Mi siedo sul muretto di pietre e
sospiro. Da quanti anni non venivo più qui, quante cose sono
cambiate in me. Guardo la pineta oltre la strada. L'ultima volta che
sono stato qui era estate, ricordo il grano maturo nel campo e le
urla di noi bambini. La corsa nella pineta per andare a vedere il
puledrino appena nato. Allora ridevo spesso. Ora non ho più
nulla per cui ridere. Sono partito quando ero un bambino, ora che
sono un uomo sono tornato, ho sempre la mia valigia di cose vecchie,
le foto sono solo aumentate e i vestiti si sono ingranditi, ma
continua ad essere sempre una valigia di perdita. Alzo gli occhi al
cielo limpido del pomeriggio. Ero solo quando sono partito per
raggiungere mio padre, sono solo ora che sono tornato per seppellire
mio nonno. Cosa dovrei fare adesso? Restare qui o tornare in un
paese che non reputo mio e in cui non ho più nulla?
Sospiro e salto dal muretto, la strada
mi sembra sempre la stessa, l'avranno asfaltata negli ultimi
vent'anni? Ne dubito. Mi sembra di essere tornato bambino quando
giocavamo con i miei cugini e i pochi amichetti che venivano, come
noi, a trovare i nonni in campagna. Entro nella pineta, me la
ricordavo più spaventosa, più pericolosa, ma in fondo
avevo solo otto anni, ora ne ho quasi trenta e ho perso i miei sogni
di bambino.
Ho perso il mio migliore amico, il
piccolo Marco, con cui facevo sogni e correvo a perdifiato tra
questi alberi. Ricordo le nostre promesse di bambini: ti scriverò;
verrò a trovarti... ci sposeremo. Ora rido a quella
affermazione, ma allora ci credevo. Eravamo innocenti, non sapevamo
nulla del mondo. Un mondo che mi è sempre crollato sotto i
piedi. Accarezzo la corteccia di un albero, sento il profumo della
resina. Chi voglio prendere in giro domandandomi cosa farò?
Il mio cuore ha già deciso. Amo questo posto, il suo profumo,
il calore, l'aria limpida.
Ritorno indietro, prima di entrare dal
cancello mi volto a guardare il sole tramontare sulle campagne.
Domani c'è il funerale, poi devo cercare un impresa per
sistemare la vecchia casa, non so se questa o quella del paese. Dove
sarà meglio vivere? Quando entro in casa mi accoglie la lenta
litania funebre, il pianto delle donne che, da secoli, accompagna i
defunti. Non ho pagato nessuna, ma sono venute lo stesso, in onore
di 'tia' Maria, hanno detto, mia nonna teneva a queste tradizioni.
Domani piangeranno e urleranno per un uomo che le ha sempre trattate
come inferiori, ma in fondo loro sanno che era solo una copertura la
sua, un modo di fare tramandato dalla cultura contadina che ancora
aleggia in questo paesino del nord Sardegna. Come quando, da
piccolo, mi metteva sul suo cavallo e diceva: così si cresce
un uomo, non sui libri. Era un uomo di altri tempi, che non saprà
mai cosa è suo nipote.
Vado nella camera che hanno sistemato
per me, quasi uno sgabuzzino. Apro la mia valigia, accendo il pc,
controllo le mail. La mia ex ci tiene a farmi sapere che è
dispiaciuta per mio nonno, perchè non l'ho raggiunto. Fino a
quando era lei a tradirmi tutto andava bene, ma quando ho dato un
bacio a un tipo di cui ora non ricorderei manco l'esistenza, se non
fosse per lei, è andata in bestia. Ho cercato di spiegarle
che ero talmente ubriaco da non ricordare nemmeno il mio nome, ma
lei continua ad augurarmi la morte. Per fortuna non eravamo sposati,
non avrei sopportato un divorzio senza fare qualche gesto stupido,
tipo cercare di strangolarla. Mi sdraio sul letto, chiudo gli occhi,
sono stanco.
Vengo svegliato dal suono del
cellulare, quasi cado dal letto per prenderlo e rispondere
assonnato, ma l'interlocutore ha già riattaccato. Non conosco
questo numero, poi lo chiamo, magari quando torno nel mondo dei
vivi... Ci sarà del caffè? Mi alzo e barcollo fuori
dalla stanza, alcune donne mi guardano e sorridono. Riesco ad
arrivare fino al bagno, l'acqua fredda sul viso mi sveglia
abbastanza per non barcollare fino alla piccola cucina.
“Tino?” Una donna
bellissima mi sorride, spalanco gli occhi, è così
simile a mia madre che non ho dubbi di chi si tratti, anche se
l'ultima volta che l'ho vista aveva dieci anni.
“Manu.” Dico sorridendo,
lei mi abbraccia. Il suo profumo è fresco, sa di mare.
“Quanto tempo... stai
benissimo.”
“Mi sento uno straccio, c'è
del caffè? Magari mezzo litro...” Sbuffo appena quando
mi guarda e ride.
“Ti ricordo che sei in Italia,
il caffè, c'è, ma non so se sei abituato a questo.”
Lei prende una caffettiera minuscola e versa il liquido scuro in una
tazzina.
“Zucchero?” Domanda
prendendo un cucchiaino, annuisco.
“Credo di non ricordare nemmeno
più che sapore abbia.” Prendo la tazzina, il profumo è
magnifico, spero solo che riesca a svegliarmi.
“Devi cambiarti, la messa
funebre è tra un ora, quelli dell'impresa arriveranno a
minuti.”
“Ho dormito così tanto?”
Guardo l'orologio appeso al muro, è fermo. Scuoto appena la
testa, bevo il mio caffè, che mi conferma che è una
delizia completamente diversa da quello a cui ero abituato in
America.
Davanti alla chiesa mi sistemo la
giacca, la messa sembrava non voler più finire, ora si và
nel cimitero. Mia cugina è rimasta vicino a me, una
gentilezza che non avrei mai trovato in America. Qui tutti mi fanno
le condoglianze, alcuni mi dicono chi sono, sopratutto parenti, che
posso fare se non annuire e ringraziare? Sono talmente tanti che non
mi ricorderò di nessuno di loro.
“Manu, c'è Marco, lo devo
mandare via?” Franco, il fratello minore di Manuela si
avvicina e lo dice infastidito.
“Lascialo stare, magari pensa di
chiedere scusa in questo modo.” Lei sospira e mi guarda.
“Ricordi il figlio dei vicini di
tiu Juanni?” La guardo senza capire, poi ricordo che mio nonno
è fratello del suo, quindi per lei è zio... Sussulto
appena, Marco? Annuisco.
“Alcuni mesi fa è entrato
nei campi con il trattore del padre, ha distrutto mezza coltura. Zio
e nonno erano furiosi. Lui era completamente fatto. Almeno oggi è
sano?” L'ultima domanda la fa al fratello, che annuisce con un
sospiro.
“Penso sia malato, è
un'ombra, ancora peggio di prima.” Franco indica vagamente
verso qualcuno che non riesco a distinguere tra le altre persone.
Vorrei vederlo, vorrei ritrovare il bambino che era un tempo, che
ero. Ma se si droga sarebbe meglio non rivederlo, non infrangere il
bel ricordo di quel bambino biondo e allegro che vive nella mia
mente.
Chiudo gli occhi, silenzio. Che bello.
Sospiro e mi guardo attorno. Questa sarà la mia casa? Domani
chiamo un impresa. Cambiare le finestre, mettere le luci esterne,
sistemare il muro di cinta... Mi fermo in mezzo al salone, domani,
non ora. Prendo una delle sedie della cucina, sono ancora le stesse
di vent'anni fa, forse anche di trenta. La porto fuori, nell'aia,
come facevano gli adulti quando ero ancora un bambino. Mi siedo al
tiepido sole di fine ottobre. La casa ha il riscaldamento? Mi viene
il dubbio... c'è il camino, ma nessun termosifone. Domani
controllo tutto. Mi guardo attorno, poche cose sono cambiate, ma
tutto sembra molto più piccolo di come ricordassi. Con la
coda dell'occhio lo vedo arrivare. Un ragazzo alto e magro, si ferma
accanto al cancello, ma non entra. Per un po' fingo di non
accorgermi della sua presenza, sarà Marco? Il cuore mi batte
leggermente più forte.
“Ciao.” Gli dico, lui
sussulta, ma non risponde.
“Chi sei?” Domando ancora
senza esito. Mi alzo, avvicinandomi a lui. Ha un bel viso, ma è
davvero troppo magro, sembra tremare appena.
“E' da una vita che non venivo
qui, mi mancava questa serenità, questo silenzio di
campagna.” Mi fermo a pochi metri da lui, che mi guarda in
modo strano.
“Devo riabituarmi all'Italia.”
Sorrido e tendo la mano.
“Ti va un caffè?”
Non è che non può parlare? Lo vedo mordersi le labbra,
incerto, ma poi annuisce appena. Lo precedo in casa, portando
indietro la sedia.
“Oh...” Mi fermo guardando
le parti smontate della piccola caffettiera.
“Non ho idea di come si usi, tu
lo sai?” Mi giro verso di lui, che è rimasto sulla
porta della cucina. Si avvicina senza un fiato, le sue mani tremano
talmente che penso che gli cadrà tutto, prepara in fretta la
macchinetta e la mette sul fornello. Guarda ovunque tranne che verso
di me, non capisco questo atteggiamento.
“Ti ricordi di me?”
Sussulto a sentire la voce incerta di
Marco, sembra così fragile, come il suo corpo.
“Certo, sono ricordi preziosi.”
Sorrido appena, lui si stringe il bordo del maglione.
“Mi impedivano di rispondere
alle tue lettere.” Marco si toglie la borsa che aveva a
tracolla e me la mette tra le mai.
“Leggile.” Mi guarda per
la prima volta negli occhi, i suoi sono pieni di lacrime e rossi.
Poi fugge via. Lo guardo superare il cancello dalla finestra della
cucina, io sono rimasto fermo con quella cosa tra le mani. Il
gorgoglio del caffè mi fa muovere, spengo il gas e me ne
verso una tazzina. Apro la borsa, ci sono dei quaderni.
Per anni Marco mi ha scritto.
Inizialmente erano le risposte alle mie lettere, risposte che si
rifiutavano di fargli spedire. Quando io ho smesso, dopo un anno,
lui ha scritto a me come al suo confidente. Quando finisco di
leggerle tutte sono ormai le cinque del mattino, ho un tremendo mal
di testa e gli occhi rossi dal pianto. C'è un numero di
telefono nell'ultima pagina, una frase sotto di esso.
'Chiamami, se vuoi.'
Se voglio? Dopo tutto quello che ho
letto vorrei fare ben altro...
“Pronto?” La voce che mi
risponde è flebile e triste, ma non assonnata, lui non
dormiva, aspettava, forse pregava, probabilmente piangeva.
“Vieni qui.” La mia voce
sembra così sicura rispetto alla sua.
“Davvero?” Sussurra
appena, incredulo.
“Verrei io da te, se non fossi
certo di perdermi.”
“Arrivo.”
Sento dei rumori, la conversazione si
chiude. Marco, il mio Marco, sta per raggiungermi.
**
Eccomi con una cosina ina
ina per un piccolo contest sulla pagina fb EFP Fandoms. Il prompt
lasciatoci era: 'perdersi e poi ritrovarsi'. Ne è nata una
storia, il primo capitolo partecipa al contest, quelli dopo non so
che farne, ma si stanno scrivendo da soli e pare brutto fermarli ^.^
Il titolo è una
parola in lingua sarda, nel dialetto portotorrese e vuol dire
lucertola. Tia e tio sarebbero zia e zio, non ho sbagliato a
scrivere, qui chiamare gli anziani zii è una tradizione, un
gesto di rispetto. Una cosa tipica è anche chiamare i cugini
di secondo e terzo grado semplicemente cugini, Manu e Tino non sono
cugini stretti ma figli di due cugini.
Spero sia tutto chiaro u.u
nella mia testa lo è...
A presto
Veleno