Cosa siamo?

di Giu_95
(/viewuser.php?uid=209774)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amici ***
Capitolo 2: *** Amici? ***



Capitolo 1
*** Amici ***


Quella sera Roberto mi venne a prendere in macchina. Dovevamo uscire con il resto del gruppo per andare in un locale al centro di Roma. Mi guardai allo specchio e sistemando il collo della camicia avvertii i miei che sarei uscito. Scesi sotto, mi incamminai alla ricerca della macchina di Robby. Non c'era. Presi il telefono e lo chiamai.
Mi voltai, lo vidi arrivare, il cellulare in mano, mi guardava appena, "vieni ho parcheggiato dietro l'angolo". Rimasi un attimo impalato, fermo a fissarlo. Neanche un saluto, era strano. Lo seguii in silenzio. Arrivammo alla macchina e salimmo.
"Hai sentito gli altri?" dissi, mi fece cenno di sì e mise in moto. Guardai fuori dal finestrino, sarebbe stato un lungo sabato sera.
A metà strada mi voltai e lo guardai, deciso a rompere quel silenzio. "È successo qualcosa? Ti vedo nervoso", lui alzò le spalle e scosse la testa.
Conoscevo Roberto da appena sei mesi. Eravamo compagni d'università, così come il resto del gruppo. Da un paio di mesi eravamo soliti fare qualche serata tutti insieme, per lo più drink e discoteca, tutti alla ricerca di una bottarella e via. Le nostre erano serata stupide e spesso senza criterio ma ci divertivamo. Quella sera però il clima non sembrava favorevole. C'era tensione in quella macchina e non riuscivo a capire perché. Mi guardai il palmo della mano in silenzio attendendo una risposta. Era la prima volta che lo vedevo così, era strano. Normalmente era loquace e spiritoso, soprattutto quando stava con me. Qual era il motivo di quel silenzio?
Lo osservai. Aveva la barba ispida e il viso contratto di chi si sforza di mantenere la calma.
Trovammo parcheggio dopo venti minuti di religioso silenzio, sentivo un peso allo stomaco. Non ce la facevo più, volevo solo uscire da quella Smart e raggiungere gli altri. Aprii la portiera pronto a schizzare fuori, ma Robby mi afferrò per il braccio, mi voltai e per la prima volta quella sera lo vidi guardarmi in faccia. Richiusi lo sportello e mi girai verso di lui. Incerto abbassò il braccio, si sistemò sul sedile e con lo sguardo basso scosse la testa.
"Scusa è che...", lo guardai. Sembrava sconvolto da non riuscire a parlare. D'istinto allungai una mano sulla sua spalla "hey, tranquillo". Gli occhi di Roberto si piantarono su di me come fossi un alieno. Tolsi la mano e la riportai in grembo imbarazzato. Era tutto così strano, come se ogni minimo gesto peggiorasse la situazione.
"S...se non te la senti possiamo anche tornare a casa" dissi provando a cercare il suo sguardo sfuggente. Scosse la testa "non ci torno a casa". Annuii e guardai fuori. Sembrava stesse iniziando a piovere. Sbloccai il telefono è aprii la chat di gruppo, provai a digitare qualcosa ma le dita rimasero imbambolate. Non sapevo che fare. Non potevo lasciare quella situazione così, ma avevo anche paura a insistere. Temevo per Robby, non sapevo come gestirlo in quelle condizioni. Lo osservai massaggiarsi la fronte e stringere il volante. Non riuscivo nemmeno a capire se fosse rabbia o tristezza.
"Rob, vuoi parlarne?" mi chinai verso di lui, si voltò e mi osservò. I suoi occhi si muovevano rapidi senza mai spostarsi dal mio viso. Erano grandi e color nocciola. Mi resi stranamente conto che mi mettevano a disagio. Dovetti allontanarmi. Guardai sul finestrino le gocce d'acqua accumularsi lente.
"Giò?" mi voltai al suo richiamo. "Ti dispiace se questa sera rimango a dormire da te?", aveva un'espressione vuota, come se mi avesse appena chiesto di offrirgli un caffè, eppure la sua voce mi era parsa irregolare. Aprii la bocca per rispondere ma non dissi nulla, mi limitai ad annuire. Non avevo stanze libere, né spazio in camera ma in quel momento non me la sentii di dirgli di no.
"Nessun problema", gli sorrisi e lui mi guardò ancora come un alieno, ma un alieno amichevole. Annuì piano, poi prese il cellulare e scrisse un messaggio.
"Grazie, sei un amico" alzò il braccio e me lo tese con il gomito piegato. Finalmente un saluto. Gli battei la mano e gliela strinsi come eravamo soliti fare.
"Ora andiamo che ci staranno aspettando" disse aprendo lo sportello, lo vidi prendere una sigaretta e accendersela. Scesi anche io. Alzati gli occhi e guardai il cielo scuro. Non scendeva più neanche una goccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Amici? ***


Raggiungemmo gli altro nel pub. Presi posto accanto a Ludovico e Manuel mentre Robby si accomodò un po' in disparte. Lo osservai con la coda dell'occhio. Sembrava infastidito.
Ordinammo da bere e dopo la prima birra ne prendemmo un'altra e ancora un'altra.
"Questa sera si tromba! Siamo tutti in lista alla serata latina americana" ci fu un boato di disapprovazione con patatine e noccioline catapultate addosso a Carlo.
"Hey ma che volete da me! Non è colpa mia se alle fighe piacciono 'ste serate qua".
Le ore passarono, e tra una birra e l'altra dimenticai completamente il discorso e la tensione che avevo provato in macchina. Tra gli schiamazzi e le risate non avevo più fatto caso a Roberto, fin quando non mi voltai e lo sorpresi ad osservarmi. Aveva una faccia seria, allungato sulla sedia con la mano destra chiusa a pugno che picchiettava sul tavolo. D'istinto abbassai lo sguardo e feci finta di niente, ma la curiosità era troppa, lo osservai ancora. Continuava a guardarmi, con il volto contrito. Gli sorrisi provando a rallegrarlo ma non servì. Calai giù la birra e ne ordinai un'altra.
Arrivata l'Una la comitiva iniziò a muoversi in direzione della discoteca. Ci avviamo alle macchine e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai di nuovo da solo con Roberto. Il silenzio era pesante.
"Oggi non hai bevuto niente", gli diedi uno spintone ridendo. Lui si spostò leggermente, mi guardò in silenzio e alzò le spalle.
"Ci risiamo" mi lasciai sfuggire, "con questo silenzio da uomo tormentato. Se proprio non vuoi parlare cerca almeno di non pensarci".
Arrivati alla macchina mi guardò. Pensai stesse per dirmi qualcosa, ma si limito ad aprire e salire.
Durante il tragitto rimanemmo in silenzio, ogni tanto chiamavo gli altri per sapere dove fossero e se avessero trovato parcheggio.
Trovammo un buco e vi infilò la Smart. Nessuno dei due disse nulla, ma non ci feci più neanche caso.
Una volta riuniti, entrammo schiamazzando nel locale per farci riconoscere subito. Prendemmo da bere e a forza di cocktail iniziamo a ballare. Carlo e Manuel si erano già allontanati per un gruppetto di fighe, gli altri facevano dentro e fuori per fumare. Al secondo drink iniziò la festa.
Ci avvicinammo alle casse che pompavano a tutto volume. La musica ci attraversava letteralmente. Il ritmo batteva nel torace tanto forte da far vibrare i polmoni e il respiro. Più che ballare ci agitavamo spasmodici. Manuel si strusciava su una tipa. Carlo cercava di acchiapparne ben due. Giuseppe barcollava a ritmo: destra-sinistra e viceversa, testa bassa e occhi chiusi. Avevo perso completamente di vista Roberto. Non ci avevo più fatto caso da metà del primo drink.
Ebbro mi lanciai su un gruppo di ragazze. Presi per il braccio una brunetta, senza nulla di particolare. Notai solo il suo vestito nero brillare a ogni flash. Mi guardò spaesata. Le feci cenno di ballare. Quindi la portai direttamente in pista tenendole il braccio. Non oppose resistenza. In quel momento la musica tamburellava un crescendo. Le poggiai una mano sulla schiena e la avvicinai. Strusciai la gamba sulla sua cercando un contatto. Lei sorrise e si scostò una ciocca di capelli.
Iniziammo a ballare un po' più spinti, fin quando poco dopo una delle sue amiche non venne a riprenderla. "Pensavamo ti fossi persa!" era furibonda. La prese per un braccio e la portò via. Neanche il tempo di sapere il suo nome.
Rimasto solo, cercai gli altri. Metà del gruppo non c'era, erano tutti fuori a fumare. Decisi di raggiungerli. "Avete visto Robby?" mi fecero cenno di no. Controllai il telefono, ma non c'era niente. Rimasi per un po' a fissare lo schermo, indeciso se scrivergli o meno. Alla fine lo chiamai. Il telefono squillò ma non ci fu risposta.
Tornai dentro, girai per il locale ma non lo trovai. Scrissi un messaggio, ma poi lo cancellai. Ne scrissi un altro, ma non inviai neanche quello.
Allungai il collo per cercarlo tra la folla. La musica mi premeva nelle orecchie e le luci rendevano i corpi una massa unica. Serrai i denti e strinsi il pugni. "Dove caz*o sei?" le orecchie mi andarono in fiamme. Sbloccai il telefono e mi attaccai al suo numero per tre volte.
Alla quarta sentì una voce stanca, "Pronto?", rimasi in silenzio. Non sapevo esattamente cosa dire. Avrei voluto urlare, ma non lo feci. "Dove sei?"
"In macchina". Abbassai la testa. Mi coprii gli occhi la mano, mi grattai un occhio e annuii in silenzio. "Arrivo".
Bussai al finestrino della Smart prima di entrare. Nel parcheggio faceva freddo, soprattutto in confronto al locale. In pochissimo, l'effetto dell'alcol scomparve e mi ritrovai nuovamente vigile. A quel punto mi resi conto che probabilmente Robby era stato lì tutta la serata.
Mi chiusi la portiera alle spalle e mi strinsi le mani tra le gambe, boccheggiando per il freddo. Lui mi guardò come un alieno. Quello l'espressione da ebete stranito iniziava a darmi sui nervi.
"Che ci fai qui? Perché non sei dentro?", dissi. Era assorto, tutto preso a guardare il parabrezza. Fece spallucce.
"Fai sul serio?", a quel punto si voltò a guardarmi ma rimase comunque in silenzio.
"È tutta la sera che non mi parli. Sai hai qualche problema dimmelo", distolse lo sguardo. Quel dannato parabrezza dava su un tristissimo muro grigio, possibile fosse più interessante?
"Fammi capire. Perché hai chiesto di venire a dormire da me, se neanche mi parli?", alzai le braccia. Non aveva alcun senso.
"È che non mi va di parlare" disse occhi al muro.
"Allora perché diamine sei uscito? Potevi rimanere a casa".
Scosse la testa. "Non voglio più entrare in quella casa".
Piegai la testa e mi guardai le mani. "Mi vuoi dire cos'è che non va?".
Chiuse gli occhi insofferente, "non mi va di parlarne".
Mi risistemai sul sedile poggiandomi sullo schienale. "Rob, non hai bevuto per niente".
"Devo guidare".
Ridacchiai. Gli diedi una pacca sulla spalla con il dorso della mano. "Andiamo a bere".
"Non mi sento in vena".
Lo presi per il braccio e lo strattonai. "Caz*o te la offro io! O andiamo a bere o torniamo a casa a dormire". Lo strattonai ancora.
"Va bene".

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3566507