Dartin week 2016- Feeling

di Notteinfinita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Friendship - amicizia ***
Capitolo 2: *** Embarassment -imbarazzo ***
Capitolo 3: *** Engage - impegno ***
Capitolo 4: *** Love - Amore ***
Capitolo 5: *** Indestructible - indistruttibile ***
Capitolo 6: *** Naked - nudo/a ***
Capitolo 7: *** Glory - gloria ***
Capitolo 8: *** Capitolo Bonus - Feelings ***



Capitolo 1
*** Friendship - amicizia ***


Friendship – amicizia


«Ecco a te.» disse Martin, porgendo un cono a Diana.

«Nocciola e cioccolato?» chiese lei.

«Che altro!» rispose il biondo facendole l'occhiolino e lasciandosi cadere di fianco a lei.

Portando lo sguardo sul gelato, Diana si ritrovò a sorridere.

Se le avessero chiesto di scegliere un'immagine che rappresentasse la sua amicizia con Martin questa sarebbe di certo stata quella di un cono gelato.


Le famiglie Mystere e Lombard erano vicine di casa da prima dell'arrivo dei rispettivi eredi e i loro genitori erano soliti frequentarsi ed organizzare barbecue e gite ma da piccoli loro due non si erano mai presi molto.

Lei era una bimba tranquilla mentre Martin era decisamente turbolento.

Questo almeno fino al picnic del quattro luglio dei loro sei anni.

Il parco era gremito di persone e di bambini che scorrazzavano in preda all'euforia della giornata.

Quando era arrivato il carretto dei gelati, naturalmente, tutti vi si erano fiondati incontro.

Dopo una lunga attesa, alla fine, anche lei era riuscita a conquistare il suo gelato preferito ed aveva iniziato a mangiarlo con gusto ma un bambino l'aveva spinta facendo cadere lei e il suo prezioso cono.

Con gli occhi lucidi aveva volto lo sguardo verso il carretto solo per scoprire che era appena andato via.

Immediatamente grosse lacrime avevano iniziato a solcarle le guance finché qualcuno non aveva messo un gelato davanti a lei. Alzati gli occhi sul proprietario del dolce si era ritrovata davanti il sorriso furbo di Martin.

«Tieni. Io torno subito, non mangiarlo tutto.» le aveva detto porgendoglielo.

Lei non aveva avuto neanche il tempo di ringraziarlo che lui era già corso a vendicarla acchiappando e buttando a terra il bambino che le aveva rovinato il gelato, nonostante fosse il doppio di lui.

Inutile dire che i genitore del ragazzino colpito erano insorti e Martin aveva rischiato una brutta punizione se Diana non fosse intervenuta a spiegare l'accaduto.

Quando tutto si era risolto, i due si erano seduti l'uno accanto all'altra per finire il gelato...o almeno quello che non si era ancora sciolto...

Da allora erano diventati inseparabili.


«Che ti ridi?» chiese Martin vedendo la ragazza osservare il cono con aria sognante.

«Niente, sono solo felice.» rispose Diana, poggiando la guancia sulla spalla dell'amico.

«Martin.» lo chiamò un attimo dopo.

«Si?»

«Ti voglio bene.» gli sussurrò, schioccandogli un bacio sulla guancia e ridendo del suo imbarazzo (sapeva bene che le carinerie lo mettevano a disagio).

Quel giorno di tanti anni fa avrebbe dovuto ringraziare quel bambino maleducato grazie a lui aveva perso un gelato ma aveva guadagnato un amico.

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Capitolo 2
*** Embarassment -imbarazzo ***


Embarassment – imbarazzo


Avviso: Di questa storia esiste una versione a rating rosso.

Potete trovarla qui.

Nella raccolta però ho preferito inserire questa versione

soft per permettere a tutti di leggerla.


M.o.m sospirò osservando le schede disseminate sulla sua scrivania.

«Billy.» chiamò premendo il bottone dell'interfono.

«Eccomi!» esclamò il piccolo alieno con voce squillante.

«Quali agenti sono disponibili?»

«In questo periodo siamo oberati di lavoro. Sono liberi solo Martin e Diana, cioè, gli agenti Mystere e Lombard.» si corresse, cercando di assumere un tono professionale.

«Non ho scelta, mandameli in ufficio.»

«Sarà fatto!» esclamò Billy, prima di chiudere la comunicazione.

La donna non ebbe neanche il tempo di abbassare gli occhi che il portale si aprì di fronte a lei scaricando sul pavimento del suo ufficio un intreccio di membra umane che si contorcevano in maniera forsennata.

A giudicare dall'abbigliamento erano stati interrotti durante un pomeriggio al mare.

«Salve agenti!»

«Salve M.o.m!» risposero in coro i due, rimettendosi in piedi.

«Pensavo foste impegnati nello studio di fine anno.» li punzecchiò.

«Bé, siamo tornati solo ieri dall'ultima missione ed oggi non abbiamo lezione, visto che è sabato, quindi abbiamo deciso di prenderci un po' di riposo prima di riprendere a studiare.» rispose Martin con fare sostenuto.

A quell'affermazione Diana gli lanciò un'occhiata scettica. Solo chi non lo conosceva poteva credere che si sarebbe dedicato seriamente allo studio.

«A quanto pare dovrete mettere da parte i libri ancora per un po'.» affermò la donna, fingendo di credergli. «Se ti consola sappi che avrei preferito non disturbarvi.»

«Perché, non siamo sempre stati degli ottimi agenti?!» domandò Martin, piccato.

«Calmati, non volevo offendervi. Semplicemente avrei preferito degli agenti che avessero già raggiunto la maggiore età. Almeno non saremmo costretti a creare dei documenti falsi.»

Alla spiegazione di M.o.m i due la fissarono confusi.

Immediatamente nella mente di Martin si fece strada l'immagine di lui che andava ad indagare in uno strip club.

Portato un dito allo scollo della maglietta l'allargò leggermente; l'ufficio si era fatto improvvisamente più caldo.

«Di che missione si tratta?» chiese Diana, improvvisamente agitata.

«Sedetevi.» ordinò la donna, indicando le poltrone davanti alla sua scrivania.

I due presero posto gettando uno sguardo alle carte sparse sul tavolo nel tentativo di capire di cosa si sarebbero dovuti occupare.

«Da qualche mese nei boschi del Québec hanno aperto un Centro Benessere per coppie. L'Eden.»

«Oh si, l'ho sentito dire, è un luogo esclusivo!» esclamò Diana sgranando gli occhi per poi arrossire imbarazzata dalla sua stessa reazione.

«Esattamente.» disse M.o.m senza scomporsi. «Purtroppo però si stanno verificando delle strane coincidenze. Diverse coppie dopo essere state al Centro sono andate a fare dei grossi prelievi presso le loro banche ma poi non ricordano né il motivo né dove hanno portato i soldi.»

«Sicuri che non stiano mentendo? Magari volevano far sembrare che glieli avessero rubati per metterli da parte.» suppose Martin.

«Ne dubito. Tutti gli interrogati affermano che sentivano di dover fare quel prelievo ma da quando sono risaliti in macchina con i soldi non ricordano nulla.» spiegò la donna. «Alcuni sono anche mancati ad importanti impegni di lavoro o familiari per andare in banca. Senza contare che si tratta di un posto piuttosto esclusivo e chi lo frequenta non ha certo problemi di soldi. Pensiamo si tratti di qualche forma di condizionamento psicologico.»

«Umana o non umana?» domandò Diana, preoccupata.

«Purtroppo non abbiamo indizi a riguardo.»

«Che aspettiamo, andiamo ad indagare!» incitò Martin, balzando in piedi.

Non gli era difficile immaginare quanto fosse snob la clientela di un posto del genere ma non per questo pensava meritassero certi soprusi.

«Agente Mystere calmi i bollenti spiriti. Prima dobbiamo rendervi credibili come maggiorenni.» lo rimbrottò, seria.

«Scusi M.o.m.» borbottò Martin, rimettendosi a sedere.

«Tanya, potresti venire nel mio ufficio.» disse alla cornetta dopo aver composto il numero di un interno.

Qualche minuto dopo si sentì bussare alla porta.

«Avanti.» disse M.o.m, alzandosi e portandosi davanti alla scrivania.

Una donna dai lunghi capelli rossi legati in uno chignon e dal fisico scattante fasciato da un tailleur-pantalone grigio perla fece il suo ingresso rivolgendo un sorriso appena accennato ai presenti.

«Tanya i nostri agenti Mystere e Lombard hanno bisogno di te.» affermò, indicandoli e facendo loro segno di alzarsi.

«Martin Mystere.»

«Diana Lombard.»

Si presentarono i due porgendo la mano alla nuova arrivata.

«Tanya Simard, specialista in travestimenti.» rispose la donna studiandoli da capo a piedi.

«Allora, come vuoi che te li trasformi?» chiese, elettrizzata dalla nuova sfida che le veniva presentata.

«Secondo te quanti anni hanno?»

«Sedici, diciassette al massimo.» affermò la rossa dopo averli squadrati con sguardo critico.

«Esatto. Io ho bisogno che sembrino almeno ventunenni.»

«Niente alienizzazione?» domandò l'agente Simard, un po' delusa.

«Mi dispiace, solo crescita anagrafica.» rispose M.o.m sogghignando.

«Bé, sarà comunque interessante.» affermò la donna continuando a osservare i due ragazzi come un pezzo di creta da modellare a suo piacimento.

A disagio, i due abbassarono lo sguardo.

Quella donna poteva essere brava nel suo lavoro ma quando li guardava in quel modo era davvero inquietante.

«Avrei bisogno che faceste una passerella per me.» disse la rossa, rivolgendosi nuovamente ai due.

«Cosa?!» esclamò Diana, arrossendo.

«Nulla di eccezionale. Dovete solo camminare fino alla porta e tornare qui alla scrivania.» spiegò. «Ho bisogno di vedere come vi muovete e che fisico avete per decidere l'abbigliamento e i cambiamenti più adatti a voi.»

«Su ragazzi, collaborate.» li incitò M.o.m, tornando dietro la scrivania e facendo apparire dal pavimento una poltrona per l'agente Simard.

«Agente Mystere, potrebbe iniziare lei.» suggerì la donna accomodandosi dove suggeritole da M.o.m.

Pur se titubante, Martin fece come gli veniva detto anche se si sentiva a disagio sotto lo sguardo attento della donna.

Il fatto che fosse in costume, inoltre, non lo aiutava per nulla.

«Diana, tocca a te.» disse M.o.m, poco dopo.

Con movimenti rigidi la ragazza fece la passerella mantenendo lo sguardo basso e sentendosi arrossire.

«Potresti togliere il copricostume?» domandò l'agente Simard, meditabonda.

Arrossendo terribilmente Diana si liberò dell'indumento evitando di incrociare anche solo di sfuggita gli occhi di Martin. Un conto era essere in costume al mare e un altro era fare uno spogliarello in ufficio.

«Ti ringrazio agente Lombard, puoi rivestirti.» disse la donna.«Il materiale su cui lavorare è ottimo ma sono molto giovani, non so di quanto potrò invecchiarli.»

«Ciò che conta è che sembrino maggiorenni.» la rassicurò M.o.m. «Questa è la documentazione relativa al posto in cui dovranno infiltrarsi.» aggiunse, porgendole un fascicolo.

«Perfetto, dammi un quarto d'ora e poi raggiungetemi nel mio studio.» disse l'agente Simard, alzandosi e uscendo dall'ufficio.

«Bene ragazzi, ne approfitteremo per parlare della missione.»

I due tornarono sedersi, leggermente preoccupati all'idea di finire sotto le mani di quella donna.

«Al Centro vanno sopratutto coppie che vogliono ritrovare la loro intesa. Vi presenterete come clienti e vi sottoporrete ai vari trattamenti. Non sappiamo di preciso come agiscano e se tengano sotto controllo i clienti quindi in nessun momento potrete uscire fuori dal vostro ruolo. So che il raggio d'azione per le indagini sarà molto limitato ma non possiamo rischiare che salti la vostra copertura quindi in ogni momento dovrete comportavi come se foste una vera coppia.» spiegò M.o.m, porgendo loro dei depliant. «Spero che per voi non sia un problema.»

«Io e Diana siamo amici da una vita. Abbiamo una grande affinità, penso che con uno sforzo minimo potremo tranquillamente passare per una coppia.» affermò Martin, sicuro, volgendo lo sguardo sulla sua amica che si limitò ad accennare di si con un sorriso tirato.

Dal suo punto di vista la situazione era più complicata e lui non si rendeva pienamente conto di cosa avrebbe voluto dire fingere in tutto e per tutto di essere fidanzati.

«Su agenti, è ora di raggiungere l'agente Simard.» li incitò M.o.m alzandosi e precedendoli alla porta.

Usciti dall'ufficio raggiunsero l'ascensore e, scesi diversi piani, si ritrovarono in un lungo corridoio bianco e asettico in tutto e per tutto simile a quello che avevano lasciato.

Preceduti da M.o.m, superarono una mezza dozzina di porte per poi fermarsi alla fine del corridoio di fronte all'ennesimo uscio identico agli altri.

La donna bussò e immediatamente vennero invitati ad entrare.

La stanza che si presentò davanti ai loro occhi somigliava in maniera impressionante ad un salone di bellezza con postazioni trucco e shampoo, carrellini con spazzole e pettini, sedie girevoli e grandi specchi. L'assoluto bianco di tutto l'arredamento e delle inquietanti vasche simili a quelle viste nei film sulla clonazione davano all'ambiente un aspetto inquietante.

Tanya Simard venne loro incontro con un sorriso smagliante.

Indossava un camice bianco che copriva il tailleur-pantalone rendendola simile ad un dottore e che fece rizzare i peli sulla nuca di Martin.

Si sentiva una cavia da laboratorio.

«Allora agente Simard, cosa ha pensato per loro?» chiese M.o.m

«Per lei ho pensato ad una capigliatura mossa e leggermente più lunga. Il fisico pur se acerbo è piuttosto slanciato, sarà molto elegante.» disse la donna, girando intorno a Diana che arrossì vistosamente sotto lo sguardo assorto dell'agente.

«Invece, per quanto riguarda lui.» proseguì, avvicinandosi a Martin «Bisognerà cambiare la pettinatura, aggiungere un pizzetto per dargli un'aria più matura e adottare un look più sofisticato.»

Martin e Diana si guardarono negli occhi, preoccupati. L'idea di stravolgere il loro aspetto non gli piaceva per nulla.

«Cosa sono quelle facce? Su, adesso andate nei camerini lì in fondo, spogliatevi completamente e indossate la biancheria e le vestaglie che troverete, poi tornate qui.» li spronò. «M.om, se tu intanto vuoi seguirmi ti faccio vedere l'abbigliamento che ho scelto per loro.»




«M.o.m, agente Simard, dove siete?» chiese una titubante Diana, qualche minuto dopo, stringendosi nella vestaglia affinché non si aprisse.

«Mi chiedo perché non potevo tenermi i miei vestiti.» mugugnò Martin raggiungendola e lanciandole uno sguardo afflitto.

Con quella vestaglia si sentiva decisamente ridicolo.

«Oh bene, siete pronti.» disse la donna avvicinandosi a passo svelto seguita da M.o.m.

«Allora, ho azzeccato la taglia?» chiese ai due che annuirono a disagio.

«Bé, allora cosa aspettate, fatemi vedere!» esclamò appoggiandosi ad una delle postazioni trucco.

A quella richiesta, il viso di entrambi divenne di un acceso colore scarlatto mentre anche M.o.m tossicchiava a disagio.

«Se non sbaglio dovranno fingersi dei fidanzati venticinquenni più o meno, se s'imbarazzano solo a mostrarsi in mutande è la fine. La copertura salterà nel giro di un paio d'ore.» rispose l'agente Simard puntando gli occhi su M.o.m con sguardo eloquente.

«Dimentichi che però qui ci siamo anche noi due.» fece notare M.o.m.

«Va bene. Andiamo avanti.» concesse la donna, avvicinandosi nuovamente ai due. «Tu agente Mystere adesso andrai con Seth, il mio assistente, mentre di te agente Lombard mi occuperò io.»

Appena ebbe finito di parlare, un ragazzo dal fisico scolpito e dai capelli neri fece il suo ingresso.

«Lui è Seth, loro sono gli agenti Mystere e Lombard.» disse l'agente Simard, presentandoli.

«Seth, ti affido l'agente Mystere.» affermò. «M.o.m, tra un paio d'ore ve li consegnerò pronti per la missione.»

Datisi un ultimo sguardo, i due seguirono rispettivamente Seth e l'agente Simard.




Durante le due ore seguenti non fu concesso loro di guardarsi allo specchio né di sbirciare in alcun modo ciò che stavano loro facendo.

Addirittura, al momento di vestirsi, vennero bendati per impedire loro di sbirciare.

Finito di prepararli, l'agente Simard rimirò il risultato ottenuto e batte le mani soddisfatta aumentando l'ansia dei due che, impossibilitati a vedersi si chiedevano preoccupati cosa avrebbero visto una volta tolta la benda.

Dopo averli presi a braccetto, l'agente Simard e Seth guidarono i due ragazzi, ancora bendati, per i corridoi del Centro fino alla porta dell'ufficio di M.o.m a cui la donna bussò.

Ricevuto il consenso ad entrare, fece strada ai due e, all'occhiata interrogativa della donna rispose con un sorriso smagliante e un cenno di attendere.

«Eccoci qua!» trillò, allegra. «Gli agenti non hanno ancora avuto modo di vedere le trasformazioni, quindi sarebbe possibile avere uno specchio a figura intera così da fargli ammirare il mio lavoro?» chiese, con evidente orgoglio.

Senza scomporsi minimamente, M.o.m pigiò alcuni tasti presenti sulla superficie della sua scrivania e immediatamente l'enorme quadro che ricopriva una delle pareti dell'ufficio si tramutò in uno specchio.

Soddisfatta, l'agente Simard sistemò Martin e Diana di fronte alla superficie riflettente e fece cenno al suo assistente di portarsi alle spalle del biondo mentre lei faceva lo stesso con la ragazza.

«Tre, due, uno...» contò la donna provvedendo a rimuovere la fascia che copriva gli occhi di Diana.

Dopo il tempo passato ad occhi chiusi, i due sbatterono varie volte le palpebre per riabituarsi alla luce.

Quando riuscirono a mettere a fuoco i loro occhi si sgranarono per la sorpresa.

Con un sospiro di sollievo, Martin portò una mano ai capelli sfiorandoli leggermente. Temeva glieli avessero tagliati corti, invece li avevano solo spuntati e pettinati verso il basso con un ciuffo che gli copriva parte della fronte.

Abbassati gli occhi notò la barba e il pizzetto che gli delineavano la mascella dandogli un aspetto più maturo mentre l'abbigliamento sportivo ma di classe avrebbe portato chi lo avesse visto a identificarlo come il rampollo di una “famiglia bene”.

Finito di studiarsi, il biondo volse lo sguardo alla ragazza al suo fianco e ciò che vide lo portò a lasciar cadere la mascella ciondoloni per la sorpresa.

Quella davanti a lui non era più la sua compagna di scuola e di missioni ma un'affascinante giovane donna.

Diana era rimasta piacevolmente sorpresa dalle trasformazioni operate su di lei ma essere oggetto di tanta attenzione da parte del suo amico la portò ad arrossire ed abbassare lo sguardo.

«Bellezza, non fare la timida!» le urlò l'agente Simard facendole l'occhiolino e aumentando il grado del suo imbarazzo. «Non sei più una studentessa delle superiori, sei una splendida donna che può ammaliare chiunque voglia.»

«Anzi, fossi in te starei attento perché qualcuno potrebbe provarci con lei.» aggiunse avvicinandosi a Martin e dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.

Il ragazzo sembrò non accorgersene nemmeno.

Non riusciva a staccare gli occhi da Diana.

Le avevano allungato i capelli acconciandoli in morbide onde che le accarezzavano le spalle, era leggermente truccata ed indossava un tubino blu pervinca, abbinato alle décolleté dal tacco alto, che mettevano in risalto il fisico asciutto e tonico e le curve sode ed invitanti.

Martin si ritrovò, suo malgrado, a deglutire a vuoto: era davvero stupenda!

«A giudicare dalla faccia del tuo collega direi che la trasformazione gli è piaciuta.» rincarò l'agente Simard portandosi alle spalle di Diana. «E tu che mi dici, ti piace quello che vedi?» chiese, indicando il biondo.

Diana si limitò ad alzare gli occhi per un attimo sul suo amico per poi arrossire e distogliere lo sguardo.

«Agente Simard, Seth, vi ringrazio per il vostro lavoro. Potete andare.» disse M.o.m, perentoria.

Tanya Simard era la migliore agente del Centro specializzata in modificazioni corporee ma a volte la sua natura di esteta prendeva il sopravvento rendendola un po' eccessiva.

«I nostri agenti devono prepararsi per la missione.» aggiunse M.o.m per blandirla.

«Capisco. Vi faccio i migliori auguri per la missione. Ci vediamo al vostro ritorno per ripristinare il vostro aspetto consueto.» disse la donna porgendo la mano ad entrambi seguita a ruota dal suo assistente per poi guadagnare la porta dell'ufficio.

Rimasti soli, M.o.m ritrasformò lo specchio in quadro e fece cenno ai due ragazzi di accomodarsi.

«Bene agenti, tra poco partirete per la vostra missione. Al centro benessere vi stanno già aspettando. Abbiamo prenotato con i vostri veri nomi ma presentandovi come figli di ricche famiglie europee in vacanza qui per qualche giorno e che non hanno problemi a pagare un prezzo maggiorato pur di usufruire di uno dei pacchetti dell'Eden.» spiegò. «Il vostro soggiorno durerà da oggi fino a domenica pomeriggio. In questi due giorni voi seguirete il programma per coppie e intanto cercherete di capire come fanno a soggiogare le persone. Non sappiamo se gli ospiti sono videocontrollati quindi la vostra sarà solo una missione esplorativa. Nel Centro sono vietati sia i telefoni che qualsiasi altro congegno elettronico, compresi gli orologi quindi non ci sarà possibile comunicare. Fate attenzione. Al vostro ritorno a seconda delle informazioni che ci fornirete decideremo se cercare d'infiltrare qualcuno tra il personale.»

I due ascoltarono in silenzio le direttive della donna cercando di farsi un'idea più precisa di quello che si sarebbero trovati ad affrontare.

«Mi scusi M.o.m ma la terapia di coppia in cosa consisterà?» domandò Diana.

Aveva sentito parlare del centro benessere Eden ma, oltre al fatto di essere single, era un posto così esclusivo da essere ben al di sopra delle proprie possibilità quindi non si era mai informata sui trattamenti forniti.

«Nulla di particolare, percorsi benessere, meditazione, massaggi. Purtroppo non danno informazioni più specifiche, dicono che è per preservare l'esclusività dei loro trattamenti.»

L'idea di una missione così rilassante fece sorridere la ragazza; di solito gli unici fanghi che vedeva in missione erano quelli delle paludi in cui veniva trascinata dal mostro di turno.

Messa da parte le fantasie, tornò a concentrarsi sul suo superiore in attesa di ulteriori istruzioni.

«Ma dove passeremo la notte?» chiese Martin.

«All'Eden, naturalmente. Il centro è anche un albergo.» spiegò M.om. «Logicamente si tratterà di una camera matrimoniale. Spero non sia un problema.»

«Si figuri, da piccoli dormivamo sempre insieme quando andavamo in campeggio!» esclamò Martin, ridacchiando.

Diana non poté fare a meno di pensare che adesso non erano più tanto piccoli e si chiese come sarebbe stato dormire nello stesso letto con quel giovane uomo seduto di fianco a lei.

Sentendo uno strano caldo affiorarle alle guance si affrettò a distogliere i pensieri da quelle malsane idee. Era necessario che fosse concentrata sulla missione.

«Non mi sembra di avere altro da comunicarvi. Raggiungete Billy, lui vi consegnerà l'auto e vi aprirà un portale nelle vicinanze della vostra destinazione.»

«M.o.m, scusi ma non avremo bisogno di qualche cambio?»

«Non si preoccupi agente Lombard, l'agente Simard ha già provveduto a far sistemare le vostre valigie nel bagagliaio del mezzo. In bocca al lupo.» disse la donna, congedandoli.

Salutata M.o.m, i due uscirono dall'ufficio e, preso l'ascensore, raggiunsero la postazione di Billy.

«Diana, sei uno schianto! Quasi non ti riconoscevo.» esclamò il piccolo alieno, vedendoli.

«E a me non dici nulla?» chiese Martin atteggiandosi a modello.

«Con quella barba somigli a tuo padre.» affermò Billy, squadrandolo dalla testa ai piedi.

«È un complimento?»

«Bé, si. Che io sappia il signor Mystere è in genere considerato un bell'uomo dal gentil sesso.»

A quell'affermazione Martin finse un brivido che fece sghignazzare i suoi amici.

«Pronta la macchina?» chiese il biondo per cambiare discorso.

«Si ma prima dammi un attimo l'U-watch. Devo aggiungere una cosa.»

Martin consegnò l'orologio e attese, incuriosito, di sapere quali nuove armi avrebbe avuto a disposizione.

«Ecco qui.» disse il piccolo alieno, qualche minuto dopo. «Adesso è fornito di un localizzatore tarato sui vostri parametri energetici. Se l'orologio si trova a più di un chilometro da voi ci verrà segnalato»

«E a che serve? Io pensavo mi stessi dando delle nuove armi.» affermò Martin, deluso.

«È una missione esplorativa, le armi non servono. Senza contare che comunque l'orologio dovrai lasciarlo in auto perché nel Centro benessere non è consentito portare orologi.» gli fece notare Billy. «In compenso ecco il mezzo che userai.» aggiunse, lanciandogli una chiave e spostandosi verso il garage del Centro.

Quando Martin vide la scattante auto sportiva che l'attendeva ammutolì.

Gli sembrava impossibile che gli avrebbero permesso di mettersi al volante di quel bolide.

«Martin, ti prego, guida con attenzione. Sai bene quanto costa quell'auto.» lo pregò Billy interponendosi tra il ragazzo e la portiera dell'auto.

«Lo so, starò attento.» lo rassicurò Martin, ponendogli una mano sulla spalla.

L'alieno sorrise debolmente sperando che il suo amico mantenesse la promessa e si fece da parte.

«A presto Billy!» lo salutò Diana, entrando in macchina.

«In bocca al lupo!» rispose di rimando l'alieno portandosi davanti al pannello di controllo e preparandosi ad aprire il portale.

«Il navigatore è già impostato sulla destinazione e come “casa” è stato registrato il punto in cui vi recupereremo a fine missione.» spiegò ancora mentre Martin saliva in macchina facendogli un cenno affermativo per fargli comprendere di aver capito.




Dopo un breve conto alla rovescia, Billy aprì il portale e immediatamente i due si ritrovarono su un'isolata stradina di montagna.

Data un'occhiata ai dintorni per essere sicuro che nessuno li avesse visti uscire dal portale, Martin accese il navigatore e si avviò tentando di tenere a bada la voglia di provare la potenza del motore...l'idea che M.o.m gli addebitasse il costo delle riparazioni bastò a farlo desistere.

Una decina di minuti dopo Martin fermò l'auto davanti ad una una costruzione ultramoderna, decisamente tecnologica e di un bianco abbagliante che contrastava pesantemente con la natura e i boschi che la circondavano.

Il rumore delle ruote sulla ghiaia si era appena dileguato quando due valletti apparvero ai lati dell'auto aprendo le portiere dell'auto.

Diana, presa alla sprovvista, ebbe un sussulto che cercò di dissimulare.

Martin, in cuor suo, sospirò di sollievo all'idea di aver già tolto l'U-wacht durante il viaggio nel portale, non era saggio che qualcuno lo vedesse.

Fingendo una tranquillità che non provavano, Martin e Diana scesero dall'auto e mentre lui consegnava le chiavi ad uno dei due valletti, lei recuperava la giacca attillata e la borsetta che l'agente Simard aveva lasciato per lei sul sedile posteriore.

Abbandonati auto e bagagli al loro destino, certi che avrebbero trovato le valigie già in camera, si avviarono verso l'ingresso dell'edificio.

Come avevano supposto, le porte di vetro si aprirono automaticamente ed una sorridente bionda in attillato tailleur color panna venne loro incontro esibendo il sorriso più abbagliante che avessero mai visto.

«Signor Mystere, signorina Lombard, benvenuti all'Eden! Io sono Electra.» esclamò senza smettere di sorridere.

«Ma come...» si lasciò sfuggire Martin, sorpreso.

«Oh, suppongo che la sua assistente non glielo abbia specificato ma la politica del nostro resort esige l'invio di una copia di un documento d'identità al momento della prenotazione.» spiegò, senza stupirsi della sorpresa del biondo. Era di certo abituata a clienti che delegavano tutto alle loro assistenti prendendosi appena il disturbo di presentarsi, ammesso che ne avessero ancora voglia. «Accomodatevi nella sala accoglienza.» aggiunse, indicando una porta in fondo alla hall.

Appena furono entrati vennero investiti dal profumo dell'incenso bruciato in diversi angoli della stanza.

L'ambiente aveva una vaga atmosfera orientale data dai cuscini sparsi qua e la e dai tendaggi drappeggiati sulle colonne che circondavano la stanza a ricordare un harem.

Fatti accomodare su uno dei comodi divani bianchi posti al centro della stanza, venne loro servita una strana bibita dall'inquietante color melma.

«È il nostro Centrifugato di Benvenuto Depurativo.» spiegò la donna sorridendo incoraggiante.

Per un attimo entrambi i ragazzi si chiesero se non fosse proprio quello l'intruglio drogato ma, impossibilitati a liberarsene per la presenza fissa della receptionist, si fecero coraggio e, cercando a loro volta di sorridere, ingurgitarono qualche sorso dello strano miscuglio.

Per loro fortuna l'aspetto era di gran lunga peggiore del gusto che, se non poteva dirsi buono, era almeno bevibile.

«Il nostro programma per coppie consiste di tre fasi: purificazione, connessione e contemplazione.» spiegò la donna sedendo nel divano di fronte a loro.«Nel vostro caso abbiamo a disposizione solo un giorno e mezzo quindi sarà una versione più concentrata.»

Finito di parlare la donna si alzò invitandoli a seguirla.

Con passò spedito li guidò fino ad un grande ascensore e da lì all'ultimo piano dell'edificio dove si fermò davanti ad una doppia porta.

La targhetta apposta sopra la identificava come “Suite Paradise”.

Martin e Diana si scambiarono un veloce sguardo compiaciuto per poi tornare a concentrare l'attenzione sulla donna davanti a loro.

Spalancata la doppia porta, Electra si fece da parte per permettere loro di entrare.

Varcata la soglia i due riuscirono a stento a trattenere un'esclamazione di sorpresa.

Le pareti della stanza riproducevano un vero e proprio paradiso terrestre.

Un enorme letto matrimoniale torreggiava al centro della stanza stagliandosi contro la parete raffigurante il cielo come una vaporosa ed invitante nuvola bianca.

Dalla parte opposta un'enorme vasca idromassaggio era stata inglobata nella riproduzione di una cascata mentre l'enorme armadio a muro era mimetizzato grazie alla raffigurazione di un lussureggiante bosco che lo ricopriva.

I due ragazzi diedero un'occhiata a tutto ciò che li circondava cercando di non far trasparire la loro meraviglia, in fondo come figli di famiglie ricche avrebbero dovuto essere abituati a tutto quel lusso.

L'apparizione di una ragazza vestita da cameriera da una porta laterale che non avevano notato li costrinse a concentrarsi nuovamente su ciò che stava accadendo.

«Piacere, io sono Nelly e sarò la vostra cameriera personale per tutta la durata del soggiorno. Benvenuti all'Eden.» disse la brunetta facendo un lieve inchino. «Ho già provveduto a sistemare i vostri effetti personali.» aggiunse.

«Bene, vi lasciamo soli. Sulla scrivania troverete il programma che seguirete. Tra mezz'ora avrà inizio il primo trattamento. Al resort è vietato portare orologi ma il display sulla parete si accenderà un'ora prima di ogni nuovo trattamento avvisandovi con un suono di campane a vento. Se invece aveste bisogno di Nelly su entrambi i comodini troverete il campanello per chiamarla. Per qualsiasi altra esigenza vi basterà alzare la cornetta e verrete collegati con la reception.» spiegò la donna prima di salutarli e lasciare la stanza seguita dalla cameriera.

Rimasti soli, i due si diedero all'esplorazione della stanza.

Mentre Martin si affacciava sul terrazzino per vedere il panorama che si godeva da lì, Diana si affacciò nella stanza da cui era uscita la cameriera.

Pochi minuti dopo Martin rientrò trovandosi davanti una Diana paonazza.

«Che succede?» chiese il ragazzo, avvicinandolesi.

La ragazza si limitò ad indicare la stanza da cui era appena uscita.

Incuriosito, Martin si affacciò a dare un'occhiata.

«È il bagno.» commentò Martin, in tono piatto, non comprendendo lo sgomento dell'amica.

«Non ti sembra che manchi qualcosa?»

Il biondo diede un'altra sbirciata oltre la porta per capire cosa si fosse perso.

«In effetti non c'è la doccia.» constatò, subito dopo. «Strano!»

«Martin, sveglia! La doccia c'è solo che è qui in camera!» esclamò Diana, indicando l'idromassaggio mimetizzato da cascata e arrossendo ancora di più.

«A ben pensarci questo è un resort per coppie e non penso che due che vanno a letto insieme si facciano problemi a farsi la doccia l'uno in presenza dell'altra.» constatò Martin serafico.

Ci volle qualche secondo perché le implicazioni della sua stessa affermazione giungessero al suo cervello facendolo arrossire a sua volta.

Quando avevano accettato la missione non avevano realmente compreso fino in fondo il grado d'intimità che fingersi una coppia avrebbe comportato ma ormai era tardi per tirarsi indietro.

«Troveremo una soluzione.» le sussurrò avvicinandolesi alle spalle e cingendola alla vita. «Cerchiamo di rimanere nella parte, potremmo essere spiati.» bisbigliò ancora.

«Hai ragione.» rispose Diana, girandosi a guardarlo da sopra la spalla.

Agli occhi di chi eventualmente li stesse osservando sarebbero apparsi come una coppia in vena di effusioni. Vista la loro precedente imprudenza potevano solo sperare che nella camera non ci fossero anche dei microfoni.

«Vediamo cosa prevede il programma» propose Diana, afferrando Martin per un polso e trascinandolo davanti alla scrivania.

Afferrata la cartelletta l'aprì con un certo timore. Dopo la doccia in piena vista non sapeva cosa aspettarsi.

Scorso velocemente il planning delle attività per il week end, tirò un sospiro di sollievo mentale.

Percorsi benessere, massaggi, insomma, nulla di preoccupante.

«Tra...» iniziò, fermandosi per guardare il display. «venti minuti ci aspettano per il percorso benessere. Ci conviene cambiarci.»

La ragazza riportò lo sguardo sul suo amico in cerca di una soluzione.

«Io mi cambio di qua, tu vai nel bagno.» le sussurrò all'orecchio.

Il suo fiato le solleticò il collo facendole scorrere un lieve brivido lungo la schiena.

Istintivamente Diana strinse più forte la cartelletta tra le mani rilasciando lentamente il respiro per rilassarsi. Quella situazione le stava creando più disagi di quanto si sarebbe aspettata.

Non era insolito per loro stare da soli ma quell'ambiente romantico rendeva ogni gesto, ogni azione, più ambigua.

Ripreso il controllo dei propri pensieri, Diana poggiò il programma e si diresse verso l'armadio.

Era una fortuna che Nelly avesse disfatto i loro bagagli così nessuno avrebbe notato che non avevano la più pallida idea di cosa ci fosse nelle loro valigie.

Andando per logica, Diana aprì i cassetti posti all'interno delle ante centrali dell'armadio.

Per sua fortuna il primo conteneva diversi costumi ognuno ordinatamente piegato all'interno di una bustina.

Dopo averne lanciato uno con decorazioni a fiori awajani a Martin ne scelse uno verde smeraldo per se.

«Prima di cambiarmi devo darmi una rinfrescata.» disse a beneficio degli eventuali microfoni e si chiuse in bagno.

Essendo truccata non toccò il viso ma si bagnò il collo e le braccia.

Nonostante la missione, nonostante la situazione, era curiosa di beneficiare dei trattamenti del Centro.

Dopo aver legato i capelli in uno chignon, aprì il costume e rimase basita.

Il colore era stupendo, lo stesso dei suoi occhi; era semplice, come piaceva a lei ma le sarebbe piaciuto di più se ci fosse stato anche qualche centimetro di stoffa in più.

Appena fosse tornata al Centro avrebbe strozzato Tanya Simard!

Non poteva uscire conciata in quel modo!

Era praticamente nuda e non aveva neanche preso un copricostume.

Cercando di non andare in panico, diede un'occhiata intorno. In quell'attimo notò che sullo scaffale erano sistemate due pile di accappatoi contrassegnati dalle scritte “bagno” “SPA”.

Sollevata, Diana si svestì, indossò il costume, evitando ostentatamente di guardarsi allo specchio (sarebbe di certo arrossita), e s'infilò l'accappatoio.

Sapeva che avrebbe dovuto toglierlo prima o poi ma preferiva non pensarci, non ancora.

Infilate anche le ciabattine abbinate, raccolse le sue cose.

Non sapeva quanti minuti fossero passati ma supponeva che Martin avesse avuto il tempo di cambiarsi quindi, cercando di apparire disinvolta, aprì la porta del bagno.

Vestito solo del grazioso costume a pantaloncini che metteva in risalto il suo sedere sodo, il biondo se ne stava appoggiato allo stipite della porta che dava sul terrazzino a fissare il panorama.

Trattenuta a stento un'esclamazione di apprezzamento, Diana si limitò a sorridere tra se.

«Io sono pronta.» annunciò con voce tranquilla. «Di là ci sono accappatoio e ciabatte anche per te. Non puoi andare in giro così, distrarresti troppo le cameriere.» lo punzecchiò, facendolo arrossire leggermente.

Mentre il ragazzo entrava nel bagno, Diana si concesse di ridacchiare. Non aveva resistito, era troppo divertente vederlo in imbarazzo...e poi non trovava giusto che l'unica a disagio fosse lei.

Quando entrambi furono pronti, presero l'ascensore che li condusse al pian terreno dove si trovava la SPA.

Appena entrati, un affascinante uomo in camice bianco venne loro incontro.

«Benvenuti. Io sono Steve, piacere.» disse il moro, presentandosi.

Vedendolo Diana si chiese se la bellezza fosse un requisito indispensabile per essere assunti all'Eden. Accanto a lei, Martin si irrigidì leggermente.

Agli occhi dei dipendenti del resort Diana era la sua ragazza eppure quell'uomo la stava squadrando spudoratamente.

«Se volete seguirmi vi illustro il programma del pomeriggio.» disse Walter, invitandoli ad entrare.

Come il resto del Centro Benessere anche la SPA era strabiliante.

Ovunque marmo bianco, mosaici e cascate d'acqua.

Diana sgranò leggermente gli occhi, si volse verso Martin e sorrise. Quella missione stava prendendo una piega piuttosto piacevole.

«Come già specificato nel programma si tratta di un percorso benessere per purificare l'organismo dalle tossine.» spiegò l'uomo. «Visto che il fine ultimo di tutti i trattamenti è ravvivare l'affinità di coppia, l'intero complesso è a vostra esclusiva disposizione. Nessuno vi disturberà. Vi basterà seguire il percorso così come contrassegnato dalle frecce argentate.» disse indicandole.

I due volsero lo sguardo notando le indicazioni, costituite non da adesivi argentati ma da decori incastonati nel pavimento e quasi sicuramente in platino a giudicare dalla loro lucentezza.

«Inizierete con il bagno turco. Una campanella vi segnalerà il momento di uscire.»

«Bene grazie!» rispose Diana, sforzandosi di apparire impassibile mentre in realtà era elettrizzata da tutto ciò che la circondava.

«Eccovi gli asciugamani per il bagno turco.» continuò, porgendo loro due spugne candide e morbidissime prendendole da uno scaffale. «Naturalmente se ne servono altri sono a vostra disposizione. Vi auguro una buona permanenza.»

Dopo aver salutato entrambi con un cenno del capo si diresse verso l'uscita fermandosi però a pochi passi dalla porta.

«Dimenticavo, l'uso del costume non è obbligatorio.» affermò, lanciando un'occhiata allusiva in direzione di Diana che, istintivamente si strinse addosso l'accappatoio mentre lui varcava la soglia chiudendosela alle spalle.

«Ora ha superato ogni limite.» sibilò Martin, fuori di sé, facendo un passo in direzione della porta.

«Mantieni la calma. Dal suo punto di vista era un invito a divertirci.» gli sussurrò Diana, afferrandolo per un braccio.

«Ciò non toglie che ti ha praticamente spogliato con gli occhi!» esclamò, il biondo, contrariato.

«Ma che dici.» minimizzò lei, in imbarazzo.

In fondo era piacevole essere oggetto di tante attenzioni ma doveva ammettere che forse la cosa che più le faceva piacere era vedere Martin partire in quarta a difesa del suo onore, anche se una parte del suo cervello cercava di ricordarle che anche questo suo atteggiamento era dovuto alla missione.

«Andiamo a fare il bagno turco.» suggerì, la voce resa malferma dai suoi pensieri negativi.

Senza attendere oltre si slacciò l'accappatoio e lo appese al gancio fissato di fianco la porta.

Uno strano rumore alle sue spalle, come di qualcuno che stesse deglutendo, la portò a girarsi.

Martin era immobile a pochi passi da lei e la fissava.

«Che c'è?» chiese la ragazza, a disagio.

Il biondo, colto in fallo, arrossì e distolse lo sguardo.

Non che fosse la prima volta che vedeva Diana in costume ma quello era davvero ridotto all'osso.

Senza rispondere alla domanda dell'amica, Martin aprì la porta del bagno turco e la precedette all'interno.

In quel momento avrebbe voluto fare una doccia gelata ma sperava che lessarsi lo aiutasse comunque a distrarre la mente dall'immagine del corpo seminudo della sua amica che gli si ripresentava davanti appena chiudeva gli occhi e che si ritrovava davanti appena li apriva.

Appena entrata Diana si sentì mancare, soffriva di pressione bassa e il mix di caldo e vapore le fece girare la testa.

Vedendola cambiare espressione, Martin si affrettò a raggiungerla.

«Sdraiati.» le suggerì, guidandola sul sedile di marmo e poggiandoci sopra l'asciugamano.

La ragazza vi si lasciò cadere, grata.

«Fai dei respiri profondi e lenti, vedrai che andrà meglio.» le disse, sedendolesi di fianco.

Dopo qualche minuto Diana riprese a respirare normalmente e riaprì gli occhi.

«Iniziamo bene!» sussurrò, sorridendo.

«Dai, rilassiamoci.» gli suggerì Martin, sdraiandosi a sua volta.

Quando il suono della campanella li avvisò che era ora di uscire i due si erano quasi addormentati.

«Non avremmo dovuto controllare meglio se c'era qualcosa di sospetto?» chiese Diana, uscendo e controllando verso dove li guidavano le frecce argentate.

«Era un cubicolo di marmo con un sedile intorno, non penso ci fosse molto da guardare. Con tutto quel vapore non avrebbero potuto mettere neanche una videocamera.» la rassicurò Martin.

Seguendo le frecce i due si avvicinarono allo step successivo del trattamento.

«Cos'è?» chiese lui, indicando la strana vasca stretta e lunga con gradini e getti di diverso tipo posti a intervalli regolari.

«È un percorso termico che stimola la circolazione.» spiegò Diana.

«Non mi sembra molto sexy come attività.»

«Questa è la parte depurativa del trattamento. Serve a staccare dalla frenesia del mondo. Non per forza tutto deve essere legato al sesso.»

«Quella specie di bambolotto bruno però ci ha tenuto a specificarti che il costume era superfluo.»

Diana sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

Martin sapeva bene quanto certe frasi la mettessero in imbarazzo. Lì per lì era andato su tutte le furie ma adesso se la godeva a farla sentire a disagio.

«Anche se in realtà non è che ci sia molto da scoprire...» aggiunse, gnignando.

«Martin!» esclamò Diana, colpendo il ragazzo ad una spalla mentre il suo viso assumeva una tinta scarlatta.

Vedendo la sua reazione, il biondo non riuscì più a trattenersi e si lasciò ad risata liberatoria.

«Cammina davanti a me!» gridò lei, spingendolo verso la vasca.

Consapevole di averla già punzecchiata abbastanza, si avviò verso la vasca senza protestare.

Appena si fu immerso, i vari getti entrarono in azione.

Sentiva Diana muoversi dietro di lui e, ripensando alla scena di prima, sentiva un sorriso divertito affiorare istantaneamente sulle sue labbra.

In fondo, però, doveva ammettere che fosse un bene non averla davanti lungo il percorso. Per quanta buona volontà avesse potuto metterci sapeva che comunque non avrebbe potuto fare a meno di notare i fianchi snelli e le natiche sode messe in mostra dalla mutandina a perizoma del costume.

Aveva sempre pensato che lei fosse una bella ragazza ma l'abbigliamento scelto per lei dall'agente del Centro aveva messo in risalto la sua sensualità e stava diventando sempre più difficile per lui ignorarlo.

Perso tra i suoi pensieri, Martin avanzava nella vasca per inezia notando appena i cambi di temperatura e di massaggio dell'acqua almeno finché, giunto alla fine del percorso, non si accorse dei gradini che permettevano di uscire e, andandovi a sbattere, rischiò di volare dritto disteso sul pavimento.

Diana, dietro di lui, riuscì appena ad afferrarlo ma lo sbilanciamento li fece finire entrambi immersi nell'acqua.

Sputacchiando, Diana riemerse e vedendo Martin in versione pulcino bagnato non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

Il biondo incrociò le braccia al petto, in atteggiamento offeso ma presto l'allegria della sua amica lo contagiò costringendolo a ridere a sua volta.

Riacquistato un minimo di contegno, i due uscirono dalla vasca.

Compreso dove li avrebbe condotti il prossimo punto, Diana sorpassò Martin lanciando un gridolino estatico.

«Le docce sensoriali!» gridò, indicandole.

Lo sguardo di ammonimento del ragazzo la costrinse a calmarsi.

Se fosse stata davvero una ragazza ricca non si sarebbe galvanizzata per così poco.

«Vado per primo. Facciamo attenzione, non vorrei che tra le varie essenze vaporizzate ce ne sia qualcuna tesa a stordirci.» le bisbigliò il ragazzo, superandola.

Con sguardo guardingo si avviò all'interno del percorso.

Era così in tensione che al primo spruzzo d'acqua si trattenne a stento dal sussultare.

Ad ogni passo una nuova essenza l'avvolgeva accompagnata da luci di colori diversi.

Dietro di lui, Diana cercava di rimanere concentrata nell'individuazione di qualcosa di strano anche se una parte di lei avrebbe voluto trovarsi in quel posto romantico per una vacanza.

A quel pensiero i suoi occhi si posarono sulle larghe spalle del ragazzo che la precedeva e non poté fare a meno di domandarsi come sarebbe stato se davvero loro due stessero insieme.

Sentendosi arrossire distolse lo sguardo imponendosi di non lasciarsi andare più a certe fantasie.

Nello stesso momento Martin si bloccò alla fine del percorso col risultato che lei, distratta dai suoi pensieri, andò a sbattere contro la sua schiena.

«Che succede?»

«E con quello cosa dovremmo farci?» chiese Martin, per tutta risposta, indicando uno strano secchiello in legno sospeso in aria e con una corda attaccata posto all'interno di quella che appariva come una cabina doccia priva della porta.

«È una doccia svedese. Serve a massaggiare il collo. Ti posizioni sotto e tiri la corda.» spiegò Diana sorridendo dello sguardo perplesso del ragazzo.

Non del tutto convinto, il biondo si posizionò sotto il secchio e tirò la corda.

Un'intera secchiata di acqua gelata si riversò su di lui lasciandolo a boccheggiare per lo shock termico mentre Diana se la rideva di gusto.

«Avevo dimenticato di dirti che l'acqua è piuttosto fredda.» disse, tentando di giustificarsi.

La rabbia per il fatto che la sua amica si stesse divertendo alle sue spalle ebbe il potere di scongelarlo cosicché, prima che Diana avesse il tempo di scappare, lui l'aveva già agguantata e trascinata sotto il malefico secchiello che nel frattempo si era riempito automaticamente.

Nonostante la ragazza cercasse di divincolarsi la presa di lui era ben salda e nulla poté fare per impedirgli di riversare su di lei una secchiata d'acqua gelata.

Appena questa ebbe impattato con la sua pelle, Diana lanciò un grido acuto e penetrante che costrinse Martin a lasciare la presa.

Finalmente libera, Diana iniziò a tempestare il petto di Martin di pugni scherzosi in segno di protesta per il tiro mancino giocatole dal ragazzo.

La protesta ebbe breve durata perché presto lui le afferrò entrambi in polsi impedendole ogni movimento.

Guardatisi negli occhi entrambi scoppiarono a ridere. Altro che week-end romantico, gli sembrava di essere tornati ai tempi in cui facevano le battaglie di gavettoni.

L'atmosfera divertita e giocosa ebbe però fine nel momento in cui lo sguardo di Martin si soffermò al di sotto del viso della ragazza.

Se su di lui la secchiata gelida aveva avuto il potere di ridimensionare i gioielli di famiglia, ben diverso era stato il risultato ottenuto sui capezzoli della ragazza che, inturgiditi dal freddo, premevano prepotentemente contro la sottile stoffa del costume lasciandone intuire perfettamente la forma e le dimensioni.

Prima che il sangue potesse tornare a scorrere in maniera omogenea, generando situazioni imbarazzanti, Martin la lasciò andare e si diresse verso l'idromassaggio; ultima tappa del loro percorso benessere.

Stupita dal repentino cambio di comportamento del ragazzo, Diana lo seguì, perplessa.

«Tutto bene?» gli chiese, immergendosi nell'acqua calda con un mugolio di piacere.

«Si, certo, ho pensato solo fosse meglio finire il percorso.» mentì lui, cercando di rilassarsi.

Erano ancora immersi nella vasca quando la campanella suonò nuovamente avvisandoli che era giunto il momento di uscire.

I ragazzi uscirono e, indossati accappatoi e ciabattine, si diressero nuovamente verso la loro stanza.

Appena entrati gettarono uno sguardo intorno per vedere se, in loro assenza, qualcuno fosse entrato in camera.

All'apparenza, però, sembrava tutto a posto.

Resi pigri dalla lunga permanenza in acqua i due si lasciarono andare sul grande letto.

Trascorsi pochi minuti, quando già il sonno stava cominciando ad avere il sopravvento, Diana si riscosse e si trascinò fino alla scrivania.

«Che fai?» le chiese Martin, con voce assonnata.

«Controllo il programma. Non vorrei ci dimenticassimo di qualcosa.»

Raccolta la cartelletta, la ragazza tornò sul letto accoccolandosi con i piedi raccolti sotto di se. In quel momento il suono delle campane a vento si diffuse per la stanza.

«Tra un'ora c'è la cena. Viene servita qui sul terrazzino ma consigliano di vestirsi come se si stesse uscendo.» spiegò Diana con una smorfia di disappunto.

Era così rilassata; non aveva alcuna voglia di mettersi in tiro inoltre, visto lo scherzetto del costume, temeva ciò che la cara agente Simard aveva preparato per lei.

«Ok.» disse Martin, rassegnato. Fortuna che era una missione perché a suo parere tutti quei programmi non si sposavano affatto con un piacevole week-end romantico atto a ravvivare la passione di una coppia.

Fosse stato per lui si sarebbe chiuso in una camera d'albero con servizio in camera ventiquattrore su ventiquattro e lì si che i vestiti non sarebbero stati necessari.

«Io adesso vado in bagno e tu intanto fai la doccia. Dopo mentre tu ti trucchi la faccio io.» disse il biondo, rispondendo alla muta domanda negli occhi della sua compagna di sventure.

Grazie alla strategia di Martin entrambi riuscirono a prepararsi senza alcun intoppo.

Appena Diana uscì dal bagno entrambi rimasero qualche secondo a fissarsi vicendevolmente, stupefatti dalla visione dell'altro.

Martin indossava un completo elegante con pantalone chiaro, giacca scura e cravatta.

Diana, invece, sfoggiava un abito a sottoveste color carminio lungo al ginocchio e con una scollatura morbida che, senza mostrare troppo, esaltava le sue forme.

«Wow!» esclamò Martin, un attimo prima che bussassero alla porta.

Sorridendo compiaciuta, Diana andò ad aprire.

Mezza dozzina di camerieri, fecero il loro ingresso.

In pochi minuti il tavolinetto nel terrazzino venne imbandito con tanto di candele e secchiello di champagne.

«Signori, vi auguro una buona cena.» disse l'uomo che per primo era entrato in camera. «Per qualsiasi problema basta chiamare il centralino.» aggiunse, facendo cenno agli altri di precederlo per poi inchinarsi e chiudersi la porta alle spalle.

Rimasti soli, i due ragazzi si rilassarono.

Incuriositi ed affamati si diressero verso il tavolo.

«Madame.» disse Martin, scostando la sedia per permettere alla ragazza di accomodarsi.

Preso posto a sua volta, sorrise a Diana attraverso il tavolo e la invitò con lo sguardo ad aprire la campana che copriva i piatti.

Ben presto si resero conto che ciò che avevano davanti era una selezione dei cibi più afrodisiaci presenti sul mercato.

Si passava dal risotto allo zafferano alle ostriche per arrivare ad un delizioso tortino cioccolato e peperoncino.

Martin sapeva bene quanto Diana odiasse i molluschi crudi e, alzando lo sguardo non rimase deluso nel vedere la smorfia sul volto della ragazza.

Preso lo champagne, ne riempì i flûte e invitò la ragazza a brindare.

Diana era titubante. Se era vero che nel resort credevano che fossero maggiorenni era altrettanto vero che in realtà non lo erano.

Il biondo mise a tacere le sue proteste ricordandole che sarebbe apparso quantomeno strano se non lo avessero neanche toccato.

Ridendo e scherzando i due spazzolarono la cena anche se Martin dovette fare il sacrificio di mangiare anche le ostriche di Diana ed ogni piatto fu generosamente innaffiato con il costoso vino.

Finito di mangiare, Martin propose di rientrare ma la ragazza gli disse che preferiva rimanere fuori qualche altro minuto, così lui avrebbe avuto il tempo di mettere il pigiama.

Rimasta sola, lasciò vagare lo sguardo sull'orizzonte sconfinato che si dipanava davanti a lei.

La luce della luna faceva brillare le cime degli alberi rendendo il tutto ancora più bello.

Diana si sentiva la testa leggera.

Non era la prima volta che beveva degli alcolici ma di solito si era trattato di un sorso o poco più durante le feste, stavolta invece in due si erano bevuti più di mezza bottiglia...ok, in realtà si erano bevuti quasi tutta la bottiglia.

Giudicando che fosse trascorso abbastanza tempo, rientrò.

In effetti Martin si era già messo a letto.

Acciuffato il completo per la notte che Tanya aveva scelto per lei, si rintanò in bagno, si struccò e lo indossò.

Se non fosse stata un po' brilla non avrebbe avuto il coraggio di uscire dal bagno ma, per fortuna, non era così.

Messa la vestaglia, ritornò in camera da letto dove Martin l'accolse spalancando le braccia in maniera plateale e chiamandola tesoro.

Diana ridacchiò rendendosi conto che neanche lui era molto lucido e, stando al gioco, si slacciò la vestaglia fingendo uno spogliarello e lanciandola all'amico.

Il biondo scoppiò a ridere divertito dallo spettacolino dell'amica ma ammutolì di colpo vedendo l'impalpabile sottoveste bianca indossata dalla ragazza che quasi nessuno spazio lasciava all'immaginazione.

«Mangerai qualche mosca se non chiudi la bocca.» lo avvisò Diana, infilandosi sotto le coperte e spingendogli il mento con un dito.

Resosi conto della figura appena fatta, Martin si sentì arrossire. Era rimasto letteralmente a bocca aperta in un modo a dir poco vergognoso.

«Forse è meglio che dormiamo, domani ci aspetta una lunga giornata.» propose lui, cercando di recuperare un minimo di dignità.

«Questa cavolo di camicia da notte sarà anche elegante ma non tiene caldo per niente.» si lamentò Diana rintanandosi sotto il lenzuolo.

I giorni erano abbastanza caldi da godersi il mare ma la sera, sopratutto lì nel bosco, faceva ancora fresco.

«Vieni qui, ci penso io a tenerti calda.» disse Martin, attirandola a se.

In realtà si sentiva un po' agitato a tenerla così vicina ma voleva dimostrare ad entrambi che nulla era cambiato.

«Grazie!» esclamò lei, schioccandogli un bacio a metà tra la guancia e le labbra mentre il sonno cominciava a prendere il sopravvento.

Quel gesto fece balzare il cuore nel petto al biondo.

Sperava lei non se ne fosse accorta. Quando lui, un po' titubante, abbassò lo sguardo per controllare si accorse che lei aveva già chiuso gli occhi.

Un po' più tranquillo, si sistemò meglio e in poco tempo si addormentò con lei ancora accoccolata sul petto.




Martin si stiracchiò e aprì gli occhi sbattendo più volte le palpebre a causa del sole che inondava la stanza.

Istintivamente portò lo sguardo di fianco a se ma il letto era vuoto. Pur non volendolo ammettere era un po' deluso, era stato piacevole dormire con Diana stretta a se.

Cercando d'ignorare i suoi stessi pensieri, Martin scalciò le coperte e si alzò.

Notando un foglio sulla scrivania si avvicinò e lo prese tra le mani.


Sono andata a fare una passeggiata e a dare un'occhiata ai dintorni.

Ci vediamo per la colazione.

Diana.”


Sorridendo, si diresse verso la doccia e dopo essersi liberato dalla costrizione degli indumenti si immerse sotto il getto dell'acqua sperando così di far svanire il sonno e i postumi dello champagne bevuto la sera prima.

Dopo aver dato uno sguardo al programma della giornata, indossò una comoda tuta e delle scarpe da tennis quindi raggiunse il giardino, stando al programma era lì che si sarebbe svolta la colazione.

Era appena uscito quando vide Diana venirgli incontro.

Indossava un top sportivo e un paio di pantaloni abbinati.

Martin dovette ammettere che era splendida nella sua semplicità.

«Buondì!» lo salutò.

«Buongiorno a te. Come va?»

«Un po' di mal di testa a causa dell'alcool.» confessò.

«Idem. Magari mettere qualcosa nello stomaco ci farà bene.» propose.

I due si avviarono verso il tavolo imbandito per loro al centro del giardino.

Martin notò che lei non aveva fatto alcun accenno al quasi bacio della sera prima e che sembrava perfettamente a suo agio. Si chiese se se ne ricordasse.

Lui ricordava bene e sapeva che le sensazioni provate non sarebbero svanite tanto facilmente.

Rifocillati dall'abbondante colazione, i due vennero invitati a passeggiare un po' prima del prossimo trattamento.

Appoggiata al braccio di lui Diana si godeva l'aria fresca e il sole ma una parte di lei continuava a ripensare a quando la sera prima si era accoccolata sul suo petto. Non aveva le idee molto chiare, aveva un vago ricordo del sapore della sua pelle sulle labbra ma in realtà non era certa di cosa fosse realmente successo.

«Allora, notato qualcosa di strano durante il tuo giro mattutino?» chiese Martin, infrangendo un silenzio che si era protratto anche troppo a lungo.

«Nulla di nulla.» affermò Diana scrollando il capo.

«Non ti sembra strano? Insomma, stasera andremo via e ancora non è successo niente.»

«Tranquillo, purtroppo abbiamo ancora molte ore davanti.» lo contraddisse. «Più tardi sarà il turno del massaggio rilassante, peccato non poterselo godere davvero.» sospirò Diana.

Dopo una lunga passeggiata decisero che era meglio rientrare, non volevano arrivare in ritardo.

Rientrati nell'edificio salirono in camera per indossare il costume visto che di certo non avrebbero potuto fare i massaggi con i vestiti addosso.

Anche stavolta l'agente Simard aveva dato il meglio di se. Non solo il parigamba blu scuro di Martin era così aderente da mettere a disagio anche una faccia di bronzo come lui ma il costume di Diana, di un bianco accecante, era, se possibile, ancora più striminzito del precedente.

Mentre usciva dalla stanza Diana giurò a se stessa che avrebbe ucciso quella donna.

Avvolti negli accappatoi, i due si presentarono nella sala massaggi.

Appena entrati, Steve venne loro incontro con il solito sorriso smagliante.

Immediatamente Martin sentì la rabbia montargli dentro:non avrebbe permesso a quel bell'imbusto di toccare la sua Diana!

Consapevole del pensiero appena formulato, si irrigidì e lanciò uno sguardo preoccupato in direzione della ragazza, quasi temesse che potesse leggergli nel pensiero.

Con soddisfazione notò che anche lei sembrava infastidita dalla presenza dell'uomo; non avrebbe sopportato di vederla eccitata all'idea di avere le sue mani sul suo corpo.

Inconsapevole dei pensieri del ragazzo, Diana si strinse nell'accappatoio sotto lo sguardo rapace dell'altro.

«Bentrovati. Accomodatevi.» disse l'uomo invitandoli ad entrare.

Titubanti, i due si fecero avanti.

«Jolanda e Antony si occuperanno di voi.» spiegò, indicando i due addetti posizionati di fianco ai lettini per massaggi. «Prima però dovreste andare negli spogliatoi per cambiarvi.»

Diana avrebbe voluto chiedere spiegazioni ma la timidezza e la paura di una gaffe ebbero la meglio.

Entrati negli spogliatoi i due trovarono su un ripiano un asciugamano ed un perizoma bianco. A quanto pareva quella secondo quelli del centro benessere era la tenuta adatta ai massaggi.

Riluttanti, i due si cambiarono e tornarono nella sala.

«Lei signor Mystere può prendere posto sul lettino a sinistra mentre di lei signorina Lombard si occuperà Antony.» disse Walter indicando i rispettivi lettini. «Prima farete un massaggio rilassante al quale seguirà un massaggio di coppia.» spiegò.

«Vi lascio. Arrivederci.» salutò l'uomo uscendo dalla stanza.

Entrambi si sedettero sul lettino indicato loro sentendo il nervosismo aumentare.

L'idea del massaggio era piacevole ma, visto che ancora non avevano scoperto come convincessero le persone a svuotare i loro conti, non sapevano cosa aspettarsi davvero.

«Sdraiatevi proni, per favore.» disse Jolanda.

I due fecero ciò che gli veniva detto.

Ben presto qualsiasi resistenza o tensione fu vinta dalle mani esperte dei due massaggiatori e, in breve, i due si ritrovarono a sospirare soddisfatti.




«Signori abbiamo finito.» annunciò Antony qualche tempo dopo, facendo spalancare gli occhi ad entrambi per lo stupore: si erano così rilassati da non accorgersi del tempo che passava.

Per quel che ne sapevano potevano averli già condizionati a dargli tutti i loro soldi senza che loro se ne rendessero conto.

Ancora sbigottiti, entrambi si misero a sedere.

«Se volete seguirmi ci spostiamo nella zona adibita al massaggio di coppia.» li esortò Jolanda.

Dopo un breve cenno affermativo Martin e Diana seguirono la donna dietro una porta scorrevole celata dalla tappezzeria della stanza.

Entrambi erano basiti; erano così presi dal massaggio da non averla notata.

Immediatamente tutti i loro sensi si misero in allerta; non era da escludere che proprio in quella stanza nascosta si celasse la soluzione del mistero che stavano tentando di svelare.

Appena entrati i loro occhi vennero aggrediti dalla vividezza dei colori che caratterizzavano l'ambiente.

In netto contrasto con la stanza che avevano appena lasciato, in cui predominava il bianco, in quella stanza i toni del rosso la facevano da padrone.

Così come la sala in cui avevano servito loro il cocktail di benvenuto, anche questa aveva richiami orientaleggianti e somigliava in maniera equivoca ad un'alcova.

L'ambiente era diviso in due da dei tendaggi drappeggiati.

Subito dopo l'ingresso era sistemato un divano multicolore posizionato davanti un'enorme schermo ultrapiatto mentre, oltre le tende, era possibile vedere quello che appariva a tutti gli effetti un enorme letto matrimoniale rotondo.

«Adesso noi vi lasceremo soli. Appena siete pronti accomodatevi e accendete il televisore.» disse Jolanda. «Partirà un video che spiega come fare il massaggio reciproco. Abbiamo notato che la spiegazione tramite video mette più a proprio agio i clienti.»

«Se avete delle perplessità, però, basta premere il campanello e noi arriveremo.» intervenne Antony, indicando il bottone sulla parete di fianco all'ingresso. «In caso contrario, finito il video potete spostarvi sul letto.»

«A vostra disposizione ci sono diversi tipi di oli. Scegliete il profumo che preferite. Vi sconsigliamo di mischiarli, il risultato potrebbe essere poco gradevole.» spiegò la donna, aprendo la vetrinetta contenente le varie ampolle posta vicino al letto. «Finito il massaggio, oltre questa tenda vi è un ascensore; è programmato per condurvi direttamente nella vostra camera.» continuò, mostrandolo.

«Non è necessario che recuperiate i vostri effetti personali. Vi saranno recapitati direttamente in stanza.» aggiunse l'uomo.

Dopo aver salutato, i due massaggiatori andarono via ribadendo per l'ennesima volta che nessuno li avrebbe disturbati.

Rimasti soli, Martin e Diana si guardarono negli occhi, dubbiosi.

«Non è che si tratta di un video ipnotico?» sussurrò il biondo, preoccupato.

«Da come parlavano temo ci troveremo davanti un film porno.» confessò lei, arrossendo leggermente.

«Non possiamo fare altro che vederlo e scoprirlo.» propose Martin, prendendo posto sul divano.

Appena Diana l'ebbe raggiunto fece partire il filmato.

Sullo schermo apparvero un uomo e una donna vestiti solo di un perizoma molto simile a quello che loro due celavano sotto l'asciugamano.

Dopo i saluti di rito i due iniziarono a spiegare e a mostrare come effettuare il massaggio reciproco.

Ben presto i due compresero perché i clienti si sentissero più a loro agio con il filmato che non con le spiegazioni dal vivo e compresero perché vi fosse un ascensore che conduceva direttamente in camera loro.

Nonostante le zone erogene non venissero propriamente manipolate, il massaggio aveva un'elevata carica erotica e non era difficile immaginare che cosa avessero in mente di fare le coppie dopo averlo eseguito.

«Eh eh, magari non sarebbe male prendere appunti, mi potrebbe tornare utile il giorno che riuscissi ad andare in meta con una ragazza!» provò a scherzare Martin, cercando di alleggerire la tensione.

Il disagio tra i due era però palpabile.

Presto, anche troppo presto, entrambi si ritrovarono a fissare uno schermo blu. Il video era finito e bisognava che andassero avanti con la loro messinscena.

Diana si chiese se non potevano solo fingere di farsi il massaggio per poi salire in camera dopo un po' ma, anche se non visibili, la presenza di telecamere nascoste non era da escludere.

«Dobbiamo farlo, non c'è scelta.» sussurrò Martin all'orecchio dell'amica, sperando che eventuali spettatori non avessero modo di sentire le parole.

Diana si limitò ad annuire, rossa in volto.

Con fare impacciato i due si spostarono sul letto.

«Se ricordo bene prima tocca a te.» disse Martin continuando a guardarsi intorno in cerca di una via d'uscita.

«Già.» affermò Diana flebilmente, sdraiandosi prona al centro del letto. «speriamo solo che abbiano sostituito le lenzuola. Già farebbe schifo sdraiarsi dove lo hanno fatto gli altri ma immaginare che ci abbiano fatto anche altro mi fa venire i brividi.» aggiunse con veemenza.

«Tranquilla, non penso che in un posto di lusso come questo tralascino le basilari norme igieniche. I clienti sono gente ricca e non gli conviene che gli facciano causa per aver preso un'infezione.» la rassicurò. «Allora, che gusto vuoi?» chiese, indicando le boccette di fianco al letto.

Perplessa, Diana volse lo sguardo in direzione dell'amico.

Compreso cosa stesse indicando, scoppiò in una fragorosa risata.

«Martin, non sono mica succhi di frutta! Si parla di profumazioni e non di gusto.» puntualizzò. «Che ne dici di Muschio bianco? A me piace e tu porti spesso colonie con note muschiate quindi dovrebbe andare bene per entrambi.»

Martin stava per rispondere che per lui non faceva differenza ma, riflettendo sulle parole che aveva appena udito, si bloccò. Non aveva la più pallida idea che Diana prestasse attenzione ai profumi che usava.

La cosa se da un lato lo lusingava dall'altro lo metteva un po' a disagio.

Se fossero stati in un centro commerciale al reparto profumeria non ci avrebbe fatto caso ma in quella situazione, con lei sdraiata di fianco a lui praticamente nuda era un'altra storia.

Improvvisamente immagini di lei che annusava il suo collo con fare sensuale iniziarono a invadere la sua mente e avvertì qualcosa smuoversi al basso ventre.

Stringendo i pugni, prese un profondo respiro per cercare di calmarsi. Continuando così la situazione gli sarebbe sfuggita di mano.

«Per me è lo stesso.» rispose con voce strozzata.

Sentendolo strano Diana lo squadrò in volto.

«Tutto bene?»

«Si, certo.» affermò Martin, alzandosi ed avvicinandosi all'espositore per sfuggire allo sguardo indagatore dell'amica.

La situazione stava prendendo una strana piega e lui si chiedeva con sempre maggiore apprensione se sarebbe riuscito a gestirla.

Con mani malferme afferrò la boccetta e ritornò sul letto.

«Ci siamo.» mormorò Diana, agitata, parlando più a se stessa che a Martin.

Fino a quel momento si era tenuta l'asciugamano stretto addosso ma adesso non aveva più scelta, doveva toglierlo.

Non aveva incertezze circa il suo corpo, aveva da tempo accettato di non essere una maggiorata e stava bene con se stessa. Per quanto riguardava Martin l'aveva spesso vista in costume ma questo era qualcosa di decisamente diverso e non riusciva a non sentirsi in ansia.

Mordendosi il labbro inferiore per la tensione, si sfilò l'asciugamano rimanendo a pancia in giù.

Tirò un lungo sospiro per cercare di rilassarsi e chiuse gli occhi, in attesa.

Martin stappò la boccetta, si versò un po' d'olio sulle mani e lo scaldò tra i palmi. A quel punto, finalmente, si decise a volgere lo sguardo alla ragazza sdraiata di fianco a lui.

Con fare esitante le poggiò le mani sulle spalle e iniziò a muoverle cercando di imitare i gesti visti nel filmato.

Al primo tocco Diana sussultò ma tentò di rilassarsi.

In fondo era solo un massaggio.

Intanto, con mosse incerte, Martin iniziò a sfiorarle le spalle.

Nella sua mente continuava a ripetersi, come un mantra, che si sarebbe trattato di un massaggio erotico solo se fosse stato con qualcuno che lo attraeva sessualmente ma che, invece, la ragazza che stava accarezzando era semplicemente Diana.

Peccato che qualcuno ai piani bassi non la pensasse allo stesso modo e reagisse con un certo interesse al percepire il contatto delle mani su quella pelle liscia.

Consapevole che la seconda parte del massaggio sarebbe stata ancora più imbarazzante perché Diana si sarebbe dovuta mettere in posizione supina, Martin prolungò quanto più possibile la prima parte inconsapevole di averlo reso ancora più sensuale nella sua lenta esplorazione.

Immobile sotto il tocco del ragazzo, Diana cercava di mantenere la mente sgombra da ogni pensiero perché sapeva che ciò che avrebbe pensato sarebbe riuscita solo a farla agitare. Pian piano, senza che neanche se ne accorgesse, il lieve massaggio riuscì a farla rilassare al punto da strapparle un gemito di apprezzamento.

Appena l'ebbe emesso, Diana arrossì violentemente e spalancò gli occhi temendo ciò che ne avrebbe detto il suo amico.

Fortunatamente lui si limitò ad osservare che in fondo non era così disastroso nei massaggi se era riuscito a farla rilassare davvero.

Quella battuta servì ad alleggerire l'atmosfera e a tranquillizzare entrambi.

Per quanto lento fosse, però, giunse il momento in cui Diana doveva girarsi.

Mentre ogni singolo muscolo del suo corpo tornava a tendersi sotto il peso della tensione, si girò stringendosi però un braccio al seno.

Aveva avuto dei ragazzi, con alcuni si era spinta più in là dei semplici baci ma a nessuno di loro aveva concesso di vederla nuda e che ciò accadesse proprio con Martin la metteva in agitazione.

Consapevole dell'imbarazzo dell'amica, il ragazzo si concentrò sui suoi piedi evitando accuratamente di alzare lo sguardo.

Lentamente con tocchi gentili risalì lungo le gambe e i fianchi, così come aveva visto fare nel video.

Raggiunta la vita il massaggio doveva continuare sulle mani e le braccia.

A quel punto Diana non poté più indugiare e così, evitando di guardarlo in faccia, rilasciò la presa sul petto e distese le braccia.

Se avesse alzato lo sguardo avrebbe notato che Martin era arrossito e teneva lo sguardo fisso sul materasso senza osare alzarlo su di lei.

Entrambi sapevano come doveva concludersi il massaggio e, nonostante cercassero di mantenere la calma, la verità è che i loro battiti cardiaci erano aumentati ed il respiro di Diana si faceva sempre più accelerato mentre Martin raggiungeva le sue spalle.

Nel momento in cui le mani di lui scesero a lambirle i contorni del seno i loro sguardi si incrociarono. Solo la consapevolezza di essere in missione per il Centro permise loro di rimanere fermi al loro posto anche se lei avvertì distintamente le mani di Martin tremare sulla sua pelle.

Diana si chiedeva a cosa stesse pensando lui in quel momento, per fortuna non poteva leggergli nel pensiero se no l'avrebbe sentito definirla molto sexy e pregarla di smetterla di respirare in maniera così affannata visto che quel movimento attraeva il suo sguardo su qualcosa che avrebbe dovuto ignorare rendendoglielo ancora più desiderabile.

Dopo il rapido passaggio nella zona del seno il massaggio proseguì con dei lenti movimenti circolari dall'addome fino al basso ventre e si concluse con un bacio rituale sull'ombelico.

«Finito.» mormorò Martin, ancora frastornato.

Appena l'ebbe detto, con movimenti fulminei Diana afferrò il suo asciugamano e vi si riavvolse per poi mettersi in piedi.

Si sentiva completamente scombussolata e dovette ammettere con se stessa che era eccitata al punto da non riuscire a reggersi bene sulle gambe.

Ostentando una tranquillità che non provava, lui si stese sul lettino togliendosi l'asciugamano e mettendo in mostra un sedere di marmo che Diana non poté fare a meno di notare anche se quella specie di perizoma non gli rendeva giustizia.

Con movimenti delicati iniziò a massaggiarlo.

L'eccitazione che provava la portava a tenersi ad una certa distanza con il risultato che, quando dovette scendere lungo le sue braccia per massaggiarle contemporaneamente era troppo lontana e dovette sdraiarsi con il busto sulla schiena di lui.

Nonostante il tutto fosse durato pochi secondi e nonostante lei indossasse l'asciugamano, Martin non poté fare a meno di pensare al seno che quel cotone celava e che lui aveva sfiorato poco prima. La sua eccitazione crebbe in maniera alquanto fastidiosa facendogli sfuggire un mugolio che, per sua fortuna, passò inosservato alle orecchie di Diana, troppo concentrata su ciò che stava facendo.

Lei, dal canto suo, era troppo impegnata nell'usare ogni briciola dell'autocontrollo che le era rimasto per evitare di lasciarsi andare a fantasie indecenti sul suo amico.

Come già aveva fatto lui, dalle spalle passò alla schiena beandosi delle spalle larghe e forti che tante volte l'avevano trasportata nel corso delle missioni.

Arrivata all'interno coscia lo sentì sussultare.

Consapevole del fatto che fosse uno dei punti in cui soffriva il solletico, si scusò con lui che si limitò a risponderle con una scrollata del capo.

Di certo non avrebbe potuto immaginare che in quel momento lui si stava mordendo le labbra con tutta la forza che aveva per non farsi sfuggire un gemito di piacere.

Dalle cosce scese alle gambe permettendo a Martin di rilassarsi leggermente ma il sollievo durò poco.

Consapevole di quanto lui soffrisse il solletico ai piedi, velocizzò il più possibile il massaggio alla zona portando così a termine la prima parte del massaggio.

«Martin, puoi girarti.» disse.

«Non posso.» rispose Martin, scuotendo energicamente il capo.

«Dai, non fare lo stupido.» lo incitò lei.

«Diana, davvero ti arrabbierai ma io non posso farci nulla!» farfugliò in preda al panico.

«Se mi sono girata io non vedo perché non possa farlo tu!» esclamò Diana, irritata e anche imbarazzata al ricordo di essersi mostrata a seno nudo.

«Va bene, io mi giro ma tu non picchiarmi.» affermò lui, tremando al pensiero del suo martello che si abbatteva su di lui.

Lentamente e senza il coraggio di guardarla in faccia si sistemò in posizione supina.

«Era così difficile?» chiese sarcastica per poi ammutolire di colpo di fronte all'evidente erezione di lui.

«Oh!» fu tutto ciò che riuscì a dire.

Allarmato, Martin balzò a sedere e recuperò l'asciugamano per coprirsi.

«Diana, non so cosa dire, mi dispiace!»

«Bé, penso che lo scopo del massaggio di coppia, secondo quelli del centro benessere, fosse proprio questo.» commentò lei, continuando a fissare il pavimento.

«Non volevo metterti in imbarazzo.» mormorò Martin, sinceramente dispiaciuto.

«Lo so. È tutta colpa di questa situazione assurda.» rispose Diana, tornando a guardarlo negli occhi e sorridendogli. «Dai, finiamo il massaggio.»

«C'è solo un piccolo intoppo, ecco, come dire, il mio problema non si è ancora risolto.» spiegò Martin, al colmo dell'imbarazzo.

«Prima mi hai colto un po' di sorpresa ma penso di essere abbastanza adulta da affrontare la cosa. Non scapperò urlando e dandoti del maniaco.» rispose Diana, cercando di apparire più sicura di quanto non fosse in realtà.

Rassicurato dalle parole di lei, Martin si tolse l'asciugamano e tornò a sdraiarsi.

Dandogli le spalle con la scusa di prendere dell'altro olio, Diana si lasciò andare ad un sorrisetto compiaciuto, in fondo era soddisfacente sapere di essere in grado di eccitare un ragazzo.

Portatasi ai suoi piedi riprese il massaggio.

Sentiva sotto le mani i muscoli di lui tesi fino allo spasmo e si chiese quante coppie fossero riuscite a portare a termine quel massaggio.

Mentre risaliva lungo le cosce fino ai fianchi avvertì il suo respiro farsi più concitato per tornare a rilassarsi leggermente quando si spostò sulle mani.

Massaggiate le braccia e le spalle ridiscese sul petto beandosi del contatto con quei muscoli forti e sodi.

Finito di massaggiare l'addome, non ebbe altra scelta che completare il massaggio spostandosi sul basso ventre ed in quel momento lo avvertì distintamente deglutire a vuoto.

Alzato lo sguardo sul suo viso, lo vide osservarla con un'espressione che non gli aveva mai visto.

Senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi, si chinò a depositare il bacio sull'ombelico che sanciva la fine del massaggio.

Quell'ultimo gesto diede il colpo di grazia all'autocontrollo di Martin.

Messosi a sedere, afferrò Diana per un braccio e l'attirò a se.

Portata una mano dietro alla sua nuca, la baciò con tutta la passione di cui era capace.

Lungi dal fuggire, Diana rispose al bacio con altrettanta foga e usò il braccio libero per cingergli il collo.

Rassicurato dal comportamento di lei, le lasciò andare il braccio e, afferratala per i fianchi se la sedette in grembo mentre le mani di lei vagavano sulla sua schiena sfiorandolo e graffiandolo.

«Andiamo in camera.» gli sussurrò, staccandosi appena un attimo dalle sue labbra.

Agguantate le sue cosce, si mise in piedi senza lasciarla andare e, sempre con lei in braccio andò all'ascensore.

Le porte si aprirono immediatamente.

Appena entrato, Martin appoggiò Diana sul corrimano presente nell'ascensore così da avere le mani libere.

Continuando a baciarla, lasciò che le sue mani vagassero sul corpo di lei percorrendone la pelle morbida.

Uno scampanellio metallico li avvisò che avevano raggiunto il loro piano.

Con uno scatto fulmineo, Diana si divincolò dalle mani di lui e corse in camera ridendo.

Martin la seguì ed in poche falcate la raggiunse, chiuse la porta con un colpo e, trovatala ai piedi del letto, ve la fece cadere per poi sdraiarsi su di lei e riprendere da dove si erano interrotti.

Afferrato l'asciugamano che la copriva lo fece volare dietro di se per poi ricominciare la lenta esplorazione delle sue forme.

Staccatosi un attimo da lei, si liberò dell'unico indumento che entrambi portavano e si concesse qualche attimo per ammirarla completamente nuda sotto di se.

Sdraiatosi di nuovo su di lei lasciò che lei avvertisse quanto la desiderava.

In risposta, Diana lo cinse con le gambe provocandogli un brivido di piacere e di aspettativa.

«Non mi sono mai sentito così.» le sussurrò, carico di desiderio.

Quelle parole risuonarono come un campanello di allarme nella mente di Diana che spalancò gli occhi.

«Martin, fermati!» urlò, allontanandolo da se e coprendosi con il lenzuolo.

«Diana, che succede? Pensavo lo volessi anche tu.» rispose lui, confuso.

«Siamo in missione e poi non ci siamo mai comportati così.» spiegò, arrossendo. «In questo centro puntano a rinverdire l'affinità di coppia, e se ci avessero dato qualche sorta di eccitante?»

Martin sentiva di desiderarla con tutta se stesso ma sapeva anche che nelle sue parole poteva esserci del vero.

«Hai ragione.» ammise senza però riuscire a nascondere la frustrazione che provava. «Io...io vado di là.» disse, indicando il bagno e raggiungendolo dopo aver raccattato l'asciugamano di Diana da terra per coprirsi.

Rimasta sola, Diana si portò le braccia al petto e morse il lenzuolo per impedirsi di singhiozzare.

Quella missione stava rischiando seriamente di rovinare la sua amicizia con Martin.

Certo, se si fosse scoperto che erano sotto effetto di sostanze eccitanti la cosa sarebbe stata più facile da superare, pensò, ma sentiva che una parte di se avrebbe sofferto nel constatare che lui non la desiderava davvero e si chiese se davvero ciò che sentiva per lui era solo amicizia.

Ancora scossa da quanto successo, Diana si trascinò sotto la doccia e pregò che l'acqua calda riuscisse a cancellare le tracce di quel contatto proibito.

Intanto, nell'altra stanza, Martin tentava di riprendere il controllo di se senza riuscirci.

L'ipotesi che fossero sotto effetto di sostanze eccitanti si fece sempre più tangibile.

Compreso che con la sola forza del pensiero non sarebbe riuscito a calmarsi si rassegnò all'idea di doversi dare sollievo da solo.

Con tutte le sue forze cercò di concentrare il suo pensiero su qualsiasi ragazza che non fosse Diana ma, immancabilmente, la sua mente gli riproponeva l'immagine di lei nuda ed eccitata sotto di se, la sensazione della sua pelle morbida.

Alla fine, arresosi a quei pensieri che avrebbe voluto evitare, raggiunse il piacere con un ringhio gutturale di godimento misto a frustrazione.

Ripreso un minimo di controllo, Martin si avvolse in un asciugamano e bussò alla porta; l'ultima cosa di cui aveva bisogno era vedere Diana intenta a farsi la doccia o comunque svestita.

«Entra.» rispose lei.

Appena lui l'ebbe fatto, lei sgusciò in bagno senza osare guardarlo.

Non solo la doccia calda non era servita ma, mentre era ad occhi chiusi, si era ritrovata ad immaginare che Martin fosse lì con lei.

Cercava di consolarsi pensando che tra qualche ora la missione sarebbe finita ma non poteva fare a meno di chiedersi se il loro rapporto sarebbe mai potuto tornare quello di prima.

Aveva appena finito di truccarsi quando udì bussare alla porta della stanza.

Sentendo Martin andare ad aprire, uscì dal bagno.

Entrata in camera, lo vide richiudere la porta con un calcetto mentre spingeva dentro un carrello con diversi piatti coperti.

Avvicinatasi, li aprì scoprendo il meglio della cucina afrodisiaca, dalle ostriche alla aragoste passando per il dessert al cioccolato.

Ricordò di aver letto che il loro ultimo pasto lo avrebbero consumato in camera e di essersi chiesta perché.

Adesso capiva che molte coppie, dopo il massaggio, probabilmente trascorrevano il resto della giornata chiusi in camera a darsi da fare e l'ultima cosa che volevano era scendere al ristorante per mangiare.

Nel loro caso quell'isolamento forzato era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.

Al piano inferiore del carrello Diana notò una sacca di tela. Incuriosita l'aprì; dentro c'erano i costumi che avevano indossato per andare in sala massaggi e, a giudicare dall'odore di detersivo che emanavano, erano stati lavati e asciugati.

Vedere quegli indumenti accrebbe ancora di più il suo imbarazzo.

Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi ma resistette alla tentazione di piangere, non sarebbe servito a nulla.

Si sentiva disperata.

Aveva messo a repentaglio il rapporto con il suo migliore amico per la missione e adesso anche questa era a rischio.

È vero, appena arrivati in camera avevano verificato l'eventuale presenza di telecamere ma, impossibilitati ad usare l'U-watch, non potevano avere la certezza assoluta che non ce ne fossero. In tal caso probabilmente la loro copertura era già saltata.

Avvilita, decise che era meglio iniziare a sistemare le valigie, così sarebbero stati pronti per andare via.

Con gesti meccanici piegò e riordinò tutto ciò che l'agente Simard aveva preparato per loro mentre Martin sedeva sul pavimento vicino alla porta a vetri con lo sguardo perso verso l'esterno. Sarebbe voluto uscire sul terrazzo ma, nel caso non ci fossero telecamere in camera e la loro copertura non fosse ancora saltata, era meglio che almeno le apparenze fossero rispettate e che tutti li credessero chiusi in camera impegnati in dilettevoli attività.

«Martin, dove hai messo l'asciugamano che avevo mentre facevo il massaggio?»

«Nel cesto in bagno. Perché?»

«Voglio farlo analizzare. Sai per eventuali tracce di sostanze strane presenti nell'olio.» spiegò lei.

Martin rispose con un cenno del capo ma dentro si sentiva ribollire di rabbia. Non sopportava l'idea che Diana imputasse l'attrazione reciproca avvertita poco prima solo alla presenza di sostanze eccitanti.

Il trillo del telefono lo riscosse dai suoi pensieri.

«Che succede?» chiese Diana, affacciandosi dal bagno.

«Chiamavano dalla reception, è ora dell'ultimo trattamento. Hanno preferito chiamare per essere certi che non fossimo occupati.» spiegò con una vena di sarcasmo nella voce.

«Metto l'asciugamano in valigia e andiamo.»

Chiuse le valigie, i due scesero a pianterreno e raggiunsero la Stanza della Contemplazione, almeno a dar retta alla targhetta sulla porta.

Appena ebbero bussato una profonda voce maschile li invitò ad entrare.

Varcata la soglia si trovarono all'interno di una stanza circolare dalle pareti di un rosa tenue e dal pavimento completamente ricoperto di morbidi cuscini azzurrini.

Su uno di questi era seduto un uomo vestito di bianco con pantaloni e casacca di lino ed a piedi scalzi.

«Benvenuti, sono Lambert, ideatore, creatore, proprietario e gestore dell'Eden.» affermò con piglio sicuro e orgoglioso. «Accomodatevi.» disse, indicando loro i cuscini alla sua destra e alla sua sinistra.

«Come saprete ero psicologo e terapista di coppia ma nel corso della mia carriera ho compreso che la sola sterile pratica mentale non poteva far riavvicinare le persone ed è da questi miei studi che nasce l'Eden.»

Martin e Diana si lanciarono un veloce sguardo di allerta. Era altamente probabile che il loro uomo fosse proprio lui.

«La fase della Contemplazione serve per dirsi l'un l'altro ciò che si apprezza del proprio partner.» continuò a spiegare mentre loro si sedevano ai suoi lati.

«Adesso, guardandovi negli occhi ditevi, alternandovi, “io apprezzo”, “io ammiro”, “io adoro” o “io amo” seguito da una caratteristica fisica o caratteriale dell'altro. Ad ogni affermazione accompagnerete una carezza sulla parte che per voi rappresenta ciò che avete indicato.»

Finito di spiegare batté un colpo le mani ed una musica dai toni orientali iniziò a diffondersi nella stanza.

Martin e Diana si costrinsero a guardarsi negli occhi.

Dopo quanto successo l'ultima cosa che volevano fare era soffermarsi sulle caratteristiche dell'altro o toccarsi anche se solo fuggevolmente. Purtroppo però non potevano mandare a monte la missione solo per questo.

«Ammiro il tuo senso dell'umorismo.» disse Diana, dopo aver fatto un profondo respiro e accompagnando la frase con una lieve carezza alla fronte.

Si sentiva un po' in colpa per il modo in cui lo aveva rifiutato e sperava che se fosse stata lei ad iniziare magari lui si sarebbe sentito più a suo agio.

«Adoro il modo in cui ridi anche alle mie battute più sceme.» ribatté Martin, intenerito dalle parole di lei, sfiorandole le labbra con un dito.

«Adoro la fossetta che hai sulla guancia destra.» ribatté toccandola e sorridendogli.

«Adoro il modo in cui ti avvolgi i capelli intorno all'indice quando sei concentrata a studiare.» continuò lui, rifacendo il gesto.

Per un attimo i due quasi dimenticarono dove si trovavano, si sentivano più rilassati e in armonia tra loro.

La pace però durò poco.

Mentre erano ancora intenti all'esercizio nella nenia che faceva di sottofondo s'insinuarono delle parole nuove.

Istintivamente Martin volse per un secondo gli occhi al punto da cui proveniva la musica.

Impossibilitato a parlare, fissò intensamente Diana, sperando che lei capisse. Un veloce battito di ciglia fu l'unica risposta che poté dargli ma lui comprese ugualmente che anche lei si era accorta del messaggio nascosto all'interno del sottofondo musicale.

Da quel momento per loro divenne estremamente difficile rimanere concentrati sull'esercizio di contemplazione e accolsero con sollievo lo scampanellio che annunciò la fine del tempo a loro disposizione.

«Signor Mystere, signorina Lombard, è stato un immenso piacere avervi ospiti presso il mio Resort. Spero tornerete a trovarci.» disse il proprietario accompagnandoli alla porta.

Usciti dalla Stanza della Contemplazione si affrettarono a raggiungere la loro suite.

Adesso sapevano come condizionavano le persone e non restava altro da fare che avvisare al più presto M.o.m.

Entrati in camera, controllarono velocemente di non aver lasciato nulla in giro quindi chiamarono la reception affinché gli portassero la loro auto.

Pochi minuti dopo un facchino bussò alla porta, caricò i bagagli sul carrello e li scortò fino all'ingresso.

«Signor Mystere, signorina Lombard, spero vi siate trovati bene.» disse Electra, la donna addetta all'accoglienza, venendo loro incontro. «Mi auguro tornerete presto a trovarci, magari come Mr e Mrs Mystere!» chiocciò, ignara dell'imbarazzo in cui li aveva precipitati.

«È stato tutto fantastico.» disse Diana, cercando di apparire naturale.

«Vi accompagno alla macchina.» disse la donna, precedendoli nel cortile.

«E il conto?» si lasciò sfuggire Martin, confuso.

«Ha già pensato a tutto la sua segretaria, anzi, la ringrazi per aver provveduto anche alle mance.» rispose la donna, sorridendo affabile.

«Allora arrivederci.» disse ancora Martin, raggiungendo lo sportello dell'auto.

Dopo aver fatto caricare i bagagli e aver espletato gli ultimi convenevoli i due si avviarono all'uscita.

Oltrepassato il cancello del Resort, Martin guidò per un centinaio di metri quindi accese il navigatore, impostò la destinazione “casa” e subito dopo recuperò il suo U-watch dal cassettino portaoggetti.

Appena l'ebbe messo al polso tirò un sospiro di sollievo, senza si sentiva come mutilato.

Attivata la funzione Ricetrasmittente chiamò il Centro avvisandoli che stavano tornando.

Seduta di fianco a lui, Diana sentiva il sollievo farsi strada in lei.

Quella assurda missione era finita ma temeva gli strascichi che si sarebbe portata dietro.

Velocemente lanciò uno sguardo a Martin, sembrava del tutto concentrato sulla guida e si chiese se per lui fosse già tutto dimenticato.

In quel momento raggiunsero il punto di recupero, il portale li inghiottì e non ci fu più tempo per altre congetture.

Quando la luce si dissolse si ritrovarono nei garage del Centro.

«Bentornati ragazzi!» trillò Billy andandogli incontro mentre scendevano dall'auto.

«Ciao!» risposero insieme, felici di vedere un volto amichevole.

«M.o.m vi aspetta in ufficio.»

«Un attimo, i bagagli!» esclamò Diana.

«Tranquilla, ci penseremo noi.»

«No, c'è una cosa che devo consegnare a M.o.m.» spiegò Diana, ritornando sui suoi passi.

Aperto in bagagliaio, rovistò brevemente nella sua valigia e ne trasse l'asciugamano avvolto in una busta.

Martin vedendolo si rabbuiò, l'ipotesi di Diana era molto verosimile ma non sapeva rassegnarsi all'idea che tutto ciò che avevano provato era solo frutto di un condizionamento esterno.

Accompagnato da questi tetri pensieri, seguì gli altri due sull'ascensore e da lì fino all'ufficio del loro capo.

«Agenti, bentornati.» li salutò M.o.m, andandogli incontro. «Che notizie avete?» chiese, facendo loro cenno di accomodarsi.

«Abbiamo scoperto che condizionano le persone con dei messaggi inseriti nella musica che fa di sottofondo alla seduta di meditazione.» spiegò Martin.

«Inoltre sospettiamo che vi sia qualche sostanza all'interno dei prodotti usati per i massaggi, qualcosa che alteri la coscienza.» aggiunse Diana. «Per sicurezza ho portato uno degli asciugamani, magari vi sono rimaste delle tracce.»

«Ottimo lavoro. Billy portali al laboratorio perché prelevino loro dei campioni e consegna l'asciugamano per farlo analizzare quindi accompagnali dall'agente Simard così potranno togliersi il travestimento.»

Ricevuti gli ordini i tre salutarono M.o.m ed uscirono dall'ufficio.

«Ragazzi, seguitemi!» li incitò il piccolo alieno precedendoli lungo il corridoio.

Qualche minuto e molti passi dopo il gruppo si fermò davanti ad una porta con un microscopio stampato sopra.

Billy si avvicinò al campanello presente a destra della porta e suonò.

Immediatamente una voce metallica risuonò nel corridoio chiedendo loro di identificarsi e di spiegare il motivo per cui erano lì.

Appena Billy ebbe dato tutte le spiegazioni del caso, la porta si aprì con uno scatto metallico.

Entrati, videro un uomo in camice bianco e dai capelli brizzolati venire loro incontro.

«Agenti Mystere e Lombard, M.o.m mi aveva avvisato del vostro arrivo. Io sono il dottor Harris, seguitemi. Billy, tu potresti portare l'asciugamano ai miei collaboratori?» disse l'uomo accogliendoli e facendoli accomodare in una saletta a destra dell'ingresso principale mentre l'alieno, dopo un cenno affermativo, proseguiva verso la porta di fronte all'ingresso.

La stanza in cui Martin e Diana vennero fatti accomodare, bianca e asettica, era del tutto simile a una di quelle in cui si effettuano i prelievi del sangue.

«Prima di cominciare ho l'obbligo di chiedervi se nel corso della missione avete avuto rapporti sessuali, tra voi o con altri.»

A quella richiesta i due arrossirono di botto e distolsero lo sguardo con aria colpevole.

«No. Al Resort ci hanno fatto fare solo dei massaggi con oli profumati.» spiegò Martin, tentando di ritrovare la calma.

«Capisco.» disse l'uomo, prendendo appunti su una cartelletta e corrucciando la fronte nel leggervi qualcosa che vi era già scritto. «Oh, perdonatemi, temo di avervi messo a disagio, non avevo letto la vostra età. Devo dire che l'agente Simard ha fatto un ottimo lavoro!» esclamò, mettendoli, in realtà, ancora più in imbarazzo. «In tal caso non saranno necessari i test sulle malattie veneree.»

Martin sentì la rabbia montargli dentro. Che ne sapeva quello della loro vita, pensava forse che solo perché erano molto giovani non potevano avere un'intensa vita sessuale?

E che ne sapeva dei rapporti in cui erano loro due, avrebbero potuto anche stare insieme senza che al Centro ne sapessero nulla!

A questo pensiero sentì un una morsa serrargli il petto; la verità era che al momento nemmeno lui sapeva davvero in che rapporti fossero e se quella missione aveva rovinato la loro amicizia.

La voce del dottor Harris che li invitava a prendere posto sui lettini lo costrinse a tornare al presente anche se sapeva che l'argomento non era concluso.

L'uomo, dopo averli fatti accomodare, prelevò loro del sangue e fece un tampone orofaringeo, infine strofinò degli strani cotton fioc nelle pieghe della pelle.

«Bene, abbiamo quasi finito.» annunciò, avvicinandosi al tavolo con tutto l'occorrente e tornando da loro con due flaconcini. «Adesso mi serve solo un campione delle vostre urine. Uscite da qui e di fronte a voi troverete i bagni. Quando avrete fatto mi troverete nel laboratorio, proprio di fronte alla porta d'ingresso.»

Dopo aver fatto come il dottore aveva detto loro, lo raggiunsero in laboratorio dove trovarono Billy intento a conversare con uno dei ricercatori.

«Ragazzi, se il dottor Harris ha finito con voi vi porto dall'agente Simard.»

Ricevuto il consenso del medico, i tre si avviarono nuovamente per i bianchi corridoio del Centro.

Il piccolo alieno, curioso, faceva loro mille domande sul Resort e sui trattamenti ma la sua curiosità rimaneva inappagata visto che entrambi rispondevano a monosillabi.

Scoraggiato smise di chiedere qualsiasi cosa e fu in assoluto silenzio che i tre raggiunsero la loro destinazione.

Anche in questo caso fu Billy a bussare e, ricevuto l'invito ad entrare, spalancò la porta.

«Carissimi, bentornati!» trillò l'agente Simard andando loro incontro esibendo il suo sorriso più smagliante. «Spero vi siate trovati bene con i personaggi che ho inventato per voi.»

Diana sentì nascere in lei un'insana voglia di strozzarla.

Non si era mai sentita tanto in imbarazzo come nell'ultimo giorno e mezzo e buona parte della colpa era di quella donna e dell'abbigliamento che aveva scelto per la missione.

Sentendo la tensione che pervadeva la sua amica, Martin si sbrigò ad intervenire.

«Tutto bene, però andiamo di fretta, M.o.m ci attende.» disse, cercando di mascherare il nervosismo che provava.

«Peccato, avrei voluto mi raccontaste qualcosa della missione.» si rammaricò la donna. «Andate nei camerini. Cambiatevi e poi tornate qui, così toglieremo extension e baffi.»

«Ragazzi, io torno a lavoro.» disse Billy salutandoli e uscendo dalla stanza.




Mezz'ora dopo, i due, tornati quelli di sempre, uscivano dall'ascensore e bussavano alla porta dell'ufficio di M.o.m.

Immobile accanto a Martin, Diana malediceva se stessa per non aver portato con se un caftano e malediceva M.o.m per averli interpellati proprio mentre erano in spiaggia.

Il pareo che le cingeva i fianchi copriva ben poco e lei si sentiva decisamente a disagio.

Ricevuto il consenso i due entrarono e la donna da dietro la scrivania fece loro cenno di sedersi.

«Arrivate giusto in tempo. Il dottor Harris mi stava comunicando i risultati delle analisi.» disse M.o.m indicando l'uomo in piedi accanto a lei e intendo far apparire dei dati sullo schermo alle spalle della scrivania.

«Come già avevo accennato al vostro capo, la vostra intuizione era giusta.» iniziò il dottore, rivolgendosi ai due. «L'asciugamano analizzato era intriso di sostanze eccitanti, certamente contenute nell'olio per massaggi. Non escludiamo, inoltre che anche i cibi, le bevande e i vapori del bagno turco non fossero intrisi di queste sostanze. In questo caso, però, non avendo campioni ci è impossibile accertarlo.»

Le affermazioni dell'uomo fecero calare un peso sul cuore di Martin, a quanto pare Diana aveva ragione e lui non era stato capace di capirlo.

Di fianco a lui, Diana si sentì gettare nella disperazione.

Certo, era più facile scaricare tutta la colpa di quanto accaduto su delle droghe ma, in fondo, una parte di lei sperava di sbagliarsi e che il desiderio di Martin fosse stato autentico.

«La particolarità di queste sostanze è quella di creare un effetto a catena. Le sostanze eccitanti hanno come scopo il favorire l'attività sessuale, a sua volta, l'attività sessuale amplifica l'effetto delle sostanze eccitanti e così di seguito. Alla fine chi vi è esposto ne è inebriato al punto da non percepire a livello conscio i messaggi presenti all'interno dei sotto fondi musicali. Inoltre, essendo sintetizzati a partire da sostanze presenti nell'organismo non sono rilevabili coi i comuni test anti-droga.» spiegò il dottor Harris per poi volgere lo sguardo verso M.o.m. «Per fortuna i suoi agenti sono riusciti a mantenere l'autocontrollo necessario e a scoprire il trucco.»

«A questo punto non avremo neanche bisogno di infiltrare altri agenti. Le vostre testimonianze sono sufficienti per fare irruzione nel centro benessere e mettere fine a questa truffa.» affermò M.o.m, complimentandosi con loro.

«Se volete scusarmi, torno in laboratorio, stiamo sintetizzando una sostanza capace di disintossicare chi è rimasto vittima delle sostanze eccitanti. Nel vostro caso la mancanza di attività sessuale ha impedito l'effetto a catena; dalle vostre analisi risulta che il vostro organismo ha già espulso ogni eventuale residuo. Siete puliti.»

Dopo averli rassicurati, l'uomo li salutò ed uscì dall'ufficio.

«Martin, Diana, grazie della vostra preziosa collaborazione. Visto che il vostro compito è concluso vi lascio tornare al vostro relax pre-esame.» disse la donna.

I due ebbero appena il tempo di salutarla prima che il portale si aprisse sotto i loro piedi scaraventandoli sopra i loro teli bagno.

«Perché non possono inventare un metodo di viaggio più comodo!?» si lamentò Diana, mettendosi a sedere.

Martin, che si era ritrovato sdraiato sulle cosce di lei si mise in ginocchio trovandosi così occhi negli occhi.

Qualsiasi altra protesta Diana avesse in mente le morì in gola. Non erano più stati così vicini dalla fine della missione.

Rendendosene conto, cercò di sgusciare via ma Martin la trattenne bloccandole una mano a terra.

«Non fuggire.» la implorò con tono supplichevole. «So che tu pensi che tutto ciò che abbiamo fatto sia stato opera delle sostanze eccitanti.»

«Ti prego, non parliamone più.» lo interruppe Diana, volgendo il capo di lato per non doverlo guardare negli occhi.

«Non posso, ho bisogno di chiarirmi con te. Ok, le sostanze eccitanti avranno avuto il loro peso ma non riesco a credere che anche le emozioni che provavo erano causate da loro. Vuoi dirmi che tu non hai provato nulla?»

Non potendo dire, in tutta sincerità, di non aver provato alcuna emozione, si limitò a chinare il capo in silenzio.

«Un bacio. È tutto quello che ti chiedo. Se non proveremo nulla il discorso sarà concluso qui. Non ne parleremo più e sarà solo una delle cose bizzarre che ci sono accadute da quando lavoriamo al Centro.» propose Martin, speranzoso. «Ci stai?»

«Non pensi sia una cosa pazza e insensata?» gli chiese Diana, tornando a guardarlo.

«Perché, io ho mai fatto qualcosa di ragionevole e sensato?» domandò Martin, strappandole un sorriso. «Allora?»

Diana si morse le labbra, indecisa sul da farsi.

Sentiva di desiderare profondamente quel bacio ma temeva l'eventualità in cui solo uno dei due avesse sentito nuovamente l'attrazione provata alla Spa; d'altro canto rimanere col dubbio non avrebbe di certo fatto bene alla loro amicizia.

«Baciami.» disse con decisione.

Quell'unica parola ebbe il potere di far illuminare di gioia gli occhi di Martin.

Sistematosi meglio sulle ginocchia, portò le mani ai lati del viso di Diana. Sentendola tremare le accarezzò leggermente le guance con i pollici e le sorrise, incoraggiante.

Lentamente si avvicinarono, chiudendo gli occhi, e appena le loro labbra si sfiorarono le emozioni provate qualche ora prima tornarono prepotentemente a galla amplificate dalla certezza che stavolta erano loro a volerlo, che non c'entravano né missioni né sostanze eccitanti.

Non ci volle molto perché il semplice sfioramento di labbra si trasformasse in qualcosa di più intenso e profondo.

Con un movimento fluido Martin la fece sdraiare senza smettere di baciarla.

Gli sembrava impossibile che tutta la felicità che sentiva esplodergli nel petto fosse reale. Se era un sogno non voleva svegliarsi.

Fermatosi un attimo, si rimise sulle ginocchia.

«Che c'è?» chiese Diana, allarmata.

«Niente, ho solo bisogno di sentire la tua pelle a contatto con la mia.» spiegò Martin, sfilandosi la maglietta.

«Ma siamo in un luogo pubblico.» gli fece notare, allarmata.

La spiaggia era deserta ed il sole, ormai al tramonto, la inondava di una soffusa luce dorata che difficilmente avrebbe consentito a qualcuno di scorgerli da lontano.

Nonostante questo decise di assecondare le sue paure, non voleva che l'ansia di essere scoperti rovinasse un momento così bello.

«Non c'è problema.» affermò, togliendosi l'U-watch e conficcandolo nella sabbia.

Attivatolo, selezionò una funzione e, immediatamente, una specie di cupola trasparente, simile alla bolla generata dall'U-Shield si materializzò attorno a loro.

«Cos'è?» chiese Diana, perplessa, mettendosi a sedere a sua volta.

«Cupola Mimetizzatrice. Un nuovo gadget che mi ha installato Billy qualche tempo fa e che non avevo avuto ancora occasione di usare. Noi possiamo vedere all'esterno ma da fuori ciò che vedono è una spiaggia deserta.» spiegò.

« Ah, è anche insonorizzata.» aggiunse con uno sguardo ammiccante che le strappò un sorriso.

«Furbacchione!» l'apostrofò lei, cingendogli il collo con le braccia e ricominciando a baciarlo.

Seguendo quel dolce invito Martin tornò a sdraiarsi su di lei.

Non ci volle molto perché tutto ciò che indossavano finisse sparso sulla sabbia.

«Ti amo.» le sussurrò a fior di labbra, sorridendo sorpreso di se stesso. Aveva sempre considerato certe parole troppo sdolcinate e non adatte a lui, invece gli erano salite alle labbra di getto, senza quasi che se ne rendesse conto.

«Anch'io ti amo!» esclamò Diana con gli occhi lucidi per la commozione, gettandogli le braccia al collo e baciandolo con passione.

Staccatosi da lei Martin fissò gli occhi nei suoi per qualche secondo, voleva essere certo che fosse pronta ad andare fino in fondo e che non avesse ripensamenti. Il desiderio e la gioia che vi vide lo convinsero che anche lei agognava quel momento quanto lui.

Con attenzione e dolcezza si unì a lei nella più antica delle danze gioendo del piacere che riusciva a darle e di quello che a sua volta provava.

Quando entrambi ebbero raggiunto il piacere, Martin, sfinito, si lasciò cadere sul suo petto e sentì le braccia di Diana stringerlo mentre le sue labbra si posavano tra i suoi capelli madidi di sudore per depositarvi un piccolo bacio.

Quella notte si amarono molte volte e fu solo quando ormai il sole stava per affacciarsi all'orizzonte che, raccolte le loro cose e raggiunta la jeep, ripresero la strada verso la Torrington e verso la loro nuova vita insieme.



Fine.


Nota dell'autrice: So che molti mi criticheranno per la mia scelta di farli andare subito fino in fondo ma ho pensato che la lunga amicizia e l'intimità creatasi al resort avrebbero fatto cadere ogni loro resistenza.

Spero di non avervi troppo delusi.


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Capitolo 3
*** Engage - impegno ***


Engage – impegno


Diana aprì il portone e sorrise al familiare panorama che le si presentò davanti agli occhi.

Da quando era diventata curatrice del Redpath Museum difficilmente riusciva a tornare a casa ma doveva ammettere che la sua cittadina le mancava, e non solo lei.

A quel pensiero alzò gli occhi sulla casa di fianco alla sua.

Finita la Torrington lei e Martin avevano proseguito gli studi ma, vista la poca attitudine allo studio del biondo, nessuno dei prestigiosi college che aveva accettato Diana aveva fatto lo stesso con Martin così i due erano stati costretti a dividersi.

Adesso che, inoltre, lavoravano entrambi lontani da casa vedersi era ancora più difficile e doveva ammettere che la cosa la faceva alquanto soffrire.

Emesso un profondo respiro, distolse lo sguardo da casa Mystere scese i tre gradini che portavano sul prato e si chinò a raccogliere il giornale.

Aveva solo due giorni per riposarsi e ricaricare le energie prima di riprendere a lavorare e non voleva passarli a intristirsi.

Volte le spalle alla strada tornò verso casa.

Aveva già poggiato la mano sul pomello della porta quando un clacsonare insistente la costrinse a girarsi.

Appena si fu voltata vide un suv nero parcheggiare sul vialetto di casa Mystere ed un largo sorriso le si aprì sul viso.

«Martin!» urlò, lasciando cadere il giornale per corrergli incontro e buttandogli le braccia al collo appena l'ebbe raggiunto.

Col viso affondato sul suo petto, aspirò l'odore della sua colonia. Adorava quel profumo o, per meglio dire, adorava quel profumo sulla sua pelle.

«Ciao Diana.» rispose Martin stringendola forte a se e sfiorandole la testa con un bacio.

Diana chiuse gli occhi per un secondo assaporando l'attimo che stava vivendo. Sarebbe voluta rimanere tra le sue braccia per sempre, lì si sentiva felice e al sicuro, ma purtroppo sapeva bene che non era possibile.

«Come se la passa il mio indagatore del mistero?» gli chiese, staccandosi da lui.

«Archeologo del mistero, vorrai dire.» precisò lui con aria finto offesa mentre raggiungeva il portabagagli e lo apriva.

Diana lo seguì sorridendo.

Ricordava ancora quando Martin aveva annunciato di voler studiare archeologia, erano rimasti tutti molto sorpresi; lui era sempre stato un “uomo d'azione”. Quando poi aveva aggiunto che si sarebbe specializzato in reperti fuori dal tempo era successo il finimondo.

Gèrard non l'aveva presa affatto bene, non vi vedeva un serio sbocco professionale. Martin però l'aveva fatto ricredere e pian piano, grazie anche alle conoscenze acquisite al Centro, era riuscito a raggiungere una posizione di prestigio e a smascherare molti falsi creati ad arte.

Con sguardo colmo d'orgoglio accarezzò la figura dell'uomo di fronte a lei. Era fiera di ciò che era diventato il suo scapestrato amico.

«Dai, ti do una mano.» propose, distogliendosi dai suoi pensieri.

«E va bene.» accettò Martin, porgendole una valigetta.

«Da quando in qua hai una ventiquattr'ore?» chiese Diana, stupita.

«Ho dovuto portarmi dietro delle scartoffie dal lavoro e non potevo farle spiegazzare.» spiegò, lanciando uno sguardo torvo all'oggetto in questione.

Diana ridacchiò, felice di vedere che sotto sotto rimaneva ancora il suo ragazzo ribelle.

Entrati in casa salirono in camera di Martin; ormai la usava di rado visto che per lavoro era sempre in giro ma suo padre aveva lasciato ogni cosa intatta.

Diana lanciò uno sguardo ai poster di film fantascientifici appesi alle pareti, sembrava passato un secolo dai tempi in cui lavoravano per il Centro.

«Vado a caricare la lavatrice.» annunciò il biondo sventolando una sacca stracolma di vestiti.

«Ok, io allora disfo la valigia.» propose lei.

Era un compito che in passato si era accollata spesso, visto che di solito i suoi bagagli erano un guazzabuglio di vestiti messi a casaccio.

«Grazie, sei un tesoro!» esclamò Martin, mandandole un bacio con la mano prima di uscire dalla stanza.

Scuotendo la testa Diana si avvicinò alla valigia, poggiata sul letto, e la aprì.

Con un moto di stupore afferrò il cartellino con i dati del proprietario e lo controllò: non c'erano dubbi, era la valigia di Martin ma non sembrava la sua.

Non solo all'interno c'erano eleganti completi da uomo ma, inoltre, erano ordinatamente piegati e non buttati alla rinfusa.

Con un vago senso di perdita che le stringeva lo stomaco, sfiorò gli abiti. Non era più il suo pazzo compagno di avventure della Torrington. Era un uomo e non sarebbe mai stato suo.

Fatto un bel respiro, tolse il primo completo dalla valigia; subito sotto fece capolino la copertina di un fumetto di fantascienza.

Ridacchiando lo prese e lo poggiò sul comodino per poi aprire l'armadio e appendervi il vestito.

Tornata alla valigia riprese il suo lavoro e, in breve, rimasero solo alcune magliette e boxer.

Una volta si sarebbe imbarazzata di fronte a certi articoli ma non era più una bambina quindi si limitò a prenderli e a trasportarli sulla cassettiera.

Dopo averli poggiati aprì il primo cassetto, da sempre quello che Martin usava per la biancheria, e stava quasi per sistemarli dentro quando una scatolina attirò la sua attenzione.

Non avrebbe voluto curiosare ma resistere le fu praticamente impossibile.

Appena l'ebbe aperta si trovò davanti ad uno splendido solitario.

Non le ci volle molto per riconoscere in quell'anello lo stesso che aveva visto al dito della madre di Martin nelle varie foto disseminate per la casa.

Era strano che Gérard l'avesse lasciato lì. Conservava con cura quasi maniacale ogni oggetto appartenuto alla defunta moglie e quello non era di certo un posto sicuro, sopratutto visto che in casa era presente una cassaforte con allarme collegato alla stazione di polizia.

In cerca di una spiegazione, sbirciò nuovamente dentro al cassetto e così vide un biglietto poggiato sul fondo.

Avvicinatasi alla porta, controllò che Martin non fosse di ritorno (non era proprio il caso che la trovasse intenta a curiosare tra le sue cose) ma i rumori provenienti dal piano di sotto la rassicurarono, era ancora impegnato.

Con mani leggermente tremanti aprì la busta ed estrasse il biglietto.

Non sapeva perché ma temeva ciò che vi avrebbe trovato scritto.

Immediatamente riconobbe la scrittura alte e spigolosa di Gérard e una piccola parte di se sperò vi fosse scritto di portarlo a riparare perché magari la pietra si era allentata.

Con un misto di timore e di speranza iniziò a leggere.


Figliolo, nella tua ultima chiamata mi hai detto di averne bisogno.

So che tua madre sarebbe felice di saperlo al dito della tua futura sposa invece che chiuso in un cassetto.

È un passo importante e mi dispiace non essere lì ma so che tu e Alexia sarete felici di avere la casa tutta per voi.

Vi auguro il meglio per la vostra vita insieme.

Con affetto,

papà.”


Diana sentì le gambe cederle e dovette tenersi alla cassettiera mentre rileggeva il biglietto nella speranza di averne frainteso le parole.

Purtroppo non ci potevano essere dubbi sul significato di quelle parole: Martin aveva intenzione di chiedere ad Alexia di sposarlo.

Sentendo gli occhi pizzicare, Diana li sbatté velocemente, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era di farsi trovare con gli occhi lucidi.

Con gesti impacciati cercò di rimettere il biglietto dentro la busta con l'unico risultato di farlo volare sotto il letto.

Poggiato l'anello sulla cassettiera si chinò a raccogliere il cartoncino maledicendo la sua goffaggine.

Quando si fu rialzata, si trovò davanti Martin che la fissava con una strana espressione in viso.

«Scusami, non volevo curiosare, solo che stavo sistemando le tue cose e aprendo il cassetto l'ho trovato.» cercò di giustificarsi, porgendogli il biglietto.

«Avevo comunque intenzione di dirtelo.» rispose Martin nervosamente, attendendo la sua reazione.

«Bé, congratulazioni!» esclamò Diana, odiandosi per il tono falso della sua voce.«Adesso però devo andare, ho una relazione da finire e inviare al museo.» mentì, non poteva rimanere lì ad ascoltare i progetti del suo amico per la grande proposta.

«Pensavo saresti rimasta almeno per un caffè. Avevo già acceso la macchinetta.» protestò, deluso.

«Mi dispiace, non posso proprio e poi scommetto che avrai tantissime cose da preparare!» rispose, cercando di apparire elettrizzata all'idea. «Io ho finito di sistemare i tuoi vestiti. Allora in bocca al lupo!» disse, abbracciandolo e baciandolo sulla guancia.

Nonostante si rendesse conto di quanto fosse masochista, si trattenne qualche secondo di più a contatto con la sua pelle inspirando il profumo del dopobarba che amava tanto, quasi volesse imprimerselo nella mente per sempre.

«Ciao Martin.» sussurrò, sentendo la voce venirle meno per poi precipitarsi giù per le scale senza dargli il tempo di obiettare.

Percorsi i pochi metri che la separavano da casa sua, Diana raggiunse la sua stanza e vi si chiuse lasciandosi cadere sul letto.

Non poteva crederci, Martin avrebbe sposato Alexia, le sembrava impossibile.

Certo, sapeva che stavano insieme ma il pensiero che arrivassero al matrimonio non l'aveva mai sfiorata.

«Brava stupida, cosa pensavi che un giorno lei sarebbe evaporata e sarebbe scomparsa nel nulla?» si chiese sarcasticamente mentre le lacrime, ribellandosi al suo comando, continuavano a scenderle copiose lungo le guance.

Ricordava ancora il giorno in cui l'aveva conosciuta.

Era alla riunione per il decimo anno dal loro diploma alla Torrington e stava chiacchierando con Jenny quando ad un tratto le aveva visto sgranare gli occhi.

Si era girata di scatto e aveva visto Martin venirle incontro con una ragazza accanto a se.

«Ma quella è la tua fotocopia!» aveva esclamato Jenny quando, dopo averle salutate e avergliela presentata, i due si erano allontanati per continuare il giro della scuola.

Non aveva potuto obiettare nulla. In effetti Alexia era di altezza e corporatura simili ai suoi, aveva i capelli del suo stesso colore ed anche il taglio era simile. L'unica cosa che differiva era il colore degli occhi che, invece di essere verdi erano marroni.

Per mesi si era arrovellata sul perché lui avesse scelto una ragazza così simile a lei ma alla fine si era convinta che probabilmente non lo aveva neanche notato visto che in lei vedeva solo un'amica e non una donna.

Cullata da questi tristi pensieri, Diana si accoccolò sul letto e lasciò che gli occhi le si chiudessero. Non voleva vedere un altro minuto di quel triste giorno.


Solo nella sua stanza Martin si lasciò cadere a sedere sul letto, stringendo tra le mani la scatola dell'anello, sentendo un vago senso di colpa stringergli il cuore.

Non sapeva perché ma si era sentito a disagio nel dire a Diana della sua decisione e, in effetti, l'argomento “Alexia” difficilmente veniva fuori nelle loro conversazioni. Lei gli chiedeva notizie solo se il suo nome saltava fuori e lui, a sua volta, la nominava solo se non poteva farne a meno; anche se non sapeva spiegarsi il perché di questa sua reticenza.

Con un sonoro sospiro, allungò la schiena sul materasso e si portò una mano a coprirgli gli occhi.

Rimpiangeva un po' la sua vita dei tempi della Torrington, all'epoca era tutto più semplice; forse un po' più pericolosa ma decisamente più semplice.




Il rimbombo di un tuono fece svegliare Diana di soprassalto.

Non si era alzata per pranzo e non sapeva neanche che ore fossero.

Nella penombra della stanza sbirciò la sveglia posta sul comodino.

Erano quasi le ventuno.

Sicuramente in quel momento Martin e Alexia erano al ristorante, magari lui stava già attendendo nervosamente che lei finisse di mangiare per farle la grande proposta.

Diana cacciò la testa sotto le coperte, avvilita.

Una volta sposato di certo si sarebbe allontanato da lei e lo avrebbe perso anche come amico.

Il pensiero le fece salire un groppo in gola.

Si era rassegnata all'idea che lui non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti e aveva deciso di non rivelarglieli così da non rovinare il loro rapporto ma il pensiero di doverlo perdere anche come amico era davvero troppo.

Con un gesto stizzito buttò via le coperte e si mise a sedere sul letto.

Se doveva perderlo tanto valeva tentare il tutto per tutto.

Alzatasi dal letto, si liberò del vestiti che portava e si fiondò sotto la doccia. La battaglia che stava per affrontare richiedeva la sua massima concentrazione, non poteva essere mezza addormentata.

Finito di prepararsi afferrò le chiavi ed uscì di casa dirigendosi di corsa verso la sua auto frustata da una pioggia incessante.

La loro era una piccola città, non c'erano molti locali e, se conosceva bene Martin, di certo aveva prenotato nel ristorante dove trentacinque anni prima suo padre aveva chiesto a sua madre di sposarlo.

Entrata in auto, avviò il motore ed accese i fari.

Aveva già inserito la retromarcia quando un'ombra sotto il portico di casa Mystere attirò la sua attenzione.

L'ennesimo lampo illuminò la strada a giorno permettendole di riconoscere l'uomo seduto sui gradini sotto la pioggia.

Preoccupata, spense l'auto e corse da lui.

«Martin, che ci fai qui? È successo qualcosa?» chiese, dimentica anche lei della pioggia che la stava inzuppando.

«In effetti si. Alexia mi ha lasciato.»

Sentendo quelle parole Diana sentì il cuore balzarle in petto. Forse non tutto era perduto.

«Lei doveva raggiungermi a casa e poi da qui saremmo andati al locale con la mia macchina invece mi ha detto che faceva tardi e che ci saremmo visti direttamente al locale.»

Vedendolo così afflitto Diana si sedette accanto a lui per fargli avvertire il suo conforto anche se una parte di se non poteva fare a meno di gioire.

«Quando sono arrivato lei era già seduta al tavolo. Appena l'ho raggiunta mi ha detto che doveva parlarmi.» continuò a raccontare scuotendo leggermente la testa all'inseguimento dei suoi stessi pensieri. «Ha detto che sapeva perché eravamo lì, le avevo parlato spesso di quel locale, ma che non le sembrava assolutamente il caso che chiedessi a lei di sposarla quando il mio cuore apparteneva ad un'altra di cui lei era solo una sosia.»

«Cosa intendeva?» chiese Diana, sinceramente confusa.

«Alexia voleva farmi una sorpresa facendosi trovare già qui stamattina al mio arrivo ma ha forato una gomma e così quando è arrivata io ero già a casa. Ci ha visto abbracciarci e secondo lei l'avrei scelta solo perché ti somiglia.»

Diana si sentiva stordita. Una parte di lei pregava che Alexia avesse ragione ma un'altra, quella razionale, le diceva che non poteva permettere che i due si lasciassero solo per il suo egoismo.

«Ma che ci fai qui? Valla a cercare e spiegale che si sbaglia.» lo incitò anche se la sola idea che lui corresse da lei la faceva morire.

«Non c'è nulla da spiegare. Alexia aveva ragione, anche se io non me ne sono reso conto fino a stasera. Lei è una ragazza straordinaria ma non è al suo dito che voglio vedere quest'anello.» disse, tirando fuori la preziosa scatolina dalla tasca della giacca.

Diana lo guardava in preda all'incertezza, sapeva quali parole aveva appena pronunciato ma non era sicura di averne compreso il significato.

«Bada bene, non ti sto domandando di sposarmi qui su due piedi ma ti sto chiedendo se sei disposta a frequentarmi come qualcosa di diverso dal tuo amico di infanzia.» le chiese, guardandola finalmente negli occhi.

Incapace di trattenersi oltre, Diana gli gettò le braccia al collo, felice.

«Oh, si Martin, si!» esclamò con la voce rotta dal pianto, nascondendo il viso sulla sua spalla.

Felice ed emozionato Martin la strinse a se.

Finalmente si sentiva completo.




Nota dell'autrice: Qualcuno potrà essersi chiesto cosa centri questa ff con la parola impegno. Dovete sapere che in inglese fidanzamento si dice engagement così, previa autorizzazione di EvelynWolfman, ho deciso di interpretare il prompt in questa accezione.



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Capitolo 4
*** Love - Amore ***


NDA: Salve a tutte/i, purtroppo EvelynWolfman mi ha comunicato che per adesso non potrà finire la Dartin Week così, previa sua autorizzazione, ho deciso di completare la mia. Se non ci sono problemi pubblicherò una OS al giorno nel corso di questa settimana.
Spero vi piaceranno.

Love – Amore


Martin si guardò intorno con aria spaesata.

Per una volta, però, non era colpa della lezione; a dire il vero non la stava proprio ascoltando.

Ciò che lo tormentava era il ricordo di un sogno fatto la notte precedente.

Non ricordava i particolari, anzi, ad essere sinceri, non ricordava quasi nulla tranne due labbra che si avvicinavano lentamente alle sue per poi coinvolgerlo in un bacio al cardiopalma. Non erano labbra particolarmente carnose ma erano morbide e profumavano di fragola e, sopratutto, erano state capaci di scatenargli un batticuore che non era andato via neanche dopo il risveglio.

Certo, i sogni sono solo sogni, ma lui sentiva che doveva scoprire a chi appartenevano quelle labbra.

Aveva la certezza di conoscere quella persona.

Con un lieve sospiro volse lo sguardo ai banchi davanti a se fissando lo sguardo su ognuna delle sue compagne.

Due minuti dopo un nuovo sospiro segnava la fine della sua ricerca.

Le labbra del sogno non appartenevano a nessuna delle sue compagne.

Deluso, si accasciò con la testa sul banco per poi rialzarsi di scatto un secondo dopo, colto da un dubbio. Lui aveva osservato solo le ragazze ma se si fosse trattato di un ragazzo? In fondo ieri sera aveva giocato a basket con i suoi compagni fino a tardi.

Con un leggero timore osservò gli altri ragazzi presenti in classe per poi scuotere la testa ridacchiando appena ebbe finito il suo controllo.

Il suo inconscio era fissato con le ragazze tanto quanto lui quindi, anche se non ci sarebbe stato nulla di male, non era verosimile che gli avesse fatto sognare di baciare un ragazzo.

«Signor Mystere, trova la mia lezione tanto ridicola?» chiese l'insegnante parandoglisi e facendolo sobbalzare.

«No, ecco, io...» cercò di giustificarsi lui, senza riuscirci.

«Visto che tanto non segue comunque, vada a rinfrescarsi le idee fuori dall'aula.» ordinò perentoria la donna.

Imbarazzato, Martyn uscì dalla classe posizionandosi dietro alla porta, come richiesto dall'insegnante.

Messo da parte il disagio per il rimprovero della docente, tornò a concentrarsi sulla sua ricerca.

Stamattina era certo di conoscere quelle labbra ma adesso cominciava ad avere dei dubbi.

Non era nessuno dei suoi compagni di classe ma forse era qualcun' altro della scuola.

Chiusi gli occhi provò a ripensare a tutti quelli che conosceva.

Esaurite le conoscenze scolastiche passò alle dive del cinema che amava e, infine, arrivò a riportare alla mente anche l'immagine di M.o.m ma nessuna di quelle labbra corrispondeva a quelle che aveva sognato.

Era così perso nei propri pensieri da non accorgersi neanche del suono della campanella cosicché non riuscì a reprimere un sussulto quando sentì qualcuno toccargli il braccio.

«Perso nei meandri dei tuoi pensieri?» gli chiese Diana sorridendo e facendogli cenno di avviarsi ma Martin si limitò a seguirla senza comprendere le sue parole.

Vedeva la sua bocca muoversi ma i suoi pensieri erano altrove.

Più la osservava più i particolari del sogno ritornavano vividi nella sua mente.

Era sdraiato ad occhi chiusi sulla spiaggia. Sapeva di trovarsi lì dallo sciacquettio delle onde e dall'odore di salsedine e crema abbronzante che si sentiva addosso.

Ad un tratto qualcosa si era frapposto tra lui ed il sole.

Aperto gli occhi aveva intravvisto in controluce i contorni di un corpo femminile proteso verso di lui. Era appena uscita dall'acqua e decine di goccioline scivolavano via dal suo corpo per finire su quello di lui stuzzicandolo piacevolmente.

Ad un tratto la ragazza si era abbassata facendo aderire i loro corpi.

Lui aveva appena avuto il tempo di vedere le sue labbra vicine a se prima che lei lo baciasse con passione.

Adesso sapeva chi era la ragazza del sogno e, finalmente, aveva anche compreso il suo significato.

Un batticuore, molto simile a quello che aveva quando si era svegliato, lo colse.

Era impossibile ma la ragazza del sogno era proprio la sua Diana. E lui, bé, a quanto pare lui ne era perdutamente innamorato anche se ancora non se era reso conto.

Continuando a seguirla uscì nel cortile della scuola e sorrise al raggio di sole che lo investì.

Non sapeva bene come avrebbe fatto a rivelarle i suoi sentimenti ma di una cosa era certo: non poteva esserci nulla di sbagliato in un sentimento che lo faceva sentire così vivo e felice e adesso che aveva capito di provarlo avrebbe fatto di tutto per viverlo fino in fondo.



Nota dell'autrice: So che questa ff è piuttosto corta ma spero che comunque non vi abbia deluso.


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Capitolo 5
*** Indestructible - indistruttibile ***


Indestructible – indistruttibile


Martin si guardò allo specchio con occhio critico.

Era inutile, non si sarebbe mai abituato a vedersi in giacca e cravatta ma questa era un'occasione importante, non poteva farne a meno.

Strattonato l'odiato cappio, con malagrazia lo raddrizzò per poi inserire due dita nello scollo della camicia nel tentativo di allargarlo.

Un'occhiata all'orologio gli ricordò che doveva sbrigarsi se non voleva fare tardi.

Scese di corsa le scale, entrò in cucina, afferrò la borsa termica poggiata sul tavolo e si avvicinò al frigorifero.

Aperta la porta, prese la bottiglia di champagne che vi aveva messo a raffreddare e la sistemò con cura nella borsa quindi si girò verso il ripiano alle sue spalle e recuperò due calici che aveva già avvolto in tovaglioli di stoffa affinché non si rompessero.

Sistemati anche questi nella borsa frigo la chiuse e si avviò verso il portone.

Un ultimo controllo gli confermò che le chiavi della macchina erano già in tasca.

Aperta la porta di casa la varcò richiudendosela alle spalle.

Avviatosi con passo deciso verso l'auto ferma nel vialetto, fece scattare la chiusura centralizzata e vi entrò posizionando con cura la borsa termica sul sedile del passeggero.

Una volta non avrebbe mai pensato a se stesso come al proprietario di una berlina, ma forse crescendo si cambia.

Alzati gli occhi sulla sua casa, puntò lo sguardo sulla cima di un albero visibile oltre il tetto.

Anche se non poteva vederlo per intero, visto che era piantato nel giardino sul retro, avrebbe saputo indicare con precisione il punto in cui era posizionata la vecchia casa sull'albero.

Quanti pomeriggi vi avevano trascorso trasformandola di volta in volta nella casa della loro famigliola di orsacchiotti, in una nave dei pirati in balia della tempesta o in qualsiasi altra cosa venisse in mente a lui e a Diana ma anche quei tempi erano ormai lontani.

Con un sospiro si decise ad avviare il motore e si immise sulla strada.

La sua meta non era lontana così meno di dieci minuti dopo si ritrovò a parcheggiare l'auto.

Appena scese lo stormire delle fronde degli alberi lo accolse. Era passato un anno dall'ultima volta che era stato lì ma non era cambiato nulla: stessi suoni, stessi odori, stessa atmosfera.

Presa la borsa frigo, si diede un'ultima occhiata nel riflesso del finestrino e si avviò chiudendo l'auto col telecomando.

Arrivato davanti al cancello si tastò le tasche alla ricerca delle chiavi. Dopo averle trovate le sfogliò velocemente alla ricerca di quella giusta e la usò per aprirlo.

Gli era dispiaciuto imbrogliare Jerry, il custode, per farne una copia ma quello era l'unico modo sicuro per entrare ed uscire senza problemi.

Varcato l'ingresso s'inoltrò per il viale alberato.

Non aveva portato una torcia con se ma bastava la luce della luna ad illuminare i suoi passi, ed anche senza quella ormai conosceva così bene quel posto che avrebbe potuto camminarvi ad occhi chiusi.

Lei era lì, al solito posto.

Martin le sorrise timidamente.

Raggiuntala, poggiò la borsa frigo sull'erba, la aprì e ne estrasse il contenuto.

«È un giorno speciale, esigeva qualcosa di altrettanto speciale.» spiegò, accennando alla bottiglia.

Dopo aver riempito i due calici ne pose uno sul marmo di fronte a lui toccandolo col suo per farlo tintinnare.

«A te Diana. Come vedi non mi sono dimenticato del nostro appuntamento.» disse.

A quel punto non resistette più, si lasciò cadere in ginocchio ed il calice che teneva in mano, abbandonato al suo destino, ruzzolò a terra spargendo il suo contenuto sull'erba.

Mentre calde lacrime gli solcavano il viso, alzò una mano e sfiorò leggermente il sorriso della foto posta sulla lapide.

Era stato lui a volere che ci fosse una foto, anche se di norma non vi erano foto sulle tombe. Voleva che tutti potessero vedere quant'era splendido il sorriso della sua Diana.

«Oh, Diana.» mormorò tra i singhiozzi.

Erano già passati dieci anni da quel giorno eppure il dolore che provava non si era minimamente affievolito.

Appoggiata la testa alla lapide si rannicchiò su se stesso in cerca di conforto.

Ricordava ogni singolo attimo di quel maledetto giorno e dubitava fortemente che sarebbe mai riuscito a dimenticarlo.




Era notte, e loro due erano in missione nei pressi di un laghetto di montagna dove diverse coppie che vi si erano appartate erano state aggredite da un mostro.

Ad un tratto avevano sentito un fruscio tra le foglie e l'essere in questione li aveva attaccati.

Nonostante i suoi sforzi, ben presto si era dovuto arrendere all'idea che fosse troppo forte per poterlo sconfiggere da soli così aveva intimato a Diana di scappare ed avevano iniziato a correre.

Avvistato un dirupo, gli era venuta un'idea. L'agilità, a differenza della forza, non rientrava proprio tra le caratteristiche del mostro così, con un balzo, era approdato sul costone opposto, quindi aveva fatto cenno a Diana di fare lo stesso. La ragazza, seppur spaventata, aveva saltato il dirupo atterrando tra le sue braccia.

Come previsto, il mostro aveva tentato di seguirli venendo inghiottito dall'oscurità del baratro.

«Evvai!» aveva gridato lui, soddisfatto di se.

La gioia era però durata poco. Abbassato lo sguardo aveva notato che Diana era pallida in volto e si stringeva una mano al petto.

Preoccupato, l'aveva fatta stendere a terra tenendole la testa poggiata sul suo petto.

«Diana, cos'hai?»

Aggrappandosi alla sua camicia, lei si era sporta fino a sfiorare le sue labbra con le proprie mentre lui sgranava gli occhi, stupefatto.

«Martin, io ti amo.» aveva sussurrato mentre le lacrime le offuscavano la vista per poi ricadere esanime tra le sue braccia.

«Diana, Diana!» aveva urlato lui, scrollandola.

In preda al panico aveva contattato il Centro per chiedere aiuto.

In pochi minuti una squadra di medici si era presentata sul posto per prestare le prime cure alla ragazza.

Totalmente stordito dalla preoccupazione, li aveva seguiti all'interno del portale senza la forza di chiedere nulla.

Non sapeva quanto fosse passato quando udì una voce richiamarlo dal nebuloso stato di inquietudine in cui si trovava.

«Martin.» aveva chiamato M.o.m,con voce carica di ansia.

«Dobbiamo parlare.» aveva aggiunto, quando lui aveva alzato gli occhi su di lei.

Tenendolo per un braccio, quasi temesse di vederlo crollare a terra, lo aveva portato in un piccolo ufficio, poco più grande di uno sgabuzzino.

In seguito scoprì che era la stanza del primario del reparto medico del Centro ma allora non sapeva dove fosse e neanche gli importava.

«Martin, Diana ha avuto un problema cardiaco, il suo cuore si è fermato. Non ce l'ha fatta, mi dispiace.» aveva detto M.o.m con voce sempre più malferma mentre le lacrime cominciavano a solcarle il viso.

Lui aveva urlato che no, non poteva essere possibile. Che si stavano sbagliando.

Si era alzato, rovesciando la sedia su cui era seduto ed era corso in direzione della porta dietro cui aveva visto sparire la sua amica.

M.o.m aveva tentato di fermarlo, senza riuscirci e così lui aveva spalancato quella sottile barriera di legno e l'aveva vista distesa sul letto, un lenzuolo a coprirle il corpo, il viso cereo.

Era stato come se tutte le forze lo avessero abbandonato.

Si era sentito cadere a terra e poi aveva avvertito due braccia che lo stringevano forte.

Solo molto tempo dopo si era reso conto di essere rimasto quasi un'ora accasciato sul pavimento della stanza a piangere stretto tra le braccia di M.om.

«Martin, devo andare ad informare sua madre dell'accaduto.» aveva detto la donna, aiutandolo ad alzarsi.

«Vengo anch'io!» aveva annunciato lui, in tono deciso.

«Non so se è il caso.» aveva obiettato lei.

«Devo. Viviane è stata come una seconda madre per me da quando la mia mi ha abbandonato. Voglio starle accanto.»

Di fronte ad una dichiarazione del genere M.o.m non aveva potuto far altro che cedere.

«Un attimo e ti raggiungo.» aveva detto indicando il corpo della ragazza distesa sul letto.

Quando M.o.m l'aveva lasciato solo si era avvicinato a Diana e le aveva accarezzato una guancia.

«Vivrai nel mio cuore per sempre.» le aveva sussurrato prima di darle un bacio leggero sulle labbra.

Facendo ricorso a tutte le sue forze si era voltato ed aveva lasciato la stanza.

Raggiunta M.o.m, avevano attraversato il portale ritrovandosi in un parcheggio a quasi un chilometro da casa Lombard. Lì erano saliti sull'auto che il Centro aveva messo loro a disposizione ed erano partiti.

Aveva guidato M.o.m e, per una volta, lui non aveva protestato.

Era da poco passata mezzanotte quando avevano suonato il campanello della villetta a schiera, identica a quella di fianco in cui lui abitava dalla nascita.

Viviane aveva aperto subito, stranamente senza neanche chiedere chi fosse a quell'ora.

Il corpo stretto in una vestaglia, il pigiama che spuntava oltre l'orlo dell'indumento.

«Diana!» aveva sussurrato mentre sul suo viso si dipingeva la paura e il dolore.

«Signora Lombard, scusi l'orario, io sono»

«Lei è M.o.m, so chi è. Ciò che ho bisogno di sapere è come sta mia figlia.» aveva detto Viviane con voce ansiosa.

«Signora mi dispiace.» aveva mormorato M.o.m, con voce dolente.

Non c'era stato bisogno di aggiungere altro perché Viviane capisse cosa la donna le voleva dire.

«La mia bambina.» mormorò prorompendo in un pianto dirotto.

D'istinto lui l'aveva abbracciata sentendola piccola e fragile come mai gli era capitato.

Qualche minuto dopo i singhiozzi si erano attenuati e lei li aveva invitati ad entrare.

«Si accomodi.» aveva detto a M.o.m, indicandole il divano, e poi aveva chiesto a lui di preparare il caffè per tutti mentre lei, dopo essersi scusata, era salita in camera da letto.

Pochi minuti dopo era scesa portando con se due buste e consegnandone una ciascuna ai due.

Appena l'aveva aperta aveva subito riconosciuto la scrittura, era quella di Diana.

Le lacrime gli avevano immediatamente offuscato la vista ma, nonostante questo, aveva continuato a leggere.

In quelle righe la ragazza gli chiedeva scusa per non avergli detto di stare male, gli confessava di amarlo da anni ma di non aver avuto il coraggio di dirglielo e gli augurava il meglio per la sua vita.

Quando entrambi avevano finito di leggere avevano riportato lo sguardo su Viviane con un misto di dolore e ammirazione per la donna fragile eppure coraggiosa che stava loro davanti.

«Martin, come tu sai il mio Matthew è morto a causa di problemi cardiaci.» aveva iniziato a spiegare. «Ciò che forse non sai è che la sua era una malformazione congenita. Alla fine dello scorso anno scolastico Diana aveva avuto alcuni mancamenti così nel corso dell'estate aveva fatto dei controlli. Purtroppo aveva ereditato lo stesso problema del padre. Il medico era stato chiaro, le rimaneva poco. Poteva sperare in qualche mese in più solo con una vita estremamente tranquilla.»

A quel punto le lacrime le avevano impedito di parlare, lui le si era seduto accanto e l'aveva stretta a se, ben consapevole che niente avrebbe potuto alleviare quel dolore.

«Le chiesi di lasciare la Torrington e di proseguire gli studi da casa. A quel punto lei mi ha confessato ciò che provava per te.» aveva detto, stringendogli una mano tra le sue. «Mi ha raccontato del Centro e anche di lei, M.O.M e mi fece promettere che non ne avrei parlato ad anima viva. Poi le vacanze sono finite, lei ha ripreso la scuola e da allora ho vissuto temendo il giorno in cui il suo cuore avrebbe ceduto.»

«Se lo avessi saputo non le avrei mai permesso di partecipare alle missioni.» aveva risposto M.O.M, costernata.

«Proprio per questo ha fatto in modo di nasconderlo a tutti. Finché ce la faceva voleva affiancare Martin nelle sue avventure.» aveva spiegato, volgendo poi lo sguardo su di lui «Non sai quanto le dispiaceva di doverti mentire e per causa mia era costretta a dirti anche qualche bugia in più. Ricordi i corsi preparatori per l'università? Non esistevano. In realtà quando ti diceva di andare al corso si incontrava con me in un hotel non lontano dal campus.»

«Che furba, sapeva che non le avrei mai chiesto informazioni su una cosa del genere e che non l'avrei mai neanche seguita!» aveva esclamano lui, cercando di sorridere ma riuscendo solo a fare una smorfia.

«Non volevamo mentire a tutti ma Diana non voleva leggere negli occhi di chi la conosceva la compassione. Ha preferito vivere nel modo più normale possibile fino all'ultimo. Adesso posso vedere la mia bambina?»

«Ma certo, la porto subito da lei!» aveva risposto M.O.M, scattando in piedi. «Martin, tu è meglio se vai a casa a riposare, è stata una lunga giornata.»

Lui aveva protestato ma, alla fine, M.O.M gli aveva fatto capire che era giusto che lasciasse un po' Viviane da sola con sua figlia.

Lo avevano accompagnato a casa e, dopo aver spiegato al padre quanto era successo, almeno nei limiti consentiti dalla segretezza del Centro, lo avevano lasciato lì.

A quel punto i ricordi si facevano confusi.

Ricordava di aver vegliato il corpo dell'amica e che, ad un certo punto, suo padre lo aveva costretto a farsi la doccia e lo aveva aiutato ad indossare un completo ed una cravatta.

Aveva la certezza di essersi seduto in un banco della chiesa e di aver visto molta gente attorno. Poi qualcuno gli aveva messo in mano del cibo e delle bevande e molte persone lo avevano baciato ed abbracciato ma non riusciva a ricordarne neanche una.

L'unica cosa nitida dei giorni seguenti era solo il dolore che gli squassava incessantemente il petto e il senso di vuoto che sentiva dentro.




Erano già passati dieci anni da quel maledetto giorno ed ogni anno, nella notte della sua morte, lui andava a trovare la sua amata Diana.

La commemorazione ufficiale era stata nel pomeriggio ma lì c'era sempre troppa confusione per i suoi gusti, questo invece era un momento solo per loro due.

Riscossosi dai suoi pensieri si rese conto di avere tra le mani la lettera che la ragazza le aveva lasciato.

La portava sempre con se dal giorno in cui Viviane gliela aveva consegnata.

Non aveva bisogno di leggerla per ricordare cosa vi era scritto. L'aveva letta così tante volte da conoscerla a memoria.

Facendo leva sulle braccia si rimise in piedi e raccolse le cose che aveva portato quindi si riavvicinò alla lapide e sfiorò la foto con un bacio.

«Ciao.» disse semplicemente, con voce stentata.

Gli avevano detto che col tempo il dolore sarebbe passato e avrebbe dimenticato ma chi lo aveva detto sicuramente non aveva mai avuto un legame come il loro.

Mentre si avviava verso l'uscita volse ancora una volta lo sguardo verso il punto in cui sorgeva la tomba mentre rinnovava il giuramento che le aveva fatto il giorno del funerale.

Né il tempo né la morte avrebbero mai spezzato il loro legame.

Lei sarebbe vissuta nel suo cuore, per sempre.




Angolo dell'autrice (che spera di non essere uccisa dai lettori): Lo so, lo so. Sono stata cattiva, crudele e malvagia ma non posso farci niente, questa ff è venuta fuori da se, senza che io lo volessi.

Spero mi perdonerete.


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Capitolo 6
*** Naked - nudo/a ***


Naked – nudo/a


«Ehilà, bellezze di casa Lombard, dove siete?» urlò Martin, aprendo la porta dell'ingresso.

Non udendo nessuna risposta, si tolse gli enormi occhiali con lenti a specchio che indossava e diede un'occhiata intorno, perplesso.

Se non ci fosse stato nessuno avrebbero di certo chiuso la porta a chiave e inserito l'allarme.

Un mugugno indistinto proveniente dal piano superiore gli confermò che qualcuno c'era.

Con passo deciso si avviò verso la fonte del rumore.

Raggiunta la meta spalancò la porta e trovò Diana seduta al computer con i capelli arruffati, chiaro segno che era in un momento di grande lavorio mentale.

«Diana, ti sei dimenticata che oggi dovevamo andare in spiaggia?»

Lei, troppo concentrata su ciò che stava facendo, non aveva sentito Martin chiamarla dal piano di sotto e così, appena sentita la sua voce balzò in piedi urlando per lo spavento.

«Mi hai fatto prendere un colpo!» lo rimproverò.

«Ho provato a chiamarti quando sono entrato in casa ma non mi hai sentito.»

«Ma che ci fai conciato così?» chiese, notando finalmente il costume a stampa hawaiana e le infradito dell'amico.

«Hai dimenticato che dovevamo andare al mare?»

«Vero, era per oggi!» esclamò lei, lasciandosi cadere seduta sul letto con aria afflitta.

«Posso sapere cosa ti ha distratto tanto da dimenticare l'impegno che avevi con me?»

«Una tesina per il corso di scrittura creativa.»

«Ma che razza di college frequenti? Non lo sanno che le vacanze sono sacre?»

«È un compito al di fuori dal programma per ottenere crediti extra. Per questo devo farlo durante le vacanze.» spiegò Diana, vergognandosi un po'.

«Dovevo immaginarmelo!» esclamò Martin, per nulla sorpreso. «E di cosa devi scrivere?»

Alla sua domanda vide il volto dell'amica farsi di brace mentre abbassava lo sguardo sul pavimento.

Incuriosito dal suo comportamento, portò lo sguardo sullo schermo del pc ma riuscì a leggere solo il titolo, “Naked” , prima che la ragazza facesse sparire la pagina di word dal desktop.

«Bene, bene, la signorina si è data agli argomenti spinti!» la canzonò.

«Oh taci stupido!» esclamò Diana, esasperata. «È stato il professore a scegliere l'argomento.»

«Sicura che non sia un maniaco?» domandò Martin, preoccupato.

«No, tranquillo. Ha semplicemente voluto metterci alla prova. Dice che gli scrittori tendono ad adagiarsi sullo stile che gli riesce meglio ma che per imparare a scrivere bene è necessario sperimentare tutte le tipologie di scrittura.» iniziò a spiegare. «Durante l'ultima lezione ha scritto i nostri nomi su dei biglietti e diversi tipi di racconti su degli altri abbinandoli con un'estrazione a sorte. A me è capitato il racconto erotico dal punto di vista maschile.»

«Bella gatta da pelare!»

«Non dirlo a me! Per aiutarci ci ha dato un prompt, nel mio caso era la parola “naked”e a me l'unica cosa che è venuta in mente è stata di descrivere la prima volta che un ragazzo si ritrova a denudarsi davanti ad una ragazza. Il problema è che non so cosa scrivere!» esclamò, lasciandosi andare all'indietro sul letto.

«Martin, ma tu sei un ragazzo!» disse qualche secondo dopo, saltando a sedere e illuminandosi in volto. «Se tu mi racconti com'è stato per te magari riuscirò a tradurlo in un buon racconto!»

«Scordatelo!» esclamò Martin, facendo un balzo indietro e cercando di guadagnare l'uscita.

«Io ti ho sempre aiutato per i compiti e senza chiedere nulla in cambio invece se tu mi aiuterai otterrai due vantaggi: io sarò libera di venire al mare con te e mentre mi racconti la tua esperienza potrai gustare una mega coppa al triplo gusto del gelato che ha fatto ieri mia mamma.» lo ricattò Diana, ben consapevole del debole che il ragazzo aveva per il gelato fatto in casa.

Martin la fissò per qualche minuto, tremendamente indeciso sul da farsi.

Amava il gelato ma raccontare certe cose alla sua amica lo metteva tremendamente a disagio.

D'altro canto era vero che molte volte se Diana non lo avesse aiutato avrebbe finito per prendere delle insufficienze e non esagerava nel pensare che forse non sarebbe neanche riuscito ad entrare al college.

«E sia, ma solo se le coppe di gelato sono due.» si arrese,infine.

Nonostante l'imbarazzo che provava non poteva abbandonarla nei guai, non poteva proprio.

Rinfrancata dall'inaspettato aiuto, Diana afferrò la mano di Martin e lo trascinò in cucina.

«Io preparo il gelato e tu intanto racconti.» disse, dandogli le spalle e armeggiando con coppe e cucchiaini mentre lui prendeva posto sullo sgabello dietro il bancone posizionato al centro della stanza che spesso fungeva da tavolo per la colazione.

«Qui in cucina? E se per caso arriva tua madre?» chiese, preoccupato della possibile figuraccia.

«Di lei non ti devi preoccupare, è a lavoro e non tornerà neanche per pranzo.»

«Ah, ok.» rispose lui, rassegnato a non avere più vie d'uscita. «Bé, ecco, come puoi immaginare è successo con Janette, la ragazza del gemellaggio culturale. Te la ricordi?»

Diana si limitò a fare un cenno di assenso col capo mentre, non vista, stringeva il cucchiaio che aveva in mano fin quasi a piegarlo.

Che stupida che era stata, era così preoccupata per il compito che non aveva minimamente pensato all'eventualità che la sua prima volta fosse stata proprio con quell'oca francese che lo aveva tampinato per tutto il tempo del suo soggiorno alla Torrington.

Avrebbe dovuto immaginarlo, visto anche come lo aveva baciato al momento della partenza, palpandogli il sedere senza ritegno davanti a tutta la scuola; se ci ripensava sentiva ancora il sangue ribollirle nelle vene.

Invece non ci aveva pensato e adesso si sarebbe dovuta subire il resoconto del loro incontro.

Ben le stava, si disse tra se, così imparava a chiedere certi assurdi favori proprio a lui.

«È stata la sera della festa di commiato. Avevamo bevuto un po', il che da un lato aiutava a far sentire di meno l'imbarazzo ma dall'altro mi ha reso ancora più goffo nei movimenti.» confessò arrossendo un leggermente.

«A te.» disse Diana, poggiando davanti all'amico una coppa di gelato dalle dimensioni pantagrueliche e prendendo posto davanti a lui.

«Grazie!» esclamò lui, entusiasta fiondandosi sul dolce con foga e mandandone giù una grossa cucchiaiata prima che l'amica potesse impedirgli di farlo.

«Aaaahhh!» urlò poco dopo il biondo, portandosi le mani alle tempie.

Impietosita, la ragazza girò intorno al bancone e poggiò le mani sulla testa dell'amico per aiutarlo a scongelarsi il cervello.

«Possibile che non hai ancora imparato a non mangiare il gelato con tanta foga?»

«La colpa è di tua mamma che lo fa troppo buono!» si giustificò alzando gli occhi in su con sguardo da cucciolo.

A quel punto Diana non riuscì a trattenersi.

«Passata la bua?» gli chiese, dopo avergli dato un bacio sulla fronte come si fa con un bambino che si è fatto male.

Non poteva farci nulla, nonostante a volte si comportasse da immaturo, questi suoi atteggiamenti ispiravano la sua tenerezza.

Teneva a quello scapestrato biondo e per lui ci sarebbe sempre stato un posto speciale nel suo cuore.

Vedendo lo sguardo contrariato del ragazzo scoppiò in una fragorosa risata e, lasciatolo andare, tornò al suo posto.

Se si fosse attardata qualche secondo in più a guardarlo negli occhi vi avrebbe visto una luce nuova, qualcosa che l'avrebbe fatta gioire ma lei era già tornata alla sua coppa di gelato, ignara di ciò che aveva perso.

«Allora, riprendiamo. Prima finisci di raccontare prima possiamo andare a divertirci.» lo incoraggiò Diana, fingendo una spensieratezza che non provava. Ormai però non poteva tirarsi indietro.

«Continuo ma solo ad una condizione, dopo dovrai raccontarmi la cosa dal punto di vista femminile.»

«Intanto racconta, poi vedremo.» rispose lei, senza sbilanciarsi.

«Che vuoi che ti dica, mi sentivo agitato, ansioso ed emozionato. Il fatto che per lei non fosse la prima volta da un lato mi rassicurava perché mi faceva sperare che non mi avrebbe chiesto di fermarmi sul più bello ma d'altro canto mi faceva temere il confronto con chi era venuto prima di me.» spiegò, continuando a gustare il suo dolce. «È inutile dire che la parte più imbarazzante è quando togli i boxer. Una parte di te si chiede se ciò che hai da offrirle le sembrerà abbastanza, nel suo caso poi visto che aveva avuto altri ragazzi prima di m'intimoriva l'idea che io risultassi il meno dotato.» confessò candidamente facendo soffocare Diana.

Stavolta fu il suo turno di alzarsi per andare a dare delle pacche sulla schiena all'amica.

«Tutto bene?» le chiese, porgendole un bicchiere d'acqua.

«Si, solo non mi aspettavo tanta sincerità.» ammise, cercando di riprendere fiato.

«Se vuoi mi fermo qui.»

«No dai, continua pure.»

«In quel frangente ti chiedi anche se riuscirai a durare abbastanza e a farla godere; la fortuna è che appena lei inizia a spogliarsi dimentichi tutto il resto, diciamo pure che il sangue dal cervello migra in altre zone!» esclamò, ridendo. «Vuoi sapere altro?» chiese, riguadagnando il suo posto e finendo il gelato.

«Direi che può bastare.»

«Un'ultima cosa però voglio dirtela. C'è solo una cosa che rimpiango nel fatto che la mia prima volta sia stata con lei. Il fatto che non ne fossi innamorato creava meno tensione a livello emotivo e non essendo per lei la prima volta non avevo il timore di farle del male ma, secondo me, se lo avessi fatto con qualcuna a cui tenevo veramente sarebbe stato più bello.» confessò guardandola negli occhi come mai aveva fatto prima.

Totalmente scombussolata, Diana si alzò di scatto dirigendosi verso il salotto, separato dalla cucina solo da un arco.

«Dove vai?»

«Buttò giù due righe per ricordare ciò che voglio scrivere e poi usciamo.» annunciò per togliersi d'impiccio.

«Hey, ma dovevi raccontarmi la tua esperienza!» protestò il biondo.

«Non avevo promesso nulla.» le ricordò lei correndo verso le scale.

Accadde tutto in pochi secondi.

Diana si era data alla fuga, Martin aveva cercato di bloccarla ma lei si era divincolata, sfuggendogli.

Ciò di cui non si era accorta era che il laccio che teneva legato al collo il suo vestito era rimasto impigliato nell' U-watch di Martin così, quando lei si era allontanata, si era sciolto.

Prima che potesse rendersi conto dell'accaduto, la stoffa leggera era scesa a cingerle le caviglie ostacolandole il passo e lei si era ritrovata ad inciampare.

Il provvidenziale intervento di Martin, che l'aveva afferrata per un polso per poi attirarla se, le aveva impedito di finire faccia a terra ma, in compenso, si era ritrovata stretta tra le sue braccia, col seno premuto contro il suo petto e indosso solo un paio di mutandine color malva.

Diana sentiva il volto in fiamme e il cuore a mille.

Sarebbe voluta fuggire ma così avrebbe dato a Martin una visione panoramica del suo corpo praticamente nudo.

Certo, l'aveva vista spesso in costume ma questo era decisamente diverso.

D'altronde non poteva neanche rimanere lì.

La scarica di eccitazione data dal pericolo di cadere e dall'essersi ritrovata stretta a lui aveva fatto inturgidire i suoi capezzoli ed era impossibile che lui non se ne fosse accorto, visto che al momento premevano contro il suo petto.

Presa dal panico, Diana si strinse le braccia al petto e cercò di allontanarsi ma avvertì le braccia di Martin che aumentavano la stretta su di se.

Perplessa alzò gli occhi e fu allora che poté leggere il desiderio in quelli di lui. In quel momento le parole che le aveva detto in cucina assunsero un significato nuovo e lei sentì il cuore mancarle un battito.

Non sapeva cosa dire, non era facile confessare al proprio amico di una vita che lo si desiderava in un modo tutt'altro che casto.

Le parole però non furono necessarie, a quanto pareva i suoi desideri trasparivano nitidamente nei suoi occhi perché senza indugio Martin le portò una mano alla guancia, le alzò il viso e la baciò mettendoci dentro la passione repressa in tutti quegli anni.

Senza smettere di baciarla, Martin guidò Diana nella sua camera e, una volta giunti lì non ci volle molto perché, oltre alle anime, anche i loro corpi si mettessero a nudo mentre si scoprivano e amavano come mai avrebbero pensato che sarebbe potuto succedere.




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Capitolo 7
*** Glory - gloria ***


Glory – Gloria




Martin s'incamminò, al fianco di Diana, in direzione dell'aula magna stiracchiandosi e sorridendo beato.

«Questa riunione d'istituto straordinaria era proprio quello che ci voleva.»

«Si, per evitarti l'interrogazione di storia.» lo rimbeccò lei.

«Esatto!» ammise lui, serafico.

Erano quasi arrivati a destinazione quando il suo U-watch iniziò a suonare.

Immediatamente i due si nascosero in uno dei corridoi laterali, per fortuna deserti.

«M.o.m siamo in ascolto.»

«Agenti, dove vi trovate?»

«Stavamo andando in aula magna per una riunione d'istituto che il preside ha indetto stamattina.»

«Maledizione, sono arrivata tardi.» disse la donna, parlando più a se stessa che a loro. «Lily l'incantatrice stanotte è scappata dalla prigione del Centro e abbiamo buone probabilità di credere che sia alla Torrington per vendicarsi di voi.»

«In effetti quando il preside stamattina ci ha avvisato della riunione straordinaria era un po' strano.» fece notare Diana.

«Probabilmente era sotto ipnosi. Adesso con lui c'è un agente che sta cercando di verificare che cosa gli è stato fatto. Lily non vi ha visto in volto ma ha sentito che frequentavate alla Torrington, vuole riunire tutti gli studenti in un'unica aula per essere certa di farvi fuori.» suppose la donna. «Dovete far evacuare la scuola.»

«Tranquilla M.o.m, può contare su di noi!» esclamò Martin, lanciando a Diana uno sguardo serio e preoccupato.

Chiuso il collegamento i due corsero verso l'aula magna.

Non avevano un piano ma dovevano agire in fretta.

Appena entrato, Martin si precipitò sul palco e afferrò il microfono.

«Ragazzi, dobbiamo uscire tutti nel cortile, si è rotto un tubo della caldaia, potrebbero esserci delle perdite di gas.» annunciò agli studenti, sperando bastasse.

«Dai, smettila di prenderci in giro!» urlò uno dei suoi compagni, ridendo.

Come temeva, non gli avevano creduto.

«Non è uno scherzo. Il preside sta cercando di sistemare la situazione ma per sicurezza dobbiamo andare tutti in cortile.» affermò Diana, portandosi vicino a Martin.

Vedendo la ragazza dare ragione al biondo un brusio concitato si diffuse per la sala.

Lei era conosciuta come una studentessa modello e non si sarebbe mai prestata ad uno scherzo che avrebbe potuto causare la loro sospensione.

«Per favore, partendo dalla prima fila lasciate i vostri posti e avviatevi verso l'uscita.» ordinò il biondo, cercando di mantenere la calma. «È solo una precauzione, non ci sono pericoli immediati quindi rispettate le file.» raccomandò, temendo scene di panico.

Finito di parlare i due scesero dal palco per dirigere le operazioni di evacuazione.

«Diana, tu va con loro e controlla che nessuno cerchi di rientrare, io controllo l'aula magna per vedere se trovo qualcosa di sospetto.» disse Martin, una volta che tutti erano usciti.

«Non posso lasciarti solo!» protestò.

«Devi. Non possiamo rischiare che qualcuno rimanga coinvolto.»

«Sta attento.» lo pregò Diana, stringendogli un braccio con la mano prima di uscire dall'aula.

Arrivata in giardino, fece riunire tutti nel punto più lontano dalla scuola mostrandosi tranquilla anche se dentro di se era terrorizzata all'idea che potesse succedere qualcosa a Martin.

Intanto lui, rimasto solo, iniziò a perlustrare l'aula da cima a fondo.

Vista la conformazione dei sedili e del palco, quasi del tutto privi di zone nascoste agli occhi, non gli ci volle molto per individuare,nella botola al di sotto del palco, un pacchetto sospetto.

Anche se non era un esperto era quasi certo che si trattasse di una bomba.

Non era capace di disinnescarla ma doveva comunque fare qualcosa, non c'era tempo per chiamare gli artificieri.

Dopo aver riflettuto un attimo, prese il pacchetto e corse in direzione del giardino.

Saltato da una finestra, per evitare di passare nelle vicinanze del punto in cui erano raccolti gli altri studenti, si avvicinò al laghetto. Sperava che l'acqua riuscisse ad assorbire l'onda d'urto dell'ordigno.

Sentiva il parlottio alle sue spalle e sapeva di doversi sbrigare prima che qualcuno, incuriosito, riuscisse ad avvicinarsi.

Toltosi la camicia la legò alla bomba, insieme ad un sasso e poi, facendo appello a tutte le sue forze, scaraventò l'ordigno al centro dello specchio d'acqua.

Il pacchetto era appena scomparso sotto la superficie quando un gigantesco zampillo si alzò da quel punto e tutti, terrorizzati, si gettarono a terra.

Appena lo scoppiò ebbe fine, Diana corse in direzione dell'amico.

«Tutto bene?» gli chiese.

«Tutto ok!» rispose lui, sorridendole e mettendosi a sedere sul prato mentre un applauso scoppiava tra gli studenti che avevano assistito alla scena.

«Martin ci hai salvato la vita, sei stato fantastico!» esclamò Jenni, sedendosi di fianco a lui, prendendolo a braccetto e poggiando la testa sulla sua spalla con movenze da gatta che irritarono Diana.

«Come hai fatto a capire che era una bomba?» chiese una biondina, sorridendogli.

«Sei stato coraggiosissimo!» esclamò un'altra, facendo cerchio attorno a lui.

Martin era ancora intento a grattarsi la testa per l'imbarazzo quando tutti si bloccarono, come se fossero stati congelati.

Due secondi dopo lui si rese conto di potersi muovere, alzati gli occhi vide M.o.m in piedi davanti a lui.

«Complimenti agenti, ottimo lavoro.» disse, seria. «Tra poco potrete rientrare. Ho solo bisogno di sapere cosa avete detto per fare uscire gli studenti.»

«Un semplice guasto alla caldaia con conseguente rischio di perdita di gas.» spiegò Martin.

«Perfetto, così non sarà necessario inventare nessuna scusa per il fatto che si trovano nel giardino.» commentò M.o.m, riflettendo tra se. «Ora venite qui vicino a me.»

Appena i due le si furono avvicinati posizionò a terra, poco lontano da se, una specie di scatolina e attivò il suo U-watch facendo apparire una bolla attorno a loro.

Pochi secondi dopo la scatola emise una specie di onda sonora che si propagò per tutto il giardino.

Quando l'onda si fu dileguata, M.o.m disattivò anche la bolla per poi recuperare la scatola che aveva poggiato a terra.

«Ecco, grazie a questo dispositivo ho cancellato il ricordo della bomba dalla loro mente. Altri agenti stanno modificando anche la memoria del preside. Nessuno ricorderà niente dell'accaduto.» spiegò la donna. «Tra poco torneranno a muoversi. Vi saluto.» aggiunse, prima di aprire un portale e sparirvi dentro.

Appena il portare si fu chiuso Martin si lasciò andare ad un sospiro desolato.

«Cosa c'è?» chiese Diana.

«Uffa, stavolta me la sono cavata alla grande ma nessuno ricorderà il mio momento di gloria» si lamentò.

«So che non conta molto ma io ricordo tutto e sono fiera di te.» affermò Diana, arrossendo leggermente.

A quelle parole Martin sorrise, felice, sentendo una strana gioia scaldargli il cuore e rendendosi improvvisamente conto che non era poi così importante se gli altri non ricordavano ciò che aveva fatto.

Sapere che Diana era orgogliosa di lui,vedere lo sguardo ammirato che gli stava riservando era la ricompensa migliore che potesse desiderare.




Fine

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Capitolo 8
*** Capitolo Bonus - Feelings ***


Feelings - sentimenti




«Diana, ti prego, fammi questo favore!» esclamò Viviane, a mani giunte davanti alla figlia.

«Mamma anche se volessi aiutarti rimane un problema piuttosto grosso da risolvere» obiettò la ragazza.

«Ehilà, di casa, c'è nessuno?» urlò Martin, entrando dalla porta della cucina. «Ciao Diana! Viviane, al telefono mi hai detto di avere bisogno di un aiuto, di cosa si tratta?»

A quelle parole Diana lanciò un'occhiataccia alla madre sentendo la rabbia invaderla. Sua madre aveva finto di domandarle un favore ma in realtà aveva già organizzato tutto, certa che lei avrebbe accettato.

«Come vedi avevo già pensato a come risolvere il problema.» disse la donna, accennando a Martin.

«Bé ma non hai ancora la certezza che lui accetterà.» rimbeccò Diana, sorridendo soddisfatta mentre Martin, impossibilitato a capire cosa stesse succedendo, passava con lo sguardo dall'una all'altra.

«Accomodati Martin, faccio il caffè e ti spiego tutto con calma.» disse Viviane, andandosene in cucina.

Il ragazzo fece come lei gli aveva detto, avrebbe voluto chiedere spiegazioni alla sua amica ma vedendola abbandonata sul divano con il braccio sugli occhi desistette anche se cominciava a temere ciò che Viviane aveva intenzione di chiedergli.

«Ecco a te!» disse la donna, qualche minuto dopo, porgendogli una tazza fumante e mettendosi a sedere sul divano di fronte a lui. «Veniamo al punto. La mia amica Barbara, l'insegnate di tango, mi aveva chiesto un favore. Domani un famoso maestro di ballo verrà a visitare la sua scuola. Purtroppo la classe dei principianti è stata decimata dall'influenza e così aveva chiesto a me e ad altri nostri amici di fingerci allievi così da non far sembrare vuota la classe. Proprio domani, però, ho una cena di lavoro con dei colleghi europei a cui non posso mancare quindi mi chiedevo se tu e Diana poteste andare al posto mio.» spiegò.

«Ma se è una classe di adulti noterà che noi siamo dei ragazzi.» obiettò lui.

«Il problema non si pone perché in occasione della visita accorperà tutte le classi secondo il grado di preparazione. Quando eravate piccoli avete preso qualche lezione con lei. Essendo tra i principianti nessuno farà caso a eventuali errori.» rispose la donna.

Martin volse lo sguardo su Diana per cercare di capire cosa voleva che facesse.

«Che ne dite di un compromesso?» propose. «Voi mi fate questo favore e, in cambio, tu Diana riceverai i jeans su cui hai lasciato gli occhi durante il nostro ultimo giro al centro commerciale e tu, Martin, avrai pancake a volontà ogni week-end per il prossimo mese. Allora?»

«Diana, la scelta spetta a te. Che ne dici?» domandò Martin.

«Certo, bravo scarica a me la patata bollente così se non accetto passo io per la cattiva!» sbottò, furiosa, togliendosi il braccio da sopra gli occhi e fulminandolo con lo sguardo.

«Non è che voglia farti passare per cattiva, il problema è che di fronte all'offerta di pancake a volontà non riesco a ragionare lucidamente.» confessò, candidamente.

A quell'uscita, Diana scoppiò in una fragorosa risata.

Martin era un indagatore del mistero, uno scapestrato, un fallimentare dongiovanni ma in fondo era sopratutto un bimbo goloso ma a lei piaceva anche per questo.

Non sapeva neanche lei quando avesse iniziato a vederlo in modo diverso.

Era stato un cambiamento graduale, piccoli gesti che ogni giorno l'affascinavano e l'attraevano verso di lui finché si era resa conto di vederlo come qualcosa di più di un semplice amico, anche se si era guardata bene dal dirglielo.

Non avrebbe sopportato l'imbarazzo generato da sentimenti non ricambiati.

«E sia. Ci andremo.» capitolò. «Mi sentirei troppo in colpa a privarlo dei suoi pancake.»

«Sii, che bello!» urlò Martin, balzando in piedi e iniziando a saltellare per la stanza.

«Ti rendi conto che dovrai vestirti elegante e ballare il tango?» chiese Diana, vedendolo troppo su di giri.

«Oh cavolo, a questo non avevo pensato!» ammise lui, fermandosi di colpo e grattandosi leggermente una tempia.

Diana e Viviane non poterono trattenere le risa e presto anche Martin si unì a loro.

«Dai facciamo una prova, giusto per essere certi che ricordate almeno qualche passo.» propose Viviane, appena riuscì a smettere di ridere.

I due si guardarono in faccia con aria perplessa.

Le uniche lezioni che avevano preso risalivano a quasi dieci anni prima, impossibile ricordare qualcosa.

«Ho capito, urge un ripasso.» affermò la donna, alzandosi in piedi. «Su Martin, avvicinati.»

Dopo aver posizionato le mani del ragazzo lo guidò nella sequenza base, ripetendola più e più volte finché non lo vide prendere sicurezza.

Finito con lui, agguantò la figlia e fece lo stesso.

«Ok, io adesso devo andare, voi esercitatevi ancora un po'.» annunciò Viviane, poco dopo, baciando entrambi sulle guance e correndo via.

«Scattante come sempre!» commentò Martin, appena la donna si fu richiusa la porta alle spalle.

«Un vulcano in piena eruzione, impossibile starle dietro.» affermò Diana, lasciandosi andare sul divano.

«Hey, ma che fai, non dovevamo esercitarci?» chiese Martin.

«Tu fai ciò che vuoi. Io ho una ricerca di storia da completare per lunedì quindi adesso mi rilasso due minuti e poi vado a studiare.»

«E il favore per tua mamma?»

«Andrò da Barbara e mi dimenerò un po' sulla pista ma nulla di più. Se qualcuno mi dirà qualcosa potrò sempre rispondere che ho iniziato da poco o che mi ha costretto mia madre ad iscrivermi.»

«Non temi un eventuale brutta figura?»

«È una classe di principianti, ci sarà gente messa peggio di noi. In fondo i passi base li conosciamo.»

Con un'alzata di spalle Martin si arrese alla decisione della sua amica e così, dopo averla salutata, se ne tornò a casa.

Avrebbe approfittato del pomeriggio libero per recuperare i numeri arretrati del fumetto che stava leggendo.





«Sei matta? Io non uscirò mai di casa conciata così!» urlò Diana, chiusa in camera sua insieme alla madre.

«Diana, Viviane, c'è nessuno?» urlò Martin entrando in casa.

Aveva suonato diverse volte ma, non ricevendo risposta, aveva deciso di controllare che fosse tutto ok.

«Oh Martin, fortuna che sei arrivato!» esclamò Viviane, uscendo dalla camera della figlia. «Hai appena il tempo di cambiarti. In camera mia troverai il vestito e le scarpe.»

Il ragazzo cercò di chiedere delucidazioni ma ebbe appena il tempo di aprire la bocca che lei era già sparita dietro la porta del bagno dopo avergli urlato che doveva sbrigarsi o avrebbe fatto tardi per la cena di lavoro.

Appena entrato nella camera padronale vide,poggiato sul letto, un completo da tango composto da pantaloni lucidi e camicia di pizzo aperta sul petto entrambi neri e a terra un paio di mocassini lucidati a specchio.

Pur se perplesso, si svestì e mise quei vestiti.

A cambio ultimato si diede un'occhiata nello specchio a figura intera dell'armadio.

Si sentiva ridicolo; senza contare che quei pantaloni erano così attillati da mettere tutto in mostra.

Se Billy o Java lo avessero potuto vedere l'avrebbero preso in giro per il resto dei suoi giorni.

Rassegnato, uscì dalla stanza proprio nel momento in cui anche Diana abbandonava il suo rifugio.

Per lunghi attimi rimasero immobili a fissarsi l'un l'altra stupiti da ciò che avevano davanti.

Diana non riusciva a credere che quel damerino tirato a lucido fosse il biondo scapestrato che conosceva da una vita e, cosa ancora più sconvolgente, quel costume che avrebbe reso molti ridicoli e ambigui rendeva lui ancora più mascolino ed eccitante.

Martin, dal canto suo, non riusciva a distogliere gli occhi dallo spettacolo che si era trovato davanti.

Diana indossava un vestito da ballo in pizzo nero da cui traspariva il raso rosso posto al di sotto.

Era allacciato al collo, cosa che evidenziava la scollatura, ed oltre ad un vertiginoso spacco sulla coscia sinistra aveva la schiena quasi completamente scoperta.

Inutile dire che quell'abito era stato creato per esaltare la sensualità di chi lo indossava e che, visto su Diana, ebbe per Martin un effetto sconvolgente.

Vestito MartinVestito Diana

«Bene, vedo che vi siete vestiti!» esclamò Viviane, sbucando fuori dal bagno già pronta per la cena di lavoro. «Su, avete poco tempo per arrivare alla scuola di ballo.»

«Adesso potrei sapere perché mi sono dovuto conciare così?» chiese il biondo, strattonando un polsino

«Vista l'importanza della serata, Barbara ha chiesto a tutti di presentarsi in tenuta da esibizione. Voi naturalmente non avevate l'abbigliamento adatto così ve lo ha fornito lei.» spiegò la donna, tranquillamente.

«Ma non può pretendere che ce ne andiamo in giro così!» sbraitò Diana. «Almeno a Martin sta bene ma io sono ridicola!»

«A dire il vero sei stupenda.» si lasciò sfuggire Martin, pentendosi di aver parlato appena due paia di occhi, uno sorpreso e l'altro soddisfatto si posarono su di lui.

«A quanto pare tra di voi vi trovate carini vestiti così ed anch'io vi trovo fantastici, quindi le vostre sono solo paranoie.» constatò Viviane, con voce compiaciuta.«Perciò adesso tu Martin prendi la giacca che ho lasciato all'ingresso, Diana prende lo scialle e andate alla serata. Fate finta di star recitando una parte. Su, da bravi.»

Ancora in imbarazzo per gli involontari complimenti reciproci, i due non seppero controbattere e, rassegnati, fecero come la madre di Diana aveva detto loro.




«Bé, speriamo che almeno offra un buon rinfresco!» esclamò d'un tratto Martin, mentre era alla guida.

«Possibile che pensi sempre a mangiare?» lo rimproverò scherzosamente Diana.

«Conduco una vita molto attiva, brucio moltissime calorie.» si giustificò lui.

«Ieri se mia madre non ti avesse chiesto di venire da noi ti saresti fuso con l'amaca dove hai passato tutta la giornata insieme ai tuoi fumetti.» lo smentì lei.

«Innanzitutto ci tengo a precisare che la mia è una tecnica, accumulo energie per quando il Centro ci chiamerà in missione e, secondariamente, che fai, mi spii?»

A quella domanda Diana ringraziò il cielo di trovarsi all'interno di una macchina al buio altrimenti lui avrebbe di certo visto il rossore che le aveva colorito le guance.

«Ma che dici! Non è colpa mia se ho la scrivania sotto la finestra e da lì si vede il tuo giardino!» si giustificò lei.

Naturalmente si guardò bene dal dirgli come invece si fosse soffermata sulla sua figura stesa in totale relax e sui muscoli tonici e definiti che aveva ammirato in assenza della maglietta.

«Invece di dire sciocchezze pensa a parcheggiare. Lì c'è un posto libero.» affermò, indicandolo.

Scesi dall'auto i due si guardarono l'un l'altra con aria sconsolata.

Il parcheggio era quasi al completo, il che voleva dire che molte più persone di quelle che pensavano avrebbero assistito alla loro figuraccia.

«Mi sono lasciato corrompere troppo facilmente, avrei dovuto chiedere almeno tre mesi di pancake a tua madre.» constatò Martin, avviandosi verso l'ingresso.

A quell'affermazione Diana non riuscì a reprimere una risata.

«Vedremo di ricattarla al nostro ritorno.» propose Diana, facendogli l'occhiolino. «Intanto entriamo e, appena possibile ci dileguiamo senza farci notare. Ok?»

«Il continuo frequentarmi ti sta facendo male. Stai diventando una discolaccia.» la rimproverò scherzosamente.

Recuperato un po' di buon umore, i due entrarono nella scuola di ballo.

«Diana, Martin, benvenuti!» esclamò Barbara, andando loro incontro e stritolandoli in un abbraccio simultaneo.

Entrambi non poterono fare a meno di pensare che quella donna piccoletta, magrolina e dall'aspetto fragile era, in realtà, una forza della natura e, a giudicare da come li stava stringendo sarebbe stata capace di spostare una montagna.

«Ragazzi, state benissimo.» affermò dopo averli lasciati andare, squadrandoli da capo a piedi. «Io rimango ancora un po' all'ingresso a fare accoglienza. Voi potete andare nella prima aula a sinistra.»

«Va bene, grazie Barbara.» risposero i due, educatamente, anche se avrebbero voluto strozzarla per la situazione in cui li aveva messi.

Rassegnati, i due si avviarono verso la loro destinazione.

Appena ebbero varcata la soglia rimasero stupiti dalla scena che si presentò ai loro occhi.

Si erano aspettati di trovarsi in una aula spoglia con poche sparute coppie intente ad incerti passi di danza. Invece ciò che videro fu una perfetta riproduzione di una sala da ballo con le luci soffuse e anche alquanto affollata di coppie intente ad eseguire passi semplici ma aggraziati. Diana si pentì immediatamente di non aver fatto qualche altra prova ma ormai era tardi e poteva solo limitare i danni.

Dopo aver dato un veloce sguardo intorno, individuò il punto più buio della sala e vi si rifugiò trascinandosi dietro anche Martin, sperava almeno che così avrebbero notato di meno la loro impreparazione.

«Che ne dici, iniziamo a ballare?» propose Martin, qualche minuto dopo.

«Forse è meglio, non sarebbe carino farci trovare appoggiati alla parete.»

Un po' titubanti, i due si allontanarono dalla parete e si posizionarono per ballare.

Con movimenti impacciati iniziarono a muoversi sul posto, sperando che nessuno li notasse.

Nonostante il viso impassibile, Martin si sentiva turbato.

Era strano, lei era sempre Diana ma era anche qualcosa di completamente diverso.

Con quel vestito che gli permetteva di accarezzarle la schiena nuda e quella pettinatura raccolta che metteva in risalto il suo lungo collo, quasi un invito a baciarlo, emanava una sensualità a cui non era per nulla abituato.

«Tutto bene?» chiese ad un tratto Diana, vedendo che Martin era alquanto rigido e teneva lo sguardo fisso davanti a se.

«Si, cercavo solo di capire se fosse arrivato il famoso maestro.» mentì lui, non poteva certo dirle che era colpa di quel vestito se doveva tenere lo sguardo alto, visto che la sua attenzione era pericolosamente attratta dalla sua scollatura.

Pian piano che la serata andava avanti, i due riuscirono a rilassarsi, al punto da provare anche qualche passo più difficile e ridere dei loro immancabili errori anche se il fatto di divertirsi non li distraeva dal chiedersi che fine avesse fatto l'ospite d'onore.

«Buonasera a tutti!» disse ad un tratto un uomo bassino e parzialmente pelato, venendo fuori da una zona in ombra della sala e portandosi al centro della pista con passo fiero. «Sono Josè Sandoval e sono felice di essere qui a conoscere tutti voi e ad ammirare il lavoro della cara Barbara.» spiegò, lasciando tutti sgomenti.

«Vi chiedo scusa, ma il maestro ci teneva a vedervi quando siete spontanei, senza la pressione di qualcuno che vi osserva.» intervenne Barbara, avvicinandosi all'uomo.

«E ciò che ho visto mi è molto piaciuto, ti faccio i miei complimenti.» riprese lui, stringendole le mani, soddisfatto.

«Grazie maestro Sandoval!» esclamò Barbara, commossa, rivolgendo uno sguardo fiero e soddisfatto ai suoi allievi. «Adesso ci sposteremo tutti nel salone centrale dove il maestro ci darà una piccolo assaggio della sua bravura prima del banchetto.»

Tutti seguirono Barbara ed il maestro commentando a bassa voce quanto accaduto.

Arrivati al salone, il maestro Sandoval prese per mano una donna attempata dal fisico asciutto e la portò con se sul palco.

Appena fece un cenno a qualcuno in fondo alla sala, una musica calda e sensuale si diffuse nell'aria.

Incredibilmente fu come se i due sul palco si trasformassero sotto i loro occhi.

Non erano più una coppia di mezz'età, erano sensualità e fascino allo stato puro. Distogliere lo sguardo dalle loro evoluzioni era praticamente impossibile.

Appena l'esibizione ebbe termine, un applauso scrosciante riempì la sala per diversi minuti.

La coppia s'inchinò, sorridente.

«Vi presento Carmen, mia compagna nel ballo e nella vita.» disse, portando avanti la donna che fece un secondo inchino e che gli allievi accolsero con un altro applauso.

«Ho apprezzato molto ciò che ho visto stasera nelle diverse classi ma c'è una cosa che mi preme spiegarvi.» continuò, appena l'applauso ebbe termine. «Oggi, anche a causa della competitività durante le gare, si dà sempre maggior peso alla tecnica, ai passi, dimenticando l'origine di questo ballo. Il suo nome deriva dal verbo latino tangere che significa toccare e in origine era mal visto proprio per la sua prorompente sensualità. Fare tango davvero vuol dire sprigionare il proprio eros sulla pista da ballo. Quando si danza il tango con cuore e passione autentica non ci si limita ad eseguire i passi ma si fa l'amore con il proprio partner. Ogni gesto, ogni figura, ogni sfioramento è come un preliminare, deve dire “io ti desidero”.» spiegò, infervorandosi ad ogni parola.

«Per spiegarvi meglio il concetto vi ho ripreso con una telecamera nascosta nella speranza di trovare una coppia che rendesse chiaro il mio concetto e, per fortuna, la mia ricerca ha dato i suoi frutti. Non ho scelto qualcuno dell'ultimo anno ma due allievi del primo livello proprio perché ancora inesperti di passi e tecniche e quindi più spontanei.»

«Robert, puoi partire col filmato.» ordinò in direzione del fondo della sala.

Subito tutte le luci si spensero e le immagini apparirono sul pannello dietro di lui.

«Osservate come la trattiene alla vita, con delicatezza ma anche con possessività.» spiegò Sandoval, commentando la scena che stavano vedendo in cui era visibile solo una porzione della schiena della donna e la mano del suo compagno che la cingeva.

«E adesso guardate la dolcezza con cui lei allontana la mano dalla nuca di lui. Più che un passo di danza è una carezza.»

Ad ogni nuova immagine la coppia era sempre più riconoscibile facendo aumentare in maniera esponenziale un dubbio che si era andato formando nella mente di Martin e Diana.

Quando un paio di occhi castani e uno verdi apparvero sullo schermo il dubbio divenne un'allarmante certezza; quelli sullo schermo erano loro due.

«Notate ora il loro sguardo. Anche se la bocca non è inquadrata si intuisce perfettamente che stanno sorridendo ed è altrettanto visibile il desiderio che hanno l'uno dell'altra.» continuò l'uomo imperterrito mentre i diretti interessati lanciavano sguardi di fuoco in direzione di Barbara che con gli occhi chiedeva loro di perdonarla.

«Direi che è il momento di fare salire sul palco questa splendida coppia!» esclamò nel momento in cui sullo schermo appariva la loro immagine a figura intera e lo sguardo di tutti veniva calamitato su di loro.

Istintivamente Diana si fece più vicina a Martin che, per farle coraggio, le prese la mano e, mentre lei giurava a se stessa che sua madre avrebbe dovuto comprarle ben più di un paio di jeans nuovi per ripagarla della serata da incubo, insieme si avviarono verso il palco; anche se dalla faccia che avevano avrebbero potuto tranquillamente essere diretti al patibolo.

«Posso sapere i vostri nomi?»

«Io sono Martin e lei è Diana.»

«E da quanto state insieme?»

A quella domanda il viso di Diana si tinse di un rosso acceso.

«Veramente non stiamo insieme. Siamo molto legati ma siamo solo amici.» rispose Martin, iniziando ad innervosirsi.

«Davvero?» disse il maestro, scettico. «Il feeling fra voi è così forte che ero certo che foste una coppia.»

Vedendo la mano di Martin stringersi convulsamente a pugno Barbara si decise ad intervenire, non voleva certo che la serata venisse rovinata da uno stupido battibecco.

«Bé, ciò che conta è che il concetto si sia capito. Ragazzi, potete scendere.» disse, portandosi tra Sandoval e i due ragazzi.

Senza farselo ripetere, Martin trascinò Diana giù dal palco inveendo a mezza bocca in direzione dell'uomo.

«Signore e signori, ringraziamo il maestro Sandoval per i suoi preziosi consigli.» incitò Barbara, sollecitando un applauso. «E adesso continuiamo la serata al buffet. Buon divertimento!»

Appena l'applauso fu scemato tutti si accalcarono verso i tavoli del rinfresco ridendo e ciarlando.

Approfittando della distrazione di tutti, Martin e Diana scivolarono fuori dalla sala per poi correre in direzione del parcheggio alla massima velocità consentita dai tacchi di lei.

Entrati in macchina tirarono un sospiro di sollievo e si lasciarono andare sui sedili.

«Quello è tutto matto!» esclamò Martin, ridendo mentre avviava il motore.

«Puoi dirlo forte!» rispose Diana, ridacchiando a sua volta ma appena ebbe alzato lo sguardo il suo sorriso annegò nel mare di emozioni che sentiva dentro nel guardare il suo amico e ricordare la serata appena trascorsa.

Non voleva e non poteva ammetterlo, almeno non con lui, ma ballare insieme l'aveva emozionata, sentire le sue mani che la sfioravano le aveva fatto scorrere dei brividi caldi lungo la schiena e temeva che adesso non sarebbe più riuscita a guardarlo come prima.

Per sua fortuna in quel momento Martin era concentrato ad immettersi nel traffico e non notò il lieve rossore che le aveva colorito le guance.

Da quel momento decise di rimanere zitta, temeva che la sua voce potesse tradire la confusione che provava nel cuore e nella mente.

Sentendola così silenziosa, Martin le lanciò uno sguardo.

Vedendola mollemente abbandonata sul sedile con il viso rivolto al finestrino pensò che si fosse addormentata ed un sorriso intenerito gli solcò le labbra almeno finché non notò l'abbondante porzione di pelle che lo spacco dell'abito lasciava scoperta.

Si ritrovò a deglutire a vuoto ripensando a quanto era stato bello ed eccitante stringerla a se senza dover fuggire da nessun mostro, potendo assaporare la morbidezza della sua pelle e il profumo dei suoi capelli.

Istintivamente strinse più forte il volante tra le mani mentre malediceva quel ballerino da strapazzo e le sue assurde teorie anche se una parte di lui si chiedeva se davvero erano state le parole di quell'uomo a suggestionarlo o se semplicemente avevano portato a galla qualcosa che già c'era.

Il resto del viaggio, per altro breve, proseguì in silenzio.

Arrivato davanti casa, Martin parcheggiò l'auto nel suo vialetto.

Visto che Diana non si muoveva si sporse leggermente verso di lei per chiamarla ma prima che potesse anche solo sfiorarla lei si era già alzata a sedere incrociando il suo sguardo che sperò non fosse troppo famelico.

«Pensavo dormissi.» si giustificò, tornando al suo posto.

«Mi stavo solo rilassando un po'.» spiegò lei. «Ti auguro buonanotte e grazie di tutto.» aggiunse, scendendo dall'auto.

«Ti accompagno.» propose lui, raggiungendola.

«Abito nella casa a fianco, non c'è bisogno.»

«Un cavaliere accompagna sempre la propria dama a casa dopo una serata. Non vuoi mica che il maestro Sandoval mi rimproveri!» esclamò Martin per stemperare l'atmosfera tesa che si era creata.

Fortunatamente Diana reagì alla battuta regalandogli uno di quei sorrisi che lui adorava.

Con un lieve batticuore, Martin l'accompagnò sulla porta.

«Buonanotte Diana.» sussurrò, sentendosi stranamente teso.

«Buonanotte Martin e grazie di tutto.» rispose Diana, recuperando le chiavi dalla borsa ma lasciandole cadere a causa del lieve tremolio alle mani.

Istintivamente entrambi si chinarono a raccoglierle così, quando alzarono lo sguardo, i loro visi si ritrovarono a pochi centimetri l'uno dall'altra.

Incapace di resistere ancora all'impulso che sentiva crescergli dentro, Martin portò una mano alla guancia di Diana e l'attrasse a se.

Le loro labbra stavano quasi per sfiorarsi quando la luce sul portico si accese.

Ebbero appena il tempo di rialzarsi prima che il portone si spalancasse.

«Ragazzi, mi era sembrato di sentire la vostra macchina!» esclamò Viviane, sorridente, ignara di ciò che aveva interrotto. «Andata bene la serata?»

Martin volse lo sguardo su Diana, in cerca di un indizio su cosa doveva rispondere.

«Diciamo di si, a parte il fatto che il maestro di Barbara è un pazzo.» rispose lei per entrambi.

«Martin allora ci vediamo domani mattina per i pancake. Buonanotte e grazie.» lo salutò la donna, facendosi di lato per far passare la figlia.

«Ah si, ok!» rispose lui, un po' distratto. «Buonanotte.»

«Ciao.» mormorò Diana, sparendo dietro la porta.

Mentre i due si allontanavano, una per andare in camera sua, l'altro per raggiungere la sua casa, non potevano fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se quella luce non si fosse accesa, se quel portone non si fosse aperto e, a quel pensiero, sentivano il cuore battere più forte, mille confusi pensieri attraversagli la testa e una flebile speranza crescere e farsi spazio nei loro cuori.



Fine


Angolo dell'autrice: Con questa One-shot si conclude la mia Dartin Week. Spero che

le mie storie vi siano piaciute.

Un abbraccio.

Notteinfinita.


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