Dentro di noi di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Sailor Moon - Dentro di noi
Note:
- Lo scopo di questa storia è riempire il periodo
tra la fine del primo arco della seconda serie (Ail e Anne) e l'inizio
del secondo (Chibiusa e Luna Nera). Ovvero far capire come Mamoru e
Usagi sono riusciti a mettere in piedi la loro relazione. Non so, ho
sempre pensato che non sarebbe stato proprio facilissimo. Questa storia
non vuole in alcun modo essere drammatica, comunque, non preoccupatevi.
Non prevedo più di due o tre capitoli per questa fanfic.
- Non ho perso l'ispirazione per 'Acqua viva', ma ho avuto molto da
fare in questo periodo. Dopo mi è venuta in mente questa
storia e ho voluto scriverne subito. Ma ho già pronto del
materiale sia per la storia su Ami sia per il sequel di 'Oltre le
stelle', se ve lo state chiedendo.
- Natsumi = Michelle, Manami = Jo
DENTRO
DI NOI
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
«Ti ricordi tutto!» Usagi non riuscì a
stargli lontana per più di un
altro
secondo; neanche il contatto del viso col petto di lui
frenò le lacrime.
Non voleva smettere di piangere. Le lacrime di gioia sulle
guance, le
braccia di lui che la stringevano... aveva atteso tutto troppo a lungo.
Era un'altra fine, ma aveva pochi punti in
comune con la drammatica conclusione della
precedente guerra che avevano combattuto:
i nemici contro cui aveva lottato questa volta lei li...
comprendeva. Non erano che due ragazzi soli, ora consapevoli di amarsi
e di poter vivere d'amore.
Dentro una bolla trasparente, con in mano il germoglio dell'albero che
aveva dato loro ogni energia, salutarono lei e gli altri, partendo alla
volta dello spazio.
Mentre si dileguavano nel cielo, Usagi rimase a contemplarli.
Le mani che aveva sulle spalle la strinsero appena, ricordandole chi
aveva finalmente accanto. Sorrise. «Saranno sicuramente
felici, non
credi?»
«Sì, ne sono certo.» La dolcezza
con cui non le aveva mai parlato prima le scaldò il
cuore.
Piena di gioia, si girò verso di lui. «Spero che
anche noi-»
Vennero circondati da un coro di voci amiche. «Che
fortunelli!»
Ahh, non erano soli!
Lei e Mamoru si staccarono di colpo.
Minako ridacchiò. «Vi stavate mettendo
in mostra, su, non smettete!»
«State veramente bene insieme.»
Ami sorrise benevola a entrambi.
Makoto si poggiò le mani sui fianchi.
«Sono gelosa!»
«Ho deciso!» Rei
attaccò il pavimento con un piede.
«Mi troverò anche io un
fidanzato!»
Minako tirò fuori la lingua. «Che dici,
Mamoru
stesso non sarebbe male, no?»
Eh?
«No no
e no, potete scordarvelo!»
«Stavo solo scherzando!»
Rei alzò le mani in aria. «Va bene va bene, basta
con le
burle.» Guardò lei e Mamoru.
«Sono felice
per voi,
ragazzi.»
Annuirono tutte quante.
Usagi si sentì arrossire. Non poteva crederci nemmeno
lei; finalmente, finalmente poteva stare insieme a Mamoru!
«Ehm...» Tossicchiando, Ami attirò la
loro attenzione. «Il palazzo
è
completamente distrutto, credo che tra poco arriveranno i vigili del
fuoco.
È meglio andare via.»
«Sì» Mamoru vagò con lo
sguardo lungo il
pavimento pieno di detriti. Trovò quello che cercava
e si mosse in quella direzione.
Usagi lo osservò raccogliere da terra la propria giacca, con
movimenti faticosi... lenti.
Gli corse incontro. «Non ti sei ancora ripreso, aspetta, ti
aiuto io.» Lo spinse a metterle un
braccio attorno alle spalle, facendolo appoggiare su di
sé
come meglio poteva.
Mamoru cercò di mostrarle un sorriso tranquillo.
«Non ti preoccupare.»
Come poteva non farlo? Lui l'aveva difesa col suo stesso corpo,
prendendo in pieno continue scariche di energia e... senza la protezione
di
alcuna
trasformazione. Non riuscì a trattenere la preoccupazione.
«Forse c'è bisogno di un dottore...»
Ami si avvicinò a loro. «Verifico
subito.» Tirò fuori il suo mini-computer e
iniziò a
digitare
alacremente. «Hmm... no. Hai qualche livido, Mamoru, ma
soprattutto sei
debilitato. Hai bisogno di riposare.»
Makoto si fece avanti. «Se ti serve una mano, Usagi, posso
aiutarti io
a
portarlo a casa.»
«No.» Mamoru si
staccò da lei, sorridendo. «Non
è necessario che mi portiate in braccio.
Fatemi
prima provare una cosa.» Alzò una mano davanti a
sé, col palmo
aperto e rivolto verso l'alto. Nel viso gli apparve un'espressione di
intensa concentrazione. Dal nulla, materializzò tra
le dita una rosa rossa.
Usagi si lasciò scappare un'esclamazione di sorpresa: non
l'aveva mai visto
creare una delle rose
che era stato solito lanciare.
Lui fece roteare il fiore con un rapido gioco di dita. D'improvviso, la
mano gli si ricoprì di un guanto bianco e, sul resto del
corpo, si ritrovò ad indossare il
costume
di Tuxedo Kamen.
Quanto le era mancato vederlo in
quelle vesti.
Lo sentì inspirare profondamente e spostare il peso da un
piede
all'altro. Infine annuì sovrappensiero, rivolgendosi a tutte
loro.
«Ce la faccio. Col costume
riesco a
muovermi da solo.»
«La trasformazione sta solo attenuando gli effetti della tua
condizione» puntualizzò
Ami. «Devi
riposare comunque.»
«Sì, ora vado a casa.»
Non da solo. «Ti accompagno. Ragazze, ci vediamo...
domani.» Per un attimo aveva contemplato l'idea di
incontrarle
più tardi, ma... no, voleva stare con
Mamoru
per tutto il tempo possibile.
Rei le rivolse un sorriso consapevole, abbassandosi a prendere Luna da
terra. «Sicuro. Prenditi cura di
te, Mamoru. Noi andiamo.»
Le altre annuirono e salutarono anche loro, seguendo Rei giù
dal
tetto.
Lei tornò a guardarlo. «Tentiamo le scale o
ce la fai a
saltare giù dai balconi?»
«Vanno bene i balconi. Da quella parte.» Le
indicò il suo
appartamento con il movimento distratto di un braccio.
Confusa, rimase a fissarlo. «Lo so.» Era andata a
casa sua quando
avevano
fatto da babysitter al piccolo Manami, sapeva bene dove abitasse.
Mamoru le sembrò sorpreso; per un attimo, persino
scosso. «Giusto. Andiamo.»
Gli andò dietro e fu solo a metà strada che
comprese il motivo di quell'errore: Mamoru
aveva fatto confusione tra le due memorie che aveva in testa. Per quel
che ricordava lui, l'aveva
conosciuta due volte.
Era ancora giorno, perciò individuarono un posto isolato
poco lontano
dall'edificio dove si trovava l'appartamento di lui.
Una volta certi di non avere attorno occhi indiscreti, sciolsero
entrambi la trasformazione.
Senza che lui lo chiedesse, Usagi lo fece di nuovo appoggiare contro di
sé.
Era veramente esausto, del tutto spossato: si appoggiava a lei anche
quando cercava di non farlo.
Il tragitto verso il suo appartamento fu breve, ma farlo arrivare in
piedi fino all'entrata di casa non fu comunque facile. Lui
impiegò più tempo del necessario ad aprire la
porta e, una
volta dentro l'appartamento, lei fece un ultimo sforzo, accompagnandolo
fino al
letto.
Mamoru vi si lasciò quasi
cadere. «Scusami.»
Il sussurro era stato abbastanza forte da essere udito. Usagi si
chinò sopra di lui. «Per cosa? Stai bene e hai
solo bisogno di riposarti.»
Appoggiò una mano sul letto accanto a lui: non aveva
ancora il coraggio di toccarlo. «Non
c'è niente di cui scusarsi.»
Gli angoli della bocca di Mamoru accennarono ad alzarsi
mentre chiudeva gli
occhi. Occhi blu che si riaprirono subito, focalizzandosi su di lei.
«Scusami.»
Le nuove scuse erano state diverse, più sofferte.
Usagi si sedette sul bordo del letto. «Per cosa?»
«Per... Beryl, per il modo in cui mi sono
fatto-»
Gli accarezzò il viso,
scostandogli i capelli dalla fronte. «No, va tutto
bene.» Scosse
appena la testa, cercando di infondere nella propria espressione la
pienezza del sentimento che provava nei suoi confronti.
«Pensa solo a riposare. Io... rimarrò
qui
finché non ti sarai addormentato.» Si
sentì
stringere una mano e ricambiò delicatamente il tocco.
Non ci vollero che pochi istanti: Mamoru si addormentò quasi
subito.
Lei rimase ferma a contemplarlo, a guardare i tratti innocenti che...
erano davvero tali: lui non aveva alcuna colpa per ciò
era
accaduto con Beryl. Era stato
influenzato in
punto di morte, senza alcuna barriera che potesse proteggerlo dal
potente attacco mentale dei loro nemici.
Doveva parlargli, fargli capire che lei non lo considerava in alcun
modo responsabile. Come avrebbe mai potuto dare la colpa a lui?
E poi adesso era lì con lei e... sospirò
d'improvvisa gioia. Era stato così difficile
parlargli in
quelle settimane, cercare di entrare nella sua vita, sapere che lui non
ricordava nulla di ciò che avevano passato
insieme. Il dolore l'aveva colpita come una fitta ogni volta che lo
aveva guardato negli occhi e si era vista riflessa
come un'estranea.
Ma ora... ora era tutto finito: Mamoru ricordava tutto.
E la amava.
Ogni parola, ogni tocco e ogni sguardo lo dichiaravano.
Lasciò scorrere le tracce del pianto sulle guance e non si
preoccupò di asciugarle: tanta felicità era
preziosa, insperata.
Aveva vissuto il loro amore solo in un'altra epoca, ma lo
sentiva dentro di sé come se il sentimento appartenesse da
sempre a quella
stessa vita. E pensare che lei non lo aveva nemmeno
mai... baciato.
Già, nonostante tutto ciò che significavano l'uno
per l'altra,
non lo aveva mai...
Rise.
Era finita. Erano liberi di stare insieme, di amarsi.
La gioia offuscò le ultime lacrime. Si
chinò
su di lui e gli sfiorò la guancia con le labbra.
Inalò un profumo che era stato caro, che sarebbe stato
infinitamente caro; non resistette e gli strofinò il naso
sulla
pelle, cercando di riempirsi di lui. Finì col disturbargli
il sonno, ma persino il breve lamento fu fonte di ulteriore contentezza.
Sorrise un'ultima volta.
Basta, avrebbero avuto una vita intera per stare insieme. «Ora
tu devi solo dormire bene.»
Si alzò e si diresse al balcone. Con un'ultima occhiata
verso la stanza, richiuse la vetrata dietro di sé.
Mamoru si svegliò, il sole sul viso. Quando la luce gli
arrivava fin
negli occhi, era sempre tarda mattina.
D'istinto, si voltò guardare la sveglia: le dieci.
Strano, di solito si alzava prima. Inoltre la testa gli girava
un po' e il corpo gli doleva in più punti.
Ma cosa... Usagi!
Scattò seduto sul letto.
Usagi!
Ail e Anne, l'albero della vita, il Cavaliere della Luna, le guerriere
Sailor... i cristalli dell'arcobaleno, il cristallo
d'argento,
Beryl, Usagi... Usagi.
Usagi.
Serenity.
Usagi.
Era viva.
Era sopravvissuta alla battaglia con Metallia.
Appoggiò la fronte su una mano e cercò di
schiarirsi le idee: era stato come... risvegliarsi appena dopo la
battaglia contro Beryl. I ricordi erano tornati tutti insieme.
Scosse la testa. Il
giorno prima non aveva avuto il tempo o l'energia per
processarli completamente. Solo un fatto era sempre stato
chiaro, una cosa
sola non
aveva mai avuto bisogno di essere spiegata.
Ricordò la forza con cui l'aveva stretta, il bisogno di
sentirla
contro di sé. Sì, non c'era stato
bisogno di alcun
ragionamento
per rendersi
conto di... amarla.
Usagi. Sailor Moon. Serenity.
Per tutto ciò che era successo con Beryl, le aveva rivolto
delle
scuse... patetiche. La parola non era sufficiente a descriverne
l'inadeguatezza, eppure Usagi l'aveva guardato come se fosse tutto a
posto.
Abbassò lo sguardo sul pavimento: Usagi aveva il cuore
più grande che avesse mai conosciuto.
...
E lui... non sapeva nemmeno se lo meritava.
Si mise in piedi. In bagno, grazie all'acqua sul viso e
giù per la
gola, uscì dal torpore in cui si era svegliato.
Usagi.
Doveva andare a trovarla.
Sospirò di frustrazione: non sapeva nemmeno dove abitava.
Per dirle cosa, poi?
Che l'amava. Lei doveva assolutamente saperlo.
... probabilmente, lo sapeva già.
Nella mente iniziarono ad affollarsi una serie di
ricordi,
di episodi: lui che la chiamava quasi sempre e solo Testolina Buffa.
Lui che rifiutava la sua compagnia, che rifiutava i suoi
tentativi di
avvicinarglisi.
Lui che la prendeva in giro, che non la prendeva sul serio.
Lui che si preparava a recitare una scena d'amore con Natsumi. Lui che
portava dei fiori
a Natsumi.
E la faccia che lei aveva avuto in quei momenti.
E prima... ancora prima, nell'altra 'vita'.
Chiuse gli occhi.
Allora si era comportato persino peggio.
L'aveva presa in giro in maniera spietata; le aveva rivolto frasi
canzonatorie ogni volta
che la incontrava, neanche lo stessero
pagando.
Rei. Dannazione, era uscito con una sua amica.
Infine arrivò il peggior ricordo tra tutti: lui che
si preparava a farle del male, nelle vesti del comandante di Beryl.
Non aveva alcuna scusante: in
quel momento aveva già saputo di lei, aveva
già
avuto coscienza del loro passato, eppure si era lasciato
vincere ugualmente.
Non aveva scuse neanche per le settimane più
recenti: una
parte di lui, quella che aveva continuato a difenderla, era stata
consapevole del loro passato comune. Quella parte si era materializzata
fino a
diventare
un'essenza capace di proteggerla, ma non era sparita del tutto, da
dentro di lui. In fondo se n'era reso conto: aveva provato qualcosa di
diverso per lei, di
indefinibile, eppure... non
aveva indagato. Aveva preferito continuare con la sua vita.
Alzò la testa e si guardò allo specchio.
Forse non la meritava davvero. Forse non meritava la
possibilità che avevano ora.
Quando era morto, appoggiato sulle sue ginocchia,
colpito a morte e sanguinante, con l'ultimo pensiero aveva pregato
perché lei potesse essere felice. Aveva solo sperato che un
giorno potesse trovare qualcuno che l'avrebbe amata
come meritava.
Qualcuno che... la meritasse.
In quel momento scoprì qualcosa di importante su
stesso, una parte di sé che non gli piacque molto: non
sarebbe
riuscito ad essere tanto nobile. Forse non la meritava, ma non
sarebbe stato in grado di
starle lontano ugualmente.
Si diresse in cucina.
Giusto perché ancora non si sentiva del tutto in forze, mise
in
bocca tre biscotti e del latte. Il caffè lo
lasciò
stare, non era il sonno a mancargli dopo più di
sedici e passa ore trascorse a letto, a dormire.
Si vestì rapidamente con i primi indumenti che gli
capitarono sotto mano.
Sarebbe andato al santuario di Rei.
Aveva
scoperto per caso che Rei abitava
proprio al santuario che aveva recentemente visitato ed era l'unica
pista che poteva seguire: d'altronde, lei doveva sicuramente
sapere dove abitasse Usagi.
Afferrò le chiavi e, una volta fuori casa, si
ricordò
solo quando era ormai in mezzo al corridoio del pianerottolo che non
aveva chiuso la porta.
Tornò indietro per occuparsene, dirigendosi poi a passo
più
rapido verso l'ascensore. L'indicatore lo segnalava occupato.
Si era ormai spostato sulle scale quando il suono di apertura delle
porte lo fermò. Dall'interno, brillò il
biondo di capelli
che conosceva molto bene.
Si bloccò.
Usagi rimase ferma davanti all'ascensore. D'improvviso, si
voltò verso di lui. E... non disse nulla.
Si guardarono per lunghi istanti, entrambi senza pronunciare parola.
Non... non aveva pensato a cosa dirle, a come iniziare una
conversazione.
A spiazzarlo fu soprattutto la nuova consapevolezza che aveva
di
lei. Era come avere davanti tre persone diverse. La Usagi del periodo
di
Beryl, la Usagi di quelle settimane e... la Usagi che
amava.
Con lei si era comportato in modo diverso ogni volta. Parlare solo
all'ultima Usagi, sapendo come aveva trattato le altre, sembrava tanto
poco...
No. Usagi era una sola. Unica.
Fu lei a fare il primo passo, a sorridere, sospirando di sollievo.
«Allora stai bene.»
La sua voce. Io l'ho
già
trovato il ragazzo che fa per me. Così gli
aveva detto, mentre lui moriva, tra le sue braccia.
«...
stai uscendo?»
Percepì l'esitazione nel tono indeciso.
Per forza, lui ancora non aveva ancora fatto uscire una sola sillaba.
«Stavo... venendo a
cercarti. Non sapevo dove abitavi.»
Il viso le si illuminò; con poche e sbrigative parole gli
comunicò il
suo indirizzo di casa. «Ah sì, poi il numero di
telefono!
Però dimmi
il tuo prima. Non sono
brava a ricordare i numeri, ma questo non lo
dimenticherò di certo.» Gli mostrò
ancora una
volta quel
sorriso tanto... carino.
Non glielo aveva mai visto in volto, eppure non faticò a
comprendere che doveva essere un'espressione naturale per
lei: doveva essere il tipo di sorriso che Usagi
riservava a chi amava. E lui... lo vedeva per la prima volta,
solo in quel momento.
Fino a quando non si era ricordato di amarla in una precedente vita,
non l'aveva apprezzata abbastanza da farsi guardare in quel modo da lei.
La meritava?
Non riuscì ad evitare un'espressione di sofferenza, anche se
per poco. Si schiarì la mente con un rapido movimento della
testa. «Vuoi uscire o
preferisci
entrare in casa?»
«... come vuoi tu.»
Usagi era tornata a guardarlo con incertezza, gli occhi spenti.
Doveva pensare a lei, doveva farla felice. E lei sembrava volere lui,
almeno questo lo sapeva.
Tutto quel poco che aveva, quel poco che era, lo avrebbe dato a lei.
Le tese una mano.
«Torniamo dentro.»
Usagi tornò immediatamente ad illuminarsi, incrociando le
dita con le sue.
Una volta in casa, la fece accomodare sul divano.
«Vuoi
qualcosa da... mangiare?» Non che avesse molto in cucina.
Lei scosse la testa e... rimase a fissarlo, negli occhi la
sensazione di una nuova scoperta.
«... Cosa
c'è?»
«Ecco... penserai che sono una sciocca, ma
è... strano. Da
una
parte vorrei-... però non...»
Lui ne fu genuinamente sorpreso: neanche Usagi, sempre tanto
spontanea e
spigliata, sapeva cosa dire.
Si... somigliavano. Era la prima volta che
pensava una cosa del genere, ma il pensiero lo rallegrò
parecchio.
Sì, avevano qualcosa in comune,
anche lei era invasa
da un'incertezza non dissimile dalla sua. Per lui la sensazione
terminò in quel momento: non poteva vederla
dubitare
di loro due, di ciò che c'era tra loro. Parlò
senza
pensare. «Posso abbracciarti?»
Il rossore le accese le guance e il sorriso si fece vedere solo dopo,
ma conquistò rapidamente l'intera espressione. Prima che lui
fosse riuscito a fare un
solo passo, fu proprio
lei a
colmare la distanza tra loro.
Mamoru conosceva ogni particolare di quell'abbraccio: l'odore di lei,
quanto
riusciva
a circondarle la vita con le braccia, quanto doveva abbassare
la testa
per appoggiarla su uno dei morbidi chignon. Eppure... era la prima
volta che la
stringeva così: era il suo corpo a ricordare ancora cosa si
provasse ad amare Serenity.
La consapevolezza era lì, presente, ma, in quel
momento, era Usagi che lui stava abbracciando.
Cominciò a sentire dei sussulti, simili a singhiozzi. Si
scostò fino a poterla guardare in faccia e la
trovò
che piangeva... con un sorriso piantato in volto. Sorriso che si fece
presto risata. «Sono così
felice.»
Quanto era tenera... e buffa. Iniziò a ridere a sua volta,
senza riuscire a frenarsi. I sussulti di spontanea felicità
li percorsero entrambi come lenitive
carezze.
Assurdo come, neanche poco prima, fosse sembrato tutto
talmente tanto complicato.
Usagi si staccò da lui, coprendosi il
naso
con la mano. Negli occhi che lo guardarono, brillanti per la
felicità e le lacrime versate, c'era ora anche una
punta di imbarazzo. «Ehm... hai qualcosa per...»
Mosse la
mano libera vicino al viso coperto.
Lui comprese cosa stava cercando di dirgli e si diresse in cucina.
Tornò da lei con un tovagliolo e glielo porse. Fece di tutto
per evitare di ridere, ma non ci riuscì
appieno.
Usagi si
asciugò il naso. «Sì, lo so, sono un
po' un disastro...
un po'
tanto. Ma questo
già lo sai.» Lo
guardò,
dubbiosa. «Ammetto che un po' mi merito il nomignolo che mi
hai dato.»
«Testolina buffa?»
In volto le nacque un cenno di risentimento.
Lui si affrettò
a spiegare. «Scusa, non
l'ho mai
inteso in
maniera davvero negativa. Né questo né
il
resto.» Si sedette su uno
dei
braccioli
del divano. «Credo che... Un po' ero
invidioso di quanto eri... viva rispetto a me. So che ti sembro uno che
prende in giro la gente, ma...
è una cosa che ho cominciato a fare solo con te.»
Nessuna lo aveva mai spinto a
comportarsi in un modo simile, prima di Usagi. Già, forse
un atteggiamento del genere non era proprio un
complimento, per lei.
Usagi però sorrideva di soddisfazione.
«È
bello
sentirti chiedere scusa.
Non sono mai riuscita ad averla vinta con te.»
Non era mai-?
«Ci sei riuscita
più volte di quante immagini. Ogni volta
che ti
prendevo in giro mi sentivo tornare alle elementari, ma
non riuscivo comunque a smettere.»
Lei ridacchiò.
E... rimasero semplicemente a guardarsi.
Fu quel momento a fargli scoprire che era in grado di
farla arrossire molto facilmente: bastava guardarla, a quanto pareva.
Usagi emise un paio di risatine accompagnate da un delizioso rossore;
si portò una mano
dietro la testa. «Ecco... non so bene
cosa fare adesso. Voglio dire, so che dopo quello che abbiamo
passato ora dovrebbe essere
tutto così... naturale. Ma...»
Alzò un dito in aria, colpita da un'idea. «Aspetta
aspetta, ho
capito!
Dobbiamo uscire insieme.»
Beh, non era una cattiva ide-
«Ahh, che sciocca! Torniamo indietro. Dovevi chiedermelo
tu.»
Non la stava più seguendo. «Cosa?»
«Di uscire insieme, no? Ho sempre voluto sentirmelo chiedere
dal
ragazzo che avrei amato e non posso proporlo io, rovino
tutto.»
Prima
ancora di riuscire a ridere, lei si tappò la bocca con una
mano. «No, non dovevo dire nemmeno quello. Cioè,
è
chiaro che
io-... però volevo-» Stava entrando in crisi.
Mamoru la interruppe. «Facciamo finta
che
tu non lo abbia detto. Faremo le cose per bene, non ti
preoccupare.»
La invasero ondate di sollievo, persino lui fu in grado di capirlo.
«Sì.»
«Possiamo cominciare imparando cose fondamentali
l'uno sull'altra.
Vorrei che mi parlassi di te. E io farò lo stesso.»
Usagi schioccò le dita. «Hai
ragione, che sciocca! È solo che, in un certo senso, mi
sembra di
conoscere già tutto di te.»
Mamoru comprendeva molto bene cosa intendesse dire. Ad
altri
livelli, si conoscevano da sempre. «È vero.
Però ad
esempio non sapevo dove vivevi.»
«Giusto, giusto.» Usagi
affondò un dito in una guancia. «Allora
comincio io. Hmm... frequento la terza media, ma
questo lo avrai già capito. Ho
quattordici anni e anche questo lo sai. Vivo con i miei genitori e mio
fratello. Ho solo Luna come animale domestico, anche se è
più la mia padrona domestica.» Fece una pausa.
«Sono
Sailor Moon da circa sei mesi. Ho conosciuto Rei, Ami, Minako e
Makoto così. Ho un'altra cara amica di nome Naru.
Hmm...» Arrossì d'imbarazzo e abbassò
lo
sguardo.
«Non
sono molto brava a scuola. Scusa.
Cercherò di impegnarmi.»
«Non ti preoccupare.» Era ben lontano dal ritenerla
'inferiore'. Come
se, sapendo tutto ciò di cui era stata capace, un
particolare come la scuola
potesse essere importante. Comunque, se aveva dei problemi, poteva
aiutarla lui.
Alzò lo sguardo su di lei e comprese che era arrivato il
proprio turno. «Io... della mia famiglia lo sai.»
Usagi annuì.
«Ho
diciassette anni e-» Si interruppe, notando lo sguardo di
sorpresa.
«Pensavo ne avessi almeno
diciotto. Sei al primo anno di
università come Motoki, no?»
«Sì, ma ho saltato un anno.»
«Saltato?»
«Alle elementari, sono andato di un anno avanti. Andavo bene,
perciò mi hanno fatto saltare una classe.» Fu
costretto a
trattenersi dal ridere, perché l'espressione di lei fu molto
comica.
«Sei andato avanti di un anno perché eri bravo?
Ora
capisco
perché mi prendevi sempre in giro: sei un genio in
confronto
a
me.»
In quel commento non trovò nulla di
divertente. «Scusami.»
«Per cosa?»
«Per le prese in giro.»
«Non ha importanza, le scuse di prima bastano. E poi ti
insultavo
anche io, no?»
«Solo dopo che lo aveva fatto io.»
«In effetti...» Ridacchiò.
«Sai
l'altra volta,
quando curavamo il piccolo Manami? Ecco, avevo finito col pensare
che... un po' mi
stavi antipatico.»
Mamoru sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi una confessione del genere.
Nemmeno
poteva
definirla tale, in fondo: era stato più che palese che non
fosse mai stato tra le persone preferite di Usagi, lui stesso aveva
fatto in
modo
di non esserlo. Eppure sentirglielo dire ad alta voce fece
ugualmente male.
Lei sembrò
accorgersene. «Oh, ma ho già capito che
è solo una parte del tuo carattere. E poi
anche io ho un sacco di difetti: sono immatura, pigra, disordinata,
infantile... per nulla perfetta. Il tuo carattere lo conosco, Mamoru.
Mi piace. Continua a parlarmi di te.»
Forse non era perfetta, ma la sua capacità di perdono la
poneva un gradino sopra tutti gli altri.
Col cuore un po' più leggero, lui le
raccontò di
come si era ritrovato a vivere da solo, di
come
aveva scelto di studiare medicina e di come avesse conosciuto Motoki.
Di tanto in tanto Usagi lo interrompeva con alcune domande, ma
era
sostanzialmente lui a parlare. Mentre le svelava la sua vita, si rese
conto di non
aver mai raccontato se stesso a qualcun altro in quel modo.
Nemmeno con
Motoki era stato così. Poteva definirlo il
suo unico amico, ma anche a lui aveva dato solamente un quadro a
sprazzi del suo passato e solo in seguito ad una lunga attesa.
D'improvviso, Usagi assunse un'espressione sbarazzina.
«Hmm...
e a
parte Rei, quante altre ragazze hai avuto? So
che è una domanda sciocca, ma se devo essere
sincera, voglio proprio saperlo.»
«Con Rei siamo solo usciti qualche volta, non c'è
stato
niente. Te l'avrà detto anche lei.»
«Sì, però volevo sentirlo anche da
te. E... altre ragazze?»
«No, nessuna.»
«Nessuna?» Le sentì nella voce un misto
di contentezza e...
divertimento.
Non comprese. «Non dovrebbe farti piacere?»
«Sì sì... è solo che non
riesco a capire.»
Cosa c'era da capire?
«Voglio
dire, se... se io avessi avuto una vita
più normale, so che avrei
fatto di tutto per trovarmi un ragazzo prima di finire le superiori. E
tu, col tuo aspetto... non riesco a capire, tutto qui.»
«Col mio aspetto?»
Iniziò a divertirsi a sua volta.
«Sì, ecco... perché ridi
così?
Vuoi farmelo dire, vero?»
«No, se non vuoi.» Era come se lo avesse
già fatto.
Mamoru sorrise apertamente, senza riuscire a trattenersi.
In un certo senso la stava prendendo di nuovo in giro, ma
comprese che non le dava davvero fastidio. Non ora che sapevano
bene entrambi ciò che provavano.
Si sentì... a proprio agio. Improvvisamente.
C'era sempre stato dentro di
lui un
sentimento profondo per qualcuno che non aveva mai davvero conosciuto.
Prima per la Serenity dei suoi sogni, poi per Sailor Moon. Era un
sentimento
che non aveva mai trovato spazio all'interno della sua vita quotidiana,
ma da quel momento in poi sarebbe stato diverso: ora rideva e scherzava
con Usagi,
non con Serenity, che aveva amato ma che non aveva mai davvero
conosciuto, almeno in quella vita.
«Sei molto bello. L'ho sempre pensato, sei contento
ora?»
Mamoru scoppiò a ridere: la faccia di lei non aveva eguali!
«Uffa, che cattivo che sei!»
Per smettere si dovette colpire il petto con un pugno.
«Scusa.» Riuscì a calmarsi un po'.
«È
che
hai la stessa espressione
di quando litigavamo, quando 'perdevi'.»
Usagi aveva le braccia incrociate sul petto, in volto un'espressione di
divertito risentimento. «Beh, in un certo senso ho perso.
Sono sicura
che tu non pensi di me quello
che io penso di te.»
No, non era come credeva lei. Iniziò a parlarne ma fu
subito
interrotto.
«Non voglio che tu me
lo dica solo per farmi contenta. So che non sono brutta, che sono
persino carina. Ma l'importante è che... ti piaccio anche
io. Va
bene così.»
Già, aveva voluto dirle qualcosa di molto simile: Usagi
sarebbe stata molto bella in futuro, anche se lei non se ne
rendeva ancora
conto; il suo limite al momento era solo l'età,
ma a lui non importava: per ora la trovava già
molto carina.
Ed era felice che lei pensasse così bene del suo aspetto,
anche se la sua faccia per lui era semplicemente... una faccia. Non le
aveva mai
dato particolare importanza: non serviva a molto quando
non si era granché interessati ad avvicinarsi ad altre
persone.
«Sì.» Attirò l'attenzione di
lei con quell'unica
parola. «Mi piaci molto.»
Come si era aspettato, quel commento la fece arrossire.
Usagi sapeva molto bene di piacergli, ma era quel tipo di ragazza che
avrebbe amato sentirselo dire, a cui sarebbero piaciute un certo genere
di... romanticherie.
Non erano proprio il
suo forte, tuttavia valeva la pena di fare uno sforzo.
Sforzo... già.
Fece un passo in avanti, per affrontare un punto che
avrebbe potuto essere problematico in futuro: in
lui non c'era una naturale predisposizione alle relazioni
personali. Con Usagi le cose erano state molto più semplici
che
con chiunque altro, tuttavia... «Usagi.
Avrai già capito che io... Io
ho un
problema con le
persone. Motoki è mio amico solo perché si
è sforzato per diventarlo. Io... non sono bravo a
rapportarmi con ciò che provo per gli altri, né
sono
abituato a esprimerlo. Te lo sto dicendo perché temo che
anche se
ci
proverò, ci saranno momenti in cui quello che
vorrò farti capire non sarà sempre chiaro. O
forse non intuirò quello che vorrai farmi capire
tu. E... vorrei che me lo dicessi, in futuro. Se vorrai
qualcosa da me e non ci arriverò... dimmelo.
Perché l'unica cosa che vorrò io
sarà-»
Notò la risata serena di lei, quella che, d'un tratto, le
conferì una saggezza molto oltre i suoi anni.
A cavarsela con i propri sentimenti, d'altronde, Usagi doveva essere
secoli
davanti a lui.
«Ho capito.» L'espressione le si fece...
dolce. «Allora io vorrei... se sei libero oggi... esci con
me?»
Come? «Non dovevo chiederlo io?»
Lei scosse la testa. «Era una sciocchezza, non m'importa
più. L'importante è stare insieme.»
Colpito, Mamoru rimase in silenzio. Gli era bastato solo... chiedere
e Usagi aveva mosso un passo verso di lui. Fu strano sentir colmare
un
vuoto che non aveva mai saputo di avere. Usò la tattica di
prima e le
disse comunque quello che lei già sapeva. «Oggi ho
la
giornata libera e vorrei passarla con te. Vuoi uscire
insieme?»
E, con quel passo verso di lei, si incontrarono al centro.
La luce sul viso di Usagi illuminò la stanza, oltre la
stessa
luce del sole. Gli corse incontro fino ad aggrapparsi al suo braccio e
annuì
con la
testa su
e giù, ridacchiando e stringendolo.
E fu così che iniziò il loro primo appuntamento.
CONTINUA...
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Sailor Moon - Dentro di noi
Note:
- Ho sistemato un po' il primo capitolo. Ho aggiunto qualcosa
soprattutto alla fine, perciò consiglio di rileggerlo, se
avete
tempo. Nessun cambiamento radicale, ma ora sono maggiormente
soddisfatta.
- Non ho un'idea precisa sul numero di capitoli di questa
storia, so
solo come la farò finire (con la scena di arrivo di
Chibiusa). Non dovrebbe essere molto lunga però.
- '-san', '-kun' sono suffissi formali che si usano molto spesso in
Giappone con le persone estranee. '-chan' si usa molto spesso con
persone particolarmente care, familiari, amici o fidanzati.
- 'Tsuki no Usagi' significa 'Coniglio della Luna'; la Takeuchi lo ha
scelto apposta come nome.
- Grazie a tutti per i commenti, sempre molto graditi. Grazie
a Bunny1987, a luisina, a LAS, a maryusa, a luciadom, a chichilina, ad
Ami_mercury, ad ISA1983, ad algin91 (nuovo recensore, grazie :) ) e ad
Himechan. In merito a quanto detto da Ami_mercury, come lei
già sa, la ringrazio molto per il sentimento, anche se credo
che ciascun lettore possa recensire quello che preferisce, senza che
questo debba infastidire altri autori o utenti. Personalmente sono
felice di ogni commento che ricevo, l'unica cosa che vorrei
è avere un commento da persone a cui ho dato qualcosa mentre
leggevano quello che ho scritto. Se il numero di queste persone
corrisponde a quello delle recensioni, di volta in volta, allora non
posso che esserne soddisfatta: non è una questione di numeri.
Grazie ancora quindi a chi mi lascia un commento.
DENTRO
DI NOI
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Cos'era quello sguardo?
Usagi, ferma davanti a uno scaffale, aveva in mano un manga. E lo stava
guardando come se... non gli venne in mente un modo preciso per
descrivere quel tipo di espressione: aveva visto altre volte gente con
la bocca piegata nel più
estasiato dei sorrisi e anche gente con occhi che sembravano dover
lacrimare da un momento all'altro, ma le due cose combinate, no.
Le si avvicinò. «Cosa stai leggendo?»
«Ahhhh!»
Mezza libreria si girò a guardarli.
«Hahahaha, scusate, scusate!» Lei rivolse un paio
di imbarazzati
inchini
generali in varie direzioni, infine si voltò nella sua
direzione.
«Scusa.»
«Non pensavo di spaventarti.»
«Lo so, è colpa mia che sono una sciocca. Ah, hai
preso
qualcosa!»
«Solo questo.» Le mostrò il libro di
medicina che aveva
trovato.
«Ahh...»
«E tu prendi qualcosa?»
«Uhh...» Gli parve di cogliere un movimento di
mani dietro di lei.
Usagi si scostò dallo scaffale dei manga e
puntò altrove. «Sì... ero interessata
a questi
libri di...
psicologia» concluse, dopo aver visionato rapidamente le
copertine.
Gli venne da ridere e gettò uno sguardo verso il manga che
lei aveva posato dove si era trovata poco prima. Uno shoujo manga. Lo
prese. «Non stavi leggendo
questo?»
Lei arrossì. «No, no, mi piacciono,
però...
e va
bene,
mi piacciono. Comunque non mi serve comprarli, Rei a casa sua ne ha
tantissimi e tra non molto potrò sicuramente leggerlo da
lei.» Gli tolse di mano il fumetto e lo
rimise al suo posto. «Senti, mi è venuta un po'
fame,
andiamo a
mangiare qualcosa?»
Lui annuì e, quando Usagi lo precedette verso l'uscita,
afferrò fulmineo il manga e lo infilò dietro il
proprio libro.
«Buon appetito!» dichiarò Usagi, appena
prima di cominciare
a
mangiare voracemente le proprie patatine.
Lui trattenne una risata. «Buon appetito.»
Infilò il coltello nella carne che
aveva davanti.
Usagi rimase a fissarlo per un po', quindi masticò
velocemente
per
riuscire a parlare. «Certo che sei elegante anche quando
mangi.»
«Elegante?»
«Sì, ti comporti sempre in modo così
calmo e... qual è la parola... po- po-...»
«Posato?»
«Esatto! Posato. In modo elegante, ecco.»
Si ritrovò a riflettere per qualche secondo. «Ho
sempre
pensato di
comportarmi in modo normale.» Infilò in bocca un
boccone di
carne e prese a masticarlo.
L'espressione di Usagi si fece disperata. «Se questo
è
normale, io sono irrecuperabile. Beh, l'aveva detto anche
quella maestra di bon-ton. Hmm... no, adesso che ci penso, lei non
conta.
Sai, era il nemico.» Abbassò la voce sull'ultima
parola.
Lui stava ancora mangiando, per cui non parlò, ma
cercò di ricordare a quale nemico si riferisse.
Usagi intuì la direzione dei pensieri di lui e,
ridendo,
sbatté una
mano in aria. «Ah, no, no, tu non c'eri in quel
periodo.» Si rese
conto del proprio errore solo quando Mamoru si immobilizzò.
Non c'era stato perché sotto il controllo di Beryl.
Che stupida.
Non poteva mettersi a parlarne ora, non dentro quel
ristorante,
con tanta gente attorno.
Cosa poteva fare, cosa poteva fare?
Lo vide assumere un'espressione colpevole e non pensò
più: buttò lì la prima stupidaggine
che le venne
in mente. «Avevo una cotta per Motoki.»
Ahhhh, stupidaggine sì!
Diventò di dieci tonalità di rosso diverse.
L'unica consolazione fu vedergli sparire dal viso ogni
preoccupazione. Per forza, ora era concentrato sulla scemenza che gli
aveva detto.
Lui iniziò a ridere di gusto, profondamente divertito.
«Non era un segreto.»
«Lo sapevi già?»
«Una volta avevo anche consigliato a Motoki di smetterla di
assecondarti, ma secondo lui tu lo consideravi solo un fratello
maggiore.»
Mamoru comprese la portata del proprio sbaglio solo quando la bocca di
Usagi
si
spalancò in una smorfia di indignazione. «Gli hai
detto di
smetterla di assecondarmi?»
«Voglio dire, di illuderti...» L'espressione di
lei si fece ancora
più offesa. «Di farti credere di
avere una possibilità...»
Stava solo peggiorando la situazione.
Si aggrappò all'ultima
ancora. «C'era Reika...»
Usagi rilasciò un grosso sbuffo. «Quando l'ho
saputo mi sono
rassegnata. Ma
non è stato per niente carino quello che hai
detto.»
«No. Scusami.»
Passarono alcuni lunghi momenti di silenzio durante i quali Usagi
attaccò il proprio cibo, esercitando sulle patate una sorta
di
trasposta vendetta.
Lui avrebbe voluto poter rinnegare tutto, ma a quel punto era troppo
tardi: entrambi sapevano bene che c'era stato un tempo in
cui aveva
creduto ad ognuna delle cose che aveva detto. Decise
di attenersi solamente alla verità. «Credo che
anche io avessi una... cotta per Sailor Moon.» Non l'avrebbe
chiamata proprio così, ma non c'era un modo
semplice per spiegare l'attaccamento ultraterreno che lo aveva spinto a
rischiare la vita per lei.
Usagi si illuminò in un secondo.
«Davvero?»
Lui annuì, felice di averle tolto il malumore.
«Anche io... per Tuxedo Kamen.»
Si era accorto anche di quella, ma non aveva mai creduto che per lei
fosse una cosa troppo seria, dato che nemmeno lo conosceva. Vero,
nemmeno lui aveva conosciuto lei, ma dubitava che
Usagi
avesse provato qualcosa di simile a quello che gli si scatenava dentro
ogni volta che la sapeva in pericolo.
«A cosa stai pensando?» gli chiese all'improvviso
lei, finendo di
leccare
la propria forchetta.
Tornò a guardarla. «Quindi
avevi
contemporaneamente
una
cotta per Motoki e... Tuxedo Kamen?» Continuò
anche lui a
parlare di se stesso in terza persona, nel caso qualcuno fosse stato in
ascolto.
Lei ridacchiò con allegro imbarazzo. «Haha,
sì!
Pensa
che per un po' ho desiderato tantissimo che fossero la stessa
persona.»
Questo non se l'era immaginato per nulla. Era stata invaghita a tal
punto di Motoki da desiderare che fosse lui Tuxedo Kamen?
Non avrebbe
dovuto stupirsene, in fondo Motoki era sempre stato gentile con tutti e
le ragazze tendevano spesso a girargli intorno per via di
quell'atteggiamento. Eppure lo infastidì pensare che Usagi
potesse
aver
desiderato avere con il suo amico quello che per lui era sempre stato
speciale, quella connessione fra lui e Sailor Moon che gli aveva
impedito di pensare a chiunque altro. «E... non hai mai
avuto sospetti
sul fatto che io...» Lasciò la frase incompiuta,
ma lei comprese senza problemi.
«No, per niente. Ci ho pensato per la prima volta solo quando
eravamo
sull'ascensore, prima che... beh, lo sai. Era anche la prima volta che
parlavamo senza sfidarci, no?» Gli sorrise e tornò
a
mangiare.
La prima volta?
No... sì.
Masticò il proprio cibo amaramente: era anche peggio
di quanto avesse pensato. Eppure... non serviva continuare a pensare
alle inadeguatezze del loro
rapporto passato. Si impose di non farlo: alimentare l'insicurezza
sulla riuscita del suo
rapporto con Usagi non poteva portare da nessuna parte. E lui voleva che
quel rapporto funzionasse, lo desiderava più di qualunque
altra
cosa.
Se n'era accorto lentamente, ma... stare con lei, sapere che lei
voleva
stare assieme a lui... era come avere un legame col mondo.
Probabilmente era quello che provavano tutti coloro che avevano
qualcuno accanto, che si trattasse una famiglia o più
semplicemente di
una
persona amata, ma... per lui era una sensazione nuova. E non
voleva più farne a meno.
Deglutì il boccone di cibo.
Erano ragionamenti parecchio... egoisti. Desiderava averla accanto per
stare meglio lui stesso, non era quella la sostanza del discorso? Non
aveva mai avuto modo di testare se fosse affetto da egoismo: aveva
quasi sempre dovuto pensare solo a se stesso, in fondo.
La osservò mentre lei continuava a concentrarsi sul proprio
piatto.
No, non avrebbe fatto nulla per favorirsi, se questo
significava danneggiare in un qualunque modo lei. Ma forse era solo
Usagi a tirare fuori il meglio di lui e
invece
con altri... Fermò quel pensiero.
La premessa era
sbagliata: troppo a lungo Usagi aveva tirato fuori il peggio
di
lui, almeno quando non
era
stato nei panni di Tuxedo Kamen.
Continuò a fissarla: cosa c'era
stato in lei che l'aveva spinto a comportarsi in quel modo?
Le aveva spiegato che era stato invidioso di lei, della sua
vitalità; era la verità, ma molte altre volte era
stato
segretamente invidioso di quello che altre persone avevano avuto:
amicizie, la
capacità di entrare istintivamente in contatto con gli
altri...
una famiglia. E tuttavia non aveva mai riversato su nessuno tutto il
sarcasmo
che invece aveva buttato addosso a lei.
Sì, da principio l'aveva trovata... ridicola.
Particolarmente
carina, ma particolarmente ridicola. La sua, con le
code e i chignon, era stata la pettinatura più strana che
avesse
mai visto; gli era sembrata uscita da un cartone animato, nient'altro
che una ragazzina
che buttava in giro compiti in classe fallimentari.
La seconda volta che si erano incontrati, si ricordava di essere stato
di
cattivo umore. E la ragazzina gli aveva persino gettato una
scarpa in testa. Quando l'aveva sgridata, lei aveva osato
rispondergli a
tono.
Forse era quella la chiave: gli aveva risposto a tono.
Nessuno lo aveva mai fatto, tutti lo avevano sempre rispettato o,
quando lui lo aveva deciso, temuto. E invece lei... lo aveva sfidato.
Sì... aveva covato un minimo di rancore per quel
loro primo
alterco e, quando l'aveva vista nuovamente, si era vendicato. E, ancora
una volta, Usagi non si era fatta intimidire.
Forse lui aveva cercato di capire fino
a dove sarebbe arrivata, ma quelle
litigate erano diventate rapidamente uno degli eventi più
interessanti
di
una vita altrimenti sempre uguale.
Rimase a guardare il tavolo.
... certo che amava complicarsi l'esistenza.
Posò di nuovo gli occhi su di lei: era ora di iniziare a
farla diventare piacevolmente più
semplice.
Usagi osservò con incredibile interesse la mano di Mamoru
che
riprendeva la carta di credito usata per pagare il ristorante.
Prima che potesse rimetterla nel portafoglio, si decise a chiedere.
«Posso vederla?»
«... certo.»
Lui gliela passò, perplesso.
Aveva un ragazzo con un conto in banca e
delle
carte di credito! Era avanti anni luce rispetto a tutte le sue amiche.
Rigirò il supporto in plastica tra le mani, quindi rilesse
più
volte il nome impresso sul supporto di plastica: Mamoru Chiba.
Chiba... Gli ridiede la carta. «Non ti ho mai chiamato
Chiba-san. O
Chiba-kun.
Strano vero?»
Come era d'uso con persone più grandi e con gli
estranei, da
principio aveva chiamato persino Motoki col cognome: solo in seguito
lui aveva
insistito perché lei usasse il suo nome proprio. Mamoru
certo
non le aveva mai offerto o concesso una simile prerogativa.
Se ne accorse anche lui. «Già. Nemmeno io
ho mai usato il tuo cognome.»
Lei rise e lo prese per mano. «Eravamo in
confidenza!»
Mamoru ci ragionò su e fu d'accordo con lei: insultandosi e
litigando sempre, in un certo senso lo erano
stati. Non aveva mai pensato ad Usagi come
Tsukino.
Forse per via di Motoki,
l'unico con cui l'avesse mai discussa; lui, in fondo, aveva sempre
usato il suo
nome proprio.
Tsukino... «Tsuki no Usagi.» Che coincidenza.
«Coniglio della
luna.»
«Sì, era destino» commentò
lei, facendo
spallucce.
Della luna... Rise. «Da lì mi era venuto in mente
il nome 'faccia
di luna'.»
Usagi si fermò in mezzo alla strada, trattenendolo per la
mano e sbattendo la scarpa sul
marciapiede.
Quando avrebbe
imparato a tenere la bocca chiusa?
«Non è molto furbo continuare a ricordarmi cose
come
quella» gli fece notare lei, incrociando le braccia.
Un'osservazione di grande intelligenza.
«No, per niente.» Non poteva che concordare e
maledirsi per non averci pensato prima. «...
Dove vuoi andare ora?»
Usagi si placò un poco, ma sembrò non
avere idee
in merito, o aver esaurito l'entusiasmo per quelle che aveva avuto.
Lo
precedette
di qualche passo, senza tentare di riprendergli la mano.
Lui si sentì ancora più stupido. Doveva
rimediare. «Vuoi andare al parco di Setagaya?
C'è anche un giardino botanico
lì.»
Per un istante gli sembrò che l'idea le piacesse molto, ma
appena dopo gli aveva già nascosto ogni
scintilla di
euforia.
«...
va bene.»
Controllarsi così non era da lei.
Avrebbe tanto voluto chiederle cosa poteva fare per renderla
felice, ma intuì che non
poteva essere così semplice: Usagi si aspettava che lui lo
capisse da
solo.
Ci avrebbe provato, sperando di non fallire.
In piedi sul treno in movimento, Usagi non riusciva ad essere veramente
felice di andare al
parco con Mamoru.
Oh, trovava che fosse un posto incredibilmente romantico,
però
avrebbe dovuto essere un luogo per coppie... romantiche, appunto.
Invece loro erano ancora lontani dall'esserlo.
Le faceva un po' male, più che altro
perché desiderava moltissimo che fossero
più a loro agio.
Mamoru stava cercando di essere gentile quanto gli riusciva, ma lei
aveva l'impressione di non facilitargli quel compito: lui
l'aveva
ritenuta a lungo solo una sciocca ragazzina e in fondo non era
certo cambiata. Ancora adesso gli faceva ricordare senza
problemi
quello che aveva pensato di lei.
«Usagi?»
Alzò lo sguardo verso di lui.
«C'è un posto per sedersi.» Le
indicò con la
testa un singolo sedile libero.
Non era una bambina. «Posso restare in piedi.»
Il treno aprì le porte e lei osservò senza
interesse la carrozza che si riempiva di
gente.
Quando tornò ad abbassare di nuovo la testa, le
sembrò di vedere... lo aveva ferito con quel tono brusco?
Ecco, lui cercava di essere carino e pure lei rovinava tutto.
Si sentì riempire prima di frustrazione, poi di tristezza.
Perché non poteva essere tutto più semplice?
Lo amava. Tantissimo.
Stare assieme a lui avrebbe dovuto essere magico, romantico... e
invece c'era sempre qualcosa che non andava. C'erano momenti di
imbarazzo, momenti in cui sentiva di dover sapere quello che invece lui
le
stava dicendo per la prima volta, momenti in cui lui ricordava che,
prima di sapere che lei era sia Serenity che Sailor Moon, l'aveva
considerata... ridicola.
Fuori dal finestrino, la città riprese a muoversi a gran
velocità.
Sorrise amaramente: era proprio una bambina.
Le relazioni non erano favole. Nella loro situazione, poi, non ci si
poteva aspettare che ogni cosa si sistemasse nel giro di un giorno
solo. La pazienza non era decisamente il suo forte, ma doveva armarsene
e avere fiducia.
Il treno si fermò ancora una volta e le porte si aprirono
nuovamente; la carrozza
iniziò
ad essere invasa da un altro grosso gruppo di persone.
Si
rannicchiò automaticamente nell'angolo tra il sedile e le
porte
chiuse, anche se per esperienza sapeva che sarebbe finita schiacciata
comunque. Attese la fastidiosa sensazione, e, quando non
arrivò, si girò.
Mamoru le stava davanti e con le braccia aveva creato un piccolo
spazio, bloccando la spinta di altre
persone.
Si sentì riempire di dolcezza: la stava
salvando. E, anche se non c'era nessun nemico da cui proteggerla, quel
gesto non le risultò certo meno caro.
C'era una sola cosa che contava veramente. Ed era lì, tra
loro.
Appoggiò la testa contro il suo petto.
E, sopra tutto il rumore, ascoltò mentre il battito dentro
di lui diventava un ritmo di serenità.
Gli teneva di nuovo la mano.
Mamoru prese un appunto mentale: non farla schiacciare dentro un
treno può funzionare, una prossima volta.
Ovvero, funzionavano i gesti... carini. Lei li avrebbe chiamati
così, ne era sicuro.
Si trovavano ormai dentro il parco: iniziò a guardarsi
intorno,
cercando di scovare nuove opportunità per gesti di quel
genere.
All'improvviso sentì Usagi agitarsi e staccarsi da lui.
Correva in avanti, muovendo il braccio in aria.
«Naru!»
Naru? Una ragazza dai corti capelli marroni si voltò verso
di lei,
sorpresa. «Usagi!»
Giusto, era la ragazza che aveva partecipato con loro alla recita di
Biancaneve, l'amica di cui gli aveva parlato, quella che non sapeva
nulla
di... tutti loro. Né di lui né delle altre.
Assieme a lei, si avvicinò ad Usagi anche un ragazzo con
occhiali
molto spessi e piuttosto basso. Già, si ricordava anche di
lui: si chiamava Umino, aveva l'età di Usagi ed era un suo
compagno di scuola.
Decise di avvicinarsi al gruppo.
«Che fortuna incontrarci qui per caso, Usagi. Sei da
sola?
Magari
puoi unirti a...» L'amica di Usagi assunse un'espressione
di completa incredulità quando lui si fermò
accanto a loro.
«Oh. Ciao.»
Usagi si voltò. «Ah, vi ricordate di
Mamoru, vero?»
«Ciao» li salutò lui.
Naru lanciò un rapido sguardo alle
loro spalle. «Allora ci sono anche le altre?»
«No» Usagi era perplessa al
pari suo.
«Siamo solo noi due.»
Gli occhi dell'amica di lei si allargarono mentre la bocca si chiudeva.
La aprì d'improvviso. «Ehm...
ho
visto un banchetto di
gelati là dietro. Mi accompagni un attimo a prenderne uno,
Usagi?» La afferrò per un braccio senza darle il
tempo di rispondere. «Torniamo subito!»
Un secondo dopo, erano entrambe fuori dalla sua vista.
Mamoru rimase in compagnia di Umino Gurio.
«Ah-ehm.»
Abbassò lo sguardo nella sua direzione.
Gli sembrò di vedere il sole luccicare lungo tutto il
bordo dei grossi occhiali rotondi, mentre iniziava a parlargli.
«Sembra che tra te e Usagi sia nato qualcosa. Devi sapere che
conosco Usagi da molti anni.» Si
appoggiò la mano sul petto. «Lei è
stata la prima
ragazza
a cui io abbia mai donato il mio cuore.»
Eh?
«Ora è Naru la luce della mia vita, ma Usagi
rimane la mia
più cara amica. Potrà sempre contare su di
me.»
Forse ora lo stava guardando dritto negli occhi, ma non avrebbe saputo
dirlo, dietro quelle lenti.
Doveva rispondere?
Il ragazzino alzò un dito in aria. «Non ti
permetterò di giocare con i suoi sentimenti.»
Finalmente capì la direzione del discorso. «Non
è
un problema.»
«Che intenzioni hai con lei?»
Doveva ammettere di non aver mai pensato di dover affrontare quel
tipo di discorso al primo appuntamento e con uno che non era neanche
suo padre, tuttavia... «Sono... cose tra me e Usagi. Comunque
apprezzo il tuo interesse perché ho capito che tieni a lei.
Per me è lo
stesso.»
Il ragazzino continuò a valutarlo. Infine annuì.
«Vigilerò.»
Lo lasciò perdere solo per non iniziare a ridere.
«Devi raccontarmi tutto!»
«E il gelato?»
Naru svuotò il proprio borsellino e la trascinò
verso il banchetto mobile. «Due per favore. Fragola e panna
per lei,
cioccolato e vaniglia per me.» Si girò di nuovo
nella sua
direzione. «E ora che ti ho offerto il gelato,
spara!»
«Vuoi dire Mamoru?»
«Sì, voglio dire lui! Quando, dove e
come?»
Non posso dirtelo, non
posso dirtelo, non posso dirtelo.
Non erano
forse quelle le uniche risposte che poteva darle?
Sospirò. «Niente, ci...
ci siamo parlati un po' meglio, mi ha trovata simpatica e l'altro
giorno mi ha chiesto di
uscire.»
Raccontando quella generica storia, per un attimo
desiderò
davvero che fosse la loro. Non avrebbe mai voluto avere alcun dubbio
sul fatto di piacergli totalmente. Uffa, doveva farla finita con quei
pensieri.
«Tutto qui? Ti ha chiesto di uscire da un momento all'altro,
senza un motivo?»
«... no. Noi...» Cercò di attenersi
maggiormente alla
verità. «Beh, all'inizio continuava a prendermi in
giro e
credevo fosse
un antipatico. Poi ha iniziato a diventare più... gentile
e... ho
scoperto che mi piaceva. E dopo... sì, mi ha chiesto di
uscire
solo poco tempo fa e io ho accettato.»
Naru rilasciò un sospiro. «Oh, Usagi,
com'è romantico.»
Veramente a quel punto ci dovevano ancora arrivare.
«Ma non sei agitata? È veramente molto carino ed
è anche
più
grande. E ti ha chiesto di uscire!» Naru le strinse le mani,
ridacchiando.
Giusto, era così che si sarebbe dovuta sentire. Stava
uscendo
col ragazzo che amava, con Mamoru. Mamoru a cui... piaceva molto.
Ricordò le parole di lui e arrossì.
«Sì, io... sono contenta.»
«Per forza! Senti, allora adesso io e Umino ti lasciamo sola
con lui.
Chiamami stasera, per favore.»
Annuì.
Tornando da Mamoru e Umino, ringraziò mentalmente Naru.
Entusiasmarsi era non solo quello che sapeva fare meglio, ma anche
quello che le ci voleva.
«Prima il tuo amico ha detto che sei stata 'la prima ragazza
a cui
abbia mai donato il suo cuore'.»
Usagi sussultò per le risate e finì col naso
contro il proprio gelato. Quant'era freddo!
Iniziò a ridacchiare. «Sì, Umino usa
sempre paroloni per tutto. Aveva una grossa cotta per me prima
di mettersi con Naru.» Si
guardò le mani. «Me lo puoi tenere?»
Indicò il
gelato.
Mamoru annuì e glielo tolse di mano.
Lei iniziò
a
rovistare nella propria borsetta, sentendo il gelato che iniziava a
scivolarle lungo la faccia.
Ahhh! Doveva sbrigarsi a trovare un fazzoletto!
All'improvviso sentì un dito sul naso.
Alzò lo
sguardo su di lui in tempo per vederlo mentre ne leccava la punta.
Diventò di un rosso molto intenso e la vergogna non
c'entrò niente.
Lui aveva... aveva...
Mamoru si limitò a sorridere. «Mi ha
anche avvertito di non ferire i
tuoi sentimenti.»
Lei cercò di riprendere l'uso della parola.
«Sì... lui... davvero?»
... era meglio se stava zitta.
Mamoru continuò a sorriderle in quel modo tanto... dolce.
Oh, non stava sognando. Per poco mancò la presa sul cono,
quando lui glielo rese.
Diede al gelato una leccata felicissima e ancora più
felicemente gli prese una mano, mentre riprendevano a camminare.
Forse la vera chiave era semplicemente seguire l'istinto.
In fondo non aveva fatto altro che quello e Usagi gli aveva tenuto
nuovamente la mano. Gliel'aveva lasciata solo per sedersi sulla
panchina dove ora si trovavano.
Era meglio attenersi a quella prima conclusione, perché non
avrebbe saputo spiegarsi cosa avesse fatto, di preciso, per renderla
così felice. L'aveva trovata buffa e carina col gelato in
faccia, le aveva pulito il
viso e poi aveva pensato che fosse ancora più buffa e carina
così piena di imbarazzo. Tutto qui.
Non aveva nemmeno detto qualcosa di particolare.
Criticare le cose che funzionavano non era utile e non l'avrebbe fatto
se quello stesso istinto altre volte non l'avesse portato da tutt'altra
parte con lei.
Comunque per ora era tutto quello che aveva.
Gli venne in mente una domanda. «Hai qualche
attività di
club dopo la scuola?»
Usagi scosse la testa, finendo il proprio gelato.
«Perché me
lo chiedi?»
«Per sapere quando sei libera per uscire insieme.»
Sulla faccia di lei apparve un sorriso luminoso.
Sì, meglio seguirlo quell'istinto. «I miei orari
sono più vari, per via delle lezioni
universitarie
e del mio lavoro part-time, però troveremo il modo. E poi ci
sono sempre i fine settimana.»
Usagi continuò ad annuire, sempre con lo stesso sguardo
felice.
Lui rimase a contemplarla mentre lei iniziava ad addentare il cono.
Certo che aveva dei tratti davvero... delicati. Era capace di assumere
espressioni molto brusche, e lui lo sapeva molto bene, ma era strano
pensare che potesse farlo con quel viso. Lo aveva avuto spesso sotto
gli occhi, ma poterlo osservare con
tranquillità gli permise di considerarlo in un modo
completamente
nuovo.
Sì... incredibile che potesse sembrare tanto aggressiva con
quel
viso
a forma di cuore, con occhi così grandi e blu, con un naso
così piccolo e una bocca così... morbida.
Che aveva già baciato. Lo ricordò solo in quel
momento.
A quel tempo aveva creduto che fosse Sailor Moon, in una delle
sue trasformazioni.
E, quando la battaglia era finita e l'aveva trovata ancora una volta in
giro per la sala da ballo... non aveva voluto da lei spiegazioni che
probabilmente non sarebbe stata in grado di dargli. Sailor Moon e le
sue amiche
erano parse confuse quanto lui su
ciò che erano e sull'identità di coloro contro
cui stavano combattendo.
No, quando l'aveva portata fuori dalla sala, non era stata sua
intenzione parlare.
Solo... stare insieme.
Perché attorno ad Usagi, quella sera, c'era stata
l'essenza stessa che aveva preso vita ogni notte nei suoi sogni, e per
lui non era mai
stata tanto reale come in quei momenti.
Vederla addormentarsi gli era sembrato ironicamente appropriato e
continuare ad osservare il suo viso era stata l'unica azione di cui era
stato capace, a lungo.
Baciarla... non c'era stato alcun pensiero dietro quella singola
azione. Lo aveva fatto e basta.
In seguito si era vagamente meravigliato della facilità con
cui aveva dato il primo bacio della sua vita, un gesto che aveva
immaginato sarebbe venuto solo dopo le usuali analisi che faceva su
ogni situazione. Eppure non se n'era mai pentito.
Era stato impossibile pentirsi di aver sentito labbra
così... morbide.
Con la mente tornò al presente, all'immagine che aveva
davanti.
Usagi addentò l'ultimo pezzo di cono, quindi si
inumidì la bocca, assaggiando il sapore di gelato
lì rimasto.
Lui distolse lo sguardo.
Non era ancora tempo di pensare a baciarsi.
Lo colpì un pensiero e riportò le parole che le
aveva sentito dire quella stessa mattina.
"Aspetta
aspetta, ho
capito!
Dobbiamo uscire insieme."
"Ahh, che sciocca! Torniamo indietro. Dovevi chiedermelo
tu."
"Di uscire insieme, no? Ho sempre voluto sentirmelo chiedere
dal
ragazzo che avrei amato e non posso proporlo io, rovino tutto."
Sorrise. Se ad Usagi importava tanto di una cosa come
quella, supponeva
che per lei una questione come il primo bacio sarebbe stata di
importanza capitale. Era meglio non dirle che a quell'evento non aveva
nemmeno assistito.
Lo colpì un secondo pensiero: che quello fosse stato anche
il primo bacio di lei era solo una sua ipotesi. Il compagno
di classe che aveva appena incontrato era stato innamorato di lei e
come lui avrebbero potuto essercene altri. Usagi non aveva avuto altri
ragazzi, secondo quello che gli aveva detto, ma non occorreva
una relazione
per un bacio.
L'idea lo riempì di un'irritazione che non
riuscì a scacciare.
«C'è qualcosa che non va?»
Inspirò e si girò verso di lei. «...
no.»
Usagi lo guardò dubbiosa, ma la sua espressione si
rallegrò quasi subito. «Sai a cosa stavo pensando?
Se sei
d'accordo, mi piacerebbe tanto poterti chiamare Mamo-chan di tanto in
tanto.»
Mamo... chan?
I diminutivi non gli erano mai piaciuti; il 'chan' poi era
così familiare che era la prima volta che lo sentiva
associato al proprio nome, almeno da quando aveva smesso di essere un
bambino.
Usagi si spostò sulla panchina fino a farglisi
più vicina, poi appoggiò entrambe le mani sulle
sue. «Posso, Mamo-chan?»
Lo fissò con i grandi occhi blu e la morbida bocca rosa-
«Sì.»
«Ahh, grazie!» Gli stampò un rapido
bacio sulla guancia.
Già.
Mamo-chan tutte le volte che voleva.
CONTINUA...
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Sailor Moon - Dentro di noi
Note: ho deciso; saranno quattro capitoli. Ancora uno alla
fine. Risposte alle recensioni in fondo, grazie mille a chi ne lascia :)
DENTRO
DI NOI
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
'Yuna!'
La ragazza smette di
correre.
Lui le si avvicina da
dietro. 'Non hai lasciato che
finissi, perché sei scappata?'
Grosse lacrime cadono
dagli occhi di lei. Si volta, ma non riesce a guardarlo.
'Come fai a chiedermi
perché? Stavi dicendo a tutta la classe che hai vinto la tua
scommessa, no?'
Tenta nuovamente di
scappare, ma lui le afferra un braccio. E la stringe contro di
sé.
Lei ha gli occhi
spalancati contro il suo petto.
'Stavo per dire che sono
stato uno stupido ad accettare quella scommessa. Io... tu mi piaci
veramente, Yuna.'
Le prende il viso tra le
mani.
Si guardano negli occhi.
Si baciano,
in un disegno a due pagine.
....
....
Mamoru era... perplesso.
Chiuse lo shoujo manga: la storia era finita.
A parte il bacio finale, non capiva cosa ci fosse di romantico nella
trama: il protagonista maschile, prima della scommessa, non aveva mai
guardato
la ragazza e, dopo, aveva iniziato ad interessarsi a lei principalmente
perché si era dimostrata carina e accomodante.
Non era detto, ma gli sembrava chiaro.
Aveva sperato di trovare uno spunto per capire meglio cosa potesse
desiderare Usagi, ma dubitava che desiderasse vedersi ignorata per
tutto il
tempo, solo per poi ricevere una dichiarazione finale saltata fuori dal
nulla.
Eppure il manga sembrava esserle piaciuto in libreria; ricordava ancora
quello sguardo... strano. Forse lei non lo aveva letto per bene, visto
che erano rimasti lì giusto per una ventina di minuti.
O forse le erano piaciuti i disegni. Supponeva che la mangaka
avesse una certa abilità.
O magari ancora, semplicemente, aveva dei gusti diversi dai suoi.
O forse... rigirò il manga in una mano. Forse quello era il
tipo
di storie che piacevano alle ragazze. Storie in cui venivano sorprese
dall'idea di poter far innamorare di sé qualcuno di prima
inavvicinabile, quando per tutto il tempo avevano coltivato
un'infatuazione per il ragazzo
in questione, un interesse che era parso senza speranza, almeno
all'inizio.
Beh, il manga glielo avrebbe regalato, era stata sua intenzione farlo
fin da quando lo aveva comprato.
Comunque, se la sua ultima idea era giusta, non aveva niente a che fare
con la loro situazione: se c'erano due parole che Usagi non aveva mai
associato in passato, erano il nome di lui e 'infatuazione'.
Prese a guardare il soffitto.
Anche se...
All'improvviso, sorrise.
Usagi non stava più in sé dalla gioia.
Erano passati solo due giorni dall'ultima volta che lo aveva visto, ma
Mamoru le mancava già così tanto.
Prese la borsa e si diresse di corsa verso la porta.
«Usagi?»
«Oh, ciao mamma. Sto uscendo, tornerò
tardi.»
«Come? Aspetta, torna qui.»
Tornò indietro, entrando in cucina. «Sono un po'
in
ritardo.»
«Per cosa? È domenica, non c'è
scuola.»
«Lo so, è che ho un... sì,
voglio dire, sono... »
Sua madre si abbasso per guardarla meglio. «Quello
è...
rossetto?»
«Eh?» Sentì il viso in fiamme.
«No, no, solo un po' di
lucidalabbra. Non... non si nota troppo, vero?» Non voleva
essere
troppo sfacciata con il suggerimento.
Sua madre iniziò a ridere sommessamente. «No, si
vede solo
da vicino. Hai un appuntamento?»
Ma perché non riusciva a smettere di arrossire?
«... sì.»
«Sono molto contenta per te, Usagi-chan. È un
bravo
ragazzo?»
«Oh sì, bravissimo.» Mamoru e bravura
erano due parole
profondamente legate.
«Bene. Un giorno fammelo conoscere.»
Annuì. «Certo. Allora vado, ciao,
mamma!»
«Ciao. Divertiti!» Ikuko urlò l'ultima
parola:
Usagi era praticamente già scappata.
Sorrise. Quell'entusiasmo, per lei completamente
nuovo, era tipico del primo amore.
La sua bambina stava crescendo. Si sentì travolgere dalla
tenerezza.
Kenji entrò in cucina. «Hmm, che buon odore cara.
Era Usagi
prima?»
«Sì. Oggi è uscita con... delle
amiche.»
Se avesse saputo, anche Kenji sarebbe stato travolto, ma da
furiosissime crisi di pianto isterico.
Appena nel precedente compleanno di Usagi aveva suggerito di regalarle
una bambola Ken per completare la sua raccolta. Dubitava che avrebbe
preso bene sapere che la loro bambina aveva iniziato a interessarsi a
modelli in carne ed ossa.
Era meglio introdurlo all'idea con
estrema lentezza.
Usagi fece un paio di giravolte su se stessa e una signora,
passandole accanto, ridacchiò.
Cercò di trattenersi per non attirare troppo l'attenzione,
ma... quello poteva essere il giorno del suo primo bacio!
Oh sì, lo voleva talmente tanto.
Smise di avanzare e iniziò ad arrossire
sempre di più.
L'idea si era fatta strada dentro di lei dopo il loro ultimo
appuntamento.
Lui l'aveva accompagnata a casa e, quando si erano salutati,
all'improvviso... non sapeva spiegare come fosse accaduto, ma gli
aveva guardato la bocca e aveva pensato che erano fidanzati e che lui
si sarebbe potuto avvicinare e che lei
avrebbe potuto alzare un po' la testa e... ahhh!
Era
arrossita come una sciocca e non era più riuscita a
guardarlo in faccia. Mamoru o non aveva capito o aveva pensato che
lei fosse una ragazzina.
E così non poteva andare avanti, no, no. Ora era
mentalmente preparata!
Riprese a camminare.
Come sarebbe
successo?
Beh... non ne aveva idea, per quanto avesse passato ormai parecchio
tempo
a rimuginarci su.
Lei e Mamoru ora erano molto più in sintonia rispetto a due
settimane prima, ma tutti i modi in cui aveva sempre sognato di venire
baciata sembravano molto lontani da quelli che avrebbe scelto lui.
Camminavano di sera,
tenendosi per mano. Lui all'improvviso si fermava e delicatamente la
spingeva con le spalle ad un muro. Poi, senza dire una parola, si
abbassava su di lei e-
No.
'Io trovo che tu sia la
ragazza più bella che io abbia mai visto.' Lei arrossiva,
non riuscendo però a staccare lo sguardo da quello di lui.
'Per favore, esci assieme a me?'... '... sì.' I loro
sguardi erano incatenati l'uno all'altro. Senza potersi controllare,
avvicinarono i visi e-
No.
'Io ti amo, Usagi.' Lei
gli saltava tra le braccia, stupita da quella dichiarazione improvvisa.
Non avrebbe mai immaginato che... e invece ora lui le prendeva il
mento, sollevandoglielo e avvicinandosi a lei, fino a che-
No, no e no.
Quello non era Mamoru. Si trattava solo di fantasie che aveva avuto per
tanti mesi, ben prima di immaginare qualcuno di preciso nel ruolo
del ragazzo che l'avrebbe baciata.
Mamoru non si sarebbe mai comportato così; lui era
più riservato e poi non avrebbe mai detto certe... cose.
Si bloccò in mezzo al marciapiede.
Già... lui ancora non le aveva detto che l'amava.
Era certa che Mamoru l'amasse, però... le sarebbe
piaciuto tanto
sentirglielo dire.
Cercò di non prendersela: in fondo lui era molto... timido.
Pensarci le causò una piccola risata. Sì, Mamoru
non
amava le manifestazioni d'affetto pubbliche o
esagerate. Ad esempio, non aveva problemi a tenerle la mano, ma a volte
lo aveva visto guardarsi intorno con aria imbarazzata quando lei
insisteva per camminare a braccetto. Un po' si era risentita, pensando
che magari si vergognasse di lei, e una volta si era staccata del
tutto: se per lui doveva essere un fastidio, allora potevano anche
stare lontani! Non era stata una strategia studiata per fargli
cambiare idea, ma lui, prendendole la mano, si era scusato e
si era avvicinato fino a farle capire che voleva
ritornare nella posizione di prima. Lo aveva accontentato
volentieri.
Guardò il cielo con aria pensosa.
Sì, nei loro appuntamenti aveva imparato qualcosa: poteva
trovare il modo di fargli fare quello che voleva, di tanto in tanto.
Tornò ad avanzare, girando l'angolo.
Beh, comunque non voleva domandargli di farle una dichiarazione. Non
avrebbe saputo da dove cominciare, ma soprattutto voleva che lui ci
arrivasse da solo.
Doveva solo stare attenta a non dirlo lei per prima, già una
volta aveva quasi rovinato quell'importante passaggio e non poteva di
nuovo fare lo stesso errore. Su quel punto si sentiva intransigente:
doveva essere lui a dichiararsi per primo. Se lei lo avesse anticipato,
Mamoru
si sarebbe sentito in dovere di rispondere di conseguenza e allora non
sarebbe
stata una dichiarazione spontanea, sincera.
Sospirò.
No, sincera sì. Mamoru non avrebbe mai mentito su
una cosa simile.
Però... sbuffò. Non era chiedere troppo, no,
volere che lo dicesse prima lui?
No, non lo era. Annuì con la testa.
Poi... beh, poteva invece fargli capire che le sarebbe piaciuto tanto,
ma davvero tanto, che lui la baciasse.
Sorrise. Su quel punto non c'erano problemi. In quei due giorni le era
già sembrato di pazientare per anni, non voleva
più aspettare.
E magari... si immaginò che le dichiarasse il suo amore
dopo il bacio.
Sì.
Sì, riusciva ad immaginare benissimo una scena simile.
Riusciva a pensare al viso di lui vicino al suo, le loro labbra
staccate dopo il bacio, mentre la guardava e apriva la bocca per
dirle... arrossì di nuovo, in modo meno violento,
più
dolce.
Sarebbe stato perfetto, se fosse accaduto così.
Accelerò il passo.
«Che cos'è?»
Mamoru la osservò aprire il sacchetto che le aveva appena
dato. «Aprilo.»
Aveva già capito che ad Usagi piacevano molto le sorprese.
Quando lei tirò fuori il manga, la sentì
rilasciare
un'esclamazione di incredulità.
«Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere averlo.»
«Oh... è bellissimo.»
Il manga? Non proprio. Ah, no, si riferiva al
regalo.
Usagi gli rivolse un sorriso felice.
Aveva un modo di sorridere che, da solo, riusciva a farlo
stare meglio, a fargli capire che c'erano migliaia di cose belle al
mondo, ma che lui era abbastanza fortunato da averne una solo per
sé.
Usagi gli buttò le braccia al collo.
Lui attese con una
sorta di trepidazione quello che sapeva sarebbe venuto e, appena dopo,
sentì il tocco leggero delle labbra di lei sulla faccia.
«Grazie tantissime, Mamo-chan. È proprio un bel
regalo.» Si staccò, senza lasciargli il tempo di
ricambiare il gesto.
Lui inspirò inconsciamente,
tentando invano di risentire almeno il profumo della
guancia di lei.
Avrebbe dovuto essere più deciso: era solo un bacio
sulla guancia.
Eppure non riusciva ad immaginare di abbassarsi all'improvviso e
semplicemente... farlo.
Non in pieno giorno, non in mezzo a tutta quella gente.
Però, quando era
lei a cominciare, semplicemente smetteva di pensarci.
Corrugò la fronte e si raddrizzò sul bordo
della fontana su cui si erano seduti. Erano paure da mocciosi alle
prime cotte.
«... ho detto qualcosa di sbagliato?»
Si girò. «No. Non
è... niente. C'è un posto che voglio farti
vedere.»
Usagi stringeva il manga tra le mani, contro il petto. Non voleva
ancora metterlo nella borsa.
Che cosa... dolce. Lui aveva visto quel manga solo per pochi attimi e
ben due settimane prima, eppure le aveva portato proprio il volumetto
giusto. La copertina doveva essergli rimasta in
mente, ma ricordarsi un particolare del genere era talmente tenero.
Oh, Mamoru era proprio il
miglior fidanzato del mondo!
Ridacchiò tra sé, non riuscendo a pensare ad
altro.
Lui si girò a guardarla, un sopracciglio inarcato.
«Se non guardi dove metti i piedi, finirai col
cadere.»
Forse non proprio il migliore.
Tirò fuori la lingua e l'espressione vagamente
sorpresa di lui sfociò in una risata.
«Scusa.»
Lei avanzò velocemente, annullando la breve distanza tra
loro e iniziando a camminare accanto a lui.
«Non lo fai
apposta, vero?» Se ne sorprendeva lui stesso, era chiaro. E
non era la
prima volta, lo aveva notato.
Lui scosse la testa. «Temo di no.»
Doveva trovarla ancora buffa, in fondo; non avrebbe dovuto stupirsene.
Cercò di trovare il lato positivo. «Facciamo che
la prossima volta aggiungi anche il Testolina Buffa alla
fine. Potrebbe essere un nome affettuoso.» Quell'idea era
uscita dal
nulla e non le sembrò proprio buonissima. Ma se lui lo
diceva in un certo modo... sì, poteva diventare persino una
cosa romantica.
«Come Mamo-chan per te.»
«Non sembri entusiasta.»
«Ma no. Potrebbe essere una buona idea.»
«Sai» iniziò a sorriderle.
«Credo che non ce ne sia
bisogno. C'è già un nome con cui penso a te;
userò quello.»
Un nome con cui-? Gli si aggrappò al braccio, tirandoglielo
e fermandolo. «Quale?»
«Usa... ko.»
Si sciolse, letteralmente.
Le idee migliori le aveva sempre lui.
Ed era il fidanzato migliore del mondo.
O forse no.
Sbadigliò davanti all'ennesimo incomprensibile oggetto
tecnologico.
Si ricompose non appena Mamoru si avvicinò anche lui alla
teca. Lo sentì leggere il cartellino. «Nasa - TPS,
thermal
protection system.»
Che in linguaggio umano era?
Mamoru contemplò il pezzo. «Questa mostra
è piena
di oggetti incredibili, è molto raro vedere
campioni di
questo tipo. Volevo venire qui da diverso tempo ma mi piaceva l'idea
che venissi anche tu con me.»
Oh. L'aveva portata lì per condividere
con lei una sua passione. Si sentì un verme per non essere
riuscita ad apprezzare il gesto che fino a quel
momento; decisamente era lei ad essere una pessima fidanzata.
«Ti stavi annoiando?» le
chiese all'improvviso lui, sorridendo.
«No, no... solo...» si portò
una mano dietro alla
testa e rise, «Non ne capisco molto.»
Mamoru si rese conto che avrebbe dovuto pensarci prima: vagare tra le
stanze della mostra senza conoscere il significato degli oggetti
esposti doveva essere stato
di un tedio difficilmente sopportabile. Si abbassò un poco
verso di lei, indicando con la testa il pezzo accanto a loro.
«Questo
è un
campione del rivestimento esterno di uno Shuttle, i veicoli spaziali
americani. Ricopre per intero la struttura della nave e impedisce
al calore prodotto dal sole e dalla velocità di
bruciare tutto ciò che c'è all'interno: motori,
cabine... piloti. Per ottenere questa lega ci sono voluti anni di
tentativi, di fallimenti, ma gli scienziati che ci hanno lavorato hanno
continuato a provarci e alla fine hanno ottenuto quello che volevano.
Un tempo noi tutti non avremmo mai immaginato di poter
guardare il nostro pianeta dall'alto, invece, ora, grazie ad un
rivestimento
come questo, voliamo nello spazio.»
Usagi si ritrovò a osservare quello che poco prima le era
sembrato un qualunque pezzo di metallo. «Allora è
la forma
dei sogni.»
Mamoru si voltò verso di lei, colpito.
«Le persone hanno tanti sogni diversi. Per gli uomini di cui
hai
parlato» appoggiò un dito sul vetro,
«questa
è la forma che ha preso il loro sogno. Una forma che sta
permettendo il sogno di tanti altri.» Sorrise tra
sé. «Hai
ragione, è speciale.»
Mamoru rimase per un lungo attimo in silenzio, non riuscendo a produrre
un commento più intelligente di quello che lei aveva appena
tirato fuori.
Infine la portò verso un altro pezzo, sicuro che sarebbe
stata
capace di mettere a fuoco un'altra verità che a lui non
sarebbe mai venuta in mente.
«Oh, è fantastico!»
Usagi osservò la grande distesa erbosa della collina che
scendeva ai loro piedi. Non riusciva nemmeno a contare quante persone
fossero sdraiate sull'erba, a leggere, a parlare, a rilassarsi. I
bambini giocavano e
gli innamorati stavano distesi l'uno accanto all'altra.
Iniziò a saltellare e afferrò il braccio di
Mamoru. «Facciamolo anche noi!»
Lo trascinò di corsa fino ad un punto libero e si
lasciò cadere morbidamente sul terreno, mettendo le mani
sopra la testa.
Mamoru la osservò ridendo, ancora in piedi. Poi si
sistemò vicino a lei.
Usagi chiuse gli occhi, sentendo una calda brezza sulla pelle.
«Si sta
così bene.»
«Sì» concordò lui.
Rimasero ad osservare le nuvole che solcavano lentamente il
cielo, come a dare il tempo di ammirarle.
Forse era perché Usagi si trovava lì con lui, ma
a
Mamoru non avevano mai infuso tanta pace. E, in quella bella giornata,
in cielo c'era proprio ogni tipo di nuvola. «Quegli
stratocumuli hanno
delle forme davvero interessanti. Anche se» alzò
un
braccio, puntando la parte sinistra del cielo, «i cirri
più alti che si intravedono appena hanno una consistenza e
un colore più
vari.»
Usagi scoppiò a ridere. «Credo che tu abbia appena
parlato
di nuvole, ma non ho capito niente.»
Mamoru la vide girare
appena la
testa verso di lui, sorridendo con una dolcezza che era solo sua.
«Sai
tantissime cose. Insegnami. Quelle bianche e batuffolose lì
a destra cosa sono?»
Le parlò della conformazione, dell'altezza, dei tanti nomi
delle nuvole, tutto il tempo sapendo di non essere mai stato tanto
orgoglioso di se stesso come quando lei lo guardava con ammirazione.
Alla fine, Usagi non trattenne un'esclamazione di meraviglia.
«Wow. È
incredibile pensare che possano stare ad altezze tanto diverse.
Sembrano tutte dipinte nel cielo, come su un quad- ah!» Una
bambina le saltò su una gamba, di corsa.
Usagi la
seguì con lo sguardo, voltando completamente la testa,
mentre quella e un altro bambino più piccolo si rincorrevano
nel
tentativo di strapparsi dalle mani un palloncino.
Sorrise, ma, all'improvviso, la sua
attenzione fu attirata da qualcosa che stava
nell'erba, molto più vicino a lei.
«Ahhhh!» Scattò di lato, girandosi a
cercare Mamoru e
finendogli addosso con le mani che gli martellavano sul petto.
«Mandalo
via, mandalo via!!»
Mamoru alzò lo sguardo oltre Usagi, cercando di capire di
cosa di stesse parlando. Scorse una cavalletta che saltava via,
allontanandosi da loro. «È
scappata.»
«Sei sicuro?»
«Sì.»
Anche così Usagi girò con circospezione solo la
testa, non osando avvicinarsi a dove si era trovata prima. Dopo un
lungo
attimo, capì che quell'insetto era proprio sparito.
Tirò un sospiro di sollievo. «Grazie
mille.»
«Non ho fatto niente.»
Fu solo in quel momento che si accorse che il respiro che lui
aveva emesso con quell'ultima parola le era finito su una guancia.
Immobilizzò lo sguardo sulla prima cosa che i suoi occhi si
trovarono davanti: la bocca di Mamoru.
Oh.
Non si mosse. Non si allontanò, né si
avvicinò.... non lo aveva fatto nemmeno lui.
Piano, con incredibile lentezza, alzò lo sguardo. E dopo il
naso dritto, dopo la guancia, vide finalmente i suoi occhi; di un blu
che non era più solo blu, ma il colore della notte
più profonda.
Non stava più respirando. Percepì, con
chissà quale senso, un lieve movimento: del proprio corpo o
del suo, non ne aveva idea. Chiuse gli occhi, preparandosi alla
sensazione più-
BAM!
Per poco non saltò in aria. Incredula, si girò
mentre
accanto a loro arrivava uno dei due bambini di prima, in lacrime.
«Il mio palloncino!!!»
Il suo palloncino?
E il suo bacio? Iniziò a sentire la
tentazione di piangere pure lei.
La bambina più grande si unì a loro, indicando il
fratello con un dito accusatore. «È stata
colpa tua!» La sua attenzione sembrò venir
catturata da
qualcosa di molto più interessante; sul piccolo
volto si
dipinse un grosso sorriso entusiasta, «Vi stavate
baciando!»
Lei e
Mamoru si staccarono in un quarto di secondo netto, rimettendosi in
piedi.
Un uomo arrivò di corsa. «Mizuko! Ti avevo detto
di non correre col
palloncino!»
«Ma l'ha rotto lui!»
L'uomo si abbassò a prendere in braccio il ragazzino
piangente. «Lui è più piccolo di
te.» Si
rivolse a loro due. «Scusate.»
Ridacchiò. «Mia
figlia ha una fissazione per i baci.» Prese per mano la
bambina e
annuì, come se tutto fosse stato risolto.
«Continuate pure.» Si allontanò con i
figli.
Molti istanti dopo, Usagi era ancora completamente paralizzata,
con addosso un sorriso stupidamente mortificato.
«Ah...»
Si girò con scatti legnosi verso la voce di Mamoru.
«T-ti porto a casa?»
Con un paio di scricchiolii, la sua testa riuscì ad annuire.
Disastro, un completo disastro.
Mamoru continuò a pensarlo fino a che non arrivarono al
muretto dietro la casa di Usagi.
Come aveva potuto reagire in modo tanto stupido?
E ancora lo stava facendo! Ancora non le aveva detto una sola parola
oltre
il minimo
necessario, si era limitato a scambiarsi con lei un paio di
sguardi
impacciati. Da moccioso alla prima cotta.
Usagi si fermò prima di girare l'angolo e
ritrovarsi davanti alla porta di casa sua.
Gli aveva detto che suo padre poteva
non essere pronto alla novità di lei con un fidanzato e lui
l'aveva
trovato quasi divertente, ma aveva capito.
La osservò mentre ancora non riusciva a guardarlo. Infine,
la
sentì emettere un lungo sospiro, che in quel momento gli
sembrò di rassegnazione e delusione.
No, lui non era un moccioso alla sua prima cotta. Era un uomo con la
prima donna che amava.
La afferrò piano per entrambe le braccia. «Mi
dispiace.»
Usagi rilasciò un sorriso, incontrando il suo sguardo.
«...
È stato imbarazzante, vero?»
Lui annuì con riluttanza. «La prossima volta non
sarà
così.» Riuscì a infonderle nello
sguardo ciò
che aveva
voluto: speranza e felicità.
La lasciò con un braccio, usandolo per rovistare nella tasca
laterale dei pantaloni. «C'è una cosa che volevo
darti oggi.»
Lo sguardo di lei si abbassò, incuriosito.
Lui tirò fuori un paio di chiavi e gliele
porse. Furono accettate su un palmo.
«Sono le chiavi del mio appartamento. Questa è per
il
portone di
sotto e questa-» si fermò, colpito
dall'espressione attonita
di
lei.
«Le chiavi di casa tua?» la sentì
ripetere.
«Sì.»
Lei le prese nell'altra mano, toccandole con la delicatezza riservata
ad un raro tesoro.
Gli si gettò addosso all'improvviso, stringendogli il torace
in una
morsa che si poteva definire mortale, deliziosamente mortale.
Ridendo, la avvolse anche lui contro di sé, abbassandosi
fino a poterle parlare quasi all'orecchio.
«Così puoi entrare quando vuoi, anche quando non
ci sono.»
Usagi annuì contro il suo petto. Quando si
allontanò per
guardarlo, lui le prese la faccia tra le mani. «Non
piangere.»
Lei scosse la testa, piano. «No, sono lacrime di gioia. Sono
una
sciocca, ma sono troppo felice.» Gli prese il volto tra le
dita, fino a che lui non sentì il freddo delle chiavi
sulla guancia. «Ti amo, Mamo-chan.»
Respirare sembrò non avere più importanza. Con la
parte di mente che ancora gli funzionava, notò lo
sguardo di Usagi che si posava sulle chiavi. «Ti amo
tantissimo.»
E lei era tutto per lui.
Tutto quanto.
Le asciugò gli occhi e le ciglia di lei si abbassarono;
tornò a guardarlo come se non potesse farne a meno.
Nemmeno lui riusciva a immaginare come avesse fatto a vivere senza
di lei per tanto tempo.
Le sfiorò le labbra con un dito.
Gli occhi di lei si spalancarono appena e il rossore le
imporporò le guance.
Non era imbarazzo, era calore d'amore.
Si sentì circondare il collo dalle sue braccia e si
abbassò fino ad avere la fronte contro la sua.
Chiusero gli occhi nello stesso momento.
«CRIIIIIIIIIIIIIIK! THUMP!»
Usagi si voltò, senza più parole o espressioni,
verso la
sua vicina di casa. Aveva sbattuto con la bicicletta sul proprio
muretto.
Era una signora di sessant'anni molto simpatica e la conosceva
da
quando era nata, ma in quel momento l'avrebbe squartata viva.
«Ah, ciao Usagi-chan.» Almeno sembrava imbarazzata.
«Scusa se...» Guardò in molte
direzioni, ma anche in quella della casa di lei.
... cavolo.
Si alzò in punta di piedi, fino a poter appoggiare un
bacio sulla guancia di Mamoru. Con lo sguardo gli fece capire che per
lei era tutto a posto,
per quanto potesse esserlo in quel momento. «Devo parlare
con-... per-... »
Lui annuì. «Ho capito. Ciao... Usako.»
Le uscì un sospiro e lo seguì con lo sguardo
mentre si allontanava.
Fece una breve corsa verso la vicina che si stava preparando a
entrare dentro il proprio giardino con la bicicletta. Le tenne aperto
il cancello. «Signora Shizaki, ecco... so cosa sta pensando,
ma lui
non-»
«Bimba mia» la interruppe lei con affetto.
«Dubito che tu sappia a cosa
sto pensando.»
«No?» domandò Usagi, con cautela.
«Non ti devi preoccupare, non lo dirò ai tuoi
genitori.
Perché vedi... stavo pensando che quarant'anni fa facevo la
stessa cosa con mio marito, davanti alla mia vecchia casa.»
Le sorrise. «Però il tuo ragazzo è
più carino.» Abbassò
la voce con fare cospiratore., «Ma non dirlo al signor
Shizaki.»
Usagi proruppe in una risata.
«Scusami per averti interrotto, piuttosto. Per il resto, sta'
tranquilla.»
«Grazie mille.» Usagi terminò di
ridacchiare. «Grazie
davvero.» Si girò e corse verso casa sua.
Quella notte, rimase a fissare il soffitto.
Due volte!
D.u.e v.o.l.t.e!
Le era sembrato quasi che le loro labbra si
toccassero e invece...
Sospirò, rigirandosi nel letto e cercando di prendere sonno.
All'improvviso, qualcosa colpì la finestra.
Usagi si alzò per controllare e, quando fu
abbastanza vicina, vide una rosa dietro al vetro. Spalancò
le ante e scrutò l'orizzonte, senza però
scorgere nessuno.
Sorrise, scuotendo la testa e prendendo in mano il fiore; aveva
già i petali al naso quando si
rese conto che sul gambo c'era un foglio piegato più volte
su se
stesso.
Si buttò sul letto e accese la lampada sul comodino.
Voglio
davvero farlo.
E voglio
davvero dirtelo.
Presto.
Si sdraiò sulla schiena, appoggiandosi il messaggio sul
cuore, la parte di lei che quelle parole erano già riuscite
a toccare.
Ridacchiò e corse a chiudere la finestra. Ributtandosi sotto
le coperte, spense la
luce.
Domani doveva arrivare prestissimo.
CONTINUA...
Risposte
alle recensioni:
luisina - sì, ho cercato di avvicinarmi allo stile
dell'anime,
per accentuare il lato leggero e divertente. Va un po' in contrasto con
le altre due storie che ho in ballo in questo momento; era quello il
mio scopo. Non ti preoccupare per avermi fatto notare gli errori: per
me quello che conta è che il testo sia al meglio e se non ci
sono arrivata da sola a vedere gli errori, che lo facciano altri
è solo un aiuto. Per gli altri complimenti, è
sempre un
onore sentir dire cose come queste.
chichilina - no, purtroppo Facebook non mi ha. :) Grazie per il
commento sulle storie scelte.
Sailor Uranus - sono contenta di averti trasmesso l'incertezza delle
prime fasi del rapporto tra questi due. Grazie anche a te per i
complimenti.
bunny1987 - accontentata :) Spero ti sia piaciuto
luciadom - sapere di riuscire ad emozionare è qualcosa che
ogni
autore vuole sentirsi dire. Grazie per averlo voluto rimarcare con
parole così belle. Spero
ti piaccia anche questo capitolo.
maryusa - qui finalmente Mamoru si era deciso, ma a quanto pare non era
destino (o mio volere :) ) Divina, addirittura. :)
Ami_mercury - spero lo sia anche questo capitolo; devo ammettere che mi
piace un
po' più dell'altro, forse perché ho trovato un
paio di
soluzioni narrative che considero azzeccate.
ISA1983 - grazie per ogni parola. In questo capitolo mi sono
concentrata più su un rapporto già un minimo
consolidato,
perché appunto sono già usciti insieme un po' di
volte.
Curiosità soddisfatta anche per te. :)
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Sailor Moon - Dentro di noi
Note: nell'ultima parte i dialoghi sono in parte parafrasati
dall'episodio 60 dell'anime. Mi riferisco in ogni caso ai dialoghi
originali.
DENTRO
DI NOI
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
'Ciao,
sono Usagi. Hmm ... più che presto?' La risata
d'imbarazzo, appena accennata, riecheggiò nella stanza. 'Buonanotte.'
Beep.
Mamoru sorrise prima di deciderlo: quello era davvero un bel modo di
svegliarsi.
Premette la giusta combinazione di tasti e il messaggio sulla
segreteria tornò a farsi sentire.
'Buonanotte'?
Usagi doveva averlo chiamato il giorno prima, subito dopo aver ricevuto
la
rosa.
Aveva una ragazza impaziente.
Tornò a vestirsi, riflettendo: si era dimostrato impaziente
anche lui, ma il giorno prima addormentarsi gli era sembrato
impossibile. Si era reso conto non solo di non essere ancora riuscito a
baciarla, ma di non
aver nemmeno ricambiato la dichiarazione che a lei invece era uscita
con tanta naturalezza.
Andare a trovarla quella notte stessa gli era sembrato eccessivo. E
inutile, dato che sapeva che lei viveva con Luna. Il
messaggio gli era parso
la soluzione ideale, tuttavia non aveva
preventivato la
difficoltà che avrebbe incontrato nel buttare giù
tre semplici righe di otto parole. Aveva finito col contarle, nel tempo
che le aveva avute
davanti agli occhi.
Voglio davvero dirti che
ti amo. Improponibile. Doveva dirlo a voce, di persona.
Voglio davvero baciarti.
Troppo... audace. E diretto. Anche in quel caso, il punto era farlo,
non dirlo.
Almeno il presto
era stato un tocco di genuina spontaneità.
Doveva essere presto.
O più che presto, come aveva detto lei.
Sorrise ancora e andò in cucina.
Aveva messo in pratica il suo piano prima del
previsto, ma ne era valsa la pena.
«Allora Usagi?»
«Eh?»
Naru abbassò la voce, sporgendosi verso di lei e facendo
scudo alla bocca con una mano. «Il
tuo ultimo appuntamento, com'è andato?»
Non fu semplice nascondere l'allegria. «Bene.»
«Tutto qui?»
Naru non ci cascò. «Non
essere cattiva, dimmi qualcosa!»
«Shh!» Cercò di frenarla con un dito
davanti alle labbra.
Naru assottigliò gli occhi con fare sbarazzino e si
appoggiò contro la finestra, accanto a lei.
Abbassò di nuovo la
voce, come richiesto. «Non capisco perché non vuoi
che
nessuno
lo sappia.»
«E' solo che...» Un tempo avrebbe creduto di
voler diffondere ai
quattro venti, e sicuramente a tutte le amiche che aveva in classe, la
grande notizia: avere un fidanzato era un premio altamente ambito, in
fondo, e
chi aveva la fortuna di accalappiarne uno era di un gradino superiore a
tutte le altre.
Ma con Mamoru non si trattava di premi o di accalappiare qualcuno;
quello
che avevano era così speciale che quasi non voleva
condividerlo
con nessun altro. Lui era... l'amore di tutta la sua
vita. Arrossì furiosamente.
Naru spalancò gli occhi. «Usagi, cos'è
successo
ieri?» Assunse un'espressione scandalizzata. «Sai
vero che siamo troppo
giovani per pensare a... voglio dire, se lui ha cercato di...»
La risata le uscì spontanea. «Ma a cosa stai
pensando,
Naru-hentai!» Mamoru aveva persino difficoltà con
un bacio!
Continuò a ridere.
«E allora perché sei arrossita in quel
modo?»
«Perché...» sorrise di soddisfazione
«... sono
innamorata.»
Naru rilasciò un sospiro romantico. «Come sei
fortunata. Va
bene, se non vuoi dirmi niente però smettila con quella
faccia.»
«Quale faccia?»
«Quella che dice 'sono cotta da qui fino
all'aldilà'.»
Non le restò che annuire, felice.
No, Usagi non aveva sognato di ricevere una dichiarazione da lui. Da
lui, Mamoru. Ma da lui, Tuxedo Kamen, sì.
Non aveva modo di comunicare con lei per telefono, non se voleva
rispettare i tempi del padre di Usagi. Avrebbe potuto
aspettare che lei lo chiamasse o andare personalmente a
trovarla. Voleva organizzare per quella sera stessa, quindi aveva
scelto la
seconda opzione.
L'aspettò all'uscita da scuola.
Quando la scorse, fra le decine di studenti che si avvicinavano
all'uscita, camminavano accanto a lei Makoto ed Ami. Usagi sembrava
sul punto di scoppiare a piangere.
Le corse incontro, senza pensarci. «Cos'è
successo?»
Il sorriso ci mise un secondo ad apparire.
«Mamo-chan!»
Makoto abbassò la cartella da dietro la testa.
«Ciao,
Mamoru.»
«Ciao, Mamoru.» Ami gli sorrise, quindi
lanciò uno sguardo in direzione di Usagi. «Hmm...
ci ha promesso di venire a casa
di Rei adesso. Noi ti precediamo, Usagi.» Avanzò
di due
passi prima di girarsi. «Diglielo.»
Makoto concordò con un cenno della testa.
Dirgli cosa?
L'espressione di Usagi aveva ripreso parte della tristezza precedente.
«Cos'è successo?» le domandò
di nuovo.
Lei si guardò attorno prima di abbassare gli occhi. «...
possiamo uscire?»
«...
sì.»
«Usagi-chan!»
Si fermarono entrambi sui loro passi.
Una ragazza in uniforme corse verso di loro. «Usagi, volevo
dirti che
mi dispiace
per-... oh.»
Ora stava guardando lui.
«Grazie Emiru.» Usagi tornò ad abbassare
la testa e le spalle.
L'amica di lei continuò a non dire nulla, lo sguardo
sorpreso che si alternava tra lui e Usagi.
Infine le spuntò un largo sorriso: sembrava che avesse
decifrato
chissà quale mistero. «Una grande fortuna doveva
attirare una grossa sfortuna.» Diede un'energica pacca sulle
spalle di
Usagi. «A domani.»
«A domani.» Usagi sollevò una mano, poco
convinta. La
ragazza era già andata via.
«Era una tua compagna di classe?» le chiese.
Lei iniziò ad avanzare verso l'uscita.
«Sì...
ti spiegherò, preferisco solo...»
Guardò avanti.
«Andiamo fuori, va bene.»
Quando furono abbastanza lontani dalla scuola, Usagi si
appoggiò ad un muro. Solo lì cominciò
a parlare, gli occhi fissi sul marciapiede. «Scusa,
è
che... mi vergognavo.» Sospirò. «Mi
vergogno anche adesso.
Farlo sapere a te... Uffa.» Iniziò a
singhiozzare, miseramente.
Lo stava facendo seriamente preoccupare. Le
appoggiò una mano sulla spalla, abbassandosi fino a poterle
vedere il viso. «Usagi, non può esserci niente
che-»
«Aspetta a dirlo.» La sentì inspirare
profondamente,
come per prendere coraggio. «Ho preso un brutto
voto.»
Gli uscì un sospiro di sollievo. «È
solo
questo?»
Lei non aveva perso lo sguardo triste; si abbassò ad
aprire la sua cartella, quindi ne tirò fuori un foglio.
Glielo passò con l'aria di chi andava al patibolo.
Lui dispiegò il compito in classe. Non
poteva essere così-
...
Un... undici.
Ci provò, ma non riuscì a produrre un commento
adatto.
Il piagnucolio riprese. «Sono un'ignorante.»
«No.»
Riuscì a staccare lo sguardo dai due
uno scritti in
rosso. «Ti
aiuterò io.»
Usagi scosse la testa. «Le ragazze mi hanno fatto promettere
di
andare da Rei a studiare, mi aiuterà Ami. La professoressa
ha detto che mi farà ripetere la verifica tra
cinque giorni... per aiutarmi.» Si asciugò gli
occhi con la passata di una mano.
«È una buona opportunità.»
Lei annuì di malavoglia. «Sì, ma...
non
è giusto. Dovrò passare il tempo a studiare
invece che passarlo con te. Non me lo merito.»
Lo fulminò un'idea poco piacevole. «...
hai
studiato di meno da quando abbiamo iniziato a uscire insieme?»
Usagi non gli nascose lo sguardo colpevole. «Ma non credevo
che
sarei
andata così... male, altrimenti...» Si
interruppe, di
nuovo scostando lo sguardo. «So che ti stai vergognando di
me,
adesso.»
In verità si stava rendendo conto di non essere stato molto
responsabile lui stesso: avrebbe dovuto toglierle meno tempo in
quelle due settimane, avrebbe dovuto capire che lei doveva studiare.
Le appoggiò una mano sulla spalla. «No. Ascolta...
so che cose come
questa» Le ridiede la verifica in mano, «possono
sembrare
sciocche
dopo quello che abbiamo vissuto, ma... sono importanti. So che non ti
piace studiare, ma finirai prima o poi. Ed è
importante imparare, ti sarà utile in futuro.» Si
allontanò, sorridendole. «Sono sicuro che
tra
cinque giorni avrai recuperato.»
Gli parve sollevata. «Sì... grazie.»
Le prese la cartella, per portarla lui. «Ti accompagno da
Rei.»
Lei annuì, ma, all'improvviso, sembrò capire
qualcosa di
nuovo. «Come mai mi stavi aspettando, oggi?»
Beh... quello che aveva avuto in mente avrebbe dovuto aspettare.
Lei sbuffò, di nuovo abbattuta. «Volevi uscire
insieme,
vero? Uffa...» Quell'ultima parola la ripeté
più volte, a voce sempre più bassa, fino a che
lui non fu sicuro di sentirgliela pronunciare persino nel
pensiero.
Con quell'umore non sarebbe andata molto lontano.
Hmm... era stata sveglia ieri sera e fino a tardi, quindi forse
potevano...
Prese una decisione. «Ero venuto a proporti di uscire
stasera. Intendo, noi due come...
noi altri,
dopo l'ora in cui normalmente vai a dormire. Non
sarà per molto, devi riposare, volevo solo-»
Usagi gli si attaccò al braccio. «Sì!
Sì! Dove?»
Lui non riuscì a non imitare la sua espressione.
«È una
sorpresa. Però devi concentrarti sullo studio oggi.
Prometti.»
Lei gli rivolse un assenso entusiasta e un enorme sorriso.
«Prometto.»
La lasciò davanti al tempio di Rei, con la
felicità ancora dipinta in faccia.
Hmm... era una mise singolare per un appuntamento.
Si rimirò allo specchio, il costume di Sailor Moon
addosso.
Comunque a Mamoru stava molto bene quello che portava quando era Tuxedo
Kamen e anche a lei non stavano certo male né la gonna blu
né il corpetto bianco; inoltre il fiocco sul petto era
veramente
carino, lo aveva sempre pensato. Sollevò la gonna
tra le dita, ridacchiando al pensiero che con nessun altro tipo di
abiti normali si sarebbe potuta permettere di tenerla tanto corta.
Per fortuna, Luna non c'era quella sera.
Aveva escogitato vari piani per sbarazzarsi
di
lei, ma, involontariamente, aveva pensato Artemis ad allontanarla di
casa, proponendole di stare da lui e Minako
per la notte.
Che bravo gattino.
Il rumore sordo alla finestra attirò la sua attenzione.
Si girò e, come la notte prima, scorse la rosa caduta
sul davanzale esterno.
Spalancò le ante col sorriso in faccia, chiudendole dietro
di sé come meglio le riusciva e arrampicandosi sul
tetto. Si guardò attorno e... non vide nessuno.
Salì
ancora più in alto, iniziando a scrutare l'orizzonte per
capire
dove dovesse dirigersi.
«Sono qui.»
«Ahh-!» Si tappò la bocca con
entrambe le mani; senza le braccia
agitate a ridarle l'equilibrio, riuscì a non cadere solo
frenando il piede contro una tegola.
«Tutto bene?» Sentì sul braccio il
guanto bianco di Mamoru.
Si ritrovò ad emettere una risata imbarazzata.
«Sì. Ma
la prossima volta non arrivare dal nulla o finirò
spiaccicata da
qualche parte.»
Lui le sorrise solo con la bocca, gli occhi coperti dalla maschera
bianca.
«Ti
avrei presa.»
Fu una sensazione nuova sentirlo rivolgersi a lei con un tono tanto
familiare, in quelle
vesti. Già; ora era Mamoru e non più Tuxedo
Kamen, che
era sembrato tanto favoloso quanto irraggiungibile.
Lo abbracciò, toccando più
del necessario la giacca nera a cui si era stretta tante volte in
passato. «Dove andiamo?»
Lui le toccò le code sulla testa.
«Seguimi.»
Hmm... «Perché qui?»
Ci stava provando, ma non vedeva nulla di speciale in quella
zona commerciale.
E dire che si trovavano su un edificio abbastanza alto.
Mamoru appoggiò le braccia sul muretto che delimitava il
tetto. «Non ho un orologio, ma tra non molto dovrebbe
cominciare
qualcosa.»
«Qualcosa?»
Lui inarcò un sopracciglio. «Non ti piacciono le
sorprese?»
Lei rise e annuì, appoggiandosi accanto a lui, la schiena
alla strada. C'era una bella aria fresca in giro, non troppo fredda,
non troppo
calda.
Si sentiva... felice.
Si voltò verso Mamoru e sorrise quando vide che la stava
guardando. «Sai, anche se non cominciasse niente sarei
contenta lo stesso. È
bello anche solo stare insieme.» Si intenerì
cogliendo la sorpresa di lui: riusciva in un qualche modo
a... toccarlo quando gli parlava
così e le piaceva molto poterlo fare. Le piaceva essere in
grado
di comunicargli anche solo una piccola parte di quello che lui stesso
le faceva provare.
Il sorriso le sparì solo quando si ricordò di un
desiderio che aveva avuto dentro a lungo. «Oh, c'è
una cosa
che
avrei sempre voluto poter fare.»
Lui alzò un angolo della bocca, già divertito.
«Cosa?»
«Sta' fermo un attimo.» Sollevò le mani
fino
ad averle vicino
alla sua faccia e, con uno scatto improvviso, gli portò via
la
maschera. Ridacchiò e arrossì, mentre la teneva
tra le dita. «È una sciocchezza, lo so, ma ho
sempre sognato
di
poterlo fare.»
Non potergli vedere il volto, dover solo immaginare come fosse fatto,
era stata fonte di lunghe e numerose fantasie; ne aveva appena
soddisfatta una.
Non trovò una parola per quel misto di divertimento e
tenerezza che riuscì a far nascere in lui; sapeva solo che
lo adorava.
Negli
occhi di Mamoru cominciò a crescere lentamente uno stupore
nuovo, pensato. «Possono essere idee semplici, ma...
riescono a
rendere
diverso tutto
quanto.»
Si sentì orgogliosa e soddisfatta: lui la apprezzava.
L'aveva capito anche l'altro giorno, alla mostra, ma... era
così bello sapere che Mamoru la apprezzava veramente, anche
se era
una sciocca e molto meno intelligente rispetto a lui.
Piena di euforia, si lasciò tentare da un'altra idea
divertente. «Togliti anche il cappello.» Quando lui
lo fece, glielo
tolse dalle mani. «Facciamo un esperimento.»
Si sistemò sulla faccia la sua maschera. Tentò di
fare lo stesso col cilindro, ma continuava a scivolarle sui codini
rotondi. Lo tirò giù con entrambe le mani e,
finalmente, le rimase fermo sulla testa. «Come sto?»
Centro ancora! Mamoru lo trovava divertente, stava trattenendo le
risate.
«Sei uno strano incrocio. Potresti chiamarti Sailor
Tuxedo.»
«Perché no? Potrei
dire» Si allontanò
per avere maggiore
libertà di movimento, quindi agitò le braccia
come era
solita
fare. «E sono venuta fin qui per punirvi» Pausa ad
effetto e dita puntate contro di lui, «In nome del
tuxedo!»
Questa volta lo fece ridere solo per un attimo, prima che
un'espressione adombrata gli invadesse il volto. Non ne capì
il motivo fino a quando lui non le parlò.
«Già, voi avete il nome di diversi pianeti ed
è
da lì che deriva la vostra forza. Ma io... non so da dove
venga questo mio potere.»
A lei sembrava chiaro, non si era mai posta quel dubbio. Si tolse la
maschera e il cappello e si avvicinò fino a
poterglieli ridare in mano. «Eri il principe della terra; hai
il potere
di questo pianeta.»
Non le sembrò convinto.
Lo osservò appoggiare di lato quello che gli aveva
dato. «Mi sento presuntuoso a pensarlo. E non dovrebbe
esserci una
guerriera Sailor anche per la Terra, come per gli altri
pianeti?»
L'idea le sembrò istintivamente balzana, per quanto
non avesse elementi per contraddirlo.
Pensò al potere di lui, quindi tentò con
un'idea che poteva suonargli più sensata. «O forse
è il potere dell'amore. Le rose sono il
simbolo
dell'amore, no?»
Lui si accigliò in un attimo. «Non credo che il
potere
dell'amore avrebbe potuto farsi vincere con tanta
facilità.»
Cosa?
Non le diede il tempo di chiedere. «Le uniche scuse
che ti ho
fatto non
sono sufficienti. Mi sono fatto manipolare fino ad arrivare a
combattere contro di te e non avrei mai dovuto essere così
debole. Avrei dovuto oppormi di più-»
«No, non hai niente di cui scusarti.» Le faceva
male il
senso di colpa che sentiva nella voce di lui. «Ascoltami, per
favore: eri
stato ferito
mortalmente,
non avevi difese contro quello che ti hanno fatto. Sarebbe potuto
succedere a chiunque di noi.» Ancora non la stava guardando e
lei
sentì il bisogno di toccarlo, di fargli sapere che-... Gli
appoggiò le mani sulle braccia. «Tu mi hai fatto
da scudo col
tuo corpo per ben due volte. Se non fosse stato per te, io oggi non
sarei
qui.»
Ci fu un sibilo in aria.
In lontananza, esplose una luce.
Lei scorse senza difficoltà i colori in cielo, che si
espandevano dando vita alle forme più diverse.
«Fuochi
d'artificio.»
«Sì.» Lui girò solo la testa.
«Come mai li fanno?»
«Stanno festeggiando il centenario di... qualcosa, non
ricordo.» Il tono non era ancora tornato a rispecchiare la
piena serenità di inizio serata.
Lei rimase ad osservare lo spettacolo in lontananza. Il silenzio di
lui le suonò sempre più pesante, per cui gli si
avvicinò fino a prenderlo per un braccio, facendolo girare
con ferma delicatezza. «Hai
scelto un buon posto, si vedono molto bene da qui. Guarda.»
Scese con la mano, fino a stringere la sua. «È
stata una bellissima idea.»
Quando non lo sentì rispondere,
alzò gli occhi. «Dimmi che non ti sentirai
più in
colpa. È...
sciocco e poi non voglio vederti triste. Sei la persona a cui tengo di
più, Mamo-chan.»
Lui annuì appena, portandole un braccio intorno e
stringendola al suo fianco.
Fu felice di quel
contatto, ma... volle terminare per bene il discorso. «E
questo
mondo lo abbiamo
salvato tutti
insieme. Ricordalo sempre.»
Lui le appoggiò il mento sui capelli.
«... a
volte
sembri così saggia.»
«Solo a volte?»
Ne risero insieme.
Lei sollevò un dito in aria.
«Tsk, io
sono sempre saggia. Beh... forse non proprio sempre.»
Adorò sentire ancora una volta la risata tranquilla di lui.
«C'è una cosa che sei di sicuro»
udì poi
all'orecchio. «Speciale.»
Non trattenne un sorriso dal cuore: era una delle cose
più carine che le avesse mai detto.
«Per me sei speciale.»
Il tono che usò le fece spalancare gli occhi.
«Io ti amo.»
Per la durata di un intero istante non riuscì a fare...
nulla.
Il rimbombo in lontananza di un nuovo fuoco d'artificio non
riuscì a sovrastare i battiti che le riecheggiavano fin
nelle orecchie.
L'immobilità sparì; tornò a guardarlo
con uno scatto improvviso. Lei stessa non riuscì a
comprendere il motivo di tanta fretta, se non quando
vide le labbra di Mamoru piegarsi in un sorriso e ripetere,
«Ti amo.»
Gli buttò le braccia al collo e lo strinse fino a non far
respirare più nessuno dei due.
Quando riuscì a smettere di strofinare la faccia contro il
suo petto, rilasciò una respiro di gioia. «Anche
io
ti amo.»
E voleva amarlo per sempre, guardarlo per sempre. Ridere per sempre di
quanto era bello stare abbracciati, a guardarsi e a ridere e ridere.
Mentre teneva gli occhi fissi sul suo volto, dentro di lei si fece
lentamente spazio un genere di felicità
del tutto diverso. Era... la trepidazione che precedeva qualcosa di
migliore.
Questa volta non c'era nessuna fretta.
Gli disegnò le linee della guancia con un guanto. Anche
attraverso il
tessuto, riuscì a sentire la pelle di lui, proprio
come se
l'avesse toccata senza barriera alcuna.
Le mani di Mamoru sul proprio viso la fecero rabbrividire e il cuore le
mancò un colpo quando lui si avvicinò
rapidamente, posandole le labbra sulla guancia nel bacio che si dava
alla cosa
più cara e preziosa; si
soffermò lì, staccandosi solo per un momento e
tornando quasi subito a baciarla, ma molto più vicino alla
bocca.
Lei chiuse gli occhi, affondandogli le dita nella spalla.
Il respiro di lui le arrivò sulle labbra. Ormai solo
qualche centimetro li separava da-
Klank.
Si bloccarono entrambi.
Lei spalancò gli occhi: il suono
era venuto dalla strada.
Decise di ignorarlo, tornando con lo sguardo su-
KLANK.
Mamoru la lasciò andare e si sporse di sotto.
Lo imitò immediatamente: voleva vedere in faccia anche
lei chi aveva avuto il coraggio di
interromperli.
Trattenne a fatica l'esclamazione di pura indignazione. Dei LADRI!
Dall'altra parte della strada, due con la faccia coperta lavoravano
alacremente vicino a una vetrina illuminata. Il rumore doveva essere
stato
prodotto dagli attrezzi che agitavano nelle mani, anche se ora erano
molto più silenziosi.
«Adesso li faccio fuori con il mio diadema...»
mormorò, piena di
rabbia. «Ma proprio qui sotto dovevano venire a
rubare?»
«In questa via ci sono solo negozi, penseranno che non li
senta
nessuno.»
La stupì sentire una traccia d'ira anche nella voce di
Mamoru.
Gli vide spuntare in mano una rosa. Per poco non le
sfuggì il movimento quando lui la
lanciò di sotto con particolare violenza.
La vetrina del negozio si spaccò in mille pezzi. E, un
secondo dopo, risuonò per la via l'inconfondibile suono di
un
allarme antifurto.
I ladri entrarono nel panico. Raccolsero in un attimo le loro cose e
iniziarono a scappare.
Li fermò una rosa scagliata davanti ai loro piedi. Uno dei
due lanciò un urlo ed entrambi tentarono di correre dalla
parte opposta. Anche lì trovarono la rosa.
Galvanizzata, iniziò a ridere. «Voglio
partecipare anche io.» Si tolse
il diadema.
Mamoru si fermò dallo scagliare la quarta rosa.
«Usagi,
aspet-»
«Moon Tiara, action!»
Il disco dorato volò in basso, andando infine ad avvolgersi
come un anello attorno ai due malviventi.
Mamoru tirò un sospiro di sollievo.
«Ma dai, come hai potuto pensarlo?» Lo
colpì piano
sulla spalla.
Lui scosse la testa divertito, gli occhi ancora di sotto.
«È solo
che quel tuo potere non è uno scherzo.»
«Infatti. Ma oramai lo so usare al
meglio.»
Si vide guardare con orgoglio. «Me ne sono reso
conto.»
In lontananza iniziarono a risuonare le sirene della polizia.
Lei si sporse di sotto. «Vorrei proprio vedere quando li
arresteranno, ma non credo sia una buona idea restare qui.»
«No» convenne lui. «Ma aspettiamo fino a
che non saranno
più vicini.»
Le uscì una breve risata. «Guarda quanto sono
terrorizzati.
Immaginati quando racconteranno quello che è
successo.»
Nel volto di lui comparve l'ombra di un sorriso vendicativo.
«Pensarci mi fa sentire già meglio.»
Sorrise a sua volta maleficamente. «Dolce
vendetta.»
Le sirene erano ormai a non più di un isolato di distanza,
per cui richiamò il
diadema.
Quando la polizia arrivò, Sailor Moon e Tuxedo Kamen erano
ormai lontani.
Sul posto erano rimasti solo due ladri sull'orlo delle lacrime.
Atterrarono sul tetto della casa di Usagi una decina di minuti dopo.
Si voltò verso di lui, allegra. «Se la sono
proprio meritata, non trovi?»
«Sono d'accordo.» Mamoru aveva abbassato
la
voce. «Sai, se raccontano una storia abbastanza strana forse
domani la
sentiremo al telegiornale.»
Lei allargò le braccia, stiracchiandosi. «La
vendetta
finale.»
Non sentì chi era arrivato fino a che non parlò,
saltando sul tetto.
«Usagi!»
«Luna!» Bisbigliò più forte
che poteva, piegandosi in avanti. «Cosa ci fai qui?»
Luna chiuse gli occhi, indignata. «Artemis è un
maleducato.
Ma cosa ci fai tu
qui? A quest'ora
dovresti essere a dormire, ti ricordo che hai preso un brutto voto nel
compito e ora dovrai-»
Mamoru si abbassò fino ad accarezzare il pelo sulla schiena
di Luna. La
zittì subito.
Hm, poteva essere una
tecnica da imitare.
Lui parlò con tono carezzevole. «Non ti
preoccupare, Usagi stava andando a dormire e nei
prossimi
giorni studierà solamente. Ci vedremo solo nel fine
settimana.»
«Beh, fortuna che uno di voi due è
responsabile.» Il
cipiglio continuò ad adombrare il muso felino.
Ma insomma! Tirò fuori la lingua. «Sono
responsabile
anche io
quando voglio.»
L'espressione di Luna esprimeva molte perplessità a
riguardo, ma
quello che più la infastidì fu non
vederla
muoversi da
lì.
Che non sarebbe andata via sembrò comprenderlo anche Mamoru,
alla fine.
Lei osservò con confusione il breve sorriso che le risolve
ma capì tutto quando sentì le sue labbra sulla
guancia; indugiarono lì più
del necessario.
«Ci vediamo» le disse. E saltò via.
Luna scosse la testa davanti gli occhi
a
cuore che Usagi mantenne per diversi momenti, immobile sul tetto, le
mani unite.
«Benedetta ragazza.»
Usagi si lisciò il vestito verde chiaro, quasi bianco,
considerando l'idea di togliersi la giacca, verde anch'essa.
In quel momento spirò un po' di vento, per cui decise di
tenerla. Iniziò a battere il piede sul marciapiede, infine
guardò per l'ennesima volta l'orologio.
Mamoru era in ritardo per la prima volta e proprio nel giorno del loro
primo bacio.
Sì, perché si sarebbero baciati quel giorno:
neanche un
attacco alieno lo avrebbe impedito!
Represse il nervoso.
«Usako!»
Sospirò. Già chiamandola così le
faceva passare la voglia di sgridarlo. Scosse la testa e si riprese,
voltandosi.
Mamoru si fermò vicino a lei, sorridente nella camicia rosa,
un colore che addosso a lui non aveva nulla di femminile.
«Scusa il ritardo.»
«Sì, non è importante.»
Cercò di fare
una faccia offesa.
«...
ma lo è qualcos'altro?» indagò lui.
«Sì. Che problema ci sarebbe stato a uscire di
nuovo di
sera, come abbiamo fatto l'altro giorno? Non dovevamo aspettare fino ad
oggi.»
Mamoru iniziò a sorridere come se non ci fosse alcun
problema.
Uffa, c'era eccome!
«Usagi, dovevi studiare in questi giorni.»
«Di sera non studio.»
Le sembrò perplesso. «...
avresti
dovuto, invece.»
Figurarsi! «Di sera muoio di sonno dopo aver studiato
già
tutto il giorno.»
«Appunto. Se non stavi studiando, stavi dormendo, per cui non
potevamo
uscire in ogni caso.»
Fece per ribattere, ma... non c'erano obiezioni.
Lui le sorrise. «Il compito l'hai superato e ora possiamo
uscire di
nuovo. Anche se non dovrai più trascurare lo
studio d'ora in poi.»
«Sì, va bene.»
Si fece prendere per la mano fino a che lui non iniziò quasi
a trascinarla. Certo che aveva parecchia fretta.
Mamoru si fermò quando capì che lei non stava
collaborando. «Andiamo, non abbatterti. Qual è il
problema?»
«... quando ti ho sentito al
telefono non sembravi ansioso
quanto me
che arrivasse oggi.»
Lo vide rilasciare un lungo sospiro. «Avresti voluto che
suggerissi
di
incontrarci sul tetto di casa tua?»
Lei annuì con riluttanza.
«... sono stato sul punto di
proportelo, ma-»
«E perché non l'hai fatto?» Quanta
sofferenza si sarebbe
risparmiata!
«Avresti voluto davvero che... accadesse
così?»
Sì, purché accadesse. Se lo fece leggere
nell'espressione.
Lui le strinse un po' di più la mano, avvicinandola.
«Sai,
diventerà un ricordo alla fine. Poi succederà
tante volte. Almeno il primo, non volevo...» ci
pensò un
attimo «... rubarlo.»
Ecco, come poteva rimanere arrabbiata con lui se le diceva una cosa del
genere?
Sospirò, poi lasciò che solo il sorriso le
crescesse in volto. Avanzò di qualche passo, portandosi
dietro il braccio di lui. «Andiamo allora.»
L'appuntamento per il primo bacio perfetto era una cosa molto dolce.
Voleva cominciarlo subito.
A giudicare dall'espressione di Usagi, l'idea della barca era stata
buona.
Quello d'altronde era lo stesso parco del loro primo appuntamento.
Questa volta c'era davvero l'atmosfera che ci sarebbe dovuta essere fin
da principio.
Mamoru fece fare un altro giro ai remi.
Usagi lasciò cadere una mano fuori e, col dito,
disegnò una lunga scia sull'acqua, seguendo il loro
movimento. Gli regalò una
risata allegra, alzando gli occhi su di lui. «Qui, in mezzo
al lago è
così... »
Non riuscì a trovare le parole, ma lui
capì comunque cosa intendeva. «Sì.
Potremmo tornare tutte le volte che
vorrai.»
Nelle guance di lei comparve un po' di colore. «Davvero?
Perché staremo sempre insieme?»
Era la prima volta che parlavano di sempre, ma non ebbe
alcun dubbio nel rispondere. «Certo.»
Usagi tornò a guardare l'acqua, serena. «Avevi
ragione tu,
Mamo-chan. Così sarà un ricordo bellissimo. Uno
dei momenti più belli di tutta la vita.»
In realtà aveva pensato più a lei che a se stesso
quando aveva deciso di rimandare quel momento, ma ora sapeva con
assoluta certezza
di non aver mai preso decisione migliore. «È
un'esagerazione, Usako. Ce ne saranno di
migliori.» Le possibilità che riusciva a
immaginare erano... infinite.
«Ancora una volta hai ragione.» Il sorriso di Usagi
era in pace col
mondo.
Si rese conto di esserlo lui stesso.
Era... in pace col mondo.
Un mondo che gli aveva portato via la sua famiglia, un mondo in cui era
sempre stato solo.
In quell'attimo, fu solo il mondo che lo aveva portato ad Usagi.
Il mondo in cui avrebbe vissuto con Usagi... per sempre.
Lasciò andare un risentimento che non aveva saputo di avere.
E chiuse quel capitolo della sua vita.
Fece attenzione a non far muovere troppo la barca quando
salì sul piccolo molo.
Si girò e aiutò Usagi a scendere, prendendole le
mani. «Ecco, sta' attenta.»
«Sì... ah!» Inciampando, lei gli
finì addosso,
scontrandosi col suo petto.
Riuscì a non cadere anche
lui solo sorreggendola. Iniziò a scuotere la testa,
trattenendo la risata.
Usagi alzò gli occhi, arrossendo e sorridendo a sua volta.
«È
stata una
caduta fortunata, no?»
Aveva le braccia attorno a lei, per cui, sì, lo era stata.
La sentì alzarsi meglio contro di lui, aiutandosi con le
mani. Il lieve movimento con cui gli tirò la camicia
sul petto gli sembrò... un invito.
Quando andò a incontrarle gli occhi, oramai non era
più qualcosa che desiderava solo lei.
Niente avrebbe potuto più interromperli, ma ebbe
comunque fretta di
avvicinarsi.
Infine si trovò davanti solo gli occhi blu e la bocca di
lei, appena
distante dalla sua.
Chiuse quell'ultimo spazio.
Anche se aveva già toccato
quella labbra, al primo contatto lo attraversò ugualmente
una scarica talmente forte che, per
sostenersi, fu costretto a stringerla.
Sentì lo stesso sussulto anche in Usagi, ma nessuno dei due
permise ad un solo millimetro di separarli.
Assaporarono quel tocco con labbra quasi immobili, fino a che lei
non respirò per la prima volta. A quel punto iniziarono
entrambi a muoversi
appena, accarezzandosi la bocca a vicenda.
Trattenne i brividi che continuò a sentire e fu
sicuro che
lei non se ne accorse solo perché ne aveva di suoi.
Persistenti, incessanti.
Premette di nuovo, piano, la bocca contro quella di lei, schiudendola.
Gli piaceva sentire quegli infiniti brividi.
Avrebbe potuto continuare per sempre.
Qualcosa lo colpì forte alla testa.
Si rifiutò di interrompersi ma... aprì un
occhio: un palloncino?
Usagi chiuse delicatamente le labbra sulle sue e non gli
importò più di quella strana palla blu.
Sopra di loro, nel cielo azzurro terso, apparve dal nulla una
piccola nuvola.
E, sulla Terra, da un tempo in cui c'erano stati oramai infiniti baci,
cadde una bambina dai codini rosa.
FINE
Risposte alle recensioni (inizio con un grosso GRAZIE collettivo a
tutti quanti per aver recensito)
azzurraspettacoli: scusa per non aver aggiornato prima. Non avevo la
giusta ispirazione, ma appena l'ho avuta, ho completato appena ho
potuto. Grazie per aver apprezzato così tanto. In questo
capitolo ti ho fatto penare un altro po', ma alla fine il bacio
è arrivato :)
luisina: sì, lo stile che utilizo qui non è
particolarmente ricercato. Questa storia è molto
più
semplice. Sono felice che ti siano piaciute le ultime parole dell'altro
capitolo, ci ho dovuto pensare quasi quanto Mamoru :)
bunny1987: spero di averti trasmesso tenerezza anche qui. Grazie della
recensione.
luciadom: grazie per aver apprezzato questa storia e per avermelo
detto. Sì, mi diverte parlare dei traumi del povero padre di
Usagi. :) Ne sto preparando un accenno anche nel prossimo capitolo
dell'altra fanfic che ho in ballo «Verso l'alba'.
maryusa: scusami anche tu per l'attesa. La scena del museo doveva
mettere in risalto la loro diversità (e far capire ad Usagi
che
Mamoru aveva interessi ben diversi dai suoi), ma anche come fossero
collegati su ben altri piani.
LAS: forse allora ho aggiunto un altro tocco di romanticismo quando non
li ho fatti baciare per la terza volta qui :) Grazie per aver recensito.
Morgana di Avalon: in questa storia i due dovevano essere buffi e dolci
e sono felice di aver trasmesso questa impressione. Le altre mie fanfic
sono più serie e 'adulte', ma sono felice di essere riuscita
a
completare anche questo lavoro più semplice, che mi ha fatto
spesso sorridere durante la realizzazione
stella93mar: nella fanfic 'Oltre le stelle' avevo fatto dire a Usagi e
Mamoru che il primo bacio era avvenuto quando era arrivata Chibiusa. Ho
cercato di mantenermi fedele a quella dichiarazione, quindi avete
penato (e ho fatto penare quei due poverini) per questo :D
zapotec: grazie di aver recensito. Spero che anche questo capitolo ti
abbia comunicato tenerezza.
ISA1983: se avessi potuto vedere qualcosa di più del periodo
in
cui Usagi e Mamoru si conoscevano meglio anche nell'anime, sarei stata
molto felici. Sono contenta perciò di essere riuscita in un
qualche modo a darvi quanto non abbiamo avuto nel cartone animato.
birillo: no, non avevo smesso di scrivere. Prima ho finito un'altra
fanfic che avevo in ballo e poi ne ho continuata un'altra. Per ora
l'ispirazione mi percorre alla grande, quindi non smetterò
di
scrivere :) Spero di averti appassionato anche con questo
ultimo
capitolo.
Terminando, ringrazio le ventotto persone, tra preferiti e seguite,
che hanno tenuto d'occhio e letto questa fanfic.
ellephedre
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