Moonlighters

di Vally98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** Curiosare ***
Capitolo 3: *** Silenzio ***
Capitolo 4: *** Cambiamenti. ***
Capitolo 5: *** Non pensarci. ***
Capitolo 6: *** Insonnia ***
Capitolo 7: *** Chiarezza ***
Capitolo 8: *** In attesa ***
Capitolo 9: *** Notte di luna piena ***
Capitolo 10: *** Makutu ***
Capitolo 11: *** Il quarto giorno ***
Capitolo 12: *** In pericolo ***
Capitolo 13: *** Jutovish ***
Capitolo 14: *** Piccola lotta con l'imbarazzo ***
Capitolo 15: *** Tra lacrime e sorrisi ***
Capitolo 16: *** Scampato pericolo ***
Capitolo 17: *** Piano d'attacco ***
Capitolo 18: *** Yipada ***
Capitolo 19: *** Baci mancati ***
Capitolo 20: *** Diamo inizio alla caccia ***
Capitolo 21: *** Forza e coraggio ***
Capitolo 22: *** Sparito? ***
Capitolo 23: *** Barriere ***
Capitolo 24: *** Salvami ***
Capitolo 25: *** Arroganza ***
Capitolo 26: *** Antipatie ***
Capitolo 27: *** Carenza di normalità ***
Capitolo 28: *** Rivelazioni ***
Capitolo 29: *** Malintesi ***
Capitolo 30: *** Scoperte ***
Capitolo 31: *** Ombre ***
Capitolo 32: *** Strategie ***
Capitolo 33: *** In fuga ***
Capitolo 34: *** Per salvarsi la pelle ***
Capitolo 35: *** I segreti del bosco ***
Capitolo 36: *** Interrogatorio ***
Capitolo 37: *** Verità nascoste ***
Capitolo 38: *** Appuntamento a cena ***
Capitolo 39: *** Legami ***
Capitolo 40: *** Colpi di scena ***
Capitolo 41: *** Primo quarto di luna ***
Capitolo 42: *** Non. Pensare. ***
Capitolo 43: *** Nemeton ***
Capitolo 44: *** Nebbia ***
Capitolo 45: *** Illusa ***
Capitolo 46: *** Stupidi inganni ***
Capitolo 47: *** In trappola ***
Capitolo 48: *** Domande... e risposte ***
Capitolo 49: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 50: *** Normalità ***
Capitolo 51: *** La verità negli inganni ***
Capitolo 52: *** Questione di fiducia ***
Capitolo 53: *** Una serata normale ? ***
Capitolo 54: *** Lupi Mannari ***



Capitolo 1
*** Primo giorno di scuola ***


Mi chiamo Sidney, Sidney Jones. Frequento il penultimo anno della scuola superiore della cittadina di Beacon Hills. È questo che di solito dico quando mi presento a degli sconosciuti. Solo questo. Lascio che siano gli altri a scoprirmi col tempo, senza svelare nulla di me stessa.
Mi sono trasferita a Beacon Hills all'inizio dell'estate, perché mio padre ha comprato un locale qui e ha deciso di aprire un ristorante. È il suo sogno da una vita.
Così, mentre i suoi desideri si sono avverati, io ho dovuto spezzare i legami che avevo stretto da anni con i miei amici di San Francisco. Dove sono nata e dove ho sempre vissuto. Fino ad ora.
Questa cittadina non mi dispiace, però confesso che mi manca molto la vita della grande città, che è completamente diversa. Dovrò farci l'abitudine.
Qui c'è una strana atmosfera. Ancora non ho capito di che si tratti ma... c'è un che di surreale. Non saprei dire se la cosa mi spaventi o mi ecciti, devo ancora stabilirlo.
Oggi è il mio primo giorno di scuola, nella nuova scuola. Sarà difficile, perché probabilmente in un posto così piccolo tutti i ragazzi si conoscono. Sarò l'intrusa, piombata all'improvviso nelle loro vite. Sempre se si accorgeranno di me.
Mio padre si ferma davanti alla scuola.
- Allora? Sei pronta?
Guardo l'edificio, al di là del finestrino. Ha un bell'aspetto, anche se non è molto grande. Ha i muri bianchi e molte finestre ed è circondata da un verde giardino con sentierini di ciottoli, affollati di studenti.
- No, credo che non sarò mai pronta per questo - dico tra me e me.
Scendo dalla macchina e chiudo la portiera. Solo allora saluto mio padre con un cenno della mano. Poi gli do le spalle e sento che la macchina riparte.
Sospiro: è ora di entrare, di mescolarmi con quella marea di studenti che si abbracciano e si baciano, tutti contenti di rivedersi.
Io non ho nessuno da abbracciare e inoltre, in tutto questo caos, nessuno si accorgerà di me.
Mi faccio coraggio e muovo qualche passo verso l'ingresso, tentando di sembrare sicura e tranquilla. Mi è molto difficile, lo riconosco.
Colgo qualche sguardo che si posa su di me, ma sono troppo agitata per capire se mi stiano giudicando oppure ammirando. Sinceramente non mi interessa, in questo momento. Voglio solamente raggiungere la mia classe, sopravvivendo a questo umiliante tragitto.
Entro nella scuola. C'è molta meno gente rispetto a fuori, così mi sento più rilassata a camminare lungo il corridoio, tra gli ingressi alle aule e le file di armadietti.
Ieri, quando sono venuta a vedere la scuola, mi hanno mostrato dov'è il mio. Cerco di ricordarlo, ma in questo momento mi sembrano tutte scatole di metallo identiche tra loro.
All'improvviso mi ricordo che si trova molto vicino all'aula di economia, così accelero il passo, leggendo le insegne sulle porte delle aule.
Quando leggo "Economia" scritto su un cartello, appeso alla maniglia di una delle porte, sospiro. Il mio armadietto è sicuramente nelle vicinanze.
Lo riconosco e inizio a girare la manopola del lucchetto. La ruoto in modo che si fermi prima sul numero 6, poi sul 4, poi sull'8 e infine sul 2. Era questo il mio codice.
Tento di aprire lo sportello, ma il lucchetto sembra non essere scattato.
Allora ripeto il codice, ma nulla, l'armadietto non si apre.
Lascio cadere la testa contro il metallo, che tintinna, mentre sbuffo, già stufa di questo posto.
- Posso aiutarti? - sento una voce alle mie spalle.
Mi volto di scatto e mi trovo davanti un ragazzo. È alto, coi capelli corti, castani; ha gli occhi dolci, marroni. È poco più alto di me e ha un fisico snello. Indossa una maglietta bianca e sopra una camicia a quadretti, aperta.
Non riesco ad interpretare il suo sguardo, perciò rimango in silenzio ad osservarlo. Non capisco se vuole che mi levi di torno, se invece sta gentilmente provando ad aiutarmi, vedendo che non sono a mio agio, o cos'altro.
All'improvviso mi ricordo che mi ha fatto una domanda e mi riscuoto.
- Ehm... no, cioè;... no, scusa.
Abbasso lo sguardo.
- No, nel senso... quello è il mio armadietto - dice, mi pare ridacchiando.
- Cosa? - mi sposto di lato - scusami io... pensavo fosse il mio.
Il ragazzo mi sorride.
- Sei nuova, vero? Non credo di averti mai vista.

- Sì, mi sono trasferita all'inizio dell'estate - sospiro e noto che lo sconosciuto sta piegando la testa di lato, come se mi stesse studiando.
- Beh, allora benvenuta a Beacon Hills.
Sorrido di ricambio.
Lo osservo mentre ruota rapidamente il lucchetto che scatta, al contrario di come aveva fatto con me.
- Vuoi che ti aiuti a cercare il tuo armadietto? - chiede il ragazzo, mentre fruga all'interno del suo.
- Emh... no, no grazie. Credo che per ora ne farò a meno.
Lui mi guarda un po' stranito, poi ridacchia.
- Da dove vieni? - richiude l'armadietto e si appoggia con la spalla contro di esso, girato totalmente verso di me.

- San Francisco.
- Uh, wow. Dalla grande città alla cittadina... non dev'essere facile.

- Finalmente qualcuno che se ne rende conto - il nervosismo sta passando - ci sei mai stato? A San Francisco intendo.

- No, mai - noto un pizzico di rammarico nella sua voce.
- Peccato - dico, un secondo prima che suoni la campanella.
Il ragazzo si rimette dritto in piedi.
- Immagino che ci vedremo in giro - dice, muovendo qualche passo all'indietro.
Annuisco, mentre tutta la massa di studenti che ho intorno e che ho notato fino ad ora, si dirige nelle classi.
- Ah - continua, prima di andarsene - mi chiamo Styles.
Così dicendo si volta e sparisce tra la calca di studenti.
Io sorrido.
- Vedrò di ricordarmelo.

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Capitolo 2
*** Curiosare ***


Okay sono riuscita a sopravvivere alle lezioni di questa mattina e all'imbarazzo di quando i professori mi hanno presentata agli studenti dei corsi che frequenterò.
Quando suona la campanella che annuncia la pausa pranzo mi sento sollevata.
La ragazza che ho avuto accanto durante quest'ultimo corso mi blocca, mentre sto racimolando le mie cose.
- Andiamo a pranzo insieme? - mi chiede, con un sorriso dolce.
Si era già presentata appena la lezione era iniziata. Si chiama Alyssa e sembra essere simpatica. Ha cercato fin da subito di stringere amicizia con me, forse per evitare che mi trovi da sola in questa nuova scuola.
- Volentieri - ho risposto, sorridendo anche io.
Aspetta che raccolga i libri, i quaderni e l'astuccio e poi usciamo dall'aula.
Lasciamo il materiale scolastico negli armadietti e poi ci avviamo verso la mensa.
C'è già molta gente: alcuni ragazzi sono seduti ai tavoli coi loro amici, mangiando e ridendo; altri sono in coda per prendere da mangiare, coi vassoi stretti in mano; altri ancora vagano per il refettorio, apparentemente senza meta.
Io seguo Alyssa senza fare domande. Sicuramente lei sa come funziona il "momento pranzo" perciò mi affido a lei.
- Dunque dunque - inizia a parlare mentre siamo in coda - come ti trovi?
- è ancora presto per dirlo, però ho avuto una bella impressione di questa scuola.
- Vedrai, non ci metterai molto ad ambientarti. I professori sono esigenti, ma ti aiutano molto, e la maggior parte dei ragazzi sono simpatici.
Mi torna in mente il ragazzo di quella mattina, Styles, e sorrido. Anche lui si era dimostrato un bel tipo, gentile.
- Non so, non sono brava in queste cose - ribatto.
Alyssa sorride e per la prima volta faccio caso a quanto sia carina.
Ha i capelli lunghi, castani, ondulati da morbidi boccoli. Ha gli occhi marroni, quasi neri, vispi e attenti. E ha un sorriso perfetto e dolcissimo.
All'improvviso sembra scorgere qualcuno, lontano. Lo saluta con un cenno della mano e quando mi giro riesco a riconoscere un ragazzo che ricambia il saluto.
Alyssa coglie il mio sguardo curioso.
- è Leonard, ci conosciamo da quando siamo piccoli - mi spiega - ci terrà il tavolo, dopo te lo presento.
Arriva il nostro turno di scegliere il cibo. Mi accorgo subito che la qualità del pasto è nettamente inferiore rispetto a quello che servivano nella mia scuola a San Francisco, ma non è il momento di fare la schizzinosa.
Salto la zona in cui servono i primi, e anche quella dei secondi. Mi fermo solo davanti alla verdura. Prendo un po' di insalata, con pomodori e cipolla, olio e aceto, poi seguo Alyssa verso il tavolo.
- Ciao ragazzi - esclama lei, sorridente, appena ci sediamo.
Io non so cosa dire, così mi limito ad un cenno della mano.
Ci sono altre quattro persone, oltre a noi. Uno è Leonard, che ho riconosciuto anche se prima l'ho visto solo in lontananza; poi c'è una ragazza esile e piccola di statura, coi capelli lisci rossicci e un'espressione vivace. Se dovessi attribuirle un'età non le darei più di quindici anni. E infine ci sono altri due ragazzi, uno con gli occhiali tondi e i capelli scompigliati e uno coi capelli color cenere e due possenti braccia.
- Ragazzi, lei è Sidney - esclama Alyssa tutta eccitata - è nuova.
Io smorzo un sorriso, mentre tutti mi guardano come un trofeo.
- Io sono Leonard - si presenta il primo.
Ha un'aria intelligente e ha un aspetto curato.
- Stacey - dice la ragazza dai capelli rossi.
- Ronald.
- Davìd - termina il ragazzo biondo - ma ti ho già incontrata, stamattina, alla seconda ora eravamo entrambi al corso di storia.
Cerco di ricordarmi di lui, ma ho incontrato troppe facce nuove, questa mattina e la sua non sembra familiare.
- Uh sì - rispondo - mi sembra di ricordarmi di te - mento.
Così il pranzo trascorre piuttosto piacevolmente, in compagnia di questi ragazzi. Mi riempiono di domande e io quasi fatico a rispondere a tutte.
Però, in fondo, sono contenta che mi riservino così tante attenzioni.
Dopo il pasto andiamo in cortile, mi mostrano tutto il giardino della scuola, indicano alcuni studenti, di tanto in tanto, dicendomi qualcosa su di loro.
- Quello è Jackson, è il ragazzo più bello della scuola.
- Quello è Tom, stai alla larga da lui.
E così via.
Io ascolto, divertita, cercando di tenere a mente tutte le loro osservazioni.
Quando Stacey guarda l'orologio, annuncia che le lezioni stanno per riprendere, giriamo i tacchi e torniamo verso la scuola.
Prima di entrare, però, mi guardo attorno un'ultima volta.
Per caso, mi cade l'occhio in un angolo del cortile, vicino ad una scalinata, dove c'è un gruppo di ragazzi dall'aria seria e affascinante che discutono. Riesco a riconoscere uno di loro, che mi sta guardando: Styles.

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Capitolo 3
*** Silenzio ***


Dopo le lezioni del pomeriggio, quando tutti gli studenti sono tornati a casa, io sono rimasta a scuola.
I professori vogliono parlarmi. Non ho ancora fatto nulla di male, perciò penso vogliano semplicemente darmi il benvenuto o spiegarmi qualcosa inerente alla scuola.
E infatti è così. Rimango ad ascoltarli per un paio d'ore, mentre mi parlano degli orari scolastici, il materiale necessario e altre cose del genere. Scopro che c'è una squadra di lacrosse piuttosto promettente.
Sono stanca, dopo il primo giorno di scuola, perciò non riesco a seguire con molta attenzione i discorsi dei professori.
Quando finiscono di parlare e finalmente posso tornare a casa, sono già le sei.
Non abito molto lontano dalla scuola e stamattina ho studiato la strada, mentre mio padre mi accompagnava in macchina. Ora mi tocca ripercorrerla al contrario a piedi.
Tiro fuori l'iPod dalla borsa e inizio ad ascoltare la musica, mentre procedo a passo rapido sul marciapiede.
Mi guardo attorno e mi trovo costretta ad ammettere che Beacon Hills è piuttosto carina.
Ma quando non c'è nessuno in giro e c'è questo silenzio quasi fastidioso, sembra che... qualcosa sia sbagliato.
è una strana sensazione, ma a volte è così vivida che sono convinta non si tratti solo della mia immaginazione.
Rabbrividisco e poi accelero il passo.
Arrivo a casa quasi correndo e trovo mio padre in cucina che prepara la cena.
- Non ci posso credere - dico avvicinandomi a lui - a casa a quest'ora? Wow, che è successo?
Gli stampo un bacio sulla guancia, lasciando cadere a terra lo zaino di scuola.
- Sono qui solo per te.
- Uo uo, che onore.
Mi dice che dopo cena devo tornare al ristorante e io gli rispondo che non è un problema.
Lo lascio ai fornelli per andarmi a fare la doccia, prendendomela comoda e rilassandomi sotto l'acqua calda.
Dopo essermi cambiata lancio di sfuggita uno sguardo fuori dalla finestra. è tutto immobile, mentre il buio avanza.
All'improvviso passa un ragazzo per strada, camminando veloce. Sorrido: dunque c'è qualcun altro che qualche volta gironzola per la cittadina! Stavo iniziando a credere di essere l'unica.
Torno in cucina da mio padre, che ha già apparecchiato e sta per scolare la pasta.
- Come sei efficiente - gli sorrido.
Ci mettiamo a tavola e, come mi aspettavo, iniziamo a parlare della scuola.
- Com'è andato il primo giorno?
- Bene, bene - rispondo sinceramente - ho già fatto amicizia.
- Buono - mi risponde papà, mangiando un boccone di pasta.
Se c'è qualcosa che amo profondamente, al mondo, quella è la pasta. La mangerei anche due o tre volte al giorno, con qualsiasi condimento. E non smetterebbe mai di piacermi.
- I professori come sono?
- Sembrano severi. Ma sono bravi a spiegare.
Segue un attimo di silenzio. Riesco a sentire la forchetta di mio padre girare nel piatto e il ticchettio dell'orologio sul muro.
- E la tua giornata com'è andata? - chiedo.
- Benissimo. Il ristorante è pieno di clienti.
- Strano, in una città così piccola - commento.
- Non così strano. Qui le voci girano in fretta. Tutti hanno saputo che un nuovo ristorante ha aperto e perciò in molti vogliono provarlo.
Annuisco, concordando con lui.
La cena passa lentamente, tra una portata e l'altra, ma verso le nove mio padre esce per tornare al locale.
Sono combattuta tra l'idea di leggere un libro o accendere la tv.
Scelgo il libro, ma riesco appena a finire un capitolo, quando il mio telefono inizia a squillare.
- Ciao tesoro, sono io - la voce di mio padre - avrei bisogno di un grande favore.
- Sì, dimmi.
- Potresti portarmi il portafoglio? L'ho dimenticato in cucina. Scusa, mi dispiace farti uscire a quest'ora, ma...
- Papi, non preoccuparti. Arrivo tra cinque minuti.
Immagino che stia sorridendo, compiaciuto, dall'altro lato del telefono.
Sospiro, chiudo il libro e cerco il portafoglio.
Quindi esco di casa, chiudendo la porta a chiave e prendo la strada verso il ristorante.
Come promesso, in meno di cinque minuti sono lì, e consegno ciò che mi è stato chiesto.
Quando lascio il locale mi rendo conto di quanto sia scura la notte.
Sospiro e cerco di camminare veloce, perché quello strano tragitto attraverso il buio e il silenzio è piuttosto spaventoso.
Più o meno a metà strada, però, sento come un fruscio.
Mi guardo attorno, per capire se c'è qualcun altro, oltre a me, ma la luce fioca dei lampioni illumina marciapiedi deserti e giardini vuoti.
Deglutisco il groppo che ho in gola e continuo a camminare, ancora più veloce, stavolta.
All'improvviso compare una macchina. Viene dalla direzione opposta alla mia e si sta avvicinando con una grande velocità.
Mi chiedo chi possa essere così pazzo da infrangere in quel modo i limiti a quell'ora e in un paesino simile.
Faccio giusto in tempo a pensare ciò, che la macchina sbanda pericolosamente. Prima che possa fare qualsiasi tipo di movimento, la vedo attraversare orizzontalmente la strada, totalmente fuori controllo e avvicinarsi a me ad una velocità incredibile.
Grido, terribilmente spaventata, con il cuore a mille e quasi le lacrime agli occhi per la paura. Non riesco a muovermi e so che in meno di mezzo secondo l'auto mi prenderà in pieno.
All'improvviso sento come una forza potentissima spingermi via, come se si trattasse di un violento soffio di vento. Sento i piedi sollevarsi da terra e il mio corpo cadere lontano.
Riesco a sentire, però, il rumore dello schianto della macchina.
Mi accorgo di stare tremando.
In giro non c'è nessuno. Solo io, la macchina, e un possibile conducente.
A fatica mi alzo, mentre le gambe tremano pericolosamente. Il cuore mi martella nelle orecchie e vorrei gridare ancora.
Invece lentamente mi avvicino all'auto, distrutta dall'impatto contro un tronco d'albero.
C'è puzza di... qualcosa di chimico che non riesco a riconoscere.
Non riesco ad impedire alle mie mani di tremare, mentre muovo passi incerti verso la portiera dal lato del guidatore.
Non ci sono suoni e niente sembra muoversi, eccetto il fumo che si leva dal cofano.
Deglutisco a fatica, mentre il silenzio che aleggia nell'aria mi perfora i timpani più di quanto potrebbe fare un grido.
Un altro passo. Un altro passo. Lentamente.
Ormai sono accanto all'auto. C'è il finestrino aperto, ma dentro è buio e ancora non riesco a distinguere niente.
Mi avvicino ancora. Piano. Tremando.
Sporgo la testa verso l'interno, nel tentativo di guardare nell'abitacolo, mentre il cuore mi martella il petto.
Sembra tutto immobile, tutto silenzioso. Perciò le condizioni sono due, constato: o non c'è il guidatore (molto improbabile), o è morto o gravemente ferito.
Sono pronta per scoprire quale delle due ipotesi si avvicina di più alla realtà?
Forse no, ma prendo un respiro profondo e avvicino il viso all'apertura lasciata dal finestrino.
Stringo gli occhi, per tentare di distinguere i contorni e le figure all'interno.
Poi il mio cuore sobbalza: una schiena, di un corpo drasticamente gettato sul volante.
Trattengo un urlo, spaventata da quella visione. Ma un secondo dopo qualcosa scatta fuori dal finestrino. È un braccio. Cinque dita si stringono attorno al mio polso. Grido e cerco di liberarmi da quella presa.
Inizia a fare male, tanto le dita sono strette sul mio braccio.
Sono terrorizzata. Guardo il corpo, nell'auto.
Si sta sollevando, lentamente, molto lentamente.
- Mi lasci!
Il guidatore si volta lentamente verso di me. Sembra essere una dura impresa.
Il viso che ho di fronte è di una donna, una donna piuttosto avanti con gli anni. È ricoperto di ferite e di sangue. È disgustoso.
Incrocio i suoi occhi. Sono tristi e pieni di dolore, mentre io sento solo paura.
- Mi lasci! - ripeto disperata, quasi alle lacrime.
- Tu...- dice la donna, quasi gracchiando. Non ha più forze, è evidente - a... aiutali.
Termina così la frase, come se fosse il suo ultimo respiro. E forse lo è.
Ma non è il suo ultimo gesto.
Mentre il suo corpo ricade inerme sul volante le sue dita lasciano la presa sul mio polso, ancora stretta, ma prima che il braccio della donna ricada senza vita, si agita nell'aria e colpisce il mio.
Sento un dolore fortissimo e mi raggomitolo su me stessa, mentre ormai ho la triste certezza che la signora nell'auto non respiri più.
Inizio a piangere, sconvolta, stringendo il braccio dolorante al petto.
Tremo ancora. Terribilmente.
Sento un rumore di passi, ma ormai non ho la forza di muovermi.
Due braccia mi afferrano per le spalle e mi tirano in piedi. Io mi abbandono totalmente, senza opporre resistenza.
Ho ancora negli occhi l'immagine di quelli della donna, il suo dolore, il sangue, la sua voce.
"Aiutali". Ma chi? Di che parlava? Cos'è successo? Chi mi sta facendo alzare?
All'improvviso tutte le domande invadono la mia testa come uno tsunami.
Cerco di respirare regolarmente, ma tremo dalla paura.
- Va tutto bene - dice una voce che non conosco - tranquilla.
- Che facciamo?
- Maledizione.
Altre voci.
Voglio sapere chi sia lì con me, ma non riesco a parlare e non vedo altro che il volto di quella donna proiettato nei miei occhi e nella mia testa.

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Capitolo 4
*** Cambiamenti. ***


Sono in un grande appartamento, più simile ad una fuorilegge palestra di box che ad una casa.
Sono seduta su un divano eccessivamente morbido, con una tazza di tè fumante accanto ai miei piedi.
- Come ti senti? - è la stessa voce che mi ha parlato dopo l'incidente.
Ora non tremo più, ma l'immagine di quella donna, nell'auto, che muore è impressa nella mia mente.
Non rispondo.
- Chi siete? - chiedo invece.
Per la prima volta guardo il ragazzo che mi è seduto accanto.
Ha gli occhi scuri, quasi neri, e selvaggi capelli castani, con un ciuffo che attraversa la fronte. Ha due braccia muscolose e un'aria molto seria.
- Mi chiamo Scott.
Osservandolo bene mi rendo conto di averlo già visto. Rimango a pensarci a lungo, e poi ricordo che era nel gruppo di ragazzi che discuteva sulla scalinata della scuola, quel pomeriggio.
Non mi presento. Sembra ancora tutto troppo strano perché io mi esponga.
Si fanno avanti altri ragazzi, che compaiono dal buio dell'appartamento. Guardano me e poi Scott e sembrano tutti molto pensierosi.
Sono in quattro, ma non faccio molto caso a loro. Voglio risposte.
- Ho talmente tante domande da fare che non so da dove iniziare - dico, scorrendo lo sguardo su tutti i presenti.
Incrocio due occhi familiari, castani. Corrugo la fronte e riconosco Styles, il ragazzo incontrato quella mattina. è impassibile, e nemmeno io mi dimostro sorpresa. Però lo sono.
Sono tutti ragazzi del liceo, molti li ho visti a scuola, anche se vagamente.
- Ti diremo tutto - risponde Scott, e io mi volto a guardarlo - ma prima voglio vedere il tuo braccio.
Mi accorgo che lo sto ancora stringendo al petto. Lo allontano leggermente, ricordando quanto mi facesse male poco fa.
Quando abbasso gli occhi mi rendo conto che c'è un lungo e profondo taglio lungo l'avambraccio. La pelle è ricoperta di sangue, e anche la mia maglietta, ora che ci faccio caso.
è stata quella donna, poco prima di morire. Ma... perché?
Scott ignora il mio sguardo inorridito e confuso e mi prende delicatamente il braccio. Lo tira verso di sé e inizia ad osservarlo.
Mi sento sempre più persa e non capisco che cosa stia succedendo.
Il ragazzo avvicina il dito alla ferita, e sfiora la mia pelle. Fa male e lui lo capisce dal mio tentativo di ritrarre il braccio.
- Aspetta - mi dice con autorità.
Io rimango immobile e mi guardo attorno, nel vano tentativo di trovare qualche risposta. Per caso, il mio sguardo incrocia quello di Styles, che coglie la mia disperazione.
Non so dire come, ma sembra che i suoi occhi mi sorridano, ora. Come per rassicurarmi.
Faccio un sospiro e distolgo lo sguardo.
Scott affonda il suo dito nel taglio. Io grido per il dolore e strattono il braccio, ma lui lo sta stringendo con forza.
Mi sembra che il male si prolunghi a lungo, e intensamente. Poi il ragazzo lascia la presa.
- L'ha dato a lei - dice, agli altri, non a me - il suo potere.
I ragazzi si guardano l'un l'altro, non saprei dire se rassicurati o preoccupati. È tutto troppo confuso.
- Di che parli? - sbotto.
L'unica ragazza del gruppo sparisce, per tornare subito dopo con dei cerotti e della garza.
Si siede al posto di Scott, che raggiunge gli altri, e inizia a medicarmi.
- Mi chiamo Allison - dice, dolcemente.
Ha un ampio viso squadrato, due occhi autoritari e quando mi sorride due simpatiche fossette compaiono sulle sue guance. Ha i capelli raccolti in una coda dietro la testa, castani e lisci.
- Mi dici cosa è successo? - ribatto, scortese.
Lei non si scompone e continua a medicarmi.
- Diciamo che qualcuno ti ha fatto un dono. Un dono meraviglioso e pericoloso al tempo stesso - dice lei, ma questo non mi aiuta a fare chiarezza - si tratta di un potere speciale.
- Un potere? - dico, come se non ci credessi per niente - si tratta di magia e cose simili? Perché, sai, io non ci cre...
- Beh dovresti iniziare a crederci - dice lei.
Io rimango in silenzio. Non riesco nemmeno a pensare a quello che sento, tanto sembra assurdo.
- Qui siamo tutti... particolari - continua lei, più gentile.
Segue un attimo di silenzio, in cui io mi concedo il tempo di elaborare le sue parole e lei aspetta che ci riesca.
- Che cosa intendi con "particolari"? - chiedo, ma non so se voglio sapere la risposta.
- Lupi mannari - si intromette una voce roca.
Mi giro per capire a chi appartiene e vedo Scott. Che però sembra totalmente diverso, da com'era poco fa.
Il suo viso è contorto in una smorfia animale. Ha come delle folte basette sui lati delle guance e occhi disumani. L'iride è rosso fuoco e quando il ragazzo sorride compaiono due file di denti dritti, con due canini anormalmente aguzzi.
Rabbrividisco. Non... non sembra un essere umano, non più. In quel momento lui allarga le braccia e ruggisce, proprio come un lupo o un leone.
Intanto noto gli artigli appuntiti che hanno sostituito le unghie.
Ho un'espressione spaventata e confusa e il cuore mi batte all'impazzata.
Lupi mannari? Da quando esistono i lupi mannari!? Non ho mai creduto a queste cose e cerco di non farlo nemmeno ora, ma è difficile, avendo un esemplare in carne ed ossa davanti agli occhi.
- Sei... sei un lupo mannaro? - gli chiedo, con la voce che trema.
Alle sue spalle compaiono altri due dei ragazzi che ho visto prima, tutti più simili ad animali selvaggi che ad esseri umani.
I loro occhi famelici mi terrorizzano. All'improvviso mi sento terribilmente in pericolo.
Mi prendo la testa tra le mani ripetendomi che nulla di tutto ciò è reale.
I minuti sembrano passare lentamente, ma sento che nessuno attorno a me si sta muovendo.
Allison mi prende le mani delicatamente e mi costringe ad alzare lo sguardo.
- Non siamo cattivi, nessuno di noi - mi spiega - però siamo reali.
Respiro a fatica e ho la testa che scoppia.
- Siete lupi mannari - dico a me stessa - certo, è normalissimo.
è un modo per autoconvincermi, ma non funziona granché.
- Anche tu? - chiedo ad Allison - anche tu sei come loro?
- No - mi sorride - io sono come... sono umana.
Stava per dire "come te" o sbaglio? Perchè si è corretta? Io sono umana.
- E Styles? - chiedo.
- Styles? - sembra sorpresa che io lo conosca, ma non mi chiede nulla in merito - beh, anche lui è umano.
Cerco di fare mente locale, anche se ancora non credo a nulla di tutto ciò che vedo e che sento.
- Dunque ci sono due umani e tre lupi mannari...
- Ce ne sono altri, in realtà - commenta Scott che è tornato ad avere sembianze umane - là fuori è pieno. E ci sono molte altre creature soprannaturali come noi.
Sospiro. Okay le cose sono più complesse di quello che sembra.
Lupi mannari. Tze. Guarda un po' a cosa sto iniziando a credere.
- Sidney.
Il mio cuore sobbalza, sentendo chiamare il mio nome.
Styles si avvicina al divano.
Sembra quello più minuto, quello più docile e meno aggressivo tra tutti. Eppure ha un fascino particolare, intelligente.
- Credo che anche tu stai... entrando a far parte di quelli come noi - mi dice, indicando la ferita sul mio braccio con un cenno del mento.
- Cosa?! - ribatto incredula - stai dicendo che sto diventando un lupo mannaro!?
- No - risponde lui, calmo - qualcos'altro.

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Capitolo 5
*** Non pensarci. ***


  Scott e Styles camminano accanto a me, sul marciapiede. Mi stanno accompagnando a casa, ma per me è come se loro non ci fossero.
I mille pensieri che ho nella testa turbinano ad una velocità incredibile, tanto che finisco col non pensare a niente.
A volte i due ragazzi cercano di farmi parlare, come per farmi distrarre un po' o assicurarsi che stia bene.
Ma non sto bene. Insomma... una donna è appena morta sotto i miei occhi, e io stessa ho rischiato di venire investita. E poi c'è questo taglio strano che ora ho sul braccio, e quest'assurda gang di fanatici del soprannaturale che mi ha rifilato una marea di... Non posso definirle frottole, nonostante mi sia così difficile crederci.
Io li ho visti con i miei occhi. Scott e gli altri tre ragazzi. Loro sono davvero lupi mannari, io... io l'ho visto. E' sicuro che quei denti aguzzi e quegli artigli affilati non sono umani.
- Okay ragazzi. Questa è casa mia - dico quando raggiungiamo il mio giardino - grazie per il passaggio.
Ho come una sorta di fretta di liberarmi della loro compagnia, come se questo potesse cancellare tutti gli avvenimenti di quella sera.
- Aspetta - mi ferma Scott. Ha un'aria seria, quasi grave. Styles gli lancia uno sguardo, come di disapprovazione.
Sospiro: quanto durerà ancora questa serata? Non vedo l'ora di andare a letto e far finta che sia stato solamente un sogno.
- Tu hai bisogno di noi - dice Scott, con una sicurezza tale da stupirmi. Sollevo un sopracciglio, perplessa.
- Io ho bisogno di voi? - ripeto, chiedendolo anche a me stessa.
- Sì - si limita a rispondere lui - tu non hai idea di quello che sta succedendo. Solo noi possiamo aiutarti, o la situazione ti sfuggirà di mano.
- Ma... di cosa stai parlando!? Quale situazione? - ribatto, seccata - io sto bene e...- scuoto la testa - voglio solamente dimenticare questa serata. Okay?
- Come se pot...- sbotta Scott, ma Styles lo interrompe con un gesto del braccio.
- Ne riparliamo domani, magari - mi dice con gentilezza.
- Senza fretta - ribatto - possiamo anche non parlarne mai più.
A quel punto Scott si gira e tenta di dire a bassa voce qualcosa al suo amico, ma senza sforzarsi di non farmi sentire.
- Non si rende conto.
- Scott - dice Styles con durezza - senza fretta.
Apprezzo la premura che ha per non farmi sentire sotto pressione e spaventata. Scott finora non si è dimostrato molto delicato, al contrario.
Rimango a guardarli qualche secondo, mentre loro si osservano a vicenda.
Vengo esclusa dai loro messaggi di sguardi, ma non mi importa. Voglio solo andare a casa e chiudere questa storia.
- Okay - dico all'improvviso, avviandomi verso l'ingresso - addio.
Sento i loro sguardi puntati contro e so che vorrebbero - soprattutto Scott - fermarmi un'altra volta.
Eppure non sento voci alle mie spalle, perciò continuo imperterrita verso la porta di casa.
Prima di entrare mi volto e mi accorgo che sono entrambi ancora sul marciapiede ad osservarmi.
Mi rivolgono un impacciato cenno della mano, per salutarmi, e all'improvviso li vedo come due semplici adolescenti imbarazzati.
Mi obbligo a non pensare a nulla, a spegnere il cervello, per il resto della sera.
Presto la porta di ingresso si richiude alle mie spalle, chiudendo fuori tutti i pensieri che non voglio, ma dovrò affrontare.  

 Non riesco a dormire. 
Sono stesa a letto da ore ma ho paura di chiudere gli occhi: ogni volta che lo faccio mi trovo davanti il viso della donna che ho visto morire. Perché non l'ho aiutata? Forse avrei potuto salvarla. O forse no.
Comunque ora, se Scott, Styles, Allison e gli altri hanno ragione, ho una parte di lei dentro di me. E non ho idea di cosa si tratti e ho paura a scoprirlo.
Provo a smettere di pensare, ad ascoltare la musica, a bere un goccio di tè. Ma proprio mentre lo sorseggio, raggomitolata sulla poltrona, mi rendo conto che sono le quattro e che molto probabilmente non chiuderò occhio.
Pazzesco: sono in questa città da quattro mesi e ho saputo che sono avvenuti almeno una decina di decessi, in quest'arco di tempo, e stanotte ho assistito all'ennesimo caso.
Inizio a pensare che anche gli altri episodi non siano avvenuti in circostanze normali, e la cosa mi terrorizza.
Cosa succede in questo posto? All'inizio avevo pensato che si trattasse di una triste casualità, ma ora... tutta questa gente che perde la vita... ci deve essere qualcos'altro. Qualcosa di pericoloso.
I miei pensieri vanno avanti a torturarmi tutta la notte e il cuore mi martella nel petto per tutto il tempo.
Guardo le bende che avvolgono il mio avambraccio e ricordo la ferita che nascondono.
Delle semplici unghie umane non avrebbero potuto farmi un taglio simile.
L'immagine di Scott con gli occhi rosso acceso compare davanti ai miei occhi. Quasi grido, al ricordo del volto disumano che aveva rimpiazzato quello di un normale adolescente.
Che lo voglia o no, tutto questo è reale. E dovrò accettarlo.
- Che ci fai già sveglia? – chiede papà vedendomi sulla poltrona brandendo la tazza ormai vuota, mentre sciabatta verso la cucina.
"Vorrai dire ancora sveglia" penso, ma evito di dirlo.
- Mi sono svegliata una decina di minuti fa e non sono più riuscita a dormire – mento.
Lui sembra non fare caso alla mia risposta e sparisce nell'altra stanza.
Sento gli occhi pesanti e la testa che scoppia. Eppure non ho sonno e non ho voglia di dormire. Ma nemmeno di andare a scuola. O di incontrare quei tipi strani. Voglio solo rimanere su questa dannata poltrona.
- Cosa ti preparo? – chiede papà mentre traffica in cucina.
Guardo tristemente la tazza di tè che ho in mano da ore.
- Caffè, per favore – poi aggiungo – tanto, tanto caffè.
Guardo l'orologio incastonato nel petto di un gufo di legno poggiato sul camino: 6:42.
Mi alzo, senza forze e senza voglia, e vado in bagno. Mi sciacquo la faccia evitando il mio riflesso nello specchio. So di avere un aspetto orribile, non ne voglio la conferma.
Copro le borse sotto gli occhi con del fondotinta, metto un po' di mascara e di matita.
Poi mi vesto, in modo semplice, veloce. E pensare che l'abbigliamento di ieri era stato studiato per settimane, così da fare una buona impressione già il primo giorno di scuola. Oggi è il secondo, e già non mi importa più.
Afferro una t-shirt e un paio di jeans.
Raggiungo papà in cucina e lo trovo seduto a tavola che sorseggia il suo cappuccino leggendo il giornale. Senza dire niente scivolo sulla sedia accanto alla sua e afferro la tazza che lui ha lasciato sul tavolo per me.
Dopo essermi rifornita di caffeina, con gli occhi che bruciano da morire, mi metto una borsa a tracolla con l'astuccio, l'iPod, il telefono, il portafoglio e un block notes ed esco di casa.
- Ciao papà, a stasera – dico prima di chiudermi la porta alle spalle.
Non è una mattina calda, ma si sta bene.
Faccio a piedi tutta la strada fino a scuola, con le cuffie nelle orecchie e la musica ad alto volume, guardandomi, però, freneticamente attorno, come se temessi l'arrivo e lo schianto di un'altra auto.
Quando arrivo davanti alla scuola inizio a sentirmi fuori luogo e del tutto esclusa da quegli abbracci e da quei gruppi di ragazzi ridenti.
Per la prima volta, questa mattina, mi accorgo che, poiché indosso una maglietta a maniche corte, è visibile la benda che ho attorno al braccio. Mi maledico per essermene dimenticata e noto addirittura che c'è una lunga macchia rossa su di essa, come se la ferita avesse preso a sanguinare chissà quando e chissà come.
Mentre mi guardo intorno, riconosco Scott, Styles, Allison e gli altri ragazzi della sera precedente, seduti sulle scalinate nel cortile della scuola. Mi stanno fissando in modo fastidioso, ma io faccio finta di niente e cerco di uscire dalla loro visuale.
Prendo un respiro profondo e mi avvio verso l'interno dell'edificio.

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Capitolo 6
*** Insonnia ***


Le lezioni, a scuola, sono state lunghe e il tempo è passato lentamente.
Le parole degli insegnanti mi sono scivolate addosso come olio, mentre la mia mente era altrove.
Alyssa, che stamattina ha avuto quasi tutti gli stessi corsi che ho avuto io, mi ha osservata stranita per tutto il tempo, ma senza mai dire nulla.
Ora, a pranzo, cerco di starle attaccata, così da non imbattermi nel gruppo di Scott e gli "stra-strani". Se penso che li sto evitando mi sento una codarda, da un lato.
Arrivo al tavolo dove Leonard, Stacey, Ronald e David stanno già aspettando me e Alyssa.
- Non dirmi che mangi così poco - bisbiglia David inarcando le sopracciglia.
Guardo il mio piatto: una ciotola di macedonia e un panino.
- Sì, non... non ho fame - rispondo, sul vago.
E ancora la mia mente è attraversata da immagini flash di lupi mannari e di una donna che muore, rinchiusa in un auto. Sussulto.
- Ti senti bene? - mi chiede Alyssa, preoccupata - perché oggi non mi sembri in gran forma.
Incrociai gli sguardi di tutti i ragazzi presenti: erano preoccupati per me. La cosa mi intenerì, poiché, seppur non mi conoscessero che da un giorno, gli importava di come stessi.
Sorrisi, per rassicurarli.
- Sto bene, non preoccupatevi. Sono solo molto stanca.
- Notte in bianco, eh? - mormorò Leonard, come se capisse il mio stato.
- Già - annuii.
Iniziamo a mangiare e mentre tutti loro parlano del più e del meno io mi limito ad ascoltare.
A volte sorrido, a volte rido, quando lo fanno anche gli altri, giusto per mostrarmi partecipe e per non rivelarmi sin da subito la "ragazza strana e super-seria".
Dopo quelli che mi paiono minuti infiniti mi decido a fare una domanda che mi ero imposta di non porre.
- Ehy ragazzi - richiamo l'attenzione di tutti - per caso... sapete dirmi com'è possibile che qui a Beacon Hills c'è un alto numero di morti?
I ragazzi mi guardano allibiti per un secondo. Poi Ronald si china verso di me, come se volesse rivelarmi un segreto. Con il dito indice spinge gli occhiali in su, sul naso.
- Accadono cose strane, a volte - mi dice.
All'improvviso la mensa e tutto il vociare degli studenti cessa di esistere, per me. ci sono solo io, Ronald e la sua voce, e gli sguardi difficili da interpretare degli altri ragazzi.
- Nessuno sa di preciso di cosa si tratti e chi lo sa non ne parla.
- Sembra qualcosa di serio - commento.
- Lo è - dice Ronald, annuendo gravemente.
Scuoto la testa.
Non sapere niente rende così impotenti, così persi. Finalmente mi rendo conto che io ho bisogno di saperne di più. Voglio sapere cosa nascondono gli Stra-strani e cosa succede in questa cittadina.
Mi chiedo se Ronald sia cosciente dell'esistenza di esseri soprannaturali che abitano a Beacon Hills. Sinceramente, ne dubito.
Mi sento lusingata ad essere l'ultima arrivata e ciononostante la più informata di quel gruppo, per quanto possibile.
David inizia a scherzare sulle rivelazioni di Ronald, immagino per sdrammatizzare un po'.
- Sìsì, qualcosa come sette, streghe e tutte quelle cose lì - ridacchia - fai attenzione!
Dice agitando le mani come un fantasma.
Stacey ridacchia e la sua voce suona come quella di una bambina.
- Okay ragazzi. Grazie per la compagnia - li interrompo io, alzandomi in piedi - ma ora devo scappare. Ci vediamo.
Prendo il vassoio e lascio l'allegra comitiva un po' perplessa, ma ho qualcosa di molto importante da fare.

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Capitolo 7
*** Chiarezza ***


Cammino spedita per il corridoio della scuola, come se avessi qualcosa di molto urgente da fare. E in effetti è così.
Cerco qualcuno, chiunque: Scott, Styles, Allison.
Io voglio saperne di più, anche se tutta questa situazione, queste novità, questi avvenimenti... beh, mi spaventano.
Vedo Scott e Allison parlottare tra di loro in un angolino, ma decido di cercare Styles, perché Scott non mi ispira fiducia o comunque sembra poco... sensibile. E io ho bisogno di un po’ più di aiuto per accettare... tutto questo.
Finalmente lo trovo, seduto sulla scalinata in giardino, a spiegare un esercizio di matematica ad un ragazzo del secondo anno.
Appena mi vede mi viene incontro.
- Ciao Sidney.
- Ciao Styles – lo saluto. Per un attimo mi trovo senza parole. E lui non mi aiuta, restando in silenzio.
- Ti cercavo – dico.
- Non pensavo sarebbe successo oggi. Mi sembrava che avessi bisogno di... più tempo.
- E invece no – ribatto – io... vorrei sapere qualcosa di più. Su... cosa siete, cosa fate e... se centrate qualcosa con le numerose morti e le strane cose che accadono a Beacon Hills e...
- Frena frena frena – mi stoppa con un cenno della mano.
Lo guardo interrogativa. I suoi occhi sono scuri e profondi e mi ammaliano proprio come hanno fatto ieri.
- Che c’è?
- Sono troppe cose, mannaggia – sbotta, ma sta sorridendo – che ne dici di prendere un caffè dopo scuola?
- Risponderai alle mie domande? – chiedo.
Styles si limita a sorridere. Ha un sorriso dolce.
Sorrido a mia volta stringendogli la mano in modo teatrale.
- Allora è fatta.

Mi sento un po’ più sollevata, ora che sto per sapere qualcosa di più.
Forse quello che mi spaventa di più è proprio il fatto di non sapermi ancora spiegare quello che è successo ieri.
Sto aspettando Styles seduta ad un tavolino di Starbucks.
So che non è elegante che una ragazza aspetti per un’abbondante decina di minuti un ragazzo, da sola, in un bar. Però sono troppo ansiosa per aspettare l’ora esatta dell’appuntamento.
All’improvviso lui entra, col fiatone, tenendomi gli occhi puntati addosso, un po' impacciato, si siede di fronte a me.
- Scusa il ritardo – dice, sedendosi – è tanto che aspetti?
- Emh – guardo l’orologio: sì, decisamente un bel po’ – no, assolutamente.
Styles mi chiede cosa voglio prendere da bere e si offre di andare lui al bancone ad ordinare.
Poco dopo torna con due Frappuccini alla Mocha.
- Allora – mi dice, prendendo un sorso dal suo – come ti senti?
Questa domanda mi spiazza: non mi aspettavo che potesse preoccuparsi di come mi sentissi. Solo di... come incastrarmi in quell’assurda realtà di cui avevo avuto un assaggio.
- Sono un po’ frastornata – rispondo – per questo sono qui.
Lui sorride.
- Fossi in te non lo direi a Scott – mi consiglia – ultimamente è un po’ nervoso e... lui tecnicamente è il capo branco e si occupa lui di certe cose. Forse avrebbe voluto spiegarti lui.
Non capisco se con “capo branco” intenda "leader del loro gruppo" o  “capo branco”, nel vero senso della parola – visto che si parla di lupi mannari.
- Non mi sembra che abbia molto tatto. Preferivo parlare con te – confesso, onestamente.
- Oh, wow – sembra sorpreso – di solito è lui quello premuroso e delicato. È che... ultimamente sta passando una brutta situazione. Comunque! Non siamo qui per parlare di lui.
- No, infatti.
- Cosa vuoi sapere? – poi aggiunge subito – non vale la raffica di domande! Una per volta.
Scoppio a ridere, più per la sua buffa faccia allarmata che per altro.
- Allora, sto cercando di credere che i lupi mannari esistano. Che altre creature ci sono di cui dovrei conoscere l’esistenza?
- Ce ne sono tante, troppe. Nemmeno noi le conosciamo tutte. Però posso assicurarti che molte creature leggendarie... beh... possono esistere in carne ed ossa.
Mi sento un po’ spaventata, ma reprimo questa sensazione.
- E di lupi mannari? Quanti... quanti ce ne sono?
- Parecchi.
Risposte brevi e concise. Non saprei dire se è un bene o un male.
- E quali storie su di loro sono vere?
- Intendi dire se... si trasformano con la luna piena o cose del genere? – fa una pausa – beh, si trasformano quando vogliono, o almeno, possono farlo quando riescono ad avere controllo sulla trasformazione e su loro stessi. Un umano appena trasformato in licantropo non ne ha tanto, te lo assicuro, e può essere pericoloso. Con la luna piena il suo corpo impazzisce e ha molte più difficoltà a controllarlo. Tuttavia i più esperti tra i lupi mannari lo sanno fare bene. Ma questo accade anche a molte altre creature soprannaturali, intendo... di impazzire sotto l’influenza della luna piena.
- Wow – è tutto ciò che riesco a dire – e come si trasformano le persone in lupi mannari?
- Beh... quando vengono morsi da altri lupi mannari. Ma non sempre avviene la trasformazione.
Capisco subito cosa intende dire: se un morso non ti trasforma, ti uccide.
Cerco di ingoiare il groppo che ho in gola, ma per un po’ non riesco a parlare.
Styles mi studia con attenzione.
- Stai bene?
- Sì – rispondo troppo in fretta – sto solo cercando di elaborare.
Lui mi sorride, il che mi rassicura.
Non saprei dire perché, ma questo ragazzo mi ispira fiducia. Poi però penso che non dovrebbe, visto il contesto degli avvenimenti.
All’improvviso mi rendo conto che c’è una cosa che mi sfugge.
- Styles – richiamo la sua attenzione dopo un po’ di silenzio – cosa centro io con tutto questo?
Lui mi guarda e non riesco ad interpretare la sua espressione.
- Crediamo che ti stia succedendo qualcosa – mi spiega, la voce ferma – e non sappiamo cosa. Per questo vorremmo tenerti d’occhio. Vogliamo aiutarti.
Mi ero fermata alle prime parole.
- Mi sta succedendo qualcosa? – ripeto. Inizio ad essere spaventata – che significa?
- Si tratta di quel taglio – mi indica lui con un cenno del mento – la donna che è morta ieri sera ti ha ferita per un motivo. Noi... abbiamo qualche sospetto, ma nessuna certezza.
Scuoto la testa, ma non stacco i miei occhi dai suoi. Com’è possibile? Che... che sta dicendo?
Lo sa che me lo sto chiedendo, ma non dice niente.
- Quali sospetti? – domando, allora, cercando di avere una voce ferma.
- Lei, quella donna, era... una strega.
Le parole arrivano in ritardo, al mio cervello.
Una strega.
Certo.
Lupi mannari.
Streghe.
Come no.
- Non saprei dire come, ma pensiamo che possa averti trasmesso il suo potere tramite quel taglio. Non credevamo potesse essere possibile, ma non possiamo escludere questa possibilità.
Quando nota la mia espressione totalmente persa aggiunge: - Né confermarla.
Cerco di rallentare il battito del mio cuore, ma invano.
Ho mille pensieri che turbinano nella mia mente, ma mi costringo a non farmi domande e accettare queste novità.
- Okay – rispondo.
- Okay? – sembra sorpreso.
- Sì okay – insisto – ho capito.
Lui annuisce debolmente, studiandomi con attenzione.
- Non mi aspettavo questa reazione.
Faccio spallucce e finisco di sorseggiare il mio frappuccino.
- Che cosa intendete fare, ora?
- Beh... temo che domani sera dovrai restare con noi – mi dice, serio – c’è la luna piena.

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Capitolo 8
*** In attesa ***


  Oggi è il terzo giorno di scuola. Sembra tutto normale. Già, una normalissima giornata di una normale studentessa.
Anche stanotte ho dormito poco e la stanchezza inizia a farsi sentire.
Mi impongo di prestare attenzione alle lezioni e di passare un po' di tempo con Alyssa e il resto del gruppo, giusto per sentire che ci sia qualcosa di giusto e ordinario nella mia vita a Beacon Hills.
Eppure sono consapevole che stanotte ci sarà la luna piena e Styles mi ha avvertita dell'influenza che essa esercita sulle creature "non-umane", in particolare sui "nuovi arrivati".
Non so cosa aspettarmi. Non so se fidarmi. Non so se avere paura. Io... non so niente.
E odio questa situazione, perché demolisce le mie sicurezze. Io che ho sempre bisogno di avere il controllo ora non ce l'ho.
Oggi sembra che le lezioni durino meno del solito. Sarà che preferisco che la notte tardi ad arrivare.
All'uscita da scuola Scott mi viene in contro, prima che possa avviarmi a casa.
Non è solo: con lui c'è uno dei tre ragazzi del suo gruppo, a cui ancora non ho prestato attenzione.
- Ciao Sidney – mi dice serio.
- Eilà – rispondo senza entusiasmo.
- Allora sai cosa fare stasera, vero? È tutto chiaro? – mi chiede. È preoccupato, si vede chiaramente.
- Sì, non preoccuparti.
Lo vedo che sospira, come se temesse quello che potrebbe succedere stanotte.
- C'è qualcosa che non va? – mi permetto di chiedere.
- No – risponde subito, scuotendo freneticamente la testa.
Lo osservo un attimo e lui osserva me.
È molto muscoloso, riconosco, più di quanto non mi fosse sembrato quando lo avevo visto la prima volta.
- Come va il taglio? – mi chiede indicando la benda.
- Io... non lo so – rispondo onestamente – non ho ancora guardato sotto la benda. Però non fa male. Penso sia buon segno.
- Dovresti controllare – mi dice, poi gira le spalle e fa per andarsene.
Il ragazzo che è con lui mi allunga una mano.
Ha i capelli ricci, castano chiaro, e gli occhi color nocciola. È molto più alto di Scott e leggermente più esile.
- Mi chiamo Isaac - dice.
- Sidney – dico, allungandogli una mano. Annuisce.
- Sì, lo so.
- Tu... sei un lupo mannaro, vero? – lo dico come se non mi sorprendesse più. Ma in realtà è talmente strano dire queste parole che mi riprometto di non ripeterle mai più.
Lui sorride, in risposta.
Certo che lo è.
- Ovviamente - concludo da sola - a stasera.

- Papà!
- Tesoro! – mi risponde una voce al di là della linea – com'è andata oggi a scuola? Ti stai ambientando?
Blocco il telefono tra l'orecchio e la spalla, mentre tiro fuori dall'armadio una maglietta piuttosto elegante.
- Sì, sì non è poi così male.
Prima che possa farmi altre domande continuo: - Stasera esco. Danno una festa a casa di Scott Mc Call, un ragazzo del quarto anno. E io sono invitata.
- Cosa? Una festa? – suona quasi come un rimprovero – ma... no... tu lo conosci questo tipo? Non voglio che tu ti metta subito nei guai.
- Papà! È una normalissima festa di liceali. Ci saranno poche persone e sì, conosco lui e molti altri degli invitati. Contrariamente a quello che ti aspettavi ho fatto già amicizia.
- In realtà eri tu che dubitavi di trovare degli amici. Non io.
Segue un attimo di silenzio. Io non voglio dargli ragione e sono in attesa del permesso per uscire. Lui sta pensando.
- Va bene, dai – si arrende, sbuffando – vai a questa festa. Ma per mezzanotte ti voglio a casa, chiaro?
- Cristallino.
Interrompo la chiamata e finisco di prepararmi.
Non ci vuole molto, perché so che non andrò ad una vera festa.
Indosso dei jeans attillati e la maglietta appena tirata fuori dal cassetto. Non mi trucco molto, ma cerco di dare l'impressione di avere curato a lungo il mio aspetto, così che mio padre non abbia dubbi, se ci incontrassimo al mio ritorno a casa.
Prima di uscire però, prendo coraggio e tolgo la benda dal braccio.
Rimango allibita e sgomenta, osservando che sotto le medicazioni la ferita non c'è più. Solo la mia pelle rosea e senza un graffio.
Sento il cuore rimbombarmi nelle orecchie e la solita paura del non avere risposte impadronirsi di me. Poi scuoto la testa e mi decido a muovermi.
Esco di fretta: sono già in ritardo.
Sotto casa Allison mi sta aspettando. Mi accompagna lei a casa di Scott – io non so dove sia.
L'aria è fresca e il cielo rosso fuoco. È il tramonto e tra poco arriverà la notte, la notte di luna piena.  

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Capitolo 9
*** Notte di luna piena ***


Arriviamo al loft dove mi hanno portata dopo l'incidente.
Lungo il tragitto io e Allison non abbiamo parlato molto. Però, da quel poco che ci siamo dette ho capito che è una ragazza molto dolce e determinata. Uno strano mix.
Appena varcata la soglia riconosco l'appartamento triste e disadorno.
C'è più luce, questa volta.
Allison mi conduce in una grande stanza che quasi non è separata dal resto del loft tramite muri.
Lì ci aspettano gli altri, riuniti attorno ad un tavolo di legno.
- Eilà!
- Ben arrivate.
Styles mi viene incontro e mi stampa un bacio sulla guancia, lasciando scivolare la sua mano lungo la mia schiena. Immagino che sia un modo per rassicurarmi.
- Ciao Sidney – mi saluta.
Gli sorrido.
Lui indossa un semplice paio di jeans e una delle solite camicie aperte davanti, dove fa capolino una t-shirt monocroma.
- Come stai?
- Non lo so – rispondo onestamente.
Delicatamente mi conduce verso il tavolo.
Scott sta parlando animatamente con gli altri. Riconosco Isaac, che mi saluta con un cenno della mano, e gli altri due ragazzi che ho già visto ma di cui non conosco il nome. Ora che ci faccio caso, però, uno dei due non è un adolescente. Avrà una quarantina d'anni portati molto bene.
È biondo, con due ammalianti occhi azzurri; muscoloso, alto, con un'espressione beffarda.
Infine mi accorgo che uno dei presenti non l'ho mai visto.
È in piedi accanto al signore biondo e se ne sta un po' indietro rispetto a tutti gli altri.
Ha due possenti braccia e anche lui è molto robusto. Ha il viso ampio, con una sottile barba scura sulla parte inferiore. I suoi occhi sono azzurri, bellissimi, ma il suo sguardo è agghiacciante.
Ha un'aria sinistra e misteriosa e sembra aggressivo. È più grande di Scott, ma più giovane del biondo vicino a lui.
Eppure, anche se mi inquieta, non riesco ad avere paura di lui e non riesco a staccargli gli occhi di dosso.
- Styles – bisbiglio – chi è quello?
Indico il ragazzo con un cenno del mento.
- È Derek – risponde lanciandogli uno sguardo – Derek Hale.
Il suo nome mi riecheggia nella testa.
Derek. Derek. Derek.
Lo trovo ammaliante, nella sua oscurità. Non so, c'è qualcosa di lui che mi attrae parecchio.
- Emh... no.
Mi giro e noto che Styles mi sta guardando scuotendo la testa con aria di rimprovero.
- No, Sidney, non ci pensare.
Ci metto un po' a capire di cosa stia parlando.
- Derek è... un tipo solitario. E fidati quando lo conosci non desideri altro che stargli alla larga.
Sorrido e penso di negare il mio interesse nei confronti di quel ragazzo, ma poi decido di non farlo.
Continuo ad osservarlo, finché lui non alza gli occhi e io mi sento terribilmente in imbarazzo.
Il suo sguardo mi agghiaccia.
Mi costringo ad ascoltare quello che Scott ha da dire.
- La luna sta salendo in cielo, perciò abbiamo poco tempo – dice la sua voce – in quel baule ci sono tutti gli strumenti che abbiamo bisogno. Vi legheremo, per impedirvi di perdere il controllo e fare qualcosa di stupido. Dopodiché rimarremo io, Derek e Peter a sorvegliarvi e cercare di evitare che la situazione degeneri. Dai, ragazzi, lo abbiamo già fatto prima.
Lo sguardo di Scott cade su di me, e così quelli di tutti gli altri.
- Anche se questa volta abbiamo un'ospite in più.
Mi sento a disagio. Terribilmente.
Tutti lì sanno cosa sta per succedere. Io no.
Non so cosa sia contenuto all'interno del baule né cosa si intenda con "legarci".
- Dobbiamo capire cosa succederà – sussurra Scott, ma abbastanza forte che riesco a sentirlo.
- Allison, tu pensa a Liam.
- Derek ad Isaac.
- E tu, Styles, a Sidney.
Lui mi sorride per tranquillizzarmi.
Styles, Allison e Derek si avvicinano al baule, lo aprono, e ne tirano fuori degli aggeggi di metallo tintinnante.
Vedo una catena che scivola fuori dal contenitore e Derek che la trascina fino alla parete ai cui piedi Isaac si è seduto.
Lo osservo mentre gli strige un anello di metallo attorno al collo. Esso è attaccato alla catena, che viene agganciata saldamente a due anelli sulla parete. Sarebbe impossibile liberarsi.
Non faccio in tempo a vedere cosa farà Allison con Liam, perché Styles mi preme leggermente una mano sulla schiena e mi conduce in un'altra parte del loft.
- Cosa stiamo facendo? – chiedo.
Osservo che anche Styles ha in mano una massiccia catena. E temo fortemente che sia per me.
- Vi leghiamo – dice, come se non lo avessi capito.
- La domanda è perché?
- Per impedirvi di fare cose stupide durante la luna piena.
Mi indica dove sedermi e io obbedisco, poggiando la schiena contro la parete.
- Cosa potremmo fare?
- Tu non lo so – risponde – dobbiamo ancora capirlo. Ma loro... beh, loro impazziranno. E potrebbero uccidere qualcuno se non mantengono il controllo.
Rabbrividisco. Inizio ad essere parecchio spaventata.
Cerco di deglutire, ma non ci riesco. Il cuore batte talmente forte che ho paura che possa scoppiare. Sto tremando.
- Devo avere paura? – chiedo.
- Ne hai?
Scuoto la testa, ma poi ammetto: - Un po'.
- Non averne – mi risponde sorridendo dolcemente.
Ancora una volta annego nei suoi occhi scuri e profondi. Per un attimo mi sento al sicuro.
Styles mi blocca i polsi in due anelli di ferro legati alla catena che fissa alla parete.
Provo ad agitare le mani, a tirare con tutti le mie forze, ma constato che non sfuggirò mai a quella presa.
- E ora? – gli chiedo.
- Ora dovremmo aspettare. Cosa vuoi fare?
Scuoto la testa, come per dire che non lo so.
- Non diventerò un'assassina, vero?
- No, certo che no – mi sorride per l'ennesima volta – al massimo una strega. Credo.
"Credo". Significa che non ne è sicuro. Dovrei avere paura anche di me stessa, adesso?
- Perché non mi parli degli altri ragazzi del gruppo? Nessuno me li ha ancora presentati.
Era giusto per ingannare il tempo, ma intanto qualche nome e qualche informazione mi sarebbe tornata utile.
- Allora... c'è Isaac, quello ricciolo, che...
- Sì, lui l'ho conosciuto oggi.
- Oh – sembra sorpreso, ma dopo un istante continua – poi c'è Liam, il ragazzo bassino, coi capelli color cenere. È del secondo anno e per salvargli la vita Scott lo ha trasformato. Così è entrato a far parte del nostro branco.
- Per salvargli la vita?
- Stava per cadere dal tetto di un ospedale. E Scott per afferrarlo e impedirgli di cadere lo ha morso. È stato il suo primo Beta.
Coglie il mio sguardo interrogativo e spiega: - Ci sono tre tipi di lupi mannari: gli Alpha, i Beta e gli Omega. I primi sono i più forti, i capi branco. Sono i più feroci e i più spietati, talvolta.  Li riconosci perché i loro occhi sono rossi, ma possono diventare blu se uccidono qualcuno. I Beta sono i normali lupi mannari e hanno gli occhi gialli. Puoi nascere Betacome Derek, oppure diventarlo quando un Alpha ti morde. Sui questi ultimi, l'alfa che li ha trasformati influisce parecchio, a suo piacimento. Poi ci sono gli Omega che non appartengono a nessun branco e vivono da soli, spesso cacciati da quello a cui appartenevano.
- Scott è un Alpha Vero, adesso. Ovvero è diventato un Alpha senza uccidere nessuno e acquistando potere solamente grazie alle sue doti. È stato trasformato da Peter, l'uomo biondo che era accanto a Derek poco fa.
Annuisco: ho capito.
- Beh... è una buffa storia – continua – abbiamo ucciso Peter almeno un anno fa e, non si sa come, è ritornato qui tra di noi. Non ti fidare di lui, non... non farlo e basta.
- Ah, dimenticavo! Lui è lo zio di Derek ed è stato in coma per sei anni, a seguito dell'incendio che ha distrutto la casa degli Hale parecchio tempo fa. Sono morti quasi tutti, tranne Derek e Peter.
Sono sempre più allibita. Certo, se il mio intento era distrarmi, questo proprio non è un buon modo per farlo.
Sono ancora più spaventata e sgomenta di prima. Che... che cosa? Voglio dire... tutto questo è successo davvero!? Sembra così assurdo.
- So che ti sto sconvolgendo, ma... tu ascolta e basta – dice Styles, sedendosi accanto a me con la schiena contro la parete.
Sono contenta che capisca come mi sento.
- Avrai tempo per decidere se crederci o no. Per ora prendila come una storiella per distrarti.
Io ridacchio, anche se non mi viene del tutto naturale.
- Poi c'è Derek. Nella sua famiglia erano quasi tutti lupi mannari. E ora è un'Alpha. Lo è sempre stato da quando l'ho conosciuto. Ma... beh, non è un tipo simpatico.
- Grazie Styles – lo interrompe una voce vicino a noi – grazie per la sincerità.
Ci giriamo di scatto e troviamo Derek a cinque passi da noi, in piedi, minaccioso, che ci fissa aggressivo.
Ho paura di quello che potrebbe fare a Styles, che scatta subito in piedi, ma prima che possa dire qualcosa viene interrotto dal lupo mannaro.
- C'è Scott che ha bisogno di parlarti. Qua ci penso io.
Sento un vuoto allo stomaco a pensare di rimanere sola con quel... quel blocco di ghiaccio.
Styles mi lancia uno sguardo e poi si allontana, facendosi piccolo piccolo quando passa accanto a Derek.
Lui rimane a fissarmi, immobile.
E io là, seduta a terra ai suoi piedi, mi sento minuscola e terribilmente a disagio.
- Eilà – dice atono.
La sua voce è profonda e dura.
- Eilà.  

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Capitolo 10
*** Makutu ***


  Derek rimane in piedi davanti a me, in tutta la sua imponenza.
È passata almeno una decina di minuti da quando Stiles mi ha lasciata con lui. E non abbiamo scambiato una parola.
Io non riesco a smettere di osservarlo, sperando che non se ne accorga.
Mi trovo a concordare con Stiles: non sembra un tipo molto amichevole. Ma lo trovo attraente lo stesso, anzi, forse gran parte del suo fascino è dovuto all’ala di mistero che lo circonda.
All’improvviso sento un grido. Un grido orribile, raccapricciante, disumano.
Sembra il verso di un animale inferocito. È spaventoso.
Poco dopo, un altro. E un altro. E rumore di catene.
Guardo Derek allarmata. Lui è in ascolto.
- Cosa... cosa succede? – chiedo con la voce tremante.
- Si stanno trasformando.
Chi? Chi si sta trasformando?
Poi faccio ordine e capisco che Liam e Isaac non sono ancora in grado di mantenere il controllo e perciò sono stati legati, perché non potessero commettere pazzie.
Ma allora perché anche io ero incatenata ad una parete?
Le grida sono sempre più rabbiose, più viscerali ed ora sono sicura che siano quelle di un lupo.
- Anche tu sei un lupo mannaro – dico a Derek, più in un’affermazione che in una domanda.
Lui si limita ad annuire, guardandomi negli occhi.
È bellissimo.
- E non senti gli effetti della luna?
- Ho imparato a controllarmi – si limita a rispondere.
Anche Scott – e deduco che anche Peter – hanno più esperienza degli altri, dato che non si sono fatti incatenare.
Mi chiedo come possa apparire Derek trasformato in lupo mannaro. Sarà lo stesso pieno di fascino? Sarà un’Alpha di quelli di cui mi ha parlato Styles, quelli “feroci e spietati”? Oppure uno come Scott, che non ha mai ucciso nessuno?
All’improvviso sento una fitta lancinante allo stomaco.
Mi piego su me stessa e mi manca il respiro.
L’ultima cosa che vedo prima di abbassare lo sguardo è che Derek mi sta osservando allarmato.
- Che succede? – chiede.
Ma io non posso rispondere. Non ci riesco.
Lanciò un grido di dolore, ma poi mi trovo senza poter respirare del tutto.
La vista si appanna e inizio a dimenarmi, tirando le catene con insistenza.
Mi butto in avanti e continuo a tirare, ma sono troppo debole e il metallo è troppo resistente.
Mugolo e cerco di fare piccoli respiri.
Poi mi immobilizzo, quando davanti ai miei occhi iniziano a scorrere centinaia di immagini, scritte, informazioni. È come sfogliare tutte le enciclopedie esistenti in una volta sola, rapidamente.
Sento come se la testa iniziasse a riempirsi. La sento pulsare e diventare sempre più pesante, mentre rimango immobile con gli occhi sgranati a guardare correre tutte quelle informazioni.
Derek mi guarda allibito e chiama Scott, ma ormai non lo vedo nemmeno più. Né sento la sua voce.
Sento di perdere la cognizione del tempo, dello spazio, e del mio corpo.
Come se fossi in un’altra dimensione, in un limbo che mi estrania dalla realtà.
Poi, all’improvviso, tutto finisce, velocemente com’è iniziato.
Mi ritrovo a fissare il vuoto, davanti a me in quella stanza semi-buia.
Sento le voci di Scott, Stiles, Derek e probabilmente Peter.
Ma non alzo lo sguardo. Non ci riesco.
Poi un’altra fitta. Questa volta non saprei dire se sia allo stomaco o dove. La sento in tutto il corpo.
Grido ancora e mi butto a terra, gemendo.
Sento delle voci. Tante voci che mi riempiono la testa. Bisbigliano. E non riesco a capire quello che dicono. Sembrano disperate. Parlano tutte insieme e... e sono piene di dolore.
Mi stringo la testa tra le mani e mi tappo le orecchie. Poi però mi accorgo che tutti quei suoni provengono dalla mia mente.
Alzo lentamente lo sguardo e incrocio quello di Peter, che mi sta osservando come tutti gli altri presenti.
All’improvviso tutta la sua vita scorre davanti ai miei occhi, come se l’avessi vissuta io. Vedo quando dà consigli ad un Derek adolescente, quando scoppia il tragico incendio, la morte della famiglia Hale, il coma, le ustioni sul viso, e il momento in cui le ha guarite.
Mi sembra di sapere tutto di lui. Ma... è inspiegabile.
In bocca sento il sapore del sangue, e mentre muovo la lingua nel tentativo di farlo passare, dalle labbra esce un liquido caldo e denso.
Lo asciugo con il dorso della mano e quasi grido un’altra volta quando mi accorgo che è di colore scarlatto.
Sento che un altro rivolo di sangue mi esce dalla bocca e lo strofino via con la mano, un’altra volta.
Inizio a respirare a fatica, presa dal panico.
Poi però, non so come, i rivoli di liquido smettono di scivolarmi dalle labbra.
Mi lascio cadere senza forze contro la parete.
Dopo parecchi secondi in cui non succede più niente, Stiles corre ad inginocchiarsi accanto a me.
Mi prende la testa tra le mani e la poggia sul suo petto.
Io non ho nemmeno la forza di tenere gli occhi aperti.
- Scott – sento vagamente la voce di Stiles – che facciamo?
- È una strega – risponde lui.
- Non una semplice Banshee – spiega Peter, che sembra aver capito più degli altri cosa sia successo - è una Makutu.
- E questo che significa?
- Che siamo fortunati ad averla tra noi.  

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Capitolo 11
*** Il quarto giorno ***


  Gli avvenimenti di ieri sera mi hanno davvero stesa.
Ma almeno ora ho qualche risposta in più. Ora so cosa succede ai licantropi le notti di luna piena. Ora so che posso fidarmi di quei ragazzi. E soprattutto, ora so che cosa sono io.
Almeno, lo so vagamente. Peter mi ha chiamata Makutu, ma non mi ha spiegato nient’altro.
Su internet ho cercato qualche notizia e ho letto che le Makutu sono creature leggendarie, delle specie di streghe.
Hanno un sapere vastissimo, su cose che non hanno mai imparato, super sensi, come i licantropi, ma sul resto i vari siti erano molto discordi e penso che molti inventassero.
Però sento che potrei avere un ruolo importante.
Mi alzo dal letto, faccio colazione e mi vesto in fretta.
Papà stamattina è uscito presto per andare al ristorante.
Cammino rapidamente verso la scuola e quando arrivo nel cortile raggiungo Scott e gli altri, seduti sulle gradinate.
- Eiià!
- Chi si vede! – mi saluta Stiles.
- Come va? – mi chiede Allison dolcemente.
È seduta vicino a Scott. Parecchio vicino. Inizio a chiedermi se ci sia qualcosa tra di loro, molti loro atteggiamenti mi spingono a pensare che sia così.
- Sto bene – dico, sincera.
Sapere un po’ più di cose mi rende più tranquilla. E poi, ora che ho capito che mi posso fidare di tutti loro, mi sento al sicuro.
Lo sguardo mi cade sul collo di Isaac, cosparso si segni rossi e violacei.
Mi ricordo dell’anello di ferro che gli hanno infilato ieri sera, dei suoi latrati bestiali e del rumore delle catene. Deglutisco a fatica e mi costringo a distogliere lo sguardo.
Peter e Derek non ci sono, ovviamente; direi che hanno finito la scuola parecchio tempo fa.
Ieri sera, dopo che tutte quelle sofferenze sono finite, mentre ancora sentivo lo stridere delle catene e i ringhi furiosi di Isaac e Liam, Scott mi ha liberato i polsi e mi ha aiutata a camminare fino al divano.
Ero senza forze e terribilmente confusa. Ma, non saprei dire perché, non ero spaventata.
Nessuno ha fatto domande e Peter non ha dato le risposte che sembrava avere.
Derek e Peter sono tornati nell'altra stanza per sorvegliare i due Beta e per aiutarli a riprendere il controllo, mentre io sono rimasta con Allison, Scott e Stiles.
Ho conosciuto il lato premuroso e sensibile di tutti e tre, o, almeno, ne ho avuto un assaggio. Mi dicevano che io avevo bisogno di loro e che mi avrebbero aiutata. Se avessi voluto avrei potuto fare parte del branco. E io ho detto di sì, anche perché senza di loro e le cose che sanno - e che io non so - sarei ancora più persa di come non sia ora.
è come se avessi trovato degli amici. So che questo gruppo non è come le solite compagnie di adolescenti. C'è qualcosa di particolare che li unisce, spaventoso e... incredibile al tempo stesso.
Inizio a pensare che "essere diversa" da come sono i normali ragazzi della mia età sia una fortuna.
D'altronde, non ho ancora testato gli effetti del mio essere una Makutu.

Probabilmente è suonata la campanella, perché una marea di studenti si sta riversando dentro l’edificio scolastico.
Noi tutti ci alziamo e ci avviamo dietro gli altri ragazzi.
Un tizio urta Stiles, che cammina vicino a me. È un tipo molto alto, grosso come un armadio. Probabilmente è in una squadra sportiva della scuola.
Questo violento contatto ha quasi fatto cadere Stiles, che si è voltato, imprecando.
Probabilmente non l’avrebbe fatto, se avesse notato il fisico di quell’altro, che è almeno il doppio di lui.
Appena i loro sguardi si incrociano, infatti, il mio amico indietreggia e inizia a biascicare scuse.
Inciampa nei suoi stessi piedi ed è abbastanza buffo e impacciato, mentre quell’altro fa tutto il minaccioso per spaventarlo.
- Okay, ora puoi anche piantarla – sbotto, tirando Stiles per il braccio e mettendomi in mezzo tra i due, poi rallentando il passo così da non sentire la risposta dell’“armadio”.
Guardo Stiles che sta strizzando gli occhi in modo strano mentre mi osserva.
- Cavolo – dice, quasi amareggiato – fai più brutto di me. 

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Capitolo 12
*** In pericolo ***


Sono passate un paio di settimane.
Sono ufficialmente entrata a fare parte del branco, anche se ancora non è successo niente di eclatante, come invece mi aspettavo.
Alyssa continua a chiedermi come sia riuscita a diventare amica di Scott e del suo gruppo, che raramente interagiscono con persone al di fuori della loro compagnia.
È parecchio sorpresa.
Io rispondo che li ho conosciuti per caso e che si sono subito rivelati molto amichevoli.
A scuola ho iniziato a prendere bei voti e mio padre è felice. Anche io lo sono.
Non ho più visto Derek nè Peter, ma ho scoperto che il loft è casa loro.
Ho capito un po' di più il carattere di alcuni del gruppo: Styles è molto dolce ed intelligentissimo, però è parecchio buffo ed imbranato. Lui e Scott sono amici da sempre e il loro rapporto è.. fantastico. So che Allison era una cacciatrice di lupi mannari, e per certi versi lo è ancora. È una ragazza determinata e testarda, ma molto buona. Ho scoperto che c'è del tenero tra lei e Scott e che l'anno scorso stavano insieme.
Scott è molto premuroso, come mi aveva detto Styles. Mi ha mostrato un altro lato di sé che non mi sarei aspettata.
Mentre affogo nei miei pensieri cammino a passo svelto diretta a casa.
Oggi ho passato il pomeriggio con Alyssa e David. È stato rilassante e divertente al tempo stesso.
Sono quasi le otto e il cielo è già scuro.
La luce ambrata dei lampioni scivola sui marciapiedi e rende l'atmosfera in un certo senso mistica.
Come sempre non c'è nessuno per strada, e ora che so cosa può nascondersi nelle tenebre non faccio altro che far scattare gli occhi in tutte le direzioni, assicurandomi di essere davvero sola.
All'improvviso scorgo una figura venirmi incontro. È un ragazzo.
Indossa un cappuccio e arriva dalla direzione opposta alla mia. Tiene le mani nelle tasche della felpa e ha un atteggiamento un po' inquietante.
Ci vuole un grande impegno per riuscire a convincermi che si tratta solo di un adolescente un po' tenebroso.
Quando mi passa accanto, però, incrocio il suo sguardo, quasi per caso.
E i suoi occhi non sono quelli di un ragazzo normale.
I suoi occhi brillano. Sono rosso sangue e senza iridi.
Soffoco un brivido di terrore e accelero il passo.
Mi accorgo che ora sto correndo. Mi volto indietro per vedere se il ragazzo si è accorto di avermi spaventata. Ma quando mi giro è già sparito nell'oscurità.
Mi accorgo che sto facendo fatica a respirare, come ogni volta quando sono terrorizzata.
Cerco di convincermi che quella creatura se n'è andata e mi volto per tornare a guardare la strada che devo percorrere.
Ma c'è qualcuno davanti a me. Lancio un grido e sobbalzo, prima ancora di riconoscere la felpa del ragazzo che mi è appena passato accanto.
Una scintilla saetta fuori dal mio dito e colpisce il marciapiede.
Sono troppo spaventata per potermi chiedere come sia potuto succedere.
So solo che lo sconosciuto mi sta fissando, con le sue iridi rosso fuoco. E ora sta ghignando, osservando un rivolo di fumo luminescente che esce dalle mie dita.
L'eco del mio cuore mi riempie le orecchie e la testa.
Poi capisco che quel ragazzo non è come Scott. Non è buono, non vuole aiutarmi. Sono in pericolo.
Inizio a correre più veloce possibile, senza riuscire a respirare, senza quasi nemmeno vedere dove sto andando.
Lo sconosciuto inizia ad inseguirmi ed è troppo veloce, davvero troppo veloce per essere umano.
Mi è quasi addosso, ma io svolto in una stradina laterale, immersa nel buio, mentre lui non fa in tempo a fermarsi e supera l'imbocco.
Non ci mette molto prima di seguirmi dentro il vicolo.
Mi raggiungerà, lo so. E le mie gambe stanno tremando e non sono abbastanza forti. E mi manca il fiato.
All'improvviso una mano si stringe attorno al mio braccio mi trascina a terra.
L'urto col terreno mi provoca una fitta di dolore ovunque e sto per gridare, ma un'altra mano mi tappa la bocca.
So che morirò se il mio cuore continuerà a battere così veloce.
Vedo passare il ragazzo dagli occhi rossi, che non si è accorto che io non sono più davanti a lui. 
Mi volto lentamente per guardare in faccia il mio aggressore, ma nel buio riesco solo a riconoscere un paio di occhi blu come il ghiaccio: è un assassino.
Sono terrorizzata, ma lui mi tiene troppo stretta perché possa fare qualsiasi cosa.
Assottiglio gli occhi, cercando di farmi un'idea del suo aspetto.
Lui intanto molla la persa su di me.
- Derek? - sono più che sorpresa - che ci fai qui?
- Salvo te - dice distrattamente alzandosi in piedi.
Fa per andare via e io sono ancora pietrificata dalla paura vissuta.
Appena realizzo che mi sta lasciando lì scatto in piedi e lo raggiungo.
- Dove stai andando?
- A casa.
- Mi stai lasciando qua?
Lui si volta e inclina il viso. Non riesco a trattenermi dal pensare che sia bellissimo.
Sembra stupito.
- Dovrei accompagnarti per mano fino alla porta di casa?
Rimango a bocca aperta.
- Mi hanno appena aggredita!
- Non ti hanno aggredita - ribatte, calmo - grazie a me.
- Pensi che quel tizio non sia ancora in giro? Pensi che se mi trova non mi farà del male?
Rimane in silenzio, e questo mi fa infuriare.
Possibile che sia così poco sensibile? Che non capisca che sto ancora tremando?
Inspiro. Espiro. Inspiro. Espiro.
Cerco di calmarmi.
- Che cosa voleva? - chiedo.
Non so dove stiamo andando. Sinceramente non so nemmeno dove siamo, ma continuo a camminare accanto a Derek, perchè so che lui può proteggermi.
- Voleva i tuoi poteri.
- Ma... che cos'era..? Ho visto i suoi occhi. Non è un lupo mannaro come voi.
- No, infatti.
"No, infatti". Ma che diavolo di risposta è?
Rimango in silenzio, ma non accenno ad andarmene.
Derek si ostina a non dire niente, ignorandomi completamente.
- Hai intenzione di seguirmi tutta la sera? - sbotta ad un certo punto.
- Sei sempre stato così insensibile? - ribatto bruscamente.
Lui mi guarda con curiosità, coi suoi tenebrosi occhi di ghiaccio.
Per un momento penso che mi stia per azzannare, pentendosi di non averlo fatto fare al mio inseguitore, poco prima.
Poi però un verso animalesco e brutale squarcia il silenzio.
Derek mi fa cenno di stare zitta e si mette in ascolto. Sembra preoccupato.
Inizia a guardarsi intorno, allargando le braccia come per proteggermi.
All'improvviso urla: - Giù!
Scaraventandomi a terra e coprendomi con il suo corpo, giusto in tempo per evitare una bestia che ci stava per balzare addosso.
Sento un ruggito e vedo Derek alzarsi in piedi.
Ha degli artigli al posto delle unghie e il suo viso è contratto in una smorfia animale.
In un attimo balza addosso alla bestia.
Riconosco i disumani occhi rossi. È una creatura orribile ed emette versi brutali. Ha la pelle viscida ricoperta di squame e, mentre Derek dopo la trasformazione ha ancora sembianze vagamente umane, lui di umano non ha niente.
Seguono interminabili minuti di lotta, tra versi bestiali e unghiate e morsi e salti.
È uno scontro raccapricciante e selvaggio.
Derek continua ad urlarmi di scappare, ma io non voglio farlo.
Starò lì con lui, anche se non so come potrei aiutarlo.
Ogni volta che viene ferito dal suo avversario d'istinto mi copro gli occhi e sobbalzo.
Eppure lui continua a lottare.
Lui sembra più forte, ma l'altro non demorde. E io mi sento così inutile, lì immobile a guardarli.
Finalmente mi decido.
Lentamente mi alzo in piedi, mentre mi tremano le gambe e percepisco il batticuore in tutto il corpo.
La paura mi rende debole. Mi rende fragile.
Ma Derek e il suo coraggio, in qualche strano modo, aiutano anche me.
Respiro lentamente, per calmarmi.
Nessuno dei due lottatori si accorge di me.
Sono una strega, no? Potrò pur fare qualcosa. Ma cosa?
Prima, quando mi sono spaventata una scintilla è partita dal mio dito. Significa che posso farcela, devo solo capire come.
Il tempo inizia a scorrere così lentamente, mentre Derek viene ferito per l'ennesima volta.
Io continuo ad agitare le dita, a concentrarmi al massimo.
Ma non succede nulla.
Derek lancia un'occhiata nel punto in cui ero seduta, per assicurarsi che stia bene, ma l'altro ne approfitta per caricare il braccio, preparando gli artigli per ferire il licantropo. Sta mirando alla gola.
- Derek! - grido, disperata dai miei inutili tentativi di aiutare e dalla paura che quel colpo vada a segno. Morirà.
Prima che lui riesca a voltarsi verso la bestia, una saetta di luce scaturisce dal palmo della mia mano e colpisce in pieno l'essere dagli occhi di sangue.
Viene scaraventato lontano e rimane stordito dall'impatto. Ma poi si alza e fugge.
Io mi lascio cadere a terra e Derek mi sta guardando.
Non riesco a decifrare il suo sguardo e al momento è l'ultimo dei miei pensieri.
Riesco solo a pensare che qualcuno là fuori mi sta cercando per impossessarsi del mio potere, quello che la strega mi ha dato prima di morire. E si tratta di esseri pericolosi, spaventosi.
Sono terrorizzata, come sempre. Quand'è che troverò un po' di coraggio, quando sarò come tutti gli altri del branco?
Derek mi sta ancora fissando e i suoi occhi non luccicano, ma sono gelidi come sempre.
- Vieni, ti accompagno a casa.

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Capitolo 13
*** Jutovish ***



Ancora una volta non riesco a dormire.
Maledizione.
Troppi pensieri per la testa, troppa adrenalina per le vene.
Questa volta rimango a letto a fissare il soffitto scuro, come un cielo notturno senza stelle.
Continuo a ripetermi di essere coraggiosa, di essere all’altezza di quello che sono. O meglio, di quello che sono diventata.
Voglio diventare anche io come Derek, proteggere chi ne ha bisogno. Non essere difesa.
Sono circa le 3.15 quando il mio telefono inizia a vibrare sul comodino.
Mi chiedo chi possa essere a quell’ora e leggo sul display che si tratta di Styles.
- Styles – rispondo, sottovoce.
- Ehy Sidney! – lui invece sta urlando – co... come stai? Insomma... stai bene?
Inizia a farfugliare una marea di cose, ma la mia mente è in palla e non riesce a seguirle tutte.
- Sto bene – lo fermo ad un certo punto. Sono sicura che se no avrebbe continuato.
Lui riprende fiato.
- Sicura?
Mi lusinga il fatto che sia preoccupato per me.
- Sì, Styles! C’era Derek con me, per fortuna.
- Sì.. beh... già – balbetta – è stata una fortuna che ci fosse lui. Lui e Scott salvano sempre tutti.
Per la prima volta mi trovo a chiedermi come possa sentirsi lui come unico essere umano. In fondo lui può contare sul suo notevole intelletto, ma non credo che sia la stessa cosa di essere un lupo mannaro, un cacciatore o una strega.
- Che ci fai sveglio a quest’ora? – gli chiedo, stropicciandomi gli occhi.
- Io... sono a dormire a casa di Scott perché mio padre lavorerà tutta la notte alla centrale di polizia. E, beh, Derek è entrato dalla finestra e ci ha spiegato tutto. Volevo assicurarmi che stessi bene.
- Grazie per esserti preoccupato per me.
- Non... non c’è di che – risponde.
Intanto sento una voce assonnata, in sottofondo, che lo supplica di chiudere la chiamata.
- Io... scusa devo andare – mi dice – sai com’è, Scott vuole dormire.
Ridacchia e questo mi fa sorridere.
- Allora a domani, buonanotte.
- A domani – mi risponde dolcemente.
 
La mattina dopo finalmente arriva, al seguito di una notte insonne.
Dopo aver messo chili di trucco e aver bevuto litri e litri di caffè, esco per andare a scuola.
Al solito posto mi riunisco con gli altri ragazzi. Manca solo Styles e mi chiedo dove possa essere, dato che è sempre in anticipo.
Mi sono accorta di aver interrotto un discorso importante, dalle espressioni serie che hanno tutti.
- Che mi sono persa?
Allison lancia uno sguardo a Scott, mentre Liam e Isaac mi osservano in modo strano.
- Direi di sì.
- Abbiamo saputo di ieri – dice Scott.
- Sì, beh... Styles me l’ha accennato attorno alle tre di notte.
- È una faccenda seria – mi ammonisce.
Sospiro.
- Si tratta di un branco di Jutovish. Sono lupi mannari degenerati in creature completamente... bestiali.
- Cosa li ha resi così?
- La brama del potere, gli innumerevoli omicidi di cui sono colpevoli. Ormai hanno perso ogni sentimento umano. Sono spietati e ambiziosi. E vogliono il potere di una Makutu per saziare i loro animi e per poter vivere qualche centinaia di anni in più.
- Centinaia di anni!? – dico, sorpresa.
- Sì. La strega ti ha trasmesso un potere enorme, Sidney. E lei è morta proprio a causa delle sue doti.
Se sta cercando di spaventarmi ci sta riuscendo bene.
- Lei stava scappando – interviene Allison – dai Jutovish. Speravamo di trovarla in tempo per aiutarla, ma si era già sacrificata.
- Questo significa che è stata lei stessa a provocare l’incidente? – ero più che sorpresa – si è suicidata?
- Ormai tutti i Jutovish nei pressi di Beacon Hills sapevano che era lei, la Makutu. Le stavano dando la caccia. E se lei non si fosse consegnata a loro, le persone a lei vicine sarebbero state uccise. Così ha trasmesso il potere a qualcun altro, per eliminare la minaccia che gravava sulla sua famiglia e perché ormai pensava di essere spacciata.
- E perciò ha dato i suoi poteri a me – concludo – ma perché? Perché a me?
- Avrà visto qualcosa di particolare – dice Isaac sorridendo – noi non possiamo saperlo. È così e basta.
È così e basta. Certo. Non è lui quello che sta rischiando di essere sacrificato come elisir di lunga vita.
- E ora che si fa? – chiedo.
- Ora li combattiamo – risponde la voce di Styles.
Appare alle mie spalle, tutto affannato. Ha la camicia svolazzate e la cartella tenuta distrattamente su una spalla. Si nota che ha corso.
Mi piace che dica “combattiamo” come se anche lui dovesse farlo. Certamente non sarebbe in grado di fronteggiare un Jutovish corpo a corpo, ma il suo ingegno sarà fondamentale.

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Capitolo 14
*** Piccola lotta con l'imbarazzo ***


  Suona la campanella che annuncia la fine della quarta ora. Ora ho un’ora buca, una lezione e poi la pausa pranzo.
Lascio l’aula del corso di arte, stringendomi il libro di teoria al petto. Alyssa non segue questo corso con me, ma David e Leonard sì.
Esco in corridoio mentre chiacchiero amabilmente con loro due, ma sobbalzo quando accanto alla porta riconosco Stiles, poggiato allo stipite con aria nervosa.
Sta mormorando tra sé e sé qualcosa, come se stesse recitando una parte. Gesticola e si porta le mani alla testa come esasperato. Mi fa sorridere, come sempre.
- Ci vediamo dopo, ragazzi – saluto i miei amici senza staccare gli occhi da Stiles.
Mi avvicino a lui lentamente e, come mi aspettavo, nemmeno se ne accorge.
Aspetto qualche secondo, ma lui continua imperturbabile con il suo soliloquio.
- Eilà! – annuncio allora. Mi sento mortificata, quando lui fa un salto in aria per lo spavento.
- Sidney! – sembra spaesato, ma non in modo preoccupante, in modo buffo.
- Stai bene? – ridacchio.
Lui sorride, ma è un sorriso di circostanza.
- Sì, sì, tutto a posto – si tortura le mani in modo nervoso.
- Stiles! – lo richiamo, schioccandogli le dita davanti alla faccia – che ti prende?
Mi guarda negli occhi e... non saprei spiegarlo, ma sento come un tuffo al cuore incrociando i suoi così scuri e profondi, mescolati alla sua espressione dolce e ridicola al tempo stesso.
- Ehy, rilassati – gli accarezzo la spalla per tranquillizzarlo.
Forse non avrei dovuto farlo: sembra sentirsi in imbarazzo per il fatto che io abbia notato il suo stato d’animo.
- Allora – dice, finalmente trovando il coraggio – mi chiedevo se... questo pomeriggio avessi da fare.
Lo dice tutto d’un fiato, come se fossero parole difficili da pronunciare.
Rimango sorpresa, non per la domanda di per sé, ma per quello che ci potrebbe essere dietro.
Inizio a pensare che voglia chiedermi di uscire, dato il suo nervosismo. All’inizio mi trovo a implorare che non lo faccia, ma poi constato che non mi dispiacerebbe.
Non ho mai pensato a Stiles se non come ad un amico in queste ultime settimane, anche se abbiamo passato davvero molto tempo insieme. Ero troppo presa dalla scuola e dall’elaborare le novità assurde che stavano cambiando la mia vita.
- No, non ho nulla in programma – rispondo, inclinando la testa.
Penso che lui non riuscirà ad avanzare la sua richiesta senza un piccolo aiuto.
Mi fa tenerezza, così impacciato e inesperto.
- Facciamo qualcosa? – chiedo.
Lui annuisce ancora prima di aver compreso la domanda. Poi strabuzza gli occhi allibito che quelle parole siano uscite dalla mia bocca.
Sorride.
- Perfetto – dice ricomponendosi e riacquistando sicurezza, o così vuol farmi credere.
- A più tardi – rispondo con un sorriso e avviandomi per il corridoio.
Dopo qualche secondo mi giro e trovo Stiles ancora appoggiato allo stipite, che sorride incredulo.
- Stiles – lo chiamo e quando lui si accorge che lo sto osservando si imbarazza parecchio e prende a grattarsi la testa nervosamente.
- Dimmi?
- Dovresti andare a lezione, ora – gli consiglio ridendo.
- Ah, sì – dice come se cadesse dalle nuvole – sìsì, certo. 

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Capitolo 15
*** Tra lacrime e sorrisi ***


Esco da scuola, camminando al fianco di Alyssa, mentre con lo sguardo cerco Stiles.
- Facciamo qualcosa, oggi pomeriggio? – mi chiede la mia amica.
Io la guardo, mortificata.
- Ho preso un altro impegno, per oggi. Scusa.
- Di che si tratta? – non è dispiaciuta, solo curiosa.
Io sorrido: vuole sempre sapere ogni cosa eppure non è mai invadente. Non so come faccia.
- Esco con un ragazzo – rispondo con aria di sufficienza. Poi però mi scappa un sorriso, immaginando la sua faccia esterrefatta e ancora più curiosa.
- Coooosa!? Chi!? Chi è? – mi si para davanti così che mi fermi e la possa guardare negli occhi.
- Indovina – sorrido maliziosa.
Lei sbuffa e mi guarda di traverso.
- Come faccio ad indovinare? Non ti ho mai vista flirtare con qualcuno, a scuola. In realtà nemmeno parlare con un solo ragazzo al di fuori del nostro gruppo – dice, ma poi sembra considerare qualcos’altro – e quello di Scott Mc Call.
Se prima era stupita ora lo è almeno tre volte di più.
- Davvero? È... è uno di loro!?
- Sì – sorrido, compiaciuta per l’effetto che la notizia sta avendo su Alyssa.
- Scott no, immagino. Lui è ancora innamorato di Allison, si vede... mh... Isaac!? È parecchio carino, con quei riccioli d’oro!
- No, non è lui – rispondo continuando a sorridere. So che sarà felice per me quando scoprirà di chi si tratta. Anche Stiles è molto carino ed è un bravo ragazzo.
- Mh... allora Liam? – mi chiede – però lui sta due anni prima di noi... non mi sembra giusto per te...
- Non è nemmeno lui.
Rimango in attesa che dica il nome giusto, ma lei continua a pensare.
- Alyssa! – sbotto – ne rimane solo uno!
- Uno? Cioè... intendi Stiles?! Stules Stilinski? – è sorpresa sì, ma non saprei dire se in modo positivo o negativo.
- Già, perché sei così stupita?
Rimane un attimo in silenzio ad elaborare la cosa e a scegliere le parole da dire.
- Perché è... un po’ sfigato – dice a denti stretti, consapevole di quanto quelle parole suonino cattive.
- Sfigato? Davvero ti importa di questo? – sbotto – e poi lui... lui non è sfigato. È un ragazzo adorabile, è carino, è dolce e intelligente. Ma tu non lo conosci, non puoi giudicarlo.
- Non lo giudico. È solo che... Stiles?! – sospira e guarda altrove. Poi fissa i suoi occhi su di me – non ci sa fare con le donne.
Mi viene da sorridere al pensiero di lui in corridoio, tutto nervoso e agitato. Devo interessargli parecchio, se era così preoccupato.
Però non sorrido, non ora che sono così seccata da tanta superficialità.
- Non mi importa. A me piace così com’è.
- Ti piace? – mi domanda Alyssa.
- No, cioè... ancora non lo so.
Seguono lunghi secondi di imbarazzante silenzio.
Ci fissiamo negli occhi e non ci muoviamo né diciamo niente.
Ad un certo punto lei abbassa lo sguardo.
- Scusami, non volevo essere così... stupida. In fondo hai ragione, ha proprio la faccia da bravo ragazzo, e l’esperienza non conta poi così tanto se ti piace com’è fatto.
Mi sorride. E io di ricambio.
- Tranquilla, è tutto okay.
Poco dopo arriva Stiles, tutto sorridente.
- Andiamo? – mi dice, dopo aver rivolto un saluto alla mia amica.
Do un bacio sulla guancia ad Alyssa, mentre lei mi sussurra “divertiti”, e poi vado via col nuovo arrivato.
- Dove siamo diretti? – mi domanda appena siamo seduti nella sua macchina.
- Portami dove vuoi – rispondo con un sorriso. E lo penso davvero.
Credo che non ci sia un posto dove vorrei essere. Sono semplicemente curiosa di... vivere questo pomeriggio in sua compagnia e magari scoprire dei sentimenti a cui non avevo fatto caso.
Lui sembra felice e mi viene da chiedermi da quanto tempo volesse chiedermi di uscire. Per fortuna non lo faccio.
I primi minuti di viaggio, in cui non ho idea di dove stiamo andando, passano in silenzio.
Io guardo fuori dal finestrino e a volte lancio occhiate a Stiles, che se ne accorge e mi sorride.
- Vedrai, questo posto ti piacerà – dice ad un certo punto.
- Non hai intenzione di dirmi niente a proposito, prima che arriviamo?
- È una sorpresa – si limita a rispondere, con un sorriso.
Quanto è bello, penso. È così naturale, così... reale. Non ho mai conosciuto nessuno così. Beh, in realtà non ho mai conosciuto gente come quella di Beacon Hills. Sono tutti particolari a modo loro.
Rimango a fissarlo troppo a lungo e lui se ne accorge.
- Che... che c’è? – inizia a farfugliare, gesticolando – ho qualcosa in faccia?
Io scoppio a ridere.
- No, no – non stacco gli occhi dai suoi – ti stavo solo osservando.
Mi sembra che un sorriso stia per spuntare sul suo viso, ma lo trattiene.
- Perché? – torna a guardare la strada – non c’è nulla di bello da vedere.
- Non sono d'accordo.
Lui sembra sorpreso ed esita prima di guardarmi. Poi ritorna a rivolgere le sue attenzioni alla guida.
Penso alle parole che ho appena detto e rimango io stessa allibita. È che... è stato così immediato rispondergli in quel modo. Forse perché è questo che penso: Stiles è un ragazzo d’oro, proprio il tipo di persona che vorrei al mio fianco in questo momento. Sa farmi ridere, ha la testa sulle spalle, è spontaneo, è dolce e premuroso.
Mi piace. Sì, ora lo so.
Dopo queste settimane che ho passato con lui mi rendo conto che sì, provo qualcosa per lui. E mi sembra da pazzi che non ci abbia mai fatto caso fin ora.
- Perché mi dici questo? – mi chiede, con un pizzico di tristezza. Mi domando perché.
- Nessuno ha mai trovato niente di speciale in me – mormora ridacchiando nervosamente. Si vede che è dispiaciuto.
Ferma la macchina: siamo arrivati.


Ora finalmente posso guardarlo negli occhi.
Gli sorriso e gli prendo la mano.
- Stiles – cerco di scegliere le parole giuste – hai presente il primo giorno di suola? Quando ero totalmente persa e stavo scassinando il tuo armadietto?
- Credendo che fosse il tuo – ricorda, ridacchiando.
- Beh, da quel momento, da quando sei apparso... non so... hai reso quella giornata completamente diversa. E anche quelle successive. Insomma... non so cosa sia, ma... con te sto bene. Sto davvero bene. Mi sento apprezzata e protetta e... non lo so, in qualche modo amata. E ne avevo davvero bisogno, avevo bisogno di sentirmi così.
Faccio una pausa, ma i miei occhi non abbandonano i suoi.
- Pensi che chiunque possa fare questo? – chiedo, stavolta seria, anzi, quasi commossa.
Rimaniamo in silenzio per un attimo, poi un enorme sorriso gli illumina il volto.
Ha gli occhi lucidi e se li asciuga distrattamente con la manica della camicia.
- Grazie – riesce solo a mormorare, con la voce spezzata.
Gli prendo la testa tra le mani e gli stampo un bacio sulla guancia.
- Allora? Che ne dici di mostrarmi la tua sorpresa? Sono troppo curiosa.
Lui sorride. E il suo sorriso e i suoi occhi inumiditi dalle lacrime mi commuovono e in un certo senso rallegrano.
Spero che sia così che mi sentirò ogni minuto che passerò con lui.

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Capitolo 16
*** Scampato pericolo ***


Scendo dalla macchina.
Mi trovo su un prato e davanti a me, tra gli alberi, si apre la vista di un lago.
È bellissimo, sotto i raggi del sole.
Lancio uno sguardo a Styles, che sta osservando la mia espressione.
- Andiamo – mi allunga una mano. Io l’afferro e insieme ci avviamo verso la riva.
Passo dopo passo l’acqua cristallina si avvicina e io non riesco a trattenermi dal sorridere.
C’è una piccola spiaggia, prima. La sabbia è bianca e tiepida.
Mi tolgo le scarpe e ci affondo i piedi. È una sensazione bellissima, l’ho sempre amata.
Invito Styles a fare lo stesso, ma lui mi guarda stranito. Solo dopo un po’di insistenza si arrende e si mette a piedi nudi.
- È bellissimo – gli dico, quando ci sediamo in riva al lago.
Lui sorride dolcemente.
Mi viene da chiedermi quante ragazze abbia portato in questo posto. Perché da un lato vorrei essere l’unica. Vorrei credere di essere speciale, non so bene in quale senso. Speciale e basta.
- Ci vengo spesso, qui.
Ecco, ora inizierà a confessare quante scappatelle romantiche hanno avuto come destinazione questo posto.
- Da solo – aggiunge e io sento un tuffo al cuore.
- Posso capire perché ti piaccia venire qui – rispondo guardando l’acqua – è così... rilassante.
- È un posto magico.
Annuisco, mentre un alito di vento mi scompiglia i capelli.
Sento lo sguardo di Styles puntato su di me, ma non mi volto verso di lui.
Rimaniamo per secondi infiniti in silenzio, guardando lontano e liberando la mente, come per cercare di fare spazio a tutta la magia di quel posto dentro di noi.
- Voglio fare il bagno – dico all’improvviso.
Styles diventa tutto rosso in viso.
- Cosa!? – dice ridendo. Sicuramente spera ch’io scherzi.
Ed è strano, perché un ragazzo “normale” esulterebbe all’idea di fare un bagno con una ragazza. Senza vestiti. Eppure lui è Styles, e Styles non è come tutti gli altri.
Mi alzo in piedi e questo sembra farlo imbarazzare ancora di più, come se temesse quello che potrei fare.
Invece mi limito ad avvicinarmi all’acqua e ad immergervi i piedi.
È fredda, ma la sensazione che trasmette è meravigliosa.
Sorrido e mi mordo il labbro, come faccio spesso.
- Che fai, non vieni? – chiedo a Styles, che scatta in piedi.
- A... a pucciare i piedi? Ce... certo – risponde avanzando in modo goffo sulla sabbia.
Mi fa ridere.
Rimaniamo a lungo a fianco a fianco, coi piedi immersi nell’acqua. Io continuo a ridacchiare per l’espressione che Styles ha stampata in faccia, quell’espressione di quando non hai idea di cosa fare né di cosa potrebbe succedere.
Gli prendo la mano e lui sussulta.
- Andiamo! Solo un tuffo – lo imploro.
Lui mi guarda allibito, incredulo, perplesso. Poi scoppia a ridere.
- Tu sei strana – non suona come un’offesa.
- Anche tu.
Avanzo qualche passo nell’acqua, tirando Styles per la mano.
Presto mi trovo immersa fino ai polpacci. Fino alle cosce. Fino ai fianchi.
Mi manca il respiro per un attimo quando l’acqua arriva alla vita.
Sento i pantaloni aderire alla mia pelle.
Styles non sembra più preoccupato. Sta ridendo. E quanto mi piace sentirlo ridere.
Lo tiro ancora verso di me, ma lui inciampa – ovviamente – e si avvicina parecchio a me.
Ci separano solo pochi centimetri. Il mio petto quasi tocca il suo, il suo respiro quasi si mescola col mio.
Sento il vuoto nello stomaco e sono tentata di slanciarmi verso di lui e colmare quella distanza tra noi. Voglio essere più vicina a lui.
Lui mi osserva le labbra e per un momento penso che voglia baciarmi. E vorrei che lo facesse.
Muove le braccia come per prendermi i fianchi, ma poi si blocca e a me serve tutta la forza che trovo per tuffarmi nel lago.
L’acqua mi avvolge come un gelido manto di nulla.
Silenzioso, sfuggente.
Rimango immersa fino a che non sento i polmoni scoppiare per la mancanza d’ossigeno.
Quando riemergo in superficie noto che Styles è ancora nella stessa posizione di poco prima.
- Vieni! È bellissimo!
La mia voce sembra richiamarlo alla realtà. Si volta e si tuffa anche lui, raggiungendomi.
Sento che anche la maglietta si è stretta al mio corpo.
Styles mi si avvicina, agitando le braccia nell’acqua, come se temesse di annegare – eppure tocca  il fondo.
Lo schizzo con un getto d’acqua e lui mi imita, gridando un urlo di guerra.
E così segue un’accesa lotta di spruzzi e affogamenti vari, tra risate, schiamazzi e urla.
Bevo litri d’acqua ogni volta che la mia testa si immerge, sotto la spinta di Styles. Poi riemergo boccheggiando e gli salto addosso, spingendo lui a fondo.
Credo che lui si lascia affogare apposta.
In ogni caso sembra tutto così divertente... e lo è! Mi sembra quasi di essere tornata all’elementari, senza tormenti, senza pensieri, ma con tanti amici con cui fare cose... da bambini.
Dopo un’abbondante mezz’ora ci decidiamo ad uscire dall’acqua, zuppi e ridenti.
Mi imbarazza il fatto che la sagoma del mio corpo sia così definita a causa dell’aderenza dei vestiti bagnati, ma Styles non sembra farci molto caso.
Eppure io non riesco a non guardarlo: è bellissimo anche da così, coi capelli umidi arruffati, la t-shirt bianca definisce il suo fisico. Ed è... decisamente attraente.
Devo costringermi a guardare altrove e a respirare a fondo per resistere alla tentazione di saltargli addosso.
- Tu sei strana – ripete ridendo.
Io mi metto a sedere e lo osservo da sopra la spalla.
- Però ti faccio ridere – ribatto.
Lui sorride e non stacca gli occhi dai miei.
Sento di nuovo uno strano vuoto nello stomaco.
Il modo in cui mi guarda... sembra dirmi che non vuole lasciarmi andare, che mi vuole bene.
E io mi sento davvero amata. Vorrei potermi sentire sempre e per sempre così, come quando lo guardo negli occhi.
- È vero – ammette – ma sono più le volte in cui mi spaventi.
- Cosa!? – mi fingo offesa – io ti spaventerei!?
Lui annuisce, con la faccia da falso presuntuoso.
Incrocio le braccia e mi giro dall’altra parte, mettendo il muso.
- Eddai, sai che scherzo.
Sento che si è avvicinato, che è dietro di me. E immagino che non sappia bene cosa fare, come sempre.
Allora mi volto e lo trovo più vicino di quanto mi aspettassi.
I suoi occhi... ancora quel vuoto. E la voglia di averlo più vicino.
Allunga una mano verso il mio viso e penso che finalmente mi bacerà.
Però all’improvviso colgo un guizzo alle sue spalle. All’inizio non capisco. Ma poi...
- Styles, giù! – grido sdraiandomi e tirando lui su di me alla velocità della luce.
Giusto in tempo per sentire fischiare una freccia nell’aria sopra di noi. Ci avrebbe colpita in pieno. Solo un secondo in più e... uno di noi due sarebbe stato morto.
Mi accorgo con imbarazzo che la faccia di Styles è immersa nelle mie tette. Non sembra dispiaciuto, ma io mi sento avvampare.
Lui si accorge del mio sguardo e si sposta subito, ma non abbiamo tempo.
Scattiamo in piedi entrambi e iniziamo a correre verso il boschetto che ci separa dalla macchina.
- Corri! – grido.
Styles mi allunga una mano. Lui è più veloce e io sto rimanendo indietro.
L’afferro e mi volto. Riconosco il Jutovish che mi dà la caccia. Ma questa volta non è solo.
- Ommioddio Styles – continuo ad inciampare e sento le gambe cedere, tanto sono terrorizzata – sono qui per me.
- Non lascerò che ti prendano – mi risponde serio.
Siamo quasi arrivati all’auto, ma all’improvviso qualcosa ci piomba davanti e ci costringe e a frenare.
È un altro Jutovish, uno che non ho mai visto. Ha gli stessi occhi rosso sangue del suo compagno, ma è fisicamente più robusto.
Sferra un pungo a Styles, che si è parato davanti a me.
Io grido.
Styles cade a terra e improvvisamente mi sembra così piccolo rispetto a tutti quei pericoli a cui deve sempre far fronte per aiutare Scott.
- Lascialo stare – dico con rabbia.
Il Jutovish alza lo sguardo su di me. Sogghigna e io sento il sangue raggelarsi nelle vene.
- Non-toccarlo – ripeto, sforzandomi di avere una voce ferma e autoritaria, quando dentro stavo tremando.
Dietro di me c’è l’altro Jutovish. Non l’ho visto, ma, non so dire come, lo so. Io... lo sento, so che è alle mie spalle.
- Tu pensi di poterci dare degli ordini? – la sua voce è agghiacciante.
Solleva Styles per un braccio e io non riesco a fare nulla.
Gli occhi di Styles incrociano i miei e riescono a darmi quella sensazione di pienezza e di amore anche in una situazione simile. Mi danno coraggio.
- Lascialo andare.
Il Jutovish scoppia a ridere e sento che quello alle mie spalle si sta avvicinando a gran velocità.
Mi volto in tempo per schivare – non so come – il suo attacco di artigli.
Sento dentro di me montare una forte rabbia e una gran paura.
La sento crescere sempre di più e mi viene voglia di urlare.
Il Jutovish mi spinge con violenza a terra. Il dolore è fortissimo, così come la voce di Styles che urla il mio nome.
Tutto di me cresce e anche se sono sensazioni che fanno male, mi rendono forte.
E poi, all’improvviso, lascio andare quel grido che aveva bisogno di uscire.
E insieme ad esso una scintilla si libera dalle mie dita. Colpisce in pieno petto il Jutovish, che viene catapultato lontano.
Io scatto in piedi e guardò con rabbia quello che tiene il braccio di Styles tra i suoi artigli.
Sto pensando a come posso agire, ma sono troppo inesperta per riuscirci.
All’improvviso Styles tira una gomitata nello stomaco del Jutovish, che gli affonda gli artigli nella pelle. Styles grida di dolore e il mostro si piega su sé stesso senza fiato, per il colpo ricevuto.
Il mio amico – non so come – si libera dalla presa e corre verso l’auto. Io lo seguo, e riusciamo a salire a bordo un secondo prima che il Jutovish ci possa raggiungere.
Styles mette in modo e la macchina sfreccia via, lontana, accompagnata solo dal suono del nostro batticuore.
 
 

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Capitolo 17
*** Piano d'attacco ***


- Dici che ci hanno seguiti fino a qui?
- Sì, credo di sì.
Mi lascio cadere contro lo schienale, sbuffando.
La macchina sfreccia veloce per la strada deserta.
Il tempo sembra passare lentamente, mentre io fluttuo tra i ricordi di quel breve ma intenso pomeriggio.
Mi rendo conto di avere un sorriso ebete stampato in faccia e torno seria in un attimo.
Osservo Styles che sta cercando di prendere il cellulare mentre sta guidando. Gesticola come un orso bruno che balla l'hip-hop, ma non riesce a raggiungere il telefono.
Lo prendo io e faccio per passarglielo, ma lui mi indica con un cenno del mento.
- Chiama Scott. Digli che ci vediamo tra venti minuti al loft di Derek.
Annuisco e sblocco la tastiera. Ho il batticuore, come se stessi per scoprire qualcosa di importante, nascosta nel telefono.
Invece trovo in breve tempo il numero di Scott e faccio tutto ciò che Styles mi ha chiesto.
Quando chiudo la telefonata rimango ad osservare il mio amico. Ha un'espressione troppo seria, non gli appartiene.
- Cosa c'è che non va? – gli chiedo.
Lui sembra risvegliarsi da uno stato di trance.
- Cosa? No, niente. Tutto bene – accenna un sorriso, ma non è nemmeno lontanamente simile ai suoi soliti, dolci, caldi sorrisi.
Mi sistemo meglio sul sedile, così da guardarlo in faccia.
- Styles – dico, seria – puoi dirmelo.
Lui rimane in silenzio, ma noto la sua mascella irrigidirsi, come se stesse stringendo i denti.
All'improvviso colpisce il volante con un pugno, ma senza perdere il controllo.
- È solo che... sono stanco di essere così inutile. Io... cosa ci faccio con quelli come voi? Sono un semplice, debole umano. Nient'altro. Niente super-poteri. Niente trasformazioni – mi guarda con gli occhi pieni di dolore – non sono riuscito a fare niente per te, poco fa. Non ero in grado di aiutarti. Capisci? Io...
Non dice nulla per un po', e io rispetto i suoi tempi.
Mi si è spezzato qualcosa dentro, come se riuscissi a sentire la sua tristezza, ma ancora non gli dico che non ha idea quanto anche solo la sua presenza possa essere d'aiuto.
- Vorrei poter dare davvero un contributo in tutto questo, per una volta essere l'eroe, non quello che viene salvato.
Quando vede che non dico nulla si volta a guardami, perplesso.
Io sto sorridendo, e questo lo stupisce ancora di più.
- Che c'è?
- Niente – rispondo, senza smettere di sorridere – pensavo solo che tu sei alla pari degli altri, anzi. Loro è vero, hanno la forza fisica, ma... non hanno il tuo cervello, non hanno la tua intelligenza. E a te non è stata regalata o donata per sbaglio, come il morso da licantropo. Tu sei un piccolo genio, e lo sei di tuo, solo-per-merito-tuo.
Lui sorride compiaciuto, ma c'è ancora un velo di tristezza nei suoi occhi.
Gli sfioro la mano che stringe la cloche e lui sussulta, ma poi sembra tranquillizzarsi.

Finalmente arriviamo sotto casa di Derek.
Saliamo di corsa per le scale e di nuovo Styles mi distanzia. Appena se ne accorge si ferma e mi aspetta. Poi mi prende la mano e rinizia a correre.
Quando entriamo nel loft sono già tutti lì e ci osservano con curiosità.
Ora che ci faccio caso siamo ancora tutti bagnati, coi vestiti appiccicaticci premuti contro la pelle.
- Ho paura a chiedervi cosa steste facendo – dice Peter.
Mi sento terribilmente in imbarazzo e noto che è così anche per Styles.
Avanziamo verso il tavolo attorno al quale sono tutti riuniti, mentre Liam ci porta un paio di asciugamani.
Mi avvolgo dentro al mio e per sbaglio incrocio gli occhi di Derek.
Mi sento terribilmente brutta, con i capelli bagnati e la faccia senza trucco.
Poi mi costringo a non dare peso a quello che lui possa pensare di me. Non mi importa.
Lancio uno sguardo a Styles, seduto in un angolo, e mi siedo accanto a lui.
- Allora? Ci dite cos'è successo o no? – ci incalza Peter.
Styles racconta ogni cosa, per filo e per segno, ed è quasi come rivivere per la seconda volta quel divertente pomeriggio.
Fino all'arrivo dei Jutovish e allo strano viaggio di ritorno.
Troppi dettagli inutili, io avrei omesso la maggior parte della storia, ma in quel momento non contava quello che io avrei fatto. 
- Dunque sanno già che è Sidney. E la stanno cercando – dice Scott pensieroso.
Derek è immobile con le braccia incrociate, col suo sguardo duro e gli occhi di ghiaccio.
Peter ha l'aria distratta, mentre Allison, Isaac e Liam aspettano che Scott dica qualcosa.
- Dobbiamo attaccarli, allora – conclude lui – troviamoli e prendiamoli.
- Prendiamoli? Scott – ridacchia Peter – dobbiamo ucciderli, non li fermeremo mai, altrimenti.
- Peter – ribatte l'altro, calmo – placa i tuoi istinti omicidi. Non uccideremo se non è necessario. Ma non possiamo limitarci a fuggire da loro. Dobbiamo combatterli.

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Capitolo 18
*** Yipada ***


- Come intendi combatterli? – chiede Styles.
Mi sorprende quando lo sento parlare durante le pianificazioni: sembra così serio e così... sicuro.
- Prima dobbiamo cercarli – risponde Scott, poggiandosi al tavolo.
Derek fa un passo avanti e punta i suoi occhi su Scott.
- So chi li comanda.
Segue un minuto di silenzio, tra chi attende che Derek finisca la frase e lo stesso Derek che cerca di attirare l’attenzione e la curiosità.
- Yipada.
- Yipada?! – Peter sembra sorpreso. E spaventato.
Non avrei mai creduto che potesse esserlo, dato che ogni volta che l’ho visto ha avuto un atteggiamento da pallone gonfiato, come se non temesse nulla e nessuno.
- Non è possibile – mormora il licantropo biondo – io... io l’ho ucciso.
Cala un silenzio pesante tra di noi. Il mio cuore batte più veloce, ora. Sembra tutto ancora così strano. Inoltre, il fatto che lo stesso Peter sia spaventato mi terrorizza.
- L’hai ucciso tu? – il tono di Derek sembra accusatorio. Sembra che sia la prima volta che senta questa notizia.
- Mi avevi giurato di no! – sbraita con rabbia – tu... l’hai ucciso!
Derek tira un forte pugno sul tavolo, poi muove alcuni passi, la sua espressione è una maschera di incredulità.
- Non è il caso di discuterne ora – ribatte Peter, come se non sentisse il minimo rimorso per aver nascosto quell’informazione (apparentemente di rilievo) a suo nipote.
- Anche perché a quanto pare è ancora vivo – mi intrometto io, perché si vada avanti nella ricerca di soluzioni.
Tutti si voltano a guardarmi, stupiti di sentire la mia voce. Sento il battito del cuore rimbombarmi nelle orecchie e vorrei scomparire. Tutti quegli sguardi... così seri... non so, mi fanno uno strano effetto.
- Ha ragione. A quanto pare è ancora vivo – mi sostiene Styles, afferrandomi la mano, senza che nessuno riesca a vederlo – perciò dobbiamo deciderci.
Scott annuisce.
- Ah... – continua Styles, come se si fosse dimenticato qualcosa – chi è questo Yipada?

Yipada era un licantropo. Era stato trasformato dalla madre di Derek, così era entrato nel branco degli Hale.
Derek era ancora un ragazzino, Peter aveva pochi anni in più e Yipada aveva la sua stessa età.
Si era dimostrato un ragazzo ambizioso sin da quando si era abituato alla novità di essere un lupo mannaro. Lui non voleva essere un semplice beta che alimentava il potere del capobranco che lo aveva morso. Lui voleva diventare un alpha.
Si era tenuto dentro tutte le sue ambizioni, in attesa del momento giusto per iniziare a conquistare i suoi obiettivi.
Un giorno che c’era stato un violento litigio tra Peter e la sorella (la madre di Derek) Yipada era andato da lui e gli aveva proposto di prendere il posto della capobranco.
Peter era rimasto allibito ad una simile proposta, ma aveva accettato.
Avevano pianificato un modo per uccidere Talia, senza che lei sospettasse nulla.
Poi lo avevano attuato, ma proprio all’ultimo Peter aveva preso le difese della sorella, dicendo che non le avrebbe mai fatto una cosa simile.
Aveva finto di essere complice di Yipada solo per poterla salvare. E così era stato.
Allora Yipada era diventato un omega, in fuga dal suo branco. Viveva da solo per le foreste, fuggiva, combatteva. Spesso i pericoli del soprannaturale sono troppi per un omega, per qualsiasi creatura senza un branco, senza una squadra.
Naturalmente gli Hale non avevano lasciato impunito il suo tradimento: avevano iniziato a dargli la caccia ovunque, senza sosta, senza tregua.
Erano risentiti, perché, dopo tutto quello che loro avevano dato a Yipada, l’affetto, una famiglia, una speranza di continuare a vivere (anche se non da umano), i poteri di lupo mannaro, le sue ambizioni non gli avevano impedito di tradire il suo branco.
Gli Hale si erano messi d’accordo perché fosse Talia a ucciderlo, perché, comprensibilmente, era quella con le più valide ragioni per farlo.
Alla fine, però, era stato Peter a trovarlo. E non lo avrebbe di certo lasciato scappare ancora ed è ovvio che il potere di un beta, alimentato in parte dagli altri membri del suo branco, è nettamente superiore a quello di un omega.
Yipada non aveva avuto scampo e Peter lo aveva ucciso con un mortale graffio alla gola.
Il lupo mannaro aveva sempre affermato di non essere stato lui l’assassino, forse perché era consapevole di aver infranto l’accordo stretto con la sua famiglia, forse perché sapeva che avrebbero pensato che aveva eseguito quell’assassinio per accrescere il suo potere.
E molto probabilmente è stato davvero così, perchè anche Peter aveva sempre avuto un'insaziabile sete di potere. In fondo, lui e Yipada erano molto simili.

Sono stupita. Mi chiedo se tutte le storie di mostri siano simili a questa, anche se non credo. Probabilmente ce ne sono di molto più raccapriccianti.
Derek si è allontanato dallo zio e, di conseguenza, avvicinato a me e a Styles.
Si vede che è arrabbiato e risentito e il suo cervello continua a mescolare e rimescolare informazioni. Me ne accorgo anche se non sono nella sua testa.
E me ne stupisco!, dato che è assai difficile capire cosa pensi, avendo sempre la stessa espressione impenetrabile.
Derek nota che Styles sta stringendo la mia mano nella sua e, come involontariamente, solleva un sopracciglio.
Io incrocio il suo sguardo e poi lui rivolge le sue attenzioni altrove.
Mi avvicino leggermente a Styles, perché il gelo che Derek mi ha lasciato addosso mi fa rabbrividire.
- Domani andremo nella foresta e cercheremo delle tracce che ci possano indicare dove si nascondono. Ogni dettaglio può essere indispensabile.
Con queste parole si chiude il “raduno”.
Peter capisce bene di doversene andare e stare lontano da Derek per un po’.
Non so come faccia a saperlo, ma sono certa che lui è così risentito non solo perché Peter ha infranto l’accordo di famiglia, ma anche perché Talia è morta senza sapere che Yipada era stato ucciso da suo fratello, e, soprattutto, perché sotto sotto Derek sa che Peter, almeno per un attimo, ha pensato davvero di prendere il posto di sua madre.
Io e Styles ci alziamo, ancora umidi e avvolti negli asciugamani.
- Vedrai, presto sarai fuori pericolo – mi sussurra dolcemente, strofinandomi la mano lungo il braccio, come per scaldarmi, o rassicurarmi.
Avrei voglia di baciarlo. Con tutta quella dolcezza che emana, con quei suoi bellissimi occhi in cui affogo ogni santissima volta. Io voglio averlo più vicino, voglio sentire la sua pelle contro la mia. Le sue labbra sulle mie.
Muovo un passo in avanti, ma compare Scott all’improvviso.
- Ehy voi due! – nonostante appena cinque secondi fa fosse serissimo, ora sorride.
- Posso sapere che succede? – chiede malizioso.
Io mi sento avvampare e mi accorgo che anche Styles è in imbarazzo.
Soprattutto perché non lo sappiamo nemmeno noi, cosa stia succedendo.
- Niente – rispondiamo all’unisono.
Mossa sbagliata.
Scott infatti sorride. Lui probabilmente ne sa molto di più, riguardo ai rapporti di coppia, rispetto a Styles.
- Okay, okay – alza le mani all’aria in segno di resa. Inizia ad arretrare e solo ora mi accorgo che qualche metro più in là c’è Allison che lo aspetta – ma sappiate che lo scoprirò.
Io accenno un sorriso divertito, ma Styles si volta subito per non mostrare a Scott il suo imbarazzo. Si conoscono troppo bene e Scott capirebbe subito (in caso non lo avesse già fatto) lo stato d’animo dell’amico.
Styles mi guarda negli occhi. È davvero dura resistere all’impulso di baciarlo.
Non lo faccio perché Scott e Allison, anche se stanno lasciando il loft, ci guardano con la coda dell’occhio; e Derek è ancora dietro di noi e Liam e Isaac sono qua in giro.
Quando lo bacerò (SE lo bacerò) saremo solo io, lui e i nostri sentimenti. Senza spettatori.
- Ti porto a casa? – si offre Styles, premuroso, riportandomi alla realtà.
- No – sorrido – no, grazie. Conosco la strada.

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Capitolo 19
*** Baci mancati ***


- Come intendi combatterli? – chiede Styles.
Mi sorprende quando lo sento parlare durante le pianificazioni: sembra così serio e così... sicuro.
- Prima dobbiamo cercarli – risponde Scott, poggiandosi al tavolo.
Derek fa un passo avanti e punta i suoi occhi su Scott.
- So chi li comanda.
Segue un minuto di silenzio, tra chi attende che Derek finisca la frase e lo stesso Derek che cerca di attirare l'attenzione e la curiosità.
- Yipada.
- Yipada?! – Peter sembra sorpreso. E spaventato.
Non avrei mai creduto che potesse esserlo, dato che ogni volta che l'ho visto ha avuto un atteggiamento da pallone gonfiato, come se non temesse nulla e nessuno.
- Non è possibile – mormora il licantropo biondo – io... io l'ho ucciso.
Cala un silenzio pesante tra di noi. Il mio cuore batte più veloce, ora. Sembra tutto ancora così strano. Inoltre, il fatto che lo stesso Peter sia spaventato mi terrorizza.
- L'hai ucciso tu? – il tono di Derek sembra accusatorio. Sembra che sia la prima volta che senta questa notizia.
- Mi avevi giurato di no! – sbraita con rabbia – tu... l'hai ucciso!
Derek tira un forte pugno sul tavolo, poi muove alcuni passi, la sua espressione è una maschera di incredulità.
- Non è il caso di discuterne ora – ribatte Peter, come se non sentisse il minimo rimorso per aver nascosto quell'informazione (apparentemente di rilievo) a suo nipote.
- Anche perché a quanto pare è ancora vivo – mi intrometto io, perché si vada avanti nella ricerca di soluzioni.
Tutti si voltano a guardarmi, stupiti di sentire la mia voce. Sento il battito del cuore rimbombarmi nelle orecchie e vorrei scomparire. Tutti quegli sguardi... così seri... non so, mi fanno uno strano effetto.
- Ha ragione. A quanto pare è ancora vivo – mi sostiene Styles, afferrandomi la mano, senza che nessuno riesca a vederlo – perciò dobbiamo deciderci.
Scott annuisce.
- Ah... – continua Styles, come se si fosse dimenticato qualcosa – chi è questo Yipada?

Yipada era un licantropo. Era stato trasformato dalla madre di Derek, così era entrato nel branco degli Hale.
Derek era ancora un ragazzino, Peter aveva pochi anni in più e Yipada aveva la sua stessa età.
Si era dimostrato un ragazzo ambizioso sin da quando si era abituato alla novità di essere un lupo mannaro. Lui non voleva essere un semplice beta che alimentava il potere del capobranco che lo aveva morso. Lui voleva diventare un alpha.
Si era tenuto dentro tutte le sue ambizioni, in attesa del momento giusto per iniziare a conquistare i suoi obiettivi.
Un giorno che c'era stato un violento litigio tra Peter e la sorella (la madre di Derek) Yipada era andato da lui e gli aveva proposto di prendere il posto della capobranco.
Peter era rimasto allibito ad una simile proposta, ma aveva accettato.
Avevano pianificato un modo per uccidere Talia, senza che lei sospettasse nulla.
Poi lo avevano attuato, ma proprio all'ultimo Peter aveva preso le difese della sorella, dicendo che non le avrebbe mai fatto una cosa simile.
Aveva finto di essere complice di Yipada solo per poterla salvare. E così era stato.
Allora Yipada era diventato un omega, in fuga dal suo branco. Viveva da solo per le foreste, fuggiva, combatteva. Spesso i pericoli del soprannaturale sono troppi per un omega, per qualsiasi creatura senza un branco, senza una squadra.
Naturalmente gli Hale non avevano lasciato impunito il suo tradimento: avevano iniziato a dargli la caccia ovunque, senza sosta, senza tregua.
Erano risentiti, perché, dopo tutto quello che loro avevano dato a Yipada, l'affetto, una famiglia, una speranza di continuare a vivere (anche se non da umano), i poteri di lupo mannaro, le sue ambizioni non gli avevano impedito di tradire il suo branco.
Gli Hale si erano messi d'accordo perché fosse Talia a ucciderlo, perché, comprensibilmente, era quella con le più valide ragioni per farlo.
Alla fine, però, era stato Peter a trovarlo. E non lo avrebbe di certo lasciato scappare ancora ed è ovvio che il potere di un beta, alimentato in parte dagli altri membri del suo branco, è nettamente superiore a quello di un omega.
Yipada non aveva avuto scampo e Peter lo aveva ucciso con un mortale graffio alla gola.
Il lupo mannaro aveva sempre affermato di non essere stato lui l'assassino, forse perché era consapevole di aver infranto l'accordo stretto con la sua famiglia, forse perché sapeva che avrebbero pensato che aveva eseguito quell'assassinio per accrescere il suo potere.
E molto probabilmente è stato davvero così, perchè anche Peter aveva sempre avuto un'insaziabile sete di potere. In fondo, lui e Yipada erano molto simili.

Sono stupita. Mi chiedo se tutte le storie di mostri siano simili a questa, anche se non credo. Probabilmente ce ne sono di molto più raccapriccianti.
Derek si è allontanato dallo zio e, di conseguenza, avvicinato a me e a Styles.
Si vede che è arrabbiato e risentito e il suo cervello continua a mescolare e rimescolare informazioni. Me ne accorgo anche se non sono nella sua testa.
E me ne stupisco!, dato che è assai difficile capire cosa pensi, avendo sempre la stessa espressione impenetrabile.
Derek nota che Styles sta stringendo la mia mano nella sua e, come involontariamente, solleva un sopracciglio.
Io incrocio il suo sguardo e poi lui rivolge le sue attenzioni altrove.
Mi avvicino leggermente a Styles, perché il gelo che Derek mi ha lasciato addosso mi fa rabbrividire.
- Domani andremo nella foresta e cercheremo delle tracce che ci possano indicare dove si nascondono. Ogni dettaglio può essere indispensabile.
Con queste parole si chiude il "raduno".
Peter capisce bene di doversene andare e stare lontano da Derek per un po'.
Non so come faccia a saperlo, ma sono certa che lui è così risentito non solo perché Peter ha infranto l'accordo di famiglia, ma anche perché Talia è morta senza sapere che Yipada era stato ucciso da suo fratello, e, soprattutto, perché sotto sotto Derek sa che Peter, almeno per un attimo, ha pensato davvero di prendere il posto di sua madre.
Io e Styles ci alziamo, ancora umidi e avvolti negli asciugamani.
- Vedrai, presto sarai fuori pericolo – mi sussurra dolcemente, strofinandomi la mano lungo il braccio, come per scaldarmi, o rassicurarmi.
Avrei voglia di baciarlo. Con tutta quella dolcezza che emana, con quei suoi bellissimi occhi in cui affogo ogni santissima volta. Io voglio averlo più vicino, voglio sentire la sua pelle contro la mia. Le sue labbra sulle mie.
Muovo un passo in avanti, ma compare Scott all'improvviso.
- Ehy voi due! – nonostante appena cinque secondi fa fosse serissimo, ora sorride.
- Posso sapere che succede? – chiede malizioso.
Io mi sento avvampare e mi accorgo che anche Styles è in imbarazzo.
Soprattutto perché non lo sappiamo nemmeno noi, cosa stia succedendo.
- Niente – rispondiamo all'unisono.
Mossa sbagliata.
Scott infatti sorride. Lui probabilmente ne sa molto di più, riguardo ai rapporti di coppia, rispetto a Styles.
- Okay, okay – alza le mani all'aria in segno di resa. Inizia ad arretrare e solo ora mi accorgo che qualche metro più in là c'è Allison che lo aspetta – ma sappiate che lo scoprirò.
Io accenno un sorriso divertito, ma Styles si volta subito per non mostrare a Scott il suo imbarazzo. Si conoscono troppo bene e Scott capirebbe subito (in caso non lo avesse già fatto) lo stato d'animo dell'amico.
Styles mi guarda negli occhi. È davvero dura resistere all'impulso di baciarlo.
Non lo faccio perché Scott e Allison, anche se stanno lasciando il loft, ci guardano con la coda dell'occhio; e Derek è ancora dietro di noi e Liam e Isaac sono qua in giro.
Quando lo bacerò (SE lo bacerò) saremo solo io, lui e i nostri sentimenti. Senza spettatori.
- Ti porto a casa? – si offre Styles, premuroso, riportandomi alla realtà.
- No – sorrido – no, grazie. Conosco la strada.

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Capitolo 20
*** Diamo inizio alla caccia ***


Sono le sei. Il cielo inizia a scurirsi, anche se la notte è ancora lontana.
Io e Styles siamo nella sua macchina, stranamente in silenzio. Siamo diretti al bosco che circonda per tre quarti Beacon Hills, dove ci siamo dati appuntamento con gli altri.
Dobbiamo trovare Yipada, o almeno scoprire dove si nasconde. Ripenso ai Jutovish, i suoi seguaci che mi è capitato di incontrare. Rabbrividisco, pensando che lui dev'essere sicuramente più orribile e spaventoso.
- Pensi che riusciremo a trovarlo? - chiedo, quasi assente, guardando fuori dal finestrino.
Styles mi rivolge una rapida occhiata.
- Sei preoccupata?
Non ha risposto. Non è un buon segno.
Mi volto a guardarlo, ma lui ora ha gli occhi fissi sulla strada.
- Non lo so. Io non so che pensare.
- Non mi è nuova questa risposta - dice, quasi divertito.
Non so come possa esserlo in questo momento.
La macchina si ferma tra gli alberi, ancora poco fitti.
Styles mi rivolge un'occhiata dolce e comorensivia.
- Faremo di tutto perché non ti capiti niente.
Non voglio dimostrarmi sfiduciosa nelle loro capacità, ma mi è inevitabile pensare a quanto siamo svantaggiati.
Insomma... non sappiamo dove si nasconda Yipada, non sappiamo cos'abbia in mente, non abbiamo idea di quanti Jutovish facciano parte del suo branco.
Lui vuole i miei poteri, che in realtà è strano definire "miei" perché mi sembrano ancora totalmente estranei e sconosciuti. E il problema è che nemmeno gli altri hanno idea di che cosa sia effettivamente capace una Makutu. Nessuno può aiutarmi a capirci di più, nessuno può insegnarmi ad usare questo dono che mi è stato fatto. Devo farlo da sola, non so come,ma dovrò riuscirci in qualche modo.
Torno alla realtà quando Styles sbatte la portiera dopo essere sceso dalla macchina.
Lo imito e mi avvicino a lui.
Le sue braccia scivolano lungo i miei fianch, poi lui si appoggia alla macchina, trascinandomi con sé.
Mi stampa un timido bacio sulle labbra.
- Oggi mi hai sorpreso -dice con un sorriso.
Il suo sguardo basta per cancellare tutte le paure di prima.
Io sorrido di rimando.
- Vorrei che tu continuassi a farlo - continua.
- Sarà così.
Rimaniamo ad osservarci a lungo, fino a quando non sento il suono di un vociare lontano.
- Credo che gli altri siano qui.
- Come fai a dirlo? - mi chiede Styles perplesso, guardandosi attorno freneticamente.
Tutto era fermo, tutto era silenzioso, fatta eccezione per il frinire delle cicale che ci riempiva le orecchie.
- Li sento parlare -rispondo iniziando a cercare con lo sguardo il resto del branco.
- Io non sento niente.
Rimango un attimo perplessa, e sembra che Styles condivida il mio stato d'animo.
Poi faccio spallucce, prendendogli la mano.
- Sarà un effetto dei miei misteriosi poteri - dico con il tono di chi sta raccontando una storia di fantasmi.
Inizio a camminare, seguendo le voci che, apparentemente, solo io riuscivo a percepire.
Camminiamo per una cinquantina di metri e scorgiamo Scott, Allison e Liam raggruppati dietro un albero.
Guardo Styles come per dire: "Visto che sono arrivati?" e lui mi sorride.
- Ciao ragazzi - ci saluta Scott non appena ci vede. È preoccupato, ma ho notato che lo è sempre quando ci troviamo in situazioni simili a questa. In fondo lui è l'Alpha, è in un certo senso responsabile per noi, che siamo il suo branco. E la cosa bella è che lo siamo per scelta, non siamo legati a lui da un morso che ci rende i suoi Beta (eccetto Liam, che però sono sicura che sceglierebbe Scott anche se non fosse stato.trasformato da lui).
Allyson invece sorride, al nostro arrivo, e colgo un pizzico di malizia mentre fa scorrere lo sguardo da me a Styles e da Styles a me. Liam fa un cenno con la mano.
- Aspettiamo Peter e Isaac. Derek sta facendo un giro qua attorno, perché prima sentivamo dei rumori.
Il mio cuore pulsa nelle orecchie e inizio a sentire l'agitazione assalirmi.
Aspettiamo qualche minuto e compare Isaac coi suoi riccioli d'oro. Peter invece non è ancora arrivato nemmeno quando Derek ci raggiunge, di ritorno dal giro di circospezione.
- È normale che ci metta così tanto? - chiedo.
- È Peter - dice Styles sospirando- perciò si.
E infatti, dopo parecchio che aspettavamo, Peter ci raggiunge con passo rilassato, come se stesse facendo una passeggiata in campagna, tutto ben vestito e profumato,con la sua aria da pallone gonfiato.
- No, ma con calma, tranquillo - sbotta Scott appena lo vede.
Peter praticamente lo ignora e la sua aria altezzosa comincia ad irritarmi.
Scott ci spiega cosa dobbiamo fare e che genere di tracce ci potrebbero tornare utili.
Prima che il gruppo si separi per iniziare le ricerche, il capobranco mi rivolge un'occhiata che non riesco ad interpretare.
Ma è talmente intensa che proprio ora inizio ad avere davvero paura.

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Capitolo 21
*** Forza e coraggio ***


Io e Allison ci avviamo verso ovest. Solo ora faccio caso all'arco che stringe in pugno e alla faretra che porta sulle spalle.
Ora ha un'espressione seria e mi sento terribilmente inesperta in confronto a lei.
Si vede da come si muove che è sicura di quello che fa, sa come farlo e sa di poterlo fare. Per un attimo provo un pizzico di invidia.
- Andiamo - mi invita mentre inizia a correre.
Io la seguo subito.
Percorriamo la parte ovest bosco in lungo e in largo per un'oretta buona.
Spesso Allison si ferma, ascolta rumori a cui io non faccio caso, cerca cose che io nemmeno immagino ci siano... comincio a sentirmi un po' inutile; mi sembra di essere solo un peso, in quella che sarebbe, colmo dei colmi, una spedizione che dovrebbe salvare Me.
Quando ormai questa sensazione si è fatta insopportabile, Allison rallenta il passo e inizia a camminare accanto a me.
Ho il fiatone, lei, invece, sembra respirare normalmente.
- Stanca? - mi chiede.
Io scuoto la testa, anche se sto ancora ansimando.
- Inizia ad essere buio qua dentro - commento, appena ho ripreso il fiato.
Lei sta facendo scorrere lo sguardo in tutte le direzioni.
All'improvviso si siede su un masso. Io mi fermo, ma rimango in piedi accanto a lei.
Per un attimo mi sembra quasi abbattuta.
- Che cosa c'è? - le chiedo.
Lei fa per rispondermi, ma la zittisco con un cenno della mano.
- Un lupo.
- Dove?
- Io... non lo so, l'ho sentito ululare.
Allison scatta in piedi.
- È uno dei nostri?
Come faccio a saperlo?! Di solito mi parlano come fanno i normali esseri umani, non è che possa riconoscere le loro voci da lupi.
- Non lo so.
Poi, non so perché, inizio a correre, proprio nella direzione da cui mi era sembrato provenire il richiamo.
Allison mi segue senza fare domande. E questo in un certo senso mi compiace, come se fossi io, ora, ad avere il controllo della situazione.
Sento un altro ululato.
Mi volto verso Allison, ma non sembra averlo udito.
A quanto pare il potere di una Makutu comprende avere i sensi particolarmente svilluppati.
Continuo a correre nella boscaglia, inciampando. Sento il suono dei rametti che si spezzano sotto i miei piedi e i rami graffiarmi la pelle. Ma non mi importa.
Non saprei spiegare il perché, ma quel richiamo animalesco, che ancora mi riecheggia nella testa, mi è sembrato un grido di aiuto.
Ecco un altro ululato interrompere la quiete del bosco. Questo è più forte, probabilmente più vicino. Anche Allison lo ha sentito.
- È Scott! - urla e mi sembra quasi che stia provando a correre più veloce.
All'improvviso altri ululati si aggiungono al primo, ma suonano più come domande che come richieste di aiuto. Immagino che Isaac, Derek e Peter stiano provando a raggiungere Scott,e Liam, che era con lui.
- Riesci a trovarli? - grida Allison. È chiaro che è preoccupata.
Non abbiamo rallentato nemmeno per un attimo, e ora, i tagli che mi sono procurata nella corsa, iniziano a bruciare.
Provo a concentrarmi. Prima sull'immagine di Scott come un muscoloso adolescente, ma poi considero che in questo momento lui non ha tali sembianze. Penso al lupo dagli occhi rossi che avevo visto nel loft dopo l'incidente accaduto settimane fa, che nell'aspetto aveva ancora qualcosa del mio compagno di scuola.
All'improvviso, come in una visione mi appare davanti agli occhi il preciso percorso da seguire per raggiungere il nostro capobranco.
- L'ho trovato - dico, accelerando, non so come.
Allison fa lo stesso.
Improvvisamente mi trovo in uno spiazzo erboso, senza alberi, circolare. Prima che possa farmi alcuna domanda individuo un ammasso di pelo e occhi luminescenti che si scompone al centro dell'area.
- È qui! - grida una voce nella massa. Non ha niente di umano, è graffiante e roca e mi fa rabbrividire.
Tutti sembrano immobilizzarsi, poi mi sento una dozzina di occhi puntati addosso. O meglio.. li vedo, dato che tutte iridi irradiano una luminescenza. Occhi rossi, occhi gialli, e poi gli occhi blu di Derek, glaciali.
Mi chiedo dove siano quelli scuri, caldi e rassicuranti di Styles.
Sento Allison afferrarmi il braccio e trascinarmi via, mentre incrocio lo sguardo di Scott, che, non so come lo capisco, mi dice di scappare. Mi lascio trascinare e inizio a correre a perdifiato, mentre dietro di me sento scalpitare, ruggire, versi animali e colpi.
Immagino la lotta furiosa che sta avendo luogo dopo la mia apparizione.
Scott e il suo branco contro i Jutovish. E Yipada dov'è? È lì con loro? I Jutovish non esiterranno ad uccidere uno di noi. Loro sono bestie, assassini, spietati. Noi no. Scott non ucciderebbe mai gratuitamente. Lo immagino esitare persino in queste circostanze.
- Corri Sydney! - urla Allison perché le mie gambe hanno iniziato a rallentare, senza che io nemmeno le abbia comandate.
Poi mi rendo conto che tornare indietro è la cosa giusta. Stanno proteggendo me. Io devo fare qualcosa, non posso svignarmela e basta. Non è così che funziona. Non con persone come loro, che, strano a dirsi, hanno fatto così tanto per me.
- Nooo! - Allison grida. Si è fermata parecchio più avanti di me. Probabilmente mi sta dicendo qualcosa, ma io nemmeno la sento più.
Nella mia testa riecheggiano le voci selvagge di quelle bestie feroci che aggrediscono i miei amici, che lottano, per salvarsi e perchè i Jutovish non mi raggiungano.
Inizio a camminare verso di loro, proprio da dove sono scappata. Sento una forza incredibile impossessarsi di me, percorrermi dalla testa ai piedi. Mi sento forte. E per la prima volta penso di sapere cosa devo fare.
La rissa si è spostata. I Jutovish mi erano corsi dietro, o, almeno, ci avevano provato. Così ora combattono nel bosco, non più nella radura. E ora che li ho raggiunti li vedo lottare proprio sotto i miei occhi. So che sarà questione di secondi prima che tutti percepiscano la mia presenza. Devo sbrigarmi.
Scott sta avendo la meglio su un Jutovish grande e grosso, forse il più brutto di quelli presenti.
Isaac sta per attaccarne un altro. Liam, il più giovane e più esile, cerca di contrastare gli attacchi di un altro ancora, ma Derek è giunto in suo soccorso.
Il licantropo con gli occhi di ghiaccio combatte due Jutovish allo stesso tempo.
Quando ne vedo un terzo apparire alle sue spalle allungo un dito davanti al mio viso e si libera una saetta bluastra che lo colpisce un pieno. Quello lancia un grido, poi si affloscia su se stesso.
Derek se ne accorge e mi cerca con lo sguardo.
Putroppo anche gli altri Jutovish mi hanno notata e con più foga di prima cercano di raggiungermi. Ora i miei amici fanno più fatica a trattenerli.
Ho paura di stare facendo la cosa sbagliata. Ma anziché torturarmi con pensieri di questo genere mi butto nella mischia, e tra una saetta e l'altra riesco a difendere me e i miei compagni, ma non ho fatto fuori nessun Jutovish.
All'improvviso sento qualcosa fendere l'aria appena sopra la mia spalla. Sulle prime non capisco, ma poi vedo una freccia centrare il petto di un mostro di Yipada.
Mi volto: Allison è una decina di metri dietro di me, tenendo l'arco teso, con una freccia già incoccata.
Mi sorprendo della sua mira. Beh, ora abbiamo un avversario in meno.
Derek mi urla di scappare e sono sicura che lo avrebbe fatti anche Scott, se non fosse stato troppo preso dal suo combattimento e dal tenere d'occhio la sua Allison.
Mi chiedo dove sia Styles... magari ha dovuto nascondersi, perchè non sarebbe stato certo in grado di affrontare un simile scontro. Mi chiedo come possa sentirsi, dopo quello che mi ha confessato su come si sente impotente a confronto degli altri.
Vorrei correre a cercarlo e abbracciarlo forte. Ma non posso. Non ora.

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Capitolo 22
*** Sparito? ***


All'improvviso mi accorgo che Styles non è l'unico a mancare all'appello.
Mi guardo attorno. Scott e Derek stanno aiutando Liam a fare fuori due Jutovish; io, Isaac e Allison ne abbiamo messi in fuga due e stiamo lottando con l'ultimo.
Ma Peter dov'è?
Non lo vedo da quando ci siamo separati, al limitare del bosco.
Lui e Styles sono andati verso sud.
Insieme. Probabilmente Styles non è nascosto, allora. Magari lui e Peter sono ancora in giro, lontani da noi.
Com'è possibile che Peter non abbia sentito il richiamo? Lui è un lupo come Scott, Derek e gli altri. Chi meglio di lui avrebbe potuto sentirlo? E capire che si trattava di una richiesta di aiuto?
Cerco di rimandare questi pensieri a più tardi, a quando avremo finito qui, quando, saremo, almeno momentaneamente, fuori pericolo.
Dopo aver messo in fuga anche gli ultimi Jutovish ci raccogliamo tutti in mezzo ai pochi corpi senza vita.
- Dov'è Styles? - chiedo subito, quasi senza pensarci.
Tutti mi guardano allibiti, come per accusarmi che sia la mia unica preoccupazione in questo momento.
- E dov'è Peter? - aggiungo.
Gli altri si guardano l'un l'altro, come se anche loro se lo stessero chiedendo da un po'.
- È strano che non mi abbiano sentito - osserva Scott. Lo stesso ragionamento che ho fatto io.
- A loro ci pensiamo tra cinque minuti - interrompe brusco Derek.
Penso che ci voglia talento per essere sempre così antipatico e rimanere comunque affascinante.
- Dov'è Yipada? - chiede Allison.
- Non lo sappiamo - risponde Scott - non ci sono tracce, non ci sono odiri. Non sono nemmeno più sicuro che si nasconda in questo bosco.
- Deve essere qui. Per forza - fa notare Allison - è ovvio che voglia stare il più vicino possibile al suo obbiettivo - mi guarda - in città non gode di una buona fama, e immmagino non ci andrebbe mai, sapendo che Derek e Peter vivono proprio lì. L'unico posto che rimane è il bosco. Poi, ora che gli Hale...- sceglie le parole con delicatezza - non hanno più il controllo di questo territorio, sembra proprio il rifugio ideale. Si sta nascondendo.
- Probabilmente sa che lo stiamo cercando - fa saggiamente notare Isaac.
- Dunque che si fa? - oso chiedere, per arrivare alla parte "pensiamo a che fine può aver fatto Styles".
- Pensiamo a ritrovare quei due, poi decidiamo.
A quest'ordine del capobranco, i lupi mannari partono in corsa, e, ululamdo, spariscono nel bosco che si fa sempre più scuro.
Allison aspetta me, invece. Basta uno sguardo per metterci d'accordo: avrei provato ad individuare Styles e Peter proprio come avevo fatto con Scott poco prima.
Per due minuti abbondanti sembrò che quell'evento non avrebbe avuto un "bis", ma ecco che ai miei occhi viene indicata una strada ben precisa da seguire.
Inizio a correre, e Allison dietro di me.
Non so se essere preoccupata. Solo adesso mi rendo conto di quanto la mia vita sia diventata pericolosa, ora, e di quanto lo sia anche quella dei miei amici.
Temo che Styles e, ma sì, anche Peter, siano in pericolo. Ho assistito (e infine anche partecipato) all'attacco dei Jutovish, ho visto come sono aggressivi e spietati.
Se i due si sono imbattuti in un simile gruppo a questo punto non dobbiamo sperare di rivederli vivi.
Poi penso ai corpi inermi di quelle bestie che sono state uccise nel combattimento. Io li vedo come mostri, ma in fondo sono... erano ragazzi come noi, che hanno perso la testa, si, ma anche la vita. E mi rendo conto che questo non è un gioco, non è un film. Questa è la mia realtà e in questa realtà io sono in pericolo. Tutti noi lo siamo. E, soprattutto, in questa realtà si muore. Muoriamo noi, anche se siamo i buoni, anche se siamo giovani e interessanti. Nel film queste persone bene o male si salvano. Ma nella vita vera non funziona così. E io ho paura. Sono terrorizzata dalla morte.
Inciampo e questo mi distoglie dai miei pensieri. Allison corre ancora dietro di me e io continuo a seguire la strada che mi viene indicata, e che solo io conosco.
Sento gli ululati del branco, ogni tanto. Distanti, poi vicini, poi ancora più lontani, dopo quasi accanto a noi.
Ognuno sfrutta le proprie doti come può. E questo è bellissimo. Perchè nonostante  abbiamo tutti in comune questa realtà soprannaturale e incredibile,siamo tutti diversi gli uni dagli altri, tutti particolari.
Mi costringo a smetterla di pensare e ad impegnarmi a trovare Styles.
E, sì, anche Peter.
Sento un ululato e penso di avere riconosciuto l'animalesca voce di Isaac, ma non ne sono sicura.
All'improvviso vado a sbattere contro qualcosa, forse a causa di questa distrazione.
L'impatto non è piacevole, ma non si tratta di una superficie dura, anzi.
Inciampo in qualcosa e cado a terra, ma sento che c'è qualcosa sotto di me... o qualcuno.
- Styles!
Lo riconosco dagli occhi, a meno di cinque centimetri dai miei.
Gli stampo un bacio sulle labbra.
- Sempre felice di vederti - risponde accennando un sorriso. Io quasi scoppio a ridere.
Mi sposto da sopra di lui e mi accorgo che Allison ci osserva incuriosita. Non ci faccii caso.
- Stai bene? - chiedo a Styles, che si sta stronfinando le mani sui vestiti in modo goffo per levarsi di dosso la terra e le foglie che gli si sono appiccicati con la caduta.
- Si... emh... si, sei il pericolo più grande che ho corso oggi. Fiuuuu sono vivo - ridacchia nervosamente, ciondolando - posso... posso chiedere a che pensavi? Cioè... è difficile non vedermi - dice imitando il tono da playboy e indicando se stesso come se fosse irresistibile.
Non faccio in tempo a ridergli in faccia che lui viene spinto a terra.
Alle sue spalle compare Derek, serissimo.
- Scusa, non ti ho visto.
Io soffoco una risata, mentre Styles non sembra altrettanto divertito, anzi.
Sembra quasi umiliato per quel tentativo di apparire macio, tristemente finito male con l'arrivo di Derek.
Accanto a lui compaiono Isaac, Liam e Scott, che allunga una mano al suo migliore amico e lo aiuta a rimettersi in piedi.
- Ciao Styles.
- Eilà signor Alpha.
- Dov'è finito Peter?
Styles fa saettare gli occhi a destra e a manca, provando a dire qualcosa. Poi sembra rinunciarci.
- Me lo chiedo anche io.

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Capitolo 23
*** Barriere ***


- Tu stai bene? - mi chiede Styles mentre camminiamo dietro agli altri.
Annuisco.
I licantropi aprono la fila, fiutando l'aria, il terreno, scattando avanti, rallentando.
La nostra marcia è accompagnata dallo scricchiolio dei rametti che si spezzano sotto i nostri piedi.
Ho cercato di essere di aiuto, di trovare la strada che ci possa condurre da Peter, ma non ci riesco. Non so perché, questa volta non funziona.
Allison cammina in silenzio accanto a me e Stiles, ma di tanto in tanto ci osserva con la coda dell'occhio.
- Giriamo da ore, com'è possibile che non ho ancora fiutato il suo odore? - si lamenta Isaac.
Solo ora faccio caso a quanto tempo abbiamo trascorso dentro al bosco. Che ore sono? Quanto tempo è passato? Mio padre mi ucciderà... dovrei già pensare ad una valida scusa da rifilargli.
- Fermi tutti - dico, bloccandomi di colpo.
Tutti si voltano verso di me.
Ho una strana sensazione. Non capisco cosa sia. Guardo verso il cielo, nascosto dalle fronde degli alberi.
Il silenzio del bosco mi fischia nelle orecchie, che quasi mi fanno male.
- Che c...- prova a chiedere Liam.
- Ssh! - lo zittisco.
Sento la mia pelle drizzarsi, come se avessi i brividi.
Che cosa sta succedendo? Cosa significa?
- Io... credo di sentire qualcosa.
- Cosa? - chiede subito Scott. Io neanche lo sento.
- Un incantesimo.
Si guardano l'un l'altro.
- Sei sicura?
- Sì. Qualcuno ha fatto un incantesimo da queste parti.
- Non puoi dirci di più?
- È già tanto che sia riuscita a capire questo - ribatto.
Scott, con le sembianze di un lupo mannaro, assume un'aria pensierosa.
Cala il silenzio tra di noi. Tutti aspettano ordini, tutti cercano di capirci qualcosa.
- Probabilmente si tratta di un incantesimo di occultamento - dico. Non so come faccia a saperlo.
- Come fai a dirlo? - mi domanda Allison, tendendo l'arco e iniziando a guardarsi intorno freneticamente.
Questo gesto mette tutti sull'attenti.
Non rispondo e gli altri non insistono. Cerco di guardare tra gli alberi, in cerca di non so che cosa.
Ad un certo punto vedo come un mulinello d'aria, vicino ad un tronco. Piccolo, quasi invisibile. L'aria in quel punto ruota velocemente.
Storto la testa di lato per studiarlo meglio, poi muovo qualche passo in quella direzione.
- Sydney...- mormora Stiles, chiedendosi che cosa mi stia passando per la testa, ma non insiste.
- Che cos'è? - chiedo, più a me stessa che agli altri, guardo arrivo appena sotto al mulinello.
Scott mi si avvicina lentamente, seguito dagli altri.
- Cos'hai visto?
- Non lo vedi? Qui l'aria vortica. Deve significare qualcosa.
- Magari...- non fa in tempo a finire la frase che un lampo squarcia le tenebre accompagnato dal suono come di una scarica elettrica.
Guardo a terra e vedo Stiles con i capelli dritti in testa, fumanti, e la faccia annerita.
Alza un dito, con un'espressione stupeffatta e terribilmente buffa. Anche il suo dito è sembra bruciacchiato.
- Non toccatelo - dice.
Io soffoco una risata, Scott scuote la testa. È ancora serio ma si vede che è divertito. Derek alza gli occhi al cielo, mantenendo la sua perenne espressione truce.
Afferra Stiles per la maglietta e lo tira su in piedi. Gli poggia la mano sulla testa e lo fa ruotare sotto di essa, così da guardarlo in faccia. O quasi, dato che Derek è alto il doppio di lui.
- Smettila di far cagate - dice con la sua voce cavernosa, scandendo bene parola per parola.
Stiles sembra farsi piccolo picolo, e, quasi rannicchiandosi si sfila da sotto la mano di Derek.
- Ho afferrato il concetto - dice - nr. Musolungo.
Derek scatta verso di lui, come per colpirlo. E benché io capisca che è una finta, Stiles si rannicchia ancora di più e scatta il più lontano possibile dal licantropo.
Quando torno a guardare il mulinello scorgo Allison che prende la mira, tendendo l'arco con la freccia già incoccata.
La freccia parte, sibila, fende l'aria, e centra perfettamente il mulinello, oltrepassandolo.
Si sente un rumore, come di un vetro che si infrange, e mille frammenti colorati e luminosi iniziano a cadere su di noi.
Appena toccano il nostro corpo o terra si spengono e svaniscono nel nulla.
Ci scambiamo rapidi sguardi, chiedendoci cosa sia successo.
- Ragazzi - dico all'improvviso - non lo sento più...
- Cosa?
- Non ho più quella sensazione...- ho un'espressione corrucciata, che spaventa gli altri - Allison - le dico, guardandola negli occhi - hai rotto l'incantesimo.
- E ora?
- Ora... be, non mi aspetterei nulla di buono. Qualunque cosa questa magia stesse nascondendo, ora ce l'abbiamo davanti. E chiunque abbia effettuato l'incantesimo sa che è stato annullato. Chiunque ci sia qui sa che lo abbiamo trovato.
- Yipada è un semplice lupo mannaro, non può effettuare magie - fanno notare gli altri.
Poi la voce di Derek tuona come un fulmine.
- Significa che il pericolo a cui stiamo andando incontro è più grande di quanto ci aspettassimo.

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Capitolo 24
*** Salvami ***


Allison è la prima a muovere qualche passo in avanti.
Scott la segue subito dopo. Riprende a fiutare l'aria.
- Ragazzi ora lo sento. Sento l'odore di Peter.
Com'è possibile? Da un momento all'altro ricompaiono le sue tracce? Non ha senso. A meno che... a meno che lui non fosse all'interno della bariera di occultamento già da prima che noi la distruggessimo.
Lo faccio notare agli altri, che però sembrano essere già giunti alla mia stessa conclusione.
- Cosa sta succedendo? - chiede Isaac.
- Di Peter non ci si può fidare - si lascia sfuggire Stiles.
- Stai dicendo che sta tramando qualcosa alle nostre spalle?
- Sto dicendo che è alquanto strano che lui fosse in quest'area sotto incantesimo, nascosto da noi altri. E che, guarda caso, probabilmente è proprio qui che si nasconde Yipada e, altra coincidenza, hanno un passato di alleanze e tradimenti.
Nessuno mi sembra troppo sorpreso. Dev'essere proprio un tipaccio, Peter.
Allora l'impressione che mi ero fatta assistendo praticamente a tutta la sua vita, la prima notte di luna piena, non era sbagliata. Mi aveva subito dato l'idea di essere un arrogante e ambizioso opportunista.
Ma allora che ci faceva con Scott e gli altri? E come potevano loro fidarsi di lui?
- Secondo te cosa sta combinando Peter? - chiedo a Stiles.
Lui ha un'aria seria e fatica a non inciampare.
- Non ne ho idea - mi risponde - Peter è imprevedibile. Non si sa mai cosa aspettarsi da lui. Agisce solo secondo le sue esigenze e i suoi comodi. Non so come possa farlo.
- Pensa che questo l'ho intuito anche io, da quel poco che lo conosco.
La voce di Isaac interrompe il nostro discorso.
- Scott ho trovato qualcosa.
Scott si avvicina ad Isaac, mentre il mio cuore inizia a battere all'impazzata. Stiles si accorge che inizio ad essere inquieta e mi prende timidamente la mano.
Liam e Derek raggiungono Scott con passi lenti e cauti, seguiti da Allison all'erta, con l'arco teso, pronta ad attaccare.
Noto come tutti riescano a sapere cosa fare in ogni circostanza. Sono tutti sicuri, prudenti, attenti, e c'è sintonia tra loro.
Poi guardo me e Stiles, mano nella mano, rimasti indietro. Lui sembra fuori posto in mezzo a tutti quei pericoli e io... beh io pure. Entrambi non siappiamo esattamente cosa fare.
Sorrido, al pensiero che siamo quasi due intrusi, ma lo siamo entrambi, insieme.
D'istinto gli stringo la mano un po' più forte e questo lo lascia perplesso, ma non mi fa domande.
- Sembra un nascondiglio - osserva Liam.
- Lo è - risponde Derek, annusando l'aria - e Peter è qui dentro.
- E non è solo - la voce di Stiles trema nell'aria silenziosa.
Tutti si voltano verso di lui, in tempo per vederlo avvolto tra le spire di un serpente gigantesco.
Prima ch'io riesca ad urlare sento che qualcosa di viscido mi scorre sulla pelle e mi manca il fiato quando mi sento stringere.
Non riesco a muovermi. Sono totalmente immobilizzata dalla stretta del rettile e immagino che anche Stiles si senta così.
Possibile che siamo sempre noi quelli in pericolo? Questa situazione inizia a stufare anche me.
Una voce tuona alle nostre spalle. - Bene, bene, bene. Cos'abbiamo qui?
Una figura compare dalle tenebre e si fa avanti, oltrepassando i corpi imbalsamati mio e di Stiles.
- Yipada - sento Derek mormorare a denti stretti. Sembra più spaventoso del solito, il che è tutto un dire.
- Ciao Derek - immagino che stia sorridendo - felice di rivedermi?
Derek ruggisce e si dimena, poi scatta per attaccare. Sta per piombare addosso a Yipada, quando questo, con un solo gesto della mano, lo scaglia lontano.
Derek si schianta al suolo con violenza, emette un rantolo, non si chiede nemmeno come un semplice lupo mannaro possa aver fatto una simile cosa. Poi si rialza e riparte all'attacco.
All'ultimo istante Scott gli si para davanti, ringhiando. Derek è costretto a fermarsi.
- Levati, Scott.
- Derek smettila - ribatte l'Alpha - è quello che lui vuole.
Continuano a fissarsi e a ringhiarsi contro.
- Ragazzi - mormora Stiles quasi senza fiato - non è per mettervi fretta... ma... qui l'aria inizia a mancare.
Derek gli rivolge un'occhiataccia, latrando.
- Come non detto, me la farò bastare.
Capisco quello che sta provando Stiles, perché anche io inizio a fare fatica a respirare. La stretta del serpente si sta facendo sempre più soffocante.
Derek sembra calmarsi, ma la voglia di fare fuori il nemico della sua famiglia non si placa.
Rimane indietro, in disparte, mentre Scott si fa avanti. Allison è appena dietro di lui, pronta a difenderlo.
- Yipada - dice Scott.
- In persona - risponde l'Omega.
Ha lunghi capelli lisci e sottili, neri con qualche filamento bianco, raccolti in una coda che gli ricade sulla schiena. Non riesco a vederlo in faccia, perché mi dà le spalle. Ma noto che é alto e snello, nonostante i vestiti che indossa lo facciano sembrare più robusto di quello che è.
- Dov'è Peter? - chiede subito Isaac.
Yipada allunga lo sguardo oltre le spalle di Scott, per guardare il licantropo negli occhi. Vedo Isaac assumere un'aria disgustata.
- Cosa vuoi che ne sappia io? É un vostro amico.
- Non è un no...- ribatte Isaac, ma Scott lo zittisce con un cenno della mano.
- Lasciali andare - ringhia Scott guardando nella mia direzione.
Yipada scoppia a ridere e la sua risata mi fa rabbrividire.
- Ho la Makutu nelle mie mani e tu mi chiedi di lasciarla andare?
Noto l'espressione di chi non sa cosa fare, dipinta sul volto di Scott. Non lo avevo mai visto così e questo mi spaventa. Anche perché, ovviamente, Yipada ha ragione.
Sento un tonfo accanto a me. A fatica mi giro e vedo Stiles in ginocchio a terra, libero dalla stretta del rettile. Tira un respiro pronfondo, poi scatta in piedi, ansimando e corre dagli altri, lontano da Yipada. Lontano da me.
Però il suo sguardo corre subito a me. È terribilmente preoccupato.
Io sento mancare l'aria.
- Lasciala! - grida Stiles. Ma è inutile.
- Ti ho appena fatto un favore, lasciandoti andare, non mi far pentire - ringhia Yipada.
Noto lo sguardo di impotenza negli occhi di Stiles. Ma non sembra arrendersi.
Scott sta per dire qualcosa ad Yipada. Forse ha un piano. Ma all'improvviso Stiles afferra un ramo, per terra accanto a lui e inizia a correre verso di me.
Supera l'Omega e mi raggiunge, inizia a menare fendenti contro il serpende che circonda il mio corpo. Quello mi stringe ancora più forte.
- Stiles, non respiro - mormoro, ma lui insiste, lanciando grida di guerra e continuando a tirare legnate.
Vedo Yipada che si volta e finalmente riesco a vedere il suo volto...completamente sfigurato. Non ha gli occhi, solo due sottili fessure e la bocca è un orribile taglio obliquo. Un'enorme cicatrice gli attraversa il collo. È terrificante.
Allunga un dito in direzione di Stiles e ho il presentimento che stia per lanciare una magia contro di lui.
Scott, però lo anticipa, e gli salta addosso, sguainando gli enormi artigli.
Anche Scott viene sbalzato lontano, com'era successo a Derek.
Allora Liam e Isaac si fanno sotto, contemporaneamente, ma Yipada iniza a difendersi sferrando incantesimi a destra e a manca. I due cercano di schivarli, ma qualche atracco va a sengo. Quando accade lanciano urla di dolore o finiscono a terra. Ma poi si rialzano e riattaccano. Anche Scott si è ripreso e li aiuta.
Io inizio a sentirmi terribilmente debole, non sento più il mio corpo e ho il presentimento che a momenti potrei svenire.
Yipada non ha ancora nemmeno un graffio. Riesce a difendersi perfettamente, ma perché lui ha la magia dalla sua parte. E ancora la cosa è inspiegabile.
Solo ora faccio caso che Derek non sta aiutando ad attaccare, ma sto iniziando a perdere lucidità, perciò non ci do troppo peso.
- Resisti ancora un po', ti prometto che ci riuscirò - Stiles continua a darsi da fare per liberarmi, ma è tutto inutile.
Non posso farglielo notare, sia perché alimenterei i suoi complessi di impotenza, sia perché non ho voce per farlo.
Poi all'improvviso sento la presa allentarsi, l'aria tornare a riempirmi i polmoni. Cado a terra ma ci metto secoli per riuscire a muovermi.
Alzo lo sguardo e vedo Stiles, piegato in due, col fiatone.
Poi mi volto e dietro di me incrocio i glaciali occhi di Derek. Mi ha salvata. Ancora.
Accenno un debole sorriso, per ringraziarlo, ma è da Stiles che corro subito.
Mi alzo e mi getto tra le sue braccia.

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Capitolo 25
*** Arroganza ***


- Devi andartene - ringhia Derek alle mie spalle.
Sciolgo l'abbraccio con Stiles, ma me ne pento subito dopo. Vorrei ributtarmi tra le sue braccia.
- Non me ne vado - ribatto.
- Non ti ho dato una scelta.
La sua presunzione mi fa andare su tutte le furie. Che diritto ha lui di scegliere per me e impormi cosa fare?
Pensandoci, forse, un minimo diritto ce l'ha, lui come gli altri, che rischiano continuamente la vita per me. Ma in questo momento non mi importa.
- Senti un po' - sbotto avvicinandomi a lui - non mi puoi ordinare cosa fare. Voglio rimanere qui a darvi una mano, siete in pericolo a causa mia e io... io posso aiutarvi.
- E con cosa? Coi tuoi poteri che funzionano una volta ogni tanto e che ancora non sappiamo cosa possono fare? Un grande aiuto, complimenti.
Ha ragione. Terribilmente ragione. Le sue parole mi trafiggono come frecce.
Dovrei andarmene, smetterla di essere d'impiccio per non metterli ancora più in pericolo. Fin che sto qui sono solo una persona in più da difendere, perché non sa farlo da sola o ci riesce una volta su cento.
Nonostante ciò, la mia intolleranza nei confronti di Derek mi costringe a non cedere.
Incrocio le braccia al petto e pianto i piedi, come una bambina. Ma almeno gli è chiaro che io da qui non mi muoverò.
Lui mi fulmina con lo sguardo. Sento Stiles che mormora: - Sydney, forse dovresti fare quello che dice lui.
Poi in un attimo Derek mi afferra, mi solleva, mi ribalta e mi ritrovo a testa in giù, sdraiata sulla sua spalla a cavallo tra il suo petto e la sua schiena.
- Come vuoi.
Inizio a scalciare, ma lui mi tiene stretta.
- Lasciami giù! - grido.
Ma Derek inizia a camminare, ignorando i miei lamenti e le mie minacce.
- Beh... ora... non ti sembra un po' drastico...? - prova Stiles correndoci dietro.
Derek si limita a rivolgergli uno sguardo che io non riesco a vedere. Ma colgo l'effetto che ha su Stiles, che si zittisce.
Scott e gli altri, non hanno smesso di attaccare Yipada, ma da come si muovono è chiaro che sono stremati. Non ne possono più.
- Vai a chiamare Scott e gli altri. Ce ne andiamo - ordina Derek a Stiles.
Quest'ultimo fa per ribattere, ma le sue parole rimangono sospese nell'aria. A testa bassa lui gira i tacchi e torna indietro.
Dopo cinque minuti abbondanti che Derek cammina con me caricata sopra ricomincio a lamentarmi.
- Ora mi puoi mettere giù? So camminare da sola!
Lui nemmeno mi risponde.
Inizio a sclaciare.
- Derek! Lasciami. Giù - provo a sembrare minacciosa, ma non funziona. Già, mi dimentico chi mi sta tenendo in ostaggio.
Ad un certo punto mi afferra e mi mette a sedere per terra, con ben poca delicatezza. Lui rimane in piedi, in tutta la sua altezza, davanti a me.
- Ti hanno mai detto che hai delle mani d'oro? - dico, sarcastica.
Derek fa un finto sorriso di mezzo secondo, come per dire: "Spiritosa".
È la prima volta, però, che lo vedo sorridere.
Alza gli occhi al cielo.
- Perché a me? Ne bastava uno, di voi due, che già faticavo a sopportarlo.
Si riferisce a me e Stiles.
Mi alzo di scatto, pronta a ribattere, ma con una debole (per i suoi parametri) spinta sulla fronte mi fa ricadere a terra.
Assumo lo sguardo più cattivo che trovo, ma non lo è abbastanza. Non per uno come Derek.
Provo di nuovo a scattare in piedi, ma lui, con un altro colpo mi spinge a terra.
- Ma sai che sei proprio antipatico? - sbotto.
Lui mi guarda in cagnesco coi suoi occhi blu.
- Disse Miss Simpatia.
Mi rialzo in piedi per ribattere, ma, ancora, mi ritrovo col sedere per terra.
All'improvviso un ululato squarcia il silenzio della notte. È Scott.
Derek inizia a fiutare l'aria e a guardare lontano.
Io ne approfitto per alzarmi in piedi e questa volta ci riesco, perché lui è distratto.
All'improvviso le mie orecchie si riempiono di suoni: passi, passi in corsa, persone che ansimano, ringhi, urla.
- Stanno scappando - dico, col cuore in gola.
Derek sembra risvegliarsi da un profondo stato meditativo e mi guarda coi suoi luminescenti occhi blu.
- Come lo sai?
- Sono qui - lo ignoro - corri!!
Inizio a correre a perdifiato e il licantropo subito dopo di me. Presto però mi supera, quasi senza accorgersene.
Intanto, come avevo previsto, Scott e gli altri compaiono subito dopo di noi.
Stanno fuggendo da qualcosa, non so cosa.
Mi fermo all'improvviso, e rischio di venire travolta da Isaac e Liam, che non fanno in tempo a fermarsi. Mi supera anche Allison, ma mi urla di correre e si ferma subito dopo di me.
Prima che possa dirmi qualcosa mi raggiunge anche Stiles. Gli afferro la mano e ricominciamo a correre. Insieme.
Sento i versi animaleschi di qualunque cosa ci stia inseguendo e mi sento morire di paura.
Non so come, arriviamo alla macchina di Stiles. Lui si infila al posto di guida, io salgo davanti e Allison dietro. Gli altri, ben più veloci di noi, sono già corsi via.
Chiudiamo subito le portiere e rimaniamo immobili e ansimanti. Proviamo a riprendere fiato, ma all'improvviso qualcosa colpisce con violenza la macchina.
Urliamo.
Stiles, tremando, ci mette un po' ad infilare le chiavi nella toppa del'avviamento. Mette in moto, poco prima di ricevere un altro, violento colpo.
Inserisce la retromarcia e ad una velocità pazzesca sfrecciamo via, distanziando sempre di più i nostri inseguitori.
Mi accorgo di avere le lacrime agli occhi. E quando guardo Allison attraverso lo specchietto retrovisore mi vergogno di essere così spaventata. Lei è impassibile, ha il suo solito sguardo sicuro, anche se ora sembra quasi assente. Sta guardando fuori dal finestrino.
Non faccio domande, non dico nulla. Semplicemente poggio la mia mano su quella di Stiles, che stringe la cloche.
E rimango così, in silenzio, col cuore in gola, non saprei dire se solo per la paura o anche perché sento quel ragazzo che mi piace così dannatamente tanto terribilemente vicino. Probabilmente più vicino di quanto nessuno non sia mai stato.

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Capitolo 26
*** Antipatie ***


Siamo salvi. Tutti.
Allison sta medicando Scott e Liam, che hanno riportato parecchie ferite. Io la sto aiutando disinfettando i tagli di Isaac.
Sono più impressionabile di lei e lui è quello che ha riportato le ferite meno gravi.
- Fanno male? - gli chiedo, tamponandogli l'ovatta satura di acqua ossigenata su un taglio che ha sulla guancia.
- Nah - risponde lui - sopportiamo di molto peggio.
Faccio una smorfia, al pensiero. Poi mi ricordo del taglio che avevo sul braccio settimane prima. Sono sicura che loro hanno avuto ferite anche peggiori.
- E poi, le nostre ferite guariscono molto più in fretta del normale. Se non sono troppo gravi.
- E se lo sono? Che succede?
- Non guariscono - risponde, con un debole sorriso, come se fosse una cosa da niente.
Finisco la medicazione in silenzio, poi vado da Stiles, che se ne sta in silenzio appoggiato contro una parete.
Lo osservo senza dire niente.
Mi basta notare il suo sguardo triste che capisco cosa sta pensando.
- Non dire niente - mi blocca io prima ch'io apra bocca. Lo stavo per fare.
- Non posso evitare di sentirmi così - continua. Si riferisce al fatto di non essere riuscito a liberarmi.
Io semplimente faccio scivolare le mie braccia lungo i suoi fianchi e lo abbraccio. Lo tengo stretto a me e lui mi stringe forte.
Non ho detto niente, e credo di averlo fatto bene.
Poi lo guardo negli occhi, e come sempre l'ormai familiare sensazione di essere a casa, al caldo e al sicuro mi travolge.
È così che voglio sentirmi sempre ed è solo con lui che ci riesco.
- Non ho mai conosciuto nessuno come te - gli sussurro, circondandogli il collo con le braccia. Le sue sono ancora attorno ai miei fianchi.
- Come me? Ovvero?
- Così inutile ma essenziale allo stesso tempo - gli sorrido.
Lui ridacchia, poi mi stampa un bacio sulle labbra.
- Quando mi dici così non so se offendermi o sentirmi lusingato.
- Ti lascio nel dubbio - sono io, questa volta, a dargli un bacio.
- Ragazzi non è che voglia interrompere le vostre effusioni d'amore ma... abbiamo qualcosa di urgente di cui parlare - la voce di Scott mi richiama alla realtà.
Per la prima volta da quando sono uscita di casa, mi viene in mente di guardare l'ora sul cellulare, per poi pentirmene subito.
Oltre a sapere che sono le 22.30, scopro che mio padre mi ha chiamata quattro volte.
- Iniziate senza di me - dico, digitando sul display - arrivo tra un attimo.
Stiles mi lancia un'occhiata interrogativa, ma poi raggiunge gli altri sul divano sfondato.
Scrivo un sms a mio padre, inventandomi una scusa poco credibile: "Piccolo imprevisto col progetto di scienze. Mangio qualcosa di veloce qui da Alyssa, finiamo il compito e torno. Non preoccuparti. Scusa, non ho sentito il telefono".
Penso che mi ucciderà.
"Ne parliamo più tardi" risponde lui secco, qualche minuto dopo.
Raggiungo gli altri, che hanno occupato tutti i posti sul divano e due sedie. Mi siedo per terra.
- Che mi sono persa? - sussurro a Stiles.
- Qualche pettegolezzo su Yipada - risponde lui distrattamente.
- Sappiamo dove si nasconde, anche se probabilmente ora che ne siamo al   corrente cercherà un altro posto.
- Non credo ne abbia bisogno - dice Isaac  - non so se hai notato... qualche strana anomalia in lui. Sai, un lupo mannaro non può fare... insomma... quelle cose.
- Un lupo mannaro non può nemmeno tornare in vita, una volta morto, se è per questo.
- Tranne Peter - dice Derek - e Yipada, a quanto pare.
- Secondo te le due cose sono collegato? - chiedo io.
- Può darsi.
- È un'idea. E anzi, potrebbe essere una grande notizia per noi. Sicuramente sia la magia sia tornare in vita hanno un prezzo. Dovremmo scoprire a chi l'ha pagato e perché.
- Magari Peter può dirci qualcosa in merito - dico io.
- Potrebbe. Ma lui è il problema numero due. Da che parte sta? - ribatte Liam.
- Dalla sua. Come sempre.
- Ci sarà pur qualcosa che lo renda fragile e... ricattibile -interviene Stiles.
- Peter non è controllabile. Lui fa il suo gioco e agisce solo come conviene a lui. Se stesso è tutto ciò di cui gli importa.
- Mi dipingete come un mostro - una voce alle nostre spalle si intromette nel discorso.
Tutti ci voltiamo e, davanti a noi, riconosciamo l'ultima persona che ci saremmo mai aspettati di vedere.
I suoi capelli biondo cenere sono perfettamente ordinati, come quando l'ho visto partire per il giro nel bosco in compagnia di Stiles.
Nell'aspetto è impeccabile, come se fosse semplicemente uscito fuori a cena e tornato a casa in una sera totalmente normale, fatta eccezione per qualche macchia di terra sulla parte bassa dei pantaloni.
- Che ci fai qui? - chiede Scott.
- Che ci faccio qui? - ridacchia - è anche casa mia.
- È casa Mia - ribatte Derek. Ha la sua solita espressione indecifrabile.
- Non essere così crudele col tuo zietto, Derek - dice Peter con voce melensa.
- Dove sei stato? - taglia corto Allison.
Peter sbuffa, come se si stesse divertendo e lei avesse rovinato il suo giochetto.
- Nel bosco - dice, prendendo una sedia e lasciandosi cadere seduto con pesantezza. Seduto con noi.
- Ma non mi dire - mormora Stiles sarcastico, più a se stesso che a noi altri. Peter lo sente.
- Hai detto qualcosa, moscerino?
- Peter, non sei il ben venuto - dice Derek scattando in piedi.
Non lo fa per difendere Stiles (ovviamente), ma perché i suoi giochetti lo stanno stufando. E leggo la stessa sensazione anche sul volto di tutti gli altri.
Per quanto mi riguarda, anche se ancora non lo consoco, io non lo sopporto già più.

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Capitolo 27
*** Carenza di normalità ***


Con la scusa che mio padre si è arrabbiato per non avergli fatto avere mie notizie tutto il giorno, me ne vado poco dopo l'arrivo di Peter.
Stiles mi vuole accompagnare a casa e io accetto. Però gli altri insistono perché qualcun altro si aggiunga a noi, qualcuno... che possa difendermi.
E io che avevo intenzione di fermarmi per cenare da qualche parte con Stiles.
- Possiamo farlo comunque - mi dice lui, mentre lasciamo il loft, seguiti da Isaac. Lui se ne sta un po' indietro, come per lasciarci il nostro spazio.
La mia pancia emette un boato. Ho davvero fame e nel messaggio inviato a mio padre ho detto che avrei cenato fuori, perciò...
- D'accordo - dico, poi indicando il licantropo dietro di noi - come la mettiamo con lui?
Stiles fa saettare il suo sguardo da me al lupo mannaro e dal lupo mannaro a me.
- Dai, gli chiedo di unirsi a noi - decido io alla fine - Isaac! Dai vieni, andiamo a mangiare qualcosa.
Lui sorride, felice di venire coinvolto. Per un momento la cosa mi rallegra.
Entriamo nel primo fast food che incontriamo, un McDonalds'.
- Non era proprio così che mi immaginavo di portarti a cena - mi mormora Stiles nell'orecchio. Non posso fare a meno di sorridere.
- Avevi intenzione di portarmi fuori a cena? - mi mordo il labbro intenerita. Poi gli scocco un bacio sulla guancia.
Con la coda dell'occhio intercetto lo guardo di Isaac del tipo "credo proprio di essere di troppo".
- Allora Isaac - gli dico a quel punto - che ci racconti?
Rimane un po' spiazzato da questa domanda, sia perché non è che io e lui abbiamo tutta questa confidenza, sia perché non si aspettava proprio che lo avremmo effettivamente degnato di alcuna attenzione.
Beh ho comunque sbagliato domanda, perché non esiste una risposta. Cosa succede? Succede di tutto, nella tua testa, nella tua vita, succedono cose belle, cose brutte. Ma alla fine non c'è niente che diresti. Sia perché pensi che probabilmente chi ti ascolta non sia davvero interessato, sia perché magari, tra i due interlocutori non c'è un chissà quale rapporto che possa favorire un simile scambio di sensazioni. Succede tutto e niente. E, come logico, nessuno sa mai come rispondere.
Comunque a parte questo piccolo errore riusciamo a stabilire una conversazione.
Non c'è nemmeno tanta coda, a quest'ora, così riusciamo a conquistare in fretta sia il cibo, che un tavolino appartato.
Chiacchieriamo poco mentre mangiamo. Sarà che finalmente la stanchezza si fa sentire.
- Si può dire che sia andata bene, oggi, no? - dico io interrompendo il silenzio.
Styles ha la bocca piena di patatine fritte, perciò Isaac risponde per primo.
- Bene è un po' troppo, forse. Diciamo che avere la conferma che Yipada è ancora vivo e che si nasconde da queste parti è un bel passo.
- Così come avere la prova che non possiamo fidarci di Peter - aggiungo, quasi come fosse una domanda.
- Come se questa fosse una novità - commenta Styles con la bocca ancora semi-piena.
- Il fatto è che Yipada sa che noi lo abbiamo trovato. E questo non ci aiuta. Per niente. Senza contare che oggi ti ha praticamente presa, Sydney. È un miracolo che ora siamo qui a parlare - dice Isaac. Io rabbrividisco - non possiamo permetterci più sbagli. Ormai lui sa chi sei e la sua sete di potere non si placherà finché non avrà preso tutto il tuo potere e con esso anche la tua vita. E forse neanche allora!
Styles gli rivolge uno sguardo di disapprovazione, come per dirgli: "Basta così".
Faccio finta di non averlo notato, ma mi rendo conto che devo avere uno sguardo abbastanza spaventato. E Styles lo ha notato.
Si volta verso di me come per dirmi qualcosa, tenendo l'hamburger a tre strati di cui ne ha già mangato metà, sospeso in aria, ma un'altra voce lo anticipa.
- Sydney! - è la voce squillante di Alyssa.
- Ehy! - mi fingo contenta di vederla. In realtà mi rendo conto di avere un pessimo aspetto e vorrei solo essere a letto, ed evitare che la gente mi veda conciata così.
Guarda i miei amici parecchio stranita.
- Che ci fai qui a quest'ora?
- Abbiamo fatto un po' tardi, tra una cosa e l'altra - rispondo, rimanendo sul vago.
Cerco qualcos'altro di cui parlare e magari una scusa per tagliare la conversazione.
Guardo alle spalle della mia amica e vedo un ragazzo, seduto ad un tavolo, che ci osserva. Sulla sedia davanti a lui riconosco la borsa della mia amica.
- E tu? - faccio un sorrisino - chi è quello?
Lei sorride a trentadue denti e sembra che i suoi occhi luccichino più di prima.
Poi si rende conto che anche Styles e Isaac stanno ascoltando la conversazione, allora inizia ad arretrare.
- Te lo racconto domani, buona serata.
La saluto con un cenno della mano, tirando un sospiro di sollievo.
- Sento già che mi adora - commenta Styles mentre sorseggia la coca-cola da un bicchiere gigante.
- Cosa te lo fa pensare? - rispondo ridacchiando.
- Mah... quelle occhiatine di fuoco, come se fossi un ornitorinco con le orecchie da gatto e gli occhi da bisonte - dice socchiudendo gli occhi - e il fatto che abbia finto di non vedermi per tutta la durata della conversazione perchè non resisterebbe al mio fascino. O il fatto che non mi abbia rivolto la parola perché se l'avesse fatto non avrebbe mai trovato il coraggio di andarsene... mi sembrano chiari segni.
Isaac ridacchia, e io faccio lo stesso, scuotendo debolmente la testa.
- Devo andare. Se no chi lo sente mio padre...
Ci alziamo e lasciamo il fast food. E non posso fare a meno di notare lo sguardo indagatore di Alyssa, che mi segue fino all'uscita.
Riesco ad arrivare a casa senza imprevisti, attacchi, apparizioni strane o cose del genere.
Mi sento quasi come una normale adolescente che torna a casa dopo un uscita con gli amici, oltre l'ora stabilita dai genitori. L'unica paura che ora mi tormenta è per la sgridata che mi aspetta a casa.
Sì, mi sembra di essere una ragazza normale.
Peccato che non abbia fatto tardi per il troppo studio o perché mi sia trattenuta con un ragazzo o perché abbia fatto qualche pazzia con la mia migliore amica. Ho fatto tardi perché ero troppo impegnata a correre in un bosco, scappando da creature mostruose, tentando di rimanere viva.
E peccato che quella non sia stata esattamente un'uscita tra amici, ma una passeggiata fino a casa mia in cui sono stata praticamente scortata perché ho bisogno di protezione da qualcosa di spaventosamente pericoloso e inimmaginabile.
No. Non c'é niente di normale in tutto qusto.
Saluto Styles e Isaac poco prima di casa mia, così che sia impossibile che mio padre li veda.
Appena metto piede in casa individuo la sagoma familiare di una persona seduta sul divano.
- Eccoti qui. Sei in punizione.

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Capitolo 28
*** Rivelazioni ***


Appena arrivata a scuola, raggiungo gli Stiles, Scott e gli altri sotto la gradinata dove si ritrovano sempre.
Ormai mi sento una di loro, in qualche modo.
- Weilà - mi saluta Liam. Sembra di buon umore.
- Ciao Sydney - dice invece Scott.
Allison e Isaac mi salutano con la mano.
Mi siedo su uno scalino, accanto a Stiles. Poi gli do un bacio.
- Allora? Com'è andata con tuo padre?
- Mh direi che non poteva andare meglio.
- Davvero?
- No - rispondo, tristemente - non posso uscire per una settimana.
- Addirittura!? Ma stavi... studiando - risponde Stiles mimando delle virgolette nell'aria, mentre pronuncia l'ultima parola.
- Penso non mi abbia creduto. Vuole solo avermi sotto controllo per un po'.
- Beh ultimamente sei sempre in giro,con gente che lui non conosce, in un nuovo paese dove non volevi vivere... magari ha paura che ti stia cacciando nei guai - suggerisce lui.
- Sì, l'ho pensato anche io. E a proposito di questo... ho pensato che è il caso che vi conosciate.
- Co... cosa!? Vuoi già presentarmi a tuo padre!? Non... non penso di essere pronto per questo - quasi si ingozza.
- Stiles! Intendevo TUTTI voi. Non preoccuparti. Vi presenterò come i miei nuovi amici.
- Come intendi fare? Farci mettere in fila e indiana e dire uno per uno nome, età, origine, vita, morte, miracoli, sperando di ricevere un timbro di approvazione!? - Stiles è palesemente nervoso.
- In realtà ho un'idea migliore.
Prima che lo sguardo perplesso di Stiles dia voce ad una domanda mi alzo in piedi.
- Domani sera tutti a cena al Rules - annuncio a gran voce.
- È il nuovo ristorante di tuo padre? - chiede Allison.
Annuisco, mentre osservo le varie espressioni. Sembrano tutti contenti dell'idea.
Stiles si alza in piedi proprio mentre suona la campanella di inizio lezioni.
- Ma mica sei in punizione? - mi sussurra.
- Troverò un modo.
Gli do un bacio sulle labbra e mi avvio in classe.

Appena messo piede in mensa qualcuno mi prende a braccetto. È Alyssa. Mi stava aspettando dietro l'ingresso alla sala.
- Sei prenotata per il pranzo.
Sorrido.
- Come lei desidera.
Prendiamo da mangiare e ci sediamo ad un tavolino sotto una finestra. È la prima volta che siamo noi due da sole.
- Gli altri non si offenderanno? - le chiedo.
- Avevano due ore buche e sono usciti prima, non preoccuparti - mi guarda, interrompendosi prima di inghiottire una forchettata di pasta - e poi noi due abbiamo qualcosa di cui parlare, no?
- Assì?! - dico fingendomi volontariamente ignara di ciò. Lei coglie la provocazione e sorride.
- Che stai combinando?
- Che significa? - davvero non capisco il senso della domanda, anche se ho il presentimento che si riferisca a Scott e il suo gruppo di amici. Il MIO gruppo di amici.
- La gente che frequenti. Voglio dire... quei ragazzi - dice come se fosse un argomento tabù - come mai esci con loro?
Mi invento la scusa più palese.
- Per Stiles. Ora che stiamo più o meno insieme mi ha presentato i suoi amici. Ma non è nulla di strano.
- Pensavo che prima fossi diventata loro amica e poi fosse nato qualcosa con Stiles... - sa che sto mentendo - e comunque si che è strano. LORO sono strani. Non hanno mai permesso a nessuno di avvicinarsi o addirittura di entrare a far parte del loro gruppo.
- Non è vero! Liam lo hanno conosciuto da poco - ribatto.
- Okay, sì. Ma è raro. E poi girano tante di quelle voci su di loro.
Ridacchiai al pensiero di quante dicerie potessero circolare sul loro conto.
Nessuna avrebbe mai potuto avvicinarsi alla verità. Nessuna.
- Qualunque cosa dicano queste voci, non sono vere.
- Li hanno sorpresi a fare cose strane, Sydney. Probabilmente non sono molto a posto.
- Che cose strane potranno mai fare!? Penso che in questo posto dobbiate giudicare un po' meno.
- Hanno ipotizzato che facciano dei riti strani o cose del genere. Capisci che intendo? E poi dai, si vede che nascondono qualcosa. E quando ti avvicini ad uno di loro sono tutti lì che ti osservano tutto il tempo e...
- Parli per esperienza personale? - chiedo, notando la sua agitazione.
Lei diventa rossa ed evita il mio sguardo.
- No, però so che è così.
- Non è vero! - sussurro con l'aria trionfante di chi ha fatto una grande scoperta - tu hai provato ad avvicinarti ad uno di loro. Chi ti piaceva? Scott? O Isaac? O...
- Non importa chi fosse. Sto solo cercando di avvisarti. E di capire.
- Io penso che importi, invece - ribatto - perché chiunque fosse questo ragazzo che ti piaceva potrei giurare che ti piace ancora.
Lei non nega. Rimane a guardarmi impassibile. Eppure riesce a sembrarmi al tempo stesso stupita, triste, curiosa e grata che io l'avessi capito.
- È per questo che vuoi saperne di più, vero? Vuoi sapere come riuscire ad avvicinarti a loro per... insomma... per questo ragazzo.
- È una storia vecchia - taglia corto lei - ora sono davvero preoccupata che possano combinare qualcosa di grave.
Le prendo una mano, stesa sul tavolo.
- Non sono cattive persone. Questo te lo posso assicurare.
- Come fai a dirlo? Li conosci appena.
- È vero - riconosco - ma abbiamo scoperto di avere qualcosa di davvero grande che ci lega. È questo che ci unisce. Ed è questo che ci fa apparire quasi diversi.
Alyssa annuisce, finalmente non ha più nulla da ribattere.
-  Ma questo non ci fa escludere tutto il resto del mondo. Sappiamo che ci sono altre persone, persone anche interessanti, al di fuori del gruppo. Parlo anche per loro, perchè anche loro la pensano così - la guardo negli occhi - se davvero vuoi farti notare da uno di loro, fallo. Davvero, potresti riuscirci.
Finalmente lei sorride, e sembra davvero rasserenata.
- Ma ora sono confusa - le dico dopo lunghi minuti di silenzio - chi era il ragazzo di ieri sera?
- Il mio nuovo datore di lavoro.
Un sorriso smagliante le illumina il viso e i suoi occhi iniziano a luccicare.
Allora mi rendo conto di avere frainteso la situazione della sera prima. Totalmente frainteso.

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Capitolo 29
*** Malintesi ***


Chiusa in camera mia. A guardare il soffitto.
Non mi era mai successo prima. Non sono mai stata messa in punizione.
Sono così da almeno un'ora, mentre una flebile musica scivola nelle mie orecchie dagli auricolari.
Sento bussare alla porta della mia stanza. Senza ch'io dica niente l'uscio si apre quanto basta per permettere ad una testa castana di capelli corti di affacciarsi nella mia camera.
- Sydney - mi dice dolcemente - è pronta la cena.
- Va bene, arrivo - rispondo semplicemente, sfilandomi gli auricolari.
Mi siedo sul letto, ma mio padre è ancora lì che mi osserva.
- Sei in quella posizione da tutto il pomeriggio. Possibile che tu non abbia fatto nient'altro!?
- Mh... sì, a quanto pare sì.
Lui sospira. Probabilmente pensa che io sia arrabbiata con lui e non sa come comportarsi. Sembra che non sappia mai, come comportarsi, con me. E non lo incolpo di questo! Lui ce la mette tutta, ma capisco che crescere una figlia tutto da solo dev'essere davvero difficile.
Mi alzo dal letto e mi avvicino a lui.
- Come devo fare con te? - mormora.
Faccio spallucce.
- Come hai sempre fatto - gli tiro una pacca sulle spalle - non stai andando così male.
Gli sorrido. E finalmente lui mi sorride.
- Sei contenta di essere in punizione? Forse avrei dovuto castigarti più spesso.
- No papà, non mi riferivo a questo - ribatto - anzi, ancora non capisco per cosa tu mi stia punendo.
- Beh perché chissà dove ti eri cacciata, ieri, tutto il giorno! Senza darmi tue notizie. Non sapevo dove fossi, con chi fossi, a fare cosa!
- Quindi mi stai punendo per averti fatto preoccupare?! E segregarmi in casa sarebbe la soluzione?
Lui mi guarda e fa per rispondermi a tono, ma poi forse ci pensa su e qualche dubbio viene anche a lui.
- Ho solo paura che tu ti metta nei pasticci, Sydney. E non posso permettertelo.
- Papà - dico sfiorandogli un braccio - non sto combinando nulla di male. Sto solo cercando... di integrarmi in questo posto. Di farmi degli amici, di andare bene a scuola. E te lo voglio dimostrare.
Lui solleva un sopracciglio, perplesso. Comunque sembra calmo.
- Domani sera ti presento alcuni dei miei amici. Vedrai che sono persone normalissime. Ti piaceranno un sacco.
- Tesoro...
- Veniamo al ristorante domani sera a cena. Tutti. E te li presento.
Rimane un attimo in silenzio, le braccia sui fianchi e lo sguardo verso il soffitto. Sospira.
Poi gira i tacchi e si avvia verso la cucina.
- Domani si vedrà, ora vieni a mangiare.

'Che stai facendo?' chiedo a Stiles per messaggio. Mi chiedo in quale strano, pericoloso posto sia stasera.
'Pianifico con Scott. Tu? Sopravvissuta alla prima giornata di isolamento?' Mi risponde subito.
'Tenetemi aggiornata. È stata dura, ma eccomi qua' rispondo.
Sono ancora a letto, sdraiata nelle stessa posizione che ho mantenuto tutto il pomeriggio.
Stringo forte il cellulare, così sono sicura di sentirlo vibrare quando arriva la risposta di Stiles.
Dopo dieci minuti, ancora non mi è arrivato niente.
"Probabilmente cerca di non distrarsi. Loro si stanno occupando di faccende serie" penso.
Altri cinque minuti e ancora nessuna risposta.
Dopo venti, finalmente il telefono vibra nella mia mano.
'Eccomi qua' dice il messaggio di Stiles.
'Che cosa vuol dire?' gli chiedo.
'Se parliamo la stessa lingua, può voler dire una cosa sola'.
Faccio giusto in tempo a leggere il messaggio che qualcosa colpisce la mia finestra. Sobbalzo per lo spavento.
Mi butto per terra, col cuore in gola. Così il letto può nascondermi da qualsiasi cosa sia fuori dalla mia finestra.
Con la coda dell'occhio vedo una scopa infilata sotto il letto. Allungo la mano e l'afferro.
Con uno scatto mi schiaccio contro la parete su cui si apre la finestra.
Un altro colpo contro il vetro.
Penso che l'idea migliore sia di aprire la finestra e colpire il mio aggressore, sperando di essere in grado di affrontarlo. 
Anche perchè se per entrare rompesse il vetro, mio padre se ne accorgerebbe e dovrebbe sapere tutto della faccenda. E questo è fuori discussione.
Prendo un respiro profondo, prima di attuare il mio piano.
Penso bene a dove dovrò colpire: c'è un albero, fuori dalla mia finestra, con rami ampi e robusti. Probabilmente chiunque ci sia qua fuori si trova esattamente dietro al vetro.
Apro la finestra e, caricando subito il colpo, slancio il manico della scopa con un movimento circolare, così da spingere giù dall'albero chiunque ci sia.
Poi sarei corsa a prendere il telefono e avrei chiesto aiuto agli altri.
Sento che l'asta di legno colpisce qualcosa, proprio mentre una voce grida 'attento!'.
Ma è troppo tardi. Qualcuno viene colpito e ruzzola al suolo, cadendo dall'altezza di un secondo piano.
- Ahi...- sento mugulare.
Sono atterrita quando il mio sguardo incrocia quello di Scott, che mi fissa allarmato dal ramo davanti alla mia fienstra.
Se lì c'è Scott quello a terra è...
Corro fuori dalla mia camera e mi fiondo giù dalle scale.
Quando sbuco in giardino dalla porta di casa vedo che Scott è già riverso sul corpo di Stiles.
- Ommiodio Stiles! - grido correndogli incontro.
Arriva anche Allison, che scende di corsa dalla macchina, parcheggiata davanti alla casa del mio vicino.
Mi fiondo sul corpo rannicchiato, che mugula a terra.
- Stiles mi dispiace! Giuro... io pensavo... tu... ci fosse... cielo... come ti senti?
- Ho avuto momenti migliori - riesce a dire a fatica.
Fa un cenno con le mani perché lo aiutiamo ad alzarsi. Io e Scott lo tiriamo su, e mentre si mette in piedi vedo che la vena sull'avambraccio del licantropo si gonfia e che al suo interno scorre come un liquido nero, come se lo stesse risucchiando dalla mano di Stiles.
Scott fa una smorfia, come se sentisse male, mentre Stiles sembra rilassarsi.
Si spolvera di dosso la terra e le foglie e si stiracchia un po' i muscoli doloranti.
- Che gli hai fatto? - chiedo a Scott allibita.
- Ho preso un po' del suo dolore.
- È una cosa che i lupi mannari possono fare - dice Allison.
Sorprendente.
- Stai bene? - chiedo a Stiles, preoccupata.
- Non c'è male, grazie - risponde, poi lancia uno sguardo grato a Scott.
- Se ci fosse stato un mostro fuori dalla tua finestra ora sarebbe morto stecchito -commenta - per fortuna c'ero io!
Scott ridacchia. Io mi sento ancora troppo in colpa e preoccupata per farlo.
- Ragazzi, non vorrei cacciarvi, ma... non vorrei che mio padre vi trovasse qui...
- Certo, scusa! Avevamo solo accompagnato Stiles - dice Allison arretrando e trascinando Scott con sé, prendendolo per il braccio.
- Ci vediamo domani!
Guardo Stiles che non accenna a muoversi. Mi chiedo che intenzioni abbia.
- Facciamo che io mi riarrampico sull'albero e tu non mi colpisci, d'accordo?
Non faccio domande: sono contenta che sia qui.
Ora penso all'ultimo messaggio: 'Eccomi qua'.
Voleva farmi una sopresa! E io lo ho quasi mandato all'ospedale.
Non c'è proprio nulla di normale nella mia vita.
A partire dalla relazione tra me e Stiles.

Seduta sul letto aspetto il ticchettio contro il vetro.
Appena lo sento, corro ad aprire la finestra.
In modo teatrale recito la parte della ragazza sorpresa di trovare il suo ragazzo su un albero fuori dalla sua stanza.
- O cielo! Che ci fai tu qui!?
Stiles mi sorride.
- Sapevo che ti avrei sorpresa - ridacchia lui.
Gli faccio cenno di abbassare la voce, mentre lui entra nella mia stanza passando per la finestra.
- Mh - commenta guardandosi in giro -così è qui che vive la nostra Makutu.
Gli prendo una mano e mi avvicino a lui.
- A cosa devo la tua visita?
- Mi mancavi - rispose semplicemente.
A queste parole un enorme sorriso compare sul mio viso. Proprio non riesco a reprimerlo.
Gli affondo una mano nei capelli castani. Siamo così vicini... Prima però gli sfilo due fili d'erba che sono rimasti incastrati tra le ciocche brune.
- Che coincidenza - gli sussurro - anche a me mancavi.
Avvicino la mia bocca alla sua, ma senza toccarla.
Dopo un paio di secondi è lui che colma lo spazio che ancora ci separa. E le sue labbra toccano le mie.
Una. Due. Tre. Quattro volte.
E poi ancora, mentre le sue mani mi stringono i fianchi e le mie si confondono nei suoi capelli.

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Capitolo 30
*** Scoperte ***


La voce della prof. Turner mi riecheggia nelle orecchie, da ormai così tanto tempo che quasi sento male alla testa.
Eppure non ho ascoltato una parola di quello che ha detto.
Trovo decisamente più entusiasmante giocherellare con la matita che ho in mano.
- E siccome la signorina Jones mi sembra particolarmente interessata...- sentendomi chiamare alzo lo sguardo - immagino che non le dispiaccia ripetere a tutti quello che ho detto fin ora.
Mi lancia uno sguardo di ghiaccio. Io sento il vuoto nello stomaco. Oh. Oh.
Guardo la lavagna, cercando di capire almeno di cosa si sta parlando. E mai, in tutta la mia carriera scolastica, mi è capitato di non capire niente di niente davanti ad una scrittura matematica, sì, mai, fino ad ora.
- Certo - dico, per prendere tempo.
Gli occhi di tutti i miei compagni sono puntati su di me. Vorrei scomparire.
Sospiro, e sto per rispondere che non ho idea di che cosa la professoressa stesse dicendo prima di interpellarmi, quando improvvisamente la lezione mi sembra totalmente chiara, in testa. Le scritte iniziano ad avere senso, i ragionamenti tornano, e, non so come, so di cosa stiamo parlando.
Lo dico ad alta voce e la Turner non riesce a nascondere la meraviglia.
Per enfatizzare la cosa inzio a dire tutto ciò che so, e che non sapevo di sapere, fino ad allora, sull'argomento.
Vengo interrotta solo dalla campanella. Tutti si alzano in piedi, stupiti e mi lanciano occhiate divertite.
Io raccolgo le mie cose e mi confondo con la massa di studenti che sta abbandonando la classe.
Dopo un ultimo sguardo di fuoco, la Turner si limita ad ignorarmi, fingendo di raccogliere le sue cose.

- Sono sempre più stupita - dico a Stiles dopo pranzo, mentre facciamo due passi nel cortile - non ci capsico niente, ma essere una Makutu è davvero una figata.
- Cos'è, hai scoperto qualcosa di nuovo che puoi fare?
- Mh sì, diciamo di sì - dico con un'espressione maliziosa, ripensando alla faccia della Turner - continuo a scoprire cose che posso fare. E ancora non capisco di cosa sono capace e quali siano i limiti del mio potere.
Stiles sorride e guarda altrove.
- Che c'è? - gli chiedo.
- È che probabilmente nessuno lo ha mai scoperto. E forse nessuno lo saprà mai. Nemmeno le Makutu stesse.
- Non sembra una buona notizia.
Lui fa spallucce.
- Per questo le Makutu sono tra gli esseri più potenti del mondo soprannaturale. Sono infinitamente potenti, non si sa fino a che punto. E non si sa di preciso di cosa siano capaci.
- Come fai a dire che sono più potenti di tutti gli altri?
- Esperienza. Ne abbiamo visti di mostri e creature strane. E poi, tutti temono le Makutu. Tutti quelli che ne hanno sentito parlare o che ne hanno conosciuta una.
A quel punto non posso fare a meno di chiedermi da quanto lui, Scott e gli altri sono dentro a... tutto questo.
Chissà quando e come è iniziato tutto. Chissà com'erano le cose prima. Chissà cos'hanno affrontato da quando ci sono dentro. Chissà... chissà... chissà. Sono tutte cose che vorrei sapere, prima o poi.
Alzo lo sguardo su Stiles, che sta osservando il via vai di gente che c'è per la scuola.
Mi sembra bellissimo. E mi sento così fortunata di stare con lui. Nessuno, e dico nessuno, è mai riuscito a farmi sentire così.
- Guarda che ti vedo - mi dice lui all'improvviso, sorridendo sghembo.
- Non sto facendo niente! - mi difendo.
Lui si volta a guardarmi e io avvicino il mio viso al suo.
- È inquietante quando mi fissi - mi dice.
- Scusa - ridacchio - non ci faccio nemmeno caso.
- Non so se sentirmi lusingato oppure offeso.
- Perché mi sembra di averla già sentita, questa? - lo stuzzico.
Lui avvicina ancora di più la sua bocca alla mia.
Gli stampo un timido bacio sulle labbra, e lui ricambia. Dolcemente le nostre bocche continuano ad accarezzarsi, il suo fiato a mischiarsi al mio.
Sono felice, sono davvero felice. Anche se non ha senso. Se qualcuno mi chiedesse: "Perché proprio Stiles?", io non saprei rispondere.
Non posso nemmeno dire che lui abbia questo o quello o quell'altro di positivo, a cui devo qualche merito.
No. È che lui è Stiles, e nel suo insieme, nel bene, nel male, nei pregi, nei difetti, negli atteggiamenti, nei discorsi, nel modo di reagire, di fare... e riesce a farmi stare bene. Ma non un "bene-appena-sufficiente". Mi fa stare bene davvero.
E ormai avevo perso la speranza, prima di incontrarlo. Pensavo che fosse colpa mia se non funzionava mai, con nessun ragazzo. E potrebbe anche essere, eh!
Però ho avuto la fortuna di incontrare una persona con cui possa finalmente sentirmi una ragazza normale, con sentimenti normali. Nonostante tutte le circostanze, che sono tutt'altro che normali.
Non ringrazierò mai abbastanza quel maledetto primo giorno di scuola, il mio malumore, l'armadietto sbagliato.
E nemmeno quell'auto, finita fuori strada, e quel taglio sul braccio, che hanno definitivamente unito la mia strada con la sua.

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Capitolo 31
*** Ombre ***


Corso di storia. Questa giornata sembra non finire mai.
Io e Alyssa siamo sedute vicine. Di tanto in tanto ci lanciamo occhiate che comunicano tutta la nostra stanchezza. Condividiamo lo stesso stato d'animo.
Dall'altro lato c'é Leonard che invece sembra parecchio interessato. Sono quasi invidiosa perché anche a me piace molto storia, ma in questo momento non ho la testa per seguire la lezione.
Guardo fuori dalla finestra. Oggi è una bella giornata. L'autunno è alle porte, l'aria inizia ad essere fresca, il sole sembra un poco più spento, rispetto a com'era quest'estate.
Le foglie iniziano ad ingiallire, sui grandi alberi di Beacon Hills. Chissà quanti anni hanno. Devono essere qui da parecchie generazioni. Hanno l'aria stanca e saccente di chi ha vissuto a lungo. Devono averne viste, di cose.
All'improvviso un'ombra scura sfreccia davanti ai miei occhi, interrompendo i miei pensieri.
La voce del prof. Wilson torna a penetrarmi le orecchie.
Non distolgo lo sguardo dalla finestra e vedo ancora una volta l'ombra scivolare nel cortile.
Mi guardo intorno, cercando di cogliere tra i miei compagni uno sguardo perplesso quanto il mio, piccolo indizio che qualcun altro abbia colto quello strano movimento all'esterno.
Ma tutti sembrano presi da altro. Chi giocherella con la gomma, chi prende appunti, chi fruga nell'astuccio, chi sfoglia il libro, chi abbozza schizzi sul diario, e pochi che prestano attenzione all'ultima lezione della giornata.
Poi ci sono io, che torno a guardare fuori dalla finestra.
E il mio sguardo incrocia quello di qualcun altro. O di qualcos'altro.
Le mie mani si stringono sul banco dallo spavento.
Ma basta un attimo e chiunque ci sia là fuori si nasconde dietro il muro. E non lo vedo più.
Ormai, però, una sorta di inquietudine si fa spazio dentro di me.
Vorrei correre via, gridare, chiamare gli altri e chiedere loro aiuto. Ma non posso.
O meglio, non come vorrei.
Lancio uno sguardo alle mie spalle, fino al terzo banco dell'ultima fila, dov'è seduto Isaac. Lui non sembra notarmi, preso com'è dall'opera di bricolage che sta realizzando, incastrando insieme pezzi di penne e bianchetti rotti.
- Isaac - sussurro, così a bassa voce che anche io fatico a sentirmi.
Ma so che a lui questo basta: come tutti gli altri lupi mannari è dotato di un udito particolarmente sviluppato. Potrebbe anche ascoltare un intero discorso, tenuto da due persone nell'aula accanto alla nostra, e capire ogni singola parola.
Quando mi volto a guardarlo, questa volta lo sta facendo anche lui.
Mi giro verso la lavagna, e fingo di prendere appunti.
- C'è qualcosa... fuori dalla finestra - sussurro.
Per un attimo intercetto lo sguardo del professor Willson che si posa su di me. Annuisco debolmente, per dare l'idea che sto seguendo la spiegazione.
Appena guarda altrove, però torno ad osservare la finestra.
E colgo il movimento di qualcosa che si nasconde dietro al muro.
Mi volto, per vedere se anche Isaac lo ha notato.
E sì, dev'essere così perché anche lui sta guardando fuori.
Appena alza la mano io torno a rivolgere le mie attenzioni al professore.
Apparentemente, perché in realtà la mia mente è congelata sull'immagine di quello sguardo nero e... gelido.
- Si, Isaac? - dice il professore appena nota la mano alzata.
- Posso andare in bagno?
Il prof. si limita ad annuire debolmente, quasi deluso che non si tratti di una domanda inerente alla materia.
Il mio sguardo spaventato segue Isaac fino all'uscita dell'aula.
- No... no... dove vai? - sussurro. So che mi ha sentito, ma mi ignora.
Torno a guardare la finestra, agitata. E quando mi volto ancora incrocio lo sguardo perplesso di Alyssa.
- Va tutto bene? - è la domanda che disegna con le labbra, senza darle voce.
Io annuisco, ma mi rendo conto di non essere per niente convincente.
- Sei un po' pallida - continua la mia amica - che succede?
Scuoto la testa, per dire: "Niente". Poi sollevo un pollice.
- Sto bene. Voglio solo andare a casa.
E invece no. Non c'è solo questo.
C'è che qualcuno è appostato fuori dalla nostra aula e non vede l'ora di attaccare. Sono venuti a cercarmi fino a qui e chissà di che cosa sono capaci. Perché finché si tratta di noi, bene o male riusciamo a cavarcela, ma se ci sono centiniaia di altri ragazzi presenti, che non hanno idea di che cosa stia succedendo, che non centrano niente con la faccenda e che non si possono difendere, come la mettiamo?
E poi ormai sono terrorizzata all'idea che riescano a prendermi di nuovo, come hanno già fatto. Solo che, in fondo in fondo, ho la consapevolezza che non sarò tanto fortunata come lo sono stata la prima volta.

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Capitolo 32
*** Strategie ***


Riesco a sentire il battito del mio cuore sul collo, nel polso, nello stomaco.
Lo sento pulsare ed ogni colpo sembra una martellata. E sembra fare male.
All'improvviso qualcuno bussa alla porta dell'aula.
Il professor Willson si interrompe.
- Avanti.
Sull'uscio compare il volto rugoso di Tina, la più anziana bidella della scuola. Tutti la conoscono e tutti, in un modo o nell'altro le sono affezionati.
La sua pelle è incredibilemente rugosa e i suoi capelli estremamente bianchi e candidi.
- La signorina Sydney Jones - chiede Tina con la sua voce bassa e roca.
Io la guardo stupita, sentendomi chiamare. Alzo la mano.
- Suo padre è venuto a prenderla.
Mio padre? Che ci fa qui mio padre?
Alyssa mi guarda stupita, e forse quasi offesa che non le abbia detto che sarei uscita prima, ma io sono ancora più stupita di lei.
- Dopo ti chiamo - mi dice e sembra quasi una minaccia. Io annuisco. Ma in questo momento ho cose più importanti a cui pensare.
Raccolgo le mie cose, saluto il prof. e i compagni e lascio l'aula.
Tina è già sparita. Sarà tornata a svolgere le sue millemila commissioni. È famosa in tutto l'istuto per essere instancabile e sempre affacendata.
Mentre ripongo i miei libri nell'armadietto, pensando a quali devo portare a casa per studiare, qualcuno mi afferra per il braccio.
Scott. - Andiamo - mi dice.
Il suo tono non ammette repliche. Ma io, in ogni caso, non ho la minima intenzione di replicare.
Cerco di stare al passo con lui mentre percorre il corridoio a grandi falcate.
Probabilmente non corre solo per non dare nell'occhio, ma non si rende conto che questa camminata veloce potrebbe apparire altrettanto sospetta.
Intanto capisco che mio padre non è affatto venuto a prendermi. Ma in qualche modo Scott ha fatto in modo che così sembrasse.
Appena svoltiamo l'angolo, lui si guarda attentamente intorno, poi si fionda giù per una buia scalinata.
Io lo seguo e inizio a correre, visto che lui ha fatto lo stesso.
Continuiamo a scendere per parecchie rampe di scale e arriviamo in una zona della scuola in cui non mi sono mai addentrata.
Dobbiamo essere sotto terra, in locali che non vengono più usati da tempo. Lo capisco dal penetrante odore di muffa e dal pessimo stato delle pareti, coperte di macchie e dalle quali si staccano pezzi di intonaco.
C'è poca luce, che proviene flebile da malconce lampade incastrate ogni centinaio di metri.
Vecchie porte di metallo sigillano stanze che non riesco ad immaginare cosa possano nascondere.
- Dove stiamo andando? - chiedo ad un certo punto, col fiatone.
Scott non risponde, continua a correre.
Poco dopo, però, si ferma ad una porta, che, a differenza delle altre, è socchiusa.
La spinge verso l'interno, quel tanto che basta perché io vi scivoli dentro.
Mi trovo in una stanza buia, più buia ancora del corridoio. Le pareti sono umide e l'aria quasi irrespirabile.
Avanzo quasi strisciando lungo il muro e vado a sbattere contro quello che sembra un armadio a ripiani di metallo.
Mi mordo la lingua e chiedo scusa per il rumore che ho causato.
Pian piano i miei occhi si abituano alla quasi totale assenza di luce.
Riesco a distinguere due figure, sedute per terra. Mi avvicino a loro e imito Scott, che si siede sul pavimento gelido.
- Questo posto è illegale - dico - com'è possibile che una scuola permetta che ci sia un piano messo così male!?
Intanto riconosco un ciuffo di capelli ricci, che appartengono sicuramente ad Isaac, e lo sguardo perennemente perplesso di Liam.
Stiles non è qui. Nemmeno Allison.
Ma il punto è: Stiles non è qui.
- Gli altri non riescono a liberarsi. Non ora - dice Scott, come se mi avesse letto nel pensiero.
- Quanti sono? - chiede Isaac, e non si riferisce a quelli del nostro gruppo.
- Tanti. Presumo.
Il cuore mi martella nelle orecchie. Per un attimo ho paura che gli altri lo possano sentire.
- Cosa facciamo? - chiedo io.
- Avevo pensato di farti scappare, mentre noi ti avremmo coperta e li avremmo portati lontano dalla scuola.
- Ma...? - quel discorso prevedeva un "ma".
- Ma - continua Scott - non è una buona idea. Appena percepiranno la tua presenza non si lasceranno distrarre.
- Devo combatterli con voi?
- Credo che neanche questa sia una buona idea.
- Non pensi che io sia in grado di farlo? - mi sento quasi offesa.
- Sydney, sai meglio di me che i tuoi poteri sono tanto forti quanto imprevedibili.
Ha ragione. Ma sono offesa comunque.
- E perciò? - chiede Liam - che si fa?
- Prima di tutto li allontaniamo dalla scuola. Dobbiamo portarli in un posto deserto e che noi conosciamo bene.
- La vecchia casa Hale - propone Isaac.
- Derek ci ammazzerà - dice Scott e sono sicura che non parla per modo di dire - usiamo la macchina di Stiles - continua, ciondolando le chiavi dal dito, facendole tintinnare.
Certo... senza di lui.
Mi rendo però conto che forse è un bene che lui non ci sia. Almeno non si trova anche lui in pericolo. E questa è una magra consolazione.
- Sydney - dice Scott guardandomi negli occhi con insistenza - devi provare a difenderti. E devi capire come farlo a comando, non solo quando capita. Ma se hai bisogno, grida.
- Mi sentiranno tutti, non è un rischio?
- Viste le circostanze non farà la differenza - risponde Scott.
- Ma non sappiamo quanti mostri ha sguinzagliato Yipada questa volta - osservo.
All'improvviso nella stanza riecheggia un urlo, che non ha niente di umano. Rabbrividisco.
- Dobbiamo andare.

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Capitolo 33
*** In fuga ***


Ripercorriamo in salita tutte le scale.
Questa volta tutti e quattro insieme.
Sono certa di non essere l'unica ad avere paura.
Lancio uno sguardo a Liam: probabilmente anche lui non si è ancora abituato a quel mondo pieno di imprevisti e pericoli.
Mi rendo conto che siamo più simili di quanto avessi mai pensato. Anche se lui è più piccolo e vive a Beacon Hills da quando è nato, è stato catapultato in questa nuova realtà con la stessa violenza con cui è successo a me.
E probabilmente così anche tutti gli altri, prima di noi.
Non ho mai pensato a come potesse essere Scott appena trasformato o Isaac o come si fosse sentita Allison appena piombata in quel mondo di combattimenti e pericoli. Loro sembrano gli esperti della situazione, come se avessero ogni volta tutto sotto controllo. Ma probabilmente non è sempre stato così.
Scivoliamo fuori dall'ingresso dell'istituto uno per volta, fingendoci normali studenti che escono un po' prima da scuola. Per un mal di pancia, un mal di testa, un po' di febbre.
Appena varcato il cancello, però, iniziamo a correre.
Con la coda dell'occhio riesco a cogliere movimenti da tutte le direzioni, anche se non riesco esattamente a capire CHI o COSA si stia muovendo. Sicuramente nulla di buono.
E quei "qualcosa" iniziano ad inseguirci.
- Più veloci! - urla Scott.
È il primo ad arrivare all'auto di Stiles. Si fionda al posto del guidatore e probabilmente ha il tempo di osservare i nostri inseguitori, perché grida: - Veloci! Ci stanno raggiungendo!
Isaac sale al posto del passeggero, Liam si infila dietro dalla portiera di sinistra e io faccio per entrare da quella di destra, ma una mano si stringe come una morsa attorno al mio braccio.
Caccio un urlo e faccio per dimenarmi, mentre vengo trascinata indietro. E mi stupisco quando vedo Liam che si sporge per chiudere la portiera che io ho aperto, senza fare nulla per aiutarmi.
Scott mette in moto.
Quando mi giro sono sorpresa di trovarmi davanti Derek.
- Sali - è tutto quello che mi dice indicando l'auto davanti a cui si è fermato.
I mostri che mi stavano seguendo ci hanno praticamente raggiunti.
Io esito un secondo, in tempo per vederlo poggiato all'asfalto sia sulle gambe che sulle braccia e poi fremere ed emettere un ruggito animalesco.
Capisco che si è trasformato mentre salto in macchina.
Lui si fionda tra quegli esseri che finalmente ho il tempo di osservare.
Sono orripilanti: sembrano masse informi e viscide, nere, screziate di uno strano verde. Si poggiano su quattro arti sottili da cui gocciola un liquido quasi denso, che scivola anche da quella che dovrebbe essere una bocca, in realtà una cavità deforme piena di denti aguzzi, marroni, e una lunga lingua nera. Più in alto le narici sono ridotte a due profondi buchi e gli occhi, grossi quanto la capocchia di uno spillo, sono completamente neri.
Inizialmente mi sembrano quasi esseri umani, drammaticamente deformati e ridotti ad uno stato di brutale irrazionalità.
Derek si trova ad affrontarne una decina, mentre sono almeno il doppio quelli che si vedono in lontananza e che si stanno avvicinando ad una velocità impensabile.
Isaac, Scott e Liam sono fermi in mezzo al parcheggio e guardano allibiti quei mostri. Questi ultimi, invece, non li degnano di uno sguardo.
E con orrore capisco che mirano direttamente a me e sarà difficile fermarli.
Derek ne fa fuori qualcuno, ma con tutti quelli che stanno arrivando non resisterà a lungo.
Isaac scende dall'auto per dargli una mano. O per sostituirlo.
Derek infatti salta sulla sua macchina, al posto di guida e mette in moto.
Isaac cerca, vanamente, di distrarre quei mostri.
L'auto parte ad una velocità incredibile e ringrazio il cielo di essermi allacciata la cintura.
In pochissimo siamo già lontani dal parcheggio.
In lontananza, però, vedo che quelle creature nerastre non si lasciano distrarre da Isaac e tornano a mirare a noi.
Dopo un ultimo sforzo, allora, il licantropo sale sull'auto di Stiles e Scott parte, facendo la stessa strada percorsa da Derek.
- Dove stai andando? - chiedo al lupo dagli occhi di ghiaccio, che peró ora è tornato ad avere sembianze umane.
Voglio essere sicura che sia al corrente del nostro piano. Anche se dubito.
- Mica avevate intenzione di raggiungere la mia vecchia casa? - risponde - senza curarvi che potreste definitivamente distruggerla.
- Scusa sai - ribatto - pensavo fosse già stata distrutta dall'incendio.
Mi lancia un'occhiata. Ma non sembra aggressiva. Strano.
- Stavo scherzando.
- Non l'avevo mica capito - mormoro, a me stessa.
- Guarda che ti sento.
Sbuffo.
- Devi sempre essere così antipatico?
- Devi sempre rinfacciarmelo?

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Capitolo 34
*** Per salvarsi la pelle ***


La macchina va ormai ad una velocità folle.
Ma ho smesso ormai da un pezzo di avere paura per quello. C'è altro che mi spaventa di più.
- Ci stanno raggiungendo! - mi accorgo di stare quasi urlando.
- E io che ci posso fare?!
- Mah, sai, non mi sembra di essere io, ad avere il volante - ribatto.
Lui alza le mani e fa per alzarsi dal sedile, il tutto mentre l'auto continua a correre ad una velocità incredibile.
- No! - urlo.
Lui sorride compiaciuto, ma senza nemmeno schiudere le labbra.
Rimango in silenzio per un po', riprendendomi dallo spavento.
- Sai - dico - non penso di aver mai visto i tuoi denti.
È un modo carino per dirti di sorridere, qualche volta. E sì, implicitamente ti sto ripetendo che non sei proprio mr. Simpatia.
Lui si gira verso di me - mi chiedo con che coraggio distolga lo sguardo dalla strada, andando a questa velocità. I suoi occhi si accendono di un azzurro luminoso, mentre due canini aguzzi si allungano dalla gengiva. Solo allora le labbra si schiudono in una smorfia felina.
- Non era questo che intendevo - e lui lo sa.
Improvvisamente un colpo fortissimo mi fa rimbalzare sul sedile.
Derek guarda dallo specchietto retrovisore, io mi giro a cercare di capire cosa ci abbia colpito.
E incrocio lo sguardo di tre mostri famelici che ci stanno alle calcagna. Sono riusciti a frapporsi tra la nostra auto e quella di Stiles.
Prima di avere il tempo di girarmi di nuovo a guardare verso avanti, vedo la macchina guidata da Scott investire quelle creature orrende, che con un gemito mostruoso spariscono sotto le ruote.
- Ma cosa so...- non faccio in tempo a rivolgere a Derek la domanda che una serie di immagini mi scorre davanti agli occhi.
Rimango paralizzata contro il sedile, mentre una serie di informazioni che non avevo mai saputo prima, diventa parte di me.
- Actegr - sussurro.
Come faccio a saperlo? Dev'essere grazie al mio potere.
E di quelle creature non so solo il nome.
Non mi sbagliavo a dire che sembravano esseri umani! Sono frutto di una magia oscura, che li ha modificati e li ha resi così... disumani.
Provo pietà per loro, ma appena si sente un altro scossone la paura torna ad essere più forte.
Stiamo costeggiando il bosco e la strada è piena di curve e tornanti.
Ho già visto un paio di Actegr finire giù in un dirupo.
- Come arriviamo a casa tua?
- Per il bosco - risponde Derek, guardando nello specchietto retrovisore.
All'inizio penso stia controllando quanti Actegr abbiamo alle calcagna, ma poi capisco che lui e Scott si stanno lanciando degli sguardi.
- Quando ti dico "via" - mi dice Derek ad un certo punto. Sento la macchina rallentare.
- Corri.
Lo dice con una calma impressionante, mentre io dentro mi sento morire.
- Verso dove? - inizio ad andare nel panico.
- Bella domanda - mormora più a se stesso che a me, mentre salta giù dalla macchina.
Io lo imito subito, senza capire cosa stia succedendo, ma appena sento il "via" inizio a correre a perdifiato, inoltrandomi nel bosco.
Non mi importa dei rami degli alberi che mi graffiano la faccia, le braccia, le gambe. Non mi importa di inciampare nelle radici o nei miei stessi piedi, o di cadere. Basta che poi mi rialzi e ricominci a correre.
Non so dove sto andando, non capisco cosa stia accadendo dietro o attorno a me. Io non lo so. So solo che devo correre, correre finché ci riesco.
E devo trovare la casa degli Hale. Ma, porca miseria, che ne so io dov'è!? Non ci sono mai stata! Possibile che sia questo il piano geniale che dovrebbe salvarmi!?
Mentre il fiato inizia a mancarmi, torno a fare caso a quello che mi circonda.
L'aria fresca mi sferza il viso, c'è del sangue sulle mie braccia e sulle mie gambe.
Sento il fruscio delle fronde che attraverso, i 'crick' dei ramoscelli che si spezzano sotto i miei passi in corsa.
E poi le urla.
I gemiti.
Non so da dove provengano, non so a chi appartengano. Ma so per certo che non sono urla umane.
Continuo a correre e correre e correre.
Pian piano quei versi si affievoliscono e inizio a sentirmi al sicuro.
Sono stremata e mi concedo di rallentare un po', per riprendere fiato.
Sento il cuore che mi scoppia e che batte all'impazzata. Le tempie pulsano e le gambe sono deboli.
Mi guardo attorno e mi accorgo di non avere idea di dove sono. Mi sono persa.
Sono sicura, però che gli Actegr mi troveranno anche qui.
Non faccio in tempo a pensarlo, che sento un grido acuto alle mie spalle.
Appena mi volto vedo due occhietti neri e una bocca bavosa.
- Appunto - mi dico, prima di ricominciare a scappare.

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Capitolo 35
*** I segreti del bosco ***


Quasi ho le lacrime agli occhi, tanto ormai la paura è forte. E mi sento una codarda.
Allison non piangerebbe, se fosse al mio posto.
- Vattene - urlo con tutto il fiato che ho in corpo, mentre sento il respiro rancido dell'Actegr sul mio collo.
A quel punto mi fermo, mi giro di scatto e urlo ancora più forte.
- Vattene!
Sento la mia voce espandersi per tutto il bosco, come un vento freddo, che spazza le chiome degli alberi e il sottobosco.
L'actegr davanti a me viene scaraventato lontano, e così un altro, che ancora non avevo visto, che mi stava seguendo. E quei due non erano gli unici.
Ho il fiatone, sono paralizzata e le lacrime che mi sono scivolate sulle guance si mischiano alla terra che le macchia.
Mi guardo attorno e solo ora mi accorgo di essere circondata da una decina di cadaveri.
Io ho fatto questo. Sono stata io. Mi sono difesa e io, da sola, ho ucciso tutti questi mostri. Io.
Mi lascio cadere a terra, stremata. Anche se so di non essere ancora al sicuro.
Devo pensare in fretta a come trovare la casa degli Hale.
Usando i miei poteri, okay, ma come? Ancora non so usarli a comando.
Mi guardo intorno, per capire almeno quale direzione prendere.
Ad un certo punto, poggiato contro un albero, vedo un ragazzo incappucciato, che osserva una mela che continua a lanciare in aria e a riprendere in mano.
Lo osservo per un po' e secondo me anche lui mi sta tenendo d'occhio.
- Chi sei? - gli dico, alzandomi in piedi.
Lui non risponde.
Muovo qualche passo nella sua direzione.
- Chi sei!? - dico più forte e con un po' più di rabbia di quanto avessi voluto.
Lui afferra la mela. Questa volta non la lancia in aria.
- Lo so che mi senti - mi avvicino ancora - perché non mi rispondi?
Sto quasi per riscoppiare a piangere. E me ne vergogno terribilmente. Non è possibile ch'io sia così debole! Non... è possibile.
- Non piangere, Makutu.
Sono sorpresa quando sento la sua voce.
È quasi calda, accogliente. Se mi dicesse che sono al sicuro ci crederei.
- Come fai a sapere chi sono? - chiedo.
- Quello che hai appena fatto, - fa un cenno col mento e per un attimo penso di riuscire a vederlo in viso - non tutti sono in grado di farlo.
- Beh non so se hai visto quei mostri, mi stanno dando la caccia - esordisco, frustrata - e ce ne sono molti, molti altri che presto verranno a prendermi. Quindi, se non vuoi aiutarmi e non vuoi rispondermi ti saluto.
Sento una risata, ma non penso di aver detto qualcosa di divertente.
Faccio per andarmene, ma lui mi ferma.
- Non andare - dice. Quando mi giro non è più vicino all'albero. È a qualche metro da me.
- Io posso aiutarti.
- Cosa sei? - gli chiedo.
Non so se fidarmi. Qualcosa mi dice di sì, ma non penso sia il caso.
E poi, potrebbe avere lo strano potere di ammaliare le persone, facendole sentire al sicuro o spingendole a fidarsi di lui o qualcosa del genere...
Non so nemmeno se sia possibile, ma, viste le scoperte degli ultimi tempi, non si sa mai.
- Puoi fidarti di me - dice, senza rispondere alla mia domanda - se è questo che vuoi sapere.
- Non è questo che ti ho chiesto.
Inizio a sentire le urla acute degli Actegr.
- So dove si trova la casa degli Hale.
- E tu come fai a...
Le grida sono già vicinissime. Devo prendere una decisione.
Fidarmi o non fidarmi. Seguirlo o affrontare gli Actegr da sola.
Mi fido.
Come muovo un passo verso il misterioso incappucciato quello inizia a correre. Io lo imito, ma dopo meno di un secondo lui ha già raggiunto l'albero a cui era appoggiato poco prima.
Appena io raggiungo l'albero lui sparisce per un secondo, per riapparire sulle fronde.
E come io corro tra un tronco e l'altro, lui salta di ramo in ramo e di albero in albero,  con scatti repentini che spesso non riesco a cogliere.
Sento le urla sovrumane sempre più vicine. E io sono sempre più stanca.
Mi chiedo quanto manchi, ma non ho abbastanza fiato per farlo ad alta voce.
All'improvviso sento un fruscio e quando mi guardo alle spalle vedo cinque o sei Actegr che si avvicinano, sbavando.
Caccio un urlo, ma la mia voce esce strozzata.
Cerco di correre più veloce possibile, ma so che quelle bestie mi raggiungeranno.
All'improvviso, quando ormai le sento avanzare praticamente dietro di me, qualcuno mi spinge e io cado rovinosamente a terra.
La caduta mi provoca fitte di dolore ovunque e mi sento in trappola.
Immediatamente penso che non dovevo fidarmi di quello sconosciuto! Probabilmente è stato lui a farmi cadere per facilitare la caccia a quelle bestiacce...
Mi guardo alle spalle prima di poter pensare altro. E ciò che vedo mi sorprende non poco.
Gli Actegr che mi stavano seguendo sono andati a sbattere contro qualcosa che si è frapposto tra me e loro, come una barriera invisibile. E al contatto con essa, sono stati fulminati e sbalzati lontano.
Mi guardo attorno e in lontananza scorgo  una vecchia catapecchia di legno, che sorge in una zona dove sembrano esserci un po' meno alberi rispetto al resto del bosco.
Cerco il ragazzo incappucciato e lo individuo poggiato ad un tronco, mentre lancia in aria la mela, per afferrarla subito dopo.
- Che cos'è? - chiedo, indicando l'aria davanti a me. Lui capisce che parlo della barriera.
- È stata eretta per difenderti - risponde semplicemente lui.
- Chi l'ha eretta? - penso ai miei amici e a chi potesse essere a conoscenza del nostro piano di mirare a casa Hale (anche se non immaginavo fosse questa la ragione), ma non mi viene in mente nessuno in grado di fare una cosa simile.
- Devo andare - dice il ragazzo incappucciato, dando un morso alla mela.
- No, no - lo supplico - ho mille cose da chiederti.
Intercetto quasi un sorriso, da sotto il cappuccio.
Poi lui inizia a camminare, dando un altro morso alla mela.
Io provo a seguirlo, prima camminando, poi correndo, ma lui, semplicemente passeggiando, sembra non avvicinarsi mai.
- Tu hai qualcosa di strano - gli dico e so che mi sente, anche se finge non sia così.
Continua ad avanzare imperterrito, anche con una certa eleganza.
Anche se non so chi sia, cosa sia o perché mi abbia aiutata è riuscito a portarmi proprio dove dovevo andare.
- Grazie! - gli urlo da lontano, poco prima che scompaia, quando finalmente mi rendo conto che non avrò risposte, da lui.
Finalmente mi avvio verso la vecchia casa degli Hale, che si staglia, sbiadita, in una coltre di nebbia.
Più mi avvicino e più mi accorgo di quanto sia malconcia.
E poi, improvvisamente, una sagoma cattura la mia attenzione.
- Ciao Sydney.
Il cuore torna a battermi all'impazzata quando riconosco, tutto sorridente davanti a me, Peter Hale.

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Capitolo 36
*** Interrogatorio ***


Non so perché io abbia accettato di entrare. Non so perché sono seduta ad un vecchio tavolo impolverato davanti a lui, in questa casa polverosa e piena di macerie.
I segni dell'incendio sono evidenti, ma anche il tempo ha contribuito alla rovina della casa.
Travi di legno pendono dal soffitto, incastrate miracolosamente prima di precipitare a terra. Le assi del pavimento sono annerite, alcune spezzate o sovrapposte, altre ancora mancano del tutto.
Nella casa entrano solo fiochi raggi di luce, che sembrano dilatarsi nell'opacità della casa, in cui aleggiano grandi quantità di polvere, sospese nell'aria.
- Posso offrirti qualcosa? - mi chiede Peter con voce melensa.
Guardo quella che un tempo doveva essere una splendida cucina, ma che ora lo sembrava appena vagamente.
Immagino che non abbia niente da offrirmi, ma che me lo abbia chiesto per apparire gentile e cordiale. Ma sa benissimo che non funziona.
- Che ci fai qui? - gli chiedo invece.
- Sai, in fondo, è ancora casa mia - mi risponde con un sorriso.
Penso a quanto potrebbe apparire affascinante, se non fosse per il suo terribile carattere, che, non so come, riesce a distorcere la bellezza del suo aspetto.
Io non dovrei essere qui con lui.
O meglio, LUI non dovrebbe essere qui.
Ho quasi l'impressione di essere più in pericolo ora, di quanto non lo fossi prima, con decine di Actegr alle calcagna.
Devo solo aspettare l'arrivo degli altri. Dovrebbero essere qui a momenti.
- Sydney Jones - dice con un altro sorrisetto.
Mi fa rabbrividire sentire pronunciare il mio nome detto da lui e in quel modo.
È l'unico, tra tutti, che ancora non sono riuscita ad inquadrare. Certo, ormai so che è un arrogante, egoista e imprevedibile. Ma ancora non mi è chiaro da che parte stia, se agisca per buone cause oppure no. Una cosa è certa: di lui non mi fido.
- La nuova Makutu.
- Che cosa vuoi?
- Solo parlare.
- Non penso di aver molto di cui parlare con te - ribatto, brusca.
Lui socchiude gli occhi. E mi osserva.
- Noto un po' di ostilità nei miei confronti - commenta - a cosa devo ciò?
- Non è ostilità - gli faccio notare - è diffidenza.
- Non ti fidi di me? - si finge stupito. Poi, visto che la mia risposta è semplicemente uno sguardo gelido aggiunge: - Fai bene.
A quel punto mi viene da chiedermi a che cosa serva, allora, tutta questa sceneggiata.
- Ma io ho qualcosa che ti serve - continua, attirando la mia attenzione - e tu hai qualcosa che serve a me.
- Cosa?
- Risposte.
Risposte. Certo.
Come fa lui a darmi le risposte a domande che nemmeno ho chiare in testa?! Certo, i dubbi sono tanti, ma non ho mai pensato di poterli davvero chiarire.
E poi... che risposte potrei dare io a uno come Peter?
- Non ti seguo - dico semplicemente, senza staccare i miei occhi dai suoi.
- Io penso di sì, invece - sorride, questa volta rivelando due canini aguzzi.
- Ad ogni domanda, una risposta. E ad ogni risposta una domanda - è una proposta - ci stai, Sydney Jones?
Un'altra scelta da prendere.
Qualunque cosa Peter voglia sapere da me, è determinato a scoprirla, con o senza la mia approvazione, di questo sono sicura. E poi, lui sa benissimo cosa sta cercando, è questo che più mi spaventa. Chissà poi quali saranno le conseguenze, cosa farà una volta ottenuta l'informazione che vuole.
Penso a cosa farebbero Scott, o Allison, o Isaac, Derek o Liam. O Stiles. Ma in questo momento proprio non lo so.
In fondo, all'inizio Peter collaborava con loro, prima che diventasse meno chiaro da che parte sta.
- E va bene - egoisticamente, penso che anche per me sia ormai giunto il tempo delle risposte.
Lui sorride e non posso fare a meno di chiedermi se ho preso la scelta giusta. Sta ottenendo ciò che vuole, ma sono sicura che ne valga la pena?
- Inizia tu - mi dice.
Ci devo pensare un attimo. Ancora non so bene cosa chiedere. Ci sono così tante cose che non so...
- Devo aver paura di te? - prima ancora di aver pensato la domanda la sento pronunciare dalla mia voce.
Non sono sicura sia la cosa giusta da chiedere. E poi, lui potrebbe sempre mentire.
- No - risponde semplicemente.
- Perché dovrei crederti?
- Ahi ahi, queste sono due domande - ribatte - tocca a me.
Mi scruta dalla testa ai piedi (per quanto sia possibile, avendo il tavolo in mezzo), mentre pensa a cosa chiedermi. Sono sicura che sia tutta una sceneggiata: lui sa già cosa vuole sapere.
- Dov'è tua madre?
Il mio cuore perde un battito.
Perché quella domanda? Cosa gli importa? Lei cosa centra con Peter? Perché a Peter importa di lei?
È troppo tempo che non parlo di mia madre. A casa è un argomento tabù e fuori, beh, non ho mai voglia di parlarne e di pensarci. Fa sempre troppo male.
- Non lo so - rispondo onestamente.
- Perché mi chiedi di lei? - domando ed è palese che sono turbata - la conosci?
- No - risponde - non la conosco.
- Da quanto non hai più sue notizie? - è la sua domanda.
- Se n'é andata quando avevo sei anni. Da allora non l'ho più vista nè sentita.
Sa che mi fa male parlare di lei, e quasi se ne compiace. Decido allora che è arrivato il mio turno, di scegliere un argomento scomodo.
- Come sei tornato a vivere dopo essere stato ucciso?
L'ho visto la prima sera di luna piena. Una serie di immagini e informazioni mi hanno raccontato tutta la sua vita. Da quando è rimasto ustionato nell'incendio, allo stato di coma in cui è sprofondato per anni, a quando Derek lo ha ucciso, proprio nel cortile della casa in cui ci troviamo ora.
- Qualcuno mi ha fatto un favore.
- Troppo vago - ribatto - ad ogni domanda una risposta. Esaustiva.
- Qualcuno ha voluto che io tornassi vivo, qualcuno di potente.
- Chi?
- Non lo so.
Mi preparo a fare un'altra domanda sull'argomento, ma lui mi blocca.
- Ti devo due domande, ora - ormai non sorride più - tua madre aveva dei poteri?
- Non capisco dove vuoi andare a parare - ribatto seccamente.
- Rispondi!
- Mia madre era una normalissima donna, che si è sposata, ha avuto una figlia, e poi ha abbandonato la sua famiglia, perché è entrata in una compagnia teatrale e a quanto pare girare il mondo per lavoro era diventato più importante di suo marito e... di me - dico tutto d'un fiato, con una rabbia che quasi mi fa scoppiare a piangere - ti basta!?
Lui non risponde. Semplicemente rimane pensieroso ad osservarmi.
Mi sento in imbarazzo per aver perso il controllo.
Gli spetta un'altra domanda, ma probabilmente se n'é dimenticato, perché per un paio di minuti rimane in silenzio, immobile così.
- Qual...- provo a chiedere, ma lui mi blocca con un cenno della mano.
- Sto pensando alla seconda domanda - dice - non barare.
Dopo qualche secondo chiede: - Com'era la donna che ti ha trasmesso il suo potere, quella che ha fatto l'incidente con l'auto?
Non seguo il suo ragionamento. Non capisco cosa sta cercando di scoprire. Non so cosa centri mia madre in tutto questo. Sento di essermi addentrata in un territorio pericoloso, dove non ho il minimo controllo.
- Era vecchia e... - mi sforzo davvero di pensarci, ma non mi viene in mente altro - non lo so. Non mi ricordo.
- Come puoi non ricordartelo!? - sbotta lui.
- Ero sconvolta!! Ed era tutto buio... io... non penso di averla vista bene.
Cala il silenzio, poi lui annuisce debolmente.
- Qual è il prezzo di essere tornato? Poi mi accingo a precisare: - Dal mondo dei morti.
- Lo dici come se fosse un posto affascinante, laggiù - finge di soffrire al pensiero, in modo teatrale. Ma probabilmente è davvero un ricordo doloroso.
- Rispondi - lo incalzo.
- Chiunque mi abbia riportato in vita, me lo sta facendo pagare a caro prezzo - si accende una scintilla di risentimento nei suoi occhi - sono sotto il suo controllo.
Sono quasi contenta, a quella notizia. Sembra che per Peter non poter fare ciò che vuole e che interessa a lui sia la peggior condanna possibile.
- Cosa sei in grado di fare? - chiede il licantropo al suo turno.
- Coi miei poteri? - domando - beh... non lo so di preciso. Ho scoperto piccole cose, ma sono sicura di poter fare molto di più.
Lui sogghigna, ma non sprecherò una domanda per chiedergli perché.
- Anche Yipada è stato riportato in vita, vero? Dalla stessa persona che lo ha fatto con te? Allo stesso prezzo?
- Troppe domande - ribatte - ma oggi mi sento in vena di confidenze. Yipada era morto, ucciso dalle mie stesse mani. E sì, gli ho fatto una visitina, nel suo nascondiglio nel bosco, per fare due chiacchiere. E ha confermato che anche lui è sotto il controllo di chiunque stia controllando me.
Quindi l'intesa tra i due si limitava al patire la stessa pena a causa di una stessa persona? O c'era di più?
- Ti manca? - chiede Peter all'improvviso.
- Chi? - domando io, sorpresa.
- Tua madre.
Non voglio rispondere. Non posso evocare i miei sentimenti verso di lei. Li ho seppelliti ormai da tempo nel fondo più profondo di me. Non posso risvegliare tutto quello che ho provato. Non ce la faccio.
E poi, perché dovrei farlo? Per Peter? Sicuramente a lui non interessa cosa provo io, per questo la sua domanda mi stupisce così tanto.
C'è qualcos'altro, ci potrei giurare.
- Sì - sono sorpresa quando sento la mia voce che risponde, quasi senza sentimento.
- Penso che potrei riuscire a trovarla - dice, allungandosi sul tavolo verso di me - ma ho bisogno del tuo aiuto.

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Capitolo 37
*** Verità nascoste ***


In quel momento sento la porta d'ingresso, ormai una tavola di legno sottile e ammuffita, che si spalanca, sbattendo.
. Io scatto in piedi sull'attenti, mentre Peter sembra pienamente cosciente di quello che sta succedendo. Fa solo una smorfia scocciata.
Sento rumore di passi pesanti, nella stanza accanto, e cautamente attraverso la cucina per dare un'occhiata.
Appena sento la voce di Stiles e la risposta di Allison inizio a correre verso l'entrata.
Mi getto tra le braccia di Stiles, che mi abbraccia estremamente forte, e mi affonda una mano nei capelli.
- Stai bene? - mi chiede.
Io mi limito ad annuire, con la guancia poggiata al suo petto, inebriandomi del suo profumo, che si mischia con l'odore della resina.
Solo quando Stiles mi guarda in faccia, preoccupato, mi ricordo di essere sporca di terra e sangue, e quando lui mi passa delicatamente un pollice sulle guance, capisco che il segno delle lacrime che le hanno incise è ancora visibile.
Finalmente degno gli altri di uno sguardo.
Isaac e Derek stanno reggendo Scott, che ha l'aria sofferente e una gamba totalmente incrostata di sangue, che sembra ancora uscire da una ferita enorme.
Distolgo lo sguardo.
Derek non sembra aver riportato grandi ferite. Isaac e Liam hanno qualche graffio.
Allison ha il braccio ricoperto di un liquido denso e trasparente che sembra essere la bava di un Actegr e ne sembra piuttosto schifata.
Stiles sta bene. Probabilmente lui e Allison sono arrivati da poco.
- Portiamolo di sopra - dice Derek, riferendosi a Scott, indicando la scalinata che quasi cade a pezzi.
Fa per muovere un passo, quando il suo sguardo cade su qualcosa e si blocca.
Capisco subito cos'ha visto. CHI ha visto.
- Bentornato a casa nipotino - dice Peter con la solita arroganza.
Derek gli lancia un'occhiata di ghiaccio.
- Che bel colorito, Scott.
- Peter - lo ammonisce Allison - non è il momento.
Quello fa spallucce.
- L'ho pensato anche io quando siete entrati - ribatte. Poi il suo sguardo cade su di me - stavamo facendo qualcosa di importante. Che voi avete interrotto.
Tutti si girano a guardarmi, con aria di rimprovero, sguardi perplessi e fronti corrucciate.
Io rimango impassibile e non lascio trapelare alcuna emozione. Nel profondo, però sono davvero turbata per l'offerta di Peter e per quello che la nostra conversazione ha risvegliato in me.
- Beh, vi lascio ai vostri feriti di guerra, io qui ho finito - poi mi guarda dritto negli occhi - per ora.
Con un sorriso beffardo sparisce in cucina. Sento un vetro che si rompe e poi un fruscio all'esterno.
Se n'è andato, probabilmente con le sembianze di un lupo mannaro.
Derek e Isaac si avviano su per le scale, trascinando con ben poca fatica il pesante corpo di Scott.
- Cosa intendeva dire? - mi chiede Stiles, e Allison e Liam mi guardano con la stessa aria perplessa ma interessata.
Faccio un gesto come per dire "non ora". E seguo gli altri su per le scale.

- Cos'è successo? - chiedo appena entrata in una stanza che sembrava essere messa meglio delle altre.
C'era un vecchio letto, con un copriletto azzurro, ricoperto da almeno due dita di polvere; un vecchio tavolo di legno, un po' malconcio e una finestra, con un paio di tendine color vaniglia mangiate dalle tarme.
Scott era steso su un logoro tappeto, che al tocco aveva liberato una nuvola di polvere, che ora aleggiava nell'aria, rendendola quasi irrespirabile.
- Abbiamo provato a rallentarli - spiega Isaac - ma erano davvero aggressivi e... tanti, tantissimi.
- Che cos'erano? - chiede Allison comparendo sulla porta.
- Actegr - rispondo io prontamente. Nessuno mi chiede come faccio a saperlo: è facilmente immaginabile.
- Tu stai bene? - mi chiede Liam.
- Sì. Per un momento ho pensato che mi avrebbero divorata. Mi hanno raggiunti in una decina.
Mi chiedo se qualcuno mi parlerà della barriera.
Nessuno lo fa.
- Come hai trovato la casa? - mi chiede Scott. La sua ferita si sta rimarginando in fretta.
Non ho intenzione di parlare dello sconosciuto incappucciato. Non saprei dire perché, semplicemente preferisco tenermelo per me. Almeno per ora.
- Sono stata fortunata - rispondo - dopo un po' che correvo me la sono trovata davanti. Mi è andata bene.
Derek, Scott e Isaac mi guardano un po' diffidenti, come se sapessero che sto mentendo. Per un attimo ho proprio l'impressione che sia così.
Ancora nessuno parla della barriera. Mi viene da chiedermi se loro sanno che è stata eretta.
Ad un certo punto mi viene in mente di guardare l'ora: sono già le 17!
- Oh oh - sussurro - ragazzi devo andare.
Do un bacio a Stiles, mentre arretro verso le scale.
- A stasera! Ci vediamo alle otto davanti al Rules - dico - mi raccomando, puntuali.
Poi il mio sguardo incrocia quello di Derek.
- Sentiti libero di venire anche tu - gli dico.
Lui si limita a mantenere il contatto visivo, e per un attimo mi sembra quasi felice che abbia esteso l'invito anche a lui.
- Non penso di esserci.
Già. Dovevo immaginarmelo.

Stiles mi segue giù per le scale.
- Dove hai intenzione di andare? - mi chiede.
- Mh a casa?
- E pensi di andarci a piedi?
Perché non c'ho pensato? Il bosco è parecchio lontano da casa mia, possibile che davvero non mi fossi posta il problema?
Gli stampo un bacio sulla guancia.
- Grazie al cielo ci sei tu.
Mi afferra la mano e insieme lasciamo la casa.
Attraversiamo il bosco e sembra che Stiles conosca bene la strada per uscirne.
- Venite spesso da queste parti? - gli chiedo.
- Diciamo che in un modo o nell'altro capitiamo spesso qui.
Mentre camminiamo guardo tra le cime degli alberi, i rami e i tronchi, come se mi aspettassi di veder comparire il ragazzo incappucciato da un momento all'altro.
- Cosa cerchi? - mi chiede Stiles.
A volte ho paura che abbia il potere di leggere nel pensiero.
- Volevo assicurarmi che non ci fossero altri Actegr - mento. È la prima volta che lo faccio con lui.
Lui annuisce.
- Cosa ti ha detto Peter? - chiede preoccupato - lo sai che di lui non ti devi fidare, vero?
- Lo so. E lo sa anche lui a quanto pare - rispondo.
Devo parlargli di mia madre, devo riuscirci.
- Mi ha fatto delle domande - dico.
Lui capisce che sto per affrontare un argomento delicato.
- Non sentirti obbligata a...
- No - lo fermo - voglio parlartene.
Abbiamo raggiunto la sua auto. Saliamo, ma prima di mettere in moto mi osserva.
Forse ha capito che il mio discorso ha bisogno di una particolare attenzione. Io però gli faccio segno di partire e lui, dopo un attimo di esitazione, ingrana la marcia.
- Mi ha fatto delle domande su mia madre. Anche se non capisco cosa centri lei con Peter.
- E cosa gli hai detto?
- Quello che sapevo - dico - cioè che lei se n'è andata quando avevo sei anni, per girare il mondo con la sua compagnia teatrale. Non so altro.
Lui rimane in silenzio per un attimo. Poi sussurra un "mi dispiace".
- Non capisco perché lo volesse sapere - dico.
- In effetti è strano. Non so rispondermi nemmeno io.
- C'è di buono che ho scoperto anche io qualcosa.
- Su Peter!? - Stiles sembra quasi sorpreso.
- Non è andato da Yipada per far saltare il nostro piano. C'è qualcosa che li accomuna.
- Riguarda il fatto che entrambi sono tornati dal mondo dei morti, vero?
- Qualcuno ha reso possibile il loro ritorno. E quel qualcuno li tiene sono controllo e anzi, penso che li comandi, in un certo senso. E probabilmente nessuno dei due è contento di ciò.
- Chi è questo "qualcuno"?
- Non lo sanno nemmeno loro.
Mi rivolge uno sguardo allibito.
- La faccenda si fa interessante - dice - ho qualcosa su cui scervellarmi tutta la notte.
Sorrido e già me lo immagino a trascorrere una notte insonne a scrivere e unire gli strani fili rossi che ha in camera, per collegare ogni evento e ogni persona coinvolti in questa storia.
È lui quello che trova i collegamenti.
- Ah - dico, mentre ferma la macchina sotto casa mia - e poi mi ha chiesto di aiutarlo a trovare mia madre.
- Perché lo avrebbe fatto?
- Non ne ho idea.
Rimaniamo ad osservarci a lungo.
- Cosa pensi? - gli chiedo ad un certo punto.
- A questo punto penso che non ci resta che scoprire chi è tua madre e perché Peter è tanto interessato a lei.

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Capitolo 38
*** Appuntamento a cena ***


Sono riuscita ad arrivare a casa per le 17.14.
Mio padre a quest'ora è sempre al lavoro, perciò non noterà il mio ritardo.
Mi sono fatta una doccia, levandomi le macchie di sangue e di terra che avevo ovunque.
Vestendomi, ho notato che di tutti i graffi e le ferite riportate nella fuga nel bosco sono sparite.
Indosso una gonna nera, corta e stretta; una canotta color sabbia e un paio di sandali bianchi.
Mio padre ha accettato di conoscere i miei amici questa sera, così mi ha permesso di evadere dalla mia punizione. Solo per oggi.
Magari, dopo aver visto che sono dei tipi a posto, si preoccuperà meno.
SE riusciranno a sembrare dei tipi a posto.
Mi trucco un po', per sembrare più carina.
Esco alle 7.30, così da arrivare a piedi e con calma fino al ristorante di mio padre.
Scott è già lì che aspetta, puntuale, con una camicia bianca e un paio di jeans, che fanno risaltare il suo fisico muscoloso e gli danno un'aria ordinata.
- Eilà! - esclamo avvicinandomi - complimenti per la puntualità.
- Ho visto quanto ci tenevi - mi risponde con un sorriso.
Rimaniamo un attivo ad osservarci, chiedendoci cosa dovremmo dire, ma alla fine restiamo in un silenzio imbarazzato.
Aspettiamo che arrivino tutti e alle otto entriamo nel ristorante e prendiamo posto.
Continuo ad osservarli, uno per uno. Hanno cercato di vestirsi in modo carino e sorrido, pensando a com'eravamo conciati solo un paio di ore prima, ricoperti di terra, sangue e ferite. Ma soprattutto penso ai rischi che abbiamo corso tutti, e che continuiamo a correre. Non devo dare per scontato il fatto che siamo sani e salvi, non è scritto da nessuna parte che saremo sempre così fortunati.
Mio padre non è in giro, probabilmente è in cucina ad occuparsi di altre cose. Noi ordiniamo e mangiamo, chiacchierando come dei normali adolescenti.
Solo quando arriviamo al dolce mio padre si presenta nella sala e io sento il cuore accelerare. E' importante che lui apprezzi i miei amici, voglio davvero che si fidi, così da non correre il rischio che limiti la mia libertà perché ha paura delle persone che mi stanno attorno e di quello che potrei combinare.
Anche perché non si tratta solo di uscire con degli amici. Si sa che noi siamo nel bel mezzo di qualcosa di più grande.
- Ciao ragazzi - esordisce mio padre tutto sorridente.
Sono nervosa.
- Ciao papà - dico io, mentre gli altri salutano con un cenno della mano - questi sono i miei amici.
- Finalmente vi conosco.
Inizia a fare le solite domande da genitore, sulla scuola e cose così, giusto per fare conversazione. I ragazzi se la cavano bene, io li osservo sorridendo.
Lancio uno sguardo fuori dalla finestra, mentre tutte quelle voci familiari mi rimbombano nelle orecchie.
E succede l'inevitabile: i miei pensieri corrono subito a mia madre, a Peter e a tutto quello che è successo oggi.
Com'è possibile che Peter sembri sempre un passo avanti a tutti? Cosa sta cercando? Perché? E cosa centra mia madre in tutta questa storia!?
Semplicemente non so a cosa pensare. Mi ci sono voluti così tanti anni per accettare di essere stata abbandonata, e ora si presenta una possibile alternativa a quello che è successo.
Magari anche mia madre aveva un potere. Magari è stata costretta a lasciare me e mio padre. Magari ora sta cercando, in qualche modo, di tornare da me.
Mi mordo la guancia sforzandomi di ritornare alla realtà.
Non devo illudermi, non devo viaggiare con la fantasia. Ma è così difficile non farlo, a questo punto.
Devo semplicemente cercare di non pensarci. Non pensarci.
Devo far scomparire mia madre dai miei pensieri, ora. E piuttosto preoccuparmi del motivo per cui sono qui in questo momento.
Guardo l'espressione contenta di mio padre, mentre parla del suo ristorante con i miei amici, che ascoltano affascinati.
Lui è decisamente sereno e soddisfatto. Direi che non desideravo altro.

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Capitolo 39
*** Legami ***


Non riesco a dormire, ma la cosa non mi sorprende. La mia testa è troppo piena di pensieri per potermi abbandonare al sonno.
Continuo a pensare ai mostri che oggi ci hanno seguito e alla paura che ha animato ogni singolo centimetro nel mio corpo. Non è qualcosa che si dimentica molto facilmente.
Ma soprattutto non riesco a non pensare a Peter e a mia madre. E lo detesto per questo: mia madre è una parte della mia vita che non mi riguarda più. L’ho rimossa. L’ho rimossa dal mio cuore e dalla mia mente. E non è stato facile. Ho cancellato il risentimento e la rabbia che provavo per lei quando l’affetto si era già affievolito.
Non voglio, non posso rievocare tutto questo.
Eppure, ora che Peter ha aperto questa porta, qualcosa mi impedisce di richiuderla.
E io che mi aspettavo delle risposte... ora ho solo più domande di prima, e una più assillante urgenza di rispondervi.
Mia madre. Peter.
Non sembrano avere nulla in comune, nulla. Allora come mai sento che c’è un collegamento, come un filo sottile, che li unisce?
Continuo a girarmi e rigirarmi nel letto, tormentata.
Inizio ad avere caldo, troppo caldo. Sento come se non riuscissi a respirare.
Allora mi alzo, mi infilo la felpa nera, malamente abbandonata sulla sedia, ed esco sul balcone.
L’aria pungente della notte mi rianima un po’ e ad un certo punto mi sembra quasi di essere più serena.
Guardo il cielo, puntinato di stelle. La luna non si vede.
- Hey tu! – sento una voce dalla strada – non riesci a dormire?
Socchiudo gli occhi, per sconfiggere l’oscurità e riconosco i lineamenti di Peter.
- Che ci fai qui? Mi stai seguendo!? – chiedo improvvisamente turbata.
- Diciamo che ti sto solo tenendo d’occhio.
- Beh, smettila – ribatto – è inquietante.
- Sapevo che il discorso di oggi ti avrebbe turbata.
- Tu non sai niente, Peter – dico quasi in un ringhio.
- So più cose di quante tu possa anche solo sospettare.
- A quanto pare non abbastanza, però – dico, alludendo a ciò che voleva sapere da me.
- Per questo sono qui.
Proprio quello che non volevo sentirgli dire. Proprio l’argomento che volevo evitare.
- Buon per te. Io non sono interessata a parlare con te, perciò puoi pure andartene – ribatto girando i tacchi e affrettandomi verso la porta-finestra, per rientrare in casa.
- Aspetta – mi blocca – invece lo sei. Lo sai tu e lo so io. Si tratta di tua madre! Lo so che vuo…
- Shhh! – gli sibilo, riaffacciandomi dal balcone – non qui.
La mia voce ferma e minacciosa sorprende persino me. Ma non posso permettere che si affronti quest’argomento discorrendo da un balcone a un marciapiede, come se si stesse parlando della lista della spesa. Con mio madre nella camera accanto, per di più.
- Non ne voglio parlare qui – dico.
- Scendi, allora.
- Sono le tre del mattino! – ribatto – tornatene a casa e lasciami in pace.
- È quello che vuoi? – dice con voce melensa.
- È quello che voglio – rispondo fermamente.
Sento la pesantezza dello sguardo che ci scambiamo, sebbene l’oscurità dovrebbe mitigarne l’intensità. In realtà è come se i miei occhi incrociassero i suoi in pieno giorno, a qualche centimetro di distanza.
So cosa vuole dirmi e lui sa cosa sto pensando io.
Nonostante io continui a combattere e ad oppormi, si è creato qualcosa tra me e lui, qualcosa di forte e fragile al tempo stesso. Ma qualcosa c’è. E non posso più permettermi di fingere che non sia così.

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Capitolo 40
*** Colpi di scena ***


È una settimana che studio come mai ho studiato in vita mia.
Riempio così ogni secondo libero che ho. Agli intervalli leggo; finita la scuola vado in biblioteca e faccio ricerche di storia, biologia, filosofia; arrivo a casa e tiro fuori i libri.
È così che riempio la mia testa, con qualcosa che non mi faccia stare male.
Non ho tempo di vedere gli altri dopo la scuola e i soli rapporti sociali che ho sono con Alyssa e i suoi amici nella pausa pranzo. E mi permetto lo scambio di qualche parola con Styles ogni tanto.
Lui ha notato che qualcosa non va, ma non mi chiede di che si tratta. Probabilmente riesce ad immaginare quale sia il problema, ma non tocca l’argomento.
Si limita a guardarmi, a chiedermi se sto bene, ad invitarmi a fare qualcosa insieme e a dire che va tutto bene quando gli dico che ho troppe cose da fare per la scuola per poter uscire.
Non so cosa stiano facendo gli altri, non so cosa stia facendo Yipada, non so cosa stia facendo Peter. E mi sforzo a convincermi che non mi importa.
- Va tutto bene tra te e Styles? – mi ha chiesto un giorno Alyssa. Io ho annuito e ho rifilato la solita scusa degli impegni scolastici. Perché qui se c’è qualcuno che non può proprio capire cosa mi sta succedendo, beh, quella è lei. E mi dispiace, perché in lei ho trovato una buona amica e una buona compagnia. Ma quello che ci separa è un abisso enorme.
Sto leggendo un libro sulla teoria dell’evoluzionismo di Charles Darwin in biblioteca, quando qualcosa interrompe il silenzio in cui ero immersa.
- Sydney.
Guardo accanto a me e incrocio lo sguardo pigro e assonnato di un ragazzo occhialuto, che lo riposa subito sul libro di chimica che ha aperto sotto gli occhi. Ma non è stato lui a parlare.
Osservo attorno, ma tutte le persone che vedo sono immerse nello studio o nello scrivere qualcosa.
- Reparto narrativa per i giovani – dice ancora la voce.
È qualcuno che sa che posso udirlo anche a distanza, qualcuno che sa che sono una Makutu.
E penso di sapere chi sia.
Chiudo il libro e lo abbandono sul tavolo di mogano al centro della stanza e mi inoltro in un percorso labirintico tra scaffali stracolmi di libri.
Finalmente leggo l’insegna “narrativa per ragazzi” e vedo un uomo di spalle, riconoscendolo dai suoi capelli biondi.
Si volta e sorridendo chiude il libro che ha in mano: “Twilight”. Lo ripone nello scaffale con la targhetta “Fantasy”.
- Che fervida immaginazione può avere uno scrittore – commenta.
- Ti avevo chiesto di lasciarmi in pace – ribatto io, ignorando il suo sorrisetto presuntuoso.
- E io ho fatto come mi hai chiesto – risponde Peter, calmo.
- Allora perché sei qui? Non penso tu stia semplicemente cercando un libro sui vampiri.
- Infatti, infatti. Sto cercando te.
- Dunque, non stai facendo come ti ho chiesto.
- Smettila di fare l’acida – sbotta lui – ho da dirti qualcosa che potrebbe interessarti.
- Sentiamo – dico facendo spallucce.
- Tua madre è in città.
Il mio cuore perde un battito. Sento il vuoto nello stomaco, come se stessi precipitando nel vuoto.
- Mia madre!? Co... co... come lo sai? Ne sei sicuro?
Annuisce. E rimane in silenzio qualche secondo.
Per la prima volta vorrei che lui parlasse, invece. Vorrei che riempisse questo vuoto che mi fa solo sentire... turbata e come... schiacciata, da qualcosa più grande di me.
- A questo punto mi sento costretto a chiedertelo ancora, e questa volta ho bisogno di una risposta, che sia quella definitiva – dice a quel punto – ti interessa trovare tua madre?
Rimango in silenzio a fissare il vuoto. Sento il mio cuore pulsare nel petto e il rimbombo dei suoi battiti riecheggiarmi nelle orecchie.
Voglio davvero rivederla? Avrei mille domande, mille cose da dirle... ma voglio davvero riaprire questa ferita? In fondo è già stata riaperta, non potrò mai tornare indietro.
Ma voglio davvero andare avanti in questa storia con Peter? Chissà lui cosa vuole da mia madre, perché cerca me per trovarla, perché ha bisogno del mio aiuto.
Sto per dire di no, sto per rinunciare a tutta questa faccenda, per poter far finta di niente e andare avanti, ignorando quello che non ho mai saputo e arrendendomi all’idea che mai lo saprò. Ma è troppo tardi per fare finta di niente e quello che sento dire dalla mia voce non è quello che avevo in mente.
- Troviamola.

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Capitolo 41
*** Primo quarto di luna ***


Ci precipitiamo fuori dalla biblioteca, io e Peter.
Mi sembra così strano che stiamo collaborando. Tra tutti quelli che ho conosciuto è l’unico per cui nutra un certo disprezzo. Eppure eccomi qui, con lui.
- Voglio sapere perché la cerchi – gli dico – se dobbiamo collaborare, ho il diritto di saperlo.
Lui non risponde subito, mentre camminiamo a passo svelto per una viuzza di Beacon Hills.
- Ha delle risposte che cerco.
- Su chiunque abbia il controllo su di te?
Lui annuisce.
Svolta a destra e percorriamo un viottolo stretto tra due alti edifici.
Dopo ancora qualche svolta sbuchiamo in una zona che riconosco: qui c’è il loft di Derek.
- Perché siamo qui?
- Dobbiamo prendere delle cose – si limita a rispondere, vago, salendo di corsa le scale che conducono all’ingresso.
Spalanca la porta e ci troviamo nello spazioso loft. Non c’è nessuno e anzi, sembra più vuoto del solito. Probabilmente è solo una mia impressione.
- Seguimi – dice Peter. Suona quasi come un ordine.
Mi conduce in un corridoio stretto e male illuminato che non ho mai visto. Passiamo davanti ad una serie di porte di ferro arrugginito chiuse. C’è un forte odore di chiuso e non posso fare a meno di domandarmi perché cavolo siamo qui.
Peter apre una delle ultime porte sulla destra del corridoio e si infila in una stanza buia.
Quando io arrivo sull’uscio mi fermo, titubante. Non riesco a vedere niente all’interno e non sapere cosa mi troverò davanti mi spaventa. E mi blocca.
- Sydney – mi chiama Peter.
- Cosa stiamo facendo? – chiedo, senza muovermi – ti devo ricordare che non mi fido di te?
- Beh dovresti. Io servo a te, tu servi a me, semplice motivo per cui non dovresti pensare che voglia fare qualcosa contro il tuo interesse.
Sospiro, ma la risposta non mi convince. È pur sempre Peter, con cui ho a che fare.
Socchiudo gli occhi e mi concentro. Sono a dir poco sorpresa quando il nero della stanza che ho davanti si trasforma in un insieme di chiazze di colori diversi e improvvisamente è come se sapessi cosa mi trovo davanti.
Diciamo che è cambiato il mio modo di vedere, un po’ com’era successo quando avevo trovato Styles al parco, in mezzo ad una folla di gente, una delle prime volte che eravamo usciti insieme.
Styles... è la prima volta da quando Peter è comparso nella biblioteca che penso a lui. E mi sento male, perché non gli ho detto che cosa sto facendo, non ho chiesto aiuto a lui, non gli ho chiesto se sto facendo la cosa giusta oppure no.
Scaccio quel pensiero, che però rimane, come un peso nel petto, e mi fiondo nella stanza.
Ci sono degli scaffali di metallo, che senza le chiazze colorate che ora vedo non riconoscerei e anzi, probabilmente ci andrei anche a sbattere contro. Ma è proprio grazie a queste che trovo anche Peter.
Sta trafficando con degli aggeggi che tintinnano.
Sussulto quando mi rendo conto che sta caricando delle armi.
- Che stai facendo!? – sbotto.
- Dobbiamo difenderci o no?
- Ma sei un lupo mannaro! Ed io una Makutu. Che ci servono delle armi.
- Per quanto mi riguarda tu e i tuoi poteri non siete molto affidabili – dice, continuando a trafficare.
- Quindi sarebbero per me!? – sono contrariata – non so nemmeno come si tiene un’arma!
Peter afferra un grosso fucile e me lo pianta in mano.
- Mira e premi il grilletto. Attenta al rinculo – poi prende delle cose più piccole, che erano poggiate su un piccolo tavolo nell’angolo accanto a noi e se le infila nelle tasche. Poi gira i tacchi e si avvia fuori dalla stanza, probabilmente aspettandosi che io faccia lo stesso.
Infatti io lo seguo. Accelero il passo e lo raggiungo.
Afferro il fucile con due mani e lo premo sul petto di Peter, ancorandolo contro il muro.
- Aspetta – sibilo, non avendo la più pallida idea di dove venisse fuori il coraggio di fare una cosa del genere.
- Che cosa stai tramando? – i miei occhi lo scrutano, ridotti a due fessure. Lui è sorpreso, ma non spaventato.
- Mi stai davvero bloccando contro ad un muro con un fucile? – sorride, ma quando vede la mia espressione fin troppo seria quel sorriso si spegne.
- Non so cosa tu abbia in mente di fare, e finché non lo saprò non ti aiuterò.
- Sei davvero così diffidente nei miei confronti? – sogghigna lui.
- Sì, proprio così.
Allontana il fucile da lui e io lo lascio fare.
- Non mi servono delle armi. Lei è mia madre.
Lui mi guarda quasi con tenerezza, sicuramente solo per farmi credere che gliene importi qualcosa.
- Probabilmente la troverai molto cambiata da com’era.
- Correrò il rischio. Non penso mi farebbe del male – ribatto – tu, piuttosto, come farai a cercarla e ad avere le informazioni che cerchi se sei sotto il controllo di chi ti ha riportato tra noi vivi? Se io fossi in lui te lo impedirei, visto che a quanto pare non ha molta voglia che tu conosca la sua vera identità.
- Sì beh, non ti ho detto che ci sono alcuni giorni in cui posso sfuggire dal suo controllo. Ed è durante i giorni del primo quarto di luna.
Rifletto un attimo. Una settimana fa, dal balcone, non ho visto la luna. Probabilmente era un giorno di luna nuova, perciò oggi dove essere... il primo quarto di luna.
Non so se essere spaventata o terrorizzata: Peter ha calcolato tutto. Inizio a pensare che dietro quello che mi dice ci sia molto di più.
- Tu hai pianificato tutto – mormoro.
- Ovviamente, altrimenti non potrei avere le mie risposte – risponde, calmo.
Forse non c’è nulla di male. Forse mi sta davvero dicendo tutto ciò che sa e tutto ciò che devo sapere. Forse mi preoccupo per niente.
- E ora come la troviamo? – chiedo.
- Questo è compito tuo.

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Capitolo 42
*** Non. Pensare. ***


Col fucile a tracolla, subito dietro Peter, mi avvio verso l’uscita del loft. Ma prima che siamo noi ad uscire la porta si apre. Peter non si ferma, e io lo imito.
Sull’uscio compare Derek, in tutta la sua imponenza e col suo solito sguardo freddo e severo.
I suoi occhi incrociano i miei e improvvisamente mi sento come se mi stesse giudicando. Non saprei dire perché, anche perché lui è impenetrabile e indecifrabile come al solito. Ma è la prima volta che davvero mi sento come se stessi facendo la cosa sbagliata.
Peter gli passa accanto rivolgendogli un’occhiata ed esce dall’appartamento.
Derek gli rivolge solo un rapido sguardo e poi torna ad osservare me.
Cerco di passargli accanto con la stessa non curanza di suo zio, ma Derek mi afferra il braccio.
- Non andare con lui – dice semplicemente. La sua voce fa battere il mio cuore così forte che vorrei afferrarlo per farlo rallentare.
Io semplicemente lo guardo scuotendo debolmente la testa e strattono il braccio per liberarlo dalla sua presa. Poi anche io esco dal Loft.
Lui rimane sulla porta e mi segue con lo sguardo.
- Sydney – prova a richiamarmi, ma io non mi volto indietro e insieme al suo richiamo cerco di ignorare l’opprimente sensazione di stare commettendo un grandissimo sbaglio.
“È mia madre” penso “io devo trovarla” e questo basta a cancellare ogni esitazione.
 
- Allora? Dove si va?
- Nella foresta.
Peter sale su un grosso suv  color sabbia e mi fa cenno di fare lo stesso.
Io ancora non riesco a fidarmi di lui. E il pensiero di stare chiusa in un abitacolo, senza poter scendere, senza avere via di fuga, accanto a lui non mi piace per niente.
Mette in moto. E mi spiega, senza mai staccare gli occhi dalla strada, cosa faremo.
Dobbiamo raggiungere il Nemeton, il ceppo di quello che è stato un grosso albero. Si tratta di un luogo sacro, anche se Peter non approfondisce questo punto dell’argomento. Dice solo che lì succederà qualcosa di importante, e grazie alla magia di quel luogo sarò in grado di potenziare i miei poteri, il che mi permetterà di trovare mia madre. Dice di non fare domande, che quando saremo là capirò tutto.
Il resto del viaggio lo trascorriamo in silenzio. Io mi limito a guardare fuori dal finestrino.
Ho troppe cose per la testa e vorrei colmare il silenzio con qualsiasi cosa possa mettere a tacere i miei pensieri.
Mi prendo la libertà di accendere la radio, sperando in una canzone familiare da canticchiare. Peter mi lancia uno sguardo. Non capisco se di fastidio o perplesso o cosa. E non mi importa.
So solo che non posso, non voglio, pensare a Styles, non posso sentirmi in colpa per non averlo messo al corrente di quello che mi passa per la testa né di quello che sto facendo. Non posso sentirmi uno schifo per averlo lasciato fuori da tutta questa faccenda, lui che c’è sempre stato, lui che è l’unico che davvero si curi di me perché sono io, e non perché sono una Makutu da proteggere o perché abbia poteri che qualcun altro vuole per sé.
Non posso pensare a mia madre, al fatto che tra poco probabilmente la rivedrò dopo così tanti anni, dopo così tante bugie. Non voglio pensare a quale possa essere la verità, a quale sia la vera ragione per cui se n’è andata, a che tipo di persona possa essere ora.
Non posso pensare a mio padre, a come abbia vissuto tutti questi anni nelle bugie e come forse non saprà mai la verità. Perché come posso dirgli che sua figlia è una specie di strega con dei poteri eccezionali e sua moglie... chissà che cosa?
Io non posso pensare. Se no sarebbe la fine.
La fine di questa impresa, la fine di questa ricerca, la fine di quest’ondata di coraggio che mi ha travolta, non si sa bene perché; la fine di questa pazzia.
Io voglio la verità, penso di meritarmela. In fondo non è colpa mia se sono finita in questa situazione, se nessuno mi dà le risposte che cerco.
Non è colpa mia, ma è un mio diritto fare qualcosa perché questa situazione cambi.

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Capitolo 43
*** Nemeton ***


- Cosa faremo quando troveremo mia madre? – chiedo ad un certo punto.
- Le porrò le mie domande e tu le porrai le tue.
- Tutto qui? – non saprei dire perché, ma la cosa sembra troppo strana.
Mi chiedo perché sia così difficile trovarla, se ottenere le risposte da lei sembra così semplice.
Insomma... se c’è bisogno dei miei poteri per scoprire dove si trovi, significa che per qualche ragione lei non vuole essere trovata e c’è qualcosa che impedisce agli altri di farlo, come se lei si volesse proteggere.
Ma perché? A quanto pare non è semplicemente una donna da cui andare per porre le proprie domande.
C’è qualcosa di più, qualcosa che mi sfugge...
- Tutto qui – risponde Peter.
Sta mentendo. C’è qualcosa che non mi dice. E questa cosa mi terrorizza.
Ferma la macchina, scendiamo e iniziamo a camminare nel bosco.
Peter cammina sicuro, come se sapesse già la strada a memoria, ma a me sembra di vedere solo alberi, foglie e terra, ripetuti all’infinito. Non vedo una logica nel nostro percorso, non vedo una strada. Ma una strada c’è. E di noi due solo Peter la conosce.
Mi convinco a non avere paura. Sono sola. In un bosco. Con Peter. Un licantropo. Imprevedibile.
Ma sono armata, lui mi ha armata e oltre al fucile ho i miei poteri, seppur imprevedibili, e lui lo sa. Quindi sicuramente non vuole farmi del male. Questo basta a tranquillizzarmi, anche se in fondo in fondo un velo di inquietudine c’è sempre.
Dopo almeno venti minuti di cammino, trascorsi in pieno silenzio, arriviamo in una zona del bosco che sembra più povera di alberi.
Solo allora Peter si ferma di colpo. Riesco a vedere il cielo, non più eclissato dal voluminoso intreccio di chiome che lo hanno coperto fino ad ora.
Quando abbasso lo sguardo lo vedo.
Un enorme ceppo, con radici di una grandezza inverosimile, che si attorcigliano su se stesse e sulle altre, per poi scomparire nel terreno.
C’è un’atmosfera diversa qui, lo si percepisce subito, come qualcosa di... magico.
Provo ad immaginare come potesse essere quell’albero con ancora tutto il tronco, i rami e le fronde. E non ci riesco, perché avrebbe delle dimensioni davvero impensabili. E più guardo quel che ne rimane, più riesco a percepirne la forza vitale, come se l’albero fosse ancora lì, vivo e vegeto, e ancora risucchiasse il suo nutrimento dalla terra su cui si trova. Ormai è una certezza: quel nodo di legno, radici e muschio è qualcosa di vivo, con un’energia e una forza che non hanno eguali.
- Il Nemeton – sussurro.
- Siamo arrivati – dice Peter con un sorriso. Muove qualche passo in avanti, e ha un’espressione folle, sembra quasi inebriato da quella presenza così forte e mistica.
Io non riesco a muovere un passo. Sono inchiodata, sopraffatta da tutta quella forza, e dallo stupore e l’inquietudine che quel posto suscita in me.
- Sydney? – mi chiama Peter, mentre accarezza una radice.
- Cosa dobbiamo fare? – chiedo io, muovendo qualche passo.
- Ora lo vedrai – sorride lui.
Proprio in quel momento sento un rumore di passi e un fruscio.
All’improvviso sbucano, dal fitto del bosco, due uomini con gli occhi rossi famelici. Rabbrividisco quando li riconosco: Jutovish.
- Peter!? – ringhio, ma lui è troppo preso a tenere lo sguardo su di loro. E su una terza figura...
I due Jutovish, infatti, procedono verso di noi reggendo un uomo. Ha la barba lunga e gli occhi scuri, il viso coperto di cicatrici e l’aria da vagabondo. Cerca di divincolarsi, per liberarsi dalla presa delle due bestie che invece continuano a trascinarlo.
Non riesco a sentire più niente. Il mio cuore batte troppo forte, mi rimbomba nelle orecchie. Sento le gambe tremare e vorrei solo lasciarmi cadere in ginocchio. Inizio a maledirmi per essermi fidata di Peter. Eppure lo sapevo! Lo sapevo che aveva un’intesa con Yipada, lo sapevo che non aveva altro interesse all’infuori di se stesso!
Nonostante abbia paura che mi stia per consegnare nelle mani del nemico numero uno da cui sto fuggendo, in fondo in fondo sento che non succederà.
Quella terza figura... non ha senso che sia qui, se è me che vogliono prendere. Quell’uomo sembra essere la vittima, non io.
- Vieni avanti, Sydney – dice Peter, senza staccare gli occhi dai due Jutovish che si avvicinano.
Io non mi muovo di un millimetro.
Lui si volta e mi allunga una mano: - Siamo tutti dalla stessa parte. I jutovish non sono qui per te.
- Pensavo fossero gli scagnozzi di Yipada – ribatto.
- Diciamo che mi dovevano un favore.
Muovo qualche passo in avanti, ma non stacco lo sguardo da Peter, nemmeno un secondo. E ignoro la mano che mi tende, e il suo sorriso amichevole.
Sono accanto a lui quando i tre sconosciuti ci raggiungono.
- È un omega – mi spiega Peter – alimenterà il potere del Nemeton, da cui attingerai per potenziare i tuoi. Ci vuole un sacrificio per attivarne la magia.
Rabbrividisco, una volta capito cosa sta per succedere. E non lo voglio. Io... non voglio che accada.
Quell’uomo è qui e verrà ucciso per alimentare i miei poteri. Io non posso permetterlo io...
Succede tutto in un millesimo di secondo. Non riesco nemmeno a mettere ordine tra i miei pensieri, che Peter ha estratto un coltello e con un gesto rapido ha fatto scattare il braccio, in una scia di sangue.
Io rimango impietrita, con lo sguardo fisso sulle tre figure che si accasciano al suolo. Tre.
Tre corpi a terra. Tre cadaveri. Tre pozze di sangue.
Tre, perché non uno solo?
Mentre Peter ripulisce il coltello su un ciuffo di terra con non curanza, come se non si fosse appena macchiato di triplice omicidio, io non riesco a muovermi. E non voglio farlo.
È come se la scena a cui ho appena assistito mi avesse strappato via una parte di me.
È come se mi sentissi colpevole di aver spezzato io la vita di quei tre uomini, se così si possono chiamare.
- Perché l’hai fatto? – chiedo solamente.
La mia voce suona tranquilla, ferma. Ma in quella tranquillità ha un suono spaventoso.
Ha tutta la rabbia, tutto l’orrore che sto provando. Ha il suono di grida, di pianti, di tremori che non manifesto, ma che stanno agitando ogni singola parte di me.
- Una sola vittima non bastava a darti il potere di cui hai bisogno – risponde il licantropo, come se non si rendesse minimamente conto del gesto che ha appena compiuto.
Si china ad afferrare uno dei tre corpi ma io lo blocco con un urlo.
Lui alza lo sguardo e mi osserva, perplesso.
- Tu li hai uccisi. Davanti ai miei occhi – lo guardo con tutto il disprezzo che posso esprimere – non mi hai detto che questo sarebbe stato il prezzo.
Lui scuote la testa.
- Nulla è gratuito, tesoro. Menchemeno nel mondo soprannaturale. Tutto ha un prezzo. E qualcuno deve pagarlo.
- Ti rendi conto che hai appena interrotto tre vite!? Che diritto ne avevi tu?
- Senti Sydney – sbotta, d’un tratto serio – non ti ho portata qui per farmi una ramanzina, okay!? Dovresti solo ringraziarmi, perché questo lo sto facendo per te, e non solo perché tu possa ritrovare tua madre, ma perché ti sto aprendo gli occhi. Perché se pensi che le faccende si risolvano come ti vuol far credere Scott, semplicemente stringendosi la mano e facendo la pace come i bambini allora, beh, non hai capito proprio un bel niente. Non ti sei resa conto di chi hai intorno!? Lupi mannari, Jutovish, streghe, mostri... secondo te è così che risolviamo le cose!? Beh, datti una svegliata.
Queste parole mi colpiscono in pieno come una frustata gelida. Sento la faccia avvampare e gelare al tempo stesso. Sento rabbia, odio, ma anche vergogna e, in fondo, la consapevolezza di quando quelle parole siano vere.
- Quindi ora aiutami e finiamo quello che abbiamo iniziato.

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Capitolo 44
*** Nebbia ***


Ho accettato di starmene zitta, ma non ho intenzione di aiutare Peter a spostare i corpi.
Li sta ammassando proprio al centro del ceppo.
Una volta portati lì tutti e tre i corpi ha iniziato ad inferire altre ferite, da cui fuoriescono fiotti di sangue ancora caldo.
E più il sangue scorre fuori dai loro corpi inermi, più riesco a percepire che la forza del Nemeton cresce, e cresce e cresce a dismisura.
Mi sento come oppressa da un forte peso, tanto che quasi mi viene il fiatone.
Peter non sembra provare la stessa sensazione.
Mentre ferisce ancora una volta il corpo di uno dei Jutovish, colgo un guizzo dietro gli alberi alla mia destra.
Mi volto di scatto, ma tutto sembra fermo. Osservo per un po’, ma non vedo nulla. Solo alberi e il buio del bosco che essi celano.
Torno a guardare Peter, o meglio, a fingere di guardarlo, perché proprio non ci riesco ad assistere a quel rito.
E ancora un guizzo.
Questa volta, quando mi volto, riesco a riconoscere una figura, poggiata contro un albero.
Chiunque sia indossa un cappuccio e ha una mela in mano, che lancia nell’aria per poi riafferrarla.
Io l’ho già visto... nel bosco, quando fuggivo dagli Actegr. È l’enigmatico sconosciuto che mi ha aiutata a trovare la casa degli Hale e a mettermi in salvo.
Che ci fa qui? Come fa a trovarmi ogni volta? Come mai mi segue? Chi è?
Come sempre una marea di domande. Ma zero risposte.
Peter non si accorge nemmeno della terza presenza, ma io non gli stacco gli occhi di dosso.
- Vattene – sussurra la sua voce, così flebile che faccio davvero fatica a capire quel che dice.
Probabilmente cerca di non farsi sentire da Peter, che come me ha un superudito.
Io non posso rispondere, perché Peter mi sentirebbe di sicuro. Ma vorrei chiedere perché dovrei andarmene, oltre a tutte le altre cose che non so.
- Non fidarti di lui.
Io non mi fido di lui. Ma dovrei fidarmi di quello sconosciuto incappucciato? Mi ha già aiutata una volta, ma chi mi assicura che sia ancora questo il suo intento?
- Sydney – dice ancora – non puoi...
Ma la voce di Peter copre la sua.
- Sei pronta?
Lancio un’ultima occhiata allo sconosciuto in lontananza, che è già sparito. Ma è come se potessi percepire ancora la sua presenza.
Muovo qualche passo verso Peter.
Vedo che le radici emettono un barlume luminescente, come se al loro interno scorresse un liquido verde luminoso.
- Devi prendere l’energia dal Nemeton – mi dice Peter, mentre si allontana dal ceppo.
Io, quasi senza volerlo, continuo ad avanzare. È come se fossi irresistibilmente attratta dal centro di quel monumento, come se non potessi ribellarmi alla forza che esso esercita su di me.
Scavalcando le radici raggiungo il centro del ceppo.
I cadaveri sono scomparsi, come assorbiti dal legno stesso. Al posto loro si libera un sottile strato di fumo, che dapprima mi scivola lievemente sui piedi, poi aumenta di volume e sale, sale, fino ad inglobare le mie gambe, e poi il busto e poi mi ci trovo immersa fino al collo, e infine interamente.
Ed è così che mi trovo come a fluttuare in una nebbia lattea, in cui compaiono di tanto in tanto piccole saette verdastre, in modo disordinato.
Improvvisamente però qualcosa cambia; la nebbia inizia a vorticare, tutta intorno a me, e io semplicemente apro le braccia, i palmi rivolti al cielo.
Una forza più grande di me sa cosa devo fare ed è come se fosse quella a muovermi.
Io sono semplicemente alla deriva, serena, in uno stato di tranquillità e di... niente. Come se esistessi senza esistere, se fossi senza essere. Finalmente ho trovato la pace. Le domande sono state zittite, i dubbi non esistono più, la paura è una cosa sconosciuta. Tutto ciò che percepisco è un’estrema pace dei sensi, un equilibrio.
E mi sento forte, vigorosa, invincibile, come non lo sono mai stata, ma come vorrei sempre essere.
Quando la nebbia si infittisce e raggiunge una velocità folle, nel suo vorticare, le saette verdi compaiono con più frequenza e tutte convergono verso di me, verso le mie mani.
E sembra, inverosimilmente, che la mia forza aumenti ancora, e ancora, e ancora. A dismisura.
E più aumenta, più mi sembra di volerne.
Ma all’improvviso la nebbia si dissolve, tutto ad un tratto.
Il mio corpo perde la leggerezza e la pace di cui godeva fino ad un attimo fa. Cado in ginocchio sul legno e l’urto mi sembra più violento di quanto non sia in realtà.
Le radici sono tornate del loro cupo grigiore e io nel mio stato di essere misero, spaventato e pieno di domande.

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Capitolo 45
*** Illusa ***


Mi ci vuole qualche minuto, prima ch’io mi decida al alzare lo sguardo.
Peter mi osserva e sorride. Ma è un sorriso tutt’altro che tranquillizzante, sembra quasi folle.
- Ci siamo – sussurra venendomi incontro.
Io non so cosa sia successo, ma penso che lui lo sappia bene.
- Hai preso la forza dal Nemeton, Sydney – dice lui – ora puoi usarla. È tua.
- Cosa ne dovrei fare? – chiedo confusa. Io ho percepito quanto fosse forte, quanto fosse intensa. E non è qualcosa di concepibile per chi non la prova. E all’improvviso sento tutta la responsabilità che possedere quel potere comporta. E non posso sopportarla. Io, che nemmeno so controllare i miei poteri, come potrei gestire quello che ho ora nelle mie mani?
Non ero pronta a questo, non sono pronta a questo.
Non posso gestire un potere simile, né l’inquietudine che si è depositata da qualche parte dentro di me e non so da dove arrivi, ma è una presenza forte, costante e fastidiosa.
- Usala per trovare tua madre. È questo che volevi, no?
“Sì, è questo che volevo”.
Trovare mia madre. Vederla. Dopo tutto questo tempo. Abbracciarla. Arrabbiarmi. Farle tutte le mie domande. E magari tornare a casa insieme.
A fatica mi rimetto in piedi.
- Io posso trovarla ora – mi dico, forse per convincermi che sia così.
“Io poss...” un flusso di immagini mi scorre davanti agli occhi ad una velocità folle, e tutto ciò che vedo mi rimane impresso nella mente.
Mia madre è in tutte quelle immagini e quando il flusso finisce mi accorgo di non stare respirando.
Riprendo fiato come se uscissi improvvisamente dall’acqua dopo esservi rimasta immersa troppo a lungo.
Io so dov’è.
Peter mi guarda, ma io non dico una parola.
- Allora? – inizia a suonare impaziente.
- Io so dove si trova.
- No Sydney…- è la voce dello sconosciuto col cappuccio, la riconosco. Io lo sapevo che era ancora qui!
Ma questa volta, come l’ho sentita io, l’ha sentita anche Peter.
Inizia a guardarsi attorno freneticamente.
- Chi è stato? – ruggisce – chi c’è?!
Improvvisamente assume le sembianze di un lupo mannaro.
Io faccio un passo indietro.
Fiuta l’aria, minaccioso, gli occhi come il ghiaccio saettano a destra e a sinistra, come cercando una preda.
Ruggisce, mentre io rabbrividisco. E, nel profondo, spero che lo sconosciuto sia fuggito via.
Non percepisco più la sua presenza, quindi ipotizzo che sia così.
- Non c’è nessuno Peter – dico.
Lui si volta di scatto e le sue sembianze spaventose mi mettono paura. Ruggisce, come contro di me. Ma poi sembra placarsi e ritorna umano.
- Dobbiamo andarcene – dice in tono sbrigativo.
Mi prende per il braccio e mi trascina dietro di sé, ripercorrendo la stessa strada percorsa per arrivare al Nemeton, ma questa volta a passo notevolmente più rapido.
Arriviamo alla macchina, saliamo a bordo e lui mette in moto, tutto nel giro di qualche decina di secondi.
- Allora, dove siamo diretti? – chiede con insistenza.
Sono costretta a rispondere, il suo tono non ammette esitazioni.
- È in una grotta, ci si arriva dalla spiaggia.
Peter preme sull’acceleratore e la macchina schizza via veloce, mentre io mi riscopro per la prima volta con la testa vuota, incapace di pensare a qualsiasi cosa.
 
Abbandona l’auto prima della spiaggia. Ci arriveremo a piedi.
Salta giù in tutta fretta e io devo seguirlo. Sta succedendo tutto troppo velocemente, non ho il tempo di riflettere. Ed è assurdo come ora senta il bisogno di farlo, mentre sono giorni che cerco in tutti i modi di evitarlo.
Non posso fare a meno di notare che il cielo ormai è scuro, puntinato di stelle, e il primo quarto di luna splende alto nel cielo. Le mie deduzioni erano corrette, dunque.
Sento il rombo del mare, agitato, impetuoso.
Mentre corro per raggiungere Peter che già percorre la spiaggia a grandi falcate, il vento mi sferza il visto.
- Hey fermati – grido, per farmi sentire.
Lui si volta appena e sono costretta a correre più veloce per raggiungerlo e afferrargli il braccio per costringerlo a guardarmi.
- Forse dovrei andare io – dico.
- Come sarebbe a dire?
- Se è stato così difficile trovarla, vuol dire che non vuole essere trovata – espongo finalmente il mio pensiero – se piombiamo entrambi così dove si nasconde, magari si sente minacciata.
Devo scostare dalla faccia i capelli che il vento agita, impetuoso.
- Sono sua figlia, questo non la farà sentire minacciata. Potrei andare solo io e porle le domande che hai da farle.
Lui mi guarda, osservando poi che non ho nient’altro da aggiungere si volta e riprende a camminare.
- E questo che vuol dire!?
- Che non me ne frega niente della tua opinione – risponde, scortese – non richiesta.
- E a me non importa un fico secco che a te non importi – ribatto, costringendolo a voltarsi ancora – ne va anche della mia sicurezza! Non voglio correre rischi inutili.
- Sydney, quella non è tua madre. Forse lo è stata, ma non lo è più. È un essere del mondo sovrannaturale, ha ormai perso la sua umanità. Non è più la persona che era, e non puoi sapere come reagirà rivedendoti, non che mi interessi. E sai, se ti ha lasciata una volta, ci sarà un motivo, perciò se fossi in te non mi sentirei tranquilla solo perché sei sua figlia. Questa non è una garanzia.
Sa sempre come dire la verità nel modo che faccia più male.
È come se tutto ora avesse perso importanza. I motivi che mi hanno spinta qui, per cui ho fatto quello che ho fatto, Peter li ha distrutti. Le mie ultime speranze, le mie ultime illusioni. Ora tutto perde senso.
E di questo non posso accusare lui. Non posso dargli la colpa di avermi promesso qualcosa che non otterrò, di avermi dato false speranze, di avermi mentito per spingermi a collaborare con lui.
Ho fatto tutto da sola. Ogni singolo passo. Ogni singolo sbaglio. Perché è di questo che si tratta.

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Capitolo 46
*** Stupidi inganni ***


Ormai mi sono buttata in questa faccenda. Tanto vale andare fino in fondo.
Mi costringo a farmi andare bene il menefreghismo di Peter, anche se so che è un gran rischio, ma d’altronde quello che mi ha detto il licantropo è vero, che sono in pericolo nonostante “lei” sia mia madre. Non so nemmeno se si ricordi di me, se mi riconoscerà, o se mi voglia ancora bene.
Finalmente raggiungo Peter e procedo a passo spedito al suo fianco.
Da lontano, tra le tenebre, riesco forse a riconoscere la grotta.
È così, dunque... sono sempre più vicina a mia madre, eppure mi sento sempre più lontana dal mio scopo.
All’improvviso mi sento afferrare per le braccia, con forza. Qualcosa mi striscia tra i polsi e si stringe attorno ad essi.
- Peter! – urlo, confusa e spaventata, mentre lui procede con lo stesso passo, lo stesso portamento, la stessa andatura di prima.
Poi d’un tratto, è come se capissi.
Lo vedo avvicinarsi ad una figura che fino ad ora non ho notato.
Affianco a me riconosco due Jutovish che mi impediscono di muovermi.
- Peter! Sei uno stronzo! – urlo, furiosa.
Lui è troppo preso a sussurrare cose all’uomo accanto a lui, che riconosco per gli abiti che indossa e la grossa cicatrice di un profondo taglio sul collo, oltre che per i suoi scagnozzi: Yipada.
Mi ha ingannata, Peter mi ha ingannata! E io lo sapevo fin dall’inizio che non avrei dovuto fidarmi. Come posso essere stata così stupida? Peter, il più opportunista tra gli esseri che respirano su questo pianeta... davvero gli avevo permesso di servirsi di me per i suoi loschi scopi? Davvero gli avevo dato retta, nonostante il sospetto che collaborasse con l’Omega che mi dà la caccia?
Mi sento così terribilmente stupida. Mi viene quasi da piangere, da urlare, tirarmi i capelli... ma non lo faccio. Voglio sembrare forte e sicura di me, ma dentro riesco solo a pensare che qualunque cosa succederà, me lo sarò più che meritata.
Yipada mi guarda. Me ne accorgo perché colgo la luce fredda dei suoi occhi blu che illuminano le tenebre.
Fa un cenno ai due Jutovish, che avanzano verso di lui, trascinandomi con loro, nonostante io mi opponga con tutte le mie forze.
Quando sono proprio di fronte ai due licantropi un calcio mi colpisce dietro le ginocchia, costringendomi a inginocchiarmi sulla sabbia umida.
- Bene, bene, bene – esordisce l’Omega – ciao Makutu.
- Yipada – ringhio.
- Lo sapevo che ci saremmo rivisti – sussurra lui, mieloso.
Non rispondo. Guardo Peter con tutto l’astio che provo. Lui è serio in volto e ricambia il mio sguardo con fermezza.
- Non mi aspettavo, però, che sarebbe stato così semplice – ghigna Yipada.
Si avvicina a me lentamente, si piega su un ginocchio e porta il suo viso all’altezza del mio. Mi prende il mento con le sue luride mani e me lo solleva leggermente, costringendomi a guardarlo negli occhi. Sono gelidi e fanno quasi male a guardarli, come se mi permettessero di percepire l’anima di quel mostro. Fredda. Vuota. Crudele.
- Allora? – interrompe Peter – dove la portiamo?
A questo punto mi chiedo perché volesse tanto trovare mia madre. Penso che anche riguardo a questo mi abbia mentito. Se avesse voluto tendermi una trappola per consegnarmi a Yipada avrebbe potuto farlo ovunque. Ma perché allora mi aveva spinta in quella ricerca?
Yipada alza lo sguardo su di lui, e mi pare di sentirlo ridacchiare.
- A lei ci penserò io.
Peter sembra esitare un attimo.
- Che significa?
Un altro risolino.
- Che tu non mi servi più – più che parole questo è un ruggito. La faccia di Yipada è ora ricoperta di peli e due denti aguzzi sporgono dalla gengiva. La sua schiena si è arcuata ed ora anche le sue braccia sono un ammasso di peluria bruna.
Ruggisce ancora, tirando indietro le potenti braccia e inarcando la schiena.
Peter si trasforma subito e sbraita di rimando. Ha capito di essere stato ingannato, e io dovrei esserne felice, ma in questo momento semplicemente non provo più nulla.
I Jutovish mi tengono stretta e non ho altra opzione che rimanermene a terra a guardare la scena.
Davanti a me i due mostri si guardano famelici, girando in tondo, lentamente.
- Pensavo avessimo un accordo – dice Peter, la sua voce roca e grave è irriconoscibile.
- Era così, infatti – risponde l’altro – ma ho cambiato idea, ora che non mi servi più.
Detto questo fa un balzo e annulla la distanza con l’altro. Peter solleva il braccio e fende l’aria con gli artigli, ferendo Yipada alla spalla. Quello però risponde gettandoglisi contro con furore.
- E ti devo ancora un favore per avermi ucciso - dice Yipada, sarcastico.
Io rimango ammutolita ad osservare quei due mostri giganteschi tirarsi colpi di una potenza impressionante, tra ruggiti e gemiti.
Yipada scaglia Peter lontano, ma lui subito si rialza. Prende la carica e tira una testata dritta in petto all’Omega, che si ribalta all’indietro. Peter allora gli salta addosso e inizia a colpirlo. Yipada riesce a girarsi e mette lui ora l’avversario con le spalle a terra.
Prima di colpire, però, si rivolge ai suoi scagnozzi, che ancora mi tengono le braccia strette come in una morsa.
- Portatela al Nemeton.

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Capitolo 47
*** In trappola ***


È la fine. È questo che continuo a dirmi, mentre quei due mostri dagli occhi rossi mi trascinano con loro attraverso il bosco.
Non voglio rendergli facile il compito, perciò mi abbandono a peso morto alle loro prese, anche se questo non li rallenta. Non sento nemmeno più il dolore della loro stretta, o, almeno, non ci faccio caso.
Peter forse a quest’ora è morto. Tra poco lo sarò anche io.
Gli altri forse si staranno chiedendo dove sono finita, o forse no.
Ripenso a Derek sulla porta del loft, alle sue parole quando ha cercato di avvisarmi che stavo commettendo uno sbaglio, e la mia risposta brusca.
Vorrei potergli chiedere scusa, chiedere scusa a Stiles, e anche a mio padre, perché soffrirà quando saprà che sono morta. E ancora di più se nessuno gli fornirà una spiegazione logica e razionale di come sia successo.
- Sei una stupida – dice una voce nella mia testa.
Penso di essere ancora io che me lo ripeto. Ma dopo mi rendo conto che la voce è di un uomo.
Sollevo gli occhi, che tengo puntati sui miei piedi da minuti interminabili.
- Ti avevo avvisata – quelle parole rimbombano nella mia testa. Mi guardo attorno ma, anche per il buio pesto, non vedo nessuno.
- Chi sei? – chiedo, formulando la frase nella mente.
- Ormai lo sai chi sono.
Il ragazzo incappucciato. Mi viene subito in mente lui.
- Dove sei?
Non risponde.
- Dove sei? – ripeto, ma senza mai effettivamente parlare.
- Trovami.
Trovami? Che vuol dire? Mi infurio. Sto per morire, vengo trascinata da due mostri che quasi mi staccano le braccia e sono sola. E lui si mette a fare i giochetti?
Passano i minuti e lui non parla più. Io non dico più nulla e mi abbandono di nuovo alla rassegnazione.
Poi però penso che io posso trovarlo, o, almeno, vederlo.
Sono una Makutu, dopotutto.
Mi concentro, anche se in questo momento non è facile.
Posso farlo, posso farlo.
E lo vedo. È una piccola macchiolina colorata dietro ad un albero, nero come tutto il resto del bosco.
Mi sta tenendo d’occhio e, anche se a distanza, cammina al passo con noi.
- Ti vedo.
- Brava – mi risponde, compiaciuto – dimentichi troppo spesso quello che sei.
- Non mi hai ancora detto chi sei tu. Né perché mi aiuti.
- Ora non ha importanza – ribatte.
- Forse per te – sbotto.
- Sbaglio o tra poco potresti essere morta? – mi provoca. Io non rispondo – ecco. Direi che hai cose più importanti a cui pensare.
- Perché te ne stai lì nascosto? – chiedo – non puoi salvarmi?
- Sono solo un messaggero.
- Di chi?
- Pensa ad un modo per salvarti, non a me. Sono qui per aiutarti, non per fare conoscenza.
- Facile, tu sembri già conoscermi! – ribatto.
Ora però davvero voglio trovare un modo per liberarmi. Non posso morire. Non posso dare tutto il mio potere ad un mostro come Yipada. Non posso lasciare mio padre e non incontrare mia madre. Non posso non chiedere scusa a Stiles.
Ma è ormai troppo tardi: siamo arrivati al Nemeton.
Sento su di me tutta la potenza di quel luogo che ormai mi è così familiare, nonostante sia solo la seconda volta che lo vedo.
Riconosco pure al buio il ceppo gigante, che libera lievi fluorescenze verdastre.
- Oh no – mi lascio scappare.
Per la prima volta inizio a opporre resistenza, ad agitarmi tra le braccia dei Jutovish. Non serve a nulla, senza difficoltà loro mi trascinano fino al grosso ceppo.
Mi costringono a sedermi e poi a sdraiarmi.
- Aiuto. Ti prego aiutami – imploro all’ombra, non più nella mente, ma in un sussurro.
Mentre uno dei due Jutovish mi tiene ferma con una presa ferrea, l’altro mi lega. Alla fine mi trovo immobilizzata e senza più speranze al centro del Nemeton.
Mi viene da piangere, ma mi trattengo.
Passano infiniti minuti e la mia disperazione, contrariamente a quanto pensassi diminuisce. Cresce invece in me una forza strana e una voglia di combattere, che ormai avevo perso.
Allora mi ricordo che questo posto magico mi rende più forte, che mi dà più potere. Ma serve un sacrificio perché possa davvero usufruirne.
Inizio a dimenarmi, tentando di liberarmi dalle funi che mi tengono legata. I Jutovish si sono seduti e aspettano.
Inizio ad avere il fiatone per lo sforzo, talmente tiro e strattono e mi contorco.
- Sono una Makutu – mi dico, sperando che serva a motivarmi – sono una Makutu. Devo pensare come tale.
Cerco di calmarmi e di pensare con lucidità.
Sono legata, fin qui ci siamo. Sono legata da funi, okay, logico. Cerco di studiare le funi. Sembrano fatte di erba, ma sono molto resistenti. Forse sono liane.
Come liberarsi delle liane? Fuoco. Il fuoco brucia l’erba, ci siamo.
Come fare il fuoco?
Chiudo gli occhi. So che la risposta è dentro di me, devo solo trovarla.
Penso a una piccola fiamma, finché non la visualizzo chiaramente nella testa. Poi un fuocherello.
Immagino quel fuocherello uscire dai palmi delle mie mani. Penso al calore, penso alle fiamme che mi accarezzano le dita e non mi fanno male.
Poi sento i miei piedi farsi freddi e così le mie gambe, e la pancia. Poi le braccia. Non so cosa significhi, finché non vedo una luce, poco vicino a me; anzi due.
Sono le mie mani. Ce l’ho fatta! Sono euforica e quasi non mi accorgo che sto sorridendo.
Lentamente le strofino contro le funi che mi tengono legata, finché non si rinsecchiscono e poi è facile strapparle con uno strattone.
Mi metto seduta e lo faccio con quelle dei piedi.
I Jutovish sono seduti davanti a me e mi danno le spalle. È una fortuna che non si accorgano di nulla.
- Brava – mi sussurra il ragazzo nascosto nel bosco. È ancora qui.
- Ma è troppo tardi – aggiunge poi, raggelandomi il sangue nelle vene. Non capisco.
Finché una voce non mi paralizza.
- Dove credi di andare?

 

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Capitolo 48
*** Domande... e risposte ***


- Dove credi di andare?
Una figura compare da dietro gli alberi, ma non è Yipada.
Rimango impietrita e non riesco a spostare lo sguardo.
- Ciao Sidney – il tono di voce ora è diverso, quasi dolce, ma non mi commuove.
Inizia ad avanzare verso di me.
- Ciao mamma – rispondo, fredda.
È proprio come me la ricordavo: alta, snella, con il viso sottile, gli occhi allungati e lunghi capelli ramati che scendono fino all’altezza del bacino, lisci e lucenti.
- Quanto tempo è passato – dice lei, continuando a camminare verso di me, con calma.
Solo ora mi accorgo che alle sue spalle ci sono Yipada e Peter, ma sono immobili e in silenzio, uno di fianco all’altro. Accanto a lei c’è il ragazzo incappucciato, con la mela in mano. Probabilmente allora è il suo messaggero. Ma non riesco a capire cosa ci facciano Yipada e Peter, entrambi qui e vivi e come pietrificati. Ma poi sono altre domande ad affollarmi la mente.
- Come mi hai trovata? – domando, freddamente – non pensavo sapessi che ti stessi cercando.
Lei sorride.
- Sono tua madre, certe cose si sanno e basta.
Io non me la bevo.
Mi ha finalmente raggiunta e si è fermata davanti a me. Mi guarda, osservandomi con attenzione, sembra quasi intenerita. Sorride, rivelando i suoi bianchissimi denti.
- Come sei cresciuta.
Non rispondo.
Lascio che allunghi un braccio verso di me, che mi sfiori la guancia e poi mi metta una mano sulla spalla.
- Mi dispiace per quello che è successo – dice – ma,c’erano cose che non potevate comprendere.
- E allora ci hai lasciati – sbotto, furiosa.
- Capisco che tu sia arrabbiata, ma cerca di capirmi.
- No mamma, scusa, ma non ci riesco.
Sembra ferita dalle mie parole.
Guardo il ragazzo incappucciato ed e la sua presenza qui accanto a mia madre dà un senso ad alcune cose.  Probabilmente lo ha mandato mia madre a tenermi d’occhio, ad aiutarmi, ad evitare che mi cacciassi nei guai. Forse è stata lei a creare la barriera attorno alla casa degli Hale, quando il ragazzo mi ha guidato fino a lì perché mi salvassi dagli Actreg.
Forse lei davvero mi vuole bene e, sebbene lo faccia a distanza, a modo suo si prende cura di me.
- Come sta tuo padre?
Tasto dolente.
- Sta bene – rispondo prontamente – ora sta bene.
- Mi sono persa così tante cose...- percepisco il rammarico nella sua voce.
- Non ti abbiamo costretta noi ad andartene.
Non mi immaginavo di rivederla. Ma sicuramente se mi fossi immaginata il nostro incontro non sarebbe stato nemmeno lontanamente simile a questo.
Non riesco a superare la rabbia, che ho reso una barriera tra me e lei. Ed è ormai troppo spessa.
Forse è stato un errore, cercarla. Forse dovevo rimanere con le mie domande lontana da lei.
- Come mai mi cercavi? – mi domanda allora.
- Volevo delle risposte – mi ammorbidisco, la mia voce sembra tremare – volevo sapere perché ci hai fatto questo. Poi quando ho scoperto che Peter ti cercava... avevo ancora più domande.
- Peter mi cercava? – sembra sorpresa.
- Sì... – abbasso la voce, guardando alle spalle di mia madre le due figure immobili - ha voluto il mio aiuto per trovarti e lui ha aiutato me, perché io non sapevo come fare. Ma alla fine è stato solo per consegnarmi ad Yipada, che da quando sono una Makutu... non so se sai cosa sia, mi dà la caccia.
Lei rimane in silenzio, la sua espressione è indecifrabile. Per un istante mi sembra quasi adirata.
- E a proposito... come fai a conoscere Peter? Conosci anche Yipada? Perché li ho visti arrivare con te e... perché se ne stanno lì immobili? Gli hai fatto qualcosa? Cosa... cosa sei tu? – le domande semplicemente mi scivolano dalla bocca come un fiume.
Lei rimane a guardarmi, in silenzio. Non oso dire nulla, in realtà nemmeno muovermi, sotto il suo sguardo severo.
Dopo interminabili minuti, finalmente sento la sua voce.
- Sono una Makutu. Proprio come te.
Questo fa lo stesso effetto di una pugnalata al cuore. Sono shockata. Mia madre. Una Makutu.
 - Penso che ora tu ti stia rendendo conto di cosa significhi essere... diversi. Guardati attorno, guarda cosa succede a quelli come noi. Volevo tenervi fuori da tutto questo. Volevo che foste al sicuro. È per questo che me ne sono andata – mi spiega.
Ora qualcosa inizia ad avere senso nella mia testa. Forse per lei è stato doloroso lasciarci, almeno quanto lo è stato per noi. Ma l’ha fatto solo per tenerci fuori dai guai. Per un attimo mi sento in colpa per tutte le accuse che le horivolto.
Sto per richiederle di Peter e Yipada e tutto il resto, ma un fruscio alle mie spalle mi fa sobbalzare. Mi volto di scatto, all’erta.
Vedo solo il nero scuro della notte, che mi impedisce di distinguere qualsiasi altra cosa.
Grazie ai miei poteri vedo una macchia colorata in quelle tenebre e sì, mi conferma che c’è qualcuno alle mie spalle.
Mi volto a vedere l’espressione di mia madre, per capire se anche sei si è accorta di quella presenza.
Anche lei probabilmente vede la macchia, perché guarda proprio in quella direzione.
Compaiono altre due o tre sagome colorate, e poi una quarta, più lontane.
Il mio cuore prende a battere in fretta, sperando solo che non si tratti di un nuovo pericolo.
- Oh no...- sussurro.
Mia madre è nella stessa posizione di prima. Sembra un animale che studia il suo nemico.
Io rimango immobile, quasi senza respirare. Sento il cuore rimbombarmi delle orecchie, che è come se pulsassero ad ogni battito.
Poi, all’improvviso, mi trovo Scott davanti. Era lui la macchia più vicina. Ha le sembianze di un lupo mannaro, ma ormai lo riconosco.
- Sidney! – corre verso di me – stai bene?
Sembra sollevato. Ma poi vede mia madre alle mie spalle e si fa serio.
Probabilmente anche gli altri lo hanno sentito perché iniziano a comparire uno ad uno.
Allison, Derek, Isaac, Stiles...
Incrocio il suo sguardo severo e sento una fitta al cuore. Sento quasi il bisogno di lasciarmi cadere in ginocchio.
Sebbene vederlo guardarmi così mi faccia solo male, non riesco a spostare gli occhi dai suoi.
- Che è successo? – mi chiede Scott, quasi in un sussurro – chi è lei?
Mi schiarisco la voce, che è come se non ne avessi più.
- Beh... lei... lei è mia madre.

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Capitolo 49
*** Ritorno a casa ***


Tutti sembrano stupiti, e come biasimarli.
Anche Stiles non riesce a nascondere lo stupore.
Non so cosa fare. Da un lato vorrei continuare a parlare con mia mamma, dall’altro dovrei tornare a casa con Scott e gli altri. Sono venuti a cercarmi! Ora vorranno comunque delle risposte... e forse caziarmi.
- Torniamo a casa – mi dice Scott, quasi sussurrando, mentre osserva mia madre e le altre figure alle sue spalle.
- Scott...- lo rimprovera Stiles.
Io mi volto a guardare mia madre.
- Cosa succederà adesso? – le chiedo.
Lei mi sorride, dolce.
- Adesso sai dove trovarmi. Puoi venire, se ti va.
Annuisco debolmente, guardandola negli occhi. Ancora non ho realizzato che mia mamma è lì davanti a me, dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che è passato.
Rimango ad osservarla per quelli che mi sembrano secoli, come se cercassi di imprimerla nella mente in caso non dovessi più vederla.
- Devo andare – dico infine.
-  A presto tesoro.
Faccio un passo verso Scott e gli altri, che hanno gli occhi puntati su mia madre.
Mi volto e lei non c’è più e con lei sono spariti i due Jutovish, Yipada e Peter.
- Mi dispiace – è tutto quello che riesco a dire.
 
Stiles non mi ha ancora rivolto la parola e nessuno ancora mi ha fatto domande. Io sono rimasta in silenzio per tutto il viaggio fino al loft, dove ci sta aspettando Liam, e appena mi vede tira un sospiro di sollievo.
Siamo tutti molto stanchi e ci lasciamo cadere sui morbidi divani.
- Allora... tua madre, eh!? – esordisce Scott. Non ha un tono di rimprovero, più che altro sembra che voglia intrattenere una conversazione tra amici. Ciò mi sorprende.
- Già, è così.
Non riesco a smettere di sentirmi in colpa e imbarazzata per tutto ciò che è successo. Mi sono messa in pericolo, ho rischiato che il mio potere finisse nelle mani sbagliate, condannando tutti, tutti loro che stavano cercando di aiutarmi.
- Come l’hai trovata? – chiede allora Allison, con la sua voce dolce.
- Peter mi ha spiegato come fare – confesso allora – ma ho sbagliato a fidarmi di lui.
Il mio sguardo lentamente incrocia gli occhi di Derek, seduto sul tavolino di legno. Lui mi osserva in silenzio, ma capisce che gli sto chiedendo scusa per non avergli dato ascolto e annuisce quasi impercettibilmente.
- Perché? Che ti ha fatto? – domanda allora Scott.
- Mi ha detto che anche lui la stava cercando, per avere delle risposte. Mi ha spiegato come, col mio potere, avrei potuto trovarla. Eravamo praticamente arrivati, quando invece è apparso Yipada, coi suoi Jutovish. Mi hanno legato le mani e lui minacciava di prendere il mio potere, poi ha iniziato a combattere con Peter, che pensava invece che stessero collaborando. Non so come sia finita tra loro perché i Jutovish mi hanno trascinata al Nemeton.
Mi accorgo che il mio sguardo è caduto sul pavimento. Mi sento così terribilmente stupida che non riesco nemmeno a guardare gli altri in volto.
- E poi? Che è successo? – mi incalza Isaac.
- Mi hanno legata, ma sono riuscita a liberarmi. E poi è apparsa mia madre, con Peter e Yipada che se ne stavano come pietrificati alle sue spalle.
- E poi siamo arrivati noi – conclude Stiles.
I miei occhi incrociano i suoi.
- Già – confermo. Non so se dire ciò che mi ha rivelato mia madre, sul fatto che anche lei sia una Makutu. Per il momento non lo faccio.
- Mi dispiace di essere stata così stupida – dico passando lo sguardo su tutti i presenti – io mi sono fidata e ho corso un rischio enorme. Peter mi ha confusa, parlandomi di mia madre... ed era come se volessi solo rivederla in quel momento; e avrei fatto di tutto. Avrei almeno dovuto parlarvene.
Scott mi sorride, accarezzandomi una spalla.
- L’importante è che tu stia bene.
Alison si siede accanto a me e mi circonda con un braccio, in una sorta di abbraccio.
- Però la prossima volta parla con noi e, soprattutto, fidati di noi.
Annuisco, rassicurata.
Guardo l’orologio sulla parete: segna le 11 di sera.
Oh. Oh. Sono nei guai.
- Ti porto a casa – dice allora Stiles, accennando quasi un sorriso – devi essere stanca.
Io accetto l’offerta, saluto tutti e insieme io e lui lasciamo il loft.
Scendiamo le scale in un imbarazzante silenzio, i nostri passi che riecheggiano sulle pareti.
Attraversiamo la strada e raggiungiamo la macchina scassata di Stiles.
- Mi dispiace – gli dico, sinceramente, prima di salire in macchina.
- Lo so – mi risponde – dispiace anche a me.
Chiudiamo le portiere e mette in moto. Rimango in silenzio, con la fronte premuta contro il finestrino.
Il viaggio fino a casa sembra durare in eterno e mi sento in imbarazzo per tutto il tempo.
Quando finalmente parcheggia davanti a casa mia, io afferro il suo braccio, prima che mi chieda di scendere.
- Sei arrabbiato?
- No – risponde, come fosse un’assurdità – no, non sono arrabbiato. Solo un po’... deluso.
Mi manca il fiato, queste parole fanno male.
- È che – si gira sul sedile in modo da avermi di fronte e guardami meglio – pensavo ti fidassi di me. Almeno di me. Mi hai raccontato la faccenda di tua madre e pensavo... di affrontare la cosa insieme. Ma mi hai lasciato fuori.
Ho gli occhi lucidi e un groppo alla gola, ma continuo a ripetermi di non piangere. Ed è difficile.
- Hai ragione, non ho scuse per questo. Sono stata impulsiva e... stupida. Ma ti assicuro che non riuscivo a smettere di pensare a te, a dirmi che stavo facendo una cagata, che avrei dovuto parlartene. Non capisco perché mi sono lasciata trascinare da Peter in tutto questo.
Una lacrima scivola lungo la mia guancia, lenta, fredda, fatale.
- Lui è un manipolatore, non sorprenderti – mi risponde – e non incolparti troppo se gli hai creduto. Penso lo farebbe chiunque.
Scuoto debolmente la testa, poco convinta.
- Com’è stato rivedere tua madre? – cambia improvvisamente discorso lui.
- Strano, davvero molto strano – la scena mi torna in mente – ma mi ha dato delle risposte.
- Sul perché se n’è andata?
A lui posso dirlo. Devo dimostrargli che mi fido di lui, ora, come prima che tutto ciò accadesse.
- È una Makutu, proprio come me. Voleva tenerci al sicuro, lontano da lupi mannari, streghe, Nemeton e quant’altro.
Sembra che Stiles non mi ascolti più. Mi fissa allibito senza nemmeno battere ciglio.
- È una Makutu?! – chiede come se non avesse capito – e con lei c’erano Peter e Yipada?
- Em... si… stavano immobili dietro di lei – rispondo titubante. Non capisco cosa stia succedendo nella sua testa.
Si sporge verso di me, allungando un braccio verso la portiera dal mio lato, la apre e torna seduto sul suo sedile, stringendo il volante.
- Devo andare – taglia corto – buonanotte.
È un invito a scendere. Sconvolta e confusa balzo fuori. Stiles mette subito in moto e sfreccia via, lasciandomi sola e nuovamente con mille domande avvolta nella notte.

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Capitolo 50
*** Normalità ***


Quando suona la sveglia vorrei solo poterla prendere a martellate.
Non riesco a muovermi, sdraiata a pancia in giù nel letto. Non ho qualcosa che mi motivi ad alzarmi e prevedo imbarazzanti incontri muti con Stiles, lezioni noiose, nulla che possa invogliare ad iniziare una giornata. C’è di buono che è venerdì.
All’improvviso mi viene in mente mia madre, e non ci credo ancora che l’ho incontrata, l’ho toccata, le ho parlato. E ancora meno che lei sia una Makutu. Almeno ora riesco a pensare a lei con meno rabbia, visto che quello che ha fatto lo ha fatto per noi.
Mio padre è rincasato dopo di me, ieri notte, perciò non si è accorto della tarda ora in cui sono arriva a casa. È stato un colpo di fortuna, davvero.
Mi costringo ad alzarmi e sciabatto fino alla cucina.
Metto su il caffè e nell’attesa mi scopro a fissare il vuoto.
Faccio colazione e mi vesto. Finalmente esco, dando un bacio a papà che sta bevendo il suo cappuccino.
Arrivata a scuola vedo Allison, Isaac e Liam seduti sugli scalini del cortile. Li saluto con la mano e loro ricambiano, ma poi mi infilo nel corridoio, lontano dalla loro vista, con l’intenzione di sparire in una delle aule.
Lascio tutti i miei libri tranne quelli per la prima ora nell’armadietto.
Quando lo richiudo riconosco in un angolo, vicino alle scale che portano al secondo piano, Stiles e Scott.
Stanno parlando di qualcosa che sembra importante; Scott si passa le mani nei capelli, Stiles le ha sui fianchi, poi gesticola, mentre spiega qualcosa all’amico. Sembra stia cercando di convincerlo di qualcosa.
Cerco di sfruttare il mio superudito di Makutu per sentire di cosa parlino, ma appena ci riesco non mi sembra di riconoscere le loro voci. Mi volto e mi accorgo che Stiles mi sta guardando e ha smesso di parlare.
Giro i tacchi e mi infilo nell’aula di biologia.
Mi siedo all’ultimo banco, nell’angolo, e lascio cadere la mia testa sul tavolo.
Rimango così, in quella posizione assurda per parecchi minuti, finché una voce non mi riscuote.
- Sidney!
- Alyssa – la riconosco appena alzo la testa.
- Ti senti male? – mi chiede lei, preoccupata.
- No, no – le sorrido – sto bene.
Si siede nel banco accanto a me e mi osserva in silenzio.
- Mi dispiace se sono sparita – le dico, sinceramente – penso di essermi un po’ persa tra una cosa e l’altra.
Lei mi guarda intenerita e poi mi sfiora un braccio.
- Non ti preoccupare. Certo, mi chiedevo che fine avessi fatto, ma vedevo la tua aria seria ogni volta che ti incrociavo e ho ipotizzato avessi qualcosa di importante per la testa.
Mi fa così tenerezza questa ragazza... non solo mi è venuta in soccorso il primo giorno di scuola, ma mi ha tenuta d’occhio anche quando non la consideravo più e ora le bastano semplicemente le mie scuse per dimenticare tutto.
- Dovremmo recuperare queste ultime settimane – le dico.
- Oh sì! Certo – sembra entusiasta – io e Ronald andiamo ad una festa stasera. Vieni con noi?
Posso concedermi una serata di normalità, anzi, ne ho bisogno.
Accetto l’invito, poi ci mettiamo d’accordo sugli orari.
Intanto entra l’insegnante di lettere, seguita da alcuni studenti che si affrettano a prendere posto.
Per la prima volta da giorni presto attenzione ad una lezione e, addirittura, prendo appunti.
Questo mi fa riflettere a quanto io mi stia perdendo: l’essere adolescente, amici che facciano cose normali, la scuola, i guai che puoi procurati al massimo per una sbronza e non perché un licantropo assetato di potere ti dà la caccia.
Non saprei dire se mi manca essere quel tipo di ragazza, con una vita ordinaria, imprevisti ordinari, esperienze ordinarie... forse no. Perché nonostante questa realtà in cui sono stata catapultata sia sconvolgente e pericolosa e dannatamente incomprensibile, mi fa sentire viva, e parte di qualcosa di speciale che solo pochi al mondo possono conoscere.
E io sono una di queste.
La seconda ora trascorre in fretta, e così anche tutte le altre, che mi scopro interessata di ascoltare, fino alla pausa pranzo.
Mi reco in sala mensa accanto ad Alyssa e non facciamo che parlare, del più del meno. Di scuola, di sport, dei suoi progetti. Io al momento non ne ho e questo la rattrista, ma a me no: ho già delle cose importanti in ballo e mi bastano e avanzano queste.
Prendiamo il cibo e cerchiamo con lo sguardo il tavolo dove i suoi amici Leonard, Ronald, David e Stacey stanno pranzando. Dopo averlo avvistato ci avviciniamo, ma prima di raggiungerlo qualcuno mi tocca una spalla, richiamando la mia attenzione.
Mi giro e mi trovo davanti Allison.
- Vieni a mangiare con noi? – mi chiede gentilmente, indicando con la testa il tavolo dove siedono Isaac e Liam. Scott e Stiles non ci sono ancora.
- Emh... per questa volta no – le sorrido – grazie dell’invito.
Mi dispiace dissociarmi così dal gruppo degli “Stra-strani”, come li chiamano gli amici di Alyssa. Loro sono sempre insieme in qualunque cosa e non voglio che pensino che mi senta esclusa, anche se, essendo l’ultima arrivata forse un po’ è così. Ma comunque non voglio rinunciare ad avere degli amici normali, anche se mi sto rendendo conto di quanto sia complicato.
- Wellà! Chi si rivede! – esclama Leonard. Anche gli altri sembrano felici di vedermi.
- La forestiera – ridacchia David.
- Scusate ragazzi – dico, sedendomi – sono stata davvero... piena di cose.
Sospiro.
- Non fa niente – risponde Leonard – basta che ora ce le racconti tutte.
- Purtroppo non mi è concesso... sai, gli agenti segreti non possono rivelare nulla – scherzo, portandomi le mani alla bocca. Gli altri ridono.
Inizio a mangiare, ascoltando le normalissime chiacchiere da normalissimi adolescenti che hanno luogo a quel tavolo. Inebriata da tutta quella normalità, devo avere un’espressione allucinata, perché Stacey mi guarda divertita.
- Allora – esordisce Leonard a quel punto – abbiamo visto che sei diventata amica degli Stra-strani! Com’è possibile? Nessun novizio viene accettato nella loro cerchia.
- Non è così, invece – ridacchio – sono persone particolari, probabilmente legano solo con gente simile a loro.
- Che significa? – chiede Roland, confuso.
Ho paura di lasciarmi sfuggire qualcosa di troppo, o fare allusioni sbagliate.
- Che grazie al cielo al mondo siamo tutti diversi! – esclamo – ed è giusto che ognuno stia con chi condivide sua le stesse passioni e interessi.
- E cosa avreste voi in comune? – chiede Roland.
- Forse sembro strana anche io – scherzo, facendo ridere gli altri.
- Non è vero! – ribatte Stacey con la sua voce da bambina – cioè forse sì, ma in modo diverso.
Prendo un altro boccone di pasta al forno, ma in realtà non ho molta fame. David ha già finito il suo pasto; Leonard prende a morsi una mela.
In quel momento Stiles e Scott passano accanto al nostro tavolo. Scott mi saluta, io e Stiles ci rivolgiamo solo un lievissimo cenno del mento, quando i nostri occhi si incrociano.
Appena torno ad osservare il mio piatto per infliggergli l’ennesima forchettata, mi accorgo che Alyssa mi guarda stranita.
- Che succede? – mi chiede preoccupata – pensavo steste insieme.
- Sì, è così – sospiro – penso.
La sua bocca si incurva verso il basso in modo esagerato.
- Non dirmi che siete già in rotta – dice, triste – iniziavo a shipparvi intensamente.
Mi fa sorridere. Ma poi, pensando alla situazione torno seria.
- Abbiamo solo bisogno di... stare un po’ lontani.
Alyssa rimane con la bocca arcuata per un po’ e sembra davvero dispiaciuta.
- Vedi che succede a stare con gli Stra-strani!? – dice David, tentando di scherzare.
Alyssa gli tira un calcio sotto il tavolo, ma io sorrido, apprezzando lo sforzo di tirarmi su.
Con la coda dell’occhio vedo tutto il gruppo alzarsi dall’altro tavolo e avviarsi fuori dalla mensa. Quando Allison passa davanti a me fa un cenno con la testa, indicandomi di seguirli.
- Ragazzi, ora devo proprio andare – dico, alzandomi in fretta e prendendo il vassoio – grazie della compagnia.
- Ecco vedi?! La fai scappare – Alyssa rimprovera David.
- Nono! Per niente – sorrido io per tranquillizzarli – mi sono ricordata che mi mancano dei compiti da finire, scusate.
Loro mi salutano, gentili.
- Ci vediamo stasera.

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Capitolo 51
*** La verità negli inganni ***


 
Quando li raggiungo, gli altri sono radunati sulla scalinata del cortile. C’è anche Derek.
- Uh abbiamo un nuovo compagno di classe? – esordisco.
Derek socchiude gli occhi e non si sforza nemmeno di sorridere. Simpatico come sempre.
- Sidney – mi dice poi Scott, serio – ho bisogno che tu mi dica esattamente cosa vi siete dette tu e tua madre.
Quella domanda mi colpisce. I miei occhi saettano in quelli di Stiles. E sono sorpresa quando capisco che glielo ha detto. Ha detto a Scott che mia madre è una Makutu.
Questo mi irrita: ha tanto voluto che mi fidassi di lui e alla prima cosa che gli dico la va a spifferare in giro. Non che quello fosse un segreto, anzi. L’avrei detto a Scott e gli atri quando mi sarebbe parso di rilevanza. Ma lo aveva già fatto lui.
- Penso che Stiles ti abbia già detto quello che vuoi sapere – sbotto.
Scott esita un istante.
- Sì – confessa – sappiamo cos’è tua madre. Ma voglio davvero sapere cosa le hai detto. Stiles ha un’ipotesi.
Lancio un’occhiata a Stiles, che ancora non ho capito perché mi abbia praticamente buttata giù dalla macchina, ieri sera. Poi faccio un sospiro e cerco di ricordare la conversazione che ho avuto con mia madre.
- Le ho chiesto perché se n’è andata...- inizio, ma Scott mi interrompe.
- Okay, dopo – dice, brusco.
Penso non voglia sapere dei fatti che riguardano solo me e lei. Rifletto ancora, avvolta dallo sguardo e dal silenzio di tutti gli altri.
- Le ho raccontato di Peter – inizio, aspettando che qualcuno mi fermi. Non succede, perciò continuo: - Cioè le ho detto che entrambi la stavamo cercando. E lei mi è sembrata stupita, ma sembrava sapere chi fosse Peter. Anche perché era lì immobile alle sue spalle, cose che ancora non mi spiego.
Noto che Scott lancia un’occhiata a Stiles. Entrambi hanno un’aria seria.
- Che succede, Scott? – chiede Allison, preoccupata. Anche tutti gli altri presenti vorrebbero saperlo, me compresa.
- Penso di aver capito chi ha riportato Peter e Yipada tra noi – risponde Stiles.
- Coosa?! – esplode Isaac.
- Mia madre!? – scuoto la testa – no, non penso proprio. Peter voleva solo delle risposte da lei, non penso nemmeno che la conoscesse bene.
- Perché secondo te Peter dice sempre la verità e per intero, soprattutto? – interviene Derek.
- Penso... penso che sia stata tua madre a riportare quei due in vita. Yipada vuole il tuo potere per potersi liberare dal controllo che tua madre ha su di lui e... forse anche Peter. Per questo ti ha incastrata, forse si aspettava anche lui una parte del tuo potere per opporsi anche lui a quella sottomissione – spiega Stiles.
- Non ha senso – commento invece io – se no avrebbe potuto semplicemente rapirmi qui a Beacon Hills o... chessò portarmi in un luogo isolato e consegnarmi lì ad Yipada. Invece mi ha fatto cercare mia madre, mi ha portata al Nemeton, mi ha fatta diventare più forte...
- Penso che gli convenisse che fossi più forte – fa notare Isaac.
- E ha senso che ti abbia presa alla fine, solo una volta che lo avevi condotto da tua madre – continua Stiles – lui non sapeva dove fosse, e non poteva trovarla. Lo hai fatto tu per lui.
Tutto il peso di quella rivelazione mi precipita addosso come un macigno. Mi lascio cadere su uno degli scalini e mi trovo a fissare il vuoto, davanti a me.
Il mio cervello continua a girare e girare e girare... ripenso alle parole di Stiles e a ieri sera. A Peter, a Yipada,  a mia madre. E tutto quadra, sì tutto quadra.
Ma vorrei che non fosse così, vorrei non essere stata così stupida. Mi ero fatta manipolare, permettendo a tutti di ottenere ciò che volevano – o quasi.
- E quando mia madre ha sentito Yipada e Peter combattere lì vicino ha ripreso il controllo di entrambi – termino, con l’ultimo tassello del puzzle – per questo erano così immobili e docili quando li visti con lei nel Nemeton.
- E se come dici era stupita che Peter la stesse cercando...
- Beh forse ha capito che lui non aveva di sicuro buone intenzioni.
- Lui voleva ucciderla – dico, in un sussurro.
Cos’ho fatto? Mi prendo la testa tra le mani.
- Non avrei mai voluto questo – dico.
- Sidney, non è colpa tua – mi dice Isaac poggiandomi una mano sulla spalla.
Sto zitta, ma tutti sappiamo che lo è.
- Non so davvero come chiedervi scusa per questo casino...
- Non devi – sbotta Scott – alla fine non hai fatto nulla di tanto grave. E noi stiamo tutti bene.
- Sì... noi sì – interviene Stiles – ma Peter a questo punto penso di no.

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Capitolo 52
*** Questione di fiducia ***


 
C’è stata una discussione nel branco.
Non riuscivamo a decidere se andare a cercare Peter oppure abbandonarlo al suo destino.
Sebbene Scott avesse seriamente considerato la possibilità di dargli una mano, o almeno assicurarsi che fosse vivo, si era deciso di no; anche se questa scelta contrastava con la sua umanità.
Ci siamo trovati nel loft di Derek, abbiamo preso un tè insieme e dopo quel dibattito abbiamo parlato di cose normali. Ed è una novità per me, farlo con loro.
Allison e Scott sono seduti uno accanto all’altra e a volte si spintonano leggermente con le spalle, ridendo. Proprio come due innamorati. Li guardo, intenerita, chiedendomi cosa sia successo tra loro, e quasi me ne vergogno, perché non sono fatti miei.
E poi, inaspettatamente, all’ennesima risata, mi basta guardarli che tutta la loro storia mi si proietta davanti agli occhi, come un film, ma in un millesimo di secondo.
Sono rimasta imbambolata con gli occhi sgranati ad assistere a tutte quelle scene come se davvero fossero state proiettate ad una velocità incredibile sul grande schermo.
Mi sento quasi in colpa, ora, come se avessi rubato loro un pezzo della loro intimità.
Non pensavo che i miei poteri potessero tanto. Cioè... una cosa simile è successa la prima notte di luna piena, quando mi sono scoperta improvvisamente a conoscenza di tutta la vita di Peter. Ma non è più accaduto da allora.
Forse sto iniziando a controllare meglio i miei poteri, anche se non li ho ancora compresi fino in fondo.
Penso che forse Scott e Allison vorrebbero rimanere soli, magari hanno qualcosa da dirsi, visto come si stuzzicano a vicenda, chissà. Penso che dopo l’errore che ho fatto, assimilando tutte le informazioni su di loro due insieme, devo loro un favore.
Prendo tutte le tazze e vado in cucina, sperando che anche gli altri mi raggiungano o trovino altro da fare e che, casualmente, quei due si trovino soli soletti.
Intanto che ci sono mi metto anche a lavare i piatti, nel vano tentativo di svuotare la testa da tutti i pensieri.
Sono le otto. Tra mezz’ora al massimo andrò a casa, mi preparerò per stasera e trascorrerò una bellissima notte di balli sfrenati, sbronze e divertimento come una ragazza normale. Stasera sarò solo Sidney Jones, e non una Makutu.
- Sidney – la voce di Stiles.
È lì, sulla porta, e sembra non sapere bene cosa fare. Avanza verso di me, poi si poggia contro il ripiano della cucina, con le braccia conserte.
Io torno a lavare, dandogli le spalle.
Per qualche secondo nessuno dei due dice niente.
- Mi dispiace se l’ho detto a Scott – esordisce – ma pensavo fosse una cosa importante.
- Sì, lo capisco.
- E scusa se ieri ti ho lasciata così brutalmente in mezzo alla strada ma...iniziavo a capire qualcosa di tutta questa faccenda e dovevo pensarci subito.
Ho finito di lavare. Mi volto, con le mani bagnate sospese nell’aria.
- Sì Stiles, non... non preoccuparti.
Mi fa strano sentirlo così distante, lui che è stato sin da subito sempre accanto a me.
- Questa cosa di mia madre ti ha dato così tanto fastidio?
- Perché me lo chiedi? – alza lo sguardo dal pavimento.
- Perché non riesci nemmeno a parlarmi, quando mi incroci.
Alza lo sguardo su di me, poi si solleva dal piano della cucina e muove qualche passo venendomi incontro.
Scuote la testa.
- No, non è importante – risponde, spingendo la mia testa sul suo petto – sono contento che tu stia bene.
Sono confusa, con l’orecchio premuto contro il suo cuore e la sua mano tra i capelli. Mi stampa un bacio sulla testa.
- Ma quando Derek ci ha detto che eri andata via con Peter e che cercavi tua madre... io mi sono sentito messo da parte – mi confessa – e non mi aspettavo che questo potesse succedermi con te.
Ha ragione e riesco a capire come si sia sentito, e questo mi rattrista.
- Ho commesso uno sbaglio lasciandoti fuori – rispondo, allontanandomi dal suo petto per poterlo guardare negli occhi – io non so davvero perché sono stata così impulsiva. Ma avrei tanto voluto parlarne con te.
Lui annuisce.
- Vorrei che sentissi di poterti fidare – mi dice poi, triste.
- Ma io mi fido!
- Non lo so Sidney, non lo so – ribatte – forse è proprio in queste occasioni che lo si dimostra.
Rimango in silenzio ad osservarlo. E poi capisco: con me riesce a sentirsi speciale, perché anche da semplice essere umano lui mi basta così com’è e anzi! L’ho scelto proprio perché lui è come è. E per una volta non l’ho fatto sentire l’ultima ruota del carro, ma ha percepito che ho bisogno di lui più di qualunque altra cosa. Ed è quello che cerca da tanto; e ora ha paura di tornare a sentirsi insignificante.
Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio. All’inizio lui è un po’ titubante, come se volesse continuare il discorso, come se pensasse ch’io stia tentando di sviarlo.
Poi però si lascia andare, e le sue labbra iniziano ad inseguire le mie, a cercarle nel buio; la sua lingua si interseca con la mia e i nostri fiati si mescolano in uno solo.
Le sue mani scivolano lungo la mia schiena, mi accarezzano i fianchi; poi Stiles mi afferra il viso tra le sue mani, accarezzandomi le guance e le labbra, mentre io, spingendo la sua schiena verso di me, premo il mio corpo contro il suo, colmando lo spazio tra di noi.
- Non cambiare argomento – mi dice all'improvviso, allontanandomi.
- Non l’ho fatto.
Lui mi lancia un’occhiata. Sospiro.
- Questa era la mia risposta – ribatto – ti sto scegliendo, ora, ieri, domani. È con te che voglio stare, perché è te che voglio accanto. Perché io mi fido di te e con te mi sento al sicuro. E mi dispiace se sono un disastro e non lo dimostro e ti faccio dubitare. Ma è così.
Lui mi guarda, quasi con gli occhi lucidi.
- Penso di non aver capito bene la risposta, allora – dice tirandomi a sé – ripetimela.
E mi bacia ancora.

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Capitolo 53
*** Una serata normale ? ***


 
Ho indossato un vestito nero, stretto e corto, ma senza risultare troppo azzardato.
Mi accorgo di non aver curato troppo il mio look ultimamente – per ovvie ragioni. Ma stasera finalmente posso concedermelo.
Mi guardo allo specchio, soffermandomi fin troppo a lungo a fissare i miei occhi riflessi.
Penso a quanto io stia cambiando, dopo tutto quello che mi è successo qui a Beacon Hills. Sto quasi diventando un’altra persona, forse un po’ più forte, più coraggiosa. Ora ho un ragazzo, degli amici, normali e non. Custodisco un segreto speciale. E ora ho anche una madre.
E una festa a cui andare, mi ricordo.
Mi riscuoto, dipingo una linea con la matita nera sulle palpebre e metto un filo di rossetto.
Indosso un paio di stivaletti neri col tacco e finalmente esco.
Scendo le scale di corsa, perché Stiles mi sta aspettando da un bel po’. Mi ha accompagnata a casa e ora mi porterà alla festa, ma lui non vuole venire. Non è tipo da feste, mi ha detto, e vuole lasciarmi un po’ coi miei amici “normali”.
Salto in macchina e mi scuso con Stiles, ma poi mi accorgo che non è solo come lo avevo lasciato.
Lancio uno sguardo sui sedili posteriori, dove ho intravisto due sagome.
- Derek, Isaac – dico, sorpresa. Poi guardo Stiles, sollevando le sopracciglia, interrogativa.
Lui stringe il volante e guarda avanti. Ha un’espressione buffamente scocciata, come se quei due gli fossero piombati in auto all’improvviso senza nemmeno che lui li volesse.
- Che succede?
- Avevano tanta voglia di tenerti compagnia – dice, sarcastico, mentre mette in moto.
- È solo per precauzione – precisa Isaac.
Mi giro per guardarlo.
- C’è un branco di Jutovish che ancora ti cerca – mi spiega – e non sappiamo in che condizioni sia Yipada. O se qualcun altro, o qualcos’altro ti stia dando la caccia.
- Okay – dico a me stessa, demoralizzata – addio alla mia serata normale.
- In realtà non te lo dicono, ma è solo per poter ballare con te – dice Stiles, ancora sarcastico.
Derek avvicina il suo volto al collo di Stiles, seduto sul sedile di fronte al suo. Probabilmente lui sente il fiato del licantropo sulla pelle, mentre gli sussurra: - Non fare il geloso perché vorresti essere tu a ballare con me.
Derek che fa il simpatico? Mi sorprende non poco, ma so che è solo per prendersi gioco di Stiles.
- Avete davvero intenzione di venire alla festa? – li interrompo io.
- No – risponde Derek – certo che no.
- Staremo nell’ombra a sorvegliare che nessun essere malvagio sia nei paraggi – continua Isaac, come se si trattasse di un gioco.
- Perfetto – dico, stavolta sono io quella ironica – come due stalker pervertiti. Grazie, per avermi concesso questa serata di assoluta normalità.
- Possiamo sempre lasciarti divorare da un mezzo uomo, con le zampe da ragno e la testa da pipistrello-succhia-sangue, che prima ti svuoterà le vene, poi inizierà ad arrotolare il tuo corpo prosciugato in un bozzolo di ragnatela e infine ti mangerà a morsi – dice Derek.
Cala il silenzio nell’abitacolo e tutti abbiamo espressioni disgustate.
- Grazie per l’accurata descrizione, Derek – commento, inorridita.
- Che poi il mezzo uomo con zampe di ragno e testa da pipistrello-succhia-sangue non so da dove ti sia uscito – continua Stiles.
- Sempre che esista un pipistrello-succhia-sangue.
- Sì! Magari coi denti da vampiro! – dice Isaac.
- Bleah.
- Pensa avere un tale essere addosso... che schifo.
Derek alza gli occhi al cielo.
- Spero non esista qualcosa del genere – commento io – non... non esiste, vero? – chiedo, rivotla a Derek.
- Puoi verificare da sola, stasera, visto che non ci sarà nessuno a tenertelo lontano – risponde, brusco.
Eccolo che torna Mr. Simpatia, non che abbia mai smesso di esserlo.
- Guarda, ho d’un tratto cambiato idea – gli dico, guardandolo nei suoi freddi occhi – preferisco il piano che prevede i due pervertiti nascosti nel buio.
- Tu che farai stasera? – chiedo a Stiles.
- Uh, vediamo... ho una lista di belle cose – mi risponde, guardando la strada – ma tu sei ad una festa a divertirti, il licantropo che più adoro sarà lì a tenerti gli occhi puntati addosso, il mio migliore amico uscirà con la sua ex ragazza e, chissà, forse risboccerà l’amore... e io me ne starò a casa in compagnia di me stesso a guardare film deprimenti e a rimpinzarmi di schifezze.
- Bel programma, amico – commenta Isaac.
- Scott e Allison escono insieme? – domando io.
- A quanto pare.
- Secondo me c’è ancora qualcosa tra loro...
Stiles alza le spalle.
- Lo spero per loro.
Loro sono uomini, probabilmente non notano queste cose. Forse non ci fanno nemmeno caso, perché in fondo non gli importa. E infatti non continuiamo col discorso.
Stiles ferma la macchina. Anche se la casa del ragazzo che ha dato la festa è in fondo alla via la musica si sente già da qua.
- Uh vi divertirete – dice Stiles con ben poco entusiasmo.
- Forse i pervertiti nascosti al buio – ribatto – io mi sentirò giusto un poco in soggezione.
- Cara, non sei poi così eccitante – si lamenta Derek.
- Questo lo credi tu – dico, con aria di sfida, incrociando i suoi occhi.
Lui fa l’espressione del tipo “lascio perdere”.
- Mi sono perso qualcosa? – chiede Stiles.
- Te la perderai stasera – gli sussurro mentre mi avvicino a lui – visto che non sarai lì a guardarmi.
- Oh, non sai quanto lo vorrei.
Ci scambiamo un bacio di saluto, mentre gli altri due scendono dalla macchina.
- Sicuro di non accompagnarmi?
Scuote la testa.
- Va e divertiti. I tuoi amici hanno bisogno di un po’ di te.
Gli do un altro bacio e apro la portiera.
- Fai la brava.
Gli sorrido e poi seguo i due lupi mannari alla conquista di quella che avevo sperato fosse davvero una serata normale.

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Capitolo 54
*** Lupi Mannari ***


Arriviamo alla festa e mi va in pappa il cervello.
Ci sono luci dai mille colori che cambiano in continuazione, la musica a palla che riempie le orecchie e la testa, che quasi inizia a pulsare a ritmo. C’è gente ovunque, e ci devo mettere impegno a serpeggiare tra tutti i ragazzi all’interno della casa, alla ricerca di Alyssa e i suoi amici.
Derek e Isaac sono rimasti fuori, probabilmente acquattati da qualche parte.
Riconosco tanti studenti della mia scuola, quasi tutti hanno bicchieri di carta in mano (e chissà quanto alcool in corpo), e c’è già qualcuno appartato negli angoli o stravaccato sui divani, con magari qualche nuova fiamma; altri si muovono a ritmo di musica, e ballano in gruppo o in coppia, qualcuno anche da solo.
Poi, finalmente, intravedo Alyssa con Leonard e Ronald seduti sulle scale che conducono al piano di sopra.
Li raggiungo, facendomi spazio tra la gente.
- Eilà! – dico, sorridente.
- Ciao – sussurra Leonard passandomi gli occhi dalla testa ai piedi.
- Sei bellissima – mi dice cortesemente Alyssa, alzandosi per abbracciarmi.
- Anche tu lo sei – dico, sinceramente – allora? Vi divertite?
Annuiscono, ma precisano che sono arrivati da poco.
Alyssa propone di andare a prendere da bere, e noialtri annuiamo. Ci facciamo strada attraverso il salone affollato e raggiungiamo la veranda, le cui grandi finestre vetrate si affacciano sul giardino.
- Che cosa vi prendo? – chiede Alyssa.
- Che c’è, tra cui scegliere? 
Lei fa spallucce.
- Tu spara, poi ci penso io.
Ci devo pensare un attimo, mentre Ronald chiede un “Malibù-cola”.
- Un bicchiere di birra? – chiedo quasi in una domanda. Non mi va molto di bere in questo momento, e comunque gli unici drink che conosco bene sono troppo complessi per potermi aspettare di avere la possibilità di averli qui.
Alyssa mi lancia un’occhiata come per dire “maddai”, ma poi gira i tacchi e scompare nella mischia di ragazzi accalcati davanti a quello che posso ipotizzare essere un tavolino. Ci devono essere sopra cibo e bibite, perché ogni volta che qualcuno proveniente dalle file davanti si fa strada per allontanarsi da lì, compare con piattini di plastica colmi di snack e bicchieri di carta pieni di liquidi.
- Vado ad aiutarla - dice Leonard, correndole subito dietro e sparendo come lei nella massa di ragazzi.
Sono rimasta sola con Ronald, ma prima che possa chiedermi se avremo mai discorsi con cui coprire il silenzio, lui intraprende una conversazione.
- Allora – mi dice Ronald, sistemandosi gli occhiali – tutto bene straniera?
- Si, tu? – gli sorrido.
Lui ricambia, ma dopo qualche secondo, all’improvviso, la sua espressione si trasforma. Diventa terribilmente serio, poi socchiude gli occhi e inclina la testa.
- Eri tu che mi avevi chiesto come mai ci fossero così tanti morti qui a Beacon Hills?
Un tuffo al cuore. Ho tirato fuori quest’argomento i primi giorni di scuola, quando ancora non sapevo cosa questo posto nascondesse. Ora non voglio parlare di questo, non posso lasciarmi sfuggire niente.
- Emh... si...- non capisco.
I suoi occhi saettano a destra e sinistra, poi si avvicina a me.
- Hanno scoperto un altro cadavere – sussurra. Cerco di evitare il suo sguardo, ma quando i miei occhi incrociano i suoi ci rimangono inchiodati.
- Co... come?
- Nel bosco – continua, come fosse un segreto enorme, e forse lo è – anzi, ipotizzano siano due.
- Due cadaveri...- non so che pensare – magari qualche escursionista, qualche attacco di animale, non mi sembra poi così strano.
- Ah no? – ribatte, quasi con un ghigno – perché non ti ho ancora detto come sono stati ridotti.
Ho paura di saperlo. Io non voglio saperlo. Ho paura che centrino i miei amici. Che centri mia madre. O Peter. O Yipada. E ho paura che Ronald lo sappia.
- Non sono nemmeno riusciti a riconoscerli – continua lui, sottovoce – all’inizio non avevano nemmeno capito che fossero uomini.
Penso di sentirmi male. Sento le gambe tremare, il cuore mi batte fortissimo.
- Dicono che forse è stato sì qualche animale feroce, ma io penso sia qualcosa di molto più pericoloso. Nessun animale che conosco io farebbe una cosa del genere. E ho sentito attentamente le descrizioni di chi ha scoperto i corpi.
- Tu come sai queste cose?
Sembra stupito dalla mia domanda, dopo una tale rivelazione.
- Mio fratello lavora alla centrale di polizia. Doveva accompagnarmi in macchina in un posto qui vicino perciò sono andato lì, ad aspettare che finisse il suo turno. E ho sentito tutto quello che dicevano i due poliziotti che son stati nel bosco.
- E perché lo dici a me? – il mio tono suona troppo seccato.
- Perché non penso gli altri mi ascolterebbero.
- E io sì? – sforzo un sorriso.
- Non lo so, per questo ci ho provato – mi risponde, alzando le spalle – ho visto che eri interessata, pensavo volessi sentire la mia ipotesi.
- E quale sarebbe?
Non lupi mannari, non lupi mannari, non lupi mannari.
- Lupi mannari.
La mia risata esce troppo isterica e nevrotica.
- Scusa – dico quando mi ricompongo. Ronald mi guarda serio, quasi deluso.
- Io non ci credo in queste cose.
- Beh, forse dovresti – ribatte  e sembra davvero spaventato – forse attorno a noi si nascondono cose di cui ignoriamo completamente l’esistenza. E avevi ragione: ci sono troppi morti a Beacon Hills...
- Eilà – una voce alle mie spalle lo interrompe. Improvvisamente cambia espressione, e appare quasi sereno. Sono sicura che non lo è.
Mi volto a vedere chi ci ha appena raggiunti e... rimango senza parole.
- Derek!? – ringhio a denti stretti – che ci fai qui? Pensavo dovessi star…
- Ho pensato di fare un salto a salutare – risponde lui con un sorriso, come se fosse davvero un ragazzo normale passato ad una festa per vedere i suoi amici. Lui non è un ragazzo normale. E lui non sorride. Senza contare che non conosce nessuno qui, oltre a me, e che ha superato i “teen” da un bel po’, perciò è totalmente fuori luogo a questa festa.
- Uh Sidney è un tuo amico? – Ronald sembra entusiasta. Gli allunga la mano, presentandosi.
Derek sorride ancora. Cioè... ripeto: sorride.
Quasi non lo riconosco. E ancora non riesco a capire cosa ci faccia qui. Il piano prevedeva che lui rimanesse tutta la sera nascosto con Isaac là fuori, da qualche parte. Invece è qui e non sembra neanche lui.
Sarà successo qualcosa? È venuto a prendermi? Avrà sentito il discorso con Ronald, grazie al suo superudito di lupo mannaro?
Quasi mi viene a ridere a pensare che quel ragazzo mi ha appena confessato di credere in una creatura leggendaria e ora se la trova proprio davanti.
- Eieiei! – la voce di Alyssa – ciao! – esclama con voce civettuola, lanciandomi uno sguardo con la bocca spalancata come per dire “che figo”.
Ci passa i bicchieri, che non so come ha tenuto in equilibrio fin ora, e allunga una mano a Derek.
- Alyssa, molto piacere – dice con un sorriso. Poi a me di nuovo quello sguardo.
Io fingo un sorriso, ma in realtà sono irritata. La mia serata normale, degenerata in una serata “da fingere normale” è appena fallita, con la comparsa di un lupo mannaro nella mia ricerca della normalità.
- Scusatemi un secondo.
Prendo Derek per il braccio e lo trascino lontano dai miei amici.
- Che ci fai qui!? – sbotto, arrabbiata.
- Lo sapevi che ero in zona.
- Derek.
- Quel ragazzo ti era troppo vicino. Pensavo potessi essere in pericolo.
Corrugo la fronte. Sono confusa.
Ronald. Pericoloso. Le due parole non possono nemmeno stare nella stessa frase! Lui ha un aspetto totalmente innocuo (se lo fossero anche le sue idee!) nessuno potrebbe pensarlo un pericolo.
- Cosa c’è? – mi chiede lui, notando il mio sguardo solo dopo parecchi secondi. Si stava guardando in giro, osservando i presenti, l’arredamento, ascoltando la musica.
- Non ti credo.
- Tu non mi credi? – solleva le sopracciglia e fa un sorriso ironico. Mi sta prendendo in giro.
- Ti manca essere un diciottenne che se la spassa? Perché altrimenti non capisco perché sei qui.
- Te l’ho detto il perché – ribatte, guardandosi ancora attorno e quasi dondolando al suono della musica.
Il mio cervello non arriva a darsi una risposta. Si sta comportando in modo troppo inspiegabile e... assurdo perché possa provarci.
- In ogni caso ora puoi andartene – socchiudo gli occhi – grazie per essere passato a salutare.
Faccio per girare i tacchi, ma lui mi rigira verso di lui.
- Di che parlavate?
- Non hai sentito, con le tue super-orecchie di licantropo?
Lui mi guarda, per un secondo non risponde. Okay, ha sentito la nostra conversazione.
- Sì, sì... qualcosina.
Lo osservo, sentendomi quasi a disagio.
All’improvviso gli afferro le braccia con le mani, come per bloccarlo. Ovviamente non potrei mai farlo, visto che lui è quattro volte più grosso di me.
- Puoi... almeno smettere di muoverti? Per favore – dico, riferendomi al suo dondolare.
- Perché? Non mi vuoi vedere ballare?
- Perché tu non balli Derek! E non sorridi nemmeno! – sbotto – e di solito non mi parli neanche. Ti sto chiedendo di farmi capire. O andartene. O entrambe le cose.
Le mie mani sono ancora sui suoi bicipiti. Quando ci faccio caso mi sento avvampare. Soprattutto quando penso che... è bello sentirli sotto i miei palmi e le mie dita.
Le sue braccia sono gigantesche, sode, muscolose. Per un momento penso come sarebbe essere abbracciati da quelle braccia. Il momento dopo a come potrebbero mandare KO chiunque.
- Suona come un’accusa. Eppure se sorrido non ti piace – ribatte lui. Io sbuffo.
- Sai che ti dico? Io ora vado dai miei amici, tu... tu fai quello che ti pare. Fai amicizia, balla, bevi, tornatene nel cespuglio con Isaac, ma fai lo strano altrove.
Sto per andare via davvero, ma mi blocca un’altra volta.
- Sto solo cercando di proteggerti. E d’ora in poi penso che succederà spesso. Volevo dimostrarti che non sono sempre “insopportabile” come tu pensi.
- Mi dispiace, lo penso lo stesso – ribatto, guardandolo nei suoi occhi blu.
Giro i tacchi e me ne vado, ma la sua voce, più nella mia testa che nelle mie orecchie mi raggiunge: - Sai che non è vero.

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