morta da un pezzo. Come se già non fosse stata una condanna sufficiente essere la figlia di un traditore della propria razza per essere perseguitata da quei mostri, ben presto era emerso un altro problema: tutti volevano la sua morte, ma ancor di più volevano lei, o meglio, la sua energia. Essere figlia di un demone capace di amare a quanto pareva l’aveva fatta nascere con un’energia particolare, molto appetibile per i demoni.

Erano stati loro in persona a dirglielo, oltre alla questione dell’impossibilità di suo padre di tornare nel mondo a cui apparteneva. Lo aveva scoperto una delle prime volte che si era ritrovata a che fare con loro: avevano una bocca larga ancor più che i fantasmi, a volte si era chiesta se sarebbe bastato domandare per conoscere un modo efficacie per raggiungere la loro dimensione o uccidere qualcuno di importante, taluni erano dei tali cervelli di gallina da sconcertarla. O forse a darle fastidio era soprattutto il fatto di essersi sentita spiegare certe cose da perfetti sconosciuti invece che da suo padre, ma non gli portava affatto rancore, questo no. Per i demoni lei era una minaccia da eliminare, ma al tempo stesso un’energia come la sua era proprio ciò che bramavano, un banchetto da ristorante di lusso servito però in una normalissima tavola calda, visto il modo sciatto con cui si vestiva la ragazza.

Per questi motivi era stata bersaglio di parecchi di loro appartenenti alla prima o seconda categoria (alcuni anche a entrambe), solo che, ironico a dirsi, era soprattutto grazie a loro se era diventata una guerriera formidabile e abilissima nel respingere demoni di qualsivoglia calibro anche senza magia. Finora aveva avuto a che fare maggiormente con demoni minori, pochissime volte con demoni di rango più alto, ma di certo non era così ansiosa di ritrovarsi alla porta, un giorno, un Principe dell’Inferno, se non addirittura la Madre di tutti i demoni in persona. Non dubitava che prima o poi le avrebbero mandato il conto a casa, considerato che aveva rispedito più demoni nel Vuoto lei di quanto non potrebbero fare un manipolo di Shadowhunters in tutta la loro vita.
Era parte della sua routine quotidiana rimandare qualche demone 
da dove veniva, e ci avrebbe spedito anche quello davanti a lei che gongolava e sbavava come una scimmia in calore, non nascondendo minimamente la voglia di saltarle addosso. Solo che sembrava non rendersi conto che se ne sarebbe pentito amaramente.

« Fossi in te sparirei alla svelta: ho una voglia pazza di distruggere qualcosa, non credo ti piacerebbe diventare il mio sacco da boxe » disse schioccandosi le nocche delle mani.

Il ragazzo ridacchiò impazzito.

« Sei unica nel tuo genere sotto tantissimi punti di vista, se gli altri stregoni fossero come te ci sarebbe sicuramente più divertimento per noi ».

« Continua a crederci » borbottò Yumi. « Allora, che vogliamo fare? ».

Prima che l’altro potesse rispondere, la porta del locale si spalancò e i succubi della vampira bionda ne uscirono, bloccandosi alla vista del giovane. Questi li guardò dapprima perplesso, poi guardò Yumi, e un sorriso malizioso prese forma sulle sue labbra, diventando sempre più grande. La ragazza capì le sue intenzioni e si apprestò a scendere dal tetto urlando « Non ti azzardare!! » ma non fu abbastanza svelta: il ragazzo spalancò la bocca, da cui fuoriuscì un tentacolo smisuratamente lungo che arpionò le caviglie dei due uomini, li sollevò e li sbatté contro un muro.
Prima che potessero rialzarsi partì di nuovo all’attacco, ma qualcosa di rotante e dorato intercettò la sua traiettoria e tranciò di netto il tentacolo, che sfrigolò e fece urlare di dolore il suo padrone. Ritirò indietro l’arto giusto un attimo prima che quell’affare dorato arrivasse vicinissimo a colpirlo in pieno, ma riuscì a scansarsi in tempo. L’oggetto terminò la sua parabola quando Yumi saltò dal tetto e lo afferrò con una mano, rivelando essere un lungo bastone dorato, che la ragazza ruotò e  puntò verso il suolo, fece leva e con una capriola si portò davanti ai due succubi, che la guardarono con espressione vacua.

« Vi consiglio di levarvi di mezzo se non volete lasciarci le penne » gli intinò Yumi.

Loro la guardarono appena, poi si guardarono l’un l’altro e poi di nuovo lei, ma non si mossero un millimetro da dove stavano.

« Mi avete sentito?? » urlò Yumi, non ricevendo però alcuna reazione da parte loro.

E allora capì: quella vampira doveva avergli ordinato di seguirla, e per i succubi gli ordini dei padroni sono assoluti, impossibili da non rispettare. Quei due non si sarebbero mossi da lì finché la loro padrona non fosse arrivata a dirgli altrimenti.

« Chikushou! » imprecò la ragazza, voltandosi a fronteggiare il demone, che sembrava piuttosto divertito.

« Qualcun'altro ti ha preso di mira e ti vorrebbe tutta per sé? Allora non è proprio serata per te ».

« Damare [zitto]! Fai silenzio! » disse Yumi, facendo ruotare il bastone avanti e indietro.

Il demone guardò quell’arma senza più sorridere.

« Sei davvero una vera vergogna per gli stregoni, Yumi Shin: prima nascere da un’unione amorosa, e poi abbassarsi a imitare persino quei- »

« Taci! » urlò Yumi. « Non ti azzardare a dire un’altra parola, o saranno le ultime che pronuncerai! ».

Il giovane la guardò sorridendo, ma i suoi occhi iniziarono ad assottigliarsi sempre più.

« Come preferisci » e il suo corpo si sciolse cadendo a terra come cera fusa, rivelando un groviglio di tentacoli, raggruppati ad assumere malamente la forma di un corpo umano.

Yumi divaricò le gambe e piegò le ginocchia, pronta all’offensiva che non tardò ad arrivare: i tentacoli di quell’ammasso informe iniziarono a saettare verso di lei. Mulinò il bastone a destra e sinistra, tranciandone quanti più poteva, ma erano veramente troppi, e ben presto la misero in difficoltà, finché due non riuscirono a penetrare la sua guardia e ad afferrarla per le caviglie, sbattendola a terra e aggrovigliandosi intorno al suo corpo.

Cercò di liberarsi tranciandone quanti più possibili, ma più ne tagliava più né spuntavano, e ben presto le immobilizzarono completamente le gambe e le abbrancarono i polsi, facendole cadere l’arma. Iniziò a dimenarsi non appena vide quell’enorme massa verminosa incombere su di lei e aprirsi rivelando una bocca famelica piena di denti affilati, ma quando già stava per rischiare il tutto per tutto e usare la magia, Ryuu si manifestò uscendo dal suo petto e saltò addosso a quella che doveva essere la testa, ringhiando, mordendo e graffiando senza pietà, incurante degli schizzi di icore demoniaco.
Quella cosa urlò e allentò la presa dei tentacoli; Yumi allora snudò le zanne e con un morso secco recise i tentacoli che le avevano avviluppato il braccio destro, si tolse il guanto coi denti e poggiò la mano sui tentacoli che intrappolavano il braccio sinistro: a contatto con l’anello d’oro, questi sfrigolarono e bruciarono, mollando la presa. Appena Yumi si ritrovò entrambe le mani libere, Ryuu saltò via e si tenne a distanza di sicurezza, la ragazza prese un grande respiro, si portò le mani a coppa davanti alla bocca e ci soffiò dentro, investendo il demone con un gigantesco getto infuocato.

Il mostro urlò e si contorse, e in breve divenne una gigantesca e puzzolente pira sanguinolente, molliccia e agonizzante. Yumi scalciò i tentacoli ormai inermi e si trascinò verso Ryuu, guardando insieme a lui ciò che restava del demone piegarsi su sé stesso e crepitare come un foglio di carta bruciato, spargendo nell’aria una miriade di scintille e scomparendo infine in una gigantesca voluta di fumo. Yumi si portò un lembo della felpa davanti alla bocca per non respirarlo, e solo quando il fumo si disperse che si permise di tirare un grosso sospiro di sollievo.

« Stavolta poteva davvero finire male… grazie, Ryuu » mormorò sorridendo all’amico.

Lui scosse la testa e le mordicchiò la mano. Non c’era alcun bisogno che Yumi lo ringraziasse: loro erano fratelli, non c'era bisogno di ringraziare ogni volta che si davano una mano a vicenda. Mordicchiandole la mano, sentì la pressione degli artigli di lei contro il tessuto dei guanti, e iniziò a ringhiare. A Yumi non servì voltarsi per capire cosa stesse succedendo: si limitò a schioccare le dita della mano destra e i due succubi, che avevano evidentemente cercato di prenderla alle spalle, caddero al suolo come sacchi di patate.

« Vediamo se ora quella vampira si metterà in testa che non è così facile avermi » borbottò, rimettendosi il guanto.

Ryuu ululò e lei sorrise, ma il suo sorriso fu spezzato da un colpo di tosse che le fece sputare sangue. Subito dopo sentì un bruciore intenso all’altezza della gola, che si propagò poi giù fino alla bocca dello stomaco, e da lì alla pancia. Si tenne il ventre e cadde a terra tossendo, ma quando sputò di nuovo sangue vide delle flebili striature nere in mezzo a quelle macchie rosse, e capì cosa fosse successo. La vista le si annebbiò e le forze cominciarono a venirle meno. Gli occhi disperati di Ryuu furono l’ultima cosa che vide prima di perdere definitivamente conoscenza.


*Angolo autrice

EEEEEEEEEEd eccomi qui. In barba al frebbrone tremendo che ho avuto ieri, oggi sto già decisamente meglio e posso finalmente pubblicare l'altra parte del capitolo. Ammetto che quando ho iniziato a stendere questo capitolo immaginavo che avrei umiliato Camille in modo veramente pesante, ma penso che vada bene anche così ( o almeno, va bene per me, non so quanti di voi avrebbero preferito che ricevesse una lezione coi fiocchi). Se avete domande, sono qui disponibile a dissipare tutti i vostri dubbi. Se qualcuno non vorrà uccidermi nel frattempo per aver fatto finire il capitolo in questo modo, ma state tranquilli, tutto si risolverà presto e nessuno morirà :-). Mata ne, a presto.

 
Riferimenti e citazioni:

(*1) frase di Camille presa da Le origini – Il Principe

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Capitolo 7
*** L'incontro tanto atteso ***


« Riuscite a sentire niente? » disse Isabelle, sporgendosi il più possibile dal divanetto.

Da quando avevano visto Camille dirigersi verso il ragazzo che aveva ammaliato il pubblico con la sua voce, sgattaiolando da un divanetto all'altro e senza farsi vedere i tre Shadowhunters erano riusciti ad avvicinarsi il più possibile al ragazzo, ma in mezzo a quella confusione infernale era impossibile distinguere il benché minimo accenno delle sue parole.

« Come sono smemorato! » disse Jace, portandosi la mano sulla fronte con fare teatrale. « Mi è completamente passato per la testa di informarvi che Magnus mi ha fatto un incantesimo alle orecchie che mi permette di isolare le semplici chiacchere dalla confusione madornale... ».

Isabelle alzò gli occhi al cielo e si sporse ancor di più dal divanetto, venendo però prontamente bloccata da Alec.

« Stai attenta, rischiamo che ci scoprano » bisbigliò alla sorella.

Lei sbuffò e guardò il fratello con le mani sui fianchi.

« Smettila di fare il bravo soldatino, fratellone, interessa anche a te scoprire di cosa stanno parlando quei due » disse con aria di sfida.

« Di cosa stanno parlando... o del ragazzo? » aggiunse Jace, battendo il cinque a Isabelle e ricevendo un'occhiataccia da parte di Alec, che si voltò furioso.

Avevano ragione loro, però: era soprattutto il giovane a interessarlo. E questo non aveva senso: aveva uno splendido ragazzo che lo attendeva e da cui non vedeva l'ora di andare per abbracciarlo, ma allora cos'era questo interesse nei confronti dello sconosciuto?

Da quando aveva smesso di cantare non lo avevano perso di vista e lo avevano seguito fino al bancone, dove lo avevano visto sedersi e mettersi a chiacchierare con il barman, dapprima sorridendo, ma poi si erano fatti entrambi seri, e loro avevano iniziato a preoccuparsi. Per questo stavano cercando di avvicinarsi per sentire i loro discorsi, ma era inutile. L'incertezza su cosa potesse essere quel ragazzo si era intensificata, non sapevano più cosa pensare di lui. A pensarci bene, però... avrebbe dovuto importargli così tanto? Sì, visto che era la chiave per capire le intenzioni di Camille, che avanzava leggiadra verso di lui come una leonessa che si muove silenziosa verso la preda.

« A questo punto potremmo pensare che sia un licantropo » disse Isabelle.

« Non è tirando a indovinare che azzeccheremo la risposta giusta » sospirò Jace. « E comunque, cosa te lo fa pensare? »

« Il barman è un licantropo: forse stanno discutendo di problematiche di branco » rispose Isabelle.

Né Jace né Alec mancarono di notare che la sorella aveva storto la bocca, parlando del barman, e trattandosi di Isabelle poteva dire che...

« ... quel tipo ti ha bollata? » azzardò Jace, ridendo poi del modo in cui la ragazza incrociò le braccia stizzita e sbuffò come una bambina piccola.

« Strano che sia ancora vivo » commentò Jace.

Isabelle lo fulminò.

« Abbiamo appena raggiunto una tregua con i Nascosti, e non voglio che Luke possa cambiare idea perché uno dei membri del suo branco è- »

« Guardate! » li interruppe Alec.

I due ragazzi si voltarono e videro  il ragazzo buttarsi sul bancone e tapparela bocca del licantropo, che però non sembrò pensare a quel gesto come ad un'aggressione, alzò le mani dopodiché riempì un bicchiere d'acqua al ragazzo e si voltò verso altri clienti. Fin qui niente di strano, anche se la voglia di sapere cosa potesse aver scatenato la reazione del ragazzo era tanta, ma fu solo quando videro Camille sederglisi accanto con disinvoltura e approcciarsi a lui che divennero seri e guardinghi. Lei si atteggiò in quello che era un palese tentativo di seduzione, che l'altro però ignorò completamente, ma ad un certo punto cambiò posizione e assunse una posa più rigida e formale, e questo accese qualcosa nella mente di Alec.

« Sta trattando un affare con lui, vuole che le faccia un servizio » sussurrò.

I suoi compagni si voltarono a guardarlo.

« E come l'avresti capito? Io non riesco a sentire niente » disse Jace, mentre Isabelle lo guardò interrogativa.

Alec si morse le labbra e arrossì.

« Magnus... ha un atteggiamento simile quando vuole discutere di affari ».

I due ragazzi si scambiarono un'occhiata e sogghignarono.

« Senti senti, quindi è per questo che non gli hai ancora staccato gli occhi di dosso? Perché ti ricorda tanto il tuo fidanzato? » lo prese in giro Isabelle, mentre Jace sorrise.

« Per l'Angelo, siate seri! » esclamò Alec, esasperato. « Stiamo parlando di Camille, quale genere di servizio potrebbe volere, secondo voi? ».

Gli altri due smisero di sorridere e divennero seri.

« L'uccisione di Raphael Santiago » mormorò Isabelle, dando voce ai pensieri di tutti. Sapevano bene che i vampiri di New York temevano il ritorno della precedente capoclan, che all'inizio aveva lasciato la carica solo temporaneamente ad un vampiro di nome Raphael Santiago, ma nel tempo che Camille era stata lontano, Raphael era riuscito a conquistarsi la fedeltà e la devozione di tutti i vampiri del Clan, che ora vedevano in lui il solo e vero capo. Questo fattore, ovviamente, non era piaciuto molto a Camille: cambi territorio per qualche tempo e tutti si dimenticano come stanno le cose(*1). I tre ragazzi avevano già sentito più volte Raphael menzionare questo problema, per questo non dubitavano affatto della natura della richiesta della vampira al ragazzo.

« E sembra che il nostro amico non abbia intenzione di accettare » disse Jace.

Alec e Isabelle si voltarono e videro il giovane parlare a Camille con un'espressione tutt'altro che accondiscente, espressione riflessa anche sul volto della vampira, che sembrò parecchio infastidita. Ad un certo punto, il giovane si alzò e fece per andarsene, ma due uomini gli si pararono davanti. I tre ragazzi capirono che dovevano essere succubi di Camille, ma non fecero in tempo a consultarsi per decidere se intervenire o meno che il barman affiancò il ragazzo, ringhiando verso i due umani, e si rilassarono. Il giovane sussurrò qualcosa al licantropo, e lui, dopo averlo guardato preoccupato, sparì in mezzo alla folla.

« Scommetto che tra quei due c'è del tenero » osservò Isabelle.

« Il che spiegherebbe perché ti abbia snobbata: non hai le giuste... doti » ribadì Jace, beccandosi un calcio dalla sorella.

« La volete smettere una buona volta? Non è ancora finita con Camille » li riprese Alec.

Ed era vero: appena il ragazzo tornò a posto, i due ricominciarono a parlare, o meglio, Camille ricominciò mentre l'altro si limitò ad ascoltare e a giocare col bicchiere. La vampira dovette dire qualcosa di compromettente, perché il bicchiere ad un certo punto sfuggì dalla mano del ragazzo e cadde per terra senza che lui facesse niente per impedirlo, e l'espressione soddisfatta di Camille fu un'ulteriore conferma. Espressione che però sparì in fretta quando l'altro riaprì bocca, e allora la vampira sembrò alterarsi, snudò i canini, alzò la voce... e il giovane si alzò in piedi ruggendole contro e facendo cadere lo sgabello. Alcuni clienti si voltarono verso le due, altri invece si allontanarono precipitosamente; i tre Shadowhunters, invece, rimasero immobili al loro posto, ma erano scioccati.

« Quello... » disse Isabelle.

« ... non era affatto il verso di un lupo mannaro » concluse Jace per lei.

« Ma allora cosa potrebbe essere? » insistette Isabelle.

« Non ne ho idea, ma questo è solo una spiegazione in più al motivo per cui, di tutto il locale, Camille sia andata proprio da lui » rispose Jace.

« O forse è qualcosa di più » disse Alec frugandosi nelle tasche.

« Che stai facendo? » chiese Jace.

Invece di rispondere, Alec tirò fuori un oggetto quadrato scuro con numerosi pulsanti, che iniziò a produrre un forte suono lamentoso non appena lo mostrò agli altri due.

« Dici che potrebbe essere?... » disse Isabelle, e Alec annuì.

« Non credo stia suonando per lui » intervenne Jace, guardando verso un punto della stanza.

I due ragazzi seguirono la direzione del suo sguardo e videro un ragazzo, vestito con semplici abiti di cotone chiaro, guardare in direzione del giovane, che non sembrò affatto sorpreso della sua presenza. L'altro lo guardò come un boccone prelibato, lui rispose con la faccia arrabbiata di chi è stato colto sul fatto e non avrebbe voluto che accadesse,  lasciòdei soldi sul bancone e sparì tra la folla, con lo sconosciuto al seguito.

« Qualcosa mi dice che sa esattamente di essere stato puntato da un demone » disse Isabelle.

« Avrà sentito il fetore di fogna che quel mostro si porta appresso... o forse è lui stesso un demone » disse Jace.

Quando poi videro Camille ordinare ai suoi uomini di seguire quei due, il giovane Shadowhunter non poté trattenersi dallo sbuffare.

« Ma cos'ha di così speciale questo benedetto ragazzo? » borbottò, incrociando le braccia.

« Dobbiamo seguirli anche noi » .disse Alec, tirandosi su

« Cosa?! E perché? » esclamò Isabelle.

« Fratello, capisco che il potere della discoteca stia finalmente iniziando ad avere effetto anche su di te, ma non mi sembra il momento- »

Alec lo interruppe con un gesto brusco.

« Camille vuole qualcosa da quel ragazzo, e a quanto sembra non ha alcuna intenzione di lasciarselo scappare. Per di più, quel giovane ha alle calcagna anche un demone, è da solo contro tre avversari: non ce la può fare da solo, ha bisogno di aiuto ».

Jace e Isabelle si guardarono l'un l'altra, poi sospirarono.

« Poi a Maryse ci pensi tu » sbuffò Jace.

Alec storse il naso: avere a che fare con la madre era anche peggio che affrontare un manipolo di demoni. Dopo la morte di Max e  l'allontanamento dal padre, neo-nominato Inquisitore, il solco tra loro e i genitori era diventato ancora più profondo, ma nessuno dei tre perdeva tempo a chiedersi come avrebbero potuto colmarlo:ormai i due avevano perso qualsiasi diritto nei loro confronti, specie dopo quello che avevano fatto a Jace.

Fiducia o meno, però, Maryse restava ancora il capo dell'Istituto di New York, e volente o nolente le dovevano obbedire e portare a termine le missioni che gli affidava, e non amava molto le prese di iniziativa come quelle. Ad Alec però non importava: aveva rinunciato ad essere il soldato diligente e rispettoso della legge quando aveva dichiarato al mondo il suo amore per Magnus. La guerra combattuta assieme ai Nascosti non era stata solo un'esigenza dettata dalle circostanze del momento, e neanche concedere un seggio nel Consiglio ai rappresentanti delle varie razze: i Nascosti erano loro alleati, e quest'alleanza doveva essere coltivata, mantenuta, rafforzata, non gettata alle ortiche quando non serviva più e ripescata solo quando le circostanze lo avrebbero richiesto.

Se quel ragazzo era un Nascosto, allora era loro doverlo aiutarlo, non lasciarlo in difficoltà. Si coprì il volto con il cappuccio della felpa, imitato dai compagni, e insieme scivolarono tra la folla. Quando però raggiunsero l'uscita sul retro e aprirono la porta, si gelarono sul posto: il giovane vestito leggero aveva assunto la sua vera forma, un ammasso brulicante di tentacoli aggrovigliati l'uno sull'altro che stavano attaccando il ragazzo vestito di scuro che però gli teneva testa facendo mulinare la sua arma, impedendogli anche di raggiungere i succubi di Camille stravacati per terra alle sue spalle.

« " E' da solo contro tre avversari, non ce la può fare da solo, ha bisogno di aiuto", eh? » disse Jace. Alec non lo ascoltò nemmeno, era troppo concentrato sul ragazzo: era così preciso e allo stesso tempo così abile che sembrava quasi riuscisse a prevedere i movimenti del nemico ancor prima che questi si realizzassero. E quell'arma... un bastone in puro elettro dorato che roteava da una parte all'altra con una dimestichezza tale che sembrava quasi obbedire ai suoi pensieri più che alle sue mani. Non sembrava nemmeno che stesse combattendo, sembrava... danzare, una danza leggiadra e fluida.

Ad un certo punto i tentacoli circondarono e si aggrovigliarono intorno alle gambe e ai polsi del giovane facendogli cadere l'arma, mentre una bocca munita di denti affilati si spalancò in mezzo a quel groviglio viscido, ma non arrivò mai a serrarsi sulla carne del ragazzo: grande fu lo stupore dei tre cacciatori quando videro manifestarsi dal suo petto, preceduto da una leggera luminescenza azzurra, un grosso e bellissimo lupo dal manto grigio che saltò su quella che doveva essere la testa del demone e prese ad azzannarlo e graffiarlo senza pietà.

Il suo compagno non se ne stette a guardare, e con un morso si liberò il braccio destro, si tolse il guanto e posò la mano sui tentacoli avvolti intorno al braccio sinistro, che sfrigolarono e lo lasciarono andare. Senza guardare l'amico, neanche si fossero messi d'accordo, il lupo si tolse di torno e si allontanò nello stesso momento in cui il ragazzo investì il demone con un potente getto infuocato che fece urlare di dolore il mostro e lo uccise. Gli Shadowhunters rimasero a guardare a bocca aperta mentre il corpo del demone si accartocciava su sé stesso e spariva in volute di fumo.

Jace inizò a incupirsi : quel giovane aveva caratteristiche che avrebbero potuto farlo rientrare in qualunque categoria degli abitanti del Mondo Invisibile, ma in sostanza... cos'era?  Il sospetto che potesse essere un altro malcapitato su cui Valentine aveva condotto degli esperimenti si radicò nella mente del ragazzo. D'un tratto il lupo prese a ringhiare, ma il suo compagno non si curò di chiedere spiegazioni: si limitò a schioccare le dita della mano destra, mandando al tappeto i succubi che avevano cercato di prenderlo alle spalle.

« Bè, direi che la nostra presenza non è più richiesta » decretò Jace battendo le mani.

Alec guardò dentro il locale sovrappensiero, quando il guaito lamentoso del lupo lo portò a voltarsi, e così vide così il ragazzo tossire sangue e accasciarsi a terra, con il suo amico che guaiva disperato e cercava di rialzarlo. Alec lo guardò terrorizzato, poi guardò dentro il locale, poi di nuovo verso il ragazzo e infine decise.

« Dobbiamo aiutarlo » disse, correndo nella sua direzione.

« Sei impazzito? » disse Jace. Alec lo fulminò.

« Jace, non possiamo lasciarlo lì a morire senza fare niente. E poi, ha parlato con Camille: forse potremmo riuscire a ottenere qualche informazione da lui, e sarebbe un tentativo molto più utile che restare qui tutta la notte ».

Capiva lo stupore di Jace: in fondo era stato proprio Alec il primo a opporsi all'idea di portare Clary all'Istituto, quando ancora credevano fosse una mondana, e in seguito nelle proprie vite. Senza parlare, poi, di tutte quelle volte che Alec avrebbe voluto ucciderla con le proprie mani quando aveva trascinato loro e Jace, specialmente Jace, in missioni ad altissimo rischio, se non suicide, durante una delle quali, tra parentesi, Alec aveva seriamente rischiato di morire. Anche se era stato grazie a quell'episodio che si era avvicinato a Magnus e avevano iniziato a frequentarsi, il giovane non aveva perdonato facilmente Clary per tutti i guai che aveva causato a lui e ai suoi fratelli, men che meno era riuscito a perdonare Jace per essersi fatto coinvolgere troppo da quella ragazzina e averle salvato la vita rischiando seriamente la propria.

La situazione in cui si trovavano ora però era diversa: con Clary avevano creduto che fosse una mondana; capricciosa, insolente e arrogante, ma pur sempre una mondana, che non sapeva niente del loro mondo e si comportava come una bambina a cui bisognava fare da balia per evitare che si cacciasse nei guai. Quel giovane guerriero invece era sicuramente un abitante del Mondo Invisibile fatto e finito, che sapeva badare a sé stesso e che di certo non aveva bisogno di qualcuno che gli tenesse la manina e lo guidasse passo passo nella scoperta del Mondo Invisibile; i due casi erano completamente diversi, anche se Alec si stupiva di aver preso quel ruolo che aveva avuto Jace durante quella fatidica sera che aveva sconvolto permanentemente le loro esistenze.

« E comunque stiamo solo perdendo tempo » aggiunse. « Vuoi che quella vampira inizi a chiedersi che fine hanno fatto i suoi servi e decida di venire qui? ».

Jace guardò Isabelle, che allargò le braccia, e allora si arrese.

« Se il tuo ragazzo ci trasformerà in qualcosa di terribilmente spiacevole e altamente orribile a vedersi, io cambio parabatai » borbottò, seguendo l'amico.

Lui sorrise e si avvicinò al giovane, ma il lupo grigio gli bloccò il passo e gli ringhiò contro.

« Se prima non diventiamo lo spuntino di mezzanotte di questo cagnaccio, ovviamente » sbuffò Jace, facendosi avanti. Il lupo ringhiò ancora più forte.

« Datti una calmata, Bobby: vogliamo solo aiutare il tuo amico, non banchettare con le sue ossa ».

L'animale non mutò posizione, e Jace perse la pazienza: si chinò per prendere il giovane in braccio, ma il lupo gli azzannò la mano serrandola così forte tra i denti che Jace ebbe la completa percezione di ciascuna delle ossa che componevano l'arto. Cercò di forzare la mandibola del lupo ad aprirsi con l'altra mano, ma quello non si mosse di un millimetro, e aumentò la presa.

« Lascialo stare! » urlò Isabelle facendo saettare la frusta di elettro verso il lupo che però schivò lasciando la presa sulla mano di Jace e si buttò addosso alla ragazza, le strappò la frusta di mano coi denti e le ringhiò a pochi centimetri dal viso. Isabelle iniziò a colpirlo coi pugni e a dimenarsi, ma fu inutile: quel lupo era pesante come un macigno, e nessuno dei suoi tentativi servì a smuoverlo di un centimetro. Isabelle non demorse e si sfilò un pugnale dalla cintola, ma l'animale le mise una zampa sul braccio e glielo bloccò a terra.  Provò con l'altro, ma il lupo la prevenne e le immobilizzò anche quello, ringhiando molto più forte di prima.

« Basta, per favore! ».

Il lupo alzò la testa e si voltò in direzione di Alec, ma la sua distrazione non bastò a renderlo più leggero e permettere così a Isabelle di liberarsi, ma lei guardò ansiosa verso il fratello. Alec inghiottì forte, ma fece appello ad ogni grammo di autocontrollo che aveva: lentamente, si tolse la faretra dalle spalle e la posò a terra senza staccare gli occhi da quelli del lupo. Fece lo stesso con la cintura delle armi, che scivolò a terra tintinnando, e infine alzò le mani, tenendole aperte e ben in vista ai lati della testa.

« Guarda, sono disarmato: non ti farò del male » disse nel tono più calmo possibile, anche se dentro stava morendo di paura all'idea che quel lupo potesse sbranare Isabelle da un momento all'altro al minimo passo falso.

Jace guardò il fratello come se fosse impazzito, ma non disse niente: Isabelle era in potere a quell'animale, sarebbe bastato davvero poco per indurlo ad affondare i denti nella morbida carne del collo della ragazza. A differenza di come aveva fatto con lui, però, gli sembrò che il lupo guardasse Alec con grande interesse, senza l'ostilità che aveva invece riservato al biondo.

« Ti prego » ripeté il moro, facendo un passo in avanti. « Non abbiamo intenzioni ostili, vogliamo solo aiutare il tuo amico. Per favore, devi credermi ».

Il lupo piegò la testa da una parte all'altra e lentamente scese da Isabelle, che però non osò muoversi, e si avvicinò ad Alec, scrutandolo con sguardo intimidatorio. Il giovane si abbassò lentamente fino ad essere al suo livello e molto cautamente allungò la mano. L'animale l'annusò più volte, poi però la leccò e si mise seduto, agitando la coda. Alec lasciò andare il fiato che nemmeno si era accorto di trattenere, poi decise di osare e affondò entrambe le mani nella pelliccia del lupo, accarezzandogli il collo.
Lui chiuse pigramente gli occhi e mordicchiò le mani del giovane, che però si accorse che c'era qualcosa che non andava in quell'animale: il suo corpo era freddo e  il suo petto... era immobile. Decise però di tergiversare.

« Mi permetti di aiutare il tuo amico? » chiese con gentilezza.

In risposta, il lupo prese l'arco e la cintura di Alec tra i denti e gliele rimise in grembo, poi si piazzò davanti al suo giovane amico e ululò sofferente.

« Stai tranquillo » gli disse Alec, accarezzandolo. « Vedrai che andrà tutto bene ».

Il lupo lo guardò negli occhi, poi si abbassò verso l'amico, cosa che fece anche Alec, girando delicatamente il ragazzo di schiena: aveva perso i sensi. Si chinò sul suo petto per sentirgli il battito, ma quando posò la testa scattò indietro come se si fosse scottato, strabuzzando gli occhi e arrossendo violentemente.

« Alec? Cosa c'è? » disse Isabelle guardando cauta il fratello.

Lui le restituì uno sguardo smarrito e si riabbassò sul ragazzo, ancora rosso in viso: il suo cuore batteva ancora, ma il respiro era debole e irregolare. Sarebbe stato utile capire cosa gli fosse successo... lo sguardo gli cadde sulla piccola pozza di sangue che il giovane aveva sputato e ci immerse due dita, ritirandole sporche di rosso e anche di qualcosa di nerastro. E allora capì.

« Deve aver ingerito l'icore di quel demone! » esclamò balzando in piedi.

« A quanto pare il suo cane da guardia non è l'unico a cui piace mordere » borbottò Jace.

Il lupo si volse verso di lui e ringhiò forte. Jace arretrò tenendosi la mano ferita.

« Com'è che lui sta bene, invece? » disse Isabelle, guardando l'animale con apprensione.

« Non lo so » disse Alec. « Ma in questo momento è l'ultimo dei nostri problemi ».

Mise un braccio intorno alle spalle del giovane e l'altro sotto le sue ginocchia, stupendosi di sentire un corpo più magro di quanto avesse pensato, seppur piuttosto muscoloso. Il lupo guaì lamentoso, e Alec non poté fare a meno di provare una forte solidarietà nei confronti dell'animale: era evidente quanto quel giovane fosse importante per lui.

« Lo salveremo » disse deciso.

L'altro lo guardò e poi guardò l'amico, socchiudendo gli occhi.

« Non sono sicuro che sia una buona idea » disse Jace, ricevendo un altro ringhio da parte del lupo.

« Piantala, Jace » lo ammonì Alec, sistemandosi meglio il ragazzo tra le braccia.

Il suo compagno animale si voltò e andò recuperare il bastone di elettro, lo tenne per la base e fece pressione per terra sull'altra parte, così che si ritirò fino a ridursi alle dimensioni di un cilindro di circa una ventina di centimetri, che il lupo tenne saldamente tra i denti. Alec guardò l'arma e poi il giovane, ma scosse la testa: non era il momento di domandare, o per il ragazzo sarebbe stata la fine.

« Cosa facciamo? » chiese Isabelle.

« Prima di tutto togliamoci di qui prima che Camille arrivi » disse Alec addentrandosi nell'intrico di strade e vicoli che circondavano il Pandemonium.

« E secondo? » disse Jace, ma Alec aveva tirato fuori il telefono, il che voleva dire solo una cosa. Sospirò: quella sarebbe stata una notte davvero ma davvero lunga.

 

Il bruciore era terribile, sentiva come se le viscere le stessero andando a fuoco, quasi non riusciva a percepire nient'altro che non fosse quel dolore intollerabile nella pancia e il freddo del cemento del suolo. Non riusciva neanche a vedere niente se non il buio. Provò a chiamare Ryuu, ma non riuscì a muovere le labbra. Iniziò ad avere paura come mai in vita sua: non era morire il problema, quanto il fatto che, con la vita di Ryuu legata a doppio filo alla sua, se lei fosse morta allora lui sarebbe ritornato un corpo morto qualsiasi.

E non poteva permetterlo: aveva giurato a sé stessa che se mai Ryuu avesse un giorno deciso di morire definitivamente, sarebbe accaduto solo e soltanto nei luoghi in cui era nato ed era cresciuto, non in una qualsiasi metropoli sconosciuta senza significato. E poi la missione, la promessa, suo padre... mentre pensava queste cose d'improvviso si sentì più leggera e una calda e leggera pressione sulle le spalle e sotto le gambe. Le sembrò anche di percepire un leggero odore di sapone, più anche qualcos'altro che le ricordò vagamente il cuoio e il metallo, questi ultimi odori che le sembrarono molto familiari. Si sentì spostare e muoversi molto velocemente, le sembrò persino di sentire delle voci concitate, ma non fu in grado di distinguere nessuna parola.

E di ribellarsi, soprattutto: cosa stava succedendo, dove la stavano portando? I succubi si erano risvegliati e l'avevano portata via? No, impossibile, ci sarebbe stato Ryuu a fermarli. O forse... forse lui non aveva avuto l'energia per aiutarla perché aveva perso le forze. Cercando di ignorare il dolore, si sforzò di aprire le palpebre, ma era come se qualcuno gliele avesse chiuse con il fil di ferro, era così pesanti che non fu in grado di combinare niente.

Sentì però la presa sulle gambe e sulle spalle aumentare leggermente e una voce gentile dirle qualcosa che però non riuscì a identificare e che non servì affatto a calmarla ma anzi la rese più ansiosa. Ciononostante non si sognò neppure per un istante di cedere: doveva aprire gli occhi, capire cosa stava succedendo, scoprire cos'era successo a Ryuu: non sapere come stesse la stava facendo impazzire ancor più del dolore bruciante. D'un tratto sentì una strana energia pervaderla, ma durò così poco che pensò di essersela immaginata, e sii sentì adagiare su qualcosa di morbido che intorpidì i suoi sensi e poco mancò che le facessero perdere la concentrazione.
Con un gran sforzo di volontà riuscì finalmente a percepire le proprie labbra e a morderle a sangue, recuperando un minimo di lucidità e anche un controllo minimo del proprio corpo, che sentì pesante come il piombo e adagiato su dei cuscini. Provò a muoversi svariate volte, ma il suo corpo non accennò a risponderle.

Ad un tratto qualcosa di caldo la toccò dietro il collo e la tirò su, o almeno, questa fu la sensazione che provò, oltre ad una leggera vertigine e da un'intenso profumo di sandalo che le ricordò la lontana India. Subito dopo qualcosa di freddo e convesso premette contro le sue labbra e di riflesso le aprì, ma la richiuse quasi subito quando sentì un liquido amaro scivolarle giù per la gola. Passato il disgusto e dopo aver maledetto i propri sensi amplificati, si accorse che il bruciore nella pancia si era attenuato, e allora aprì di nuovo la bocca, contro cui fu di nuovo accostato l'oggetto freddo che le versò in bocca del liquido amaro.

Si costrinse a non sputare e a inghiottire tutto, e il dolore svanì completamente. Si sentì riadagiare delicatamente sul morbido e finalmente, sparito il dolore, riottenne la completa percezione del proprio corpo, e con quello il controllo delle proprie palpebre. Si tirò lentamente su, aprì gli occhi... e venne violentemente colpita da un caleidoscopio di colori che le fece girare la testa, notando però di essere sdraiata su un divano di pelle scura.

Facendo uno sforzo immane, riuscì ad aggrapparsi allo schienale e a guardarsi intorno: era all'interno di un loft, anche se era davvero difficile capire la natura dell'appartamento visto che l'arredamento le sembrava uguale in tutto e per tutto a quello di un salotto vittoriano, tanto che per un attimo temette di essere stata catapultata indietro nel tempo. Scoprì di essere all'interno di un quadrato formato da tavoli e divani, e una breve occhiata in giro le confermò che quello era effettivamente un loft, a giudicare dalla quasi totale assenza di pareti a dividere le stanze, separate grazie al mobilio.

Tutto era così sfarzoso, colorato e raffinato da farla sentire una mendicante e a farla sbuffare: i palazzi lussuosi erano una delle poche cose che non le mancavano affatto del secolo precedente, anche perché la facevano sentire a disagio, come dentro ad una gabbia. Dorata, ma pur sempre una gabbia, in cui dovevi fare attenzione anche a come respiravi e mantenere un certo contegno se non volevi essere immediatamente messa alla porta, se non lo facevano per il modo in cui ti vestivi. Se ti chiamavi Yumi Shin, poi, la seconda opzione era la più plausibile per essere cacciati via, visto che evitavi le gonne e i corsetti come la peste e preferivi andare in giro vestita come un gentiluomo piuttosto che come si confaceva ad una signorina. Cercò di alzarsi in piedi per andarsene da lì, ma le venne un capogiro e ricadde sul divano.

« Fai piano, ragazzina, o rischierai di perdere di nuovo i sensi » disse una voce vellutata sopra la sua testa.

Yumi si tirò su a fatica e aprì gli occhi, ritrovandosi a guardare un uomo che le sorrideva cordiale. Era piuttosto alto, poco più di lei, e sembrava avere sui diciannove anni; gli occhi allungati come quelli della ragazza, tradivano le sue origini orientali, anche se la sua pelle era color del caramello, invece che pallida. I capelli scuri gli ricadevano sul viso in un ciuffo colorato di azzurro sulle punte, impedendole di vedere il colore dei suoi occhi, che erano contornati da un sottile strato di eylener nero. Indossava una vestaglia nera con ghirigori dorati aperta sul davanti, che metteva allo scoperto un fisico tonico e asciutto, mentre le mani, piene di anelli e dalle unghie smaltate, reggevano un bicchiere con dentro del ghiaccio.

Annusando dell'aria, Yumi capì che era lui a emanare quel forte profumo speziato che aveva sentito in precedenza, e lo guardò stupefatta: non ricordava di aver mai visto un uomo più bello in tutta la sua vita. Le sembrò però che brillasse di svariati colori, e pensando di essere ancora piuttosto stordita si sfregò gli occhi, ma non servì a niente, se non a renderla consapevole di non avere le allucinazioni e che i capelli, gli occhi e persino i vestiti di quell'uomo erano coperti di glitter colorati che scintillavano alla luce della lampada. La ragazza strabuzzò gli occhi: ma chi era, la controfigura maschile e asiatica di Lady Gaga? L'uomo si accorse del suo sguardo e sogghignò.

« Faresti meglio a chiudere la bocca, mia cara, o ti cascherà la mascella sul pavimento ».

Yumi fece come le era stato detto e si mise a sedere sul divano. Così facendo si accorse che la treccia le era caduta lungo la spalla, e di non avere più il cappello in testa. Si portò di riflesso le mani tra i capelli, ma per fortuna le orecchie erano ben coperte, anche se non bastò a renderla meno irrequieta. Si guardò intorno alla ricerca del cappello, ma non lo vide da nessuna parte.

« Stai cercando questo? » disse l'uomo, tirandolo fuori da una tasca della vestaglia, stropicciato e con qualche glitter sulla stoffa.

Yumi represse gli istinti animaleschi che l'avrebbero portata a strapparglielo di mano senza nemmeno ringraziare e si trascinò sui cuscini fino ad essere abbastanza vicina da riuscire ad allungarsi e prendere l'indumento, calandosela sulla testa e sentendosi subito meglio.

« A...rigatou » disse senza preoccuparsi che potesse capirla, ma con sua sorpresa l'uomo le sorrise e disse:

« Non c'è di che. Sono contento di vedere che ti sei ripresa in fretta, non è da tutti resistere in quel modo all'icore demoniaco ».

Yumi si sentì talmente in soggezione di fronte a quel sorriso così caldo che non poté fare a meno di sorridere a sua volta. L'altro sorrise ancora di più, posò il bicchiere e le offrì la mano.

« Pensi di farcela ad alzarti o la vista della mia magnificenza è uno spettacolo troppo intenso da sopportate per una che si è appena ripresa da un avvelenamento? ».

Yumi, che aveva allungato la mano per prendere quella dell'uomo, si bloccò a mezz'aria e la ritirò, smettendo di sorridere e aggrottando le sopracciglia. L'altro la guardò perplesso.

« E ora che ti prende? Sei rimasta senza parole? Non c'è niente di cui vergognarsi, mia cara » disse, allargando le braccia. « Non sei certo la prima a cui faccio un simile effetto, ma considera che sei ancora convalescente e che forse faresti meglio a stenderti ancora per qualche minuto prima che la mia sensazionale bellezza rischi di farti collassare ».

Yumi si diede mentalmente della stupida per essersi fatta abbindolare dalla bellezza di quell'uomo: era evidente che era un completo idiota, uno di quelli che si credevano chissà chi solo perché Madre Natura gli aveva riservato un occhio di riguardo, e i palloni gonfiati come lui erano tra il genere che più detestava. Senza prestargli ascolto, arpionò la pelle dello schienale e si issò su, respingendo con una mano quella dell'uomo.

« Sto benissimo, grazie, non ho bisogno del suo aiuto » disse acida , ma non si curò di scusarsi: era ancora fresca dei tentativi di seduzione della vampira bionda, decisamente quella era la serata degli idioti.

Se lei era una fiera, però, quell'uomo era come un pavone, un pavone idiota e pomposo. L'altro non sembrò prendersela per la sua risposta, e scrollando le spalle riprese il drink in mano come se niente fosse.

« Faresti meglio a rimanere seduta, invece: non sembra che tu ti sia ripresa completamente » insistette, ma Yumi fece un gesto di fastidio con la mano.

« Ho detto che sto bene, grazie » disse.

Sentì le zanne crescere e si portò una mano alla bocca per nasconderle prima che l'altro potesse notarle, ma lui sembrò non accorgersene.

« Come preferisci » disse rigirando il contenuto del bicchiere.

Yumi si passò una mano sulla faccia e si guardò intorno, causando evidentemente il fastidio del padrone di casa.

« Dico, » disse, indispettito « hai di fronte a te un concentrato di magnificenza, eleganza e bellezza, e tu lo snobbi per guardare l'arredamento? ».

Yumi alzò gli occhi al cielo.

« Mi dispiace darle questa delusione, ma io non sono il genere di ragazza che va in calore non appena vedono un bell'uomo che però il più delle volte si dimostra essere solo una bella presenza tutto forma e niente sostanza ».

L'uomo la guardò allibito e si tastò il corpo come se non credesse alle proprie orecchie, arricchendo la convinzione di Yumi di trovarsi di fronte ad un pagliaccio.

« Tu... » disse lui, scioccato. « Tu... davvero... riesci a sminuire così facilmente... la mia magnificenza? ».

La ragazza sgranò gli occhi: non sembrava stesse scherzando, sembrava davvero sconvolto dalla sua indifferenza.

« Bè... » disse, squadrandolo da capo a piedi. « Non si può negare che lei sia decisamente un bell'uomo, ma niente per cui valga la pena tagliarsi le vene. E fare certe scenate da diva di Hollywood in pensione ».

L'uomo si portò entrambe le mani al petto con fare melodrammatico come se stesse per venirgli un infarto e la stanza si popolò di risate. Yumi si voltò e scoprì che c'era qualcun altro nella stanza, altri tre ragazzi di cui due si stavano rotolando dalle risate tenendosi la pancia, mentre il terzo, un bel giovane dai capelli neri e gli occhi azzurri, guardava smarrito verso di lei.

« Oh Raziel, sto morendo! » esclamò una dei tre, una stupenda ragazza dai lunghi capelli corvini e gli occhi scuri che sembrò estremamente familiare a Yumi.

« Se avessi saputo che avrei assistito ad una scena simile, avrei insistito a salvarla » disse il suo compagno, un muscoloso ragazzo dai capelli biondi e gli occhi dorati che però aveva la mano destra insanguinata. Yumi li guardò perplessa, soffermandosi soprattutto sul biondo.

« Se hai tutta questa forza per mordere ancora, significa che stai abbastanza bene » disse quest'ultimo, asciugandosi gli occhi. « Anche se questa tua abitudine ti ha fatto rischiare davvero grosso prima ».

La ragazza abbassò lo sguardo, ma rialzandolo per dire due cosette a quel pallone gonfiato, incrociò due occhi azzurri come il ghiaccio... e tutta la stanza e le persone presenti scomparvero immediatamente.

« RYUU!! » urlò buttandosi gattoni a terra.

Il lupo le saltò addosso quasi nello stesso momento e strusciò il muso contro il suo viso, mordendola e leccandola a più riprese.

« Ryuu... Ryuu... » mormorò la ragazza come un mantra, strusciandosi contro l'amico, affondando il viso nella sua pelliccia e contro il suo collo, mordicchiandolo e stringendolo forte tra le braccia senza riuscire a fermarsi. Si sentiva come il giorno in cui Ryuu era morto e rinato, e la felicità che provava era immensa. Le ansie e le paure degli ultimi minuti svanirono come d'incanto, e lei si sentì di nuovo completa: Ryuu era sano e salvo, ed era ancora lì con lei. Il lupo la leccò e la mordicchiò per un po', poi però si allontanò leggermente e la guardò severo.

« Gomennasai... mi dispiace molto, davvero... » sussurrò mortificata.

L'animale scosse la testa e morse la spalla della ragazza un po' più forte di prima, ma lei ci era talmente abituata che ormai non sentiva più niente.

« Hai ragione, lo so, ma non ho avuto tempo per pensare... ».

Ryuu strinse più forte e la ragazza cedette.

« Va bene, d'accordo: la prossima volta mi imporrò assolutamente di pensarci » sospirò.

Il lupo sembrò soddisfatto della risposta e lasciò la presa, poi mise le zampe anteriori sul petto della ragazza e le prese il collo tra i denti. Lei rise e l'abbracciò forte, calmandosi subito appena respirò l'odore della sua pelliccia.

« Avete finito di accoppiarvi? » sbottò il ragazzo biondo.

La ragazza e il lupo si voltarono simultaneamente e gli ringhiarono contro, e lui arretrò tenendosi la mano ferita.

« Per l'Angelo, che caratteraccio! Ma chi siete, voi due ? Lo zoo di Central Park ha forse concesso l'ora d'aria ai suoi ospiti? » esclamò.

Tuttavia Yumi non gli prestò attenzione: i suoi occhi si fissarono sulle braccia muscolose del ragazzo, sulla cui pelle svettavano inconfondibili marchi scuri, e sulla sua vita, circondata da una cintura da cui pendevano svariate armi. Anche gli altri due avevano il medesimo equipaggiamento, e tutti e tre avevano lo stesso abbigliamento: divise in cuoio nero come il carbone... la tenuta da combattimento degli Shadowhunters. Appena realizzò di trovarsi di fronte a tre guerrieri dell'Angelo, Yumi balzò sul divano e soffiò forte verso i tre ragazzi, che la guardarono sconcertati.

« A cuccia, bestiolina » disse il biondo cercando di avvicinarsi. « Non ci facciamo certo impressionare da- »

« Stai indietro!! » urlò Yumi snudando le zanne e acquattandosi pronta al balzo.

Il ricordo di quello che aveva passato negli ultimi mesi per colpa degli Shadowhunters era ancora troppo fresco, troppo vivo nella sua mente. Sapeva che quei ragazzi erano troppo giovani e non potevano c'entrare niente con quello che era successo col Circolo, ma ciononostante la sola vista di uno di loro bastava a risvegliare il lato peggiore di lei. Poco c'era mancato che qualcuno morisse davvero travolto dalla furia della Tigre, ma nessuno era morto, anche se aveva lasciato a tutti quei maledetti un bel ricordino, quindi era improbabile che si fossero dimenticati di lei.

Quei ragazzi però non erano Valentine e la sua combriccola, erano tre giovani che non sapeva se avessero preso parte o meno a possibili massacri dei Nascroti. Però il suo lato demoniaco non sembrava dello stesso parere, e se non lo ricacciava subito giù sarebbe successo l'irreparabile, ma era più facile dirsi che farsi: era difficile se non impossibile tenere in gabbia una tigre. Anche Ryuu, però, di solito quello razionale tra i due, si era acquattato a terra mostrando i canini al giovane, che guardò prima l'uno e poi l'altro sempre più confuso. Già Yumi sentiva il fuoco arderle nelle vene e gli artigli premere con forza contro la pelle dei guanti, bramosi di sfogarsi sulla pelle del mezzoangelo, quando la voce del giovane asiatico si fece sentire:

« Basta così, voi tre » .

I chiamati in causa si voltarono verso di lui, che si rivolse a Yumi:

« Mia cara, per quanto apprezzerei davvero tanto se tu e il tuo amico sbranaste il biondino e mi liberaste dalla sua presenza, potete però portarlo giù in strada e ucciderlo lì? Non vorrei che mi sporcaste la tappezzeria ».

Anche se era una battuta ( o almeno, Yumi immaginò che lo fosse), bastò a calmare la ragazza, che si sedette senza però ritirare le zanne. Ryuu balzò sul divano e si sdraiò posando la testa sul grembo della ragazza, continuando a guardare il biondo con ostilità.

« Per favore, » insistette il padrone di casa « il lupo non sul divano ».

I due lo guardarono e scesero sul pavimento, senza però separarsi: Yumi appoggiò la schiena contro il divano stringendo le braccia intorno al collo di Ryuu, che agitò e sbatté la coda da una parte all'altra.

« Cos'è, vivete in simbiosi? » disse il biondino, beccandosi un altro ringhio da parte dei due.

« Anche fosse, non credo sia un tuo problema » rispose Yumi.

« Lo dicevo per te: con quella palla di pelo che ti segue come un'ombra, i ragazzi scapperanno a gambe levate ».

Yumi si lasciò scappare una risatina isterica.

« Se basta la presenza di Ryuu a terrorizzarli, significa che sono poveri idioti senza attributi » sentenziò. « E comunque, anche se non ci fosse Ryuu avrebbero qualcosa di molto più pericoloso a cui fare attenzione ».

« Intendi il tuo caratteraccio? E' vero, farebbe scappare persino un demone Ravener » disse il biondo.

« Io invece sarei sorpresa di sentire che le ragazze accetterebbero comunque di venirti dietro una volta capito con che razza di testa di rapa si ritrovano a che fare ».

Si udì il rumore di uno sputo: l'uomo asiatico boccheggiò e rise al tempo stesso, tenendo lontano da sé il bicchiere.

« Mi dispiace deluderti, ma le ragazze ucciderebbero per poter aver l'occasione di passare anche solo una sera con me » disse il biondo, assumendo un'espressione sprezzante.

« Sei piuttosto combattiva, vedo » osservò il ragazzo incrociando le braccia.

« Più di quanto tu possa immaginare, biondino » rispose Yumi accarezzando Ryuu.

« Non mi chiamo "biondino", bestiaccia» ribadì l'altro, iniziando ad alterarsi.

« Preferisci che ti chiami "Riccioli d'oro"? » rispose la ragazza. « Dovresti limitare l'uso dell'acqua ossigenata, a quanto pare oltre a togliere colore ai capelli rimuove anche ossigeno dal cervello ».

La ragazza corvina crollò su un divano e scoppiò a ridere fino alle lacrime tenendosi la pancia, mentre il giovane orientale si voltò dall'altra parte per non farsi vedere sghignazzare. Il biondo li fulminò con lo sguardo e poi riportò gli occhi dorati a incrociare quelli blu di Yumi.

« Preferirei che mi rispondessi, invece » disse. « Si può sapere che razza di essere sei? ».

« Cosa ti fa credere che te lo direi? » lo sfidò Yumi, assottigliando lo sguardo. Il giovane fu sul punto di ribattere, ma fu prevenuto.

« Non è necessario ».

Yumi si voltò e vide che a parlare era stato il ragazzo che era rimasto in silenzio per tutto il tempo. Lo guardò negli occhi: erano azzurri come l'acqua cristallina, e sembravano puri e innocenti come quelli di un bambino, cosa alquanto strana per uno Shadowhunter. Aggrottò le sopracciglia: la sua anima era dorata come quella di tutti i Nephilim, ma la sensazione che le lasciava era diversa da qualunque altra vista fino a quel momento, le dava un senso di... immacolato, genuino. Quello, unito all'espressione incerta e timorosa con cui la guardò, suscitò in Yumi un moto di tenerezza che la fece sorridere e alzare in piedi, smettendo la sua posizione minacciosa. Guardandolo meglio si accorse però che c'era qualcosa di davvero tremendamente famigliare in lui...

« Scusa, ma... per caso ci siamo già incontrati? »

« N-No, non credo » rispose l'altro, passandosi una mano tra i capelli e arrossendo in modo così tenero da renderlo adorabile agli occhi di Yumi, che si ritrovò a sorridere dolcemente.

« N-Non conosco molto stregoni, mi dispiace ».

Il sorriso morì sulle labbra della ragazza, che riassunse la sua espressione guardinga. Prima che potesse dire qualcosa, il biondo l'anticipò.

« E' tutta la sera che tiriamo a indovinare » sbuffò annoiato.

Il moro fece un vago gesto verso la ragazza.

« Le ho... toccato la pancia, prima... e ho sentito che non ha ombelico ».

« Il mistero si infittisce » commentò il biondo colpito.

« EHI! » urlò Yumi, ottenendo finalmente l'attenzione dei due, che la guardarono preoccupati.

« Cosa vuol dire " è tutta la sera che proviamo a indovinare"? Che significa che mi hai toccata? Cos'è successo e dove mi avete portata?? » esclamò a gran voce.

Il moro guardò i compagni e si fece avanti.

« Hai ragione, scusa... ora ti spiego » disse, prendendo un profondo respiro.

Yumi sentì la rabbia attenuarsi ma non svanire completamente, mentre Ryuu si tirò su e le si affiancò.

« Piacerebbe anche a me saperlo » disse il giovane asiatico mettendosi accanto al giovane moro, che arrossì.

« Eravamo anche noi al Pandemonium » disse il ragazzo tornando a rivolgersi a lei. « Ti... abbiamo sentita cantare... e allora abbiamo pensato che potessi essere una sirena, o un vampiro... eri così coperta che era difficile capire cosa fossi... senza offesa... »

« Non ti preoccupare » disse la ragazza, esortandolo ad andare avanti.

« Dopo ti abbiamo vista parlare con un licantropo, e sembravate così seri che ci siamo chiesti se non fossi anche tu un lupo mannaro e se stavate discutendo di problemi politici all'interno del vostro branco » disse, guardando verso la compagna come per trarre coraggio per andare avanti. Lei gli fece un cenno affermativo e lui tornò a guardare Yumi.

« E dopo... ci siamo accorti che quel demone ti aveva puntato, così ti abbiamo seguito... »

« Perché l'avete fatto? » lo interruppe Yumi. « A meno che non foste lì per puro divertimento, cosa di cui dubito fortemente a giudicare dal vostro equipaggiamento, cosa vi ha spinto ad abbandonare quello per cui eravate là e seguire invece una perfetta sconosciuta che poteva rivelarsi un pericolo inatteso? ».

Il ragazzo boccheggiò incapace di ribattere, guardando i compagni in cerca di sostegno, ma anche loro lo guardarono con l'aria smarrita di chi non sa quali pesci prendere. Il padrone di casa invece li guardò sospettoso, certo che non stessero raccontando tutta la verità, cosa di cui fu certa anche Yumi, che però alla fine si stancò di aspettare.

« Lasciate perdere » tagliò corto. « Prego, continua ».

L'altro sospirò di sollievo, ma a Yumi non sfuggì lo sguardo inquisitore che l'uomo asiatico gli riservò.

« Pensavamo potesse servirti aiuto con quel demone, ma... da quel che abbiamo visto sei più che in grado di cavartela da sola » e sorrise sinceramente alla ragazza, che suo malgrado ricambiò.

Non mancò però di notare il padrone di casa irrigidirsi, e un sospetto cominciò a farsi strada nella sua testa.

« Poi però sei svenuta e allora ti abbiamo soccorso » spiegò conciso, arrossendo imbarazzato.

Ecco spiegata la sensazione di volare: questo ragazzo deve avermi preso in braccio pensò Yumi, sentendosi al tempo stesso sollevata nello scoprire che non erano stati i succubi della vampira a rapirla e infastidita all'idea che un ragazzo fosse arrivata a toccarla senza che lei potesse fare niente. Tutto sommato però non riusciva a sentirsi arrabbiata, e anche se aveva ancora parecchie domande da fare, non era carino dimostrarsi ingrati verso quei ragazzi.

« Siete stati incoscienti, » disse « ma vi sono grata per avermi salvata: grazie ».

« F-figurati » balbettò il moro. Yumi inarcò un sopracciglio: era timido e impacciato di natura o aveva semplicemente paura di lei dopo aver visto cos'era in grado di fare?

« Avessi visto la faccia che ha fatto quando si è chinato sul tuo petto per sentirti il cuore, pensavamo si fosse preso la scossa » ridacchiò la ragazza, ricevendo un'occhiataccia dal compagno.

« Siete rimasti sorpresi anche voi » ribatté.

La sua compagna rise e gettò all'indietro la testa. Yumi si guardò soprappensiero il petto e poi guardò le forme della ragazza: erano decisamente più abbondanti delle sue, e molto più in mostra. Perché quel ragazzo era andato in iperventilazione dopo averle toccato il  petto, che in confronto a quello della sua amica era striminzito? Forse però era stata la sorpresa di scoprire di avere a che fare con una ragazza, quando dovevano averla certamente scambiata per un ragazzo, come aveva fatto notare prima il giovane, e a ragion veduta: sfidava chiunque a indovinare il suo sesso con il suo corpo e la testa quasi completamente coperti da una felpa di due taglie più grandi. Con la coda dell'occhio si accorse che il ragazzo asiatico non sembrava affatto divertito, e per di più aveva le labbra serrate.

« E com'è che ci ha dovuto pensare lui a sentire se questa ragazza era ancora viva? » disse soppesando le parole.

« Perché è l'unico che il cagnolino qui presente ha fatto passare senza minacciare di sbranarlo » borbottò il biondo indicando Ryuu, che ululò brevemente.

« Se ha fatto passare il vostro amico invece di voi due, » intervenne Yumi « significa che lo ha ritenuto molto più degno di fiducia di voialtri » e trovo che abbia avuto ragione pensò senza dirlo ad alta voce.

Non sapeva perché, ma percepiva che c'era qualcosa, in quel giovane, che agli altri due mancava, e non la sorprese che anche Ryuu avesse avuto la stessa impressione.

« Per me si è preso una cotta per lui » disse il biondo, sghignazzando di fronte all'espressione smarrita del compagno.

« Invidioso, giovane Shadowhunter? » insinuò Yumi, sorridendo furbamente.

« Di cosa? Di non trovarmi addosso un sacco di pulci in calore che potrebbe coprirmi di bava? No grazie, ne faccio volentieri a meno » sbottò l'altro agitando un braccio.

« Disse la volpe dell'uva » commentò Yumi, sbuffando.

Il giovane la guardò confuso, e anche gli altri due, al che la ragazza sbuffò di nuovo.

« Questi figli dell'Angelo e la loro ignoranza... » sospirò passandosi una mano sulla fronte.

« E' una battaglia persa in partenza, mia cara: non sia mai che un prescelto di Raziel si abbassi ad una simile onta » disse con fare melodrammatico il giovane asiatico.

Yumi lo guardò inarcando un sopracciglio: non sembrava uno Shadowhunter, quindi doveva essere sicuramente un Nascoto, o non avrebbe certo detto quelle cose.

« Non gli farebbe male imparare un po' a stare al mondo, invece » disse.

« Cosa vorresti insinuare? » disse il biondo, alterandosi.

« Che voi Shadowhunters vi credete superiori a chiunque altro faccia parte del Mondo Invisibile, ma anche se ci abitate come noi a volte è come se viveste ai margini e steste a guardare a bordocampo, perché non sapete davvero cosa vi succede all'interno, e figuriamoci se vi passa per l'anticamera del cervello di spendere qualche minuto del vostro preziosissimo tempo che non perdete a rimirare la vostra presunta " superiorità" » virgolette con le dita « per rendervi conto di quello che succede intorno a voi. E per informarvi un minimo della cultura altrui, invece di mummificarvi sulla vostra » borbottò Yumi, incrociando le braccia.

La sua spiegazione però servì a lasciare ancor più confusi i tre ragazzi, al che lasciò cadere le braccia e si arrese.

« Mattaku mou, lasciamo perdere » sospirò agitando la mano.

« Non parlare una lingua che non sappiamo » sbottò il biondo.

« E' un problema vostro » disse Yumi. « Comunque, tornando al discorso di prima: penso che la tua sia solo invidia perché il tuo amico non è stato morso da Ryuu » .

« E non è l'unico a cui piace mordere, a quanto sembra » sbuffò il giovane.

« No, infatti » disse calma Yumi.

« E a cui piace abbaiare, anche » insistette l'altro. « Cosa saresti, di preciso? Seriamente: è tutta la sera che cerchiamo di venirne a capo: canti come una sirena, ringhi e mordi come un lupo, sputi fuoco come un drago, hai il marchio degli stregoni sulla pancia e combatti come uno- ».

Un ruggito possente proruppe dalle labbra della ragazza, che si buttò sul ragazzo atterrandolo sul pavimento e ringhiandogli a un soffio del viso.

« Non. Osare!! » disse a denti stretti. « Non ti azzardare a completare la frase, o sarà peggio per te! ».

Il giovane cercò di liberarsi, ma Yumi gli premette il ginocchio contro il ventre.

« Per favore... per favore, lascialo andare » intervenne il suo amico moro.

Yumi alzò lo sguardo su di lui, lo riabbassò sul biondo guardandolo con diffidenza, ma poi anche Ryuu cercò di tirarla via da lì e quindi si arrese, tirandosi su senza però ritirare le zanne.

« Che cosa sei? » ripeté il ragazzo dagli occhi dorati.

Yumi chiuse gli occhi e prese un bel respiro.

« Non sono un drago » cominciò. « Ho sempre sognato di vederne uno dal vivo, ma sei piuttosto in alto mare, Nephilim; non sono nemmeno una sirena, ma che il mio canto piaccia così tanto da essere scambiato per quello delle sirene è un altro discorso ».

Fece una pausa e infine disse:

« Non sono un licantropo... ma resto pur sempre una mutaforma; una strega, mutaforma . Capito adesso, moccioso? ».

Il biondo sgranò gli occhi e guardò la ragazza da capo a piedi.

« Non era nostra intenzione offenderti » intervenne il giovane moro. « Ma ti abbiamo vista combattere e abbiamo erroneamente pensato che tu potessi essere... ».

Yumi lo fulminò con un'occhiata che lo ammutolì all'istante.

« Non mi sembra che sia scritto da qualche parte che agli stregoni non è permesso imparare a padroneggiare le armi, né tantomeno saper usare la magia in un modo un po' diverso dal solito; o il vostro bigotto sistema legislativo vuole ottenere la supremazia completa anche sul tenore di vita a cui dovremmo attenerci noi Nascosti? » sibilò furiosa.

« Mi dispiace » disse il giovane. « Non... ti paragoneremo più ad una di noi » .

« Sarà meglio » disse secca Yumi, rimanendoci però male a vedere l'espressione affranta del ragazzo: in fondo aveva solo cercato di rimediare a quello che aveva combinato il suo amico; lui non aveva nessuna colpa, e lei invece lo aveva aggredito senza pietà. Proprio quando stava per chiedergli scusa, il biondo diede di nuovo aria alla sua boccaccia:

« Siamo solo sorpresi, non ci saremmo mai aspettati di scoprire che esistono anche Stregoni con gli attributi che non pensano tutto il tempo al trucco o a non fare niente che possa sporcargli i vestiti ».

Il suo amico lo fulminò con gli occhi, ma la voce dell'asiatico si fece di nuovo sentire.

« Stai forse alludendo a qualcuno in particolare? » chiese mellifluo, avanzando con eleganza e parandosi quasi di fronte al ragazzo.

« Se conosci altri stregoni pigri e indolenti, con glitter fin dentro al naso che non escono di casa se non sembrano un manichino del centro commerciale con le gambe, che cambiano vestiti ogni tre per due perché non gli sembra che si intoni con la luce della giornata, dimmelo » disse strafottente lui, facendogli una smorfia.

« Bene bene » disse l'altro. « La prossima volta che ti servirà una mano allora risparmiati pure la fatica di chiedere aiuto a questo indolente stregone ».

Le orecchie di Yumi si rizzaronoe lei guardò con attenzione l'uomo per la prima volta, non riuscendo però a trovare niente di insolito, o meglio, non quel particolare insolito.

« Mi scusi... » disse titubante.

« Sì, mia cara? » disse l'altro passandosi una mano tra i capelli.

« Anche lei è uno...? » ma le parole le morirono in bocca quando l'uomo si scostò i capelli dal viso, permettendole di vedere per la prima volta i suoi occhi: non erano occhi umani, ma verdi e brillanti occhi da gatto screziati di pagliuzze dorate.

Si perse a contemplarli senza volerlo: erano davvero bellissimi, nemmeno i suoi brillavano così quando li manifestava. Ed era bellissimo anche lo stregone a cui appartenevano, s'intonavano davvero bene con la sua carnagione scura e i capelli neri. Un momento: uno stregone con occhi da gatto, che si vestiva in maniera piuttosto eccentrica ed era piuttosto megalomane... uno stregone... con occhi da... gatto... no, non poteva essere. Aggrottò le sopracciglia e mise a nudo la sua anima, venendo violentemente colpita da colori caldi del fuoco intensi. La sua aura emanava una potenza senza pari da farle venire la pelle d'oca e rabbrividire.

« Tutto bene? » chiese l'uomo guardandola preoccupato.

Yumi scosse la testa e negli occhi, prendendo un grosso respiro: aveva paura, tanta paura. Aveva inseguito quell'uomo per tutta la vita, l'aveva cercato dappertutto arrivando sempre ad un passo dal raggiungerlo per poi vederselo sfuggire da sotto gli occhi prima di poter anche solo incontrare. Trovarselo così davanti agli occhi all'improvviso era... assurdo. Considerato poi che era reduce dall'offerta di una vampira il cui pagamento era proprio la possibilità di farglielo incontrare di persona... se non quella non era ironia del destino, allora non sapeva come altro chiamarla.

Si sa, però, che quando il destino ci mette lo zampino, lo fa inaspettatamente, proprio quando ormai ogni speranza sembra perduta. Per questo non riusciva ad aprire la bocca e a pronunciare quelle semplici parole che avrebbero finalmente messo fine a quel tormento che l'assillava da duecento anni, le aveva conservate così a lungo che ormai erano radicate dentro la sua gola e non volevano saperne di uscire. In suo aiuto venne il suo speciale compagno, che le prese la mano tra i denti e la mordicchiò. Yumi abbassò lo sguardo e incrociò quello cristallino di Ryuu, da cui trasse tutto il coraggio di cui aveva bisogno e che la fece rialzare la testa e sostenere lo sguardo del padrone di casa.

« Mi perdoni la franchezza, ma... ».

Strinse forte i pugni, sentendosi incapace di proseguire. Ganbare [forza e coraggio], Yumi: ce la puoi fare! pensò con forza. Chiuse gli occhi, prese un bel respiro, contò fino a dieci e...

« Lei... lei è forse il Sommo Stregone di Brooklyn, Magnus Bane? » .

Un sorrisino soddisfatto si allargò da un angolo all'altro della bocca del giovane.

« In carne ed ossa: al tuo servizio, mia giovane e graziosa collega » disse accennando un breve inchino.

Tutta la tensione accumulata in quei pochissimi minuti esplose nella testa di Yumi, che ebbe un capogiro e si accasciò sul divano, prendendosi la testa tra le mani: razza di stupida, selvaggia, insolente e maleducata! Aveva davanti il Sommo Stregone più famoso della storia e lo aveva trattato come fosse un pezzente qualsiasi! A sua difesa però c'era da dire che magari avrebbe potuto rivelarsi fin da subito invece di perdere tempo a pavoneggiarsi e rischiare di subire un trattamento peggiore dalla ragazza.

« Tutto bene laggiù? Sembra quasi che tu abbia appena visto un fantasma » disse il biondo.

Yumi si sentì punta sul vivo e soffiò verso il ragazzo, che arretrò frapponendo un tavolo tra sé e la ragazza.

« Piano, tesoro » disse Magnus. « O i miei vicini penseranno che tengo una tigre in casa ».

Yumi lo fulminò con lo sguardo.

« Qualcuno stanotte non torna a casa » disse allegra la ragazza coi capelli neri, nascondendo un sorriso dietro la mano.

« O ci ritornerà a pezzi » borbottò Yumi, ricadendo sui cuscini.

« Una strega in grado di assumere le sembianze del proprio lato demoniaco, una vera rarità » disse Magnus, sorridendo come se avesse appena scoperto un tesoro prezioso.

Yumi lo guardò storto.

« Non fare così, su » disse sorridendo l'altro.

Yumi inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia. Magnus la guardò incerto e divenne pensieroso.

« Uhm... » disse, passandosi una mano sul mento. « Una strega che ringhia come una tigre...accompagnata da un lupo col manto color argento... Ma certo! »

« Eh... Magnus, tutto bene? » disse il ragazzo moro, avvicinandosi preoccupato.

Magnus lo ignorò e si rivolse a Yumi.

« Ho forse io il... piacere di trovarmi di fronte a Yumi Shin, l'intrepida Strega Guerriera altresì conosciuta come la fiammeggiante Tigre Nera, e al suo compagno chiamato il Dragone Argentato? ».

Yumi non si stupì che sapesse chi erano loro, anche se restava l'incognita relativa a cosa quanto conoscesse effettivamente. Decise di non chiederglielo e di rimanere sul vago.

« Lei... lei ci conosce? » .

« Conoscervi? » l'altro sembrò piuttosto divertito dalla sua domanda. « Mia cara, la vostra fama è arrivata ovunque, chiunque nel Mondo Invisibile sa di te e del tuo amico e di quanto siete stati fondamentali in questi ultimi vent'anni ».

La ragazza scambiò uno sguardo con Ryuu, che annuì col capo, e allora si arrese.

« Sì signore, siamo noi » disse, alzandosi e allungando la mano verso il lupo, che l'affiancò premendo il muso contro il suo ventre.

« Allora permettetemi di dire che è un vero onore, per me, conoscervi finalmente di persona » disse lo stregone, inchinandosi di nuovo.

Yumi fece una smorfia: Magnus sembrava piuttosto entusiasta di conoscerli, entusiasmo che però era ricambiato a metà dalla ragazza, visto che non si poteva dire che fossero partiti col piedi giusto con lui. Cercò tuttavia di non dare a vedere i suoi pensieri e di mostrarsi il più possibile educata:

« L'onore è tutto nostro, Bane-sama » disse Yumi inchinandosi a sua volta.

Ryuu si limitò a piegare leggermente il capo in avanti.

Lo stregone guardò sorpreso Yumi.

« Non c'è bisogno di tutto questo formalismo, mia cara: puoi rivolgerti a me in modo più semplice » disse sorridendo incoraggiante.

« Non posso » disse la ragazza, scuotendo la testa.

« Perché no? ».

Yumi esitò prima di rispondere.

« Perché ci siamo appena conosciuti, non posso darle tutta questa confidenza; e poi è più grande di me, e per di più è un Sommo Stregone, mentre io sono una strega qualunque, e poi perché... »... perché tu sei figlio di un Principe dell'Inferno e io di un demone di classe media; anche i nostri status sociali sono distanti anni luce tra di loro... pensò, ma non lo disse.

«... perché è buona educazione, e perché prima sono stata insolente. Mi dispiace molto » disse invece, chinando il capo.

Magnus la guardò piuttosto confuso, se non sconcertato.

« Non... non darti pensiero » disse incerto.

Yumi non accennò ad alzare gli occhi, al che lui le venne vicino e le sollevò delicatamente il volto con due dita.

« Dico davvero, Yumi » disse, ora più serio. « Non hai niente di cui scusarti. Anzi, ti faccio i miei complimenti: è raro trovare ragazze così carine ma al tempo stesso così agguerrite ».

Yumi alzò gli occhi al cielo ma si lasciò scappare un sorriso e si liberò delicatamente dalla presa dello stregone.

« E non hai alcun bisogno di essere così formale, non è vero che sei una strega qualunque: so che sei piuttosto rinomata tra la nostra gente, forse anche più di me ».

Sembrò realizzare solo in quel momento quello che aveva detto e si fece pensieroso.

« A pensarci bene, credo forse di aver sentito pronunciare più il tuo nome che il mio... rischi di rovinarmi la piazza, mia cara » ma lo disse sorridendo e facendole l'occhiolino.

Yumi però si accorse che non era un sorriso del tutto autentico, e che forse la cosa gli dava giustamente più fastidio di quanto non volesse far trasparire.

« Posso assicurarle che non intendevo affatto cercare di surclassarla o provare a prendere il suo posto... io volevo solo aiutare la nostra gente... ».

« Non l'ho mai pensato » disse Magnus. « Però non mi sembra che tu ti renda effettivamente conto di quanto vali: credi forse quei Nascosti che ti ammirano pensino di te in quei termini solo perché non hanno niente da fare tutto il giorno? ».

Suo malgrado, Yumi si ritrovò piuttosto imbarazzata a sentirsi ribadire quel concetto, e anche se non era la prima volta che qualcuno lo faceva, ancora lei non riusciva a mettersi l'anima in pace e ad accettarlo. Si ritrovò incapace di rispondere e si limitò a sollevare la spalle e sorridere debolmente a Magnus, che invece le sorrise piuttosto caldamente, cosa che scaldò nuovamente il cuore della ragazza: perché nessuno le aveva mai detto quanto fosse dannatamente bello il Sommo Stregone?

« Comunque non preoccuparti: se per te è meglio così, rivolgiti pure a me come meglio preferisci » la rassicurò l'altro.

« Fermatevi un attimo, voi due ».

La voce fastidiosa del biondo interruppe il momento e portò i due stregoni a guardarlo seccati.

« Cosa vuoi, Shadowhunter? » sbuffò Yumi.

« Che voi due terminate il vostro amoreggiamento da Stregoni e vi ricordiate che noi siamo ancora qui » rispose l'altro.

Yumi guardò verso Magnus nello stesso momento in cui anche lui si voltò a guardarla.

« Questo pallone gonfiato ossigenato è un suo amico? » chiese la ragazza.

« No, e se vuoi mangiartelo prego, fai pure » rispose Magnus invitandola ad accomodarsi.

« Sarebbe una bella soddisfazione, ma purtroppo sono vegetariana ».

« E che razza di Tigre saresti se non ti piace la carne? » disse Magnus strabuzzando gli occhi.

« Una che ama tantissimo gli animali e che li considera migliori delle persone » e accarezzò la testa di Ryuu, che strusciò il muso contro il suo fianco.

Magnus rimase un po' interdetto, ma alla fine sospirò e sorrise.

« Però ti piace mordere lo stesso » borbottò il biondo.

« Se è per difesa certo, lo faresti anche tu se ti trovassi costretto » ribadì la ragazza.

« Per l'Angelo... » borbottò il giovane passandosi una mano tra i capelli.

« Al vostro Angelo verrebbero i capelli bianchi se sapesse che lo invocate per cose così futili » ribatté Yumi.

L'altro fece un gesto di fastidio e Yumi si accorse che aveva ancora la mano ferita: in un soffio coprì la distanza che la separava dal ragazzo e gli prese la mano tra le proprie. Il giovane cercò di sottrarsi, ma rimase sorpreso dalla fermezza della presa di Yumi.

« Ti è andata bene, biondino » disse lei guardandogli l'arto con occhio critico. « Ancora un po' e l'avresti persa per sempre ».

« Io volevo solo aiutarti, ma il tuo cane da guardia ha pensato volessi aggredirti » sbuffò lui.

« Forse non sei stato convincente » disse Yumi iniziando a premere delicatamente in certi punti della mano in modo da districare le ossa una delle altre e rimettere insieme i frammenti più grossi di quelle spezzate. Nonostante stesse facendo il più piano possibile, il ragazzo si lasciò scappare un lamento.

« Per l'Angelo, fai piano » brontolò.

« Mattaku mou, la smetti di lamentarti? Sei peggio di una donnetta » esclamò spazientita Yumi.

« Tu invece di femminile hai solo le forme, è nella natura di voi stregoni essere all'opposizione per eccellenza? »

« E tu sei sicuro di avere tutti i pezzi al posto giusto? Comincio a pensare che ci sia una gran carenza di personale, laggiù nei piani bassi ».

Il giovane Shadowhunter aggrottò le sopracciglia confuso, ma quando capì si alterò e cercò di colpirla con un pugno, ma Yumi gli strinse la mano così forte che si batté la mano sulla coscia e si morse le labbra.

« Non ti conviene sfidarmi, ragazzino » disse calma, riprendendo a curarlo. « Piantala o ti capiterà di peggio di una mano sbranata ».

« Questa ragazza mi piace » disse compiaciuto Magnus.

« Sì, finché non diventerai tu il suo bersaglio » sbuffò il biondo, beccandosi un'altra fitta dalla presa di Yumi, che però sorrise.

Quando le sembrò di aver rimesso a posto i pezzi, chiuse le mani a coppa intorno a quella del ragazzo, che da sola era grande quanto le sue due messe insieme: queste si illuminarono d'azzurro e ben presto la mano fu sanata.

« Eccoti servito » disse, soddisfatta.

Il giovane borbottò qualcosa di poco lusinghiero e le voltò le spalle.

« Sei molto portata per gli incantesimi di guarigione » disse Magnus dietro la ragazza, che ebbe un brivido lungo la spina dorsale.

« La prego, non mi arrivi più alle spalle in questo modo » disse Yumi, voltandosi.

L'altro tenne in alto le mani e arretrò.

« Che sta facendo? »

« Mi tengo a distanza nel caso tu decida di farmi fuori per esserti arrivato alle spalle senza preavviso » rispose lui.

Yumi scambiò uno sguardo perplesso con Ryuu e poi guardò lo stregone.

« A proposito, Bane-sama... » cominciò.

« Sì? »

« Ecco... le porgo le mie scuse per la mia reazione di poco prima. E' solo che... ho sentito così tanto parlare di lei che... realizzare di averla davanti in carne ed ossa, ecco... »

« ... ti ha sconvolto, lo capisco » disse lo stregone. « Ma è naturale: non basterebbe un secolo per prepararsi ad ammirare la mia splendida persona e poi vederla dal vivo ».

Stavolta Yumi scambiò uno sguardo sconvolto con Ryuu.

« Anch'io ho sentito molto parlare di voi » riprese Magnus, e Yumi si fece attenta. « Mi sarebbe piaciuto avere l'occasione di vedervi in azione ».

« Bè... » cominciò Yumi, ma fu bruscamente interrotta dal biondo.

« Oh insomma Magnus, si può sapere chi sono questi due?? » esclamò.

Yumi scambiò uno sguardo d'intesa con Magnus come a dire "a quanto pare non è come pensava" ed entrambi guardarono il biondo come due cospiratori.

« Vedi cosa intendevo riguardo all'attitudine di voi Nephilim di vivere ai margini del Mondo Invisibile? » sospirò Yumi.

« Basta coi giochetti da stregoni, micetta: dammi una risposta chiara ».

Yumi si morse le labbra e guardò Magnus, che indicò con un cenno il biondo e si toccò leggermente il petto. La ragazza capì e fece un leggero cenno del capo.

« Sono solo la strega più educata degli ultimi cento anni e la sua guardia del corpo a quattro zampe, niente di strano » rispose Magnus.

Yumi si trattenne a stento dal ridere e battersi la fronte con il palmo della mano. Il giovane Shadowhunter invece non ci trovò niente di divertente, ma prima che qualcun'altro potesse dire qualcosa, nell'aria si levò un leggero miagolio. I presenti abbassarono lo sguardo e videro un gattino bianco, poco più che un cucciolo, a strisce grigie e orecchie rosa spennacchiate, strusciarsi contro le caviglie di Yumi, che guardò interrogativa verso il padrone di casa.

« A quanto pare abbiamo svegliato Presidente Miao » disse sorridendo.

Yumi tornò a guardare il micio e si chinò, si sfilò il guanto destro e porse il dorso della mano al micio. Questi l'annusò curioso e ci si strusciò contro. La fanciulla fece scorrere le dita affusolate lungo il corpo del gattino, sotto il suo mento e contro il suo muso, ricevendo in cambio delle sonore fusa di apprezzamento.

« Anche per me è un piacere conoscerti, Presidente » disse la ragazza, sorridendo.

Il piccolo allora abbrancò la mano di Yumi, che lo girò in modo che il gatto le cadesse sul palmo e se lo portò all'altezza del cuore. L'animale si strusciò entusiasta contro il petto della fanciulla, che lo cullò guardandolo con dolcezza. Ryuu le posò la testa sul braccio per guardare meglio il gatto, e senza dire niente Yumi lo adagiò ai suoi piedi, cogliendo lo sguardo contrario del suo padrone ma facendogli subito intendere che non aveva nulla da temere. Il lupo si accucciò al livello del micetto, che lo guardò ruotando il capo da una parte all'altra, poi gli venne vicino e gli leccò il naso.

Ryuu rispose leccandolo a sua volta e facendolo cadere nuovamente sulla schiena, ma il piccolo si rialzò subito e si strusciò contro il naso del lupo, che prese a colpirlo giocosamente con il muso e a mordicchiarlo. Ad un certo punto il micio gli saltò sul muso e si issò sulla sua testa arrampicandosi fino a raggiungere la sua schiena, con lui che cercò di acchiapparlo con la bocca senza però riuscirci, e si lasciò scivolare giù ruzzolando a terra, dove venne finalmente catturato dai denti di Ryuu e depositato tra le sue zampe anteriori.
Il gattino allora si strusciò contro il petto del lupo, mentre lui gli mordicchiò la testolina finché il piccolino non si acciambellò tra le sua zampe e si addormentò.  Ryuu incrociò le zampe in modo da avvicinarlo il più possibile al proprio corpo e poi appoggiò la testa a terra, vegliando sul sonno del micino come un genitore che sorveglia il proprio cucciolo.

Yumi non poté fare a meno di sorridere dolcemente, avvertendo però nel contempo anche una fitta di tristezza: mai avrebbe smesso di sentirsi in colpa all'idea di aver rovinato la vita a Ryuu e di averlo privato della possibilità di trovarsi un branco e magari avere un giorno una compagna e dei cuccioli propri... Il lupo alzò la testa e si sporse verso di lei, leccandole la faccia quando fu a portata. Yumi sorrise e lo accarezzò.

« Sembra che Presidente vi abbia preso in simpatia » osservò Magnus.

Prima che Yumi potesse dire qualcosa, fu di nuovo anticipata dal biondo.

« Tra simili ci si piglia » disse sogghignando.

Ryuu ringhiò verso di lui.

« Ti faccio i miei complimenti, biondino » disse Yumi, accarezzando l'amico.

« Perché? »

« Perché di solito sono io quella che deve essere riportata all'ordine, non Ryuu. Tu stai invertendo i nostri ruoli, e questo non va bene » disse seccata.

« Se il tuo amico è stupido, non ci posso fare niente » disse l'altro, alzando le spalle.

« Io invece speravo di poter incontrare dei biondi con tutti i neuroni ancora vivi, invece sembra che sia condannata a trovarmi davanti solo casi di suicidi di massa ».

« Gattaccia insolente » l'apostrofò il ragazzo.

« Ho qualche secolo più di te sulle spalle, ragazzino: se speri che sia così facile battermi, hai ancora molto da imparare » soffiò Yumi tra i denti.

Il giovane la guardò e sospirò.

« Faresti meglio ad andartene, » disse « o il tuo cagnolino non si staccherà più da quel topo ».

« Non mi serve la maestrina, lo so benissimo. E in ogni caso, non sei tu quello che dovrebbe dirmelo » disse Yumi guardando Magnus, che li osservava a braccia conserte.

« Non credo sia una buona idea che voi due passiate la notte qui » .

Sembrava alquanto scocciato, ma Yumi pensò che chiunque si sarebbe sentito così se avesse visto il proprio gatto, poco più che un cucciolo, tra le zampe di un metro e sessanta di lupo grigio con una testa grossa il doppio del corpo del gattino.

« Non è necessario, infatti » si affrettò a dire Yumi. « Ce ne andiamo subito ».

Ryuu capì l'antifona e colpì delicatamente il gattino col muso.

« Scusa piccolo » disse Yumi, vedendolo soffiare per essere stato svegliato. « Ma non mi va di subire l'ira del tuo padrone se ti dovesse succedere qualcosa. Per favore, vieni qui ».

Tra lo stupore di tutti, il micio si alzò obbediente e trotterellò verso Yumi, che lo prese in mano e lo mise in braccio al suo padrone. Il gattino non sembrò molto soddisfatto di quel cambio di posizione, ma si calmò con una carezza di Yumi, a cui ricambiò con una leccata prima di acciambellarsi tra le braccia del padrone.

« Sei un'incantatrice di animali, per caso? » chiese lui stupito .

« No, ma mi è più facile ragionare con loro che con le persone » sospirò Yumi, rimettendosi il guanto. Guardò poi i presenti uno per uno.

« Vi sono molto grata per avermi salvato la vita » disse , poi si soffermò sul padrone di casa e si mise a frugare nel marsupio. « Quanto le devo? ».

Magnus sbatté gli occhi e aprì leggermente la bocca.

« Non... non mi devi niente, cara ».

Yumi si bloccò e lo guardò sospettosa.

« Per colpa mia si è dovuto scomodare a quest'ora della notte e le ho fatto consumare ingredienti per una pozione » disse, indicando un tavolino dietro lo stregone su cui capeggiavano un pentolone ancora fumante e una serie di boccette di vetro piene di strani ingredienti, che sicuramente erano stati la base per quella bevanda amara che la ragazza aveva bevuto e di cui avvertiva ancora il sapore in bocca.

« Ripagarla mi sembra il minimo » disse tirando fuori una custodia di pelle scura.

Lo stregone la guardò sbigottito, completamente disarmato dalla schiettezza della ragazza. Se anche gli altri suoi clienti fossero stati come lei, sarebbe stato forse lo stregone più soddisfatto del mondo. Tuttavia la naturalezza con cui aveva parlato lo aveva preso totalmente in contropiede: neanche tra stregoni ci si rivolgeva in quel modo quando qualcuno ti faceva un favore. La guardò confuso, poi però sembro riacquistare il proprio contegno e respinse il portafoglio della ragazza .

« Mettilo via, Yumi: non voglio il tuo denaro ».

La ragazza guardò quei bellissimi occhi da gatto che la mettevano in soggezione e annuì rimettendo il portafoglio nel marsupio.

« E che cosa posso fare per lei, allora? » chiese.

Magnus capì che doveva senza alcun dubbio sentito che lui non elargiva certo i proprio servizi gratuitamente, ed ebbe un moto di tenerezza nei suoi confronti, anche se la ragazza sembrava tutto fuorché una bambina innocente. Ci pensò su e infine disse:

« Darmi il tuo cellulare » e allungò la mano.

Yumi lo guardò perplessa, ma infilò di nuovo la mano nel marsupio e prese il telefono, lo porse a Magnus e lui digitò qualcosa sulla tastiera.

« Ecco fatto » disse, restituendolo alla ragazza.

« Cosa...? »

« Mi sono inviato il tuo numero » fu la risposta.

Yumi guardò lo schermo e inarcò un sopracciglio, poi capì.

« Per chiamarmi nel caso le venisse in mente un modo per potermi sdebitare con lei? »

« Anche » ammise Magnus. « Ma soprattutto perché ritengo sia importante tenere aperte le comunicazione tra noi stregoni, specie di questi tempi ».

Yumi guardò perplessa il telefono e alzò le spalle, rimettendoselo in tasca.

« Questa è la scusa più patetica che abbia mai sentito » intervenne il ragazzo biondo.

Yumi meditò seriamente di recidergli la lingua e darla in pasto al gatto. Magnus dovette avere lo stesso pensiero, perché disse:

« Attento, Trace, o potrei decidere di farti cadere in un laghetto di anatre ».

Il giovane rabbrividì come se gli avessero dato la scossa.

« Non... osare... nominare quegli esseri malefici! » disse furioso.

Yumi sgranò gli occhi: anatre?

« Non dirmi che hai davvero paura di animali innocui come le anatre » disse incredula.

Il ragazzo la guardò come se fosse pazza.

« Quelle non sono animali innocui, ma esseri assettati di sangue. Mai fidarsi di un'anatra(*2)! ».

Yumi sbatté le palpebre ancor più confusa di prima: mai avrebbe pensato che esistessero ancora persone che temessero le anatre, come si poteva aver paura di loro? Una scintilla si accese nella sua testa, e guardò attentamente il ragazzo biondo: e se lui fosse stato?...

« Sarebbe in grado di affrontare un drago a mano nude se mai se lo trovasse davanti, » intervenne la ragazza mora, riuscendo finalmente a inserirsi nella conversazione « ma quando si tratta di anatre diventa il principe dei codardi ».

« EHI! » esclamò il biondo, indignato.

La ragazza sorrise. Yumi la osservò: aveva la pelle eterea, lunghi e ondulati capelli neri che le ricadevano in onde sui fianchi, occhi scuri, fisico slanciato e muscoloso; lei sì che incarnava quelli che erano gli  ideali della donna guerriera, bella e letale al tempo stesso. Più ci pensava, però, più non riusciva a capire dove potesse averla già vista; eppure un viso come il suo non si dimenticava certo così facilmente...

« Però su una cosa non ha tutti i torti » disse, guardando Yumi. « Perché vai in giro vestita così? ».

La ragazza era così stanca di discutere che si limitò ad alzare le spalle e a dire:

« Tu perché ci tieni a essere così femminile anche se i tacchi alti sono decisamente poco pratici in un inseguimento di demoni? ».

La ragazza si guardò gli stivali tacco dodici che indossava e sorrise.

« Hai carattere. Mi piaci ».

« Grazie » sbuffò Yumi. « Ma augurati di non avermi mai come nemica ».

La giovane sorrise divertita, ma in quel momento Ryuu si fece avanti andando verso di lei.

« Non provarci » disse quella scacciandolo con la mano.

Visto che però Ryuu sembrò non recepire il messaggio, la giovane srotolò il bracciale dorato che aveva al polso, ma Ryuu fu più veloce e le mise le zampe anteriori sulle clavicole, facendola cadere sul divano, poi le posò il muso sul petto. La ragazza guardò smarrita verso Yumi.

« Potresti richiamare il tuo animale, per favore? » disse stizzita e rossa in viso, fulminando il suo amico biondo che sembrava spassarsela molto a vederla alle prese con un pervertito a quattro zampe.

« Mi dispiace, ma non capisco cosa gli sia preso » disse Yumi chinandosi su Ryuu.

« Ryuu, si può sapere cosa- » ma il lupo si voltò verso di lei tenendo qualcosa tra i denti. Yumi aggrottò le sopracciglia, ma quando realizzò cosa fosse, le mancò il fiato: appeso ad una catenella d'argento pendeva un ciondolo formato da un rubino squadrato delle dimensioni di un uovo d'uccello, racchiuso da una cornice d'argento leggermente ossidata. Yumi iniziò a tremare e meccanicamente prese in mano il gioiello, che Ryuu le lasciò cadere nel palmo non appena la vide allungare la mano e scese giù dalla ragazza, che guardò lui e Yumi sbigottita, ma non osò muoversi perché il lupo la ammonì con lo sguardo e anche perché era curiosa di capire cos'avesse potuto sconvolgere tanto Yumi.

Lei però non si accorse di niente, troppo persa a guardare la collana: tremando, si tolse il guanto destro e premette il ciondolo contro la pelle nuda, percependone la durezza e la freddezza della pietra preziosa. La strinse così forte tra le dita da ferirsi il palmo: non poteva essere quella collana, non poteva... eppure il suo istinto le diceva che invece era proprio così; l'aveva presa tra le mani talmente tante di quelle volte che sarebbe stata in grado di riconoscerla a occhi chiusi. C'era solo un'ultima cosa da verificare per assicurarsi che fosse proprio quella, anche se non dubitava affatto della memoria dei propri sensi: lentamente, come se stesse aprendo il coperchio di una scatola per potarne alla luce il contenuto, voltò il ciondolo... e una fitta tremenda la colpì al cuore portandola vicina al collasso.
Anche se erano passati anni e anni, incise nell'argento ormai ossidato era ancora possibile leggere le parole AMOR VERUS MORITUM NUMQUAM...

 


...« "Il vero amore non muore mai" » tradusse tenendo la collana tra l'indice e il pollice.

« Per essere una selvaggia è incredibile che tu conosca il latino » la prese in giro l'altra.

Yumi la guardò storto e le lasciò cadere il ciondolo addosso.

« A differenza di certi pelandroni, IO non passo le giornate a divertirmi e basta ».

La sua interlocutrice si lasciò cadere sull'erba mettendosi le mani dietro la testa.

« Secondo me non ti sei mai divertita in tutta la tua vita; siete tutti così noiosi, voi stregoni? ».

Yumi fece per contestarla, ma le venne in mente quel brontolone del suo maestro, la serietà fatta a persona, l'anti-festa per eccellenza che aborriva il divertimento come la sifilide demoniaca. L'altra vide la sua espressione e ridacchiò, lieta di aver avuto l'intuizione giusta. La strega si perse a guardare il modo in cui i suoi occhi luccicarono dalla contentezza, ma si riscosse appena in tempo prima che l'altra potesse prenderla in giro anche su quello e si buttò sull'erba accanto a lei.

« Ha una storia romantica, dietro » commentò.

« Davvero: il pegno d'amore di uno stregone perdutamente innamorato. Curioso che esistano alcuni di voi che riescono ad essere dei così gran romanticoni ».

Yumi le fece la linguaccia e le voltò le spalle. L'altra ragazza la guardò di sottecchi e sospirò.

« Doveva essere davvero innamorato di quella persona... anche se penso che sia stata una vera stupida a rifiutarlo ».

« Già » commentò Yumi. « Un regalo del genere farebbe cadere un sacco di donne ai piedi di un uomo ».

La sua amica si voltò verso di lei.

« Vorresti dire che, se ti regalassero una collana simile, tu ti doneresti senza riserve? » insinuò, sorridendo furbamente e giocherellando con la collana.

« Non farti venire strane idee, mocciosa » disse Yumi, facendo una smorfia. « Ho detto "un sacco", non " tutte" ».

L'altra non smise di sorridere e si trascinò sull'erba fino a metterle una mano sulla spalla e farla ricadere giù, trovandosi i suoi bellissimi occhi blu a pochi centimetri dai propri.

« E per cosa saresti disposta a cedere? » sussurrò maliziosa.

Yumi inarcò un sopracciglio.

« Non ti sei ancora arresa, vero? »

« Non mi arrenderò mai finché non ci sarò riuscita » ribatté lei, facendosi più vicina.

Yumi sorrise e le mise una mano sulla guancia.

« Se proprio credi di riuscirci, accomodati. Ricordati però che io ho l'eternità a disposizione, e posso andare avanti all'infinito » .

« Mi basterà molto meno... » sussurrò provocante l'altra, mettendo le mani ai lati della testa di Yumi e avvicinando pericolosamente il suo viso.

Proprio quando stava per sfiorare le labbra della strega, lei sussurrò:

« Buona fortuna, allora » e la spinse via, facendola ruzzolare giù per il fianco della collina.

Scoppiò a ridere di fronte alla sua espressione sconcertata, poi si alzò e corse via, con l'altra che cominciò a inseguirla cercando di prenderla per fargliela pagare, ridendo entrambe di cuore sotto il cielo gallese...


 

*Angolo autrice:

Devo smetterla di chiedere perdono per aver scritto troppo :-). Ho rimuginato su questa scena per mesi e il risultato è che mi è venuta fuori molta roba, forse davvero troppa. Per cui verrà diviso in più capitoli; spero comunque di non aver... fuorviato il personaggio di Magnus e che non vi abbia annoiato con tutti questi discorsi, mi rendo conto che non succede molto in questo capitolo, e temo sarà così anche per i prossimi. Spero però che continuerete comunque a seguirmi :-). Temo di aver fatto un pò di errori di scrittura, ma nel complesso spero che risulti gradito.

 

Riferimenti e citazioni:

(*1) = questa viene dal film Il libro della giungla uscito nel 2016
(*2)= una delle celebri frasi di Will in Le Origini – L'Angelo

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Capitolo 8
*** Rivelazioni e affiatamenti ***


L’eco di quelle risate si perse in lontananza nella galleria del ricordi di Yumi, che strinse forte la pietra avvertendone la forma liscia e dura contro il palmo: quello era proprio l’ultimo oggetto che mai si sarebbe aspettata di ritrovare lì a New York, quando ormai erano anni che pensava che non l’avrebbe rivisto mai più in tutta la sua vita.
Gli oggetti duraturi come quello erano pericolosi, ancor più delle persone, e a differenza di loro arrivavano a vivere talvolta in eterno, passando di mano in mano e accumulando una valanga di ricordi, intrappolati nella loro essenza come uno scrigno la cui chiave si è persa nel tempo e che solo pochi privilegiati hanno la fortuna di ritrovare e poterla usare.
Per questo molti stregoni preferivano liberarsene appena potevano, ma Yumi non aveva avuto a cuore di buttare oggetti legati agli eventi estremamente importanti della sua vita. Quella collana… pensava fosse andata perduta, e invece evidentemente era stata conservata e consegnata alle generazioni successive a… S’immobilizzò e sollevò lo sguardo, osservando attentamente la Shadowhunter, che ancora non aveva smesso di fissarla, poi si voltò a guardare il giovane ragazzo moro e il suo amico biondo… e finalmente capì perché le sembrava di averli già incontrati.

« Si può sapere che cosa ti prende? » disse la ragazza alzandosi. « Prima il tuo lupo mi butta sul divano e mi salta addosso, poi tu ti metti a toccare le mie cose, e adesso… »

Yumi le lanciò un’ occhiata talmente gelida che zittì la giovane e la portò a guardare preoccupata i compagni, che le si affiancarono. La strega li guardò uno per uno, stringendo i pugni talmente forte da farsi male e aggrottando le sopracciglia.

« Siete i figli di Robert Lightwood e Maryse Trueblood, non è vero? » disse con voce inespressiva.

I tre ragazzi spalancarono gli occhi e si guardarono a vicenda.

« Non fate quelle facce » li rimbeccò Yumi. « Assomigliate molto ai vostri genitori. Soprattutto tu, » disse alla giovane « sei identica a tua madre quando aveva la tua età ». 

Non poté trattenersi nel lasciar trapelare un profondo astio insieme alle sue parole, e i tre ragazzi dovettero avvertirlo perché arretrarono di un passo.

« Tu… tu conosci i nostri genitori? » osò infine chiedere il giovane moro.

Yumi fece una smorfia.

« Purtroppo sì » disse tra i denti. « Li ho conosciuti molto tempo fa… quando ancora andavano in giro a fare gli scavezzacollo con la loro congrega di sterminatori ».

Sull’ultima parola Yumi si lasciò scappare un ringhio, seguita da Ryuu, che mostrò i denti ai ragazzi. Smisero entrambi quando si resero conto che i tre sembravano piuttosto sorpresi nel sapere che conoscevano i loro genitori e che li disprezzassero.

« Mi sembrate stupiti » disse Yumi incrociando le braccia.

« E’ da poco che abbiamo saputo che anche i nostri genitori erano membri del Circolo… ma ancora non siamo riusciti ad accettarlo… » disse debolmente lo Shadowhunter moro.

« Accettarlo! » esclamò indispettita la sorella come se l’altro avesse detto una bestemmia. « Dì pure che siamo… disgustati da loro! Ce l’hanno tenuto nascosto per tutta la vita spingendoci a dare sempre il meglio, a rispettare le leggi ed essere fedeli al Clave. Abbiamo fatto tutto quello che ci hanno sempre detto di fare… e poi se ne saltano fuori dicendo che da giovani facevano parte di un gruppo di fuorilegge che ha quasi portato allo sterminio dei Nascosti??!! No, non riuscirò mai ad accettarlo, mai! ».

« Mi par di capire che le avete cantate ai vostri genitori » disse Yumi.

« Certo che l'abbiamo fatto, cosa credi? » ribatté l’altra con fierezza, come se Yumi fosse stata stupida a credere il contrario, e la strega non poté fare a meno di ammirarla.

« Non avevo dubbi ».

« In che senso? » .

« Già sentendoti parlare non mi sembri affatto una principessina che sta rinchiusa nella sua torre d’avorio ad aspettare che gli altri la salvino; mi dai l’idea di essere una tipa tosta».

L’altra sembrò stupita ma compiaciuta, poi però si rabbuiò.

« Ancora non siamo riusciti ad accettare che i nostri genitori ci abbiano mentito...Loro... non li conosciamo quasi, non sappiamo niente della loro giovinezza, non ci hanno mai raccontato nulla. Non sono né più né meno che degli estranei… probabilmente, no, sicuramente li conosci più tu di noi ».

Incrociò le braccia stizzita.

« E hanno perso qualunque diritto verso di noi… dopo quello che hanno combinato… ».

Suo fratello le mise una mano sulla spalla come per rassicurarla.Yumi sorrise: era evidente quanto quei due si volessero bene e fossero complici l’uno dell’altra, ma era orribile che pensassero in quei termini dei propri genitori, non era così che avrebbe dovuto essere. Lei però aveva perso i suoi molto presto, quindi nessuno le garantiva che non sarebbe potuto capitare anche a lei se fossero vissuti insieme abbastanza a lungo da vederla diventare grande.
Però ormai conosceva bene gli Shadowhunters: un manipolo di guerrafondai, latifondisti, arrampicatori sociali e tiranni, disposti a tutto pur di non macchiare la propria reputazione e per ottenere più prestigio, anche a costo di calpestare la dignità e la felicità dei propri figli e manovrarli come pedine dei propri piani.

« In ogni caso, qualunque cosa sia successa tra voi, sono certa che tu non abbia nessuna colpa : loro hanno fatto le loro scelte, tu le tue. Però ti giuro sull’Angelo che noi non diventeremo come loro, non faremo gli stessi errori » disse ancora la cacciatrice.

« Lo vedo bene, o non avreste di certo salvato una Nascosta anche se non vi era stato ordinato, rischiando così di finire nei guai, » disse Yumi. « Vi devo avvertire, però » ma venne subito interrotta dalla giovane.

« Se mai dovessimo per caso diventare come loro, tu non esiterai a combatterci e non avrai nessuna pietà »  la prevenne.

« Ragazza sveglia » commentò Yumi.

« La classe non è acqua » disse l’altra, gettandosi i capelli su una spalla con una mano.

La strega sospirò.

« Non credo avresti vita facile, con noi » intervenne il biondo.

« Su questo ho i miei dubbi » disse Yumi guardandolo, poi, più seriamente, aggiunse:

« Tu invece… devi essere il giovane Herondale: Jonathan, giusto? »

« Jace » la corresse lui.

Sembrava piuttosto sofferente nel sentirsi chiamare con il proprio nome completo. Yumi piegò la testa di lato e lo guardò sottecchi, al che lui abbassò lo sguardo e strinse i pugni.

« Lo hai conosciuto? » mormorò senza guardarla. « Stephen Herondale, intendo ».

« Poco » ammise lei. « Però conoscevo molto bene i vostri antenati ».

« Davvero? » s’intromise il giovane Lightwood, piuttosto sorpreso.

La ragazza inarcò un sopracciglio.

« Lo so che il mio aspetto può trarre in inganno, ma sono molto più vecchia di quanto pensiate. E conosco le vostre famiglie, » disse indicando tutti e tre « da più di cent’anni ».

« Per questo sembravi così turbata nel vedere la mia collana? » chiese la ragazza mora toccando il gioiello.

« L’ho visto addosso a tre generazioni di tue antenate » disse Yumi, poi fece una smorfia. « Scommetto che nemmeno sai la sua storia ».

« No, non la conosco. Tu invece sì? » chiese candidamente l’altra.

« Non spetta a me raccontartela » rispose la strega. « Anche se credo che nemmeno tuo padre la conosca… ma se la sapesse la nasconderebbe sicuramente nell’armadio insieme agli altri scheletri… cosa che è di ordinaria amministrazione tra voi Shadowhunters…  » borbottò, stringendo i denti.

« Devi proprio odiarci tanto… reagisci in quel modo un po' eccessivo con ogni Shadowhunter che incontri? » chiese Jace.

« ECCESSIVO???!!! » esclamò Yumi, snudando le zanne e guardandolo come se fosse pazzo. « Voi… voi siete il vero male che affligge il mondo,  non i demoni!! Tu non hai idea di quello che hanno fatto certi vostri antenati, e senza andare troppo lontano, i vostri genitori: le vite che hanno distrutto, il sangue che hanno versato, il male che hanno seminato… ».

Fece una risatina isterica e proseguì nel suo monologo, preda solo della furia che le cresceva nel petto.

« Io ero là, sapete? Ho visto coi miei occhi campi devastati dalle fiamme e bagnati col sangue della nostra gente, ho sentito le urla delle persone cadute sotto i colpi delle spade angeliche, ho visto il ghigno stomachevole di quei mocciosi che si credevano i salvatori del mondo e pensavano di lottare per la giustizia e per la buona causa degli Shadowhunters liberando il mondo dalla feccia dei Nascosti… io ero là a combattere in prima linea, non parlo per dare aria alla bocca ma perché sono convinta di quello che dico, perché io C’ERO!! ».

Respirò affannosamente e strinse i pugni.

« E me lo sogno ancora » riprese, con più calma . « Ogni singolo momento di quegli anni è impresso a fuoco nella mia memoria e ne porterò il peso per sempre . E tu mi chiedi se vi odio? Sì: vi odio, vi odio perché siete degli abomini, e se il vostro Angelo avesse avuto un minimo di buonsenso, quel giorno, sulle rive del lago Lyn, avrebbe fatto bene a riprendersi tutto il potere e gli artefatti angelici che aveva donato ai vostri predecessori, perché vi siete allontanati anni luce rispetto alle nobili intenzioni che vide in Jonathan Shadowhunter. Voi… voi Shadowhunters siete solo dei mostri! ».

Tremava tutta, e non solo per la rabbia: ogni volta che rievocava quei ricordi sentiva ancora il dolore e la sofferenze di quei giorni, e questo le dilaniava l’anima. Aveva passato anni in preda ai rimorsi, tormentandosi per tutte quelle vite che non era riuscita a salvare, dicendosi che non aveva fatto abbastanza e che forse avrebbe potuto fare di più, promettendosi ogni volta che la prossima sarebbe andata diversamente… ma purtroppo la buona volontà contava poco in certi casi, e persino mettendoci tutto l’impegno possibile, spingendosi addirittura fino al limite, non era riuscita a salvare tutti; questo, più di ogni altra cosa, la lacerava dentro ogni giorno come e più della prima volta. Sapeva che quello che aveva detto era crudele, non era giusto fare di ogni erba un fascio, ma ormai il suo cuore aveva preso il controllo sul cervello e l’aveva soppiantato.
Non aveva partecipato alla battaglia a Idris, ma aveva perso anche lei qualcosa, o meglio, qualcuno, in quel conflitto… e solo il cielo sapeva quanto si era sentita distrutta dal dolore. Non era giusto prendersela con quei ragazzi, non aveva certezze che avessero combinato qualcosa di sbagliato, però… non si sentiva più padrona di sé, e avrebbe solo voluto che Ryuu facesse qualcosa, non importa se saltarle al collo, bloccarla a terra, azzannarle la giugulare… qualunque cosa per farla smettere di parlare. A sorpresa sentì una mano grande e calda sulla spalla, e voltandosi incrociò gli occhi verde-dorato di Magnus Bane.

« Basta così, Yumi » disse lo stregone.

La ragazza scosse la testa.

« Io non ce la faccio, Bane-sama: non ce la faccio a stare zitta, non starò mai zitta; farò sempre sentire la mia voce, per tutta la vita, se necessario, ma non smetterò finché non verrò ascoltata ».

« La cosa ti fa molto onore » convenne l’altro. « Capisco perfettamente quello che provi, ma se proprio devi prendertela con qualcuno, non è con questi ragazzi ».

« Lo so » disse Yumi, sospirando. « Io non... riesco ancora a... 
Gomennasai... ».

Magnus la guardò molto seriamente e le carezzò
la spalla col pollice. La ragazza si sentì confusa: forse l’aveva toccata solo per impedirle di sbranare qualcuno più che per mostrarle solidarietà, ma ciononostante il suo gesto bastò a placare il suo animo inquieto. Si riscoprì molto sorpresa di aver trovato qualcun’altro in grado di avere un simile ascendente su di lei, non erano stati in molti ad esserci mai riusciti. Quello stregone… si erano appena conosciuti eppure sentiva di avere già una qualche sorta di connesione con lui che non riusciva a spiegarsi.

« Senti, ehm… Yumi, giusto? » disse il giovane Shadowhuter moro, interrompendo il silenzio.

Yumi lo guardò appena annuendo impercepibilmente.

« Ecco… io… »

« No, Alexander » lo fermò Magnus.

Yumi tornò a guardarlo: non le aveva ancora tolto la mano dalla spalla, ma la cosa stranamente non le dava affatto fastidio.

« Ti prego di non dire niente » proseguì l’altro. « Yumi ha ragione: quello che è successo in questi ultimi anni non è qualcosa da decantare a cuor leggero o che si possa dimenticare facilmente per le azioni di quei pochi di voi che, invece, la pensano in modo diverso ».

« Lo immagino che non sia possibile dimenticare » disse l’altro. « Però, Magnus… per quello che può contare… mi dispiace molto ».

Lo stregone sorrise caldamente al giovane, che ricambiò. Yumi guardò ora l’uno ora l’altro, mentre una nuova consapevolezza cominciò a prendere forma nella sua testa.

« Sei leale e altruista come poche persone io abbia mai incontrato, Alexander » disse Magnus. « Ma la tua buona volontà da sola non sarà sufficiente a cambiare il mondo e a renderlo come lo vedi attraverso i tuoi occhi ».

Strinse la spalla di Yumi e lei di riflesso gli sfiorò la mano con la sinistra, guardandolo. Lui ricambiò, e la ragazza si perse in quei brillanti occhi da gatto, leggendovi molte cose insieme: solidarietà, comprensione, ma anche rassegnazione e malinconia, più qualcos’altro di familiare che Yumi riconobbe subito, visto che lo vedeva riflesso nei propri occhi ogni giorno semplicemente guardandosi allo specchio. Anche Magnus si perse nell’oceano blu degli occhi della ragazza, trovandovi così tanto di familiare che gli sembrò di guardare i propri. Yumi si ritrovò a sorridere senza pensarci e anche l’altro ricambiò, ma con la coda dell’occhio la ragazza vide Alexander irrigidirsi, mentre i suoi compagni alternarono lo sguardo da lei a Magnus, perplessi.  Scostò allora  la mano dello stregone
con delicatezza, lui si accorse del turbamento del giovane e recuperò il controllo facendo finta che non fosse successo niente.

« Dovresti controllare il tuo temperamento, mia cara » disse a Yumi. « O prima o poi finirai davvero per sbranare qualcuno ».

« Per questo faccio Yoga » rispose lei. « Ma mi è davvero difficile tenere a bada il mio lato violento se in giro circolano certi idioti… ».

Guardò di sottecchi Jace e lui fece una smorfia, che Yumi ricambiò prima di rivolgersi al suo compagno.

« Ti chiami Alexander, dunque? »

« Alec » disse l’altro, e la ragazza avvertì un leggero astio nella sua voce.

« Come preferisci » disse, liquidando la cosa con semplicità e rivolgendosi alla ragazza:

« Tu invece saresti?... »

« Isabelle Lightwood » disse lei sorridendo.

Yumi non ricambiò la sua gioia e inarcò un sopracciglio squadrandola da capo a piedi.

« Quella Isabelle Lightwood? »

« Perché, ne conosci altre? » trillò lei divertita.

L’altra rispose con una smorfia.

« No, ma … » Yumi scambiò uno sguardo eloquente con Ryuu, che scosse la testa. « Avevo sentito dire che eri bella, ma non immaginavo così tanto ».

L’altra sorrise soddisfatta e si pettinò i capelli con una mano.

« Sì, Isabelle è una rinomata rubacuori famosa per la sua avvenenza e le sue molteplici conquiste » disse Jace, e poi si scansò per evitare il piede della ragazza tra gli stinchi.

« Ci sono modi peggiori per finire sulla bocca di tutti… non è vero, Jace? » sbuffò Yumi.

L’altro smise di sorridere e la guardò serio.

« Cosa vorresti dire? ».

« So benissimo chi sei, Jonathan » disse, ora seria anche lei. « Tutto il Mondo Invisibile conosce te, la tua storia… e quella di Clarissa Fairchild, che fino a poco tempo fa credevi fosse tua sorella perché ti è stato fatto credere di essere il figlio naturale di Valentine Morgestern ».

Nella stanza scese un silenzio tombale. Persino Presidente, acciambellato tra le braccia del suo padrone, affondò il musetto nella pelliccia per soffocare il proprio russare. Jace strinse i pugni contro i fianchi ed evitò lo sguardo della ragazza, che invece lo guardò molto seriamente.

« Non dire che Valentine era mio padre » mormorò infine.

Con sua sorpresa, la ragazza non lo contestò.

« Va bene: se ti fastidio non lo dirò più ». Si aspettava come minimo che Jace ribattesse, invece il giovane la guardò stupito.

« Come mai non insisti? Perché non mi insulti? Perché non mi rinfacci tutto quello che- » Due dita della ragazza si posarono sulle sue labbra troncando la frase.

« Vuoi davvero che ti tratti così? » disse. « Vuoi che non faccia altro che ricordarti cos'ha combinato l'uomo che chiamavi padre? Molto bene, se è quello che vuoi, ti acconterò. Però, » aggiunse, ammorbidendo la sua espressione. « io invece penso che tu sia alquanto stufo di sentirtelo dire e che tu voglia essere ricordato per quello che hai fatto tu, non per quello che gli altri si aspettavano da te. Comunque non ti preoccupare, a me non importa se avevi un qualche legame con Morgestern, non sei tu quello che si è macchiato le mani di sangue di innocenti, ma se non è come credo, dimmelo subito così risolviamo la questione  ».

Jace la guardò sbigottito.

« Allora non sei una totale bestia selvatica » commentò.

Yumi fece un gesto di fastidio con la mano.

« Per quanto ritengo che gli animali siano mille volte meglio delle persone, non sono completamente inselvatichita, anch’io sono in grado di ragionare, sai? »

« Lo vedo » disse Jace. « E questo ti rende ancora più interessante del Sommo glitterato qui ».

Yumi guardo soprappensiero Magnus, ma lui si guardava le unghie smaltate come se il commento del giovane non l’avesse toccato minimamente. Lei però non se ne stette zitta:

« Ognuno di noi è diverso, Jace: ci sono persone che sono più abili in certe cose e persone che lo sono in altre. Abbiamo vissuto tutti le nostre vite e fatto le nostre esperienze, e sono queste a caratterizzarci e a renderci individui ».

Jace aprì la bocca e la richiuse senza emettere alcun suono: sembrava sinceramente colpito. Mai come Isabelle, però, che lo guardò ad occhi spalancati.

« Perché quell’espressione sorpresa, Isabelle? » chiese Yumi.

« Perché si contano in una mano le persone che siano mai riuscite a far rimanere Jace senza parole » rispose Alec al posto della sorella, che annuì senza mutare espressione.

Yumi notò che Alec sembrava di nuovo piuttosto seccato e decise che era arrivato davvero il momento di levare la tende prima che la situazione degenerasse.

« Bè, direi che è proprio ora di andare » disse, battendo le mani. « Grazie di nuovo a tutti, sayonara » e si diresse verso la porta con Ryuu al seguito.

« Non così in fretta, stella cometa » la fermò Magnus, bloccandole il passaggio.

Yumi piegò la testa di lato e lo guardò interrogativa.

« Vedi di non tagliare la corda, eh? » l’avvertì lo stregone, facendole l’occhiolino.

Ora che ti ho trovato non intendo andarmene da nessuna parte pensò Yumi, ma si limitò a chinare il capo educatamente.

« Non scappo, Bane-sama: ci sono ancora molte cose che devo fare qui a New York e che voglio conoscere » e tu sei tra queste aggiunse nella sua mente, sorridendo a Magnus.

Vide però l’espressione di Alec e si affrettò ad uscire.

« Oyasumi, minna! [buonanotte a tutti] » salutò agitando il braccio, poi sparì oltre la soglia e chiuse la porta. I tre Shadowhunters restarono a fissare
perplessi la direzione da cui era sparita .

« Che cosa…? » fece Isabelle.

« Ci ha augurato la buonanotte » spiegò Magnus accarezzando il micio che aveva in braccio. « E forse fareste meglio a darle retta e tornare all’Istituto per andare a letto subito ».

Jace borbottò qualcosa che assomigliava a “mammina” o “vecchietta isterica”, quando sentirono la porta del loft sbattere con violenza. Guardandosi intorno ne capirono ben presto la causa: Alec era uscito di corsa.

« Ma che gli è preso ad Alexander? » chiese Magnus, perplesso.

« Probabilmente non ha gradito vederti flirtare con la gatta » borbottò Jace.

« Io non stavo… » tentò di dire l’altro, ma Jace fece un gesto nell’aria.

« Non mi interessa: è il tuo fidanzato e devi gestirtelo tu. Ti avverto, però, che se vengo a sapere che l’hai fatto soffrire, Sommo Stregone o meno giuro sull’Angelo che ti restituirò il doppio con gli interessi ».

Isabelle annuì energicamente e srotolò la frusta di elettro che aveva al polso facendone roteare un capo. Magnus li guardò e sospirò.

« Siete stati chiari, va bene. Ma ora… fuori di qui » e li scacciò con la mano.

I due aprirono la porta e si dileguarono dalla vista. Magnus rimase fermo a fissare la porta come se da un momento all’altro si fosse nuovamente aperta e una graziosa ragazza giapponese fosse sbucata da dietro l’uscio. Un sorrisetto si delineò sulle sue labbra: flirtare con Yumi Shin? D’accordo essere un amante del rischio e del pericolo, ma anche lui sapeva entro quali limiti spingersi. Sorrise soddisfatto: dopo tutti quegli anni finalmente aveva avuto il piacere di incontrarla, e proprio sotto il tetto di casa sua. Non pensava proprio che l’avrebbe conosciuta in quelle circostanze, si era sempre immaginato che l’avrebbe fatto sul campo di battaglia, o magari perché lei magari sarebbe spuntata dal nulla e gli avrebbe salvato la vita… non il contrario. Il destino era davvero ironico, a volte: era stato parecchio infastidito quando Alec l’aveva buttato giù dal letto dicendogli che avevano un ferito da soccorrere.

Anche se il giovane aveva il permesso di disturbarlo a qualsiasi ora del giorno e della notte, non gli era andata molto a genio la prospettiva di dover curare di nuovo uno Shadowhunter gratuitamente; grande era stata la sua sorpresa, quindi, quando invece gli avevano portato una giovane strega avvelenata da icore demoniaco e per di più seguita da un lupo.
Da molto tempo ormai aveva smesso di stupirsi, quando si parlava degli Shadowhunters tutto diventava imprevedibile e poteva accadere l’inaspettato, ma mai avrebbe pensato che quei mocciosi, che da quando erano entrati nella sua vita gliel’avevano stravolta in tutti i modi possibili, gli avrebbero portato proprio la persona che ormai da anni desiderava ardentemente incontrare.
Di tutta le persone che avrebbe mai pensato di dover soccorrere, proprio lei si era ritrovato a salvare, Yumi Shin, la coraggiosa strega di cui tutti dicevano meraviglie ma che lui non era mai riuscito a incontrare o anche solo a farsi dire dove avrebbe potuto trovarla vista l’attinenza della fanciulla di non fermarsi mai troppo a lungo nello stesso posto e di accorrere immediatamente là dove c’era bisogno di lei.

Era proprio come aveva sentito dire: bella, indomita e selvaggia, una fiera selvatica che si era ritrovata per sbaglio nella civiltà ma non per questo aveva perso il suo ardimento e il suo orgoglio. Tutto in quella ragazza parlava di natura selvaggia: il suo sguardo, il suo portamento, persino il suo odore, un fresco e pungente profumo di pino che faceva pensare all’aria tersa dei boschi sulle montagne. Aveva sperato per anni di poterla incontrare e non era rimasto affatto deluso; ora poi che sapeva per certo che era a New York, non le avrebbe permesso di dileguarsi facilmente, questa volta. Senza tener conto dell’ora, posò il gatto, prese il telefono, compose il numero e restò in attesa. Al quinto squillo, una voce soffocata sbuffò nel microfono:

« Pronto? »

« Catarina, dobbiamo parlare » tagliò subito corto.

« Magnus, sono le quattro del mattino, non voglio sentire una sola parola fino a domattina! » esclamò la donna.

Magnus poté benissimo immaginarla mentre meditava di scagliare il telefono contro la parete, per cui si affrettò a dire:

« Cat, te lo giuro, questa volta è per una buona ragione ».

« Se vuoi farmi credere che finalmente hai deciso di rinunciare ai glitter, ringrazio il cielo per il bellissimo sogno, ma domani mi aspetta la dura realtà » borbottò l’altra.

« Non c’è niente che separerà me dai miei amati glitter, mia cara, sono profondamente offeso che tu abbia anche solo osato pensarlo » disse Magnus fingendosi addolorato.

« Se fosse il tuo fidanzato Nephilim a chiedertelo, scommetto che lo faresti, invece » insistette Catarina.

« Forse sì, o forse no… in ogni caso, non ti ho chiamato per questo ».

« Strano , considerato che, da quando vi siete messi insieme, praticamente non sei più riuscito a fare un discorso che non includesse anche il suo nome » ridacchiò la donna.

« Non è vero, come ti permetti? » disse l’altro, sorridendo.

« Dimmelo tu: forse perché, da quando è entrato nella tua vita, ho come l’impressione che il suo nome sia diventato la parola magica per portati a compiere le più mirabolanti follie su cui prima avresti ragionato un minimo su, come ad esempio- »

« Lei è qui » tagliò corto l’altro, interrompendo il monologo dell’amica.

Ci fu un attimo di silenzio da parte di Catarina.

« Camille è tornata? » chiese, cauta.

« No, non si tratta di Camille » disse leggermente addolorato, poi le riferì tutto.

Anche senza vederla la immaginò sedersi sul letto e ascoltare con attenzione.

« Magnus » disse infine. « Lasciala stare ».

« Cos’hai capito? » scattò subito Magnus. « Perché tutti pensate subito male, non ho mica detto che voglio portarmela a letto o… »

« Non era quello che intendevo, e lo sai bene » ribatté Catarina, ora completamente sveglia.

Sospirò e aggiunse, sussurrando :

« Ti ricordi cosa ci raccontava di lei? »

« Credi forse che lo abbia dimenticato? Non potrei farlo neanche se volessi » rispose Magnus con la voce velata di malinconia.

« E sarà meglio » ribatté Catarina. « Quella povera ragazza non è un oggetto, e ne ha già passate tante; per una volta in vita tua, sii razionale ».

« Cosa dici? Io lo sono sempre » rispose Magnus.

Sentì l’amica sbuffare e sospirò.

« Dico sul serio, Cat » disse. « Sono solo curioso di conoscerla, non intendo… approfittarmi di lei o ferire i suoi sentimenti: non sono meschino ».

« Lo so che si nasconde un cuore, sotto tutto quel glitter » disse l’altra. « Ma come pensi di fare con il tuo ragazzo? ».

Magnus si passò una mano tra i capelli.

« Gli potrei spiegare una parte della storia e fargli capire che- »

« Non se ne parla, Magnus: lo sa quello che ha fatto ai suoi genitori? Vuoi spaventarlo, o peggio, metterlo contro di lei? »

« Cat, ti assicuro che ha già capito che non è stata particolarmente gentile con i suoi genitori e che loro non lo sono stati con lei, ma non credo voglia vendicarsi. E poi… ho il sospetto che anche lui abbia un certo interesse nei suoi confronti ».

« Chi la fa l’aspetti » disse Catarina. « Cerca di non dar vita ad un altro triangolo, se ti riesce ».

« Non credo succederà, ma ora che so che lei è qui sono più che deciso ad andare fino in fondo ».

Sentì l’amica sospirare.

« Se ti servirà aiuto, sai dove trovarmi, anche se so già che me ne pentirò ».

« Sei la migliore, Cat » sorrise Magnus.

« Prima o poi ti chiederò il conto, Sommo Stregone. Detto questo… buonanotte » e riattaccò.

Magnus posò la cornetta e sorrise: sì, non vedeva proprio l’ora di scoprire dove avrebbe portato la svolta intrapresa dagli eventi di quella notte.
 


Yumi era quasi arrivata all’ingresso del condominio, quando si sentì chiamare a gran voce.

« Aspetta, Yumi! ».

Si voltò sorpresa vedendo Alec scendere le scale di corsa e rischiare quasi di sbatterle addosso per la foga con cui divorò gli scalini.

« Abbassa la voce, Alexander » lo rimproverò. « C’è gente che dorme, e tu non sei nemmeno nascosto da un incantesimo ».

L’altro sembrò realizzare la cosa solo in quel momento e arrossì.

« Non ci pensavo più… scusa ».

Yumi non poté fare a meno di sorridere: anche se era piuttosto grande ( doveva avere diciotto, diciannove anni al massimo) era dolce e tenero come un bambino, era impossibile guardarlo e non provare tenerezza. Anche Ryuu sembrò piuttosto sorpreso ma  contento di rivedere il giovane.

« Comunque, » riprese l’altro « hai dimenticato questo » e le porse il piccolo cilindro di elettro.

Yumi smise di sorridere e sbarrò gli occhi: come aveva potuto dimenticarsene?? Certo, aveva avuto decisamente altre cose più importanti a cui pensare, ma… da quando gliel’avevano regalato non si era quasi più separata da quel bastone, nemmeno per andare al lavoro. Ce l’aveva da così tanto tempo che era praticamente diventata una parte del suo corpo, e invece, per la prima volta dopo più di cent’anni, si era completamente dimenticata della sua esistenza.
A sua difesa poteva però dire che non avrebbe prestato attenzione nemmeno se le avessero tagliato il braccio e lasciata sanguinante nell’atrio: l’incontro con Magnus Bane l’aveva talmente riempita di adrenalina da renderla quasi totalmente incurante di quello che le succedeva. Però il gesto del giovane fu ancora più sorprendente: davvero l’aveva rincorsa per due piani di scale rischiando di cadere e spaccarsi qualche osso solo per restituirle l’arma? Quasi le avesse letto il pensiero, il giovane si affrettò ad aggiungere:

« E’ la tua arma, quindi pensavo che ci tenessi, e poi… ».

Yumi alzò una mano per interromperlo.

« Hai pensato bene » disse tranquillamente. « Sei stato molto gentile a riportarmela, grazie ».

« Non c’è di che… » mormorò il giovane.

Yumi sorrise e prese il cilindro dalle mani del ragazzo, lo roteò tra le dita e con gesto sicuro lo infilò dentro lo stivale della gamba destra. Alec la osservò affascinato, non riuscendo proprio a credere di trovarsi davanti una strega: la dimestichezza con cui maneggiava quell’arma, e il modo in cui combatteva… nemmeno gli Shadowhunters più esperti che conosceva erano come lei. Forse restò un po' troppo a fissarla, perché ad un certo punto si ritrovò la mano di Yumi sventolata davanti al viso.

« Alexander, sei tra noi? ».

Lui si riscosse e si rabbuiò.

« Alec » disse serio.

Yumi lo guardò comprensiva.

« Il tuo nome di battesimo ti sembra una condanna, vero? ».

“ Alexander” infatti significava “ Colui che protegge gli uomini”, ed essendo il più grande dei figli dei Lightwood Yumi non faticava a immaginare le responsabilità che dovevano gravare sulle sue spalle.

« Sì » rispose l’altro. « Per questo preferisco “ Alec” ».

« Ti capisco benissimo » disse Yumi sorridendo. « I nomi hanno un grande potere, più pericoloso e terribile di quanto la gente possa pensare ».

Alec sollevò lo sguardo ma non disse niente. Esitò: non l’aveva riconcorsa solo per restituirle l’arma, ma ora che si trovava davanti quegli occhi blu così seri e profondi si sentiva mancare il coraggio.

« Senti… ecco… » cominciò passandosi una mano tra i capelli.

« Yumi » disse la ragazza venendogli incontro.

« Sì, mi ricordo il tuo nome, ma non era questo che volevo dire » disse evitando il suo sguardo.

Yumi sospirò e gli prese delicatamente il mento con due dita, facendolo voltare verso di lei.

« Non ti mangerò, Alec, quindi per favore rilassati e prendi un bel respiro ».

Alec fece come gli era stato detto e riuscì a calmarsi, ritornando padrone di sé e della propria voce.

« Non voglio sembrarti un opportunista, davvero volevo salvarti perché avevi bisogno di aiuto, ma… ».

Yumi gli portò due dita a pochi centimetri dalle labbra.

« Hai il diritto di chiedermi tutto quello che vuoi, non aver paura » disse tranquilla.

Alec si sentì un po' spiazzato dalla sua gentilezza, ma prese un bel respiro e si fece coraggio.

« Al Pandemonium… ti abbiamo vista parlare con Camille ».

A quel nome Yumi strabuzzò gli occhi e sentì la pressione degli artigli.

« Camille? Quella donna era proprio Camille Belcourt?! »

« Sì… pensavo lo sapessi… » disse Alec incerto.

Yumi incrociò le braccia arpionando i vestiti con le dita: Camille Belcourt era il precedente capoclan dei vampiri di New York, e non godeva per niente di buona fama. Era una dei vampiri più vecchi, potenti e influenti esistenti al mondo, e ora Yumi riusciva a capire meglio la richiesta che le aveva fatto e anche a intuire chi fosse il bersaglio.

« Eravate là per lei, quindi » disse.

« Sì, ci era stato detto che si sarebbe dovuta incontrare con un informatore e… ».

Un leggero ringhio fuoriuscì dalle labbra della ragazza e mise a tacere Alec.

« E’ stata solo una coincidenza, di certo non sono andata in quel locale per chiacchierare con una vampira fuori di testa » disse stizzita.

« Ti credo » disse semplicemente Alec. « Però… se non sono indiscreto… posso chiederti cosa ti ha detto, per favore? ».

Yumi sospirò.

« Voleva commissionarmi un omicidio » disse.

Alec non le sembrò per niente sorpreso.

« E ora che so chi era quella vampira… devo presumere che il bersaglio fosse Raphael Santiago, l’attuale capoclan, dico bene? »

« Sì, è quello che abbiamo supposto anche noi. Conosci Raphael Santiago? »

« Solo di fama » mormorò passandosi una mano sul volto.

« Però ti sei rifiutata » disse Alec.

Non era una domanda: a quanto pare aveva ben interpretato la reazione di Yumi. La ragazza fece una smorfia.

« Se volevo fare il sicario aprivo un’agenzia con un’insegna luminosa “ Da Yumi Shin: morte assicurata a prezzi modici” » disse allargando l’indice e il pollice di entrambe le mani a elle e allargando le braccia per rendere l’idea.

Alec ridacchiò e anche Yumi sorrise. Vedendolo sorridere, però, si accorse che, oltre che a suo padre, assomigliava in modo incredibile anche a qualcun’altro che aveva conosciuto… qualcuno che però era morto da anni ma che le mancava comunque moltissimo. Quel ragazzo… gli somigliava davvero tanto, così tanto che faceva male al cuore.

« Se non sei un sicario, posso chiederti che lavoro fai? » chiese Alec, così, per pura curiosità.

Yumi inarcò un sopracciglio: no, la somiglianza si fermava decisamente alla fisicità, lui non le aveva mai chiesto qualcosa in quel modo.

« Fino alla settimana scorsa ero un veterinario, poi mi hanno licenziato ».

« Come mai? ».

Yumi allargò le braccia.

« Maschilismo lavorativo » disse semplicemente. « Non accettavano il fatto che una ragazzina la sapesse lunga rispetto a certi “dottoroni” che esercitano quella professione da più di vent’anni… ».

Fece una smorfia.

« Te l’immagini la loro sorpresa se avessero saputo che la suddetta ragazzina era più vecchia di tutti loro messi insieme? »

« Sarebbero stati terrorizzati » convenne Alec.

« Non ti credere » disse la ragazza. « Noi ci facciamo in quattro per proteggere il segreto del nostro mondo, ma i mondani che ne sono a conoscenza sono più di quanto si possa pensare ».

« Purtroppo… » disse Alec.

« E così ora sono disoccupata, ma ho intenzione di smettere presto di esserlo » continuò Yumi.

In verità aveva così tanti soldi in banca, accumulati nel corso degli anni, che avrebbe potuto vivere di rendita per almeno mezzo secolo, ma non le piaceva starsene con le mani in mano e non fare niente tutto il giorno: c’era sempre qualcuno che avrebbe potuto avere bisogno di aiuto. Con l’ultimo lavoro però aveva completamente sottovalutato l’influenza che aveva sugli animali, ed era stato più quello che l’invidia dei suoi colleghi a farla licenziare. Qualcuno era addirittura arrivato a dare a Yumi della “strega”, e la ragazza si era dovuta sforzare davvero tanto per non ridergli in faccia: se avessero saputo di non essere affatto lontani dalla verità…

« Quindi tu... che genere di lavori...? » chiese ancora Alec.

« Di certo non l’omicidio » lo prevenne Yumi, poi addolcì il tono. « Sono più che altro un medico… e un’esorcista: esorcizzo demone e spiriti ».

« Interessante » .

« Ma non è solo questo che volevi chiedermi, non è vero? » disse Yumi, mettendosi le mani sui fianchi e guardando il giovane come una mamma che rimprovera il proprio figlioletto.

« I-Io non… » tentò di difendersi il giovane, fallendo miseramente.

« Alexander » lo apostrofò Yumi, sospirando. « Credevo di essere stata chiara: puoi chiedermi quello che vuoi, giuro che se le riterrò domande inopportune te lo farò sapere, non ti mangerò per avermele poste » .

Alec inghiottì forte e strinse i pugni, abbassando lo sguardo: era pieno di cose che avrebbe voluto dire a quella ragazza. Avrebbe volto dirle che aveva una voce meravigliosa, che in battaglia era leggiadra come una farfalla e combatteva meglio di chiunque avesse mai conosciuto, che avrebbe voluto farsi raccontare aneddoti sui propri genitori quando ancora erano membri del Circolo… e che avrebbe voluto trovare il coraggio che non aveva avuto con Clary di chiederle di stare alla larga da Magnus. Tra tutte queste cose, una emerse al di sopra delle altre e si formò sulle labbra del giovane.

« Il tuo amico… » cominciò, indicandolo. Ryuu drizzò le orecchie e agitò la coda.

« Sì? ». Alec esitò prima di proseguire.

« L’ho… toccato, prima… e… »

« Lo hai trovato freddo e ti sei stupito perché il suo petto è immobile? » completò la ragazza per lui.

« Come…? »

« Credi forse di essere il primo a pormi una domanda simile? E’ quasi la prima cosa che tutti mi chiedono su Ryuu dopo che lo hanno accarezzato » disse passando la mano sul capo peloso dell’amico.

Lui chiuse pigramente gli occhi e agitò allegramente la coda.

« Ryuu è un fantasma » .

« Un fantasma? » ripeté Alec, guardando perplesso il lupo: non sembrava affatto un fantasma, e non emanava nemmeno l’aura gelida tipica degli spettri.

« Un fantasma un po' speciale » spiegò la ragazza notando il suo turbamento. « E’ in grado di assumere forma corporea… pur rimanendo però freddo e privo di battito. I mondani direbbero che è uno zombie ».

« Zombie? »

« E’ così che sono comunemente conosciuti i non-morti » disse Yumi.

Alec guardò perplesso l’animale.

« Quindi… è per questo che su di lui l’icore non ha avuto effetto? »

« Esattamente ».

« E… perché era dentro di te? » e nel dirlo si toccò il proprio petto.

Yumi fece una smorfia.

« Se ci avessero visti insieme, avremmo avuto l’intero locale addosso; non so se l’hai capito, ma noi siamo due che danno piuttosto nell’occhio… »

« Sì… » mormorò debolmente Alec.

« E poi sarebbe rimasto schiacciato dalla calca di corpi sulla pista da ballo, quindi ha preferito evitarsi il tormento e togliersi di torno » aggiunse Yumi accarezzando la testa di Ryuu, che piegò il collo all’indietro e le mordicchiò la mano.

Alec li guardò sorridendo.

« Voi due siete molto legati » e neanche stavolta fu una domanda.

« Se propria vogliamo metterla nei termini dei Nephilim, » disse Yumi « possiamo pure dire che Ryuu è il mio parabatai ».

« Credevo che preferissi non essere paragonata ad una di noi » osservò Alec.

« Infatti non mi piace » disse Yumi. « L’ho detto solo per aiutarti a capire ».

Alec sorrise e si abbassò. Ryuu si fece avanti, scrutandolo dall’alto in basso. Titubante, il giovane allungò la mano e l’affondò nella pelliccia del lupo, che gliela leccò e agitò la coda soddisfatto.

« Gli piaci » sentenziò Yumi.

« E’ strano? » chiese Alec accarezzando Ryuu.

« Vuol dire che devi avere un animo gentile e che ti ritiene degno di fiducia ». La spiegazione della ragazza lasciò basito Alec, che sollevò lo sguardo incrociando quello di Yumi.

« E tu cosa pensi? ». Lei sorrise e si chinò a sua volta ad accarezzare Ryuu.

« Che non ricordo di aver mai incontrato uno Shadowhunter così umile da scusarsi per qualcosa di cui non ha nessuna colpa e così gentile da portarmi in salvo e premurarsi di restituirmi l’arma » .

Alec abbassò lo sguardo, continuando ad accarezzare Ryuu distrattamente.

« Senti… avrei anche un’altra cosa da chiederti… »

« Se stai per dirmi di stare alla larga da Bane-sama perché è il tuo ragazzo va bene, d’ora in poi mi terrò a debita distanza » .

Alec sollevò la testa di scatto guardando allibito la ragazza, che scoppiò a ridere.

« Mattaku mou Alec, credevi che non me ne fossi accorta? Sono selvaggia, non stupida » disse facendogli l’occhiolino.

Alec sgranò gli occhi.

« … e lo dici così tranquillamente?... » mormorò incredulo.

« E come altro dovrei dirlo, scusa? » ribatté la ragazza. « Dovrei andare in giro a urlare allo scandalo perché uno stregone e uno Shadowhunter sono innamorati? Andiamo, è ridicolo ».

Il giovane guardò soprappensiero Ryuu come a volergli chiedere conferma se la sua amica era davvero seria o se stava scherzando, e lui piegò la testa da un lato.

« E non… ti dà fastidio? Non lo trovi… »

« Alec, » lo interruppe sospirando Yumi. « Mi darebbe fastidio se sapessi che è solo una messinscena da parte tua, ma visto il modo in cui guardavi Bane e come sembravi infastidito dal vederlo interagire con me, direi che non è il tuo caso, vero? ».

L’altro fece un debole cenno negativo col capo.

« Allora non vedo il motivo per continuare a discuterne » concluse Yumi tirandosi in piedi.

Alec seguì il suo esempio, seppur con più lentezza.

« Davvero, Alec » insistette lei. « Se vuoi che gli stia alla larga non hai che da chiederlo: non voglio essere motivo di contrasto di una coppia ».

Alec stavolta la guardò davvero sconvolto.

« Tu… tu lo faresti davvero? ».

La sua reazione lasciò Yumi alquanto perplessa, ma annuì.

« Purtroppo però posso prometterti solo che non gli ronzerò intorno di mia volontà, ma se saranno le circostanze del caso a volerlo… capisci, no? »

« Sì… io… grazie, Yumi » disse il Cacciatore, sorridendole grato.

Yumi piegò la testa di lato.

« Perché mi ringrazi? ».

Alec non rispose: ricordava bene l’odio profondo che aveva provato nei confronti di Clary, che non contenta di essere piombata di colpo nelle loro vite si era comportata come se tutti fossero al suo servizio e ogni cosa le fosse dovuto, non curandosi minimamente dei sentimenti di chi la circondava e non preoccupandosi di sapere se a lui avrebbe dato o meno fastidio vederla sempre appiccicata a Jace come una sanguisuga e vederla trascinarlo in missioni suicide come infilarsi un covo di vampiri pur di riprendersi il suo amico trasformato in topo. Sapeva che innamorarsi di Magnus avrebbe comportato sicuramente future scenate di gelosia verso chiunque avesse mostrato interesse verso il suo ragazzo, che purtroppo attirava  gli sguardi degli altri ovunque andasse, ma mai avrebbe pensato di sostenere una simile conversazione con una di loro senza sentirsi invadere da una rabbia e una gelosia indescrivibili.

La cosa incredibile però era che Yumi l’aveva detto come se fosse stato ovvio promettere di mantenere le dovute distanze, e servì a fargliela piacere ancora di più. Sì, doveva ammetterlo: lei gli piaceva, e molto. Non in quel senso, naturalmente, ma non poteva negare a sé stesso che l’affascinava: era totalmente diversa da Magnus, ma proprio per questo che gli interessava e gli faceva venir voglia di porle ancora tante di quelle domande che avrebbe potuto riempirci un volume.

« Forse però allora dovrei stare alla larga anche da te » aggiunse pensierosa la ragazza.

« Sì… credo di sì » mormorò il ragazzo. Yumi lo guardò e sorrise.

« Mi hai reso un grande servizio, Alec Lightwood » disse. « Ho un debito nei tuoi confronti, e farò il possibile per ripagarlo ».

Alec sembrò in imbarazzo.

« Non devi… ho fatto solo il mio dovere… ».

Barcollò all’indietro quando si ritrovò gli occhi di Yumi a pochi centimetri dal viso.

« No » disse la ragazza. « Non l’avrebbe fatto chiunque ».

Alec deglutì e si sforzò di sorridere. Anche Yumi sorrise e si allontanò.

« Ah, giusto: un’ultima cosa, Alec » disse ancora la ragazza.

« Dimmi ».

« Sei bravo a mentire? ». Alec sbatté le palpebre e aggrottò le sopracciglia.

« Non molto, ma se è necessario sono anche disposto a farlo. Perché? »

« E’ meglio che non fai il mio nome ai tuoi genitori, per favore ». Il giovane capì e non ribatté.

« D’accordo, qualcosa mi inventerò ». .

« Grazie » disse Yumi sorridendo.

Anche Alec sorrise, poi si chinò ad accarezzare un’ultima volta Ryuu, che ricambiò leccandogli la mano. Yumi allora si avviò verso l’uscita.

« Oyasumi, Alec Lightwood » disse, uscendo per strada e lasciando il ragazzo in piedi in mezzo al pianerottolo a cercare di capire il significato delle sue parole.

« Ti ha appena augurato la buonanotte » la voce di Jace arrivò dalla cima delle scale, riportandolo alla realtà.

« Da quanto siete lì? » disse Alec.

« Abbastanza per vederti flirtare con la strega » rispose il biondo, scivolando lungo la ringhiera insieme a Isabelle e fermandosi ai piedi di Alec.

« Non stavo flirtando, le stavo solo chiedendo di cosa avesse parlato con Camille e restituirle l’arma » si giustificò Alec.

« Come preferisci » disse Jace, in realtà poco convinto. « Allora sarà meglio che tu vada a scusarti con il tuo ragazzo, lui pensa che tu ti sia infastidito a vederlo dare tutta quella confidenza alla micetta, ma direi che siete entrambi sulla stessa barca… ».

Alec sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

« Avevamo ragione, comunque » intervenne Isabelle.

« A che proposito? » chiese Jace.

« L’obiettivo di Camille » rispose la ragazza.

« E temo tornerà all’attacco… » disse soprappensiero Alec.

Jace e Isabelle si scambiarono un’occhiata.

« Non ti sarai mica già affezionato a quella mezza gatta, vero? » insinuò Jace.

« Piantala! » sbottò Alec. « Sono solo preoccupato di quello che potrebbe decidere Camille… »

« Come no » disse Jace. « Senti, noi ti aspettiamo qui: tu sbrigati a chiarirti col tuo ragazzo che poi torniamo a casa, sono distrutto ».

Musica per le orecchie di Alec: non aveva aspettato altro per tutta la serata. Non se lo fece ripetere due volte e corse su per le scale verso il loft del fidanzato, smanioso di poter finalmente passare qualche minuto con lui, non riuscendo però a impedirsi di pensare anche a Yumi e a chiedersi quando e soprattutto se l’avrebbero mai rivista.


*Angolo autrice:

Eccoci qui: Yumi finalmente ha incontrato il bel stregone e anche lui, a quanto sembra, prova un certo interesse nei suoi confronti… e non è l’unico. Mi dispiace aver deluso chi si aspettava una litigata Malec in piena regola, ma non sono ancora pronta per farli litigare così presto. Però state tranquilli: niente triangoli alla Wessem, ma questo non significa che i due ragazzi ( e anche i loro compagni) non arriveranno ad affezionarsi, ricambiati, da Yumi. Anche se più che un triangolo qui temo che avremo un pentangolo, visto che anche Ryuu sembra essersi affezionato molto al nostro dolce angelo moro e al gattino dello stregone, che di contro si è affezionato a lui e alla Tigre Nera. Che confusione, eh? ;-). A proposito: per favore, se qualcuno per caso è riuscito a capire chi sia la ragazza misteriosa del precedente capitolo, me lo scriva in privato, non nelle recensioni, grazie. Mata ne, a presto!

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Capitolo 9
*** Una vita per una vita ***


L'uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile
e distrugge una Natura visibile.
Senza rendersi conto che la Natura che sta
distruggendo è quel Dio che sta venerando.
 
Hubert Reeves
 
Le foglie d’autunno portate dal vento sul marciapiede scricchiolavano sotto le scarpe dei passanti, una fiumana di gente a malapena contenuta da quei tre metri scarsi di cemento. Era mattino presto, non erano neppure le otto, eppure le strade erano già stracolme di persone, come era comune vedere in ogni angolo di quella città sempre in movimento, come se l’intera metropoli fosse un gigantesco organo che, se si fosse fermato anche un solo momento, sarebbe subito perito.
Affluita in quella folla che calcava a passo veloce il marciapiede sembrava che ci fosse tutta la popolazione di New York: c’era chi andava al lavoro, chi parlava al telefono tenendo magari una valigetta, una borsa della spesa o la mano del proprio bambino, che però strattonava il genitore da una parte all’altra perché voleva essere lasciato libero di correre per la strada, chi andava di fretta e correva davvero rischiando di travolgere qualcuno, chi andava sullo skateboard, chi si esibiva suonando o in danze di strada.

Isolato dalla folla, che scorreva davanti a lui inarrestabile,  c’era anche un povero mendicante, seduto su un foglio di cartone e vestito con un logoro cappotto di lana nonostante facesse ancora piuttosto caldo, con un berretto di cotone calato sugli occhi e sfilacciati guanti senza dita alle mani, tese verso la folla sperando nella pietà dei passanti. Nessuno lo degnava di uno sguardo, forse perché erano tutti troppo presi dai propri affari o perché preferivano guardare la strada davanti a sé che rivolgere la propria attenzione verso un barbone accucciato contro un bidone della spazzatura davanti ad un panificio.
Non era esattamente il posto migliore dove stare, e non solo per il puzzo dei rifiuti in decomposizione: ogni volta che la porta del negozio si apriva, il profumo di pane arrivava sino alle narici del poveraccio e gli faceva brontolare lo stomaco tanto da fargli venire i crampi. Non ci pensava minimamente, però, a togliersi da lì, anche perché non avrebbe potuto in ogni caso: era troppo debole anche solo per alzarsi, quindi figuriamoci per camminare. E poi, il profumo del pane… anche se era una sofferenza odorarlo senza poterlo assaggiare, ogni volta quell’aroma lo avvolgeva come una carezza e gli scaldava il cuore, alleviando temporaneamente il dolore che provava.

Di notte però sognava spesso il pane, a montagne ne sognava, e allora si ritrovava a piangere nel sonno, pregando il Cielo di ascoltarlo e esaudire il suo desiderio: avrebbe dato l’anima per assaggiare anche solo un morso di morbido pane fragrante ancora caldo di forno. La mattina però si svegliava e scopriva che nulla era cambiato, salvo i crampi alla pancia, diventati ancora più forti del giorno prima, e allora chiedeva a Dio perché lo stesse facendo soffrire così e non ponesse invece fine alle sue sofferenze, accogliendolo nel suo regno insieme alle anime che dimoravano del Paradiso.
La porta del panificio si aprì, e automaticamente il mendicante chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l’odore del pane e stringendosi la pancia per le fitte che gli diede, pregando, come di consueto, che da Lassù qualcuno lo vedesse ed avesse pietà di lui, e di non farlo morire senza aver realizzato il suo sogno più grande. Lo faceva ogni singola volta che si apriva la porta, ma nessuno aveva mai risposto alle sue preghiere… fino a quel momento.

Gli parve, d’un tratto, che l’odore di pane fosse diventato leggermente più forte, e più vicino, anche, come… come se fosse stato ad un passo da lui, il che non poteva assolutamente essere. Lo aveva sognato per così tanto tempo che ormai aveva le allucinazioni e si immaginava ciò che non era reale, doveva senz’altro essere così. L’odore però non accennò ad andarsene, eppure ormai la porta doveva senz’altro essersi chiusa da un pezzo. Vinto dalla curiosità, e per confermare a sé stesso di essere infine impazzito, riaprì gli occhi… e quasi svenne dallo spavento quando vide che non era un’allucinazione ma che invece qualcuno, una giovane e graziosa ragazza dai bellissimi occhi blu, gli stava porgendo un sacchetto da cui si innalzava il delizioso profumo di pane appena sfornato. Il mendicante lo guardò come se fosse stato Dio in persona e si sfregò gli occhi: era forse morto nel sonno ed era stato portato in Paradiso, come gli angeli che portarono il mendicante Lazzaro nel seno di Abramo? La situazione non cambiò minimamente, e allora alzò lo sguardo da quel miracolo e guardò meravigliato la ragazza, che sorrise dolcemente.

« Non abbia paura » disse. « Per favore, lo prenda ».

L’uomo alternò lo sguardo dalla giovane al sacchetto, indicandolo tremante con un dito e poi indicando sé stesso, al che lei, molto pazientemente, si chinò glielo mise sulle gambe. Il poveraccio lo prese tremando e tirò fuori una grossa pagnotta ancora calda e morbida, e allora perse il controllo: lo annusò come se ne andasse della propria vita, lo strinse al petto, se lo appoggiò contro la guancia, lo baciò ripetutamente, pianse e rise al tempo stesso senza freni, come un bambino. La ragazza sorrise commossa e si alzò per andarsene, ma l’uomo la fermò prendendole la mano.

« Ti aspettavo da tanto tempo » disse tra le lacrime.

Lei lo guardò confusa.

« Sei l’angelo del Signore, vero? Dio ha dato ascolto alle preghiere del suo umile servo e ha mandato il suo emissario ad aiutarlo ».

La giovane spalancò gli occhi e corrugò le sopracciglia, ma poi sorrise e scosse la testa.

« Non sono un angelo, signore, mi dispiace ».

« Le mie preghiere sono state esaudite, il Signore mi ha ascoltato! Grazie, grazie infinite, che Dio ti benedica, lode a Lui nel più alto dei cieli! » disse l’altro, come se lei non avesse detto niente.

La ragazza si limitò a sorridere e a salutare l’uomo con un cenno del capo, allontanandosi fino a non sentire più le lodi e i ringraziamenti che continuò a rivolgere a Dio piangendo dalla gioia.

Un angelo pensò Yumi, facendo una smorfia Figlio mio, se sapessi che ad aiutarti è stata una discendente della prima moglie di Adamo… Noi saremmo proprio gli ultimi a cui Dio si rivolgerebbe… . Yumi proseguì il cammino perdendosi nei suoi pensieri, e senza una ragione ben precisa questi vennero dirottati verso gli Shadowhunters.


Loro sacrificavano la loro esistenza, la loro identità, persino i loro stessi figli a Raziel, passavano la vita a cercare di compiacerlo... e intanto non si accorgevano nemmeno di ciò che causavano nel farlo.

Quando ci pensava, Yumi ringraziava calorosamente i suoi genitori per averla fatta nascere mezzodemone: i Nascosti andavano avanti per loro stessi, non perché credevano di essere i portavoce della volontà di qualcuno. Gli stregoni erano considerati “figli di Lilith”, ma né lei né qualcun altro dei suoi simili vivevano la loro vita in nome della Madre di tutti i demoni ( e mai lei si sarebbe sognata di farlo), ma solo per sé stessi.
 Yumi era orgogliosa di essere una strega, ma qualunque cosa, anche essere una vampira o una mannara, sarebbe stato preferibile al tenore di vita dei cacciatori. Esistevano però anche persone comuni, come quel povero mendicante, per cui  la fede era tutto ciò che aveva perché aveva perso il resto e non gli era rimasto niente, ma per gente come lui Yumi non provava sdegno, provava ammirazione.

E senso di colpa, anche: se solo avesse saputo che la ragazza che aveva decantato come angelo del Signore in realtà di angelico non aveva proprio niente… Yumi era felice di aver donato un minimo di sollievo a quell’anima in pena, anche se… essere paragonata ad un Angelo… se quel pover’uomo avesse saputo quanto terribili, potenti e per nulla magnanimi fossero quegli esseri, e non graziosi e paffuti bambini vestiti di candide vesti con aureole dorate e alette bianche, il suo debole cuore non avrebbe resistito e lui sarebbe morto d’infarto. Era una delle molte ragioni per cui i mondani non sarebbero dovuti venire a conoscenza del Mondo Invisibile: alcuni di loro sarebbero potuti morire di paura o impazzire nello scoprire che niente di quello che credevano era effettivamente la realtà e nel capire di aver vissuto con un velo davanti agli occhi per tutta la vita.
In ogni caso, però, “angelo” o “demone” era solo parole, appartenere all’una o all’altra razza non significava essere buoni o cattivi a prescindere, più chiaro esempio di Morgestern, un mezzoangelo che era stato crudele come e più di un demone, o di Sora, un demone divenuto capace di provare sentimenti che aveva amato fino all’ultimo la sua famiglia. Demone o angelo, Nascosto, Shadowhunter, o anche semplice mondano, alla fine contava solo quello che facevi e le decisioni che prendevi nella vita.

Il modo in cui si viene al mondo è irrilevante, è quello che fai del dono della vita, che stabilisce chi sei(1*): era stato un personaggio immaginario a dire quella frase, non uno degli uomini più importanti del mondo o uno dei più grandi rivoluzionari degli ultimi secoli, ma anche se era un personaggio inventato Yumi lo amava molto e pensava spesso a lui e alla sua storia, soprattutto a quella frase. Quelle parole contenevano una gran verità e per di più erano uno dei suoi principi morali più grandi.

Essere “buoni”, però,  non significava “non essere cattivi”: in ogni persona esistevano sia il bene che il male, in alcuni prevalevano l’uno e in altre persone l’altro, ma non esistevano individui senza uno dei due. Nel suo caso specifico bisognava dire che si vedeva con chiarezza più che in chiunque altro quando lasciava prevalere l’uno o l’altro lato; per quel giorno, però, si sarebbe dovuta sforzare di tenere a cuccia il suo lato peggiore, sperando  di non sentire la necessità di farlo uscire, anche se sarebbe stata dura. Il che era ridicolo: stava solo andando ad un colloquio di lavoro, in teoria avrebbe dovuto sentirsi tranquilla, e invece si sentiva come se stesse andando ad affrontare da sola l’armata demoniaca di Sammael alle porte dell'Inferno.

Sapeva bene la ragione: quando combatteva non c’era alcun bisogno di trattenersi, poteva, no, DOVEVA essere sé stessa senza problemi; ad un colloquio, invece, doveva reprimere a forza ogni impulso, trattenere la lingua ( se necessario mordendola), non mostrare le zanne, sorridere fino a farsi venire i crampi alla mascella, rispondere educatamente e recitare la parte della brava ragazza mondana gentile e tranquilla che mai si sognerebbe di impugnare un arma, mordere qualcuno o spedirlo all’ospedale con le costole rotte e che sicuramente starebbe zitta e buona a sorridere.

Aggiungi poi anche il doversi vestire elegante… Si tirò infastidita una manica della giacca, che sentiva tirare appena muoveva il braccio e le faceva temere che potesse rompersi da un momento all’altro. Non era la prima volta che andava ad un colloquio, ma ancora non era riuscita ad abituarsi a quello che implicava, in primis il doversi vestire decentemente per fare una bella impressione, anche se forse una ragazza vestita come un ragazzo e non con tailleur e scarpe eleganti forse non era esattamente sinonimo di “bella impressione”. A Yumi però non importava: era già un sacrificio enorme sopprimere una parte della propria personalità per fingere di essere qualcuno che non era, almeno sull’abbigliamento non aveva intenzione di farsi piegare.

E poi, cosa importava alla gente se lei non indossava una gonna? Rimaneva comunque piuttosto elegante: indossava una giacca di cotone nero chiusa sul davanti da una fila di tre bottoni, formando così uno scollo che metteva in mostra la camicia bianca che portava sotto; le gambe erano fasciate in un paio di pantaloni, sempre di cotone nero, a zampa di elefante, che coprivano gli stivali. Il cappello l’aveva lasciato a casa e i capelli erano raccolti in uno chignon sopra la testa e li sentiva implorare pietà, facendola pentire di non aver portato con sè il copricapo: si sentiva nuda senza, e le orecchie bruciavano sotto i capelli come se fossero state in bella mostra sotto gli occhi di tutti. I guanti di pelle li aveva tenuti, ma aveva lasciato a casa il marsupio, sostituendolo con una borsa a tracolla dentro cui aveva nascosto, sul fondo, il bastone di elettro, mentre a portata di mano aveva messo una bomboletta di spray al peperoncino, una degli ultimi rinnovati della “tecnica” dei mondani, usato particolarmente dalle donne come arma anti-aggressione, anche se non era propriamente letale. Lei in teoria non ne avrebbe avuto bisogno, ma aveva deciso di acquistarlo comunque per tenerlo come accessorio di scena, per non dare troppo nell’occhio e aumentare il lavoro negli ospedali.  Considerato poi che era proprio dove stava andando per il colloquio, non le sembrava il caso di aggiungere quella voce al suo curriculum, che teneva piegato con cura nella borsa insieme al giornale su cui aveva trovato l’annuncio di lavoro.

In realtà l’occupazione in sé non sarebbe stata niente per cui valesse la pena svuotare il guardaroba  e ripulire dalle tarme il suo completo migliore: era un lavoro da addetto alle pulizie, e per di più part-time; in teoria non avrebbe avuto senso presentarsi vestita come l’impiegata di un’importante rivista di moda, anche perché poi una volta( e se) assunta, sarebbe potuta andare al lavoro con i suoi soliti vestiti, visto che per quel genere di mansione avrebbe dovuto indossare una divisa moscia e sbiadita per tutto il giorno.

Però era la prima impressione a contare, e non era il caso di dar mostra del proprio “adorabile” carattere fin da subito. L’ospedale era situato parecchio lontano da dove viveva lei, il che avrebbe voluto dire alzarsi prestissimo, ma non le scocciava affatto: sorvolando sulla questione “insonnia”, le piaceva girare per le strade di primo mattino e osservare la città svegliarsi poco a poco come un fiore che lentamente si apriva e spiegava i petali ai primi raggi del sole. E poi così avrebbe avuto tutto il tempo per riflettere su un sacco di cose, visto che il suo cervello era continuamente al lavoro e non le dava tregua neanche per un attimo, rendendo la prospettiva della passeggiata un ottimo modo per schiarirsi le idee e rilassare la mente.

E anche mentre camminava diretta alla sua possibile nuova sede di lavoro, non mancò di pensare a una miriade di cose, come ad esempio cosa stavano combinando in quel momento i tre giovani Shadowhunters che le avevano salvato la vita: erano passati sette giorni, e non aveva più avuto nessun genere di notizia né li aveva mai incrociati in giro. Però non aveva mai smesso di pensare a loro, soprattutto a Jace: il ragazzo non era ancora riuscito a trovare la propria identità, ma per lei era un Herondale fino al midollo, assomigliava troppo ai suoi antenati. Non sapeva se gli avrebbe fatto piacere o meno sentirselo dire, ma se mai fosse spuntato dal nulla per farle domande, allora sarebbe stata più che disponibile a rispondere.

Sperava che Alec avesse mantenuto la promessa e non avesse detto niente ai genitori, anche se, a ripensare al modo con cui lui e la sorella avevano parlato di loro, non trovava un’impresa così difficile scegliere di non dire niente o di mentirgli. Più la lasciavano stare facendo finta che lei non esistesse, più lei avrebbe lasciato in pace loro, anche se non era un’ingenua e ovviamente non dubitava che prima o poi sarebbero venuti a sapere che lei era a New York, ma quale Shadowhunter perdeva tempo a piegarsi a chiedere qualsivoglia informazione e ai Nascosti? Non lo facevano neanche per tenersi aggiornati su quello che succedeva nel mondo, quindi figuriamoci per simili sciocchezze. In un certo senso per il momento era “al sicuro”, a meno che, ovviamente, non accadesse un imprevisto come quello che l’aveva portata a conoscere i loro figli, solo che, in quel caso, avrebbe fatto prima a buttarsi tra le fauci dell’ammasso di vermi schifosi piuttosto che rimanere ad aspettare che Robert e Maryse prendessero una decisione in merito a salvarla o meno.

I loro figli però non sarebbero rimasti a guardare, soprattutto Alec, e su questo avrebbe… bè, non messo la mano sul fuoco perché per lei non avrebbe fatto alcuna differenza, ma giurato su ciò che aveva di più caro al mondo sì. Yumi aveva ormai capito cos’era quel non so che in più che aveva scorto nel giovane che mancava agli altri due e che era stato ciò che aveva spinto Ryuu a fidarsi di lui e a permettergli di salvarla: Alec era gentile, onesto, schietto, intelligente e leale. E gli piaceva, o meglio, suscitava parecchio il suo interesse… e questo non andava bene: non era tanto il fatto che fosse il ragazzo di Magnus Bane ( di cui, tra parentesi, forse aveva capito cosa vedeva in quel giovane) a preoccuparla e a spingerla a tenere le distanze, era solo che… si era ripromessa di non affezionarsi mai più ad uno Shadowhunter.

Chissà se  lui e Magnus dovevano ancora uscire allo scoperto oppure l’avevano già fatto; nell’ultimo caso, allora c’era da sperare vivamente che le cose fossero DAVVERO cambiate rispetto a com’erano ai suoi tempi: Alec le aveva dato l’idea di essere più fragile di quanto non desse a vedere, e poi era un Lightwood, un primogenito, per di più, una combinazione pericolosa che significava grandi responsabilità, sottomissione e rispetto totale alle leggi del Clave più di chiunque altro. Lightwood… una tra le famiglie di Shadowhunters tra le più antiche e prestigiose e al tempo stesso ( e non solo a detta di Yumi) tra quelle più altamente portatrici di rogne peggio della Peste Nera. Era quasi una soddisfazione, però, essere venuta a sapere di un altro Shadowhunter che aveva volutamente ignorato le direttive del Clave e aveva deciso di seguire invece il proprio cuore. Il fatto che lo Shadowhunter in questione poi fosse un Lightwood era la prova vivente che i fiori non scelgono dove nascere, e che solo perché Alec era un Lightwood non significava affatto che fosse mentalmente chiuso come i suoi predecessori.

Non era il primo ad aver compiuto un passo del genere e di certo non sarebbe stato l’ultimo, e Yumi avrebbe avuto molto piacere a vedere questa cosa estendersi a macchia d’olio e coinvolgere anche gli altri Shadowhunters: quel giorno forse i loro popoli avrebbero finalmente appreso per davvero il significato della parola “alleanza” e avrebbero imparato a vivere aiutandosi a vicenda trattandosi con rispetto e tolleranza, invece come se ogni cosa gli fosse dovuta o guardarsi trattenendo a stento la voglia di far volare qualche testa per un’occhiata di sbieco. Lei ci credeva, nonostante tutto ci credeva davvero: era il suo sogno più grande in assoluto, anche se lei stessa aveva molte difficoltà a portarlo avanti e contribuire a renderlo possibile.
Però sapere che esistevano, al mondo, persone aperte come Alec e Magnus, erano un sollievo e una speranza enormi, ed era questo a renderla così vogliosa di conoscere meglio entrambi, tanto Alec quanto Magnus, ma Magnus in particolar modo.

Già era piena da scoppiare di domande che aveva accumulato negli anni e che avrebbe voluto rivolgergli, in più ora si erano aggiunte le novità degli ultimi giorni… e chissà quante altre ne avrebbe accumulate ancora. Yumi moriva dalla curiosità di saperne di più riguardo a lui e ad Alec: da quello che sapeva anche Magnus, come lei, non amava particolarmente gli Shadowhunters, né tantomeno trovarsi immischiato nei loro affari, eppure eccolo lì, con un debole per un giovane e bellissimo Lightwood.

Non sapeva cosa fare con lo stregone: aveva aspettato tanto per poter ritrovare suo padre, ma non era mai stata brava a mentire: se fosse andata da Magnus e gli avesse chiesto di evocarlo, come avrebbe giustificato la sua scelta senza mentire spudoratamente per poi venire smascherata a incantesimo compiuto? E chi le assicurava che lui non conoscesse già la sua storia e il motivo per cui era stata ansiosa di conoscerlo e non la volesse tenere sulle spine apposta per divertirsi un po' con lei? Non le era sembrato una cattiva persona, ma non lo conosceva abbastanza da poterlo stabilire con certezza.  Però conosceva i propri simili, e si conosceva: se qualcuno si fosse comportato così con lei, si sarebbe sentita frustata e furiosa per essere stata trattata e manipolata, quindi non dubitava che potesse essere lo stesso anche per Magnus.

Oltretutto, chi le garantiva che sarebbe stato in grado di evocare Sora? D’accordo, era un demone, ma l’energia del Vuoto aveva smesso di alimentare il suo corpo nel momento stesso in cui aveva conosciuto Karin; non era un demone come gli altri, quanto avrebbe influito questo sull’evocazione? E se fosse ormai morto e non ci fosse più niente da fare? Sbuffò: chi cercava di prendere in giro? Non le importava solo della buona riuscita dell’incantesimo, aveva a cuore anche il giudizio di Magnus.
Si erano visti una volta sola e per pochissimo tempo, eppure erano stati complici e in un certo senso si erano coperti le spalle a vicenda come se fossero stati amici da tutta la vita, e non dei completi estranei che si erano appena conosciuti. Si sentiva combattuta: avrebbe voluto conoscere Magnus per davvero, ma non
aveva il diritto di fare questo ad Alec. Era bastato il modo in cui sorrideva guardando Magnus o pronunciando il suo nome per far capire a Yumi quanto lo stregone fosse importante per lui; non si sarebbe mai perdonata di infliggergli un simile dolore. Era ad un impasse di cui non sapeva come liberarsi. Mentre ci pensava, qualcuno di piuttosto fastidioso la morse all’altezza del ventre.

« Non c’era bisogno di mangiarmi lo stomaco, sai? » brontolò a labbra serrate.

Percepì Ryuu scuotere la testa e agitare la coda come a volerle dire di non esagerare perché in fondo non l’aveva mica morsa così forte. Lei sbuffò e si massaggiò la pancia, imprecando silenziosamente contro il lupo: si era rifugiato in lei per tenerla a bada durante il colloquio, cosa che avrebbe tranquillamente potuto fare una volta arrivati a destinazione, ma invece aveva preferito levarsi di torno fin da subito. Non era pigrizia, la sua: Ryuu sapeva quanto Yumi fosse nervosa e voleva essere sicuro che non perdesse il controllo e desse in escandescenza ancor prima di aver messo piede dentro l’ospedale presso cui erano diretti. Yumi a volte non lo sopportava quando si comportava così, però al tempo stesso gli era grata.

E gli invidiava il fatto che potesse eclissarsi quando voleva senza essere continuamente spintonato e toccato dalla folla che camminava sul marciapiede e che metteva a durissima prova l’autocontrollo della ragazza, che guardò con desiderio le cime dei grattaceli sopra di lei, immaginando di nascondersi sotto un incantesimo e arrivare a destinazione saltando da un edificio all’altro, cosa che però non avrebbe per niente giovato al suo attuale abbigliamento, poco importava se le sarebbe bastato schioccare le dita per aggiustare tutto. Ryuu la morse di nuovo per riportarla coi piedi per terra, e dopo avergli augurato di incappare in una colonia di demoni-zecca riprese il cammino, ma non smise di rimuginare sui propri pensieri.


Anche se era sempre in compagnia di Ryuu, alle volte si sentiva sola, molto sola, e avvertiva come un gran vuoto nel petto.
Alzò gli occhi al cielo: non si vergognava di essere per metà demone, ma certe volte il peso dell’immortalità le gravava sulle spalle più pesantemente che in altre, e le toglieva il respiro. Però Ryuu era sempre pronto a morderla prima che potesse perdersi nei suoi sogni ad occhi aperti e a ricordarle che, anche con l’eternità a disposizione, non aveva tempo da perdere in pensieri foschi di prima mattina perché aveva un impegno a cui, tra parentesi, era in ritardo mostruoso.
Battendosi la mano sulla pancia come a voler infastidire il lupo e allontanarlo da lì, Yumi si rimise in marcia, sbuffando tra sé e sé: non aveva ancora affrontato il colloquio che già era stufa. Sperò di sbollire la rabbia nel restante tragitto che le rimaneva da percorrere. Il suo nervosismo le si concentrò nelle gambe, portandola a camminare molto più svelta di prima, ma d’un tratto il cellulare le vibrò nella tasca della giacca. Senza fermarsi lo prese e se lo portò all’orecchio senza nemmeno vedere il mittente della chiamata.

« Qui Shin » rispose, mordendosi la lingua per trattenersi dallo sbuffare.

Chiunque fosse, di certo non meritava di essere usato come sacco da boxe e accollarsi il nervosismo di Yumi per cui non aveva alcuna colpa.

« Yumi! ».

La voce agitata e disperata di Alec le rispose inaspettata dall’altro capo del telefono facendola arrestare completamente , mandandola a sbattere contro una donna che le inveì dietro prima di proseguire per la sua strada e facendole quasi perdere la presa sul telefono.

« Alec! Cosa…? » cominciò, sorpresa di sentire proprio la voce di una delle ultime persone da cui mai avrebbe pensato di ricevere una chiamata perché convinta che si fossero già dimenticati di lei, ma lui non le diede il tempo di finire.

« Yumi…Yumi ti prego… » disse affannato e disperato.

La ragazza iniziò a preoccuparsi sul serio.

« Alec, cosa c’è? Perché mi chiami, è successo qualcosa a Bane-sama? » .

Era la prima cosa che le era venuta in mente, e non solo per il fatto di sapere che quei due avessero una relazione: se non fosse stato per un'emergenza con Magnus, per quale altro motivo Alec avrebbe dovuto chiamare una perfetta sconosciuta quando sapeva di poter contare su uno stregone più potente e competente di lei? Il suo istinto le diceva che doveva per forza essere successo qualcosa di grave, e raramente sbagliava. E infatti…

« Magnus… lui… Jace… ».

La voce del ragazzo era rotta dai singhiozzi, e Yumi sentì una fitta tremenda al cuore mentre il panico iniziò ad ammontare.

« Alexander, per favore, calmati e spiegami cosa sta succedendo » cercò di dirgli dolcemente Yumi, ma anche lei ormai iniziava ad avere problemi a respirare tanto stava diventando nervosa.

« Eravamo in missione, io, Jace e Izzy , ma… siamo incappati in un demone che… ha preso possesso del corpo di Jace! ».

I sensi della ragazza si fecero più acuti e gli artigli e i denti iniziarono a pizzicarle.

« Siamo riusciti a portarlo via e ho chiamato Magnus… sta cercando di tenere a bada il demone, ma… ma…non è ancora riuscito a separarlo da Jace, e ormai ha raggiunto il limite, non durerà a lungo ».

Yumi strinse così forte il telefono che temeva le si sarebbe sfracellato nella mano, mentre le zanne le crebbero nella bocca.

« Ti prego… » mormorò Alec sofferente. « Ti prego, Yumi… so che ci odi e che non vuoi avere a che fare con noi, ma… ti supplico, Magnus e Jace hanno bisogno di aiuto… hanno bisogno di te! ».

Bastarono quelle parole e il tono distrutto del giovane a spezzare il cuore e ogni incertezza di Yumi e farle mandare al diavolo tutto: il colloquio, il fatto di essere in ritardo e persino i buoni propositi che si era ripromessa di mantenere, e a farla correre senza più fermarsi. Dentro lei, Ryuu a guaì lamentoso, e Yumi non poté biasimarlo: Alec gli piaceva molto, non c’era da sorprendersi che anche lui fosse così preoccupato. Senza interrompere la chiamata si fece largo tra la folla a spintoni, infilandosi poi in un vicolo entro cui corse finché un muro non le sbarrò la strada. Guardò verso l’imbocco: era abbastanza lontana dalla folla, nessuno avrebbe fatto caso a lei.

« Dimmi dove siete » disse, voltandosi verso la parete pronta ad aprire un Portale.

« All’Istituto… nel Santuario ».

La mano con cui Yumi stava tenendo il telefono si irrigidì e poco mancò che l’apparecchio le scivolasse a terra: anni a passare a tenersi lontana da quel posto e ora era praticamente costretta ad andarci, e per soccorrere uno Shadowhunter, per di più, anche se era coinvolto anche un Nascosto in difficoltà, sempre però per colpa dello Shadowhunter in questione. Era principalmente per questo se si era tenuta alla larga: avvicinati un minimo agli Shadowhunters e verrai condannata a dover far fronte ai loro problemi e ai loro guai, pagandone le conseguenze come se li avessi causati tu stesso, peggio che ritrovarsi nella scia di un ciclone.

Questi Shadowhunters però le avevano salvato la vita, aveva un debito nei loro confronti, e se a loro ora serviva aiuto gliel’avrebbe dato. Non lo faceva però solo per senso del dovere: Alec era davvero distrutto e se ce l’avesse avuto davanti non dubitava che si sarebbe buttato ai suoi piedi pur di scongiurare il suo aiuto; debito o meno, Yumi avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per soccorrerlo. Al diavolo il colloquio, al diavolo il lavoro: come si poteva pensare a certe scemenze quando c’era qualcosa di molto più importante in gioco?

« Non sono mai stata al vostro Istituto, ce la fai a mandarmi una fotografia? ».

Alec non rispose, ma Yumi sentì il rumore dei tasti della tastiera e solo dopo parecchi secondi il ‘click di una fotocamera. Allontanò il telefono dall’orecchio e poco dopo ricevette la foto di un ambiente di pietra con alte colonne a reggere il soffitto.

« Sto arrivando, tenete duro » disse.

« Grazie… ».

Le parole soffocate e commosse del giovane lasciarono interdetta la ragazza.

« Aspetta a ringraziarmi, figlio di Raziel » mormorò nel microfono, chiudendo immediatamente la chiamata senza accertarsi se lui l’avesse sentita o meno.

Dentro di lei, anche Ryuu era all’erta e ponto all’azione.

« Ikuzo [andiamo], Ryuu! » e aprì il Portale.

 


« Cerca di resistere, a momenti sarà qui, andrà tutto bene! » disse ansiosamente Alec a Magnus, stringendogli forte la mano sinistra.

Lo stregone, semi-accasciato contro il petto del giovane, sollevò appena i suoi luminosi occhi da gatto puntandoli verso quelli blu di Alec e ricambiò la stretta. Il ragazzo si morse le labbra per non lasciarsi scappare nemmeno un singhiozzo e strinse il fidanzato contro di sé con il braccio, posandogli un tenero bacio sulla fronte imperlata di sudore. Un sorriso stanco si delineò sulle labbra dello stregone, che cercò di tirarsi su e tenere distesa la mano destra, attraversata da deboli scintille azzurre, sul petto di Jace.
Il ragazzo era in preda a violenti spasmi, e deboli erano i tentativi di Isabelle di tenerlo fermo. La ragazza spostò lo sguardo da Jace ad Alec a Magnus senza riuscire a fermarsi: per via del suo legame parabatai con Jace anche Alec stava soffrendo, ma anche se cercava di tenendo duro ormai era al limite; per di più stava dando la sua energia a Magnus per aiutarlo a mantenere attivo l’incantesimo, ed entrambi erano vicini al crollo, soprattutto Magnus, che aveva il viso esangue e fradicio di sudore.
Jace invece aveva sangue che gli fuoriusciva dal sangue per via della sua lotta contro il demone che voleva vincere la sua resistenza e prendere possesso del suo corpo, lo stesso stato in cui era ridotto anche Alec sia per il legame con il fratello sia per la forza che stava donando allo stregone.

Il giovane era disperato: Jace non dava segni di miglioramento, a Magnus mancava pochissimo per collassare definitivamente… e lui era lì ad assistere impotente mentre suo fratello e il suo ragazzo erano sospesi tra la vita e la morte senza che potesse fare qualcosa per aiutarli. Deciso a consumarsi e spremere ogni singola goccia di energia che aveva in corpo pur di riuscirci, non avrebbe lasciato la mano di Magnus per niente al mondo e l’avrebbe sorretto finché le proprie forze gliel’avessero permesso. Ad un tratto lo stregone vacillò, e così pure la sua magia, che si affievolì fino a diventare una flebile luminescenza azzurra. Jace prese ad agitarsi ancora di più, Isabelle gli saltò praticamente addosso pur di tenerlo fermo e Magnus si accasciò contro il petto di Alec chiudendo gli occhi.

« Magnus » lo chiamò, ma lui non rispose.

« Magnus, Magnus ti prego, no, no! » urlò Alec in preda alla disperazione, ma un colpo di tosse gli spezzò il fiato, e la vista gli si annebbiò.

Stava per cedere, e nulla valsero i suoi tentativi di impedire che avvenisse: si sentiva pesante, molto pesante, e anche le sue braccia non gli rispondevano più. Cominciò a perdere la presa su Magnus, a far fatica a respirare, a sentire in bocca il sapore ferroso del sangue e le palpebre pesanti, non riusciva più a tenerle sollevate. La magia dello stregone si affievolì ulteriormente fino a sparire del tutto, e lui lasciò ricadere pesantemente il braccio. Jace allora urlò e si dimenò ancora più convulsamente, con Isabelle che disperatamente cercò di tenerlo fermo.

« Alec!! » urlò al fratello, ma la sua voce giunse ovattata alle orecchie del ragazzo, che sentì il corpo di Magnus scivolare giù e il proprio tendersi automaticamente per afferrarlo, ma gli sfuggì come sabbia tra le dita.

All’improvviso, proprio quando ormai stava per perdere definitivamente i sensi, sentì un braccio magro ma muscoloso circondargli le spalle da dietro, Magnus ricadergli contro il petto e un fresco profumo di pino invadergli le narici. Strinse a sé il suo ragazzo e cercò di riaprire gli occhi, ritrovandosi così a guardare quelli splendenti come zaffiri di Yumi ad un soffio dalla propria testa e vicinissima a quella di Magnus, il braccio destro stretto intorno alla vita dello stregone e il sinistro a circondare le spalle di Alec.

« Yumi… » mormorò.

Yumi si morse il labbro stringendo la presa sui due ragazzi: erano conciati veramente male, e anche Jace non era messo meglio; bisognava fare alla svelta, o non ci sarebbe più stato niente da fare per nessuno.

« Go anshin kudasai [lascia fare a me], Alec. Ora ci sono io » disse.

Lui annuì impercepibilmente, pur non capendo niente delle parole di Yumi. Lei allora lo fece appoggiare ad una colonna, spostò Magnus in modo da adagiarlo contro le gambe del ragazzo e si voltò verso Jace, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa si sentì prendere la mano sinistra. Si voltò spazientita, ma quando vide che era stato Magnus ad afferrarla la rabbia sbollì subito, sostituita dalla preoccupazione.

« Bane-sama… »  mormorò debolmente.

L’uomo si sollevò a fatica e aprì leggermente gli occhi, guardò molto seriamente la fanciulla e chiuse la sua mano grande e calda su quella affusolata della ragazza. Yumi ricambiò la stretta e restituì lo sguardo, annuendo risoluta. Non ci fu bisogno di parole: i loro occhi espressero da soli tutto quello che c’era da dire, e i due stregoni su capirono come se avessero parlato ad alta voce. Lasciò la mano di Magnus e si concentrò su Jace, giunse le mani e poi le posò sul petto del ragazzo: queste si illuminarono di un’energia azzurra molto luminosa e intensa, così come i suoi occhi.

Jace smise di agitarsi e ricadde a peso morto addosso a Isabelle, che non lo mollò un attimo, ma qualcosa dentro il ragazzo continuò a muoversi, seppur in molto meno violentemente rispetto a prima. Yumi assottigliò lo sguardo, gli occhi le divennero da gatto e l’energia che pervadeva le sue mani divenne ancora più luminosa. Percepì chiaramente il demone spostarsi da una parte all’altra del corpo di Jace per sfuggire alle sua mani, che mosse ovunque sul petto del giovane per riuscire a stanare il demone. Che fosse debole di suo o se Magnus l’avesse piuttosto fiaccato con la sua magia, ben presto Yumi riuscì a metterlo nel sacco e a intrappolarlo all’altezza del cuore del ragazzo.

« Ci siamo quasi: tienilo fermo con tutte le tue forze » intimò a Isabelle, che non se lo fece ripetere due volte e circondò le spalle di Jace con entrambe le braccia stringendolo forte. Yumi sollevò leggermente le mani, mormorò qualche parola e poi colpì seccamente il petto del giovane, che si inarcò in avanti e spalancò la bocca, da cui fuoriuscì un fumo nero che andò a coagularsi fino ad assumere le sembianze di quello che sembrava un piccolo goblin, gobbo, ossuto e nerastro. La creatura rotolò sul pavimento del Santuario, ma si puntellò ben presto sulle nocche delle mani e sulle ginocchia sputando verso Yumi.

« Dannata, piccola e sudicia mezzosangue! » esclamò con voce roca come se avesse avuto delle pietre in gola.

« Guardati allo specchio, bakemono [mostro] » ribatté Yumi. « Non accetto la morale da un parassita ».

Il demone ringhiò, anche se fu più simile al rumore di un colpo di tosse catarrosa.

« Capisco che tu abbia preso possesso del corpo di questo giovane per riscattarti un minimo, » continuò Yumi, indicando Jace. « ma non so quanto vantaggio ne avresti tratto: sarà anche un bel tipo, ma è un completo idiota . O lo hai scelto proprio perché hai sentito di avere questa particolarità in comune con lui? ».

Il demone sputacchiò e batté i pugni, ma poi guardò verso Alec e Magnus e sorrise, si piegò su un ginocchio e balzò verso di loro.  Come un fulmine, Yumi estrasse il bastone di elettro, lo aprì e colpì violentemente il demone con un’estremità, sbattendolo contro una colonna. Il goblin si rialzò a fatica e strisciò lontano, tenendosi la faccia da cui colavano rivoli di icore.

« Ti pentirai di quello che hai fatto! »

« Io invece penso proprio che sarai tu quello che si pentirà di aver scelto la vittima sbagliata » disse Yumi puntando il bastone verso di lui, ma in quel momento Jace tossì e sputacchiò sangue.

« Jace! ». Isabelle trasse fuori lo stilo e iniziò a disegnare rune sul braccio del fratello che però non sembrarono giovare granché alla sua salute, e lei guardò disperata verso Yumi, che strinse il bastone alternando lo sguardo da lei al demone: Jace aveva urgente bisogno di cure, ma non poteva lasciare quel demone a piede libero senza nessuno che lo tenesse a bada, e né Alec né Magnus erano nelle condizione di fare alcunché. Il demone si accorse della sua esitazione e sorrise beffardo.

« Che cosa farai, piccola mezzosangue? Salverai un nemico giurato della tua razza, o lo lascerai morire per uccidere me? ».

« Damare!! » esclamò Yumi.

L’altro non smise di sogghignare. Yumi digrignò i denti e strinse forte l’arma fino a perdere sensibilità: se non lo eliminava subito, Alec e Magnus sarebbero stati in pericolo, però occupandosi di lui avrebbe trascurato Jace; se invece avesse soccorso Jace, avrebbe lasciato campo libero al demone, che avrebbe attaccato i due ragazzi. La situazione sembrava non avere una via d’uscita. Proprio in quel momento, però, qualcosa la colpì dolorosamente al petto facendola boccheggiare. Si portò la mano al cuore, ma quando rialzò lo sguardo sorrise, lasciando il demone interdetto.

« Cosa stai…? » ma lei prese le due estremità del bastone e lo riportò alle sue dimensioni tascabili, rinfoderandolo.

« Sei veramente una stupida! » esclamò il demone, che batté i pugni a terra e iniziò a correre per buttarlesi addosso, ma Ryuu si manifestò uscendo dalla schiena della ragazza e afferrò il demone coi denti, scaraventandolo lontano, poi si acquattoò e gli ringhiò contro, attento ad ogni sua mossa.

Il demone provò più e più volte ad avvicinarsi di soppiatto al lupo per confonderlo e deviare all’ultimo secondo, o provando a salire sulle colonne per prenderlo dall’alto, ma i suoi tentativi fallirono tutti miseramente: Ryuu sembrava in grado di anticipare qualunque sua mossa prima ancora che potesse metterla in atto. Ben presto il demone si ritrovò in difficoltà, e con frustrazione notò invece che il lupo non sembrava minimamente affaticato. In un ultimo tentativo disperato, si lanciò contro il lupo urlando come un ossesso, ma stranamente a quel punto lui lo fece passare. Neanche il tempo di gongolare per essere riuscito a eludere la sua guardia che si ritrovò  il viso stritolato dalla mano di Yumi
.

« Credevi davvero che Ryuu ti avrebbe fatto passare se io non fossi stata pronta a respingerti? »
disse gelida Yumi.
Il goblin si agitò e scalciò come un indemoniato, al che Yumi piegò il braccio all’indietro e lanciò il demone con tutta la forza che aveva verso l’entrata del Santuario. Il mostro ruzzolò fino a sbattere contro la porta, ma ferito nell’orgoglio e voglioso solo di ripagare il torto subito, si rialzò sulle gambe doloranti e si lanciò nuovamente alla carica.

Yumi gli corse incontro saltandogli però alle spalle con una capriola e atterrando a carponi. Il demone frenò bruscamente la sua corsa e urlando le saltò di nuovo addosso, ma Ryuu fu più veloce e con un salto riuscì a raggiungerlo azzannandolo a mezz’aria e passando sopra Yumi senza nemmeno sfiorarla. La ragazza saltò su e schioccò le dita nel momento stesso in cui Ryuu lanciò nuovamente il goblin contro l’entrata, solo che stavolta non sbatté contro il legno: le ante del portone si spalancarono e la luce del sole invase il Santuario, cogliendo di sorpresa il demone che purtroppo non riuscì a salvarsi in nessuna maniera e bruciò come fascine di paglia secca. Yumi e Ryuu restarono a guardare in silenzio finché il demone non svanì completamente in un nugolo di fumo e scintille.

« Niente di personale » disse Yumi, e protese il pugno chiuso verso Ryuu, che gli diede un colpo con la testa.

« E’ arrivato… lo zoo ambulante… ».

I due alzarono gli occhi al cielo e si voltarono simultaneamente verso Jace, che  era riuscito a mettersi seduto sorretto da Isabelle.

« Felice anch’io di rivederti, baka » disse Yumi. « E no, prego, non c’è di che ».

Jace la guardò inarcando un sopracciglio.

« Com’è che mi hai chiamato? » disse, perplesso.

« Idiota, eccome come » borbottò lei, in risposta.

Jace si alterò e si alzò di scatto, ma lei gli batté il piede sul petto ributtandolo a sedere con un tonfo.

« Se hai tutta questa forza per fare il cretino, significa che ti sei già ripreso completamente » e soffiò su un ciuffo di capelli cadutole davanti agli occhi.

Il giovane la guardò in cagnesco borbottando “bestiaccia”, ma lei lo ignorò. Isabelle invece sorrise sollevata, e quando Yumi si alzò le gettò le braccia al collo stringendola forte. Yumi ebbe appena il tempo di percepire il dolce profumo di vaniglia di cui erano impregnati i capelli della cacciatrice che lei si staccò e la guardò con un grande sorriso.

« Grazie, grazie! ».

Yumi sbatté gli occhi perplessa, disarmata da quello splendido sorriso e da quell’esuberante manifestazione di riconoscenza.

« Di… niente ».

Lei sorrise ancora di più, ma in quel momento Alec urlò disperato:

« MAGNUS!! ».

I tre ragazzi  si voltarono e accorsero immediatamente dal giovane, che teneva il viso di Magnus sollevato all’altezza del proprio.

« Magnus… Magnus, ti prego svegliati, svegliati! ».

Le lacrime del cacciatore caddero sul viso dello stregone, ma lui non si mosse minimamente. Alec lo strinse forte a sé affondando il viso nella sua spalla ripetendo il suo nome come un mantra.

« Per l’Angelo… no, non può… Magnus non può… » mormorò Isabelle portandosi una mano alla bocca.

Yumi si morse le labbra e guardò lo stregone socchiudendo gli occhi: con suo enorme sollievo vide che l’anima dello stregone, anche se flebile, era presente, Magnus era ancora vivo! E questo significava che non c’era tempo da perdere.

« Alec » disse Yumi, abbassandosi al suo livello.

Il ragazzo non diede segno di averla sentita, al che lei si alterò e alzò la voce:

« Alexander! ».

Il giovane alzò finalmente gli occhi dal corpo di Magnus, e Yumi si sentì stringere le viscere: le lacrime scivolavano giù dagli occhi azzurri del ragazzo, che sembravano rilucere come cristalli malgrado fossero arrossati. Se mai la sofferenza avesse avuto una faccia, sarebbe stata quella di Alec.

« Non preoccuparti, è ancora vivo » disse. « Ma non posso aiutarti se tu non aiuti prima me: per favore, stendilo ».

Alec non se lo fece ripetere due volte e appoggiò delicatamente Magnus a terra.

« Ti prego… » mormorò a Yumi, guardandola supplichevole. « Ti prego, salvalo… ».

Senza pensare, Yumi gli mise una mano sulla guancia.

« Baka wo iumasen  » disse, accarezzandogliela dolcemente.

« Cosa… cosa vuol dire? » mormorò il ragazzo.

« Non dire stupidate » spiegò la ragazza sorridendogli. « Lo salverò, te lo prometto ».

Alec le sorrise grato, poi abbassò lo sguardo sul proprio ragazzo e divenne serio.

« C’è qualcosa che posso fare? » chiese senza guardare Yumi.

« Solo restare calmo, » rispose lei « e tenergli la mano ».

Il ragazzo fece come gli era stato detto, stringendo la mano di Magnus con le proprie e guardandolo con disperazione. Yumi non poté impedirsi di sentire una fitta al cuore, e questo la rese ancora più risoluta: avrebbe salvato Magnus a qualunque costo, fosse stata l’ultima cosa che faceva. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi: la brillante energia di poco prima tornò a invadere le sue mani, e Yumi la riversò nel petto dello stregone poggiandocele sopra. Passarono quelli che Yumi giudicò i minuti più lunghi di tutta la sua intera esistenza, e solo dopo quella che parve un’eternità Magnus riprese finalmente i sensi.

« Magnus! » esclamò Alec.

Lo stregone sbatté le palpebre un paio di volte e si voltò lentamente verso il ragazzo, sorridendo a fatica.

« Mio dolce Alexander… perché stai piangendo? » disse dolcemente.

« Perché io… tu… credevo di averti perso… » mormorò Alec stringendo forte la mano di Magnus e singhiozzando.

Lo stregone allungò la mano e gli accarezzò teneramente la guancia.

« Tu non mi perderai mai, Alexander ».

Il ragazzo perse il controllo e attirò Magnus contro il proprio petto, stringendolo come se non volesse lasciarlo più.

« Alec, mi stai soffocando… » lo avvertì debolmente Magnus, ma il ragazzo lo ignorò e lo strinse più forte, passò le mani sulla schiena e sui capelli del fidanzato baciandogli poi il collo, le guance, la fronte, gli occhi, fino ad arrivare alla sue labbra, che catturò con le proprie in un intenso bacio che lasciava poco spazio alla tenerezza, tenendogli nel contempo una mano dietro la testa e l’altra sulla sua schiena. Dopo un primo attimo di smarrimento, Magnus fece scivolare le braccia sulla schiena del suo ragazzo e lo strinse a sé ricambiando con altrettanta intensità, ignorando le lacrime che il giovane continuò a versare e che gli bagnarono il volto. Jace fece una smorfia, ma ricevette una gomitata nelle costole da Isabelle che stroncò sul nascere qualsiasi commento inopportuno fosse in procinto di formulare.

« Per l’Angelo, ma che ti prende? » bisbigliò infastidito alla sorella.

Lei gli fece segno di stare zitto e indicò i due ragazzi come a dirgli di non rovinare quel momento. Lui alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, Isabelle invece sorrise asciugandosi l’unica lacrima sfuggitole dalla ciglia e prendendo un profondo respiro: non ricordava di avere mai avuto tanta paura in vita sua, e ora che tutti erano salvi si sentiva felice da scoppiare.

Yumi invece guardò i due ragazzi molto seriamente. Aveva mantenuto la promessa ed era riuscita a salvare Magnus, nonostante la grande paura che le aveva attanagliato il cuore; lui era salvo, eppure, a vederlo tra le braccia di Alec, con il giovane felice come non mai di riaverlo avuto indietro e che lo guardava con occhi pieni d'amore, lei non sentiva altro che un gran freddo e una tremenda sensazione di vuoto nel cuore. Non era perché le scocciava che si fossero dimenticati di lei: era normale prassi che, quando un Nascosto svolgeva il lavoro che gli era stato chiesto veniva dimenticato e non considerato più, e anche se le scocciava ancora ormai ci aveva fatto l’abitudine.
In quel caso, poi, non era nemmeno strano: quei quattro avevano un legame che li univa, si volevano bene, e avrebbero fatto di tutto l’uno per l’altro; lei era solo una perfetta sconosciuta a cui si erano rivolti solo perché non avevano avuto nessun’altro a cui chiedere aiuto ma che non aveva niente a che fare con loro, non era… nessuno.

Non era neanche questo a rattristarla, però: era vedere Alec e Magnus, un figlio di Raziel e un figlio di Lilith, un mortale e un immortale, amarsi così intensamente, incuranti delle differenze che intercorrevano tra di loro. Erano passati anni, ma lei ancora non era riuscita a liberarsi dai rimpianti e dai rimorsi, maledicendosi per la propria stupidità passata e chiedendosi, nuovamente, se non avesse dovuto fare di più, essere più egoista, più forte, più… coraggiosa, se aveva fatto bene ad andarsene o se invece era stata solo una gran codarda che era scappata prima ancora di provarci seriamente.

Domande e dubbi che si trascinava da anni e che non le davano tregua, perché ancora non era riuscita a trovare risposte. Nemmeno la persona di cui più si fidava al mondo aveva saputo dargliene, dicendole che solo lei avrebbe potuto farlo.
Yumi però non ci era ancora riuscita, anche se trovava alquanto ironico il modo in cui il destino ritornava sui propri passi anche a distanza di anni e che fosse lì, sotto forma di uno Shadowhunter e di uno stregone, a rinfacciarle le sue colpe passate, quello che aveva perso o che avrebbe potuto avere ma non era stata abbastanza forte da tenersi stretto e vivere fino in fondo.

Ryuu le venne vicino e lei gli mise un braccio sotto la testa, stringendolo forte senza guardarlo. Il lupo strusciò dolcemente il muso contro il suo viso, guardando anch’egli verso i due ragazzi e poi Yumi: non sarebbe mai riuscito a guarire il suo cuore. Poteva aiutarla a tenere insieme i pezzi e leccare le ferite ogniqualvolta che ricominciavano a sanguinare… ma non sarebbe mai riuscito a curarla del tutto. Sperava continuamente che un giorno avrebbero di nuovo incontrato qualcuno davvero in grado di riiuscirci e renderla felice… ma lei sembrava aver chiuso il proprio cuore a quel genere di sentimenti, anche se Ryuu sapeva bene che non era davvero così, anche se Yumi donava amore in giro a chiunque ne avesse bisogno. Neanche lui avrebbe mai creduto di rivedere un giorno una parte del loro passato reincarnata in qualcuno che con quel passato non aveva assolutamente niente a che fare, persino in circostanze terribilmente somiglianti.

Si voltò verso Yumi mordicchiandole il viso e lei sorrise, anche se fu un sorriso piuttosto triste. Anche se faceva male guardare, però, dentro di sé Yumi avvertì una tenue parvenza di sollievo al pensiero che non tutti fossero codardi come lei e che esistessero anche persone abbastanza coraggiose da ascoltare il proprio cuore e prendersi l’impegno di non ignorarlo e continuare a seguirlo. A quello, però, si aggiunse presto anche la paura, e guardò Alec e Magnus in modo diverso da prima, con un terrore vivo e soffocante che le offuscò la mente per un secondo facendola accasciare leggermente contro Ryuu, che guaì preoccupato.

« Yumi, stai bene? » .

La ragazza alzò lo sguardo e con sua enorme sorpresa si accorse che era stato Jace a chiederglielo. Tuttavia non ci fece caso.

« Sto bene, ho solo usato troppa magia » mentì a malincuore: non era vero che si sentiva svuotata, però stargli a spiegare la verità era troppo complicato, e comunque non vedeva ragione né sentiva la necessità di doverlo raccontare proprio a lui, che sicuramente non avrebbe capito. Aveva buona ragione, invece, di andarsene da lì il prima possibile, prima che il passato potesse influenzare quelle persone che non avevano nessuna colpa di ciò che le era successo e le portasse a commettere gli stessi errori che aveva commesso anche lei. Si tirò su ma barcollò leggermente. Jace lo notò e scosse la testa.

« Non stai bene, non dovresti alzarti così velocemente da- »

« Ho detto che sto bene!! » esclamò Yumi, ma insieme alle parole seguì anche un ruggito che rimbombò per tutto il Santuario.

Jace si morse le labbra e indietreggiò leggermente, Isabelle si voltò lentamente e srotolò un capo del bracciale dorato che aveva al polso, e Magnus e Alec smisero di baciarsi e guardarono preoccupati Yumi, che invece non li degnò di uno sguardo. Recuperò la borsa e si apprestò ad andarsene senza più guardare nessuno, ma di nuovo si sentì afferrare per il polso, e stavolta non le servì voltarsi per capire chi fosse.

« Mi lasci andare immediatamente » sibilò a denti stretti.

« Altrimenti cosa fai? » disse Magnus. Yumi si voltò fulminandolo con lo sguardo.

« Le stacco la mano a morsi ».

In realtà la presa dello stregone non era molto salda, le sarebbe bastato poco liberarsene, ma qualcosa nel suo sguardo le impediva di farlo e porre fine alla questione.

« Non credo proprio, stellina: tu ora fai la brava e ti fermi un attimo, senza scappare via come di tuo solito ».

« E lei che ne sa? » sbottò Yumi, liberandosi con uno strattone. « Che ne sa di cosa faccio di solito? Cosa sa di me?? ».

« Più di quanto tu possa pensare… ohime-sama [principessa] ».

Il cuore di Yumi perse un battito e lei ebbe un attacco d’asma, che la fece cadere in ginocchio e tenersi il petto con una mano. Quanti… quanti anni erano passati dall'ultima volta che qualcuno l'aveva chiamata in quel modo, aveva quasi finito per dimenticarlo.  Magnus si trascinò accanto a lei senza però toccarla, aspettando che si calmasse. Quando finalmente Yumi si quietò, lo sguardo lo stregone ricevette non era più furioso ma supplichevole.

« Stai bene? » disse.

Yumi scosse la testa tremando.

« Non… mi chiami più in quel modo, per favore… » mormorò debolmente.

« Non lo farò » disse Magnus molto gentilmente. « Ti porgo le mie scuse, non pensavo che ti avrebbe dato un fastidio del genere ».

« Lasci perdere… me lo sono meritato… » ribatté Yumi, sempre a bassa voce.

Magnus avvicinò le labbra all’orecchio della ragazza.

« Immagino che anche tu ne sappia molto a mio riguardo, dico bene? ».

Yumi rabbrividì quando sentì il suo fiato caldo e per la sorpresa, ma annuì debolmente.

« Ti piacerebbe… approfondire la cosa? » le chiese ancora Magnus.

Un brivido attraversò la spina dorsale delle ragazza: aveva sognato per anni di sentire quelle parole, ma ora… Ora, pensò guardando Alec…

« … non è affatto né il luogo né il tempo adatto, Bane-sama. E soprattutto, non mi sembra neanche il caso » mormorò a denti stretti indicando con un cenno Alec.

Magnus lo guardò di sfuggita e sospirò, poi si rivolse ancora alla ragazza, sempre sottovoce:

« Ne riparleremo in un’altra occasione, allora » e si allontanò da lei.

Yumi lo guardò come se fosse pazzo: oltre che sui vestiti, i glitter ce li aveva forse anche nella scatola cranica al posto del cervello? Ma si rendeva conto o no dell’effetto che le sue parole avrebbero potuto avere su Alec se lui li avesse sentiti? Sarà stato anche più vecchio di lei, ma in quel momento a Yumi sembrò che lo fosse solo formalmente e che il suo cervello fosse ancora quello di un tredicenne. Magnus le porse la mano ma lei lo rifiutò e si tirò su da sola. Lo stregone sospirò nuovamente e si apprestò a fare altrettanto, ma le gambe lo ressero malamente e ricadde a terra, dove però fu prontamente sorretto da Alec, a cui sorrise caldamente, cosa che fece sorridere a sua volta il ragazzo. Yumi li guardò sorridendo, ma non mancò di notare l’espressione corrucciata di Jace rivolta però non a lei ma a Magnus.

« Cosa stavate confabulando, voi due? » disse sospettoso.

« Cose da stregoni » fu l’evasiva risposta di Magnus, accompagnata da un gesto vago della mano.

« Come no. Inventatene un’altra, Magnus: non sono stupido, voi due ci state nascondendo qualcosa ».

Magnus gettò uno sguardo eloquente a Yumi e lei annuì impercepibilmente toccandosi il petto, a cui Magnus rispose con un cenno del capo.

« Forse ti sfugge il fatto che siamo entrambi stregoni e che, come tali, abbiamo vissuto a lungo » disse Yumi, alzandosi in piedi.

« E con questo? » ribatté Jace.

« Con questo,  » rispose Yumi, assottigliando lo sguardo « abbiamo anche sentito spesso parlare l’uno dell’altra nel corso dei secoli, non è così strano ritrovarci a parlare di qualcosa che voi invece non potreste nemmeno capire ».

Con la coda dell’occhio notò Alec irrigidirsi e si morse le labbra: avrebbe forse fatto meglio a non dire quelle cose? Jace non sembrò affatto convinto, ma evidentemente non era poi così interessato alla questione, perché sospirò e lasciò cadere le braccia.

« Siete così problematici, voi stregoni » sbuffò, passandosi una mano tra i capelli.

« E tu sei così donna che ti mancano giusto una sottana » ribatté Yumi.

Isabelle nascose un sorriso dietro la mano, ma Jace la vide lo stesso e la fulminò con lo sguardo, squadrando poi Yumi da capo a piedi.

« Perché sei vestita come un damerino? Stavi forse andando ad un appuntamento con una bella ragazza? »

« Sì, visto che in giro fortunatamente ne esistono ancora in grado di accorgersi di chi ha sale in zucca e di chi invece nella testa ha solo il deserto dei tartari » disse indicandolo con il dito.

Jace strinse le nocche con forza. Yumi gli rispose con una smorfia e si dette una spolverata ai vestiti.

« Ripassa tra un centinaio d’anni, ragazzino: forse allora sarai in grado di tenermi testa » disse.

« Io spero proprio che il biondino sparisca molto prima di allora, ti immagini come sarebbe trascorrere le ere di questo mondo in compagnia della sua fastidiosa presenza ? Non oso nemmeno pensarci » disse Magnus con un brivido di disgusto.

Yumi inarcò un sopracciglio e scosse la testa.

« Lasciami Izzy, sto bene » sentirono Alec brontolare.

« Non stai bene, Alec. Per l’Angelo, smettila di fare il testone e fatti aiutare » ribatté lei cercando di tracciargli rune sul braccio ma venendo prontamente respinta dal fratello.

« Ho detto che non ne ho bisogno » disse duramente.

Isabelle mise le mani sui fianchi e guardò il fratello con aria di sfida.

« Non usare quel tono con me, Alexander Gideon Lightwood » lo minacciò. « E non costringermi a incatenarti al letto pur di riuscire a tracciarti una iratze, lo sai che ne sarei capace ».

Alec aprì la bocca per ribattere, ma in quel mentre Ryuu gli morse il braccio.

« Per l’Angelo, ma che accidenti fai?? » esclamò tenendosi l’arto.

Ryuu lo guardò truce e scosse la testa, indicando poi Isabelle con il muso. Alec guardò la sorella e sgranò gli occhi.

« Scusa, Alec » intervenne Yumi. « E’ talmente abituato a me che ormai gli viene naturale come camminare ».

Mentre parlava, con la coda dell’occhio notò Jace toccarsi il braccio nello stesso punto in cui era stato morso Alec… e iniziò a capire molte cose.

« Cosa vuoi dire? » disse Alec, distogliendola dai suoi pensieri e facendola sospirare.

« Che ti ha morso perché vuole intimarti di non fare l’orgoglioso e accettare l’aiuto di tua sorella ».

Il lupo ululò brevemente e Isabelle lo guardò grata per la prima volta, riuscendo finalmente a posare lo stilo sulla pelle del fratello, con lui che però non fece quasi caso a lei, perso com’era ad alternare lo sguardo da Yumi a Ryuu e viceversa.

« Voi due… » iniziò a dire.

« Sì? » disse Yumi, aspettandosi un commento relativo alle brutte abitudini di Ryuu o alla pessima idea di Yumi di averlo come animale da compagnia, ma invece il ragazzo se ne uscì dicendo:

« Voi sareste una perfetta coppia di parabatai ».

La ragazza rimase spiazzata, ma si ricompose in fretta.

« Migliore persino di te e del biondino? » buttò lì con noncuranza.

Sia Alec che Isabelle la guardarono allibiti, e anche senza vederlo Yumi immaginò che anche Jace stesse facendo lo stesso.

« Come l’hai?... » disse Alec.

« Ho visto Jace reagire quando Ryuu ti ha morso, e da lì a fare due più due… » si giustificò la ragazza, alzando le spalle.

Alec gettò un’occhiata a Jace e lui allargò le braccia come dire “ci ha beccato, non possiamo contestarla “.

« Lascia, Isabelle, è una mia responsabilità » disse Yumi scansando delicatamente la ragazza e posando la mano, illuminata di azzurro, sul segno del morso, guarendolo all’istante.

Alec si guardò il braccio, poi sospirò.

« Grazie, Yumi » disse.

« Era una sciocchezza, non serve ringraziarmi » lo liquidò Yumi con un gesto della mano.

« Non mi riferivo a questo » aggiunse il ragazzo. « Intendevo… per essere accorsa… per averci salvato: grazie ».

La strega sbatté le palpebre perplessa, tuttavia, le vecchie abitudini presero il sopravvento:

« Una vita per una vita, Alexander: ho pagato il mio debito, ora siamo pari » e si voltò verso l’uscita.

« Non scapperai di nuovo via, spero » disse Magnus, spostandosi in modo da esserle praticamente davanti.

Yumi lo guardò sospirando.

« Devo dedurre che sta decisamente meglio, Bane-sama ».

« Sono stato peggio » affermò lo stregone sorridendo.

Yumi e Ryuu si scambiarono uno sguardo d’intesa.

« Bane-sama, la prego di spostarsi: sono in ritardo pazzesco » .

« Chi sarebbe la sfortunata? » disse Jace sfrontato.

« Il direttore di un ospedale che mi caccerà via se oserò arrivare in ritardo al colloquio di lavoro che abbiamo fissato per stamattina » rispose Yumi a denti stretti.

Jace sembrò piuttosto stupito dalla risposta.

« Un colloquio di… lavoro? »

« Non nasciamo tutti con la carriera già pronta e servita su un piatto d’argento, sai? Gli altri, il lavoro, se lo devono cercare ».

« Lo so, però… immaginavo che anche tu… » disse evasivo il giovane guardando verso Magnus, ma venne prevenuto da Yumi, che lo guardò minacciosa puntandogli il dito contro.

«  Paragonami di nuovo a Bane-sama per qualunque cosa che vedi di diverso in me rispetto a lui e giuro che ti taglio la lingua e la dò in pasto alle anatre del parco! »

Jace sembrò sul punto di ribattere ma poi lasciò perdere e sbuffò, dandole le spalle.

« Sei piuttosto elegante » disse Magnus.

Yumi notò che sembrava ancora affaticato.

« E’ sicuro di stare bene? »

« Shinpaimuyou [non ti preoccupare], stellina, sto bene… grazie a te ».

« Ii yo [di niente] … » disse Yumi.

 Lo stregone le sorrise cordiale e la squadrò da capo a piedi.

« Dicevo: sei piuttosto elegante, » disse « ma credo dovresti dare un’aggiustatina al tuo abbigliamento ».

« In che senso? »

Magnus indicò un punto un basso.

« I buchi nei pantaloni fanno tendenza sui blue jeans, ma sono piuttosto informali per un colloquio di lavoro ».

Yumi abbassò lo sguardo, notando effettivamente che la stoffa di entrambe le ginocchia era lacerata. Si ricordò di essersi buttata per terra strusciando con le ginocchia sul pavimento tanta era stata la sua foga nel voler soccorrere Alec e Magnus.

« Mattaku muo… » borbottò, ma non fece in tempo a muovere la mano che una nebbiolina azzurra avvolse i suoi pantaloni, riparandoli alla perfezione.

« Bane-sama! Si è appena ripreso, non sprechi energie per cose così futili » esclamò rivolta allo stregone, che fece un gesto disinteressato con la mano.

« Non è riparandoti i vestiti che passerò a miglior vita ». Yumi fece per ribattere ma uno sguardo ammonitore di Ryuu le fece mordere le labbra.

« Arigatou… » borbottò invece, anche se poco convinta.

« Ii yo, stellina » .

« Può smetterla di chiamarmi così?! ».

« Perché dovrei? Sei una stella cometa: non ti fermi mai troppo a lungo in nessun posto e appena porti a termine quello che devi fare te ne vai via immediatamente ».

Yumi stavolta dovette tirar fuori le zanne e mordersi così forte la lingua da rischiare di staccarla pur di non mostrarla a Magnus come una mocciosa impertinente.

« E’ meglio se lasci perdere, Yumi » intervenne Alec.

A quel punto Yumi lasciò cadere le braccia e sospirò pesantemente, passandosi una mano sul viso. Magnus sorrise compiaciuto e lei gli fece una smorfia, poi però notò Alec guardarli perplesso e spezzò il legame visivo con Magnus rendendosi però conto una volta di più di quanto la promessa fatta al cacciatore fosse un impegno più grande di quanto avesse pensato: si sentiva attirata verso Magnus come l’ago di una bussola è attirato verso il Nord, non importa i tentativi di scuoterla per farle  cambiare posizione. Era qualcosa davvero difficile da gestire, e la preoccupava non poco: non era così che aveva sempre immaginato il suo incontro con lo stregone, non aveva mai pensato che avrebbe potuto avere una tale influenza su di lei.

« Tutto bene, Yumi? ».

Alzò lo sguardo e si ritrovò a guardare niente meno che gli occhi azzurri di Alec.

« Sì, tutto a posto… » mormorò.

Alec guardò soprappensiero Magnus e lui scosse la testa, gesto che il ragazzo interpretò come un invito a non insistere oltre. Nel contempo, però, avvertì una sensazione di fastidio all’altezza del cuore: perché aveva l’impressione che Magnus gli stesse nascondendo qualcosa? A detta dei due, lui e Yumi si erano conosciuti esattamente sette giorni prima, quando loro le avevano salvato la vita… ma allora perché invece gli davano la sensazione che non fosse davvero così? Certo, Yumi aveva detto che avevano sentito parlare parecchio l’uno dell’altro… ma era sufficiente a giustificare il loro comportamento? Sembravano così… affiatati, l’uno con l’altra.

Anche prima, quando Magnus le aveva stretto la mano e l'aveva guardata negli occhi… il suo non era stato lo sguardo che si rivolgeva ad un perfetto sconosciuto, ma verso chi ci si fida completamente e di cui si sa esattamente ciò che è in grado di fare. E questo iniziava a dargli fastidio: chi era veramente Yumi? E perché Magnus sembrava così cauto e a tratti protettivo nei suoi confronti come se sapesse esattamente cosa bisognasse fare con lei?

« In ogni caso, io sono davvero in ritardo, e sarà proprio meglio che vada » disse Yumi.

« Aspetta! » la fermò Isabelle. Yumi la guardò appena.

« Non puoi proprio fermarti un attimo? Ho così tante cose da chiederti… »

« Dovrai chiedermele un’altra volta » tagliò corto la strega e fece per avviarsi verso la porta, ma dalla cima delle scale una voce di donna rimbombò nell’aria.

« Che sta succedendo qui? ».

Yumi si bloccò e così anche Ryuu. La ragazza sentì le zanne crescere e gli artigli premere, il lupo scoprì i canini e ringhiò sommessamente, ma non si voltarono verso la voce, che sentirono avvicinarsi.

« Perché non siete in ricognizione, voi tre? Cosa ci fa qui lo stregone? ».

La voce ormai era a pochi passi di distanza, segno che doveva aver sceso le scale di corsa e si era fermata alla base.

« E tu… chi saresti? ».  Yumi chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, poi si voltò lentamente verso la nuova arrivata… che impallidì e fece un passo indietro quando realizzò chi si trovava davanti.

« Ohisashiburi desu ne [quanto tempo che non ci vediamo], Maryse Trueblood » disse Yumi senza alcuna emozione. La donna guardò prima lei e poi Ryuu e si mise a tremare, mentre le cicatrici che aveva sul corpo presero a bruciare.
 «

Angolo autrice*
 
Spero non vogliate uccidermi per aver portato Magnus e Alec vicino alla morte che, se non interveniva Yumi, addio. Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto lo stesso e di non avervi annoiato troppo. Dal prossimo capitolo avremo una “rimpatriata” tra vecchie conoscenze; di per sé la traccia sarebbe già pronta, ma se qualcuno ha voglia di dire la propria e proporre idee su cosa far dire a Yumi, sono qui :-). Mata ne, a presto!
 
PS: si può dare davvero dell’”indemoniato” ad un demone? XD
 
 
Citazioni e riferimenti:
 
 
(1*): celebre frase di Mewtwo nel film Pokémon il film - Mewtwo colpisce ancora

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Capitolo 10
*** Incontri e scontri ***


Colui che genera un figlio non
è ancora un padre, un padre è colui
che genera un figlio e se ne rende degno

Fëdor Dostoevskij
 

Ogni cosa nella stanza sembrò immobilizzarsi: gli Shadowhunters, i due stregoni, il lupo e persino il pulviscolo che danzava nell’aria alla luce del sole. Nessuno mosse un muscolo e nessuno si azzardò quasi a fiatare, gli occhi di tutti erano fissi sulle due donne, la strega e la Cacciatrice, che si guardavano come se i loro sguardi fossero stati inchiodati l’uno a quello dell’altra, quello di Yumi piuttosto secco e altero, mentre quello di Maryse, cosa più unica che strana da parte sua...  era sbalordito, come se lei fosse appena stata colta nel fallo più grande e inaspettato della sua vita. I suoi figli avevano gli occhi spalancati, soprattutto Alec, che guardava la madre non riuscendo a credere a quello che vedeva: lei, un esempio di rigidità e compostezza che raramente lasciava trapelare la benché minima emozione persino con i propri figli, guardava Yumi impaurita come una sola volta l’aveva vista in vita sua. No, questo era anche peggio della paura: era terrore allo stato puro. Iniziò ad avere paura anche lui: per ridursi in questo stato, Maryse doveva proprio avere dei ricordi terribili su Yumi… e questo lo portò a rendersi conto che lui, in realtà, non sapeva assolutamente nulla di concreto su quella strega.

L’aveva vista all’opera, poteva affermare con certezza che fosse un avversario formidabile, e sapeva anche che aveva dato grane al Circolo… ma erano solo informazioni superficiali, e soprattutto non portavano a nulla, men che meno alla possibilità di avere un quadro esaustivo sulla persona di Yumi che aiutasse a capire chi e cosa fosse davvero. Alec non aveva dimenticato che Yumi aveva un temperamento orgoglioso e a tratti bestiale, ma con lui era stata così gentile che non ci aveva messo molto ad accantonare la cosa.

Magnus invece guardava Maryse molto seriamente, anche se era a sua volta molto stupito dalla sua reazione, e non perché non ne conoscesse la causa: vedere dal vivo Maryse Lightwood, uno degli Shadowhunter più inscalfibili che conoscesse, con una simile espressione sul viso, era incredibile quanto lo sarebbe stato vedere una parata di fate punk e darkettone.

Oltre alla sorpresa che quella vista gli stava portando, però, si aggiunse anche la preoccupazione: aveva sentito quanto Yumi fosse impetuosa, ma non la conosceva davvero, e non sapeva se fosse una che portava rancore e che non avrebbe esitato a fare qualcosa a Maryse se lei avesse provato ad attaccarla oppure se invece era abbastanza ragionevole da non ripagare chi le faceva un torto con la sua stessa moneta e abbassarsi al suo livello dimostrandosi una persona vendicativa. Si fece molto guardingo: il suo istinto gli diceva che, non appena quelle due si fossero rimesse dalla paralisi entro cui erano cadute, era molto probabile che, di lì a breve, avrebbe preso vita una discussione in piena regola, se non un vero e proprio scontro, cosa per cui non avrebbe affatto biasimato né l’una né l’altra ma in cui avrebbe altamente preferito non essere coinvolto, conseguenza che però era inevitabile quando ci si trovava a che fare con gli Shadowhunters, anche se non significava affatto che lui ci avesse ormai fatto il callo e l’accettasse senza sbuffare.

Nonostante l’allettante prospettiva di una disfatta di Maryse, Magnus avrebbe preferito non dover assistere perché, se davvero fossero arrivate allo scontro, dieci a uno che si sarebbe trovato costretto a schierarsi, e non voleva che accadesse; anche se trovava eccitante la vista di una lotta femminile nel fango ( non ce n’era, ma avrebbe sempre potuto farlo apparire), non voleva che Alec lo vedesse sotto quell’aspetto, un Nascosto che aveva validissimi motivi per odiare gli Shadowhunters e che non avrebbe esitato a schierarsi con un suo simile se questo si fosse ritrovato a dover combattere un guerriero angelico.

Guardò verso Alec, che osservava Yumi e Maryse aggrottando le sopracciglia: il ragazzo aveva chiamato Yumi con tutte le buone intenzioni perché nella disperazione del momento giustamente non aveva saputo a chi altro rivolgersi, né lui aveva avuto le forze per indicarglielo, e non aveva pensato ad altro se non alla loro salvezza, ma ora che l’emergenza era passata forse si stava rendendo conto troppo tardi che le conseguenze della sua scelta avevano portato al peggio che poteva capitare: l’incontro tra sua madre e una Nascosta la cui presenza avrebbe fatto meglio a continuare a restare ignota alla conoscenza di Maryse.

Anche Jace e Isabelle guardavano Maryse frastornati, soprattutto Isabelle, che però si ritrovò anche a sorridere affascinata e a provare ammirazione per Yumi: sorvolando sul suo pessimo gusto in materia di vestiario e sul suo profumo che di femminile non aveva proprio niente, quella ragazza stava iniziando a suscitare il suo interesse in modo incredibile. Non si sentiva neppure lontanamente preoccupata per la madre, piuttosto era eccitata dall’idea di quello che sarebbe potuto accadere tra quelle due, e guardava in trepidante attesa neanche stesse assistendo ad una partita di calcio, totalmente incurante delle circostanze che si celavano dietro il loro comportamento.

Da parte sua, Jace era sia ammirato che nervoso: aveva visto di persona quanto Yumi fosse tremenda, ma non avrebbe pensato che lo fosse così tanto da indurre Maryse a sembrare una bambina spaventata. Nemmeno lui aveva mai suscitato quell’espressione nella donna quando lei aveva creduto che il figlio fosse in parte demone. Pur se piuttosto eccitato, fece scivolare la mano verso la cintura delle armi, pronto a intervenire in qualunque momento. Yumi non si accorse della reazione degli altri, concentrata com’era su Maryse.

« Sei cresciuta » commentò incolore rompendo finalmente il ghiaccio, squadrandola da capo a piedi mentre, nella sua mente, la figura di Maryse adulta venne sostituita da quella di quand’era ragazzina: all’epoca Yumi l’aveva trovata bellissima, con quei capelli neri lucenti e gli occhi azzurri luminosi, una ragazza avvenente, intraprendente e sorridente.

Ora invece aveva davanti una donna di mezza età, con il volto sciupato e le occhiaie di chi ha troppi doveri da rispettare e troppi fantasmi a perseguitarla per godere davvero di un riposo degno di questo nome. Il viso non era più liscio ma deperito e solcato da sottili rughe;  i capelli ora erano attraversati da parecchie ciocche grigie, e anche gli occhi avevano perso la luminosità di una volta.
Il tempo non era stato clemente con Maryse, però Yumi non ignorava certo che la donna aveva dovuto affrontare molti problemi e si era fatta carico di  grandi responsabilità, come sopportare l’esilio da Idris, dover gestire l’Istituto di New York e anche crescere i propri figli, il tutto senza crollare psicologicamente. A lei e Robert era andata bene ricevere una condanna così veniale, altri non erano stati così fortunati, ma non tutti avevano mai smesso di essere fedele al Circolo.
Yumi non aveva mai dubitato che il Circolo non fosse morto ma che sarebbe risorto dalle ceneri, un giorno, come l’Araba Fenice. Anche se era stato nuovamente sconfitto e disintegrato, nulla svaniva senza lasciare traccia, e Yumi era certa che non solo le braci ardessero ancora sotto i residui, ma anche che alcune fossero state trasportate dal vento e avessero dato vita a piccoli fuocherelli sparsi nel mondo, troppo piccoli per essere considerati dei veri e propri falò ma non abbastanza privi di combustibile per estinguersi.
 
Maryse non sembrava essere molto presente: guardava fisso la ragazza, pallida come un cencio e senza muovere alcun muscolo, e se non fosse stato per l’alzarsi e l’abbassarsi del suo petto, Yumi avrebbe giurato che fosse morta in piedi.

« Hai intenzione di restare a guardarmi con quella faccia tutto il giorno? Io ho un impegno, e tu mi stai facendo perdere tempo ».

Dato che l’altra non accennava a reagire, Yumi perse la pazienza.

« Jigoku ni ikimasu [và al diavolo] », e le diede le spalle incamminandosi verso l’uscita, quando finalmente la sentì dire:

« Sei ancora viva… ».

Yumi alzò gli occhi al cielo e lentamente si voltò verso la donna, che apparentemente sembrava essersi ripresa dallo shock, anche se le sue mani tremanti tradivano il suo nervosismo.

« Allora non hai perso l’uso della parola, incredibile » commentò sarcastica Yumi. « Cominciavo a credere che il gatto ti avesse mangiato la lingua ».

La donna strinse i pugni e aggrottò la fronte.

« Insolente e mordace come sempre, vedo » disse freddamente.

« Le care vecchie abitudini » rispose Yumi. « Un po' come la tua di guardare tutti dall’alto in basso e disprezzarli se non rientrano nei canoni del mondo fatato della reginetta Maryse in cui tutto ruota intorno a lei e tutti sono al suo completo servizio e fanno quello che Sua Altezza dice loro, e guai se le cose non vanno come da lei stabilite: il suo povero cuoricino non reggerebbe ad una simile onta alla sua persona ».

Isabelle si coprì la bocca con entrambe le mani e Jace sbatté le palpebre più e più volte, alternando lo sguardo da Yumi e Maryse e temendo di non aver completamente smaltito la sbornia di due giorni prima all’Hunter Moon e di avere le allucinazioni, quello che stava accadendo era troppo surreale per essere vero. Alec invece guardò smarrito verso Yumi non credendo mentre Magnus, al contrario, osservò le due donne senza mostrare la benché minima emozione ma occhieggiando in particolar modo Yumi. Maryse arrossì furiosa per la pessima figura che quella strega le stava facendo fare davanti ai suoi figli, ma si morse le labbra e proseguì:

« Valentine non è riuscito a farti fuori nemmeno stavolta, vedo ».

« Vuoi forse farmi credere che ne saresti stata dispiaciuta? »  si finse sorpresa Yumi.

« Affatto » rispose Maryse. « Sarebbe stata forse l’unica cosa buona di tutto il suo operato ».


 
« Ohhh, adesso è il “suo” operato? Proprio detta da una che, fino all’altro ieri, era una dei suoi leccapiedi che avrebbe obbedito in tutto e per tutto ai suoi ordini come un bravo cagnolino?  ».

Il colorito di Maryse passò dal rosso sangue al prugna, e lei strinse i denti così tanto da mettere in risalto le vene sulla fronte e sul collo. Jace e Isabelle alternarono lo sguardo da lei alla strega, totalmente increduli a quello a cui stavano assistendo; Alec rimase a bocca aperta e sentì aumentare l’ansia e la preoccupazione: anche se i recenti avvenimenti avevano fatto vacillare questa sua convinzione, si era sempre convinto che la madre non si sarebbe mai fatta piegare da nessuno, ma adesso, davanti a Yumi, davanti ad una Nascosta qualunque, la donna non sembrava la Shadowhunter che il giovane conosceva, ma al contrario appariva completamente inerme e impotente, una persona che non aveva la più pallida idea di cosa fare o cosa dire per tirarsi fuori da quella situazione.

E neanche lui riusciva a pensare a cosa fare: avrebbe dovuto proteggerla, prendere l’iniziativa e parlare al posto suo? Normalmente lo avrebbe fatto senza esitare e il più delle volte anche istintivamente, come se fosse stato destinato a quello e a nient’altro… ma tutto ciò che sentiva, in quel momento, era solo una gran confusione, mista a curiosità: sua madre aveva sbagliato durante la sua vita, come ogni altra persona sulla faccia della Terra; anche lui aveva fatto molti errori, anche se nessuno grave quanto la colpa di cui si era macchiata la donna, che non era affatto dalla parte della ragione, proprio per niente… però era pur sempre sua madre, e lui, nonostante tutto, le voleva molto bene, mentre Yumi era un’estranea, anche se intuiva avesse ragione da vendere, pur non conoscendo i dettagli. Come si sarebbe dovuto comportare, allora?

Istintivamente guardò Magnus, l’unico capace di dargli tutto il coraggio del mondo , di farlo sentire al sicuro e dargli la fiducia che gli serviva per fare la cosa giusta con un semplice sguardo o un sorriso, ma l’uomo era totalmente concentrato sulle due donne, immobile come una statua.

Non reagì minimamente quando Alec lo guardò, cosa che normalmente avrebbe fatto seduta stante perché, per qualche motivo, sembrava capire esattamente quando il giovane lo stava guardando, e allora avrebbe girato il viso per incrociare il suo sguardo quasi nello stesso istante in cui quello di Alec si fosse posato su di lui, ma stavolta non andò così. Sembrava essersi completamente estraniato dalla realtà come se per lui, in quel momento, esistessero solo Yumi e Maryse, e nessun’altro. Alec non ricordava di averlo mai visto così da quando lo conosceva, e ciò non fece che aumentare la paura che Yumi, pur se indirettamente, potesse portargli via Magnus.

Aveva già provato quel genere di sensazione con Jace e Clary, ma stavolta la avvertiva molto più intensa di quanto era capitato con loro, e anche molto più dolorosa, perché le circostanze erano anche peggiori: Clary e Jace non avevano avuto molto in comune quando si erano conosciuti ( salvo forse il brutto carattere ); Yumi e Magnus invece sembravano avercene eccome, e questo iniziava a terrorizzare il giovane Shadowhunter, che non voleva vedersi di nuovo portare via qualcuno che amava senza poter far niente per impedirlo, pur se si trattava di una cosa normale come il cameratismo tra due stregoni. Magnus non si accorse dello sguardo di Alec né dei pensieri che tormentavano il giovane ma continuò a guardare la scena, temendo che Yumi avrebbe risvegliato qualcosa in Maryse portandola alla pazzia se continuava a parlarle così ( anche se non poteva che stimare la ragazza per la sua capacità di mettere i piedi in testa alla donna in quel modo).

« E ti porti sempre appresso il tuo famiglio… » mormorò Maryse indicando con il mento Ryuu, che le mostrò i canini.

« Sì, anche se lui è più tollerante agli Shadowhunters quanto lo sia io » disse Yumi guardando l’amico con aria di finto rimprovero.

Maryse strinse ancora di più gli occhi.

« Da quanto siete qui? » disse, senza specificare esattamente a cosa stesse facendo riferimento e guardando Yumi evitando però il suo sguardo. Non riusciva a guardarla negli occhi, quei bellissimi ma terribili occhi felini che avevano popolato i suoi incubi peggiori e che aveva sperato di non dover mai più rivedere da dopo La Rivolta. Che ci faceva lì? Dopo tutti quegli anni passati senza più vivere con il costante terrore di vedersela apparire continuamente, per quale motivo la strega si trovava lì, con i suoi figli e con Magnus Bane?

A dirla tutta, Maryse faticava ancora a conciliare il nome di Yumi con la parola “strega”, lei era… tante cose insieme, decisamente troppe per essere contenute in una parola che da sola non era sufficiente a descrivere quella ragazza. Maryse era cresciuta con la convinzione che gli stregoni fossero sì pericolosi, ma anche esseri a cui importava solo di ottenere profitti e che non facevano niente senza ricevere un compenso per i loro servizi, che si avvicinavano agli altri e che combattevano solo se costretti dalle circostanze, perché così le era sempre stato insegnato ed era così che le era sempre apparso Ragnor Fell, quello stregone dalla pelle verde che per anni aveva insegnato all’Accademia degli Shadowhunters ma che nessuno studente aveva mai davvero tollerato.

Yumi non era niente di tutto questo, lei che aveva sempre combattuto in prima linea, difeso dei perfetti sconosciuti solo perché Nascosti e dato tutta sé stessa in ogni singola battaglia senza ambire a nient’altro se non alla salvezza dei Nascosti. Maryse aveva sempre avuto paura di lei, e non solo per le sue capacità di mutaforma che le permettevano di assumere le caratteristiche del suo lato demoniaco: era perché lei era… diversa. Gli stregoni generalmente non erano guerrieri, usavano la magia per combattere, e una volta esaurita quella diventavano una facile preda; non era mai stato così con Yumi.

Non che fosse una ciarlatana da quattro soldi, questo no: Maryse non era un’esperta del settore, ma anche un’esterna come lei era in grado di affermare con certezza che Yumi era una strega eccellentemente dotata, ma oltre a questo, cosa che raramente ci si aspetterebbe dai mezzodemoni, era anche una guerriera formidabile dotata di una forza di volontà e un coraggio smisurati come poche se ne vedevano in giro. Erano la sua totale diversità, sotto qualunque punto di vista, rispetto ad ogni altro suo simile, a terrorizzare Maryse, che pregava Raziel che lei fosse unica al mondo e che non ci fossero altri che le somigliassero.

Paragonata ai suoi simili, l’aveva sempre vista come un diamante in mezzo ad un mare di rubini, un’ignominia che però era più valente di qualsiasi altro Shadowhunter lei conoscesse e che era stata la loro rovina, indipendentemente da quali fossero le idee di Maryse a proposito che ogni razza dovesse seguire i propri criteri, e non sconfinare in quelli degli altri come invece aveva fatto Yumi.

Quello che poi non era ancora riuscita a spiegarsi, era perché Yumi si fosse data così tanta pena per i Nascosti in generale, invece che limitarsi a proteggere gli stregoni. Per Maryse era inconcepibile: quelli della propria specie stavano con i propri simili, non si relazionavano con esterni, e invece aveva visto Yumi scendere tra vampiri, fate e mannari e aiutarli come se tra lei e loro non ci fosse alcuna differenza, ricambiata da quest’ultimi, che la donna aveva visto trattarla come una di loro, senza curarsi che fosse una strega. Era un evento tanto strano quanto incredibile, Maryse sapeva bene quanto in genere i Nascosti fossero gelosi e territoriali, ma non avevano battuto ciglio con Yumi, mostrandole la giusta riconoscenza per tutto quello che aveva fatto per loro, persino quando lei stessa era diventata la causa delle loro persecuzioni.

Non aveva più avuto suo notizie da prima della Rivolta a cui, però, sapeva che non aveva preso parte, motivo per cui aveva pensato fosse morta, e invece eccola lì, come se non fosse passato nemmeno un giorno, la nemica giurata del Circolo e, forse, di tutti gli Shadowhunters. Maryse l’aveva odiata con ogni fibra del proprio essere, ma ne aveva anche sempre avuto anche molta paura, e ne aveva tuttora. Aveva anche sperato di non rivederla mai più, e invece...

« Sono a New York da cinque anni, Trueblood » rispose Yumi.

« Sono Maryse Lightwood, adesso » ribatté seccamente l’altra.

« Ancora peggio, per quanto mi riguarda » disse Yumi storcendo la bocca.

Maryse la ignorò.

« Dove sei stata per tutto questo tempo? A fare la martire per i Nascosti di periferia? Perché non abbiamo mai saputo che eri in città? Hai forse minacciato ogni Nascosto di New York per fargli mantenere il segreto in modo che non venissimo a sapere della tua presenza? ».

Con sua grande sorpresa, Yumi scoppiò a ridere.

« Minacciare gli altri per non… Maryse, svegliati: non serve né minacciare né chiedere ai Nascosti per indurli a non rivolgere la parola a voi angioletti ».

La mano della donna andò veloce alla cintura che le cingeva la vita, ma si bloccò poco prima di impugnare un’arma, fulminando la ragazza con gli occhi.

« Hai poco da guardarmi in quel modo » continuò Yumi. « Nessuno di noi ha piacere a rivolgere la parola a voialtri, come, di contro, voi non avete piacere a fare con noi. La differenza fondamentale, però, è che noi sappiamo bene cosa succede nel Mondo, voi invece cascate dalle nuvole e vi svegliate solo quando la situazione lo richiede, quindi evitati certi atteggiamenti perché sei tu quella in torto marcio, qui . E se avessi lasciato il tuo trono per un minuto della tua preziosa esistenza e fossi scesa tra i comuni mortali abbassandoti a fare domande, forse avresti saputo della sottoscritta molto tempo fa ».

Maryse respirò profondamente per calmarsi, fulminando però Jace e Isabelle che, al contrario, sembravano spassarsela un mondo.

« Cosa ci fate qui? » disse freddamente, stringendo i pugni.

Yumi aprì la bocca e la richiuse, incerta su come rispondere senza far finire nei guai i ragazzi, ma per fortuna in suo soccorso venne Magnus.

« E’ qui per mia richiesta, Maryse » disse, facendosi avanti e mettendo una mano sulla spalla di Yumi, che si irrigidì a quel contatto ma non distolse lo sguardo da Maryse.

« Cos’hai combinato? » chiese sospettosa la donna.

« Io niente, ma i tuoi figli come sempre qualcosa invece sì » disse scoccando un’occhiata di rimprovero ai giovani, a cui Jace rispose con una smorfia .

Alec invece  si voltò a guardare la madre, che lo fissava in attesa di una spiegazione.

« Siamo incappati in un demone parassita che ha preso possesso del corpo di Jace, e… » iniziò a dire il giovane Shadowhunter, ma fu interrotto da Magnus:

«… a quanto pare era molto ghiotto di interiora di Shadowhunter e l’ha trovato stranamente appetitoso, cosa che per me è un evidente sinonimo di pessimo gusto: se il mio ultimo pasto consistesse nelle budella del biondino, preferirei accelerare i tempi e impiccarmi al lampadario sul soffitto ».

Jace invece guardò storto Magnus, che però ostentò noncuranza.

« Ma si è rivelato piuttosto persistente, così ho chiesto ad Alexander di chiamare questa ragazza per me, ed eccola qui ».

Sembrò tranquillo, ma nel dirlo strinse leggermente Yumi, che lo guardò da sopra la spalla: c’era mancato davvero poco, un solo minuto di ritardo e probabilmente per Magnus sarebbe stata la fine e non sarebbe stato in grado di raccontarlo.

Non poté fare a meno di sentirsi nervosa: se non l’avessero incontrata, una settimana prima, come se la sarebbero cavata in quella circostanza senza di lei? A chi avrebbe potuto rivolgersi Alec? E soprattutto: sarebbe stato qualcuno che avrebbe prestato loro soccorso senza battere ciglio? Maryse non sembrò piuttosto entusiasta della cosa, e guardò i due stregoni con sospetto.

« Mi sembrate piuttosto intimi, voi due » commentò acida.

Sia Yumi che Magnus la guardarono con occhi sgranati e poi si guardarono a vicenda.

« Io? Con questa belva? » fece Magnus indicando ripetutamente sé stesso e Yumi e rabbrividendo al solo pensiero.

« Sono sempre aperto a nuove esperienze, se poi sono contornate da un pizzico di adrenalina anche meglio, ma anch’io so quando è il caso di essere prudenti, e conosco modi molto più veloci e sicuramente indolori per tirare le cuoia. Senza offesa, cara » disse sorridendo a Yumi.

« La cosa è reciproca » disse lei facendo un gesto di fastidio con la mano. « I damerini come lei mi pesano proprio sullo stomaco ».

Magnus strabuzzò gli occhi come se non credesse alle proprie orecchie.

« Comunque, » aggiunse ricomponendosi in fretta. « Mi doveva un favore e l’ho riscosso, tutto qui. Non c’era alcun doppio fine e di certo non siamo così " intimi" come sostieni tu ».

Maryse inarcò un sopracciglio e guardò la mano di Magnus sulla spalla di Yumi con disdegno.

« Anche se ce l’avessi avuto, dubito che saresti riuscito a portarlo a termine » disse sprezzante. « I tuoi gusti restano comunque discutibili ».

Yumi guardò interrogativa verso Magnus: Maryse sapeva di lui e Alec?

« Ti rendo noto che i miei “gusti discutibili” vertono su Alexander, attualmente » le fece notare Magnus alterandosi lievemente.

« E allora perché non ti prendi questa bestiaccia della tua specie e lasci stare mio figlio? »  ribatté duramente Maryse.

Magnus non rispose ma strinse forte la spalla di Yumi, che guardò verso Alec e vide che era rosso in viso, stringeva forte i pugni e si stava mordendo il labbro inferiore, mentre gli occhi erano ridotti a due fessure e fissavano la madre come a volerla trapassare con lo sguardo.

« Come pensavo non sei cambiata affatto rispetto a com’eri quand’eri ragazzina » disse Yumi tornando a guardare Maryse. « Considerato poi che tu e i tuoi amichetti le avete altamente prese da questa “bestiaccia”, non so quanto ti convenga fare l’arrogante ».

Quelle parole resero attenti i tre giovani portandoli a guardare la madre con sospetto, mentre lei invece sbiancò e sembrò riperdere quel minimo di autocontrollo che aveva riacquistato.

« Noi… io… » fece, totalmente presa alla sprovvista da non sapere cosa dire. «  E’ acqua passata, non serve riparlarne… ormai anche tu avresti dovuto- »

« Io dovrei passare sopra a tutto quello che avete fatto alla mia gente incartandola e gettandola nel bidone dell’immondizia come se non fosse successo niente?! Io non dimenticherò mai , Maryse, e non smetterò mai di parlarne! ».

La voce di Yumi uscì più simile ad un ruggito e gli artigli iniziarono a premere contro i guanti, ma lei costrinse le mani a pugno, arrabbiandosi da morire con sé stessa per non essere ancora capace di controllare i propri scatti d’ira anche dopo tutti quegli anni e odiando Maryse per essere riuscita a farla alterare così facilmente.

« Abbiamo raggiunto una tregua con la vostra gente, non siamo più nemici, ora i Nascosti hanno persino un seggio nel Consiglio. Questo non significa niente per te? ».

Se sperava che le sue parole sarebbero bastate a calmare Yumi, non andò come aveva sperato, perché ottennero l’effetto opposto:

« Smettila di cercare di passare per la vittima della situazione e assumiti la responsabilità delle tue azioni! Credi forse che sia all’oscuro di quello che è successo negli ultimi tempi? Credi che non sappia cosa tu e tuo marito avete combinato?! »

« Non è stata colpa nostra! » protestò Maryse.

« Come ritieni che possa crederti? Vuoi forse dirmi che avete esitato a trattare questo ragazzo, » e indicò Jace « come un criminale dopo tutto quello che aveva fatto per voi e per il Clave?  Saresti in grado di giurare senza tentennamenti che non è vero che non vi importava cosa gli sarebbe successo perché tanto a voi interessava solo eliminare la minaccia di Morgestern e di qualunque suo possibile complice perché era il prezzo da pagare in cambio della vostra incolumità visto che, in quanto ex-membri del Circolo, tu e Robert siete immediatamente finiti nel mirino del Clave non appena il ritorno di Morgestern è stato confermato e avreste fatto di tutto per smentire che voi non avreste collaborato con lui in nessuna maniera?!? » .

Maryse sembrò incerta su cosa rispondere, ma alla fine volse la testa per evitare lo sguardo di Yumi:

« Non sono orgogliosa di quello che ho fatto » mormorò a bassa voce. « Abbiamo sbagliato, è vero, ma… ti giuro, noi stavamo cercando di creare un mondo migliore… »

« Credevi davvero che, una volta sterminati i Nascosti, sarebbero spariti le guerre, i conflitti, il Male dal mondo? Sarebbero solo aumentati! I mondani sarebbero stati i prossimi, Morgestern avrebbe cercato di trasformare l’umanità intera in Shadowhunters , portando i mondani alla totale estinzione e causando la morte di innocenti totalmente ignari di qualunque cosa abbia a che fare con il nostro mondo, di cui la maggior parte di loro non vorrebbe venirne a conoscenza né tantomeno entrarne a far parte! Avrebbe fatto di tutto per far proliferare la vostra gente! ». 

Si morse le labbra per cercare di calmarsi ed evitare di allestire un barbecue di Shadowhunter, ma quella donna non le rendeva per niente le cose più facili. Maryse aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ebbe neanche il tempo di prendere fiato che fu bruscamente prevenuta da Yumi:

« E non azzardarti a dire che tutto quello che vi è successo e avete fatto è colpa di Morgestern che vi ha fatto il lavaggio del cervello traviandovi con le sue parole e facendovi credere che la sua fosse una giusta causa, la Causa con la C maiuscola degli Shadowhunters e che voi eravate i “predestinati” che ne avrebbero preso le redini e avrebbero trionfato là dove i vostri antenati avevano fallito, portandola a termine con tutti gli onori. Morgestern è stato solo la scintilla che ha dato fuoco alle sterpi: voi e i vostri compagni eravate ben consapevoli di quello che facevate perché coltivavate quelle idee in voi già da molto tempo, ma non avete mai avuto il coraggio di portarle alla luce. Non deve essere stato un grande sforzo quello di Morgestern di riuscire a convincervi a seguirlo, è bastato mostrarvi la possibilità di smettere di reprimere i vostri pensieri e renderli veramente concreti, e non solo parole rimuginate in silenzio e costrette a forza in un angolo remoto della mente perché sarebbe stato un bel problema dar mostra di averli concepiti, vero? Non inventare scuse, siete colpevoli come e quanto lui  ».

« Noi non… è vero, lo pensavamo, ma… dopo abbiamo capito che quello che stavamo facendo era sbagliato, ci siamo resi conto che- »

« E questo quando?! Quando ormai le vostre mani erano sporche del sangue di centinaia di innocenti?! Quando vi siete accorti che i loro volti avrebbero popolato i vostri sogni per sempre e non c'era più modo per mettere a tacere le loro urla?! Quando avete cominciato a rendervi conto che tutti quei poveri bambini che avevate reso orfani avrebbero potuto essere i vostri e che sarebbe potuto capitargli lo stesso da un momento all'altro?! » urlò Yumi.

Inconsapevolmente si fece scivolare il braccialetto di conchiglie che aveva al polso sinistro nel palmo della mano e lo strinse forte. La ragazza respirò affannosamente, guardando Maryse con un odio viscerale.

« Non avete mai pensato ai Nascosti come a delle persone che avevano il vostro stesso diritto di vivere perché voi giudicate un nemico chiunque sia diverso da voi, e vale sia verso i Nascosti che tra quelli della vostra specie. Lo pensavate allora e scommetto che lo pensate adesso, come credo sempre che voi Shadowhunters non abbiate mai davvero pensato ai Nascosti come a vostri alleati ma solo come ad esistenze sbagliate ».

Sembrava aver perso il controllo della propria mente, com’era successo anche a casa di Magnus. Fece una risatina isterica che accapponò la pelle ai presenti e gettò la testa all’indietro guardando il soffitto.

« Alleanza? Accordi? Sono solo parole vuote, non significano niente ».

Tirò su la testa e tornò a guardare Maryse, con molta più calma di prima ma con gli occhi che ardevano.

« Prima che venissero stipulati i patti che avrebbero sancito l’Alleanza tra i nostri popoli, i Nascosti vivevano nel terrore di vedere la propria vita terminata da un momento all’altro dai guerrieri dell’Angelo per il solo fatto di esistere. Dopo gli Accordi, però… voi vi siete resi conto che, senza l’aiuto dei Nascosti, non riuscivate a combinare niente, e avete iniziato a usare la scusa dell’Alleanza come pretesto per servirvi dei Nascosti per poi non considerarli più una volta portato a termine quello per cui erano stati chiamati, trattandoli come se loro fossero oggetti messi a vostra disposizione perché voi possiate usarli per portare a termine i vostri compiti e voi quelli a cui tutto è dovuto. Bè… ti svelo un segreto: sarebbe anche ora che vi levaste la benda dagli occhi, cresceste e guardaste in faccia la realtà, perché il mondo non gira intorno a voi, avere sangue di angelo non vi rende più speciali di chiunque altro sulla faccia della Terra ».

Maryse la lasciò parlare senza battere ciglio o mostrarsi impressionata dalle sue parole, quando invece dentro sentiva un tumulto tale pronto a esplodere, e se Yumi non avesse subito smesso di parlare avrebbe cercato di chiuderle a forza la bocca lei stessa.

« Hai finito? » disse approfittando dell’attimo in cui la vide prendere fiato.

« Ho appena iniziato » rispose Yumi. « I Nascosti non sono i servi degli Shadowhunters, e anzi: senza di noi , voi, cari angioletti, non siete niente! Non appena avete un problema correte subito a cercare l’aiuto di altri invece di provare a cavarvela da soli, e siamo noi, alla fine, quelli che risolviamo tutto, quelli che si imbrattano le mani facendo il lavoro sporco al posto vostro, ma anche così siamo noi quelli che non vengono minimamente considerati né tantomeno ringraziati per l’aiuto dato, mentre invece siete voi a prendervi tutti i meriti come se fosse stato merito vostro essere riusciti a combinare qualcosa, quando invece siete capaci dolo di dire agli altri cosa devono e non devono fare ma non sapete niente del mondo e non vi preoccupate minimamente di chi ci abita. Voi siete bravi solo a chiedere e a pretendere, ma quando sono gli altri ad avere bisogno voi cosa fate di concreto, a parte perdere tempo e preoccuparvi per voi stessi e per la vostra reputazione? ».

Respirò affannosamente e riprese fiato.

« Ti dico questo, Maryse: io non intendo affatto restarmene a guardare mentre il mondo va’ allo catafascio per colpa di un gruppetto di mocciosi con manie di onnipotenza, non l’ho mai fatto, non lo farò adesso e non lo farò mai! » .

Maryse si mise le mani sui fianchi e guardò impassibile Yumi aspettando che finisse di parlare per poter dire la sua:

« Noi avremmo manie di onnipotenza, » disse « ma tu invece hai grandi manie di protagonismo: neanche tu sei il centro del mondo, e invece ti atteggi come se la gente, per respirare, dovesse prima informarti delle sue intenzioni. Non ti comporti in modo così diverso da quello di cui ci accusi ».

Yumi divenne rossa come un pomodoro e strinse così forte i denti da mettere in risalto le vene sulla fronte.

« Non azzardarti a mettermi al tuo stesso livello, maledetta- ».

Magnus le tappò la bocca e l’afferrò da dietro trascinandola lontano da Maryse, con Yumi che si dimenò come una matta sorpresa dall’inaspettata forza che lo stregone aveva nelle braccia ma non abbastanza da farle smettere di ribellarsi. Magnus non mollò la presa e Yumi alla fine perse la pazienza e gli azzannò la mano. Magnus lanciò un impropero poco opportuno alla madre di tutti i demoni e lasciò andare Yumi, che sputò per terra e si pulì la bocca con il dorso della mano.

« Non osi mettersi in mezzo, Bane-sama, o non avrò pietà » lo ammonì minacciosamente.

« Su questo non avevo dubbi » commentò lo stregone curandosi la mano ferita con la magia.

« Magnus! » esclamò Alec precipitandosi da lui, ma Magnus alzò una mano e lo respinse.

« Stai indietro, Alexander ».

« Ma… »

« Alec, per favore! » insistette lo stregone, e il giovane si arrese a malincuore, sentendosi però ferito e frustrato: sapeva che il suo ragazzo era più che in grado di badare a sé stesso, ma ciò non toglieva che non gli desse fastidio il fatto che non volesse il suo aiuto. Guardò furioso verso Yumi e strinse i pugni: se avesse di nuovo osato alzare un dito contro Magnus, richiesta o meno Alec non avrebbe esitato due secondi ad affrontarla. Magnus  cercò di riavvicinarsi alla ragazza, ma lei balzò all’indietro fuori dalla sua portata.

« Stia lontano da me! »

« Di solito la gente mi dice tutto il contrario, per cui devo assolutamente ovviare a questa eccezione ».

Yumi arrossì fino alla radice dei capelli, ma non per l’imbarazzo: era furiosa, come si permetteva di fare battute simili con il suo ragazzo presente?!

« Bè, non so a cosa sia abituato di solito, ma io- » a sorpresa, Ryuu la spinse da dietro, lei perse l’equilibrio e finì addosso a Magnus, che la prese al volo, le circondò la schiena con le braccia e la strinse a sé. Yumi divenne ancora più rossa di prima e fulminò Ryuu con occhi che sprigionavano letteralmente fuoco e fiamme.

« Ti ha dato di volta il cervello?! » esclamò.

Il lupo la guardò con pazienza scuotendo la testa e poi guardò Magnus, indicandogli con un cenno Yumi. Lo stregone, pur sorpreso a sua volta dal gesto dell’animale, capì cosa stesse chiedendo e gli fece un cenno.

« Questa me la paghi, Ryuu » borbottò Yumi staccandosi bruscamente da Magnus che però la trattenne per le spalle.

« Mi lascia andare o il prossimo sarà un colpo molto più basso » mormorò a denti stretti. Lo stregone incrociò istintivamente la gambe.

« Ti supplico di risparmiare i gioielli, sono merce piuttosto preziosa » .

« Pagliaccio… » borbottò Yumi tra sé e sé.

« E ti pregherei anche di ritrarre gli artigli prima che possano mietere altre vittime, cosa che credo che sia quello che vorrebbe anche il tuo amico ».

Guardarono entrambi soprappensiero Ryuu e lui annuì col capo, cosa che fece sorridere compiaciuto Magnus e infuriare Yumi, che si voltò imbestialita verso Magnus, gli occhi da gatto e luminosi.

« Naze [perchè!? » esclamò Yumi. « Dono yō ni shite wa totemo odayakana koto ga dekimasu ka!? Kanojo wa nani mo itte inai tame [come fa a essere così calmo, Perché lei non dice niente] !? »

« Anata ga itte iru subete no mono, hoshi-chan [stai dicendo tutto te, stellina] »  rispose l’altro, ora serio. « Soshite, watashi wa, watashi wa anata no iu koto o shōnin shite inai to iu watashi o shinjite, watashi wa anata ni dōi yori mo ōku nodesu... shikashi, anata wa jibun jishin o kontorōru shiyou to suru hitsuyō ga arimasen e non dico che non approvo quello che dici, credimi, sono più che d'accordo con te... ma dovresti cercare di controllarti».

« Altrimenti? » mormorò Yumi a denti stretti.

Magnus non si fece intimorire e la guardò molto severamente.

« Altrimenti potresti causare una nuova guerra tra Nascosti e Shadowhunters, e tutto quello per cui hai lottato in questi anni finirebbe gettato nell’immondizia, e allora a che sarebbe servito sacrificarti così tanto? Senza contare che i Nascosti sarebbero di nuovo in pericolo e condannati a vivere nella paura, e stavolta non potresti incolpare nessun’altro se non te stessa. E’ davvero questo che vuoi? ».

Yumi si morse le labbra a sangue e voltò la testa con stizza. Magnus sospirò e addolcì l’espressione.

« Non ti sto dicendo che hai torto, Yumi, né tantomeno di restare zitta, ti sto solo invitando a- »

« A non fare niente che potrebbe spaventare Alexander e allontanarlo da lei? » lo zittì bruscamente sottovoce Yumi.

Magnus lasciò finalmente la presa sulle spalle della ragazza e la guardò sconvolto. Lei sostenne il suo sguardo senza vacillare, e assottigliando gli occhi avvicinò pericolosamente il viso al suo, tanto che i loro nasi arrivarono quasi a sfiorarsi.

« Non può proteggerlo impedendogli di sentire la verità o nascondendogli che i Nascosti non possano rivelarsi pericolosi: è giusto che capisca fino in fondo con chi ha a che fare in modo che possa prendere da solo le proprie decisioni » gli soffiò sulle labbra, poi si allontanò di scatto e gli voltò le spalle senza dargli il tempo di rispondere.

Lo stregone però sentì che non ne sarebbe stato in grado: lei lo aveva messo con le spalle al muro, non poteva assolutamente controbattere perché… non avrebbe saputo cosa dirle. Quella ragazza… lo aveva spiazzato. Non erano in molti ad esserci mai riusciti, lui non permetteva di riuscirci; eppure lei lo aveva fatto, e ci era riuscita con una semplicità disarmante. E l’ammirazione che Magnus aveva nei suoi confronti crebbe ancora di più.

« Quando avete finito di parlare stregonese, voi due, potreste ricordarvi magari che non siete da soli e comunicare come tutti i comuni mortali? » sbuffò Jace parlando per la prima volta da quando era arrivata Maryse.

« Non è stregonese, baka, e noi non siamo mortali ».

« Noi però sì, e io sono stanco di gente che parla alle spalle degli altri senza ascoltare quello che hanno da dire! » esclamò Jace.

« Benvenuto nel mio mondo, Riccioli d’oro » ribadì Yumi, guardandolo sprezzante. Jace fece una smorfia.

« Quindi tu…cioè, voi… » disse accennando vagamente con il braccio a Yumi e Ryuu.

« Entro domattina se ti riesce, biondino ».

« In nome dell’Angelo, vuoi darti una calmata?! »

« Senti da che pulpito viene la predica » ribatté la ragazza. « Siamo sicuri che sei un ragazzo? No, sai, mi sembri tanto una donnetta in quel periodo del mese ».

Jace si morse le labbra e si mise la mani nei capelli, poi prese un respiro profondo e riuscì a calmarsi.

« Non posso dire lo stesso di te, strega: chi diamine siete tu e quel sacco di pulci? ».

Ryuu guardò Jace assottigliando lo sguardo ma senza mostrargli i canini. Yumi guardò Jace con indifferenza.

« Chiedilo a lei » rispose indicando Maryse con il pollice. « Tra genitori e figli non dovrebbero esserci segreti, no? ».

La donna fu colta in contropiede e guardò smarrita i tre ragazzi, che la guardarono piuttosto astiosi.

« Maryse? » disse Jace incrociando le braccia.

Lei spostò lo sguardo dall’uno all’altro senza soffermarsi su nessuno, incapace di spiccar parola.

« Lascia perdere, Jace » disse Isabelle. « Ci ha tenuto nascosto per tutta la vita ogni cosa che riguardasse la sua giovinezza, cosa ti fa credere che adesso le si scioglierà la lingua e ci spiegherà tutto? »

« Un crollo di nervi, forse: sembra piuttosto terrorizzata dall’ animale qui » rispose Jace indicando Yumi, che lo guardò storto.

Isabelle convenne con lui e guardò Yumi con interesse.

« Ho sempre pensato che, per vedere mia madre ridotta in questo stato, bisognasse essere quantomeno l’incarnazione del Male in persona , ma non credevo che avrei mai assistito a questa scena » disse sorridendo eccitata, poi però ridivenne seria:

 « Cos’è successo tra di voi? ». Yumi fece una smorfia.

« Fattelo dire da lei » borbottò.

« Aspetterò vanamente, allora » ribadì Isabelle. « Credimi, da lei non otterrei niente neanche se mi appellassi alla Corte Celeste di Raziel; non puoi dirmelo tu e basta? ».

« Cosa sono, un fenomeno da baraccone? Non sono tenuta a rispondere alle tue domande, e se proprio vuoi che lo faccia comincia col chiedermelo in un'altra maniera » sbottò Yumi spazientita.

« Non osare parlare ai miei figli in questo modo! » esclamò Maryse, ma non fu Yumi a risponderle, stavolta:

« Stai zitta! » esclamò Isabelle.

Sia Yumi che Maryse guardarono la ragazza, la prima incrociando le braccia e aggrottando la fronte, la seconda con un evidente panico negli occhi.

« Sono perfettamente in grado di difendermi da sola, non ho affatto bisogno del tuo aiuto, anche perché non me ne farei proprio niente e peggiorerebbe solo le cose, come sempre, del resto » disse molto duramente la giovane.

« Isabelle, tu non capisci: non avete idea da chi vi trovate davanti, questa strega è- »

« Non m’importa un accidente di chi sia o di cosa abbia fatto, fosse stato anche portarvi ad un passo dal farvi entrare nel regno di Raziel, avrebbe fatto più che bene! » esclamò la giovane. « E, per l’Angelo, tieni chiusa quella bocca ormai è un po' tardi per recitare la parte della madre brava e premurosa, non credi? Tu hai sempre e solo rovinato tutto, credi che possa dare ancora credito alle tue parole?! Alle parole di una bugiarda?! ».

Per Maryse fu come ricevere una coltellata al petto, tanto che si portò una mano al cuore e respirò affannosamente.

« Isabelle… » tentò debolmente, ma la figlia la interruppe di nuovo.

« Ti ho detto di stare zitta! » disse srotolando la frusta che aveva al polso.

Alec le si fece velocemente appresso e le mise le mani sulle spalle per allontanarla dalla madre.

« Izzy, ora basta, per favore » disse cercando di calmarla.

Lei lo fulminò con lo sguardo e smise di opporre resistenza, guardando però la madre in cagnesco. Lei la guardò supplichevole, ma nello sguardo con cui la giovane le rispose non c’era alcuna traccia di pietà. Anche Yumi la guardò freddamente.

« Speravo che i tuoi figli non dovessero pagare per quello che hai fatto, ma a giudicare dai discorsi di tua figlia direi proprio che le mie speranze sono state vane ».

« Cosa ne vuoi sapere, tu?! » sbottò Maryse. « Tu appartieni ad una razza di ibridi demoniaci a cui, grazie a Raziel, è stata privata la possibilità di procreare e avere una propria progenie; tu non sai cosa significhi avere dei figli! ».

Isabelle divenne rossa e scattò in avanti, ma venne prontamente fermata da Alec che la strinse tra le braccia sentendosi però bruciare dalla rabbia: come osava sua madre dire quelle cose e per di più davanti a Magnus? Quello era anche peggio del pericolo da cui erano appena scampati, avrebbe sopportato quel dolore altre mille volte piuttosto che essere costretto a presenziare ad una nuova, pesante, denigrazione degli stregoni da parte di sua madre, per di più davanti all’uomo che amava e che lui stesso aveva fatto soffrire parecchie volte perché si era ostinato a non voler riconoscere di esserne innamorato.

Pensava che non avrebbero più riaffrontato l’argomento, ma questo lo aveva fatto solo lui: sua madre non aveva promesso niente e non aveva ancora cambiato parere verso i Nascosti, men che meno verso Magnus. Alec si sentiva furioso e pieno di vergogna al tempo stesso: non voleva che Magnus avesse dei ripensamenti, non proprio ora che finalmente le cose stavano iniziando a filare davvero lisce tra di loro.
Si rendeva però conto che, anche se aveva cercato di pensarci il meno possibile, Magnus, così come Yumi, doveva avere dei validissimi motivi per odiare Maryse, motivi che sicuramente non aveva accantonato e che ora Yumi stava riesumando e Maryse stava alimentando... motivi che Alec non aveva mai preso in considerazione nemmeno una volta da quando aveva iniziato a frequentare Magnus ma che lui stesso aveva involontariamente fatto riemergere provocando sofferenza allo stregone con il suo atteggiamento indisponente.

Alec era consapevole di averlo ferito, l’aveva sempre saputo, ma non si era mai davvero soffermato sulla portata della sofferenza che doveva avergli arrecato, portata di cui cominciava a prendere consapevolezza solo in quel momento insieme anche a tante altre cose su cui Yumi gli aveva fatto aprire gli occhi con le sue parole e che lo fece sentire malissimo e vergognare all’inverosimile. Lo stregone inspirò profondamente e tenne alta la testa come a rifiutarsi di farsi piegare dalle parole della donna, Yumi invece abbassò lo sguardo.

« Sei tu quella che non capisce » disse Yumi guardando seriamente Maryse. « Credi forse che i figli basti concepirli per renderli tali? No: i figli sono coloro che si ama, che si aiuta a crescere, che si protegge e di cui ci si prende cura, mettendo il loro bene prima del proprio ».  

Strinse di nuovo il bracciale di conchiglie tra le dita. Ryuu ci appoggiò sopra il muso, guardando Maryse con sguardo di ghiaccio.

« Puoi dire di aver fatto tutto questo, Maryse? Hai mai davvero pensato al bene dei tuoi ragazzi senza mettere in mezzo il tuo o le vostre regole? ».

La donna si portò istintivamente una mano sul petto stringendo il vestito tra le dita e avvertendo i graffi bruciare sotto la stoffa.

« E tu, allora? » rispose indurendo lo sguardo. « Tu che ti sei sempre buttata a capofitto in ogni battaglia solo per proteggere persone che nemmeno conoscevi, hai mai riflettuto almeno una volta su quello che facevi? ».

Yumi strinse i denti e il bracciale, e Maryse insistette:

« Faresti così tanto per i Nascosti… ma loro farebbero lo stesso per te? ». A quelle parole, la strega sbatté le palpebre e inarcò un sopracciglio.

« Stai scherzando, vero? Proprio tu, una dei “prescelti di Raziel”, mi vieni a chiedere una cosa simile? Non è forse il “sacro dovere degli Shadowhunters” » virgolette con le dita, « proteggere le persone senza chiedere nulla in cambio e senza farsi almeno un paio di domande? Cos’ho fatto di diverso rispetto a quello che, in teoria, avreste dovuto fare voi? ».

Maryse si ritrovò incapace di ribattere e abbassò lo sguardo, perdendo nuovamente la sicurezza riconquistata. Yumi la guardò e sospirò.

« Non m’interessa se i Nascosti arriverebbero ad aiutarmi come io ho aiutato loro, non ho mai chiesto niente a nessuno , ho sempre e solo voluto fare la cosa giusta perché non c’era nessun’altro a farlo, non perché mi è stato chiesto. Loro per me sono come una famiglia; tu ti sei presa cura della tua perché era qualcosa che sentivi nel cuore o perché te lo hanno imposto? ».

La donna non rispose e guardò i propri figli, che però non la degnarono di uno sguardo.

« Se davvero si può dire così… » sbuffò Isabelle incrociando le braccia. Yumi la guardò e sospirò.

« La paura fa fare alle persone cose terribili, Isabelle ».

« Ma paura di cosa?! » esclamò la ragazza. « Di essere una persona? Di provare dei sentimenti? Di amare qualcuno? O di non essere riuscita a crescere i propri figli come dei perfetti automi pronti a obbedirle ad un cenno della mano?! ».

La strega allargò le braccia mortificata come a dire “ tutte queste cose insieme, forse”, al che Isabelle sbuffò esasperata e lasciò cadere le braccia.

« Te lo dico io di che cosa ha paura » esclamò furibonda. « Come hai detto tu prima, lei ha il terrore di qualunque cosa che non rientri nei suoi canoni, di tutto ciò che è “diverso” da come lei pensa che dovrebbe essere, e nemmeno le viene in mente che forse le basterebbe un minimo sforzo per imparare a conoscerlo e ad apprezzarlo! E’ stata quella paura a spingerla a voltare le spalle a Jace quando credevano fosse una minaccia, ma non è questa la cosa peggiore che sarebbe capace di fare, per paura ».

« Esiste qualcosa di peggio che abbandonare il proprio figlio al suo destino come se l’amore verso di lui fosse evaporato nel momento stesso in cui le è stato ordinato di rinnegarlo? » chiese Yumi pur sentendosi certa della risposta che ne sarebbe seguita e che non tardò ad arrivare:

« La cosa peggiore, » sentenziò implacabile Isabelle « è sapere che farebbe lo stesso anche con me ed Alec se mai per caso un giorno dovessimo diventare dei Nascosti, e anche allora tirerebbe fuori la scusante che deve seguire gli ordini, che noi non siamo più Shadowhunters e che, come tali, non siamo più degni di essere considerati delle persone e che forse faremmo meglio a morire piuttosto che continuare a esistere ».

« NO, non è vero! » esclamò Maryse, ma la ragazza non l’ascoltò.

« Non mentire, è quello che hai fatto con Jace, come pensi che dovremmo credere che non faresti lo stesso anche per noi?! ».

Maryse aprì la bocca ma non emise alcun suono.

« Jace non sarà sangue del tuo sangue ma è tuo figlio esattamente come lo siamo io e Alec e come lo era… ».

S’interruppe prima di continuare la frase e il suo viso sembrò rabbuiarsi, ma quando riprese a parlare ogni traccia di cupezza sembrò svanire come nuvole dopo un colpo di vento.

« Non hai avuto remora a voltargli le spalle quando lo credevi un pericolo, e lo faresti di nuovo se dovesse capitare anche a noi: tu non sei mai stata una buona madre per noi, hai sempre messo le leggi del Clave e la carriera prima di tutto e non esiteresti a farlo di nuovo se questo significasse proteggere la tua incolumità, anche se questo significasse voltare di nuovo le spalle alla tua famiglia! ».

Alec strinse forte la sorella tra le braccia e lei non oppose resistenza, fissando però la madre con odio allo stato puro. Maryse sembrò accartocciarsi su se stessa ma rimase dritta in piedi, anche se a Yumi bastò guardare i suoi occhi per indovinare la tempesta che imperversava nella sua anima in quel momento.

« C’erano… altre persone coinvolte, cose molto più grandi noi in gioco… io non… »

« Non sei ancora stanca di mentire a te stessa, Maryse? » sospirò Yumi alzando gli occhi al cielo.

Maryse la guardò furibonda.

« Se tu amassi davvero i tuoi figli non avresti esitato a prenderti le tue responsabilità e fare la cosa giusta, difendendoli a qualunque costo non tenendo conto delle difficoltà ».

La donna riacquistò un minimo di colore e puntò il dito contro Yumi.

« Tu sei solo una bestia selvaggia che fa sempre e solo di testa propria e che non è in grado di sottostare alle regole: come osi pretendere di capire quello che siamo e facciamo?! » esclamò furiosa.

Yumi accusò il colpo senza battere ciglio e fece una smorfia di sufficienza.

« Io non saprò cosa vuol dire essere uno Shadowhunter, ma tu e la tua gente non sapete nemmeno cosa vuol dire essere delle persone ».

« Non osare- »

« Oso eccome! Cosa credi, che sia il mio tormento più grande rimpiangere di non essere nata Shadowhunter? Che aspiro così tanto ad assomigliarvi che ho finito per scimmiottarvi? Fammi il piacere!! » sputò trasudando disgusto puro con ogni singola parola. « Ma credi davvero che chiunque ucciderebbe pur di diventare come voi? Che essere Shadowhunter sia il sogno proibito di ogni persona su questa Terra? Per me equivarrebbe ad una sorta ancor peggiore della morte, preferirei dannare la mia anima che piegarmi ad una simile mostruosità!  E senza andare troppo lontano, non siamo solo noi Nascosti a pensarlo, ne ho incontrati parecchi, tra le vostre file, che non erano affatto entusiasti di questo genere di vita e che avrebbero fatto di tutto per rinunciarvi perché non l’hanno chiesto di loro di esserlo ma gli è stato imposto e non hanno avuto altra scelta che adeguarsi, ma questo non significa che fossero felici di essere dei Cacciatori ».

 L’atmosfera divenne piuttosto pesante e calò il silenzio, che Maryse ruppe con voce sorda.

« Vattene » disse a denti stretti. « Esci da qui e non farti più vedere! ».

In tutta risposta, Yumi venne avanti, al che Maryse indietreggiò.

« Io non prendo ordini da nessuno, men che meno da un burattino ». Stavolta la donna sbatté le palpebre perplessa.

« Un… burattino? »

« Un burattino, sì » disse Yumi. « Una marionetta, un fantoccio che riesce a muoversi solo all’interno della cerchia di regole imposte dalla sua gente che, tra parentesi, sono peggiorate di secolo in secolo solo perché chi le decideva era un manipolo di persone che aveva paura anche dell’aria che respirava, ma comunque regole in cui, chi si muove al suo interno, se vede anche solo una cosa fuori posto va’ in paranoia perché non ha idea di come affrontarla e ha paura che possa demolire tutto quello che conosce e in cui crede ».

« Non provare a insultare- »

«… Il Codice d’onore degli Shadowhunters? Farei questo e molto altro, cento e cento volte ancora, perché nessuno porta rispetto a dei burattini capaci di muoversi solo se qualcuno muove i fili per loro! »

« Adesso basta… » sussurrò flebilmente Maryse prossima al crollo.

« Basta un accidente! » esclamò Yumi. « Mi dici per quale motivo dovremmo portarvi rispetto? Perché avete dei bei visini? E’ vero, anch’io mi sono sacrificata molto per aiutare perfetti sconosciuti anche se, sicuramente, a loro di me non importa niente, ma almeno io l’ho fatto per aiutare davvero, non per fingere di essere importante per qualcuno che nemmeno sa che esisto! ».

I tre Cacciatori guardarono Yumi a bocca aperta, Magnus sembrò scioccato e ammirato insieme e Maryse… guardò Yumi inespressivamente.

« Tu sei una Nascosta » ripeté Maryse. « Non puoi capire quello che facciamo ».

« Cambia registro, Maryse, perché stai iniziando a darmi veramente sui nervi, e non vorrei terminare quello che ho iniziato vent’anni fa e rendere questi ragazzi orfani di madre » esclamò Yumi. « Che poi, scusami tanto, a parte calpestare le vite che non ritenete degne di attenzione, guardare gli altri dall’alto in basso, cosa fate davvero?!
Voi non siete nè Dei né angeli, siete solo dei bambini a cui è stato fatto un regalo inaspettato che però non vi bastava e vi ha reso avidi, spingendovi a volere di più, sempre di più, fino a perdere di vista quello che era davvero importante, il vero motivo per cui siete nati, ovvero proteggere gli altri senza chiedere nulla in cambio… cosa che però voi non avete mai fatto sul serio perché quelle vite, in realtà, sareste più che felici se non esistessero. E invece di aiutare i vostri compagni in difficoltà ve ne liberate appena rappresentano un problema, rovinando così anche la vita di persone innocenti! »

« Non è così… » cercò di dire Maryse, ma ormai non sapeva più cos’altro dire per difendersi, le parole di Yumi erano più letali e dure di una lama di coltello piantata nella carne, e facevano più male di qualunque altra cosa provata dalla donna nella sua vita.

« Ah no? E quello che è successo a Lucian Graymark cos’è stata, una sospensione per cattiva condotta? » buttò lì Yumi allargando le braccia esasperata.

Maryse alzò la testa di scatto e arrossì violentemente.

« Come lo?... »

« A differenza di te, io cerco sempre di tenermi informata su quello che succede nel mondo, come credi abbia potuto sapere che Morgestern è riuscito infine a compiere il suo intento anche se per metà? » disse Yumi. « Certo che ho sentito che Lucian è diventato un lupo mannaro, ho sentito molte voci al riguardo… comprese alcune riguardo al fatto che, appena scoperto il misfatto, gli avete voltato le spalle come se niente fosse, come se fino al giorno prima lui non fosse stato un compagno con cui avete condiviso molto, a cui volevate bene e per cui avreste dato la vita ».

Sentì sulla lingua il sapore di quelle parole e storse il naso: non aveva mai assaggiato il fiele in vita sua, ma era pronta a scommettere che non fosse neanche lontanamente così amaro come invece le cose che stava dicendo sapevano.

« Gli avete voltato le spalle solo perché era diventato “diverso”, perché non era più come voi »  continuò sprezzante. « Avete mai provato a mettervi nei suoi panni? A parlargli, a pensare a come dovesse sentirsi? No, non rispondere: è ovvio che non l’avete fatto. Ed è questo il difetto più grande della vostra specie » .

« Che cosa vorresti dire? ».

La voce di Alec precedette quella di MAryse e portò Yumi a girarsi verso di lui guardandolo in cagnesco. Alec rabbrividì ma si sforzò di rimanere calmo.

« La colpa più grande della vostra gente è la codardia, l’attinenza a voltare le spalle ai problemi o a insabbiarli facendo finta che non esistano senza nemmeno tentare di risolverli ».

Maryse fece una smorfia.

« Detta da una che non ha mai seguito una regola in vita sua, queste parole non valgono niente ».

« Queste parole valgono allo stesso modo in cui varrebbero se venissero pronunciate da una bocca diversa dalla mia » ribatté Yumi.

« Tu non sai NIENTE  di cosa voglia dire essere una di noi! » ripeté MAryse.

« E voi non sapete NIENTE di cosa voglia dire essere delle persone! » .

Le due donne si fronteggiarono in silenzio guardandosi in cagnesco l’un l’altra. A Yumi non sfuggì la mano di Maryse che vide scendere lentamente alla cintura che aveva in vita, e allorae lei divaricò le gambe e piegò il busto in avanti.

« Ok, ok, è stato uno scambio di opinioni molto istruttivo, ma direi che il caso di finirla qui » intervenne Magnus frapponendosi tra le due donne, che lo fulminarono con lo sguardo.

« Le do due secondi di tempo per levarsi di mezzo, prima che la riduca ad un ammasso agonizzante di carne bruciata! » esclamò Yumi stringendo i pugni.

« Una prospettiva interessante. Ti chiederei però di permettermi di prendere le giuste precauzioni, non vorrei agonizzare in un letto per il resto della mia vita e privare il mondo della mia magnificenza ».

« E io le chiederei di cucirsi le labbra con il fil di ferro e risparmiarmi questi sketch, ci tiene davvero così tanto a passare per uno stupido? ».

Magnus smise di sorridere.

« Hai proprio un bel caratterino, mia cara: pensavo di essere già riuscito a donare quel primato a qualcuno, ma quanto pare dovrò riprendermelo » disse con solo l’accenno di un sorriso sulle labbra.

« Ti conviene farla finita e subito, stregone: oltre a renderti ridicolo, stai solo sprecando energie, lei non ha alcun bisogno di essere difesa » disse Maryse.

« Ma io non la sto difendendo, infatti » disse Magnus. « Sto solo cercando di impedire una carneficina ».

« Se continui a metterti in mezzo in questo modo, penso proprio che sarai tu quello che verrà usato come strofinaccio per lucidare le unghie di questo animale » ribatté la donna.

Magnus si fece perplesso e guardò dietro di sé, dove Yumi lo guardò con occhi incandescenti scrocchiando le dita.

« E fossi in te non mi prodigherei troppo in complimenti nei suoi confronti » aggiunse Maryse.

« E io che speravo che continuare a farlo l’avrebbe fatta cadere ai miei piedi » commentò sarcastico Magnus con evidente fastidio.

« Continua pure a fare lo spiritoso » disse Maryse. « Al tuo posto avrei ben poco da ridere ».

« Che cosa vuoi dire? » disse Magnus ora più attento.

Maryse sorrise, certa che, a breve, sarebbe finalmente riuscita ad avere il coltello dalla parte del manico.

« Lo sai, vero, che è principalmente colpa sua se le persecuzioni dei Nascosti sono aumentate? Molti di voi sono morti proprio perché lei li hai protetti, sono morti a causa sua! »

« Maryse… » cominciò a dire Magnus, ma venne interrotto da un gesto di Yumi che tuttavia non lo guardò in faccia.

Era maledettamente vero: intromettendosi e mandando all’aria i piani del Circolo, era diventata il loro obiettivo numero Uno sulla lista nera. Valentine le aveva pensate tutte per intrappolarla: spargendo in giro false voci, prendendo come ostaggio altri Nascosti… era stato talmente concentrato su come catturarla, però, che aveva mancato spesso e volentieri di ricordarsi che Yumi era una strega, che non era sola ma aveva il suo fedele famiglio al seguito, oltre anche ad altri alleati invisibili che però né lui né i suoi compagni erano in grado di vedere, motivi per cui non era mai riuscito a farla franca. Erano passati dal “sterminare i Nascosti” al “sterminare i Nascosti per dare la caccia alla Nascosta”, e Yumi non si sarebbe mai perdonata di essere diventata una delle maggiori cause per cui i Nascosti avevano sofferto, ma che altro avrebbe dovuto fare? Da qualunque punto di vista la guardasse, era una situazione senza via d’uscita che sarebbe comunque sfociata in una guerra.

« Conosco bene la ragione per cui le catture e gli omicidi sono aumentati » disse Magnus. « Nessuno però ha mai dimenticato chi fosse il vero nemico » ed era vero anche questo: nessun Nascosto era mai arrivato a odiare Yumi, a smettere di sostenerla e a non combattere gli Shadowhunters, a parte forse qualche disguido con le fate, ma Yumi non ci aveva mai fatto caso, visto e considerato che non aveva mai avuto buoni rapporti con quel popolo ( anche se questo non significava, ovviamente, che era mancata a prestare loro soccorso quando ne avevano avuto bisogno).

Maryse lo ignorò e tornò a rivolgersi a Yumi.

« Parli tanto di doveri e responsabilità, ma non mi sembra che tu abbia mantenuto i tuoi, non è vero, Principessa? ». Il cuore di Yumi prese a battere freneticamente e lei si portò una mano al petto, arpionando i vestiti come a volerli strappare. Magnus cercò di toccarla, ma lei lo spinse via bruscamente.

Odiava quel nomignolo, lo odiava nel XIX secolo quando glielo avevano appioppato la prima volta e l’aveva odiato quando Morgestern lo aveva involontariamente rispolverato conferendoglielo un’altra volta, forse per non parlare di lei chiamandola sempre e solo “la strega mutaforma” o forse perché, con il passare del tempo ( e degli scontri), l’uomo aveva deciso che Yumi meritasse un appellativo più importante e più “consono” al suo “valore”, per questo l’aveva etichettata nello stesso odioso modo che già secoli prima altri le avevano affibbiato, pur senza saperlo. E lei lo odiava: le sembrava un’etichetta, una forma, una gabbia, e lei odiava le gabbie, ancor di più le forme.

« Cos’avrei dovuto fare, secondo te?!  » esclamò in preda alla rabbia. « Lasciare che mi uccideste?! »

« Sarebbe stato meglio, con la tua avventatezza hai solo peggiorato la situazione! »

« Peccato che molti di voi non abbiano adottato questo tipo di filosofia, avreste fatto la gioia di tutto il mondo ».

Maryse si infuriò e le puntò il dito contro, ma Yumi fu più veloce:

« IO almeno ho tentato di migliorarla, la situazione! » urlò a pieni polmoni. « Io almeno non sono scappata a nascondermi dai miei problemi ma li ho affrontati direttamente senza nascondermi dietro nessuno ».

Maryse era livida, e così pure Yumi, che sentiva sempre più male sulla punta delle dita, dove gli artigli premevano contra la pelle dei guanti, e sulla lingua, che si scontrava contro le zanne sempre più affilate, ferendola e faticandole la parlata. Anche la Cacciatrice ormai era arrivata al limite della sopportazione, ma proprio in quel momento le balenò in testa una cosa, qualcosa che avrebbe finalmente posto fine alla discussione e steso una volta per tutte quella strega insolente, che aggrottò le sopracciglia perplessa quando vide la donna sorridere davvero per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare.

« Parli tanto, ma alla fine anche tu sei solo un’incapace ».

« Cosa intendi dire? ». Maryse sorrise ancora di più e Yumi iniziò a preoccuparsi.

« Hai passato la vita a correre a destra e manca per salvare gli altri… ma dov’eri alla battaglia di Idris, quando è stato ucciso quello stregone? »

Il demone che era in Yumi ruggì violentemente e graffiò lo sterno della ragazza, che si piegò in due tenendosi il petto dove il cuore minacciava di esploderle tanto batteva furiosamente, provocandole anche fitte allucinanti che le impedirono di respirare regolarmente. Maryse notò con piacere di aver sortito l’effetto sperato e diede il colpo di grazia:

« Proteggere assiduamente i Nascosti… e non sei nemmeno stata capace di proteggere un tuo simile! ».

« Maryse!! Questo è un colpo basso! » esclamò Magnus furioso.

Le dita iniziarono a illuminarsi di piccole scintille blu, ma Yumi si rialzò, lo superò con una spallata e si portò a poche falcate da Maryse, con le mani che si illuminarono di scintille azzurre mentre la ragazza iniziò a vederci rosso, a sentire un gran calore attraversarla da capo a piedi, le orecchie pizzicare e il demone smaniare di uscire, di essere liberato, di porre fine alla vita di quella maledetta.
Lo lasciò leggermente libero giusto per lenire il fastidio che provava a costringerlo a stare al proprio posto, senza però farlo uscire completamente. Maryse sorrise soddisfatta, certa di essere finalmente riuscita a spezzare la ragazza, ma il sorriso le morì sulle labbra quando questa alzò la testa e la guardò sorridendo, in modo piuttosto sprezzante anche, e con una luce folle negli occhi che fece rabbrividire la Cacciatrice.

« Nessuno di noi avrebbe mai potuto prevedere quello che è successo, nessuno pensava che il vero figlio di Morgestern fosse vivo e che fosse a Idris sotto mentite spoglie » disse calma, anche se Magnus vide il suo sguardo ardere, e temette il peggio.

«  Se avessimo potuto prevedere una cosa del genere, stai pur certa che  non me ne starei certo stata qui a far niente e sarei intervenuta ».

« Cosa vuoi insinuare? » esclamò la donna.

Yumi la guardò finalmente negli occhi, e la donna fu attraversata da gelidi brividi di terrore.

« Che non hai alcun diritto di farmi la paternale ».

« Io mi permetto di fare quello che- »

« Damare!! » esclamò Yumi, a cui ormai mancava veramente pochissimo per varcare il confine sottile che separava la sua metà umana da quella demoniaca e che si sentiva così ferita che l’unica cosa che sentiva di volere era stendere definitivamente quella donna una volta per tutte e farle tanto ma tanto male. Ed è esattamente quello che fece:

« Non sarò riuscita a proteggere un mio simile, ma io almeno non volterei mai le spalle alla mia famiglia… cosa che non posso dire del tuo caro ex-marito, che a quanto pare ha ritenuto la propria carriera una prospettiva di vita migliore di quella che avrebbe avuto continuando a stare insieme a te! ».

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: Maryse urlò, prese uno dei pugnali che aveva alla cintura e lo lanciò verso Yumi, che però intercettò la sua traiettoria, se lo fece scivolare sul palmo e lo rispedì alla mittente, che lo scansò con una capriola laterale.
Yumi allora si acquattò a terra e le balzò addosso, rotolando insieme a lei sul pavimento e prendendosi a pugni a vicenda finché Yumi non riuscì a calciarla nella pancia con entrambi i piedi mandandola a gambe all’aria.

Maryse si rialzò immediatamente e prese una spada angelica, ma non fece in tempo a darle un nome che in un lampo Yumi le fu appresso, le fece volare via l’arma con un calcio, ruotò su sé stessa e si abbassò tempestandole di pugni il ventre. Maryse cadde in ginocchio, ma con una capriola fu nuovamente in piedi, saltellò sul posto e provò a colpire Yumi con un gancio destro, ma lei lo intercettò afferrandole il polso con una mano, mise l’altra sull’avambraccio della donna e la sollevò scaraventandola di peso sul pavimento. Maryse però fece pressione e riuscì a sbatterla a terra a sua volta, in un attimo le fu sopra e le riempì la faccia di pugni, ma Yumi intercettò la sua mano, la respinse e le afferrò velocemente il vestito, la tirò verso di sé e le diede una testata tale che se ne sentì l’eco in tutto il Santuario. Maryse si tenne la testa dal dolore e Yumi ne approfittò per caricarsela sulle spalle e lanciarla contro il muro con tutta la forza che aveva, mandandola a sbattere contro la parete.

« Ne hai avute abbastanza o ne vuoi ancora ? » la provocò.

Maryse si alzò malamente da terra, piena di lividi e con il viso imbrattato di sangue che colava dalla ferita sulla fronte, ma con due occhi pieni di furia omicida. La donna si rialzò reggendosi malamente sulle gambe, e Yumi non poté evitarsi di domandarsi se a darle forza era la sua testardaggine o la sua sete di vendetta. In entrambi i casi, lei non aveva alcuna voglia di continuare quello scontro inutile, come mai avrebbe voluto farlo venti anni prima quando Maryse e i suoi compagni erano ancora ragazzini ma a cui si era comunque piegata per legittima difesa sua e delle persone che erano con lei. Pur avendo in cuore un demone violento e feroce, lei non gli permetteva mai di prendere il sopravvento, e non traeva certo alcun piacere dal ferire i suoi avversari e vederli ridotti in un simile stato pietoso, indipendentemente dalle circostanze.

« Basta così, Maryse: non ha senso continuare questa lotta, e lo sai anche tu ».

Parole al vento: Maryse urlò e si lanciò contro la ragazza, che si spostò leggermente di lato evitando l’assalto della donna, che si sbilanciò e cadde sui lastroni di pietra del pavimento battendo forte le ginocchia, ma ignorando il dolore si rialzò in piedi guardando Yumi con odio, tornando però a sentirsi divorata dalla paura: gli occhi della ragazza erano diventati da gatto, gli occhi che aveva temuto per anni, gli occhi che, ogni volta che era scesa sul campo di battaglia, aveva cercato subito perché aveva paura di incrociarli, le era sempre sembrato che mettessero a nudo la sua anima e la stringessero in una morsa, aveva avuto paura di morire ogni volta che li aveva incrociati.

Strinse i denti con rabbia, fece leva sulla gamba destra e si diede la spinta per colpire Yumi con un calcio rotante, ma lei scoprì i denti e le azzannò la caviglia, facendo urlare l’avversaria. Tenendola saldamente tra i denti, la strega prese il polpaccio della cacciatrice con entrambe le mani, fece forza e la volò attraverso la stanza. Maryse ruzzolò malamente a terra senza nemmeno riuscire a proteggersi con le braccia, e quando finalmente si fermò crollò a terra, viola di lividi, con il respiro affannoso e la caviglia sinistra che sanguinava copiosamente.

« Maryse, smettila! così finirai solo per rovinarti » cercò di dissuaderla Yumi. Maryse strinse i denti e cercò di rialzarsi per fronteggiarla nuovamente, ma ricadde a terra come un peso morto. Yumi si avvicinò per soccorrerla, ma Alec, Jace e Isabelle le sbarrarono la strada con le armi sguainate. Nello stesso momento, Ryuu arrivò alle spalle di Yumi e le strinse entrambi i polsi tra le fauci trascinandola lontano dai Cacciatori.

« Stai lontana da nostra madre! » urlò Alec, puntandole contro una freccia già incoccata e pronta a essere rilasciata. Isabelle schioccò la frusta e Jace brandì una lama angelica, la cui luminosità si riflesse negli occhi dei tre ragazzi, rendendo le loro espressioni terribili e spaventose. Yumi li guardò sospirando, e Ryuu strinse la presa sui polsi affondando i denti nella carne.

« Levatevi di mezzo, è una faccenda tra me e lei! » esclamò Maryse.

I suoi figli, però, furono irremovibili:

« Non credo che tu sia nella posizione per dire a chicchessia di farsi da parte e non intromettersi » disse Jace, guardandola con astio.

« Ho detto di togliervi! » insistette Maryse respirando affannosamente. « Per favore, non voglio che- »

« Non vuoi cosa? COSA?? Che ci facciamo del male? Che quella strega ci uccida? Non saresti in grado di fare niente, tu non sei MAI stata in grado di fare qualcosa per noi, quindi risparmiaci le tue inutili premure e stai zitta, non peggiorare le cose come di tuo solito » disse Isabelle, facendo rimanere di sasso la donna, che ammutolì e la guardò con la bocca aperta.

« Basta così!! ».

La voce tonante di Magnus rimbombò per tutto il Santuario e i presenti si voltarono verso di lui, che avanzò mettendosi in mezzo tra i ragazzi e Yumi, dando le spalle a quest’ultima e allargando le braccia.

« Maryse, prendertela con Yumi come stai facendo adesso è come punire un cane dopo averlo tormentato finché non ti ha morso(1*). Non potevi certo pretendere che non reagisse dopo quello che hai detto, quindi datti una calmata ».

« Levati di mezzo, stregone, o ucciderò anche te! » urlò la donna cercando di rialzarsi ma fallendo miseramente.

« Non lo farò io e non credo riusciresti a farlo neanche tu, non nelle condizioni in cui ti trovi » disse Magnus.

Maryse sibilò furiosa e fece leva sui muscoli doloranti che però non la ressero.

« Maryse, seriamente, smettila: sei allo stremo, nelle tue condizioni non saresti in grado nemmeno di sollevare un cucchiaino da caffè. Ammetto che però sarei tentato di vedere Yumi farti a pezzi, ma visto che è risaputo che vedere brandelli sanguinolenti di Shadowhunter di prima mattina fa male alla digestione, per questa volta penso che preverrò il danno ».

Alec dovette chinarsi e stringere la madre tra le braccia per impedirle di trascinarsi verso Magnus.

« Quanto a te… » disse lo stregone voltandosi verso Yumi.

«… faresti meglio ad andare, non avevi detto di essere in ritardo? » disse seriamente, dopo un attimo di pausa. Yumi aggrottò le sopracciglia e lo guardò negli occhi: Magnus non sembrava avercela con Maryse quanto piuttosto con lei. La sua espressione però era così indecifrabile che era davvero difficile riuscire a interpretarla, e per un attimo le ricordò qualcun altro, qualcuno così altero e severo da brontolare per un nonnulla e sempre pronto a rimetterla in riga quando esagerava o lasciava che il suo temperamento focoso prendesse il sopravvento , qualcuno che… Yumi scosse la testa prima che i ricordi tornassero a travolgere e scombussolare il suo cuore: perché lui le tornava in mente proprio in quel momento?

Magnus non gli assomigliava minimamente, sotto qualunque punto di vista, ma perché allora guardarlo negli occhi le faceva ripensare al suo maestro, l’uomo che le aveva insegnato così tanto e che lei aveva amato come una figlia può amare un padre? Evitò lo sguardo di Magnus, ma l’uomo le prese il mento in mano e la forzò a guardarlo. Lei sospirò e si arrese. Ryuu la lasciò andare non appena la sentì smettere di opporre resistenza e Yumi si massaggiò i polsi, imbrattandosi le mani di sangue.

« Il tuo amico non si fa proprio scrupoli » e senza darle tempo di rispondere, Magnus le racchiuse delicatamente i polsi nelle sue grandi mani, ma Yumi si liberò dalla sua presa e si guarì da sola, curando anche gli ematomi sul viso e ripulendosi i vestiti e i capelli dalla polvere. Senza degnarlo di uno sguardo, voltò le spalle a Magnus, ma lui le afferrò il polso e la fece voltare nuovamente verso di sé, al che lei perse la pazienza:

« Ma cosa vuole da me?! Perché non mi lascia in pace?! »

« Voglio solo aiutarti a raffreddare i tuoi bollori prima che tu possa mettere piede là fuori e trasformati in Jack lo Squartatore in modalità diurna, ma non sarebbe male se tu collaborassi un minimo invece di- »

« Non gliel’ho chiesto! » esclamò Yumi, ma Magnus rafforzò la presa e fece girare la ragazza su sé stessa, così che lei si ritrovò contro il petto dello stregone con il suo braccio stretto in vita e il suo viso a pochi centimetri dal proprio.

« Non costringermi a recitare la parte dello stregone cattivo, ragazzina, potrebbe non piacerti affatto » disse molto seriamente Magnus senza la benché minima nota di malizia o divertimento nella voce, cosa che convinse Yumi che questa volta non stava affatto scherzando. Tuttavia non bastò a intimorirla e lo fulminò con gli occhi specchiandoli nei suoi, ricambiata dallo stregone, occhi da gatto contro occhi da gatto, entrambi brillanti, bellissimi… e minacciosi.

Si guardarono come aspettandosi che uno dei due morisse sotto lo sguardo dell’altro, avvicinando pericolosamente i volti tanto che solo un soffio arrivò a separare le loro labbra. Ad un certo punto Yumi mostrò le zanne, e per un attimo Magnus temette che l’avrebbe morso, ma lei gli soffiò contro e gli diede una testata, poi si liberò e si allontanò da lui voltandogli le spalle. Prima di andarsene guardò gli Shadowhunters soffermandosi soprattutto su Alec, che la guardava imbestialito, quei limpidi occhi azzurri tanto gentili che lei aveva giudicato innocenti come quelli di un bambino ora bruciavano di furia angelica, così come dovevano essere gli occhi di un guerriero, gli occhi di uno Shadowhunter.

Le fecero impressione, non riusciva a credere di trovarsi di fronte allo stesso ragazzo educato e impacciato che aveva incontrato a casa di Magnus. Sfiorò con lo sguardo lo stregone un’ultima volta poi lo riportò sui Cacciatori, e la sua espressione divenne glaciale.

« Statemi alla larga e non venitemi a cercare, o porterò a termine quello che ho iniziato, e non sto scherzando » poi aprì un Portale e sparì nel varco insieme a Ryuu. Magnus si tenne la fronte e rimase a fissare la parete anche quando l’ultimo barlume di energia svanì, e così pure i quattro Shadowhunters .

« Che caratteraccio » disse Jace, rompendo il silenzio.

« Mi piace » disse invece Isabelle. Alec guardò la parete senza dire niente, frastornato e confuso da quello che era successo, era accaduto tutto così velocemente che quasi non se n’era reso conto. Girò meccanicamente lo sguardo verso Magnus, ma lo vide così serio che ne fu quasi intimorito.

« Magnus… » mormorò con un filo di voce, non certo di essere udito. L’uomo invece si voltò verso di lui .

« Sì, Alexander? ». Alec si morse le labbra prima di rispondere:

« Chi è… quella ragazza? ». Erano molte le cose che avrebbe voluto dire e chiedere, ma si sentiva moralmente e fisicamente stremato, e quello fu tutto ciò che riuscì a trovare la forza di formulare . Magnus separò lo sguardo da quello del giovane e sospirò, parlando senza nemmeno voltarsi verso di lui:

« Lei è una strega che non si è mai piegata agli usi comuni della nostra gente e ai soprusi della vostra, che vive solo seguendo il suo cuore e senza dar retta a quello che dicono gli altri. E che non fa alcuna distinzione tra le varie fazioni di Nascosti ed è sempre pronta ad aiutare il prossimo ».

Alec si accorse della nota che la sua voce assunse, come se parlare di lei fosse come rievocare un amore perduto ormai da troppo tempo, e non di una persona che gli aveva quasi spaccato il cranio. Questo, unito all’atteggiamento dello stregone, suscitarono in Alec un freddo gelido all’altezza del cuore: sentiva a pelle che Magnus non gli stava dicendo tutta la verità, che in realtà sapeva molto di più di quanto non volesse intendere. Perché mentire, non si fidava di lui? Quello che era successo gli aveva aperto gli occhi e fatto capire che uno stregone non poteva stare insieme ad uno Shadowhunter perché le loro razze erano nemiche giurate e così sarebbe stato per sempre?  

Per la prima volta avvertì quanto effettivamente fosse enorme il divario tra lui e Magnus, e si rese conto che in realtà lui non sapeva assolutamente niente nemmeno del suo ragazzo, solo poche e sparute cose che stavano in superficie, ma niente di quello che era celato nell’animo dello stregone, un ammontare di segreti inconfessabili sul passato di Magnus che lui non gli aveva mai raccontato. Anche Yumi era tra questi,  Alec non aveva alcun dubbio. In che maniera, però, Yumi aveva fatto parte della vita di Magnus?

« Non si può dire che non sia una che non sa usare la testa » commentò Jace sogghignando e passandosi una mano tra i capelli.

« Conosco quell’espressione, Jonathan Cristopher » disse Isabelle incrociando le braccia. « Cos’hai in mente? »

« Di cercare una gattina dal brutto carattere che faccia compagnia a Church ».

Alec capì quali fossero le sue intenzioni e sospirò: per Jace, Yumi era una sfida aperta, e l’avrebbe colta in pieno, pur consapevole dei rischi a cui sarebbe andato incontro. Lo invidiò: Jace, come sempre, aveva le idee ben chiare sulla prossima mossa da fare, ma lui? Lui cos’avrebbe dovuto fare adesso, quando l’unica cosa che sentiva era una smania di uscire da lì e allontanarsi da tutto, dalla sua famiglia, dal suo ragazzo e dal Santuario che, malgrado l’ampiezza, improvvisamente gli sembrava stretto e soffocante?

« No! ».

L’urlo di Maryse fece sobbalzare i ragazzi e distrarre Alec dalle sue preoccupazioni.

« Jace, ti proibisco categoricamente di cercarla, quella strega è-»

« …pericolosa, un mostro e chi più ne ha più ne metta » disse Jace scimmiottando il tono della donna. « Me ne sono accorto benissimo, visto il modo in cui le hai prese da lei. Non avrei mai pensato che un giorno ti avrei visto soccombere a una Nascosta, l’età comincia a farsi sentire? »

« Tu non capisci! » insistette Maryse. « Tu non sai di cosa è veramente capace quell’animale, lei- »

« Adesso basta! » esclamò Isabelle. La madre guardò smarrita verso di lei.

« Non sei nella posizione di lanciare accuse contro il prossimo, anzi direi che non sei proprio nella posizione di dire una singola parola e credere di avere ancora qualche diritto a dirci cosa dovremmo fare o chi frequentare. Dici che quella ragazza è pericolosa, ed effettivamente lo sembra davvero, solo che per te è pericoloso chiunque non rientra nei tuoi canoni, quindi non sei molto credibile. A me non importa se per colpa sua avete rischiato di morire, anzi, dirò di più: avrebbe fatto bene a farlo davvero, ve lo sareste meritato! » .

Alec cercò di calmare la sorella, ma lei lo spinse via con rabbia.

« Lei ha fatto quello che avreste dovuto fare anche voi, quello che ci avete sempre indicato come il dovere di ogni Shadowhunter, e cioè proteggere le persone. Yumi ha lottato per difendere la sua gente, ma tu e papà? Cos’altro avete fatto a parte pensare solo a voi stessi? ».

Respirò affannosamente poi riprese a parlare:

« Io sono stanca di sottostare a qualcuno capace solo di obbedire a degli ordini il più delle volte stupidi e dannosi  e che non pensa a quelli che ama ma li sfrutta solo come pedine dei propri piani. Non venirci a dire di stare alla larga da quella ragazza, hai perso qualunque credibilità nei nostri confronti. E se Yumi è davvero come la dipingi, bè… lo scoprirò da sola, non ascoltando una bugiarda che non sa fare altro che mentire e che l’ha fatto talmente tanto che ormai è l’unica cosa che sa fare nella vita e che non sa assolutamente prendersi cura degli altri, nemmeno dei propri figli! » e battendo violentemente i tacchi sul pavimento di pietra uscì dal Santuario sbattendo forte la porta.

Maryse la guardò andar via senza riuscire a pronunciare una sola parola per fermarla.

« Bè, è stata una mattinata turbolenta » disse Jace. « Penso proprio che andrò a farmi una doccia sperando di non incappare in Church, ne ho avuto abbastanza di gatti bisbetici, per oggi » e se ne andò anche lui, lasciando Maryse sola con Magnus e Alec.

Maryse allora zoppicò verso Magnus, guardandolo con furia omicida.

« Come hai potuto portare quella… quel… mostro qui?? » esclamò furiosa.

Magnus tenne lo sguardo rivolto verso la parete da cui Yumi era sparita senza nemmeno curarsi di girarsi verso Maryse.

« Ti dispiace riformulare la domanda? Temo di non aver capito cos'hai detto ».

« Hai sentito benissimo! » esclamò la donna.

Magnus finalmente si voltò, guardandola molto seriamente e forse per la prima volta per davvero da quando era arrivata: ricordava bene com’era da giovane. L' aveva sempre vista come una macchina da guerra che niente e nessuno avrebbe potuto abbattere, ma ora Maryse gli era davanti spettinata, piena di lividi, i vestiti sporchi di polvere e sangue e una gamba ferita a cui a malapena riusciva ad appoggiarsi. E con occhi pieni di rabbia, sofferenza e, come non pensava avrebbe mai visto in lei, paura, tanta ma tanta paura che lei cercava invano di mascherare.

Magnus non la vide più come la guerriera inscalfibile che conosceva ma solo come una donna qualunque, ferita, sconfitta, delusa e spaventata dalla vita, che aveva commesso molti errori ed era stata ferita altrettante volte, tenendosi tutto dentro senza far trapelare niente.

Ma a tutto c’era un limite, e Magnus era certo che ormai Maryse avesse ampiamente raggiunto e superato il proprio. Era in condizioni pietose, Magnus non l’aveva mai vista così sfatta, ma per lei non provava altro che una fredda indifferenza, la stessa che lei aveva sempre riservato a lui e alla sua gente. Tenne però quelle cose per sé e disse:

« Qui non c’è stato nessun mostro, Maryse, solo una ragazza coraggiosa grazie a cui tante vite sono state salvate e i Nascosti non hanno perso la speranza di vivere » .

Divenne incredibilmente serio mentre lo diceva, tanto che ad Alec sembrò di guardare un’altra persona, non lo stregone solare, ilare e malizioso che conosceva e amava. E ne ebbe paura: non lo conosceva ancora così bene, ma lo spaventava vedere che Magnus potesse avere altre facciate, oltre a quella che mostrava di solito in presenza sua o dei suoi amici. Gli sembrò di vedere un estraneo che non riusciva a riconoscere e che lo intimoriva, o forse la sua era solo la reazione ai discorsi che aveva sentito fare a Yumi e che gli avevano aperto gli occhi su verità su cui finora non si era soffermato o che addirittura aveva dimenticato, come il fatto che il suo ragazzo fosse altro, oltre che alla persona così solare e pieno di vita che conosceva: era questo il vero aspetto del Sommo Stregone di Brooklyn dietro il personaggio eccentrico e stravagante che amava dare feste e vestirsi in maniera esageratamente appariscente?

Si prese la testa tra le mani e la scosse forte, così forte che gli vennero i capogiri, e senza una parola marciò a grandi passi fuori dal Santuario, desiderioso solo di mettere più spazio possibile tra lui e qualunque altro essere respirante nel raggio di un chilometro e di trovare un posto dove poter stare da solo. Magnus lo guardò allontanarsi e si massaggiò le tempi affranto. Vedendo Maryse guardarlo infastidita, pronta sicuramente per lanciarsi in ulteriori improperi, si volse verso il muro e aprì un Portale, ma prima di sparirci in mezzo si rivolse un’ultima volta alla donna:

« Non ci saranno sempre i tuoi figli a proteggerti dai tuoi sbagli » e senza aggiungere altro entrò nel Portale, sparendo alla vista.

Maryse rimase a fissare il vuoto per quelle che parvero ore, poi cedette e cadde in ginocchio, seppellì il viso tra le mani e si lasciò andare in un pianto disperato.

*Angolo autrice

Quando ho iniziato a stendere questo capitolo immaginavo che sarei stata entusiasta nel scriverlo: Maryse è uno dei personaggi che meno sopporto, ma… mi sono ritrovata a riscrivere questo capitolo per ben tre volte, ogni volta aggiungendoci un sacco di cose in più rispetto alla prima, ma mai mi veniva come volevo che fosse. L’ho lasciato perdere per un po' di tempo certa che l’ispirazione mi sarebbe venuta con calma, ma mi è arrivato molto più di questo: scrivere, pensare e revisionare questo capitolo mi ha fatto capire molte cose a cui prima pensavo veramente poco. Penso di poter dire che, anche se non è venuto fuori esattamente come l’avevo ideato all’inizio, questo capitolo sia stato comunque molto importante per la mia esperienza di scrittrice, che ho capito essere un'attività davvero più impegnativa di quanto avrei creduto possibile. Spero comunque di essere riuscita a fare un buon lavoro. Mata ne, a presto!

 
 Citazioni e riferimenti:


(1*): frase di Jem rivolta a Gabriel in Le Origini – L’Angelo;

 
 

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Capitolo 11
*** Magnus's concerns ***


Mentire a se stessi è un modo per non soffrire
Ade Becci
 
 
Avere un animale domestico era la cosa migliore del mondo, specie quando avevi bisogno di tenere occupate le mani invece di usarle per riprendere il telefono e farsi venire il nervoso a furia di fissare lo schermo aspettando che succedesse qualcosa per poi rimetterlo sul tavolino dopo pochi secondi e riprenderlo in mano praticamente subito. No, era decisamente meglio tenere le mani affondate nella pelliccia di un gattino viziato che sembrava godere un sacco nel ricevere tutte quelle attenzioni.
Era incurante dello stato emotivo di chi gliele stava fornendo, ma in fondo che importanza aveva finché continuava ad accarezzarlo? Magnus pensò che Presidente fosse davvero un gran ruffiano e che, nel momento in cui avesse smesso, si sarebbe sicuramente arrabbiato e l’avrebbe graffiato, ma non è che poteva stare lì tutto il giorno, prima o poi si sarebbe dovuto fermare, anche se, a dir la verità, non aveva tutta questa voglia di alzarsi e rimettersi al lavoro…

Le dita inanellate dello stregone indugiarono sulla testa del micino che non accontentato si strusciò contro la mano del padrone, che però reagì passivamente e alla fine sospirò e si arrese ad allontanare la mano dal gatto ( che brontolò infastidito ) per allungarsi a prendere il cellulare senza però trovare bustine multimediali  o la cornetta verde di un telefono a lampeggiare sullo schermo. Sospirò, lanciò il cellulare su una sedia e sprofondò nel divano di pelle su cui era spaparanzato ormai da un’ora: appena tornato in casa, si era levato i vestiti con uno schiocco di dita facendoli finire nel cesto della lavanderia e si era buttato sotto la doccia lasciando che il getto caldo e il bagnoschiuma al sandalo lavassero via il sudore e ciò che restava di un make-up ormai irrecuperabile. Purtroppo non avevano avuto lo stesso effetto sulle preoccupazioni che affollavano la sua mente, a causa di cui aveva finito tutto il bagnoschiuma senza rendersene conto ( e senza nemmeno farne apparire uno nuovo direttamente dal supermercato dietro l’angolo), era uscito dalla doccia e si era rivestito con uno schiocco di dita senza far caso all’abbinamento, aveva afferrato il telefono ma l’aveva rimesso giù quasi all’istante, si era buttato sul divano dove era stato presto raggiunto da Presidente Miao, che aveva reclamato le cosce del padrone come proprio dominio assoluto e non si era più mosso di lì, così come lo stregone, che aveva passato l’ora successiva a prendere il telefono, rimetterlo a posto, accarezzare il gatto e riprendere nuovamente in mano il telefono.

Andava avanti così da un’ora, e ormai iniziava a pensare che non sarebbe più riuscito a staccarsi da quel divano, anche perché non aveva nessuna voglia di farlo, così come non sentiva nessun bisogno impellente di sistemarsi i capelli, che gli ricadevano sul davanti oscurandogli il volto e solleticandogli il mento, e nemmeno di truccarsi. Ci aveva provato, a dire il vero, ma dopo essersi infilato il pennello dell’eyeliner nell’occhio per tre volte di fila lo aveva buttato frustato nel lavandino e aveva lasciato perdere, e così ora si trovava completamente struccato come assai raramente era, coi capelli lisci e privi di qualsivoglia sostanza appiccicosa a tenerglieli su e con l’abbigliamento di uno che ha aperto l’armadio al buio e si è buttato addosso la prima cosa senza nemmeno guardare cosa fosse ma non per questo ne era uscito qualcosa di indossabile ( e soprattutto guardabile). Se normalmente avrebbe dato la priorità al proprio aspetto esteriore ancor prima dei propri bisogni primari, per la forse prima volta dopo secoli non sentiva né aveva alcuna fretta di alzarsi e impedire che i suoi clienti o altri che avessero bussato alla sua porta in quel momento lo vedessero spogliato del suo solito sfavillante fulgore, ridotto peggio di una mummia senza bende ma perfettamente conservata; mancavano solo le ragnatele e gli scarafaggi a completare il tutto, ma se continuava così sarebbero arrivati presto.

Odiava l’idea che altri potessero vederlo così esposto, privo di quella che era la sua seconda pelle, ma in quel momento, incredibile ma vero, era proprio l’ultima preoccupazione sulla sua lista delle priorità, che vertevano su cose più importanti, come ad esempio su una vecchia chiesa piuttosto imponente di Manhattan e sui suoi abitanti, centro dei suoi pensieri e causa del malessere che aveva alla testa, piena come una botte di vino e pesante come un putto di Donatello, pensieri che erano la causa del suo blocco mentale e la ragione per cui non riusciva a smettere di prendere continuamente in mano il telefono. Moriva dal bisogno di chiamare Alec, sentire la sua voce, assicurarsi che stesse bene e che fosse tutto a posto, anche se avrebbe preferito di gran lunga averlo lì, a cavalcioni delle sue gambe, accoccolato tra le sue braccia con le sue mani sotto la maglietta che gli lasciavano scie di fuoco sulla pelle e le sue labbra sulle proprie, fuse in uno di quei baci che toglievano il fiato e che riempivano il cuore dello stregone di quelle emozioni che solo il giovane Shadowhunter sapeva regalargli, emozioni che gli scaldavano il cuore e lo facevano sentire come se avesse trovato il suo posto nel mondo, come se fosse nato e avesse vissuto secoli e secoli solo in attesa di quelle mani, di quelle labbra… di quella persona.

Avrebbe dato l’anima per essere lì con Alexander, l’unico capace di trascinarlo in una dimensione parallela semplicemente guardandolo o sorridendogli, l’unico a farlo sentire davvero vivo come mai si era sentito in quattrocento anni di vita, l’unico con cui, quando si trovavano insieme, Magnus aveva l’impressione che il tempo scorresse al ritmo giusto e non a singhiozzo a pesantemente come era accaduto sovente prima che lui entrasse a far parte della sua vita , l’unico che riuscisse a scombussolarlo e ad abbattere le sue difese con pochissimo facendolo sentire vulnerabile… Perso nel tepore che pensare al giovane gli procurava e cominciando a sorridere, prese il telefono quasi senza rendersene conto, ma proprio mentre stava per premere il pulsante di chiamata, quello che era successo all’Istituto arrivò puntualmente a risvegliarlo dal suo sogno ad occhi aperti, a farlo smettere di sorridere, a lanciare di nuovo via il cellulare e a borbottare qualcosa di incomprensibile nella sua lingua natia. Era certo che fosse il caso di lasciare in pace il ragazzo e aspettare che fosse lui a farsi vivo, ma non avere sue notizie lo stava uccidendo ogni minuto di più.

Non sapeva cosa fare, e anche se ormai avrebbe dovuto esserci abituato, non era affatto così, visto che, quando si trattava di Alexander, era una circostanza all’ordine del giorno: con il giovane diventava tutto imprevedibile, non sapeva mai cos’avrebbe detto o come si sarebbe comportato; era così…grande, per la sua età, così adulto e responsabile quando si trattava di compiere il suo dovere o prendersi cura degli altri, ma al tempo stesso era così innocente e inesperto sulla vita e sul mondo che Magnus non sapeva mai come comportarsi con lui.
E anche lui si ritrovava a sentirsi impreparato e inesperto, perché erano esperienze nuove tanto per il giovane quanto per lui. La differenza fondamentale però, era che per Alec lui era il primo per cui avesse mai davvero provato qualcosa di così autentico; Magnus, invece, aveva avuto fior di amanti nella sua vita, ma nessuno come Alec, nessuno che fosse mai riuscito a sorprenderlo, nessuno che l’avesse mai coinvolto così tanto ma al tempo stesso che lo portasse a essere così attento a quello che faceva, a essere così poco… sé stesso. Questo era solo uno dei tanti problemi che aveva con Alec: il fatto che con lui Magnus si ritrovasse inconsciamente a sopprimere parti di sé stesso per lui, la riprova che teneva davvero a quel ragazzo e a ciò che pensava.

Non voleva fare qualcosa che facesse pensare ad Alec che lui voleva accelerare i tempi in qualcosa che non capiva del tutto e con cui era da poco sceso a patti, ed era per questo che cercava di procedere con cautela, anche se era assurdo: lui, che aveva vissuto centinaia di esperienze, si ritrovava a non avere idea di come comportarsi con quel ragazzino imberbe poco più che maggiorenne e ancora vergine sotto qualunque punto di vista. Erano proprio queste caratteristiche a piacergli di Alexander, però lo spaventavano comunque non poco. In altri tempi e con altre persone Magnus non avrebbe avuto la minima vacillazione e avrebbe fatto quello che sentiva di fare, sarebbe stato perfettamente sicuro di sé e del proprio charme… ma Alec non era affatto “altre persone”, non era assolutamente uno dei tanti, lui era…lui. Speciale, innocente, dolce, gentile… unico. Ed era questo il punto: Magnus aveva amato molte volte in vita sua, altrettante era stato ricambiato per poi ritrovarsi a essere lasciato, per un motivo o per l’altro, ma solo poche persone gli erano davvero entrate nel cuore in modo pressoché indelebile. Camille era tra questi, anzi, lei forse era stata l’ultima persona che aveva davvero amato con tutto sé stesso, quella che però gli aveva distrutto il cuore frantumandolo in mille pezzi e per colpa di cui aveva pensato che non sarebbe più stato in grado di innamorarsi nuovamente.

Aveva avuto molte storie dopo di lei, il più delle volte rapporti occasionali, altre invece più duraturi, ma nessuno che fosse rimasto con lui fino alla fine accettando tutto quello che derivava da questa scelta. Da dopo Camille, Magnus pensava di aver smesso di cercare l’amore, continuando, però, a sperare inconsciamente di trovarlo… ed era arrivato, sotto forma dell’ultima persona che mai avrebbe pensato gli avrebbe toccato il cuore, uno Shadowhunter, e per di più facente parte di quella ridicola famiglia di Borgia da quattro soldi che lui aveva sempre guardato con lo stesso apprezzamento che avrebbe riservato ad una cacca di piccione sulla punta delle scarpe.
Se glielo avessero detto qualche anno fa, lui avrebbe riso e si sarebbe buttato sul divano brindando alla salute di quegli stolti con un bel bicchierino di Tequila diluito con acqua tonica e ornato con una fetta di lime sul bordo del bicchiere e un ombrellino colorato, e invece si ritrovava stravacato su un divano, scombinato e struccato, ad arrovellarsi e a rischiare un attacco d’ansia per colpa di un ragazzino Nephilim dai limpidi occhi azzurri che non l’aveva ancora richiamato, neanche fosse stato una ragazzina alla sua prima crisi ormonale. Sospirò e si allungò a prendere il telefono, lo guardò e sbuffò, ributtandolo sul cuscino. Vide il suo gatto fissarlo attentamente e alzò gli occhi al cielo.

« Non sono preoccupato » sbuffò. « Non m’importa assolutamente se non mi ha richiamato, non mi preoccupa per niente quello a cui sta pensando in questo momento… non mi tange che potrebbe avere nuovamente ripensamenti… ».

Il piccolo piegò la testa di lato e ondeggiò mollemente la coda, per nulla turbato dalla melodrammaticità di cui stava dando mostra il suo padrone, che riprese ad accarezzarlo distrattamente. Cercava di sfogare sul gattino la frustrazione che tentava invano di nascondere, ma era inutile se non impossibile mentire: se chiudeva appena gli occhi si ritrovava davanti il viso pallido di Alec, con quei capelli neri scompigliati che sembravano quelli di chi si è appena alzato dal letto, quel viso pallido come la luna che adorava vedere tingersi delle più improbabili sfumature di rosso, quei limpidi occhi azzurri che amava vedere brillare quando il giovane gli sorrideva.

L’immagine del Cacciatore che gli affiorava davanti agli occhi in quel momento però non era né imbarazzata, né timida, né felice, ma anzi era triste, spenta, quasi… timorosa. Non l’aveva guardato come di suo solito, ma come se fosse stato un perfetto estraneo, come tutte quelle volte che aveva negato davanti ai suoi familiari di essere innamorato di lui; erano già passati attraverso quella fase, credeva che ormai l’avessero superata, e invece sembrava come se non fosse cambiato niente dal giorno in cui Alec l’aveva baciato a Idris. Era diverso, però, adesso: i primi tempi era stato perché non si era sentito ancora pronto a uscire allo scoperto e aveva cercato di difendere sé stesso, era perché ancora non sapeva davvero chi fosse; adesso invece riguardava il non sapere chi fosse il suo ragazzo.

Anche se non lo aveva detto ad alta voce, Magnus glielo aveva letto negli occhi, aveva visto la sua confusione e la presa di consapevolezza di non conoscere in realtà proprio per niente il proprio fidanzato , non tanto perché Magnus non gli aveva mai raccontato niente ma piuttosto perché il giovane sembrava non aver mai preso in considerazione parecchie parti riguardanti lo stregone, specie tenendo conto degli ultimi venti anni e forse anche secoli, argomenti che non avevano mai tirato in ballo da quando si conoscevano ma che il Nascosto aveva dato per scontato che il giovane conoscesse. Da un lato Magnus era lieto di non essersi trovato ad affrontare l’argomento, ma dall’altra aveva dato per scontato che Alec l’avesse volutamente accantonato per il suo bene, e invece la sua reazione era stata una palese riprova del contrario di quanto pensava il Nascosto. Anche nel caso se ne fossero mai trovati a discutere, comunque, Magnus avrebbe cercato di sviare l’argomento in tutti i modi, meno ne parlava più felice sarebbe stato. Se era con Alec, poi… non voleva che lo vedesse sotto quella luce.

Sin dal primo giorno, Alec non si era mai rivolto a lui come ad un Nascosto qualunque o chiamandolo col nome della sua razza pronunciandolo con disprezzo come facevano di norma gli Shadowhunters, come se quella parola da sola non fosse solo un appellativo ma l’insieme di tutto l’odio e il disprezzo verso la sua gente riversata in un unico termine. L’aveva sempre chiamato per nome, anche se c’era stato quel breve periodo in cui era stato più Cacciatore che Alexander e lo aveva trattato come avrebbe fatto qualunque altro suo simile. Magnus aveva odiato quel periodo, ancor più aveva detestato l’idea che Alec non lo vedesse come Magnus ma solo come il Sommo Stregone di Brooklyn, o, alla peggio, uno stregone qualsiasi. Almeno per lui non gli dispiaceva essere solo Magnus, essere altro oltre al Sommo Stregone, essere una persona che voleva solo trascorrere della piacevoli in compagnia del ragazzo di cui era innamorato.

Magnus aveva sopportato stoicamente il prendi-e-molla di Alec, speranzoso che, alla fine, avrebbe capito e accettato la propria sessualità e i sentimenti che provava per lui, e così era stato: quando l’aveva colto di sorpresa baciandolo nella sala degli Accordi davanti a tutta Idris, Magnus si era sentito sciogliere dalla felicità, aveva pensato seriamente che sarebbe morto in quel momento, e non avrebbe avuto alcun rimpianto se fosse successo davvero. Da dopo quel giorno, pur sempre con qualche piccolo alto e basso, le cose tra loro erano procedute a gonfie vele, e pensava sarebbe durata così per ancora molto e molto tempo, e invece il destino aveva voluto interferire di nuovo con la sua vita e rovinare la sua felicità: ora che finalmente Alec sembrava aver accettato sé stesso e i suoi sentimenti, il fragile equilibrio che avevano raggiunto tanto faticosamente era stato di nuovo messo in crisi, anche se stavolta non era colpa di nessuno dei due, e nemmeno dei genitori di Alec…o quantomeno, non direttamente.

Chiuse di nuovo gli occhi, ma stavolta ad apparargli non fu il volto di Alec, bensì quello sempre pallido di qualcuno con capelli sempre neri ma raccolti in una lunga treccia che incorniciavano un viso a forma di cuore su cui spiccavano due occhi a mandorla di un blu acceso, come di due zaffiri incastonati in una maschera di alabastro, completamente differenti da quelli cristallini e limpidi del giovane Cacciatore, occhi che erano l’altro motivo dell’inquietudine dello stregone, che si sentiva estremamente scocciato ogni secondo che passava.

Quella mocciosa mutaforma… aveva sentito quanto fosse ingovernabile, ma c’era un abisso tra il conoscere qualcuno sentendone solo parlare e incontrarlo di persona. Non avrebbe mai pensato che potesse avere una tale grinta, quella mostrata lì da lui a confronto era stato solo uno sparuto assaggio, il misero boccone di una modella anoressica a dieta paragonata a ciò di cui aveva dato mostra all’Istituto. L’appellativo di “Tigre Nera” non se l’era certo guadagnato coi punti del supermercato, era davvero una tigre in tutto e per tutto: orgogliosa, indipendente, piuttosto graffiante e mordace, sia in senso letterale che metaforico ( sventolò soprappensiero la mano che gli aveva morso e ringraziò che non fosse stata così profonda da lasciargli segni sulla pelle), che reagiva se minacciata ma si dimostrava docile e mansueta se trattata con la giusta gentilezza ( anche se dubitava che offrirle una scatola di croccantini avrebbe sortito lo stesso effetto che aveva sulla palla di pelo viziata che in quel momento si stava crogiolando nelle sue carezze).

Il fatto che fosse vegetariana però non imponeva il conseguente “non ho l’abitudine di fare a brandelli chi osa mettersi sulla mia strada”, e Magnus si riteneva fortunato ad essere riuscito a scampare ad una futura sorte da striscioline di bacon affumicato servite in un hamburger da Mc Donald. Incredibile a considerarsi, ma Magnus aveva avuto paura di lei, la vera paura, quella che ti fa salire il cuore in gola, che ti provoca violenti tremori e ti fa temere per la tua stessa vita . Anche se era riuscito a non farle perdere il controllo e a impedirle di fare un macello, Magnus si era sentito come un tacchino del giorno del Ringraziamento servito su un piatto d’argento pronto per essere sbranato. Ne aveva avuto paura davvero, sia per sé stesso che per Alec, a cui fortunatamente non era successo niente, ma se non ci fosse stato quel lupo a bloccare Yumi chissà cos’altro sarebbe potuto succedere.

Lo stregone si era sentito spaventato come poche volte in vita sua, aveva avuto il terrore che non sarebbe riuscito a contrastare la ragazza, anche se era riuscito a mantenere i nervi saldi e a risolvere la situazione senza che ci fossero vittime ( salvo la sua fronte, su cui sospettava cappeggiasse il bernoccolo del secolo, lo sentiva pulsare fastidiosamente ). Niente però svaniva senza lasciare traccia, e le parole di Yumi avevano lasciato il segno ancor più che la sua testa dura e le zanne affilate, e ora lui e Alec ne stavano pagando le conseguenze ognuno per conto proprio, cosa che stava distruggendo lo stregone dentro e gli stava facendo meditare di affogare quella gattina impertinente nel lago di Central Park e trasformare il predatore naturale dei pesci nel loro mangime più prelibato.
Buttarla nel lago però forse lo avrebbe fatto evaporare e lessato i pesci, la mocciosa era letteralmente una tale testa calda che ci si sarebbero potuto cuocere le uova sopra.

Pur se arrabbiato con Yumi per quello che aveva scatenato, però, Magnus la stimava: il coraggio e l’impeto orgoglioso con cui veniva sempre decantata non erano affatto pettegolezzi fastidiosi. Anche se aveva rischiato di far volare qualche testa, non aveva avuto alcun timore a sbattere in faccia a Maryse quelli che erano i pensieri di tutto il Mondo Invisibile, condivisi non solo dai Nascosti ma anche da parecchi Shadowhunters che però avevano il timore a esporli. Persino lui, che pure aveva sempre ribadito il concetto più e più volte, sentiva i propri discorsi come fossero stati i patetici tentativi di un bambino che cerca di farsi valere coi bulli per difendersi ma che finiva solo per peggiorare la situazione e prenderne ancora, non poteva assolutamente mettersi allo stesso livello della ragazza, che aveva parlato come se la verità fosse stata rivelata da lei soltanto nell’arco di secoli e secoli per la prima volta, e non come un discorso ripetuto allo sfinimento da centinaia e centinaia di persone prima di lei.

Era essenzialmente il modo in cui l’aveva detto, infatti, ad aver fatto la differenza, l’energia e la passione che la ragazza aveva messo nelle sue parole gli avevano dato l’impressione di essere stato schiacciato in un vasetto sottovuoto. Aveva sì incontrato molte persone coraggiose in vita sua, ma nessuno era come lei; persino Raphael, che anche se insopportabile, intrattabile, scontroso e con un rigetto verso il divertimento che era la spina nel fianco di Magnus e solo uno dei tanti motivi per cui preferiva avere a che fare con il vampiro il meno possibile, aveva sempre dato prova di una grande forza di volontà, si avvicinava a malapena a lei. Magnus però aveva anche capito che in realtà, pur se così forte e coraggiosa, Yumi era molto più fragile di quanto non volesse lasciar intendere, ma in questo non poteva mettere bocca, visto che era una caratteristica nota in molte persone che conosceva, persino lui lo era, anche se si sforzava continuamente di nasconderlo persino a sé stesso.
Ciononostante, da che ne ricordava aveva sempre provato una forte ammirazione nei confronti della ragazza, e si aspettato spesso, nel corso degli anni, di sentire che era infine diventata un Sommo Stregone, ma non era mai successo. Chiedendo in giro, aveva scoperto perché: pur se con un tale caratteraccio, a Yumi non importava affatto essere al centro della scena e ammirata da tutto e da tutti, e questo aveva portato Magnus a pensare che lei fosse quel genere di persona che viveva poco per il proprio benessere ma molto per quello degli altri.

Conosceva solo un’altra collega stregona con la sua stessa indole, che aveva sempre pensato essere unica nel suo genere e che non ce ne fossero altre con simili propensioni verso il prossimo, e questo servì solo ad aumentare la sua voglia di conoscere meglio Yumi. Sospirò: era stato serio quando le aveva chiesto se le andava di approfondire la loro conoscenza, ma di tutti i momenti in cui le loro vite avrebbero potuto incrociarsi, proprio in quello era dovuta capitare, proprio quando la sua vita aveva preso una svolta inaspettata e totalmente diversa da qualunque altra avesse mai intrapreso in tutta la sua esistenza e che necessitava di tutta la sua materia grigia, senza negligenze a dirottarla. Ora che finalmente gli era stata data l’opportunità di veder realizzato il suo desiderio più grande, non poteva ancora vederlo esaudito perché aveva ben due problemi a cui far fronte, uno che portava il nome di Alexander e l’altro di Yumi, uno con cui non sapeva cosa fare e l’altro che era la causa del motivo cui sopra, che lo aveva pure rimproverato di essere più rispettoso nei confronti del ragazzo.

Una cosa che quei due avevano in comune: Magnus era talmente abituato a prendersi tutto quello che voleva, se desiderava qualcosa doveva ottenerla a qualunque costo e con ogni mezzo, senza “ma” né “però”; con Alec, invece, che pure rappresentava ciò a cui aveva ambito per troppo tempo, non poteva attuare il suo intento, perché sapeva e voleva procedere con cautela. Lo stesso valeva per Yumi, con cui però aveva il problema diametralmente opposto: la ragazza doveva essere presa con le pinze e trattata col guanto di velluto, sì, ma lì dove con Alec bisognava essere cauti per non distruggerlo, con Yumi bisognava stare attenti a non farsi distruggere.
In nessuno dei due casi però Magnus era vicino a ottenere davvero ciò che voleva senza non sentire la paura di fare qualcosa di sbagliato e rovinare tutto. Ammirava davvero la ragazza per aver saputo tener testa a Maryse, ma un po' si sentiva arrabbiato con lei, specie per aver indotto la Cacciatrice a dire quelle cose.

A pensarci bene, però… era giusto essere arrabbiato con Yumi? Non aveva certo detto quelle cose per fare volutamente del male a qualcuno, aveva solo dato voce a ciò che aveva nel cuore, non a qualcosa ideato sul momento e messo in scena per causare problemi. Purtroppo però ci era riuscita comunque, e solo perché le sue parole erano state la pura e incontestabile verità. La verità faceva sempre male, in qualunque situazione, e anche se mentire è doloroso, alle volte diventa necessario, perché la verità fa molto ma molto più male. Magnus lo sapeva meglio di chiunque altro, lui che mentiva persino a sé stesso da secoli e secoli.
Pur però essendo una verità conosciuta da tutti, ribadita allo sfinimento e riproposta in tutte le salse, mai era stata pronunciata in modo così schietto, ardito e intenso, anche. Trattandosi di Yumi, però, e ripensando alle supposizioni precedentemente avute su di lei, era giusto ipotizzare che forse per lei il dolore della sua gente era il suo dolore e che lei tenesse a tutti i Nascosti del mondo indistintamente, non importa se sconosciuti o meno, come se fossero parte di un’unica famiglia, una grande famiglia che lei amava più di ogni altra cosa e che voleva proteggere a tutti i costi.

Per questo aveva reagito in quel modo, aveva parlato non per sé ma si era fatta portavoce del pensiero di ogni Nascosto sulla Terra: non era stata solo Yumi Shin a parlare a Maryse Lightwood, in quel momento la voce della ragazza era stata la voce di centinaia di persone unite in un unico accordo e in una sola persona, ed era per questo che il suo discorso era sembrato diverso da qualunque altro mai esposto fino a quel momento. Se si fossero trovati in un altro tipo di situazione, Magnus non avrebbe esitato a schierarsi con lei e darle man forte, ma purtroppo era stato presente anche Alexander, che aveva sperato non rimanesse impressionato dalle parole di Yumi, non dopo tutto quello che era successo ultimamente. Il modo sbalordito e confuso con cui Alec aveva guardato Yumi, però, aveva lasciato ben poco spazio all’immaginazione, e Magnus era certo di quello che doveva essere passato per la testa del giovane, come ne aveva ricevuto conferma dal modo inespressivo con cui dopo lo aveva guardato e gli aveva chiesto chi fosse Yumi.

Magnus aveva sentito la verità emergere prepotentemente su per la sua gola e ci era voluto uno sforzo immane per ricacciarla giù; non poteva dirglielo, non era giusto, ma anche se si era sentito malissimo a non potergli dare una risposta degna di questo nome, si era imposto di non farlo, sarebbe stato troppo lungo e difficile da spiegare al giovane, ancor più da comprendere, senza contare poi che sarebbe stato anche alquanto doloroso, e lui non voleva dar mostra di quel lato di sé ad Alexander, specie poi davanti ai suoi amici, che ancor meno avevano diritto di vederlo vulnerabile.  A dispetto della circostanza, non avrebbe permesso che accadesse:  Alec era a conoscenza solo di alcuni lati della personalità dello stregone, quelli di cui dava mostra abitualmente e che erano conosciuti da tutti e pochissimi altri a cui solo il ragazzo aveva avuto modo di assistere, ma a Magnus andava bene così, e sperava che anche ad Alec sarebbe bastato avere quell’immagine presente di lui, senza ricordarsi che lui era un Nascosto che in passato aveva dovuto fare i conti con le persecuzioni degli Shadowhunters e che aveva validissimi motivi per odiare i guerrieri di Raziel, tra cui il fatto di essere quasi morto per colpa del Circolo, più molte altre cose riguardanti il suo passato che preferiva non rimembrare.

Aveva sempre cercato di non pensarci perché voleva dimenticare i brutti ricordi, e forse la sua era sicuramente codardia, una scorciatoia per non soffrire ancora, ma non poteva farci niente: aveva passato la vita a proteggersi in quella maniera, non si poteva smettere dall’oggi al domani qualcosa che aveva fatto parte della tua vita per anni, neanche per qualcuno speciale come Alec. C’era ancora molto del suo passato, segregato nei più reconditi meandri del suo animo, cose che lo terrorizzavano e che non voleva rivangare e permettere che riemergessero, non era pronto a offrirlo ad Alec e mai lo era o lo sarebbe stato: era certo che, se per un malaugurato caso, Alec ne fosse venuto a conoscenza, non l’avrebbe più guardato allo stesso modo e non avrebbe fatto altro che disprezzarlo dal profondo del cuore. Magnus pregava che non accadesse mai, ma ora che quella ragazzina era in circolazione, che scommetteva sapere fin troppe cose sul suo conto, e aveva una lingua affilata, era diretta e senza la benché minima possessione di filtri, avrebbe dovuto stare molto attento e soprattutto trovare un modo per tapparle la bocca, o quantomeno per chiederle di regolarsi, ma dopo quello che era successo all’Istituto si prospettava un’impresa difficile se non impossibile.

Anche per questo voleva trovarla e cercare di conquistarsi la sua fiducia: se avesse continuato a sparlare ai quattro venti dell’odio dei Nascosti verso gli Shadowhunters, dieci a uno che Alec un giorno si sarebbe presentato a casa sua con arco e frecce e gli avrebbe trafitto il cuor senza pensarci troppo, volto solo alla salvaguardia del mondo e della sua famiglia, e questo NON sarebbe dovuto accadere assolutamente. Anche se stava cambiando giorno dopo giorno, Magnus era sicuro che Alec fosse ancora più ligio al dovere di quanto non lo fosse nel pensare ai propri affetti, e per questo sentiva che, quando e se fosse arrivato il momento, dopo le incertezze iniziali il giovane avrebbe sicuramente convenuto a fare ciò che era più sicuro per la propria famiglia, e loro due sarebbero diventati nemici.
Era una prospettiva terrorizzante, ma anche che gli Shadowhunters potessero decidere di annullare gli Accordi e tornare a com’era prima che venissero stipulati non lo riempiva esattamente di gioia.

Era un’idea alquanto improbabile, però: come aveva giustamente fatto notare Yumi, senza l’Alleanza coi Nascosti gli Shadowhunters erano capaci di fare ben poco, e anche se avessero cercato di stanarli, i Nascosti erano nettamente superiori numericamente e abilmente, era da stupidi abbracciare un’idea folle e suicida come quella, era evidente che avrebbe segnato la fine degli Shadowhunters. Avrebbero potuto farlo anche durante gli anni del Circolo, ma non era successo; anche riguardo Yumi, per molto tempo, era stato creduto che ambisse al soppiantamento degli Shadowhunters, ma così non era stato, e Magnus come molti altri ringraziavano che non fosse accaduto. Non che avesse a cuore il destino dei Cacciatori, ma odiava le guerre, e ancor più i spargimenti di sangue, non portavano a niente se non ad altro odio e sofferenza.

Chiarito questo punto, però, la domanda restava: cosa voleva veramente Yumi? Che i diritti dei Nascosti venissero riconosciuti? Benissimo, in quel caso sarebbe stato più che felice di appoggiarla nella sua campagna elettorale, e se glielo avesse permesso avrebbe anche contribuito con manifesti e striscioni colorati di protesta, con tanto di parata di camion pubblicitari muniti di altoparlanti per la propaganda. Anche se si fosse trattato di altro, però, avrebbe voluto aiutarla comunque, quantomeno a non perdere le staffe e mandare al diavolo il suo duro lavoro per colpa di una scintilla di troppo, sarebbe stata una buona cosa da chiederle, appena gli fosse di nuovo capitata tra i piedi.

Era ammirevole che impegnasse sé stessa in una battaglia così ardua contro il resto del mondo, e se ce l’avevano fatta dei comuni mortali non dubitava che avrebbe potuto riuscirci anche lei, però andava avanti da secoli e secoli, e Magnus non era molto ottimista riguardo al fatto che le cose sarebbero cambiate per davvero per i Nascosti. Se fosse successo davvero, però, avrebbe fatto erigere un monumento eguagliabile alla statua della Libertà nel pieno centro di New York con una targhetta celebrativa a immagine e somiglianza di Yumi; fintanto però che la cosa fosse stata in fase di svolgimento, Magnus le avrebbe dato il proprio appoggio, non importava se lei lo avrebbe voluto o meno. Anche se… forse era meglio non essere precipitosi e fare promesse che non poteva mantenere: aveva già mancato all’impegno all’Istituto, come poteva pensare di poter invece prenderlo con il resto del mondo?

Fece una smorfia: gli seccava ammetterlo, ma aveva avuto ragione, Yumi, a zittirlo. Non era mentendo ad Alec che sarebbe riuscito a proteggerlo, doveva capire da solo come stavano le cose e poi decidere cosa fare. Solo che era più facile dirsi che a farsi, Magnus non si sentiva affatto pronto a questo; aveva fiducia in lui, però, e avrebbe appoggiato qualunque sua decisione, fosse stato anche chiedergli di uscire per sempre dalla sua vita e non farsi più vedere. Gli si sarebbe spezzato il cuore, ma lo amava troppo, e voleva solo il suo bene, quindi avrebbe fatto come gli avrebbe chiesto. Tutto ora però stava nel vedere quanto ci avrebbe messo a prendere una decisione in merito alla situazione attuale e come avrebbe fatto soprattutto, se avrebbe preso le parole di Yumi come oro colato o invece avrebbe riflettuto attentamente, prima di trarre conclusioni affrettate.

Alec però non era stupido né tantomeno incapace, e poteva prendersi tutto il tempo che voleva, Magnus sarebbe sempre stato lì ad aspettarlo, assicurandosi, nel frattempo, che il giovane non soffrisse a causa di Yumi, sperando che la ragazza non fosse il tipo da infliggere male spontaneamente per creare scompiglio, anche se di questo dubitava fortemente. Dall’altra parte, però, la stava odiando per averlo messo in quella situazione, perché doveva sempre essere tutto così complicato per lui?
Sospirò nuovamente e si passò la mano tra i capelli, distraendosi un attimo quando non sentì la ruvidezza del gel di cui li impregnava di solito: quante volte aveva già pensato a Yumi? Ancor più che ad Alec, e non riusciva a spiegarsi perché: non la conosceva, eppure aveva sentito e sentiva tuttora un forte bisogno di impedirle di compiere pazzie, di aiutarla, di…proteggerla. Non tanto fisicamente, non ne aveva di certo bisogno ( e provava pena per quei poveri malcapitati che avrebbero cercato di adescarla in un vicolo buio) ma più che altro come se lei fosse stata fatta di frammenti di vetro che si sforzava di tenere uniti accusando i colpi e ignorando le crepe sulla sua superficie ma a cui sarebbe bastato un movimento più brusco degli altri per romperli definitivamente.

E questo non aveva senso: non era certo la prima immortale che incontrava ad essere così, bene o male era una condizione comune a tutti loro ( per un attimo il suo pensiero andò a Camille, ma riuscì a scacciarlo appena in tempo)… ma allora perché con lei era diverso? Perché percepiva il bisogno di aiutarla in modo così intenso? Forse… forse era dovuto a… no, impossibile.
Non c’entrava niente la promessa, ne era sicuro, era qualcosa di molto più spontaneo. Era come… come non aveva sentito per cent’anni quando, durante una notte tempestosa, un giovane e bellissimo ragazzo con occhi azzurri carichi di estrema sofferenza era andato da lui in cerca di aiuto, aiuto che Magnus gli aveva concesso perché aveva percepito qualcosa in lui, sotto la sua bellezza, qualcosa di misterioso, intrigante e affascinante.

Era riuscito a conoscerlo meglio e capire cos’era che aveva visto in lui e che aveva contribuito a farglielo piacere ancora di più, a considerarlo un amico e a volergli bene; per Yumi avvertiva una sintonia simile, anche se lei non aveva chiesto niente, ma dopo averla guardata negli occhi Magnus non nutriva alcun dubbio al riguardo. Magnus aveva sentito spesso parlare del filo del destino, che univa le persone che sono destinate a incontrarsi, indipendentemente dal tempo, dal luogo e dalle circostanze. Forse era stato quel filo a portare quel ragazzo in una notte di tempesta… e forse era quello stesso filo ad aver condotto Yumi lì, a New York, da lui. Però non aveva senso lo stesso, c’era già quel lupo a prendersi cura della ragazza, lei non aveva di certo bisogno di un estraneo per stare bene.

Magnus aveva osservato bene il modo in cui lui e la compagna si erano guardati: conosceva quello sguardo, lo aveva visto riflesso in molte persone, ero lo sguardo che si rivolgeva a chi era ciò che di più importante avevi al mondo e che creava una connessione speciale tra quelle persone, portandole a isolarsi dal mondo e a non accorgersi di altro se non della presenza reciproca, non importa se in una stanza, in uno sgabuzzino o in un paesaggio brullo e desolato, per loro era sufficiente incontrare gli occhi dell’altro per sentirsi a casa, era lo sguardo che intercorreva tra chi non aveva segreti, conosceva fin nel più minuscolo dettaglio l’intimità dell’animo dell’altro e su cui sapeva di poter aggrapparsi e contare in qualunque momento.

Era contento che anche Yumi avesse la fortuna di avere qualcuno di così speciale al suo fianco, anche se un pochino lo infastidiva, così come lo stava infastidendo notare che le somiglianze con Alexander, che credeva inesistenti in due persone apparentemente così diverse, stessero aumentando mano a mano che ci pensava, somiglianze che, oltretutto, erano stato presenti anche nel suo vecchio amico: tutti e tre con capelli neri e occhi blu carichi di sofferenza, tutti e tre con grandi pesi che gravavano sulle loro spalle ma tutti e tre con qualcuno al loro fianco pronto a farsene carico al posto loro, qualcuno che era ben più che un semplice amico, come se fosse stato un’estensione del proprio corpo, la parte mancante della loro anima che li completava e senza cui non potevano vivere.

Era un tipo di rapporto che aveva sempre affascinato Magnus e che sempre aveva guardato con stupore, oltre che con un pizzico d’invidia, anche: nemmeno con Catarina, che pure lo conosceva praticamente da tutta la vita, che gli era stata vicina sia nei momenti più difficili che in quelli più allegri, che conosceva ogni sfaccettatura della sua vita passata e presente, aveva mai avvertito quella sensazione di completezza che sia Alec che Yumi sembravano avere quando guardavano Jace e Ryuu. Ancora non aveva smesso di chiedersi come dovesse essere, anche se un po' riusciva a immaginarlo benissimo. Immaginare una cosa e saperla, però, erano due casi completamente diversi, ancora più riuscire a comprenderla e mettersi nei panni di chi sapeva benissimo com’era e cosa si provava senza sentirsi infastidito dalla presenza costante e inopportuna che rappresentava l’altro per la persona che amavi.

Non importava quanto stesse accrescendo il suo rapporto con Alec, non sarebbe mai riuscito a escludere Jace e a evitarsi di sentirsi geloso quando Alec riservava quello sguardo al suo parabatai, loro che avevano passato molto tempo insieme e si conoscevano alla perfezione tanto da intuire i pensieri dell’altro semplicemente guardandosi: se voleva che funzionasse, avrebbe dovuto tenersi tutto il pacchetto, biondo tinto incluso, anche se era seccatura.

Con Yumi, però… aveva diritto di sentirsi infastidito? Si erano conosciuti da poco, e indipendentemente dal fatto che erano decenni che sentiva parlare di lei, non bastava certo per poter affermare di conoscerla davvero. A casa sua però aveva avuto l’impressione di aver stabilito una certa connessione con lei, e anche prima l’aveva avvertito, ma alla fine… era un’estranea che non conosceva per niente; non poteva certo competere con Ryuu e avere la presunzione di affermare di aver instaurato una qualche sorta di legame con la sua amica solo perché si erano visti per qualche minuto.

Aveva visto quei due per poco, però era stato sufficiente per fargli capire che dovevano avere un profondo legame anche a livello emotivo, come testimoniava il fatto che Ryuu sembrava capace di indovinare lo stato d’animo della ragazza anche senza guardarla e darle il suo muto appoggio esattamente quando lei ne aveva bisogno. Trovava sorprendente che un legame simile potesse esistere tra una persona e un animale, anche se, a guardarlo, Ryuu sembrava avere uno sguardo fin troppo intelligente e sapiente per un lupo comune, e a Magnus era sembrato di vedere un vecchio saggio piuttosto che un animale.

Non dubitava che fosse più anziano di quanto sembrasse, i suoi erano gli occhi di chi aveva anni e anni di vita sulle spalle, e l’aveva capito benissimo anche se erano stati rivolti altrove. Sicuramente aveva sofferto molto anche lui, forse sobbarcandosi pure il peso del dolore di Yumi, sgravandoglielo dalle spalle per renderglielo più leggero, come aveva fatti anche all’Istituto. Aveva guardato anche la ragazza: i suoi occhi avevano espresso una profonda sofferenza agli insulti di Maryse. Forse aveva provato sulle proprie spalle cosa significava essere una madre e per questo rievocare il ricordo l’aveva fatta soffrire. O forse c’era qualcos’altro, celato in quegli occhi profondi come l’oceano in cui Ryuu si era immerso più volte e per cui era l’unico a conoscere alla perfezione cos’era nascosto in quelle profondità , da cui anche Magnus si sentiva attratto e avrebbe voluto esplorare per portare in superficie ciò che contenevano, proprio com’era successo quella volta… Si riscosse scosse vigorosamente la testa: doveva smetterla di pensare a cose assurde.

Anche se caratterialmente Yumi era più vicina al suo vecchio amico che ad Alec, non era lui, e quindi non poteva pensare che le cose con lei si sarebbero risolte nella stessa maniera. Senza contare poi che stavolta era necessario, per Magnus, riuscire a farsi amica Yumi, anche se non aveva idea di come avrebbe fatto a instaurare un rapporto con lei senza ferire Alexander e contemporaneamente essere fatto a pezzi da Yumi: si sentiva come su un sentiero di carboni ardenti, una minima distrazione e sarebbe abbrustolito. Già, Alexander… alla fine non aveva ancora deciso cosa fare con lui. Odiava sentirsi così debole, lui era il Sommo Stregone di Brooklyn, non un Nascosto qualunque, non era tipo da lasciarsi  coinvolgere e sconvolgere, eppure eccolo a rimuginare sulle preoccupazioni che due ragazzini gli stavano causando e che lo stavano facendo diventare letteralmente matto, chi in un verso chi nell’altro.

Riprese il telefono e scorse i contatti fino alla lettera “C”, fermandosi però prima di premere il tasto verde di chiamata, sospirando e mettendo giù il telefono: no, non l’avrebbe chiamata, non era giusto. Catarina era la sua migliore amica, era l’unica famiglia che aveva, e anche se aveva un cuore d’oro ed era sempre pronta ad aiutarlo nei suoi momenti di massimo sconforto, non era il suo confessore, non poteva disturbarla così ogni volta che non sapeva come cavarsela sa solo, non era per niente carino nei suoi confronti. Senza contare, poi, che era lavoro come sempre, ed erano davvero rare le volte in cui si era presa una pausa degna di questo nome e aveva pensato a sé stessa piuttosto che agli altri, sarebbe stato più facile arginare il traffico di New York che convincere quella testarda a prendersi un giorno libero.

Il suo pensiero andò a Ragnor, e il suo volto si rabbuiò: lui sì che avrebbe saputo come fare, aveva saputo prendersi cura di lei meglio di chiunque altro. Magnus si sentiva ancora malissimo quando ripensava a quanto lo avesse ucciso non essere stato in grado di allievare la sofferenza di Catarina quando le aveva dato notizia della morte di Ragnor, anche se era la medesima sofferenza che aveva provato anche lui stesso.

Il ricordo del dolore provato alla morte del suo amico era assai peggio di qualunque cosa avesse mai provato in vita sua: essendo immortali, gli stregoni erano condannati per natura a dover soffrire per la perdita di coloro che amano e che non sono, purtroppo, immortali come loro, ma anche se lancinante riescono a superare il dolore ed andare avanti, e non perché questo passa ma perché imparano ad accettarlo e a conviverci. Accettare la morte di qualcuno che credevi sarebbe vissuto per sempre e su cui sapevi che avresti potuto contare perché ci sarebbe sempre stato, però, era molto, molto peggio.

E Magnus doveva ancora riprendersi adesso, per non parlare poi di Catarina, che però evitava di parlare dell’argomento, e d’altro canto neanche lui smaniava di doverlo affrontare: non avrebbe risolto niente e avrebbe solo aumentato il loro dolore e la loro rabbia, mentre invece dovevano cercare di farsi forza e superarlo imparando a conviverci, come sempre. Ma non era per niente facile: anche se Ragnor era stato una spina nel fianco per tutta la vita, sempre pronto a dargli addosso al minimo accenno di una qualunque idea Magnus avrebbe partorito, considerandola “pazza” a prescindere, sempre pronto a mettergli i bastoni tra le ruote e ostacolare i suoi piani divertimento e sempre pronto a mettere becco nelle sue scelte amorose, era stato comunque il suo migliore amico, una delle pochissime persone al mondo a conoscerlo meglio di chiunque altro.

E gli mancava, maledizione, eccome se gli mancava: gli mancava vederlo storcere il naso e brontolare di fronte alle sue proposte e alle sue scelte di vita, sentirsi rimproverare da lui per ogni cosa, vederlo ridere e scherzare con Raphael e vederli coalizzati contro di lui pronti a rovinargli la festa, prenderlo in giro e vedere la sua carnagione diventare verde bottiglia rasente il nero, vedere il suo sorriso quando parlava con Catarina… tutto di lui gli mancava, anche le cose più piccole e insignificanti, come le differenti tonalità di verde che la sua pelle assumeva a seconda del suo umore, la sua mania dell’ordine o l’attenzione estrema che regalava al vaso di peonie che una volta aveva sul davanzale di camera sua.

Due persone non potevano passare praticamente tutta la vita insieme e ritenere sufficiente la morte di uno dei per liberarsi dell’altro: Ragnor c’era sempre stato, e anche se ora non faceva più parte di quel mondo, per Magnus era come se fosse stato ancora lì, percepiva la sua presenza ovunque e comunque, sentiva la sua voce in tutto quello che faceva e vedeva la sua faccia corrucciata ovunque andasse. Era incredibile come una persona potesse continuare a essere fastidiosa in morte così come lo era stata in vita, certe volte aveva l’impressione di vederlo stravacato sul suo divano, pronto a brontolare di qualsivoglia cosa l’amico avesse combinato, fosse stato anche l’aver combinato un paio di bermuda con una camicia veneziana o colorato le tende di rosa shocking invece che marrone o bianco latte.

Magnus però avrebbe voluto vederlo davvero, non avere solo l’impressione di farlo: lo voleva lì in carne ed ossa nel suo salotto, con quell’aria strafottente, le braccia incrociate e la brillante carnagione verde, voleva parlargli, chiedergli di aiutarlo con Catarina e anche col problema che ormai da giorni assillava la sua mente. Forse avrebbe potuto evocarlo, da qualche parte avrebbe dovuto avere un libro sull’evocazione degli spettri… o forse era meglio lasciar perdere: per evocare un defunto dall’altro mondo servivano i poteri di un vero Negromante; i poteri di Magnus gli permettevano di evocare demoni, ma non avrebbero sortito lo stesso esito con un fantasma.

Anni prima, però, aveva sentito parlare di una strega piuttosto potente, dotata di grandi poteri negromantici, anche se non sapeva assolutamente niente di lei, né che aspetto avesse né dove si trovasse; se solo fosse riuscito a trovare un modo per contattarla, forse avrebbe potuto… Si rizzò di colpo sul divano e si passò una mano sul viso sospirando stancamente: ma come gli era potuta venire in mente un’idea così folle? Persino lui, che sì aveva compiuto le più mirabolanti e pazze imprese che si potessero immaginare, sentiva che quella era la peggiore a cui avesse mai pensato, ancor peggio di accendere un fuoco in salotto per tenere viva una cucciolata di lucertole cornute sperando che queste ci stessero buone dentro e non saltassero sul divano bruciandogli così la tappezzeria  ( cosa che infatti era successo, e anche dopo averla cambiata, il puzzo di bruciato aveva permeato la casa per tre giorni): partendo dal presupposto che aveva cose più importanti a cui pensare che a perdere tempo a cercare alla cieca una tizia di cui non conosceva né il volto né il nome… non poteva evocare Ragnor.

Lo stregone l’aveva caricato di quell’impegno perché si era fidato di lui, e richiamare il suo fantasma per chiedergli di aiutarlo a risolverlo sarebbe stato come tradire la sua fiducia, senza contare poi che lo avrebbe deluso e rovinato la loro amicizia. No, non poteva deluderlo, non voleva, deluderlo. Si era preso un impegno e lo avrebbe portato a termine, a costo di attraversare l’Inferno per riuscirci… sperando che il suddetto impegno non gli rendesse davvero la vita un Inferno. Non avrebbe coinvolto nemmeno Catarina, non questa volta, anche se sperava che, al momento giusto, appena avesse avuto la possibilità di spiegarle ogni cosa, lei avrebbe capito e lo avrebbe perdonato.

Ripensando a Cat, Magnus si rese conto che assomigliava davvero tanto a Yumi, anche se era molto meno mordace ma non per questo meno pericolosa. Se si fossero incontrate, quelle due sarebbero sicuramene diventate amiche… ma forse era meglio evitare. Motivi? Sì che ce n’erano: l’incognita non risolta sul come avrebbe dovuto comportarsi con Yumi adesso, e il grande pericolo a cui lui sarebbe andato incontro se quelle due si fossero conosciute e Catarina fosse arrivata ad affezionarsi a Yumi.

La verità però era che non ce la faceva ad affrontare Catarina, si sentiva in colpa nei suoi confronti: non le aveva detto tutta la verità riguardo a quello che era successo il giorno della morte di Ragnor, ma non aveva voluto darle ulteriori preoccupazioni. Aveva già abbastanza a cui pensare, anche se ovviamente non gli andava a genio avere dei segreti con lei.

« Accidenti a te, baccello di fagioli… » borbottò inveendo  contro lo spirito di Ragnor, sperando quasi che potesse sentirlo davvero. Presidente si sdraiò di schiena e osservò il padrone con curiosità.

« Tu che ne dici? » chiese quello al gatto. « Cosa dovrei fare? ».

Il piccolino ruotò il musetto da una parte all’altra, poi si acciambellò sulle gambe del padrone e non si mosse più.

« Grazie infinite per il tuo prezioso consiglio… » borbottò Magnus.

Sempre tenendo il gatto sulle gambe, posò la testa sullo schienale e si assopì, cadendo poi in un sonno profondo. I suoi ultimi pensieri furono un giovane Cacciatore triste e confuso e una gattina ultracentenaria indipendente e orgogliosa.

 
*Angolo autrice

In origine questo capitolo avrebbe dovuto contenere sia le preoccupazioni di Magnus che quelle di Alec, ma siccome come al solito mi sono fatta prendere la mano, la parte di Alec l’ho slittata al capitolo successivo, che arriverà a breve. Purtroppo anche per questa storia è arrivata l’ora degli angst, ma non preoccupatevi, se ne riparlerà tra un bel po', e non saranno pesanti. Mata ne, a presto!

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Capitolo 12
*** Alec 's concerns ***


Sul tetto di un capannone diroccato e fatiscente, Alec guardava New York dall’alto, pensando alla città come ad un cuore pulsante e alle strade e alle macchine che ci scorrevano sopra come vene entro cui scorreva il sangue che veniva pompato dal muscolo ininterrottamente senza mai fermarsi, una città che viveva più di qualunque altro essere vivente conoscesse. Sicuramente era più viva di quanto non si sentisse lui in quel momento: il gelo che lo aveva posseduto nel Santuario si era congelato in un pesante blocco di ghiaccio che aveva circondato il suo cuore, che sentiva battere a malapena e che credeva non gli stesse più pompando il sangue nelle vene e tenere vivo il suo corpo, che ora come ora percepiva come un vestito pesante e fastidioso di cui avrebbe tanto voluto disfarsi ma non ci riusciva perché non poteva. Il telefono vibrò nuovamente, lui lo prese e premette il tasto rosso sbattendo il telefono in faccia alla madre, che da più di un’ora non faceva altro che chiamarlo, quando lei era proprio l’ultima persona con cui avrebbe voluto avere a che fare in quel momento. Ogni volta aveva sperato che fosse Magnus e ogni volta era stato puntualmente deluso, e non ce la faceva più.

Spense il telefono senza pensarci troppo, anche se sapeva essere inutile, avrebbero sempre potuto ricorrere ai messaggi di fuoco se mai avessero voluto contattarlo. Alec li avrebbe guardati e deliberatamente ignorati a meno che non fosse un’emergenza, anche se avrebbe preferito che esistesse una runa per bloccare anche quel canale di comunicazione e renderlo irreperibile al resto del mondo. Forse avrebbe potuto chiedere a Clary di crearla, e anche se la ragazza non sembrava avere ancora il completo controllo del proprio potere, era una persona tenace, se questo non si fosse manifestato avrebbe fatto di tutto per attivarlo, non si sarebbe arresa facilmente. Ridacchiò tra sé per l’assurdità della cosa: erano trascorse poche settimane da quando lei era entrata a far parte del loro mondo, eppure sembravano già passati degli anni, erano successe un sacco di cose in così poco tempo, e altrettante erano cambiate.

Lui soprattutto era cambiato: aveva trovato qualcuno da amare davvero, non da usare come scusa per non amare nessun’altro, era uscito allo scoperto, aveva smesso di nascondersi e mostrato al mondo il vero sé stesso, ora riusciva a pensare a Jace senza avvertire alcun senso di colpa o di frustrazione e aveva iniziato a vivere sul serio e conoscere davvero il mondo. E in Clary, passato l’odio iniziale, stava scoprendo un’ amica, oltre che una persona dotata di molte qualità e una valida alleata. Era sicuro che, col tempo, sarebbero diventati davvero buoni amici, anche se trovava ancora incredibile pensare in questi termini di qualcuno che, inizialmente, aveva odiato perché aveva portato solo disgrazie alla sua famiglia, in primis mettendo in crisi il suo rapporto con Jace. Le cose poi si erano risolte per il meglio, e ora che avevano finalmente attraversato la tempesta, malgrado le perdite e le sofferenze che avevano subito, ognuno di loro ne era uscito con molto in più di quando questa aveva cominciato a imperversare.

Lui aveva sempre odiato gli imprevisti e i cambiamenti, ma ora aveva capito che alle volte erano necessari nella vita e che non bisogna necessariamente temerli e contrastarli ma accettarli e conviverci. Sì… questo però non significava che fosse diventato meno restio a vederli accadere, specie quando questi toccavano le persone che amava, sconvolgevano l’equilibrio della sua vita o gli facevano aprire gli occhi su cose che non aveva considerato tanto da ridursi a comportarsi inevitabilmente come non esistessero quando invece erano state sotto i suoi occhi per tutto il tempo ma lui non le aveva viste perché era cieco o perché semplicemente… non aveva desiderato vedere. Quello accaduto nel Santuario tra sua madre e quella strega era tra questi, e lo aveva sconvolto nel profondo, non tanto per quello che la Nascosta aveva fatto a Maryse quanto per quello che aveva detto, ragion per la quale Alec non sapeva più cosa fare e pensare.

Non ce l’aveva con Yumi, proprio per niente: era stato istintivo, per lui, mettersi davanti alla madre per proteggerla, ma non aveva provato nessuna ostilità nei confronti di Yumi e non riusciva ad avvertirne nemmeno adesso. L’unica cosa che si generava nel suo cuore al pensiero della strega non era odio per aver ferito sua madre o gelosia per via di Magnus, ma solo ammirazione. A voler essere del tutto sincero, però, oltre a quella nel suo animo subentrava anche il dubbio: perché Yumi si era comportata così? Cos’aveva di diverso dagli altri Nascosti, perché solo lei aveva reagito alle ingiurie del Circolo? Aveva detto di non credere all’Alleanza e di non accettare gli Accordi, ma perché? E perché non accettava di aiutare gli Shadowhunters? Certo, a loro aveva prestato soccorso, ma dai suoi discorsi era stato facile intuire che non fosse abituale, per lei… e non riusciva a spiegarselo. Il giovane cacciatore non era all’oscuro del fatto che non tutti i Nascosti erano propensi ad aiutare i Cacciatori, persino Magnus brontolava ancora al riguardo, ma alla fine bene o male cedevano sempre. Perché invece lei era così testarda da professarsi per niente disposta a farlo?

Forse però il problema non era lei quanto Alec stesso: pur se fidanzato con uno stregone, era da poco che aveva iniziato a scendere a patti con l’idea che i Nascosti non fossero un’unica e indistinta massa compatta  ma che invece ciascuno di loro avesse il proprio carattere, il proprio modo di comportarsi e rapportarsi con gli altri. Appartenere ad una determinata razza non significava trovare le stesse caratteristiche in ciascun esponente e dichiarare gli uni uguali agli altri a prescindere. Avrebbe dovuto intuirlo, lui che si era sempre sentito diverso dagli altri Shadowhunters, ma l’empatia non era esattamente il suo forte, e anni passati a obbedire ciecamente agli ordini e a non mettere in discussione le decisioni lo avevano reso insensibile e indifferente verso chiunque non fosse i suoi fratelli.

Era anche per questo che non riusciva a provare rancore verso Yumi: si era ritrovato a darle ragione in molte cose che aveva detto, soprattutto quando aveva denigrato gli Shadowhinters, e Alec si era sentito indirettamente chiamato in causa, si era vergognato e per cui ora si ritrovava su quel tetto malridotto, lontano da tutto e da tutti, a guardare la città che non dormiva mai scorrere sotto di lui come un video su cui era stato impostato l’avanzamento veloce. Non ricordava nemmeno come ci fosse arrivato, semplicemente era uscito dall’Istituto, si era coperto con glamour e si era messo a correre senza guardarsi indietro, fermandosi solo quando aveva sentito i polmoni andare a fuoco e le gambe implorare pietà. Allora aveva agganciato quel rudere , ci si era arrampicato sopra e là si era appostato, aspettando che l’incendio nel suo petto si acuisse, cosa che però non era successa ai suoi pensieri, che fintanto che aveva corso erano stati alla larga, ma quando si era fermato avevano di nuovo bussato prepotentemente alla porta del suo cervello minacciando di scardinarla a forza se non trovava un modo per mandarli via.

Non sapeva nemmeno in che parte di New York fosse finito, ma non gli interessava, gli bastava solo che il mondo si dimenticasse di lui almeno per un po' e lo lasciasse in pace. Stare in pace… era una parola. Tra la madre che continuava a telefonargli e il pensiero fisso di Magnus e Yumi era pressoché impossibile considerarsi davvero solo e capace di poter ragionare indisturbato, soprattutto su quest’ultima. Aveva ragione lei a parlar male degli Shadowhunters, e nemmeno Alec poteva affermarsi esonerato da questi difetti, anzi. Per questo ora lo stava stupendo così tanto accorgersi che il mondo non andava davvero come lui aveva sempre creduto, che i Nascosti non erano tutti uguali e che non era scritto da nessuna parte che tutti fossero così permissivi verso i Nephilim a prescindere.

Quella ragazza l’aveva ampiamente dimostrato, eccome se lo aveva fatto; Alec non ricordava di essersi mai sentito schiacciare così tanto dal peso di un discorso e di essersi sentito così vile e meschino come l’aveva fatto sentire quella strega. Aveva sempre avuto la verità sotto il naso, ma non ci aveva mai davvero prestato attenzione, e questo l’aveva sconvolto, ma non era solo questo: quando aveva guardato Magnus e gli aveva chiesto chi fosse Yumi e lui gli aveva risposto in quel modo sofferente, Alec aveva capito che gli aveva mentito, che non gli aveva detto tutta la verità. Ci sarebbe stato molto di più da dire, da chiarire e discutere, ma Alec si era sentito così sopraffatto dalle emozioni da essersi spaventato, così era fuggito come un codardo. Ora però che era da solo e poteva ragionare a mente fredda, stava iniziando a capire che non era scappato da Magnus solo perché era confuso: era perché si sentiva in colpa.

E non solo verso lo stregone, ma anche verso la sua gente: aveva sempre parlato male di loro, si era tenuto alla larga in ogni modo possibile e immaginabile perché gli era sempre stato insegnato che i Nascosti anche se simili persone, non andavano considerate tali perché non avevano le stesse reazioni o gli stessi sentimenti; appena entrato in contatto con uno di loro, ecco che invece piano piano si stava rendendo conto che coloro che aveva ritenuto solo esistenze da tenere lontane perché pericolose erano molto più di quando non sembrassero, forse anche migliori di molti Shadowhunters di sua conoscenza, se non della stragrande maggioranza dei Cacciatori.  Ovviamente sapeva benissimo che non tutti i Nascosti erano come Magnus, ma se già con lo stregone aveva iniziato a pensare che non fossero così terribili come sembrava, era Yumi un esempio lampante della sua teoria.

Alec sentiva a pelle che l’affetto che aveva decantato per i Nascosti era sincero, e non poteva che ammirarla per questo, pur ritenendo davvero assurdo che quelle parole fossero state pronunciate per bocca di una Nascosta e non di una Shadowhunter. Lei incarnava tutto quello che un qualunque figlio di Raziel degno di questo nome doveva essere: forte, sicura di sé e delle proprie capacità, perfettamente consapevole di chi era e di ciò che voleva, coraggiosa e soprattutto che aveva davvero a cuore aiutare le persone. Fosse stata una Nascosta di mutazione forse sarebbe parso meno strano, e invece, ironia del destino, era Nascosta per nascita, e ciò rasentava il non plus ultra dell’assurdo. Oltre che ammirarla, però, Alec la invidiava : se ce l’avesse avuto lui, un briciolo di quel coraggio, sarebbe uscito allo scoperto molto tempo fa, avrebbe risparmiato un sacco di inutili problemi a tutti, e sarebbe stato davvero in grado di proteggere chi amava…

Anche se non fosse stata una Nascosta, comunque, non era molto comune avere così a cuore la sorte di qualcuno come aveva visto fare a lei, anzi, non conosceva proprio nessuno così tanto dedito alla protezione della propria famiglia, persino lui si sentiva come se non avesse mai fatto niente di concreto in vita propria, se pensava a Yumi. Mai aveva sentito di Nascosti con tali propensioni verso i propri simili, così come mai aveva sentito che in fondo non fossero esattamente i mostri che apparivano, niente di quello che gli era stato insegnato corrispondeva a quello che stava scoprendo poco a poco, anche se, a pensarci bene…

Gli tornò in mente un giorno in cui, con Isabelle, avevano avuto lezione con Hodge, quand’erano ancora bambini e c’erano molte cose del Mondo Invisibile che non conoscevano e capivano, soprattutto riguardo i Nascosti. Hodge aveva appena finito di parlargli delle caratteristiche di ogni razza, com’era possibile diventare come loro e quanto fossero pericolosi. Nella sua ingenuità infantile, Alec aveva chiesto se era vero che fossero gli esseri disgustosi che decantava la madre o se invece anche loro provavano il desiderio di proteggere i loro cari. Hodge si era fatto pensieroso al riguardo e aveva risposto in modo evasivo dicendo che erano casi più unici che rari e che comunque dipendeva dall’istinto di sopravvivenza del Nascosto in questione, che però talvolta non si faceva scrupoli a uccidere chi gli era vicino pur di salvaguardare la propria sicurezza; non c’era davvero un desiderio nobile come quello di proteggere chi amavano, aveva detto lui, i Nascosti non ragionavano così.

Alec allora era piccolo, ed era rimasto scioccato al pensiero che potessero davvero esistere qualcuno disposto a uccidere i propri cari pur di salvarsi, cosa che aveva contribuito a farglieli odiare, a considerarli pericolosi e a diffidare completamente di loro. Non aveva fatto domande e si era fatto bastare quelle parole per niente esaustive, poi però aveva visto Hodge toccarsi soprappensiero il fianco destro, lì dove Alec sapeva esserci, perché l’aveva visto durante gli allenamenti, quattro cicatrici rosse, molto lunghe e profonde. Isabelle una volta gli aveva chiesto come se le fosse procurate, e Hodge si era limitato a rispondere che aveva fatto arrabbiare una Nascosta e poco c’era mancato che questa avesse preso anche la sua vita. Isabelle gli aveva chiesto come mai non fossero guarite con l’iratze, ma di nuovo l’uomo aveva sviato la sua domanda senza darle una vera risposta. Ciononostante, Isabelle ne era rimasta affascinata, ma Alec invece si era accorto che Hodge non era sembrato molto convinto di quello che diceva.

A ripensarci adesso a distanza di anni, e conoscendo meglio il modo di fare e le direttive del Clave, Alec credeva che forse l’aveva detto perché era quello che si aspettavano di sentir dire da lui e che mai lui avrebbe dovuto parlar bene di un Nascosto, cosa a cui avrebbero dovuto attenersi anche lui, Isabelle e Jace e che mai avrebbero anche solo dovuto concepire l’idea di simpatizzare con i Nascosti( Jace e Isabelle però non si erano mai fatti scrupoli al riguardo e avevano fior di avventure da una notte con mezza popolazione Nascosta newyorkiana sulla fedina penale, anche se Jace era quello che li disprezzava alla luce del giorno ) solo perché loro erano Shadowhunters, e chiunque non era loro era un nemico, una minaccia che doveva essere tenuta a distanza salvo casi di estrema necessità ma ignorato completamente quando non era necessario, come un utensile appeso alla parete a prendere polvere e spolverato solo quando la situazione necessitava il suo utilizzo.

Ora che Alec conosceva bene il mondo, aveva iniziato a mettere in discussione i modi di fare del Clave e ciò che gli era stato insegnato e sapeva la verità su Hodge e sui suoi genitori, iniziava a essere fermamente convinto che il tutor non avesse parlato di una Nascosta qualsiasi ma proprio di Yumi, che lei fosse il raro caso che aveva menzionato e che lui non era stato convinto di quello che diceva perché in realtà non aveva considerato la ragazza come un mostro senza cuore che agiva guidato dal puro istinto animale ma piuttosto come ad una persona generosa che gli aveva risparmiato la vita non per fortuna ma per scelta voluta. Dopo quello successo al Santuario, poi, Alec era sempre più convinto di questo, così com’era convinto che Yumi avesse reagito per difesa e non per ferire intenzionalmente e che, in realtà, quando aveva cercato di avvicinarsi a Maryse, l’aveva fatto per soccorrerla, non per arrecarle altro danno.

Le sue erano solo supposizioni, non conosceva davvero Yumi, però avrebbe voluto, così come avrebbe voluto parlarle, capire con le proprie forze chi fosse, se la benefattrice dei Nascosti o il mostro spietato che sua madre odiava; avrebbe voluto sapere anche in che misura aveva fatto parte della vita di Magnus, che cosa pensava di lui, riempirla di domande sui propri genitori, chiederle perché si sacrificasse per i Nascosti, capire perché era più restia di chiunque altro a prestare servizio agli Shadowhunters e come facesse a non avere paura di dirlo chiaramente senza preoccuparsi delle conseguenze e dei guai che avrebbe potuto avere col Clave, invece di attenersi alla legge e agli Accordi… Si bloccò e si passò nervosamente una mano tra i capelli: per l’Angelo, ma che accidenti gli prendeva? Non si era sentito così smanioso di avere a che fare con qualcuno da… da Magnus, il primo e l’unico ad aver mai generato in lui simili desideri.

Per Yumi provava interesse, era vero, ma non era lo stesso tipo che avvertiva nei confronti di Magnus: con lo stregone era qualcosa di fisico e intimo insieme, con Yumi era… ammirazione, simile a quella che aveva sempre provato nei confronti di Jace, se non più intensa, ma niente che si avvicinasse anche solo lontanamente a ciò che provava per Magnus, quelli erano sentimenti che solo lo stregone suscitava nel suo cuore. Non riusciva a spiegarselo a parole, ma c’era qualcosa, in quella ragazza, nel suo modo di parlare, di comportarsi, di vedere il mondo, che lo attirava. O forse ad attirarlo era semplicemente il fatto che lei avesse avuto a che fare con Robert e Maryse e che li conoscesse molto più di lui, sì, doveva senz’altro essere quello.

Però c’era un’altra cosa che continuava a renderlo confuso: la sua era ammirazione mista a curiosità, ma quella di Magnus cos’era? Solidarietà verso un suo simile? A giudicare dal modo protettivo con cui l’aveva trattata e le aveva impedito di scatenare un putiferio, Alec era certo che ci fosse qualcosa di più, qualcosa che però Magnus non aveva voluto rivelargli e che ora lo stava rodendo dentro come un tarlo situato nella profondità del suo animo. Perché si era comportato così, per proteggere lui o lei? Moriva dalla voglia di sapere, ma al tempo stesso sentiva di non avere il coraggio di affrontare Magnus, non ancora, non nel suo stato attuale. Sempre ammesso e non concesso che Magnus avesse ancora voglia di avere a che fare con lui.

Non poteva biasimarlo, proprio no, però avrebbe potuto degnarsi di fargli sapere che era vivo. Non riusciva però a smettere di sentirsi in colpa nei suoi confronti, perché era quello il vero motivo di tanta angoscia: l’aver realizzato di essere solo un grandissimo egoista. Finora avevano parlato solo di Alec, dei problemi di Alec, del dolore di Alec… ma al giovane non era mai passato per la mente che anche Magnus avesse una vita, che anche lui potesse avere dei problemi e di conseguenza bisogno di aiuto, che anche lui aveva dei sentimenti e che, soprattutto, anche lui aveva perso qualcuno nella guerra a Idris e sicuramente ne stesse soffrendo molto.

Sapeva che lo stregone ucciso da Sebastian, Ragnor Fell, era un vecchio amico di Magnus, ma era stato troppo concentrato  sul dolore che lui e la sua famiglia avevano provato per la morte di Max che si era dimenticato che loro non erano gli unici a soffrire. Magnus però non ne aveva mai fatto parola, e per notti intere aveva asciugato le lacrime di Alec e lo aveva abbracciato nel letto per calmarlo e aiutarlo a combattere i suoi incubi; lo stregone aveva fatto e continuava a fare davvero molto per lui… ma lui cos’aveva mai fatto di concreto per Magnus, a parte ferirlo e sfruttarlo facendogli anche rischiare la vita per salvare quella di qualcuno che non gli piaceva per niente, come se fosse stato un qualunque Nascosto sconosciuto invece che la persona di cui Alec era innamorato e per cui provava un sentimento così forte che talvolta ne era spaventato?

Sospirò: anche se diceva a sé stesso di essere cambiato, in realtà era ancora prigioniero del suo vecchio Io, salvo qualche piccola eccezione, ma in sostanza non era poi così diverso dall’Alec di prima, quello che avrebbe pensato prima alla famiglia, a non infangare il loro nome e a svolgere bene il suo lavoro più che a qualunque altra cosa, senza accorgersi delle conseguenze che il suo comportamento poteva avere sugli altri. E stava ancora più male a pensarci adesso sia perché anche se Magnus ora faceva parte della sua famiglia ancora non riusciva davvero a sentirlo tale e tendeva spesso a comportarsi come se non fosse così, sia perché si stava comportando esattamente come aveva fatto Clary quando era entrata nelle loro vite e che era stato il motivo di tanto astio nei confronti della ragazzina. Si sa, però, che alle volte tendiamo a odiare gli altri perché vediamo in loro ciò che odiamo di noi stessi… anche se non sempre arriviamo ad accorgercene.

Alec però era davvero stanco di non accorgersi di niente, lui che faceva di tutto per cercare di avere sempre ogni cosa sotto controllo in realtà non sapeva niente di niente, non aveva il controllo su niente, e quello che cercava di trattenere gli scivolava tra le dita come sabbia senza che avesse la capacità di riuscire a bloccarla. Aveva creduto che tutto ora fosse risolto, invece le cose si stavano incasinando di nuovo, sia con la sua famiglia che con Magnus, e anche con il suo essere Shadowhunter. Non trovava strano che lo stregone lo stesse evitando, anche se aveva paura del motivo e di ciò che avrebbe potuto dirgli quando si sarebbero ritrovati faccia a faccia: gli avrebbe rimproverato il suo egoismo, la sua ingratitudine? Gli avrebbe spiegato chiaro e tondo che anche se lui era eterno, la sua pazienza non lo era, e che non aveva alcuna intenzione di passare la vita a correre dietro a qualcuno che non sapeva nemmeno dove stava di casa e che si ricordava della sua esistenza solo quand’era necessario?

Alec si si sentiva soffocare di fronte a quell’eventualità, anche perché non avrebbe saputo cosa dire in propria difesa. Avrebbe potuto provare a rigirare la frittata e rinfacciare a Magnus il suo rifiuto a volergli raccontare di Yumi e accusarlo anche di non fidarsi di lui, rinfacciandogli che per lui si era esposto davvero tanto, e non era questo il modo in cui pensava sarebbe stato ripagato. Non sarebbero serviti a niente, però, né l’uno né l’altro, se non a complicare ulteriormente la situazione e a rovinarla, per questo per ora preferiva restargli lontano e rifletterci su con calma. Tutto quello che voleva era solo riuscire a capire cosa fosse meglio fare al momento, solo che… non sapeva cosa.

Riaccese il telefono: altre cinque chiamate perse di sua madre, nessuna da Magnus e nemmeno da Jace e Isabelle, ma di loro due non si preoccupava, con ogni probabilità erano in compagnia di Clary e Simon, quindi non c’era di che angosciarsi, anche se Alec era ancora piuttosto diffidente verso i due, soprattutto di Simon. Alec non aveva mai visto la sorella stare dietro a qualcuno così tanto, salvo forse il Seliee Meliorn, ma conosceva bene Isabelle, sapeva che non avrebbe mai davvero permesso a qualcuno di avere quell’ascendente su di lei. E poi… a Isabelle non interessava davvero Simon: aveva l’attinenza a frequentare chiunque non andasse a genio ai genitori, quindi Nascosti e affini; essere un vampiro era il solo motivo per cui sua sorella provava interesse per lui, ma non era che di passaggio, appena Isabelle avesse smesso di trovarlo interessante lo avrebbe lasciato in cerca di qualcun altro prima che le cose potessero diventare davvero serie tra di loro, cosa che Alec guardava con preoccupazione.

Non tanto perché Simon fosse un cattivo ragazzo o perché non riteneva Izzy in grado di badare a sé stessa, ma era perché sapeva quanto sua sorella fosse volubile ed emotivamente vulnerabile, anche se lei mascherava la sua debolezza dietro una corazza eretta intorno al suo cuore e non permetteva nessuno di avvicinarsi. Se da un lato Alec non avrebbe perdonato nessuno per aver osato ferire Isabelle, dall’altro però un po' gli dispiaceva che anche Simon ricevesse lo stesso trattamento: era ingenuo, faceva un sacco di discorsi strani di cui non riusciva ad afferrare nemmeno la metà e non sapeva combattere, ma era un bravo ragazzo, gentile, leale e onesto. Fintanto che durava, Alec sperava solo che la trattasse bene, anche se, guardando l’indole genuina del vampiro, non c’era di che preoccuparsi.

Neanche con Jace ce n’era, Clary era più che in grado di tenerlo in riga ( al massimo sarebbe stato lui ad aver bisogno di aiuto ). Invidiò di nuovo il fratello, come sempre, del resto: anche se aveva dovuto sopportare grandi difficoltà e problemi all’inizio della sua storia con Clary perché aveva pensato fosse sua sorella, ora riusciva vivere tranquillamente la loro relazione senza più preoccupazioni. Anche Alec aveva avuto i suoi problemi, ma credeva di averli risolti, e invece ne stavano spuntando di nuovi giorno dopo giorno, quando l’unica cosa che avrebbe voluto era cancellarli, seguire l’esempio dei fratelli e passare la giornata da Magnus abbracciato a lui sul divano a chiacchierare o ad ammirarlo per ore senza stancarsi mai, invece che sprecare il suo tempo stando sul tetto di un magazzino in rovina a fissare il vuoto senza fare niente.

Si chiese se i problemi con Magnus sarebbero mai finiti, prima o poi, o se invece sarebbero perdurati e diventati una presenza costante nel loro rapporto, un fastidio di cui non avrebbe mai potuto liberarsi. Tutto questo era assolutamente nuovo per lui, non sapeva ancora come gestirlo, e alle volte ne era spaventato. Aveva bisogno che Magnus lo aiutasse e lo guidasse, non che lo ignorasse facendo finta che non esistesse e lo lasciasse bollire nel suo brodo a reggere un peso che lo schiacciava sempre di più. Sarebbe mai stato in grado di imparare a reggerlo e ad avere fiducia in Magnus senza farsi troppe domande rispettando i suoi tempi o sarebbe crollato sotto la mole delle cose non dette e delle questioni irrisolte che lo stregone ancora celava nel suo animo? Non gli sembrava giusto che Magnus avesse dei segreti verso di lui, lui che gli aveva donato tutto e non gli nascondeva mai niente. Sarebbe mai arrivato a conoscerli o avrebbe imparato a farsi bastare quelle poche cose che stavano in superficie?

Il telefono vibrò di nuovo, ma nemmeno stavolta era Magnus. Alec premette di nuovo rosso e sospirò: anche con la madre non aveva idea di cosa fare, anche lei aveva segreti inconfessabili di cui Alec aveva ricevuto una parvenza solo recentemente ma che erano solo un assaggio di ciò che davvero Maryse nascondeva e non voleva riportare alla luce. Da un lato il giovane si sentiva mortificato a non essere stato capace di intervenire prima e impedire che quella strega riducesse Maryse in quello stato pietoso, ma dall’altra ce l’aveva con la madre sia per le cose orribili che aveva detto davanti a Magnus sia per tutto quello di lei che aveva sentito

. Era furibondo che fosse anche colpa sua se lui e Magnus erano di nuovo sul piede di guerra, ma a renderlo ancor più furioso era il fatto che, come al solito, aveva dovuto sentirsi dire verità sulla propria famiglia da una perfetta sconosciuta invece che dai suoi genitori, e che Maryse, come Magnus, non si fidasse abbastanza di lui da raccontargliela. Se non poteva fidarsi di loro di chi altri avrebbe potuto fidarsi, di una sconosciuta di cui sapeva giusto due cose in croce? Dei fratelli ovviamente si fidava, ma per il momento non se la sentiva di disturbarli e chiedere loro aiuto, non aveva senso turbare la loro serenità per delle sciocchezze che erano solo un suo problema. Tolti loro,però, non restava più nessuno a cui chiedere aiuto, nessuno che potesse sollevarlo dai suoi dubbi o con cui poter parlare liberamente senza timore di essere giudicato o che si fidasse di lui tanto da rispondere a qualunque sua domanda senza esitare. 

Significava però forse che non avrebbe potuto contare su nessuno? Era solo, dunque? Si massaggiò le tempie e sospirò pesantemente, buttandosi di schiena sul tetto del magazzino a guardare le nuvole nel cielo: altro che runa per interrompere le comunicazioni, gli ci sarebbe voluto sì ma un tasto per spegnere il cervello e lasciarlo raffreddare senza che le preoccupazioni e i pensieri che lo affollavano glielo mandassero in tilt. Il suo pensiero tornò alla madre: anche se arrabbiato con lei, era anche piuttosto preoccupato su cos’avrebbe fatto Maryse. Avrebbe riferito a suo padre dell’accaduto così che magari lui sarebbe venuto a New York insieme al Console e all’intera guardia di Idris per arrestare una Nascosta colpevole solo di non essere docile e obbediente come ci si aspettava che fossero i Nascosti e che aveva reagito per legittima difesa? E suo padre magari avrebbe pure intimato a lui e ai fratelli di tagliare qualunque ponte coi Nascosti e fare il loro dovere di Shadowhunters, ovvero proteggere il mondo e far rispettare le Leggi, anche se questo avesse significato rischiare di rompere gli Accordi e scatenare una nuova guerra? Neanche per sogno.

Al di là dei non esattamente buoni rapporti con suo padre, Alec non avrebbe lasciato Magnus solo perché un pregiudizio aveva di nuovo offuscato a mente del Clave, e non avrebbe permesso che Yumi venisse incolpata , lei che non aveva fato niente se non essere sé stessa e dire la verità. Per esperienza personale, però, Alec sapeva che alle volte era proprio questo il problema con gli Shadowhunters: uno non poteva essere “sé stesso”, doveva diventare quello che il Clave si aspettava, né più ne meno, non si potevano prendere iniziative personali e andare fuori dagli schemi, era il più grande reato che si potesse mai commettere. Alec un tempo non avrebbe messo in discussione questo pensiero, ma adesso che aveva saltato la barricata, non se ne sarebbe stato a guardare mentre la paura del diverso andava di nuovo a nuocere a coloro che amava e a innocenti che non avevano colpa alcuna salvo di essere trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato da persone che avevano disperato bisogno di un qualunque capro espiatorio pur di avere qualcosa di concreto su cui prendersela, non importa se colpevole o meno.

Rendendosi conto di aver quasi ripreso il discorso di Yumi, Alec fece una smorfia e scosse la testa: credeva alle sue parole, ma lui non avrebbe più permesso di farsi condizionare dagli altri o fargli prendere decisioni al posto suo. Avrebbe ragionato con la sua testa avrebbe guardato da sé come stavano le cose e capito con le proprie forze cosa fosse meglio fare. E stavolta avrebbe cercato di prestare più attenzione ai pensieri di chi lo circondava… Sbuffò: troppe cose in una volta sola, era passato dal non pensare niente a pensare a troppo, e ora si ritrovava più confuso e frastornato di prima, di nuovo al punto di partenza senza aver deciso niente di concreto.

Guardò di nuovo il traffico sotto di sé e decise: spense il telefono e si lasciò scivolare giù dalla grondaia, atterrando sul marciapiede: a stare fermo si sentiva schiacciare dal peso dei propri pensieri, il modo migliore per schiarirsi le idee era fare quattro passi e anche più. Sperava solo di riuscire a trovare una soluzione prima che sua madre mandasse davvero l’intera Idris sulle sue tracce e prima che succedesse qualcosa di irreparabile a qualcuno senza che lui avesse potuto fare nulla per impedirlo perché non era stato abbastanza attento da accorgersene. Sperò solo che, in tutto quel tempo, anche qualcun’altro riuscisse a prendere una decisione e si premurasse di farglielo sapere prima che le cose precipitassero nuovamente.
 
*Angolo autrice

Ed eccoci approdati anche nella mente del giovane Lightwood. Come ho detto nel capitolo precedente, ci stiamo avvicinando al momento angst, ma ci vorrà ancora qualche capitolo, e non sarà così violenti. Spero comunque di riuscire a fare un buon lavoro, se c’è una cosa che odio è vederli litigare, ma purtroppo è inevitabile . E come dice la nostra Cassandra “ le cose brutte in una storia devono succedere perché questa possa andare avanti”. Grande donna, è stato un vero piacere incontrarla e parlarle di persona :-). Mata ne, a presto!

 

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Capitolo 13
*** Emergenze e sorprese inaspettate ***


Non è possibile avere sempre tutto sotto controllo…
Ci sono le emozioni… e quelle non le controlla nessuno.

Luana Donati
 
 
Mentre Magnus dormiva un sonno agitato sulla poltrona di casa propria e Alec vagava senza meta per le vie di New York, al Beth Israel Hospital si aggirava qualcuno con la luna storta e i nervi talmente a fior di pelle che sarebbe bastato soffiare per ritrovarsi sul letto di morte, peggiorando ulteriormente quella che ormai era chiaro fosse una palese giornata del cavolo, una di quelle in cui le cose che succedevano erano destinate solo a peggiorare ogni volta più della precedente, mai a migliorare.

Per colpa del contrattempo all’Istituto, Yumi era arrivata in ritardo al colloquio, causa per cui il direttore non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva messa alla porta senza neanche dirle “buongiorno”. Yumi non era riuscita a trattenere la lingua, al che l’uomo le aveva intimato di non farsi più vedere, o avrebbe chiamato la polizia. La ragazza allora era uscita dall’ufficio sbattendo la porta violentemente e se n’era andata pestando i piedi così forte che, se fosse stata un certo gigante di sua conoscenza, il suo passaggio sarebbe stato contrassegnato da profondi solchi sul pavimento.

Lui però non avrebbe mai reagito in quel modo, avrebbe saputo gestire Maryse e il direttore con calma e razionalità, cercando di ragionare civilmente senza dare in escandescenza e ricorrere alle maniere forti e senza andarsene camminando come un gorilla a cui avevano rubato le banane da sotto il naso e ora batteva furibondo la strada palmo a palmo per stanare il ladro e fargli passare un brutto quarto d’ora come invece stava facendo lei. Se fosse stato presente, poi, l’avrebbe anche rimproverata e provato a farla ragionare, ma nemmeno lui sarebbe riuscito a calmare la ragazza, che ora voleva solo uscire da lì, tornare al suo appartamento e restarci anche tutto il giorno, magari affogandosi sotto la doccia sperando che avrebbe spento il furore che le bruciava dentro prima che potesse divampare e alimentare il potere della Tigre, facendole prendere il sopravvento sull’umana e trasformandola definitivamente in una belva assettata di sangue.

Era stato un errore andare comunque al colloquio, e se le fosse rimasto un briciolo di buonsenso avrebbe chiamato il direttore dell’ospedale per disdire l’appuntamento e poi si sarebbe rintanata nella sua stanza cercando di calmare i propri bollenti spiriti, magari passando tutta la giornata a fare yoga e tagliando fuori il resto del mondo, uscendo solo quando sarebbe stata certa di non essere una bomba a orologeria pronta a esplodere da un momento all’altro. Questo sarebbe accaduto se avesse avuto abbastanza lucidità… invece era andata all’incontro come da programma, ferita e collerica, e aveva pure rischiato di mettere in pericolo il direttore.
Se l’uomo avesse saputo a che genere di pericolo era scampato, non sarebbe stato così maleducato e sicuramente sarebbe anche morto di paura. Era fortunato però ad essere ancora vivo: una tigre arrabbiata in sé è molto pericolosa, ma se oltre a questo è anche ferita, allora lo diventa ancora di più. Fortunatamente le sue parole non avevano aggravato il dolore già intenso che la ragazza provava, le avevano solo dato fastidio, ed era per questo che Yumi aveva reagito in modo così venale, invece di esagerare come di suo solito.

Ciò che aveva detto il direttore non era stato nulla, nemmeno la puntura di un insetto, niente di neanche lontanamente paragonabile alla sofferenza che le parole di Maryse le avevano causato. Era un bene che non avessero avuto lo stesso effetto né portato alle stesse conseguenze: un conto è avere a che fare con persone che grosso modo sanno chi sei e cosa sei in grado di fare, un altro invece è avercelo con individui che non immaginano neanche nei loro incubi più remoti chi tu sia davvero e perciò si sentono al sicuro perché certi che non ci sia nulla da temere con te e che basti minacciarti di ricorrere alla legge per tenerti a bada.
Alle volte Yumi provava pietà per i mondani: vivevano nella menzogna, erano ciechi e sordi, non sapevano quali fossero le cose davvero importanti della vita, si disperavano o generavano i loro problemi da cose inutili.

Nonostante ciò, la violenza non era la soluzione giusta per risolvere i problemi, anche se la sua non voleva essere violenza quanto più che altro dimostrazione che lei non era un animale in gabbia, una schiava della società che si piegava alle sue regole senza obiettare.
Che lo volesse o meno, però, era così che funzionava nel mondo degli uomini, e anche se era da anni che lasciato quello animale per andare a stare in mezzo alle persone, non si era mai sentita davvero parte integrante della civiltà, e mai lo sarebbe diventata.

Questo purtroppo le causava non pochi problemi, e lei si ritrovava costantemente in conflitto con sé stessa e con il resto del mondo. Ciononostante, non avrebbe rinunciato a essere quello che era e mai avrebbe mai cambiato il proprio modo di fare o di vivere, sarebbe stato come tagliare le ali ad un uccello e insegnargli a vivere sulla terraferma, la sua vita sarebbe stata costellata da una sofferenza tremenda e lei sarebbe morta giorno dopo giorno fino a spegnersi del tutto. Era anche vero però che non poteva continuare così in eterno, prima o poi si sarebbe dovuta decidere a imparare a controllarsi per davvero, non era detto che sarebbe sempre finita senza vittime, un giorno all’altro sì che il suo temperamento avrebbe portato a guai irreparabili, e non avrebbe potuto accusare nessuno se non sé stessa.

Avere intorno a sé persone che le volevano comunque bene nonostante fosse così e cercassero costantemente di venirle incontro e aiutarla era al tempo stesso una benedizione immensa e una gran maledizione: era più che felice di averle, ma siccome era piuttosto orgogliosa non accettava davvero di farsi aiutare, e la faceva soffrire pesare su di loro in questa maniera e costringerli a sopportarla, si sentiva costantemente in colpa quando aveva uno dei suoi scatti d’ira e loro se ne ritrovavano coinvolti. L’amore non risolveva tutto, era certa che, come ogni cosa, anche questo avesse un limite, e che un giorno persino lei l’avrebbe valicato, causando sofferenze a coloro che amava e spingendole definitivamente ad allontanarsi da lei. Non li avrebbe fermati: se questo avesse voluto saperli al sicuro, allora non avrebbe fatto niente per impedirlo, preferiva stare da sola piuttosto che permettere che altri soffrissero a causa sua, anche a costo di condannarsi alla solitudine in eterno. Anche in quel momento non ambiva ad altro se non ad estraniarsi dal mondo intero e non avere a che fare con niente e nessuno per un bel po', prima di aggravare ulteriormente una condizione da codice rosso.

Nemmeno con Ryuu voleva farlo, ma neanche lui sembrava intenzionato a farsi sentire: da quando erano usciti dall’Istituto si era rintanato dentro Yumi e non ne era più uscito, non aveva dato sentore della propria presenza e non si era neanche sforzato di farlo, così come non aveva provato a convincerla a non andare al colloquio e a non parlare in quel modo al direttore.
Per il momento Yumi riteneva fosse meglio così, sarebbe stato più semplice cercare di riordinare le idee senza il peso del suo sguardo accusatore addosso, anche se sapeva di non poter protrarre quel mutismo a oltranza. Si accorse a malapena di essere arrivata davanti al portone d’ingresso e di aver inconsciamente deviato verso una sezione addossata al muro composta da una fila di traballanti sedie di plastica sbeccate, crollandovi sopra come una bambola a cui era finita la carica.

Si prese la testa tra le mani: come mai non faceva in tempo a tirare un sospiro di sollievo perché certa di essere finalmente riuscita a imparare a controllare le proprie emozioni che bastava distrarsi un secondo per ritrovarsi di nuovo punto e capo? Si sentiva sopraffatta: era furiosa, ansiosa, preoccupata e dispiaciuta al tempo stesso. Furiosa con Maryse per aver detto quelle cose e averla portato ad un passo dal farla uscire di senno; furiosa con Magnus, che invece di appoggiarla aveva cercato in ogni modo di zittirla; ed era furiosa anche con Ryuu per aver sostenuto lo stregone invece che lei. Oltre che arrabbiata, però, si sentiva anche ferita se ripensava a come aveva ridotto Maryse, allo sguardo carico di rabbia con cui Alexander l’aveva guardata e ancor più a quello riflesso negli occhi di Magnus.
A dir la verità, Yumi era grata Magnus per aver cercato di fermarla, e sapeva che anche Ryuu lo aveva fatto per il suo bene… ma questo non le impediva di sentirsi arrabbiata con loro, soprattutto con lo stregone.

Da quale parte stava, da quella degli Shadowhunters o del mondo Nascosto? Aveva cercato di impedirle di dire cose di cui si sarebbe potuta pentire, ma per cosa e per chi l’aveva fatto? Per arrestare sul nascere un nuovo genocidio o solo per salvare la faccia davanti ad Alexander che, tra parentesi, Yumi non aveva mancato di vedere confuso quando lei aveva espresso quella che era l’indiscutibile verità del Mondo Invisibile? Era abituata al fatto che era come se i Cacciatori provenissero da un’altra dimensione invece che appartenere al mondo terrestre come tutti loro, ma davvero Alexander aveva avuto gli occhi e le orecchie foderati di prosciutto fino a quel momento e non si era mai reso conto di quelle cose? Come poteva avere una relazione con uno stregone se nemmeno era a conoscenza di ciò che lo riguardava? E Magnus? Era succube di quello Shadowhunter o manteneva intatta la propria autonomia?

Sarebbe stato però meglio smettere di chiederselo e soprattutto di avere a che fare con lui: se i loro incontri erano condannati a dover essere sempre contornati da Shadowhunters (di cui uno era pure l’amante di Bane ) e da conseguenti scontri con questi ultimi allora preferiva non rivederlo mai più piuttosto che gettare ulteriormente in crisi il suo rapporto con Alexander e quello tra quei Nephilim e i loro genitori. Non aveva mai avuto quest’intenzione, non aveva desiderato altro all’infuori di non fare da zerbino a Maryse… però aveva comunque creato scompiglio, anche se, a quanto pareva, aveva solo gettato benzina su un fuoco già impetuoso che era l’ostilità che i suoi figli sembravano provare per lei. Yumi aveva solo detto come stavano le cose, erano parole che quei ragazzi avrebbero potuto sentirsi dire da chiunque, non era colpa sua se ora quella Cacciatrice si ritrovava i propri figli contro solo perché non era in grado di accettare la realtà e aveva mentito loro per cercare di nasconderla.

Yumi non era pentita di quello che aveva detto: si pentiva chi aveva capito di aver parlato a sproposito, ma lei era assolutamente sicura di ciò che aveva detto e non si sarebbe mai rimangiata la parola. Era meglio che una cosa del genere non accadesse mai più, ma per quanto le sue azioni avessero portato a conseguenze alquanto dannose, non era l’unica ad avere torto, e non avrebbe di certo implorato perdono. Prima di qualunque altra cosa però sarebbe stato meglio calmarsi per essere certa che a parlare non fosse la rabbia ma il suo buonsenso. Purtroppo era difficile cercare di raffreddarsi a comando, questa volta in particolare poi sentiva che lo sarebbe stato anche più del solito, e l’odore di disinfettante e malattia che alleggiava non aiutava affatto.

« Salve ».

Yumi alzò la testa e vide una giovane donna in camicia da notte sorriderle cordialmente.

« Le dispiace se mi siedo qui? » le chiese indicando il posto accanto al suo.

Non ti conviene, umana pensò Yumi, ma ciononostante la invitò ad accomodarsi con un cenno e la donna si sedette faticosamente. Yumi la guardò cauta incrociando le braccia e stringendo la stoffa tra le dita.

« Tutto bene? » chiese la sconosciuta.

« Sì, certo, perché? »

« Bè, si è ritratta come se volesse evitare un contagio. Sono solo incinta, non ho mica preso la malaria, sa? ».

Yumi abbassò gli occhi sulla pancia della donna e vide che era effettivamente piuttosto prominente. Dimenticò all’istante i propri timori e si avvicinò: con occhio esperto valutò che doveva essere all’ultimo mese di gravidanza. Lei intercettò il suo sguardo e sorrise.

« Ormai manca veramente poco, è questione di giorni » disse accarezzando con dolcezza la pancia.

Yumi sorrise con affetto portandosi istintivamente una mano sul ventre piatto: come strega non poteva avere figli propri, ma lei non ci aveva mai davvero sofferto troppo. Non le serviva certo avere la capacità di procreare per avere figli, ma anche se ce l’avesse avuta, non avrebbe mai concepito eredi del proprio sangue: non si sarebbe mai perdonata se avesse rovinato la vita di un essere innocente gravandolo del fardello con cui conviveva da tutta la vita. Si era però chiesta spesso come dovesse essere avere questa piccola vita che cresceva dentro di te, diventare responsabile di entrambi e stare attenta a tutto quello che facevi perché potevi inavvertitamente nuocere anche al bambino.

Le piacevano i bambini, ancor più i neonati, quelle creature così fragili e indifese, ancora incapaci di intendere e di volere, che non conoscevano ancora la felicità o la sofferenza, sempre bisognose di qualcuno che le accudisse, che era difficile non amare e sentire il bisogno di proteggerli a qualunque costo, che era bello guardare e chiedersi quale sarebbe stato il loro futuro e che genere di persona sarebbero diventati una volta persa la loro innocenza ed essere venuti a conoscenza della durezza della vita. Certo, la loro nascita causava molte sofferenze alla madre, però alla fine ne valeva la pena e venivano bene accolti e amati fin dal primo istante.
Era anche vero, però, che non tutti i neonati erano così fortunati … Guardò soprappensiero il bracciale di conchiglie e ci passò sopra il pollice: il dolore non scompariva mai del tutto, non importa quanto felice possa essere la tua vita o di quante persone che ti amano tu sia circondato.

Preoccupati piuttosto di problemi presenti invece di perdere tempo a crucciarti del passato!! esclamò una fastidiosa vocina nella sua testa che le ricordò in maniera terrificante quella del suo maestro. Era incredibile come un rompiscatole potesse rimanere tale anche dopo essere deceduto, ed era strano anche per lei che aveva a che fare coi fantasmi ogni giorno. Purtroppo però c’erano fantasmi che nemmeno lei poteva far sparire, e temeva che quello del suo maestro sarebbe rimasto a darle il tormento in eterno senza alcuna possibilità di appello … non che fosse stato poi tanto diverso quando lui era ancora in vita….

« Si sente bene? » disse la donna, portandola a rendersi conto di essere rimasta a fissare la sua pancia come un’ebete.

« Sì, mi scusi… » mormorò.

L’altra sorrise.

« E’ maschio o femmina? » chiese Yumi cercando di rimediare alla figura.

« Non lo so ancora, voglio che sia una sorpresa… » mormorò tristemente la donna.

Yumi aggrottò le sopracciglia perplessa: com’è che tutt’un tratto era diventata malinconica? La guardò meglio e si accorse che era davvero giovane, doveva avere giusto diciotto o diciannove anni.

« Ho detto qualcosa di sbagliato? ».

La giovane alzò lo sguardo.

« No, perché pensa questo? »

« Fino ad un attimo fa stava sorridendo, e ora invece… » si giustificò Yumi alzando le spalle.

L’altra sorrise di nuovo.

« Non ha detto niente di male, si figuri, solo… »

« Solo? ».

La ragazza si fece pensierosa.

« Posso darti del tu? Non mi sembri poi tanto più grande di me ».

Yumi annuì col capo. L’altra sorrise ancora, poi però ridivenne triste e posò una mano sul ventre.

« Sono rimasta incinta per caso » .

E questo spiega tutto pensò Yumi, provando pena per quella ragazza così giovane che era stata caricata all’improvviso di un impegno così importante che le avrebbe cambiato per sempre la vita annullando tutti i sogni e i progetti che aveva pianificato di realizzare.

 « Un’uscita con le amiche di nascosto… i miei genitori mi avevano messo agli arresti domiciliari perché la mia media aveva subito delle ripercussioni, ma erano le vacanze invernali, volevamo godercele appieno… insomma, niente di strano disobbedire ai genitori, l’abbiamo fatto tutti almeno una volta nella vita, no? »

Come no, solo che i miei hanno capito presto che con me era impossibile spuntarla… pensò Yumi mordendosi le labbra ma annuendo.

« Sì, insomma…siamo andate a divertirci in discoteca » .

Le orecchie  di Yumi si rizzarono , lei assottigliò gli occhi e si sporse in avanti come se avesse appena fiutato un pericolo: discoteche voleva dire molta gente, molta gente voleva dire ragazze adolescenti, ragazze voleva dire facili prede per i demoni, che consideravano quei posti come il loro paradiso per prendersi la virtù di mondane totalmente ignare del pericolo a cui avrebbero potuto andare incontro. Certo, non era detto che una ragazza rimasta incinta dovesse per forza di cose essere stata violentata da un demone, però…

« Non so, forse abbiamo bevuto troppo … ma è strano, perché non era la prima volta che lo facevamo… forse abbiamo alzato troppo il gomito o qualcuno ci ha corretto il drink… » strinse forte le mani sulle ginocchia.

« Non ricordo quasi niente di quella notte… non so nemmeno come sono riuscita a tornare a casa… so solo che, dopo qualche tempo ho iniziato a star male… e ho scoperto di essere incinta ».

Yumi non ce la fece più a trattenersi:

 « Scusa, posso chiederti una cosa? »

« Dimmi ».

« Hai mai… sognato o visto cose particolari da quando sei rimasta incinta? ».

L’altra sbatté le palpebre, perplessa da quella strana domanda.

« Bè… » disse. « Sì ».

I sensi di Yumi si acuirono e lei si sporse in avanti pronta ad aspettarsi il peggio.

« Ho sognato di essere al ballo di fine anno vestita da clown con una parrucca rinascimentale che mi rendeva la testa pesante come il casco di un palombaro. Avevo anche due scarpe di tre taglie più grandi, in cui inciampavo di continuo e per cui sono finita addosso al banco del rinfresco e mi sono ritrovata imbrattata di punch e salatini come un albero di Natale, e tutti intorno a me non facevano altro che ridere ».

Yumi quasi cadde dalla sedia, ma riuscì a stabilizzarsi appena in tempo ed evitare una figuraccia. La ragazza continuò a raccontare ignara della reazione della sua vicina.

« Una volta ho sognato addirittura di essermi tuffata in una torta gigante fatta di panna montata, crema e ciliegine candite, che poi però si è trasformata in una puzzola e ha rilasciato un gas pestilenziale che mi ha fatto piangere e mi ha dato la nausea, e il giorno dopo era così scossa che non ho toccato cibo. Quando mi sono ripresa ho saccheggiato il frigo mangiando dolce e salato mischiato insieme senza far caso alle combinazioni di sapori, poi però ho passato la notte a vomitare e credo di aver rimesso anche l’anima. Ah, e c’è stata quella volta- »

« Va bene, ho capito, i normali scherzi della gravidanza » la interruppe Yumi, quasi sforzandosi di sorridere ma ringhiando mentalmente dentro di sé: aveva lasciato che il suo istinto prendesse il sopravvento e aveva subito presupposto il peggio che per fortuna peggio non era, ma era troppo sconfortata per sentirsi sollevata di essersi presa una paura inutile.

« Dici che è normale nelle mie condizioni? »

« Più che normale, così come lo sarebbe stato desiderare un doppio cheeseburger con ketchup e maionese ricoperto di panna montata e liquore alla fragola o un kebab di pollo, gelatine di frutta e miele d’acacia ».

« Bè, una volta ho mangiato cetrioli affogati nello sciroppo d’acero con salsa di soia e granella di cioccolato, conta lo stesso? ».

« Sì… » rispose debolmente Yumi, pensando con disgusto al sapore che una cosa del genere avrebbe potuto avere e chiedendosi come potesse essere risultata commestibile, altro che passare la notte china sulla tazza del cesso.

La giovane ridacchiò.

« Se i miei sogni fossero stati la realtà, penso che sarei morta di vergogna, te li immagini i parrucconi che indossavano allora gli uomini e le donne? Davvero ridicoli, ma che razza di idee avevano gli stilisti di un tempo, erano stati cresciuti dalle scimmie? Quale mente sana penserebbe che andare in giro con un casco di banane fatto di peli sia il modo migliore per “fare tendenza”? E il  modo in cui si truccavano, poi? Inguardabile, sembravano l’accozzaglia di un’opera di un truccatore da film dell’orrore.  Io penso che morirei dal ridere se solo mi trovassi davanti qualcuno così incipriato e con venti chili di puzzolente parrucca di cavallo sulla testa » disse ridendo di gusto.

Yumi non poté fare altro che sorridere debolmente, preoccupandosi quando l’altra smise di ridere e riprese a raccontare la sua storia.

« Quando ho capito di essere incinta, ci ho messo un po' a riprendermi e a raccontare la verità ai miei genitori ».

Iniziò a tremare, e Yumi le mise spontaneamente un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé.

 « Che stai facendo? » esclamò la ragazza, stupita.

« Stai tremando come foglia, al tuo bambino verrà il mal di mare con tutti questi scossoni » rispose Yumi con uno sbuffo.

L’altra sbatté le palpebre perplessa, poi però sorrise e si accomodò meglio contro la spalla della strega, che le massaggiò la schiena e le braccia.

« Quando hanno saputo del fattaccio, i miei mi hanno subito intimato di abortire » proseguì stringendo la camicia tra le dita. « Io però… non ho avuto il cuore di farlo. Ho… preferito tenerlo e…deciso di darlo in adozione quando nascerà. Anche se io… io… ».

« … tu in realtà vorresti tenerlo ma preferisci farlo adottare perché pensi che sia la cosa migliore per lui? ».

La giovane la guardò stupita, ma annuì.

« Sì… voglio che sia felice… anche se fa male. Io… sono sua madre, ma lo sto allontanando come se non me ne importasse niente… e vorrei che si ricordasse di me, ma al tempo stesso non lo vorrei perché non voglio che cresca col dolore di essere stato abbandonato da sua madre…sono una persona orribile… ».

Nascose il viso tra le mani e scoppiò in singhiozzi. Yumi prese un pacchetto di fazzoletti di carta dalla borsa e gliene porse uno. Lei lo prese e si asciugò gli occhi, e Yumi allora la girò completamente e la obbligò a guardarla.

« Tu non sei affatto una persona orribile » disse con serietà. « Tu non stai dando tuo figlio a qualcun altro perché lo odi e non lo vuoi nella tua vita, ma è perché lo ami e vuoi solo che viva felicemente e non gli manchi niente. Se non te ne importasse davvero avresti abortito il primo giorno, o, nel peggiore dei casi, l’avresti abbandonato a sè stesso; invece sei qui per lui, hai sempre e solo pensato al suo bene da quando ha iniziato a crescere dentro di te.
Tu sei molto più degna di essere considerata una madre di molte altre donne più grandi di te, nessun figlio potrebbe mai vergognarsi di avere una mamma come te ».

La giovane la guardò con gli occhi spalancati.

« Dici… che… al momento giusto… saprà perdonarmi? ».

Yumi chiuse gli occhi qualche secondo e prese un respiro profondo, poi le prese le mani.

« Questo, purtroppo, solo il futuro potrà svelarlo. Se tuo figlio sarà in grado di perdonarti o meno dipenderà da lui. Tu però non dovrai dimenticare che quello che hai fatto non è stato per paura ma solo per il suo bene. E sperare che un giorno lui possa accettarlo e accoglierti nella sua vita ».

La giovane guardò Yumi commossa e l’abbracciò di slancio.

« Grazie! » .

« E di che? » disse Yumi staccandola delicatamente da sé. « Non ho detto niente di speciale ».

L’altra scosse la testa.

« Sei l’unica che finora mi abbia mai parlato in questo modo; nemmeno i miei genitori l’hanno fatto, mi hanno trattato come se fossi un fastidio di cui non vedevano l’ora di liberarsi e che quello che mi è successo sia la peggiore disgrazia al mondo. Tu invece non mi hai giudicata, mi hai ascoltata e confortata. Grazie, grazie di cuore » disse prendendole le mani e sorridendole tra le lacrime.

Yumi ricambiò con una smorfia: era una strega potente, sarebbe stata in grado di ridurre in cenere una foresta con un solo cenno della mano… ma a lei sembrava di compiere magie non tanto quando scacciava demoni o faceva comparire oggetti dal nulla quanto più che altro quando riusciva ad aiutare qualcuno semplicemente parlandogli. Preoccuparsi del dolore di qualcun altro, poi, era un toccasana per distrarsi dal proprio, e ora si sentiva meglio; non si era ancora ripresa del tutto, ma era già un miglioramento. Ora però sarebbe stato meglio levare le tende prima che la situazione potesse sfuggirle di mano.

« Lieta di averti aiutato » disse alzandosi. « Ora però devo proprio scappare ».

« Ciao allora, e grazie di nuovo » la salutò l’altra sorridendo.

Yumi sorrise in risposta e si avviò verso l’uscita. Mentre però stava per varcare la soglia, lottando nel contempo per liberare i capelli dalla morsa dell’elastico che li teneva imprigionati sopra la sua testa, un urlo alle sue spalle la ghiacciò sul posto e la fece voltare e precipitare verso la fonte come una scheggia: la ragazza con cui si erano appena salutate era riversa a terra in posizione fetale, il corpo attraversato da violenti spasmi e un’enorme pozzanghera rossastra che si stava allargando sul pavimento sotto le sue gambe. O demoni dell’Inferno, il bambino sta nascendo! Yumi slittò sul pavimento fino ad essere al suo fianco, si tolse velocemente la giacca e l’avvolse intorno alla borsa, poi voltò delicatamente la giovane di schiena e gliela mise sotto la testa.

« Aiutami… » la supplicò lei terrorizzata, poi urlò e s’inarcò violentemente.

« Puoi contarci » disse Yumi, e si tirò su le maniche della camicia.

« Non statevene lì impalati, andate a chiamare qualcuno! » intimò ai presenti, che però non sembrarono molto propensi ad eseguire quella richiesta.

« Muovetevi! » urlò, anche se il suo urlo fu più simile ad un ruggito, e forse fu proprio questo a spingere qualcuno a disfossilizzarsi e a correre verso la segreteria, mentre gli altri restarono paralizzati dallo stupore, senza dire né fare niente, neanche allontanare i curiosi che si erano avvicinati e avevano tirato fuori i cellulari riprendendo la scena in corso.

Yumi però se ne accorse e sbraitò:

« Mettete immediatamente via quei telefoni prima che ve li prenda e ve li ficchi lì dove non batte il sole! ».

Quelli obbedirono terrorizzati, e la Nascosta si voltò nuovamente verso la ragazza, cercando di calmare lei e al tempo stesso la furia della Tigre che imperversava nel proprio animo; ora più che mai era in assoluto il momento meno opportuno per concederle l’ora d’aria. Imprecando tra i denti, Yumi prese la giovane per le spalle.

« Ehi. Ehi, apri gli occhi, guardami! ».

Lei lo fece respirando affannosamente.

« Ora ascoltami: dovrai fare tutto quello che ti dirò, d’accordo? ».

La giovane annuì di nuovo. Yumi allora  si tolse la cintura e gliela mise in bocca.

« Mi raccomando, stringi più forte che puoi ».

Lei eseguì, strizzando gli occhi quando una nuova contrazione la colse alla sprovvista.

« Cerca di allargare le gambe e tenerle aperte il più possibile » .

Mentre lo diceva, Yumi si posizionò e gliele allargò lei stessa, poi le tolse la biancheria e sollevò l’orlo della camicia da notte, ma proprio mentre stava per avvicinare le mani all’intimità della ragazza, qualcuno spinse via le sue braccia.

« Cosa credi di fare?! ».

Yumi si girò e si ritrovò di fronte ad un’infermiera piuttosto minuta dalla pelle scura che la guardava come fosse stata un vagabondo colto sul fatto mentre cercava di scippare una vecchietta.

« Sto eseguendo una posizione del Kamasutra, a lei cosa sembra che stia facendo?! » esclamò spingendola via con un braccio.

Quella non demorse e la prese per le spalle.

« Togliti di mezzo! ».

« Togliti tu di mezzo, perché non vai a raggiungere i tuoi colleghi minorati? Rimanete pure imbambolati come deficienti a godervi lo spettacolo, i popcorn li offro io! » esclamò scrollandosela di dosso.

La donna però le si aggrappò di peso sulla schiena e cercò di trascinarla via.

« Credi forse che questo sia un Luna park?! O che questa ragazza sia la possibilità di poter giocare all’Allegro Chirurgo usando un personaggio a grandezza naturale?! ».

Yumi perse la pazienza e la spinse con forza, buttandola a gambe all’aria.

« Non sottovalutarmi » sibilò . « Mi stai solo facendo perdere tempo, e se continuerai ad insistere, io… » ma la voce le morì in gola quando mise una mano sul ventre della giovane donna.

Temendo di aver sentito male si tolse il guanto e toccò la pancia da sotto il vestito direttamente sulla pelle, ma servì solo a confermare i suoi timori e a farla impallidire.

« E’ dalla parte sbagliata… ».

« Cosa? ».

« Il bambino ha la testa dalla parte sbagliata, non è rivolto verso la vagina! ».

L’infermiera strabuzzò gli occhi e si trascinò vicino a Yumi mettendo una mano sul ventre della paziente, ma quando capì che la ragazza non aveva preso un abbaglio, iniziò a impallidire anche lei.

« Bisogna portarla in sala operatoria! ».

« Al diavolo, non c’è tempo! » esclamò Yumi, e mise entrambe le mani sulla pancia della donna, una all’altezza della testa del bimbo e l’altra all’altezza del suo sederino, massaggiando e cercando di fargli cambiare posizione.

Con enorme sollievo, il piccolo si mosse, ma sua madre si agitò ancora di più e iniziò anche a piangere.

« Cerca di resistere, andrà tutto bene » la rassicurò Yumi, mordendosi però le labbra: era una manovra delicata e molto dolorosa, quei due rischiavano di non farcela, ma non aveva altra scelta se non continuare e sperare per il meglio.

« Ma tu… » mormorò l’infermiera, ma Yumi la guardò con occhi di fuoco.

« Possiamo rimandare le stronzate a dopo o devo portarle thè e pasticcini?!  ».

La donna si riscosse e assunse un’espressione imperturbabile. Senza dire altro, si mise in ginocchio tra le gambe della giovane, che non aveva smesso un attimo di contorcersi, e mise entrambe le mani all’altezza della sua intimità  tenendole aperte le gambe coi gomiti.

Continuando a incitare la madre a non smettere di spingere, Yumi direzionò e mantenne il neonato verso la giusta via, mordendosi le labbra ogni volta che sentì i gemiti di sofferenza della madre, ma senza perdere la concentrazione e spronandola a non mollare e a mettercela tutta. Ci volle un bel po', ma la testa del piccolo alla fine fece capolino. Yumi e l’infermiera si scambiarono uno sguardo d’intesa che non servì tradurre in parole: Yumi tolse le mani dal ventre della madre e le sollevò la testa facendogliela appoggiare sulle proprie gambe in modo che fosse più sollevata da terra e le strinse forte le mani; con cautela, l’infermiera prese tra le mani la testolina minuscola del neonato, accompagnandolo con estrema delicatezza mano a mano che usciva dal corpo della donna finché, con un’ultima spinta e un grido soffocato di quest’ultima, il piccolo venne finalmente alla luce urlando a pieni polmoni.
Sua madre sputò la cintura e respirò con affanno, mentre le due donne quasi crollarono sul pavimento per il sollievo di avercela fatta. Yumi appoggiò con delicatezza la testa della ragazza per terra e le accarezzò i capelli sudati.

« Sei stata bravissima, ce l’hai fatta ».

L’altra sorrise a fatica e chiuse gli occhi. Yumi allora guardò il neonato e socchiuse le palpebre: con sollievo, le venne svelata una pura e innocente anima bianco-latte, e il suo cuore si alleggerì ulteriormente. In quel momento una squadra di medici e d’infermieri arrivò di corsa, caricarono la madre e il bambino su una barella e li portarono via senza degnare di uno sguardo le due donne né ringraziarle per la loro prontezza di spirito. Yumi fece finta di niente e si sistemò la camicia e la giacca sgualcite, ma quando si apprestò ad andarsene, l’infermiera l’afferrò per un braccio.

« Cosa vuole ancora? » sbuffò esasperata Yumi.

L’altra la guardò seriamente, ma in quel momento un uomo anziano piuttosto sovrappeso avanzò a grandi passi verso di loro.

« Che sta succedendo qui?! » .

Yumi storse la bocca: era il direttore dell’ospedale, che lei aveva trattato a pesci in faccia solo pochi istanti prima e che pensava non avrebbe più dovuto vedere. Anche lui non fu per niente contento di ritrovarsela ancora tra i piedi.

« Cosa ci fa ancora da queste parti?! Le avevo detto di andarsene! » esclamò a gran voce.

« Non urli in questo modo, direttore » disse l’infermiera. « Questo è un ospedale, non la piazza del mercato domenicale ». 

Yumi la guardò sbalordita, mentre l’uomo invece divenne furioso.

« Signorina, non le permetto di usare quel tono con me, sa che non mi ci vorrebbe niente a licenziarla? ».

« Ha ragione lei, invece » intervenne Yumi . « Come direttore dovrebbe dare il buon esempio ».

L’uomo si rivolse a lei rosso in viso:

« Lei non ha alcun diritto di aprire bocca. Se ne vada immediatamente, altrimenti chiamerò la polizia ».

Yumi fece per rispondergli a tono, ma l’infermiera le si mise davanti.

« E per quale motivo vorrebbe sbatterla dentro, perché a differenza di lei sa farsi valere? » lo sfidò incrociando le braccia.

Il direttore assottigliò lo sguardo.

« Moderi i toni, signorina, perché potrei farle fare compagnia a questa cafona, che ha avuto la faccia tosta di presentarsi in ritardo al colloquio che avevamo fissato per stamattina e ora ha pure avuto il coraggio di emanare sentenza dopo aver causato tutto questo trambusto! »

« Il genere di “trambustoche questa ragazza ha causato è quello di aver appena salvato la vita ad un bambino e a sua madre e per questo vorrebbe mandarla in prigione, perché è l’unica che abbia soccorso quella donna invece di stare in tribuna ad assistere allo show?! »

Allora se n’è accorta  pensò con stupore Yumi, pur non capendo perché stesse mettendo a rischio il proprio posto di lavoro per difenderla: al di là che non avesse alcun bisogno che qualcuno la difendesse, Yumi non avrebbe avuto niente da perdere se il direttore se la fosse presa con lei, invece quella donna rischiava il tracollo, ma non sembrava curarsene.

« Pure questa! » esclamò l’uomo rivolgendosi a Yumi. « Ha persino osato eseguire un’operazione senza la benché minima autorizzazione e preparazione in materia?!  Si rende conto che ha rischiato di mettere in pericolo la vita di due persone?! Avrebbe dovuto che ci pensassero i medici, non agire di testa propria; sarò costretto a sporgere denuncia per- »

« Yoseiyo [basta] ! » esclamò Yumi a quel punto ormai priva di pazienza. « Mentre quella povera ragazza era lì ad agonizzare, invece di prestarle sono rimasti tutti a riprendere la scena col telefonino neanche fossimo ad un concerto dei Linkin Park. E voi avreste il coraggio di professarvi infermieri, medici? Il lavoro di un medico è aiutare gli altri, salvare vite, non starsene a prendere il caffè aspettando che il lavoro si svolga da sé. Ma se proprio vuole denunciarmi, prego, faccia pure con comodo.
L’avverto, però: hanno registrato la scena, e non so quanto farebbe piacere agli agenti sapere che degli infermieri siano rimasti in panciolle invece di svolgere il proprio lavoro, potreste davvero rischiare una denuncia per omissione di soccorso e portare questo posto a chiudere i battenti, o peggio ancora, vedervi ritirata la licenza, è davvero questo che vuole? E tanto per la cronaca, ce le avevo eccome le capacità necessarie ad eseguire un intervento del genere, e l’avrebbe saputo se si fosse degnato di ascoltarmi invece che sbattermi la porta! ».

L’uomo divenne ancora più rosso, anzi livido, così tanto che Yumi temette gli sarebbe venuto un attacco cardiaco.

« Ai suoi genitori andrebbe revocata la potestà genitoriale visto il pessimo lavoro che hanno fatto nel crescerla ».

Le zanne crebbero velocemente nella bocca di Yumi che lei riuscì a coprirsi la bocca con entrambe le mani e a soffocare un ruggito appena in tempo, ma ci mancò davvero poco.
Ma come si permetteva quell’insulso ometto? Poteva dire di lei quello che voleva, ma non si sarebbe dovuto azzardare a toccare i suoi genitori. La sua rabbia tornò prepotentemente a  offuscare la sua razionalità, più forte e terribile di prima, e stavolta sentiva che non sarebbe riuscita a controllarla. A sorpresa, l’infermiera la trascinò indietro e le si parò davanti.

« Per quale tipo di lavoro hai richiesto un colloquio? ». Non sembrava affatto turbata o spaventata dall’espressione imbestialita che la ragazza aveva sul volto. Per tutta risposta, continuando a guardare in modo truce il direttore, Yumi le porse il giornale su cui aveva cerchiato l’annuncio. Lei vi dette una breve occhiata, scosse la testa e lo lanciò in un cestino dell’immondizia lì vicino.

« Ma che fa?! » esclamò Yumi allontanando leggermente le mani.

La donna la fronteggiò impassibile.

« Questo posto ha bisogno di medici, non di inservienti; di quelli ce ne sono anche troppi, e tu non sei affatto una di loro ».

Yumi sbatté gli occhi sconvolta e abbassò completamente le braccia, incapace di pronunciare una parola. L’infermiera non aspettò la sua risposta e si rivolse al direttore:

« Per favore, assuma questa ragazza come infermiera, sarebbe sprecata a fare la donna delle pulizie ».

« Abbiamo salvato quei due insieme… » tentò debolmente Yumi, non volendosi prendere tutti i meriti.

L’altra la fulminò con lo sguardo.

« Sei stata tu ad accorgerti che il bambino era girato nella posizione sbagliata, se non fosse stato per te a quest’ora lui non sarebbe vivo ».

Di nuovo, Yumi non seppe che dire, mentre invece il direttore non mancò di esprimere il proprio disappunto:

« Non ho alcuna intenzione di assumere questa stupida scaricatrice di porto ».

« L’unico stupido qui è lei » ribatté la donna. « Vuole davvero rischiare una denuncia? Faccia pure, ma io darò il mio appoggio a questa ragazza, non è lei qui ad aver commesso un reato ».

Il direttore divenne pallido e boccheggiò, e a Yumi sembrò anche di vederlo farsi piccolo piccolo di fronte alla donna ( davvero incredibile considerato che lei era di una spanna più bassa). Non poté fare a meno di ammirarla, anche se non capiva stesse facendo così. La guardò di nuovo e si accorse che, più la guardava, più la sua immagine tremolava, come una televisione che cerca di sintonizzarsi sulla giusta frequenza fino a trovarla e restituire un’immagine definita e precisa. E’ coperta da un glamour! realizzò, e capitolo l’incantesimo smise di funzionare ai suoi occhi, restituendole il vero aspetto di quella donna.

La prima cosa che Yumi pensò fu “Puffo”, e ad un Puffo ci somigliava davvero: al di là della bassa statura, la sua pelle della era blu-elettrico; i capelli, raccolti in uno chignon, erano bianchi come la neve, e gli occhi erano di un azzurro chiarissimo, quasi trasparente, ed era esile come un giunco. Di primo acchito pensò fosse una Nixie, poi però si accorse che non aveva né le orecchie a punta né gli occhi privi di pupilla tipici di quella razza, quindi presunse che dovesse essere una strega, come lei. Dopo averla guardata per qualche secondo, smise di pensare a lei in termini bambineschi e a trovarla davvero graziosa: la sua pelle e i suoi capelli s’intonavano bene con la divisa rosa che indossava, ed emanava un’aura di sicurezza e autorità che la intimoriva ma attraeva al tempo stesso.
Profumava di iris, e la sua espressione appariva stanca ma risoluta, un’espressione che Yumi conosceva bene, quella di chi lavora troppo ma sa di stare compiendo il suo dovere e quindi non si lascia distrarre dalle debolezze.

Trovarsi di fronte un altro suo simile però le diede un po' fastidio: era già la terza volta in una settimana che incrociava un altro stregone sul suo cammino, stava forse peggiorando a vista d’occhio? O era lo spirito del suo maestro a dirottare gli stregoni più vicini a lei per impedirle di fare casini al posto suo? Oltretutto: quella tipa sapeva chi era lei o si era accorta solo delle sue capacità mediche? Lei non aveva addosso un glamour, non avrebbe dovuto essere immediato capire di avere davanti una Nascosta. Ancora più importante: che ci faceva una strega in un ospedale di mondani? Quello che fai tu da tutta la vita evidentemente, stupida disse la solita vocina fastidiosa, che lei scacciò con la mano immaginando che avesse la forma di un diavoletto con le sue fattezze posato sulla sua spalla destra come aveva visto spesso nei fumetti.

Mise a nudo l’anima della donna: era davvero potente. Non era ai livelli di Magnus, ma non era nemmeno da sottovalutare. Non sembrava però che stesse usando i poteri per tener testa al direttore, sembrava tutta… farina del suo sacco, il suo carattere naturale. Ti ricorda qualcuno, per caso? disse beffarda la vocina. Lei la ignorò ma provò un istintivo moto di simpatia verso la Nascosta. Il direttore alternò lo sguardo dall’una all’altra strega come se non sapesse che pesci prendere, ma o i loro sguardi lo spaventarono o dovette pensare che non valeva la pena correre il rischio di una denuncia e di una conseguente revoca della licenza, perché alla fine alzò le braccia al cielo e sbottò:

« Ohh, e va bene, d’accordo: le darò un’altra possibilità! ».

La strega blu sorrise compiaciuta, Yumi invece lo guardò perplessa.

« Ma a due condizioni » aggiunse subito l’uomo, rendendo attente le due.

« Dovrà mantenere i giorni e lo stipendio stabiliti dal lavoro part-time per cui è venuta qui; se vedrò che svolge un buon lavoro, l’assumerò a tempo pieno » cominciò rivolto a Yumi, quasi tirando fuori a forza le parole dalla gola.

« E secondo? » disse l’infermiera.

Qui l’uomo produsse un ghigno soddisfatto che preoccupò le donne.

« Lavorerà insieme a lei, e sarà suo dovere supervisionarla e accertarsi che svolga bene il suo lavoro. Già che c’è, provi anche a mettere un freno al suo caratteraccio, non dovrebbe essere un’impresa difficile visto che sembra che siate entrambe sulla stessa barca. Chi si somiglia poi si piglia, in fondo ».

La strega non si fece scomporre e si voltò verso Yumi aspettando una sua risposta. Lei ebbe un attimo di esitazione: non le andava esattamente a genio l’idea di avere una balia pronta a comandarla a bacchetta, ma da quel poco che aveva visto, quel posto non vantava personale qualificato, aveva di certo bisogno di una mano; per di più, anche se si erano praticamente date addosso, lei e quella strega erano riuscite a collaborare alla grande e a risolvere la situazione senza intoppi. Non le dispiaceva poi tanto provare a lavorare con lei, forse insieme avrebbero potuto dimostrare qual’era il vero lavoro di chi indossava un camice, che sicuramente non era quello di partecipare ad una gara di cosplay. Neanche lavorare part-time le dispiaceva: fuori da lì c’erano mille cose da fare, mille e più persone bisognose di aiuto, il lavoro non le sarebbe di certo mancato solo perché non lo svolgeva in quel posto.

« D’accordo, accetto ».

L’altra strega sorrise soddisfatta, e Yumi ebbe l’impressione che avesse dato per scontato che avrebbe detto “sì” e che non avrebbe accettato un “no” come risposta.

« Molto bene, allora » sbuffò il direttore che, al contrario, non era particolarmente entusiasta. « Comincia oggi stesso. Ma l’avverto: non avrà un’altra occasione. Se dovesse di nuovo dare mostra di un tale atteggiamento o a trasgredire le regole, non esiterò a cacciarla via, sono stato chiaro? »

« Trasparente » rispose Yumi con sufficienza.

L’uomo arricciò il naso e si rivolse all’infermiera:

« Se la porti via, non voglio trovarmela tra i piedi un secondo di più ».

La donna non rispose, si limitò a prendere Yumi per un braccio e a trascinarla verso la segreteria, deviando poi all’ultimo verso destra e da lì ad una porta di metallo su cui era appeso un cartello di divieto di accesso con sotto la scritta “ Solo personale autorizzato”. L’aprì e trascinò dentro Yumi, che respirò una zaffata di odore di chiuso misto ad ammoniaca e ruggine che le fece storcere il naso. La sua accompagnatrice chiuse la porta e accese la luce. Yumi si guardò intorno: era un locale piuttosto ampio, con doppie file di armadietti a lucchetto con la vernice scrostata a coprire le pareti ai loro lati; in mezzo stavano due lunghe panche di legno, e sulla parete in fondo cappeggiava un enorme armadio di metallo dalle ante scorrevoli e chiazzate di ruggine.

L’infermiera si diresse da quella parte e l’aprì, rivelando divise da infermiere, cuffie di stoffa, guanti di lattice e scarpe ortopediche, più due mensole con sopra quattro scatole di metallo bianche con una piccola croce rossa sopra, rotoli di sacchi della spazzatura, asciugamani e flaconi di detergente. Squadrò Yumi con occhio critico, e senza chiedere s’immerse nell’armadio riemergendone con una divisa blu indaco, invece che rosa come aveva lei, e un paio di scarpe.

« Tieni, devi metterti questi » disse posandoli senza troppe cerimonie tra le braccia di Yumi, che ebbe appena il tempo di metabolizzare il leggero peso di quegli oggetti prima che la donna s’immergesse nuovamente nell’armadio e le lanciasse un paio di guanti di lattice, che lei prese al volo.

« Per oggi puoi usare il mio armadietto, ma stasera dovrai passare in segreteria e fartene fare uno personale » disse ancora l’altra mettendole in mano una piccola chiave, poi le indicò il proprio scomparto e le fece cenno di darsi una mossa immergendosi ancora nell’armadio, ma a quel punto Yumi esclamò:

« Aspetti un attimo, per favore! ».

La donna lasciò cadere la cuffia che aveva in mano e si voltò lentamente tenendo le mani sui fianchi.

« Cosa c’è, non ti piace quella divisa? Sei un'assistente e sei in prova, non posso darti la divisa ufficiale. Ti faccio notare poi che stiamo solo perdendo tempo, e se non ti dai una mossa- » fu bruscamente interrotta da Yumi che schiaffò i vestiti e le scarpe su una panca con un gran rumore.

« Può stare zitta un secondo?! ».

La strega rimase impassibile e si appoggiò all’armadio a braccia conserte. Yumi prese un bel respiro: erano successe troppe cose insieme nell’ultimo minuto, anzi, dall’inizio della mattinata, che da quando era cominciata era stata tutta un susseguirsi frenetico di eventi sfiancanti senza quasi un attimo di pausa; non erano bastati quei pochi minuti con quella giovane madre a far recuperare fiato a Yumi e permetterle di metabolizzare l’accaduto, senza contare poi quello che era successo dopo, causa per il quale si sentiva ancora frastornata, specie soprattutto per colpa del direttore.

Era incredibile a dirsi per una come lei che aveva sempre avuto una vita piuttosto movimentata, ma adesso sentiva davvero il bisogno di prendersi qualche minuto per fare con calma il punto della situazione prima che degenerasse e di nuovo. C’erano molte cose che avrebbe voluto chiedere alla sua benefattrice, ma visto che non sembrava affatto molto paziente, cercò di essere il più concisa possibile.

« Grazie per aver convinto il direttore a darmi una chance » cominciò, ma fu interrotta dall’altra:

« Non l’ho fatto per gentilezza » disse brusca. « Credi forse che abbia messo su una messinscena perché mi hai fatto pena? Penso davvero che tu abbia un buon potenziale, e qui abbiamo bisogno di gente in gamba. Rimandarti a casa sarebbe stato uno spreco, non pensare che la mia sia stata misericordia nei tuoi confronti ».

« Non l’ho pensato neanche per un attimo » sospirò Yumi.

L’altra sembrò sorpresa, ma si riprese subito.

« C’è altro che devi dirmi o possiamo smettere di gingillarci e metterci al lavoro? ».

Yumi fece una smorfia.

« Non ci  siamo ancora presentate, come può pensare di lavorare con me se nemmeno sa come mi chiamo? ».

In realtà lei sapeva già il nome della donna, l’aveva letto sul cartellino appuntato sul suo petto, ma preferiva sentirselo dire da lei, che comunque ancora non conosceva il suo. La donna sospirò e si tirò su. Yumi dovette abbassare gli occhi per poterla guardare in faccia.

« Catarina Loss » disse la strega blu in tono incolore.

« Yumi Shin, piacere ».

Catarina non diede segno di disagio quando sentì il suo nome e le strinse mollemente la mano.

« Ora che abbiamo terminato questi formalismi, datti una mossa e cambiati ».

Yumi non se lo fece ripetere, e in pochi secondi fu pronta, chiedendosi un secondo perché le avesse dato dei guanti se lei non li indossava, ma lasciò cadere praticamente subito: era contenta di non aver dovuto chiederglieli, e comunque era meglio evitare domande stupide. Sistemò alla meglio i capelli nello chignon e si affrettò e a riporre la propria roba accuratamente piegata dentro l’armadietto, poi restituì la chiave e senza dire altro si diresse verso l’uscita. Catarina però le sbarrò la strada.

« E ora che le prende? Non aveva detto che non voleva perdere tempo? ».

Forse si era arrabbiata perché lei se ne stava andando senza averla aspettata, cosa che avrebbe dovuto fare fin da subito visto che ora lavorava sotto quella persona e di conseguenza doveva darle la precedenza in ogni cosa. Il suo sguardo però la inquietò, sembrava un po' troppo duro per riguardare una mancanza di rispetto così lieve. D’accordo che quella tipa non sembrava esattamente un agnellino, ma cosa poteva aver fatto o detto Yumi per indurla ad assumere quell’espressione?

« Tanto per essere chiari » iniziò Catarina. « Non credere che solo perché so di cosa sei capace tu sia entrata nelle mie grazie e possa fare il buono e cattivo tempo come ti pare e piace. Sei sotto la mia supervisione, sono io che ti dirò cosa devi o non devi fare, e non ti azzardare a crederti formidabile solo perché hai salvato la vita di qualcuno. Non so che esperienze tu abbia fatto finora, ma se là fuori sei o eri qualcuno, qui sei soltanto una dipendente come tutti gli altri, quindi vedi di non montarti troppo la testa, ragazzina » e le voltò bruscamente le spalle apprestandosi ad uscire.

Yumi però l’afferrò per il bavero della divisa e la sollevò sbattendola con forza contro gli armadietti.

« Stia bene a sentire, lei » esordì avvicinando il viso al suo. « Non ho fatto quello che ho fatto per pavoneggiarmi o dimostrare di essere migliore di altri: c’erano delle vite in gioco che andavano salvate e l’ho fatto, non m’importa un accidente che la genti mi stenda il tappeto rosso o baci la terra su cui cammino. Non sono una che si monta la testa, sono perfettamente consapevole che là fuori ci siano centinaia di persone di gran lunga migliori di me. Se ho acconsentito di lavorare alle sue dipendenze l’ho fatto accettando tutto quello che ne consegue, non mi metterò a darle contro per ripicca. Se però è lei quella che vuole usare la sua posizione come pretesto per vessarmi e umiliarmi pubblicamente, l’avverto che troverà pane per i suoi denti, perciò mi dica subito quali sono le sue intenzioni, così la risolviamo una volta per tutte! » e strinse ancora di più il colletto mostrandole anche i denti.

Con suo enorme sconcerto, Catarina sogghignò.

« Quindi è questa… la ferocia implacabile della Tigre Nera ».

Yumi mollò la presa e la donna cadde per terra boccheggiando, mentre Yumi arretrò andando a sbattere contro le panche, su cui si acquattò inarcando la schiena, e se avesse avuto il pelo si sarebbe rizzato. Massaggiandosi il collo, Catarina si tirò su e guardò la ragazza senza smettere di sorridere.

« Smettila gatta selvatica, non intendo aggredirti » disse, molto più gentilmente di quanto avesse fatto fino a quel momento.

Yumi scese lentamente dalla panca ma rimase a distanza.

« Non c’è bisogno che mi guardi in quel modo, pensavi che non sapessi chi sei? Passerò pure la maggior parte della mia vita a contatto coi mondani, ma non sono per niente all’oscuro di ciò che succede nel Mondo Invisibile ».

« Però non ha reagito quando le ho detto il mio nome… » mormorò sospettosa Yumi.

Catarina sbuffò.

« Pensavo di essere stata chiara: non m’importa chi tu sia o cosa tu abbia fatto, qui sei solo una dei tanti, non sei né importante né famosa tra queste mura. E se vuoi contare qualcosa anche qui, dovrai lavorare sodo come tutti, senza pretendere che il tuo curriculum vitae sia la parola magica per essere considerata “qualcuno” ovunque tu vada » disse guardandola severamente.

Yumi poté solo abbassare lo sguardo e stringere i pugni: non sapeva perché, ma si sentiva colpevole.

« E voglio avvisarti » aggiunse Catarina alzando un dito. « Non importa quanto tu possa essere pericolosa: io non ho alcuna paura di te, e non ti ritengo speciale; sei un bravo medico, questo è evidente, ma niente di più ».

« Fossi in lei aspetterei a parlare, vedrà che presto si renderà conto che non è facile avere a che fare con la sottoscritta » sbuffò Yumi facendo una smorfia.

« Lo immagino benissimo. Fintanto che lavorerai qui, però, tieni artigli e zanne a posto: questo non è un circo, il carico di lavoro è già fin troppo eccessivo e purtroppo, come hai visto, questa struttura non vanta certo personale efficiente. E non aspettarti favoritismi da parte mia ».

« Non glieli ho chiesti e non li voglio, e non azzannerò nessuno , glielo garantisco » ribatté Yumi con un gesto a mezz’aria.

« Ho come l’impressione che invece tu abbia difficoltà a stare a cuccia, scommetto che prima stavi pensando di saltare al collo del direttore, ho ragione? »

In gamba la tipa pensò Yumi, ma non disse questo:

« Cos’è, per caso è anche uno strizzacervelli? Sì, ci ho pensato, ma al di là del fatto che non sono così stupida da spiattellare il mio segreto ai mondani in modo così evidente ».

« Datti una calmata o ti metterò una museruola, e credimi, sono più che disposta a correre il rischio, non sei certo la prima mocciosa indisponente e capricciosa con cui ho a che fare nella vita! » esclamò Catarina puntandole il dito contro.

« Questo l’avevo già supposto da sola… » mormorò stancamente Yumi, ammirando suo malgrado il coraggio di quella donna.

Sospirò e si passò una mano sul viso.

« Prima di venire qui ho avuto un brutto incontro che ha minato duramente i miei nervi e… anche ora non sono per niente sicura di aver recuperato stabilità. Mi sento… come una brocca d’acqua piena fino all’orlo che bisogna maneggiare con la massima attenzione, perché basta un attimo per rovesciarne il contenuto… ».

Catarina sospirò e la guardò comprensiva.

« Immagino che sia dura essere una tigre a New York, vero? »

« Non ha idea di quanto » rispose Yumi sospirando.

« Però non ci rinunceresti mai » aggiunse la donna, sorprendendo ancora Yumi.

« Infatti » confermò lei. « Lo farei solo se ne valesse davvero la pena. Io… non potrei mai concepire l’idea di diventare qualcosa di diverso. Non cambierei nulla di ciò che sono, non importa quanti problemi mi possa portare ».

Catarina sorrise dolcemente.

« Un’altra cosa » aggiunse.

« Cosa? »

« Lasciamo perdere le formalità e chiamami pure Cat, vuoi? ».

Yumi inarcò un sopracciglio e scosse la testa.

« No… meglio di no ».

L’altra sembrò piuttosto delusa dalla sua risposta, ma Yumi non ci fece caso.

« Piuttosto… »

« Cosa c’è ancora? ».

La ragazza sospirò.

« Non mi chieda di farmi da parte se vedrò qualcuno in difficoltà e non ci sarà nessuno ad aiutarlo: non m’importa quello che penseranno gli altri, io non resterò ferma a guardare ».

« Non lo farò nemmeno io » rispose Catarina. « Però, Yumi… sono seria, devi cercare davvero di controllarti, potresti causare guai molto più seri che il nostro licenziamento ».

« Quando distribuivano la diplomazia, io sono rimasta chiusa nel bagno… » sospirò Yumi.

« Facciamo un patto, allora » disse Catarina, e Yumi iniziò a preoccuparsi.

« Se me lo permetti,  vorrei provare ad aiutarti a gestire la tua aggressività ».

Yumi dovette mordersi le labbra per non scoppiarle a ridere in faccia. E come speri di riuscirci, nanerottola? Mi corromperai con un bicchiere di latte?  pensò, profondamente divertita da quell’idea pressoché assurda. Stava per dare voce ai suoi pensieri, quando le tornò però in mente qualcosa che una volta il suo maestro le disse:

“ Il valore di una persona dipende anche da quanto sa dimostrarsi umile. E, Yumi, ricordati: per quanto tu possa essere forte, non potrai sempre gestire tutto da sola; se qualcuno ti porgerà la mano, prendila, non rifiutarla per un pregiudizio, non potrai mai sapere come andrà se prima non l’afferri e compi il balzo “.

Sei veramente una piaga non-vivente! pensò stringendo forte i pugni.

« Non c’è niente di male dal mettere da parte l’orgoglio e farsi aiutare, sai? Voglio solo darti una mano, non gettarti in pasto agli squali » disse Catarina, riuscendo, chissà come, a indovinare cose le stesse passando per la testa.

Si morse le labbra a sangue, pensando di nuovo che davvero il suo maestro si stesse palesando attraverso dei loro simili pur di riuscire ad aiutarla, e anche se da un lato non credeva a questo tipo di coincidenze, dall’altro il pensiero le scaldò il cuore e le causò un magone.
Volse le spalle a Catarina e respirò profondamente, pensando alla faccia corrucciata del suo maestro e a cos’avrebbe detto se avesse potuto vederla in quel momento.

Non poteva farsi prendere dalla debolezza davanti ad un’estranea, non doveva  farlo. L’aveva promesso a sé stessa e al suo insegnante, soprattutto a lui; aveva già commesso quell’errore a casa di Magnus e davanti a Maryse, non doveva permettere che accadesse di nuovo. Guardò la collega da sopra la spalla, poi abbassò lo sguardo: purtroppo non aveva voce in capitolo per cercare di difendersi o farla desistere dal suo intento. A dire la verità le sembrava piuttosto arrogante, che speranza poteva avere, lei che la conosceva appena, di riuscire lì dove lei e Ryuu fallivano continuamente?

l suo maestro era l’unico ad esserci andato molto vicino, ma nemmeno lui era mai riuscito completamente nell’intento di dominarla, e anzi, lei pensava che nessuno ci sarebbe mai riuscito, nemmeno lei stessa, non importa quanti sforzi facesse o in quanti cercassero di aiutarla: lei era fatta così, era quella la sua natura. Anche per questo era restia ad accettare: se l’avesse fatto, avrebbe sicuramente messo in pericolo quella strega, e anche se non vinceva esattamente l’Oscar della simpatia, non si meritava un trattamento del genere. Non sembrava però molto preoccupata dei rischi a cui sarebbe potuta andare incontro, o forse non aveva le idee abbastanza chiare sulla portata dell’impegno che voleva sobbarcarsi. Perché poi le aveva fatto quella proposta? Voleva evitare guai a entrambe o era solo la sua indole da buona samaritana ad averla spinta a professarsi disposta ad aiutarla?

Qualunque fosse il motivo, Yumi non dubitava che avesse un doppio fine e volesse qualcosa in cambio del suo aiuto, sennò per quale altra ragione tutt’un tratto si stava dimostrando disponibile se fino ad un secondo prima era stata così scorbutica?

« In cambio cosa vuole? » disse scocciata voltandosi.

« Che mi dia del “tu” e mi chiami per nome » disse Catarina sorridendo furbamente.

Yumi fece una smorfia, ma ci pensò su: tutto sommato un tentativo poteva anche farlo, non era detto che sarebbe potuto andare a vuoto. Oltretutto… ne sentiva davvero il bisogno, specie dopo quello che era successo ultimamente. Aveva provato e stava continuando a provare di tutto tuttora, e anche se temeva già che quello si sarebbe trasformato nell’ennesimo fallimento, voleva farlo, voleva provarci, e per davvero, stavolta. Questo però non significava che avrebbe permesso a Catarina di metterle i piedi in testa ed essere l’unica a dettare sentenza.

« Ti darò del “tu” », si arrese sbuffando « ma per il momento preferisco chiamarti “Senpai(*)”» .

« Cos’è, un insulto? »

« No, per niente ».

Catarina sospirò e scosse la testa.

« Chiamami come ti pare, basta che non mi dai del “lei”, o per te saranno guai ».

« Uuuh, sto tremando di paura » disse Yumi fingendo di svenire.

Catarina incrociò le braccia e la guardò storto, ma poi fece una smorfia e scosse la testa.

« Scherzi a parte… vorrei aggiungere una piccola clausola » aggiunse Yumi.

« E cioè? ».

La mutaforma prese un respiro profondo e guardò Catarina negli occhi.

« Anch’io farò la mia parte: così come tu hai aiutato me, io aiuterò te, sia che tu voglia il mio aiuto o meno » e l’avrebbe fatto, come aveva fatto con quella giovane madre e come faceva da sempre, e non solo perché Catarina era una Nascosta o perché l’aveva aiutata e voleva quindi ricambiare il favore.

« Sempre fedeli ai nostri principi, Robin Hood dei poveri? » disse Catarina inarcando un sopracciglio.

« Sempre e comunque, Puffetta » ribatté Yumi con un sogghigno.

« Sta bene » rispose l’altra. « Ma non credere che starò a recitare la parte della damigella in pericolo ».

« Mai dire gatto finché non ce l’hai nel sacco, senpai » disse Yumi facendole l’occhiolino.

« Non tentarmi che sto già pensando di rinchiudertici » ribadì la donna.

« Non credo che ci riusciresti ».

« Non potrò mai saperlo finché non provo, no? »

« E come pensi di fare per capire se sto per tentare una mossa azzardata? » disse Yumi, chiedendosi se, oltre che infermiera e psicologa, fosse pure telepate.

« Non ho poteri telepatici, se è questo che ti preoccupa » la prevenne l’altra. « La tua faccia però dice tutto » .

Favoloso… pensò Yumi facendo una smorfia.

« Se sono un così libro aperto, allora immagino che ti sarà facile leggere quando ci saranno imprecazioni e scene cruente, vero? »

« Ci metterò dei segnalibri, così non dimenticherò mai quali pagine evitare ».

« Sono d’accordo » disse Yumi con una smorfia.

Catarina invece sorrise.

« Affare fatto, allora? » disse porgendole la mano.

Yumi sbuffò e la strinse con forza.

« Già ti trovo insopportabile, sappilo ».

« Me ne farò una ragione » sorrise la strega blu, poi batté le mani.

« Forza, allora , basta perdere tempo: abbiamo delle vite da salvare! ».

« Hai [] , senpai! » esclamò Yumi, e la seguì fuori dalla stanza.

 
Angolo autrice (*)

Abbiamo capito che mantenere la calma non è esattamente il forte di Yumi, ma è davvero difficile per lei tacere di fronte alle ingiustizie, ancora più, come dice Cat, essere una tigre in una metropoli frenetica come New York :-) Vi è piaciuta l’introduzione di Cat? Lei è il mio personaggio femminile preferito in assoluto, l’adoro. Spero solo di averla riprodotta bene e di non averla resa troppo rude, so che anche lei, nonostante il cuore d’oro, ha un gran bel caratterino. Il timore di Magnus ha iniziato a realizzarsi, chissà come progredirà questa cosa ;-) io ovviamente lo so e anzi avrei già in mente uno sviluppo interessante con Cat che non coinvolgerà in prima persona Yumi ma che comunque la renderà partecipe :-). Mata ne, a presto!

 
Traduzioni dal giapponese:

Senpai: Si utilizza generalmente come termine di rispetto verso una persona più anziana o di grado superiore, generalmente viene usata a scuola verso gli studenti più anziani ma anche in ambito lavorativo.

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Capitolo 14
*** Uno Shadowhunter entra in un Caffè...splash! ***


« Buonasera Alec, accomodati ».

« Grazie … » mormorò il giovane entrando nel locale.

La cameriera lo squadrò per un attimo e poi guardò alle sue spalle con trepidazione.

« Non ci sono i tuoi fratelli con te? »

« No… »

« Nemmeno il tuo ragazzo? ».

Alec arrossì e si morse il labbro.

« Non c’è nessun’altro con me, Kaelie, e loro non sono le mie balie, non ho bisogno di portarmeli appresso ovunque vada! ».

« E’ un vero peccato… » mormorò la ragazza passandosi la lingua sul labbro superiore.

Alec alzò gli occhi al cielo: Kaelie aveva un debole per Jace da tempo immemorabile, ancora non si era arresa a provare a conquistarlo e portarlo via con sé, poco importava che lui ora appartenesse ad un’altra e non avesse occhi che per lei.

« C’è un tavolo libero sì o no? » disse spazientito.

La ragazza diede un’ultima occhiata fuori, poi portò gli occhi blu privi di pupilla sul viso del Cacciatore e sorrise mettendo in mostra i denti appuntiti, cosa che fece rabbrividire Alec. Senza dire una parola gli fece cenno di seguirlo, e Alec arrancò nella sua scia finché non raggiunsero un tavolo accanto a due ampie finestre che davano sulla strada, anche se le luci del locale si riflettevano sul vetro impedendo di vedere alcunché.

« Fammi sapere quando sei pronto a ordinare ».

Lui si sedette sul divanetto e prese il menù rispondendole con un cenno della testa. Kaelie lo scrutò perplessa e si allontanò, ma quando se ne fu andata Alec sospirò esasperato e lasciò cadere il foglio mettendosi le mani nei capelli. Era stata una giornata tremenda: aveva camminato per ore e ore per le strade di Manhattan allo sbando, tenendosi rigorosamente lontano dall’Istituto e da qualunque strada che potesse portarlo nel cuore di Brooklyn. Aveva rimuginato per tutto il tempo, pensando prima ad un problema e alla sua soluzione, poi ad un’altra, poi ad un’altra ancora ritenendosi non più sicuro delle prima  e ancora meno della seconda, e così via dicendo.

Era andato avanti con questo andirivieni per tutto il giorno, ma quando il sole aveva iniziato a tramontare si era come svegliato di colpo e si era reso conto di aver sprecato un’intera giornata a fare niente, mentre invece avrebbe dovuto essere in missione coi fratelli o a gestire gli affari dell’Istituto;  soprattutto, non aveva concluso niente, salvo solo essersi talmente ingarbugliato coi pensieri da non essere più certo di niente, nemmeno di ciò di cui prima pensava di essere estremamente convinto mentre ora vacillava nel suo cervello pendendo come una bilancia d’ottone che oscillava da una parte all’altra senza stabilizzarsi.

Meccanicamente i suoi piedi lo avevano riportato all’Istituto, ma all’ultimo aveva deviato e chissà come era finito da Taki, e solo ora che era fermo sentiva le gambe di piombo, la testa esplodere e i pensieri stridere come un treno che frena sui binari. Però non era cambiato niente, non era riuscito a trovare una soluzione a nessuno dei suoi problemi a cui, tra parentesi, non aveva nessuna voglia di pensare ancora, sempre che ne valesse ancora la pena farlo. Non poteva girare per New York in eterno, ma nemmeno aveva voglia di tornare all’Istituto. Aveva bisogno di quella pausa per riordinare le idee, solo dopo magari sarebbe tornato a casa.
Sempre che non fosse venuto a prenderlo qualcun’altro nel frattempo, ma non essendosi fatto vivo nessuno per tutto il giorno non vedeva motivo di preoccuparsi proprio ora. Diede un’ultima rapida scorsa al menù e poi chiamò Kaelie, che gli fu accanto in meno di un secondo neanche avesse usato un Portale.

« Portami una tazza di caffè nero ».

Non era esattamente indicato, ma anche se non toccava cibo da quella mattina si sentiva lo stomaco chiuso, e non aveva nessuna voglia di mangiare qualcosa.

« Un caffè nero a quest’ora? Deve aspettarti una nottataccia, allora ».

« Sono uno Shadowhunter, è questo che faccio » disse secco lui.

Lei ridacchiò e si allontanò lanciandogli occhiate indagatrici. Alec non ci fece caso: anche se il suo corpo implorava il materasso del suo letto, il giovane sentiva che non sarebbe stato comunque in grado di chiudere occhio, quindi non c’era niente di male a facilitare le cose con una bella tazza di caffè bollente; lo avrebbe fatto restare vigile, e solo l’Angelo sapeva quanto avesse bisogno di lucidità in quel momento. Si guardò distrattamente intorno: c’era circa una decina di clienti nel locale, tutti Nascosti, e nessuno sembrava curarsi della sua presenza, cosa di cui non poteva che essere grato, l’ultima cosa che voleva era ritrovarsi coinvolto in una sommossa che avrebbe ulteriormente messo a repentaglio la validità degli Accordi e spinto il Conclave a prendere seri provvedimenti contro i Nascosti .

Da che ne aveva memoria, non aveva mai visto quel posto vuoto, ogni volta che ci andavi c’era sempre la possibilità di incappare in qualche Nascosto, fossero vampiri che sorseggiavano i loro drink scarlatti senza tener conto di nessuno, qualche banshee con i capelli e i vestiti grondanti di maleodorante melma verde o addirittura una volta, coi fratelli, avevano assistito ad un duello all’ultimo sangue tra due licantropi per la conquista di una femmina per cui entrambi covavano una forte passione ( Jace aveva addirittura cercato di trascinarlo in una scommessa su chi ne sarebbe uscito vincitore, ma purtroppo per lui i suoi pronostici non si erano avverati,  visto che era stata proprio la femmina a sconfiggere e lasciare con un palmo di naso i due contendenti; Isabelle che aveva professato che due uomini che si battevano per una donna erano solo degli spacconi e Jace aveva rivalutato la tempra delle licantrope ).

Non era un posto che degli Shadowhunters avrebbero frequentato, era consuetudine evitare di approcciarsi ai Nascosti il più possibile, per poi però venire puntati col dito e diffamati se si facevano vedere in giro o anche peggio, un po' come era successo a lui durante il primo appuntamento con Magnus, in cui un lupo mannaro gli aveva servito delle penne all’arrabbiata un po' troppo arrabbiate.

Alec aveva ripensato spesso al motivo che aveva spinto il cameriere a comportarsi così: a detta sua, gli Shadowhunters avevano ucciso suo zio, quindi lui aveva considerato legittimo vendicarsi su uno di loro ( per fortuna in modo molto veniale), anche se non ne era il diretto responsabile. Non era né il primo né l’ultimo da cui sentiva dire cose del genere,  anche se Alec non aveva idea di chi potesse essere il responsabile e mai lo sarebbe stato perché, anche volendo, nessuno Shadowhunter avrebbe mai ammesso di aver ucciso volutamente un Nascosto,  e se mai fosse saltato fuori si sarebbe sicuramente giustificato e la sua parola sarebbe stata subito accolta e considerata attendibile senza nemmeno prima indagare, cosa che, se invece fosse stata colpa di un Nascosto, non ci sarebbe nemmeno stata possibilità d’appello ( o se lo Shadowhunter in questione fosse già stato richiamato per atti fuorilegge oppure involontariamente coinvolto con uno così, com’era successo a Jace).

Strinse i pugni:  come aveva detto Magnus, era impossibile dimenticare facilmente anni di sofferenze, ma da qualche parte bisognava pure cominciare, no? Era più facile dirsi che a farsi, però: per ogni passo avanti che veniva compiuto, di cento se ne regrediva, col risultato che non solo non si riusciva a spostarsi dal punto di partenza ma addirittura si andava ancora più indietro da dove si era partiti.
Lui aveva mosso un passo senza averne davvero l’intenzione, non aveva pensato ad altro se non a ringraziare una persona per avergli salvato la vita e concedersi, una volta tanto, di conoscere qualcuno. Che le cose poi avessero preso una piega inaspettata e fossero diventate molto più coinvolgenti di quanto avesse pensato, questo era un altro discorso.

Ripensò ancora al primo appuntamento che avevano avuto lui e Magnus, sorridendo ricordando come Magnus si fosse arrabbiato avendolo visto quasi soffocare dalla tosse e a come aveva praticamente minacciato di morte il licantropo se si fosse azzardato di nuovo ad attentare alla vita di Alec, Magnus, che dall’inizio della serata aveva cercato in tutti i modi di metterlo a proprio agio per poi scusarsi alla fine di tutto perché temeva che quell’uscita fosse stata un fiasco. Ripensarci gli riempì il cuore di calore, ma la dolcezza di quel pensiero fu offuscato di nuovo dal modo brusco con cui si erano lasciati ( o meglio, con cui LUI aveva piantato in asso lo stregone ) quella mattina.

Non si era comportato bene, però Magnus non aveva cercato di fermarlo né era stato del tutto sincero con lui, quindi chi di loro aveva davvero colpa e avrebbe dovuto fare il primo passo? Si guardò di nuovo in giro quasi temesse di vederlo spuntare da un momento all’altro, magari insieme a Jace e Isabelle, che prima lo avrebbero ricondotto di peso a casa, dove lo avrebbero tartassato di domande fino a che non avrebbe ceduto e detto quello che volevano sentirsi dire, e poi l’avrebbero lasciato alla mercé di Magnus affinché completasse l’opera e dargli il colpo di grazia. Anche per questo si guardava nervosamente intorno, oltre perché, a differenza loro, lui non si trovava per niente a suo agio in mezzo alle persone, infatti continuava a chiedersi cosa ci facesse lì, ma anche se conosceva la risposta non era abbastanza per renderlo meno nervoso. Kaelie ricomparve all’improvviso con l’ordinazione di Alec, che posò sul tavolino senza troppe cerimonie. Alec prese la tazza senza vederla davvero e senza nemmeno ringraziare la cameriera, che si abbassò fino a mettere i gomiti sul ripiano e lo guardò furbamente.

« Hai avuto una giornataccia ed è per questo che sei qui solo soletto, senza nemmeno la compagnia del tuo magico fidanzato? Cos’è, lo hai di nuovo umiliato davanti ai tuoi genitori?  » chiese in modo molto mellifluo.

Alec sentì la faccia andare in fiamme.

« Non sono affari tuoi » disse sforzandosi di non rimanere impressionato dalle vene verdastre che attraversavano le braccia pallide della ragazza.

Lei non si fece impressionare e anzi il suo sorriso divenne ancora più largo.

« Continui a dare problemi a quello stregone… e dire che pensavo che ormai aveste risolto… specie dopo quello che è successo a Idris ».

Alec finalmente la guardò negli occhi.

« Come fai a saperlo? ».

Il ghigno divertito della Nascosta si trasformo in una smorfia inquietante.

« Le voci portate dai Nascosti viaggiano molto velocemente, Shadowhunter; non ci sono segreti che tengano, nel Mondo Invisibile, soprattutto per il Popolo Fatato ».

Alec abbassò lo sguardo e strinse il pugno.

« E dovresti fare attenzione, Alexander Lightwood » continuò la giovane. « Non so quello che è successo, ma è solo questione di tempo e prima o poi verrà fuori da sé… e questione di tempo sarà anche per te e il tuo stregone: forse prova qualcosa per te, ma lui appartiene ai Nascosti, e tu agli Shadowhunters. Venite da due mondi completamente diversi che prima o poi vi reclameranno; il vostro rapporto è effimero come un soffione, qualcosa a cui basta un respiro per venire spazzato via. Non c’è alcuna speranza di un futuro insieme, per voi ».

« Non mi sembra di aver chiesto il tuo parere, quindi puoi anche andartene » sbottò secco Alec.

La Nascosta sorrise ancora di più e gli diede le spalle facendo volteggiare i capelli biondo-verdastri. Alec la guardò allontanarsi mordendosi le labbra: non aveva bisogno di lei per farsi dire lo stesso fastidioso concetto che si sentiva ripetere allo sfinimento da quando era uscito allo scoperto, così come non aveva bisogno del suo parere sul proprio regime alimentare.

Fissò la brodaglia scura come se dentro vi fossero state tutte le risposte ai suoi dubbi, si portò la porcellana alle labbra e bevve un sorso: era amaro come il fiele, decisamente non si facevano scappare le occasioni per vendicarsi delle insolenze degli Shadowhunters. Tuttavia fece finta di niente e prese un altro sorso, cercando di trattenere una smorfia di disgusto: come se già non fosse pieno di amarezza di suo, oltre al danno si aggiungeva pure la beffa, poteva andare peggio di così? A quanto pare sì.

Il caffè gli andò di traverso quando vide entrare una figura fin troppo familiare che lo fece nascondere nuovamente dietro il menù, tenendola al contempo d’occhio senza farsi scoprire ma imprecando tra sé e sé. Per l’Angelo, era possibile che, di tutti i locali e di tutte le serate disponibili, proprio in quello e in quella serata doveva ritrovarsela tra i piedi, quando non c’era nessuno con lui e soprattutto quando si sentiva così turbato da non avere nessuna voglia di ulteriori discussioni?

Da un lato però pensò che fosse meglio così: meno Shadowhunters ci fossero stati nei paraggi, meno lei si sarebbe arrabbiata e ci sarebbero stati guai, anche se Alec era piuttosto innervosito dalla sua presenza. Non sapeva dirsi di cosa aveva paura però, che lei potesse decidere di vendicarsi di Maryse attraverso di lui? O forse semplicemente era il fatto di trovarsi senza nessuno a dargli manforte se mai avesse avuto bisogno di aiuto, da solo contro circa una decina di Nascosti a cui sarebbe bastato il minimo pretesto per schierarsi in massa contro di lui, a renderlo inquieto e a far scendere la mano verso arco e frecce che aveva posato nel posto accanto al suo.

Sbirciò da dietro il foglio: era in compagnia di una Nascosta dalla pelle blu, sicuramente una Nixie, che Alec non aveva mai visto prima d’ora ( ma in fondo non è che conoscesse tanta gente o si ricordasse di tutti quelli che incontrava), e sembrava parecchio scocciata. Impossibile stabilire se fosse ancora per quello che era successo all’Istituto o per altre ragioni, ma in ogni caso Alec finora l’aveva vista con ben altre poche espressioni, quindi non lo considerava strano. Si sistemarono ad un tavolino poco lontano dal suo e nessuna delle due sembrò accorgersi della sua presenza, prese com’erano a parlottare tra di loro.

Guardò con più attenzione e gli sembrò che mancasse qualcosa, o meglio, qualcuno all’appello, e infatti si accorse presto che il suo compagno non c’era, cosa che lo rese ancora più inquieto. Si sentiva stranamente più tranquillo se c’era lui nei paraggi: lì dove la sua compagna suscitava paura e soggezione, lui invece ispirava calma e sicurezza, come se facesse da contrappeso alla ferocia della sua amica, senza contare che sembrava saper prevedere quello che lei pensava di fare ancor prima che l’avesse premeditato e quindi guardarlo era un buon modo per capire quando lei aveva in mente qualcosa. Con lui Alec si sentiva sicuro, ma con lei… era difficile.

Forse però era dovuto al fatto che fosse così diffidente e imprevedibile rispetto al compagno che, al contrario, non sembrava avere problemi a lasciarsi andare. Anche su di lui però Alec nutriva alcuni dubbi, pur se non era lui quello verso cui era arrabbiato, nonostante avesse pensato il contrario per tutto il giorno .

Guardò la Nascosta chiedendosi cosa fosse il caso di fare: far finta di non essersi accorto di lei e continuare a bere come se nulla fosse, prendere l’iniziativa e andare a parlarle oppure andarsene e basta? L’ultima era piuttosto allettante, però…era più forte il desiderio di porre fine ai dubbi atroci che lo assillavano da quella mattina, almeno ad una parte. Ancora di più, lo era altrettanto rimanere a osservarla da lontano e vedere come si comportasse normalmente, circondata dai suoi simili, senza Cacciatori in circolazione che potessero istigare il suo lato aggressivo e farla scattare sul piede di guerra. Già a vederla ora in compagnia di quell’altra Nascosta sembrava più… a suo agio, ma non del tutto tranquilla.

Si chiese se anche per Magnus fosse lo stesso e se magari, come lui, anche lei lasciasse cadere tutte le barriere solo quando si ritrovava nell’intimità delle quattro mura che era casa sua, quando non c’era nessuno a guardarla, o quando era con persone di cui si fidava… Scosse la testa: era meglio non tirare troppo la corda e rovinare tutto, ne aveva avuto abbastanza di problemi da affrontare, e men che meno aveva voglia di affrontare lei. La voglia però di vedere Magnus al posto della ragazza divenne forte, ma lui la tenne a bada.
Ci avrebbe riflettuto in un altro momento, ora aveva ben altro a cui pensare.
 
*Angolo autrice

Chiedo scusa per essermi rifatta viva dopo così tanto tempo, ma ho avuto ( e ho tuttora) un sacco di cose a cui pensare, in primis e la più importante la preparazione della mia tesi di laurea, che mi sta facendo diventare matta! Chiedo scusa anche per la miseria di questo capitolo, mi rendo conto che, rispetto ai miei standard, è piuttosto moscio; avrebbe dovuto essere un capitolo solo, ma come al solito ho esagerato con lo scrivere e ho dovuto dividerlo in due parti, quindi diciamo che questo servirà da introduzione per quello successivo  ( la brutta cosa di avere un’idea è che, quando la crei, non ti rendi effettivamente conto di quanto verrà lunga una volta scritta :-(  ). Con la seconda parte dovrò lavorare il doppio, quindi non so quando la pubblicherò , quindi chiedo scusa in anticipo per i tempi di pubblicazione saranno piuttosto lunghi :-).

 

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Capitolo 15
*** Il muro inizia a incrinarsi ***


« Proprio non ti entra in testa cosa significhi essere diplomatici, vero? »

« E tu cosa voglia dire farti gli affari tuoi » grugnì Yumi. « Giusto per sapere, c’è qualcosa che devi dirmi a proposito del tuo orientamento sessuale? Non mi sembra ti abbia dato fastidio il suo commento ».

« La mia sessualità è a posto, ma ho molti dubbi a proposito della tua ».

Yumi sbuffò e si massaggiò gli occhi. L’altra la ignorò e prese il menù. Yumi la imitò ma guardò le parole stampate sulla carta senza vederle davvero, perdendosi immediatamente nel fiume dei propri pensieri. Malgrado fosse iniziata nel peggiore dei modi, la giornata era miracolosamente proseguita bene: dopo il breve scambio di battute nello spogliatoio, lei e Catarina non si erano quasi più rivolte la parola, ma questo non aveva affatto intralciato le loro mansioni; a dirla tutta si sarebbe potuto pensare che non sarebbe andato così bene se una delle due avesse aperto bocca durante il lavoro, che era filato liscio come l’olio. L’intesa che avevano scoperto aiutando quella ragazza incinta si era mantenuta intatta e aveva creato come un canale di comunicazione in cui a parlare era stato più il silenzio che le parole dette ad alta voce.

Yumi non ci aveva fatto caso subito perché il lavoro le aveva assorbite completamente ( era rimasta sconvolta quando aveva scoperto che Catarina non aveva esagerato a proposito del carico eccessivo) ma ora che non aveva più bende da cambiare, iniezioni da fare, persone da tranquillizzare e tenere ferme, poteva ragionare con calma e ritrovarsi a riflettere con sorpresa su quello che  era successo. L’affinità che aveva instaurato con Catarina, tanto per cominciare:  non riusciva a spiegarsela, era stata… istintiva, come respirare; dopo poco si era trovata a lavorare in perfetta sincronia con quella donna come se non avessero fatto altro per tutta la vita. Cercò di convincersi che fosse dovuto al loro essere sia streghe che guaritrici e quindi avevano una comune visione del mondo e delle persone… ma non erano le sole cose che avevano in comune,  Yumi l’aveva capito non tanto durante la pausa pranzo, quando si erano fermate a mettere qualcosa sotto i denti ed erano finite a parlare del più e del meno, quanto lavorando insieme.

Le differenze tra loro erano così poche che si riducevano ai loro marchi e alle abilità metamorfiche  e combattive di Yumi, anche se, riguardo quest’ultima, non era molto corretto classificarla come una “differenza”: c’erano modi e modi di essere guerrieri che non necessariamente  si traducevano nello impugnare armi o fare a cazzotti così come non tutte le battaglie erano per forza di cose quelle in cui si combattevano demoni, con ogni probabilità, Catarina non sapeva nemmeno maneggiare un pugnale… ma era anche lei una guerriera senza ombra di dubbio, forse anche più di quanto lo fosse Yumi, anche se il suo corpo non era segnato come quello di lei, anche se non andava in giro di notte furtiva come un’ombra, anche se non aveva zanne né artigli.

Yumi lo aveva capito lavorando con lei: anche se era pienamente consapevole dei rischi che correva ogni giorno per via del suo marchio, non lasciava che la paura di essere smascherata influisse sulla sua volontà di curare i mondani e lavorava duramente per prendersi cura di loro anche se non le rendevano per niente la vita facile, anche se molte volte non erano per niente gentili con lei e anzi avrebbero meritato di essere lasciati a sé stessi se non fosse stato per il buon cuore di Catarina, che si preoccupava per gli umani come Yumi non aveva mai visto fare a nessuno, l’affetto che nutriva per loro era proporzionale  solo a quello che Yumi aveva nei confronti dei Nascosti.

E l’ammirava davvero tanto per questo: lei metteva tutta sé stessa per aiutare i mondani, anche se veniva vessata e sarebbe incorsa ad un trattamento assai peggiore se avessero scoperto la sua vera identità, e lo faceva senza pretendere nulla in cambio con il minimo tasso di riconoscenza che si potesse ricevere dalle persone nonostante il duro lavoro che ogni giorno svolgeva. Di lei Yumi aveva capito anche che era una persona seria e responsabile, di quelle che sapevano stare al mondo, perfettamente consapevole dei propri punti di forza così come dei propri limiti, di cosa voleva e dove voleva essere, che non si lasciava distrarre dalle sciocchezze e che considerava il proprio lavoro la propria vita e metteva anche l’anima in ciò che faceva.

Yumi non faticava a credere che Catarina rimanesse un’infermiera in ogni istante della sua giornata, sia dentro che fuori l’ospedale, ancor più che una strega, e dopo averlo capito aveva iniziato a guardarla con vero rispetto, perché non c’era assolutamente paragone tra di loro. Era evidente chi fosse la vera guerriera tra le due: era Catarina quella più coraggiosa, quella che combatteva le battaglie più difficili, un’eroina che però restava nell’ombra senza emergere, misconosciuta dalla maggior parte delle persone a cui però non interessava affatto brillare e nemmeno si sforzava di nascondersi ma semplicemente viveva la vita che si era scelta senza farsi condizionare da niente e nessuno…e soprattutto che sapeva gestire benissimo la sua rabbia e usarla per qualcosa di costruttivo.

A suo confronto, Yumi si sentiva arrogante e presuntuosa: certo, anche lei metteva l’aiutare gli altri prima di qualsiasi cosa e non le importava essere famosa, ma a differenza di Catarina combatteva eccome alla luce del sole, il suo nome era sulla bocca di tutti e purtroppo non aveva potuto evitarlo, anche se avrebbe preferito di gran lunga rimanere nell’ombra se le circostanze della sua vita glielo avessero permesso e se tra i Nascosti le voci non dilagassero a macchia d’olio appena questo veniva rovesciato.

Non riusciva a non sentirsi invidiosa di Catarina, e per più di una volta nell’arco di quella giornata si era ritrovata a scoprire che avrebbe di gran lunga preferito essere come lei, senza che nessuno sapesse la sua identità e trasformasse il suo nome in una parola da pronunciare con devozione come se fosse uno scongiuro quando le cose si mettevano male. Non lo avrebbe detto a Catarina però, non era il caso di metterla a parte di certe confidenze, anche perché parlarne l’avrebbe solo fatta a sentire più a disagio di quanto non fosse già; considerato poi come la pensava Catarina al riguardo, era meglio evitare di accendere falò pericolosi e rischiare di causare un incendio.

Le metteva una certa apprensione, comunque, essere così in sintonia con Catarina, ma non abbastanza da farle abbassare la guardia e lanciarsi a testa bassa dandole troppa fiducia senza la giusta prudenza. A turno finito, Yumi le aveva proposto di andare a cena fuori, e dopo che Catarina le ebbe dato della ruffiana e l’aveva messa in guardia in merito al fatto che certi giochetti di flirt con lei non funzionavano e Yumi le ebbe detto che lei non era tipo da sotterfugi e che anzi disapprovava quel modo di corteggiare qualcuno, erano andate da Taki. Con un Portale avrebbero fatto molto prima, ma di comune e tacito accordo le due avevano deciso di andare a piedi.

Iniziava già a fare freschino, ma non così tanto da stringersi nelle giacche e allungare il passo, così entrambe si erano godute la passeggiata, sempre se “godere” significava passare buona parte del tragitto a sentirsi prendere in giro per la propria maglietta dei Pokémon (Yumi si era cambiata d’abito in un vicolo, vogliosa solo di levarsi di dosso il competo elegante e di non indossarlo più per i prossimi tre decenni) ed essere classificata come una “nerd maschiaccio che puzzava di selvatico”.

La mutaforma però aveva tenuto la testa altra e aveva risposto dicendo che era meglio nerd che la rappresentazione vivente di un personaggio di cartoni per bambini col moccio al naso, e tra una frecciatina e l’altra erano arrivate a destinazione, ma era stata un’allusione di Kaelie a porre fine alla battaglia, con la Nascosta che aveva fatto i complimenti a Yumi “per aver deciso di godersi finalmente le gioie della vita”. Catarina aveva adocchiato al volo un tavolo libero e aveva trascinato via Yumi prima che potesse compiere un faticidio, con lei che aveva borbottato tra sé e sé sul modo migliore per cuocere mezze-nixie impertinenti.

Dette solo una veloce occhiata al menù ignorando deliberatamente la sezione per i Nascosti, tanto né la carne al sangue né le trote crude avrebbero mai avuto un posto nel suo piatto e soprattutto nel suo stomaco visto che la prima l’avrebbe nauseata e la seconda l’avrebbe fatta andare fuori di testa. Una volta non si sarebbe fatta tutti questi problemi, in altri tempi si sarebbe buttata in acqua completamente vestita invece di annodarsi la veste ai fianchi e immergersi fino alle ginocchio, avrebbe sguazzato nell’acqua e si sarebbe buttata sui pesci senza nemmeno aspettare l’occasione propizia. Anche dopo essere riuscita a prenderne qualcuno, avrebbe comunque dovuto lottare ancora, questa volta con Ryuu, per appropinquarsene il più possibile, sfide che però finivano per degenerare in duelli in cui l’unica legge era quella del più forte, con i due contendenti completamente dimentichi del cibo abbandonato sull’erba a marcire al sole.

Anche dopo essersi guadagnato il bottino con onestà, però, Ryuu doveva poi fare i conti con la testardaggine dell’amica, che non si dava per vinta e ci riprovava ancora e ancora finché non crollava sfinita, e allora lui se la caricava in groppa, prendeva tra i denti il telo con dentro i pesci e tornavano a casa, dove Ryuu consegnava cibo e figlia a Sora e Karin e poi tornava nel bosco.

Si rese conto di aver pensato a Ryuu per la prima volta dopo ore e ore e le mancò il respiro: si era dimenticata di lui, che era il suo primo pensiero al mattino prima di aprire gli occhi e l’ultimo la sera prima di chiuderli, che cercava come un riflesso incondizionato anche se erano così vicini che sentiva il suo corpo muscoloso premere contro le sue gambe e quando lo trovava si sentiva più tranquilla e sicura perché, anche dopo tutti gli anni trascorsi, aveva ancora che potesse sparire da un momento all’altro... come se non esistesse, e non era mai successo.

Sentì il cuore irrigidirsi, e ben presto si ricordò della ragione per cui il lupo non c’era, e con essa subentrarono di nuovo la rabbia e il senso di colpa. Si era trovata bene con Catarina malgrado le premesse, però… sentiva che non era giusto, che non andava bene, che mancava qualcosa… e quel qualcosa era proprio Ryuu, perché non riusciva a permettersi di essere serena se lui non c’era, ancor meno se sapeva benissimo di non meritarselo e di essere la causa del motivo per cui lui non era presente. Non era la prima volta che litigavano, ma allora cosa c’era di diverso stavolta, perché le pesava più del solito? Forse era perché non avevano propriamente litigato ma si erano trincerati dietro il loro mutismo senza nemmeno affrontarsi direttamente; Yumi era ancora delusa dal suo comportamento a cui comunque doveva ancora trovare una spiegazione… o forse il suo era solo una scusa per non ammettere di essere maggiormente in torto tra i due e ora Ryuu ne faceva le spese… di nuovo.

Tra di loro erano sempre stati i gesti a parlare, ma non era mai stato un problema: anche se erano completamente diversi, non ci avevano mai dato peso perché erano proprio queste differenze il fondamento del loro rapporto; aveva sempre guardato alle loro diversità come ad una benedizione, ma mai come allora a Yumi sembrò invece una maledizione, e il non aver ricevuto nessun segno di vita da parte di Ryuu per tutto il giorno non migliorava di certo la situazione.

« Terra chiama Yumi, rispondete Yumi » disse Catarina scioccando le dita davanti agli occhi della ragazza, che si riscosse e tornò al presente.

« Ci sono, ci sono… » mormorò per niente convinta.

« Non si direbbe, è cinque minuti che guardi il menù come un ebete, potresti riconnetterti col mondo terrestre e decidere cosa vuoi, per favore? » chiese spazientita l’altra colpendole il braccio col menù.

Yumi la guardò storto.

« Un’insalata, grazie » borbottò monocorde alla cameriera.

Catarina aggrottò le sopracciglia perplessa e dette la propria ordinazione senza smettere di scrutare Yumi. Kaelie, al contrario, guardò la mutaforma con divertimento:

« Qualcuno ha la luna storta, stasera? »

« Smamma, figlia dei fiori mancata » disse seccata Yumi.

La Nascosta guardò ai lati di Yumi e sogghignò:

« Ne hai combinata un’altra delle tue, vero? Dovresti iniziare a pensare seriamente ad ammorbidire il tuo carattere, o finirà che non riuscirai mai a trovare un ragazzo  ».

Yumi strinse i pugni e scoprì i denti.

« Ops, tasto dolente ? » insinuò Kaelie ridacchiando. « Ora mi spiego la presenza di questa strega, non potendo avere il carrozzone ti accontenti del Go Kart? ».

Yumi afferrò la saliera e si alzò di botto per ficcargliela in gola, ma Catarina la tirò per i capelli e la fece ricadere al proprio posto.

« A parte il fatto che, malgrado sia veramente difficile credere che sia una ragazza, piuttosto che con lei preferirei andare a letto con un malato di gonorrea, se levassi dalle tue viscide pupille la membrana che le ricopre forse ti accorgeresti che non è Yumi quella che si autocommisera ogni giorno per colpa di qualcuno per cui non sarà altro che un’eterna ruota di scorta da prendere in considerazione solo per noia » disse duramente la strega blu.

Kaelie serrò le labbra e inspirò profondamente, ma invece di rispondere girò i tacchi e se ne andò indispettita.

« Troverà un altro modo per vendicarsi » sentenziò Yumi guardandola allontanarsi.

« E come, sputandomi nel piatto? Stai tranquilla che me ne accorgerei ».

« Io invece penso non siano in molti ad accorgersi che non è il caso di sottovalutarti ».

« Non sono un’attrazione da circo come te, Robin Hood ».

« Scusami tanto, Puffetta, ma le tigre ammaestrate sono passate di moda ».

« Come no, e gli Shadowhunters odiano i Nascosti perché uno di noi gli ha rubato l’ultimo budino alla mensa scolastica ».

« Ma stai zitta… » borbottò Yumi sforzandosi però di non sorridere e tirando fuori il cellulare.

Nessuna chiamata e nessun messaggio, anche se Yumi non credeva al detto “niente nuove buone nuove” perché non era vero, ma comunque non poteva nemmeno stare col fiato sul collo dei ragazzi: gli voleva bene e sempre, sempre sarebbe stata preoccupata per loro, ma doveva lasciarli vivere la loro vita; se mai avessero avuto bisogno di lei, allora sarebbe accorsa in men che non si dica, ma non gli avrebbe fatto nessuna pressione. Rimise a posto il telefono e si appoggiò allo schienale del divanetto sbuffando, col cappello che le scivolò giù dagli occhi.

Guardò in direzione della collega, pur non vedendola davvero attraverso la stoffa del cappello, e si trovò ad ammirarla e esserle grata per l’ennesima volta, non era proprio dell’umore giusto per sopportare le provocazioni di Kaelie, se non ci fosse stata Catarina… Ringraziò di avere il volto coperto, sennò niente avrebbe impedito alla strega di capire i suoi pensieri se avesse avuto modo di guardarla in faccia. Una delle cose che la spaventavano e affascinavano di Catarina: riusciva a leggerla molto bene.

Non del tutto per fortuna, però sembrava capace vedere dentro di lei come se fosse stata trasparente e ciò che pensava fosse messo in risalto, inutili i tentativi di sviarla o negare l’evidenza. Non aveva però del tutto il coltello dalla parte del manico: anche Yumi si era riscoperta abbastanza brava da intuire quali fossero i pensieri della donna dietro i suoi modi bruschi, glielo aveva fatto intendere molto presto, ma Catarina non era sembrata affatto infastidita, casomai piacevolmente stupita e non in senso cattivo. E sorpresa era stata anche Yumi, perché quando guardava Catarina… le sembrava quasi di guardare sé stessa.

Catarina era molto diversa da lei, ma al tempo stesso guardarla era come guardare il proprio riflesso allo specchio, poco importava che una avesse la pelle pallida, capelli neri e occhi a mandorla mentre l’altra fosse una sottospecie di gnomo da giardino con la pelle blu. Le sarebbe piaciuto smettere di avere paura, lasciarsi andare per davvero per una volta e imparare di nuovo a fidarsi di qualcuno, ma il suo orgoglio e le vecchie ferite continuavano a impedirglielo; ancora non aveva imparato a scenderci a patti e conviverci, certe cose non era possibile risolverle nemmeno dopo secoli .

Non voleva poi sembrare di nuovo debole davanti a Catarina e spingerla a comportarsi nei suoi confronti come se fosse una povera demente bisognosa di cure, e inoltre era evidente che non le stava molto simpatica, quindi non dubitava che non si sarebbe lasciata scappare occasione per darle contro. Senza contare poi che, ora che ci faceva caso, i suoi occhi azzurri le ricordavano in modo fin troppo doloroso quelli di Ryuu, ed era proprio come se in quel momento il suo amico la stesse guardando e rimproverando silenziosamente marcando ulteriormente la sua assenza che Yumi sentiva sempre più tangibile ogni secondo che passava…

 
Catarina guardò di sottecchi la compagna e la vide mordersi le labbra come se qualcosa la frustrasse ma stesse cercando di combatterla per non lasciarle prendere il sopravvento. Sospirò: si erano conosciute ufficialmente quella mattina, ma le sembrava di averlo fatto da un’eternità. Aveva sentito parlare di lei per anni, certo, ma non era come Magnus, sapeva bene che ci voleva l’esperienza diretta, l’approccio e il confronto con l’altra persona per poter dire di conoscerla, non pretendere di saperlo fare solo perché ritenevi sufficiente quello che avevi sentito dire.

Si era trovata bene con lei: malgrado il carattere, Yumi era davvero in gamba, intelligente, acuta, volenterosa, disponibile e affidabile, non la bestia indomabile e ottusa che le era sembrata all’inizio. Catarina non si era mai trovata a lavorare così bene con qualcuno da…bè, probabilmente era la prima volta. Da quello che aveva imparato su Yumi, però, sapeva che non sarebbe stato facile conquistarsi la sua fiducia, la ragazza non era il tipo a cui bastava cambiare le lenzuola in compagnia per indurla a fidarsi del prossimo.

Sapeva che era presto per pensare una cosa del genere, ma le sembrava che ci fossero abbastanza buoni pronostici perché la loro collaborazione potesse sfociare in un buon rapporto come quello tra …Sbatté le palpebre e si prese la testa tra le mani: ma cosa andava a pensare? Era bastato un solo giorno in compagnia di quella ragazzina per desiderare che potesse diventare la sua amichetta del cuore solo perché avevano qualche interesse e capacità in comune?! Scosse forte la testa, agghiacciata da sé stessa: da quando era diventata così sdolcinata? Un ragionamento simile se lo sarebbe aspettato da Magnus, non da lei. Era alquanto imbarazzante, e lo sarebbe stato ancora di più se fosse arrivato alle orecchie di…

Si bloccò nello stesso istante in cui si rese conto del pensiero appena formulato e si passò una mano sul viso: ci era cascata di nuovo. Ancora parlava di lui come se fosse vivo, come se componendo il suo numero il telefono non avrebbe suonato a vuoto ma al terzo squillo la sua voce profonda e perennemente scocciata si sarebbe fatta sentire dall’altro lato dell’apparecchio… una voce per cui avrebbe dato qualunque cosa per sentire ancora una volta, per udirla ridere e scherzare con lei, per sentirla spazientita ed esasperata rivolta a Magnus o per sentirla chiamare il suo nome…

Strinse i pugni: ancora non riusciva a pensare a Ragnor senza sentirsi straziare dal dolore, ma era passato troppo poco tempo, le cose sarebbero sicuramente migliorate…o forse no, e come avrebbero potuto, del resto? Lui era stato una delle persone in assoluto più importanti della sua vita, mai avrebbe smesso di sentirne la mancanza, di cercarlo ovunque e in ogni cosa, di sognarlo di notte e risvegliarsi in lacrime il giorno dopo. Era anche questo il motivo per cui si sentiva avversa a ponderare l’idea che lei e Yumi potessero diventare amiche: la ferita nel suo cuore era ancora troppo aperta, troppo dolorosa, e dubitava che una perfetta estranea sarebbe riuscita a lenirla, anzi, dubitava che chiunque, persino Mangus, potesse farlo, perché nessuno sarebbe mai stato in grado di prendere il posto che Ragnor aveva e sempre avrebbe avuto nel suo cuore…

« Senpai, ci sei? » la chiamò Yumi sventolandole la mano davanti alla faccia.

Catarina si riscosse e la guardò storto.

« Cosa vuoi? »

« Farti notare che sono arrivate le nostre ordinazioni perché pensavo avessi appetito, oppure te ne sei accorta e stavi attuando uno sciopero della fame in favore dei senzatetto che non ricevono abbastanza aiuti dal governo? »

« Di sicuro meriterebbero di non fare la fame molto più di te ».

« Fà come ti pare » disse Yumi prendendo l’insalata.

Catarina prese il proprio piatto di zuppa e fece un cenno alla cameriera, che si congedò. Guardando con sospetto la ciotola, Catarina mescolò il contenuto e se ne portò un cucchiaio alla bocca, ma lo allontanò appena sfiorò le sue labbra.

« E’ gelata! »

« Avrà visto il colore della tua pelle e avrà pensato che ti saresti sentita a tuo agio » disse Yumi masticando una foglia di radicchio.

Catarina la fulminò e rimestò quella brodaglia gelida con disgusto.

« Si sa che la vendetta è un piatto che va servito freddo » continuò Yumi divertita.

Catarina si morse le labbra per non darle la soddisfazione di ammettere che aveva avuto ragione e cercò Kaelie con lo sguardo. Yumi mandò giù il radicchio e sospirando le toccò la spalla.

« Dà qua, ci penso io » .

La strega blu aggrottò le sopracciglia ma le passò la ciotola senza obiettare . Yumi si tolse il guanto destro e posò le dita sulla porcellana:  dopo un paio di secondi dalla minestra si alzarono volute di fumo.

« La signora è servita » disse Yumi spingendola di nuovo verso Catarina.

La donna la guardò sorpresa.

« Perché l’hai fatto? » disse infine dopo alcuni attimi di silenzio.

« Perché così darai uno schiaffo morale degno di nota a quell’ anguilla in gonnella piuttosto che abbassarti a fare il suo gioco chiedendole una zuppa più calda. E per farle capire con chi ha a che fare » rispose Yumi agitando una mano per aria.

« Non eri tenuta a farlo ».

« E tu non eri tenuta a rispondere a Kalie al posto mio risparmiandole una morte lenta e dolorosa » ribatté Yumi.

Catarina aprì la bocca ma non ribatté, e anche l’altra non insistette oltre e si rimise il guanto. Yumi non sapeva che lei non era intervenuta né per proteggere Kaelie né in virtù del patto che avevano suggellato, ma del resto neppure Catarina sapeva che Yumi non le aveva rivolto quella gentilezza per lo stesso motivo di cui sopra. Forse entrambe sospettavano la verità ma tennero comunque i propri pensieri per sé e fecero finta di niente. Catarina rimestò la zuppa senza però attingerne e Yumi se ne accorse:

« E’ troppo calda? ».

L’altra si voltò appena.

« Anche se lo fosse ormai il danno è fatto, non ti pare? ».

« E poi sarei io ad avere bisogno della museruola... Guarda che sono anche capace di assorbirlo, il calore »
sbuffò Yumi.

Catarina stavolta si voltò completamente, ma ormai Yumi aveva già distolto lo sguardo, borbottando parole incomprensibili che Catarina intuì essere nella sua lingua natia. Occhieggiò il piatto della ragazza e si accorse che era praticamente intonso, tolte quelle poche foglie che Yumi aveva spiluzzicato. Di nuovo si sentì molto affine a lei, così tanto da avere voglia di avvicinarsi e abbracciarla, ma si trattenne: sarebbe stato imbarazzante e di certo non avrebbe facilitato le cose tra loro. Si chiese se fosse davvero il dolore a farla ragionare così, a spingerla a cercare il conforto di una perfetta sconosciuta solo per il puro bisogno di riempire quel vuoto che aveva nel petto o che fosse per qualche altra ragione che non capiva e che forse non riguardava esattamente il bisogno di sciogliere il gelo che aveva dentro...

« Hai proprio bisogno di mangiare insalata e perdere un po' di peso, la divisa oggi ti tirava da tutte le parti. Sicura di non essere imparentata con un gorilla? » disse senza guardarla.

« Chi lo sa » disse Yumi riservandole la stessa indifferenza . « Di sicuro però sono messa decisamente meglio di te, pianta di mirtilli senza frutti ».

Catarina ci mise qualche istante afferrare il senso della sua battuta e a voltarsi verso di lei assumendo davvero il colorito di un mirtillo maturo.

« Questa te la concedo… » borbottò sconfitta.

Yumi si lasciò scappare un sorriso che l’altra, suo malgrado, ricambiò.

« A parte le battute, sei davvero a dieta? Anche oggi a pranzo hai a malapena mangiato una mela ».

« Disse quella che neanche ci sarebbe andata, a pranzo, se non glielo avessi detto io …» disse Yumi.

Ebbe la sensazione di sentire Ryuu scuotere la testa con veemenza e si portò istintivamente una mano al cuore, ma lui non diede altri segni di vita per cui lasciò ricadere il braccio delusa pensando di esserselo immaginato. « In ogni caso ti informo che sono semplicemente vegetariana ».

« Dalla nascita o per scelta? » chiese Catarina curiosa.

« Più una conseguenza delle circostanze, direi ».

« L’essere una belva feroce ti ha istigato principi di veganesimo? Strano, pensavo che per voi mutaforma non costituisse un problema ».

« E’ più complicato di così … » sospirò Yumi.

Catarina la guardò di sottecchi.

« E’ un motivo imbarazzante per una mutaforma animale? » azzardò.

« Non ti sfugge niente, eh? » sbuffò Yumi.

« Non sono stupida ».

« Senpai, penso che tu sia tante cose, ma stupida proprio no; sei una delle persone più in gambe che abbia mai incontrato , è per questo che sono scocciata ».

Catarina rimase attonita.

« E perché allora? ».

Yumi sospirò di nuovo.

« Prima non avevo problemi a mangiare carne… da dopo però aver iniziato a usare questi » e s’indicò la bocca « non solo figurativamente ma anche letteralmente, specie contro i demoni…il sapore e la consistenza della carne hanno iniziato a ricordarmi troppo quelle delle loro carcasse e a darmi la nausea finché non ho smesso definitivamente di mangiarla ».

Catarina la guardò in silenzio e Yumi immaginò che la stesse ritenendo una pazza, o peggio, una principessina delicata che si dava tante arie ma alla fine era tutto fumo e niente arrosto.

« E’ perché tu non gli lasci prendere il sopravvento, vero? ».

Le congetture di Yumi si frantumarono in mille cristalli di vetro.

« Cosa? »

« Il tuo demone » disse pazientemente l’altra. « Tu non gli permetti di prendere il sopravvento, riesci a controllarti al punto da non dimenticare che sei anche una persona, non lasci che l’istinto della belva che è in te offuschi il tuo giudizio ».

« Sì, è così… » mormorò debolmente Yumi.

« Ti avevo sottovalutato allora: hai più controllo di quanto pensassi, anche se non sembra » disse Catarina con un’alzata di spalle, come se fosse una cosa di poco conto.

Yumi rimase senza parole.

« Ed è una cosa negativa? » si azzardò a chiedere più per non fare la figura della stupida che per vera curiosità.

« Vuol dire solo che non sei un totale animale mandato allo sbaraglio, malgrado il tuo carattere ».

« Rieccola… il mio carattere non dipende in nessuna maniera dal mio essere una mutaforma ».

« Però contribuiscono ad alimentarsi a vicenda, non è vero? ».

« Chiudi il becco » disse Yumi cavando di nuovo il telefono dalla tasca ma rischiando di farlo cadere tanto che la sua mano tremò dal nervoso.

Ringhiò a fior di labbra: Catarina si stava dimostrando sempre più pericolosa. La faceva sentire scoperta, vulnerabile, disarmata; se avessero continuato a parlare temeva che avrebbe finito per soppiantarla, o peggio, smantellare completamente le sue difese e scoprirla per come era davvero, e non voleva cedere alla propria debolezza. Come se non bastasse, la tentazione di lasciarglielo fare era fortissima, quasi insopportabile, e questo la stava rendendo furiosa. Invitarla a cena fuori le era sembrato il minimo per ricambiarla di quello che aveva fatto per lei, ma iniziava a temere di aver fatto uno sbaglio, ancora peggio dell’essere andata comunque al colloquio.

Se non lo avesse fatto, poi, non avrebbe nemmeno incontrato Catarina e ora non si sarebbe sentita così confusa da desiderare così intensamente da farsi male che Ryuu uscisse dal suo corpo e le facesse poggiare la testa sul proprio petto permettendole di stringerlo fino a perdere sensibilità e di respirarlo fino a non sentire più il naso… ma lui rimase sordo al suo appello, e anche se sapeva di meritarselo, non fu sufficiente a placare lo sconforto che serpeggiava nel suo animo.


Catarina sorseggiò un po' di zuppa tenendo d’occhio la ragazza: era arretrata come una belva che avverte il pericolo e perciò si allerta e osserva l’ambiente con circospezione prima di decidere la prossima mossa, a quanto pareva sentiva di essersi esposta troppo e questo l’aveva resa guardinga. Si era davvero sbagliata sul suo conto: per essere in grado di ragionare così razionalmente persino accedendo alla sua parte demoniaca, doveva davvero avere più autocontrollo di quanto pensasse… forse anche troppo.

Erano solo supposizioni, ma forse era proprio questo il problema di Yumi, il contrario di quanto pensava Catarina: che avesse fin troppo controllo sul suo demone. Non poteva dirlo con certezza perché non l’aveva ancora vista davvero all’opera, però il sospetto era ormai radicato in lei e niente lo avrebbe levato così facilmente. Questo però le faceva supporre anche che quella mattina doveva essere successo qualcosa di grave, o Yumi non sarebbe parsa così ferita. Sì, era così che le era sembrata: un animale ferito da cui sarebbe stato consigliabile restare alla larga perché ancora più pericoloso che non da sano ma a cui non si può fare a meno di essere attratti perché manteneva comunque intatta la sua fierezza e il suo orgoglio.

Effettivamente Yumi le aveva detto che era successo qualcosa prima di venire lì, e conoscendola un po' meglio Catarina presupponeva che dovesse trattarsi qualcosa di veramente grosso, Yumi non era il tipo che si abbatteva per poco. Non le aveva chiesto più niente e lei non ne aveva più parlato, quindi era inutile tirare in ballo l’argomento se non aveva voglia di farlo. Si girò comunque verso di lei e si accorse che aveva messo via il telefono e che la guardava con attenzione.

« Mai visto una tua simile mangiare la zuppa? » commentò sarcastica.

  Yumi non si scompose e Catarina alla fine sbatté il cucchiaio sul tavolo.

« Parla ora o taci per sempre: perché mi stai analizzando come un vetrino al microscopio? ».

« Stavo solo riconsiderando la mia teoria » rispose semplicemente Yumi.

« Su quanto sia gustoso un piatto per una strega se è appena stato sottoposto al potere di un suo simile? »

« Su da chi penso discendiate voialtri con la pelle colorata ».

« Davvero? » disse Catarina sbuffando. « E quale sarebbe? Che siamo figli di pittori miopi che ci hanno scambiato per tavolozze? »

« Che siate progenie di Oni » rispose Yumi.

Catarina stavolta la guardò con sincero interesse.

« Oni? »

« Sì, hai presente? Bestioni umanoidi con un paio di corna in fronte e la pelle colorata ».

« Ho presente, ma non ne ho mai visti ».

« Io sì ».

Catarina si sporse verso di lei e Yumi sorrise divertita. Non riuscendo a placare il tumulto che sentiva nel cuore aveva deciso di provare a distrarlo facendo lavorare il cervello e aveva colto la palla al balzo quando l’occhio le era caduto sulla carnagione di Catarina che le aveva fatto ripensare a un ragionamento che portava avanti da decenni ma che era ben lungi dall’essere completo.

« Cosa ti ha portato a concepire la tua teoria? »

« Solo l’ aver conosciuto un paio di nostri simili che gli somigliano. Tu sei la terza che mi capita d’incontrare, anche se non hai le corna e sei una donna » disse Yumi.

« E gli altri due erano simili tra loro in tutto e per tutto? »

« Affatto, in comune avevano solo la stazza e le corna, per il resto erano completamente diversi . Anche se sono convinta di quello che penso, purtroppo, la mia teoria fa acqua da tutte le parti ».

« Come mai? »

« Tanto per cominciare perché tu sei nana, mingherlina e piatta come un ferro da stiro ».

« Ha parlato la venditrice di cocomeri… »

« Intanto sono messa meglio di te ».

Catarina guardò prima in basso poi Yumi e le due si scambiarono un sorriso.

« Seconda cosa » continuò Yumi, « dovreste essere nati in Giappone, ma nessuno dei miei due amici lo è e immagino nemmeno tu ».

« Esatto ».

« Come pensavo. Terzo… se foste figli dello stesso tipo di demone avreste anche gli stessi tipi di poteri… o forse i poteri variano da pigmento a pigmento, non so… »

« Ti stai arrampicando sugli specchi, non è vero? »

« Mi hai scoperta » ammise Yumi alzando le mani in segno di resa.

Catarina ridacchiò.

« E caratterialmente parlando, neanche lì puoi notare somiglianze? ».

« Inesistenti » disse Yumi ora più seria. « Uno dei due era un autentico rompiballe, sempre col muso lungo, critico, fastidioso, puntiglioso… ».

Strinse la forchetta nel pugno.

« E l’altro? »

« Tutto il contrario: gentile, educato, umile, modesto, affidabile, premuroso... »

« Stai parlando di uno stregone o di un alieno? »

« E’ quello che credo anche io alle volte… » disse Yumi.

Catarina non mancò di notare che aveva parlato di quest’ultimo in modo molto dolce, e si ritrovò a sorridere di nuovo. Buttò giù un altro po' di zuppa, anche se si sentiva lo stomaco chiuso. Yumi la imitò ma non era messa meglio, con tutti i pensieri che le affollavano la mente e non lasciavano spazio a nient’altro. Aveva messo a parte anche il suo maestro della sua teoria, ma oltre a non mostrarsi affatto interessato si era arrabbiato perché aveva pensato che il suo fosse un espediente per farsi dire da lui chi fosse suo padre.

Dopo essersi calmati e chiariti, le aveva suggerito di non stare a perderci tempo su perché tanto non avrebbe portato a niente. Yumi non aveva più affrontato l’argomento con lui per non farlo arrabbiare ma aveva comunque continuato a elaborare la sua teoria, a cui però era stata costretta a rinunciare e ritenere piena di pecche quando nella sua vita era entrato il suo gigante gentile, il totale opposto del suo maestro come il giorno lo era della notte, e poco era servito constatare che, come lui, avesse corna, muscoli ed epidermide colorata. Anche lui però era stato dello stesso avviso: quel demone sconosciuto che l’aveva generato non era e mai sarebbe diventato qualcuno per lui, quindi non aveva senso cercare di capire che tipo di demone fosse.

A sentire questi discorsi, Yumi si era vergognata da morire: lei ce l’aveva avuto un vero padre, non solo perché fosse il suo padre biologico ma anche perché lui l’aveva cresciuta, aveva giocato con lei, aveva asciugato le sue lacrime quando si era fatta male, l’aveva stretta tra le braccia quando si era svegliata per gli incubi… aveva davvero fatto parte della sua vita invece che assistervi da lontano. Aveva sempre saputo che si sarebbe sentita diversa rispetto ai suoi simili per questo, ma saperlo e pensarci solo nella propria testa e confrontarsi con altre persone erano due cose completamente diverse. Dallo stupore di Catarina era facile intuire che lei non avesse incontrato il proprio padre ma si astenne anche questa volta dal chiedere, anche se le era grata per non aver reagito come aveva fatto il suo maestro.

« Anche io » disse la strega blu strappandola dalle sue riflessioni.

« Come? »

« Anche io… conoscevo qualcuno così ».

« Rompiscatole o di un altro pianeta? »

« Bè, variava a seconda dell’umore… ma in fondo tutti noi abbiamo radici da un’altra dimensione, no? … » disse debolmente Catarina.

« E ti manca da morire » concluse Yumi per lei.

Catarina non rispose e tra le due scese il silenzio, non quello imbarazzante di chi non sa cosa dire ma quello che significava intesa, condivisione degli stessi pensieri e tacito accordo a non esporli perché non è facile parlarne. Yumi la guardò sospirando: lei e Ryuu si conoscevano da tutta la vita, avevano sempre condiviso tutto e per questo riuscivano a capirsi con molto poco; con quella donna erano ancora estranee, eppure riuscivano a intendersi benissimo e a comunicare anche restando in silenzio, che si caricava di mille parole non dette che però venivano capite lo stesso come se fossero state espresse ad alta voce.

Da quando lo aveva conosciuto aveva pensato di aver trovato un’intesa simile con Magnus, e anche se non era certa che quello a cui stava pensando non fosse altro che una conseguenza dello scontro di quella mattina, fatto restava che ora , pensando a lui , si riscopriva incredibilmente tranquilla, senza avvertire più quell’ irrefrenabile interesse che aveva dirottato i suoi pensieri per una settimana ( e forse anche per gli ultimi due secoli) e per cui aveva quasi rischiato il tracollo.

L’incontro con Catarina aveva come cancellato la confusione che aveva sovraffollato la sua mente, quello che avvertiva stando con lei non era neanche lontanamente paragonabile  a ciò che aveva provato con Magnus, era molto ma molto più intenso, più… intimo. Anche se continuava a spaventarla, questa consapevolezza la stava portando a rivalutare i suoi pensieri, a cui ora riusciva ad affacciarsi con molta più calma e razionalità, anche se non abbastanza da renderla più propensa al perdono o a scusarsi con lui.

Purtroppo però c’era sempre quell’altra incognita che nemmeno Catarina era riuscita a risollevare, di certo molto più impegnativa e importante trattandosi non di un perfetto sconosciuto ma di colui che la conosceva da tutta la vita e che per più di chiunque altro voleva trovare il coraggio di chiedergli scusa. Quello però era un problema suo, non aveva senso coinvolgere Catarina che di certo aveva cose più importanti a cui pensare, anche se la voglia di aprirsi con lei e alleggerire il peso che l’opprimeva era molto forte…

« A proposito, Yumi » disse Catarina all’improvviso.

« Sì? »

« E’ da stamani che volevo chiedertelo ma alla fine mi è passato di mente… non dovrebbe esserci qualcuno con te? Ho sentito che hai un compagno inseparabile, ma non mi sembra di averlo ancora visto in giro ».

I denti della ragazza si serrarono di scatto sulla forchetta che aveva in bocca rischiando di spezzarla in due. Yumi si sforzò di mandare giù il boccone d’insalata e di togliersi la forchetta dalla bocca con calma, ma la Tigre divenne inquieta e si agitò nervosa.

« Sì, è così  » rispose ostentando una calma che non aveva.

« E come mai allora non c’è? » disse Catarina guardandosi intorno come se da un momento all’altro fosse in procinto di spuntare fuori uno sconosciuto.

« E’ inutile che lo cerchi, non lo troverai ».

« Perché no? »

« Non è qui » tagliò corto Yumi.

Catarina capì che non aveva nessuna voglia di parlarne quindi lasciò cadere la questione. Si chiese però che tipo fosse e se anche lui si ritrovasse sempre sul piede di guerra con la sua amica per cercare di farla ragionare su qualche guaio che lei aveva appena causato e in cui, anche se non li condivideva, puntualmente si ritrovava coinvolto perché non voleva abbandonarla, un po' come era per lei con Magnus.

Yumi era di gran lunga più affidabile e coscienziosa dello stregone, ma Catarina non dubitava che le capitasse spesso di causare situazioni in cui era meglio intervenire prima che qualche testa volasse, per cui riteneva una fortuna che anche Yumi avesse il proprio angelo custode. Era un po' delusa nel non poterlo conoscere di persona,  soprattutto perché così non aveva modo di lenire il senso di colpa che percepiva nei suoi confronti, dopotutto si era avvicinata alla sua amica proprio mentre lui non c’era.

Ovviamente sapeva bene che sarebbe stato alquanto infantile e immaturo avere un atteggiamento simile nei confronti della propria amica, braccandola e tenendola lontana dagli altri come se fosse una proprietà esclusiva che nessuno doveva azzardarsi a toccare, però era altrettanto consapevole che, quando si conosceva una persona che aveva già un saldo legame con qualcun’altro, bisognava essere cauti. Non essendo successo ancora niente aveva la speranza che non fosse quel tipo di persona, ma forse c’era un altro motivo per cui non si era ancora fatto vedere, una ragione che riconduceva di nuovo, lo temeva, agli eventi non raccontati di quella mattina.

Si ritrovò a sperare che non riguardassero gli Shadowhunters, era abbastanza stufa di avere grane per colpa loro. Non aveva problemi a sapere Magnus fidanzato con uno di loro: anche se non era pienamente d’accordo su questa scelta, il suo amico sembrava così felice che lei non aveva alcuna voglia di interferire, ma questo non le impediva di guardare con preoccupazione ad Alexander e fingere di non sapere di chi fosse figlio.

Sapeva che Magnus non era così stupido da aver accantonato la cosa e che lo preoccupava ancora, anche se lui e il giovane Lightwood sembravano aver raggiunto un buon equilibrio; Catarina però sapeva che in realtà non era finito niente, che il pericolo sarebbe sempre stato in agguato e che ogni istante poteva trasformarsi nel preludio alla tempesta che imperversava da sempre tra Nascosti e Shadowhunters e che gli Accordi avevano a malapena attenuato ma non cancellato.

Magnus non aveva dimenticato, anche se dava l’impressione contraria, ma non la faceva in barba alla sua migliore amica che lo conosceva meglio di chiunque altro al mondo…lei che era rimasta l’unica. Guardò Yumi: non ce l’aveva affatto con lei, non le addossava la colpa di quello che era successo a causa di Valentine e suo figlio. Catarina però si chiedeva spesso se Yumi sapesse cosa pensavano davvero certi Nascosti di lei. Catarina e Magnus non erano tra questi, così come non lo era stato Ragnor: quella ragazza era molto coraggiosa, ma era sbagliato caricarle sulle spalle tutti i problemi del loro mondo come se fosse stata l’unica ad avere le capacità per risolverle e pensare che, visto c’era lei, allora era legittimo cacciarsi nei guai perché tanto ci sarebbe stata lei a salvarli, come se non fosse stata altro che un risorsa che era utile avere a disposizione messa lì appositamente per loro.

Catarina viveva la stessa situazione ogni giorno coi proprio pazienti, e anche se stringeva i denti e sopportava in silenzio, non approvava affatto quel comportamento, e se era dura per lei che se la cavava con un ospedale, figuriamoci come doveva essere con un mondo intero. Yumi portava il peso di una grossa responsabilità, una responsabilità che si era accollata da sola ma di cui altri si erano arrogati diritti in merito come se dovesse dipendere da loro quello che lei poteva fare o meno. Lei e Yumi avevano dato un dito, ma il mondo si era preso tutto il braccio e anche di più, nel caso di Yumi. Non si erano ancora presi Yumi stessa, però, e Catarina dubitava che ci sarebbero anche riusciti.

Anche se fino a quel momento di lei aveva solo sentito parlare, Catarina non aveva mai pensato nemmeno per un istante a Yumi negli stessi termini di molto altri Nascosti, e anzi, era arrivata più volte a prendere le sue difese, ad accusare i Nascosti di essere degli smidollati che non sapevano nemmeno fare da sé: Yumi non era il 911 dei Nascosti a cui ricorrere in caso di emergenza, era piuttosto qualcuno a cui avrebbero dovuto guardare per imparare a rimboccarsi le maniche e sistemare i propri problemi con le loro forze invece che lasciare che fosse qualcun’altro a farlo.

Di nuovo si sentì affine con Yumi come se si conoscessero da sempre invece che da poche ore: anche se in maniera diversa, entrambe assolvevano la stessa missione ed entrambe lo facevano per scelta propria, non perché erano stati altri a imporglielo, anche se riteneva la missione della ragazza di gran lunga più difficoltosa della sua, e ora che la conosceva meglio era felice di non essersi affatto sbagliata sul suo conto e di non doversi pentire di averla difesa anche quando era solo un nome senza volto ma carico di storie.

Distolse lo sguardo prima che Yumi fraintendesse le sue motivazioni mordendosi però le labbra: era piena di cose di cui avrebbe voluto parlare con lei; sentiva a pelle che, se l’avessero fatto sul serio, sarebbero finite a parlare per giorni interi senza mai stancarsi e senza esaurire gli argomenti, ma c’era quel peso che le opprimeva il petto e le impediva di lasciarsi andare come avrebbe voluto; oltretutto, non voleva permettere a quella mocciosa di metterla nel sacco, aveva una faccia da salvare.

Era inutile però, ormai l’aveva capito: Yumi non era affatto stupida e sicuramente aveva già intuito molto su di lei anche se non lo aveva detto esplicitamente. Catarina era davvero sorpresa di aver trovato qualcuno che fosse così diversa eppure al tempo stesso uguale a lei ma invece di infastidirla era contenta. Aveva sempre desiderato incontrare qualcuno così, ma col passare degli anni aveva smesso di farlo; mai avrebbe pensato che un giorno sarebbe successo… mai avrebbe creduto che sarebbe accaduto proprio con lei. Dal muro che aveva eretto involontariamente intorno al suo cuore stava già iniziando a cadere un po' di calcinaccio , ed era certa che fosse lo stesso anche per Yumi. Un giorno, forse neanche troppo lontano, entrambe forse sarebbero riuscite a smettere di fare le stupide e a demolirlo completamente.

« Ce l’hai anche tu, senpai? » disse Yumi spezzando il silenzio.

« Cosa? »

« Un amico rompiscatole ».

Catarina sbatté le palpebre.

« Sì, ce l’ho… »

« Non esserne troppo entusiasta, eh? »

« Lo saresti anche tu se il tuo amico fosse un piantagrane patentato immorale, folle, sempre con la testa tra le nuvole, impulsivo, avvenente, irresponsabile… »

«… che però sei sempre disposta ad aiutare »  concluse Yumi per lei.

« Sì… anche se a volte mi chiedo perché io continui a sopportarlo… » disse Catarina.

« Tu non lo sopporti » la interruppe Yumi sorprendendola.

« E tu che ne sai? Non sai niente di me né di lui, quindi non- »

« Tu non lo sopporti , » la interruppe Yumi « perché tu lo ami ».

A Catarina sembrò di sentire la propria mascella cascare per terra e rompere il pavimento.

« Sei fuori di testa?! » esclamò. « Come puoi… per me è come un fratello, innamorarmi di lui sarebbe- »

« Sopportare è ben diverso che amare, e se tu lo sopportassi come sostieni, non corresti in suo soccorso ogni volta che ne ha bisogno! » ribatté Yumi battendo la mano sul tavolo.

Entrambe si guardarono in cagnesco, poi si calmarono e rilassarono le espressioni.

« Esistono molti modi di amare, senpai » disse Yumi.

Catarina fermò sul nascere la risposta acida che le era salita alla bocca e si morse le labbra invitandola a proseguire.

« Non ho detto che ne sei innamorata » proseguì Yumi. « Tu lo ami, lo capisco dal tono che usi, ma non intendevo in quel senso: hai ragione, di lui non so niente… ma so abbastanza di te, e da come lo dipingi capisco che non vi somigliate affatto ».

« Dì pure che siamo l’antitesi l’una dell’altro … » borbottò Catarina.

« Niente di strano » disse Yumi serena. « Spesso i rapporti più saldi sono proprio quelli che intercorrono tra persone completamente diverse, anche se da fuori sembra assurdo. Ma è proprio questo il bello, no? Anche se siete molto diversi, anche se siete continuamente in disaccordo, tu lo accetti per quello che è, difetti e annessi compresi; anche se vorresti che fosse più responsabile, meno immorale etc. è perché ti preoccupi per lui e vorresti solo vederlo felice ma non cambieresti una virgola di quello che è perché, se così fosse, non sarebbe più LUI, e le cose tra di voi sarebbero alquanto diverse ».

« Quasi lo preferirei, invece » disse Catarina. « Io… gli voglio molto bene, farei qualsiasi cosa per lui… ma alle volte mi sembra di non fare abbastanza… di essere inutile ».

« Sei tutt’altro che inutile, senpai, e se il tuo amico non capisce quanto sia fortunato ad averti, allora permettimi di dire che è un idiota ».

Catarina non la contestò e giocherellò col cucchiaio sentendosi stranamente imbarazzata.

« Vi conoscete da molto? » riprese Yumi.

« Sì, praticamente da sempre… anche se alle volte mi sembra di non conoscerlo affatto: dopo tutti questi anni, ancora non sono in grado di prevedere o anche solo intuire le sue intenzioni… »

« Io penso che sia impossibile conoscere davvero una persona completamente, anche se ci sono molti che sostengono il contrario ».

« Se ogni tanto mi desse retta e dimostrasse di tenere al mio giudizio, sarebbe già qualcosa… »

« Magari fa solo fatica a dimostrarlo ».

« Trovi? »

« Trovo ».

Catarina rimase in silenzio alcuni istanti, incerta se proseguire o meno, ma qualcosa nello sguardo di Yumi la spinse a vincere le sue resistenze e farle una domanda che le premeva costantemente, certa che lei avrebbe potuto darle una vera risposta:

« Perché fa così, secondo te? Perché non vuole ascoltare chi gli vuole bene e vuole solo aiutarlo? »

« Perché forse è proprio questo il problema, senpai » rispose Yumi. « Sai… ci sono persone, come me e te, che si fanno in quattro per aiutare gli altri anche se sono dei perfetti estranei… ma quando si tratta delle persone che amiamo falliamo il più delle volte, non perché non ne siamo capaci ma proprio perché le conosciamo così bene che siamo completamente coinvolte emotivamente, ed è il nostro amore a offuscare il nostro giudizio, portandoci spesso a trattenerci dal fare o dire quello che in realtà vorremo perché non vogliamo aggravare ulteriormente il dolore di chi vogliamo bene, arrivando così a compiere spesso le scelte sbagliate e a ferirle ancora di più… e loro non sempre capiscono… » .

Ormai Yumi era persa nel suo discorso, sembrava quasi essersi dimenticata che Catarina fosse lì.

«  Amare significa anche confidare nel fatto che l’altro ci sarà sempre qualsiasi cosa succeda, che non cambierà niente né col tempo né con le tormente né con gli inverni. Amare però non è tutto rose e fiori, al contrario: significa soprattutto sofferenza, pazienza, coraggio, fiducia, mettersi in gioco, decidere di rischiare, fare un salto nel vuoto.

L’amore va’ oltre la rabbia, la lotta e gli errori e non è presente solo nei momenti allegri (*1) . Ad un certo punto della tua vita però arrivi a chiederti se valga ancora la pena continuare a lottare oppure mollare tutto, ma non è tanto il cervello quanto il cuore a impedirti di arrenderti. Ti senti come dietro una muraglia di vetro e ti domandi cosa provi davvero chi sta dall’altra parte, pensando che forse non si rende conto di quello che lo circonda e ne abusi quando magari invece ne è più che consapevole, forse fin troppo ma non sa come dimostrare il contrario.

Ci sono persone convinte di non meritare l’amore: loro… si allontanano in silenzio dietro spazi vuoti…cercando di chiudere le brecce al passato (*2). Così facendo però il loro disagio e la loro insicurezza aumentano perché li sentono pesare sul proprio cuore e sperano che qualcuno si infili in quello spazio asettico e lo distrugga, anche se al tempo stesso hanno paura che succeda perché non vogliono soffrire ancora…e nel frattempo questa situazione porta a danni e fraintendimenti tanto a loro quanto a coloro che gli stanno intorno solo perché sono troppo orgogliosi per ammettere di aver sbagliato e pensano siano gli altri a dover fare il primo passo, cosa che hanno remora di compiere perché temono le conseguenze e di peggiorare la situazione… ma è proprio in questi casi che si misura l’amore degli altri, proprio quando ormai c’è il deserto intorno a te e tu puoi solo guardarti intorno e piangere lacrime amare che nessuno asciugherà… ».

Catarina la fissò quasi senza respirare. Yumi sembrò risvegliarsi dalla trance in cui era caduta e si rese conto di aver detto troppo. Girò la testa evitando lo sguardo di Catarina: aveva esagerato di nuovo. Si era lanciato in uno sproloquio che era più che altro una polemica rivolta a sé stessa senza nemmeno ponderare che avrebbe potuto ferire lei o peggio ancora il suo amico.

« Spetta a noi… cercare di venirgli incontro e aiutarli a capire… anche solo semplicemente restando al loro fianco » disse infine Catarina.

Yumi alzò appena gli occhi.

« E se loro sono così testoni da non volere nessuno attorno? ».

« Dobbiamo rispettare i loro tempi, senza stargli col fiato sul collo perché mettergli pressione è peggio ».

« Nemmeno se ci mettono troppo? ».

Catarina fece una smorfia.

« Diciamo che se li conosciamo abbastanza, speriamo che non siano stupidi e siamo fiduciosi che prima o poi lo capiranno comunque, anche se ci dovessero mettere un po’… e in certi casi passa fin troppo tempo senza che ci riescano ma ricaschino nel tranello… di nuovo . L’importante è che non dimentichino che non sono soli… e che dovranno passare sul nostro cadavere casomai decidessero di adottare misure estreme ».

« Coinvolgere sempre gli altri nei nostri problemi però non è giusto… »

« Se la cosa è a senso unico sì, se invece è condivisione e cercare una soluzione insieme allora no ».

Stavolta fu Yumi a fare una smorfia.

« Il confine è davvero sottile, prima o poi tutto raggiunge davvero un limite… »

« Ma si capisce quando si raggiunge, no? »

« No…perché ogni volta temi che sia la fatidica goccia… »

« In questo caso la soluzione migliore sarebbe quella di parlare e chiarirsi ».

« A che pro se tanto il giorno dopo sarai daccapo? »

« Appunto per questo, Yumi » sospirò Catarina. « E’ preferibile passare tutto il tempo in silenzio lasciando che le negatività si accumulino invece di fare uno sforzo per rimediare prima che esplodino tutte in una volta e portino a danni irreparabili? Se il legame è forte  e vero, a maggior ragione la sincerità può solo migliorarlo invece di distruggerlo ».

Yumi la guardò e sospirò.

« Tu sei sempre diretta con lui? »

« Sempre ».

« E lui non ti ascolta ».

« Il 90 % delle volte no ».

« Ma è in nome di quel 10 % che tu insisti e tieni duro ».

« Esattamente » disse Catarina sorridendo.

Non si era resa conto della portata di ciò che aveva dentro finché non si era ritrovata a parlarne, e ora che era finita si rese conto che avrebbe voluto farlo da molto tempo ma di non averne mai trovato il coraggio, o forse semplicemente non aveva trovato qualcuno con cui farlo davvero, qualcuno che non sminuisse le sue preoccupazioni con due parole veloci per non stare a ripetere allo sfinimento lo stesso discorso portato avanti anno dopo anno, qualcuno che potesse offrirle un punto di vista nuovo ma niente affatto futile o di circostanza. Non si sentiva più in colpa, non ce n’era bisogno: non c’era assolutamente niente di male a conoscere nuove persone e nuovi punti di vista invece di fossilizzarsi su quelli di sempre, anzi di più, era sano, infatti per la prima volta dopo settimane lei si sentiva decisamente più tranquilla e serena. Sorrise grata a Yumi e lei ricambiò.

« Senti, io devo andare un attimo in bagno, puoi tenere d’occhio le mie cose, per favore? » disse Catarina.

« Vai pure, qui faccio io » .

L’altra allora si alzò, ma prima di andare si volse verso di lei un’altra volta.

« Yumi? »

« Che c’è ancora? ».

Catarina tenne una mano sul divanetto e sorrise.

« Non è solo ascoltando i consigli degli altri che i propri problemi si risolvono, dobbiamo essere noi a volerlo fare davvero. Invece che continuare a fare a cornate e finire col dimenticare il motivo per la quale tu e il tuo amico avete litigato, faresti meglio a pensare se valga davvero la pena continuare o invece scegliere di fare la cosa giusta prima che sia troppo tardi » e se ne andò senza aggiungere altro.

Yumi sbatté le palpebre e scosse la testa. Si mise a giocherellare con la forchetta riflettendo attentamente su quanto lasciatole da Catarina, quando si sentì chiamare:

« Yumi? »

 
*Angolo autrice

Eccomi qua, la dottoressa è tornata ( sì, il lungo calvario è finito, ora sono ufficialmente una dottoressa J ) con un nuovo capitolo. Scrivere mi è mancato tantissimo, riprenderlo in mano dopo settimane è stata un’emozione. Di nuovo creare un capitolo è stato più difficile del previsto, succede specialmente quando lavori su quelli importanti, non di passaggio come il precedente, un po' per i contenuti e un po' per la situazione che volevo creare, è stato molto faticoso. Spero di essere riuscita a trasmettere il messaggio che volevo e che abbiate capito le mie intenzioni. Scegliere di citare il Piccolo Principe è stato inconscio, lo ammetto, e sono stupita io stessa per prima di averlo fatto, non amavo particolarmente quel libro da ragazzina, allora non mi trasmetteva niente; oggi invece mi fa riflettere su molte cose. E lo rivedremo ancora, nel corso della storia ;-)
 

Citazioni:

(1*) citazione da Il Piccolo Principe;
(2*) citazione da Into The Wild;

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Capitolo 16
*** Extra - Chat tra Simon e Clary ***


 Spazio autrice*
 
Non chiedetemi il perché di questa cosa, non è che volessi spezzare la tensione o cose simili, credo semplicemente perché avessi bisogno di farmi due risate, visto che il nuovo capitolo mi sta facendo cascare le braccia, la voglia che ho di scriverlo è al di sotto dello zero :- (.  Ho deciso di postarlo come extra, giusto per dare un minimo di spazio anche a Clary e Simon, che ci vorrà un bel po' prima che vengano introdotti.
 

PS: giusto per la cronaca, Simon e Clary come amici mi vanno benissimo, è da amanti che proprio mi pesano sullo stomaco : (
 




Una settimana prima

 
Ore 12:30:

 
Simon: Hai saputo di quella strega che Isabelle e i suoi fratelli hanno salvato?

Clary: Se ti riferisci alla tipa che mi sembra tanto uscita da un film di studio Ghibli sì, so perfettamente di chi stai parlando…

Simon: qualcuno stamattina non ha preso le pillole del buonumore?

 Clary: Cosa te lo fa pensare?

Simon: Il fatto che mi sembri parecchio scocciata

Clary: scoccerebbe anche a te se la tua ragazza ti parlasse di una tizia appena vista e conosciuta per tutto il tempo passato insieme a te!

Simon: Isabelle non è la mia ragazza ma comunque sì, non ha fatto che parlare di lei per tutta la durata del nostro appuntamento

Clary: e non sei geloso?

Simon: un pochino, ma sono anche molto interessato a conoscere questa tipa, Isabelle dice che è veramente tosta e sembra abilissima a chiudere il becco a Jace, quindi, per quanto mi riguarda, la devo assolutamente conoscere : )

Clary: raccontala a un’altra, Lewis: a te interessa principalmente perché è una mezza gatta e viene dal Giappone

Simon: e anche se fosse?

Clary: ti direi allora di tornare coi piedi per terra, questa è New York, non l’epoca Sengoku!

Simon: sai, da quando sono diventato parte di un Mondo che pensavo fosse solo fantasia, ormai sono refrattario a qualsiasi incredulità e pronto a credere persino a tutto, anche all’Uomo Nero e al mostro di Loch Ness

Clary: già, tutte le storie sono vere…

Simon: un’altra preziosa perla del tuo ragazzo? Incredibile che sappia fare altro oltre allo spaccone

Clary: sempre meglio di un nerd che si eccita per qualcuno che viene dal Giappone…

Simon: Andiamo Clary, non è solo giapponese, è anche un demone gatto, sa mutare forma, sputare fuoco… è come un personaggio appena uscito da un manga!!

Clary: e io ti dico di darti una regolata, Jace dice che è meglio prenderla con le pinze e trattarla col guanto di velluto, non sono solo i suoi artigli a essere affilati…

Simon: porterò un paio di cesoie XD

Clary: meglio una museruola

Simon: ma non è un cane!

Clary: però morde

Simon: Lasciamo stare. Jace è lì con te?

Clary: Se lo fosse pensi che potrei messaggiarti?

Simon: ah giusto, dimenticavo che sei in libertà vigilata XD

Clary: non sono mica in carcere!

Simon: però sembra sempre che non voglia perderti di vista neanche un istante

Clary: sei ancora geloso?

Simon: no, voglio solo essere certo che Jace sia ancora vivo XD

Clary: EHI!!

Simon: XDXDXDXD!

Clary: Pensa alla tua, di vita sentimentale

Simon: è già abbastanza incasinata così…

Clary: NON HAI ANCORA PRESO UNA DECISIONE?!

Simon: abbi pietà…

Clary: loro non ne avranno se non ti decidi una buona volta

Simon: ho il marchio di Caino

Clary: e io ho un martello da usare sulla tua testa vuota!

Simon: Pietà XD

Clary: seriamente, Simon, non puoi andare avanti così

Simon: non so che fare, non ho il coraggio…

Clary: cominciare con uscire con qualcuno incapace di allestire un banchetto con le tue budella sarebbe già un buon inizio

Simon: è il mio karma…

Clary: non sei quello che si dice un ragazzo raccomandato XD evita almeno di non infatuarti anche di Catwoman, per favore

Simon: ma se non l’ho mai nemmeno vista!

Clary: scommetto invece che non hai fatto altro che pensarci da quando Isabelle te ne ha parlato

Simon: che è quello che hai fatto anche tu

Clary:…. Touchè

Simon:  ;-)

Clary: Jace non l’ha ammesso apertamente, però ho il sospetto che lei gli interessi davvero molto, quindi penso che potrebbe piacere anche a te

Simon: sono lusingato che tu pensi a me nei termini di Capitan America -.-…

Clary: perché è così difficile per voi andare d’accordo?...

Simon: vediamo, da dove potrei cominciare?

Clary: era una domanda retorica

Simon: anche la mia risposta lo sarebbe stata XD

Clary: :-P

Simon: al di là delle battute, non mi sorprende che possa piacergli, piace anche a Isabelle

Clary: a Isabelle piace chiunque riesca tenere testa a Jace…

Simon: tu all’inizio non le piacevi

Clary:….

Simon: …come non detto

Clary: comunque è un buon motivo per essere cauti

Simon: non m’incanti, Fray: sei gelosa

Clary: non sono gelosa!

Simon: Oh sì che lo sei, sei gelosa dalla punta dei piedi fino alla radice dei capelli; scommetto che, se fossi qui, vedrei le tue lentiggini urlare “gelosa, gelosa, gelosa”

Clary: NON SONO GELOSA!

Simon: la negazione è una conferma

Clary: la mia spada angelica nel tuo cranio è una conferma!

Simon: …sei gelosa

Clary: ti odio

Simon: ti voglio bene anch’io XD ma se non smetti di essere gelosa di ogni ragazza che Jace guarda, impazzirai XD

Clary: non è questo, è solo… è raro sentirlo dire di essere interessato davvero a qualcuno

Simon: dì pure che è paranormale vederlo interessato a qualcuno che non sia sé stesso

Clary: EHI!!

Simon: e a te, giusto. Ma soprattutto sé stesso XD

Clary: ora vengo lì e ti uccido lentamente!

Simon: ho il marchio di Caino

Clary: e io ho la tua collezione di DVD e gadget di Guerre Stellari inclusa l’action figure della Principessa Leila!

Simon: non è vero, la vedo da qui, è sulla sua mensola al sicuro

Clary: ancora per poco, ora prendo lo stilo

Simon: NON OSERAI!

Clary: Oso eccome!

Simon: NOOOOOO

Clary: Sìììììì

Simon: ok, mi arrendo, ma  metti giù lo stilo

Clary: lo tengo a portata

Simon: ok… comunque, se quello che ha detto Isabelle è vero, dovrai stare attenta, Clary

Clary: perché?

Simon: Sei la figlia di Valentine

Clary: … grazie per avermelo ricordato

Simon: Ora che ci penso, Isabelle ha detto anche che non sembra del partito “Le colpe dei genitori ricadono sui figli “, sennò avrebbe fatto fuori lei e i fratelli seduta stante

Clary: sì, anche Jace l’ha notato

Simon: allora dovresti essere al sicuro :- )  o forse no… non con tua madre. Non so come la prenderà…

Clary: in piena faccia se proverà di nuovo a impedirmi di fare  qualcosa; non sono più una bambina, deve smettere di preoccuparsi di me

Simon: Clary, lei ti vuole bene, vuole solo che tu sia al sicuro…

Clary: mi ha impedito di vivere la mia vita, Simon!

Simon: non proprio, diciamo che voleva evitare che tu cercassi certe cose…

Clary: peccato che loro non avrebbero smesso di cercare ME, e guarda quali sono state le conseguenze, ho perso un fratello senza poterlo nemmeno conoscere davvero!

Simon: non è stata colpa sua quello…

Clary: no, è vero, è stata ANCHE colpa sua, non è meno colpevole di quanto non lo fosse Valentine!

Simon:… non l’hai ancora perdonata?

Clary: no. E non credo nemmeno che ci riuscirò così presto, così come non tornerò a fidarmi di lei, non lo merita

Simon:… parlane con Luke, allora, se proprio non vuoi farlo con tua madre

Clary: per sentirlo dire che sono troppo piccola e non capisco certe cose? Sono stufa di gente che perde tempo a proibirmi di fare tutto quando invece potrebbe impiegarlo per darmi un aiuto concreto!!

Simon: capito… non gliene farai parola e se incontreremo questa strega non presterai ascolto a nessuno?

Clary: voglio cavarmela da sola e da sola capire se considerarla un pericolo o un’alleata, non voglio che me lo impongano altri, conduco io le redini della mia vita, mi assumo io la responsabilità delle mie azioni!

Simon:… nel caso, la mia camera è sempre aperta per te :- )

Clary: davvero galante, Lewis XD

Simon: io però vorrei avere almeno un’idea di com’è fatta, non voglio fare la figura dello stupido trovandomela davanti senza sapere chi è!

Clary: Jace mi ha fatto la sua descrizione, sono riuscita a tracciare un identikit

Simon: fa vedere


Invio foto in corso


Simon: però, carina

Clary: Simon. Lewis!!

Simon: eddai su, era solo un’osservazione!

Clary: e lei è SOLO una strega che nasconde un carattere tremendo sotto quel bel faccino!

Simon: così com’è giustamente richiesto nei precetti della conoscenza di Simon Lewis e Clary Fray

Clary: -.-…

Simon: da adesso in poi viaggerò sempre con un gomitolo di lana

Clary: -.-…

Simon: la smetti con queste faccine?!

Clary: e tu smettila di fare il pollo, Jace dice che questa tipa è ancora più tremenda di Isabelle

Simon: ce l’ha un nome o no?

Clary: credo si chiami Yumi, ma Jace non ha afferrato il suo cognome

Simon: neanche Isabelle, ma non importa : ) almeno sappiamo in chi potremo incappare andando in giro

Clary: certo, è assolutamente facile trovare una singola persona in mezzo alla popolazione newyorkese, siamo così pochi…

Simon: te l’ho detto, ormai credo a tutto : ) ci vediamo oggi pomeriggio?

Clary: sì, ma poco, poi devo andare ad allenarmi

Simon: “allenarti”, sì…

Clary: allenarmi, sì!

Simon: e io ho un chiosco di souvenir di kriptonite sulla dodicesima strada

Clary: e tu non vedrai l’alba di domani!

Simon: e io chiedo asilo a Isabelle

Clary: e io dico a Isabelle di Maia, così ti uccide direttamente lei

Simon:… touché, Fray

Clary: non puoi vincere con me, Lewis, ti seguirei anche fino in capo al mondo per fartela pagare

Simon: sono un po' indietro con la paghetta, potresti farmi credito?

Clary: SIMOOOON!

Simon: ops, scusa, Kyrke mi sta chiamando, ciaaaaaaoooooooooo!

 
Ore 13.50

 
Clary:… non finisce qui

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Capitolo 17
*** Un incontro col passato ***


*Note autrice

Prima di iniziare vorrei ringraziare di cuore chi continua a seguirmi e condivide con me cosa pensa di questa storia  e vorrei chiedere ancora scusa a NavierStokes perché, riguardo quel capitolo famoso di cui avevamo parlato… mi dispiace, ti avevo prospettato solo 3 capitoli dopo il 15, ma ora temo di non poter mantenere la parola e che ci vorrà ancora un bel po' prima di riuscire ad arrivarci XD.


 
« Sei davvero tu? ».

Yumi alzò lo sguardo e vide una giovane donna dai capelli bruni avvicinarsi eccitata al suo tavolo. La strega aggrottò le sopracciglia scavando velocemente nella propria memoria prima di rischiare brutte figure con quella sconosciuta che sembrava sapere benissimo chi fosse lei. Non era insolito a dire il vero, aveva avuto a che fare con molta gente nel corso della sua vita sia direttamente che indirettamente, c’era sempre qualcuno che si accorgeva di lei ma che magari non notava o che faceva parte di una massa indistinta che si trovava ad aiutare senza prestare attenzione ai singoli volti. Dal modo in cui quella donna le si stava rivolgendo era ipotizzabile che non fosse stata una semplice comparsa che aveva assistito dalla tribuna, però non riusciva a inquadrarla con chiarezza. Percorse il suo corpo con lo sguardo: avrà avuto almeno ventitré anni, i suoi occhi erano color castagna e odorava di narcisi. Fu quell’odore ad accendere qualcosa nella sua mente e in breve ricordò: quegli stessi capelli a caschetto pieni di foglie e rametti che incorniciavano un visino più minuto, una bambina con un vestitino rosa che si rotolava in mezzo all’erba appena tagliata …

« Ne è passato di tempo, Lilli » .

La ragazza si fermò e smise di sorridere.

« Non chiamarmi in quel modo! » 

« Perché no? Pensavo ti piacesse ».

« Per voi mummie sarà anche un concetto inesistente, ma noi comuni mortali purtroppo cresciamo e invecchiamo e non manteniamo la stessa età mentale di quando avevamo tre anni! » esclamò indispettita.

« Puoi crescere quanto ti pare, ma le nostre differenze di età resteranno abissali. Comunque, se proprio insisti… ciao anche a te, Layla » sospirò pesantemente Yumi.

La sorella minore di Ray era cambiata tantissimo rispetto a quando l’aveva conosciuta: allora era solo una bambina, in lacrime perche avrebbe voluto che Yumi e Ryuu scappassero insieme a lei e alla sua famiglia. La strega non aveva più avuto loro notizie, anche se aveva sperato con tutto il cuore che fossero riusciti a mettersi in salvo. Ritrovare Ray così cresciuto era stata una sorpresa, ma mai quanto Layla la stesse sorprendendo in quel momento: si ricordava una vivace bambina coi piedini scalzi sporchi e il vestitino stropicciato e macchiato e ora aveva davanti una giovane donna in tailleur e tacchi a spillo, truccata e coi capelli raccolti in un elegante chignon, anche se era evidente che era passato molto tempo da quando se li era sistemati visto che il mascara si era un po' sciolto e qualche ciocca ribelle era sfuggita dalla presa dell’elastico, ma nel complesso risultava comunque elegante e composta, lungi anni luce rispetto alla bambina scarmigliata che era stata e che lei aveva soprannominato “Lilli “ per la somiglianza con quella cagnolina che la sua pelle dorata e suoi capelli bruni l’avevano indotta a pensare.

« E’ passato tanto tempo » disse Layla tendendole la mano. « Come stai? Ti trovo in forma ».

Yumi avrebbe voluto ridere di fronte a quell’affermazione perché non era esattamente la definizione più appropriata per il suo attuale stato d’animo.

« Anche tu, direi. Come va? »

« Bene, grazie, è un periodo un po' pesante ma in confronto ai problemi che affliggono il Mondo Invisibile direi che il mio lavoro è una passeggiata sul lungomare. Anche se alle volte faccio fatica a delimitare il confine tra un mondo e l’altro ».

« Il brutto di avere una doppia vita: non puoi vivere  una senza che l’altra la influenzi ».

« E tu lo sai meglio di chiunque altro, vero? »

« Penso di essere il Presidente onorario » disse Yumi mentre Layla sorrideva.

La guardò e sospirò: Layla era una mortale, sarebbe morta di vecchiaia se era fortunata e non fosse rimasta uccisa prima, cosa che, guardando al mondo di cui faceva parte, era molto più probabile. Yumi ovviamente le augurava di arrivare alla senilità, magari circondata da tanti nipotini, ma già solo vederla così, donna adulta elegante e composta, quando l’ultima volta che l’aveva vista le arrivava a malapena al ginocchio… la faceva sentire decrepita. Il tempo per gli immortali era qualcosa di indefinito che procedeva lento e inesorabile, ma era quando si ritrovavano ad avere a che fare coi mortali che ne avvertivano davvero il peso. Layla aveva una vita breve, sarebbe deperita e un giorno sarebbe diventata cenere sotto terra; Yumi non lo sarebbe mai diventata. Sarebbe rimasta immutata giorno dopo giorno per sempre, mentre invece intorno a lei tutto sarebbe mutato, niente sarebbe rimasto fermo e stagnante.

Panta rhei, come disse il filosofo Eraclito, tutto scorre. I mortali come Layla erano un fiume in continuo movimento mentre gli immortali come Yumi erano le rocce che rimanevano ferme mentre la corrente continuava a fluire intorno a loro pur erodendone la superficie un millimetro alla volta. Se non fosse giunto un fulmine a spaccarle, sarebbero rimaste lì a erodersi lentamente. Anche per questo Yumi era contraria all’idea di piantare radici, temeva che, se l’avesse fatto, non sarebbe più riuscita a liberarsi. Spostarsi continuamente non fermandosi troppo a lungo nello stesso luogo, poi ,era la maniera migliore che conoscesse per non correre il rischio di mummificarsi. Sentiva però che non era da quello che stava scappando davvero… anche se non aveva ancora capito da cosa o da chi stesse fuggendo.

« Dov’è Ryuu? » disse Layla guardandosi intorno.

Yumi ignorò l’ennesima fitta al cuore.

« Ha preferito cercare un po' di pace e silenzio quindi si è tolto di torno ».

Layla la guardò interrogativa ma alzò le spalle, anche se si vedeva la delusione sul suo volto. Yumi ricordava bene la cotta infantile che aveva avuto per Ryuu e quando aveva dichiarato che da grande lo avrebbe sposato e sarebbero scappati nei boschi dove avrebbero vissuto allo stato brado . Si chiese se la scuffia verso di lui le fosse passata, anche se, a giudicare dalla sua espressione, era propensa per il “no”. Cambiò argomento prima che Layla potesse accorgersi di qualcosa:

« Tuo fratello mi aveva detto che eravate entrambi a New York, ma non ti avevo ancora vista in giro ».

« Anche io avevo sentito che eri da queste parti… anche se non da Raymond… ».

Il suo tono divenne piuttosto amaro , come se non stesse parlando del proprio fratello ma di un perfetto sconosciuto. E questo, oltre all’averla sentita pronunciare il nome completo del giovane, cosa che da bambina non aveva mai fatto,  faceva presagire a Yumi che i rapporti tra Ray e la sua famiglia fossero più tesi di quanto temesse.

« Perché lo dici con quel tono? » non riuscì a trattenersi dal chiedere, e la faccia furiosa di Layla le confermò di aver toccato un nervo scoperto:

« Quel…buono a nulla... con tutto quello che abbiamo passato ha deciso di fare dello servire bevande e stare in mezzo a ubriaconi e pervertiti la sua ragione di esistere! ».

« Tu invece hai capito subito di essere “predestinata” ad altro? » disse sarcastica.

Se Layla lesse tra le righe o meno l’intenzione che aveva Yumi di provocarla  non lo disse ma rispose comunque con veemenza e malcelato orgoglio:

«  Io non ho buttato la mia vita in questo modo, io ho sempre saputo che avrei voluto fare qualcosa di veramente utile per migliorare le cose e così è stato, non mi sono buttata via come quel fannullone ».

A Yumi parve di vedere una parvenza del lupo che era in lei, ma durò poco e pensò di esserselo immaginato. Avrebbe voluto dire che Ray non stava dietro quel bancone per divertirsi a seminare sbornia ma per tenere gli occhi e le orecchie bene aperte per captare qualunque cosa accadesse di nuovo nel Mondo Invisibile, e quale postazione migliore di un luogo dove passava ogni sera la più disparata fauna locale ? Decise però che era meglio non peggiorare la situazione con quello che era decisamente un argomento tabù e non aumentare inutilmente la rabbia di Layla anche se aveva Ray nel cuore e non la sorprendeva minimamente che non andasse d’accordo con la sorella, lei che a quanto pare pensava che solo essere ai vertici e dimostrare di essere qualcuno era l’unico modo per fare qualcosa di utile. Era tentata di spiegarle che sembrare qualcuno ed esserlo erano due casi completamente diversi, ma non voleva fomentare il narcisismo di Layla ( ora si spiegava come mai profumasse in quel modo) , anche perché sentiva di avere voglia meno di zero di indossare di nuovo i panni dello psicologo.

«  Di cosa ti occupi esattamente? » chiese più per educazione che altro, ringhiando tra le labbra perché voleva terminare q uella conversazione, non protrarla per stare a sentire le chiacchiere a vuoto di una ragazzina.Dall’abbigliamento comunque era facile intuire che svolgesse una professione da donna in carriera come manager, direttrice o…

« Sono un avvocato ».

Appunto.

« In che campo? »

« Diritti civili » .

Yumi non ne fu per niente sorpresa.

« Ti faccio le mie congratulazioni  ».

« Grazie. A te invece come va? Cosa fa nel suo tempo libero la Nascosta più indisponente della storia del Mondo Invisibile? »

« Parlerò solo in presenza del mio avvocato…  »

« Infatti io sono qui, no? »

« Ma non ti ho assunta, quindi no ».

« Fai anche tu la preziosa e tieni i tuoi segreti per te coinvolgendo gli altri solo quando ti fa comodo? »

« Layla, non mi conosci , non parlare come se sapessi tutto di me ».

La mannara abbassò lo sguardo.

« Sembra proprio che io sia condannata a stare al servizio gli altri senza nemmeno poter dire la mia … e senza poter far nulla per convincerli a darmi retta » mormorò scocciata.

« Hai scelto tu di essere un avvocato, non hai detto che è così che hai deciso di vivere? »

« Non mi riferivo al mio lavoro » ribatté l’altra con voce dura.

Stavolta Yumi vide emergere chiaramente il del lupo che era in lei e lo vide anche ringhiare alla minaccia. Anche il demone in Yumi ringhiò e premette contro la pelle della ragazza , ma per l’ennesima volta Yumi lo ricacciò giù a malincuore: era stufa di pressarlo così, dopo ogni volta si sentiva sempre più stretta, se non gli dava sfogo al più presto entro la fine della serata sarebbe soffocata. Non poteva permetterlo però, non c’era nessuna ragione valida per farlo, nessun vero pericolo che necessitasse la sua presenza e nessuna voglia di generare ulteriori disastri, per quella giornata ne aveva già causati abbastanza anche se di alcuni ancora ignorava la portata. Layla dovette avvertire la resa della Tigre perché l’anima del lupo smise di brillare nei suoi occhi. Rimase qualche istante in silenzio, poi riprese a parlare:

« Mi riferivo… alla mia vita personale…alla mia famiglia ». Yumi si rilassò completamente ma non così Layla, che continuò a parlare senza incrociare il suo sguardo:

« I nostri genitori se ne sono andati qualche tempo fa… e da allora i rapporti tra me e Raymond si sono fatti sempre più radi fino a che siamo arrivati a non rivolgerci più la parola. Ormai penso che lo farebbe solo se avesse bisogno di qualcosa… come se bastasse ricordarmi che è mio fratello per fermare la mia vita e correre a risolvere la sua… ».

Yumi non seppe trattenersi dal chiedere:

« Quando dici che se ne sono andati intendi … »

« Non sono morti » tagliò corto Layla, ma Yumi non ebbe il tempo di tirare un sospiro di sollievo che la giovane continuò dicendo:
« Anche se è come se lo fossero ».

« Non si saranno mica schierati dalla…? »

« Sarebbe stato meglio » esclamò rabbiosa Layla.

Yumi arretrò inorridita ma non perché vide di nuovo il lupo fare capolino.

« Sono scappati con la coda tra le gambe appena gli attacchi sono ricominciati ».

Sì, questo era decisamente peggio, davvero i loro genitori li avevano lasciati a New York senza pensarci?

« E’ stata una cosa immediata o una decisione presa in seguito? »  chiese ancora maledicendo subito dopo la propria linguaccia, ma perché non riusciva a stare zitta?

« Hanno fatto armi e bagagli appena Gabriel è stato ucciso… appena Greymark ha preso il suo posto » rispose monocorde Layla.

Yumi soffiò tra i denti quando sentì il nome dell’ex-Shadowhunter, ma anche se dal suo tono di voce la donna non sembrava toccata minimamente dalla cosa, i suoi occhi raccontavano tutt’altra storia.  Quello sarebbe stato un buon momento per impedirle di continuare a parlare e interrompere la conversazione, ma dal modo in cui Layla si mordeva le labbra e occhieggiava il tavolo di Yumi sembrava non avere affatto intenzione  di andarsene ma invece di continuare a parlare ancora. Yumi capì di non avere scelta, ma se proprio dovevano imboccare  quella strada irta e tortuosa allora era meglio mettersi comodi.

« Vuoi sederti? » disse accennando al proprio tavolo.

Layla non fece nessuno sforzo per nascondere il suo evidente sollievo e si accomodò dando un’occhiata alla zuppa ormai fredda di Catarina e alla sua borsa ma senza fare domande.

« Ti posso offrire qualcosa? » disse Yumi sedendole accanto.

« Sono a posto, grazie ».

Yumi non insistette e giunse le mani poggiandoci sopra il mento, guardando però anche lei le cose di Catarina  e domandandosi dove accidenti fosse finita, era andata a incipriarsi il naso e aveva finito per estendere il trucco a tutto il corpo per risparmiare sul glamour?!

« Allora… che impatto ha avuto Greymark sul branco? ».

  A dir la verità era una domanda piuttosto stupida da fare, come se avesse pensato che fosse stato accolto a braccia aperte con coriandoli e spumante, però non aveva saputo come altro iniziare il discorso.

« Dal primo momento che quel bastardo si è presentato alla nostra porta, ancora sporco del sangue di Gabriel, abbiamo capito tutti subito che erano in arrivo guai… o meglio, che stavano tornando » cominciò Layla.

Yumi annuì senza dire niente: l’ascesa di Lucian a capobranco di New York era stato uno dei primi segnali dell’ondata catastrofica che avrebbe avvolto il Mondo Invisibile di lì a poco, confermando quello che aveva temuto per anni, ovvero che quella della morte di Valentine fosse stata solo uno stratagemma e che in realtà lui era rimasto nelle retrovie a progettare le prossime mosse del suo folle piano di sterminare i Nascosti organizzando meticolosamente la scacchiera e le pedine. Il secondo segnale, a dire il vero, visto che il primo era stata la scomparsa di Jocelyn e della Coppa Mortale, pur essendo avvenuti a distanza di anni l’uno dall’altro, ma non cambiava che l’avesse messa in guardia e portata ad avvertire tutti quelli che conosceva, anche se non per tutti era stato sufficiente sapere del pericolo imminente per scamparlo...

« All’inizio pensammo che avesse sempre saputo del ritorno di Valentine e per questo avesse intenzione di offrirgli una milizia su un piatto d’argento pronta per essere adoperata. Non si può dire che siamo andati a parare poi così lontano, visto che poi abbiamo capito che l’aveva fatto solo per garantire la protezione di quella schifosa manipolatrice della Fairchild e di quella mocciosa petulante di sua figlia, come fossimo pedine di Risiko posizionate sul tabellone per difendere i nostri possedimenti! ».

Yumi non era stupita dalla scelta di Lucian né di quello che era successo con Jocelyn… e nemmeno in quanti avevano perso la vita per questo. Strinse i denti così forte che le fece male la mascella: Jocelyn e Lucian erano stati i principali promotori della Rivolta che aveva messo fine in via ufficiosa al Circolo, anche se niente era stato risolto davvero e gli eventi di quel giorno avevano solo posticipato lo scatenarsi di quel tornado che aveva visto la fine solo poche settimane prima. Quello che quei due avevano fatto non era stato sufficiente per far sì che tutti i Nascosti finissero per ritenerli degni di fiducia smettendo di dubitare di loro e perdonandoli, non con ciò che era finito nella sua scia e con le macerie che erano state lasciate lungo il passaggio.

« Io e la mia famiglia siamo arrivati in questa città qualche anno fa, quando io e Raymond eravamo ancora dei ragazzini » continuò a raccontare Layla . « Siamo stati ben accolti da Gabriel, nel corso degli anni per noi è diventato come un padre putativo… » .

Strinse la mani tra loro e il suo volto si oscurò. Yumi sapeva cosa stesse provando, ma non cercò in alcun modo di consolarla o incoraggiarla.

« Io e Raymond non volevamo diventare economicamente dipendenti dal branco ma dare un vero senso alla nostra vita invece di passarla languendo in una vecchia stazione di polizia a respirare il puzzo del tofu a vapore a mollo in brodaglie di verdure mollicce uscendone di tanto in tanto solo quando arrivavano intrusi nel nostro territorio » .

« E ai vostri genitori questo non è piaciuto » disse Yumi.

« Puoi dirlo forte. Noi non siamo normali, ci dicevano, non ci è concessa alcuna possibilità di una vita comune, non aveva senso fingere di viverne una, per non parlare poi dei continui rischi a cui saremmo incorsi se fossimo stati scoperti o peggio ai guai che avremmo potuto causare finendo per vedercela di nuovo con gli Shadowhunters  ».

« Una delle principali leggi non scritte del Mondo Invisibile ».

« Esatto, solo che noi non li abbiamo ascoltati: sapevamo benissimo quello a cui saremmo andati incontro… ma era sempre meglio correre qualche rischio provandoci che stare a vegetare nella propria paura. Abbiamo spronato anche loro a fare altrettanto, ma sono stati irremovibili. Alla fine li abbiamo lasciati perdere ».

Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi.

« Capisco bene il vostro desiderio, Layla, ma capisco anche i vostri genitori: non tutti sono in grado di gestire una doppia vita, ci vuole molto ma molto impegno ».

« Lo so benissimo, cosa credi? » sbuffò la lupa offesa.

Yumi alzò gli occhi al cielo e minacciò mentalmente Catarina di uscire da quel bagno seduta stante o sarebbe venuta a prenderla lei di peso distruggendo tutte le pareti divisorie pur di trovarla .

« Abbiamo seguito ognuno la propria strada, siamo diventati quello che volevamo… malgrado il dissenso dei nostri genitori eravamo felici… finché Greymark non è tornato nelle nostre vite » disse Layla scoprendo i denti ed emise un leggero ringhio.

Yumi tornò coi piedi per terra e tese le orecchie.

« Avevamo sentito che era diventato un licantropo, ma non è bastato a farci dimenticare quello che aveva fatto ai Nascosti… quello che avrebbe potuto fare a noi! ».

« Layla, lascia stare, non volevo forzarti… »

« Se non parlo qualcuno di ciò che mi infastidisce finirò per accettarlo, e io non voglio farlo » ribattè lei irremovibile.

Non doveva avere modo di parlare con molte persone, o quantomeno, persone disposte ad ascoltarla, il che spiegava anche come mai non avesse rinfacciato a Yumi di non volerle dire niente mentre invece lei le stava raccontando così tanto quasi senza fermarsi. La strega si chiese se a conversazione finita si aspettasse di sentirsi chiedere la parcella e di vedersi segnato un nuovo appuntamento per la settimana successiva.

« Non eravamo i soli ad essere arrabbiati, in molti si sono ribellati… ma lui ci ha parlato con calma e ci ha lasciati liberi di scegliere cosa fare. Neanche lui si perdonava per quello che aveva fatto come Shadowhunter e di certo non pretendeva che lo facessimo noi… ma voleva riscattarsi. E con Valentine di nuovo in circolazione, avrebbe fatto tutto il possibile per proteggere i Nascosti ».

« E Terrence e Miranda non hanno ceduto ».

« No: hanno detto che non avrebbero mai sottostato sotto il comando di uno Shadowhunter, che avere a che fare con la loro razza portava solo guai e che a lui interessava solo avere un corpo armato che gli fungesse da garanzia e proteggesse la mocciosa di Valentine, una ragazzina incapace che lasciarla libera era come servire la Coppa a Valentine in un pacco regalo; non gli importava niente del branco o di quanti sarebbero potuti morire per questo… ».

Layla fece una pausa prima di continuare:

« Hanno cercato di sollevare una ribellione, di spronare quelli che la pensavano come loro e fare fronte compatto… ma non è servito a niente. Speravamo che almeno Alaric avrebbe fatto qualcosa… ma nemmeno lui ne ha voluto sapere: la legge del branco è la legge, Greymark si era guadagnato il posto di capobranco sconfiggendo lealmente il nostro Alpha, non c’era niente da ridire. Alaric…proprio lui è stato uno dei primi ad accettare Greymark e proprio lui è stato uno dei primi a morire… o il secondo dovrei dire, visto che il primo è stato Gabriel… ».

Ringhiò attraverso i denti.

« Comunque… alla fine i nostri genitori sono andati a stabilirsi al Praetor Lupus ».

Yumi storse il naso: l’organizzazione segreta fondata secoli prima dai lupi mannari, orfanotrofio barra campo di addestramento barra centro di accoglienza e correzione per giovani lupacchiotti appena trasformati o Nascosti freschi di nomina ad abitanti del Mondo Invisibile aveva passato anni a cercare di convincerla a diventare una loro collaboratrice, non mollando l'osso nemmeno dopo i sonori cartellini rossi che la strega gli aveva rifilato. Pur non essendone diventata un seguace, però, Yumi non aveva mancato, spesso e volentieri, di aiutarli con la loro missione portandogli cucciolotti imberbi e piccoli Nascosti bisognosi di aiuto… salvo quell’unica eccezione che in seguito avrebbe decretato come la migliore decisione presa durante la sua vita nonché la migliore cosa che potesse capitarle.

« Non così tu e Ray ».

« Hanno cercato di convincerci, anche con la forza, ma né io né lui volevamo più vivere come codardi e nasconderci; se davvero Valentine era di nuovo a piede libero , allora l’avremmo affrontato, non saremmo rimasti a guardare piangendo impauriti » .

« E non l’hanno presa bene ».

« E’ un eufemismo » sospirò Layla. « Hanno detto che eravamo una delusione, che un mannaro che faceva da cagnolino ad uno Shadowhunter non era nemmeno degno di essere considerato un licantropo… che sarebbe stato meglio se fossimo morti, e da quel momento ci hanno considerati tali ».

Yumi avrebbe voluto stringere la mano di Layla, ma sentiva che non lo avrebbe apprezzato.

« Neanche voi però avete accettato Greymark, no?... ».

Ci un attimo di silenzio prima che Layla ammettesse:

«… Raymond sì ».

Di colpo Yumi non si scoprì così ansiosa di voler conoscere i seguito della storia.

« Non ha dimenticato quello che abbiamo passato, ma ha preferito far parte di un branco piuttosto che ritrovarsi da solo. Ma io…io non potevo sopportarlo. L’ho affrontato, gli ho detto che era un vigliacco, che quello era l’uomo che aveva quasi ucciso la nostra famiglia, che aveva ucciso decine di Nascosti e Gabriel e che l’unica cosa che voleva era manovrarci per i suoi scopi, ma lui è stato irremovibile. Allora ho affrontato direttamente Greymark, ma lui non ha accolto la mia sfida. Mi ha detto che non ero obbligata a restare e così me ne sono andata, non prima però di avergli sputato in faccia e accusato anche gli altri di essere dei vigliacchi ».

« Hanno anche agito alle sue spalle, infatti… »

« Già, e di questo era pure consapevole. Ma a me non importa: se la battaglia fosse arrivata, mi avrebbe trovata pronta, non sarei tornata a elemosinare la clemenza di un traditore ».

« E…. hai poi saputo niente sui tuoi genitori? »

« No. Il Praetor è uno dei luoghi più sicuri al mondo per i Nascosti… ma anche la città di Vetro doveva esserlo, e guarda cos’è successo . Per cui no, non so se sono vivi o morti…ma per quanto mi riguarda, me ne importa ben poco, loro hanno fatto le loro scelte, non sarò certo io a supplicarli di tornare, non ho bisogno di loro per vivere la mia vita ».

Yumi non disse niente: Layla e la sua famiglia erano stati tra i primi che lei aveva salvato dal Circolo, altri non erano stati così fortunati… ma da cose come queste non si riesce a salvare davvero qualcuno, e in un certo senso erano più fortunati quelli che non ce l’avevano fatta… perché vivere insieme ai ricordi terribili di quegli anni era anche peggio della morte. Lei ci conviveva da secoli, stringeva i denti e andava avanti proprio per impedire che ricordi simili non si creassero nuovamente…però si stupiva di constatare che altri non riuscivano a fare altrettanto.

Lei era in vita da molto più tempo di qualunque mortale sulla faccia della terra, era uscita da numerose battaglie, più volte aveva rischiato di morire e più volte si erano generati ricordi così dolorosi da renderle insopportabile il pensiero di vivere ancora, sopportando però stoicamente e andando avanti lo stesso… ma il suo era vero coraggio o banale forza dell’abitudine? Non pretendeva certo che tutti si comportassero come lei, non era egocentrica, però… a maggior ragione coloro che avevano una vita breve avrebbero dovuto farsi coraggio e rimboccarsi le maniche molto più di quelli come lei che invece sarebbero vissuti per sempre, no? Forse di questo avrebbe potuto parlarne con Catarina… sempre se fosse tornata dal bagno, ormai era via da un pezzo. Va bene che era così piccola che sarebbe anche potuta cadere nella tazza e venire risucchiata dallo scarico, ma non era una stupida, no?

« Mi dispiace, Layla » mormorò , e lo pensava davvero, non voleva solo dimostrare di essere vicina al dolore di quella ragazza.

Forse però era più corretto dire che non sapeva più cosa dire, a voler essere sinceri si stava quasi annoiando a sentire quei discorsi. Si sorprese dei propri pensieri: non che in genere amasse fare il confessionale, ma di solito era bendisposta ad ascoltare gli altri, anche quando questi le parlavano solo perché non avevano nessun’altro con cui farlo. Adesso invece avrebbe solo voluto che quella mannara sparisse, e non capiva perché. O forse invece lo sapeva eccome… visto che la risposta era sparita in bagno da un’eternità.
Era patetica: aveva passato solo pochi minuti a parlare con lei e ora sentiva la sua mancanza come una bambina delle che piange perché a scuola la sua migliore amica non è nel banco accanto al suo. Non erano stati minuti spesi a vuoto, tutt’altro, però… in un certo senso si sentiva come se si fosse risvegliata da un sogno, un sogno in cui si era lasciata andare più di quanto avrebbe mai fatto anche se non del tutto e in cui si era sentita bene come non accadeva da settimane mentre adesso che era “sveglia” ciò che aveva liberato era tornato prepotentemente indietro con la forza di un elastico come se dall’altro capo qualcuno avesse di colpo smesso di tirare.

Con Catarina aveva sentito di poter essere sé stessa, ma adesso si sentiva… come se le fosse stato detto di tornare sul palcoscenico e indossare il suo costume di scena. Non è che s’imponesse consciamente o si dicesse di stare attenta e di attenersi alla propria parte, solo… le veniva spontaneo. Non era frutto del caso, era solo il risultato di anni e anni passati a difendersi da qualunque pericolo, fosse esso fisico o intangibile, fino a formare una corazza invisibile a cui ormai quasi non faceva più caso.
Raramente però si lasciava andare persino con le persone che amava… con Catarina invece non c’era voluto niente, l’altra non si era neanche dovuta sforzare per riuscire a penetrarla. E la cosa peggiore era che, malgrado fosse ancora spaventata da questa sua capacità, sentiva che ne avrebbe voluto ancora, avrebbe volto continuare a parlare con lei senza preoccuparsi di rispettare la propria parte, punzecchiarsi a vicenda, confrontarsi, scambiarsi pareri, avere quel silenzio così carico di parole, vederla sorridere alle sue battute…

Si ritrovò a maledire quella specie di Puffo a grandezza naturale, era colpa sua se si sentiva così scombussolata, stava molto meglio prima che arrivasse lei. No, non è vero disse la solita vocina interiore che era rimasta miracolosamente zitta per tutto il giorno. Và a fare il consulente psichiatrico a qualcun altro! La minacciò Yumi sentendosi un po' stupida ( a ragion veduta, solo un pazzo si sarebbe messo a imprecare contro il proprio cervello). Sapeva però che aveva ragione lei: con Ryuu e con i suoi amici ostentava indifferenza, ma Catarina… riusciva a farla mettere in discussione semplicemente guardandola. Ed era alquanto snervante, così come lo era non riuscire a spiegarsi come mai quella tappa ci fosse riuscita così facilmente quando con Ryuu ancora faceva la testarda. Ora che Catarina non c’era, Yumi si sentiva quasi… destabilizzata, anche se per ragioni opposte e di certo meno pesanti di quelle che avevano aggravato il suo cuore quella mattina. Era quasi infastidita da Layla, il suo parlare sembrava avere lo stesso rumore delle mosche che ronzavano. Non voleva riaffrontare quell’argomento … o quantomeno, non con lei.

Con lei non avrebbe assunto altro che il sapore di un mantra imparato a memoria fino a non sentirlo più, ma se al suo posto ci fosse stata Catarina era certa che non solo avrebbe assunto un sapore migliore ma anzi avrebbero potuto discuterne per davvero come se fosse stato fresco e vivido come appena formulato traendone considerazioni degne di questo nome invece di dirscorsi a vuoto. Se il suo maestro avesse potuto vederla in quel momento sarebbe scoppiato a ridere e l’avrebbe presa in giro oltre anche a magari fare amicizia con Catarina e darle manforte per prendersi gioco di Yumi ma per la prima volta lei sentiva che glielo avrebbe lasciato fare tranquillamente, se avesse avuto la possibilità di vederlo accadere. La domanda però continuava a rimanere senza risposta: dove diamine era finita quella nanerottola?

« Ma sei matta? » disse Layla, all’oscuro di ciò che stava pensando Yumi e che fosse con la mente ovunque meno che a quel tavolo con lei.  « Sei proprio l’ultima a dovere chiedere scusa: se non fosse stato per te, saremo morti da tempo  » .

 Hai detto tu stessa che è come se i tuoi genitori lo fossero davvero… pensò Yumi con rammarico.

« E’ quello Shadowhunter che dovrebbe scusarsi… dall’oggi al domani si è accollato il ruolo di nostro leader come se niente fosse, come se non avesse alcun debito nei confronti della nostra gente…e quel che è peggio è che nessuno ha alzato davvero un dito per opporsi al suo dominio ».

« Avranno pensato che non aveva senso generare altri casini e che era meglio adattarsi come meglio potevano per sfruttare la prima occasione propizia, non mi risulta che siano stati obbedienti fino in fondo, no?  » disse Yumi. « E Lucian comunque non è uno stupido, penso sapesse benissimo che lo avreste preferito incatenato al muro da pesanti catene d’argento, ma si è adattato né meno né più di voi e vi ha lasciati liberi di decidere ».

« Cos’è, ora che è diventato un Nascosto prendi le sue parti? »

« Io non prendo proprio le parti di nessuno , sto solo esponendo un dato di fatto ».

«  I fatti dicono che è ancora fedele ai Cacciatori, è per quella Cacciatrice che ha fatto quel che ha fatto, è colpa di quella maledetta se Gabriel e Alaric sono morti, è colpa sua se abbiamo rischiato di entrare in guerra non solo con gli Shadowhunters ma anche con il clan dei vampiri, chi credi sia andato a salvare la mocciosa Fairchild dalle sanguisughe? Se sua madre non avesse nascosto la Coppa Mortale a quest’ora ci sarebbero stati risparmiati un sacco di problemi, molte persone sarebbero ancora vive!  »

« Non puoi saperlo, Layla, nessuno può sapere come sarebbero andate le cose se avessero preso una certa direzione invece di un’altra ».

« Devi per forza contestare tutto quello che dico? Ma sei d’accordo con me in qualcosa oppure stai solo facendo finta di ascoltarmi? »

« Ti sto ascoltando e ti sento benissimo, ma vorrei solo farti capire che non puoi sapere cosa sarebbe potuto accadere se le cose fossero andate diversamente, forse Gabriel sarebbe stato comunque ucciso anche se non da Lucian, questo non ci è dato saperlo, nessuno è in grado di prevedere il futuro. I cambiamenti sono sempre imprevedibili, ma tutto quello che si può fare è adattarsi ad essi e imparare a conviverci ».

« Per te è facile parlare, voi dovete solo salutare chi se ne va ma resterete qui per l’eternità ».

« Lucian ci è riuscito a benissimo e mi risulta che sia uno di voi, anche se non lo è per nascita come te, eppure non mi sembra che lui abbia passato il suo tempo a lamentarsi che la vita è stata ingiusta nei suoi confronti » ribattè severa Yumi.

Layla arrossì violentemente, segno che evidentemente non ci aveva mai pensato o lo aveva deliberatamente ignorato di proposito cosa che però ora non poteva più fare.

 « Non sei l’unica persona al mondo ad aver perso qualcuno, credi forse che Lucian non abbia sofferto, che sia felice di quello che gli è successo? Dubito fortemente. Però non è rimasto ad autocomisserarsi, si è rimboccato le maniche e si è dato da fare accettandolo e imparando a conviverci, e sai perché? Perché aveva una ragione per continuare a vivere. Ed è questa la differenza fondamentale tra te e lui: tu te ne stai lì a lamentarti nascondendoti dietro un lavoro che ti fa sentire importante e ti fa credere di essere qualcuno, ma a sentire come parli ho il presentimento che lo faccia più per te stessa che per gli altri e che la tua vita in realtà sia più vuota di quanto tu non voglia far credere. Una volta avevi dei genitori, hai ancora un fratello, ma invece di cercare di riappacificarti con Ray trovi più comodo passare per la povera vittima che nessuno capisce considerandolo solo un peso di cui saresti felice di liberarti purchè non intralci la tua vita piuttosto che fare uno sforzo e provare a riscostruire un vero rapporto familiare con lui. Lucian forse non si sarà comportato come uno stinco di santo, ma lui almeno lotta ogni giorno per proteggere chi ama; tu a parte perdere tempo, cos’altro hai fatto?  ».

Layla abbassò lo sguardo sul tavolo e iniziò a tremare. Yumi capì di averla ferita nel profondo ma non penso neanche per un secondo di scusarsi, non se lo meritava. Si guardò con rabbia le mani chiuse a pugno sul tavolo: alla fine non ce l’aveva fatta a tenersi tutto dentro ed era scoppiata, come al solito. Non era ancora intenzionata a perdonare Lucian per i suoi trascorsi, ma non poteva stare zitta e permettere che Layla dicesse quelle cose quando lui aveva fatto davvero tanto per quella che considerava la sua famiglia mentre lei della propria si sarebbe liberata volentieri,  prima di sparlare del prossimo avrebbe fatto meglio a guardare un po' sé stessa.

« Da dopo la guerra a Idris… Lucian e Jocelyn si sono messi insieme…e  presto convoleranno a nozze… almeno così ho sentito » mormorò Layla per spezzare il silenzio, la voce che le uscì tremula come se stesse per piangere.

Yumi si strinse nelle spalle storcendo il naso senza guardarla , anche se si sentiva più preoccupata da quella notizia che per il timore che Layla potesse scoppiare in lacrime: già un matrimonio tra una Shadowhunter e un Nascosto era assurdo, poco importava che la Shadwohunter in questione si fosse autoesiliata da quel mondo professandosi assolutamente NON intenzionata a ritornarci, anche se non era possibile a realizzarsi , non quando si apparteneva al Mondo Invisibile: se non sei tu a reclamarlo, è lui che verrà a reclamare te, non importa quante energie impiegherai per nasconderti, non importa per quanto tempo riuscirai a farlo.

Oltretutto poi il Nascosto in questione era un capobranco, non un mannaro qualunque; con un matrimonio con una Shadowhunter e un branco da proteggere che finora era servito a proteggere lei e che ancora sarebbe servito a questo in futuro… se continuava così prima o poi Lucian si sarebbe ritrovato davvero una gran rivolta tra le mani, e chissà come se la sarebbe cavata in quelle circostanze. Non che avesse a cuore cosa gli poteva accadere, ma Yumi era alquanto stufa di sentire di Nascosti rovinati dai problemi causati da Jocelyn. Lucian, Gabriel, Alaric, l’ex-Sommo Stregone di Londra Ragnor Fell… quelli erano solo alcuni dei nomi in lista, chissà quanti altri ce ne fossero di cui lei ignorava l’identità.

Per un attimo pensò a Magnus: come era successo tra lui e Alec? Avevano prima fatto amicizia e poi si era scoperti innamorati? Bene o male Lucian e Jocelyn erano entrambi adulti che avevano fatto le loro esperienze, Alec invece era ancora un ragazzo con tutta la vita davanti e per di più innamorato di un uomo, e Yumi non riusciva a non farsi domande su come il giovane vivesse il proprio rapporto con Magnus. Scosse la testa con veemenza: doveva smetterla di pensare a quei due, ma era piuttosto difficile farlo, specie considerato quanto vedesse parte del proprio passato in loro e continuasse a essere alquanto scettica se non addirittura CERTA che la loro era una relazione destinata a non avere futuro. Era una considerazione alquanto ipocrita da parte di una che era figlia di due che meno di chiunque altro al mondo avrebbero avuto possibilità e invece erano riuscite ad averle, anche se per breve tempo, ma non erano i genitori a definire i figli in fondo, e Yumi era quello che era per le esperienze vissute durante la vita, non per le persone che l’avevano concepita. Guarda caso però quando si trattava degli altri era più difficile adoperare questo principio…

In ogni caso non era affatto contro il “passaggio” da una buona amicizia a una storia d’amore, a patto ovviamente che fosse “vera” e non una scorciatoia presa da uno dei due perché riteneva più facile dire di amare qualcuno che conosceva e che lo conosceva bene piuttosto che imparare a conoscere qualcuno di estraneo da capo, cosa che succedeva spesso e che causava non pochi problemi quando uno dei due capiva cosa significasse amare davvero qualcuno e distinguere la differenza tra amore e amicizia.

Lei non aveva mai avuto questo tipo di problemi, mai il pensiero l’aveva minimamente sfiorata di striscio: non avevano alcun legame di sangue, ma Ryuu era suo fratello in tutto e per tutto; pensare di potersi innamorare di lui era grottesco anche ora che non era più giovane e non avrebbe dovuto nemmeno temere che si generasse una simile circostanza. Un pensiero assurdo si accese indesiderato: e tra lei e Catarina? Ripensò a tutti i momenti che avevano trascorso insieme, ai brevi contatti fisici che avevano avuto, a quando si erano cambiate insieme nello spogliatoio e l’aveva vista praticamente nuda e decretò che no, non aveva nutrito neanche per un secondo un’attrazione fisica nei suoi confronti e neanche pensava sarebbe mai arrivata a concepirla. Per queste cose ci voleva tempo, va bene, ed era già passata in una situazione simile, vero anche questo… ma Catarina non era affatto come lei, Yumi non riusciva nemmeno a immaginare che potesse attentare un colpo basso nei confronti di qualcuno come quello che aveva subito lei. Oltretutto… con lei era stato molto, molto diverso: con lei avevano giocato al gatto col topo finchè non si erano arrese entrambe… con Catarina non stavano fingendo proprio niente, con lei era tutto più spontaneo e sincero.

Ogni cosa con Catarina era diversa rispetto a quello che aveva passato con qualsiasi altra persona, ma non sentiva niente che potesse spingerla in quella direzione. E neanche avrebbe voluto che succedesse, le piaceva quello che lei e Catarina avevano iniziato a erigere così com’era, non desiderava che la natura dei suoi sentimenti assumesse quella sfumatura. Trattandosi di Lucian e Jocelyn però…. forse quello di Jocelyn era stato solo cedere al bisogno di avere qualcuno che l’amasse e si prendesse cura di lei dicendo “tranquilla, adesso ci sono io, d’ora in poi ti prometto che mi occuperò io di te”. Non erano affari suoi però e neanche voleva che lo diventassero a meno che non arrivassero a coinvolgere e mettere a repentaglio ( di nuovo ) la vita dei Nascosti. Da parte sua avrebbe preferito continuare a restarne fuori sperando anche che nel frattempo non sarebbero stati loro a venire da lei, ma non avrebbe smesso di restare sul chi vive.

« Mi perdonerai se non ti chiedo di mandargli le mie felicitazioni… » disse sarcastica.

« Sai quanto me ne importa » rispose Layla, un pochino più sollevata. « Appena ci saranno di nuovo guai, verranno chiamati subito tutti i licantropi di New York, anche coloro che non fanno parte del branco, pronti a essere manovrati come pedine, ci puoi scommettere ».

« Ci scommetto benissimo… »

« Per quanto cerchiamo di cambiare le cose, queste peggiorano di giorno in giorno, più cerchiamo di allontanarci dalla giurisdizione degli Shadowhunter più questi ci opprimono e mettono con le spalle al muro…e non c’è modo di allentare la presa… ».

Yumi riuscì solo ad annuire alle parole di Layla che sembrava stesse davvero parlando più a sé stessa che a lei proprio come se fosse sdraiata su un divanetto e Yumi fosse seduta affianco a lei con un blocco per gli appunti su cui scribacchiava qualcosa di tanto in tanto, anche se il suo discorso le stava scivolando addosso come acqua, non nutriva il minimo interesse per quelle parole più di quanto avrebbe fato per le lamentele di una ragazzina a cui avevano fatto lo sgambetto. Di primo impatto Layla le era parsa seria, ma era bastato che aprisse bocca per ricredersi e scoprire che in realtà non era cambiata molto rispetto alla bambina che aveva conosciuto, anche se stava facendo di tutto per mostrare il contrario, e voleva solo che quella conversazione finisse il prima possibile prima che potesse sfociare in qualcosa di spiacevole.

« Magari però…TU potresti fare qualcosa » esclamò la mannara illuminandosi di colpo. Yumi si irrigidì e scoprì i denti.

 

Angolo autrice*
 
Ci sono persone che dicono che scrivere è facile e una perdita di tempo, e poi ci sono io che gli sbatterei il muso sulla tastiera di un computer e poi li obbligherei a darmene una prova concreta . Scrivere non è affatto una perdita di tempo, si imparano molte cose quasi senza rendersene conto. Io sto imparando di continuo cose nuove proseguendo con le mie storie, posso affermare con sicurezza di non essere affatto la persona che ero quando ho iniziato a scrivere su questo sito. Ho imparato molto anche da questo capitolo, pur se non mi è piaciuto particolarmente scriverlo, ma non per i contenuti ( so benissimo che non si può sempre scherzare, bisogna anche e soprattutto essere seri), è che… non mi ha suscitato emozioni. Io ho partecipato in prima persona, magari a quelli di voi esterni che leggeranno spero susciti qualcosa di diverso. Con capitoli come questo le idee vengono più revisionando che creando, ma è sempre meglio di non vederle arrivare proprio, dico bene?  :-) E arrivano sempre quando meno te l’aspetti… e soprattutto DOVE meno te l’aspetti. Questo ad esempio si è “creato” più tra una canzone e l’altra in palestra e al tavolino di un bar davanti ad un buon cappuccino che alla mia scrivania XD.

 

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Capitolo 18
*** Uroboro ***


L’aveva percepito. Aveva intuito che quella conversazione avrebbe portato a risvolti tutt’altro che piacevoli e imboccato una strada rovinosa, la più temibile in cui Yumi odiava immettersi ma che puntualmente si ritrovava a percorrere. Aveva avvertito la minaccia eppure non aveva fatto niente per impedirla, troppo presa dalle sue patetiche preoccupazioni per ricordarsi che avrebbe dovuto stare più attenta e guardare ai possibili pericoli a cui sarebbe potuta incorrere proseguendo su quel terreno sconnesso che era la chiacchierata con Layla e a cui era ormai troppo tardi per sfuggire. Qualcuno aveva detto che era da grandi poteri che derivavano grandi responsabilità(1*)…. Ma forse quel qualcuno ad un certo punto doveva essersi addormentato mentre lo diceva omettendo così la verità, e cioè che non erano tanto i poteri quanto le azioni che si intraprendeva a caricare le spalle di qualcuno di un peso considerevole, e poco c’entrava avere dei poteri quando a “parlare” erano stati perlopiù il coraggio, il cervello e soprattutto il cuore di una persona, poteri che erano alla portata di chiunque ma che non tutti sapevano usare davvero.

Per anni la vita di Yumi era stata un costellarsi di copioni più o meno simili: lei arrivava in un posto, finiva per diventare l’Angelo Custode ( o forse era meglio dire il Demone? ) dei Nascosti senza accorgersene, questi che iniziavano a fare pressioni perché lei li aiutasse di più e a rivendicare il diritto di avanzare pretese, lei che gli esprimeva il proprio punto di vista che non coincideva con quello che loro presupponevano e li piantava su due piedi quando arrivavano a braccarla al punto che quasi non le arrivava nemmeno un filo d’aria, lasciandoli sconvolti dalla sua reazione almeno finché non si dimenticavano di lei… fino alla volta successiva, quando tutto ricominciava da capo. Era un rito che andava avanti da secoli, un serpente che si morde la coda, un circolo vizioso che lei ancora non era riuscita a spezzare e che aveva solo aumentato il peso che si portava appresso. Nutriva continuamente la speranza che le cose sarebbero cambiate la volta successiva, ma in due secoli di vita non aveva visto l’ombra di un miglioramento, nemmeno un piccolo cambiamento.

Guardava alla sua vita come se stesse percorrendo la stessa strada giorno dopo giorno, una strada circolare che la rimandava sempre al punto di partenza ed era circondata da ambo i lati da sbarramenti altissimi e inespugnabili, impossibili da superare o abbattere. Qualche volta delle crepe erano apparse, talvolta anche buchi abbastanza grandi da permettere di guardare al di là, ma erano stati chiusi prima ancora che si riuscisse ad allargarli veramente. Non aveva davvero chiesto aiuto a qualcuno e neanche voleva farlo, ma un minimo di collaborazione involontaria se la sarebbe aspettata, era forse l’unica a volere che le cose cambiassero senza ritenere prendere d’assalto gli Istituti di Shadowhunters, decapitarne i residenti e piantare le loro teste su delle picche da esporre lungo il perimetro dell’edificio la maniera migliore per far sì che nel cervello di quei tiranni rimanesse qualcosa invece che entrargli da una parte e uscirgli dall’altra quando la gente parlava? Evidentemente sì. Ed era evidente anche che quello che tutti si aspettavano da lei era proprio il contrario di ciò che voleva, l’immagine che aveva finito per dare di sé, quella che ognuno aveva adattato ai propri desideri e alle proprie aspirazioni, in cui ognuno vedeva quello che voleva… non quello che lei era davvero, perché nessuno la vedeva veramente o riteneva valesse la pena fermarsi per farlo, perché fermarsi avrebbe significato scoprire che lei non era affatto come veniva dipinta collettivamente e rimanerne delusi.

Era più facile essere convinti che Yumi Shin fosse una strega rivoluzionaria votata a compiere un genocidio piuttosto che provare ad ascoltarla e capire davvero che tipo di persona fosse, in molti avevano paura già solo a fermarsi alla superficie, figuriamoci a pensare di andare oltre. Yumi vi ci si era talmente abituata che respingere le persone e impedirgli di valicare la parte esterna era diventato naturale così come mascherare la delusione che in realtà provava quando faceva crollare le loro certezze come castelli di carta.

Scosse la testa e sospirando relegò i propri pensieri in un angolo a parte del cervello apprestandosi a portare avanti meccanicamente quello che era il copione della recita della sua vita, come un operatore che si alza ogni mattina per andare a passare la giornata davanti ad una cinepresa per proiettare un film , in una sequenza infinita di giorni uguali l’uno all’altro come se fosse diventato egli stesso un prolungamento di quella macchina e non riuscisse a staccarsene perché la sua vita era scandita dal movimento circolare della pellicola che scorreva, sempre la stessa pellicola con trama identica anche se con personaggi diversi.

« Layla, io vorrei solo che i Nascosti smettessero di essere trattati come attrezzi da pescare dalla cassetta del bricolage, ma non mi sembra di aver mai detto di voler attuare una rivoluzione e sterminare gli Shadowhunters ».

La sua risposta lasciò interdetta la mannara, che evidentemente si era aspettata di sentire tutt’altre parole.

« Tu hai combattuto apertamente contro di loro, ti temono, sanno che non possono controllarti in nessuna maniera e che non avrebbero speranze con te. E poi… basterebbe un tuo cenno e i Nascosti accorrerebbero a frotte per sostenerti ».

Benché non fosse affatto una novità sentirselo dire, il cervello di Yumi non era forte abbastanza da impedire al suo cuore di provare ogni volta la stessa smisurata rabbia, e non ci riuscì nemmeno questa volta:

« E secondo te visto che non mi faccio controllare dagli Shadowhunters sarei più consenziente a farlo fare ai Nascosti visto che lo sono anche io e quindi è più plausibile supporre che sarei più “morbida” nei vostri confronti che non nei loro? Che dovrei abbassarmi al loro stesso livello magari comportandomi come Morgestern e trovandoci così daccapo ma a parti invertite? Diventare quello che hanno sempre pensato che noi fossimo e che era questione di tempo prima che ci decidessimo a mostrarlo apertamente? Questo è quello che hai in mente tu, Layla, non io ».

« Yumi, io… »

« TU  vuoi solo un pretesto per vendicarti, TU cerchi qualcuno da sfruttare per raggiungere i tuoi scopi. E quale figura migliore della strega che ti ha salvato la vita quand’eri bambina? Cos’è, per tutti questi anni hai tenuto la mia foto sotto il cuscino venerandola come la Vergine Maria e costruendoci sopra mille fantasie che pensavi non avrebbero avuto motivo di non realizzarsi? Bè, ultime della notte: io sono una persona fatta di carne e ossa che ragiona, non un pezzo di carta inanimato, pensi che direbbero di me così tanto se fossi remissiva e obbediente? »

« No, ma… »

« E pensi forse che uccidendo i Cacciatori i morti torneranno dalla tomba e Gabriel ti verrà restituito? Rimarrà cenere e ossa com’è ora, la tua sete di sangue ti porterà solo a renderti uguale ai Nephilim e nient’altro ».

Yumi inspirò furiosamente sentendo il proprio demone pericolosamente vicino, pronto a sganciare l’ultimo lucchetto per ottenere la libertà. Era diventato molto più forte rispetto a quella mattina e la sua forza continuava ad aumentare anche ora mentre lei invece si sentiva sempre più debole come se lui si stesse nutrendo delle emozioni negative di Yumi e le usasse per vincere sulle ormai fioche resistenze di lei. Era sempre stato così, sin dal giorno in cui Yumi si era trasformata la prima volta e la sua parte demoniaca aveva “visto la luce”: pur mantenendo costantemente un atteggiamento aggressivo, sarcastico e talvolta anche sadico, Yumi non era affatto crudele, e mai anzi era stata davvero in grado di provare odio verso qualcuno. Poteva portare rancore, o disgusto, ma mai era arrivata a essere logorata dall’odio vero; non aveva odiato nessuno per davvero, non quell’elfo, non gli Shadowhunters e nemmeno Valentine, non nel vero senso della parola.

Aveva però sempre pensato che fosse la sua parte demoniaca a nutrirsene, insieme a tutte le emozioni spiacevoli che si sforzava di reprimere, per questo lo sentiva così forte ogni volta che succedeva qualcosa di sgradevole. Col diminuire delle sue resistenze, oltre alla forza del demone stava crescendo anche la paura che potesse esplodere sotto forma del peggior incubo di ogni essere vivente. Non era un essere con una propria personalità, era una condizione che aveva accettato ormai da tempo, eppure alle volte guardava a lui come ad un’identità scissa dalla sua invece che ad una delle metà del sangue misto che le scorreva nelle vene, che era parte del suo essere ma che alle volte ancora percepiva come un’entità a sé stante intrappolato dentro di lei il cui unico scopo era distruggerla e prendere definitivamente il controllo.

In battaglia cercava di trasformarsi il meno possibile a meno che non ci fosse costretta (cosa che purtroppo accadeva comunque il più delle volte) per non diventare dipendente dalla sua parte demoniaca e favorire la sua “crescita”, ma anche non usandola la sua energia veniva alimentata in ogni momento, e troppo spesso l’avvertiva paurosamente così forte da farle temere che potesse prevalere sulla sua parte umana da un secondo all’altro. Era la sua metà non antropica la vera armatura dietro cui nascondeva tutto…inclusa sé stessa.

Solo in pochi erano riusciti ad avvicinarsi davvero, ad andare oltre la Nascosta, oltre il demone; Catarina era tra questi, e ci era riuscita senza che il demone riuscisse a respingerla. La sospensione entro cui le era sembrato di essere finita nel tempo in cui era stata insieme a Catarina aveva avuto effetti analgesici più forti di quanto avesse pensato in cui persino il suo demone ne aveva risentito, e ora che era uscita da quello “stallo” era tornato a lottare, come se Catarina fosse riuscita davvero a mettergli la tanto minacciata museruola senza accorgersene, solo grazie alla sua presenza e alle sue parole. Adesso che ci pensava, la strega era l’unica dei Nascosti incontrati negli ultimi cinquant’anni a non essersi approcciata a lei tirando immediatamente in ballo la sua reputazione da difensore della giustizia o tempestandola di domande inopportune.

Quando si erano presentate era stata molto chiara nell’esplicare la sua indifferenza a chi lei fosse o cosa aveva fatto… ma non le aveva detto cosa pensasse davvero di quello che faceva o se lo condivideva o meno. Forse anche lei riteneva che non ne valesse la pena oppure al contrario lo credeva e voleva darle una vera risposta quando avrebbe imparato abbastanza su di lei? Yumi le era grata di non essersi comportata come invece stava facendo Layla e come avevano fatto in centinaia prima di lei, anche se non era sufficiente a non farla preoccupare: finora Catarina non aveva dimostrato alcuna paura nei suoi confronti, ma chissà se avrebbe continuato così anche quando avrebbe visto la sua forma alternativa.

Guardò la lupa stringendo i denti per combattere il malessere che la tormentava: forse per lei avrebbe fatto volentieri un’eccezione se non fosse stata preoccupata di perdere il controllo e causare danni ben più gravi di spaventare a morte una lupacchiotta insolente. Aveva cercato una conferma ai suoi sospetti e l’aveva ottenuta, Layla era cresciuta solo fisicamente, niente di quello che Yumi avrebbe detto le avrebbe fatto cambiare idea o l’avrebbe anche solamente indotta a sfiorare l’ipotesi di fermarsi un attimo e riflettere con calma invece di andare allo sbaraglio e commettere qualcosa di cui magari si sarebbe potuta pentire.

L’altra assottigliò lo sguardo: Yumi ci aveva preso in pieno. L’aveva idealizzata per anni, sognando che, una volta cresciuta, l’avrebbe ritrovata e si sarebbe unita a lei nella lotta contro gli Shadowhunters. Per anni aveva continuato a sentire parlare di lei, era certa, come chiunque altro, di aver capito a cosa mirasse Yumi, ma a quanto pareva non era per niente così. Invece di sentirsi arrabbiata però era sbalordita: ma Yumi era stupida o cosa? Si rendeva conto di quello che diceva e degli effetti che le sue azioni avevano avuto e continuavano ad avere sui Nascosti o lo ignorava e faceva quel faceva solo perché lo considerava un gioco per ammazzare il tempo, una distrazione della monotonia che era la vita di un immortale? Oltre che sbalordita era anche delusa: aveva passato anni a idolatrarla per il suo coraggio e la sua forza pensando che fosse diversa da tutti i suoi simili… e ora si trovava a scoprire che non lo era affatto, che stava solo fingendo di tenere ai Nascosti e che aveva intessuto quella commedia per noia? Si sentiva ferita e disgustata oltremisura come una bambina a cui è stato appena rivelato che Babbo Natale non esiste. E proprio come una bambina non riusciva ad accettarlo:

« Ne devo intuire che ci hai salvati solo perché per caso eravamo con te? » disse con voce dura.

« Vi ho salvato perché eravate innocenti, non come forma di protesta! » ribatté altrettanto duramente Yumi.

Layla sentì rinascere la speranza e sospirò sollevata, forse non si era del tutto sbagliata su di lei… ma c’era sempre quell’altra parte che a quanto pareva era alquanto fondata e posata su solide basi di cemento che troncò il suo sospiro a metà.

« Tu… tu stai sprecando le tue risorse » l’accusò Layla, e sarebbe scoppiata a piangere se non avesse avuto il suo orgoglio di mannara e se non avesse voluto apparire forte davanti a Yumi. « Tu nemmeno ti rendi conto di cosa rappresenti per molti di noi, vero? Tu te ne stai lì a fingere di non sapere niente mentre là fuori è pieno di Nascosti che non esiterebbero a venirti dietro, ma tu… »

«… io non ho mai voluto questo, non ho mai voluto essere un esempio da seguire, se così fosse avrei accettato di diventare un Sommo Stregone già da tempo. E poi, scusami tanto… chi sei tu? Che diritto hai di venirmi a dire cosa dovrei o non dovrei fare, tu che non sai NIENTE?! Non sono stata messa al mondo per esaudire i desideri altrui, non me lo fa fare nessuno di aiutare i Nascosti, se lo faccio è perché l’ho deciso io, non perché mi è stato imposto da qualcun’altro ».

Nascosti di ogni genere e grado erano venuti a chiedere, anzi no, a pretendere che lei istituisse una Resistenza radunando la tal fazione sotto un unico fronte compatto per liberarsi del problema Shadowhunters: mannari, Seeliee, vampiri, persino alcuni stregoni nel corso dei secoli avevano provato a corromperla tirando fuori la motivazione che la loro era la razza meno prolifera del Mondo Invisibile, che subivano maggiori vessazioni anche se in teoria sarebbero dovuti essere i più  potenti di tutti e che quindi era loro dovere istituire una rivalsa.

A ciascuno, Yumi aveva dato un secco rifiuto, oltre ad avergli ribattuto di non essere affatto una stupida che si faceva manipolare per profitto, cosa che invece loro facevano di continuo, e che sapeva bene che se avesse aderito alle loro richieste sarebbe andata a beneficio solo di una singola razza, che sterminare gli Shadowhunters avrebbe solo causato ulteriori guerre e conflitti tra i Nascosti e soprattutto che se si rivolgevano a lei era solo perché avevano troppa paura e ritenevano più comodo mandare avanti uno strumento, un’arma di cui però si sarebbero sbarazzati una volta raggiunto il proprio obiettivo e non avessero più avuto bisogno di lei perché preoccupati che potesse trasformarsi in un pericolo anche per loro. Layla non era la prima e purtroppo non sarebbe stata nemmeno l’ultima che avrebbe cercato di convincerla ad assumersi quella che tutti definivano la responsabilità di cui avrebbe dovuto prendere le redini invece di far finta che non esistesse, ma Yumi era davvero stanca di dover ribadire il concetto.

« E cosa dovremmo fare, secondo te? » .

Tante, tante cose avrebbe voluto dire Yumi, ma invece disse:

« Di sicuro non assalire l’Istituto con torce e forconi e abbassarci al loro livello  » .

« Questo lo hai già detto » ribatté Layla. « Io invece ti sto chiedendo, visto che a quanto pare sembri sapere tutto, COSA dovremmo fare di CONCRETO! ».

« Fargli vedere che conosciamo come funziona il mondo molto meglio di loro, dimostrargli che si potrebbe davvero creare un’Alleanza degna di questo nome se si decidessero una buona volta a smettere di impuntarsi e provare ad ascoltare sul serio quello che gli altri hanno da dire , già questo sarebbe un buon inizio » .

Layla alzò le braccia al cielo e si afflosciò sul divano scuotendo la testa.

« Sei…disarmante, Yumi ».

« Da secoli e me ne vanto ».

« Non c’è proprio niente di cui pavoneggiarsi! E’ mai possibile che non provi nemmeno un briciolo di rabbia nei loro confronti? Desiderio di rivalsa? Non mi sembra che tu ti sia fatta scrupoli in tutti questi anni a dimostrare che non ti piace lasciar correre un torto subito, no?! ».

Yumi alzò gli occhi al cielo e si massaggiò la radice del naso.

« Metti da parte le Barbie ed esci dal tuo mondo incantato: credi forse che non ci pensi affatto? Che me ne stia davanti alla tv a mangiare schifezze e a guardare sitcom scadenti e film ridicoli rimbecillendomi a tal punto da costruirmi un mondo di fantasia dove le cose brutte non accadono e dove se un gatto finisse sotto la schiacciassi si appiattirebbe ma continuerebbe a vivere, lasciando il mondo reale fuori dalla mia porta come se non avesse alcuna importanza o non esistesse affatto? Io ci penso ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni singolo secondo in cui cammino su questa terra! ».

« E allora perché non stai FACENDO niente ?! »

« Io STO facendo qualcosa, invece: a differenza di te, non penso che rendere pan per focaccia sia la soluzione a tutti i problemi. Non è andando all’Istituto e facendo una carneficina che le cose si risolveranno, non è lasciandoli bollire nel loro brodo casomai sorgessero dei problemi, non se quei problemi potrebbero riversarsi poi su di noi, non è cercando di nuovo di rubare gli Strumenti Mortali. Ci sono molti altri modi per risolvere le cose, basterebbe solo fermarsi un attimo e pensarci su…. Ma tu non ti sforzi nemmeno di PROVARE a vederle ».

Layla si morse le labbra con rabbia. Yumi vide riaffiorare il lupo e temette che di lì a poco sarebbe iniziata una battaglia che però non avrebbe colto, a costo di rischiare di sopprimere il proprio demone per sempre pur di non lasciare che accadesse.

« Mi stai dicendo che dovrei perdonare quel bastardo? Quello sporco doppiogiochista che si è accollato il nostro branco solo per i propri interessi? » disse Layla digrignando i canini.

« Non ho detto che devi prostrarti ai suoi piedi e osannarlo, solo sforzarti di accettare la cosa; anche imputandoti, pestando i piedi, maledicendo tutte le divinità possibili e immaginabili del mondo, le cose non cambieranno ».

« Uno sforzo per cosa ?! Per abbassarmi anche io a essere il cagnolino di uno Shadowhunter? Piuttosto preferirei buttarmi in una vasca di argento liquido! Loro sono stati degli…abomini  nei nostri confronti, perché invece noi dovremmo avere pietà di loro?! » Perché non tutti sono come Valentine… non del tutto, almeno pensò Yumi.

Dopo qualche anno di scontri col Circolo, dopo che molti Nascosti ebbero iniziato a seguire l’esempio di Yumi e dopo che più e più volte i piani di quei ragazzini erano falliti, erano iniziate a circolare voci secondo cui alcuni membri del gruppo avevano iniziato a non essere più tanto sicuri di quello stavano facendo, anche se non erano abbastanza convinti  da smettere e farsi da parte, era come fossero vincolati da qualcosa di più di un semplice giuramento. Lucian era stato tra questi, ma essendo il parabatai di Valentine non era risultata strana la sua reticenza ad abbandonarlo. Yumi non aveva davvero creduto a ciò che si diceva in giro, anche se si era chiesta se anche Valentine le avesse sentite e se vi avesse dato credito.

Per un po' di tempo dopo che queste voci erano iniziate a circolare non successe nulla che confermasse le sue supposizioni; accadde però che un giorno il Circolo si trovasse dentro una casa abbandonata dove gli era arrivato alle orecchie che fosse un rifugio di vampiri che avevano rapito delle giovani fanciulle di un paese vicino, voce che però Yumi sapeva essere stata messa in giro dai Nascosti per attirare i Nephilim in una trappola ed eliminarli una volta per tutte e che il genere di creature che aveva nidificato in quella costruzione non erano affatto vampiri ma una colonia di demoni Kuri, che prima avevano intrappolato gli Shadowhunters nel loro covo fatto di enormi ragnatele vischiose e poi li avevano attaccati.

Qualcuno con buona prontezza di spirito era rimasto indietro e aveva liberato gli altri, e da lì era sfociata una cruenta carneficina in cui quei demoni erano stati tranciati, squartati, calpestati, dilaniati e traforati come puntaspilli dalle frecce delle balestre e dai pugnali lanciati con precisione pur se se la casa era avvolta nella penombra. Lei era rimasta a guardarli nascosta in un anfratto e nessuno si era accorto della sua presenza né lei aveva voluto dare alcun modo per accorgersene: era accorsa laggiù appena saputo del pericolo a cui stavano andando incontro, ma non aveva avuto intenzione di intervenire a meno che non fosse stato strettamente necessario, e da come se l’erano cavata con quei demoni era sicura che non ce ne sarebbe stato bisogno… ma l’imprevisto è sempre in agguato, non importa quanto a tuo favore sembra volgersi la situazione.

Ad un certo punto uno dei Nephilim aveva tirato fuori una lama angelica e l’aveva accesa, ma il fuoco celeste della spada aveva subito bruciato le ragnatele e in breve tutta la casa era finita avvolta dalle fiamme. I demoni erano rimasti uccisi mentre gli Shadowhunters erano riusciti a scappare appena in tempo…tranne Lucian, che era rimasto invischiato in una tela piuttosto spessa che gli aveva bloccato ogni possibilità di movimento. C’era stata possibilità di salvarlo, gli altri membri avevano persino supplicato Valentine di tornare indietro, ma lui aveva sentenziato che era troppo tardi, che era difficile anche per lui ma non c’era alternativa, che non poteva rischiare che morissero tutti per salvare Lucian, che lui ormai era condannato e che dovevano accettare il suo sacrificio… come se fosse stata cosa da niente, come se non fosse stato il suo parabatai quello che rischiava di morire. Yumi aveva visto una strana luce nei suoi occhi, del tutto privi di tristezza ma pieno di esultanza per essersi liberato di un peso inutile, confermando così quello che lei aveva temuto.

Aveva ringhiato tra i denti e si era buttata lei stessa nell’edificio: se quel moccioso pensava di cavarsela così a buon mercato, anche stavolta avrebbe avuto una bella delusione. Aveva estinto parte delle fiamme e trovato Lucian, e ignorando la sua sorpresa era riuscito a liberarlo, lo aveva curato e gli aveva intimato di uscire immediatamente da lì. Lui aveva esitato incerto, difficile a dirsi se per lo stupore di essere ancora vivo o per l’ essere stato salvato da lei invece che dai suoi compagni, ma quando lo aveva minacciato di buttarlo di prepotenza in un Portale se non portava immediatamente il suo deretano mezzoangelico fuori da quel posto, lui se n’era andato, voltandosi però a guardarla un’ultima volta prima di sparire. Yumi non si era affatto pentita di averlo salvato, ma si era chiesta spesso la ragione di quel gesto, non si esitava rischiando la vita per guardare qualcuno che odi e che per anni hai cercato di uccidere.

Non aveva più visto Lucian da quel giorno, ma tempo dopo aveva sentito che era diventato un mannaro;  solo più avanti era venuta a conoscenza dell’intera storia, scoprendo così che non era stato un incidente ma un altro tentativo andato a male di Valentine di farlo fuori e che anche un altro membro, Stephen Herondale, era stato fatto cadere in un simile tranello, anche se lui non era stato così fortunato. A nulla erano valse le rassicurazioni della sua vecchia compagna di studi che, quando le aveva raccontato mortificata cos’era successo, dopo un attimo di tentennamento l’aveva rassicurata dicendo che non doveva sentirsi responsabile.

Yumi però non aveva mai smesso davvero di pensarci: avevano sbagliato, era vero, ma non c’era proprio alcuna ragione per gioire della loro sorte, ancor meno dopo aver sentito cos’era successo alle loro famiglie dopo il fattaccio. Quando aveva saputo cos’era successo a quei giovani, le era crollato il mondo addosso: era quello che aveva sempre desiderato, che qualcuno di loro si accorgesse di stare facendo la cosa sbagliata e tentasse di rimediare… ma non così, non in questa maniera. Non si poteva però raggiungere un obiettivo senza sacrifici, non importa quanto nobile o buon intenzionato fosse, e anche lei, che voleva solo la pace tra i loro popoli, aveva sempre saputo che non sarebbe stata una strada pura e immacolata, che come ogni altra avrebbe comportato perdite, sacrifici, rinunce… ma non era bastato a renderla pronta a quella notizia, men che meno a restarne indifferente .

Per la prima volta dopo anni aveva vacillato: era davvero questo a cui aspirava? Aveva davvero senso continuare per quel percorso? Poi però le era bastato guardare ciò che era sopravvissuto al passaggio del Circolo per ristabilizzarsi e smettere di avere dubbi: arrendersi avrebbe solo decretato la fine di tutto e reso vana la morte di coloro che non ce l’avevano fatta. Non c’era stato tempo per piangere sul latte versato, ma farsi forza e ricominciare, salvare il salvabile e prepararsi per quando sarebbe arrivata la prossima volta. Aveva preso le distanze dagli Shadowhunters e non si era più lasciata coinvolgere da loro pur continuando a tenerli d’occhio da lontano, un’ombra che si muoveva nei bassifondi osservando i propri Cacciatori, l’unica che mai erano riusciti a catturare e che sempre avrebbe continuato ad affrontarli senza smettere però di cercare una soluzione pacifica che portasse alla definitiva terminazione dei conflitti e li rendesse una sola e unica popolazione del Mondo Invisibile.

Era stata quasi sollevata nel sentire che Lucian era tutto sommato riuscito a ricostruirsi una vita, anche se questo non significava che desiderasse instaurare un qualche tipo di rapporto con lui. Avrebbero continuato a vivere ognuno la propria vita facendo finta ( o quasi) che l’altro non esistesse, anche se, ora che Maryse sapeva che lei era lì, questo anonimato non sarebbe durato ancora a lungo. Strano comunque che non avessero ancora mandato nessuno ad arrestarla, conoscendo le direttive del Clave pensava sarebbe stata quasi una cosa immediata. In ogni caso era guardinga e pronta a filare via non appena avesse visto uno di loro all’orizzonte: non voleva coinvolgere i Nascosti che si trovavano nel locale, non c’entravano niente col problema che lei aveva causato, e ancor meno voleva coinvolgere Catarina, sempre però che davvero non si fosse trasformata in acqua e fosse stata risucchiata dallo scarico del gabinetto…

« Ma che argomentazioni interessanti, vi dispiace se mi unisco a voi, signorine?  ».

Le due si voltarono e videro un vampiro con una cascata di dreadlocks sottili appoggiato al divanetto dietro di loro che sorrideva in modo molto beffardo.

« E tu saresti ? » disse Yumi temendo che fosse un altro adepto di Camille mandato a riproporle l’affare di cui avevano discusso al Pandemonium anche se ora più che mai aveva ragione di rifiutare e non solo perché ormai non sarebbe servito a niente ma anche perché era certa ( o almeno, sperava vivamente) che la vampira non avesse nient’altro con cui ricattarla, salvo forse smascherarla e rivelare a tutta la popolazione dei Nascosti quale genere di strega lei fosse davvero. Non la preoccupava tanto questo quanto non sapere se la vampira fosse a conoscenza anche dell’altro particolare della sua identità. Fu Layla però a rispondere mostrando i canini al nuovo arrivato:

« Vattene via, Elliott ».

Il vampiro sogghignò.

« Felice anche io di vederti, Layla, come sta tuo fratello? ».

Lei si alzò dal tavolo e fronteggiò il vampiro.

« Dì cosa vuoi così la facciamo finita, succhiasangue ».

« Solo prendere parte a questo interessante conversazione e presentarmi alla più famosa strega del Mondo Invisibile » disse il ragazzo indicando Yumi.

« Raccontala a qualcun’altro, ti ha mandato Raphael, vero? »

« Può darsi, o forse no » ribattè lui. « Non puoi volermene però, in fondo non sto facendo niente di diverso da quello che stai cercando di fare tu, no? ».

Layla ringhiò e il suo viso cominciò a sfigurarsi .

« Io non sono qui per conto di qualcun’altro, a differenza di una certa sanguisuga leccaculo che sarebbe pronta a seguire il proprio capo nella tomba. Oh già, dimenticavo: voi siete già morti! »

« E tu potresti andare incontro alla stessa fine, cagna » disse lui mostrando le zanne. « Credi forse che questa strega accetterebbe di diventare il vostro araldo solo perché sareste pronti a scodinzolare e sbavare ai suoi piedi pur di averla dalla vostra parte? Non avete un briciolo di orgoglio, voi cani rognosi ».

« Certo, perché infatti accetterebbe di esserlo per delle sanguisughe che sopravvivono solo succhiando la linfa vitale altrui. Parliamo di orgoglio? Voi parassiti non sapete nemmeno cosa sia! »

« SCUSATE!! » urlò Yumi alzandosi di scatto.

I due la guardarono.

« Vorrei ricordarvi che sono ancora qui, che ci sento bene e ho  un cervello perfettamente funzionante e che potrei ridurvi in cenere seduta stante se non sparite immediatamente dalla mia vista! ».

« Ma Yumi… » tentò di dire Layla, ma venne nuovamente interrotta.

« Detesto ripetermi, quindi aprite per bene le orecchie tutti e due perché questa sarà l’ultima volta che lo dirò:  io non sono e non voglio essere la paladina di qualcuno, men che meno ho intenzione di essere coinvolta in una stupida vendetta » disse, poi si rivolse a Layla:
« Vuoi davvero causare ulteriori problemi al branco solo per ripicca, vuoi davvero che ci vada di mezzo anche tuo fratello?  Non aspettarti allora che io accorra a darti man forte, se vuoi rovinarti è un problema tuo, non mio ».

Layla abbassò la testa.

« E tu, Bob Marley vampirizzato » disse poi voltandosi verso Elliott. « Riferisci pure al tuo capo che non diventerò la sua pedina, non importa cosa possa offrirmi in cambio, anche perché dubito che ci sia anche una sola cosa che io voglia e che lui sia in grado di offrirmi, ma al di là di questo, e ti ripeto di ascoltare attentamente…io non mi vendo a NESSUNO!  E ora andate a proseguire la vostra secolare rivalità da un’altra parte e lasciatemi finire la mia cena in pace ».

Essere motivo di contrasto tra quelle razze di lunatici e nottambuli che si odiavano di loro da secoli immemori per la seconda volta in una settimana era snervante, ancor più perché a essere coinvolta stavolta era la sorella minore del licantropo della volta precedente. Poco importava che il vampiro in questione adesso fosse un Figlio della Notte qualsiasi, visto che anche questo era stato mandato da un capoclan per irretirla e convincerla a diventare la loro mascotte. Il clan dei vampiri di New York temeva il ritorno di Camille perché aveva messo a repentaglio la sicurezza di tutto il clan, ma non si vedevano molte differenze con Santiago, entrambi erano disposti a qualunque mezzo pur di ottenere la collaborazione di Yumi e per entrambi una risposta negativa non era contemplata; anche Layla voleva la stessa cosa, d’accordo, ma lei aveva rinnegato la propria famiglia e abbandonato il branco, era lì per sé stessa invece che per altri e aveva ancor meno diritto di veder accolta la propria richiesta.

Se il padre di Yumi avesse potuto vederla… chissà cos’avrebbe detto, chissà se sarebbe stato orgoglioso di lei o si sarebbe infuriato per le ulteriori attenzioni che la ragazza attirava su di sé come se non fosse sufficiente essere la figlia di un Reietto ( nel caso Yumi gli avrebbe risposto con fierezza che non rimpiangeva niente, che era qualcosa di cui lei era stata diretta fautrice e che aveva molto più valore di una reputazione per cui non aveva avuto alcuna voce in capitolo come quella da cui era stata segnata il giorno stesso del suo concepimento). L’immagine di suo padre le apparve molto sfocata, così come il dialogo che immaginò di poter sostenere con lui, e ben presto subentrò quella molto più vivida di qualcuno che aveva occupato molto più tempo nella sua vita di quanto avesse fatto lui: il suo maestro non aveva mai mancato di farle notare che avrebbe potuto raggiungere la fama di cui era in possesso per altre e più sicure vie che non portassero agli Shadowhunters e alle prigioni sotterranee della Città di Ossa.

Lei era stata solita rispondere che quella era una strada ancora peggiore da imboccare a meno che non si volesse diventare come uno dei tanti pezzi d’antiquariato che ornavano la casa dello stregone lasciati a prendere polvere, e che non avrebbe buttato via la propria vita nascondendosi come una codarda senza fare niente. Lui allora alzava gli occhi al cielo e le chiedeva si salutare il fantasma di un tal stregone casomai avesse avuto maniera di incontrarlo una volta finita a marcire nelle celle della Città Silente. Yumi l’aveva sempre ignorato ed evitato di degnarlo di una risposta, ma era stata consapevole che in realtà il suo maestro approvava ciò che faceva, anche se era troppo orgoglioso e noioso per ammetterlo, e saperlo l’aveva resa in qualche modo soddisfatta, pur senza essersi mai fatta prendere la mano o intraprendere azioni avventate per la propria gratificazione personale o per sfidare il maestro a pronunciare quelle parole ad alta voce.

Era già tanto, per una persona, avere una figura paterna di riferimento ; lei ne aveva avute due. Che entrambe le fossero state strappate era un altro discorso… che però faceva fatica a ignorare specie quando ripensava alla seconda dato che era anche colpa sua, di quello di cui lui l’aveva sempre rimproverata, se ora non c’era più, e questo non se lo sarebbe mai perdonata, anche se, ancor meno, l’avrebbe perdonata lui se lei avesse continuato a incolparsi e autocommiserarsi in quella maniera e se si fosse arresa abbandonando la strada che da anni percorreva, lui che era diventato la ragione più importante per cui avrebbe continuato a camminare ancora e ancora, senza cadere, come lui le aveva severamente proibito. Avrebbe voluto chiedergli perché fosse sempre stato così remissivo, ma in tutti quegli anni non era mai riuscita a trovare il coraggio per farlo.

Erano molte le cose che lui le aveva taciuto sul proprio conto a dire il vero, mentre di lei aveva saputo quasi tutto, ma non gli aveva mai chiesto niente perché non aveva ritenuto di averne il diritto e anche perché aveva preferito lasciare che fosse lui a scegliere di darle fiducia e raccontarglielo, cosa che però non era mai avvenuta. Non si era fidato davvero di lei, quindi? O forse erano stati entrambi troppo orgogliosi per fare il primo passo o solo troppo impegnati per perderci tempo dietro? Non c’era niente di male però a voler conoscere di più qualcuno a cui si voleva bene e di cui ci si fidava, no? E lui era stato uno dei pochi preziosi individui di cui Yumi si fosse mai fidata in vita sua ma che ora che non c’era più si rendeva conto che avrebbe voluto chiedergli più cose, fidarsi di più, conoscerlo per davvero… sapere cosa pensasse davvero di lei, senza il suo maledetto orgoglio a impedirgli di dire quello che avrebbe voluto davvero ma che ostentava perché evidentemente nemmeno lui aveva ritenuto valesse la pena metterlo da parte per Yumi.

Come lei, non era mai stato molto bendisposto nei confronti degli Shadowhunters, ma alla fine, anche se brontolando, aveva sempre ceduto. Era perché era quello che ci si sarebbe aspettati da uno del suo rango e una mancanza da parte sua sarebbe stato molto più malvista che una da parte di Yumi che invece non era nessuno? Forse allora… forse era questo a “bloccare” anche Magnus. Interesse amoroso per uno Shadowhunter a parte, agire come aveva fatto con lei rientrava forse nelle sue mansioni, era ciò che ci si aspettava da un Sommo Stregone, che adempisse ai servizi richiesti e contribuisse a far sì che le cose rigassero dritto e non ci fossero problemi? Essere di altri invece che di sé stesso, come era successo al maestro?

Da una che era, le ragioni per Yumi per non accettare la carica di Sommo Stregone si erano moltiplicate a dismisura nel corso degli anni. Se avesse assunto quel titolo, sarebbe diventata di altri, quel nominativo sarebbe stato una catena per tenerla a portata di mano e impossibilitarla ad agire come avrebbe voluto davvero. I Nascosti veramente pensavano già di averla, ma era quello che credevano, ed erano in molti a reagire come Layla quando lo scoprivano. Yumi capiva il suo dolore e lo condivideva così come faceva con molti dei Nascosti con cui le capitava di intrattenersi, ma non lasciava che questo s’impossessasse di lei e prevalesse sulla sua razionalità impedendole di vivere la sua vita a discapito di quelle di altri, non era per questo che sua madre era morta per lei… non era questo che le aveva ribadito il suo maestro.

Erano stati i suoi insegnamenti, più di qualunque altra cosa, a non distruggerla il giorno in cui aveva saputo della sua morte: anche se non aveva visto il suo fantasma, la sua voce era risuonata comunque dentro di lei e le aveva ripetuto quelle parole già pronunciate decenni or sono come se fosse stato concretamente lì con lei, e cioè che solo chi era morto aveva il diritto di arrendersi. Lei era forse morta? No, era ancora viva, e il dolore che provava ne era la maggiore riprova. Non poteva arrendersi, aveva molto per cui lottare e rimanere in vita, doveva fare come aveva sempre fatto e cioè imparare a convivere con quel dolore e trarne una nuova forza per andare avanti, oltre a continuare a vivere per mantenere il ricordo di chi non c’era più.

Yumi aveva preso le sue parole e se le era tenute strette, si era rialzata e si era data da fare. Il maestro non l’avrebbe mai perdonata se si fosse data per vinta, ancor meno se l’avesse vista soccombere a qualcosa che mai avrebbe concepito di fare a mente lucida; cedere ad una ragazzina che provava il suo stesso dolore ma voleva imboccare la strada sbagliata per combatterlo era quanto di più basso lei avrebbe potuto fare. Non era lei però il pericolo maggiore, in quel momento . A differenza di Layla, infatti, Elliot non accusò il colpo ma incrociò le braccia e assunse un’aria altezzosa.

« Proprio tu dovresti capirlo meglio di chiunque altro, Yumi Shin » disse. « Gli Shadowhunters ci causano solo problemi; se non facciamo qualcosa ne andrà della sicurezza di tutti i Nascosti ».

« Per Lilith… Tra tutti quanti avete bisogno del mio permesso prima di fare qualcosa? Chi sono io, il Presidente dei Nascosti? »

« Sei quella che meno di tutti ha il diritto di rimproverare qualcuno di non tenere conto dell’effetto delle proprie azioni sugli altri, credi di avere la fedina penale pulita? »

« Conosco bene le conseguenze delle mie azioni » disse Yumi. « Mi assumo la piena responsabilità di quello che ho scatenato e dei miei errori, non faccio finta che non sia successo niente come sembra che tutti quanti ne siate convinti » e scoccò un’occhiata truce a Layla, che però tenne la testa voltata dall’altra parte.

« Quello che però NON faccio e che NON voglio fare, è lasciare che altri mi manipolino e cerchino di impadronirsi delle conseguenze del mio operato…che cerchino di impadronirsi di me! Quindi potete anche tornarvene entrambi da dove siete venuti con la coda tra le gambe, tu al tuo lavoro e tu dal tuo capoclan: da me, nessuno di voi, otterrà NIENTE! ».

Layla non ebbe nemmeno il coraggio di alzare gli occhi e guardarla, stringendosi le braccia con forza; Elliot, al contrario, invece di sembrare colpito, sembrava più che altro annoiato.

« Noi abbiamo l’eternità a disposizione » sospirò alzando le spalle. « Possiamo aspettare quanto vogliamo ».

« E’ il tuo modo per dire che è solo questione di tempo prima che capisca da che parte stare? Perché ti assicuro che aspetterai invano, e spero vivamente che prima poi TUTTI voi ve ne rendiate conto ».

« Io speravo che almeno tu saresti stata ragionevole, non come quel festaiolo ingioiellato che se la fa col maggiore dei Lightwood ed è diventato il loro cagnolino ».

« Magnus Bane ha fatto le sue scelte, ma IO non sono come lui! »

« Lo dimostri molto chiaramente infatti, ora magari mi verrai a dire che hai a cuore la vita di quei Cacciatori mezzosangue? »

« Sì, quanto potrei averne di una cucciolata di Cani Infernali » sputò furiosa Yumi. « Io vorrei solo che si arrivasse a relazionarci in modo civile senza dover per forza far scorrere sangue ».

« Non basterebbe un’eternità per questo, noi dobbiamo fare qualcosa ORA, adesso, o niente accadrà mai ! »

« Intendi come avete cercato di fare aggredendo la figlia di Valentine per rubare la Coppa Mortale? Avevate in mente di ricattare gli Shadowhunters per caso? »

« Avremmo tenuto al sicuro la Coppa, avremmo impedito a Valentine di metterci le mani sopra e gli avremmo intimato di sparire e lasciare in pace la nostra gente se l’avesse rivoluta indietro. Se quella mocciosa avesse deciso di collaborare a quest’ora ci sarebbero stati molti meno problemi ».

« Del senno di poi sono piene le fosse, stai pur certo che avreste solo posticipato la cosa, o peggio, qualcuno avrebbe pensato di sfruttare la Coppa a proprio vantaggio magari alleandosi col nemico ».

« Non ardire- »

« Puoi affermare senza tentennamenti che solo perché siete più snob dei licantropi allora siete dei santarellini ligi alle regole che non si sognerebbero mai e poi mai di tradire qualcuno?! ».

Elliot ammutolì ma serrò gli occhi a due fessure e guardò Yumi con sguardo di ghiaccio.

« Stai facendo un grosso sbaglio, strega; ti pentirai di quello che hai detto ».

« Se c’è qualcuno che deve pentirsi immediatamente quello sei tu, vampiro ».

Elliot si girò e si ritrovò faccia a faccia con Alec, spuntato da chissà dove senza che nessuno se ne accorgesse, con una freccia stretta in pugno e la stessa espressione furiosa che aveva avuto quella mattina quando aveva difeso sua madre. A Yumi si gelò il sangue nelle vene: non aveva affatto percepito la sua presenza. Era sempre all’erta, e con tutto quello che aveva passato nei secoli con gli Shadowhunter, il suo sesto senso per il pericolo era maturato fino a pizzicare anche solo se ce n’era qualcuno nei paraggi, ma con lui… non aveva sentito niente. E non lo sentiva neanche adesso che era davanti a lei come se il demone fosse di colpo arretrato anche se non del tutto quietato.

Si guardò immediatamente intorno annusando avidamente l’aria e tendendo le orecchie, senza però sentire o avvertire altra presenze all’infuori di quelle presenti nel locale, il ragazzo sembrava essere completamente solo. Davvero Maryse aveva mandato suo figlio in un locale di Nascosti e tra le fauci della più pericolosa strega del Mondo Invisibile senza nemmeno dei rinforzi? Forse sperava che, essendo il ragazzo di uno stregone, lei avrebbe chiuso un occhio  per non recare dolore ad un suo simile? Non che avrebbe volutamente fatto male a quel giovane, ma quale parte di quanto era accaduto al Santuario non era stata sufficiente a far capire che lei e Magnus non erano in buoni rapporti?

« Guarda guarda, il concubino del Sommo Stregone » disse Elliot per nulla intimorito dal giovane Cacciatore. « Strano vederti senza il tuo ragazzo, ti sei finalmente reso conto di essere solo un divertimento per lui e lo hai lasciato ? ».

Alec arrossì di brutto e strinse la freccia.

« La mia vita privata non è affar tuo, vampiro » disse seccato.

« Anche questa! » sbottò Layla alzando la mani aperte al cielo. « Prima questa zecca con la bocca e ora pure il bamboccio che sculetta intorno a Magnus doveva capitarmi, questa sera » .

« Hai qualcosa da ridire, mannara? » .

« Ho molto da ridire, Shadowhunter » disse Layla assumendo la stessa aria schifata di poco prima quando aveva visto Elliott e incrociando le braccia.

Anche coi tacchi rimaneva più bassa di Alec, ma non bastò a impedirle di guardarlo in cagnesco.

« Dicono tutti che tu sia innamorato di quello stregone e che lui ti ricambi… ma pensi davvero che ci creda? Non farmi ridere , come fosse davvero possibile » .

« Che cosa vorresti dire? »

« Che Magnus Bane è famoso per le sue avventure da una botta e via e per i suoi party non esattamente all’insegna della castità, sai quanti di noi sono finiti nel suo letto prima che arrivassi tu? A quello interessa solo la carne e il brivido dell’avventura, non se ne fa niente dell’amore, e come potrebbe interessarsene uno come lui? Dubito che si priverebbe la possibilità di perdere un simile divertimento, come se ne valesse la pena per un misero Nephilim a cui sono appena spuntati i peli pubici, se prova interesse per te è solo perché rappresenti una novità rispetto al suo solito tram tram, non perché sei speciale o diverso da chissà chi, a dirla tutta non sei nemmeno un granché, conosco almeno dieci Nascosti di gran lunga più affascinanti e dotati di te, là fuori ».

Alec arrossì e fece per ribattere ma Layla continuò implacabile:

 « Al di là di Bane, è impossibile per voi Nephilim affezionarvi davvero a qualcuno che non è come voi . Tu parli di essere innamorato di quel mezzodemone, ma  in realtà ti torna solo comodo poter disporre di lui gratuitamente senza dover versare cifre mastodontiche , vero? O invece lo fai eccome e la moneta di scambio che usi sono proprio questi tuoi presunti sentimenti? Non sei poi così diverso da una qualunque puttanella che vende il proprio corpo in cambio di che vivere, ragazzino ». 

Yumi si estraniò completamente dalla conversazione e si ritrovò a vivere un deja vù che la portò lontano, non più in un bar, non più con un ragazzo Nephilim, una mannara e un vampiro ma in una casa vittoriana e tre Shadowhunters, una ragazza più o meno dell’età di Alec e due uomini di mezza età… uomini con le toghe nere e le rune argentate proprie dei membri del Consiglio dell’Enclave. Anche allora lei era rimasta a guardare ma senza farsi vedere, nascosta sotto una finestra chiusa che però non era stata sufficiente a vincere sul suo udito sviluppato e non le aveva impedito di sentire la ragazza pronunciare quelle imperdonabili parole:

“ Ci mancherebbe altro. Converrete con me però che è una comodità avere quella strega a disposizione”. Erano passati decenni da allora ma ancora quelle parole bruciavano nelle orecchie di Yumi come se fossero appena state pronunciate. Quel giorno solo il cielo sapeva cosa le avesse impedito di trasformarsi, piombare in casa distruggendo la finestra e farla pagare a quella maledetta, ma non era successo. Passata la delusione, e soprattutto grazie alle parole del suo maestro, si era rialzata e come sempre si era fatta valere, molto a modo suo, preferendo usare parole letali come la lama di un rasoio che avevano lasciato un segno indelebile su quella smorfiosa e anche su quei palloni gonfiati che avevano osato avanzare osservazioni inopportune sul suo conto, molto più di quanto avrebbero fatto i suoi artigli, ed era stata molto soddisfatta del risultato ottenuto, come ogni volta che riusciva a risolvere una situazione senza dover incorrere alla sua parte demoniaca per portarla a termine.

In seguito era andata via dalla città, ma anche se razionalmente aveva accettato la cosa, il suo cuore non era mai guarito e si era chiuso all’amore… o almeno, così aveva creduto, come aveva avuto modo di scoprire, anni più tardi, incontrando il raggio di sole che aveva di nuovo scaldato il suo cuore arido di quel calore che non pensava avrebbe mai più provato per nessuno e che le aveva regalato una nuova ragione di vita. Non sempre erano stati anni facili, ma Yumi li decretava ancora come i migliori e più felici della sua vita. La parentesi con quella smorfiosa però si era conclusa solo trent’anni dopo i fatidici eventi e lei ancora ne indossava il ricordo, per non dimenticare mai e perché aveva fatto una promessa. Ora lo guardava e sentiva anche il rammarico per non aver ringraziato come si deve il suo maestro per quello che aveva fatto per lei, reputando che il modo migliore per farlo fosse continuare a vivere la sua vita, oltre al peso delle parole che avrebbe voluto dirgli.

Erano ancora lì, nel suo cuore, in attesa di essere pronunciate, anche se ormai era troppo tardi e non ci sarebbe stato più modo di farle arrivare al destinatario. Non si era più innamorata da allora, aveva giurato a sé stessa di non intrattenere mai più rapporti personali con gli Shadowhunters se non per fini lavorativi e di non farsi coinvolgere emotivamente da loro. Per cento anni c’era riuscita… adesso invece, malgrado tutte le precauzioni e i suoi buoni propositi, si ritrovava con quel giovane uomo, uno Shadowhunter che aveva a che fare col suo passato in linea diretta e ne aveva persino particolarità simili, una persona innocente la cui colpa era solo di aver rispolverato involontariamente il suo passato. Anche se avrebbe voluto andarsene, la parte meno razionale di lei la teneva inchiodata al suo posto, curiosa di sapere come si sarebbe comportato . Si aspettava come minimo che Alec negasse, ribattesse che non era così… invece sembrava vergognarsi come l’avessero colto sul fatto e stesse continuando a farlo. E confermare a Yumi che lei e Ryuu non erano gli unici a essere usciti malconci dallo scontro all’Istituto.

« Come ho già detto, mannara » disse Alec con inaspettata fermezza malgrado l’evidente ansia dipinta sul suo viso. « La mia vita privata non è affare vostro. E sarebbe meglio se faceste in modo che io non senta più questo genere di discorsi » .

« Uuh, il pargoletto ha i denti » commentò Elliot. « Cosa fai, vai a piangere da mammina e pararino perché dei prepotenti ti hanno preso in giro? »

« Vi denuncerò al Clave ». Elliot sogghignò come se la prospettiva lo elettrizzasse.

« E come al solito metterete a ferro e fuoco tutta una fazione solo per una diceria? »

« Non è una diceria, visto che l’ho appena sentito con le mie orecchie ».

« E’ la tua parola contro la mia, Shadowhunter. Non hai niente di concreto con cui farla valere ».

Alec fu costretto a capacitarsene e si morse le labbra per la rabbia.

« Pensi forse comunque che questo sia un caso isolato? » lo provocò Elliott. « Credi che là fuori non sia pieno di Nascosti che la pensino così? Vale anche il tuo presunto ragazzo, non c’è nessuno che la pensi diversamente… anche se alcuni di noi, a quanto pare, ostentano indifferenza… » e scoccò un’occhiata obliqua a Yumi.

« Non ti permettere di dire questo di lei! » esclamò Alec alterandosi di colpo.

Elliott sgranò gli occhi e guardò prima l’espressione furiosa di lui e poi quella confusa di lei e sogghignò.

« Cos’è, essendo fidanzato con uno stregone allora ti senti in dovere di doverli proteggere tutti? Ma che animo nobile, davvero ammirevole questa tua variante della busta paga che sei solito dare in camera da letto. Solo perché te la fai con uno stregone però non dovresti presupporre che anche gli altri suoi simili siano caritatevoli e indulgenti con te come lo è lui ».

Alec diventò viola e si morse le labbra così forte che cominciarono a sanguinare, ma sorprese tutti indicando Yumi e dicendo:

« Yumi non ha alcun bisogno di essere protetta, men che meno le serve l’aiuto di uno come me. Però non merita affatto di essere denigrata in questa maniera: lei sa prendersi pienamente le sue responsabilità, siete voi quelli che non lo fanno e riescono a sparlare solo alle spalle degli altri invece di farlo in faccia alle persone! E non pretendo che sia gentile e disponibile con me, anzi … non voglio proprio che lo sia ».

I tre Nascosti guardarono perplessi il giovane Shadowhunter, soprattutto Yumi.

« Lei almeno è sincera » continuò lui. « Non … non è affatto come Magnus, non ha paura di dire quello che pensa e non lascia che altri le impongano il proprio volere; Magnus invece non…dice niente. Non per davvero, almeno. Forse Yumi in realtà approva quello che dite o forse no…ma questo non cambia che non avete diritto di schierarvi in massa contro di lei solo perché non vuole sentirsi costretta a scegliere! ».

Yumi si strinse la mano sinistra con la destra guardando allibita Alec, che però non guardò nessuno . Elliott lasciò cadere le braccia lungo i fianchi ma sorrise sprezzante.

« Credi davvero di poter fare qualcosa, solo come sei? » disse passando la lingua sui denti superiori.

« Non sottovalutarmi » disse Alec tenendo la testa alta e fulminando Elliott con lo sguardo.

L’altro lo sostenne per qualche secondo finché non si stufò.

« Non vale la pena perdere tempo con un neonato come te che gioca a fare l’adulto ma in realtà dovrebbe ancora portare il pannolone » e si rivolse a Yumi:

« Per ora me ne vado, ma non credere che sia finita qui, Yumi Shin » .

« E’ proprio finita qui invece, Elliott. E dì a Santiago di non provare a mandarmi di nuovo un suo emissario, o gli ritornerà indietro in un’urna funeraria ».

Il vampiro sibilò ma girò i tacchi e sparì. Layla scoccò un’occhiataccia in direzione del vampiro e poi si rivolse a Yumi come se Alec non fosse presente:

« Lo vedi, Yumi? Non ha nemmeno il coraggio di ammettere che quello che conta per lui sono i favori magici di quello stregone, non i suoi sentimenti. Agli Shadowhunters non importa niente di noi, non ha senso sprecare energie con loro, ci abbiamo provato per troppo tempo. Per favore, cerca di essere ragionevole! ».

« Risparmia il fiato, Layla » ribatté gelida Yumi. « Ci hanno provato per secoli frotte di Nascosti più grandi e maturi di te e ci ha provato anche tuo fratello, la mia risposta rimarrà immutata ».

La mannara si morse la labbra e girò la testa a destra e sinistra a scatti come se stesse cercando qualcosa da dire, ma sfiorando appena Alec con lo sguardo spalancò gli occhi e si voltò verso Yumi come le si fosse appena accesa una lampadina in testa.

« Lo stai facendo per qualcuno, vero? »

« Prego? »

« C’è qualcuno nella tua vita che ti limita e non avrebbe affatto piacere se ti vedesse a capo di una rivolta, è così? ».

Yumi serrò le labbra.

« Mi devo correggere: sei ancora più immatura di quanto mi ricordassi. E non voglio sprecare ancora fiato con te, quindi per favore vattene, e non costringermi a farmelo ripetere ».

Nel dirlo giocherellò con la medaglietta d’argento che aveva al polso. Layla le lanciò un’occhiata preoccupata, e anche se si era professata disposta a fare un bagno nell’argento, non voleva davvero arrivare alle maniere forti con Yumi. Recuperò le sue cose e guardò Yumi in tralice prima di scappare via, lasciandola sola con Alec.


 
 
*Angolo autrice
 
Se siete arrivati fin qui pensando a Yumi come al Dottor Jeckyll tranquilli, non è messa COSI’ male XDXD. Non è finita qui, comunque, con Alec, e nemmeno con Magnus, anzi…continueremo a vederle delle belle.


Riferimenti:

(1*)"Da grandi poteri derivano grandi responsabilità" è una celebre frase di Spiderman.

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Capitolo 19
*** Hecate ***


L’esperienza non è ciò che accade ad un uomo. E’ quello che un uomo fa con ciò che gli accade
Aldous Leonard Huxley
 
 
Gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sinceri sono i nemici. Si dovrebbe quindi utilizzare il biasimo di questi ultimi, come una medicina amara, per conoscere se stessi
Arthur Schopenhauer
 

 

Yumi guardò andar via Layla, lieta di essersi finalmente liberata di lei, ma quando si voltò Alec era ancora lì. Lui evitò il suo sguardo mordicchiandosi il labbro inferiore come se ora che aveva risolto l’emergenza non sapesse più cosa fare. La strega incrociò le braccia e attese una qualunque reazione che però non arrivò. Yumi allora si risedette e riprese a mangiare.

« Non hai demoni da cacciare, Nascosti da tiranneggiare, leggi da imporre? » disse con noncuranza.

Se quel ragazzino stava aspettando che lei lo ringraziasse avrebbe atteso invano. Yumi dubitava che l'avesse fatto per lei, quindi non c'era alcun motivo di essergli grata. Era già la seconda volta però che quel Nephilim l'aiutava, forse non voleva andarsene perchè pensava che le servisse ancora aiuto... o forse voleva regolare i conti con lei ma non aveva idea di come cominciare.

« No… » mormorò Alec continuando a tenere lo sguardo basso.

« E allora sparisci dalla mia vista ».

« Non prendo ordini da te » .

« Ti stavo solo invitando a levarti di mezzo, non vorrei dover spiegare alla tua mammina come mai il suo bambino non è tornato a casa per l’ora della nanna » ribatté Yumi ficcando con tale forza la forchetta nell’insalata che sentì l’impatto dell’acciaio contro la porcellana.

Alec alzò finalmente gli occhi, ma invece che su quelli di Yumi il suo sguardo si fermò sul petto di lei, e la sua espressione divenne ostile. La Nascosta se ne accorse e s'infuriò:

« Solo perché non sono formosa come tua sorella non significa che tu debba farmi la radiografia al petto come se avesse appena sparato raggi demoniaci! ».

Alec la guardò molto seriamente:

« Ci provi proprio gusto ad andartele a cercare? ».

« Sei tu il pervertito che mi sta fissando con due occhi grandi come piattini da caffè ».

« Non ti sto guardando il seno! ».

« Se allora stai cercando un pretesto per spingermi a spogliarmi e vedere il mio marchio degli stregoni, ti avverto che non attacca ».

Alec strinse forte la freccia e la usò per indicare il petto di Yumi.

« Oltre a ribellarti agli Accordi, devi per forza causare altri guai? Perché hai l’immagine di un demone sui vestiti? ».

Teatrino della propaganda critichiamo-i-gusti-di-Yumi parte 2, azione pensò Yumi. Fece una smorfia sprezzante indicando il ragazzo:

« Non vedo perché dovrei ascoltare consigli di moda da signor maglietta-usurata-risalente-al-Mesozoico ».

« C’è poco da ridere, strega ».

Il tono arrabbiato e l'epiteto resero guardinga Yumi. Capì che il giovane impetuoso e insicuro di pochi secondi prima aveva appena lasciato il posto allo Shadowhunter, che questi non aveva alcuna voglia di scherzare e che avrebbe fatto il suo dovere senza farsi intimidire da lei.

« E’ forse una magia degli stregoni? » disse Alec. « Tenere un demone sigillato nei vostri abiti vi permette di chiamarlo in caso di necessità? Le evocazioni di demoni non sono autorizzate se non dietro direttiva del Clave, se proprio devi farlo almeno cerca di nasconderlo invece di essere così evidente ».

Yumi ammirò il suo zelo, ma di tutte le supposizioni e le critiche ricevute per i suoi gusti in fatto di abbigliamento, quella era la più fantasiosa e ridicola che le fosse mai capitata di sentire. Quasi le dispiaceva sgonfiare il rigoroso senso del dovere di quel giovane Nephilim e farlo vergognare di aver preso uno smisurato granchio.

« Faresti meglio a informarti seriamente sulla cultura dei mondani, o rischierai di uccidere inutilmente qualcuno, prima o poi » disse cercando di mantenere il controllo e non sembrare ridicola.

« Cosa c’entra, adesso? ».

« C’entra eccome, e se non sai niente del mondo che ti circonda almeno dovresti cercare di non darlo a vedere così evidentemente ».

Alec inspirò profondamente dilatando le narici come se stesse cercando di contenere la rabbia.

« Perché vai in giro con un demone sugli abiti? » ripetè.

« E’ perfettamente inutile spiegarlo a qualcuno che non ci capirebbe un’acca neanche illustrandoglielo per filo e per segno ».

Alec strinse la freccia nel pugno sentendosi bruciare dalla rabbia e dalla vergogna. Aveva passato tutta la serata a immaginare una possibile conversazione con lei, si era preparato mille scenari in cui si era immaginato abbastanza sicuro di sé; come al solito, però, nella realtà niente di quello che aveva ipotizzato si era avverato. Ora che poi Yumi era davanti a lui in carne e ossa, Alec si sentiva la gola secca e lo stomaco di piombo: davvero non gli importava che Yumi fosse gentile nei suoi confronti, ma aveva pensato che lei non avrebbe avuto riserve, che non si sarebbe curata di ferirlo pur di fargli capire come funzionavano certe cose se lui glielo avesse chiesto … e invece a quanto pareva era stato di nuovo deluso.

Nelle sue fantasticherie poi non aveva tenuto conto delle emozioni  contrastanti che provava in quel momento e degli occhi di Yumi che lo scrutavano rabbiosi come se l’animale che era in lei (qualunque esso fosse) si trovasse appena sottopelle aspettando un minimo pretesto per sostituirsi all’umana. Tutti quei dettagli non facevano che aumentare la soggezione di Alec, che si sentiva frustrato e confuso: perché quella strega lo faceva sentire come se lui avesse sbagliato qualcosa di cui però non si rendeva conto? Era stato uno sciocco anche solo a considerare l'idea di poter sostenere un confronto con lei, non avrebbe nemmeno dovuto provarci. Si chiese se fosse il caso di dare retta a Yumi e andarsene prima di essere umiliato ancora di più, ma le sue gambe non sembravano dello stesso parere del suo cervello e si ostinavano a rimanere immobili…perché forse sapevano che il loro padrone non voleva davvero andarsene.

« Ehilà, c'è nessuno ? » disse Yumi sventolandogli la mano davanti agli occhi.

Alec si riscosse ma continuò a guardare i vestiti di lei con disprezzo come se, da un momento all’altro, quello strano e  tenebroso demone bianco dagli occhi rossi avesse preso vita. Se davvero era opera dei mondani, allora aveva una ragione in più per disprezzarli. Aveva sempre pensato che fossero degli stupidi, ma questo era veramente il colmo; già gli Shadowhunters avevano grossi problemi a distinguere chi aveva cattive intenzioni da chi non ne aveva, non avevano certo bisogno di altra confusione per poter fare il loro lavoro.

« Cos’è quell’espressione sconvolta, pensavi forse che gli stregoni fossero tutti bambolotti inamidati e incipriati come il tuo ragazzo? ».

Visto che il giovane non rispondeva e continuava a scrutare la sua maglietta con ostilità, Yumi si arrese prima che la situazione degenerasse:

« E’ il personaggio di un manga giapponese, se proprio vuoi saperlo. E se non sai cosa sono i manga- ».

« So benissimo cosa sono » la interruppe duramente Alec.

Yumi rimase perplessa dalla sua aggressività.

« Se lo sai bene allora smettila di insistere e torna ai tuoi doveri di soldatino cherubino » e ricominciò a mangiare come se lui non ci fosse.

Di nuovo però Alec non sembrò intenzionato ad andarsene, e Yumi sospirò esasperata:

« Oltre a essertelo bevuto, il caffè ti è entrato anche nelle orecchie? ».

Il giovane sobbalzò.

« Come sai che ho bevuto caffè? ».

« Ah bene, allora il tuo apparato uditivo non è così danneggiato come temevo » sbuffò lei rimestando un’insalata che, se continuava di questo passo, sarebbe diventata poltiglia marcia invece che trovare un posto nel suo stomaco, in cui comunque la dogana aveva ormai chiuso definitivamente i battenti.

« Rispondimi » insistette il ragazzo.

« Per lo stesso motivo per cui sapevo che i tuoi hanno divorziato ».

« L’hai sentito dire? ».

« No agnellino che puzza ancora di latte, semplicemente perché sono attenta. Odori di caffè, e oggi ho notato la runa infranta sul braccio di Maryse ».

« Conosci le nostre tradizioni? ».

« Penso di conoscerle molto meglio di quanto non le conosciate voi » e sfiorò appena con gli occhi il petto del ragazzo, lì dove immaginava essere la sua runa parabatai.

Alec non se ne accorse, troppo impegnato com’era a guardare colpito la strega.

«  Bisogna per forza essere Shadowhunters per sapere osservare? » sbuffò di nuovo lei.

« No, però… ».

« ...ti sembra strano che ciò che pensavi fosse limitato alla vostra gente possa invece essere alla portata di chiunque » .

Alec arrossì ma annuì. Yumi sospirò e si grattò la testa.

« Hai ancora molto da imparare ragazzino, e faresti meglio a rendertene conto e porvi rimedio al più presto prima di cadere nello stesso errore di tua madre ».

« Mia madre non è il principale problema ».

« Infatti, lei ne è una parte, il resto è tutta la vostra gente nel suo intero ».

Alec le afferrò furioso il polso, ma Yumi lo torse e si liberò dalla presa, prese il giovane per la maglia e lo sbatté sul tavolo, afferrò la forchetta e la puntò alla gola di Alec.

« Nel caso ti fossi dimenticato di averlo detto, io non sono il tuo ragazzo. Ho imparato molte lingue nel corso della mia vita, ma non vorrei dover ricorrere a tutte pur di imprimerti il concetto ».

Alec era troppo sorpreso dall’abilità di lei per spiccare parola. Yumi fece una smorfia e lo lasciò andare, senza però posare la forchetta. Il Cacciatore non si rialzò subito e rimase sdraiato ancora un po' prima di riuscire a tirarsi su con molta cautela senza però perdere di vista la Nascosta.

« Fin dove sai spingerti? » chiese stupito.

« Scoprilo con le tue forze invece di perdere tempo a fare domande, non ci sarà sempre qualcuno inodorarti la pillola ».

Alec si morse le labbra ma non ribatté. Si chinò invece a recuperare la freccia caduta senza degnare Yumi di alcuna attenzione. La Nascosta ne approfittò per dare una veloce occhiata intorno, e così scoprì l'arco del ragazzo posato su un tavolo poco distante dal suo. Corrugò la fronte, perplessa: perché Alec avrebbe commesso una sconsideratezza simile? Era stato così frettoloso di correre in suo soccorso da non rendersi quasi conto di quello che faceva? Perché poi era intervenuto, e da quanto tempo la stava spiando? Il giovane tornò a guardarla e lei fece finta di niente: non erano problemi suoi se si era scavato la fossa con le proprie mani, ma non essersi accorta della sua presenza era oltremodo frustrante. Ora c'era solo da capire se anche lui se n'era accorto e se capiva o meno in che razza di guai si era cacciato.
 
« Perché ti trovavi qui? » disse Yumi incrociando le braccia.

« Non sono affari tuoi ».

La strega inclinò la testa da una parte all'altra e guardò soprappensiero il locale.

« Avevi bisogno di silenzio? ».

Alec aggrottò le sopracciglia e si guardò intorno perplesso: non c’era la confusione del Pandemonium ma nemmeno c'era silenzio di tomba.

« Se avessi voluto silenzio mi sarei chiuso in camera mia, qui non ce n'è affatto » disse guardando la Nascosta come a chiederle se erano le sue, di orecchie, ad avere dei problemi.

« Ci sono altri tipi di silenzio, Shadowhunter » disse secca Yumi.

« E a quale ti riferivi, allora? ».

« Al silenzio come assenza di voci conosciute ».

Alec rimase a bocca aperta.

« Sì...cercavo quel silenzio » ammise.

« E ti ha portato consiglio? ».

« Non proprio...».

« Bè, non sono fatti miei e nemmeno voglio che lo diventino. Torna pure al tuo tavolo a fare quello che stavi facendo prima di rispondere alla segnalazione di codice D.I.D.(1*) e fai finta che io non esista ».

« E' impossibile ».

« Le occhiate di fuoco di Layla ti hanno fuso le suole delle scarpe e ora sei inchiodato al pavimento? ».

« E' impossibile far finta che tu non esista ».

Yumi assottigliò lo sguardo.

« Dovresti ponderare meglio quello che dici, il tuo ragazzo potrebbe ingelosirsi ».

« Lui non c'è, e considerato quanto sia in credito nei miei confronti e visto che lui è il primo a nascondermi le cose, non credo proprio che gli lascerei aprire bocca ».

« Rettifica, ho la sensazione che sia tu quello geloso ».

Alec arrossì ed evitò il suo sguardo.

« Non ti riguarda ».

« Le parole non servono, il tuo corpo sta parlando da solo ».

Alec si morse il labbro superiore e inspirò profondamente per calmarsi e non darla vinta alla strega, anche se, purtroppo, ci aveva azzeccato. Sentì divampare la frustrazione: ecco che stava succedendo di nuovo, ecco che una persona estranea sembrava leggerlo e capirlo molto meglio di quanto non avessero fatto i suoi genitori finora.  Perchè quello che non era evidente agli occhi di chi lo aveva messo al mondo doveva esserlo per qualcuno che non lo conosceva affatto?

« Non devo tenere conto a te di come gestisco la mia vita » rispose seccato.

Yumi si mise davanti ad Alec e si appoggiò al tavolo . Non pensò nemmeno per un secondo di invitare Alec ad accomodarsi, non avrebbe ripetuto lo stesso errore commesso con Layla. Non sarebbe stata nemmeno comprensiva: appena avesse trovato il tasto dolente da premere, avrebbe insistito finché quel giovane non si fosse arreso e se ne fosse andato; le importava ben poco se fosse arrivata a dargli ulteriori motivi per avercela con lei, tanto peggio di così non poteva andare. Sia che avesse cercato di rabbonirlo sia che avesse contribuito ulteriormente a farsi odiare da lui, poi, cos'erano dopotutto i discorsi di una Nascosta per uno Shadowhunter se non una perdita di tempo? E se lui di tempo ne voleva perdere lo stesso, allora lei lo avrebbe fatto pentire di non averle dato retta:

« Ero seria quando dicevo che non ho problemi a sapere uno Shadowhunter e uno stregoni innamorati... ma pensavo che il vostro fosse un rapporto sincero! ».

Con sua grande sorpresa, Alec rispose mortificato:

« Mi dispiace » .

Yumi aggrottò le sopracciglia: non era certo quella la risposta che si era aspettata di sentire.

« Ma che fai? Io non sono nessuno per te, perché dovresti scusarti? ».

« Perché ho capito quanto tu ne abbia interesse ».

Roba da matti pensò sconvolta Yumi scuotendo la testa.

« Da quant' è che sei qui? » disse cercando di dirottare la sua attenzione.

« Da prima che tu arrivassi. E no, non ero abbastanza vicino da sentire cosa dicevi, ma è stato difficile ignorare le tue urla ».

« E sei intervenuto per impedirmi di ammazzare quei due? ».

« Sono uno Shadowhunter, stavo solo facendo il mio lavoro » .

« Ora mi verrai a dire che non era nelle tue intenzioni intrometterti? ».

« Non quella iniziale ».

« E per quale motivo saresti rimasto a guardare? Speravi di cogliermi con le mani nel sacco in qualcosa di losco ? ».

« Io...non lo so...».

Yumi rimase sbalordita dalla sua sincerità, come riusciva a essere così ligio al dovere ma al tempo stesso così genuino? Nel crescere la sua pianta avevano forse usato concime naturale invece delle solite sostanze chimiche?

« Bene, spero che tu ti sia divertito. Se ti va male come Shadowhunter puoi sempre optare per la carriera di spia, anche se dovresti stare attento a non buttarti così precipitosamente nelle situazioni ».

Alec sembrò raccogliere i propri pensieri, sospirò e poi la guardò affranto:

« Perché sei così? » e prima che lei potesse rispondere, specificò: « Perché combatti anche se sei una strega? » .

Yumi batté le palpebre, stranita per quel drastico cambio di argomento ma anche, di nuovo, dall'ingenuità di lui: era una strega che per poco non aveva menomato un suo simile, a momenti ammazzava Maryse, i Nascosti avevano per lei un interesse che sarebbe potuto andare a danno degli Shadowhunters...e ciò che ad Alec premeva maggiormente era sapere perché lei era una guerriera anche se mezzodemone? Quel ragazzo era davvero strano. Fece per rispondergli, ma notò i suoi occhi guizzare da una parte all'altra del locale, specialmente in direzione della porta.

Iniziò a insospettirsi: Alec temeva forse che qualcuno dei presenti andasse a fare la spia al suo ragazzo e che Bane arrivasse e lo trascinasse via a forza? Erano le controindicazioni dell'essere fidanzato con un pezzo grosso, non poter avere una vita all'infuori della loro relazione ed essere costantemente seguito da telecamere e guardie del corpo pronti a riferire anche il più piccolo battito di ciglia? O forse invece...si aspettava di veder entrare qualcuno, sì...ma di più ufficiale, e il motivo per cui si stava trattenendo lì con Yumi era solo per guadagnare tempo e impedirle di filarsela.

La strega fece una smorfia: ora si spiegava tutto. Quasi provava pena per quel povero illuso, davvero la credeva una sprovveduta? Non c'era niente di male però a fargli credere di esserci cascata e di stare al suo gioco per un po', appena fosse giunto il momento propizio se la sarebbe filata. Si chiese poi se il motivo dei capelli colorati di Bane, oltre che una questione di moda, non fosse anche un modo per nascondere i capelli bianchi che quel ragazzo sicuramente gli faceva venire.

« Non ho una vera ragione » disse secca . 

Alec notò la sua espressione e quasi si pentì di averglielo chiesto. Sembrava però più stanca che arrabbiata , come se quello fosse un discorso ripetuto allo sfinimento, cosa che, trattandosi di Yumi, Alec non faticava a crederlo.

« Avere dei poteri non significa esserne dipendenti. In ogni caso, non è che abbia potuto dire al destino “ no, aspetta, fermati, non puoi farmi vivere questa esperienza, non fa parte del pedigree della mia razza! “, le circostanze della vita non stanno mica a guardare il sangue o l'etnia. Le cose spiacevoli accadono, che ci piaccia o no, ma siamo solo noi a decidere come far fronte ai disagi e se lasciare che ci dominino o meno ».

« E' un ragionamento che ti fa onore » disse sinceramente colpito Alec.

A Yumi venne quasi lo sconcerto a vederlo illuminarsi di fronte alla sua risposta, certo che per essere un ingenuo sapeva recitare bene la sua parte.

« Sembra che sia la prima volta che lo senti dire ».

« Bè, da quello che conosco di Magnus so che vive la sua magia in modo molto diverso, ma voi due siete come cane e gatto, quindi non mi sorprende ».

Yumi inarcò un sopracciglio e lo guardò sospettosa.

« Perché mi guardi così? » fece Alec, incerto.

« Era per caso una battuta, quella? ».

« N-No, era solo...mi dispiace ...».

Yumi fece una smorfia che dissimulò una risata. Alec sopirò, appellandosi all'Angelo e chiedendogli perché dovesse sempre avere a che fare con persone così particolari nella sua vita, ma fu lesto a riprendersi:

« Siete fin troppo diversi: lui si lamenta degli Shadowhunters, è vero… ma almeno non va apertamente contro gli Accordi ».

Il sorriso di Yumi si spense e lei si accigliò: ecco che finalmente Alec aveva deciso di giocare a carte scoperte. Non era durato molto con la sua recita però, era stato il più misero tentativo di guadagnare tempo mai visto prima. Con una naturalezza simile, come facesse quel giovane a essere ancora vivo era un mistero. Il pensiero di lui che si accucciava terrorizzato davanti a un demone facendogli gli occhioni dolci per dissuaderlo a fargli del male faceva quasi ridere.

« Lo trovi così divertente?! » esclamò arrabbiato Alec notando la sua espressione.

« Affatto, ci sarebbe solo da piangere! ».

« Hai aggredito il capo dell'Istituto di New York, sei andata contro gli Accordi, hai ferito il Sommo Stregone di Brooklyn; avrei più di una buona ragione per portarti a Idris e farti processare dal Clave ».

« E perché non l’hai ancora fatto invece di perdere tempo a chiacchierare? ».

Alec esitò come se l'avesse colto di sorpresa.

« Non...lo so ».

Yumi non gli credette neanche per un secondo.

« Forse speravo di poter ragionare con te...minacciarti non sarebbe servito a niente » aggiunse il giovane.

« Bene, uno a zero per te, ma non montarti la testa solo perché pensi di avere il controllo della palla » .

Alec stava iniziando ad avere il mal di testa nel cercare di venire a capo ai discorsi di Yumi. Per un attimo rimpianse di non essere in buoni rapporti col Diurno e di non essersi fatto spiegare un paio di cose, ma si appuntò mentalmente di chiedere  delucidazioni a lui o a Clary la prossima volta che li avrebbe visti.

« Ti rendi conto o no della situazione in cui ti sei messa? Io potrei anche lasciar correre, ma puoi star certa che mia madre non farà altrettanto ».

« E perché vorresti lasciar correre? »

. Alec non rispose. Yumi cercò una qualsiasi spiegazione che giustificasse le sue parole, ma più ci pensava più non riusciva a venirne a capo. Pensarci troppo non sarebbe servito a niente, quindi non le rimaneva altra alternativa che continuare a battere il ferro finché era caldo sperando che prima o poi Alec si decidesse di vuotare il sacco di persona:

« Io non sono un mollusco capace solo di attaccarsi agli scogli con tutte le forze per evitare di essere trascinato via dalle onde, e vorrei proprio sentirti dire una singola buona ragione per cui non dovrei difendermi da chi mi minaccia ».

Dentro di Alec, il suo lato razionale e quello emotivo facevano a pugni per prevalere l'uno sull'altro, con quello razionale che urlava di fare il suo dovere, di mettere a tacere quella strega e trascinarla davanti al Clave per processarla; come poteva però farlo quando non aveva niente con cui farlo valere, come poteva imporre la legge a quella Nascosta senza darle ragione e sembrare un carceriere? Come gli si poteva anche solo chiedere di imbrigliare una persona così autentica come Yumi? Lei era uno spirito selvaggio, era impossibile imprigionarlo; come sperava di competere con lei, lui che si sentiva da tutta la vita come se fosse legato da pesanti catene impossibili da far sparire, non importa l'essere riuscito a distruggere qualche anello?

« Tu sei molto in gamba, è normale guardarti e desiderare di averti dalla propria parte, saresti una valida alleata...».

Yumi lo fulminò con gli occhi. Alec impugnò d'istinto la freccia con entrambe le mani, ma Yumi sbuffò e scosse la testa.

« Se qualcuno mi vuole dalla sua parte è perché ha paura di me, perché non mi faccio comandare da nessuno; avermi dalla propria parte darebbe un'illusione di controllo ».

Alec moriva dalla voglia di dire che rispettava il suo rifiuto, ma il suo senso del dovere prevalse sul lato emotivo:

« Noi cerchiamo di far rispettare gli Accordi e di proteggere la gente, non imponiamo con la forza ai Nascosti di aiutarci ».

« Costringere qualcuno ad adempire ad un ordine tirando in ballo le vostre leggi se dovesse mostrarsi reticente per te è sinonimo di “ non imponiamo con la forza il nostro volere “ ? E quando incontrato un osso duro che fate, vi armate di segugi al guinzaglio e andate a stanarlo nella sua tana riservandogli poi un posto omaggio nelle vostre Wunderkammer? ».

« Cosa sarebbero?... ».

Yumi si massaggiò la fronte, trasse un profondo respiro e guardò sconsolata Alec:

« Non parlavo tanto per insultare Maryse quando dicevo che dovreste abbassare lo sguardo dal cielo da cui pensate di venire e di guardare più in basso, all'altezza delle altre persone che camminano sullo stesso suolo che calpestate voi. Come pensate di poter proteggere un mondo che nemmeno conoscete? E come potete pretendere che gli altri smettano di essere sé stessi solo perché non lo sono nella misura in cui lo vorreste voi? Dovremmo mettere in pausa tutto il mondo e vivere solo quando voi vi svegliate e ne avete bisogno? Non accetto che sia un foglietto firmato da emeriti sconosciuti senza interpellare nessuno a definirmi : io sono io, prendere o lasciare ».

« Il tempo non è dalla nostra parte come per voi immortali, non ne abbiamo da sprecare » ribatté Alec infastidito.

Yumi lo guardò riflessiva e il giovane guardò verso l'entrata del locale come una sorta di tic nervoso, anche se stavolta fu più per sfuggire allo sguardo di lei che, anche se non adirato, gli metteva ugualmente i brividi.

« Credi che sia solo questione di questo? » disse Yumi con calma.

« B-bé, sì. Voglio dire...» .

« Abbassa le barricate, non sei del tutto in torto. Per quanto mi riguarda, è così solo in parte: come mezzosangue ho sempre ritenuto doveroso conoscere il più possibile di entrambi i mondi che mi compongono, anche se so bene che non arriverò mai a conoscere davvero tutto  ».

« Non ci avevo mai pensato...».

« Per voi è diverso perché siete accecati dalla vostra metà non umana e dimenticate sovente che le vostre radici partono anche da un comune mondano. Non che dalla nostra parte non ci siano altrettanti megalomani senza speranze... ».

Fece una smorfia e agitò la mano come se i suoi pensieri fossero stati condensa sulla finestra del suo cervello e tornò a focalizzare il giovane davanti a sé. Alec si morse le labbra e si guardò i piedi come se fosse spaesato e avesse le mani legate. Yumi sospirò di nuovo: in un mondo dove angeli alti diciotto metri donavano poteri agli umani ed esseri metà umani e metà demoni avevano la libreria stipata di volumi e gadget dei fumetti giapponesi , Yumi non credeva nell'esistenza di divinità. Malgrado questo, in quel momento si sentì molto affine a Hecate, la divinità degli incantesimi e delle stregonerie rappresentata coi volti di una bambina, di una giovane donna e di un’anziana insieme; passato, presente e futuro uniti in una sola figura. Con Catarina si era ritrovata a essere la Donna, mentre con Layla era stata la Bambina; cosa l'avrebbe fatta diventare ora, quel Cacciatore? Di nuovo Bambina, di nuovo Donna, la Vegliarda… o tutte loro insieme?

 
 
« Magnus non approva davvero gli Accordi, ma lui almeno li rispetta e fa sì che vengano mantenuti » disse ancora Alec.

Yumi alzò gli occhi al cielo.

« Bane è il Sommo stregone di Brooklyn; io non sono nessuno , non devo rispondere dei suoi stessi obblighi ».

« Non è vero » disse deciso Alec.

« Come hai detto? ».

« Anche se non sei un Sommo Stregone, verso la tua gente non hai meno impegni di quanti ne abbia lui. Ho avuto modo di vederlo coi miei occhi: tu sei una personalità non indifferente per i Nascosti, forse anche più di quanto lo sia Magnus ».

« E sei ancora qui per questo, per cercare di » virgolette con le dita « accaparrarti la considerazione di questa Nascosta considerevole e guadagnarti un nulla osta che ti renda immune dalla sua rabbia? O per rendermi innocua perchè non costituisca più una minaccia per legge o peggio ancora per te e il tuo ragazzo? ».

« Non lo so perché sono ancora qui, ma so che non è per quello che immagini tu. E provarci comunque non servirebbe a niente, giusto? ».

« Hai detto bene ».

Alec sospirò affranto, ma pur se affaticato a star dietro ai discorsi di Yumi senza perdersi per strada, la strega, notò Alec,  non parlava per dare aria alla bocca e non lo faceva con il classico tono di superiorità di chi la sa lunga e non vede l'ora di dimostrarlo, ma solo perché era quello che pensava lei e non aveva timore a esporlo.

Da parte sua, la Nascosta si stava stupendo da sola per la facilità con cui stava dando corda a quel giovane, se continuava così avrebbe finito per strozzarsi.  Il Cacciatore però sembrava davvero interessato a quello che diceva, non si stava forzando nel farlo. Oltre che ingenuo, forse era anche facilmente impressionabile e malleabile ; se Yumi fosse stata davvero meschina avrebbe anche potuto pensare di sfruttare la cosa, ma tutto ciò che voleva era che chi il giovane stesse aspettando arrivasse e ponesse fine a quella seccatura cui si stava sottoponendo.

Detestava dover aspettare il pericolo invece di inseguirlo e affrontarlo: in natura le pantere aspettavano con pazienza che la preda arrivasse a tiro, magari anche facendo passare ore e ore interminabili prima di vedersi esaudite. Anche se nel corso degli anni era stata costretta a fare molta pratica a riguardo, Yumi non aveva mai condiviso appieno il modo di fare di quei magnifici felini: lei preferiva, come le tigri, seguire la preda, invece di perdere tempo ad attendere che arrivasse a lei.

« Chi era...quella mannara? » disse Alec guardando verso la finestra, anche se per il buio della strada era difficile riuscire a scorgere qualcosa.

« Nessuno di cui tu debba preoccuparti ».

Alec annuì soprappensiero e divenne meditabondo .

« Sento gli ingranaggi del tuo cervello lavorare freneticamente fino a qui, magari se mi dici cosa stai pensando forse posso lenirti il fastidio » disse Yumi sorprendendolo.

« Non ho chiesto il tuo aiuto, e comunque non vedo perchè dovrebbe interessarti se sto bene o meno ».

« Infatti non mi interessa, ma se aiutarti è l'unico modo per liberarti dallo stallo che ti tiene ancorato al pavimento e vederti sparire, allora posso sopportare il rischio » rispose Yumi con scherno.

La domanda che seguì però spense la sua baldanza come la fiamma di una candela:

« Tu che avresti fatto... se avessi avuto tra le mani la Coppa Mortale? ».

Una domanda da premio Oscar. Per l'ennesima volta Yumi si chiese perché quel ragazzo le stesse chiedendo quelle cose, anche se non erano solo le domande in sé a stupirla quanto il modo con cui lui gliele stava porgendo, come se... come se volesse conoscerla. Scosse la testa allibita: ma che andava a pensare? Se quel giovane la stava riempendo di domande era per riassestare l'equilibrio che lei aveva sconvolto (oltre che per aspettare che arrivasse chi di dovuto per consegnarla alla giustizia), non perché era davvero interessato a fare la sua conoscenza. Era pur sempre la strega che aveva aggredito delle persone che quel Cacciatore che amava, era assurdo credere che volesse conoscerla davvero. Pur se inaspettata, però, non era una domanda su cui Yumi non avesse riflettuto spesso, sapeva bene cosa rispondere:

« L'avrei riportata dai Fratelli Silenti ».

Fu il turno di Alec rimanere sorpreso questa volta.

« Ma così avresti perso la possibilità di mettere in difficoltà Valentine, e... ».

« ...e consegnarla ai Fratelli Silenti sarebbe stato inaspettato e imprevedibile oltre quello che avrebbe garantito un margine di sicurezza più alto che darla al Clave ».

« Ma perchè? ».

Yumi sospirò prima di rispondere, come se dirlo le costasse molto:

« Se Valentine avesse saputo che ero in possesso della Coppa, avrebbe ricominciato a darmi la caccia, e molte vite di Nascosti innocenti sarebbero state di nuovo sacrificate per causa mia. Non m'importa di quello che sarebbe potuto capitare a me... ma non mi sarei perdonata di coinvolgere qualcun'altro ».

« Sapevi che la Coppa ce l'aveva Clary? ».

« L'avevo sentito, sì. Ma avevo altre priorità ».

Alec la guardò in silenzio come a valutare  le sue parole e scegliere se crederle o meno.

« Sei una brava persona, Yumi » disse infine.

« Hai uno strano concetto di “brava” ».

« Non ho detto che sei una buonista. Sei intelligente, leale, molto coraggiosa e fai di tutto per proteggere i tuoi ideali, ma non per questo sconfini e tieni di poco conto la vita delle persone intorno a te ».

Yumi fece una smorfia: quel ragazzo era sorprendente. Era un guerriero che sapeva svolgere bene il proprio lavoro ma al tempo stesso era piuttosto insicuro, anche se aveva un buon cuore e arrivava a preoccuparsi persino di perfetti estranei. Provò un istintivo moto di tenerezza verso di lui che però riuscì a spengnere in fretta, e quando si rivolse ad Alec lo fece con lo stesso tono inflessibile che aveva usato fino a quel momento:

« Non esistono brave o cattive persone. Tu sembri un ragazzo gentile, ma esiteresti ad agire contro i tuoi principi e ad avere dei segreti per chi ami se questo volesse dire proteggerli? ».

« No » ammise il giovane. 

C'erano ancora domande che lo tormentavano e a cui avrebbe voluto tanto trovare risposta, ma di colpo scoprì che avevano perso la priorità avuta per tutta la giornata, e si guardò di nuovo intorno. Lì per lì Yumi meditò di girargli il collo in modo irreversibile , poi però iniziò anche lei a gettare occhiate sofferenti alla porta. Pur avendo passato gli ultimi minuti a sperare che Catarina  tornasse, ora più che mai desiderò invece che non scegliesse proprio quel momento per risorgere dai morti e rimanere coinvolta.

« Ti senti mai... combattuta tra il compiere il tuo dovere e proteggere chi ami? » aggiunse Alec.

« Spesso, purtroppo ».

« E... come fai a bilanciare le due cose? ».

« E’ difficile, e non sempre ci riesco » ammise Yumi con un sospiro.

« Ti capisco. Io cerco di far rispettare la legge... ma quando questa tocca le persone che amo è difficile... ».

Alec si portò una mano al petto e strinse la maglia tra le dita come se fosse infastidito.

« Prima consideravo le emozioni un impedimento, adesso invece mi accorgo che finora ho solo combattuto un nemico impossibile da sconfiggere ».

« Sei qui a parlare con me, non sei scappato quando ti ho aggredito e hai affrontato le tue insicurezze. Forse non sarà un segno definitivo ma è pur sempre qualcosa, è la prova che, anche se non hai il pieno controllo delle tue emozioni, non cerchi più di fuggirne ».

Alec sbattè le palpebre colpito, poi sorrise.

« Grazie, Yumi ».

« Mamma mia, stai iniziando a spaventarmi. Non hai niente di cui ringraziarmi, io ti ho solo esposto come la penso, mica volevo asciugarti gli occhi e rimboccarti le coperte ».

« Lo so, ma anche se brontolando hai comunque risposto alla mia domanda».

Yumi sgranò gli occhi sbalordita, non sapendo più cosa aspettarsi: essere ringraziata perchè ogni giorno si svegliava e usciva di casa? Sarebbe stato come ringraziare il sole per essere sorto e aver illuminato metà della Terra coi suoi raggi, era assurdo.

« E mi... dispiace per quello che ha detto mia madre ».

Yumi guardò il Cacciatore come se fosse impazzito, e con  enorme sconcerto  del ragazzo, scoppiò a ridere.

« Tu...sei...incredibile » disse Yumi tenendosi la pancia. « Invece di avercela con me per aver aggredito tua madre ti stai scusando con me per quello che ha detto lei ?!? Non pensavo proprio che gli Shadowhunters avessero il senso dell'umorismo, è proprio vero che le sorprese non finiscono mai ».

Si era sbagliata: era questa l'uscita più assurda che avesse mai sentito. Smise di ridere quando notò che Alec non sembrava affatto divertito.
« Sono serio » disse lui, aumentando l'ilarità della strega a cui però non fece caso:

« Lei è fatta così...e... specie dopo quello che è successo a Idris... con nostro padre e con.... ».

S'interruppe e si passò una mano sulla faccia. Yumi vide un profondo dolore attraversare il suo viso e si fece attenta.

« E' solo il suo modo di fare, anche per quanto riguarda le persone...soprattutto la sua famiglia...esige di avere sempre tutto sotto controllo... e...  non si è ancora ripresa da quello che è successo, nessuno di noi l'ha fatto. Penso che nemmeno ci riusciremo mai, ci ha segnato per sempre...lei in particolare ».

« E' la classica reazione di chi soffre e ha paura di rimettersi in gioco ».

« Come ti permetti?! » scattò Alec impugnando di nuovo la freccia . « Io...io mi alzo ogni giorno sentendomi...dannatamente in colpa di essere ancora vivo, di affrontare un altro giorno senza di- Vorrei essere stato al suo posto, e non potrò mai dirgli che mi dispiace. Cerco di farmi forza ogni giorno perchè è quello che vorrebbe, ma come posso essere forte per gli altri quando quello che desidero è addormentarmi e non risvegliarmi mai più? ».

Non sapeva perchè gli fosse preso di affrontare quell'argomento, ma ora che aveva iniziato sentiva che non sarebbe più riuscito a fermarsi, esattamente come succedeva ormai da settimane e come ancora sentiva che avrebbe fatto per tutta la vita, perché niente sarebbe riuscito a guarire il suo dolore. Era più corretto dire però che era l’indifferenza di Yumi a renderlo furioso, ma non le avrebbe permesso di ridere della sua sofferenza.

« Non ce la faccio a vivere la mia vita portandomi dietro una colpa che non riuscirò mai a espiare. E se riuscissi a trovare un modo per riportarlo qui, farei di tutto per- ».

Lo schiocco delle dita di Yumi sulla fronte del ragazzo interruppe quel frenetico monologo. Alec si toccò la fronte guardando sbalordito Yumi, che  invece lo guardò con una serietà tale che fece venire la pelle d'oca al giovane.

« Datti una calmata » disse lei abbassando lentamente il braccio.

« Per l'Angelo, lo so che per voi è nella norma perdere qualcuno, ma solo perché non siamo immortali non significa che non abbiamo anche noi il diritto di soffrire! » .

Yumi alzo di nuovo la mano e Alec alzò d'istinto il braccio per proteggersi dal colpo che però non arrivò; sentì invece la mano di lei posarsi sulla spalla.

« Non intendevo questo » disse calma la strega.

 « Cosa... vuoi dire, allora? ».

Yumi strinse leggermente la spalla del Cacciatore e si morse le labbra pensando al maestro: a suo tempo, malgrado fosse stata già piuttosto grande, per lei era stata dura sentirsi dire cose simili. Alec però era molto ma molto più giovane di quanto fosse stata lei, e anche molto più insicuro ; era giusto inculcargli una tortura gratuita come quella? Comprese però che Alec doveva aver pensato che lei fosse insensibile a quel genere di argomento e per questo si era arrabbiato. Yumi però aveva parlato senza pensare, non era stata sua intenzione aggravare il dolore di quel giovane. Di certo non poteva aiutarlo a liberarsi di quel peso... ma contro ogni buonsenso, volle provare a insegnargli a gestirlo:

« Non puoi davvero sapere cosa vorrebbe o meno quella persona... perchè lei non è più qui, per quanto tu possa ancora avere impressione che lo sia come se, voltandoti a cercarla , potessi trovarla ».

« Come osi- » .

« Invece di fare come tua madre e aggredirmi subito senza nemmeno ascoltare quello che ho da dire, prova a stare in silenzio. Deciderai dopo cosa fare ».

Alec sospirò e fece un cenno brusco con la testa a Yumi perché continuasse a parlare.

« Riesco a capire dal tuo dolore quanto tenessi a quella persona » proseguì Yumi addolcendo il tono. « C'è modo e modo però di non lasciare andare il ricordo di qualcuno che non si traduce nel tenerlo stretto a qualunque costo e privarsi del resto. Porre fine alla tua vita solo perchè ti sembra di averla sprecata sarebbe un errore imperdonabile: ora stai soffrendo, ma devi guardare al passato senza però esserne vittima e imparare dalla tua storia. E preoccuparti di chi è ancora vivo, invece che inseguire l'ombra di qualcuno che non tornerà mai più ».

Appena ebbe pronunciato l'ultima parola, Yumi si portò una mano alla bocca mentre una terribile consapevolezza si affacciò nella sua testa, ma ormai era troppo tardi per riuscire ad arginarla. Alec non si accorse del suo turbamento e la guardò disorientato.

« Io... noi...vorremmo solo rivederlo... ».

« Credi forse che cambierebbe qualcosa? Che evocare il suo spirito risolverebbe tutto? ».

« Ci permetterebbe di scusarci... ».

« E vi restituirebbe quella persona? O avviereste un'interurbana una volta al mese col mondo degli spiriti per parlare con lui? Chi dice poi che avrebbe piacere a venire richiamato? ».

« Ma noi... noi siamo... ».

«... distrutti dal dolore, e lo capisco, ma la convinzione che sia sufficiente questo per credere che non abbia lasciato questo mondo e che sia ancora in giro è quello che volete voi, chi vi dice che sia quello che voleva lui? Potete averlo amato, ma se è in pace allora dovete lasciarlo stare ».

« Tu non sai niente di lui! » scattò Alec liberandosi dalla presa di Yumi. «Aveva tutta la vita davanti, aveva bisogno di noi, era- ».

« Comincio a capire il tuo problema, sai? Ti trovi più a tuo agio in battaglia che fuori perchè in combattimento hai la mente sgombra dalle preoccupazioni, ma quando si tratta di relazionarti col prossimo vai in paranoia perchè le persone sono molto più complesse di quando potessi immaginare, vero? ».

« Ma è egoista pensare che- ».

« E' molto più egoista pretendere che lui rimanga qui ai margini della vostra vita piuttosto che lasciarlo libero ».

« E Ryuu, allora? ».

« ...Cosa vuoi dire? ».

« Lui è tornato, no? Lui continua a far parte della tua vita, non ne è affatto ai margini ».

Il cuore di Yumi accelerò i battiti e lei si morse le labbra.

« Ryuu è un caso più unico che raro, quello che gli è successo stato accidentale. E non puoi pretendere che solo perchè è successo a lui allora debba succedere anche a qualcun'altro ».

« Però Ryuu è ancora qui, e tu puoi vederlo, toccarlo, parlare con lui... ».

Yumi sospirò stancamente.

« Vuoi sapere come mi sembri ? Come uno che sta leggendo un romanzo ma evita le scene dolorose perchè lo fanno soffrire e si scoraggia a proseguire perchè ha paura di continuare a leggere. Tu hai appena iniziato a leggere il libro della vita ma stai già tentennando per le scene drammatiche; sono proprio queste però a portare avanti la narrazione, e non è facendo finta che non esistano che riuscirai a superarle o arriverai ad apprezzare la storia ».

Alec era così stanco che rinunciò definitivamente a tenere d'occhio l'entrata del locale: che venissero pure a prenderlo, non era più  la sua preoccupazione maggiore al momento. Discutere con Yumi lo stava prosciugando di tutte le sue energie ancor più di una sessione di allenamento intensivo, e si sentiva davvero sfinito.

« Tu non hai niente da perdere? » domandò quasi senza accorgersene, come se non avesse più forze per contestarla e ormai avesse perso ogni paura di mettere le carte in tavola e vedere come proseguiva la partita.

« Prego? ».

« Sei contraria alle leggi, non hai problemi a essere te stessa e parli del dolore di perdere qualcuno come se niente fosse. Fai così perchè non ha niente a cui tieni? ».

La domanda rese confusa la strega, sopratutto perché lui gliel'aveva formulata non come un'accusa ma solo come una genuina osservazione. Se aveva da perdere? Lui non immaginava nemmeno cosa o chi avesse da perdere, ma non gli avrebbe dato tutto quel potere:

« Sono nata in tempi in cui per i Nascosti era molto più faticoso di oggi vivere, e non è che si possa cambiare atteggiamento dall'oggi al domani. Bisogna dire però che il modo di fare delle persone non è mutato poi molto... e tu non hai la più pallida idea di quanto sia difficile vivere, per noi... ».

All'improvviso sembrò molto più vecchia di quanto apparisse, ed Alec si stupì di vedere una strega che aveva vissuto a lungo e aveva visto il mondo cambiare in modo drastico dietro la giovane mondana che sembrava. Poteva solo immaginare quante storie, quanti doveri, quanta stanchezza fossero celati nelle profondità di quegli occhi blu senza tempo. Capì finalmente perchè si sentiva  in colpa nei suoi confronti: lei lottava da sempre per donare una vita migliore alla sua gente, cosa in cui però lui e la sua, di gente, non avevano mai  dato un vero contributo ma solo peggiorato le cose. Lei però non aveva mai ceduto, portava avanti da secoli quella difficile battaglia... ma lo faceva da sola. Non c'era da sorprendersi se fosse così diffidente e scorbutica, Alec era certo che anche lui lo sarebbe stato se si fosse trovato al suo posto. Sentì di dover dire qualcosa, ma non riuscì a formulare niente che ritenesse lontanamente indicato in un momento come quello.

« Comunque sia, » riprese Yumi « non sono come Valentine, e di certo non arriverei a ridurmi come lui per cambiare le cose ».

« Lo so che non lo faresti » disse Alec tranquillo.

« La tua ingenuità fa quasi paura, Shadowhunter. Mi conosci così poco eppure ti è bastato sentirmi dire due parole per poterti fidare di me? ».

« Non sono davvero certo di potermi fidare di te » ammise Alec. « Ma se avessi voluto fare davvero come Valentine, l'avresti fatto già da tempo, no ? ».

Yumi inarcò le sopracciglia.

« Ingenuo e cristallino. Spero che tu non sia così anche sul lavoro perché farti fuori sarebbe questione di un attimo ».

« So fare il mio lavoro, grazie » disse seccato Alec. « Però vorrei solo capire: sei disposta a fare così tanto per gli altri... ma lo sei altrettanto per le persone che ami? ».

Yumi scoprì i denti. Alec temette che si fosse arrabbiata e arretrò.

« Sono disposta a fare qualunque cosa per le persone che amo » disse monocorde Yumi. « Questo però non significa che li vincolerei a me a qualunque costo. E, Lightwood? » .

« Sì? ».

Yumi strinse i pugni e prese un profondo respiro.

« Anche se fa male, anche se a volte uno vorrebbe solo tornare indietro nel tempo e cambiare il passato…i morti è meglio che restino tali » disse grave.

Alec non riuscì a fare altro che guardarla in silenzio.

« Io... » disse. « Forse è meglio che vada ».

« Sarebbe anche ora » sbuffò Yumi.

Alec annuì e andò a recuperare la sua roba, lasciò i soldi sul tavolo e fece per andarsene, poi però ci ripensò e tornò indietro.

« Yumi? ».

« Che vuoi ancora? ».

Alec si morse le labbra: non voleva disturbarla ulteriormente, ma c’era ancora un'ultima cosa che avrebbe voluto dirle prima di andarsene. Prima che potesse riuscirci, però, qualcun'altro lo anticipò:

« Ecco a voi la Principessa Incoerenza ».

I due si voltarono e videro Catarina, comparsa dal nulla, che li guardava scocciata e con le braccia incrociate. Alec fece un balzo indietro, Yumi invece guardò la collega aprendosi in un largo sorriso.

« Ed ecco a voi April o'Neil riemergere dai bassifondi di New York, cominciavo a credere che ti avessero rapito le Tartarughe Ninja » replicò sogghignando.

« Sarebbero saltate in aria » ribattè Catarina senza smettere di guardare ad Alec con espressione infastidita.

Lui strinse nervosamente la freccia.

« Avresti davvero fatto esplodere le fogne mettendo a repentaglio la vita di tutta la popolazione newyorkese? Mi meraviglio di te, senpai » ridacchiò Yumi.

« Pensa per te, Zorro in kimono: mi allontano cinque minuti e ti ritrovo a far salotto con uno Shadowhunter! ».

« Chiamali cinque minuti, avrei fatto in tempo a lavare i piatti di tutta la settimana senza magia, nel tempo che sei sparita ».

Alec non capì il loro scambio di battute ma non mancò di notare quanto l'arrivo di quella Nascosta avesse portato uno strano cambiamento nell'atteggiamento di Yumi: sembrava molto più rilassata, come se la presenza della sua simile l'avesse in qualche maniera tranquillizzata.

« Cause di forza maggiore » tagliò corto Catarina.

Yumi inarcò un sopracciglio e la squadrò con attenzione.

« Il tuo amico rompiscatole? ».

Catarina sospirò alzando gli occhi al cielo.

« Sputa il rospo » ordinò perentoria.

« Ho tirato  a indovinare:  io e te non possiamo avere quella causa di forza maggiore e hai ancora il cellulare in mano, e a meno che non stessi guardando foto compromettenti... » disse con malizia Yumi leccandosi il labbro superiore e facendole l'occhiolino.

Catarina sospirò ma sorrise stancamente. 

« Quell'impiastro mi ha inchiodata parlando ininterrottamente peggio di una zitella depressa e non mi ha fatto quasi parlare! Sono riuscita a liberarmene solo chiedendogli di venire qui per parlarne di persona, invece di fondermi l'orecchio con questo arnese malefico » disse cacciando il telefono in tasca con irruenza. « Spero che non ti dispiaccia ».

« Mi stavo già abituando a sostenere comizi, uno in più uno in meno per stasera non fa differenza » disse Yumi con sufficienza.

Catarina fece una smorfia e posò lo sguardo su Alec come se si fosse resa conto davvero della sua presenza solo in quel momento.

« Cosa ci fai qui, Shadowhunter? ».

« Niente, io... ».

« Se non hai di meglio da fare che  dormire sugli allori puoi anche sloggiare, o se vuoi te lo trovo io un po' di lavoro da fare visto che sembri così annoiato ».

« Me ne stavo giusto andando... » .

« E allora sbrigati a sparire e a impiegare il tuo tempo in qualcosa di utile che non sia rompere le uova nel paniere ».

Yumi cercò di nascondere un sorriso con la mano senza riuscirci. Alec guardò ora lei e ora la strega blu: cominciava a capire perché Yumi si sentisse così a suo agio con lei. Decise che non era il caso di insistere oltre e rischiare di farle arrabbiare entrambe.

« Bè, allora ciao, Yumi » disse, ma lei non gli rispose.

Aveva smesso di sorridere e  guardava la propria mano sinistra  con stupore. E iniziò a ringhiare.

« Yumi, cosa... » disse Cat, ma Yumi afferrò lei e Alec e si buttò sul pavimento. In quel momento la finestra esplose.

 

 
Angolo autrice*

A essere sincera, l’idea di questo capitolo era nata già da qualche capitolo fa, ma anche se ero in piena visita da parte del Fantasma Presente, il Fantasma Futuro ha voluto accelerare i tempi e mostrarmi comunque uno scorcio del futuro della mia storia. Questo futuro, che ora è il mio presente, si è realizzato, sì, ma non come l’avevo preventivato, la storia a cui guardo ora non è affatto come l’avevo immaginata quando l’ho concepita , né quella già pubblicata né quella ancora da pubblicare. E’ stato piacevole e complicato insieme scrivere questo capitolo, non facevo in tempo ad appuntarmi un’idea che subito ne saltava fuori un’altra ed è stata dura trovare un buon filo logico che facesse di tutti questi grani un’unica grande collana ( di cui molti sono finiti in magazzino :-) ); spero comunque  di essere riuscita a non deludere le aspettative di chi segue la mia storia :-) anche se ora il povero Alec avrà bisogno di uno psichiatra XD.

PS: grazie a RagazzaOmbra per avermi ispirato alcue battute ;-)
 
Citazioni:

(1*) viene da Hercules, la versione cinematografica del 1997 della Disney.

 

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Capitolo 20
*** Mai svegliare gatto che dorme ***


Una lunga e sinuosa coda squamata frantumò la finestra e si abbatté sui tavoli e divani circostanti. I clienti più lontani riuscirono a rifugiarsi presso il bancone, ma Yumi, Catarina e Alec rimasero intrappolati sotto i detriti generati dalla forza devastatrice dell’intrusa. I tre riuscirono a liberarsi da quelle rovine quel tanto che bastava per alzarsi e correre via, ma non riuscirono a fare molta strada che la coda gli frustò le gambe e li fece ricadere a terra, strisciò su di loro e si avviluppò intorno alla vita di Catarina. Yumi si fiondò su di lei, ma la sua mano mancò quella di Catarina per un soffio e la strega venne sollevata e trascinata fuori dalla finestra.

« Senpai! » urlò Yumi lanciandosi al suo inseguimento.

« Yumi, aspetta! » cercò di fermarla Alec, ma Yumi ormai era già fuori.

Alec non ebbe altra scelta che venirle dietro, ma le andò a sbattere contro appena fuori dal locale.

« Che succede, Yumi? ».

Lei non si volse nemmeno: guardava immobile davanti a sé con gli occhi spalancati.

« Jōdan [scherziamo]?... » mormorò incredula.

Alec aggrottò le sopracciglia, ma quando vide la causa di quel disastro assunse la stessa espressione della strega: un gigantesco serpente dalle squame nero-verdastre, lungo almeno dieci metri; al posto del muso, però, aveva un volto da donna dai lunghi capelli neri e dagli occhi gialli a pupilla verticale, con zanne acuminate e una lunga lingua biforcuta ben visibili dalla bocca spalancata. Era completamente bagnato, i lunghi capelli erano appiccicati sul suo volto e gocciolavano per terra formando delle piccole pozze d’acqua su cui però riusciva a muoversi senza scivolare. Alec non aveva mai visto un essere simile, ma Yumi sì: era una Nure-onna, un demone della mitologia giapponese che si diceva vivesse negli stagni.

Yumi guardò alle sue spalle e vide diverse macchine rovesciate e sfondate, un lampione piegato a metà e alcuni bidoni di plastica rovesciati a terra, a formare una specie di percorso che terminava nel locale da cui erano appena usciti. Quel demone era sicuramente arrivato lì da tutt’altra parte a caccia di prede, e un locale pieno di Nascosti doveva essere stata un’occasione troppo ghiotta per farsela sfuggire. Qualcosa però diceva a Yumi che non era stata solo la fame a guidarlo da loro: s’inarcava di continuo e sibilava infastidito, come se avesse un malessere tremendo alla schiena che non riusciva a lenire. La vera domanda però era un’altra: com’era possibile che un demone giapponese si trovasse in pieno territorio americano?!

Gli altri clienti uscirono alla spicciolata a rimasero attoniti quando videro con cosa avevano a che fare, mormorando tra di loro e guardando con apprensione il demone. Alec invece non si perse d’animo, incoccò una freccia, prese la mira e lasciò partire il colpo; il dardo venne deviato da una sferzata della coda del serpente, che sorrise facendo sibilare la lingua biforcuta e aumentò la presa sulla preda tra le sue spire. Catarina gemette.

« Dannazione! » imprecò Yumi.

Il fastidio che il demone sembrava avere giustificava appieno la devastazione seminata al suo passaggio, ma evidentemente non era così intenso da non renderlo incline a giocare con le sue prede e stuzzicarle un po' invece di attaccarle subito. Teneva così stretta Catarina che lei stava diventando viola, anche se non smetteva un istante di dibattersi; più si dibatteva però più le spire le si serravano intorno al corpo, se non la liberavano in fretta per lei sarebbe stata la fine. Yumi si mise in posizione e scese con la mano verso lo stivale destro, ma le sue dita tremarono e non riuscirono a prendere il bastone, che scivolò e cadde per terra. Yumi si chinò a prenderlo, ma di nuovo perse la presa.

« Non pensare a me Yumi, uccidilo! » urlò Catarina, lamentandosi poi di nuovo per la stretta del suo rapitore.

Yumi si morse le labbra a sangue e alzò le braccia, ma dalle sue mani non fuoriuscì niente. Provò e riprovò ancora, ma non accade nulla e non sentì nemmeno la familiare corrente calda che scorreva nelle sue membra quando evocava la propria magia. Si guardò mani: tremavano spasmodicamente, e non riusciva a controllarle. Iniziò ad avere freddo, e com’era naturale per lei si voltò a guardare accanto a sé… dove però non trovò nessuno. Il gelo divenne tremendo, e le mancò l’aria. Il demone si inarcò e scrollò il suo lungo corpo serpentiforme, fece sibilare la lingua e si buttò in direzione di Yumi con la bocca spalancata. Yumi era troppo preoccupata del suo problema per accorgersi del pericolo, ma invece di essere colpita si sentì spostare bruscamente e cadere a terra.

« Che cosa ti prende?! » esclamò qualcuno sopra di lei.

Alzò gli occhi e si accorse che era Alec, che si era buttato su di lei lasciando il rettile a mordere il vuoto. Yumi aprì leggermente la bocca per rispondere al giovane, ma non ne uscì altro che il suo respiro irregolare. Era visibilmente terrorizzata, e Alec non sapeva come aiutarla.

Il demone, che al mancato attacco si era ritirato, ondeggiò il capo su e giù, come a prendersi gioco di loro. Alec guardò il mostro con rabbia, lui sorrise facendo saettare la lingua e si lanciò di nuovo verso di loro. Alec cinse Yumi con un braccio mentre con l’altro cercò di posizionare l’arco, ma un mannaro saltò in avanti e si lanciò contro il serpente col volto e gli artigli sfigurati. Questi evitò l’assalto e attaccò il suo assalitore prendendolo tra i denti, lo sollevò e lo schiantò contro l’insegna del locale, che si spezzò in due e cadde sopra il corpo del malcapitato. Nessuno si mosse per aiutare il compagno ferito, ma un altro licantropo pensò bene di fare la cosa più indicata e inveì contro Yumi:

« Perché non l’hai attaccato? Stai forse aspettando che ti dia il permesso?! ».

Ancora tra le braccia di Alec, Yumi non riuscì nemmeno a muoversi; ci pensò il ragazzo però a reagire al suo posto:

« Quella donna è ancora sua prigioniera, più cercheremo di attaccare il demone più lui le farà del male! ».

L’uomo lo guardò con disprezzo.

« E da quando voi Shadowhunters vi fate venire degli scrupoli quando si tratta di eliminare una minaccia? Non possiamo rischiare solo perché quella strega si è fatta catturare. E poi l’avete sentita, no? Ha detto di farlo fuori, non importa se verrà eliminata anche lei ».

Alec corrugò la fronte e assottigliò lo sguardo. Yumi finalmente si smosse e si alzò spingendo bruscamente Alec senza però guardarlo. Osservò invece le spire del demone serrarsi sempre più salde intorno al corpo di Catarina e avanzò furiosa verso il mostro alzando le braccia; di nuovo, le sue dita rimasero spente. Il panico ammontò in Yumi.

Alec la guardò preoccupato: capiva che fosse spaventata all’idea di far del male alla sua amica, ma aveva sperato di poter contare sul suo aiuto. Come poteva chiederglielo però se era ridotta in quelle condizioni? Si chiese dove fosse finito Ryuu e perché non fosse ad aiutare la sua compagna come la prima volta che li aveva incontrati. Il giovane aveva le mani legate: non voleva abbandonare Yumi, ma era altrettanto certo che non avrebbe ucciso la strega blu a discapito delle loro vite, non si sarebbe ridotto come immaginavano quei Nascosti. Non poteva però restarsene con le mani in mano, e anche se da solo temeva di poter fare ben poco con un avversario di quel calibro, non aveva altra scelta se non provarci e sperare per il meglio. Imbracciò l’arco, pregò Raziel di guidare la sua mano, e scagliò una freccia.
Il rettile si piegò ad anello e la freccia ci passò in mezzo lasciandolo illeso, ma la presa intorno a Catarina, che ormai era arrivata al limite, aumentò ancora. Alec digrignò i denti e si preparò per un altro tentativo, ma d’un tratto delle scintille blu colpirono da dietro il serpente alla nuca. Questo sibilò e si girò inviperito, ma venne di nuovo colpito, stavolta in pieno volto. L’essere urlò e si agitò a tal punto che mollò la presa su Catarina sbalzandola via, ma invece di cadere la donna si fermò a mezz’aria e molto lentamente scese fino a toccare terra.

« Sono consapevole che le signore non si dovrebbero toccare nemmeno con un fiore, ma direi che qualche eccezione sia d’obbligo ».

« Magnus! » esclamò Alec.

Già, proprio così: il Sommo Stregone di Brooklyn in tutto il suo splendore. Pur se con la faccia di chi avrebbe voluto trovarsi ovunque tranne che in quel luogo, i suoi occhi da gatto brillavano e la sua espressione era furiosa ma risoluta. Alec lo trovò bello come non mai, e il suo cuore si gonfiò di felicità.

« Sei in ritardo » lo rimbeccò Catarina massaggiandosi le braccia.

« Ma puntuale per salvarti la vita, mia cara » disse lui avvicinandosi.

« Bel modo di aiutarmi, il lancio della strega non è esattamente uno sport che ambisco a istituire » borbottò Catarina iniziando a curarsi coi suoi poteri.

« Lascia che ti dia una mano » disse Magnus chinandosi, ma lei respinse la sua mano con uno schiaffo.

« Faccio da sola, grazie ».

Lo stregone sospirò e cedette.

Alec li guardò confuso, ma mai quanto Yumi, che guardò Catarina e Magnus non riuscendo a capacitarsi di ciò che vedeva: quello stregone la perseguitava da sempre, ma che di tutta la popolazione del mondo fosse proprio lui l’amico di cui le aveva parlato Catarina… era folle. Cercò di imporsi di essere grata che Catarina fosse salva e insieme a qualcuno che si sarebbe preso buona cura di lei, ma non ci riusciva : a guardare la collega insieme a Magnus, che parlavano con una faccia rassegnata come se fossero talmente abituati a discutere che ormai non ci facevano più neanche caso, sentiva come se la corda che le aveva unite si fosse spezzata e lei fosse precipitata giù da un burrone, condannata ad assistere impotente mentre Catarina afferrava la mano di qualcun altro non curandosi più di lei. Yumi però sapeva che il risentimento che provava non era rivolto a Magnus: era rivolto a sé stessa.

Non era riuscita a impedire che il demone rapisse Catarina, non era riuscita nemmeno a salvarla; non era stata in grado di fare niente per lei, anche se glielo aveva promesso, anche se avrebbe preso il suo posto pur di riuscirci. Sentiva male al petto, e stavolta non riuscì ad accantonarlo come di suo solito. Le parole del Nascosto di poco prima si fecero largo nel suo animo impiantando un altro seme nocivo: finché Yumi faceva il suo dovere andava bene, ma se si azzardava ad avere incertezze era una vergogna. Se era un’arma priva di volontà che volevano, bene, allora questo avrebbe dato loro, non c’era più ragione per esitare adesso che Catarina era salva.
Doveva rimanere concentrata, annullare sé stessa nella lotta; solo così avrebbe finalmente provato sollievo. Se ne era così convinta perché allora stava ancora esitando?

Si mise in posizione d’attacco, ma non sentì niente, né la sua magia né tantomeno l’adrenalina e l’eccitazione prima della battaglia. Si sentiva come se avesse avuto le orecchie piene di un rumore fastidioso fino a quel momento ma ora il silenzio invece di rassicurarla la disorientava. E si sentì perduta. L’affanno divenne incontrollabile, si prese i vestiti tra le mani e si guardò intorno alla ricerca di qualcuno, chiunque, che venisse in suo aiuto, cosa che però non successe. La disperazione divenne soffocante e il cuore le salì alla gola coprendo le sue orecchie con i suoi battiti frenetici. Così non avvertì lo spostamento d’aria che precedette l’arrivo del pericolo né le urla di avvertimento; se ne accorse solo quando la coda squamata della Nure la colpì violentemente sbattendola contro il muro di un palazzo.

Cadde in mezzo a dei bidoni e venne travolta dalla spazzatura, ma il dolore che aveva al petto oscurò qualsiasi altro dolore fisico che il colpo aveva arrecato al suo corpo. Aveva paura, non riusciva più nemmeno a muoversi, non riusciva a pensare ad altro che a quel dolore intollerabile. Supplicò con tutte le sue forze che qualcuno gli ponesse fine una volta per tutte, anche se ormai non si aspettava più di essere ascoltata. Ad un tratto però sentì una voce, una voce che non era quella che aveva sperato di sentire ma che le aveva fatto compagnia per tutto il giorno, anche se aveva continuato a respingerla. Adesso però non aveva più forze per opporsi ed era stanca di farlo: chiuse gli occhi e l’accolse.
 

 
« Yumi! »

Catarina cercò di precipitarsi da lei, ma venne afferrata per le braccia.

« Lasciami andare, Magnus! » urlò dimenandosi.

« E vederti ripetere da capo il copione? Non ci penso proprio ».

Lei però non lo ascoltò e gli pestò il piede con tutta la forza che aveva.

« Ma che diamine! » esclamò Magnus lasciandola andare.

Catarina lo guardò, arrabbiata come assai raramente l’aveva vista in vita sua. Magnus temette che l’avrebbe preso a schiaffi, ma Catarina si girò e incespicando si mise a correre, solo che venne fermata da Alec, che nel frattempo li aveva raggiunti. Magnus per un attimo dimenticò che erano in pericolo, che una serpe neo eletta regina di bellezza con manie di grandezza progettava di far di loro polpette e che Catarina sembrava in preda ad una crisi di nervi: guardò il giovane Shadowhunter e tutto il resto perse importanza. L’unica cosa che avrebbe voluto fare era spingere da parte la sua amica, prendere Alec tra le braccia, stringerlo e baciarlo fino a non avere più fiato, e invece si ritrovava come consueto a dover assolvere ad un barboso dovere prima di potersi dedicare al piacere.

Un giorno all’altro Magnus avrebbe sporto denuncia a chi di dovuto per questa oltraggiosa ingiustizia che gli imponeva di non poter nemmeno vedere il proprio ragazzo senza dover prima essere costretto a mettere in salvo le loro vite se voleva sperare di poter continuare a viverne una insieme. Alec non guardò lui ma Catarina, e Magnus ne rimase deluso; Alec invece rimase colpito da quante energie avesse ancora quella piccola strega, che si dimenava come una furia tra le sue braccia come se fosse stata ancora prigioniera tra le spire del serpente.

« Per favore », cercò di farla ragionare « per favore calmati, lo so che sei preoccupata per Yumi, ma non puoi affrontare quel demone nelle tue condizioni! ».

Catarina lo fulminò ma smise di opporre resistenza. Magnus sospirò sconsolato: quando il dovere chiamava, Catarina rispondeva all’istante, nessun impedimento era mai troppo da esortarla a lasciar perdere l’idea di svolgere il proprio lavoro di infermiera. Lo stregone però era anche impressionato: Catarina, sempre così composta, che riusciva a mantenere la calma anche nelle situazioni più pericolose, ora sembrava in procinto di esplodere. Non era affatto da lei buttarsi così precipitosamente in una situazione, che cose le prendeva? Alec notò lo sguardo di Magnus ma non disse niente. Era felice che Magnus fosse lì, ma era ancora confuso e arrabbiato con lui, per questo per il momento preferiva evitare di accendere ulteriori discussioni. Si chiese, non per la prima volta, come sarebbe stato se entrambi fossero stati qualcosa di diverso da ciò che erano e se avessero avuto molti meno problemi se fossero stati due qualunque ragazzi mondani invece che uno stregone e uno Shadowhunter.
Questo però erano, e che gli piacesse o meno, c’era un lavoro da svolgere che necessitava di tutta la loro concentrazione, e solo loro potevano portarlo a termine.

Guardò il demone squamato e poi verso il punto in cui era stata buttata Yumi, come se non sapesse a quale dei due dare la precedenza o sperasse che, da un momento all’altro, Yumi saltasse fuori, completamente ripresa e sicura di sé, e affrontasse quel pericolo come solo lei sapeva fare. Catarina invece guardava con nervosismo verso una specifica direzione, non c’erano dubbi su quale strada avrebbe voluto intraprendere. Non si era ancora ripresa del tutto però, e anche se gli aveva brontolato, era contenta che Magnus e Alec fossero riusciti a fermarla, avrebbe rischiato seriamente di essere uccisa per davvero, stavolta. Anche se dolorante, il suo corpo fremeva dall’impazienza e dall’ansia; non vedere Yumi ritornare la stava facendo ammattire, doveva assolutamente sapere se stava bene.

Guardò furente il demone: non aveva mai desiderato fare del male a qualcuno  come in quel momento, e se a Yumi era successo qualcosa di grave quella vipera avrebbe rimpianto amaramente di essere nata. Si meravigliò dei propri pensieri e fece una smorfia: ecco cosa succedeva a passare ore in compagnia di quell’energica ragazzina, si finiva a toccare il suo pensiero come se fosse il proprio. Catarina però non voleva perdere anche lei, e se per farlo avrebbe finito per andare fuori dai suoi schemi, allora era disposta a pagarne lo scotto. Magnus guardò sbalordito l’amica: era specializzata in incantesimi di guarigione, e anche non si tirava di certo indietro quando c’era un pericolo, non l’aveva mai vista così combattiva; sembrava quasi che fremesse dalla voglia di eliminare quel demone, anche a mani nude, se fosse stato necessario. Cominciò a temere che ciò che avrebbe voluto evitare si fosse già realizzato e che fosse troppo tardi anche solo per cercare di rimediare. Dopo che le acque si fosse calmate, avrebbe fatto due doverose chiacchiere con Catarina, gli doveva assolutamente delle spiegazioni.

« Temo che si sia arrabbiato » disse facendosi avanti tra Alec e Catarina ma non guardando nessuno in particolare.

« Diciamo piuttosto che la situazione era già precaria prima e ora è solo peggiorata » disse Catarina.

« Cosa vuoi dire? » disse Alec voltandosi verso di lei.

« Non hai visto come si agita? Dev’esserci qualcosa che lo tormenta, forse è ferito ».

« O forse si è solo offeso per la perdita del suo bottino » suggerì Magnus.

« C’è ben poco da scherzare, Magnus » disse Alec per niente in vena di ridere. « Yumi è ancora laggiù da qualche parte, dobbiamo riuscire a uccidere quel demone prima che riesca a trovarla ».

« Forse è così frustrato perché ha incontrato un simpatico Shadowhunter di ronda che gli ha lasciato un bel ricordino ma ha avuto il buongusto di non finire il lavoro » disse sarcastico Magnus.

« Stai insinuando che sia colpa mia?! Io ero dentro il locale, nemmeno ne ho incontrati, di demoni, venendo qui! ».

« Quando avete finito i vostri battibecchi da fidanzatini, vorrei ricordarvi che Yumi è ancora là da qualche parte e ha bisogno di aiuto, che la nostra amica anaconda si sta innervosendo ancora di più, e che se non la fate finita vi butto personalmente tra le sue fauci così riuscirò a liberarmi da almeno una seccatura! » disse alterata Catarina.

Effettivamente il demone si agitava e urlava girandosi da una parte all’altra come se stesse cercando qualcosa o qualcuno e lo stesse chiamando a gran voce frustando l’aria con violenza. Di Yumi invece non c’era traccia da nessuna parte, ma il meglio che potevano fare per aiutarla era neutralizzare la minaccia incombente.

« Non c’è una maniera per immobilizzarlo? » disse Alec preoccupato.

« Ci sarebbe, ma non sarà facile domare un demone così fuori controllo » osservò Catarina.

« Cominciamo allora con l’allontanarlo dalla gattina, dopo penseremo a come sedarlo » disse Magnus, quindi sfregò le mani e produsse parecchie scintille che crepitarono nell’aria come piccoli fuochi d’artificio.

Il rettile si rizzò di colpo, girò la testa, e ondeggiando il corpo a spirale si buttò su una motocicletta parcheggiata lì vicino, la prese tra i denti, e sollevandola come se fosse fatta di polistirolo la lanciò verso i tre. Magnus alzò le mani e fermò il veicolo a mezz’aria, agitò le braccia e lo rispedì al mittente. Questi lo evitò con una mossa fulminea, ma Magnus avanzò, agitò ancora le mani e colpì il demone con scintille blu. La creatura lanciò uno stridio acuto e s’impennò, ma quando ricadde a terra puntò verso lo stregone e strisciò verso di lui a gran velocità. Alec però corse in avanti e colpì il fianco del demone con una freccia; nell’attimo in cui quello si distrasse per il dolore, Alec si mise l’arco a tracolla e si lanciò verso di lui brandendo due lunghi pugnali. Il serpente però si riprese e fece saettare la coda verso il giovane; Alec frenò bruscamente la sua corsa e si buttò di lato, ma l’altro fu più rapido, e con una virata fulminea riuscì a circondare la caviglia del ragazzo e a sollevarlo per aria a testa in giù.

« Alec, no! » urlò Magnus precipitandosi verso di lui.

« Magnus, stai lontano! » urlò Alec, e dandosi una spinta cercò di abbrancare il corpo del demone, ma le sue mani scivolarono sulle squame bagnate e lui ricadde a penzoloni.

Magnus esitò: era stato lui stesso, quella mattina, a ordinare la medesima cosa ad Alec, ma il fatto che stavolta fosse il giovane a chiederglielo lo innervosì non poco. Il viso della donna si deformò quando lei spalancò la bocca, che divenne più grande del corpo stesso del demone, e si avventò verso Alec. Prima però che lui o Magnus potessero fare qualsiasi cosa, nell’aria risuonò un ruggito; nel medesimo istante, qualcosa di grosso e nero sfrecciò ad una velocità incredibile verso di loro e saltò sul dorso del serpente affondando i denti nelle sue squame. Il mostro s’impennò urlando e mollò la presa su Alec, mentre ciò che lo aveva aggredito balzò a terra.

Il Cacciatore riuscì a rotolare sul cemento e a tirarsi subito in piedi, ma rimase nuovamente sbigottito quando vide il suo salvatore: un enorme gatto nero, alto e grosso quanto una pantera, magro ma muscoloso, con il pelo corto e folto e una lunga coda cespugliosa. Le sue intenzioni belliche erano abbastanza evidenti: aveva il pelo rizzato, la coda dritta, le orecchie appiattite sul muso ed era acquattato, gli artigli sfoderati.  Dava le spalle ad Alec senza considerarlo; Alec non riusciva a vedere il suo muso, ma non gli serviva davvero per supporre che stesse mostrando anche le zanne. L’enorme gatto avanzò lentamente camminando in circolo sempre tenendosi acquattato e ondeggiando a scatti la coda.

La Nure sibilò e lo imitò muovendosi sinuosamente verso di lui, ma senza preavviso fece scattare la mandibola e partì alla carica. Il felino spiccò un balzo e atterrò sulla lunga coda del mostro, dove però non rimase a lungo perché il demone girò su sé stesso e cercò di afferrarlo con le sue zanne, mancandolo miseramente e mordendosi erroneamente la coda quando questi saltò via prima che potesse acciuffarlo. La serpe si tirò su furiosa e tra i due cominciò una sorta di mordi e fuggi, una lotta in cui a parlare era l’istinto omicida dei due contendenti, che si avvicinavano, si affrontavano ma senza però riuscire a colpire davvero il bersaglio.

Il giovane Cacciatore si allontanò velocemente fermandosi solo quando fu a distanza di sicurezza e guardando inquieto lo scontro in corso: ora i demoni da affrontare erano due, ma anche chiamando i rinforzi non sarebbero giunti in tempo. Di Yumi continuavano a non avere notizie, e Alec stava iniziando a temere il peggio; cosa ancora più preoccupante, con quel giocare al gatto col topo i due demoni si stavano avvicinando pericolosamente al punto in cui era caduta la strega. Da che erano stati attaccati nel locale la situazione non era migliorata di una virgola; c’era solo da sperare che non fossero in arrivo altri partecipanti indesiderati, quelli presenti erano già sufficientemente problematici.

« Alec! ».

Alec si voltò e si ritrovò tra le braccia di Magnus, che lo strinse in un abbraccio.

« Magnus calmati, sto bene ».

Lo stregone non lo ascoltò, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con irruenza. Alec cercò di liberarsi, ma cedette presto e strinse le braccia di Magnus mentre piegava la testa per rispondere a quel bacio. Il grosso peso che aveva avuto per tutto il giorno nel petto si sciolse e gli sembrò di rinascere. Fu un bacio intenso ma breve, e si separarono dopo pochi secondi.

« E questo per cos’era? » mormorò Alec.

« Perché è tutto il giorno che volevo farlo, perché sono felice che tu stia bene… e perché volevo trattenermi dal strozzarti, come ti è saltato in mente di chiedermi di non preoccuparmi se fossi rimasto ucciso?! ».

« Non c’era scelta, Magnus, se fossi intervenuto avresti rischiato anche tu… ».

« E credi forse che me ne importi? Che potrei lasciarti in pericolo come se niente fosse? Vuol dire che non mi conosci proprio, allora ».

C’era solo dolore negli occhi di Magnus, e Alec non sopportava di vederlo così. Gli mise una mano sul volto e Magnus la tenne premuta contro la sua guancia, guardando il ragazzo con gli occhi lucidi e protendendo il volto con l’intenzione di baciarlo di nuovo. Il giovane però obbligò se stesso a separarsi dallo stregone, anche se gli costò molto. Magnus rimase con la mano alzata come se ancora stesse tenendo quella di Alec, poi sospirò e si ricompose, guardando verso i due demoni.

« Se uscirà vivo dal duello con quella serpe, regalerò una fornitura di pesce gratis per un anno a quella palla di pelo sovrappeso; c’è stata una svendita di demoni imbottiti di fertilizzante, ultimamente? ».

« Non sarei così entusiasta al pensiero che quel gatto possa prevalere ».

Alec aveva ragione, purtroppo: il nuovo arrivato sembrava essere ancora più feroce e pericoloso del primo. Era meglio evitare però di chiedersi da dove fosse spuntato e pensare piuttosto a come farlo sparire prima che potesse scoprire la loro, di gatta.

« Vieni con me » disse Magnus. « Approfittiamone fintanto che sono distratti e speriamo che quella delle nove vite dei gatti sia solo una leggenda metropolitana ».

Alec annuì e seguì Magnus.


 
I due demoni sembravano totalmente dimentichi di tutto fuorché l’uno dell’altro, anche se nessuno dei due stava riuscendo a prevalere sulla difesa dell’avversario: il rettile attaccava, il gatto balzava fuori dalla sua portata e poi lo attaccava a sua volta mancando però il bersaglio. Sembrava più come se si stessero studiando a vicenda piuttosto che combattere, ma dopo una sequenza interminabile di attacchi e finte, all’improvviso il demone felide si ritrovò con le spalle contro il muro di un palazzo. Il suo contendente pensò di averlo in pugno e attaccò, ma l’enorme felino balzò in alto e saltò sulla testa del serpente spingendo con le zampe posteriori, mandandolo a scontrarsi contro la parete.

Il rettile ritirò il muso schiacciato e sanguinante e urlando si lanciò verso il rivale. Il gatto gli balzò addosso cercando di azzannargli gli occhi, ma stavolta il suo avversario non si fece sorprendere e con una mossa fulminea riuscì finalmente ad afferrarlo tra le mascelle. Il felino nero soffiò e si agitò, ma il demone non mollò la presa; prima però che riuscisse a vincere sulla resistenza della sua preda, una freccia gli colpì il collo.

Il serpente sbraitò e mollò il gatto, che cadde a terra come un peso morto. L’altro agitò la testa e fece scattare la mascella, ma venne di colpito da diverse fiammelle blu. Magnus avanzò verso il viscido demone costringendolo ad arretrare con la magia, e insieme ad Alec riuscirono ad allontanarlo dal gatto. L’animale si tirò su a fatica mentre le ferite causatogli dallo scontro iniziarono a sanarsi da sole innalzandosi in spirali di fumo dal suo corpo, ma era ancora troppo debole per reggersi in piedi. Ciononostante si acquattò ringhiando in direzione del suo nemico, ma prima di poter lanciarsi al suo inseguimento venne schiacciato a terra da una forza invisibile.

« Tu non vai proprio da nessuna parte, demone! » disse Catarina, avanzando con le mani illuminate e protese verso di lui.

Il demone ruotò il muso verso la strega e lanciò un ringhio potente che l’assordò e le fece perdere la concentrazione. Il gatto si liberò bruscamente dal suo incantesimo e le saltò addosso. Catarina fece appena in tempo ad alzare un braccio per proteggersi che il bestio le fu addosso e glielo morse. La strega cadde in ginocchio e lottò con l’altro braccio per liberarsi, ma cercando di spingere via il muso del gatto incrociò il suo sguardo… e rimase di sasso.

« Yumi?! ».

Era proprio lei, o meglio, erano proprio i suoi occhi blu quelli che la guardavano, furiosi come Catarina si era ormai abituata a vederli, anche se molto più feroci. Lei non reagì quando Catarina la chiamò, ma alla donna non servì per non avere più dubbi. Concentrandosi con tutte le sue forze mormorò alcune parole e colpì con la mano aperta il petto del gatto; questi mollò la presa e si accasciò al suolo respirando affannosamente.

« Ti ho paralizzato temporaneamente, ti riprenderai presto » borbottò Catarina.

Di nuovo, non ebbe sentore di essere stata capita. Catarina si curò il braccio ferito e si trascinò in avanti guardando attentamente l’animale: non si sarebbe aspettata una trasformazione simile, e ringraziò sinceramente che Yumi fosse riuscita a controllarsi per tutto il giorno, sarebbe stato un bello spettacolo la comparsa di un felino di quelle dimensioni nella hall dell’ospedale. Controllò che stesse bene, ma le ferite sembravano essere completamente guarite. Vide però che i suoi occhi erano vacui, e le pupille erano dilatate. Catarina aveva avuto a che fare con molti mutaforma, conosceva quello sguardo: erano gli occhi di chi si era trasformato contro la propria volontà e non aveva alcuna percezione delle proprie azioni. L’altra la guardò rabbiosa.

« Falla finita, te l’avevo detto che non mi sarei fatta problemi a metterti a cuccia, no? » la provocò Catarina. « Certo che potevi aspettare un momento migliore per dare di matto ».

Cercava di mantenere la calma, ma stava iniziando a incupirsi: Yumi era fuori controllo, e lei non aveva abbastanza energie per tentare anche un incantesimo calmante, quindi doveva trovare un’altra soluzione. Una possibile ovviamente sarebbe stata capire cosa potesse aver scatenato una rabbia così spropositata, era certa che quella serpe malriuscita avesse solo dato il definitivo colpo di coda, ma cosa poteva essere successo? Yumi ringhiò e Catarina decise di far fronte alle cause più tardi: adesso doveva pensare a Yumi, e farlo in fretta, anche. Leggeri tremolii percorrevano il suo corpo felino, segno che l’incantesimo si stava già affievolendo, se Catarina non si sbrigava sarebbe diventata la sua cena ( e qualcosa le diceva che stavolta Yumi non avrebbe mantenuto i suoi principi vegetariani).

« Cos’è che ti blocca, Yumi? » provò a dire, ma non registrò nessun cambiamento in lei salvò un ulteriore seppur lieve cedimento dell’incantesimo.

Catarina si guardò intorno pensando velocemente: Magnus e Alec non stavano avendo molto successo, il loro avversario non era così indebolito come avevano sperato; non potevano trattenerlo a lungo, e più tempo passava, maggiori diventavano anche le possibilità che Yumi si liberasse e tornasse a costituire un pericolo per loro ma anche per sé stessa.

« Ti stai comportando in modo ridicolo, Yumi! » esclamò irritata Catarina tornando a guardare il felide. « L’attacco di quel demone ci ha colti tutti di sorpresa, ma non mi pare una buona ragione per rintanarti nel tuo angolino a leccarti le ferite, è bastato un singolo attacco per renderti una fifona?! ».

Un lampo di comprensione passò negli occhi di Yumi, e lei mugolò debolmente. Catarina impallidì: aveva detto quelle cose solo per provocarla e farla reagire, ma adesso che ci pensava, Yumi aveva iniziato a esitare non quando il serpente li aveva attaccati, bensì quando… quando lei era stata catturata e le aveva chiesto di non risparmiarla; costringendola a scegliere, doveva averla messa con le spalle al muro. Non era stato solo l’ostilità verso il serpente ad aver permesso la trasformazione di Yumi, allora. In preda alla disperazione, all’ansia o semplicemente all’esasperazione, Catarina alzò una mano… e colpì la guancia di Yumi con uno schiaffo sordo.
Lei si immobilizzò, ma Catarina le prese di prepotenza il muso con entrambe le mani senza alcuna paura che potesse morderla ed inspirò ed espirò un paio di volte prima di riuscire a recuperare la calma e parlare:

« Yumi, ti ricordi questa mattina, quando ci siamo incontrate? Hai salvato quella ragazza senza tener conto di nessuno, anche se non eri in regola hai fatto quello che ritenevi giusto, non ti sei lasciata sopraffare nemmeno dalle accuse del direttore. Adesso è lo stesso, non devi lasciarti condizionare da niente e nessuno».

Un altro lampo di comprensione attraversò gli occhi del gatto, e Catarina capì di essere sulla strada giusta. Sospirò di sollievo ma non mollò la presa.

« Sono davvero stanca si ripetermi con te, ragazzina. Credi forse di sembrare forte, così? Non lo sei affatto, ti stai solo nascondendo da te stessa! Lo so che è più facile farsi sopraffare dalla rabbia, ma credi che io non ne provi? Ne provo eccome, troppa, anche adesso ne sono piena, come te. Non è questo però il modo giusto per gestirla, e non ti mancano le capacità per imparare a farlo. Yumi, tu sei più in gamba di così, non costringermi a riconsiderare la stima che ho di te ».

Iniziò a tremare, ma non lasciò il muso di Yumi e la guardò negli occhi molto severamente.

« Sono il tuo supervisore, Shin, e non tollero questo atteggiamento da parte tua. Abbiamo fatto un accordo, ma anche tu devi fare la tua parte; a costo di arrivare a usare le maniere forti, non mi arrenderò finché non sarò riuscita a fartelo entrare in testa. E questo è il mio ultimo avvertimento ».

La ragazza sembrava essersi completamente immobilizzata, e guardava Catarina come in trance. In quel momento si sentì un rumore sordo e Catarina si voltò: il serpente aveva avvolto una macchina tra le sue lunghe spire, l’aveva sollevata e lanciata contro Magnus e Alec. Lo stregone protesse entrambi con una barriera contro cui il veicolo si infranse, ma il mostro non si curò più di loro e si lanciò verso le due streghe sibilando tra i denti. Catarina allungò le braccia in avanti, ma sapeva che non sarebbe riuscita a fermare in tempo l’attacco del demone.

La sua distrazione portò alla definitiva cessazione dell’incantesimo che imprigionava Yumi, lei si alzò ringhiando a zanne scoperte e corse verso il nemico. Catarina non riuscì a fermarla ma rifiutò di starsene di nuovo a guardare e cercò di alzarsi per venire dietro a Yumi. Non fece in tempo a muovere un passo però che il serpente si gettò su di loro a bocca spalancata. Yumi soffiò, inarcò la schiena e si buttò in avanti riuscendo a bloccarlo prendendogli le zanne con le zampe anteriori. L’altro spinse con tutte le sue forze agitando l’enorme corpo e piegando Yumi verso il basso, mettendola subito in estrema difficoltà. Proprio quando sembrava che il nemico stesse per avere la meglio, Yumi serrò la presa sulle sue zanne, gli assestò un calcio al viso e balzò all’indietro; invece che a quattro zampe, però, atterrò sui cuscinetti delle zampe posteriori, la sua schiena si drizzò e lei si erse in posizione eretta incurvando le spalle all' indietro con uno colpo secco. Divaricò le gambe e portò entrambe le braccia al suo fianco: tra le sue zampe si formò una sfera di fuoco che lanciò contro il demone, che fu colpito in pieno e arretrò strillando.

« L’ho detto e lo ripeto, » disse poi Yumi « sei davvero insopportabile » e si volse verso di Catarina guardandola da sopra la spalla.

« E tu sei proprio una mocciosa, non trovi di essere un po' cresciuta per fare ancora i capricci? » replicò lei con un sorriso di scherno .

Yumi sorrise mettendo in bella mostra i suoi denti affilati, ancora più bianchi in contrasto col nero del suo pelo. Anche Catarina sorrise: Yumi era di nuovo in sé. E ora che finalmente era tornata, anche lei non aveva più paura e si sentiva pronta a qualsiasi sfida.

 
*Angolo autrice
 
Happy Halloween, ladies and gentleman :-) . Aspettavo da molto tempo di realizzare questo momento, se questo capitolo vi ha suscitato domande sentitevi pure liberi di pormele, ma vi consiglierei di conservarle dopo aver letto il prossimo, che spero di riuscire a pubblicare a breve, perché penso che buona parte delle risposte le troverete lì :-) . Li avevo scritti in un solo capitolo, ma è venuto davvero troppo da poter essere contenuto in uno solo. E dopo questi due, non so quando tornerò a pubblicare: è un periodo molto impegnativo, non so quanto tempo potrò dedicare alla scrittura. Piccola precisazione: Yumi non è diventata propriamente un gatto antropomorfo, è sempre un gatto in tutto ( e dico, tutto XD) e per tutto ma eretta sulle zampe posteriori ( ma questo è un discorso che verrà approfondito nel prossimo capitolo :-) ).

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Capitolo 21
*** Nuove minacce all'orizzonte ***


 Yumi guardò con stupore il proprio corpo: era ancora trasformata in gatto ma stava dritta e poggiava sui cuscinetti delle zampe posteriori non come se fosse in equilibrio precario su di esse ma perfettamente stabile, ed era anche diventata in grado di parlare. Era vero che i Nekomata avevano anche la capacità di ergersi sulle zampe posteriori, ma era un obiettivo che finora non era mai riuscita a raggiungere. E non era solo il suo corpo a essere diverso: la sua mente era lucida e sgombra, vedeva e sentiva tutto con chiarezza; soprattutto, percepiva i propri poteri come a quattro zampe non aveva mai sentito. Si toccò soprappensiero dietro la schiena e la sua zampa si chiuse su una coda sola: era arrivata ad una nuova fase della sua trasformazione, ma non aveva ancora ottenuto il controllo completo.

Sentiva i suoi poteri molto più forti di prima, ma non era diventata potente a tal punto da influenzare l’ambiente circostante e non aveva valicato il confine della follia di cui era stata spesso preda in passato, e questo era enormemente positivo. Fece qualche saltello qua e là, piegò il busto a destra e sinistra e si stiracchiò: non sentiva più dolore e si muoveva molto agilmente, come e meglio che da umana; adesso sì che si sentiva bene. Assumere le sembianze del suo lato demoniaco per lei era sempre stato l’equivalente di indossare quella che considerava la sua vera pelle, ma non si era mai sentita così viva come in quel momento.

Non era solo il senso di leggerezza dell’aver smesso di respingere la trasformazione, era qualcosa di più: i suoi sensi, già piuttosto acuti normalmente, da trasformata duplicavano la propria efficacia, ma adesso li sentiva così acuiti che quasi le pareva di toccare tangibilmente gli odori e i rumori che sentiva. Non aveva idea di cosa le fosse successo, la prima cosa che ricordava da dopo essere stata colpita era Catarina che le parlava, ma prima c’era solo il vuoto. Ci avrebbe però pensato più tardi: adesso era tempo di mettere da parte la bestia selvatica e lasciare spazio alla strega. Studiò con attenzione l’enorme serpente, storcendo il naso per l’odore di putrefazione e muffa che emanava ( e peggio ancora della permanente fatta in casa che gli aveva rifilato) e si passò la lingua sui denti: il demone sembrava sempre più tormentato, e anche se sentiva le labbra e le dita appiccicose, Yumi era certa che non fosse del tutto colpa sua se stava soffrendo. Socchiuse gli occhi e scoperchiò l’energia demoniaca del rettile: sobbalzò quando vide che era pervasa di qualcosa di ancora più oscuro del suo potere, qualcosa che aveva il suo epicentro alla base del collo della creatura e che stava logorando non solo il suo corpo ma anche la sua essenza.

« Lo hai notato anche tu, vero? ».

Yumi interruppe la sua ispezione ma non si volse e allungò il braccio sinistro accanto a sé: quasi subito si ritrovò a stringere la mano della collega, che ricambiò la sua presa senza indecisioni. Yumi invece la strinse quasi con disperazione.

« Me ne sono resa conto da quando ci ha attaccati » disse senza guardare Catarina. « Non ho ancora capito cos’abbia, però ».

« Neanche io, ma credo che sia stato ferito altrove, e che la ferita si trovi più o meno sulla schiena. Dobbiamo capire di che si tratta e cercare di porvi rimedio… o altrimenti eliminare quel verme senza pensarci troppo ».

Yumi finalmente la guardò.

« Che c’è? ».

« Tu non sei fatta per restare chiusa dentro un ospedale » rispose Yumi sorridendo.

« Tu invece non sei decisamente fatta per giocare coi gomitoli di lana, ma sul piano “ruffiana” sei sulla buona strada ».

Yumi sorrise furbamente ridacchiando tra i baffi.

« Perché ridi? ».

« Niente ».

Catarina la guardò sospettosa. Yumi distolse lo sguardo ma la scrutò di profilo senza che lei se ne accorgesse: erano molto le cose che avrebbe voluto dirle, ma era troppo mortificata per farlo. Aveva ancora paura di perdere di nuovo la ragione, e specie dopo quello che aveva visto, aveva ancora più paura di non saper fronteggiare quell’avversario. Vedere Catarina che stava bene, però, la tranquillizzava, ed era di questo che aveva bisogno adesso, di un punto di riferimento che la tenesse ancorata alla realtà. Le scappò un leggero ringhio: come aveva potuto essere così stupida?! Ryuu non c’era, ma Catarina sì. Era lei quella che aveva avuto bisogno di aiuto, quella a cui  avrebbe dovuto fare attenzione; tormentandosi dosi per l’assenza di qualcuno che non c’era, aveva rischiato di perdere qualcuno che invece era presente. Era giunto il momento di fare sul serio, senza più avere incertezze. Prima però…

« Senti, Senpai ».

« Cosa? ».

« Ho per caso ferito qualcuno? A parte la biscia, chiaro ».

Catarina non rispose subito.

« No… non l’hai fatto » disse infine nascondendo il braccio dietro la schiena.

Yumi sentiva che non era sincera, ma prima che potesse fare altre domande, lo scivolare di qualcosa di grosso sul cemento la distrasse. Le si rizzò il pelo e soffiò verso il demone, che anche se ferito non era affatto meno battagliero, e faceva sibilare la lingua come se stesse saggiando l’aria o volesse spaventarle. Yumi però non aveva più paura di lui, e stavolta non gli avrebbe permesso di fare il suo comodo.

Si inginocchiò velocemente a terra facendo cenno a Catarina, che non perse tempo e si aggrappò alla sua schiena stringendosi forte. Yumi si tirò su stupendosi di quanto Catarina fosse leggera; l’altra invece si sorprese di quanto il pelo di Yumi fosse caldo e morbido. Appoggiò il viso contro la sua spalla e le venne spontaneo inspirare il suo profumo: Yumi non odorava di selvatico come aveva supposto, ma piuttosto aveva un odore fresco e leggermente pungente. Istintivamente la strinse più forte, e il calore irradiato dal corpo di lei le fece quasi venire la pelle d’oca. Yumi si concentrò sul  profumo della compagna per restare lucida e la tenne stretta, decisa a non mollarla nemmeno da morta, prese la rincorsa e si buttò incontro al demone.

Questo abbassò la testa restando a pelo sul cemento e spalancò le fauci, ma all’ultimo momento Yumi scartò di lato e lo superò. Il serpente si mise a inseguirla, ma Yumi balzò in alto, a mezz’aria si girò e gli soffiò addosso una corrente rovente. Il rettile venne colpito in pieno , ma l’impatto fu così violento che per il contraccolpo Yumi e Catarina vennero sbalzate all’indietro. La mutaforma riuscì però a rotolare per aria e ad atterrare incolume sulle ginocchia slittando sul cemento.

« Tutto bene là dietro? » chiese alla sua passeggera.

« Questa è l’ultima volta che prendo il Cat Express » borbottò Catarina scendendo barcollante dalle sua spalle.

« Hai scoperto di soffrire il mal di gatto? ».

« Solo il mal di Yumi, quelle acrobazie erano proprie necessarie? ».

Yumi la ignorò, si leccò il dorso della zampa e lo usò per pulirsi il muso, non senza però contrariazione: col pelo era un’apocalisse ripulirsi a modo, ed era di più quello che perdeva di quello che riusciva a pulire. Ad un cero punto le sue orecchie si rizzarono e i suoi baffi fremettero. Smise di pulirsi e abbassò le braccia allargandole lentamente, poi si voltò con uno scatto fulmineo e afferrò al volo una freccia che mancò di pochi centimetri la sua gola.

« C’eri vicino, Lightwood » urlò rivolta verso un bidone rovesciato.

Alec uscì da dietro il contenitore con l’arco bene in vista e pronto all’uso e guardandola circospetto non osando avvicinarsi. Sembrava essersi ammutolito, e la squadrava come se non credesse a quello che vedeva; evidentemente non l’aveva riconosciuta, e questo era un bel problema, perché qualunque cosa lei avesse fatto per convincerlo, Alec avrebbe sicuramente pensato ad un inganno. Se Ryuu si fosse palesato in quel momento sarebbe stato di grande aiuto, ma il lupo non collaborò. Non così però Catarina.

« Ricomponiti Shadowhunter, il gatto ti ha forse mangiato la lingua? » disse la strega incrociando le braccia e inarcando un sopracciglio.

« Ora che ci penso, ho un leggero languorino » disse Yumi lisciandosi i baffi.

« Abbiamo la coda di paglia, Shin? ».

Yumi si guardò soprappensiero alle spalle.

« No, direi che è ancora della sua consistenza naturale » constatò muovendola su e giù e arrotolandola.

Catarina sospirò affranta. Alec esaminò Yumi da capo a piedi ancora guardingo, ma o la parlantina di Yumi fece scattare qualcosa o l’espressione corrucciata di Catarina fu molto eloquente perché finalmente si avvicinò e guardò Yumi negli occhi.

« Yumi, sei davvero tu?... » mormorò cauto.

« In persona » disse lei, « cioè, più o meno » si corresse restituendogli la freccia.

Alec la prese con cautela senza staccare gli occhi dalla strega. Yumi era abituata a suscitare reazioni ben peggiori quando le persone vedevano per la prima volta la sua seconda identità, quindi non disse niente, aspettandosi invece di essere sommersa di domande, cosa che però il giovane non fece. Alec infatti non stava pensando all’insolita trasformazione di Yumi né si sentiva rassicurato perché stava bene e non c’era più bisogno di preoccuparsi per lei o che potesse far del male a loro dopo aver finito col serpente; stava pensando a quello che sarebbe potuto accadere se lei non avesse avuto i riflessi pronti e non fosse riuscita a fermare la sua freccia in tempo.

Quando l’aveva vista la prima volta non si era fermato nemmeno per un secondo a ipotizzare che potesse essere lei, e invece il pensiero non lo aveva nemmeno sfiorato. Strano a dirsi, però, Yumi non sembrava arrabbiata come suo solito, anzi, sembrava molto più tranquilla di come l’aveva vista sinora… a differenza della sua amica, che lo guardava in cagnesco e sembrava essere diventata lei la belva tra le due. Non era però difficile supporre le cause di quest’ultima reazione, dopotutto.

« Sei veramente una gattina pestifera, non c’è che dire ».

A Yumi si rizzò il pelo quando sentì la voce di Magnus, che si avvicinò squadrandola con disappunto. Catarina mise una mano sulla spalla di Yumi e l’altra sul suo petto premendosi contro di lei. Yumi inghiottì e agitò la coda nervosamente.

« Ho deluso le sue aspettative, Bane? » disse indicando il proprio corpo.

« Lo ammetto, speravo in una graziosa idol con fiocchetti e campanelli, ma di grazioso hai solo le orecchie » disse Magnus.

Yumi guardò di sottecchi Catarina, che si sventolò sotto il mento come a dire di lasciar perdere, e così fece, anche se lo sguardo inquisitore di Magnus le mise una certa ansia. Lo stregone guardò sospettoso Yumi: non aveva mai assistito a niente del genere, quella di Yumi era una trasformazione davvero singolare. Pelo e parte, però, sembrava essere sempre la stessa, ed era un vero sollievo vedere che stava bene, anche se non per questo si sentiva meno in apprensione.

Meditò se fosse il caso di prevenire il danno chiudendola in un trasportino e affidandola ad un accalappiagatti, ma dubitava che ne esistessero di abbastanza capaci da saperla gestire. Continuò a fissarla e gli parve come se finora avesse avuto a che fare con una parvenza di Yumi, una che era solo una facciata per trarre tutti in inganno e salvare le apparenze, mentre adesso, nel pieno di una battaglia, sembrava non come se avesse semplicemente cambiato aspetto ma piuttosto come fosse diventata un’altra Yumi… la vera, Yumi.

Magnus non sapeva come avesse fatto a recuperare il controllo, ma l’importante era che ci fosse riuscita e che loro avessero un problema in meno a cui far fronte ( nel caso, avrebbe sempre potuto riproporre quella fornitura di pesce). Lo stesso, purtroppo, non poteva dirlo di Catarina, che era così vicina a Yumi che sembrava volesse … Magnus batté le palpebre e all’improvviso tutto gli fu chiaro: non era stata solo il cuore di burro di Catarina a renderla imprudente e avventata, com’era evidente dal modo in cui sembrava volesse farle scudo e anche come Yumi non sembrasse affatto infastidita dalla sua presenza. Yumi si fidava, di Catarina; e Catarina di lei. Magnus s’inquietò: proprio quando si era ripromesso di tenere l’amica fuori da quella faccenda e coinvolgerla il meno possibile, lei ci era entrata fino al collo e ora sarebbe stato impossibile invogliarla a uscirne.

Per non stare a subire lo sguardo di Magnus, Yumi volse il proprio altrove, e così vide che i Nascosti che prima avevano insultato lei e Alec ora la guardavano turbati e si tenevano considerevolmente a distanza. Non erano però abbastanza lontani da non sentire i loro discorsi:

« Santo cielo, ma allora anche quella strega può diventare un demone! ».

« Ecco perché ha esitato a voler uccidere quel mostro ».

« Sarebbe meglio se si uccidessero a vicenda, come possiamo fidarci di lei? ».

« Ora vedremo se quello Shadowhunter sarà ancora così benevolo nei suoi confronti ».

Alec li sentì e si voltò furioso, ma Yumi gli mise una zampa sulla schiena premendo con delicatezza come a invitarlo a lasciar perdere. Alec obbedì riluttante, anche se si sentiva pieno di vergogna. Anche Magnus però sentì le parole dei Nascosti.

« Mi sono perso qualcosa? » disse guardando Alec e Yumi con sospetto.

« Non controlli la mia vita, Magnus, una volta tanto non è un disastro se non sei a conoscenza di ogni singolo dettaglio di ciò che mi capita » rispose brusco Alec.

Magnus lo guardò allibito e poi spostò lo sguardo su Yumi.

« Non sarebbe meglio attenersi alla maniera dei comuni mortali per pulirti il muso invece di incorrere in un attacco di palle di pelo? » disse con una smorfia.

« Non si preoccupi, sono proprio l’ultimo dei miei problemi. E poi non devo mica baciare nessuno ».

« Davvero? Pensavo invece che avessi cominciato a porti il problema ».

Yumi piegò il muso verso destra: Magnus la guardava come se da un momento all’altro le fossero di nuovo venuti i cinque minuti e si stesse tenendo pronto a sopprimerla prima che potesse combinare guai. O forse il problema era un altro…

« Non è come pensa, Bane » disse risoluta . « Io e senpai non siamo… »

« … in fuga dalla furia di una serpe gelosa che si è vista sottrarre la preda dalla sua rivale? Direi proprio di sì, invece » completò Magnus.

« Mica potevo lasciarla laggiù a farsi divorare! ».

« Uuuh, hai intenzione di lanciare il guanto al demone e lottare per la mano della damigella? ».

« E’ duro di comprendonio o lo sta facendo apposta? Comunque no: ho solo intenzione di mostrare a quel lombrico con la parrucca che ha trovato una gran brutta gatta da pelare. Però… vorrei chiedere anche la vostra collaborazione... ».

Trattenne il fiato e li guardò uno per uno: Catarina annuì decisa, Alec esitò e si volse incerto verso Magnus… che invece sembrò piuttosto adirato e niente affatto compiaciuto di quella proposta:

« Temo che dovrai arrangiarti da sola, Bagheera: se la memoria non m’inganna, non sei stata proprio tu, non più tardi di stamattina, ad aggredirmi perché ho cercato di aiutarti? » .

Pur avendo il volto coperto di pelo scuro, Yumi sentì le guance andare a fuoco, abbassò le orecchie e la coda le si afflosciò: se l’era aspettato, ma fu comunque dura. Si rendeva conto di aver sbagliato, ma adesso voleva rimediare ai propri errori. Il problema ora era farlo capire anche a Magnus, solo che, avendolo schernito e aggredito proprio perché non aveva voluto il suo aiuto, la difficoltà raddoppiava; lei era decisa a riscattarsi, ma quale credibilità avrebbero potuto avere, ora, le sue parole? Catarina fronteggiò Magnus furibonda:

« Non so cosa sia successo tra voi, però non mi sembra proprio il momento di- ».

Yumi avvolse la coda intorno alla bocca di Catarina prima che potesse aggiungere altro. Lei la guardò storto, ma Yumi scosse la testa e le fece cenno di farsi da parte: non le avrebbe permesso di coprirle le spalle, non questa volta; era una responsabilità sua, doveva risolverla da sola, specie visto che era lei quella in torto, questa volta. Catarina smise di opporsi e lasciò cadere le braccia. Yumi la lasciò andare e guardò Magnus negli occhi, anche se per un attimo le mancò il coraggio: non era solo arrabbiato, era davvero deluso.

Per un attimo le parve di ritrovarsi di nuovo nel Santuario, quando Magnus aveva cercato di fermarla e nel suo sguardo lei aveva rivisto il suo maestro. Non era più così, ma adesso capiva perché aveva erroneamente sovrapposto i due, anche se, esattamente come quella mattina, Yumi ancora non si spiegava il perché della delusione di Magnus. Questa volta però non le avrebbe permesso di farla reagire spropositatamente e gli avrebbe dimostrato che non era come lui pensava:

« Non mi scuserò con lei, se è questo che si aspetta da me » cominciò. « Non adesso, almeno. Ha ragione a non volermi dare ascolto, lo capisco, e di certo non ho diritto di supplicarla …».

« No, non ne hai » sentenziò implacabile Magnus. « Puoi anche risparmiare le parole, non serviranno a niente ».

Yumi però non aveva ancora finito:

« C’è un mostro a piede libero, e che mi piaccia o meno, potremo liberarcene più facilmente se collaboriamo insieme. Da sola non posso farcela, e me ne sono resa perfettamente conto... Ora però mi sono ripresa e voglio rimediare ».

« Continuo a non capire perché dovrei aiutarti » disse Magnus con sufficienza guardandosi le unghie.

« Perché non lo sto chiedendo a Magnus Bane: mi sto rivolgendo al Sommo Stregone di Brooklyn! ».

Magnus finalmente alzò lo sguardo, si fece serio e si avvicinò a lei, che in punta di piedi com’era, era alta quasi come lui.

« E chi me lo sta chiedendo? Yumi Shin… o la Tigre Nera? ».

Yumi strinse forte le zampe a pugno e mostrò i denti. I due stregoni si fronteggiarono in silenzio con sguardi carichi di sfida, come se tra loro stesse intercorrendo un’ accesa battaglia non verbale. Magnus non avrebbe voluto essere così duro con Yumi, in fondo lei gli stava solo chiedendo di lasciare i dissapori personali fuori dalla sfera lavorativa, però Magnus non riusciva a non pensare che a Catarina, a cosa sarebbe potuto succederle se lui non fosse arrivato in tempo e quello che avrebbe potuto farle Yumi se non si fosse calmata, e non riusciva a darsi pace. Yumi non aveva voglia di discutere di nuovo con Magnus, però non gli dava torto se non era disposto a stabilire una tregua e darle un’altra possibilità. Non voleva ridursi a supplicarlo, ma se non avesse avuto altra scelta si sarebbe anche piegata a farlo.

A decidere per i due stregoni stavolta non fu l’enorme serpente: un gruppetto di mannari li urtò bruscamente spingendoli a terra e si trasformarono in corsa lanciandosi alla carica contro il demone. Yumi riuscì ad afferrare la caviglia di uno di loro con la coda prima che potesse mutare e a farlo inciampare. Questi cadde e si volse verso di lei ringhiando ferocemente, ma Magnus alzò un braccio e dal nulla comparvero delle corde che legarono il licantropo.

« Cosa accidenti ti passa per la testa, stregone?! » sbraitò quello.

« Le domande qui le faccio io: natura ha chiamato e voi avete risposto? ».

Gli occhi di Magnus brillavano, rendendo evidente che non aveva alcuna propensione all’ironia e che voleva una risposta seria. L’uomo lo guardò schifato.

« Finora siete stati capaci solo di perdere tempo a intrattenervi, ma quel demone è ancora lì! Non che mi sorprenda molto in realtà, tra mostri c’è buona intesa dopotutto, deve essere frustrante il pensiero di far del male ad un proprio simile » e guardò Yumi sorridendo con scherno.

Lei ringhiò leggermente, ma Catarina si accucciò e le mise una mano sulla spalla. Yumi smise di ringhiare ma non di guardare quel Figlio della Luna con ostilità.

« Ecco, è appunto questo che intendevo » borbottò lui con disprezzo, e con difficoltà si mise in ginocchio. « Siamo stufi di aspettare i vostri comodi, ora potete anche farvi da parte: ce ne occuperemo noi una volta per tutte ».

« Davvero una grande idea » disse Catarina guardandolo corrucciata. « Andare all’assalto senza un vero piano ma solo con il pensiero stupido di farsi ammazzare per presunzione è davvero una brillante strategia; a meno che forse il vostro intento non sia quello di farvi mangiare e sconfiggerlo con l’indigestione ».

« Chiudi il becco, strega, non siamo stupidi come te che ti sei fatta catturare nel giro di un nanosecondo e stavi quasi per crepare ».

Catarina corrugò la fronte e aprì la bocca, ma due lampi accecanti azzurro e blu colpirono l’uomo, che cadde a faccia in giù sul cemento. Catarina abbassò lo sguardo: Magnus e Yumi avevano entrambi un braccio alzato, evidentemente dovevano aver lanciato i loro incantesimi in simultanea. Erano anche piuttosto incolleriti, e Catarina non sarebbe rimasta sorpresa se, chinandosi, non avesse trovato più battito nel petto di quel Nascosto. I due stregoni abbassarono le braccia e guardarono il mannaro, poi Catarina e infine si guardarono tra loro.

Delle grida però li fecero voltare: i mannari avevano circondato il serpente e lo stavano attaccando da ogni lato cercando di coglierlo di sorpresa, ma come aveva supposto Catarina, erano troppo disorganizzati. In men che non si dica si ritrovarono in estrema difficoltà : le lunghe spire del serpente si attorcigliarono intorno ad un lupo e lo scaraventarono con violenza contro un muro; un altro tornò indietro a soccorrerlo ma venne colpito da una violenta frustata che lo buttò a terra lasciandolo a guaire inerme, e un terzo, approfittando della distrazione dell’avversario, si buttò contro il suo torace, ma con uno scatto serpentino la Nure lo prese tra i denti. Il mannaro iniziò a dibattersi mordendo e graffiando, ma i suoi tentativi non valsero a niente.

« Ma come fa a essere ancora in grado di vedere?! » esclamò Alec.

« Avrà volto di donna, ma è pur sempre un serpente; può percepire il calore dei corpi delle sue prede » disse Yumi.

Alec la guardò per niente convinto. Yumi lo ignorò, ma l’osservazione del ragazzo la fece accorgere di una stranezza ben più importante a cui non aveva fatto caso: i danni che quell’essere aveva riportato stavano guarendo ad una lentezza anormale per un demone; in altre circostanze avrebbero potuto anche rallegrarsene, ma quella situazione era tutto meno che nella norma. Continuavano ad accumulare informazioni, ma di fatto ancora non erano riusciti a capire cosa fosse capitato a quella creatura, e la chiave del problema era proprio quell’incognita irrisolta. Magnus osservò la scena meditabondo e poi si alzò.

« Pensi di riuscire ad attirare la sua attenzione? » disse rivolto a Yumi.

La ragazza si guardò intorno come per accertarsi che stesse davvero parlando con lei.

« Sì, certamente » disse infine.

« Allora cerca di allontanarlo da quegli incoscienti e di portarlo qui, ci penseremo io e Catarina a fermarlo ».

« E poi? »

« E poi tu e Alexander lo finirete, no? Non dobbiamo mica fare tutto noi! ».

Yumi guardò Catarina e Alec in cerca di aiuto, ma lei si limitò a sospirare e a indicare la battaglia con un cenno della testa mentre Alec si strinse nelle spalle, confuso quanto lei. Yumi sospirò a sua volta, balzò in piedi, e senza aggiungere altro si buttò nella mischia. Appena percepì la sua presenza, il serpente lasciò cadere la sua vittima e si concentrò su di lei. Yumi danzò intorno all’essere arretrando e venendo avanti senza però attaccarlo finché non riuscì ad attirarlo lontano dal lupo e non si ritrovarono l’uno di fronte all’altra. Yumi generò due palle infuocate e le spedì a orbitare intorno al capo del serpente, che si distrasse e non le prestò più attenzione.

La strega ne approfittò per saltare sui muri circostanti e atterrare sul corpo di lui, che cercò di scrollarsela di dosso, ma lei gli piantò gli artigli di tutte e quattro le zampe nelle squame e si tenne ben salda. Trovò subito quello che cercava alla base del suo collo, ma quello che vide però non le piacque proprio per niente: erano quattro tagli piuttosto lunghi e bruciati sui bordi che ancora fumavano; assomigliavano terribilmente a quelli lasciati dai suoi artigli. Arricciò il naso, e sebbene si fosse messa d’accordo con Magnus sul limitarsi ad attirare il bestione dritto in trappola, prima voleva capire quale fosse la natura di quelle ferite, non poteva farsi sfuggire una simile occasione.

Alzò la zampa destra che s’ illuminò di azzurro e l’avvicinò alle ferite, ma queste le bruciarono il palmo appena sfiorarono la sua pelle. Yumi ritrasse in fretta la zampa ma il demone urlò e s’imbizzarrì, la strega perse la presa e cadde. Atterrò a quattro zampe, si alzò in fretta e si nascose dietro un muro, tenendosi la zampa ferita al petto: decisamente quelle lacerazioni non erano state opera sua, ma averlo scoperto servì solo a renderla più inquieta di quanto non fosse già. Si guardò il palmo della zampa: se avesse indugiato anche solo un secondo di più forse non sarebbe stata così fortunata. Si accucciò e iniziò a curarsi la zampa, aprendola e chiudendola un paio di volte mentre aspettava di stare meglio, accorgendosi però che c’era qualcosa di strano: da trasformata ci metteva meno tempo a riprendersi, ma anche con l’ausilio della propria magia ci stava impiegando davvero tanto… lo stesso impedimento che aveva avuto anche il demone. C’era quel potere sinistro dietro a tutto; doveva assolutamente tornare sul dorso del serpente e cercare di approfondire la questione, aveva troppo pochi elementi su cui fare speculazioni.

D’improvviso si udì un urlo, e acquattandosi sporse leggermente il muso fuori dal suo nascondiglio: dalla schiena del serpente aveva iniziato a innalzarsi una colonna di fumo preoccupante che stava via via aumentando di volume e la pelle intorno a increparsi; il serpente si dimenò come un forsennato, inarcandosi e buttandosi con forza contro il cemento e contro ogni superficie solida circostante lasciandovi sopra come frammenti di pelle. Yumi si morse la lingua: era troppo tardi ora per attuare il piano congeniato, non le restava altra scelta. Chiese scusa ai tre sperando che avrebbero capito, uscì allo scoperto ed evocò sul palmo della zampa una figura di fuoco grande abbastanza da sprigionare sufficiente magia. Il serpente si bloccò e si girò verso di lei: non c’era dolore che teneva, l’attrazione che i demoni provavano per l’energia di Yumi riusciva sempre a prevalere su ogni altro loro istinto.

La mutaforma si preparò, decisa a farla finita; il demone si lanciò alla carica, ma prima che arrivasse a tiro della strega, una macchia grigia schizzò verso di lui e lo colpì con violenza al petto mandandolo contro un lampione. La serpe si contorse e si tirò su pesantemente cercando il suo avversario, ma non riuscì a trovarlo. Yumi invece lo vide eccome, e sorridendo ebbe pietà di quella vipera e dei suoi affannosi e inutili tentativi di localizzare il suo avversario: poteva cercare quanto voleva, ma non sarebbe riuscito a percepirlo come aveva fatto con quei mannari… visto che Ryuu, di caldo, non aveva proprio niente.

Il lupo corse alle spalle del serpente e gli morse la coda, lo tenne stretto tra i denti e lo trascinò a terra saltandogli poi sul muso e schiacciandolo col suo peso. Il rettile sibilò, ma il lupo non si fermò: prese il suo viso tra le fauci, e impuntandosi sulle zampe posteriori lo sollevò da terra e ce la sbatté contro con tutta la sua forza distruggendo la strada. Il corpo del demone si agitò sempre più fiaccamente finché non si irrigidì e smise definitivamente di muoversi cadendo floscio tra le macerie, e solo allora Ryuu lo lasciò andare e raggiunse Yumi guardandola rabbioso.

Lei lo guardò a sua volta, incapace di proferire parola, ma sentì l’odore di carne putrefatta farsi sempre più forte insieme anche ad un intendo odore di bruciato e si voltò di scatto: lentamente, il rettile si rialzò, ma il suo corpo era contorto e con un’angolatura scoordinata, la testa a ciondoloni ma gli occhi accesi di un bagliore nerastro, mentre il viso fu sfigurato da sottili crepe che dalla schiena si estesero fino a coprire buona parte della metà superiore del serpente. Sembrava come se quel potere oscuro avesse prevalso sull’energia del Vuoto e avesse preso il controllo del corpo di quel demone che però stava anche sfaldando inesorabilmente. Era ormai ridotto all’ombra di sé stesso; se non avesse avuto davanti un essere incapace di provare sentimenti, Yumi avrebbe anche potuto provare pietà per lui, ma coi demoni era solo tempo perso. 

Gli occhi del demone puntarono in basso, verso Yumi e Ryuu, che arretrarono vigili. Yumi guardò velocemente alle proprie spalle e poi Ryuu, il lupo la guardò a sua volta… e si misero a correre. Vennero subito seguiti da quella specie di marionetta sgraziata che avanzò con pesanti tonfi lasciando pezzi di sé per strada, ma non rallentarono né si voltarono a fermarla. Dopo alcuni metri, entrambi fletterono le gambe e balzarono ognuno da un lato lasciando campo libero a Magnus e Catarina, che si fecero avanti e bloccarono il serpente con la magia appena fu a portata, ma ben presto i due stregoni si ritrovarono in difficoltà e capirono che non sarebbero stati in grado di trattenerlo a lungo.

« Yumi, sbrigati! » urlò Catarina.

Yumi saltò su un lampione e si concentrò sul demone, alzò le braccia tenendo i palmi delle zampe bene aperti e i suoi occhi si illuminarono. Guardò la Nure e mise allo scoperto l’energia oscura che manovrava il suo corpo, riuscendo a toccarla con molta fatica. Quell’entità oscura però si oppose con veemenza e mancò poco che riuscisse a liberarsi dalla presa di Magnus e Catarina. Yumi si morse le labbra frustrata, non sapendo più cosa fare: le serviva più tempo, non era ancora riuscita ad agganciare completamente quell’energia sconosciuta, ma era troppo potente, e lei e gli altri due stavano esaurendo le forze.

Ad un tratto un pugnale con incisa una runa Shadowhunter baluginò nell’aria e si piantò in mezzo alla fronte del mostro. L’energia demoniaca entrò in collisione con quel potere angelico ed ebbe un lieve cedimento, e Yumi ne approfittò riuscendo finalmente a vincere la resistenza nemica. Rimpiangendo per un secondo di non poter approfondire lo strano fenomeno che si era verificato in quel demone, Yumi fece appello a tutto il suo potere e si apprestò a completare il suo lavoro: abbassò le braccia e le allargò, tenne ben unite le dita delle zampe, le punte degli artigli si accesero, e con un ringhio feroce disegnò una croce con un colpo secco davanti a sé. Alte fiamme azzurre si sprigionarono dal petto della creatura e avvolsero ben presto tutto il suo corpo distruggendolo definitivamente. Quando le fiamme si dissolsero, Yumi respirò con affanno e sorrise.

« Sore wa owatta [è finita] … » disse prima di chiudere gli occhi e cadere dal lampione.

Invece che per terra però cadde su qualcosa di peloso, qualcosa con un odore che avrebbe riconosciuto tra mille.  A occhi chiusi, allungò meccanicamente le braccia e trovò il collo di Ryuu, a cui si aggrappò stringendo forte fino a perdere la sensibilità negli arti, mentre lui le mordicchiò la testa. Una nuvola di fumo azzurro s’innalzò dal corpo di Yumi, e gradualmente lei riacquistò le proprie sembianze umane. Ebbe un brivido quando sentì l’aria fresca della sera sulla pelle a malapena coperta da quello che rimaneva dei suoi vestiti bruciati.

Li degnò appena di una misera occhiata sbuffando: a mente fredda, bene o male, riusciva a salvarli, ma purtroppo erano molto più frequenti i casi in cui si trovava a trasformarsi d’impulso. Non riuscire a risparmiare i suoi abiti era solo una delle tante ragioni per cui odiava trasformarsi sotto l’impeto delle proprie emozioni, quello e il ritrovarsi col mal di testa del secolo e le membra pesanti appena tornata umana. Ryuu le toccò la fronte col naso, e lei si voltò ritrovandosi così vicina al suo muso: non c’era più rimprovero negli occhi di Ryuu, solo calma. Gli accarezzò la gola e posò le labbra sulla sua fronte respirando il suo odore.

« Ho capito, Ryuu » e aveva capito davvero.

Il lupo le toccò il mento e Yumi si allontanò guardando l’amico, che la leccò. Yumi sorrise, lo leccò a sua volta e gli morsicchiò la mandibola: anche se litigavano, in un modo o nell’altro alla fine facevano sempre pace. Detestava discutere con Ryuu, ma quali fratelli non lo facevano, in fin dei conti?

Sprofondò la faccia nel suo collo: si sentiva davvero spossata, anche più del solito, a dire il vero, ma non c’era da sorprendersi dopo tutto quello che era successo, troppo per una sola serata. Adesso voleva solo riposare e lasciar perdere il resto del mondo per qualche minuto; peccato solo che Ryuu non fosse d'accordo. Il lupo le tirò su il volto con il naso e le mise le zampe anteriori sul petto, ma si sbilanciarono e caddero a terra. Lui iniziò a leccarle il viso con foga , lei gli morse una zampa per cercare di distrarlo, ma non bastò a fermare la sua frenesia. Yumi 
continuò a morderlo ridendo, finché qualcuno non si schiarì la voce. Ryuu che alzò la  testa da Yumi e lei sbuffò voltandosi di malavoglia verso Catarina.

« Con il pelo o senza non fa alcuna differenza, vero? » commentò lei guardandoli divertita.

« E non sono mai riuscita a batterlo in nessun caso » replicò Yumi spingendo l’amico che finalmente la lasciò andare e tirandosi a sedere con una smorfia.

Catarina sorrise e si inginocchiò davanti a lei.

« Come ti senti? ».

« Come se mi avessero messo una camicia di forza » borbottò massaggiandosi un braccio.

« Direi che stai decisamente bene » disse Catarina porgendole la mano.

Yumi sospirò e la prese, si appoggiò a Ryuu e barcollando riuscì a tirarsi su. Si alzò però troppo in fretta, ebbe un capogiro e finì addosso a Catarina, e la donna si lasciò scappare un gemito che a Yumi non sfuggì. Si separò da lei e vide di averle afferrato il braccio per non cadere. Catarina cercò di sottrarlo alla sua presa, ma Yumi era più forte e lo tenne fermo, scoprendo così la stoffa della manica sporca di sangue e inequivocabili segni di morso non del tutto rimarginati di cui stavolta non ebbe dubbi del fautore.

Catarina serrò le labbra, ma Yumi si limitò a circondarle la ferita con entrambe le mani, che s’illuminarono; nel giro di pochi secondi la pelle fu sanata come se niente l’avesse intaccata. Anche dopo che la ferita fu guarita, Yumi non lasciò andare il braccio di Catarina, che notò il velo di sudore che aveva imperlato la fronte di Yumi e la sostenne preoccupata con l’altro braccio. La mutaforma chiuse gli occhi e prese un bel respiro, li riaprì e finalmente guardò Catarina.

« Perché mi hai mentito, senpai? » disse tranquillamente.

« Non mi sembrava necessario discuterne; è stato un incidente, non serve continuare a pensarci » spiegò l’altra.

« Bè, spero almeno che tu abbia capito che non scherzavo quando dicevo che avere a che fare con me non sarebbe stato facile ».

« Posso assicurarti che non avevo bisogno che mi staccassi un braccio per capirlo. Comunque… se le persone si fermassero tutte al primo ostacolo quando ne conoscono altre, al mondo non esisterebbero i legami, ti pare? ».

« E se io non volessi un legame con te? ».

 
« Ormai è tardi Shin, lo so io e lo sai benissimo anche tu ».

Le due donne si guardarono e infine si aprirono entrambe in un sorriso sincero che spazzò via definitivamente la tensione tra di loro, soprattutto Yumi: nonostante non fosse riuscita ad aiutarla, nonostante l’avesse aggredita, Catarina era rimasta con lei, non l’aveva giudicata e aveva continuato a fidarsi di lei anche dopo, anche quando nessun’altro aveva voluto farlo; aveva visto il demone, ma era riuscita ad andare oltre… a vedere lei. Il suo gesto aveva significato molto per Yumi, e lei avrebbe voluto dirglielo, ma con Catarina era meglio non essere troppo insistenti, per cui non aggiunse altro.

« Forse è meglio se ti risiedi » disse Catarina notando quanto fosse affaticata.

 
« Dammi un minuto e poi sarò da te » disse Yumi sedendosi lentamente.

Ryuu si sdraiò alle sue spalle e lei si appoggiò alla sua pancia con la schiena. Cercò di raccogliere i capelli, ma non avendo più il laccio li lasciò cadere, accertandosi però che le orecchie fossero ben coperte.

« Tieni » disse Catarina sciogliendo i propri capelli e porgendole un elastico rosso così consumato che sembrava marrone.

« Così andranno negli occhi a te ».

« Sei tu tra le due quella che deve tenere gli occhi bene aperti ».

Il suo tono era tranquillo, ma nel suo sguardo Yumi vide un velato ammonimento.

Prese l’elastico e raccolse i capelli in una lunga coda. Vide poi Catarina guardare Ryuu con interesse e sorrise.

« Senpai, ti presento Ryuu. E no, non è un mannaro e non lo è mai stato ».

Catarina la guardò perplessa, poi alzò le spalle, e ad un cenno incoraggiante di Yumi allungò la mano verso il lupo. Ryuu protese il muso in avanti, annusò la mano della strega e infine gliela leccò venendole poi incontro facendo scorrere la testa sotto il suo palmo. Catarina lo accarezzò sorpresa: al contrario di Yumi, aveva un pelo crespo ed era freddo come il ghiaccio, ma i suoi occhi azzurri non erano altrettanto gelidi; erano invece piuttosto miti e gentili, e Catarina si sentiva tranquilla come se non avesse avuto davanti un lupo più grosso di lei che aveva sbattuto come una pezza un rettile gigantesco. Cosa ancora più strana, sembrava molto più mansueto di quanto avesse dimostrato di non essere la sua compagna. Quei due erano proprio il totale contrario l’uno dell’altro, e Catarina poteva quasi capire come mai lui e Yumi fossero così uniti. Yumi sorrise compiaciuta: era sempre felice quando lei e Ryuu trovavano qualcuno che piacesse a entrambi.

« Dimmi, Yumi… » disse Catarina diventando seria.

« Sì? ».

« Come hai fatto ad accorgerti del pericolo imminente? » .

Yumi guardò la finestra del locale sfondata, l’insegna distrutta e alcuni clienti che stavano cercando di sistemare quelle macerie.

« L’ho percepito » disse. « Se c’è pericolo, il mio lato demoniaco diventa irrequieto» .

Catarina fissò un punto imprecisato all’orizzonte.

« E funziona solo… su distanza ravvicinata? ».

« Purtroppo sì… » mormorò Yumi, e di nuovo tra loro scese quel silenzio carico di pensieri in comune che ormai era la rappresentazione della familiarità che le aveva legate sin dal primo momento.

Yumi guardò i brandelli bruciati della propria maglietta: a stento si vedeva ancora il disegno di Absol, il Pokémon Catastrofe, dotato del potere di prevedere pericoli ma anche di essere erroneamente considerato la causa di questi dalle persone che cercava di aiutare a scamparli. Lei era riuscita a prevedere la minaccia, ma da sola era riuscita a combinare ben poco per eliminarla.

La presenza di quella Nure-onna, poi, non poteva essere stato un caso; era molto probabile, anzi, assolutamente certo, che fosse stata evocata lì da qualcuno… e che addirittura fosse stata evocata per lei. I demoni erano aumentati a dismisura negli ultimi tempi, ma trovare un demone giapponese a New York era troppo assurdo per sembrare un caso. Soffiò infastidita: alle coincidenze credeva se piacevoli, ma questa era troppo per poterlo essere. E quelle strane ferite, poi… non aveva proprio idea di cosa potesse averle causate. Sperò con tutto il cuore che non fosse come supponeva, ma se era davvero così, a maggior ragione doveva indagare più a fondo.

« Yumi! ». Yumi si voltò e vide Alec arrivare di corsa.

Ryuu agitò la coda e sporse la testa in avanti. Il giovane si fermò sorpreso ma sorrise al lupo e si chinò per accarezzargli il muso.

« Dov’è Magnus? » disse Catarina alzandosi e guardando Alec con diffidenza.

« A litigare con quei Nascosti » disse il giovane indicando alle proprie spalle . « Hanno dato la colpa a noi per la loro disfatta e hanno detto che, se non avessimo perso tempo ad avere una coscienza, nessuno si sarebbe fatto male. C’è quel licantropo, poi, che non ha particolarmente gradito il trattamento che Magnus e Yumi gli hanno riservato … ».

« E perché sei venuto qui invece di rimanere con lui? » disse la strega blu incrociando le braccia.

Alec sembrò sorpreso da quella domanda.

« Volevo… vedere come stava Yumi… sapere se si era ripresa ».

« Bene, adesso l’hai vista, quindi faresti meglio a tornartene dal tuo ragazzo, sono stanca di vederlo brontolare » disse secca Catarina.

Alec la ignorò e si rivolse a Yumi:

« Lo so che non è il momento migliore, ma… sei riuscita a capire cos’avesse quel demone o cosa possa averlo ferito? ».

Yumi appoggiò la testa nel collo di Ryuu e chiuse gli occhi per raccogliere i pensieri.

« Non ne sono sicura perché non ne ho un’idea precisa » disse riaprendoli. « L’unica cosa che posso supporre, purtroppo, è che dalla gabbia sia scappata ben più che qualche bestiola di troppo ».

« Cosa vuoi dire? ».

Yumi strinse i pugni.

« E’ solo una teoria, ma… in questi giorni ho pensato spesso alla ragione per cui gli attacchi dei demoni siano aumentati così tanto ».

« E sei arrivata alla conclusione che…? ».

« Usando il potere degli Strumenti Mortali per aprire il Portale del Mondo Demoniaco, Valentine possa aver indebolito la barriera che separa i nostri due mondi ».

Alec impallidì.

« Come ti ho detto, è solo una teoria » cercò di tranquillizzarlo Yumi, ma nemmeno lei era convinta di quello che diceva, perché dopotutto non spiegava perché fosse comparso proprio quel tipo di demone. Non era necessario però che Alec lo sapesse, e in mano avevano solo supposizioni, non era il caso di generare inutilmente panico. Guardò il punto in cui il demone era stato eliminato come se temesse che distruggerlo non fosse stato sufficiente e la possessione di cui era stato affetto lo portasse di nuovo ad attraversare il Portale e perseguire quello che aveva iniziato senza dargli tregua. Anche il giovane fece altrettanto diventando pensieroso.

Catarina guardò invece verso Magnus, che stava discutendo animatamente con alcuni Nascosti, con un paio di essi che lo guardavano alquanto ostilmente.

« E’ meglio se vai davvero, Cacciatore » sentenziò. « Non vorrei vedere Magnus trasformato in uno spuntino ».

« Ma io… ».

« Adesso » disse Catarina in un tono che non ammetteva repliche.

Alec spostò lo sguarda dall’una all’altra strega e fece per andarsene, ma si sentì chiamare:

« Alec ».

Il ragazzo si fermò e si voltò stupito verso Yumi.

« Grazie di tutto » disse lei sorridendo.

Alec batté le palpebre.

« Non… non farlo, non serve …» farfugliò.

Yumi lo guardò interrogativa. Alec aprì la bocca e la richiuse un paio di volte, come se avesse qualcosa da dire ma non riuscisse a trovare il coraggio. Alla fine lasciò perdere e sospirò, scosse la testa e se ne andò.

« Ma che gli è preso? » disse Yumi guardando perplessa Catarina.

« Credo si aspettasse di essere morso e invece è rimasto sconvolto perché non è andata così » rispose lei.

« Glielo dovevo, non c’è altro. E poi, senti chi parla: ancora un po' e l’avresti sbranato tu ».

« Magnus era isterico per colpa sua: lui ha combinato questo casino, lui lo risolva. Anch’io vorrei un po' di pace, una volta tanto ».

« Bè, hai già i capelli bianchi di tuo, un grattacapo in più non penso ti cambierebbe la vita ».

Catarina storse il naso. Yumi le fece l’occhiolino tirando fuori la lingua.

« Sarà meglio andare a vedere se qualcuno ha bisogno di cure » disse Catarina battendo le mani. « Raggiungimi appena ti sei ripresa, il nostro lavoro non è ancora finito ».

Yumi la guardò allontanarsi. Ryuu premette il muso sul suo ventre e Yumi strinse la sua testa con una braccio mentre con l’altra mano tirò fuori il medaglione: guardò i volti di coloro che l’avevano messa al mondo, il volto del padre, da cui aveva preso gli occhi, e quello della madre, a cui tanto somigliava e che Sora non aveva mai perso occasione per farlo notare. Vi sbagliavate, padre pensò con amarezza Yumi Sono più simile a voi di quanto non credevate.

 

*Angolo autrice

Ed eccoci arrivati alla fine di questo scontro senza esclusione di colpi ;-) Alzi la mano chi aveva le stesse aspettative di Magnus in merito a come Yumi sarebbe stata da trasformata XD. Come ho detto nel precedente capitolo, non so quando tornerò a ripubblicare, quindi chiedo scusa se i miei tempi di pubblicazione rischieranno di diventare ancora più lunghi.

Minimissimi spoiler: le forme di Yumi presentate finora non saranno le sole che vedremo col proseguire della storia, ci sarà anche una versione più… comune e innocua, diciamo, ma che, a modo suo, sarà comunque in grado di scacciare i mostri ;-). Mi fermo qui perché sennò arrivo a dire troppo, ma se volete comunque approfondire, scrivetemi pure in privato, sarò lieta di soddisfare qualunque vostre curiosità :-).

 

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