Un Percorso Difficile

di Lunastorta98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scena 1 ***
Capitolo 3: *** Scena 2 ***
Capitolo 4: *** Scena 3 ***
Capitolo 5: *** Scena 4 ***
Capitolo 6: *** Scena 5 ***
Capitolo 7: *** Scena 6 ***
Capitolo 8: *** Scena 7 ***
Capitolo 9: *** Scena 8 ***
Capitolo 10: *** Scena 9 ***
Capitolo 11: *** Scena 10 ***
Capitolo 12: *** Scena 11 ***
Capitolo 13: *** Scena 12 ***
Capitolo 14: *** Scena 13 ***
Capitolo 15: *** Scena 14 ***
Capitolo 16: *** Scena 15 ***
Capitolo 17: *** Scena 16 ***
Capitolo 18: *** Scena 17 ***
Capitolo 19: *** Scena 18 ***
Capitolo 20: *** Scena 19 ***
Capitolo 21: *** Scena 20 ***
Capitolo 22: *** Scena 21 ***
Capitolo 23: *** Scena 22 ***
Capitolo 24: *** Scena 23 ***
Capitolo 25: *** Scena 24 ***
Capitolo 26: *** Scena 25 ***
Capitolo 27: *** Scena 26 ***
Capitolo 28: *** Scena 27 ***
Capitolo 29: *** Scena 28 ***
Capitolo 30: *** Scena 29 ***
Capitolo 31: *** Scena 30 ***
Capitolo 32: *** Scena 31 ***
Capitolo 33: *** Scena 32 ***
Capitolo 34: *** Scena 33 ***
Capitolo 35: *** Scena 34 ***
Capitolo 36: *** Scena 35 ***
Capitolo 37: *** Scena 36 ***
Capitolo 38: *** Scena 37 ***
Capitolo 39: *** Scena 38 ***
Capitolo 40: *** Scena 39 ***
Capitolo 41: *** Scena 40 ***
Capitolo 42: *** Scena 41 ***
Capitolo 43: *** Scena 42 ***
Capitolo 44: *** Scena 43 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-1982-

Remus camminava per Diagon Alley… no non camminava, vagava, ecco si. Remus vagava per Diagon Alley con andatura lenta e preso da mille pensieri. Ormai era la terza o quarta volta che andava avanti e indietro lungo la strada passando davanti al Ghirigoro. Teneva le mani in tasca e lo sguardo dritto davanti a se, vuoto, guardava tutto e niente. L’aria stanca, distrutta, addolorata: in poche parole, chiunque lo avesse visto in quel momento avrebbe semplicemente pensato che facesse pena.
Remus Lupin, giovane ventiduenne, non si era mai sentito meno se stesso di come si sentiva in quel momento: generalmente i capelli pettinati con cura per tenerli in ordine, adesso erano tirati malamente all’indietro con alcuni ciuffi che cadevano davanti agli occhi, la camicia che solitamente era senza alcuna piega di troppo, ora sembrava anche non stirata da giorni e presa a caso da un mucchio disordinato di vestiti, il colletto ordinato, adesso invece piegato male e una vaga allegria che comunque mascherava il solito velo di mistero che lo contraddistingueva. 
Eppure era in questo stato da ormai un anno: era il 1982 e solo il precedente Halloween aveva dovuto dire addio a James Potter, Lily Evans, Peter Minus e Sirius Black. Erano i suoi migliori amici dal tempo della scuola, erano la sua famiglia e in una sola notte li aveva persi tutti. I primi due erano stati uccisi da Lord Voldemort, ma quella stessa notte anche il Signore Oscuro perì grazie a Harry… il piccolo Harry di appena un anno, il pargolo dei Potter, l’amore più grande di Lily e James.  Ricordava la prima volta che anche lui aveva avuto l’onore di tenerlo imbraccio, era stato davvero bello quel pomeriggio: il piccolo di pochi mesi con quel ciuffo nero ribelle e poi quegli occhi verdi, come quelli di Lily. Ricordava come se fosse stato il giorno prima che Peter e Sirius erano arrivati in ritardo perché il primo si era fermato a fare compere, dolci e cioccolato per tutti. Peter, morto anche lui... la cosa più dolorosa era che fu proprio Sirius a ucciderlo. Sirius che nonostante facesse il ragazzo che bisognava temere, non avrebbe mai fatto male a una mosca, aveva ucciso uno dei suoi migliori amici. Sirius, il suo amico più caro all’interno del gruppo, quello che lo aveva capito al volo, quello che lo aiutava sempre, si era macchiato di un omicidio...
Remus scosse la testa mentre prendeva posto su una panchina fuori dal negozio di libri, lasciandosi dietro quei pensieri che, quando era nel buio e la solitudine di casa sua, lo portavano alle lacrime.
Era patetico, lo sapeva bene... eppure era così. Non c'era giorno che passasse senza che lui non provasse a tornare indietro, anche se solo nei suoi ricordi. Erano stati gli anni più belli della sua vita e ne era certo, non avrebbe mai più rivissuto un periodo come quello.

«Io mi sono stufata di stare qui dentro!» la voce di una ragazzina, che usciva dal Ghirigoro, ruppe il silenzio della stradina 
«Aspetta, tua madre ha quasi fatto» una seconda voce, era un uomo, probabilmente il padre della bambina 
«Dai aspetto su quella panchina!» trillò lei indicando quella dove era seduto anche Remus

L’uomo osservò con attenzione la figura del ragazzo, incurvato con i gomiti poggiati sulle gambe e il viso tra le mani, poi si chinò sedendosi sulle caviglie e sussurrò qualcosa alla figlia che annuì e salutò col la mano il padre che rientrò. La bambina andò poi a mettersi seduta all’estremo opposto della panchina rispetto a dove era Remus.
Passavano i minuti, la ragazzina stava seduta con le gambe che ciondolavano dalla panchina in completo silenzio, lanciando sguardi verso Remus il quale, senza nemmeno rendersene conto, la guardava attraverso le dita della mano che aveva davanti agli occhi: era una normalissima bambina di... nove anni, si doveva avere all’incirca nove o dieci anni, capelli di un classico castano e gli occhi nocciola, la pelle liscia e senza imperfezioni come è giusto che sia a quell’età e un viso da una forma molto carina, quasi a cuore.

«Sei un barbone, tu?» chiese improvvisamente lei, senza ricevere alcuna risposta «Ehi! Ma sei sordo? Oppure sei muto?» continuò lei «Allora sei un barbone? Mio padre dice che probabilmente lo sei…»
«No, non sono un barbone» rispose finalmente Remus abbassando le mani dal viso che girò verso di lei. La voce leggermente rauca.
«Ah ma allora parli! Ma ti sei visto? Sei tutto combinato... cioè...» improvvisamente smise di parlare e si alzò mettendosi esattamente davanti a lui con espressione concentrata e puntando un dito su una cicatrice che Remus aveva sul viso «Come te la sei fatta? Sei caduto? Inciampato? Hai sbattuto?» 

Era bizzarro come quella bambina parlasse tutto d’un fiato, doveva essere una gran chiacchierona, al contrario di Remus così taciturno per natura e per colpa di qualche divinità che lo aveva preso di mira tanti anni prima. 

«Si sono caduto» mentì
«Ah Ah! Bugia!» trillò lei «Va beh, se preferisci non dirmelo, ma non si dicono le bugie!»
«D’accordo scusa» disse accennando un sorriso triste
«Allora, se non sei un barbone perché sei tutto spettinato e... a dire il vero non stai male sai? Ah a proposito, anche io ho una cicatrice sulla gamba. No non è proprio una cicatrice, ma mi sono tagliata. Sai sono caduta, mia mamma dice che sono... come si dice... ah si! Dice che sono sbadata» detto questo tornò a sedersi «Ma non lo faccio apposta» borbottò.

Remus non seppe rispondere anche perché, se fosse stato per lui, non avrebbe proprio iniziato a parlare, anzi pensò quasi di andarsene ma qualcosa lo spingeva a stare seduto lì e ridacchiò leggermente. Lei dal canto suo non seppe sopportare molto il silenzio

«Ma quanti anni hai? Secondo me sei grande... anzi no, cioè non grande quanto papà e mamma, loro sono tanto grandi» si fermò un momento aspettando una risposta che non arrivò, per cui riprese a parlare «Beh non so quanti anni hai, ma secondo me la cicatrice sulla guancia ti invecchia! Oh per Merlino non avrei dovuto dirlo, mia mamma dice anche che a volte so essere molto maleducata, ma sono curiosa! Mi piace sapere le cose, anche se a volte parlo tanto senza nemmeno rendermene conto e magari mi perdo in discorsi che non hanno né capo né coda. Succede tante volte che mi metto a parlare e parlando parlando arrivo a raccontare anche cose della mia vita, distogliendomi dall’argomento principale... ah a proposito lo sai che ho un gatto? Cioè no non è proprio mio, sta nel giardino dietro casa mia... Ma perché ridi?»

E infatti Remus stava proprio ridendo: all’inizio ascoltava incuriosito ma man mano che lei chiacchierava, un sorriso si faceva largo sul suo viso e alla fine non riuscì a evitare di ridere

«Ti sei persa in uno dei tuoi discorsi» disse tra le risate 
«Oh... ok sto zitta, ora» rispose lei prendendosi le mani e poggiandole sulle gambe «Ma prima me lo dici quanti anni hai?»
-Ne ho ventidue- si limitò a rispondere 

La bambina annuì e come promesso cadde il silenzio tra i due. Remus alzò lo sguardo al cielo ancora sorridente. Ma anche quella volta lei riprese a parlare

«Come ti chiami? Io mi chiamo... no anzi non te lo dico. Mio papà mi ha detto di non parlare con gli sconosciuti e di non dire mai chi sono» recitò con una espressione tra il serio e il divertito 
«Beh, eppure mi stai parlando»
«Hai ragione! Per Merlino, non dirlo a mio papà ok!? Sennò mi sgrida e non voglio» esclamò tra le risate dopo averci pensato attentamente 
«Promesso non glielo dico»
«Ah grazie!» Sorrise lei sporgendosi a baciargli una guancia 

In quel momento la porta del Ghirigoro si aprì e il campanello che vi era attaccato suonò, ma prima che l’uomo che Remus aveva visto prima con accanto una donna, la moglie sicuramente, uscisse, la bambina aveva già ripreso posto e aveva assunto un’aria seccata.

«Abbiamo finito» sorrise la madre che poi osservò il ragazzo accanto alla figlia
«Era ora! Non vengo più a fare compere con voi» borbottò alzandosi e avvicinandosi ai due

I tre poi si avviarono, la bambina camminava mano nella mano con il padre. Lei girò la testa verso Remus e lui la salutò muovendo la mano, mentre ancora sorrideva.

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Capitolo 2
*** Scena 1 ***


Ciao a tutti!
Spero che la storia vi piaccia (da questo capitolo si entra nel vivo). Ho deciso che aggiornerò una volta a settimana così che io abbia il tempo di scrivere, rivedere, correggere e bla bla bla. Buona lettura 
Lunastorta98
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-1996-

«Posso sedermi?»

Quella mattina era arrivata anche troppo presto, sebbene il tempo come si sa, scorre senza tenere conto delle impressioni altrui. Eppure la vita era semplicemente composta da impressioni e chiunque sostenesse di poter conoscere con esattezza la natura di ogni cosa, beh semplicemente mentiva. 
Il ricordo della sera precedente era però qualcosa ancora meno certo di una impressione, forse a causa del Whiskey -anzi sicuramente a causa del Whiskey- e nessuno dei due avrebbe saputo raccontare con esattezza cosa realmente fosse successo.
Ragionando però razionalmente, se si cercasse di ricostruire l'ordine degli avvenimenti, questi potevano essere facilmente schematizzati: prima di tutto -come non porre per primo proprio questo?- la momentanea allegria, a seguire vi era il dolce richiamo del Whiskey che aveva annebbiato le loro menti, dopo aver fatto pizzicare le loro gole ed essere piombato nei loro stomachi; vi era poi stato un momento di totale confusione, di baci e di carezze, di voglia di dimenticare il mondo e la situazione di costante pericolo in cui ormai avrebbero dovuto vivere.
Subito dopo c'era solo il vuoto, nessuno dei due ricordava precisamente cosa fosse successo, ma nessuno dei due era così stupido da non sapere fare due conti e trarre le loro conclusioni

«Accomodati pure» 

I due non si trovavano al chiuso, non a Grimmauld Place, non nell'appartamento dell'Auror, non nella catapecchia che l'ex professore era solito definire "casa", ma semplicemente sulla strada di Diagon Alley, davanti al Ghirigoro. La sera prima si, erano stati a casa dell'Auror, era appena finito un turno di guardia che i due avevano fatto insieme e, con la stanchezza che li dominava, nessuno si sarebbe alzato dal divano sul quale si erano lasciati cadere una volta nell'appartamento. Nè per tornare nella catapecchia, né per sprofondare nel letto della stanza situata solo a pochi metri di distanza dal soggiorno. 
Era stato un turno tranquillo, per fortuna, niente di pericoloso, niente di nuovo. Era stato solo noioso e improduttivo, o almeno così avrebbero detto gli altri. Loro due non avrebbero mai ritenuto la compagnia dell'altro "noiosa" e forse proprio questo aveva generato quella leggera allegria che li aveva spinti ad alzare un po' il gomito 

«Perché te ne sei andato?»
«Non sarei dovuto rimanere»

Questo era quello che affermava la parte razionale del suo essere quando, invece, la parte istintiva gli sussurrava prepotentemente che era forse la cosa più giusta che lui avesse mai potuto fare in trentasei anni. Eppure odiava essere istintivo, odiava dare ragione a quel suo lato. 
Nei mesi precedenti i due si erano avvicinati molto e avevamo cominciato a reputarsi ottimi amici, piaceva a entrambi passare il tempo con l'altro, seppure lei continuasse a pensare che l'ex professore fosse dannatamente noioso. Sempre così serio, sempre così ligio al dovere, così responsabile… 

«È una battuta?»
«Non sono mai stato così serio»

Si, l'ultimo periodo aveva rivelato grandi sorprese, sorprese che avevano scombussolato entrambi. Sorprese che avevano provocato reazioni diverse nei due. 

«Remus ti prego…»
«No, Ninfadora. Non avremmo dovuto. Non avrei dovuto cedere a… a…» non riuscì a definire con esattezza a cosa non avrebbe dovuto cedere «Eravamo ubriachi» commentò infine 
«Cosa vuoi dire? Non ha significato nulla? Non-»
«È stato solo un errore»

Tonks non ricordava di aver mai aperto tanto gli occhi colta da tanto stupore e tanta rabbia insieme. Come poteva lui definire quello un errore!? Come poteva essere così… Se proprio lui lo avesse pensato davvero, avrebbe almeno potuto avere la decenza di tenerselo in testa e dire qualcosa di meno doloroso da mandare giù.
Si parlava di sorprese, dunque: erano diversi mesi che Tonks aveva capito di essersi innamorata di Remus, adorava qualunque cosa lui facesse e adorava come la faceva. Remus che leggeva la Gazzetta del Profeta seduto sulla poltrona nel soggiorno di Grimmauld Place, Remus che parlava con Arthur a proposito di qualche abitudine dei Babbani -era adorabile l'espressione che dominava il viso di Arthur Weasley quando si parlava di un qualche manufatto Babbano-, Remus che sorseggiava lentamente il caffè, Remus che leggeva un qualche libro che Tonks non sapeva neppure esistesse, Remus che le sorrideva complice quando lei tentava di propinare qualche scusa assurda per l'ennesimo ritardo e tanto altro ancora. Tonks avrebbe potuto perdersi nell'elencare i motivi che l'avevano portata ad innamorarsi di lui: la sua gentilezza, la sua sottile ironia, quel modo di ridere e scherzare che non voleva mai attirare l'attenzione su di sé, ma che comunque riuscivano ad attirare sempre quella della ragazza

«Remus, dove vai…?»
«A casa» rispose lui dopo essersi alzato e aver già fatto qualche passo, ma la ragazza fu svelta a raggiungerlo e prenderlo da un braccio che strinse tra le proprie
«Resta con me»
«Non posso» 
«Non vuoi»

Remus sentì una strana sensazione quando lei pronunciò quelle parole, forse da un lato non voleva davvero, ma non voleva solo perché non poteva. E lui era certo di non potere.
Averla conosciuta era stata forse una delle cose migliori che la vita gli avesse mai concesso. Lei l'aveva conquistato subito, con quel suo fare allegro, spensierato e brillante. Anche la sua sbadataggine era così… meravigliosa. Difatti il loro primo incontro era stato particolarmente divertente proprio a causa della distrazione continua della ragazza. Era successo parecchi mesi prima, ma Remus lo ricordava bene, come poteva fare altrimenti? Ninfadora Tonks aveva appena varcato la porta di Grimmauld Place e non aveva fatto in tempo a fare un paio di passi lungo il corridoio che era inciampata nel dannato portaombrelli a forma di zampa di troll. In una situazione di precario equilibrio e, nel disperato tentativo di ritrovarlo, si era aggrappata alla prima cosa che aveva trovato a portata di mano: la manica della giacca di Remus. Quest'ultimo fu subito pronto e la aiutò sostenendola e evitando dunque che lei rovinasse a terra. "Stai bene?" Le aveva chiesto e lei aveva risposto alzando le spalle e sorridendo leggermente  "Si, sono abituata a combinare disastri e a finire a terra in un modo o nell'altro, grazie lo stesso". 
Quello non era stato di sicuro uno scambio di battute particolarmente interessante in effetti, ma magari avrebbero anche potuto presentarsi se solo la voce di Alastor Moody non avesse richiamato Tonks all'ordine, strillandole contro con fare burbero che era in ritardo per l'ennesima volta

«Ti sbagli, non posso»

Remus tentò di non far trapelare il dolore che gli costava pronunciare quelle parole, dolore che era diventato piuttosto bravo a far sprofondare giù, in fondo, dentro di sé e che ormai era stato rimpiazzato da una maschera di tentata apatia e insofferenza

«Non dirmi che non hai provato nulla»
«Ho provato… qualunque cosa prova un uomo grazie ai piaceri che una donna può dare» si costrinse a dire 

Era la seconda volta che Tonks si ritrovava a pensare che le parole potessero fare davvero male, non ne era mai stata sicura quanto in quel momento. Sconcertata e senza sapere cosa rispondere, si ritrovò ad allentare la presa intorno al braccio di Remus il quale riuscì a liberarsi con un gesto veloce

«Ora devo andare, ho appuntamento con Silente»

Non si girò a guardarla mentre fece qualche passo ancora prima di smaterializzarsi.
Se lo avesse fatto si sarebbe maledetto più di quanto lui già non facesse. La ragazza strinse i pugni tremando leggermente e digrignando i denti mentre abbassava la testa. Quando la rialzò, mentre apriva lentamente le mani e socchiudeva la bocca in una smorfia di puro dolore, le sue guance erano rigate di lacrime 

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Capitolo 3
*** Scena 2 ***


A dire il vero, tutto quello di cui aveva bisogno Remus in quel momento era solo una scusa per potersi allontanare da Tonks, per non starle ancora vicino e rischiare così di rivelarle tutta la tremenda verità. Non voleva e non poteva dirle che fare l'amore con lei era stata una delle cose migliori che avesse mai potuto fare, una cosa che solo in quel momento si rese conto desiderava tanto. Purtroppo non era nelle condizioni di ricordare esattamente le emozioni provate a causa dello stato di ebrezza in cui si era trovato, ma ne era certo: era sicuramente stato meraviglioso.
Avrebbe anche rischiato di dirle che si era innamorato di lei da quella volta che l'aveva aiutata a pulire il bagno, o come aveva detto lei, di averla "salvata da una punizione crudele di quell'antipatico, vecchio burbero di Malocchio". Sembra strano si, in fondo quella non era stata un'occasione romantica, eppure Remus si era reso conto solo allora di amare davvero quel piccolo disastro su due piedi, quell'uragano pieno di entusiasmo, quella giovane e coraggiosa Auror…
Scosse la testa cercando di scacciare quei pensieri che inevitabilmente lo facevano sorridere con aria sognante e si lasciò cadere sul materasso del letto nella propria camera.
"Sono troppo vecchio" aveva detto almeno un milione di volte nell'ultimo periodo cercando di farle capire che tredici anni di differenza non erano una bazzecola. Certo magari in quel momento non si sarebbero sentiti più di tanto, ma col tempo che trascorreva lui sarebbe diventato vecchio molto prima di lei e non avrebbe più retto i suoi ritmi. Solo in quel momento Remus realizzò due cose. La prima era che aveva davvero immaginato di vivere la sua vita con Tonks fino ad arrivare ad essere vecchi insieme. Sorrise di questo pensiero. La seconda era che con la situazione in cui vivevano, sarebbe già stata una fortuna riuscire a vivere tanto da vedere l'alba del giorno dopo. 
"Sono troppo povero" era la scusa con cui pensava di convincere la ragazza a lasciarlo continuare nella sua vita solitaria che non gli permetteva neppure una abitazione decente. Ma andiamo, cosa mai avrebbe potuto offrirle? Non gioielli, non viaggi, non una bella vita… niente. Ancora una volta Remus si ritrovò a pensare due cose. La prima era che immaginava e sperava di vivere con Tonks una vita spettacolare, piena di avventure e di divertimenti, serena e felice. La seconda era che a causa della situazione in cui vivevano ora, era già tanto se sarebbero riusciti ad arrivare all'isolato successivo mentre camminavano, senza morire. 
"Sono troppo pericoloso" era infine l'unica cosa che nessuno avrebbe potuto discutere, l'unico dato di fatto che doveva davvero riuscire a tenerla lontana. Ma lei era come una bambina, sembrava solo incuriosita dalla condizione particolare di Remus, dal suo "piccolo problema peloso" come lo aveva battezzato una volta James Potter. Non riusciva a vedere quanto seria fosse la pericolosità che lui andava descrivendo. E indovinate? Si, Remus si ritrovò a pensare due cose. La prima era che da un lato ammirava l'ostinazione di Tonks, la sua voglia reale di stargli vicino e il fatto che non provasse ribrezzo all'idea di toccarlo. Amava il fatto di non vedere nel suo sguardo la paura o, ancora peggio, il disgusto con cui era cresciuto a causa degli altri che lo avevano sempre adocchiato come un mostro. La seconda era che se avesse rinunciato alla sua resistenza sentimentale contro di lei, avrebbe potuto essere davvero il mostro che temeva di diventare e ferirla al primo plenilunio che fosse arrivato. 
Il mago si passò una mano tra i capelli e poi stancamente sulle palpebre calate sugli occhi e si ritrovò a pensare altre due cose mentre sprofondava in un sonno agitato. La prima era che amava Tonks più di qualunque altra cosa al mondo. La seconda era che a volte avrebbe semplicemente voluto smettere di pensare e spegnere il cervello

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Capitolo 4
*** Scena 3 ***


«Come ti senti?»

Non esisteva domanda più difficile di quella in realtà. Non si poteva trovare una risposta sufficientemente esaustiva per poter descrivere il turbinio di emozioni che stava vivendo in quel momento 

«Sono stata meglio, Molly»

Questa fu l'unica risposta abbastanza completa che Tonks avrebbe potuto pronunciare.
Dopo essere rimasta sola a fissare la panchina sulla quale era stato seduto Remus e dopo aver imprecato giusto un paio di volte, la ragazza si era ricordata che stare all'aperto non era un gran bell'affare. "Vigilanza costante" aveva recitato nella sua mente e si era smaterializzata nel primo posto a cui aveva pensato: la Tana. Lì sapeva che non sarebbe stata mandata via, che nessuno l'avrebbe fatta soffrire pronunciando parole tanto dure, che al contrario sarebbe stata accolta con piacere anche se magari tutti temevano che lei rompesse qualcosa, ma quella è una storia a parte…

«Tonks cara… dovresti cercare di rimetterti in sesto, lo dico per te. Cerca di… di non pensarci»
«Come faccio a non pensarci?»

Il tono con cui lo chiese poteva benissimo essere percepito come un tono disperato, come il tono di chi davvero non sa cosa fare, di chi chiede aiuto a una persona che ritiene al pari di una seconda madre. Beh, Molly Weasley aveva la capacità di farsi reputare da tutti come una seconda madre, quello era poco ma sicuro 

«La sua morte ha sconvolto tutti, io ti capisco ma bisogna andare avanti, Tonks»

"La sua morte"? Nella testa di Tonks era appena tornato in mente quel "dettaglio" che per una notte era riuscita a dimenticare. Sirius… Sirius che veniva colpito dall'Anatema Che Uccide, Sirius che si gira a guardarli con l'ultimo brandello di vita che lo abbandona, Sirius che cade oltre il velo, Sirius che non c'è più… 
Tonks si coprì il viso con le mani e trattenne una risatina nervosa che poteva benissimo risultare quasi un versetto di dolore

«Cara, mi dispiace tanto»
«Lo so, Molly. Grazie»

Certo, ricordare in quel momento Sirius di sicuro non le aveva giovato, ma del resto cosa poteva saperne Molly del fatto che lei in quel momento stesse soffrendo a causa di un uomo tutt'altro che morto?

«C'è altro che ti turba?» chiese improvvisamente la donna dopo aver preparato e servito il the «Qualcosa… di più recente intendo»

Ecco che l'istinto materno di Molly prendeva nuovamente il sopravvento, quell'istinto che permette a una madre di capire che qualcosa non va anche se il figlio si ostina a ripetere che va tutto bene.
Tonks valutò attentamente se rivelare quanto fosse successo o meno e, per prendere tempo, soffiò sulla tazza di the. Ne bevve un piccolo sorso rischiando quasi di bruciarsi la lingua. Quando rialzò lo sguardo sulla donna e fece per parlare, lei fu più veloce e la precedette

«Dimmi che ha fatto»

Non era una domanda, non era neppure una affermazione così, campata in aria. Molly si stava riferendo a qualcuno e Tonks pensò di aver capito a chi 

«Moody non ha fatto nulla, anzi sono giorni che non mi punisce in qualche modo ass-»
«Non fare la sciocca Tonks, non parlo di Alastor» 

L'Auror inarcò un sopracciglio colta alla sprovvista, se lei non stava parlando di Alastor, allora di chi…? "Remus ovviamente" le sussurrò una vocina nella sua testa ma si dette della stupida, Molly che ne poteva sapere? 

«Io non… capisco»
«Per Merlino Tonks! Cosa ha fatto quel ex professore da strapazzo che tutti conoscono come Remus Lupin?»

Molly non pensava seriamente che Remus fosse un pessimo professore, anzi al contrario. Secondo quanto detto dai ragazzi, lui era stato il migliore che avessero mai avuto e a detta di Silente invece, il migliore che Hogwarts avesse visto da anni!

«Ma tu… come?»
«Come faccio a sapere di te e Remus? Oh cara tu diventi ancora più distratta quando lui è in giro… beh questo è un male in effetti, povera la mia casa!» ridacchiò leggermente scuotendo appena la testa
«Beh… lui non mi ama, quindi penso che me la farò passare in fretta»
«Mh… sicura che lui non ti ami?» 

Tonks la guardò sorpresa. Certo che ne era sicura! Una persona che ti ama non ti viene a dire che aver fatto l'amore è stato solo un errore. Non ti viene a dire che ha solo provato piacere puramente fisico… non è così crudele e senza tatto…
No, Remus non l'amava davvero 
O si…

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Capitolo 5
*** Scena 4 ***


Remus si svegliò di soprassalto sentendo un rumore, come qualcosa che picchietta sul vetro. Si rigirò nel letto cercando di non farsi trascinare lontano dalle braccia di Morfeo, ma notando l'insistenza, fu costretto a mettersi lentamente seduto e si stropicciò un occhio mentre si alzava per avvicinarsi alla finestra. La aprì. 

«Fanny» mormorò e prese con delicatezza la lettera legata alla zampa della fenice. Quest'ultima volò via senza neanche aspettare una ricompensa.
Il mago si passò una mano sul viso dopo aver richiuso la finestra e aprì la busta che conteneva la lettera dal preside. Lesse il messaggio

"Caro Remus, 
Gradirei vederti, il prima possibile. Non ho ancora avuto occasione di convenire con te dopo lo spiacevole avvenimento all'Ufficio Misteri. Se ti fosse possibile, ma se così non fosse vorrei che cercassi in tutti i modi di essere presente, potresti farti trovare questa seria nel mio ufficio?
Albus Silente"

Sorrise leggermente nel notare con quanta finezza Silente gli stesse imponendo di presentarsi a Hogwarts; quell'uomo era sempre stato capace di ammaliare le persone e di far sembrare un'ordine come qualcosa che in realtà si poteva scegliere di fare in nome di una qualche amicizia o per rispetto nei confronti di un anziano. A volte però, Remus avrebbe preferito che Silente non si perdesse nei suoi giri di parole e che semplicemente arrivasse al dunque.
"Lo spiacevole avvenimento all'Ufficio Misteri". Queste parole tornarono nella mente di Remus improvvisamente e allora ricordò, ricordò cosa per una seria era riuscito a dimenticare, ricordò e pensò di aver commesso una ingiustizia enorme nel dimenticare. Come aveva potuto? Come aveva potuto non pensare a lui...?! Come poteva essere stato tanto egoista...?!

«Sirius...» mormorò lasciandosi cadere stancamente sul letto, gettando la lettera di lato e prendendosi la testa tra le mani




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Ragazzi un capitolo un po' corto, ma è anche per questo che ho deciso di definirli "scene". Passo a spiegare: io non sono sempre capace di scrivere tanto ahah quindi ho deciso di raccogliere una serie di scene che non devono essere per forza lunghe. La scrittura di una scena si esaurisce con la fine della scena stessa.
Spero di essere riuscita a spiegarmi ahaha
Comunque sia da oggi ricomincio la scuola quindi invece di pubblicare la mattina, come prima, aggiornerò il pomeriggio
Lunastorta98

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Capitolo 6
*** Scena 5 ***


«Ragazzo mio, non hai davvero una bella cera» esclamò il preside non appena Remus entrò nel suo ufficio
«Temo di non aver mai potuto affermare il contrario e mai lo farò, Preside» rispose lui avvicinandosi con passo lento  

Silente fece un sorriso e lo invitò a sedersi su una delle sedie difronte alla scrivania. Poggiò poi i gomiti su quest'ultima, unì le mani intrecciando le dita e usandole come sostegno per il volto, lasciando che il mento si poggiasse su di esse.
Remus si sedette con estrema lentezza su una sedie e si appoggiò allo schienale unendo le mani in grembo e osservando distrattamente un punto non ben definito vicino alla sua scarpa destra 

«Domandarti come ti senti mi sembra del tutto inopportuno, nonché superfluo» commentò l'anziano mago

Remus si sforzò di accennare un sorriso e annuì lentamente. In effetti Silente non aveva tutti i torti: il più giovane dei due non aveva proprio un gran bell'aspetto, non che solitamente fosse il contrario. Eppure quella sera era diverso: non aveva minimamente cercato di apparire ordinato nel vestire o nel pettinare con cura quei capelli sempre un po' troppo lunghi rispetto a quanto ci si aspetti da un uomo della sua età. Aveva gli occhi cerchiati di nero dalla stanchezza e una vaga espressione distratta.

«Sono passate quasi tre settimane» sussurrò dopo minuti di infinito silenzio «E ancora non me ne capacito»

Sebbene nella lettera vi fosse scritto che non si erano mai visti da allora, questo non era totalmente esatto: c'erano state un paio di riunioni dell'Ordine, ma i due non avevano mai avuto un colloquio privato

«È successo troppo velocemente…, non è possibile che sia accaduto davvero» 
«Purtroppo Remus, in guerra sono più le morti degli innocenti di quelle di chi davvero la merita»
«Non che questo lo possa riportare qui…»
«Hai ragione»

L'ex professore si chinò in avanti poggiando le braccia sulle cosce e abbassando la testa. Calò nuovamente il silenzio, un silenzio insopportabile per le orecchie di Remus. Quando si stava in compagnia del preside, raramente non si trovavano argomenti di cui parlare, eppure, quella volta, lui stava in silenzio e Remus sapeva che l'unico con cui poteva effettivamente sfogarsi era proprio Silente

«Non passa giorno che io non pensi a lui» ammise «No, non ci riesco»
«Forse dovresti alzare la testa, aprire gli occhi e guardarti intorno. Ci sono alcune gioie che credo tu non debba perderti. Remus, hai ancora tutta la vita davanti»

Il più giovane recepì quasi al rallentatore le parole del preside, ma quando lo fece ci mise un momento solo ad intuire a cosa lui potesse alludere. Alzò quasi di scatto la testa 

«Chiedo scusa, ma temo di non capire» mentì
«Ne sei sicuro? Sei un uomo sveglio tu» rispose Silente sorridendo leggermente da dietro gli occhiali a mezzaluna. Sciolse le mani e si poggiò indietro allo schienale della poltrona, abbandonando le mani sui braccioli
«No, temo proprio di poter fraintendere. A quali gioie si sta riferendo?»

Il preside non riuscì a trattenere un risolino e questo infastidì Remus, il quale irrigidì leggermente i muscoli della mascella e assottigliò lo sguardo. Dopo un momento sospirò e tornò a guardare a terra 

«Ho già sufficienti pensieri e non ho la forza di soffrire per altro» commentò
«Perché soffri, Remus?»

Una domanda facile, semplice e diretta, ma cosa poteva rispondere lui? Le opzioni erano tante: perché il suo migliore amico era morto; perché Voldemort gli aveva strappato una parte della sua anima come già aveva fatto quasi quattordici anni prima; perché erano di nuovo sull'orlo di una guerra; perché si era innamorato e sapeva di non poter permettere alla ragazza in questione di ricambiare i suoi sentimenti; perché ormai l'unica speranza che rimaneva loro era proprio Silente e senza di lui sarebbero stati tutti spacciati; perché non passava giorno che la situazione non peggiorasse; perché ora che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era ufficialmente tornato ed era chiaro a tutti, avrebbe dato spettacolo. E si sapeva di che tipo di spettacolo si parlava quando ci si riferiva ai passatempi di Voldemort.

«Calma, calma, ragazzo mio. Hai sempre pensato troppo e troppo velocemente, la testa ti esploderà prima o poi»

Perdendo il filo dei suoi pensieri, essendo stato interrotto dal preside, Remus si irrigidì nuovamente: stava leggendo la sua mente.

«Perché soffri, Remus?» ripeté 
«Perché la vita non è stata molto generosa con noi, Preside»

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Capitolo 7
*** Scena 6 ***


Ritardo, ritardo e ancora ritardo! Possibile che Tonks non riuscisse proprio mai a essere puntuale? Beh, evidentemente no.
La ragazza si smaterializzò in tutta fretta arrivando vicino Villa Malfoy per poter iniziare il suo turno di guardia. Si appostò tra i cespugli alti tra i quali era solita stare e sbirciò oltre le foglie. Non si aspettava certo di vedere Mangiamorte che correvano felici e spensierati nei giardini dell'abitazione, per cui si sedette comodamente a terra a gambe incrociate e decise di mimetizzarsi maggiormente colorando di verde i capelli.
Quel particolare punto strategico da cui osservare il castello non era stata una sua trovata, a mostrarglielo fu Arthur durante il loro primo turno di guardia insieme. Ricordava bene quella sera, come lui l'aveva quasi tirata lì dietro dopo che lei aveva fatto troppo rumore perché voleva arrampicarsi a tutti i costi su un albero. "Non vorrai farci scoprire vero?" aveva sussurrato lui dopo essere sbiancato leggermente in viso. Da allora ogni volta si rifugiava tra quei cespugli e così avevano cominciato a fare tutti coloro che condividevano con lei il turno.
A proposito di compagni di guardia, se così si potevano chiamare, solo dopo svariati minuti Tonks si accorse di essere sola. Prese un foglietto da una tasca della giacchetta e lesse chiaramente che sarebbe dovuta arrivare Molly. Si ritrovò a ridacchiare compiaciuta del fatto che, per una volta, sarebbe stata lei quella che avrebbe potuto fare la ramanzina a qualcuno su quanto la puntualità fosse importante. 
"Vigilanza costante" pensò improvvisamente e smise di ridere prendendo la bacchetta e avvicinandosi al cespuglio per sbirciare nuovamente tra le foglie. 
Una delle cose buone di quella sera era che almeno in estate non faceva freddo e che quindi un turno a quell'ora poteva essere piacevole.
Diversi minuti dopo sentì un rumore, come di qualcosa che scricchiola, ma esso non veniva dall'abitazione dei Malfoy, bensì dalle spalle della ragazza. Questa si girò di scatto, alzando automaticamente la bacchetta e puntandola contro chiunque si fosse presentato. Stava giusto per pronunciare uno Schiantesimo mentre un'ombra le si avvicinava, quando la riconobbe come l'ombra di un alleato

«Abbassa la bacchetta Ninfadora, sono io» mormorò l'ultimo arrivato alzando appena le mani in segno di resa 
«Non chiamarmi Ninfadora, Remus» sussurrò in risposta abbassando la bacchetta e sfoggiando un sorriso

Il mago le si avvicinò e si sedette accanto a lei, non tanto lontano così da riuscire a comunicare senza dover alzare la voce, ma neanche troppo vicino e questo non passò inosservato alla ragazza

«Che ci fai qui? Sarebbe dovuta venire Molly» sussurrò
«Mi manda lei, mi ha chiesto di sostituirla poiché questa sera non sarebbe riuscita a rispettare il turno… eppure non mi aveva detto che ci saresti stata tu» 
«Sennò non saresti venuto?» chiese lei accigliata
«Al contrario, sarei arrivato prima» 

Tonks si stupì non poco di quella risposta ma poi pensò al soggetto che l'aveva pronunciata: era Remus. Sempre così gentile e premuroso, sempre così disponibile, che si preoccupava per l'incolumità di tutti più che della sua. Di sicuro se avesse saputo che una ragazzina come Tonks era sola soletta vicino la casa di uno dei Mangiamorte, sarebbe arrivato prima. La strega sorrise leggermente anche se pensò che lui dovesse smetterla di ritenerla una principiante. Era una Auror! Incredibile come questo dettaglio sfuggisse a tutti.  

«E quindi sei in ritardo eh? Che succede professore, dà il cattivo esempio?» ridacchiò 

Ovviamente ancora lei sentiva il peso delle parole che l'uomo aveva pronunciato in merito a quanto era successo ormai diversi giorni prima, ma non riusciva a non essere allegra standogli vicino e sapendo che avrebbero passato insieme qualche ora.
Remus si avvicinò al cespuglio e tirò fuori la bacchetta, controllò oltre le foglie per poi sedersi nuovamente e passare le braccia intorno alle gambe tenendo la bacchetta tra le mani

«Non succederà più, promesso» rispose poi accennando un sorriso

Detto questo calò il silenzio tra i due, cosa non del tutto strana in quanto effettivamente meno parlavano meglio era così che potessero concentrarsi e controllare la zona. Generalmente poi i turni con Remus erano caratterizzati davvero da un silenzio particolare, un po' perché a lui non piaceva parlare, al contrario di Tonks. Improvvisamente la ragazza rimpianse il gelo dell'inverno, ricordando come una volta si erano abbracciati per cercare di riscaldarsi a vicenda 

«Guarda» sussurrò ad un tratto Remus distogliendo Tonks dai suoi pensieri

Si stava creando movimento davanti ai cancelli di Villa Malfoy e Remus indicò all''Auror dove guardare. Lei si avvicinò leggermente a lui e guardò meglio. Fu solo quando l'ex professore credette che qualcuno li avesse visti, che poggiò una mano sulla schiena della ragazza e la fece abbassare mettendosi giù a sua volta.

«Ma cosa…?» sussurrò lei
«Fa silenzio» rispose lui lentamente e guardò ancora oltre le foglie tenendo la mano sulla sua schiena, quasi senza ricordarsi di doverla togliere da lì

Erano vicini, molto vicini. Tonks non osò farglielo notare perché era certa che lui si sarebbe allontanato subito. Alzò lo sguardo verso il mago al suo fianco e, facendo caso a quanto fosse concentrato, si morse appena il labbro e si strinse leggermente a lui

«Remus… che succede?»
«Sembra che si siano radunati»
«Oltre l'ovvio…?»

Lui ridacchiò leggermente 

«Come posso saperlo, Ninfadora?»
«Oh beh, ma tu sai sempre tutto»

Lui scosse appena il capo e si girò leggermente verso di lei con un lieve sorriso sulle labbra. Solo allora sembrò ricordarsi che aveva poggiato la mano sulla sua schiena e, come previsto da Tonks, si tirò su mettendosi seduto e prese le distanze. Lei fece lo stesso lentamente e abbassò lo sguardo 

"Prevedibile professore, davvero prevedibile" 

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Capitolo 8
*** Scena 7 ***


Non appena ebbero finito il turno, Remus e Ninfadora si salutarono e la ragazza si smaterializzò nei pressi della Tana, dove aveva appuntamento con Alastor e Kingsley per riferire quanto successo quella sera. Una volta in casa, Arthur la fece accomodare e lei si appoggiò al ripiano del camino con fare pensieroso non accorgendosi dell'arrivo degli altri due. Il Signor Weasley si congedò dicendo che doveva aiutare Molly in alcune faccende e i maghi annuirono in attesa che Tonks iniziasse a parlare

«Per Merlino, Ninfadora! Vuoi dirmi cosa è successo, oppure mi devi far perdere tempo!?» ruggì Moody, sistemandosi meglio sulla poltrona dove si era seduto

La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e annuì, affrettandosi a raccontare per filo e per segno le novità. In fin dei conti non erano molte, ma non capitava spesso di assistere a una riunione di Mangiamorte. Per meglio dire, non capitava spesso di vedere arrivare tanti Mangiamorte insieme, per poi osservarli scomparire all'interno del castello dei Malfoy. Era di sicuro qualcosa di più rispetto al solito. 
I due uomini annuirono qualche volte mentre la ragazza spiegava, quando ad un tratto lei si bloccò, lasciando a metà una frase. Le era tornato in mente il fatto che aveva appena passato due ore e mezza in compagnia di Remus, senza aver litigato o discusso. In completo silenzio, vicini, a osservare quanto succedeva 

«Ninfadora!»

Poi Remus si era spostato, arrivando ad essere poco distante da lei ed erano rimasti ancora più vicini per diversi minuti. Ovviamente lei sapeva che non sarebbe durata a lungo, ma si era goduta a pieno quel breve arco di tempo

«Tonks, tutto bene?» 

Aveva tanto desiderato di poter sentire di nuovo il tocco di Remus sul proprio corpo, anche solo di sfuggita, per pochi secondi 

«Ninfadora!» Moody batté a terra il bastone 
«Erano una quindicina in totale» concluse lei per poi girarsi verso i due uomini «È tutto» fece un cenno con la testa per salutare. In seguito si diresse alla porta e uscì di casa 

I due maghi si guardarono senza sapere cosa dire. Tonks diventava sempre più strana, giorno dopo giorno e il perché era un mistero per tutti, o quasi. I pochi più arguti, come Molly, potevano riuscire a capire quale fosse la causa del suo comportamento. Altri pensavano che la morte di Sirius avesse sortito un effetto ancora maggiore di quello che era veramente… ma c'era altro

«Possiamo fare qualcosa per lei, secondo te?» chiese Kingsley preoccupato
«No» rispose semplicemente Alastor «purtroppo» aggiunse poi amaramente

Anche Alastor riteneva che dovesse esserci qualcosa di più. Lui la conosceva meglio di chiunque altro all'interno dell'Ordine, niente l'aveva mai buttata giù in quel modo. 
I due si alzarono dalle rispettive poltrone e, dopo aver salutato i padroni di casa, si smaterializzarono

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Capitolo 9
*** Scena 8 ***


Passò qualche giorno dall'ultima volta che Remus e Tonks si videro, a dire il vero l'uomo era praticamente scomparso e la ragazza si chiedeva quasi quotidianamente il perché. 
Era giunta la notizia, da Remus stesso, che egli avesse abbandonato la vecchia catapecchia in cui abitava e si fosse trasferito in una camera del Paiolo Magico. Aveva inoltre detto ai membri dell'Ordine in quale stanza avrebbe alloggiato così che, se fosse stato necessario, avrebbero potuto trovarlo senza problemi.
Era ormai la fine di luglio e il caldo cominciava a farsi spazio prepotentemente nella vita dei londinesi. La mattina del 30 luglio Tonks si trovava in giro per Londra, aveva appena finito il suo turno con Fleur e, alzando lo sguardo sull'insegna del locale, si rese conto di essere davanti al Paiolo Magico.
"Se mi cercate, adesso alloggio nella stanza 25 del Paiolo Magico" Ricordò con chiarezza la voce di Remus che informava tutti e in un attimo decise di entrare e chiedere a Tom della stanza in questione 
Intanto, nella sua stanza, Remus era perfettamente sveglio, anzi non aveva proprio dormito. Indossava ancora il pigiama, la cui camicia aveva i primi due bottoni aperti e stava in piedi davanti al calendario fissandolo con aria assente.

«Stasera» mormorò, poi sentì bussare e si girò di scatto recuperando la bacchetta dal tavolo lì vicino. Si avvicinò alla porta «Parola d'ordine?» chiese con voce roca. 

Ci fu un momento di silenzio durante il quale Remus strinse maggiormente la bacchetta nella mano in attesa di una risposta

«Uffa, non me la ricordo! Non avevi accennato a nulla di simile quando hai detto che avremmo potuto trovarti qui!» sbuffò la ragazza da dietro la porta 
«Ninfadora…»
«Tonks, Remus, solo Tonks. Dai aprimi»
«Vattene…» sussurrò lui poggiando la fronte alla porta e allentando la presa sulla bacchetta 
«Perché…?» 
«Non voglio vederti ora, né più tardi, né per qualche giorno»
«Andiamo Remus, sono giorni che sei scomparso, per favore fammi entrare. Senza contare il fatto che ho voglia di un caffè che potresti gentilmente offrirmi per farti perdonare»

Mentre la ragazza parlava, Remus sospirò e si morse appena il labbro. Non la lasciò neanche finire che aprì la porta e si spostò di lato per farla passare. Tonks sorrise soddisfatta e entrò guardandosi poi intorno mentre il mago sigillò la porta con un'incantesimo. 

«Non troverai caffè temo… solo un po' di Whiskey, e beh… della Pozione AntiLupo» mormorò lui

Remus fece qualche passo verso il tavolo e prese il boccale che vie era appoggiato sopra, posando invece la bacchetta. Fece per avvicinarlo alle labbra quando si sentì prendere il polso e abbassò lo sguardo.

«C'è la luna piena, stasera?» sussurrò lei
«Già…, dicono che arrivi una volta al mese, sai?» 

Lui la guardò e notò solo in quel momento quale fosse il suo abbigliamento: un top rosa abbastanza largo che arrivava fino a poco sopra l'ombelico, dei jeans e degli anfibi marrone chiaro. Lui al contrario, combinato in quel modo, era impresentabile…

«Terra chiama Remus, ci sei?»

Il mago non si era accorto che l'Auror lo stesse chiamando eppure, quando la guardò, capì che lo doveva aver fatto almeno due o tre volte 

«Scusa» mormorò e fece per avvicinare nuovamente alle labbra il boccale contenente la pozione 
«Aspetta, aspetta» lo bloccò di nuovo e glielo sfilò dalla mano poggiandolo nuovamente sul tavolo «Non ti ho mai visto… così»
«Forse perché gradirei non essere visto, non pensi?» chiese ironico

Remus liberò il polso dalla presa della ragazza con uno strattone e si allontanò passandosi le mani tra i capelli che si portò indietro per poi scompigliarli.

«Ninfadora, non sono un fenomeno da baraccone. Non c'è nulla di bello da vedere»
«Beh su questo ho qualcosa da ridire in effetti: sei molto più affascinante così… così… non ordinato e perfettino. No anzi anche quando sei ordinato e perfettino lo sei, ma insomma hai capito»

Lupin la guardò in silenzio e alzò leggermente un sopracciglio in una posa piacevolmente sorpresa, per poi ritrovarsi a ridere 

«Tu sei folle. Magnificamente folle!» le disse

Lei iniziò a ridere per quella affermazione e recuperò una bottiglia di Whiskey e un paio di bicchieri che riempì, sotto lo sguardo di Remus. Gli si avvicinò porgendogliene uno, lui lo prese 

«Non è neanche mezzogiorno e già vuoi ubriacarti?»
«Non intendo ubriacarmi, voglio solo osservare un Lupo Mannaro nel suo habitat naturale»
«E il mio habitat naturale prevede un bicchiere di Whiskey?»
«Ovvio, chi sa quanto te ne sei scolato in questi giorni. Puzzi di alcol» 

La ragazza bevve un sorso poi si sedette su una poltrona in una poso molto poco aggraziata, con una gamba poggiata al bracciolo e l'altra lasciata distesa. 
Remus osservò la Pozione AntiLupo sul tavolo e si disse che, forse, avrebbe potuto aspettare ancora un po'. Bevve tutto d'un sorso il Whiskey e si sedette su una sedia, dopo aver posato il bicchiere. Prese un libro e lo aprì alla pagina a cui era arrivato.

«Non mi dire che adesso ti metti a leggere…!» esclamò lei
«Era mia intenzione, in effetti»

La Metamorfomagus svuotò il bicchiere e si alzò prendendogli il libro dalle mani, se lo rigirò tra le proprie poi lo lasciò sul tavolo e si girò verso di lui

«Lascia che io mi distragga, te ne prego»
«Distrarti da cosa, esattamente?»
«Da te. Tu non dovresti essere qui, non ora… visto che non mi fai neanche bere la pozione…»

Detto questo, tentò di distogliere lo sguardo ma si ritrovò ad osservare la pancia scoperta di Tonks. Si mordicchiò il labbro inferiore dal lato interno della bocca al ricordo di quanto successe poche settimane prima. Aveva la stramaledetta voglia di toccarla di nuovo, di poter sfiorare la sua pelle e di poterla baciare. In quel momento poi l'influsso della luna piena sempre più vicina, non era d'aiuto.
Si alzò quasi di scatto e Tonks, che era molto vicina a lui, si sbilanciò e inciampò sui propri piedi perdendo l'equilibrio e scivolando a terra. Remus la guardò un momento poi si chinò leggermente e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei lo ringraziò mentre afferrava la sua mano e si tirava su. Il mago non le lasciò la mano continuando a guardarla. Anzi la avvicinò a sé poggiando le mani sulle sue braccia. La strega lo guardò incuriosita, mentre lui chiudeva gli occhi strofinandosi la tempia con un paio di dita. Quando li riaprì, il bagliore leggermente ambrato che li caratterizzava era più accentuato. 

«Che succede professore, sta forse pensando a cose poco pulite?» ironizzò lei 
«A dire il vero, si… » mormorò lui più a se stesso che a lei, avvicinandosi al letto dopo aver fatto qualche passo indietro «Vattene Ninfadora» ordinò, pur mantenendo il tono pacato e gentile che lo contraddistingueva 

Tonks ridacchiò ancora e si avvicinò fino a essergli dietro. Poggiò la guancia alla sua schiena e lo abbracciò

«So che non mi ami, ma tranquillo potrei soddisfarti lo stesso, sai?» scherzò ancora lei passando una mano tra due bottoni della camicia del pigiama di lui per poggiarla sul suo addome «In fondo l'ho già fatto, non così tanto tempo fa» la giovane strega non sapeva con esattezza cosa la stesse spingendo a provocarlo, ma allo stesso tempo non intendeva smettere

Remus deglutì sentendo quanto lei disse e fece per smentirla, ma ebbe il buon senso di tacere. Se lei era convinta di non essere ricambiata, forse si sarebbe decisa a rinunciare a quella sua lotta. Sentendo poi la sua mano si morse il labbro e poggiò la propria sul suo polso

«Ninfadora…vattene» mormorò di nuovo 
«Sai che non lo farò» gli fece qualche carezza sulla pancia assumendo un tono un po' più risoluto
«Ti prego…» deglutì appena «Vai via» disse perfettamente conscio che lei non si sarebbe allontanata

Ciò che segui, successe tutto molto velocemente: Remus si girò di scatto verso di lei dopo averle fatto spostare la mano, la avvicinò a se e la fece sdraiare sul letto mettendosi sopra di lei. Poggiò una mano sul materasso vicino al suo viso e la guardò intensamente. Tonks poté scorgere di nuovo quel luccichio strano negli occhi di Remus e deglutì 

«Remus…, cosa fai…?»
«Ti faccio vedere come sono davvero in questo periodo» sussurrò lui con un sorriso particolarmente inadatto all'espressione sempre gentile che dominava il suo volto; sembrava quasi in uno stato di follia, le pupille dilatate, uno sguardo quasi animalesco. 

Tonks si fece improvvisamente seria e cercò di farlo spostare, ma lui rimase fermo dove era e si avvicinò maggiormente al suo viso, poi al suo collo che baciò 

«Cosa c'è? Non era questo che volevi, Ninfadora?»
«No Remus, spostati dai…!» gli diede un pugno sullo stomaco, ricevendo indietro un mormorio di disappunto  «Mi fai paura così…» mormorò appena, ma se ne pentì subito dopo. Non l'aveva mai visto così, ma dirgli di avere paura di lui era l'ultima cosa che voleva fare, soprattutto visto che erano mesi che gli diceva il contrario.

Sentendola, Remus scosse appena il capo, anche per riprendersi da quello stato istintivo da cui si era fatto vincere e la guardò. Abbassò poi lo sguardo per osservare la situazione in cui erano finiti. Si alzò in fretta e si allontanò facendo lunghi passi indietro. L'espressione faceva intendere che qualunque traccia di perdita di controllo era scomparsa. Si coprì il volto con le mani per non guardarla, vergognandosi di quello che aveva appena fatto

«Vai via! Ninfadora… VAI VIA!» urlò lui scandendo ogni parola e prendendo la bacchetta per togliere l'incantesimo dalla porta.

Tonks si alzò e si avvicinò alla porta velocemente. La aprì e lo guardò in silenzio. Quando fece per parlare, Remus indicò nuovamente fuori dalla stanza e lei annui uscendo. Mentre richiudeva la porta, la giovane Auror sbirciò dentro e poté vedere la scena che si presentava: Remus che si prendeva la testa tra le mani poggiandosi con la schiena al muro e lasciandosi scivolare a terra tremando leggermente. Una volta seduto sul pavimento batté il pugno a terra coprendosi il volto con l'altra mano
L'eco di un urlo di rabbia raggiunse le orecchie di Tonks mentre lei correva fuori dal Paiolo Magico

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Capitolo 10
*** Scena 9 ***


Erano ormai i primi di agosto, la luna piena passata da poco e Remus nella sua stanza al Paiolo Magico stava sdraiato supino sul letto, un braccio piegato e portato a poggiarlo sulla fronte, l'altra mano, fasciata da qualche benda, lasciata sull'addome. Una gamba piegata comodamente, con la pianta del piede poggiata sul materasso mentre l'altra distesa. 
Era esausto, quella luna era stata particolarmente pesante: a seguito di quanto successe con Tonks, decise che si sarebbe punito per aver quasi ceduto alla bestia dentro di lui. Tant'è che si era ridotto ad avere il braccio destro completamente graffiato, tanto da arrivare anche al polso e un segno di morso sul braccio sinistro, coperto anche quello con una benda, dopo essere stato medicato malamente. 
Remus dormiva, con una espressione dolorante che dominava sul suo viso, costringendolo a una lieve smorfia. Stava sognando quando si svegliò di soprassalto, scattando a sedere e respirando profondamente, spaventato dal sogno appena fatto. Gemette poi di dolore a causa di una fitta al fianco.

«Dannazione» borbottò per poi alzarsi. Si diresse lentamente al tavolo, recuperò una bottiglia d'acqua semivuota e bevve un lungo sorso. Sospirò, posò la bottiglia, per poi andare in bagno per sciacquarsi il volto. Si guardò allo specchio: aveva un aspetto terribile, l'aria stanca, dolorante e piena di rimorso.

Tornò nella stanza principale e si avvicinò alla finestra, alzò lentamente la manica della camicia del pigiama guardandosi il braccio fasciato. Lo riportò poi lungo il fianco e iniziò a guardare fuori dalla finestra, quando la vide. Fanny stava volando direttamente verso la camera 25 del Paiolo Magico. L'uomo aprì la finestra e poco dopo la fenice si appoggiò al davanzale porgendo la zampa. 

«Ciao, Fanny» sorrise gentilmente «Silente ha sempre la puntualità di volermi incontrare quando sto poco bene, vero?» chiese ironicamente prendendo la lettera. L'animale fece un cenno col capo poi volò via.

Preso posto sulla poltrona, Remus aprì la busta contenente la lettera e la lesse velocemente 

"Caro Remus,
necessito davvero urgentemente di incontrarti. Ti pregherei di raggiungermi questa sera nel mio ufficio.
Confido di vederti il prima possibile,
Albus Silente"

Letta la missiva, Remus sospirò e pensò che quanto avrebbe sentito, non sarebbe stato così piacevole. Cosa glielo fece intuire? Le poche parole usate e il fatto che la lettera sembrava essere stata scritta di fretta 

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Capitolo 11
*** Scena 10 ***



Mentre indossava la camicia, con estrema lentezza a causa delle fitte che sentiva alle braccia, Remus sentì bussare alla porta e si affrettò a sistemare anche gli ultimi bottoni prima di raggiungerla. Tirò fuori la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni nella quale l'aveva messa momentaneamente 

«Prima che tu lo chieda, sono io e se hai aggiunto delle parole d'ordine non le so quindi vedi di aprirmi, su»

Remus si bloccò con la mano a metà strada verso la maniglia e irrigidì leggermente i muscoli sentendo la sua voce, con il semplice risultato di ricevere altre fitte da ogni parte del corpo. Non protestò però più di tanto e aprì la porta 

«Buonasera, Ninfadora. Come mai qui?» accennò un sorriso gentile mentre già sentiva una strana agitazione solo a causa della sua presenza.

Si spostò da un lato per farla passare e lei entrò guardandolo e sorridendo allegramente. Il mago richiuse la porta e poggiò la bacchetta sul comodino

«Mi trovavo qui…»
«Ah si? Sbaglio o tu abiti un po' lontano da questa zona?»
«Oh… beh si direi che sai dove abito, ma volevo vederti» ammise lei e si avvicinò alla poltrona, accomodandocisi quando Remus le diede il permesso con un gesto della mano

Tonks era davvero lì perché aveva una gran voglia di vederlo e aveva anche sfruttato il fatto che la luna piena fosse passata da poco perché sapeva che dopo il plenilunio lui era esausto e raramente si arrabbiava o aveva sbalzi d'umore. Beh non che solitamente lui perdesse le staffe, ma in quei giorni era particolarmente mansueto.

«Non per essere scortese, Ninfadora, ma devo uscire. Silente mi ha chiamato e…»
«Oh suvvia, il Preside può attendere un po' e smettila di chiamarmi col mio nome» 
«Il fatto è che sembrava abbastanza urgente, almeno per quello che mi ha scritto»

La ragazza allungò una mano e Remus prese la lettera dal tavolo, per poi porgergliela. Lei la lesse in silenzio poi ridacchiò

«È sempre così esaustivo vero?»
«Nelle sue spiegazioni dici? Oh beh, anche troppo a volte» ridacchiò a sua volta
«Posso stare? Cinque minuti dai…»

Remus la guardò in silenzio qualche istante prima di distogliere lo sguardo e sistemarsi i polsino della camicia. Annuì lentamente e recuperò la cravatta poggiata ai piedi del letto. Sentì la ragazza fare un versetto compiaciuto e soddisfatto dato che poteva rimanere 

«Solo il tempo necessario affinché io finisca di prepararmi però. Non posso fare aspettare troppo Albus» 
«Va bene, va bene. Meglio di niente»

Remus sollevò il colletto della camicia così da poter mettere la cravatta e sistemarla facendo il nodo. Sentiva il suo sguardo addosso e si stava chiedendo per quale assurdo motivo stesse perdendo tempo pensando alla cravatta invece di scusarsi con lei. Finito di sistemarla, stando con le spalle rivolto a lei, rimboccò la camicia nei pantaloni e mise la cintura 

«Come stai?» chiese Tonks ad un tratto
«Bene» 
«Sicuro…?»

Lui annuì semplicemente avvicinandosi a lei per poter prendere la giacca che era appoggiata allo schienale della poltrona sulla quale sedeva la ragazza. Lei si scostò leggermente lasciando che lui la prendesse ma notò le bende che gli ricoprivano gli arti superiori e che si intravedevano attraverso la camicia

«Per Merlino, Remus… le tue braccia!»

Lui arretrò lentamente e indossò la giacca poi sorrise leggermente come se nulla fosse e prese la bacchetta mettendola nella tasca interna

«È ora che io vada Ninfadora» disse camminando verso la porta
«No aspetta» lo raggiunse subito mettendosi tra lui e la porta «ti sei fatto male? Posso fare qualcosa per te? Dimmi se…»
«È normale amministrazione, stai tranquilla» la rassicurò lui e la superò poggiando una mano sulla maniglia

Tonks lo prese da un braccio e lo trattenne sentendo un lieve gemito che Remus cercò invano di trattenere in gola, non volendo farle notare che aveva sentito dolore. Sfortunatamente per lui, la ragazza lo avvertì e si affrettò a lasciarlo 

«Ti prego, aspetta, posso aiutarti»
«Ninfadora… non occorre davvero» sospirò 
«Perché rifiuti il mio aiuto?» sbottò lei «Ogni volta che cerco di fare qualcosa per te mi dici che non occorre, che va tutto bene e che ti rimetterai subito. Perché non mi permetti di aiutarti…?» 

Remus aprì la porta della camera e fece qualche passo nel corridoio prima di girarsi verso di lei, mostrandosi leggermente accigliato 

«Perché tu, Tonks, non puoi aiutarmi. Nessuno può»  rispose forse un po' più duramente di quanto avesse voluto, poi sospirò e le fece un cenno di saluto con la mano smaterializzandosi

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Capitolo 12
*** Scena 11 ***



Remus si fermò davanti al gargoyle di pietra e pronunciò la parola d'ordine per poter accedere all'ufficio del preside. Silente sembrava aver di nuovo sviluppato la passione per i sorbetti al limone Babbani, ma Remus non poteva certo dargli torto. Non appena la statua si spostò lasciando che le scale comparissero, il mago cominciò a salire i gradini poggiandosi col peso sul bastone da passeggio che, seppur di malavoglia, era stato costretto a prendere per evitare di rovinare a terra ogni tre passi. Sorrise leggermente, con ironia, al pensiero che neppure Silente, tanto anziano quanto saggio, utilizzasse un bastone da passeggio.
Si fermò fuori dalla porta e fece scomparire il bastone con un gesto pigro della bacchetta, dopodiché bussò e, quando la voce del preside gli diede il permesso, Remus aprì la porta ed entrò nell'ufficio

«Buonasera Preside» lo salutò, avanzando lentamente nella stanza, dopo aver richiuso la porta, fino ad essere in piedi difronte alla scrivania dell'anziano mago
«Oh Remus, ben arrivato» lo accolse «Prego siediti» aggiunse in fretta notando il lieve tremore alle gambe del più giovane.

Lupin annuì e prese posto non trattenendo un leggero sospiro di sollievo. Alzò poi lo sguardo verso il preside e fece per parlare, quando notò, nei suoi occhi seminascosti dagli occhiali a mezzaluna, un qualcosa di tremendamente serio. Tale percezione però fu subito smontata da un sorriso che comparve sulle labbra del preside

«Posso offrirti qualcosa? Delle Bacchette di Liquirizia? Sai in questo periodo le sto apprezzando particolarmente e ho finalmente messo da parte le Api Frizzole… no forse ne ho ancora un po' da qualche parte, sono davvero troppo irresistibili per le mie papille gustative»

Silente aveva parlato dopo essersi alzato e aver raggiunto un tavolino poco distante dalla scrivania sul quale vi erano poggiati diversi piattini con caramelle e altre leccornie. Continuò riferendo che i sorbetti al limone rimanevano comunque al primo posto tra i vari cibi di suo gradimento che si potevano trovare nel mondo Babbano e che addirittura superavano tutte le delizie della cucina del mondo magico.
Nella voce del preside c'era un tono cosi calmo e distaccato che alle orecchie di Remus sembrò che qualcosa non andasse

«No, grazie, davvero» 
«Oh, peccato» Silente prese una Bacchetta di Liquirizia che mise poi tra le labbra

Il preside tornò lentamente a sedersi, ma questa volta non alla sua solita poltrona dietro la scrivania, ma sulla sedia accanto a quella su cui sedeva Remus. 
Seguirono diversi minuti di silenzio in cui l'anziano osservava l'altro mago, mangiucchiando la Bacchetta di Liquirizia. Aveva uno sguardo più profondo e grave del solito, notò Remus e questo non faceva altro che agitarlo.
Lupin poggiò le mani sulle ginocchia e le strinse leggermente quando sentì una fitta al fianco, ma cercò di non darlo a vedere. Se ci era riuscito non lo sapeva, probabilmente no

«Vedo che il recente plenilunio non è stato molto fortunato, vero?» domandò l'anziano, notando la smorfia del giovane
«No, non particolarmente ad essere sincero» si limitò a rispondere, ma poi aggiunse in fretta «Perché mi ha fatto venire qui?»
«Si, aspettavo che me lo chiedessi a dire il vero… sai è un argomento difficile e la proposta che devo farti è… terribile, ma doverosa»
«Che proposta?»

Silente continuò a mangiucchiare la Bacchetta di Liquirizia non riuscendo, forse per la prima volta in vita sua, a trovare le parole più appropriate. Sapeva che ci sarebbe stato un rischio altissimo per Remus ed esporlo gli costava tanto

«Albus, che proposta?» ripeté l'altro impaziente
«Ho sentito che Voldemort sta radunando quanti più alleati riesce, ma non solo maghi e streghe. Ingaggia creature oscure, Troll, Giganti…» fece una pausa «senza poi contare i Lupi Mannari» 

Remus si irrigidì lì seduto sulla sedia nel sentire nominare dal preside anche i Lupi Mannari. Se lo immaginava, certo, forse era anche scontato pensandoci bene, ma sentirglielo dire faceva comunque un certo effetto.

«Beh, non mi sembra una cosa strana in fin dei conti, è quello che stiamo facendo anche noi, cercare alleati» rispose una volta riacquistata la calma 
«Per l'appunto… speravo che fossimo noi i primo a far presa sui Lupi Mannari»

Silente prese un respiro profondo guardando un punto impreciso dell'ufficio circolare. Dopo qualche istante di silenzio tornò a concentrarsi sul suo interlocutore

«L'Ordine ha bisogno di portare dalla sua parte i Lupi Mannari, non possiamo permettere a Voldemort di contare anche su di loro. Esistono numerosi branchi in giro per l'Europa, ma principalmente quelli inglesi sono i più organizzati e pericolosi…» cominciò
«E serve un intermediario, ovviamente» concluse Remus per lui e aggiunse quasi senza pensarci «Va bene, quando devo partire?»

Silente era convinto della fiducia e della lealtà di Remus, ma quella sua risposta era affrettata. Il preside non aveva finito di esporre i dettagli di quella missione, i cui esiti positivi per Remus erano davvero pochi.

«Ti pregherei di aspettare a darmi una risposta»
«Non era un ordine?» chiese Remus sinceramente sorpreso 
«Oh no, no. Questa missione potrebbe rivelarsi fondamentale per noi e in virtù di questo ti pregherei proprio di accettare… ma sono il primo a rendersi conto che rischi davvero tanto»
«Rischio davvero tanto da quando era molto più piccolo, Albus…»

Silente annui lentamente staccando un pezzetto della Bacchetta di Liquirizia e mangiandolo

«E quindi, accetteresti?» quando Remus fece un cenno con la testa in segno di assenso, il preside continuò «Devi però sapere che il branco in cui dovresti andare… ecco, è guidato da Fenrir Greyback»

Fenrir Greyback, quel nome piombò come un macigno nella testa di Remus. La sua espressione cambiò radicalmente: se prima era concentrato e dimostrava interesse per le parole del preside, con la sicurezza di voler accettare senza alcuna resistenza, ora Remus sembrava essersi perso, lo sguardo che fissava il vuoto. Il mago si portò istintivamente la mano alla spalla a coprire la cicatrice più vecchia che aveva, quella che lo accompagnava da più di trent'anni, quella che indicava il morso maledetto che lo aveva costretto a quella vita dannata. Fenrir Greyback, il Lupo Mannaro più feroce che il mondo magico con cui Remus era entrato in contatto, avesse mai visto.
Lupin iniziò a ridere, una risata nervosa, ironica e priva di qualunque traccia, anche leggera, di allegria. Strinse la mano intorno alla spalla quasi a farsi male, sia a causa della recente luna di cui ancora il suo corpo risentiva, sia per la forza con cui stava stringendo la presa.
Silente rimase in silenzio, osservando l'uomo di fronte a sé; si aspettava qualche reazione ben peggiore di quella, ma poi si ricordò che era Remus il mago con cui stava parlando. Di sicuro l'ex professore di Difesa Contro le Arti Oscure non avrebbe dato di testa. Lui aveva sempre dissimulato qualunque emozione negativa con ironia. 

«Mi faccia capire, Albus» disse quando ebbe smesso di ridere «Lei mi sta chiedendo se io voglia andare a fare da spia per l'Ordine… nel branco di Fenrir Greyback?» chiese, poi scosse appena la testa incredulo

Quella era davvero l'ultima delle cose che Remus avrebbe mai desiderare; dover andare in un branco era ancora accettabile, se questo fosse servito al bene della guerra… ma andare nel branco di Greyback era troppo. Come poteva Silente davvero chiedere se lui fosse disposto a partire? Certo che non avrebbe mai voluto! Rivedere quel mostro, colui che rese Remus stesso un mostro e dover per giunta stare ai suoi ordini da bravo cucciolo addomesticato…
Remus si prese la testa fra le mani e rifletté a lungo prima di decidersi a parlare di nuovo, nel frattempo il preside lo osservava in silenzio, sinceramente dispiaciuto di quanto stava chiedendo

«Perché non me lo ordina e basta…» la voce di Remus arrivò quasi come un lamento e una supplica alle orecchie dell'anziano mago «Se me lo ordinasse sarei subito disposto ad obbedire, lo sa. Non può davvero farmi scegliere questo, Albus…» aggiunse stringendo i capelli tra le mani

Silente si alzò dalla sedia, ponderando una risposta adeguata a quanto detto dal mago. Iniziò a misurare a passi lenti e cadenzati l'ufficio. Portò una mano alla barba che prese a lisciarsi distrattamente per poi tornare alla scrivania e finalmente guardare Remus, che era rimasto immobile e rigido tutto quel tempo

«Non posso ordinarti questo. Non è un campo in cui io posso intervenire, Remus. Questa missione comporterà innumerevoli rischi che penso ti siano chiari. Non posso ordinarti di immolarti per la nostra causa»

Remus sbarrò gli occhi. Ripensò a quando, qualche tempo prima, si fosse chiesto perché Silente non dicesse mai in modo diretto quanto egli intendesse davvero. Se ne pentì. In quel preciso istante, il preside gli aveva detto che sarebbe potuto morire da un momento all'altro nel corso della missione e morire non era davvero nella lista delle cose che Remus desiderava. 

«Tuttavia, sarei nella posizione di potertelo ordinare, sempre per usare un tuo termine, in quanto capo dell'Ordine della Fenice e decisioni di questo tipo potrebbero competermi»

Lentamente Remus lasciò i ciuffi di capelli che teneva stretti nelle mani e si mise a sedere meglio sulla sedia. Nessuna traccia di paura o supplica sulla sua espressione, ma al contrario la sua solita aria composta

«Alla fine so che deciderai la cosa che riterrai più giusta»
«Quanto tempo ho?»
«Non più di una settimana Remus, devo sapere cosa sceglierai»

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Capitolo 13
*** Scena 12 ***



Era passata circa una settimana dal plenilunio di fine luglio e Tonks l'aveva trascorsa indaffarata in mille turni di guarda per l'Ordine e lunghissimi e molto più noiosi pattugliamenti in veste ufficiale di Auror. 
L'aria calda dell'estate ormai era un tormentone giornaliero e Tonks si augurava che finisse in fretta, anche se, come tutti, aveva tanto agognato che il freddo invernale se ne andasse il prima possibile. Eppure alla Metamorfomagus non dispiaceva davvero l'inverno; freddo a parte, aveva vissuto alcune delle sue migliori esperienze nei mesi freddi dell'anno prima, come quella volta che lei, Remus e Sirius si erano ritrovati nel soggiorno di Grimmauld Place a discutere su quale Casa fosse la migliore

"«Ovviamente Tassorosso, ma che domande!»
«Cugina non dire sciocchezze, Grifondoro vince sempre e comunque» 
«Io ritengo che non ci sia una Casa migliore delle altre, ognuna ha i suoi punti di forza e i suoi lati negativi» rispose Remus pacatamente e con tono obbiettivo  per poi scambiare un'occhiata con Sirius, uno sguardo diverso dal solito a cui la strega era abituata, uno sguardo giovane e malandrino «Ma ovviamente Grifondoro vince sempre e comunque» aggiunse 
Scoppiarono a ridere tutti e tre specialmente Remus e Sirius i quali poggiarono una mano sulla spalla dell'altro, complici." 

Presa da questi pensieri, la ragazza non si accorse di un palo che, secondo lei, si era materializzato in mezzo al marciapiede e contro il quale era andata a sbattere. Dopo un paio di imprecazioni, Tonks ricominciò a camminare e, arrivata al portone, entrò in casa. 
Una volta dentro, la prima cosa che fece fu quella di togliersi gli scarponcini e buttarli dall'altro lato della stanza, avendo trascorso l'intera giornata fuori, non ce la faceva proprio più a tenerli. Camminando a piedi scalzi e riuscendo stranamente a evitare di picchiare il mignolo contro i vari mobili, entrò in cucina. 
Si guardò intorno e ricordò di quella sera in cui Remus andò a farle visita solo perché lei gli aveva mandato una lettera in cui diceva che si stava annoiando a morte e, appena dieci minuti dopo l'uomo era arrivato. Aveva proposto un passatempo ancora più noioso della noia in sé -leggere qualcosa in compagnia- ma Tonks si era ritrovata a pensare che in fondo non le dispiaceva più di tanto. 
Una ventina di minuti dopo la ragazza era già profondamente addormentata, sdraiata malamente sul letto, il lenzuolo che la copriva per metà e un gufo che picchiettava insistentemente alla finestra. Proprio quando l'animale aveva perso le speranze, Tonks scatto in piedi urlandogli contro che l'avrebbe soppresso se non avesse smesso di disturbare il suo sonno. Aperta la finestra, il gufo balzò dentro rimanendo sul davanzale e tese la zampa, Ninfadora lo liberò dalla lettera e corse a cercare qualcosa come ricompensa. Tornò vittoriosa dandogli un pezzetto di biscotto. Il gufo bubbolò in segno di approvazione poi volò via.
Tenendo la lettera in mano, la giovane Auror si tuffò nuovamente sul letto e aprì la busta, prendendo la pergamena e iniziando a leggere

"Carissima Tonks,
Spero che tu stia bene, è tanto che non vieni qui da noi, alla Tana si sente la tua mancanza…"

«No non penso, non ho distrutto nulla nell'ultimo periodo, quindi sarete molto contenti» commentò Tonks ironicamente per poi ricominciare a leggere

"…Penso che potrebbe essere divertente se domani venissi a farci visita. Sei ufficialmente invitata a pranzo -ti prego accetta o Molly mi costringerà a venirti a prendere con la forza-. Beh attendiamo il tuo arrivo 
Buona notte
Arthur Weasley

P.S. Ti ricordo della riunione di domani sera, quindi un invito a pranzo non è proprio una cattiva idea, così almeno non arriverai in ritardo e Alastor non avrà da ridire"

«Ah povero Arthur!» ridacchiò la ragazza posando la lettera sul comodino e sdraiandosi di nuovo «ma tranquillo, penso proprio che verrò» aggiunse prima di sprofondare nuovamente nel sonno.

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Capitolo 14
*** Scena 13 ***


«Remus, ben arrivato!» esclamò la Signora Weasley dopo aver aperto la porta al mago, appena giunto alla Tana in perfetto anticipo per la riunione di quella sera.

La donna lo abbracciò come era solita fare e Remus, come suo solito invece, si scoprì ancora una volta in imbarazzo per quel gesto d'affetto che non ricambiò se non con una leggera pressione della mano sulla schiena della donna e sussurrando appena un "Molly è davvero un piacere vederti". Si scusò poi di essere arrivato nuovamente circa mezz'ora prima dell'orario stabilito.

«Non preoccuparti, caro» lo liquidò lei guidandolo nel salotto e facendogli cenno di mettersi comodo dove avrebbe più gradito

Remus si guardò intorno poi annuì e prese posto su una poltrona rilassandosi a contatto con quella superficie morbida. Si passò una mano sul viso massaggiandosi gli occhi stanchi; era una settimana che dormiva male, quando ci riusciva. Ormai il tempo era terminato e difatti lui era appena stato dal preside a comunicare la sua risposta 
Remus si riscosse dai pensieri sul ricordo di quanto successo appena un'ora prima, o poco meno. Si guardò intorno, sentiva il vociare dei giovani Weasley al piano di sopra e salutò con un cenno della mano e un leggero sorriso la giovane Ginny che era corsa attraverso il soggiorno. 

«Buonasera professore» salutò lei sorridendo per poi correre via alla ricerca della madre

"Professore", Remus sorrise per quell'appellativo. Erano passati ormai due anni da quando aveva smesso di insegnare Difesa Contro le Arti Oscure ad Hogwarts, ricordava quel periodo come uno dei migliori, dei più soddisfacenti e mentalmente ringraziò ancora Silente per avergli offerto l'incarico, che ogni tanto, doveva ammetterlo, gli mancava tremendamente.

«Remus!» la voce del Signor Weasley annunciò la sua presenza
«Arthur» lo salutò Remus alzandosi per potergli stringere la mano
«Non sai cosa ho scoperto Remus! Ah non lo sai!» gongolò Arthur con il classico tono che usava per raccontare di una sua fenomenale scoperta sui Babbani e sul loro mondo
«Aggiornami, allora»

I due uomini presero posto, ognuno su una diversa poltrona, che avvicinarono l'una all'altra e Arthur si lanciò nel racconto di quelli che erano i "meravigliosi negozi in cui i Babbani passano le ore"; il rosso raccontò di quanto enormi essi fossero: «Cento volte più grandi della più grandi bottega a Diagon Alley! Ma che roba! Cento!». Remus ridacchiò capendo che, ovviamente, il Signor Weasley si stava riferendo a uno dei tanti Centri Commerciali che si trovavano in alcune zone di Londra.
Lupin non avrebbe saputo dire per quanto si fosse dilungata la sua conversazione con Arthur, quando sentì un rumore provenire dalla cucina, una serie di pentole e piatti cadere a terra, un urlo disperato di Molly e le imprecazioni di Tonks… le imprecazioni di Tonks!? Remus si girò quasi di scatto verso la cucina, stando seduto sulla poltrona. 

«Lei… è già qui?» chiese
«Lei chi, Remus? C'è così tanta gente che gira alla Tana»
«Ninfadora…»
«Oh si!» esclamò lui alzandosi «È qui da questa mattina, te la vado a chiamare, d'accordo?» domandò, ma non ascoltò neppure la risposta di Remus -il quale si era affrettato a dire che non ce ne era bisogno- e scomparve oltre la porta del soggiorno 

Remus sospirò e controllò l'orario sbirciando l'orologio che teneva sempre al polso. Mancavano ancora dieci minuti alla riunione, di lì a cinque minuti sarebbero arrivati tutti. In conclusione: cinque minuti. Doveva resistere cinque minuti. Ma in fondo, resistere a cosa? Non poteva certo mettere in dubbio il fatto che a lui facesse davvero tanto piacere la compagnia di Tonks

«Ehi Remus!» la voce trillante dell'Auror la precedette nella stanza, poi lei si lasciò cadere sulla poltrona accanto a quella su cui sedeva l'uomo
«Buonasera, Ninfadora» la salutò lui accennando un sorriso
«Ah quindi mi chiami ancora per nome? Mi ricordo che l'ultima volta mi hai liquidato con un vago "Tonks" e poi ti sei smaterializzato…» disse lei in tono di scherzo
«Ti ho sempre detto che a me piace molto il tuo nome» rispose con semplicità, in modo diretto 

Tonks sorrise poi scosse la testa come per smentirlo e sostenere con convinzione la sua teoria secondo la quale quello, il suo, fosse uno dei nomi più brutti che si fossero mai potuti inventare nella storia del mondo magico e Babbano. 
La ragazza si stiracchiò leggermente poi, come se fosse stato un gesto casuale, si avvicinò a Remus, poggiandosi col peso sul bracciolo della poltrona più vicino a quella dove era lui

«Che hai fatto in questa settimana? Ti sei giocato due turni con me e non so se hai lasciato solo qualcun altro»
«Silente ha…»
«Oh giusto! C'è sempre Silente di mezzo, no?» ridacchiò 

Remus annuì, ma non poté fare a meno di notare la sottile ironia nel tono di Tonks. Non gli fu difficile rendersene conto dato che era la stessa ironia con cui, a volte, parlava lui. 

«Tu… tu invece? Cosa hai fatto?» chiese, un po' per educazione, un po' perché sinceramente curioso di sapere come la ragazza trascorresse le sue giornate. Ma lei parve davvero sorpresa perché all'inizio non disse nulla
«Ti interessa davvero o è solo una solo una domanda di cortesia?» disse infine, forse un po' più brusca di quanto effettivamente volesse

Remus fece per rispondere, avrebbe detto che era davvero interessato, subito dopo averle chiesto scusa se aveva dato l'impressione di non esserlo, ma Molly gli risparmiò le ennesime scuse. La donna infatti entrò nella stanza avanzando verso i due con un vassoio sul quale vi erano due tazze di the

«Scusate l'interruzione, cari, ma vi ho preparato qualcosa da bere. Gli altri stanno per arrivare così ho pensato che sarebbe stata una buona idea»
«Molly… ci si scioglie fuori…» commentò Ninfadora ridacchiando e esagerando di proposito
«Sciocchezze, il the fa sempre bene» rispose lei e allungò una tazza verso la ragazza e una verso Remus. Quest'ultimo la prese e la ringraziò per la sua premura.

Non appena Molly fece per tornare in cucina con in mano il vassoio vuoto, si sentì bussare alla porta. Tutti e tre si girarono e la donna estrasse la bacchetta avvicinandosi all'ingresso e chiedendo quindi chi fosse. Ricevette in risposta un grugnito stanco e burbero. Alastor Moody era arrivato

«Oh Alastor, accomodati pure, ho preparato il the. Te ne porto subito una tazza» esclamò Molly scomparendo in cucina mentre riponeva la bacchetta

Alastor avanzò nella stanza, zoppicando e poggiandosi su quel suo bastone da passeggio che contribuiva, in qualche modo, a dargli un'aria autoritaria. L'occhio buono puntato sul divano dove desiderava ardentemente arrivare. L'altro occhio che girava furiosamente nell'orbita. Di sicuro stava controllando chi fosse presente e chi no in tutta la casa, così pensarono Remus e Tonks

«Malocchio, non si saluta?» esclamò la strega fintamente offesa
«Bada a come parli ragazza!» ruggì lui in risposta mentre si accomodava sul divano
«Oh io sto benissimo grazie» ridacchiò lei

Come Remus aveva previsto, nel giro di pochi minuto, tutti i membri dell'ordine, o quasi, erano arrivati e in quel momento sedevano in completo silenzio sorseggiando il loro the e aspettando Albus Silente. Non era una cosa strana che il preside fosse in ritardo, tutti erano convinti che fosse di sicuro preso in una delle sue tante cose urgenti da fare. Nessuno osava mai chiedere in cosa di preciso, ma era palese che tutti fossero curiosi. 
Dopo pochi altri minuti, si sentì bussare e i presenti si fecero più attenti mentre Arthur andava ad aprire e accoglieva Silente facendolo accomodare. Venne servito anche a lui il the. 
Ebbe poi inizio la riunione e si passarono in rassegna tutti i punti che Minerva McGranitt aveva scritti su un foglio di pergamena: si discusse di ulteriori turni di guardia, di aggiungere alcuni poiché c'era bisogno di aumentare la sorveglianza in diverse zone di Londra; si parlò di alcune novità che Bill e Fleur erano stati in grado di fornire riguardo un paio di maghi sospetti: «Quello è sicuro un Mangiamorte» fu il commento di Bill; si discusse infine di alcuni movimenti per niente chiari all'interno del Ministeri della Magia stesso. Moody tracciò un resoconto dettagliato e fu aiutato da Kingsley che aggiunse qualche particolare che riguardava gli spostamenti di alcuni servitori del Signore Oscuro che lui era incaricato di seguire.
Fu una riunione lunga, nuove cose da tenere a mente, nuovi turni da imparare. Ma Remus si stava chiedendo come mai Silente non avesse comunicato all'Ordine una delle ultimissime notizie che solo lui e l'anziano mago sapevano al momento attuale. L'ex professore si scoprì a fissare Silente in silenzio e lui se ne accorse, infatti richiamò l'attenzione degli altri e si schiarì la gola

«Bene, bene. Abbiamo appurato quante nuovi compiti ci siano da svolgere e quando stancante e difficile sarà» fece una pausa e guardò nuovamente Remus, poi continuò «Ma temo che all'elenco di Minerva manchi un fondamentale punto da discutere»
«Questo non è possibile Albus, la lista me la hai fornita tu stesso!» puntualizzò la professoressa
«Ne sono consapevole, ma questa è una notizia di cui, anche io, non ero al corrente fino a non più di un paio di ore fa»

Questa frase fu seguita da indistinti mormorii che i membri dell'Ordine si scambiarono. Tonks si agitò appena sulla poltrona dove era seduta, sicura che sarebbe stata una notizia succulente

«Allora…? Mettici al corrente Albus» sbottò Moody
«Vedete, Voldemort sta reclutando alleati anche tra alcuni dei gruppi più numerosi di Lupi Mannari in tutta Europa. Ora sta tentando di convincere il branco di Greyback a schierarsi dalla loro parte e sono sicuro che quest'ultimo non avrà tante remore a lasciarsi persuadere all'idea di una collaborazione come questa»

Remus si piegò in avanti poggiando le braccia sulle cosce e unì le mani stando a sguardo basso. Sentì Silente continuare nella sua enorme prefazione che racchiudeva una accurata descrizione di come lui fosse venuto a sapere certe cose e di quello che l'Ordine della Fenice avrebbe potuto fare se i Lupi Mannari avessero agito dalla loro parte. Tutti ascoltavano in completo silenzio, annuendo di tanto di in tanto. Il monologo di Silente venne interrotto solo una volta

«Preside… ma lei sta dicendo che ci serve un infiltrato!?» domandò Tonks
«Vedi Ninfadora… effettivamente noi ne abbiamo già uno, deve solo entrare in azione»

Quello che seguì tale affermazione avvenne dapprima molto lentamente -sguardi confusi che venivano scambiati prima col preside, poi tra un membro dell'Ordine e l'altro e infine tutti puntati su Remus, il quale era rimasto in silenzio a guardare un punto impreciso tra le sue scarpe con le mani unite e strette- poi si scatenò il caos 

«Albus, non puoi permettere questo!» esclamò subito la McGranitt
«Sarebbe un suicidio, Preside!» le fece eco Bill
«Mio figlio ha ragione!» ne convenne Arthur 

E così via, tutti si affrettarono a dire la loro opinione al riguardo, ma Silente tenne lo sguardo puntato su Remus. L'unica altra persona in completo silenzio era Tonks, la quale era anche leggermente sbiancata. La ragazza si avvicinò a Remus e poggiò la mano sulla sua spalla incapace di formulare una frase, l'unica cosa che sapeva era che non poteva essere vero

«Non puoi avergli ordinato questo…!» esclamò Molly a un tratto
«Non me lo ha ordinato»

Tutte le voci si spensero nell'avvertire quel mormorio perfettamente distinguibile che apparteneva a Remus. Di nuovo gli occhi dei presenti si puntarono su di lui e la mano di Tonks si strinse intorno alla sua spalla

«Remus… ma che dici…?» mormorò lei
«All'Ordine serve una spia tra i Lupi Mannari, occorre qualcuno che non venga ucciso a vista. Solo io posso farlo e sono lieto di potermi rendere utile alla causa»
«Ragazzo questa è una follia! Ti uccideranno!» tuonò Moody, entrambi gli occhi puntati nella sua direzione 

Ripartì quindi il coro di voci, questa volta tutte indirizzate contro Remus. Lui non rispose a nessuno, strinse le mani fino a sentire le unghie puntate nella carne tenendo lo sguardo basso. Non allontanò neppure la mano di Tonks, ancora sulla sua spalla

«Ora basta» la voce tranquilla del preside fece animare ancora di più gli spiriti dei maghi e delle streghe «Capisco cosa stiate provando e vi assicuro che anche io ho cercato di convincere Remus a non accettare…»
«Non avresti neanche dovuto proporlo Albus…» azzardò Minerva ma fu zittita da un gesto rapido del preside, che riprese come se non fosse stato interrotto
«… Tuttavia, come lui stesso dice, ci serve una spia e lui è l'unico che ne sia in grado. Io sono convinto delle sue capacità, so che farà un'ottimo lavoro e tornerà da noi molto presto» 

Dopo una decina di minuti in cui altre proteste erano state mosse, calò nuovamente il silenzio. L'intero Ordine della Fenice -fatta eccezione per gli assenti- si mostrò arrendevole alla volontà del preside

«Quando dovrà partire?» fu la domanda della professoressa McGranitt 

Solo in quel momento Remus si rese conto che non sapeva neppure quanto tempo avesse prima di dover partire. Improvvisamente si ritrovò a desiderare che la data fosse molto, davvero molto lontana. 

«Entro tre giorni»

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Capitolo 15
*** Scena 14 ***


"Entro tre giorni". Remus aveva davvero sperato di potere disporre di più tempo prima della partenza, ma evidentemente la sorte aveva altri piani per lui. 
Subito dopo la riunione dell'Ordine, si era allontanato dalla Tana per evitare che i presenti si accanissero contro di lui tentando di convincerlo a non accettare, sicuri di riuscire a fargli cambiare idea. Remus aveva solo dedicato un paio di minuti al preside per comunicargli che all'alba del quarto giorno, partendo dall'indomani, sarebbe già stato sul posto e avrebbe potuto definire la sua missione, iniziata.
Arrivato al Paiolo Magico, Il mago salì stancamente le scale fino ad arrivare alla stanza numero 25 situata in un angolo lontano dalle scale al primo piano. Una volta dentro si lasciò cadere sulla poltrona e sospirò cominciando a pensare a cosa avrebbe potuto portare con sé. Realizzò subito dopo che non poteva portare assolutamente nulla più di quello che indossava. Abbassò lo sguardo e si studiò bene: quanti lupi in un branco andavano vestiti in giacca e cravatta? Sicuramente meno di nessuno. Il mago sorrise leggermente all'idea che almeno, sotto quel punto di vista, poteva dirsi meno lupo di quanto non credesse e non tanto mostruoso da andare in giro, nel peggiore dei casi, nudo.
Si alzò e si avvicinò all'armadio che aprì per poi guardare tra i vari vestiti riposti con ordine maniacale e divisi a seconda di cosa erano: camicie, giacche, cravatte, pantaloni, gilet e così via… da quando aveva cominciato a vestirsi in quel modo? Ah già, da sempre. Eppure Remus si trovava bene in quegli abiti, lo facevano sentire in ordine e per niente fuori luogo.
Si poteva certo pensare che Remus fosse un uomo elegante, se non si teneva conto dello stato in cui erano ridotti i suoi indumenti e le toppe sui gomiti delle giacche, ad esempio, sembravano proprio voler sottolineare la povertà dell'uomo.
Lupin iniziò a guardare tra i vestiti alla ricerca di qualcosa di un po' meno formale, ma non trovò nulla così, arreso all'idea di dover partire con quello che indossava solitamente -magari avrebbe portato con se un mantello invernale- chiuse le ante dell'armadio e tornò a sedersi sulla poltrona.
Sospirò nuovamente e cercò di immaginare cosa avrebbe potuto fare in quei tre giorni oltre ad aspettare l'arrivo della partenza, pregando che quella giungesse in ritardo… che illusione.
La risposta non tardò ad arrivare: un gufo planò fino ad arrivare a poggiarsi sul davanzale esterno della finestra e attirò l'attenzione dell'uomo picchiettando col becco sul vetro. Remus si alzò e andò ad aprire, prese poi con delicatezza la busta legata alla zampa del volatile e lo ripagò con un pezzetto di un biscotto che teneva lì a disposizione. Questo ringraziò bubbolando, poi volò via.
Il mago prese di nuovo posto sulla poltrona è aprì la busta notando subito che le pergamene all'interno erano due. Prese la prima e lesse

"Caro Remus,
Ancora non riesco a capacitarmi di come tu abbia potuto accettare una missione come questa… insomma ci tieni o no alla tua vita?! Certe volte ho seri dubbi al riguardo. Comunque non ti scrivo per farti la predica. Vorrei solo che tu venissi alla Tana prima della tua partenza così che io possa almeno assicurarmi che le tue condizioni siano ottimali.
Ti aspettiamo
Molly"

Lupin valutò attentamente la possibilità di accettare l'invito ma lasciò a dopo la decisione perché troppo curioso di sapere chi altro gli avesse scritto. Aprì la seconda pergamena e lesse per poi ritrovarsi a ridacchiare. La lettera conteneva una serie di insulti, alcuni dei quali Remus doveva ammettere essere molto molto fantasiosi. Neppure i saluti iniziali ne erano sprovvisti, dato che vi era scritto "caro stupidissimo Remus". L'unica frase che non conteneva insulti era quella che concludeva la lettera,

"Comunque sia, vorrei vederti prima che tu parta e siccome so perfettamente che tu non mi concederai mai un appuntamento sappi che ti stanerò 
Tua 
Tonks"

"Tua". Remus sorrise e passò lentamente un dito sulla firma della ragazza poi ripiegò le lettere e le poggiò sul tavolo. Si alzò e decise che era ora di andare a dormire. Si cambiò e, mentre stava per sdraiarsi, notò sul davanzale un secondo gufo. Si avvicinò e aprì la finestra slegando dalla zampa del volatile il foglietto. Esso volò via senza aspettare un secondo di più. Chiusa la finestra, il mago lesse quanto scritto sulla pergamena 

"Domani sera nel mio ufficio, Lupin. Non farmi attendere troppo"

Non vi era nessuna firma, ma Remus capì subito da chi veniva, avendo riconosciuto la scrittura

«Severus sei sempre così affettuoso quando mi inviti a prendere il the» disse ironico per poi posate quel foglietto insieme alle altre lettere e infine si sdraiò sul letto, addormentandosi poco dopo

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Capitolo 16
*** Scena 15 ***


«Albus, per piacere, ripensaci»
«Minerva… mi spiace»

Era circa mezzora che la professoressa McGranitt discuteva col preside di quanto rivelato da quest'ultimo durante la riunione dell'Ordine della Fenice del giorno prima. Più che discutere, lei stava tentando in tutti i modi di fargli cambiare idea, missione del tutto impossibile da portare a termine e la donna lo sapeva bene. Tuttavia non voleva arrendersi e non l'avrebbe fatto.
Stava giusto per ripetere quale inutile rischio Remus stesse per correre, quando la porta dell'ufficio venne aperta senza alcun preavviso. Tonks era arrivata.

«Preside! Mi scuso per l'irruzione ma le devo parlare!» annunciò avanzando a grandi passi nell'ufficio, verso Albus e Minerva «Mi scusi professoressa McGranitt, ma qualunque cosa lei stia dicendo, questo è più importante!» aggiunse 

I due la guardarono in completo silenzio, chi sfoggiando un sorriso semi nascosto dalla folta barba, chi con aria severa. Tonks ricambiava lo sguardo in attesa che qualcuno parlasse, forse si aspettava di essere sbattuta fuori

«Accomodati pure, Ninfadora. Minerva anche tu, torna pure seduta» 
«Tonks, è solo Tonks» borbottò l'Auror mentre sedeva sulla sedia accanto a quella occupata dalla professoressa di Trasfigurazione 

L'anziano mago non poté fare altro che sorridere ancora nel notare il borbottio di Tonks. Si sedette più comodamente sulla propria sedia e le guardò una ad una per poi poggiarsi allo schienale

«Ebbene? Cosa c'è di così urgente, Ninfadora?» 

Questa volta Tonks tralasciò il fatto che il preside l'avesse chiamata col suo nome di battesimo, non senza aver fatto una smorfia, poi si piegò appena in avanti verso di lui

«Remus naturalmente! Preside, è una missione assurda, se non suicida!»
«Esattamente!» intervenne la McGranitt 
«Per Merlino, adesso le donne da fronteggiare sono due!» esclamò Silente prima di alzarsi dalla sedia e iniziare a passeggiare per la stanza 

Tonks guardò Minerva e sorrise leggermente nel constatare che lei fosse lì per il suo stesso motivo. La professoressa ricambiò il sorriso, poi si girarono contemporaneamente verso il preside e osservarono come egli stesse andando avanti e indietro con fare irrequieto e meditabondo

«Ho riflettuto a lungo, prima di proporre la missione al nostro caro Remus… ho pensato ai rischi e a ciò che invece potremmo ricavarne…»
«Ovvero nulla!»
«E sono particolarmente convinto che, qualcosa di buono, in tutto questo ci possa essere davvero» continuò come se nessuno lo avesse interrotto

Seguirono diversi istanti di silenzio, forse Silente si aspettava delle domande, mentre le due donne attendevano una spiegazione. Il preside si avvicinò all'armadio che conteneva il pensatoio e sospirò leggermente prima di ricominciare a parlare

«Penso che tutti ci siamo resi conto di quanto Remus stia male in questo periodo, più di quanto lui stesso voglia ammettere…»
«Non vedo come questo possa essere utile a farlo sentire meglio, Albus» si azzardò a ribattere la McGranitt
«E hai ragione, neppure io ne sono certo. Ma penso che stare lontano da qui, dalla sua vita, dalle persone che lo conoscono, possa essere un ottimo modo per distarsi. Senza contare che dovrà impegnarsi in tutt'altro»
«Però… avresti potuto assegnarlo a una missione che non rischi di rivelarsi mortale da un momento all'altro» 
«Sono convinto che Remus sia in grado di portarla a termine con successo. Come ho già detto, mi fido ciecamente delle sue abilità» 

Albus si girò nuovamente verso le due streghe e le osservò attentamente, mentre nell'uffici tornava a regnare il silenzio. Minerva sembrava pensierosa, ma meno propensa alla guerra rispetto a poco prima. Tonks, al contrario, non era per niente convinta dalle parole del preside e scuoteva leggermente la testa 

«No… lui non deve andare…» riuscì a dire, ma la voce era ridotta a un sussurro
«Ninfadora… lui tornerà» Silente si fermò proprio davanti alla Metamorfomagus, poggiando una mano sulla sua spalla «prima che tu te ne renda conto, lui sarà di nuovo qui con te, con noi tutti» il mago si stava rivolgendo alla ragazza con un tono dolce e rassicurante, ma ancora Tonks non era convinta
«Quando? Quando tornerà?» 
«Non prima di Halloween e potrà fermarsi solo pochi giorni. Sono certo che tornerà anche per Natale»
«Quando tornerà per rimanere?»
«A missione compiuta, Tonks» rispose Minerva «Lui non accetterà di non riuscire a farcela, lo sappiamo bene, tutti noi» sospirò con fare arrendevole 

Tonks si alzò quasi di scatto dalla sedia e avanzò verso la porta dell'ufficio con la stessa rapidità con la quale aveva fatto il percorso inverso, diversi minuti prima

«Nessuno considera che lui potrebbe non riuscire a farcela. Non si tratta di fiducia, si tratta di un uomo per bene in un branco di… di persone senza un minimo di civiltà, di bestie…» 
«Ninfadora… anche Remus è uno di loro, in fondo. Saprà cavarsela»

Tonks sapeva quello che il preside intendeva davvero, sapeva che si riferiva solo ai dati di fatto, alla natura che avevano in comune Remus e gli altri. Sapeva che non intendeva paragonarli in alcun altro modo, ma qualcosa in quella frase la turbò.
Senza attendere oltre, fu fuori dall'ufficio del preside. 

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Capitolo 17
*** Scena 16 ***


Come ordinato dalle due righe buttate giù velocemente da Piton, Remus si fece trovare a Hogwarts la sera del giorno seguente e, dopo aver attraversato il castello diretto nei sotterranei dove sapeva si trovava l'ufficio dell'ex collega, bussò. Quando una voce familiare proveniente dall'interno gli dette il permesso, Remus aprì la porta ed entrò, richiudendola subito dopo

«Buonasera, Severus» salutò 
«Ti aspettavo prima, Lupin, ma non tentare di propinarmi le tue solite, inutili scuse» rispose Piton, sottolineando con il tono della voce gli aggettivi usati e invitandolo subito dopo a sedersi, seppur lo fece controvoglia.

Remus avanzò nella stanza fino ad arrivare davanti alla scrivania e prese posto esattamente di fronte al pozionista. Si sorprese del fatto di dove prendere posto, solitamente i loro incontri non duravano più di una manciata di minuti.

«E così… abbiamo un'altra spia nell'Ordine…» non mancò di sottolineare con una espressione che era una via di mezzo perfetta tra il divertito e il sorpreso «Che idee geniali ha il Preside, certe volte» aggiunse 

Piton non si era presentato alla riunione del giorno precedente poiché, per quanto riferito da Silente, aveva dovuto raggiungere il castello dei Malfoy in veste da Mangiamorte. Remus quindi capí che Albus aveva provveduto a informarlo in separata sede 

«Già…» fu l'unica cosa che riuscì a replicare
«Ti conviene diventare molto più loquace Lupin, o non so quanto durerai. Ma tranquillo, ti assicuro che se tu non dovessi farcela, sarò il primo a festeggiare»

Detto questo, Piton si alzò e cominciò a girovagare per l'ufficio. Non si poteva definire propriamente ordine quello che regnava all'interno di quella stanza eppure, come Remus notò, con un'occhiata più attenta ci si spiegava bene il perché un oggetto fosse lasciato in un determinato posto.
Severus si fermò circa a metà di un tavolo abbastanza lungo e cominciò a cercare tra mille boccette, ampolle e fiale.

«Penso che ti sarà chiaro che tu sei qui solo perché il Preside mi ha chiesto di averti qui»
«So di non essere una tra le tue compagnie preferite» ammise Remus
«Preferirei la compagnia di un rospo morto da una eternità, alla tua»
«Sei sempre così gentile»
«Non mi interessa esserlo con te» sputò l'altro con freddezza

Poteva anche essere divertente assistere a quello scambio di battute, ma Remus sapeva perfettamente da dove proveniva l'odio che Severus provava nei suoi confronti. Quella sera di tanti anni prima, al loro quinto anno ad Hogwarts, sarebbe rimasta per sempre impressa tanto nella mente del professore di Pozioni quanto in quella del Lupo Mannaro. Ma del resto Remus non lo biasimava, come poteva se il primo ad odiarsi era lui stesso?
Lupin rimase in silenzio osservando i movimenti dell'altro mago, il quale, dopo aver recuperato due o tre boccette dal tavolo, tornò a prendere posto alla scrivania poggiandole su un libro e sistemandosi comodamente sulla sedia.

«Ascoltami bene: queste sono boccette contenenti la Pozione AntiLupo, leggermente alterata per quanto concerne le dosi. Ho cercato di renderla ugualmente efficace nonostante la quantità ridicola tu ti possa permettere di assumere. Ovviamente non ho potuto modificarla più di tanto, ma dato che non avrai a disposizione il tuo solito boccale, dovrai accontentarti» scandì lentamente ogni frase, come sua abitudine
Remus osservò le boccette per quella che parve una eternità e si chiese come mai Severus si fosse preso il disturbo di prepararle. Silente era sicuramente riuscito a persuaderlo. Capì altrettanto in fretta che Severus aveva dovuto lavorare come un matto per riuscire a fargliele avere pronte entro i tre giorni, se si conta che Albus doveva averlo informato poco più di ventiquattro ore prima 

«Sei davvero sempre gentile» commentò infine, stavolta senza ironia «Grazie mille» aggiunse

Piton rispose con una smorfia come se, per lui, quella, fosse solo una perdita di tempo e uno spreco del suo talento. Saper preparare la pozione AntiLupo, invece, dimostrava esattamente il contrario: quella era una tra le pozioni più complicate esistenti e saperla preparare e modificare a proprio piacimento senza tuttavia farne svanire gli effetti, dimostrava quanto capace egli fosse

«Come fai a essere sicuro che funzionerà?»
«Non lo sono, anzi spero proprio di aver preparato un ottimo veleno»

Remus sorrise leggermente, ma quella risposta comunque gli bastò. Si fidava di lui. Senza poi contare che aveva notato una catasta di pergamene e di altre ampolle su quello stesso tavolo da cui Piton aveva recuperato le boccette, come ad indicare che aveva fatto diverse prove

«Sono tre, fino a ottobre dunque» 
«Dovrai pur tornare a fare rapporto prima o poi, non credi?»
«Assolutamente si» ne convenne lui

Remus si sorprese nuovamente nel constatare che Piton lo ritenesse capace di poter sopravvivere per più di un mese e questo gli fece provare strana sensazione, come se Severus, in fin dei conti, non lo ritenesse completamente inutile 

«Penso che ora tu te ne possa andare» disse a un tratto il professore di Pozioni
«Certo» Remus annuì e prese le tre boccette mettendole al sicuro nella tasca interna della giacca. Si alzò e si avvicinò alla porta dopo averlo salutato con un cenno del capo

«Un'ultima cosa, Lupin»

Sentendosi richiamare, Remus si fermò sulla porta e si girò verso l'altro mago attendendo che continuasse 

«Cerca di non farti scoprire» . 

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Capitolo 18
*** Scena 17 ***



Remus aveva appena lasciato la Tana, dopo aver trascorso l'intera giornata a casa Weasley. Si era congedato declinando per l'ennesima volta l'invito a cena e si era smaterializzato sforzandosi di sorridere a tutti.

«Ha paura…» sospirò Molly
«Si, l'ho notato anche io. Ma come dargli torto?» rispose Arthur

I coniugi si guardarono per poi rivolgersi ai figli e ai presenti e fecero per parlare quando sentirono bussare alla porta. Arthur fermò Molly e si avviò al suo posto all'ingresso, per vedere chi fosse. Aprì poi lentamente 

«Io… avrei cambiato idea…»
«Remus! Vieni, entra!»

E così fece, entrò in casa a capo chino scusandosi con i presenti di essersene andato e poi tornato in quel modo. Definì il suo comportamento maleducato ed inopportuno e tacque solo quando Molly lo "minacciò".
Venne fatto nuovamente accomodare sulla poltrona dove sedeva prima e, mentre Molly si occupava di finire di preparare la cena, gli altri si sedettero tutti in soggiorno. 
I gemelli Weasley scambiavano quattro chiacchiere con Ginny e Ron, Bill e Fleur erano impegnati in una conversazione con Malocchio, Hagrid e il signor Weasley. Solo Kingsley si avvicinò a Remus, il quale aveva fatto morire sul nascere ogni scambio di battute con gli altri 

«Come mai sei tornato?»
«Io… non lo so» ammise «Forse il mio corpo vuole mangiare qualcosa di buono prima di partire…» 

Kingsley sapeva che non era la verità, o almeno non tutta. Osservò il suo interlocutore seduto sulla poltrona, con rigidità, come se volesse diventare tutt'uno con essa per non dover essere costretto ad andarsene 

«Remus, puoi ancora…»
«Tirarmi indietro? No, non sono un vigliacco»
«Nessuno di noi lo pensa, né lo penserebbe. Sappiamo tutti che è troppo pericoloso»

Remus tacque e alzò lo sguardo sul volto del mago. Lo osservò in silenzio un momento, volendo smascherarlo e scoprire che stava mentendo. Ma quello che riuscì a capire fu che lui era serio e sincero. Abbassò nuovamente lo sguardo e sospirò, iniziando a guardare un punto impreciso a terra

«È necessario che io parta. Starò bene, posso cavarmela. In fondo ho passato dodici anni in giro per l'Europa arrangiandomi col poco che trovavo» 

Kingsley annuì poi poggiò la mano sulla spalla dell'ex professore e strinse appena la presa, per fargli capire che lui aveva fiducia nelle sue capacità. Dopo diversi istanti abbassò la mano e si girò, fece per andarsene ma sentendosi chiamare nuovamente, tornò a guardare Remus

«Lei… Ninfadora…?»
«È al Ministero. Le ho chiesto se poteva occuparsi di un paio di cose per me»
«Tu…»
«Un'idea di Alastor in realtà, penso che voglia tenerla occupata ed evitarle spiacevoli pensieri. Sembrava scossa dopo l'ultima riunione. In fondo voi due siete molto amici e ha paura per te. Come tutti noi»

Remus rifletté su quanto affermato dall'altro mago. Loro erano molto amici, o almeno lo erano diventati davvero, diverso tempo prima. Adesso non sapeva come definire il proprio rapporto con la strega: quando stavano insieme, inevitabilmente finivano a parlare di sentimenti e la situazione precipitava. Era davvero tanto che non aveva una conversazione normale con Tonks e doveva ammettere che gli mancava terribilmente la sua amicizia.
Il tempo passava e presto fu pronto da mangiare. Presero tutti posto al tavolo e cenarono, riempiendosi la pancia di così tante pietanze diverse che persero il conto dopo la terza. Una volta che ebbero tutti finito, i ragazzi salutarono e tornarono ognuno nella propria stanza augurando una buon proseguimento, Bill e Fleur si spostarono in soggiorno e al tavolo rimasero solo i sei adulti

«Sapete, anche i Babbani hanno dei mezzo di trasporto simili al nostro Nottetempo» iniziò Arthur «solo che sono tremendamente più scomodi e decisamente poco spaziosi…» si fermò e borbottò qualcosa sul fatto che non ricordava il nome
«Gli autobus» suggerì distrattamente Remus 
«Esatto, esatto! Quelli!» annuì con forza Arthur 

La conversazione continuò concentrandosi sugli altri mezzi di trasporto Babbani e non, con alcuni commenti e paragoni. «Io ho viaggiato in metropolitana» disse Hagrid cominciando poi a descriverla a grandi linee, per come la ricordava. 
Si cercava di parlare di qualcosa di leggero, per non portare l'argomento sulla missione di Remus. Dopo più di una mezzora passata così, Moody emise un brontolio per interrompere Molly e guardò dritto negli occhi Remus

«La smettiamo di fare i ragazzini? Questa conversazione serve solo ad evitarne un'altra. Se avete cose da dire, fatelo e basta!» 

Tutti si guardarono per poi portare lo sguardo su Remus, il quale si sentì immediatamente al centro dell'attenzione e abbassò lo sguardo, quasi volesse scappare da lì

«Vorremmo solo sapere qualcosa in più. Qualche dettaglio» inizio Kingsley
«Esatto, sappiamo solo che andrai in un… branco. Basta» gli fece eco Arthur

Seguì nuovamente un eterno silenzio durante il quale i cinque maghi aspettavano che il loro compagno rispondesse. O accennasse almeno a muoversi. Remus era come pietrificato, concentrato a guardare qualcosa molto vicino alla gamba del tavolo. Quando finalmente parlò, lo fece molto lentamente, pensando con attenzione a cosa dire 

«La verità è che… ne so quanto voi. Devo partire, cercare di… di farmi accettare e raccogliere informazioni. Questo è ciò che farò all'inizio. Devo capire se tutto il branco vuole seguire Voi-Sapete-Chi e, in caso contrario, portare dalla nostra parte chi è contro le idee di Greyback»

La conversazione durò fino a quando Remus non si alzò dal tavolo dicendo che si era fatto tardi e doveva davvero tornare al Paiolo Magico. Salutò i presenti e si avviò alla porta, accompagnato da Molly che aprì e, prima che lui uscisse, lo abbracciò con forza. Remus se ne stupì come sempre, ma fu felice di ricevere quel gesto d'affetto che, questa volta, ricambiò. Si perse un momento nell'abbraccio della donna e sorrise leggermente anche mentre si allontanava da lei

«Grazie mille, Molly»

Remus si girò facendo qualche passo nel giardino, sentendo su di sé lo sguardo della strega. Si girò verso di lei e le fece un cenno per poi smaterializzarsi

«Ti aspetto per una cioccolata calda, Remus»

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Capitolo 19
*** Scena 18 ***


Vorrei innanzitutto ritagliarmi uno spazietto per ringraziare tutti coloro che leggono e lasciano una recensione, davvero grazie. E poi, visto che la festa si sta avvicinando, vi auguro Buon Natale! 

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Lupin entrò al numero 12 di Grimmauld Place e attraversò il corridoio di casa Black facendo attenzione a non svegliare la cara vecchia Walburga, la quale riposava nel suo quadro all'ingresso, come di consueto.
Era ormai il primo pomeriggio del terzo giorno, dopo la riunione dell'Ordine. Come promesso, Remus aveva trascorso la giornata precedente alla Tana in compagnia di tutti i presenti. Per fortuna, o sfortuna da un lato, Tonks era al Ministero per svolgere mansioni da Auror assegnatele da Kingsley e, quindi, non si era potuta presentare dai Weasley
Il mago si guardò intorno rivivendo tutti i ricordi legati a quel posto, tutte le risate fatte con Sirius e i litigi, ma anche tutte le riunioni dell'Ordine. Le serate passate a bere qualcosa insieme, a ridere con Tonks… Remus sospirò tristemente, l'ennesima volta in quei giorni.
Salì le scale, lo sguardo basso sui suoi piedi che ormai sapevano a memoria la strada che lo avrebbe condotto nella stanza che era diventata la sua camera personale, quando Sirius lo aveva quasi costretto a trasferirsi lì. Ovviamente ora non era che un'atro luogo di ricordi. 
Aprì lentamente la porta e avanzò guardandosi intorno, notando come fosse completamente vuota. I mobili c'erano ancora tutti, ma era tornata a regnare la polvere accompagnata dalla totale assenza di qualunque traccia di vita umana.
Remus si sedette sul letto guardando in direzione della finestra. Non sapeva cosa esattamente lo avesse spinto a tornare in quel posto prima di partire, fatto sta che era lì e un senso di tristezza opprimente gli gravava nel petto.
Diversi minuti dopo, il mago era di nuovo fuori dalla stanza, diretto questa volta nella camera di Sirius. Salì le scale guardando le pareti e le teste dei vari elfi morti. Si chiese allora dove fosse il vecchio, burbero Kreacher. 

"«Trattalo con un po' più di rispetto, Sirius…» lo aveva pregato Remus per l'ennesima volta
«Mai! Lui è il primo a comportarsi male con me…» piagnucolò lui
«Non fare il bambino. Trattalo meglio e guarda come anche lui farà lo stesso»
«Si, quando compirò cinquant'anni, forse…»"

Remus si bloccò col piede a mezz'aria nell'atto di poggiarlo sul gradino successivo. Sirius non sarebbe mai arrivato a cinquant'anni… 
Riprese poi a camminare, entrò nella camera del proprietario di casa e inevitabilmente ripensò a tutte le volte che si era seduto sulla poltrona vicino alla finestra e aveva scambiato due parole con Felpato. Tutte quelle volte che avevano parlato dei dodici anni in cui non si erano visti, chi chiuso in una sporca cella della tremenda prigione di Azkaban, chi a girovagare per l'Europa tentando di sopravvivere in qualche modo.
Remus vide qualcosa a terra e si chinò a raccoglierlo, se lo rigirò tra le mani e scoprì essere una foto che ritraeva i malandrini e Lily. Il mago sentì mancare un battito nel vedere quella immagine di loro felici e, quasi senza pensarci, lasciò cadere a terra la foto e uscì di fretta dalla stanza appoggiandosi poi con le spalle alla porta. 
Era incredibile come ancora gli risultasse doloroso guardare i volti di Lily e James. Si rese conto che però la figura che aveva attratto la sua attenzione era quella del giovane, ricciolino rampollo dei Black. Si poggiò una mano sul cuore e respirò a fondo nel disperato tentativo di non crollare e mettersi a piangere, cosa che era già successa nei giorni immediatamente successivi alla morte di Sirius. 
Quando ebbe la convinzione di riuscire a camminare nuovamente, si staccò dalla porta e si diresse giù per le scale. La stanza dell'arazzo di famiglia era aperta, decise quindi di entrare. Lo fece con cautela, come se temesse che qualcuno potesse saltare fuori all'improvviso, anche se perfettamente conscio di essere solo. Una volta dentro si avvicinò all'albero genealogico, ma non guardò ciò che doveva rappresentare Sirius, quanto piuttosto ciò che rimaneva di Ninfadora. Sfiorò con le dita il nome della ragazza

"«Cugina, guarda che gentili che sono stati» esclamò Sirius indicando la parte di arazzo bruciata
«Oh… perché non facciamo il nostro albero? Quello degli esclusi dalla grande casata Black« propose Tonks
«No, io penso che potremmo fare un albero con la nuova casata Black, quella che esiste ora fa schifo» 

Tonks guardò Sirius e sorrise applaudendo un paio di volte dandogli ragione su tutta la riga. I due si girarono poi verso la porta sentendo un lieve rumore

«Remus? Da quando origli?» scherzò Sirius
«Io… beh, vi cercavo, non avevo intenzione di origliare. Scusate» si affrettò a rispondere ma guardò male i due rendendosi contro che anche loro avevano detto "scusate" insieme a lui «Come siete divertenti»

I due scoppiarono a ridere e si avvicinarono a Lupin. Sirius gli batté una mano sulla spalla

«Ti conosciamo, tutto qui»
«Oh si, professore, ti conosciamo» ridacchiò Tonks avvicinandosi a lui e prendendogli la mano per poi tirarlo verso l'arazzo

Remus si lasciò tirare, sorridendo tra sé e sé per quel contatto. La ragazza gli fece poggiare la mano su quello che una volta era stato il suo posto

«Avevi visto questo? O avevi notato solo quello di Sirius?»
«L'avevo visto, in effetti… È così ingiusto»"

Remus allontanò quasi di scatto la mano e fece qualche passo indietro, riscosso da quel ricordo, per poi uscire dalla stanza e tornare nel soggiorno della casa. Intravide, mentre passava, il vecchio pianoforte e ci si avvicinò sedendosi sullo sgabello

«Chi sa se…» sussurrò a se stesso mentre apriva il pianoforte e passava le dita sui tasti. Prese la bacchetta e con tocco veloce, tutta la sporcizia scomparve. 

Provò a suonare qualcosa, ma come si aspettava il pianoforte era scordato. Con l'aiuto della magia lo rimise a posto accordandolo. Suonò nuovamente un paio di tasti e sorrise leggermente nel constatare che il suono che ne veniva fuori era perfetto. 
Si sedette meglio sullo sgabello e poggiò entrambe le mani sulla tastiera. Cercò di riportare alla mente una delle tante melodie che aveva imparato a suonare anni prima e, quando finalmente ne ebbe chiara una, iniziò a suonare. 
Remus non ricordava il nome della canzone che stava suonando, ma questa stessa gli faceva venire in mente tanti di quegli episodi che non bastavano le dita delle mani per contarle 

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Capitolo 20
*** Scena 19 ***


Questa è stata una delle scene più difficili da scrivere e vorrei tanto che venga apprezzata per come spero. Detto questo, ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono e vi informo che non so se mercoledì prossimo uscirà la scena seguente per il semplice fatto che, da qualche settimana, sono in preda a un blocco dello scrittore incredibile e non riesco a uscirne… spero di uscirne presto!
Buona lettura
Lunastorta98

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Tonks si smaterializzò arrivando esattamente davanti la serie di case di Grummauld Place. Guardò tra l'11 e il 13 e pensò intensamente alla grafia di Silente che diceva che il quartier generale dell'Ordine della Fenice si trovava al numero 12 di Grimmauld Place. Questo comparve pochi istanti dopo. Si affrettò a salire i gradini per entrare in casa e richiuse la porta alla quale si appoggiò con le spalle.
Perché Tonks si trovava lì? Non lo sapeva neppure lei. Sapeva solo che erano già passati due giorni e che non era riuscita a incontrare Remus neppure di sfuggita. Eppure quando si era smaterializzata con l'intenzione di andare al Paiolo Magico, un pensiero le aveva attraversato la mente portandola a cambiare destinazione. Aveva come il presentimento che se avesse voluto incontrarlo, sarebbe dovuta andare a casa di Sirius. Che sciocchezza. Perché mai Remus sarebbe dovuto andare proprio lì? E perché mai qualcuno stava suonando il pianoforte? 
Un momento.
Qualcuno stava suonando il pianoforte!?
Tonks prese immediatamente la bacchetta ed iniziò ad avanzare lentamente lungo il corridoio, alzando completamente i piedi da terra mentre faceva ogni passo, così da evitare di inciampare. Riuscì perfino ad evitare il portaombrelli a forma di zampa di troll e, di conseguenza, non svegliò la Signora Black. Seguì il suono di quella melodia che la attirò fino al salotto della casa; sapeva dell'esistenza del pianoforte, ma era sicura che fosse rotto e che non venisse suonato da anni. Tenendo la bacchetta alta, pronta all'attacco, Tonks si avvicinò alla porta. Questa era aperta per metà e la strega si affacciò per vedere chi fosse all'interno della stanza. 
Per poco la bacchetta non le cadde di mano quando vide Remus. 
Sorrise, estremamente felice di vederlo davvero lì. Ripose la bacchetta per poi tornare a sbirciare dentro per osservarlo. Remus sedeva sullo sgabello davanti al pianoforte ed aveva un portamento elegante. La schiena dritta mentre la testa e le braccia si muovevano lentamente lasciandosi guidare da quel ritmo così lento, triste forse, ma insieme rilassante e travolgente. Ascoltò ogni singola nota fino a quando queste non si fermarono di colpo e Remus si alzò con tanta rapidità che lo sgabello venne spinto indietro. Il mago strinse le mani a pugno e alzò lo sguardo per poi sospirare. Tonks non osava muoversi, lo osservava in silenzio, non sapendo se fosse meglio entrare o andarsene o stare lì e basta. Fu un suono a riportarla alla realtà, facendole accantonare le mille domande che si stava ponendo. Ma che suono era? 
No… non poteva essere quello…
Un singhiozzo. 
Si sporse appena di più e vide Remus chiudere il pianoforte e sedersi nuovamente sullo sgabello, dopo averlo riavvicinato. Vide che si poggiò con i gomiti sullo strumento e che si prese il viso tra le mani e, l'Auror ci avrebbe giurato, si mise a piangere 

«Remus…» mormorò così piano che lei stessa non riuscì a capire se lo avesse solo pensato o aveva parlato

Passarono diversi minuti prima che Remus si risollevasse e si asciugasse le lacrime, ma a quel punto, Tonks, non riuscì più a stare in disparte. Si infilò nello spazio che la porta semiaperta lasciava e fece qualche passo nella stanza. Non sapeva se lui si fosse effettivamente accorto della sua presenza, ma a giudicare da come lo vide sobbalzare quasi spaventato quando lo chiamò, non l'aveva sentita

«Remus» ripeté mentre vide il mago alzarsi e sistemarsi la giacca per poi girarsi lentamente

Osservò i suoi movimenti: come stesse guardando a terra mentre attraversava la stanza, come stesse evitando di passarle troppo vicino e si girò verso la porta quando Remus vi poggiò la mano

«Ninfadora… stavo giusto per andarmene, scusa» mormorò lui
«No, non è vero. Stai andando via perché sono arrivata io» rispose lei, sicura di quanto affermava «Aspetta, ti prego»

Tonks avanzò verso l'uomo che rimase immobile sulla porta. Gli prese la mano e lo tirò leggermente, facendolo arrivare davanti a sé. Lui non si oppose, si lasciò tirare, ma continuò a guardare a terra. La testa gli gridava di andarsene, in quel preciso istante. Non avrebbe retto altre bugie, altre discussioni… e soprattutto non voleva farle capire che aveva paura perché si, Remus aveva una dannata paura di partire 

«Non… non parlarmi di sentimenti» disse dopo quella che sembrò una eternità «Rimango qui, ma ti prego… ti prego, non parlarmi dei tuoi sentimenti per me, non ripetermelo ancora. Non ho la forza per…» si interruppe e cercò di completare la frase, ma non riuscì
«Non lo farò» promise lei e lo fece sedere sul divano, prendendo posto vicino a lui lasciandogli subito la mano per paura che anche quello potesse infastidirlo. Non poteva sapere quando si stesse sbagliando.

Nessuno parlò per diversi minuti. Sedevano in silenzio uno accanto all'altra. Remus aveva i gomiti poggiati sulle cosce e le mani unite, la testa chinata in avanti e gli occhi chiusi. Tonks si interrogava su quali pensieri stessero passando per la testa del mago, ma non ne aveva idea. Tentò di avvicinarsi leggermente, per poi decidere di alzarsi e prendere posto sul tavolino, in modo da stargli esattamente difronte. Le sue ginocchia sfioravano quelle dell'uomo, ma quest'ultimo non se ne lamentò e lei sorrise leggermente.

«Mi dispiace… mi dispiace per come ti ho parlato tempo fa e mi dispiace per quello che ho fatto il giorno della luna piena» sussurrò Remus dopo aver riaperto gli occhi, che però non aveva il coraggio di alzare
«Non devi…»
«Devo. So che devo» la interruppe «Niente mi da il permesso di rivolgermi a te con… con certe parole e non ho scusarti per aver quasi perso il controllo» 

Aveva disperatamente cercato il momento giusto per scusarsi e in svariate settimane non l'aveva trovato. Non lo era neanche quello, ma le parole gli erano scivolate via senza che lui potesse farci nulla. Remus si aspettava che Tonks andasse su tutte le furie, invece lei rimase in silenzio e si limitò a poggiare una mano su un polso del mago. Strinse appena la presa e solo dopo ancora qualche istante di silenzio, parlò

«Hai ragione, sei stato crudele… più con le parole che con quell'incidente al Paiolo Magico»
«Perdonami»
«Ti avevo già perdonato un paio di settimane fa» 

Remus se ne sorprese e alzò leggermente lo sguardo, incrociando quello della strega per la prima volta da quando lei era entrata. Accennò un sorriso amaro e si sentì infinitamente meno pesante nel sapere che lei non lo odiava per quanto successo. Era una ragazza eccezionale. No, era una giovane donna eccezionale.
Si alzò lentamente ancora guardandola per poi uscire dal salotto. Lei si mise in piedi di scatto e lo seguì, spaventata dal fatto che lui se ne stesse andando. Lo seguì fino in cucina, dove lui le fece cenno di sedersi

«Ho voglia di un the. Tu?» chiese lui

Lei sospirò appena sollevata per poi annuire. Lo osservò quindi all'opera, mentre recuperava due tazze da un armadietto. Lo osservò mentre metteva l'acqua in un pentolino che poi fece riscaldare.
Notò che non stava usando la magia. Sorrise nel pensare che magari lo stesse facendo per guadagnare dei minuti per poter stare lì. Si dette poi della stupida e scosse lentamente la testa. Tornò a concentrarsi su Remus e vide che si era appoggiato al bancone della cucina, aveva incrociato le braccia al petto e la stava fissando. Lei arrossì appena e abbassò lo sguardo per poi rialzarlo lentamente e sorridere. Anche lui sorrise, almeno questo fu quello che pensò Tonks, dato che Remus si era girato. Ma lei era sicura di averlo visto sorridere. 
Un attimo dopo, il the era stato versato in due tazze che ora fumavano per il calore. Remus le prese entrambe, si andò a sedere difronte all'Auror e gliene porse una, poggiandola sul tavolo. 

«Attenta, è caldo»

Lei annuì e prese la tazza nelle mani sentendo il calore che passava da quest'ultima al suo corpo. Tonks abbassò lo sguardo e rimase in silenzio. Avrebbe voluto dirgli di non partire, di stare lì. Qualcosa però le impediva di trasformare in frasi quei suoi pensieri 

«Come facevi a sapere che mi avresti trovato qui?» chiese l'ex professore, sinceramente curioso 
«Io… non lo sapevo. Volevo cercarti al Paiolo Magico, ma qualcosa mi diceva che avrei avuto più fortuna qui» 
«In fondo me lo avevi scritto. Dicevi che mi avresti trovato» 

Lei sorrise e annuì. Rimasero nuovamente in silenzio a sorseggiare il loro the, ognuno preso da diversi pensieri ma allo stesso tempo, contenti di poter trascorrere del tempo insieme senza alcuna discussione a rovinare tutto. Molly aveva ragione, un the fa sempre bene, non importa se sia estate o inverno. 
Quando entrambi ebbero finito di bere, Remus si alzò e prese le tazze che poi incantò affinché queste si pulissero e si mettessero al loro posto. Lupin abbassò lo sguardo sulla propria bacchetta per poi girarsi verso l'Auror e porgergliela. Quest'ultima spostò lo sguardo dal viso di Remus alla sua bacchetta e viceversa, senza capire 

«Vorrei… che la tenessi tu» disse infine lui 
«Non posso tenerla io… Remus tu la devi portare, devi poterti difendere in qualche modo!»
«Sono Lupi Mannari, Ninfadora. Mi ucciderebbero se capissero che sono in grado di usarla» 

I due si guardarono qualche istante, lui teneva la bacchetta, aspettando che lei la prendesse. Tonks alzò lentamente un braccio e la prese con delicatezza quasi per paura di romperla. Se la rigirò tra le mani, poi chiuse gli occhi trattenendo delle lacrime che minacciarono improvvisamente di uscire 

«Non andare, ti prego…» sussurrò stringendo forte la bacchetta
«Ninfadora…»

Lei fece il giro del tavolo fino ad arrivare esattamente davanti a lui e riaprì gli occhi infischiandosene delle lacrime che avevano preso a scivolare lungo le sue guance

«Ti prego Remus, resta qui. Non con me se non è quello che vuoi, ma non andartene» 
«Devo. Lo sai» si limitò a rispondere e abbassò lo sguardo verso il polso sul quale teneva l'orologio. Sbirciò l'ora «si sta facendo davvero tardi» commentò per poi fare qualche passo e uscire dalla cucina

Tonks si affrettò a seguirlo fuori. Pensò anche, dato che lui era disarmato, che avrebbe potuto schiantarlo o immobilizzarlo, così da non farlo partire. Invece, l'unica cosa che era in gradi di fare era ripetergli di non partire, quasi implorandolo. 
Lui rimase fermo nel corridoio stringendo le mani a pugno. Si accorse che stava tremando e si girò verso di lei. Era arrivato il momento dei saluti. Vide che Tonks stava ancora piangendo e gli si strinse il cuore, ma quando fece per parlare, lei scatto in avanti. Gli corse incontro e lo abbracciò con forza. Remus si sorprese, non si aspettava questo. Non voleva, ma allo stesso tempo era una delle cose che più desiderava. Notò che Tonks tentava di stringersi a lui maggiormente e si decise a ricambiare l'abbraccio. Si disse che, per una volta, poteva evitare di allontanarla. Poggiò una mano sulla nuca della strega e l'altra sulla sua schiena, per stringerla a sé. Tonks dal canto suo non accennava ad allontanarsi e strinse, con la mano libera, la giacca di Remus

«Tornerò, fidati di me come io mi sto fidando di te. Custodisci la mia bacchetta Ninfadora, fammi questo favore»

Lei non rispose a parole, si limitò a muovere la testa in un gesto d'assenso. Remus sorrise leggermente 

«Mi manca esserti amico come prima, davvero»
«Io ti amo Remus… potremmo essere più che amici, lo sai bene» sussurrò lei cercando di non far tremare la voce 
«No, non possiamo. Ma non parliamo di questo. Parliamo del fatto che tornerò e che questa non è l'ultima volta che ci vediamo. È un promessa»

Rimasero abbracciati, stretti l'uno all'altra. Entrambi sapevano di doversi godere quel momento perché, per quanto Remus avesse promesso di tornare, nessuno dei due poteva sapere cosa sarebbe successo. Quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che si vedevano e questa consapevolezza distruggeva entrambi.
Con grande sorpresa di Remus, Tonks fu la prima a sciogliere l'abbraccio e fece qualche passo indietro. Si asciugò gli occhi e sorrise 

«Ti aspetterò. Hai promesso di tornare e io so che lo farai»
«Ninfadora…» 
«Su, vai o farai tardi» lo interruppe e si sforzò di sorridere 

Remus annuì e le sorrise. Si avvicinò alla porta, dopo aver attraversato il corridoio e la aprì girandosi un'ultima volta verso di lei

«Ninfadora…»
«Non chiamarmi così, Remus! Quante volte te lo devo ripetere!?»

Lui non trattenne una lieve risata nel sentirglielo dire. Scosse poi la testa e la salutò. Si girò e uscì chiudendosi la porta alle spalle
 

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Capitolo 21
*** Scena 20 ***


Salve a tutti! Sono ancora viva lo giuro, ma come avevo detto precedentemente, non riesco a scrivere nulla… in due mesi e più ho scritto solo due scene. Una la pubblico oggi l'altra non lo so… non vorrei neanche pubblicarla perché sennò mi ridurrei senza nemmeno una scena ahaha
Penso che la pubblicherò lo stesso ahah
Buona lettura!
Lunastoeta98

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L'ultima cosa che Tonks riuscì a sentire fu la risata di Remus. L'ultima cosa che vide fu la schiena del mago mentre lui richiudeva la porta. La strega abbassò lo sguardo e guardò la bacchetta che ancora stringeva tra le mani e, senza neanche accorgersene, gli occhi iniziarono a lacrimare copiosamente. L'Auror si chinò a terra e si sedette, lì, nel bel mezzo del corridoio. Raccolse le gambe portandosele al petto e se le abbracciò, abbassando la testa. Si chiese perché Remus l'avesse abbracciata. Ovviamente ne era felice, ma non riusciva ad evitare di pensare che lui le avesse concesso quell'abbraccio, perché temeva che sarebbe stato l'ultimo. 
Non sapeva con esattezza quanto tempo fosse trascorso, quando si alzò e uscì di fretta dalla casa, scese in strada e iniziò a correre, lo sguardo alla disperata ricerca di Remus, come se lui la stesse aspettando da qualche parte per poi riderle in faccia dicendo che era solo uno scherzo.
Ma non era uno scherzo.
Ancora in lacrime, Ninfadora si fermò in mezzo alla strada e si guardò intorno, per poi raggiungere un vicolo. "Vigilanza costante" pensò per poi smaterializzarsi. 
Arrivò alla Tana. Fece qualche passo nel giardino, lo sguardo perso. Non si accorse di non essere sola e per questo andò a sbattere contro qualcuno

«Ehi Tonks!» la voce allegra di Fred Weasley la salutò «Tonks… tutto bene?»

Lei non si accorse di nulla, la testa altrove. Alzò lentamente lo sguardo su Fred, ma i suoi occhi videro Remus e lei abbracciò il ragazzo quasi di scatto. Da parte sua, il giovane si sorprese non poco e strinse a sé la strega. Iniziò a camminare verso casa, tenendo lei vicina e vi entrò. Chiamò a gran voce la madre 

«Che succede George?»
«Niente» disse lui spuntando dalle scale «Ah donna! Ancora non distingui me da Fred? Non ti vergogni?»
«Oh scusami…» sbuffò lei divertita, per poi uscire dalla cucina diretta verso Fred

Entrò nel soggiorno e vide il figlio abbracciato a qualcuno, ma non riuscì subito a distinguere chi fosse, perché la sua figura era coperta dal giovane Weasley. Si avvicinò e rimase a bocca aperta nel vedere che Ninfadora Tonks, in lacrime, non voleva staccarsi dal figlio

«Mamma… che faccio?» chiese lui «Aiutami» 

La donna si avvicinò e fece allontanare Tonks dal figlio. Quest'ultima si dimenò per poi crollare a terra.
Cosa stava succedendo alla stravagante, allegra, spensierata Tonks che tutti conoscevano? Perché era in lacrime? Perché sembrava non reggersi in piedi? Perché i suoi capelli non erano del consueto rosa cicca che tutti erano abituati a vedere? Molly riuscì a capire cosa doveva essere successo solo dopo averci pensato un momento: Remus era appena partito. 
Guardò il figlio e, con un gesto della mano, lo invitò a andarsene da lì assicurandogli che ci avrebbe pensato lei. Fred annuì e qualche istante dopo era scomparso su per le scale. Molly si chinò a terra e aiutò la giovane strega a rimettersi in piedi, la scortò in cucina e la fece accomodare al tavolo. In tutto questo Tonks si muoveva meccanicamente. Aveva smesso di piangere, ma le guance erano ancora rigate dalle lacrime già versate 

«Tonks, cara, vuoi del the?»

Silenzio.
Molly si mise ugualmente all'opera e incantò il necessario affinché il the si preparasse da solo. Si avvicinò subito dopo a lei e le asciugò le guance per poi spostarle i capelli dal viso. Più volte cercò di attirare l'attenzione della ragazza, di parlarle. Nulla, lei non rispondeva.

«È andato via» disse a un tratto interrompendo Molly
«Oh Tonks…» 

Le si avvicinò, prendendo posto sulla sedia accanto alla sua e sospirò passando un braccio intorno alle sue spalle. Solo allora notò la bacchetta che Ninfadora teneva stretta al petto

«Quella…?»
«È sua… la devo tenere io. Si fida di me» mormorò in risposta Tonks 

La Signora Weasley si alzò e raggiunse i fornelli versando il the in una tazza, prese anche qualche biscotto che poggiò su un piattino. Portò le cose al tavolo posandole davanti alla giovane strega.
Remus le aveva lasciato la sua bacchetta. Chi sa perché quella le sembrava un'assurdità. Improvvisamente la preoccupazione la assalì: senza bacchetta non poteva difendersi. Riuscì però a capire abbastanza velocemente che quella stessa arma di difesa poteva essere ciò che l'avrebbe condannato.
La donna prese di nuovo posto accanto alla strega che nel frattempo non aveva accennato a toccare il the o i biscotti.

«Tonks, fermati qui a dormire» disse semplicemente Molly

Arthur entrò in cucina in quel momento e osservò le due streghe con fare interrogativo. Molly gli chiese se poteva preparare un letto per Tonks e, dopo che il marito ebbe annuito, aggiunse che gli avrebbe spiegato quanto stesse succedendo in un secondo momento. 
Meno di venti minuti dopo, l'Auror era sdraiata su un letto, era stata cambiata da Molly stessa che le aveva dato un pigiama. Solo una cosa non era riuscita a toglierle di mano: la bacchetta di Remus. Ogni volta che ci provava lei stringeva la presa e ripeteva sempre la stessa frase 

«La devo tenere io. Si fida di me»

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Capitolo 22
*** Scena 21 ***


Scusate l'enorme lasso di tempo dall'ultimo aggiornamento ma ancora non va con la scrittura. Questo è l'ultimo capitolo che avevo pronto (l'ho scritto a settembre su per giù). Spero di aggiornare presto e buona lettura!
Lunastorta98

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I bassifondi. Come aveva fatto ad arrivare lì? Come era finito nell'unico posto al mondo dove sperava di non dover tornare mai e poi mai? Ci era stato tanto tempo prima, quindici anni forse, ma non si era abituato a quel luogo e allora si era spostato e aveva cominciato a non fermarsi mai nello stesso posto per più di un mese o due. Cercava dei lavori in giro per l'Europa, cose semplici, cose che nessuno voleva e lui invece chiedeva quasi disperatamente. Lavori che gli davano quel tanto che bastava per permettergli di mangiare e di esagerare un po' col bere, di tanto in tanto. Forse più di un po'. Fatto sta che ogni tot di tempo se ne andava, adduceva scuse assurde, mollava tutto e cambiava vita. A volte cambiava anche nome. Dovrà avere avuto almeno una ventina di identità diverse. Altre volte invece si faceva scoprire stupidamente e allora erano gli altri a cacciarlo, minacciandolo di morte o di denunciarlo inventando reati che lui non aveva mai commesso.
Ora si ritrovava di nuovo lì, ricordava poco o niente di come era organizzato il luogo anche perché quello che aveva davanti era molto, molto diverso da prima. 
Remus avanzò lentamente stringendosi nel mantello da viaggio, seppure facesse così caldo da desiderare di essere nudi. Stare però coperto in quel modo, gli dava un senso di sicurezza inspiegabile e insolito. Camminò ancora fino a quando non scorse un muretto sul quale si sedette e sospirò stancamente. Abbassò lo sguardo e iniziò a osservare un punto impreciso vicino alla sua scarpa, poteva ancora andarsene. 

«Uhm... un uomo!»

Nessuno sapeva che era lì, nessuno l'aveva visto. Avrebbe potuto alzarsi e smaterializzarsi. Andarsene il più lontano possibile o tornare e chiedere scusa. Anzi no, non sarebbe tornato da loro, per la vergogna, perché significava ammettere di essere un codardo. La cosa peggiore? Tutti avrebbero detto che non si sarebbe dovuto preoccupare, che era comprensibile aver avuto paura. Ma nel profondo sarebbero stati delusi

«Ehi! Sai dove sei finito?»

Remus era troppo assorto nei suoi pensieri per rendersi conto che qualcuno gli stava rivolgendo la parola. Mille domande, mille pensieri, mille timori. Improvvisamente gli tornò alla mente Tonks, il suo abbraccio, aver potuto toccarla e averla avuta per sé giusto un momento. Non ci sarebbe potuto essere un saluto migliore. Scacciò dalla testa quel pensiero e scosse il capo guardandosi intorno. Vide solo allora la figura che lo studiava, seduta a terra a gambe incrociate e con fare curioso e buffamente minaccioso. Sobbalzò e fece correre la mano alla tasca interna della giacca dove sapeva esserci la bacchetta, sennonché si ricordò che non ce l'aveva. Fece un respiro profondo e guardò il ragazzo davanti a sé

«Posso fare qualcosa per te?» si sforzò di chiedere 
«Ah, ma quindi l'umano ci sente e parla!»

Remus sorrise leggermente, e si sistemò la giacca e il mantello, per poi alzarsi e iniziare a fare qualche passo. Voleva allontanarsi, andare via da lì.

«Non ti conviene andare da quella parte. Sei già nei territori del branco e sarebbe meglio se te ne andassi»
«Perché invece di fare il noioso, non mi fai fare un giro del posto?» 
«Sei curioso, umano»
«Chiamami ancora una volta "umano" e potresti ritrovarti senza un arto o due»

Cosa gli stava succedendo? Parlare in modo così sconsiderato non era da lui, ma se la sua intenzione era quella di farsi ammazzare subito, forse la strategia era quella giusta. Il ragazzo scattò verso di lui e si mise in piedi a braccia incrociate e lo studiò. Dopo un tempo che Remus non avrebbe saputo quantificare, lui sembrò decidersi ad ammettere che in effetti quello che aveva davanti non era umano, ma un Licantropo come lui
Lupin fece lo stesso e lo osservò: il ragazzo doveva avere massimo una quindicina di anni, aveva i capelli neri e ricciolini, gli occhi grigi e... Il mago avvertì chiaramente che il cuore mancò un battito

«Come ti chiami?» chiese svelto al ragazzo, non sapendo neppure il perché
«Dovresti dirlo tu a me, sei tu lo straniero» 

Non aveva tutti i torti, ma improvvisamente Remus non riusciva a pensare con lucidità. L'aspetto, il fisico, i lineamenti, l'atteggiamento, lo sguardo. Tutto di quel ragazzo gli ricordava... Sirius Black 

«Pronto!? Non posso portarti da Fenrir se non mi dici almeno con che nome devo presentarti!» sbuffò il giovane Licantropo tenendo le braccia incrociate al petto
«Io... io sono Ettelen»

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Capitolo 23
*** Scena 22 ***


Salve a tutti! Ecco dopo due secoli una nuova scena! Spero che vi piaccia! Se volete rimanere aggiornati sui miei scleri perché non riesco a scrivere, seguitemi su instagram al profilo @cinzi_slytherin (pubblicità gratuita, lo so ahah) Buona lettura! 
Lunastorta98

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Una casa, due case…

Remus camminava guardandosi intorno e contava con attenzione quante catapecchie fossero abitate, per farsi una idea di quanti membri componessero il branco di Greyback.

Tre case, quattro case…

I bassifondi erano stranamente silenzioso e, questo, non poté che incuriosire il mago, il quale non attese un momento di più per esprimere ad alta voce la domanda che gli stava girando per la testa 

 

«Dove sono tutti?»

«In riunione, penso. Io sono ancora troppo piccolo per poter partecipare» 

«E sei l'unico giovane?» 

«No, ma gli altri sono così piccoli che, o stanno dormendo, o sono con le rispettive mamme» 

 

"Mamma"…. Chi sa come sarebbe stato crescere a contatto con dei genitori che vivevano la sua stessa condizione. Remus ricordava fin troppo bene quella che era stata la sua di infanzia, costretto a stare chiuso in casa, lontano dai bambini con i quali avrebbe tanto voluto stringere amicizia. I suoi genitori avevano tutte le ragioni per tenerlo lontano e nascosto, o ancora meglio, al sicuro. Si, si parlava di sicurezza; la sua, della sua famiglia e degli altri. Remus non poteva dire di aver sofferto dell'assenza di affetto, i suoi genitori lo amavano, ma senza dubbio era molto solo. Anche troppo.

 

«Capisco…» commentò dopo qualche istante di silenzio 

 

Cinque case, sei case…

Comincia a pensare che quello doveva essere un gruppo numeroso e a credere che ormai non avrebbe visto quando quelle case sarebbero finite, ma ad un tratto sentì salire distintamente un gran numero di voci. Ogni passo verso la casa che chiudeva la strana, li avvicinava a quel brusio che divenne quasi ad un tratto un frastuono. 

Pochi istanti dopo, tutto tacque all’improvviso. Remus e il giovane mannaro si fermarono fuori dalla porta e quest’ultimo si affacciò per sbirciare dentro.

 

«Oh bene! Fenrir sta salutando tutti. Vieni sbrigati!» disse per poi correre lungo il profilo della casa per poter quindi entrare da una finestra aperta.

 

Remus lo guardò sorpreso e, senza neppure rendersene conto, le sue gambe lo stavano seguendo. Dopo un salto, era già dentro la casa. Il suo ingresso passò inosservato, almeno fino a quando tutti non smisero di muoversi e chi era già uscito, si era affacciato di nuovo.

 

«E chi è quel damerino?» questa fu solo la prima di tante domande che si sollevarono nell’arco di qualche secondo. Remus sapeva che prima o poi tutto il branco si sarebbe accorto di lui, ma non pensava che questa sarebbe successo così presto

«Draugluin!» la voce di Fenrir sovrastò le altre che si spensero subito «Giovanotto, chi ci hai portato? Un umano forse?»

«Assolutamente no! Lui è Ettelen, uno di noi»

 

Remus si sistemò le maniche della giacca quasi senza rendersene conto per poi mettersi accanto al ragazzo, Draugluin, così si chiamava, quindi. Si sentì osservare da ogni angolo e ciò lo mise non poco a disagio, considerato come a lui non piacesse essere al centro dell’attenzione. 

Fenrir gli si avvicinò per primo e lo squadrò da cima a fondo; poggiò una mano su una sua spalla.

 

«Da dove vieni?»

«Ho girato un po’ l’Europa, prima di venire qui» 

«E sei qui…»

«Per rimanere» concluse lui la frase «sempre se sarò accettato» aggiunse

 

Fenrir, tenendo sempre la mano sulla sua spalla, spostò un momento lo sguardo; guardò il giovane Draugluin, poi, a uno ad uno, i membri più anziani del branco. Tornò quindi a scrutare Remus

 

«Rimanere? Quanto?»

«Il più a lungo possibile»

 

Il capo branco scoppiò in una fragorosa risata, senza un vero e proprio motivo. Si allontanò di qualche passo e iniziò a battere le mani. Si fermò poco dopo e smise anche di ridere. Si rivolse nuovamente al mago

 

«Ettelen, il branco ti ospita per la notte. Domattina saprai se puoi rimanere o no».

 

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Capitolo 24
*** Scena 23 ***


La sera precedente non era stato affatto facile prendere sonno. Draugluin era stato incaricato di ospitare il nuovo possibile membro del branco in casa sua e questo, per Remus fu un sollievo, da un lato, ma per il giovane licantropo sembrava essere stata una scocciatura. Quando entrò nell’abitazione, il mago cominciò a guardarsi intorno, a contare quanti letti vi fossero per farsi un’idea di quanti dormissero lì. A lui venne dato un letto che sembrava non essere toccato da diverso tempo. Il mago si tolse la giacca e la appoggiò allo schienale di una sedia, riponendo poi anche il mantello da viaggio che aveva portato con sé. Tolse le scarpe e si sdraiò lentamente sul letto, incrociando le braccia dietro la testa e guardando in alto, verso il soffitto.

 

«Sai, Ettelen, essere chiamato “damerino” non è proprio una gran cosa qui, nel branco» disse il giovane lupo dopo essersi lanciato sul proprio letto, vicino a quello di Remus

«Per spostarsi comodamente da un posto all’altro è sempre meglio apparire come un umano… non pensi? Ho imparato a comportarmi in un certo modo ed è difficile evitare di farlo, una volta presa l’abitudine.»

 

Seguirono diversi istanti di silenzio, durante i quali Draugluin lo osservò attentamente, come a non volersi perdere un solo dettaglio della sua espressione. Evidentemente il buio non lo disturbava più di tanto, la sua vista doveva essere molto buona. Del resto anche Remus aveva sempre avuto una vista eccellente e, se lui fosse stato costretto a vivere in un branco, sicuramente l’avrebbe migliorata ulteriormente.

 

«Sembra che tu ti diverta. Nel senso… ti piace essere umano» disse non trattenendo un lieve cenno di… disgusto, pensò Remus

«È solo che è troppo tempo che vivo a contatto con loro. Per fortuna ho sentito di questo branco e di Fenrir» si costrinse a rispondere con sollievo

 

Il giovane lupo si mise seduto sul letto a gambe incrociate chiedendosi dove diamine fossero finiti gli altri. Era terribilmente noioso dover essere sempre lui a accogliere i nuovi arrivati e almeno desiderava avere un po’ di compagnia. Si alzò dal letto e andò alla finestra sbirciando fuori.

 

«Tu non dormi qui da solo, vero?» chiese Remus a un tratto «Aspettiamo qualcuno?»

«Si, in effetti. Ma ogni volta che c’è un nuovo arrivato mi lasciano solo» rispose appena più serio di quanto non si fosse mostrato fino ad allora 

«Non devi stare per forza qui, se non vuoi»

«Oh ci sono delle regole nel branco. Devo rispettarle»

 

Remus non capì esattamente a quali regole lui alludesse. Che ci fossero regole sul tipo di accoglienza da riservare ai lupi che giungono nel branco? Probabilmente era così, ma non ne vedeva alcuna possibile che costringesse un giovane licantropo a fare da guardia, solo.

 

«Come farò a sapere se sarò accettato nel branco o meno?»

«Domattina al tuo risveglio lo saprai»

«Si, ma… cosa dovrò fare?»

«Assolutamente nulla. Stiamo già decidendo»

 

L’espressione seria che Remus riuscì solo a percepire fu abbastanza per fargli cominciare a capire diverse cose: probabilmente lo stavano osservando e Draugluin serviva solo a tenerlo buono in casa così che tutti sapessero dove trovarlo. 

Si alzò lentamente dal letto e si chinò verso la giacca che aveva sulla sedia, scavò nella tasca e interna come per assicurarsi di avere con sé le  boccette dategli da Severus. Le prese dopo aver controllato che il ragazzo non guardasse e graffiò l’etichetta, così che non si potesse leggere che pozione fosse contenuta.

 

«Che fai?»

 

Alla domanda del ragazzo, Remus sobbalzò leggermente e ripose le boccette. Si mise dritto e sospirò leggermente. Tutte scuse per pensare a una risposta da dargli.

 

«Controllavo se avessi con me qualcosa da mangiare… purtroppo no» scosse le spalle e tornò a sdraiarsi.

 

Si stiracchiò stancamente e socchiuse gli occhi sentendo i movimenti del giovane lupo accanto a sé. Draugluin si sedette sulla sedia e lo guardò. 

 

«Niente cibo a quest’ora, dovrai aspettare la colazione»

«Se proprio devo…» si costrinse a dire in modo scocciato e osservò il giovane «In quanti siete qui dentro?»

«Dipende… almeno tre, sempre. Poi qualche volta viene qualcun altro»

 

Remus annuì, poi sbadigliò. Si girò su un fianco dando le spalle a Draugluin e, prima che se ne accorgesse, ai addormentò. La stanchezza gli era caduta addosso tutt’a un tratto e lui si era lasciato avvolgere dalle braccia di Morfeo senza troppe esitazioni. Magari si aspettava che il mattino dopo giungesse più velocemente.

Il licantropo si avvicinò e lo osservò. Vide che dormiva e, forse, avendo sentito un barlume di libertà, corse fuori dalla casa, facendo più silenzio possibile.

Fu una notte lunga e difficile per Remus: nonostante si fosse addormentato con facilità, il sonno non fu riposante. Sognò diverse cose, avvenimenti del passato e possibili immagini del futuro: non seppe scegliere quali furono i peggiori.

La mattina arrivò abbastanza in fretta e Remus si svegliò sentendosi come osservato. Aperti gli occhi, si mise a sedere quasi di scatto nel notare almeno una ventina di lupi intorno a lui. Fenrir era lì in prima linea che si avvicinava e poggiò una mano sul suo cuore. Così fecero anche altri lupi, poggiando la mano ovunque arrivassero: spalle, braccia, collo, testa, gambe e così via. Remus rimase immobile osservando a uno a uno i movimenti dei licantropi: il mago non poteva negare di provare un po’ di ansia e forse anche paura, ma rimase immobile e fermo lì sul letto. Si aspettava che qualcuno dicesse qualcosa, invece regnava il silenzio. Remus fece un respiro profondo e chiuse un momento gli occhi, rilassandosi (o provandoci). Se lo avessero voluto morto, non si sarebbero presi il disturbo di stare in silenzio a guardarlo. Anzi, realizzò solo allora che se lo avessero davvero voluto morto… non si sarebbe neppure risvegliato, quella mattina.

 

«Benvenuto nel branco» disse a un tratto Fenrir

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Capitolo 25
*** Scena 24 ***


Ninfadora si svegliò di soprassalto, tirandosi su col busto e mettendosi a sedere. Fece qualche respiro appena più profondo, con gli occhi sbarrati e rimanendo rigida. Si guardò intorno spaesata, la bocca appena aperta e gli occhi che si muovevano velocemente da una parte all’altra. Solo quando realizzò di trovarsi alla Tana - e ci vollero diversi istanti - si decide a fare un ultimo respiro profondo, chiudendo gli occhi per poi espirare lentamente e mettersi di nuovo sdraiata. Riaprì gli occhi e guardò il soffitto dell’abitazione 

 

«Era solo un sogno…» sussurrò a se stessa come per tranquillizzarsi ulteriormente 

 

Passò qualche minuto, ferma sul letto dove si trovava Tonks poteva riordinare le idee: cercò di ricostruire tutto il percorso che la aveva portata in una stanza di casa Weasley e si chiese perfino quale dei poveri ragazzi avesse costretto ad abbandonare la stanza, fregandogli il letto. Si mise su un fianco e si soffermò a osservare l’arredo e le decorazioni, seppur non esagerate, della stanza: sicuramente la camera era di un figlio maschio a giudicare dal caos che regnava, ma forse non conosceva i giovani maghi dai capelli rossi così bene. Rimanendo girata sul fianco, si stiracchiò per poi alzarsi lentamente. Sentì un rumore e si rese conto che dal letto era caduto a terra qualcosa. Abbassò lo sguardo e sgranò gli occhi: la bacchetta di Remus era rotolata a terra. Si abbassò di scatto, inginocchiandosi e raccogliendola per poi stringerla tra le mani.

Proprio in quel momento la porta della stanza si aprì

 

«Tonks! Che ci fai lì a terra?» 

 

Non sentendo alcuna risposta, la signora Weasley avanzò nella stanza e poggiò le mani sulle spalle della strega più giovane, aiutandola poi a tirarsi su è mettersi in piedi. Tonks si lasciò alzare ma non disse ancora nulla. Seguì Molly fuori dalla stanza e scese le scale diretta in cucina, dove venne fatta accomodare su una delle sedie. Lei prese posto abbassando poi lo sguardo.

 

«Non era un sogno allora» mormorò l’Auror «È davvero andato via…»

«Si, cara. E vedo che stai già assolvendo al compito che lui ti ha lasciato» fece un cenno alla bacchetta 

 

La Signora Weasley controllò l’ora e decise di iniziare a preparare il pranzo. Voleva cucinare in grande stile: più portate, qualunque cosa dal pollo con le patate al pudding. La cosa importante era alleggerire l’atmosfera intontendo la mente con qualcosa di ottimo da mettere sotto ai denti

 

«Io… dovevo andare a lavoro questa mattina!» esclamò Tonks balzando in piedi «Oh per Merlino, Malocchio mi ucciderà!»

«Alastor non ucciderà nessuno, tranquilla. L’ho avvertito io quando sono passata a vedere se eri sveglia, questa mattina» rispose Molly divertita 

 

Sentendo quella risposta, Tonks si rimise giù. Non chiese neanche se poteva rendersi utile in qualche modo, prevedendo la risposta di Molly che di tutta fretta l’avrebbe ringraziata per la premura dicendole che era un’ospite e che non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla. Anzi, meglio se fosse stata lontana dal suo servizio di piatti buoni. Tonks sorrise di questo pensiero e fece per riporre la bacchetta nella tasca del mantello, quando si rese conto di star indossando un pigiama che, tra l’altro, non era suo

 

«Molly scusa… i miei vestiti? E la mia bacchetta? Insomma si, tutta la mia roba?»

«Oh cara, ho messo tutto su, nella camera di Percy, dove dormivi» 

«Grazie mille. Allora vado a sistemarmi… tanto non penso di esserti utile qui» commentò ironica 

 

Abbandonò la stanza accompagnata da una risata della signora Weasley. Salì le scale lentamente, rigirandosi la bacchetta nella mano che la impugnava e, una volta tornata nella stanza dove aveva dormito, si mise a sedere ai piedi del letto. Chiuse un momento gli occhi e ripensò al pomeriggio precedente passato a Grimmauld Place: rivide Remus che suonava il pianoforte, lo rivide mentre preparava il the e poi vide loro due insieme, abbracciati. Se si concentrava, poteva ancora sentire il calore che la aveva avvolta durante quei pochi secondi in cui si erano stretti l’uno all’altra. Ricordando di essere stata lei a sciogliere l’abbraccio per prima, si dette della stupida: per una volta che Remus non opponeva resistenza, lei avrebbe potuto approfittarne e trattenerlo qualche istante di più. Tonks si riscosse da questi pensieri e riaprì gli occhi lasciandosi cadere all’indietro sul letto. Allungò le braccia sulla testa e guardò la bacchetta che teneva: era la prima volta che la osservava veramente e notò la particolarità dell’impugnatura. Era come rovinata, come se fosse stata stretta così tanto da essere deformata. Tonks si ripromise di chiedere a Remus cosa fosse successo 

 

«In fondo… sono solo tre mesi, no Tonks?» chiese a se stessa e sospirò portando le braccia al petto come per abbracciare la bacchetta

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Capitolo 26
*** Scena 25 ***


Risvegliatasi poco dopo, come avrebbe scoperto da lì a breve, Tonks si alzò lentamente dal letto e fece qualche passo nella stanza. Fece un respiro profondo e rimase in ascolto: i rumori che provenivano dal piano inferiore facevano intendere che la Tana forse più animata del solito, se si conta che comunque la casa non potesse mai davvero essere silenziosa, con i giovani Weasley che scorrazzavano in giro. 

Si decise a uscire dalla stanza, con passo lento, cadenzato. Lo sguardo che fissava tutto e niente, mentre i piedi si muovevano automaticamente scendendo le scale. Se avesse fatto attenzione, Tonks avrebbe visto Bill attraversare velocemente il soggiorno diretto in cucina. Se avesse fatto attenzione, Tonks avrebbe sentito Molly urlare qualcosa di incomprensibile per lei in quel momento. Se solo Tonks avesse fatto attenzione, si sarebbe anche potuta mettere a ridere per ciò che stava succedendo in quel momento. La bellissima Fleur Delacour era in piedi al centro della stanza con le braccia incrociate al petto e un piglio molto fiero. Dall’altro lato della stanza, vicino alla porta della cucina, Molly Weasley teneva le mani sui fianchi, leggermente chinata in avanti, le sopracciglia basse e gli occhi puntati contro Fleur. In tutto questo, Bill correva avanti e indietro assecondando le richieste dell’una e dell’altra donna

 

«Bill, caro, prendi l’arrosto e lo metti a tavola per favore?» ecco cosa stava urlando Molly nel tentativo di sovrastare con la sua voce quella di Fleur 

«Certo mamma!» rispose il rosso uscendo velocemente dalla cucina col piatto in mano, per poi posarlo al centro del tavolo 

 

Probabilmente riscossasi dal suo stato di provvisoria trance proprio per il baccano, Tonks indirizzò lo sguardo verso i tre maghi. Decise di sedersi sugli ultimi scalini per non essere tirata dentro quella faida. Sedendosi lentamente, quasi al rallentatore, poggiò i gomiti sulle cosce e la guancia su una mano, mentre con l’altra mano si stropicciava un occhio. 

Nessuno sembrava realmente essersi accorta della sua presenza e la giovane Metamorfomagus non se ne dispiacque esageratamente. Abbozzò un sorriso nel notare come Fleur cercasse di mostrarsi molto più imponente della signora Weasley volendo affermare la sua volontà su quella di Molly. “Illusa…” si ritrovò a pensare lei

 

«Adesso basta!» sospirò esasperato Bill, lasciandosi cadere su una sedia del tavolo «Mi volete sfinire per caso?»

«Ma cosa disci» lo liquidò velocemente la giovane francese agitando una mano

«Vorrei solo che mi aiutassi! Da quando hai iniziato a frequentare lei» cominciò Molly

«Mamma, per favore. Non ricominciare!»

 

Tonks si sforzò di tirare in su un angolo delle labbra. Fece ciondolare appena la testa e, nel farlo, una ciocca di capelli le ricadde davanti agli occhi. Quello che vide la fece sobbalzare quasi spaventata. Molly, Bill e Fleur, momentaneamente in silenzio, si voltarono contemporaneamente verso le scale e, solo allora, scorsero l’ex Tassorosso

 

«Ehi Tonks!» la salute allegramente Bill «Cos’è quello sguardo terrorizzato? Se è per quello che hai sentito, tranquilla. Ormai ci sono abituato!» rise 

 

Non ricevendo risposta, i tre si guardarono perplessi. Fu Molly ad avvicinarsi per prima senza capire cosa avesse pietrificato Tonks. La guardò attentamente: totalmente immobilizzata sulla scala, la giovane sollevò lentamente la mano libera e si prese tra le dita la ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi

 

«Molly…» mormorò «I miei capelli… non erano così prima, vero?»

 

Solo allora sembrò a tutti chiaro che, nella figura di Tonks, ci fosse qualcosa che non andasse. Come avevano potuto non notare che la fiorente chioma rosa che la giovane era solita sfoggiare, adesso era stata sostituta da capelli che ricadevano disordinatamente tinti di un grigio topo spento? Non c’era bisogno che qualcuno rispondesse davvero a quella domanda. La riposta era fin troppo ovvia. Era chiaro a tutti che i poteri di Tonks spesso si attivavano senza il suo aperto volere e, per tale ragione, fungessero più da risposta emotiva che da mero divertimento e "tocco di classe” voluto dall’Auror. Ciò che però non era chiaro - almeno non per Bill e Fleur, dal momento che Molly poteva bene immaginare cosa stesse passando per la testa di Tonks - era il motivo per cui quel cambiamento così drastico fosse avvenuto. 

 

«Oh beh!» sospirò Tonks, lasciando la ciocca e mettendosi in piedi «Ogni tanto ci vuole un cambio di stile, no?» guardò i presenti sfoggiando il sorriso più vero che riuscisse a fare in quel momento «No…?» ripetè in modo meno convinto non ricevendo risposta 

«Ma scerto, solo non ponsavo che il grijo andosse di moda…» Felur si bloccò, fulminata dallo sguardo di Molly

«Ah… giusto. Beh io seguo una moda tutta mia. Non lo sapevi?»

«Perché non ci mettiamo a tavola? Bill, caro, chiama i tuoi fratelli» si intromise la signora Weasley «Ormai Arthur starà arrivando e dovrebbe esserci anche Alastor con lui. Se non sbaglio, ha degli aggiornamenti per noi». 

 

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Capitolo 27
*** Scena 26 ***


Osservando con più attenzione i bassifondi, Remus si rese conto che quelle che aveva considerato “case” fino alla sera precedente, altro non erano che parallelepipedi vuoti. Quattro pareti e un tetto. Buchi rettangolari nelle pareti si aprivano in corrispondenza di quelle che sarebbero dovute essere le finestre e porte vecchie e malmesse chiudevano gli ingressi. Anche sui “letti” non ci aveva visto così bene: si parlava più che altro di materassi sudici lasciati sul pavimento insieme a pezzi di stoffa da usare come coperte, nel caso facesse freddo. E non era certo che sarebbero comunque serviti a molto. 

Una cosa, però, era riuscito a contarla con esattezza: il numero delle abitazioni. Sembrava un numero ridicolmente piccolo per il totale di licantropi che sembrava abitasse quel luogo. Remus ne aveva contati una ventina quella mattina al suo risveglio, ma era certo fossero di più.

Dopo essersi svegliato circondato dai lupi del branco, non era stato lasciato solo nemmeno per un momento. A detta di Fenrir, dal momento che era stato accettato, avrebbe dovuto presentarsi in modo opportuno e l’occasione sarebbe arrivata a breve. A pranzo. Davanti a tutti. 

 

«Sembri agitato» una voce piatta fece riscuotere Remus dai suoi pensieri 

«Comprenderai che il fatto che tu mi segua da ormai sei ore mi possa turbare» rispose alzando gli occhi al cielo. In quel lasso di tempo aveva deciso di perseguire la condotta che prima lo avrebbe fatto uccidere in assoluto, ovvero quella di un lupo superbo e annoiato che con difficoltà sarebbe stato alle regole. 

 

Draugluin si era allontanato quasi subito e Lupin lo aveva visto sparire all’interno di una delle abitazioni più lontane rispetto a quella dove aveva dormito quella notte. Al momento si trovava in compagnia di Araton: dalla corporatura robusta e ricoperto di peli che a stento si sarebbe capito se fosse trasformato o no, Araton era un lupo sulla trentina. Questo era tutto ciò che Remus fu in grado di comprendere. Un successo, certamente. 

 

«Non avrai sperato di poter gironzolare indisturbato?!» rise di gusto Araton

«In effetti no, ma cosa credi che potrei fare? Sai, per curiosità…»

«Oltre a camminare per tutto il villaggio osservando qualsiasi lupo con fare sospetto?»

«Sono nuovo. Cerco di ambientarmi» alzò le spalle con fare indifferente 

 

“Villaggio”, ecco un’altra cosa che aveva compreso: i lupi facevano riferimento ai bassifondi come a un villaggio. Ovunque si guardasse, si sarebbe potuto distinguere sporcizia, disordine. Giusto per essere gentili. Giusto per non dire che il terreno era disseminato da ammassi di abiti dismessi di cui Remus si premurò di non chiedere la provenienza, immaginando bene di chi fossero (o fossero stati). A conferma, le innumerevoli macchie di sangue che macchiavano le pareti esterne delle abitazioni e il terreno. E se ciò non bastasse a rendere l’idea, Lupin era sicuro di aver calpestato un gruppetto di ossa mentre camminava. 

 

«Però non mi hai fatto superare quell’abitazione…» commentò Remus accennando con un movimento del capo all’ultima casa che chiudeva la strada, quella all’interno della quale i lupi erano in riunione la sera precedente. 

«È per questo che devo seguirti!»

 

Arrivato alla conclusione di essere rimasto fermo troppo a lungo nello stesso punto, Remus si avviò proprio verso quella casa e, subito, Araton lo seguì, pronto a bloccarlo se necessario. Erano ormai arrivati davanti alla porta, quando Draugluin sbucò dall’interno.

 

«Ettelen! Stavo giusto per venirti a cercare!» sorrise ampiamente il giovane licantropo

«Draugluin, siamo pronti?» domandò Araton, lo stesso tono piatto di poco prima

 

Il ricciolino annuì e si avviò nuovamente all’interno, seguito dagli altri due. Remus portò le mani nelle tasche dei pantaloni e li seguì rimanendo indietro di un paio di passi. Scoprì presto l’esistenza di una porta sul retro. La attraversarono e ciò che si presentò di fronte ai loro occhi altro non era che un’enorme quantità di lupi mannari, tutti seduti a un tavolo (una lunga asse di legno abbastanza spessa e larga, per meglio dire). 

 

«Ben arrivato!» fu Fenrir a parlare per poi fargli cenno di avvicinarsi «Miei lupi, da oggi avremo un nuovo compagno» affermò mentre si tirava su

 

Remus gli si avvicinò, mettendosi alla sua destra. Potè subito sentire la sua mano poggiarsi, come la sera precedente, sulla propria spalla. Era la sinistra, esattamente quella su cui si trovava la cicatrice del morso maledetto che proprio Fenrir gli aveva dato anni prima. 

Remus rimase in silenzio osservando le facce di coloro che lo stavano fissando con avido interesse. Non proferì parola fin quando la pressione sulla sua spalla non aumentò, indicando che avrebbe potuto procedere con le presentazioni

 

«D’accordo… Sono Ettelen» scelse con cura le parole da usare «Ho girovagato per l’Europa per poi tornare qui a Londra. Avevo sentito della grandezza di Fenrir Greyback» nel dirlo fece un cenno verso di lui accompagnandolo a un lieve inchino «e del suo branco» ripetè il cenno (senza inchino) verso il resto dei lupi «Ed eccomi qui con l’intenzione di rimanere e… rendermi utile, se ce ne fosse la necessità» concluse alzando lievemente le spalle per poi tacere nuovamente 

«Bene!» commentò l’Alfa evidentemente compiaciuto dei complimenti ricevuti «Come ho già detto questa mattina, Ettelen, benvenuto nel branco!» finì per urlare

 

All’urlo di Greyback seguì quello di numerosi altri lupi finché tutto il branco non si unì al coro di quelli che sembrano essere ululati di approvazione, agitando le braccia in segno di esultanza.

Remus venne fatto sedere tra Draugluin e Araton, cosa di cui in effetti si riscoprì essere sollevato dal momento che erano gli unici due membri del branco con cui avesse avuto modo di parlare fino ad allora. Gli altri continuavano a lanciargli occhiate di sottecchi, alcuni chiaramente diffidenti e altri solo curiosi. 

Dopo pochi minuti di attesa, venne servito il pasto. Se così poteva essere definito. Una donna dal fisico tozzo arrivò trascinando due sacchi che poi aprì, uno alla volta, slacciando la corta che serviva per assicurarne la chiusura. Scavò all’interno del primo sacco e, afferrando diversi pezzi di carne, li lanciò ai membri del branco a iniziare da Fenrir. Dopo di lui toccò a un’altra donna dal fisico possente e dal volto segnato dall’età (una di coloro che continuava a fissare il nuovo arrivato con estremo sospetto). A seguire, un uomo dai capelli grigi raccolti in un codino alto e dalla folta barba dello stesso colore. Remus smise di guardare a chi venisse lanciato il cibo nel tentativo di capire invece cosa venisse lanciato. Ma non ci riuscì fin quando, afferrando senza pensarci la sua razione, non comprese di non essere stato nel torto quella mattina. Ciò che aveva preso al volo altro non era che una mano umana strappata al suo corpo. 

Il suo cuore mancò un battito e si ritrovò ad inclinare il viso in avanti, chiudendo gli occhi nel tentativo di mantenere in gola ciò che aveva minacciato improvvisamente di risalirla. Deglutì lentamente e alzò nuovamente il viso. In quel momento percepì maggiormente lo sguardo della donna seduta accanto a Fenrir. Guardò nella sua direzione e la scoprì intenta a addentare quello che sembrava un polpaccio, mentre sfoggiava un sorriso soddisfatto.

 

«No! La mano la volevo io! Ettelen facciamo a cambio?» squittì supplichevole la voce di Draugluin «Io detesto i piedi…»

 

Prendila pure. Quello che avrebbe voluto rispondere Remus, ancora intento nella sua lotta interiore. Ma non potè farlo. Non immaginava certo che gli sarebbero stati serviti dei veri e proprio pasti, ma non aveva pensato neanche lontanamente a questo. Si rese conto solo in quel momento che, tutto sommato, non avrebbe dovuto aspettarsi altro.

Ignorando la richiesta del giovane, avvicinò lentamente la mano alla bocca e, nel farlo, l’odore di sangue gli invase le narici. Aprì appena di più gli occhi trattenendo un fremito. Quell’odore, inspiegabilmente, lo stava attirando in modo non indifferente.

 

«Stai cercando di privarmi del mio primo pasto qui?» rispose con voce improvvisamente rauca una volta ripreso un minimo di controllo, costringendosi poi a una risata

«Ti sto proponendo un baratto!» protestò l’altro

«Draugluin, è stata Colinde a darti il cibo. Rispetta la sua decisione» si intromise Araton, la bocca piena di una parte del corpo non bene identificata di qualche pover’uomo (o donna). 

 

Draugluin si affrettò a fare una sorta di inchino di scuse per poi iniziare a mangiare la sua razione. 

Nel frattempo, sentendo di non poter rimanere ancora a lungo immobile, Remus avvicinò nuovamente la mano alla bocca e si costrinse a morderne un dito, solo una piccola falange dell’indice. Provava ribrezzo, non avrebbe mai immaginato di ridursi a fare qualcosa del genere. Eppure, mente masticava, nuovamente la sensazione di poco prima si fece viva, proveniente dalla parte più profonda di lui. Quel sapore, la carne e il sangue con il suo odore… La cosa che più gli face ribrezzo in quel momento fu che tutto ciò avrebbe dovuto fargli schifo, eppure non era così. 

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Capitolo 28
*** Scena 27 ***


«Ettelen!» chiamò la voce di Draugluin «Dove ti eri cacciato?»

 

Non appena il pranzo fu concluso, Remus si allontanò dal branco. Non tanto velocemente né per primo, di modo da non attirare su di sé le attenzioni degli altri lupi, ma nemmeno aveva atteso Draugluin o Araton. Semplicemente aveva sfruttato il disordine e il rumore del branco per allontanarsi. 

 

«Per quanto tempo dovrò essere pedinato prima di potermi dire libero di muovermi?» chiese Remus in un borbottio 

«Io non ti sto pedinando...»

 

Remus scoprì abbastanza in fretta che, se invece di tornare sui propri passi, rientrando e attraversando la casa che chiudeva il sentiero principale del villaggio, avesse proseguito nella direzione opposta, si sarebbe ben presto trovato nei pressi del fiume. E difatti, seduto a terra con le gambe raccolte al petto, erano ormai un paio di ore che il nuovo arrivato osservava il lento e incessante scorrere dell'acqua.  

 

«Allora perché mi cerchi?»

«Fenrir mi ha detto di farti vedere un po' il villaggio. Ma se sei arrivato già qua, non ho molto altro da mostrarti» il tono quasi deluso del giovane dai capelli ricci era chiaro e sorprese Remus

«Potresti spiegarmi qualcosa di questo posto. Ad esempio le regole di cui mi parlavi ieri sera»

«Oh... dovrei portarti da Atarie, allora!»

«Atarie?» ripetè lentamente 

 

Senza aggiungere altro, Draugluin gli fece segno di seguirlo. Remus annuì e si alzò. Ripercorsero il tratto di strada che separava il fiume dal centro del villaggio e, pochi minuti dopo si fermarono di fronte a una delle abitazioni. La stessa, notò Lupin, nella quale il giovane era scomparso quella mattina. 

 

«Aspetta qui» indicò Draugluin 

 

Remus rimase in attesa, poggiando le spalle alla parete della casa e portando le mani nelle tasche dei pantaloni. Chiunque il giovane licantropo avesse voluto presentargli, Remus si convinse del fatto che dovesse essere qualcuno di rilevante all'interno del branco. Ciò che non si aspettava, invece, era che avrebbe dovuto rimandare l'incontro: proprio in quel momento, delle urla si alzarono dalla piazza del villaggio. Due figure uscirono velocemente dalla porta accanto alla quale si trovava Remus e, senza esitare, lui le seguì.

In men che non si dica, molti lupi si furono radunati nella piazza. Rimanendo un po' distante, ma comunque abbastanza vicino da osservare cosa stesse succedendo, Lupin capì che le urla erano della donna che sedeva vicino a Fenrir durante il pranzo. 

"Si mette male...", "L'avrà fatta grossa, stavolta!". Questi ed altri commenti pronunciati a mezza voce si levarono dai licantropi che osservavano la donna intenta a trascinare da una caviglia un ragazzo.  

 

«Celeborn!» gridò la donna «Ti diverti a infrangere le regole?»

«N-no Signora, mi dispiace!» rispose lui tentando invano di liberarsi dalla sua presa 

«No? E allora per cosa ti dispiace!?» ghignò lei 

 

Strattonato il giovane fin proprio al centro della piazza, la donna lasciò la presa e Celeborn (così sembrava si chiamasse) si inginocchiò ai suoi piedi: le mani poggiate a terra e la schiena ricurva con la fronte quasi a sfiorare il terreno. Remus notò che il giovane stava tremando e l'impulso di correre in suo aiuto fu subito forte. Si trattenne e rimane ad osservare 

 

«Credi che Fenrir sarà felice di sapere che ti sei allontanato dal villaggio?» continuò la donna

«No Signora, stavo solo... volevo solo esplorare le zone qui vicino» tentò di rispondere Celeborn

«Devo forse ricordarti che non hai il permesso per allontanarti?»

«Chiedo perdono, mia Signora...»

 

Nel momento in cui Remus, in piedi dietro Draugluin, fece per chiedere spiegazioni, la sua attenzione fu richiamata dalla risata della donna. La ascoltò chiamare due lupi alle sue spalle. Osservò i due arrivare, chinarsi sul ragazzo e tirarlo su afferrandolo ognuno da un braccio. 

 

«Bene, sapete cosa farne» disse distrattamente lei allontanandosi e facendosi strada tra i licantropi che ancora osservavano la scena, chi compiaciuto, chi quasi non curante (forse perché abituato a situazioni di questo tipo).  

 

Remus si ritrovò a osservare la Signora, come l'aveva chiamata Celeborn, mentre lei gli passava vicino. Non troppo alta, dalla corporatura possente ma magra, dai capelli neri e corti. Tutto in lei gli sembrò minaccioso e pericoloso, dal taglio degli occhi, alla sua andatura. Ma la cosa di cui ebbe più timore, se non paura, fu il sorriso compiaciuto che le si era stampato in faccia nel momento in cui le urla di Celeborn, trascinato via dalla piazza, si erano dapprima alzate e poi, man mano che si allontanava, affievolite sempre più.

 

«Che cosa è successo, Draugluin?» sussurrò non appena perse di vista la donna 

«Ettelen, lei è Aranel. Spero che tu non la faccia mai arrabbiare...»

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Capitolo 29
*** Scena 28 ***


Camminava in una strada buia, era notte. Nonostante il suo proverbiale senso dell'orientamento, non era in grado in quel momento di definire con esattezza il luogo in cui si trovava. Sentiva in lontananza il rumore di uno scroscio d'acqua, il fiume sicuramente. Allora dove si trovava? Nei bassifondi? Si arrestò d'un tratto e chiamò a gran voce qualcuno. O almeno quello era il suo intento, ma non riuscì a parlare. Le mani salirono velocemente alla gola, come per accettarsi che questa esistesse veramente e poi ancora più su; si toccò il volto, le labbra. Tutto era al suo posto eppure non riusciva a parlare. Provò ancora, ma nulla. 

Arreso all'idea di non riuscire a parlare, riprese a camminare e d'un tratto vide qualcosa - o meglio qualcuno - che non doveva essere là, se quelli erano davvero i bassifondi. Una figura era in piedi davanti a lui, a non più di dieci lunghi passi di distanza. Ferma, lo scrutava. Occhi nocciola puntati nei suoi, la mano intenta a scostare dal viso una ciocca di capelli di un colore innaturale, ma meraviglioso, il volto a forma di cuore. 

Pronunciò il suo nome per chiamarla, ma non riuscì a emettere alcun suono e, pertanto, decise di avvicinarsi. La figura davanti a lui gli sorrideva spensierata, ma più lui si avvicinava, più lei perdeva in vigore e si accasciava lentamente a terra. Decise di arrestarsi e la chiamò di nuovo. Questa volta la voce uscì in un sussurro lontano. Lei alzò lo sguardo verso di lui, le guance rigate dalle lacrime e i capelli sbiaditi. 

Una visione che gli spezzò il cuore. Voleva correre verso di lei e stringerla a sé. Ci provò, ma all'improvviso si sentì prendere contemporaneamente sia il braccio destro che il braccio sinistro. Qualcuno lo stava trattenendo e, nel voltarsi prima da un lato e poi dall'altro, non riconobbe nessuno delle due figure. Non distingueva i loro volti, ma solo i loro corpi molto più muscolosi e possenti del suo e si sentì trascinare indietro, lontano da lei. Urlò a squarciagola il suo nome.

Sentì poi riecheggiare nell'aria una risata, perfidia pura. La riconosce all'istante sebbene l'ultima volta che l'avesse udita era stato ormai mesi prima. Una unica, indimenticabile volta. Mosse velocemente la testa, prima a destra poi a sinistra. Prima verso l'alto e poi verso il basso e dietro di sé. Non la vedeva, ma sentiva la sua risata e più era costretto a sentirla più la rabbia montava dentro di lui. Provò a coprirsi le orecchie, ma le figure ai suoi lati lo tenevano bloccato, impedendoglielo. 

Si dimenò urlando fin quando non fu costretto a inginocchiarsi a terra. Venne fatto abbassare con tanta velocità che urtò il terreno sotto di sé con forza tale da sentir dolore. Abbassò lo sguardo per poi chiudere gli occhi digrignando i denti. 

Ben presto quella risata venne sostituita da un'altra voce che lo chiamava. Una voce ben diversa, la voce di un uomo, di un amico. Dopo averlo chiamato, l'uomo rise. Era una risata quasi canina, ma era sincera e profonda. Alzò nuovamente lo sguardo e lo vide. In piedi accanto alla ragazza che per prima aveva avvistato in quella strada buia. 

Una luce lo accecò impedendogli di continuare ad osservare due delle poche persone davvero importanti nella sua vita. Subito dopo, non sentendo più la costrizione delle braccia possenti che lo tenevano, provò ad alzarsi per correre in avanti, ma cadde a terra. 

Quando si alzò, portando una mano alla testa dolorante, non era più nello stesso posto. Si guardò introno velocemente, girando un paio di volte su se stesso, da un lato e dall'altro. Si trovava in una stanza che riconobbe immediatamente come quella che aveva affittato al Paiolo Magico, la numero 25. Si avvicinò alla finestra incuriosito da una danza di luci che vedeva nel cielo. Luci gialle e rosse. Alcune blu e altre verdi. Le riconobbe come le luci generate da altrettanti incantesimi. Sentendo un rumore alle proprie spalle, si girò. Venne colpito da una luce. Non fece in tempo a distinguere il colore. 

 

«Damerino!» urlò qualcuno «Damerino, cerca di riprenderti»

 

Remus aprì gli occhi di scatto. Era sdraiato a terra, il fiato corto come se avesse corso fino a quel momento. Deglutì per poi cominciare a fare respiri profondi nel disperato tentativo di rallentare i battiti impazziti del suo cuore. Si guardò intorno: Draugluin e Araton lo stavano fissando rimanendo in piedi vicino a lui

 

«Dove...» provò a parlare, ma si schiarì la gola nel tentativo di far risuonare più chiaramente la sua voce «Dove sono?»

«Nella capanna di Atarie. Ti abbiamo lasciato solo con lui giusto cinque minuti fa, ma poi ti abbiamo sentito urlare come un pazzo! Cosa è successo?» rispose Draugluin

«E soprattutto, dov'è Atarie?» aggiunse Araton

 

Remus scosse la testa come per dire che non lo sapeva. Si passò una mano sul volto, scoprendo in quel momento di essere madido di sudore. Si rese conto in quel momento di poter sentire ogni singola gocciolina di sudore freddo sul viso, sul collo e sulla schiena. Deglutì una seconda volta mettendosi lentamente a sedere e, nel farlo, urtò una tazza posata ai suoi piedi. Questa si rovesciò e rivelò il suo contenuto: un liquido verde, dello stesso verde che fino a un momento prima era convinto di star osservando dalla finestra della sua stanza al Paiolo Magico.

 

«Come mai siete rientrati? Non mi sembra di avervi chiamato» disse una voce alle spalle di Remus 

«Ah, Atarie, sei qui! Abbiamo sentito urlare il Damerino» rispose prontamente Araton

«Avreste urlato anche voi se aveste visto quello che ha visto lui» scandì lentamente l'uomo

 

Remus si girò nel tentativo di individuare la fonte della voce. Non fu una buona idea, la testa gli fece improvvisamente male. Gemette di dolore prendendosi il capo tra le mani. Poi ricordò improvvisamente tutto.

Ricordò che, dopo aver visto il giovane Celeborn essere portato via, chiese a Deraugluin chi fosse la donna che aveva dato l'ordine. Stava per seguirla, quando il lupo mannaro accanto a lui gli fece segno di non farlo e, piuttosto, di seguire lui. Scoprì ben presto che si trattava di Atarie e, altrettanto velocemente, realizzò di averlo visto quello stesso giorno, a pranzo. Era l'uomo dai capelli grigi raccolti in un codino alto e dalla folta barba dello stesso colore che era stato servito tra i primi. 

 

«Cosa significa? Come fai a sapere ciò che ho visto?» chiese Lupin, la voce ancora spezzata e, nel tono, l'urgenza di chi vuole avere una risposta immediata 

«Sei abituato a rivolgerti in questo modo agli anziani? Forse non dovremmo chiamarti "Damerino", dopotutto» commentò Atarie sedendosi su un cumulo di cuscini misti a paglia, proprio davanti a Remus

«Chiedo scusa, Signore» rispose in fretta, abbassando il capo in segno di scuse 

«Draugluin, Araton!» li chiamò «Devo chiedervi nuovamente di lasciarci soli» il tono calmo, ma non ammetteva repliche. Remus ebbe la sensazione di star sentendo parlare Albus Silente

 

I due Beta annuirono e chinarono lievemente il capo, congedandosi e allontanandosi subito dopo. Una volta che furono fuori dalla capanna, Remus si mise a sedere più comodamente, incrociando le gambe e poggiando le mani sulle cosce. Solo nel muoversi notò che ogni singolo muscolo del suo corpo era teso. Prese un profondo respiro e si rilassò. O almeno, ci provò

 

«Allora, Ettelen» Atarie pronunciò lentamente il nome dell'uomo davanti a sé «Ti senti ancora scosso?»

«Si...» ammise per poi aggiungere in fretta «... Signore»

 

Ciò che ottenne in risposta fu una sonora risata. Diversa da quella perfida che aveva sentito poco prima e diversa anche da quella canina che aveva sentito subito dopo. Abbassò lo sguardo e, vedendo nuovamente la tazza, la raccolse

 

«Cosa mi ha dato da bere?»

«Vedi, quella è una pozione di mia invenzione. Oh sia chiaro, non è come una di quelle cose che preparano gli umani! Per Selene, no!» scosse vigorosamente la testa 

Remus annuì lentamente poi azzardò «Però... non mi ha risposto»

«Vedi questa mi aiuta a sapere con chi sto parlando. Non mi rivela il suo nome o da dove viene, ma mostra cosa vive dentro la persona che la beve. I suoi tormenti, i suoi sentimenti, le sue paure...» fece una pausa scrutando Lupin da capo a piedi «Non so chi tu sia, Ettelen, ma nel tuo passato recente ho visto solo sofferenza!»

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Capitolo 30
*** Scena 29 ***


«Fai attenzione» la voce di Dawlish si fece sentire ancora una volta quella giornata 

 

Nonostante ciò, quello che seguì fu l'ennesimo boato che il Dipartimento degli Auror del Ministero della Magia fu costretto ad ascoltare nell'arco di un paio di settimane. 

John Dawlish, Auror affermato, si passò stancamente una mano tra i capelli grigi, fino a quel momento impeccabilmente pettinati e scrutò la collega 

 

«Per la barba di Merlino, Tonks!» sbottò recuperando dalla tasca interna della giacca la bacchetta che agitò poi velocemente per risolvere il caos combinato «Ti è di così gran fatica guardare dove vai? Non è difficile raggiungere l'ufficio del Capo Robards e siamo in ritardo... a causa tua!» sottolineò con disapprovazione le ultime parole 

 

Tonks, una volta deciso che non era il caso di rimanere sdraiata supina con le gambe leggermente divaricate e una mano premuta contro la tempia intenta a massaggiarsela, si tirò su a fatica. Fece per prendere la propria bacchetta di modo da far levitare i fascicoli che erano volati con lei e, sempre come lei, caduti, ma Dawlish l'aveva preceduta

 

«Chiedo scusa...» mormorò sospirando «Non avevo notato che il pavimento fosse bagnato!» aggiunse protestando

«Come ieri non avevi notato lo scaffale della sezione "L" proprio accanto alla tua scrivania agli Archivi? O come l'altro ieri, quando sei andata a sbattere contro la porta dell'ufficio di Savage perché ti sei dimenticata di aprirla? O forse come poco fa, quando sono venuto a chiamarti e tu stavi per ribaltare la scrivania e coinvolgere anche me in un così spiacevole incidente?» Dawlish avrebbe potuto continuare, ma ricordandosi dell'enorme ritardo in cui erano, si degnò di guardarla male un'ultima volta, prima di ripartire di gran carriera attraverso il corridoio.

«Non c'è bisogno che tieni il conto, lo sai?!» gli urlò Tonks prima di affrettarsi e seguirlo, i documenti di nuovo in mano 

 

Dopo un paio di giorni dalla partenza di Remus, periodo che Tonks aveva trascorso lontano dal lavoro sotto le cure della famiglia Weasley, la Metamorfomagus era tornata al suo noiosissimo impiego agli Archivi. Ogni volta che ripensava a quanto sudore e a quanta fatica aveva fatto per diventare un Auror sotto la guida di Alastor Moody, ribolliva di rabbia nel constatare che dovesse sedere ogni giorno alla stessa scrivania, riordinando scartoffie che, chi sa come mai, erano costantemente in disordine. Certo, se invece di inserire documenti catalogati per "R" al posto della "S" e altri catalogati come "Irrisolti", al posto dei "Caso Chiuso Con Successo", probabilmente nessuno le avrebbe fatto ritrovare gli stessi documenti sulla scrivania l'indomani. 

Nonostante questo, Ninfadora Tonks non riusciva a stare seduta con calma nemmeno in condizioni normali, potrete bene immaginare se in queste circostanze ci sarebbe mai potuta riuscire.

Ripensando all'anno appena trascorso, Tonks si ritrovò a ringraziare mentalmente ancora una volta Moody per averla messa a conoscenza dell'esistenza dell'Ordine della Fenice: il lavoro agli Archivi rimaneva noioso, ma l'iniziale compagnia di Kingsley Shackelbolt e la prospettiva di lavorare con lui sotto copertura per qualcosa di davvero tosto (come l'aveva definito più volte), le risollevava decisamente il morale. 

Se a ciò poi si fosse aggiunto il fatto che durante le riunioni per l'Ordine aveva occasione di rimanere in compagnia della famiglia Weasley (amici dai tempi in cui frequentava Hogwarts, allo stesso anno di Charlie e molto amica di Bill), del suo mentore, ma soprattutto di Sirius, allora si poteva comprendere come il suo umore fosse alle stelle in quel periodo. Aveva anche conosciuto gente nuova, una persona in particolare, ma ogni volta che questo pensiero le attraversava la mente, si ritrovava a giocherellare con una ciocca sbiadita dei suoi una volta colorati capelli. 

Dal giorno in cui Remus era partito erano ormai passate due settimane, due lunghissime settimane. Tredici giorni e venti ore se proprio volessimo essere pignoli e Tonks, che non lo era mai stata in vita sua, in quel momento lo era. In quelle due settimane, sul posto di lavoro non trovava più il clima che prima riusciva a tenerla allegra: Kingsley era stato spedito a fare da guardia al Primo Ministro Babbano dopo che Herbert Chorley, vice Ministro, era stato sottoposto a una mal riuscita Maledizione Imperius. Allo stesso modo, le riunioni dell'Ordine della Fenice erano sempre frequenti, ma molto meno interessanti, per usare un eufemismo. Mancavano numerosi membri, chi in missione, chi perduto. 

 

«Fai attenzione!» tuonò nuovamente la voce di Dawlish «Tonks! Mi chiedo come tu sia potuta diventare un Auror, dannazione!»

 

Attraversando il corridoio, ormai quasi giunti davanti all'ufficio di Gawain Robards, neo Capo del Dipartimento degli Auror, Ninfadora si era imbattuta in Edward Williamson (per non dire che gli era andata addosso) e, il faldone che teneva distrattamente tra le braccia, stava per volare inesorabilmente a terra. Dawlish si coprì le orecchie pronto a sentire il tonfo, che però non ci fu. Williamson lo aveva preso in tempo

 

«Tutto bene, Tonks?» chiese con voce gentile l'uomo che aveva evitato, oltre a quella dei documenti, la sua ennesima caduta «Stavo giusto venendo a chiamarvi. Robards sta dando in escandescenza, dice che-»

«Che siamo in ritardo, lo so bene!» sbottò Dawlish «Come si può sperare di lavorare con una come lei?»

«Oh suvvia, John. La povera Tonks non ha la tua esperienza ed è ancora così giovane!»

«Non parlate di me come se non ci fossi!» disse all'improvviso la Metamorfomagus riprendendo i documenti «Inoltre, non sono "così giovane" per Merlino, sono solo "più giovane"!» quasi urlò arrivando finalmente davanti alla porta del Capo degli Auror, lasciando indietro i due colleghi che si guardarono senza capire per poi raggiungerla.

 

Williamson li precedette dentro, dopo aver bussato.

 

«Capo Auror Robards, gli Auror Tonks e Dawlish sono arrivati!»

«Finalmente! Credevo di dover attendere la fine del mio turno prima di avere l'onore di parlare con loro!» lamentò il capo del Dipartimento degli Auror per poi far cenno ai due di avvicinarsi

«Chiedo scusa, Capo Auror» Dawlish fece un cenno con la testa, inclinandola in avanti in segno di scuse «Ho portato la documentazione richiesta!» si affrettò poi a specificare

 

Dawlish fece cenno a Tonks, la quale era rimasta in silenzio indifferente alle parole che le erano state rivolte. Fece infine qualche passo in avanti lasciando cadere pesantemente sulla scrivania del capo il faldone che portava. Robards sobbalzò per il suono sordo che seguì quella mossa. Ringraziò Tonks e lo aprì. Notò immediatamente che alcune carte non erano al posto in cui si sarebbero dovute trovare e se ne sorprese: aveva affidato quell'incarico a Dawlish convinto del fatto che tutto sarebbe stato in ordine, ma evidentemente si sbagliava. Se era stata davvero Tonks a portare i documenti, non gli fu difficile immaginare cosa fosse successo.

 

«La ragione per cui vi ho convocati è la seguente: ho bisogno che voi due, insieme agli Auror Proudfoot e Savage vi stabiliate ad Hogsmeade per aumentare il pattugliamento della Scuola di Hogwarts. Non sarete i soli, ovviamente, ma voi quattro farete squadra» arrivò subito al sodo il Capo Auror

«Signor Robards, comprendo i motivi che l'hanno spinta a creare una squadra composta da Proudfoot, Savage e me... ma Tonks?» rispose scettico Dawlish

«Credi che io non sia capace di pattugliare una scuola?» si accigliò Tonks

«Anche se tu lo fossi stata nei mesi scorsi, ora nutro seri dubbi al riguardo»

 

Tonks fece per ribattere, ma Dawlish indicò le carte che Robards stava sfogliando e, per la prima volta da quando le aveva prese in mano, si chiese cosa diamine fossero

 

«Non capisco...»

«Quello, Tonks, è un resoconto del tuo lavoro da quando sei diventata Auror a ieri sera. Purtroppo mancano gli avvenimenti di questa mattina, non credevo si sarebbe creata la necessità di un ulteriore aggiornamento» spiegò Dawlish

«E come si può notare leggendo...» continuò Robards «Il tuo rendimento è calato precipitosamente! Nonostante i tuoi giochetti da spia per Silente, fino a giugno riuscivi a portare a termine con attenzione le tue mansioni...»

«Sistemare l'Archivio?» protestò Tonks

«... Ma da giugno ad adesso e, in particolare nelle ultime due settimane» riprese come nulla fosse l'uomo seduto dietro la scrivania «Stai combinando un disastro dietro l'altro...»

 

Williamson rimase in disparte, silenzioso in muta osservazione della scena, le mani unite dietro la schiena. Dawlish aveva incrociato le braccia al petto e osservava con superiorità la giovane Metamorfomagus; Robards leggeva i resoconti fornitigli dal collega e Tonks iniziò a tremare. Williamson non ne seppe il motivo fin quando la ragazza non scoppiò in urla fragorose

 

«Oh! Ma certo!» esclamò come se avesse appena fatto una scoperta illuminante «Come ho fatto a non capire! Scrimgeour è ancora offeso perché sia io che Kingsley ve l'abbiamo fatta per più di un anno? Come li ha chiamati...? Ah si, "i nostri giochetti da spia per Silente" non sono stati di vostro gradimento?»

«Auror Tonks, la prego di trattare il Ministro e il Capo con le dovute maniere!»

«Per una volta nella vita, John Dawlish, taci!» sbottò Tonks tornando poi a rivolgere le sue attenzioni a Robards «Allora, è così? Mi avete fatto sistemare carte per più di un anno tenendomi lontana dall'azione e ora mi spedite ancora più lontano da qui!?»

 

Quello che seguì la sfuriata della strega furono istanti di puro silenzio. Williamson, se prima non aveva realizzato, in quel momento seppe con esattezza che tipo di tremore era quello che aveva preso Tonks: la ragazza emanava rabbia da ogni singolo poro del corpo. Ricordando il potere di cui le era stato fatto dono alla nascita, Edward Williamson credette di poter vedere i capelli della giovane incendiarsi come si era incendiato il suo spirito. Ma, come certamente era riportato anche nella documentazione, lei aveva perso il controllo delle sue capacità e, infatti, i suoi capelli rimasero grigi 

 

«Ebbene, vi voglio operativi sul campo dal primo di settembre, ma vi consiglio di cominciare a portare le vostre cose nella dimora a voi destinata il prima possibile. In fondo, mancano pochi giorni all'inizio del nuovo anno accademico» concluse Gawain Robards, come se Tonks non avesse parlato «Savage e Proudfoot sono già stati avvertiti e arriveranno domani sul posto» continuò per poi concludere «Williamson, Tonks. È tutto, potete andare. Dawlish, tu rimani. Devo comunicarti delle specifiche sul tuo incarico» 

 

Per poco Tonks non saltò addosso al suo capo, bacchetta alla mano. Stava giusto per prendere lo strumento magico, quando senti Edwards avvicinarsi e posarle una mano sulla spalla destra

 

«Andiamo» sussurrò e si rivolse subito dopo agli altri due congedandosi

 

Dopo un ultimo sguardo, impregnato di odio, Tonks seguì il collega fuori dall'ufficio.

Borbottando sproloqui, si richiuse la porta alle spalle e stava per allontanarsi velocemente quando si sentì richiamare 

 

«Tonks... non puoi fare così. Ti licenzieranno, prima o poi»

«Sai, Edward? Che lo facciano... Questo maledetto Ministero sta cadendo sempre più in basso, come puoi non accorgertene!?»

«Vero, ma come pensi di poterlo migliorare, se ti fai sbattere fuori?»

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Capitolo 31
*** Scena 30 ***


Lasciato il Ministero della Magia poche ore dopo il colloquio con Robards, Tonks decise di dirigersi ad Hogwarts, conscia che lì avrebbe potuto trovare il preside. Il suo nuovo incarico, che le piacesse oppure no, sarebbe iniziato in pochi giorni e, pertanto, occorreva avvertire Silente dei disagi che ciò avrebbe causato all'Ordine. Essere costretta ad Hogsmeade avrebbe, infatti, limitato notevolmente la sua presenza e la sua possibilità di rendersi disponibile per eventuali turni di guardia e appostamenti. Certamente, da un lato, non sarebbe stato un dispiacere dal momento che la sua proverbiale sbadataggine, ancor più accentuatasi negli ultimi mesi, rischiava ogni volta di far saltare qualsiasi tipo di copertura. In ogni caso, Tonks era comunque un membro dell'Ordine della Fenice e, in quanto tale, voleva e doveva rendersi utile. Per capire come, Ninfadora decise che la soluzione migliore fosse parlare direttamente con Albus Silente.
Con questo scopo preciso in mente, si materializzò appena fuori dai cancelli del castello, evocò velocemente un Patronus e gli affidò il suo messaggio. La richiesta non era indirizzata a qualcuno di preciso, ma era semplice: chiedeva, a chiunque lo ricevesse, di permetterle l'accesso ai giardini. Nell'attesa, la giovane strega si appoggiò a una delle colonne sulle quali si fissava il cancello stesso.
Incrociate le braccia al petto, si ritrovò ad alzare lo sguardo verso il cielo. Se ci fosse stata, la luna non era visibile. Probabilmente il satellite terrestre era coperto da qualche nuvola, ma il pensiero della Metamorfomagus volò inesorabile all'uomo che, da due settimane, si trovava da qualche parte della Gran Bretagna in compagnia di essere selvaggi e senza cuore. Non aveva avuto sue notizie dalla sera in cui era partito e, probabilmente, nessun altro ne aveva davvero avute. Ogni volta che le parlava, poteva vedere nell'espressione di Molly Weasley l'apprensione che provava. Tutti i membri dell'Ordine, chi più e chi meno - e Piton sicuramente meno di tutti - erano preoccupati e in ansia. Nessuno dubitava delle capacità di Remus - sempre eccezion fatta per Piton, sia chiaro - ma tutti temevano che quella missione sarebbe finita nel peggiore dei modi possibili - e su questo, Severus la pensava allo stesso modo.
Le mancava, non c'era molto altro da dire. Provava un enorme senso di vuoto proprio lì, tra il cuore e lo stomaco: sentiva una stretta non indifferente ogni qualvolta il viso del mago le appariva davanti agli occhi. Rivedeva il suo sorriso gentile, il suo sguardo dolce e sentiva la sua risata. Riusciva anche a risentire il suo nome pronunciato in quel modo che solo e soltanto lui faceva.
Tonks si passò una mano sotto l'occhio destro, poi quello sinistro, asciugandosi alcune lacrime che avevo iniziato a scendere incontrollate. Proprio in quel momento udì dei passi pesanti alle sue spalle e si girò a guardare chi stesse arrivando, ma sicura di sapere già di chi si trattasse

«Tonks!» chiamò il vocione di Hagrid «Buono Thor, buono!» aggiunse notando l'agitarsi del suo fedele compagno a quattro zampe
«Ciao Hagrid!» si avvicinò alle sbarre del cancello
«Per la barba di Merlino, Tonks! Ci credo che Thor mica ti riconosce! Che hai combinato ai capelli e tutto il resto?»
«Non riesco a farli tornare rosa...» rispose lei in un sospiro.

Durante le ultime riunioni dell'Ordine, aveva fatto di tutto per mascherare la perdita di controllo dei propri poteri, adducendo scuse quali la stanchezza, o il presunto nuovo look tanto criticato da Fleur. Solo Molly e Arthur (Tonks sospettava che la Signora Weasley avesse informato il marito) sapevano del reale motivo della sua nuova condizione. Nonostante ciò, era ormai inutile continuare a tacere quanto le stava succedendo, sebbene non era pronta a rivelarne la ragione.
Hagrid sembrò accontentarsi della risposta e la guardò tristemente. Aprì poi il cancello per farla entrare.

«Allora, come mai da queste parti?» chiese ancora il mezzo-gigante
«Ho bisogno di parlare con Silente. Da settembre sarò di stanza a Hogsmeade perché il mio capo mi vuole lontano dal Ministero»
«Non ci è ancora passata a quelli eh?» rise Hagrid

Tonks scosse la testa, accennando un sorriso. Insieme i due - anzi i tre, se si conta Thor che sembrava essersi calmato dal momento che il padrone parlava tranquillamente con la nuova arrivata - risalirono i giardini fino al portone dell'Ingresso principale del castello.
Una volta dentro, l'Auror ringraziò Hagrid e fece per congedarsi, ma dopo pochi passi si sentì richiamare

«Tonks, ma da quand'è che c'hai quel Patronus?»
«Che intendi dire? È lo stesso da sempre» inarcò un sopracciglio senza capire
«Oh beh. Mi sbaglio io allora» scrollò le massicce spalle per poi alzare una mano e farle un cenno di saluto «Ci vediamo presto!»

Tonks osservò Hagrid e Thor allontanarsi e rimase in silenzio rimuginando su ciò che lui le aveva appena detto. Quando aveva lanciato l'incantesimo non aveva osservato attentamente cosa fosse comparso. Troppo distratta da altri pensieri, si era limitata a dettare il messaggio che poi sarebbe stato ripetuto al primo membro dell'Ordine che l'animale di luce avesse incontrato. Pensò quasi di lanciare nuovamente l'incanto, ma al momento aveva altro da fare. Scrollò le spalle e si avviò su per le scale.
Camminare per i corridoi della scuola faceva sempre un effetto particolare, quanti ricordi tornavano alla mente? Proprio per molti di essi, Tonks si ritrovò a sorridere tra sé e sé: tutte le volte che aveva assunto l'aspetto di uno dei docenti per far ridere i suoi compagni del Tassorosso, finendo inesorabilmente per essere punita; le volte in cui sgattaiolava nelle cucine per chiacchierare con gli elfi e per prendere del cibo extra; i disastrosi periodi di preparazione per gli esami. Questa era solo una serie di ricordi che le affollavano la mente in quel preciso istante.
Ad un tratto, si fermò nel mezzo del corridoio battendosi una mano sulla fronte e imprecò silenziosamente: non ricordava quale fosse la parola d'ordine per accedere all'ufficio di Silente e non aveva pensato di chiedere ad Hagrid. Si guardò intorno e realizzò di poter recarsi nell'ufficio della professoressa McGranitt. Data l'ora, circa le sette di sera, era sicura che il disturbo che le avrebbe arrecato non sarebbe stato eccessivo. Con questo pensiero, Ninfadora avanzò velocemente attraverso i corridoi che la separavano dalla meta e si fermò fuori dalla porta. Bussò e, dopo che una voce le diede il permesso, aprì la porta ed entrò.

«Buonasera professoressa, chiedo scusa per il disturbo»
«Tonks?» chiese Minerva alzandosi dalla sedia alla scrivania e sistemandosi sul naso gli occhiali squadrati per osservarla meglio. Una contrazione del muscolo vicino al labbro inferiore dette conferma a Tonks del fatto che lei si stesse interrogando circa le sue condizioni evidentemente peggiori rispetto all'ultima volta che si erano viste «Cosa ti porta al castello?»
«Dovrei parlare col Professor Silente, ma non so la parola d'ordine. Mi chiedevo se lei potesse...»
«Certamente, ma temo che il Preside sia impegnato in una conversazione privata con il professor Piton»
«Oh... nessun problema. Attenderò fuori»

Minerva fece il giro della scrivania e le fece segno di seguirla

«Non occorre che-»
«Occorre. Conoscendoti, entreresti lo stesso...»

Tonks le lanciò uno sguardo quasi indignato, poi seguì l'insegnante fuori dal suo ufficio.
Camminarono silenziosamente per i corridoi. Minerva continuò a guardare di sottecchi la giovane strega accanto a sé, ma non disse nulla fino a che non furono davanti al gargoyle di pietra che segnava l'ingresso all'ufficio del preside. A quel punto la direttrice della Casa del Grifondoro pronunciò la parola d'ordine - Pallini Acidi, per l'esattezza - e la statua si mosse, rivelando la scala. Con un ulteriore sguardo, questa volta di avvertimento, Minerva fece passare Tonks e, quest'ultima, prese a salire fermandosi poi oltre l'ultimo gradino, fuori dalla porta dell'ufficio. La McGranitt le fu subito alle spalle.
Rimasero in completo silenzio, tanto che, se avessero fatto attenzione - e Tonks ne stava facendo particolarmente - avrebbero potuto sentire dei bisbigli provenire da dentro la stanza. In quel momento, a parlare era certamente Severus Piton. Tonks comprese qualche parola del discorso: sentì distintamente dire "questa sera", "sarebbe spacciato se lo scoprissero" e poi, la parola che le fece avere conferma di ciò su cui i due stessero discutendo. "Plenilunio".
Fu un attimo e la McGranitt non riuscì ad impedirlo, tanta era stata la velocità con cui tutto successe: Tonks spalancò la porta dell'ufficio del preside e irruppe nella stanza, avanzando a grandi falcate verso i due uomini. Minerva chiuse gli occhi sospirando e portando indice e pollice della mano alla base del naso. Dopo un momento la seguì dentro.
La reazione dei due maghi, fu completamente diversa: Silente, che sedeva sulla poltrona al di là della scrivania, non si scompose più di tanto, ma nascose velocemente alla vista la mano destra lasciando che la veste vi scivolasse sopra; Piton, dal canto suo, si girò quasi di scatto verso la porta e guardò Tonks dapprima sorpreso, poi assumendo un ghigno che l'Auror non seppe decifrare. Soddisfazione, forse?

«Buonasera Ninfadora» salutò Silente ignorando il palese brivido che percorse la giovane strega nel sentir pronunciare il sui nome
«Solo Tonks» tagliò corto l'altra per poi rivolgersi a Severus «Che cosa significa quello che ha appena detto, professore?»
«Mi sembra di star vivendo un déjà-vu: anche in classe non dimostravi particolare attenzione a ciò che dicevo» la guardò con superiorità alzando un sopracciglio  «Ma avevi un look decisamente migliore di questo» la schernì

Tonks dovette fare appello a tutta la calma che era in grado di richiamare per non urlare in faccia al suo ex insegnante. Prese un paio di respiri profondi e fece per parlare quando il gruppo di nuvole che prima oscurava il cielo si spostò e rivelò la presenza della luna. Grande e soprattuto piena, essa illuminò di una luce biancastra l'interno dell'ufficio. Tonks scattò verso la finestra e alzò lo sguardo

«Stasera... era stasera. Me ne sono dimenticata... stavo tenendo il conto e me ne sono dimenticata!» il suo si rivelò essere un farfuglio indistinto, come se parlasse più a se stessa che non agli altri.

Si appoggiò conto l'infisso e iniziò a tremare, lo sguardo alto verso il cielo

«Ninfadora» la gentile voce del preside la richiamò «Prendi posto a sedere, vieni»

Nonostante fosse stato Silente a parlare, le mani che si poggiarono sulle sue spalle per invitarla a spostarsi e per accompagnarla lungo il tragitto fino alla sedia, furono quelle di Minerva. Tonks si sedette, ancora tremante e la McGranitt le rimase accanto con una mano salda sulla sua spalla. La giovane prese a dondolarsi sulla sedia, ripetendo ancora le stesse parole che aveva rivolto poco prima al cielo attraverso la finestra.
Il preside e i due insegnanti si scambiarono uno sguardo, chi fin troppo lungimirante, chi preoccupato e chi, al contrario, totalmente indifferente alla situazione

«A cosa devo la tua visita?» chiese Silente per riscuotere Tonks da quello stato, ma le sue parole non sembrarono raggiungerla. Perciò provò di nuovo, ma cambiando argomento «Non temere per lui, Ninfadora. Se la caverà egregiamente!»
Tonks puntò lo sguardo sul preside «Non abbiamo sue notizie da due settimane... e se l'avessero scoperto? Catturato? E se avessero aspettato solo che questo giorno arrivasse per... per...» non riuscì a proseguire
«La tua paura è perfettamente comprensibile e condivisibile. Io stesso sono molto preoccupato» fece una pausa che sfruttò per sedersi più comodamente sulla poltrona, poggiandosi allo schienale «Tuttavia, sono fermamente convinto che Remus abbia sfruttato questo lasso di tempo per imparare a conoscere coloro con cui sta convivendo. Questa sera, sarà solo un'altra sera laggiù»
«Lo ammazzeranno...» fu il commento in risposta di Tonks «Non capite?» si rivolse a tutti «Si saranno accorti che lui è diverso... lo ammazzeranno!»
«No, non lo faranno» fu Piton a parlare, il tono distaccato e noncurante «Greyback si è unito ai Mangiamorte come saprai e, ascoltando uno dei suoi vaneggiamenti durante la riunione tenutasi pochi giorni fa, sono arrivato alla conclusione che non voglia uccidere il “Damerino” che si è unito a loro» un sospiro lento seguì queste parole come se, nel pronunciarle, Severus se ne dispiacesse «Inoltre, Lupin avrà a disposizione la pozione AntiLupo. Se funzionerà, sarà cosciente e potrà scappare qualora provassero ad attaccarlo» il tono mellifluo che Piton utilizzò fece rabbrividire Tonks più delle parole che il docente usò
«Se funzionerà?» intervenne Minerva
«Lupin non ha a disposizione un boccale di AntiLupo. Ho dovuto impiegare una giornata intera per provare a creare un'alternativa ai dosaggi di quella dannata pozione. Non ho certezza che funzioni e...» rivolse il suo sguardo a Ninfadora «... non sono certo neanche che sarei triste se così non dovesse essere»
«Severus» lo richiamò semplicemente Silente, il tono calmo che era solito usare

Piton scrollò le spalle con indifferenza e si allontanò raggiungendo la porta dell'ufficio del preside per poi uscire. Si fermò solo un momento sulla soglia per salutare con un veloce cenno del capo. Minerva, invece, si lasciò scivolare sulla sedia accanto a quella su cui si trovava Ninfadora e non potè fare a meno di ricordare una scena molto simile a quella, avvenuta diverse settimane prima: lei e Tonks impegnate a tentare di convincere Silente a non far partire Lupin

«Non c'è modo di avere sue notizie?» chiese la McGranitt «Intendo, uno più diretto. Non possiamo sperare sempre che Severus raccolga informazioni casualmente»
«Remus potrebbe comunicare con noi mediante il suo Patronus» azzardò Silente, sembrava che non si fosse posto il problema fino ad allora
«No, non può» intervenne Tonks «Ho io la sua bacchetta»

Minerva fece per chiedere spiegazioni, ma realizzò che la ragione legata a tale scelta era più che ovvia: meno magie Remus avesse fatto nel branco, più probabilità di successo avrebbe avuto. Ne segue che anche solo portare con sé la bacchetta sarebbe risultato pericoloso.
Guardando il volto dell'anziano mago, la professoressa di Trasfigurazione pensò che sicuramente lui fosse arrivato immediatamente alla medesimo conclusione

«E dire che ero certa di averlo visto, il suo Patronus» continuò d'un tratto Minerva «Poco fa, dalla finestra del mio ufficio»
«Non è possibile» insistette Tonks
«Dico solo ciò che ho visto. Era un lupo, esattamente uguale a quello di Remus»

Tonks guardò la professoressa senza riuscire a capire. La bacchetta di Remus l'aveva lei, la custodiva da ormai due settimane ed era impossibile che Lupin ne avesse trovata un'altra lì dove era andato.
"Tonks, ma da quand'è che c'hai quel Patronus?"
Le parole di Hagrid le risuonarono forte in mente e Tonks trasalì. Sì coprì la bocca con le mani e spalancò gli occhi. Estrasse la bacchetta dalla tasca interna della sua giacca e la agitò mormorando la formula sotto lo sguardo curioso degli altri due. Dalla punta ne uscì dapprima una nuvola argentea che si alzò timidamente in aria, rimando esattamente al centro tra colei che aveva lanciato l'incantesimo e i suoi interlocutori. Poi lo videro: un grosso lupo argenteo comparve da quel groviglio luminoso e osservò i tre maghi all'interno della stanza. Dopo aver fatto mostra di sé, si avvicinò a Ninfadora le cui guance cominciarono a rigarsi di lacrime.

«Remus...?» mormorò a mezza voce

Il suo Patronus sembrò annuire. 

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Capitolo 32
*** Scena 31 ***


Vi siete mai chiesti quanto tempo ci voglia per essere accettati in un gruppo di persone che si conoscono da anni? E vi siete mai chiesti se sia possibile stringere amicizia con alcuni membri di quel gruppo, per quanto le vostre visioni su certi aspetti della vita possano essere diverse? Beh, Remus lo fece.
Le due settimane che aveva passato al villaggio erano servite soprattutto a trovare una risposta a queste domande. Si può essere accettati in un gruppo se si ha qualcosa in comune con quelle persone e la licantropia, si disse Remus, era decisamente qualcosa che li accomunava. Volente o nolente.
Per quanto riguarda, invece, l'essere amici... quella era tutt'altra questione. Per potersi definire "amici" è necessario che entrambe le parti lo vogliano e certamente Remus non lo voleva e mai lo avrebbe voluto. Ettelen, al contrario, doveva volerlo per così dire e, a un osservatore esterno, sarebbe anche potuto sembrare che ci stesse riuscendo. Remus era certo di poter contare sulle dita di una mano almeno due amici nel branco: il primo era Draugluin che, dal giorno in cui era arrivato non lo aveva lasciato un momento, prima per ordini imposti da Greyback, poi perché semplicemente si trovava bene e riteneva interessante seguirlo ovunque andasse e stuzzicarlo; il secondo era Araton, il robusto trentenne che aveva rappresentato la sua ombra per qualche giorno, sempre per ordine di Greyback.
Bisognava inoltre considerare che da quando era arrivato al villaggio, Remus aveva passato diverso tempo con Atarie, il vecchio saggio. Era stato lui a spiegargli gran parte delle regole che vigevano in quel luogo ed era sempre a lui che Remus doveva ciò che aveva capito su come porsi nei confronti del resto del branco. Lupin comprese di aver adottato una buona tattica: l'uomo sbruffone e pieno di sé che rappresentava Ettelen era certamente ciò che piaceva a Fenrir Greyback, sebbene dovesse fare attenzione - "vigilanza costante" - a non esagerare proprio nei confronti dell'Alfa. Non che ci fossero stati numerosi momenti in cui i due si fossero trovati particolarmente vicini: Remus aveva deciso di provare a conoscere il branco, prima di tentare un approccio diretto con il loro capo. Difatti, Lupin poteva dire di conoscere ormai tutti e di parlare abitualmente con molti di loro anche se, come dicevamo all'inizio, i legami più stretti li aveva con solo poche persone.
E poi c'era lei.
Di poco più giovane di Remus, dal fisico snello e slanciato, dai capelli biondi lunghi fino a poco più su delle spalle e dagli occhi di un azzurro-ghiaccio spettrali proprio come quelli del padre, Calime era la figlia di Atarie ed era tornata al villaggio giusto la sera precedente. Come gli spiegò Draugluin, la donna era partita il giorno in cui Ettelen era arrivato. Per tale motivo il giovane dai capelli ricci si trovava fuori dalla casa in cui sarebbe dovuto rimanere in attesa che la riunione "dei grandi" fosse finita: Calime e Draugluin erano particolarmente legati per cui fu facile per Remus avvicinarla e, il fatto che fosse figlia del vecchio saggio, era tanto di guadagnato per la sua missione.

«Ti presento Calime!» aveva esclamato il giovane licantropo saltellando da un piede all'altro «Lei è la figlia del Saggio Atarie, ti conviene trattarla bene!» aveva sghignazzato subito dopo

Sorridente, Calime aveva allungato la mano verso di lui e Remus l'aveva stretta, chinando leggermente il capo in segno di rispetto.
Si diceva, ma nessuno aveva davvero mai confermato questa voce, che Atarie avesse avuto solo una figlia e che questa, Calime appunto, fosse in grado di vedere il futuro. La definivano "Occhio di Selene", ma Remus intuì che ci fosse di mezzo una qualche discendenza magica e si ripromise di chiedere conferma, un giorno o l'altro.

«Non ti ho mai vista fino ad ora» aveva osservato dopo essersi presentato
«Ero in viaggio, in effetti» rispose lei evasiva e, dal tono, Remus capì che non avrebbe potuto e dovuto chiedere altro.

Non si erano scambiati altre parole nelle poche ore successive e neppure quella mattina.
Subito dopo essersi svegliato, Remus aveva percorso la strada principale del villaggio fino ad entrare nella casa che chiudeva il sentiero - la Sala dell'Assemblea. Ne uscì dal lato opposto poco dopo e, senza fermarsi alla tavola con gli altri membri del branco, li superò raggiungendo l'argine del fiume, luogo da lui eletto ad ospitarlo nei momenti di riflessione e di riposo. Steso supino, le mani tra la nuca e il terreno a fare da appoggio, con una gamba piegata comodamente e la pianta del piede a terra, Remus si era appisolato dopo aver osservato il cielo coperto di nuvole di quella tarda mattinata di fine agosto. Poteva sembrare rilassato a prima vista, ma se si fosse osservato con più attenzione, si sarebbe potuto scorgere il contrarsi dei muscoli facciali, soprattutto intorno agli occhi, segno del sonno agitato in cui si trovava.
Da quando aveva bevuto la pozione offertagli da Atarie non aveva passato notte, o giorno che fosse, senza rivivere quella tremenda e infinita visione. Il vecchio aveva avuto ragione nell'affermare che il suo passato recente fosse costellato da tristezza; come, del resto, lo era il suo presente. Un solo pensiero fisso riusciva a dargli la forza di svegliarsi e continuare quella missione infermale. Lo stesso pensiero, si diceva tristemente, che lo aveva convinto ad accettare l'incarico.
In quel momento, in piedi a pochi passi da lui e senza che lui se ne fosse accorto in alcun modo, Calime lo osservava: le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso sulla sua figura addormentata. La giovane donna si fece avanti e lo punzecchiò sul fianco con la punta del piede scalzo. Remus sembrò quasi non accorgersene e, difatti, continuò a sonnecchiare. Lei rise piano e si chinò lentamente sedendosi sulle caviglie e sporgendosi verso di lui: scarno, con i capelli abbondantemente striati di grigio, ma comunque dotato di un certo fascino secondo alcuni, l'uomo non si accorse di nulla.

«Ettelen» chiamò Calime punzecchiandolo ora sulla guancia con l'indice della mano destra, imitando perfettamente l'atteggiamento dei bambini di fronte a qualcosa di nuovo «Ettelen, sveglia!»

Remus aprì gli occhi e rimase immobile una manciata di secondi prima di mettere a fuoco il viso della donna. Abbassò piano lo sguardo sulla sua mano, che non aveva smesso di tamburellare sulla sua guancia e, successivamente, si mise lentamente a sedere

«Calime... posso fare qualcosa per te?» chiese costringendosi a non allontanarla
«Potresti cominciare con lo spiegarmi se hai intenzione di lasciarti morire di fame» rispose lei allontanando la mano dopo quella che poteva sembrare una carezza e sedendosi accanto a lui. Portò le gambe al petto e le abbracciò, in una posizione comoda
«Prego...?» chiese lui alzando un sopracciglio
«Ieri sera non hai cenato e questa mattina hai sfilato elegantemente davanti al tavolo senza prendere nulla. Mi hanno detto che non è la prima volta che lo fai...»
«Oh beh...» cominciò lui, ma venne interrotto
«Per di più, sei venuto qui a dormire. Ti perdi la festa!»
«La festa...?»
Lei sbuffò come se la risposta fosse ovvia «Sai che giorno è oggi?»

Remus lo sapeva, certo che lo sapeva: 28 agosto. Aveva tenuto il conto con estrema cura a partire dal momento in cui aveva lasciato Grimmauld Place numero 12. A partire dal momento in cui aveva lasciato lei, disse una voce nella sua testa, ma lui la ignorò.

«Certo che lo so, è...»
«Giorno di festa!» riprese Calime «Stasera c'è il plenilunio!»

Remus si ritrovò a sbarrare gli occhi guardandola. Il plenilunio? Come poteva essere già arrivato? Quasi incredulo controllò l'orologio al polso sinistro come ad accertarsi di quanto tempo avesse prima che la luna sorgesse. Tornò a guardare lei, chiaramente divertita dalla sua reazione

«Fenrir ha detto che a pranzo farà un annuncio quindi vedi di non assentarti!»
«Che tipo di annuncio?»
«Potrei dirtelo» rispose lei alzandosi e cominciando a fare qualche passo nella direzione da cui era venuta «O potresti presentarti e scoprirlo da solo!»

Remus sospirò annuendo per poi sdraiarsi nuovamente, assumendo la posizione tanto comoda che prima lo aveva fatto addormentare. Ormai completamente sveglio e curioso di sapere cosa Fenrir volesse comunicare loro, non avrebbe corso il rischio di scivolare nuovamente nelle braccia di Morfeo, ma si concesse comunque ancora qualche momento di tranquillità

«Ah Ettelen!» lo raggiunse la voce di Calime «Ti tengo il posto, arriva per tempo!»

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Capitolo 33
*** Scena 32 ***


Remus si chiese come avesse fatto a non rendersi conto che quello fosse il giorno del plenilunio. Da più di trent'anni teneva il conto dei giorni, mese dopo mese calendario alla mano, con la consapevolezza che la fatidica notte sarebbe arrivate e che lui non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo. Sarebbe dovuto essere abituato - e certamente lo era - ma, allo stesso tempo, si illudeva di poter sfuggire la natura della sua condizione semplicemente avendo bene in mente le date e tenendo sotto controllo l'incedere del tempo.
Da quando era arrivato nel branco, poi, aveva scoperto un mondo così diverso da quello in cui viveva, un mondo in cui era normale vedere persone i cui volti e i cui corpi fossero segnati da cicatrici più o meno profonde; un mondo in cui non era inusuale vedere indosso a uomini e donne abiti dismessi, segno di tanta povertà; un mondo - e di questo Remus sorrise per certi versi - senza bacchette magiche. Si era aspettato tutto ciò, ma viverlo sulla propria pelle faceva un certo effetto: si sentiva normale e, soprattutto, non aveva la fastidiosa sensazione che lo sguardo degli altri gli rimanesse perennemente addosso, giudicandolo. Nei primi giorni, Ettelen rappresentava la novità, ma superato quel periodo, era diventato parte della quotidianità dei bassifondi ed era proprio di quella quotidianità che Remus si stupiva. La vita lì, si disse, non era così male. Certamente non avrebbe mai condiviso e accettato determinate abitudini, ma sarebbe potuta essere un’esistenza tutto sommato accettabile. Perché tornare se lì, al villaggio, avrebbe potuto vivere senza timore? O meglio, avrebbe semplicemente potuto vivere, cosa che, da anni ormai, non era certo di fare davvero. Remus sarebbe potuto rimanere, dopotutto.
"Ti aspetterò. Hai promesso di tornare e io so che lo farai"
La voce di Tonks invase improvvisamente la sua mente con tanta nitidezza e prepotenza che per un fugace istante Remus pensò di trovare la ragazza proprio accanto a sé. Scattò a sedere e si guardò prima a destra e poi a sinistra, il respiro insensatamente affannato. Si dette dello stupido per poi sospirare profondamente.
Si mise lentamente in piedi e, battendo sui pantaloni lisi in un gesto meccanico, allontanò il terriccio e la polvere. Portò poi le mani nelle tasche e osservò il fiume: lo scorrere incessante dell'acqua riusciva, in qualche modo, a tranquillizzarlo e a farlo perdere in pensieri e sogni più o meno realistici.
Si riscosse dopo un periodo di tempo non meglio definito e, controllando l'orario, scoprì di essere riuscito a perdere un'ora abbondante da quando Calime si era allontanata. Maledicendosi per la sua inusuale distrazione, si allontanò dal fiume con passo spedito. Ripercorse il sentiero che lo avrebbe portato alle spalle dell'ingresso principale della Sala dell'Assemblea e, una volta arrivato, trovò alcuni membri del branco già seduti alla tavola. Particolarmente, se non esageratamente, stanco per la breve corsa, Remus alzò lo sguardo verso i lupi e individuò quasi subito Draugluin, Araton e Celeborn, in compagnia del gemello Curonir e della madre Estele. Accennò un sorriso nel riconoscere sui loro volti un’espressione di serena festosità e avanzò nella loro direzione. Era con tutti loro che spesso si ritrovava ad avviare conversazioni: si era avvicinato a Celeborn pochi giorni dopo la sua punizione per aver cercato di allontanarsi dal villaggio; avrebbe voluto domandarne il motivo, ma ancora sentiva di non avere quel grado di relazione tale da poter chiedere spiegazioni. Nonostante questo, sicuramente aveva fatto buona impressione poiché, poco dopo, era stato avvicinato da Curonir e dalla fin troppo giovane madre Estele: i gemelli non dovevano essere molto più grandi di Draugluin, avrebbe dato loro non più di una ventina di anni, ma Estele ne dimostrava non molti più di Remus.

«Buongiorno a tutti» li salutò educatamente prendendo posto tra Estele e Araton, di fronte a Celeborn. Draugluin e Curonir erano ai lati di quest'ultimo
«Ecco dove ti eri cacciato!» esclamò Araton battendogli una mano sulla spalla
«No, no!» protestò Draugluin alzando un indice e muovendolo diverse volte da sinistra a destra «Non puoi sederti qui, oggi! Calime mi ha detto che ti aspetta là» e nel dirlo indicò il lato opposto del tavolo
«Secondo me ti sei inventato tutto!» commentò scettico Celeborn grattandosi distrattamente un polso, i segni di una corda ancora visibili nonostante il tempo passato
«Si, infatti. Perché mai Ettelen dovrebbe sedere così vicino all'Occhio di Selene?» sottolineò Curonir
«Te lo ha chiesto davvero?» una voce più discreta si fece spazio tra le altre e si rivolse direttamente a Remus. Estele gli si era avvicinata guardandolo con gentile curiosità
«In effetti si» ammise lui

Una volta risposto, l'uomo puntò gli occhi verso i posti solitamente occupati da Fenrir, Aranel, Atarie e da pochi altri lupi che Remus comprese aver un ruolo importante nel branco. Non ne sapeva ancora abbastanza e avrebbe dovuto rimediare in fretta a questa mancanza, se non altro per il bene della missione.

«Allora ti conviene andare» aggiunse Estele incoraggiante «Non deve essere male, sedere lì»
«Andrò tra un momento» ne convenne Remus
«Sei pronto per la tua prima trasformazione qui?» chiese ad un tratto lei
Qualcosa nel tono della donna incuriosì Remus che rimase un istante in silenzio prima di rispondere con apparente leggerezza «Direi di si. In fondo trasformarsi non sarà così diverso rispetto a farlo altrove, no?»
Estele sussultò impercettibilmente poi annuì «Certamente...»

La loro conversazione fu interrotta da un brusio eccitato che accompagnò l'ingresso di Fenrir e Aranel, seguiti da Atarie, Calime ed altri tre lupi. Bastò uno sguardo veloce per capire che tutti coloro che erano assenti fino a quel momento, ora sedevano al proprio posto.
Remus si alzò e, dopo essersi congedato dagli altri, raggiunse velocemente Calime. Quest’ultima lo guardò soddisfatta ignorando la palese agitazione che cominciava a scuotere i nervi di Remus.
Quando ebbero preso posto, Lupin si trovò alla sinistra di Calime, seduta accanto al padre. Dall'altro lato di Atarie, c’era Fenrir, poi la compagna Aranel e, infine gli altri tre lupi.
Tutti sedettero e attesero in silenzio l'arrivo del pasto. Come chiamata da una voce non udibile, fece la sua comparsa Colinde, trascinando i consueti sacchi che Remus era ormai abituato a vedere. O, per meglio dire, che era abituato a ignorare e allontanare dalla vista.

«Cari compagni» esordì Fenrir tirandosi in piedi «Porto buone nuove in questo giorno speciale!» un ringhiò di approvazione si alzò da più parti della tavola «Pertanto, prima di deliziarci con il nostro banchetto, vorrei avere la vostra attenzione!»

Colinde si fermò dall'altro lato del tavolo. Sedette in silenzio e attese, come il resto del branco, che il suo Alfa parlasse

«Pochi giorni fa sono stato chiamato a partecipare a una riunione indetta dall'umano, il Signore Oscuro come lo chiamano» riprese Greyback gonfiando il petto «E sono felice di annunciare che il nostro accordo è saldo! Avremo quello che ci spetta: cibo in abbondanza!» quasi urlò alzando le mani al cielo con fare trionfale

Remus si limitava ad osservarlo, ostentando una espressione soddisfatta nel tentativo di celare il disgusto che ogni singola parola gli stava provocando. Non osava distogliere lo sguardo dal capo branco per il semplice motivo che, farlo, avrebbe significato vedere la gioia sui volti degli altri lupi e la smania di potere che certamente alcuni non avevano remore a mostrare.
Ascoltò distrattamente la spiegazione che Fenrir diede circa il patto preso con Voldemort, non era così difficile da intuire. Dalle parole dell'Alfa, però, sembrava che lui non avesse compreso il vero motivo dell'accordo: i Mangiamorte - e Voldemort stesso - disprezzavano i lupi mannari al pari di qualunque altro mago, ma sapevano bene che averli dalla loro parte significava disporre di un'arma non indifferente da poter sfoderare nei momenti di bisogno. In sostanza, Fenrir aveva acconsentito allo sfruttamento del suo stesso branco e non sembrava essersene minimamente reso conto. O non gli importava, se questo significava poter essere lautamente ricompensati.

«Veniamo ora al dunque!» la voce di Greyback lo riscosse dai suoi pensieri «Questa sera avrò bisogno di voi! Erech, Ancalagon, Rauros e Dorlos» chiamò uno ad uno e attese che questi rispondessero «Voi quattro verrete con me!» ordinò infine

Non aggiunse altro, ma Remus capì due cose: la prima era che quella notte avrebbero attaccato degli innocenti e la seconda era che non sarebbe stata la prima volta. Sembrava quasi, a dirla tutta, che essere chiamati a partecipare a quel genere di missioni fosse un onore. A giudicare poi dalle espressioni di Erech e Ancalagon, due dei tre lupi seduto alla destra di Aranel, era ovvio che per loro fosse consuetudine. Guardandoli attentamente, Remus li riconobbe: erano i due mannari che avevano preso Celeborn e che avevano provveduto a punirlo sotto ordine di Aranel. Quasi senza rendersene conto, Lupin deglutì massaggiandosi i polsi.

«Per concludere!» continuò ancora l'Alfa «Da ora in avanti sarà richiesta la nostra presenza più che mai. Diagon Alley e Hogsmeade, probabilmente questi nomi non vi dicono molto, ma dovremo essere... molto presenti» ribadì utilizzando volutamente la medesima parola per mantenere un certo alone di mistero che esaltò ancor di più la platea di ascoltatori

Seduto, le mani unite poggiate sul tavolo e gli occhi fisso su Fenrir, Remus non si accorse subito dello sguardo che Calime gli stava rivolgendo. Cominciando a sentirsi osservato, portò la sua attenzione sulla donna e notò che lei lo scrutava tra il divertito e il curioso, tra l'incredulo e l'ammirato

«Che succede?» chiese non riuscendo a trattenersi
«Li conosci quei posti, non è così?»
«In effetti credo di esserci capitato una volta o due» rispose in un sussurro per non interrompere il monologo del capo branco
«Uhm, certo. Mio padre mi ha detto che hai viaggiato molto» un risolino sfuggì dalle sue labbra «In tal caso potresti tornare utile in missione...» aggiunse, lo sguardo improvvisamente serio

Remus si sentì spiazzato da tale affermazione. Se Fenrir gli avesse chiesto di scendere in campo, come avrebbe dovuto comportarsi? Indubbiamente non poteva rifiutarsi, ragionò velocemente, ma un pensiero si impadronì delle sua mente: se fosse stato chiamato a intervenire in una notte di luna piena?

«E, se Colinde mi permette di rubare ancora due minuti al nostro banchetto» Fenrir osservò la donna dall'altro lato del tavolo come per avere il suo benestare, poi riprese «Impegni impellenti mi terranno lontano dal villaggio per qualche giorno» il petto di nuovo gonfio di orgoglio «Durante la mia assenza, dovrete fare riferimento ad Aranel, come al solito» poggiò la mano sulla spalla della compagna alla sua destra dopodiché si mise seduto «E adesso, mangiate mie compagni! Avrete bisogno di energie per questa notte!»

Sebbene avesse sentito e registrato le parole dell'Alfa, Remus ormai aveva solo una cosa in mente: l'orribile pensiero di un assalto in una notte di plenilunio. Lo sguardo fisso davanti a sé osservava tutto e niente e non vide, fortunatamente, il cibo arrivargli in grembo. 

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Capitolo 34
*** Scena 33 ***


Il pranzo era passato molto lentamente sia perché Remus era deciso a sfruttare la sua posizione a tavola per tentare di origliare le conversazioni dell'Alfa, sia perché sperava, mangiando piano, che gli altri si allontanassero di modo da non essere costretto a finire la sua porzione. Lo sguardo indagatore di Calime però non facilitava il tutto.
Nonostante ciò, era riuscito a congedarsi e ad allontanarsi conquistando nuovamente la sua tranquillità sull'argine del fiume. Molte volte si era interrogato circa il suo stesso comportamento: come avrebbe potuto raccogliere informazioni utili se si ostinava a rimanere in disparte? Quel giorno aveva avuto fortuna, avvicinandosi a Fenrir, ma nelle settimane passate non era stato lo stesso. Probabilmente, una parte di lui - una parte molto piccola - non voleva davvero assolvere al suo compito. Scacciando quei pensieri dalla mente, alzò lo sguardo verso il cielo: a giudicare dalla luce fioca del sole che spuntava da dietro le nuvole, di lì a non più di mezz'ora ci sarebbe stato il tramonto.
Il suo piano d'azione era molto semplice: avrebbe dovuto alzarsi, raggiungere la casa che condivideva con Draugluin e pochi altri, recuperare una delle tre boccette di pozione AntiLupo, berla senza che gli altri se ne rendessero conto e sperare che funzionasse. Se si fidava di Severus? Certo che si! Non conosceva nessun maestro delle pozioni migliore di lui. Allo stesso tempo però, Remus si chiedeva se un quantitativo così minimo di AntiLupo potesse servire allo scopo.
Il suo flusso di pensieri, uno dei tanti, venne interrotto

«Ettelen!» lo chiamò la voce Greyback

Remus si sarebbe aspettato di tutto, tranne che il capo branco lo raggiungesse il quel momento. Si alzò all'istante girandosi verso la voce che l'aveva chiamato

«Mi cercavi, Fenrir?» chiese ostentando sicurezza, ma mantenendo un tono leggero e curioso
L'Alfa annuì «Vedrai il villaggio in festa, questa notte. Sono certo che ti divertirai!» sorrise in un modo inquietante, pensò Remus
«Aspetto solo questo da giorni!» mentì sperando di risultare convincente
«In tal caso, dovresti proprio andare a prepararti» fece il mannaro per poi girarsi e allontanarsi muovendo appena la mano in un gesto di commiato

Lupin non rispose, ma non credette di capire davvero cosa volesse intendere Fenrir. Ci rimuginò solo pochi attimi e, con un'ultima occhiata all'orologio, si avviò. Ripercorse il sentiero, le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo alto verso il cielo. Se incontrò qualcuno sulla strada, non lo vide, ma lo sentì: mormorii e chiacchiericcio di eccitazione lo accompagnarono fin dentro la sua dimora. Solo allora abbassò effettivamente lo sguardo e si diresse al suo letto.
Si levò il mantello, lasciandolo cadere malamente sul materasso e si stiracchiò. A metà di uno sbadiglio, si interruppe per la sorpresa

«Draugluin!» chiamò il giovane appena entrato «Che ci fai nudo?»

Non che solitamente il ragazzo fosse particolarmente coperto - indossava abitualmente dei pantaloni che arrivavano appena a metà coscia e una maglia strappata in più punti - ma in quel momento non aveva neppure i soliti cenci a coprirlo

«Eh beh, che ti aspettavi?» chiese lui alzando un sopracciglio «Anzi, mi chiedo perché tu non lo sia! Ti vergogni, Damerino?» concluse con fare divertito

Remus lo guardava, la bocca leggermente aperta in una espressione di totale sorpresa. Non rispose all'inizio, poi scosse la testa e si ricompose. Avrebbe voluto chiedere se tutti fossero svestiti, ma si rese conto che la risposta sarebbe stata estremamente ovvia. Si tolse la camicia lasciando cadere anche quella sul materasso. Sentendosi addosso lo sguardo del ragazzo che lo aspettava, colse al volo l'occasione per allontanarlo

«Ti spiace?» chiese con durezza «Non occorre che mi aspetti»
«D'accordo, d'accordo» rise lui avviandosi alla porta «Raggiungici da Estele!»

Remus annuì. Si finì di spogliare e rimase in silenzio, meditabondo: non avendo tasche a disposizione, avrebbe dovuto bere subito la pozione e, quindi, non avere occhi indiscreti addosso era fondamentale. Si avvicinò alla giacca, abbandonata sulla sedia dalla sera in cui era arrivato. Realizzò in quel momento di non averla mai toccata né spostata da allora. In un gesto meccanico allontanò la polvere dal tessuto in corrispondenza delle spalle, poi si si chinò e mise la mano nella tasca interna per prendere.... nulla!
Lupin sentì il cuore mancare un battito.
La tasca era vuota.
Sbarrò gli occhi e mandò al diavolo qualsiasi discrezione: prese la giacca e scavò a fondo nello scomparto per trovare la pozione come se, solo cercando con più vigore, questa sarebbe potuta saltare fuori.
Si sbagliava. Della pozione AntiLupo nessuna traccia

«Dannazione!» imprecò sottovoce «Dannazione, dov'è finita?»

Ma la domanda più opportuna - e Remus lo sapeva bene - sarebbe stata "Chi l'ha presa?".
In preda al panico, lasciò cadere la giacca e si affrettò a raggiungere la porta. Si fermò sulla soglia e scrutò in tutte le direzioni nel tentativo di notare un qualche indizio, uno qualsiasi, che lo aiutasse a capire chi potesse avere la pozione.
Inutile dire che non ebbe successo.
Uscì e fece qualche passo verso la casa di Estele e dei gemelli, ma non smise di guardarsi intorno: gli occhi bene aperti, il cuore che martellava nel petto per l'agitazione. Dell'imbarazzo che avrebbe potuto provare per via del mostrarsi nudo davanti ad altre persone, nessuna traccia. Un solo pensiero fisso: chi? Chi era stato? Chi lo aveva scoperto?
Poco più lontano vide Aranel: lo sguardo cattivo e l'espressione ghignante sul suo volto non erano dirette a lui. Bene.
Sentì delle forti risate alla sua destra. Si girò a guardare, ma ciò che vide si rivelò essere solo un gruppo di lupi manifestanti la loro gioia, totalmente indifferenti ai pensieri di Lupin. Ottimo.
Del vecchio saggio e della figlia nessuna traccia. Strano? Non lo sapeva.
Si fermò appena giunto a destinazione, le gambe che avrebbero potuto cedere da un momento all'altro, la gola totalmente asciutta e il viso di un pallore innaturale

«Tutto bene?» lo raggiunse la voce di Estele

Remus la osservò un momento e, seppur preso da pensieri certamente più importanti, riuscì a notare come la donna cercasse di apparire più piccola di quanto già non fosse. Si scoprì a chiedersene il motivo. Scosse la testa e fece per rispondere, ma la voce gli morì in gola. Le nuvole che coprivano il cielo si erano diradate e, immediatamente dopo, urla di dolore miste a gioia si erano levate. Remus alzò lo sguardo e vide la luna alta nel cielo.

È giunta l'ora.
Lupi danzate, Selene sta sorgendo.

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Capitolo 35
*** Scena 34 ***


Inutile anche solo provare a pensare che Tonks riuscì a dormire. Era rimasta sdraiata sul letto per ore a pensare a cosa potesse essere successo a Remus nel corso di quelle due settimane e, specialmente, quella notte. Era perfettamente al corrente che i lupi mannari non attaccano gli esseri della loro specie, così come non attaccano altri animali in generale, ma non era comunque riuscita a prendere sonno. Forse credeva di poter rimanere più vicina all'uomo che amava, anche se solo col pensiero. "Da quando sei così romantica, Tonks?" si chiese.
Arrivata alla conclusione che non avrebbe preso sonno in alcun caso si alzò e, recuperato un baule, iniziò a riempirlo con i vestiti e gli strumenti utili per la sua futura permanenza ad Hogsmeade. Ninfadora aveva avuto come il sentore che sarebbe rimasta in missione per diverso tempo e realizzò che sarebbe stato utile portare degli indumenti pesanti. Non riusciva ancora a comprendere come un incarico del genere l'avrebbe tenuta lontana dall'Ordine, obbiettivo principale del Ministero: Hogwarts sarebbe stata a due passi e, con essa, Silente in persona.
Dopo aver terminato, controllò l'orario: le cinque del mattino. Di lì a meno di un'ora ci sarebbe stata l'alba e, ancora una volta, il suo pensiero volò a Remus.
Sospirò e si mise a sedere al tavolo della cucina. Era ancora decisamente troppo presto per qualsiasi cosa, ma, vedendo un foglio di pergamena bianco abbandonato sul tavolo, ebbe la voglia improvvisa di scrivere una lettera ai suoi genitori. Presto detto: recuperò una boccetta di inchiostro e una piuma per poi buttar giù poche righe:

"Cari mamma e papà,
Si lo so, avrei dovuto farmi viva prima. Mamma non fare quella faccia da perfetta Signora Black!
In questo mese il lavoro al Ministero e quello per l'Ordine mi hanno impegnata più di quanto io non volessi e non sono riuscita a venire a trovarvi.
Nonostante questo, non preoccupatevi: io sto bene. Tranne per i miei poteri, non riesco a controllarli..."

E qui, Tonks si interruppe. Prese tra due dita una ciocca di capelli color grigio topo e si morse il labbro: probabilmente non era saggio scrivere di quello ai suoi genitori, li avrebbe fatti preoccupare inutilmente. Cancellò quindi l'ultima frase della lettera e ricominciò a scrivere:

"…Nonostante questo, non preoccupatevi: io sto bene! Robards, il nuovo Capo Auror, mi ha incaricato di pattugliare la Scuola di Hogwarts dal primo di settembre. Sarà ancora più difficile vederci, temo. Farò di tutto per venire da voi prima di iniziare la missione…"

Tonks staccò nuovamente la penna dal foglio: sarebbe stato saggio andare dai suoi genitori ridotta in quello stato? No certamente non lo sarebbe stato, ma a Ninfadora non importava. Non avrebbe scritto dei suoi problemi, ma ne avrebbe parlato direttamente con loro; sentiva in cuor suo la necessità di quel confronto. Oh non avrebbe detto la verità ovviamente, non tutta per lo meno.

"…A questo proposito, fatemi sapere se questa sera posso venire a cena!
Aspetto una vostra risposta.
Con affetto,
Ninfadora"

Firmare col proprio nome non la rendeva particolarmente contenta, ma non poteva di certo scrivere "Tonks". Sorrise al ricordo della Strillettera ricevuta quella volta che aveva osato concludere la lettera con "L'unica figlia che avete avuto". Avrebbe fatto di tutto per non utilizzare il suo nome di battesimo, ma con la Signora Black non si scherzava!
Tonks ripiegò la pergamena e la ripose in una busta. Avanzò nella stanza raggiungendo il suo allocco, placidamente appoggiato alle sbarre della sua gabbia

«Ehi, buongiorno!» lo salutò allegramente avvicinandolo a sé e legando la lettera alla sua zampa «So che sei sorpreso di vedermi già in piedi, ma dovresti consegnare questa ai miei genitori» Tonks spalancò la finestra e rabbrividì al contatto con la fredda aria dell'alba «Aspetta che loro ti consegnino la risposta, va bene?»

L'allocco bubbolò per poi spiccare il volo allontanandosi e lasciando la padrona ad osservare il sole che timidamente si sollevava nel cielo; dall'altro lato, la luna che scompariva lentamente.

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Capitolo 36
*** Scena 35 ***


«Ninfadora!» strillò Andromeda Tonks ritrovandosi davanti la figlia notevolmente dimagrita, con i capelli di un funereo grigio topo e con gli occhi cerchiati da occhiaie violacee non indifferenti
«Che succede?» Ted Tonks accorse sentendo la moglie gridare «Oh, Dora…!» spalancò gli occhi
«Mamma, papà...» la Metamorfomagus abbozzò un sorriso e si fece avanti entrando in casa per poi richiudersi la porta alle spalle

La risposta dei suoi genitori non aveva tardato ad arrivare: prima di pranzo il suo allocco era tornato con una lettera legata alla zampa e l'invito a cena da parte della madre. Tonks aveva passato il pomeriggio cercando di sistemarsi meglio che poteva: aveva provato a colorare i capelli, tentativo ovviamente fallito miseramente; aveva indossato degli abiti non eccessivamente "da maschiaccio", sebbene avesse gli anfibi e i pantaloni strappati sul ginocchio destro. Si disse che la camicetta bianca potesse risultare femminile e così sarebbe anche stato se non l’avesse coperta dal mantello da lavoro marrone. In breve, Ninfadora ci aveva provato, ma non ci era riuscita pienamente. Con questo pensiero in mente, si era arresa all'evidenza e così, quella sera, si era materializzata nel vicolo più vicino alla casa dei suoi genitori. Stringendosi nel mantello aveva avanzato lungo la strada e aveva suonato al campanello.
Non si era aspettata una reazione molto diversa da quella che ebbero i due maghi, in realtà, ma lo sguardo severo della madre e quello preoccupato del padre erano decisamente più di quanto riuscisse a sopportare.

«Suvvia, non vorrete rimanere nell'ingresso?» domandò con voce trillante, togliendosi di dosso il mantello «Non devo fare io gli onori di casa, vero?»

I coniugi Tonks si riscossero e, dopo essersi scambiati uno sguardo, attraversarono l'ingresso e entrarono in salotto. Videro la figlia comodamente seduta sul divano, le gambe lunghe davanti a sé con le caviglie incrociate e le braccia allargate sullo schienale. La testa ripiegata all’indietro, poggiata anch’essa allo schienale

«Cosa significa questo aspetto?» chiese Andromeda squadrandola ancora una volta da capo a piedi e posizionandosi davanti a lei con le braccia incrociate «Non è dignitoso neanche per te!»
«Tua madre ha ragione, cara» Ted si sedette sul divano accanto a lei «Non avrai… esagerato?»

Ninfadora si sforzò di sembrare spavalda e assunse un'espressione sorpresa, come se avesse creduto di ricevere tutt'altri commenti. Ma il sorriso tremò impercettibilmente e gli occhi si fecero improvvisamente lucidi, sebbene non scese alcuna lacrima

«Beh, mi piace cambiare. Lo sapete» rispose con la voce ridotta a un mormorio «Poi, con il lavoro... e tutto il resto... non ho molto tempo per riposare»
«Tutto il resto?» chiese Ted prendendo una mano della figlia tra le proprie

La giovane Auror ritardò nella risposta, ma, quando parlò, raccontò tutto. O, come aveva in mente, quasi tutto: disse di aver sofferto tremendamente per la morte di Sirius, che si riteneva colpevole di quanto successo, disse che era umiliante continuare a lavorare agli Archivi al Ministero nonostante le sue capacità; raccontò della progressiva perdita di controllo dei suoi poteri, del nuovo incarico ad Hogsmeade, della frustrazione causata dalla consapevolezza che per l'Ordine, al momento, non sarebbe più stata particolarmente utile…

«…Per non parlare di quel dannato imbecille...» si bloccò immediatamente. Aveva detto troppo
«Continua» ordinò la madre che nel frattempo si era seduta sulla poltrona vicino al divano «Di chi stai parlando?» il tono era fermo, non rude, ma perentorio
«Di nessuno, un collega... ma non è importante» tagliò corto la giovane strega ben conscia del fatto che ormai sarebbe stato arduo uscire da quella situazione
«Un collega del Ministero o un collega dell'Ordine?» si informò subito Ted
«Un collega e basta»

Andromeda e Ted si scambiarono un secondo sguardo. Ted avvicinò a sé la figlia e la abbracciò con dolcezza. Tra i due, era cosa risaputa che fosse Ted quello più dolce e dai modi gentili. Non che Andromeda fosse una cattiva madre, anzi: si preoccupava per la figlia come pochi al mondo, ma l'educazione severa ricevuta in giovane età la faceva spesso apparire come fredda e distaccata. Ninfadora era cresciuta sapendo che la madre le voleva bene, ma che avrebbe dovuto fare attenzione a non farla arrabbiare; dall'altro lato, sapeva che poteva correre tra le braccia del padre ogni qualvolta l'avesse combinata grossa

«Sai che puoi parlare con noi» mormorò Ted facendo scorrere una mano tra i capelli della figlia
«Puoi dirci tutto» sottolineò Andromeda prendendo posto anche lei sul divano e posando una mano sulla gamba dell'Auror
«Perché fa male innamorarsi?» proruppe infine Ninfadora

I coniugi Tonks tacquero, ma sorrisero entrambi. Un sorriso dolce e comprensivo. Anche Andromeda si unì all'abbraccio per poi sussurrare

«Perché l'amore ci rende vulnerabili»

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Capitolo 37
*** Scena 36 ***


Il giorno dopo la luna piena, Remus si svegliò stranamente riposato. Non aveva idea di come fosse potuto succedere, ma quella era stata sicuramente una delle notti di plenilunio migliori della sua vita - eccezion fatta, forse, per quelle trascorse con i Malandrini in periodo scolastico - e tale sensazione lo aveva accompagnato per esattamente tre minuti e mezzo dal suo risveglio.
Cosa gli fece andar via il ricordo di quella presumibilmente meravigliosa notte? La consapevolezza che uno dei motivi per cui era riuscito a trascorrerla serenamente fosse la mancata assunzione della pozione AntiLupo.
Quel pensiero ne aveva portato subito un secondo: Mi hanno scoperto.
L'uomo rimase steso a terra, girato sul fianco sinistro, per diversi attimi: un enorme peso all'altezza del petto lo costringeva in quella posizione, impedendogli qualsiasi movimento. Allo stesso tempo, un groppo alla gola gli rendeva difficoltoso respirare correttamente. Un improvviso moto di panico lo fece rabbrividire, portandolo successivamente a respirare sempre più velocemente, ormai fuori controllo. Remus si impose di mettersi seduto, impresa che si rivelò particolarmente complessa; una volta sollevatosi dal suolo, si prese la testa tra le mani e cominciò a inspirare profondamente e espirare lentamente. Fu un processo che richiese non più che cinque minuti, ma a Remus sembrò molto di più. Sentiva ancora il cuore che martellava contro la cassa toracica e percepiva il sudore freddo che gli imperlava la fronte, ma poteva dire di controllare la respirazione a sufficienza da poter raggiungere gli altri senza sembrare eccessivamente sospetto.
Difatti, si alzò e si riunì a Draugluin dopo averlo cercato e trovato in piazza e, insieme a lui, tornò a casa per darsi una ripulita, medicare come riusciva le ferite e successivamente rivestirsi. Remus saltò la colazione, ma fece comunque compagnia agli altri mannari. Sul volto di tutti regnava solo calma e spossatezza, accompagnate da una mal celata allegria. Colinde arrivò al tavolo e consegnò a ogni lupo una piccola ciotola contenente una bevanda di color giallognolo. Remus si interrogò circa cosa fosse, ma notando che tutti la bevvero ringraziando calorosamente la donna, decise che sarebbe stato meglio fare la stessa cosa. Se Remus non riconobbe subito ciò che bevve fu solo perché non aveva mai visto niente di simile, ma il sapore gli riportò alla mente qualcosa di noto. Non riuscendo ad identificare cosa, Lupin scacciò semplicemente il pensiero dalla testa, ritenendo di sbagliarsi.
Aranel sedeva al posto di Fenrir, il quale era già partito. Il mago si chiese quante vittime fossero riusciti e mietere e, con un’occhiata veloce alle espressioni compiaciute di Erech, Ancalagon, Rauros e Dorlos, comprese che, indipendentemente dalla quantità, questi fossero decisamente soddisfatti della notte.
Di Atarie e Calime, invece, non c’era traccia

«Estele, scusami» cominciò Remus sporgendosi appena verso la donna «Sai dove sono il Saggio e Calime? Ieri non erano in piazza e neppure adesso li vedo»
«Loro non si trasformano mai con noi. E come loro, neppure Aranel e Arvedui» rispose lei dopo aver mandato giù il liquido contenuto nella ciotola che era stata lasciata sul tavolo davanti a lei
«Arvedui? Chi sarebbe?» non chiese il perché Aranel fosse presente la sera prima, sicuro che fosse dovuto alla lontananza di Fenrir dal villaggio
«Non hai avuto occasione di parlargli?» chiese sorpresa Estele «Lui è il padre di Aranel, siede sempre accanto a lei a tavola. L'avrai visto, almeno ieri»

Remus si limitò ad annuire e poi tacque per il resto della colazione. Una quarantina di minuti dopo, salutò il suo gruppo e si allontanò. Non sapeva neppure lui con esattezza dove fosse diretto, ma i suoi piedi lo stavano portando all'interno della Sala dell'Assemblea. Era deserta e a ragione, si disse, dal momento che veniva utilizzata solo durante le riunioni ufficiali del branco. Oltrepassò la porta arrivando in piazza: diversi lupi sedevano fuori dalle proprie abitazioni e conversavano senza curarsi della sua presenza.
Sebbene si sentisse particolarmente in forze dopo aver bevuto quella che doveva essere una pozione rinvigorente, la convinzione di essere stato scoperto da qualcuno all'interno del branco era da considerarsi una certezza e ciò lo rendeva inquieto: Remus era all'erta, i muscoli tesi, i sensi attivi e pronti a cogliere qualsiasi mutamento intorno a sé, come se qualcuno lo potesse aggredire da un momento all'altro. Mai come in quel momento rivide così chiara nella mente l'immagine che l’infuso di Atarie gli aveva mostrato: lui costretto a terra trattenuto per le braccia da due figure non bene identificate, ma che certamente non avevano intenzioni pacifiche

«Tu, nuovo arrivato!» esclamò una voce che fece sobbalzare Remus e che lui stesso non seppe come altro definire se non "vecchia"

Il mago si voltò e si ritrovò di fronte al lupo di gran lunga più anziano che avesse visto fino a quel momento. Sebbene lo osservasse con attenzione per la prima volta - il viso segnato oltre che dalle cicatrici di passate e recenti trasformazioni anche dalle rughe, il corpo non più atletico, resistente, ma altrettanto cadente, i capelli grigi radi fino a lasciare la nuca e gran parte del capo scoperti - Remus lo riconobbe, scoprendo di aver appreso il suo nome solo quella mattina

«Arvedui» pronunciò meccanicamente
«Conosci il mio nome...» il vecchio unì le mani dietro la schiena «Ma non ti rivolgi a me come dovresti!»
«Chiedo scusa. Ero solo sorpreso, signore!» si affrettò a rispondere, facendo un mezzo inchino in segno di scuse

Arvedui rise di una risata che si trasformò ben presto in un prolungato colpo di tosse. Remus si rimise dritto e lo osservò: quasi non credette possibile che l'uomo che aveva difronte riuscisse a reggersi in piedi, ma, guardando meglio, si rese conto di quanto fosse in realtà stabile sulle gambe

«Signore» riprese «Quale onore rivolgerle la parola, ma a cosa lo devo?»
«Seguimi» tagliò corto lui, improvvisamente rude

Remus annuì e gli fu subito dietro, ripercorrendo la piazza fino ad arrivare, come capì poco dopo, alla dimora di Atarie. Ma non si fermarono lì, la oltrepassarono. Sbirciando attraverso il varco di ingresso, la porta assente, Lupin scorse seduto a terra il Vecchio Saggio e, accanto a lui, la figlia che giaceva distesa a pancia in giù, le gambe piegate verso l'alto che ciondolavano in aria con fare placido. Lupin si soffermò un momento di più su Calime, notando come ogni cosa di lei emanasse quiete e, immediatamente, rifletté su quanto diversa fosse la loro condizione: il fatto che stesse riuscendo a trattenersi dal tremare - e si chiese come fosse possibile data la paura che in quel momento lo attanagliava - faceva sì che Remus potesse apparire tranquillo, forse un po' rigido in alcuni movimenti, ma tranquillo; Calime, al contrario, sorrideva spensierata mentre giocava con fare bambinesco con quello che sembrava essere un tappo in sughero molto piccolo.
Si riscosse da quei pensieri e raggiunse Arvedui che lo aveva staccato di diversi metri. Ogni posso verso l'anziano lupo era un passo più lontano dal villaggio. Remus non sapeva dove stessero andando, ma non riusciva a togliersi di dosso la dolorosa sensazione che probabilmente non sarebbe tornato indietro e, nell’elaborare quel pensiero, sentì nuovamente male ad ogni singola parte del corpo.
Nemmeno una volta, in due settimane, il mago era stato avvicinato dall’anziano e, il fatto che proprio quella mattina lui volesse parlargli, era una coincidenza troppo casuale per essere credibile.
Quasi finì a terra, inciampando su quella che sembrava una radice straordinariamente grossa

«Qui, siedi» ordinò il vecchio indicando un tronco di un albero caduto e prendendo posto a sua volta
«Posso sape-?» tentò Remus, ma venne interrotto
«Damerino!» lo chiamò una seconda voce, femminile. Il tono brioso si era attardato sulla "o" finale prolungandola «Finalmente possiamo parlare da soli, Damerino!»

Aranel avanzava con passo lento e dalle falcate di ampiezza irregolare, i piedi scalzi che si facevano largo tra i detriti che giacevano a terra. Lupin contrasse le labbra, sorpreso e spaventato dalla presenza della donna. Le parole di avvertimento pronunciate da Draugluin tempo prima gli tornarono subito alla mente: "Ettelen, lei è Aranel. Spero che tu non la faccia mai arrabbiare…”.
La maschera di Ettelen faticava a stargli addosso in un momento come quello e, per tale motivo, fece il doppio della fatica a scegliere correttamente le parole da utilizzare

«Aranel, è un piacere. A cosa devo questa chiacchierata?» chiese tentando di mantenere il tono più calmo possibile.
Ciò che ottenne in risposta fu una risata sguaiata quasi quanto quella del padre «Puzzi di umano da quando sei arrivato e parli come loro. Mi chiedo perché tu sia qui...»
«Avevo bisogno di un ambiente diverso» l’uomo alzò le spalle in un gesto non curante
«Ma sentilo... padre ti prego, ti sembra che questo novellino possa rimanere qui a lungo? Quando Fenrir si renderà conto di aver ammesso al branco uno smidollato, se ne pentirà!»
«Uno smidollato?» Remus alzò un sopracciglio assumendo un cipiglio indignato «Non credo che tu possa giudicarmi» aveva parlato troppo e lo capì non appena pronunciò l'ultima sillaba della frase

Aranel, nonostante non fosse più così giovane, lo raggiunse con un balzo che aveva dell'atletico e si mise in piedi difronte a lui. Lo guardò con attenzione, squadrando ogni angolo del suo volto come alla ricerca di qualcosa che tradisse la sua espressione risentita.

«Vuoi giocare, Damerino?» chiese divertita «Quando Fenrir non c'è, comando io! Non vorrei si ritrovasse con un seguace in meno al suo ritorno» poggiò una mano sul petto dell'uomo davanti a sé e inclinò il viso da un lato. Il tono fintamente dispiaciuto era accompagnato da un broncio triste e dagli angoli interni delle sopracciglia sollevati
«Hogsmeade e Diagon Alley. Io conosco quei luoghi, li conosco molto bene» disse in fretta senza quasi rendersene conto, ma, compreso cosa avesse detto, continuò «Potrei esservi utile e, quindi, non sarebbe saggio privare Fenrir della mia presenza»

Quella risposta dovette sorprendere Aranel che arretrò di qualche passo. La donna incrociò le braccia al petto e soppesò le parole di Remus. Notando che lei non sembrava intenzionata ad aggiungere altro, forse in attesa di spiegazioni, il mago prese un respiro un po' più profondo e continuò a parlare

«Come dicevo il giorno in cui sono arrivato, ho girato l'Europa in questi anni, ma non solo: sono rimasto anche qui, nel Regno Unito. Ho abitato per qualche tempo in un paesino vicino Hogsmeade» fu facile per Remus dire quelle cose, semplicemente perché era la verità «Non so cosa Fenrir abbia in mente, ma se vuole avvicinarsi a dei centri pullulanti di maghi e streghe, ha bisogno di sapere come muoversi senza destare sospetti. Ha bisogno di me!» concluse con sicurezza sottolineando col tono le ultime parole
«Ha bisogno di un lupo mannaro che puzza di umano? Non credevo che potesse cadere così in basso!» intervenne Arvedui sputando a terra «Patetico...»
«Padre, per favore» il tono rispettoso con cui Aranel pronunciò quelle parole giunse chiaro alle orecchie di Remus «Damerino, parlerò con l'Alfa al suo ritorno e staremo a vedere. Scopriremo presto quale sarà il tuo futuro qui, se ce ne sarà uno...» concluse con un ghigno

Remus ritenne di potersi congedare e, il fatto che non fu fermato quando fece qualche passo nella direzione da cui era venuto, lo confermò. Si allontanò in fretta, arrivando a correre via non appena fu abbastanza lontano da non essere notato. Tornò in piazza e crollò seduto a terra, le spalle contro la parete esterna di una abitazione. Il respiro pesante, il corpo scosso da brividi. Alzò le mani coprendosi il viso e improvvisamente scoppiò a ridere. Strano l'effetto che può avere una scarica di adrenalina sugli esseri umani: Remus rise, rise di gusto, rise di una risata che non aveva nulla di allegro, ma il cui scopo era quello di buttar fuori tutta l’angoscia provata in quegli interminabili minuti appena trascorsi.
Ripreso il controllo di sé, l'uomo realizzò che parlare con Aranel e Arvedui non solo gli aveva assicurato che non fossero stati loro due a scoprirlo - il che era certamente di grande sollievo - ma, oltre a ciò, lo invase la consapevolezza di aver fatto un passo in avanti non indifferente nella sua missione. 

 

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Capitolo 38
*** Scena 37 ***


La sera che seguì la cena a casa dei coniugi Tonks fu parecchio impegnativa: era giunto il momento per Ninfadora di prendere servizio ad Hogsmeade e, per tale ragione, si smaterializzò proprio alle porte del villaggio. Ciò che rese effettivamente complicato il suo arrivo non è di difficile spiegazione: si potrebbe partire col dire che l’Auror si accorse che il proprio baule non fosse stato chiuso correttamente solo nel momento in cui stava girando su se stessa, pronta a smaterializzarsi. Il risultato fu che, giunta a destinazione, sentì come se il suo bagaglio pesasse improvvisamente la metà del previsto. Ed era così: parte dei suoi averi si riversò sulla strada principale del villaggio e parte semplicemente non aveva mai lasciato il suo appartamento. Probabilmente, pensò Tonks imprecando ad alta volte, una terza parte del proprio bagaglio si era persa per la via.
Presa la bacchetta, la strega la agitò per rimettere tutto al proprio posto e si avviò lungo High Street, la via principale di Hogsmeade, con l’intenzione di raggiungere quanto più velocemente possibile la sua futura abitazione. Venti minuti più tardi, arresasi all’idea di non riuscire a capire quale fosse la casa - “Vicino a Stratchy & Sons, la troverai subito: è un edificio a due piani in fondo alla traversa”, continuava a ripeterle nella sua mente la voce di Williamson - sbuffò sonoramente e lasciò cadere a terra il baule per poi usarlo come appoggio, sedendo su di esso.

«Molto bene, Tonks. Inizi alla grande!» commentò ironica prendendosi la testa tra le mani al pensiero che, una volta trovato il posto, sarebbe comunque dovuta tornare al proprio appartamento per recuperare metà del suo guardaroba

Una decina di minuti dopo, l’Auror si alzò e si stiracchiò. Avrebbe potuto avvertire qualcuno chiedendo aiuto, ma la realtà era che non aveva minimamente voglia che l’impettito e irreprensibile John Dawlish le facesse la ramanzina. Così si limitò a fare qualche passo nel vicolo avvicinandosi a una vetrina di Stratchy & Sons. Ricordava perfettamente quando, ai tempi della scuola, era entrata per la prima volta in quel negozio: solo lì era riuscita a trovare abiti tanto particolari da stare al passo con la propria stravaganza e, solo lì, le era stato possibile comprare quelle fenomenali calze che iniziano a urlare se troppo puzzolenti. Presa da questi pensieri, Tonks fu scossa da una lieve risata.

«Auror Tonks? È lei?» una voce maschile alle sue spalle la fece scattare sull’attenti e voltare velocemente
«Sissignore!» rispose in fretta e, non riconoscendo subito la figura che l’aveva interpellata, strizzò gli occhi nel tentativo di inquadrarla «Randolf? Da quando tanta formalità?»
Il giovane uomo sorrise «Da quanto Dawlish è a capo dell’operazione, temo»

Randolf Proudfoot, di giusto una manciata di anni più grande di Ninfadora, era lì in piedi a pochi passi da lei. Uno sguardo fiero dominava il suo volto in quel momento

«Sai, ti ho vista dalla finestra» continuò il mago «Non meno di un quarto d’ora fa» aggiunse trattenendo una risata
«Cosa!? E per quale assurdo motivo non sei arrivato prima?» sbuffò lei in risposta
«Beh non sarebbe stato divertente, no?» fece lui accompagnando le parole con un occhiolino smaliziato «Ma giuro che mi faccio perdonare!»

Detto ciò, Proudfoot si avvicinò al bagaglio di Tonks e, agitando la bacchetta, velocemente recuperata dalla tasca interna del mantello, lo sollevò. Le fece poi segno di seguirla e Tonks eseguì, scoprendo di avere letteralmente sostato per tutto il tempo davanti alla porta di quella che sarebbe a breve diventata casa sua. Assumendo un’espressione disperata, brontolò tra sé e sé per poi entrare e chiudersi la porta alle spalle.
Ciò che si vedeva dall’ingresso altro non era che un corridoio lungo e impolverato che terminava con una rampa di scale. Avanzando, Tonks si guardò dapprima a destra, dove una porta permetteva l’ingresso al soggiorno, poi a sinistra, dove era collocata la cucina. In quel momento Ninfadora non seppe cosa si celava dietro le ultime due porte del pian terreno perché queste erano chiuse.
Randolf avanzava lentamente per permettere alla collega di osservare l'ambiente, ma notando che si stesse attardando al centro del corridoio la richiamò, informandola che la sua stanza, come le altre, si trovava al piano superiore. Tonks annuì e fu nuovamente dietro l’Auror. Una volta salite le scale, Proudfoot si fermò

«Dato che sei arrivata per ultima, non hai molta scelta per quanto riguarda la tua stanza» cominciò e indicò l’ultima porta a sinistra nel corridoio «Quella ti assicura una vista fenomenale sul retro di Stratchy & Sons. In fondo, ai tempi della scuola ti piaceva, no?» ridacchiò e riprese a camminare verso quella stanza.

Aperta la porta, fece galleggiare il baule fino a che questo non fosse esattamente ai piedi del letto. Con un ultimo gesto della bacchetta, il bagaglio si posò al suolo.

«Grazie Randolf» Tonks lo superò entrando in camera «Savage e Dawlish?»
«Torneranno a breve, credo. Sono fuori da questa mattina: hanno cominciato a prendere nota dei posti più utili per il pattugliamento»

La strega annuì e fece qualche passo dentro la stanza. Si voltò nel momento in cui il suo collega la informava che lui sarebbe tornato nella propria camera e lo salutò con un cenno della mano. Prese quindi la bacchetta e, chiusa la porta, si dedicò a ciò che rimaneva del proprio baule.
Una volta sistemato il tutto, Tonks realizzò che, per fortuna, ciò che mancava all’appello fossero gli indumenti più pesanti e si disse che, per questa ragione, avrebbe potuto evitare di tornare di corsa a casa per recuperarli. Il meteo di fine agosto, infatti, non richiedeva ancora l’utilizzo di imbarazzantissimi maglioni a pois multi-color e di calze imbottite che arrivavano a metà stinco.
Ma la cosa più importante era che ciò che costudiva da settimane si trovava esattamente dove lo aveva lasciata: la bacchetta di Remus, infatti, era al sicuro in una delle tasche interne del baule.
A quel punto, la Metamorfomagus si concedette di lasciarsi cadere sul letto e sospirò profondamente quando il proprio corpo entrò in contatto con quella superficie estremamente confortevole.
La strega si disse di poter dedicare un po’ di attenzione all’arredamento della propria camera che si presentava semplice, piuttosto spoglia e sostanzialmente grigia. Oltre al letto sul quale era stesa, un materasso a due piazze sormontato da un baldacchino imponente e traballante, nella stanza era presente una scrivania - sufficientemente grande, notò Tonks, da poter sostenere il peso delle mille scartoffie che invadevano solitamente il suo ufficio agli Archivi -, una sedia dall’aria scomoda e un armadio. Tirandosi su a sedere, Ninfadora osservò il proprio letto e constatò che anche quello sembrava decisamente messo male. Arrivò, quindi, alla conclusione che fosse stato incantato in qualche modo. Di magia domestica l’Auror ne sapeva ben poco, per cui non si sorprese quando, pochi secondi dopo, sedutasi sulla sedia, si accorse che anche quella fosse molto più confortevole di quel che sembrava. Proprio dalla sedia vide qualcosa che prima, dal letto, le era sfuggito: appesa al muro accanto alla porta, opposta alla finestra ed esattamente davanti ad essa, era appesa una cornice vuota. Tonks si avvicinò per indagare, ma un rumore proveniente dal piano inferiore e il vociare di almeno due uomini, le fecero capire che Dawlish e Savage erano di ritorno. Ricevette conferma di questo pensiero nel momento in cui si sentì chiamare da Proudfoot.
Arresasi all’idea che avrebbe indagato sulla cornice vuota appesa al muro in seguito, Ninfadora uscì dalla stanza e scese le scale raggiungendo i tre Auror nel soggiorno.

«Ben arrivata, Auror Tonks» salutò con estrema formalità Dawlish
«Uh, avremo la compagnia di una signorina!» esclamò, invece, Savage «Quale piacevole notizia saperti qui, Tonks!

La strega salutò entrambi, chinando appena la testa. Non degnò realmente Dawlish di uno sguardo che potesse definirsi tale, ma, al contrario, sorrise in direzione dell’altro mago. Luke Savage - un esperto Auror che lavorava per il Ministero da tanto tempo quanto quello in cui Moody aveva prestato servizio - era un uomo sulla cinquantina dalla corporatura robusta e dagli occhi sorridenti.
Tonks conosceva ovviamente tutti e tre i suoi nuovi compagni, ma con loro aveva intrattenuto rapporti più o meno regolari. Randolf lo conobbe a Hogwarts, diverso anno, ma stessa Casa: era un ragazzo alto e snello dalla folta capigliatura colorata di un chiarissimo castano e perennemente arruffata. Con Dawlish, conosciuto al Ministero, aveva spesso a che fare: nonostante non fosse facile lavorare con lui, riteneva comunque divertente poterlo prendere in giro per via del grigio che dominava i suoi capelli, seppur lui non fosse così anziano (non che lo facesse in sua presenza, ovviamente!). E infine Savage: lui lo aveva visto davvero di rado, sebbene sapesse esattamente chi fosse e quale fama lo precedesse.

«Bene, signori… e signora» riprese Dawlish «La nostra missione inizia ufficialmente ora che ci troviamo tutti qui. Credo sia opportuno cominciare col comuni-»
«Per la barba di Merlino, John!» Lo interruppe Savage «Questo povero vecchio ha fame! Perché non ci mettiamo a tavola? Ci annoierai più tardi con queste quisquilie!»
«Ben detto, Auror Savage!» esclamò entusiasta Randolf alzando un pugno in segno di approvazione
«Giovanotto, chiamami così un’altra volta e giuro che ti appendo al lampadario per le mutande!» disse in risposta quello, ridendo poi sonoramente

A questo scambio, Dawlish si batté la mano sinistra sulla fronte borbottando qualcosa che a Tonks parve essere un “Sarà un compito arduo!”, Proudfoot si allontanò correndo verso la cucina e tenendo saldamente la propria cintura dei pantaloni come se quelli potessero scomparire da un momento all’altro e Ninfadora sorrise.
Forse, quella permanenza forzata ad Hogsmeade non sarebbe stata così male, in fondo. 

 

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Capitolo 39
*** Scena 38 ***


- 31 agosto 1996 -

"Cerca di non farti scoprire".
Queste erano le ultime parole che gli erano state rivolte da Severus Piton quella sera di quasi tre settimane prima. Il pozionista gli aveva consegnato le boccette contenenti la AntiLupo, si era impegnato nel creare per lui quella pozione e lui, da perfetto inetto quale si era rivelato, aveva mandato tutto all'aria. Remus si chiese un numero infinto di volte come Severus riuscisse a fare la spia in modo così egregio. Lo invidiò. Come era riuscito a portare quella maschera per anni? Come riusciva a portarla anche in quel momento?
Era difficile, tremendamente difficile. Forse Remus non era stata la scelta migliore per una missione di quel tipo. No, certamente non era la migliore, bensì l’unica.
Più di una volta, in quei tre giorni, Remus ebbe l'impulso di smaterializzarsi. Voleva allontanarsi da quel dannato luogo, voleva tornare alla Tana, voleva rivedere le facce amiche dei membri dell’Ordine della Fenice e voleva disperatamente rivedere Tonks. Tutti pensieri che si affollavano nella sua mente - in ordine sparso, a volte sovrapponendosi, altre volte succedendosi - e che lui tentava di elaborare seduto sulla riva del fiume. Se quel luogo lo aveva più volte ospitato nelle settimane precedenti, in tacito ascolto delle sue riflessioni, negli ultimi tre giorni era diventato la sua nuova dimora: non si allontanava dal fiume all’ora dei pasti; non lasciava quel luogo quando Araton o i gemelli Curonir e Celeborn lo invitavano a raggiungerli; quasi non tornava a dormire nella casa che condivideva con Draugluin. Proprio lui, tra tutti, era il compagno, l’amico, che aveva visto di meno in quei tre giorni e Remus si scoprì dispiaciuto all’idea.

«Ehi, tu!» chiamò una voce, aggressiva

Remus si girò al richiamo: ebbe appena il tempo di mettersi in piedi e arretrare di qualche passo, arrivando ad appoggiarsi con la schiena al tronco di un albero, che Calime gli fu minacciosamente vicino.

«Calime, che succede?» chiese cercando di trasformare la rinnovata paura, sentimento frequente di quei tre giorni, in curiosità
«Lo chiedo io a te! Per Selene, Ettelen che stai combinando!?» esclamò lei
«N-non capisco…» balbettò in risposta
«Non fare come se non sapessi!»

Remus si ritrovò a deglutire quella poca saliva che gli era rimasta. Sentì nel petto il cuore che cominciava a martellare e si trattenne a stento dall’abbandonarsi a una respirazione fuori controllo. Si costrinse a continuare a guardarla, il sopracciglio sinistro sollevato con fare interrogativo. Notò nei suoi occhi un misto di furia e apprensione

«Calime, per piacere, vorresti spiegarti?» sbottò infine
«D’accordo…» sospirò lei, senza accennare ad allontanarsi «Tre giorni, Ettelen! Sono tre giorni che non mangi!»
«Tieni così tanto alla mia salute?» se riuscì a sogghignare fu solo perché, evidentemente, il motivo che animava la donna non aveva nulla a che fare con la missione di Remus
«Sei parte del branco, ovvio che tengo a te!» Calime fece qualche passo indietro e si abbassò fino a sedersi a terra «Per non contare il fatto che stai trascurando Draugluin! Si è affezionato a te, non lo capisci? Dannazione, che ti prende?»

Remus non rispose, troppo sorpreso da tale risposta. Si lasciò scivolare lentamente a terra tenendo la schiena contro l’albero e ridacchiò. Scosse la testa e tornò a guardarla.

«Sai non pensavo che qui ci si volesse così bene» commentò esponendo una verità a cui credeva intimamente «Si, insomma: mi avete accolto e ve ne sono grato, ma non credevo che-»
«Siamo una famiglia» lo interruppe «Il branco è questo, in fondo»



- 4 settembre 1996 -

«Non ci credo! Hai vinto di nuovo!» Araton sbuffò sonoramente
«Fratello, come diamine fai?» ringhiò Celeborn
«È tutta strategia: voi siete troppo impulsivi» commentò con ghigno soddisfatto Curonir mentre si puntava il dito indice alla tempia con fare altezzoso

Remus, che li ascoltava sedendo accanto a Draugluin sul letto di uno dei gemelli, non aveva mai neanche pensato che potesse esistere qualcosa di quel tipo: nel mondo Babbano si sarebbe potuto dire che i tre si stessero sfidando a go, un gioco da tavola strategico di origini cinesi per due persone. Il mago non sapeva con esattezza le regole del gioco, ma potè notare che il principio alla base fosse il medesimo: ogni giocatore ha a disposizione una serie di pietre (delle pedine nere o bianche) che deve disporre sul terreno di gioco con lo scopo di conquistare quanto più spazio possibile, costringendo l’avversario all’immobilità.
E in questo, Curonir eccelleva. Neppure Celeborn a Araton in coppia riuscirono ad avere la meglio su di lui, non che non ci avessero provato sia chiaro.

«Ma ci hai battuto otto volte di fila!»
«Dodici» corresse Draugluin «Dodici volte di fila!»
«Taci marmocchio…» sospirò Araton sconsolato «Mi arrendo, basta!»
«No, Araton! Ancora una!» pregò Celeborn, troppo orgoglioso per concludere una sfida in cui non aveva trionfato neppure una volta

Inizialmente il robusto lupo dalla capigliatura rutila scosse la testa, ma alla fine cedette e i tre si lanciarono in una nuova partita. Draugluin si sporse per seguire meglio le loro mosse.

«Vorrei imparare anche io…» commentò ammirato
«Sono certo che Curonir ti insegnerebbe con piacere» si ritrovò a rispondere Remus senza pensarci
«Mh» annuì solamente per poi aggiungere «Lui è un genio! Peccato che Fenrir non gli permetta di rendersi utile al branco…»
«Cosa intendi dire?»

Draugluin si agitò sul posto, forse si era lasciato sfuggire più di quanto avrebbe potuto dire. Questa fu la sensazione che ebbe Remus e seppe di avere ragione quando il giovane lupo cambiò argomento.

«Non mi aspettavo che avresti accettato il nostro invito. Sono giorni che giri alla larga appena ne hai l’occasione…»«Mi dispiace» poggiò una mano sulla testa del ragazzo in un gesto di affetto e scuse «Non sai quante volte Calime mi abbia urlato contro per questo motivo!»
«Ha fatto bene, sono rimasto molto deluso da te» qualcosa nel tono di Draugluin giunse nuova alle orecchie di Remus e, per questo motivo, lui allontanò la mano e abbassò lo sguardo, colpevole
«Ti chiedo scusa, davvero»

Il silenzio che seguì fu interrotto da un urlo frustrato di Araton e dai lamenti di Celeborn. Evidentemente, Curonir aveva vinto ancora.
Il massiccio trentenne si alzò e borbottò qualcosa allontanandosi dal gruppo fino ad abbandonare l’abitazione. Curonir, invece, ridacchiò soddisfatto e raccolse le pietre usate fino ad allora per giocare, riponendole in un sacchetto che finì ben presto sotto il suo letto. Celeborn, dal canto suo, attese che il fratello avesse le mani libere per saltargli addosso con fare belligerante.
Si separarono solo quando Estele, una volta rincasata, li richiamò all’ordine. La donna avvertì che era ora di riunirsi per la cena, così i quattro si incamminarono dietro di lei. Appena prima di uscire, Remus si sentì afferrare da una manica e si voltò: Draugluin aveva lo sguardo basso, intento a fissare un punto impreciso tra i suoi piedi. Quando alzò la testa per puntare i suoi occhi in quelli dell’uomo, Remus lo vide sorridere serenamente, le labbra allungate a formare un arco con le punte verso l’alto.

«Non deludermi di nuovo, Ettelen»



- 10 settembre 1996 -

Remus aprì gli occhi risvegliandosi all’improvviso dall’ennesimo incubo di quelle due settimane. Si tirò su a sedere abbracciandosi lo stomaco quando lo sentì brontolare sonoramente. Di una cosa era assolutamente certo: se avesse continuato a non dormire decentemente e se non avesse messo qualcosa sotto i denti, sarebbe morto. Guardò fuori, oltre il buco perfettamente rettangolare della parete alla sua destra (quello che avrebbe dovuto ospitare una finestra, se solo ci fosse stata) e vide i primi raggi del sole alzarsi timidamente nel cielo.
Si mise in piedi, le mani che stringevano ancora il tessuto della camicia sopra l’addome. Avanzò lentamente verso l’ingresso, appoggiandosi allo stipite della porta (assente anche quella). Davanti a lui si estendeva il villaggio, ancora beatamente addormentato: poteva vedere chiaramente il gruppo di lupi che abitava la casa di fronte alla sua crogiolarsi nel tepore dei loro corpi vicini. Sorrise senza quasi rendersene conto.
Avanzò silenziosamente fino ad arrivare in piazza. Da lì si diresse verso la Sala dell’Assemblea col chiaro intento di superarla e raggiungere, ancora una volta, la sponda del fiume. E così, pochi minuti dopo, si sedette sull’argine, lo sguardo alto a osservare il cielo che via via stava schiarendosi.

«Ettelen!»

La voce che Remus sentì fu poco più di un sussurro dolce e a disagio. Sganciò i suoi occhi dal cielo sopra di lui e abbassò lo sguardo tentando di individuare la fonte di tale voce. A pochi passi da sé vide Estele, ma distolse subito lo sguardo coprendosi gli occhi: la donna stava emergendo, completamente nuda, dalle acque del fiume.

«Oh, scusami!» si affrettò a dire tenendo gli occhi chiusi «Non volevo…»

La donna avanzò, uscendo dall’acqua. Lasciò cadere a terra ciò che teneva nelle mani - Remus sentì solo un tonfo, quindi non potè sapere di cosa si trattasse. Estele recuperò i propri semplici indumenti e si rivestì. Si avvicinò all’uomo e prese posto accanto a lui; avvertendo la sua vicinanza, il mago si irrigidì impercettibilmente.

«Puoi guardare, ora» mormorò lei e Remus obbedì
«Sono sinceramente dispiaciuto, mi disp-»
«Va tutto bene» gli sorrise, nessuna forma di offesa negli occhi, ma le guance lasciavano intravedere delle sfumature rosse per l'imbarazzo

Remus annuì, ma non riuscì a sostenere a lungo il suo sguardo. Si ritrovò a pensare che Ettelen avrebbe dovuto reagire in modo totalmente diverso: lui avrebbe riso sicuro di sé e, probabilmente, si sarebbe lasciato sfuggire qualche battuta, sia per alleggerire la tensione che per mostrarsi forte anche in una situazione come quella. Ma Remus… lui non sarebbe riuscito a farlo.

«Facevi un bagno?» chiese per rompere quel silenzio ormai assordante
«Beh…» la donna guardò in direzione di ciò che aveva lasciato cadere a terra «Non proprio»

Lupin allungò il collo e scoprì ciò che voleva sapere.

«Stavi… pescando?»
«Ti prego non dirlo a nessuno!» una nota di supplica nella voce «Fenrir non vuole che si faccia…»
«Perché?»
«Lui preferisce che ci cibiamo con altro, lo avrai notato» una strana risata emerse dalla gola della donna
«Allora perché stavi infrangendo le regole?»
«Sai… per avere delle scorte…»

L’uomo annuì - perfettamente consapevole che Estele non fosse esattamente sincera - e non aggiunse altro. Tornò a guardare il cielo sopra di loro, il sole ormai era completamente sorto.

«Estele… posso tenere un pesce per me? Per scorta, ovviamente…»



- 15 settembre 1996 -

Dei trentuno giorni che Remus aveva ormai trascorso al villaggio, gli ultimi diciotto erano stati un incubo. Non che fosse successo qualcosa di particolare, ma il problema era proprio quello: diciotto giorni prima, la luna piena di agosto si era alzata nel cielo e lui si era reso conto di essere stato scoperto, ma nulla era successo. Aveva trascorso quei giorni domandandosi più e più volte chi fosse stato a trovare le pozioni nella tasca della sua giacca e chi, pur avendo prova di qualcosa che certamente un lupo mannaro non dovrebbe neanche voler possedere, lo stesse graziando. O, più probabilmente, chi lo stesse tenendo d'occhio.
Fenrir era tornato al branco solo la sera precedente e aveva indetto una riunione per la mattina del giorno seguente. Per tale ragione, Lupin stava avanzando lentamente con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo dritto davanti a sé; oltrepassò la porta della Sala dell'Assemblea e si mise seduto su uno sgabello vicino alla parete. Si appoggiò con un braccio al davanzale di una finestra e accavallò le gambe in una posizione comoda. Rimase quindi in attesa.
Quella di Fenrir, pensò Remus, era stata un'assenza consistente e, dando un'occhiata ai volti degli anziani saggi, Atarie e Arvedui, il mago si rese conto di non essere l'unico a pensarla così. Cosa poteva aver trattenuto tanto a lungo il capo branco? Che Voldemort gli avesse affidato qualche compito specifico? Che lo avesse reso partecipe di informazioni importanti? Di quest'ultimo pensiero, Remus dubitò vivamente: nessuno dei Mangiamorte si sarebbe mai davvero fidato di un lupo mannaro, troppo orgogliosi e convinti di essere superiori a dei semplici ibridi. E Voldemort non era certamente diverso, anzi.
Ben presto Remus fu riscosso dai suoi pensieri: Estele, i gemelli e Araton si sedettero vicino a lui e il loro gran vociare - soprattutto quello di Araton - rendeva semplicemente impossibile la concentrazione. Draugluin, purtroppo, non poteva ancora assistere ufficialmente alle riunioni.

«Mie compagni!» si alzò dal nulla la voce dell'Alfa «Sono estremamente contento di rivedere ognuno di voi» e nel dirlo, passò lo sguardo sul volto dei presenti

Conoscendo i modi del branco, Remus si aspettava di sentire urla fragorose in risposta a quelle parole. E così fu: alcuni gridarono entusiasti, altri accompagnarono a quella dimostrazione una forte alzata di braccia, elettrizzati. Remus, invece, sedeva sullo sgabello, immobile. Forse troppo stanco anche solo per fingere entusiasmo.

«Vi sarete forse domandati il motivo della mia lunga assenza» riprese il capo branco interrompendo i festeggiamenti «Ebbene...»

E qui Remus si fece più attento e ascoltò ogni singola parola pronunciata da Fenrir: sentì delle frequenti riunioni che Lord Voldemort aveva indetto in quei giorni; registrò ogni singolo nome che sfuggiva dalle labbra di Fenrir con l'intento di saperne di più sulla composizione dell'esercito nemico; l'Alfa raccontò di una irruzione a casa Malfoy da parte del Ministero a causa di una soffiata e rivelò che, proprio a causa di quella soffiata, aveva dovuto ritirarsi in fretta. Fu un racconto estremamente ricco di dettagli quello di Fenrir e il tono brioso, accompagnato dal perenne petto in fuori, non faceva altro che mostrare l'orgoglio che provava in quel momento.

«Un'ultima cosa, miei compagni...» e il tono qui divenne grave «Sembrerebbe che Albus Silente, il vecchio che scioccamente si oppone all'Oscuro Signore, abbia dalla sua parte uno di noi!» gridò le ultime parole con rabbia

Remus per poco non cadde dallo sgabello, ma la sua reazione non fu notata semplicemente perché molti - o forse tutti - si erano mossi allo stesso momento, increduli.

«Ne sei sicuro, Fenrir? Uno di noi dalla sua parte?» chiese un lupo dal fondo della Sala
«Proprio così!» ringhiò in risposta
«Spero che mi capiti sottomano. Sarò felice di farlo a pezzi!» commentò Aranel torcendosi le mani

Nuove urla si alzarono a quel punto, ma questa volta non erano di giubilo. Era ira e risentimento ciò che si poteva distinguere. Parole quali "Traditore" o "Cane addomesticato" vennero sputate con disprezzo. E Remus incassò ogni singolo colpo come una stilettata al petto. Iniziò a tremare impercettibilmente. Dopo diciotto giorni di angoscia e paura, il panico dei primi giorni era tornato.

«Tutto bene, Damerino?» chiese Araton, dopo essersi girato verso di lui «Sembra che esploderai da un momento all'altro» rise
«Io...» non riuscì neppure a formulare un pensiero che fosse logico
«Ti capisco, amico. Chi mai starebbe dalla parte di un umano? Quelli ci odiano!» commentò con risentimento marcato

Remus si costrinse ad annuire.
Fenrir concluse il suo discorso, rammentando ai presenti quale vita grandiosa e libera loro potevano condurre al villaggio. Nel branco. Sotto la sua guida. E tra i mormorii di assenso generale, l'Alfa li congedò.
I gemelli furono tra i primi ad alzarsi e ad allontanarsi, seguiti velocemente da Estele. Araton si issò in piedi e tirò su con uno strattone anche Ettelen.

«Andiamo, andiamo! Non prendertela così tanto... sarà un folle, quello lì. Non c'è altra spiegazione» e nel dirlo si avviò fuori dalla Sala dell'Assemblea. Remus lo seguì
«Damerino! Aspetta un secondo!» Remus si pietrificò sentendosi richiamare proprio da Greyback «Vieni qui!»

Il mago invitò Araton a precederlo e lo salutò con un cenno del capo. Con riluttanza rientrò nell'edificio e avanzò fino ad essere di fronte al capo branco.

«Fenrir. Aranel» disse a mo' di saluto
«Ti ho visto particolarmente fuori di te» commentò ridacchiando Aranel
«Sono solo... incredulo» scosse appena la testa e nascose le mani, ancora visibilmente tremanti, nelle tasche dei pantaloni
«E c'è di più» cominciò Fenrir «C'è una cosa che non ho detto, irrilevante per ognuno dei lupo del mio branco, tranne che per te»
«Sarebbe?» alzò un sopracciglio, scettico
«Aranel mi ha ricordato che tu hai viaggiato molto in questi anni, quindi, probabilmente, ti è capitato di imbatterti in un certo Remus Lupin»

Lo disse. Il suo nome era stato pronunciato con una malcelata eccitazione che il mago interpretò come il ricordo perfetto di quanto successo più di trent'anni prima. Aranel sembrò non condividere tale sentimento, forse lei non c'era a quel tempo, ma sembrava curiosa di studiare la reazione di Remus. Lui, invece, si sentì mancare diversi battiti del cuore e un nodo gli si strinse prepotentemente alla gola, impedendogli di proferire parola. In quel momento desiderò ardentemente di allontanarsi quanto più velocemente da loro.
Al contrario, si costrinse a togliere una mano dalla tasca e ad avvicinarla al mento che prese tra pollice e indice con fare meditabondo. Sfruttò quesi secondi di finta analisi dei suoi ricordi sia per cercare di riprendere fiato, sia per trovare un modo adatto a ribattere.

«Non mi dice molto questo nome» si schiarì la gola «Non credo sia uno che ha piacere a mettersi in mostra, se sta dalla parte di un umano»
«Sbagli... sono anni che quel cane cerca di integrarsi nel mondo magico!»
«Oh... in tal caso non ci sono molti posti dove avrei potuto incontrarlo. Giravo alla larga da quei luoghi e dai maghi soprattutto»
«Ma sei comunque entrato in contatto con loro, vero?» chiese Aranel «Mi hai detto di aver vissuto vicino a quel villaggio.. come si chiamava?»
«Hogsmeade, si. Potrebbe trovarsi lì, allora. Ma sono passati tanti anni...»
«Andiamo a fargli una visitina?» propose la donna impaziente ed eccitata all'idea

Fenrir annuì e fece qualche passo avanti e indietro, poi tornò da loro.

«Lo voglio morto» sentenziò

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Capitolo 40
*** Scena 39 ***


 

- 1 settembre 1996 -

«Splendido!» urlò Tonks furente, sbattendo la porta della sua stanza

Avanzò a grandi falcate verso il letto e vi si lasciò cadere pesantemente. Non si preoccupò dello scricchiolio sinistro proveniente dalle doghe sotto di lei e, anzi, lo ignorò iniziando ad agitarsi sul materasso. Non riuscendo, però, a rimanere costretta su quella superficie, fu di nuovo in piedi e cominciò a percorrere la stanza avanti e indietro, nella perfetta imitazione di una tigre in gabbia. In quel momento, l’unico pensiero che le passava per la mente era la materializzazione del suo desiderio di strappare ogni singolo capello unticcio dalla testa di Severus Piton. Se diversi giorni prima, il pozionista non aveva avuto modo di vedere il cambiamento del Patronus dell’Auror perché aveva abbandonato l’ufficio di Silente prima che lei lo evocasse, quella sera la strega non era stata altrettanto fortunata: vederlo arrivare di gran carriera, spinto dalla maligna curiosità di poter osservare come la forma dell’Incanto fosse mutata, l’aveva riempita di una rabbia indescrivibile. Sul momento non reagì, quasi non ne ebbe la forza - anche perché Harry era lì presente e non ritenne opportuno dare spettacolo - ma nessuno poteva vietarle di distruggere la sedia che si trovava innocentemente al proprio posto davanti alla scrivania in camera, battendola ripetutamente a terra. Ciò che ottenne, tuttavia, fu che una scheggia di legno le entrò direttamente dentro la carne del pollice.

«Ah, dannazione!» imprecò la ragazza ad alta voce lasciando lo schienale che stava ancora stringendo e prendendosi la mano lesa con l’altra «Perché mi odi così tanto, Tosca!? Cosa ti ho fatto per meritarmi questo?!
«Milady, non credo sia appropriato rivolgersi a Madama Tassorosso in tal maniera»
«Oh sta’ zitto!» proruppe Tonks, realizzando in un secondo momento che qualcuno avesse parlato

Volse lo sguardo prima a destra, poi a sinistra, cercando di capire da dove provenisse la voce. Fu allora che notò che la cornice appena al muro accanto alla porta della sua stanza non fosse più vuota come, invece, lo era stata in quei giorni. Ad abitarla, anzi, era un uomo particolarmente anziano dai corti capelli brizzolati tirati indietro e nascosti da un cappello giallo dalla falda larga.
Tonks, dimentica del dolore che stava provando in quel momento, quasi corse fino a fermarsi a un palmo dalla superficie di tela. Si perse in silenzio ad osservare la figura che dominava la cornice, la bocca ancora schiusa e le sopracciglia inarcate per la sorpresa. Si concentrò dapprima sul volto dell’uomo: due grandi occhi azzurri, sbiaditi forse dal tempo, agivano come catalizzatori dell’attenzione; davanti a uno dei due occhi, poggiava delicatamente un monocolo dalla catenina dorata che dava all’espressione del suo proprietario un che di altezzoso; il viso era perfettamente liscio, nessuna traccia di barba o baffi e nessuna ruga a rovinare la perfezione delle pennellate.

«E tu chi saresti?» chiese Tonks arretrando di mezzo passo
«Quale disonore! Il mio nome è forse caduto nel dimenticatoio?» l’uomo si schiarì la gola e proseguì con evidente disappunto «Ebbene, mi presento: Sir Jonathan Herbert Finch, per servirla!»

Tonks cercò di scavare a fondo tra i suoi pochi ricordi delle noiosissime lezioni di Storia della Magia, ma non si sorprese quando realizzò di non avere idea di chi l’uomo fosse stato quando era ancora in vita.

«Dovrei ricordare il tuo nome?» chiese Tonks scuotendo la mano dolorante
«Lei ha frequentato la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, nevvero?»
«Si» annuì «Perché?»
«Molto bene! In tal caso, avrà certamente avuto il piacere di indossare una delle mie creazioni!» e, nel dirlo, si spostò verso il margine della tela, riemergendo poco dopo dalla cornice con quella che a tutti gli effetti sarebbe potuta essere una uniforme scolastica molto antica
«Per Tosca!» esclamò la strega sbarrando gli occhi dallo stupore «Tu hai creato le prime divise?»
L’uomo, evidentemente compiaciuto, annuì, poi aggiunse «Milady, potrebbe, gentilmente, evitare di invocare continuamente il nome della mia adorata zia?»



- 13 settembre 1996 -

Sedici giorni da quando era arrivata in quella casa. Sedici giorni di convivenza forzata con John Dawlish. Ninfadora avrebbe dovuto ringraziare Proudfoot e Savage che le avevano impedito di Schiantare l’Auror a capo dell’operazione ogni qualvolta lui le avesse rivolto la parola.
Tonks si chiese ripetutamente per quale assurdo motivo sembrasse che i suoi turni di ronda con Dawlish fossero molto più frequenti che qualsiasi altro turno con gli altri due colleghi, ma non trovando una risposta logica si convinse che fosse semplicemente dovuto al fatto che Dawlish provasse sadico piacere nel torturarla con la sua sola presenza.
All’alba di quel nuovo giorno, Tonks scese stancamente le scale, entrando quindi in cucina. Come ogni mattina, seduto al tavolo, Savage leggeva la sua copia della Gazzetta del Profeta. Il mago alzò lo sguardo e fece un cenno di saluto nella sua direzione per poi tornare a concentrarsi sull’articolo che aveva meritato la prima pagina.

«Che novità, Luke?» si informò la strega prendendo una tazza dalla credenza
«Un nuovo arresto: Stan Picchetto, sospetto Mangiamorte» rispose l’uomo
«Stan Picchetto? Il bigliettaio del Nottetempo?»
«Proprio lui!» Savage ripiegò il giornale lasciandolo cadere sul tavolo «Ma dubito fortemente che sia un alleato di Colui-che-non-deve-essere-nominato»

Tonks annuì alle parole del collega e bevve un generoso sorso dalla tazza che aveva appena riempito con del the. Ripensò a quelle volte che, salita sul mezzo magico, si era ritrovata a parlare col giovane bigliettaio: mai, in nessuna occasione, aveva pensato che un ragazzo così ingenuo e buono come lui potesse nascondere un segreto tanto grande. Scosse la testa, convinta che nulla del genere sarebbe mai potuto essere vero.

«Il Ministero sta sbagliando. Di nuovo!»
«Attenta» la ammonì tranquillo Savage sorseggiando del caffè «Trattieniti dal fare certi commenti o John potrebbe non esserne particolarmente contento»
«Dawlish, certo… quel figlio di una Banshee!» borbottò lei spalmando del burro su una fetta di pane tostato «Sai dov’è, piuttosto? Non ci crederai mai, ma abbiamo un turno tra meno di un’ora» commentò ironica
«È uscito poco fa, ma non credo di aver capito dove fosse diretto» fece una pausa per poi sogghignare «Anzi, non credo di aver ascoltato quando lo diceva!»
«Perché lui può lasciare questa casa quando ne ha più voglia? Io non ho ancora avuto un giorno di pausa che possa essere davvero considerato tale!» mandò giù un grosso pezzo di pane tostato e aggiunse ancora masticando «Mi sembra di vivere come fossi una sorvegliata speciale…»

Savage non rispose subito, al contrario: posò la tazza su tavolo, si alzò con estrema lentezza e si mosse per la stanza; spostò la propria sedia e la sistemò esattamente accanto a quella della strega. Vi prese nuovamente posto, lo sguardo solitamente allegro e sorridente, adesso grave.

«Tonks, sai perché sei stata assegnata a questa missione?» sussurrò l’uomo sporgendosi impercettibilmente verso di lei
«Beh, immagino per tenermi quanto più lontana possibile dal Ministero e per evitare che io trovi il modo di rendermi utile per l’Ordine» rispose
«Precisamente» annuì
«Ma non capisco… perché Hogsmeade? Il castello è qui! Se dovessi parlare con Silente, non mi ci vorrebbe molto!
«Sei riuscita a parlargli?» la incalzò Luke
«No, ecco… anche se volessi non riuscirei! Quel dannato di Dawlish mi segue ovunq-… oh!» si interruppe, comprendendo solo in quel momento ciò che Savage stava cercando di dirle «Mi tiene d’occhio!»
«Proprio così» confermò abbassando ancora di più il tono della voce come se temesse di essere ascoltato da qualcuno «Sa esattamente dove sei per la maggior parte del tempo e, quando non ti è accanto, è comunque tranquillo perché convito che Randolf e io lo informeremmo se tu facessi cose strane» a quel punto sorrise ampiamente e proseguì «Noi ti controlliamo, ovviamente. Ma solo perché teniamo alla tua salute mentale, sia chiaro!» ammiccò

Tonks si lasciò sfuggire un sorriso. Se c’era una cosa di cui poteva essere sicura, questa riguardava la posizione che Savage e Proudfoot avevano nei confronti delle azioni del Ministero della Magia: entrambi, infatti, non si dimostravano pienamente d’accordo con l’operato del loro governo.

«Quindi sono davvero una sorvegliata speciale…?»
Luke Savage si permise di farle una leggera carezza sulla guancia, per poi alzarsi e sistemare la sedia al suo posto originario «Molto speciale!»



- 26 settembre 1996 -

Tonks quasi non credeva a ciò che le era stato comunicato quel giorno a pranzo: Dawlish era stato convocato urgentemente da Gawain Robards - Capo del Dipartimento degli Auror - e, per tale motivo, era stato necessario un cambio nei turni di guardia: Savage l’avrebbe accompagnata durante la ronda pomeridiana.
Ciò che Dawlish non seppe e che mai avrebbe dovuto scoprire era che Savage e Proudfoot, di comune accordo, si fossero a loro volta scambiati: l’idea era quella di permettere a Tonks di godersi un giorno di più che meritato riposo, dopo un mese in cui non aveva avuto tregua. Randolf sarebbe stato con lei, mentre Luke avrebbe condotto in solitaria il turno.
Subito dopo pranzo, Dawlish si era smaterializzato e neanche un quarto d’ora dopo, i due giovani Auror stavano percorrendo la High Street.

«Stento a crederci!» sospiro nuovamente Tonks come evidente dimostrazione del sollievo che provava in quel momento «Tu e Luke siete una benedizione!»
Randolf rise sonoramente «Vacci piano o potrei arrossire!» mise le mani nelle tasche dei pantaloni e la osservò «Sai Tonks… ogni giorno ti vedo più triste e con meno energie. Anche Savage si preoccupa!» si morse un labbro, titubante. Poi aggiunse «Vorrei poter far qualcosa per te»
«Voi fate già tanto per me…» commentò lei abbassando lo sguardo

Senza alcun preavviso, Randolf la prese da un polso e iniziò a correre costringendola a fare lo stesso per stargli dietro. Tonks urlò per la sorpresa e lo pregò di fermarsi dal momento che la sua proverbiale sbadataggine l’avrebbe fatta inciampare nel mantello del collega o, più verosimilmente, nel proprio. Sorprendentemente, Tonks non cadde e, poco dopo, riconobbe il pub davanti al quale si erano fermati: I Tre Manici di Scopa.
I  due Auror si guardarono e Tonks sorrise all’espressione fiera di Proudfoot. Entrarono e presero posto, ordinando da bere delle Burrobirre.

«Ricordi quella volta che Madama Rosmerta stava per bandirti dal locale?» chiese il giovane soffocando una risata
«Non è mai successo!» lamentò la strega
«Oh si! Io c’ero!»
«Sei un bugiardo…» borbottò nascondendo la testa dietro uno dei due boccali che Rosmerta posò sul tavolo in quel momento

Una trentina di minuti dopo, camminavano nuovamente lungo High Street, risalendo la strada principale verso Mondomago. Non c’era una vera e propria ragione per cui Randolf avesse deciso di portare Tonks in quel negozio. L’unica cosa certa era che la ragazza iniziò ad osservare con curiosità i diversi articoli magici che ne affollavano gli scaffali. Più di una volta Ninfadora richiamò all’attenzione il collega per mostrargli i nuovi set di Allarmi Antifurto Incorporato per scope o per indicargli strani talismani e altrettanti peculiari calderoni dalle forme non canoniche.

«Tonks!» chiamò Proudfoot dopo quello che sarebbe potuto anche essere un’eternità «Andiamo? Devo portarti ancora in un posto e poi ci conviene rientrare. Dawlish starà per tornare»
«D’accordo!» annuì dando un’ultima malinconica occhiata al Lunascopio che stava ormai studiando da una decina di minuti

Uscirono dal negozio e si avviarono nella direzione opposta rispetto a quella da cui erano arrivati. Ben presto, Tonks comprese che la loro successiva e ultima tappa sarebbe stata Mielandia. Sorrise all’idea di poter acquistare Api Frizzole, Piperille, Fildimenta Interdentali…

«Stai sbavando!» Randolf si aprì nella sua solita ed esagerata risata
«Smettila di mentire! Un Auror non dovrebbe farlo!» esclamò lei passandosi distrattamente una mano sugli angoli della bocca «Per la Barba di Merlino, Randolf! Smetti di ridere!» sbuffò risentita per poi ridere a sua volta, incapace di trattenersi

Si allontanò di qualche passo dal mago dopo averlo afferrato dal polso, esattamente come lui aveva fatto prima. Lo strattonò e avanzò con passo spedito verso Mielandia.

«Arrivo, arrivo!» protestò lui per poi esclamare «Tonks, attenta!» cercò di trattenerla, senza riuscire
«A cosa?»

Non ebbe il tempo di finire la domanda che urtò un uomo, finendogli addosso. Quest’ultimo la osservò per un momento, immobile, con sguardo glaciale. Tonks fece un lieve inchino scusandosi e si affrettò ad allontanarsi, in imbarazzo. Randolf fece lo stesso, non nascondendo un sorriso divertito.

«Sei un disastro, lo sai?» la schernì
«Oh, taci!»

Raggiunto il negozio, entrarono: Tonks si mosse da uno scaffale all’altro, ispezionando ogni singolo ripiano e inspirando sonoramente l’aria per potersi inebriare del profumo che aleggiava lì dentro. Probabilmente, quel giorno di libertà stava avendo effetti molto più che positivi su di lei, almeno così pensò Randolf. Venti minuti più tardi, l’Auror le mise in mano una busta contenente confezioni colorate e decisamente appetitose e, solo allora, Tonks si decise a lasciare Mielandia.

«Adesso che anche la tua riserva di delizie è stata rimpinguata, è tempo di tornare, temo»
«Mi riporti in cella?»
«Lo faccio per te!» la precedette fuori dal negozio

Tonks annuì seguendolo e sorrise, come non riusciva a fare da tanto. Lo sguardo non era vivo e allegro, notò Proudfoot, ma sembrava almeno un po’ più sereno. Ninfadora gli si avvicinò e gli sfiorò una mano per poi stringerla

«Randolf… grazie, per oggi»




=====
Ciao! Dopo un secolo che non mi faccio viva in questo spazio, comunico che dopo infinite vicissitudini i nostri malcapitati - altresì conosciuti come Remus e Tonks - si incontreranno nella scena 40!
È qualcosa a cui lavoro da un po' quindi spero che vi piaccia!
intanto ditemi cosa ve ne pare della storia fino a questo momento, sono curiosa!
- Lunastorta98

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Capitolo 41
*** Scena 40 ***


La dichiarazione che Fenrir aveva fatto a conclusione del loro ultimo dialogo aveva fatto piombare Remus nel timore di ciò che sarebbe successo nei giorni a seguire. Timore e non paura per il semplice fatto che, a quel punto, era ovvio che né il capo branco né la sua compagna sapessero che, dietro l’identità fittizia di Ettelen, si celasse proprio Remus Lupin.
Nei giorni successivi, Remus si era trovato spesso convocato nella dimora dell’Alfa per discutere di eventuali piani di azione e ciò che era risultato era che, entro la fine del mese, una delegazione di quattro lupi sarebbe andata ad Hogsmeade per una caccia al traditore. Il mago riflette più volte su questa decisione: avventata, sostanzialmente inutile e basata su un sospetto totalmente infondato, pronunciato da un soggetto che tentava semplicemente di sviare l’attenzione da se stesso. Ma Remus comprese anche che molte delle decisioni portate avanti da Greyback dovessero basarsi su questo tipo di cose, sull’istinto.
La notizia che Ettelen, il nuovo arrivato, avrebbe affiancato Fenrir in una missione sembrava essersi diffusa per il villaggio a macchia d’olio e, per quel che notò Remus, tutti avevano iniziato a guardarlo con un certo rispetto - seppure alcuni erano ancora chiaramente diffidenti, non ritenendo che un damerino come lui fosse all’altezza del compito.  

«Non ci credo! Perché tu vai con Fenrir?» esclamò Celeborn a metà tra il curioso e lo sbalordito
«Evidentemente il capo ha reputato che lui servisse» rispose il fratello
«Probabilmente il mio essere arrogante mi ha aiutato» commentò Remus stiracchiandosi.

Molte volte si erano ritrovati a portare avanti discorsi di quel genere e, a una decina di giorni dalla riunione, l’ennesimo dibattito si era aperto quando, dopo aver ricevuto notizia da Greyback che anche Araton e Erech si sarebbero uniti alla missione, i gemelli e Draugluin non riuscirono a contenere la curiosità.

«Araton? Viene anche lui?» chiese Draugluin
«Beh… Fenrir me lo aveva già messo alle costole quando sono arrivato» rifletté Ettelen «Immagino che ormai sia da considerarsi come la mia guardia»
«O il tuo sorvegliante» ironizzò il rosso ghignando con fare minaccioso
«Sinceramente preferisco avere te come sorvegliante che Erech!» esclamò in risposta.

A quel punto i gemelli erano scoppiati a ridere, seguiti a ruota da Draugluin e Araton. Anche Remus rise, per poi alzarsi dal masso su cui sedeva e annunciare l’ennesima riunione strategica a cui sia lui che la sua guardia avrebbero dovuto partecipare. Controllando l’orologio e avendo quindi certezza che fosse giunta l’ora, i due uomini lasciarono il gruppo e attraversarono il villaggio diretti alla dimora di Fenrir.

«Come ha detto che si chiama il traditore?» chiese distrattamente Araton, informato recentemente dell’identità della persona che avrebbero dovuto cercare
«Remus Lupin. Sembrerebbe che non abbiamo altre informazioni sul suo conto» rispose Ettelen portando le mani nelle tasche dei pantaloni
«Sappiamo dove andare a cercarlo, però!»
«Vero» concesse «Ma non abbiamo alcuna certezza che lui si trovi lì»
«Sai cosa, amico? Non mi interessa! Sono anni che non mi capita di allontanarmi dal villaggio!» esclamò il lupo contenendo a stento l’entusiasmo.

Giunti sulla soglia, attesero di ricevere il permesso e, solo allora, entrarono. Non venne detto molto di più durante quella riunione, se non la data in cui si sarebbero mossi. I lupi mannari presenti sapevano già come avrebbero agito: sarebbero partiti in quattro - sotto le forti lamentele di Aranel che avrebbe voluto partecipare - e, una volta lì, si sarebbero divisi in due sottogruppi - Ettelen con Araton e Fenrir con Erech. A quel punto avrebbero cercato informazioni e tracce del possibile passaggio di un loro simile.
Quando uscirono dall’abitazione, una mezz’ora dopo, Remus sapeva che sarebbero partiti il giorno prima della luna piena di settembre. L’idea di Fenrir era quella di sfruttare il fatto che, così vicini al plenilunio, i sensi e, ancora una volta, l’istinto dei suoi compagni sarebbero stati estremamente attivi e all’erta. E non si poteva certo affermare che il capo branco sbagliasse.
Il giorno della partenza Remus si sveglio per nulla riposato, come al solito in quei giorni, ma estremamente pronto. A un mese e mezzo dal suo arrivo nei bassifondi sarebbe finalmente potuto tornare a calpestare un terreno amico, non che la circostanza in cui l’avrebbe fatto fosse effettivamente positiva.
Il piano prevedeva che i quattro mannari lasciassero il villaggio dopo pranzo e, solo allora, Remus si domandò come avrebbero raggiunto Hogsmeade da Londra. Quale mezzo avrebbero preso? Ci sarebbero arrivati volando? Remus si chiese se, per caso, Fenrir possedesse delle scope volanti o delle Passaporte o altri strumenti di questo genere. Realizzò molto in fretta che, molto probabilmente, nessuno di questi mezzi umani sarebbero stati usati.
Con ancora il dubbio, Remus e Araton raggiunsero Fenrir e Erech dopo il pasto.

«Molto bene!» ruggì l’Alfa «Siete pronti?»
«Avrei una domanda» si fece avanti Ettelen «Come abbiamo intenzione di arrivare al villaggio?»
«Domanda lecita, Damerino. Ma tu non devi preoccupartene!» nel dirlo, Fenrir tese un braccio verso di lui e l’altro verso Araton ed Erech «Aggrappatevi forte e preparatevi a saltare!».

E Remus comprese: affermò il braccio di Greyback e, insieme agli altri, saltò in avanti scoprendo nel nulla con il familiare strappo dietro l’ombelico che accompagnava una qualsiasi Smaterializzazione. Lupin non era a conoscenza del fatto che Fenrir fosse capace di compiere quel tipo di magia. Sapeva che fosse in possesso di una bacchetta e sapeva che fosse un abile duellante, ma la Materializzazione - particolarmente quella Congiunta - era magia certamente avanzata. Remus non ebbe il tempo di attardarsi su tali riflessioni che presto colpì il suolo con i piedi e traballò leggermente.

«Bene! Erech con me, controlleremo la zona alla fine del villaggio» e cominciò a camminare «Voi due, invece, perlustrate questa parte!»
«Si!» Risposero all’unisono i Beta.

E si divisero. Ben presto Fenrir ed Erech scomparvero alla vista, mentre Remus si concesse qualche istante per ispirare profondamente l'aria del villaggio e per guardarsi intorno. Era a Hogsmeade. Il fatto di essere in missione e di avere accanto Araton, per una volta, non lo preoccupava minimamente. Per quel breve istante, Ettelen era scomparso e, al suo posto, Remus poteva godere della vista del castello in lontananza. Osservando proprio le torri di Hogwarts, il mago si aprì in un piccolo sorriso che non sfuggì ad Araton e per il quale, il rosso sghignazzò. Subito dopo, quest’ultimo avanzò verso quella che Remus sapeva essere la via che portava alla Stamberga Strillante e, stabilito che effettivamente sarebbe stato un buon luogo da cui cominciare la ricerca, lo seguì in silenzio. Ancora una volta con le mani nelle tasche dei pantaloni e ben coperto dal mantello che si era portato dietro, Remus si perse nei ricordi che quell’oscillante edificio gli riportarono prepotentemente alla mente. Quando Araton si fermò fuori dalla porta, Lupin provò quasi una sensazione di gelosia verso quel luogo che, seppur associato a sofferenze incomprensibili per chiunque tranne che per un lupo mannaro, era anche stato per anni il suo rifugio e il luogo in cui aveva vissuto le migliori avventure della sua vita.

«Che posto…» commentò Araton aprendo la porta con una poderosa spallata «È decisamente peggio del villaggio!».

"Peggio del villaggio”. Come poteva quel luogo essere peggio dei bassifondi? Remus si ritrovò a serrare la mandibola con tanta veemenza da sentire quasi dolore. Sospirò nel tentativo di rilassare i muscoli e seguì il compagno dentro la catapecchia. Araton, notò Remus, si dimostrò estremamente meticoloso: controllò ogni singolo ambiente della Stamberga almeno due volte, pronto a scovare qualsiasi traccia di un possibile recente passaggio umano. Fu solo quando il rosso confermò con certezza praticamente assoluta che quella casa fosse disabitata, sebbene vi fossero tracce di movimenti risalenti a non troppi anni prima - e Remus si chiese da cosa lo avesse dedotto - che i due decisero di uscirne. Quindi risalirono il sentiero per tornare sulla strada principale e avanzarono verso un'altra via laterale percorrendo la strada che costeggiava il binario della stazione.
Non fu, ovviamente, una ricerca fruttuosa.
A quasi un'ora dal loro arrivo, avevano perlustrato la parte di villaggio che era stata loro assegnata, ma non avevamo trovato molto. Per di più, il doversi muovere senza dare nell'occhio aveva contribuito a rendere la ricerca oltre che infruttuosa, stancante. Se ciò non bastasse, nel tentativo di non farsi riconoscere dai negoziati - ammesso che questi avessero memoria di lui - Remus lasciava che fosse Araton ad aprire la strada e teneva ben sollevato il cappuccio del vecchio tabarro marrone, così che il proprio viso fosse coperto.

«Dividiamoci» propose improvvisamente Remus, forse spinto dalla voglia di muoversi per il villaggio da solo e allentare la tensione che lo animava
«Non possiamo, lo sai» commentò sbadigliando Araton.

Lupin annuì - non si era aspettato, in realtà, una risposta diversa - e si limitò a procedere lungo High Street, seguito dal compagno che, distrattosi dall'obiettivo principale della missione, osservava con fare estremamente curioso le vetrine dei negozi. Remus vide che il rosso si era fermato davanti Mielandia e che sembrava non essere intenzionato ad allontanarsi, il naso premuto contro il vetro e la bocca appena schiusa in evidente salivazione. Si attardò ad osservarlo con espressione divertita per poi rivolgere lo sguardo verso la parte opposta della via: quel giorno, Hogsmeade non sembrava particolarmente vivo, poche streghe e pochi maghi passeggiavano lungo la strada principale e lo facevano mantenendo toni relativamente quieti. Ad eccezione di due ragazzi. Quei due ridevano, chi sguaiatamente chi di una risata che Remus non poté che riconoscere. Si pietrificò lì dove si trovava e fissò intensamente i due fin quando non gli furono vicini, tanto vicini che proprio lei lo urtò. L'uomo rimase immobile, lo sguardo gelido puntato nella sua direzione, il cuore che mancò un battito - o forse più. Lei si scusò e poi si allontanò velocemente, seguita dal suo accompagnatore.
Ninfadora. Ad Hogsmeade.
Perché Ninfadora si trovava ad Hogsmeade? Perché quel giorno? Perché era in compagnia di un ragazzo? E perché lui, Remus, tra tutte le persone che avrebbe potuto incontrare, si era imbattuto proprio in lei? Queste erano solo alcune delle domande che gli affollavano la mente in quel preciso momento. Remus vagliò con attenzione qualsiasi possibile risposta, in una agitazione interiore che non si rispecchiava minimante nella fissità del proprio corpo. Pensò che, probabilmente, la strega avesse avuto un giorno di pausa dal lavoro e che, pertanto, avesse deciso di trascorrerlo lontano dal Ministero. Pensò che il fatto che si fossero incontrati fosse una casualità - e di questo ne era certo - ritrovandosi, quindi, a inveire contro quel destino che, ancora una volta, si stava prendendo gioco di lui. E, infine, pensò al giovane mago che le era accanto: li aveva visti mentre avanzavano ridendo per la via; aveva visto come lei gli stesse tenendo il polso per poterlo tirare e farsi seguire. Aveva visto. E avrebbe voluto non vedere. Possibile che fosse bastato un mese e mezzo di lontananza perché Tonks lo dimenticasse?
Il mondo che lo circondava avrebbe potuto semplicemente essersi volatizzato, Remus non avrebbe percepito nulla, se non fosse stato per un’improvvisa folata di vento che mosse con eleganza inaspettata il suo mantello, rischiando di abbassargli il cappuccio. In quella più che perfetta inquadratura, purtroppo - o per fortuna - Remus non riuscì a seguire il filo di quel nuovo pensiero perché Araton era giunto a ridestarlo.

«Scusami stavo, ehm, studiando un negozio!» rise «Direi che possiamo continuare adesso, no?»
«Si» rispose il mago senza pensare al fatto che avessero già perlustrato ogni angolo, via, strada, buco e anfratto di quella zona.

Era innegabile che, nei minuti a seguire, Remus non dette ascolto a una sola delle cose che Araton disse. Si rese appena conto che si trattasse di qualche elogio al negozio di dolciumi che tanto lo aveva attirato e a una “coppietta ridente” che vi entrò facendo baccano.
Ormai rassegnati all’idea di non aver trovato nulla e convinti di potersi dire pronti a subire la rabbia dell’Alfa, si incamminarono verso il punto in cui avrebbero dovuto riunirsi a Fenrir ed Erech.

«Ehi, guarda!» esclamò Araton afferrando Ettelen da una manica «Quei due! Li vedi? I due che escono dal negozio di dolci!» e nel dirlo li indicò «Vorrei quasi rubar loro quello che hanno comprato, sono curioso di assaggiare quelle leccornie!».

Remus alzò lo sguardo e, per una seconda volta quel giorno, sentì un lancinante dolore al petto. Erano proprio loro, certo che li vedeva. E, in quel momento, avvertì una particolare fitta nel notare che Tonks avesse preso la mano al ragazzo.
"Possibile che fosse bastato un mese e mezzo di lontananza perché Tonks lo dimenticasse?”.

«Araton» lo chiamò, la bocca improvvisamente asciutta «Ho bisogno che tu mi faccia un favore»
«Spara, sono tutt’orecchie!»
«Dividiamoci. Raggiungi Fenrir ed Erech se preferisci, ma ho bisogno di appurare una questione»
Araton seguì lo sguardo di Remus «Dì un po’, hai voglia di divertirti da solo?» rise
«Se dicessi di si, ti convincerei a lasciarmi solo?» la voce sembrava arrivare da molto lontano .

Non seppe come reagì il rosso a quella domanda, ma si accorse che lui si allontanò lasciandogli campo libero. Se Remus si chiese come avrebbe giustificato questo suo comportamento? Certamente lo fece, ma in quel momento non gli importava. Provava l’irrefrenabile desiderio di raggiungere Tonks, di parlarle. Non sapeva neppure cosa le volesse dire, in fin dei conti non era, forse, ciò che lui si augurava da mesi? Non aveva ormai compreso che la scelta migliore che la strega potesse fare fosse quella di andare avanti e trovare qualcuno di giovane e sano che le stesse accanto? Non aveva interiorizzato l’idea per cui lei avrebbe dovuto dimenticarlo? La risposta a queste domande era anche fin troppo ovvia per Remus, ma allora per quale assurdo motivo, in quel momento, sentiva una stretta insostenibile all’altezza del cuore?
Ingoiando la saliva con estrema difficoltà, si mosse. Si strinse nel mantello, aggiustandosi ancora una volta il cappuccio e seguì i due ragazzi, lasciando loro un vantaggio di poco più di una decina di metri. Percorrendo la High Street ebbe modo di osservali e, nella foga di non perderli di vista, fece un passo falso: li vide girare all’angolo di Stratchy & Sons e, per evitare che lo distanziassero, si affrettò a fare lo stesso, ma si bloccò di colpo vedendo puntarsi contro due bacchette magiche.

«Vedi, Tonks? Ti avevo detto che qualcuno ci stava seguendo» ghignò soddisfatto lui
«Va bene, Randolf, avrai le tue due Cioccorane!» commentò lei senza staccare gli occhi dal loro inseguitore
Remus alzò le mani all’altezza delle spalle in evidente segno di resa per poi parlare lentamente «Abbassa la bacchetta, Ninfadora. Sono io»
L’Auror riconobbe la voce dell’uomo che aveva davanti e, abbassando lentamente il braccio la cui mano impugnava l’arma, rispose «Non chiamarmi Ninfadora, Remus».

Sia Lupin che Tonks trattennero il fiato al nitido ricordo di uno scambio di battute esattamente identico a quello, ma avvenuto ormai un paio di mesi prima. Randolf guardò con espressione sospettosa l’uomo che aveva difronte e non accennò ad abbassare la bacchetta. Fu solo quando la Metamorfomagus poggiò una mano sul suo braccio e fece una lieve pressione verso il basso che Proudfoot la imitò, riponendo lo strumento magico nella tasca del mantello.

«Randolf, puoi… lasciarci soli?» chiese Tonks
«Sei sicura che questo tipo sia affidabile?» si oppose il ragazzo squadrando Remus che si aprì in un sorriso ironico accompagnato da una divertita alzata di sopracciglia
«Per favore» si limitò a aggiungere lei.

Forse convinto dal tono che aveva usato la ragazza o forse per il fatto che non si sarebbe poi dovuto allontanare molto e che, in ogni caso, avrebbe potuto seguire la conversazione dalla finestra della sua stanza, Randolf annuì e scomparve alla loro vista. Poco prima di chiudersi la porta di casa alle spalle, scoccò un’ultima occhiata di avvertimento all’uomo.
Lasciati soli, i due si guardarono in silenzio per un tempo che parve infinito. Quasi percependo la muta richiesta della strega, Remus si abbassò il cappuccio rivelando in tal modo un viso ancora più stanco e magro di quel che Tonks ricordava. L’Auror lo osservò: era Remus, inconfondibilmente e indubbiamente, ma non era il Remus che lei ricordava. Quell’uomo dai capelli lunghi fino a poco più su delle spalle e dalla barba incolta e non curata; quell’uomo dalle guance scavate e dagli occhi segnati da occhiaie molto accentuate; lui non era il Remus che lei conosceva.

«Ho interrotto qualcosa?» domandò Lupin non riuscendo a trattenersi «Un appuntamento, magari?» sorrise beffardo
«Non ci vediamo da quarantatré giorni e la prima cosa che vuoi sapere è questa?»
«Oh scusami, Ninfadora» ne convenne e ricominciò «Buon pomeriggio, spero tu stia ben-».

Ma si interruppe a metà frase. L’espressione sul volto di Tonks, tra la rabbia e il pianto, sembrò aiutarlo a rendersi conto che il modo in cui le si stesse rivolgendo non gli apparteneva. Abbassò pertanto lo sguardo, pentito di aver solo aperto bocca per lo sciocco desiderio di sapere se quel ragazzo fosse davvero qualcuno di importante per Ninfadora. Come se lui, poi, avesse diritto a intromettersi nella sua vita. Ripensando a Randolf, non trattenne un’ulteriore - e certamente inopportuna e inutile - domanda:

«Vivi qui, adesso?» frenò solo all’ultimo il “con lui” che sembrava voler avere il suo posto in quella domanda
«Remus… Randolf Proudfoot è un Auror. Un collega» tagliò corto lei «Siamo in missione: sorvegliamo il castello e il villaggio» spiegò.

L’evidente sollievo che investì Remus fu tale che, pensò l’uomo, anche Tonks se ne rese conto. Improvvisamente il cuore ricominciò a battere senza che il peso che sentiva sul petto ne impedisse il normale ritmo. Oltre che il respiro, Remus sembrò ritrovare anche la vista e si soffermò ad osservare la sua interlocutrice con più attenzione. Nel farlo, non potè evitare di notare l’aspetto della ragazza: i capelli - i suoi bellissimi capelli rosa gomma da masticare - erano ora di un grigio topo spento e il suo viso era tremendamente sciupato. Non seppe dire se altro nel suo corpo fosse cambiato a causa del mantello da lavoro che la copriva.

«Peculiare questo… aspetto» commentò «Eri di turno?»
Tonks tardò nella risposta, per poi mormorare tristemente «Questa sono io, adesso»
«Come?» Remus fece mezzo passo nella sua direzione inclinando allo stesso tempo il busto, portandolo leggermente in avanti «Cosa intendi dire?»
«Io ho… perso il controllo dei miei poteri» rivelò gravemente «Da quando te ne sei andato, non riesco più a trasformare nulla di me» mosse le mani indicando se stessa.

Lupin la squadrò, quasi a voler esaminare ogni centimetro di lei. E così, Ninfadora non riusciva a governare le sue capacità da quando lui era andato nel branco. Da un mese e mezzo, Tonks era diventata il fantasma di se stessa e l’unica cosa che Remus riuscì a pensare fu che, se lei era ridotta in quello stato, fosse solo e unicamente a causa sua. Sorrise amaramente tornando ad assumere una posizione eretta, ma abbassando lo sguardo e puntandolo a terra per la seconda volta.

«Ti ho ridotto così… e non sono nemmeno accanto a te» non seppe se lo pensò o se lo disse davvero, ciò di cui ebbe la certezza fu il suo stato d’animo: si sentiva tremendamente in colpa
«Mi manchi…» disse lei in risposta «Mi manchi ogni giorno di più»
Remus si trattenne dal commentare questa sua ultima affermazione tirando di nuovo in ballo il giovane Randolf, ma non riuscì a non fare una seconda osservazione «Immagina come staresti se rimanessi con te… immagina a quale miseria ti condannerei»
«Con te al mio fianco sarei certamente felice!» protestò lei fissando la parte superiore della sua testa, dal momento che Remus non aveva accennato a riportare lo sguardo ad una altezza normale
«Buon Dio!» alzò il tono della voce in quello che si rivelò essere uno sfogo di frustrazione «Guardami, Ninfadora! Vivo come un animale!» nel dirlo, tornò a guardarla.

Pessima scelta. Lei si era irrigidita, sorpresa da quella esternazione e aveva unito le mani davanti al petto in una posa difensiva, come se tentasse di aggrapparsi a qualcosa. Remus sospirò e scosse il capo, cercando di placare l’esasperazione che si era fatta avanti. Si passò una mano sugli occhi e poi giù a lisciarsi la barba in un gesto nervoso.

«Ti guardo, Remus» Tonks avanzò di qualche passo verso l’uomo «Ti ho sempre guardato» si fermò a meno di un paio di passi di distanza da lui. Non ricevendo alcuna risposta, se non un visibile tremore alle mani che venne celato quando lui le riportò nelle tasche dei pantaloni, l’Auror proseguì «Vorrei che anche tu mi guardassi come io faccio con te…».

Remus non trattenne un risolino disperato. Se c’era una cosa di cui poteva dirsi soddisfatto, questa era che lei non avesse ancora capito che lui ne fosse innamorato. O, almeno, che non ne fosse certa al punto di darlo per assunto. Ciò che non aveva previsto, però, era che quella sua esternazione - la risata - sarebbe potuta essere interpretata come scherno. Vide gli occhi della giovane strega farsi improvvisamente umidi e, senza riuscire a controllarsi, le si avvicinò compiendo quei pochi passi che li separavano.
La abbracciò stringendola a sé.
Tonks passò velocemente le braccia intorno alla sua vita afferrandolo per la camicia e nascondendo il viso contro il suo petto.
Lupin si pentì immediatamente di ciò che aveva fatto. Indubbiamente provò un enorme piacere nel sentirla vicino a sé dopo settimane in cui aveva bramato quel contatto. Indubbiamente fu contento del fatto che lei non lo allontanò, confermando e tranquillizzandolo su quelli che fossero i suoi sentimenti per lui. Ma altrettanto chiaramente riconobbe, in quell’ultimo punto, il grosso problema: lei stava nuovamente dimostrando di essersi affezionata alla persona sbagliata.
E come diversi minuti prima, l’unico rumore che si fece avanti in quella situazione di sospensione dalla quotidianità del mondo che li circondava fu il rumore del vento, accompagnato da un vociare leggero e di passi in allontanamento.

«Lasciami» si costrinse a dire. Ancora una volta, le parole - pronunciate con tono di supplica - contraddicevano i suoi stessi gesti
«Se lo faccio te ne andrai di nuovo» sussurrò lei, la voce rotta dal pianto che si faceva largo incontrollato  «Non voglio perderti, Remus»
«Ninfadora… tu non mi hai mai avuto.»

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Capitolo 42
*** Scena 41 ***


Dopo averle lanciato addosso quella menzogna spudorata, quella serie tagliente di parole, Remus si era allontanato così velocemente che Tonks non riuscì neppure a pensare di bloccarlo. Anzi, quasi ebbe l’impressione di avere solo immaginato la presenza dell’uomo.
Era rimasta in piedi, lì ferma nel vicolo per diversi minuti. Provava sentimenti contrastanti. Era felice ed arrabbiata. Era sollevata, ma terribilmente triste. Remus era vivo e sembrava stare bene. Non era certamente in forma, ma, dopotutto, chi era lei per puntualizzare su certe questioni? Remus era vivo e questa le bastava. Lo aveva incontrato in maniera totalmente inaspettata e, proprio lui, aveva creato per loro l’occasione di un contatto più ravvicinato. Un abbraccio. Ma poi l’aveva allontanata e le aveva rivolto parole terribili. False.
“Ninfadora… tu non mi hai mai avuto.”
Quelle erano - dovevano essere - solo menzogne. Ninfadora si prese le braccia con le mani, la sensazione del calore proveniente dal corpo di Remus ancora addosso. L’unica certezza di non aver sognato quanto successo. Lasciandosi sfuggire un'esternazione di frustrazione, Tonks rientrò in casa chiudendosi con forza la porta alle spalle. Si tolse il mantello e avanzò nel corridoio ripiegando l’indumento sul braccio. Superò la porta che dava sul soggiorno e cominciò a salire le scale. Ignorò completamente il grosso vociare che si poteva distinguere: la Metamofomagus riconobbe la voce di tutti e tre i suoi colleghi, ma non volle sapere cosa si stessero dicendo, aveva già abbastanza pensieri per la mente.
Salite le scale, raggiunse a grandi falcate la propria stanza e vi si rifugiò dentro. Lanciò il mantello contro la sedia senza troppe cerimonie e si lasciò cadere sul letto. A quel punto, cominciò a picchiare ritmicamente un pugno contro il materasso per poi iniziare ad agitarsi in modo scomposto, scalciando e battendo entrambe le mani sul letto.

«Milady, cosa la turba al punto da assumere tali atteggiamenti poco… aggraziati?» si fece avanti la voce di Sir Jonathan dalla sua cornice
«”Ninfadora… tu non mi hai mai avuto” ha detto, capisci?» chiese Tonks «Hai capito?» ripetè
«A dire il vero, Milady, mi sfugge qualcosa…»
«Ovviamente! Voi uomini siete degli idioti! Tutti quanti!» sbraitò furiosa.

A tale esternazione, Sir Herbert Finch tacque, assumendo una espressione evidentemente infastidita. Con uno sbuffo secco, accompagnato da un movimento laterale della testa, l’abitante del quadro si mosse verso il lato sinistro della cornice per poi scomparirvi dietro.

«E vi comportate allo stesso modo!» urlò ancora Tonks lanciando il cuscino contro la cornice ormai vuota.

La giovane donna si tirò su in piedi e si avvicinò all’armadio recuperando dal fondo di esso il baule. Lo fece scivolare a terra e lo aprì, scavando e arrivando ad una delle tasche interne. Prese tra le mani ciò che vi era custodito: la bacchetta di Remus. Si inginocchiò a terra rigirandosela tra le mani e la osservò fin quando la vista non le si fece improvvisamente acquosa. Silenziose lacrime cominciarono a scivolarle lungo le guance, copiose. Tonks venne scossa da singulti di pianto e da tremiti incontrollati. Ripetè nuovamente la frase che Remus le aveva lanciato addosso e lo fece ancora e ancora. E pianse. Pianse come non le capitava di fare da tempo. Si accasciò lentamente a terra, fino ad essere in posizione fetale, la bacchetta stretta al suo petto. Come poteva aver pronunciato quella frase? Era stato proprio lui a chiederle di custodire la sua bacchetta e quale oggetto è più importante per un mago se non proprio la sua arma? La sua unica difesa contro le avversità. Un mago senza bacchetta non potrebbe nulla e Remus se ne era privato chiedendo a lei di averne cura.
Non seppe dire per quanto tempo rimase in quella posizione, scossa da un lungo e silenzioso pianto. Potevano essere passati cinque minuti o un’ora intera, ma lei non si era mossa. Sir Jonathan non era ricomparso nel proprio quadro e il vociare proveniente dal piano inferiore non si era interrotto nemmeno per un istante.
Fu solo quando sentì bussare alla porta della propria stanza che Tonks si riscosse. Si mise a sedere e posò la bacchetta di Remus al sicuro nel baule. Una volta chiuso, il bagaglio venne fatto galleggiare dentro l’armadio e l’anta venne chiusa. Si sentiva improvvisamente esausta. Come se ogni respiro le provocasse una sofferenza e una fatica inimmaginabile. Come evidente risposta contraria all’insistenza del bussare contro il legno, Tonks si muoveva molto lentamente e, quando aprì la porta, si ritrovò davanti un accigliato Randolf.

«Tonks?! Che succ-» fece per chiedere
«Ti serve qualcosa?» lo interruppe asciugandosi le guance con il dorso della mano
«Dawlish vuole parlarti. È infuriato a dire il vero.» si limitò a riferirei comprendendo che, in ogni caso, non avrebbe ricevuto altra risposta dalla collega.

Ninfadora annuì e si fece largo nel corridoio avanzando. Scendendo i gradini, vide Savage ad attenderla in fondo alla scale. Solo osservando il suo volto si rese conto che, anche Randolf, l’aveva guardata nello stesso modo: preoccupazione, tristezza e un che di rabbia trattenuta dietro agli occhi facevano capolino sul volto dell’Auror

«Tonks.» sussurrò Luke quando lei gli fu accanto e la trattenne da un braccio per il tempo necessario a pronunciare il suo avvertimento «Non reagire. Qualsiasi cosa Dawlish ti dica, mantieni la calma».

La Metamorfomagus alzò lo sguardo sul collega esibendo un’espressione interrogativa, gli occhi ancora gonfi e arrossati dal pianto. Si limitò ad annuire per poi liberarsi gentilmente dalla sua presa ed entrare in soggiorno. Cosa stava succedendo? Che Dawlish avesse scoperto il loro piccolo inganno per cui Tonks era riuscita a saltare un turno di guardia in favore di quella che sarebbe dovuta essere una giornata rilassante? No, non poteva essere solo questo: sia Proudfoot che Savage sembravano essere eccessivamente preoccupati e ciò fece nascere in Tonks una strana sensazione. Sarebbe dovuta rimanere calma? Per quale ragione? Dopotutto Dawlish gliene aveva già fatte passare tante, riprendendola per qualsiasi suo piccolo errore e lei era stata anche abbastanza brava da non rispondere mai a tono. Non perché non avesse voluto farlo, ma perché le parole di Williamson le tornavano sempre in mente, trattenendola dal fare sciocchezze - “Come pensi di poter migliorare il Ministero, se ti fai sbattere fuori?”.

«Auror Tonks, finalmente!» la accolse seccamente l’uomo alzandosi dalla poltrona sulla quale si era seduto in attesa
«Auror Dawlish,» salutò lei avanzando nella stanza
«Ti sei divertita, oggi, non è così?» attaccò senza troppe cerimonie, abbottonandosi la giacca per poi stirarla con le mani. Un aspetto impeccabile, si sarebbe potuto dire «Invece di lavorare, ti sei data agli appuntamenti?»
«Luke e Randolf cercavano solo di-»
«Ho già discusso ampiamente della questione con i nostri colleghi.» tagliò corto Dawlish.

Tonks lo guardò senza capire. Di cosa stava parlando se non della sua decisione di non adempiere ai compiti che le spettavano? A quale appuntamento stava alludendo? L’unica altra persona che aveva visto era stata Remus. Ninfadora trasalì. Dawlish l’aveva forse vista con lui? Quando? Dov'era? In strada erano presenti solo loro, dopotutto.

«Mi chiedo se tu sia a conoscenza dei decreti e delle leggi emanate dal Ministero della Magia. O credi che prestare servizio come membro dell’Ordine della Fenice ti elevi al di sopra delle scelte del tuo Governo?» allo sguardo interrogativo della collega, Dawlish proseguì «1993, il Sottosegretario Anziano Dolores Umbridge propose un disegno di legge contro i lupi mannari, creature altamente pericolose, come saprai.» uno strano ghigno comparve sul suo volto «Cominci a comprendere?»
«Come fa a sape-»
«Lo spettacolo che l’Ordine ha dato all’Ufficio Misteri pochi mesi fa ha permesso al Ministero di identificare alcuni degli alleati di Silente» fece una pausa per poi aggiungere «Sia umani che ibridi.» calcò l’ultima parola con disprezzo

Sentendo quel tono, improvvisamente la strega recuperò tutte le forze che aveva perso: Tonks tremò di rabbia. Come osava rivolgersi nei confronti di Remus in quel modo? Un rinnovato dolore si scatenò nel suo petto al ricordo di quanto successo al Ministero della Magia quel giorno. Lo scontr. La sua sconfitta contro Bellatrix. L’arco. Sirius. Se solo fosse stata più abile…

«Le mie frequentazioni non credo ti riguardino.» Tonks strinse i pugni cercando di mantenere un tono pacato, nonostante l’uragano che si stava animando nel suo corpo
«Entrare in contatto con dei fuorilegge, in quanto Auror del Ministero della Magia, non si può certo definire un comportamento appropriato. Mia cara, lo sto dicendo per te…»
«Non tutti i lupi mannari sono fuorilegge!» sbottò avanzando un passo nella direzione dell’uomo «Non più di molti maghi e streghe!»
«Modera i toni, Auror Tonks!»

Il modo con cui Dawlish aveva pronunciato quelle parole giunse calmo e tagliente alle orecchie della strega. Cadde il silenzio. Il mago prese posto sulla poltrona che aveva occupato fino all’arrivo di Tonks: accavallò le gambe in una posizione che poteva sembrare tanto comoda quanto rigida ed unì le mani in grembo. Non distolse un solo attimo lo sguardo dalla giovane e mantenne un sorriso falso sulle labbra.

«Tu non hai il diritto di decidere con chi io posso o non posso avere a che fare…» la voce di Ninfadora tremò impercettibilmente
«No, infatti, ma credo che il Capo Auror Robards e il Ministro Scrimgeour non sarebbero contenti di sapere…» la nota di rammarico nella sua voce risuonò estremamente calcolata «Dovresti rigare dritto, altrimenti potremmo, ecco, leggere il nome di un nuovo arresto sul Profeta della mattina…»
«È una minaccia?»
«Direi piuttosto un consiglio spassionato.»

Tonks si trattenne dal prendere la bacchetta dalla tasca interna della giacca e dal lanciare una maledizione all’uomo che aveva di fronte. Considerò anche la possibilità di lasciar stare la magia e di scagliarsi contro di lui, aggredendolo fisicamente. Gli occhi, di nuovo lucidi, tradivano la sua espressione furente. Ma Tonks sapeva di non poter ribattere, perciò si girò e uscì dalla stanza lasciando un Dawlish compiaciuto solo nella stanza.
“Come pensi di poter migliorare il Ministero, se ti fai sbattere fuori?”.

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Capitolo 43
*** Scena 42 ***


Non aveva retto oltre. Non poteva rimanere lì, non dopo averle rivolto parole tanto brutali. La discussione che ebbero a luglio fece subito capolino nei suoi ricordi e si sentì tanto meschino quanto lo si era sentito allora. Si era ripromesso di non parlarle più in quel modo, ma evidentemente non era riuscito ad evitarlo: doveva allontana. Tonks non doveva rimanergli affezionata e Remus avrebbe fatto di tutto purché lei cambiasse opinione su di lui.
Con un ultimo sguardo, quanto più freddo possibile, aveva sciolto la stretta che li teneva vicini e si era allontanato velocemente. Si era lasciato alle spalle il vicolo e solo quando a separarlo da lei ci furono almeno una ventina di metri, si fermò. Perché l’aveva seguita? Perché si era lasciato andare a quel desiderio? Perché si era lasciato andare alla gelosia? Remus non avrebbe mai pensato di poter agire spinto da un sentimento di quel tipo. Solo in quel momento realizzò il grave errore che aveva fatto: aveva allontanato Araton senza alcun motivo logico; si era fatto vincere dall’irrazionalità senza neppure avere idea di come si sarebbe potuto giustificare in seguito.

«Damerino!» chiamò una voce fin troppo familiare «Ti sei spinto oltre la zona che ti era stata assegnata!
«Ti chiedo perdono, Fenrir» rispose voltandosi in modo da avere difronte l’uomo che aveva parlato «Purtroppo non abbiamo trovato molto per cui ho pensato che-»
«Cos’è questo fetore?» chiese interrompendolo e annusando con forza l’aria.

L’Alfa si avvicinò con fare indagatore ad Ettelen fino ad avere il viso molto vicino al suo. Remus avvertì distintamente il proprio sangue gelarsi nelle vene. L’odore? Che Fenrir sentisse il profumo di Tonks? Doveva essere certamente così. Cosa avrebbe dovuto dire in quel momento? Non riuscì a pensare a nulla che fosse una spiegazione ragionevole e lo sguardo insistente di Fenrir non facilitava l’elaborazione di una scusa.

«Dannazione, si sente allora?» udì la propria voce rispondere incontrollata «Una maledetta umana mi è arrivata addosso dal nulla!» aggiunse con disgusto accentuato nella voce
«Un’umana?» alzò un sopracciglio
«Già… mi ero preso la libertà di seguirla, ma alla fine ho ricordato a me stesso che la missione fosse più importante.» fece una pausa e chinò appena la testa in segno di scuse «Chiedo scusa, ho quasi ceduto a-»
La risata di Fenrir arrivò potente «La volevi… aggredire? Ah Damerino… dovremmo trovarti un altro soprannome!» Fenrir batté pesantemente una mano sulla sua spalla per poi guardarsi intorno «Dov’è finito quel segugio di Araton?».

A Fenrir era andata bene quella risposta? Remus volle quasi sospirare di sollievo, ma l’ennesima domanda del capo branco lo riportò sull’attenti. Dove si trovava Araton? Nuovamente non seppe cosa rispondere, ma questa volta nessuna voce fuori controllo a salvarlo. Aveva davvero finito le parole così? Remus si maledisse. Cosa aveva combinato? Come si sarebbe giustificato? Ma poi lo vide: il rosso stava avanzando nella direzione da cui anche Fenrir e Erech erano arrivati.

«Capo!» Salutò fermandosi a pochi passi da loro «Ettelen non ho trovato nulla neppure in quel vicoletto!»
«Fatemi capire…» si intromise Fenrir «Stavate davvero controllando anche questa zona del villaggio?» l’Alfa lo chiese come se reputasse la questione come un atto di insubordinazione
«Lasciami spiegare, Fenrir» rispose Ettelen «La vergogna per non aver trovato molto ci ha solo spinti a darci da fare.»

La risposta sembrò soddisfare l’Alfa che non rispose se non con un’occhiata che, molto probabilmente, stava a significare che li stesse perdonando di tale mancanza. Senza aggiungere un’altra parola tese le braccia verso i compagni e attese che loro l’afferrassero. Proprio mentre stavano per saltare, Remus notò la strana occhiata che Araton gli stava rivolgendo.
Lo aveva coperto, aveva inventato una scusa che fosse credibile. Per quale motivo? Che anche Araton non se la fosse davvero bevuta? Ovvio che no, ma non avendo notato lo sguardo che lui gli aveva rivolto prima di allontanarsi, non ne ebbe la certezza. Oppure Araton era davvero così ingenuo da pensare che Ettelen si fosse “divertito” e, pertanto, aveva inventato una scusa credibile in suo favore. In ogni caso, Fenrir non sembrava avere motivo per non credere a ciò che gli era stato detto e confermato da entrambi.  
I quattro saltarono e in pochi istanti scomparvero, lasciandosi Hogsmeade indietro. Ricomparvero poco dopo al centro del villaggio e la parentesi lontana dai bassifondi fu definitivamente chiusa. Fenrir si allontanò immediatamente senza dare troppe spiegazioni e, con passo spedito, raggiunse la propria dimora. Erech, gli fu subito dietro avendo colto un cenno del capo branco che lo invitava a seguirlo, ma né Araton né Ettelen fecero lo stesso. Anzi, Araton si mosse rapidamente nella direzione opposta.
Rimasto solo, preso da dubbi di natura diversa circa il comportamento del mannaro, Remus si mosse verso la riva del fiume e, poco dopo, fu seduto sulla riva a pochi metri dall’acqua.
Tonks. Araton. Fenrir. Erech. Ancora Tonks. E ancora lei. Rivederla e poterla stringere a sé ancora una volta era qualcosa che Remus aveva sperato fin dal momento in cui si era chiuso la porta di Grimmauld Place alle spalle.
“Mi manchi ogni giorno di più.”
Remus provava esattamente la stessa cosa, ma sapere che Ninfadora gli fosse ancora così legata lo convinse una volta di più che l’essersi allontanato da lei in modo così drastico fosse stata la scelta più giusta. La distanza e il tempo l’avrebbero aiutata certamente. Randolf Proudfoot l’avrebbe aiutata certamente. A quest’ultima immagine, l’uomo scosse il capo.
Possibile che anche in una situazione come quella riuscisse a percepire solo lei al centro dei suoi pensieri? Si, era possibile e Remus si dette dello stupido ancora una volta.

«Damerino!» sentì una voce chiamarlo

Remus non ebbe quasi il tempo di voltarsi, che proprio Araton gli fu addosso: le sue mani si strinsero intorno al colletto della camicia del mago che si sentì sollevare e si ritrovò in piedi. Lupin venne percorso da una scarica di terrore puro ritrovandosi ad osservare il volto del rosso, contratto dalla rabbia e da qualche altra espressione che, in quel momento non fu in grado di decifrare.

«Che stai facendo?» chiese duramente afferrandolo dai polsi per cercare di farsi lasciare.

Remus tremava internamente, ma Ettelen aveva risposto a tono. L’uomo si complimentò con se stesso per essere diventato così bravo a fingere e a dissimulare. Difatti lo sguardo che mostrava era tanto infuriato quanto quello di Araton.

«Dovrei essere io a chiedertelo!» ringhiò «Ti sembro forse un idiota?»
«In questo momento? Si, Araton. Mi sembri un idiota!»

Remus seppe di aver esagerato quando il mannaro lo sollevò da terra e con veemenza lo sbatté contro il tronco dell’albero lì vicino. A Remus mancò il fiato per il colpo. Tossì poi strinse la mandibola con forza, lo sguardo puntato negli occhi dell’uomo davanti a lui.

«Spero tu abbia una spiegazione per questo comportamento!» sibilò
«Anche io spero che tu abbia una spiegazione.» una seconda voce era arrivata alle orecchie di Ettelen che, alzando lo sguardo, vide Calime avanzare con passo lento e disinvolto verso di loro «Lo spero per te, Remus Lupin.»

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Capitolo 44
*** Scena 43 ***


Remus era in piedi al centro della dimora di Atarie, raggiunta ormai diversi minuti prima. Quanto tempo era passato? Dieci minuti oppure un’eternità, questo non sapeva dirlo con certezza. Davanti a lui sedeva il vecchio saggio alla cui destra si trovava Araton, in piedi con le braccia conserte. Calime, invece, si muoveva lentamente per la stanza senza staccargli gli occhi di dosso, come se lo stesse studiando. Il mago rimaneva fermo sul posto, talvolta seguendo i movimenti della donna con gli occhi che, altrimenti, rimanevano puntati su Atarie. Minuti di interminabile silenzio. Remus non seppe dire quanto tempo passò effettivamente, sapeva solo di non sopportare quella situazione e di avere i nervi a fior di pelle. Le mani si chiudevano a pugno e si aprivano a intervalli regolari, il labbro inferiore veniva torturato dai denti, ma dal lato interno della bocca di modo che esternamente si potesse a stento percepire una contrazione dei muscoli. Era la prima volta da settimane che sentiva davvero la mancanza della propria bacchetta, ne avrebbe avuto bisogno, ma non per attaccare. Per difendersi.

«Non ce la faccio più… perché non mi fate fuori e basta?» disse improvvisamente
«Fa silenzio.» ruggì Araton

Remus si irrigidì sul posto per quella risposta e abbassò lo sguardo. Cosa avevano in mente? Lo avevano smascherato, era inutile cercare di mentire o sviare. Basta con i giochetti. Basta con la maschera da duro. Remus sapeva che qualcuno lo aveva scoperto dal momento in cui si era reso conto di aver perso le boccette della Pozione AntiLupo e, dopo un mese, aveva finalmente capito a chi avrebbe dovuto delle spiegazioni, sempre ammesso che gli avrebbero concesso di darne. Diversi scenari di un possibile immediato futuro gli affollavano la mente, nessuno positivo. Deglutì al pensiero.

«Hai paura, Remus Lupin?» chiese Calime avvicinandosi a lui fino ad avere il viso molto vicino al suo. La donna passò lentamente una mano sulla guancia dell’uomo sfiorandolo con la punta delle dita e ridacchiando al suo ulteriore irrigidirsi.

Remus non rispose, girò piuttosto la testa di lato e chiuse gli occhi. Aveva paura? Ovvio che ne aveva, anche tanta. Ma doveva cercare di ragionare lucidamente, non poteva perdere la ragione. Se solo avesse saputo cosa loro avevano in mente di fare, avrebbe potuto provare a elaborare un discorso che, in un modo o nell’altro, gli avrebbe salvato la pelle. Almeno lui sperava sarebbe stato così.

«Mi avete scoperto, d’accordo. Cosa volete fare adesso?» tentò ancora
«Mi sembrava di averti detto di fare silenzio.» disse Araton.

Anche il rosso, in realtà, sembrava impaziente. Avrebbe voluto attaccarlo? ferirlo? ucciderlo? divorarlo? Remus non lo sapeva e non avrebbe voluto scoprirlo. Tornò a guardare Atarie cercando di capire a cosa stesse pensando. Se solo fosse stato capace di utilizzare la Legilimanzia…
Il vecchio era rimasto immobile, seduto su quella specie di trono che torreggiava al centro della parete posta di fronte all’ingresso. Era seduto in una posa molto rigida e composta: i gomiti poggiati sui braccioli della sedie e le mani unite in modo che le punte delle dita fossero a contato davanti al volto. Lo sguardo era puntato su Ettelen, sembrava semplicemente in attesa. Pochi infiniti minuti dopo, Remus avvertì un rumore di passi in avvicinamento. Stavano davvero aspettando qualcuno’ Chi? Fenrir, forse?

«Vieni avanti.» per la prima volta, fu Atarie a parlare

Remus non osò voltarsi a guardare chi fosse, ma non dovette aspettare molto per scoprirlo perché il nuovo arrivato gli passò accanto e si mise in piedi occupando il fianco libero del vecchio saggio.

«Hai portato ciò che ti ho chiesto, Draugluin?»
«Si, signore.»

Il giovane lupo allungò le mani verso il vecchio e gli consegnò quelle che Remus riconobbe essere le tre boccette di pozione AntiLupo, due delle quali erano vuote. Remus sbarrò gli occhi e aprì leggermente la bocca mentre sentiva ancora addosso i loro sguardi.

«Molto bene, Remus Lupin. Credevi che nessuno ti avrebbe scoperto? Credevi di poter entrare al villaggio e di fingerti qualcuno che non sei come se nulla fosse?» Il mago non rispose, conscio del fatto che fosse meglio non interrompere il discorso del saggio «In realtà, il giovane Draugluin qui presente ha trovato queste curiose boccette nella tua giacca la sera stessa in cui sei arrivato. Molto sciocco da parte tua non nasconderle meglio.» Atarie alzò la bottiglietta ancora piena davanti agli occhi «Lui ha il compito di accogliere i nuovi arrivati, come avrai notato. Di sorvegliarli per la notte e poi di venire a riferire a me se trova qualcosa di sospetto.» mosse appena la boccetta «Viene indetta una riunione speciale a cui partecipano solo il gruppo dei cinque e si decide se accettare il nuovo lupo oppure no.»

Remus aveva già troppe domande per la mente. Prima: se lo avevano davvero scoperto dalla sera in cui aveva messo piede nei bassifondi, perché non avevano fatto nulla? Probabilmente, come lui aveva iniziato a osservare loro, così loro avevano fatto con lui. Seconda: cos’era e da chi era composto il gruppo dei cinque? Le cinque perone più importanti nella gerarchia del branco? Terza: perché Atarie glielo stava dicendo? Non che potesse farsene qualcosa di quelle informazioni se fosse morto da un momento all’altro.

«Mi sembra di essere ancora vivo.» fece notare Ettelen
«Per il momento.» rispose cantilenando Calime
«E non credo che respirerai ancora per molto se continui a rivolgerti ancora così al Saggio.» aggiunse Araton

Remus annuì velocemente con un cenno del capo come per dimostrare che avesse compreso l’antifona. Rimase in silenzio anche se la curiosità ormai lo stava animando tanto quanto la paura. Poi un dettaglio gli tornò alla mente.

«Due sono vuote.» fece un cenno verso le boccette «Chi ha bevuto la pozione?»
«Mia figlia ed io.» rispose Atarie
«Mio padre credeva di sapere di cosa si trattasse e, in effetti, aveva ragione» aggiunse l’Occhio di Selene. «Lui non sbaglia mai su queste cose.»

Che Atarie fosse abile con i distillati e gli infusi Remus lo aveva capito da tempo. Ancora aveva in mente le immagini scaturite dalla visione che aveva avuto dopo aver bevuto la pozione offertagli dal vecchio. E ricordava anche quel liquido giallognolo che Colinde aveva servito a colazione il giorno dopo il plenilunio di agosto. Ma come poteva Atarie conoscere anche la pozione AntiLupo se tanto disprezzava “quelle cose che preparano gli umani”.

«Se ne conoscevate l’esistenza e gli effetti… perché l’avete bevuta?»
«Per sapere cosa si prova, ovviamente!» fu ancora Calime a rispondere, uno strano bagliore negli occhi «Durante il mio ultimo viaggio sono riuscita impossessarmi di molti ingredienti utili alla sua  preparazione, ma qualcosa manca ancora! Non sappiamo con esattezza il procedimento, quindi, averne trovato dei campioni così ben distillati è stato come ricevere una manna dal cielo!»

Remus era confuso. Sembrava quasi che i lupi davanti a lui non fossero tanto arrabbiati quanto esaltati all’idea di aver trovato qualcuno che potesse… aiutarli?  

«Io… posso farvene avere altra.» disse Remus
«Sei capace di aiutarci, Damerino?» Atarie alzò un sopracciglio scettico
«So dove reperire tutti gli ingredienti.»
«Come facciamo a fidarci ancora di te?» Draugluin. Era stato lui a parlare
«Dovete farlo sulla parola, temo.»
«Allora non è molto su cui basarci.» fece eco Calime
«È nulla su cui basarci.» concluse Araton

 

 

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Buongiorno a tutti! 

Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione ma dicembre e gennaio sono stati mesi complessi per via degli esami. Non avevo molta voglia di mettermi a scrivere.Non assicuro di pubblicare settimana prossima, ma certamente torno a scrivere, Finalmente! Anche perché ora le cose diventano davvero interessanti!

- Lunastorta98

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