Una giornata con Mefisto

di Carla Marrone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sangue ***
Capitolo 2: *** Maze Castle ***



Capitolo 1
*** Sangue ***


SANGUE 

 

Sulle prime non l’aveva riconosciuta, avvolta in quell’abito di seta nera.

Aveva bretelle sottili, dato il caldo degli ultimi giorni. Ai piedi, non i soliti stivali, ma semplici ballerine dello stesso colore del vestitino. La gonna era corta e scampanata, ma non volgare come i soliti panta-tanga che, oramai, Mefisto era abituato a vederle indosso. Diciamo, una lunghezza idonea al luogo in cui si trovava. Un cimitero. Perché diamine gli esseri umani si vestissero di nero, per andare a far visita al cadavere in putrefazione dei propri parenti, o amici, per Mefisto sarebbe sempre stato un mistero. Le cose colorate erano così belle! Al demone dagli occhi verdi piacevano da morire. C’erano così poche cose colorate, nel mondo dal quale proveniva. Aveva trascorso i primi duecento anni della sua vita, avvolto nell’oscurità più totale. In tutti i sensi. Ma questa era un’altra storia. Ad ogni modo, era convinto che Shiro sarebbe stato molto più felice di vedere indosso a Shura i suoi soliti vestiti. Avrebbe potuto constatare con piacere quanto bene fosse cresciuta. Se avesse ancora avuto una coscienza, per dirla tutta.

Quando le si avvicinò, gli fu chiaro che lei non aveva notato la sua presenza. Un’aura sconosciuta e misteriosa emanava dal suo corpo, in quel momento. A Mefisto piaceva quell’insolito volto triste. Se avesse potuto umanizzare le sue sensazioni, avrebbe, indubbiamente, detto che il silenzio malinconico di Shura aveva un buon sapore. Si schiarì la voce. 

Le iridi della giovane si dilatarono, per un momento. Il suo corpo ebbe un tremito. Rapida si volse verso di lui, l’espressione di poco prima, svanita, per lasciare il posto ad una più neutra.  

“Cosa ci fai tu qui?” Gli chiese con voce più bassa del solito. 

Mefisto le sorrise. “La stessa cosa che ci fai tu. Oggi è l’anniversario della morte di Shiro, dico bene?”

La ragazza lo osservò. Tra le mani, reggeva un gigantesco mazzo di fiori ed aveva avuto la decenza di indossare dei pantaloni normali, seppur bianchi. Shura detestava quei ridicoli shorts a palloncino che Mefisto era solito indossare, quando era a scuola. Che diamine, lui era il preside! Scelse di non dire nulla. Non era il luogo, né il momento adatto, alle loro solite litigate. Per quanto felice che il demone avesse, evidentemente, speso un’ingente somma di denaro per il suo omaggio a Shiro, sentiva di voler stare da sola, con colui che amava; pur non potendo godere della sua compagnia. Shiro era una cosa sua. La presenza di quella persona, che, poi, non era neanche una persona, la infastidiva.

“Io vengo qui tutti i giorni.” Scelse, stranamente, invece, di dire. 

Mefisto sollevò la testa e si portò l’indice al mento, quasi avesse appena realizzato qualcosa. “Oh, dunque sono tuoi i fiori che vedo quando vengo qui, di tanto in tanto.” Allora la signorina Kirigakure non spendeva tutti i suoi soldi esclusivamente in alcoolici. Interessante rivelazione. L’uomo scelse, però, di non manifestare questo suo pensiero. Non era il caso di stuzzicarla al cimitero, davanti alla tomba di Shiro, per quanto farlo, di solito, gli piacesse. La ragazza portava ogni giorno fiori al suo mentore? Devozione encomiabile. Era davvero interessante quel sentimento che gli umani chiamavano amore. A detta loro, poteva muovere le montagne. Ma, anche questo scelse di non dirlo. Depositò, invece, i suoi fiori sulla tomba. 

Rimasero, per diversi minuti, in silenzio, nell’ottusa contemplazione della tomba del loro amico. Nessuno dei due pregò. 

Poi, Mefisto parlò. 

“Un altro varco dimensionale, connesso a Gehenna è stato aperto. Demoni di classe superiore sono riusciti a passare. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti i soldati d’élite, mentre io richiudo il passaggio. Mi aspetto che tu prenda servizio entro le otto di questa mattina.” E detto questo, fece per andarsene. 

“Verrò adesso. Tanto non ho un cazzo da fare qui.” Mefiso sorrise del linguaggio colorito della donna. Era ancora abituato al prototipo moglie-madre impeccabile e le donne di quell’epoca riuscivano sempre a stupirlo. Shura, in particolare.

Il demone raggiunse la sua limousine rosa, seguito dall’umana, che passò oltre, chiaramente diretta al quartier generale. 

“Ti prego, permettimi di offrirti un passaggio.” Mefistofele la bloccò. 

Neanche lei seppe il perché, ma si trovò ad accettare. Già in passato le era accaduto di passare del tempo in compagnia del demone, seppur poco, e, doveva ammettere, che non si era trovata male. Se non intralciavi i suoi piani, sapeva essere un vero gentiluomo. O gentil-demone, per dirla meglio. 

Durante il tragitto non parlarono molto, l’umor nero del luogo nel quale avevano principiato la giornata aleggiava ancora. Un anno esatto prima, una persona importante per entrambi era tragicamente deceduta. 

 

Solo tre ore dopo, l’esorcista d’élite aveva ultimato il suo lavoro di “pulizia” del bosco, nel quale era stato trovato il portale. Aveva sterminato un ingente numero di demoni, tutt’altro che di classe inferiore, e si sentiva esausta. Mefisto, dal canto suo, aveva utilizzato uno dei suoi orologi magici per chiudere la frattura nello spazio-tempo. Compito ancora più arduo. 

Lo trovò da solo, ai margini del bosco e lo vide piegarsi in due, come addolorato. Il cilindro che era solito indossare cadde a terra e Shura poté vedere il pessimo colorito della sua carnagione, già di natura, spettrale. Aveva le labbra livide ed ansimava vistosamente. Fu l’istinto ad agire per lei. Corse verso di lui.

“Mefisto! Cosa cazzo ti prende?” Lui si voltò per un attimo a guardarla, un’espressione severa sul volto, prima di riprendere a fissare l’erba sotto le sue ginocchia. Shura era l’ultima persona dalla quale avrebbe voluto farsi vedere in quello stato. Anche se, doveva ammettere, se ci fosse stato un altro, lì, pur di non farsi mettere in imbarazzo, sarebbe stato disposto ad uccidere.  

“L’ultimo incantesimo che ho realizzato mi ha consumato troppe energie, ugh! Rischio un collasso…” Fu la sua risposta sofferta. 

Ancora una volta, l’esorcista agì d’impulso. Senza che le fosse comandato e senza pensarci due volte, trasse un kunai dalla tasca segreta della giacca da lavoro che si era portata dietro al cimitero, come dovunque, del resto. Raccolse la manica e praticò un piccolo taglio sul suo braccio, grande, tuttavia, abbastanza da farvi sgorgare del sangue.

“Tieni, bevi questo. – Continuò, con una punta d’imbarazzo, nella voce - Per voi demoni è una specie di elisir, non e vero?” Avvicinò il braccio alla bocca ansante di Mefistofele, che la guardò in un modo in cui nessuno l’aveva mai squadrata, dritto negli occhi, prima d’allora. Fu qualcosa di molto intimo. Per un attimo, il re del tempo, parve quasi spaventato. Ma, poi, accettò il dono. E lo fece con immenso piacere. Bevve avidamente, tenendo stretto il braccio dell’esorcista. Non che sarebbe fuggita, questo lo sapevano entrambi. O, forse, no. Quando ebbe terminato con il braccio, la strattonò verso di sé. Occhi taglienti mandavano bagliori cremisi. Non era in lui. O, forse, non lo era mai stato così tanto. Solo una parte della maschera da demone gentile, che indossava abitualmente, era visibile sul suo volto, per chi avesse osservato bene. Ma Shura non ne ebbe il tempo. Non era riuscita a muovere un muscolo, prima che il demonio le mordesse il collo. Una sensazione pungente. Calore. Mani forti le strinsero il morbido codino e la schiena. Anche quando fu meno scioccata, decise di non muoversi. La persona che aveva portato quei bei fiori a Shiro aveva bisogno del suo aiuto, alias, del suo sangue.

Passò qualche minuto. Era chiaramente ora di fermarlo. 

“Mefisto – disse piano, si sentiva debole – mi gira la testa…”

Percepì solo lontanamente i canini dell’akuma, fuoriuscire dalla sua giugulare. Mefistofele allentò la presa su di lei, sulle prime. Salvo poi, afferrarla di nuovo, con rinnovato vigore. 

Era svenuta. Dannazione! Che figura. 

 

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Capitolo 2
*** Maze Castle ***


MAZE CASTLE

Quando si svegliò, una stanza piena zeppa di oggetti rosa aggredì i suoi occhi. Dov’era capitata? Non ricordava di essersi recata in un negozio per otaku, prima di perdere conoscenza. Si guardò intorno. Si trovava, indubbiamente, in una casa di gente molto ricca. La camera nella quale aveva dormito era immensa ed ogni singolo mobile era pregiato e sovrastato di peluche e miniature di personaggi di anime o videogames. 

“Ti sei ripresa.” Una voce sollevata la avvertì che non si era accorta della presenza di Mefisto, seduto su una poltroncina lilla alle sue spalle.

Si voltò nella sua direzione. “Dove siamo?” Chiese sentendosi smarrita. 

L’uomo fece un piccolo inchino, portandosi la mano destra sotto il costato. “Ti trovi a casa mia, signorina Kirigakure.”   

Certo. Dove altro se no? Avrebbe dovuto intuirlo dall’arredamento. Per un attimo, si sentì molto ingenua.

Regnò il silenzio per un paio di minuti, durante i quali Shura riuscì, non senza un piccolo sforzo, a mettersi seduta. Le sue tempie avevano iniziato a pulsare, non appena aveva aperto gli occhi. Quel maledetto c’era andato pesante. Si toccò il collo e sentì, chiaramente, due piccoli fori, all’altezza della sua vena. Quindi, era vero. Aveva, davvero, dato il suo sangue a Mefistofele. Non riusciva del tutto a crederci.  

Come leggendo il trascorrere dei suoi pensieri, l’uomo le parlò. “Era da diverso tempo che non mi nutrivo di sangue. – Shura non poté fare a meno di notare lo sguardo penetrante che le indirizzò, dopo aver pronunciato quella prima frase – Non sono riuscito a regolarmi bene con le quantità da assimilare. Ti chiedo scusa.” Disse con tono un po’ troppo leggero, per i gusti della ragazza. Se per lui “non regolarsi bene” voleva dire lasciarsi prendere la mano, allora era d’accordo. 

“Ti prego, permettimi di farmi perdonare a dovere, offrendoti la cena.” Concluse, infine. 

“Voglio solo tornare a casa.” Disse la giovane, esausta, in tono piatto, uno sguardo vagamente torvo, rivolto allo strano individuo, seduto alle sue spalle. 

“Oh, ma non puoi, Kirigakure. Io DEVO sdebitarmi, adesso. In quanto demone, me lo impone la mia etichetta.” Insistette, come nulla fosse.  

Shura non sapeva molto dei costumi dei demoni. La loro cultura non la interessava, quanto i vari stratagemmi, per toglierli di mezzo. Tuttavia, non aveva abbastanza forza per rifiutare. Discutere con Faust richiedeva una certa quantità di energia. E, detto in assoluta sincerità, aveva fame. 

Si spostarono al piano inferiore che, se possibile, era ancora più magnificente della stanza, nella quale era stata fino quel momento. Il pensiero che il demone avesse condotto Shura in casa propria, trasportandola di persona, perché incosciente, faceva un effetto strano alla ragazza. Inoltre, era successo perché lui le aveva succhiato troppo sangue. Il pensiero la fece rabbrividire. Sul serio, come aveva potuto essere tanto sfrontata?

Ad attenderli trovarono un’immensa tavolata apparecchiata con ogni ben di Dio. Un po’ come quelle che vedeva la piccola fiammiferaia, dalle finestre delle case altrui, nelle quali non le era dato entrare. Ebbene, forse, lei era stata la piccola venditrice di fiammiferi. Ma solo fino a quel momento. Non sarebbe morta né di freddo, né di fame seduta a quel tavolo pieno zeppo di cibi elaborati. Si trovò ad ammettere con sé stessa che il pensiero le procurava un certo piacere. 

Sedettero. Mefisto le fece un cenno col capo, accompagnato da uno dei suoi soliti sorrisi dai troppi denti. Le augurò soltanto buon appetito, senza aggiungere altro. Ma, era chiaro, anche ad un’umana, che non poteva leggere nelle anime, che dentro provava una certa tracotanza. Sapeva che era uno spavaldo. 

Non sapendo bene cosa fare, si avvicinò il vassoio delle patate al forno. 

Il demone ebbe di che dire. “Oh, Kirigakure. Ti consiglio di provare le ostriche. Vengono da Quimper. Una varietà deliziosa. Inoltre, fa in modo di mangiare molto. Devi recuperare… energie.” La ragazza lo fissò, torva. 

“Cosa avrebbero cucinato a fare, se no, i miei chef?” Le strizzò l’occhio e lei parve tranquillizzarsi. 

Dovette ammettere che il dannato clown aveva ragione. Le ostriche erano squisite. Ne mangiò ben cinque. Due senza limone e tre con, quando capì che bisognava mettercelo. 

“Avrai speso un bordello per queste pietanze. Perché me le hai offerte?” Si risolse, finalmente, a chiedergli.

“Come ti ho già detto prima, ti devo un favore. Uno, piuttosto, cospicuo. Non posso che ringraziarti dandoti qualcosa che abbia, se non altro, una parte di quel valore. Altrettanto non mi è, purtroppo, possibile.” 

“Il mio sangue non vale quanto “le ostriche di Quimper”.” Affermò, canzonando i suoi gusti pseudo-raffinati.  

“Dici questo perché tu ti puoi nutrire solo di quelle. – Il tono del demone si fece suadente, come una goccia di miele che scivola su un vetro nero. – Ho assaporato il mio cibo preferito, dentro quel sangue. E, ti confesso, che non capirò mai perché me l’hai dato.” Concluse. Anche per Shura era un mistero. 

D’un tratto, fu colta come da un brain storming. Molte cose le vennero in mente. Divenne nostalgica. Al contempo, desiderò cambiare discorso. Come per spezzare una segreta alchimia, rise. 

“Probabilmente ti arrabbierai con me, se ti dico questo. Ma, questa cosa di voi demoni, di nutrirvi di anime, mi è sempre sembrata molto poetica… – Abbassò lo sguardo, concentrata nel suo mondo interiore. – Ci sono persone che avrei pagato perché si interessassero alla mia anima, e non ad altro.” 

Quando sollevò il capo, il suo sguardo fu accolto dai due occhi verdi più affascinati e sognanti che avesse mai visto. E le piacque. Il resto della cena proseguì in assoluto silenzio. Non c’era imbarazzo, tuttavia, tra i due. Solo calma. Lei, Kirigakure Shura, era riuscita a silenziare Mefistofele in persona. 

Bè, almeno fino a quando lui non le propose una partita ai videogiochi. 

Non le ci volle molto per stracciarlo completamente, al gioco d’azione, che le aveva proposto. Maledizione, avrebbero dovuto giocare a strip-game! A quel punto, si sarebbe dovuto togliere anche la pelle. Perché lo stesse pensando non lo sapeva neanche lei. Lui, dal canto suo, le rinfacciava ancora l’unica partita che era riuscito a vincere. 

Poi, stufatosi di perdere, le aveva proposto un karaoke. La cosa ridicola era che il dischetto che aveva scelto conteneva soltanto musiche di cartoni animati e videogiochi. 

Iniziò lui. Cantò, o, per meglio dire, uccise la sigla di “honey honey sisters” con la sua voce profonda e pomposa. Però, parve soddisfatto. Poi, venne il turno di Shura. 

“La traccia finale di Maze Castle, per cortesia.” 

“Wow, non credevo conoscessi questo gioco. E’ molto complesso ed è, probabilmente, il gioco più raffinato che io conosca.”         

“Stai implicando, quindi, che io sarei stupida e volgare.” Lo guardò male.

“Non insulterei mai una signorina tanto graziosa. Non oggi, almeno.” 

Prima che una battaglia d’intelletto potesse avere inizio, la musica partì e la donna cominciò a cantare.  

A Mefisto non ci volle molto per capire che sapeva farlo. A differenza sua. Dove l’avesse imparato, non ne aveva idea. Si ripromise di riuscire a scoprirlo quanto prima. Magari con un ricatto, messo in atto magistralmente. In perfetto stile “à la Mephisto”. 

Shura aveva una voce cupa, ma, molto estendibile. Il suo tono tradiva un’infinita dolcezza nascosta. Non che non lo sapesse, ma, in quel momento, gli parve di assaporare un’altra piccola parte della sua gustosissima anima. Il modo in cui avvicinava ed allontanava il microfono per modulare i suoni era impeccabile ed il suo sguardo, apparentemente, perso nel vuoto, parlava di una infinita concentrazione tenuta segreta. 

Non appena la musica finì, lei si voltò verso di lui. Solo per vedersi incontrata dalle sue labbra.

Mefisto parve voler bere quei suoni meravigliosi che fuoriuscivano direttamente dal suo spirito. Ed, infatti, la ragazza gemette debolmente. Era sorpresa, ma, stranamente, non spaventata. Premette le labbra più forte, aprendole un poco. Occhi di smeraldo piombarono dentro uno sguardo d’ ametista. Fu allora che decise di toccarla con le sue mani. Senza staccare le labbra, per non rischiare di spezzare l’incantesimo, si sfilò il guanto. Strofinò le sue dita lunghe e sottili delicatamente sulla coscia della giovane, quasi stesse suonando un’arpa. Giunto al bordo del suo vestitino, prese a sollevarlo. Molto cautamente. Il desiderio era feroce. Anche quello di non spaventarla troppo. Non appena sentì le sue mani sulla sua gonna, Shura guardò verso il basso. Il suo abito nero…

“Non posso. – Disse rapida, quasi timorosa. – Non oggi…” 

Mefisto comprese all’istante a cosa si riferiva. Sospirò profondamente. Già varie volte, gli era capitato di sognare un momento come quello, in compagnia della giovane ninja. Ma, adesso, doveva fermarsi. 

“Posso aspettare, Kirigakure – disse, invece, con voce bassa e roca – dimentichi, forse, che ho tutta l’eternità.” 

Shura uscì dalla stanza. Riuscì a smettere di guardarlo negli occhi, solo quando dovette aprire la porta, che la conduceva lontana dalla casa del demone. Quello che non sapeva, era che un paio di occhi rossi avrebbero continuato a fissare quella porta, ancora per diverso tempo. Colui che guardava nella direzione in cui era fuggita, si augurò, più volte, inutilmente, che la coraggiosa giovane scegliesse di tornare indietro.

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