Memories

di Micchan018
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo ***
Capitolo 3: *** Secondo ***
Capitolo 4: *** Terzo. ***
Capitolo 5: *** Quarto. ***
Capitolo 6: *** Quinto. ***
Capitolo 7: *** Sesto ***
Capitolo 8: *** Settimo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"L'amnesia è un disturbo della memoria a lungo termine episodica. La persona affetta da amnesia può 
essere incapace di ricordare eventi della sua vita recente, o in casi gravi anche eventi remoti, e può non

riuscire ad acquisire stabilmente nuovi ricordi, mentre in genere è preservata la capacità di imparare

nuove azioni."

Questo è quello che Kevin lesse sulla pagina di Wikipedia che titolava "Amnesia". Aveva appena speso le ultime due ore a cercare online ogni sorta di informazione sulla memoria e sulla perdita di quest'ultima; e continuava compulsivamente a tornare su quella pagina, a rileggere quelle righe.

Disturbo della memoria a lungo termine. Sembrava così semplice, e leggerlo lì, nero su bianco. Un semplice disturbo, un inconveniente. Non era così che si era sentito. Non gli era sembrato un semplice disturbo quando, poche ore prima, aveva fissato gli occhi vuoti di Dana e le sue labbra rosse e l'aveva sentita dire "Scusa, tu chi sei?" No, non era un inconveniente. Era una catastrofe. Era l'ennesima dimostrazione del fatto che l'unica sua ragione di esistere era quella di farsi portare via ogni cosa bella che gli fosse mai capitata.

Si alzò dalla sedia, stirò le braccia, poi fissò il computer sulla scrivania. Con uno scatto, afferrò il portatile e lo scagliò attraverso la stanza, mandandolo in frantumi. Rimase immobile, col respiro affannoso, fissando i frammenti del suo laptop distrutto.

Non capiva nemmeno perché gli importasse così tanto. Dana non era più niente per lui, da tempo ormai. 
Solo un'amica, una di quelle a cui voleva bene certo, ma di quelle che sentiva raramente, quando capitava. Quando si ricordava di come fosse facile a volte parlare con lei. Lui aveva già una ragazza. E lei si ricordava benissimo chi fosse. La amava, più di ogni cosa. E allora, cosa faceva così male, nel pensiero che una ragazza che non amava, non ricordasse più neanche il suo nome? Tornò con la memoria alla scena che aveva vissuto poche ore prima, e prima di mandare altro in frantumi, afferrò cappotto e sciarpa, e uscì di casa. 

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Capitolo 2
*** Primo ***


Qualche ora prima. 

Quel pomeriggio c'era il sole. Una rarità, in quella primavera strana e fredda. Era metà marzo, e di sole se ne era visto molto poco fino a quel momento. Quel pomeriggio però, splendeva luminoso, scaldando delicatamente la città. Kevin era al bar, quel giorno. Non aveva niente da fare, stranamente. Se ne stava tranquillo a giocare a biliardo con un gruppo di vecchi amici, a mandare palle in buca e a rosicare. 
Aveva appena litigato con Marisa. Egoista, lo aveva chiamato. Se solo avesse saputo. Lui era molto peggio di un semplice egoista. Non per lei, però. Lei era il suo tutto, e non lo voleva capire. Colpì con rabbia la palla numero 5, che andò dritta in buca portandosene dietro altre due. I suoi amici si voltarono a guardarlo a bocca aperta. 
-Beh, che c'è?- chiese. 
-Quando hai imparato a giocare così? 
Lui fece tranquillamente spallucce, senza rispondere. -Qualcuno vuole una birra? 
-Sono le quattro del pomeriggio, Kev. 
-E allora? 
-Non è presto per iniziare a bere? 
Lui li guardò accigliati. -Quando siete diventati dei nonni? 
Il più alto dei suoi amici scoppiò a ridere. -Hai ragione. Porta ste birre. 
Kevin si allontanò dal gruppo per raggiungere il bancone del bar. La sala era tranquilla, solo un paio di nonni che leggevano il giornale e discutevano di politica e una coppietta di fidanzatini. Li osservò per un secondo. Lui sembrava alto, si vedeva anche se era seduto, piuttosto massiccio e con una folta barba scura, curata e non troppo lunga. Lei era bella, viso simmetrico, occhi scuri e capelli neri. Sorrideva sempre, e Kevin si chiese cosa dicesse quel tipo di così divertente o interessante. Decise che non gliene 
importava niente, e distolse lo sguardo da loro per posarlo sulle tette della barista. 
-Ehi Nina, me le allunghi tre birrette? 
-Kev, io sono quassù. 
-Lasciame sta Nì, ho litigato con la tipa. 
Lei gli afferrò il mento e lo obbligò a fissare i suoi occhi piccoli e verdi. -Non è così che farai pace con lei. 
Gli sorrise, e prese le birre. -Tieni, scostumato. 
-Grazie Nì. Mi fai pure un amaro? 
-Arriva. 
Alle sue spalle, la porta del bar si aprì scampanellando. Quello era l'unico locale nell'universo che ancora aveva i campanelli alla porta. Gli davano un fastidio allucinante. Con la coda dell'occhio vide la ragazza al tavolo saltare sulla sedia. -Ehi!- strillò, con una voce sorprendentemente acuta -siamo qui! 
-Sì Amanda, ti abbiamo vista- le rispose una voce maschile. 
-Quanto ci avete messo a trovare sta farmacia?- chiese il barbuto. Kevin vide che i nuovi arrivati erano due, un ragazzo basso ma robusto con i capelli di un castano chiaro pettinati all'indietro, con un bel viso, naso perfetto e labbra carnose, gli occhi chiari probabilmente azzurri; e una ragazza poco più bassa di lui, che non riuscì a vedere in faccia perché gli dava le spalle. Vide solo che era magra, indossava dei jeans blu e un cappotto nero, e i capelli biondi le arrivavano poco sotto le spalle. Avevano lo stesso colore del grano in estate. 
Nina gli porse l'amaro, e lui distolse gli occhi dai nuovi arrivati per concentrarsi sul suo bicchiere. 
-La signorina cammina come una lumaca- borbottò il ragazzo che era appena arrivato. Kevin si chiese 
perché li ascoltasse ancora parlare. 
-Scusa tanto se non mi sento bene, signorino perfettino- ribattè con una certa acidità la ragazza che era appena arrivata. Sentendo la sua voce, per poco Kevin non sputò l'amaro in faccia a Nina. 
Lui conosceva quella voce. Non la sentiva da mesi, ma la conosceva bene. Rimase perfettamente immobile, in ascolto. 
-Amore mio- continuò il ragazzo -non si può camminare a meno di due chilometri orari, dai. Un bradipo con l'asma ha più sprint di te. 
Il ragazzo con la barba rise. 
-Dai ma quanto sei cattivo!- cantilenò la ragazza mora, Amanda o qualcosa del genere. 
-Lascia perdere guarda- rispose l'altra -ormai ci sono abituata. 
-Ah ma suo fratello è uguale, non ti credere Dani. Sono due rozzoni. 
Dani. Kevin si voltò a guardarli. Lei si era spostata e adesso riusciva a vedere un angolo del suo viso. Era solo un angolo, ma era sufficiente. Era lei. 
-Ehi rubacuori, che hai da guardare?- lo punzecchiò Nina. 
-Quella è la mia ex... mormorò Kevin. 
-Che? Quale? 
-La bionda. 
Nina la osservò con attenzione, ma da dov'era vedeva solo i capelli. 
-È la ballerina- disse Kevin. 
-Ah lei? E cosa ci fa qui? 
-Non ne ho idea, e non so quanto sia una buona idea andare là a chiedere. 
-Il ragazzo col naso perfetto è il suo ragazzo? 
-Sì. A meno che dall'ultima volta che le ho parlato ne abbia trovato un altro, si chiama Thomas. 
Lo osservò. Aveva l'aria di essere un attaccabrighe. Non che avesse paura, ma per quel giorno ne aveva avuto abbastanza di urla e scleri. 
Di colpo, "Amanda" si alzò. -Dani vado al bagno, vieni con me?- 
-Sì, certo.- Si alzò anche lei, e guardò dritto verso Kevin. Lui ebbe l'assoluta certezza che non si era sbagliato. Non la vedeva da più di un anno, ma aveva la certezza totale che quella fosse lei. Lei lo vide, e non disse nulla. 
Le due ragazze si avvicinarono al bancone. 
-Scusi- disse Dana rivolta a Nina -il bagno? 
Prima che la barista potesse indicarglielo, Kevin s'intromise 
-Ehi. 
Non aveva resistito. Era curioso di sapere per quale motivo fosse lì, nel suo bar preferito, quando abitava trenta chilometri più in là e non si faceva mai vedere da quelle parti. Una parte di lui, quella irritabile, non riusciva a non pensare che fosse venuta per lui. 
Lei lo guardò con aria confusa. -Ehi? 
-Che fai da ste parti? 
Strano, pensò, non sembra né sorpresa, né felice di vedermi. 
Dana rimase un attimo in silenzio, con le labbra semichiuse, come se fosse in pausa; poi lo guardò dritto negli occhi. -Scusa, tu chi sei? 
Kevin rimase pietrificato, come se gli avessero tirato un pugno alla bocca dello stomaco. Pensò che stesse scherzando. 
-Mi prendi per il culo?- sputò fuori, con poca delicatezza. 
-No, sono seria. Ci conosciamo? 
-Dai, non dirmi che non mi riconosci? Ok è molto tempo che non ci vediamo, ma dovresti riconoscere la mia faccia! 
Lei lo fissò intensamente per qualche istante, come se si stesse sforzando di farsi venire in mente qualcosa, poi lo guardò e disse: -No, niente. Mi dispiace, ma credo che tu stia sbagliando persona. Io non sono neanche di qui, non ci sono mai venuta. 
Gli sorrise cordiale, e lui si incazzò ancora di più. 
-Oh ma chi voi pija per il culo? Mo me vieni a di che non sai chi so io e che non sei mai venuta qua?
Lei lo guardò confusa. Amanda si mise in mezzo. -Ehi- ringhiò -lasciala in pace. 
Fece appena in tempo a finire la frase che Thomas si era alzato e stava di fianco a Dana. 
-Levati dal cazzo- gli urlò in faccia Kevin. Non riusciva neanche a capire cosa lo facesse arrabbiare così tanto. Si sentiva preso per il culo, e il suo orgoglio stava ribollendo. 
Thomas lo fissò con degli occhi cattivi da far paura alla morte in persona, ma non a lui. 
-Ehi bellino, vedi di stare calmo perché in non ho nessun problema a smontarti qui e ora. La signorina ha detto che non ti conosce, fine della storia. 
-La signorina mi conosce benissimo, mi sta pigliando per il culo!- urlò, più forte di quanto avesse voluto. Guardò Dana, e la vide indietreggiare. Riusciva solo a immaginarsi che espressione dovesse 
avere. -Oh ma sei seria? Sono Kevin, è più de n'anno che me conosci, parlavamo tutti i giorni, io e te stavamo... 
Prima che potesse finire la frase, Thonas gli piantò un pugno in pieno volto. Kevin barcollò e cadde a terra inciampando su uno sgabello alle sue spalle. 
-Amore- disse Thomas accarezzando la guancia della sua ragazza -vai in bagno con Amanda, qua ci penso io. 
-Non fargli troppo male- lo ammonì lei. 
-No, tranquilla. Un pugno è sufficiente.
Le due ragazze sparirono seguendo le indicazioni di Nina, che nel frattempo assisteva pietrificata alla scena. 
-Ehi Kev, stai bene?- chiese sporgendosi dal bancone. 
-Sì Nì, ma non potrai dì lo stesso de sto morto de fame ancora pe molto.
-Ti ho già detto di stare calmo.
-Sì mo' me calmo, dopo che t'ho tirato un pugno nei denti.
Veloce come un fulmine, colpì Thomas dritto in bocca. Il fratello del ragazzo scattò in piedi per andargli in aiuto, ma lui gli fece cenno di lasciar stare. Tamponò il sangue che colava con la manica della felpa e rivolse un ghigno per nulla amichevole a Kevin. 
-Sei soddisfatto adesso?- lo canzonò. 
-No, non proprio.
-Manco io, e normalmente ti spaccherei di pugni fino a ridurti a una polpetta, ma Dana non ci metterà molto a tornare dal bagno.
-Tranquillo, non è così impressionabile.
-Così tu sei il famoso Kevin, eh?
Un guizzo attraversò gli occhi scuri di Kevin. -Sì. E se tu lo sai, allora lo sa anche lei.
-No. Lei non lo sa.
-Mi prendi per il culo pure te?
-Stai calmo. Non farmi incazzare perché sto cercando di essere diplomatico ma posso smettere molto 
in fretta. Non sa più chi sei perché ha perso la memoria.
Kevin si sentì come se gli avessero rovesciato un secchio d'acqua fredda in testa. 
Che cazzo sta a di sto rinnegato? 
-Scherzi o sei proprio rincoglionito?
-Magari scherzassi. Non si ricorda di molte cose e molte persone che sono passate per la sua vita prima di febbraio.
-Di te si però.
-Adesso. All'inizio non si ricordava nemmeno di me.
Kevin era confuso e ancora più arrabbiato. 
-Ti spieghi per favore? Ho l'istinto di tirarti un altro pugno.
-Non c'è molto da spiegare. Un giorno era a casa nostra. Stava in piedi con gli occhi incollati sul telefono. A un certo punto si è paralizzata, poi è svenuta e ha sbattuto la testa contro il tavolino. 
L'abbiamo portata all'ospedale, ci ha messo un giorno e mezzo a svegliarsi. Il dottore diceva che stava bene, solo un piccolo trauma cranico, ma era come se non volesse svegliarsi. Quando ha aperto gli occhi...
Kevin riuscì per un momento a leggere il dolore sul viso di Thomas. 
-...quando ha aperto gli occhi, mi ha guardato. Ero lì vicino a lei. Io le ho detto "ben svegliata, amore." E lei mi ha detto "chi sei?"
Kevin si sentiva girare la testa come una trottola.  
-Scusa- lo interruppe -ma lei è qui con te, quindi sa chi sei, no?
Thomas annuì. -Sono rimasto con lei sempre. Il dottore diceva che era solo una piccola amnesia, che in un paio di giorni sarebbe passata. E infatti, cinque giorni dopo, una mattina, ha aperto gli occhi, mi ha sorriso e ha detto "ehi, amore!" Si ricordava di nuovo tutto. Non c'è voluto molto però a capire che 
erano tante le cose che aveva dimenticato. E tu sei una di quelle. Quando è tornata dall'ospedale, scorreva i post su Facebook. Ha visto un tuo post. Ho provato a dirle "amore, chi è quello lì?" e lei mi ha risposto "non ne ho idea. Sarà uno che ho aggiunto senza pensare." Ripeto non sei solo tu. Non si ricorda di molti suoi amici, per un po' non ha ricordato niente neanche della sua migliore amica, o dei miei familiari. C'è voluto un po' a farle tornare in mente le persone che aveva intorno più spesso, ma c'è ancora qualcuno, tipo te, che non ricorda. Il problema è che non possiamo andare lì e dirle "ehi, questo è un tuo amico, non te lo ricordi perché hai battuto la testa." Nessuno di noi le ha detto che ha avuto un'amnesia, il dottore dice che sarebbe uno shock, quindi per favore non farlo nemmeno tu. So che può dare fastidio, ma cerca di farci, e farle, il favore di mantenere la calma e stare zitto.
Un silenzio di tomba calò tra i due. Thomas aspettava una reazione, e Kevin non sapeva che reazione avrebbe dovuto avere. Non sapeva nemmeno come la cosa lo facesse sentire. In realtà, non sentiva proprio niente. Nella sua testa c'era uno strano ronzio, come un'interferenza. 
-Bene- mormorò calmo -allora ciao.
Fece per andarsene. Voltandosi, si trovò davanti Dana. Lei lo fissava con l'odio puro negli occhi. 
-Scusa, ti ho scambiata per un'altra. Mi dispiace di averti disturbata e di aver colpito il tuo ragazzo. Ciao.
Se ne andò via senza voltarsi indietro, incurante degli insulti che lei stava borbottando alle sue spalle.
Uscì dal bar senza neanche salutare i suoi amici, salì in macchina e tornò a casa, mentre il ronzio nella sua testa diventava pian piano un martellare incessante. 
Com'è possibile?

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Capitolo 3
*** Secondo ***


Quando Kevin uscì di casa era buio. Non aveva idea di che ore fossero, ma non gli importava più di tanto. Continuava a chiedersi come fosse possibile che di tutti, proprio Dana si fosse dimenticata di lui. 
Camminava veloce, prendendo a calci qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.

Non è possibile. Non può essere che sia bastata una botta in testa per cancellarmi dai suoi ricordi. Non 
lei.

Continuava a chiedersi perché la cosa gli desse così fastidio. Lui non la amava più. Lei non lo amava più. 
Entrambi avevano altre persone. Sì, erano amici, in qualche modo strano, ma non si era fatto tante domande quando lei improvvisamente non gli aveva più scritto nemmeno un "ciao" per due mesi. 
Avrebbe voluto cercare le ragioni di quella rabbia, di quel sentimento che lo ribaltava da dentro, ma invece continuava a ripercorrere la sua storia con lei dall'inizio.

Lui Dana l'aveva conosciuta su una chat per cuori solitari, a gennaio di due anni prima. Stava lì, in mezzo ad altri mille profili. L'aveva colpito subito. Aveva i capelli color grano, lunghi. Gli ricordavano la sua infanzia, le estati in campagna. Si era soffermato un po' sulle sue fotografie, chiedendosi se avrebbe dovuto mandarle un messaggio oppure no. Pensava, e guardava il suo viso sullo schermo del cellulare. C'era qualcosa di particolare.
Aveva un sorriso luminoso, allegro, ma i suoi occhi...c'era tristezza in quegli occhi. Lui era il tipo di persona che si accorgeva di queste cose. Alla fine, si era deciso a scriverle. Un semplice "ciao." E lei aveva risposto.

Si erano scambiati messaggi per una settimana, prima di decidere di incontrarsi. Al loro primo appuntamento, aveva confermato ciò che aveva già intuito dalle fotografie: una ragazza triste, che cerca di nascondersi dietro ai sorrisi. Si erano innamorati in fretta, quasi un colpo di fulmine. Eppure erano tutti e due feriti nel profondo, da persone che cercavano di dimenticare e così ci era voluto più di un mese prima di decidere che sì, potevano anche provare a stare insieme. Avevano deciso di mettersi 
di nuovo in gioco, insieme. Ed era andato tutto alla perfezione, fino a quel giorno di settembre.

Amore....vado in Erasmus. Staró in Germania per un anno. Avevo già fatto domanda l'anno scorso...parto ad ottobre. Mi dispiace...spero vorrai aspettarmi.

Lei aveva pianto, urlato, mandato in pezzi il suo cellulare. Non gli aveva rivolto la parola per giorni. Lui 
si era ormai convinto che sarebbe partito senza più rivederla. Una sera, poi, lei si era presentata sotto 
casa sua. Lo aveva guardato negli occhi e gli aveva detto che voleva provarci comunque. Che voleva comunque lui. E così era stato. Ci avevano provato. E non aveva funzionato.

La distanza, le incomprensioni, l'egoismo forse di entrambi, tante cose avevano ucciso la loro storia. 
Era stato lui a lasciarla, un giorno di aprile. E all'inizio sembrava che lei non si dovesse riprendere mai. 
Era andata avanti per mesi, lei gli diceva che lo amava ma lui riusciva solo a pensare è troppo tardi adesso, perché non me lo hai detto prima?

Sì, era attratto da lei. Ma l'amava? No. Quello no. Non più. Le voleva bene e voleva che lei stesse bene e fosse felice, ma senza di lui. E di certo, non era amore.

Eppure lei era così ostinata. Si erano parlati ogni singolo giorno, per sei mesi; pur litigando spesso per ogni minima cosa. Nonostante questo, lei era lì ogni giorno, un qualcosa di fisso e sicuro nel casino che era la sua esistenza. Non importava quanti casini potessero succedere, lui sapeva che a un certo punto avrebbe preso il telefono e avrebbe letto "Dana" sullo schermo.

Un bel giorno, poi, lei glielo aveva candidamente sbattuto in faccia.

Kev, io non ti amo più. Ho conosciuto un ragazzo...è carino, è dolce e mi fa stare bene. Ti voglio tanto 
bene...ma non ti amo più.

Lui si era sentito...non lo sapeva come si era sentito. Contento per lei? Sollevato? Non doveva più preoccuparsi di farle del male, e quello era un sollievo. Le aveva solo risposto "sono contento per te" con una stupida faccina allegra. E lo pensava davvero.

Da quel giorno, si erano parlati sempre di meno. Le conversazioni erano sempre più rade, prima con 
pause di giorni, poi di settimane. Lui era tornato dall'Erasmus e non l'aveva più vista. A Kevin però non importava. Sapeva che lei era felice, aveva chi 
pensava a lei e non si preoccupava. Non era più un suo problema. Lui ne aveva tanti altri di problemi, dalla sua incasinatissima vita sentimentale, che per un po' aveva nascosto a Dana, ai mille vortici di disastri che costituivano la sua vorticosa e a tratti infernale vita. Non si preoccupava di lei. Non si era 
preoccupato nemmeno quando si era accorto che non si faceva più sentire da due mesi. Avrà di meglio da fare che parlare con me, si era detto. Non ci aveva più pensato, finchè non l'aveva vista quel pomeriggio. Era stato il loro primo incontro dopo quella sera. Non l'aveva più rivista, e quel pomeriggio era stato come se qualcuno gli avesse tirato una gomitata nello stomaco. 
Kevin si sedette su una panchina e tirò fuori il cellulare. Cercò tra le chat il nome "Dana", e tornò indietro alle vecchie conversazioni. Scorreva i messaggi velocemente, senza soffermarsi particolarmente su nessuno di essi. In quelle più recenti, il nome "Thomas" compariva sempre più 
spesso. Tornò ancora più indietro, fino a prima di quel giorno. Quando ancora lui non sapeva niente della sua nuova storia. E ancora più indietro. Tornò ai messaggi che si cambiavano quando ancora lei si comportava come se nella sua vita non esistesse altro che lui. Su quei messaggi si soffermo più a lungo.

Ti amo.

Sei uno stronzo del cazzo.

Ci sentiamo per telefono sta sera?

Scemo che sei, quando hai un problema confidati con me no?

Amici? Non dire stronzate non si può essere amico di qualcuno che ami. Lo sai che non sarò mai tua 
amica.

Di colpo, una coppia di messaggi lo fece pietrificare. Rimase a fissare lo schermo per istanti che sembravano secoli, mentre di colpo capiva per quale motivo fosse così arrabbiato per il fatto che lei lo avesse dimenticato.

Dana: promettimi che ci sarai sempre.

Kevin: io ci sarò finchè tu avrai bisogno di me.

Con una nuova energia e qualche sorta di convinzione in corpo, balzò in piedi e si precipitò a casa correndo, stringendo il telefono tra le mani e sapendo finalmente cosa fare.

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Capitolo 4
*** Terzo. ***


Ogni lunedì mattina alle nove, Kevin si presentava puntualmente in aula per il corso di filologia. Studiava lettere moderne ed era al terzo anno di corso, e a lui piaceva essere puntuale alle lezioni. Non le saltava mai e ascoltava sempre con attenzione. Vantava una media dei voti di tutto rispetto e ne andava fiero, visto la fatica che gli costava. Erano la sua passione, la letteratura, la cultura, l'arte, e un giorno avrebbe voluto insegnare. 
A prima vista nessuno avrebbe pensato che fosse uno studente modello, eppure lo era. Tutti lo credevano un teppista, e forse in parte era vero; ma lui amava leggere, studiare, e passare gli esami con più di venticinque. 
 

Quella mattina alle nove, però, Kevin trasgredì alla sua legge sacra. Quel lunedì mattina alle nove, Kevin non era nell'aula del corso di filologia. Era distante diversi chilometri, in una città a lui nuova, nell'aula in cui di lì a pochi minuti avrebbe avuto inizio la lezione del corso di pedagogia.

Dana studiava psicologia, e ogni mattina passava quasi un'ora in treno per raggiungere il campus. Lui lo fece per quell'unica mattina, e già era seccato. Era abituato a viaggiare poco più di mezz'ora per andare a lezione. Lui abitava fuori dalla città in cui si trovava la facoltà di lettere, e gli bastava raggiungerla per frequentare i suoi corsi. Lei abitava in pieno centro in quella stessa città, ma aveva scelto una facoltà dislocata in un altro campus. Kevin non capiva come facesse a sopportare tutti quei viaggi ogni giorno. 
Aveva passato tutta la notte a cercare quali lezioni frequentassero gli studenti di psicologia del primo anno, e in quale aula si tenessero; per poi scaricare col suo cellulare le indicazioni per raggiungerle. Si era svegliato presto, ed era arrivato presto. Aveva temuto di perdersi e di non raggiungere l'aula, invece con sua grande sorpresa non solo si era orientato benissimo ma aveva indovinato subito quale fosse l'aula giusta. 
Era arrivato lì quarantacinque minuti prima dell'inizio della lezione, e si era seduto in ultima fila. Al liceo, Dana amava sedersi in fondo alla classe. Era una cosa che ripeteva sempre. Era molto timida, e cercava in ogni modo di evitare lo sguardo dei professori, e le loro domande. 
Kevin sperava che la vita universitaria non avesse cambiato questa sua abitudine.
 

Infatti, alle nove meno cinque la vide entrare in aula. Lei si guardò un attimo intorno, poi si infilò nell'ultima fila. L'aula era grande, come quelle che si vedono nei film americani, con lunghe file di banchi che formavano dei settori circolari concentrici, e un grande schermo dietro alla scrivania riservata ai professori. 

Era quindi difficile che, pur avendo scelto l'ultima fila, Dana si sedesse proprio accanto a lui. E invece fu così. Lei si sedette a uno o due posti di distanza da Kevin, che soddisfatto sorrise sotto ai baffi. Non aveva un piano preciso, sapeva solo che doveva cercare di avvicinare Dana. Non poteva dirle che aveva perso la memoria, ma poteva tentare di farle ricordare qualcosa. Doveva però agire con grande discrezione e tatto. Aveva perso la memoria di quello che era successo prima di febbraio, ma sicuramente ricordava la scenata di un paio di giorni prima.

La lezione iniziò pochi minuti dopo. La professoressa, una donna dall'aria austera con occhiali dalla montatura sottile e i capelli corvini legati in una coda, fece il suo ingresso da una porta in fondo all'aula, collegò il suo portatile al proiettore e iniziò la spiegazione. Kevin non aveva la più pallida idea di quale fosse l'argomento della lezione, e nemmeno gli importava. Continuava a guardare Dana di sottecchi. Lei sembrava interessatissima, prendeva appunti febbrilmente, senza staccare un attimo la penna dal foglio. Lui non riusciva a distogliere lo sguardo. Era un anno che non la vedeva, ed aveva dimenticato quanto fosse bella. Aveva un viso piccolo, a forma di cuore, con due occhi di un verde chiarissimo, quasi trasparente, piccoli e vivaci, le ciglia lunghissime; il naso era piccolo, dritto e quasi perfetto, tranne per una leggera infossatura alla radice, e le labbra carnose avrebbero fatto invidia a qualsiasi modella. In quel momento, concentrata sulle parole della docente, Dana era ancora più bella. La passione che metteva nei suoi studi era palpabile, si poteva quasi toccare. Al liceo, non era mai stata la prima della classe. Non che Kevin ne sapesse un granchè, non erano stati compagni di classe; ma parlavano sempre delle loro carriere scolastiche. E lei il liceo non lo amava. Aveva una media più che dignitosa, ma non era il massimo che potesse ottenere. 

L'università era chiaramente qualcosa di diverso, per lei. Non staccava mai lo sguardo dalla professoressa e sembrava quasi sorridere mentre ascoltava. Kevin vedeva in lei la stessa passione che lui metteva nei suoi studi di lettere. Gli tornò in mente uno dei motivi per cui un tempo aveva amato Dana: era una ragazza incredibilmente passionale, quando qualcosa contava davvero per lei. 

Decise che era il momento di agire. Gli dispiaceva interrompere quel momento di concentrazione quasi sacra, ma non aveva fatto quel viaggio per nulla. Silenziosamente, scivolò lungo i due sedili che lo separavano da lei, portandosi dietro il quaderno per fare scena, e pensò al modo più stupido che potesse immaginare di iniziare una conversazione.

-Ehi, scusa- mormorò. Lei spostò lo sguardo su di lui, senza smettere di scrivere. Kevin rimase sorpreso. Stava ancora prendendo appunti, senza guardare.

-Sì?

-Ehm...io...dove posso trovare queste slide? Ho saltato qualche lezione.

Lei gli sorrise come si fa con un bambino che dice una stupidaggine. Aveva smesso di scrivere. 

-Sull'intranet di ateneo, come tutte le altre slide. 

-Oh, ehm...come si accede?

Lo guardò accigliata. -Siamo al secondo semestre, nessuno ti ha ancora spiegato come entrare sull'intranet? Gli esami del primo semestre come li hai prenotati, scusa?

Lui si sentì avvampare. Di tutte le domande, aveva scelto la più cretina. Bravo, Kevin, sei davvero una volpe. 

-Ehm...ecco io...

-Aspetta!- esclamò lei. Lui saltò sulla sedia, come probabilmente fecero una decina di persone seduti nei banchi vicino ai loro -tu sei il pazzo del bar! Quello che ha tirato un pugno a Thomas!

Lui sfoderò un sorriso imbarazzato, accompagnato da uno sguardo colpevole. Lei lo stava crocifiggendo con gli occhi.

-Sì, sono io...però...

-Le slide chiedile a qualcun altro. Ciao.

Afferrò la borsa e il quaderno degli appunti, e si spostò diversi posti più in là, scavalcando diversi altri studenti. Kevin la vide sedersi e ricominciare diligentemente a prendere appunti. Lui si lasciò cadere contro lo schienale, picchiandosi la fronte col palmo di una mano. Da dove gli era uscita quella pessima idea? Dana non avrebbe mai parlato con lui, era normale che non ne avesse alcuna voglia. Guardò le luci sul soffitto della grande aula, cercando di ricordare per quale motivo aveva deciso di saltare la sua preziosa lezione di filologia.

Io ci sarò finché tu avrai bisogno di me. 

Quella frase era stata la chiave di tutto. Era una promessa che lui le aveva fatto, e lui teneva sempre fede alle sue promesse. Dana aveva bisogno di lui. I suoi ricordi erano preziosi, e non poteva permettere che andassero perduti per sempre.

Forse il suo era solo orgoglio. Forse semplicemente non riusciva ad accettare di essere cancellato dalla memoria di una persona per cui aveva significato tanto, e che tanto aveva significato per lui. Non aveva nessuna importanza. Avrebbe recuperato Dana, la sua Dana, dal fondo della memoria che aveva perso. In un modo, o nell'altro. Quell'ostilità che lei ora provava nei suoi confronti, era solo un piccolo ostacolo. Avrebbe trovato il modo di aggirarlo. 

Aspettò che la lezione finisse, poi si alzò cercandola con gli occhi. Fece attenzione a non perderla di vista, e la seguì fuori dall'aula. Prese a gomitate diverse persone, facendosi spazio per raggiungerla. Quando fu dietro di lei, si fece coraggio.

-Ehi, aspetta!- esclamò -Dana!

-Come sai il mio nome?- sbuffò lei, senza degnarlo di uno sguardo.

-Me lo ha detto il tuo ragazzo.

-Carino. Sparisci, per favore.

Lei accelerò il passo, ma lui era comunque più veloce.

-Ehi! Senti, voglio chiederti scusa.

-Scuse accettate, ora dileguati.

Lui accelerò ancora e la superò, piantandosi davanti a lei.

-Puoi ascoltarmi un secondo, per favore?

Lei incrociò le braccia sul petto, scrutandolo con occhi ostili. -Mi spieghi perchè ti dai tanta pena per infastidirmi?

-Perchè sono stato maleducato, e voglio farmi perdonare.

-Scusa patetica, prova di nuovo.

Lui sospirò. -Dico sul serio. Ti avevo scambiato per un'altra, e ho dato di matto. Ero molto nervoso, avevo litigato con la mia ragazza e avevo i nervi a fior di pelle. Scusami. Posso offrirti un caffè per sdebitarmi?

Lei continuò a squadrarlo. Ci stava pensando. Kevin rimase lì immobile con il fiato sospeso. Alla fine, lei sciolse le braccia e si rilassò.

-A mezzogiorno ho il corso di antropologia. Ti do due ore.

Lui sorrise vittorioso. Primo ostacolo: superato. Le porse la mano.

-Ti ringrazio. Molto piacere, mi chiamo Kevin.

-Dana- disse lei ricambiando la stretta di mano.

-Ok Dana. Il bar dell'università dov'è?

Lei rise. -Ma tu sei di questo corso, almeno?

Lui alzò le mani. -Beccato. No, non sono di questo campus.

-Non ci starai mica provando?

-Ti giuro di no.

Dana gli rivolse uno sguardo poco convinto ma divertito, poi gli fece cenno di seguirla e lo guidò al bar del campus, che si trovava al primo piano di quell'edificio. C'era una gran folla di studenti, ma Kevin riuscì comunque ad accaparrarsi un tavolino per lui e Dana. 

-Aspetta un secondo- le disse, e si fece largo fino al bancone. Ordinò un caffè per lui e un cappuccino con latte di soia per lei. Sapeva benissimo che era la sua bevanda preferita. Era un dettaglio che non aveva dimenticato. Prese le loro ordinazione, e cominciò a spintonare nella direzione opposta per tornare al bar.

-Ecco qui- esclamò, poggiando la tazza davanti a lei e sedendosi sulla sedia libera.

-Come sapevi che volevo questo?- chiese lei, sorpresa.

-Chiamiamolo intuito.

Lei era un po' perplessa, ma non sollevò altre obiezioni. Si limitò a zuccherare il suo cappuccino e a sorseggiarlo con cautela. 

-Allora Kevin...- disse poggiando la tazza sul tavolo -se non sei di questo campus, cosa studi?

-Lettere moderne, terzo anno.

-Interessante. E cosa ti porta qui?

Mayday, mayday. Non aveva pensato a una risposta convincente a quella domanda. Rischiava di passare per uno stalker. Ok, un po' lo era...ma non per i motivi inquietanti che lei avrebbe certamente pensato.

-Un mio amico frequenta il corso, è a casa per malattia e mi ha chiesto di prendere appunti per lui.

Dana non sembrava convinta. -Non ha amici del suo corso a cui chiedere questo favore?

-No, è un ragazzo molto solitario...io gli faccio volentieri questo favore, tanto ho chi mi passa gli appunti in facoltà.

Lei sorrise e fece spallucce. Pericolo scampato. 

-Sei gentile e saltare le tue lezioni per lui.

-Nah, a me non costa nulla.

-A parte i biglietti del treno.

-A parte quello.

Dana rise. Era una risata musicale, bellissima. Kevin cercò di scacciare quel pensiero leggermente inappropriato. Era lì per recuperare i ricordi di un'amica, non per innamorarsi di lei. Pensò con tutte le sue forze a Marisa. Ricorda chi è il tuo centro, si disse.

Ci fu un momento di silenzio.

-E tu...perchè studi psicologia?

La risposta ci mise un po' ad arrivare. -Perchè la mente delle persone è affascinante. Nasconde tanti misteri, segreti, cose che ancora non siamo riusciti a decifrare. E io vorrei scoprirli tutti. I segreti, i misteri...quello che si nasconde nel buio più profondo della mentre di una persona.

Kevin sentì una stretta al cuore. Se solo Dana avesse ricordato cosa si nascondeva nel buio della sua mente...bevve l'ultimo goccio di caffè, e le sorrise.

-Non pensi che sia una pretesa un po' irrealistica? Quella di conoscere ogni risvolto della mente umana?

-Sì, forse. Provare però non costa nulla.

- E se invece fosse giusto lasciare qualcosa di non ancora rivelato? Qualcosa di nascosto? La conoscenza assoluta a volte non è un bene.

Lei si incupì. La conosceva abbastanza da sapere che quell'espressione era segno che stava riflettendo su qualcosa.

-Sì, può darsi che tu abbia ragione. Eppure l'amore per la conoscenza e la scoperta è ciò che fa evolvere l'uomo.

-Stai facendo considerazioni filosofiche? Questo è il mio campo.

Lei sorrise beffarda. -Non studiavi lettere moderne?

-E dov'è la differenza?

-Esiste una facoltà apposta per filosofia.

-A me piace interessarmi a diverse cose.

Senza accorgersene, si erano sporti entrambi sul tavolo, avvicinandosi. Si stavano guardando negli occhi da meno di cinque centimetri di distanza. Ci volle un po', prima che entrambi se ne rendessero conto e tornassero a sedersi composti, cercando di nascondere il reciproco imbarazzo.

Dana cacciò un lieve colpo di tosse. Non era uno psicologo, ma sapeva che cercava di mascherare l'imbarazzo. -Comunque- disse -vorrei diventare psicologa anche perchè mi piace aiutare le persone. I problemi della psiche sono sottovalutati; a torto secondo me.

-Su questo concordo in pieno. Ti auguro di diventare una brava psicologa.

-E tu un bravo...cosa vuoi diventare?

-Un professore.

Lei spalancò gli occhi. -Interessante. Non ti ci vedo.

-Nessuno mi ci vede, ma ne riparleremo fra qualche anno. Sarò il più amato dei professori.

Scoppiarono a ridere insieme. Dana inclinò leggermente la testa, guardando Kevin da sotto le sue ciglia lunghissime e scure, con un lieve sorriso sulle labbra.

-Che strano...- mormorò -ho la sensazione di conoscerti da tempo...

E' così, Dana. Ricorda, per favore.

-Magari ci conoscevamo in un'altra vita.

Magari ci conoscevamo un anno fa. 

-Può essere...dove hai detto che vivi?

-In un paesino a mezz'ora di distanza dal mio campus.

-Oh. Io vivo in centro città. E' possibile che ci siamo davvero già visti?

Kevin ignorò il senso di pesantezza che aveva iniziato ad opprimergli lo stomaco.

-No- disse con un sorriso forzato -penso che ti ricorderesti di aver incontrato uno scemo come me.

 

Le due ore passarono velocemente, e dopo aver chiacchierato di vari argomenti, Kevin seguì Dana al corso di antropologia, e poi ai corsi del pomeriggio. Doveva tenere in piedi la recita dell'amico malato a cui servivano gli appunti. A fine giornata, chiese a Dana di lasciargli il numero di cellulare. Lo aveva già, ma lei non poteva saperlo. Lei accettò di buon grado. Si scambiarono i numeri di cellulare. Kevin ebbe un tuffo al cuore. Lui aveva già il numero di lei...ma lei aveva il suo. Trattenne il fiato, osservandola inserire il numero. Non successe niente. Salvò il contatto in rubrica e gli sorrise. Com'è possibile? Lo avrà cancellato Thomas?

-Hai cambiato cellulare di recente?- chiese tutto di un fiato.

-Sì- rispose lei -quello vecchio mi era caduto in un laghetto. Ridicolo lo so. Come mai me lo chiedi?

-Oh, ehm...quel modello è molto recente.

-Lo so, me lo sono accaparrato il giorno stesso in cui è uscito- cantilenò soddisfatta. -Ok Kevin, ora devo tornare a casa. E' venuto a prendermi il mio ragazzo in auto. Ti saluto.

-Ciao Dana.

-Ciao.

La guardò andare via. Il mistero del numero era risolto. Con un sospiro, Kevin raccolse il suo zaino e si incamminò fuori dall'edificio e verso la stazione. Si sentiva strano. Da una parte era felice di essersi conquistato la simpatia di Dana -di nuovo. Dall'altra, non pensava che parlare con una persona che conosci bene fingendo che sia una sconosciuta fosse così difficile. Faceva male. Nonostante ciò, non intendeva mollare. Dana era diversa da come la ricordava. Più solare, più allegra, più leggera. Sorrideva molto di più. Sapeva di dover ringraziare Thomas per questo. Per lui però era solo un motivo in più per non mollare. Quello era solo un piccolo passo. Ripensò alle parole che aveva detto.

Strano...ho la sensazione di conoscerti da tempo.

Kevin si fermò in mezzo alla strada e calciò rabbiosamente una lattina di Cola che si trovò davanti, spedendola così lontano che la perse di vista. Alzò gli occhi verso il cielo, che era già scuro. Non si era reso conto di quanto fosse tardi, probabilmente era già ora di cena. Infilò una mano in tasca e frugò in cerca del cellulare. Chiamò sua madre avvisandola che avrebbe tardato a cena. Poi, chiamò l'unica persona al mondo che era in grado di sollevarlo da tutti i suoi problemi. Compose il numero, e aspettò qualche squillo. Una voce melodiosa con un vago accento spagnolo risuonò nel suo orecchio, facendolo sentire subito meglio.

-Pronto?

-Ehi, amore...

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Capitolo 5
*** Quarto. ***


Kevin stava fissando il soffitto della sua stanza da un'ora, ormai. Non sapeva cosa fare, quindi se ne stava lì inerte a tentare neanche troppo disperatamente di farsi venire in mente qualcosa. Erano le sette di sabato mattina, e non aveva lezioni. I suoi amici non erano disponibili, e Marisa andava ancora al liceo quindi era in classe. 

Si sentiva solo e annoiato, nella penombra della sua stanza. In casa c'era silenzio totale, persino genitori e fratelli lo avevano lasciato solo. Sbuffò sonoramente, trovando da qualche parte la forza di alzarsi e trascinarsi in bagno per farsi una doccia. Il getto di acqua calda lo fece sentire un po' meglio, riattivando i neuroni che ancora erano immersi nel sonno. Rimase lì sotto per un po', godendosi il calore e la sensazione di rilassamento. 

Improvvisamente, ebbe un'idea. Non aveva più sentito ne visto Dana, dopo quel lunedì. Nei giorni seguenti, aveva avuto parecchi impegni. Lezioni, amici, Marisa. Non si era dimenticato di lei, però. Più di una volta si era rigirato il telefono tra le mani, con la chat con lei aperta e il messaggio "ciao" già digitato, senza il coraggio di inviarlo. Continuava a chiedersi cosa le avrebbe detto, e cosa avrebbe pensato lei. Non voleva darle l'impressione di essere interessato in altri sensi. Le aveva parlato della sua ragazza; ma di ragazzi infedeli era pieno il mondo e Dana probabilmente lo sapeva. Sicuramente lo sapeva, perchè quando lui era partito per l'Erasmus non aveva fatto altro che ripeterglielo e urlarglielo in faccia per giorni. Quindi, la fidanzata non era garanzia di nulla. Doveva stare attento a non farle pensare che ci stesse provando con lei, anche perchè non era assolutamente vero, e non sapeva come fare.

Quel sabato mattina, però, Kevin era annoiato abbastanza da tirare fuori più coraggio del solito. Non che fosse mai stato un codardo, ma quella situazione con Dana lo mandava in tilt. Non sapeva più come comportarsi con lei. Decise comunque che nella vita bisogna rischiare, in fondo lo aveva già fatto più che in abbondanza presentandosi in quell'aula il lunedì precedente, per cui uscì dalla doccia, si infilò un accappatoio di spugna beige, e slittò in camera sua con un asciugamano sotto i piedi ancora bagnati per recuperare il suo cellulare.

Decise di non mandarle messaggi. Una telefonata forse era più appropriata. Quindi, cercò il contatto in rubrica e ci cliccò sopra per far partire la telefonata. Dovette attendere solo tre squilli, prima di udire la voce assonnata di Dana dall'altra parte della linea.

-Pronto?

-Ehi, sono Kevin. Dormivi, ti disturbo?

-Ehi, ciao. Sì, dormivo ma no, non mi disturbi. Che succede?

Non si era preparato un discorso, quindi andò un po' a improvvisazione. Sperava che la sua richiesta non le suonasse strana o fuori luogo.

-Ecco, il fatto è che stamattina mi hanno abbandonato tutti, e sono molto molto annoiato. Che ne diresti di, che so, fare colazione insieme?

La sentii ridacchiare. Sperò intensamente di non aver fatto una pessima figura.

 -Quindi sono tipo l'ultima scelta?

Ecco, speranza sbriciolata. -No, figurati, è che...

-Stavo scherzando- esclamò lei ridendo -ci siamo appena conosciuti, se fossi così permalosa risulterei un po' stupida.

-Oh, ok...ci sono cascato, lo confesso. Quindi...che ne dici? Ci stai?

-Mhh...- rimase in silenzio qualche secondo, durante i quali Kevin si dimenticò quasi di respirare. -Ok, ma devi giurarmi che non ci stai provando.

Ecco, appunto. 

-Non ci sto provando, giuro. Solo mi stai simpatica, mi piace farmi amici nuovi, e sono solo e annoiato. Vedila come una buona azione caritatevole nei confronti di un povero ragazzo sfortunato.

Dana ridacchiò ancora, e Kevin sperò intensamente che non lo trovasse ridicolo e penoso. 

-Va bene, andata. Dammi il tempo di prepararmi e saltare in macchina e sono lì. Dove ci vediamo?

-No tranquilla, ti raggiungo io.

-Non esiste. Mi piace stare lontana dal centro, ogni tanto. Quindi, luogo?

-Ti mando le indicazioni su Whatsapp?

-Va bene. A dopo, allora.

-A dopo. Grazie.

-Sì, di niente.

La sentii soffocare una risata, e la connessione si interruppe. Kevin tirò un sospiro di sollievo. Le mandò le indicazioni per raggiungerlo, poi tornò in bagno slittando sul suo asciugamano che ormai aveva cambiato colore. Qualcuno doveva decidersi a pulire quel pavimento.

In bagno, si fermò davanti allo specchio. Ogni volta che guardava il proprio riflesso, si domandava cosa ci trovassero le ragazze in lui, specialmente quelle bellissime come Dana e Marisa. Non che fosse un brutto ragazzo, ma era anonimo. Aveva dei semplici occhi castani, scuri e profondi ma banali come la Nutella sul pane; i capelli erano altrettanto castani e altrettanto noiosi e il viso spigoloso e dall'aria perennemente seria e quasi imbronciata gli dava un'aria da teppista che era talmente clichè da essere scontata. A Kevin non piaceva giudicare le persone dall'aspetto, ma lui sembrava veramente un teppista. Marisa diceva che aveva un sorriso stupendo, e che quando parlava con qualcuno o sorrideva assumeva un'aria dolcissima, e probabilmente era vero. Lui credeva a tutto quello che lei diceva. Nonostante questo, però, continuava a reputarsi carino ma scontato. 

L'unica cosa che amava di sè, esteticamente parlando, era il fisico. Era alto, asciutto, e leggermente muscoloso. Ci aveva lavorato parecchio per renderlo tonico, definito e piacevole alla vista, ed era soddisfatto. 

Distolse lo sguardo dal suo riflesso e afferrò spazzolino e dentifricio, poi si sistemò i capelli con un po' di cera, abbandonò l'accappatoio sul gancio accanto al box doccia, e tornò nudo in camera sua. Gli piaceva la sensazione che provava girando per casa senza vestiti, si sentiva libero. Dovette però rinunciarvi presto perchè Dana ci avrebbe mezzo poco ad arrivare, quindi si sbrigò a tirare fuori dall'armadio boxer, calzini, dei jeans grigi e una t-shirt bianca semplice, e si rivestì. Indossò una giacca di pelle nera e delle scarpe bianche, afferrò cellulare, portafogli e chiavi e uscì di casa.

 

Quindici minuti dopo, era nella piazza principale del paese. Aveva deciso di non portare Dana nel bar dove si erano incontrati quasi una settimana prima, che si trovava un paio di isolati più  in là. Il locale che aveva scelto, Dana lo aveva già visto. Ci erano andati insieme più di una volta, quando stavano insieme. Kevin sperava che quel posto facesse scattare qualche interruttore nella sua memoria. 

Lei arrivò poco dopo, sulla sua Volkswagen bianca. Indossava dei leggins neri di pelle, una t-shirt bianca e una giacchetta di lana rossa che le ricadeva lungo i fianchi. Si era arricciata leggermente i capelli, e stava benissimo. 

-Ehi- lo salutò con un sorriso. 

-Ciao, tutto ok?

-Tutto ok. Ho fame, dove andiamo a fare colazione?

-Lì- indicò il bar che si trovava alle sue spalle -seguimi. 

Raggiunsero il locale e si sedettero a un tavolino esterno. L'aria era piuttosto calda per la stagione, quindi si stava bene. Un cameriere li raggiunse prima ancora che potessero accomodarsi, e ordinarono un latte macchiato, un cappuccino e quattro brioche al cioccolato.

-Come fai a essere così magra se mangi così?- la punzecchiò Kevin.

-Mi alleno tanto- rispose lei con una scrollata di spalle.

-Spero che ti piacciano le paste. Secondo me, qui hanno le migliori di sempre.

-Sì, è vero, sono buonissime.

Kevin sgranò gli occhi, mentre Dana si rendeva conto di quello che era uscito dalla sua bocca. Lei lo fissò con espressione vuota, come se si aspettasse che fosse lui a spiegarle cosa fosse successo.

-Eh?- disse Kevin. Non gli uscì nulla di più intelligente. 

-Io...

-Sei già stata qui?- chiese lui. Si sentiva euforico. Quella piccola frase detta senza pensare poteva essere un segno che il suo piano stava funzionando?

-No...cioè non credo. Non ricordo di essere mai venuta in questo posto. Devo aver parlato senza pensare.

Kevin sentì un po' di delusione emergere. Forse aveva davvero parlato senza pensare...scacciò quella sensazione, e si costrinse a sorridere; mentre il cameriere tornava con le loro ordinazioni.

-Allora!- esclamò, zuccherando il suo latte macchiato -il tuo ragazzo, dov'è?

-Lavora in un ristorante come cameriere. Il sabato esce sempre presto per andare a lavoro.

-Sono le otto, i camerieri iniziano più tardi di solito.

-Infatti, lui arriva lì alle dieci. Probabilmente ora dorme ancora.

Lei addentò la pasta, ed emise un mugolio di piacere. -Ok, sono buonissime, avevi ragione.

-Visto? Comunque, vi vedete spesso?

-Dorme da me tutte le sere, tranne quando sua madre lavora. E' infermiera, a volte ha il turno di notte e lui deve stare con la sorellina. 

-State insieme da tanto?

-Circa sette mesi.

Kevin fece un calcolo mentale. Doveva aver conosciuto Thomas nello stesso periodo in cui lui aveva conosciuto Marisa. Il destino era stato piuttosto chiaro: strade separate.

-La tua ragazza, invece? Come si chiama?

-Marisa. Stiamo insieme da sei mesi.

-Nome particolare.

-E' spagnola. Cioè, di genitori spagnoli.

Dana sgranò gli occhi. -Oh, bello! Beata lei, la spagna è un paese bellissimo.

-Lei è bellissima...- mormorò Kevin senza rendersene conto. Alzò gli occhi e vide Dana sorridergli dolcemente.

-Sei innamorato cotto, eh?

-Direi proprio di sì...- gli sfuggì una risatina nervosa, di cui non riuscì a capire il motivo.

Finirono di fare colazione, poi pagarono il conto e si avviarono lungo le vie del paesino, passeggiando tranquillamente.

-Non c'è granchè qui- si scusò Kevin -è un posto noioso.

Dana scosse la testa. -A me piace. A volte proprio non riesco a sopportare il caos del centro città. Fa venire mal di testa.

Kevin annuì. Le strade erano stranamente deserte, probabilmente in molti lavoravano. 

-Ehi, Dana.

-Sì?

-Ti piacciono i cigni?

Lei spalancò gli occhi. -Sì, molto, perchè?

-Qui vicino c'è un parco con un laghetto in cui c'è qualche cigno. Ti va di vederli?

Lei sfoderò un sorriso entusiasta e annuì con vigore. Lui rise e le fece cenno di seguirlo. Il parco di cui le aveva parlato era poco distante, e riuscirono a raggiungerlo in pochi minuti. C'era tanta tranquillità, il sentiero che si snodava tra i prati perfettamente tagliati era deserto, e l'ombra degli alberi riparava dal sole che quel mattino aveva deciso di picchiare più forte del solito. Kevin e Dana passeggiarono in silenzio, godendosi la tranquillità di quel posto.

Kevin era sovrappensiero. Una cosa di Dana non era mai cambiata: con lei si sentiva a proprio agio. Era facile parlare con lei, veniva naturale come respirare. Era sempre stato così, loro due avevano sempre avuto una connessione particolare e, forse, inscindibile. Si stava rendendo conto che l'amore verso altre persone e l'amnesia non erano riusciti comunque a cancellare quel legame speciale che avevano. E questo lo metteva a disagio. Continuava a pensare a Marisa. Non credeva di farle un torto, passando del tempo con Dana. Lui lo faceva soltanto per aiutarla a recuperare la memoria. Eppure...

-Ehi, eccolo!

Si rese conto che avevano raggiunto il laghetto, e Dana corse in quella direzione con un grande sorriso in volto. Kevin rise e la seguì. 

-Sono carinissimi!

-Visto? Te l'avevo detto.

Quello che non le aveva detto, era che lei ci era già stata, lì. Al loro secondo appuntamento. Lui le aveva rivolto la stessa domanda di poco prima, e lei aveva avuto la stessa reazione. Ed entrambe le volte, Kevin l'aveva osservata ridendo mentre lei tentava di accarezzare la testa dei cigni.

-Attenta che beccano.

-Sei un fifone! Sono animali dolcissimi non capisci niente.

Lei rideva, continuando a giocare. A volte sembrava una bimba troppo cresciuta, e a lui piaceva. 

-Mayday, mayday, the ship is lowly sinking...

Dana aveva iniziato a canticchiare, interrompendo i pensieri di Kevin. Se ne stava poggiata alla recinzione che circondava il laghetto, facendo ciondolare un braccio sopra l'acqua e cantando. Kevin si unì a lei.

-They think I'm crazy, but they don't know the feeling...

-They're all around me, circling like voltures...

-They wanna break me and wash away my colours...wash away my colours...

-Take me high and I'll sing, oh you make everything ok, ok, ok

-We are one in the same, oh you take all of the pain away, away, away

-Save me if I become...my demons...

Dana smise di cantare e si voltò verso Kevin. Lui la guardava basito.

-Conosci questa canzone?- le chiese.

-No...cioè, a quanto pare sì...ma non ricordo il titolo o l'autore, e nemmeno di averla mai sentita.

Kevin deglutì sonoramente. Lui sapeva benissimo titolo, autore, e sapeva che lei l'aveva sentita. La prima volta che l'aveva portata in quel parco, si era portato dietro una chitarra. Lei stava giocando con i cigni come in quel momento, mentre lui le cantava quella canzone accompagnandosi con la chitarra. Lei si era quasi commossa. Aveva chiesto il titolo della canzone, l'aveva scaricata sul cellulare e l'aveva ascoltata a ripetizione per settimane, imparandone il testo a memoria. 

Per lui, quel momento fu la prova che non poteva mollare. Non doveva. Ci stava riuscendo, stava lentamente recuperando frammenti di memoria dalle profondità dell'inconscio di Dana. Si sentiva euforico, potente, invincibile. Era felice.

Sorrise come un bambino che aveva appena ricevuto il più bel regalo del mondo.

-Kevin...

-Sì?

-Posso dirti una cosa senza che tu mi prendi per pazza?

Si avvicinò a lei, sedendosi a terra a pochi centimetri di distanza da Dana che stava ancora in piedi.

-Certo, dimmi.

-Quando sono con te...sento una sensazione strana...come se fossi, non so, a casa. Non mi sembra affatto di stare con qualcuno che è poco più di uno sconosciuto. E' come se fossimo amici da tempo.

Lui dovette sforzarsi per nascondere il sorriso che gli stava spuntando in viso. 

-A volte capita, quando due persone sono sulla stessa lunghezza d'onda.

Lei arrossì violentemente e si affrettò a precisare quello che aveva detto.

-Non ci sto provando con te, sia chiaro.

-Non l'ho mai pensato. Per la cronaca, io non ci provo con te.

-Bene.

Ci fu un momento di silenzio.

-Però...

-Sì?

-Penso che potremmo diventare buoni amici, Kevin.

-Sono d'accordo, Dana.

Noi siamo buoni amici. Devi solo ricordartelo. 

Lei tenne per un po' lo sguardo perso nel vuoto. Era calato il silenzio, ma non era un silenzio pesante o imbarazzante. Era il silenzio di due persone che non hanno bisogno di parole, per stare insieme. Il silenzio di due persone che condividono un legame che supera qualsiasi incidente.

-Ehi, Kevin.

-Sì?

-Come continua la canzone? Non ricordo.

Lui sorrise e si schiarì la voce.

-I cannot stop this sickness taking over, it takes control and drags me into nowhere, I need your help I can't fight this forever, 

I know you're watching, I can feel you out there...

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Capitolo 6
*** Quinto. ***


Kevin aprì gli occhi e vide Marisa accanto a lui, ancora immersa nel sonno. Allungò una mano per accarezzarle una guancia, ammirando quello che per lui era lo spettacolo migliore del mondo. 
Lei, i suoi capelli scuri, quasi neri, lunghi e mossi, la pelle color caffè latte e le labbra carnose e definite che nascondevano una fila di denti perfetti e perfettamente bianchi, e sotto alle palpebre che in quel momento erano chiuse, due occhi neri come il carbone, che lui amava alla follia...avrebbe potuto ammirarla per giorni senza stancarsi. Aveva forme morbide e generose, che lui amava accarezzare dolcemente, seguendo con le dita il profilo di quel corpo che lo mandava fuori di testa.
Si avvicinò a lei e la strinse a se, chiudendo gli occhi. Poteva anche permettersi di riaddormentarsi, in fondo era un giorno di festa. Ogni domenica lo era, specialmente per loro.
Ogni sabato sera, Marisa aveva il permesso di dormire a casa di Kevin, e di passare l'intera domenica con lui. Durante la settimana avevano solo qualche ora da passare insieme, ma il weekend era solo per loro.
Provò a riprendere sonno abbracciato a lei, ma proprio in quel momento Marisa aprì gli occhi e mandò in fumo il suo intento.
-Amore...sei sveglio? 
Lui riaprì lentamente gli occhi per posarli su di lei, che lo guardava con un tenero sorriso. 
-Sì...buongiorno amore.
-Buongiorno. 
Si scambiarono un lieve bacio, e tornarono a stringersi forte. 
-Che vuoi fare oggi?- chiese Kevin mentre le passava le dita tra i capelli folti e spessi.
-Io direi di iniziare con la colazione. 
-Pancake e cioccolato con un caffèllatte?
-Ogni volta che lo dici ti amo un po' di più. 
Kevin rise e stampò delicatamente un bacio sulla fronte di Marisa.
-Posso mandare un messaggio a mamma col tuo cellulare? Non ho credito. 
-Sì certo. 
Di malavoglia ma con il sorriso, Kevin spostò le coperte e si alzò in cerca di pantaloncini e maglietta. 
-Amore. 
La voce di Marisa giunse alle sue orecchie con due toni in meno rispetto a poco prima. Si sentì un brivido correre lungo la schiena: non era un buon segno. 
-Dimmi. 
-Perché nel registro chiamate c'è il nome della tua ex?
Lui si voltò e la guardò confuso. Lei aveva gli occhi puntati sul cellulare di Kevin, che stringeva tra le mani. 
-La mia ex?- chiese, col tono di voce di chi davvero non sta capendo.
-Dana. L'hai chiamata ieri. 
Kevin si era quasi dimenticato che Dana fosse una sua ex. La considerava un'amica; ma sapeva bene che agli occhi di Marisa lei sarebbe sempre stata una ex e dunque una rivale. Per questo motivo non le aveva parlato di quello che era successo a Dana o di quello che lui cercava di fare; e per lo stesso motivo in quel momento doveva fingere e negare come se ne andasse della sua vita. Il che non era troppo lontano dalla realtà.
-Perché guardavi il registro?
-Cercavo il numero di mamma. Rispondi. 
Kevin cercò rapidamente una scusa. Si sentiva come se avesse una pistola puntata in testa. 
-Volevo chiamare Daniel, ho sbagliato numero.
Scusa patetica, ma non aveva altre idee. Per un minuto, Marisa non disse nulla, facendo quasi morire Kevin di ansia.
-La prossima volta fai più attenzione per cortesia. Sia mai che quella si faccia idee strane. 
Marisa si alzò stizzita dal letto e si avviò verso il bagno ondeggiando fianchi e capelli.
Non appena scomparve dietro la porta, Kevin tirò un sospiro di sollievo. L'aveva scampata, anche se in verità non aveva fatto nulla di male. Finì di vestirsi, e andò in cucina. 
Mentre faceva la pastella per i pancake, Kevin rifletteva su quello che stava facendo. Non si sentiva in colpa per aver visto Dana senza dire niente a Marisa. Lui stava cercando di raggiungere uno scopo, e quello scopo non era portarsi a letto Dana, quindi non pensava di doversi sentire in colpa. Sapeva che a Marisa avrebbe dato fastidio, ma la sua ragazza era assurdamente gelosa e possessiva e lui spesso tendeva ad ignorarla e a fare comunque di testa sua. Senza dirle niente. Era scorretto, ma lei sapeva essere più opprimente di una stanza con le pareti che si stringono. E Kevin era uno spirito libero, che persegue sempre ciò che ritiene giusto.
E avrebbe continuato a farlo.

A interrompere i suoi pensieri fu una visione. Marisa comparve in cucina con i capelli raccolti in una crocchia disordinata, dei pantaloncini sportivi che erano praticamente mutande e una canotta aderente piuttosto corta. Kevin era sicuro che lì sotto non ci fosse nulla. E improvvisamente perse interesse per i pancakes, o per la moralità dei suoi incontri con...come si chiamava? Era troppo preso da quello che aveva davanti agli occhi. 
-Beh, che c'è?- chiese Marisa, notando lo sguardo di lui. La guardava con gli occhi di un cacciatore che ha avvistato la preda.
-Sei incredibilmente sexy, amore. Un giorno di questi finirai per uccidermi.
Lei sorrise, un sorriso furbo e divertito, e si avvicinò a lui poggiando una mano sul suo petto, e scendendo lentamente verso il basso.
-Allora è una fortuna che i tuoi siano usciti per il weekend...abbiamo tutta la casa per noi...
Kevin non aspettava altro. Senza farselo ripetere due volte, lasciò perdere la colazione e si lanciò su Marisa con la furia di un leone che si getta su una gazzella. 
Solo che Marisa non era una gazzella. Era una leonessa. 
Fecero l'amore per ore, senza sosta, instancabili, con la passione irrefrenabile che solo chi si ama può avere. 
Anche se Kevin continuò a chiedersi dall'inizio alla fine per quale motivo Marisa improvvisamente somigliasse così tanto a Dana.

Tre ore dopo, erano troppo stanchi e si era fatto troppo tardi per i pancake. 
Kevin e Marisa si infilarono insieme sotto la doccia, continuando a ridere, baciarsi e stuzzicarsi; poi si vestirono e uscirono per andare a pranzo in qualche ristorante. Decisero di fare una cosa che raramente facevano: andare in città. Ci vollero venti minuti di viaggio in auto e altri venti per trovare parcheggio, ma finalmente all'una e mezza riuscirono a mettere piede in un ristorante che prometteva piuttosto bene.
Li accolse un cameriere alto ma davvero brutto, con uno sfogo d'acne impressionante nonostante avesse sicuramente più di trent'anni e i capelli stempiati e radi. 
-Buongiorno...un tavolo per due? 
Il cameriere fece cenno di seguirlo e sistemò Kevin e Marisa in un tavolo accanto alla finestra. Da lì, potevano vedere le persone passare, e godersi il sole di quella domenica di primavera. 
-Buongiorno, ecco i menù. 
La voce del cameriere era stata rimpiazzata da una limpida e cristallina, e una mano esile e candida porse alla coppia due menù rilegati in finta pelle e incisi con cura sul frontespizio con il nome del locale. 
Kevin alzò lo sguardo, seguendo il braccio che gli tendeva i menù, e incrociò quello di Dana. 
Oh cazzo
Rimase immobile, senza quasi respirare. In una frazione di secondo, valutò situazione e possibilità pensando a come salvarsi la pelle. Dana lo avrebbe salutato. Avrebbe fatto capire che si sentivano, o che si erano visti. Certo, lei non ricordava di essere una sua ex e quindi non poteva sapere che avrebbe scatenato le ire di Marisa; quindi non aveva colpa. Kevin però si sforzò comunque di pensare a un modo di evitare danni permanenti, pensando a come farle capire di non dire nulla senza che Marisa se ne accorgesse. Fortunatamente, quest'ultima non sembrava averla riconosciuta, quindi c'era ancora una possibilità. 
Dana non disse niente per qualche secondo e per Kevin furono secondi di puro terrore. Stava lì con il sorriso sulle labbra, porgendogli i menù. 
-Grazie!- esclamò Marisa prendendoli, e passandone uno al ragazzo. E Dana si voltò, e se ne andò. 
Kevin rimase sorpreso. Non aveva detto una sola parola. Perché? 
E soprattuto...da quando lei era cameriera in un ristorante?
Con tutti i locali che esistono, dovevo scegliere proprio questo!
Si maledisse silenziosamente, e cominciò a sfogliare il menù facendo finta di nulla.
Dana tornò qualche minuto dopo, con un grande sorriso. Kevin si chiese se fosse spontaneo o se stesse solo cercando di essere cortese. 
-Pronti?- domandò lei. 
-Sì- rispose Kevin. -Per me una grigliata mista, per favore. 
-Niente primo? 
-No, ti ringrazio. 
-Ok. La signorina? 
-Lo stesso, grazie. 
-Ok...da bere?
Ordinarono una bottiglia di vino rosso. Non si fecero troppi problemi a sceglierlo, non erano due intenditori. Dana annotò tutto e si allontanò con un sorriso portando via i menù. 
-Amore, quando hai fatto vieni qui un secondo per favore. 
Kevin cercò la fonte di quella voce. Dalla porta della cucina, a distanza di alcuni tavoli da loro, vide sbucare Thomas, vestito da cameriere. Lui spostò lo sguardo nella sua direzione, e Kevin potè giurare di aver visto un lampo di odio puro guizzargli negli occhi. Lo scrutò per qualche secondo, poi sparì nuovamente nella cucina. 
Kevin cercò di non pensarci, e tornò a concentrarsi su Marisa. Lei gli sorrideva radiosa. Era una cosa che amava di lei: non perdeva mai il sorriso. Era sempre solare, sempre allegra, sempre dolcissima. Lo faceva sentire bene. 
-Che hai?- chiese lei. 
-Perché? 
-Hai un'espressione strana. Sembri preoccupato. 
-No amore, ho solo fame. 
Lei rise, e si illuminò ancora di più. 
-Pensi sempre a mangiare! 
-Da che pulpito! 
Marisa gli fece la linguaccia e rise, alzando una mano per scostarsi i capelli dal viso. Era un gesto che faceva spesso, lui lo aveva notato tante volte. Notava ogni minima cosa di lei. Come si scostava i capelli dal viso, come gli occhi diventavano piccoli e luminosi quando rideva, come teneva un braccio steso sotto il tavolo e l'altro piegato con il gomito poggiato sulla tovaglia e la mano intrecciata nei capelli mentre lo guardava, con un lieve sorriso in volto. Notava ogni cosa, e non ce n'era una che non gli piacesse. 
-Ti amo. 
Le parole gli erano uscite istintivamente dalle labbra. Loro non pronunciavano quella frase spesso, preferivano dimostrarselo. A volte però, sentiva che se non lo avesse detto il cuore gli sarebbe esploso. 
Lo sguardo di lei si addolcì. -Ti amo anche io, Kev.
Il loro momento idilliaco fu interrotto da Dana, che tornò al tavolo con la bottiglia che avevano ordinato e due calici.
-Ecco a voi- disse.
-Grazie. Scusa, il bagno dov'è?
Kevin aveva l'abitudine di andare in bagno prima di mangiare, se non altro per lavarsi le mani. Un'abitudine che molti suoi amici consideravano "da donna", ma che a lui era stata inculcata fin da bambino da sua madre. 
-Vicino alla cucina, dietro quella parete. 
La porta della cucina si trovava alle spalle di Marisa, in una parte del muro rientrante rispetto al resto della sala, proprio sulla parete che faceva angolo. Kevin ringraziò, si scusò con Marisa e si alzò per dirigersi verso il bagno. Quando fu davanti alla porta, la aprì ed aspettò sull'uscio che Dana tornasse verso la cucina. Non dovette aspettare molto. Quando fu davanti a lui, la fermò con un sussurro. 
-Ehi.
Lei si voltò, con già un piede nella cucina.
-Sì?
-Grazie. 
-Per cosa? 
-Per aver finto di non conoscermi. 
Lei ridacchiò. -Tranquillo, so che la tua ragazza è molto gelosa. Anche Thomas lo è a volte.
Lui rise, poi la lasciò tornare al suo lavoro e si infilò nel bagno. 
Mentre apriva il rubinetto dell'acqua, improvvisamente si congelò.
So che la tua ragazza è molto gelosa.
Come faceva a saperlo? Lui non le aveva detto niente, o meglio lo aveva fatto, ma prima che lei perdesse la memoria. 
Ci pensò per qualche secondo, poi scrollò le spalle, pensando che probabilmente era solo un caso.
Finì di lavarsi e asciugarsi le mani, lasciando perdere quella piccolezza. 
Di colpo, la porta del bagno si aprì. 
-Ehi, tu!
Una voce maschile profonda e piuttosto rabbiosa gli perforò le orecchie. Kevin si voltò a guardare chi avesse parlato, e incontrò lo sguardo celeste e infuriato di Thomas. 
-Sì?- disse, cercando di sembrare tranquillo. Non aveva mai considerato l'eventualità che il ragazzo di Dana venisse a sapere qualcosa e potesse essere contrariato, ma in quel momento gli sembrò essenziale prenderla in considerazione. 
-Che fai qui?- ringhiò Thomas, senza perdere il contatto visivo con Kevin.
-Mangio? Tu che dici? 
-Mangi? Mi prendi per il culo? 
-Non posso uscire a pranzo con la mia ragazza? 
Sul volto di Thomas comparve un ghigno. 
-Senti, non sono stupido. Dana mi ha raccontato che vi siete visti. 
-Cos'è, sei geloso? 
-No, sono incazzato. Ti avevo detto di lasciarla in pace. Cos'è, sei andato nella sua facoltà apposta per vederla? 
Kevin sgranò gli occhi. La scusa dell'amico aveva funzionato con Dana, ma evidentemente non funzionava con Thomas. 
-Sì è così- ammise, non riuscendo a inventarsi niente di meglio. Vide Thomas contrarre la mascella, sembrava si stesse sforzando di non saltargli al collo. 
-Chiariamo subito una cosa: non voglio più sentirti nominare, quindi sparisci. Eri scomparso prima dell'amnesia, scompari di nuovo. Non capisco neanche cosa tu abbia nel cervello, ma non mi importa. Limitati a sparire e basta. 
Kevin si sentì ribollire, ma decise di mantenere la calma. Quello non era né il posto né il momento giusto per una rissa. 
-Altrimenti?- cantilenò, incapace di contenere del tutto la propria indole da provocatore. 
-Altrimenti andrò a farmi una bella chiacchierata con la tua ragazza, e poi ti gonfierò di botte. 
Kevin digrignò i denti. -Lascia in pace la mia ragazza. 
-E tu lascia in pace la mia. 
Colpito e affondato. Kevin uscì dal bagno a grandi passi, aggirando Thomas. 
Si sentiva un'idiota. Cosa stava facendo? Stava rischiando di rovinare due rapporti felici, e per che cosa? Per orgoglio, per una sua fissazione personale. Non ne valeva la pena. Nei pochi passi che lo separavano da suo tavolo, Kevin decise che avrebbe lasciato perdere Dana, e la sua memoria. 
Si sedette al tavolo con un sorriso, e promise a se stesso che da quel momento, non avrebbe pensato a nessun'altra ragazza che non fosse Marisa.

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Capitolo 7
*** Sesto ***


Si sa che il compito della notte è portare consiglio, e sebbene pensasse di non averne alcun bisogno, di aver già preso la sua decisione definitiva, quella notte Kevin fu comunque tormentato da un'insonnia feroce. Si sentiva un peso sullo stomaco, qualcosa di opprimente che non voleva lasciarlo respirare, o riposare. Come se non fosse bastato, non arrivò nessun consiglio, solo altre domande. Continuava a rigirarsi tra le lenzuola in quel letto che gli sembrava troppo grande per una persona sola, al buio totale, pensando a Dana e a Marisa, e a Thomas. Si malediva per il suo essere così incredibilmente stupido e orgoglioso, e malediva il sonno che continuava ad evitarlo. 

Le parole di Thomas gli martellavano nel cervello. Sapeva bene che aveva ragione lui, che intromettendosi nella vita di Dana rischiava solo di provocarle problemi con il suo ragazzo e renderla infelice; oltre al fatto che Marisa avrebbe potuto scoprire tutto e lasciarlo. E lui non voleva rimanere solo. Marisa era troppo importante, e Kevin non riusciva a perdonarsi per aver perso di vista quello che davvero contava nella sua vita, anche se per un solo secondo. Sapeva che Thomas amava Dana sinceramente; così come sapeva che la sua unica stella polare era quella bellissima ragazza spagnola che da sei mesi illuminava a giorno la sua vita buia, ed era certo di aver preso la decisione giusta.

E allora, cos'era quell'inquietudine che non lo lasciava dormire? 




Alle cinque del mattino, non era ancora riuscito a chiudere occhio neanche per un secondo. Stanco e arrabbiato, si alzò dal letto e uscì silenziosamente dalla stanza, cercando di non svegliare i genitori e i suoi tre fratelli che erano appena rientrati da una gita di due giorni a Venezia. Lui era rimasto a casa, Marisa era molto più interessante.

Sgattaiolò in punta di piedi verso la cucina, e trafugò del latte e un po' di cereali con cui fece colazione. Innaffiò il tutto con un po' di succo d'arancia, poi tornò altrettanto silenziosamente in camera sua per vestirsi. Con passo felpato andò in bagno, si rese pulito e presentabile, poi uscì dalla porta d'ingresso attento a non farsi sentire da nessuno.

Si erano ormai fatte le sei, e il sole che sbucava da dietro le colline ad est tingeva il cielo di mille colori che si mischiavano con l'azzurro sconfinato. Kevin amava l'alba, era come un grande, meraviglioso dipinto che ogni giorno si manifestava per ricordare a tutti che al mondo le cose belle esistono, basta avere voglia di guardarle. 

Si strinse nel suo giacchetto di pelle, rabbrividendo per l'aria fresca del mattino, e si incamminò nell'unica direzione che gli sembrasse sensata in quel momento: quella che portava a casa del suo migliore amico. Sapeva che lo avrebbe trovato sveglio. Era un patito di videogames -Kevin lo riteneva più un malato che un appassionato- e nel weekend passava le notti in piedi a giocare. Era lunedì mattina, quindi sicuramente anche quella notte l'aveva trascorsa davanti alla televisione.

Ci impiegò soltanto dieci minuti a piedi per raggiungere l'appartamento di Luca. Suonò il campanello, e pochi istanti dopo il portone del condominio si aprì con un sonoro clac. Kevin lo spinse e si intrufolò nell'androne, poi salì le scale fino al primo piano. Luca era  sulla soglia, con indosso pantaloncini e maglietta e due occhiaie infinite.

-Buongiorno, Kev. A cosa devo il piacere?

-Come sapevi che ero io?

-Solo un malato come te può venire a suonare alla mia porta alle sei e dieci del mattino. Avanti, entra.

Kevin entrò in casa senza tanti complimenti e si diresse subito al divano. Vi si lasciò cadere sopra, sistemandosi nella posizione più comoda possibile.

-Come se fossi a casa tua- commentò Luca con una smorfia, sedendosi nel divano che faceva angolo con quello su cui si trovava Kevin. 

La casa di Luca era come lui: pittoresca e disordinata. Il soggiorno era una babele di videogames, involucri di cibo vuoti, appunti delle lezioni, vestiti, e i due divani disposti ad L di fronte al televisore erano disseminati di cuscini e riviste.

-Pensi di mettere a posto questo casino, prima o poi?

Luca si passò una mano tra i capelli. -Quando tu metterai a posto quel casino di vita che hai.

Luca e Kevin erano amici da sempre. Non ricordavano come si fossero conosciuti, ma per quanto riuscissero a ricordare c'erano sempre stati l'uno nella vita dell'altro. Luca era il contrario di Kevin, non era ne studioso, ne filosofico, era un ragazzo pigro che andava all'università solo per fare felici i genitori e non per una passione o uno scopo personali, e non gli importava nulla dell'amore. Non gli mancavano le ragazze, perché il suo viso fine e gli occhi grigi, accompagnati dalla sua aria da ragazzo dannato, attiravano l'attenzione di molte; eppure non aveva mai avuto una compagna fissa, e nemmeno l'aveva cercata.


Nonostante il suo carattere apparentemente superficiale, però, aveva una specie di superpotere: leggeva dentro Kevin come se fosse un libro aperto, e dava anche ottimi consigli.

Luca si accese una sigaretta, offrendone una a Kevin che accettò di buon grado. Non voleva prendere il vizio, ma una ogni tanto poteva anche farsela offrire.

-Che ne sai che sto incasinato?

-La tua faccia. Non hai chiuso occhio, eh?

Kevin annuì, osservando il fumo che si attorcigliava nell'aria salendo verso l'alto.

-C'è qualcosa che mi tormenta. Riguarda una situazione un po' delicata.

-Inizia a raccontare, io apro due birre.

-Sono le sei del mattino, Lu.

-Non esistono confessioni tra amici senza birre. Inizia a parlare, ti ascolto.

Luca si alzò e andò in cucina, che in realtà era un minuscolo angolo cottura infilato in un'insenatura del soggiorno, e prese due birre dal frigo; mentre Kevin cominciò dall'inizio a spiegare cosa fosse successo.

Quando finì la storia, le due bottiglie di birra erano vuote, e lo sguardo di Luca era decisamente perplesso.

-Beh- esordì dopo un silenzio durato un paio di minuti -amico mio, tu sei molto stupido.

Kevin si accigliò. -Che?

-Cercherò di essere chiaro e andare per gradi. In tutta questa storia ti è sfuggito un dettaglio importante, ed è quello che non ti fa dormire.

-Che dettaglio?

-Cerca di seguirmi. Prima cosa: tu ami Marisa?

Kevin rise della domanda. -Certo che la amo, che domande del cazzo fai?

Luca lo scrutava serio. La sua solita aria da buffone era sparita. -E perchè la ami?

-In che senso?

-Cosa ti fa dire di amarla?

Ci rimuginò per qualche istante. Era una domanda complicata: lui amava Marisa per tanti motivi.

-Perchè è solare, è sempre allegra, mi dimostra di amarmi ogni giorno, lei non mi lascia mai solo e per me farebbe qualsiasi cosa, così come io per lei. E' bellissima, è dolce, intelligente, insomma amico è la ragazza perfetta, che vuoi che ti dica. 

Luca annuì serio. -Ok, seconda cosa: perchè ti dà cosi fastidio che Dana ti abbia dimenticato?

-Perchè...non lo so perchè. Lei...ero importante per lei e ora non saprebbe nemmeno chi sono, se non mi fossi messo in testa quell'idea assurda. Insomma, a te non darebbe fastidio?

-Non parliamo di me Kevin, parliamo di te.

Kevin iniziò a domandarsi dove il suo amico volesse andare a parare. Nei suoi occhi leggeva una strana determinazione, che lo spaventava quasi. Non era da Luca essere così serio.

-Ok, parliamo di me. E quindi?

-Cosa pensi di Dana?

Kevin rimase spiazzato. Non rispose alla domanda, continuava a chiedersi cosa avesse in testa Luca.

-Avanti Kev, non è una domanda difficile.

-Cosa vuoi che pensi? E' bella, simpatica, gentile, vuole fare sempre la grande invece è ancora una bambina; si fa sempre prendere la mano dai sentimenti e a volte sa essere incredibilmente egoista. Ci sono momenti in cui ragiona come un computer e altri in cui non capisce le cose più semplici. E mette sempre tanta passione in quello che fa, forse troppa. Dovresti imparare un po' da lei, in questo.

Luca rivolse all'amico un largo sorriso, e si rilassò contro lo schienale del divano.

-Eccoti la tua risposta, amico.

Kevin rimase immobile, imbambolato e confuso, a fissare il suo amico che ora gli sorrideva soddisfatto. Non ci aveva capito niente.

-Potresti spiegarti meglio, per favore?- domandò leggermente irritato. 

Luca stirò braccia e gambe, prendendosi comodamente del tempo prima di rispondere, poi si piegò in avanti puntellandosi con i gomiti sulle ginocchia e poggiando in mento sulle mani unite.

-Kevin, razza di tonto rallentato che non sei altro. Tu sei innamorato di Dana.

Una fragorosa risata invase l'appartamento. Kevin non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito. Era la più grossa stupidaggine che Luca avesse mai detto.

-Ti senti le cazzate che dici Lu? Forse dovresti dormire la notte anzichè attaccarti a quei giochi del cazzo.

L'amico ignorò il commento maligno, continuando a fissarlo sornione.

-Pensaci. Ti ho fatto la stessa identica domanda a riguardo di Marisa, e a riguardo di Dana. Ho solo cambiato un po' la formula. Di Marisa hai elencato poche qualità, mentre mi hai descritto Dana per filo e per segno. E le cose che hai detto sono quelle che direbbe una persona innamorata. In più dovevi vedere la faccia che avevi mentre parlavi di lei. Tu sei cotto bello mio, ma non della tua ragazza. 

Kevin si stava irritando. Non gli piaceva il tono di Luca e non gli piacevano le stronzate che sparava.

-Perchè tu adesso sei un'esperto di amore, vero?

-Pensaci un attimo. Ti ho chiesto cosa pensi di Dana, e tu hai tirato fuori di tutto. E penso che ti sia trattenuto, potresti andare avanti anni a parlare di lei. Quando invece ti ho chiesto di Marisa...tutto ciò che hai detto di lei, si può riassumere nel fatto che ti fa sentire bene, e ti ama. Kevin tu non la ami. Tu ami il fatto che lei ami te. Ami sentirti amato, non ami la persona che ti dà quell'amore.

-Stai dicendo un mare di stronzate.

Kevin scattò in piedi rabbioso, e iniziò a girare per la stanza cercando di non cedere alla tentazione di prendere a pugni il proprio migliore amico.

-Io dirò stronzate, ma tu sei cieco e anche stupido.

-L'ho lasciata io, Luca!

-Sì e sei stato un grande idiota. 

-L'ho lasciata perchè non la amavo.

-No, l'hai lasciata perchè avevi paura. Ti sei convinto di non amarla perchè lei era triste e fuoriosa e tu eri in Germania e avevi paura che alla fine si sarebbe stufata e avrebbe trovato un altro e tu saresti rimasto solo. E infatti, lei si è trovata Thomas, e tu stai con Marisa solo perchè hai un disperato bisogno di qualcuno che ti ami.

Kevin agì di impulso, e colpì Luca in pieno viso. Si pentì subito di quello che aveva fatto, e si affrettò a scusarsi con l'amico. Quest'ultimo scoppiò a ridere. Allungò una mano di scatto, afferrando Kevin per il colletto della maglia, portando il suo viso a un centimetro dal proprio.

-Ehi, bello. Io ti conosco da quando eri un cazzo di poppante che portava ancora il pannolino, ok? So cosa gira in quella testaccia meglio di quanto lo sappia tu, perchè tu spesso ti chiudi nelle tue idee e non ascolti neanche te stesso, per paura o per orgoglio. Tu non sei arrabbiato perchè Dana non ti ricorda, o perchè il tuo orgoglio del cazzo si sente ferito. Tu sei così turbato da questa amnesia perchè lei adesso non ti ama più per davvero, è definitivo, e tu invece sei ancora perso di lei. E la cosa che mi fa incazzare è che non vuoi rendertene conto, perchè così ti fai del male da solo. Tu non vuoi che lei ti ricordi, tu vuoi che lei si innamori di nuovo di te. Come cazzo fai a essere così stupido da mentirti da solo?

Lo spinse via facendolo atterrare sonoramente con il culo sul tappeto, borbottando un "imbecille." Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Kevin si alzò, si sistemò i vestiti, e si avviò verso la porta.

-Dove vai?

-A casa. Grazie per il consiglio e la birra.

-E per la sigaretta.

-Sì, anche per la cazzo di sigaretta.

Aprì la porta, ma fu fermato dalla voce di Luca.

-Ehi, testone.

-Che vuoi?

-Non scegliere la strada facile.

Kevin si voltò e vide Luca sorridergli dal divano. Desiderava intensamente incenerirlo con lo sguardo in quel momento.

-Quale strada facile?

-Dana non era facile. Siete molto simili e molto stronzi, e una storia così richiede impegno. Eppure insieme facevate paura anche al diavolo. Marisa è dolce e ti adora, ma non è quello che vuoi davvero. Non scegliere la strada facile, scegli quella giusta.

Kevin fece una smorfia. -E lei, che strada sceglie? Thomas, o me?

-Non preoccuparti di cosa sceglierà lei. Inizia a capire cosa hai nella testa tu.

-Vaffanculo Luca.

Uscì dalla porta sbattendosi violentemente la porta alle spalle, e corse fuori dal palazzo cercando di cancellare le parole dell'amico.

Anche se sapeva, in cuor suo, che in più di vent'anni di amicizia Luca non aveva mai sbagliato un colpo. E che le poche volte che lo aveva mandato a fanculo, era perchè aveva scoperchiato verità scomode che cercava di nascondere a se stesso.

Iniziò a correre lungo la strada, più veloce che poteva, come se stesse scappando da un mostro. Un terribile mostro che portava con se una scelta che non si sentiva pronto a considerare.

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Capitolo 8
*** Settimo. ***


La corsa di Kevin si fermò alla stazione degli autobus, che in realtà era più una piccola piazza dove fermavano due o tre linee. Era uscito di casa senza zaino e libri, ma aveva comunque intenzione di andare a lezione. Gli appunti se li sarebbe fatti passare da qualche amico. 
Aspettò il primo mezzo che lo portasse in città, e non appena arrivò sali a bordo di corsa sedendosi in fondo, lontano da tutti. Il bus si mise in moto, e lui appoggiò la testa contro il finestrino lasciando che il suo sguardo si perdesse nel paesaggio che scorreva veloce davanti a lui. 
Non riusciva a non pensare alle parole di Luca. Ci provava con tutto se stesso, ma non ci riusciva. Si rifiutava di ammettere che l'amico avesse ragione, ma una parte di lui continuava a tornarci sopra, a rimuginarci, a chiedersi se non fosse proprio quello il problema. 
Lui aveva amato molto Dana. L'aveva messa al centro del suo mondo e le aveva dato tutto quello che poteva, ogni singola cosa. Lei però non aveva fatto lo stesso. Spesso pensava a se stessa senza preoccuparsi di quelli che la circondavano. Era quello il motivo per cui l'aveva lasciata. Lui era partito per costruire il proprio futuro, e lei glielo aveva rinfacciato senza preoccuparsi dei suoi sogni e desideri. Quello era il problema, nient'altro. Luca poteva dire quello che voleva. 
Marisa invece era completamente diversa. Lei lo amava e pensava a lui prima che a se stessa, e glielo dimostrava ogni giorno. Era il contrario di Dana. E la amava per quello. Per il suo essere così dolce, disponibile, solare, perché si prendeva costantemente cura di lui anche quando voleva soltanto rimanere solo. Lei era il suo angelo custode. 
Tu non ami Marisa, ami il fatto che lei ti ami.
-Ma vaffanculo Luca. 
L'autobus raggiunse la stazione ferroviaria e Kevin se ne accorse giusto in tempo per saltare giù. Doveva aspettare che passasse un secondo mezzo che lo portasse al campus, così decise di concedersi una brioche e magari anche un caffè nel bar della stazione. Si diresse verso l'ingresso ed entrò nel locale. Il calore che lo investì non appena varco la soglia gli provocò un brivido di piacere. Quella mattina era piuttosto fredda. 
-Ehi, Kevin! 
Una voce lo chiamò da qualche parte nella sala. Si guardò intorno, e a qualche tavolino di distanza vide Dana seduta a fare colazione con un libro aperto sul tavolo davanti a lei. 
No, non oggi. Non è il momento
-Ehi, chi si vede!- esclamò fingendo allegria. Si avvicinò a lei, che lo invitò a sedersi. Era sempre bella, quello non poteva negarlo. Indossava dei jeans chiari e una maglietta bianca con un'appariscente collana dorata e un giacchetto di pelle blu e delle scarpe nere; i capelli perfettamente lisci le contornavano il viso mettendo in risalto gli occhi verdi truccati sobriamente con giusto un filo di matita e mascara. Era una ragazza piuttosto semplice, ma di certo non passava inosservata. Lui cercò comunque di non farsi distrarre dal suo fascino. 
Io non la amo. È solo un'amica. 
-Come mai da queste parti?- chiese lei sorridendogli tranquilla.
-Aspetto l'autobus per andare al campus, dovrebbe passare tra venti minuti. 
-Non hai la macchina? 
-Sì ma stamattina non mi andava di guidare.
Il suo tono di voce era freddo e distaccato. Continuava a guardarla negli occhi e a ripetersi che lui non la amava, che doveva lasciarla stare, che non avrebbe nemmeno dovuto essere seduto lì con lei, e che di certo avrebbe dovuto smettere di pensare che in quel momento era forse più bella del solito.
-Che hai?- chiese lei scrutandolo. Sembrava volesse radiografarlo con gli occhi. 
-Niente, ho passato una brutta nottata. 
-Hai litigato con la tua ragazza?
-Non con un amico. 
-Oh, mi dispiace. Ti va di parlarne?
-No.
Vide il viso di Dana contrarsi in una strana smorfia. La conosceva abbastanza bene da sapere che quella smorfia significava che era seccata, e il motivo probabilmente era il suo tono scontroso. Gli dispiaceva offenderla, ma in quel momento aveva altri grilli per la testa. 
-Sei proprio di cattivo umore eh.
-Sì. 
Lei finì il suo cappuccino, poi raccolse borsa e libro e si alzò di scatto facendo quasi cadere la sedia. 
-Io vado a lezione. Buona giornata. 
Quel gesto di stizza fece scattare una leva nel cervello di Kevin.
-Tu quel caratteraccio del cazzo non lo cambierai mai, vero? 
Lei si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati. 
-Se è per questo neanche tu- sibilò. 
L'irritazione di Kevin passò immediatamente. Si alzò e si avvicinò a lei, guardandola dritta negli occhi. 
-Che hai detto? 
-Che hai sempre avuto un carattere del cazzo e continui ad averlo. 
-E tu che ne sai? Mi conosci da appena due settimane. 
Lo sguardo di lei passò da irritato a confuso. Per un attimo fissò intensamente gli occhi di Kevin, come se cercasse di leggerci qualcosa, poi si ricompose e si strinse nel suo giacchetto di pelle blu. 
-Hai ragione, non posso saperlo. Scusa ho parlato di nuovo senza pensare. Ciao.
Corse via, uscendo dalla porta che conduceva al binario. Lui rimase imbambolato per qualche secondo, pensando che avrebbe dovuto fare dietro front e andare a prendere il suo autobus. Qualcosa però scatto dentro di lui, così invece di voltarsi e lasciar perdere, mandò al diavolo tutti i suoi buoni propositi di lasciar perdere lei e la sua memoria e scattó verso la porta a vetri dalla quale era appena uscita. 
-Ehi, Dana!- urlò non appena fu fuori. La vide allontanarsi a passo svelto, senza dare il minimo segno di averlo sentito. Le corse dietro, raggiungendola in pochi secondi. 
-Dana.
-Lasciami in pace Kevin! 
Continuò a camminare a passo svelto, con lui alle calcagna. 
-Si può sapere cosa ti prende?
-Mi prende che voglio che mi lasci in pace. 
Lui la superò in pochi passi e si fermò davanti a lei, che dovette interrompere la sua corsa. 
-Perché? 
-Perché tu mi mandi in confusione! 
-Beh tu mandi in confusione me quindi siamo pari. 
Lei sbuffò esasperata. -No Kevin, non hai capito! Tu mi fai venire mal di testa! Quando ci sei tu io mi sento strana, è come se qualcosa nel fondo del mio cervello premesse per uscire ma non riesco a capire cosa! Io non sopporto gli sconosciuti, ma con te è diverso. È come se non fossi uno sconosciuto, mi sembra di conoscerti da una vita, sono uscita con te anche se sto con Thomas ed è una cosa che non farei con nessun altro, con te mi escono frasi che non capisco e dico senza pensare, io...io sono confusa, e non mi piace sentirmi confusa! Ti conosco da due settimane è già mi mandi in confusione e questa cosa mi fa imbestialire! E se vuoi saperlo, non mi piace la tua ragazza e non capisco perché e la cosa mi fa incazzare ancora di più!
Smise di parlare con il fiatone, fissando Kevin con uno sguardo che avrebbe messo paura a chiunque. Lui per qualche istante non seppe che fare. Si sentiva euforico, e disperato. La prima, perché lei aveva dato segno che qualcosa di lui le era rimasto dentro. C'era ancora qualcosa, l'amnesia non era riuscita del tutto a cancellarlo dalla sua anima. Non stava combattendo una battaglia inutile. La seconda, perche quella scoperta, quella nuova certezza, lo rendeva molto più felice di quanto gli fosse concesso. Per un breve, fulgido istante fu quasi sul punto di ammettere a se stesso che luca aveva ragione. 
Incastrò gli occhi in quelli verdi e luminosi di lei, e improvvisamente non riuscì a resistere ai suoi istinti. Era sbagliato, era scorretto, era avventato, ma in quel momento era troppo fragile e confuso per fermarsi. Si avvicinò a lei e la circondo con le braccia, stingendola a se. Lei ebbe un sussulto ma rimase immobile. E lui affondò il viso nei suoi capelli. Profumava di pesca, ed era un odore meraviglioso, più buono di quanto lo ricordasse. Chiuse gli occhi per qualche istante, concedendosi di essere solo Kevin per un secondo. Non Kevin che amava Marisa, solo che Kevin che era se stesso e faceva quello che lo faceva sentire bene. E in quel momento, stare abbracciato a Dana lo faceva sentire bene. E non voleva pensare al perché. Voleva solo godersi l'istante perché sarebbe finito prima del previsto.
Lei rimase immobile per un tempo infinito, poi lentamente alzò le braccia e si strinse a lui, sospirando. 
-Chi sei?- chiese con voce sommessa. 
Lui pensò un attimo a cosa avrebbe dovuto rispondere. 
-Kevin Zamagni.
-Zamagni?
-È il mio cognome. 
-Oh...non intendevo proprio questo. 
-Allora cosa?
-Intendevo...niente lascia stare. Profumi di muschio. E di pulito. 
-Tu di pesche, ma non cambiare argomento. 
-Non cambio argomento. 
-Testona.
-Idiota.
-Perché mi abbracci se mi insulti?
-Perché mi abbracci, questa è la domanda.
-Vuoi che smetta?
-No...
Rimasero lì per qualche minuto, senza curarsi dei passanti che li guardavano, o del fatto che qualcuno avrebbe potuto riconoscerli e mettere in giro delle voci. In quel momento, a lui non importava niente di quello che era giusto o sbagliato, dei pensieri degli altri, o delle voci. 
-E tu chi sei?- chiese, senza muoversi di un centimetro. 
Lei rise. -Dana Garlini.
-Mi piacerebbe conoscerla meglio questa Dana Garlini.
-A me piacerebbe conoscere meglio Kevin Zamagni.
-Quando vuoi.
-Ok, però adesso devo andare a lezione.
-Sì, anche io. 
Si allontanarono lentamente, guardandosi negli occhi con un sorriso imbarazzato. Dana strinse a se la borsa e si sistemò i capelli, diffondendo quell'odore di pesche nell'aria. 
-Ok, allora...ciao. 
-Ciao.
Si allontanò e Kevin per un istante ebbe paura di cosa avrebbe provato vedendola andare via. Per sua fortuna, non si sentì diverso in alcun modo. Con una scrollata di spalle si voltò e torno alla stazione degli autobus, come se nulla fosse successo. 
-Fortuna che non eri innamorato di lei eh!- cantilenò una voce alle sue spalle, facendolo trasalire.
-Luca- disse cupo senza nemmeno voltarsi.
-E sei fortunato che sia io, bello. Pensa che mi chiamassi Marisa o Thomas.
Si avvicinò a lui e gli circondò le spalle con un braccio. 
-Devi sempre essere così gufo? E comunque, era solo un abbraccio. 
-Un abbraccio piuttosto lungo.
-Non chiudi mai la bocca tu?
Si scrollò il braccio di dosso e accelerò il passo cercando di seminare l'amico.
-Io parlo quando è necessario Kevin. 
-Beh, ora non è necessario. 
Arrivò alla fermata giusto in tempo per salire sul suo autobus. Sperava che Luca quella mattina avesse deciso di non presentarsi a lezione, ma non ebbe fortuna. Salì sul mezzo e si sedette proprio accanto a lui. 
-Kevin, tu finirai per rovinarti da solo.
-Ok, Luca. Stammi a sentire. Io e te siamo migliori amici, giusto?
-Giusto.
-Sai che per me siamo come fratelli, giusto?
-Giusto.
-Nonostante questo, se non smetti di tormentarmi con questa storia, io ti prendo la testa e te la fracasso contro il finestrino.
-Sempre che non lo faccia prima io.
-Fottiti.
Distolse lo sguardo e si concentrò sul finestrino, e su quello che c'era al di là di esso. Luca sospirò rassegnato.
-Ok, smetterò di tormentarti. Puoi almeno dirmi però cosa hai intenzione di fare?
Kevin ci pensò per qualche minuto. A quel punto, c'era una sola cosa logica che potesse fare.
-Aspetterò, e vedrò come andranno le cose. Non forzerò nulla. Non forzerò Dana a ricordare, non forzerò me stesso a provare determinanti sentimenti. Io amo Marisa e tengo molto a Dana. Sì in questo momento sono confuso ma forzare le cose non migliorerà niente. Lascerò che tutto vada come deve andare. In fondo, se qualcosa prende una certa direzione è perché non poteva fare altrimenti. 
Luca annuì soddisfatto, dandogli una sonora pacca sulla spalla.

-Forse amico mio, in fin dei conti non sei così stupido.

Spazio Autrice
Salve a tutti!
Grazie per aver letto i primi sette capitoli di Memories. La storia continua ovviamente, ma non su EFP. Potrete trovare gli altri capitoli su Wattpad, dove la storia è arrivata ad oggi (5/12/16) al ventunesimo capitolo. Aggiorno abbastanza spesso, quindi ne arriveranno altri. Potete trovarmi come Mila Mazzeo (@milamazzeo) oppure passando per la mia pagina Facebook "Mila Mazzeo-Wattpad/EFP".
Grazie a tutti, a presto su Wattpad! <3

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