Suicidal

di destroyvhvyre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** |1 ***
Capitolo 2: *** |2 ***
Capitolo 3: *** |3 ***
Capitolo 4: *** |4 ***
Capitolo 5: *** |5 ***
Capitolo 6: *** |6 ***
Capitolo 7: *** |7 ***
Capitolo 8: *** |8 ***
Capitolo 9: *** |9 ***
Capitolo 10: *** |10 ***
Capitolo 11: *** |11 ***



Capitolo 1
*** |1 ***


Stava piovendo.
Piano, era gocce piccole e leggere, ma erano lo stesso fastidiose.
Le strade erano bagnate, le luci dei lampioni si riflettevano sulle pozzanghere di acqua sporca.
Il ponte su cui stavo camminando, era attraversato da tante macchine, che correvano veloci, in modo frenetico, e non c'era nessuno nei marciapiedi.
Infondo erano le dieci di notte, chi doveva esserci per strada?
Io ero uscito da casa, e vagavo per le strade da più di mezz'ora.
Stavo camminando, guardavo l'asfalto bagnato, e tirando fuori il pacchetto di sigarette e l'accendino, me ne accesi una, probabilmente già la terza che accendevo da quando ero uscito di casa.
A casa non potevo fumare, così quando ero solo ed ero fuori coglievo l'occasione per fare quello che volevo fare, cioè fumarmi un po' di buon tabacco. 
La pioggia stava andando a diminuire, ma era sempre presente, e fastidiosa.
Le mie scarpe erano bagnate, così come alcune ciocche di capelli scuri che uscivano fuori dal cappuccio alzato e che non erano al riparo.
Mentre i miei piedi continuavano ad andare avanti, indistintamente vidi una figura in lontananza, dietro l'inferriata del ponte.
Non vedevo tanto bene, c'era poca luce.
Continuai avanti, finchè quella figura non diventò più distinta, nel buio.
In quel punto la luce di un lampione si gettava, dando un minimo di luminosità.
Avevo visto bene.
C'era qualcuno dietro l'inferriata del ponte.
Voleva buttarsi giù dal ponte?
Mi avvicinai ancora di più.
Sembrava un ragazzo, aveva i capelli davanti il viso, bagnati e appiccicati, teneva le mani nell'inferriata e guardava quello che c'era sotto il ponte.
Cioè due grandi strade e tante macchine che passavano sopra esse veloci.
-Hey...- dissi con voce preoccupata, un po' indeciso. Ormai però avevo parlato.
La testa di quel ragazzo si girò di scatto verso di me. All'istante buttai per terra la sigaretta e la calpestai con la scarpa per farla spegnere.
Mi concentrai sul ragazzo.
Aveva delle ciocche di capelli avanti il viso, le pupille degli occhi dilatate e nere come due pozzi di petrolio, delle occhiaie violacee che gli incorniciavano gli occhi.
Aveva le labbra secche, di un colore pallido, quasi quanto quello del suo volto.
Il cuore iniziò a battermi veloce. Si vedeva benissimo che non stava bene.
-È tutto okay?- chiesi, con voce velata. Avevo paura per quel ragazzo.
-Allontanati!- gridò. La sua voce si incrinava, come un vetro che si infrange in mille pezzi, e i suoi occhi, appena parlò, si spalancarono un po'.
Ebbi ancora più paura. -Ho detto di allontanarti! Vai via!- sembrava disperato.
Non posso lascialo qui. Pensai velocemente, parlando con me stesso.
Mi avvicinai di un piccolissimo passo, allungando di poco la mano destra.
-Senti, non farlo.- gli occhi del ragazzo erano grandi e scuri, che mi guardavano come a dirmi "perchè dovrei ascoltarti?"  e allo stesso tempo era come se non mi stessero completamente ascoltando.
-Non farlo.- ripetei.
Allontanò gli occhi dai miei, lo vidi tremare. Guardava di nuovo le strade sotto il ponte.
Senza pensarci due volte, allungai una mano verso di lui.
Rimasi fermo in quel modo, ma lui non la prendeva. Anzi, era ancora più sporto dietro l'inferriata.
Era una sensazione terribile, volevo fare qualcosa per lui, ma era una situazione talmente delicata, non potevo fare un passo falso, quel ragazzo avrebbe perso la vita.
-Va' via.- disse, a voce bassa e rauca.-dannazione, va' via!- sta volta lo gridò.
Ma io rimasi fermò dove ero.
Lo vidi chiudere gli occhi, lasciando cadere delle lacrime sul suo volto.
-Non farlo. Afferrà la mia mano, andrà tutto bene. Te lo prometto.- ribattei ancora, con voce ferma.
Sorprendendomi, il ragazzo allungò verso di me una delle sue mani incredibilmente tremanti, staccandola dall'inferriata arrugginita.
Sporsi la mia mano ancora di più verso di lui, e afferrai la sua.
Di quanto tremava quasi non tremai anche io, quando le nostre mani ebbero contatto.
Gli sorrisi debolmente.
Riuscii a fargli scavalcare l'inferriata al contrario, facendogli riportare i piedi sull'asfalto del ponte, dove anche i miei piedi si trovano.
All'istante svenne, accasciandosi per terra, ma io lo afferrai prontamente.
Aveva smesso di piovere, fortunatamente.
Il suo viso era sudato, bagnato dalla pioggia e dalle lacrime, i suoi capelli bagnati fradici.
Indossava una felpa nera, dei jeans logori e strappati in vari punti e dei stivaletti di pelle. Notai che il suo collo e i dorsi delle sue mani erano segnati da vari lividi e ferite.
Un senso di protezione verso quel ragazzo mi avvolse all'istante, scorrendomi dentro le vene col sangue, velocemente.
Riaprì gli occhi, ancora sconvolti.
-Stai bene?- gli chiesi, preoccupato.
Lui fece di no con la testa. E delle lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi.
-È tutto okay, è tutto okay.- gli dissi, guardandolo premuroso. Lo abbracciai, mi sembrava la cosa migliore e più sensata da fare. Lui rimase fermo, senza ricambiare l'abbraccio, ma andava bene così, era lui quello che aveva bisogno di aiuto, non io.
Dopo di che, visto che eravamo quasi seduti per terra, lo feci alzare.
-Hai un posto dove andare? Una casa?- gli domandai, perchè in ogni caso non avrei saputo dove portarlo.
Infondo era lo stesso uno sconosciuto, per me. Come io per lui d'altronde.
-Sì.- rispose lui debolmente, annuendo al contempo.
-Posso portarti lì?
Il ragazzo annuì di nuovo.
Mi feci dire la via, e dopo di che cercai di non dirgli più niente, mentre camminavamo e io lo reggevo perché camminava instabilmente.
Restandogli vicino sentii sulla sua pelle l'odore tipico dell'erba, della marijuana.
Non sapevo niente di quel ragazzo, sapevo solo che l'avevo salvato un momento prima che si buttasse giù da un ponte, visibilmente instabile e disperato, puzzava di droga e dalle occhiaie che aveva sotto gli occhi probabilmente, immaginai, non dormiva da giorni.
Ero talmente dispiaciuto e curioso allo stesso tempo che appena arrivammo davanti a quella che doveva essere casa sua mi sentii del tutto stordito, come se le mie gambe avessero percorso la strada senza che io le comandassi.
-Siamo arrivati?
-Sì.- si staccò da me. Adesso sembrava un minimo più stabile.
Aveva gli occhi grandi, e guardava a destra e sinistra freneticamente, come un cucciolo spaventato.
-Allora posso lasciarti qui?- il ragazzo annuì.
-Aspetta.- prima che potesse entrare dentro casa lo fermai. -come ti chiami?- gli chiesi ancora.
-Frank.- mi rispose guardandomi, mi sentii trafitto. I suoi occhi era carichi di tristezza, di malinconia, così pieni da risultare vuoti.
-Io sono Gerard. Qualunque cosa tu avessi bisogno, se hai bisogno di me, fatti trovare in quel ponte. Passo sempre di lì.-gli dissi, premuroso, sincero.
Non l'avrei più visto, probabilmente.
Ma ero lo stesso preoccupato per lui.
Più di quanto mi piacesse ammettere.
Il ragazzo, Frank, fece con la testa, aprì la porta scricchiolante e se la chiuse alle spalle.
Sospirai, stanco, con una strana sensazione addosso.
Mi incamminai verso casa, avevo bisogno di dormire.

Frank p.o.v.

Ci avevo riprovato.
Avevo provato di nuovo a togliermi la vita.
Ma quel ragazzo? Come aveva detto di chiamarsi? Gerard? Sì, forse sì.
Aveva voluto che io afferrassi la sua mano.
E mi aveva allontanato dalla morte a cui tanto anelavo.
Le ferite mi bruciavano, le contusioni e i lividi mi facevano male.
Era come una tortura.
La scuola era una tortura.
Ero entrato dentro casa mia, quella vecchia casa, ed era tutto al buio.
Andai semplicemente nella mia camera, e mi buttai sul letto, che scricchiolò, con i vestiti addosso, con i capelli umidissimi e vari dolori sparsi per tutto il corpo.
Tanto non avrei dormito.
Non ci sarei riuscito.
Non sarei voluto tornare dentro quella casa, dove a nessuno importava di me.
Ma dovevo, perchè, se non andavo lì, allora dove sarei dovuto andare? Non avevo nessun altro posto.
A nessuno importava di me, ormai neanche più a me stesso.
Sentivo la testa leggera e pesantissima allo stesso tempo.
Chiusi gli occhi, sentendoli bruciare, sentendomi schiacciato dal masso che sapevo di avere dentro di me.

Dovevo sopportare ancora.

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Capitolo 2
*** |2 ***


Gerard p.o.v.

Il giorno dopo andai a scuola come facevo ogni giorno.
Controvoglia, seccato, annoiato.
Ma c'era una sensazione diversa che mi tormentava, adesso.
Continuavo a vedere nella mia mente quel ragazzo, Frank, mi chiedevo dove era, con chi era, e soprattutto come stava.
Ma era normale da parte mia, no?
Il giorno prima l'avevo visto quasi morire.
L'avevo visto mentre, senza speranza, stava buttando via la sua vita.
Aveva afferrato la mia mano.
Avevo afferrato la sua.
Pensavo che forse ero riuscito a salvarlo, ma chi lo sapeva se per lui la salvezza era smettere di esistere?
Cancellai quel pensiero dalla mente.
Esistere era la salvezza.
Così tutti dicevano, e, anche se io di mio non ci credevo, mi sembrava abbastanza ridicolo, cercavo di farlo per Frank.
Perché credevo che per lui la morte non sarebbe mai stata la salvezza.
Mi era bastato guardarlo per un secondo.
I suoi occhi mi avevano già detto tutto, anche se lui non lo sapeva.
Quel ragazzo meritava di meglio, molto di meglio, e il fatto che probabilmente non l'avrei più visto lasciava una bizzarra sensazione dentro di me.

Nella pausa pranzo girovagavo per la scuola con le cuffiette alle orecchie, gli occhi ogni volta persi altrove.
Non avevo neanche fame.
Avrei voluto prendere un foglio e disegnare qualcosa, era l'unica cosa che mi piaceva davvero fare, disegnare, dipingere, ma il mio corpo aveva uno strano bisogno di muoversi.
Ed allora eccomi lì, che camminavo tra i corridoi di quella scuola colma di studenti.
Tutti con una storia diversa, tutti differenti e allo stesso tempo uguali.
C'erano i bulli, i secchioni, le cheerleader, i capitani delle squadre di basketball, i vip, o almeno, quelli che credevano di esserlo.
Erano tutti differenti, l'unica cosa che li accomunava davvero era che erano tutti studenti, adolescenti, ognuno con i propri problemi.
La campanella di fine pausa stava per suonare, quando vidi qualcosa che mi bloccò sul posto.
O meglio, qualcuno.
Che camminava piano verso la mia direzione nello stesso corridoio.
Era Frank.
Credetti di avere delle allucinazioni.
Era possibile, visto che non faceva altro che pensare a quello che mi era successo.
Frank era quello che mi era successo.
Era probabile che io lo vedessi anche a scuola, era la mia mente che mi giocava brutti scherzi.
Ma il ragazzo continuava a camminare a testa bassa, con le mani coperte dalle maniche lunghe della felpa che indossava.
Come mai era la prima volta che lo vedevo a scuola? Alla fine però ero felice di vederlo. Sorpreso ma felice, rincuorato.
Aspettai che fu abbastanza vicino a me per parlargli, per fermarlo. Sentivo il cuore che mi batteva nel petto in modo spasmodico.
-Frank.- dissi. Lo vidi sussultare letteralmente. Alzò lo sguardo e mi guardò, con i suoi occhi color nocciola, sotto quella luce un po' più chiari.
Continuava a guardarsi intorno, come impaurito, l'aveva fatto anche il giorno prima, davanti a casa sua.
Non capivo.
-Non ti ho mai visto qui.- continuai con tono di sorpresa.
Non rispose niente, solamente abbassò di nuovo lo sguardo.
-Stai bene?- sussurrai, avvicinandomi a lui, in modo che solo lui mi sentisse.
No.
Mimò con la bocca, senza emettere alcun suono.
Notai che aveva nuovi lividi che il giorno prima non aveva visto.
O erano nuovi, o semplicemente non li avevo visti prima.
Ed ecco che la mia voglia di proteggerlo tornava a farsi sentire.
Ma non sapevo cosa dirgli, cosa fare.
-Vuoi parlarne?- gli chiesi, guardandolo dritto negli occhi.
Quest'ultimi erano incorniciati da ciglia castane abbastanza lunghe.
-No.- disse sta volta ad alta voce. Continuò a guardarsi intorno, come in allerta. -fortunatamente oggi hanno già fatto. Avevo anche i lividi di ieri che mi fanno ancora male.-borbottò a voce terribilmente bassa.
-Fatto chi che cosa?- domandai, preoccupato, portandomi dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
Mi guardò con uno sguardo che mi diceva come "non andare oltre." E a malincuore, rispettai il suo volere. Rimasi in silenzio.
-Ci vedremo ancora.- ribatté, guardandomi e sorridendomi.
Era la prima volta che lo vedevo sorridere.
Era adorabile, un sorriso tranquillo, forse anche troppo, quasi da risultare triste.
Ci riflettei, e probabilmente, era davvero solamente triste.

All'uscita da scuola passai dal distributore automatico che era posizionato alla destra delle porte d'ingresso della scuola, fuori, per prendermi una CocaCola.
Infilai i soldi, e premetti il tastino per far uscire la bibita.
Dopo di che la presi, e mentre stavo aprendo la lattina, vidi, sdraiato a terra vicino alla panchina, qualcuno.
Ma riconobbi subito chi era.
Frank.
Lo riconobbi dalle lunghe maniche della felpa che gli coprivano parzialmente le mani.
Era buttato come uno straccio immediatamente accanto alla panchina di legno.
Rimasi a bocca aperta, non bevvi neanche un sorso della CocaCola che avevo appena comprato.
Mi diressi come in stato di ipnosi, a passo lento, senza batter ciglio, verso la panchina di legno.
Mi inginocchiai vicino Frank.
Ora ero certo che era lui.
Gli poggiai una mano sul braccio destro, era raggomitolato lì per terra, il cappuccio nero della felpa e i capelli gli coprivano il viso.
-Frank.
Scattò subito.
Si mise seduto, gli occhi color nocciola, adesso ancora più chiari di prima, tendenti al verde, erano formati dalle pupille nere dilatatissime, che lasciavano l'iride come un sottile anello colorato.
Era molto pallido.
-Ciao.- disse, e, anche se aveva pronunciato una sola parola, l'aveva detta in modo impastato, biasciando in un modo che quasi mi fece impressione.
-Che ci fai buttato qui per terra?- mi sorrise, senza un apparente motivo.  
Subito dopo tornò terribilmente serio.
-Non lo so.- rispose confusamente.
Mi sentivo davvero male.
Per lui.
Aveva un aspetto orribile.
Tralasciando il fatto che sembrava molto trascurato, con i capelli scombinati e la stessa felpa che aveva indossato il giorno prima, sembrava davvero sofferente.
E il senso di impotenza che sentivo era sopraffacente.
Si alzò improvvisamente, barcollando un po'.
Mi alzai con lui, preoccupato.
In tutta la mia vita, potrei giurare di non avere mai provato tanta preoccupazione per una sola persona, nel tempo di meno due giorni.
Anzi, non aveva mai provato preoccupazione per niente, o nessuno, che non fosse stato un mio stesso pensiero, o delle mie stesse paure.
Ma Frank.
Oh, per lui provavo così tanta preoccupazione che non avrei saputo più che farmene, ad un certo punto.
Ma alla fine quella preoccupazione mi serviva tutta, perché era lei che mi permetteva di muovermi, di scegliere cosa dovevo fare, per aiutarlo, o almeno provarci.
Ero pienamente convinto che era fatto.
C'erano tutti i sintomi.
Probabilmente cocaina.
Il giorno prima marijuana, adesso cocaina.
Come facevo a non preoccuparmi?
Certo, anche io ogni tanto facevo uso di marijuana, ma tutte le condizioni di Frank, messe assieme, avrebbero fatto venire i brividi di paura a chiunque.
-Ma stai tranquillo.- mi sorrise ancora. -come hai detto che ti chiami? Geoff...? Ge...gerald?
Sospirai. -Gerard.- rettificai all'istante.
-Oh, è vero. Gerard.- ridacchiò.
-Andiamo via di qua. La scuola è finita.- gli dissi, cercando di attirare la sua attenzione, così si girò verso di me.
Sì, proprio così, perchè guardava da tutt'altra parte, anche se io ero accanto a lui.
Annuì distrattamente. Vidi di sfuggita gli stessi lividi e gli stessi segni sul suo collo.
Era l'unica parta parzialmente visibile del suo corpo, tutto il resto, in un modo o nell'altro, era coperto.
-Oggi ho giocato un po' con degli amici.- fece per iniziare, sorridendo come un ebete. -È stato...divertente. Mi hanno chiuso dentro l'armadietto. Divertente, decisamente sì.- parlava e sembrava soddisfatto di quello che diceva. Mi concentrai di più nel farlo parlare, consapevole della stravaganza della cosa che aveva appena detto. Era un effetto possibile della droga, quindi non ci feci molto caso.
-Hai...molti amici?
-Oh, sì, abbastanza.- sorrise e annuì.
Intanto eravamo usciti da scuola.
Lui camminava un po' barcollando, ma riusciva a camminare senza bisogno di essere sostenuto.
Dove dovevo portarlo?
Riflettei un secondo, poi optai per un piccolo parco poco lontano dalla nostra attuale posizione.
Lui non faceva domande, non sembrava interessato su quello che stavamo facendo o dove stavamo andando.
Arrivammo quasi subito, e lui si sedette sull'erba verde e fresca.
Lì era un posticino gradevole e calmo.
Mi sedetti accanto a lui.
-Non ti avevo mai visto, a scuola.
-Sarà che non mi faccio vedere spesso. O semplicemente mi mescolo tra la folla.- non sorrideva o rideva più.
-Sì, può darsi. Neanche io mi faccio vedere spesso.- volevo farlo parlare il più possibile, così gli chiesi ancora: -che fai nel tuo tempo libero?
-Suono la chitarra. Mi piace tanto.- rispose, sdraiandosi sull'erba, sotto dei raggi chiari del sole.
Era una luce piacevole, perché non portava calore eccessivo.
-Davvero? Wow. Allora qualche volta devi farmi sentire come te la cavi.- gli sorrisi, il più gentilmente possibile. A dirla tutta non ero abituato per niente a farlo, a sorridere gentilmente, o semplicemente a sorridere in generale.
Mentre era sdraiato, tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette.
-Hai da accendere?- mi chiese, prendendosi una sigaretta dal pacchetto e rimettendoselo dentro la tasca dei jeans.
Cercai nelle tasche dei jeans.
Poi nelle tasche del mio chiodo nero.
Lì trovai l'accendino che avevo lasciato il giorno prima nella tasca sinistra.
Feci sprigionare la fiamma e la avvicinai alla sigaretta che Frank aveva tra le sue labbra, facendo infiammare la carta e il tabacco.
Espirò fumo, e dopo di che si sdraiò di nuovo, visto che si era messo seduto per farmi accendere la sigaretta.
-Grazie.- disse a bassa voce.
Io non avevo voglia di fumare, ero troppo perso tra i miei pensieri.
Guardai Frank, che ad occhi chiusi continuava a fumare.
I lineamenti del suo viso erano morbidi, perfetti per essere disegnati.
Se avessi avuto con me il mio bloc-notes, avrei avuto già una matita in mano e starei stato già a tracciare linee, per formare il viso del ragazzo che avevo sdraiato accanto a me.
Invece mi limitai a guardare, in modo quasi meccanico, una volta il cielo, una volta Frank.
Una volta Frank, una volta il cielo.
Finchè non mi fui completamente stancato di compiere quest'azione,
e mi concentrai solo nel guardare Frank.

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Capitolo 3
*** |3 ***


Cercavo quasi ogni giorno Frank, a scuola.
La maggior parte delle volte non lo trovavo, anche perchè non sapevo davvero dove cercarlo, e in verità non volevo neanche risultare appiccicoso.
Non lo ero, perciò non volevo rischiare di sembrarlo.

Stavo camminando con mio fratello Mikey, lungo un corridoio poco affollato.
Mikey era di qualche anno più piccolo di me, ma andavamo alla stessa scuola.
Lui al primo anno.
-Ti stanno bene, i capelli tinti così.- mi disse mio fratello, indicando con l'indice la mia testa.
Il giorno prima, prima di andare a letto, avevo deciso di colorarmi i capelli con una tinta che avevo comprato qualche settimana prima.
Adesso erano rossi, le ciocche non erano corte, ma piuttosto lunghe.
Già li amavo.
Il rosso era accesso, era praticamente impossibile non notarmi, il che da una parte mi dava fastidio, ma dall'altra mi piaceva.
-Senti Gee...- fece per iniziare mio fratello, io mi girai verso di lui per guardarlo e ascoltarlo.
-Qualche giorno fa ti ho visto all'uscita con Frank Iero.
-Come fai a sapere chi è?-lo interruppi all'istante.
Fino a quel momento non sapevo il cognome di Frank, sapevo solo il suo nome. Adesso lo sapevo.
Frank Iero.
-Beh, tra noi di prima girano voci su lui.- rispose semplicemente, scrollando le spalle. Ero sempre più curioso.
-Che tipo di voci?- aggrottai la fronte, aspettando una risposta da parte da mio fratello.
-Nulla di particolare. Tutti lo etichettano come sfigato, asociale, e roba varia, sai, le solite cose.- dentro di me montò la rabbia. -viene preso in giro spesso.- guardai mio fratello con astio.
-E tu la pensi anche così?
-Io non la penso in nessun modo. È vero che sembra davvero, sai, strano. Ma non lo conosco. Tu sì?- avevo deciso che avrei protetto Frank col silenzio.
-Ci ho parlato qualche volta.- non avrei parlato neanche con mio fratello del fatto che l'avevo conosciuto una notte, mentre stava per suicidarsi, e io solo grazie ad un colpo di fortuna ero riuscito a fargli cambiare idea, o almeno, ero semplicemente riuscito a non fargli commettere il suicidio.
Chi lo sapeva se l'idea di uccidersi vagava ancora dentro la sua mente?
E non avrei parlato neanche di altre cose che riguardavano Frank, con Mikey.
Non volevo aggravare la sua situazione.
Qualche minuto dopo lasciai Mikey con i suoi compagni, per uscire nel retro della scuola e andare a fumare una sigaretta.
Mi accesi la sigaretta, e inspirai il fumo, rilassandomi completamente contro il muro vecchio e pieno di scritte in cui ero appoggiato.
In pochi minuti riuscii a finire tutta la sigaretta, e in verità avevo voglia di fumarmene un'altra, ma la campanella di fine pausa pranzo stava per suonare, io non avevo mangiato niente, in ogni caso non avevo fame, e la mia voglia di stare seduto su una sedia ad ascoltare una lezione era pari a zero.
Ma dovevo rientrare per forza.
Percorsi il corridoio che portava nella classe di chimica, la materia che avevo in quell'ora.
Tenevo le mani nelle tasche dei miei jeans neri, e mi guardavo intorno poco interessato.
Stavo riflettendo su quanto la scuola fosse una seccatura, quando qualcuno mi sbatté contro, cadendo per terra.
Ritornai alla realtà, abbandonando i miei pensieri, e guardai la persona che si stava mettendo seduta, che si stava alzando.
Porsi una mia mano.
Riconobbi chi era la persona che stava afferrando la mia mano proprio dalla mano che prese la mia.
Era la mano di Frank, e, effettivamente, guardando bene dietro un ciuffo di capelli davanti il viso che mi ritrovavo davanti, riuscii a riconoscere Frank.
Riflettei su una cosa curiosa: prima di conoscere Frank non l'avevo mai visto o notato, invece adesso lo incontravo spessissimo.
Era sconvolgente.
Non spostò il ciuffo che gli copriva gli occhi, e non abbassò il cappuccio che teneva alzato sulla sua testa.
-Hey, Frank. Ti sei fatto male?- gli chiesi, piegando un po' di lato la testa.
-Oh, no. Cercavo proprio te, in verità.- sta volta fece un breve movimento di testa, muovendo un minimo i capelli che aveva davanti gli occhi, rivelando di poco il suo viso. -era da qualche giorno che non ci vedevamo, tutto qui.- mi spiegò, mostrando un piccolo sorriso. Era evidente che non era abituato a sorridere. Come me, d'altronde. Neanche ricordavo quali erano state le rare occasioni nella quale mi ero ritrovato a sorridere.
Probabilmente era il primo giorno da quando conoscevo Frank che non era fatto.
E non ci conoscevamo neanche da tanto, alla fine.
Pensai che Frank aveva un bel sorriso.
Era come quel tipo di cose che non vengono mostrate mai, e quando, una volta ogni tanto, vengono mostrate, risultano ancora più belle.
Così era il sorriso di Frank.
-Volevo solo...- si fermò un secondo, probabilmente per riflettere.-non so, ringraziarti. Per l'altro giorno. Che mi hai fatto alzare, da terra. Ero dannatamente fatto.- rise brevemente, in modo ingenuo. Si vedeva che era imbarazzato.
Si abbassò il cappuccio, aggiustandosi meglio i capelli scuri.
Gli sorrisi. -Oh, sì. Di nulla.- la campanella suonò.
-Bene, devo...devo andare.- dissi, facendo un passo indietro.
Frank annuì. -E comunque ti stanno benissimo i capelli così.- aggiunse alla fine mentre era girato di spalle e camminava, sparendo dalla mia vista.
Sorrisi per via del complimento che mi aveva fatto, anche se non ebbi l'opportunità di ringraziarlo.
Era stato carino da parte sua venire da me per ringraziarmi, perché, secondo un ragionamento mio, significava che era consapevole di quello che gli accadeva attorno.
E a volte non è per niente una brutta cosa, sapere cosa ci circonda.
Frank mi dava proprio l'idea di non essere mai presente, a quello che gli succedeva intorno.
Mossi i pochi passi che mi dividevano dal laboratorio di chimica, e dopo di che entrai nell'aula, accomodandomi in un posto a caso, il più possibile indietro.
Intanto che il professore spiegava delle formule di chimica scritte su una grande lavagna nera con un gessetto bianco, io mi concentravo su un foglio e sulla mia matita.
Avevo visto da poco Frank, quindi nella mia mente la figura del ragazzo era ancora abbastanza vivida da poter essere disegnata.
Iniziai disegnando i contorni nel suo viso. Passai gli occhi coperti dal ciuffo scuro di capelli, tracciai un piercing sul labbro, e poi il cappuccio alzato sulla testa.
Adoravo disegnare i particolari che notavo quando guardavo qualcuno.
Per quanto mi riguardava, Frank era pieno di particolari che ancora non avevo avuto la possibilità di scoprire.
Volevo scoprirli tutti.
Improvvisamente la voce del professore tuonò dentro le mie orecchie, facendomi quasi sussultare.
-Way? Che stai facendo?- alzai lo sguardo e vidi il professore vicino al mio posto, abbastanza vicino per vedere il foglio dove avevo disegnato Frank.
Mi sentii avvampare. -Ti sembra il momento adeguato per dare sfogo alla tua vena artistica? Se hai tanta voglia di fare altro durante la mia lezione, puoi benissimo andare fuori.-
fu così che mi ritrovai fuori dalla classe, col foglio dove avevo fatto il mio disegno piegato e stretto in mano.
Non era la prima volta che mi sbattevano fuori dalla classe, ma ogni volta era una rottura di palle.
I professori avevano sempre qualcosa da ridire, e io non avevo abbastanza pazienza per sopportarli.
Così gironzolai per la scuola, finché non arrivai ai bagni.
Erano un posto schifoso, dove a volte i ragazzi si portavano le ragazze, perciò ogni tanto si sentivano strani rumori e gemiti, ed era praticamente sempre sporco, i muri ormai coperti da scritte e disegni.
Non entrai lì dentro, ma dalla mia posizione, davanti la porta, vidi i soliti quattro bulli che, dentro un solo bagno, infilavano la testa di qualcuno dentro il water. Si sentiva il rumore dell'acqua, e le risatine dei bulli.
Era una scena che odiavo vedere.
-Dissetante, no, mezzasega?- disse uno dei bulli verso la loro vittima che io non potevo vedere, e gli altri ragazzi risero dietro lui.
Decisi che avevo visto, anzi, più che altro sentito abbastanza, e, siccome non avevo nessunissima voglia di intromettermi, visto che io da solo sarei stato pestato da loro quattro con sconvolgente facilità, andai semplicemente via, allontanandomi dai bagni, dai bulli e la loro vittima.

 

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Capitolo 4
*** |4 ***


Frank era praticamente sparito.
Non lo vedevo a scuola da giorni, più di una settimana.
Le parole che mio fratello, giorni prima, mi aveva detto, risuonavano ancora senza fermarsi dentro la mia mente.
"Sembra davvero, sai, strano."
Ma io credevo che Frank non era strano, ma semplicemente complicato, a modo suo.
Ma, come siamo abituati a fare noi uomini, appena non riusciamo a capire qualcosa la definiamo "strana".
In ogni caso, Frank non stava bene, e quello era sicuro.
E non era bello che veniva preso in giro. La odiavo, come cosa.
Al ritorno da scuola passai, come quasi ogni giorno, dal ponte in cui avevo incontrato per la prima volta Frank.
Che strano incontro, mi ritrovai a pensare.
Io, che non lo conoscevo, mi ero ritrovato nella posizione di convincerlo a tornare nella parte sicura del ponte, quando stava per buttarsi.
Guardai proprio nel punto in cui Frank quella notte era dall'altra parte del l'inferriata.
Nello stesso punto, però nel marciapiede del ponte, vidi la figura di Frank, seduto e con le spalle contro l'inferriata arrugginita.
Gli avevo detto che qualunque cosa avesse avuto bisogno, visto che passavo sempre da quel ponte, si sarebbe potuto fare trovare lì.
Affrettai il passo, e senza dire una parola, mi sedetti semplicemente accanto a lui.
Si girò subito verso di me, e io gli sorrisi.
Aveva gli occhi rossi e lucidi, i capelli scombinati.
-Che combini? Perchè non vieni a scuola?- gli chiesi, studiando l'espressione del suo viso.
Scrollò le spalle. -Non...non ne ho tanta voglia.- notai che adesso i suoi occhi erano di nuovo castani. Trovavo fantastico il fatto che i suoi occhi cambiassero di colore ogni volta che lo vedevo.
Erano sempre dal castano, al verde, a volte erano stati anche quasi dorati.
-Andiamo da qualche parte, Gerard. Non voglio tornare a casa, e in più ho una graande fame.- mi disse Frank, guardandomi con quei suoi occhioni grandi, e lucidi probabilmente per l'erba. Anche la fame, sicuramente, era dovuta all'erba.
-Perchè non vuoi tornare a casa tua?- gli chiesi mentre pensavo a dove portarlo e a dove fargli mangiare qualcosa.
-Odio quel posto...- smise di parlare, ma io rimasi in silenzio, aspettando che continuasse. -mia madre è costantemente depressa, buttata sul divano e sempre con una bottiglia di alcool in mano. Odio quel posto. Non è casa mia. Non la considero tale.- continuò, con voce triste, passandosi una mano davanti il viso.
-E tuo padre?
-Come se lo sapessi. Tutte le volte che ho provato a chiedere a mia madre la stessa cosa che mi stai chiedendo tu, o si è messa a piangere, o si è arrabbiata urlando e rompendo quello che aveva intorno, chiudendosi dentro se stessa per giorni. Tutte le volte, Gerard. Ho smesso di chiedere.
-Mi dispiace, Frank. Capisco che tu non voglia tornare mai lì.- Frank annuì, dopo di che mi alzai in piedi e gli porsi una mano per fare alzare anche lui.
-Cosa vuoi mangiare?
-Dei biscotti...?- più che affermazione sembrava che stava chiedendo a se stesso. -dei biscotti.- affermò subito dopo, rivolgendosi a me.
-Va bene. Allora ti porterò in un posto qua vicino dove fanno dei biscotti e del caffè da leccarsi i baffi.- Frank mi sorrise.
Iniziammo a camminare e in poco tempo arrivammo davanti un piccolo negozietto con un'insegna verde, che diceva "Cookies and Thea."
Ormai, di tutte le volte che ero andato lì, ero diventato amico con la proprietaria, una signora sulla cinquantina, con le braccia quasi interamente coperte di tatuaggi.
Era simpatica, e ogni volta mi offriva il caffè, il suo ottimo caffè.
Entrammo, e accorgendosi che ero io, mi salutò: -Ciao, Gee!
-Ehilà Annie.- sorrideva radiosa.
-Il solito posto?- mi chiese, vedendo verso me e Frank. Ogni volta che andavo da lei, lei mi riserva un posto dove c'era calma, in un angolo, dove potevo rimanere solo e in tranquillità, a bere un caffè e disegnare.
-Beh, sì, se puoi aggiungere un posto.- le risposi, indicando con gli occhi Frank.
La donna annuì e ci scortò verso un tavolo che ormai mi era familiare. Aggiunse una sedia, così Frank si sedette, e dopo di lui mi sedetti anche io.
-Porto il solito?
-Sì, ma aggiungi tanti biscotti.
-Con gocce di cioccolato, grazie.- parlò per la prima volta Frank per precisare, giocando con le sue stesse mani.
Annie si allontanò, lasciando me e Frank soli.
L'ambiente era piacevole, perchè la luce era soffusa e creava un'atmosfera che faceva rilassare.
Le pareti erano scure, con appesi quadri e foto vecchio stile di tanti personaggi famosi degli anni '80 e '90.
Quel negozietto era decisamente il mio posto preferito.
Quasi subito Annie tornò da noi. Mise davanti a me una tazza di caffè, e davanti Frank il piatto con tanti biscotti.
Per poco Frank non sbavava. Mi sarei fatto volentieri una bella risata, sembrava un cucciolo di cane attratto dall'osso che il suo padrone sta per lanciare.
Sorseggiai il mio caffè, divino come sempre, e osservai curioso Frank mentre prendeva in mano uno dei biscotti. Se lo portò alla bocca, e vidi la sua espressione cambiare totalmente: si vedeva che il biscotto gli stava piacendo.
Non riuscii a trattenermi dal sorridere come un ebete, mi scappò anche qualche risatina.
Al che Frank si distrasse dal gustarsi il biscotto, e mi guardò.
-Che c'è?
-No, è che sei buffo. Decisamente tenero. Ti porterò più spesso qui, ho deciso.- vidi il sui viso arrossire un po', e abbassò lo sguardo, prendendo un altro biscotto e mangiandolo.
Ero davvero felice del fatto che almeno per un po' di tempo quel ragazzo poteva avere la possibilità di fare qualcosa di piacevole, come mangiare dei buon biscotti, o semplicemente riuscire a sorridere.
Avevo scoperto una cosa in più su di lui, che non faceva che rendere la sua condizione ancora più complicata.
Frank non era strano.
E, se magari lo era, lo era solo perchè era diventato così senza sceglierlo. Senza aver avuto scelta.
Era succube delle cose che gli succedevano intorno, e non poteva sottrarsi, come quando una bomba esplode e chi sta vicino ad essa non può fare altro che subire il colpo.
-Tornerai a scuola?- gli domandai, finendo di bene l'ultimo sorso del mio caffè.
-Non so, penso di sì.- lui aveva appena finito tutti i biscotti, non aveva lasciato  neanche una briciola.
Chiamai Annie per il conto, e successivamente uscimmo dal negozio, Frank visibilmente soddisfatto.
-Grazie.- mossi la mano in aria.
-Di niente, davvero.- tirai fuori dalla tasca del giubbotto il pacchetto di sigarette, e me ne accesi una.
Il cielo ormai era tra il celestino, il viola, e il rosa.
Le giornate si stavano allungando, i tramonti stavano diventando sempre più belli.
Inspirai il fumo, beandomi d'atmosfera rilassata che aleggiava tra di noi.
-Adesso dove vuoi andare?
-Vorrei tornare a casa mia. Mi è venuto sonno...non vorrei rischiare di addormentarmi in piedi.- ribatté, grattandosi un sopracciglio e ridendo.
Ormai ero quasi completamente convinto che il viso di Frank fosse il più dolce che io avessi mai visto.
Dolce in un modo tutto suo.
Annuii, e iniziammo a camminare per tornare verso casa sua.
Mi sentivo come un genitore che si prende cura del proprio bambino, che dopo averlo reso felice perchè era fatto di erba e aveva fame, lo riporta a casa.
Considerando che i bambini non fanno uso di marijuana, non si drogano e non hanno fame per quello, quello che avevo pensato era solamente un riferimento ad una situazione tutta nostra. Mia e di Frank, soprattutto di Frank.
Dovetti correggermi, perchè non è che io mi prendessi cura di Frank, solo che stavo con lui, quando potevo mi accertavo di fargli avere quello che desiderava per renderlo un minimo più felice. Ancora dovevo conoscerlo bene, come lui doveva conoscere bene me.
Ma facevo quello che potevo.
Entro dieci minuti fummo davanti la casa di Frank.
Mi abbracciò, salutandomi, e io ricambiai l'abbraccio, stringendolo tra le mie braccia.
-Grazie di tutto.- mi sussurrò all'orecchio.
Slegò l'abbraccio e camminò verso casa sua, aprendo la porta e successivamente chiudendosela dietro le spalle, sparendo dalla mia vista.
Rimasi lì, proprio come avevo fatto tanti giorni prima, quella notte.
Me ne andai subito, muovendo i piedi lontano da lì, ritornandomene a casa.

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Capitolo 5
*** |5 ***


Mi sentivo felice.
A scuola avevano organizzato dei corsi di pittura e disegno, e io mi ero iscritto per partecipare.
Per una volta, in quella scuola che vedevo come una prigione, potevo fare qualcosa che mi piaceva fare, cioè disegnare.
I corsi si svolgevano due volte a settimana, il pomeriggio.
Avevo appena finito di firmare il foglio per l'iscrizione che avevo chiesto in segreteria, alla segretaria che non faceva mai niente di utile se non passarsi lo smalto rosso sulle unghia; almeno le avevo fatto svolgere il suo lavoro.
Era da poco suonata la campanella della pausa pranzo, ma io non andavo praticamente mai alla mensa, perchè c'era sempre troppa confusione e i tavoli liberi dove potevi sederti solo ogni volta non c'erano.
Mi limitai ad infilare i libri e i quaderni che non mi servivano dentro il mio armadietto maledettamente disordinato.
Si ci poteva trovare di tutto, dentro quell'armadietto.
Lo chiusi facendo una smorfia e mi appoggiai con le spalle ad esso, guardandomi intorno.
Mi staccai dal mio armadietto e incominciai a vagare, come facevo quasi ogni giorno, finché non vidi i soliti bulli a destra rispetto a me, nel corridoio.
Mi avevano sempre dato fastidio, erano tutti e quattro incredibilmente stupidi, ma se incontravano la persona giusta, cioè debole, timida, sensibile, non ci mettevano niente ad attaccarla e avere la meglio. 
In mezzo alla confusione creata dalle tante persone che camminavano e chiacchieravano, non riuscivo a distinguere bene cosa stavano facendo, sembravano tutti e quattro messi a cerchio. Poi scorsi il boss di loro quattro spostandosi, rivelando che avevano accerchiato un ragazzo. Il capo prese per la maglietta quel ragazzo di statura bassa.
Socchiusi gli occhi, per vedere meglio, visto che tante persone passavano davanti quello che stavo guardando.
Mi misi di un passo avanti, anche se la cosa non fece migliorare di tanto la mia visuale, ma almeno riconobbi chi era il ragazzo.
Il cuore mi saltò un battito.
Era il viso di Frank. Erano i capelli di Frank.
Era Frank.
-Ci sei mancato, Pansy, lo sai? Come mai non sei venuto? Avevi paura?- il tono di voce di quel bullo deficiente era scherzoso, acido, mi colpiva al petto anche se non stava parlando con me.
Era davvero Frank.
Frank non rispose nulla, si fece più piccolo, anche se il bullo lo teneva per la maglia. Fece per sbatterlo nel muro, e lì gli corsi incontro.
-Ma che cazzo fai?- ringhiai, andandogli vicino, guadagnandomi gli sguardi di tutti i bulli di sopra. -lascialo stare.
-Cosa vuoi?- sputò il bullo, senza neanche lasciare Frank.
Quest'ultimo non guardava nessuno di noi, teneva lo sguardo basso.
-Ti ho detto di lasciarlo.
-E perchè dovrei stare a sentirti?- mi guardò come se fossi un piccolo esserino che poteva schiacciare entro due secondi.
Ma non avevo paura di lui, volevo solo far stare bene Frank.
Avevo paura per lui, per Frank.
Perchè, forse, stavo iniziando a capire.
Uno dei bulli mi venne incontro, e mi buttò a terra, dandomi un calcio allo stomaco.
Non riuscii ad alzarmi subito, ma quando lo feci, i bulli erano spariti, Frank era accasciato contro il muro, con lo sguardo ancora basso, la felpa aperta, anche se di solito la teneva sempre chiusa.
Gli avevano rubato dei soldi prima che io intervenissi? Era probabile.
Mi avvicinai subito a lui.
-Dio, Frank, stai bene?- fece di no con la testa. Lo fece alzare, stringendolo a me mentre lo sorreggevo.
Andai fuori, mi sedetti sugli scalini e feci sedere anche lui.
Aveva lo sguardo perso. Mi sentivo male, davvero male per lui.
-Io...io non pensavo che quei bulli se la prendessero anche con te.- feci per iniziare, a voce bassa, guardandolo. Feci due più due... Quel giorno, quando era completamente fatto e l'avevo trovato buttato a terra, mi aveva detto che aveva giocato con i suoi amici, che lo avevano chiuso dentro l'armadietto, si era divertito...aveva detto le cose in quel modo solo per effetto della droga.
Parlava dei bulli.- non era la prima volta che ti attaccavano, vero?- fece di sì con la testa.
-L'altro giorno...nei bagni... Eri tu? Ti hanno messo la testa dentro il water?- gli chiesi ancora.
Annuì di nuovo. -E non è la prima volta.- aggiunse a voce terribilmente bassa.
Mi sentivo in colpa. Non mi ero reso conto di niente. Per tutti quei giorni. Quello aggravava ancora di più la sua situazione. Forse era la cosa peggiore.
Essere bullizzato.
Sentivo la rabbia che mi scorreva fiammante dentro le vene, con il sangue, quasi prendendo il suo posto.
Pensai alle parole di mio fratello...sul fatto che veniva preso in giro.
Lo abbracciai, sentendo un buco nel petto. Non era giusto. Frank non lo meritava. Che ne sapevano, tutti loro? Che ne sapevano di Frank?
-Mi dispiace, Frankie. Io...io non credevo ti succedesse tutto ciò.- sentii la mia maglietta bagnarsi da quelle che probabilmente erano le sue lacrime, e venne anche a me da piangere, per la rabbia, per il nervosismo.
Ma mi trattenni, lo abbracciai ancora e poi lo guardai fisso negli occhi.
-Aggiusteremo tutto, Frank. Okay?- lui annuì, aveva le solite occhiaie scure sotto gli occhi.
Mi tornavano in mente tutti i lividi che avevo visto nel suo collo e nelle sue mani. Era tutta colpa di quei bulli.
Non avrei permesso che Frank venisse trattato così di nuovo. Ci avrei provato, anche se sapevo benissimo che io ero uno solo, loro era quattro, avevano altri che li aiutavano, e da solo non sarei riuscito a fare qualcosa da subito.
Ma ci avrei provato, oh, certo che l'avrei fatto.
Per Frank, perchè non meritava tutto quello che doveva sopportare.
Non avevo mai provato una sensazione simile, di protezione verso qualcuno o qualcosa; ero sempre stato un tipo abbastanza insensibile verso le altre cose, con un senso della moralità alquanto basso, e un senso di giustizia non troppo alto, ma neanche inesistente.
Frank faceva accendere tutte quelle cose dentro di me, giustizia, protezione, sensibilità, facendole brillare come non mai.
Frank si alzò il cappuccio sopra la testa, prese una sigaretta e se l'accese, fumando e lasciandosi andare in una posizione comoda sullo scalino.
-Sai, ormai ci sono abituato.- disse poi, dopo qualche minuto di silenzio. Lo guardai, cercando di capire l'espressione del suo viso, ma non ci riuscii.
Fumava e guardava davanti a se, con occhi fissi: era impenetrabile.
-Non è giusto Frankie. Non devi esserci abituato.
Mostrò un sorriso triste.
-Lo so. Ma non ho altra scelta.- sorrise di nuovo, con quel sorriso malinconico che mi spezzava il cuore, e continuò a fumare, in silenzio.

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Capitolo 6
*** |6 ***


Ormai Frank passava tanto tempo con me, soprattutto a scuola.
La mattina veniva a salutarmi, passavamo tutto il tempo che potevamo a chiacchierare, e sembrava abbastanza calmo e tranquillo.
Ero disposto a passare anche tutta la giornata con lui, se questo riusciva a farlo stare bene, riusciva a calmarlo.
A ricreazione stavamo fuori, ma a volte non potevo stare con lui perchè magari capitava che in quel giorno il pomeriggio avevo il corso di disegno e pittura che amavo tanto e quindi dovevo finire qualche disegno.
Frank non si lamentava, mi lasciava andare e rimaneva seduto fuori.
Quando era così, che non potevo stare con lui, mi sentivo ansioso;
i bulli erano fonte della mia preoccupazione.
Era una questione seria, per me, e volevo seriamente vegliare su Frank, o almeno volevo provarci come meglio potevo.
Comunque Frank era sempre instabile, ogni giorno ormai mi aspettavo di tutto. Una volta era entrato a scuola ancora sbronzo.
L'avevo portato in bagno, ed ero rimasto lì con lui finché non era diventato un minimo più presentabile, cosicché nessuno si sarebbe accorto di niente.
Frank era dannatamente fragile.
E tutto questo né era la prova.
Mi dispiaceva così tanto che non potevo fare ancora di più di quello che facevo, ma ero consapevole che era un problema più grande di me, forse anche più grande di Frank.
-Hey, Gee, mi stai ascoltando?- la voce di mio fratello Mikey mi riportò alla realtà, distaccandomi dai miei stessi pensieri.
-Eh? Sì, scusa. Che dicevi?- Mikey mi guardò divertito.
-Ray, il mio amico. Fa una festa. Mi ha invitato, ma ha invitato anche te. Cavolo, tutti dicono che alle sue feste ci vanno un sacco di ragazzi popolari anche delle altre classi. Anche se lui è ancora in prima conosce un sacco di gente!- mi spiegò mio fratello, aggiustandosi gli occhiali sul naso, guardandomi contento. Mio fratello era un tipo alquanto timido, ma nel fattore amicizia e socialità, appena si scioglieva, stava simpatico a tutti.
Beato lui.
-E tutto questo quando?
-Oggi stesso. Lui comunque ci tiene a conoscerti, sei abbastanza conosciuto, qui in giro.- ero conosciuto? Mi venne da ridere.
-È come sarei riuscito a diventare così "conosciuto"?
-Gee, ti fai riconoscere subito. Ti descrivo: sei il ragazzo praticamente sempre vestito di nero, che non parla quasi mai con nessuno, che gira sempre per i corridoi della scuola e che si fa buttare fuori dalle classi durante le lezioni. E per di più adesso hai i capelli rossi, ti fai notare subito.- Mikey mi rispose come se tutte quelle cose erano ovvie, e probabilmente lo erano, ma a me non interessava seriamente. -non farmi queste domande ovvie.- aggiunse poi, ridendo.-quindi, che dici per la festa?
-Non lo so. Penso che vengo. Ma devo portare con me qualcun altro. Pensi si possa fare?
-Di chi si tratta?- mi rispose a sua volta con una domanda.
-Frank Iero.- mi guardò un attimo, i suoi occhi contenevano confusione e allo stesso tempo sorpresa e divertimento.
-Lo chiederò a Ray.- fortunatamente Mikey non mi fece domande, ma visto che io lo conoscevo davvero bene, notavo benissimo che era curioso, anche se non chiedeva. -oh, guarda, eccolo lì.- mi indicò un ragazzo che stava appena uscendo dal bagno, poi Mikey mosse la mano per farsi notare.
Il ragazzo, Ray, venne verso di noi
-Hey.- ci salutò semplicemente. Aveva i capelli ricci e castani.
-Questo è mio fratello Gerard.- Ray mi sorrise.
-Senti, alla tua festa, posso portare qualcun altro?- gli chiesi direttamente io, visto che era una cosa che riguardava me.
-Chi?
-Frank Iero.
-Oh, sì certo. Sono curioso di scoprire che effetto farà agli altri vederlo alla festa. Comunque per me non ci sono problemi.
-Va bene, grazie.- fanculo la sua curiosità e quella di tutti gli altri. Come se Frank fosse stato un esemplare raro di qualche circo. Dannazione, Frank era una persona.
E tutti erano così superficiali.
-Ciao, Mikey.- salutai mio fratello e me ne andai.
Dovevo parlare con Frank, dovevo dirgli della festa.
Uscii fuori dal portone della scuola, tanto era pausa pranzo, e negli scalini, come sempre, trovai Frank.
Ogni volta il mio cuore, quando lo vedevo, si apriva, come non aveva mai fatto con nessun altro. E nelle mie vene si diffondeva una gentilezza che non ero abituato ad avere.
Mi sedetti accanto a lui, e lui mi sorrise.
-Hey, Gee.
-Ciao. Aspettavi me?
-No, beh, se non fossi arrivato non avrebbe fatto niente.- indossava dei guanti neri con raffigurate le ossa della mano, era davvero fighi.
Siccome stava iniziando a fare un po' più caldo, non indossava la felpa, ma solo una maglia a maniche lunghe.
Ero sicuro che amasse le magliette e le felpe con le maniche lunghe che coprono un po' le mani, perchè indossava sempre questo tipo di felpe e maglie.

-Mi hanno invitato ad una festa, oggi. un amichetto del cazzo di mio fratello Mikey. Io ho accettato l'invito, ma ho chiesto se potevi venire con me.- feci per iniziare, guardandolo mentre percepivo i suoi occhi vagavare sopra il mio viso.

-Davvero?- chiese, aggrottando le sopracciglia scure.

-Sì, spero non ti dia fastidio. Non avrei accettato se non mi avesse detto di sì per fare venire anche te. Non c'è un motivo preciso per cui io gliel'abbia chiesto...ti volevo semplicemente con me. Non voglio lasciarti solo.- gli sorrisi, dicevo la verità. Mi stavo abituando a stare con Frank, stavo bene con lui, e se potevo, evitavo di farlo stare solo.
-No, è okay...basta che durante la festa non mi lasci solo in mezzo a quella gente che non conosco.
-Certo, ti ho detto che ho accettato solo perchè mi ha detto sì per fare venire anche te, non avrebbe senso che poi ti lascio lì solo e me ne vado in giro. Anche perchè non ho nessunissima voglia di partecipare ad una festa. Le odio, le feste.
-Anche io.- non mi sarei aspettato altra risposta da un tipo come Frank. Era ovvio che odiasse le feste. E secondo me odiava anche i posti affollati, ne ero sicuro.
-Allora vengo a casa tua a prenderti, sta sera.- lui annuì, guardandomi gentilmente.

Io e Mikey tornammo a casa assieme, come facevamo quasi sempre.
Mikey doveva chiedere ai nostri genitori della festa.
Appena Donna, nostra madre, tornò da lavoro, Mikey provò subito a parlargli della festa.
Donna lavorava in un supermercato come commessa e cassiera, niente di che.
Era il tipico genitore ansioso, paranoico, anche troppo.
Poi c'era nostro padre, Donald, il tipico patriottico e tradizionalista.
-Mamma, questa sera io e Gerard dovremmo andare ad una festa da un mio amico, possiamo?- chiese Mikey a Donna, che lo guardò mentre puliva i fornelli della cucina, già perfettamente lucidi.
Era un tantino fissata con la pulizia, soprattutto della cucina.
-Mh, sì. Basta che non fate niente di pericoloso. Conosci questo suo amico, Gerard?- domandò lei direttamente a me.
Io annuii.
-Rispettate il coprifuoco, e tu, Mikey, stai attento a tuo fratello. Mi fido, di te. Controlla che non faccia niente di sconsiderato.- la donna parlò come se io non fossi presente. Faceva ogni volta così, e io lo odiavo, letteralmente.
Io ero il figlio deludente, Mikey il figlio modello, gentile e rispettoso. Quello che doveva controllarmi, come se io andassi tutti i giorni a feste diverse a stuprare le ragazze nei bagni. Era così patetico, ma allo stesso tempo mi feriva. Mio padre la pensava allo stesso modo, e quando non c'era lui, mia madre diceva le sue stesse identiche cose, come se fossero stati collegati oppure come se si mettessero d'accordo prima su cosa dire.
In poche parole, sembrava quasi come se fossero delusi da me.
Al diavolo, non me ne importava niente, non era un problema mio.
Mio fratello si limitò ad annuire, consapevole che quell'atteggiamento da parte dei nostri genitori mi dava fastidio e mi feriva. Ne avevamo parlato parecchie volte, io e lui.
E infondo non era colpa sua, se venivamo etichettati entrambi.
Lui come quello responsabile, e io come quello irresponsabile.
Lascia lì mio fratello e Donna, e salii le scale verso la mia stanza, chiudendomi entro essa, per farmi una doccia e prepararmi per quella dannatissima festa, il che non mi rendeva per niente felice.
Ma a me importava solo il fatto che avrei visto di nuovo Frank.
A me importava di Frank.

 

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Capitolo 7
*** |7 ***


Passai a prendere Frank la sera, quando il cielo stava per scurirsi, tinto  di viola e rosa.
Bussai alla porta di casa sua, e mi aprì una donna, con i capelli scombinati e il trucco sbavato.
Era sua madre, dedussi.
-Sì?
-Sono qui per Frank.- le dissi, cercando di non fare caso all'aspetto pessimo della donna, che mi faceva uno strano effetto.
-Oh, sì.- lasciò la porta aperta ed entro un po' di più dentro casa. -Frank!- gridò con voce terribilmente instabile. -C'è un ragazzo qui per te.- detto questo, vidi la donna allontanarsi, senza neanche salutarmi, non che a me interessasse, e si mise sdraiata nel divano, sotto una coperta.
Qualche minuto dopo, scorsi Frank scendere dalle scale che portavano al secondo piano, e camminò verso di me.
-Scusa...scusa per mia madre.- mi disse all'istante, guardandosi indietro per un attimo, rammaricato e turbato. Mi spinse più indietro, fuori, e si chiuse la porta alle spalle.
Che brutta situazione. Era normale che Frank stesse male dentro casa con un'atmosfera del genere che aleggiava nell'aria. L'avevo respirata per un secondo e già mi ero sentito male, quindi immaginai quanto stesse male Frank.
Avrei voluto abbracciarlo senza lasciarlo più.
-È okay.- Frank aveva i capelli ordinati, o almeno accettabili, indossava dei skinny jeans neri strappati nelle ginocchia, una semplicissima maglietta nera e sopra essa una giacca di jeans. Non aveva gli occhi rossi o niente del genere, sembrava pulito, almeno per adesso.
-Puoi guidare? Possiamo prendere la macchina di mia madre, tanto non la usa.
-Sì, ho la patente ma non la macchina.- mi scortò verso il garage, e aprì la saracinesca, rivelando una stanza con dentro varia roba e al centro una macchina grigia e vecchia.
Mi sedetti nel posto del guidatore, e Frank si mise accanto me.
Prima di partire guardai come risultava il suo viso quando era pulito da ogni tipo di droga, e sembra dolce e calmo, dovetti constatare che era davvero grazioso, proprio bello.
Accessi la macchina e uscii dal garage, e cercai di ricordarmi mentalmente la strada che mio fratello mi aveva detto di percorrere per arrivare a casa di Ray.
La macchina della madre di Frank era rovinata e vecchia.
I sedili risultavano davvero tanto danneggiati, o meglio, erano molto usurati. In generale dentro quella macchina c'era un gran casino, bottiglie d'acqua vuote qua e là, peluche, proprio così, peluche vecchi e alcuni rotti, nei sedili di dietro. C'erano tante altre cose, su cui non potevo concentrarmi molto, perché dovevo stare attento alla strada, mentre guidavo.
Frank sedeva accanto a me in silenzio, adesso con una sigaretta tra le labbra, l'aria intorno sapeva di tabacco.
-Eccoci arrivati.- annunciai, mentre riconobbi la via che mio fratello Mikey mi aveva detto, in cui c'era la casa di quel Ray.
Mi aveva detto anche il numero civico, quindi riconobbi anche la casa.
Svoltai sulla piccola viuzza della casa e posteggiai la macchina a caso.
Scesi dalla macchina e aspettai che anche Frank scendesse.
Fuori dalla casa incontrai Mikey, che era andato alla festa con qualche suo compagno, non sapevo chi.
-Ciao, Mikey.- gli diedi una pacca alla spalla.
-Hey, Gee.- mi salutò, dopo di che spostò lo sguardo un Frank, che avevo al mio fianco.
Non riuscii a decifrare lo sguardo con cui guardava Frank, ma alla fine mio fratello era pacifico e calmo, non avrebbe mai guardato qualcuno con astio o repulsione.
Invece i tre amici che erano con mio fratello guardarono me e Frank in modo strano, fastidioso.
Come se io fossi stato una specie di domatore di scarafaggi, e in quel caso, Frank era lo scarafaggio.
Sorrisi acidamente a quei mocciosi e passai avanti, stringendo la mia mano attorno il braccio sinistro di Frank, portandolo con me via da lì, via da loro.
Già sentivo la noia scorrermi dentro le vene, fortunatamente avevo con me Frank.
All'entrata della casa incontrammo Ray, che ci venne ad aprire.
-Benvenuti.- sorrise ad entrambi e ci lasciò entrare.
Entrando si passava direttamente al salone, abbastanza spazioso, già pullulante di persone.
Non c'era musica, ed almeno questo era un sollievo.
Frank stava attaccato a me come un bambino timido alla propria madre, era tenero a livelli da diabete.
-Ora cerchiamo un posto calmo dove stare okay?- gli sussurrai, avvicinandomi a lui, con voce premurosa. Lui annuì, e continuammo il nostro giro per la casa. Arrivammo al piano di sopra, e scoprimmo che una delle tante camere da letto, da una finestra, portava ad un balcone.
Non era ampio, ma era abbastanza per stare io e Frank seduti, sulle mattonelle.
Ci sedemmo, mentre il brusio e la confusione del piano di sopra arrivava fino a noi flebile ma udibile.
Improvvisamente Frank mi guardò, e compiaciuto uscì fuori dalla tasca delle giacca due canne perfettamente arrotolate. Me le mostrò con fare vittorioso.
-Vuoi?- mi chiese, uscendo fuori l'accendino. Senza perdere un secondo annuì e presi la seconda. Accese la sua e accese anche la mia, inspirai il fumo, e mi rilassai contro le mattonelle fredde e dure. 
Frank mi sorrise, e rilasciò il fumo dalle sue labbra rosee.
-Dannazione, mi mancava.- commentai, riferendomi alla droga, alla marijuana. -comunque, io e Mikey abbiamo il coprifuoco a mezzanotte. È presto, ma i miei genitori rompono. Andiamo con la macchina di tua madre a casa tua, ti lasciamo e poi andiamo a casa nostra a piedi, io e lui. Va bene?
-Certo, okay.- anche se c'era poca luce, vedevo gli occhi di Frank già rossi e lucidi, e questo faceva risaltare di più il colore cangiante delle iridi.
Durante tutta la festa rimanemmo in quel balcone tutto il tempo, tranne qualche volta in cui io scendevo giù per accaparrarmi qualche bicchierino di vodka per me e Frank.
Eravamo fumati. E anche vagamente ubriachi, in modo quasi impercettibile.
-Prendi anche la mia, di canna.- gli dissi ad un certo punto. Lui aveva già finito la sua. Avvicinò le sue dita alla mia bocca, e prese la canna, fumando e facendo infiammare la sottile cartina e l'erba.
Eravamo uno accanto all'altro, con le gambe un po' piegate visto che non ci entravamo con le gambe completamente distese, e sembrava come se quella festa, tutte quelle persone, non esistessero.
C'eravamo solo noi. Io e Frank.
Avvicinai una mano ai suoi capelli e glieli scombinai teneramente, e lui mi sorrise come un ebete. Continuai a giocare con i suoi capelli scuri, sorridendo anche io, finché non guardai distrattamente il display del mio cellulare e scoprii che erano le dodici meno venti.
Io e Mikey dovevamo rientrare entro il coprifuoco, sennò dovevamo aspettarci una madre o un padre incazzati dietro la porta.
In caso contrario, se rientravamo in orario, loro neanche erano svegli, dormivano nel loro letto tranquillamente.
-È tardi...dio, che palle.- dissi, e vidi Frank mette il broncio. -dobbiamo scendere, devo dire a Mikey che dobbiamo andarcene.- Frank sbuffò come un bambino, così io gli accarezzai per l'ultima volta i capelli morbidi e mi alzai riluttante. Aspettai che anche lui fu in piedi, poi tornammo giù, dove adesso tutti ballavano a ritmo di una musica che non era troppo fastidiosa perché il volume non era esageratamente alto.
Cercai con lo sguardo mio fratello, invano, perchè in mezzo a tutta quella gente era impossibile trovarlo.
Non c'era neanche tanta luce, il che non aiutava minimamente. Mentre cercavo di incontrare con gli occhi la figura di Mikey e mi tenevo vicino Frank, i miei occhi arrivarono ad un'altra figura, che mi fece ribollire all'istante il sangue dentro le vene.
Era il capo di quel gruppetto di bulli che attaccava Frank.
Che ci faceva lì? Era stato invitato anche lui? Non ci credevo.
Nello stesso secondo in cui io stavo distogliendo il mio sguardo, mentre ballava con una ragazza si accorse di me e fra tutta la gente mi guardò. Sorrise, con quel suo sorriso odioso che faceva solo venire voglia di prenderlo a pugni fino a rompergli tutti i denti.
Si staccò dalla ragazza con cui stava ballando e si avvicinò di poco a me. Quando vide che avevo accanto a me anche Frank, il suo sorriso si fece ancora più grande, e rise.
-Sfigato! Ti porti a spasso quella mezzasega di Iero?- tutto quello che usciva fuori dalla sua bocca mi dava fastidio, era oltremodo irritante. La sua stessa presenza era irritante.
Guardai Frank per un secondo, guardava il bullo con occhi fissi e indecifrabili.
-Non mi chiamare sfigato, e l'unica mezzasega qui sei tu!- gli gridai, ringhiando come non avevo mai fatto. Un sacco di persone si girarono per guardare la scena, ma tutti guardavano praticamente solo Frank. 
-Avete visto? È venuto anche Iero, che coraggio!- continuò il bullo, parlando a quelli che si erano girati verso di noi. Tutti si misero a ridere, guardando Frank.
Adesso gli occhi di Frank erano lucidi, e non solo per l'effetto della droga, ne ero sicuro.
Chiusi le mani a pugno.
Vidi arrivare anche Mikey.
-Vai a farti fottere, bullo del cazzo.- attaccai a parole quel ragazzo, ma lui si mise semplicemente a ridere.
-Sì, sì, certo, tu invece occupati di Pansy, mi raccomando.- continuò a ridere come se tutta la faccenda era qualcosa di seriamente divertente.
-Fanculo!- gli dissi ancora, e strinsi Frank per il braccio.
-Mikey, fatti accompagnare da qualcun altro, okay?- avvisai quasi gridando mio fratello, che mi guardò e venne verso di me, facendosi spazio tra le persone. Alcune ridevano, altre semplicemente guardavano.
-Gerard...
-No. Fatti trovare a casa. Io accompagno Frank. Ne ho abbastanza, maledizione.- andai verso la porta di ingresso, tenendo Frank vicino a me. L'aprii, e quando finalmente fummo fuori, all'aria aperta, mi occupai di vedere come stava Frank.
Presi il suo viso tra le mie mani. Lo guardai. Aveva gli occhi estremamente lucidi, e tremava da morire.
Mi si strinse il cuore.
-Frank...- iniziò a piangere nello stesso momento in cui pronunciai il suo nome. Piangeva silenziosamente, le lacrime scendevano giù e segnavano le sue guance pallide.
Stava in silenzio, tremando, lasciando che le lacrime bagnassero i suoi occhi.
Lo abbracciai, forte, quasi da togliermi io stesso il respiro. -Frankie...mi dispiace. È tutta colpa mia. Io ti ho portato qui. Dio, mi spiace così tanto.- smisi di abbracciarlo, ma gli strinsi la mano e andai verso dove avevo posteggiato la macchina. Aprii lo sportello del passeggero e lo feci sedere, poi velocemente mi sedetti al mio posto del guidatore.
Accesi il motore della macchina, e mentre guidavo gli tenevo una mano.
Tremava...tremava tanto.
-Mi dispiace, Frank. - continuavo a ripetere, sentendo il cuore piangermi. Continuavo a guardare prima la strada e poi Frank. Frank e poi là strada.
Con la stessa mano con cui stringevo la sua, cercai di asciugargli le lacrime, gli accarezzai le guance accaldate.
-Stai bene?
-No.- disse finalmente, tra una lacrima e l'altra, singhiozzando.
Era la prima volta che lo vedevo piangere così tanto, ed era terribile. Non volevo vederlo piangere.
-Mi hanno preso ancora in giro...io non ce la faccio.- disse ancora, con la voce tremante. -non ce la faccio più. Tutti ridevano...mi deridono...perchè?- piangeva ancora di più.
È tutta colpa mia. Continuavo a pensare.
-Sono tutti stronzi, Frank.
-Non voglio più stare ad ascoltarli. sono così stanco...- guidai velocemente, ma non andai verso casa sua.
Andai verso la mia.
-Non ti porto a casa tua...va bene?- gli chiesi titubante. Immaginavo che tornare in quella casa non l'avrebbe aiutato affatto. Lui annuì, continuando a singhiozzare, mentre gli stringevo la mano. Con la mia guida veloce, arrivammo subito a casa mia. Posteggiai in un posto a caso la macchina, scesi dall'auto e strinsi tra le mie braccia Frank, come reggendolo, camminando con lui verso casa mia,
Aprii con le chiavi la porta, cercando di fare il meno possibile rumore.
Ero giusto in tempo, i miei genitori non erano svegli. Ringraziai Dio.
Continuai ad abbracciare Frank, mentre salivamo le scale.
Entrammo nella mia stanza, e chiusi la porta a chiave.
Levai da addosso Frank la giacca, lui era letteralmente a pezzi, le lacrime continuavano a rigargli il viso.
-È tutta colpa mia, Frank, perdonami.- lui mi guardò con occhi sofferenti.
Mi levai in fretta la felpa, senza staccargli gli occhi di dosso. -io ti ho portato lì.
-Mai più. Non lo farò mai più, Gerard.- cercò di asciugarsi le lacrime con la manica della sua maglia nera. Aveva gli occhi lucidi e arrossati, anche a causa della droga, e le occhiaie adesso erano ben visibili.
Io mi avvicinai a lui, e lo abbracciai ancora, ancora e ancora.
-Va bene, va bene, Frankie. Io non farò mai più uno sbaglio del genere.- lo guardai di nuovo, gli accarezzai una guancia, e pensai che era l'essere umano più fragile che io avessi mai visto e conosciuto.
Andava subito in pezzi, e ricomporlo era così dannatamente difficile, come un vaso di cristallo.
Lo portai in bagno, lo aiutai a sciacquarsi la faccia, e dopo di che lo feci sdraiare sul mio letto.
Mi misi accanto a lui, anche se il letto era effettivamente piccolo per due persone.
Continuai ad accarezzargli i capelli. -grazie per avermi portato qui.- mormorò con la voce rauca. Aveva smesso di singhiozzare e piangere, ma sembrava tristissimo, e tremava ancora, leggermente.
-Di nulla, Frank. Ho pensato che forse era meglio portarti qui.
-Hai pensato bene.- sussurrò di risposta.
-Posso abbracciarti ancora?- gli chiesi, spegnendo la luce. Adesso eravamo al buio, l'unica flebilissima luce proveniva da fuori dalla finestra semi aperta, da qualche lontano lampione dalla luce bianca.
-Certo.- la sua voce era ridotta ad un debolissimo mormorio. Lo circondai con le mie braccia, e mi tornò in mente quella notte, quando ci eravamo conosciuti.
Era svenuto per terra, e l'avevo abbracciato, anche se non lo conoscevo, l'avevo appena convinto a non buttarsi da quel ponte.
L'avevo abbracciato perché non sapevo cos'altro dovevo fare in quella situazione.
Mi lasciai cullare dal profumo di Frank,
mentre ascoltavo il suo respiro che piano piano andava tranquillizzandosi.
Era colpa mia, io l'avevo portato a quello festa, io l'aveva esposto.
Lo sapevo bene.
E mi dispiaceva così tanto.
Non l'avrei fatto più.
Non volevo vedere più Frank piangere in quel modo, mandava a pezzi anche me.
Sospirai, felice perché adesso si era tranquillizzato, tra le mie braccia, al buio.
Non ci avevo pensato due volte, l'avevo portato con me, e avevo calcolato subito che l'avrei fatto rimanere con me, avrei dormito con lui.
Ed eccoci lì, abbracciati, su un letto stretto per due persone, mentre probabilmente, dedussi da come il suo respiro era diventavo più regolare e lento, lui si era appena addormentato.
Mi lasciai andare anche io, stanco, sentivo come se al posto degli occhi mi avessero messo dei pesi di piombo.
In poco tempo, come non mi era mai successo, mi addormentai, anche io tranquillizzato, stretto forte a quel ragazzo, nel buio,
stretto forte a Frank.

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Capitolo 8
*** |8 ***


Mi svegliai, e mi girai dalla parte del letto, a destra, dove in teoria doveva esserci Frank, ma non trovai nessuno accanto a me. 
Mi stropicciai gli occhi, e sbadigliai, ancora stralunato. 
Se n'era andato prima?
Nonostante avessi dormito benissimo, quella notte, mi sentivo lo stesso stanchissimo, come se il mio corpo e il mio cervello non volessero svegliarsi e attivarsi. 
Mi misi in piedi, in ogni caso dovevo andare a scuola, mi lavai velocemente e mi vestii altrettanto velocemente, indossando i vestiti che avevo indossato il giorno prima, probabilmente.
Uscii dalla mia stanza, sbadigliando ancora, e nel corridoio incontrai Mikey. 
Ero contento che era tornato a casa tutto sano e salvo. 
-Hai portato qui Frank?- mi chiese, senza neanche salutarmi. 
-Sì...è stata una decisione presa all'ultimo momento. Perchè?
-Sai che di solito mi sveglio preso. Ho sentito la tua porta aprirsi e chiudersi, e quando sono uscito dalla mia stanza, ho visto di sfuggita la figura di Frank che scendeva le scale e se ne andava. Era prestissimo. Ero troppo assonnato, non ho neanche avuto il tempo per fermarlo.- allora Frank se n'era andato davvero prima. Volevo andare a scuola per vedere come stava. 
-Va bene, va bene, tanto adesso lo vedo a scuola.- mio fratello annuì, e scese le scale, andando in cucina per fare colazione. 
Io rientrai nella mia stanza, per prendere il mio zaino, dopo di che uscii di casa, senza mangiare, come al solito, dirigendomi direttamente a scuola. 
Mikey era sempre un ritardatario, non poteva rinunciare alla sua colazione.
Io trovavo che era più importante Frank, che una stupida colazione.
A piedi arrivai in pochi minuti a scuola, ed entrando dentro l'edificio cercai fin da subito Frank con gli occhi. 
Lo trovai poco dopo seduto per terra, contro un muro, con le cuffiette alle orecchie e il cappuccio sopra la testa, i capelli che gli coprivano il viso. 
Mi avvicinai a lui, ma non mi sorrise come faceva di solito quando mi vedeva.

Mi sedetti accanto a lui. Lo guardai ma lui non guardava verso di me.

-Come stai?- domandai, sinceramente in pensiero per lui. -Mio fratello mi ha detto che te ne sei andato via sta mattina molto presto.- bloccò la musica, e si girò verso di me, ricambiando i miei sguardi.
-Sì, non volevo dare fastidio, o comunque essere un peso. 
-Ma no Frank, non lo sei. Potevi tranquillamente rimanere. L'unico problema potevano essere i miei genitori, ma alla fine a me non importa di quello che pensano loro.- i suoi occhi mi guardavano calmi, quel giorno erano più scuri del giorno precedente, tendenti al castano.

-Ho un gran mal di testa...- disse poi, massaggiandosi le tempie e interrompendo il nostro scambio di occhiate. 
-Anche io, è sicuramente colpa della nostra fumata di ieri.- gli dissi sorridendo soddisfatto. Lui rise.
-Sicuramente.- il suo sorriso e la sua risata si spensero velocemente. -comunque, grazie per ieri. Per aver pensato che era meglio non portarmi a casa mia, per esserti preso cura di me.- continuò a guardarmi, e mi sentivo trappassare da quegli occhi tristi e grandi, caleidoscopici. 
Sì, caleidoscopico era l'aggettivo che più calzava a pennello su quegli occhi che sapevano come incantarmi, ogni volta.
-Non mi ringraziare, Frank. Anzi, a me spiace perchè ti ho portato a quella stupidissima festa.- fece spallucce, e mi sorrise, quasi come se volesse rassicurarmi.

Alla prima ora avevamo matematica entrambi, quindi dovevamo andare nella stessa classe. 
Ci alzammo, e mentre camminavamo verso l'aula dove si svolgeva matematica, Frank parlò di nuovo: -Gerard...ti sembrerà stupido da parte mia chiderlo...ma secondo te è vero che il suicidio, intento, uccidersi, è da codardi?- quella domanda che mi fece, con un tono titubante, all'inizio mi destabilizzò, per i primi secondi. Perchè me lo chiedeva? -dicono tutti così. 
-Non lo so, sinceramente. Penso sia tutta una questione che varia da persona a persona. Se sei abbastanza forte e ne sei consapevole, decidi di lottare. In ogni caso, Frank, il dolore è dolore. Va vissuto, e poi chiunque ha il diritto di soffrire, nessuno può venirmi a dire che il mio non è vero dolore perchè magari, quella persona che me lo dice, soffre di più di me. E' tutta una questione personale. Ma...perchè me lo chiedi?- gli domandai alla fine, dopo aver esposto il mio pensiero, così per come lo pensavo. Frank, che camminava accanto a me, mi guardava in modo insicuro e anche un po' imbarazzato. Oh, avevo così tanta voglia di abbracciarlo. Sembrava così fragile, volevo proteggerlo. 
-Non so, così, per curiosità- mi sembrava strano chiedere una cosa del genere per curiosità, ma lasciai perdere, anche perchè eravano vicini all'aula di matemtica.

Durante tutto il giorno sarei stato attento ai bulli che giravano per scuola. 
Guardavo da lontano Frank, o quando eravamo assieme mi guardavo semplicemente attorno. 
Non mi facevano paura, quei ragazzi, 
mi facevano provare solamente disprezzo.

Durante la lezione di matematica chiesi di andare in bagno, ero stanco di sentire il cervello pieno di numeri e lettere, numeri e lettere. 
Il professore mi lasciò uscire, così, quando mi ritrovai nel corridoio silenzioso, mi sentii meglio, come se fossi tornato a respirare, e l'aria fosse tornata a passare per i miei polmoni. 
Mi diressi verso i bagni, non troppo lontani da lì, ma appena arrivai davanti la porta dei suddetti servizi, qualcosa mi bloccò, letteralmente. 
O meglio, qualcuno. 
Era quel dannato bullo del cazzo. 
Il mio corpo, come reagendo alla sua presenza, iniziò a lasciare che la rabbia scorresse dentro di me, dentro le mie vene.
Ero come allergico a quello spaccone. 
-Levati.- gli dissi, con voce calma, fredda e dura come il ghiaccio. 
Fece una smorfia.
-Non permetto a nessuno di parlarmi così. Ieri sei stato davvero scortese.- il bullo, di cui non sapevo il nome perché non mi ero mai interessato, mi guardò con lo stesso sguardo di sempre, come se ero un essere inferiore rispetto a lui. 
Quasi senza che io me ne accorgessi, altri ragazzi spuntarono, andandosi a mettere accanto a quel ragazzo.
-Ti insegno chi comanda.- detto questo, più velocemente di quanto io potessi aspettarmi, mi afferrò per la maglietta, e mi tirò dentro il bagno, seguito dai suoi amici. 
Adesso avevo un po' di paura.
Non aveva mai avuto nessun problema con i bulli, fino a quel momento, forse perchè stavo a debita distanza da tutti e nessuno mi conosceva bene. 
Il bullo mi sbattè a terra, sentii il mio respiro smorzarsi. 
Non ero bravo nella lotta, o comunque in qualunque altra cosa che richiedesse movimento. 
Non sapevo come difendermi in modo efficace.
Un'altra volta,
un'altra ancora, 
mi sbattè ripetutamente contro le mattonelle fredde e sporche del bagno, mentre io mi sentivo svenire. 
-Lasciami...- dissi con la voce ridotta in un sussurro, cercando di difendermi, alzando le mie braccia, ma degli altri ragazzi mi bloccarono. 
Volevo solo che tutto quel dolore finisse. 
Chiusi semplicemente gli occhi, e nello stesso momento mi arrivò un pugno in faccia, non sapevo da chi proveniva. 
Mi sentii ancora più stordito. 
Ad un tratto il bullo mi lasciò, e cercai di accasciarmi per terra, ma mi stavano riempendo di calci, soprattutto allo stomaco. 
Aprii gli occhi, e vidi il bullo che si avvicinava al mio viso.
Nonostante in quel momento io fossi debole, sentivo ancora la rabbia farmi andare a fuoco, quando i miei occhi incrociavano i suoi.
Mi afferrò il viso con un mano, stringendo. Dopo di che mi sbatté per l'ultima volta la testa da qualche parte, non so se era il muro o il lavandino basso. 
-Impara chi comanda.- gli sentii dire, con voce più che soddisfatta. -oh, è salutami quella mezzasega di Iero. 
Si fece una risata, e poi uscì dal bagno, seguito dai suoi amici. 
Ora ero solo dentro quei bagni.
Boccheggiai, alla ricerca di un po' di aria per i miei polmoni. 
Mi infilai strisciando dentro un bagno, e chiusi la porta, appoggiandomi ad essa. 
Mi faceva male lo stomaco, e la testa mi pulsava come se al posto del cervello dentro la mia scatola cranica c'era un cuore che batteva forte. 
Mi portai le ginocchia al petto, chiudendo gli occhi, cercando di respirare regolarmente.
Tutto d'un tratto sentii il rumore tipico della porta dei bagni che viene aperta. 
Sentii dei passi veloci; qualcuno stava entrando dentro i bagni. 
-Gee?- una voce debole e titubante chiamò il mio nome, e io riconobbi subito di chi era: Frank.
Non ebbi la forza per rispondere. 
-Ge...gerard? Sei qui?- alla seconda volta che mi chiamò, riuscii a fare uscire almeno un suono dalle mie labbra.
-Mmh. Sono...sono qui.- risposi con una voce talmente fioca e rauca che mi feci spavento. 
Sentii i passi di Frank ancora più veloci di prima, dopo bussò proprio alla porta a cui ero appoggiato. 
Mi spostai un po' in modo tale che riuscisse ad aprire la porta.
Vidi il suo viso, e quando i suoi occhi incrociarono i miei, vidi la sua espressione cambiare totalmente. 
Si deformò a causa della preoccupazione.
-G-Gerard.- si abbassò per essere a livello mio, dopo essere entrato nel bagno stretto e aver chiuso la porta. -cosa è successo?- sembrava dispiaciuto e preoccupato. Io tremavo, per il dolore.
-I bulli.- dissi semplicemente. Era la mia prima esperienza contro di loro, non ero mai stato picchiato. 
C'è sempre una prima volta, 
pensai. 
E quella prima volta valeva se significava che potevo proteggere Frank.
Ma poi ci pensai meglio, e effettivamente capii che in quel modo non stavo proteggendo proprio nessuno, non stavo facendo niente di utile. Farmi picchiare non era nei miei programmi, decisamente no. 
-Cazzo.- sussurrò, avvicinandosi a me, abbracciandomi. Mi lasciai andare contro le sue braccia, sentendo il dolore pulsare nei punti dove mi avevano colpito. -puliamo il sangue, okay? Hai la fronte che sanguina...- mi disse, cercando di farmi alzare da terra. 
Mi sentivo tutto indolenzito. Facemmo pochi passi verso i lavandini, dove c'erano appesi anche degli specchi. Alcuni erano mezzi rotti, altri semplicemente coperti da strati di polvere e sporco. 
Mi guardai come meglio potevo in uno di essi. 
La mia fronte sanguinava davvero, avevo una ferita aperta piuttosto grande più su rispetto il sopracciglio sinistro. Frank bagnò della carta igienica con l'acqua, e dopo di che me la passò sulla ferita. Bruciava da morire. 
-fa' piano.- gli dissi, facendo una smorfia.
-È tutta colpa mia.- ribatté a voce bassa, mentre puliva il sangue che mi stava gocciolando sul sopracciglio. -è tutta colpa mia.
-Sta' zitto, Frank. Quello che succede a me è una responsabilità mia, non tua.- cercai di rendere il mio tono il più dolce possibile, ma era difficile.
-Se tu non stessi con me loro non ti prenderebbero di mira. Non ti hanno mai attaccato, fino ad adesso, non è vero? E' tutta colpa mia.
Gli presi il viso tra le mani. -È solo l'inizio, Frank. Li farò smettere. Sia con te, che con me se continueranno. 
-È come pensi di farlo?- sussurrò, con gli occhi lucidi, mentre continuava a levare il sangue dalla mia ferita. 
-Non lo so, questo si vedrà.
-Cos'altro ti fa male?
-La pancia. Penso che mi spunteranno parecchi lividi. E la testa.- mi guardai le mani. Erano rosse, e in alcuni punti graffiate, a causa del fatto che mentre mi avevano picchiato avevo provato a difendermi, senza riuscirci. 
Senza dire niente, Frank mi abbracciò di nuovo, mettendo una mano dietro la mia testa, accarezzandomi piano i capelli. Mi sarei potuto sciogliere per terra, da quanto il dolore si stava affievolendo lasciando spazio alla tranquillità e la calma. 
Arrivai alla conclusione che solo Frank, ogni volta, riusciva a darmi quell'effetto stupendo, neanche mio fratello Mikey c'era mai riuscito.
-Comunque, come mai sei venuto nei bagni?
-Non tornavi da un po' di tempo, mi sono chiesto dove eri. Così ho chiesto di uscire.- mi spiegò, intanto che eravamo ancora abbracciati, stretti uno all'altro. -vuoi andare in infermeria?
-No, meglio di no. È okay così. Ma non torniamo in classe. Non voglio farmi vedere in questo stato. Diremo dopo che stavo male o qualcosa del genere.- Frank annuì, e mi strinse ancora più forte, in modo gentile. 
Mi sentivo bene, al sicuro. 
E riflettei, in silenzio, che forse, tra me e Frank, si stava instaurando un rapporto bellissimo. 
Perchè eravamo lì uno per l'altro, ci sostenevamo. 
Lo apprezzavo, da parte di Frank, perchè era quello che aveva sempre più bisogno, era il più fragile. 
Ma c'era, lui c'era, anche quando era il più fragile, 
c'era anche a costo di frantumarsi più di quanto non lo era già. 
Lui c'era, ed infatti era lì, che mi abbracciava, e mi stringeva, mentre il mio corpo veniva attraversato da scosse di dolore. 
Insieme, forse, riuscivamo a ricomporre quello che era rimasto delle nostre anime, cadute a pezzi. 

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Capitolo 9
*** |9 ***


Come avevo immaginato, mi erano spuntati vari lividi nel petto e nello stomaco, conseguenza dell'essere stato picchiato da quei bulli.

Adesso ero dentro la mia stanza, seduto per terra, con una lattina di birra in una mano e un pennello nell'altra.
Davanti a me, avevo una tela, schizzata da vari colori. 
Era un disegno che dovevo fare per il corso di pittura e disegno, ma la mia creatività sembrava essere sparita, e fissavo quella tela da quasi un'ora. Nessun'idea aveva attraversato il mio cervello stanco, e mi sentivo sconsolato. 
Bevvi l'ultimo sorso di birra, finendo così tutta la lattina, e la buttai in un angolo della stanza, dove ce n'erano buttate altre due. 
Ad un tratto il mio telefono suonò.
Lo presi, era un messaggio da parte di Frank. Non mi mandava mai messaggi, o comunque non comunicavamo mai attraverso i messaggi, a scuola passavamo quasi tutto il tempo assieme. 
Ma quel giorno non era venuto a scuola. Erano passati un po' di giorni da quando i bulli mi avevano picchiato, e nonostante questo io avevo continuato a tenermi vicino a Frank, stando attento ai bulli. 
Lessi il messaggio:
Hey, Gee. Che fai?

In generale, adoravo quando, di presenza, Frank mi chiamava Gee.
Quelle tre letterine, quando le pronunciava, risultavano talmente dolci che ogni volta mi fermavo qualche secondo perchè dovevo riprendermi. 
Probabilmente le uniche due persone che mi chiamavano Gee, erano Frank e mio fratello Mikey. E la cosa mi andava assolutamente bene.

Sono a casa che provo a concentrarmi per disegnare qualcosa di decente ma non ci riesco.

Gli risposi subito, alzandomi da terra, e andando alla finestra, aprendola. 
Avevo voglia di fumare.
Presi il pacchetto di sigarette, prendendone una e prendendo l'accendino che ormai mettevo anche dentro il pacchetto per evitare di perderlo. 
Fumavo alla finestra, per evitare di fare sentire la puzza. Se i miei genitori avessero scoperto che fumavamo, sarebbero diventati delle bestie, e io volevo evitarmi rogne. 
Il mio telefono suonò di nuovo:
Allora posso venire da te?

Certo, ti aspetto.

Gli risposi e continuai a fumare la mia sigaretta, guardando fuori, gli alberi si muovevano grazie al vento, che passava leggero e fresco.
Avevo finito la mia sigaretta, e stavo per accenderne un'altra, quando sentii la voce di mia madre che mi chiamava, da giù.
-Gerard! C'è un certo Frank qui alla porta per te.- posai la sigaretta e l'accendino sul davanzale della finestra, e uscii dalla mia stanza, scendendo le scale. 
La porta era aperta, e mostrava Frank, che stava davanti l'uscio della porta. Andai verso di lui, e lo salutai.
-Entra pure.- gli sorrisi, sembrava un po' a disagio. 
Nonostante fosse la seconda volta che veniva a casa mia, sembrava imbarazzato. 
Ma infondo, la prima volta che era venuto a casa mia, era stato quando ce l'avevo portato io, dopo quella festa. Forse non valeva molto, visto che lui era sconvolto, io preoccupato per lui, ed entrambi eravamo fatti. Probabilmente nessuno dei due aveva fatto caso al fatto che era la prima volta che veniva a casa mia. 
Aveva anche dormito con me sul mio letto.
Lo presi per il braccio e salimmo le scale, dopo lo feci entrare nella mia camera e mi chiusi la porta alle spalle.
Si guardò intorno, come se era la prima volta che entrava dentro quella stanza.

Frank p.o.v.

La stanza di Gerard era grande, e abbastanza luminosa.
Anche alquanto disordinata, ma aveva un non so che di artistico.
Mi ero catapultato praticamente subita a casa di Gerard, perchè ero stanco di stare dentro casa, e se uscivo per conto mio, solo, andava a finire che mi drogavo o ubriacavo, e nessuno si sarebbe mai preso la briga di riportarmi a casa, di notte. Io da solo non l'avrei di certo fatto, di tornare a casa. Sarei rimasto fino al giorno dopo buttato da qualche parte in una strada isolata, al buio.
E poi, quel giorno non avevo ancora visto Gerard. 
Mi sentii a disagio, anche se effettivamente non era la prima volta che entravo dentro la camera di Gerard. 
C'era stata quella notte dopo quella festa...mi venivano i brividi solo a pensarci. 
Mi ero sentito malissimo, ad ascoltare quel bullo che mi prendeva in giro, e prendeva in giro anche Gerard, gratuitamente. 
Ma io ero debole. E non mi sapevo difendere, non più. 
Ormai nella mia mente tutti loro avevano ragione, tutti quelli che mi prendevano in giro, che mi picchiavano e mi emarginavano. 
Loro avevano ragione, e i miei pensieri al riguardo ormai si erano ridotti semplicemente ad un "hanno ragione loro. Stai muto e subisci." oppure "non puoi fare niente. È colpa tua, sei tu che sei così." Ormai ero quasi sicuro che anche la mia mente mi era nemica. 
Ma io non sarei mai cambiato per gli altri. 
Non sarei mai cambiato solo per fare piacere a qualcun altro. 
-Come mai non sei venuto a scuola, oggi?- la voce gentile di Gerard mi riportò alla realtà. 
Si era messo alla finestra, e stava fumando una sigaretta.
-A causa di mia madre. Oggi era peggio degli altri giorni. Ogni tanto capita.- Gerard mi guardò dispiaciuto e comprensivo, senza rispondere. 
Già, mia madre. Era un gran casino. 
La mattina di quello stesso giorno non ero potuto andare a scuola, perchè appena mi ero svegliato, avevo sentito la sua voce disperata, traballante e fragile che gridava il mio nome.
Ero sceso di corsa.
Come quasi sempre, era ubriaca, con gli occhi ridotti a due fessure rosse e lucide, i capelli scombinati, sporchi e annodati, i vestiti non se li cambiava probabilmente da giorni. 
Piangeva come una forsennata, non accennava a smettere, e farfugliava cose incomprensibili. 
Tutte le volte che avevo a che fare con mia madre per più di un minuto, iniziava il dolore, per me. 
Mi sentivo male, con il morale a terra. Il mio cervello si ricordava che era lei mia madre, che vivevo in quella realtà, e non potevo scappare. 
E poi tornavo a pensare a tutto quello che subivo anche a scuola, e precipitavo vorticosamente dentro l'oscurità che avevo dentro. 
Non ne potevo più. Verso l'ora di pranzo, mia madre si era finalmente addormentata. 
Non avevo mangiato niente, per pranzo, mi ero rinchiuso nella mia stanza, mi ero seduto in angolo, portandomi le gambe al petto, e avevo cercato di trattenere il tremolio delle mie mani, senza risultato. 
Dopo mi ero deciso a scrivere a Gerard.
Avevo seriamente bisogno di lui. 
Ed, adesso che ero con lui, mi sentivo un minimo meglio. Ma non volevo parlargli di tutto quello che succedeva dentro di me, non volevo essere un peso per lui. Già non mi capacitavo del perché stesse ancora a parlare con me. Perché, fin dall'inizio, aveva cercato di aiutarmi. 
Perché?
Lo meritavo? 
No. 
Gerard finì la sua sigaretta, e si avvicinò a me, che ero ancora fermo, in piedi. 
-Va tutto bene adesso?
-Sì, si è calmata.- gli risposi subito, annuendo. 
-No, intendo dentro di te. È tutto okay?- mi guardava, e mi sentivo perforato da quegli occhi verdi. Quella domanda ebbe lo stesso effetto dei suoi occhi: mi perforò. 
Ma era bello che si preoccupasse di come stavo. 
Continuò a guardarmi, aspettando che io rispondessi. 
Mi sedetti per terra, a gambe incrociate, vicino alla tela mezza colorata a cui Gerard sicuramente stava lavorando. 
-Non lo so. Ora che sono venuto qui sto un po' meglio. Ma ti assicuro che non è piacevole vedere mia madre che grida e piange come una pazza. Era anche maledettamente ubriaca.- Gerard si avvicinò di nuovo a me, sedendosi però di fronte la tela, vicino me. 
-Mi dispiace così tanto, Frankie.- mi poggiò una mano nel braccio, e quest'azione servì a calmarmi. 
Aveva la pelle pallida, ma liscia e perfetta. 
Le sue mani erano davvero belle. 
-Va bene così, non preoccuparti.
-Ma non si può fare niente, per tua madre?- mi chiese, continuando a tenere le gemme verdi che erano i suoi occhi su di me.
-È andata diverse volte in quei posti per gli alcolisti. Ma non è mai servito a niente. Poi secondo me, in tutti questi anni è peggiorata, mentalmente...non dovrebbe essere lei a prendersi cura di me, Gerard? Non dovrebbe essere così? Sono io suo figlio, non è il contrario.- sentii la mia stessa voce incrinarsi, per colpa del dolore che minacciava di mostrarsi attraverso la mia voce, fuori dalla mia bocca. 
Sentivo un groppo fastidiosissimo alla gola. 
Non volevo mostrarmi così, ma non avevo controllo su tutto quel dolore. -non è forse così? Io non saprei cosa fare per aiutarla anche solo un minimo...- dopo questa frase, il groppo si fece ancora più fastidio, e senza neanche accorgermene, mi scappò un singhiozzo. E delle lacrime stavano anche scendendo dai miei occhi. 
Cercai di asciugarmi le guance, ma ovviamente Gerard lo notò lo stesso. 
Mi guardò afflitto, come se poteva sentire tutto il dolore che sentivo io, e lo sentiva allo stesso identico modo.
Si fiondò vicino a me, mi abbracciò così forte che quasi non potevo respirare. Ma tanto non potevo respirare già di mio, il mio pianto stava andando ad aumentare.
Perchè dovevo essere così tanto fragile? 
Odiavo essere fragile, odiavo le mie fragilità, 
odiavo me stesso. 
-Frank, ti prego, non piangere. Non è colpa tua. Hai assolutamente ragione. Non è colpa tua.- sussurrò Gerard, con preoccupazione e tristezza nella voce. -ti prego, odio vederti piangere.- smise di abbracciarmi, si concentrò nell'asciugarmi le lacrime. 
Non potevo fare a meno di singhiozzare e continuare a piangere.
Quando il mio dolore si mostrava, non riuscivo facilmente a riportarlo dentro di me, a riportarlo dentro la scatola in cui lo tenevo chiuso. 
Feci uno sforzo enorme, ma dopo altre lacrime e altri singhiozzi, riuscii a fermarmi. 
Attirai a me Gerard, perché quando stavo abbracciato a lui mi sentivo bene, mi sentivo a casa.
Ed era la sensazione più bella che nella mia vita avevo la possibilità di provare. 
Dopo un po' di tempo di rimanere abbracciati, fui io a spezzare l'abbraccio. -devi lavorare alla tua tela, non voglio farti perdere tempo.- borbottai impacciato. Lui mi guardò per l'ultima volta, con apprensione, con i suoi occhioni chiari e contornati da lunghe ciglia scure, e dopo di che prese tutto l'occorrente per disegnare, colorare e pitturare.
Mise per terra, vicino a se, tanti pastelli; almeno venti pennelli di misura e durezza differenti; tanti colori di tutti i tipi, erano soprattuto colori acrilici; prese tante matite, tutte che sembravano avere la grafite di colore diversa una dall'altra. In alcune sembrava più scura, nera, in altre più chiara, leggermente più grigia.
-Senti Frank...- fece per iniziare a parlare lui, spostando lo sguardo dalla tela a me. -potrei disegnare te? La consegna era di fare un dipinto, su tela, a piacere, con tanti colori. Vorrei tanto poterti disegnare.- lo guardai e gli sorrisi, facendo di sì con la testa.
-Ma certo. Sono curioso di vedere cosa ne viene fuori.- avevo visto Gerard disegnare parecchie volte. Disegnava davvero benissimo, 
io, per esempio, ero tutto il contrario. 
Non sapevo neanche mettere sul foglio, disegnando, il famoso omino stilizzato che tutti sanno fare. 
Gerard era talentuoso, era bravo davvero. Sentendo la mia risposta, Gerard mi sorrise radioso. 
-Okay, allora non ti alzare, e non cambiare di troppo la tua posizione. Se non ti da troppo fastidio, ovviamente.- parlò mentre prendeva in mano una delle tante matite. 
-Nessun fastidio.- dopo di che mi limitai ad osservare meglio la camera di Gerard.
C'erano due scaffali, di fronte me, uno a destra e uno a sinistra della finestra spalancata, pieni di fumetti. Alla mia destra, invece, accanto al letto, c'era una pila di Cd, messi in un apposito scaffale, e vicino ad essi una grande scaffalatura a muro mostrava tanti vinili. 
Io amavo i dischi in vinile, avevo anche un giradischi, ma purtroppo non avevo abbastanza soldi per comprarne altri oltre a quei tre che avevo. 
Nella stessa scaffalatura c'erano delle statuine di supereroi e soldati, erano delle miniature bellissime, fatte bene. 
La stanza di Gerard, conclusi alla fine, era davvero un posto bellissimo, anche se intorno c'era tanta confusione e disordine. Era bella anche così. 
Riportai i miei occhi su Gerard. 
Stava disegnando sulla tela il mio viso, ogni tanto tornava a guardarmi. Notai che mentre disegnava stava canticchiando, a voce bassa, ma era adorabile, e la sua voce era bellissima, anche quando cantava. 
Comunque immaginai che prima aveva bisogno di fare una bozza, e poi avrebbe pitturato con i colori. 
Non ero bravo in queste cose.

Circa un'ora dopo, Gerard stava rifinendo i dettagli del dipinto. 
Mi aveva lasciato andare almeno in bagno, fortunatamente, durante tutto quel tempo. 
Il dipinto sulla tela era stupefacente. 
C'erano tanti colori, per la maggior parte erano tutti chiari. La cosa che rendeva unico il dipinto era che le linee del mio viso venivano definite dai colori, che erano uno in contrasto con l'altro.
Quando alla fine me lo mostro tutto soddisfatto, perchè l'aveva finito, mi complimentai con lui. 
-Gerard, è bellissimo. Sei bravissimo.- lui mi sorrise a trentadue denti. 
Aveva il viso stanco, si vedeva che si era concentrato senza smettere un secondo sul dipinto. 
-Ora riposati un po'.- ribattei, addolcendo il mio sorriso. 
-Chiedo a mia madre di prepararci qualcosa da mangiare. Sto morendo di fame.- mi disse, alzandosi da terra. Io rimasi seduto. 
-Hai una sigaretta per me? Ho dimenticato le mie a casa.
-Certo, il pacchetto è sul davanzale.- detto questo, aprì la porta e mi lasciò solo nella stanza. 
Mi alzai e andai alla finestra, e mi accesi una delle sigarette del pacchetto di Gerard. 
Mentre ancora fumavo, tornò dentro la stanza, con un vassoio di sandwich. 
Scherzando, venne verso di me, e mi prese la sigaretta dalla bocca, fumandosela lui, ridendo. 
-Hey! La stavo fumando io!- protestai, ridendo e mettendo il broncio come un bambino che non viene accontentato. Mi ridiede la sigaretta, e si mise a mangiare i sandwich. Dopo aver finito la sigaretta, mi misi a mangiare con lui. Fu solo allora che riflettei sul fatto che non mangiavo da quasi un giorno, ma non avevo mai fame. 

Ritornai a casa mia poco dopo aver mangiato un sandwich con Gerard.
Il ragazzo mi aveva detto, gentilmente, che se volevo potevo anche rimanere ancora, se non volevo tornare a casa mia. 
Avevo rifiutato e me n'ero andato lo stesso, prima di cambiare idea.
Non volevo tornare a casa mia, sarei voluto rimanere con Gerard, ancora e ancora, ma dovevo vedere come stava mia madre.
Ero preoccupato per lei, nonostante tutto.
Misi in off tutte le mie emozioni, preparandomi a vivere di nuovo e ancora dentro quella casa, dentro quella che era casa mia. 

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Capitolo 10
*** |10 ***


Gerard p.o.v

Eravamo a maggio, e questo significava, per me, una sola cosa:
nonna Helena veniva a farci visita.
Ogni anno, a maggio, anche se veniva altre volte durante l'anno, veniva per un weekend intero a casa nostra.
Io e Mikey eravamo sempre felici di quella cosa, perché Helena era una nonna fantastica, anche se aveva deciso di cambiare città dopo che nostro nonno, suo marito, era morto.
Aveva deciso che era meglio, per se stessa, cambiare un po' di abitudini, era sempre stata una donna esuberante e senza paure, se doveva fare una cosa la faceva e basta, così era andata a vivere in una nuova casa, in un'altra città, da sola.
Si occupava dei suoi tanti gatti, del suo giardinetto, e dipingeva ogni qualvolta che aveva l'ispirazione.
Avevo preso da lei la passione per il disegno e la mia bravura, e di questo ne ero molto grato.
Inoltre mia nonna era sempre stata una specie di idolo, per me, fin da quando ero piccolo.
Proprio perché era sempre stata esuberante, la adoravo, era gentile con me e Mikey, forte di carattere, e poi ci "proteggeva" sempre dai nostri genitori quando capiva che non avevano ragione.
La adoravo anche perché, quando doveva, non si fermava dal rimproverare sua figlia, nostra madre, quando attuava qualche comportamento errato; succedeva molto spesso, quindi la riprendeva molto spesso, e io mi sentivo come se veniva rivendicato qualcosa di mio.
Insomma, mia nonna, Helena,
era in tutto e per tutto una donna fantastica.
In quel momento mi stavo recando a scuola, ero passato da casa di Frank per andare a scuola con lui.
Camminavamo uno accanto all'altro, Frank, accanto a me, quel giorno, era anche più taciturno del solito.
Indossava una maglia blu abbastanza larga a maniche lunghe, e i suoi inseparabili jeans esageratamente strappati nelle ginocchia, con tanti fili del tessuto che penzolavano.
-Oggi pomeriggio mia nonna arriva da noi, non so se potremmo fare qualcosa insieme.- lo informai.
Eravamo arrivati a scuola, e stavamo entrando.
-Oh, fa niente.
-Vieni lo stesso da me, poi quando arriva lei si vede. Magari portati la chitarra, voglio sentirti suonare, lo sai, vero?- lo guardai e gli sorrisi malizioso. Mi guardò e sorrise timidamente, arrossendo leggermente, e annuendo.
Ma quanto era adorabile?
Quel giorno non avevamo lezioni in comune, e io dopo scuola, per un ora, avevo il corso di disegno, quindi riflettei che probabilmente non avremmo avuto tempo da passare almeno un po' assieme, lì a scuola.
Eravamo già in ritardo per le nostre rispettive lezioni.
-Ci vediamo a casa mia, tanto sai quando finisce il mio corso di disegno. Se oggi a scuola non abbiamo possibilità di vederci, stai attento ai bulli. Quando e se ho tempo ti vengo a cercare. A dopo.- lo salutai celere, scompigliandogli teneramente i capelli morbidi e scuri, prima di allontanarmi per raggiungere l'aula di storia, la prima materia che avevo quel giorno. 
Durante tutta la lezione continuai a disegnare in pezzetti di carta il viso di Frank, visto da diversi punti di vista, e pensai tutto il tempo a quanto mia nonna mi mancava.
Ormai disegnare il volto di Frank per me era diventata un'abitudine, l'avrei potuto disegnare anche ad occhi chiusi, avrei potuto tracciare in aria i contorni del suo viso anche senza guardare che gesti facevo.

Come avevo immaginato, non avevo trovato neanche un momento per parlare almeno un po' con Frank o anche solo per cercarlo e assicurarmi che stesse bene.
Stavo appena uscendo dall'aula del corso di disegno.
Avevo consegnato la mia tela, quella del dipinto di Frank di cui andavo tanto fiero.
La professoressa si era complimentata con me, e mi aveva ripetuto, come faceva praticamente sempre, che ero uno dei migliori. Ero contento che almeno qualcosa di me venisse apprezzato da qualcuno.
Oltre il disegno, sentivo che di me, di Gerard Way, tutto quello che mi rendeva me stesso, era tutto da buttare.
Tutto spazzatura.
Filai dritto a casa, ero stanco e avevo voglia di buttarmi a letto, ma non ne avevo necessariamente bisogno, perché avrei passato il mio tempo con Frank, il che aveva lo stesso effetto di un pisolino super rigenerante, tanto per rendere l'idea.
Quando arrivai a casa, trovai un Mikey raggiante per l'imminente arrivo della nonna Helena, e dei genitori assenti perchè erano andati un po' - molto - prima, all'aeroporto, per andarla a prendere.
Solitamente, il pomeriggio, Mikey se ne stava dentro la sua camera a giocare ai videogiochi e mangiare schifezze, quindi non avrebbe dato fastidio a me e Frank.
Ancora sinceramente non mi spiegavo come Mikey riuscisse a rimanere un fottuto stecchino, anche se mangiava tre mila porcherie al giorno.
Lo invidiavo, ma neanche tanto, alla fine io non sentivo praticamente mai la necessità di mangiare, soprattutto cose dolci o porcherie.
Pochi minuti dopo che mi sistemai meglio, indossando una tuta comoda nera, la porta di casa suonò.
Andai ad aprire, ed era Frank, che entrò dentro casa mia sorridendo.
Aveva con se una custodia che sicuramente racchiudeva una chitarra.
-Mi sono dimenticato l'amplificatore.- mi comunicò mentre salivamo le scale. Non c'era una volta che Frank non si dimenticava qualcosa.
-È okay, anche mio fratello suona la chitarra, dovrebbe avere tutto quello che ti serve. È una chitarra elettrica, no?- annuì di risposta. Lo feci entrare nella mia stanza, e io mi recai da mio fratello.
-Puoi prestarmi la roba per la chitarra elettrica?- lo interruppi mentre giocava al computer. Lui annuì distrattamente, quindi io mi avvicinai all'angolo dove teneva la sua chitarra, l'amplificatore e tutto il resto. Prima che uscissi dalla sua camera parlò di nuovo: - a cosa ti serve?
-Frank ha portato la sua chitarra.- non aspettai che rispondesse, quella roba pesava tantissimo, quindi tornai nella mia stanza e mi chiusi la porta alle spalle. Frank si era seduto sul mio letto, e stava tirando fuori la sua chitarra.
Era bianca, e si vedeva che la usava molto ed era vecchiotta.
Nonostante tutto mi sembrò davvero bella.
Frank la guardava e la accarezzava come se fosse stata la cosa più preziosa di tutta la sua vita, come se silenziosamente riuscisse a comunicare con il suo strumento, con una lingua speciale e segreta.
Lo osservai ancora un po', beandomi della sensazione che mi trasmetteva: sembrava delicato, chiuso dentro se stesso in modo così assoluto da risultare forte e distaccato da tutti.
Ma in quel momento si vedeva, si vedeva che non era nient'altro che fragile e delicato. E si stava mostrando proprio a me così, non potevo fare altro che sentirmi felice che condividesse se stesso così tanto, con me.
Improvvisamente si girò verso di me, come se si fosse accorto della mia presenza lì solo da quel momento.
-Grazie.- mi rivolse un sorriso dolce, che ricambiai, mentre collegavo vari cavi all'amplificatore, che poi Frank collego alla sua chitarra.
Rimase seduto in un angolo del mio letto, io mi sedetti a terra, a gambe incrociate, di fronte lui, aspettando che suonasse qualcosa.
Smise di rivolgermi occhiate, si concentrò solo sulla sua chitarra.
Dopo qualche secondo, iniziò a suonare, prima lentamente, come se stesse abituando le corde della sua chitarra ad essere sfiorate, e in modo graduale sempre più velocemente.
Le sue mani danzavano tra i capotasti della chitarra, e quest'ultima, come felice di quel contatto, ricambiava, gridando e rilasciando note che graffiavano l'aria.
Frank stava ad occhi chiusi mentre suonava, un ciuffo di capelli gli copriva parzialmente il viso, lo trovavo semplicemente stupendo.
Mi lasciava senza fiato, come un bel dipinto su cui degli occhi si appoggiano per la prima volta.
Vogliamo parlare del modo in cui suonava?
Oltre al fatto che mi sembrava davvero bravo, ci metteva così tanta passione che sembrava posseduto, come se suonava per dare voce a cose che neanche lui conosceva bene.
Era sicuramente così. Cose che lui non conosceva bene, di se stesso.
Mentre suonava muoveva leggermente la testa, accompagnando i movimenti di una delle gambe che teneva il tempo, e a voce terribilmente flebile, canticchiava qualcosa, ma lo sentivo a malapena, i suoni e le note della chitarra sovrastavano tutto.
Qualche minuto di puro paradiso dopo, Frank smise di suonare, lasciandomi in uno stato di trance totale. Mi guardò, così riuscii a tornare in me.
-Sei...sei fantastico. Suoni benissimo.- lo vidi arrossire vistosamente, era adorabile.
-Grazie mille. Penso che sei il primo che mi sente suonare, soprattutto suonare in questo modo.- mise enfasi nelle ultime tre parole, e capii subito quello che intendeva.
In quel modo, cioè con così tanta passione, mettendosi a nudo, parlando senza parole.
-Beh, è giusto che tu sappia che sono onorato.- abbassò lo sguardo arrossendo di nuovo.
Si morse il labbro inferiore, giocando con il piercing che aveva a sinistra del labbro. -una curiosità...le hai messe assieme tu tutte queste note?
-Sì. Potrei cantarci sopra delle frasi che ho scritto, ma non lo faccio mai.- con me l'aveva fatto, probabilmente non se n'era neanche accorto, così non glielo dissi.
-Allora è proprio una canzone!- non era da tutti scrivere un testo ed adattarlo a delle note, Frank era bravissimo.
Nel cielo, in quel momento, la luce e il buio si stavano scontrando. Il buio si stava affermando, lentamente e pigramente, lasciandosi dietro tonalità blu e celestine.
Le poche sfumature delle luce consistevano in macchie allargate che si riflettevano sulle nuvole, rendendole rosa e arancioni.
Trovavo il tutto molto artistico, proprio come il ragazzo che mi trovavo davanti, Frank.
Era un gran bel pezzo di arte.
L'arte non è stereotipata, non è qualcosa che si mostra sempre in modo uguale. L'arte è qualcosa che riesce a stupire sempre, che si mostra in modi diversi, infinite volte.
Ed è proprio per quello che non tutti la apprezzano, quell'arte che non è mai uguale.
Ma poi arriva sempre qualcuno che in quell'arte ci trova qualcosa di fantastico, ed è lì che diventa vera e propria Arte.
Frank era proprio così. Non era uguale agli altri, non veniva apprezzato, era complicato, era semplicemente se stesso.
E nessuno di prendeva la briga di vedere che forse l'apparenza a volte inganna, io direi sempre.
Ma io riuscivo ad apprezzare Frank.
E riuscivo a capire quanto valeva, quanto meritava, quando invece non aveva proprio niente, tra le sue mani, se non le schegge e i pezzi della sua anima infranta che non riusciva a ricomporre.
Mi accorsi solo in quel momento che ci stavamo fissando senza dire niente da qualche minuto. Stavo per aprire la bocca, quando sentii la porta di casa, giù, aprirsi, accompagnata dal rumore di alcune voci.
-Sono i miei genitori, sicuramente c'è anche mia nonna. Scendiamo, okay?- annuì guardandomi un po' insicuro, così aggiunsi: -non preoccuparti, mia nonna non farà niente che potrebbe metterti a disagio. È fantastica, vedrai.- gli regalai un sorriso rassicurante, e aspettai che posasse la chitarra sul letto e si alzasse. Scendemmo giù.
Appena vidi mia nonna il mio guardo si illuminò, andai verso di lei, e mi abbracciò, come faceva sempre.
-Nipotino mio.- mi sussurrò, baciandomi una guancia, guardandomi contenta. Dopo di che guardò Frank, che era rimasto leggermente indietro.
-E lui chi è?- gli rivolse uno sguardo gentile e curioso.
-Frank, è un mio compagno di scuola.- Frank si fece avanti, porgendo una mano verso Helena.
-Piacere, sono Helena.
-Io sono Frank, piacere tutto mio.
-Perchè non fai rimanere il tuo amico anche per cena, Gerard?- propose la nonna, rivolgendosi a me, ma guardando mia madre, Donna.
-Per me non c'è nessun problema.- ribadì Donna, con tono atono.
Io guardai Frank, cercando consenso da parte sua.
Lui annuì semplicemente.
In tutto questo, mio padre era sparito, si era occupato di portare le valigie di Helena su, nella camera degli ospiti dove dormiva lei quando veniva.
Mio fratello fece la sua comparsa, tutto allegro e contento, e abbracciò Helena che ricambiò l'abbraccio il triplo più contenta di vedere suo nipote Mikey.

Mia nonna e Donna si erano occupate della cena. Quando Helena cucinava, come quasi ogni nonna, tutti rimanevano a cena per ore, di quanto era abbondante tutto quello che c'era in tavola.
Mia nonna stava incominciando a rivolgere incuriosita domande a Frank, che rispondeva tranquillo e un po' a disagio. Ero seduto accanto a lui, speravo che questo riuscisse a tranquillizzarlo un po' di più. Vedevo mio padre che lo scrutava con uno sguardo strano, indecifrabile ai miei occhi.
-Cosa ti piace fare nel tempo libero?
-Suono la chitarra.- mia nonna mostrò un'espressione sorpresa. La conoscevo bene, e da come poneva le sue domande a Frank, in modo curioso, riuscivo a capire che il ragazzo le stava piacendo.
-Vi conoscete da tanto?- sta volta risposi io:
-Un mesetto, credo, non di più.-
dopo altre domande, che Frank sopportò in silenzio, mia nonna si dedicò completamente a mangiare, come facemmo tutti.
Le ginocchia mie e di Frank si sfioravano, e trovavo rilassante quel contatto, era come avessimo avuto il bisogno di sentire che eravamo uno accanto all'altro.

Dopo cena, Frank rimase ancora un po' con me, gli parlai di mia nonna, di dove viveva e come passava le giornate, sembrava interessato, come se non si stancasse mai di sentirmi parlare e raccontare degli altri.
Quando Frank se ne andò, erano già le dieci.
Mentre stavo per risalire le scale per andare in camera mia, mio padre mi fermò.
Era rimasto taciturno per tutto il tempo, in verità mi aveva turbato un po', conoscevo bene quel suo atteggiamento, significava che aveva qualcosa da ridire.
-Da dove è spuntato quello lì? Sembra un drogato.- beh, in primis, Frank si drogava davvero, occasionalmente, ma in ogni caso mio padre non aveva nessun diritto di parlare di lui in modo così sprezzante.
-Primo, si chiama Frank, non quello lì, o drogato. Secondo, non sono affari tuoi, cosa è Frank.
-Sono affari miei, quando porti qualcuno dentro casa mia. Vivi ancora qui, fino a prova contraria, Gerard. Quindi sono decisamente affari miei.
-Fantastico. Fai quello che vuoi, ma ti prego, non condividere il tuo disappunto con me.- feci per andarmene, aprendo la porta della mia camera. -ah, e per la cronaca, Frank è un tipo apposto.- aggiunsi poi, senza neanche girarmi, parlando con tono incurante, dopo di che mi chiusi la porta alle spalle.
Non mi interessava se mio padre pensava quelle cose di Frank, non mi interessava davvero.
Mi recai nel mio bagno, mi lavai il viso, per rinfrescarmi, mi levai la tuta e mi misi il pigiama.
Nello stesso momento in cui stavo alzando le coperte sopra il mio corpo, la serratura della porta, scattò, segno che qualcuno stava entrando.
Guardando meglio, vidi che era mia nonna, Helena.
Aveva in mano una tazza di tè fumante.
Si sedette in silenzio nel bordo del letto.
-Ti disturbo?- mi chiese, sorridendo leggermente.
-No, no.- Helena amava il tè, una volta mi aveva detto che il tè rilassa le membra, così di conseguenza fa rilassare tutto il corpo, soprattutto la mente. C'erano certe erbe che addirittura facevano addormentare dopo pochi minuti.
Io, in ogni caso, preferivo il caffè.
-Davvero conosci da solo un mese Frank?- mi chiese di punto in bianco, dopo qualche secondo di silenzio. Voleva parlare di Frank, l'avevo già capito.
-Sì. Perchè?
-Sembra che vi conoscete da anni. L'hai conosciuto a scuola, come ha detto lui?
Non risposi subito, mi presi un momento per riflettere. Potevo dire tutto, a mia nonna.
-No.- mi guardo con uno sguardo che diceva "lo immaginavo." -ti sembrerà strano, e triste, preoccupante...ma stava per buttarsi da un ponte. Stava per suicidarsi. L'ho convinto a non farlo, non so neanche io come ci sono riuscito.- mi lasciai andare, raccontando l'accaduto a mia nonna. Era la prima persona a cui lo raccontavo, oltre a tutte le altre volte che l'avevo raccontato a me stesso.
Di rimando mia nonna mi guardò incuriosita e vagamente preoccupata.-pensavo che non l'avrei visto mai più. Invece il giorno dopo l'ho visto a scuola. Non l'avevo mai notato a scuola, ci credi? Da quel giorno passiamo tanto tempo assieme. Ha una situazione complicatissima.
-Siete legati, Gerard. L'ho notato subito. Forse non te ne rendi conto, ma i vostri occhi, quando si scontrano, sprigionano qualcosa. Soprattutto ho capito tutto dal modo in cui ti guarda. Come se farlo riuscisse a salvarlo ogni santa volta.- le parole di mia nonna mi sorpresero, mi lasciarono in trance. -c'è qualcosa di forte tra di voi. Gerard, quel ragazzo sembra praticamente dipendente da te, da come ti guarda. E tu lo sembri pure, nei suoi confronti. È davvero bello, lo sai? Non ti è mai successo niente del genere, con nessuno, neanche da piccolo.- fui capace solo di annuire. Gli occhi chiari di Helena mi stavano scrutando dentro, e non mi dava per niente fastidio. -continua a proteggerlo, Gerard, continuate a proteggervi a vicenda.- improvvisamente mia nonna si alzò, bevendo il suo tè.
-Buonanotte.- mi sussurrò, prima di uscire dalla mia stanza, chiudendo la porta. Io rimasi immobile, mi sentivo intorpidito, sentivo il cervello che rallentava i processi di elaborazione di quello che mi succedeva intorno.
Con un movimento secco spensi la luce del lumetto, e affondai tra le coperte.
Rimasi ad occhi aperti, fissando il soffitto.
Le parole di mia nonna mi vagano in testa come un eco che si ripete tra le pareti di una grotta.
Aveva notato tutto, solo durante una cena. Aveva capito qualcosa a cui neanche io facevo caso.
In quel momento, riflettendo sulle parole di Helena, avevo solo voglia di abbracciare Frank, di tenerlo vicino a me, proteggendolo.
Rimasi ad occhi aperti, continuando a pensare a quanto mia nonna avesse ragione.
Aveva ragione. Io avrei continuato a farlo, avrei continuato a proteggerlo.
Dovevamo continuare a proteggerci a vicenda, e avevo proprio la sensazione che nessuno di noi due avrebbe smesso.

 

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Capitolo 11
*** |11 ***


Durante tutto il weekend, passai molto tempo con mia nonna Helena.
Andammo insieme in un negozio d'arte, mi comprò dei colori e dei pennelli nuovi, insistendo sul fatto che non dovevo pagare io, perché era un regalo per me da parte sua.
In quei giorni non vidi nemmeno una volta Frank, solamente una volta mi aveva chiamato al telefono, per sapere che facevo, e avevamo parlato un po'.
Ma per il resto non ci eravamo visti, e sinceramente parlando, mi mancava.
Domenica sera avevamo accompagnato Helena all'aeroporto, io, Mikey e i miei genitori, e, come sempre era successo, lasciare Helena mi creava un po' di dispiacere.
Quando c'era in giro lei io mi sentivo compreso, mi sentivo veramente a casa, con una persona uguale a me con cui avevo tanta confidenza.
Ma infondo io rispettavo la sua scelta di stare lontano dalla città in cui viveva prima, nella sua casa, e rispettavo il fatto che aveva bisogno di stare bene, e crearsi uno spazio tutto suo la faceva stare bene, quindi era okay anche per me.

Il giorno dopo, mi ero diretto verso casa di Frank per andare a scuola assieme.
Appena vidi il ragazzo lo abbracciai, così, senza pensarci troppo.
Sentivo ancora dentro la mia mente le parole di mia nonna, che mi cullavano come si cullano i bambini, dolcemente.
Frank ricambiò il mio abbraccio, e tra le mie braccia sussurrò semplicemente uno "ciao" flebile flebile. Notai che aveva gli occhi lucidi, come se fosse stato lì lì per piangere. Ero sicuro che era sempre a causa dell'atmosfera che respirava dentro casa sua.
Andammo a scuola.
Nei corridoi, i bulli ci presero di mira.
-Ciao Iero, Ciao Way.- ridacchiarono tra di loro. Avrei voluto prendere a pugni tutti. Frank rimase lo stesso con lo sguardo basso, come faceva sempre, soprattutto in presenza dei bulli. Odiavo vederlo così sottomesso.
Quei bulli non meritavano niente del genere.
Con la mia mano sinistra gli strinsi il braccio. Alzò il viso, ed era proprio quello che volevo che facesse.
Mentre passavamo vicini ai bulli, alzai il dito medio, mostrandolo a tutti loro, sorridendo sprezzante ad ognuno di loro.
Volevo fargli arrivare quel messaggio: per quanto mi riguarda potete tutti andare affanculo.
Mi guardarono malissimo, soprattutto il solito capo che si sentiva quello più importante.
Non mi fermai troppo a guardare cosa volevano dirmi con lo sguardo, ero sicuro che comunque non era niente di bello, ma alla fine non mi importava.
Dovevano capire che dovevano lasciarmi in pace, e sopra ogni altra cosa, dovevano lasciare in pace Frank.
Frank rimase silenzioso, non potevo sapere cosa gli passava per la mente, e non avevo neanche il tempo di chiederglielo, perché dovevamo andare entrambi alle nostre rispettive lezioni della prima ora.
Mi salutò con un gesto della mano, e ci separammo.

Alla ricreazione, ero seduto negli scalini, nello stesso posto di sempre, che mi fumavo una sigaretta.
Non c'era traccia di Frank.
Qualche minuto dopo, quando la mia sigaretta si stava trasformando ormai in una mozzicone corto, Frank fece la sua comparsa, sedendosi silenziosamente accanto a me.
-Prima, durante tutte le ricreazioni, quei bulli, ogni santo giorno, mi chiudevano dentro gli armadietti. Era terribile, sai? Senti l'aria che ti manca, non puoi respirare e non puoi neanche uscire.- fece per iniziare, riempendo il silenzio che regnava, con la sua voce debole e insicura. -ma in generale, ogni giorno, mi picchiavano più di una volta. Tornavo a casa pieno di lividi e ferite, ho un sacco di cicatrici sparse per tutto il corpo.- lo guardai, addolcendo il mio sguardo.
La mia voglia di proteggerlo si faceva sentire, la rabbia verso quei bulli aumentava, e la voglia di accarezzare quelle cicatrici che non avevo mai visto spingeva dentro di me per farsi sentire. Volevo accarezzare quelle cicatrici, volevo addolcire tutti i ricordi brutti che Frank portava con se assieme ad esse. -ma poi sei arrivato tu.- continuò, dopo una pausa che aveva dato spazio ai miei pensieri. -e hai visto? nemmeno si avvicinano. Sei il mio miracolo, Gerard. Non credo tu possa capirlo davvero, fino in fondo, ma sei il mio miracolo.
-Frankie...
-Ho sempre avuto una vita di merda, sai? E il liceo ha fatto peggiorare tutto, semplicemente. Forse non ho speranza. Però adesso che ci sei tu...non so, è diverso. Non ho speranze, ma ci sei tu. Ti prego, Gerard, non andartene mai.- le sue parole mi lasciarono a bocca aperta. Guardai i suoi occhi grandi e che quel giorno erano verdi, lo guardai finché non mi sentii affogare dentro quel verde.
Gerard, quel ragazzo sembra praticamente dipendente da te, da come ti guarda. Le parole di mia nonna si collegavano a quelle di Frank, il che aveva un impatto anche più forte dentro di me.
-Non...non ne ne andrò, Frank. Mai. Te lo prometto. Come ti ho promesso che tutto andrà bene, ricordi?- quella notte, in quel ponte. Abbracciavo uno sconosciuto, e gli dicevo che sarebbe andato tutto bene. Adesso quello sconosciuto aveva un nome, Frank, e dentro la mia vita aveva un'importanza che nessun altro aveva.
Nella mia mente occupava uno spazio speciale, irremovibile.
-Andrà bene solo se ci sarai tu.- capii le sue necessità. Ero io la sua necessità? Se era così, ero disposto ad esserci.
Se aveva bisogno di me, io ci sarei stato.
-Allora ci sarò. Te lo prometto.- mi guardò di nuovo, con gli occhi nuovamente lucidi. Chissà che aveva visto quella stessa mattina, a casa...magari sua madre era ricaduta di nuovo. E lui era caduto con lei.
Voleva appoggiarsi a me? Io c'ero.
-Grazie Gee. Grazie mille.- io lo sapevo, lo sapevo che qualcosa era riuscito a sconvolgerlo. Perché per essere così, per dirmi quelle cose, per ringraziarmi, doveva essere per forza in quel modo.
Appoggiò la sua testa nell'incavo tra la mia spalla e il mio collo, sospirando.
Gli accarezzai distrattamente i capelli.
Un giorno, prima o poi, avrei voluto vedere quelle sue cicatrici. Volevo farlo, non mi importava se a Frank facevano schifo, se si vergognava di averle.
Avrei cercato di fargli cambiare idea.
Perchè Frank non meritava di odiarsi. Non doveva odiarsi, perchè, come dicevo spesso a me stesso, non era colpa sua.
-Non è colpa tua.- sussurrai a voce bassa, dando, senza accorgermene, voce ai miei pensieri. Ma lui non rispose, o almeno, non lo fece subito.
-Cosa?
-Tutto, tutto quello che ti accade. Non è colpa tua.- a quel punto non mi rispose davvero, ma io ricominciai ad accarezzargli i capelli, per donargli un minimo di calma.

A casa mio padre continuava a guardarmi male. Non me ne preoccupavo troppo.
Come ho già detto, non mi importava di quello che pensava riguardo Frank.
Mikey, invece, si era fatto tanti amici.
Era sempre lo stesso Mikey timido e dolce, ma stava spesso fuori, e, come avevo immaginato, Donna e Donald non avevano detto una parola, su questo.
Bella merda. Se si fosse trattato di me, soprattutto mio padre, si sarebbe lamentato anche su cose inesistenti, pur di lamentarsi.
Ma Mikey non c'entrava niente, era solo colpa del cervello di quei due che dovevo chiamare genitori.
Ero dentro la mia stanza, che fissavo un dipinto che mia nonna aveva fatto un pomeriggio, qualche giorno prima, probabilmente sabato. L'aveva lasciato a me, e io l'avevo appeso, perché era davvero bello.
Ritraeva una spiaggia, con le onde e la schiuma bianca ben riconoscibile.
Mi accorsi solo in quel momento di avere voglia di andare in spiaggia, di vedere il mare, l'acqua che si increspava.
Non amavo farmi in bagno, ma guardare seduto nella sabbia il mare e l'orizzonte mi rilassava, mi metteva dentro una pace rigenerante. Chissà se a Frank piaceva il mare...
Gli avrei chiesto di andarci assieme, uno di quei giorni.

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