Volo OS 547 (Alpen Rose)

di Tetide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una vita perfetta? ***
Capitolo 2: *** Passato e presente ***
Capitolo 3: *** Brividi e sospetti ***
Capitolo 4: *** L'orecchino della discordia ***
Capitolo 5: *** Aiutami! ***
Capitolo 6: *** Invito a sorpresa ***
Capitolo 7: *** Perché? ***
Capitolo 8: *** La mente torna ***
Capitolo 9: *** Per te qualcosa ancora ***
Capitolo 10: *** Tutto in una notte ***
Capitolo 11: *** Ultimo volo ***



Capitolo 1
*** Una vita perfetta? ***


Volo OS 547 VOLO OS 547

Disclaimer: questa è una fanfiction ispirata dall’anime “Alpen Rose” del 1986. Il diritto d’autore dei personaggi di “Rosa Alpina”, degli eventuali avvenimenti e frasi riportati da “Rosa Alpina” appartiene a Michiyo Akaishi, alla Flower Comics Wide (Shogakukan) ed alla Tatsunoko Pro. Il diritto d’autore è tutelato dalle leggi del copyright, e qui non ne è intesa alcuna violazione. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, è solo un racconto amatoriale. Il diritto d’autore dei personaggi originali presenti in questa storia, che non compaiono né nel manga, né nell’anime appartiene all’autrice Tetide.
Questa storia mi è stata ispirata dalla bellissima canzone “Cinque minuti e poi…”, interpretata da Maurizio dei New Dada, e ri-interpretata da Claudio Baglioni nell’album “Quelli degli altri… tutti qui”.



CAPITOLO 1
UNA VITA PERFETTA?
Il sole stava tramontando tra le nuvole; Jeudi guardò tristemente fuori dal finestrino: tra poco atterreremo, pensò. Girò la testa verso l’interno dell’aereo, osservando la solita scena del pre-atterraggio: gente che si svegliava profondendosi in sbadigli a catena, assistenti di volo che giravano tra i sedili chiedendo di allacciare le cinture di sicurezza, una ragazza che canticchiava ascoltando musica dal suo hi-pod… tutto come ogni volta, tutto visto e rivisto!
Chiuse gli occhi, e cercò di concentrarsi su ciò che avrebbe trovato a casa: sicuramente, Lundi e Pierre la stavano aspettando, sarebbero venuti a prenderla all’aeroporto; l’indomani, alla sede del giornale si sarebbe tenuta la tanto attesa riunione per l’unificazione delle due testate… tutto a posto, allora.
Eppure, da qualche tempo, Jeudi sentiva che nella sua vita c‘era qualcosa che mancava, ma cosa? Aveva un lavoro che amava: era giornalista; aveva un marito, Lundi, che divideva con lei l’appartamento da quasi tredici anni; aveva un figlio, Pierre, che amava molto; aveva un gran numero di amici; aveva sua sorella Martha e suo cognato Hans; aveva un bell’appartamento nel centro di Ginevra… aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato… che motivo aveva per non stare bene?
Ripensò a sé e Lundi, alla loro casa: ecco, la frase più esatta era che loro dividevano la stessa casa, ma non anche la stessa vita: Lundi era un affermato manager, che aveva lavorato per diverse aziende, ma da quando era stato assunto alla Troncan Company era divenuto molto strano. La teneva… a distanza, ecco. Ma perché? Eppure, non erano mai stati in disaccordo, prima. Ma poi, quando lui aveva preso il nuovo lavoro, erano iniziate le liti, anche furiose a volte. Certe volte erano così furiose che Pierre si chiudeva in camera sua, spaventato, ficcando la testa tra i cuscini per non sentire.
A sentir lui, non andava mai bene nulla: se Jeudi proponeva una gita domenicale, lui borbottava che doveva andare in ufficio a finire un qualche rapporto; “Andate pure voi, se ci tenete”; Jeudi, naturalmente, gli rispondeva: “In ufficio? Anche la Domenica? Puoi rimanere un giorno con la tua famiglia!”. E litigavano.
Lundi era stranamente cambiato, pensava.

“Il comandante annuncia che tra poco atterreremo. Vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza”. La voce della hostess riportò tutti i passeggeri alla realtà dai loro assonnati pensieri.
Il sole era oramai del tutto tramontato, lasciando il posto ad una luminosità violacea; l’aereo si abbassò sulla pista, la sfiorò, poi toccò terra del tutto.

Recuperati i bagagli, Jeudi passò la dogana, quindi uscì fuori nel grande atrio arrivi dell’aeroporto. C’era la solita confusione: un mare di gente con gli occhi assonnati che prendevano improvvisamente vita al momento dell’apertura della porta a vetri; alcuni di loro recavano in mano dei cartelli di benvenuto, tipo “Fleur d’eté viaggi”, “Benvenuto Frederick”… Jeudi girò attorno lo sguardo ed in un angolo vide Lundi con in braccio Pierre. “Ecco la mamma!”, esclamò questo.
Il padre lo fece scendere, lo prese per mano e si avviò verso la moglie.
“Ciao piccolo pirata!”, esclamò lei prendendo in braccio il figlio; poi abbracciò il marito “Ciao amore”, “Ciao tesoro. Come è andato il viaggio?”, “Mah! A Toronto c’era un tempo orribile! Siamo partiti tra i fulmini”.
Presero un taxi per dirigersi verso casa. “Dov’è la macchina?”, chiese Jeudi a Lundi,
“Dal meccanico. Ha avuto un piccolo problema con la frizione”,
“Capisco”.

I fari del taxi illuminarono la tranquilla via dove abitavano, una via piena di eleganti palazzine con giardino. “Quindici euro, signore. Grazie, signore. Buonanotte”.
Lundi aiutò la moglie a scendere le valigie, mentre lei lo guardava di sottecchi. Non sembra felice di rivedermi, pensò. Il bambino sbadigliava.
Entrarono in casa.
“C’è puzza di rinchiuso, qui dentro!” esclamò Jeudi, subito aprendo le finestre del salotto,
“Sì, non sono stato molto in questa stanza ultimamente. Senza di te mi rattrista”.
Jeudi sorrise. Si girò per aprire la finestra in fondo alla stanza. “…Si vede…!”, stava dicendo al marito girandosi di scatto, quando notò che lui si stava affrettando a nascondere qualcosa raccolto tra i cuscini del divano, con aria colpevole e malcelata ansia.
“Lundi, tesoro, cosa c’è? Cos’hai lì dietro?”,
“Niente… niente di importante, Jeudi.. solo una cicca di sigaretta, nient’altro!”.
Jeudi sorrise: il marito sapeva bene che lei detestava il disordine in casa, quindi la risposta le era sembrata più che plausibile. “Allora sei entrato qui dentro, dopo tutto!”,
“Solo una volta… Una sera in cui io e Jean dovevamo revisionare i bilanci…”.
Lei scoppiò a ridere “E per una cicca di sigaretta ti vergogni tanto! Dammela, vado a gettarla nel secchio dei rifiuti”.
Inaspettatamente, Lundi balzò all’indietro “No!”, fece.
Lei rimase interdetta: perché reagire a quel modo? L’uomo si calmò “Faccio io, non preoccuparti! Sono io che l’ho fatta cadere lì, no?”. Le diede le spalle ed uscì dalla stanza.
Ma che strana reazione, pensò lei; davvero molto, molto strana. Forse si sente in colpa per aver fatto disordine in mia assenza, pensò.
Poi, salita al piano di sopra, iniziò a disfare le valigie, e non ci pensò più.

Il mattino dopo, vi fu la tanto attesa riunione. Il pezzo di Jeudi era uno dei più attesi, e riscosse un grosso successo. Robert, il direttore del giornale, ne era entusiasta.
“Sei la nostra migliore opinionista. Non so che faremmo senza di te!”,
“Dài, non esagerare: un giornale è un lavoro di squadra, me lo hai insegnato tu. Ognuno di noi fa il suo dovere”,
“Ma se tutti lo facessero come te… raddoppieremmo i lettori nel giro di un mese! E a proposito di questo, ti volevo proporre una cosa”,
“Di che si tratta?”,
“Ecco… sai che in questi giorni è in corso una mostra di opere d’arte. Vorrei farci una recensione”,
“Ma io non capisco un tubo di arte!”,
“Infatti non dovresti farla tu. Ho contattato un critico d’arte a Vienna, e gli ho chiesto di venire qui. Sarà lui a fare la recensione, e tu dovresti solo trascriverla, sotto forma di intervista”,
“Va bene. Chi hai contattato?”,
“Com’è che si chiama… andiamo nel mio ufficio, devo averlo trascritto da qualche parte”.
Lasciata la sala riunioni, si avviarono lungo il corridoio, un corridoio sui toni del beige, luminoso, pieno di gente indaffaratissima. Entrarono nello studio di Robert, una grande stanza con una parete a vetri sul fondo, contro la quale si trovava la scrivania.
Robert si avvicinò alla scrivania piena di fogli “Qui non si capisce nulla. La segretaria deve averlo messo da qualche parte… Ah, ecco qua: Aschenbach! Leonhard Aschenbach”.
Jeudi sgranò gli occhi “Hai detto Aschenbach?”.
Robert alzò la testa dalle scartoffie e la guardò “Perché? Lo conosci?”,
“Sì- fece lei – eravamo colleghi all’Università, finché lui non cambiò facoltà”,
“Meglio, allora! Il tuo lavoro sarà più semplice”, rise lui.

Più tardi, Jeudi ripensava al passato.
Leonhard… erano stati assieme per circa un anno. A quell’epoca lui era il più bello della facoltà: alto, biondo, occhi viola, voce profonda e calda, modi gentili… le altre colleghe la invidiavano molto. Era stata bene con lui. Finché lui, all’improvviso, non era scomparso: sparito, in un’altra facoltà, a Salisburgo. Le aveva inviato una lettera, invitandola a venire anche lei “Anche qui c’è la facoltà di Scienza della Comunicazione”, le aveva scritto. Ma a lei non fu possibile trasferirsi, dato che poco dopo entrambi i genitori erano morti in un incidente automobilistico, e lei aveva dovuto occuparsi delle esequie, di tutte le formalità, e dell’educazione della sorella, all’epoca ancora adolescente. Così, si erano persi di vista. Poi, aveva iniziato a lavorare e poco dopo aveva conosciuto Lundi. Era stato durante un congresso per un’azienda di alta tecnologia, al quale lei fu obbligata a presenziare per il giornale. Si erano innamorati e l’anno successivo si erano sposati. Anni dopo era nato Pierre. E la sua vita aveva così preso un binario differente da quello di Leonhard.
Ed ora, Leòn che tornava a farsi vivo… era così che era solita chiamarlo: Leòn. A lui piaceva.
Come aveva potuto dimenticarlo, per tutto quel tempo, si domandava.
A quanto pare, adesso il passato esigeva di saldare i conti.

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Capitolo 2
*** Passato e presente ***


Passato e presente CAPITOLO 2
PASSATO E PRESENTE
“Okay, gente: voglio l’articolo per domani, e che sia completo di interviste ai vari scienziati e ricercatori! L’anima di questa città è la scienza, e noi adesso dobbiamo fare respirare a tutti aria di scienza: la notizia di questo esperimento mai tentato prima deve fare l’invidia di tutti i laboratori esteri, chiaro?”,
“Ma signor Robert, per questo c’è già il CERN!”.
Tutti scoppiarono a ridere.
“Grazie dell’informazione, Alain. Ma a noi giornalisti spetta il compito di promuovere la nostra scienza e cultura il più possibile in tutto il mondo”, rispose il direttore, un po’ piccato.
“Dunque, dovremo presenziare all’inaugurazione dell’esperimento, e magari rompere un po’ l’anima a qualche scienziato perché ci riveli i particolari, giusto?”,
“Esattamente, Viviane. E domani voglio un resoconto dettagliato. Lo esigo, mi sono spiegato?”.
Jeudi rideva sotto i baffi. Quando Robert voleva fare il despota ci riusciva molto bene, pensava; peccato che in realtà lui fosse un tenerone, come lei stessa aveva avuto modo di constatare alla festa di compleanno di sua sorella Martha, mesi prima.
I presenti si accinsero a lasciare la sala; Jeudi si stava unendo a loro, quando Robert la trattenne per un braccio “No, tu no Jeudi. Tu non devi andare con loro. Tu resti qui: dobbiamo precisare i termini della tua intervista con Aschenbach”.

Quando furono rimasti soli, si sedettero di nuovo.
“Allora, Jeudi… lui arriva domani alle 11,30; dovresti andare a prenderlo all’aeroporto. Mi hai detto che vi conoscete, quindi non dovrebbero esserci problemi. Jeudi… ma mi ascolti?”,
“Cosa? Oh, certo Robert. Continua pure”,
“No, è inutile. Non mi stai ascoltando. A che pensi?”.
Jeudi stava ripensando a Leonhard e ai tempi in cui stavano assieme. Lui era travolgente e dolce allo stesso tempo, lo ricordava bene; e poi era bello, sfacciatamente bello. Chissà se sarà ancora così, si chiedeva.
“Jeudi! Ma stai dormendo?!?”, ora il suo direttore l’aveva scossa per un braccio,
“Che?!? Sì, ti ho sentito, Robert. Devo andare a prenderlo in aeroporto. C’è altro?”,
“Tu non me la racconti giusta. E sia! Tanto non posso metterti alla tortura per farti parlare! Tieniti i tuoi problemi, dato che non vuoi confidarti, ma cerca di eseguire bene il lavoro che ti ho assegnato”,
“Contaci, Rob! A domani!”.

In macchina verso casa, la donna ripensava ancora a Leonhard; e ripensandoci arrossiva: un po’ per l’imbarazzo che le provocava il ricordo dei momenti intimi passati con lui, un po’ per il senso di colpa per non essersi più fatta viva con lui. Cosa gli avrebbe detto a riguardo, l’indomani, all’aeroporto?

Passò vicina alla strada dove si trovava il meccanico di Lundi; “Quasi quasi faccio un salto da lui, per vedere se la macchina di Lundi è pronta: gli farà piacere”.
Girò a destra e si infilò in una traversina; percorse un altro tratto, fermandosi davanti ad una saracinesca alzata; dall’interno del garage le venne incontro un uomo in tuta da lavoro. “Buonasera, signora Corot – le disse – Cosa posso fare per lei?”,
“Desidererei sapere se la macchina di mio marito è pronta”.
L’uomo rimase interdetto “La macchina del signor Corot? Ma non è qui! A dir la verità, è un po’ che non lo vedo”.
Jeudi restò basita. “Ma… ne è sicuro? Credevo che fosse qui, me lo ha detto lui… magari se ne è occupato qualcuno dei suoi inservienti, e l’ha riconsegnata!”,
“Impossibile, signora: i miei inservienti in questi giorni non ci sono: uno è in ferie, e l’altro a letto con la febbre!”.
Jeudi avvertì una sorda fitta di preoccupazione. “Allora mi sarò sbagliata. Scusi per il disturbo. Buonasera!”,
“Buonasera a lei, signora!”.
Risalita in macchina, si appoggiò al volante. Perché Lundi le aveva mentito? Prima non era mai successo.
Rimise la propria macchina in moto; ma per tutto il tempo della strada, non riuscì a trovare una spiegazione plausibile. Forse che aveva avuto un tamponamento e non voleva che lei lo sapesse? Ma per quale ragione? E dov’era la macchina?
Rientrando a casa, fu colta da un sospetto; si avvicinò al deposito sul retro del giardino, quello che non usavano più come garage, prese le chiavi, l’aprì. E vi trovò dentro la macchina.
La guardò bene: sembrava tutto a posto, niente ammaccature sospette, né altro che potesse far pensare ad un incidente. Cercò di aprire la portiera, ma era chiusa. Allora vi guardò dentro: tutto regolare. Ma allora che motivo c’era di fare tanti misteri?
Per il momento, decise di non dir nulla al marito; preferì cercare di capire da sola: avrebbe senza dubbio ottenuto di più.
Poi si ricordò dello strano episodio della sera precedente, la cicca di sigaretta. O almeno, così le aveva detto Lundi; lei quella cicca non l’aveva vista affatto. E se non fosse stata una cicca, ma qualcosa d’altro? Qualcosa che lui credeva di aver perso in macchina e che aveva invece ritrovato tra i cuscini del divano? E di cosa poteva trattarsi? Qualunque cosa fosse, era qualcosa che lei non doveva vedere.
La sua inquietudine aumentò.
Quella sera, approfittando del fatto che il marito fosse ad una cena di lavoro, non cenò; fece mangiare il figlio, lo mise a letto, poi andò a dormire anche lei.

L’indomani l’aspettava un appuntamento con il passato. L’aspettava Leonhard.

E’ risaputo che quando temiamo od aspettiamo con ansia qualcosa, la notte precedente ci sembra interminabile: le lunghe ore nel buio non passano mai, avvolte dal silenzio, ed il sonno di chi ci è accanto ci sembra quasi un insulto alle nostre ambasce; quanto a noi, il sonno neanche ci sfiora, preferendo rifuggire da chi ha l’animo pungolato da mille piccoli spilli che lo trafiggono, vuoi per curiosità, vuoi per ansia, vuoi per trepidazione; quando, poi, il signor Morfeo si decide a farci visita, in modo inconsapevole ed inaspettato, fuori sta già sorgendo l’alba, ed è proprio il momento in cui meno credevamo di poter cedere alla stanchezza della lunga veglia!
Fu ciò che accadde a Jeudi nella notte che precedette l’arrivo di Leonhard.
Non aveva quasi chiuso occhio, sia per i dubbi sulla menzogna del marito, sia per l’ansia di rivedere il suo ex-amore di tanti anni prima. Ovviamente, non aveva fatto parola a Lundi, né dell’una, né dell’altra cosa, data la ultimamente un po’ troppo pronunciata tendenza di lui alla lite; così si truccò, si vestì in fretta ed uscì.
All’aeroporto trovò la stessa situazione che aveva lasciato tre giorni prima, al suo arrivo: fretta, confusione, voli in ritardo, controlli meticolosi. Un viavai di gente, come al solito.
Si sedette e si mise ad aspettare; il volo da Vienna risultava in orario: sarebbe atterrato tra una mezz’ora, quindi aveva tutto il tempo di preparare gli appunti per l’intervista. Ma più li rileggeva, meno riusciva a concentrarsi su quei fogli: il suo pensiero era assorbito dai ricordi.
Leòn era stato il suo unico ragazzo: a lui aveva dato il suo primo bacio, con lui aveva fatto per la prima volta l’amore; si amavano, sembrava avrebbe dovuto durare per sempre; invece all’improvviso si erano lasciati; poi, per tanto tempo si erano persi di vista; ed ora, che effetto le avrebbe fatto rivederlo? Dopo quello che c’era stato fra loro, non poteva certo dirgli “Buongiorno signor Aschenbach, sono l’inviata del giornale, quindi limitiamoci all’intervista”! Ma che cosa gli avrebbe detto?
Le immagini di un tempo lontano le si riaffacciarono alla mente: lei e Leòn seduti su di un prato, in una primavera lontana, per un pic-nic improvvisato, che mangiavano e ridevano; intorno a loro un gruppo di persone, di amici… non c’era Lundi, allora.
Jeudi socchiuse gli occhi: ricordò una mano di Leòn tra i suoi capelli, poi sul suo viso a sfiorarle le labbra… un brivido le corse lungo la schiena, e poi giù per le gambe fino ai piedi. Chiuse le mani sul velluto del sedile sul quale si trovava; il contatto con la stoffa le diede la sensazione che le punte delle sue dita prendessero fuoco. Si sentì avvampare il viso, si portò le mani alle guance: possibile che il ricordo di Leòn le recasse ancora simili sensazioni?
Cercò di calmarsi e di darsi un contegno: dopotutto, era in pubblico! Si raddrizzò sul sedile, si schiarì la voce e si guardò attorno: nessuno si era accorto di lei, meno  male! L’attenzione di tutti i presenti era calamitata da un uomo che usciva dall’ufficio bagagli smarriti parlando a voce molto alta: si può dire che urlava.
“Siete un branco di incapaci! Quei vini erano di valore! Era un’intera cassa, un regalo per mio fratello e la sua famiglia! Adesso dovrete risarcirmi!”, “Si calmi, signore, le abbiamo detto che la sua cassetta arriverà domani sera al suo albergo. Altrimenti perché le avremmo chiesto l’indirizzo? E’ stata solamente spedita per sbaglio in un altro aeroporto, ma l’hanno ritrovata”, “Storie! Se anche arriverà, le bottiglie saranno in pezzi! Esigo un rimborso!”.
La scena, in effetti, stava attirando l’attenzione di diverse persone; anche Jeudi si alzò e si avvicinò per vedere meglio.
D’un tratto sentì una mano sulla spalla, ed udì una voce “L’ha presa un po’ male, vero?”.
Jeudi si sentì mancare il respiro: era la voce di Leonhard! L’aveva riconosciuta perfettamente, come se l’avesse sentita il giorno prima. Ma esitò a voltarsi: lui come sarebbe stato, dopo tanti anni? Trascorsero secondi sospesi, lunghi come secoli.
Poi si voltò.
Un abbaglio. Una visione dal passato. Leonhard, identico a tanti anni prima, che sembrava uscito da una fotografia di quei tempi: un’immagine del passato che aveva preso vita! Come se gli anni non fossero passati.
“Leòn… sei proprio tu… è… incredibile, davvero!”.
Lui le sorrise. “Ciao, Leòn”, gli disse lei in risposta al suo sorriso.
Per tutta risposta, lui la prese tra le braccia e la baciò, con le labbra chiuse, sulla bocca, lasciandola basita. Anche i suoi modi non erano cambiati, pensò Jeudi: erano sempre travolgenti ed appassionati.
“Neanche tu sei cambiata”, le rispose lui, quasi le avesse letto nel pensiero, “rivederti è stata una vera sorpresa”.
Jeudi non sapeva cosa rispondere: continuava a guardarlo, balbettando.
Fu lui a toglierla dall’impiccio: “Allora, vogliamo restare a vedere come finisce la telenovela della cassa di vini, oppure andiamo al tuo giornale?”, rise,
“Io… ecco… andiamo, naturalmente!”.
Si avviarono all’uscita, verso il parcheggio. Per tutto il tragitto, Jeudi non smise di tormentare le chiavi della macchina con le mani.


Le dodici. La prima parte dell’intervista era finita. Come al solito, Jeudi aveva fatto un buon lavoro. In piedi, davanti al grande tavolo tondo della sala delle riunioni, adesso vuota, riordinava alcuni fogli; Leonhard,seduto, la guardava con aria beata.
“Simpatici, i tuoi colleghi”, le si rivolse,
“Grazie. Anche tu sei piaciuto”.
E’ molto rigida, pensò lui: troppo rigida. Sembra un appendiabiti. Questi non sono i modi della Jeudi che conoscevo io.
Leòn si sporse sul tavolo “Sei diventata di poche parole. Come mai non mi chiedi nulla?”,
“Le domande dell’intervista non ti sono bastate?” fece lei senza alzare lo sguardo dai fogli,
“Non mi hai chiesto la cosa più importante”,
“Cioè?”,
“Come facevo a sapere che ad attendermi ci saresti stata proprio tu”.
Jeudi si arrestò. Già, è vero, pensò. Come faceva a saperlo? Decise di chiederglielo, ma lui la prevenne: “Me lo ha comunicato il direttore del tuo giornale: quando mi ha contattato per chiedermi un’intervista ed io ho accettato, gli ho chiesto il nome di chi sarebbe venuto ad accogliermi ed a farmi l’intervista. Non immagini la mia sorpresa quando ho sentito il tuo nome!”.
Per la prima volta dopo un quarto d’ora buono, Jeudi ebbe il coraggio di alzare gli occhi e guardarlo in viso. Sorrise. Quindi si sedette anche lei, abbandonando i fogli e rilassandosi sulla poltroncina.
“Tu sei sempre una sorpresa, Leòn: lo eri allora e continui ad esserlo anche ora.”,
“Anche tu non scherzi con le novità: il tuo nuovo cognome non lo conoscevo ancora”.
Lei sorrise di nuovo “Mi sono sposata” disse, “Questo lo so. Anche questo me lo ha riferito il tuo direttore: “si occuperà di lei la signora Jeudi Brendell in Corot” mi ha detto”.
Ci fu una pausa. Passarono lunghi minuti di assoluto, interminabile, assordante silenzio.
“E tu sei sposato?” gli chiese lei,
“No. Il mio cuore non riesce a riprendersi”,
“Da cosa?” fece Jeudi con aria divertita; lui si fece serio, a metà strada tra il corrucciato ed il triste “Dal colpo che mi ha inflitto una bellissima ragazza tanti anni fa, rifiutando di seguirmi a Salisburgo e lasciandomi da solo”.
Jeudi congiunse le mani sul tavolo ed abbassò lo sguardo. Sospirò. “Perdonami, non te l’ho mai detto”, gli rispose,
“Detto cosa?”,
“Poco dopo la tua partenza, i miei genitori sono morti in un incidente, ed io ho dovuto occuparmi di mia sorella e di tutte le incombenze familiari”.
Leòn tacque. Non si era certo aspettato una risposta di questo tipo. “Scusami, non lo sapevo”, le disse con un filo di voce.
“Non fa nulla”, rispose lei.
Rimasero per un po’ in silenzio, seduti al tavolo, gli occhi bassi.
Jeudi sapeva di essersi comportata male nei confronti di Leòn; eppure, lui non le aveva dimostrato né odio né risentimento: solo un’inconsolabile amarezza.
“Ma adesso siamo qui” proruppe lui “ed abbiamo anche finito l’intervista! Perché non ce ne andiamo a fare qualcosa di bello?”.
Jeudi avvampò. Ricordava quando lui le si presentava all’improvviso a casa, nel suo appartamento da studentessa, magari con un mazzo di fiori, e le diceva di voler fare l’amore subito, lì, sul divano, approfittando dell’assenza delle sue coinquiline. Lei non riusciva mai a resistergli: Leonhard in un attimo sapeva sciogliere tutte le sue barriere.
Ma anche stavolta lui sembrò averle letto nel pensiero. Rise. “No, non intendevo quel qualcosa lì” le ammiccò “lo so che ora sei sposata. Volevo dire… perché non ce ne andiamo un pò in giro? Presentami la tua città”.
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Questo capitolo è dedicato a Ninfea 306: ANCORA GRAZIE!!!!!

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Capitolo 3
*** Brividi e sospetti ***


Brividi e sospetti CAPITOLO 3
BRIVIDI E SOSPETTI
“Fino a quando ti fermi?”, gli stava chiedendo Jeudi mentre guidava;
“Solo un paio di giorni, non preoccuparti: non sono sufficienti per portarti via a tuo marito”.
Jeudi rise. Anche lo spirito di Leòn era rimasto lo stesso, pensò.
Erano all’incirca le cinque; il sole della primavera era ancora alto abbastanza per visitare un altro paio di monumenti; Jeudi era contenta, si sentiva sollevata: durante quelle ore in compagnia di Leonhard non aveva avuto modo di pensare ai suoi dubbi sulla condotta del marito, anche se sapeva benissimo che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontarli. Ma come? Chiedendolo direttamente a Lundi? Era fuori discussione: se anche non avessero litigato (cosa che, di solito, succedeva sempre), lui avrebbe negato ogni evidenza, accampando qualche altra scusa. Allora forse spiandolo? Peggio che mai! L’angoscia ed il rischio connessi a quel tipo di attività erano sproporzionati ai benefici che avrebbe potuto averne: se Lundi avesse avuto davvero qualcosa da nasconderle non sarebbe stato così sciocco da continuare a frequentare i soliti posti. Dunque in che modo?
Quasi come una muta risposta del Cielo, ad un tratto vide camminare sul marciapiede Jean. Ecco un buon modo, si disse: Jean era un caro amico di Lundi, oltre che suo collega, ed i due si confidavano spesso; poi, c’era ancora da chiarire l’”arcano” della cicca sul divano…
Con mossa rapida, accostò al bordo della strada. “Buonasera, Jean!”, disse, “E’ da un po’ che non ci si vede, vero?”,
“Oh, salve Jeudi! Che ci fai da queste parti?”,
“Nulla di particolare. Stavo solo facendo da cicerone ad un amico in visita. A proposito, ti presento il signor Aschenbach, mio ex-collega universitario”,
“Molto piacere!”, Jean allungò la mano; “Piacere mio!”, gli rispose Leòn.
“Ah, scusa Jean! Quasi dimenticavo: Lundi mi ha incaricato di dirti che hai lasciato il portasigarette a casa nostra sul divano, l’altra sera”,
“Eh?!?”, l’uomo cadde dalle nuvole, “L’altra sera? Quale sera? E’ da più di due mesi che non vengo a casa vostra!”.
Jeudi si irrigidì: i suoi sospetti venivano in parte confermati, allora! Simulando una voce più naturale che poté, continuò: “Suvvia, Jean! Quella sera della scorsa settimana in cui io non c’ero e voi avete tirato le ore piccole giocando a carte e discutendo: non preoccuparti, Lundi mi ha detto tutto!”.
Ma Jean era sempre più imbarazzato: tanto imbarazzato da non rendersi conto del leggero, ma evidente tremore che si era impadronito delle mani di Jeudi.
“Ti giuro che io non sono mai venuto a casa vostra in tua assenza, Jeudi. Lundi si sarà… sbagliato… forse!”,
“Sì, è probabile”, lei girò la testa, rivolgendola di nuovo verso il parabrezza; era divenuta pallidissima e tremava. Leòn se ne accorse.
“Arrivederci, Jean. Scusa se ti ho importunato”,
“Arrivederci Jeudi. Ancora piacere, signor Aschenbach”.
Non appena Jean se ne fu andato, Jeudi si accasciò con la testa sul volante; Leonhard  pose una mano sulla mano di lei. “Jeudi, che ti succede? Sei gelata! Non ti senti bene?”.
Lei alzò la testa e lo guardò “Leonhard… oh, Leonhard! La mia vita è tutta un rebus… negli ultimi tempi!”. E scoppiò a piangere, appoggiandosi a Leonhard.
Lui non seppe cosa dire, però sapeva bene che cosa fare: l’abbracciò, carezzandole i capelli, mentre lei continuava a singhiozzare.
“Perdonami… ti avevo promesso che saremmo andati al museo… ma non ce la faccio…!”,
“Lascia perdere il museo, Jeudi: non mi importa nulla del giro turistico: te l’ho chiesto solo per stare con te. Ma ora ti vedo star male: c’è qualcosa che posso fare per aiutarti?”. Le sollevò il viso, asciugandole dolcemente le lacrime con le dita “Jeudi?”.
Lei lo guardava con la stessa intensità di un tempo “Posso confidarmi?”, gli chiese,
“Ma certo, Jeudi: puoi sempre confidarti con me. Dimmi pure”.
Lentamente, Jeudi si raddrizzò sul sedile; tirò un profondo sospiro. “Si tratta di mio marito Lundi: da qualche tempo è molto strano. Ad esempio, mi tiene nascoste le cose; rifiuta di dedicare alla famiglia il poco tempo libero che gli resta; inoltre è molto irritabile. Ed ora, questa storia della cicca… lo so che può sembrare stupida, ma per me è motivo di dubbio nei suoi confronti.” E gli raccontò tutto.

Con pazienza ed attenzione Leòn la stette a sentire; quand’ebbe finito, le chiese: “E tu cosa pensi a riguardo?”,
“Penso che stia in qualche guaio, e non voglia farne parola con me per non coinvolgerci in questa storia”,
“Guaio di che tipo?”,
“Licenziamento in tronco, ad esempio. Oppure ricatto per commettere qualche brutta azione: quel Troncan non mi è mai piaciuto troppo”,
“E chi sarebbe questo Troncan?”,
“E’ il proprietario dell’industria per cui lavora Lundi. Un tipaccio, tirannico, superbo, prepotente, arrogante: crede che tutti gli debbano obbedire sempre e comunque”
“Così, tu credi che questo… Troncan  abbia cercato di coinvolgere tuo marito in qualche affare losco”,
“Esattamente”,
“E avresti modo di scoprirlo?”,
“Non vedo come”,
“A parte Jean, conosci qualche altro suo collega?”
“No”,
“Quel tipo arrogante ha una moglie?”,
“E’ morta di cancro anni fa”,
“Ha dei figli?”,
“Sì, una figlia, all’incirca della mia età: si chiama Matilda”,
“E lavora con lui?”,
“Lavorare? Figurati! Non fa niente. Non vuol sentirne di lavorare: preferisce farsi mantenere dal ricco padre, e fare la bella vita tra le settimane bianche a Cortina e le estati a Montecarlo!”,
“Bel tipo davvero!” Leòn scoppiò a ridere. Jeudi gli sorrise con gli occhi ancora umidi.
Leonhard si girò verso di lei “E tu conosci questa Matilda? Sei sua amica?”
“Nemmeno per idea! E’ arrogante come suo padre!”,
“Dunque non puoi cercare di saper niente per questa via.”. Tacque.
La donna guardò fuori dei vetri della macchina: stava tramontando e la città, come al solito, era immersa nel sonnolento traffico serale; le luci delle automobili e delle moto che scorrevano lente vicino a loro riportavano un po’ di rassicurante familiarità, facendo sembrare quella sera simile a tante altre. Ma non era così.

“Scusa Jeudi, ma devo proprio chiedertelo, anche a costo di apparirti invadente: saresti disposta a lasciarmi girare per casa tua?”.
Alla ragazza quella proposta parve oltremodo strana; ma tormentata com’era in quel momento, non pensò nemmeno per un attimo ad un tentativo di approccio amoroso da parte di Leonhard; la lasciò solo stranita.
“Per quale motivo?” gli chiese,
“Semplice: vorrei esaminare la “scena del crimine”, se me lo permetti”,
“Ma guarda che l’ho già fatto io!”,
“Tu sei sconvolta: qualcosa può esserti sfuggito”,
“C’è Lundi a casa adesso. E c’è anche Pierre”,
“Benissimo: un’ottima scusa per portarmi a casa sarebbe quella di farmeli conoscere; così non desterei i sospetti del visitatore che s’infila in casa con la moglie, di nascosto al marito!”.
Jeudi ci rifletté un attimo “Sì, in fondo è ora che tu li conosca. Vieni a cena da noi stasera. Ti presenterò come un vecchio amico”,
“Ed è la verità, dopo tutto”,
“Già, è vero”.

Così lo portò a casa. Si finsero allegri e spensierati mentre entravano a casa, per ingannare Lundi.
“… Una strana usanza davvero! Siamo paesi così vicini, eppure tanto lontani!”,
“E non hai sentito il resto: aspetta e vedrai!”.
Seduto sulla sua poltrona, Lundi stava leggendo il giornale; non appena sentì le voci, abbassò il giornale e si rizzò, scostandosi dallo schienale “Jeudi! Sei tu?”, chiese,
“Sì, amore, sono io. Vieni pure avanti, Leòn!”, disse rivolta all’amico,
“Oh… abbiamo ospiti! Buonasera signor… signor?”,
“Lundi, voglio presentarti un mio carissimo amico ed ex-compagno di studi dei tempi dell’Università: Leonhard Aschenbach”. Jeudi preferì non fare sapere al marito che quello che aveva davanti era il suo ex.
Lundi si alzò dalla poltrona e gli tese la mano “Molto piacere. Scusi per il disordine, ma non eravamo pronti a ricevere ospiti, stasera”,
“Leonhard, questo è mio marito Lundi”,
“Felice di fare la sua conoscenza, signor Corot”, gli strinse la mano.
“Mamma, chi è questo signore?”,
Jeudi si volse verso il bambino “E questo è mio figlio Pierre”, disse poi.

Più tardi, a cena, Jeudi e l’ospite si scambiavano occhiate d’intesa, Jeudi con aria preoccupata, Leòn quasi dicendole “lascia fare a me”.
“Così lei è un critico d’arte. Dovrebbe trasferirsi qui, allora: qui c’è tanta di quell’arte da farsela uscire dagli occhi! Sarebbe occupato dalla mattina alla sera!”,
“Beh, se è per questo non è che dalle mie parti si scherzi: a Vienna, ultimamente, è tutto un brulichio di nuovi artisti o presunti tali”.
Jeudi osservava Leonhard dal basso verso l’alto, simulando indifferenza; ma in fondo al suo cuore non poteva fare a meno di notare quanto lui fosse sempre affascinante ed attraente.
“Feelings,
feelings like I never lost you…”
Jeudi sentiva dentro di sé le parole della sua canzone preferita, Feelings di Albert Morris: le sembrava scritta per lei, in quel momento
“I wish I never let you go…”
Sì, doveva ammetterlo: era ancora attratta da lui.
Leòn parlava con un’intonazione ed una cadenza così musicali che era impossibile non rimanere incantati ad ascoltarlo: ed infatti, lei lo fissava sempre più assorta.
Lundi se ne accorse; guardò la moglie, poi tornò a guardare il suo interlocutore, che parlava un perfetto Francese.
Jeudi adesso si chiedeva come mai non avesse pensato di raggiungerlo a Salisburgo, una volta espletate le formalità di famiglia dopo la morte dei genitori. Si sentiva riportata indietro negli anni, ai tempi in cui loro stavano insieme, e lui riusciva sempre a stupirla, a travolgerla, a farla sentire bene. Le tornò in mente quella che era stata la loro canzone, “Since I don’t have you”, una cover dei Guns ‘n’ Roses: Io non ho più niente da quando non ho più te, diceva; e mai come in quel momento sentì che anche quella canzone le si confaceva perfettamente.
Arrossì impercettibilmente, ed abbassò la testa per nasconderlo.
 “Tesoro, non ti senti bene?”, Lundi le prese la mano,
Lei rialzò la testa, con un’aria visibilmente accaldata; Lundi notò il suo rossore “Ma che hai, Jeudi?”.
La ragazza si passò una mano tra i capelli per darsi un contegno “Nulla, ho avuto una giornata pesante, tutto qui. Pierre, per te è ora di andare a letto”, disse poi, tanto per cambiare argomento.
Pierre iniziò a tirare Lundi per un braccio “Papà, mi leggi una favola? Ti prego, ti prego, ti prego!”.
L’uomo cedette “E va bene”, disse “Volete scusarmi, per favore?”.
Jeudi si rilassò e gli sorrise “Vai pure caro. Vorrà dire che per questa sera sparecchierò da sola”,
“Ti aiuto io, Jeudi”, le disse prontamente Leonhard.
Lundi si avviò su per le scale con il figlio in braccio.
 

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Capitolo 4
*** L'orecchino della discordia ***


L'orecchino della discordia CAPITOLO 4
L’ORECCHINO DELLA DISCORDIA
“Sei gentile a volermi aiutare, pur essendo un ospite”, stava dicendo Jeudi a Leòn,
“E’ un piacere per me” le rispose lui, “e poi è un modo per abituarmi: quando avrò anch’io una moglie, dovrò farlo per forza; quindi, meglio che mi trovi già preparato”. Rise, con il suo solito senso della battuta pronta.
Jeudi finse di sorridere anche lei, ma in realtà, quando Leòn aveva parlato di trovarsi una moglie, per un attimo aveva sentito una morsa al cuore: non avrebbe saputo dire perché, ma l’idea di Leòn sposato ad un’altra donna non le faceva piacere.
Forse sono un po’ gelosa del passato, cercò di autogiustificarsi.

“Scusa, Jeudi” Leonhard la risvegliò dai suoi pensieri “di solito, quanto tempo ci impiega Lundi a leggere la favola della sera a tuo figlio?”,
“Perché me lo domandi?”,
“Perché potrebbe scendere da un momento all’altro, e non potremmo mettere in atto il nostro piano”.
Fu solo in quel momento che Jeudi si ricordò del vero motivo per cui Leonhard era venuto lì quella sera “Hai ragione. Andiamo!”, disse togliendosi il grembiule.
I due entrarono in salotto;  la stanza era vuota. Leòn si avvicinò al divano, si accovacciò e ne sprimacciò i cuscini “Sembra tutto regolare” disse.
Jeudi lo osservava con aria preoccupata; lui prese uno dei cuscini e lo scosse in aria; poi lo palpò, cercando di individuare una qualche “forma sospetta” sotto la stoffa della fodera, ma non trovò nulla, così lo rimise al suo posto.
“E’ meglio lasciar perdere, Leòn: così, non otterremo nulla”,
“Non è detto”, fece lui prendendo l’altro cuscino e sottoponendolo allo stesso trattamento. Una piuma d’oca volò fuori da un punto imprecisato, volteggiando per la stanza.
“E questa da dove arriva?” esclamò Jeudi, meravigliata “I cuscini erano nuovi!!”.
Leòn mise giù il cuscino, rigirandolo dall’altra parte; notò qualcosa sul retro: una piccola lacerazione nella stoffa della fodera.
“Vieni un po’ a vedere”, si rivolse a Jeudi. Questa si avvicinò.
Leonhard stava passando con la mano sopra il piccolo strappo; anche Jeudi allungò la mano, facendo lo stesso “Questo non c’era prima della mia partenza, ne sono sicura!”.
Come poteva essere successo? Si avvicinò e guardò meglio la stoffa: quello che aveva davanti non era una lacerazione dovuta all’uso, né un taglio: era piuttosto un’apertura dai bordi slabbrati, come quella procurata da un ago che sia stato inserito nella stoffa, e poi sia stato strattonato con violenza. Ma come poteva essersi formato?
“Forse tuo marito si è seduto con le chiavi appese alla cintola”, le disse Leonhard,
“Così sembra… e la faccenda della macchina?”,
“Quale faccenda?”.
Jeudi si rialzò, scostandosi dal divano; si sedette su di una poltrona. “Ecco” attaccò “la sera in cui sono tornata da Toronto, Lundi non è venuto a prendermi con la sua macchina, ma in taxi”,
“E allora? La macchina avrà avuto un guasto”,
“Così mi aveva detto, infatti. Ed io gli avevo creduto. Ma l’altra sera sono passata davanti all’officina del meccanico, e lui mi ha detto che la macchina di Lundi non l’aveva vista affatto! Poi sono rientrata a casa, sono andata a vedere in garage e indovina cosa ci ho trovato? La macchina!”.
Leòn aveva abbassato la testa e rifletteva, gli occhi concentrati sul vuoto “Evidentemente, aveva perso qualcosa e credeva di trovarlo in macchina, ma invece il qualcosa era qui, in salotto”,
“Ma di cosa si tratta? Cosa può essere così pericoloso da dover essere nascosto ai miei occhi?”,
“Questo non lo so, Jeudi. Ma non è detto che si tratti di qualcosa di brutto: magari tuo marito ti sta preparando una sorpresa!”.
Si avvicinò alla donna seduta che si guardava intorno con aria smarrita e le prese le mani “Jeudi!”, le disse. Lei alzò gli occhi, guardandolo. Aveva un’aria indifesa, arresa. Le mani di lei tremavano. “Non è più lo stesso da quando lavora alla Troncan. Non è più lui, non è più il mio Lundi!”.
Leòn capì che la sua ex-fidanzata era realmente angosciata per quanto stava succedendo; si rammaricò per questo, ma cosa poteva fare per aiutarla? Le si sedette accanto, passandole un braccio intorno alle spalle. Lei iniziò a piangere.
“Su, su, non fare così”, le disse “tuo marito potrebbe scendere da un momento all’altro e vederti!”.
Maldestramente, Jeudi si asciugò il viso con le mani. “Scusami, Leòn. Mi sono lasciata andare allo sconforto. Scusa se ti ho coinvolto: tu non c’entri. Dimentica tutto, ti prego”.
In quel momento, sentirono dei passi sulle scale. Era Lundi che ridiscendeva.
Prontamente, Jeudi si alzò, riempì un bicchiere di Porto e lo porse a Leonhard. Quella che Lundi si trovò dinnanzi, era una normalissima scena di due vecchi amici che chiacchieravano dei vecchi tempi.

Due giorni dopo, Leonhard ripartì. Jeudi l’aveva accompagnato all’aeroporto.
“Jeudi, questo è il mio numero a Vienna, caso mai ti servisse qualcosa chiamami!”,
“Grazie. Fai buon viaggio”.
La voce dello speaker annunciò l’imbarco immediato del volo per Vienna; l’uomo abbracciò Jeudi, quindi si diresse al gate.
Un attimo prima di superare il cancello, Leòn si voltò e alzò un braccio per salutare ancora Jeudi che lo seguiva con lo sguardo. Provò una grande tenerezza per lei: gli sembrava così fragile ed indifesa, nonostante la sua posizione di giornalista affermata; pensò che l’amore può far soffrire molto.

Passò un po’ di tempo. Le cose, per Jeudi e Lundi, continuavano sempre allo stesso modo. Poi, una sera, il coperchio saltò in aria.
Jeudi era ritornata prima dal lavoro quella sera, causa un forte mal di testa, e subito si era spogliata per mettersi a letto. Il figlio si trovava presso sua sorella.  
Aveva freddo, si sentiva la febbre addosso. “Forse covo un’influenza” pensò.
Indossò la camicia da notte, ma aveva più freddo di prima, dato che questa era fatta in seta leggera; decise allora di indossare di sopra la felpa rossa, che Lundi le aveva regalato il Natale di due anni prima; lui ne aveva acquistata per sé una quasi uguale.
Aprì il cassetto, ma non la trovò; sorrise “Lundi l’avrà scambiata nuovamente con la sua”, pensò. Così si diresse al comodino del marito ed aprì il primo cassetto, dove lui teneva i maglioni. Non la trovò; cercò allora in fondo al cassetto, rovistando con la mano, quando, inaspettatamente, sentì una puntura al dito. Incuriosita, aprì di più il cassetto e vi guardò dentro. Intravide qualcosa di luccicante tra i maglioni; li scostò, con movimenti ansiosamente meccanici: e vide un orecchino, di pessimo gusto peraltro, in fondo al cassetto.
Lo prese: era a cerchio, molto grande e coperto di strass; la chiusura a  gancio non aveva sicura.
Un sospetto le attraversò la mente come un lampo. Incurante dei brividi che le attraversavano il corpo febbricitante, scese di sotto; entrò in salotto, si avvicinò al divano, sollevò uno dei cuscini, quello con la scucitura; vi accostò il gancio dell’orecchino, e vide che questo corrispondeva perfettamente allo strappo nella stoffa. Avvertì un improvviso gelo penetrarle nelle ossa e cadde in ginocchio al suolo, priva di forze, l’orecchino ancora in mano.
Adesso, tutto quadrava.
Tutto si sarebbe aspettata, ma non questo: non di essere tradita da suo marito!
Lundi le doveva delle spiegazioni, e gliele avrebbe date, volente o nolente.
Risalì in camera ed indossò una vestaglia, poi ridiscese. Si sedette in cucina, attendendo il ritorno del marito.

Lundi non si fece attendere a lungo. Dopo una mezz’ora circa dagli avvenimenti che abbiamo visto, la chiave girò nella toppa e la porta si aprì. Lundi entrò, con un’aria stanca.
Gettò le chiavi sulla mensola, si tolse cappotto e cappello, quindi si diresse in bagno. Passando davanti alla cucina, vide la moglie seduta al tavolo. “Non mi aspettavo di trovarti qui. Che ci fai a casa tanto presto, cara?”,
“Dovevo parlare con te”,
“Di che cosa?”, Lundi si tolse la giacca.
“Di questo!”, fece Jeudi prendendo l’orecchino tra le dita per mostrarglielo. Lundi rimase interdetto.
“Dunque, dammi una spiegazione, e che sia convincente!”.
L’uomo entrò anche lui in cucina, e si sedette accanto alla moglie. “Cosa vuoi che ti dica?”, sospirò “Tanto è fin troppo evidente!”,
“Quando è successo? Quando è stato?”, Jeudi aveva iniziato a singhiozzare,
“Una sera, mentre eri via”,
“Questo l’avevo capito da sola!”, ruggì Jeudi, scattando in avanti sulla sedia. Poi su quella stessa sedia si afflosciò, ricominciando a piangere. “Chi… chi era?” chiese,
“Una conosciuta per caso, in un caffè. Jeudi…” allungò una mano verso di lei,
“Non mi toccare!” lei si ritrasse “Mi fai schifo! Come hai potuto?”,
Lundi abbassò lo sguardo. “Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Perdonami, Jeudi”.
Per tutta risposta, lei si alzò e salì di sopra.

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Capitolo 5
*** Aiutami! ***


Aiutami! CAPITOLO 5
AIUTAMI!
Il giorno successivo, in ufficio, Jeudi, inutile dirlo, era una pezza. Occhi gonfi, occhiaie nere, e senza un filo di trucco.
Anche con i colleghi era distaccata: durante la pausa di metà mattina se ne rimase seduta alla sua scrivania a fumare, con lo sguardo perso oltre i vetri della finestra.
Caterina, una delle colleghe, le si avvicinò. “Jeudi, cos’hai oggi?”,
“Nulla, perché?”, Jeudi soffiò fuori dalla bocca una nuvola di fumo,
“Hai un aspetto terribile”,
“Davvero? Avrò dormito male”.
Caterina la guardò con aria interrogativa. Era una delle sue più fidate amiche: allora perché Jeudi non si confidava con lei? Eppure, era chiaro che portava dentro una enorme sofferenza.
“Hai ragione!”, Jeudi scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani. Caterina le tese un braccio per prenderle la mano, contemporaneamente girandosi a destra ed a sinistra per sincerarsi che nell’ufficio, in quel momento, non ci fosse nessun altro oltre  a loro.
“Jeudi! Jeudi! Ma cos’hai, tesoro? Parla, dimmi pure”,
“Si tratta… si tratta di Lundi”,
“Tuo marito?”,
“Sì, esatto”, si era asciugata gli occhi e, tenendo la sigaretta sempre tra le dita, riprese a fumare, tirando un’altra boccata. “Mi ha tradita”,
“Cosa? Lundi?!?” Caterina non credeva alle sue orecchie,
“Sì, lui”.
Caterina si tirò indietro sulla sedia, abbassando lo sguardo. Poi lo rialzò, tornando a guardare l’amica “Ma sei sicura, Jeudi?”,
“Sicurissima. Me lo ha detto lui stesso”,
“Oh, Jeudi… mi dispiace tanto…”.
In quel momento rientrarono gli altri, e le due donne furono costrette ad interrompere la loro conversazione: Jeudi si ricompose, per quanto le era possibile, Caterina si alzò.

Caterina e Jeudi erano buone amiche, oltre che colleghe, e Caterina non mancò pertanto di occuparsi della sua amica. Le stava sempre accanto a mensa, la proteggeva dalla curiosità degli altri, le portava spesso dei piccoli doni; ma tutto questo, ovviamente, non bastava a lenire il dolore della nostra.
Così, Caterina ebbe un giorno un’idea; ne parlò a Robert, ovviamente senza scendere nei dettagli dei malesseri di Jeudi: disse soltanto che, per ragioni personali, la ragazza aveva bisogno di “cambiare aria” per un po’.
Il pomeriggio successivo a questi avvenimenti, Jeudi si sentì chiamare in direzione.
Entrò e si sedette.
“Allora, Robert: cosa devi dirmi di tanto urgente?”,
“Innanzitutto, spegni la sigaretta, per favore: qui non siamo al chiosco dei gelati all’angolo, e fumare è proibito”.
Jeudi schiacciò la cicca nel piccolo portacenere davanti a lei “Scusami, ultimamente non presto molta attenzione a certe cose. Allora, cosa c’è?”,
“Dunque: a Vienna si sta organizzando un expo di tecnologie ultra avanzate; ora, nessun altro giornale della Nazione si è ancora prenotato per assistere alla manifestazione in veste ufficiale, e sarebbe un bel colpo se fossimo noi i primi a farlo”.
Jeudi ascoltava con aria distratta, continuando a giocherellare con la cicca ormai spenta “Dunque?”, gli rispose senza alzare gli occhi dal portacenere.
“Dunque?!? Questa è un’occasione unica! E tu sei la persona più adatta a questo contesto”.
“Ah, sì? Va bene. Che devo fare?”,
“Jeudiii?!? Ti sto chiedendo di andare a Vienna a partecipare a quell’accidenti di manifestazione! Sveglia, Duron!”.
Per la prima volta da quando era entrata nell’ufficio di Robert, Jeudi alzò la testa.
“Va bene” disse “Quando devo partire?”.

La partenza era prevista per la settimana successiva; era stata Caterina ad insistere col direttore affinché passasse il suo incarico a Jeudi, convinta che qualche giorno lontano da casa le avrebbe potuto fare del bene.

A casa, tra i coniugi Corot regnava una glaciale freddezza: si parlavano a stento, e spesso non si guardavano neppure in faccia. Pierre si stava godendo una inaspettata vacanza a casa di Marta, sorella di Jeudi, e di Hans.

Il mattino della partenza, Lundi non accompagnò la moglie in aeroporto.
In volo, Jeudi pianse: fu un pianto liberatorio, inarrestabile, confortato dal fatto di trovarsi in presenza di estranei, ai quali non doveva spiegazioni.

All’arrivo, trovò Leòn: l’aveva avvisato del suo arrivo la sera prima, e lui, da buon amico, era venuto a prenderla.
“Sono felice di vederti! Bene arrivata!”, l’accolse abbracciandola. Ma lei restava mogia: rispose al suo abbraccio, ma senza trasporto.
“Ma che hai?”, le chiese lui, “mi sembri la partecipante ad un funeral party! Non ti senti bene, per caso?”,
“No, infatti. Ho fatto un pessimo viaggio”,
“Capisco. Certi piloti hanno molta fretta d’arrivare, sembra: è successo anche a me. Ma ora vieni: ti accompagno in albergo; o prima vuoi passare da casa mia per bere qualcosa?”,
“Fai tu!”, gli rispose lei, abbozzando un sorriso,
“OK, allora andiamo prima a casa”.
Usciti dall’aeroporto, Leòn si diresse al parcheggio. Jeudi, invece, rimase ferma davanti all’ingresso delle partenze, la valigia in mano, lo sguardo perso nella luce accecante del mezzogiorno.
Leonhard si accorse che lei non lo aveva seguito e tornò indietro. “Cosa c’è? Vuoi che porti la tua valigia?”,
“No, Leòn, davvero. Preferisco aspettarti qui. Vai pure a prendere la macchina”,
“Ti capisco sempre meno. D’accordo, ci vado. Aspettami qui”.
Jeudi lo guardò allontanarsi con le chiavi in mano; osservò i suoi capelli biondi, ancora lunghissimi, ondeggiare nella brezza di Luglio; la sua figura, alta e snella, che si allontanava: era rimasto lo stesso di tanti anni prima, pensò. Per sempre giovane.


Leonhard guidava la sua Audi per le strade di Vienna; alla radio, “Total eclypse of the heart”, di Bonnie Tyler. Lui era sempre lo stesso: sorrideva, con quell’espressione dolce, un braccio fuori del finestrino, l’altro sul volante. Jeudi, al contrario, se ne stava immobile e triste come una statua.
“Hai intenzione di spiccicare qualche parola prima che arriviamo a casa? Così, per forma, almeno!”,
“Scusa, ma non sono molto di compagnia oggi”, rispose Jeudi alzando un poco la testa,
“Stupendo! L’unica volta che ti vedo qui non sei di compagnia: sono mooolto fortunato!”, rise Leòn.

Arrivarono a casa di lui dopo un breve tragitto nel traffico della città: era una villetta a due piani in periferia, con un piccolo giardino popolato da statue di nani colorati che facevano capolino tra i bassi cespugli, ed una fontanella in un angolo.
Leonhard porse una mano a Jeudi per aiutarla a scendere dalla macchina; lei gli fece un mezzo sorriso. Lui la precedette ed aprì la porta.
“Scusa se c’è odore di rinchiuso. Sto poco in casa, ultimamente”,
“Non preoccuparti, Leonhard. Mi fermo solo un minuto”,
“Accomodati pure”, le disse aprendo la porta del salotto. Lei vi entrò e si sedette su di un divanetto.
“Cosa bevi?”, Leòn si era piegato davanti al mobile-bar,
“Un gin, se ce l’hai”,
“Che? Un gin? A quest’ora?”.
Jeudi sorrise.
“Va bene, il fegato è tuo… Ecco il tuo gin!”, disse porgendoglielo. Lei prese il bicchiere con mano debole; lui se ne accorse.
Si accostò il bicchiere alle labbra, bagnandosele appena. Anche Leonhard si era seduto, di fronte a lei.
“Non dirmi che soffri ancora di mal d’aria!”,
“No, scusa… è che ho un po’ di mal di testa”,
“Jeudi, dimmi il vero, cosa ti è successo?”, il tono dell’uomo, adesso, si era fatto dolce.
“Te l’ho detto”. Jeudi sentiva adesso il suo peso interiore più pesante che mai; non riusciva a guardare negli occhi di Leòn: erano troppo limpidi, ed era sicura che le avrebbero potuto leggere fino in fondo all’anima. Così li abbassò sul bicchiere, socchiudendoli lievemente.
“Vuoi che metta un po’ di musica?”, le si rivolse lui,
“Volentieri”.
L’uomo si alzò e prese un CD; lo mise nello stereo: era Without you di Mariah Carey.
Si avvicinò a Jeudi “Te la ricordi, vero?” Lei annuì “Era una delle nostre canzoni preferite”.
Leòn proprio non riusciva a spiegarsi l’aria triste di lei: che le avessero assegnato un compito non di suo gradimento?
“Jeudi, senti: l’altra volta mi hai portato tu a visitare la tua città; e se adesso lo facessi io con te?”.
Lei continuava a non rispondere, lo sguardo perso nel vuoto. Allora lui riprese:
“Stai ancora pensando agli anni della nostra giovinezza? E’ per questo che non mi ascolti?”.
Jeudi faceva ondeggiare lievemente il bicchiere. “La giovinezza… quando credevamo che tutto potesse essere possibile… che saremmo stati felici…”.
“Non mi freghi più!” pensò Leòn “Tu stai male, Jeudi!”; poi disse ad alta voce: “Ma non lo siamo, vero?”,
“Hai ragione, è così!”. Finalmente, le lacrime liberatrici esposero letteralmente sul viso della donna. Posò il bicchiere sul tavolino e si chinò sulle proprie ginocchia, singhiozzando.
Lui si chinò su di lei.
“Jeudi! Jeudi! Ma cos’hai?”,
“Oh, Leòn… è terribile… terribile… la mia felicità coniugale è spezzata, ormai! Spezzata per sempre”,
“Perché? Perché, Jeudi?”,
“Lundi… Lundi mi tradisce!!”,
“COSA?!?” Leòn non credeva alle sue orecchie. Jeudi continuava a singhiozzare, piegata in avanti; lui le cinse le spalle con un braccio, cercando di farla calmare, dato che ora il pianto di lei stava virando decisamente sull’isterico.
“Ma sei sicura, Jeudi? A volte si giunge a conclusioni affrettate… Sei sicura di quello che dici?”.
Jeudi alzò la testa con un amarissimo, finto sorriso dipinto sopra, il viso inondato dalle lacrime “Oh, sicurissima! Ti ricordi quello strappo nel divano? E la faccenda della macchina? Si trattava di un orecchino!! Un orecchino, capisci? E non certo mio!”. Riabbassò la testa, nascondendo il viso tra le ginocchia e riprese a piangere.
Leonhard l’accarezzò leggermente. “Magari era di tua sorella Martha… come fai a dire…”,
“Io non dico niente!” Jeudi aveva rialzato la testa “E’ stato lui stesso ad ammetterlo. Più di questo, cosa vuoi?”.
Leòn era senza parole. In effetti, durante il suo volo di ritorno da Ginevra, questa eventualità gli si era presentata alla mente, ma lui l’aveva sempre scacciata con un sorriso, ripensando al grande affiatamento che aveva scorto tra i due.
La ragazza continuava nel suo pianto dirotto: “Aiutami, aiutami! Cosa devo fare?”, gli chiedeva; l’uomo prese il bicchiere di gin e glielo porse “E’ meglio se ne bevi un po’, Jeudi. Ti aiuterà. Ecco, bene, così”, disse, vedendo che lei si stava lentamente calmando.
“Ora ascoltami: tu ami Lundi, non è così?”, le aveva sollevato il viso con una mano,
“Sì”, rispose lei in un sussurro,
“Allora devi perdonarlo, Jeudi: perdonarlo e dargli fiducia di nuovo”,
“Non posso dimenticare, Leòn!”,
“Non ho parlato di dimenticare. Ho detto solo perdonare: è diverso”.
Jeudi lo guardava, le labbra socchiuse, alcune lacrime ancora sul viso.
“So che non potrai mai dimenticare; ma quando si ama qualcuno, dobbiamo perdonarlo per i suoi sbagli, specialmente se questo qualcuno si è mostrato pentito: uno sbaglio può capitare a tutti”,
“Forse persino a me”, pensò lei: ed arrossì in un attimo, pensando che avrebbe potuto farlo proprio con Leòn.
“Persino a te!”, le disse lui, quasi le avesse letto nel pensiero ancora una volta.
Si guardarono negli occhi, vicinissimi, per pochi istanti.
“E poi devi pensare a tuo figlio! Non ci pensi a Pierre?”.
“Sì, hai ragione!”, Jeudi riabbassò leggermente il viso, socchiudendo gli occhi; il dito di lui scivolò sulla sua guancia verso l’alto fino ad asciugarle una lacrima.
“Farò come dici, anche se per me non sarà facile. Grazie, Leòn!”.


Quella sera, in albergo, mentre disfaceva i bagagli da sola, Jeudi ripensava a quell’attimo in cui lei e Leòn si erano trovati tanto vicini da potersi sfiorare. Forse addirittura baciare… e se lei l’avesse fatto, se l’avesse baciato sul serio? C’era una delle "loro" canzoni in sottofondo… come tanti anni prima… E cosa sarebbe potuto accadere dopo? Avrebbe fatto l’amore con lui, sicuramente: sarebbe stata la giusta punizione per Lundi!
Ma Leonhard, da vero amico e vero gentiluomo, invece di approfittarsi di lei, l’aveva consolata ed aiutata nel suo dolore: e questo l’aveva molto colpita.


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Capitolo 6
*** Invito a sorpresa ***


Invito a sorpresa CAPITOLO 6
INVITO A SORPRESA
Il pomeriggio del giorno successivo, svolti i compiti per cui era stata mandata in Austria, Jeudi era di nuovo in compagnia di Leòn.
Se ne andavano in giro per le vie del centro; Leòn, come promesso, le faceva da cicerone.
“… E questo è il Parlamento!”,
“Davvero bello! Ed anche ben tenuto! Complimenti, il senso di rispetto che avete per i monumenti è notevole!”,
“Per la verità, è così da qualche decennio solamente; durante l’ultima guerra, la città ha subito parecchie perdite, ma poi… guarda chi si vede: Gerard!”,
“Leòn?!? Ma che fai da queste parti in pieno Luglio?”.
I due amici si strinsero la mano. Il nuovo arrivato era un uomo di bell’aspetto, elegante, alto e snello quanto Leonhard, con lunghi capelli biondo platino,; togliendosi gli occhiali da sole, rivelò un paio di occhi azzurro cielo dalla particolare forma allungata all’insù; parlava con evidente accento Francese.
“Scusa, Jeudi: ti presento un mio amico, il conte Gerard Tavernier!”,
“Molto piacere. Mi chiamo Jeudi Corot”,
“E’ la fidanzata di Leonhard? Finalmente ti sei deciso, vecchio filibustiere”,
“Mi spiace, ma ti sbagli: Jeudi è solo un’amica, una ex-collega dei tempi dell’Università”,
“Oh, che gaffe! Mi scuso per lo sbaglio, signorina”.
Leòn stava per correggerlo “signora”, ma la stretta che Jeudi gli diede alla mano con la propria mano gli fece capire che non era il caso.
“Allora, non mi hai risposto? Niente vacanza quest’estate?”,
“No”, gli rispose Leòn “quest’anno non ho trovato nessuno così scemo da pagare una mia presenza in galleria d’arte tale da potermi permettere una vacanza”,
“Ed invece ti sbagli, perché qualcuno lo hai trovato: avrei bisogno di un esperto che allietasse le mie noiose giornate in barca con le sue dotte dissertazioni artistiche”.
“Ma dài, Gerard!”,
“Non provare a dirmi no: già l’anno scorso mi hai piantato in asso! Quest’anno io e Françoise ti vogliamo a tutti i costi a Montecarlo con noi! Non puoi rifiutare”.
“E va bene, cedo alla violenza! Quando sarebbe?”,
“Il mese prossimo, per tre settimane”,
“O.K. Ci sarò”,
“Naturalmente l’invito è esteso anche a lei, signorina: mia moglie sarà felice di conoscere un’amica del nostro Leonhard”,
“Ma io…”,
“Non è necessario che mi risponda subito; può pensarci qualche giorno”,
“Va bene. Grazie”, fece Jeudi.
“Ora scappo: mia moglie avrà finito il suo giro di visite e si starà chiedendo che fine io abbia fatto. Arrivederci, e piacere di averla conosciuta, Jeudi”,
“Piacere mio”,
“Ci vediamo, Gerard!”.
Il conte si allontanò, rinforcando gli occhiali.
Leòn e Jeudi si guardarono in faccia, interdetti.
“E’ incredibile! Un conte! Ma dove lo hai conosciuto?”,
“Ad una mostra, tempo fa: lui e sua moglie, una gran bella donna”,
“Erano gli organizzatori della mostra?”,
“Cheee? Organizzare qualcosa? Quelli non sanno nemmeno che cosa significhi lavorare! Sono troppo ricchi per abbassarsi ad esercitare una qualche attività. Dovresti vederli: e l’estate a Montecarlo in yacht, e l’inverno a Courmayeur, e abiti firmati, e quadri di valore, e ville in Costa del Sol, e Ferrari, e feste con bella gente… sembrano personaggi di una telenovela, stile Beautiful!”.
Jeudi rise.
Leòn la guardò. “Io ci vado” le disse “ E tu?”,
“Ma Leòn! Nemmeno li conosco!”,
“Se è per questo, non devi preoccuparti: sono molto generosi verso chiunque. E sinceri. Se ti hanno chiesto di venire, non darai fastidio, anzi!”.
Jeudi non voleva offendere Leòn, rigettando l’invito di un suo amico. Disse che ci avrebbe pensato.

Ripresero il loro giro turistico. A sera, andarono a cena nel ristorante dell’albergo dove lei alloggiava.
Jeudi si era di nuovo incupita: la breve distrazione del pomeriggio era sfumata, e lei era ritornata a concentrarsi sul suo problema fisso: Lundi.
Leonhard, dal canto suo, se ne era accorto, e faceva ogni cosa per distrarla; ma lei ricambiava i suoi sforzi con poca attenzione.
“Jeudi, ricordi cosa ti ho detto ieri? Devi perdonare! Lo devi fare per il bene tuo e di tuo figlio: un errore può capitare a chiunque, ed una guerra familiare per questo sarebbe un grave sbaglio”.
Jeudi alzò la testa, guardandolo: quanto era bello, accidenti! Il tempo trascorso lo aveva addirittura migliorato. Se tanti anni prima lo avesse seguito a Salisburgo, adesso come sarebbero state le cose? Avrebbero abitato a lì a Vienna, in quella villetta un po’ fuori dal centro, insieme, forse anche felici…
Ed invece, lei lo aveva lasciato “al suo destino”, preferendogli Lundi: Lundi che tanto amava, o credeva di amare, e che le aveva fatto questo. Come lo avrebbe affrontato l’indomani? Dopo tanto tempo passato praticamente ad ignorarsi, sarebbe stato terribile per tutti e due. Ma la cosa peggiore era che lei non lo avrebbe più potuto vedere con gli stessi occhi: mai più! L’aveva tradita, aveva tradita la sua fiducia, ed ogni volta che avesse rivolto i suoi occhi su di lui, vi avrebbe inevitabilmente scorto le tracce di quell’altra donna che nemmeno conosceva, ma che lo aveva avuto tutto per sé, mentre lei era ignara e lontana.
Aveva ragione Leòn, doveva perdonare per il bene della sua pace familiare e di suo figlio: ma era più facile a dirsi che a farsi! Quello che era successo aveva offeso la sua dignità di donna, non avrebbe mai potuto scordarlo; e poi, la fiducia verso suo marito era irrimediabilmente compromessa. Che situazione!

Finita la cena, erano andati a sedersi al piano-bar dell’albergo; si trattava di un ambiente molto elegante ed intimo, con divani color amaranto e luci soffuse; c’era poca gente. Nell’angolo un cantante suonava un pianoforte: cantava “If I could turn back the hands of time”, di R. Kelly.
“Prendiamo da bere?” fece lei,
“Non credi di aver bevuto abbastanza gin per oggi?”,
“Non intendevo gin!” rise lei, “Qualcosa di analcolico”,
“Io non ho sete”,
“Va bene. Come vuoi”.
Rimasero a guardarsi a lungo, senza parlare.
“If I could turn back the hands, and my darling you will be mine”
Impercettibilmente, i loro visi si avvicinarono
“… The rest of my life alone!”
Senza neppure rendersene conto, si baciarono: un bacio languido e lungo, che riportò Jeudi indietro di più di dieci anni.
Fu lei a staccarsi per prima, per guardarlo in volto con gli occhi umidi.
“Immagino non sia possibile ritornare indietro”,
“No, Jeudi”, le accarezzò una guancia, pensando “anche se ti amo da impazzire”.
“E’ tardi: domani devo ripartire; mi accompagni in camera?”,
“Certo. Andiamo”.
Si alzarono ed uscirono dalla sala, mentre il pianista, seduto sotto un cono di luce ed avvolto dal fumo della sua sigaretta, intonava Feelings.

Salirono le scale in silenzio ed arrivarono davanti alla porta della camera di lei; Jeudi aprì la porta ed avanzò di qualche passo; Leonhard si appoggiò allo stipite.
Lei si voltò e fece di nuovo per baciarlo. Lui la fermò con una mano “No, Jeudi” le disse “no, non sarebbe giusto”.
La ragazza abbassò lo sguardo, sconsolata. “Buonanotte”, le disse lui, e si allontanò.
Jeudi entrò in camera e richiuse la porta. Si appoggiò al muro. Sentiva ancora il sapore delle labbra di lui sulle proprie; chiuse gli occhi e strinse i pugni, lasciandosi andare lentamente lungo il muro giù fino a terra, priva di forze: non capiva perché lo aveva fatto, se per ripicca verso Lundi o per reale desiderio verso Leonhard; ma lui aveva impedito che andassero fino in fondo.

Mattina del giorno successivo. Ore 7,30.
L’aeroporto era ancora mezzo vuoto; i pochi passeggeri che si aggiravano avevano un’aria sonnacchiosa.
Leonhard e Jeudi erano lì.
Lui era assorto nei suoi pensieri: la sera prima aveva fermato lei, aveva fermato sé stesso,… trattenendosi da quella che gli sembrava come la cosa più naturale del mondo; ed ora lei aveva già la testa altrove, era già lontana da lui… con il pensiero.
Cinque minuti alla partenza, solo cinque… e te ne andrai via da me!, pensava Leonhard.
Se lui, la sera prima, aveva fatto un errore fermandola, adesso era tardi per rimediare: lei se n’era già andata con il pensiero; pochi minuti per loro, prima della separazione, dell’addio…
“Tornerò qualche altra volta, chissà!”, gli aveva detto, gli occhi vuoti, distanti; ma lui sapeva che  non sarebbe più tornata, perché adesso aveva un difficile e doloroso compito da assolvere: ricostruire il suo matrimonio con il marito, come lui stesso le aveva consigliato.
Perciò era così distaccata da lui, l’amico, la spalla su cui piangere… e nulla più!
“Perché, perché l’ho fermata, ieri?”, continuava a ripetersi.

“Che razza di addio!”, pensava lei; e non aveva il coraggio di guardarlo in faccia, tanta era la vergogna che provava per quanto era avvenuto la sera precedente.
Ma era davvero solo la vergogna? O forse non aveva il coraggio di guardare più a fondo dentro sé stessa? Cosa provava realmente nei confronti di lui? Quello che aveva fatto, l’aveva fatto davvero solo per ripicca verso Lundi?
Eppure, un’immagine continuava a tormentarle l’anima e la ragione, l’immagine di lei e di Leonhard, la sera precedente, se avessero continuato, fino in fondo: i loro corpi uniti nel buio, le mani di lui sulla sua pelle… si sentì sprofondare ancora di più, abbassò ancora di più gli occhi sul biglietto affinché lui non lo capisse, affinché non potesse leggere i suoi pensieri.

“Attenzione, Attenzione! Avviso rivolto a tutti i passeggeri del volo della Swissair 258 per Ginevra: IMBARCO IMMEDIATO!”.

Jeudi si girò verso Leonhard. “Sembra che tu debba andare”, le disse lui.
“Già, pare proprio di sì”. Silenzio.
“Leòn…”,
“No, non dir nulla, Jeudi. So che cosa vuoi dire; ma avremmo commesso uno sbaglio, credilo!” lo disse, ma non ci credeva neanche un po’; però sapeva di non potere distruggere una famiglia. “Addio, Jeudi. Ti auguro ogni bene per il tuo futuro e per la tua famiglia”,
“Arrivederci, Leòn!”.
La guardò allontanarsi, superare il gate, quindi inoltrarsi nella galleria di accesso all’aereo.
Un attimo prima di entrarvi, lei si voltò e lo guardò intensamente; lui alzò un braccio in segno di saluto, lei allora fece lo stesso.


Arrivata a Ginevra, trovò ad attenderla la sorella con il figlio. Pierre le saltò in braccio “Ciao amore!” gli disse.
Martha le si avvicinò “Ciao Jeudi. Fatto buon viaggio?”, “Sì, grazie. Come al solito”.
Si guardò attorno “Lundi non c’è?”.
Martha abbassò lo sguardo “No, purtroppo. Aveva una riunione di lavoro, così…”,
“Certo, come sempre. Dài, andiamo a casa”.

Il giorno successivo, tornando a casa dal lavoro, Jeudi trovò suo marito. Decise che era il momento buono per parlargli.


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Capitolo 7
*** Perché? ***


Perché? CAPITOLO 7
PERCHE’?
Lui era seduto davanti alla televisione. Jeudi gli si sedette accanto.
“Cosa guardi?” gli chiese.
“Van Damme. A veder lui, sembra che tutto, nella vita, si possa risolvere a suon di pugni. Fosse così semplice…”.
Jeudi sospirò, quindi attaccò a parlare “Ascolta, Lundi… “ disse;
“So cosa vuoi dirmi” fece Lundi “ti sei stancata delle mie bugie e vuoi la separazione! Vero?”, adesso si era voltato e la fissava.
“Sei in errore, marito mio”, Jeudi sorrise con un’espressione di pazienza infinita, “In realtà, volevo dirti il contrario”.
Stupito, Lundi lasciò andare il telecomando che teneva in mano, rizzandosi a sedere sul divano. Era rimasto a bocca aperta. Jeudi riprese a parlare.
“Quello che hai fatto non ha giustificazioni valide. Nessuna. E’ una ferita che porterò dentro sempre” . Abbassò gli occhi, mentre un moto di dolore e rabbia improvviso le saliva alla gola come un’onda. “Purtuttavia, desidero passarvi sopra, per il bene della nostra famiglia”.
Lundi si girò verso di lei “Lo fai per Pierre, vero?”,
“Sì, anche. Ma lo faccio anche per noi: non voglio, né posso, dimenticare quello che c’è stato fra noi, e cancellarlo in un attimo per uno… sbaglio”,
“Oh, Jeudi!”, proruppe Lundi “Io… io… grazie, grazie, amore! Non credevo… non speravo nel tuo perdono… non credevo di meritarlo! Grazie, Jeudi!”. E l’abbracciò.
Lei corrispose al suo abbraccio, ma non con lo stesso trasporto; con una mano gli toccò la spalla; sorrise amaramente.
“Però sia chiaro: “ proseguì “tra noi, mai più segreti, né menzogne!”.
Lui si staccò dall’abbraccio per guardarla in viso “E’ una promessa, amore!”.


Quella notte, Jeudi rifletté. Ciò che aveva fatto era stato necessario, in fondo; ma ciò non toglieva che la sua dignità di donna era stata gravemente mortificata, ed il suo senso di fiducia verso il marito messo a dura prova: per giorni, aveva sentito il suo animo bruciare, a causa di questo. Averlo perdonato aveva significato anche tacitare le sue ferite. In un certo senso, era come se, avendo fatto la pace, lei per prima avesse superato, o tentato di superare, il suo dolore, anche a costo di fare violenza al suo orgoglio ferito.
Sì, era per questo che l’aveva fatto: per “cancellare” quanto era successo. Per questo? SOLO per questo???
Si rizzò a sedere sul letto, con le orecchie che le fischiavano. L’ultima parte del suo ragionamento le era proprio sfuggita di mano: che cos’è che la sua mente aveva detto?
Che lei aveva perdonato il tradimento di suo marito SOLO per cancellarlo? E perché mai avrebbe dovuto fare una cosa simile, se questo calpestava la sua dignità? La risposta più ovvia sarebbe stata “per amore”; ma chissà perché quella risposta non le calzava per nulla: in qualche modo, sentiva che l’amore non c’entrava niente con tutto ciò.
“L’ho fatto per Pierre”, si disse a voce alta; ma anche questa spiegazione non la convinceva affatto.
Si prese il viso tra le mani, cercando di calmare i battiti del suo cuore impazzito. Ma se non l’aveva fatto per amore, allora per cosa? Tutto quello non aveva senso, pensò.
Le balenò in mente un pensiero: PER TRANQUILLITA’.
Che stupidaggine! Tranquillità! Chi o cosa avrebbe potuto portarle via la tranquillità?
Che razza di risposta le era venuta in mente?
Eppure, lei capiva benissimo, anche razionalmente, che era davvero così: la ragione del suo agire verso il marito fedifrago era la tranquillità.
“Ma la tranquillità, a prezzo della dignità, la cerca solo chi vuole sfuggire a qualcos’altro!”, si disse sottovoce “A cosa dovrei voler sfuggire io?”.
Guardò la schiena del marito, beatamente addormentato: meno male, pensò, non si è svegliato con tutto questo tumulto. Tumulto? Il tumulto c’era, sì, ma dentro di lei, non fuori. Come avrebbe potuto sentirlo Lundi?
“Basta, basta Jeudi! Tu lo hai fatto per amore, per quello che c’è stato e c’è ancora tra voi!” si disse.
Ma non avevi assodato che l’amore non c’entra nulla?, le rispose la sua coscienza.
Cosa? Non provo amore verso mio marito, il padre di mio figlio?, pensò di nuovo.
E verso chi dovrei provarlo, di grazia?
La risposta della sua coscienza, questa volta, fu come una frustata: “Tu lo sai benissimo!”.
Jeudi non resse. “Oh, no! No!”, e si alzò di scatto dal letto, svegliando Lundi.
“Jeudi! Ma che succede?”,
“Niente, niente. Ho solo bisogno di andare in bagno”. Così dicendo, uscì dalla stanza.
Nel buio del corridoio, Jeudi cercò di riorganizzare le idee: stava sfuggendo da qualcosa, e chi amava non era Lundi; razionalmente, il filo logico era un filo diretto, anche se ammetterlo le pesava troppo. Chi aveva amato follemente per anni, e poi all’improvviso abbandonato, seppure per giustificate ragioni? Verso chi aveva, per questa ragione, provato un terribile senso di colpa, per sedare il quale si era gettata tra le braccia di Lundi? La risposta era fin troppo ovvia: LEONHARD.
Ed era lui, l’oggetto del suo amore: lui, non Lundi.
“Ma Lundi e Pierre sono la mia famiglia!”, disse di nuovo; sì, questo è certo, le rispose di rimando la sua coscienza: ed è per questo che hai dovuto ricostruire la tua tranquillità, anche pagandola con la tua dignità. Pierre è tuo figlio, ed ha bisogno di una famiglia: ma non mentire più a te stessa!
“Amo Leonhard… io amo Leonhard… ho continuato ad amarlo per tutti questi anni… mi vergognavo troppo di averlo abbandonato… temevo il suo rifiuto, ed ho cercato altrove! E’ stato il mio senso di colpa verso Leòn a decidere per me!”.
Si può convivere con un senso di colpa?, si chiese.


Nei giorni successivi, la ragazza aveva ritrovato un po’ di stabilità al lavoro; già la  mattina successiva, infatti, aveva realizzato che sarebbe stato meglio non rivedere mai più Leonhard, e considerarlo solo come un vecchio amico e nulla più. Tanto, a che avrebbe portato un comportamento differente? Lui la considerava un’amica, lo aveva visto bene dal modo in cui si era comportato con lei, e lei certamente non avrebbe potuto distruggere la sua famiglia e la serenità di suo figlio per andare a beccarsi un altro rifiuto: non avrebbe avuto alcun senso. E poi, Lundi le aveva giurato che d’ora in poi avrebbe meritata la sua fiducia: e non poteva certo essere lei, ora, a commettere lo stesso sbaglio contro di lui!
A ben vedere, l’unica spina nel fianco rimaneva l’orgoglio ferito; ma volle credere alle promesse di suo marito.



Fu verso la fine del mese, una sera, che mentre tornava a casa incontrò Ophelie, una sua amica medico; dopo aver parlato un pò, decisero di andare a fare shopping insieme.
Dappertutto, vi era un’aria di leggerezza: quell’estate 2008 aveva visto arrivare molti turisti, ed ora questi si sparpagliavano per i negozi, con la loro aria allegra e spensierata.
Non presero nulla, ma trascorsero assieme ore piacevoli; poi, si salutarono, e Jeudi ritornò alla sua macchina.
Salì ed accese il motore; ma mentre stava per partire, notò, sedute su di una panchina al lungolago, le figure di due persone che si baciavano; da quel che poteva vedere era un bacio piuttosto appassionato. Per un istante, le sembrò di vedere sé stessa e Leonhard, ma scacciò quell’immagine: si era riproposta di non pensarci più, e così doveva fare. Suo marito era Lundi, e solo lui. Ma… un momento! Guardandoli bene… l’uomo somigliava molto a suo marito…
Scese dalla macchina e si avvicinò; ma, fatti tre passi, le caddero dalle mani le chiavi della macchina: quello era Lundi! E quella donna… era Matilda Troncan! Adesso si spiegava ogni cosa!
Ecco dunque chi era l’amante misteriosa! Altro che avventura da bar! Altro che promesse di fedeltà eterna! Il suo caro marito voleva tenere il piede in due scarpe: e lei aveva sopportato una ferita mortale alla sua dignità per essere ingannata ancora! E con chi, poi? Con quella vipera di una sfaticata!?! No, questo era troppo. Era davvero troppo.
A quel paese la tranquillità familiare, se era basata sulla menzogna! Non era vera tranquillità! Ed in quanto a Pierre, una madre frustrata non avrebbe di certo giovato alla sua serena crescita. Un padre fedifrago incallito, poi…
NO! LA DIGNITA’ INNANZI TUTTO! Meglio fare a meno della serenità matrimoniale, se questa poggiava su di un eterno tradimento. Meglio fare emergere il senso di colpa verso Leonhard, avrebbe fatto meno male.
Raccolse le chiavi e si diresse verso di loro con passo fermo. Quando giunse davanti ai due, si fermò.
“I buoni propositi li hai già dimenticati, a quanto vedo!”. Lundi alzò la testa di scatto “Jeudi! Ti posso spiegare…”,
“Tienti le tue spiegazioni, io non ne ho bisogno. Quello che vedo mi basta e mi avanza!”,
“Jeudi…”,
“Questa sera vieni a prendere la tua roba e poi sparisci per sempre!”.
Matilda era rimasta per tutto il tempo con un’espressione di scherno sulla faccia “Ma come ti scaldi!”, fece,
“Tu stai zitta, svergognata! Non ti basta di essere una nullità, vuoi anche prenderti gli uomini delle altre! Lo sai che cosa ti dico? Prendilo pure, io ho di meglio!!”.
Ritornò alla sua macchina, tra due ali di gente che si era fermata ad assistere alla scena. Salì e partì.
Mentre guidava, fu assalita dalle lacrime e dai singhiozzi “Perché? Perché?” continuava a dire.
Ed in fondo al suo cuore, quando aveva detto di avere di meglio, aveva visto chiara l’immagine di Leòn.
Arrivata a casa, chiamò Martha, affinché venisse a prendere Pierre per portarlo a casa sua per un po’; e poi, voleva qualcuno con cui sfogarsi.
Si asciugò le lacrime, fu presa da un moto di stizza “Disgraziato!”, disse a voce bassa perché Pierre non sentisse.
Poi, un pensiero le attraversò la mente, facendola calmare.
Sollevò la cornetta, compose il numero ed attese. All’altro capo qualcuno rispose.
“Pronto, Leòn? Dì pure al tuo amico conte che accetto il suo invito!”.

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Capitolo 8
*** La mente torna ***


La mente torna CAPITOLO 8
LA MENTE TORNA
“Ecco la ricetta; ma mi raccomando, non abusarne: è un medicinale forte”,
“Grazie, Ophelie. Non so davvero come ringraziarti. Adesso riuscirò a dormire, spero”.
Jeudi prese la ricetta dalle mani dell’amica e si alzò dalla sedia. “Vado subito in farmacia” aggiunse.
Ophelie si alzò anche lei, e l’accompagnò alla porta “Mi raccomando, se ti servisse qualcosa, qualunque cosa, non esitare a chiamarmi, anche di notte. Sono molto preoccupata per te, Jeudi: hai un aspetto terribile”,
“Chi, io? Ma dài! Un po’ di riposo e mi rimetterò in sesto. Sono dura a morire, lo sai!”.
Le due donne si sorrisero. Jeudi uscì dallo studio dell’amica.
Appena in strada, Jeudi calò la maschera; sì, Ophelie aveva ragione da vendere, lei stava male.
Dopo quella fatale sera, infatti, aveva iniziato a soffrire di violente crisi depressive: vedersi tradita, ed in più presa in giro, aveva ferito profondamente la sua femminilità; possibile che il marito le avesse preferito una come Matilda Troncan, la quale, oltre ad essere un’incapace in qualsiasi cosa, era anche tanto brutta? E’ vero, proprio poco tempo prima lei aveva capito di non amare suo marito, ma lo aveva perdonato, per le ragioni che sappiamo, e comunque nutriva nei suoi riguardi un profondo affetto e stima.
Come aveva potuto Lundi distruggere tutto questo? Come aveva potuto mancarle di parola, e continuare a tradirla con quella naturalezza?
Tutto ciò l’aveva profondamente ferita.
Le crisi depressive si susseguivano, così Ophelie le aveva prescritto il Prozac; ma quello non era un medicinale da prendere a cuor leggero, e dopo qualche giorno le aveva portato violente emicranie, per sedare le quali Jeudi aveva dovuto di nuovo ricorrere ad Ophelie.
“Sono ridotta ad un relitto”, pensò. Poi abbassò lo sguardo per vedere qual’era il medicinale che le aveva assegnato: lesse “Antalgil”.
Entrò in una farmacia.
Poco dopo ne uscì, recando in mano la preziosa scatoletta. L’aprì, e subito ingoiò due capsule: si sentì meglio, e si diresse a casa.
Vi trovò la sorella, Martha.
“Sono preoccupata per te, Jeudi”, le disse,
“Ah, sì? E perché mai?” fu la risposta.
Martha le si avvicinò “Per come ti butti via”.
Jeudi rise. “E cosa ti fa pensare che io mi butti via?”. Uscì i farmaci dalla borsa.
“Roba come quella lì, per esempio!”, la sorella le strappò di mano il Prozac,
“Ridammelo subito!”,
“Nemmeno per idea! Ti stai uccidendo!”,
“E’ stata Ophelie a prescrivermeli. Ridammeli!”.
Martha si arrese e le porse la scatola “Almeno non abusarne, me lo prometti?”.
Jeudi non le rispose; prese il Prozac, e salì di sopra per fare le valigie.
Nella stanza di Pierre incontrò il figlio in compagnia di Hans.
Pierre le corse incontro, saltandole al collo “Ciao, mamma!”,
“Ciao, piccolo pirata! Sei contento di restare un po’ con gli zii?”,
“Sì, zio Hans mi ha promesso che quando saremo a Parigi mi porterà a Disneyland Paris!”.
Jeudi si rivolse al cognato “Non so come ringraziarvi, Hans”,
“Ma ti pare, Jeudi? E’ un piacere per noi avere Pierre a Parigi.” Poi si rivolse al nipote “Ci divertiremo da matti insieme, vero?”,
“Sìììì!”, esclamò il bambino allegramente. Jeudi lo depose a terra, quindi passò nella stanza accanto, la sua camera da letto.
Lanciò un’occhiata al posto vuoto di Lundi; certo che era stato veramente solerte a prendere le sue cose: già la sera stessa aveva portato via gli abiti, e la mattina successiva, Jean (presso cui si era momentaneamente stabilito) aveva portato via il resto.
I due coniugi non avevano più continuato a litigare; lei, con lo sguardo gelido, aveva accompagnato l’ex amato marito con compostezza senza dire una parola; lui, mogio ed abbattuto, l’aveva seguita in silenzio, e sempre in silenzio aveva svuotato quella casa dai ricordi che gli appartenevano. Non aveva cercato di giustificarsi: Jeudi si era meravigliata di tanta insolita remissività.
A Pierre avevano detto che il padre sarebbe stato via per lavoro per un po’; dopo la separazione, gli avrebbero detto la verità, ma adesso volevano fargli vivere la sua ultima estate spensierata.

Martha aveva raggiunto la sorella, mentre questa ultimava i bagagli.
“Ma lo sai dove andrai, almeno? O è il solito viaggio per dimenticare?”,
“Stà tranquilla, so quel che faccio. Starò presso amici”,
“Se lo dici tu… però telefonami ogni sera: tranquilla non sono affatto, con quella roba che ti porterai appresso!”.
Jeudi la guardò e sorrise.
“Zia! Zia! Vieni!”, la voce di Pierre giungeva dall’altra stanza; Martha si alzò, ed uscì dalla stanza scuotendo il capo, preoccupata.
Jeudi tornò a pensare ai suoi bagagli.

Due giorni dopo, in tarda mattinata, giunse all’aeroporto di Nizza, dove trovò Leòn ad attenderla.
Lui era allegro ed affascinante come sempre; indossava una camicia bianca ed un paio di jeans azzurri; non appena la vide arrivare, sorrise e si tolse gli occhiali da sole, scoprendo i suoi magnifici occhi viola.
“Eccoti qui, finalmente!”, la abbracciò, caloroso come sempre; lei lo corrispose, i denti stretti dalla rabbia.
Leòn l’allontanò da sé e la guardò in viso “Che hai? Hai fatto di nuovo un pessimo volo?”,
“No: questa volta ho fatto una pessima partenza!”,
“Ehhh?????”.
Jeudi non rispose. Lo guardava fisso, e basta.
“Io rinuncio a capirti. Ad ogni modo… andiamo, Gerard e Françoise ci stanno aspettando. Raggiungiamo il porto turistico!”.

Montecarlo in Agosto: un viavai di gente altolocata, che si aggira tra i boulevards e gli edifici residenziali, visitando boutiques  e locali all’ultima moda; la strada sinuosa sulla costa frastagliata affollata di Ferrari e Mercedes lanciate a tutta velocità ed occupate da persone con occhiali da sole a specchio e capelli al vento; e poi, naturalmente, il casinò.
Percorrevano anche loro la strada panoramica, bella e pericolosa sospesa sull’azzurro luminoso del mare; alla radio, Libertango di Grace Jones.
Leonhard aveva rinforcato gli occhiali e guidava tenendo un braccio giù dal finestrino.
“Dove hai affittato questa Ferrari?”, chiese Jeudi,
“E’ di Gerard. Me l’ha prestata per accogliere la nostra ospite speciale!”.
Jeudi sorrise “Devo sentirmi lusingata per tanto splendore?”,
“Niente affatto! E’ appena l’inizio! Vedrai che roba, da adesso in poi! Hanno anche organizzato una serata chic!”.

Arrivati a Montecarlo, si inoltrarono lungo i boulevards affollati di automobili sportive e spider che portavano a bordo la “gioventù buona” dell’Europa.
In breve, raggiunsero il porto turistico: una fila interminabile di yachts a vela ed a motore dai nomi più fantasiosi: quello dei Tavernier era un grosso yacht a motore ormeggiato verso la fine del molo.
Il padrone di casa venne loro incontro, indossando un costume grigio-azzurro firmato: “Benvenuta! Credevamo non arrivaste più! Leòn, l’avevi rapita, per caso?”.
Jeudi scese dalla macchina e prese la mano del conte, il quale le stava porgendo la sua “Venga, Jeudi, le faccio vedere la barca. Françoise! La nostra ospite è arrivata!”.
Una bellissima donna uscì dalla dinette della barca: era la moglie del conte. Era bruna e magra, dall’aspetto giovanile e con il viso leggermente truccato. Indossava un due pezzi rosso fuoco ed un pareo in tinta che mettevano ancora più in risalto il suo fisico perfetto.
Andò incontro a Jeudi e l’abbracciò “Sono così lieta di fare la tua conoscenza, cara! Gli amici del nostro Leòn sono anche amici  nostri!”. Il marito si avvicinò loro: “Allora, vogliamo mostrare ai nostri ragazzi la loro cabina?”,
“Certo!”, fece di rimando la moglie; “Roxanne!” chiamò.
Si presentò una ragazza in uniforme da cameriera. “Questa è Roxanne, la governante. E’ lei che dirige tutto su questa carretta!”, disse il conte. Poi aggiunse “Roxanne, per favore, mostra ai nostri ospiti la loro cabina”:
“Loro?!?” pensò Jeudi “Sarà a due letti, sicuramente!”.
I tre entrarono nella barca, seguiti dai conti; anche l’interno era assai elegante, arredato in legno lucido e con grandi spazi luminosi. I grandi divani erano rivestiti di stoffa amaranto scuro, ed occupavano buona parte della superficie della dinette; in un angolo si trovava il bar, dove un ragazzo stava asciugando e riponendo dei bicchieri.
“Lui è Paul, barista e, a volte, timoniere”,
“A volte?”, si volse Jeudi,
“Quando mio marito si scoccia troppo a farlo”, intervenne Françoise, “ed auguratevi che lo sia per tutto il tempo!”, aggiunse sottovoce.
“Che cosa è che vai dicendo?”, sopraggiunse il conte, che l’aveva sentita con un’aria di finto corruccio sul viso, “Avresti qualcosa da ridire sulla mia guida?”, si puntò le mani sui fianchi.
“Gerard, lo sai benissimo: quando guidi tu, abbiamo tutti il mal di mare”,
“Non è vero!”,
“Sì che lo è! Hai dimenticato Jennifer Lo?”,
“Jennifer Lopez?” chiese Jeudi a voce alta,
“Sì, lei. E’ spesso nostra ospite”, le rispose il conte, “La vuoi conoscere?”.
Jeudi era esterrefatta. Che tipo di gente frequentava quella barca?
“Avrai modo di farlo” aggiunse il conte “Ci sarà un party la sera di Ferragosto”.
Sempre più sbigottita, Jeudi riprese a seguire Leòn e la governante verso l’area delle cabine.
La donna condusse i due ospiti oltre una porta a vetri, in un piccolo corridoio con le pareti interamente rivestite di legno e quadri di soggetto marinaro appesi; lo percorse fino in fondo, quindi aprì una porta, dicendo: “Prego, signori”.
Non appena entrata, Jeudi si sentì morire dall’imbarazzo: la cabina era anch’essa molto elegante, come il resto della barca, ma… aveva un letto a due piazze!
Il letto troneggiava su di una pedana costituita da tre ampi gradini, strategicamente inserito in un angolo, per poter meglio osservare il panorama dalla spaziosa finestra; ai lati, c’erano due appliques attaccate alle pareti, con due comodini sotto; lungo una delle pareti correva un lungo e stretto tavolo, sempre in rovere lucido, mentre appoggiato all’altra vi era un divanetto con annesso tavolino ed una poltrona, a costituire un piccolo salotto privato. Vicino alla porta d’ingresso, stava l’ingresso del bagno.
La contessa aveva seguito i due “Allora? La stanza è di vostro gradimento?”.
Jeudi si girò, rossa in viso come un pomodoro “Ecco… veramente noi… avremmo preferito… non ci sarebbe una stanza con due letti separati?”,
“Oh, purtroppo no, cara! Non ci sono cabine a letti separati su questa barca. Ma perché? C’è qualche problema?”,
“No, è che… insomma… per avere più intimità… ciascuno di noi potrebbe muoversi nel sonno, svegliando l’altro…”,
“Oh, non preoccuparti! In questo letto così grande potrete muovervi liberamente!”.
A sentir queste parole, Jeudi divenne viola; guardò Leonhard, al quale stava succedendo la stessa trasformazione sul viso: entrambi avevano sentito un evidente doppio significato in quella frase.
La contessa uscì dalla cabina. Leonhard e Jeudi si guardarono imbarazzati, non osando parlare.
Fu lui a rompere il silenzio “Beh, se le cose stanno così… tanto vale sistemarci, non trovi?”,
“Sì, naturalmente”, gli rispose lei,
“Dove… da che parte vuoi stare?”,
“EHH? Che cosa intendi?”,
“Intendo… da che parte vuoi dormire?”,
“Io… ecco… da lato della porta, se non ti dispiace”,
“No, a me va benissimo. Allora, io mi metto qui” fece lui, posando la valigia accanto al piccolo armadio che stava incassato nel letto sotto il lato della finestra.
Anche Jeudi si diede a disfare la valigia. “In che pasticcio mi sono andata a cacciare?” si chiese “Accidenti a te, Lundi! E’ tutta colpa tua!”.


In quello stesso momento, nella dinette, Gerard e Françoise sedevano sui divani color amaranto, ridendo; lei fumava una sigaretta, mentre lui beveva un analcolico.
“Ho capito subito che quei due erano stracotti l’uno dell’altra! Da quel giorno che li ho visti insieme a Vienna!”, diceva lui,
“Ma non osano ammetterlo, giusto?” faceva eco lei,
“Allora, li aiuteremo noi a sbloccarsi! Gli amici servono a questo, no?”.
Scoppiarono entrambi in una risata sommessa, lei soffiando fuori una nuvoletta di fumo, lui lasciandosi andare sullo schienale.
“Leonhard sperava di poter restare in quella squallida cabina singola al piano di sotto! Che ingenuo che sei, amico mio!”, rideva il conte,
“Shhh! Non facciamoci sentire!”, gli disse la moglie tornando seria.

“Ti spiace se sistemo la mia roba nel bagno, Jeudi?”, stava dicendo Leòn, il rasoio elettrico in mano,
“No, fa pure”, rispose Jeudi, senza alzare lo sguardo dagli abiti che stava srotolando dalla valigia.
Leòn entrò in bagno, dove c’era un doppio lavabo; accanto ad ogni lavello stavano due armadietti. Ne scelse uno e l’aprì. Vi trovò dentro una scatola. La prese; vi era una scritta: “Viagra”.
“Oh, porc…”, esclamò. Vide un bigliettino in fondo all’armadietto; lo prese: “Così non avrai esitazioni: auguri, amico! P.S. Immagino che al resto abbia già provveduto tu, vero?”.
“Ma che ti sei messo in testa, Gerard?”, un pensiero ad alta voce.
Nel frattempo, Jeudi stava riassettando la sua roba. Aprì il cassettino del comodino, e vi trovò una confezione di diaframmi, nuovi, naturalmente accompagnata da un biglietto “Con gli auguri della tua nuova amica Françoise”. Rimase senza parole.
In quel momento, Leòn uscì dal bagno. Si guardarono. Senza parlare, scoppiarono a ridere come due matti.
Era la prima risata spensierata che Jeudi si concedeva dopo un bel po’ di tempo. Giusto il tempo di una risata.

Era uscita sul ponte, per godere del sole di quel mattino d’estate; la sua mente, da giorni oramai, era tormentata dai drammatici avvenimenti degli ultimi tempi: il tradimento del marito, la conseguente mortificazione della sua dignità di donna, il calo repentino dell’autostima, la depressione, l’uso di farmaci. In un certo senso, la sua mente se ne era andata lontano da lei, l’aveva abbandonata, lasciandola smarrita perché priva di quelle certezze che per più di dieci anni erano state la sua forza, la sua sicurezza, la sua pace. E come ci si sente senza la propria mente, senza sé stessi? La risposta di Jeudi, ovviamente, era “malissimo”. Forse era per quello che aveva accettato quella vacanza, con persone che, seppure gentili, non conosceva neanche; è vero, c’era anche Leòn, però lui conosceva l’altra Jeudi, quella forte e sicura di sé, che aveva avuto il coraggio di scavare nei segreti del marito prima, e di perdonarlo poi: non conosceva affatto la Jeudi di adesso, smarrita, confusa, senza sé stessa. In questo caso, era lei ad essere estranea a lui; quindi, permaneva sempre una barriera tra di loro. Per non parlare del fatto che Leonhard non sapeva nulla della separazione tra lei e Lundi. Sì, la persona che divideva la cabina con Leòn era veramente un’estranea: estranea a tutti, perfino a sé stessa.
In quel momento anche Leòn uscì sul ponte “Bella giornata, vero?”,
“Splendida”, rispose senza entusiasmo lei,
“Che ti succede? Poco fa stavi ridendo!”, le posò una mano sulla spalla,
“Niente. Sto solo pensando a Pierre”,
“Non hai detto che è con tua sorella?”,
“Sì, infatti”,
“E allora, di che ti preoccupi?”,
“Non mi preoccupo”. Jeudi si staccò da Leonhard e rientrò nella dinette.
Lui rimase a guardare il viavai sul lungomare.
La ragazza si diresse in cabina; entrò, chiuse la porta e si sedette sul letto. Abbassò lo sguardo; rifletté: prima stavo ridendo, si disse. Perché? Forse che con Leonhard mi sento un’altra persona? O meglio, forse quando sono assieme a lui la mia dignità, la mia autostima di donna ferita si ricostituiscono? Forse che lui mi fa stare bene? Sì, d’accordo, ho capito di amarlo, ma da qui a ricostruire un’autostima frantumata da un tradimento così evidente… Niente può ricostruirla. Forse solo il tempo, e comunque, mai più come prima: sono ferita, mortalmente ferita. Non posso rialzarmi, non adesso. La mia mente non può tornare solo perché c’è lui!
Prese il beauty-case dal cassettino del letto e lo aprì; ne estrasse una scatola di antidepressivi e ne ingoiò uno. Poi si sdraiò sul letto.
“Jeudi, ci sei?”, Leonhard aveva bussato.
Rivolse gli occhi dal soffitto alla porta “Sì, entra pure”.
Leòn aprì la porta “Scusa se ti disturbo, ma Gerard e Françoise si stanno chiedendo dove sei. Perché non vieni di là con noi? Stiamo preparando il programma dei prossimi giorni!”,
“Sì, arrivo subito”. Si alzò dal letto ed uscì dalla stanza, oltrepassando Leòn.
L’uomo rimase interdetto “Ma perché quella faccia da funerale?” si chiese. Poi notò il beauty dimenticato sul letto. “Jeudi è proprio una gran disordinata , come ai tempi dell’Università: non è cambiata in questo!”, pensò.
Si avvicinò al letto, e prese il beauty-case; ma nel farlo, non si accorse che non era chiuso del tutto, così fece cadere una scatoletta sul pavimento.
“E questa che sarebbe?”. Si chinò a raccoglierla; la prese, e lesse “Prozac”.
Leòn fece letteralmente un salto “Prozac? Oh, Dio, ma allora la situazione è grave! Deve averla presa davvero male, la mia povera Jeudi!”.
Poi rifletté. A ben vedere, la telefonata di lei era stata davvero strana: perché non aveva fatto parola del marito? Gli aveva detto del figlio, della sorella, ma non una parola sul marito! Strano che una coppia che sembrava così affiatata facesse le vacanze separate, soprattutto dopo una difficile riconciliazione! E poi la sua voce, la voce di Jeudi al telefono… era strana, molto: più che un tono gioioso, il suo sembrava un tono… quasi di sfida. Che fosse successo qualcosa di più grave? E perché Jeudi non gliene aveva parlato?
Decise di appurarlo personalmente, stando vicino, giorno dopo giorno, a Jeudi: la sua Jeudi.

Raggiunse gli altri nella dinette, dove Gerard stava illustrando la mappa di navigazione.
“… E quindi faremo rotta verso questi isolotti completamente disabitati, così godremo di un po’ di pace! Oh, guarda chi si vede! Il signor Aschenbach era caduto in mare? Ci eravamo preoccupati per lui!”. Françoise rise allegramente, mentre Jeudi emise un riso stridulo, quasi forzato, affettato. E Leonhard lo notò.
Gerard gli andò incontro e gli diede una pacca sulla spalla “Ci aspetta un bel programma, amico!”.
“Jeudi, che ne dici di andare a fare un po’ di shopping noi due, oggi?” chiese Françoise,
“Con vero piacere!” fu la risposta.
Sei affettata anche adesso, Jeudi: non sei tu, pensò Leòn.

Così, quel pomeriggio le due donne passeggiarono a lungo per le vie del centro.
“Devi provarti questo! E’ immancabile in una crociera!”, la contessa porgeva un pareo colorato a Jeudi. “E non dimentichiamoci del party! Hai portato un abito da sera, vero Jeudi?”,
“A dir la verità no, Fran” rispose “non credevo ci sarebbe stato anche un party”.
La contessa spalancò gli occhi “Imperdonabile! Si vede che non conosci mio marito: non appena può, mi riempie la barca di gente! Ma non importa: rimedieremo!”.
Passarono tutto il pomeriggio a fare acquisti folli, tutti pagati dalla contessa: un regalo d’amicizia, disse.

Jeudi rientrò in cabina con le mani strapiene di pacchi. Trovò Leòn sul letto, che sonnecchiava.
“Adesso parliamo un po’, ragazza!”, Leòn aprì gli occhi.
Jeudi sobbalzò “Credevo dormissi!” disse,
“Non dormivo affatto. Ti aspettavo. Cosa sarebbero queste?” le mostrò le pastiglie,
“Dove le hai prese? Ridammele subito!”, gli saltò addosso, ma Leonhard schivò il colpo; allora lei fece un altro balzo in direzione di lui, ma il ragazzo fu lesto e la prese tra le braccia “Cosa mi nascondi, Jeudi?”.
Lei scoppiò a piangere, e nascose il viso nel petto di Leòn; lui lasciò andare la scatoletta e le carezzò i capelli.
“E’ finita… tra me e Lundi è finita… mi ha umiliata, ingannata… così l’ho cacciato di casa!”.
Leòn continuava a carezzarle i capelli, esterrefatto.
“Ma mi ha fatto male, tanto, troppo male. Tradirmi con quella Troncan… brutta, vuota, priva di valori, di ideali… forse valgo meno di lei… faccio così schifo, Leonhard?”.
Jeudi si stava profondendo in singhiozzi disperati; “Adesso capisco!” fece lui.
L’abbracciò più forte. “No, non sei tu che fai schifo, Jeudi: semmai, è lui a fare schifo, se ti ha fatto questo. Non ti meritava. Tu sei una persona speciale, Jeudi”.
“Ha continuato a frequentarsi con lei, dopo il perdono, dopo la riconciliazione: mi ha ingannata, umiliata e ferita!”.
Leonhard le sollevò il viso tra le proprie mani “Hai fatto bene a cacciarlo, Jeudi: adesso non potrà più farti  male!”.
La guardò: aveva gli occhi lucidi per il pianto, ed uno sguardo che esprimeva una muta preghiera. Senza pensarci, la baciò.
Lei corrispose al suo bacio, stringendosi a lui, accarezzandogli il viso e poi la nuca, tra i lunghi capelli: fu un bacio lungo e languido, che sembrò durare un’eternità.
Quando si divisero, lui le prese le mani “Non piangere più, Jeudi: io ci sarò sempre, anche solo per confortarti; è stato lui a sbagliare, non tu: quindi non credere mai di non valere niente, e non cercare di essere diversa da quella che sei sempre stata: cessa di essere finta, cessa di farti del male!”.
Lei gli sorrise “Sì” disse.
Risalirono insieme nella dinette, dove Paul stava preparando dei cocktails e si era fatta sera; i coniugi Tavernier osservavano il crepuscolo e la città che iniziava ad illuminarsi seduti fuori, sul ponte. Li raggiunsero; Jeudi sorrideva, sollevata.
Gerard prese a scherzare con Leonhard, come sempre; Françoise le chiese degli acquisti di quel pomeriggio.
Jeudi si sentiva meglio, si sentiva amata. I suoi tormenti erano svaniti, anche se la tristezza permaneva.
La sua mente era tornata.
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Credits: come titolo di questo capitolo, ho usato il titolo di una famosa canzone di Mina.

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Capitolo 9
*** Per te qualcosa ancora ***


Per te qualcosa ancora CAPITOLO 9
PER TE QUALCOSA ANCORA
Il mattino dopo.
Jeudi si stava pettinando in bagno; Leonhard dormiva ancora.
Si era comportato da vero gentiluomo, pensava lei: non aveva approfittato della sua debolezza per ottenere una notte di sesso; avevano dormito come fratello e sorella.
D’altronde, Leòn era sempre stato un uomo molto corretto.
Ma forse sono io che mi illudo, pensò ancora; forse sto confondendo un semplice sostegno d’amicizia con quello che sento io per lui, con quello che vorrei che fosse…
In fondo, Leonhard è sempre stato abbastanza espansivo nelle sue manifestazioni d’affetto, anche le più innocenti… ho scambiato per amore un semplice bacio, che magari lui ha inteso in tutt’altra maniera…
Eppure, lei in quel bacio aveva avvertito ben altro: una vibrazione intensa, che l’aveva percorsa come una scossa elettrica, facendole quasi perdere i sensi: non era stata semplice amicizia!
Eh, già, ma per lei era diverso: lei lo amava… e lo aveva capito da tempo!

Uscì dalla cabina, dirigendosi verso la dinette; nel corridoio, sentì le note di una canzone, Kiss me, miss me, di Bruno Martino: pianobar dei tempi andati. Quei due avevano gusti davvero raffinati. Eh, già, erano conti, non avevano nemmeno bisogno di lavorare…

Dimmi, dimmi sempre
Non abbandonarmi, non lasciarmi!
Dimmi ancora
Dolcemente, ma con ardore
Che è per sempre
Questo amore!

La musica diveniva più forte avanzando nel corridoio, si distinguevano anche le parole, ora.
La porta della dinette era aperta; prima ancora di arrivarvi, Jeudi poté vedere d’infilata che c’era qualcuno.
Senza farsi vedere, si avvicinò per vedere meglio, e vide i coniugi Tavernier che si baciavano appassionatamente sul divano.
“Accidenti! Ma questa è una persecuzione!”, la ragazza si scostò dalla porta e si appiattì contro il muro, temendo di essere vista.
Lentamente, l’imbarazzo si calmò e lei si sedette sul pavimento “Beati loro!”, pensò; ed il suo pensiero andò a Leòn, ancora addormentato in cabina.
“Buongiorno cara! Dormito bene?”, una voce la riscosse dai suoi pensieri. Era Françoise Tavernier.
Jeudi avvampò di nuovo “Dio, che vergogna!” pensò; ma come al solito, ci pensò la contessa a cavarla d’impaccio.
“Sei qui da molto, vero?” si chinò su di lei “Sai, è la nostra canzone: quella con cui ci siamo conosciuti. Era ad una festa, nei primi Anni Ottanta, e c’era quel cantante che la suonava al pianoforte. C’era un mare di bella gente: Alain Delon, Jean-Paul Belmondo… ma quando ho visto Gerard, ho perso letteralmente la testa! Non ho più guardato nessun altro!”.
Jeudi si rialzò, aiutata dalla contessa. “E qual è la vostra?”,
“La vostra cosa?”, chiese Jeudi, spiazzata,
“La vostra canzone, ovviamente: tua e di Leonhard!”.
Jeudi abbassò gli occhi. “La nostra canzone… era,…  sì, era Since I don’t have you, dei Guns’ n’ Roses”,
“E’ abbastanza recente: si vede che siete due ragazzini!”,
“Quindici anni fa… recente mica tanto…”.
Uscirono sul ponte; solo allora, Jeudi si accorse che stavano muovendosi.
“Ma… siamo già partiti?!”, disse a voce alta,
“Sì: il mattino ha l’oro in bocca”, una voce rispose dal ponte superiore. Era il conte.
Le due donne salirono; il conte era sdraiato su uno dei lettini prendisole, con quell’aria da figo, il suo fisico scolpito in bella mostra, i lunghi capelli biondi sparsi sul materassino. Leggeva una rivista di auto di lusso.
“Non farci caso: mio marito si diverte a farmi ingelosire. Vieni!”.
La portò fino alla plancia di comando, dove Paul stava guidando. Jeudi si appoggiò alla ghiera di protezione con la schiena; guardò intorno a sé: il mare era di un blu intenso, mentre in lontananza si vedeva una costa rocciosa, alta e frastagliata, cosparsa di case dai tetti rossi che occhieggiavano tra il verde.
“Non è fantastico?”, fece Françoise.
Jeudi le sorrise debolmente “Sì, è fantastico”, rispose senza allegria.
“Mi sto annoiando!”, disse il conte alzandosi “Paul, fammi spazio: guido io!”, e si sedette.
“Oh no! Andiamo a metterci i giubbotti, presto!”, fece la moglie.
Immediatamente la barca prese una brusca virata in direzione della costa; poi aumentò la velocità.
Jeudi e Françoise si attaccarono al parapetto per non cadere. Risero entrambe. “Che ti avevo detto?”, disse la contessa.
In quel momento arrivò Leòn. “Gerard! Dovevo immaginarlo che stavi guidando tu! Per poco non sono caduto dentro la doccia!”,
“Finalmente ti sei svegliato! Buon giorno, amico!”.
Leonhard si avvicinò a Jeudi e le stampò un bacio in fronte, cingendola per la vita.
“A che ora arriviamo?”, chiese Leòn al conte,
“Faremo sosta su quegli isolotti di cui vi ho parlato ieri, poi ce ne andremo un po’ lungo la costa: sai che la vera Costa Azzurra è questa meno conosciuta? Altro che Monaco e Nizza! Saremo di ritorno a Montecarlo entro sera”.
“Leòn, io torno giù. Qui c’è troppo vento”,
“Vengo con te. Scusateci, per favore”.

Scesero giù. “Come va oggi?”, chiese Leonhard a Jeudi,
“Sinceramente? Non lo so. Sicuramente meglio di ieri, però sono ancora sottosopra: in fondo, la mia vita è stata rivoluzionata, ed in malo modo, anche. E poi sono preoccupata per quello che troverò a casa: come posso crescere da sola Pierre?”.
Jeudi aveva ragione: anche se aveva fatto bene a separarsi da Lundi, anche se aveva capito, grazie a Leòn, di non meritare quello che le era accaduto, tuttavia la separazione non era una condizione facile; tranne che in casi di evidente violenza, essa comportava comunque una brusca frattura.
E poi, come avrebbe fatto a dirlo a Pierre?
Un pensiero le attraversò la mente come un lampo: certe fratture sono benefiche e positive, poiché pongono fine a situazioni di disagio, palese o nascosto: e se anche la mia fosse una di queste?
“Come ti sembrano i miei amici?”, le chiese Leòn, risvegliandola dai suoi ragionamenti,
“Molto simpatici. Però…”,
“Però cosa?”,
“Ecco… mi sembrano abbastanza disinibiti, quei due!”.
Leòn rise. “Sì, lo so. Ma si amano da matti. Fidati! E’ così, te l’assicuro!”.
Jeudi abbassò lo sguardo: un poco, li invidiava per questo, assai più che per la loro ricchezza.
Ed anche Leonhard li invidiava.

Ora di pranzo. Lo yacht proseguiva lentamente lungo una costa che pareva disabitata, la costa di un isolotto roccioso; i nostri quattro protagonisti erano seduti attorno al tavolo da pranzo, nel pozzetto coperto dalla tettoia, mentre Roxanne li serviva; Paul era alla guida della barca.
Jeudi non stava niente affatto bene: per tutta la mattina aveva continuato a mandar giù antidepressivi, ed ora aveva un mal di testa da competizione. E’ vero, le parole di Leonhard della sera precedente l’avevano in parte risollevata, per quanto riguardava la sua autostima almeno, ma il traumatico stravolgimento della sua vita familiare le aveva dato un brutto colpo, e le continue crisi depressive ne erano la prima conseguenza. Continuava a chiedersi che cosa l’avrebbe aspettata al ritorno, e soprattutto, cosa avrebbe detto a Pierre.
Non che il luogo dove si trovava non le piacesse, tutt’altro, ma la sua mente trovava tutto superficiale e quasi privo d’interesse, occupata com’era in altre faccende. Ma non voleva darlo a vedere a Leòn e soprattutto ai signori Tavernier, che erano stati così gentili da invitarla, pur essendo lei una perfetta estranea per loro.
Quanto a Leòn, si trovava in un imbarazzo davvero poco invidiabile: da un lato, infatti, aveva vicina Jeudi ed avrebbe voluto esserle vicino ancora di più, come le aveva fatto chiaramente capire la sera precedente; dall’altro, però, non osava andare oltre, proprio per timore di perderla: infatti, l’aveva vista piangere per suo marito, e molto probabilmente lei lo vedeva solo come un buon amico, una spalla su cui piangere, e contava su di lui per questo e null’altro: se lui fosse andato oltre, temeva una chiusura da parte di lei. E tutto questo proprio ora, che aveva scoperto di amarla ancora come un tempo! Che razza di situazione!
Gli unici a passarsela bene, in questo guazzabuglio di sentimenti e di emozioni, erano i Tavernier, i quali non avevano motivo di attrito, né di rammarico; tuttavia, avevano avvertito che l’aria si era fatta pesante, anche se non ne capivano il vero motivo; così tacevano.
Dunque, tutti e quattro consumarono un pasto silenzioso e mogio, come una cena di Novembre.
La barca prese un’ondata trasversale, e fece un salto. “Paul, accidenti!”, gridò il conte,
“Mi dispiace, signore”, gli rispose quello.
“Lo sapevo che non dovevo passargli la guida!”, disse il conte sottovoce, “E’ meglio se torno a pilotare io!”.
Jeudi aveva appena piluccato qualcosa, giusto per non dispiacere i padroni di casa, ma senza appetito. “Scusate”, disse “io non ho più fame. Vado in cabina a riposare” e si alzò.
“Ecco, lo vedi cosa hai combinato con le tue velleità da comandante di fregata?”, Françoise rimproverò bonariamente il marito “Và a dire a Jeudi che stavi scherzando, è meglio!”.
Anche Leòn si alzò “Scusatemi, ho un po’ di mal di testa. Vado in dinette, a vedere un po’ di televisione, se non vi dispiace”.
I due rimasti si guardarono con aria interrogativa “Ma che hanno quei due?”, si chiese lei,
“Non lo so, ma di certo non è la mia guida! Avranno litigato”.

Più tardi, mentre Jeudi era ancora in camera e Françoise si faceva una sauna, Gerard raggiunse l’amico Leonhard nella dinette.
“Bel pomeriggio, vero?” gli chiese,
“Stupendo!”, rispose Leòn con sarcasmo,
“Ci stiamo divertendo da matti! Soprattutto voi due”,
“A chi lo dici! Sono allegro quanto lo sarei ad un’asta di reperti archeologici funerari Nubiani!”,
“La tua donna poi sta messa peggio di te: sembra una mummia Egizia!”.
A sentir questo, Leòn si accomodò meglio sul divanetto, si voltò verso l’amico, ed incominciò:
“Senti Gerard, desidero chiarire una cosa: Jeudi non è la mia donna! Siamo soltanto amici”,
“Come no! Sai, anche io e Fran abbiamo cominciato essendo ”solo amici”; poi, una settimana dopo, eravamo a letto assieme!”,
”Gerard! Jeudi sta divorziando!”,
“Che?!?” il conte cadde dalle nuvole,
“Esattamente. Non dovrei dirtelo, ma sei un amico, quindi ti prego di tenerti per te la confidenza: il marito l’ha mollata per un’altra poco tempo fa, quindi lei l’ha presa malissimo, ed ha accettato di venire con noi solo per distrarsi un po’”,
“Ma non ci sta riuscendo granché, a quanto sembra!”,
“Già. Dovresti vedere che porcherie ingolla: Prozac e simili!”,
“E tu che ruolo hai, in tutto questo?”,
“Te l’ho già detto: sono l’amico consolatore, e nulla più”,
“Un ruolo che ti sta stretto, a quanto vedo!”.
Leòn sussultò, poi tornò ad abbassare gli occhi “E’ tanto evidente?”,
“Quanto una scritta fosforescente su di un foglio nero!”.
Il conte rifletteva. Anche il comportamento di lei non era molto chiaro: si vede che provava nei confronti di lui una sorta di attrazione repressa, ma non osava dirglielo. Anche Françoise aveva avuta la medesima impressione.
“Perché non provi a dichiararti?”,
“Perché adesso lei è troppo fragile: non sarebbe corretto!”,
“E’ vero;  ma dopo potrebbe non ripresentarsi un’altra occasione”,
“Non so che fare Gerard: io l’amo, ma ho paura di apparire invadente… di approfittare di lei… “,
“Le difese dovrebbero cadere da ambo i lati, amico”,
“Sì, proprio così”.


Verso sera, tutti e quattro erano di nuovo sul ponte; era l’ora del bagno al tramonto, ancorati in una caletta.
“Il mare al tramonto ha un fascino speciale: si tinge di rosso, come il sole”, diceva la contessa.
Françoise ed il marito nuotavano vicini l’uno all’altra; Jeudi e Leòn li osservavano dal ponte, in costume da bagno.
“Avanti, tuffatevi!”, gli diceva il conte “Altrimenti perché avete indosso il costume?”.
Jeudi sorrise, seduta sul bordo, mentre Leonhard guardava il tramonto in lontananza.
Françoise si avvicinò in silenzio dietro Jeudi e la tirò in acqua: questa cadde con un gran tuffo, riemergendo subito dopo.
“Visto che non era difficile?”, le disse la contessa.
La ragazza si spostò un ciuffo di capelli bagnati dal viso, e sorrise, poi si girò verso Leòn sulla barca, il quale la guardava sorridendo.
“Vengo anch’io!”, disse, e si tuffò, avvicinandosi a Jeudi.
I due si sfiorarono. Si guardarono negli occhi, mentre Françoise si era provvidenzialmente allontanata raggiungendo il marito.
“E’ bello il mare a quest’ora, vero?”, chiese Leonhard a Jeudi,
“Sì”,
“Sembra tutto così… magico!”,
“Pensavo la stessa cosa”, disse Jeudi,
“Allora perché non facciamo una gara? Vediamo chi, tra noi due, arriva prima a quella spiaggetta!”,
“Va bene!”.
I due si lanciarono veloci nell’acqua, che adesso andava facendosi sempre più scura, come il cielo.
Che bello, pensava Jeudi, come tanti anni fa… quando ci rincorrevamo sull’erba dei prati, durante i nostri picnic… e c’eravamo solo noi ed il nostro amore, niente problemi, né tristezza… con Leòn stavo bene… con lui, sto bene!
Io lo amo ancora; forse lui mi vede solo come un’amica adesso, la piccola amica fragile da aiutare. E se gli dicessi come stanno le cose? Se gli confessassi che l’amo? Come una volta, come allora! Magari lui potrebbe cedere che la mia fragilità attuale mi faccia scambiare il conforto per amore… ma devo rischiare, devo dirgli: “Leòn, io ti amo!”.
Con il suo fisico atletico e forte, Leòn la superò facilmente, raggiungendo la spiaggetta. Lei lo inseguì, e con il fiato corto uscì sulla spiaggia, finendo tra le braccia di lui che l’aspettava. Si abbracciarono e risero forte. Poi si sedettero sulla sabbia a guardare il crepuscolo; sulla barca, Gerard e Françoise erano rientrati, ed avevano acceso le luci.
“Speriamo che non ci lascino qui come due naufraghi!”, fece lei, ridendo,
“Ti dispiacerebbe?”. Jeudi si girò per guardarlo negli occhi. “No”, disse.

Qualche sera dopo, erano tornati a Montecarlo: era la sera di Ferragosto, la sera del party.
Per tutto il pomeriggio, Jeudi e Françoise erano state in giro per parrucchiere ed acquisti. Erano molto allegre, e non smettevano di chiacchierare. Poi, tornarono sulla barca e si vestirono. Jeudi scelse un abito rosa, con la gonna appena sopra il ginocchio e la schiena nuda; si raccolse i capelli in uno chignon. Stava finendo di truccarsi, quando Leòn entrò nella cabina: indossava una camicia blu di seta ed un paio di pantaloni neri.
Non appena la vide, rimase senza fiato “Sei… bellissima” le disse.
“Grazie”, gli rispose lei, arrossendo un poco.
Andarono nella dinette, dove Paul e Roxanne stavano finendo di preparare il buffet.
Il conte e la moglie erano già pronti: lui indossava un completo bianco con al collo un foulard arrotolato, lei un lungo abito nero da sirena.
“Cara! Sei bellissima!”, fece Françoise a Jeudi non appena la vide; “Anche tu”, rispose lei.
“Prendiamo il primo drink?”, chiese il conte a Leonhard,
“Leggero, però. E’ ancora sera”.
Dopo un po’, iniziarono ad arrivare gli ospiti: il campione di formula uno Michael Schumacher, seguito dalla cantante Grace Jones, e l’attore Anthony Delon. Poi giunse un mucchio di altra gente famosa.
Jeudi non credeva ai propri occhi, le sembrava di stare dentro ad un film.
Si avvicinò a Leòn: “Leonhard! Ma qui ci sono la nobiltà ed il cinema di mezza Europa!”,
“Ti senti in imbarazzo?”,
“Un po’, sì. E’ un ambiente diverso dal mio”.
Il party proseguì; arrivò altra gente; tutti bevevano e discutevano tra loro allegramente; Leòn, in un angolo, stava illustrando un quadro al conte ed al suo omonimo, Gerard Depardieu; la contessa rideva con Kirsten Dust ed una duchessina Tedesca; Jeudi aveva conosciuto la presidentessa di un famoso giornale scientifico Francese.
“Lei è la moglie di Aschenbach, giusto?”,
“Cosa? No, no, non sono sua moglie”,
“Mi scusi. Mi era sembrato… “,
“Non si preoccupi”. Come avrebbe voluto rispondere di sì!

Era quasi mezzanotte; Jeudi si stava annoiando: questi party con bella gente non erano poi quel granché che immaginava. Il suo pensiero tornò alla sua separazione da Lundi, ed alla sua confusa situazione con Leòn: nemmeno ascoltava i discorsi sui film d’azione che quel famoso attore Francese le stava facendo, Xavier Comesichiama…
Ascoltava, o meglio fingeva di ascoltare distratta, lo sguardo perso per la stanza, in cerca di Leòn, ma non lo vedeva. “Basta!” pensò.
“Vuole scusarmi? Ho un po’ di mal di testa”, disse rivolta a colui che le stava davanti.
“Prego. Posso far qualcosa per aiutarla, signora?”,
“No, la ringrazio. Devo solo andare a riposare un po’”.
Si congedò e si diresse in cabina. Ma Leòn, da un punto nascosto l’aveva vista e la seguì, raggiungendola.
“Noiosi, vero?”. Jeudi si voltò di scatto,
“Leonhard?! Ma che fai qui?”,
“Senza te, non m’importa nulla della festa”.
Jeudi si sedette sul letto. “E’ che mi sembra tutto così… insensato, ecco. La mia vita va a rotoli ed io me ne sto qui a discutere con quattro famosi di cui non mi importa nulla, quando invece dovrei stare a casa a spiegare ogni cosa a Pierre, oppure…”,
“Oppure?”, Leonhard le si fece più vicino.
Jeudi alzò la testa e lo guardò negli occhi, fisso. “Oppure dovrei fare chiarezza dentro me stessa riguardo all’unica persona per cui ho accettato di venire qui!”.
Lui le si avvicinò ancora, e la baciò; questa volta non era possibile equivocare il senso del bacio, per Jeudi.
“Siamo ancora i ragazzi di tanto tempo fa, a Vienna?”, chiese lui,
“Sempre, sempre!” gli rispose; questa volta fu lei a baciarlo.
Non ritornarono più al party.

Nel salone, sia Gerard che Françoise avevano notato l’improvvisa assenza dei loro due ospiti. Si guardarono e si sorrisero, con un’espressione d’intesa.
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Credits: anche il titolo di questo capitolo è ripreso da quello di una famosa canzone, questa volta dei Pooh.


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Capitolo 10
*** Tutto in una notte ***


Tutto in una notte CAPITOLO 10
TUTTO IN UNA NOTTE
Fu un nuovo giorno. Per entrambi.
Jeudi aveva capito: capito di essere forte, più forte dell’abbandono del marito, più forte delle medicine; perché era amata di un amore vero, che non era semplice amicizia o pietà, e che non era mai tramontato: Leòn l’amava ancora, l’amava come lei stessa lo amava; e, da adesso in poi, tutto sarebbe stato diverso per loro.
Ricominciare, ecco cosa avrebbero fatto! Ricominciare a vedersi, a sorridere insieme alla vita… anche se con due ore di aereo di mezzo! L’amore vero non conosce ostacoli.

Jeudi si alzò, ed uscì dalla cabina. Era molto allegra.
Entrò nella dinette, dove Françoise Tavernier stava facendo colazione.
“Buongiorno, cara! Vedo che hai un’ottima cera, stamattina!”,
“Sì, mi sento molto bene. Com’è andato il party?”,
“Come al solito: le solite chiacchere noiose, i soliti complimenti qua e là, il buffet… e a voi, com’è andata?”,
“Benissimo”, fece Jeudi allargando la bocca in un gran sorriso,
“Devo allora pensare che hai gradito il mio… regalo?”,
“Altroché! Anzi, devo proprio ringraziarti, sei stata un’amica!”,
“Ma figurati! E’ stato un piacere!”.
In quel momento entrò Gerard Tavernier, bagnato dalla testa ai piedi.
“L’acqua è favolosa, questa mattina!”,
“Già fatto il primo bagno della giornata?”, chiese Jeudi.
“Certo! Questa è l’ora migliore, lungo la costa!”,
“La costa? Ma dove siamo?”,
“Dalle parti di Saint-Tropez. Siamo partiti stamattina presto. Non ve ne siete accorti?”,
“Gerard! I ragazzi erano occupati in altre faccende!”, esclamò la contessa, imburrando una fetta di pane.
Jeudi arrossì, poi scoppiò a ridere.
“Buongiorno a tutti!”. I presenti si voltarono; Leòn si era alzato.
A Jeudi apparve bellissimo, a torso nudo, con indosso solo i jeans. Lo guardò, e le brillarono gli occhi.
“Allora” fece il conte “stasera si va a ballare in un famoso locale di Montecarlo. E per non far brutte figure, tutti e quattro, questo pomeriggio ci alleneremo a ballare tra di noi! O.K.?”.
“Va bene. Sarà divertente”, fu l’opinione di Leòn.
Lui e Jeudi uscirono sul ponte, respirando l’aria fresca di quel mattino di sole: il mattino che segnava l’inizio della loro nuova vita. Jeudi si strinse a lui, ed i suoi pensieri fecero un salto nel passato, ai tempi in cui quelle mattine erano la regola per loro; di quel tempo era rimasto in lei un ricordo sempre vivo, adesso se ne rendeva conto appieno.
Leòn guardava lontano, stringendo a sé il suo amore ritrovato: lontano, ancora di più, dove il cielo scendeva in fondo al mare: e si sentiva parte integrante di quel blu immenso, il colore della pace luminosa.

Ore 16,30: lezione di ballo!!
Ancorati in rada in una caletta, sul ponte superiore, i nostri quattro protagonisti avevano portato lo stereo a batterie sul tavolino, ed un mucchio di CD; in quel momento, nell’aria risuonava Sono un pirata, sono un signore, di Julio Iglesias.
“Nuovissima! Appena uscita!” rideva Leòn, ballando con Françoise Tavernier,
“E’ del 1978. Si vede che siamo due vecchietti, vero?”, rispose il conte, mentre faceva fare una giravolta a Jeudi.
Lei rise forte. Si stava divertendo. Il ritmo della canzone era allegro, e Gerard Tavernier era un ballerino provetto.
“Accidenti! Leòn è più bravo di te, Gerard! Mi sa che stasera cambio cavaliere!”, diceva Françoise; poi aggiunse “Me lo presti, Jeudi?”,
“Se non lo strapazzi troppo… stanotte mi serve intero!”. Tutti scoppiarono a ridere.
Il divertimento proseguì fino a sera, sulla barca nascosta alla vista.
Alle 10 in punto, dopo una cena leggera, i quattro scesero dalla barca e si incamminarono lungo il molo pieno di yacht: Jeudi era al braccio di Leòn, Françoise con il marito.
Ridevano allegramente. Ad un tratto, una voce: “Je…Jeudi?”.
L’interessata si voltò e rimase di sasso vedendo Lundi sul ponte di una delle barche.
“Lo conosci?”, le chiese la contessa,
“Sì, è un vecchio amico”, rispose lei. Non voleva fare sapere ai suoi nuovi amici che si trattava del marito che l’aveva abbandonata per un’altra.
“Ma… che fai tu qui?”, le chiese lui; lei si avvicinò per parlargli; Leòn la seguì.
“No, Leòn: è una faccenda tra me e lui. Stanne fuori!”.
Jeudi si appoggiò al parapetto della barca “Me la spasso, come te. Non ho diritto di rifarmi una vita anch’io?”,
“Jeudi, ascolta… è stato tutto un errore. Io ho ceduto ad un ricatto: Troncan mi ha coinvolto inconsapevolmente in uno dei suoi affari  poco puliti, poi mi ha dato una scelta: o facevo contenta sua figlia, o altrimenti mi avrebbe denunciato e fatto finire in galera al posto suo. Mi aveva usato come paravento! Quell’uomo non ha scrupoli! L’ho fatto per voi, capisci? Per te e Pierre!”,
“E tu, molto intelligentemente, ci sei cascato come un tordo! Certo, capisco benissimo”,
“Non sarà per sempre: Matilda ha sempre avuto una cotta per me, lo sai. Solo il tempo di farci vedere un po’ in giro… poi tornerò a casa, te lo prometto!”.
In quel momento si affacciò Matilda; Jeudi alzò il tono di voce “Nooo! Perché mai? Fate una così bella coppia, insieme! Te l’ho detto cara, tienilo pure, siete fatti l’uno per l’altra. E poi, come vedi, io mi sono già consolata”, indicò Leonhard voltandosi verso di lui.
Matilda era a bocca aperta “Conosci i conti Tavernier? Hanno la barca più bella del molo! Dove li hai conosciuti?”,
“Siamo buoni amici da tempo” mentì Jeudi “ed io e la contessa siamo in confidenza, sai?”.
La Troncan stava scoppiando di invidia. “Ora vi lascio, scusateci, ma dobbiamo proprio andare. I miei migliori auguri!”. Si allontanò e raggiunse Leonhard.
I quattro si rimisero in cammino; per tutto il tragitto per le vie del centro, Jeudi non smise di ridere.
“Che stupida! Me la sono presa per così poco! Se avessi capito che lui era così… profondo, non avrei perso neanche un minuto con i medicinali!”.
Entrarono in un rinomato night-club.
Era in programma una serata dedicata agli oldies.
I Tavernier avevano un tavolo riservato in quel locale, defilato dalla pista e dalla ressa, per potersi godere l’ambiente senza essere sempre sotto gli occhi di tutti; fu lì che si sedettero ed ordinarono da bere.
Il piccolo complesso dietro la pista da ballo attaccò Cry to me, di Solomon Burke.
Gerard disse alla moglie “Françoise vieni, balliamo!”, “Con piacere!”, rispose questa, e si alzarono, dirigendosi verso la pista.
Ballavano in un modo molto spinto; ben presto, catalizzarono tutta l’attenzione della pista.
Dal tavolo, Leòn e Jeudi li osservavano.
“Non credi che stiano esagerando un po’?” chiese lei “Sembrano quella coppia in “Dirty Dancing”: il modo di ballare è identico!”,
“Sì, in effetti devo ammettere che sono molto disinibiti”.
Jeudi scoppiò a ridere di nuovo. “Che c’è?” le chiese Leonhard,
“Sai… io non l’avrei mai fatto, ma… questa sera mi sento in vena di qualsiasi cosa!”,
“Ci buttiamo alla prossima?”,
“Certo, perché no?”.
Il pezzo finì. L’orchestrina attaccò You don’t own me; “E’ il momento!” si dissero Leòn e Jeudi.
Raggiunsero gli amici sulla pista, imitando il loro modo di ballare erotico.

Rientrarono alle quattro del mattino.
La prima cosa che Jeudi fece fu di andare in cabina, prendere il suo beauty-case ed aprirlo.
“Che vuoi fare?” le chiese Leòn,
“Aspetta e vedrai!”, disse lei; poi afferrò la scatola del Prozac e si diresse fuori dalla cabina e sul ponte, dove gettò la scatola in mare.
“Non ne ho più bisogno!”, gridò. Leòn era felice.
La prese in braccio “Adesso c’è la seconda parte del piano!”, le sussurrò. Ritornarono in cabina.
Il mattino successivo fu Leonhard a svegliarsi per primo e ad uscire sul ponte, seguito poco dopo dal conte.
“Allora amico, com’è andata stanotte, eh?”,
“Benissimo: non avrebbe potuto andare meglio!”,
“Si vede: potevi anche usare un po’ di decenza, sai?”, disse il conte, indicando i segni di rossetto che Leòn aveva sul collo e sul petto. Lui abbassò lo sguardo per vedere cosa l’amico gli stesse indicando, poi scoppiò a ridere.
“Ad ogni modo, le cose tra te e Jeudi si sono sistemate: ne sono felice!”,
“Non riesco ancora a crederci”.
Il conte si accese una sigaretta “Quello con cui parlava ieri sera è l’ex-marito, vero?”,
“Sì, ma… come hai fatto a capirlo?”,
“Leòn, era troppo evidente! Non hai visto come si è comportata per tutta la sera, con quell’atteggiamento di sollievo? Era evidente che aveva fatto la sua scelta fra voi due senza pentirsene”.
Sì, era così: Jeudi aveva scelto; e lui sperò che fosse per sempre, stavolta.


I giorni passarono in fretta. Venne il momento del ritorno a casa.
Gerard e Françoise li accompagnarono all’aeroporto, in una bella giornata di fine Agosto.
“Allora, ci rivediamo a Natale, eh?”,
“Gerard! Ma come corri, amore!”,
“Volentieri, Gerard. Io e Jeudi ne saremo felici!”,
“Proprio così!”.
Erano arrivati come un gruppo di amici; si lasciarono come due coppie.

Avevano deciso di andare a Ginevra, per spiegare insieme tutto a Pierre; poi avrebbero stabilito il da farsi.
Sull’aereo, facce da fine estate; solo loro erano sorridenti. Jeudi, aggrappata al braccio di Leòn, ascoltava la canzone che la radio dell’aereo suonava, Zingaro, di Umberto Tozzi.

Zingaro voglio vivere come te,
andare dove mi pare, non come me!

“Mi piacerebbe essere libera come una zingara! Ed andare dappertutto assieme a te, senza pensieri!”, disse rivolta a Leòn. Lui sorrise. Lei gli strinse più forte il braccio.

All’arrivo, come al solito, c’era Martha: Jeudi l’aveva avvisata per telefono di ogni cosa, sicché non si stupì di vederla con Leòn.
“Ciao cara! Ti sei divertita?”, l’accolse Martha,
“Molto, grazie. Ma Pierre non c’è?”,
“Ecco, è a casa con Hans. Vedi… l’altro ieri è venuto Lundi, e gli ha spiegato ogni cosa”,
“Ogni cosa????”,
“Di quello che si può dire ad un bambino, ovviamente. Ma con me è stato più chiaro. Ha lasciato quella, ha capito che era caduto troppo in basso e che stava commettendo una sciocchezza”,
“E Troncan?”,
“Ha fatto fuoco e fiamme, naturalmente. Ma Lundi non si è arreso: ha dato le dimissioni, poi è andato a denunciare il suo ex-capo, accusandolo anche di averlo trascinato in affari poco puliti a sua insaputa”,
“Ed ora che farà?”,
“Lui e Jean vogliono aprire un piccolo studio di consulenza; con la loro abilità, diventerà presto un grande studio!”.
Nel frattempo, erano saliti in macchina, e si dirigevano verso casa di Jeudi, dove trovarono Hans ed il bambino ad aspettarli.

Pierre era triste. “Perché papà non torna?”, continuava a chiedere.
Jeudi lo prese in braccio “Ascolta, Pierre: papà ha passato un brutto momento, ed io anche. Ti ricordi quando litigavamo, e tu te ne dispiacevi? Beh, era perché io e papà abbiamo capito di non riuscire ad andare d’accordo come una volta, perché abbiamo dei problemi”.
Il bambino teneva gli occhi bassi “Mi ha detto di averti fatto molto male, e di essersene pentito”,
“E’ vero. Ed anche io ho sofferto molto. Tu non vuoi che mamma e papà stiano male, vero?”,
“No”,
“Allora, forse è meglio che papà se ne sia andato. Ma tu potrai rivederlo comunque. Te lo ha detto?”,
“Sì. Mi ha detto che starò con lui tre volte alla settimana”,
“Allora perché sei triste?”,
“Perché non starà più con te, e tu sarai sola!”,
“No, Pierre! Io non sarò sola! Ci sono sempre gli zii, ed i miei amici. Ti piacciono Caterina, Robert e gli altri, vero?”,
“Sì, ma loro tornano tutti a casa, poi. Qui con te ci sarò solo io!”.
Jeudi guardò in faccia il figlio “Pierre, tu saresti contento se qui in casa ci fosse qualcuno con me?”,
“Non voglio che tu stia da sola e pianga, come ti ho visto prima di partire!”.
Jeudi abbracciò il figlio e rifletté. E se fosse un segno del Cielo?, pensò.
In quel momento, entrò Leòn. Jeudi depose a terra il figlio e gli sorrise.
Lui si accovacciò davanti al bambino “Che ne dici se andassimo a fare un giro tutti insieme?”,
“Sììì!”, rispose il piccolo, entusiasta.

Passarono il pomeriggio fuori, tutti e quattro con il bambino; andarono al luna park, poi in gelateria; Leonhard regalò a Pierre un pappagallino, che lui chiamò Printemps.
“Si vede che gli piaci”, disse Jeudi a Leonhard, quando furono tornati a casa, mentre riassettava le valigie ancora sfatte.
“E a te, piaccio?”, rispose lui abbracciandola alle spalle e stampandole un bacio sul collo. Lei rise “E’ il caso di chiederlo?” rispose.
Quella notte, Leonhard la passò a casa di Jeudi; ma preferirono far l’amore in salotto, sul divano, per non svegliare Pierre che dormiva al piano di sopra.
“Credo che abbiamo cancellato tutti i cattivi ricordi che avevo riguardo a questo divano!”, gli disse lei, dopo,
“Ti riferisci a Lundi?”,
“Esattamente”,
“Ma allora dobbiamo sdoganare anche il letto!” fece Leòn, ridendo.

La sera dopo, Leonhard ripartiva; Jeudi lo aveva accompagnato in aeroporto.
“Stai già pensando alla tua vita di Vienna, scommetto!”, gli diceva lei, “Ti dimenticherai un’altra volta di me”,
“Non dire sciocchezze”, lui la baciò “Ora è tutto diverso”.
Perché non mi chiede di restare?, pensava Leonhard, Solo un minuto per noi, poi dovrò partire: quanto cielo fra noi!(1).
“Quando tornerai?”, chiese lei con gli occhi bassi,
“Al più presto possibile”.
Perché non gli chiedo di restare?, pensava lei. Adesso lui non è più mio, lui è già via da qui! Non ha nemmeno un sorriso per me! (1). Ho paura, paura di sbagliare ancora, come tanto tempo fa con lui, come con Lundi: ho paura di soffrire! Ed è per questo che non gli ho chiesto di restare!
Erano già in ritardo per l’imbarco, eppure non riuscivano a separarsi, ma nemmeno a parlarsi. Jeudi continuava a tenere gli occhi bassi, mentre Leonhard tormentava il suo biglietto.
“Il signor Aschenbach è pregato di presentarsi al gate per l’imbarco immediato!”
La fredda voce dello speaker all’altoparlante li distolse dai loro pensieri.
“Devi andare: sull’aereo sei desiderato”;
lui sorrise “Probabilmente, a bordo avranno la lista dei passeggeri”.
La abbracciò “Dài, non fare così! dopo tutto, una storia a distanza non è poi così male: ne ho viste tante, e funzionano!”,
“Mi ami?”,
“Sempre!”. Si baciarono un’ultima volta, poi Leòn si avviò all’imbarco.
“Questa scena l’ho già vista”, pensava Jeudi mentre lo guardava allontanarsi.




   




 




 (1)”Cinque minuti e poi…”, di Maurizio dei New Dada.

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Capitolo 11
*** Ultimo volo ***


Ultimo volo CAPITOLO 11
ULTIMO VOLO
Erano ormai passati quattro mesi dalla partenza di Leonhard di quel giorno. Lundi e Jeudi avevano deciso, di comune accordo, di divorziare; già separati, erano in attesa della sentenza definitiva.
Pierre aveva preso la cosa meglio del previsto, dato che stava col padre tre volte alla settimana dopo che Jeudi aveva ottenuto l’affidamento. Era tornato ad essere un bambino allegro, a casa ed a scuola, con grande sollievo di Jeudi.
Anche Jeudi si era ripresa: tornata al lavoro, era stata circondata dall’affetto dei colleghi ed aveva anche ricevuta un’importante promozione per l’ottimo lavoro svolto a Vienna. Era più tranquilla, e si vedeva.
Lei e Leòn si erano visti diverse volte nel corso di quei mesi, con lui che faceva la spola tra Ginevra e Vienna per poter stare con lei.
“Tu sei la dipendente di un giornale: non puoi allontanarti a tuo piacimento”, aveva risposto Leonhard alle offerte di lei di venire a Vienna qualche volta, per rendergli la cortesia “io, invece, sono un critico d’arte, un libero professionista, e posso spostarmi quando e dove mi piace, senza dover rendere conto a capi e superiori”,
“Ma Leonhard…”,
“Niente MA! Ti ricordi quanto hai studiato per diventare giornalista, e come ci hai creduto? Era il tuo sogno! Ed ora che si è realizzato, non permetterò che tu distrugga la tua carriera per me! Lo faccio perché ti amo, Jeudi!”.
Davanti a questi argomenti, Jeudi taceva. Le ragioni di lui erano più che valide.
“E potrei anche andare a lavorare dove voglio!” aggiungeva lui “Potrei addirittura collaborare con un giornale, e trasferirmi definitivamente altrove, se solo qualcuno mi chiedesse di andare a vivere con lei…”.
A queste parole, Jeudi arrossiva sempre. In cuor suo, avrebbe voluto dirgli di sì, ma in fondo a tutto, temeva ancora di farsi del male, come era successo con il marito; oppure temeva di perderlo, come tanti anni prima. Non sapeva cosa rispondere, ed accampava scuse.
“Io e Lundi non abbiamo ancora ottenuto il divorzio. E poi, non so come potrebbe prenderla Pierre…”.
In realtà, quest’ultima era una bugia, dato che il figlio le aveva dimostrato in più di un’occasione, di provare simpatia per Leonhard: “Mi piacerebbe che il signor Leonhard restasse con noi per sempre!”, aveva detto una sera a cena, all’improvviso, facendole andare di traverso il minestrone.
Dunque, il solo vero ostacolo sono io, pensava Jeudi. E la mia paura.

Ma adesso, si avvicinavano le Feste di Natale. Jeudi aveva rifiutato un insistente invito da parte di Françoise Tavernier di partecipare ad una megafesta di Capodanno a Courmayeur, ed aveva deciso invece di  festeggiare la Vigilia in famiglia con la sorella, il cognato e l’ex-marito, per il bene del bambino; a Capodanno, invece, sarebbe stato Leonhard a venire da lei, ed assieme ai suoi colleghi del giornale sarebbero andati tutti in discoteca a ballare fino all’alba; naturalmente, avrebbe affidato Pierre all’ex-marito, come al solito, per poter avere un po’ d’intimità con Leonhard.  
Certamente, i momenti passati assieme erano preziosi, perché erano pochi; le sarebbe piaciuto moltiplicarli, ma il rischio di veder frantumarsi quell’incanto come aveva visto frantumarsi il proprio matrimonio era un deterrente troppo grande.
Eppure, spesso ci pensava.

Leonhard ed io insieme
ci hanno spezzato il cuore
come Africa e Brasile abbracciati:
ma c’è di mezzo il mare tra noi!(1)

Ripensò a quei magici, indimenticabili momenti dell’estate precedente

Leonhard da solo, col suo sguardo perduto
E coi capelli lunghi annodati dal sole
Come intrecciati dal sale(1)

Leonhard ride, ride alla schiuma che s’alza,
al cielo,
al mio tuffo nel mare,
a quel sogno perduto per noi!(1)

Jeudi si intrecciò le mani sul petto.

Leonhard ed io insieme
come la notte al cuore(1)

Leonhard ed io insieme
sdraiati in una notte azzurra
al mistero scoperto di una fine d’estate
… divenne notte d’amore! (1)

Si sedette, e si mise a pensare. Loro erano una coppia, ormai: anche Lundi, il suo ex-marito, ne era contento “Devi rifarti una vita: te lo dico da amico”, le aveva detto.
E allora cosa le impediva di fidarsi di lui?

Fuori, aveva iniziato a piovere. Jeudi si alzò dalla scrivania del suo nuovo ufficio e si avvicinò alla finestra. Osservò i tetti di Ginevra avvolti dalla luminosità azzurrina di quel tramonto piovoso: sembravano riflettere il suo stato d’animo confuso.
Ricordò le mani calde di Leonhard su di sé, e d’istinto si massaggiò il collo, imbarazzata. Come le sarebbe piaciuto averlo accanto, ora!
Stupida scostumata, non puoi farti venire questi pensieri al lavoro!, pensò.
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(1)Credits: Amedeo Minghi, “Emanuela ed io”
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Ma subito dopo si mise a ridere. Proprio come ai tempi dell’Università, pensò.
Troppe volte, durante le lezioni, si sorprendeva a pensare a lui in atteggiamenti non proprio… casti! Ed ogni volta si voltava di scatto ed arrossiva se qualcuno le tossicchiava accanto o le rivolgeva una domanda, timorosa che i suoi pensieri potessero apparire palesi a tutti sulla sua faccia.
In quel momento, entrò Caterina, con un mazzo di fascicoli nelle mani.
“Ecco, devono essere tutti catalogati per domani”,
“Grazie, Kathy. Mettili pure lì, sulla mia scrivania”.
Caterina si avvicinò all’amica “A che punto è la preparazione della festa di Capodanno?”,
“Robert mi ha detto stamattina di avere già affittato la sala”,
“Splendido! La sala di una discoteca tutta per noi!”.
Le posò una mano sulla spalla ed abbassò la voce “E Leonhard?”.
Jeudi arrossì di nuovo, e per non farsi vedere piegò il viso in avanti.
“Verrà anche lui”,
“Quando vi deciderete ad andare a vivere insieme voi due?”,
“Caterina! Ma che dici!?!”,
“Dico che quando c’è lui sei un’altra persona! Ed anche adesso, dovresti vedere la tua faccia: hai gli occhi che brillano!”.
Jeudi si staccò dalla finestra, andandosi a sedere di nuovo alla scrivania.
“La verità è che… ho… paura!”,
“Di Leonhard?!?”,
“Ma no! Che ti viene in mente! Ho paura… di guastare tutto”,
“E perché dovresti guastare tutto?”,
“Perché con Lundi l’ho fatto”,
“Non dire sciocchezze! Innanzitutto, con Lundi non sei stata TU a guastare tutto, ma LUI; poi, con Leòn stai bene, e lui ti ama da impazzire, si vede. Dunque, cosa ti trattiene?”,
“Non lo so”.


Quando uscì dal lavoro, Jeudi passò dal centro commerciale per gli ultimi acquisti; era il quindici di Dicembre, Natale era ormai alle porte, e in giro c’era quella frizzante ed allegra confusione tipica di questo periodo dell’anno; gente che andava e veniva con le braccia colme di pacchi, famiglie, gruppi di amici, coppie… si soffermò a guardare una coppia ferma davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento; si tenevano stretti l’uno all’altra, e parlavano.
“Guarda quel cravattino: potremmo prenderlo per tuo fratello, non ti pare?”,
“Sì, è una buona idea! E a tua madre hai pensato?”,
“Non ancora”,
“Non preoccuparti, ci ho pensato io: le ho regalato un fermacapelli colorato”,
“Caro, sei un tesoro!”.
Jeudi girò la testa ed abbassò lo sguardo. Perché si sentiva all’improvviso triste?
Girò i tacchi, e tornò verso la macchina. Aprì lo sportello e depose gli acquisti.
“Che scema sei, Jeudi. Sai benissimo perché vedere quei due ti ha rattristato!”, si disse salendo in macchina.
E tornò al suo pensiero fisso: Leòn.

Il giorno ventidue, Leonhard arrivò; lei era andata a prenderlo in aeroporto, come al solito, e come al solito, lui l’aveva salutata abbracciandola e baciandola con passione, nonostante si trovassero in pubblico.
Jeudi aveva ripreso fiato a fatica, quindi si era guardata intorno, scoprendo così di avere tutti gli occhi della sala arrivi puntati addosso: era diventata viola per l’imbarazzo.
“Ma non potevi aspettare di essere quantomeno in macchina?” gli aveva chiesto,
“Perché? Non posso abbracciare la donna che amo?”,
“Leòn!! In questo modo… e in pubblico!!”.
A questo punto, lui fece per abbracciarla di nuovo, ma Jeudi si scostò, arrossendo ancora di più, e si diresse verso l’uscita; Leòn, presa la sua valigia, la seguì.

In macchina, discutevano sulla festa di Capodanno.
“Sei sicura che a tuo figlio non dispiaccia la mia presenza?”,
“Assolutamente no. Anzi, mi chiede spesso del “simpatico signore che gli ha regalato il pappagallino”: gli sei piaciuto”.

La notte della Vigilia fu intima e tranquilla; tutti e cinque, Jeudi, Lundi, Pierre, Martha e Hans cenarono assieme, poi andarono alla messa di mezzanotte, infine si scambiarono i regali. Leòn, invece, passò la serata da un amico, che aveva conosciuto in una trasferta di lavoro a Ginevra.

Poi, intorno al ventinove, i preparativi per la “Big Night” si fecero più intensi; Jeudi andava e veniva dalla discoteca dove avevano prenotato la sala assieme a Robert, mentre Leòn era impegnato con Caterina a procurare i rinfreschi: quello avrebbe dovuto essere un Capodanno memorabile.
Ed eccoci finalmente alla mattina del trentuno Dicembre.
Leonhard usciva da un’agenzia viaggi, dove aveva acquistato il suo biglietto di ritorno per Vienna: volo OS 547, dell’Austrian Airlines.
Se solo mi chiedesse di restare, pensò. Tornerei a Vienna solo per prendere le mie cose e chiudere definitivamente la mia casa, prima di venderla: quanto vorrei che fosse così, quanto vorrei che questo fosse il mio ultimo volo!

Tornando a casa di Jeudi, vide che c’era dappertutto un gran daffare: Ophelie e Jean-Luc stavano caricando scatoloni in macchina.
“Cosa c’è in quelle scatole?”, chiese,
“Decorazioni per stanotte: le stiamo portando in discoteca”,
“Dov’è Jeudi?”,
“E’ di sopra. Sta provando il vestito per stasera”.
Leòn ringraziò e si diresse verso le scale; nel disimpegno incontrò Robert, con le cuffie per la musica in testa.
“If you’re going to San Francisco…”, stava canticchiando. Lo toccò su di una spalla, e quello si girò, togliendosi le cuffie.
“Oh, ciao Leonhard! Non ti ho sentito arrivare, scusa!”,
“Lo credo bene, con quelle in testa!”,
“Sì, è per la musica di stasera. Che ne dici di “San Francisco” di Scott McKenzie? E’ abbastanza allegra per iniziare, no?”,
“Sì, andrà benissimo. Scusa, devo andare da Jeudi”, e prese a salire le scale.
La trovò in camera da letto, con addosso l’abito scelto per quella sera, un vestito rosso stile sottoveste, con una lunga gonna che diveniva asimmetrica salendo verso destra.
“Allora? Che ne dici?”, gli chiese lei non appena lo vide.
Leonhard le si avvicinò da dietro, abbracciandola, e la baciò sul collo “Sei una sirena” le disse. Lei chiuse gli occhi, estasiata, e gli strinse le mani che lui le aveva avvolto intorno alla vita.
Leòn continuava a baciarla sulla schiena; adesso le sue carezze si stavano facendo audaci.
“Non abbiamo tempo, adesso”, gli sussurrò Jeudi, e si staccò da lui a fatica.
L’uomo lasciò ricadere le braccia lungo i propri fianchi, con aria rassegnata. Sorrise.
“Almeno non spogliarti davanti a me! Lascia che esca: potrei non resistere!”. Jeudi rise.
“Non preoccuparti, vado nel bagno!”. Uscì dalla stanza.
In quel momento, Caterina saliva le scale. “Jeudi, dove sei? Abbiamo il direttore della discoteca al telefono: cosa gli devo dire riguardo all’orario d’inizio?”.
Dalla stanza in fondo al corridoio rispose una voce “Alle nove e mezzo va bene”.
“O.K.” rispose l’altra, e tornò di sotto.
Leòn rientrò nella stanza da letto e prese la sua valigia, che aveva riposta su di un ripiano dell’armadio; l’aprì; prese il biglietto aereo che aveva in tasca e lo mise in valigia; sospirò. Poi richiuse la valigia e cercò di assumere di nuovo un’aria allegra.


Ore dieci e trenta: tutta l’allegra compagnia era in discoteca già da un’ora; l’atmosfera del Capodanno si respirava a pieni polmoni. L’allegria era palpabile.
Abbracciata a Leonhard, Jeudi rideva, tenendo in mano un bicchiere e parlava con Ophelie.
“Sono felice di vederti di nuovo ristabilita: la scorsa estate mi hai fatto molto preoccupare”,
“E’ tutto merito della mia medicina personale” e strinse il fianco di Leòn “e, mi spiace dirtelo, non me l’hai prescritta tu!”,
“Siete davvero una bella coppia! Complimenti!”.
Jeudi guardò il suo accompagnatore; si sorrisero reciprocamente.
Digli di restare, Jeudi!, le diceva una voce interiore; digli: rimani! Cosa ti costa? Sono solo due parole! Solo due parole! E’ facile!
La ragazza imprecò mentalmente contro la propria vigliaccheria; di cosa aveva paura? Leonhard non era Lundi! E loro si amavano: lei stava capendo fin troppo bene che averlo accanto la faceva vivere!

“Attenzione!”, fece la voce dello speaker “Mancano solo cinque secondi alla mezzanotte! Tra poco saremo nel 2009!”.
Le coppie si strinsero.
“Meno quattro, tre, due, uno… Buon anno a tutti!”.
Jeudi e Leonhard si baciarono. Lo stesso fecero tutte le coppie presenti.
“Buon 2009, amore! Che possa essere un anno migliore per entrambi” fece lui.
Vorrei che per noi due iniziasse una nuova vita: vorrei poter ripartire da dove ci eravamo lasciati tanto tempo fa, pensò lei.
Un amore interrotto che adesso esigeva di veder saldati i conti: perché non nella notte-del-tutto-è-possibile?
Guardò Leòn che scherzava con due sue colleghe; quell’aria perennemente sicura, ed al contempo dolce, che aveva da sempre e che un tempo le aveva fatto perdere la testa, non l’aveva di certo persa; era incredibile come dietro ad essa lui riuscisse a nascondere i suoi sentimenti più segreti, che forse proprio perché nascosti bruciavano ancora di più.
Cosa nascondi veramente Leonhard? pensò lei. Come posso entrare nei tuoi pensieri, nel tuo mondo, e fonderlo con il mio? Ti sento parte di me: è per questo che quando non ci sei sto male? Perché allora non ti chiedo di restare qui? Di cosa ho paura veramente? Di te o di me stessa?
Jeudi affogò i propri tormentosi dubbi nello spumante del suo bicchiere; ed in un attimo capì che Leonhard era come quello spumante: frizzante, travolgente, incontenibile, eppure dolce: la sua vera natura era di essere dolce. Come avrebbe fatto, una volta ancora, a resistere alla sua mancanza?

Trascorsero tutta la notte nella discoteca, a ballare. Rientrarono che albeggiava; dovevano essere all’incirca le sette, pensò lei.
A casa, conclusero quello che quella mattina avevano lasciato in sospeso a causa dei preparativi.
Dopo, lui si addormentò; lei, invece, rimase sveglia a guardarlo dormire.
La prima notte dell’anno. Con te.

“Accidenti, ma che ore sono? Quanto ho dormito??”, Jeudi si era svegliata di soprassalto.
Entrando in quel momento nella stanza con un vassoio, Leòn le rispose: “E’ mezzogiorno passato, dormigliona. Ma non ti biasimo: io ho fatto lo stesso! Dopo tutto, abbiamo avuto da fare, stanotte!”.
Lei sorrise; poi spostò lo sguardo sul vassoio, dove si trovavano due porzioni di pancetta affumicata, delle uova strapazzate ed un bricco di caffè.
“E’ la colazione?” chiese lei,
“O il pranzo: fai tu”,
“Ti amo”, rispose lei dandogli un bacio.
Leòn depose il vassoio sul letto e si sedette. Accidenti, quant’era bello con i lunghi boccoli sciolti sul petto nudo, pensava lei.
Fecero colazione lì, sul letto, come una coppia di sposi che da lungo tempo stanno assieme. E per un attimo, lei desiderò che fosse davvero così.
Quella sera, andarono da Martha ed Hans, poi uscirono tutti e quattro a cena.
Ma Jeudi si sentiva triste, e sapeva anche perché: il giorno dopo, Leonhard sarebbe partito.

Mattina del due Gennaio.
“Sicuro che non vuoi che ti accompagni all’aeroporto?”,
“No, Jeudi, te l’ho già detto: non ce n’è bisogno, vado col pullmann; e poi, tu devi andare a riprendere Pierre, no?”,
“Lo andrò a prendere stasera. Sei davvero sicuro di non volere?”.
Per tutta risposta, lui la prese in uno dei suoi appassionati baci, e lei rinunciò: quando Leòn usava simili argomenti, non c’era nulla da replicare.
“Allora, ciao…”,
“Ciao”.
Lui si allontanò. Lei gli andò dietro di corsa “Quando pensi di tornare?”.
Leòn abbassò gli occhi sulla mano che lei aveva posato sul proprio braccio “Non lo so… tra un paio di settimane, forse”.
Jeudi lo lasciò andare “A presto, allora!”.
Lo accompagnò alla porta, guardandolo andar via verso la fermata del pullmann; poi richiuse la porta dietro le proprie spalle.
In fondo, era stato meglio così, pensava. Se lo avesse accompagnato all’aeroporto, non sarebbe riuscita a trattenere le lacrime.
Si diresse verso la cucina, cercando mentalmente qualche cosa da fare per non pensare.

Nel suo viaggio verso l’aeroporto, Leonhard era cupo quanto lei. Perché non aveva insistito per rimanere di più? Non aveva convegni d’arte in quei giorni, avrebbe potuto farlo benissimo. Ma non l’aveva fatto.
Giunse all’aeroporto, e scese. Effettuò il check-in, imbarcò il bagaglio, quindi si diresse alla sala attesa del gate.
Alzò gli occhi verso il tabellone: il suo volo era in perfetto orario: volo OS 547, delle ore 11,45. Si andò a sedere.
Si perse nei suoi pensieri. Immaginava di veder comparire all’improvviso Jeudi che gli chiedeva di rimanere; rimanere lì con lei e Pierre. “Sei un illuso, Leonhard!”, si disse.
Eppure, lo voleva, quanto lo voleva! Stava ad osservare ogni volto femminile che gli si avvicinava, credendo per un attimo di vedere lei.

“Ma cosa sto facendo?” Jeudi si riscosse all’improvviso dalla maionese impazzita che stava fingendo di preparare. Si sentiva mancare l’aria.
Si sedette, asciugandosi le mani. Provava un forte senso di vuoto, di oppressione.
“Ma che hai fatto?” disse a sé stessa “Perché lo hai lasciato andare via? Senza di lui, tu stai male, non vedi?”.
Ripensò alla mattina del giorno precedente, quando avevano fatto colazione assieme sul letto; realizzò che era stata bene, e capì perché: quella era una condizione normale, per loro! Erano naturalmente costretti a stare insieme: il loro stare insieme aveva un che di fisiologico, per entrambi.
“Che idiota che sei, Jeudi!” disse scattando in piedi “Stare insieme per voi è naturale, è come se fosse sempre stato così: non puoi distruggere niente!”.
Poi, un pensiero fulmineo “Devo dirglielo, devo fermarlo! Non deve partire, non può lasciarmi sola!”.
Corse in bagno, si lavò le mani, poi cercò le chiavi della macchina freneticamente “Dove siete, accidenti!”, pensava.
Le trovò e le prese. Guardò l’orologio: le 11,15. “Accidenti, devo far presto! Solo mezz’ora!”.
Indossò il soprabito, corse in garage. La macchina partì: si gettò nel traffico.
Jeudi si guardò le mani e vide che tremavano; accese la radio per calmarsi un poco; l’aeroporto non era lontano.
La radio trasmetteva Donna, donna, musica tu dei Collage.

Donna, donna, musica tu
Donna, donna, sei un po’ di più
Quando sono insieme a te
C’è un concerto dentro di me

In quel momento, le sembrava di sentire le parole dell’animo gentile di Leonhard.
Accelerò bruscamente, sterzando per evitare un altro veicolo; ad un incrocio mancò poco che si scontrasse con un camion; l’autista del camion diede un violento colpo di clacson “Ehi, bellezza, sei scema per caso?”.
Jeudi non lo sentì nemmeno. Guidava come impazzita. Passò ad un semaforo rosso, con il cuore a mille. “Avrò collezionato una decina di multe”, pensò. Non vedeva più nemmeno la strada; vedeva una cosa soltanto: il viso di Leonhard davanti a sé.

Donna, donna, musica tu
Hai sempre una marcia in più
 
Frenò all’improvviso, inchiodando, accorgendosi di una coda. Si accorse di una traversa, la imboccò. Prese il telefonino, digitò il numero di cellulare di Leonhard. Era spento.
“Accidenti, starà già all’imbarco!”, pensò. Giunse in vista dell’aeroporto.
Lasciò la macchina al parcheggiatore, che si preoccupò nel vedere una donna in quello stato: spettinata, scarmigliata e con il fiatone.
Corse verso la sala partenze. Erano le 11,40.


In effetti, Leonhard era già in fila al gate. C’era la solita successione di visi mogi e stanchi del dopo Capodanno, senza espressione e senza entusiasmi, che si accomodavano su quel volo come obbedendo ad un noioso dovere.
Anche lui teneva lo sguardo fisso a terra; fissava, senza vederle, le lastre di marmo del pavimento. Cosa avrebbe trovato, a casa? Il solito mucchio di giornali davanti alla porta, le erbacce in giardino, forse qualche convocazione da parte di una galleria d’arte…
Jeudi correva per le sale dell’aeroporto, sotto lo sguardo incuriosito della polizia di frontiera; a più di uno degli agenti aveva chiesto quale fosse il cancello di partenza del volo di Leòn, e finalmente era riuscita a trovarlo. Erano le 11,44.
Solo un minuto tra noi (2).

Era quasi arrivato all’imbarco. Anche le hostess avevano un’aria triste e mogia: strano, pensò.
Inforcò gli occhiali da sole.
Venne il suo turno. Si avvicinò al banco ed allungò il suo biglietto alla hostess.
In quel momento, una mano si posò sul suo braccio. “Secondo me non dovresti volare da nessuna parte”, disse una voce.
Leonhard alzò il viso “Jeudi!”. Lei gli stava sorridendo.
“Signore, non può fermare la fila”, la voce della hostess. “Questo signore ha sbagliato posto. Non si preoccupi, ci penso io!”, sempre tenendolo per il braccio, Jeudi lo tirò fuori dalla fila.
“Credevo… credevo che non saresti più venuta!”,
“Anch’io lo credevo. Ma mi sbagliavo”.
Lui l’abbracciò e la baciò, come al solito. La lasciò senza fiato, appoggiata al suo petto per riprendere fiato.
“Ho capito… l’ho capito… tu non sei Lundi… resta… resta con me, Leòn!”,
“Finalmente te lo sento dire! Meglio tardi che mai!”. La baciò di nuovo.
Lei si staccò di nuovo a fatica; si guardò intorno: tutta la fila degli ex-compagni di viaggio di Leòn li stava osservando.
“Tutta invidia!”, scherzava lui, “Vogliamo andare?”.
Si incamminarono verso il parcheggio; le guardie di sicurezza che prima avevano visto un’agitatissima Jeudi correre all’impazzata, adesso li guardavano beatamente passare davanti a loro.
Raggiunsero il parcheggio. Jeudi pagò il parcheggiatore, quindi salirono in macchina.
Si guardarono e scoppiarono a ridere.
“Ti sono mancato?”,
“Da matti!”.



 (2)Credits: Cinque minuti e poi, di Maurizio dei New Dada, ripresa da Claudio Baglioni nell’album “Quelli degli altri… tutti qui”.
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Ho voluto inserire la bellissima canzone dei Collage Donna, donna, musica tu, dato che mi ricorda un episodio realmente accadutomi e simile a quello di Leonhard, vale a dire il mio arrivo, in una notte d’inverno di circa un anno fa, all’aeroporto di Roma, di ritorno da un viaggio all’estero. Tra la noia e la stanchezza dei viaggiatori serali e l’indifferenza degli impiegati ai self-service, sentire questa canzone che suonava a tutto volume da un altoparlante di un bar era veramente una scena degna di un film, così ho pensato di inserirla in un mio racconto, prima o poi. Spero che sia piaciuta.

QUESTA FIC E' DEDICATA A NINFEA 306 ED A VITANI: GRAZIE PER LE VOSTRE BELLISSIME RECENSIONI!
 
 

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