- Il vampiro con l’apparecchio - Sopravvivere oggi… di Ghen (/viewuser.php?uid=13358)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo - Milly ***
Capitolo 2: *** 1. Capitolo - Le giornate storte si vedono dal mattino ***
Capitolo 1 *** 0. Prologo - Milly ***
0. Prologo
Milly
Mi
chiamo Milly, ho tredici anni e sono una vampira.
Tutto
sarebbe fichissimo… fino a qui, certo!
Però,
purtroppo non è così.
Il
mio vero nome è Mildred, odioso come nessuno. Abbrevio con un bel Milly, per farlo sembrare più
decente… Ma poi, ecco che arriva mia madre e con la sua voce da civetta
mi urla
<< Miiiiildreeeeed!! >>. Non la sopporto,
giuro. Alle mi volete mi
verrebbe… ma… lasciamo stare.
Sono
alta un metro e un tappo di acqua minerale. Ho i capelli e occhi neri
come il
petrolio; e c'è chi dice che puzzino come il petrolio, il che non è
fantastico.
Ho
un naso sempre pronto ad essere punto da qualsiasi animale volante,
comunemente
chiamati insetti.
Porto
gli occhiali spessi due dita e per finire… le lentiggini.
Insomma,
sono una di quelle persone che tutti amano definire cozza.
Sono
brutta. Lo specchio quasi si rifiuta di vedermi.
E
non è tutto.
Ora…
Porto anche l’apparecchio.
Ve
ne rendete conto??
Un
apparecchio!
Un
vampiro con l’apparecchio… è… è umiliante, insomma!
Non
bastava essere definita puzzola, bimba,
quattrocchi, cecata, tappa, analfabeta, piattola, lentiggine, mocciosa,
scarto,
ragazzina petulante, pulce, nullità, fenomeno da baraccone, lenzuolo,
stupida,
succhiasangue a tradimento, impedita e tappeta… adesso ci
mancava anche l’handicappata e la denti d’oro.
Questo
succedeva se portavi ai denti un apparecchio d’oro e avevi una sorella
maggiore
crudele. Basti pensare che il ben novanta per cento di quei nomignoli
me li
affibbia lei.
Ed
ora… trauma dei traumi!
Ci
siamo trasferiti!
Trasferiti?!
Capite?! Oh, no!
Non
solo non ho amici adesso, appena mi trasferirò in una nuova scuola,
dovrò
ricominciare tutto daccapo!
E’
una vera tragedia!
Insomma,
come faccio?
E’
dura per me ricominciare!
Tu
che ti presenti di fronte a tutta la tua nuova classe; i tuoi nuovi
compagni di
classe – ovvero i tuoi futuri incubi – cominciano a farti delle
domande… Da dove
vieni? Sei anemica? Come hai detto
che ti chiami?
Ben
presto cominceranno a tirarti in testa palline di carta… se sei
fortunata… Una
volta mi hanno tirato un temperino! E giuro che strangolerei quelli che
dicono
che i vampiri sono più resistenti degli uomini! Il mio bernoccolo non
gli
avrebbe dato ragione…
Ah…
ecco… Grazie a questo, ora mi sono ricordata un altro dei nomignoli che
si è
tirata fuori mia sorella… Porcellana!
Mi rompo subito!
Oltretutto
sono molto pallida, e quindi quel nomignolo mi sta abbastanza bene…
secondo mia
madre!
Non
ho una famiglia del tutto a posto!
Già…
La
famiglia…
Mio
nonno… è sempre buttato in un angolo con la sua sedia a rotelle a
dormire a
bocca spalancata. I miei cugini adorano raccogliere la bava che pende
dalla sua
bocca; la utilizzano per i loro gavettoni.
Mio
padre… sta sempre attaccato al teleschermo.
Tu
lo parli, ma non ti risponderà mai. Se vuoi attaccare bottone con mio
padre,
devi trattare un solo argomento: la corsa dei cavalli! E’
l’unica, vera cosa
che gli interessa davvero. Non esiste nient’altro! La moglie, le
figlie, i
partenti, i vicini di casa, le bombe a mano… sono solo le interruzioni
della
corsa dei cavalli!
Interruzioni
fastidiose e noiose, oltretutto.
Mia
madre… lei è la classica “donnetta di casa”.
Sta
tutto il giorno a pulire casa, esce per fare la spesa, torna e urla a
destra e
sinistra.
Urla
a mio padre, a mio nonno e alla sottoscritta. Mia sorella, no. No, no,
no, no,
no. Per lei è “il pupillo”.
Mia
sorella è bella, è brava nello sport, sa cucire, cucinare, ballare,
recitare…
questo soprattutto, lo sa fare benissimo. Oltretutto, lei è strapiena
di ragazzi
che le corrono dietro.
Gli
unici che corrono dietro a me, sono quelli che mi vogliono tirare le
palle di
carta in testa!
Mia
madre stravede per lei.
E’
sempre pronta per la sua figliola, per qualsiasi cosa! Per me…? Neanche
per
sogno! Io, per lei, sono incomprensibile! Non che spenda un decimo del
tempo
che dà a mia sorella, per provare a capirmi!
Mia
madre per me, c’è solo per sgridarmi!
Fai
questo, fai l’altro, non fare questo, non fare l’altro! Non ne posso
più!
Anf…
La vita è dura in casa mia!
Poi…
Mia sorella… Mah vabbhè… L’ho già descritta abbastanza…
Se
io sono la cozza… mia sorella è la sirena!
Sarei
proprio curiosa di sapere come se la caverà, se un giorno qualcuno
dovesse
chiederle come mai tutti i ragazzi con cui è stata sono diventati
improvvisamente anemici!
Quanto
vorrei che accadesse una cosa del genere!
Mia
sorella me ne deve talmente tante, che non vedrei l’ora di fargliela
pagare un
pochino! Almeno un pochino, insomma!
Ma
questo, purtroppo… credo che difficilmente accadrà!
Mia
sorella è quella fortunata! Io quella sfigata!
Aah…
Per ora non posso fare altro che sbuffare!
Sono
ancora piccola e non conto granché per nessuno…
Ma
se cresco, e divento più brutta… Beh… a questo punto, preferisco
metterci il
più tempo possibile!
-
Il vampiro con l’apparecchio
-
Sopravvivere
oggi…
*************************************************************************
Ok,
lo ammetto, non so scrivere storie comiche; ne sono negata, credo.
Ma
voglio tentarci! (Forse si rivelerà una sfida contro me stessa,
chissà…)
Almeno
non potete dire che io non ci provi! ^___- Premiate la mia buona
volontà XD
Allora,
questa storiella sta ancora crescendo nella mia testa in verità, non è
perfettamente delineata e sicuramente la scriverò – o si scriverà – in
lunghi
periodi (infatti questo piccolo prologo l’ho scritto mesi e mesi fa).
Non
contate in aggiornamenti rapidi, ho bisogno di essere in status
particolari per scrivere ‘sta roba XD
*Sì,
non sono particolarmente sana di mente XP Ma chi oggi giorno lo è?*
Un
po’ di info:
Sono
stata totalmente ispirata dai telefilm americani
adolescenziali e/o pre-adolescenziali,
indi per cui, se qualcosa la dovreste trovare simile a questo genere
ora sapete
il perché XD
La
notte, quando sto male o non ho il computer, mi piace stare a guardare
in tv
cartoni animati o telefilm scemi e – come li chiamo io – “intrattivi”
(sì, m’invento le parole ù.ù), ovvero che
m’intrattengono e mi fanno passare il tempo. Questa storiella scema e
banale è
derivante dallo sclero di notti insonne.
Tutto
questo parla di Milly e della sua famiglia, ma soprattutto della vita
difficile
di questa piccola vampira in fase di crescita: tra amicizie, amori
appena nati,
disperazioni senza senso, problemi esistenti e inesistenti, che,
naturalmente,
possono anche far parte della sua natura diversa.
Diciamo che è un mist tra adolescenza umana e demoniaca in una vita
“normale”,
per così dire.
Ah,
se il tutto vi è sembrato un po' troppo colloquiale (e con parole che
appunto si utilizzano solo nel linguaggio parlato) sappiate che è
puramente creato apposta dalla sottoscritta.
Quella che sta parlando è una tredicenne, non dimenticatelo! ^___-
Nei capitoli successivi ci saranno spezzoni in persona dalla
protagonista, ma la narrazione sarà in terza persona.
Non
so cos’altro dire, forse perché non c’è altro da dire ^^’
Se
vi va di seguirmi mi rendereste felice! Altrimenti, forse è meglio per
la vostra incolumità XD
Vabbhè,
ci rivedremo al prossimo, primo, capitolo! =3
Ciao,
ciao da Ghen =^_______^=
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Capitolo 2 *** 1. Capitolo - Le giornate storte si vedono dal mattino ***
“Avete
presente quando siete talmente tesi che vorreste scomparire? Diventare
invisibili? Sparire per non tornare mai più?
Ecco,
questa è
la mia vita.”
1. Capitolo
Le giornate storte si vedono
dal mattino
Quella forte
luce negli occhi non le dava problemi, non era abbastanza fastidiosa e
non
irritava, era il suo minore dei problemi, quando su quel lettino come
ogni
volta le infilavano in bocca arrangi meccanici di ogni tipo. La paura
saliva,
perché in fondo era codarda e sapeva che doveva fare male, glielo
suggeriva la
sua testa, per cui le faceva male per
forza.
Stava
seduta
lì ormai da minuti su minuti, una volta al mese da quando aveva
iniziato la
cura. Un vampiro che aveva problemi ai denti, ma dove si era mai
sentito?! Perché
solo lei doveva nascere così storta?
Già,
Mildred,
tredici anni da poco compiuti, vampiro.
Probabilmente
l’unico vampiro con un apparecchio ai denti. Apparecchio dorato, per
giunta, che
quando sorrideva lo si vedeva da lontano un chilometro. Beh, d’altronde
Mildred
era un vampiro, e come tutti loro non tollerava l’acciaio, o meglio,
l’argento
doveva essere, prima che questa sottospecie
di fobia si sviluppasse negli anni.
Le fobie
“vampiresche”
erano cambiate nei secoli come i vampiri stessi; non esisteva più il Dracula di una volta. Prima quando si
pensava ai vampiri si aveva paura; si pensava ad un uomo dalla forza
sovraumana, in grado di spezzare una lamina di metallo come burro, in
grado di
saltare e come un supereroe vedere dall’alto una città, in grado di
nutrirsi
del sangue di giovani vergini che a loro volta divenivano vampiri, come
una
malattia contagiosa, e soprattutto… si trasformavano in pipistrelli e
volavano
nella notte, lontano dalla luce solare che li abbrustoliva a dovere.
I tempi
erano
cambiati. Ora non si aveva più paura dei vampiri, che sono come uomini
con i
denti a punta. Specie se il vampiro in questione era una ragazzina
bassa e
brutta.
Tutto era
cambiato.
Certo però
esisteva ancora chi credeva alle storielle sciocche degli antenati
vampiri
credendo siano uguali a quelli odierni, sempre se credevano davvero
alla loro esistenza.
C’era chi diceva che erano tutte fantasie, e chi invece convinto
credeva di
poter davvero diventare una loro vittima, un giorno.
Il
problema di
essere un vampiro oggi, era che si doveva aver paura degli uomini.
Quelli
normali, sì. Sia che loro ci credano ai vampiri sia che invece non gli
importi
nulla.
Se
scoprono
che sei un vampiro, devi trasferirti.
Per questo devi avere paura di loro. Questo era successo a Mildred e
alla sua
famiglia, già cinque volte da quando era nata.
La luce
blu e
poco dopo la voce del dentista che diceva di stringere i denti, la
fecero
tornare alla realtà, svegliandola dai suoi pensieri, quelli che sperava
la
allontanassero da lì il più a lungo possibile.
Anche il
dentista era un vampiro. Era un vecchio amico della madre di Mildred,
diventato
dentista come volevano i suoi genitori. Non erano strane aspirazioni
per i
vampiri così detti “moderni”, erano tutti così oggi. E lui essendo
appunto un
vampiro, era l’unico che potesse prendersi cura dei denti di Mildred,
che ad un
dentista normale gli si sarebbero rizzati i capelli.
La loro
vera
identità era un segreto: per tutti, loro erano persone esattamente come
le
altre.
«Bene… Per oggi
abbiamo finito, Mildred!»,
disse mentre risistemava i ferri e le toglieva il bavaglio. «Puoi
alzarti!».
Un altro
che
la chiamava Mildred. Certo era il
suo
nome, ma lei l’odiava.
Uscendo
dallo
studio, una signora un po’ bassa e robusta corse loro incontro.
«Come sta andando
la cura, Albert?»,
domandò la donna, con il portafoglio in mano.
«Sì, bene… I denti
sono dritti e stanno
curando. Lentamente la cura sta avendo i suoi effetti.».
Lentamente… Era quel lentamente a darle fastidio. Per quanto
ancora avrebbe dovuto
mantenere quei ferri dorati in bocca?
Era
sfigata
già prima che l’apparecchio arrivasse, ma da allora le cose erano ancor
più
peggiorate. Dal primo giorno…
Abitava in
un’altra contea ed aveva undici anni. A quel tempo Mildred si era
infatuata di
un compagno di classe, il rappresentante, Michael, il classico
ragazzino che
tutte volevano.
Quello che
Mildred non sapeva, era che anche Michael seguiva una cura da questo
suo stesso
dentista, anche se non portava l’apparecchio; ma l’aveva scoperto
presto: uscendo
dall’ambulatorio le era sbattuta addosso, e nel vederlo, con la bava
alla bocca
lo aveva sorriso, scoprendo poco dopo di aver involontariamente sputato
contro
la sua t-shirt.
Da quel
giorno
Michael non l’aveva più parlata, anzi, voltava lo sguardo disgustato
ogni qual
volta la vedeva.
Era una
delle
sue prima cotte Michael, ed ora era solo un ricordo.
Al rientro
a
casa in macchina, Mildred non faceva altro che pensare al giorno che
sarebbe
cominciato circa alle otto dell’indomani mattina. Il giorno che sarebbe
stato e t e r n o, già lo sapeva in
partenza. Doveva
entrare nella sua nuova scuola, ad anno già cominciato, in una nuova
classe,
con nuovi compagni. Già tremava all’idea.
Ma non
poteva
studiare a casa?
Un giorno
l’aveva chiesto a sua madre, che quasi la fece esplodere con il solo
sguardo. Effettivamente
aveva scelto un cattivo momento: aveva le bollette da pagare in mano ed
aveva
appena litigato con il marito, ergo da sola, dato che lei urlava e lui
stava
zitto in un angolo.
«Non è abbastanza
quello che dobbiamo
pagare ogni giorno per vivere?», urlò la donna,
in preda a mille
furie. «Non mi sembra che
tu sia un supergenio
che ha bisogno di un docente privato! O mi sbaglio, forse? O magari
lavori…»,
agitava le mani, accostandosi pericolosamente alla figlia che
indietreggiava. «Certo,
perché tu lavori e quindi ti puoi pagare gli studi! E’ così?»,
urlò ancora, davanti al suo viso. «Dimmi, è così?».
«N… No…».
«E allora andrai a
scuola come tutti gli
altri! Non vedo nulla di speciale in te! Non mi sembra di aver mai
sentito tua
sorella lamentarsi!».
E fu
proprio
in quell’istante che comparve da un angolo la lunga chioma castana, le
tette
che sembravano siliconate e le natiche a papera di sua sorella
maggiore.
«A me piace andare
a scuola!»,
sorrise accostandosi.
La madre
le
sorrise a sua volta, come se ogni energia negativa le fosse
misteriosamente volata
via. «Ma certo, cara!».
«Mammina, ascolta,
ho bisogno di soldi!
Ho un visto un paio di jeans all’ultimo grido in un negozio proprio qui
accanto! Non immagini l’occasione!», sventolava le
mani e a Mildred
sembrava tanto una gallina pronta per fare l’uovo.
«Oh, sicuro, tesoro
mio!»,
sotto gli occhi stupefatti della figlia minore, aprì il portafoglio
pronta per esibire
un paio di dollari fino ad arrivare alle mani della gallina
in questione. Come poteva essere così assurdamente felice
di regalare soldi alla figlia quando appena un secondo prima si stava
lamentando proprio di questo? Ma perché succedeva sempre così? «Divertiti
pure!», rise,
osservandola soddisfatta mentre
sventolava il sedere per andarsene. «Mammina…», rise ancora la
donna, piacevolmente
divertita da come l’aveva chiamata. Non capiva che era solo il termine
usato
impropriamente di una ruffiana?
«Mam… Mamma?»,
si azzardò a chiamarla e la donna si voltò a lei come se l’inferno si
fosse impossessato
del suo corpo tutt’un tratto.
«Cosa c’è, ancora?
Il discorso non era
forse chiuso?».
«S-Sì…»,
decise di non dire più una parola.
Era ovvio
che
la sorella amasse la scuola.
Per lei
quel
luogo era molto simile ad un vero Paradiso, con la P maiuscola.
Insomma, come
poteva non amare il posto in cui mille ragazzi le chiedevano un
appuntamento,
arrivando a fare la fila, e le ragazze la invidiavano fino ad imitarla?
Lei era la
star della scuola, brava nello studio come nello sport, e nessuno
arrivava ad
odiarla. Appena metteva piede in una scuola subito ne diveniva la
padrona. Come
faceva era un segreto, un mistero. L’unica cosa di cui Mildred poteva
divenire
padrona appena ci metteva piede poteva forse essere un bagno, e forse,
mica
detto.
Ma
d’altronde
vi poteva essere dietro la teoria del vampiro magnetico ed
affascinante.
Quando
Mildred
da bambina leggeva, o le leggevano e raccontavano le fantastiche storie
sui
vampiri ottocenteschi, vi era sempre menzionato quel fantastico potere
della
bellezza e fascino assoluto che imponeva alle vittime di fare qualunque
cosa li
chiedessero di fare. Forse, si diceva Mildred, questo potere non era
andato del
tutto perso nei secoli, e sua sorella ne era la prova; ma dato che lei
era
stata benedetta di bellezza e tutto il resto, alla secondogenita non ne
era
rimasto a sufficienza. Ecco perché lei era brutta e sfortunata. Tutto
tornava.
Ed infine
l’infausto
giorno era arrivato.
Come se
una
bomba fosse esplosa in camera sua, la madre la buttò letteralmente giù
dal
letto, consegnandole la roba da indossare direttamente sulla testa.
«E muoviti!»,
le urlò. «Non farmi
aspettare, o ci andrai a
piedi a scuola!».
A piedi?
Le
mancava solo questo. Già doveva andare in una nuova scuola che aveva
visto a
malapena il giorno dell’iscrizione, solo l’idea di arrivare in ritardo
era
ancora più umiliante.
Si svestì
immediatamente del pigiama rosa a pallini, e in un battito di ciglia
indossò
svelta quella… lurida gonna bianca?
Perché
le aveva dato la gonna? Sbuffò. La madre sapeva benissimo che Mildred
odiava
portare la gonna. Non certo perché non era carina, amava le gonne in
quel
senso, ma indossarle per lei era un incubo, soprattutto con quelle
gambe pseudo-storte che si
ritrovava. Tuttavia
non aveva tempo per cercare altro da mettersi.
Indossò
svelta
anche una maglietta a maniche corte e correndo entrò in cucina, dove
suo padre seduto
beveva caffè attaccato al corriere e al televisore, nelle ultime
notizie
riguardando le corse dei cavalli; sua madre faceva colazione con i
soliti
cereali che sponsorizzavano alla tv per dimagrire, e sua sorella
lentamente
sorseggiava una tazza di caffelatte.
Era la
tipica
mattina prima di scuola e lavoro, o qualunque cosa facesse sua madre.
Nessuno
avrebbe sospettato di loro come vampiri, a meno che non si mettano a
frugare le
riserve di cibo nel congelatore: questo nel fondo conteneva il sangue
raccolto
in anni, da quando i genitori di Mildred si erano sposati.
Era una
tradizione regalare ai vampiri novelli sposi una quantità di sangue, e
spesso era
proprio dei parenti stessi che ne donavano la quantità che si sentivano
di
regalare. Il resto proveniva solitamente da animali oppure da persone
morte,
prima che i cadaveri si decompongano: ma dovevano essere sinceri, quel
sangue
non era più così buono, quello fresco restava sempre il migliore. Ma di
certo
non potevano essere scoperti ad azzannare le persone normali, ed ormai
questa
era diventata una cosa che i vampiri di oggi non si sognavano più di
fare, per
tranquillità di vita soprattutto.
Il sangue
per
i vampiri moderni non era più “vitale”. Tuttavia serviva.
Il sangue
manteneva la pelle giovane, rendeva più forti e vitali, e una quantità
alla
mattina, seppur piccola, come le vitamine per gli umani ti teneva in
piedi
durante la giornata.
La madre
di
Mildred scongelava un piccolo sacchetto di sangue al giorno, e dopo
colazione,
prima che tutti si sparpagliassero fuori di casa, ne scendevano un
bicchierino
di caffè.
«Tieni!».
Aveva
appena
finito di bere il suo latte e cereali al cacao, quando la madre le
porse
dinanzi il bicchierino rosso.
La faccia
disgustata di Mildred era una cosa che sua madre proprio non tollerava.
«Bevi senza storie!
E comportati da
vampiro quale sei, una buona volta!», le pose nelle
mani innervosita il bicchierino,
mentre ne passava un altro alla sua primogenita, che ne era invece
entusiasta.
Lo mando
giù
in sol boccone.
I vampiri
odierni sopravvivevano comunque senza il sangue, e perché lei, a cui il
sangue
proprio non piaceva, doveva berlo per forza ogni santa mattina?
Era
proprio il
vampiro più diverso, differente, strano, anormale di tutti i tempi,
lei. Se lo
diceva ogni volta. A volte non credeva neppure di essere nata veramente
vampiro.
L’odore
del
sangue la disgustava nel profondo, e il gusto non le piaceva per
niente.
Al
contrario,
sua sorella ne era ghiotta.
«Pete!», urlò
al marito. «Hai il bicchiere a
fianco, bevi!»,
ordinò.
Gli aveva
poggiato il piccolo bicchiere rosso sul tavolo, ma lo sguardo dell’uomo
era
troppo concentrato sul giornale fra le mani per bere.
«Sì…», fece
svogliato. «Un attimo…».
La donna
sbuffò e tirando in avanti Mildred, che ancora doveva riprendersi, e
chiamando
la prima figlia, afferrò tutte le giacche dall’appendiabiti e le chiavi
della
macchina.
«Vestitevi,
prendete gli zaini e
salutate vostro padre… Usciamo!», fece rapida,
indossando la sua e
lanciando le loro.
Mildred
afferrò la borsa e mettendosela in spalla salutò di sbieco suo padre,
che
ancora era fisso su quelle pagine.
Uscendo di
casa oltrepassarono il vialetto e dopo il cancello, che la sorella,
l’ultima,
chiuse alle sue spalle. Veloce sorpassò sua sorella, dandole una
spallata e rapida
s’infilò al sedile al fianco dell’autista, dove era già seduta sua
madre.
Mildred
sbuffando si accomodò ai sedili posteriori, cominciando a tremare.
Questa
sensazione la conosceva bene: significava scuola.
«Mi cercherò un
lavoretto! Così potrò
comprarmi la macchina, quella sportiva, quella che tutte le ragazze
sognano!».
Sua
sorella
non faceva altro che miagolare sui suoi progetti dell’anno, come già
fossero
realtà, e soprattutto, pensava Mildred, come se riuscisse davvero a
lavorare.
«E poi, mammina…»,
miagolò ancora. «Nel caso dovessi
trovarmi in difficoltà
con i soldi… tu e papà…».
«Ma certo, tesoro!»,
la sorrise la donna, felice. «Ogni cosa, piccola
mia… Ma vedrai che
andrà bene…».
«Lecchina…».
«Come, scusa?»,
si voltò subito ai sedili posteriori. «Mi è sembrato che
dicessi qualcosa!
Puoi ripetere?!».
«Non ho detto
niente…»,
planò in alto il sguardo. Sapeva che era meglio finirla lì, o la madre
l’avrebbe messa in punizione per settimane.
«Ti conviene!».
Oddio,
quanto
non la sopportava. La sua aria da superiore poteva solo farle salire
maggiormente i nervi.
La
macchina si
fermò davanti al liceo e già felice come una pasqua, sua sorella
afferrò la
borsa, salutando la madre.
«Scendi anche tu,
Mildred!»,
ordinò la donna, voltandosi indietro.
«Ma siamo davanti
al liceo!»,
protestò.
La sorella
scese dalla macchina e aprendole lo sportello fece «Hai
sentito la mamma? Non farla arrabbiare, scendi!».
«Ma… Non è la mia
fermata, la mia scuola
sta più avanti!».
«Mildred!», tuonò
la donna. «Certo che sei
scansafatiche! La tua
scuola è a due passi, quanto ti costa camminare a piedi? Scendi!».
Era vero,
la
sua grammar school
stazionava esattamente ad una strada di distanza dalla high
school della sorella, ma non stava
qui il punto: doveva solo fare altri due giri di ruota con la macchina
e l’avrebbe
accompagnata all’ingresso, cosa le costava?
«Va bene!»,
sbuffò, scendendo dalla macchina. Richiuse lo sportello forse però con
troppa
forza, dato lo sguardo assassino di sua madre.
«Mammina, quando
usciamo non c’è bisogno
che tu venga a prenderci! Mi farò accompagnare da qualcuno!».
«Io però no… Mamma,
vieni a prendere me!».
Venne
totalmente ignorata, mentre la donna rispondeva alla figlia più grande.
«Va
bene, tesoro… Buona giornata ad entrambe! Ci vediamo a casa, così mi
raccontante tutto! Ciao, ciao!». La macchina
prese moto e se ne andò
di corsa, lasciando Mildred stupefatta.
Furiosa si
voltò alla sorella.
«Perché hai parlato
per tutte e due? Sei
un’egoista!».
«Egoista?», rise.
«Ma che dici,
sorellina? Appunto che non
ho parlato solo di me non posso essere egoista! Non ti pare?»,
fece la mano per andarsene, sfoggiando un beffardo sorriso. «Ci
vediamo, tappeto!».
Mildred
strinse forte i pugni. Come faceva ad avere una sorella così? Non
poteva
nascere figlia unica?
«Ti odio, gallina!». Se solo avesse
avuto il coraggio di
dirglielo prima che sparisse dalla sua vista per mescolarsi fra li
studenti
liceali…
Innervosita
attraversò la strada, pronta per affrontare il suo primo giorno di
scuola.
Beh,
proprio pronta forse non era la
parola adatta,
ma d’altronde non aveva scelta. Prima si toglieva il dente, e prima il
dolore
sarebbe passato. Anzi, forse era meglio non parlare di denti.
Vedeva
tutte
le macchine parcheggiate o fermate davanti all’ingresso, i ragazzi che
scendevano afferrando il loro zaino in spalla, salutando i genitori con
un
sorriso. E poi li vedeva entrare lì, nel cancello di quella grande
scuola dai
mattoni un po’ sporchi che le si prospettava dinanzi.
Sentì un
formicolio da qualche parte, non sapeva neppure dove, e non voleva
scoprirlo.
Uno dei
suoi
maggiori problemi era sempre stato quello di farsi degli amici.
Mildred
non
era molto simpatica, e quando si vergognava parlava sempre molto poco,
e non
dava così l’opportunità alla gente di conoscerla. Altre volte faceva
delle
brutte figure, che se si accompagnavano al suo aspetto orrendo e alla
sua
vergogna, ecco che la gente non si faceva una bella opinione di lei dal
principio.
Sapeva già
in
partenza che sarebbe andato male il suo primo giorno di scuola, e il
formicolio
era lì giusto per avvertirla.
Cominciò
ad
avanzare lentamente verso l’edificio, ma ad ogni passo in più che
faceva poteva
scorgere le ombre in agguato dei suoi prossimi incubi.
Sentiva
qualche ragazzino ridere e sapeva già che un giorno non molto lontano
quelle
risate sarebbero state dedicate a lei, come una vecchia signora
paranoica. Cominciava
ad avvertire gli occhi di tutti addosso, i loro sguardi concentrati, a
squadrarla come carne fresca. Lei laggiù, in una scuola, non era mai
stata la
cacciatrice, bensì sempre una preda.
Una preda
facile: ragazzina cozza e gracile, per di più ora era una novellina
spaventata.
«Ehi! Guarda un po’
dove metti i piedi!».
Ecco, la
sua
prima figuraccia e probabilmente collegata, la sua prima nemica.
Le era
andata
addosso ovviamente, qualcosa doveva succedere.
«Emh… Scusami…»,
fece immediatamente, ma la ragazzina dai capelli biondo cenere davanti
ai suoi
occhi si limitò schifata ad un’occhiataccia, per poi dirigersi al suo
gruppetto.
Ogni tanto
però continuava a voltarsi a lei.
Sì,
Mildred ne
era certa, aveva appena conosciuto uno dei suoi prossimi incubi.
Bastava darle
uno sguardo per accorgersene, se ne ricavavano tutte le informazioni
necessarie: sguardo condito di disprezzo, occhi malvagi, la risposta
alle scuse
non pervenuta, visetto che sembrava appena uscito da una scatola
targata Barbie, appena qualche
spruzzo di
trucco, borsetta all’ultima moda, capelli appena rifiniti dal
parrucchiere, e
per concludere, ma non meno importante, l’aveva indicata al suo gruppo
di
quelle che sembravano ochette per fare cenno di disgusto tutte insieme.
Con
coraggio
riuscì ad entrare nella scuola, dando una rapida occhiata a tutto ciò
che le
stava intorno: dai quadri appesi alle pareti, alle piante finte che
davano un
tocco di classe, anche se per Mildred parevano solo brutte.
Si fece
dare
da una signora delle pulizie l’indicazione per la segreteria, e
lentamente
bussò alla porta semiaperta, dove una donna al telefono dietro una
scrivania le
fece cenno di entrare.
«Chiudi la porta,
per favore!»,
indicò tappando per un attimo la cornetta.
Mildred
dopo
aver chiuso la porta come le era stato chiesto, si accomodò alla sedia,
prendendo subito una delle caramelle sul vassoio della scrivania.
Appena la
donna riattaccò il telefono, pose i gomiti sulla scrivania, guardando
per
qualche attimo senza dire una parola alla nuova alunna.
«Tu devi essere
Mildred, vero?»,
sorrise ad un certo punto, tirando fuori una cartella con delle
scartoffie,
esaminandola. «Mildred Patel…»,
continuava, leggendo.
«Sì, sono io…».
«Piacere!», le avanzò
la mano per stringerla, anche se la giovane donna continuava a stare
fissa sui
fogli, concentrata. «Cognome inglese,
eh?! Io sono la tua
vicepreside, Clarissa Manson!».
Così
giovane e
già vicepreside, pensava Mildred, doveva avere un futuro roseo davanti
a sé.
«Piacere…», in
verità non sapeva cosa rispondere. Solitamente non stringeva la mano ai
professori, figurarsi ai vicepresidi.
Nella sua
ultima scuola la vicepreside era una donna altissima e grassa con le
mani
sempre sudice, che se anche le avrebbe chiesto di stringerle la mano
non
l’avrebbe fatto per nulla al mondo.
«Sì, inglese…»,
si ricordò la domanda. Ma non aveva in verità tutta questa voglia di
raccontarle la storia del suo cognome inglese: la storia di un vecchio
e
ubriaco vampiro americano senza nome che uccise una persona rubandole
l’identità,
almeno cento anni fa. Il suo trisnonno oramai se l’aveva pure
dimenticata questa
faccenda.
«Bene, Mildred! Ho
dato una breve
occhiata alla tua scheda e mi sembra tutto a posto. Benvenuta in
squadra!»,
la sorrise. «Per qualunque
divergenza vieni pure da
me, che sarò sempre disponibile. Il preside è fuori oggi, ma già domani
se vuoi
potrai conoscerlo. Purtroppo è spesso assente. Ma grazie a me gli
studenti
sanno sempre a chi rivolgersi per ogni cosa, perciò non fare
complimenti!».
«Va bene, grazie!».
Finalmente una persona gentile e normale, si diceva. Forse con una
vicepreside
così, trovarsi in questa scuola sarebbe stato diverso che con le altre.
Magari
vi erano altre persone come lei, come la signora delle pulizie che le
indicò la
strada, e non come quella Barbie incrociata in cortile. Forse c’era un
barlume
di speranza.
«Allora, settimo
grado… La tua classe è
la 7° D! Spero ti troverai bene, sono ragazzi simpatici.»,
chiuse la cartella, per stringere ancora la sua mano. «E
prendi pure un’altra caramella, se vuoi!».
Ne prese
un’altra molto volentieri, che amava le caramelle gommose alla frutta,
e prima
di aprire la porta le raccomandò «Fatti accompagnare
dalla bidella in
classe! Mi raccomando, 7° D! a presto! ».
«Grazie mille,
arrivederci!».
«Chiamami pure
Clarissa!»,
fece masticando una caramella.
«E lei mi chiami
pure Milly!».
Chiuse la
porta.
Avete
presente
l’Inferno di Dante Alighieri?
Milly ne
era
sempre rimasta affascinata, in un modo o nell’altro di quel posto, ma
aveva
sempre creduto che trovarsi laggiù era impensabile, ma si smentì di
punto in
bianco, quando la bidella aprì la porta della sua nuova classe e vide
le fiamme
roventi e calde che circondavano i dannati.
***************************************************************
Ri-benvenute
e ri-benvenuti a tutti! =)
Siccome
sono
passati mesi da quando ho postato il prologo, mi sembra più giusto ri-presentarmi xD
D’altronde
questo primo capitolo è un vero e proprio inizio, che è possibile
leggerlo
anche senza il prologo (quello alla fine è solo una piccola
presentazione della
protagonista).
Non so
se
avete notato infatti, ma dall’inizio non ho mai chiamato Mildred Milly, da quando lei stessa ha detto di
voler essere chiamata Milly, come la citerò da ora in poi.
Come
se il
prologo “non esistesse”, Mildred non aveva ancora espresso come voleva
essere
chiamata fino a quel momento.
Ma non
so
perché, mi sembra di aver dato molto spazio alla narrazione e agli
altri personaggi
piuttosto che a Milly stessa. Me ne dispaccio =(
Dal
prossimo capitolo in poi spero di poter fare meglio.
Clarissa
mi piace =) Questo è un personaggio che è nato proprio nella stesura:
carattere, storia personale e nome. Si è fatta da sola, e mi piace. Mi
sta
molto simpatica.
Credo
di
volerla far comparire spesso.
La
sorella
di Milly invece, di cui non sappiamo ancora il nome (della famiglia
sappiamo
solo quello del padre, per ora), mi sta un po’ sulle scatole, ma come
personaggio mi piace. Ha carisma xD
Ma
come
posso dirvelo, i personaggi saranno tanti (come sono solita fare) e mi
piaceranno tutti o quasi, alla fine xD
Grazie
mille per le recensioni <3 Sono rimasta sorpresa, in un certo
senso, per
quel prologo bruttino. Grazie mille *____*
IceWarrior
--> *///* Grazie
mille!
Eh,
sì,
come hai visto la sorella è davvero insopportabile da un punto di
vista…
Kahoko-chan
--> *O* Che bello,
sei anche qui! Beh, l’idea del vampiro con l’apparecchio mi è venuta un
giorno
semplicemente guardandomi allo specchio (ehh, purtroppo ho
l’apparecchio ù__ù)
e mi son detta: “cess, chissà se ero un vampiro!”, e così la frase “Il vampiro con l’apparecchio”, dopo
essermi messa a ridere da sola come una scema. Certe idee mi vengono
così ù.ù
Grazie
per
averla messa fra le seguite =)
Come
vi
sembra il primo capitolo?
E
vorrei
anche ringraziare Gin_ookami97 e meris per aver messo la storia di
Milly fra le
seguite. Un vostro commento, se vorrete, sarà il benvenuto! ^^
Bene,
ed
ora vi lascio…
Non so
quando
finirò il secondo capitolo, ma abbiate fede xD
Ciao,
ciao
da Ghen =^_____^=
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