Ti ho voluto bene veramente

di LadySissi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per dirti ciao! ***
Capitolo 2: *** This love ***
Capitolo 3: *** I wish you would ***
Capitolo 4: *** Walking in the wind ***



Capitolo 1
*** Per dirti ciao! ***


NOTA AUTORE: Cari lettori, sono tornata e questa volta ho intenzione di raccontarvi una storia un po' diversa dal solito, molto più autobiografica e delicata.
è una breve serie di capitoli, accomunata dal medesimo tema. Spero di non urtare la sensibilità di nessuno.
Mi sono chiesta per mesi se pubblicarla o no, ma la verità è che ho davvero il desiderio di regalarla a voi.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo.
A quanti si accostano per la prima volta ad una mia storia: benvenuti!!
Buona lettura e grazie in anticipo.

 

PER DIRTI CIAO!
(febbraio 2012)


 


(Citazioni da: Per dirti ciao, Tiziano Ferro)

Magari un giorno avremo un posto

anche nascosto oppur distante dalle tante astanterie

in cui riposano gli amori ormai in disuso,

quelli non storici, di cui nessuno parlerà.

 

Era il pomeriggio ormai inoltrato di un venerdì di febbraio. Durante la notte era caduta altra neve; un sottile strato, più fresco dei precedenti, ricopriva il ghiaccio che non accennava a sciogliersi già da diversi giorni. Di conseguenza, anche il cielo notturno aveva assunto delle sfumature violette. Non era uno spettacolo frequente in pianura; poteva capitare, al massimo, un paio di volte ogni inverno, di più se la stagione era particolarmente rigida. Ma ormai erano quasi dieci giorni che la città era stretta in una morsa di gelo. E proprio in questo periodo, pensò.

Ormai era agli sgoccioli: il mercoledì pomeriggio successivo ci sarebbe stata la discussione della sua Laurea triennale. Ancora cinque-sei giorni, e si sarebbe potuta considerare Dottoressa in Lettere. La strada, però, era ancora lunga. Innanzitutto c'era la Magistrale, che aveva già iniziato a frequentare; e poi, un futuro che era ancora tutto da scrivere. Nonostante questo, si trattava di un passo molto, molto importante. Si capisce facilmente come, in quei giorni, si fosse trovata a provare dei sentimenti del tutto contrastanti.
 

C'era la felicità, naturalmente, perché quella laurea le era costata tre anni di fatiche, studi, esami ed impegno, soprattutto nel far quadrare la sua carriera universitaria con i suoi hobby, le uscite, il tempo libero, gli impegni extrascolastici, le ripetizioni, le vacanze e molto altro.
 

C'era quella snervante, ma anche eccitante, sensazione di attesa, tanto più che ormai era quasi tutto pronto: gli amici ed i parenti erano stati informati, il vestito e le scarpe- con grande fatica- erano stati acquistati, i confetti rossi erano impacchettati, lo spumante c'era, la tesi - un enorme mostro di carta rilegato in seta verde - era stata letta e riletta un po' di volte, ed aveva anche una traccia per il discorso.
 

C'era la consapevolezza di stare chiudendo un ciclo, che si accompagnava, certo, ad un po' di malinconia, ma era anche unita alla sicurezza di aver compiuto un bel percorso, fatto non solo di studi stimolanti, ma anche di persone positive che le erano state vicine.
 

E c'era quel piccolo buco nero nel suo cuore che proprio non ce la faceva a colmare, e che, lo sapeva, sarebbe rimasto tale. Questa volta, purtroppo, non ci sarebbe stata una soluzione per quel suo problema. Non c'era mai stata. C'era solo quel piccolo posto speciale nel suo cuore, qualcosa che molti certamente avevano già dimenticato, e che anche lei cercava di scacciare e banalizzare nei momenti in cui si sentiva più piena di energie positive e proiettata verso il futuro, ma che restava lì.
Era tenace ed incrollabile, come una scheggia immobile che le feriva il cuore ogni volta che quel muscolo dispettoso aveva una palpitazione improvvisa.
E non bastava – non era mai bastato – non parlarne, o evitare il discorso; quel pensiero aveva trovato il posto a lui più congeniale, ed anche se nessuno ne avesse più parlato, sarebbe rimasto comunque lì, ad aleggiare come una presenza invisibile.

 

E rivela il tuo sorriso in una stella, se vorrai...

per stasera andrebbe bene anche così.

 

Non l'aveva dimenticato, ecco la verità. D'altra parte, come avrebbe potuto?
Nessuno, intorno a lei, l'aveva fatto.
Ne era consapevole; forse erano solo più bravi di lei ad evitare l'argomento.
O forse, cosa molto più probabile, non erano dei letterati un po' artisti come lei, ed esprimevano il loro dolore in maniera differente.

Lei, però, per fortuna o sfortuna che fosse, aveva imparato da anni ad analizzare ogni poesia, libro, opera d'arte o di teatro, film e canzone, ed a collegarla a qualche altro pensiero di sua creazione, ed a tirarne fuori qualcosa che si illudeva di poter definire artistico. Tutto questo l'aveva aiutata immensamente a razionalizzare quello che era successo, a vedere, nero su bianco, ogni sua emozione, e, a poco a poco, a superare il momento più brutto. Ma questo non significava che, in un momento così importante come quello che stava per vivere, tutta la tristezza non le fosse tornata di nuovo a galla.
 

Ciò che le mancava di più di lui era il suo sorriso, la sua felicità spontanea ed immediata, ogni volta che gli parlava di qualcosa che la riguardasse. Non poteva evitare di immaginarsi mentre suonava il campanello, sfrecciava su per le scale, apriva la porta del piccolo studio dove lui aveva preso l'abitudine di rifugiarsi e gli diceva: “Nonno, mi laureo!”.
Sarebbe stato più che felice, senz'altro.
Forse avrebbe voluto vedere la tesi.
Sarebbe venuto a casa sua a mangiare con tutta la famiglia.
Avrebbe imposto alla nonna di non seccarla, di lasciare che gestisse lei la questione Laurea, perché era grande abbastanza per farlo.
E poi, esattamente tre mesi dopo, si sarebbero trovati di nuovo insieme, per festeggiare i suoi 90 anni.
E le nozze d'argento dei suoi, quella stessa estate.

E invece no, nulla di tutto questo.
Ma perché? Avrebbe potuto essere un anno importante per entrambi.
Ed invece ora lei era lì, ad affrontare questo avvenimento così speciale senza di lui.
Le sarebbe bastato solo che ci fosse, non avrebbe chiesto di più. Ma da ormai un anno ed otto mesi non era più possibile.

 

E non servirà più a niente la felicità,

a niente neanche la fantasia...

mi accontenterò del tempo andato...

 

C'era stato un momento preciso in cui aveva pensato: come posso provare ancora felicità? E a cosa potrebbe servire adesso?
Era stato molto tempo prima di quel giorno, non c'era neve e nemmeno freddo, ma forse sarebbe stato meglio se ci fossero stati. Invece il sole era splendido, il caldo opprimente, l'estate era appena iniziata, ed il nonno li aveva appena lasciati.
Inutile ricordare che cosa avesse provato in quel momento: anche se avesse tentato, non le sarebbe venuto in mente quasi niente. C'era solo una sensazione che copriva tutto, ed era la voglia di scappare.
Era scappata dalla stanza che ormai era diventata una camera mortuaria, era scappata dalla sua famiglia, distrutta dal dolore come non l'aveva mai vista, e sarebbe scappata anche da quel giardino, ma sapeva che doveva restare. Forse, più tardi, avrebbe avuto il coraggio di tornare dentro.

Per assurdo, il suo primo pensiero non era stata la più completa disperazione.
Era arrivata persino a dirsi che sarebbe stato meglio così che vederlo soffrire quotidianamente e restare in coma ancora per molti giorni. Però quell'idea non la rendeva poi tanto più allegra.

Non avrebbe forse più provato felicità pensando al nonno, perché qualunque attimo allegro, qualsiasi ricordo divertente, tutto era destinato ad essere affiancato alla sofferenza nell'averlo visto spegnersi ed al dolore per averlo perso.

E nemmeno la fantasia l'avrebbe potuta aiutare, perché, per quanto si fosse potuta sforzare di immaginarselo ancora vicino a lei, la realtà dei fatti le si sarebbe presentata, con tutto il suo pesante carico, ogni singolo giorno. E, d'altra parte, illudersi che il nonno non se ne fosse andato sarebbe servito soltanto a rimandare l'inevitabile.

Non c'era più tempo per loro due; quello che le restava era soltanto un lungo (sufficiente?) lasso di tempo passato, che ormai restava in vita solamente nei suoi ricordi. Si sarebbe dovuta accontentare, in ogni singolo momento di sconforto, di ripercorrere nella mente quanto di meraviglioso ed irripetibile aveva vissuto con lui fino a quel giorno.

 

Soffierà nel vento una lacrima che tornerà da te...

per dirti ciao, ciao!

Mio piccolo ricordo in cui nascosi anni di felicità, ciao!

E guardami affrontare questa vita come se fossi ancora qui.

 

In verità, i ricordi non erano così difficili da rievocare; essi, anzi, si presentavano in continuazione, anche quando la sua mente sembrava essere da tutt'altra parte. E questo perché, se c'era stata una persona della famiglia davvero presente nella sua vita, oltre, naturalmente, ai genitori ed al fratello, quella era stata proprio il nonno.

Fin da quando lei era piccola, non aveva fatto altro che occuparsi dei nipotini, svegliarli quando erano a casa, fare loro la colazione, curarli da malati, portarli in macchina a casa della nonna; e poi, ogni mattina passava per rifare i letti, pulire, mettere a posto la casa; quando la famiglia partiva per le vacanze, era sempre lui ad aprire la casa ogni giorno, a curare l'orto, ad occuparsi del cane.
Sembrerebbe qualcosa di insolito, dal momento che solitamente sono le nonne a fare i mestieri di casa e ad occuparsi dei nipotini; ma non era decisamente il caso della loro nonna, e, anzi, anche a casa dei nonni, era sempre il nonno a gestire quasi tutto. La sua presenza costante, che, durante l'infanzia, aveva affiancato genitori e baby-sitter, aveva influito molto sul suo carattere, non solo da bambina, ma anche e soprattutto negli anni successivi, quelli delle medie e del liceo, quando aveva cominciato ad avere la maturità necessaria per rendersi conto di quanto, davvero, il nonno avesse fatto per lei.

Da lui aveva imparato la tranquillità nel dialogare e scambiarsi opinioni, l'interesse nell'occuparsi gli uni degli altri all'interno della famiglia, la capacità di ascolto, l'amore per l'ordine (beh, questo fino ad un certo punto, per amor di verità). Ma le caratteristiche speciali che aveva ereditato da lui, e che non riguardavano per niente suo fratello, erano l'attaccamento al focolare domestico, cosa che la spingeva ad essere protettiva con i familiari, e l'abitudinarietà in molti piccoli aspetti del suo quotidiano, che non era sempre una qualità, ma che contribuiva a renderla una persona determinata e dai gusti piuttosto decisi.
 

Tutti i momenti, i mesi, gli anni che aveva passato con il nonno erano stati felici. Oh, certo, avevano avuto la loro dose di battibecchi durante la sua adolescenza, per i capelli, per i vestiti, per le uscite, ma erano durati ben poco, e, d'altra parte, non ne aveva avuti di quasi identici con i suoi genitori? Sì, anche in quello, il nonno era il suo terzo genitore, la persona di tutta la sua famiglia (che pure era affettuosa e presente) da cui sarebbe senz'altro corsa se, nel momento del bisogno, i suoi e suo fratello non fossero stati presenti.
 

Lui era sempre lì vicino, ad ascoltare silenziosamente qualunque cosa lei avesse da dirgli, senza giudicarla e senza farsi prendere dal panico o dalla rabbia. Le sarebbe piaciuto tanto che, in qualche modo, potesse osservarla anche in quel momento, mentre si avviava a grandi passi verso la sua Laurea.

 

Magari un giorno l'universo accoglierà la mia richiesta

e ci riporterà vicini

tra l'aldilà e il mio nido di città c'è molta differenza

anche se provo a non vederla.

 

Chi poteva davvero dire come fosse fatto il posto dov'era volato il nonno?
Di interpretazioni ne erano state fatte davvero tante, da quelle più canoniche e religiose, a quelle più spiritose usate nei film e nella pubblicità, a quelle letterarie che tanto le piacevano e che spesso aveva studiato. Ma, se avesse dovuto provare a descrivere un luogo in qualche modo assimilabile all'aldilà, non se lo sarebbe immaginato tanto diverso dalla Terra. Quello che più le piaceva, in realtà, era pensare che il nonno fosse insieme a suo fratello, che se n'era andato parecchio tempo prima.
 

Lei se li vedeva così, seduti a un tavolo con qualche altro vecchietto, in tranquillità, con davanti qualcosa da bere. Lo zio al centro del tavolo e delle chiacchierate, ovviamente, con una delle sue amate sigarette tra le labbra ed intento a raccontare qualcosa. Ed il nonno in un angolo, sorridendo in silenzio, rispondendo educatamente ai tentativi dello zio di tirarlo dentro alla conversazione. Ed alzandosi, di tanto in tanto, perché stare seduto a lungo gli avrebbe rovinato la piega dei pantaloni.
 

Perché loro due erano stati così, due fratelli inseparabili, che avevano deciso di lavorare insieme e vivere fianco a fianco con le rispettive famiglie. Ed il minore, lo zio, era il più esuberante ed estroverso, mentre il maggiore, il nonno, era quello più introverso, che lo invitava alla prudenza. Proprio com'erano lei e suo fratello.
 

Forse lei ed il nonno erano più vicini di quanto lei credesse.
 

Forse l'aldilà non era poi tanto diverso da un piccolo paese di provincia.

 

E giro il mondo, e chiamerò il tuo nome per millenni

e ti rivelerai quando non lo vorrò più

non adesso qui, su questo letto, in cui, tragico,

mi accorgo che il tuo odore sta svanendo lento.


 

Uno dei piccoli rituali che più la intristivano, ma che continuava a fare perché stranamente la tranquillizzava, era salire le scale fino a quello che era stato lo studio e che era poi diventato il rifugio del nonno negli ultimi anni. Era abituato a passare le mattine lì, dove c'era pace e silenzio, e, dal balcone, si poteva guardare fuori ed ammirare le belle giornate di sole. Tutto il contrario del piano di sotto, dove, tra salotto e cucina, c'era il regno della nonna e di tutte le sue chiassose esigenze.
 

Per lei, sedersi su quel divano era un po' come sentirlo ancora vicino.
 

Non c'era più nulla di lui, nemmeno il suo profumo; erano rimaste solo alcune fotografie, incorniciate e posate sulla libreria. Eppure la sua presenza era ancora così vivamente tangibile!
 

In quei quasi due anni c'erano stati dei momenti in cui si era dispiaciuta di non essere una fotografa professionista, perché, se così fosse stato, avrebbe sicuramente avuto materiale per dei bellissimi scatti. Tutta la casa dei nonni le ispirava delle istantanee malinconiche e suggestive
.

Il piccolo studio, con il suo divano e la sua alta scrivania in legno scuro, senz'altro.
 

E poi il cassetto della camera dov'erano conservati tutti i biglietti che lei ed il fratello avevano fatto negli anni per il nonno.
 

L'armadio, dov'era ancora appesa la sua cravatta preferita, che metteva solo a Natale e poche altre volte.
 

Il divano del salotto, vicino alla porta finestra, con la tenda perennemente scostata, per poter guardare fuori, e la luce che entrava dall'alto verso il basso.
 

Le sedie sotto la tenda, dove si sedeva i giorni d'estate.
 

Le fronde dei grandi alberi del giardino, dove s'era rifugiata quando aveva capito di averlo perso per sempre.
 

Tutte quegli oggetti, quei colori, quelle luci continuavano, senza sosta, in ogni stagione, a parlarle di lui. Restavano lì, come una sorta di legame resistente con un qualcosa che sembrava affievolirsi giorno dopo giorno.

 

E senza pace dentro il petto,

so che non posso fare tutto...

ma se (tu) tornassi farei tutto e basta!

 

Non era stato sempre facile, né quando il nonno c'era ancora, né tantomeno ora che non c'era più.
Come tutti, anche lei aveva avuto dei periodi difficili, durante i quali fare qualsiasi cosa le era sembrato molto, molto più pesante e duro.
Quello che era stato il peggio, per lei, era stato imparare a fare i conti con i propri limiti.
Sapeva di averne, e non pochi. Il suo carattere non sempre aperto l'aveva portata, qualche volta, a tirarsi indietro ed a rinunciare a qualcosa che sarebbe potuto essere bello, se solo avesse lottato. Con il tempo, aveva imparato a capire che cosa richiedesse uno sforzo ragionevole e fattibile, e quindi andasse almeno tentato, e che cosa, invece, fosse del tutto al di fuori delle sue possibilità, oppure la scelta più sbagliata per lei in quel momento.
Non si considerava una maestra in questo, ma, almeno, aveva imparato ad ascoltarsi di più.

E certo la consolava molto sapere che il nonno non aveva mai criticato una sua scelta rinunciataria; aveva forse capito, molto più di altri, che non era il momento. O forse, semplicemente, aveva visto talmente tante cose peggiori (dalla guerra alla fame alla povertà) che sapeva bene che i problemi della vita sarebbero stati altri. La frase che diceva più spesso, soprattutto alla nonna, era: “Lasciatela stare!”. Per quanto fosse una piccola cosa, era una di quelle che le mancavano di più. Lui non le dava mai un consiglio determinato, però, a suo modo, riusciva lo stesso ad infonderle sicurezza.
 

Per la verità, una parte di lei avrebbe affrontato qualsiasi cosa, se avesse saputo con certezza che il nonno l'avrebbe vista, dovunque egli fosse, ed avrebbe pensato “Che tosta la mia nipotina!”.
 

E poi, lei era sempre stata assalita dalla paura quando si trattava di viaggiare, ma, se avesse saputo che dall'altra parte del mondo c'era il nonno da riprendere e portare a casa, sarebbe partita quella sera stessa, e senza nemmeno un dubbio.
 

E pensare tutto questo le dava forza ogni volta che si trovava davanti ad un ostacolo un po' più grande del previsto.

 

E guardo fisso quella porta perché se entrassi un'altra volta

vorrebbe dire che anch'io sono morto già

e tornerei da te

 

E spesso restava così, davanti alla porta della casa dei nonni, aspettandosi che uscisse per accoglierla, come sempre. Ma sapeva che non sarebbe stato possibile, non in questa vita, almeno.
 

Se un giorno, per caso, si fosse trovata a guardare quel fantomatico tavolo da cui le sorridevano il nonno e lo zio, sarebbe stata sicura di non essere più nemmeno lei sulla Terra. E non era certo intenzionata a sperarlo.

 

per dirti ciao, ciao!
Mio piccolo miracolo sceso dal cielo per amare me

ciao...

 

Tuttavia, le sarebbe bastato salutarlo, dirgli ciao una volta per tutte.

Era stato così importante per lei!
 

Una persona meravigliosa venuta per starle accanto fin da quando era solo una bambolina piccolissima, che aveva passato gli ultimi anni della sua vita a fare il bene suo e della sua famiglia.

Quanti altri avevano avuto una fortuna pari alla sua?

Lui era stato un suo piccolo miracolo; senza di lui, quei 20 anni, quegli otto mesi e quei cinque giorni sarebbero stati diversi.

Non avrebbe potuto scordare tutto questo, neanche se avesse vissuto mille anni.

 

e cadono i ricordi

e cade tutto l'universo e tu stai lì.

 

Il fatto che in quel momento, in quella sera particolarmente fredda d'inverno, qualche giorno prima della sua Laurea, si fosse ritrovata a ripensare così intensamente al nonno, era una prova di tutto questo.
 

Il suo mondo stava per mutare radicalmente, un'altra volta; sarebbe stata una Dottoressa in Lettere ed una studentessa di Laurea Magistrale; avrebbe frequentato molto di più, con ogni probabilità, i compagni che aveva imparato a conoscere meglio quest'anno, forse più delle sue amiche storiche della Triennale, molte delle quali avevano scelto di non continuare e frequentavano meno l'Università; e poi a scuola di danza ed ovunque iniziava ad essere nel “gruppo dei più grandi”. Il cammino verso l'età adulta era sempre più breve, e ne era consapevole. Erano quelli i momenti in cui percepiva le sue paure e le sue insicurezze, in cui le sembrava che un'era si stesse chiudendo.
 

Era quasi come se lei stessa si fosse costruita una sorta di stanza, in cui aveva appeso, come quelle fotografie sbiadite che ogni tanto spuntano fuori dall'album dei ricordi, ogni sua piccola certezza, ogni pezzetto solido ed incrollabile della sua esistenza. Ma, in un momento come quello che si apprestava a vivere, le sembrava che tutto le scivolasse tra le mani.
Poteva quasi vederlo: le fotografie si staccavano, venivano lacerate dal chiodo con cui erano state appese e cadevano a terra senza un rumore.
 

Non quella del nonno, però, che ormai si era conquistata quel piccolo buco nero nel suo cuore, e da lì non se ne sarebbe più andata.
 

A dispetto di tutto: delle difficoltà di qualunque genere che avrebbero rischiato di mettere in secondo piano la famiglia e gli affetti; delle giornate più dure e delle nottate più lunghe; del tempo, che continuava ad allontanare il passato trascorso insieme.
 

Vi era un'unica cosa a cui non si rassegnava, e con la quale, purtroppo, avrebbe dovuto imparare a convivere: la nuova pagina che stava per scrivere era una pagina senza il nonno. O, almeno, senza la sua presenza così come l'avrebbe voluta.
 

Si sentiva esattamente come la prima sera dopo la sua morte, non era riuscita a prendere sonno per un po', e, anzi, aveva quasi tentato di non addormentarsi, perché così, forse, sarebbe riuscita a convincere se stessa che non aveva ancora iniziato un nuovo giorno senza di lui.
 

Crescere significava anche lasciarsi alle spalle il dolore ed imparare a ricordare con positività le persone speciali che ci hanno lasciato. Lei era abbastanza sicura di essere sulla buona strada; del resto, non era stato proprio il nonno ad insegnarle che la vita va comunque avanti?
 

Ancora una volta, pensò, era il suo ricordo a darle coraggio ed a prepararla ad una nuova fase della sua vita, in cui lui non avrebbe potuto esserle accanto, ma avrebbe sicuramente continuato a guardarla.

 

LA VITA COME TU TE LA RICORDI,

UN GIORNO SE NE ANDÒ CON TE.

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Capitolo 2
*** This love ***


NOTA AUTORE: Cari lettori, grazie di cuore a chi ha letto il primo capitolo di questa raccolta, "Per dirti ciao!". Questo secondo capitolo è presente anche all'interno della mia raccolta "because Taylor inspires life", ma ho voluto riportarlo anche tra i capitoli di questa storia, perché, secondo me, fa parte di entrambi i percorsi. Spero che lo apprezzerete.
Nel caso passiate di qui, lasciate pure un commento...anche molto breve!!
Grazie ancora ed a presto.

 

THIS LOVE
(marzo 2014)


(Citazioni tratte da: This love, Taylor Swift)

Acqua blu e chiara

l'alta marea è arrivata e ti ha portata qui

e come un fantasma, ancora e ancora, ancora e ancora

le cicatrici si fanno più scure, le correnti ti hanno portato qui ancora

 

Le onde si rifrangevano sulla sabbia, portando a riva la spuma bianca del mare. Era una giornata di una bellezza rara, considerando la stagione. Marzo era appena iniziato; tuttavia, il sole brillava, riflettendosi sull'acqua chiara, pulita e forse già troppo calda.
Quanto a lei, era una vera fortuna che fosse scesa per le vacanze di Carnevale e che avesse trovato un panorama splendido ad accoglierla. Certo, per lei quella piccola baia di scogli e sabbia, con l'acqua così stranamente trasparente, era un posto speciale da molti anni: l'aveva sempre considerata un angolo di mondo riparato, tranquillo, quasi riservato a lei.
Seduta su quegli scogli proprio in riva al mare, nel corso degli anni, aveva ripensato a moltissimi eventi della sua vita.
Ora, ad oltre 24 anni, si ritrovava a fare quello che già una volta le era accaduto ed aveva sperato non sarebbe successo più: affidare alle onde un dolore imprevisto ed una malinconia che non poteva fare a meno di insinuarsi in lei. Non c'era un modo di allontanare fisicamente quel ricordo da lei, neppure percorrendo mille miglia, nemmeno immaginando di strapparsi il cuore. Più fissava la splendida distesa marina di inizio primavera, più una serie di immagini le si presentava nella mente.
 

Un mese. Un tempo che era passato fin troppo in fretta, e che, in ogni caso, non era bastato a guarirla dallo strappo doloroso che aveva subito. Vi erano momenti in cui riusciva quasi a scordare quello che era successo; poi, però, tutto le ritornava in mente, più vivo e più crudele di prima, come a ricordarle che le sue cicatrici si stavano facendo di giorno in giorno più scure e profonde.
 

Uno dei motivi per i quali era così un bene che se ne fosse andata al mare per qualche giorno era il fatto che, spesso, la sua stessa casa non la aiutava a dimenticare.
 

C'era sempre un quadro, una foto, un oggetto di troppo.
 

Senza dubbio quello che lei aveva appena trascorso era stato uno dei periodi più emozionanti e movimentati della sua vita.
 

Tuttavia, non bastava guardare tutto il servizio fotografico della sua laurea, avvenuta tre settimane prima. Non era sufficiente dedicarsi al nuovo stage, trovato in frettissima ed a sorpresa. Non era nemmeno abbastanza rifugiarsi nel ballo, cosa che aveva cercato disperatamente di fare fin dal 4 febbraio.
 

Dovunque si girasse, il suo sguardo cadeva su qualcosa che riportava alla memoria la nonna M.

 

urlando in silenzio, e nei miei sogni più selvaggi

non ho mai sognato questo

 

Il primo pensiero, quando aveva saputo che per la nonna non c'era più niente da fare, era stato: per favore, non domani, non di nuovo. Il ricordo della scomparsa del nonno, avvenuta ormai quasi quattro anni prima, e, in modo particolare, del giorno del funerale, le era rimasto fortemente impresso. Quello che più ricordava di quella caldissima giornata di giugno era l'atmosfera che l'aveva accompagnata.
Per tutto il tempo si era sentita come se fosse preda di una lenta corrente: case, fatti, persone le scivolavano a fianco, e lei non poteva far altro che muovere un piede dopo l'altro ed affrontare quello che le si presentava davanti. Proprio come succedeva ad una corrente, le cui acque si fanno sempre più tumultuose, fino ad arrivare alla cascata finale, così per lei quella giornata era stata una lenta discesa, e le era toccato fare tutto, dall'arrivo a casa dei nonni fino al ritorno dal cimitero.
 

Aveva odiato quella sensazione di impotenza e tristezza, quasi, all'improvviso, il mondo fosse stato coperto da una coltre soffocante, e non poteva proprio pensare di rivivere tutto questo una seconda volta.
 

… Eppure, non più di quattro giorni dopo, aveva dovuto farlo. Il 6 febbraio, dopo due giorni di pianti e di urla (non sempre così) silenziose, una settimana prima della sua laurea, lei e la sua famiglia avevano seppellito la nonna. Era inverno, il freddo era pungente, e non si trattava né della stessa chiesa né dello stesso cimitero dell'altra volta, ma fin troppi dettagli erano simili.
 

Il sole continuava a brillare, il cielo seguitava ad essere azzurro, le lacrime scendevano senza alcun preavviso e, tutto intorno, la vita era come ovattata.
 

Fino a quando non aveva visto il nome della nonna sulle carte funerarie, lei si era sentita come illusa, quasi ci fosse una piccola speranza che non fosse vero; tuttavia, quel nome, impresso nero su bianco, l'aveva riportata alla realtà.
 

Il resto della mattinata era stata soltanto una lunga discesa lungo un fiume scivoloso e fangoso che non pensava avrebbe avuto la forza di attraversare. Non si sa come, aveva tirato fuori dal cuore, ancora una volta, il coraggio di guardare i fatti così com'erano e di restare presente a se stessa. Solo in quel modo la sua vita aveva potuto ricominciare lentamente a scorrere.

 

scuotendomi, girando, lottando nella notte per qualcosa di nuovo

e noi siamo come un fantasma, ancora e ancora, ancora e ancora

una lanterna che brucia e scintilla solo per te

ma tu sei sempre andata, andata, andata

 

I mesi successivi, sia quelli primaverili che quelli estivi, erano stati, allo stesso tempo, insoliti e frenetici. Oltrepassata la soglia cruciale della laurea, era iniziato un periodo di sperimentazione, di ricerca, di nuova organizzazione delle giornate.
 

I momenti di pausa e di soddisfazione si alternavano ad altri di incertezza e paura del futuro, e le era chiaro che molte delle sue certezze avrebbero presto dovuto essere messe in discussione.
 

L'unica costante di quel periodo non riusciva però a non essere il ricordo della nonna M. Non c'era fine settimana in cui suo padre non tornasse dall'appartamento ormai vuoto, portando con sé fotografie, servizi, statue, persino quadri che avevano lentamente iniziato a riempire la loro casa. Poche cose l'avevano sbigottita come quelle poche volte che le era capitato di entrare nel piccolo trilocale della nonna. L'aveva trovato, sì, dimesso e forse anche triste, ma, al tempo stesso, ancora pieno di vita, di ricordi, dell'essenza stessa di lei.

Quando la nonna era morta in ospedale, ed era stata portata in una cappella funeraria lì sotto, il suo primo pensiero era stato: “Nemmeno a casa sua ha potuto stare! Dovevamo mandarla a morire in quel posto di merda!”.
Tuttavia, nei mesi seguenti, aveva finito col sentirsi, in un certo senso, contenta che in quell'appartamento la nonna fosse stata soltanto viva. Quel luogo era ormai così legato alla nonna, e lei si muoveva dentro in modo tanto naturale e silenzioso, che si sarebbe aspettata di vedersela comparire davanti da un momento all'altro, con gli stessi occhiali e la medesima vestaglia. Sembrava quasi un controsenso pensare che tutti quegli oggetti non avessero più una proprietaria.
 

Tra quelli che si era portata a casa, c'era anche un piattino natalizio sui toni dell'azzurro, con alcune palle decorative blu ed una candela bianca. Ricordava luogo e tempo in cui l'aveva visto per la prima volta: davanti alla chiesa, esposto su una bancarella natalizia, in un inverno imprecisato tra il 2000 ed il 2002. Le era piaciuto subito; così, con i suoi pochi spiccioli (che forse erano ancora lire), l'aveva comprato e poi regalato alla nonna. Buffo che, in tutti questi anni, lei l'avesse conservato su un mobile, sopra un centrino di pizzo, senza romperlo e senza nemmeno utilizzare la candela. Ma lei era fatta così: apprezzava enormemente ogni piccola cosa e, soprattutto, cercava di farla durare. E poi, quando mai aveva avuto occasione di accendere una candela di Natale a casa sua? Non era stata mai sola. Era sempre stata ospitata dalla sua famiglia, anche per la notte.
 

Un altro pensiero che la intristiva era quello che la nonna M. non sarebbe più venuta a passare delle settimane da loro. Quando era piccola – ma non solo- aspettava quelle giornate con impazienza, e, nel momento in cui la nonna se ne andava provava un'improvvisa tristezza. Negli ultimi anni era diventato difficile occuparsi della nonna, per via della demenza senile, ed anche per sua madre era diventato piuttosto pesante. Le tornavano in mente episodi delle più recenti vacanze di Natale, quando era lecito aspettarsi da lei le trovate più strambe, e quando, a volte, era difficoltoso dormire la notte, perché la nonna avrebbe potuto benissimo alzarsi alle tre di notte ed accendere tutte le luci. Eppure le ultime pazzie non riuscivano ad offuscare tutto quello che, in oltre vent'anni, la nonna aveva fatto di buono per lei e per la famiglia.
 

Era stata una persona paziente, gentile e generosa, e la sua presenza silenziosa, nel corso degli anni, era stata un dono prezioso.

 

io ho perso l'interesse, oh, sono affondata con le navi

e tu sei apparsa, proprio in tempo

 

C'era un pensiero che, durante e dopo la morte della nonna, si era fatto sempre più insistente in lei: quello di essere stata, in modo del tutto inconscio ed involontario, un po' la sua preferita. Sulla carta, ne avrebbe avuto tutti i motivi: per la nonna, era l'unica femmina su due figli e quattro nipoti, e questo aveva sicuramente pesato.

Tuttavia, la nonna le era stata spontaneamente vicina in tanti momenti della sua vita piuttosto importanti.
 

Per esempio, c'era stato un giorno in cui lei non aveva avuto affatto voglia di andare a scuola, e lei l'aveva curata come se fosse stata davvero malata, con tanto di riso in bianco e boule dell'acqua calda.
 

Oppure uno degli ultimi giorni di scuola delle superiori, quando il tempo non aveva permesso di festeggiare poi molto, così si erano consolate guardando un film.
 

O ancora quando si era ammalato il nonno, il consuocero della nonna, ed era stata proprio lei a convincerla a non essere triste davanti a lui.
 

Certo, ripensandoci, forse alcuni di questi erano stati momenti tra donne, ma era sicura che questo c'entrasse fino ad un certo punto.
 

La verità è che si erano volute bene perché, in un certo senso, si erano scelte. Si erano trovate bene fin da quando lei era piccolissima, questo sentimento le aveva accompagnate fino alla fine.

 

questo amore sta lasciando un marchio permanente

questo amore sta brillando nel buio

 

Dopo la morte della nonna M., aveva dovuto lottare con una serie di sentimenti spiacevoli.

Vi era innanzitutto il modo in cui era morta: nella più totale confusione. Era stata ricoverata per un presunto ictus, curata per un'infezione, ritenuta fuori pericolo e poi, due giorni dopo, mentre suo padre stava firmando le carte per una lunga degenza, il suo cuore aveva iniziato a cedere. Questo aveva portato lei, come già le era successo in passato, ad inveire contro medici, ospedali, sanità ed ordine costituito. In alcuni momenti le sembrava che il malessere della nonna fosse stato sottovalutato; in altri, che i medici avessero preso deliberatamente in giro la sua famiglia.
 

Non aveva nemmeno amato l'atteggiamento di parte della famiglia, e si era ritrovata più volte ad arrabbiarsi con altre persone.
 

Lei si era portata nel cuore un risentimento ed una rabbia che, alcune volte, durante la notte, pareva quasi stringersi in un groppo alla gola e soffocarla. C'erano attimi tremendi in cui aveva paura che la sua famiglia andasse in pezzi, che non restasse più nulla della sua infanzia, che, con la dipartita della nonna, si fosse chiusa una splendida parte del suo passato, di cui sarebbero rimaste solo delle memorie, forse sempre più cristallizzate e sbiadite.
 

Tuttavia, con il passare dei mesi, si era accorta che quelle sue paure e quelle sue – comunque giustificabili – rabbie non erano altro che ombre che danzavano nel buio.
 

Purtroppo neanche il più grande luminare del mondo avrebbe potuto salvare nonna: aveva quasi 90 anni, pesava 30 chili e quasi niente in lei, ormai, funzionava come avrebbe dovuto.
 

La sua famiglia non stava sparendo, ma semplicemente cambiando. Una generazione se ne stava andando, ma tutti stavano facendo nuove scelte di vita, e, chissà, forse prima o poi sarebbero arrivate anche grosse sorprese positive.
 

E, sì, forse i ricordi della nonna, con gli anni, si sarebbero fatti più rari e confusi, ma, allo stesso tempo, il suo affetto le aveva impresso un marchio che nemmeno il tempo sarebbe riuscito a rimuovere.

 

hai baciato la mia guancia e ti ho guardato andar via

il tuo sorriso è il fantasma che non ce l'ho fatta a lasciare

quando sei giovane, corri e basta

ma poi torni a quello di cui hai davvero bisogno

 

Il segreto di tutto, chissà, poteva essere in quel pomeriggio di inizio febbraio, quando era andata in ospedale a salutare la nonna, quando ancora si sperava che si sarebbe ripresa. La nonna era in uno stato di confusione totale, confondeva tutti i nomi, era controllata a vista. Eppure l'aveva guardata, l'aveva riconosciuta, le aveva parlato, le aveva chiesto se era stanca. Mi ha decisamente viziato, erano stati i pensieri di lei in quel momento.
 

Quando se n'era andata insieme agli altri, la nonna aveva detto: “Ciao, ciao a tutti.... ciao, Silvia”. Il suo era stato l'unico nome che era riuscita a ricordare... l'unico che aveva azzeccato. Era stato allora che una scossa elettrica l'aveva pervasa: lei lo sa, se ne sta andando, mi sta dicendo addio.

 

Visto che le condizioni mediche della nonna, quel giorno, erano così discrete, era stato facile scacciare il pensiero. Tuttavia, non più tardi della sera successiva, il cuore della nonna aveva iniziato a cedere, e lei aveva capito di aver avuto ragione.

 

L'immagine del suo ultimo sorriso rivolto a lei le era venuta in mente, a tratti, nelle situazioni più disparate. La sua vita, nel frattempo, era andata avanti nel modo più inusuale, con molte novità e moltissimi cambiamenti. Soprattutto ora che aveva iniziato a lavorare, si domandava spesso che cosa ne avrebbe pensato la nonna. La immaginava felice mentre le dava la notizia, preoccupata che la cose andassero bene, soddisfatta di sua nipote.
 

I suoi ultimi mesi erano stati una corsa, a volte difficile ed a volte sfrenata, verso il futuro. Per quanto, però, fosse ancora giovanissima e avesse ancora molto da fare, vedere e pensare, sarebbe sempre tornata, con il cuore, a quello di cui aveva realmente bisogno, proprio come la sua famiglia, e come la nonna, che ne era stata – ed ancora era – una componente essenziale.

 

Era davvero l'amore tra loro due ad aver formato un “ponte” tra la vita e la morte.
 

Era un affetto che le portava gioia e dolore allo stesso tempo, ma niente vi avrebbe posto fine.
 

Nel momento in cui aveva lasciato fisicamente andare la nonna, le era entrata nel cuore. L'amore che la nonna le aveva donato era tornato da lei, ed ora toccava a lei custodirlo e farlo crescere. Questo sarebbe stato il modo migliore di tenerla sempre con sé.

 

questo amore è buono, questo amore è cattivo

questo amore è una vita che torna dal regno dei morti

queste mani...ho dovuto lasciarle libere

e questo amore è tornato da me.

 

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Capitolo 3
*** I wish you would ***


NOTA AUTORE: Cari lettori, ecco a voi il terzo e penultimo capitolo di questa raccolta, forse il più difficile da scrivere per me. Grazie a quanti hanno letto finora. Se vi va, lasciate pure un commento.
Vi ringrazio anticipatamente per la vostra attenzione :-)


 

I WISH YOU WOULD
(Novembre 2015)



 

(Citazioni tratte da: I wish you would, Taylor Swift)

Sono le 2 di notte, nella tua macchina

finestre giù, oltrepassano la mia strada, iniziano i ricordi

dici che è nel passato, perché ora pensi che io ti odi

immagino che tu ancora non sappia quello che non ho mai detto


 

La macchina era gelida, e non si sarebbe scaldata in quel breve tragitto che l'aspettava. Era quasi Dicembre ed il freddo era calato da tempo.
 

Pensò che sarebbe stato difficile, da quel giorno in avanti, lavorare nella vecchia casa della nonna P. La temperatura, in quei locali vecchi ed umidi, era già fredda da Settembre, e non c'erano dubbi che, nelle prossime settimane, si sarebbero raggiunte delle temperature polari.

Negli ultimi mesi, aveva imparato a fare la pace con quella casa, che, da luogo magico dell'infanzia, si era trasformata a poco a poco in un luogo sempre più triste ed abbandonato.

Dopo oltre cinque mesi non aveva ancora imparato a venire a patti, però, con il senso di solitudine e di doloroso stupore che la accompagnava.

 

A volte si chiedeva se la nonna P. potesse vederla. Il più delle volte si divertiva ad immaginare i suoi commenti taglienti e le osservazioni che, mentre lei era in vita, l'avevano fatta perfino soffrire. Non avrebbe mai pensato che le parole che in passato le avevano procurato tanta rabbia l'avrebbero fatta sorridere un giorno.
 

Se solo lei l'avesse potuta sentire, non avrebbe fatto altro che ripeterle con tutte le sue forze che non la odiava.

Non avrebbe mai potuto farlo, nonostante la loro strada fosse stata irta di ostacoli.


 

Il rapporto con nonna P. non era mai stato facile, fin dalla prima infanzia. La nonna aveva un carattere difficile e capriccioso che rendeva difficile a molti starle vicino. Lei era poco più che una bambina, ma comprendeva che alcuni atteggiamenti della nonna non erano propriamente ordinari.

Il tentativo di metterla in rivalità con il fratello la spiazzava; la difficoltà che mostrava nel condurre i suoi compiti quotidiani era insolita; il suo dosaggio di pillole, infine, era a dir poco allarmante.

 

Passati gli anni dell'adolescenza, aveva iniziato ad informarsi, a fare collegamenti e, infine, ad arrivare alla verità. Aveva capito che la nonna P. aveva sempre sofferto di una malattia denominata depressione, e che faticava ancora ad uscirne.

Aveva provato a lungo ad andare d'accordo con lei come faceva con gli altri nonni, a comprenderla e ad accettarla. Tuttavia, anche a 14, 16, 18 anni le risultava difficile digerire le sue critiche gratuite, il suo sguardo giudicante, i suoi tentativi di manipolazione.
 

Quanto aveva criticato l'attenzione che sua nonna riservava sempre e solo all'apparenza! Tutto, per lei, si riduceva ad una mera questione di immagine. Le uniche sue preoccupazioni erano l'aspetto fisico della nipote, che cosa avrebbero pensato gli altri di lei, come lei stessa avrebbe potuto vantarsi con le altre signore.

Spalleggiata dal nonno, lei si era sempre fieramente opposta a questi suoi ossessivi controlli e soprattutto all'esposizione in pubblico (non era certo una scimmia ammaestrata!).


 

Il momento più difficile del loro rapporto era stato circa cinque anni prima, nel periodo coincidente con la malattia del nonno.

In quell'occasione, sua nonna P. aveva dimostrato una freddezza che l'aveva sconcertata.

Il nonno era amatissimo da tutti per il suo carattere, la sua disponibilità, il suo sorriso, la sua dolcezza. Tutti, in segreto o pubblicamente, piangevano il fatto che non ci fosse più niente da fare per lui.

L'unica persona che non sembrava curarsene era proprio sua nonna. Aveva addirittura manifestato la volontà di abbandonare il marito in una struttura ed aveva dichiarato che lei non sarebbe mai più andata a trovarlo.
 

Qualcosa si era rotto in seguito a quelle settimane infernali. In più momenti lei si era chiusa nella sua stanza, covando rabbia nei confronti di sua nonna e meditando di abbandonarla al suo destino e non considerarla più.

Non sapeva che, dopo la scomparsa del nonno, sarebbe iniziata una lunga salita. Un tortuoso percorso che le avrebbe consentito di imparare ad amare di nuovo la nonna.


 

sono le 2 di notte, nella mia stanza

le luci passano, il vetro della finestra, penso a te

dove può essere l'amore? In una via quaggiù

se vuoi correre e nasconderti, lui ti fa voltare

 

Nei primi anni subito dopo la scomparsa del nonno, la nonna si era impegnata alla grande per farsi odiare. Aveva maltrattato la sua famiglia, trattato tutti quanti come dei servitori e risposto con perfidia in svariate occasioni.

Più di una volta lei si era ritrovata a canticchiare, come un mantra, alcune parti di una canzone uscita da non molto: tutto quello che sei è cattiva! E una bugiarda, e patetica, e tutta sola nella vita… e cattiva, e cattiva, e cattiva!

Provava vergogna nel ripetersi questo, ma non poteva più sopportare di vedersi arrabbiata ed in pianto perché, per l'ennesima volta, la nonna le aveva mancato di rispetto e le aveva dato l'impressione di essere un oggetto.

Non poteva più reggere pranzi di famiglia che si trasformavano in litigi senza fine soltanto perché la nonna, in preda ad una della sue crisi, iniziava a recriminare, ad urlare ed a rovinare tutto, aggiungendo al tutto delle fintissime lacrime.

Aveva provato, senza successo, a fare degli sforzi di comprensione.

Poi, non più tardi di un anno e mezzo prima, qualcosa aveva iniziato lentamente a cambiare.


 

Nel corso di un weekend estivo, lei era tornata dallo stage che stava ultimando in quei giorni e, forse spinta dall'assenza dei genitori che in quei giorni erano partiti, aveva deciso di non lasciare sola la nonna e di passare a trovarla.

Nel momento in cui si era seduta di fronte a lei, però, aveva avvertito qualcosa di strano: le domande della nonna si ripetevano, lo sguardo era confuso, l'aspetto assente. Lei era abituata a domande che rasentavano l'interrogatorio, ad uno sguardo indagatore e ad una serie di frecciatine più o meno esplicite: per questo motivo si era tanto stupita di vedere nonna P. in quello stato.

 

Mese dopo mese, la demenza senile era avanzata ed aveva portato ad un graduale peggioramento dello stato di salute generale.

Non le faceva onore ammetterlo, ma lei non era mai stata così bene insieme a nonna P.: il problema mentale in corso, infatti, aveva scacciato quello precedente.

Era come se, per tutto il tempo precedente, ci fosse stato un mostro che occupava testa e cuore della nonna e la spingeva a comportarsi in maniera meschina.

In quel momento, però, il mostro aveva finalmente liberato la “vera” nonna, per quanto debole e fragile.

Finalmente, per quanto inusuale e difficile fosse, stava riuscendo ad avere con nonna P. il rapporto che aveva sempre desiderato.

 

tu hai sempre saputo quali miei tasti toccare

tu mi hai dato tutto e niente

questo folle folle amore ti fa venire correndo

e rimanere lì dove restavi

Vorrei l'avessi fatto, vorrei l'avessi fatto

 

Un anno e molti lavori precari dopo, era di nuovo estate.

Era giugno e lei era riuscita ad andare al mare con la sua famiglia per un weekend.

La quiete ed il relax, tuttavia, erano stati disturbati da una concitata telefonata: sembrava che nonna P. non stesse molto bene e fosse più confusa e svagata del solito.

Mentre passeggiava in riva al mare, lei si trovò a pensare che, per lei, si trattava di un film già visto, in quanto aveva già vissuto il travaglio di una nonna che peggiorava rapidamente.

Benedì il suo ritorno l'indomani mattina. Sentiva che, in qualche modo, la sua presenza fosse richiesta a casa.

 

La mattina successiva lei e la sua famiglia erano in macchina, e stavano quasi raggiungendo casa, quando avevano ricevuto un'altra chiamata.

Non c'era stato niente da fare.

Nessuno avrebbe mai saputo dire che cosa fosse successo.

Semplicemente nonna P. se n'era andata, forse capendo quello che le stava succedendo.

Lei aveva sempre voluto decidere e controllare tutto, e così era stato anche alla fine.

Proprio dopo averle dato tutto il suo meglio, era riuscita, per l'ennesima volta, a lasciarla senza niente.


 

Tutto quello che era in grado di ricordare in seguito di quel giorno era stata una continua e piuttosto futile corsa.

Una corsa all'ospedale, e poi a casa propria, ed a casa dei nonni.

Una corsa per agguantare il telefono che continuava a suonare, e per richiamare a sua volta altre persone che non facevano altro che chiedere “ma come? Ma perché?”

Una corsa con il cuore in gola, un mal di testa che la tormentava, un velo di lacrime che le appannava la vista ed un buffo abito a fiori anni '60 che non riusciva a togliersi dal mattino, o che forse non voleva togliere, perché sua nonna non avrebbe mai sopportato sua nipote che riceveva le condoglianze vestita male.

Spesso, quando si vive un lutto, si dice che i giorni immediatamente successivi al decesso sono i giorni “da dimenticare” e “da non rivivere”.

Per lei non era stato così.

Ogni volta in cui, ancora, a distanza di mesi, si sentiva perduta, ripensava, fino al minimo particolare, a quei tre giorni così frenetici.

Le sue telefonate sul divano agli amici del coro, mentre dava la triste notizia e chiedeva una mano per la funzione.

La mattina piovosa che era rimasta da sola sotto la tettoia della casa dei nonni, aspettando eventuali visite.

Le serate a chiacchierare con suo fratello, che non si sarebbero ripetute per mesi.

Quelli, in un certo senso, erano stati gli ultimi momenti insieme a sua nonna, e lei li avrebbe conservati.

 

vorrei che tu fossi tornata

vorrei non aver mai attaccato il telefono come ho fatto

vorrei che tu sapessi che non ti dimenticherò finché vivo

vorrei che tu fossi qui, ora, va tutto bene, ti auguro ogni bene

vorrei che tornassimo indietro e ci ricordassimo perché stavamo litigando

vorrei che sapessi che mi manchi troppo per essere ancora arrabbiata

vorrei che tu fossi qui, ora, va tutto bene, ti auguro ogni bene


 

Il ritornello delle sue giornate era stato a lungo il rimpianto.

Le dispiaceva non aver potuto salutare nonna P. e non essere stata presente quando se n'era andata.
 

Provava rimorso all'idea di tutti i pensieri maligni che aveva formulato nei suoi confronti, specie quando il nonno se n'era andato.
 

Era arrivata a ripensare con fastidio persino a quelle volte in cui era al telefono con lei ed aveva allontanato l'apparecchio da sé per “lasciarla parlare” e non dover sopportare le sue continue lamentele.
 

Quello che però non la lasciava proprio in pace era la sensazione di aver conosciuto la vera nonna P. solo, forse, alla fine, proprio per via dei problemi depressivi che l'avevano tormentata.
 

Come aveva sentito dire in una canzone, le succedeva di pensare: “avrei voluto averti veramente, e non sentirmi dire che non posso farci niente.”


 

Quando si parla di “cari estinti”, si parla sempre a loro come persone eccezionali, comprensive, dolci, affettuose.

Tutti sono sempre pronti a ricordare quella zia così generosa, quella nonna così speciale, quell'anziano parente così gentile.

Cosa succede, però, quando la persona che ci ha lasciato è stata per tutta la vita fragile, difficile, scorbutica, persino insopportabile?

Questa era la domanda che l'aveva a lungo tormentata.

 

Per quanto però ci riflettesse, non c'era una vera risposta.

L'amore ha tante forme, ed una di esse è il legame tra due persone che non riescono ad andare d'accordo, ma non possono comunque stare lontana l'una dall'altra.
 

Nonostante le discussioni, la rabbia e le molteplici delusioni, non avevano mai potuto fare a meno di cercarsi.
 

Al funerale, qualcuno le aveva detto che nonna P. non faceva altro che parlare di lei.
 

Pensandoci bene, anche lei parlava spesso di nonna P. A volte la prendeva garbatamente in giro, rideva di alcuni suoi modi di fare, ma non poteva fare a meno di nominarla.
 

Erano due persone diversissime e chiunque avrebbe potuto scommettere che sarebbero scappate l'una dall'altra il prima possibile.
 

Invece, nonna e nipote non avevano fatto altro che correre l'una verso l'altra fino all'ultimo giorno.

 

le 2 di notte, eccoci qui

vedo il tuo volto, sento la mia voce nel buio

dove può essere l'amore? In una strada laggiù

immagino che tu volessi correre e scappare, ma lui ci ha fatto voltare indietro.

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Walking in the wind ***


NOTA AUTORE: Cari lettori, mi scuso moltissimo per il ritardo nella pubblicazione!! Ecco il quarto ed ultimo capitolo di questa breve storia. Buona lettura!
 

WALKING IN THE WIND
(gennaio 2016)
 

(Citazioni tratte da: Walking in the wind, One Direction)
Una settimana fa mi hai detto:

Mi credi? non sarò mai troppo lontana!

Se sei persa, cercami e mi troverai nella regione delle stelle d'estate”

 

Dopo una notte passata a sentire le gocce d'acqua battere sulle finestre della sua nuova casa, avrebbe semplicemente voluto passare il sabato seduta sul divano del salotto, a leggere. Oppure, perché no, si sarebbe volentieri confusa con la massa di persone che invadevano i centri commerciali nel weekend.

Invece, una serie di sfortunate coincidenze l'aveva costretta a fare un piacere alla madre. Si era così ritrovata a ripararsi sotto la tettoia di quella che un tempo era stata la casa dei suoi nonni e della sua prozia, in attesa dell'agente immobiliare e dei clienti di turno.
 

In seguito ad una buona mezz'ora, trascorsa ad osservare le punte immacolate dei suoi stivali da pioggia nuovi, a pulire il suo cappotto dalla polvere della vecchia sedia alla quale s'era incautamente appoggiata e soprattutto a domandarsi che fine avessero fatto tutti quanti, si era ritrovata ad accogliere delle persone mai viste.
 

Non era sicura che, se avesse dovuto comprare lei quella grande casa, ne sarebbe rimasta favorevolmente impressionata. Il clima era cupo e freddino; gennaio volgeva al termine e le luci smorte di quel sabato mattina spegnevano tutti i colori. Durante la bella stagione, negli anni in cui sua zia era solita occuparsi dei fiori, era tutto un altro discorso.
 

I visitatori avevano iniziato ad osservare il cortile, dicendosi compiaciuti: “Qua in estate sarebbe fantastico cenare fuori!”, e l'agente immobiliare, tutto compiaciuto, aveva risposto “Sicuramente!”

Ah sì, sicuramente, come no, si ritrovò a pensare lei. E la cena più ghiotta verrà fatta dalle zanzare, con i vostri resti.

 

Tutt'a un tratto, le vennero in mente quei pomeriggi afosi e quelle serate estive piene di stelle durante le quali, nonostante tutto, lei stessa aveva a lungo stazionato lì, con i nonni, con la zia, con l'altra nonna quand'era in visita. Sembrava un altro mondo, di cui non restavano che dei ricordi.
 

Intanto, i clienti avevano iniziato a visitare la villetta bifamiliare, naturalmente iniziando da destra. Lei scosse la testa un'altra volta. Sbagliato di nuovo.

Da che mondo era mondo, quella casa andava visitata prima da sinistra, dalla parte appartenente ai nonni, e poi si passava a destra, a salutare la zia.

 

 

Il fatto che possiamo sederci qui e dire addio

significa che abbiamo già vinto

la necessità di scusarsi tra me e te

tesoro, non esiste

 

 

L'ultima volta che aveva visto viva la zia era stato durante gli ultimi giorni di agosto, sul finire di un'estate che aveva duramente provato entrambe.

La malattia della zia si era aggravata: non era più in grado di parlare, di mangiare autonomamente, forse di pensare.

Il lento declino che aveva avuto inizio cinque anni prima era diventato una caduta a precipizio, ed era ormai molto tempo che la zia aveva abbandonato la sua bella casa per essere accudita in una struttura.
 

L'ultima volta che si erano ritrovate faccia a faccia, zia e nipote erano state molto silenziose, la prima perché non aveva scelta, la seconda perché non sapeva cosa dire.

Si era limitata a mostrare alla zia qualche fotografia sul cellulare, come faceva sempre, sperando che le avrebbe ricordato qualcosa.

C'era una quieta pace tra le due… o forse c'era sempre stata.
 

Anche quando era piccola, era dalla zia che andava a giocare alla piccola cuoca quando la nonna, dall'altra parte della casa, glielo impediva.

Era sempre da lei che si rifugiava per sfogliare i vecchi album, per ascoltare qualche racconto di famiglia, per guardare in pace un po' di tv senza il chiacchiericcio costante della nonna in sottofondo.

Non potevano più parlarsi ormai da anni, ma, nonostante questo, lei sentiva che non ci fosse niente di “non detto” tra di loro.
 

Anno dopo anno, infatti, lei si era resa conto di avere sempre più caratteristiche in comune con la zia: l'amore per la danza (e per i costumi da ballo), la passione per la cucina, la predilezione per le ortensie tra tutti i fiori.

Era come se lo spirito allegro, energico, generoso della zia le fosse a poco a poco entrato nel cuore, man mano che la sua malattia proseguiva.
 

Si trattava di un pensiero che la aiutava a sopportare la sensazione di impotenza che provava ogni volta in cui andava all'ospizio, tentava di raccontare alla zia la sua giornata e riceveva in cambio solo uno sguardo vacuo.

 

 

Ieri sono uscita per celebrare il compleanno di un amico

ma mentre abbiamo alzato i calici per fare un brindisi

mi sono accorta che tu mancavi

 

 

Non più di tre settimane dopo quell'ultimo incontro, la zia si era spenta per sempre. Si trattava, per lei, della seconda perdita in pochi mesi, e tutto, in quei giorni, le era sembrato soltanto un penoso dejà-vu, dai parenti ai fiori, dalle telefonate alle celebrazioni.

Tempo prima, guardando un telefilm, era rimasta sbalordita nell'ascoltare il discorso di una delle protagoniste, che, ad un funerale, aveva affermato: “Vi sembrerà strano, ma ci sono quasi abituata, ormai.”

Ora capiva quello che voleva dire.

 

Pochissimi giorni dopo, c'era il suo compleanno, e la festa che aveva già da tempo preparato.

Non si trattava di un compleanno qualunque: per la prima volta, infatti, ella accoglieva gli amici nel suo nuovo appartamento, che era sua proprietà dalla primavera e che aveva passato l'estate a sistemare. Non vi abitava ancora, ma aveva pensato che sarebbe stato carino fare una sorta di inaugurazione.

Aveva pensato a lungo, in quei giorni, alla possibilità di rimandare la festa. Poi la soluzione giusta le era apparsa, chiara come l'acqua di mare in un limpido mattino d'inverno.
 

Lei aveva conosciuto la zia profondamente, sapeva quali sarebbero stati i suoi pensieri. Era stata una donna che amava la vita ed i suoi piaceri, che passava le ore in cucina solo per un arrosto domenicale, che riceveva gli ospiti con grande generosità. Di conseguenza, non ci sarebbe stato torto peggiore da farle che annullare una festa.

 

La zia era diventata la musa silenziosa del suo compleanno. Era a lei che aveva pensato mentre ritirava le pizzette che aveva ordinato, mentre cucinava la sua torta, mentre rivoluzionava il salotto e la saletta da pranzo in modo da poter accogliere gli amici. Era stata lei a darle il coraggio per non abbattersi e per continuare a sorridere insieme alle persone che avrebbero costituito il suo futuro.

 

 

Abbiamo trascorso dei bei momenti, no?

Avevamo il cuore in mano

 

 

Con il saluto alla zia, le porte di quella che era stata la casa della sua infanzia si erano definitivamente chiuse.

Mentre aspettava i clienti dell'agenzia immobiliare, che avevano inspiegabilmente deciso di perlustrare la mansarda, non poté fare a meno di pensare che essi non si rendevano conto di star attraversando un luogo così speciale.
 

In quella semplice villetta bifamiliare c'erano state domeniche primaverili piene di sole durante le quali lei, il fratello ed i genitori si erano fatti fotografare accanto alla camelia in fiore o avevano accarezzato la scorbutica gatta dei nonni seduti sul dondolo.
 

C'erano stati Natali straordinari, fatti di piccoli alberelli posti accanto alla tv, di lunghe tavolate guarnite con tovaglie rosse e vassoi stracolmi, di ore intere passate a parlare sui divanetti color verde militare.
 

C'erano state mattine d'estate passate ad attraversare l'orto con degli stivali di gomma che coprivano tutte le gambe, tentando di non schiacciare le zucchine ormai mature.
 

E c'era la tavernetta dove lei aveva studiato per gli esami di terza media, lo studio dove s'era rifugiata a leggere romanzi per adulti trafugati dalla libreria della madre e la scaletta dove, usando delle vecchie bambole, aveva giocato a fare l'insegnante per la prima volta.

 

Era già stato sufficientemente penoso salutare il piccolo appartamento della nonna paterna, quando l'avevano venduto.

Non riusciva ad immaginare cosa sarebbe successo quando quella casa non sarebbe stata più loro.
 

Tuttavia, di fronte a questo pensiero si sentiva più serena di quanto avrebbe voluto. Che senso avrebbe avuto attaccarsi ad un bene materiale? Nulla avrebbe riportato indietro quei tempi, ma, d'altra parte, nessuno avrebbe portato via a lei quei ricordi.

Più li rievocava, più si rendeva conto di aver condiviso dei momenti pieni, autentici, ancora, in un certo senso, vivi.

Ogni volta era entrata in quella casa mettendoci il cuore, e così ne sarebbe uscita, salutandola per sempre come un'ennesima anziana nonna.

 

 

E so che staremo bene, bambina

chiudi gli occhi e vedrai

sarò al tuo fianco ogni volta che hai bisogno di te

 

 

Mentre chiudeva le porte della casa della sua infanzia, chiedendosi se da quel giorno avrebbe avuto un nuovo proprietario oppure no, si rese conto che l'inverno era ormai a buon punto. Presto sarebbe stato Carnevale e, prima che se ne potesse rendere conto, la primavera avrebbe fatto capolino.
 

Erano stati mesi frenetici, principalmente a per via di un contratto annuale in una nuova scuola (da settembre a giugno, come ogni buona precaria che si rispetti), di una serie di lezioni private che dava per arrotondare, degli onnipresenti impegni da ballerina part-time e soprattutto della sua volontà di passare sempre più tempo nella nuova casa.
 

Alcune volte si ritrovava stanca e sconsolata con una tisana di fronte a qualche telefilm poliziesco che le piaceva tanto, e si rendeva conto che la sua vita aveva finito per diventare quella di una qualunque ventiseienne: occupazione precaria, bollette da pagare, lavatrici da fare ed amici presi dal lavoro quanto lei che frequentava sempre meno di quel che avrebbe voluto. Aveva avviato una routine che era quella di una persona adulta e non più di una studentessa, e molte volte si sentiva lontanissima da quella che era stata.

 

Le bastava però osservare con più attenzione la sua nuova casa, le vecchie foto che si era portata dietro, le decorazioni che aveva scelto, per ricordarsi da dove veniva.

 

Lei era se stessa proprio perché, come tantissime altre persone, era il prodotto originale di una storia, una famiglia, una serie di tradizioni che l'avevano formata e che aveva interpretato a modo suo.

Ed il ricordo di chi l'aveva aiutata e sostenuta le sarebbe sempre venuto incontro, specialmente quando avrebbe avuto momenti di difficoltà.

 

 

Gli addii sono dolci ed amari,

ma non è la fine, vedrò di nuovo il tuo volto

 

 

C'è un momento delle nostre vite in cui possiamo dire di aver finalmente superato qualcosa di così complesso e delicato come un lutto?
 

Qual è la forza che ci spinge ogni giorno ad andare avanti, anche se in alcuni momenti la tristezza ci sembra insopportabile?
 

Come mai, quando siamo giovani, continuiamo a mordere la vita, correndo ogni volta verso un nuovo traguardo, e poi, d'un tratto, siamo colti dal desiderio di ripensare alle nostre origini, rendendoci conto che hanno rivestito un grosso ruolo nel determinare chi siamo?

 

Io non lo so.

 

Quel che posso dire è che, fino a qualche anno prima, ero terrorizzata dall'idea del tempo che scorreva.

Pensavo che qualunque scelta avrebbe determinato la mia esistenza per sempre, che un esame da rimandare fosse una tragedia, che non essere accettata dalla compagnia di ragazzi del paese fosse sinonimo di suicidio sociale, che non avere una persona speciale al mio fianco fosse una condanna definitiva.

 

Poi ho scoperto che può non essere così.

Un malato terminale può lottare con forza e dignità prolungando il più possibile la sua vita.

Una persona morente può regalare un ultimo messaggio a chi le è caro anche se è in stato del tutto confusionale.

Chi ha lottato con la depressione per cinquant'anni può trovare serenità nel suo ultimo anno di vita.

Ed anche se si deve cedere ad un male che ti consuma il cervello si può sempre essere una presenza importante per gli altri.

 

Questo mi ha insegnato quella parte della mia famiglia che ora non c'è più.

Non è mai troppo tardi per iniziare una nuova carriera, per cambiare giro di amicizie, per innamorarsi, per scoprire una passione. Nulla ci impedisce di evolverci, di prendere altre strade, di reinventarci ogni volta che ne sentiamo il desiderio.

 

Il tempo non è un pendolo agghiacciante che segna minaccioso ogni minuto come quello di cui scrive Baudelaire, e noi abbiamo il diritto di guardarci allo specchio e di decidere che siamo ben di più degli schiavi trascinati dalla sorte dei quali ci narra il poeta.

Al contrario, le stagioni della vita, come le premurose fanciulle delle litografie di Alfons Mucha, ci accompagnano, ci sostengono e ci indicano, di volta in volta, una nuova via.

Tocca a noi, dunque, portare nel cuore il passato e riprendere, più consapevoli, la nostra lunga camminata nel vento.

 

 

E mi troverai, sì, mi troverai

in posti dove non siamo mai stati, per ragioni che non comprendiamo

camminando nel vento, camminando nel vento.

 

Così sono partita per un lungo viaggio...

FINE
 

NOTA AUTORE: Eccoci giunti anche alla fine di questa storia!
So bene di avere proposto, questa volta, un tema difficile e piuttosto personale, quindi ringrazio di cuore per la pazienza e l'attenzione chiunque abbia letto. Se vi risulta difficile lasciare una recensione, scrivetemi anche solo un commento, un parere... quello che vi ha comunicato la lettura.
Era una storia che portavo nel cuore e mi è sembrato giusto condividerla.

Approfitto di questo spazio per fare pubblicità ad altre mie storie:

TEMA HARRY POTTER:

- "Soldier Side" (One-shot su Narcissa Malfoy)
- "Almeno una volta" (One-shot su Bellatrix e Voldemort)
- "Digitale purpurea" (One-shot sulla storia delle sorelle Black)
- "I sette peccati capitali" (Raccolta riguardante diversi personaggi)
- "Il cielo ha una porta sola" (Long fiction sull'inaspettato amore tra un Grifondoro ed una Serpeverde...a sorpresa!)
- "10 storie per Hermione e Fred" (10 capitoli su questi due irresistibili personaggi)

ALTRO:

- "Tutte le cose portano scritto: più in là (Le mie poesie)
- "Io ricomincerei" (Una lettera tra amiche del cuore)
- "Because Taylor inspires life" (Una raccolta di racconti ispirata ai testi delle canzoni di Taylor Swift)
- "Storyline" (Fanfiction su Taylor Swift)
- "Piccolo calendario dell'Avvento" (Raccolta di flashfics natalizie)

Se vi ha incuriosito il mio stile di scrittura, passate...e lasciate un commentino, se vi va :-)

Grazie infinite ancora per tutto.
Spero di tornare presto a raccontarvi un'altra storia.
Alla prossima!

 



 

 

 

 

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