The last Games di Signorina Granger (/viewuser.php?uid=864554)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Mietitura (Parte I) ***
Capitolo 3: *** La Mietitura (Parte II) ***
Capitolo 4: *** Come dirsi Arrivederci ***
Capitolo 5: *** Cerimonia di Apertura (Parte I) ***
Capitolo 6: *** Cerimonia di Apertura (Parte II) ***
Capitolo 7: *** L'Addestramento ***
Capitolo 8: *** Alleanze ***
Capitolo 9: *** Prova di Valutazione ***
Capitolo 10: *** Le Interviste ***
Capitolo 11: *** Il Bagno di Sangue ***
Capitolo 12: *** Prima notte ***
Capitolo 13: *** Quarto giorno ***
Capitolo 14: *** Sesto giorno ***
Capitolo 15: *** Ottavo giorno ***
Capitolo 16: *** È finita ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
The
last Games
Prologo
Ancora
una volta,
come negli ultimi anni, milioni di telecamere erano accese e puntate su
Capitol
City, collegate a tutti i Distretti.
Erano passati molti
anni da quando era stata a rischio per i Giochi… ma quel
giorno, per la prima
volta in vita sua, si ritrovò a rivivere quella sgradevole,
orribile sensazione
di panico, come se fosse di nuovo un’adolescente.
Leggeva il terrore
direttamente negli occhi di quelle ragazzine, che la guardavano cariche
di
paura come a volerla pregare di non estrarre il loro nome.
Non le piaceva
cosa stava succedendo, tantomeno quello che stava per fare…
ma la decisione
ormai era stata presa già da un paio di mesi e non poteva
opporsi in alcun
modo: ci aveva già provato, senza ottenere risultati.
Ecco perché
era lì
quella mattina, sul palco davanti alle telecamere e ai cittadini di
Capitol
City.
Ecco perché
stava
per estrarre gli ultimi tributi degli Hunger Games.
La Presidentessa
Paylor guardò il fiume di persone che la osservava di
rimando dalla piazza,
scorgendo centinaia di adolescenti dai 12 ai 18 anni che pregavano
silenziosamente.
Gli dispiaceva per
loro, in effetti: d’altronde non avevano alcuna
colpa… non li avevano di certo
inventati loro, i giochi.
Quella infatti
doveva essere più una punizione per i loro genitori, le
persone che si erano
goduti anni di reality show, ridendo e scommettendo sui vincitori.
La donna
sospirò,
sentendo di non avere alcuna scelta. Alle sue spalle, seduti su delle
sedie,
c’erano le persone che avevano dato il loro permesso per
quell’ultima edizione
dei giochi, la 76esima… Haymitch Abernathy, Katniss
Everdeen, Annie Cresta,
Peeta Mellark, Joanna Mason, Beetee Latier e Enobaria.
Benché
avessero
votato loro per quello scempio sotto insistenza dell’ormai
defunta Coin, ora
spettava a lei il spiacevole compito di estrarre i Tributi…
L’unica
consolazione era che non avrebbe più dovuto rifarlo,
bensì solo quell’unica
volta.
Sapendo di non
avere scampo e che tutta Panem stava aspettando che iniziasse, la donna
si schiarì
la voce e parlò, sapendo che le sue parole sarebbero state
ascoltate da ogni
abitante dei Distretti e della Capitale, che la stavano osservando dal
vivo
dalla piazza o dai terrazzi delle loro case.
“Felici Hunger
Games, cittadini di Panem.”
Solo un anno prima
non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe detto quelle parole,
quelle
stesse che aveva udito milioni di volte… anche molti anni
prima, quando era
solo una ragazzina indifesa che pregava di non venire estratta.
A quanto sembrava
però, aveva fatto male i conti.
....................................................................................................
Angolo
Autrice:
Salve! Dopo qualche mese di "pausa", ho
deciso di cimentarmi nuovamente in un'Interattiva nel fandom di Hunger
Games...
Non ho mai letto una storia ambientata
nella fantomatica ultima edizione dei Giochi con i ragazzi di Panem
come protagonisti, così ho deciso di provare a scriverla,
con il vostro aiuto ovviamente.
Le regole sono sempre le stesse: gli OC
devono avere dai 12 ai 18 anni... e alla fine ne resterà
solo uno.
Regole per partecipare:
- Se siete interessati, recensite
richiedendo il numero e il sesso dell'OC (massimo 2 a testa)
- Mandate la scheda solo dopo la mia
conferma tramite messaggio privato
- Le iscrizioni sono aperte fino al 24/09
alle 19, avete tempo fino a quell'ora per mandare la scheda
- Se partecipate dovete farvi sentire e
recensire, altrimenti il vostro personaggio perirà di morte
cruenta... e trattandosi degli Hunger Games direi che potete prendermi
in parola.
Gli OC saranno tutti di
Capitol, quindi se ne create più di uno possono essere
fratelli, amici o anche odiarsi a morte da sempre... vedete voi
I Tributi in totale saranno 20, quindi ovviamente accetterò
al massimo 20 personaggi, ma scriverò la storia
anche avendone 15.
Detto ciò, vi metto qui sotto
la scheda da compilare:
Nome:
Età:
Aspetto:
Prestavolto:
Descrizione Psicologica:
Storia e Famiglia.
Fobie/debolezze:
Passioni/Talenti:
Con che tipo di persone potrebbe allearsi?
(i nomi me li direte più avanti)
Caratteristiche particolari:*
Amicizie/Inamicizie:
Nota: le prime 5 schede che mi arriveranno
saranno salve dal Bagno di Sangue
Tenete a mente che questi
ragazzi non si sono MAI allenati per i Giochi, quindi non venitemi a
dire che il vostro OC combatte meglio di Jackie Chan, per favore.
Accetto una buona mira o particolare velocità,
forza o agilità, ma niente campioni di tiro con l'arco e
simili.
Non mi sembra di avere altro da dirvi,
quindi concludo qui... Spero che parteciperete in tanti, a presto!
Signorina
Granger
|
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Capitolo 2 *** La Mietitura (Parte I) ***
~~Capitolo 1: La Mietitura (Parte I)
“Come sempre, iniziamo dalle ragazze…”
Dio, quanto si sentiva stupida a dire quella frase… Come una delle tante Capitoline che aveva visto alle Mietiture nel corso degli anni, che ripetevano sempre le stesse quattro frasi stentate.
Chi l’avrebbe mai detto, che un giorno anche lei si sarebbe trovata in quella situazione?
Peccato che lei non avesse avuto scelta, a differenza di quelle strane donne agghindate in modi assurdi che non aveva mai compreso fino in fondo.
La Presidentessa Paylor si avvicinò alla grande boccia di vetro posta su uno sgabello alla sua sinistra come le era stato detto quella mattina da Plutarch per estrarre i dieci nomi delle sfortunate che la sorte aveva scelto per i Giochi.
Riusciva quasi a sentire la paura di quelle adolescenti, tutte disposte in file nella parte sinistra della piazza. I ragazzi invece sembravano leggermente più rilassati, forse consapevoli che per il momento potevano ancora stare tranquilli.
Solo mentre infilava la mano nella boccia la donna si rese conto di una cosa: chissà, magari quelle stesse Capitoline che avevano avuto il suo compito per anni ora la stavano guardando con il battito accelerato e sudando freddo, temendo che la loro preziosa figlia potesse essere estratta.
Finalmente capivano come ci si sentiva… Stranamente però, m quel pensiero non la rincuorò come avrebbe sperato.
Sapendo di avere ben 10 nomi da estrarre la Presidentessa decise di non tirarla troppo per le lunghe, sapendo che indugiando avrebbe solo allungato la tortura di quelle povere ragazze: le sue dita sottili e cariche di cicatrici si chiusero intorno ad uno dei primi foglietti che trovò, tirandolo fuori lentamente prima di spiegarlo.
Lesse mentalmente il nome prima di pronunciarlo ad alta voce, quasi per capire se quel cognome le diceva qualcosa… ricordava di averlo già sentito, forse era il nome di un qualche politico di Capitol… senza indugiare oltre però si affrettò a leggerlo a voce alta al microfono, in modo che tutta Panem potesse sentirlo:
“Silver Carly Grace.”
Gli occhi scuri della donna volarono istintivamente sul fiume di ragazze, chiedendosi chi fosse la prima estratta. Ebbe un tuffo al cuore al vedere una ragazzina dai capelli biondi spostarsi dalla fila e avvicinarsi con tutta calma al palco, rimanendo impassibile.
Grandioso. Hai estratto una ragazzina di al massimo 14 anni! Complimenti
Era sempre stata contraria al fatto che anche ragazzine di 12 o 13 anni potessero partecipare… Aveva sempre pensato che solo i più grandi avrebbero dovuto prendere parte ai giochi. In effetti aveva provato a imporsi su quel punto, ma Plutarch non aveva proprio voluto sentir ragioni, sostenendo che quegli ultimi Hunger Games avrebbero dovuto essere come tutti gli altri. Se non altro aveva ottenuto di dover estrarre 20 nomi e non 24…
La ragazzina dai capelli biondi, perfettamente curata dalla testa ai piedi come solo i Capitolini potevano essere, si avvicinò al palco e salì in fretta i gradini, avvicinandosi alla Presidentessa.
“Quanti anni hai?”
“13.”
Si trattenne dal sospirare e si limitò ad annuire con un cenno del capo, voltandosi di nuovo verso la boccia di vetro. Accanto a lei la giovane Silver intanto aveva spostato gli occhi su sua madre, in piedi ai margini del palco. Anche la donna stava ricambiando il suo sguardo, restando però impassibile di fronte all’estrazione della figlia. Non che si fosse aspettata altra reazione dalla donna, che era forse la persona più superficiale che avesse mai conosciuto… Se anche era triste, non l’avrebbe mai dato a vedere anche solo per non rovinarsi il trucco tanto elaborato e costoso. Silver spostò i grandi occhi verdi sulla fila dei ragazzi, cercando suo fratello maggiore con lo sguardo. Incontrando gli occhi scuri di Wilhelm provò quasi un modo di sollievo, scorgendo distintamente le sua labbra muoversi per formulare una frase: “Andrà tutto bene, Carly.”
Già… glie l’aveva detto anche quella mattina, prima di andare in piazza.
Peccato che in quell’occasione suo fratello si fosse sbagliato.
*
Non riusciva a stare fermo, mentre la Paylor metteva di nuovo la mando dentro la boccia di vetro per estrarre il secondo nome.
Amanda quasi tremava, torturandosi le mani e tenendo gli occhi fissi sulla Presidentessa.
Quando un mese prima era stata divulgata la notizia degli ultimi Giochi e i suoi genitori erano andati a dirglielo, Amanda aveva pianto. Quasi per tutta la notte, calmandosi solo grazie al conforto della sua migliore amica Astrid, che l’aveva chiamata intuendo come dovesse sentirsi.
Era sempre stata contraria ai Giochi, non li aveva praticamente mai guardati… Solo le sfilate, giusto per poter vedere i meravigliosi abiti che i suoi genitori creavano per i Tributi.
Cercò di respirare profondamente mentre la Paylor spiegava il foglietto prima di leggere il nome ad alta voce:
“Astrid Walsh.”
Amanda sgranò gli occhi, chiedendosi se per caso non avesse sentito male prima di voltarsi di scatto verso la fila accanto, posando lo sguardo su una ragazza dai capelli lisci e castani. Astrid si voltò contemporaneamente verso di lei, rivolgendole un debole sorriso prima di avvicinarsi al palco con falcate poco decise, come se sentisse di non avere più le gambe.
Non era possibile… non potevano aver davvero estratto Astrid. Gli occhi di Amanda divennero all’improvviso umidi, tenendo lo sguardo sulla sua amica che stava salendo i grandini… Astrid evitò di guardarla, forse perché sapeva che vedendola sull’orlo del pianto ci avrebbe messo poco ad imitarla.
Amanda si morse un labbro, intimandosi di non piangere mentre la Paylor metteva nuovamente la mano nella boccia, estraendo in fretta un terzo foglietto:
“Amanda Lace.”
Quasi sorrise, sentendosi chiamare dalla Presidentessa… quasi sorrise nel vedere la smorfia che increspò le labbra della sua migliore amica, provando lo stesso che aveva appena provato lei.
Buffo… insieme fino alla fine, dopotutto.
Amanda si avvicinò al palco con passo leggermente tremante, perdendo all’improvviso tutta la sua solita allegria e vivacità… Chissà, forse non sarebbe più tornata.
Dopo aver salito i gradini si avvicinò ad Astrid, rivolgendole un debole sorriso e scorgendo gli occhi azzurrissimi dell’amica diventare lucidi.
“Quanti anni hai?”
“17.”
Amanda si sforzò di parlare con un tono di voce normale, ma che risultò comunque leggermente incrinato. La Paylor indugiò per un istante, spostando gli occhi scuri da una ragazza all’altra prima di tronare a conce trarsi sulla boccia e sulla Mietitura più lunga della storia dei Giochi.
Forse aveva capito che le due si conoscevano, e anche molto bene… E forse si stava maledicendo mentalmente per la milionesima volta da quando si era alzata.
*
“Faye Dashwood.”
Africa non batté viglio, limitandosi a voltarsi verso la ragazza che era appena stata chiamata. C’erano diverse persone che conosceva di vista grazie alla scuola ma non sapeva di preciso come si chiamassero… Faye Dashwood non era tra queste: avevano la stessa età e avevano studiato insieme per anni, poste da sempre nella stessa classe… E non si erano mai sopportate.
Quasi le dispiaceva per la gentile, dolce Faye… Non erano mai state amiche, ma Africa nonostante avesse molti difetti non augurava la morte proprio a nessuno, tantomeno ad una persona che conosceva da quando era bambina, nel bene o nel male.
Non avrebbe mai pensato che un giorno i Giochi sarebbero arrivati anche a Capitol… era crescita sotto una campana di vetro, sentendosi costantemente al sicuro e senza porsi troppi problemi.
Ed ora era lei quella a rischio, dopo aver passato l’infanzia a guardare i giochi alla TV insieme ai genitori e alle sue sorelle.
Strano, ma solo guardando Faye salire sul palco Africa ebbe la piena consapevolezza di cosa stava succedendo: forse perché era stata estratta una persona che conosceva, portandole appieno il significato dei Giochi. Era a rischio anche lei, anche se il numero delle ragazze estratte era quasi a metà… ne mancavamo ancora sei dopotutto.
Gli occhi castani della quindicenne si posarono di nuovo sulla Paylor, mentre Faye si fermava accanto alla ragazza estratta prima di lei, di certo di un paio d’anni più grande.
La Presidentessa stava per estrarre il quinto nome, afferrando con un gesto sicuro e sbrigativo uno dei foglietti infondo al mucchio considerevole: dopo aver spiegato il biglietto la donna indugiò per un istante come aveva fatto con gli altro nomi, forse soffermandosi sul cognome per capire se lo conosceva o meno:
“Tonya Aldred.”
Africa quasi sbuffò, questa volta facendo a meno di voltarsi verso la ragazza che era stata chiamata: era forse uno scherzo del destino? Anche Tonya aveva la sua stessa età… Non erano mai state veramente amiche, ma si conoscevano e in un modo o nell’altro avevano passato diverso tempo insieme nel corso degli anni: come Africa sapeva benissimo Tonya aveva quasi il timore di restare sola, e si attaccava a chiunque pur che ciò non accadesse… anche a lei, nonostante a volte non l’avesse trattata propriamente benissimo.
Guardò la coetanea avvicinarsi al palco, i capelli castani ondulati e una gonna a ruota addosso… Era la stessa Tonya Aldred di sempre ma non aveva alcun sorriso dipinto sul volto gentile e innocente, bensì una maschera di quasi inespressività.
Africa spostò gli occhi dalla ragazza, voltandosi verso le colonne dei ragazzi e posando gli occhi su uno in particolare, che conosceva praticamente solo di vista ma di cui aveva ampiamente sentito parlare negli ultimi tempi: anche Martin stava guardando Tonya e Africa quasi sfoggiò una smorfia, chiedendosi se il ragazzo fosse particolarmente dispiaciuto… probabilmente più perché ora non avrebbe avuto una ragazza da sfruttare che per sincero affetto.
Non aveva mai considerato Tonya sua amica, ma quasi le dispiaceva di come Martin la trattasse… non l’aveva mai detto apertamente, ma non lo trovava affatto giusto. Aveva anche provato, come tante altre, a parlarne con la diretta interessata senza però ottenere grandi risultati.
Quando anche Tonya fu sul palco accanto a Faye, che rivolse alla coetanea un’occhiata malinconica come se le dispiacesse che anche lei fosse stata estratta, la Paylor si accinse ad estrarre l’ennesimo nome dalla boccia, facendo di nuovo trattenere il respiro a tutte le ragazze, molti genitori e anche a diversi ragazzi in pena per sorelle, amiche, cugine o fidanzate.
Africa deglutì, sudando freddo mentre la donna posava gli occhi sul nome della sesta “fortunata” dell’ultima edizione dei Giochi.
Quella era l’unica ed ultima edizione ambientata a Capitol... se sfuggiva a quella, non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nulla in tutta la sua vita, esattamene come nei precedenti quindici anni.
Eppure, sembrò che il fato ce l’avesse con lei quel giorno, e Africa ne ebbe la consapevolezza quando sentì le parole della Paylor:
“Africa Garrett.”
Una sensazione strana la investì, un moto di paura e consapevolezza insieme che non aveva mai provato.
Era fatta, era stata davvero estratta.
Africa indugiò per un istante mentre tutte le sue coetanee che la circondavano si voltavano verso di lei senza emettere un fiato, ma la ragazza non ci fece molto caso e deglutendo si avvicinò al palco con passo tremante, sentendo le gambe fatte quasi di zucchero filato, come se non avrebbero potuto reggerla in piedi ancora a lungo.
Come diceva sempre sua sorella, non c’è mai il due senza il tre… e lei era la terza fortunata della sua età ad essere stata estratta per i Giochi.
*
Rubinia Flaemus non aveva paura, mentre guardava la Paylor estrarre l’ennesimo nome: molte sue compagne stavano iniziando ad essere più rilassate visto che più di metà dei nomi erano già stati chiamati… ma lei no, lei restava comunque sull’attenti, senza perdersi alcun dettaglio della situazione.
Aveva guardato i Giochi fin da piccola, ormai non faceva nemmeno più caso alle morti Quando aveva saputo dell’ultima edizione aveva avuto paura, che era però scemata con il passare dei giorni fino a sfociare in una consapevolezza diversa, il voler dimostrare qualcosa a tutta Panem: i cittadini dei Distretti li odiavano da sempre, per quello che avevano e perché avevano riso e scommesso sulle morti dei loro ragazzi… Rubinia voleva dimostrare che anche loro valevano qualcosa, aveva preso la situazione quasi come una sfida personale.
S’immaginò sua madre, di certo molto più preoccupata di lei, guardare la Paylor spiegare il biglietto per poter leggere il nome. Di certo anche suo padre stava seguendo la Mietitura dal carcere… chissà se era in ansia per sua figlia, che aveva sempre viziato e coccolato parecchio fin da bambina.
“Brittany Dask.”
Molte teste si voltarono verso la suddetta ragazza, Rubinia inclusa: non conosceva benissimo Brittany, ma aveva un anno in meno di lei e l’aveva vista un milione di volte a scuola o a delle feste…
Erano diverse e non erano mai state amiche, avendo due visioni della situazione completamente diverse: mentre Rubinia adorava guardare i Giochi, quasi la divertivano, Brittany non aveva mai nascosto di essere profondamente contraria… Le dispiaceva per gli abitanti dei Distretti, sostenendo che non fosse giusto il modo in cui veniva trattati e puniti.
Rubinia guardò la ragazza muoversi e avvicinarsi al palco, i lunghi ricci castani che le ondeggiavano sulle spalle mentre camminava con passo un po’ incerto ma dalle lunghe falcate, quasi come se volesse arrivare in fretta a destinazione per chiudere quella storia.
Rubinia la seguì con lo sguardo, guardandola salire sul palco e avvicinarsi alla Paylor, fermandosi accanto alle tre ragazzine che erano state precedentemente chiamate.
Non era ancora stata estratta nessuna sua coetanea… sarebbe uscita anche qualche fortunata di 18 anni che non era riuscita a scampare, anche se di poco, a quello strazio?
La Paylor sembrò quasi non battere ciglio e si affrettò ad estrarre un altro biglietto, leggendo il nome ed esitando per un istante: Rubinia la vide distintamente indugiare sul nome prima di chiamarlo ad alta voce, quasi come se l’avesse riconosciuto:
“Rubinia Flaemus.”
Le labbra di Rubinia si piegarono quasi in un sorriso, sentendosi chiamare: certo che la Paylor aveva indugiato nel leggere il suo cognome… probabilmente l’aveva riconosciuto, ricordando di quando avevano arrestato suo padre poco più di un mese prima.
La ragazza si mosse con disinvoltura, avvicinandosi al palco con i lunghi e lisci capelli rossi che si muovevano sinuosamente sulle sue spalle, ignorando gli sguardi che stava ricevendo e tenendo gli occhi chiari fissi davanti a se.
Salendo sul palco si fermò accanto a Brittany, che le rivolse un’occhiata cupa mentre la Paylor osservava per un istante la ragazza appena chiamata.
Rubinia ricambiò lo sguardo, rimanendo impassibile prima che la Presidentessa si voltasse di nuovo verso la boccia. Probabilmente non ne poteva più di estrarre nomi su nomi… Quella era la Mietitura più lunga di sempre.
La diciottenne spostò lo sguardo, tenendo gli occhi dritti davanti a se: era stata estratta ed era del parere che disperarsi non servisse… di certo piangere non avrebbe aiutato proprio nessuno.
Era stata chiamata, tanto valeva iniziare con la consapevolezza di quello che sarebbe successo… Quella era una specie di sfida, e aveva tutta l’intenzione di accoglierla a braccia aperte.
*
Rivolse a quella maledetta boccia un’occhiata torva, prima di estrarre l’ennesimo nome: non era nemmeno a metà e già non ne poteva più… Avrebbe tanto voluto dare a quell’affare un calcio e guardarlo rotolare giù dal palco, infrangendosi ai piedi di quelle ragazze.
Infilò un braccio all’interno della boccia con un gesto secco e ormai automatico, dicendosi di sbrigarsi per chiudere almeno una parte di quella storia: il compito più brutale spettava proprio a lei, quella che si era opposta per prima a quel macabro teatro.
Non poteva essere Plutarch ad estrarre i nomi? O la Ghiandaia Imitatrice, visto che aveva votato affermativamente?
Afferrando un biglietto in cima al mucchio la donna lo spiegò in fretta, leggendo mentalmente il nome prima di ripeterlo a voce alta:
“Erica Reyes.”
Gli occhi scuri della donna saettarono ancora una volta sulle colonne di ragazze, cercando una che si spostasse per capire chi aveva appena condannato a morte.
Vide una ragazzina bionda e dai grandi occhi azzurri avvicinarsi spostarsi dalla fila e avvicinarsi al palco, i capelli che si muovevano ad ogni passo fatto su un paio di assurdi tacchi rossi.
La Paylor si ritrovò ad inarcare un sopracciglio con scetticismo, chiedendosi ancora una volta cosa passasse per la testa dei Capitolini per far indossare a delle adolescenti scarpe del genere… e quella non era di certo una diciottenne, doveva avere al massimo quindici anni.
Quasi si chiese se sarebbe inciampata sui gradini, ma a quanto pare Erica era piuttosto allenata su quelle scarpe e la raggiunse senza problemi, rivolgendole anche un debole sorriso non troppo allegro.
Incapace di resistere la Paylor parlò, ponendole la stessa domanda che aveva già fatto un paio di volte:
“Quanti anni hai?”
“14.” Erica rivolse alla donna un’ultima occhiata curiosa prima di avvicinarsi alle sue compagne, che restarono in silenzio e pressoché impassibili di fronte alla nuova arrivata.
La Paylor indugiò per un attimo ma poi si ridestò, realizzando che doveva estrarre l’ultimo nome, almeno per quanto riguardava le ragazze.
Si avvicinò alla boccia quasi con sollievo, scrutando i numerosi biglietti e chiedendosi quale avrebbe scelto. Infilò la mano nel mucchio e ne prese uno posto quasi sul fondo, estraendolo e spiegandolo prima di parlare ad alta voce:
“L’ultimo Tributo femmina di questa edizione è… April Fisher.”
Alzando lo sguardo vide un mucchio di teste voltarsi verso una ragazza dai capelli di un acceso viola, vestita completamente con abiti scuri.
Eccola, l’ultima “fortunata” estratta per gli Hunger Games… Guardandola rimanere impassibile mentre si avvicinava al palco passando davanti a tutti i suoi compagni di scuola la Paylor si sentì tremendamente in colpa, conscia che anche se l’idea non era stata sua era lei che stava condannando quelle ragazze… e la Mietitura era soltanto a metà, aveva ancora ben dieci nomi da estrarre.
Vide i volti pallidi di divere ragazze quasi illuminarsi mentre April saliva sul palco, visibilmente ancora scosse la sollevate… la loro gioia, il sollievo di non essere state scelte arrivò anche alla Presidentessa, che però scorse anche diversi occhi lucidi e smorfie cariche di malinconia e tristezza mentre guardavano sorelle e amiche in piedi su quel palco, messe in mostra davanti a tutti quasi come un branco di animali prima di essere destinati al macello.
La Paylor si voltò, spostando gli occhi scuri sulla boccia che conteneva i nomi di tutti i ragazzi di Capitol City… la sua tortura era solo a metà, mentre quella di quei ragazzi era appena iniziata.
“Ed ora… passiamo agli uomini.”
......................................................................................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera! Eccomi finalmente con la scelta, anche se ho diviso in due parti il capitolo perchè altrimenti sarebbe diventato troppp lungo... Cercherò di aggiornare in fretta con la Mietitura dei ragazzi!
Grazie a tutti per la partecipazione e per le schede, spero che chi non è stato scelto non se la prenda troppo...
Ricordo a tutti che deciderò io chi, quando e come uccidere... ma se iniziate a sparire il vostro OC morirà seduta stante.
Scusate se il capitolo non è granchè ma ho sempre qualche difficoltà con la Mietitura avendo un mucchio di OC nuovi da gestire tutti insieme. Più avanti avrete modo di conoscere meglio i personaggi!
Vi metto qui sotto la lista completa degli OC scelti:
Rubinia Flaemus, 18 anni
Brittany Dask, 17 anni
Astrid Walsh, 17 anni
Amanda Lace, 17 anni
April Fisher, 16 anni
Tonya Aldred, 15 anni
Faye Dashwood, 15 anni
Africa Garrett, 15 anni
Erica Reyes, 14 anni
Silver Carly Grace, 13 anni
Sean Thorn, 18 anni
Kalem Schweinson, 18 anni
Aaron Bradshaw, 17 anni
Black Hole, 17 anni
Caius Gold, 17 anni
Wilhelm Grace, 17 anni
Cyrus Dennim, 17 anni
Julian Bradshaw, 16 anni
Louis Peterson, 15 anni
David Whittemore, 12 anni
Scusate se non ci sono tutti i PV, ma alcuni link non mi si aprivano e altri erano personaggi di cartoni/anime
Spero di aggiornare in fretta, a presto!
Signorina Granger
|
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Capitolo 3 *** La Mietitura (Parte II) ***
Capitolo
1: La
Mietitura (Parte II)
“Ed ora,
passiamo agli uomini.”
Respirò profondamente mentre la Paylor si avvicinava alla
boccia che conteneva
i nomi dei ragazzi, alla destra del palco. Mentre gran parte delle
ragazze
poteva finalmente riprendere a respirare normalmente, ora spettava a
loro
passare forse il peggior quarto d'ora della loro vita, tra il battito
accelerato, il respiro irregolare e sudando freddo.
Wilhelm posò gli occhi su sua sorella, rendendosi conto che
era la più piccola
tra le 10 ragazze che erano state estratte. Conosceva di vista alcune
di loro,
come le sue coetanee Amanda Lace e Astrid Walsh... ma erano tutte
più grandi
della sua piccola Carly.
Il ragazzo lanciò una fugace occhiata in direzione di sua
madre, chiedendosi se
fosse preoccupata per lui o cosa stesse provando, ora che sua figlia
era
ufficialmente tra la lista dei Tributi dell'ultima edizione dei
Giochi... ma la
donna sembrava impassibile, come se stesse guardando un film o uno
spettacolo
di marionette e non i suoi figli che venivano mandati al patibolo
insieme ad un
gruppo di altri adolescenti innocenti.
La mano della Paylor vagò per pochi secondi nella grande
boccia, tirandosi
frettolosamente fuori il primo nome: sembrava che volesse far finire in
fretta
la Mietitura... probabilmente nemmeno lei si stava divertendo, aveva
sentito
che la donna avesse provato ad imporsi per far saltare la 76esima
edizione
degli Hunger Games.
Mentre la Paylor stava per leggere il primo nome, Wilhelm non si
sorprese nel
ritrovarsi quasi a sperare di venire estratto: almeno così
avrebbe potuto
difendere sua sorella... e non la prospettiva di morire per farlo non
lo
terrorizzava più di tanto, visto che per lei era
già stato sbattuto fuori di
casa e si era ritrovato a vivere in strada.
“Il primo Tributo maschio di quest’anno
è... Sean Thorn.”
Wilhelm si accigliò leggermente, accorgendosi di conoscere
quel nome... e
quando lo associò ad un volto si ricordò di
quello che era stato suo compagno
di scuola fino a quattro anni prima, quando aveva dovuto smettere di
studiare.
Da quel che ricordava Sean non era un tipo molto loquace,
benché avesse un viso
che trasmetteva fiducia e quasi simpatia... E forse per questo andavano
d'accordo un tempo, visto che ad entrambi non piaceva molto parlare
degli
affari propri.
Wilhelm seguì con lo sguardo Sean farsi largo tra gli altri
ragazzi per
raggiungere il palco, rimanendo pressoché impassibile come
suo solito: sembrava
quasi non l'essere stato estratto non l'avesse turbato più
di tanto, o almeno
così stava dimostrando esternamente.
Quando il ragazzo salì sul palco la Paylor non disse nulla,
limitandosi a
infilare di nuovo la mano nella boccia di vetro e afferrando il primo
bigliettino che le capitò a tiro, non avendo nessuna voglia
di tirare quella
storia per le lunghe anche se, volendo, avrebbe potuto prolungarla per
ore.
Wilhelm, come tutti gli altri eccetto Sean che teneva lo sguardo fisso
davanti
a se senza curarsi di nessuno, guardò la Presidentessa
spiegare il foglietto ed
esitare per un istante prima di leggere il nome ad alta voce:
“David Whittemore.”
Qualcosa ronzò nel cervello di Wilhelm sentendo quel nome,
forse più
fastidiosamente che per Sean: conosceva quel nome, anche molto bene...
Provo quasi una sensazione fastidiosa allo stomaco mentre guardava un
ragazzino
di 12 anni avvicinarsi al palco senza però dare segni di
disperazione come
avrebbero fatto molti suoi coetanei, o anche ragazzi più
grandi... no, David
sembrava davvero rilassato mentre si avvicinava al palco con i capelli
scuri
spettinati come suo solito, quasi come se l'avessero estratto per il
suo turno
ad un gioco.
Sospirò, chiedendosi perché avessero permesso a
dei ragazzini di prendere parte
ai Giochi: David aveva 12 anni, sua sorella 13... a parer suo,
avrebbero dovuto
gareggiare solo quelli della sua età e i diciottenni, non
certo ragazzini così
giovani.
Non che David non sapesse cavarsela... Il giovane Whittemore era in
gamba,
nessuno lo sapeva meglio di Wilhelm Grace: avevano quasi fatto amicizia
negli
ultimi anni quando lui si era ritrovato senza casa... David per vivere
rubava
da quando aveva imparato a parlare e in breve tempo aveva insegnato
qualche
trucco anche al suo nuovo “amico”, anche se non si
erano mai definiti
apertamente come tali.
Ma un conto era rubare nelle case dei ricchi Capitolini... E un altro
era
sopravvivere all’Arena.
La Paylor rivolse a David, il più giovane tra gli estratti,
un’occhiata quasi
carica di scuse... ma il ragazzino le rivolse un debole sorriso, quasi
a
volerle dire che sapeva che non era colpa sua... quasi come volendole
dire che
sì, la perdonava.
*
Quel ragazzino non poteva avere più di 13 anni, anche se
c'era qualcosa che lo
faceva sembrare più grande... sembrava che avesse passato la
vita ad
arrangiarsi, senza contare mai su nessuno.
Si disse però di non pensarci e di continuare a concentrarsi
sulla Mietitura,
visto che aveva ancora diversi nomi da estrarre.
Prese il terzo biglietto quasi dal fondo della boccia, ordinandosi
mentalmente
di non estrarre un ragazzino di 12 anni... se proprio doveva mandare
qualcuno
al patibolo, avrebbe preferito farlo con ragazzi più grandi
e maturi che
avrebbero saputo cavarsela meglio di dei poco più che
bambini.
La donna spiegò il biglietto, accigliandosi per un istante
mentre leggeva il
nome: Grace... conosceva quel cognome, aveva sentito spesso di un
Governatore
che aveva misteriosamente perso la vita qualche anno prima. Ma le
sembrava davvero
familiare, anche se ci mise un istante a capire perché:
aveva estratto una
ragazza con quello stesso cognome... la ragazzina che era stata
chiamata per
prima.
Aveva forse estratto il fratello?
“Wilhelm Grace.”
Quasi pregò che si trattasse di una triste coincidenza,
mentre guardava un
ragazzo di 17 o 18 anni avvicinarsi al palco, le labbra contratte in
una
smorfia difficile da interpretare.
Poi però senti qualcosa, un inconfondibile suono che la fece
voltare e che le
confermò quello che temeva: voltandosi vide la giovane
Silver Grace con gli
occhi chiari lucidi mentre si premeva una mano sulla bocca quasi a
voler
ammortizzare i singhiozzi.
La ragazza in piedi accanto a lei, Astrid, le rivolse
un’occhiata carica di
comprensione e malinconia mentre le metteva una mano su una spalla
quasi a
voler cercare di consolarla.
Wilhelm salì sul palco puntando gli occhi sulla sorellina,
guardandola come se
morisse dalla voglia di abbracciarla. La Paylor fece un cenno al
ragazzo quando
lui sposto gli occhi su di lei, annuendo con un cenno del capo. Wilhelm
le
sorrise con sincera gratitudine prima di raggiungere la sorella in due
falcate
e stringerla in un abbraccio, mentre nella piazza non poche persone si
erano
commosse.
La Presidentessa osservò i due fratelli per un attimo ma poi
si voltò,
rivolgendosi di nuovo alla dannata boccia e decidendo di lasciarli
fare:
qualche Pacificatore, gli unici rimasti in tutta Panem erano ancora a
Capitol,
fece per andare dai due e separarli come avrebbero fatto in qualsiasi
altra
edizione dei giochi... ma un’occhiata quasi minacciosa della
donna li inchiodò
seduta stante, ordinandogli di non provare nemmeno a muoversi e alzare
un dito
su quei ragazzi: non era riuscita ad evitare i Giochi, ma non avrebbe
tollerato
altra violenza al di fuori dell’Arena.
La Paylor mise di nuovo una mano dentro la boccia, cercando di ignorare
i
singhiozzi trattenuti a stento della ragazzina alle sue spalle, che era
stretta
tra le braccia del fratello che le stava accarezzando i capelli biondi,
mormorandole qualcosa all’orecchio.
E menomale che dovremmo
imparare dagli errori degli altri...
Una smorfia comparve sul volto della Paylor mentre tirava fuori
l'ennesimo
nome, riuscendo quasi a sentire con orrore la gelida risata di Snow, la
stessa
che tutta Panem aveva udito appena prima che morisse: sapeva che forse
era una
dei pochi a pensarlo, ma sentiva quasi Snow ridere, prendendo in giro
la donna
che aveva combattuto con tutta se stessa contro il regime di Capitol
City... e
ora eccola lì, ad estrarre i nomi dei Tributi.
“Black Hole.”
Gli occhi scuri della donna saettarono sul fiume di ragazzi che la
fronteggiavano, cercando il “fortunato” che aveva
appena estratto. Vide un
ragazzo dai capelli neri farsi strada tra i coetanei dopo aver esitato
per un
attimo, come se in un primo momento avesse pensato di aver sentito
male.
Non voleva nemmeno pensare a come dovesse essere venire estratti per i
Giochi... per sua fortuna, lei non aveva mai dovuto passarci.
Guardò il ragazzo avvicinarsi con passo leggermente
titubante, anche se si
accorse che Black stava facendo di tutto per sembrare calmo e
più sicuro di
quanto in relata non fosse... a molto non piace sembrare deboli,
dopotutto. E
per molte persone la paura era sinonimo di debolezza, anche se lei non
si era
mai trovata d'accordo: a suo parare, la paura era indice di
intelligenza.
Black salì sul palco senza guardare nessuno, lanciando solo
un’occhiata in
tralice in direzione della Paylor prima di fermarsi accanto a David,
mentre
Wilhelm era ancora vicino alla sorellina.
Ripensando alla coppia di fratelli che aveva fatto versare
già qualche lacrima
la Presidentessa si chiede se per caso la madre dei due non stesse
progettando
di ucciderla... lancio una fugace occhiata in direzione delle famiglie
e si
chiede quale tra quelle donne fosse quella a cui aveva appena tolto i
figli, ma
riabbassò in retta lo sguardo per concentrarsi di nuovo sui
biglietti tra i
quali avrebbe dovuto sceglierne ben altri sei.
Quanto sarebbe durata ancora, quell’orribile mattinata?
La mano della donna finì quasi con un gesto automatico
dentro la boccia,
soffermandosi sui biglietti in cima al mucchio: afferrò uno
dei primi che le
capitò a tiro, chiedendosi se per caso non avrebbe potuto
tirarne fuori una
manciata e leggerli tutti di seguito, così da accelerare
notevolmente i
tempi... a Snow erano sempre piaciute le cose teatrali, ma se fosse
stato per
lei la Mietitura avrebbe avuto fine già da un pezzo.
Spiegò il
biglietto prima di leggere ad alta voce l’ennesimo nome,
mentre davanti a lei
tutti gli adolescenti presenti trattenevano momentaneamente il fiato.
*
“Julian
Bradshaw.”
Sentì lo
stomaco
fare quasi un salto mortale quando udì il suo nome, anche se
in un primo
momento rimase in una specie di stato di trance, come se stesse
elaborando di
essere stato davvero estratto per i giochi.
Il ragazzo
deglutì
a fatica prima di muovere un passo incerto, spostando gli occhi chiari
dal
palco e voltandosi in cerca di suo fratello, quasi nella speranza che
incontrando il suo sguardo avrebbe avuto il coraggio e la forza di
affrontare
gli Hunger Games.
Aaron si era
voltato a sua volta verso di lui ma i loro occhi tanto simili
s’incontrarono
solo per un istante prima che il minore s’incamminasse verso
il palco senza
emettere una sillaba.
Non aveva visto
alcun segno di lacrime negli occhi del fratello…
compassione, solo un mucchio
di compassione.
Non volendo
nemmeno provare a cercare sua madre con lo sguardo Julian si
avvicinò al palco
sentendo le gambe orribilmente molli, come se non sarebbero riuscite a
reggerlo
ancora a lungo.
La Paylor lo
osservava con attenzione ma il sedicenne cercò di un farci
caso, salendo i
gradini e raggiungendo i suoi compagni di sventura, che lo osservavano
di
rimando.
Con suo sommo
sollievo, visto che difficilmente sarebbe stato in grado di formulare
frasi di
senso compiuto in quel momento, la Presidentessa non disse nulla e non
gli
restò che avvicinarsi ai ragazzi, posti in fila uno accanto
all’altro nella
parte del palco alla destra della Paylor.
Tutti e quattro
gli rivolsero un’occhiata in tralice ma nessuno
osò aprire bocca, anche se di
certo stavano tutti pensando le stesse cose… Cioè
che presto avrebbero tutti
dovuto ammazzarsi a vicenda, se ci tenevano a sopravvivere.
Julian, dal palco,
posò di nuovo gli occhi su suo fratello maggiore che lo
stava osservando di
rimando. Non riuscì a capire a cosa stesse pensando Aaron,
ma dal canto suo
trovava la situazione carica di un’ironia davvero crudele:
era stato estratto
proprio lui, che era sempre stato abbastanza contrario ai Giochi e che
aveva
sempre sperato che i Distretti trovassero una pace con
Capitol…
Era sempre stato
un ragazzo tranquillo e piuttosto pacifico… e ora era nella
lista degli ultimi
Tributi degli Hunger Games, perciò entro meno di una
settimana avrebbe dovuto
uccidere delle persone, o lasciarsi ammazzare se non l’avesse
fatto.
Mentre la Paylor
tirava fuori un altro bigliettino Julian spostò gli occhi
sulle famiglie dei
ragazzi, tutte raggruppate ai lati del palco. Scorse subito sua madre,
rivolgendo alla donna che piangeva silenziosamente un debole sorriso;
gli
dispiaceva non poter andare ad abbracciarla, ma sfortunatamente non
poteva
scendere dal palco.
“Louis
Peterson.”
*
Sentendosi
chiamare Louis si trattenne dal sbuffare ed imprecare contro la sua
sfortuna, decidendo
saggiamente di non cominciare ad attirare l’antipatia di
tutta Capitol già
dalla Mietitura: anche se non gli piaceva per nulla, la sua vita in
parte
dipendeva dai suoi concittadini che tanto odiava che avrebbero potuto
aiutarlo
una volta nell’Arena.
Il ragazzino
s’incamminò verso il palco senza guardare nessuno
in particolare, tenendo però
la testa alta quasi a mo’ di sfida verso le persone che
avevano organizzato
quella pagliacciata, una specie di vendetta per tutto quello che i
Capitolini,
o meglio i loro governatori, avevano fatto passare ai Distretti per
anni e
anni.
Salendo sul palco
Louis sentiva lo sguardo di tutta Capitol, anzi, di tutta Panem, su di
sé…
Probabilmente anche suo fratello maggiore Daniel lo stava osservando, e
anche i
loro rispettabili e benestanti genitori.
Si chiese che cosa
stessero provando, specialmente i genitori con cui aveva sempre avuto
un
rapporto abbastanza conflittuale, visto che a differenza del fratello
non si
era rivelato un figlio modello e amante delle regole o della
disciplina.
Anche la Paylor lo
stava osservando quasi con curiosità mentre saliva i gradini
per salire sul
palco, trovandosi davanti alla donna con più potere in tutta
Panem… guardando
la donna Louis si chiese perché, se era la Presidentessa,
non fosse riuscita ad
evitare quella stupida, inutile storia. Era sempre stato piuttosto
scettico
rispetto al Governo di Panem ma forse le cose non erano poi
così cambiate: in
fin dei conti erano sempre allo stesso punto, all’ennesima
Mietitura.
“Quanti anni
hai?”
“15.”
Il ragazzo le
rivolse un’occhiata carica quasi di sfida, che
però non venne ricambiata
nemmeno lontanamente: la Paylor invece lo guardò quasi come
a volersi scusare,
come se volesse dirgli che gli dispiaceva sul serio.
Forse non andava
matta dell’idea di aver estratto un ragazzino di 15 anni,
così come non lo era
stata quando aveva chiamato David Whittemore che era ancora
più giovane di lui.
Senza aggiungere
altro Louis si mise in fila accanto a Julian, che ad occhio sembrava
avere un
anno o due in più rispetto a lui. I due si scambiarono
un’occhiata in tralice
ma nessuno aprì bocca mentre la Paylor infilava di nuovo la
mano nella boccia,
pescando un bigliettino sul fondo e sperando di finire in fretta quella
lenta tortura
che, per i suoi gusti, stava andando avanti ormai da troppo.
*
Guardò la
Presidentessa
spiegare il biglietto quasi frettolosamente prima di leggere il nome ad
alta
voce:
“Cyrus
Dennim.”
Per
l’ennesima volta
Caius sentì il frammento di un macigno sollevarglisi dallo
stomaco, facendogli
provare una lieve sensazione di sollievo: ancora una volta non era
stato
chiamato… forse, con un po’ di fortuna, sarebbe
riuscito a scamparla.
Il ragazzo si
voltò verso il suo coetaneo che era appena stato chiamato,
osservando Cyrus
muoversi tra la folla per raggiungere il palco. Era quasi strano non
vederlo
sorridere o carico della sua solita allegria, in effetti…
Non che fossero mai
stati amici, ma un po’ gli dispiaceva comunque…
Caius era pienamente
consapevole di non essere la persona più sensibile del
mondo, ma conosceva
abbastanza quel ragazzo da dover per forza dispiacersi almeno un
po’ per lui.
Anche se meglio tu che
io…
Caius seguì
il
moro con lo sguardo, guardandolo salire sul palco a capo chino e senza
far
trasparire grandi emozioni dalla sua espressione quasi apatica, come se
non
stesse provando nulla... O forse si stava sforzando per dare quella
impressione.
Era stati compagni
di scuola per anni, ma non erano mai stati amici… troppo
diversi per poter
andare d’accordo, probabilmente.
La Paylor rivolse
al ragazzo una fugace occhiata mentre Cyrus si metteva silenziosamente
in fila
accanto ai compagni, puntando lo sguardo sulla base del palco senza
guardare
nessuno, nemmeno i suoi genitori.
Senza voler
perdere altro tempo la Paylor abbassò nuovamente lo sguardo
sulla boccia di
vetro, non emettendo un fiato prima di infilarci la mano dentro,
tuffando la
mano nel mucchio di bigliettini per poi estrarne uno dopo pochi istanti.
Mentre lo spiegava
Caius si ritrovò a deglutire nervosamente, pregando
silenziosamente affinché
non ci fosse scritto sopra il suo nome.
Non era la persona
migliore del mondo, ma non meritava nemmeno di finire
nell’Arena… anche se, a
pensarci bene, gran parte dei presenti non lo meritava affatto.
“Kalem
Schweinson.”
Eccolo, un altro
grosso frammento del macigno che si portava appresso da almeno due
giorni si
sollevò, liberandolo di un ulteriore peso.
Caius tirò quasi un sospiro di sollievo,
alzando lo sguardo sul palco e
contando i ragazzi che erano già stati estratti: contando
Schweinson, erano in
8… Quindi ne mancavano soltanto altri due da estrarre.
Lo sguardo del
ragazzo si spostò dal palco, andando a posarsi sul ragazzo
alto e dai capelli
chiarissimi che si stava facendo largo tra la folla quasi con
nonchalance, come
se non gli facesse né caldo né freddo
l’essere stato estratto alla Mietitura.
In effetti Kalem
non si stava propriamente facendo largo… era più
corretto dire che molti
ragazzi si stavano spostando dalla sua traiettoria per farlo passare
senza che
lui lo chiedesse minimamente.
E come
compatirli…
Anche se non lo conosceva direttamente, Caius aveva sentito parlare
moltissimo
di quello strano ragazzo, che aveva solo un anno in più di
lui.
Giravano un
mucchio di voci su quel ragazzo che si comportava come se non gli
importasse
realmente di nessuno ma che si circondava solo di persone ricche e di
buona
famiglia probabilmente per secondi fini… Caius aveva sentito
le storie più disparate,
anche riguardo un qualche omicidio… Ma non aveva mai tenuto
ad andare dal
diretto interessato a chiedergli conferme, visto che Kalem Schweinson
aveva il
dono di far sentire a disagio e fuori posto praticamente chiunque con
un
semplice sorriso gelido.
Kalem salì
sul
palco, rivolgendo un mezzo sorrisetto beffardo alla Paylor senza aprire
bocca,
sistemandosi silenziosamente accanto a Cyrus.
Quest’ultimo lanciò al compagno
un’occhiata incerta, come se non fosse
proprio contento di essere vicino a lui… Anzi, sembrava che
Cyrus non fosse
affatto felice che Kalem fosse nei Giochi in generale, visto tutto
quello che
aveva sentito a sua volta su di lui.
L’attenzione
di
Caius però si spostò da quello strano ragazzo,
portandola nuovamente sulla Paylor
che si stava accingendo a nominare il penultimo Tributo.
Caius
sospirò,
ritrovandosi ancora una volta a pregare da quando si era
svegliato… Ma in quell’occasione
la dea bendata sembrò abbandonarlo.
*
“Caius
Gold.”
Un altro nome era
stato estratto, un altro Tributo chiamato ad andare
nell’Arena e prendere parte
ai Giochi della Fame… E Aaron Bradshaw si ritrovò
ancora una volta a tirare
mentalmente un sospiro di sollievo.
Ormai mancava un
solo nome da estrarre… Non aveva mai sperato così
ardentemente in qualcosa come
quel giorno, mentre pregava di non sentirsi chiamare dalla Paylor.
Gli occhi azzurri
di Aaron non indugiarono a lungo sul coetaneo che era appena stato
nominato,
andando invece a posarsi ancora una volta su suo fratello. Julian
però non lo
stava guardando, i suoi occhi grigio-azzurri erano posai dritti su
Caius, che
stava avanzando verso il palco con le labbra contratte in una smorfia e
tenendo
lo sguardo dritto davanti a sé, come se non volesse mostrare
alcuna debolezza.
Gli dispiaceva
immensamente
per suo fratello… E se da una parte voleva finire nei Giochi
per aiutarlo e
proteggerlo come aveva sempre fatto, dall’altra
l’idea di lasciare
completamente sola la madre già vedova quasi lo
terrorizzava: non avrebbe
sopportato di immaginarsi la donna completamente sola e in lacrime
davanti ad
uno schermo, mentre guardava i figli morire attraverso uno schermo e
senza
poter fare nulla.
Quando Caius fu
sul palco accanto a Kalem Schweinson la Paylor respirò
profondamente, infilando
la mano nella boccia per l’ultima volta, finalmente.
Tutti nella piazza
trattennero il fiato mentre la donna spiegava il foglietto, parlando ad
alta
voce prima di leggere il nome a voce alta:
“Signore e
signori, l’ultimo Tributo dell’ultima
edizione degli Hunger Games…”
Pronunciò
la
parola “ultima” con un’enfasi degna di
nota, marcandola esplicitamente come se
volesse far capire a determinate persone che non ce ne sarebbero state
altre,
che quella era davvero l’ultimissima edizione dei Giochi
della Fame.
Aaron era consapevole
di avere il battito cardiaco notevolmente accelerato rispetto alla
norma, così
come probabilmente moltissimi suoi compagni…
Sentì quasi le famiglie pregare silenziosamente
di non sentire il nome di un figlio o un fratello mentre la Paylor
posava gli occhi
dritti sul gruppo di ragazzi, pronunciando il nome senza guardare il
biglietto
per la prima volta:
“…
è Aaron Bradshaw.”
Molte teste si
voltarono nella sua direzione e nello giuro di pochi attimi Aaron
percepì un
mucchio di cose: vide distintamente suo fratello impallidire mentre un
debole
sorriso sarcastico gli increspava il volto, sapendo che i giochi erano
fatti e
che avrebbe potuto aiutare suo fratello, anche se significava lasciare
sola sua
madre.
Già, sua
madre.
Mentre si
avvicinava al palco sentì un urlo strozzato che di certo
apparteneva a Selene
Wilkes, ma non osò voltarsi e continuò dritto per
la sua strada, mentre sentiva
tutti gli altri ragazzi sospirare di sollievo e tornare a sorridere per
la prima
volta da quando si erano svegliati, mentre i genitori dei ragazzi
illesi
versavano quasi lacrime di gioia.
Si chiese quasi
che cosa avesse fatto di male sua madre per meritare un destino simile,
avendo entrambi
i figli negli Hunger Games… Julian lo stava osservando
pallido e preoccupato e
Aaron ricambiò il suo sguardo, ordinandosi di non guardare
la madre perché sapeva
che sarebbe stato molto difficile restare impassibile e quasi
disinvolto
davanti alle lacrime che le rigavano copiosamente il bel volto.
Aaron sentì
la
compassione di un mucchio di concittadini investirlo quasi come
un’onda mentre
la Paylor si voltava verso di lui, spostando gli occhi scurissimi da
lui a
Julian per un’istante.
La donna
però non
commentò l’aver mandato al patibolo una seconda
coppia di fratelli, schiarendosi
appena la voce prima di rivolgersi nuovamente al pubblico di Capitol e
a tutto
il resto di Panem:
“Felici
Hunger
Games, Panem.”
……………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Buonasera! Sono finalmente riuscita a
finire anche la
seconda parte… grazie mille per le recensioni, spero che vi
sia piaciuto anche
questo capitolo :)
Nel prossimo
capitolo ci saranno i saluti con le famiglie degli OC e tra un paio di
sarà
ovviamente la Sfilata… Se avete qualche idea per gli abiti
scrivetemi pure!
Per chiarire gli
ultimi punti, vi comunico che alla fine sceglierò io il
vincitore, ma voi
potrete, se vorrete, aiutare il vostro (o anche altri) OC scrivendomi
determinati oggetti da fargli avere nell’Arena…
diciamo che farete da sponsor
per i personaggi. Non accetterò però tutto quello
che mi chiederete,
selezionerò cosa mandare e a chi in base alle preferenze
complessive, per
questo potete chiedere di “aiutare” non solo il
vostro ma anche altri
personaggi.
Spero di essere
stata chiara… Detto ciò vi saluto, dovremmo
“rivederci” entro fine settimana
con il seguito!
Signorina
Granger
|
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Capitolo 4 *** Come dirsi Arrivederci ***
Capitolo 2: Come dirsi Arrivederci
“Mamma dai... ti prego, non piangere!” Aaron sospirò mentre sua madre stringeva contemporaneamente i due figli in un abbraccio, singhiozzando sommessamente sulla spalla del primogenito.
Piangeva il cuore ad entrambi, vederla così... li faceva solo stare peggio il pensiero di doverla lasciare.
“Aaron ha ragione mamma, non fare così... ti prometto che ci proveremo, uno di noi tornerà a casa per occuparsi di te.” Julian rivolse alla donna un debole sorriso mentre lei lo guardava con aria malinconica, accarezzandogli i capelli castani:
“È proprio questo il punto tesoro... vorrei che tornaste entrambi!”
Tutti e tre sapevano che sarebbe stato difficile se uno di loro avesse vinto i Giochi... come avrebbero fatto Selene e Aaron o Julian a continuare a vivere normalmente senza uno dei due fratelli Bradshaw, con la consapevolezza che uno fosse morto per permettere all'altro di tornare a casa? La famiglia si sarebbe rotta più di quanto già non fosse successo con la morte del padre, avvenuta a causa di un incendio in cui il Pacificatore aveva fatto di tutto per salvare una famiglia.
“Anche noi mamma, ma purtroppo non è possibile... c'è stata una sola Edizione con due Vincitori nella storia, e non ha portato a nulla di positivo. Mi dispiace.”
Julian sospirò, abbracciando la donna che si aggrappò convulsamente alle spalle del figlio più piccolo prima di fare cenno ad Aaron di unirsi all’abbraccio. Forse normalmente il maggiore tra i due non si sarebbe messo a dispensare abbracci a destra e a sinistra, anche se era solo in una stanza con la madre ed il fratello... ma quella non era decisamente una circostanza normale e non era il momento di fare l’introverso.
Aaron si avvicinò di nuovo alla madre, che appoggiò il capo sul suo petto sospirando.
“Non litigate, ok? Dovete aiutarvi a vicenda, non voglio vedere i miei figli che lottano l'uno contro l'altro.”
“Tranquilla mamma, baderò io a Julian.”
“Non ho bisogno della baby-sitter!” Julian sbuffò e sfoggiò un’espressione indignata, che venne ricompensata con un’occhiata torva da parte del fratello, che finse di non averlo sentito mentre, conscia che il loro tempo stava per finire, Selene Bradshaw si staccava dai due, sorridendo mentre aveva gli occhi ancora lucidi:
"I miei bei bambini... per lo meno vi ho potuto vedere crescere... Vi voglio bene, ricordatelo sempre.”
“Anche noi, sei stata una mamma fantastica!” Julian sorrise dolcemente, sentendo di dover dire alla donna quello che pensava ma che non aveva mai espresso apertamente... aveva sempre pensato che non ci fosse bisogno di ricordarle quanto fosse sempre stata fantastica, ma in quel momento sentiva di doverglielo, visto che probabilmente era l'ultima volta in cui l'aveva davanti agli occhi.
“Si, mamma... ti vogliamo bene. E faremo di tutto affinché tu non rimanga sola, te lo prometto.”
Il tono fermo e lo sguardo serio di Aaron fecero intuire sia a Julian che alla donna che stava dicendo sul serio, che avrebbe davvero fatto di tutto pur di tornare a casa... o far sì che il fratello minore lo facesse.
*
Suo padre la teneva stretta in un abbraccio, accarezzandole i capelli tinti di un acceso rosa mentre diceva qualcosa, rivolgendosi a sua madre, le sue sorelle... o forse anche a lei, ma Africa non ci stava badando più di tanto.
Teneva gli occhi chiusi, la testa appoggiata sul petto del padre mentre cercava di godersi appieno quel momento e di fissarlo nella sua memoria, affinché non potesse dimenticare la sua famiglia.
Non aveva mai minimamente valutato seriamente come fosse partecipare agli Hunger Games... non si era mai posta il problema, limitandosi a guardarli in TV con famiglia e amiche mentre si concentrava a godersi appieno la vita piena di lusso che le era stata concessa.
Ora però era tutto cambiato... e forse non avrebbe più vissuto insieme alla sua famiglia nella loro grande e bellissima casa, circondata da cose belle.
Quando riaprì gli occhi Africa vide sua sorella minore guardarla con gli occhi lucidi, mentre la maggiore tra le tre sorelle Garrett la teneva per mano quasi come se volesse consolarla.
“Mi dispiace, Fify... Ti vogliamo bene, non dimenticarlo. È comunque andranno le cose, saremo fieri di te.” Il padre le diede un bacio sulla nuca mentre la ragazzina annuiva distrattamente, ordinandosi mentalmente di non versare lacrime prima di avvicinarsi alle sorelle, abbracciandole contemporaneamente:
“Promettetemi una cosa, ragazze... non dimenticatemi.”
“Tranquilla Fify, sei perfettamente scolpita nei nostri cuori.”
Sentendo le parole della sorella maggiore Africa sorrise appena, chiedendosi se fosse sincera o se stesse solo cercando di non ferirla... un singhiozzo sommesso le fece capire che la sua sorella era sull’orlo delle lacrime mentre la teneva stretta, le braccia che le circondavano la vita come se volesse impedirle di andarsene e lasciarla.
“Ciao piccoletto... ti voglio bene, pensami ogni tanto... e tifa per me, mi raccomando.” Africa abbasso lo sguardo, sorridendo alla sorella prima di strizzarle l'occhio e spettinarle i capelli, sperando che non vedendola in lacrime anche la piccola di casa non ne avrebbe versate.
La bambina annuì, mormorandole di rimando che le voleva bene prima che la porta di aprisse, facendo comparire una delle guardie personali della Paylor sulla soglia della stanza.
Doveva andare, lo sapeva e lo sapeva anche la sua famiglia... Africa sorrise, rivolgendo a genitori e sorelle il suo ultimo saluto prima di girare sui tacchi e seguire la guardia fuori dalla stanza.
Le sembrò di sentire un singhiozzo mentre percorreva il corridoio... sua madre stava frode piangendo? Se la immaginava benissimo, in lacrime e stretta tra le braccia di suo padre... ma non voleva assolutamente pensarci e scacciò in fretta quell’immagine dalla mente, decidendo di concentrarsi su altro anche se le risultò incredibilmente difficile.
*
Si sentiva un mostro.
Amanda Lace si sentiva un mostro, ma non poteva farci nulla: le veniva da sorridere. Sua madre piangeva davanti a lei, incurante del trucco che si sarebbe rovinato forse per la prima volta...
Sua madre piangeva, la stessa donna che guardava sempre gli Hunger Games e che esultava quando un Tributo che non le piaceva moriva...
I suoi genitori adoravano gli Hunger Games, passione che la figlia non aveva mai condiviso... una volta l'avevano costretta a guardarli ed era dovuta correre in bagno a vomitare dopo aver assistito alla cruenta morte di un ragazzo, sgozzato dai Favoriti.
Beh, ora guarderete la vostra figlioletta... non siete contenti?
I genitori di Amanda erano entrambi Stilisti, e forse li avrebbe visti durante la Sfilata o alle Interviste... ma di certo gli Strateghi avrebbero fatto in modo che nè la madre nè il padre seguissero proprio lei, per evitare che potessero restare in contatto anche nella fase preparatoria dei Giochi.
Amanda abbracciò entrambi con la consapevolezza che non li avrebbe mai più rivisti... perché infondo lo sapeva, proprio come lo sapevano loro: non sarebbe tornata casa, sentiva che sarebbe morta nell’Arena.
Che quella fosse la punizione per i suoi genitori, che avevano riso e gioito per anni davanti ai massacri? Forse, non ne era sicura... ma se era così di certo se l’erano meritato.
Solo, si chiedeva perché il destino l'avesse messa in mezzo.
*
“Ehy, piccola... vieni qui.”
Malgrado tutto riuscì a sorridere, anche se si chiede dove avesse trovato la forza per farlo...
Chelsea, la sua sorellina, obbedì e le si avvicinò, stringendo le mani dalle unghie dipinte di vivaci colori tra quelle della sorella maggiore, che le sorrise dolcemente mentre si era inginocchiata sul pavimento davanti a lei, in modo da essere alla sua stessa altezza.
“Non devi guardare i Giochi, me lo prometti? Solo la parte iniziale... prima dell’Arena. E anche se forse non tornerò a casa, sappi che ti voglio bene, ok?”
“Anche io ti voglio bene April.” Sorrise, accarezzando i capelli della bambina, ancora del loro colore naturale a differenza di quelli della sorella maggiore, tinti di viola.
“Promettimi una cosa, piccola... non fare in modo che la mamma o chiunque altro ti faccia venire strane idee, ok? Mi hai detto che vuoi fare la Stilista, promettimi che ci proverai e che avrai successo.”
“Te lo prometto. Mi mancherai!” Chelsea annuì prima di abbracciarla, facendola sospirare mentre, alle loro spalle, i genitori erano impegnati in una discussione.
O meglio, sua madre parlava quasi senza prendere fiato mentre suo padre era visibilmente nervoso: gli dispiaceva per lui, era sempre stato ansioso e si preoccupava sempre che le sue figlie si cacciassero nei guai... ed ora stava per guardare la sua primogenita andare al patibolo.
“Anche tu... ti penserò Chelsy, fallo anche tu ogni tanto.”
Con un lieve, amaro sorriso April si alzò, sapendo che sua sorella avrebbe passato la vita a cercare di ricordarla, a chiedersi come sarebbe stato diventare grande sotto la sua supervisione... come sarebbe stato diventare adulte insieme.
Peccato, non l'avrebbero mai saputo... lei non sarebbe mai diventata una giornalista, ma forse sua sorella al contrario sarebbe riuscita ad esaudire il suo desiderio... lo sperava, April lo sperava davvero.
La ragazza si rivolse ai genitori e sua madre, stranamente, si zittì mentre la osservava.
Non avevano mai avuto un ottimo rapporto, diverse com’erano.. sua madre era sempre impegnata è molto arrogante, cosa che non era mai andata del tutto giù ad April.
La ragazza apri la bocca per salutarli ma la donna fece un gesto con la mano, zittendola all’istante: Melody Fisher, la raffinata ed elegante donna di successo che era, le aveva fatto segno di avvicinarsi senza dire nulla.
Quasi sconcertata April obbedì, non riuscendo a credere a quello che la madre stava facendo finché non fu effettivamente tra le sue braccia.
"Ti voglio bene, April.”
La ragazza sbattè le palpebre un paio di volte prima di sorridere appena, ricambiando le parole della madre con un pensiero fisso nella mente: ci erano voluti gli Hunger Games tra i ragazzi di Capitol per far sciogliere sua madre, anche solo per cinque minuti.
“Anche io mamma.”
*
“Non fare quella faccia... cercherò di tornare, te l'assicuro. Con un po’ di fortuna, tra un mese al massimo mi rivedrai.”
Black sorrise, ma suo fratello continuò a guardarlo con gli occhi carichi di una tristezza quasi dolorosa, come se fosse sicuro che quello fosse un addio, e non un arrivederci.
“Lo spero tanto Black... farò il tifo per te, ovviamente. So che hai le possibilità per vincere, quindi impegnati... per favore.”
White sospirò e il fratello sorrise, annuendo prima di avvicinarglisi e abbracciarlo, per una volta: si volevano bene, ma erano così diversi che di rado si manifestavano affetto l'un l'altro... il bianco e il nero, i due fratelli Hole rispecchiavano appieno i loro nomi, a volte odiandosi ma esercitando comunque un’innegabile attrazione l'uno verso l’altro, esattamente come i colori da cui prendevano i nomi.
“Lo farò senz’altro... gliela farò vedere alla Ghiandaia Imitatrice, di che pasta sono fatti i Capitolini... specialmente gli Hole.”
Black sorrise quasi come se non fosse poi così preoccupato o afflitto di dover entrare nell'arena... o forse in realtà lo era, ma non voleva mostrarsi debole nemmeno con suo fratello, che lo conosceva meglio di chiunque.
“So che lo farai... ma quando sarai lì e tutti assumerà una prospettiva diversa ricordati che ti voglio bene, comunque vadano le cose.”
Lo sguardo laconico di White, così come il suo tono serio e quasi afflitto, fecero riflettere il fratello anche in seguito, quando lascio la stanza insieme ad una guardia che l'avrebbe condotto al Centro Immagine.
Suo fratello gli aveva forse fatto intendere che, qualunque cosa sarebbe successa nell’Arena e anche se fosse cambiato tramutandosi in un mostro, lui sarebbe stato sempre e comunque dalla sua parte?
Non ne era del tutto sicuro, ma Black sperò di non aver frainteso...
*
Probabilmente quelli furono i cinque minuti più lunghi della sua vita, ma Brittany non lo disse mai ad alta voce.
Teneva la gambe distese davanti a se mentre aspettava, seduta su una fredda sedia di metallo attaccata alla parete. Con le mani, incapaci di stare ferme, continuava a torturarsi l’orlo della camicia o le maniche, continuando a rigirarle e srotolarle.
Accanto a lei c'era un ragazzino più piccolo di lei, che se ne stava in silenzio mentre teneva gli occhi scuri fissi sul muro davanti a loro e le braccia conserte, in un chiaro atteggiamento di chiusura.
Non che Brittany avesse molta voglia di chiacchierare a sua volta... ma si chiedeva se anche lui non avesse i genitori, proprio come lei.
In realtà c'era qualcosa di familiare in lui... Brittany si chiese dove potesse averlo già visto e arrivo alla conclusione che forse l'aveva incontrato proprio all’orfanotrofio dove aveva passato buona parte della sua vita.
“Nemmeno tu hai qualcuno da salutare?”
“Già.” David si strinse nelle spalle, come se la cosa non gli pesasse affatto. Brittany si voltò verso di lui, osservandolo con attenzione e cercando di ricordare se per caso l'aveva visto di recente... ma niente, sembrava che quel ragazzino fosse sparito dalla sua memoria negli ultimi anni.
Forse era stato adottato e aveva perso i genitori durante le rivolte?
“Per caso ci conosciamo? Hai un'ora familiare.”
“Nemmeno tu hai nessuno da salutare, quindi può darsi che tu mi abbia visto all’orfanotrofio. Ci sono stato per un bel po’, fino a quattro anni fa.”
“Quindi ti hanno adottato?”
“No... me ne sono andato e basta.”
David si strinse nelle spalle, facendole capire che non c'era nient’altro da dire sulla questione. Brittany annuì, afferrando il messaggio e lasciando cadere l'argomento: come lei, nemmeno lui era stato adottato... ma un bel giorno sembrava che avesse deciso di andarsene, anche se era solo un bambino.
Mentre aspettavano che i loro “compagni” salutassero le loro famiglie, nessuno dei due disse altro, facendo calare di nuovo un silenzio quasi tombale nel lungo corridoio mentre entrambi si chiedevano come dovesse essere dire addio ai propri genitori o ai propri fratelli... se non altro, loro non dovevano subire quel supplizio, anche se ad entrambi non sarebbe dispiaciuto avere qualcuno da cui sperare di tornare a casa, qualcuno per cui lottare fino alla fine.
*
“Mi mancherai.”
“Anche tu.”
Faye sospirò, allontanandosi leggermente dalla sorellina per guardarla in faccia, accarezzandole dolcemente i capelli prima di alzare lo sguardo sul fratello di 8 anni che guardava le due tenendosi a leggera distanza.
“Elih... comportati bene con lei in mia assenza, ok? Io non ci sarò più a controllarvi, fai il bravo.”
Con sua somma sorpresa il bambino annuì, evitando per una volta di replicare in malo modo come era solito fare. Si volevano bene certo, ma non andavano molto d'accordo... il bambino si divertiva moltissimo a fare dispetti e scherzi alla sorellastra maggiore, che teneva che ora se la sarebbe presa con Hope, la piccola di casa di soli 4 anni.
“Tranquilla Faye... Elih farà il bravo, te lo garantisco.” Mentre si rialzava Faye rivolse al suo patrigno un debole sorriso, che ricambiò prima di abbracciarla.
“Vorrei che la mamma fosse qui.”
“Io no... si disperdere sapendoti nell’Arena... forse è meglio così.”
Jacob le accarezzò i capelli, sospirando prima di darle un bacio sulla fronte, come quando era piccola prima che si addormentasse.
La ragazzina annuì con un cenno del capo prima di abbracciarlo, mormorando un “ti voglio bene” appena udibile mentre Hope assisteva alla scena, per sua fortuna non pienamente consapevole di quello che stava succedendo... o che stava per succedere.
Staccandosi dal patrigno Faye si rivolse ad Elih, sorridendogli prima di avvicinarsi al bambino che la guardava di rimando:
“Ciao piccola peste... mi mancheranno i tuoi scherzi diabolici. Cerca solo di non far dannare tuo padre e Hope, ok?”
“Tu dove vai Faye?”
“Non in un bel posto Elih... e forse non tornerò mai a casa, quindi promettimi che farai il bravo.”
Il bambino annuì, guardandola e cercando di capire le sue parole: nessuno si era mai fermato a spiegargli chiaramente la storia degli Hunger Games, per sua fortuna... e Faye non aveva nessuna intenzione di spiegargli cosa le sarebbe successo, non certo in quel momento.
“Te lo prometto. Quindi tornerai più?”
“Ho paura di no... però sappi che ti voglio bene, combina-guai che non sei altro.”
Faye sorrise prima di abbracciare il fratellino, mentre alle loro spalle Hope si era avvicinata al padre e lo stava chiamando, tirandogli anche l’orlo della giacca per attirare la sua attenzione.
L'uomo però sembrò non farci caso, tenendo lo sguardo su Elih e Faye stretti in un abbraccio, spettacolo a cui aveva assistito di rado negli ultimi anni.
Jacob sorrise, gli occhi improvvisamente lucidi mentre abbassava lo sguardo sulla bambina di quattro anni, chinandosi per prenderla in braccio:
“Scusa piccola, stavo guardando i tuoi fratelli. Credo proprio che Faye ci mancherà tanto...”
*
“Dai mamma, non fare così...”
“Per l’amor del cielo Poppy, lascialo stare! Non è certo un bambino...”
Mitchell Gold sbuffò, standosene seduto su una sedia dallo schienale rigido e rivolgendo alla moglie, di più di vent'anni più giovane, uno sguardo quasi seccato.
La donna si voltò leggerete verso il marito, fulminandolo con lo sguardo prima di replicare a mezza voce:
“È mio figlio e lo saluto come più mi aggrada...”
Caius sospirò, chiedendosi come sarebbe stato il clima a casa loro una volta che se ne sarebbe andato... sua madre non amava per niente suo padre e non aveva mai fatto niente per nasconderlo... Gli dispiaceva lasciarla da sola con lui, conoscendo il suo carattere difficile... anche perché era perfettamente consapevole di quanto la donna tenesse a lui e che avrebbe sofferto molto se non sarebbe più tornato a casa.
Poppy tornò infatti a rivolgersi a lui, sorridendogli dolcemente e accarezzandogli il volto:
“Non pensavo che sarebbe mai arrivato questo giorno... ti voglio bene tesoro.”
“Lo so... anche io.”
Normalmente le moine di sua madre lo infastidivano leggermente, ma quel giorno si lasciò abbracciare dalla donna, che trattenne a stento un singhiozzo mentre lo stringeva tra le braccia. Vide chiaramente suo padre rivolgere alla scenetta un’occhiata quasi esasperata, cosa che non lo stupì affatto: l'uomo non era mai stato un grande fan delle manifestazioni d’affetto... e non aveva mai appoggiato l’atteggiamento di sua moglie nei confronti del loro unico figli, che era sempre stato viziato moltissimo dalla madre.
“Hai finito Poppy, posso salutarlo anche io?”
“Non so quanto reggerò senza di te, tesoro...”. Il borbottio sommesso della madre fece, malgrado tutto, sorridere Caius, che le rispose a mezza voce:
“Lo so... ma stagli vicino anche per me, ne ha bisogno.” Caius le strizzò l’occhio prima di allontanarsi leggermente da lei per andare a salutare anche suo padre.
Vide sua madre sorridergli con la coda dell’occhio e seppe che non avrebbe lasciato il marito... non se glie l'aveva chiesto lui, prendendolo un po’ come il suo ultimo desiderio che non poteva non cercare di esaudire a tutti i costi.
O almeno, così sperò Caius.
*
“Non riesco a crederci... ti ha praticamente ignorato!”
“Non mi sorprende... infondo erano quattro anni che non le parlavo Carly, pensavi davvero che mi avrebbe abbracciato in lacrime, sostenendo di volermi bene e che si è pentita di avermi sbattuto fuori di casa?”
Il tono ironico del fratello fece sospirare Carly, che scosse il capo mentre percorreva il corridoio insieme a Wilhelm, dopo aver salutato la madre.
Erano stati ovviamente sistemati nella stessa stanza, ma con gran indignazione della ragazzina la madre aveva praticamente ignorato il primogenito, rivolgendogli solo un freddo saluto e concentrandosi invece sulla figlia.
Non che si fosse sprecata in troppe manifestazioni d'affetto anche per lei... ma almeno l'aveva salutata e per una volta ci aveva provato, a fare la madre.
“si beh, poteva almeno degnarsi di rivolgerti la parola...”
“Lascia stare Carly, la conosci... lo sai com’è fatta.” Wilhelm si strinse nelle spalle, parlando con una punta di amarezza impressa nella voce.
Dubitava fortemente che la donna gli sarebbe mancata... ma era deciso a fare di tutto affinché sua sorella tornasse a casa. Non certo per non far restare sola la madre, ovviamente... ma Carly aveva solo 13 anni e non poteva permettere che la sua vita venisse interrotta così, per una stupida ripicca.
I fratelli Grace uscirono dal Palazzo di Giustizia, trovando alcuni dei loro compagni già riuniti sui gradini dell’edificio, aspettando che tutti uscissero prima di raggiungere il Centro Immagine insieme al resto del gruppo.
La sera dopo ci sarebbe stata la Sfilata... ma per la prima volta nella storia dei Giochi, i preparatori non avrebbero dovuto faticare molto con i loro Tributi: erano tutti piuttosto curati, o almeno la maggior parte di loro.
Difficile dire se la cosa avrebbe reso felici o meno gli staff, che secondo Carly spesso provavano quasi divertimento nel torturare, a modo loro, i poveri Tributi dei Distretti.
Wilhelm si avvicinò ad un ragazzino che dimostrava più anni di quanti non ne avesse, ma Carly sapeva che aveva invece un anno in meno di lei.
Non ricordava il suo nome dalla Mietitura, ma le era sembrato che suo fratello lo conoscesse... e infatti il ragazzo gli sorrise, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
“David... lei è mia sorella Carly.”
David sposto gli occhi sulla bionda, rivolgendole un sorriso stranamente allegro per la situazione in cui erano, lasciandola leggermente interdetta. Non era affatto come gli altri Capitolini, con i capelli arruffati e gli abiti un po’ sgualciti... forse suo fratello l'aveva conosciuto proprio in strada?
“Ciao Carly... non mi avevi detto che tua sorella fosse tanto bella, Wil!”
“Ti pareva... stai alla larga da lei, chiaro? Carly, se ti da fastidio chiamami, quando si tratta di ragazze carine bisogna dargli una regolata.”
Wilhelm sbuffò, dando al ragazzino una leggera sberla sul retro del collo, facendolo ridacchiare mentre Carly seguiva la scena con tanto d’occhi, guardando i due quasi interdetta: ma come facevano a ridere in quel momento? Sembrava che suo fratello fosse sinceramente affezionato a quel ragazzino... di certo si era persa molte cose riguardo al fratello negli ultimi quattro anni, ne era perfettamente consapevole.
*
“Non fare quella faccia Daniel, non mi metterò a dispensare abbracci.”
“Non ti chiedo certo questo, Lou... ma credo che potreste salutarvi come si addice a questa situazione, almeno oggi.”
Daniel sospirò, guardando il fratello minore con aria quasi esasperata mentre i genitori dei due discutevano, in un angolo della stanza.
Louis si strinse nelle spalle, non curandosi troppo delle parole del fratello maggiore: capiva il suo punto di vista, ma aveva litigato con i genitori per anni... sarebbe stato ipocrita mettersi a giocare alla famiglia unita e felice, anche se lui stava per andarsene per sempre.
Daniel capì che non sarebbe riuscito a convincerlo in ogni caso e annuì quasi con rassegnazione:
“D'accordo, come vuoi... ma ti vogliono bene Lou, anche se ti rifiuti di riconoscerlo... e anche io. Mi mancherai, piccoletto.”
Daniel sorrise quasi amaramente, avvicinandosi al ragazzino e abbracciandolo. Per una volta Louis non si ritrasse, ricambiando la stretta e cercando un modo per ricambiare le sue parole... non era mai stato un tipo molto affettuoso, anche se si trattava della sua famiglia.
“Anche io ti voglio bene Dan... cerca di non fare il figlio perfetto per sempre, però.”
“D'accordo, ci proverò... ma ora vai a salutare mamma e papà, te lo ordino.”
“Io non mi faccio dare ordini da nessuno, specialmente dal mio perfettino fratello maggiore!”
“Allora prendilo come l'ultimo favore che mi farai, Lou... per favore, vai dalla mamma e abbracciala, stanotte la sentirò piangere tutta la notte e voglio vedervi andare d'accordo almeno per una volta.”
Louis indugiò ma poi si arrese, annuendo con fare arrendevole prima di avvicinarsi ai genitori, che si zittirono di colpo al vederselo andare incontro.
Senza dire nulla il ragazzino si avvicinò alla madre, che quasi ammutolì quando il figlio più piccolo l'abbracciò: quando era successo l'ultima volta? Forse troppo tempo prima.
La donna ricambio la stretta quasi commuovendosi mentre Daniel sorrideva, assistendo alla scena con sincero sollievo: forse ci aveva messo troppo, ma ce l'aveva fatta... peccato che quell’abbraccio fosse arrivato propio con gli Hunger Games.
*
“Mi dispiace che tuo padre non possa essere qui.”
“A me no... forse è meglio così, sarebbe stato insopportabile doverlo salutare così.”
Rubinia sospirò, cercando di non pensare al padre che era ancora in prigione... probabilmente in quel momento si stava disperando, implorando affinché gli venisse permesso di vedere la figlia... ma la ragazza forse preferiva così, non vedendolo.
Sciolse l’abbraccio della madre, rivolgendole un debole sorriso nel vano tentativo di tirarla su di morale:
“Non fare quella faccia... farò di tutto per tornare a casa, ti renderò fiera di me, te lo prometto.”
"Non devi vincere per rendermi fiera, Rubinia... devi tornare perché non voglio perdere mia figlia, come un mucchio di altre povere donne.”
La donna sospirò, guardando sua figlia come se non la capisse: non capiva perché era quasi entusiasta di andare nell’Arena, perché fosse così determinata a dimostrare qualcosa a tutta Panem... le voleva solo che la sua unica figlia tornasse da lei, non sopportava l'idea di restare sola con il marito in prigione.
“Quello che stanno facendo non è giusto, avrebbero dovuto far partecipare solo i figli dei politici più influenti... ma è andata così e rimuginare non serve. Credo sia meglio iniziare con la consapevolezza di quello che accadrà, mi hai insegnato tu a non piangermi addosso e non ho intenzione di iniziare a farlo proprio ora.”
La donna annuì, sorridendo alle sue parole e accarezzando i capelli rossi della figlia, guardandola con sincero affetto:
“Ti adoro Ruby... sei molto più forte di me, fortunatamente. Ti voglio bene, e anche tuo padre.”
“Lo so... credimi, lo so.”
Sorrise, cercando di non pensare a suo padre mentre la madre l’abbracciava. Il tempo che avevano per salutarsi ormai stava per finire, ma la ragazza non aveva rimpianti: erano passati a salutarla anche alcuni suoi compagni di scuola, cosa che l'aveva quasi commossa... era sempre stata una persona benvoluta un po’ da tutti, ma non si era aspettata di vederli.
Quando se n'erano andati, tra le lacrime, Rubinia era rimasta sola con sua madre... e con suo sommo sollievo la donna non aveva pianto: sarebbe stato molto più difficile trattenersi, vedendo la madre in lacrime.
Le due si staccarono e Rubinia le sorrise debolmente, mentre una guardia le faceva cenno di seguirlo fuori dalla stanza.
“Devo andare... fai il tifo per me, mi raccomando.”
“Sono sempre stata la tua più grande spalla Ruby... sono tua madre, è così che deve essere. Spero davvero che, un giorno, capirai quello che si prova.”
*
Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle Tonya sospirò, incamminandosi dietro alla guardia. Martin, il suo ragazzo, non era andato a salutarla... la cosa non l'aveva stupita più di tanto e non ci era rimasta poi male, visto che sarebbe stato molto più strano il contrario.
Salutare sua zia, quello sì che era stato difficile.
Suo padre non aveva mai voluto conoscerla e, quando aveva perso anche sua madre, ed stata cresciuta ed adottata dalla prozia, che le aveva trasmesso più affetto di chiunque altro avesse mai incontrato.
Sua zia Christa ormai era abbastanza anziana e le piangeva il cuore diversa lasciare... l'aveva accudita per otto anni e ora che era invecchiata avrebbe voluto ricambiarle il favore... purtroppo però, forse non ne avrebbe avuto la possibilità.
Mentre camminava lungo il corridoio Tonya vide un ragazzo uscire da una stanza, un ragazzo che aveva di certo già visto.
Non era certa di ricordare correttamente come si chiamasse, visto che negli ultimi tempi l'aveva visto molto di rado... ma Kalem Schweinson era molto difficile da dimenticare: i suoi capelli e la carnagione chiarissimi erano una specie di firma.
Kalem la vide e le sorrise, facendole gelare il sangue nelle vene: era sempre stat molto insicura, tanto ad attaccarsi a chiunque fosse disposto ad accettarla... ma non era certa che sarebbe riuscita a farlo con un ragazzo del genere, tanto bello quanto intimidatorio.
Aveva sentito un mucchio di storie su di lui a scuola... voci che erano solo aumentate quando Kalem aveva abbandonato gli studi, comparendo solo durante qualche festa in pompa magna.
Tonya non ricambio il sorriso, affrettandosi a spostare lo sguardo e affrettando anche il passo, desiderando improvvisamente di stare il più possibile alla larga da lui: non aveva mai creduto alle storie sul suo conto, ma non moriva comunque dalla voglia di farci una chiacchierata... il sorriso di quel ragazzo era semplicemente raggelante, tutto fuorché rassicurante.
Probabilmente avrebbe avuto modo di conoscerlo meglio nei giorni seguenti, prima di entrare nell’Arena e nel cuore dei Giochi...
Non era sicura se la cosa le facesse piacere o meno.
*
Uscendo dalla stanza Sean sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli color grano prima di incamminarsi nel corridoio, cercando di non pensare alle lacrime della sua sorellina di 8 anni.
Gli dispiaceva immensamente per lei, in effetti... Fabian, di soli sei anni, era morto pochi mesi prima grazie alle mine lanciate dalla Coin, e ora la bambina di sarebbe trovata anche senza il fratello più grande, oltre che senza padre visto che era morto durante la rivolta.
Sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di tornare a casa, non sopportando che la sorellina stesse da sola... i suoi vicini di casa si erano offerti di badare a lei, promettendo che si sarebbero presi cura di Emma. Sean non aveva alcun dubbio su quella promessa, ma voleva comunque tornare per riabbracciarla.
Mentre percorreva il lungo, quasi infinito corridoio una delle numerose porte si aprì è una ragazza che doveva avere circa la sua stessa età fece la sua comparsa, rivolgendogli un debole, quasi timido sorriso prima di imitarlo e avviarsi verso l'uscita del Palazzo di Giustizia.
La riconobbe come una delle prime ragazze ad essere state estratte, ma non era sicuro al 100% sul suo nome: gli sembrava si chiamasse Astrid, ma non ci avrebbe scommesso.
In genere era sempre molto attento anche ai minimi dettagli, ma durante la Mietitura il suo cervello era andato in una specie di cortocircuito... aveva avuto la testa per aria per tutta l'estrazione delle ragazze, cercando sua sorella con lo sguardo mentre pensava a cosa le sarebbe successo se fosse stato estratto.
Fortunatamente Emma non aveva l'età per essere tra i possibili Tributi... fortunatamente avevano deciso di attenersi alle classiche regole dei Giochi, estraendo solo ragazzi dai 12 ai 18 anni.
E almeno quella era l'ultima edizione dei Giochi, quindi avrebbe potuto passare a miglior vita senza doversi preoccupare per la vita di sua sorella.
Nessuno dei due parlò per quasi tutto il tragitto e Sean si chiese se anche lei stesse pensando alla sua famiglia, magari ai fratellini che anche Astrid aveva dovuto lasciare.
Tuttavia era sempre stato riservato, troppo per mettersi a fare domande ad una perfetta estranea, specialmente in un momento delicato come quello... stranamente, fu lei a rompere il silenzio, voltandosi verso di lui prima di tendergli la mano:
“Ciao... io sono Astrid.”
“Sean.”
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla piccola e pallida mano della ragazza mentre la stringeva tra la sua, in netto contrasto poiché molto più grande e abbronzata.
Lei gli sorrise debolmente, senza aggiungere altro mentre un pensiero si faceva velocemente strada nella testa di Sean: ovviamente voleva tornare a Capitol e ci avrebbe provato... ma già sentiva che sarebbe stata dura mettersi ad uccidere un gruppo di suoi coetanei, specialmente se si sarebbero presentati sorridendo così innocentemente.
*
Erica aveva una famiglia abbastanza numerosa, ma non andava particolarmente d'accordo con alcuni di loro... eppure quel giorno stava abbracciando e salutando tutti, incondizionatamente.
Non aveva mai avuto un bel rapporto con sua madre, giudicandola da sempre troppo apprensiva nei suoi confronti... ma quando la donna si era commossa non aveva potuto fare a mano di abbracciarla.
Aveva sempre avuto un rapporto burrascoso anche con il fratello maggiore Danny, essendo di caratteri completamente opposti... eppure aveva abbracciato anche lui che le aveva persino detto di volerle bene.
Sembrava che i Giochi portassero le famiglie ad essere più unite del solito, a quanto pareva.
Persino suo padre, che benché adorasse la figlia era sempre stato poco affettuoso, l'aveva stretta in un abbraccio quasi soffocante...
Erica aveva iniziato a chiedersi se non fossero tutti impazziti, ma poi si era concentrata sulla sua adorata sorellina Sidney, dimenticandosi delle stranezze di genitori e fratello maggiore.
“Mi mancherai piccola... ricordati che ti voglio bene.” Sidney spesso si lamentava che la sorella fosse, a volte, troppo protettiva nei suoi confronti... ma non si ritrasse neanche di un millimetro da quell’abbraccio, trattenendo a stento i singhiozzi.
Erica si era ripromessa di non piangere, di non commuoversi nemmeno davanti alla sua stessa famiglia... ed era andata davvero molto bene fino ad un certo punto, quando aveva incontrato gli occhi chiari di Adrian, suo fratello gemello.
Quando il ragazzo l'aveva abbracciata Erica non aveva retto e aveva pianto sul serio, alla fine... perché non riusciva nemmeno ad esprimere a parole quanto le sarebbe mancato il gemello, di certo la persona che amava di più e che meglio la capiva.
Tutti si erano stupiti leggermente nel vederla esporsi tanto, ma la ragazzina non ci aveva badato neanche un po’... non le importava di cosa pensava la sua famiglia o anche l'intera Capitol mentre stringeva suo fratello, chiedendogli di non dimenticarla e ripromettendosi di fare assolutamente di tutto pur di tornare a casa da lui.
*
Cyrus stava seduto su uno dei gradini, insieme a gran parte dei suoi compagni... ad occhio, non potevano che essere rimasti in un paio dentro il Palazzo.
Aveva salutato la sua famiglia poco prima e già sentiva che gli mancavano... non era certo granché, come inizio.
Nessuno sembrava aver molta voglia di parlare mentre aspettavano e sul gruppo era calato un silenzio generale... gli unici a parlottare tra loro a mezza voce erano i fratelli Bradshaw, anche se cogliere cosa si stessero dicendo era impossibile.
Cyrus conosceva di vista molti tra gli altri Tributi, visto che un bel numero aveva la sua stessa età... c'era ovviamente Caius Gold e la vivace Brittany Dask, che però quel giorno non sembrava avere molta voglia di sorridere... la bionda Amanda Lace se ne stava in un angolo e in silenzio, probabilmente aspettando che la sua amica comparisse.
In effetti, Cyrus non era sicuro che avere un caro amico tra gli altri Tributi fosse un bene... da una parte c'era un considerevole supporto morale, ma dall'altra di certo la sofferenza nell'Arena sarebbe aumentata a dismisura.
Cyrus abbassò lo sguardo, guardandosi i piedi senza sentire la voglia o il bisogno di parlare... era sempre stato piuttosto socievole, ma quello non era decisamente il momento giusto per mettersi a fare conversazione e sembrava che tutti fossero della sua stessa idea.
Meno di un minuto dopo sentendo un lieve mormorio generale il ragazzo alzò lo sguardo, provando una sensazione di sollievo nel vedere Astrid Walsh e un ragazzo di cui non ricordava il nome uscire dal Palazzo, avvicinandosi al gruppo.
Non che morisse dalla voglia di recarsi al Centro Immagine per dare ufficialmente inizio alla fase iniziale degli Hunger Games... ma quell’attesa era stata decisamente estenuante, passata ad immaginare di tutto e più riguardo a cosa sarebbe successo una volta nell’Arena.
E mentre Cyrus si alzava per seguire i compagni e le guardie della Paylor sulla navetta che li avrebbe portati al Centro Immagine, ebbe la spiacevole sensazione che tutto quello che aveva immaginato non sarebbe stato neanche lontanamente brutto come la realtà che lo aspettava.
..................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera! Per prima cosa mi scuso per gli errori che di certo abbonderanno, ma sono davvero presa con le bombe e non ho avuto tempo di rileggerlo volendo pubblicarlo questa sera...
Scusate se non mi dilungo oltre ma ho un altro capitolo da finire, quindi vi saluto e vi auguro un buon inizio settimana... grazie mille per le recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo, spero di aggiornare presto!
Signorina Granger
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Capitolo 5 *** Cerimonia di Apertura (Parte I) ***
Capitolo
3: Cerimonia di
Apertura (Parte I)
Il Centro Immagine
era famoso in tutta Capitol City e non c’era un solo
Capitolino che non sapesse
dove fosse, o che non l’avesse mai visto
dall’esterno.
Non erano però molti gli abitanti della
grandissima città ad esserci mai entrarti: Stilisti, interi
staff di
Preparatori, Mentori e Tributi affollavano l’edificio per un
solo periodo
all’anno… e quei giorni erano arrivati per la
76esima volta.
“Ovviamente
quest’anno le cose andranno diversamente… Non ci
sono Distretti in gioco e ovviamente,
nessun Mentore a vostra disposizione… Gli unici vintori in
vita sono coloro che
vi hanno condannato a tutto questo, perciò suppongo che non
sia una sorpresa
che nessuno di loro abbia voluto offrirsi di aiutarvi. Tutti voi
però avete
assistito ai Giochi per tutta la vita, quindi siamo del parere che
sappiate già
come andranno le cose: questa sera ci sarà la Cerimonia di
Apertura, quando
sfilerete davanti a tutti gli occhi di Panem… e da domani
inizieranno i quattro
giorni di Addestramento, al termine dei quali ci sarà la
Prova di Valutazione
come ogni anno. Siete
tutti cresciuti
qui quindi dubito che i preparatori avranno molto lavoro da fare su di
voi al
Centro Immagine, ma prima di incontrare gli Stilisti dovete comunque
farci un
giro.”
Nessuno osò
fiatare mentre la navetta si fermava sul ciglio della strada,
accostando
accanto al marciapiede proprio davanti alla grande struttura moderna
dalle
grandi finestre in vetro e le pareti grigie e lucide.
Raymond Houston,
uno dei tiratori scelti della Paylor che la donna aveva mandato a
“scortare” i
Tributi fino al Centro Immagine fece vagare gli occhi nerissimi sui 20
adolescenti come ad assicurarsi che nessuno avrebbe detto nulla prima
di aprire
lo sportello della vettura con un gesto secco.
“Coraggio
ragazzi,
andiamo… ci stanno aspettando un bel po’ di
persone, lì dentro.”
Raymond
invitò con
un cenno i ragazzi a scendere e tutti, chi più velocemente e
chi meno,
obbedirono, scendendo silenziosamente dalla navetta blu notte e
fermandosi sul
marciapiede.
Guardandosi
intorno David ebbe quasi la tentazione di darsela a gambe…
ma di certo c’erano
un mucchio di occhi puntati su di loro, dalle finestre dei grattacieli
che li
circondavano o anche da dietro ogni angolo della strada.
Lanciando
un’occhiata a Wilhelm, che teneva un braccio intorno alle
spalle di sua sorella
mentre si guardava intorno con attenzione, seppe che anche il ragazzo
stava
pensando la medesima cosa… ma anche lui aveva abbastanza
buonsenso da sapere
che non sarebbero riusciti a percorrere nemmeno metà della
via, anche se da
quando c’era la Paylor al comando la violenza che aveva
caratterizzato Panem
per anni era considerevolmente diminuita.
Seguendo Raymond
tutti e 20 i Tributi si affrettarono ad avvicinarsi
all’enorme cancello di ferro
scuro che segnava l’ingresso al Centro Immagine, che si
aprì non appena furono
a pochi passi di stanza.
“Secondo te
ci
stanno guardando?”
“Mi
stupirebbe il
contrario, onestamente…”
Aaron
inarcò un sopracciglio, guardandosi intorno con attenzione
mentre camminava a
fianco del fratello. Non
vedeva
telecamere, a parte le due collegate ai lati della porta
d’ingresso in vetro
infrangibile del Centro Immagine… ma di sicuro li stavano
osservando anche dai
grattacieli che li circondavano.
Dietro di loro
Amanda camminava accanto ad Astrid, guardandosi intorno con lo stomaco
contorto
in una morsa dolorosa: era già stata in quel posto ben
più di una volta… i suoi
genitori avevano lavorato a tutte le Edizioni degli ultimi 15 anni e
lei fin da
bambina aveva accompagnato sua madre, attirando sorrisi, attenzioni e
coccole
dai suoi colleghi e da interi Staff di Preparatori, osservando con
ammirazione
i disegni e il laboratorio della madre.
Triste pensare che
stava tornando lì per l’ultima volta…
sapeva che sua madre avrebbe lavorato
anche quell’anno ai Giochi come suo padre, ma di certo
Plutarch avrebbe fatto
in modo che nessuno di loro fosse il suo Stilista.
“So a cosa
stai
pensando… Mi dispiace, spero che potrai almeno vederli di
tanto in tanto.” Il
sussurro di Astrid la fece deglutire,
annuendo con un debole cenno del capo: in realtà non sapeva
nemmeno se voleva
davvero incontrare di nuovo i suoi genitori… sotto una certa
luce era quasi
felice che nessuno dei due avrebbe creato il suo abito per la Sfilata o
per
l’Intervista.
“Sai come ci
divideranno? Questa volta non ci sono Distretti…”
“Non hanno
avuto
tempo e modo di ristrutturare gli alloggi con la guerra
civile… ci sistemeranno
a coppie come hanno sempre fatto e due di noi avranno lo stesso
Stilista, ma
non so come ci divideranno.”
Le parole di
Amanda fecero sorridere debolmente l’amica, che le strinse
delicatamente la
mano rivolgendole un debole sorriso, come a volerle dire che sperava di
avere
il suo stesso alloggio per quei pochi giorni che precedevano il loro
ingresso
nell’Arena.
Ovviamente, lo
sperava anche Amanda… forse stando insieme quei giorni
sarebbero stati più
sopportabili.
*
“Sei
praticamente
l’unico che abbiamo dovuto sistemare per bene… Mi
spieghi dove hai vissuto fino
ad oggi?”
“Qua e
là.”
David si strinse nelle spalle prima di
gemere sommessamente mentre Lucinda, una delle estetiste sopravvissute
indenni alla
guerra civile che affollavano il Centro Immagine, gli sistemava le
sopracciglia
armata di una pinzetta rosa pastello che in pochi minuti era diventata
al
peggior nemica del ragazzino.
“Un vero
peccato,
sei un bel ragazzino…”
“Non sono un
ragazzino, sono più maturo di molti tra quegli idioti, senza
cervello e viziati
che stanno fuori da questa stanza.”
“Nervosetto,
eh?
D’accordo scusa, non ti chiamerò più
ragazzino…”
David tenne gli
occhi chiusi ma sentì la giovane donna ridacchiare,
facendolo rilassare leggermente:
Lucinda se non altro trasmetteva tranquillità, con un
sorriso gentile e vivaci
occhi scuri non esageratamente truccati.
“Finito,
pupi
tornare a respirare. Ora sei molto più carino
David.” David
riaprì gli occhi, vedendo la donna
sorridergli mentre si alzava a sedere sul lettino dove gli aveva detto
di
stendersi dieci minuti prima.
“Sembri
più
giovane degli altri… sei qui da molto?”
“No, questo
è il
mio primo e ultimo anno ai Giochi… un po’ mi
spiace, quello è il sogno di ogni
truccatore… Ma mi dispiace per voi, non vi meritate quello
che vi hanno fatto.”
Lucinda gli
rivolse un’occhiata sinceramente dispiaciuta mentre rimetteva
in un cassetto le
“pinzette infernali”, facendo sbuffare debolmente
il ragazzino:
“Non credo
che
nemmeno i Tributi degli anni passati se lo meritassero, in
realtà.”
*
Silver, avvolta in
un morbido accappatoio bianco, avanzò quasi timidamente
nella stanza dalle
pareti lucide e bianche che quasi si confondevano con il pavimento
immacolato. Raggiunse
il divano color cremisi e ci si
sedette su un angolo, sentendo poco dopo la porta scorrevole aprirsi.
Non si
voltò ma si chiese chi fosse appena entrato, curiosa di
sapere con chi avrebbe condiviso
Stilista ma soprattutto appartamento per i giorni seguenti…
Raymond aveva detto
che erano stati divisi in base a coppie dello stesso sesso, quindi si
trattava
di sicuro di una ragazza. Un po’ le dispiaceva, le sarebbe
piaciuto stare di
più con suo fratello… Wilhelm doveva aver pensato
lo stesso perché le aveva lanciato
un’occhiata malinconica, ma nessuno aveva osato protestare.
Una figura a piedi
nudi e avvolta in un accappatoio uguale al suo si avvicinò,
sedendosi accanto a
lei prima di tenderle la mano:
“Ciao…
Sei Silver,
vero?”
“Carly.” La
ragazzina annuì, stringendo la mano che
la compagna le tendeva: si somigliavano abbastanza in effetti, entrambe
bionde
con occhi azzurri e la carnagione chiara… Erica
annuì, appuntandosi mentalmente
di chiamarla con il secondo nome che la ragazzina aveva sempre
preferito fin da
piccola.
“Me lo
ricorderò.
Io sono Erica, comunque… Posso chiederti quanti anni
hai?”
“13.
Tu?”
“14. Forse
ci
hanno diviso in base
all’età…”
La bionda si
strinse nelle spalle, giocherellando distrattamente con la cintura
dell’accappatoio
mentre aspettavano l’arrivo del loro Stilista, in attesa di
prepararsi per la
Sfilata dopo aver fatto una doccia.
“Non
è da
escludere.”
La porta
scorrevole si aprì di nuovo ma questa volta Carly si
voltò con curiosità,
imitata dalla sua compagna di sventura: nella stanza quadrata era
appena
entrata una donna sorridente, vestita di un azzurro Tiffany polvere e
con
vaporosi capelli color grano:
“Salve
ragazze! Io
mi chiamo Zelda… Silver ed Erica, giusto?”
“Carly…” La ragazzina si
chiese quante altre volte
avrebbe dovuto correggere le persone che l’avrebbero
circondata nei suoi ultimi
giorni di vita ma la Stilista non sembrò offendersi dalla
sua puntualizzazione,
sorridendole mentre prendeva posto nella poltrona davanti al divano,
accavallando
le gambe mentre appoggiava sul tavolino in vetro una cartellina blu.
“Scusami,
Carly.
Ci hanno fatto iniziare a disegnare abiti già da un paio di
settimane,
dicendoci solo se avremmo dovuto occuparsi di ragazzi o
ragazze… e sembra che a
me abbiano affidato le “piccoline” dello show. Ma
non preoccupatevi ragazze,
nelle mie mani brillerete lo stesso. Ditemi che ne pensate.”
Zelda sorrise,
strizzando l’occhio alle due mentre apriva la cartellina con
un gesto secco,
mostrando un paio di disegni. Su
uno
c’era scarabocchiato “Silver” con una
calligrafia elegante e piena di
ghirigori, così la biondina lo prese, osservandolo quasi con
ammirazione:
“E’
bellissimo…”
“Grazie,
sono
felice che ti piaccia… Tu che ne pensi Erica? Ho ancora
tempo di fare qualche
modifica, basta che me lo diciate.”
Erica però
sorrise
appena, alzando lo sguardo dal disegno al volto della donna:
“No, va
benissimo…
è il mio colore preferito, il rosso.”
“Allora
forse
dovevo fare l’indovina, non la Stilista. Visto che non avete
obiezioni possiamo
iniziare a farvi belle… seguitemi, non abbiamo molto
tempo.”
Zelda si
alzò,
recuperando i disegni destinati alla Sfilata – sia Carly che
Eruca ne avevano
intravisti altri, di certo per le Interviste - prima di guidare le due
fuori
dalla stanza, lungo un corridoio illuminato e decisamente affollato:
truccatori
e Stilisti continuavano a fare avanti e indietro mentre preparavano i
Tributi
che gli erano stati assegnati solo un paio d’ore prima.
*
“Beh, questi
silenzi non mi piacciono… che cosa ne pensate?”
Nonostante tutto
Africa sfoggiò un sorriso sincero, rimirando la sua immagine
riflessa nello
specchio: per evitare che i suoi capelli rosa facessero a botte con
tutto il
resto Sylvian le aveva fatto indossare un abito bianco piuttosto
semplice,
senza spalline e a Stile Impero, con il corpetto delimitato da due file
di
diamanti.
Le avevano legato
elegantemente i capelli e la ragazza, che da sempre amava moltissimo la
moda,
non poteva che osservare con soddisfazione il risultato della
preparazione:
“E’
molto bello…
Mi piace molto.”
Africa si voltò verso
il suo Stilista, rivolgendogli uno dei suoi rari sorrisi colmi di
gratitudine:
era sempre stata abituata ad avere tutto ciò che voleva, e
di certo se avesse
visto quel vestito in una qualche vetrina se ne sarebbe innamorata
subito.
“Mi fa
piacere.
April?
“Non sono
tipo da
abiti come questi… però sono contenta che non sia
troppo appariscente, non
fanno per me cose di quel genere.”
April si strinse
nelle spalle, sfiorandosi i capelli acconciati in una treccia a spina
di pesce
che le ricadeva su una spalla mentre stava in piedi davanti ad uno
specchio,
esattamente come Africa.
Di certo sarebbero
state impossibili da non notare quando avrebbero sfilato sui carri, con
entrambi i capelli tinti di colori accesi… Inoltre April
indossava un lungo
abito nero dalla gonna abbastanza attillata, in netta contrapposizione
con il
vestito di Africa così candido che sembrava quasi brillare.
“Ti ho visto
alla
Mietitura… ti vesti sempre di scuro?”
“Si,
sempre.”
“Allora ho
fatto
una buona scelta… Ma ora venite con me ragazze, devo
portarvi di sotto per
raggiungere gli altri.”
Sylvian
allungò
una mano verso April, aiutandola a scendere dalla pedana senza
ruzzolare sul
pavimento a causa dei tracchi. Africa invece saltò
giù con gran disinvoltura,
come se fosse perfettamente abituata ad indossare quel genere di
vestiti.
Forse non sarebbe
mai diventata una Stilista… ma per lo meno aveva
l’occasione di concludere in
bellezza, indossando abiti semplicemente favolosi.
*
“Faye…
Puoi
tirarmi su la zip, per favore?”
“Certo, non
preoccuparti.”
Faye sorrise, cercando
di tranquillizzare Tonya che invece sembrava un fascio di nervi mentre
stavano
per scendere al piano interrato della struttura per sfilare davanti a
tutta
Panem fino al Centro di Addestramento.
Le due erano
già
state truccate e pettinate dalle mani esperte dei loro preparatori e a
breve
avrebbero dovuto sfilare davanti a tutta Panem, visione che non
contribuiva
affatto a rendere Tonya più tranquilla.
In effetti nemmeno
Faye moriva dalla voglia di essere sotto gli occhi di milioni di
persone, ma il
bellissimo vestito che indossava e che le piaceva moltissimo
l’aiutava a non
pensarci e a distrarsi in qualche modo: era senza spalline e composto
da un
tubino color avorio lungo fin sopra le ginocchia ma da sotto il
corpetto
plissettato si apriva una specie di strascico di una
tonalità appena più scura
della gonna sottostante.
I capelli erano
come sempre mossi e tenuti sciolti, mentre quelli scuri di Tonya erano
stati
acconciati e raccolti.
Faye tirò
su la
cerniera del vestito rosa antico con la gonna in chiffon della
compagna, che le
rivolse un sorriso carico di gratitudine mentre si voltava di nuovo
verso di
lei:
“Grazie.
Sono
felice che ci abbiano messe insieme, a volte Africa mi mette a
disagio.”
“Diciamo
pure che
non è la persona più loquace che
esista… Ma non dovresti lasciare che le
persone ti trattino male Tonya, sono certa di non essere la prima a
dirtelo.”
La ragazza rivolse
alla coetanea uno sguardo quasi esasperato, quasi a chiederle
perché lasciasse
che il mondo intero la sfruttasse a suo piacimento. Sapeva che era
stata
abbandonata da entrambi i genitori e che la cosa doveva di certo averla
segnata, ma non era nemmeno giusto sprecare la proprio vita per
compiacere gli
altri e attaccarsi a chiunque solo per paura di restare soli.
Tonya però
non
disse nulla, abbassando lo sguardo come se non volesse affrontare
l’argomento:
era consapevole di cosa pensassero tutti, non era certo
stupida… ma si era
sempre detta di non farci troppo caso, non riuscendo a cambiare il suo
atteggiamento.
“No, non lo
sei…
Ma grazie per essere sempre gentile con me Faye, se ci fossero
più persone come
te Capitol sarebbe un posto migliore… e forse non ci
sarebbero stati 75 anni di
massacri.”
Tonya
abbozzò un
sorriso e Faye non riuscì a non ricambiare, guardandola
quasi con tenerezza:
“Grazie…
E’ un bel
complimento. Su, ora però andiamo… altrimenti
Africa Garrett si auto-proclamerà
la più bella della serata mentre noi stiamo qui a
chiacchierare.”
Prendendo la
coetanea, nonché compagna di scuola, sottobraccio la
quindicenne si avvicinò
alla porta, camminando con la massima velocità che i tacchi
concedevano ad
entrambe.
“Ok, ma
andiamo
con calma… non voglio cadere e smaltarmi la faccia sul
pavimento, preferisco
arrivare viva e intera almeno all’Arena!”
*
Brittany si
sfiorò
con le dita i lunghi ricci scuri che le ricadeva morbidi e lucenti
sulle
spalle, lasciate nude dal vestito dalla gonna grigio scuro in chiffon e
il
corpetto ricoperto da del pizzo blu.
“Puoi stare
tranquilla, se ti stai chiedendo quello… ti sta molto bene
quel vestito.”
La ragazza si
voltò, rivolgendo a Rubinia un sorriso incerto come a
volerla ringraziare,
anche se non era poi tanto sicura delle parole della compagna:
“Ti
ringrazio… Anche
tu sei molto bella.”
La rossa si
strinse nelle spalle, accarezzandosi con la punta delle dita i lunghi
capelli
lisci lasciati sciolti sulle spalle, messi in risalto dalla lunga
tunica nera
che indossava decorata con delle fiamme che sembravano quasi far
prendere letteralmente
fuoco anche i suoi capelli.
“Grazie…
Mi
ricorda molto “la ragazza in fiamme”.”
“Beh, forse
non è
un brutto segno… Katniss ha vinto la sua edizione
dopotutto.”
“E’
vero, ma ha
anche scatenato una guerra civile che ci ha portato a questa
situazione… e ha
anche votato a favore di questi Giochi, quindi in effetti è
grazie a lei se
siamo qui.”
Le parole di
Rubinia, non sprezzanti ma apatice, come se verso la Ghiandaia
Imitatrice
provasse solo un freddo distacco, fecero riflettere Brittany per tutto
il
tragitto verso gli ascensori, dove incontrarono anche Astrid e Amanda
perfettamente
agghindate.
Un tempo aveva
provato sincera ammirazione verso Katniss Everdeen… ma
Rubinia aveva ragione
dopotutto: lei aveva votato per far sì che
quell’ultima edizione venisse
organizzata suol serio e di certo il suo era stato un voto decisivo,
vista
l’influenza che aveva.
Tuttavia il flusso
di pensieri della ragazza venne interrotto dalle due ragazze che
incontrarono
davanti agli ascensore, due volti noti agli occhi di Brittany: non
conosceva
benissimo Amanda e Astrid, ma avevano ka stessa età e anche
se non erano mai
state nella stessa classe si erano incrociate nei corridoi o alle
riunioni innumerevoli
volte.
“Ciao…
Io sono
Astrid, lei è Amanda. Ciao Brittany, bel vestito.” Ast6rid
rivolse alla ragazza un sorriso che
venne ricambiato debolmente, ma la mora non proferì parole
mentre entrava nella
cabina metallica insieme a Rubinia e alle altre due: era sempre stata
leggermente
introversa e non parlava molto… solo quando faceva amicizia
riusciva ad aprirsi
sul serio e le ci voleva sempre un po’.
Rubinia invece non
sembrava avere quel genere di problemi e sorrise di rimando ad Astrid
ed Amanda,
presentandosi a sua volta senza alcuna esitazione e facendo di rimando
dei
complimenti ad entrambe, che erano effettivamente molto belle quella
sera.
“Grazie,
anche i
vostri sono bellissimi… li ha disegnati mia madre, in
effetti.”
Il tono di Amanda
non nascose una nota di amarezza che Astrid colse, rivolgendo
all’amica
un’occhiata eloquente mentre l’ascensore si muoveva
velocemente verso il basso.
Brittany si
guardò
e si appuntò mentalmente di ringraziare la madre di Amanda
per il vestito che
aveva confezionato… sapeva che era una Stilista, ma non
aveva pensato
all’eventualità che potesse essere assegnata
proprio a lei.
“Beh, allora
è
molto brava.”
Probabilmente in
un’altra situazione Rubinia avrebbe sorriso, dicendo qualcosa
sul fatto che di
sicuro Amanda avesse sempre avuto abiti bellissimi da
indossare… ma erano
chiuse in una cabina di metallo per sfilare alla famigerata Cerimonia
di
Apertura degli Hunger Games, e nessuno sembrava avere molta voglia di
chiacchierare su come avessero vissuto solo fino al, giorno prima,
quando non
erano i Tributi dell’ultima edizione dei Giochi ma delle
normalissime ragazze
di Capitol.
Quando, poco dopo,
le porte metalliche dell’ascensore si aprirono le quattro si
ritrovarono nel
piano interrato del Centro Immagine, che somigliava ad una grande
galleria di
garage chiusi dalla porta a doppio battente che li separava dalla
folla.
Intorno a loro
c’erano
Stilisti che andavano avanti e indietro per dare qualche consiglio o
un’ultima
sistematina ai capelli ai Tributi e alcuni giornalisti che si portavano
dietro
frotte di cameramen che avevano il compito di non farsi sfuggire
neanche un
singolo dettaglio della serata.
“Immagino
che ci
faranno disporre sui carri in base agli alloggi, no?”
Amanda
inarcò un
sopracciglio e Astrid si strinse nelle spalle, sostenendo che per
esserne
sicure dovevano chiedere agli altri o a qualcuno degli Stilisti.
“In tal
caso, sarà
meglio cercare il nostro carro… buona fortuna.” Amanda rivolse
un debole sorriso in
direzione di Rubinia e Brittany, che ricambiarono prima che le due si
allontanassero camminando sui tacchi alti con una sicurezza che fece
provare a
Brittany una punta d’invidia:
“Beate voi,
ci
siete di sicuro più abituate di me…”
Il borbottio quasi
cupo della ragazza attirò la curiosità di
Rubinia, che la guardò inarcando un
sopracciglio con aria sorpresa:
“Mai preso
parte
ai famosi party di Capitol in pompa magna?”
“No…
negli orfanotrofi
non facciamo queste cose, neanche nella città del lusso
più ostentato.”
Brittany si
strinse nelle spalle, cogliendo la sorpresa che le sue parole avevano
scaturito
nella compagna che non replicò, probabilmente maledicendo
invece la sua
incapacità di tenere la bocca chiusa.
Nessuna delle due
si fermò a chiacchierare o fare domande l’una
all’altra, impegnate a cercare il
loro carro mentre zigzavano tra gli altri Tributi e i loro Stilisti,
tutti
tirati a lucido come se stessero andando ad una delle tante feste di
Capitol: i
ragazzi pettinati e con addosso completi di vari colori lucidi o opachi
a
seconda del tessuto, le ragazze fasciate in bellissimi ed eleganti
abiti da
sera.
“In genere
nella
Sfilata rispecchiava i vari Distretti… immagino che
quest’anno noi
rappresentiamo il lusso di Capitol.”
Brittany annuì alle parole di Rubinia mentre si
avvicinavano,
finalmente, al loro carro, indicato alle due dallo Stilista di Africa e
April,
Sylvian.
Brittany
alzò una
mano per accarezzare il pelo grigio del Dapple May Grey che avrebbe
trainato il
loro carro, sperando vivamente che l’animale fosse
più tranquillo di quanto non
lo fosse lei, perché in caso contrario probabilmente lei e
Rubinia si sarebbero
ritrovate alle prese con un cavallo molto irrequieto che le avrebbe
fatte
cadere dal carro.
I 10 mezzi di
trasporto erano stati perfettamente allineati uno dietro
l’altro, pronti a
trasportare come ogni anno due dei “fortunati”
prescelti per i Giochi. Tra i
primi Brittany riconobbe ilo ragazzino con cui aveva scambiato qualche
parola
solo poche ore prima e quasi si dispiacque per David: a lei non sarebbe
piaciuto
affatto essere la prima a dover uscire e finire sotto gli occhi di
tutti…
Mentre saliva sul
carro Rubinia afferrò la ringhiera scura, pregando
mentalmente di non scivolare
e che il cavallo non sarebbe andato troppo veloce… La rossa
si chiese se
quell’anno i Capitolini avrebbero urlato e acclamato i
Tributi come avevano
sempre fatto: di certo tutta la città non aveva preso bene
la scelta di fare
un’ultima edizione con i ragazzi della capitale, anche se
probabilmente c’era
qualcuno che trovava la cosa divertente e che avrebbe comunque guardato
con
gioia anche quell’edizione.
“Ci siamo,
immagino…”
“Si Rubinia,
temo
proprio che stiamo per entrare nel vivo dei Giochi… Possa la
fortuna essere a
nostro favore.”
.............................................................................................................
Angolo
Autrice:
Buonasera!
Mi spiace di aver dovuto dividere il capitolo in due parti ma
altrimenti sarebbe venuto davvero troppo lungo e avrei fatto un gran
pasticcio gestendo tutti e 20 gli OC insieme, quindi nel prossimo mi
concentrerò di più sui ragazzi.
Inserirò
le immagini dei vestiti delle ragazze alla fine del prossimo capitolo,
grazie a chi mi ha inviato le informazioni e a chi ha recensito lo
scorso capitolo :)
A presto,
spero!
Signorina Granger
|
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Capitolo 6 *** Cerimonia di Apertura (Parte II) ***
Capitolo
3: Cerimonia di
Apertura (Parte II)
“Ciao…
Sono
Cyrus.”
Julian alzò
lo sguardo,
trovandosi davanti un ragazzo dai capelli scuri che gli stava porgendo
la mano,
sorridendogli affabilmente. Senza esitare la strinse, sforzandosi di
ricambiare
il sorriso mentre Cyrus sedeva accanto a lui, sul divanetto di pelle.
“Julian.”
Non si era aspettato alcuna
presentazione cordiale in effetti, sicuro che tutti sarebbero stati
troppo
occupati ad auto-commiserarsi e chiedersi come sarebbero sopravvissuti
all’Arena… il suo compagno di alloggio temporaneo
invece non sembrava
esageratamente preoccupato, come se stessero andando in campeggio
invece che al
patibolo.
“Secondo te
ci
metteranno molto? Non vedo l’ora che questa serata
finisca… conoscendomi sarei capacissimo
di rotolare giù dal carro e fare una bella figuraccia
già dalla prima sera.”
Cyrus
incrociò le
braccia al petto, sbuffando debolmente e lanciando alla porta di vetro
scorrevole un’occhiata carica d’impazienza: non gli
importava poi molto del vestito
che gli avrebbero fatto indossare… sperava solo che quella
serata passasse in
fretta.
“Immagino
che Tiberius
stia arrivando, o almeno lo spero… come spero di non dover
indossare niente di
esageratamente ridicolo.”
“Hai
ragione, dopo
la mucca che prendeva fuoco dell’anno scorso, non si sa
mai.”
Le parole di Cyrus
fecero sorridere Julian in un modo spontaneo che gli era nuovo da
quando si era
svegliato: ricordava benissimo la Sfilata della terza Edizione della
Memoria…
esattamente come alcuni abiti decisamente ridicoli che
l’avevano fatto ridere
parecchio, insieme ad Aaron mentre la guardavano comodamente seduti sul
divano
nel salotto di casa loro.
Nel ricordare quei
momenti passati con madre e fratello il sorriso svanì in
fretta dal bel volto
del ragazzo, cedendo il posto ad un’espressione malinconica
che non sfuggì a
Cyrus, che gli rivolse un sorriso amaro mentre annuiva con un debole
cenno del
capo:
“Lo
so… è dura.
Mancheranno anche a me.”
Julian aprì
la
bocca per dire qualcosa ma non ne ebbe il tempo: la porta di vetro si
aprì
senza fare rumore, permettendo al loro Stilista di entrare con aria
allegra:
“Scusate il
ritardo ragazzi, ho avuto un piccolo diverbio con un
collega… ma ora sono tutto
vostro, quindi potete provarvi i vestiti così in caso
potrò fare le dovute
modifiche.”
Alle spalle
dell’uomo alto e dalla pelle olivastra, nessuno dei due
ragazzi seppe dire se
era naturale o meno, erano entrate due ragazze di pochi anni
più grandi di
loro, trascinandosi dietro qualche custodia lucida e scura con la lampo
per gli
abiti.
Mentre si alzavano
dal divano Cyrus e Julian si scambiarono un’occhiata quasi
dubbiosa: quello era
il momento in cui avrebbero scoperto se avrebbero fatto una figuraccia
davanti
a tutta Panem o meno.
*
“Ciao…
Sean,
vero?”
Sean si
fermò,
voltandosi istintivamente verso la fonte della voce. Si
trovò davanti ad un
ragazzo che aveva l’aria decisamente familiare, che gli
rivolse un debole
sorriso.
Ricordava di
averlo già visto prima della Mietitura, forse a
scuola… ma ricordava anche che
fosse praticamente sparito nel nulla per un nel po’.
“Si…
Wilhelm?” Sean
inarcò un sopracciglio,
parlando con tono leggermente scettico come se sperasse di azzeccare.
Il biondo
annuì mentre camminava verso di lui lungo il corridoio,
sistemandosi il bavero
della lucida giacca color crema.
“So a cosa
stai
pensando… non ci vediamo da un po’, negli ultimi
anni non sono venuto a scuola.”
“Non ti sei
perso granché,
fidati. Con chi ti hanno sistemato?”
“Aaron
Bradshaw…
tu?”
“Kalem.
Purtroppo
ci hanno sistemati in base all’età, e lui oltre a
me è l’unico ad avere 18 anni…
che felice coincidenza.”
Sean sbuffò
sommessamente, facendo comparire un sorrisetto divertito sul volto di
Wilhelm,
guardandolo come se lo compatisse:
“Non ci ho
mai
parlato, ma ne ho sentite parecchie su di lui…
c’è da chiedersi se sia tutto
vero o meno.”
“Non lo so,
e
forse non voglio saperlo… preferisco farmi gli affari miei,
anche quando si
tratta di pettegolezzi del genere.”
Sean si strinse
nelle spalle prima di riprendere a percorrere il corridoio insieme a
Wilhelm,
entrambi diretti agli ascensori per raggiungere gli altri e prepararsi
ad
iniziare la Sfilata. Wilhelm in effetti sperava di riuscire a salutare
David e
Carly prima che venissero portati nei loro alloggi al Centro di
Addestramento,
altrimenti non li avrebbe potuti vedere fino al giorno dopo.
Sean se
l’era
quasi filata dalla sua stanza dopo essersi cambiato, non avendo molta
voglia di
chiacchierare con l’enigmatico ed eccentrico Kalem Schweinson
e indossando in
fretta e un po’ di malavoglia il completo blu che gli avevano
rifilato: non aveva
mai amato molto vestirsi elegantemente… anzi, non gli
piaceva in generale stare
sotto i riflettori. Non prendeva spesso parte alle feste che
pupullavano
Capitol City, preferendo passeggiare, salire sul tetto a godersi il
panorama o
rilassarsi… Sorrise amaramente, pensando a quanto sua madre
avesse sempre
insistito per vederlo vestito elegante: alla fine era successo davvero,
anche
se non nella condizione da lei sperata.
*
“Ehy,
piccoletto…
eccoti qui.”
David ruotò
su se
stesso, fulminando con lo sguardo Wilhelm Grace. Il ragazzo lo guardava
invece
con aria divertita, sorridendogli e tenendo le mani sprofondate nelle
tasche
dei pantaloni chiari:
“Piantala
una
buona volta di chiamarmi così Grace, non ho più
otto anni!”
“Vero, ma ne
hai
12. Sei comunque ancora un piccoletto.”
David
sbuffò,
borbottando qualcosa di incomprensibile mentre si passava una mano tra
i
capelli scuri, rifiutandosi categoricamente di tenerli belli e
ordinati: non lo
erano mai stati, e mai lo sarebbero stati per quanto lo riguardava.
“Sei strano
vestito così, Grace… sembri quasi
un’altra persona.”
David inarcò un sopracciglio, studiando
l’amico
con aria scettica e quasi critica: non l’aveva mai visto
vestito bene, in
effetti… e solo ora che erano entrambi perfettamente
ripuliti si rendeva conto
di come avessero passato i precedenti quattro anni.
Il biondo si
strinse nelle spalle, parlando quasi con una nota di amarezza nella
voce:
“Se mi
avessi
conosciuto prima che mia madre mi sbattesse fuori di casa…
beh, mi avresti
visto così molto spesso. Tu sembri una sottospecie di
bambolotto.”
Un lieve sorriso
divertito increspò le labbra di Wilhelm, guadagnandosi
un’occhiata truce da
parte del giovane David, che gli passò accanto per
raggiungere il suo carro con
un muso lungo stampato in faccia, borbottando al contempo qualcosa che
suonò
molto come “guardati allo specchio, Grace”.
Ridacchiando
Wilhelm girò sui tacchi, imitando il ragazzino che ormai
aveva adottato come
fratello minore e avvicinandosi al suo carro, al quale Aaron era
appoggiato con
aria annoiata dopo aver salutato suo fratello minore.
“Che gran
perdita
di tempo… Siamo tutti di Capitol, no? Che cosa mai dovremmo
mostrare alla
Cerimonia di Apertura?”
“Non ne ho
idea…
forse che nonostante tutto, Capitol mantiene ancora il primato di
città più
sfarzosa del continente.”
Wilhelm fece
spallucce come se la situazione non gli facesse né caldo
né freddo: non gli
importava molto della Sfilata in sé, a preoccuparlo era
l’Addestramento… e
naturalmente, l’Arena che li attendeva.
Aaron per tutta
risposta sbuffò, guardandosi intorno con cipiglio
leggermente torvo mentre
scrutava i loro compagni-avversari, cercando di riuscire ad inquadrare
specialmente i ragazzi: le ragazze erano quasi tutte più
piccole di lui e non
le reputava un possibile ostacolo… Sembravano tutte
piuttosto tranquille e
quasi intimorite dalla situazione, eccezion fatta per una ragazza dai
lunghi
capelli rossi che sembrava avere la sua età o forse anche un
anno di più, che
si muoveva con gran naturalezza e l’aria rilassata di chi non
è affatto in
ansia.
Aveva visto
milioni di edizioni dei Giochi, sapeva che spesso le persone meno
temibili
risultavano più letali di altre… ma quella non
era un’Edizione come tutte le
altre: nessuno di loro era mai stato addestrato in alcun modo, e anche
se a
differenza degli abitanti di molti Distretti erano sani e perfettamente
nutriti, nessuno di loro si sarebbe mai aspettato di finire
nell’Arena… ergo,
nessuno era allenato, quindi l’arma di cui potevano fare
maggiore uso nei
Giochi era semplicemente il proprio cervello.
Peccato che, tra
tutte, la psiche sia l’arma più complessa e
difficile da sfruttare.
*
Avvicinandosi al
suo carro, che scoprì con disappunto essere il primo della
fila, David
raggiunse Louis, il suo futuro compagno di alloggio al Centro di
Addestramento.
Il biondo gli
rivolse un’occhiata molto poco allegra, come se avrebbe
preferito trovarsi in qualunque
altro luogo al mondo… In effetti non sembrava molto a suo
agio, con i capelli
leggermente più ordinasti rispetto al solito e un vestito
color carta da
zucchero addosso.
“Anche tu ti
senti
una specie di pinguino? Non vedo l’ora di togliermi questo
stupido vestito…”
David
sbuffò,
tirandosi il colletto della camicia bianca mentre il compagno annuiva
con aria
torva, imitandolo e salendo sul carro.
“Anche
io… questa
Sfilata è una stupidaggine, completamente inutile in questa
Edizione.”
“Probabile…
Ma i
Vincitori avranno insistito per far fare le cose come si
deve.” Louis
sbuffò, maledicendo mentalmente
chiunque avesse deciso di metterli per primi della fila… e
anche chi aveva
inventato quella stupida tradizione della Cerimonia di Apertura, che
aveva
trovato noiosa persino quando guardava i Giochi in tv.
David
probabilmente avrebbe replicato ma si zittì
all’improvviso, distratto dalle
porte che si stavano aprendo.
Immediatamente le
luci e un boato li inondarono e entrambi si resero conto che i
Capitolini non
sembravano più particolarmente tristi per
quell’inaspettata Edizione dei
Giochi: il pubblico teneva gli occhi fissi su di loro e a parte le
famiglie dei
Tributi i Capitolini sembravano essere tornati un po’ quelli
di sempre…
emozionati all’idea di assistere agli Hunger Games.
“Cattivo sangue
non mente mai.”
Il borbottio sommesso
di Louis non arrivò alle orecchie di David mentre il loro
carro iniziava a
muoversi, trascinandoli nella mischia.
*
Salendo sul carro,
Caius capì per la prima volta come si fossero sentiti per
quasi un secolo i
Tributi degli Hunger Games: mentre le porte infondo alla galleria si
aprivano e
le luci improvvise quasi li accecavano, il ragazzo si sentì
più che mai come un
oggetto messo in esposizione… o ancor peggio, un animale che
veniva venduto al
miglior offerente, messo in mostra davanti ai possibili acquirenti.
I due cavalli dal
mano palomino che spingevano il carro si mossero e si
aggrappò alla ringhiera
scura per evitare di cadere, guardandosi intorno con un leggero senso
di
disagio: il fatto che fossero tutti meticolosamente agghindati non
aiutava a
farlo sentire tranquillo… no, gli abiti eleganti
contribuivano solo a farlo
sentire un animale messo in mostra e tirato a lucido prima della sua
dipartita.
Forse non era il
modo migliore per iniziare i Giochi, ma non poteva fare a meno di
pensarci.
Accanto a lui,
anche Black si stava guardando intorno senza nessuna particolare
espressione
dipinta in volto… un po’ perché non
voleva far capire al pubblico e a tutta
Panem cosa stesse provando e un po’ perché infondo
nemmeno lui sapeva davvero
cosa pensava: era strano essere l’, in piedi sul carro
traballante e davanti a
tutta Panem.
Poteva quasi
percepire la mera soddisfazione che stavano provando tutti gli abitanti
dei
Distretti in quel momento, guardando forse per la prima volta i Giochi
con
sincero piacere e divertimento: ciò per anni era stata la
loro tortura, ora era
diventata la loro rivincita.
Meritata? Con gran
probabilità si, anche se a parere del ragazzo se la stavano
prendendo con le persone
sbagliate… infondo erano tutti adolescenti, non avevano
colpa diretta per
quello che avevano passato. Forse avrebbero dovuto indire
un’Edizione per i
politici sopravvissuti alla rivolta, non per i figli dei cittadini di
Capitol…
Tuttavia ormai era
decisamente tardi per pensarci: il danno era stato fatto, e piangere
sul latte
versato non serviva a nulla, come diceva sempre suo fratello.
Pensando a White
Black piegò le labbra in una smorfia, chiedendosi se stesse
guardando la
Sfilata… l’avevano sempre fatto insieme fin da
bambini, era quasi triste
pensare che non l’avrebbero mai potuto rifare…
quella era l’ultima Cerimonia di
Apertura, ma sperava almeno di riuscire a fare altre cose insieme al
fratello
in futuro.
*
Kalem teneva lo
sguardo
fisso davanti a sé, lanciando di tanto in tanto qualche
occhiata in direzione
del pubblico, sorridendo con aria quasi beffarda.
Sapeva di attirare
moltissima attenzione, un po’ per i suoi capelli chiarissimi
risalati ancora di
più dal vestito chiaro che indossava, e un po’
perché molti lo conoscevano anche
solo di vista a Capitol City…
Il ragazzo
alzò
una mano, sorridendo amabilmente e salutando con l’aria
più innocente che
riuscì a trovare, conscio dell’occhiata incerta
che gli lanciò Sean, in piedi
sul carro accanto a lui: sapeva che il ragazzo lo trovava
“strano”, ma non gli
importava poi molto… in fin dei conti c’erano un
mucchio di altri pesci in
quell’acquario.
Sfortunatamente
Sean Thorn era abbastanza sveglio da non lasciarsi fregare da lui,
Kalem lo
sapeva benissimo… ma non se ne dispiaceva: in fin dei conti
forse era troppo
sveglio, non l’avrebbe voluto comunque come alleato
nell’Arena.
No, a lui serviva
qualcuno da poter manipolare facilmente e da sfruttare a proprio
piacimento una
volta nell’azione dei Giochi… nessuno dei ragazzi
gli sembrava un completo sprovveduto
a primo impatto, ma sapeva già che l’Addestramento
gli sarebbe stato
infinitamente utile per osservare e conoscere meglio i suoi
compagni… e chissà,
magari sarebbe stata anche l’occasione per gettare qualche
amo.
…………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Chiedo umilmente
scusa per il ritardo, ma la settimana scorsa è stata
piuttosto piena e per una
serie di motivi non sono riuscita ad aggiornare ieri… mi
spiace, per il
prossimo dovrete aspettare molto meno, arriverà di sicuro
nel weekend.
Anche se non molto
lungo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che siate riusciti ad
inquadrare
un po’ meglio i ragazzi… nel prossimo
inizierà ovviamente l’Addestramento,
perciò vi chiedo:
Che cosa farebbe
il vostro OC durante l’Addestramento? Osserverebbe gli altri,
si allenerebbe in
qualcosa di specifico?
In più, se
volete
potete anche cominciare a dirmi con chi vi piacerebbe che si alleasse
il vostro
OC… Ma vi avverto che non accetterò tutte le
vostre richieste, posso benissimo
fare di testa mia.
Vedete voi se
dirmelo ora o aspettare di leggere dell’Addestramento,
insomma.
Scusate, ma non sono
riuscita a mettere le immagini dei vestiti... Per farlo dovrei usare il
PC ma al momento non mi è possibile, quindi le
inserirò alla fine del prossimo capitolo.
Ci sentiamo
presto, spero, con il seguito… e grazie come sempre per le
recensioni, siete
piuttosto puntuali, quindi grazie davvero perché non succede
spesso!
Ps. Se a qualcuno
dovesse piacere il Fandom di Harry Potter, ho da poco iniziato una
nuova storia…
se volete, passate a dare un’occhiata!
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3556241
A presto!
Signorina Granger
|
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Capitolo 7 *** L'Addestramento ***
Capitolo 4: L’Addestramento
“Questa sottospecie di tuta è a dir poco scomodissima… non trovi?”
Amanda sbuffò, tirandosi la manica della tuta aderente che aveva indossato, di controvoglia, prima di lasciare il suo alloggio insieme ad Astrid per raggiungere gli altri in palestra per iniziare l’Addestramento.
“Forse è un po’ stretta, ma sempre meglio dei tacchi a spillo di ieri sera.” Astrid, appoggiata alla parete fredda della cabina rettangolare, sbuffò debolmente, appoggiando il capo contro il metallo con aria sconsolata: non aveva praticamente chiuso occhio la notte prima… e non si sentiva affatto pronta ad iniziare l’Addestramento, tantomeno alla prospettiva di entrare nell’Arena entro meno di una settimana.
*
“Mi chiedo perché tanti si ostinino a fare i pavoni durante l’Addestramento… secondo me è meglio provare a fare un po’ di tutto, invece di concentrarsi solo ed esclusivamente sulle armi e compagnia... Quella roba non fa per me.”
Faye inarcò un sopracciglio, rivolgendo un’occhiata leggermente scettica in direzione di Caius, Kalem, Black e Aaron che si stavano esercitando al poligono di tiro insieme a Rubinia, che sembrava quasi emozionata all’idea di impugnare una vera arma da fuoco.
“Immagino che non vogliano farsi trovare impreparati una volta nell’Arena. Ognuno ha il suo punto di vista, dopotutto.”
Tonya si voltò a sua volta verso il gruppetto di ragazzi, conscia che non sarebbe mai riuscita a sparare con maestria o anche solo a sollevare una spada o una lancia… nessuno di loro era mai stato allenato per i Giochi e per uccidere, ma di certo alcuni partivano comunque più avvantaggiati di altri.
Mentre riportava di nuovo lo sguardo sulle erbe velenose che stava studiando insieme a Faye, Tonya non poté fare a meno di pensare che non le sarebbe affatto dispiaciuto riuscire ad allearsi con qualcuno di più forte o sicuro di se stesso di quanto non lo fosse lei… ma sapeva anche che difficilmente una di quelle persone l’avrebbe accettata, in fondo che cos’aveva di eccezionale da attirare la loro attenzione?
“Ci sono molte più piante e bacche velenose di quanto non avrei mai pensato… ci vorrà un miracolo perché me le ricorda tutte.” Faye sbuffò, lanciando ai disegni e ai piccoli campioni di piante davanti a loro con aria torva, come se fosse certa che non sarebbe mai riuscita a riconoscerle tutte.
“Beh, non vorrei mai morire per intossicazione, quindi propongo di metterci d’impegno per impararle.”
Tonya sospirò, abbassando di nuovo lo sguardo sulle piante quasi con aria sconsolata: qualcosa le diceva che non sarebbe morta a causa delle piante velenose...come sempre era insicura e non molto ottimista riguardo all’Arena in effetti, ma almeno sperava di avere una morte meno insignificante e banale.
*
Africa imprecò a mezza voce, lanciando un’occhiata quasi torva in direzione di Astrid, che stava scivolando giù dalla parete da arrampicata come se fosse la cosa più semplice del mondo e l’avesse già fatto milioni di volte.
“Serve una mano?”
Astrid si fermò accanto a lei, rivolgendole un sorriso gentile che però non venne ricambiato dalla ragazzina, che si limitò a stringersi nelle spalle con indifferenza: aveva deciso di provare a fare un po’ di tutto, visto che non si era mai allenata in nulla… e aveva scoperto che l’arrampicarsi non faceva proprio per lei.
“Non prendertela, se ti può consolare io non riesco neanche a tenere una lancia in mano… Metti il piede sinistro su quel sasso rosso e procedi sempre con calma… Se soffri di vertigini, non voltarti mai.”
Africa fu quasi tentata di dirle che nessuno le aveva chiesto aiuto, ma la ragazza era già scivolata in basso, avvicinandosi rapidamente al tappeto di gomma blu fino ad arrivare ad un paio di metri da terra, saltando giù e atterrando sul tappeto con noncuranza.
Astrid alzò lo sguardo, incontrando quello della ragazzina prima di rivolgerle un altro sorriso, quasi incitandola a scendere e non preoccuparsi.
Africa si voltò di nuovo verso la parere artificiale, chiedendosi come potessero esserci persone tanto carine in contesti come quello… o forse quella della ragazza era tutta una maschera, chi poteva dirlo.
Di una cosa però Africa era certa, quando mise con sollievo di nuovo i piedi per terra: con l’arrampicata aveva chiuso… forse era ora di concentrarsi su esche, nodi, piante e tecniche di sopravvivenza.
*
“Credo che questa sia la prima volta in cui molti Tributi si dedicano agli stand non inerenti alle armi… A parte qualche eccezione, naturalmente.”
Erica inarcò un sopracciglio mentre si esercitava con dei nodi accanto a Carly, che annuì prima di alzare lo sguardo per puntarlo su suo fratello, che si stava allenando a lanciare lance e giavellotti insieme a Sean e stava insegnando a David come fare.
“Probabile… mio fratello però non è tipo da dedicarsi a creare esche e compagnia… ma se non altro ci aiuteremo a vicenda una volta nell’Arena.” La ragazzina si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo dal fratello per guardarsi maggiormente intorno: lei e Wilhelm naturalmente sarebbero stati insieme nell’Arena… e la sera prima, per il poco che erano riusciti a dirsi, avevano concordato sul cercare qualche altro possibile alleato nei giorni successivi, durante l’Addestramento.
Ovviamente Carly sapeva che il fratello avrebbe voluto stare vicino anche a David, e anche se non le stava particolarmente simpatico non se l’era proprio sentita di obbiettare: probabilmente era la persona che era stata più vicina a suo fratello negli ultimi quattro anni, da quando se n’era andato di casa dopo la morte del padre.
Le due ragazzine non dissero niente per qualche istante, entrambe prese nell’intrecciare nodi e pensando ai Giochi ormai imminenti: nessuna delle due aveva intenzione di concentrarsi troppo sulle armi, Erica sapeva già che non sarebbe mai stata brava a sparare o a tirare con l’arco… Carly stava pensando di provare ad allenarsi con i coltelli, ma niente di più.
“Per te chi saranno i più temibili, nell’Arena?” Le parole di Carly ridestarono la compagna, che alzò lo sguardo dal suo lavoro per studiare i loro compagni/avversari, chiedendosi chi avrebbe potuto creare maggiori problemi… nessuna delle ragazze sembrava particolarmente temibile a primo impatto, probabilmente avrebbero dovuto preoccuparsi maggiormente dei ragazzi.
“Non saprei… Ma quanto a forza e velocità, i ragazzi hanno di certo una marcia in più che non è da sottovalutare.”
“Forse… ma sono del parere che spesso il cervello batta i muscoli, se sfruttato a dovere.”
*
“Ok, ovviamente tu lanci meglio di me… Ma in mia difesa sei più grande, è normale che tu sia più forte!”
Wilhelm ridacchiò mentre prendeva un altro giavellotto per lanciarlo sulla pedana, mentre accanto a lui David ci aveva ormai rinunciato: durante il primo giorno di addestramento aveva potuto appurare di cavarsela molto meglio con i coltelli da lancio e tutto ciò che aveva a che fare con la mira rispetto a lance o giavellotti.
“Per questa volta, ti do ragione… e anche se sei solo un ragazzino, sappiamo entrambi che te la sai cavare benissimo.”
Wilhelm rivolse all’amico un sorrisetto, ricordando tutto quello che avevano combinato negli anni precedenti… e agli stratagemmi più che ingegnosi che David era in grado di architettare per riuscire a mettere qualcosa sotto i denti.
“Speriamo che questa capacità mi torni utile nell’Arena…Piuttosto, tu con chi vorresti allearti? A parte tua sorella ovviamente.”
Wilhelm fece un cenno all’amico, suggerendogli di seguirlo alla postazione delle lance e passando davanti al tappeto della lotta libera, dove i fratelli Bradshaw se le stavano dando di santa ragione quasi tra le risate.
“Non saprei… Forse Sean, è forte e piuttosto sveglio. Tu hai qualche suggerimento? Domani ne parlerò con mia sorella, per sapere se lei ha qualche idea.”
“Caius Gold è un po’ un pallone gonfiato, non mi ispira molta fiducia… e quanto a Kalem, credo che piuttosto di allearmi con lui venderei l’anima al diavolo. Louis non è male, ma non mi sembra un tipo molto incline a stipulare qualche alleanza… credo preferisca starsene per conto suo.”
David si strinse nelle spalle, alzando lo sguardo per guardarsi intorno nell’ampia e affollata palestra: non gli risultava facile riuscire a fidarsi di qualcuno se non di Wilhelm… per quanto nessuno di loro avesse scelto di essere lì, tutti avevano lo stesso scopo e per attuarlo avrebbero dovuto uccidersi l’un altro, alleati e non alleati.
“Beh, abbiamo altri tre giorni per pensarci… propongo di continuare ad allenarci domani, ma dopodomani penseremo ad osservare e a considerare tutti.”
David annuì mentre Wilhelm impugnava una lancia, osservandola con aria leggermente scettica come se dubitasse che ne avrebbe usata una nell’Arena… ma doveva comunque provare, voleva riuscire a cavarsela con tutto quello di cui disponeva quella palestra.
“Ok, ora bando alle ciance Whittemore, vediamo di imparare a lanciare una di queste senza auto-decapitarci…”
*
“Sei veloce.” Sean sedette sul pavimento blu, liscio e freddo della palestra, guardando Astrid imitarlo con il fiato corto a sua volta.
La ragazza gli rivolse un sorriso, annuendo con un cenno del capo prima di deglutire e parlare:
“Si, me la cavo… ma anche tu.”
Sean si strinse nelle spalle mentre si passava una mano tra i capelli biondo-castani, riprendendo a respirare normalmente dopo la corsa fatta insieme ad Astrid, conclusasi con un pareggio tra i due.
“Non credo di essere portato per le armi, ma almeno nel corpo a corpo e nella corsa me la cavo.”
“Di certo non sono forte, ma sono sempre stata abbastanza veloce… essere piccoli e minuti ha i suoi vantaggi.”
Astrid prese la bottiglietta d’acqua appoggiata sul pavimento accanto a lei, bevendone un sorso mentre gli occhi di Sean vagavano sugli altri ragazzi, disseminati tra i poligoni di tiro, la parete per l’arrampicata e gli stand sulle piante, i nodi, le esche o sulla sopravvivenza come April, Brittany e Rubinia che stavano provando ad accendere un fuoco.
“Credo che facciano bene a dedicarsi anche alle cose che in genere tutti sottovalutavano… ti va di imparare a costruire delle esche? Con le armi ho perso le speranze, non riesco neanche a sollevare una spada.”
Le parole di Astrid riportarono il ragazzo alla realtà, che si voltò verso di lei guardandola con cipiglio leggermente sorpreso, esitando per un istante prima di annuire con un cenno del capo: erano poche le persone gli chiedevano di fare qualcosa insieme, se non si conoscevano a fondo… era sempre stato molto riservato, dando fiducia e avvicinandosi a ben poche persone.
Eppure Astrid gli sorrise quasi come se si conoscessero da una vita, alzandosi e invitandolo gentilmente a seguirla al banco delle esche e dei nodi. Sean non se lo fece ripetere due volte e la seguì, improvvisamente curioso di conoscere meglio quella ragazza che si stava dimostrando incredibilmente gentile praticamente con tutti.
*
“Perché nei film e nei Giochi sembrava così facile? Di questo passo nell’Arena morirò di fame perché non riuscirò a cuocere un bel niente, o assiderata perché non ce la farò a scaldarmi.”
Rubinia sbuffò, sfregando con determinazione le mani sul pezzo di legno nel tentativo di accendere un fuoco: ormai lei, Brittany e April erano ferme allo stesso punto da quasi dieci minuti, ma senza aver ancora ottenuto alcun esito positivo.
“Immagino che nei Distretti fossero abituati a farlo… per noi è una cosa nuova, mi stupirebbe se ci fossimo riuscite in fretta.” Brittany si strinse nelle spalle con aria rilassata, come se la cosa non le desse fastidio. Rubinia invece sbuffò nervosamente, guardando il ramo come se lo odiasse profondamente e maledicendosi mentalmente per non riuscire a fare quello che gli uomini facevano da millenni.
“Posso provare io, se vuoi… credo che innervosendosi non si vada proprio da nessuna parte.” Rubinia annuì alle parole di Brittany, spostandosi per cederle il posto senza contestare: ormai le facevano male le mani e i palmi si erano completamente arrossati e furia di sfregarli contro il legno ruvido.
“Non ne sono del tutto certa, ma mi pare di averlo visto fare durante i Giochi… e le mani andavano verso il basso. Forse così funzionerà.”
April inarcò un sopracciglio, seguendo i movimento delle mani di Brittany con aria scettica, chiedendosi se una volta nell’Arena avrebbe dovuto accendere un fuoco… In effetti si era chiesta diverse volte, la notte precedente, su dove avrebbero dovuto scontrarsi… neve, foresta, giungla, prateria? Poteva trattarsi di qualunque cosa.
“Beh, tentar non nuoce… vediamo di imparare qualcosa dai Tributi delle edizioni precedenti.”
Brittany fece spallucce con nonchalance prima di seguire il consiglio di April, spostando le mani verso il basso mentre le sfregava velocemente sul ramo. Dopo qualche istante in cui nessuna delle tre parlò Rubinia quasi sussultò mentre invece Brittany sfoggiò un sorriso allegro: finalmente avevano fatto scaturire qualche scintilla.
“Beh, meglio tardi che mai… Se non altro ora sappiamo che riusciremo a scaldarci un minimo, nell’Arena.” Rubinia sorrise con aria sollevata mentre Brittany guardava con gran soddisfazione il fuoco, anche se flebile, che era finalmente riuscita ad accendere. La ragazza rivolse ad April un’occhiata allegra, sorridendole con gratitudine:
“Beh, grazie per il consiglio… se n on fosse stato per te ora saremmo ancora al punto di partenza. Senza offesa, Rubinia…”
“Tranquilla, nessuna offesa. Cambiando argomento, secondo voi chi saranno quelli da cui doversi guardare le spalle?”
Rubinia lanciò un’occhiata ai loro compagni/avversari, chiedendosi chi sarebbe morto per primo… di certo non era un bel pensiero, ma non poteva fare a meno di domandarselo.
Non sembrava che nessuno fosse particolarmente temibile o con una marcia in più rispetto agli altri… ma magari qualcuno non voleva mostrare le sue vere capacità finché non sarebbero entrati nell’Arena, come spesso era successo nelle edizioni precedenti.
“Non saprei, credo che potremmo dirlo con certezza solo tra un paio di giorni, forse ora è ancora presto…. Sono curiosa, invece, sulle Alleanze che si creeranno.”
April inarcò un sopracciglio, rivolgendo un’occhiata in direzione di Wilhelm e David, intenti a parlottare insieme a Carly, la sorella del ragazzo. Era più che certa che i tre sarebbero restati insieme nell’Arena, ma non aveva molte altre idee sulle Alleanze: era ancora presto, ma aveva tutta l’intenzione di osservare meglio i compagni nei giorni successivi di Addestramento.
“Anche io… Astrid e Amanda si alleeranno, si questo non ci piove. E credo che Astrid stia facendo amicizia anche con Sean Thorn.”
Brittany lanciò un’occhiata curiosa in direzione della coetanea, che stava effettivamente chiacchierando insieme al ragazzo mentre preparava un’esca, facilitata dalle dita particolarmente sottili.
“Strano, non è un tipo loquace... o magari se la sta facendo amica apposta, non è stupido.” Rubinia inarcò un sopracciglio, rivolgendo all’improbabile duo un'occhiata leggermente scettica: non conosceva benissimo Sean, anche se avevano la stessa età... però sapeva che non era mai stato molto estroverso e disposto a fare nuove conoscenze.
“Davvero pensi che sia tanto meschino? Non sembra cattivo.”
“Non lo conosco, non posso dirlo con certezza... ma credo che quando si tratta dei Giochi, nessuno sia quello che era fuori da qui.”
*
Era in piedi allo stand sulle piante velenose, dov’era stato per gran parte del pomeriggio: le piante erano sempre state una sua grandissima passione e aveva intenzione di coltivarla in vista dell'Arena... era certo che gli sarebbe tornato utile, il tempo passato lì.
Tuttavia Cyrus non aveva neanche intenzione di lasciarsi sfuggire l'addestramento dei suoi compagni e lo stava seguendo con più attenzione di quanto non desse a vedere, guardandosi intorno con discrezione e osservando i movimenti dei suoi futuri avversari: non conosceva gran parte di loro e per quanto possibile voleva capire con chi avrebbe dovuto fronteggiarli una volta nell'Arena.
Il ragazzo non si stupì neanche un po’ nel vedere Caius Gold, forse l'unico che poteva ritenere di conoscere abbastanza tra tutti, dilettarsi a lanciare pesi o provare a sparare... era abbastanza certo che niente gli avrebbe impedito di mettersi in mostra, specialmente se di fronte ai suoi avversari.
Cyrus sbuffò appena, roteando gli occhi come se non lo capisse: lui preferiva tenere un profilo basso e non dare nell'occhio, anche se sembrava che molti non la pensassero al suo stesso modo... anzi, Caius stava chiacchierando quasi allegramente con un ragazzo dai capelli color pece che, anche se non ne era del tutto certo, aveva la loro stessa età e si chiamava Black.
In fin dei conti però, gli stavano dando modo di capire in cosa fossero bravi o meno... il che non era certo un fattore negativo, visto che Cyrus non aveva nessuna intenzione di allearsi con Caius. Probabilmente l'unico con cui, almeno fino a quel momento, si sarebbe alleato era Julian... il ragazzo si voltò verso il “coinquilino”, che stava parlando con il fratello maggiore accanto alla parete per l’arrampicata. Non aveva praticamente mai parlato con Aaron, ma gli sembrava incredibilmente diverso dal fratello minore... non gli sarebbe dispiaciuto conoscere meglio entrambi nei giorni seguenti, anche perché non aveva la benché minima intenzione di entrare nell’Arena senza alleati.
Aveva visto abbastanza edizioni dei Giochi da avere una chiara idea di come andassero, specialmente nella fase iniziale... e avere anche pochi alleati poteva essere una salvezza, alle volte.
*
Si buttò sul letto, osservando il soffitto della stanza con gli occhi chiarissimi spalancati e perfettamente vigili nonostante sentisse una gran stanchezza fisica: non aveva alcuna intenzione di andare a dormire, sembrava che il suo cervello non volesse mettersi a risposare... anzi, si sentiva più sveglio e attivo che mai da quando si era svegliato.
Durante la prima giornata di Addestramento si era guardando intorno parecchio studiando tutti i suoi avversari... non si era avvicinato a nessuno, limitandosi ad osservare con leggera descrizione: probabilmente avrebbe cercato di attaccare bottone dal giorno successivo.
Non sapeva ancora con chi avrebbe voluto creare un’Alleanza: da una parte si diceva che era meglio cercare qualcuno di forte che avrebbe potuto aiutarlo, dall'altra era spinto verso persone più deboli e facili da manovrare, di quelle che avrebbe potuto eliminare senza alcuna difficoltà una volta nell’Arena.
Kalem si rigirò nel letto, chiedendosi come sarebbe stato trovarsi nell’Arena con quelle stesse persone con cui aveva trascorso l'intera giornata... sapeva già che avrebbe dovuto uccidere qualcuno, se voleva tornare vivo a Capitol City.
E visto che non aveva alcuna intenzione di morire nell’Arena per una specie di capriccio, di certo avrebbe dovuto darsi da fare.
Era pienamente consapevole che molti tra i suoi compagni fossero terrorizzati all'idea di dover uccidere pur di sopravvivere... ma a lui non stava facendo nessun grande effetto, e anche se era consapevole di non essere stabile per una volta sapeva darsi una risposta chiara e precisa: non gli recava grande disturbo perché l'aveva già fatto in passato.
*
“Tu che cosa hai fatto nel corso della giornata?”
“Un po’ di tutto, in realtà... preferisco non concentrarmi su un’unica attività, ma provare un po’ tutto per vedere in cosa me la cavo e cosa no. Tu invece?”
April si strinse nelle spalle mentre le porte dell’ascensore si aprivano, permettendo a lei e ad Africa di entrare nel loro alloggio:
“Beh, io ho imparato ad accendere un fuoco... e non mi sono dedicata molto alle armi, oggi mi sono concentrata sullo stand sulle piante velenose è quello sulla sopravvivenza.”
“A rigor di logica, anche io ho imparato una cosa oggi... non sono affatto portata per l’arrampicata. Non mi resta che sperare che l’Arena non preveda anche una montagna da scalare.”
Africa piegò le labbra in una smorfia e April istintivamente rise appena, immaginandosi la compagna con i lucenti capelli rosa legati in una cosa, appesa ad uno strapiombo e intenta ad imprecare contro chi aveva progettato l’Arena.
“Credo che l'ideale sarebbe un bosco, come due anni fa... spero solo che non sia una specie di deserto, sarebbe davvero molto dura in quel caso.”
“Rassegniamoci, non lo sapremo fino al ‘giorno del giudizio’...” Africa si strinse nelle spalle e, senza aggiungere un'altra parola anche solo per salutare, girò sui tacchi per raggiungere la sua camera, non vedendo l'ora di infilarsi sotto la doccia e togliersi la tuta che aveva odiato dal primo momento in cui l'aveva vista: quasi quasi avrebbe preferito arrampicarsi con un paio di tacchi ai piedi, piuttosto che indossare quella tuta.
April sospirò e la imitò, dirigendosi in camera sua con aria cupa: sfortunatamente, sapeva che Africa aveva ragione... poteva farsi tutte le paranoie e avere tutti gli incubi del mondo, non avrebbe saputo nulla a proposito dell’Arena finché non ci sarebbe entrata con pochissime probabilità di uscirne.
Decisamente, non era una prospettiva confortante.
..................................................................................
Angolo Autrice:
Salve! Avrei voluto pubblicare il capitolo martedì ma ahimè, poi sono iniziati i Medici e non sono riuscita a finirlo... scusate, ma se Richard Madden chiama io rispondo, e ieri sono stata via praticamente fino a sera tardi... ma alla fine ce l'ho fatta a finire questo capitolo, finalmente!
Grazie mille a chi mi ha mandato le informazioni, e ovviamente anche per le numerose recensioni... ripeto, siete davvero puntuali quindi grazie davvero!
Eccovi, infine, le immagini degli abiti delle ragazze durante la Cerimonia di Apertura (quelli maschili non li ho messi perché tanto alla fin fine sempre li siamo, al limite li metterò per l’Intervista):
Carly
Erica
Faye
Tonya
Africa
April
Brittany
Astrid
Amanda
Non mi sembra di avere altro da dirvi quindi vi saluto, a presto con il seguito!
Signorina Granger
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Capitolo 8 *** Alleanze ***
Capitolo 5: Alleanze
“Già in piedi?”
“Non riuscivo a dormire.”
Erica sedette accanto all’enorme finestra che offriva uno spettacolo di una buona porzione della città ancora addormentata... di rado le era capitato di vedere Capitol senza le luci ad illuminarla, era quasi strano vederla così, sembrava una città come tutte le altre.
Carly, nella sua stessa posizione ma dal lato opposto del vetro, teneva le gambe piegate contro il petto e le braccia allacciate sulle ginocchia, osservando il panorama con aria pensierosa.
“Nemmeno io.” Il sussurro di Erica arrivò a stento alle orecchie della compagna, che non si voltò verso di lei e rimase immobile, riflettendo su quanti era già successo... e su quanto l’aspettava.
I giorni di addestramento erano passati forse troppo velocemente... il giorno dopo ci sarebbe stata la Prova di Valutazione, ed entrambe faticavano a nascondere il nervosismo.
“Non pensi che stia andando tutto troppo in fretta?”
“Credo che sia sempre così, quando non si vuole arrivare ad un determinato momento.”
Erica sospirò, guardando la città con aria malinconica: era abbastanza certa che non l'avrebbe più vista... tanto valeva godersi il panorama, finché poteva farlo.
*
“Davvero mi vorresti come alleata nell’Arena?” Il tono sbigottito di Tonya la fece sorridere appena, guardandola con una luce quasi intenerita negli occhi: non avrebbe mai capito perché quella ragazza fosse tanto insicura e critica verso se stessa.
“Perché dovrei volere il contrario? Mi fido più di te di gran parte delle altre persone qui dentro...” Faye si strinse nelle spalle mentre si versava nel caffellatte nella tazza, con gli occhi di Tonya ancora puntati addosso con aria perplessa, come se pensasse che la stesse prendendo in giro: non dubitava delle parole della compagna, ma non capiva comunque perché volesse affidarsi a lei.
“Naturalmente nessuno ti obbliga, se non vuoi fare gruppo con me.”
“No, ma certo che no... mi fa piacere che tu me l'abbia chiesto.” Tonya sorrise debolmente, guardando la compagna quasi con gratitudine: ci aveva sperato in effetti, ma non aveva mai osato dire nulla sull’argomento... Faye sembrava però averle quasi letto nel pensiero, con suo gran sollievo.
“E dimmi... tu vorresti allearti con qualcun altro?” Faye inarcò un sopracciglio, voltandosi verso la compagna che si strinse nelle spalle di rimando:
“Non saprei... L’unica che conosco è Africa, a parte te.”
“Non so se lei ci vorrebbe... non siamo mai state grandi amiche, ma di certo sa il fatto suo, su questo non ci piove. Ad ogni modo dobbiamo decidere in fretta Tonya, oggi è l'ultimo giorno di Addestramento.”
Faye sospirò, guardando il suo piatto con aria malinconica: non si sentiva assolutamente pronta per la Prova di Valutazione... ne tantomeno per ciò che l'avrebbe seguita.
*
Imprecò a mezza voce nel completo silenzio della palestra, guardando quasi con odio il sacco di pelle marrone che penzolava dal soffitto, davanti a lei.
Astrid si massaggiò le nocche, abbassando lo sguardo sulla mano destra e trovandola piuttosto arrossata... evidentemente, lo scontro fisico proprio non faceva per lei, se colpendo quel dannato affare si era persino fatta male.
“Potresti provare a scaricare sui piedi, se fai fatica con le mani. E poi quello è piuttosto pesante, è normale che ti faccia male.”
Quando era entrata nella palestra l'aveva trovata perfettamente deserta, cosa di cui non si era affatto stupita visto che era scesa ben prima rispetto al solito... era convinta di essere sola e per questo quasi sobbalzò, voltandosi di scatto per poi rilassarsi subito nel trovarsi davanti Sean, che la guardava quasi con aria divertita.
“Ah, sei tu... ciao. Che vuoi farci, non fa proprio per me questa roba.”
“Non sei la prima e nemmeno l'ultima che ha un “diverbio” con quegli affari... perché invece non provi confrontandoti con una persona in carne ed ossa?”
“È una proposta per avere la scusa di umiliarmi? Perché in quel caso passo, grazie.”
Astrid inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto con aria scettica mentre Sean invece abbozzava un sorriso, scuotendo appena il capo:
“Non ti voglio umiliare... ma ti servirà nell’Arena, no? Sei molto veloce e molto agile Astrid, ma saperti difendere di certo non ti farà male. Vieni, vediamo se riesci a mettermi al tappeto.”
“Mi prendi in giro? Sei il doppio di me, come dovrei fare? Non ho superpoteri, nel caso non te ne fossi accorto!”
Astrid sbuffò ma Sean la ignorò, prendendola delicatamente per un braccio e trascinandosela dietro fino allo spesso tappetone blu per la lotta libera, invitandola a provarci.
Astrid esitò, ma alla fine acconsentì comunque: in fin dei conti, tanto male non poteva andare... alla peggio lui si sarebbe fatto quattro risate per la sua incapacità nel corpo a corpo.
“Piuttosto... come mai sei già qui? È ancora abbastanza presto.”
“Immagino per il tuo stesso motivo, non avevo sonno e non mi andava di starmene sul letto a non fare niente... almeno questo mi distrae, diciamo. Amanda non è dello stesso avviso, lei sta ancora dormendo della grossa.”
Astrid sfoggiò un lieve, involontario sorriso nel parlare dell’amica, immaginandola chiaramente ancora sotto le coperte e invidiandola non poco... lei non riusciva a dormire decentemente da quando era arrivata al Centro di Addestramento.
Sean però le sorrise di rimando, guardandola con una vena comprensiva, come se la capisse... e probabilmente Astrid avrebbe detto qualcos’altro ma il ragazzo inaspettatamente si lanciò verso di lei, afferrandola e mandandola dritta a terra con un solo movimento fluido delle braccia.
“Ma che diamine... come hai fatto?” La ragazza sgranò gli occhi azzurri, stupita per la rapidità in cui il mondo era finito a gambe all'aria osservando il compagno ridacchiare mentre le tendeva la mano per aiutarla a rialzarsi, guardandola con aria divertita negli occhi verdi:
“Se non altro hai imparato a non perderti in chiacchiere quando hai un avversario davanti Astrid... su alzati, ti faccio vedere come si fa.”
*
Wilhelm tamburellava le dita sul tavolo, aspettando che gli altri lo raggiungessero come avevano concordato il giorno prima.
Il ragazzo si stava guardando intorno quasi con apprensione, non curandosi molto del vassoio col pranzo appoggiato davanti a lui: quella era l'ultima pausa pranzo che avevano tutti insieme prima dell’Arena... e non aveva alcuna intenzione di sprecarla, volendo invece sfruttarla al massimo per ultimare i dettagli dell’Alleanza.
Quando vide David entrare in mensa gli rivolse un cenno, invitandolo a raggiungerlo mentre anche Carly si avvicinava al suo tavolo con il suo vassoio in mano e Erica accanto.
“Ciao Wil... Salve ragazze!” David rivolse alle due quasi coetanee un gran sorriso, che però non venne ricambiato del tutto da nessuna delle due: Wilhelm aveva la netta sensazione che a sua sorella David non andasse molto a genio, e anche se gli dispiaceva non aveva voglia di darci peso: voleva proteggerli entrambi nell’Arena, quindi se li sarebbe tenuti stretti.
“Ciao fratellone.” Carly guardò il fratello con sincero affetto negli occhi chiari, sedendosi di fronte a lui con Erica da una parte e David dall'altra. Le due bionde di scambiarono un’occhiata eloquente quando il ragazzino sedette accanto a Carly, intendendosi alla perfezione: se se ne fosse uscito con un altro dei suoi complimenti al limite del garbato, gli avrebbero rovesciato l'acqua in testa.
“Ciao piccola... aspettiamo gli altri e poi possiamo cominciare.” Wilhelm stiro le labbra in un debole sorriso, facendo di tutto per cercare di rilassarsi, anche se gli risultava davvero difficile farlo... sentiva una specie di adrenalina crescergli dentro man mano che il fatidico giorno si avvicinava... non sapeva se erano tutti nella stessa posizione o meno, ma sperava di non essere l'unico a non riuscire a stare tranquillo nemmeno per un attimo.
“Continuo ad essere del parere che siamo un numero un po’ troppo grande.”
“Dici? Secondo me più siamo e meglio è... insomma, se non altro non cominceremo con tre quarti dei Tributi contro di noi dal principio.” David si strinse nelle spalle alle parole di Erica, mentre Wil annuiva come se fosse d'accordo con lui:
“Vero. E poi sapete già com’è andata: ho chiesto a Sean di allearsi con noi e ha detto di sì, ma ha espressamente sottolineato di volere anche Astrid. E se c'è Astrid, Amanda fa parte del pacchetto.”
“Beh, il capo sei tu. Non voglio discutere, non certo ora... per me va bene, almeno sembrano persone affidabili.” Carly si strinse nelle spalle quasi come se volesse tirarsene fuori: si fidava ciecamente del fratello maggiore, e se per lui andava bene così, anche lei sarebbe stata d'accordo.
Il ragazzo le rivolse un sorriso carico di gratitudine mentre al tavolo si avvicinavano, chiacchierando, anche Astrid e Amanda. Sean le seguiva a leggera distanza, tenendo il vassoio in mano con aria pensierosa, come se avesse la testa da un’altra parte.
“Ciao... scusate se vi abbiamo fatto aspettare un po’.”
Astrid rivolse un sorriso carico di scuse al gruppetto, appoggiando il vassoio davanti al posto accanto a David. Wilhelm le rivolse un cenno come a dirle di non preoccuparsi, mentre il ragazzino alzò lo sguardo su di lei per sfoggiare un gran sorriso, come proprio non riusciva a fare a meno di fare quando c'era una bella ragazza nei dintorni.
“Salve a tutti.”
Quando anche Sean e il suo laconico tono di voce si aggregarono al tavolo Wilhelm si mise dritto sulla sedia, smettendo finalmente di tamburellare nervosamente con le dita sul tavolo: potevano iniziare a discutere, finalmente.
“Ok, visto che ci siamo tutti... direi di metterci d'accordo su come agire nell’Arena, o almeno nella prima fase.”
*
“Secondo me quelli stanno complottando qualcosa...” Black inarcò un sopracciglio, osservando attentamente un tavolo poco distante rispetto a quello dove si era seduto lui: ben sette Tributi seduti allo stesso tavolo... era un gruppo troppo numeroso per non destare sospetti, o almeno per i suoi gusti.
Caius però non sembrò curartene molto, continuando a mangiare quasi con noncuranza:
“E tu lasciali complottare... poi vedremo nell’Arena, chi avrà tramato meglio.”
Balcone sfoggiò un sorriso di fronte alla sicurezza e al tono noncurante del compagno, trovandosi improvvisamente sollevato di essere finito in stanza con lui: se non altro l'avevano sistemato con una persona simile a lui e con cui era subito andato piuttosto d'accordo... e alla fine avevano anche deciso di allearsi per l’Arena.
Cyrus invece, seduto a capo tavola, guardò i due coetanei come se si stesse chiedendo che diamine ci facesse lì: non avrebbe mai pensato di finire alleato con Caius Gold solo due giorni prima, ma poi Julian gli aveva chiesto di fare squadra... e lui aveva subito accettato, non curandosi nemmeno di chiedere se qualcuno facesse già parte del gruppo: evidentemente, Aaron aveva coinvolto sia Black e Caius.
Non che quest’ultimo fosse molto più contento di lui: avevano passato il giorno precedente e lanciarsi occhiate seccate da una parte all'altra della palestra, rivolgendosi a malapena la parola anche durante i pasti in comune.
“Quindi secondo voi hanno formato un’Alleanza anche loro?”
Cyrus inarcò un sopracciglio, puntando gli occhi sul tavolo abbastanza affollato: lo trovava un gruppo abbastanza strano, in effetti... Ma mai quanto quello di cui si era ritrovato a far parte lui. Anzi, si chiedeva anche se non avrebbe dovuto guardarsi le spalle per prima cosa dai suoi stessi alleati, visto che nel gruppo era finito persino Kalem Schweinson, anche se non riusciva a spiegarsi ancora come.
“Mi sembra ovvio... infondo è l'ultimo giorno, immagino che tutti quelli che stiano mangiando insieme abbiano fatto squadra, a questo punto.” Il tono piatto e rilassato di Caius lo stupì per l’ennesima volta, a differenza dell’occhiata quasi seccata che gli rivolse, come se si stesse chiedendo perché fossero seduti allo stesso tavolo...
E Cyrus si rese conto che la convivenza non sarebbe stata affatto semplice, una volta nell’Arena.
"Parlate delle alleanze?” Kalem spuntò praticamente dal nulla accanto a Cyrus, sedendosi accanto a lui con aria rilassata: il moro lo guardò, chiedendosi da dove diamine fosse spuntato... possibile che gli comparisse sempre alle spalle?
“Si... secondo noi tutti quelli seduti vicini si sono alleati. Tu che ne pensi?” Black inarcò un sopracciglio, osservando il ragazzo seduto di fronte a lui.
Kalem si strinse appena nelle spalle, rivolgendo una fugace occhiata ai compagni disseminati per i tavoli prima di concentrarsi di nuovo su Black:
“Immagino che sia così, ma non mi farei troppo problemi... credo che i più forti siano seduti a questo tavolo. Fatta eccezione per Wilhelm Grace e Sean Thorn, loro potrebbero darci qualche problema. Conosco Thorn, e non va sottovalutato anche se tende a restarsene lontano dai riflettori.”
Kalem fece guizzare gli occhi cerulei sul suddetto ragazzo, studiandolo mangiare e parlare tranquillamente insieme ad una ragazza di cui non ricordava il nome, seduta di fronte a lui.
Avevano la stessa età e avanti frequentato la scuola insieme, o almeno finché Kalem non era stato ritirato per volere dei genitori... era l'unico tra tutti a conoscere la sua storia, ma non sembrava che avesse spifferato tutto ai quattro venti. Non sapeva perché l'aveva fatto ma comunque lo apprezzava: magari ne avrebbe anche tenuto conto, una volta nell’Arena.
“Beh, ne terremo conto... ma che fine hanno fatto Julian e Aaron, si stanno facendo la manicure per caso?”
Caius sbuffò, guardandosi intorno con aria leggermente impaziente: non aveva nessuna voglia di sprecare tempo prezioso per parlare... eppure i due fratelli sembravano ancora presi dall’allenamento in palestra, visto che non si erano ancora fatti vedere nella mensa.
“Ne dubito, ma faremo a meno di loro... intanto possiamo cominciare a concordarci tra noi, con i Bradshaw parleremo dopo.” Black si strinse nelle spalle, liquidando il discorso con un gesto della mano prima di sfoggiare un lieve sorrisetto, quasi impaziente di cominciare:
“E ora... iniziamo a parlare di cose serie, se non vi dispiace.”
*
“Hole, Gold, Schweinson e i Bradshaw nella stessa squadra? Non invidio per niente Cyrus, per la miseria!” Brittany strabuzzò gli occhi, osservando il tavolo occupato dal gruppetto di ragazzi.
"Più che non invidiare Cyrus dovremmo preoccuparci per noi stesse, ho idea. Ho la sensazione che quella simpatica comitiva ci fornirà non pochi grattacapi.”
Rubinia sbuffò appena, studiando il gruppo quasi come se volesse leggergli nel pensiero con la forza dello sguardo.
“Io ne ho la certezza, altro che sensazione! Praticamente tutti i ragazzi sono nella stessa squadra, pessimo segno.” Anche April sbuffò, abbassando lo sguardo sul suo pranzo quasi con aria sconsolata.
“Poco male, non buttiamoci giù... se partiamo già negative, non finirà affatto bene e non deve andare così. Vorrà dire che ci faremo furbe e giocheremo qualche bel tiro ai maschietti, loro avranno anche i muscoli ma noi siamo indubbiamente più subdole, volendolo.”
Rubinia si strinse nelle spalle quasi con nonchalance, come se l'avesse presa piuttosto bene... anzi, quasi sorrideva sotto i baffi mentre si versava dell'acqua nel bicchiere, immaginando già a quanto si sarebbe potuta divertire una volta nell’Arena... prevedeva un’edizione piuttosto interessante, agli occhi dei milioni di spettatori di Panem.
April e Brittany se ne accorsero e si scambiarono un’occhiata accigliata, chiedendosi come facesse a starsene così tranquilla... nessuna delle due in effetti immaginava di come la compagna dalla chioma fiammante avesse preso i Giochi: una bella, difficile, intensa Prova da superare... e Rubinia Flaemus aveva la piena l'intenzione di mettercela tutta, a qualunque costo.
Se poi ci sarebbe stata qualche complicazione tanto meglio: si sarebbe messa ancor più d’impegno.
*
Africa osservò le due ragazze sedute l’una di fronte all'altra, mangiando e parlando tra loro a bassa voce.
Quasi sospirò mentre teneva il vassoio con il pranzo in mano, dicendomi che era arrivato il momento di decidere una volta per tutte: forse non le faceva molto piacere, ma non aveva poi molto scelta.
Si mosse finalmente in direzione delle due coetanee, sentendosi quasi una stupida... e quella sensazione non le piaceva, proprio per niente.
Quando le raggiunse entrambe di zittirono di colpo, sollevando lo sguardo su di lei quasi con aria incredula, come se fossero certe che avesse bevuto qualcosa di molto forte e che avesse preso una bella botta in testa durante l’allenamento... e invece era perfettamente lucida, anche se stentava a sua volta a credere a quello che stava per fare.
“Ciao, ragazze... posso sedermi?”
Il sopracciglio di Faye s’inarcò notevolmente mentre la ragazzina osservava la coetanea con aria critica, come se stesse valutando se mandarla via o meno... Tonya però sembrava di avviso diverso, rivolgendole un debole sorriso e annusando, accennando alla sedia accanto a lei:
“Certo Africa... siediti pure.”
“Grazie.” La ragazza obbedì, sedendo accanto a Tonya e sistemandosi i lucidi capelli rosa sulla schiena mentre sosteneva lo sguardo scettico di Faye, sapendo a cosa stesse pensando la compagna.
So a cosa stai pensando Faye... e credimi, sono incredula esattamente quanto te.
............................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera! Mi sono messa d’impegno e ho pubblicato prima del solito, contenti? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, non è molto lungo ma è un po’ di transizione... spero che le alleanze del vostro OC vi vadano bene, in caso contrario... vi andranno bene lo stesso :P
Seriamente, spero non mi odierete ma mi devo pur divertire, no? u.u
Domanda per voi in vista del prossimo capitolo, per favore rispondete al più presto: Cosa farà il vostro OC durante la Prova di Valutazione?
Ci sentiamo, alla peggio, nel weekend con il prossimo capitolo, ma spero prima!
Signorina Granger
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Capitolo 9 *** Prova di Valutazione ***
Capitolo
6: Prova di
Valutazione
“Nervoso?”
“No. So che
andrà
bene.”
Black si strinse
nelle spalle, tenendo lo sguardo puntato sul pavimento grigio della
“sala
d’aspetto” e le mani giunte con le dita intrecciate
tra loro, appoggiate sulle
ginocchia.
In realtà
lo
sentiva, un po’ di nervosismo… ma di certo non
l’avrebbe mai ammesso. Caius,
seduto accanto a lui, sembrò intuirlo ma non disse nulla,
tacendo e chiedendosi
mentalmente che cosa stesse facendo Kalem dentro la palestra, oltre la
porta
chiusa davanti a loro: glie l’aveva chiesto quella mattina,
quando era sceso
insieme a Sean… Ma il ragazzo non si era esposto, sostenendo
che preferiva non
farne cenno finché non fosse tutto finito.
Non aveva insistito
oltre, ma si chiedeva sinceramente che cosa stesse facendo e come
l’avrebbero
preso i Giudici: infondo conosceva tutte le dicerie che giravano su
quel
ragazzo, anche se non ne aveva mai avuta conferma da nessuno.
Caius sentì
Black sbuffare
sommessamente e intuì che stesse chiedendo mentalmente a
Kalem di fare in
fretta: stavano andando in ordine di età, quindi Kalem era
stato chiamato
dentro per primo… e Black non vedeva l’ora che
anche quella fase avesse fine,
anche se il peggio doveva ovviamente ancora venire.
Dal canto suo
Caius incrociò le braccia al petto, stendendo le gambe e
lanciando un’occhiata
a Julian ed Aaron, seduti vicini su una panca a poca distanza da lui e
Black:
stavano parlottando a bassa voce, di certo riguardo alla Prova
imminente…
chissà che cosa avrebbero combinato, in quella Palestra
davanti agli Strateghi.
Un po’ come
tutti,
sia Caius che Black si chiedevano che strategie avrebbero adottato i
loro compagni/avversari:
nelle edizioni precedenti i Tributi o si fingevano più
innocui di quanto in
realtà non fossero, come nel caso di Joanna Mason, oppure
sfoggiavano le loro
capacità fin da subito, beccandosi un voto alto e attirando
così l’attenzione
degli sponsor, come aveva fatto Katniss Everdeen e molti altri prima di
lei.
Considerando che,
come sempre, partivano prima dai ragazzi dopo Kalem sarebbe stato il
turno di
Sean… Caius spostò lo sguardo dai fratelli
Bradshaw sul ragazzo in questione,
che era seduto accanto a Wilhelm Grace. Sembrava piuttosto rilassato,
in
effetti… quasi quanto lui, segno che aveva una chiara idea
di cosa fare una
volta davanti agli Strateghi.
Quando Kalem
uscì
dalla palestra Sean si alzò senza battere ciglio, rivolgendo
un lieve sorriso
in direzione di Astrid e Amanda mentre Wilhelm gli faceva un augurio a
bassa
voce.
Black alzò
finalmente lo sguardo dal pavimento sentendo la porta aprirsi, puntando
subito
gli occhi su Kalem quasi con aria interrogativa, come a volergli
chiedere spiegazioni…
Ma il ragazzo non disse nulla, limitandosi a rivolgere un sorriso
enigmatico a
lui e a Caius prima di tirare dritto, uscendo dalla stanza quasi non
nonchalance senza preoccuparsi di nessuno, tornando di sopra come se
avesse
appena preso una tazza di the insieme agli Strateghi.
“Chissà
che
accidenti ha combinato…”
“Mi
piacerebbe
saperlo. Ma dubito che si sia finto innocuo apposta, non è
tipo da non volere l’attenzione
degli sponsor.”
“Suppongo
che ne
avremo la certezza solo questa sera, quando mostreranno i
voti…”
Black si strinse nelle spalle, osservando
Sean prendere il posto di Kalem ed entrare nella palestra e ripensando
alle
parole di Kalem su di lui, sostenendo che non era da
sottovalutare… era curioso
di sapere cosa avrebbe fatto e che valutazione avrebbe ricevuto, ma
sfortunatamente non aveva alcun modo di imbucarsi nella palestra e dare
una
sbirciata alla sua Prova.
Poco male…
avrebbe
avuto tutto il tempo di vederlo all’opera una volta
nell’Arena, infondo.
*
“Buona
fortuna.”
Brittany le rivolse un sorriso
incoraggiante e Rubinia ricambiò mentre si alzava,
avvicinandosi alla porta
della palestra da dove era appena uscito Sean. Il ragazzo le
passò accanto
senza battere ciglio o lasciando che qualche emozione particolare
trasparisse
dal suo volto… per un attimo la ragazza si chiese
com’era andato, ma non si
fermò certo a domandarglielo e tirò dritto,
entrando nell’enorme stanza
respirando profondamente.
Quasi non aveva
dormito, la notte precedente… aveva pensato e ripensato a
cosa fare,
consultandosi più volte con Brittany anche a cena.
Era consapevole
che avrebbe potuto fare altro, ma alla fine si era decisa… e
se da una parte si
sentiva quasi elettrizzata di fronte a quell’idea,
dall’altra era leggermente
nervosa: e se l’avessero presa male?
“Rubinia
Flaemus…
prego.”
Rubinia
alzò lo
sguardo, puntando gli occhi dritti sulla fonte della voce…
Plutarch Haevensbee
stava ricambiando il suo sguardo, ma non disse altro e rimase in
silenzio ad
osservarla, così come tutti i suoi
“colleghi”.
Osservandolo
provò
quasi disgusto per quelle persone, che avevano passato anni ed anni a
dare il
tormento, a torturare dei ragazzi dentro una gabbia… quasi
come delle cavie da
laboratorio.
Ma poi si
riscosse, ricordandosi che non doveva poi prendersela con
loro… certo, entro
pochi giorni avrebbero torturato lei, ma infondo non era stata una LORO
scelta.
La colpa era di
qualcun altro, Rubinia lo sapeva. Esattamente come tutti i presenti in
quella
stanza.
Senza indugiare
oltre Rubinia punto lo sguardo dritto davanti a se per poi partire
quasi a
passo di marcia, consapevole di avere i minuti contati e non volendo
sembrare
insicura… perché non lo era, neanche un
po’.
La ragazza si
avvicinò ai bianchi, quasi inquietanti manichini snodabili
che venivano usati
durante l’Addestramento dai Tributi in vari modi, dai
coltelli da lancio, al
tiro con l’arco, alla spada.
Rubinia lo prese e
se lo trascinò dietro senza tante cerimonie, cambiando
direzione e puntando
dritto allo stand sulla mimetizzazione, che non aveva praticamente mai
considerato nei giorni precedenti.
Senza
indugiare appoggiò il busto del manichino sul tavolo,
infilando contemporaneamente
una mano in una ciotola contenente una strana poltiglia rossa, ricavata
da
chissà quali bacche. Sentendo lo sguardo degli Strateghi su
di sé Rubinia
appoggiò un dito sul petto candido nel manichino, iniziando
frettolosamente a
scrivere sulla superficie liscissima e lucida.
Era certa che gli
Strateghi
si stessero chiedendo che cosa stesse scrivendo, visto che il copro
della
ragazza copriva loro la visuale del manichino… e quasi
sorridendo Rubinia
scostò il manichino dal ripiano del tavolo, trascinandoselo
dietro tenendolo
per un braccio mentre si avvicinava ad una terza area della
palestra… quella dedita
alle armi da fuoco.
Piantò il
manichino nel bel mezzo del poligono, accertandosi che stesse in
equilibrio prima
di girare sui tacchi e avvicinarsi alla parete dove erano state appese
tutte le
armi da fuoco, dalle semplici pistole ai fucili.
Senza indugiare
Rubinia prese quella con cui si era allenata nei giorni credenti,
trovandola
già carica mentre si avvicinava di nuovo al poligono,
fermandosi ad una decina
di metri dal manichino.
Tenendo
l’impugnatura
con entrambe le mani alzò le braccia, puntando
l’arma dritta contro il petto
del manichino, dove la scritta Katniss Everdeen scintillava quasi in
mezzo alla
penombra della palestra.
Lo sparo
echeggiò
nella stanza e Rubinia fu certa che l’avessero sentito anche
i suoi compagni,
oltre la porta chiusa… sorrise, abbassando la pistola mentre
guardava il foro
del proiettile in pieno petto del manichino, quasi
all’altezza del cuore.
Girando sui tacchi
Rubinia si rivolse alla tribuna dove avevano preso posto gli Strateghi,
sfoggiando un lieve sorriso e facendo una mezza riverenza con
l’arma ancora in
mano prima di lasciarla con noncuranza su un tavolino, uscendo dalla
stanza
senza congedo.
Nel seguirla con
lo sguardo però Plutarch non trattenne un sorrisetto,
esattamente come aveva
fatto un anno prima… di certo Rubinia non aveva idea che la
persona contro la quale
andava il suo messaggio aveva praticamente fatto la stessa cosa, alla
sua
Prova.
Quando si dice che
la sorte è ironica…
*
“Allora?
Com’è
andata? Si sono scandalizzati parecchio?”
Brittany inarcò un sopracciglio, parlando con
tono impaziente mentre
Rubinia le si avvicinava, senza trattenere un lieve sorriso soddisfatto:
“Non lo so,
me ne
sono andata prima che potessero dire qualcosa… Ma credo che
si ricorderanno di
me, nel bene o nel male.”
“Questo
è sicuro,
non ne dubito! Tra poco toccherà anche a me…
speriamo vada tutto bene, sono un
po’ nervosa.”
“Rilassati
Britt,
non può andare tanto male… Io torno di sopra,
quando hai fatto raggiungimi,
così mi racconterai com’è
andata.”
Rubinia le rivolse
un sorriso, dandole una leggera pacca sulla spalle prima di superare la
ragazza, rivolgendo anche un cenno di saluto in direzione di April
prima di
uscire dalla stanza quasi saltellando, sentendosi improvvisamente molto
fiera
di se stessa mentre Aaron veniva chiamato a sua volta nella Palestra.
Nel frattempo,
esattamente come Brittany, anche un’altra ragazza non
sembrava per nulla
tranquilla di fronte alla Prova imminente… Astrid teneva le
gambe accavallate, facendo
dondolare nervosamente un piede mentre continuava a torturarsi le dita
pallide,
gli occhi azzurri fissi sul pavimento.
Quando una mano
più olivastra e decisamente più calda si
posò sulle sue mani Astrid smise improvvisamente
di far dondolare una gamba, alzando lo sguardo di scatto e trovandosi
così
davanti a Sean.
“Ah, sei
tu… ciao.
Come mai ancora qui?”
Astrid si sforzò
di sorridere mentre lui si strinse nelle spalle con noncuranza,
dividendole le
mani per impedirle di continuare a tormentarsele:
“Preferisco
stare
qui, invece che di sopra con Kalem… Lo sai, quel ragazzi mi
mette a disagio.”
“Non sei
l’unico.
Allora, com’è andata la tua Prova? Ti sei messo a
lanciare pesi da una parte
all’altra della Palestra?”
Astrid sorrise
appena, immaginandosi la scena e facendo sorridere di rimando anche
lui, che
annuì:
“In un certo
senso. Abbastanza bene, o almeno lo spero… sai
già che cosa farai?”
“Si…
credo. Non
vedo l’ora che sia finita.”
Astrid
sospirò con aria cupa, nervosa all’idea di
trovarsi da sola con degli estranei
che dovevano giudicarla… era come dover sostenere un esame a
scuola, solo mille
volte peggio.
Sean
sfoggiò un
sorrisetto, quasi divertito dalle parole della compagna mentre le
scaldava una
mano tra le sue: in realtà il peggio doveva ancora
arrivare… ma non gli sembrò
il caso di farlo notare e decise di stare zitto, ritrovando una
sensibilità che
ogni tanto tornava a farsi viva dentro di lui, famoso per il suo freddo
sarcasmo.
In effetti, con
Astrid gli risultava molto difficile essere tagliente…
quella ragazza era
davvero troppo gentile per poterlo fare.
“Tranquilla,
almeno non se l’ultima… sarebbe stata una brutta
agonia. Credo che trovarsi
circa nel mezzo sia decisamente la cosa migliore, non
preoccuparti.”
Astrid
annuì,
ringraziandolo con lo sguardo mentre le rivolgeva un lieve sorriso,
facendo
scivolare le mani dalle sue mentre Aaron usciva dalla palestra con
un’espressione
quasi soddisfatta dipinta in volto, sorridendo al fratello prima di
uscire
dalla stanza senza curarsi minimamente di nessun altro.
“Posso
chiederti
una cosa?”
Astrid inarcò un
sopracciglio, guardando il ragazzo con attenzione mentre Caius si
alzava,
chiamato per essere esaminato.
“Certo.”
“Come mai
sei
gentile con me?”
“Non dovrei
esserlo?” Sean
inarcò un sopracciglio
mentre si metteva a cavalcioni della fredda panca di metallo grigio,
osservandola come se non capisse il perché di quella domanda
insolita.
Astrid si strinse
debolmente nelle spalle, abbassando lo sguardo mentre gli occhi verdi
di Sean
la scrutavano:
“Non lo
so… Non ci
conoscevamo prima, se non di vista… ma non sei mai stato un
tipo molto
socievole, vero?”
“In effetti
no,
non attacco bottone con chiunque… ma tu sei stata carina con
me fin da subito,
anche se non mi conoscevi e anche se siamo… qui.
Perché non dovrei essere
gentile con te, visto che tu lo sei stata con me? Sei una persona che
ispira
fiducia, Astrid.”
Parlò come
se
fosse una cosa quasi ovvia e Astrid per un attimo tacque, osservandolo
come a
voler capire se fosse sincero o meno… dopo un attimo di
esitazione però annuì,
sforzandosi di sorridere:
“Ok…
scusami. E’
solo che… beh, come hai detto tu, siamo qui.”
“Tranquilla,
non
importa… lo capisco, è normale essere un
po’ diffidenti in una situazione come
questa.”
Sean si strinse
nelle spalle e Astrid fu sollevata nel vedere che non sembrava essersi
offeso…
ma aveva avuto quella domanda in testa per un po’, e aveva
voluto chiederglielo
per sentirsi più sicura.
Nonostante il
contesto, poteva dire di fidarsi di Sean… ma qualcosa le
diceva comunque che
era meglio starci un po’ alla larga, non tanto
perché lo riteneva
doppiogiochista o calcolatore, ma perché non era decisamente
il caso di
affezionarsi troppo a qualcuno che avrebbe perso in ogni caso, in un
modo o
nell’altro.
La prospettiva di
dover, magari, vedere morire Amanda era già abbastanza
deprimente.
*
“Ok, tocca a
me…”
Wilhelm sospirò mentre si alzava, visibilmente nervoso
nonostante non avesse
fatto altro che ripetersi di stare tranquillo da quando si era
svegliato.
“Buona
fortuna…
andrai benissimo.”
Carly gli sfiorò la
mano, sorridendogli calorosamente nell’intuire il disagio del
fratello. Wilhelm
abbassò lo sguardo su di lei e si sforzò di
ricambiare, mentre David, seduto a
destra del ragazzo, gli sorrideva quasi allegramente dandogli una pacca
sulla
spalla, come a volerlo incoraggiare:
“Suvvia
Will, ne
abbiamo passate di peggiori rispetto ad una Prova!”
Nonostante il
nervosismo
Wilhelm non potè che dargli ragione, sorridendo al ragazzino
con gratitudine
prima di avvicinarsi alla porta della palestra. Carly invece si rivolse
a
David, guardandolo con un sopracciglio inarcato come a volergli
chiedere a cosa
si stesse riferendo:
“Di certo
vivere
in strada richiede sfide peggiori di questa, Carly… credimi,
non è una
passeggiata.”
“Lo so, lo
immagino.”
La bionda annuì, abbassando
lo sguardo sentendosi quasi in colpa: sapeva che era stata sua madre a
mandare
via di casa Wilhelm, che non era stata colpa sua infondo e che quando
era
successo era una bambina di soli 9 anni… ma forse avrebbe
dovuto cercare di
farla ragionare di più.
E poi, continuava
a pensare che il motivo per cui sua madre aveva sbattuto fuori di casa
il
figlio era comunque legato a lei…
“Sai, non ha
mai
voluto dirmelo, neanche una volta. Perché è
finito in strada? All’inizio ho
pensato che non avesse una famiglia come me, ma poi un giorno
nominò una
sorella… perché se n’è
andato di casa?”
David
inarcò un sopracciglio,
guardando la ragazzina con gli occhi scuri pieni di
curiosità: se l’era chiesto
molte volte, ma con il tempo aveva smesso di porre quella domanda al
diretto
interessato, capendo che preferiva di gran lunga non parlarne.
Carly esitò
prima
di rispondere, mordendosi il labbro per una frazione di secondo, mentre
si
stringeva leggermente nelle spalle, sapendo di non poter dire la
verità:
“Mia madre
è…
difficile. Non sono mai andati molto d’accordo e quando mio
padre è morto le
cose sono peggiorate… lei è arrabbiata, lui si
è stancato di quella situazione
e un bel giorno se n’è andato, anche se aveva solo
la mia età.”
Carly chinò
il
capo, sperando di averlo convinto e che David non facesse altre domande
a
riguardo… odiava parlare dell’argomento e cercava
sempre di glissare le domande
di quel tipo.
Il ragazzino la
osservò per un attimo, forse non del tutto
convinto… ma non disse nulla,
sapendo che era di certo un argomento delicato e molto privato. Era
deciso a
capire cosa fosse successo a Wilhelm Grace, la persona più
vicina ad una
famiglia che avesse mai avuto, ma forse non era ancora arrivato il
momento.
*
Uscendo dalla
Palestra Cyrus passò accanto a Black, che viceversa stava
entrando visto che
era finalmente arrivato il suo turno.
La sala
d’attesa
stava ormai iniziando a svuotarsi e Cyrus, dopo aver rivolto un cenno e
un
silenzioso in bocca al lupo a Julian, si avviò per uscire
dalla stanza,
tornando in camera sua volendo stare un po’ da solo.
La Prova di
Valutazione non era andata molto bene, ne era pienamente
consapevole… d’altra
parte però non se ne faceva un dramma, visto che non aveva
dato volontariamente
il massimo.
Entrando in
ascensore Cyrus si appoggiò con la schiena alla parete
fredda della cabina,
sentendo un brivido percogliergli la schiena al contatto con il metallo.
Il moro
appoggiò
anche il capo alla parete e chiuse gli occhi, tenendo le braccia
conserte
mentre continuava a salire in fretta, diretto al suo piano.
Chissà che
cosa
avevano fatto Kalem, Aaron e Caius… e chissà che
cosa stava facendo Black
proprio in quel momento. I primi tre non si erano fermati a scambiare
qualche
parola con nessuno, lasciando la stanza non appena terminata la loro
Prova… era
molto curioso in effetti, si chiedeva che cosa avrebbero preso e non
vedeva l’ora
che arrivasse quella sera, per poter guardare i voti.
Dal canto suo, aveva
deciso di adottare la tecnica sfruttata da decine di altri Tributi
prima di lui…
quasi sorrise nel ricordarsi della leggendaria Joanna Mason, che al
tempo era
stata una dei suoi Vincitori preferiti… l’aveva
sempre trovata forte e fantastica,
in effetti era quasi triste pensare che lei aveva votato positivamente
per la
pagliacciata in cui era finito invischiato.
Durante la Prova
si era “destreggiato” con i coltelli da lancio,
anche se non aveva propriamente
brillato… poco male, non gli importava molto: se non altro,
i suoi stessi
compagni non l’avrebbero visto come una forte minaccia e non
se la sarebbero
presa con lui.
No, aveva deciso
di lasciare quel privilegio a Caius, Aaron o Black… non
vedeva proprio l’ora di
vedere i loro voti e chiedergli, il giorno successivo, che cosa avevano
fatto
nelle loro Prove.
*
Black sorrise,
guardando con cipiglio soddisfatto il coltello da lancio perfettamente
piantato
al centro della testa del manichino.
Aveva sempre avuto
una buonissima mira, e aveva imparato in fretta a lanciare i
coltelli… non
aveva mai gongolato durante i giorni di Addestramento, impegnandosi
parecchio:
finalmente, ecco i risultati che emergevano.
Il ragazzo si
voltò, alzando lo sguardo sulla tribuna occupata dagli
Strateghi, guardandoli
quasi in attesa che lo congedassero: sorrise nel vederli parlottare
debolmente
tra di loro, accennando alla processione di manichini infilzati dai
coltelli
del ragazzi in punti sempre diversi e più difficili, fino ad
arrivare alla
testa dell’ultimo.
“Posso
andare?”
La voce di Black
quasi echeggiò nella palestra praticamente deserta, mentre
Plutarch si voltava
di nuovo verso di lui, annuendo con fare sbrigativo dopo aver esitato
per un
attimo:
“Si, vai
pure.”
Black rivolse agli
Strateghi un ultimo sorrisetto divertito prima di girare suoi tacchi,
avviandosi
quasi baldanzosamente verso ka porta della Palestra: aveva avuto un
po’ di
ansia, in effetti… ma alla fine era andata per il meglio e
si sentiva molto più
leggero di quando era entrato, solo meno di dieci minuti prima.
Aprì la
porta
della palestra quasi con un sorriso stampato in faccia, non fermandosi
a
parlare o a guardare nessuno prima di raggiungere l’uscita
della stanza e gli
ascensori, non vedendo l’ora di tornare in camera sua e
confrontarsi con Caius
sulle rispettive Prove.
Era l’ultimo
tra i
ragazzi, della sua età, ora il turno era delle
ragazze… Scorse una ragazza
bionda, Amanda, alzarsi dalla panca e avvicinarsi alla porta della
Palestra con
aria per niente rilassata, mentre la sala d’attesa si era
praticamente
dimezzata.
Il ragazzo raggiunse
gli ascensori in fretta, non vedendo assolutamente l’ora di
scoprire cosa aveva
preso, ma soprattutto cosa avevano preso i suoi compagni,
nonché futuri
avversari… Gli era sempre piaciuto vincere ed essere
migliore degli altri in
qualcosa, quindi sperava davvero di aver preso un voto abbastanza alto.
*
“Tra non
molto
toccherà a noi… prima ero tranquilla, ma man mano
che il mio turno si avvicina,
sono sempre più nervosa.”
Tonya
sbuffò,
facendo dondolare nervosamente le gambe mentre osservava Amanda uscire
dalla
Palestra, cedendo il “testimone” ad una Brittany
visibilmente agitata.
Amanda rivolse un
sorriso in direzione di Astrid prima di uscire dalla stanza,
visibilmente
sollevata di aver portato a termine anche quella fase.
Faye, che teneva
le braccia conserte, fece vagare lo sguardo sulle persone che erano
ancora
sedute intorno a lei, notando che erano rimaste soprattutto ragazze,
contatto
anche Brittany che era appena entrata in Palestra: ad aspettare
c’erano ancora
lei, Tonya, Africa, Astrid, April, Erica e Carly… gli unici
ragazzi rimasti
erano Julian, Louis e David.
“E’
normale, ma
sono certa che quando sarai dentro, l’ansia
passerà… è sempre
così.”
Faye si strinse nelle spalle, quasi come a
voler sdrammatizzare e allentare la tensione nella compagna: in
realtà nemmeno
lei era poi così tranquilla, ma non teneva a darlo a
vedere… e poi, di certo mostrarsi
nervosa avrebbe solo peggiorato il nervosismo di Tonya.
“Beh, spero
davvero
che tu abbia ragione. Non vedo l’ora che anche questa sia
finita, dico davvero.”
“Beh, domani
sera
ci saranno le Interviste… da una parte credo che quelle
saranno peggiori.”
Faye inarcò
un
sopracciglio, chiedendosi a come sarebbe stato trovarsi sul palco,
sotto i riflettori
e gli occhi di tutta Capitol con addosso un abito
sfavillante… mentre tutti i
Distretti l’osservavano quasi con disprezzo.
Tecnicamente, in
quel caso nessuna li avrebbe giudicati… ma in
realtà l’impressione che
avrebbero dato il giorno dopo sarebbe stata decisamente più
decisiva della
Prova di Valutazione che stavano affrontando in quel momento.
Tonya annuì
alle
sue parole, già poco entusiasta all’idea di dover
parlare davanti a tutti
quegli occhi:
“Lo penso
anche io…
ci sarà ancora Caesar, secondo te?”
“Non lo so,
ma
penso di sì… personalmente lo spero, mi
è sempre stato simpatico.”
Faye si strinse
nelle spalle, ricordando quasi con divertimento le innumerevoli
Interviste che
aveva visto in tv, quando sua madre andava invece a vederle dal vivo ma
la lasciava
a casa perché troppo piccola.
Si era sempre
chiesta come fosse indossare uno di quei vestiti splendidi e parlare
con Caesar
davanti a tutti… in fin dei conti, stava per scoprirlo.
E qualcosa le
diceva che i Capitolini non fossero poi molto cambiati,
infondo… era
assolutamente certa che Capitol fosse piena di scommettitori che
puntavano sul
colore scelto da Caesar per tingersi quell’anno, come
accadeva sempre.
*
Uscendo dalla
Palestra, Brittany tirò quasi un sospiro di
sollievo… non era certa che fosse
andata egregiamente, ma almeno era finita.
Quando Astrid le passò accanto le rivolse un
debole sorriso, quasi ad
volerle augurare silenziosamente un buona fortuna prima di avvicinarsi
all’uscita.
“Com’è
andata?” Una
voce familiare la bloccò, facendola
voltare istintivamente verso la sua fonte: Brittany si
ritrovò davanti April,
che era seduta e la guardava con gli occhi pieni di
curiosità:
“Non
saprei… bene,
spero. Ho sfruttato quello che abbiamo provato ed imparato durante
l’Addestramento,
tecniche di sopravvivenza ecc… spero davvero che sia
bastato.”
“Immagino
che lo
scoprirai stasera… beata te che hai finito, tra poco
toccherà a me…”
April sbuffò, lanciando alla porta ormai
chiusa della Palestra un’occhiata cupa: aveva quasi la mezza
tentazione di
alzarsi e darsela a gambe, in effetti… dopo Astrid sarebbe
toccato a Julian e
poi sarebbe arrivato anche il suo turno.
“Se sono
sopravvissuta
io, lo farai anche tu… piuttosto non vedo l’ora di
sapere che voto hanno dato a
Rubinia, considerando la sua scelta audace. Anzi, vado da lei,
così le chiedo
se hanno reagito e come… buona fortuna, ci vediamo domani
sera!”
Brittany rivolse ad April un sorriso
incoraggiante, dandole una leggera pacca su una spalla prima di
avviarsi verso
l’uscita, desiderosa di tornare finalmente in camera sua e
poter parlare un po’
con Rubinia.
April invece
sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli
viola e sperando che la
compagna avesse ragione… la cosa peggiore era che non aveva
idea di come
avrebbe reagito all’Arena, se per la Prova di Valutazione era
nervosa.
*
Africa spense la
tv, tornando a stendersi completamente sul grande e morbido letto.
Fissò lo
sguardo sul soffitto bianco della stanza, riflettendo sulla lunga
successione
di voti a cui aveva appena assistito…
La mano della
ragazza andò ad afferrare un foglio appoggiato accanto a lei
sul copriletto,
sollevandolo per leggere quanto aveva precedentemente scritto: si era
annotata
tutti i voti e rileggendoli aveva potuto constatare che fossero
abbastanza
nella media…. Pochi avevano preso voti veramente molto alti,
e viceversa a
nessuno era andata in modo disastroso, anche se Cyrus Dennim se
n’era uscito
con un semplice 6.
Gli unici ad aver
preso voti effettivamente alti erano stati Black Hole, con un 11,
Rubinia
Flaemus con un 10, Aaron Bradshaw che aveva preso il medesimo voto e
Sean Thorn
con un 9… Caius Gold aveva preso 8, così come
Kalem Schweinson, Astrid Walsh e
lei stessa.
Quindi erano
quelli, da cui si doveva guardare… a meno che non ci fosse
qualcuno che si
fosse penalizzato di proposito, certo.
Africa
sospirò,
collegando con disappunto che molti tra quelli che avevano preso buoni
voti
erano alleati insieme… Aaron Bradshaw, Caius Gold, Black
Hole e Kalem
Schweinson.
Ad averla stupita
di più era, in effetti, Rubinia: si chiedeva che cosa mai
avesse fatto di tanto
straordinario per prendere un voto simile… non era stata
male nell’Addestramento,
ma non a quel livello.
Chissà che
cosa
aveva fatto, esattamente come gli altri… Probabilmente
Astrid si era
arrampicata a destra e a sinistra, visto quanto era agile, ma davvero
non aveva
idea di cosa aveva potuto mostrare Rubinia.
Mettitela via
Fify, probabilmente non lo saprai mai.
........................................................................................................................
Angolo
Autrice:
Salve a
tutti! Ed eccoci anche alla Prova di Valutazione... grazie mille a chi
mi ha mandato le informazioni e, come sempre, per le recensioni.
Questo
capitolo è uscito un po' più lungo rispetto al
solito, spero che non vi dispiaccia.
Nel
prossimo ci sarà ovviamente la Sfilata, ergo: se volete
potete mandarmi la descrizione o il link di un vestito particolare,
altrimenti mi arrangerò io... Mi servirebbe però
che mi diceste di che cosa potrebbe parlare il vostro OC, durante
l'Intervista.
Vi auguro
una buona Domenica, ci sentiamo al massimo nel prossimo finesettimana
con il seguito!
Signorina Granger
|
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Capitolo 10 *** Le Interviste ***
Capitolo 6: Le Interviste
Astrid era in piedi davanti allo specchio da neanche sapeva quanto tempo: dieci minuti, mezz'ora? Di certo però non era ancora ora di scendere, visto che nessuno era andato a chiamarla.
Nella stanza accanto, Amanda si stava preparando a sua volta... lei invece era già pronta, o almeno esteticamente: psicologicamente, non si sentiva pronta neanche un po’.
Sospirò debolmente, sfiorando con le dita la gonna del vestito mentre continuava a guardare il suo riflesso con cipiglio quasi cupo: era quasi triste pensare che solo un mese prima sarebbe andata a qualche festa, se agghindata in quel modo... ora invece sarebbe apparsa a Capitol forse per l'ultima volta, e non era una prospettiva molto gradevole.
Un lieve sorriso le increspò le labbra, pensando a quello che avrebbe detto sua sorella vedendola così: probabilmente le avrebbe sorriso, tirandole la gonna del vestito e dicendole che sembrava una principessa... aveva sentito Rebecca dire di non vedere l'ora di diventare una “ragazza grande per mettere i bei vestiti” milioni di volte. Gli occhi azzurri di Astrid si appannarono di lacrime, consapevole che purtroppo sua sorella non aveva avuto l'occasione di crescere.
La ragazza deglutì, cacciando in fretta le lacrime per evitare di rovinarsi il trucco: il suo staff aveva fatto un bellissimo lavoro e non se la sentiva proprio di rovinarlo.
Lanciandosi un’ultima occhiata, ai capelli intrecciati sulla nuca e tenuti su con una tiara d’argento fatta di fili intrecciati e al lungo vestito grigio senza spalline, Astrid quasi sbuffò, voltandosi per uscire finalmente da quella stanza: non le sarebbe dispiaciuto buttarsi dentro quello specchio e sparire per sempre, ma sfortunatamente non poteva scappare da quella situazione.
*
“Ma perché hanno inventato questa cosa? È così stupida...”
“Non mi dispiaceva guardare le Interviste in TV... ma non muoio dalla voglia di prenderne parte, se devo essere sincera.”
Tonya sbuffò debolmente, tormentandosi nervosamente le mani mentre Faye imprecava a bassa voce contro i suoi capelli, cercando di tenere a bada una ciocca di capelli che non ne voleva sapere di stare al suo posto.
“Se non altro Caesar fa bene il suo lavoro... è molto bravo.”
Faye sorrise, facendo un mezzo giro su se stessa per guardare Tonya, che era già pronta e stava aspettando che anche lei finisse di sistemarsi prima di scendere.
“Già... magra consolazione. Probabilmente farò una delle mie figuracce.” Tonya inarcò un sopracciglio, ipotizzando quale gaffe avrebbe potuto fare quella sera mentre invece Faye sorrideva, avvicinandosi alla compagna con la gonna lunga del vestito color Tiffany che le svolazzava intorno alla gambe:
“Pensa positivo... se parti così, di certo farai davvero una figuraccia. Andiamo, siamo Capitoline... questo dovrebbe essere il nostro pane quotidiano, è così che ci vedono gli altri.”
“Questo non vuol dire che sia vero... i Distretti pensano che siamo fatti con lo stampino, ma si sbagliano: io non sono per nulla a mio agio, in queste situazioni.”
Tonya piegò le labbra in una smorfia mene usciva dalla stanza in compagnia di Faye, che annuì con aria quasi cupa: non era mai andato giù neanche a lei, che li ritenessero tutti dei perfetti idioti senza cervello con solo le feste in testa. Probabilmente c'erano moltissime persone così nella città, ma non voleva necessariamente dire che fossero tutti uguali.
“Lo so, non hanno una considerazione molto alta dei Capitolini... ma chissà, forse questi giochi sono un modo per far cambiare idea ai Distretti, non credi? E in un certo senso è giusto che abbiano la loro rivincita dopo 75 anni di stragi... solo non dovevano mettere in mezzo noi.”
Una volta in ascensore le due incontrarono anche Rubinia e Brittany: la prima piuttosto pensierosa, come se stesse già programmando cosa dire... Brittany sembrava invece piuttosto rilassata, tanto che rivolse un sorriso alle due compagne quando entrarono nella piccola cabina di metallo.
“Ciao... menomale, pensavamo di essere le ultime.” Le labbra di Brittany si distesero in un sorriso quasi sollevato nel vedere le due, lisciandosi con una mano la gonna nera del vestito corto che indossava. Rubinia invece era vestita allo stesso modo della Cerimonia di Apertura, i capelli rossi sciolti sulle spalle e la tunica nera drappeggiata da fiamme che sembravano quasi vive in contrasto con i suoi capelli.
“Oh no, grazie ai miei capelli anche noi ci abbiamo messo un po’.” Faye sorrise, sembrando quasi un raggio di sole con il suo vestito azzurro in mezzo a Brittany e Rubinia, entrambe in nero.
“Spero solo che non comincino per ordine di età come l'altra volta... non vorrei essere la prima, in genere durante le Interviste partono con le ragazze.”
Le labbra di Rubinia si piegarono in una smorfia, per nulla entusiasta all'idea di dover “aprire le danze”: Caesar le era sempre piaciuto, fin da bambina.. ma non moriva comunque dalla voglia di essere la prima a finire sotto i riflettori.
“Già... magari però cominceranno con i più piccoli, non possiamo saperlo.” Brittany si strinse nelle spalle con noncuranza, non ponendosi il problema visto che lei sarebbe stata comunque verso la metà in ogni caso.
Rubinia sospirò come se sperasse che la compagna avesse ragione, pensando al contempo a sua madre, esattamente come Faye pensava ai suoi fratelli minori.. chissà come avrebbe reagito, a casa, la piccola e adorabile Hope nel vedere la sorella maggiore in TV per l'ultima volta prima del massacro. Sperava fortemente che il patrigno avrebbe avuto il buonsenso di non farle vedere i Giochi, anche se probabilmente Elih avrebbe insistito: quel ragazzino era più testardo di un mulo e nessuno lo sapeva più di lei, anche se lo adorava comunque.
“Di sicuro i Distretti gongoleranno, questa sera... si stanno finalmente prendendo la loro tanto agognata rivincita. Probabilmente guarderanno i Giochi per la prima volta con vero interesse, quest’anno.”
“Decisamente... muoiono dalla voglia di vedere i nostri genitori disperati, probabilmente.”
Rubinia piegò le labbra in una smorfia, evitando di pensare a sua madre in lacrime nel vederla morire in diretta televisiva: non sopportava proprio l'idea di lasciarla sola, non con suo padre chiuso in carcere.
“Io spero solo che non ci siano i genitori di nessuno di noi tra il pubblico... sarebbe ancora più brutto.”
Il tono cupo di Faye fece sorridere Brittany quasi amaramente, anche se non disse nulla e preferì rimanere in silenzio mentre l’ascensore si fermava e le porte di metallo finalmente si aprivano: se non altro, lei non correva quel rischio, esattamente come Tonya.
*
Benché ci stesse provando, Sean proprio non riusciva a stare fermo: non era stato molto agitato per la Prova di Valutazione, il giorno prima... e nemmeno per al Sfilata. Quella sera invece era praticamente un fascio di nervi, per niente a suo agio nell’elegante e di certo costosissimo completo che indossava.
Il ragazzo si passò nervosamente una mano tra i capelli color grano che erano stati pettinati sotto il volere della sua Stilista... peccato che lui non avesse alcuna intenzione di vederli ordinati.
Il ragazzo si guardò intorno, seduto su una delle sedie disposte a ferro di cavallo nell’anticamera del palcoscenico. Wilhelm era seduto accanto a David ed entrambi non sembravano molto a loro agio: probabilmente nessuno di loro aveva molta voglia di parlare della propria famiglia. Sapeva che David fosse orfano, mentre Wilhelm... sapeva che aveva visto gli ultimi anni fuori casa da dopo la morte del padre, ma non sapeva altro. In effetti, le circostanze della morte dell'uomo erano sempre rimaste abbastanza misteriose per tutta Capitol.
In particolare, David non sembrava molto a suo agio nello Smoking che indossa ma continuando infatti s torturarsi il papillon nero come se morisse dalla voglia di strapparselo e correre a nascondersi da qualche parte.
Decisamente a proprio agio sembrava invece Kalem, ancora più impossibile da non notare con addosso un completo bianco che risaltava i suoi capelli, occhi e pelle chiarissimi. Il ragazzo era comodamente seduto con le gambe accavallate, sistemandosi le maniche della camicia nera e lucida sotto la giacca candida, abbinata al fazzoletto nero nel taschino.
Sean non indossava spesso abiti di quel tipo, e quasi sorrise nel pensare alla sorellina che l'avrebbe di certo guardato da casa... riusciva perfettamente ad immaginarsela, seduta sul divano dei vicini con il suo enorme orsetto Buddy stretto tra le braccia, strillando il suo nome non appena l'avrebbe visto salire sul palco.
Il ragazzo sperava ardentemente di non essere il primo s dover parlare davanti a tutti mente si sistemava con lieve nervosismo le maniche della camicia bianca sotto alla giacca lucida color cobalto: odiava ammetterlo, ma con la camicia, il gilet e il papillon bianco sotto al completo blu si sentiva orribilmente una specie di Principe Azzurro.
E la cosa non gli piaceva neanche un po’, anche se di certo Emma avrebbe apprezzato parecchio.
Mentre valutava seriamente l’ipotesi di svenire apposta per non dover parlare, nella stanza sbucarono finalmente anche alcune tra le ragazze, che fino a quel momento non si erano ancora fatte vedere: Faye, Tonya, Brittany e Rubinia presero posto vicine senza fermarsi a salutare nessuno, probabilmente troppo impegnate a pensare alle Interviste imminenti per preoccuparsi di altro. Poco dopo spuntarono anche le più giovani Carly ed Erica, la prima con addosso un lungo vestito blu elettrico e la seconda vestita di rosso, i capelli biondi raccolti in una cosa alta. Carly sorrise quasi con aria raggiante nel vedere i fratello maggiore, avvicinandoglisi con una velocità sorprendente per le scarpe alte che indossava e sedendosi accanto a lui. David rivolse alle due un sorriso raggiante e fece per dire qualcosa, ma un’occhiata eloquente di Wilhelm lo costrinse a stare zitto, mente Carly sistemava il colletto della camicia bianca del fratello, abbinata ad un completo blu opaco.
“Alla mamma verrà un infarto, vedendoti così.”
“Che le venga pure, non mi interessa.” Il tono acido del fratello non sorprese minimamente Carly, che gli strinse un braccio mentre appoggiava il capo sulla sua spalla, felice di poter stare insieme a lui dopo anni di separazione.
Certo il contesto non era dei migliori, ma almeno se ne sarebbe andata con la persona che amava di più vicino.
*
“Dici che siamo in ritardo?”
“Non credo... ma se anche fosse non mi interessa,, non saremo di certo noi i primi.”
Caius si strinse nelle spalle, appoggiato al a parete fredda dell’ascensore mente si sistemava distrattamente la giacca color sabbia. Si passò anche una mano tra i capelli castano chiaro, in netto contrasto con Black con i suoi capelli corvini e il completo nero e grigio che indossava.
“Ne dubito, probabilmente cominceranno da Rubinia, Kalem o Thorn come per la Prova... non mi dispiace, non vorrei dover essere io a rompere il ghiaccio.”
“Io non sono nervoso, non può andare male... Flickerman aiuta sempre i Tributi... e io ho come la capacità di piacere alle persone.”
“Caius Gold, tu si che brilli per modestia.”
“Poco ma sicuro, è una delle mie qualità migliori... me lo dice sempre, mia madre.”
Caius sfoggiò un sorrisetto mentre parlava, facendo scuotere il capo del compagno con fare quasi rassegnato mentre le porte si aprivano, permettendo ai due di uscire e di raggiungere i loro compagni.
Senza spicciare parola i due andarono a sedersi accanto a Kalem, che a sua volta non disse nulla ma si limitò a sorridere, con l'aria di chi è perfettamente a proprio agio.
Sia Black che Caius non erano molto nervosi... ma mentre il secondo non aveva alcun problema a parlare della sua famiglia o del suo passato davanti a tutti, Black non moriva dalla voglia di fare una chiacchierata davanti a tutta Panem. Conoscendosi, probabilmente si sarebbe sbilanciato un po’ solo se fosse spuntato l'argomento “famiglia”, parlando di suo fratello.
*
“Tu non sei nervosa?”
“No.” Africa si strinse nelle spalle quasi a voler suggellare le sue parole, mentre insieme ad April scendeva velocemente i piani del Centro di Addestramento per raggiungere il palcoscenico.
Non le dispiaceva l'idea di essere sotto gli occhi di tutti, infondo erano solo pochi minuti... e aveva fatto molte prove nell'arco della giornata. Inoltre, era la prima volta in cui parlava pubblicamente prima dei Giochi: quella sera si sarebbe davvero fatta conoscere, visto che fino a quel momento gli sponsor l'avevano solo vista, oltre a sapere il voto che aveva preso alla Prova, il giorno precedente.
April invece era di avviso diverso: per lo meno si sentiva a suo agio nel vestito nero in stile gotico che indossava... ma si sarebbe volentieri chiusa in camera sua, piuttosto che prendere parte a quella pagliacciata.
E il pensiero che il giorno dopo sarebbe stata nell’Arena, a quell'ora... di certo non l’aiutava.
Quando le porte si aprirono, le due si avvicinarono senza dire nulla ai loro futuri avversari, prendendo posto su due sedie vuote vicine. April rivolse un sorriso in direzione di Brittany e Rubinia, mentre Africa incrocio le braccia al petto e sospirò debolmente, sperando che la sua Intervista andasse bene,
I capelli rosa acceso della ragazzina la mettevano in discreto contrasto con il vestito dalla gonna bianca che indossava, corta e in tulle, decorata con dei ricami di pizzo nero che continuavano anche sul corpetto del vestito.
Sembrava che molti non avessero molta voglia di parlare e gran parte dei Tributi se ne stava in religioso silenzio, lo sguardo vacuo come se stessero pensando ad altro. Molti non riuscivano a stare fermi, continuando a tamburellare le dita o i piedi sul pavimento, tormentandosi le mani e o i capelli nel caso delle ragazze.
Ormai erano scesi quasi tutti, e di certo le Interviste sarebbero cominciate entro pochi minuti... Africa non vedeva l'ora di assistere a quelle dei suoi compagni, giusto per avere l'occasione di conoscerli meglio anche dal punto di vista del loro passato e della loro famiglia... le informazioni potevano sempre rivelarsi in qualche modo utili, nell’Arena.
Un paio di voci femminili attirarono la sua attenzione e la ragazzina si voltò, ritrovandosi a guardare Astrid e Amanda avvicinarsi al gruppo. La prima aveva i capelli raccolti e indossava un bellissimo abito grigio, senza spalline e con molte decorazioni d’argento mentre Amanda aveva i capelli biondi sciolti sulle spalle e indossava un abito nero.
Le due ragazze smisero di parlare quando raggiunsero il gruppo e lo sguardo di Astrid cadde su Sean, riconoscendolo anche se il ragazzo era voltato dall'altra parte mentre ascoltava qualcosa che gli stava dicendo Wilhelm, leggermente sporto verso di lui.
Visto che accanto a lui c'era una sedia vuota Astrid gli si avvicinò quasi senza pensarci, scorgendo distintamente Wilhelm fare un cenno col capo nella sua direzione. Di fronte al gesto Sean si voltò verso di lei, esitando per un attimo mentre la osservava prima di sorriderle debolmente.
Arrossendo leggermente la ragazza abbassò lo sguardo, pregando mentalmente di non inciampare sui tacchi e rotolare per terra: il suo curriculum di figuracce era già abbastanza lungo.
“Ciao.”
Mentre sedeva accanto a lui, facendo attenzione a non rovinare il vestito, Astrid ricambiò il sorriso del ragazzo, salutandolo a bassa voce.
“Ciao, Astrid... ce ne avete messo di tempo. Cominciavano a pensare che ti fossi nascosta da qualche parte.”
“Lo farei molto volentieri... sono sicura che farò una figuraccia.”
“Possibile che tu sia sempre negativa? Un po’ più di sicurezza non ti guasterebbe... E poi sei molto bella, oltre che dolce, di sicuro ti adoreranno.”
Sean le sorrise quasi come a volerla rassicurare e Astrid si ritrovò ad arrossire di nuovo, abbassando lo sguardo mentre mormorava un “grazie”. Si astenne dal dirgli che se avesse sorriso mostrando le fossette di certo lui avrebbe fatto strage di cuori, non lei...
Un boato non indifferente proveniente dal palcoscenico fece drizzare le orecchie a tutti, che tacquero all’istante mentre Caesar faceva la sua comparsa sul palco, salutando il pubblico e Panem in generale. Sembrava che il presentatore non avesse perso il suo solito brio... indossava il suo solito completo scintillante, come se nulla fosse cambiato e quella fosse solo l’ennesima edizione che avrebbe dovuto presentare.
Nessuno si stupì nel vedere i capelli cotonati dell’uomo tinti di un acceso lilla, anche se di certo non era granché come spettacolo.
“È assolutamente orribile. Non capirò mai la moda di Capitol di colorare i capelli in quel modo...”
Sean piegò le labbra in una smorfia quasi orripilata mentre guardava l'immagine dell'uomo nello schermo, parlando a voce bassa affinché solo Astrid potesse sentirlo.
La ragazza accenno invece un sorriso, non dicendo nulla ma trovandosi d'accordo con il ragazzo: lei non si era mai tinta i capelli in vita sua, al contrario di praticamente tutte le sue vecchie compagne di scuola... c'era da chiedersi se Capitol l’avrebbe apprezzata per il suo essere “diversa” o meno.
*
Cyrus inarcò un sopracciglio, gli occhi fissi sullo schermo mentre, a braccia conserte, seguiva l’Intervista di Black Hole.
Durante la prima parte del “colloquio” il ragazzo era rimasto piuttosto sulle due, rispondendo praticamente con monosillabi alle domande di Caesar senza dilungarsi mai troppo... poi però il commentatore aveva intavolato il discorso “famiglia” e allora Cyrus avrebbe giurato di aver visto Black quasi illuminarsi, sorridendo mentre iniziava a parlare del fratello gemello White, a cui era molto legato anche se diversi.
Dal canto suo, Cyrus non aveva parlato molto della sua famiglia... aveva preferito restare sul vago e parlare di Capitol e di cosa ne pensasse dei Giochi, anche se alla fine dell’Intervista aveva rivolto un saluto, forse l’ultimo, alla sua ragazza Brigit.
Triste pensare che forse non l'avrebbe più rivista... e la prospettiva di come lei avrebbe vissuto i giorni successivi era anche peggiore.
Nessuno di loro meritava quello che gli stavano facendo... ma ormai era tardi, sfortunatamente.
Quando Black tornò a sedersi Caius prese il suo posto, dimostrandosi esattamente come sempre: calmo, rilassato, sicuro di se stesso ai limite del sopportabile.
Ormai Cyrus lo conosceva abbastanza da prevedere come si sarebbe comportato durante l’Intervista... era deciso ad accaparrarsi degli sponsor, e grazie anche all’influenza di suo padre di certo non gli sarebbe risultato molto difficile.
Durante i pochi minuti che passò sotto i riflettori, Caius parlò effettivamente parecchio di suo padre, dimostrandosi decisamente più aperto alla conversazione rispetto a Black. Cyrus non aveva mai capito come, ma quel ragazzo sembrava rilassato e sicuro di se stesso in ogni occasione... sotto quel punto di vista, era curioso di vederlo nell’Arena: chissà se avrebbe tenuto la maschera o se l'avrebbe fatta cadere.
*
Tonya quasi sbuffò mentre teneva lo sguardo sullo schermo, seguendo l'intervista di Faye quasi con disappunto: perché lei non riusciva ad essere sciolta?
Il suo turno era arrivato appena prima di Faye, ma a differenza sua non era riuscita a parlare quasi per niente della sua famiglia... non le andava di far sapere a tutto il mondo che nemmeno i suoi genitori l'avevano voluta.
Aveva risposto a monosillabi praticamente per tutto il tempo, ponendosi in netto contrasto con la parlantina pacata e rilassata di Faye o con i sorrisi di Brittany: nemmeno quest'ultima aveva avuto una famiglia... ma se ne soffriva, forse lo dava meno a vedere.
Rubinia si era già conquistata l'amore del pubblico parlando dapprima della sua vita prima della rivolta e poi di sua madre, di come avessero affrontato insieme il periodo post rivolta... e di come intendesse prendere sul serio quella sfida, per dimostrare a Panem di che pasta fossero realmente fatti i Capitolini. Una delle Interviste più seguite era stata senza dubbio quella di April, che non si era posta troppi peli sulla lingua esponendo senza problemi quello che pensava sulla politica che aveva regnato a Panem per anni, e quella di Carly, che aveva parlato di sua madre e del suo rapporto con il fratello... probabilmente molti si erano anche commossi come alla Mietitura, ma al contrario Wilhelm non si era dilungato molto a parlare di come avesse vissuto i precedenti quattro anni e soprattutto perché, glissando leggermente la domanda di Caesar a proposito.
Tonya si riscosse dai suoi pensieri vedendo Faye alzarsi, salutare con un sorriso Caesar mentre il pubblico applaudiva prima di sparire dalla visuale dello schermo, scendendo i pochi gradini che separavano il palcoscenico dalla buia stanza dove si trovavano i Tributi, chi in attesa del proprio turno e chi invece stava semplicemente osservando i compagni parlare, aspettando che anche quella fase dei Giochi avesse fine.
Quando Faye fece la sua comparsa con aria decisamente sollevata Africa si alzò, consapevole che a breve sarebbe stata chiamata da Caesar sul palco...
“Come sono andata?”
“Meglio di me, poco ma sicuro...”
“Non pensarci, l’Intervista è soltanto una prima impressione... l'azione vera e propria verrà una volta nell’Arena, e allora avrai modo di far davvero capire chi sei.”
Tonya annui, sforzandosi di sorridere alle parole di Faye: ovviamente sperava che avesse ragione... ma una parte di lei non poteva che porsi una semplice domanda: avrebbe avuto modo di farsi conoscere durante i Giochi, o non sarebbe durata abbastanza da poterlo fare?
*
Africa si lasciò cadere sul letto, fissando lo sguardo sul soffitto.
Era certa che quella notte avrebbe dormito ben poco, nonostante si dicesse di doverlo fare: non poteva arrivare nell’Arena già stanca, no? In più quella sarebbe stata l'ultima notte in cui avrebbe potuto dormire senza il timore che qualcuno l’uccidesse nel sonno...
La ragazzina sospirò, rigirandosi sul morbido materasso e facendo sprofondare il volto nel cuscino: non era pronta, proprio per niente... ma infondo, chi mai lo era?
Solo ora si rendeva conto di che razza di barbarie fossero quei Giochi... e non le restava che maledire chi li avesse inventati e i Vincitori, che li avevano portati a quella situazione.
L’Intervista, se non altro, era andata bene... era stata se stessa al 100%, ma era piuttosto certa di aver dato una buona impressione ai suoi concittadini. Chissà se le sue sorelle l'avevano guardata, e chissà cosa avevano pensato...
Sperava solo che non assistessero ai Giochi, specialmente il Bagno di Sangue.
Un brivido percorse la schiena della ragazzina al pensiero della prima, forse più cruenta parte degli Hunger Games... in genere almeno 6 o 7 Tributi morivano nel Bagno di Sangue, chissà se anche in quell’occasione quella specie di regola non scritta sarebbe valsa.
Ad ogni modo, di una cosa era sicura: forse non avrebbe vinto, non sarebbe tornata a casa e non sarebbe sopravvissuta a quell’infamia... ma non sarebbe morta subito, non al Bagno di Sangue. Se avrebbe perso, di certo non l'avrebbe fatto subito.
..................................................................................................................
Angolo Autrice:
Salve a tutti!
Grazie come sempre a chi mi ha inviato le informazioni... questa volta l'avete fatto numericamente in più rispetto al solito, quindi grazie.
Nel prossimo capitolo ci sarà, ovviamente, il Bagno di Sangue... chi se ne andrà per primo?
Lo scoprirete presto, pubblicherò di sicuro il seguito in settimana... per allora spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Infine, ecco le immagini dei vestiti:
Carly
Erica
Faye
Africa
Tonya
April
Brittany
Astrid
Amanda
David
Louis
Julian
Aaron
Black
Caius
Cyrus
Wilhelm
Sean
Kalem
Ci sentiamo presto con la prima parte nell’Arena!
Signorina Granger
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Capitolo 11 *** Il Bagno di Sangue ***
Capitolo 9: Il Bagno di Sangue
Salendo sulla pedana, il tubo si richiuse intorno a lei, mettendola definitivamente in trappola.
Non è reale
Si voltò, consapevole di non avere più alcuna via di fuga.
Come ogni cosa, anche quel momento era arrivato... e sentiva di non aver mai provato tanta paura come in quegli istanti.
Non è reale
Si costrinse a respirare profondamente, chiudendo gli occhi mentre sollevava leggermente una mano, appoggiandola sul vetro freddo e liscissimo.
O forse lo è
Con un suono metallico e una specie di strattone il tubo iniziò a salire, fungendo quasi da ascensore.
L’ascensore che l'avrebbe portata alla sua gabbia.
Faye riaprì gli occhi, passandosi una mano tra i capelli mentre si voltava, rivolgendo un ultimo e debole sorriso in direzione del suo Stilista.
Non poté fare a meno di notare che aveva gli occhi lucidi a sua volta... e forse la cosa non l’aiutò.
Per evitare di guardare l'ultimo squarcio di vita reale che le si offriva davanti Faye girò sui tacchi, voltandosi e cercando di fare mente locale. Per quanto si sforzasse però, tutto sembrava confuso nella sua testa... e si sentiva più abbattuta che mai, quasi come se avesse già perso.
La ragazzina strinse i pugni, deglutendo mentre alzava lo sguardo: la luce stava illuminando la cabina... era quasi arrivata all’Arena, quindi.
Non mollare Faye... hai promesso di provarci.
Forse non avrebbe vinto, lo sapeva;
Forse non sarebbe mai tornata a casa;
Forse sarebbe stato un vero Inferno;
E forse quello era il giorno in cui tutto sarebbe finito...
Ma almeno ci avrebbe provato. Lo doveva a tutte le persone che erano morte durante la rivolta.
Forse, lo doveva anche a sua madre.
*
Il freddo che lo pervase quasi lo fece sorridere: non si era sbagliato... li avevano spediti in mezzo al gelo, esattamente come aveva previsto quando aveva dovuto indossare il maglione pesante sopra alla camicia, con sopra una giacca termina e dei pantaloni dello stesso tipo, con scarponi molto pesanti.
Dopo diverso tempo passato nella penombra socchiuse gli occhi, cercando di abituarsi alla luce il più velocemente possibile: erano ufficialmente arrivato alla resa dei conti... e non aveva molto tempo. D'ora in poi, ogni minuto era da considerare prezioso, un traguardo in più verso la vittoria.
Sean si mise una mano sulla fronte, cercando di vedere chiaramente i suoi compagni: erano disposti a cerchio, come sempre... e la Cornucopia scintillante era lì, davanti a loro. Nel mezzo perfetto di quel circolo formato dalle loro pedane.
Sean si guardò intorno, osservando accanto a chi era finito: la fortuna non l'aveva baciato e non aveva accanto nessuno dei suoi compagni... era affiancato invece da Julian Bradshaw e da Rubinia Flaemus.
Il ragazzo le rivolse un’occhiata che la rossa ricambiò, quasi volendogli fare un silenzioso augurio... Sean le rivolse un cenno del capo, voltandosi subito dopo per cercare con lo sguardo Wilhelm o Astrid. Non riuscì ad individuare il ragazzo, che probabilmente era dall'altra parte della Cornucopia, ma vide Astrid a cinque persone di distanza da lui, trovandola in preda alla sua stessa azione.
Ben presto i loro sguardi si incrociarono e lui le sorrise debolmente, quasi a volerla rassicurare... o provarci, visto che nemmeno lui era tranquillo o sapeva cosa sarebbe successo. Nessuno poteva dirlo, sfortunatamente.
Vide Astrid sforzarsi di ricambiare prima di voltarsi, probabilmente in cerca di Amanda... e a quel punto Sean puntò gli occhi verdi sulla Cornucopia, facendoli poi saettare su tutte le cose disseminate sulla neve, fino a lui.
Ovviamente la neve fresca li avrebbe rallentati... una gentile concessione degli Strateghi. Come sempre, non c'erano oggetti molto utili nei pressi delle pedane, ma dopo anni sapevano tutti come funzionava: il meglio era sempre verso il centro.
Socchiudendo gli occhi Sean inclinò leggermente una gamba, protendendosi in avanti: forse era un suicidio, ma almeno ci avrebbe provato... e quelle distanze erano perfette per lui, da sempre più bravo negli scatti che nella resistenza.
Poteva farcela, lo sapeva... e lo sperava, sopratutto.
*
Mentre il conto alla rovescia continuava, Rubinia cercava di sforzarsi a stare ferma, senza però ottenere il minimo risultato: sentiva l'adrenalina pervaderle il corpo, e non riusciva a stare ferma o tranquilla... a breve tutto sarebbe cominciato, e voleva essere pronta a correre come non aveva mai fatto in vita sua.
Era rimasta d'accordo con Brittany e April di dividersi: lei avrebbe cercato di arraffare qualcosa di utile, mentre loro si sarebbero limitate a prendere qualcosa per poi mettersi in salvo, lasciando che fosse qualcun altro a finire nel bel mezzo della mischia.
Rubinia si guardò intorno, decisa a non essere tra i primi a finire fuori dai giochi... forse non avrebbe vinto, ma non aveva alcuna intenzione di andarsene al Bagno di Sangue.
Aveva già una vaga idea di chi le avrebbe dato filo da torcere... e anche di cosa avrebbe dovuto prendere, per poter sperare di vincere.
Le armi da fuoco sembravano quasi urlare il suo nome, dalla Cornucopia.
*
Prendi qualcosa
Prendi qualcosa
Black sbuffò, sperando quasi che il conto alla rovescia finisse in fretta: era decisamente il minuto più lungo della sua vita, e non ce la faceva più a stare fermo su quella pedana.
Aveva come la sensazione di non essere l'unico, visto come si agitavano Rubinia, Aaron, Wilhelm o Caius... Sean e Kalem invece erano entrambi perfettamente immobili, osservando la Cornucopia in placida attesa, pronti a scattare.
Ovviamente una pistola sarebbe stato il massimo... ma forse era sperare troppo, un’arma da fuoco. Tuttavia, sapeva che con quella sarebbe stato tutto molto più facile.
I secondi passavano, e lui si faceva sempre più inquieto... in un modo o nell'altro, non vedeva l'ora che quella fastidiosa situazione cessasse.
*
Mancavano solo 10 secondi, ormai.
E non sapeva proprio cosa pensare...
Wilhelm le aveva detto chiaramente di non fermarsi per nessun motivo, di correre verso gli alberi il più in fretta possibile... aveva adocchiato un sacco a pelo termico poco distante da lei ed era decisa a prenderlo, ma poi sarebbe effettivamente corsa verso il bosco che si ergeva alle loro spalle, ad una ventina di metri dalle pedane.
Carly, sospirò, pensando un’ultima volta a sua madre, alla morte di suo padre che aveva causato l’allontanamento di Wilhelm... l'aveva fatto solo per lei, solo per proteggerla. Lo faceva in continuazione, da tutta la vita... e Carly sapeva che avrebbe continuato a farlo il più possibile anche dentro l’Arena.
Carly lanciò un’ultima occhiata al fratello mentre il tempo per le esitazioni stava per cessare... qualcosa le diceva che Wilhelm avrebbe anche dato la sua vita per cercare di farla uscire da quella gabbia mortale, ma solo il tempo avrebbe confermato o meno la sua idea.
*
Quando il conteggio arrivò a 0 fu il caos: Cyrus vide alcuni Tributi girare sui tacchi e correre verso gli alberi, ma diversi si lanciarono a capofitto verso la Cornucopia.
Ignorando chiunque gli stesse intorno Cyrus li imitò a saettare verso lo zaino più vicino, che aveva già adocchiato durante il conto alla rovescia: lo afferrò e se lo mise in spalla senza fermarsi neanche per un istante, voltandosi prima di lanciarsi di nuovo nella direzione opposta. Intravide con la coda dell’occhio qualcuno impegnato nella sua stessa operazione, mentre alcuni avevano già raggiunto la Cornucopia.
Julian gli sfrecciò accanto e gli fece cenno di seguirlo, diretto verso gli alberi.
Cyrus non se lo fece ripetere due volte e lo seguì, correndogli accanto senza emettere un suono... inconsapevole di quello che stava per succedere.
*
Rubinia sorrise con cipiglio vittorioso, afferrando la pistola e gioendo mentalmente nel trovarla carica. Un rumore accanto a lei la fece voltare di scatto, sollevando al contempo l'arma e puntandola dritta verso la fonte del rumore: esitò nel ritrovarsi davanti a Sean, che tenendo una lancia in mano esitò a sua volta, osservandola per un istante senza dire nulla.
Rimasero entrambi immobili, incerti sul da farsi... finché un grido non distrasse Rubinia, che si voltò nuovamente: Sean le sfrecciò accanto, superandola senza nemmeno sfiorarla per correre verso Astrid, in piedi sulla neve a qualche metro di distanza: la ragazza teneva uno zaino in mano ma sembrava essersi bloccata, gli occhi azzurri fossi sul cadavere ricoperto di sangue steso sulla neve candida.
Il contrasto tra il rosso scuro del sangue e il bianco della neve era raccapricciante, ma Sean cercò di non farci caso, correndo verso di lei e urlandole al contempo di allontanarsi... solo passando accanto al corpo si rese conto del perché della reazione di Astrid: i capelli biondi gli accesero quasi una lampadina in testa, facendogli capire che era Amanda.
“Astrid, muoviti!”
“Amanda...”
Astrid deglutì, osservando il corpo dell'amica con orrore e quasi sotto shock. Sean la prese per un braccio, strattonandola senza nemmeno fermarsi e trascinandosela dietro, correndo a perdifiato verso gli alberi con la lancia stretta in una mano.
Il rumore sordo di un colpo d’arma da fuoco gli fece gelare il sangue nelle vene, ma realizzò con sollievo che non era stato colpito... e nemmeno Astrid, a giudicare da come gli correva accanto, anche se con gli occhi ancora lucidi.
Un primo colpo di cannone agitò l’Arena, seguito ben presto da un secondo... in effetti gli era parso di aver visto qualcuno accasciato sulla neve con un coltello piantato nella schiena, ma non si fermò per capire chi fosse e raggiunse gli alberi insieme alla ragazza, tirando un sospirò di sollievo:
“Per un pelo... stavi per farti ammazzare, ho idea.”
Sean si appoggiò al tronco di un albero, respirando con il fiato corto mentre Astrid era in piedi davanti a lui, pallida come un lenzuolo e leggermente scossa da un tremore.
“Kalem...”
Il sussurro della ragazza fece drizzare le orecchie del compagno, che esitò per un attimo prima di sospirare, capendo: aveva visto il ragazzo avvicinarsi alle armi da fuoco... non era difficile pensare che avesse davvero ucciso Amanda.
Fece per dire qualcosa ma un colpo di cannone sferzò nuovamente l'aria, bloccandolo per un istante: entrambi pregarono mentalmente affinché non si trattasse di qualche altro loro compagno, mentre Sean si avvicinava leggermente alla ragazza, che teneva ancora lo zaino stretto quasi convulsamente in mano.
“Astrid... mi dispiace.”
Non era mai stato bravo in situazioni di quel tipo... si era sempre reputato incapace di consolare le persone e non era granché con le parole, così si avvicinò alla ragazza quasi in automatico e l'abbracciò, sentendola tremare sotto le sue braccia mentre Astrid tratteneva le lacrime.
La ragazza si morse con prepotenza un labbro, intimandomi mentalmente di non piangere mentre rivedeva Amanda accasciarsi sulla neve quasi come un fotogramma, con il sangue che dilagava velocemente intorno a lei a partire dal fegato, dove era stata colpita.
Non voleva nemmeno pensare al dolore che doveva aver sentito... o a quello dei suoi genitori, che avevano sempre guardato con gran divertimento i Giochi. Chissà se stavano ridendo o gioendo, ora che la Tributa morta era la loro stessa figlia.
Un rumore di passi sulla neve scricchiolante fece quasi sussultare entrambi, tanto che Sean sciolse l’abbraccio in fretta e si voltò, tenendo la lancia stretta in mano e sollevando un braccio: probabilmente sarebbe stato più che pronto ad usarla, ma nel trovarsi davanti un’ansante Carly dal viso arrossato esitò, tirando al contempo un sospiro di sollievo:
“Sei tu Carly, meno male... tuo fratello?”
“Non... non lo so. Ma Amanda è morta, e anche Erica. Kalem ha sparato ad entrambe, credo.”
Carly lasciò cadere il sacco a pelo sulla neve, appoggiandosi al tronco di un albero mentre cercava di togliersi quelle immagini dalla mente: era sollevata di esserne uscita, ma sperava che suo fratello si fosse salvato... non aveva idea di dove fosse, era successo tutto troppo in fretta.
Per qualche istante nessuno dei tre disse nulla, ma poi il silenzio venne rotto di nuovo: due colpi di cannone sferzarono l'aria, uno dietro l'altro.
*
Rubinia deglutì, ritrovandosi a tenere la pistola con una mano quasi tremante... gli occhi fissi sul punto dove, fino a poco prima, c'erano stati ben due Tributi.
Ora erano entrambi accasciati sulla neve, morti. Ed uno per mano sua...
Aveva visto come al rallentatore April allontanarsi di corsa verso il bosco... con Aaron Bradshaw che le era comparso alle spalle quasi dal nulla, piantandole un pugnale nella schiena troppo in fretta: non era riuscita a salvarla. Aveva tuttavia agito di riflesso, puntando la pistola contro il ragazzo e sparando quasi senza pensarci, colpendolo praticamente nello stesso punto e ferendolo mortalmente.
Ovviamente lo sapeva, che uccidere non sarebbe stato facile... in teoria lo sapevano tutti, ma quanti avrebbero potuto dirlo con certezza?
La ragazza deglutì a fatica, correndo sulla neve quasi senza rendersene conto: passando accanto ad April ed Aaron si chinò, estraendo il coltello dal corpo della ragazza con un colpo secco prima di allontanarsi in fretta, la pistola ancora stretta nell'altra mano: era arrivata alla Cornucopia praticamente per prima, infilandosi in tasca delle cartucce di riserva e afferrando una delle prime pistole che aveva trovato.
L'essere arrivata per prima l'aveva quasi salvata, visto che era così sfuggita al mirino di Kalem e di Black Hole, che avevano già ucciso più di qualcuno dalla sua stessa posizione.
Quando ebbe raggiunto il delimitare del bosco Rubinia tiro un sospirò di sollievo, fermandosi sulla neve con il fiato corto, appoggiandosi ad una betulla per riprendere fiato.
April era morta... ma non aveva idea di dove fosse Brittany, in compenso.
La risposta alla sua domanda arrivò poco dopo, quando dei passi affrettati la raggiunsero e Brittany si fermò accanto a lei, pallida e preoccupata:
“Ti ho vista arrivare dalla Cornucopia... April è...”
“Sì. Non sono riuscita ad uccidere Aaron Bradshaw prima che lui la colpisse.”
Rubinia sollevò una mano, osservando il pugnale sottile e in parte coperto di sangue che teneva stretto tra le dita... lo porse alla compagna senza mutare minimamente espressione, restando pressoché impassibile:
“Tienilo tu... potrebbe servirti. Io ho già la pistola.”
Anche se con leggera titubanza, Brittany la prese... e forse avrebbe voluto chiederle se era quello che aveva usato Aaron per uccidere April, ma preferì non farlo: forse era meglio non saperlo con certezza, dopotutto.
*
"Quanti sono morti?” Caius inarcò un sopracciglio, avvicinandosi ad un Black impegnato a sistemarsi una discreta fila di coltelli da lancio alla fodera della cintura.
Il moro alzò lo sguardo, facendo vagare gli occhi sull’area che circondava la Cornucopia, ricoperta di neve e disseminata di qualche cadavere, che a breve sarebbero stati prelevati.
“Kalem ha colpito due ragazze, Aaron una... Ma la Flaemus l’ha ucciso.”
“È morto anche Julian.” Una voce neutra, piatta e quasi inespressiva li fece voltare entrambi, ritrovandosi davanti ad un Cyrus serissimo, con uno zaino in spalla.
“Ah, eccoti qui Dennim... cominciavo a pensare che ti avessero fatto fuori.”
Caius rivolse al compagno un’occhiata neutra, mentre invece Black lo ignorò, concentrandosi sulle parole del ragazzo e sgranando gli occhi quasi con orrore:
“Come sarebbe che è morto anche Julian?”
“Non è molto difficile da capire, Black... che è morto, e basta. Stavamo raggiungendo il bosco, ma il ragazzino lo ha colpito... il più piccolo.”
“Chi, David? Beh, è morto anche lui... l’ho colpito io quando si stava avvicinando a Caius.”
Black sbuffò, calciando un mucchietto di neve con stizza: due compagno morti non era esattamente il suo programma ideale, per iniziare i Giochi nel modo migliore.
Ma sarebbe potuta andare peggio... per lo meno stava bene, e infondo due compagni morti erano comunque due avversari in meno.
“Ok, quindi siamo a quanti, sei? Le due ragazze che ha ucciso Kalem, Aaron, Julian, David, April...”
“Sette, è morto anche Louis Peterson... ma non so chi l'abbia ucciso, forse Aaron.”
Kalem spuntò dal nulla accanto ai tre, ricaricando la pistola che aveva in mano mentre il suo viso non lasciava trapelare alcuna emozione, come se li stesse informando delle previsioni del tempo.
“Beh, un ostacolo in meno alla vittoria... restiamo qui o andiamo a cercare gli altri?”
Black inarcò un sopracciglio, rivolgendosi ai tre compagni in attesa di una risposta che no tardò ad arrivare: Caius lanciò un’occhiata alla Cornucopia alle loro spalle, ormai lasciata praticamente nelle loro mani... tanto valeva approfittarne.
“Dopo, intanto sistemiamo le cose che sono rimaste qui, raggruppiamole... lasciamo che cuociano un po’ nel loro brodo, magari con un po’ di fortuna quelli rimasti si faranno fuori a vicenda senza che noi ci muoviamo.”
Nessuno obbiettò alle parole del ragazzo, che sorrise quasi con aria soddisfatta mentre si accingeva, insieme ai compagni, a raggruppare le provviste e a sistemarle dentro la Cornucopia, al sicuro dalle mani dei loro avversari.
La fase iniziale è più cruenta dei Giochi era finita... del resto però, la giornata era appena iniziata. Così come la loro permanenza nell’Arena.
*
“Quasi non mi sembra vero... un minuto fa ero agghindata per l’Intervista, e ora sono nell’Arena degli Hunger Games...”
“Immagino che dovremmo farcene una ragione. Da qui non si cappa, purtroppo...”
Africa alzò lo sguardo, rivolgendo al cielo artificiale un’occhiata leggermente torva: che pensassero pure che fosse contrariata, non le importava minimamente... peggio di mandarla lì, non potevano fare.
“Se non altro stiamo bene... e ci sono già state sette morti nel giro di quanto, mezz'ora?”
Tonya piegò le labbra in una smorfia, quasi rabbrividendo... non tanto per il freddo, quanto più per il ricordo dei primi momenti vissuti nell’Arena, quando degli adolescenti si erano uccisi a vicenda.
“Anche meno, Tonya... ma la giornata è ancora lunga, dopotutto. Credo sia meglio tenere gli occhi aperti...”
.................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera! Ed eccoci finalmente nell’Arena, con il tanto temuto/agognato (parlo per te Hadley ovviamente) Bagno di Sangue.
Come avevo già detto in precedenza, ho principalmente e quasi esclusivamente ucciso gli OC degli autori che erano spariti... avevo avvisato, quindi che nessuno venga a lamentarsi.
Vi metto qui sotto una lista con i nomi dei Tributi morti:
- Aaron
- Amanda
- April
- David
- Erica
- Julian
- Louis
Detto ciò... “auguri” a chi è ancora in gioco, ci sentiamo nel fine settimana con il seguito :)
Signorina Granger
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Capitolo 12 *** Prima notte ***
Capitolo 10: Prima notte
“Non mi sento meglio. Neanche un po’… anzi. E’ stato peggio di quanto pensassi.”
Piegò le labbra in una smorfia mentre non staccava gli occhi dallo schermo, osservando i movimenti di un gruppo di Tributi. Aveva assistito al Bagno di Sangue, convinta che dopo la Rivolta avrebbe potuto sopportarlo senza molti problemi… ma si era sbagliata.
Si sentiva quasi un mostro ad aver permesso che accedesse. Avrebbe dovuto oppure una maggiore resistenza, ma non l’aveva fatto sfortunatamente.
“Inizialmente è difficile… ci farai l’abitudine.”
“Tu dici? Io non penso proprio.” Il tono acido della donna non stupì minimamente Plutarch, che anzi rimase in silenzio mentre assisteva a sua volta all’inizio dei Giochi: nemmeno a lui piaceva molto quella situazione, ma se n’era fatto una ragione e aveva deciso di prenderla con filosofia, come se fosse l’ennesima Edizione in cui era uno Stratega e il suo compito era animare il gioco.
“E’ proprio questo che non capisco. Katniss Everdeen, Joanna Mason, Haymitch… loro hanno VISSUTO i Giochi. Hanno visto molte persone morire… Non capisco come abbiano potuto votare positivamente per questa pagliacciata, è insensato.”
“Le persone lo sono spesso. Hai provato a fermare i Giochi, ma era impossibile. I Vincitori hanno votato, ma tutti i Distretti lo volevano… e anche se sei la Presidentessa ora, non credo che tu voglia iniziare la tua “carriera” da Dittatrice che ignora il volere del Paese.”
La donna piegò le labbra in una smorfia, sapendo che infondo Plutarch aveva ragione… ma probabilmente non l’avrebbe mai ammesso. Sospirò, tornando a sedersi dietro la scrivania e spegnendo la televisione, non riuscendo a vedere altro dopo le sette morti a cui aveva assistito:
“Per oggi credo che basterà… ma io non mi arrendo facilmente Plutarch. E puoi starne certo che non dimenticherò questa storia tanto facilmente. Puoi andare adesso, torna dai tuoi burattinai… ma vedi di non torturarli troppo, sono stata chiara?”
“Cristallina.”
*
“Qualcuno sa con certezza chi sia morto?”
“No… o almeno, non del tutto. Erica, David… e credo anche i Bradshaw.”
Wilhelm contorse la mascella, tenendo gli occhi fissi su un punto imprecisato sul terreno ricoperto di neve, mentre Carly, seduta su un ceppo accanto a lui, gli appoggiava una mano sul braccio, stringendosi al fratello come a volerlo consolare.
David non le era mai piaciuto molto, certo… ma le dispiaceva comunque che fosse morto subito, in un modo di certo atroce e doloroso… e soprattutto le dispiaceva per suo fratello, sapendo che per lui quel ragazzino era stato quasi un fratellino.
Wilhelm rimase perfettamente immobile per un attimo prima di allungarsi, raccogliendo il sacco a pelo termico dalla neve e porgendolo alla sorella, facendole un cenno:
“Tieni. Farà freddissimo, tra poco.”
“Ok… ma tu dormi con me.” Lo sguardo della sorellina non ammetteva repliche e al ragazzo non restò che voltarsi verso Sean in una muta richiesta che venne accolta positivamente: Sean annuì, capendo al volo prima di parlare a sua volta:
“Faccio io il primo turno di guardia, non preoccuparti. Abbiamo camminato moltissimo nel giro di poche ore, credo che farà bene a tutti riposarsi un po’.”
“Ok… svegliami quando sarai stanco.”
Wilhelm sedette accanto alla sorellina, appoggiandosi al ceppo caduto di un albero e infilandosi dentro al sacco a pelo che la ragazzina aveva raccolto al Bagno di Sangue.
Non sapevano che ore fossero, ma ormai stava iniziando a fare buio e il tramonto era appena passato… si erano fermati solo mezz’ora prima dopo aver camminato a lungo, approfittando anche della luce del crepuscolo per accendere un piccolo fuoco che avevano spento poco prima, evitando che fungesse da cartello segnaletico durante la notte.
Sean strinse la lancia in mano, sfregandosi i guanti foderati che aveva trovato nello zaino preso da Astrid: avevano discusso a lungo perché non li voleva, ma alla fine gli altri tre si erano impuntati, sostenendo che dovesse tenerli lui visto che avevano bisogno che le sue mani fossero sensibili, in caso di bisogno… con le mani ghiacciate e indolenzite dal freddo non sarebbe mai riuscito ad usare bene la lancia.
Il ragazzo si voltò verso Astrid, che era rimasta in silenzio praticamente perennemente durante le ultime ore: la ragazza si era appollaiata sulla neve, tenendosi le gambe strette tra le braccia e il cappuccio della giacca nera termica calato sulla testa, quasi a voleri riparare ulteriormente dal freddo.
“Astrid… vieni qui. Ormai il fuoco è spento, ma c’è ancora calore.” Sean allungò una mano verso di lei, invitandola ad avvicinarglisi e sorridendole al contempo: non era mai stato molto bravo con le parole, specialmente quando qualcuno stava male… e di certo in quel momento la ragazza non stava bene per niente.
Lei esitò, ma dopo un attimo si mosse verso di lui, sedendosi accanto a lui sulla neve ma restando comunque a qualche cm di distanza, evitando accuratamente di toccarlo.
Avrebbe voluto dirle qualcosa e consolarla, ma non gli venne in mente nulla… così allungò una mano per stringere quella della ragazza, trovandola ghiacciata:
“Hai le mani gelide.”
“Io le ho sempre fredde… e qui il clima di certo non aiuta.” Astrid parlò con un filo di voce, continuando a tenere lo sguardo fisso sul focolare ormai spento mentre Sean sorrideva appena, sfilandosi i guanti per metterli a lei:
“Sean, devi metterli tu.”
“Solo per un po’ Astrid… su, fai la brava.”
Sean le sorrise, mostrando le fossette che le mandarono in pappa il cervello: la ragazza arrossì e annuì, abbassando in fretta lo sguardo mentre Silver seguiva la scena con una luce quasi divertita negli occhi azzurri… li avrebbe persino trovati carini, se non fossero stati nell’Arena dei Giochi.
*
Cyrus sospirò, guardando il cielo completamente oscurato. Era seduto sulla neve, appena fuori della Cornucopia... Kalem dormiva e anche Black, e probabilmente avrebbe dovuto farlo anche lui... ma proprio non ci riusciva, per quanto si sforzasse. L’adrenalina iniziale si era ormai esaurita, e dopo diverse ore vedeva tutto molto chiaramente: I Giochi, l’Arena, il sangue, le armi, i morti... era tutto reale.
Ormai ci era dentro, e non poteva più uscirne, se non vincendo... e forse non era la prospettiva migliore per iniziale, ma non era certo che sarebbe riuscito a farcela.
Sarebbe crollato? Fisicamente o mentalmente? Non era da escludere... era successo a molti, l'aveva visto con i suoi stessi occhi. Non erano stati pochi i Tributi che si erano lasciati andare, smettendo di combattere contro gli avversari ma in primis contro se stessi, il più grande ostacolo da abbattere quando si era dentro l’Arena.
Sentì dei passi alle sue spalle e si voltò di scatto, rilassandosi leggermente nel vedere Caius raggiungerlo. Il ragazzo inarcò un sopracciglio, guardandolo con aria scettica mentre sedeva accanto a lui, con gli occhiali per vedere al buio calato sugli occhi e una pistola in mano:
“Rilassati, sono io... ma non dovresti dormire? È il mio turno, non il tuo.”
“Lo so... ma non ci riesco. Anzi, mi chiedo come facciano a farlo Kalem e Black.”
Sbuffò quasi con amarezza, tracciando dei ghirigori sulla neve con le dita guantate mentre Caius restava in silenzio, pensando però la medesima cosa: a giudicare da come Kalem si era comportato durante il Bagno di Sangue, forse non doveva stupirli il suo dormire placidamente.
“Credi che fossero vere?”
“A cosa ti riferisci Dennim?”
“Alle storie... le voci che giravano su Kalem. Secondo te erano vere?”
“Non lo so. Ho sempre preferito astenermi dal commentare, ma dopo quello che è successo oggi... non è da escludere, anche se è brutto da dire o da pensare.”
“Sai Gold, ho la sensazione che presto dovremmo farci l’abitudine, ai brutti pensieri.”
Un sorriso piuttosto amaro spuntò sul volto di Cyrus, rigirandosi quasi nervosamente un coltello tra le dita mentre sia lui che Caius riflettevano su quanto sentito molte volte, le storie che erano circolate quando Kalem Schweinson si era ritirato dalla scuola.
Era corsa voce che avesse ucciso una ragazzina a quel tempo sua compagna di classe, ma ovviamente nessuno si era mai preso le briga di andare a cercare conferme dal diretto interessato, che con quell’episodio e quelle storie si era costruito intorno una specie di aura che aveva attratto e respinto allo stesso tempo moltissime persone... molti preferivano stare alla larga da quel ragazzo decisamente particolare, ma la curiosità era comunque tanta agli occhi di molti.
Caius fece per dire qualcosa ma si bloccò, quasi sussultando nel sentire un rumore familiare: l'inno era appena partito, accompagnato dallo stemma di Panem che era appena comparso nel cielo artificiale ormai buio.
Stavano per sapere con certezza quanti fossero stati i morti... e sopratutto chi.
*
“È brutto o sbagliato preferire che a morire fossero stati altri?”
Il sussurro di Brittany fece quasi sorridere Rubinia con amarezza mentre teneva lo sgaurdo alto, fisso sul cielo sopra di loro... osservando i volti dei Tributi morti.
Nessuna delle due fiatò al vedere il viso di April, mentre Rubinia concordava silenziosamente con la compagna:
“No, non credo sia sbagliato.. infondo siamo negli Hunger Games ora. Qui tutto è profondamente sbagliato, no? Se intendi che sarebbe stato meglio liberarsi di Kalem, Black o Sean... non posso darti torto. Gran parte di quelli che sono morti oggi non rappresentavano una minaccia considerevole, fatta eccezione per Aaron Bradshaw. Però mi dispiace comunque per tutti... insomma, David ed Erica erano solo due ragazzini.”
Brittany annuì alle parole della compagna, pensando quasi con tristezza ai due Tributi, che erano praticamente i più giovani dei Giochi... solo 12 e 14 anni, e la loro vita aveva già avuto fine. Così profondamente ingiusto...
“Ci hanno criticato per anni, decenni... ma forse nemmeno loro sono così perfetti, no? Mi chiedo come abbiano fatto i Vincitori a metterci in questa situazione, proprio quando per primi ci sono passati.”
“Se non altri molti di loro avevano ricevuto un Addestramento, o comunque erano abituati all'idea... per noi è successo tutto all’improvviso, quasi senza darci il tempo di realizzare cosa stava succedendo e boom, eccoci nell’Arena ad ammazzarci a vicenda.”
Rubinia sbuffò, disegnando con il pugnale che teneva in mano delle figure immaginarie sulla neve... la punta del pugnale era imbrattata di sangue scuro, quello di April.
“Un mese fa nessuno di noi si sarebbe mai definito capace di uccidere, immagino. Ironico no? Le persone cambiano radicalmente, se poste davanti a determinate situazioni.”
Brittany sorrise amaramente mentre l'inno cessava di risuonare nell’Arena e tutto tornava di nuovo buio. Rubinia esitò per un attimo, riflettendo sulle parole della ragazza prima di annuire con aria cupa, sospirando:
“Già... le persone cambiano. E la cosa più triste è che nessuno di noi sia una cattiva persona... credo che quasi nessuno tra i vecchi Tributi lo sia stato davvero. È questo contesto a spingerci ad agire in determinati modi, alla fine.”
“O uccidi o vieni ucciso, non ci lasciano molta scelta.”
Le parole di Brittany fecero riflettere Rubinia, ritornando con la mente ad un preciso momenti di qualche ora prima... quando si era trovata faccia a faccia con Sean Thorn ma non aveva fatto nulla. Era rimasta quasi pietrificata davanti a lui, non riuscendo a fare niente: lui avrebbe anche potuto ucciderla, in effetti. Ma non l'aveva fatto, agendo al suo stesso modo... forse ad entrambi era mancato il coraggio, o lui aveva deciso di risparmiarla... fatto stava che anche Sean era ancora in gioco, quindi forse prima o poi si sarebbero dovuti scontrare nuovamente... e Rubinia dubitava che avrebbero potuto fare finta di niente, in una seconda occasione.
“Non credo sia un bene restare entrambe sveglie, anche se stare da sola al freddo non mi piace per niente... faccio il primo turno, va bene?”
“Ok. Svegliami se succede anche solo la minima cosa.” La rossa annuì, lasciandosi scivolare contro il tronco di una betulla e stringendo ancora saldamente il pugnale tra le mani, mentre Brittany si era sistemata a ridosso dell’albero accanto: Brittany annuì come a volerla rassicurare, ma in cuor suo sperava davvero di non aver bisogno di svegliarla.
*
“Dovresti dormire.”
“Possiamo darci il cambio, se vuoi... non credo che dormirei molto comunque.”
Astrid parlò a bassa voce, temendo di svegliare Carly e Wilhelm che ormai si erano profondamente addormentati, stretti l'uno all'altra nel sacco a pelo.
Sean però sbuffò, come se trovasse quell’idea ridicola: Astrid era molto agile e veloce, ma decisamente indifesa di fronte a delle armi o a dei ragazzi che erano il doppio di lei... preferiva non lasciarla sola a fare la guardia, mettendosi a dormire.
“No, ce la faccio ancora per un po’. Se mi parlassi però, resterei sveglio più facilmente.”
Astrid continuò a guardarlo, tenendo gli occhi azzurri puntati su di lui mentre era stesa sulla neve, usando lo zaino che aveva raccolto a mo’ di cuscino. Dentro c'erano due bottiglie vuote, della carne essiccata, un coltello e dei fiammiferi... non era esattamente il massimo della comodità, ma era comunque meglio di niente.
“Ok, scusa. Mi rendo conto che forse non è un buon momento per te...”
“Sai, forse è meglio così.” Il sussurro della ragazza lo interruppe, facendolo zittire di colpo mentre la guardava quasi con curiosità, invitandola a continuare:
“Insomma... è orribile come se ne sia andata, e non lo meritava affatto. Però almeno non dovrà... Vivere l’agonia dell’Arena, forse è meglio così.”
“Mi fa piacere che tu lo pensi... sai, non sono molto bravo a consolare le persone e mi avresti messo un po’ in difficoltà se fossi stata disperata.”
Sean sorrise quasi con sollievo mentre continuava a tenere la lancia in mano, parlando a voce bassa anche se era sicuro che non avrebbero ricevuto visite, almeno non per quella notte: non solo si erano quasi già dimezzati, ma era solo la prima sera... di certo nessuno voleva andare a caccia di Tributi così presto.
Inaspettatamente Astrid però sorrise, guardandolo quasi con aria divertita:
“Quindi ti ritieni impacciato con le parole o nel consolare le persone?”
“In effetti sì. Faccio fatica ad esprimere affetto o anche solo compassione... ci riesco per bene solo con mia sorella, con lei è tutto diverso.”
“Io credo che tu sia più sensibile di quanto non pensi... per quanto mi riguarda, sei stato sempre molto gentile con me. Hai una sorellina?”
“Sono stato gentile con te perché tu lo sei stata con me. Non sei una persona con cui viene spontaneo essere sgarbati, Astrid. Comunque si... Emma. È per lei che dovrei tornare a casa. Ha soltanto me.” Sean sorrise appena, pensando con affetto e malinconia alla sorellina... se non altro lei stava bene ed era al sicuro, a differenza sua. Forse non l'avrebbe più riabbracciata, ma sapeva che almeno avrebbe avuto un futuro sicuro davanti.
“Anche io avevo una sorellina.” Astrid sorrise a sua volta, pensando con affetto alla bambina che sfortunatamente ormai non c'era più... almeno non doveva preoccuparsi di lasciarla completamente sola, a differenza di Sean. Il ragazzo intuì cosa volesse dire quell’”avevo” e come se ne fosse andata, e non approfondì l’argomento, restando in religioso silenzio mentre pensava a tutte le persone che avrebbero seguito i Giochi, pregando che i loro amici, fratelli o amici tornassero a casa... e poi pensò a tutti quelli che invece stavano già piangendo delle morti.
*
“Hanno dato il via a questa edizione per punire gli abitanti di Capitol... chissà se sono soddisfatti, ora che sei famiglie si staranno disperando.”
Africa sbuffò, rabbrividendo leggermente per il freddo mentre Faye era seduta accanto a lei, tenendo le braccia conserte nel tentativo di trattenere il calore corporeo e la testa appoggiata al tronco dell’albero accanto al quale si erano sistemate.
“Già... perdere un figlio dev’essere terribile.” Faye annuì, parlando a bassa voce in mezzo al silenzio quasi inquietante che le circondava: non riusciva a tranquillizzarsi neanche un po’, per quanto ci provasse... si sentiva chiusa in una trappola e come se ci fosse qualcuno pronto ad assalirla appostato dietro il primo albero.
“Non è solo il perderlo... è il sapere che è morto così, senza senso, per mano di un suo coetaneo che non ha avuto scelta. Senza contare che in molti casi lo si vede in diretta.”
Africa si morse il labbro, cercando di non pensare a come avrebbero reagito le sue sorelle di fronte alla sua morte... di certo nemmeno la sua famiglia se la stava passando troppo bene, in quel momento.
Dal canto suo invece Faye era più tranquilla, almeno sotto quel punto di vista: aveva fatto promettere al patrigno che non avrebbe fatto vedere i Giochi si due fratellini... Dopotutto Hope era davvero troppo piccola per assistere a spettacoli come quello, specialmente quando in gioco c'era la sua stessa sorella.
Accanto alle due Tonya si era finalmente addormentata, dopo essersi rigirata e aver meditato per quasi un'ora... probabilmente tutti avevano avuto difficoltà ad addormentarsi, quella sera; in caso contrario, ci sarebbe stata qualche domanda da porsi a riguardo...
“Domani dobbiamo assolutamente cercare dell’acqua... non dureremo tre giorni senza.”
“Decisamente... facciamo in modo di trovarla, e in fretta...possibilmente senza farci ammazzare, ovviamente.”
Il commento di Faye, anche se lugubre, fece comunque sorridere appena Africa... triste ma vero, la compagna aveva ragione.
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Angolo Autrice:
Buonasera! Scusate il ritardo, il capitolo era pronto già venerdì ma in questo lasso di tempo non ho avuto il PC sotto mano, ho dovuto usare l’ipad e non avendo voglia di riscriverlo ho aspettato.
Ad ogni modo dopo aver fatto fuori ben 7 OC ho deciso di dare a voi e agli OC un attimo di pace e di tregua... questo capitolo è ovviamente di transizione, ma chissà che già dal prossimo le cose non si animino un po’. Vedremo!
Ci sentiamo presto con il seguito, come sempre grazie a tutti per le recensioni!
Buonanotte,
Signorina Granger
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Capitolo 13 *** Quarto giorno ***
Capitolo
11: Quarto giorno
Si morse il labbro
inferiore, rischiando quasi di farlo sanguinare per
l’ennesima volta: a causa
del gelo e della scarsa idratazione aveva numerosi tagli sulle labbra,
diventate
screpolatissime nel giro di un paio di giorni.
Tuttavia non ci
fece caso, muovendo un passo avanti nel più totale silenzio,
la lancia stretta
in mano mentre non distoglieva lo sguardo dal suo obbiettivo neanche
per un
istante. Le prime volte era stato forse un po’ difficile, ma
dopo un po’ la
fame e l’istinto di sopravvivenza avevano avuto la meglio:
non gli piaceva
uccidere, neanche quando si trattava di animali… ma era
l’unico modo che aveva
per continuare a vivere.
Appoggiò lo
scarpone sulla neve con delicatezza e lentezza quasi esasperante,
facendo
attenzione a non causare gli scricchiolii che spesso e volentieri
facevano
scappare a gambe levate i suoi futuri pasti… e quella non
doveva essere una di
quelle volte.
Si fermò
esattamente come il suo obbiettivo, stringendo la lancia in mano prima
di
lanciarla con forza e precisione, centrando in pieno la lepre bianca
che aveva
rincorso per un bel po’.
“Però,
niente
male… ormai fai invidia a Katniss Everdeen.”
Astrid si avvicinò a Sean sorridendo,
guardandolo estrarre la punta
della lancia dal corpo dell’animale con un gesto secco,
scoccandole un’occhiata
leggermente torva:
“Che ci fai
qui?
Non ti avevo detto di restare con Wilhelm?”
“Certo, ma
non
volevo lasciarti da solo.”
“Capirai, io
contro una lepre… uno scontro tra Titani, non
c’è che dire.”
Il ragazzo
roteò
gli occhi mentre si avvicinava alla ragazza, avviandosi nuovamente
verso la
radura dove si erano fermati per la notte precedente, insieme a Carly e
a
Wilhelm.
“Beh, sono
davvero
felice che tu l’abbia presa… non mangiamo nulla da
ieri mattina.”
Astrid sospirò, già pregustandosi il
momento
in cui si sarebbero spartiti la carne dell’animale, anche se
sfortunatamente
per poterla cuocere avrebbe dovuto aspettare un po’.
Sean annuì,
non
potendo non essere d’accordo con lei mentre camminavano in
mezzo agli alberi…
sfortunatamente non c’era un modo per far perdere le loro
tracce e le impronte
rimanevano vivide e perfettamente riconoscibili sul suolo.
“A proposito
di
Wilhelm… come ti sembra che stia? Meglio?”
“Non lo
conosco
bene, quindi non saprei… però mi sembra ancora un
po’ scosso per David. Come
biasimarlo, lo vedeva un po’ come un fratellino…
immagino volesse proteggerlo e
ora si sentirà come se avesse fallito.”
Astrid si strinse
nelle spalle, parlando in tono leggermente cupo mentre teneva lo
sguardo basso,
gli occhi puntati sul terreno ricoperto di neve. Sean non disse nulla
per un
attimo, limitandosi ad annuire prima di voltarsi verso la ragazza,
rivolgendole
un’occhiata eloquente:
“E TU
invece, come
stai?”
“Come
chiunque sia
qui dentro, suppongo.”
Astrid si
strinse nelle spalle, non ricambiando lo sguardo del compagno che si
trattenne
dal sospirare, certo che la ragazza prima o poi si sarebbe dovuta
sfogare.
Forse però,
non era
ancora arrivato il momento.
*
“Non ti
sembra
strano? Insomma, siamo qui da tre giorni e da dopo il Bagno di Sangue
non è
successo un bel niente… è piuttosto
insolito.”
“Beh,
sappiamo che
al pubblico troppa calma non piace… di sicuro gli Strateghi
si inventeranno qualcosa
per animare la situazione, se non lo farà da sola.”
Rubinia rivolse
un’occhiata quasi torva in direzione del cielo sereno e
artificiale, quasi
sperando che la stessero riprendendo in quel preciso istante.
Brittany
però
aveva ragione, e lo sapeva: non capitava spesso una simile calma,
specialmente
quando nell’Arena c’erano ancora molti Tributi
vivi… in due giorni non avevano
sentito un solo colpo di cannone, e per quanto ne sapevano loro nessuno
tra i
vari gruppi era andato a scontrarsi.
“Io spero
solo di
restare a debita distanza da Kalem, Black, Caius e Cyrus…
è orribile da dire,
ma sono quasi felice che Aaron e Julian siano morti. Sono pur sempre
due
minacce in meno.”
“Già…
immagino che
sperare che incontrino gli altri e se la vedano con ammazzandosi a
vicenda sia
chiedere troppo. Non lo so Brittany, credo che la calma non
durerà ancora
molto… infondo dopo la quiete arriva sempre una bella
tempesta.”
Rubinia si strinse
nelle spalle, guardandosi intorno mentre masticava quasi distrattamente
delle
radici, chiedendosi quanto sarebbe effettivamente durata quella specie
di
“pausa”… qualcosa le diceva che quella
sera avrebbe visto qualche volto
proiettato sul cielo.
*
“E con
questa,
abbiamo finito la carne essiccata… speriamo solo che Sean
sia riuscito a
prendere qualcosa.”
Carly
sbuffò
appena mentre arrotolava in fretta il sacco a pelo per infilarlo nello
zaino
arancione che lei e Astrid avevano cercato di rendere meno
“pugno in un occhio”
due sere prime… fortunatamente l’esperimento era
andato abbastanza a buon fine
e il colore molto acceso dell’oggetto si era decisamente
smorzato, usando neve,
muschio e foglie.
Non ottenendo
alcuna risposta la ragazzina si voltò verso il fratello,
rivolgendogli
un’occhiata leggermente accigliata: in effetti aveva parlato
meno del solito
nei giorni precedenti… e la cosa non le piaceva per nulla.
“Senti
Wil… lo so
che ti dispiace per David, lo capisco. Ma non è certo stata
colpa tua… e vedila
così: non ha dovuto soffrire oltre, morendo subito. Insomma,
qui gela, si
mangia pochissimo e si beve a malapena… senza contare la
paura quasi costante.
Non si è perso granché, non credi?”
Carly si
sforzò di
sorridere, quasi volendo “alleggerire” la tensione.
Il fratello esitò per un
attimo ma alla fine ricambiò, annuendo debolmente:
“Non hai
tutti i
torti Carly… purtroppo il prezzo per non soffrire qui dentro
è proprio la
completa dipartita, non si ha molta scelta.”
Wilhelm sorrise
amaramente, sfregandosi le mani gelide nel vano tentativo di
riscaldarle mentre
Sean e Astrid comparivano da dietro un albero, attirando immediatamente
gli sguardi
dei due alleati, entrambi speranzosi di vederli con qualcosa da
mangiare.
“Bentornati…
e
vedo che avete preso una lepre! Un po’ mi dispiace
perché sono carine, ma il
mio amore per gli animali non può sopravvivere
nell’Arena, temo.”
*
“Ok, quindi
è
deciso… invertiamo i turni di ieri, voi due restate qui a
fare la guardia mentre
noi andiamo a cercare gli altri.”
Kalem
inserì una
carica di proiettili nella pistola che teneva in mano mentre Black
parlava, in
piedi accanto a lui con una mezza dozzina di coltelli da lancio
allacciati alla
cintura.
Cyrus
annuì, quasi
sollevato di non dover andare a “caccia di Tributi”
come aveva dovuto fare il
giorno prima insieme a Kalem, lasciando Caius e Black a fare la guardia
alla
Cornucopia.
“Tranquilli,
nessuno si avvicinerà alla Cornucopia.”
Il tono pacato di
Kalem suggerirono ai tre compagnia che stesse dicendo sul
serio… nessuno osò controbattere
o anche solo dubitare delle parole del ragazzo mentre Caius guardava il
bosco
quasi nervosamente, tormentandosi le mani coperte dai guanti di pelle.
“Non ne
dubito… ci
vediamo dopo, vedete di non farvi ammazzare.”
Black rivolse un cenno ai due compagni prima di partire
quasi a passo di
marcia verso gli alberi, seguito da Caius.
Cyrus li
seguì con
lo sguardo, osservandoli con attenzione mentre le parole di Black gli
risuonavano nella testa… no, di certo non aveva intenzione
di farsi ammazzare…
ma stare da solo con Kalem lo rendeva decisamente nervoso: forse era
più
preoccupato per lui che per i suoi avversari, in effetti.
*
Il cannone li fece
sobbalzare tutti e quattro, fermandosi di colpo e rimanendo
improvvisamente
immobili.
“Beh, direi
che la
calma non è durata… pensate siano state cause
naturali?”
Il sussurro di
Astrid ruppe il silenzio dopo una attimo, mentre Wilhelm scuoteva
leggermente
il capo:
“Non credo,
dopo
pochi giorni… credo che qualcuno sia stato ucciso,
purtroppo.”
Le parole di
Wilhelm furono seguite da un altro lasso di silenzio, come se tutti si
stessero
chiedendo chi fosse morto e come… tutti avevano le orecchie
tese, chiedendosi
se avrebbero sentito un altro colpo che però non
arrivò, portandoli a risvegliarsi
da quello stato di “trance”:
“Sarà
meglio
continuare a spostarsi… non credo sia il caso di restare
fermi.”
Le parole pacate
di Sean portarono i tre compagni a tornare alla realtà,
riprendendo a camminare
silenziosamente tra gli alberi mentre, a solo un paio di km di
distanza, il
corpo di una ragazza era abbandonato al suolo, sulla neve…
ormai privo di vita
e sanguinante.
*
Deglutì,
abbassando lentamente l’arma che teneva in mano. Eccola, la
sua prima vittima…
una ragazzina praticamente indifesa.
Caius
deglutì a
fatica, restando immobile per un attimo senza distogliere lo sguardo
dal punto
dove, poco prima, aveva visto una figura muoversi… e dopo
aver esitato le aveva
sparato, centrandola in pieno e colpendola sulla schiena.
Si era chiesto
come fosse uccidere fin da quando era sopravvissuto al Bagno di
Sangue… e si
era anche chiesto chi sarebbe stata la sua prima vittima, e in quali
circostanze. Avrebbe esitato o l’avrebbe fatto? Se
l’era chiesto diverse volte,
e ora aveva finalmente una risposta da darsi.
Aveva esitato,
sì…
e sapeva che quel momento sarebbe rimasto indelebile nella sua testa,
ma
l’aveva comunque fatto: era la regola che conoscevano tutti,
dopotutto… dopo
tutte le edizioni che aveva visto, non poteva ignorarla: o
uccidi o vieni ucciso.
Sentì dei
passi
affrettarsi velocemente verso di lui e poco dopo Black
l’aveva raggiunto, con
gli occhi sgranati e il fiato corto come se avesse corso:
“Meno male,
ho
pensato che fossi tu… hai colpito qualcuno?”
“Si.”
“Chi?” Di
fronte alla domanda del compagno Caius
esitò, contorcendo la mascella prima di rispondere in tono
piatto:
“Tonya
Aldred.”
*
Camminava a passo
svelto, tenendo il pugnale stretto in mano. Lei e Rubinia avevano
sentito da
poco il cannone che aveva segnato la morte di qualcuno… e
non dovevano essere
molto lontane, visto che avevano sentito distintamente uno sparo.
Che loro
sapessero, erano le uniche ad avere un’arma da fuoco oltre a
Caius, Kalem,
Black e Cyrus… quindi ad aver commesso l’omicidio
dovevano essere stati per
forza loro.
“Brittany,
aspetta…” Il
sussurro di Rubinia la fece
fermare di colpo, voltandosi verso la rossa che stava alzando la mano
che
stringeva la pistola, puntandola verso un punto oltre la rete di
betulle che le
circondava.
“C’è
qualcuno?”
Brittany non
ottenne risposta dalla compagna, ma un lieve rumore di passi e di voci
rese le
parole totalmente inutili… si, erano vicine a qualcuno.
Rimase immobile con il
battito cardiaco acceleratissimo, mentre osservava Rubinia contrarre la
mascella per la concentrazione, mentre cercava di prendere la mira.
Respira
Rubinia… è solo un bersaglio da
colpire
Solo un bersaglio,
nient’altro
Respirò
profondamente, consapevole di avere solo una
possibilità… sparando avrebbero
reso nota la loro pozione a causa del frastuono, quindi avrebbero
dovuto
correre per allontanarsi dai loro avversari, se non volevano finire il
loro
percorso nell’Arena già quel giorno.
Una sola
possibilità: non sprecarla
Strinse la presa
sull’arma e poi premette il grilletto, sparando un colpo con
esasperante
precisione.
Il rumore
sferzò
l’aria e ruppe il silenzio, lasciandosi un eco alle spalle
che durò per qualche
istante… poi la rossa deglutì, rivolgendosi a
Brittany mentre abbassava il
braccio: aveva colpito qualcuno, ne era assolutamente
sicura… e ora dovevano
andarsene, se non volevano essere raggiunte e trovate da Kalem e
company:
“Brittany,
andia-“
Mentre un gemito
di dolore sferzava il silenzio quasi contemporaneamente ad un grido,
Rubinia si
sentì mancare il respiro per un attimo di fronte allo
spettacolo che le si presentò
davanti: rimase immobile mentre Brittany invece abbassava lo sguardo,
lasciando
cadere il pugnale che teneva in mano sulla neve.
Rubinia
sgranò gli
occhi, facendo un mezzo passo indietro ma faticando a muoversi o a
pensare
lucidamente, osservando quasi in trance Brittany e il suo petto,
praticamente
infilzato da una lancia insanguinata.
Non era
possibile…
un attimo prima lei uccideva qualcuno, e un istante dopo anche Brittany
era una
vittima degli Hunger Games.
Un colpo di
cannone sferzò l’aria per la seconda volta dal
Bagno di Sangue, ma Rubinia non
seppe mai se il colpo fosse per Brittany, che intanto si era accasciata
sulla
neve, o per Carly, che era stata da poco colpita dal suo proiettile.
Incapace di fare
qualcosa Rubinia si ritrovò con un singolo pensiero impresso
nella testa mentre si avvicinava al corpo di Brittany, evitando di
guardarla e raccogliendo il pugnale che era caduto sulla neve: corri
Aveva ucciso Carly
Grace, e una lancia aveva colpito mortalmente Brittany…
quindi era vicina non
ad uno, ma a tre Tributi… e di sicuro Wilhelm Grace
l’aveva appena messa sulla
sua lista nera.
Forse avrebbe
potuto voltarsi e uccidere anche Sean Thorn, ma non lo fece…
forse una vittima
era abbastanza per un solo giorno, dopo aver anche perso la sua ultima
alleata.
Deglutendo a fatica
Rubinia girò suoi tacchi, iniziando a correre a perdifiato
sulla neve mentre
Sean si avvicinava al corpo tremante di Brittany Dask, chinandosi per
estrare
l’arma dal suo corpo.
“Mi
dispiace.”
Il sussurro del ragazzo fu
l’ultima cosa che la ragazza sentì, ma Sean non ne
ebbe mai la completa
certezza… appena prima di chiudere gli occhi per
l’ultima volta Brittany puntò
le iridi sul ragazzo, guardandolo senza rancore… quasi come
se lo perdonasse.
Sean rivolse alla ragazza un’occhiata malinconica mentre il
cannone suonava di
nuovo, per poi tornare da Wilhelm e Astrid, entrambi a qualche metro di
distanza
chini sulla neve, sul corpo di una ragazzina dai capelli biondi
riversati sulla
neve sporca di sangue.
Quando Carly era
stata colpita aveva agito d’impulso, spostandosi per capire
chi le avesse
sparato… E non era riuscito a non farlo, a non usare la
lancia contro una delle
due ragazze che aveva visto a soli cinque metri da lui, oltre gli
alberi che
fingevano quasi da recinto tra i due piccoli gruppi.
Non poteva
lasciarsi sfuggire un’occasione del genere… erano
gli Hunger Games, non c’era spazio
per le esitazioni.
“Carly…”
Sean raggiunse
Astrid e Wilhelm, restando in silenzio ed immobile, con la lancia in
mano e in piedi
accanto a loro, gli occhi fissi sulla scena a dir poco straziante:
Astrid era
pallidissima, inginocchiata accanto ai due fratelli… e
Wilhelm teneva il corpo
della sorellina tra le braccia, guardandola con gli occhi finalmente
lucidi.
Non aveva ancora pianto per David, e forse era arrivato il momento per
sfogarsi.
“Carly, mi
dispiace…”
Il singhiozzo del ragazzo
ruppe il silenzio mentre accarezza a o capelli della sorella,
spronandoli
leggermente con il suo stesso sangue che le fluiva copiosamente, troppo
velocemente,
dal petto.
Pallidissima, la
ragazza riuscì a sorridergli debolmente, gli occhi chiari
fissi in quelli del
fratello:
“Ti voglio bene
Wil… Cerca di vincere anche per me.”
La voce era
così
rotta e flebile che solo Wilhelm riuscì a sentire quelle
parole, annuendo prima
di stringere il corpo fragile della sorella, abbracciandola
un’ultima volta
senza smettere di tremare leggermente, chiudendo gli occhi e cercando
di non piangere,
non davanti a tutta Panem… non davanti alla madre.
Sean rimase in
silenzio, non sapendo come comportarsi…. Non riusciva
credere che Carly fosse
morta: un attimo prima era dietro di lui, e poi aveva un proiettile nel
corpo.
Astrid dovette
pensare la stessa cosa perché gli lanciò
un’occhiata incerta mentre si rialzava
lentamente, deglutendo a fatica mentre tutti e tre aspettavano, in
silenzio.
“Ti voglio
bene.”
Wilhelm baciò la fronte della
sorellina, sorridendole debolmente appena prima di sentirlo…
il cannone, il
suono che segnava definitivamente la perdita di sua sorella, quasi
sottolineandola.
*
“Secondo te
chi
hanno ucciso?”
“Non ne ho
idea,
ma questo suono è musica per le mie orecchie…. E
credo valga per tutti. Spero
solo che non siano Caius o Black, ovviamente. Ma abbiamo sentito due
colpi da
arma da fuoco, quindi è meno probabile che siano loro ad
essere morti.”
Kalem si strinse
nelle spalle quasi con noncuranza, ritirandosi la pistola tra le mani
mentre
teneva gli occhi chiarissimi puntati sul bosco che si ergeva davanti a
loro.
Cyrus non era tranquillo come lui, continuando a chiedersi chi fosse
appena
morto… ovviamente da una parte era sollevato, ma era
comunque orribile.
“Alla fine
la
calma non è durata… tre morti nel giro di
poco.”
Tre morti…
Cyrus
si chiese di chi si trattasse, e se erano state tutte vittime dei suoi
compagni. Non poteva sapere che solo uno dei colpi era stato causato da
Caius e
Black, ma l’avrebbe scoperto presto, quando i due sarebbero
tornati alla
Cornucopia.
*
Rubinia correva come
non aveva mai fatto in vita sua, tranne forse al Bagno di Sangue. Non
sapeva
nemmeno dove stesse andando, tenendo saldamente la pistola alla cintura
e il
pugnale stretto in mano.
Brittany era
morta… e la cosa peggiore era la consapevolezza che era solo
stata fortunata:
Sean aveva deciso di colpire lei perché gli dava le spalle e
perché era più
vicina, ma avrebbe anche potuto colpire lei… era solo stata
fortunata, e non
era neanche riuscita a colpirlo… avrebbe anche potuto, ma
non voleva fermarsi a
d’indugiare… era sola in mezzo al bosco e ad altri
tre Tributi, non le andava
di finire circondata.
Rubinia si
fermò,
ansante e appoggiandosi al tronco gelido di un albero, deglutendo a
fatica: Carly
era morta per mano sua, con un proiettile piantato nel
petto… e Sean aveva
visto lei e Brittany: Wilhelm Grace avrebbe certo capito che aveva
ucciso lei
sua sorella… e di sicuro non ne sarebbe stato affatto
contento.
“Brittany
è morta,
quindi?”
La voce la fece
sobbalzare, voltandosi di scatto verso la sua fonte e sollevando la
pistola
quasi con un gesto automatico. Tuttavia si bloccò nel
trovarsi davanti una
ragazzina con dei vistosi capelli rosa legati in una coda: Africa.
La rossa
sospirò,
abbassando l’arma prima di annuire debolmente:
“Sì.” Rubinia
si passò nervosamente una mano tra
i caopelli prima di lanciare un’occhiata dubbiosa alla
ragazzina, chiedendosi
perché non stesse scappando e invece le stesse parlando:
“Perché
non
scappi?”
“Non mi
ucciderai.”
“Cosa te lo
fa
credere?”
“Lo so e
basta.”
La ragazzina si strinse debolmente nelle spalle, mentre
Faye compariva
da dietro un albero, puntando gli occhi arrossati su Rubinia:
“Abbiamo
sentito
due colpi… chi altro è morto?”
“Carly
Grace.”
E l’ho uccisa io
Le parole di
Rubinia aleggiarono nell’aria tra lei e le due quindicenni,
puntando gli occhi
sulla neve candida e cosparsa di impronte… Con suo sommo
sollievo nessuna delle
due decise di indagare, mentre Rubinia si accorgeva che qualcosa
stonava…
qualcuno mancava, in effetti:
“Dov’è
Tonya?”
“E’
morta stamattina. Le hanno sparato.”
Africa si
accigliò, studiandola quasi con cipiglio
accusatorio… come se volesse chiederle
se le avesse sparato lei.
Rubinia
intuì cosa stesse pensando e sbuffò,
affrettandosi a scuotere il capo con veemenza:
“Non sono
stata
io, sarà stato Kalem. Mi dispiace, comunque.”
Faye e Africa si
scambiarono un’occhiata incerta senza aggiungere altro, come
se fossero
indecise se crederle o meno… dopo un attimo di silenzio
però sembrarono
propendersi per la prima opzione e Faye annuì, rivolgendosi
di nuovo a Rubinia:
“Beh, tu sei
rimasta sola, e noi siamo in due… se vuoi, puoi restare con
noi. Non credo che
da soli si combini molto, qui.”
Africa rivolse
alla compagna un’occhiata torva, come ad ammonirla di
consultarsi con lei prima
di uscirsene con frasi del genere… ma con sua somma sorpresa
Rubinia annuì,
rimettendosi la pistola nel fodero:
“Ok, ci
sto.”
Faye sorrise quasi
con soddisfazione e Rubinia le si avvicinò, porgendole il
pugnale che aveva
raccolto prima dal corpo di April e poi dal suolo, quando Brittany
l’aveva
fatto cadere:
“Tieni,
potrebbe
servirvi… Avete per caso dell’acqua? Non bevo da
un giorno intero…”
“No, ma
abbiamo
trovato una specie di ruscello qui vicino ieri… vieni, ti
facciamo strada.”
*
“Faccio io
il primo
turno.”
Il tono di Wilhelm
era così duro e pacato che Astrid e Sean non osarono
obbiettare, limitandosi ad
annuire mentre la ragazza srotolava il sacco a pelo sulla neve.
Non avevano quasi
aperto bocca da quando un hovercraft aveva prelevato il corpo di
Carly… al
crepuscolo avevano cotto la carne della lepre e ne avevano mangiata un
po’
ciascuno, restando quasi sempre in silenzio.
Tutti e tre stavano
aspettando che partisse l’unno, segnando che stavano per
proiettare i morti del
giorno sul cielo: ovviamente due erano Carly e Brittany, ma erano
curiosi
riguardo al terzo.
“Immagino
che
sperare che fosse Kalem sia chiedere troppo.”
Il sussurro di Astrid fece sorridere amaramente Sean
mentre le faceva
cenno di infilarsi nel sacco a pelo, riparandosi leggermente dal freddo.
“Probabilmente
sì…
ma di chiunque si tratti, è pur sempre un ostacolo in meno
al sopravvivere.”
Sean
s’infilò nel
sacco a pelo accanto alla ragazza, mentre ad un paio di metri di
distanza
Wilhelm stringeva la lancia insanguinata del compagni in mano, pronto
ad usarla
se necessario: non aveva alcuna intenzione di farsi uccidere, non
subito dopo
aver perso Carly… ora che sua sorella era morta era ancora
più deciso a
vincere.
E se anche non ci
fosse riuscito, almeno l’avrebbe vendicata uccidendo Rubinia.
Wilhelm teneva lo
sguardo
fisso sulla neve, chiedendosi perché avesse scelto di
colpire proprio lei…
avrebbe anche potuto colpire lui, ma forse dall’angolazione
della ragazza Carly
era stata il bersaglio più semplice.
Carly non
c’era
più, ma avrebbe potuto facilmente essere morto lui al suo
posto.
Un rumore
familiare fece sobbalzare entrambi, portandoli ad alzare lo sguardo su
qualcosa
che si stava avvicinando, planando dritto verso di loro.
“Non ci
credo…” Astrid
Sgranò gli occhi,
sorpresa e improvvisante di buon umore… era la prima volta
in cui ricevevano
qualcosa.
“Io
sì. Carly e
Wilhelm sono sempre piaciuti al pubblico.”
Sean inarcò
un
sopracciglio, impassibile mentre il compagno raccoglieva il paracadute,
che era
caduto proprio accanto a lui… aprendolo un sorriso gli
increspò il volto per la
prima volta da quando era nell’Arena.
Dentro c’era
un
coltello da lancio dal manico in osso, la lama sottile e appuntita.
Allegato c’era
anche un biglietto che lesse subito, sorridendo appena nel riconoscere
la
calligrafia di sua madre:
Vendicala
“Mi hanno
mandato
un coltello… beh, almeno ora abbiamo un’arma in
più.”
“Credi che
stia
bene?”
“No, certo
che no…
sarebbe inusuale il contrario. Ma diamogli tempo, lasciamolo stare per
un po’…
se è arrabbiato, è perfettamente
comprensibile.”
Astrid
annuì alle
parole di Sean, continuando a guardare Wilhelm mentre era coperta fino
alla
vista dal sacco a pelo termico, seduta contro un albero accanto a Sean,
che le
stringeva le spalle con un braccio.
“Spero solo
che la
prossima volta ci mandino dell’acqua, invece che un
coltello… abbiamo riempito
le due bottiglie ieri, ma non so per quanto ci dureranno.”
La ragazza
sospirò, chiedendosi quando quella situazione sarebbe
finita: erano passati
quattro giorni, ma a lei sembravano almeno due settimane…
Capitol era solo un
lontanissimo ricordo, ormai.
“Faremo in
modo di
piacere al pubblico, allora… ma ora dormi Astrid, ci
penseremo domani.”
Se ci arriviamo
Astrid
annuì,
trattenendosi dal dire quello che pensava mentre appoggiava la testa
alla
spalla del ragazzo, usandolo come cuscino mentre lui la teneva stretta
a sé, trasmettendole
un po’ di calore in più in mezzo al freddo della
notte.
"Tu
come stai? Non hai detto una parola dopo che Brittany..."
"Astrid,
ti devo minacciare per farti dormire?"
*
“Beh,
finalmente.” Kalem
sbuffò appena, puntando lo sguardo sul
cielo con impazienza: da quando Black e Caius erano tornati, morivano
tutti
dalla voglia di sapere chi fosse morto, visto che Caius aveva ucciso
solamente
Tonya.
Il simbolo di
Panem scomparve da sopra le loro teste e i quattro, in silenzio, si
ritrovarono
ad ascoltare l’inno con la foto di Carly proiettata nel cielo
buio, seguita da
quelle di Tonya e infine di Brittany.
Poi l’inno
finì e
tutto tornò buio, esattamente come dieci minuti pima. I
quattro rimasero in
silenzio per un attimo, prima che Kalem parlasse in tono piatto:
“Beh, poteva
andare meglio… nessuna di loro ci avrebbe creato problemi,
ho idea.”
“Probabilmente,
ma
sono comunque tre persone in meno… e con questo siamo a 10
morti: siamo
ufficialmente dimezzati.”
Black piegò
le
labbra in un sorriso, quasi sollevato: il cerchio stava già
iniziando a
stringersi… gli sembrava di essere entrato
nell’Arena da pochissimo, quando
invece erano già passati quattro giorni ed erano morti in 10.
Di quel passo, la
sua avventura non avrebbe avuto ancora lunga durata.
Cyrus invece
rimase in silenzio, non prendendo parte alla conversazione tra i tre
compagni,
che si stavano organizzando per il giorno successivo: gli sembrava
impossibile
che fossero rimasti in 10… erano ufficialmente a
metà dei Giochi, e quasi non
riusciva a credere di essere ancora vivo.
Sei arrivato fino a
qui, Cyrus… devi solo
resistere ancora per un po’.
.........................................................................................................................................
Angolo Autrice:
Salve a tutti! Quetsa volta non vi ho
fatto aspettare molto, ma in compenso ho fatto fuori tre Tributi... se
non si era ancora capito, solitamente ci vado giù
pesante.
Arrivati a questo punto, i Tributi rimasti
sono 10... vi chiedo quindi di dirmi via messaggio privato
quali sono i vostri 5 preferiti, ovviamente escludendo
il vostro. Congratulazioni a chi è arrivato a questo punto,
siamo già a metà dei Giochi u.u
Oc
morti del capitolo:
-
Tonya Aldred
-
Silver Carly Grace
-
Brittany Dask
E'
stata dura scegliere, perchè arrivati a questo punto mi
piacciono davvero un po' tutti... ma sono pur sempre gli Hunger Games,
quindi non voletemene.
Ci
sentiamo presto, spero, con il seguito... aspetto le risposte, mi
raccomando!
Signorina
Granger
|
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Capitolo 14 *** Sesto giorno ***
Capitolo 12: Sesto giorno
“Siamo rimasti noi tre, il gruppetto di Kalem, Cyrus, Black e Caius... Tonya è morta, ma probabilmente Africa e Faye sono ancora insieme... quanto a Rubinia, suppongo che sia sola ora.”
“Potrebbe. O potrebbe essersi alleata con qualcuno, non lo possiamo sapere.”
Astrid si strinse nelle spalle mentre continuava a camminare accanto a Wilhelm, con Sean che li precedeva di un paio di metri. La ragazza continuava a pensare a Rubinia, grata di non essere nei suoi panni: non avrebbe mai voluto trovarsi sola nell’Arena... era già orribile con la compagnia di Sean e Wilhelm, figuriamoci da sola contro tutti gli altri.
“È vero, non lo possiamo sapere... Ma credo che dovremmo fare qualcosa.”
“Riguardo a...?”
“Noi abbiamo perso Erica, David... e mia sorella. Rubinia ha perso le sue alleate, e anche Tonya è morta. Abbiamo tutti perso degli elementi, ma loro no... quei quattro sono rimasti così dal Bagno di Sangue, non possiamo stare con le mani in mano ad aspettare che ci trovino.”
Wilhelm piegò le labbra in una smorfia, pensando a Caius, Black, Cyrus e Kalem... sapeva per certo che andavano quotidianamente in giro per l’Arena per trovarli, e non potevano certo nascondersi per sempre... andavano affrontati, prima o poi.
“Lo so, prima o poi dovremmo fare qualcosa.”
Astrid annuì quasi con aria sconsolata, come se l'idea non le piacesse per niente... e in effetti era così, ma era consapevole della situazione in cui si trovava e del non poter giocare in eterno a nascondino.
“In effetti ci stavo pensando anche io.” Sean si fermò di colpo, voltandosi verso i due tenendo ancora la lancia stretta in mano, come sempre da dopo il Bagno di Sangue.
Si avvicinò ai due di un paio di passi e annuì, parlando con tono pacato:
“Credo che dovremmo andare a cercarli noi... non dovrebbe sere difficile, sono alla Cornucopia. E ogni giorno due di loro vengono a cercarci, con ogni probabilità... se alla Cornucopia sono in due, potremmo riuscire a colpirli.”
“Il problema è che loro hanno le armi da fuoco Sean... con quelle possono benissimo colpirci a distanza. Non possiamo assolutamente farci vedere.”
“Ovviamente no. Dobbiamo solo starcene buoni e in silenzio sul limitare degli alberi, aspettando che due di loro se ne vadano a passeggio... e a quel punto, gli faremo una visitina.”
Sean sorrise quasi con leggera soddisfazione e Wilhelm annuì, rigirandosi tra le dita il coltello che gli avevano mandato un paio di sere prima. Astrid invece non disse nulla, restando in silenzio mentre analizzava l'idea del compagno: aveva la sensazione che molto probabilmente non sarebbe finita bene, ma sapeva che non avevano molta scelta.
Scorgendo la sua espressione quasi cupa Sean le sorrise, mettendole in braccio intorno alle spalle quasi come a volerla incoraggiare:
“Non fare quel muso lungo, Astrid... andrà tutto bene, vedrai. Loro hanno le armi certo, ma non sono come i Favoriti... esattamente come noi, non sono mai stati addestrati. Ergo, possiamo perfettamente cavarcela, se giochiamo bene le nostre carte.”
“Allora usiamole egregiamente Sean... altrimenti, non finirà bene per noi.”
*
Rubinia continuava a camminare, masticando con leggero nervosissimo un pezzo di corteccia. L'aveva visto fare nei Giochi milioni di volte, e spesso si era chiesta che razza di sapore dovesse avere... non molto buono in effetti, ma era comunque meglio di niente.
Erano anche riuscite a risolvere il problema dell'acqua visto che il mattino precedente un paracadute era planato accanto a lei, Faye ed Africa: avevano ricevuto una spillatrice, e con quella potevano facilmente procurarsi dell’acqua in ogni momento.
“Ma come fanno a mangiarla... è orribile.”
“Si beh, di sicuro non somiglia a quello che mangiamo di solito a Capitol.”
Faye sfoggiò un lieve sorriso, quasi divertita dal disgusto di Africa mentre camminavano una accanto all'altra, un passo dietro a Rubinia che avanzava in silenzio, con la pistola in mano mentre rifletteva sul da farsi.
“No, non ci somiglia neanche un po’... Vorrei proprio vedere le mie sorelle alle prese con questa roba.” Africa quasi sorrise, pensando alle sorelle e alla madre nella sua stessa situazione... di certo sua madre si sarebbe adattata molto difficilmente, non ce la vedeva proprio a mangiare corteccia per sfamarsi.
“Immagino che l’obbiettivo fosse anche questo... mi sembra quasi di sentire le risate dei Distretti nel vedere noi di Capitol a mangiare questa roba... per loro dev’essere una goduria, sapendo come abbiamo sempre vissuto.”
Rubinia sfoggiò una smorfia, immaginandosi chiaramente gli abitati dei Distretti che se la ridevano di fronte alle sue parole... ma potevano star certi che non glie l'avrebbe data vinta, né a loro né ai Vincitori.
*
Cyrus si stava sistemando una discreta fila di coltelli da lancio nella fodera allacciata alla cintura, mentre accanto a lui Caius era occupato a sistemare la carica di una pistola.
Quel giorno toccava a loro, avrebbero dovuto trascorrere qualche ora in giro per l’Arena, cercando qualcuno tra i loro compagni/avversari.
Nessuno dei due moriva dalla voglia di farlo, men che meno Cyrus... ma il ragazzo era pienamente consapevole di non avere scelta: quella situazione non gli piaceva, ma era l'unico modo che aveva per sopravvivere, uccidere i suoi compagni... e poi rifiutandosi si sarebbe messo di certo contro Kalem e Black, e non ne aveva alcuna voglia.
Il ragazzo si sistemò i guanti foderati con leggero nervosismo, quasi sperando di non incontrare nessuno: non aveva ancora ucciso nessuno da quando era entrato nell’Arena... e non gli sarebbe dispiaciuto continuare così ancora per un po’. Forse non era coraggioso, ma preferiva lasciare che fossero i suoi amabili alleati a spargere sangue... non era un assassino, e non lo sarebbe mai stato.
"Io sono pronto... possiamo andare.” La voce di Caius lo riportò improvvisamente alla realtà, facendolo annuire con scarsa convinzione mentre Kalem e Black parlottavano fuori dalla Cornucopia, mettendosi d'accordo su come fare la guardia alla struttura d'oro durante l'assenza dei due compagni.
Caius e Cyrus uscirono dalla Cornucopia con ben poca allegria, facendo voltare i due nella loro direzione:
“State andando? Bene... mi raccomando, se incontrate qualcuno nessuna esitazione...
Di chiunque si tratti.”
“Lo sappiamo.” Caius sfoggiò una lieve smorfia, ricordando quando aveva sparato a Tonya... non ne andava molto fiero, ma sapeva che in caso di necessità l'avrebbe rifatto.
Nessuna esitazione, quelle due parole erano perfettamente chiare nella sua testa.
Black annuì, dandogli una leggera pacca sulla spalla quasi a volerlo incoraggiare, mentre Kalem restava in silenzio, osservando i due con cipiglio pensieroso, come se stesse riflettendo.
Cyrus se ne accorse e ricambiò il suo sguardo, inarcando un sopracciglio come a volergli chiedere che cosa ci fosse... ma Kalem non disse niente, facendo un breve cenno ai due, invitandoli a muoversi:
“Beh, inutile dire che spero che troviate qualcuno... noi ieri non abbiamo avuto molta fortuna, magari oggi le cose andranno diversamente.”
“Lo spero, ieri non è morto nessuno... e anche se siamo qui da nemmeno una settimana, il tempo sembra fermarsi nell’Arena.”
Black sfoggiò una smorfia, manifestando tutta la sua irritazione: il giorno prima lui e Kalem avevano passato ore nel bosco, ma non si erano imbattuti in anima viva, eccetto qualche lepre... e non avevano sentito alcun colpo di cannone, quindi anche i loro avversari non si erano scontrati.
“Ci vediamo dopo, allora... Cercate di non farci perdere le provviste.”
“Rilassati Gold, sono in buone mani... guardatevi le spalle, invece di pensare a noi.” Black sorrise appena, rivolgendo ai due compagni un cenno mentre Caius e Cyrus si allontanavano, camminando sulla neve verso il bosco.
Kalem e Black restarono in silenzio per qualche minuto, osservando i due finché non uscirono dal loro campo visivo, sparendo tra gli alberi.
Nessuno tra i quattro poteva immaginare che non si sarebbero affatto ritrovati alla Cornucopia tutti insieme...
*
“Non voglio fare la rompiscatole o la guastafeste Rubinia... ma sei davvero sicura che sia una buona idea?”
Africa inarcò un sopracciglio, guardando la ragazza camminare davanti a lei con una punta di scetticismo nel tono di voce: non le andava di tirare su polemiche, ma non era certa che fosse una buona idea.
“Non mi va di aspettare che quei quattro ci trovino, sinceramente... loro non sanno dove siamo, ma NOI si. Possiamo andare a fare una bella visitina a quei simpaticoni quando meno se lo aspettano, è impossibile che si siano spostati dalla Cornucopia. Immagino che sia uno degli svantaggi di avere moltissime provviste: spostarsi diventa molto difficile.”
Rubinia parlò senza nemmeno voltarsi o smettere di camminare, procedendo tra gli alberi a passo deciso: la Cornucopia era perfettamente al centro dell’Arena, ergo non era difficile raggiungerla... bastava semplicemente camminare nella direzione opposta che aveva seguito fino a quel momento, tornando al centro dell’Arena invece che starne alla larga.
“Si, ma loro hanno un mucchio di armi... di certo non si faranno trovare impreparati.”
“Innegabile, ma anche io ho una pistola... e il bello delle armi da fuoco è che si può colpire perfettamente un bersaglio a distanza, se si ha una buona mira... con un po’ di fortuna, riuscirò a prenderne uno. Basterà aspettare che due di loro girino al largo.”
Rubinia si strinse nelle spalle, parlando con una tale disinvoltura e un tono così rilassato che Faye e Africa non obiettarono: se Rubinia era tanto convinta, forse aveva ragione... del resto avrebbero potuto benissimo nascondersi tra gli alberi ad aspettare.
“Come mai sei così scettica?”
“Non è per l'idea in sé... sono d'accordo sul fatto che non possiamo aspettare che ci trovino, sarebbe una pessima idea... ma c'è qualcosa che non mi torna. Non lo so, non ho una sensazione positiva.” Africa sbuffò appena, stringendosi nelle spalle mentre camminava tenendo lo sgaurdo basso, cercando di rilassarsi.
Faye le sorrise leggermente, quasi a volerla tirare su di morale mentre continuavano a camminare, dirette verso la Cornucopia:
“Pensa positivo... Rubinia sa quello che fa, è una ragazza sveglia.”
“Speriamo che quei ragazzi non lo siano di più, allora.”
*
“Ok... ci siamo, siamo arrivati.”
Sean si fermò, in piedi accanto ad un albero con la lancia stretta in mano. La Cornucopia era lì, scintillante sotto il sole ad una trentina di metri da loro.
“Ok... ora dobbiamo assicurarci che due di loro non ci siano.” Wilhelm si mise una mano sulla fronte, cercando di vedere bene nonostante la luce: per qualche minuto rimasero in perfetto silenzio, in attesa senza vedere nessuno... ma poi videro Black Hole fare il giro della Cornucopia, assicurandosi che non ci fosse nessuno dei paraggi.
“Quello è Kalem, è inconfondibile con quei capelli.” Il mormorio di Astrid attiro l'attenzione dei due ragazzi, che si voltarono subito verso la direzione indicata dalla ragazza: in effetti Kalem era impossibile da non riconoscere, con i capelli chiarissimi che quasi brillavano sotto il sole. Era in piedi fuori dalla Cornucopia, tenendo qualcosa in mano di non riconoscibile, a quella distanza.
“Ok... aspettiamo un po’, dobbiamo assicurarci che non ci siano Gold e Dennim. Poi decideremo su come comportarci.”
Sean annuì alle parole di Wilhelm, stringendo la lancia sporca di sangue in mano: non gli piaceva l'idea, ma era pronto ad usarla un’altra volta.
Astrid rimase in silenzio, spostando lo sgaurdo da Kalem a Black: era abbastanza sicura che fossero soli, a meno che Caius e Cyrus non si fossero nascosti dentro la struttura della Cornucopia... ma sapeva che Black e Kalem bastavano e avanzavano per rappresentare una minaccia.
*
“Bingo... ecco Schweinson.” Un sorriso quasi trionfante fece capolino sul volto di Rubinia, che quasi senza esitare strinse la pistola in mano, sollevando il braccio nella sua direzione.
“Rubinia, aspetta! Non dovremmo prima...”
Ma Faye non fece in tempo a finire la frase: lo sparo fece sussultare sia lei che Africa, esattamente come Sean, Wilhelm e Astrid, che erano fermi nella loro stessa posizione ad una ventina di metri di distanza.
“Sembra che Rubinia abbia avuto la nostra stessa idea...” Sean inarcò un sopracciglio, sporgendosi per riuscire a vedere qualcosa... ma sia Kalem che Black erano dall'altra parte della Cornucopia, fuori dalla loro visuale.
“Credete che abbiano colpito qualcuno?”
“Non lo so Astrid, anche se lo spero... chissà CHI dei due, però.”
Le parole di Wilhelm vennero seguite da un altro rumore, altrettanto familiare: ma non era uno sparo... era un colpo di cannone.
*
Sentendo lo sparo, gli si gelò il sangue nelle vene... e quasi senza riflettere corse, uscendo dalla Cornucopia per ritrovarsi davanti a Kalem, steso sulla neve a pancia in su... e con il petto sanguinante.
“Merda... Kalem!” Black gli si avvicinò in fretta, prendendogli la pistola dalle mani e sollevando lo sgaurdo: era stato colpito.... ma da chi?
Il ragazzo sanguinava e aveva gli occhi chiarissimi aperti, puntati sul cielo artificiale e limpido che lo sovrastava.
Possibile che dovesse andarsene in quel modo? Se non altro conosceva il nome della persona che l'aveva colpito... Rubinia era riuscita a fregarlo, alla fine.
Quasi non sentì Black prendergli l'arma dalle mani e dire qualcosa... lo vide inginocchiati accanto a lui, puntando lo sguardo sul bosco prima di alzarsi e allontanarsi da lui. Ma non gli importò e rimase immobile, non cercando neanche di muoversi o di parlare... infondo non era uno stupido, sapeva come sarebbe finita.
Dopo qualche secondo, mentre stava per perdere coscienza, sentì un rumore forte e vicino... familiare: un secondo sparo.
Ma Kalem non seppe mai se Black venne colpito, o se fu proprio il suo alleato a sparare con la sua stessa arma... chiuse gli occhi, smettendo di preoccuparsene o di sentire dolore: infondo, non gli doveva più interessare.
L’ultima cosa a cui pensò fu la ragazzina che aveva ucciso anni prima... e per un attimo si chiese se l'avrebbe rivista, quando sarebbe morto a sua volta.
Kalem Schweinson sorrise appena, sfoggiando per l'ultima volta il ghigno sbilenco che aveva sempre spaventato tutti... certo che no, non l'avrebbe mai rivista. Del resto, sarebbero finiti in posti molto diversi.
Ed era giusto così.
*
“Rubinia, hai colpito Kalem e molto probabilmente morirà... dobbiamo andare, prima che Black ci veda!”
“Lo so Faye, ma non posso sprecare quest’occasione... posso uccidere anche Hole!”
“Rubinia, ascoltala... dobbiamo andare!”
Africa sospirò, parlando con impazienza mentre guardava Rubinia prestare ancora attenzione alla Cornucopia, gli occhi puntati su Black. Il ragazzo si era alzato, allontanandosi leggermente dal corpo di Kalem per avvicinarsi al bosco di qualche passo, la pistola stretta in mano... e prima che Rubinia riuscisse a prendere la mira aveva sollevato il braccio, sparando a sua volta senza neanche esitare, colpendo la prima persona che aveva visto e che gli capitò sotto tiro.
Africa aveva mosso un paio di passi vero l'interno del bosco quando si fermò di scatto, voltandosi quasi istintivamente verso una delle sue compagne:
“No!”
*
“Black non si è accorto di noi... lo possiamo colpire!”
“Sean, probabilmente Caius e Cyrus stanno già tornando qui... dovremmo andarcene, prima che spuntino come funghi!”
Astrid prese il ragazzo per un braccio, cercando di fermarlo mentre un secondo colpo di cannone li faceva sussultare, segno che era morto anche se un secondo Tributo.
Black intanto si era allontanato dalla Cornucopia e dal cadavere sanguinante di Kalem, correndo verso gli alberi... ma non nella loro direzione.
Senza pensarci due volte Sean si divincolò dalla presa di Astrid, correndo verso la struttura d'oro:
“SEAN!”
“Ferma... tranquilla, sa quello che fa.”
Astrid fece per seguirlo ma Wilhelm l’afferrò, trattenendola mentre Sean si muoveva velocissimo verso la Cornucopia, approfittando che fosse momentaneamente rimasta incustodita per prendere qualcosa: Black aveva ucciso qualcuno e poi aveva cercato di inseguire le altre... forse Astrid aveva ragione e Caius e Cyrus stavano tornando di corsa al centro dell’Arena, ma non poteva lasciarsi sfuggire quell’occasione.
*
Perché?
Continuava a correre, abbassandosi per schivare dei rami bassi o saltando delle radici particolarmente sporgenti per non finire per terra... cadere in quel momento avrebbe significato perdere la vita, molto probabilmente.
Perché piangi, stupida?
Senza smettere di correre come probabilmente non aveva mai fatto in vita sua Africa si asciugò gli occhi, sbuffando e ordinandosi mentalmente di smetterla, di non pensarci...
Non sapeva perché, ma aveva gli occhi lucidi... e continuava a rivederla.
Avevano cercato entrambe di avvertirla... ma forse Rubinia aveva voluto osare troppo, esitando un minuto di più rispetto al dovuto... e a rimetterci non era stata lei, ma Faye.
“Non lo sento più...” Rubinia imprecò, fermandosi di colpo e appoggiandosi ad un albero, con il fiato e: quando Black aveva colpito Faye non si era fermata ad obbiettare, prendendo un’Africa quasi sotto shock e trascinandosela dietro in mezzo agli alberi, sapendo che Black non si sarebbe allontano troppo dalla Cornucopia, lasciandola incustodita.
In effetti ormai dovevano averlo seminato... o almeno la rossa lo sperava.
Africa si fermò accanto a lei, respirando a sua volta a fatica mentre deglutiva, metabolizzando quanto era appena successo... talmente in fretta che quasi non se n'era resa conto.
“Dovevamo andare. Non sarebbe morta.” Dopo qualche istante Africa parlò, fulminando la compagna con lo sgaurdo e parlando quasi con una nota di rabbia nella voce.
“Lo so.” Rubinia annuì, lasciandosi scivolare lungo il tronco dell’albero fino a ritrovarsi seduta sulla neve, sospirando e non sapendo che cosa dire davanti allo sgaurdo quasi accusatorio di Africa:
“Mi dispiace.”
“Anche a me.”
*
Black sbuffò, prendendo una spada e lanciandola quasi con rabbia contro una delle pareti della Cornucopia, continuando a misurarne l'interno a grandi passi.
Stava aspettando che Caius e Cyrus tornassero... e continuava a pensare a Kalem, a come fosse morto e al modo stupido con cui si era fatto sfuggire due Tributi da sotto al naso. Se non altro, ne aveva uccisa una...
Il ragazzo sospirò, sedendosi all'entrata della struttura dorata e puntando gli occhi sul bosco, in attesa... di certo Caius e Cyrus si stavano chiedendo se i due colpi non avessero significato la morte sua e di Kalem... e anche se quest'ultimo era effettivamente morto, lui almeno aveva colpito Faye.
Gli occhi del ragazzo si posarono sul punto dove Kalem era morto... la neve era sporca di sangue, marchiandola visibilmente.
Che cosa avrebbe detto Kalem in quel momento? Non gli risultava affatto difficile immaginarlo...
“Sono comunque due ostacoli in meno che ci separano dalla vittoria... ogni morto, ogni colpo di cannone è un passo in avanti verso la vita.”
Tristemente, era consapevole che Kalem aveva ragione.
*
“So che non dovrei... ma è sbagliato essere quasi felici che Kalem sia morto?”
“No, non credo. Insomma, era una considerevole minaccia... il fatto che sia morto ci giova. Tieni.”
Sean spezzò una galletta a metà, porgendola ad Astrid. Quando era entrato nella Cornucopia aveva arraffato uno zaino e anche un'altra lancia, che aveva poi ceduto a Wilhelm... e con loro somma gioia, nello zaino avevano trovato un sacco a pelo, una borraccia d'acqua e delle gallette e anche un secondo paio di guanti che Wilhelm aveva indossato con somma gioia.
“Grazie.” Astrid prese la galletta, mangiandola lentamente mentre era seduta sulla neve, appoggiata al tronco di una betulla accanto a Sean, che le aveva appoggiato un braccio intorno alle spalle.
“Quando sono tornato indietro eri più pallida del corpo di Kalem, Astrid... avevi paura che non tornassi?” Sean sorrise, dandole una leggera gomitata e facendola annuire, senza però rispondere al sorriso e guardandolo con aria serissima:
“In effetti sì... insomma, Black sarebbe potuto tornare da un momento all'altro, sei stato avventato.”
“Io credo che a volte bisogna esserlo... insomma, non c'è sempre il tempo di fermarsi a riflettere, giusto?”
Sean sorrise, spostandole una ciocca di capelli castani che era uscita dalla coda della ragazza, sistemandogliela dietro l'orecchio.
A quel gesto il volto di Astrid mutò colore, diventando improvvisamente di un acceso rosso che lo fece ridacchiare:
“Arrossisci? Che carina...”
“Non essere sciocco... è per il freddo!”
“Giusto... vieni qui, allora.” Sean sorrise, stringendole il sacco a pelo addosso a mo’ di coperta prima di abbracciarla, appoggiando il capo su quello della ragazza.
Astrid fece per ritrarsi ma poi cambiò idea, sospirando quasi di sollievo per il calore improvviso: non sapeva come, ma quel ragazzo era una specie di termosifone umano.
“Volete che vi lasci soli, per caso?”
“NO!” Sia Wilhelm che Sean risero di fronte alla risposta decisa e affrettata di Astrid, che sbuffò e nascose il viso sulla spalla di Sean, borbottando quanto fossero imbecilli proprio mentre un lieve rumore attirava improvvisamente l'attenzione dei due: non era l'inno, era ancora troppo presto... bensì un paracadute.
“Grandioso... sembra che piacciamo al pubblico!” Wilhelm sfoggiò un sorriso allegro, affrettandosi ad alzarsi per tirare giù quello che avevano appena ricevuto.
Quando vide cosa conteneva il cestino il suo sorriso si allargò, voltandosi verso i due compagni con aria allegra:
“Sapete che vi dico? Continuate pure a fare i piccioncini... tanto meglio per noi!”
Sean e Astrid strabuzzarono gli occhi di fronte al cestino, che conteneva dei panini, qualche mela e anche un piatto di stufato.
“Wilhelm, non facciamo i piccioncini, piantala! Ma dammi una mela, non ci vedo dalla fame!”
“Agli ordini signorina!”
*
Meno altri due... ormai erano rimasti in otto.
Cyrus sospirò, quasi sollevato che quel giorno qualche Tributo fosse morto: almeno la fine si stava avvicinando sempre di più, fortunatamente... cominciava ad esasperarsi davvero, e non voleva pensare agli altri, che di sicuro se la stavano passando peggio visto che non avevano le loro provviste.
“Credo che da domani non dovremmo più stare qui... siamo in tre, ed è meglio che nessuno di noi resti solo. Dopo quello che è successo oggi, non credo che restare qui sia sicuro.”
“Quindi cosa proponi di fare?”
“Portiamoci dietro il più possibile, o almeno le cose più importanti... e poi ce ne andremo, così se dovessero tornare non ci troverebbero più. Non ho alcuna intenzione di farmi giocare uno scherzo come quello di oggi.”
Black sbuffò, spezzando nervosamente un rametto mentre Caius annuiva, scaldandosi accanto al fuoco che avevano acceso un paio d'ore prime, avevano invece sentito l'inno poco prima, insieme ovviamente ai volti di Kalem e Faye.
“Non sarebbe il caso, decisamente... d'accordo, domani ci sposteremo nel bosco, insieme agli altri. Chissà di non trovarli più facilmente, una volta lì.”
Caius sbuffò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli: per loro quel giorno era stato un fiasco totale, avevano perso Kalem e non avevano trovato nessuno nel bosco... lui e Cyrus avevano camminato per ore per niente, ma almeno Black aveva avuto più fortuna e aveva ucciso un Tributo, scampando a sua volta alla morte per un soffio.
“Rilassati Caius... domani andrà meglio. Stanne certo.”
.......................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera! Sto diventando più veloce, contenti?
Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, grazie per le recensioni e a chi mi ha mandato i cinque nomi dei Tributi preferiti... invito chi non l'ha ancora fatto a mandarli, per favore!
OC morti in questo capitolo:
- Kalem Schweinson
- Faye Dashwood
Altri due in meno... Restiamo a quota 8, ancora complimenti a chi è ancora in gioco! u.u
Ci sentiamo agli inizi della prossima settimana con il seguito!
Signorina Granger
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Capitolo 15 *** Ottavo giorno ***
Capitolo 13: Ottavo giorno
“Quanti?”
“Otto.”
Sospirò, contraendo nervosamente la mascella e trattenendosi dall’esplodere, ribaltare tutta la stanza e uscire sbattendosi la porta alle spalle... erano morti già in 12, e l'idea che dovesse succedere altri sette non la rallegrava per niente.
Loro no... sembravano divertirsi. E la cosa la disgustava e basta.
Gli occhi scuri della Presidentessa Paylor vagarono sugli Strateghi che confabulavano tra loro, discutendo se creare o meno una bufera di neve quel giorno... possibile che stessero reagendo meglio di lei?
Era assurdo... quasi paradossale.
I Vincitori avevano vietato positivamente perché volevano farla pagare a Capitol... e i Distretti alla notizia avevano gioito, lieti di riprendersi una rivincita.
E allora perché non battevano ciglio? Perché non si stavano disperando? Sembrava che non fosse cambiato niente, che quella fosse solo l'ennesima edizione degli Hunger Games: a Capitol si continuava a scommettere e a fare da sponsor... non era cambiato nulla.
“Questa storia dovrebbe essere già finita. Mi auguro di non essere l'unica a pensarlo.”
“No, non lo sei. Ma molti non sono d'accordo.”
Annuì alle parole di Plutarco, tenendo lo sgaurdo fisso sull’enorme schermo che dava sull’Arena mentre rifletteva. No, non lo era... lo Stratega aveva ragione.
“Giusto. Divertiti con le tue marionette Plutarch... non so per quanto ancora potrai farlo. Chiamatemi Mellark, Annie Cresta, Abernathy e Latier, forse a breve ci sarà una seconda votazione. E niente bufera di neve!”
Senza dare tempo a nessuno di commentare o ribattere la donna girò sui tacchi, uscendo dalla stanza quasi a passo di marcia e lasciando nuovamente soli i “burattinai”, come li chiamava fin da ragazzina.
Non era come Coriolanus Snow, e non lo sarebbe mai stata. Ma aveva pur sempre il potere, e non aveva alcuna intenzione di farsi calpestare... non le era mai piaciuto, e non avrebbe iniziato a cambiare idea. Non ancora, almeno.
*
Mentre camminava teneva lo sgaurdo basso, fisso sulla neve segnata dalle loro impronte: ormai al freddo ci aveva quasi fatto l'abitudine... ma la neve restava un costante problema. Non era difficile rintracciarli, seguendo delle semplici impronte.
E vedendone tre serie erano facilmente riconducibili proprio a loro.
Sfortunatamente non c'era modo di cancellarle, se si spostavano di continuo come avevano sempre fatto... e Sean si chiedeva se prima o poi quelle impronte fastidiose non sarebbero state la loro rovina.
Il giorno precedente era passato lento e quasi noioso... non era successo nulla, non si erano scontrati con nessuno... e non avevano sentito alcun colpo di cannone, segno che anche gli altri erano rimasti a distanza.
“A che pensi?”
“Niente... alle impronte. Dannata Arena e dannata neve.”
“Pensa positivo Sean, dopotutto non ci siamo ancora imbattuti in Caius, Black e Cyrus... magari avremmo fortuna e non succederà.”
“Mi piacerebbe pensare che loro tre e Rubinia si ammarezzano a vicenda, ma la vedo difficile.” Sean sbuffò leggermente, stringendo le dita intorno alla lancia che teneva saldamente in mano, quasi pronto a girarsi e usarla in qualunque momento.
“Ieri non è morto nessuno... secondo te come andrà oggi?” Alle parole di Astrid Sean lanciò un’occhiata agli alberi, certo che fossero circondati da telecamere... e sfoggiò un lieve sorrisetto, stringendosi nelle spalle:
“Chi può dirlo... ma credo che nei Distretti, e probabilmente anche a Capitol, vogliano sentire un colpo di cannone oggi.”
Astrid sorrise quasi amaramente, consapevole che il compagno avesse ragione... nonostante in quell’edizione ci fossero ragazzi della Capitale, sembrava che niente fosse cambiato... se non che per la prima volta nella storia degli Hunger Games i Distretti sembravano quasi felici.
“Credi che stiano facendo le solite scommesse su di noi?”
“Non lo credo Astrid... ne sono sicuro al 100%. E ora muoviamoci, dobbiamo trovare Wilhelm... chissà che non abbia trovato qualcosa da mangiare.”
*
Stanchi
Ecco cos’erano: tutti terribilmente stanchi. Era passata poco più di una settimana da quando erano entrati nell’Arena, ma sembrava che fosse trascorso molto più tempo...
La sua vita a Capitol sembrava lontana anni luce... e pensare che non era passato molto dalla Mietitura, solo due settimane.
Fu quasi scosso da un brivido al pensiero di quante persone fossero morte in quell’arco di tempo... 12. Pazzesco come diventasse una cosa normale, dentro l'Arena.
“Non dovrebbero organizzare anche un Festino, a breve?”
I pensieri di Caius vennero interrotti dalla voce di Black, che era in piedi e appoggiato ad un albero davanti a lui, rigirandosi quasi distrattamente due coltelli da lancio in mano mentre si guardava intorno con aria assorta:
“Immagino di si... ma in genere lo fanno quando i Tributi rimangono in sei, se non erro.”
“Si, ma questa volta non eravamo in 24, ma in 20... quindi forse lo organizzeranno prima.”
"Beh, non sarebbe male... sarebbe un modo per trovarci tutti, senza dover vagare qui in eterno.” Cyrus sbuffò, staccando nervosamente della corteccia dal tronco di una betulla, usando un coltello per incidere il legno gelido.
Il giorno prima non si erano scontrati con nessuno... e tutti e tre speravano che quel giorno le cose sarebbero cambiate: volevano mettere fine a quella storia il prima possibile, e sfortunatamente l'unico modo per farlo era uccidere delle persone.
Oppure farsi uccidere, certo.
Caius si alzò, sistemandosi sulle spalle lo zaino prima di fare un cenno ai due compagni, invitandoli a seguirlo:
“Coraggio, andiamo... Se restiamo qui impalati avremmo meno probabilità di trovare gli altri. Gambe in spalla.”
“Sissignore! Hai così tanta voglia di ammazzare qualcuno Gold?”
“No Black... vorrei solo uscire da qui in fretta.”
“Credo che non ci sia un singolo Tributo nella storia dei Giochi che non l'abbia voluto, in effetti.”
*
April era morta, uccisa da Aaron Bradshaw.
E lei lo aveva ucciso.
Brittany era morta, uccisa da Sean Thorn
E lei... non l'aveva ucciso.
Aveva ucciso Kalem Schweinson... e subito dopo Black Hole aveva ucciso Faye.
Non aveva avuto un percorso lineare e semplice nell’Arena, era stato movimentato e popullante di morti fin dall'inizio.
E forse cominciava ad essere stanca.
Si, aveva voluto dimostrare ai Distretti che i Capitolini non erano degli imbecilli che si sottoponevano ad operazioni chirurgiche, indossavano abiti stravaganti e si tingevano i capelli e basta... erano di più.
Erano delle persone, proprio come gli altri. Persone normali, ma che per un motivo o per un altro avevano avuto la fortuna di vivere nella Capitale... al sicuro dai giochi, lontani dalla povertà e dalla fame.
Il loro turno però era arrivato... e Rubinia lo trovava quasi giusto, in un certo senso: avevano sofferto molto, gli abitanti dei Distretti... per 75 anni. Quanti adolescenti erano morti in tutto quel tempo? Non voleva nemmeno provare a fare il calcolo, probabilmente si sarebbe sentita male.
“L'altro ieri non vedevi l'ora di trovare gli altri... che ti succede oggi?”
“Nulla... solo, penso di aver fatto la mia parte, in questi Giochi. Forse è meglio che io stia lontana dall'azione, per un po’. Sono morte tre mie alleate e ho ucciso due Tributi... forse ora dovrei lasciare un po’ di azione agli altri.”
“Nemmeno io muoio dalla voglia di scontrarmi con Black, Caius e Cyrus... anche se non mi dispiacerebbe vedere Hole morto stecchito, in tutta sincerità.”
Rubinia annuì alle parole di Africa, che era seduta sulla neve, davanti a lei: avevano deciso di fermarsi per un po'... nella speranza che a scontrarsi fossero gli altri due gruppi.
“Credimi Africa, neanche a me. E se non ci penseranno Sean e Wilhelm... allora ci penserò io, stanne certa. Ma non mi dispiacerebbe se quei sei si incontrassero... almeno si sfoltirebbero a vicenda a nostro vantaggio.”
“E così noi saremmo più vicine al traguardo... già. Non male come prospettiva.”
Africa sfoggiò un lieve sorriso, appoggiando la testa al tronco dell'albero contro il quale si era seduta. C'era solo da chiedersi se le loro preghiere sarebbero state esaudite o meno.
*
Due ore dopo
“Fermi un attimo.” Cyrus si fermò di colpo alle parole di Caius, portando istintivamente una mano alla cintura, dove aveva allacciato una serie di 7 coltelli da lancio.
“Hai visto qualcuno?”
“No... non ancora. Ma guardate.” Caius accennò al suolo e i due compagni abbassarono subito lo sguardo, puntandolo sulla neve. Erano davanti ad una serie di impronte, ancora fresche per giunta.
“Sono tre serie... Quindi Sean, Astrid e Wilhelm. Bene.” Black sfoggiò un sorriso quasi allegro, sollevato di aver finalmente una traccia da seguire... senza neanche dirsi nulla i tre partirono quasi contemporaneamente a camminare a passo svelto, seguendo le impronte che procedevano tra gli alberi.
“Mi sembrano ancora fresche... quindi non sono qui da molto.”
“Esattamente... ergo, non dovremmo essere molto lontani.” Caius annuì alle parole di Cyrus, tenendo la pistola stretta in mano, pronto ad usarla: l'idea di uccidere non gli piaceva, ma infondo l'aveva già fatto una volta... e non poteva essere brutto come la prima. O almeno lo sperava.
Cercando di fare piano e senza parlarsi i tre avanzavano nel bosco, lo sguardo a momenti fisso sulle orme e in altri sugli alberi, per guardarsi intorno e assicurarsi che fossero soli.
Intorno a loro regnava il silenzio, e per quanto si sforzassero nessuno dei tre ragazzi riuscì a sentire delle voci... ci vollero ben dieci minuti di camminata a passo svelto per riuscire a sentire qualcosa.
Black rallentò di colpo l'andatura, i sensi all’erta e le orecchie tese: aveva le allucinazioni o aveva sentito davvero delle flebili voci? Forse voleva trovarli così tanto che iniziava persino a sognarsi le cose...
Lanciò un’occhiata in direzione di Caius e dalla sua faccia capì, sorridendo con cipiglio vittorioso, di non essersi sbagliato: evidentemente, non erano lontani.
“Ok... se vedete qualcuno, colpite. Non importa chi sia, colpite e basta.”
*
Probabilmente era una delle cose più strane del trovarsi nell’Arena degli Hunger Games... il costante senso di pericolo che aleggiava nell'aria.
Era praticamente impossibile sentirsi completamente al sicuro, lì dentro... e se succedeva, si trattava senza dubbio di un individuo con una grandissima sicurezza... oppure molto stupido.
Evidentemente Wilhelm Grace non era nessuna di queste due cose, perché non si sentiva affatto tranquillo... specialmente da quando era morta sua sorella.
Un'altra cosa strana era come potessero cambiare rapidamente le situazioni: un attimo prima cammini tra gli alberi insieme ai tuoi alleati... E un attimo dopo ecco che salta tutto, perché un rumore orribilmente familiare spezza il silenzio è la momentanea tranquillità che si è andata a creare.
Stavano camminando, lui Astrid e Sean. Li sentiva parlare a bassa voce solo un paio di passi dietro di lui, quando un rumore lo fece bloccare istintivamente, voltandosi verso i due compagni e anche verso la fonte dello sparo: con suo sommo sollievo nessuno dei due era stato ferito... in compenso però qualcuno aveva appena rivelato la sua posizione.
“Via.” Senza neanche esitare Sean mise una mano sulla spalla di Astrid, spingendola in avanti e invitandola senza tante cerimonie a correre, alla larga dagli altri Tributi.
“Rubinia?”
“Si... o Gold. Ma di sicuro non siamo soli, e ci hanno mancati.” Sean si lanciò una fugace occhiata alle spalle prima di seguire Astrid, iniziando a correre a perdifiato tra gli alberi.
La ragazza era veloce, ma lui aveva le gambe più lunghe, che gli permettevano di compiere falcate di maggior dimensione. In breve la raggiunse, correndo accanto a lei con Wilhelm alle calcagna: per quanto tutti e tre volessero eliminare qualche avversario, erano perfettamente consapevoli di non poter reggere il confronto con un'arma da fuoco: con quelle di poteva tranquillamente colpire a debita distanza, con le lance era molto più complicato.
Wilhelm si morse il labbro, combattuto come non si era mai sentito in vita sua... a parte quando aveva impedito a suo padre di fare del male a sua sorella, causando accidentalmente la sua morte.
Aveva passato i successivi anni a chiedersi se aveva fatto la scelta giusta, quando la madre l'aveva sbattuto fuori di casa, evitando di rivelare le effettive condizioni della morte del marito.
Aveva difeso sua sorella, certo... Ma dentro l’Arena aveva fallito.
Wilhelm Grace esitò per un attimo, continuando a correre ma rallentando leggermente, con Astrid e Sean che lo precedevano.
Il ragazzo deglutì, chiedendosi se non dovesse fermarsi e affrontarli una volta per tutte... non gli piaceva l'idea di scappare.
“Wil, corri!” Astrid si voltò leggermente, intimandogli di sbrigarsi... intravide un lampo di preoccupazione nelle iridi azzurre della ragazza, e in quel momento capì che non aveva senso giocare a fare l'eroe... non ne valeva la pena, non voleva giocare con la sua vita, non quando Carly era morta.
Wilhelm si ridestò, riprendendo a correre più velocemente per cercare di distanziare il più possibile Caius, Cyrus e Black... ma evidentemente non fu abbastanza.
Un secondo sparo ruppe il silenzio, e questa volta Caius teneva gli occhi saldamente incollati al suo bersaglio, la mano stretta intorno all’arma da fuoco e al grilletto...
Non gli piaceva sbagliare, e non voleva farlo una seconda volta.
Non si era fermato a guardare di chi si trattasse, come aveva detto Black poco prima... semplicemente, aveva puntato alla persona più vicina a lui, più facile da individuare e da colpire.
Caius si ritrovò a sorridere vittoriosamente, quando vide Wilhelm Grace smettere improvvisamente di correre, restando in piedi per qualche istante prima di crollare in ginocchio sulla neve.
Lasciò la presa sulla lancia, che cadde sulla neve con un tonfo appena udibile... la mano del ragazzo andò quasi in automatico a toccarsi la ferita bruciante e sanguinante.
Caius sorrise, fermandosi mentre invece Black non sembrava averne abbastanza: non voleva farsi scappare altri due Tributi da sotto al naso, non un'altra volta.
Il ragazzo continuò a correre, inseguendo Sean e Astrid attraverso gli alberi... Cyrus invece si fermò, avvicinandosi a Wilhelm e guardandolo quasi con rammarico, come se gli dispiacesse sinceramente.
“Non fare quella faccia Dennim. Lo sai come funziona.”
Caius rivolse al compagno un'occhiata torva, seccato dall’espressione carica di compassione di Cyrus... lo faceva sentire giudicato, in colpa, una specie di mostro. E non lo era. Una parte di lui continuava a ripeterselo fino allo sfinimento: non era un mostro, faceva solo quello che doveva fare per sopravvivere.
Non sapeva se fosse riuscito a convincersi o meno, fatto sta che Caius alzò lo sgaurdo, evitando di guardare Wilhelm steso sulla neve e agonizzante.
Sperava solo che morisse in fretta, di sentire il colpo di cannone invece dei lamenti del ragazzo.
“Si, lo so bene. Penso solo che sia ingiusto.”
Wilhelm puntò gli occhi chiari sul cielo limpido, smettendo di sentire le voci di Caius e Cyrus... in fin dei conti aveva fallito definitivamente, si era fatto uccidere. Aveva deluso sua sorella? Probabilmente sì... ma forse a breve l'avrebbe rivista.
E si ritrovò a sorridere, mentre chiudeva gli occhi per l'ultima volta... infondo non era poi così male, con la prospettiva di rivederla.
L'ultima cosa a cui pensò fu a sua madre, chiedendosi se avrebbe sofferto la sua morte... infondo però sapeva che per quella donna lui era morto quattro anni prima, quando aveva accidentalmente ucciso suo marito.
Una cosa era sicura: ovunque sarebbe finito, Wilhelm Grace non avrebbe incontrato quel verme di suo padre.
E gli andava benissimo così.
*
“Wilhelm...” Astrid deglutì, voltandosi senza più vedere il compagno correre alle sue spalle... la voce della ragazza era strozzata e probabilmente si sarebbe fermata, ma Sean glielo impedì, strattonandola e intimandole di non fermarsi: sentiva distintamente qualcuno correre dietro di loro... Avevano Black Hole alle calcagna, e non aveva nessuna intenzione di fare la stessa fine di Wilhelm Grace.
Non quel giorno.
Astrid riportò lo sgaurdo davanti a sé, la gola improvvisamente molto secca e gli occhi lucidi... ma si disse di non piangere, di non dare agli avversari quella soddisfazione.
La mano di Sean si strinse intorno al suo braccio, costringendola a seguirlo: il ragazzo aveva cambiato improvvisamente direzione, girando a destra nella speranza di seminare Black proprio mentre il cannone segnava definitamente la morte del loro compagno, ormai praticamente un amico.
Nel giro di pochi secondi e prima di rendersene conto Astrid aveva smesso di correre, trovandosi con la schiena contro il tronco ruvido e freddo di un albero.
Quasi inconsciamente trattenne il respiro, impreparata all’improvvisa vicinanza di Sean, che era davanti a lei e quasi la schiacciava contro l'albero, facendole quasi da scudo umano.
Restarono in completo silenzio, quasi evitando di respirare per paura di essere trovati... Astrid deglutì, sentendo distintamente il battito cardiaco di Sean molto accelerato, come di certo era il suo in quel momento. Per un istante si chiese a cosa fosse dovuto, ma cacciò quel pensiero in fretta quando, alzando leggermente lo sgaurdo, incontrò gli occhi verdi del ragazzo.
Rimasero immobili per qualche istante quasi senza fiatare, ma poi il rumore di un rametto spezzato fece voltare di scatto Sean, che si allontanò leggermente da lei tenendo ancora la lancia stretta in mano.
“Sean...” Quasi senza volerlo e intuendo cosa volesse fare Astrid allungò la mano, prendendo quella del ragazzo e parlando con un filo di voce, talmente piano che per un attimo si chiese se l'avesse effettivamente sentita... ma quando Sean si voltò ne ebbe la certezza, sorridendole lievemente prima di allontanarsi con passo felpato, facendo scivolare la sua mano da quella di Astrid.
Prima di rendersene conto era sparito dalla sua visuale... e non ebbe quasi il tempo di muoversi e pensare a cosa fare, poi un colpo di cannone fece tremare l'Arena, insieme a chi c'era dentro.
....................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera!
Mi spiace ma no, non vi dirò chi è morto tra Sean e Black... ma si accettano scommesse! XD In ogni caso non dovrete aspettare molto, di sicuro aggiornerò molto presto con il seguito.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci sentiamo tra un paio di giorni con il penultimo capitolo!
Signorina Granger
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Capitolo 16 *** È finita ***
Capitolo 14: È finita
“Grazie per essere venuti, lo apprezzo molto.”
La guardavano con cipiglio scettico, di certo chiedendosi che cosa volesse... fece un cenno con il capo, invitandoli a sedersi intorno al tavolo circolare.
Lo stesso dove, settimane prima, avevano deciso sulla sorte dei ragazzi di Capitol City.
C'erano tutti, fatta eccezione per Katniss Everdeen... perché in fin dei conti non sarebbe mai stata fatta fino in fondo per la politica. Lei era una stratega, e lo sarebbe sempre stata.
E proprio per questo sapeva che non doveva parlare con lei... prima doveva convincere gli altri, affinché l'aiutassero a far cambiare idea alla testardissima Everdeen.
La Presidentessa Paylor prese posti sulla sedia di pelle, sfoggiando un sorriso compiaciuto: in fin dei conti ora aveva lei il potere... tanto valeva sfruttarlo per fare qualcosa di buono.
“Come penso abbiate immaginato, vi ho chiesto di tornare qui a Capitol il più in fretta possibile per discutere di un argomento che dovrebbe starvi molto a cuore... Gli Hunger Games.”
*
“Ti fa molto male?”
Astrid spostò gli occhi dal braccio di Sean per posarli sul volto del ragazzo, che era seduto sulla neve davanti a lei con la schiena appoggiata ad un albero, cercando di stare fermo e il più dritto possibile mentre lei gli disinfettava la ferita sulla spalla.
“No... non ti devi preoccupare.” Il ragazzo sorrise debolmente, senza staccare gli occhi verdi dal volto di Astrid. La guardò spostare gli occhi dal suo viso per tornare a concentrarsi sul suo braccio, avvicinando con delicatezza il cotone alla ferita sanguinante e bruciante.
Aveva ucciso Black, si... ma l'aveva battuto sul tempo davvero per poco, ed era rimasto ferito al braccio dal coltello che il ragazzo gli aveva lanciato contro. Non era stato come per Brittany, sapeva che aveva fatto quello che doveva... non era la cosa giusta, no, ma non aveva avuto molta scelta.
In condizioni normali sarebbe tornato indietro per occuparsi anche di Caius e Cyrus, ma con la spalla in quello stato non sarebbe mai stato in grado di usare la lancia correttamente... così aveva recuperato l'arma e insieme ad Astrid si era allontanato il più velocemente possibile, alla larga dai due avversari.
Non appena si erano fermati per riprendere fiato un paracadute era comparso accanto a loro, permettendo alla ragazza di disinfettargli la ferita.
“Stai bene?”
“Si, te l'ho detto... non mi fa molto male.”
“Non mi riferivo a questo, Sean...” Astrid alzò di nuovo gli occhi dalla sua ferita, posando le iridi azzurre sul viso del compagno, che evitò di rispondere.
Non voleva pensare al fatto di essere a tutti gli effetti un assassino... senza contare che aveva ucciso un ragazzo più giovane di lui, anche se quasi più per difendersi che per una reale volontà di ucciderlo: se non l'avesse colpito sia lui che Astrid sarebbero morti, dopotutto.
“Non credo che potrai usare ancora la lancia Sean... se sforzi la spalla danneggeresti la ferita, temo.”
“Sciocchezze, sto benissimo.”
A dimostranza delle sue parole Sean fece per alzarsi ma lei lo bloccò, mettendogli le mani sulle spalle e costringendolo a stare fermi, guardandolo con un'aria di rimprovero che quasi lo fece ridere... quasi, in fin dei conti erano ancora nell’Arena.
“Non osare muoverti! Non serve fare il grand’uomo Sean, qui nessuno ti vuole giudicare.”
“Suona strano, considerando che siamo circondati da telecamere...”
Sean abbozzò un sorriso che Astrid non ricambiò, troppo impegnata a frugare nel suo zaino per cercare qualcosa da mangiare avanzato dal cestino che avevano ricevuto qualche giorno prima. Quando mise le mani su una mela la diede al ragazzo senza tante cerimonie, ordinandogli silenziosamente di mangiarla.
“Ma Astrid, non ci possiamo ferma-“
“Lo so. Solo per un'ora... credo che tu abbia un disperato bisogno di riposarti, Sean.”
Astrid piegò le labbra in un sorriso dolce, allungando senza pensarci una mano per sistemare i capelli biondo cenere del ragazzo che fin dall'inizio si era preso cura di lei.
“Sono davvero felice che tu stia bene... credo di aver perso parecchi anni di vita quando ho sentito il cannone.”
Sean non disse nulla, limitandosi a guardarla inginocchiata davanti a lui, sorridendogli con fare tranquillizzante... per un attimo mentre la guardava si dimenticò di essere nell’Arena e probabilmente prossimo alla morte. Durò per pochissimo, ma per qualche istante si sentì quasi come un normalissimo ragazzo.
"Beh, ora riamo rimasti solo in sei... presto tutto finirà, in un modo o nell'altro.”
“Penso che tu abbia ottime probabilità di vincere Sean... davvero, credo che potresti essere tu a tornare a casa. Sarei davvero felice se toccasse a te, te lo meriti.”
A quelle parole Sean provò a ricambiare il sorriso ma proprio non ci riuscì... perché se da una parte non voleva morire e desiderava ardentemente tornare a casa a riabbracciare sua sorella, dall'altra l'idea che Astrid morisse gli provocava una dolorosa sensazione allo stomaco.
“Sean, sei sicuro di stare bene? Perché non dici niente?”
Astrid lo guardò con lieve preoccupazione, temendo di vederlo perdere i sensi da un momento all'altro... ma nonostante fosse ancora un po’ pallido Sean abbozzò un sorriso, scuotendo il capo:
“No, sto bene... stavo solo riflettendo. Non sappiamo come andrà, i Giochi potrebbero finire stanotte come domani... o come tra cinque giorni. E proprio perché non ho idea di come o quando finirà, c'è una cosa che voglio fare.”
Sean sorrise, ed ebbe appena il tempo di cogliere l'espressione confusa sul viso di Astrid prima di circondarle la vita con il braccio buono e attirarla a sè con uno strattone, appoggiando le labbra sulle sue.
Colta alla sprovvista Astrid si staccò dopo qualche istante, appoggiando le mani sul petto del ragazzo e allontanandosi leggermente, deglutendo mentre arrossiva fino alla radice dei capelli.
“Gentile da parte tua. Io sto soffrendo e tu non mi concedi neanche un bacio?”
Sean inarcò un sopracciglio, cercando di non ridere e di restare serio mentre la teneva ancora stretta con un braccio, impedendole di allontanarsi troppo.
“Ma non hai detto di stare bene prima?”
“Si, beh... tra poco starò anche meglio.” Sean sorrise prima di avvicinare di nuovo il viso al suo, baciandola dolcemente e sorridendo con sollievo quando lei non si staccò una seconda volta, ricambiando il bacio mentre tutto gli schermi di Panem trasmettevano la scena in diretta.
*
Quando avevano sentito il cannone, lei e Rubinia avevano praticamente gioito... in fin dei conti quella era musica per le loro orecchie: due colpi praticamente di fila era un buon motivo di festeggiamento per entrambe.
Ora che era calato il buio Africa e Rubinia erano in silenzio, osservando il cielo e aspettando con trepidazione che mostrassero i volti delle vittime del giorno... erano molto curiose di sapere chi si erano tolte dai piedi.
“Ci siamo.” La voce ferma e pacata di Rubinia riscosse Africa dai suoi pensieri, portandola ad alzare lo sgaurdo sul cielo mentre l'inno risuonava per l'ennesima volta in tutta l’Arena, avvertendo i Tributi ancora in vita che stavano per mostrare i volti dei morti più recenti.
Quando vide il volto di Wilhelm Rubinia tirò quasi un sospiro di sollievo: aveva già ucciso sua sorella... non avrebbe voluto eliminare anche lui.
Vedendo Black invece un sorriso illuminò il volto di entrambe, liete che l'uccisore di Faye fosse morto.
“Beh, non sono molto abbattuta... se lo meritava.”
“No, non credo che nessuno di noi se lo meriti al 100%... ma di certo lui lo meritava più di Faye.”
Rubinia sfoggiò una smorfia, parlando con un tono leggermente cupo che trapelava qualche senso di colpa... Africa se ne accorse ma non disse nulla, limitandosi a godersi la sensazione di leggero sollievo che l'aveva invasa quando aveva sentito i due colpi, qualche ora prima: un altro giorno giungeva al termine, portando con sè altre due vite... e lei era ancora viva, incredibilmente.
*
“Quasi non riesco a crederci.”
“Già, nemmeno io. Sarebbe stato troppo bello riuscire ad uccidere Sean Thorn, immagino.”
Cyrus sfoggiò una smorfia, osservando il piccolo fuoco che aveva appena acceso quasi senza vederlo, continuando a pensare a Black... quando lui e Caius l'avevano trovato Sean e Astrid erano già spariti, non avevano neanche provato ad inseguirli.
In un certo senso Cyrus si era quasi sentito sollevato nel vedere Black morto... perché infondo l'aveva sempre saputo, che prima o poi le cose sarebbero cambiate: le alleanze devono finire per forza, dentro l’Arena. E l'idea di doversi scontrare con lui non gli era mai sembrata molto allettante.
Era pur sempre un avversario in meno, un tassello in più per uscire da lì, finalmente.
Non ci aveva mai sperato troppo, di riuscire a tornare a casa vivo... ma più le morti aumentavano, più quell’idea diventava meno surreale.
Caius praticamente non aveva aperto bocca, da quando avevano trovato Black... sapeva solo che non vedeva l'ora che quella storia finisse. Teneva lo sgaurdo fisso sulle fiamme, riflettendo.
“Faccio io il primo turno... e domani faremo in modo di farci trovare.”
Colse lo sgaurdo confuso di Cyrus, quasi sorridendo per l'idea che gli era venuta:
“In che senso?”
“Beh, se vogliono trovarci che facciano pure, no? Ci faremo trovare pronti.”
*
Dodici ore dopo
“Aspetta. Guarda.”
Alle parole di Astrid Sean si fermò di colpo, voltandosi immediatamente... e come la ragazza sgranò gli occhi, stentando a crederci: c'era chiaramente del fumo... ma come potevano aver acceso un fuoco in piena mattinata?
“Che diamine... Dovremmo andare a vedere.”
“Aspetta, prima dobbiamo pensare. Insomma, solo un idiota accenderebbe un fuoco nell’Arena... oppure qualcuno che vuole attirarci da qualche parte. Sarà sicuramente una trappola Sean, Caius non è stupido, così come Rubinia, Africa e Cyrus.”
Sean esitò, riflettendo sulle parole di Astrid, che l'aveva fermati prendendogli una mano: di certo aveva ragione... non erano circondati da degli idioti, in fin dei conti loro erano cresciuti insieme alle edizioni dei Giochi... nessuno avrebbe mai acceso un fuoco, anche se la temperatura era molto bassa.
“Hai ragione, è molto probabile che sia una trappola... ma possiamo fare un passo avanti verso la fine, Astrid. Posso andarci, non ho paura.”
“Lo so, non lo metto in dubbio. Ma non puoi sforzare il braccio, Sean. Se è una trappola, stiamone alla larga.”
Sean sospirò, stringendo ancora la mano della ragazza nella sua... voleva trovare gli altri con tutto se stesso... ma non voleva nemmeno metterla in pericolo, e da una parte sapeva di non essere al meglio delle condizioni, con la spalla ancora dolorante.
Era rischioso? Assolutamente si, ma non voleva tirarsi indietro.
“Astrid... Posso farcela.”
“Hanno le armi da fuoco, Sean. E abbiamo rischiato la vita molte volte... per favore, ascoltami.”
Il tono e lo sgaurdo implorante della ragazza lo convinsero a non agire d’impulso, annuendo con un lieve cenno del capo prima di sospirare:
“Ok, faremo attenzione... Sono sfuggito alla morte per un pelo ieri, sarebbe sgradevolmente ironico se ci andassi incontro oggi.”
*
Quando avevano visto il fumo quasi non avevano avuto bisogno di parlarsi... Africa sapeva che Rubinia non voleva starmene con le mani in mano per un altro giorno, e sentirsi impotente non piaceva nemmeno a lei.
Così le due avevano iniziato ad avvicinarsi al fuoco che era stato acceso, con cautela e cercando di fare il più piano possibile... Rubinia teneva la pistola stretta in mano, i nervi tesi e i sensi all’erta, pronta ad usarla.
Naturalmente nessuno tra i Tributi rimasti era così idiota da accedere un fuoco a quell'ora, in piena mattina... di certo anche gli altri cominciavano ad essere stanchi di tutta quella storia, e volevano scontrarsi con gli avversari.
C'era solo da chiedersi di CHI si trattasse: Caius e Cyrus? O Sean e Astrid?
Africa propendeva più per i primi due... ma in fin dei conti non faceva molta differenza: l'importante era restare vive e magari invece eliminare qualcuno tra gli avversari.
Più il tempo passava nell'Arena, più sembrava rallentare... il numero delle vittime aumentava, ma sembrava che la fine non si avvicinasse mai.
Africa si rigirava il pugnale tra le dita, chiedendosi se sarebbe stata in grado di usarlo... non fisicamente quanto psicologicamente: all’occorrenza sarebbe stata capace di uccidere qualcuno, anche se per puro spirito di sopravvivenza?
Fino a quel momento non si era trovata davanti a quel bivio... ma forse quella situazione l'avrebbe messa alla prova.
Dal canto suo, Rubinia non si stava ponendo quelle domande... avrebbe ucciso se necessario, lo sapeva come lo sapeva Africa e tutto il pubblico... voleva tornare a casa, e non si sarebbe fermata davanti a niente.
*
“Fermi, non fate niente... lasciamo che se la vedano tra loro. Sean e Astrid sono ancora a distanza, ma Rubinia e Africa si stavano avvicinando a Caius e Cyrus... sarà una scenetta interessante.”
“Le scommesse stanno slittando, signore.”
“È quello che ho detto... sarà una scenetta interessante. Godetevi lo spettacolo.”
Plutarch era comodamente seduto sulla sua sedia girevole di pelle bianca, osservando attentamente il grande schermo dal quale lui e gli altri Strateghi potevano osservare chiaramente ogni angolo dell’Arena... e in quel momento gran parte degli schermi di Panem stavano trasmettendo Rubinia e Africa che si avvicinavano a Caius e Cyrus, mentre quest’ultimi restavano nascosti tra gli alberi accanto al fuoco che avevano precedentemente acceso.
Chissà come sarebbe andata a finire...
Di certo tutta Panem si stava ponendo la stessa domanda, i Tributi inclusi.
Esattamente come aveva ordinato, nessuno tra i suoi colleghi stava muovendo un muscolo per intervenire... gli occhi di tutti erano fissi sullo schermo, lasciando che quel frammento degli Hunger Games si scrivesse da sè, senza il loro contributo.
Gli Strateghi erano ignari di quanto stava per succede... così come i Tributi ancora in vita, così come tutta Panem.
Una donna invece stava raggiungendo quella stessa sala quasi di corsa, tenendo un foglio stretto tra le mani... avrebbe fatto in tempo?
Non lo sapeva, ma lo sperava ardentemente.
*
Sean aveva insistito così tanto che alla fine aveva dovuto cedere: anche se lentamente, si stavano avvicinando alla fonte del fumo... al fuoco che era stato acceso da qualcuno tra i loro avversari/compagni di sventura.
Sean camminava davanti a lei, tenendo la lancia ancora in mano... non sapeva come o dove trovasse quella determinazione o quella forza di volontà, ma lo ammirava e invidiava allo stesso tempo.
Per quanto avesse cercato di dissuaderlo Sean non aveva voluto cambiare idea, deciso ad andare fino in fondo... non voleva voltare le spalle a quell'occasione, e Astrid non era riuscita ad impedirglielo nonostante il suo braccio non fosse al meglio delle condizioni.
“Sean, sei sicuro di sentirtela? Possiamo ancora tornare indietro...”
“No Astrid... non si torna indietro.”
Sean parlò senza nemmeno voltarsi, camminando con un passo così rapido che Astrid doveva quasi correre per restargli vicino... teneva gli occhi dritti davanti a se, con un’espressione ferma e determinata stampata in faccia: no, non avrebbe mai cambiato idea... lo sapevano entrambi.
“Come vuoi. Ma stai attento, ti prego.”
“Tu cerca solo di non farti colpire Astrid... preoccupati di questo.”
Avrebbe voluto dirgli che non l'avrebbe fatto, che si sarebbe preoccupata anche e sopratutto per lui, come faceva da quando i Giochi erano iniziati... avrebbe voluto dirgli che non voleva vederlo morto, ma non ne ebbe il tempo, o almeno non quel giorno: prima che potesse farlo, il suono brutalmente familiare di uno sparo squarciò l'aria e il silenzio.
Sean e Astrid si voltarono contemporaneamente verso la direzione del rumore assordante, iniziando a correre quando sentirono un secondo colpo solo pochi attimi dopo... seguito da un altrettanto familiare rumore, solo molto più rincuorante: il cannone.
A quanto pare qualcuno aveva fatto più in fretta di loro a raggiungere il fuoco che aveva attirato tanta attenzione... e un Tributo aveva appena perso la vita.
*
“Merda...”
Rubinia sbuffò, frustrata per aver sbagliato e aver mancato Caius, anche se di poco.
Vide come al rallentatore il ragazzo voltarsi, puntando gli occhi dritti su di lei come se fosse stato attratto da una forza magnetica. Sapeva che stava alzare il braccio per puntarle contro a sua volta l'arma da fuoco che teneva in mano, ma per quando lo fece Rubinia aveva già sparato una seconda volta, questa volta centrando il suo bersaglio, come sempre.
Un sorriso vittorioso spuntò sul volto della ragazza quando si alzò, soddisfatta di aver fatto centro un'altra volta: uno in meno.
La ragazza uscì dagli alberi per entrare nella piccola radura, avvicinandosi a Caius che, con un proiettile conficcato nel fegato, aveva lasciato la presa sulla pistola quando era scivolato sulla neve, macchiando il suo candore con il sangue scarlatto.
Rubinia si chinò per raccogliere l’arma, cercando come sempre di non fare caso al brutale contrasto che veniva a crearsi tra sangue e neve... alle sue spalle sentì una voce familiare dirle qualcosa e quando si voltò vide Africa con gli occhi puntati dritti su di lei, spalancati e allarmati:
“Rubinia!”
La ragazzina ebbe il tempo solo di ripetere il nome della compagna, prima che tutto accadesse in sequenza: il quindicesimo colpo di cannone risuonò nelle orecchie dei Tributi e di tutta Panem mentre Cyrus compariva alle spalle di Rubinia, che si era concentrata solo su Caius e si era quasi scordata di lui.
In fin dei conti si sa... in determinate situazioni, è bene non tralasciare nulla.
*
“Fermi!”
Tutti si voltarono verso di lei, quando spalancò la porta bianca della stanza... vide Plutarch alzarsi e guardarla con un’espressione leggermente accigliata, come se si stesse chiedendo che cosa volesse:
“Posso fare qualcosa per te?”
“Si, in effetti si. Metti fine a questa pagliacciata, Plutarch.”
“Lo sai che non posso neanche volendo... non decido io.”
“Tu no, ma IO sì. E qui forse c'è qualcosa che ti convincerà. Manda un hovercraft dentro l’Arena, portali via da lì.”
La Presidentessa Paylor si avvicinò all'uomo, porgendogli il foglio che teneva in mano quasi con aria soddisfatta. Quando Plutarch lo prese gli occhi scuri della donna andarono a finire sul grande schermo, ritrovandosi con orrore a guardare il cadavere di un ragazzo morto, mentre la ragazza dai capelli rossi che aveva attirato molta attenzione fin dall'inizio era accasciata sulla neve accanto a lui, con un coltello piantato nella schiena... un ragazzo dai capelli scuri era in piedi, guardando il corpo della sua prima e ultima vittima con gli occhi sgranati e innaturalmente pallido.
Non poteva sentire i suoi pensieri... ma era piuttosto sicura di sapere come cosa stesse pensando quel ragazzo:
Che cosa ho fatto?
E anche se le dispiaceva ammetterlo, era certa che non avrebbe smesso di chiederselo tanto in fretta.
Cogliendo quell’espressione di mera disperazione la Presidentessa Paylor quasi sorrise, mentre Plutarch dava l'ordine di mandare un hovercraft a ritirare i due cadaveri... e per la prima volta, anche i quattro Tributi vivi rimasti.
Aveva quasi corso come una matta, sperando di aver fatto abbastanza in fretta... sfortunatamente però era riuscita a salvarne solo quattro, alla fine.
La Presidentessa Paylor guardò Cyrus Dennim passarsi nervosamente una mano tra i capelli, promettendogli silenziosamente qualcosa:
Non ti preoccupare, è finita... questa volta, per sempre.
..................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera! Eccomi ad un orario un po’ improbabile visto che è mezzanotte passata, ma avendo finito finalmente il capitolo non ho voluto aspettare domattina per pubblicarlo.
Alla fine ad essere rimasto ucciso è stato Black, per la gioia di qualcuno tra voi... Quanto a Rubinia e Caius davvero mi spiace moltissimo, perché ovviamente questi ultimi mi piacevano molto tutti... ma ho lasciato vivi quelli che avevano riscosso maggiore successo tra voi autori, fatta eccezione per Rubinia visto che il suo autore è sparito da un paio di capitoli.
Il prossimo capitolo sarà ovviamente l’Epilogo, e arriverà molto presto visto che ce l'ho già perfettamente in mente... ci sentiamo prestissimo, probabilmente domani nel tardo pomeriggio con la conclusione!
Buonanotte,
Signorina Granger
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Capitolo 17 *** Epilogo ***
The
last Games
Epilogo
“So a cosa state pensando…
Probabilmente ai
vostri occhi quello che ho fatto non è giusto.
Dalla vostra prospettiva, non posso che
darvi ragione: ci sono delle persone che hanno reso la vostra, la
nostra vita
un inferno per anni, per quasi un secolo.
Ma Coriolanus Snow è ormai
morto… e la
dittatura è finita, spero per sempre. Quest’uomo
ci ha torturati per anni, sia
fisicamente che psicologicamente… E l’abbiamo
odiato fino alla fine, anzi, lo
odiamo anche ora.
Abbiamo avuto la nostra rivincita, abbiamo
vinto. Snow è morto, e la dittatura ha avuto
fine… ma secondo molti di voi
forse non era abbastanza, volevate che si continuasse a
pagare… Ed ecco il
perché di questa ultima, sciocca edizione degli Hunger Games.
Io non ci sono passata, ho avuto la fortuna
di non perdere amici o familiare a causa di questi Giochi…
ma per molti di voi
non è stato lo stesso, me ne rendo conto.
Spero che capiate che abbiamo già avuto
la
nostra rivincita su Capitol City… e credo sia stata
sufficiente: volete davvero
comportarvi come l’uomo che avete odiato e criticato per
anni?
I Distretti non dovrebbero essere migliori,
proprio perché sanno che cosa vuol dire entrare in contatto
con gli Hunger
Games? A mio parere sì… e spero che possiate
essere d’accordo con me.
Katniss Everdeen ha cambiato idea
sull’argomento, e spero che facciate altrettanto dimostrando
di essere migliori
di loro, a cominciare dagli Strateghi che, come già una
volta ho detto, hanno
fatto della nostra morte uno svago per anni.
Sono morti altri 16 ragazzi dentro
quell’Arena, che è stata appena distrutta sotto
mio ordine… I giochi sono
finiti signori, e questa è la mia ultima parola
sull’argomento. Finché sarò in
vita io, non verranno uccisi altri ragazzi, trattati come dei pupazzi.
16 ragazzi sono morti, e prima di lasciarvi
voglio porvi una domanda: vi è davvero piaciuto assistere
alla loro morte? Se
la risposta è no, allora infondo la pensate come
me.”
*
La
bambina era
seduta sul letto, spazzolando con cura e precisione i capelli biondi
della sua
bambola preferita.
Gli
occhi verdi di
Emma Thorn era fissi sul viso della bambola di pezza, concentrata
mentre
s’impegnava a “farla bella”.
“Beh,
mi sembra
che Lily stia benone.”
Sentendo una
voce familiare e rassicurante Emma alzò lo sguardo di
scatto, distogliendo l’attenzione
da Lily per rivolgerla alla persona che era comparsa sulla soglia della
sua
camera.
Suo
fratello le
sorrideva, in piedi accanto allo stipite della porta.
“Sean!
Sei
tornato!”
Emma sorrise a trentadue
denti, mollando la bambola sul letto per andare ad abbracciarlo, mentre
Sean si
inginocchiava sul parquet per stringere la sorellina tra le braccia.
“Te
l’avevo
promesso, no? E ti assicuro che non ti lascerò mai
più.”
Sean
sorrise,
dandole un bacio su una guancia mentre la guardava con gli occhi verdi
quasi
lucidi, stentando a credere di poterla vedere e abbracciare ancora.
“Mi
sei
mancato.”
Emma appoggiò il visino
sulla sua spalla, lasciando che il fratello le accarezzasse i capelli
biondi
mentre parlava a sua volta a bassa voce:
“Anche
tu,
piccolina. Ma ora sono tornato, e staremo insieme, te lo
prometto.”
Quando
Sean si
allontanò dalla sorella le sorrise, guardandola con affetto
prima di parlare di
nuovo:
“Ti
va se ti
presento una persona, Emma?”
“Chi?”
Per tutta risposta alla curiosità della
bambina Sean si alzò, voltandosi verso il corridoio e
facendo un lieve cenno a
qualcuno, come a voler dire di avvicinarsi.
Vedendo
spuntare
accanto al fratello una ragazza dagli occhi azzurrissimi e i capelli
castani,
che le sorrise quasi timidamente, Emma Thorn spostò lo
sguardo sul fratello,
sfoggiando un lieve sorrisetto:
“Emma,
lei è
Astrid.”
“E’ la tua fidanzata?”
“Hai
cinque anni e
sei già così pettegola, Emma?” Sean
sbuffò mentre le teneva un braccio intorno alle spalle ma
Astrid rise,
allungando una mano per stringere quella che la bambina le aveva porto
allegramente:
“Ciao
Emma… Sean
mi ha parlato molto di te, sono felice di conoscerti,
finalmente.”
Emma
le rivolse un
gran sorriso prima di prenderla per mano, trascinandola verso il letto
per
“presentarle le sue bambole” mentre Sean chiudeva
la porta della stanza,
guardandole con affetto prima d avvicinarsi, stentando quasi a credere
di avere
davanti agli occhi un simile spettacolo.
*
“Ragazze
vi prego,
mi state soffocando! Sono sopravvissuta ai Giochi, non vorrete
uccidermi VOI!”
“Sta
zitta una
buona volta Fify!”
Africa
provò a
fingersi seccata ma il muso non ebbe vita lunga, scomparendo in fretta
per
cedere il posto ad un lieve sorriso, mentre le sue due sorelle la
stavano quasi
strangolando in un abbraccio soffocante.
I
suoi genitori
stavano assistendo alla scena senza dire niente, ma Africa sapeva che
avevano
entrambi gli occhi lucidi.
E
forse un po’
valeva anche per lei, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
“Ok,
starò zitta…
ma prima lasciatemi dire che mi siete mancate anche voi,
rompiscatole.”
*
“Sei
sicuro di
volerlo fare? Non devi sentirti obbligato…”
“No,
davvero, lo
voglio fare. Credo che sia giusto così.”
Cyrus Dennim annuì con un lieve cenno del capo
mentre continuava a
camminare sul viale di ghiaia, la mano stretta in quella della sua
fidanzata,
Brigit.
La
ragazza sembrò
capire e si limitò ad annuire, guardandolo con fare
comprensivo.
I
due restarono in
silenzio per qualche minuto, mentre camminavano fianco a fianco sul
viale
deserto del cimitero dove dopo la Rivolta avevano raccolto tutti i
cadaveri che
erano riusciti a trovare… quelli ancora abbastanza interi.
“Qui.” Quando Cyrus si
fermò Brigit lo imitò,
posando lo sguardo sulle quattro file di lapidi bianchissime davanti a
lei,
sistemate all’ombra di un’enorme quercia,
leggermente staccate dalle altre.
Le
ultime vittime
degli Hunger Games erano state sepolte sotto preciso volere della
Paylor
insieme alle vittime della Rivolta, sistemandole in ordine di morte.
Louis
Peterson,
Amanda Lace, Erica Reyes, Julian Bradshaw, April Fisher, Aaron
Bradshaw, David
Whittemore al Bagno di Sangue, seguiti da Tonya Aldred, Brittany Dask,
Silver
Carly Grace, Kalem Schweinson, Faye Dashwood, Wilhelm Grace, Black
Hole, Caius Gold.
E
l’ultima…
Rubinia Flaemus.
L’ultima
vittima
in assoluto degli Hunger Games, nonché la sua prima e unica
vittima.
Gli
occhi scuri di
Cyrus Dennim si posarono su quell’ultima lapide bianca,
trovando quasi ironica
la scelta di quella pietra per tutte e 16 le tombe: alcune tra quelle
persone
non meritavano una lapide candida, dopotutto… come Kalem,
Black, Caius o la stessa
Rubinia.
Ma
la Paylor aveva
insistito, sottolineando che erano a loro volta delle vittime, anche se
avevano
ucciso durante i Giochi.
Quando
erano
tornati a Capitol lui, Africa, Sean e Astrid erano stati subito
visitati e
rimessi in sesto… e dopo (la Paylor aveva annullato le
Interviste che di solito
spettavano al Vincitore dei Giochi) avevano tutti e quattro iniziato un
percorso con qualche psicologo, che li aiutasse ad affrontare e andare
oltre a
quell’esperienza che li aveva inevitabilmente segnati a vita.
Avevano
anche
discusso con i Vincitori ancora in vita, che li avevano aiutati ad
aprirsi e ad
affrontare quello che avevano passato visto che avevano subito quasi la
stessa
esperienza…
Solo
dopo erano
tornati a casa, dalle loro famiglie… e dopo quasi un mese,
cercavano di tornare
alla normalità.
Cyrus
sentì la
mano di Brigit intensificare la stretta sulla sua, come a volergli dire
che non
era solo, che avrebbe sempre potuto contare su di lei… lo
sapeva, ne era
consapevole.
Si
chiedeva solo
se sarebbe mai riuscito a stare totalmente bene di nuovo.
“So
a cosa stai
pensando Cyrus… andrà tutto bene,
vedrai.”
Brigit gli sorrise con fare confortante, felice come non
mai di poterlo
vedere ancora, di potergli parlare di nuovo.
“Lo
so Brigit…
Basta solo che tu mi resti vicino.”
.....................................................................................................................................................................
Angolo Autrice:
Come
avevo preannunciato, eccomi qui con l'Epilogo.
Un
sincero grazie alle 20 persone che hanno recensito il Prologo
iscrivendosi alla storia... non mi sarei mai aspetatta di ricevere
tante richieste!
Grazie
a:
HadleyTheImpossibleGirl
Shiori
Lily Chiara
Sesilia
Black
PrettyLittleQueen
NaomyK
Slytherin2806
Game_Master
JackiLoveCatoniss4ever
The_Malevolent_Girl
Mactavish141
Anonimo
the assassin
FlameWolf
Nharmonia
Darlene_
sister_of_Percy
Per
aver creato questi OC, anche se alcuni di voi si sono persi per strada.
Grazie a chi ha messo la storia tra
Preferite, Seguite, Ricordate e a chi ha letto anche se non
partecipava, come Sasi02 e ShessomaruJunoir.
Questa è la terza storia sugli
Hunger Games che concludo, e penso che sia anche l'ultima... ma magari
ci incontreremo da qualche altra parte.
Spero davvero che la storia vi sia
piaciuta, un bacio... e Buon
Natale!
Signorina
Granger
|
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