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di benzodiazepunk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordicesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


                                                              

 
CAPITOLO PRIMO
 
 

Frank chiuse la porta dietro si sé.

Se n'era andato.

Finalmente se n'era andato.

Per la prima volta nella sua vita sentiva che avrebbe potuto fare le sue scelte autonomamente, ed era ormai da molto tempo che sognava questo momento. Ma dietro tutta quella facciata di impazienza ed entusiasmo di andarsene, in fondo in Frank, che stava lasciando definitivamente la casa dei suoi genitori, c'era anche un po' di paura. Dopotutto aveva solo vent'anni e niente in tasca, se non la sua istruzione ma questa non gli sarebbe servita proprio a niente se non avesse trovato un lavoro in fretta.

Ma ci aveva pensato molto, anzi ci aveva pensato moltissimo, ed era arrivato alla conclusione che non poteva più aspettare. La situazione in casa era diventata davvero pesante negli ultimi mesi: suo padre, ormai malato da molti anni, non era più in grado di lavorare, e sua madre lavorava dalla mattina alla sera per cercare di tirare avanti e riuscire ogni sera a mettere qualcosa nel piatto dei suoi cinque figli. I fratelli di Frank non erano proprio suoi fratelli, erano i figli dei suoi zii, ossia della sorella di sua madre e del marito, che erano morti entrambi anni prima a causa di un incidente che non era mai stato spiegato chiaramente. Così sua madre aveva preso in casa con sé i quattro bambini, tre maschi e una femmina, tutti più piccoli di Frank. E ora che suo padre non poteva più lavorare lui aveva deciso di lasciare la casa paterna, prima di tutto per non pesare più sulle spalle di sua madre, e poi per potersi trovare un lavoro in santa pace e magari riuscire a mandare qualche soldo a casa per aiutare la famiglia.

Frank stava fuori dalla porta, al freddo, con solo una sacca sulle spalle e pochi soldi in tasca, che sua madre aveva insistito a lasciargli nonostante non se lo potessero permettere.

Ora doveva decidere dove andare, il che non era una cosa semplice. Era l'alba e sperava di riuscire a trovarsi un lavoro entro il tramonto.

Al contrario dei suoi fratelli/cugini Frank aveva frequentato la scuola superiore e aveva ottenuto un diploma, ma sfortunatamente non aveva avuto la possibilità di studiare all'università e quindi sapeva di non poter pretendere di trovare un lavoro ben pagato, ma era pronto ad accontentarsi di qualunque cosa.

Consapevole delle proprie possibilità e dei propri limiti, Frank si avviò sulla strada ancora semibuia che portava verso il centro della città addormentata. Pensò subito che non sarebbe stato molto fortunato, e infatti all'ora di pranzo era ancora disoccupato e un po' demoralizzato.

Fino a quel momento aveva visitato tre posti: due grandi magazzini in cui sperava di poter essere assunto come commesso o anche come fattorino, e un piccolo laboratorio in cui lavorava un vecchio falegname che conosceva da anni, e che quindi sperava potesse dargli una mano. Invece tutto quello che ricevette furono un mucchio di frasi fatte per mandarlo via velocemente, "ci dispiace molto ma in questo momento non abbiamo bisogno di altro personale", "se in futuro dovessimo avere necessità sarà il primo che contatteremo", ma Frank sapeva benissimo che erano un mucchio di stronzate.

Passata l'ora di pranzo, il ragazzo, senza aver mangiato per non spendere soldi, si diresse sotto il sole limpido verso la periferia, sperando di avere più fortuna in uno dei tanti cantieri che circondavano la città. Ma sembrava proprio che l'entusiasmo che lo aveva pervaso quella stessa mattina fosse destinato a sparire. Pareva che nessuno avesse bisogno di un paio di braccia in più. Frank ne era stupito e si ritrovò a sentirsi anche un po' deluso. Dopotutto aveva un fisico forte e robusto, pensò.

Verso le 18 aveva praticamente perso tutte le speranze. Evidentemente ci sarebbe voluto molto più tempo del previsto per trovare un lavoro.

Stufo di camminare in giro, Frank girò sui tacchi per ritornare verso il centro città in cerca di un posto dove passare la notte. Mentre camminava a testa bassa respirando pesantemente l'aria fredda della sera, con la coda dell'occhio scorse uno degli ultimi capocantieri che lasciava il posto di lavoro. L'uomo vedendolo gli si rivolse bruscamente: "Hey, giovanotto!"

Ma Frank non si era reso conto che si riferiva a lui, visto che era tutto il giorno che veniva ignorato.

"Hey... dico a te!"

Solo in quel momento Frank alzò la testa rivolgendola verso lo sconosciuto.

"Dice a me?" Chiese.

"Si, si, a te. Ossatura pesante, braccia forti, corporatura robusta... Ragazzo, hai un fisico perfetto per lavorare in cantiere. Non è che per caso cerchi lavoro? Certo, il lavoro è impegnativo e la paga non è altissima, ma non è poi tanto male"

Per poco a Frank non cadde la mandibola, e dovette seriamente trattenersi dall'abbracciare quell'uomo che aveva appena dato una svolta decisiva alla sua giornata, e anzi, alla sua vita.

"Beh, in effetti era proprio quello che stavo cercando, per caso non mi sta prendendo in giro vero?"

"Prenderti in giro? Ragazzo, non farmi innervosire, è stata una giornata pesante e ho appena perso un operaio in modo orribile, quindi lo vuoi o non lo vuoi questo lavoro?" Affermò l'uomo visibilmente stanco e voglioso di tornare a casa.

"Si, si" balbettó Frank. "Certo che lo voglio!"

"Bene, bene... allora ci vediamo domani"

E senza nemmeno dargli il tempo di chiedergli a che ora dovesse presentarsi, l'uomo, che poteva essere sui quarantacinque anni, alto e col fisico ancora possente, sparì bel buio avvolto nel suo cappotto scuro.

Frank rimase lì, stupito ma felice. Certo, fare il muratore non era proprio quello che sognava, ma era un inizio. Sì, era un dannatissimo inizio.

Sollevato per la svolta che quell'uomo aveva dato alla sua giornata, riprese la sua marcia verso la città. Era tardi quando arrivò in una delle vie principali della città. Iniziò a guardarsi intorno in cerca di... in effetti non sapeva neanche lui cosa stesse cercando. Poi un' insegna attirò la sua attenzione. Diceva "una notte, due dollari". Be, pensò, era l'offerta migliore che potesse trovare in quel momento.

Entrò in quello che sembrava essere un miscuglio tra un motel squallido e un convitto per studenti, si diresse verso il bancone e vi si appoggiò incrociando le gambe e appoggiandosi con un braccio al legno scheggiato.

"Hem..." Si schiarì la voce nel tentativo di farsi notare da qualcuno. "C'è nessuno?" Chiese poi seccamente.

Un'anziana signora sbucò fuori dalla stanzetta dietro al bancone senza nemmeno sforzarsi di sorridergli.

"Hem, si, vorrei una camera... diciamo per questa notte. Ne avete una?" Chiese, dal momento che la donna non sembrava sul punto di rispondergli.

"Si, ne abbiamo una" disse lentamente e girandosi per afferrare una delle molte chiavi attaccate alla parete.

Evidentemente non avevano solamente una camera libera.

"Niente rumori fino alle sette di mattina, e di giorno non puoi stare qui. Alle dieci devi essere fuori. Poi puoi tornare dalle diciotto. Tutto chiaro? "

"Chiarissimo capo" scherzò Frank facendo una piroetta e afferrando le chiavi che pendevano dalla mano della padrona.

Si avviò verso le scale, salì per ben quattro piani prima di arrivare finalmente al pianerottolo giusto.

Stanza 418.

Girò la chiave nella toppa, che non dava segni di volersi aprire, e non riuscendo ad aprire quella stramaledetta porta cominciò prima a spingerla e poi a darci letteralmente delle spallate. Dopo circa cinque minuti di lotta, finalmente la porta cedette e Frank per poco non cadde a faccia in giù all'interno della stanza.

Un inizio fantastico, pensò.

Buttò la sua sacca mezza vuota nell'armadio sconquassato, deciso a pensarci il giorno dopo, e rimanendo solo in mutande si buttò sul materasso sfondato.

Frank era esausto e si addormentò quasi subito mentre ripensava alla sua giornata, decisamente troppo lunga.







Note.
Come precisato nella descrizione, questa storia non è mia ma di una scrittrice che pubblica su Wattpad sotto il nome di MCRmichi (se vi va passate a dare un'occhita al suo profilo), ma che non ha un account EFP. Mi sono quindi proposta di pubblicare la sua storia anche qui, e lei ne è stata entusiasta perciò... eccomi qua!
Se avete commenti, consigli, correzioni non esitate a scrivere! Io le riferirò tutto.
E se volete sapere come prosegue la strana storia per ora di Frank ma presto anche di Gerard non dovete far altro che aspettare il prossimo mercoledì... oppure andare a leggere su Wattpad perché lì la storia è già molto più avanti!
Detto questo... auguro a tutti buona scrittura, buona lettura e see u next week 
🍵☕️

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


                                                
 

CAPITOLO SECONDO
 
 

"Gerard vieni da tuo padre"

"Eccomi papà"

Il bambino saltò sulle ginocchia dell'uomo seduto sulla poltrona.

"Tu lo sai che lavoro fa il tuo papà, non è vero?"

"Sì, certamente. Lavora in un'importantissima banca, padre"

"Già, bravo il mio ragazzo. E lo sai che lavoro farai tu da grande?"

"Sì, seguirò le sue orme, e diventerò un grande banchiere come lei, padre" 

"Bravo figliolo. Ora và ad aiutare tua madre in cucina"

E il bambino ben ammaestrato saltò giù dalla poltrona e corse in cucina.

 

La mattina seguente Frank si svegliò prestissimo, agitato com'era per il nuovo lavoro. Saltò giù dal letto convinto di essere già in ritardo e si rese conto solo dopo aver aperto le persiane della piccola finestra che erano solo le sei del mattino. Comunque, pensò che non valeva la pena ritornare a dormire, e poi non sapeva neanche a che ora doveva presentarsi al lavoro, quindi sarebbe stato meglio arrivare in anticipo piuttosto che in ritardo.

Rivestitosi con abiti vecchi per non sciupare gli unici decenti che aveva, prese i soldi e consegnò la chiave della camera alla vecchia signora, ancora mezza addormentata. Non ci mise molto a ritrovare il cantiere, e quando arrivò non c'era ancora nessuno. Si sedette sul gradino del marciapiede al freddo, aspettando, e dopo circa mezz'ora finalmente arrivò l'uomo incontrato il giorno precedente.

"Ah, eccoti. Vedo che sei un tipo mattiniero. Io sono William Blake, puoi chiamarmi Signor Blake, oppure capo o come ti pare. Tu come ti chiami, ragazzo?"

Nonostante fosse presto, il Signor Blake sembrava già stanchissimo ma la sua doveva essere una stanchezza psicologica, non fisica.

"Frank, signore. Mi chiamo Frank Iero".

"Bene Frank, allora al mattino puoi venire alle otto come gli altri, dovrebbero arrivare a momenti. L'attrezzatura te la daranno loro"

"Bene signore. Però vede... io non ne so molto di cantieri e..."

"Beh, questo non mi stupisce Frank. Nessuno ne sa niente di cantieri quando viene qui per la prima volta. Si impara col tempo figliolo" lo interruppe il Signor Blake aprendo il lucchetto che teneva chiuso il grande cancello.

Quando arrivarono gli altri operai Frank si fece subito avanti, lui era un tipo piuttosto loquace e amichevole. 

"Oh, tu devi essere quello che sostituisce Bill. La sua roba è laggiù" gli disse senza tanti preamboli l'operaio più anziano, indicando il limitare dei ponteggi.

"Comunque mi chiamo Jack. E loro sono Mark, Tommy e Will" aggiunse poi, indicando uno ad uno i suoi compagni. 

"Io sono Frank" rispose, stringendo la mano a ognuno di loro e ripetendosi mentalmente i nomi dei suoi nuovi colleghi sforzandosi di ricordarli. Non era mai stato molto bravo con i nomi.

Frank si rese subito conto di quanto fosse duro il lavoro dell'operaio, ma imparò piuttosto in fretta. Certo, all'inizio si limitò a trasportare pesanti secchi, assi e altro materiale, ma col passare dei giorni cominciò a fare miscele e provò anche a inchiodare qualche asse. Coi suoi compagni fece amicizia velocemente e si rese subito conto che erano dei gran lavoratori, a cui non piaceva perdere troppo tempo in chiacchiere. 

Ogni sera Frank tornava nello squallido motel stanco morto, pensando di riuscire a mettere da parte abbastanza soldi da potersi affittare un monolocale in poco tempo.


 

Dunque Gerard, tu sai che noi siamo ricchi, non è vero?"

"Sì padre, e so anche che siamo ricchi grazie al suo duro lavoro" 

"Esatto. E noi cosa ne pensiamo dei poveri?"

"Che sono degli incapaci. E anche che sono pigri, perché non hanno avuto voglia di studiare e ora non fanno dei lavori belli, ma devono stare alla dipendenza di quelli che hanno lavorato duramente per arrivare nella loro posizione" 

"I peggiori di tutti sai chi sono, Gerard?"

"No padre, chi?" 

"Gli accattoni. I barboni. I senzatetto. Chiamali come vuoi. Sono la peggior specie. Se ne stanno seduti tutto il giorno per strada ad importunare le persone chiedendo loro soldi. E se non glieli dai sai cosa fanno? Ti aggrediscono e te li rubano. Sì, l'ho visto coi miei occhi una volta. E poi quando trovano dei soldi sai cosa ne fanno? Non li usano per migliorare la propria vita, no, no. Si comprano gli alcolici. E poi si ubriacano. Devi stare alla larga da loro. Non sono altro che omuncoli svogliati che non si danno la briga di trovarsi un lavoro"

 

A Frank non dispiaceva il suo lavoro. Certo, non guadagnava valanghe di soldi, ma riusciva a tirare avanti e a dare anche qualcosa alla sua famiglia.

Il signor Blake sembrava peggiorare di giorno in giorno, sembrava si stesse accartocciando. Era davvero sfinito, e più di una volta era successo che non si presentasse al mattino, e così Jack portava le chiavi al posto suo.

Frank non osava chiedere il motivo per cui il capo era messo così male, perché ogni volta che tentava di tirar fuori l'argomento, i suoi colleghi sembravano sviarlo. Un altro dubbio che lo tormentava fin dal primo momento in cui aveva incontrato il signor Blake era la fine che aveva fatto Bill, l'operaio che lui aveva sostituito, e che secondo il racconto del capo era 'morto in modo orribile'. Una tiepida mattina di primavera decise di chiedere a Tommy, che tra tutti era il più chiacchierone.

"Hei Tommy"

"Frank! Buongiorno, come va stamattina?"

"Non c'è male. Senti... è un bel po' che mi tengo dentro questo dubbio"

"Spara amico"

"Vedi, quando sono stato assunto il Signor Blake mi ha detto che aveva appena perso un operaio in modo orribile... si riferiva a Bill?"

"Già, poveraccio. Frank, devi sapere che gli affari di Blake da un po' di tempo non vanno molto bene, ma penso che tu ormai l'abbia intuito. Qualche mese fa, poco prima che arrivassi tu, abbiamo smesso di utilizzare alcune misure di sicurezza troppo costose, sai, per ridurre un po' le spese. Cose come caschi o impalcature particolari anticaduta sono state abolite dal capo, e all'inizio sembrava andare tutto bene. Ma purtroppo un giorno Bill è arrivato qui mezzo ubriaco, doveva ancora smaltire la sbornia del giorno prima. Noi abbiamo tentato in tutti i modi di impedirgli di salire sui ponteggi, ma lui non voleva rischiare di farsi beccare da Blake, quindi è salito. Ma è bastato un alito di vento, una scossa un po' più forte, che il povero Bill è caduto giù per dodici metri, dritto su un carico di assi. E splat! Si è sfracellato"

"Oh cazzo!" imprecó Frank. "È davvero orribile, mi dispiace"

"Già anche a noi, Bill era un buon amico"

La storia lasciò Frank molto scosso. Sapeva che era successo qualcosa, ma non si immaginava niente di simile.

 

"Gerard, oggi è il giorno dell'iscrizione all'università, sei pronto?"

"Certo padre, e in poco tempo sarò banchiere come lei" 

"Sicuro. Sarai laureato in pochi anni e poi, come sai, comincerai a lavorare con me"

 

"Le cose vanno male ragazzi" disse un giorno il signor Blake. "Per la storia di Bill... mi hanno fatto causa. Purtroppo siamo, anzi, sono in torto marcio. Io vi ho messi in pericolo e sembra proprio che ora ne debba rispondere. Non so se riuscirò a uscirne"

Tutti erano visibilmente preoccupati per questa faccenda. Se l'azienda del signor Blake avesse chiuso, si sarebbero ritrovati tutti disoccupati ed era proprio l'ultima cosa di cui Frank aveva bisogno.







Note.
Salve a tutti e scusate per il piccolo ritardo con cui aggiorno. Voglio comunque ringraziare chi ha deciso di proseguire nella lettura, e chi ha commentato il capitolo precedente: grazie di cuore.
Ricordo ancora che su Wattpad la storia è avanti, e aggiornata al capitolo 10!
A presto; buona scrittura, buona lettura e see u next week 
🍵☕️

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


                                                  
 

CAPITOLO TERZO
 
 

Gerard era pronto. L'abito nero da cerimonia era perfetto. I suoi capelli neri erano pettinati meticolosamente: più lunghi e ritti in alto, rasati sui fianchi e dietro la nuca. Ogni ciuffo era in una posizione studiata attentamente.

Diede un' ultima occhiata soddisfatta al suo riflesso nello specchio prima di scendere le grandi scale di marmo.

Suo padre, sua madre e suo fratello gli rivolsero un grande sorriso, poi presero i cappotti e tutti insieme si avviarono verso l'università, per partecipare alla cerimonia di laurea di Gerard.
 

Frank aveva due giorni di vacanza.

Esatto, dopo mesi di duro lavoro finalmente gli era stata concessa una piccola tregua, ma non era convinto del fatto che questa gli fosse stata data per generosità.

No, Frank sapeva che il capo era davvero in difficoltà, e forse aveva bisogno di un paio di giorni per risistemare le cose.

Non aveva grandi progetti per i due giorni di libertà: pensava di far visita ai suoi genitori, e magari di guardarsi in giro per trovare il famoso monolocale che da tempo aveva iniziato a desiderare molto ardentemente. Il motel in cui passava le notti cominciava a stancarlo, ormai era troppo stretto per lui.

Se avesse lavorato ancora un paio di mesi avrebbe potuto affittare qualcosa. Certo, avrebbe dovuto tirare la cinghia per un po', magari saltare qualche cena, ma avrebbe potuto farcela.

Decise quindi di recarsi subito dai suoi genitori. Per togliersi questo peso. Sì, perché quello di mandare loro soldi e di tener loro compagnia ogni tanto, Frank lo considerava un dovere.

Attraversò la città sotto un limpido sole primaverile e dopo un' oretta di cammino, finalmente arrivò davanti alla porta della sua vecchia casa. Più che altro era una baracca, pensò.

Bussò tre volte e aspettò.

Dopo circa due minuti si affacciò uno dei suoi cuginetti, il più piccolo, Charlie.

"Hei ciao Charlie! Come stai campione?" lo salutò subito Frank prendendolo in braccio.

"Quando torni a casa Frankie?"

"Io non vivo più qui, ora ho un lavoro tutto mio e cerco di inviarvi un po' di soldi per... " A Frank si strinse un po' il cuore alla domanda del bambino, e resosi conto di aver parlato troppo, cambio' discorso. "Come sta papà? "

"Non bene, vieni a vedere"

Frank seguì il piccolo dentro casa. Sua madre doveva essere al lavoro, perché in casa vi erano solo i suoi cuginetti e il padre malato a letto.

"Ormai dorme tutto il tempo. Non si sveglia mai. Solo qualche volta, e quando succede la mamma lo obbliga a mangiare, però lui non vuole" lo informò il bambino più grande, che aveva undici anni.

Fu in quel momento che Frank si rese conto di quanto fosse felice di essere andato via di casa. Non poteva davvero più sopportare quella situazione: sua madre che obbligava suo padre a mangiare negli unici istanti in cui era cosciente. Ormai era una specie di carcassa, lì buttato sul letto, magrissimo e sporco.

Si sentiva in colpa di essere felice per la sua nuova vita e anche un po' egoista, ma sentiva che era l'unico modo per fare davvero qualcosa della sua vita.

Incapace di rimanere lì più a lungo, diede un po' di soldi a ognuno dei suoi cugini e salutandoli si tirò dietro la porta.

Aveva bisogno di svagarsi in quei due giorni di libertà, doveva riprendersi dal duro lavoro dei mesi precedenti, e non aggiungere preoccupazioni alla sua testa già strapiena di problemi.

Si allontanò velocemente da quella specie di inferno e si rifugiò in un parco. Superò l'entrata, percorse il vialetto a testa bassa e si sedette su una panchina vuota.

Si sentiva triste. Frank Iero, l'esuberante ragazzino che era sempre stato allegro e scatenato, ora si sentiva completamente a terra.

Dannazione, aveva solamente 20 anni, si ritrovò a pensare, era giusto che avesse già tanti pensieri per la testa?

Mentre rifletteva scorse una panchina lontana dalla sua su cui erano seduti due ragazzi, forse della sua età, o forse un po' più grandi.

Nell'atmosfera semibuia del tardo pomeriggio, si stavano girando una canna. Pensò che dovevano averne di soldi per potersi comprare l'erba, eppure erano lì seduti come due straccioni.

Rimase lì a fissarli per un po' mentre si dividevano lo spinello, poi quando fu completamente buio ritornò verso il cancello e si diresse nuovamente verso il motel.

Il giorno seguente Frank lo passò girando per il centro in cerca di un monolocale da affittare, ma ben presto si rese conto che i prezzi erano troppo elevati, e che avrebbe dovuto lavorare ancora un bel po' prima di potersene permettere uno.

Quando, alle otto del giorno seguente, arrivò davanti al cantiere vide con stupore che non c'era nessuno.

Sì, forse era leggermente in ritardo, solitamente arrivava dieci minuti prima, ma non era mai successo che anche gli altri arrivassero tardi.

Si guardò un po' intorno, provò a spingere il cancello e vide che era socchiuso. Probabilmente erano già tutti dentro. Camminò sulla ghiaia con i suoi anfibi neri fino a svoltare l'angolo, quando vide un gruppetto di persone che discuteva animatamente.

Si avvicinò velocemente e si accorse che il signor Blake, il suo capo, stava parlando ai suoi colleghi. Non fece in tempo ad arrivare che lui prese a venirgli incontro.

"Mi dispiace Frank. Mi dispiace molto. Arrivederci, forse" e detto questo, senza dire nient'altro, gli mise in mano una busta, prese le sue cose e abbandonò il cantiere.

Frank non capiva cosa stesse succedendo così raggiunse gli altri, che sembravano essere tra lo sconvolto e il disperato.

"Siamo a piedi Frank! A piedi! E io come lo darò da mangiare ai miei bambini?" disse Tommy, davvero scosso.

"Non può farci questo, non può proprio. Io ho bisogno di questo lavoro! Cazzo, non ci voleva!"

"E tutta colpa della famiglia di Billie! Se non avessero fatto causa a Blake ora noi saremmo sui ponteggi a lavorare!"

"Okay adesso basta ragazzi!" intervenne Jack interrompendo il fiume di lamentele che sfociava dalle bocche degli altri.

"È meglio se ce ne torniamo a casa per oggi, o forse sarebbe meglio metterci subito a cercare un altro lavoro. Voi vi lamentate tanto ma pensate a me. Ma vi immaginate? Chi volete che assuma un vecchio che non ha fatto nient'altro se non il muratore per tutta la sua vita?"

E detto questo si dispersero: ognuno prese una strada diversa, diretti chissà dove.

Frank rimase lì impalato.

Probabilmente il suo cervello doveva ancora elaborare le informazioni che gli erano state fornite negli ultimi dieci minuti. Restò lì in piedi da solo per un po'. Poi, obbedendo alle sue gambe come se fosse stata un'azione automatica e non decisa da Frank, cominciò a muoversi camminando verso il motel.

La sua mente non riusciva a focalizzarsi su un pensiero preciso e continuava a ripercorrere la conversione appena avuta con i colleghi. Anzi, con gli ex colleghi.

Tutto ciò che sapeva era che non aveva più un lavoro, e si ritrovava esattamente nella stessa situazione di qualche mese prima. Anzi, a questo punto era messo anche peggio. Non aveva nessuna possibilità di trovarsi un' altra occupazione, considerando la fatica fatta per trovare il posto da muratore.

Immerso in questi pensieri, Frank arrivò al motel. Fu solo quando dovette usare le mani per aprire la porta dell'edificio che si ricordò della busta che poco prima gli era stata consegnata da Blake.

Tornato in camera dopo aver ricevuto uno sguardo bieco dalla vecchia signora, che sembrava volergli dire 'ricordati che tra poco devi essere fuori di qui' si buttò sul letto e aprì la busta. Dentro vi trovò la sua ultima paga, i soldi che aveva guadagnato nelle ultime due settimane. Frank contò il denaro e si accorse che la cifra era superiore a quella che gli spettava. Ne dedusse che Blake gli aveva pagato anche tutti quegli straordinari che aveva fatto, ma per i quali aveva smesso di sperare di ricevere un compenso.

Ora Frank era davvero nella merda. Senza lavoro, senza casa, e quasi senza soldi. I pochi risparmi che era riuscito a mettere da parte potevano bastare al massimo per tirare avanti un paio di mesi. E per di più si trovava in un periodo dell'anno davvero pessimo per cercare un posto. Nessuno in primavera aveva bisogno di nuovo personale, erano tutti proiettati verso l'estate e le vacanze, e lui non poteva permettersi di aspettare settembre o ottobre per ricominciare a guadagnare.

E come se non bastasse, era ormai da mesi che non aveva dei veri amici o anche qualcosa che assomigliasse vagamente ad una fidanzata, e si sentiva estremamente solo.






Note.
Ciao a tutti e grazie di essere arrivati fin quaggiù. Questo capitolo è piuttosto corto, MA la vera azione non tarderà ad arrivare, anzi, quindi rimanete connessi! Ringrazio come sempre tutti e, alla prossima settimana! Ricordo ancora che su Wattpad la storia è più avanti rispetto a qui, per chi volesse un po’ di “spoiler” ;)
A presto; buona scrittura, buona lettura e see u next week 
🍵☕️

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


                                                       
 

CAPITOLO QUARTO
 
 
 

Gerard era sempre stato soddisfatto della sua vita. Aveva sempre avuto successo in tutto quello che faceva. Gli studi erano andati alla grande, si era laureato in cinque anni esatti.

La sua vita sentimentale era sempre stata piena: aveva avuto almeno un centinaio di ragazze da quando aveva iniziato il college. Ma nessuna storia era stata seria. Gerard ci provava, ci provava davvero, ma non riusciva a far funzionare una relazione per più tempo di un paio di mesi. Ma questo non lo preoccupava, anzi non ci aveva neanche mai pensato, non gli poteva importare un bel niente. Tutto quello che voleva era sfogarsi ogni tanto, e a lui bastava entrare in un bar, appoggiarsi al bancone con un gomito, incrociare lo sguardo di una bella ragazza, e quella nel giro di un paio d'ore era stata catturata.

Tutto merito del suo bell'aspetto.

Gerard aveva un fisico perfetto: non troppo magro, non robusto, era semplicemente perfetto. Il suo viso aveva dei lineamenti molto fini, quasi femminili, non aveva barba, perché ogni mattina se la rasava meticolosamente: non voleva avere l' aspetto di un uomo adulto, aveva solo 25 anni. I suoi capelli, neri, gli piacevano piuttosto corti, anche se in alto erano più lunghi e ritti in alto.

In realtà la storia delle molteplici ragazze che aveva avuto, era stata più che altro un'idea di suo padre. A lui non interessava molto uscire con qualcuno, ma se suo padre credeva che dovesse farlo, probabilmente aveva le sue buone ragioni e Gerard era convinto che suo padre non sbagliasse mai.

Quella mattina, una tiepida mattina di primavera, Gerard si vestì molto elegante. Indossava un abito blu scuro, cravatta nera e in mano teneva una valigetta in pelle. Quello sarebbe stato il suo primo giorno di lavoro, e doveva essere un successo. Non voleva deludere suo padre.

Non ci volevano più di venti minuti per raggiungere a piedi la banca di suo padre. Era un grande edificio grigio con un' enorme insegna lampeggiante in cima. Gerard era entrato più volte in quel palazzo quando era più piccolo, a suo padre piaceva fare sfoggio del suo più grande successo.

Usciti di casa, un'enorme villa a tre piani, padre e figlio attraversarono un viale alberato, la piazza principale, arrivarono nella via maestra della città, svoltarono l'angolo e si ritrovarono proprio di fronte al grande edificio.

"Buongiorno Signor Way"

"Salve Signor Way"

"Signor Way! È suo figlio questo?"

Mille persone li salutarono quando furono dentro e Gerard si ritrovò costretto a stringere una miriade di mani prima di riuscire a farsi spazio e raggiungere insieme a suo padre il suo nuovo ufficio.

"Eccoci qui figliolo" disse suo padre aprendo una porta al quarto piano.

"Non è grandissimo, ma è l'ufficio migliore, dopo il mio naturalmente"

Gerard entrò nella stanza. Il muro esterno non esisteva, perché al suo posto vi era un enorme vetrata che occupava tutta la parete. Da lì si poteva vedere tutta la città. Davanti alla 'finestra' c'era poi una scrivania antica, in mogano, con un'elegante poltrona che aveva l'aria di essere molto comoda. Dall'altra parte, di fianco alla porta e oltre il tappeto, vi era una grande libreria con affianco un armadio.

"Bene Gerard, io ti lascio al tuo lavoro. Ti ho già spiegato quali sono i primi passi che deve fare un manager il suo primo giorno. Ti auguro una buona giornata, se dovessi avere bisogno, sai dove trovarmi" e con questo richiuse la porta dietro di sé, lasciandolo solo.

Veramente non ricordava dove si trovasse l'ufficio di suo padre. Quell' edificio più che una banca sembrava un labirinto.

Il suo primo incarico era quello di dirigere la sezione 'sportelli'. Non era un gran posto, ma era solo all'inizio.

Suo padre gli aveva detto che per prima cosa, un manager doveva andare a conoscere i propri dipendenti se voleva diventare un vero leader. Ma Gerard non si sentiva un leader, lui era un tipo piuttosto insicuro e riservato, nonostante l'influenza esuberante e un po' arrogante di suo padre. Ma lui non era così, anche se aveva sempre finto di esserlo per ottenere approvazione dalla famiglia.

Dopo aver posato le sue cose, Gerard si mise le mani in tasca e cominciò a scrutare fuori dalla vetrata. Era proprio un grande spettacolo. Da lì poteva vedere anche casa sua.

Il resto della giornata fu occupata dal conoscere i suoi dipendenti, uomini e donne che stavano seduti agli sportelli e che passavano le loro giornate a risolvere i problemi degli altri. Le conversazioni furono tutte piuttosto banali, come "Buongiorno Signor Barnaby, io sono il Signor Way, il suo nuovo capo. Spero di essere all'altezza del mio predecessore. Se le facesse piacere, questo pomeriggio alle 18, al termine dell'orario lavorativo, farò una piccola riunione del personale per stabilire alcuni nuovi punti".

Gerard si era praticamente studiato a memoria questo discorso, e fu più difficile del previsto fare colpo sugli impiegati. Sembravano tutti un po' alienati e per nulla interessati al suo invito alla riunione. In effetti Gerard ci rimase un po' male, pensava che sarebbe stato accolto con maggior entusiasmo.

Alle 18 calò lo scenario che Gerard si era immaginato per tutto il giorno. Nel suo ufficio non si presentò nessuno a quell'ora, e nemmeno alle 18,15 o alle 18,30. Continuava a camminare su e giù per la stanza a testa bassa, continuando a guardare il suo orologio da taschino e mettendo la testa fuori dalla porta per vedere se stava arrivando qualcuno. Ma niente. Non si presentò proprio nessuno.

Alle 19 Gerard decise di lasciar perdere, ormai era evidente che non sarebbe venuto nessuno. Uscì dal suo ufficio e si incamminó verso l'ascensore.

Cosa diavolo aveva sbagliato? pensò guardando il suo riflesso nello specchio dell'ascensore. Lui era stato gentile e amichevole con i nuovi colleghi, ma loro non avevano ricambiato questo atteggiamento e lui non riusciva a capirne il motivo.

"SE LE FACESSE PIACERE?!" Strilló suo padre quando Gerard gli raccontò l'accaduto. "Tu sei il loro capo, non devi chiedere le cose, tu devi ordinarle!"

Il ragazzo rimase zitto fino a casa, mentre suo padre continuava a ripetergli quanto fosse stato stupido e che ora aveva perso la sua opportunità di essere rispettato. Ma lui non lo stava più ascoltando, sapeva da solo che aveva commesso un errore e non aveva bisogno della ramanzina.

Arrivati a casa, Gerard sparí in camera sua, per poi scendere nuovamente qualche minuto dopo pronto per una serata al bar. Da solo.

Prese le chiavi e salutando distrattamente sua madre, andò a rifugiarsi nel bar più lontano da casa sua. Per arrivarci dovette attraversare gran parte della città a piedi, ma non gli pesó: aveva bisogno di riflettere.

Arrivó in una zona un po' periferica e si infilò in un bar dal nome bizzarro: "Mangiate, parlate, però pagate" probabilmente voleva essere un richiamo a tutti quelli che, come lui quella sera, entravano per ubriacarsi e poi erano troppo andati per ricordarsi di pagare.

Quando aprì la porta, si rese subito conto che era un locale davvero di basso rango, ma in quel momento non gli importava proprio. Si avvicinò al bancone e si sedette su uno sgabello. Il bar era ancora semivuoto, d'altronde erano solo le 21, ad eccezione di due brutti ceffi seduti in un angolo buio, e di un tizio anche lui seduto al bancone che sembrava davvero a terra.

Gerard non era in vena di chiacchiere, quindi si mise il più lontano possibile da quell'uomo, anzi a guardarlo meglio sembrava un ragazzino.

"Un whiskey doppio per me" ordinò alla barista con sguardo eloquente.

Cominciò a bere, e bevette, bevette fino a quando non si ricordò più nemmeno come si chiamava.

"Hei amico!" Sentì una voce che pareva molto lontana. "Sembri quasi messo peggio di me. Ma cosa parlo a fare, anche io sono ubriaco" disse quel ragazzo dall'altra parte del bancone.

Parlava a testa bassa, con un sorriso un po' ebete sul volto. Gerard lo ignoró, ma il ragazzo se ne accorse e alzandosi lentamente dallo sgabello, si avvicinò a lui barcollando. Gli si sedette affianco, ma non sembrava voler parlare, forse voleva solo un po' di compagnia. Così Gerard pensò, se si può dire 'pensò' nelle sue condizioni, di provare ad allontanarlo con le buone.

"Senti ragazzo..." cominciò

"Ragazzo a chi? Non fare l'arrogante con me! Quanti anni hai, 12?" E dicendo così, lo sconosciuto gli mise un braccio attorno alle spalle guardandolo col suo solito sorriso ebete.

"Senti" disse Gerard prendendo il braccio e togliendoselo di dosso. "È stata davvero una giornataccia, in banca ho organizzato una riunione e nessuno si è presentato, e poi mio padre..." questo era l'alcool che parlava e non Gerard, che di sicuro non si sarebbe mai messo a parlare con uno sconosciuto, oltretutto di quel quartiere, del suo lavoro o di suo padre

"Hei hei hei hei! Non provare a vomitarmi addosso i tuoi problemi da ricco. Hai capito stronzetto?"

"Ricco? E come diavolo lo puoi dire?"

"Ma hai visto come sei vestito? Quel completo sarà costato minimo come tre delle mie paghe mensili. Ah no aspetta, io un lavoro non ce l'ho più!" E dicendo così il ragazzo scoppiò a ridere.

Gerard cominciava a pensare che quel tipo fosse completamente pazzo.

"Ho già i miei problemi, senza andare a pensare a quelli di uno stronzo ricco come te" e detto questo lo sconosciuto versò il contenuto del suo bicchiere sul vestito di Gerard.

Lì per lì rimase a guardarsi la cravatta sporca con un sopracciglio alzato, mentre l'altro cercava di trattenere le risate senza molto successo, poi di scatto sferrò un pugno dritto in faccia allo sconosciuto, che per poco non perse l'equilibrio.

Ma Gerard non aveva tenuto in conto che l'altro avrebbe potuto reagire.

Il ragazzo si scosse un po' e rispose tirandogli una ginocchiata nel punto più debole per un uomo. Gerard rimase senza fiato per dieci secondi, poi afferrò il bicchiere più vicino a lui e cercò di spaccarglielo in testa.

Ma, un po' per l'alcool che aveva in circolo e un po' per la ginocchiata ricevuta, gli colpì il braccio sinistro invece che la faccia.

Il bicchiere andò in mille pezzi, e il sangue cominciò a sgorgare abbondantemente dal braccio del ragazzo. Una grossa scheggia di vetro gli aveva aperto un grosso squarcio dalla piega del gomito fino al dorso della mano.

Il ragazzo rimase lì a fissarsi la ferita per qualche istante e lo stesso fece Gerard. Ma questo, resosi conto dell'accaduto, tirò velocemente fuori dalla tasca il portafoglio, ne estrasse una banconota che appoggiò sul bancone e, dando un ultima occhiata dispiaciuta al ragazzo, attraversó a grandi passi il locale e ne uscì.

Dannazione, non aveva mai fatto a botte con nessuno prima d'ora, e si sentiva proprio un vigliacco ad aver ferito così un ragazzo e ad averlo lasciato lì sanguinante.

Mentre pensava queste cose, si diresse velocemente verso casa nell'aria fresca della notte.






Note.
Mi devo scusare con voi tutti, perchè sembravo sparita. A mia discolpa posso dire che non è stata colpa mia, ma del sito o di internet o del mio pc, che non mi permetteva di caricare il capitolo e mi bloccava nella pubblicazione.
Scusatemi davvero, spero che tutto continui a funzionare ora che sembra andare.
In ogni caso, finalmente nella storia è avvenuto questo fantomatico primo incontro!
Si, okay, forse e dico forse non è stato esattamente l'incontro più idilliaco della storia e, forse e dico forse Gerard e Frank sembrano detestarsi giusto un po'.
Ma la storia è ancora lunga e chi sa cosa accadrà!
Oh beh, qualcuno effettivamente lo sa dato che su Wattpad la storia è più avanti rispetto a qui, per chi volesse un po’ di “spoiler” ;)
Anyway buona scrittura, buona lettura e see u next week (questa volta spero per davvero) 
🍵☕️

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


                                            
 
CAPITOLO QUINTO
 

 

"Cazzo!" fu la prima cosa che disse Frank guardando la ferita da cui continuava a sgorgare sangue.

"Ma che diavolo è successo qui?! Non posso girarmi un attimo che qualcuno combina un casino" La barista sembrava davvero arrabbiata. "Ma come cazzo hai fatto a farti quel taglio da solo? Sei proprio un idiota, lasciatelo dire ragazzino" sbraitó quella, lanciandogli sgarbatamente uno strofinaccio da cucina in cui avvolgere il braccio.

"Sei proprio un idiota, lasciatelo dire ragazzino" le fece il verso Frank imitando la faccia della donna, appena quella si fu voltata. Non riusciva proprio a capire perché tutti continuassero a chiamarlo 'ragazzo' o 'ragazzino' quel giorno.

"Non me lo sono fatto da solo, pezzo di idiota" le rispose Frank quando quella si mise a fissarlo. "Non sono mica il tipo di coglione che stringe il bicchiere così tanto da romperselo in mano, sai? È stato quel tizio seduto qui a rompermi il tuo prezioso bicchiere addosso" disse Frank, indicando il posto a sedere accanto al suo.

"Il bel ragazzo in giacca e cravatta?"

"Sì sì, proprio lui, esattissimamente" annuì Frank. Era ancora visibilmente ubriaco, il che era avvalorato anche dal fatto che non riusciva a togliersi quel sorrisetto dalla faccia.

"Certo, certo. Vattene a casa ok? Penso che per stasera tu abbia bevuto abbastanza" La donna sembrava molto seria, perché rimase lì a fissarlo con le sopracciglia alzate fino a quando Frank non si alzò dallo sgabello. Fissandola negli occhi, tirò fuori qualche moneta dalla tasca, le buttò sul bancone, e tenendosi il braccio stretto nel panno, uscì dal locale.

L'aria fresca della notte ebbe un effetto rigenerante su Frank, che riuscì a riacquistare un po' di lucidità. Il sangue continuava a uscire, rosso e caldo, colava sul braccio e inzuppava tutto il cappotto.

Doveva assolutamente riuscire a bloccare l'emorragia, o si sarebbe dissanguato, dannazione! Strinse lo straccio più forte che poté intorno al braccio, vi fece un nodo e si incamminó velocemente verso il motel.

Arrivato a metà strada, si rese conto che il sangue non avrebbe smesso di uscire, la ferita era troppo profonda per rimarginarsi autonomamente. Si guardò intorno in cerca di un ospedale, e avvistata una insegna, cominciò a seguire le indicazioni fino ad arrivare davanti a un edificio piuttosto grande. Esitò un po', ma poi si decise ad entrare.

"Scusi, scusi ho bisogno di aiuto"

L'infermiera all'entrata sembrava sul punto di addormentarsi.

"Qual è la sua emergenza signore? " gli chiese sbadigliando.

"Qual è la mia emergenza?! Eccola la mia emergenza!" Frank, che si era spazientito per l'atteggiamento non curante della donna, le appoggiò il braccio grondante proprio davanti, imbrattando volutamente tutto quello che riusciva. L'infermiera per poco non fece un balzo dalla sedia, e si mise a strillare: "Dottor Sandrez! Dottor Sandrez!"

Nel giro di pochi secondi il dottore arrivò di corsa. Vedendo il braccio che Frank continuava a sventolare, lo prese per la giacca e lo trascinò in un'altra sala.

"Si stenda qui, prego" gli ordinò l'uomo indicando una sorta di barella. Frank si sdraiò sul lettino e appoggiò il braccio al tavolino che il dottore gli aveva avvicinato. "Non sarà piacevole" lo avvertì.

Dopo aver pulito e disinfettato la ferita, Sandrez cominciò a cucirla. Mentre era lì steso sul letto, Frank cominciò a ripensare all'accaduto delle ultime ore. Aveva appena saputo che l'azienda in cui lavorava aveva chiuso, e aveva quindi deciso di andare in un bar per cercare di dimenticare per qualche ora tutti i suoi problemi.

Un paio di giorni, tzé! Frank si sentiva molto stupido e anche un po' ingenuo per aver pensato che al capo sarebbero bastati due giorni per rimettere a posto la storia del processo.

Era andato in quel bar per svagarsi, e invece ci aveva trovato lo stronzo violento di turno. Fece mente locale su ciò che era accaduto, ma i suoi ricordi erano annebbiati a causa dell'alcool. Però riuscì a ricordare che non solo era stato lui a cominciare versando la sua vodka sulla giacca di quel riccone, ma che era stato lui ad avvicinarsi al ragazzo, attirato da quel bel visino. Evidentemente i suoi pensieri stavamo degenerando, perché, di ritorno dal mondo dei sogni, fece un sobbalzo che gli costò una sgridata da parte del dottore, che gli aveva piantato erroneamente l'ago nel braccio.

Ci vollero quasi mezz'ora e circa venti punti di sutura.

"Non voglio sapere come o dove si sia fatto questa ferita, ma ha fatto bene a venire qui, era troppo profonda per guarire da sola. Venti punti sono tanti signore, dovrà tornare qui tra un paio di settimane per farseli togliere"

Frank annuì, e lasciò che il dottore gli fasciasse il braccio molto stretto, poi si alzò, riprese il suo cappotto e fece per uscire, dopo aver ringraziato il medico.

"Signor Iero, aspetti" lo rincorse lui. "Lei non possiede una assicurazione non è vero?"

"Un' assicurazione signore? No, non ne ho una" Frank si sentiva disorientato: non aveva mai capito bene come funzionassero queste cose. 
"Allora temo che lei debba pagarmi in contanti, se non le dispiace"

Frank sentiva che le gambe non lo avrebbero retto ancora a lungo. Non sarebbe mai andato in ospedale se avesse saputo che avrebbe speso tanti soldi per quel dannato taglio.

Non avendo altre possibilità, si infilò una mano in tasca e ne estrasse alcune monete.

"Questi dovrebbero bastare" Affermò il dottore prendendone alcune dalla mano di Frank. Poi si girò e sparí dietro una tenda.

Si rimise in tasca quel poco che gli era rimasto e tornò al motel.

Poteva anche scordarselo il caro dottor Sandrez di rivederlo tra due settimane, pensò Frank lungo il tragitto. Se tornare in ospedale avesse significato spendere altrettanti soldi, se li sarebbe tolti a morsi quei dannati punti.

Arrivato, stanco morto per la giornata lunga e terribile, quella sera si addormentò subito, e dormì profondamente e fino a tardi. Una dormita così riposante non l'avrebbe più fatta per molto, molto tempo.

Il giorno seguente, Frank decise di contare i soldi che gli rimanevano, così si svuotò le tasche dei pantaloni, le tasche del capotto e rovesciò sul tavolo anche il contenuto del portamonete. Quello che vide non gli piacque affatto. Non pensava di aver speso tanti soldi, ma probabilmente il giorno prima era troppo ubriaco per rendersi conto di tutti i soldi che aveva speso tra bicchierini di vari alcolici e prestazioni ospedaliere.

Tutto ciò che gli rimaneva erano pochi spiccioli, bastanti giusto per un' altra nottata al motel e un paio di pasti. Aveva ancora il contenuto della busta paga ricevuta qualche giorno prima dal signor Blake, ma quella gli serviva per saldare il debito che aveva con la padrona di casa, alla quale doveva ancora pagare l'ultimo mese di pernottamento in quel lurido posto.

Ora non sapeva proprio cosa fare. Mentre si disperava, sentì tre colpi alla porta.

"Lo so che sei ancora lì dentro, Iero! Lo sai che devi andartene a quest'ora, e oltretutto mi devi pagare ancora l'ultimo mese! Muoviti! Mi hai sentita?!"

Frank sapeva che avrebbe continuato a urlare e bussare fino a quando non fosse andato ad aprire, così si arrese, e aprì una fessura.

"Buongiorno a lei Signora" le sfoderò un grande sorriso, nel tentativo di riuscire a strapparle ancora qualche giorno prima di dover pagare tutto: voleva almeno tentare di trovarsi un nuovo lavoro.

"Me ne stavo proprio andando, non vede che sono già tutto vestito?"

In realtà Frank era ancora in mutande, ma la donna poteva vedere solo la sua faccia.

"Allora muoviti, esci di lì e consegnami quelle cavolo di chiavi!" 
Gli urlò lei, spingendogli la porta sul naso.

Massaggiandosi il naso dolorante, Frank si vestì, prese tutti i suoi soldi per evitare che la stanza venisse derubata in sua assenza, e uscì dal quel postaccio.

Si rese subito conto che questa volta non sarebbe stato fortunato come qualche mese prima, nessuno sarebbe uscito da un cancello offrendogli un lavoro, e tanto meno nessuno lo avrebbero assunto se avesse continuato ad insistere come aveva tentato di fare un paio di volte, quando tutto quello che aveva ottenuto era stata una minaccia di arresto.

Per qualche giorno andò avanti così, passando ore e ore in cerca di qualcuno che lo volesse assumere, ma dopo circa una settimana i suoi spiccioli erano definitivamente terminati e tutto ciò che gli rimaneva era il contenuto della busta, che alla fine si dovette convincere a consegnare alla grassa donna.

"Ecco a lei capo" disse col solito tono scherzoso Frank. "Tutto ciò che le devo è qui dentro" affermò allungandole la busta oltre il bancone.

La donna la aprì, lanciandogli di tanto in tanto uno sguardo sospettoso. Contó i soldi, e quando fu convinta che c'erano davvero tutti, gli disse "Bene Iero, ora puoi andare" senza sapere che quello sarebbe stato un addio e non un arrivederci.

Frank raccolse da terra la sua sacca, se la mise sulla spalla, e con il braccio ancora fasciato, si avviò verso la porta, senza avere la minima idea di dove andare.








Note.
Dico solo: sorry.
Ma, avrete più capitoli questa settimana.
A molto presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


                                        
 
CAPITOLO SESTO
 

 

Da quando era tornato a casa dal bar quella sera della settimana precedente, Gerard non aveva mai smesso di pensare a quello che era successo. Aveva ferito un ragazzo e tutto per una stupida cravatta macchiata, e lo aveva lasciato lì sanguinante. La ferita che gli aveva procurato sembrava davvero grave, e ora non aveva la minima idea di come, o se, la situazione si fosse risolta.

Magari il taglio si era infettato, magari si era dissanguato, magari non era arrivato in tempo all'ospedale, magari gli aveva reciso una vena, magari era morto per mano sua, magari lui lo aveva davvero ucciso... ogni qualvolta si metteva a pensare a quel ragazzo, i suoi pensieri degeneravano e la sua fantasia gli faceva immaginare scenari sanguinosi e sempre più assurdi. Sembrava proprio che la sua coscienza non potesse andare oltre all'incidente, e il suo senso di colpa non voleva proprio lasciarlo in pace.

Gerard era una persona buona e generosa, era un tipo pacifico e tranquillo, e non uno "stronzo ricco" , come lo aveva definito lo sconosciuto. Quello semmai era suo padre, si ritrovò a pensare Gerard un giorno, ma quando si rese conto di quello che aveva appena pensato si obbligò a scacciare via quei fastidiosi pensieri.

Nonostante fosse stato tormentato dal senso di colpa per tutto il tempo, aveva continuato a lavorare in banca. Le cose si poteva dire che andassero normalmente, non benissimo, non male. Suo padre non sembrava molto soddisfatto del lavoro di Gerard, pensava che avesse perso la sua unica opportunità di essere considerato un leader con l'errore del primo giorno. Spesso lo guardava con un'aria un po' delusa e Gerard proprio non lo poteva sopportare, l'ultima cosa che voleva era deludere suo padre.

"Gerard, che cosa ti prende? Da quando hai cominciato a lavorare non mi sembra che tu sia molto determinato. Per caso qualcosa ti preoccupa? Certo al lavoro non stai andando benissimo, è vero, ma hai tutta una carriera al mio fianco davanti" gli disse un giorno il padre.

Grazie tante per l'incoraggiamento, pensò Gerard guardandosi le scarpe.

"No papà, è tutto a posto. Vedrai che riuscirò a migliorare" gli rispose un po' in imbarazzo per il discorso del padre.

Il Signor Way era sempre riuscito a tenere in pugno suo figlio. Era un grande manipolatore e riusciva a convincere sempre tutti con la sua parlantina. Tutti tranne suo figlio più piccolo, Michael. Lui non si faceva manipolare e non aveva mai creduto a tutte le stupidaggini che il padre aveva sempre cercato di inculcare nella testa dei suoi figli. Il fatto non era che Michael fosse psicologicamente più forte di Gerard, il punto era che a lui non importava un bel niente di deludere le stupide aspettative di suo padre, mentre Gerard, anche a causa del comportamento ribelle che aveva assunto già suo fratello, si sentiva quasi in dovere di fare la parte del figlio buono e perfetto. Col tempo era riuscito quasi ad abituarsi al suo ruolo.

Dopo giorni passati a rimuginare, Gerard decise di parlare con suo fratello Michael, o come lo chiamava lui, Mikey. Forse lui avrebbe saputo dargli un consiglio su come uscire da quella situazione.

"Hei Mikey" cominciò Gerard.
Il fratello alzò la testa dal libro che stava leggendo seduto sulla poltrona del salotto. "Se... diciamo 'tu'... facessi a botte con qualcuno..."

"Mh. Continua G" Così era solito chiamarlo Mikey, fin da quando erano bambini. Inclinò un po' la testa da un lato e con la mano gli fece nell'aria cenno di continuare.

"E lo ferissi. Non mortalmente, almeno credo... be, insomma, cosa faresti?"

"Se l'ho preso a botte probabilmente se lo è meritato. Quindi direi che, a meno che io non gli abbia reciso la carotide, lo lascerei lì. E me ne andrei nel modo più teatrale possibile!" Esclamò poi appoggiando le gambe sul tavolino e incrociando le braccia dietro la testa.

"Mh, sì, probabilmente hai ragione tu" Gerard rimase lì in piedi, appoggiandosi a braccia conserte al caminetto. Mikey vide che Gerard era ancora perplesso, quindi si alzò dalla poltrona e gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla.

"Che hai combinato fratellino?" Chiese, guardandolo da sotto in su.

"L'altra sera..." cominciò, e Gerard spiegò la storia del primo giorno di lavoro andato male e della serata al bar. "Così quel ragazzo mi ha rovesciato il contenuto del suo bicchiere addosso, io ero ubriaco e gli ho tirato un pugno, poi lui ha risposto, e alla fine gli ho spaccato il bicchiere sul braccio. Una grossa scheggia l'ha ferito dal gomito fino alla mano, ed è iniziato a uscire davvero troppo sangue, ma io me ne sono andato senza dire o fare niente"

"Mh, sì" disse Mikey, che non sembrava affatto preoccupato. "Stai tranquillo G. Le ferite alle braccia non ti uccidono" e rise di fronte all'espressione dubbiosa del fratello.

"Avanti! E poi sei andato in un bar in periferia! La gente che frequenta quei posti non è così facilmente impressionabile come pensi! Sono tutti tipi tosti che fanno a botte un giorno sì e l'altro pure, G!"

Sì, forse suo fratello aveva ragione. Gerard si sentì un po' più tranquillo.

"Hei, ma era la prima volta che ti ubriacavi?" Gli chiese Mikey con un sopracciglio alzato e un sorriso sghembo sul volto.

"No, direi proprio di no Mikey!" Gerard sembrava leggermente offeso.
"Solo perché tu ti ubriachi ogni settimana, questo non significa che io non mi sia mai fatto qualche bicchiere di troppo!" Entrambi scoppiarono a ridere. "Sai quante volte papà mi ha portato in un bar e mi ha obbligato a bere fino a vomitare? Per 'rafforzarmi', così dice lui. Oppure quante volte mi ha portato in locali eleganti per allenare il 'mio ego', per esercitarmi a far colpo sulle donne?" Entrambi smisero all'istante di ridere.

"Hei G. Con me non le ha mai fatte queste cose, perché..."

"Perché tu sei sempre stato il ribelle della famiglia, Mikey" lo interruppe Gerard. "E non sai quanto ti invidio a volte. Qualche volta vorrei essere come te, vorrei riuscire a fregarmene di quello che pensa papà. Vorrei riuscire a dirgli di no qualche volta, di imporre la mia volontà sulla sua. Ma ogni volta tutti i miei buoni propositi si dissolvono quando mi ritrovo davanti a lui".

Il sorriso sulle labbra di Mikey sparí. Poi sembrò riflettere un momento, prima di rispondere al fratello, con un tono che sembrava leggermente arrabbiato.

"Senti, tu puoi fare quello che vuoi della tua vita, capito? Se non vuoi fare il banchiere, allora vattene dall'azienda di nostro padre! Se non vuoi avere una ragazza, allora non andare in quei dannati bar! Se non vuoi bere fino a vomitare, non farlo! Sei tu il padrone della tua vita, non papà. Ora hai terminato l'università, hai una laurea. Tutto quello che papà poteva pretendere da te, lo ha già ottenuto. Ora è arrivato il momento di fare quello che vuoi Gerard, quello che sogni." Queste affermazioni furono seguite da alcuni attimi di silenzio. "Riflettici ok?" Concluse Mikey e con questo si lanciò con un salto sulla poltrona riprendendo a leggere il suo libro.

Sembrava che suo fratello avesse sempre la risposta a ogni problema. Tirava fuori argomentazioni sensate, e ogni volta non si poteva fare altro se non dargli ragione. Era come se tutta la saggezza di cui un uomo poteva aver bisogno fosse già racchiusa dentro di lui, un ragazzino di 22 anni. E infatti la maggior parte delle volte andava così: era Gerard ad avere bisogno di un consiglio da parte di Mikey, anche se era capitato anche il contrario. Come quella volta che, alla tenera età di 16 anni, Mikey gli aveva chiesto di insegnargli a fare quello sguardo, che solo Gerard sapeva fare così bene, insegnatogli dal padre, che faceva impazzire ogni ragazza. Gerard poteva rimproverare a suo padre tante cose, ma doveva ammettere che imparare a fare quello sguardo era stato davvero divertente, il che era piuttosto strano se si considera il fatto che a Gerard le ragazze non erano mai interessate più di tanto. Forse era stata colpa delle forzature di suo padre. In ogni caso quello sguardo seducente si era rivelato piuttosto utile, soprattutto per fare colpo sui suoi amici del college, che lo avevano sempre invidiato moltissimo per quella sua abilità.

"E tu?" Riprese Gerard sedendosi sul divano accanto alla poltrona occupata dal fratello. "Che mi dici? Ce l'hai una fidanzata?"

"Io?" Mikey si indicò con l'indice. "Naah. Almeno, non una fissa. Sai che a me piace cambiare" e gli fece l'occhiolino.

Gerard rimase lì in silenzio guardando suo fratello che leggeva.

"Ti va una birra, G?" Chiese Mikey dopo qualche minuto di silenzio.

"Certo. Certo Mikey. Basta che non andiamo in quel famoso bar" Gerard sorrise al fratello, che scattò in piedi immediatamente chiudendo rumorosamente il libro.

"No, certo che no. Non ho intenzione di pensare a cose serie, voglio solo parlare di stronzate tra fratelli"

I due ragazzi presero il cappotto e uscirono insieme.

"Cosa ne dici di un normalissimo bar in centro?" Chiese Gerard.

"Benissimo! Seguimi, conosco un posto tranquillo"

Nel viale che Gerard attraversava ogni mattina con suo padre, vi erano numerose panchine intervallate da grandi platani. Alcune di esse erano occupate da vecchi barboni che avevano ammucchiato tutto intorno la loro lurida roba. Non era un bello spettacolo a cui assistere e a nessuno faceva piacere passare di fianco a mucchi di coperte sporche, materassi macchiati o carrelli stracolmi di spazzatura e cianfrusaglie.

"Qualcuno dovrebbe mandarli via" disse Gerard rivolgendosi ai senzatetto.

"E per portarli dove? Dovresti aver pena per loro e non biasimarli per la loro condizione" rispose Mikey.

"La maggior parte di loro vive così perché non ha voglia di trovarsi un lavoro. Sono solo degli scansafatiche"

"Non dovresti giudicare le persone senza conoscere la loro la storia, G" rispose tranquillamente il fratello, allungando una banconota ad uno di loro. Gerard decise di lasciar perdere, forse era l'ennesima volta in cui suo fratello aveva ragione.

Mikey e Gerard passarono una bella serata insieme. Erano sempre andati d'accordo, non avevano mai litigato seriamente. Bevvero birra, giocarono a biliardo, e solo quando fu tarda notte si decisero a ritornare a casa. Lungo la strada i fratelli continuarono a ridere e scherzare, ma quando entrarono in casa si trovarono di fronte uno scenario decisamente inatteso. 
Il signore e la signora Way erano entrambi seduti sul divano, sembrava che li stessero aspettando da tempo. Parevano davvero tesi e quando i due ragazzi entrarono in casa, l'uomo si alzò si scatto.

"Ragazzi, gli Stati Uniti sono entrati in guerra" Affermò, sventolando il giornale.

Mikey e Gerard si guardarono, poi si girarono nuovamente verso i genitori.

"La guerra che dal 1939 va avanti in Europa, razza di idioti! Fino ad ora, per due anni, siamo rimasti neutrali, ma sembra che da oggi le cose cambino" specificò il padre, intuendo che i figli sapessero poco o niente dell'argomento.

"Ma che ci vai a fare all'accademia militare tu?" Sbottò il padre scagliando il giornale sul tavolino e lanciando un'occhiataccia a Mikey.

Gerard guardò il fratello. Non sapeva proprio come questa notizia della guerra avrebbe potuto influenzare la sua vita.

Non sapeva quanto si sbagliava.
 







Note.
Come avevo quasi-anticipato, pubblico un po' di più per recuperare. Prossimo capitolo mercoledì e come sempre vi ricordo che per leggere la storia pubblicata fino al capitolo 13 non dovete far altro che andare su Wattpad al profilo di MCRmichi! A prestissimo e un bacio a tutti :)

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Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


                                      
 
CAPITOLO SETTIMO
 

 

Frank aveva passato gli ultimi giorni cercando qualcuno disposto a farlo dormire in casa propria per qualche tempo, ma non era stato affatto facile. Aveva girato per tutta la città, e anche nei dintorni ma nessuno lo aveva voluto ospitare per più di una notte. Aveva chiesto a chiunque conoscesse, anche solo di vista: era stato dai compagni del college, dai suoi ex colleghi del cantiere, perfino dal Signor Blake una volta. La maggior parte dei suoi vecchi amici lo aveva a stento riconosciuto, figuriamoci se lo avrebbero fatto entrare in casa loro. I suoi ex colleghi invece lo ospitarono, Tommy lo fece dormire sul suo divano addirittura per quattro giorni, mentre il Signor Blake non era nemmeno in casa. Frank aveva immaginato che non ci fosse più tornato dopo il processo, forse era stato arrestato.

In ogni caso, se era riuscito a far passare una settimana dormendo un po' qua e un po' là, ora le sue conoscenze erano finite. Gli rimaneva un' unica possibilità prima di mettersi a dormire sotto un ponte: ritornare a casa.

Quella opzione non gli piaceva affatto, ma dal momento che non aveva altre alternative si decise a tentare. Chissà mai che nel frattempo non avesse trovato un nuovo lavoro.

Così Frank camminò a lungo sotto il sole caldo, e appena dopo l'ora di pranzo arrivò finalmente alla casa paterna. Esitò un momento davanti alla porta sgangherata. Voleva davvero fare questo passo indietro? Già, perché si trattava di un passo indietro per la sua vita.

Ma non aveva davvero altra scelta, quindi bussò alla porta. Appena ebbe dato il primo colpo, la porta si spalancò, dentro era buio e dei vecchi mobili non c'era più traccia.

Non ci poteva credere, se ne erano andati! Andati dove? Doveva trovarli, doveva trovarli assolutamente.

Frank bussò alla porta affianco, dove viveva una vecchia impicciona che era sempre al corrente degli affari degli altri. Dopo pochi istanti la donna aprì una fessura, ma quando lo riconobbe, uscì dalla porta e gli si piazzò davanti.

"Ti sei deciso a ritornare eh? Be, ormai come vedi è troppo tardi per aiutarli" gli disse in tono accusatorio.

"Dove sono andati? Lei lo sa, non è vero?"

La donna sbuffò, pensando se rispondere o meno a quel ragazzo che lei riteneva la causa della sfortuna di quella famiglia.

"Quando il Signor Iero è morto, tua madre ha deciso di andarsene con 
tutta quella sfilza di bambini"

Il ragazzo sgranò gli occhi.

"Morto?" Il cuore di Frank perse un colpo. Non aveva idea che suo padre fosse morto, ma come avrebbe potuto saperlo?

"Sì, mi dispiace. Non hanno nemmeno fatto il funerale, troppo costoso. Lo hanno infilato in cassa di legno e lo hanno sepolto al limitare del cimitero"

"E-e mia madre? Dove sono andati gli altri?" Balbettó Frank.

"E chi lo sa? Lei diceva di avere degli amici a nord, su, al confine col Canada. Forse dopo la morte di tuo padre ha deciso di tentare di cambiare vita. Ora ho da fare, scusami" e la donna richiuse la porta alle sue spalle.

Frank non se lo aspettava proprio. La morte di suo padre era imminente, su questo non c'erano dubbi, ma non poteva immaginare che sua madre avrebbe deciso di cambiare città. 
Ora non c'era davvero più nessuno che lo potesse aiutare e Frank si sentiva terribilmente solo.

Quella sera non aveva un posto dove andare. Per fortuna era estate, pensò, e almeno non faceva freddo la notte. 
Tutti i suoi sforzi per trovarsi un lavoro erano stati assolutamente vani poiché come aveva previsto, nessuno voleva assumere nuovo personale all'inizio dell'estate. Oltretutto con quel braccio fasciato non aveva molte possibilità di fare una buona impressione.

A proposito del braccio, Frank si ricordò dei punti che sarebbe dovuto andare a farsi togliere, ma non aveva i soldi per farlo, quindi si recò in un parco, si sedette su una panchina e iniziò a sfasciare la ferita.

Non aveva un nell'aspetto, pensò. Era davvero lunga, e tutta arrossata sui bordi. Frugò un po' nella sua sacca e ne estrasse un coltellino e dopo un attimo di esitazione, cominciò.

Prima sollevava un po' il nodo di ogni punto, quindi tagliava il filo alla base col coltellino, e infine tirava la porzione di sutura staccata, facendola scorrere attraverso la pelle finché non usciva completamente.

"MMH DANNAZIONE!" Imprecó Frank togliendosi il primo punto e lanciandolo violentemente a terra. Non era piacevole, anzi, faceva un male cane. Probabilmente non era un buon segno, solitamente togliere i punti non faceva male, almeno così tutti gli avevano sempre detto.

Comunque strinse i denti, e continuò a estrarre il filo fino alla fine della ferita, continuando a imprecare e a scagliare fili nell'erba. Quando ebbe finito era tutto sudato, poi richiuse il coltellino, lo ripose nella sacca e rimase per qualche minuto seduto sulla panchina ad ascoltare il cinguettio degli uccelli. Infine si rifasciò il braccio e si alzò, incamminandosi verso l'uscita del parco.

Ormai il sole stava calando e Frank non aveva nessuna idea di dove andare. Se fosse stato inverno si sarebbe seduto su una panchina in stazione, per stare al caldo, ma era estate e non faceva affatto freddo, nemmeno la notte.

Camminava per le vie della città, osservando tutte quelle persone fortunate che non solo avevano una casa in cui tornare, ma probabilmente anche una famiglia che le aspettava. Quando si avvicinò l'ora di cena Frank non aveva ancora mangiato, e nemmeno lo fece, ma lui era ormai abituato a saltare i pasti.

Alla fine si arrese e decise che per quella notte, e soltanto per quella notte, avrebbe dormito su una panchina e poi il mattino dopo avrebbe certamente trovato una soluzione.

Così sviò in una strada più appartata rispetto a quelle strafrequentate del centro, avvistò un posto che poteva fare al caso suo, posò la sua roba sotto alla panchina e usò il cappotto come cuscino. Certo, non era affatto comodo, il legno bitorzoluto si faceva sentire sulla schiena, ma pensò che per una volta se la sarebbe fatta andare bene. Fece molta fatica ad addormentarsi e durante la notte si svegliò diverse volte per via dei rumori della strada.

Alle sei del mattino seguente il sole svegliò Frank, che non si sentiva affatto riposato. Era come se avesse dormito sulle pietre: la schiena era completamente bloccata, il collo indolenzito e gli stava venendo un gran mal di testa. Si massaggiò le tempie per qualche minuto nel tentativo di far sparire quelle fitte, ma non servì a molto. Inoltre quella mattina la soluzione che il giorno prima si era ripromesso di trovare, non arrivó. E nemmeno quel pomeriggio, o i giorni successivi. 

L'umore di Frank era completamente a terra e sentiva di non avere più nessuna speranza di riuscire a togliersi da quella situazione. Ormai erano tre giorni che dormiva su quella panchina. Di giorno vagava per la città, in cerca di qualche volto familiare a cui poter chiedere una mano, e di notte tornava alla panchina per dormire.

Fu solo il quinto giorno di residenza in quel posto che Frank si accorse che la fasciatura al suo braccio aveva qualcosa che non andava. Quando si svegliò al mattino, si stiracchiò e si mise seduto guardandosi le scarpe. D'un tratto scorse una macchia rossa sulla benda, quindi girò il braccio per darci un' altra occhiata, e con orrore vide che l'intera fasciatura si era inzuppata di sangue.

"Cazzo! Ma perché devono succedere tutte a me?" Per poco Frank non si metteva a piangere. Allora si sfasciò la ferita e vide che un rivolo di sangue continuava a scorrere dal mezzo del taglio. Si rifasciò in fretta, prese tutta la sua roba e andò a cercare una fontana in cui lavarsi.

Dovette arrivare in un viale vicino alla via maestra, per trovare una diavolo di fontanella. Gettò la sua roba su una panchina vicina e si sciacquò il braccio che bruciava da morire.

"Se non stai attento ti viene un' infezione" sentì dire Frank alle sue spalle. Si girò e sulla panchina dietro a lui c'era un uomo dalla lunga barba disordinata, un accattone evidentemente. 

"Sì be, spero che non succeda" rispose Frank seccamente.

"Non basta sperarlo, ragazzo. Se non la curi ti andrà in cancrena"

"Io non ce li ho i soldi per farmi curare. Però se me li vuole dare lei, visto che sembra tanto interessato alla mia salute..." Frank non era in vena di chiacchiere.

"Come vuoi allora. Se vuoi, quella panchina è libera.. come hai detto che ti chiami?"

"Non l'ho detto"

"Come sei scontroso figliolo, hai una lunga vita davanti a te, non puoi già essere così burbero alla tua età"

"Evidentemente sì" gli rispose col tono più acido che riuscì a tirar fuori. Poi chiuse la fontanella, vi si appoggiò con l'altro braccio e tirò un lungo sospiro, rendendosi conto del trattamento troppo duro che aveva riservato a quell'uomo.

"Libera per cosa?" Chiese Frank.

"Come?"

"La panchina. Libera per cosa?" Frank stava cercando di sembrare un po' più amichevole.

"Be, ma per occuparla ovviamente. Vedo che ti porti tutta la tua roba dietro, quindi non devi aver ancora trovato un posto fisso"

"Già.. ma io non sono un senzatetto" affermò Frank un po' in imbarazzo.

"Tu dici? Si vede che hai dormito almeno per quattro giorni all'aperto, ragazzo. E la regola dice che fino a tre notti, puoi ancora non essere chiamato 'barbone' ma superate le quattro notti... sei ufficialmente uno di noi"

"Che stronzata" borbottó Frank.

"Tutti si vergognano all'inizio Matt, ma poi ci si abitua"

"Non mi chiamo Matt"

"Be, tu non vuoi dirmi come ti chiami, e io in qualche modo dovrò pur chiamarti, non credi?"

Frank alzò gli occhi al cielo.

"Mi chiamo Frank, signore"

"Bene Frank! Io mi chiamo George, piacere di conoscerti"

"Già, sì. Allora mi metto qui George" e si sedette sulla sua panchina mentre sciacquava la benda insanguinata. Per fortuna era riuscito a fermare l'emorragia, e ora la ferita sembrava chiusa.

Come aveva detto George, a Frank non andava di considerarsi un senzatetto, ma alla fine era quello che era. Si rese conto che la sua situazione non era diversa da quella degli altri barboni che occupavano le panchine di quel viale, e alla fine si rassegnò alla sua condizione. La sua forza di volontà si era esaurita, aveva perso la voglia di vivere. Di giorno non andava nemmeno più in giro per la città, ma se ne stava seduto sulla sua panchina, circondato dalle sue poche cose ad osservare la gente che passava. Non aveva più una motivazione per vivere, non capiva il senso della sua esistenza in quelle condizioni.

Intanto la sua ferita peggiorava. Non usciva più sangue, e dopo un po' Frank aveva smesso di tenerla fasciata, ma aveva un brutto colore rossastro tendente al viola. Ma quella era l'ultima delle sue preoccupazioni. Non gli interessava dell'infezione, in qualche modo bisognava pur morire, e Frank stava prendendo sul serio quella possibilità.

La morte.

Qualche volta Frank si era ritrovato a pensare a come sarebbe morto, e in un paio di casi, arrivó a pensare di togliersi la vita.

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Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


                                

 
CAPITOLO OTTAVO
 

 

Da quando suo fratello Mikey gli aveva fatto quel discorso, Gerard aveva cambiato atteggiamento nei confronti di suo padre. Aveva smesso di uscire insieme a lui alla mattina per andare al lavoro, aveva smesso di preoccuparsi di tutto ciò che l'uomo pensava, e aveva smesso di farsi inculcare stupide idee nella testa.

Quando una mattina, l'ultima in cui fece la strada con il padre, il Signor Way aveva iniziato a dire cattiverie, Gerard si era ribellato.

"Ecco" disse l'uomo quando furono arrivati nel viale alberato. "Vedi? Tutti questi falliti che dormono sulle panchine... e nessuno fa niente per impedirlo! E poi sono tutti sporchi, puzzano come delle bestie selvatiche, non si danno nemmeno la briga di lavarsi. Roba da matti, chissà dove andremo a finire. Per me dovrebbero arrestarli tutti e metterli ai lavori forzati" disse il padre indicando i barboni con un gesto impaziente della mano.

"Non dici niente Gerard?"

"No, papà. Non dico niente"

"E come mai? Sei sempre stato d'accordo con me"

"Be, ho cambiato idea. Credo che tu dica un mucchio di stupidaggini a volte"

Il signor Way si fermò di colpo, e Gerard con lui. Poi, con un gesto veloce che Gerard non riuscì a schivare, gli diede uno schiaffo così forte, che per poco non cadde a terra.

"Questo non mi ha fatto cambiare opinione. Non puoi giudicare le persone senza conoscerle" disse Gerard ricomponendosi, e ricordando le parole del fratello.

"Non ti permetto di parlarmi così, non farlo mai più." Disse il padre con tono duro, ma Gerard lo guardava con sguardo neutro.

"Finiamola qui papà, ok? Non ho intenzione di litigare con te" e si allontanò, andando al lavoro per conto suo. E quella fu l'ultima volta in cui Gerard fece la strada con suo padre.

Nonostante suo padre continuasse a dirgli che non era portato per quel lavoro, e Gerard non poteva che essere d'accordo con lui, in banca si era fatto alcuni amici, soprattutto tra gli altri manager. Ce ne erano due, Stephen e Marcus, abbastanza simpatici. Erano amichevoli, anche se piuttosto arroganti e un po' altezzosi. Non erano proprio i tipi di Gerard, di sicuro non sarebbero mai diventati i suoi migliori amici, ma erano una compagnia sopportabile durante i pranzi nel ristorante sotto l'ufficio. A loro tre spesso si univa una giovane donna di nome Lindsey, ma tutti la chiamavano Lizzy. Era la tipica donna votata alla carriera, alta, snella, e biondissima. Fin dal primo momento aveva cercato di attirare l'attenzione di tutti su di sé, ed era riuscita a conquistarsi anche quella di Gerard. Era quel tipo di ragazza che stava sempre sulla linea di confine tra la provocazione e l'azione vera e propria. Per spiegarsi meglio, si metteva sempre in mostra indossando camiciette scollate, calze a rete o gonne un po' troppo corte per un ambiente di lavoro, faceva battute ambigue e amava le attenzioni degli uomini, ma non si faceva avvicinare di più. Non si faceva toccare, non dava a nessuno il suo numero di telefono, se qualcuno la invitava ad uscire si inventava sempre qualche scusa. E questo alimentava l'alone di mistero che la circondava e manteneva vivo l'interesse di tutti su di lei.

A Gerard normalmente non piacevano le donne così arroganti ed eccentriche, ma quella Lizzy sembrava quasi magnetica, quando Gerard si trovava in sua compagnia non riusciva mai a toglierle gli occhi di dosso.

"Signor Way Jr! Che ne dice di un pranzetto qui sotto?" Chiese con entusiasmo Marcus aprendo la porta del suo ufficio e guardandolo con un gran sorriso scherzoso sul volto.

"Ti prego, smetti di chiamarmi in quel modo, Mark" gli chiese Gerard per la milionesima volta, prendendo la giacca dall'attaccapanni e infilandosela.

"Come vuole lei signor anche-oggi-ho-i-capelli-perfetti"

Marcus aveva sempre invidiato a Gerard i suoi bei capelli neri, ma Marcus invidiava i capelli di tutti dal momento che era completamente pelato, il che era particolare se si considerava con non aveva più di 35 anni.

"Vengono anche Stephen e Lizzy?" Chiese Gerard col tono più innocente possibile.

"Stephen si, ma di Lizzy non so niente. Posso andare nel suo ufficio a chiederglielo" si propose Marcus sfoderando un sorriso sghembo e facendogli l'occhiolino.

"No, grazie Marcus, sei molto gentile ad offrirti di sacrificarti al posto mio, ma credo che per questa volta farò uno sforzo e andrò a cercarla io" gli rispose Gerard guardandolo con uno sguardo che sembrava dire 'questa volta tocca a me'.

Gerard attraversó l'edificio, salì di un piano con l'ascensore e si fermò davanti a una porta con scritto 'Donald'. Bussò un paio di volte, poi aprì lentamente.

"È permesso?" Chiese mettendo la testa dentro.

"A te è sempre permesso, Gerard" gli rispose una voce seducente dalla scrivania.

Il ragazzo deglutì, si sentiva la bocca secca.

"Io, Stephen e Marcus andiamo giù a pranzo. Vieni? "

"Sì, credo che vi raggiungerò tra poco, voi intanto andate" rispose lei appoggiandosi allo schienale della sedia e lasciando intravedere il seno dalla maglia scollata.

Gerard richiuse la porta e scese a pranzo con gli altri. Rimasero ad aspettare quella donna come degli idioti per ben tre quarti d'ora, e quando alla fine quella arrivò, sembra stesse pensando 'guarda come sono bravi i miei cagnolini'.

Il resto della giornata passò come tutte le altre, noiosa quanto bastava, piatta e insoddisfacente. 

Da quando aveva discusso con suo padre, Gerard usciva dal lavoro mezz'ora prima del signor Way, così da non dover fare la strada con lui. 
Quella sera d'estate, uscì dalla banca alle 18,15, e c'era ancora il sole.

"Hei Gerard, partita a golf domenica?" Mark lo rincorse e gli si piazzò davanti.

"Mmh, sì, direi che domenica sono libero"

"Perfetto allora! Viene anche Stephen!" Gli disse mentre si allontanava.

Gerard chiamò l'ascensore per andarsene, ma poi gli venne in mente una cosa, e corse dietro a Marcus.

"Hei! Hei Mark!" Quello si girò. "Può venire anche mio fratello? Tranquillo, è una vera frana a golf, non ci creerà problemi"

"Ma sì, certo che può venire! Più siamo meglio è! Come si chiama tuo fratello?"

"Michael, ma lo chiamano tutti Mikey, allora ci vediamo domenica!"

Gerard tornò all' ascensore, che riuscì a fermare per miracolo infilandoci un braccio dentro per farlo riaprire.
Arrivato al piano terra, attraversó velocemente l'ingresso e uscì dalle porte scorrevoli non prima di aver risposto a un considerevole numero di "Buonasera Signor Way, buon week-end".

Gerard voleva arrivare velocemente a casa e chiedere al fratello se aveva voglia di accompagnarlo a quella partita di golf. Non voleva passare una domenica come tutti i tipici americani snob, e il golf era di sicuro lo sport che maggiormente si addiceva a quel tipo di uomo, ma suo fratello era in grado di dare una tono diverso a ogni situazione. Con lui sarebbe di certo stato più divertente.
Mentre camminava lungo il viale, dovette passare di fianco alla solita sfilza di barboni, che ormai non lo impressionavano più. Ma, mentre passava, ne scorse uno diverso, uno più giovane, uno meno malandato. Non poté fare a meno di rallentare. 
Era anche piuttosto carino, si ritrovò a pensare.

Il suo passo era rallentato tanto che ormai si era praticamente fermato davanti alla panchina su cui stava steso il ragazzo, che teneva gli occhi aperti e le braccia conserte.

Ad un tratto il ragazzo sembrò riprendersi da quella sorta di coma e si accorse di Gerard che lo stava fissando. Quindi aprì le braccia in segno interrogativo alzando le sopracciglia e sbottò: "Guarda che non sono un Van Gogh, che hai da fissare?"

Ma non appena quel ragazzo ebbe aperto le braccia, Gerard notò subito un lungo taglio che partiva dal gomito e arrivava fino alla mano.

Quella ferita non aveva per niente un bell'aspetto: era praticamente viola e in alcuni punti stava diventando nera.

"C-come ti sei fatto quella ferita?" Balbettó Gerard, ripensando subito all'incidente avuto nel bar qualche tempo prima.

"Senti, gira alla larga e non scocciarmi" gli rispose il ragazzo acidamente girandosi di schiena, cercando di far capire al suo interlocutore che non aveva nessuna intenzione di parlare con lui.

"No, sul serio. Devi dirmelo. Chi ti ha fatto quel taglio?"

"Uno stronzo come te che non aveva voglia di parlare come me. In che modo devo dirtelo? Vattene" e dicendo così il ragazzo si girò e lo guardò davvero in faccia per la prima volta.

"No! No, aspetta, non può essere. Non sarai mica tu quello che.. eppure mi sembrava più alto, e anche più carino"

Il ragazzo si era alzato in piedi e ora gli stava girando intorno, guardandolo da ogni angolazione.

"Be, se ti stai chiedendo se sono io lo stronzo che ti ha rotto il bicchiere addosso, sì, sono proprio io. E credo di doverti delle scuse"

"Sai cosa me ne faccio delle tue scuse? Di certo non mi serviranno ad andarmene da questa panchina. Direi che mi hai aiutato fin troppo, ma grazie comunque" e detto questo il ragazzo si risedette sulla panchina.

"Come ti chiami?" Tentò ancora Gerard.

"Adesso non metterti a fare il sentimentale. Abbiamo fatto a botte in un bar, d'accordo, ma non credere che tra di noi ci sia qualcosa di più" gli rispose il ragazzo ironicamente, sfoderando un finto sguardo di scuse.

"Guarda che a me non ne viene niente di parlare con te. Tu invece qualcosa da guadagnarci ce l'avresti. Guarda quella ferita: è infettata da un bel po' e sta iniziando proprio ora a necrotizzarsi. Vedi qui?" Disse Gerard prendendogli il braccio con una mano e indicando la pelle annerita con l'altra.

"E lascia stare!" Sbottò il ragazzo liberandosi il braccio dalla presa di Gerard.

"D'accordo, come vuoi. Rimani pure lì da solo a lasciare che l'infezione si diffonda allora" Gerard tentò di provocare una reazione in quel tipo cocciuto, ma non sembrò funzionare più di tanto perché quello non disse una parola e rimase lì seduto, impassibile.

"Senti, per quello che vale, mi dispiace davvero per quello che è successo l'altra sera, e mi sentirei responsabile se dovessi perdere un braccio o chissà che altro per colpa mia. Quindi per favore, lascia che ti dia una mano a sistemarti il braccio, poi giuro che me ne andrò e non mi rivedrai mai più"

Ancora silenzio.

"Mi chiamo Gerard, Gerard Way, tu?"

"Allora se vuoi proprio aiutarmi, dammi dei soldi per andare in ospedale, così poi ti levi dalle palle"

Gerard sospirò. Non riusciva proprio a capire perché fosse così riluttante. Insomma, era pur sempre un barbone, perché si ostinava tanto a rifiutarsi di accettare il suo aiuto? In ogni caso, si mise una mano in tasca, ne estrasse il portafoglio e gli porse abbastanza soldi da ricevere adeguate cure e per potersi comprare da mangiare per un po'.

Il ragazzo li afferrò, li osservò, e Gerard avrebbe potuto giurare che per un attimo sul suo volto fosse comparsa un'espressione che era un misto tra stupore e sollievo, ma svanì subito.

Gerard si girò e riprese a camminare verso casa. Aveva fatto quello che doveva, aveva riparato al danno fatto e ora non doveva più pensare a quella storia. Non era più in debito con lui, i conti erano stati pareggiati.

Gerard non fece in tempo a fare tre passi, che una voce lo richiamò:

"Frank. Mi chiamo Frank. Sei contento ora?"

"Be piacere di conoscerti Frank" e riprese a camminare.

"Hei aspetta un attimo!" Frank gli stava correndo dietro. Certo che era proprio basso, fu la prima cosa che pensò Gerard quando se lo ritrovò di fronte.

"Mi rompi i coglioni per tre quarti d'ora mentre io mi faccio gli affari miei, e poi te ne vai via così?"

"Non vedo cos'altro potremmo dirci. Io ti ho ferito, ora ti ho risarcito, credo che con questo possiamo salutarci".

Che diavolo gli prendeva adesso? Un attimo prima sembrava un vecchio scontroso e un attimo dopo voleva che lui restasse lì a fargli compagnia. Non era così che funzionava, pensò Gerard. Così girò sui tacchi e lo lasciò lì, in piedi in mezzo al viale alberato.

 







Note.
Salve a tutti! Non ho niente di particolare da dire se non: commentate se la storia vi sta piacendo e per leggerla invece quasi completa non dovete far altro che andare su Wattpad al profilo di MCRmichi! A prestissimo e un bacio a tutti :)

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Capitolo 9
*** Capitolo Nono ***


                                            

 
CAPITOLO NONO
 
 

Frank non corse dietro ulteriormente a quel Gerard. Da quando lo aveva ferito, aveva odiato a morte quel ragazzo che era in parte causa della sua rovina e in prima battuta era quindi stato freddo e scostante nei suoi confronti, non voleva più averci niente a che fare. Ma poi gli era sembrato veramente dispiaciuto per l'accaduto e gli aveva dato la possibilità di redimersi. Ovviamente sperava che gli desse dei soldi e non si era sbagliato, gli aveva dato una somma considerevole, così alta che quando l'aveva vista era rimasto scioccato. Si era sentito riconoscente nei suoi confronti, anche se questo non aveva certamente cancellato parte del suo risentimento per l'accaduto.

Era ancora arrabbiato con quel ragazzo, Gerard, o come diavolo si chiamava, ma si era reso conto di essere stato troppo duro con lui, dopo tutto gli aveva dato un mucchio di soldi. Per questo aveva cercato di risistemare le cose correndogli dietro e cercando di parlargli, ma quello sembrava aver cambiato idea e a Frank non importava un accidente.

O almeno così si sforzava di pensare.

Se aveva cambiato idea così velocemente evidentemente voleva solo mettersi la coscienza a posto pagandogli una somma di denaro, così avrebbe potuto di nuovo dormire sonni tranquilli. 
Probabilmente non era il ragazzo amichevole che voleva far pensare di essere, era certamente il solito figlio di papà che disprezzava tutto e tutti quelli che non considerava alla sua altezza.

Già, era certamente così, forse gli aveva dato i soldi solo per far sfoggio della sua condizione privilegiata, e lui non voleva l'elemosina di un ipocrita arrogante.

Pensando a queste cose, Frank si addormentò sulla panchina.

Il giorno dopo decise di recarsi in ospedale per farsi sistemare quel braccio. Gli faceva sempre più male, bruciava come non mai e la necrosi si stava espandendo sempre di più: c'erano delle lunghe diramazioni che partivano dal taglio e si allungavano verso l'esterno. Frank non aveva mai visto niente di così rivoltante ma negli ultimi giorni, durante i quali la ferita era peggiorata a vista d'occhio, non si era sentito molto combattivo, anzi. Non gli importava niente, poteva anche morire, tanto non ci sarebbe stato nessuno a piangere per lui.

Ma l'arrivo di Gerard aveva ridato  a Frank un po' di voglia di vivere. Non che avesse fatto quel granché, ma dandogli quei soldi gli aveva restituito un po' di speranza.

Frank si sforzò di ritrovare la strada che qualche tempo prima lo aveva condotto all'ospedale, ma non fu facile soprattutto perché quella sera era mezzo ubriaco. Dopo circa mezz'ora riuscì a individuare le indicazioni e finalmente giunse alla clinica.

Quando fu dentro si dovette sedere nella sala d'aspetto perché, al contrario della volta prima, c'erano altre persone che aspettavano. Frank aspettò per circa due ore prima di essere ricevuto dal dottore, che poi era lo stesso dell'altra volta.

"Si, si mi ricordo di lei. È venuto qui con un gran taglio messo proprio male, io glielo ho cucito e le ho detto di tornare per i punti... ma non ricordo che lei sia tornato. Per caso c'era un mio collega quando è venuto?" Cominciò il dottor Sandrez.

"Mh no, no. Veramente io.. io non sono tornato, dottore. Ho pensato di potermeli togliere da solo quei punti, così l'ho fatto"

"Pessima idea Signor Iero, davvero una pessima idea. Adesso mi faccia vedere" lo esortò spingendogli vicino il solito tavolino con le ruote dove farlo appoggiare.

"Già, me ne sono accorto" ribattè Frank appoggiando con cura il braccio dolorante.

"Oh porca miseria" esclamò il dottore vedendo la necrosi. Il suo sguardo sembrava rassegnato.

"Lei ha deciso di venire qui un po' troppo tardi sa? Io adesso cosa vuole che le dica? Vede queste diramazioni nere? Questa è tessuto morto, e si sta espandendo. E questo succede quando si fanno le cose male, e lei ha fatto le cose malissimo" il dottore era visibilmente arrabbiato con lui. "Ora lei rimane qui ricoverato fino a quando la situazione non sarà migliorata. E se non migliora, cosa molto probabile, sappia che sarò costretto a tentare di esportare la parte danneggiata. E nel suo caso potrebbe significare l'amputazione dell'arto, considerata l'estensione della sua ferita. Mi dispiace signore, ma è stato davvero irresponsabile da parte sua non venire qui prima, e ora ne paga le conseguenze" e dicendo così lo fece alzare e lo portò in un' altra stanza dove c'era un altro ragazzo ricoverato insieme a un letto vuoto.

Frank non aveva bisogno di farsi fare la ramanzina da uno sconosciuto e comunque si rendeva conto anche da solo che la sua situazione era a dir poco critica.

"Grazie per le sue perle di saggezza dottor Sandrez, ma un padre che mi sgridava continuamente già ce l'avevo, non c'è bisogno che si aggiunga anche lei" Frank era giovane, ma non lasciava mai che le persone se ne approfittassero per trattarlo come un idiota.

Sandrez gli indicò il letto e chiuse la tenda che separava i due ospiti di quella stanza, ignorando la sua ultima affermazione.

"Le somministrerò dei potenti antibiotici per cercare di bloccare l'infezione, ma non garantisco che questa possa regredire. Comunque rimarrà qui in ospedale finché non vedremo miglioramenti" e detto questo uscì dalla stanza lasciandolo ai suoi pensieri.

Forse rimanere ricoverato in ospedale non sarebbe stato poi tanto male. Almeno gli avrebbero dato da mangiare e un letto in cui dormire per un po'.

A proposito di letto, Frank non si sdraiava in un posto così comodo da tempo e fu un grande sollievo per la sua schiena riposare su un buon materasso.

L'unico problema rimanevano come al solito i soldi. Sperava che non gli avrebbero fatto pagare vitto e alloggio ma solo le cure mediche, ma se ci fosse stato bisogno, sarebbe scappato. Non sarebbe comunque stata la prima volta.

Dopo i primi giorni passati sulla panchina, aveva infatti dovuto cominciare a trovarsi qualcosa da mangiare, così aveva iniziato a entrare in grandi supermercati e infilarsi la roba sotto la maglia. La parte più difficile era uscire senza comprare niente e senza farsi notare ovviamente e in un paio di casi aveva dovuto correre via perché qualche cliente lo aveva notato. Ma i cassieri dei supermercati erano lenti e non si mettevano mai a rincorrerlo.

Diverso era stato un altro caso. Una volta, aveva digiunato per quasi due giorni interi e la sera del secondo giorno aveva deciso che era arrivato il momento di procurarsi qualcosa. Allora si era allontanato abbastanza dalla sua zona consueta, per non rischiare di essere riconosciuto in futuro, poi era entrato in un piccolo negozio di alimentari. Non era la prima volta che si approfittava di quel negozio: la prima volta era riuscito a scappare senza che il padrone facesse in tempo a fare niente, ma quella volta non era stato altrettanto fortunato.

Era entrato, aveva girato per un po' tra gli scaffali, come faceva sempre, si era infilato un pacchetto di prosciutto e una confezione di tramezzini sotto la giacca, poi si era girato per cercare con lo sguardo la porta ma invece di vederla, si ritrovò il padrone del negozio dietro il bancone con il fucile puntato contro di lui.

"Hei. Questa volta ti ho beccato in pieno mascalzone. Posa subito quella roba che ti sei infilato sotto la giacca. Se non ti opponi forse non chiamo la polizia" Frank era rimasto paralizzato, non aveva idea di cosa fare. "Forza, mi hai sentito" lo aveva esortato facendo un movimento di incoraggiamento col fucile.

Ma Frank non aveva alcuna intenzione di posare quella roba e aveva adottato misure estreme. Con un balzo si era buttato a terra proprio addosso al bancone in modo da non poter essere visto per qualche secondo dal tizio col fucile, poi era strisciato velocemente verso la porta mente quello faceva il giro per raggiungerlo, e infine si era precipitato fuori dal negozio, cominciando a correre più veloce del vento.

Dopo essersi infilato in stradine secondarie per cercare di far perdere le sue tracce all'uomo e dopo dieci minuti buoni di corsa sfrenata, Frank si era accasciato contro un muro in un vicolo, aveva aspettato qualche minuto per riprendersi e poi era ritornato alla sua panchina per divorare quello che era riuscito a procurarsi.

Frank stava sdraiato sul letto comodo dell'ospedale e pensò che scappare da lì sarebbe comunque stato molto più facile che scappare da quel negozio.

Dopo qualche ora il dottore ritornò con una flebo e con un grosso flacone di pastiglie.

"Proveremo con questi, ma non garantisco niente" disse appendendo la flebo all'asta e appoggiando gli antibiotici sul comodino. Poi gli afferrò il braccio ferito e si accinse a infilargli l'agocanula nella vena, proprio vicino alla ferita.

"Mi dispiace, farà male" E così dicendo gli infilò il grosso ago nel braccio. Frank dovette mordersi la lingua per non urlare: tutta colpa della necrosi perché Frank aveva una soglia di sopportazione del dolore piuttosto alta.

"Fatto fatto. Ora si riposi. Tornerò dopo per le pastiglie. Ora ne prenda tre, poi vediamo come va" e detto questo uscì dalla stanza.

Frank inghiottì le pillole e si girò dall'altra parte.

"Come mai qui?" Frank si girò e vide l'altro ragazzo che occupava la stanza sorridergli.

"Mmh, ho fatto a botte e la cosa è degenerata"

"Capisco. Io invece devo essere operato per rimuovere la milza. Mi chiamo Colin, piacere"

"Frank. Mi dispiace per la tua milza, per quand'è l'operazione?"

I due ragazzi chiacchierarono per un po', fino a quando non arrivó il pasto. Dopotutto Frank era sempre stato un tipo molto amichevole e solare, incline alla conversazione ma gli ultimi eventi della sua vita lo avevano portato a rinchiudersi in sé stesso e ad essere scorbutico e scontroso. Ma quello non era il suo  vero carattere.

Frank rimase in ospedale per diversi giorni, da solo, dopo che Colin era stato trasferito in terapia intensiva. Era estremamente noioso stare lì e si sentiva anche molto solo, ma pensava di dover approfittare il più possibile della situazione, magari per riprendere un po' di peso perso durante le ultime settimane e per lasciarsi alle spalle quella storia della ferita.

Ma quel lunedì, dopo più di tre giorni di noia e solitudine, successe qualcosa che ruppe la routine quotidiana.

Verso le quattro del pomeriggio, poco dopo la visita del dottore, qualcuno bussò alla sua porta mentre Frank si stava addormentando. All'inizio ignoró i colpi alla porta, ma quando la porta si aprì si girò piuttosto seccato.

Erano venuti a trovarlo il giorno prima Jack e Tommy, i suoi ex colleghi di lavoro e pensava che fosse di nuovo uno di loro.

Ma rimase di sasso quando vide chi era.

Era di certo l'ultima persona che si aspettava di veder entrare da quella porta.

.

 







Note.
Buonasera a tutti voi che continuate a leggere questa storia! Vi ringrazio per essere qui e vi avviso che: per Natale ci sarà un aggiornamento, e per leggere la storia completa potete visitare la pagina Wattpad dell'autrice MCRmichi
a presto!

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Capitolo 10
*** Capitolo Decimo ***


                                       

 
CAPITOLO DECIMO
 
 

Quando Gerard aveva chiesto a Mikey se fosse disposto ad andare con lui alla partita di golf, quello aveva accettato con entusiasmo.

"Ma sì, certo che vengo, sarà un' ottima occasione per conoscere i tuoi colleghi. Me li immagino già: lì sul prato con le loro mazze di ottanta tipi diversi, che scelgono accuratamente la posizione delle braccia per tirare mentre parlano di quanto fosse buono il caviale che hanno mangiato l'estate prima alle Hawaii. Sarà già tanto se riuscirò a non scoppiare a ridere in faccia a qualcuno. Sarà divertente" dichiarò il fratello allegro.

"Sì sai, sono esattamente quei tipi di persone. Con te lì sarà meno pesante. Ma non farmi fare figuracce ok?"

"Ma quali figuracce? E poi che ti importa scusa? Sono solo colleghi, non devono essere per forza tuoi amici"

"Già, però forse verrà una certa Lizzy e io apprezzerei ..."

"Ohoo, quindi c'è di mezzo una ragazza!" lo interruppe Mikey. "Tranquillo, niente figuracce o racconti d'infanzia imbarazzanti. Non è proprio il mio stile quello. Andrà benissimo" concluse il ragazzo.

Gerard sperava davvero che suo fratello non lo rendesse ridicolo davanti a Lizzy. Di solito non era uno che parlava troppo, ma era stato comunque meglio mettere in chiaro le cose.

Il giorno seguente passò lentamente. Gerard aiutò Mikey a ridipingere il bagno: anche se loro padre aveva insitito tantissimo per assumere un imbianchino loro avevano voluto farlo da sé. Non c'era sempre bisogno di farsi fare le cose dagli altri. Comunque alla fine arrivò l'ora di andare a dormire, e prima di coricarsi Gerard ricordò al fratello che la mattina dopo avrebbero dovuto alzarsi presto. 
 

"Mikey! Mikey, sei sveglio?" Gerard bussò alla porta del fratello.

"Sì, sì, sono sveglio. Mi vesto e scendo"

Intanto Gerard preparò un paio di toast con la marmellata e due tazze di caffè, e dopo dieci minuti i fratelli Way erano seduti al tavolo che facevano colazione.

"Prendiamo un taxi?" Chiese Mikey sorseggiando la bevanda calda.

"Sì, direi di sì. Il club è troppo lontano per andarci a piedi"

Così, terminata la colazione, presero le borse e chiamarono un taxi che nel giro di un quarto d'ora li lasciò davanti all'entrata del campo da golf.

"Vieni, entriamo, probabilmente sono già tutti dentro" disse Gerard spingendo la porta a vetri e lasciando entrare il fratello.

"Hei! Gerard, siamo qui!" Il ragazzo si voltò: Mark si stava sbracciando nel tentativo di farsi vedere.

"Sembra simpatico" affermò Mikey con sguardo eloquente.

"Sì, be, lo è. In parte..."

"Un po' su di giri eh?"

"Esatto, sì"

I due fratelli raggiunsero Mark e Stephen che, come aveva previsto Mikey, avevano due borse per ciascuno stracolme di mazze di ogni genere.

"Andiamo?" Chiese Mark raggiante senza aver ancora notato Mikey.

"Mark, Stephen, lui è Mikey, mio fratello" lo presentò Gerard.

"Ah quindi sei tu il famoso Mikey Way! Ho sentito molto parlare di te! Soprattutto da tuo padre" affermò Mark.

"E cosa hai sentito di preciso? Vedi, mio padre non parla spesso di me, e se lo fa non dice buone cose" rispose Mikey, assumendo un' aria 
incuriosita.

"Ma no ti sbagli! Sono sicuro che anche tu come Gerard ti sarai diplomato velocemente! Ora che università frequenti?"

Gerard lanciò un' occhiata al fratello, notando subito che non era scoppiato a ridere in faccia a Mark per miracolo, ma fu il solo ad accorgersene.

"No, no. Veramente sei in errore. Io non ho finito il college 'velocemente' , anzi, devo ammettere che sono stato piuttosto pigro durante quegli anni. E no, ora non frequento un' università, ma sto frequentando l'accademia, sai per diventare un ufficiale dell'esercito" Mikey adorava mettere le persone in soggezione, e la storia dei suoi studi aveva sempre un grande successo tra gli amici di suo padre. Sapeva perfettamente che a nessun ricco altezzono piaceva avere a che fare con 'rozzi soldatacci' , come li chiamavano. Sembrava che l'unica carriera adatta a un uomo rispettabile fosse quella degli affari, ma a Mikey non era mai importato niente di quello che pensavano gli altri. Anche suo padre lo disprezzava per la sua scelta di intraprendere la carriera militare, per questo non parlava mai di lui.

Gerard rise internamente della figuraccia che Mikey aveva fatto fare a Mark. Anche a lui davano fastidio gli atteggiamenti arroganti e da lecca piedi che assumevano tutti quelli che conosceva.

"Comunque piacere di conoscervi" concluse Mikey con un sorrisetto sulle labbra che voleva dire 'ho chiaramente vinto io'.

Dopo questa conversazione piuttosto pesante, si avviarono verso i campi da golf, Mark e Stephen davanti e i fratelli Way dietro.

"Dov'è la tua amica, G?"

"La mia che? Ohh! Vuoi dire Lizzy. Non lo so, ma nessuno mi aveva detto che sarebbe venuta, l'ho solo intuito io. Sai, è quel tipo di donna che sta sempre appiccicata a più uomini possibile"

"Appiccicata a quei due coglioni? Naaah! Quella sta di sicuro dietro a te"

"Pff, non la conosci, Mikey" inarcò le sopracciglia Gerard.

"Staremo a vedere" gli sorrise di rimando il fratello.

Arrivati nel luogo stabilito, iniziarono tutti a tirare fuori le loro mazze. Stephen e Marcus ci misero venti minuti a scegliere quella più adatta: calcolavano la distanza della buca, la forza del vento, la presenza di ostacoli come alberi o laghetti, insomma: tutto. Invece Gerard e Mikey scelsero una delle due mazze che avevano per ciascuno, il che fu molto veloce.

"Allora Gerard, come ti trovi nell'azienda di tuo padre? Ormai è un po' che lavori con noi, dovresti esserti già fatto un'idea" Chiese Stephen mentre Mark calcolava la forza con cui colpire la pallina.

"Già, come ti trovi G?" Gli fece eco Mikey, come se fosse un invito ad essere sincero e a non mentire solo per essere gentile.

"Be, diciamo che... me lo aspettavo diverso, ecco. È un lavoro monotono e ripetitivo, noioso direi. Non lo so... forse non fa per me" concluse Gerard lanciando la sua pallina completamente fuori campo, dopo che Mark ebbe fatto un tiro precisissimo. Gerard guardò il puntino bianco atterrare nella polvere fuori campo con sguardo annoiato.

"Davvero? Insomma, pensavo che essendo il figlio del padrone per te sarebbe stato tutto più facile. Cose come ottenere un aumento o un ufficio più bello non dovrebbero essere un problema, no?" Continuò Mark.

Per poco Mikey non scoppiò di nuovo a ridere, ma mascherò la cosa con un paio di sonori colpi di tosse. Era evidente che stava pensando qualcosa come 'tutto più facile? Forse non conoscete nostro padre'.

"No, no. Non sono problemi quelli, ma vedete, ottenere un aumento o un ufficio migliore non sono esattamente i miei obiettivi di vita" rispose Gerard in tono piatto, ricevendo uno sguardo di approvazione dal fratello.

"Ah" replicò Mark un po' deluso.

"E... e quali sono i tuoi obiettivi di vita?" Continuò scambiandosi uno sguardo divertito con Stephen.

"Magari combattere per la patria?" Entrambi scoppiarono a ridere.

"Scusa, scusa Mikey!" Tentò di dire Mark tra le risa. "Ma stavo cercando di immaginarmi Gerard in divisa e con un fucile" e tornò a ridere.

Mikey alzò le sopracciglia e guardò Gerard pensando chiaramente che quei due avessero dei seri problemi.

"Veramente ancora non lo so quali sono i miei obiettivi" replicò Gerard seriamente e interrompendo le risate dei colleghi. "Sì, credo proprio di dover ancora trovare la mia strada. Ma una cosa la so: la mia strada sarà certamente diversa dalla vostra" affermò con decisione in tono quasi arrabbiato, come ogni qualvolta qualcuno parlasse male o deridesse suo fratello. Mikey intanto stava guardando Gerard: sembrava soddisfatto e fiero che il fratello fosse riuscito a ribellarsi a quel genere di ambiente altezzoso e arrogante.

"D'accordo d'accordo, basta così tigri" li richiamò una voce femminile da dietro. Era Lizzy, che a quanto pare aveva osservato la scena da lontano.

"Lizzy! Non sapevo saresti venuta!" Finse stupore Mark.

"Sì, be, ho pensato di fare un salto per salutarvi. Per fortuna sono arrivata appena in tempo per fermare un litigio eh?" guardò Gerard, squadrandolo visibilmente dalla testa ai piedi e facendolo arrossire di colpo. Non seppe fare altro se non deglutire e cercare di ricordarsi di respirare. Nessuna ragazza gli aveva mai fatto quell' effetto, mai.

"D'accordo ora devo andare, ok?" Chiese la donna senza staccare lo sguardo da Gerard. "E tu fai il bravo" gli sussurrò all'orecchio dopo averlo afferrato per il colletto della maglia.

Gerard rabbrividì e rimase lì impalato, senza dire niente. Poi la ragazza se ne andò e rimasero tutti a fissarla finché non fu sparita.

Tutti tranne Mikey, che continuava a guardare Gerard con un sorrisetto sul volto e un sopracciglio alzato.

"Non sta attaccata a te?" Chiese, sconcertato dalla ingenuità di suo fratello, mentre stavano tutti mettendo via le mazze per andare a pranzo. "G, quella ti ha squadrato per tutto il tempo e non ti ha mai tolto gli occhi di dosso"

"Eddai Mikey!"

"Cosa c'è?!" Chiese divertito. "È solo la verità! Comunque ti guarda come se fossi la sua preda, sembra che ti voglia azzannare da un momento all'altro, io starei lontano da lei fratellino, le donne come quella di catturano e poi ti lasciano ferito e sanguinante appena hai smesso di divertirle. Sul serio. Lasciala perdere" 
"Credo che tu sia un po' esagerato, Mikey" rispose Gerard distrattamente.

"Come vuoi. Io se fossi in te mi ascolterei"

"Poco modesto eh?"

"Ne ho sperimentate di ragazze come quella: perdono il loro fascino nel momento in cui capisci davvero che sono solo dei gusci senza cervello. Comunque prima sei stato a dir poco fantastico! Li hai lasciati proprio a bocca aperta quando hai criticato i loro preziosi 'valori' : stipendio, uffici più grandi... ma che razza di uomini sono?"

Intanto stavano camminando verso il ristorante dietro Mark e Stephen, attenti a non farsi sentire.

"Sai Mikey, da quando abbiamo parlato l'altro giorno mi sono reso conto di un po' di cose, per esempio dell'assurdità delle cose che spesso dice papà. Oppure del fatto che il mio lavoro non mi piace per niente"

"Sì vero, di che altro abbiamo parlato? Ah già, di ragazze e.. oh sì, delle tue avventure nei bar" e si mise a ridere.

"Oh sì, a proposito di quella storia. Sai, l'altro giorno mentre tornavo dal lavoro, sono passato nel solito viale, hai presente? Quello dove ci sono tutti quei senzatetto sulle panchine"

"Sì, certo, ricordo"

"Bene. Mentre camminavo, ho visto un ragazzo su una panchina, anche lui un barbone. Ma sembrava troppo giovane per essere già in quelle condizioni, così mi sono avvicinato, lui si è mosso, e sul braccio indovina cosa ho visto?"

"Un tatuaggio porno?" Scherzò Mikey.

"No" ribattè Gerard ignorando l'ultimo commento del fratello con un sorriso. "c'era un lungo taglio. Dal gomito alla mano, cominci a capire?"

"Vuoi dirmi che hai incontrato per caso il tizio che hai ferito nel bar?"

"Sì, esatto, e sembrava davvero arrabbiato con me, non voleva assolutamente parlarmi. Allora mi sono offerto di dargli dei soldi per andare a farsi sistemare il braccio e lui..."

"Perché scusa, che aveva il suo taglio?" Lo interruppe Mikey. "Voglio dire, è passato un po' di tempo dall'incidente, avrebbe dovuto essere già chiuso"

"Sì, non era aperto, cioè non sanguinava. Però era tutto viola, con delle diramazioni nere"

"Nere?!" Esclamò Mikey, sconvolto. "Sai che vuol dire? Vuol dire che quel ragazzo ha il braccio che sta andando in cancrena! "

"Per questo gli ho dato dei soldi per andare in ospedale. Probabilmente non ha una assicurazione medica"

"Gerard!" Esclamò Mikey fermandosi di colpo. "Se il tessuto comincia a necrotizzarsi, quel ragazzo potrebbe perdere il braccio, e se si espande morirà!"

"Avanti Mikey, non essere fatalista" rise Gerard.

"Sai quanti soldati sono morti a causa di infezioni che hanno portato a necrosi? È la prima causa di morte dopo la morte sul campo nell'esercito"

"D'accordo, allora cosa? Più che dargli dei soldi non saprei che altro fare per lui" Gerard era scettico. Da come si era comportato quel ragazzo, Frank, era evidente che non volesse avere niente a che fare con lui.

I due ripresero a camminare.

"Dargli dei soldi per curarsi una necrosi è come sparare in faccia a uno e poi dargli un fazzoletto per fermare l'emorragia. Cercalo G. Cercalo e aiutalo ad affrontare la cosa. Dopotutto è tutta colpa tua se si trova in questa situazione, tu l'hai ferito, e tu l'hai lasciato lì sanguinante. Glielo devi" concluse Mikey guardandolo affettuosamente.

Gerard era rimasto un po' scioccato dal discorso del fratello, non se lo aspettava. Però forse aveva ragione, e avrebbe seguito il suo consiglio: lo avrebbe cercato.

Il pranzo passò velocemente al ristorante del golf club. Per la maggior parte Marcus e Stephen parlarono per conto loro, e lo stesso fecero Gerard e Mikey. L'atmosfera si era fatta pesante, così al pomeriggio i due fratelli si congedarono e i colleghi non si opposero. Probabilmente pensavano che sarebbe stato più rilassante continuare senza di loro. 
Gerard e Mikey ripresero un taxi e tornarono a casa.

Quella sera Gerard fece fatica ad addormentarsi. Aveva un pensiero fisso in testa che lo tormentava ma che non riusciva ad individuare. Il suo sonno fu agitato e costellato da incubi, ma nonostante tutto, la mattina dopo si svegliò piuttosto riposato.

Durante la notte aveva riflettuto, ed era arrivato alla conclusione che doveva assolutamente trovare e aiutare Frank, quello che gli era successo era tutta responsabilità sua.

Così si alzò di buon ora: non aveva idea di come trovarlo, ma se avesse dovuto girare per tutti gli ospedali in cerca di 'un ragazzo sui vent'anni con un braccio necrotizzato' lo avrebbe fatto. Quando Gerard si metteva in testa una cosa era difficile che si arrendesse.

Cominciò con gli ospedali e le cliniche vicine al bar in cui era successo il fatto, ma nessuno fu in grado di aiutarlo. Così si avvicinò sempre più al centro della città, fino a quando non arrivó nell'ospedale più vicino al centro.

"Mi scusi signorina" cominciò il ragazzo rivolto all'infermiera all'ingresso.

"Deve fare la fila per essere ricevuto"
Rispose quella senza nemmeno alzare lo sguardo dalle scartoffie che aveva di fronte.

"No, io non devo essere ricevuto dal dottore, volevo soltanto sapere se..."

"Deve mettersi in fila signore" lo interruppe la donna.

"Senta, non sono qui per essere curato ok? Voglio solo sapere se negli ultimi giorni è venuto un ragazzo..." replicò Gerard appoggiandosi con entrambe le mani al bancone.

"Come glielo devo dire? Deve fare la coda" insistette l'infermiera.

Gerard sospirò facendo ciondolare la testa verso il basso. Poi si tirò su e andò a sedersi insieme ad altre cinque persone.

Passò un'ora. Passarono due ore. E finalmente alle quattro del pomeriggio, quando Gerard fu rimasto da solo, il dottore uscì da dietro una tenda e lo guardò dicendo "Prego, venga di qua". Gerard si alzò.

"Veramente ho dovuto aspettare due ore solo per poter chiedere se per caso negli ultimi giorni è passato un ragazzo sulla ventina con un brutto taglio sul braccio, ma penso che come tutti gli altri ospedali in cui..."

"Ragazzo sulla ventina eh?" Lo interruppe il dottore. "Taglio sul braccio... sì, sì. Non molto alto? Capelli corti scuri?"

"Sì esatto, si chiama Frank" confermò Gerard incredulo.

"Allora è proprio il suo uomo. È da questa parte. Vuole vederlo?"

"Sì, certo, gliene sarei molto grato"
Finalmente ce l'aveva fatta, non poteva quasi crederci.

Il dottore gli fece strada fino a un corridoio appartato, poi gli indicò la porta giusta e lo lasciò solo. Gerard bussò, ma non rispose nessuno. Tentò di nuovo. Ancora niente. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per trovarlo non se ne sarebbe andato via senza averlo visto, così aprì la porta con cautela ed entrò.

Frank si rigirò nel letto. Non appena lo vide sembrò molto stupito.

"Ciao Frank" lo salutò Gerard con sguardo incerto. Non sapeva come il ragazzo avrebbe potuto reagire alla sua visita. L'ultima volta che si erano visti non era stato molto amichevole.

"Tu?!" Frank si mise seduto, stando sempre molto attento alla posizione del braccio dolorante. "C-come diavolo mi hai trovato?" Chiese freneticamente.

"Ho girato qualche ospedale, sai, tipo tutti tranne quello in cui eri ricoverato tu" disse avvicinandosi al letto ma restando sempre in piedi.

Anche quel giorno Gerard era vestito di tutto punto, ma non troppo elegante. Non voleva essere chiamato 'riccone' come l'ultima volta.

Frank accennò una risata, ma tornò subito serio.

"E per quale motivo sei venuto qui? Per farmi di nuovo credere di essere un tipo amichevole e poi mollarmi qui? O per far sfoggio delle tue possibilità economiche e lasciarmi altri soldi? Oppure per fare il crocerossino e fingere ipocritamente di essere preoccupato per me?" A quanto pareva Frank gli aveva sbattuto in faccia i pensieri dei suoi ultimi giorni.

"Non arrabbiati, niente di tutto questo. Ho solo pensato che sono stato un idiota a pensare di poter riparare a quello che avevo fatto dandoti solo degli stupidi soldi" disse sinceramente Gerard afferrando una sedia e sedendosi accanto al ragazzo.

"E cosa farai allora? Starai qui al mio capezzale fino a quando non passerò oltre tenendomi la mano?" Sembrava che la conversazione stesse andando sempre peggio.

"Ma perché sei così ostile nei miei confronti? Senti Frank, io sono qui per scusarmi, per aiutarti a uscire da questa situazione in cui IO ti ho messo. Te lo devo"

"Già, be, come vedi non so se riuscirò a cavarmela, con o senza il tuo aiuto" affermò Frank mostrandogli il braccio sempre più annerito.

"Non preoccuparti, mi informerò sulle cure migliori e vedrò di trovare una soluzione" rispose Gerard, che alla vista della necrosi per poco non svenne.

"Ma perché fai questo per me? Non potresti semplicemente fregartene? Non hai responsabilità tu, né mi devi qualcosa. Lasciami qui, tanto a nessuno importerebbe se io morissi" dichiarò Frank girandosi dall'altra parte.

"Non dire così. C'è sempre qualcuno che ti vuole bene al mondo. Sempre"

"Bè, mi dispiace distruggere le tue illusioni, ma non nel mio caso. Mio padre è morto e mia madre mi ha abbandonato pur sapendo che non avevo più un tetto sopra la testa"

Ci fu qualche istante di silenzio imbarazzante, poi Gerard gli rispose:
"Allora non vedo quale sia il problema. Lascia che io ti dia una mano, se non hai nessun altro perché dovresti rifiutare di avere a che fare con me?"

Frank non rispose, probabilmente era troppo orgoglioso per farlo, ma neanche si oppose. Passarono alcuni attimi di silenzio.

"Allora Gerard Way, scusa se a volte sono scorbutico. Questo non sono davvero io. Ma la vita là fuori è dura, e non c'è tempo per essere gentili" ma questo slancio di sincerità terminò subito. "Cosa fai nella vita? Il mantenuto? Oppure vivi di rendita?" Nella sua voce sempre un tono di impazienza.

"No, veramente lavoro. Ho un posto in banca. Nella banca di mio padre"

"Oh! Quindi sei un raccomandato!" Scherzò Frank. Ma stava scherzando oppure era serio? Gerard non riusciva a capire il modo di comunicare di quel ragazzo.

"In un certo senso sì, ma non credere che mi piaccia. Detesto il mio lavoro, è noioso, ripetitivo e non giova a nessuno"

"Almeno un lavoro tu ce l'hai" rispose Frank seccamente.

"Perché, tu no?"

"La sera in cui ci siamo presi a botte nel bar, io ero appena stato licenziato insieme a tutti gli altri operai del mio cantiere. E poi con il braccio fasciato nessuno voleva assumermi, soprattutto a causa della imminente stagione estiva. Così ho finito i soldi e sono finito in mezzo a una strada. Abbastanza commovente la mia storia?" Frank sembrava di nuovo scontroso.

"Sì, quanto basta direi" Gerard stette al gioco di Frank.

Seguì un altro silenzio imbarazzante.

"Allora... ti fa tanto male?" Chiese Gerard un po' a disagio guardandogli il braccio e cercando di rompere quel silenzio.

Frank si osservò la ferita e alzò le spalle.

"Quanti anni hai?" Tentò ancora Gerard.

"Venti. Tu? No, aspetta non dirmelo. Secondo me ne hai... mmh... ventitré?"

"Ci sei andato vicino. Ne ho venticinque"

Frank annuì.

"Quindi facevi il muratore prima?"

"Sì, sì. Ho fatto il college ma non avevo soldi per l'università. Quindi ho dovuto accontentarmi di quello che ho trovato"

"Mi dispiace per il tuo licenziamento sai, è per quello che ti trovavi nel bar. Ma perché dopo che ti ho ferito non sei venuto in ospedale?" Chiese Gerard.

"Sono venuto. E quei pochi soldi che avevo me li hanno succhiati via. Mi hanno cucito il taglio e il dottore mi ha detto di tornare per togliere i punti, ma non volevo sprecare altri soldi, così me li sono tolti da solo, ma come vedi non è stata una buona idea"

"No per niente direi" replicò Gerard senza pensare.

"Non metterti anche tu a farmi la predica" Sbottò Frank evidentemente stufo di rimproveri.

Ma prima che Gerard potesse replicare, entrò l'infermiera.

"Signor Iero, le pastiglie. E mi dispiace ma il suo amico deve andare: l'orario delle visite è finito"

Frank e Gerard si guardarono per un attimo, lo sguardo di Frank ancora duro. Poi Gerard si alzò e oltrepassò la porta. Si girò appoggiando una mano al capostipite, e disse solo:
"Ciao Frank" ma quello non rispose, continuò solo a fissarlo mentre l'infermiera cercava di ottenere la sua attenzione.

Gerard tornò a casa senza sapere se sarebbe mai riuscito a non farsi più odiare da Frank.

 







Note.
Approfitto di questo piccolo spazio per augurare Buon Anno a tutti coloro che leggono questa storia! :D che il 2017 porti novità e felicità a tutti!

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Capitolo 11
*** Capitolo Undicesimo ***


                                                         

 
CAPITOLO UNDICESIMO
 
 

Frank ingoiò le pillole che l'infermiera gli aveva praticamente infilato in bocca, dal momento che continuava a fissare la porta da dove era uscito Gerard. Frank non capiva come si sentiva. Credeva di odiare quel ragazzo, ma era anche felice che a qualcuno importasse di lui, o almeno così sembrava. Forse avrebbe dovuto dare una chance a Gerard Way, forse voleva davvero solo aiutarlo, però ogni volta che si trovava in sua compagnia non riusciva a non essere pungente e scontroso.

Il braccio era sempre uguale, non migliorava ma nemmeno peggiorava. Passarono diversi giorni noiosi, durante i quali Frank si limitò a rimanere nella sua stanza, ingoiando pillole e facendosi iniettare un sacco di roba nelle vene.

Un giorno il dottore entrò dicendo: "Buongiorno Signor Iero, come va oggi il braccio?" Era la solita domanda.

"A me sembra sempre uguale" rispose Frank stancamente.

Il dottore si avvicinò, gli prese il braccio e lo osservò da diverse angolazioni "Vede qui? Le diramazioni di necrosi si sono leggermente ritirate. Non di molto, ma è un'ottima notizia!"

Frank guardò meglio, e sì, in effetti notò piccoli lembi di pelle più chiara che aveva preso il posto di quella morta.

"Come è successo? Voglio dire, è da giorni che sono qui dentro tipo in quarantena, e non mi sembrava stesse migliorando. Perché ora tutto d'un tratto sto guarendo?" Chiese Frank stupito della nuova notizia.

"Non sta propriamente guarendo. Diciamo che almeno la necrosi non si è estesa, il che è già un ottimo risultato, dal momento che espandersi è quello che fanno le necrosi. Ma da ieri a oggi c'è stato questo piccolo miglioramento, tutto merito del nuovo antibiotico" sospirò il dottore con aria sognante.

"Nuovo antibiotico? Pensavo steste usando sempre le stesse cose"

"Sì, è quello che abbiamo fatto, ma ieri abbiamo iniziato con quello nuovo. Lei è fortunato a potersi permettere queste cure, probabilmente è l'unico prodotto in grado di salvarle il braccio"

Frank era confuso. Lui? Potersi permettere quella cura? Evidentemente c'era un anello mancante in quella storia che gli impediva di capirne il senso.

"Scusi, ma io non ho autorizzato l'utilizzo di questo nuovo medicinale" Frank non ci stava capendo niente.

"Questo è impossibile. Vede, questo nuovo antibiotico è costosissimo, quindi lo somministriamo solo a coloro che possono permettersi di pagarlo di tasca propria. Noi non lo diamo normalmente ai pazienti, è davvero troppo costoso" concluse il dottore.

"Io certamente non ho richiesto questa cura, non posso permettermela, quindi... non capisco proprio cosa stia succedendo" ribatté Frank ma in quel mentre entrò nella stanza l'infermiera.

"Qualcuno ha ordinato quel nuovo antibiotico per il signor Iero? Lui afferma di non averlo fatto, eppure nella sua cartella c'è scritto di trattarlo con quello" disse il dottore rivolto all'infermiera mentre quella sistemava il letto di Frank.

"Sì, non ci sono errori. Ieri ha telefonato un uomo, sembrava giovane, dicendo che avremmo dovuto somministrare quell'antibiotico al signor Iero" rispose la donna mentre stava ridando forma al cuscino.

"Con che diritto ha autorizzato questa cura? Io non me la posso permettere!" Sbottò Frank irritato per la disorganizzazione dell'ospedale.

"Oh no, per questo l'uomo ha detto di non preoccuparsi, e che avrebbe pagato tutto lui. Ha detto che sarebbe passato nei prossimi giorni per sistemare la faccenda" concluse l'infermiera guardando il dottore a braccia conserte.

"Be signor Iero, chiunque sia questo angelo misterioso, lei è fortunato. Da qualche parte deve avere un amico che tiene molto a lei se le paga questa roba costosissima" gli disse il dottore uscendo dalla stanza.

Frank si risedette sul letto, confuso. Possibile che quel Gerard Way avesse fatto questo per lui? Certo, aveva detto che lo avrebbe aiutato, ma non pensava che intendesse pagare tutto di tasca sua, dato che dei soldi glieli aveva già dati. Comunque, pensò, era meglio così. La nuova cura sembrava davvero funzionare e se le cose avessero continuato ad andare in quel modo il suo braccio sarebbe tornato a posto nel giro di pochi giorni.

Frank passò ancora una settimana in ospedale, settimana che passò con una lentezza terribile. Nessuno venne più a fargli visita, il che gli dispiacque perché si continuava a sentire solo. Durante quei giorni la necrosi era regredita sempre più, fino a sparire del tutto. La ferita tornò ad assumere un colorito normale, ancora un po' infiammata ma il dottore diceva che era normale e che sarebbe passato anche quello. Alla fine non rimase che un bel taglio richiuso, guarito in modo quasi perfetto e Frank pensava che la cura che Gerard Way gli aveva fatto somministrare era stata davvero miracolosa.

Il lunedì della settimana successiva finalmente il dottore disse a Frank che poteva essere dimesso. Tuttavia rimaneva un problema.

"Buongiorno Signor Iero, le faccio portare tutte le sue cose: finalmente se ne può andare. Ma... le devo dire che il suo misterioso amico non si è ancora presentato per pagare l'antibiotico. E sa, qualcuno lo deve fare..."

Frank non poteva credere alle sue orecchie. Lui gli aveva fatto prendere quella roba per più di una settimana e ora non la pagava? Forse con 'ci penso io a pagare' intendeva dire che Frank avrebbe dovuto usare i soldi che gli aveva lasciato precedentemente? In ogni caso pensò che non si era comportato in modo corretto, almeno avrebbe dovuto interessarsi del costo di quella cura prima di ordinarla senza sapere se poi a Frank sarebbero bastati i soldi oppure no.

Ma forse stava pretendendo troppo, dopotutto lo aveva già aiutato.

Frank decise di farsi una doccia: non sapeva quando avrebbe avuto di nuovo l'occasione di farsene una. Così si tolse quell' orrendo camice ospedaliero e si infilò sotto il getto rovente. L'acqua calda era piacevole, così si lavò i corti capelli con lo shampoo, e quando ebbe finito uscì stando attento a non scivolare. Si legò in qualche modo un asciugamano alla vita, quando improvvisamente sentì bussare alla porta. Probabilmente era l'infermiera che gli portava i suoi vestiti puliti, pensò.

Così uscì dal bagno, lasciando uscire una enorme nuvola di vapore, e borbottó un 'avanti' distrattamente, cercando un pettine nel comodino.

Ma dalla porta non entrò l'infermiera, e neanche il dottore. Dalla porta entrò Gerard Way, che alla vista di Frank con solo un asciugamano legato in vita arrossì di colpo.

"Ossignore!" Urlò praticamente Frank tenendosi stretto l'asciugamano.

"Scusa, scusa! Esco! Quando sei pronto dimmelo" Disse in fretta Gerard richiudendosi la porta alle spalle.

"Ma che cazzo!" Imprecò Frank tornando in bagno dopo aver preso i vestiti che evidentemente l'infermiera gli aveva già lasciato piegati sul letto.  Si diede una veloce asciugata ai capelli, che essendo molto corti si asciugarono dopo due sfregate, si pettinò e prese i vestiti che aveva appoggiato sul lavandino.

Ma quelli non erano i suoi vestiti. C'erano una camicia azzurra, una felpa bordeaux con la cerniera e un paio di pantaloni neri, praticamente nuovi. Probabilmente l'infermiera, dopo aver visto lo stato in cui erano i suoi vecchi vestiti, invece di lavarli li aveva eliminati e li aveva sostituiti con dei vestiti che avevano in lavanderia, pensò Frank. Poi si vestì con le cose praticamente nuove, stranamente della sua taglia, si mise i suoi anfibi neri e uscì dal bagno, più pulito e profumato di quanto non fosse mai stato.

Si avvicinò alla porta e la aprì.

"Be, ora sono pronto, puoi entrare" informò Gerard. Questo, che stava in piedi appoggiato al muro, entrò timidamente nella stanza sperando di non trovarsi altre sorprese imbarazzanti. "Che ci fai di nuovo qui?" Chiese Frank mentre metteva le sue poche cose nella sacca che gli aveva riconsegnato l'infermiera insieme a quei vestiti.

"Sono venuto a pagare la tua cura no?" Rispose tranquillamente Gerard Way guardandosi intorno.

"Avevo già perso le speranze per quello. Pensavo avrei dovuto usare i soldi che mi avevi dato." Ribattè Frank.

"No, avevo detto che sarei venuto, così... eccomi qui. Senti Frank, io avrei una proposta"

Frank si girò e vide Gerard che lo stava guardando con sguardo incerto. Non sapeva proprio cosa aspettarsi, doveva avere paura di quello che stava per dirgli?

"Sentiamo" disse Frank in tono piatto, tornando a preparare la sua roba.

"La cura ha funzionato, no? Bene, ora la tua necrosi se n'è andata quindi puoi stare tranquillo per questo. Però vedi... le ferite sono lunghe a guarire, e quella che ti ho fatto io è davvero brutta..."

"Allora, qual è il punto, Gerard Way?" Incalzò Frank.

"Il punto è che non voglio che tu torni a dormire su una panchina. La ferita potrebbe di nuovo infettarsi se tu non la curi, o se non mangi abbastanza. Capisci?"

"E quindi che farai? Mi offrirai la camera degli ospiti della tua casa gigante?" Chiese Frank ironicamente, prendendo il cappotto nero dall'appendiabiti e afferrando la borsa pronta sul letto.

"Be, non esattamente..." rispose Gerard.

Frank, che prima stava scherzando, ora non poteva credere alle proprie orecchie.

"Pensavo che per un po' saresti potuto venire a stare nel mio garage. Be, ovviamente non è un garage dove ci stanno le macchine, io e mio fratello lo abbiamo risistemato e ci sono tutte le cose di cui potresti aver bisogno e..." Gerard stava parlando a macchinetta, come suo solito quando era in imbarazzo.

Questa poi! Pensò Frank. Gerard Way lo stava invitando davvero a stare praticamente in casa sua? Si affrettò ad assumere un'espressione normale, perché si era reso conto di star guardando quel ragazzo con tutte e due le sopracciglia alzate in uno sguardo di puro stupore.

"Allora? Almeno potrai dormire su un letto e mangiare decentemente fino a quando non ti sarai ripreso completamente. Che ne dici?"

Frank sinceramente non sapeva cosa rispondere.

"Be... senti Gerard Way, io non posso..." cominciò Frank.

"Non puoi cosa? Dai, oramai è deciso" Affermò prendendo dalla mano di Frank la sacca e avviandosi verso l'uscita dell'ospedale e lui fu costretto a seguirlo.

"Aspetta nel taxi, io devo pagare" disse Gerard indicandogli la macchina che li aspettava fuori.

Che diavolo! Pensò Frank. Sembravano una dannatissima coppia sposata. 'Aspettami in macchina mentre io pago, tesoro'. Era tutto surreale. Eppure non era un sogno, si era già tirato un paio di pizzichi.

Dopo cinque minuti Gerard uscì dalla porta della clinica, si sedette affianco a Frank e ordinò all'autista di partire. Evidentemente sapeva già dove andare.

"Allora Gerard Way..." Frank voleva ringraziarlo.

"E la smetti di chiamarmi Gerard Way? Solo 'Gerard' andrà benissimo" gli disse guardando la strada.

"D'accordo, Gerard. Volevo... volevo solo ringraziarti" ma il ragazzo continuò a guardare fuori dal finestrino, senza rispondere.

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodicesimo ***


                           

 
CAPITOLO DODICESIMO
 
 

"Volevo solo ringraziarti" disse Frank guardandolo. Ma Gerard non sapeva cosa rispondergli, così continuò a guardare fuori dal finestrino e per un po' si sentì ancora addosso il suo sguardo, poi vide dal riflesso del vetro che anche Frank stava guardando la strada.

Quando il taxi si fermò, per un momento entrambi i ragazzi rimasero fermi e seduti, poi il tassista si girò e Gerard estrasse una banconota dalla tasca dei pantaloni porgendola all'uomo.

"Buona giornata Signor Way" lo salutò l'autista.

"Pronto?" Chiese Gerard guardando Frank, ancora seduto accanto a lui sul sedile posteriore della macchina.

"Per cosa?"

"Per correre" rispose Gerard.

"Correre?" Un'espressione 
interrogativa si dipinse sul volto di Frank.

"C'è una cosa che non ti ho detto, ma te la dirò quando saremo dentro. Forza, vieni. Via libera" disse Gerard guardandosi intorno nervosamente.

Frank scese dalla macchina con fare circospetto e Gerard gli fece cenno con la mano di seguirlo velocemente. 
Gerard si infilò nel garage da una porta laterale, lasciandola aperta affinché anche Frank potesse passare. Dopo pochi istanti il ragazzo entrò nel garage e Gerard notò subito l'espressione impressionata sul suo volto.

"Wow! Se questo è il tuo garage non oso immaginare come sia il tuo salotto" affermò Frank guardandosi intorno e Gerard si sentì orgoglioso, contento che Frank sembrasse colpito. Poi d'un tratto Mikey uscì da un corridoio che si apriva dietro il divano.

"Oh! Frank, questo è mio fratello Michael" lo presentò e Frank gli si avvicinò in modo deciso stringendogli la mano. Mikey sembrò apprezzare la decisione di Frank, e ricambiò la forte stretta.

"Mikey, per gli amici" disse quello sorridendo.

"D'accordo" cominciò Gerard cambiando argomento. "Qui c'è il divano come puoi vedere, con una piccola cucina. Niente di che, ci sono un frigo e un fornello. Poi dal corridoio c'è l'accesso a tre stanze: la prima sulla destra è la camera da letto, poi sulla sinistra c'è il bagno e infondo un piccolo ripostiglio. Spero che sia di tuo gradimento, insomma, non è niente di speciale" affermò Gerard imbarazzato.

"Questo garage è più grande di qualunque casa abbia mai avuto" rispose Frank con aria leggermente divertita.

"D'accordo, io torno in casa prima che qualcuno cominci a sospettare qualcosa" affermò Mikey uscendo dalla porta da dove erano appena entrati e lasciandoli soli.

"Allora, cosa volevi dirmi prima?" Chiese Frank.

Gerard non sapeva come affrontare l'argomento, aveva paura che Frank potesse offendersi o qualcosa del genere, ma doveva dirglielo.

"Vedi" cominciò sedendosi sul divano ma Frank rimase a guardarlo da in piedi, mentre teneva ancora in mano la sua sacca, così Gerard si rialzò nervosamente. "Mio padre non sa che tu sei qui. E nemmeno mia madre. Io e mio fratello abbiamo risistemato questo posto negli ultimi giorni, ma i nostri genitori non ne sanno niente. E nemmeno devono saperlo. Loro... bè più che altro mio padre in realtà, ti caccerebbero all'istante. Quindi tutto ciò che ti chiedo è di non fare troppo rumore e di non uscire se non vedi me o Mikey nei paraggi"

Terminato il discorso lanciò uno sguardo a Frank per cercare nei suoi occhi una qualche reazione, ma il ragazzo sembrava perfettamente a suo agio.

"Spero non sia un problema" Continuò Gerard dopo un attimo di silenzio.

"Problema? E perché dovrebbe essere un problema? Tanto un lavoro non ce l'ho quindi non so proprio dove potrei andare. Qui starò più che bene" affermò Frank sorridendo e buttando la sua sacca sul divano. Gerard si sentì un po' sollevato. Non voleva che si sentisse come chiuso in una prigione. Sapeva che non gli stava offrendo una grande soluzione, ma non voleva davvero che ritornasse a dormire su una panchina, almeno finché quella dannata ferita non fosse guarita una volta per tutte.

"D'accordo. D'accordo, allora io vado" disse Gerard dando un' ultima occhiata a Frank e uscendo dalla porta.

Ora veniva il difficile. Sarebbe già stato un problema spiegare a suo padre il motivo per cui aveva fatto tanti giorni di assenza al lavoro. Prima aveva perso un' intera giornata andando a zonzo per la città in cerca dell'ospedale in cui si trovava Frank, poi aveva perso altri due giorni per chiedere a tutti gli amici dottori che conosceva quale fosse la cura migliore sul mercato per le necrosi. Infine, aveva impiegato quattro giorni e numerose notti insieme a Mikey per rimediare qualche vecchio mobile e riuscire a ficcarlo dentro a quel garage praticamente abbandonato. L'idea di ospitare Frank per un po' di tempo era stata di Gerard, ma alla fine era stato Mikey a convincerlo a farlo. Per quanto Gerard fosse determinato infatti, continuava, nel suo profondo, a temere il padre.

"Hei Mikey" aveva cominciato Gerard il giorno in cui aveva scovato Frank. "Oggi sono riuscito a trovare quel ragazzo, Frank. Ho girato una cosa come dodici cliniche e ospedali, ma alla fine ce l'ho fatta. Il braccio è messo davvero male"

"Almeno l'hai trovato. Ora che pensi di fare?" Gli aveva chiesto il fratello.

"Bè cercherò una cura per lui, e poi non so... sai pensavo che potevamo ospitarlo da noi per un po'. Altrimenti quando sarà guarito tornerà su una panchina, e potrebbe avere una ricaduta"

"Certo hai ragione G. Come dicevo, glielo devi. Comunque hai qualche idea di dove nasconderlo? Perché sai che a papà non puoi di certo dirlo"

"Hai ragione, a questo non avevo pensato... già, forse non è una cosa fattibile in fondo... "

"Non vorrai mica dargliela vinta a papà! Che ne dici del garage? Non ci entra mai nessuno, ed è abbastanza grande da metterci dentro un reggimento"

"Ma Mikey! Non c'è niente là dentro, e poi credi che papà non se ne accorgerebbe?"

"Basterà stare attenti e spiegare a questo Frank la situazione. E per quanto riguarda i mobili, conosco un paio di persone che ci potrebbero aiutare" e così avevano trasportato una marea di roba durante le notti successive, cercando disperatamente di non farsi sentire dai genitori, e dopo molti sforzi erano riusciti nell'impresa.

Ma ora a Gerard si presentavano anche altri problemi. Evitare che a uno dei genitori venisse in mente di entrare in quel garage, cercare di non farsi notare quando avrebbe iniziato a sottrarre roba da mangiare per portarla a Frank e soprattutto, pregare che quel ragazzo non facesse rumori e non accendesse luci in orari improbabili. Comunque ora come ora non poteva farci molto, così si allontanò dal garage ed entrò in casa, dove trovò Mikey che come suo solito leggeva sulla poltrona.

"Ah eccoti qua!" Esclamò il fratello appena lo vide.

"Sembra un tipo sveglio questo Frank, vedrai che non ci saranno problemi" lo tranquillizzò, notando l'espressione un po' ansiosa di Gerard.

Quella sera Gerard riuscì a sottrarre un piatto di pasta e una bistecca senza che sua madre se ne accorgesse, poi uscì tranquillamente da casa ed entrò nel garage. Socchiuse appena la porta sussurrando un "è permesso?" per evitare figuracce come quella di quella stessa mattina, quando aveva aperto la porta della stanza di Frank e se lo era ritrovato davanti con solo un asciugamano intorno alla vita.

"Avanti, vieni" rispose Frank da dentro, e quando Gerard entrò vide che stava comodamente seduto sul divano, controllando il contenuto della sua sacca.

"Ti ho portato qualcosa da mangiare, non è molto ma te la dovresti cavare" disse appoggiando le due porzioni sul tavolo vicino alla cucina.

"Grazie, ma non trattarmi come se fossi un cucciolo da accudire. Non è proprio ciò di cui ho bisogno" rispose Frank un po' seccamente. A volte Gerard faceva davvero fatica a capire quel ragazzo. Rimase a fissarlo per qualche attimo, ma quello abbassò lo sguardo e continuò a rovistare nella sua sacca, così Gerard uscì senza dire altro.

Il giorno dopo dovette recarsi al lavoro, e suo padre, che a casa non parlava mai delle faccende di lavoro, si presentò nel suo ufficio in cerca di spiegazioni.

"Gerard, vuoi spiegarmi tutte queste assenze? C'è gente che inizia a farmi delle domande sul tuo conto" disse il signor Way spalancando sgraziatamente la porta del suo ufficio. Era da giorni che pensava a una scusa da poter dare al padre, ma non era arrivato a nessuna conclusione decente. Così si alzò dalla sedia e si mise a guardare fuori dalla vetrata con le mani in tasca, dando la schiena a suo padre.

"Sto aspettando" insistette l'uomo, ancora sulla porta.

"È una ragazza" disse senza guardare il padre. In quel mezzo minuto di silenzio aveva pensato che quella sarebbe stata l'unica scusa che suo padre avrebbe accettato. Lui adorava quando Gerard parlava di ragazze, cosa che accadeva assai di rado.

"Be, dove l'hai portata? Al mare? A pranzo?" Chiese il Signor Way.

"Tutte e due le cose. È una ragazza che pretende molto sai, non ho potuto dirle di no" Continuò a mentire Gerard.

"D'accordo, ma la prossima volta che programmi una giornata fuori per lo meno avvertimi" e con questo l'uomo si richiuse la porta alle spalle. Gerard era impressionato. Davvero bastava così poco per ingannare suo padre? Bastava parlare di ragazze che quello andava fuori di testa. Meglio così, pensò, per lo meno questa volta se l'era cavata.

Dopo quella domenica al campo da golf, i rapporti con i suoi colleghi erano notevolmente peggiorati. Mark e Stephen non lo invitavano più a mangiare fuori con loro, e l'unica persona con cui manteneva dei rapporti era Lizzy. Qualche volte pranzavano insieme e l'atmosfera era sempre molto tesa, Gerard si sentiva sempre in soggezione.

Più passava il tempo più odiava quel lavoro, più odiava quel dannato ambiente.

Una sera Gerard pensò di invitare Frank a prendere una birra al bar. Era da giorni che se ne stava chiuso in garage senza fare un rumore, e pensava davvero che avesse bisogno di prendere una boccata d'aria. Così, tornato a casa dal lavoro, aspettò il ritorno di suo padre.

"Papà, questa sera esco. Ci vediamo più tardi" lo informò.

"Con la tua nuova ragazza? D'accordo ma prendi le chiavi, noi non ti aspettiamo" e Gerard ne fu sollevato.

Afferrò le chiavi, si scambiò uno sguardo d'intesa con Mikey e uscì. Senza farsi vedere, fece il giro del garage e si mise a bussare dalla finestra della camera da letto: erano ancora tutti troppo vigili a quell'ora per entrare dalla porta davanti. Dopo pochi istanti Frank aprì la finestra.

"Che c'è?" Chiese il ragazzo.

"Che ne dici di una birra?" Chiese Gerard.

"Sì, certo. Faccio il giro ed esco"

"No no!" Quasi urlò Gerard, che all'espressione stupida di Frank si spiegò. "Esci dalla finestra se non ti spiace. Di là sono ancora tutti svegli".

Così Frank alzò le mani in segno di resa e cominciò a saltellare nel tentativo di scavalcare il davanzale senza fare troppa leva sul braccio ancora dolorante.

Gerard lo guardava.

"D'accordo, sono basso okay?" Affermò Frank sentendosi osservato.

A Gerard scappò una risatina, a cui Frank rispose con un' occhiataccia. Alla fine riuscì a scavalcare il davanzale, quindi saltò giù e si ripulì i vestiti impolverati.

"Vedo che i vestiti sono della tua misura, a quanto pare Mikey ha un buon occhio" affermò Gerard mentre Frank si toglieva un po' di intonaco dai pantaloni.

"Me li hai portati tu? Pensavo fosse stata l'infermiera" ribatté Frank togliendosi gli ultimi aloni bianchi dai pantaloni.

"Sì be, li ho dati io all'infermiera" rispose un po' in imbarazzo dando delle pacche sulla spalla destra di Frank per togliergli la polvere che lui non aveva notato.

"Allora grazie. Comunque si, sono della mia taglia" E detto questo i due ragazzi si avviarono verso il centro in cerca di un bar.

Quando furono in centro Frank si infilò in un bar senza preavviso e Gerard fu costretto a inseguirlo trotterellandogli dietro. Quando fu dentro Gerard raggiunse Frank che intanto aveva occupato un tavolo libero.

"Cosa prendi?" Chiese il più piccolo guardando l'elenco dei cocktail.

"Credo che andrò con un whiskey. Tu?"

"Comincio con una birra, poi si vedrà" rispose Frank alzando una mano per far segno alla cameriera di avvicinarsi.

La cameriera arrivò quasi subito, tirando fuori dalla tasca del grembiule un taccuino.

"Cosa vi porto ragazzi?" Chiese lei rivolgendo uno sguardo eloquente prima a Frank e poi a Gerard.

"Un whiskey doppio per me e una birra per lui" affermò Gerard indicando prima sé stesso e poi il compagno.

"D'accordo, arrivano subito" affermò la ragazza sorridendo.

Seguirono alcuni attimi di silenzio imbarazzante, poi Frank cominciò: "Allora, che problemi ha tuo padre con gli estranei?"

Gerard rimase un po' stupito dalla domanda forse un po' troppo personale.

"Mio padre ha molti problemi, cominciamo da questo presupposto" sospirò e Frank accennò una risata. "Ma i problemi più grandi ce li ha con quelli che... non considera... suoi pari" disse Gerard imbarazzato.

"Oh. Quindi immagino che ti caccerebbe di casa o qualcosa di simile se sapesse che nascondi un barbone ferito in garage" rispose Frank con un tono di acidità nella voce.

"Senti Frank, a me non interessa  quello che pensa mio padre okay? Se scopre quello che faccio, mi assumerò la responsabilità delle mie azioni" ribatté Gerard un po' indispettito dai cambiamenti di umore di Frank.

"Saresti pronto a essere cacciato di casa per me? Ma che carino" affermò Frank con sguardo divertito e malizioso allo stesso tempo.

Scherzava? Gerard non lo capiva. Un attimo prima sembrava arrabbiato e quasi offeso che suo padre odiasse i poveri, come se fosse colpa sua, e un attimo dopo lo prendeva in giro scherzosamente. Davvero a volte non riusciva a capire. Alzò gli occhi al cielo, ponendo fine a quell'argomento.

La cameriera arrivò pochi istanti dopo, portando su un vassoio i loro bicchieri. Chiacchierarono e scherzarono per almeno un' ora, il che fu fattibile anche grazie alle grandi quantità di alcool che stavano ingurgitando e alla fine erano ubriachi tutti e due.

"Hei hei, Gerard! Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?" Chiese Frank ridendo. "Io ero disperato di aver perso il lavoro, e tu eri dall'altra parte del bancone, così io mi sono avvicinato per scambiare due parole, ma tu non ne volevi sapere" Gerard annuì mentre buttava giù l'ultimo goccio della terza vodka liscia che ordinava.

"Già, poi tu mi hai messo il braccio intorno alle spalle, così" Continuò prendendo il braccio di Frank e appoggiandoselo sulla spalla.

"E poi non ricordo, come siamo passati alle mani?" chiese Frank. Aveva, come durante il loro primo incontro, quel sorriso ebete stampato in faccia.

Gerard lo fissava mentre cercava di ricordare, poi affermò "Per qualche motivo tu mi hai rovesciato il bicchiere sul vestito, allora io ti ho tirato un pugno, tu una ginocchiata, e alla fine io ti ho spaccato il mio bicchiere sul braccio" ed entrambi scoppiarono a ridere. Erano davvero ubriachi.

Alle undici e mezza, uscirono dal locale barcollando un po'.

"Sai Gerard" cominciò Frank appoggiandosi di tanto in tanto alla sua spalla per non cadere. "Non passavo una serata come questa da tempo" e Gerard, arrossendo leggermente, fece appena in tempo ad afferrarlo per il braccio e a tirarlo verso di sé con uno strattone per evitare che l'amico andasse a sbattere contro un lampione.

Riuscirono ad arrivare a casa Way per miracolo. Arrivati davanti al vialetto assunsero un atteggiamento più serio: dovevano entrare nel garage senza farsi sentire.

"Allora Frank! Dimmi che riuscirai a non ridere per dieci secondi, il tempo di arrivare alla porta" lo supplicò Gerard. Quello fece finta di chiudersi una cerniera alla bocca sforzandosi di non ridere, poi si afferrarono a vicenda per il braccio e camminarono per il prato il più silenziosamente possibile. Alla fine riuscirono ad entrare dalla porta senza fare rumori, Gerard si assicurò che Frank non sbattesse da nessuna parte e poi uscì dal garage.

Entrò in casa, salì le scale e arrivò nella sua stanza. Si svestì, rimanendo solo con i boxer, e si infilò a letto, stanco morto. Si addormentò quasi subito, contento della bella serata appena passata.

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredicesimo ***


                                        

 
CAPITOLO TREDICESIMO
 
 

Frank si svegliò di soprassalto la mattina seguente. Si mise sui gomiti e si passò una mano sulla faccia per darsi una svegliata. La sera prima dovevano aver bevuto davvero tanto, perché non gli capitava mai di avere il mal di testa dopo una sbronza ma quella mattina gli stava proprio scoppiando la testa. Poco male, pensò, non gli capitava di ridere così tanto come aveva fatto con Gerard da secoli.

Rimase ancora a letto per circa dieci minuti, massaggiandosi le tempie dolorosamente per cercare di farsi passare quella morsa alla testa. Alla fine si alzò e si vestì, poi afferrò una scatola di biscotti che gli aveva passato dalla finestra il giorno prima quel Mikey, il fratello di Gerard, e si sedette sul divano accavallando le gambe e sgranocchiando i biscotti.

Intanto rifletteva.

Era davvero una grande fortuna che Gerard lo aiutasse così. Quella casa, anzi quel garage, era molto confortevole e Frank aveva tutto quello di cui poteva aver bisogno. 
Mentre rifletteva su quelle cose dalla finestra vide Gerard, vestito di tutto punto, che stava uscendo di casa probabilmente per andare al lavoro. Anche Gerard vide Frank attraverso il vetro e Frank vide che il ragazzo si era girato verso casa sbilanciandosi su una gamba e alzando l'altra per vedere se dalla finestra della cucina di casa sua lo stesse guardando qualcuno. Ma evidentemente non c'era nessuno che lo stava osservando, così Gerard si girò verso la finestra da cui poteva vedere Frank e lo salutò con la mano e lui rispose al saluto. Durante tutta quella scena e le acrobazie di Gerard per vedere se fosse spiato da qualcuno, Frank lo aveva osservato bene per la prima volta. Non era altissimo, ma un po' più alto di lui sì. Dopotutto non ci voleva molto, pensò. Aveva le braccia piuttosto lunghe, e quando si muoveva in genere era sciolto ed elegante, ma a volte, probabilmente quando si sentiva in imbarazzo, aveva un non so ché di goffo. Gli era subito sembrato un tipo piuttosto timido e spesso quando era imbarazzato abbassava lo sguardo e rideva. Aveva il collo proprio corto, aveva pensato, e il viso tondeggiante, ma perfettamente incorniciato dai capelli neri. Alla fine si riscosse e continuò ad annoiarsi per un bel pezzo fino a quando non arrivò Mikey, come al solito, a portargli il pranzo clandestino.

"Ieri sera siete riusciti ad entrare senza far nessun rumore nonostante i bicchieri di troppo eh?" Disse Mikey allegramente porgendogli due piatti ancora caldi.

Quindi li aveva visti? Per un attimo Frank ebbe paura di quello che Mikey avesse visto, perché non ricordava proprio tutto della sera prima. Ma poi cosa avrebbe dovuto vedere? Stava pensando a delle sciocchezze.

"Sì, ma è stata dura" rispose Frank con un mezzo sorriso e senza guardare Mikey. "Allora, com'è la vita nell'esercito?" Chiese Frank.

"Uh! Gerard ti ha parlato di me?"

"Sì, be, gli ho chiesto io quale fosse il tuo lavoro"

"Non mi lamento. Insomma, a me piace, ma non è una vita adatta a tutti, capisci?" Frank annuì. "Non abbiamo poltrone comode su cui riposarci, né la mamma che ci prepara l'arrosto. E quando ti chiamano, ti chiamano, devi andare, non puoi rifiutare. Però tutto sommato la paga è buona e per ora non sono mai andato fuori dagli Stati 
Uniti in missione, quindi credo che il difficile debba ancora arrivare. Oltretutto sai che gli Stati Uniti sono entrati in guerra? Per quelle faccende in Europa. L'esercito è in cerca di nuovi soldati, sai, da mandare oltreoceano. Forse ci andrò, non lo so"

"E come mai vivi ancora a casa coi tuoi?" Chiese Frank incuriosito.

"Non lo so... Probabilmente per pigrizia. E poi non voglio lasciare il mio fratellino da solo tra le grinfie di nostro padre" affermò in tono scherzoso.

Nel pomeriggio Frank, che non avendo niente da fare osservava i movimenti della famiglia Way, notò che la signora Way era uscita. Poi dopo circa mezz'ora uscì anche Mikey, in divisa militare, probabilmente quel giorno era di turno.

Quindi la casa era vuota.

La casa era completamente vuota, e lui era lì, da solo, con le chiavi di casa appese dietro la porta. Improvvisamente gli venne un' idea. Un' idea terribile, ma in quel momento a Frank sembrava un' ottima soluzione. Non era certo un mistero che i signori Way fossero a dir poco ricchi, mentre lui non aveva un soldo in tasca, nemmeno una lira. E cosa avrebbe fatto una volta che Gerard lo avesse sbattuto fuori? Già, perché sarebbe successo prima o poi. Non avrebbe mica potuto vivere lì per sempre, e ben presto la scusa della ferita non ci sarebbe più stata, perché ormai era praticamente diventata una cicatrice, rimarginata perfettamente.

E lui era solo, non aveva nessuno a cui chiedere aiuto, e per di più senza un lavoro. Ma... ma se fosse entrato in casa e avesse preso qualcosa di prezioso, i suoi problemi sarebbero finiti. Sarebbe scappato, e non ci sarebbero stati più problemi. Per la famiglia di Gerard non sarebbe stata una grave perdita data la loro ricchezza, e lui avrebbe avuto un futuro migliore. Ma Gerard? Ma no, a lui in realtà interessava solo non avere il peso sulla coscienza di aver rovinato la vita a un ubriacone trovato in un bar, niente di più, per questo lo stava aiutando, per mettersi la coscienza a posto.

Dopo essersi autoconvinto di tutte queste cose, Frank rimase in piedi per un po' , ancora indeciso sul da farsi. Poi prese la sua sacca, afferrò le chiavi dietro alla porta e uscì dal garage. Doveva fare in fretta, pensò, perché non sapeva quando sarebbe tornata la signora Way.

Oltrepassò il prato che divideva la casa dal garage, infilò le chiavi nella toppa e aprì la porta. La casa era davvero stupenda, e i mobili di classe, ma non aveva tempo per pensare a simili stupidaggini. Così si lanciò su dalle scale, in cerca del cassettone in cui solitamente si tenevano i soldi. Lo trovò nella stanza da letto dei signori Way. Lo aprì, dovette rovistare per un po' , ma alla fine trovò tre mazzette piuttosto voluminose. Le afferrò e le gettò nella sacca, quindi scese le scale. Mentre ripercorreva la strada al contrario notò una stanza diversa, tutta ammobiliata in legno scuro. Doveva essere lo studio del signor Way. Entrò, aprì il cassetto della scrivania e sul fondo trovò un grosso orologio d'oro massiccio. Mise anche quello nella sacca, e in quel momento si sentì proprio un essere spregevole, lui non era un ladro. Ma ormai era fatta, così chiuse il cassetto e uscì dalla casa. Dopo aver richiuso la porta a chiave, appese il mazzo al chiodo dietro la porta del garage e scappò via.

Ora gli si presentava il solito problema. Dove andare? Pensò che per una sera avrebbe potuto tornare sulla sua vecchia panchina, tanto Gerard non sarebbe di certo passato per quel viale. Ma non sapeva che quel viale era proprio la strada che il ragazzo faceva ogni giorno per tornare a casa.

Quella sera Frank fece molta fatica ad addormentarsi. Un po' per la scomodità della panchina, a cui non era più abituato, e un po' perché cominciava a sentirsi in colpa. Ma ogni volta che cominciava a pensare a Gerard, si costringeva a pensare a qualcos'altro.

Il giorno dopo Frank si svegliò verso le otto. Si stiracchiò cercando sollievo per la sua schiena dolorante e si mise a sedere. Mentre cercava di svegliarsi si mise a guardare le persone che passavano, poi, più annoiato di prima, si sciacquò la faccia con l'acqua della fontanella vicina. Si inginocchiò per lavarsi anche le mani, poi d'un tratto si ritrovò in ombra, oscurato da qualcuno che gli si era piazzato dietro. Frank si alzò con un brutto presentimento, si girò lentamente e quando vide chi gli si era parato davanti, per poco non tirò un grido.

Gerard. Era Gerard Way.

"Oh merda" sussurrò Frank guardandosi intorno.

"Così eccoci qua, Frank" cominciò Gerard fissandolo dritto negli occhi. Il suo tono era severo, e decisamente arrabbiato, e Frank poteva sentire anche una nota di delusione nella sua voce.

"Be che vuoi che ti dica Gerard" Frank non sapeva cosa dire, o come scusarsi.

"Dannazione Frank! Ma che ti è preso!" Sbottò Gerard con le mani puntate sui fianchi e piegandosi col busto leggermente in avanti. Frank non rispose e Gerard si passò una mano sulla bocca, girandosi verso il viale. Fece qualche passo girando in tondo, poi tornò davanti a Frank. "Non hai potuto resistere, vero? Non hai fatto altro che sfruttarmi, non è così? Hai fatto finta di essere un tipo tranquillo e gentile per aspettare il momento buono! Per sgattaiolare in casa! Hai approfittato della mezz'ora in cui la casa era vuota e non hai perso l'occasione di derubarmi, vero? Tipica mentalità da barbone! Ti avvicino e poi ti frego! Ma certo avrei dovuto immaginarmelo. Forse dopotutto mio padre aveva ragione! Te li sei già bevuti i soldi che hai preso? Perché mi stupirei del contrario!" Gerard gli sputò addosso tutte queste cose, praticamente urlando, tanto che molte persone mentre passavano si erano voltate a guardarli. Gerard non gli staccava gli occhi di dosso, come se potesse fulminarlo con lo sguardo o come se in quel modo pensasse di poter ottenere una spiegazione.

Frank era rimasto lì in piedi fissando lo sguardo duro di Gerard. All'inizio si era sentito umiliato, ma mentre Gerard continuava a urlargli in faccia, man mano in lui era cominciata a crescere la rabbia.

"Ma bravo Gerard! Quindi è questo quello che pensi di me?" Sbottò d'un tratto. "Che io sia un ubriacone che si beve ogni centesimo che guadagna! Per te sono un misero sfaticato che chiede l'elemosina! Per tutto questo tempo non hai fatto altro che guardarmi con uno sguardo di pena negli occhi, vero? Perché con i tuoi maledetti pregiudizi da schifoso ricco in me non riesci a vedere nient'altro se non un povero coglione senza soldi! Mi guardavi come se fossi stato un cucciolo smarrito, un povero ingenuo ragazzo con una ferita al braccio. Ma sai cosa ti dico? Io non ho nessun bisogno della tua pietà! Né tanto meno dei tuoi cazzo di soldi!"

E dicendo così gettò davanti ai piedi di Gerard le mazzette rubate il giorno prima. Gerard lo guardava sbalordito, di certo non si aspettava una reazione simile.

Fissandolo ancora Gerard rispose in modo ancora più duro. "Parli tanto di pregiudizi Frank, ma lo sai chi è stato il primo a cominciare? Lo sai?! Sei stato tu! Tu hai cominciato chiamandomi 'riccone' quella sera in quel fottuto bar! E sei sempre tu quello che in me non riesce a vedere nient'altro se non uno 'stronzo ricco'!"

E dicendo questo fece le virgolette con le dita, ricordando le parole di Frank.

"Tu, proprio tu! Non io! Tu ti sei approfittato della mia condizione! Tu non hai saputo guardare oltre alla mia condizione sociale! Perché io non ti stavo facendo l'elemosina, io stavo cercando un amico! E pensavo anche di averlo trovato, ma a quanto pare sono stato un ingenuo! Come ho potuto pensare che una serata in un bar avrebbe potuto significare qualcosa? Già sono stato solo uno stupido"

Gerard ansimava per quanto aveva urlato, e questa volta Frank si sentiva davvero male. Gerard si girò di nuovo dall'altra parte, dando le spalle a Frank. Quando si girò la sua espressione era più seria e calma.

"Non farti più vedere, Frank. Non mi cercare, non mi parlare"

E detto questo lo fissò ancora per un attimo negli occhi, poi si girò e si allontanò con passo svelto.

"Tranquillo! Non avevo nessuna intenzione di farlo!" Gli urlò dietro Frank, rimasto ancora lì in piedi.

Nonostante quella risposta così dura, Frank si sentiva un verme per quello che aveva fatto. Non pensava che Gerard lo considerasse quasi un amico, non ne aveva la minima idea. Per tutto il giorno rimase steso sulla panchina a pensare a quanto  fosse stato stupido a fare una cosa del genere. Era stato un vero idiota, rubare in casa di Gerard! Solo ora la cosa gli sembrava chiara: era stato un coglione, proprio un grandissimo coglione a rubare in casa dell'unica persona che avesse cercato di aiutarlo in tutta la sua vita.

Frank non era abituato a ricevere favori 'gratuiti'.  Ogni volta che qualcuno si offriva di aiutarlo era perché voleva in cambio qualcosa, per questo non era subito riuscito a capire che Gerard aveva davvero un animo buono e generoso. Solo ora aveva capito: Gerard lo aveva aiutato solo per aiutarlo, non perché aveva pietà di lui o perché si aspettasse qualcosa in cambio. Lo aveva aiutato e basta. E lui era stato uno stronzo.

Nel tardo pomeriggio, verso le sei, Frank stava sdraiato sulla panchina ad autocommiserarsi. Durante tutto quel tempo in lui era cominciata a sorgere un' idea. Mentre i suoi pensieri vagavano, tra le altre cose aveva ripensato alla chiacchierata fatta con Mikey. Lavorava nell'esercito. E aveva detto che non era nemmeno tanto male. La paga era buona. E con la guerra che stava cominciando, avevano bisogno di soldati. Lui era giovane, la ferita ormai era guarita, e piuttosto che stare su una panchina, si sarebbe anche arruolato. Ma ne valeva la pena? Di morire per un proiettile? Per il momento abbandonò l'idea.

A un tratto sentì avvicinarsi una voce, una voce conosciuta. Poi delle risa. Ma certo, pensò, era la stramba risata di Gerard, che ogni volta usciva in modo diverso ma che nello stesso tempo era inconfondibile. Frank si sollevò, pronto a scusarsi, anche se sapeva che non sarebbe servito assolutamente a nulla.

Ma doveva tentare, non poteva sopportare l'idea di aver deluso Gerard, di averlo tradito.

Ma Gerard non era solo, tutt'altro. Di fianco a lui camminava una donna, una donna bellissima, alta e bionda, e molto sicura di sé. Per qualche motivo la prima cosa che Frank pensò era che quella ragazza non gli sembrava il tipo di Gerard. I due si stavano avvicinando e Frank non era più tanto sicuro di voler parlare con lui visto che era in compagnia. I due camminavano affiancati e Frank si alzò quando vide che Gerard lo aveva iniziato a fissare. Fece qualche passo verso di loro, poi la ragazza parlò:

"Hei Gerard, perché quel barbone continua a guardarti? Lo conosci forse? Non avrai mica rapporti con questo genere di gentaglia!" Affermò prendendo a braccetto il ragazzo.

"Io? Conoscerlo? Certo che no. Perché dovrei conoscere uno straccione come lui?"

Affermò continuando a fissare Frank negli occhi. Poi i due lo oltrepassarono, ancora a braccetto, e si allontanarono allegramente, chiacchierando e ridendo.

Frank rimase a guardarlo. Nel momento stesso in cui Gerard aveva pronunciato quelle parole, qualcosa era andato in frantumi dentro di lui. Si era sentito patetico di fronte a loro, ma la cosa peggiore era stata vedere Gerard fingere di non conoscerlo neanche. Più triste e solo che mai, Frank si risedette sulla panchina.

"Che hai ragazzino?" Chiese George, l'altro barbone al di là del viale. 
"Sembra che tu abbia visto un fantasma"

Frank non rispose. Aveva la testa nel pallone, era lì seduto a guardarsi le scarpe con sguardo vuoto.

Alla fine decise. In un momento di confusione, disperazione e solitudine, Frank pensò di non avere niente da perdere. Così si alzò, raccattò la sua poca roba, e si incamminò verso la caserma.

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordicesimo ***


                                        

 
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
 
 

Delusione. Questa era l'unica cosa che Gerard riusciva a provare, oltre alla rabbia ovviamente. Non ci poteva davvero credere! Da una parte si sentiva come tradito da Frank, ma dall'altra pensava di essere stato un vero idiota a pensare che avrebbe potuto funzionare. Era pur sempre un ragazzo di strada! Che si aspettava? Era ovvio che alla prima occasione avrebbe cercato di approfittare della situazione. Ma no, Gerard non ci aveva pensato, aveva davvero creduto che suo padre si sbagliasse e che Frank fosse in fondo... un bravo ragazzo. Ma a quanto pare si era dannatamente sbagliato.

E ora se ne stava tornando a casa con Lizzy sotto braccio. Ma non era felice, non lo era affatto. Aveva qualcosa dentro che continuava a dimenarsi e che gli ricordava costantemente l'accaduto, impedendogli di pensare ad altro.

I suoi genitori erano rimasti sconvolti dal furto; non avevano mai subito rapine, quella era la prima volta. Oltretutto nessuno riusciva a capire come il ladro fosse riuscito a entrare in casa senza forzare la porta e senza rompere nessuna finestra. Gerard aveva cercato di rimanere il più lontano possibile da quella faccenda perché non era sicuro che sarebbe riuscito a non tradire il suo segreto. Mikey poi non sapeva ancora niente, perché da quando se ne era andato il pomeriggio in cui Frank aveva svaligiato la casa non era ancora tornato.

"Senti Lizzy, io devo andare a casa dai miei genitori, sai per la faccenda del furto sono tutti ancora molto..."

"Ma che hai in questo periodo Gerard?" Lo interruppe Lizzy. "Non fai che dare scuse per tornartene a casa! E quando ti si parla sei distratto, svogliato! Che ti prende?" Chiese la donna con tono piuttosto polemico. Evidentemente era stufa di star dietro a Gerard, che da parte sua non la degnava di uno sguardo nell'ultimo periodo. Aveva altro per la testa, e quella sera aveva accettato di accompagnarla fino a casa solo per distrarsi un po', ma era già da un po' che non pensava più a Lizzy.

Gerard la guardò in modo piatto e inespressivo. Lei si mise le mani sui fianchi, aspettandosi una spiegazione, ma visto che quella non arrivava riprese a camminare urlando dietro a Gerard: "Io non corro dietro a nessuno. Se avrai voglia di parlarmi, fatti vivo"

Gerard si girò e se ne andò verso casa come se non fosse successo niente, dopo qualche passo aveva già smesso di pensare a quella faccenda.

Quando arrivò a casa stava per affacciarsi alla finestra del garage per dare un' occhiata a Frank, ma poi si ricordò. Ridendo quasi di sé stesso, aprì la porta ed entrò. Salì le scale e si diresse velocemente nella sua camera, non aveva voglia di parlare con nessuno. Ma quando aprì la porta vide suo fratello disteso sul suo letto con le braccia incrociate dietro la testa. Era ancora in divisa militare, evidentemente era appena tornato e lo stava aspettando.

"Ciao Mikey. Già di ritorno?" Disse con voce annoiata buttando la sua valigetta sulla scrivania.

"Sono stato via due giorni. Ma probabilmente partirò di nuovo. Le cose in Europa si stanno mettendo male, e credo che ci invieranno là"

"Ma come? Non puoi andare! E noi che deridevamo papà quando ci diceva che saremmo entrati in guerra..." Gerard era scioccato dalla notizia, Mikey era pur sempre il suo fratellino.

"Hei hei, calma Gee, è il mio lavoro!"

Gerard fece una smorfia di disapprovazione.

"Comunque, parlando di cose serie. Papà e mamma mi hanno detto quello che è successo. È andata come credo?" Chiese mettendosi seduto.

Gerard sbuffò. "Sì. Sì certo. Ho sbagliato a fidarmi di lui. Alla fine si è rivelato essere solo un ladro traditore" affermò sedendosi accanto al fratello.

"Eddai Gee! Non essere così duro!"

"Duro?! Mikey! Lui ha aspettato che fossimo tutti fuori casa apposta per derubarci"

"Ma noi non possiamo neanche immaginare la sua situazione. Hei, hai mai passato una notte su una panchina? Una sola? No! No Gerard, non l'hai fatto. Cosa credi che abbia pensato? Sicuramente avrà avuto paura che tu lo cacciassi via prima o poi, e ha pensato a cosa sarebbe venuto dopo. Ha fatto quello che doveva, per sopravvivere. Almeno, è quello che ha pensato lui, ci posso scommettere" disse Mikey restando calmo, come sempre quando parlava.

"Ma io non lo avrei lasciato andar via senza soldi! Di certo lo avrei aiutato, chessò, a trovarsi un lavoro! Non lo avrei mica sbattuto in mezzo a una strada come prima!" Rispose Gerard un po' sulle difensive.

"Ma lui che ne sapeva? Gliel'hai forse detto? Durante la sua vita non avrà di certo mai ricevuto un favore gratuito. Nella sua condizione ha dovuto sempre lottare per arrivare alla fine della settimana senza morire di fame, cerca di capire le situazioni!  Non tutte le azioni sbagliate sono fatte con cattiveria" Mikey lo guardava intensamente, sforzandosi di far capire quel concetto al fratello.

"D'accordo Mikey, ma io sono stufo di rincorrere quel ragazzino. Non voglio andare a cercarlo di nuovo nel viale. Non lo voglio fare. E poi lui sembrava anche più arrabbiato di me"

"Perché, l'hai visto dopo che se ne è andato?" Chiese Mikey.

"Sì, stamattina, e anche poco fa, tornando a casa. Non ha nemmeno avuto la decenza di nascondersi"

"Quindi avete parlato?"

"Urlato credo sia la parola giusta... però sì, abbiamo parlato"

"Avete litigato, fantastico. E lo sai cosa farà lui adesso? "

"E come faccio a saperlo?" Rispose Gerard in modo acido.

"Si arruolerà nell'esercito, ci posso scommettere le palle" affermò Mikey in tono serio, alzandosi dal letto e facendo qualche passo nella stanza.

"Che faccia quello che vuole, non mi importa. E non dire che è colpa mia. Non farlo"

Mikey alzò le sopracciglia in segno di resa, ma quello che pensava era evidente.

"Le persone fanno le proprie scelte, Mikey. Chi sono io per impedirgli di arruolarsi? "

"Solo quello che l'ha spinto a farlo. Tu gli hai tolto ogni speranza. Prima non aveva nessuno al mondo, poi tu l'hai aiutato, lui ha fatto una stupidaggine e quindi tu lo hai abbandonato. Non è così che si fa con gli amici Gerard. Lui andrà a morire sai? Perché un ragazzino senza esperienza, senza addestramento come lui cosa pensi che faccia? L'esercito ha bisogno di uomini ora che gli Stati Uniti sono entrati in guerra, e sono pronti a prendere chiunque e a sbatterlo al fronte senza nemmeno avergli insegnato a tenere in mano un fucile. È questo che faranno" Mikey sembrava arrabbiato con Gerard, perché lui proprio non voleva capire la situazione.

"Ma come fai a essere sicuro che si voglia arruolare?" Chiese. Questa volta nel suo sguardo c'era un po' di paura. Aveva realizzato la situazione, e anche se continuava a pensare che Frank fosse uno stronzo, certo non voleva che andasse a morire perché lui gli aveva urlato in faccia tutte quelle cazzate.

"L'altro giorno, prima di andar via, gli ho portato il pranzo, lui mi ha chiesto del mio lavoro. Io gliene ho parlato bene, così lui ha cominciato a farmi delle domande abbastanza specifiche. Credo proprio che sia la sua intenzione" e detto questo Mikey uscì dalla stanza, lasciando Gerard a trarre le sue conclusioni.

A Gerard bastarono dieci secondi per capire che sarebbe andato a recuperarlo. Che cosa gli avrebbe detto per persuaderlo non lo sapeva, ma doveva tentare. Così scese nuovamente le scale e uscì di casa, senza rispondere al 'dove vai?' di sua madre. Percorse la strada di poco prima al contrario, guardando ogni panchina in cerca di quel volto casomai si fosse spostato.

Ma Frank non era lì. Non era nemmeno sulla 'sua panchina'. Quando Gerard realizzò che Mikey aveva ragione per poco non gli prese un colpo.

Un senso di panico lo pervase. Aveva sempre odiato la guerra, e così come non poteva sopportare l'idea che suo fratello partisse in missione non amava per niente neanche il fatto che Frank si fosse arruolato perché lui non gli aveva dato una seconda possibilità.

"Senta, sa dove è andato quel ragazzo che stava su quella panchina? " Chiese Gerard al barbone più anziano che alloggiava di fronte al posto di Frank.

"Chi? Quel ragazzo basso? Capelli corti e scuri?"

"Sì lui, proprio lui. Sa dov'è andato? "

"È sempre stato abbastanza scostante quel Frank. Non voleva mai parlare e quando gli facevi una domanda spesso neanche ti rispondeva" Continuò l'uomo, seguendo il filo dei suoi disordinati pensieri.

"Per favore! È urgente! Allora sa dov'è? " insistette Gerard.

"No, lui si è alzato e se ne è andato prendendo tutta la sua roba. Non dava l'impressione di voler tornare comunque..."

"Già.. grazie" e Gerard lasciò nelle mani del barbone una mancia piuttosto generosa.

Visto che non era lì il primo luogo in cui andare a cercarlo era di certo la caserma. Che si trovava dall'altra parte della città. Dannazione, pensò Gerard, doveva prendere un taxi.

Dopo svariate decine di minuti riuscì a fermare un tassista disposto a portarlo e, data la destinazione all'autista, lo pregò di fare il più in fretta possibile. 

Arrivati alla caserma Gerard diede una somma considerevole all'autista senza aspettare il resto, poi scese al volo dalla macchina e si diresse all'entrata.

La caserma era un posto molto grande, enorme, e Gerard non sapeva dove bisognasse andare per arruolarsi. Così chiese a una segretaria in portineria.

"Per arruolarsi?" Chiese quasi ansimando.

"Da quella parte" affermò la donna indicando con un dito il corridoio a fianco a Gerard.

Il ragazzo si avviò il più velocemente possibile verso il corridoio, quasi di corsa. Alla fine vide una stanza illuminata dalla quale provenivano delle voci. Una piccola fila di persone usciva dalla stanza, ed erano quasi tutti ragazzi molto giovani e malandati, probabilmente senza soldi e senza altre vie d'uscita alla loro condizione.

Gerard avvicinandosi guardò i volti dei ragazzi in coda senza riuscire a scorgere quello di Frank.  Ma poi lo vide. Era il secondo della fila, ancora una sola persona e poi lui sarebbe entrato in quella stanza.

Gerard si avvicinò senza che Frank se ne accorgesse, lo prese saldamente per un braccio e lo tirò via. Ma riuscì a fare solo qualche passo prima che l'altro riuscisse a capire quello che stava succedendo e a divincolarsi dalla mano di Gerard.

"Oh, ma che cazzo fai?!" Sbottò Frank guardando l'altro con uno sguardo allibito.

"Cerco di impedirti di fare una stronzata" rispose acidamente Gerard.

"Lasciami in pace, è la mia cazzo di vita, non intrometterti più di quanto tu non abbia già fatto" e si girò per tornare verso la stanza.

Ma Gerard aveva previsto una risposta di quel tipo, e non aveva intenzione di arrendersi così presto.

"Frank!" Gli urlò dietro seguendolo. "Frank, aspetta!"

"Cosa vuoi ora? Credevo che non volessi né vedermi né sentirmi più. Non è bello rimangiarsi le promesse, sai?"

"Guarda che quello arrabbiato dovrei essere io!"

Frank rimase a guardarlo per un attimo con le sopracciglia alzate, poi si girò e ricominciò a camminare.

"Senti, non puoi arruolarti" disse Gerard con sguardo sincero dopo averlo nuovamente fermato trattenendolo da un braccio.

"E perché no? Non ho niente da perdere. Non una famiglia, non un amico, quindi preferisco rischiare di morire per la mia patria piuttosto che vivere una misera vita su una panchina. Ora, se vuoi scusarmi... credo che non abbiamo nient'altro da dirci"

"Tu non rischi di morire. Tu stai andando a morire Frank. Lo dice anche Mikey. Che arruolano solo perché hanno bisogno di ragazzi da mandare in Europa. Non ti addestrano, non ti preparano, ti mandano e basta a morire come un cane in una terra straniera. Hai capito? "

Frank non dava a vedere di essere preoccupato, aveva ancora uno sguardo piatto e vuoto.

"Non mi importa. Te l'ho detto, tanto non ho niente da perdere, a nessuno importerà quando morirò, quindi non credo di fare un dispiacere a nessuno"

"Io sono porto a ricominciare Frank" continuò Gerard disperato "Possiamo dimenticare tutto, ti prego, dimentichiamo e ricominciamo. Ma questa volta non più con me che ti 'faccio l'elemosina' come dici tu. Non più con te mezzo morto che hai bisogno di cure. Ripartiamo da zero, da pari, da amici" Gerard tese una mano nella direzione di Frank, sperando che quello la stringesse. Ma Frank non lo fece.

"Io mi arruolo, Gerard. Niente mi trattiene capisci? Niente. A cosa mi porterebbe rimanere qui? Proprio a un cazzo. Solo a passare le giornate ad autocommiserarmi e a pensare a quanto la mia vita sia patetica"

Frank guardò l'altro per un attimo, forse sperando che gli rispondesse, ma Gerard non sapeva sinceramente più cosa fare.

"Bè se tu ti arruoli allora vengo con te" disse improvvisamente Gerard rendendosi conto di quello che aveva detto solo dopo averlo fatto. Sul volto di Frank comparve una strana espressione.

"Non dire stronzate. Tu non sei fatto per queste cose, torna alla tua vita, credo di averti creato già abbastanza problemi. E non provare a seguirmi" e Frank gli voltò nuovamente le spalle tornando verso la fila.

"Guarda che io non faccio promesse vane! Se tu ti arruoli io ti seguo" gli urlò dietro Gerard.

Frank si arrestò. Di certo non voleva che Gerard buttasse via la sua vita come stava per fare lui. Gerard aveva un lavoro, una famiglia e a quanto pareva anche una ragazza, mentre lui non aveva niente da perdere.

"Non fare cazzate Gerard. Te l'ho detto, torna alla tua vita. Tu hai tutto, io non ho niente. Non ne vale la pena"
Gerard gli sia avvicinò.

"Se tu vai vengo anch'io" ribadì scandendo bene le parole, lentamente, in modo quasi ipnotico.

Frank, che aveva le mani puntate sui fianchi, alzò gli occhi al cielo e fece un giro su sé stesso.

"Ma perché cazzo sei così ostinato? Lascia perdere! Perché mi stai addosso? Che cazzo te ne frega?" Sbottò irritato, tenendo ancora le braccia sui fianchi e sporgendosi leggermente in avanti col busto.

Gerard per un attimo rimase confuso. In effetti forse aveva preso questa cosa un po' troppo sul personale, troppo sul serio.

Ma poi ci ripensò. No, tutta questa storia era un casino che aveva combinato lui. Se non lo avesse preso a botte in quel bar probabilmente ora Frank avrebbe un lavoro e non dormirebbe sotto le stelle.

"Me ne frega" Rispose Gerard sbrigativo.

"Allora è deciso? Si parte?" Domandò.

"Cazzo Gerard lascia stare. Non buttare la tua vita nel cesso, tanto lo so che non ne saresti capace. Quindi smettila di cercare di convincermi con questi patetici discorsi"

Frank girò sui tacchi e si allontanò. 
"E non ti azzardare a seguirmi. Dico sul serio" lo avvertì girandosi indietro mentre continuava a camminare.

Frank era davvero certo che Gerard non lo avrebbe mai seguito. Non era il tipo da mollare tutto e arruolarsi. Ne era davvero sicurissimo.

Ma il ragazzo faceva sul serio. Per una volta sentiva di avere una sorta di missione. Poteva sembrare stupido, ma era così.

Gerard uscì dalla caserma lanciando un' ultima occhiata a Frank, poi prese un altro taxi e ritornò a casa. Volò giù dalla macchina e si precipitò in camera sua, in cerca di una sacca da viaggio.

"Che diavolo stai facendo?" A Gerard prese un colpo, non aveva notato Mikey sdraiato di nuovo sul suo letto.

"Faccio il bagaglio" rispose dopo essersi ripreso dallo spavento.

"A che ti serve un bagaglio? Stai partendo?" Mikey si alzò e guardò Gerard con uno sguardo preoccupato. 

"Sì, mi arruolo"

"Cosa?! Che significa 'mi arruolo'?"

"Be, semplicemente che mi arruolo" rispose l'altro aprendo le braccia come se stesse dicendo una cosa ovvia.

"E perché? Fermati un attimo Gerard!"

Quello, che stava infilando pantaloni e maglie a caso nella sacca, si fermò e si girò verso il fratello.

"Che hai intenzione di fare?" Gli chiese Mikey.

"Di ar-ruo-lar-mi. Mikey, sei un soldato anche tu, pensavo che le basi le conoscessi già" Scherzò Gerard.

"Non fare lo scemo. Perché? Che è successo?"

"Frank non si è lasciato convincere. Quindi non posso lasciarlo andare, come dici tu, a morire"

"Quindi per te la soluzione è andare a morire anche tu? Sì, be, in effetti non fa una piega come ragionamento" rispose Mikey acidamente.

"Ma tu non dovresti essere favorevole a queste cose?"

"Non per mio fratello. Non voglio che tu finisca male solo perché io ti ho fatto la ramanzina. Quel ragazzo ha ignorato i tuoi tentativi di salvarlo, non ci puoi fare niente. La tua parte l'hai fatta"

"Non sembravi pensarla così poco fa"

"Tu sei proprio certo di quello che fai? " Chiese Mikey.

"Sì, ne sono certo. Voglio farlo. Insomma, il mio lavoro mi fa schifo, non ho una ragazza a cui pensare, e tu sei già nell'esercito. Quindi perché rimanere? Non ho niente che mi tenga legato qui" affermò Gerard ricordando le parole di Frank.

"D'accordo. Mi sembra che tu sia  davvero convinto della tua scelta. Però Gerard, promettimi che non sarai il suo scudo, ma che vi guarderete le spalle a vicenda. Non morire stupidamente ok?"

Queste raccomandazioni sembravano un po' ridicole a Gerard, ma per fare contento il fratello acconsentì.

"Ora vai a firmare e poi avrai tempo per farti il bagaglio, non c'è bisogno di portarti dietro tutta questa roba" gli disse Mikey, ora un po' più calmo di prima.

"Bene. Grazie Mikey"

Gerard tornò alla caserma e si mise in fila. Con lo sguardo cercò Frank tra le persone presenti, ma di lui nessuna traccia. Probabilmente aveva già firmato e se ne era andato.

Ci volle più di un' ora per arrivare all'inizio della fila, e Gerard era davvero sorpreso di vedere quante persone si arruolassero volontariamente. Quando davanti a lui furono rimasti solo due ragazzi, Gerard cominciò a sentire una sensazione sgradevole allo stomaco che riconobbe subito per paura. In certi momenti si ritrovò a pensare che forse stava facendo una stronzata, ma alla fine arrivò il suo turno e oltrepassò la soglia della porta.

"Nome?" Chiese una donna sulla trentina.

"Gerard" rispose.

La ragazza alzò lo sguardo guardandolo impazientemente come se si aspettasse qualcos'altro da lui.

"Cognome?" Chiese allora leggermente scioccata dal silenzio di Gerard.

"Oh.. sì, certo. Way, Gerard Way"

La donna scosse leggermente la testa alzando le sopracciglia, poi trascrisse il nome su un modulo.

Le domande non finivano più, e alcune erano davvero assurde. Ora capiva perché ci era voluto tanto per arrivare all'inizio della fila. Dopo circa un quarto d'ora di domande più o meno imbarazzanti, la donna girò il modulo verso di lui indicandogli con la penna dove avrebbe dovuto firmare per porre fine alla procedura.

Gerard esitò per un attimo.

Che diavolo stava facendo? Una firma e la sua vita sarebbe cambiata completamente.

Poi si sporse leggermente in avanti, si piegò sul tavolo, afferrò la penna e con mano leggermente tremante tracciò la sua firma sul foglio bianco.

 







Note.
Mi devo scusare tantissimo per il ritardo, ma ho avuto una sessione esami impegnativa e mi sto iniziando a riprendere solo ora.
La storia è arrivata alla sua conclusione! Ringrazio tutti coloro che hanno letto, e lascio qui sotto l'ultimo commento dell'autrice su Wattpad.
A presto :D
(Billy)

« Okay ragazzi... siamo arrivati alla fine di questa storia!

Spero vi sia piaciuta per ora e ovviamente non è finita qui, anzi, direi che è appena iniziata! 

Non so ancora quando inizierò a pubblicare la seconda parte, dipende anche un po' da voi lettori, sappiate solo che a partire dai prossimi capitoli vedremo finalmente una svolta nella relazione tra Frank e Gerard.

Lasciatemi un commento se vi va, insomma, ditemi un po' cosa ne pensate.

A presto! :) »

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