Shadow.

di calamity julianne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


Shadow
 
Jenelle Victoria Dawson aveva diciannove anni e grandi occhi marroni. Aveva passato gran parte della sua vita mandando a monte tutti i piani che i suoi genitori avevano fatto su di lei e combattendo una guerra che sembrava non avere fine.
Era la secondogenita di James e Helen Dawson, una tra le più antiche, nobili e ricche famiglie londinesi. Non amava fare ciò che i genitori le dicevano di fare o ciò che la società si aspettava che facesse una Dawson.
Jenelle non partecipava ai brunch organizzati dalle altre élite londinesi, non indossava abiti lunghi né vestiva firmato.

Jenelle era giacca di pelle, jeans scuri e converse.
Jenelle era ribelle, forte, imprevedibile. E proprio per il suo essere imprevedibile in quel momento, si ritrovava a casa di suo fratello maggiore William per chiedergli aiuto. Jenelle non aveva lavori stabili, si stancava facilmente e lo stesso valeva per le relazioni amorose. Ed era proprio per l’ennesimo fallimento amoroso che adesso era andata a vivere a casa di suo fratello.
Nate, il suo ultimo ragazzo, l’aveva letteralmente sbattuta fuori di casa dopo aver scoperto che lei lo aveva solo usato. Non c’era di certo da stupirsi: Jenelle non provava interesse per quasi nessuno dei suoi ragazzi, non reputava nessuno alla sua altezza. Cercava solo passatempi per ammazzare la noia e per cercare di riempire un vuoto inspiegabile che volteggiava minaccioso nel suo petto.
Strano, considerando che essendo figlia dei Dawson, sarebbe dovuta crescere con tutti i privilegi possibili ed immaginabili. E così era stato, solo che a Jenelle mancavano altri tipi di privilegi. Le mancavano le coccole, i baci sulla fronte la sera, la fiaba prima di andare a dormire, gli abbracci di una madre, l’orgoglio di un padre. A quella ragazza mancava l’amore. Così, aveva costruito attorno a sé un muro che nessuno era mai riuscito a scavalcare.
Si nascondeva dietro il suo menefreghismo, il suo odio, il suo cinismo e il suo sarcasmo.
«Puoi restare quanto vuoi», disse William per la millesima volta aiutando Jenelle a sistemare le sue cose nella camera libera del suo immenso appartamento.
«Sì, grazie», mormorò Jenelle.

William e Jenelle erano gli esatti opposti. William era il figlio modello e l’uomo perfetto: si era laureato in giurisprudenza, era tra i migliori avvocati di tutta la città, benvoluto da amici, adorato dalla famiglia e desiderato da gran parte della popolazione femminile.
D’altronde William era oggettivamente un bel ragazzo: alto, con due grandi occhi verdi e capelli scuri.
Viveva in un appartamento che poteva contenere tre volte quello di Jenelle. Era spazioso, luminoso e arredato perfettamente.
Jenelle si sedette sul letto a baldacchino bianco della sua stanza e vide accanto al comodino una rivista di gossip. In prima pagina c’era una sua foto che la ritraeva con occhiali da sole scuri, vestita con una tuta grigia, una canotta bianca e un grosso borsone sulle spalle.
Il titolo era scritto a caratteri cubitali gialli e recitava:
Ecco la piccola Dawson reduce dal suo ennesimo fallimento amoroso. Dove scappi, Jenelle?
Jenelle aprì la rivista e cercò l’articolo che parlava di lei, una volta trovato sbuffò sonoramente.

Abbiamo beccato Jenelle Dawson mentre abbandonava l’appartamento del suo ormai ex ragazzo Nate Lewis armata di valigie e borsoni.
E noi che ci eravamo illusi che avesse messo la testa a posto!
Eccola mentre scappa per la centesima volta, cosa sarà successo stavolta?
E dove sarà dirette la nostra Jenelle?
Lo scopriremo presto.
 
Jenelle gettò la rivista a terra. Un’altra cosa che non sopportava di essere una Dawson era che non aveva una vita privata. I figli delle èlite londinesi erano le prede preferite dei giornalisti esattamente come lo erano attori, cantanti e altre persone famose.
Sapevano tutto. Sapevano cosa avevano mangiato a colazione, quanti respiri aveva esalato, quanti sbadigli facevano al mattino e persino cosa passava per la testa di quei ragazzi.

Jenelle era una delle ragazze preferite dai giornaletti di gossip: il suo essere ribelle era la fonte di denaro migliore per i giornalisti.
William si avvicinò alla sorella e lanciò un’occhiata al giornale a terra. «Non dovresti dar peso a queste cose».
«Come fai ad essere sempre così calmo? Queste persone ci rendono la vita un inferno».
William rise appena. «Io direi che tu non hai bisogno dei paparazzi per renderti la vita un inferno».
Jenelle cambiò discorso. «Perché non posso stare nella stanza blu?».
«Dall’ultima volta che sei stata qui sono cambiate un po’ di cose, per esempio che si è trasferito qui Jamie».
Jenelle si voltò lentamente verso suo fratello e sollevò un sopracciglio guardandolo. «Scherzi?».
«Lo so che non andate proprio d’accordo ma dovrai abituarti».
«Non bastava l’attenzione che hanno i paparazzi verso di noi, tu vai anche a vivere con Jamie Campbell Bower, fantastico».
«Tra te e Jamie non so chi porti qui più paparazzi a dirla tutta», disse William. «E poi non lo vedrai spesso, sta sempre in giro per girare un film e viaggia un giorno si e l’altro pure per fare interviste».
Jenelle annuì e William lasciò un bacio sulla sua fronte. «Comportati bene».
 
***

«Ma guarda un po’ chi si rivede», esordì Jamie quando vide Jenelle in cucina che preparava qualcosa da mangiare per cena. «Ti ricordavo più piccola a dirla tutta».
«Ciao anche a te», disse Jenelle senza guardarlo.
Jamie si sfilò il giubbotto nero e lo poggiò nell’attaccapanni, poggiò le chiavi di casa sul tavolinetto del soggiorno e andò verso Jenelle. Poggiò i gomiti sul bancone che li separava e si sedette su una sedia.
«E così ti sei stancata anche di Nate, eh?», disse Jamie con un sorrisetto sulle labbra e la voce vagamente sarcastica.

Jenelle non rispose.
«Dovevamo aspettarcelo, dopo tre mesi di relazione tu hai bisogno di cambiare aria. Che peccato».
Jenelle rimase in silenzio e aumentò quasi inconsapevolmente la presa nel manico della pentola che aveva tra le mani. «Nate Robert Lewis», mormorò Jamie come se stesse parlando con sé stesso. «Figlio di Jonathan Richard Lewis, un’ altra famiglia milionaria come la tua. Peccato,
davvero. Ma a te questa vita piace no?».
«Coglione», sibilò Jenelle.
E Jamie la sentì. «Come prego?».
«Perlomeno io ricordo i loro nomi, tu sicuramente non ricordi nemmeno di che colore aveva i capelli », rispose Jenelle sollevando lo sguardo su di lui.
«Detto da una che cambia fidanzato come le mutande è un complimento», sputò acido Jamie.
«Mi stai dando della troia?», disse Jenelle guardandolo con tutto l’odio che aveva in corpo.
«Tu mi hai detto che sono un coglione!».

«Lo sei infatti».
E Dio solo sa cosa avrebbero detto se solo William non fosse entrato in cucina guardandoli come si guardano due bambini che si fanno i dispetti. «Toglietevi dalla faccia quelle espressioni omicida che avete e stampatevi un bel sorriso sulle labbra, non voglio spargimenti di sangue in casa mia».
Jamie e Jenelle continuarono a guardarsi in cagnesco e nessuno dei due voleva distogliere lo sguardo dall’altro. «Sono felice di notare che tua sorella non è cambiata di una virgola», disse Jamie guardandola.
«Non che tu abbia fatto molti progressi», disse Jenelle.
William sbuffò. «Sembrate anzi, siete due bambini».
La serata andò avanti tranquillamente, salvo occhiate fulminee e frecciatine acide.
Dopo aver cenato e aver sistemato la cucina, Jenelle andò in camera sua e si vestì per andare ad una festa.
Tirò fuori dall’armadio un vestito blu con le maniche di pizzo e una scollatura vertiginosa sulla schiena.

«Posso?», chiese William bussando alla porta della sorella.
«Sì, entra».
William entrò mentre Jenelle saltellava su un piede per infilarsi le scarpe con il tacco dello stesso colore del vestito.
«Esci?».
Jenelle annuì scostando una ciocca dei suoi capelli ondulati dalla fronte.
«E dove vai?», chiese William appoggiandosi allo stipite della porta.
William aveva solo venticinque anni e aveva l’aria di un uomo saggio che sa tutto della vita. Ed era bellissimo con la sua camicia azzurra con le maniche sollevate sopra il gomito e i pantaloni beige.
«C’è una festa in un locale qui vicino», rispose Jenelle guardandolo.
«A che ora torni?».
«Presto».

William abbassò lo sguardo annuendo. «Stai attenta, i giornalisti sono ovunque e basterà un tuo errore per scatenare l’inferno».
Jenelle annuì. «Lo so, Will. Farò attenzione».
Suo fratello fece per andarsene ma poi tornò nella stanza di Jenelle. «Un’ultima cosa», disse guardando sua sorella. «Dovresti chiamare mamma e papà, dopo l’ultimo articolo erano in ansia per te».
Jenelle fece una smorfia. «Come no».
«Si preoccupano per te, perché non riesci a capirlo?».
«A loro non è mai interessato di me, lo sai benissimo anche tu che mi vedono come la pecora nera della famiglia».
Will non rispose, forse perché in fondo sapeva che aveva ragione.
Jenelle aveva preso tutte le decisioni sbagliate nella vita e i suoi genitori non avevano fatto altro che farglielo pesare.
William si avvicinò alla sorella e lasciò un bacio sulla sua fronte. «Sei bellissima», disse. «Fa’ attenzione».
Jenelle sorrise e annuì, poi lui sparì dalla sua vista.
Cinque minuti dopo Jenelle prese le chiavi della sua macchina, la pochette e andò verso l’uscita.
Ma un biondo dagli occhi luccicanti le bloccò il passaggio prima che potesse muovere un altro passo e le sfilò le chiavi della macchina dalle
mani.

Jenelle sospirò. «Cosa vuoi?».
«Dove vai?», la incalzò Jamie.
«Non ti interessa», provò a sorpassarlo ma lui le si piazzò davanti di nuovo.
«Non pensi che il tuo vestito sia un po’ corto?».
«Il tuo cervello ha le dimensioni di una noce, ma non credo che qualcuno te lo faccia pesare».
Seguirono i soliti istanti di sguardi in cagnesco finché Jenelle non s’impossessò delle chiavi della sua macchina e sorridendogli sparì dall’appartamento.
«Occhio a quello che fai!», urlò Jamie verso le scale.
Jenelle sorrise appena scuotendo il capo.
 
Il Royal era tra i locali più in di tutta Londra. Si entrava solo se eri in lista ma gente come i Dawson non aveva bisogno di questo. Bastava farsi vedere dal buttafuori per ricevere un posto in prima classe. Jenelle, così come Nate, Jamie, William e tutti gli altri, stavano sempre nell’angolo VIP.
Quando Jenelle entrò nel locale le note di She doesn’t mind le infestarono le orecchie.
Jenelle amava le feste ma odiava ballare.
Andò verso il bancone e ordinò un cocktail consapevole di avere gli occhi di molte persone addosso.
Jenelle poggiò la schiena sul bancone e si guardò intorno sorseggiando il suo cocktail.
La sua attenzione fu catturata da un gruppo di persone che urlavano ammassate le une sulle altre.
Si avvicinò sgomitando e per poco non le si staccarono gli occhi dalle orbite quando si rese conto di cosa stava succedendo.
C’era una rissa. Un ragazzone alto con i capelli corvini scaraventava un pugno dopo l’altro sul viso di un ragazzo altrettanto alto con un
giubbotto di pelle nero, i capelli biondi, un anello sull’indice e…

Non è possibile.

Jamie stava facendo a pugni con un tizio e aveva il viso ricoperto di sangue.
Una parte di Jenelle, la più sadica, le diceva di stare a guardare la scena magari ridendo perché in fondo se lo meritava. L’altra parte, la più razionale, non ci pensò due volte a mandarla nel bel mezzo della rissa.
Si mise tra i due urlando di smetterla ma gli occhi di entrambi i ragazzi erano così tanto offuscati dalla rabbia da riuscire a malapena a rendersi conto del corpo che si era messo in mezzo a loro.

Il ragazzo dai capelli corvini sganciò l’ennesimo pugno contro Jamie, che però si adagiò perfettamente sulla guancia di Jenelle.
Due uomini della sicurezza raggiunsero i tre ragazzi e portarono fuori il ragazzo con i capelli neri che ancora di dimenava.
«Che cavolo fai?», disse Jenelle a Jamie cercando di non pensare al dolore che provava nella guancia.
«Ti ha fatto male?», disse Jamie guardandola.
Jenelle sospirò. «No. Andiamo a casa, dai».
Jenelle prese il braccio di Jamie e lo portò attorno alla propria spalla e con qualche difficoltà lo portò fuori dal locale.
Lo trascinò fino al parcheggio, raggiunsero la macchina di Jenelle e lei lo fece sedere sul sedile del passeggero.
Jenelle prese posto nel sedile del conducente e mise in moto l’auto. «La mia moto», disse Jamie con un’espressione di dolore stampata in viso.

«La prenderò domani», rispose Jenelle.
In un’altra situazione Jamie avrebbe protestato in malo modo, ma in quel momento era troppo dolorante per riuscire a parlare.
«Ti fa male?», riuscì a dire Jamie allungando l’ indice verso la guancia di Jenelle dove vi era del sangue.
Jenelle si scostò al contatto con Jamie, quasi l’avesse bruciata.
«No», rispose secca.
Jamie sospirò e rimase in silenzio per il resto del viaggio.
Una volta arrivati a casa, Jenelle lo trascinò fino al suo bagno personale e lo fece sedere sul bordo della vasca da bagno.
Prese il kit del pronto soccorso da uno scaffale e si sfilò le scarpe con il tacco appena prima di inginocchiarsi davanti a Jamie.

Gli prese il viso tra le mani e lo esaminò. Aveva due graffi sulla guancia sinistra e la destra aveva assunto un colore violaceo.
Prese un batuffolo di cotone e lo bagnò con un po’ di disinfettante per poi poggiarlo lentamente sulle ferite di Jamie.
Jamie si trattenne dall’imprecare malamente a causa del bruciore che gli provocava il disinfettante e si limitò a serrare la mascella così tanto che sembrava una statua di marmo.
Jenelle tirò la maglietta bianca di Jamie giù per una spalla per controllare che non ci fossero altre ferite. «Se volevi che mi spogliassi, bastava chiedere», sibilò Jamie sorridendo appena.
Jenelle trattenne un sorriso scuotendo il capo. «Mi spieghi perché ti sei messo a picchiare quel tipo?».
«Aveva la mia stessa maglietta e non voleva ammettere che a me stava meglio», scherzò Jamie.
«Dico sul serio», disse Jenelle facendo un mezzo sorriso.

Jamie sospirò e seguì con lo sguardo le mani della ragazza che curavano le ferite del suo braccio. «Ti fissava».
Involontariamente, Jenelle affondò un po’ di più il batuffolo di cotone nella pelle di Jamie che lanciò un’ imprecazione ad alta voce.
Jenelle parve non notarlo. «Stai scherzando?», disse alzando lo sguardo su di lui.
«Non del tutto», disse Jamie.
«Che vuol dire?», lo incalzò Jenelle.

Jamie sospirò sonoramente, come se fosse seccato da tutte quelle domande. «Vuol dire che non l’ho picchiato solo perché ti fissava. Stava dicendo ai suoi amici scimmioni che appena fossi uscita dal locale avrebbe fatto del tuo corpo ciò che credeva», fece una smorfia a quel ricordo.
Jenelle gettò i batuffoli sporchi di sangue e disinfettante nel piccolo cestino della spazzatura del bagno e si voltò verso di lui.
«E alla fine ha fatto quello che voleva del tuo corpo», disse lei per sdrammatizzare.
Jamie accennò un sorriso e si alzò dal bordo della vasca. «Già».
Jenelle si passò una mano tra i ricci. «Dovresti andare a dormire».
«Sì, capo», disse Jamie. «Buonanotte».
«Buonanotte», disse Jenelle. Ma Jamie era già uscito e non riuscì a sentirla.
 
***
La mattinata sarebbe stata perfetta, se solo William mentre lui, Jamie e Jenelle stavano facendo colazione non avesse acceso il telefono.
Non fece in tempo a rispondere che il mittente della chiamata riattaccò, ma lasciò un messaggio in segreteria che i ragazzi ascoltarono.
«Will, tesoro sono io, la mamma. Volevo solo dirti che domani faremo un brunch qui a casa e volevamo che tu ci fossi anche perché non ti vediamo da tanto. Io e tuo padre abbiamo letto l’articolo che parla di tua sorella e suppongo che anche tu l’abbia letto… anzi, sono sicura che tutta Londra l’ha letto. Ad ogni modo, spero sia lì con te adesso e non a casa di uno sconosciuto. Dille del brunch, dovete esserci tutti e due. Oh, quasi me ne dimenticavo, anche Jamie è invitato. Mi raccomando Will, tue e tua sorella dovete venire. Occhio all’ abbigliamento! Un bacio».
 
Jenelle per poco non si strozzò con il tea. Non era la prima volta che sua madre organizzava eventi simili, la cosa che dava sui nervi a Jenelle era che la maggior parte delle volte, sua madre organizzava questi ricevimenti con il solo scopo di dimostrare a tutta la nobiltà londinese che sua figlia non era una drogata, una sbandata o una che vive alla  giornata.
Ma non aveva altra scelta.
Doveva andare a quel brunch e cosa peggiore, ci sarebbe stato anche Jamie.   

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


La notizia del brunch aveva fatto venir voglia a Jenelle d’infilarsi sotto le coperte e di non uscire mai più dalla sua camera. Non le piacevano quel genere di eventi per il semplice fatto che detestava recitare la parte della figlia perfetta, detestava lo sguardo delle pseudo amiche della madre che la squadravano da capo a piedi, detestava l’ipocrisia, quell’aria pesante che si respirava durante quel genere di occasioni. Sapeva, però, di non poterle evitare, di non poter far nulla e così se ne stava nella sua camera, seduta ai piedi del letto con le ante dell’armadio aperte davanti a sé. Fissava i suoi vestiti, cercando qualcosa di appropriato tra gli abiti – per lo più neri che dominavano nel suo armadio.

Era rimasta in quella posizione, con la schiena curva e le gambe a penzolare nel vuoto per cinque minuti pieni.
Guardò poi l’orologio e senza particolare interesse, costatò di essere in ritardo. In un terribile ritardo. In meno di un’ora lei, William e Jamie avrebbero dovuto presentarsi a casa dei Dawson.
Pochi minuti dopo, William fece il suo ingresso nella camera di Jenelle. Lui era già pronto e, inutile dirlo, bello come il sole.
Indossava dei pantaloni chiari e una camicia bianca mentre ai piedi aveva ancora le pantofole. Jenelle si voltò per guardarlo e non disse nulla, si limitò a guardarlo con un’espressione da cane bastonato, gli occhi che urlavano per rimanere a casa. William accennò una risata.
‹‹ Ma stai ancora così? Arriveremo in ritardo ››, disse William, andando davanti a Jenelle, dopo aver lanciato un’occhiata veloce all’armadio aperto – e tutt’altro che ordinato – alle sue spalle.
‹‹ Non ho niente di adeguato, temo che dovrò restare a casa stavolta ››, mugugnò, spostando lo sguardo ancora sull’armadio.
William accennò una risata, Jenelle riusciva ad essere proprio una bambina se costretta a fare qualcosa che non voleva fare. Si voltò verso l’armadio e vi frugò, spostando le grucce ed esaminando i vestiti di Jenelle. Ne prese uno bianco senza spalline, con una scollatura a cuore e con delle fantasie a fiori rosa. Lo gettò accanto a Jenelle, sul letto e quest’ultima spostò lo sguardo sul vestito che suo fratello aveva scelto per lei.
 
‹‹ Questo andrà più che bene, ora vestiti e fallo in fretta ››, disse alla sorella e per confortarla, le stampò un bacio in fronte. ‹‹ Ah, e fatti una doccia. Puzzi ››, e un attimo dopo filò fuori dalla stanza di Jenelle ridacchiando.
‹‹ Io non puzzo! ››, contestò ad alta voce Jenelle. Portò poi una ciocca di capelli vicino al naso e, in effetti, sì, era il caso di fare una doccia.
 
***
 Palesemente in ritardo, Jenelle e William si affrettarono ad andare in macchina. Un attimo dopo aver messo in moto l’auto, Jenelle si ricordò che all’appello mancava un invitato.
 
‹‹ Jamie dov’è? ››, chiese Jenelle allacciandosi la cintura.
‹‹ Aveva un’intervista stamattina, ha detto che arriverà appena possibile ››, spiegò William nervoso. Sapeva che il loro ritardo non sarebbe stato gradito ai loro genitori e non voleva cogliessero l’occasione per fare una delle tante ramanzine a Jenelle.
 
Jenelle, dal canto suo, non sapeva se essere nervosa, annoiata o semplicemente arrabbiata. Sperava solo finisse presto.
 
Dopo venti minuti di viaggio in macchina, i due arrivarono a casa Dawson, che più che ad una casa, somigliava ad un palazzo. L’esterno, dove avrebbe avuto luogo il brunch, era perfettamente curato e decorato con piccoli divanetti, lunghi tavoli coperti da tovaglie bianche sui quali erano adagiati calici di champagne e qualsiasi genere di stuzzichino.
 
Jenelle vide da lontano il giardino calpestato dai tacchi alti di donne che parlottavano tra loro e da uomini che sorseggiavano champagne e fumavano, parlando probabilmente di politica. William posteggiò l’auto e andò da Jenelle per porgerle il braccio, per aiutarla a superare – dati i tacchi vertiginosi che portava -  il piccolo sentiero di ciottoli che portava al giardino. Agli occhi del fratello che la conosceva bene, Jenelle era palesemente nervosa e in ansia, motivo per cui William accarezzò la mano della ragazza che stringeva il suo braccio come a confortarla. E la ragazza, apprezzò il gesto.
 
Si avvicinarono ai loro genitori, intenti a chiacchierare con un’altra coppia e quando i due videro i loro figli si dipinsero un sorriso sulle labbra. Un sorriso che aveva due significati: quello per William era un sorriso pieno d’orgoglio, poiché sfoggiare un figlio che nella vita ha già avuto i suoi bei successi ad un evento simile, era il solo pensiero dei genitori dei rampolli più in vista della società. Quello per Jenelle era un sorriso più teso ma di sollievo: teso perché Jenelle era imprevedibile e da lei ci si poteva aspettare di tutto, sollievo perché se non altro, aveva avuto il coraggio di presentarsi.
 
‹‹ Ma guarda chi abbiamo qui! Finalmente siete venuti ››, Helen abbracciò i figli, schioccando ad entrambi due baci sulle guance. ‹‹ Siete in ritardo, ma per stavolta vi perdono ››.
Finta. Era questo ciò che pensava Jenelle, pensava che sua madre fosse finta. Perché in pubblico bisognava recitare la parte dell’allegra famigliola, in privato, almeno per Jenelle, tutto c’era fuorchè carinerie.
 
James invece, si limitò a sorridere ai ragazzi e chiese a William novità riguardanti il lavoro e si complimentò con Jenelle per la scelta del vestito, la quale ringraziò freddamente.
 
Sebbene avesse cercato per la metà del tempo di sfuggire dalle grinfie di sua madre che voleva presentarle tutte le donne presenti, volendo solo ristabilire la figura e la posizione della figlia, fortemente minacciata dai continui articoli che uscivano su di lei. Quando riuscì ad evitare sua madre, rubò un calice di champagne dal vassoio di uno dei camerieri che giravano tra la gente e ne prese un lungo sorso.
‹‹ Ubriacarsi in certe circostanze non sempre è una grande idea, sai? ››, disse alle sue spalle una voce familiare.
‹‹ Sono costretta a darti ragione, per una volta ››, rispose Jenelle, lanciando un’occhiata a Jamie. Indossava un paio di pantaloni scuri e una camicia nera. Sfoggiava un’espressione divertita. ‹‹ Ce l’hai fatta a venire ››, disse lei, un attimo prima di spostare lo sguardo sulla gente che dominava il giardino.
 
Nel frattempo Jamie aveva rubato un chicco d’uva dal bancone, ricevendo occhiate tutt’altro che d’approvazione da parte dei camerieri al di là del bancone.
Perché lui può fare quello che gli pare e io no?
 
‹‹ Mi sono perso qualcosa di interessante? ››, chiese Jamie, affiancando Jenelle e sfiorandosi con l’indice l’anello che portava al naso.
Jenelle accennò una risata frustrata per via delle sue parole. ‹‹ Ovviamente no ››.
 
‹‹ Certo, mi aspettavo qualcosa di un tantino più movimentato, ora capisco perché ti sei data all’alcol ››.
Quando voleva, Jamie rischiava di risultare quasi piacevole. Quasi.
‹‹ Stai molto bene, comunque ››, disse Jamie, interrompendo quegli attimi di silenzio durante i quali Jenelle si era persa ad osservare la gente che circondava casa sua. La ragazza quindi spostò lo sguardo su Jamie. ‹‹ Anche tu non stai male ››, disse Jenelle in tutta risposta.
Jenelle vide poi sua madre cercare qualcuno con gli occhi e quando la vide avanzare nella loro direzione, capì che era lei quel qualcuno. D’istinto, tentò la fuga. Afferrò il braccio di Jamie e fece per trascinarlo via, mentre il ragazzo si lamentava per la stretta di Jenelle.
 
‹‹ Ehi, ma che fai? ››, borbottò Jamie, mentre s’ingozzava di frutta.
‹‹ Zitto ››, fu tutto ciò che disse Jenelle. Tuttavia il suo tentativo di fuga venne sventato, poiché la madre, con una voce squillante, richiamò la sua attenzione.
 
‹‹ Jenelle, cara voglio presentarti la signora Rosalie De Montblanc, la moglie di Raymond De Montblanc, hanno diverse proprietà in America e qui, in Europa  ››.
Ma faceva sul serio? Era davvero necessario tutto ciò? Jenelle si sentiva quasi messa in ridicolo, si sentiva umiliata. Si voltò e con lei anche Jamie, che rimase un passo indietro. E proprio la presenza di Jamie si rivelò preziosa perché – anche se per pochi istanti – tutta l’attenzione passò dalla giovane Jenelle, a Jamie stesso.
‹‹ Rosalie, permettimi di presentarti Jamie Campbell Bower, anche se sono sicura che lo conosci già ››.
Jamie strinse la mano alla Montblanc e le sorrise educatamente, fingendo modestia. Jenelle lo osservava curiosa. Non aveva mai avuto modo di vedere Jamie rapportarsi con quel genere di persone, in quel genere di circostanze.
‹‹ Ma certo che lo conosco, mia figlia è una tua grande ammiratrice. È un peccato che non sia potuta venire oggi, ma è stata trattenuta a lavoro ››, disse la Montblanc come a voler pubblicizzare la figlia.
‹‹ Sì, un vero peccato ››, rispose Jamie, sfoggiando sempre quel sorriso che avrebbe convinto chiunque.
‹‹ La figlia di Rosalie è una ragazza molto impegnata ed intelligente, oltre che una ragazza incantevole ››, fu la madre di Jenelle a continuare la sviolinata. Jamie parve per un attimo a disagio, non sapendo più come rispondere ai complimenti fatti nei confronti della figlia della Montblanc.
 
‹‹ Studia medicina all’università e contemporaneamente lavora per un giornale ››, la signora De Montblanc, che fino a quel punto agli occhi di Jenelle appariva solo come una delle tante mamme che cercano un buon partito per la figlia, adesso si stava davvero facendo pesante. Ma le sembrò proprio perfida nel momento in cui disse, rivolta a Jenelle: ‹‹ E tu, Jenelle? Hai scelto cosa fare del tuo futuro? Cara, non si può mica passare sempre tempo con dei ragazzi, suvvia. Sarai d’accordo con me, spero ››, il fatto che a quella frase piena di veleno, avesse aggiunto una nota di finta benevolenza, fece venire voglia di vomitare a Jenelle.
‹‹ Io non passo il tempo con - ››, Jenelle tentò di replicare, ma venne immediatamente bloccata dalla madre che aveva avvertito nel tono della figlia quella solita punta di sarcasmo ed impertinenza che era solita mostrare quando era pronta ad attaccare qualcuno.
‹‹ Jenelle ha intenzione di iniziare l’università, non è vero tesoro? Ha avuto un attimo di sbandamento, ma d’altra parte a chi non è capitato? E poi, il rampollo dei Lewis diciamocelo, non godeva certo di una grande fama. Sai cosa intendo, Rose ››, la madre di Jenelle rispose per la figlia. Jenelle non riusciva a capire perché mentire, perché tirare in ballo persone che non erano presenti.
 
‹‹ Nate non è affatto un - ››, la ragazza stava per rispondere a tono alla madre ma fu una mano a fermarla.
 
Jamie, che aveva assistito alla scena senza aprir bocca, sentiva che Jenelle avrebbe compromesso ancor di più la sua posizione se avesse continuato la frase, così decise che era ora di allontanarla da quella discussione.
‹‹ Jenelle, mi porti da tuo fratello? Non lo vedo qui, magari è in casa ma non vorrei entrare dentro senza permesso. Vi dispiace se ve la rubo? ››, domandò infine alle due signore che al suono della sua voce, avevano smesso di parlottare tra loro.
‹‹ Sì, andiamo ››, Jenelle rispose con un misto di delusione e rabbia negli occhi. Gli occhi color cioccolato che esplodevano per via della madre.
 
Ingenuamente Jenelle fece per portare Jamie in casa, alla ricerca di William ma Jamie cambiò direzione all’ultimo minuto.  ‹‹ Credevo volessi vedere William ››.
‹‹ No, tonta. Volevo solo portarti fuori da quella situazione per niente piacevole, a momenti mangiavi tua madre ››, rispose Jamie camminando a passo svelto verso la sua Harley Davidson parcheggiata nel sentiero di ciottoli, lasciando Jenelle indietro che imprecava tra sé a causa dei tacchi alti che le impedivano di camminare velocemente.
 
Raggiunta la moto di Jamie, Jenelle indossò il casco che il ragazzo le porse e in tempo record, salirono sulla moto. ‹‹ Non pensavo che l’avrei mai detto, ma ti ringrazio ››.
 
***
Jamie guidò per una mezz’ora buona, fino ad arrivare al mare. Aveva scelto quel posto perché era abbastanza lontano e perché sperava che lì non ci fossero paparazzi pronti a rovinare quel po’ di quiete che stava cercando per Jenelle.
‹‹ Ti va una birra? ››, chiese Jamie, mentre allacciava il suo casco e quello di Jenelle alla moto. La ragazza si limitò ad annuire, e mentre Jamie andava verso un piccolo chiosco sul mare, Jenelle si tolse le scarpe e sospirò di sollievo. Iniziò a camminare verso la spiaggia e quando i suoi piedi entrarono a contatto con la sabbia, provò una sensazione di sollievo.  Jenelle si accomodò sulla sabbia, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli.
 
Adorava il mare. Adorava il rumore delle onde che si infrangevano contro gli scogli, il profumo del mare, la calma, la tranquillità e soprattutto la libertà che quell’enorme distesa d’acqua emanava.
Jamie tornò poco dopo con due bottiglie di birra e ne porse una a Jenelle. Era strano stare seduti così vicini, con attorno una nube di silenzio, e non scariche di cattiverie gratuite.
Jenelle si sentiva stanca. Ma la sua non era una stanchezza fisica, non era una stanchezza che può passare con un po’ di sonno. Era quel genere di stanchezza che ti rende le palpebre, le gambe, il petto pesante, il cuore vuoto.
‹‹ E’ stata un’esperienza interessante ››, spezzò il  silenzio Jamie.
‹‹ Almeno qualcuno si è divertito ››, borbottò Jenelle bevendo un sorso dalla sua bottiglia di birra.
Jamie scosse appena il capo. ‹‹ Non ho detto  di essermi divertito, ho detto che è stato interessante ››, puntualizzò. ‹‹ Quello che è successo con tua madre, non è affatto stato un siparietto piacevole ››.
 
Jenelle si limitò a sollevare le sopracciglia e a fare un’espressione buffa. Era ovviamente spiacevole.
‹‹ Non cambiare per loro, Jenelle. Sii te stessa ››, consigliò Jamie. Jenellle non si sentiva pronta ad affrontare una discussione del genere, e per dirla tutta, non si fidava ancora di Jamie, ovviamente. Neanche ventiquattro ore prima a momenti si scannavano e ora sembravano quasi amici, quando invece Jenelle sapeva benissimo che di lì a poco le cose sarebbero tornate come prima.
‹‹ Mia madre di sicuro ci rimarrà male quando scoprirà che sei andato via senza salutarla ››, Jenelle cambiò discorso, tenendo gli occhi fissi sul mare.
Jamie spostò lo sguardo su Jenelle per una manciata di secondi e sbuffò poi un sorriso. Possibile che fosse così chiusa? ‹‹ Mi scuserò ››.
 
Passarono minuti o forse ore in silenzio, ognuno intento a proteggere il proprio cuore, le proprie paure, il proprio ego.
Fu il cellulare di Jamie a rompere quell’equilibrio precario. Jenelle sussultò appena, mentre Jamie si affrettava a rispondere.
‹‹ Will ››, rispose Jamie, controllando poi l’ora nel suo orologio da polso.
‹‹ Dove sei? ››, chiese William dall’altro capo del telefono, un velo di preoccupazione a turbare la sua voce.
‹‹ Stai bene? Sembri nervoso ››, disse Jamie, lanciando un’occhiata veloce a Jenelle che ora lo stava guardando. Aveva appena un po’ piegato le ginocchia e aveva poggiato la guancia contro di esse, mentre la cascata di capelli ondulati ricoprivano le sue gambe.
Jamie indugiò per un attimo con lo sguardo, osservò le caviglie finissime, le cosce appena un po’ scoperte ma distolse lo sguardo perché fu Will ad attirare la sua attenzione. ‹‹ Che hai detto? ››, chiese Jamie che non aveva ascoltato neanche una parola di ciò che aveva detto William.
‹‹ Ho detto che devo riattaccare perché non trovo Jenelle, forse è tornata a casa ma non risponde neanche al telefono ››.
‹‹ E’ qui con me ››, Jamie interruppe quel monologo preoccupato e seguirono secondi di silenzio.
‹‹ Con te? ››, che Jenelle e Jamie non andassero d’accordo era noto a tutti, tanto più a William che era assai vicino ad entrambi.
‹‹ Sì, ti ho detto che è con me ››.
‹‹ E siete ancora entrambi vivi? ››.
Jamie accennò una risata e Jenelle chiaramente non capì.
‹‹ La riporto a casa adesso, non preoccuparti ››.
‹‹ Jamie, attento a te ››, furono le ultime parole che il biondo sentì prima di riattaccare. Che a Jamie le donne piacessero – e pure tanto – non era un mistero per nessuno. Ma Jenelle era fuori dalla sua portata sin da quando era venuta alla luce, un freddo giorno di fine novembre.
‹‹ Torniamo a casa ››.
 
***
Jamie e Jenelle, una volta aver poggiato il piede per terra, dopo aver abbandonato la moto e quella sensazione di calma apparente che li aveva avvolti, sembrarono tornare i due di sempre. Due che, di calmo, avevano ben poco.
Non che durante quelle ore fosse successo poi niente di tanto eclatante, avevano comunque mantenuto quel distacco, quel fare protettivo verso se stessi. 

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