Un gatto nella notte

di Padmini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Uno sguardo ***
Capitolo 2: *** Un gatto nella notte ***
Capitolo 3: *** Il taccuino ***
Capitolo 4: *** Eroe ***
Capitolo 5: *** Amico ***
Capitolo 6: *** Nascondersi ... ***
Capitolo 7: *** ... e ritrovarsi. ***
Capitolo 8: *** Sincerità ***
Capitolo 9: *** Amore ***
Capitolo 10: *** Il forziere del tesoro ***
Capitolo 11: *** L'inizio ***
Capitolo 12: *** Lo sceriffo e il pirata ***
Capitolo 13: *** Dolore ***
Capitolo 14: *** Lontananza ***
Capitolo 15: *** Sherlock Holmes, detective consulente ***
Capitolo 16: *** Il cucchiaino d'argento ***
Capitolo 17: *** Segreti ***
Capitolo 18: *** Indizi per cercare la verità ***
Capitolo 19: *** Irregolari di Montague Street ***
Capitolo 20: *** Verità o conseguenze ***
Capitolo 21: *** John Watson ***
Capitolo 22: *** Gelosia ***
Capitolo 23: *** Notte: regno dei sogni, regno degli incubi, regno dei gatti ***
Capitolo 24: *** La chiave ***
Capitolo 25: *** Gatto randagio ***



Capitolo 1
*** Prologo - Uno sguardo ***


Prologo – Uno sguardo
 

L'anima di una persona è nascosta nel suo sguardo, per questo abbiamo paura di farci guardare negli occhi.

Jim Morrison

 

 

“Sfigato! Vattene!”

Gregory si voltò di scatto verso il cortile. Stava mangiando un panino per pranzo seduto sotto un albero, quando vide un gruppo di ragazzi gridare contro un altro. Sembrava che lo stessero solamente prendendo in giro, che si sarebbero accontentati di infierire su di lui verbalmente, invece all'improvviso uno di quei bulli fece un passo avanti e gli diede un calcio sulla schiena. Il ragazzo cadde in avanti ma miracolosamente riuscì a non perdere l'equilibrio e a restare in piedi. A quel punto un altro dei ragazzi lo afferrò per la giacca e gli diede un pugno in viso, mentre gli altri ridevano.

Fu troppo.

Gregory posò il panino sulla carta che lo conteneva con un gesto stizzito e si alzò i piedi per raggiungere a passo di carica il gruppo di imbecilli. Con uno spintone allontanò quello che stava per dare un altro calcio al povero ragazzo.

“Che cazzo state facendo? Non vi vergognate nemmeno un po'?”

Era furente. Aveva sempre detestato i prepotenti e quelli avevano tutta l'aria di essere i classici bulli che fanno del male solo per il gusto di farlo.

Gregory Lestrade, ultimo anno, studente esemplare, eccellente negli sport, ben voluto dagli insegnanti e dai suoi compagni di classe, conosciuto da tutti per la sua generosità e per nel suo impegno nell'aiutare gli altri, con il suo modo di fare schietto riusciva a incutere timore a chi aveva cattive intenzioni. Il ragazzo che aveva inferto il primo calcio fece per ripetere il gesto, ma colpì un sasso che lanciò lontano.

“Tu non sai chi è lui. Se lo merita. Si merita ogni insulto e anche ogni ...”

“Basta così.” lo interruppe Gregory, alzano la mano “Non mi interessa chi è. Ciò che vedo è un gruppo di prepotenti. Adesso andatevene!”

Quelli si strinsero nelle spalle, ma sogghignarono malevoli verso il ragazzo che stavano picchiando.

“Ti ha salvato, sfigato! La prossima volta non sarai così fortunato!”

Mentre i bulli si allontanavano, l'attenzione di Gregory andò tutta al ragazzo che, stranamente, non aveva fiatato durante tutto il tempo. Solo in quel momento Greg si prese del tempo per osservarlo bene.

Era alto, magro, i capelli neri, ricci, erano spettinati e lo zigomo sinistro era rotto da una ferita dalla quale scivolava una goccia di sangue che si stava pulendo con il dorso della mano. Greg cercò i suoi occhi e rimase folgorato dalla loro bellezza. Erano azzurro/verdi, limpidissimi, imbronciati in quel momento. Dopo un istante di silenzio imbarazzato, riuscì a riaversi abbastanza da quella visione per schiarirsi la voce e pronunciare una frase di senso compiuto.

“Stai bene?”

Si diede mentalmente dello stupido. Era ovvio che non stava bene, lo avevano appena picchiato!

“Sì.”

“Scusa … io …” si interruppe bruscamente e lo guardò allibito “Cosa? Stai … stai bene? Ti hanno picchiato!”

Il ragazzo scrollò le spalle mentre si sistemava la giacca sgualcita.

“Niente di che, in realtà. Sono delle schiappe. Non saprebbero far del male a una mosca.”

Gregory aggrottò le sopracciglia e si meravigliò pensando che, in quel momento, anche lui avrebbe volentieri dato un pugno al ragazzo. Era incredibilmente altezzoso, quasi fastidioso nell'atteggiamento, ma con un fascino nascosto impercettibile da un osservatore distratto. In quel momento lo vide, un gatto nero, elegante e superbo, conscio della sua bellezza e del suo potere, che sfida il mondo senza preoccuparsi dei giudizi altrui.

Altri istanti di silenzio imbarazzato, poi finalmente Greg si decise a parlare, proprio mentre lui stava andando via.
“Come ti chiami?” chiese, senza sapere perché con leggero imbarazzo.

Lui si voltò ma non rispose subito. Guardò Gregory come se volesse valutarlo, squadrandolo da capo a piedi, infine si decise a rispondere.

“Holmes. Sherlock Holmes.”

Gregory sorrise. Non aveva mai sentito un nome così strano e nemmeno un ragazzo così … singolare.

“Sei ...” iniziò, ma Sherlock bruciò sul tempo la sua domanda.

“Sono del primo anno, sì. Per questo non mi hai mai visto. Probabilmente avrai sentito parlare di mio fratello, Mycroft.”

Lestrade era rimasto a bocca aperta dopo essere stato interrotto e ci rimase ancora, pensando che sì, quel nome non gli era nuovo … ma certo! Mycroft Holmes, lo studente più promettente di tutta la scuola! Era uscito da un paio d'anni, ma lui aveva avuto modo di conoscerlo … cioè, di vederlo da lontano. Holmes era irraggiungibile, non faceva amicizia con tutti e preferiva starsene per conto suo. Osservò meglio Sherlock e notò lo stesso sguardo intelligente e indagatore del maggiore, ma fu solo per un istante. Gli occhi del ragazzo erano frenetici e sembravano non riuscire a trovare pace, gli sfuggirono quasi subito, in cerca di altri stimoli.

Sherlock si era voltato, in cerca di altre cose su cui concentrarsi, probabilmente già annoiato da Gregory … oppure no? Riportò lo sguardo su di lui e restò a fissarlo per più di un minuto, come se volesse valutarlo. Gregory, da parte sua, non riusciva a muoversi, come ipnotizzato da quegli occhi magnetici, così belli e misteriosi. Poteva vedere il colore delle iridi variare a seconda di come veniva colpito dalla luce che, filtrata dalle foglie che danzavano sull'albero sopra di loro, accarezzava il suo volto pallido. C'era un abisso in quegli occhi, un antro misterioso e spaventoso, ma anche estremamente affascinante. Esplorare quell'anima sarebbe stata un'avventura che avrebbe fatto tremare i più coraggiosi … ma Gregory? Lui sarebbe riuscito a raccogliere la sfida lanciata da quello sguardo?

Quei pochi minuti furono per Gregory come delle ore … poi il suono acuto della campanella ruppe la magia.

Sherlock, evidentemente soddisfatto di quell'esame, si voltò e si allontanò per tornare verso la scuola, lasciando Gregory solo e intontito, tramortito come se i bulli avessero preso lui a pugni.

“A … presto?”

Fu tutto ciò che riuscì a mormorare, più a se stesso che a lui, prima che un suo compagno di classe lo prendesse per un braccio, per trascinarlo a lezione, rompendo la bolla in cui si era ritrovato fino a quel momento.

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Capitolo 2
*** Un gatto nella notte ***


Un gatto nella notte

 

 

Ti arrivano di un balzo sul petto e ci si insediano come la sfinge, per l'eternità. Sì, forse mi vogliono bene, ma sempre dopo i loro desideri e gli scatti e gli scarti di belva domestica, che vive con gli umani senza rinunciare a nulla della sua naturale innocente ferocia.

Giorgio Bocca

 

Gregory era ancora stupito per ciò che era successo appena un'ora prima. Continuava a ripensare a quel ragazzo, così solitario eppure così affascinante. Un momento. Affascinante? Perché lo trovava … affascinante? Forse perché in qualche modo – ovviamente non sessuale, non era mica gay, lui! - lo attraeva. Il suo modo di fare così spavaldo, i suo occhi magnetici … bisognava essere ciechi per non essere affascinati da un tipo simile. Certo, quando lo aveva sentito parlare la prima volta avrebbe voluto picchiarlo come i ragazzi che aveva sgridato ma, oltre quel brutto carattere, aveva visto qualcosa che ancora non sapeva spiegarsi e che lo incuriosiva. Sì, era proprio quello che lo attraeva di Sherlock, quella scintilla di luce sopita nella profondità dei suoi occhi chiari. In un modo o nell'altro sarebbe riuscito a svelare anche quel mistero.

Con quei pensieri in mente passò il resto delle ore fino alla fine delle lezioni e solo allora, mentre stava uscendo per tornare a casa, fu avvicinato da un suo compagno di classe.

“Hem … Greg? Posso parlarti un momento?”

Si fermò e si voltò verso Anthony.

“Dimmi, ti ascolto.”

“È vero che stamattina hai difeso Sherlock Holmes?” gli domandò, in tono eccessivamente preoccupato.

Gregory fissò l'amico per qualche istante prima di rispondere, cercando di capire perché gli stesse ponendo quella domanda e soprattutto perché fosse così apprensivo.

“Sì, l'ho fatto.” rispose infine, alzando il mento per dimostrare che era orgoglioso di ciò che aveva fatto “Lo stavano attaccando, erano tanti contro uno. Mi era sembrato il minimo che potessi fare.”

Anthony esitò, evidentemente a disagio, ma continuò quando si beccò un'occhiataccia spazientita dall'amico.

“Lo so … cioè, posso immaginarlo … ma … Holmes … lui … evidentemente se lo meritava! È estremamente maleducato e pieno di sé. Tutti lo odiano, dovresti stargli alla larga. Si dice in giro che sia psicopatico, ma nessuno ha mai potuto accertarlo perché nessuno vuole stare con lui più di dieci minuti. Compiango i suoi compagni di classe che devono stare con lui tutto il tempo, ma a quanto pare per fortuna preferisce stare da solo … e da solo dovrebbe stare!”

Anthony aveva pronunciato quelle parole quasi senza prendere fiato, come se volesse sbrigarsi prima che il diretto interessato sbucasse da dietro un angolo per maledirlo perché aveva osato offenderlo. Gregory, da parte sua, ascoltò tutto il discorso con la bocca spalancata per lo stupore.

“ … Greg?” lo incoraggio a parlare lui, lievemente preoccupato per quella reazione.

“Anthony … non so cosa dirti. Tutto questo mi sembra un'enorme idiozia. Non lo conosci nemmeno, se se ne sta per i fatti suoi avrà i suoi buoni motivi, non credi?”

“Sì, ma ...”

“Niente 'ma'. Ieri era stato attaccato ed era in minoranza. Mi è sembrato giusto difenderlo e se dovesse succedere di nuovo lo rifarei. Fine della discussione.”

detto questo se ne andò, lasciando il suo compagno di classe senza parole.

 

Più tardi, a casa, una volta terminati i compiti per il giorno dopo, si ritrovò a pensare nuovamente a quel ragazzo così magro, apparentemente fragile ma allo stesso tempo pericoloso. Sentire quelle parole da un suo compagno di classe, che aveva sempre ritenuto onesto e ragionevole, lo aveva fatto arrabbiare. In quel momento sentì che avrebbe dovuto risolvere la questione, non solo per curiosità ma per giustizia. Non poteva sopportare che un ragazzo fosse non solo isolato ma anche attaccato senza che ci fosse un motivo valido per farlo. Ok, lui non amava stare in compagnia. Ok, magari era un po' presuntuoso, ma bullizzarlo in modo così pesante non sarebbe mai stato giusto, di questo era certo, tanto più che era sicuro che questo tipo di atteggiamento non avrebbe potuto che aggravare la situazione. Si ripromise di andare da lui il giorno dopo e riprovare a parlarci.

 

 

La mattina seguente Gregory uscì di casa molto presto. Era agitato, non sapeva se e come avrebbe trovato Sherlock e soprattutto, nonostante si fosse preparato una specie di discorso da fargli, non sapeva se avrebbe trovato il coraggio di proferir parola di fronte a quegli occhi così freddi. Camminando cercò di caricarsi per poterlo affrontare, ovviamente senza spaventarlo, anche se probabilmente il più impaurito dei due sarebbe stato lui.

Per sua sfortuna non lo vide prima dell'inizio delle lezioni e, anche se provò a fare delle scappate in corridoio tra un'ora e l'altra, non riuscì a incrociarlo. Tutto ciò che ottenne furono altre raccomandazioni da parte di altrettanti suoi compagni e compagne di classe, che gli consigliavano di stare alla larga da 'quel tizio', 'quello psicopatico', 'quello stronzo' e altri epiteti per niente carini ma molto fantasiosi. Lui si limitò a ringraziare tutti per l'interessamento, senza però dire che avrebbe fatto ugualmente come prefissato e anzi, pensò che tutte quelle parole non avevano fatto altro che aumentare la sua voglia di parlare con lui.

 

Durante la pausa per il pranzo uscì in giardino e si mise subito alla ricerca di Sherlock. Lo cercò per tutta la scuola, senza riuscire a trovarlo. Quando si rese conto però che ormai gli rimaneva poco tempo per pranzare, si rassegnò e si sedette sullo stesso albero sotto il quale aveva mangiato il giorno precedente. Ormai non valeva più la pena continuare a cercare, avrebbe fatto un tentativo il giorno seguente o avrebbe cercato di fermarlo all'uscita della scuola.

Aveva appena addentato il suo panino, quando vide un'ombra alle sue spalle. Accanto a lui, immobile e con gli occhi chiusi, si era seduto Sherlock. Gregory restò con la bocca spalancata e mezzo boccone di panino che stava per cadergli sui pantaloni. Non lo aveva nemmeno sentito arrivare. Si riprese rapidamente, masticò il boccone e, dopo averlo ingoiato, si rivolse al suo ospite.

“Hey … non ti ho sentito arrivare ...” mormorò, leggermente imbarazzato, cercando di ricordare ciò che voleva dirlgi.

“Lo so.” si limitò a rispondere Sherlock, senza nemmeno aprire gli occhi.

Greg lo fissò e la sua idea sul fatto che fosse in qualche modo incrociato con un gatto trovò in qualche modo conferma nella sua mente. Quell'idea lo fece sorridere e gli diede il coraggio di riesumare dalla sua memoria una parte del discorso che si era così faticosamente preparato.

“Hem … volevo dirti che … insomma … mi dispiace che gli altri ti trattino male … non so perché lo facciano, ma sono sicuro che non te lo meriti. Ecco.”

Chiuse gli occhi come se avesse ricevuto una botta in testa, maledicendosi mentalmente. Avrebbe potuto dire banalità più banali? Banalità banali? Cosa diavolo stava pensando? Riaprì gli occhi e si voltò nuovamente verso di lui.

“Senti mi disp- ...” si interruppe bruscamente, vedendo che anche Sherlock si era voltato, aveva aperto gli occhi e gli stava addirittura sorridendo.

“Grazie ...” mormorò, facendolo arrossire fino alle punta delle orecchie “Sei … gentile. Sapevo che eri diverso dagli altri.”

Gregory era rimasto senza parole nell'osservarlo. In quei pochi istante la fisionomia di Sherlock era radicalmente cambiata. Solo sorridendo si era illuminato, mostrando una bellezza ancora più profonda. Quel breve istante gli bastò, lo ripagò dei timori e lo convinse ancor di più, se mai fosse stato necessario, del bisogno di aiutarlo.

“Di nulla … figurati ...”

Nel frattempo Sherlock era tornato serio e aveva nuovamente chiuso gli occhi.

“Ti consiglio di finire il tuo panino, non manca molto alla fine della pausa.”

Ancora una volta ammutolito per quella reazione inaspettata, Gregory non poté che scoppiare a ridere. Annuì, continuando a ridere.

“Agli ordini!” e diede un morso al panino mentre Sherlock, al suo fianco, sempre con gli occhi chiusi, si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto.

 

Il resto della settimana passò in fretta. Dopo quel primo giorno in cui Sherlock si era spontaneamente avvicinato a lui, ne seguirono molti altri. Non appena lo vedeva solo, si avvicinava a lui e, come un gatto selvatico, restava al suo fianco, in silenzio. Anche se non parlava, riusciva a trasmettergli un senso di pace che raramente aveva sperimentato con i suoi amici. Con gli altri, con i suoi compagni di classe, si era sempre divertito, scherzando e ridendo per sciocchezze, con Sherlock era diverso. Ogni tanto si voltava, i loro sguardi si incrociavano, Sherlock sorrideva e riusciva a contagiare Gregory il quale, riscaldato da quel sorriso, si lasciava andare e gli raccontava qualcosa di divertente che gli era successo durante la giornata, qualche volta riuscendo perfino a farlo ridere, allora si sentiva orgoglioso e felice di poter condividere quei momenti con lui.

Stava così bene in sua compagnia, anche senza bisogno di parole, che non si accorse che, attorno a lui, gli altri avevano iniziato ad additarli e a sparlare alle loro spalle. Solo sabato, mentre uscivano, due suoi compagni di classe trovarono il fegato per affrontarlo nuovamente. Erano Anthony e Julie, i due che più di tutti sembravano turbati dal rapporto che Gregory aveva instaurato con Sherlock.

“Ti avevo avvertito, Greg. Ora avrai tutta la scuola contro. Non puoi stare con quell'Holmes!”

Nessuno aveva più accennato a quell'argomento, pertanto Gregory si era illuso, a torto, che avessero rinunciato … non avrebbe potuto essere più in errore! Sbuffò, trattenendo a stento la rabbia.

“Non credo che siano affari vostri.” ribatté secco, ma loro continuarono.

“Noi teniamo a te, Gregory. Sei sempre stato un amico leale, generoso … non possiamo sopportare che ti rovini con … quel tipo!”

Il modo in cui Julie parlò di Sherlock gli fece ribollire il sangue nelle vene, ma riuscì a mantenere la calma, solo il viso contratto, i pugni serrati e la voce eccessivamente pacata tradivano la rabbia repressa.

“Bene. Dite che sono sempre stato leale, generoso, un vero amico, eh? Allora sapete anche che non ho mai sopportato le ingiustizie.” il suo viso era rosso per la collera ma la sua voce era ferma, gelida come il ghiaccio “Mi avete già fatto questo discorso, in tanti e per troppo tempo. Basta così. La prossima persona che verrà a parlarmi male di Sherlock perderà la mia amicizia.”

Detto questo, si allontanò a passo di carica per tornare a casa, sfogando nei passi tutta la rabbia che altrimenti sarebbe sfociata in due pugni ben assestati nella faccia di quegli ipocriti.

 

Quella sera, disteso nel suo letto, ripensò a Sherlock. Da quando aveva iniziato a vedersi tutti i giorni con Sherlock si sentiva bene, in pace, ma non era ancora riuscito a capire perché tutti ce l'avessero così tanto con lui, soprattutto da quando aveva avuto modo di conoscerlo meglio. La loro conoscenza era superficiale, ma sentiva che presto avrebbero potuto approfondirla. Gli si spezzava il cuore se pensava a quanto tempo Sherlock aveva trascorso da solo. Forse tutto ciò di cui aveva bisogno … era un amico?

Chiuse la luce e gli occhi e si rilassò per sprofondare poco dopo nel sonno.

Più tardi fu svegliato da un rumore, come un grattare sul legno. Aprì gli occhi ma non accese subito la luce, cercando di capire da dove potesse provenire quel suono. Il rumore cessò, ma subito dopo ne sentì un altro. Dal cigolio che provenne dalla finestra e dalla folata d'aria fredda che gli colpì il viso capì che qualcuno si era introdotto nella sua camera. Restò immobile, paralizzato nel suo letto, incapace di muovere un muscolo per la paura. Un ladro era entrato. Cosa avrebbe dovuto fare? La sua angoscia non durò che pochi istanti. Subito dopo la finestra venne chiusa e sentì che qualcuno si era intrufolato accanto a lui nel letto. A quel punto, seppur terrorizzato, allungò un braccio per accendere la luce … e fu allora che lo vide.

“Sherlock!” mormorò, in preda al panico “Cosa diavolo ci fai qui? Come hai fatto a trovare la mia casa e a sapere quale fosse la mia camera? Perché ...”

Sherlock scosse la testa, spazzando via con quel gesto tutte le domande appena poste.

“Posso dormire qui, stanotte?” chiese semplicemente, spiazzando Gregory.

“ … io … io … sì … certo … ma … i tuoi genitori? ...” si arrischiò a domandare, poi capì che sarebbe stato inutile e che Sherlock avrebbe ignorato anche quella domanda “Va bene, resta pure.”

Si scostò leggeremnte e chiuse la luce. Al suo fianco, Sherlock aveva già chiuso gli occhi. Il mistero di quel ragazzo si stava sempre più infittendo, come la notte che, come una coperta, li avvolgeva e li teneva al caldo. Gregory restò ancora qualche minuto immobile, sveglio, osservando nella penombra, il profilo del viso di Sherlock. Lo aveva conosciuto per caso, si era affezionato a lui e al mistero che si portava dentro e ora sentiva la necessità di proteggerlo, da tutto e da tutti … e lo avrebbe fatto.

“Buonanotte, Sherlock ...” mormorò, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi a sua volta.

 

 

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Capitolo 3
*** Il taccuino ***


Prima di iniziare voglio ringraziare ancora tantissimo Koa__ e Yujo per le loro recensioni! Grazie mille!! Ora il prossimo capitolo, spero vi piaccia

Un abbraccio

Mins

 

 

Il taccuino

 

Questo è il posto ideale per chiunque desideri studiare l'umanità.

Mycroft Holmes, L'interprete greco

 

 

 

 

Il mattino seguente, Gregory si svegliò con il cinguettio degli uccellini fuori dalla sua finestra. Il canto era continuo, una musica regolare che gli riempiva le orecchie e la testa, ogni tanto però interrotta da un rumore di legno che sbatte e vetro che trema. Ancora avvolto dal calore del sonno, ci mise qualche istante a capire che qualcosa non andava e a ricordare cose era accaduto la sera precedente. Lentamente aprì gli occhi. La luce del mattino era filtrata dalle pesanti tende, ma un soffio d'aria fresca entrava ugualmente nella stanza sfiorandogli il viso.

Sherlock! Aveva dormito con lui e … Si voltò per cercare il viso dell'amico accanto al suo, ma tutto ciò che vi trovò fu il cuscino leggermente sgualcito e, poco distante, la finestra aperta, che sbatteva ad intervalli regolari, facendo vibrare il vetro.

Ancora assonnato si alzò e lentamente si avvicinò alla finestra per poterla chiudere. Guardò l'albero che cresceva di fronte alla sua finestra, sul quale si era arrampicato Sherlock per raggiungere la sua finestra e ciò lo fece sorridere. Era arrivato all'improvviso, senza avvisare … e altrettanto all'improvviso se n'era andato. Scosse la testa ridendo, divertito da quel comportamento, poi però qualcosa scattò in lui. Perché lo aveva fatto? Non era normale, quello era sicuro. Perché era andato da lui di notte? Sembrava un bambino spaventato per il temporale, in cerca di rassicurazioni dal papà. Poi c'era il suo mutismo, la sua scarsa socievolezza. Tutti pezzi di un puzzle che stava disperatamente tentando di mettere insieme, ma erano ancora molti i buchi da riempire e Sherlock di certo non lo aiutava in quel senso. D'altra parte non poteva fare più di così, ora toccava a lui, doveva aprirsi con lui se voleva essere aiutato.

 

Gregory trascorse la mattina studiando così, dopo pranzo, decise di fare una passeggiata e insieme fare un po' di commissioni per sua madre al mercato alimentare di Borough*. Aveva bisogno di riposare la mente dal troppo studio e soprattutto concentrarsi su un problema ben più complicato di quelli che proponeva il professore di matematica: Sherlock Holmes. Non poteva farci nulla, più si sforzava di non pensarci, più il viso di quel ragazzo così solo e in evidente difficoltà gli tornava in mente.

Una volta arrivato a destinazione iniziò a girare per i banchi, ammirando la bellezza della merce esposta. Frutta, verdura, salumi, formaggi, miele … Si soffermò di fronte alla bancarella del miele, sua madre gli aveva chiesto di prenderne un vasetto per la colazione. I barattoli erano tutti in fila, ordinati, lucidi e invitanti, da quelli più chiari fino a quelli scuri di castagno. Restò ad ammirarli per qualche istante, poi alzò lo sguardo per parlare con il venditore, ma non appena lo fece rimase di sasso per la sorpresa.

Di fronte a lui, con indosso un grembiule giallo e nero con disegnate tante api, guanti bianchi e un'espressione indecifrabile, stava Sherlock Holmes. Sembrava perfettamente a suo agio, in mezzo ai barattoli di miele, il suo sorriso era quello di un abile venditore, che sarebbe capace di farti acquistare anche quello che non ti serve.

“Ciao, Gregory!” lo salutò semplicemente, come se vederlo lì fosse la cosa più naturale del mondo e solo poche ore prima non si fosse introdotto clandestinamente in casa sua.

“Co-cosa ci fai qui?” chiese, rendendosi conto in ritardo della stupidità della sua domanda.

“Mi sembra ovvio.” rispose lui, con un sorriso divertito, senza però sottolineare la banalità della domanda.

“Hem … sì, giusto … hem ...”

In realtà Gregory voleva domandargli ben altro, ma troppe sorprese nel giro di poco tempo lo avevano disorientato.

“Hem … dicevo … ho bisogno del miele. Miele di castagno. Un vasetto. Grazie.”

Si sentiva sciocco parlando così, ma davvero non sapeva che altro dire, almeno in quel momento. Se mai avesse avuto delle parole da pronunciare, erano fuggite dalla sua mente. Sherlock non sembrò farci caso e, ignorando la tensione dell'amico, prese un vasetto di miele di castagno e lo infilò in un sacchetto di plastica.

“Sono otto sterline.”

Greg era ancora stupefatto per ciò che stava facendo, perciò reagì in ritardo.

“Oh, sì … certo … certo ...”

Mentre Sherlock teneva il sacchetto con il miele lui cercò i soldi e glieli porse.

“Prendi … ecco ...”

Sherlock gli porse il sacchetto, prese i soldi e molto diligentemente gli restituì il resto con lo scontrino.

“Ti ringrazio.” disse poi gentilmente, prima di rivolgersi a un altro cliente che era sopraggiunto nel frattempo.

“Ah … sì, grazie ...”

La sorpresa era tanta che restò intontito per qualche minuto. Quando Sherlock si voltò ancora una volta verso di lui gli fece un rapido occhiolino e finalmente fu in grado di reagire. Ricambiò il saluto e si allontanò.

“Ci vediamo domani a scuola!” esclamò, allontanandosi.

“A domani!”

 

Gregory continuò il giro del mercato e una volta terminate le spese, ripassò di fronte alla bancarella del miele per salutare Sherlock ancora una volta prima di tornare a casa, ma il ragazzo era così occupato che preferì restare ad osservarlo da lontano. Era spigliato, ammiccante con le donne, simpatico con gli uomini ed estremamente cortese con tutti i clienti, non sembrava nemmeno lui. Ogni tanto, tra un cliente e l'altro, lo vide annotare qualcosa in un taccuino di pelle marrone, probabilmente aveva a che fare con le vendite, pensò.

Allontanandosi dal mercato, scoppiò a ridere in mezzo al marciapiede, facendo voltare un po' di persone.

“Così c'è anche questa tessera, eh Sherlock?”

 

 

 

Lunedì mattina il cielo non avrebbe potuto essere più grigio. Nuvole minacciose si erano addensate sopra Londra e avevano iniziato fin dal primo mattino a inondare la città con una pioggia fitta e insistente.

Gregory, sempre di buon umore nonostante tutto, era appena arrivato a scuola carico di buoni propositi ed energia. Aver incontrato Sherlock prima nel proprio letto e poi al mercato, lo aveva prima sorpreso e infine divertito, e l'aspettativa di poter parlare con lui e chiedergli il significato di quelle apparizioni lo rendeva euforico come un bambino che aspetta Babbo Natale. Sapeva che non avrebbe avuto occasione di incontrarlo fino alla pausa, ma ciò non fece altro che aumentare la sua aspettativa.

Quando si avvicinò la fine dell'ora si rese conto però di non sapere bene dove incontrarlo. Il loro posto speciale, l'albero grande fuori in giardino, era irraggiungibile con tutta quella pioggia e non sapeva nemmeno quale fosse la sua classe, perciò non aveva idea di dove cercarlo. Confidando nel fatto che sarebbe stato lui a trovarlo, si cercò un posto comodo. Una volta individuata una panca accanto a una finestra, si sedette e iniziò a mangiare. Era piacevole gustarsi il pranzo mentre la pioggia picchiettava dolcemente sui vetri.

Non dovette aspettare molto, Sherlock arrivò poco dopo, come suo solito, silenzioso come un gatto. Gli si sedette accanto, intenzionato a restare in silenzio. Quel giorno però Gregory non lo avrebbe accettato, Sherlock avrebbe risposto alle sue domande.

“Hey … mi hai trovato ancora, eh?” domandò, facendogli l'occhiolino “Anche sabato sera sei venuto a casa mia ...”

“Ti ho seguito.” rispose lui semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Non ti ho visto.” ammise Gregory, scuotendo lentamente la testa “Non mi sono accorto di nulla.”

Sherlock sorrise beffardo.

“È ciò che accade quando sono io che seguo qualcuno.”

Greg si voltò verso di lui, leggermente seccato per quell'affermazione.

“Non ti sembra un po' eccessivo? Parli come se fossi una specie di detective!” esclamò, tuttavia senza riuscire a trattenere un sorriso.

“Un detective?” domandò lui, scoppiando a ridere “Ammetto che questa descrizione mi piace. Non mi dispiacerebbe diventarlo, un giorno.”

Anche Gregory rise, contagiato dall'amico.

“Per questo mi hai seguito fino a casa? Ti stavi allenando?”

Sherlock non rispose immediatamente e ciò fece preoccupare Greg, che si affrettò a rassicurarlo.

“Non devi rispondere se non vuoi … mi ha fatto piacere ospitarti nel mio letto, non pensare il contrario! È stato … sorprendente e inusuale, ma ormai ho capito che con te le cose normali non possono essere prese in considerazione, giusto? Piuttosto ...”

Mentre Gregory parlava, Sherlock aveva abbozzato un sorriso, rassicurato dall'aver trovato finalmente qualcuno in grado di capirlo, ma quando l'altro esitò, introducendo così un'altra domanda, tornò serio. Intuendo cosa stava per chiedergli, fu lui a parlare per primo.

“Mi vuoi chiedere cosa stavo facendo al mercato? Volevo guadagnare un po' di soldi e dal momento che quando mi sono proposto per dare ripetizioni ai miei compagni di classe nessuno ha colto il mio invito, ho deciso di cercare altrove.”

“Capisco … ma … perché proprio al mercato? Hai una bancarella tua? Sei tu che produci il miele che vendi?”

“No, io lo vendo soltanto. Il signor Jackson ha una serie di alveari vicino a Seaford, in Sussex. È molto amico di mio zio e quando ho visto che aveva una bancarella al mercato mi sono offerto come commesso.”

Gregory annuì, impressionato da quella confidenza. Sherlock non aveva mai parlato, ma all'improvviso aveva deciso che era giunto il momento di raccontare a qualcuno qualcosa di sé e il fatto che avesse scelto lui lo riempiva d'orgoglio.

“Ho capito … ma perché proprio lì? Voglio dire, sei così intelligente, avresti potuto trovare lavori migliori e anche meglio pagati! Perché proprio il mercato?”

Sherlock si strinse nelle spalle con fare noncurante.
“Non mi interessano tanti soldi, mi bastano quelli che guadagno lì. La cosa bella è un'altra ...” a questo punto si avvicinò di più all'amico, si guardò attorno come se temesse che qualcuno potesse ascoltarli e, sottovoce, gli rivelò quello che sembrava un segreto a lungo custodito.

“Mi piace osservare la gente.” sorrise compiaciuto, vedendo la sorpresa negli occhi di Gregory “Al mercato passa gente di ogni tipo. Casalinghe, pensionati, lavoratori di ogni genere, uomini d'affari perfino. Mi piace osservare ogni cosa, ogni dettaglio.”

Si guardò nuovamente attorno e, una volta constatato che nessuno badava a loro, estrasse dalla giacca della divisa il taccuino che Gregory gli aveva visto in mano il giorno precedente. Lo aprì e ne sfogliò distrattamente le pagine, piene di annotazioni a penna e a matita.

Gregory rimase affascinato dal viso di Sherlock in quel momento. Era più luminoso del sole, teso, fremente come una fiamma, i suoi occhi brillavano come stelle mentre contemplava il suo tesoro. Rimase in silenzio, commosso, aspettando che lui continuasse.

“Quando c'è qualcosa che mi colpisce lo scrivo qui e non mi limito a farlo al mercato. Anche a scuola ci sono un sacco di cose che ...”

La magia finì all'improvviso, esplose come una bolla di sapone quando un ragazzo, arrivato all'improvviso senza che i due se ne rendessero conto e che Gregory non riconobbe, strappò il taccuino dalla mano di Sherlock.

“Guarda guarda … cos'è questa robaccia? Bigliettini per i compiti, eh? È per questo che prendi sempre voti altissimi?”

Sherlock si voltò di scatto verso il ladro e gli lanciò un'occhiata di fuoco.

“Restituiscimelo, Alec. Adesso.”

“Altrimenti cosa mi fai, eh? Mi picchi? Fenomeno da circo!”

“Ridaglielo!” intervenne Gregory, alzandosi in piedi e affrontando il bullo con lo sguardo di un mastino intenzionato a sbranare chi aveva di fronte.

“Perché dovrei?” domandò Alec, sventolando il taccuino fuori dalla portata di Sherlock “Siamo in classe insieme e se lui bara per i compiti in classe devo farlo sapere al nostro professore ...”

Detto questo, arretrò di un passo e lo aprì per leggerne il contenuto. Nel frattempo anche Sherlock si era alzato, rosso per la rabbia e, pensò Greg, anche per l'imbarazzo di vedere i suoi segreti profanati. Il rossore divenne più accentuato quando Alec rise di lui e di ciò che aveva così gelosamente custodito per tanti anni.

“Questo? È questo il tuo tesoro?” chiuse il taccuino e lo tenne tra due dita, come se fosse sporco o infetto “Che idiozie!!”

“Se sono idiozie puoi anche ridarmelo, Parker.” sbottò Sherlock, smettendo di chiamarlo per nome, da tanto era arrabbiato “Non ti serve, non te ne fai nulla, mentre per me ...”

“Lo so, lo so … è il tuo tesoro! Sei ridicolo!”

“Tu lo sei molto di più, Parker.” intervenne nuovamente Gregory, stavolta facendo un passo in avanti e chiudendo le mani a pugno per sottolineare le sue intenzioni non proprio pacifiche nei suoi confronti “Hai ottenuto ciò che volevi, giusto? Hai scoperto il suo segreto e lo hai umiliato. Mi sembra sufficiente. Ora puoi anche ...”

Non fece in tempo a terminare la frase perché Parker lo interruppe alzando la mano.

“Non mi basta. Questo sgorbio ha preso un voto altissimo nell'ultimo compito e non si è degnato di suggerire a nessuno. Ora è giunto il momento di vendicare tutte le insufficienze fioccate a causa sua!”

“Non avete preso insufficiente a causa mia e lo sai. Se non studiate non potete pretendere di ...”

“ Si tratta di solidarietà, sgorbietto. Una cosa che tu non puoi capire.”

“Tu non capisci! Se io vi suggerissi le risposte giuste non imparereste mai niente! Preferisci restare nell'ignoranza? Quei voti ve li siete presi perché ve li meritate! Siete solo un branco di asini!!”

Il volto di Sherlock era sempre più rosso e Gregory notò che tremava per la rabbia.

“Basta così, Holmes. Hai detto anche troppo.”

Prima che Gregory o Sherlock potessero fare qualcosa, Parker aprì la finestra e con un lanciò notevole, scagliò il taccuino fuori dalla finestra, sotto la pioggia battente, prima di scoppiare a ridere di gusto.

“Ecco! Adesso siamo pari, sgorbietto.” gridò e si allontanò ridendo.

Gregory si voltò verso Sherlock, il quale si era a sua volta voltato verso la finestra aperta. Fuori la pioggia impediva di vedere bene dove potesse essere caduto il taccuino, che ormai doveva essere zuppo d'acqua.

“Sherlock … mi dispiace … avrei dovuto ...”

Sherlock si voltò verso di lui. Tutto il rossore dovuto all'ira era scomparso e lui era diventato pallido come il muro al quale si era appoggiato, completamente sfiancato da quel tiro mancino.

“Non fa niente.” disse, ostentando un'indifferenza che non aveva “Erano solo … erano solo appunti.”

Il cuore di Greg si spezzò vedendo l'amico ridotto in quello stato. Non l'aveva mai visto così triste. Aveva perfino esitato nel parlare, cosa che non era mai successa prima. Lo aveva visto sopportare a testa alta i peggiori insulti, ma quando aveva visto sfumare il suo lavoro gli era crollato il mondo addosso. Il modo in cui conteneva la sua disperazione era commovente. Non capì se lo facesse per non dare una soddisfazione al suo compagno di classe, anche se in quel momento non poteva vederlo, o per orgoglio personale. In ogni caso, il desiderio di proteggerlo si fece sempre più forte in lui.

“Usciamo!” propose, cercando di risollevargli il morale “Magari lo troviamo ancora!”

Forse Sherlock avrebbe acconsentito, ma la campanella suonò proprio in quell'istante.

“Non importa.” mormorò lui “Davvero. Ora devi tornare in classe.”

“Ma ...”

“Vai. Io sto bene, non mi ha mica fatto male!” disse, cercando di ridere, mentre in realtà Gregory notò che se avesse potuto sarebbe scoppiato in lacrime.

“Come preferisci ...” sussurrò, accarezzandolo con la voce per consolarlo “Ci vediamo a casa mia, oggi pomeriggio? Tanto sai dov'è, giusto?”

Sherlock annui. Tremava ancora impercettibilmente ed era sempre pallido, ma sorrideva. Gregory non era del tutto convinto di quel sorriso, ma dal momento che lui insisteva nel dire di stare bene, decise di lasciar perdere, almeno con lui. Lo salutò con un occhiolino e si allontanò con decisione verso la sua classe, mentre lui faceva altrettanto. Quando però arrivò davanti alla porta non entrò come gli altri e si diresse con passo deciso verso l'uscita. Un suo amico lo vide e lo seguì.

“Gregory!! Dove vai?!” gridò, visto che era già lontano.

“Ho da fare!!” rispose lui, sempre gridando, prima di aprire il portone d'ingresso e uscire sotto la pioggia.

 

 

 

*Mercato di Borough, a Southwark. In teoria domenica pomeriggio dovrebbe essere chiuso ma chissenefrega.

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Capitolo 4
*** Eroe ***


Eroe

 

 

Io mi fido di te
Ehi mi fido di te
Cosa sei disposto a perdere

 

Jovanotti, Mi fido di te

 

 

 


 

La pioggia non aveva diminuito la sua intensità durante le ore che Gregory aveva passato a scuola, ma questo non lo fermò dall'uscire senza ombrello e senza giacca, con il solo obiettivo di recuperare un oggetto che, se gli fosse andata bene, sarebbe stato da buttare, ignorando le voci dei suoi compagni di classe i quali, ben protetti al di là dell'ingresso, lo imploravano di tornare indietro.

Dopo poco, forse troppo poco, non sentì più nessuna voce, forse perché era troppo concentrato in ciò che stava facendo o perché gli altri avevano rinunciato. Non ci pensò e continuò a camminare, sempre più bagnato, per raggiungere il retro della scuola, dove era sicuro avrebbe trovato il taccuino di Sherlock.

Si mise una mano sopra gli occhi per proteggerli dalla pioggia mentre contava le finestre per capire dove fermarsi per guardare. Una volta riconosciuto il posto iniziò subito a guardare per terra. Non era facile individuare un taccuino marrone in mezzo alle foglie arancioni e marroni ma lui non si sarebbe dato per vinto. Girò per cinque minuti buoni attorno agli alberi, guardò sui rami, sperando che si fosse incastrato cadendo, ma non ci fu verso di trovarlo. Stava quasi per rinunciare, dandosi del cretino per aver tentato quell'impresa impossibile, quando perfino Sherlock gli aveva detto di rinunciare, quando vide qualcosa di lucido e squadrato, un minuscolo angolino marrone, sbucare da un mucchio di foglie arancioni. Si avvicinò con un balzo e, tremando per l'emozione, estrasse il taccuino di Sherlock. La copertina era umida, ma quando lo aprì scoprì che solamente i bordi delle pagine si erano inumiditi, il mucchio di foglie in cui si era conficcato lo aveva salvato dalla pioggia.

“Sì! Eccolo!” esultò sfogliandolo rapidamente per sincerarsi che tutto fosse in ordine “Mi sembra in perfette condizioni!”

Fiero di se stesso, se lo infilò nella tasca interna della giacca e rientrò a scuola. Quando fu di fronte alla porta chiusa della sua aula si rese conto che era incredibilmente silenziosa. L'aprì lentamente e notò i suoi compagni di classe chini su quello che aveva tutta l'aria di essere un compito. Il professore di storia, seduto alla cattedra con le braccia conserte, si voltò non appena sentì la porta aprirsi.

“Signor Lestrade! Finalmente si è degnato di farsi vedere … ma cosa le è successo?” esclamò, indicando i suoi capelli e i suoi abiti completamente bagnati.

Gregory aprì la bocca per rispondere, ma il professore lo zittì alzando un dito, per poi indicare il suo banco.

“Vada a sedersi. Il compito è appena iniziato.”

Il compito! Se n'era completamente dimenticato! Andò a sedersi, ignorando il fastidio dei vestiti bagnati, mentre il professore consegnava anche a lui i fogli con le domande. Le lesse rapidamente e si rese conto che tutto sommato non erano così difficili, ce l'avrebbe fatta tranquillamente.

Una volta constatata la fattibilità del compito, decise di prendersi ancora qualche minuto per asciugarsi poi, quando finalmente si sentì meglio, prese la penna e iniziò a leggere le domande.

Aveva appena terminato la sezione di quelle a scelta multipla e stava per cominciare quelle a risposta aperta, quando si sentì chiamare sottovoce dal suo vicino di banco, Anthony.

“Psss, hey! Greg!”

L'interessato si voltò il professore e, appurato che non si era accorto di nulla, troppo occupato a correggere il compito di un'altra classe, girò discretamente la testa per fargli capire che lo stava ascoltando. Anthony, afferrato il messaggio, non esitò.

“La domanda tre! Cosa hai messo? A o D?”

Greg guardò la domanda, notò che aveva risposto C e aprì la bocca per rispondere, ma qualcosa scatto in lui e rimase in silenzio. Rifletté su ciò che aveva detto Sherlock poco prima. Se lui avesse suggerito a Anthony la risposta corretta – ammesso e non concesso che se la meritasse – lo avrebbe davvero aiutato? Lui era in qualche modo famoso nella sua classe per essere generoso nel suggerire le risposte giuste e tutti i suoi compagni di classe gli volevano bene proprio per questo, oltre che per la sua simpatia … ma era davvero giusto? Si sentì improvvisamente come un politico che compra i voti dei suoi elettori distribuendo regali. Così, vergognandosi di se stesso e di come si era comportato fino a quel momento e semplicemente scosse la testa. Non parlò nemmeno, fece in modo che il suo silenzio parlasse per lui. Anthony, ovviamente, insistette.

“Dai! Greg!” sussurrò ancora, disperato “Mi servono anche la cinque e la sei! Per piacere!!”

Normalmente non avrebbe resistito a una supplica del genere, ma in quel momento si sentiva determinato e fiero. Anthony era uno dei tanti bulli che, anche se indirettamente, aveva giudicato Sherlock senza nemmeno conoscerlo. Ormai, nonostante fosse trascorso poco tempo, aveva iniziato a intuire cosa si celava sotto la corazza dietro la quale si proteggeva. Lui non era cattivo, non aveva nessuna intenzione di ferire le persone, eppure ogni suo gesto veniva interpretato male. Se voleva stare per conto suo veniva etichettato come asociale, se non suggeriva ad un compito era un egoista e se diceva la verità era solo uno stronzo e maleducato.

Non prestò più attenzione ad Anthony né ad altri compagni che durante il compito. In questo modo, non solo non si sentì in colpa per aver suggerito, ma riuscì a concentrarsi meglio sulle domande e a rispondere più rapidamente, tanto che riuscì a consegnare il compito molto prima dello scadere dell'ora. Il professore lo guardò stupito quando gli consegnò i fogli.

“Professore, posso andare in bagno per finire di asciugarmi?” chiese.

“Sì … certo ...” rispose lui, stupito per la sua rapidità “Nel frattempo correggerò il tuo compito.” aggiunse poi, con un tono di voce che non prometteva nulla di buono.

 

In bagno non riuscì a fare molto, ma nel frattempo per fortuna si era asciugato un po'. Tornò in classe allo scadere dell'ora e il professore era lì ad attenderlo con il suo compito in mano, evidentemente già corretto.

“Complimenti, Lestrade, è stato molto bravo. Non ha mai fatto un compito così.” disse, consegnandoglielo.

Gregory prese il compito, emozionato come raramente si era sentito. Era certo di aver fatto un ottimo lavoro e le sue aspettative furono confermate quando vide, vergato in rosso in cima alla prima pagina, una bella A.

“Non posso … non posso crederci!” sussurrò, più felice che mai.

Tornando al suo banco, seppur incantato dal voto che era riuscito ad ottenere, notò gli sguardi dei suoi compagni di classe. Quando il professore fu uscito dall'aula, alcuni di loro, tra cui Anthony, andarono ad affrontarlo.

“Si può sapere cosa ...” cominciò, ma si interruppe vedendo la A di Greg “Ah! Hai preso un bel voto, eh? Una A … complimenti! Si può sapere perché non ci hai suggerito?”

Si era aspettato un'imboscata del genere, perciò non si scompose.

“Non mi sembrava giusto. Io ho studiato per ottenere questo voto, voi cosa avete fatto oltre a sparlare dietro le spalle della gente?”

Si riferiva a ciò che dicevano di Sherlock, ma sapeva che erano soliti ridere e scherzare delle disgrazie o di ciò che secondo loro non andava anche di altre persone.

“Come ti permetti?” gli chiese una ragazza “Siamo una classe, dovremmo essere uniti!”

Tutti attorno a lei annuirono, confermando le sue parole.

“Siamo una classe, è vero, ma non è compito mio insegnarvi le cose. Se voi non avete la testa per imparare non ...” si interruppe. Gli sembrò di sentir parlare Sherlock “Non posso fare nulla per aiutarvi, se non suggerirvi di studiare invece di perdere tempo!” concluse, deciso e fiero delle sue parole.

“Ah … ho capito cosa è successo! Sei stato plagiato da quell'Holmes! Nemmeno lui suggerisce mai con questa bella scusa e intanto prende bei voti! Un caso? Per me no, infatti anche tu hai preso un voto altissimo!”

“Sei così stupido ...” mormorò Gregory, ridendo e scuotendo la testa “Io ho preso quel voto perché avevo studiato e senza dovermi preoccupare di suggerire a voi ho potuto concentrarmi sulle domande e rispondere. Invece di sprecare energie elemosinando qualche risposta, potreste ascoltare di più durante le lezioni e studiare a casa. Non ho altro da dire.”

Tornò al suo banco, ignorando i commenti sussurrati dei suoi compagni. Si sentiva strano, triste come se avesse perso qualcosa. Sentiva che la sua amicizia con i suoi compagni di classe, sempre che di amicizia si potesse parlare, era finita.

Il resto delle lezioni passò lentamente e lui restò tutto il tempo stordito. Erano successe tante cose quel giorno e si sentiva stanco, esausto, ma anche incredibilmente felice, come dopo una corsa faticosa ma soddisfacente. Nessuno gli rivolse più la parola e ciò gli permise, nei momenti di pausa, di riflettere. In cosa si stava trasformando? Era davvero un mostro, come tutti lo stavano additando? Non si sentiva un mostro, semplicemente aveva capito qualcosa a cui prima non era arrivato.

 

Più tardi, a casa, mentre si toglieva la divisa che avrebbe messo a lavare, notò qualcosa di rigido e rettangolare nella tasca interna. Ci infilò la mano e ne estrasse il taccuino di Sherlock.

“Che stupido!” si disse, battendosi una mano sulla fronte “Me n'ero completamente dimenticato! D'altra parte non avrei incontrato lo stesso Sherlock, quindi ...”

Si sedette sul letto con il prezioso taccuino tra le mani. Lo aveva salvato, era intatto tra le sue mani … e ora? Aveva il diritto di leggerlo? Ne sfiorò la copertina, tentato di aprirlo. Non era un semplice diario, era qualcosa di più speciale. Ciò che teneva tra le mani era un pezzo dell'anima di Sherlock. Lì dentro non c'erano semplici annotazioni, appunti su ciò che vedeva. Le righe di quel taccuino contenevano la sua visione del mondo, ogni dettaglio, ogni parola non espressa, ogni giudizio che aveva tenuto per sé, la parte più profonda del suo cuore.

Aveva il diritto di profanarla?

In effetti Sherlock lo aveva tirato fuori per mostrarglielo, no? Forse sì, forse no … aveva frainteso o poteva ritenersi degno di sbirciare quel tesoro?

Posò la mano che tremava sulla copertina e fece per aprirla. La sollevò di qualche centimetro e la lasciò così, sollevata, per qualche istante, prima di chiuderla di nuovo con un tonfo.

“No. Non lo farò. Non senza di te.” disse, come se volesse parlare direttamente a Sherlock.

Rifletté qualche istante sulla possibilità di portare il taccuino a scuola, poi capì che non sarebbe stato prudente. Aprì uno dei cassetti dell'armadio e lo infilò tra la biancheria pulita, ben nascosto alla vista.

“Così se vorrai tornare, lo troverai qui ...”

 

Quella sera, dopo cena, si ritirò nella sua stanza prima del solito, per finire i compiti per il giorno dopo … e per aspettare Sherlock. Sapeva che l'idea che potesse andare a fargli visita proprio quella sera era remota, ma non poteva smettere di sperare che il suo amico lo raggiungesse.

Si affacciò alla finestra, il cielo era tornato quasi limpido e l'aria era fresca.

Gregory aspettò a lungo, poi chiuse i libri, si preparò le cose per il giorno successivo e andò a dormire e, sempre sperando che lui arrivasse, chiuse gli occhi e, senza rendersene conto, si addormentò.

 

 

 

Il mattino seguente fu svegliato da sua madre.
“Gregory! Svegliati! Farai tardi!”

Aprì lentamente gli occhi e, guardando l'orologio del cellulare, vide che non si era svegliato.

“Ma cos ...”

“Avanti, muoviti!”

Non se lo fece ripetere due volte, si alzò di scatto e si fiondò a vestirsi, mentre la madre usciva per lasciargli la sua intimità. Guardò ancora una volta l'orologio e, notato che aveva tutto il tempo per farsi la doccia, si spogliò e si infilò in bagno. Poco dopo uscì per prendersi la biancheria di ricambio e fu allora che le sue dita toccarono nuovamente il taccuino. La tentazione di leggerlo si impossessò di lui ancora una volta ma, dopo un breve tentennamento, afferrò le mutande e chiuse il cassetto.

“No. Gregory. Aspetta. Porta pazienza. Aspetta.”

 

A scuola non esitò, evitò accuratamente di presentarsi nella sua classe, invece andò in segreteria e, chiesto dove fossero le classi delle prime, si diresse immediatamente verso quell'ala dell'edificio. Doveva parlare con Sherlock, a tutti i costi, e non poteva aspettare la pausa per il pranzo.

Fortunatamente, non fu difficile trovarlo, lo vide proprio mentre stava per entrare in classe.

“Sherlock! Hey, Sherlock!” lo chiamò per poi raggiungerlo.

Lui si voltò e Gregory notò che era più serio del solito. Che fosse ancora triste per ciò che era successo il giorno precedente? Probabile, anche lui avrebbe reagito esattamente allo stesso modo se qualcosa a cui teneva fosse stata distrutta. Il bello è che Sherlock non sapeva che non era andata così.

“Oh, Holmes ha un amichetto, eh? Holmes? Un amichetto!” intervenne un suo compagno di classe, avvicinandosi prima che Sherlock potesse dire qualcosa “Hey, Alec, è lui il tizio che lo ha difeso ieri? Non sei stato molto utile, a quanto ho sentito! Un eroe da quattro soldi!”

Greg rimase senza parole. Non era difficile capire perché Sherlock preferisse starsene per conto suo.

“Sì, sono io.” rispose, prima che Parker potesse farlo al suo posto “Tu, piuttosto, chi sei? Ah, aspetta, non rispondere, non mi interessa.”

Sherlock, inaspettatamente, scoppiò a ridere e ciò lo riempì d'orgoglio. Lo prese per un braccio e lo trascinò lontano.

“Ti ho aspettato ieri sera …” disse, cercando di non farlo suonare come un rimprovero “Mi sei mancato.”

Sherlock sgranò gli occhi per la sorpresa. Parker aveva raggiunto nel frattempo l'altro e i due stavano borbottando animatamente, di sicuro stavano tramando qualcosa, ma a Sherlock non interessava minimamente. Ora c'era Gregory, c'era qualcuno di cui poteva fidarsi. Le pugnalate alle spalle così generosamente regalategli dai suoi compagni di classe avevano il peso di una formica ormai.

“Davvero?”

“Sì. Te l'ho detto che non era stato un problema, no? Anzi, mi ha fatto piacere … e poi volevo parlarti dopo quello che era successo e di un'altra cosa.”

“Io … tornerò, te lo prometto.” rispose, sorridendo. Sembrava confuso, piacevolmente sorpreso per quelle parole, ma anche preoccupato per qualcosa “Ho avuto da fare, tutto qui, ma stasera ci sarò.”

Gregory annuì e gli sorrise.

“Ho una sorpresa per te.”

Gli fece l'occhiolino e si allontanò, euforico e impaziente. Sì, decisamente quella sarebbe stata una lunga giornata.

Ciò che non sapeva, era che non si sarebbe evoluta come si era aspettato.

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Capitolo 5
*** Amico ***


Ciao a tutti!

Per questo capitolo mi serve una piccola premessa perché è un po' diverso dagli altri. Fin'ora avete letto la storia dal punto di vista di Gregory, ora comincerete a vedere qualcosa anche dal punto di vista di Sherlock. In questo capitolo in particolare si alterneranno le due visioni e per distinguerle, la parte di Sherlock sarà in corsivo.

Ah, vediamo chi indovina chi è il personaggio misterioso che compare alla fine del capitolo? Be', è piuttosto evidente, ma lasciamo comunque la suspance per permettergli di fare la sua entrata da vero Boss!

Buona lettura!

 

p.s. Ogni riferimento a Smaug … non è casuale.

 

 

 

 

 

Amico

 

 

L’antidoto contro cinquanta nemici è un amico.

Aristotele

 

 

Dopo l'incontro con Sherlock si sentiva carico, determinato e felice. Sapeva che avrebbe trovato in classe un clima gelido, soprattutto dopo il mancato suggerimento del giorno precedente.

Quando entrò, invece del silenzio che si era aspettato, venne raggiunto proprio da Anthony.

“Ciao Greg. Volevamo dirti che ci dispiace per quello che è successo ieri. Non avrei dovuto reagire così, il fatto è che tu ...”

“... che io sono amico di Sherlock, giusto? Ve l'ho già detto tante volte, voi non lo conoscete nemmeno, non sapete nulla di lui, non potete permettervi di giudicarlo. Sarebbe come se anch'io evitassi di frequentare te se qualcuno sparlasse alle tue spalle. Ti sembrerebbe bello?”

“No ...” rispose lui, esitando un poco “Ma ...”

Gregory sospirò. Gli sembrava di avere a che fare con dei bambini.

“Ascoltatemi bene” disse ad alta voce, per farsi sentire da tutti “Non sono arrabbiato con voi, non ho niente contro di voi, e vorrei che la cosa fosse reciproca. La mia amicizia con Sherlock non deve interferire con la nostra. Ho fiducia in voi e so che presto capirete quanto siete stati sciocchi a prendervela con un ragazzo che non conoscete nemmeno.”

Aveva parlato tranquillamente, senza intenzione di ferire nessuno e i suoi compagni, ma con l'autorità che lo aveva reso tanto benvoluto da tutti. Nessuno di loro rispose, ma vide che sorridevano, segno che avevano accettato le sue condizioni, così raggiunse il suo banco con il cuore più leggero.

Il pensiero di aver risolto gli attriti con i suoi compagni di classe e la prospettiva di avere Sherlock come suo ospite quella notte lo aveva reso decisamente di buon umore.

Le lezioni andarono bene, come al solito, forse un po' più noiose, ma solamente perché lui era più impaziente di uscire e di terminare la giornata per vedere Sherlock. Lo avrebbe visto anche durante la pausa, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Forse quella sera avrebbero potuto parlare un po' di più e Sherlock gli avrebbe concesso di leggere il suo prezioso taccuino.

Quando giunse l'ora di pranzare, uscì in giardino. L'aria della notte aveva spazzato via quasi tutte le nuvole il cielo, già più limpido, si specchiava nelle numerose pozzanghere. L'erba sotto il suo albero preferito era ancora parecchio umida, ma andò ugualmente lì per aspettare Sherlock, che non tardò ad arrivare.






Da quando aveva visto Gregory per la prima volta, aveva capito che lui sarebbe stato diverso dagli altri, che non si sarebbe fermato alle apparenze. Tutti gli altri erano sciocchi, si limitavano a giudicare ciò che vedevano senza chiedersi il perché delle cose, non si impegnavano per scoprire cosa c'era dietro.

Gregory no, e nemmeno lui.

Lui cercava le risposte a tutte quelle domande che la vita gli poneva, senza fermarsi alla superficie.

Voleva sapere tutto di tutti, ma allo stesso tempo non si fidava di nessuno. Per questo, molti anni prima, non ricordava nemmeno quanti, aveva deciso di affidare alle pagine di un taccuino i suoi pensieri, osservazioni, idee, che raccoglieva un po' ovunque nella città, al mercato, a scuola, nei viaggi che faceva con i suoi genitori, in ogni luogo in cui ci potesse essere qualcosa o qualcuno di interessante da osservare e di cui cogliere l'essenza. Fino a poco tempo prima era riuscito a depurare da qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo ogni suo scritto, ma qualcosa era cambiato quando aveva conosciuto Gregory. Lui, come aveva sempre pensato, era diverso. C'era in lui qualcosa che lo attraeva, forse perché lo sentiva così simile, ma allo stesso tempo totalmente diverso. Gli piaceva stargli accanto, non c'era la confusione che percepiva in compagnia degli altri e perciò si sentiva tranquillo, in pace. Per questo motivo lo cercava ed era rimasto piacevolmente sorpreso quando anche lui gli aveva confermato di apprezzare la sua presenza.

La perdita del taccuino era stata un duro colpo, ma l'idea che Gregory sarebbe stato disposto ad affrontare la pioggia per recuperarlo gli aveva scaldato il cuore, facendogli dimenticare per un istante la delusione. Greg si era arrabbiato forse più di lui per il gesto di quel bullo. Per quanto lo riguardava, aveva ingoiato subito l'amarezza. Non poteva dar soddisfazione a chi voleva vederlo soffrire. Parker aveva scoperto un suo punto debole e aveva affondato la lama per fargli del male. Ce l'aveva fatta, ma non lo avrebbe mai scoperto perché Sherlock aveva già sigillato quella ferita ed era andato oltre. Se non poteva fidarsi nemmeno della carta, avrebbe fatto affidamento solo sulla sua mente e su nient'altro. Aveva iniziato quella sera stessa a costruire tra i suoi pensieri una stanza dove poter conservare tutto ciò di cui aveva bisogno. Lì avrebbe continuato ad accumulare preziose informazioni e nessuno avrebbe più potuto disturbarlo. Nessuno, a parte Gregory.

Al suono della campanella si alzò subito, voleva andare da lui, parlargli, ringraziarlo e soprattutto ascoltare ciò che aveva da dirgli.

Non fu difficile trovarlo, era sempre stato abitudinario, infatti lo vide accanto all'albero sotto il quale lo aveva conosciuto la prima volta.

Hey ...” mormorò, avvicinandosi da dietro.

Gregory sobbalzò, preso alla sprovvista.
“Hey! Mi hai spaventato! Riesci sempre a sorprendermi, eh?” chiese, finendo di scartare il panino.

A quanto pare ...” si strinse nelle spalle, per poi scoppiare a ridere “Hai detto che volevi parlarmi, sbaglio?”

Nel frattempo Gregory aveva addentato il panino, perciò si limitò a scuotere la testa. Quando deglutì, finì di rispondere.

Sì, volevo dirti che ...”

Sherlock non avrebbe saputo cosa voleva rivelargli Gregory, perché proprio in quel momento arrivò Alec Parker, accompagnato da un altro suo compagno di classe, quello che li aveva disturbati quella mattina.

Oh, guarda guarda chi abbiamo qui! Il frocetto!”

Per un istante Sherlock rimase senza parole, disorientato. Lo avevano insultato in tutti i modi possibili, ma non avevano mai usato quel termine.

A cosa devo, di grazia, questo nuovo epiteto?” chiese, lasciando che l'insulto gli scivolasse addosso.

Ma come!” l'altro ragazzo, Robert, si portò le mani al viso, fingendosi eccessivamente sorpreso “Non lo sai?”

Sherlock alzò un sopracciglio, attendendo che Robert continuasse, ma fu Alec a spiegarsi.

Ieri ho letto quel tuo insulso diarietto, sai? Non sono riuscito a leggere tutto, ma c'era scritto, chiaro e tondo ...”

Sherlock, ingenuo com'era, non capì a cosa si riferivano. Alec si mise in posa, finse di tenere in mano un libro ed esclamò ad alta voce.

Gregory è molto interessante, è coraggioso e leale e sicuramente anche molto intelligente. È decisamente diverso da tutti gli altri. Awwww” commentò poi, portandosi le mani al cuore “Robert, non è dolcissimo? Una dichiarazione d'amore! Come sei dolce, Sherly, non lo avrei mai pensato! Avevo sempre creduto che fossi solo uno stronzo senza cuore, invece in quel buco che hai al centro del petto c'è spazio anche per dei sentimenti!”

Sherlock si sentì impallidire. Sentire le sue parole storpiate in quel modo lo aveva fatto sentire esposto, più di quanto avrebbe desiderato. Sì, era vero, provava nei confronti di Gregory un interesse inusuale ed era vero che lo considerava coraggioso, leale e intelligente, ma … amore? Perché avevano detto una cosa del genere? Si voltò verso Gregory e ciò che vide lo spaventò.

Era rimasto a bocca aperta per lo stupore e anche i suoi occhi erano sgranati e lo fissavano, come a volergli chiedere una risposta. Da bianco il suo viso si tinse di rosso, anche se non seppe se per l'imbarazzo o per la rabbia nei confronti di quei due bulli che lo avevano così apertamente deriso. Perché se la prendeva tanto, poi? Non era la prima volta che accadeva, cosa c'era di diverso? Arretrò di un passo. Si sentiva fragile.

Infine capì. Non gli importava se qualcuno pensava male di lui, non gli interessava se lo prendevano in giro, se gli davano dello stronzo, dello psicopatico o se lo ignoravano. Si era sempre fatto scivolare addosso ogni critica, ogni insulto … ma allora, perché si sentiva come se desiderasse solamente scomparire?

Era Greg. Era lui. Era per lui che si sentiva a disagio. Finché se la prendevano con lui poteva convivere con ogni tipo di fastidio, ma se la cosa cominciava a coinvolgere anche Gregory … si rese conto che non sarebbe stato in grado di lasciar perdere, non così facilmente. Arretrò di un altro passo e, preso un profondo respiro, cercò di ricomporsi.

Devo … andare.” mormorò, per poi voltarsi e camminare rapidamente via.

Cosa stava facendo? Stava scappando. Ovvio. Era logico scappare, in quella situazione. No. Allora perché lo faceva? La parte irrazionale del suo cervello aveva ormai preso il sopravvento e anche se lui poteva vedere e capire che ciò che stava facendo non aveva senso, non riusciva a fermarsi. Voleva fuggire, sparire, non farsi più vedere da Gregory.





Aveva sentito bene? Aveva davvero sentito bene? Sherlock pensava quello di lui … lo pensava davvero, a tal punto da scriverlo nel suo prezioso taccuino. Probabilmente la sua espressione doveva averlo spaventato tanto da farlo scappare, ma in quel momento aveva ben altro per la testa.

Punto primo: Sherlock lo trovava interessante, coraggioso, leale e intelligente.

Punto secondo: i suoi compagni di classe erano dei pezzi di merda.

Sherlock, come un possente drago, era sempre riuscito a parare i colpi, ma quei due vigliacchi avevano infine trovato un punto debole nella sua corazza e vi avevano affondato la lama.

Quando si fu riavuto a sufficienza per poter parlare, lanciò ai due, che nel frattempo non avevano fatto altro che continuare a ridere, un'occhiata di fuoco.

“Vi sembra divertente, eh?” chiese, con un tono di voce piuttosto intimidatorio.

Senza rendersene conto aveva schiacciato il panino che teneva in mano e ormai era ridotto in briciole. I due bulli se ne resero conto e risero ancora.

“Calmati, carino!” esclamò Alec “Ciò che ho detto è ciò che ho letto sul taccuino. Ormai non potrai più controllare, dovrai fidarti di me, ma ti giuro che è la verità!” rise ancora, rivolgendosi a Robert “Il nostro psicopatico si è innamorato!”

“Vi sentite tanto bravi, eh?” chiese, quasi ringhiando, lasciando poi cadere il panino a terra “Vi sentite realizzati. Lo avete fatto star male, non smettete mai di tormentarlo. Dovreste vergognarvi!”

“Vergognarci?” chiese Robert “Ci divertiamo e lui se lo merita!”

Greg strinse il pugno, mentre la rabbia prendeva lentamente il sopravvento. Era ormai evidente che parlare con quei due non avrebbe sortito nessun effetto, perciò decise di passare alle maniere pesanti. Con due falcate annullò la distanza che li separava e colpì prima uno e poi l'altro con un pugno dritto sul naso. I due vacillarono, ma riuscirono a non perdere l'equilibrio.

“SEI IDIOTA?!” urlò Robert, tastandosi il naso, da cui fuoriusciva un rivolo di sangue.

“Ha preso la testa anche lui!” borbottò Alec, toccandosi il naso per verificare che non fosse rotto “La vicinanza con Holmes gli ha fatto male!”

Ancora una volta il fuoco si impossessò di lui. Tutto era iniziato a causa di quell'Alec, quel maledetto Alek Parker. Con uno spintone allontanò Robert e si fiondò nuovamente su Alec, lo prese per la maglia con la mano sinistra e gli assestò un secondo pugno, più forte del precedente. Robert, che nel frattempo era caduto a terra, si rialzò e afferrò Gregory per le spalle per poterlo fermare.

“Smettila! Idiota! Smettila!”

Fu un istante. Greg si rese conto di ciò che stava facendo. Tutti attorno a loro si erano fermati a fissarli. Lasciò andare Alec, senza fiato per la rabbia e la tensione accumulate. Quest'ultimo era conciato davvero male, con il viso pieno di lividi, ma sembrava ancor più arrabbiato di Gregory, perché a causa sua aveva fatto una figuraccia.

“Ti faremo sospendere per questo, stanne certo!” gridò mentre, aiutato da Robert, tornava nell'edificio per pulirsi in bagno.

Gregory fremette di rabbia ed espirò rumorosamente dal naso. Le persone attorno a lui continuavano a fissarlo.

“Lo spettacolo è finito! Potete anche andarvene!”

Dannazione. Dannazione. Dannazione.

La giornata era cominciata così bene … e ora? Era nella cacca. Lo avrebbero sospeso, quello era poco ma sicuro. Chi lo avrebbe detto a sua madre? Come avrebbe reagito? E Sherlock? Lo avrebbe più rivisto?

“Sono un idiota! Avrei dovuto fermarlo invece di picchiare quei due!”

In quel momento suonò la campanella così, per non mettersi in ulteriori guai, decise che fosse meglio rientrare rapidamente. Passò per il bagno per pulirsi le macchie di sangue sulle nocche e corse in classe poco prima dell'ingresso del professore. Anche se si era lavato, doveva avere un aspetto tremendo, perché Anthony si sporse verso di lui.
“Hey, Greg! Tutto bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma!”

Si prese qualche istante prima di rispondere. Cosa doveva dire? Ho picchiato due idioti per difendere il mio amico?

“Non preoccuparti.” fu tutto ciò che mormorò, prima dell'inizio della lezione.

 

 

Le ore seguenti trascorsero lentamente, scivolarono come la resina sul tronco di un albero. Il ticchettio dell'orologio appeso alla parete sembrava amplificato. Non voleva far altro che tornare a casa e chiarirsi le idee. Tutto ciò che i professori dicevano sembrava provenire da lontano e solo con un enorme sforzo era riuscito a sembrare attento.

I pensieri continuavano a vorticare rapidamente nella sua testa.

Sherlock.

Sospensione.

Idioti.

Sherlock.

Sospensione.

Idioti.

Aveva fatto bene a colpirli?

Sì.

Sarebbe stato nei casini se lo avessero sospeso?

Ovvio.

Sarebbe riuscito a parlare ancora a Sherlock?

Poco probabile.

Si faceva le stesse domande, a ripetizione, e ovviamente le risposte non cambiavano.

Merda.

Merda.

MERDA!

Il suono dell'ultima campanella lo ridestò da quell'incubo da sveglio. Anthony gli posò una mano sulla spalla, un modo amichevole per riportarlo su questa terra.

“Hey … se hai bisogno ...”

“Mhn mhn” mormorò lui, mentre in realtà la sua testa già era volata a casa, dove sua madre probabilmente era già stata avvisata dell'accaduto. Immaginò le urla, la giusta punizione, il divieto di usare il telefono, di uscire … dannazione. In questo modo non avrebbe nemmeno potuto contattare Sherlock e, tra l'altro, stupido idiota, non aveva nemmeno il suo numero di telefono o il suo indirizzo.

Si rese conto di essere rimasto solo in classe, tutti gli altri erano già andati via. Si sbrigò a raccogliere le ultime cose e fece per raggiungere la porta, ma proprio in quel momento entrò un ragazzo.

Era alto, slanciato, dal portamento e dallo sguardo fieri, i suoi capelli rossi erano ordinatamente pettinati all'indietro. Si muoveva lentamente, con molta calma, come se avesse tutto sotto controllo e in effetti l'impressione che suscitava era quella di qualcuno che ha piena padronanza, prima di tutto su se stesso, ma anche sugli altri.

“Salve. Lei è Gregory Lestrade.”

La sua non era una domanda. Sapeva esattamente con chi stava parlando e a quanto pareva era lì proprio per lui. La cosa, nonostante la calma che trasmetteva, o forse proprio per questo, lo inquietò. Gregory non si mosse, ma non accennò nemmeno a indietreggiare.

“Immagino che sia preoccupato per la sua probabile sospensione.” proseguì lui, incurante del disagio del suo interlocutore, o più probabilmente godendoselo “Non si preoccupi. Non accadrà.”

“Lei chi è?” chiese, cercando di non sembrare troppo intimorito.

L'altro sorrise e in quel momento Gregory lo riconobbe.

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Capitolo 6
*** Nascondersi ... ***




Nascondersi ...

 

 

Mi nascondo perché le persone migliori sono quelle che vengono a cercarti.
(IlReQuieto, Twitter)




 

 

L'aula era silenziosa, ma nell'aria si percepiva una scarica di tensione.

Da una parte c'era Gregory, arrabbiato, nervoso, spaventato, preoccupato.

Dall'altra c'era Mycroft Holmes, il famoso fratello di Sherlock, calmo e pacifico, come se stesse assistendo a uno spettacolo.

I due non avrebbero potuto essere più diversi, ma avevano una cosa che li rendeva simili: Sherlock.

Se da una parte Mycroft era tipo da lunghi silenzi e dialoghi senza parole, fatte di sguardi e velate allusioni, Gregory era sempre stato più incline alla comunicazione verbale.

“Non devo preoccuparmi, eh? Per prima cosa, come sai di questa storia?” chiese, dandogli del tu, rendendosi conto che darsi del lei era palesemente ridicolo “Nessuno dovrebbe saperlo. Ti ho riconosciuto, sei Mycroft Holmes e non frequenti più questa scuola. Vorrei sapere con che autorità sei venuto qui per dirmi che non devo preoccuparmi!” ripeté, alzando la voce.

Mycroft aveva alzato un sopracciglio sentendosi dare del tu.

“Ha ragione, signor Lestrade.” disse infine, decidendo di continuare con quel distacco formale “Non frequento più questa scuola, ma non significa che non possa tenermi informato.”

“Informato?!” esclamò Greg, guardandolo come se fosse impazzito “Su cosa?!”

Il giovane Holmes sorrise poi, con molta calma, raggiunse la cattedra e si sedette al posto dell'insegnante, un altro modo per mettere in chiaro la sua posizione.

“Tengo molto a mio fratello,” cominciò, congiungendo le mani di fronte a sé “e come avrà potuto notare, non è tipo che stringa amicizia molto facilmente. Non è mai stato facile, per lui.”

Gregory lo fissò e si chiese se a sua volta Mycroft avesse mai fatto fatica a fare amicizia. Apparentemente i due fratelli gli sembrarono molto simili.

In realtà, il minore aveva dimostrato di celare, sotto la maschera dell'indifferenza, sentimenti ed emozioni devastanti, di cui lui stesso non era pienamente consapevole, un vulcano addormentato, ma pronto ad eruttare con violenza in qualsiasi momento.

Mycroft, al contrario, sembrava un imponente e gelido iceberg, di cui si poteva vedere solo la cima immacolata, mentre nascondeva a sua volta un'immensità di segreti, gelosamente custoditi nella sua corazza di ghiaccio.

Questo pensiero gli fece immaginare che perfino la pelle del ragazzo potesse essere gelida al tocco, e ciò lo fece rabbrividire, suscitando un sorriso ironico nel suo interlocutore.

“Sherlock è sempre stato testardo, poco … diplomatico. Non ha mai saputo gestire situazioni difficili se non con il conflitto.”

Si prese una breve pausa e Gregory intuì che dietro quella minuscola esitazione ci fosse qualcosa, forse il conflitto che spingeva Sherlock a fuggire di casa?

“Quindi?” lo incalzò lui, prima che potesse riprendere “Lo controlli? Come?”

Il pensiero che un ragazzo come quello che aveva di fronte potesse avere un simile potere lo sconcertava, ma l'aura di potere e controllo che emanava gli fece intuire che sì, poteva essere possibile.

“Come già sa, sono stato uno studente di questa scuola. Ho molte conoscenze ...”

“Ah!” lo interruppe nuovamente, sbattendo il pugno sul banco accanto a sé “Quindi hai tutte le informazioni che vuoi da un insegnante ... o più di uno!”

“Non sia ridicolo.” sogghignò, divertito dalla sua ingenuità “Gli insegnanti non vedono e non sentono nulla, sono solo degli incompetenti che cercano di arrivare a fine mese, senza avere la minima consapevolezza di ciò che gli avviene attorno. No, le informazioni di cui ho bisogno arrivano dal bidello.”

Gregory alzò un sopracciglio. Un bidello? Stava scherzando?

“Vedo che è sorpreso. Non lo sia e provi a ragionare. I bidelli vanno ovunque, sono sempre presenti all'interno della scuola e nei momenti migliori, ovvero fuori dalle aule. Durante le lezioni non accade nulla di rilevante, ma è fuori, nei corridoi, in giardino, che tutto si fa più interessante. Paul è un mio vecchio amico, mi deve più di un favore, per questo tiene d'occhio mio fratello per me e, come nel caso in cui qualcuno picchi i bulli che lo tormentano, mi chiama.”

Greg aveva ascoltato tutto con crescente stupore.

“Sì.” rispose Mycroft, rispondendo a una domanda che Gregory non aveva nemmeno pensato “Controllo anche lei, da quando ha difeso mio fratello, la settimana scorsa.”

“Tu ...” era senza parole, paralizzato dalla sorpresa, ma anche da una buona dose di rabbia “Non hai nessun diritto di controllarmi, né di farlo con tuo fratello! È … malato!”

Mycroft scosse la testa, per nulla toccato da quell'ultima affermazione.

“Voglio solo proteggerlo. Ha bisogno di essere protetto.”

Gregory aprì la bocca per ribattere, ma capì che non c'era nulla da fare. Era vero. Anche lui, se ne rendeva conto ogni giorno sempre di più, sentiva la pressante necessità di proteggerlo. Certo, il modo in cui Mycroft lo faceva era forse … sbagliato, ma picchiare chi lo offendeva era poi tanto diverso? C'era qualcos'altro che poteva fare per aiutarlo? Quella discussione stava andando anche troppo per le lunghe, aveva decisamente voglia di darci un taglio, sia perché era stanco, perché Mycroft lo inquietava, ma soprattutto perché voleva andare a cercare Sherlock.

“Quindi ...” iniziò, ma ancora una volta l'altro aveva intuito i suoi pensieri.

“Capisco che lei abbia fretta di andarsene, perciò arriverò al punto. Come le ho già detto, non deve preoccuparsi per la sua sospensione. Paul mi ha chiamato quando ha visto come si è dato da fare con quei due teppisti, così ho subito contattato il preside e l'ho convinto a lasciar perdere la sua sospensione.”

“Avevano già pensato di ...”

“Sì. I due bulli erano andati direttamente dal preside per denunciarla, ma sono riuscito a fermarlo prima che potesse chiamare i suoi genitori. Tutta questa storia sarà dimenticata.”

Gregory sospirò di sollievo e fece per andarsene, ma Mycroft lo bloccò ancora.

“Ah, per quanto riguarda mio fratello … se ha intenzione di andare a cercarlo posso aiutarla, ma non riuscirà a trovarlo.”

Con un gesto disinvolto del braccio, tirò fuori dalla giacca un biglietto da visita, lo posò sulla cattedra, dal taschino interno tirò fuori anche un'elegante penna stilografica e scrisse qualcosa sul retro del cartoncino, poi si alzò e mosse qualche passo per raggiungerlo e porgerglielo.

“Qui c'è il mio numero di telefono e il mio indirizzo e se vuole le ho scritto anche quello di mio fratello e il suo numero.”

Gregory prese bruscamente dalla sua mano il biglietto da visita e lo guardò, stupito.

“Non vivete insieme?”

“Ovviamente no, da quando ho iniziato a frequentare l'università, ma mi reco spesso a casa per ...”

“Controllarlo. Ho capito. Cosa dovrei farmene del tuo numero, comunque?” chiese, domandandosi cosa potesse fare un ragazzo come lui di un biglietto da visita.

“Se dovesse accadere qualcosa di spiacevole a mio fratello potrebbe ...”

“Saresti l'ultima persona che chiamerei, stanne certo.” esclamò lui, mettendo tuttavia il biglietto in tasca, non tanto per il numero e l'indirizzo di Mycroft, quanto per i dati di Sherlock. Mycroft lo intuì.

“Può andare a trovarlo a casa, se vuole, ma non ci sarà. Paul mi ha raccontato ogni cosa e, dal momento che lo conosco bene, anche meglio di se stesso, so per certo che è andato a nascondersi.”

Il modo in cui Gregory sgranò gli occhi fu sufficiente a Mycroft per intuire ciò che stava per domandare.

“Lui è fatto così. Gli piace fare la prima donna, mettersi nei guai, far penare la gente per lui. Ogni tanto sparisce, giusto per far preoccupare chi tiene a lui.”

Gregory lo osservò con attenzione. Nonostante dal suo viso non trasparisse alcuna emozione, era ovvio che ciò che diceva era filtrato da sentimenti repressi. Anche se era sempre stato descritto come una persona incredibilmente intelligente, fuori dalla media, non sembrava in grado di provare empatia per gli altri, dunque da dove veniva fuori quel discorso? Era lui, la persona che si preoccupava, che penava per il fratello minore, ribelle e testardo.

“Conosce Londra come le sue tasche e ha un'infinità di luoghi in cui va a rintanarsi quando non vuole essere trovato. Si farà vivo quando gli sarà passata.”

“Ho capito.” rispose semplicemente. Non voleva cominciare una discussione, ma andarsene al più presto. Lo sorpassò e quasi correndo uscì dall'aula.

Mycroft sogghignò soddisfatto vedendolo andare via. Non era del tutto certo che avrebbe seguito il suo consiglio, ma la determinazione di Lestrade per aiutare suo fratello lo aveva colpito positivamente.






Non si era mai sentito così in imbarazzo in vita sua. Probabilmente era già accaduto, magari per colpa di Mycroft, ma non riusciva a ricordare un momento più disastroso. Quei cretini si erano inventati chissà cosa per prenderlo in giro, non aveva idea del perché avessero detto quelle cose, ma a quanto pareva aveva funzionato. Gregory si era arrabbiato per quello che aveva scritto? Forse sì, forse no. Non era riuscito a decifrare l'espressione del suo viso.

Dopo quella batosta si era ritirato in un silenzio ostile, nel quale nemmeno i professori avevano osato addentrarsi. Aveva deciso di restare attento alle lezioni successive solo per non permettere a i pensieri di tormentarlo, ma dopo l'ultima campanella si era reso conto che nulla avrebbe potuto più separarlo da ciò che era successo. Tornare a casa per fare i compiti per il giorno dopo avrebbe significato vedere sua madre, e non aveva voglia di vedere nessuno in quel momento. Le inviò un messaggio in cui le diceva semplicemente che sarebbe tornato a casa tardi a causa dello studio e, colto da un'improvvisa illuminazione, si diresse verso la fermata della metro.

Poco più tardi scese alla stazione di Russel Square. Tra i tanti nascondigli che aveva trovato in giro per Londra, non avrebbe potuto andare in un luogo più perfetto. Aveva bisogno di mantenere la mente impegnata, lontana da pensieri fastidiosi e irrazionali e il British Museum sarebbe stato il luogo ideale per concentrarsi su altro.

Stava camminando lungo Montague Street, per raggiungere il museo. Adorava quella strada, gli era sempre piaciuta la pace che regnava lì, e da quando Mycroft aveva traslocato per frequentare l'università, aveva desiderato a sua volta trasferirsi per vivere da solo, magari in uno di quei bellissimi appartamenti, così tranquilli e soprattutto vicini a uno dei luoghi che adorava di più in tutta Londra. Era consapevole di dover aspettare ancora parecchi anni prima di poterlo fare, ma quando si ritrovava a passeggiare per quella particolare strada, si immaginava di essere appena uscito dalla sua casa, per recarsi al British Museum, e quel pensiero riusciva in ogni caso a risollevarlo di morale, anche nelle giornate più nere.

Era quasi arrivato all'angolo con Greag Russel Street, quando sentì vibrare il telefono. Una singola vibrazione. Un messaggio? In un primo momento pensò di ignorarlo, poi, sopraffatto dalla curiosità, si decise e guardò. Poteva essere sua madre, che gli rispondeva dicendogli di fare il bravo e bla bla bla. Poteva essere Mycroft? Nessuna delle due ipotesi. Nel suo schermo comparve un numero sconosciuto. Incuriosito più che mai, aprì il messaggio.

 

Ciao, sono Gregory. Questo numero mi è stato dato da tuo fratello Mycroft (ti spiegherò quando ci vedremo). Ti scrivo per dirti che non devi preoccuparti, va tutto bene, quei due bulli sono solo degli idioti e niente di quello che potranno dire su di te mi farà cambiare idea sul tuo conto.

Quando vuoi, ti aspetto a casa mia.

Greg

 

Non poteva crederci. Mycroft si era intromesso anche con Gregory. Chissà quali assurde proposte gli doveva aver fatto per farsi convincere a dargli il suo numero. Per la rabbia strinse il cellulare nel pugno e fu tentato di scagliarlo lontano, magari per romperlo, poi tornò in sé e lo rimise in tasca.

Non doveva permettere ai sentimenti di distoglierlo ancora dalle cose importanti. La situazione andava analizzata razionalmente.

Cosa poteva essere successo? Come e perché Gregory era entrato in contatto con suo fratello?

Fu allora che si ricordò, Aveva visto Alec e Robert rientrare in classe piuttosto malconci, ma in quel momento, troppo chiuso per poter percepire con la giusta consapevolezza i dettagli attorno a sé, non ci aveva prestato molta attenzione. Chi poteva essere stato a picchiarli se non Gregory? Quindi davvero non era arrabbiato e davvero era felice di quello che aveva scritto su di lui?

Quei pensieri lo fecero sorridere di cuore, ma c'era ancora qualcosa che doveva capire.

Mycroft. Cosa c'entrava lui in tutto ciò? La risposta arrivò quasi immediatamente. La storia si stava ripetendo, quindi? Suo fratello doveva aver chiesto a qualcuno della scuola di sorvegliarlo, così come aveva fatto nella scuola che aveva frequentato l'anno precedente, e si era intromesso? In un primo momento provò solo rabbia nei suoi confronti, un'ira cieca, devastante, che gli fece perdere quella poca pace che era riuscito a raggiungere. In un secondo momento, però, sopraggiunse un altro pensiero. Se Mycroft non si fosse messo in mezzo, probabilmente Gregory sarebbe stato sospeso. In fin dei conti gli doveva due favori, perché aveva salvato il suo amico e gli aveva dato il suo numero.

Con un profondo sospiro lasciò andare la rabbia nei confronti del fratello e si concentrò nuovamente sul messaggio. Tirò fuori il cellulare, lo lesse altre due volte, poi lo rimise in tasca. Cosa poteva rispondergli? Non aveva idea di cosa scrivere, non si era mai trovato in una situazione simile. Avrebbe dovuto rispondere? La frase finale faceva pensare che Gregory non si aspettasse una risposta immediata, e ciò lo rassicurò un po'.

Avrebbe dovuto andare subito da lui? Per dirgli … cosa? Ancora una volta non sapeva da che parte iniziare.

Aveva assoluta necessità di riordinare le idee.

Mentre pensava a questo, aveva raggiunto il cancello principale del museo. Le colonne all'ingresso sembravano volerlo invitare ad entrare, a cercare lì dentro le risposte alle sue domande.

Accanto a lui passavano i turisti e gli studenti, diretti verso quel luogo del sapere. Sarebbe riuscito a trovare se stesso e a sbrogliare i nodi di quella situazione? Sfiorò la tasca nella quale aveva infilato il cellulare. Gregory avrebbe aspettato, avrebbe capito che c'era qualcosa di più importante che doveva fare prima di andare da lui. Quella mattina aveva pensato che non lo avrebbe più rivisto, non sarebbe mai stato capace di guardarlo ancora una volta negli occhi, invece ripensando a ciò che gli aveva scritto, capì che c'era ancora una speranza.

Sorrise, rinfrancato da quei pensieri, e oltrepassò il cancello.

 

 

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Capitolo 7
*** ... e ritrovarsi. ***



… e ritrovarsi.

 

 

Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.”

Antoine De Saint-Exupery



 

 

Sherlock trascorse quasi l'intero pomeriggio al British Museum. Le ore volarono, tra una sala e l'altra e riuscì a non pensare a Gregory per tutto il tempo, troppo coinvolto da ciò che vedeva. Una delle sue caratteristiche era che, se voleva, poteva astrarsi totalmente e dimenticare la realtà attorno a lui, soprattutto se c'era qualcosa di più interessante su cui concentrarsi, come delle antiche statue egizie, per esempio, o un intaglio di legno così piccolo e minuzioso da necessitare di tutta la sua attenzione e di tutte le sue diottrie.

Per questo si era recato al British Museum, per concedere un po' di pace al suo … cervello? Cuore? Non lo sapeva, ma era certo che, dopo qualche ora di riposo, qualsiasi cosa fosse stata in confusione dentro di lui, avrebbe trovato il suo giusto posto. Aveva bisogno di mettere ordine tra i pensieri e le emozioni e soprattutto di distinguere gli uni dalle altre. Sperava che potesse essere un processo automatico invece, una volta tornato in strada, sentì che, se mai fosse stato possibile, le cose si erano ulteriormente ingarbugliate nella sua mente.

Il cielo era ormai scuro e stava scendendo la sera, l'aria era più fresca, le luci delle auto illuminavano le gambe dei passanti, infreddoliti e desiderosi solamente di tornare a casa. Casa … anche Sherlock avrebbe dovuto esserci. Guardò l'ora sul cellulare e vide immediatamente un paio di chiamate perse e un messaggio della madre.

 

Signorino, ti ho chiamato due volte e non hai risposto. Spero per te che fossi troppo preso dallo studio! Torna a casa presto, ti aspetto.

Mamma

 

Sorrise leggendo quel messaggio, sua madre fingeva di essere severa, in realtà era peggio di lui in certe circostanze, curiosa e testarda, faceva sempre di testa sua. Proprio perché sapeva che Sherlock aveva ereditato il suo carattere intraprendente e dinamico, non poteva non preoccuparsi per lui, ovviamente stando bene attenta a non privarlo dei suoi spazi personali.

Sherlock queste cose le sapeva bene, ne avevano parlato spesso, soprattutto quando lui si era messo nei guai, ed era successo più di una volta.

Fece per mettere via il cellulare, quando vide, sotto il messaggio della madre, quello di Gregory. Lo riaprì e lo rilesse un'altra volta, fermandosi all'improvviso in mezzo al marciapiede.

Non gli aveva messo fretta, non voleva farlo sentire a disagio, ma aiutarlo. Nessuno, a parte sua madre, lo aveva mai fatto sentire così bene. Lui si era battuto per lui, verbalmente e fisicamente e ora, nonostante meritasse da parte sua solo ringraziamenti e lodi, se ne stava in un angolo, aspettando che lui fosse pronto per farsi avanti. Quel pensiero lo fece sorridere e, malgrado il freddo, arrossire. Sentì il cuore battere forte, più del normale. Nemmeno quando era entrato per la prima volta nel museo di storia naturale si era sentito così emozionato. Cosa voleva dire? Era davvero questo l'amore di cui parlavano Alec e Robert? Era davvero innamorato di Gregory? Se fosse stato così, a chi avrebbe potuto parlarne? Osservando i due messaggi, quello di Greg e quello di sua madre, capì che sarebbe stata lei la persona ideale con cui confidarsi. Lo avrebbe capito e avrebbe saputo consigliarlo.

Normalmente non avrebbe risposto, ma scrisse ugualmente un messaggio a sua madre.

 

Sto arrivando, sono appena uscito dal museo.

S

 

Sì, sarebbe stato sufficiente. Rimise il cellulare in tasca e si avviò verso la fermata della metro. In Montague street si fermò di fronte ad una casa con la scritta “affittasi” e sorrise.

Arriverò. Aspettami, un giorno o l'altro verrò da te.”

 

 

 

 

La giornata era stata lunga, faticosa ed estremamente difficile. Gregory si sentiva esausto, da molti punti di vista. La paura di essere sospeso lo aveva fiaccato e, benché Mycroft gli avesse assicurato che nulla gli sarebbe successo, aveva deciso ugualmente di confidarsi con suo padre.

Graham lo aveva ascoltato con attenzione e, se in un primo momento si era arrabbiato per il comportamento del figlio, aveva preferito sentire tutta la storia per decidere solo alla fine cosa dire.

“Non posso che essere fiero di te, Gregory” gli aveva detto infine, mettendogli una mano sulla spalla “Non approvo la violenza e tu lo sai, ma in certe occasioni evidentemente non si può farne a meno, giusto? Sei stato coraggioso a difendere quel ragazzo. Certo, suo fratello … come hai detto che si chiama, Mycroft? Be', non è normale che un ragazzo come lui si comporti così, ma almeno ti ha tirato fuori dai guai. Cerca di stare più attento, la prossima volta. Piuttosto, l'altro ragazzo, Sherlock, si è più fatto sentire?”

No, non si era più fatto sentire. Il cellulare era rimasto silenzioso tutto il pomeriggio.

Da una parte era arrabbiato. Insomma, lo aveva difeso, aveva quasi rischiato di essere sospeso per lui, e questo era il modo in cui lo ringraziava?

Quando pensava così, sopraggiungeva però la parte più razionale a bloccare tali pensieri. Sherlock era sotto shock per quello che era successo, forse aveva saputo della rissa ma non aveva ancora avuto il modo di capire come comportarsi? Doveva dunque portare pazienza?

La sua testa, in bilico tra quei due estremi, stava per scoppiare. Stare con Sherlock equivaleva a camminare su un filo. Un solo passo falso avrebbe significato la fine di tutto. Fin'ora era riuscito a mantenere l'equilibrio, ma fino a quanto sarebbe riuscito a farcela?

 

 

 

 

Il silenzio della casa era rotto solamente dal ticchettio regolare della pendola in salotto e dai rumori sommessi provenienti dalla cucina. Dopo ore trascorse in mezzo al mormorio incessante della gente attorno a lui, entrare in casa e sentire quella pace lo consolò. Si tolse la giacca e raggiunse la cucina, dove lo attendeva la madre. La tavola non era ancora apparecchiata, ma già si sentiva l'invitante profumo della cena.

Hey, ometto. Sei tornato, finalmente!” esclamò, senza nemmeno voltarsi, tanto era concentrata sulla preparazione della cena.

Sherlock non rispose, posò le sue cose su una sedia e la raggiunse. Quel mutismo non era nuovo, ma la donna percepì qualcosa di diverso in suo figlio. Si voltò e lo vide seduto a tavola, il volto pallido e tirato e lo sguardo perso in chissà quali pensieri. Spense il fornello, posò il mestolo, e si sedette di fronte a lui.

C'è qualcosa di cui mi vuoi parlare?”

Lui la guardò con gli occhi sgranati per la sorpresa, lei sorrise, intenerita.

Tesoro mio, sai che non mi puoi nascondere niente. Avanti, cosa ti preoccupa?”

Io non ...”

Uno sguardo della madre bastò per fargli capire che non poteva mentirle. D'altra parte non era lì proprio per quello? Per chiederle consiglio? Perché tirarsi indietro? C'era qualcosa di sbagliato nel chiedere aiuto? Mycroft non lo aveva mai fatto, almeno per quanto ne sapeva lui. Quindi lui era debole? Chiedere aiuto era da persone deboli?

Se hai bisogno di aiuto non devi vergognarti di chiederlo.” mormorò Violet, intuendo i pensieri confusi del figlio “Tutti, prima o poi, ne abbiamo bisogno.”

Fu sufficiente. Anche l'ultima sottile barriera che lo divideva da lei si infranse.

Mamma … c'è … un ragazzo … lui … lui frequenta la mia scuola ...”

Esitò. Ora sarebbe arrivata una domanda? La guardò negli occhi. No, niente domande, lei avrebbe atteso la fine del suo discorso senza interromperlo. Prese un profondo respiro.

Lui è diverso dagli altri, è simpatico, intelligente, non mi prende in giro, non mi dice che sono un fenomeno da circo o uno stronzo e mi difende, anche oggi due idioti mi hanno … hanno provato a umiliarmi di fronte a tutti, ma lui li ha picchiati.”

Aveva pronunciato quella frase tutta d'un fiato, per paura di perdere per strada le parole o non trovare il coraggio di pronunciarle di fronte a sua madre. L'imbarazzo di quel momento tornò prepotentemente e lo fece arrossire.

Devono aver detto qualcosa di tremendo ...” mormorò sua madre.

Sì. No. Non lo so.” rispose lui, leggermente confuso “Hanno detto che lo amo.”

Violet alzò entrambe le sopracciglia per la sorpresa, ma non fiatò.

Ieri mi hanno rubato il taccuino, quello in cui segno tutto. Lì avevo scritto anche le cose che ti ho detto prima di Gregory ...”

Così sì chiama Gregory ...” mormorò lei, felice di poter ascoltare il nome di un amico del figlio.

Sì!” rispose Sherlock, sorridendo senza rendersene conto al solo pensiero del ragazzo “Ho scritto che è interessante, coraggioso, leale e intelligente … e loro hanno detto che lo amo!”

Violet non poté trattenersi e scoppiò a ridere, suscitando l'irritazione del figlio.

Perdonami, tesoro mio, ma un'analisi così superficiale di un rapporto umano non può che farmi ridere! Quanti anni hanno quei tuoi compagni di classe? Cinque? Sei?”

Suo malgrado, si unì alla sua risata.

Dovrebbero avere la mia età, ma credo che mentalmente siano rimasti al livello della prima elementare!” confermò.

Appunto. Lo sai. Lo sapevi. Allora perché quello che ti hanno detto ti ha sconvolto tanto?”

Smise di ridere e si voltò di scatto verso di lei. Quella era la domanda che dal mattino non aveva fatto altro che ronzare nella sua testa.

Io … non lo so.” ammise infine, sospirando tristemente.

Violet lo prese per mano, delicatamente.

I sentimenti non si possono conoscere fino in fondo se non vivendoli. Fin'ora hai analizzato ogni cosa con la ragione, usando solo la tua mente. Se vedi una formula matematica la puoi risolvere, puoi scoprire a cosa porta … l'amore non è così facile da comprendere. Non ha forma, non può essere definito o risolto.”

Allora cosa devo fare?” chiese lui, in preda al panico.

Puoi solo viverlo.” rispose sua madre, stringendo di più la sua mano per tenerlo ben saldo a terra ed evitare che la sua mente si perdesse in domande senza risposta “L'amore è complicato, ma può essere anche estremamente semplice.”

Non capisco.”

Stai bene con Gregory?”

“ … sì.”

Ti diverti con lui?”

“ … sì.”

Ti fidi di lui?”

Esitò. Sì, certo. Si fidava di lui. Aveva cominciato a fidarsi dal primo giorno, da quando si era introdotto clandestinamente in camera sua. Annuì, più deciso.

Sì, mi fido di Gregory.”

Quella frase, pronunciata in modo così convinto, proprio da lui, le scaldò il cuore. Non lo aveva mai sentito dire di fidarsi di qualcuno che fosse estraneo alla famiglia. Certo, quando era piccolo c'era Mycroft, il suo eroe, poi c'era lei, suo padre in qualche misura ma, a parte loro, non aveva mai avuto un vero amico. Sentì gli occhi pizzicare. Si stava forse commuovendo?

Allora non ti serve sapere altro, tesoro mio.” mormorò con la voce rotta dalle lacrime incombenti “Se ti fidi di lui, vuol dire che gli vuoi bene. Non ascoltare quello che dicono gli altri, avranno sempre qualcosa da dire per poterti ferire, ma non preoccupartene, come hai sempre fatto. Per ora, la cosa che più importa è che gli vuoi bene, se sarà amore lo scoprirai solo vivendo fino in fondo questo sentimento. Sarà una sfida, una ricerca che non finirà mai.”

Una sfida?” chiese.

La donna si alzò, lo raggiunse e lo abbracciò.

Sì, la più bella ed emozionante di tutte, tesoro mio!”

Sherlock si lasciò abbracciare e poco dopo ricambiò l'abbraccio della madre. La tempesta che aveva sconvolto la sua mente si era placata, era riuscito a venire a patti con qualcosa che mai avrebbe potuto razionalizzare e ciò lo aveva tranquillizzato.

Sua madre gli diede un bacio sulla fronte e tornò ai fornelli.

Che ne dici di preparare la tavola? Papà sarà qui tra poco ...”

Sherlock, ancora riscaldato dalle sue parole e dal suo abbraccio, sorrise e annuì.

 

 

 

 

Dopo cena non aveva dovuto fingere di stare poco bene per chiudersi in camera sua. Effettivamente stava male. Fisicamente non c'era nulla che non andasse in lui, ma si sentiva stanco e triste. Si era fidato di Sherlock, ma aveva fatto bene a riporre la sua fiducia in lui? Non si era più fatto sentire, era fuggito, lo aveva lasciato.

… ma era vero?

Una volta in camera sua, andò ad aprire il cassetto dove custodiva il taccuino. Rovistò tra la biancheria e lo tirò fuori. Sotto la luce del lampadario e con il suo stato d'animo, sembrava uno scrigno contenente chissà quali segreti. Doveva aprirlo? No. Aveva promesso solennemente di non farlo se non in presenza e con il permesso di Sherlock. Però Sherlock non c'era, giusto? La voce che gli suggeriva di ignorare tale promessa si fece sentire ancora, sussurrandogli all'orecchio che andava bene così, che quel ragazzo era un ingrato, che se non fosse stato per lui ora quel diario sarebbe andato distrutto …

“No! Stupido! Stupido! Non devo pensare queste cose. Ho deciso di fidarmi, giusto? Allora devo andare fino in fondo.”

Non rimise a posto il taccuino ma lo nascose sotto il cuscino, si spogliò e si mise il pigiama. Era più stanco di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere e il sonno incombeva su di lui. Finì di prepararsi per la notte e, una volta sotto le coperte, spense la luce.

 

Una folata d'aria fredda gli colpì il viso, svegliandolo. Lentamente aprì gli occhi. Quella sensazione non gli era nuova, qualcuno lo stava osservando. Si sporse per accendere la luce e non gli servì girarsi per capire che era entrato qualcuno. L'aria della notte entrava attraverso la finestra aperta. Un cigolio e qualcuno la chiuse.

“Speravo che saresti venuto.” mormorò voltandosi verso il suo ospite.

“Mi dispiace di averti fatto aspettare.”

Sherlock era seduto in fianco alla finestra, a terra, lo fissava con uno sguardo indecifrabile.

Gregory, ormai pienamente sveglio, si mise a sedere.

“Che ci fai qui?” chiese, anche se la risposta era ovvia.

“Sono venuto qui per ...” iniziò lui, però senza sapere esattamente cosa dire.

“ … per …?” lo incitò Gregory, senza tuttavia volergli mettere pressione.

Un profondo respiro, poi si tuffò nella spiegazione dalla quale non sarebbe emerso che alla fine.

“Ho visto Alec e Robert tornare in classe conciati piuttosto male. Qualcuno doveva averli picchiati e non poteva essere stato nessuno se non tu. Il fatto che tu abbia avuto il mio numero da mio fratello mi fa pensare che si sia intromesso – lui mi tiene costantemente e fastidiosamente d'occhio, purtroppo - e abbia in qualche modo impedito le conseguenze delle tue azioni e il tuo messaggio, nel quale mi dicevi che mi avresti raccontato cosa era successo, mi ha dato la conferma. Mi sbaglio?”

Espirò. Aveva detto quasi tutto ciò che voleva. Gregory lo fissò con la bocca spalancata per lo stupore.

“Sì … certo … è successo questo. A quanto pare mi hai risparmiato la fatica di riassumerti tutto.”

Sherlock sorrise, compiaciuto e felice.

“Ecco … io per questo … volevo … ringraziarti.” lo guardò dritto negli occhi “Gregory … grazie.”

Lo stupore di Gregory aumentò. Non era la prima volta che qualcuno lo ringraziava, ma quella parola, pronunciata da lui, in quel momento, in quel luogo, per quel motivo, lo fece sorridere e lo ripagò dell'attesa. Nessuno gli aveva mai suscitato un'emozione così forte.

“Per quello che hanno detto ...” proseguì Sherlock, lievemente imbarazzato “Io … io no so se ti amo … ma … mi fido di te e … credo … credo di volerti bene … ecco. Ti voglio bene, Gregory.”

Era stato difficile ed incredibilmente facile pronunciare quelle parole per lui, ma ora che lo aveva fatto si sentiva meglio.

Gregory scoppiò a ridere. Non era una risata di scherno, ma di felicità, pura felicità. Davvero Sherlock era ancora preoccupato per le parole di quegli idioti? Teneva così tanto a lui?

“Anch'io ti voglio bene, Sherlock.”

Sherlock sorrise a sua volta, mentre la sensazione di calore che già conosceva si allargava pian piano nel suo petto.

“Che fai lì per terra?” gli chiese all'improvviso Greg “Vieni a letto, c'è posto anche per te e … ho una sorpresa.”

Mentre Sherlock si alzava, insospettito e incuriosito da quelle parole, lui tirò fuori da sotto il cuscino il suo taccuino e glielo porse.

“L'ho sempre tenuto nascosto, da quando l'ho trovato ieri, sotto un mucchio di foglie. Oggi però l'ho spostato qui perché sapevo che saresti venuto.

Sherlock si avvicinò e si sedette. Con mano tremante prese il suo diario.

“Non l'ho letto, te lo giuro.”

“Lo so. Mi fido di te.” sussurrò Sherlock, sfiorando la copertina “Avresti potuto, comunque.”

“Non volevo farlo, non senza di te.”

“Non è così importante ...” iniziò lui, sorridendo.

“Lo è. Sei tu. Qui dentro ci sono le tue cose e non dirmi che non sono importanti perché ti ho visto quando Alec lo ha buttato via. Ci tenevi.”

Mentre parlava Gregory si alzò e prese da un cassetto una maglia e un paio di pantaloni. Sherlock annuì lentamente alla sua domanda.

“Mi hai scoperto …” ammise.

“Bene. Ora puoi anche spogliarti, se vuoi ho un pigiama per te. Dormi qui, giusto?”

Sherlock annuì ancora, prese ciò che lui gli porgeva e si spogliò lentamente e senza imbarazzo, per poi cambiarsi. Gregory si voltò per dargli un po' di intimità. Avrebbe voluto chiedergli se i suoi genitori sapevano che lui era lì, cosa dicevano a riguardo, dove si era nascosto per tutto il pomeriggio … ma quando lui si infilò sotto le coperte, si limitò a raggiungerlo.

Erano entrambi molto stanchi, era tardi ed erano successe tante cose. Le altre domande avrebbero aspettato.

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Capitolo 8
*** Sincerità ***



Sincerità



 

Poca sincerità è pericolosa e molta è assolutamente fatale.
Oscar Wilde



 

 

Violet era stata chiara con Sherlock. Per capire appieno e veramente l'amore non avrebbe potuto fare altro che vive fino in fondo il sentimento che provava per Gregory. Certo, poteva essere facile a parole, ma lui non aveva idea di come cominciare.

Quando aveva iniziato a raccogliere e catalogare le foglie dei vari alberi dei parchi di Londra aveva per prima cosa fatto una minuziosa ricerca in biblioteca e, per ogni albero, aveva osservato un campione per poi cercare la foglia corrispondente. Avrebbe dovuto fare la stessa cosa anche per l'amore? Come poteva riconoscere tale sentimento se non sapeva nemmeno come era fatto? Come gli aveva spiegato sua madre, l'amore non aveva una forma, non poteva essere spiegato, ma poteva cercare qualche indizio attorno a sé per avere almeno un'indicazione, una pista da seguire per trovare la verità.

Nei giorni, settimane e mesi successivi, continuò a osservare il mondo come aveva sempre fatto, ma concentrandosi in modo particolare sulle coppie innamorate, per confrontare ciò che vedeva con ciò che viveva con Gregory.

Da quella sera erano diventati inseparabili. Si trovavano ogni giorno e almeno un paio di volte alla settimana Sherlock andava a dormire a casa di Greg. A scuola i problemi erano sempre gli stessi, ma avevano imparato a lasciar perdere certe cose e a godersi la loro amicizia e Sherlock, sempre più fiducioso nei confronti del suo primo vero amico, aveva iniziato a lasciarsi andare, parlando sempre di più e confidandosi con lui. La loro amicizia era diventata così bella che presto anche quelli che inizialmente volevano disturbarli o prenderli in giro, avevano rinunciato a tale proposito.

I due si influenzavano positivamente l'un l'altro. Se da una parte Gregory aveva iniziato a non essere troppo generoso con i suoi compagni di classe, imparando che spesso quello che può sembrare un aiuto in realtà è un ostacolo, anche Sherlock aveva compreso che poteva aiutare i suoi compagni di classe anche senza suggerire durante i compiti o le interrogazioni, magari con qualche spiegazione al di fuori delle lezioni o qualche ora di ripetizioni a casa. Questo clima più disteso aveva permesso a Sherlock di conquistare la simpatia di quasi tutti i suoi compagni di classe. C'erano ancora quelli che non facevano altro che invidiarlo per la sua intelligenza tanto da odiarlo, ma a lui non importava. Non gli era mai importato e ora che c'era Gregory gli importava ancora meno. Si godeva il presente e anche Gregory, nonostante il trascorrere del tempo, non si rendeva conto che sarebbe arrivato un momento in cui tutto quello sarebbe cambiato.

Sherlock era al primo anno e quello successivo sarebbe stato il suo secondo, ma Gregory era all'ultimo e presto sarebbe uscito da quella scuola. Entrambi lo sapevano ma avevano deciso con un accordo silenzioso di non pensarci fino a quando il problema sarebbe stato inevitabile. Certo, non si sarebbero più visti a scuola, ma per il resto non sarebbe cambiato nulla, o almeno era quello che entrambi speravano.

 

Da qualche tempo Sherlock aveva iniziato a osservare con molto impegno Alec. Lui stesso si era sorpreso nel constatare quanto quell'idiota – che ancora gli era ostile, nonostante tutto – potesse essere interessante, eppure c'era in lui qualcosa che era essenziale per le sue ricerche: era fidanzato.

Prima di conoscere Gregory non aveva mai fatto caso a certe cose, almeno non in modo approfondito, ma da quando aveva deciso di scoprire e sviscerare il significato più profondo dell'amore gli era stato necessario osservarlo più da vicino e analizzarlo fino in fondo. Alec e Haley stavano insieme già da un anno abbondante e sembravano una coppia molto affiatata. Senza farsi notare, Sherlock aveva annotato tutto ciò che accadeva tra di loro e aveva confrontato il tutto con ciò che accadeva tra lui e Gregory.

Alec portava la colazione ad Haley e lei gli comprava le caramelle.

Gregory lo ospitava spesso a casa sua per dormire e lui lo aiutava con i compiti.

Se Haley era triste, Alec riusciva sempre a farla ridere e se lui litigava con qualcuno lei lo consolava.

Sherlock stava bene con Gregory e sentiva che il sentimento era ricambiato, insieme si divertivano, parlavano delle cose più disparate.

Quando Alec prendeva in giro Sherlock o i due comunque litigavano, Haley era sempre dalla sua parte e se lei si confidava con lui perché qualche sua amica le aveva fatto un torto, lui aveva una parola gentile per risollevarle il morale.

Gregory aveva sempre difeso Sherlock, in ogni circostanza e, anche se sapeva che il suo amico non ne aveva mai avuto bisogno, sarebbe stato allo stesso modo disposto a difenderlo di fronte a tutto e a tutti.

Alla fine, anche se non con certezza matematica, Sherlock aveva constatato che non c'era poi tanta differenza tra il rapporto tra Alec e Haley e il suo con Gregory. C'era ancora un punto però che non aveva annotato, ma non perché non se ne fosse ricordato, semplicemente non era ancora riuscito a notare in Alec e Haley qualcosa di simile a ciò che c'era tra lui e Gregory.

Lui per Greg non aveva mai avuto un segreto, con il passare del tempo era riuscito ad aprirsi a tal punto da considerarlo il suo miglior confidente e, cosa più importante, non gli aveva mai mentito.

Poteva dire la stessa cosa per Alec e Haley? Finché si trattava di constatare qualcosa di visibile era facile, ma come poteva essere sicuro che ogni parola che uscisse dalle loro bocche corrispondesse a verità? Alec non gli era mai sembrato una brava persona, ma non si era mai immaginato che potesse mentire alla sua ragazza e probabilmente non lo aveva mai fatto, o non aveva avuto la necessità di farlo di fronte a lui … fino a quel giorno.

 

C'erano certe cose a cui Sherlock prestava attenzione, altre che invece ancora non gli sembravano eccessivamente importanti. I profumi facevano parte di questa seconda categoria. Certo, li apprezzava quando ne sentiva di buoni, ed era stato proprio quello il caso. Lynda, un'altra ragazza che frequentava la sua classe, usava regolarmente un profumo molto buono, che aveva attirato l'attenzione di Sherlock, dall'aroma di agrumi che rinfrescava senza essere eccessivamente invadente.

Un paio di mesi prima, era arrivato come al solito molto prima dei suoi compagni di classe e per questo li aveva visti arrivare un per uno. Alec gli era passato vicino per raggiungere il suo banco e in quel momento aveva percepito chiaramente il profumo agrumato di Lynda, la quale però non era ancora arrivata. Aveva appena notato quel particolare, quando aveva visto arrivare Haley e poco dopo Lynda. La prima era andata subito dal fidanzato, la seconda quasi nemmeno aveva salutato ed era andata suo banco.

Alec! Alec! Finalmente! Ti ho chiamato ieri sera, ma non mi hai risposto! È successo qualcosa?”

Haley era visibilmente preoccupata, probabilmente lo aveva chiamato ben più di una volta. Sherlock, facendo finta di niente, origliò la discussione e li osservò.

Non ho sentito il cellulare … stavo … hem … stavo studiando! Sai che oggi c'è l'interrogazione di storia, no?” aveva risposto Alec, leggermente titubante.

Va … va bene … ero solo un po' preoccupata, tutto qui ...” aveva continuato lei.

Non ti devi preoccupare. Te lo direi, se dovessi preoccuparti, no?!” la risposta di Alec era stata un po' troppo brusca e Haley aveva annuito, intimorita per quello strano comportamento, ed era andata al suo banco senza protestare oltre.

Quello avrebbe potuto essere un episodio isolato, ma Sherlock lo aveva accuratamente registrato nella sua mente.

Nei mesi successivi aveva continuato a tenere d'occhio Alec e Lynda. Lei portava sempre il suo profumo e di tanto in tanto lo sentiva anche addosso a lui. Le litigate tra Alec e Haley erano sempre più frequenti e, sebbene non durassero più di cinque minuti, avevano tutte come scintilla il fatto che lui non rispondesse a chiamate o messaggi e sempre di più queste situazioni corrispondevano ai momenti in cui Alec profumava di agrumi.

 

Infine arrivò quel giorno.

Come al solito Alec era arrivato molto presto e, come spesso accadeva, aveva ancora la scia del profumo di Lynda. Non appena arrivò Haley, Alec andò subito da lei.

Ciao amore!” le porse un cioccolatino “L'ho preso per te stamattina, so quanto ti piace il cioccolato fondente ...”

Grazie tesorino!” cinguettò lei, felice come al solito.

Sherlock li osservò. Sembrava tutto a posto, ma il profumo di Alec gli faceva pensare che ci fosse qualcosa che non andava. Era da un po' che lui e Lynda si vedevano di nascosto. Era giusto e salutare per una relazione amorosa che Alec mentisse alla sua fidanzata?

Non aveva più portato il suo taccuino a scuola, non voleva che qualcuno lo rubasse ancora e soprattutto non poteva permettere che Alec leggesse gli appunti che aveva preso su di lui. Ciò nonostante aveva continuato a registrare tutto quello che gli accadeva attorno, per poi trascriverlo la sera, una volta a casa. Stava appunto constatando che quella era la diciottesima bugia che Alec diceva a Haley da quando aveva notato la prima volta che si vedeva di nascosto con Lynda, quando proprio l'oggetto dei suoi pensiero gli si avvicinò.

Hey, Holmes, manca sempre meno, eh?” lo canzonò.

Di cosa stai parlando?” chiese lui, anche se in realtà aveva già intuito dove volesse andare a parare.

Mi meraviglio che te ne sia già dimenticato … o preferisci non pensarci? Tra meno di due mesi la scuola sarà finita e il tuo caro amichetto Gregory se ne andrà! La tua amicizia finirà per sempre! Lui si dimenticherà di te e si troverà altri amici e, chissà … una fidanzata!”

Sherlock sgranò gli occhi per la sorpresa. Era serio? Davvero si stava annoiando così tanto da doversi distrarre con questi espedienti meschini? In effetti però aveva toccato un nervo scoperto. Anche se era certo che Gregory non si sarebbe mai dimenticato di lui, il timore di restare solo dopo la sua partenza incombeva sul suo cuore e sui suoi pensieri come una nuvola carica di pioggia. Come faceva sempre, quando lui o chiunque altro tentava di ferirlo, semplicemente si lasciò scivolare quelle parole addosso e non ci pensò, ma Alec non sembrava intenzionato a lasciarlo in pace.
“Hai capito? Sarai solo! Solo! Solo! Devo dirlo ancora? Sei sempre stato solo e tornerai ad esserlo!”

Non era vero, Sherlock lo sapeva, da qualche tempo gli altri suoi compagni di classe avevano iniziato ad apprezzarlo nonostante il suo carattere chiuso, ma quelle parole lo fecero reagire. Come si permetteva Alec? Perché doveva fargli del male ad ogni costo? Fu più forte di lui. Forse avrebbe dovuto continuare a lasciar perdere, ma proprio non ce la fece.

Ah, meglio solo che mal accompagnato!” esclamò, senta riuscire a trattenere un sorriso beffardo.

Cosa vuoi dire? Ah, dici che chiunque starebbe meglio senza di te, eh?” chiese Alec, per poi scoppiare a ridere sugaiatamente.

No, intendo dire che preferirei stare solo che dover essere amico di un essere spregevole come te!”

A quel punto stava per andare via, ma Haley si intromise, ovviamente in difesa del fidanzato.

Holmes, credevo che fossi cambiato almeno un pochino, invece sei sempre il solito prepotente!”

Prepotente? Io sarei prepotente?!” si voltò verso di lei, guardandola con rabbia “Prima di tutto non sono io che offendo senza motivo!”

Non ti ha offeso, ti ha solo detto la verità!” esclamò lei, cieca per l'amore che provava per lui.

La verità … sì, certo … la verità! L'ha detta a me … ma fa lo stesso con te? Prova a chiedergli dove è stato ieri sera … e la settimana scorsa … e quella precedente! Sono mesi che ti tradisce con Lynda!” aveva pronuciato quella frase quasi urlando, mentre Haley impallidiva per lo stupore.

Non … non è vero!” gridò lei, furiosa “Vuoi solo farmi male!”

Questo è quello che fa lui!” i toni di entrambi si stavano alzando “Prova a chiederlo a entrambi, anzi, prova ad annusare lui! Ha ancora addosso l'odore del profumo di Lynda e bastrebbero le loro facce a confermarti che ho ragione!”

A quel punto Haley stava per ribattere, ma si voltò verso i due e, vedendo l'espressione colpevole nei loro volti, rinunciò a quello che stava per dire. Si avvicinò ad Alec, lo annusò con disprezzo, e senza aggiungere altro, andò al suo posto.

 

Durante le ore successive Sherlock continuò a osservare i tre. Percepiva un'atmosfera tesa, conflittuale, tanto da distrarli anche da lui. Alec sembrava essersi dimenticato del suo proposito di fargli del male, tanto era occupato a gestire una situazione che lui stesso aveva contribuito a creare. Lynda se ne stava in disparte e anche Haley avrebbe voluto fare altrettanto, ma nei momenti di pausa era assediata da Alec che probabilmente voleva farsi perdonare in un modo o nell'altro o almeno tentare di parlarle, ottenendo però l'effetto contrario. Alla fine delle lezioni la tensione era così alta che si aspettava che uno dei tre potesse scoppiare da un momento all'altro. Ciò che avrebbe dovuto prevedere era che l'esplosione avrebbe coinvolto anche lui.

 

Prima di uscire da scuola si era soffermato in biblioteca per restituire un libro, perciò fu uno degli ultimi a lasciare l'edificio. Era appena uscito, quando fu avvicinato da Alec, in compagnia di altri due suoi amici, che frequentavano un'altra classe.

Holmes, finalmente, ci hai fatti aspettare parecchio, eh?”

Sherlock alzò le sopracciglia, sorpreso. Lo stavano aspettando? Perché mai … La risposta arrviò immediatamente, ma fu ugualmente troppo tardi. Alec voleva vendicarsi. Se non fosse stato per lui, probabilmente Haley non avrebbe mai scoperto del suo tradimento e, a giudicare dalla sua espressione, doveva averlo lasciato.

Ti volevo ringraziare per aver rovinato la mia relazione con Haley” confermò lui “Volevi che fossi triste e solo come te, eh?!”

Non sono triste e solo, Alec, e tu ti meritavi di essere lasciato. Sei solo un meschino e un bugiardo!”

Sapeva che quelle giustificazioni non avrebbero fatto altro che peggiorare la sua situazione, ma non poteva non dire la verità.

Continua a parlare, è molto interessante!” sussurrò lui, per poi prenderlo per un braccio. Aiutato dagli altri due, lo trascinò lontano dalla strada, in un angolo nascosto dell'edificio.

So che ti piace imparare. Ora imparerai qualcosa di molto utile per la tua salute.”

Sebbene cercasse di liberarsi, Alec era decisamente più massiccio di lui e i suoi due amici lo erano altrettanto. Lo spinsero a terra e si avvicinarono con fare minaccioso per poi riempirlo di calci e pugni.

Alla fine erano tutti e tre senza fiato per lo sforzo, se ne andarono soddisfatti. Sherlock, nonostante avesse cercato di difendersi in tutti i modi, non aveva potuto fare nulla contro di loro e giaceva a terra, ricoperto di sangue e lividi. Cercò di alzarsi e fortunatamente ci riuscì ma, mossi pochi passi, inciampò e cadde nuovamente a terra. Fu allora che Paul lo vide.

 

 

 

 

Una giornata come tante altre. Scuola, Sherlock, casa. Niente di nuovo, niente di entusiasmante, ma probabilmente Sherlock sarebbe andato a trovarlo e avrebbero trovato qualcosa di divertente da fare, no? Quel giorno lo aveva visto più pensieroso del solito, chissà a cosa stava pensando!

Ormai era arrivata la sera, Gregory era rimasto tutto il pomeriggio sui libri, studiando per prepararsi per l'esame finale e si riteneva più che soddisfatto. Mise da parte i libri di scuola e tirò fuori il giallo che stava leggendo, quando suonò il cellulare. Lo prese e con una certa preoccupazione vide il numero di Mycroft. Rispose piano, come se temesse che il cellulare potesse prendere fuoco.

“Mycroft? Cosa vuoi? È successo qualcosa?”

“Vieni al Saint Barts, quinto piano, stanza 5.”

Mycroft chiuse la chiamata prima che Gregory potesse fargli una qualsiasi domanda e, spaventato come raramente si era sentito in vita sua, si precipitò fuori casa.

Gli ci volle un bel po' per raggiungere l'ospedale, ma quando finalmente fu di fronte alla stanza indicata da Mycroft, desiderò non essere lì. Proprio lui uscì, scuro in viso.

“Gregory. Ho ritenuto opportuno fartelo sapere il prima possibile.”

“Cosa … cosa devi farmi sapere?” chiese, cercando di non mostrare il panico che lo faceva tremare.

“Mio fratello è stato picchiato da alcuni suoi compagni di classe. Lo hanno ridotto piuttosto male … non so perché lo abbiano fatto, ma Paul lo ha trovato, così ha chiamato un'ambulanza e me e io ho pensato che fosse giusto che anche tu fossi informato.”

Gregory annuì in risposta senza tuttavia guardarlo.

“Lui è … è sv-”

“No.” rispose Mycroft, scuotendo lentamente la testa “Gli hanno rotto una gamba e un paio di costole. Hanno dovuto operarlo d'urgenza per svariate emorragie interne e ora si sta riprendendo dall'anestesia.”

“Ma …” provò a protestare Gregory, ma lui lo interruppe.

“Non ho voluto chiamarti prima di essere sicuro che fosse fuori pericolo” spiegò, intuendo la sua protesta.

“Quindi lui ...”

“Starà bene.” confermò, sorridendo “Dobbiamo solo portare pazienza.”

Tremando, entrò nella stanza. Sherlock era solo. La sua gamba era tesa su un'impalcatura, aveva bende e cerotti ovunque e il viso era viola per le botte subite. Sembrava ancora più piccolo e delicato, circondato da tutti quei macchinari.

Senza rendersene conto, aveva iniziato a piangere in silenzio.

“Come è successo?” chiese a Mycroft, che nel frattempo lo aveva raggiunto.

“Non lo sappiamo. Abbiamo ipotizzato che lo abbiano picchiato dei suoi compagni di classe, ma in realtà nemmeno Paul ha visto cosa è successo, pensava che se ne fosse già andato a casa.”

Gregory si voltò verso di lui, era teso, pallido e arrabbiato. Da quei sentimenti, così evidenti in quel momento nel suo viso, capì quanto tenesse al fratello minore.

“Di una cosa sono certo” mormorò, sfiorando la mano inerme del fratellino “Lo scoprirò.”

Non aveva mai visto qualcuno più determinato e anche lui, in quel momento, sentiva il sangue ribollire dalla rabbia.

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Capitolo 9
*** Amore ***



Amore

 

 

Dove c'è amore, non c'è fatica, ma gusto. 

Bernardo di Chiaravalle




 

Quella notte, nonostante le proteste e i consigli di Mycroft, Gregory dormì in ospedale. Si allontanò dal letto di Sherlock solo per telefonare ai genitori e spiegare loro l'accaduto e non accettò proteste nemmeno da loro. Sarebbe rimasto con il suo amico, non poteva pensare di stare da nessun'altra parte.

Sherlock si risvegliò dall'anestesia un'ora più tardi ma si sentiva ancora troppo debole e dolorante per poter parlare e naturalmente anche la morfina gli impediva di essere completamente lucido. Con l'aiuto di Gregory, Mycroft riuscì a scoprire chi lo aveva ridotto in quello stato.

“Chi è stato, Sherlock? Dimmi i nomi.” aveva cercato di stare calmo, ma il pallore nel suo viso tradiva il suo reale stato d'animo.

“Forse … Alec?” si era intromesso Gregory, che di quel ragazzo ricordava però solo il nome.

Sherlock aveva annuito e nient'altro, così Gregory gli aveva raccontato di questo Alec che era nella sua classe.

“Ottimo. Paul mi aiuterà a scoprire anche il cognome. Qualcun altro?”

Sherlock aveva annuito.

“Chi? Dicci i nomi.” aveva insistito Mycroft.
Prima che Gregory avesse potuto suggerire altri nomi di suoi compagni di classe, Sherlock aveva scosso la testa, segno che nemmeno lui li conosceva.

“Poco male” lo aveva tranquillizzato il fratello maggiore “Scopriremo chi sono.”

Dal tono di voce di Mycroft, Gregory capì che Alec avrebbe avuto parecchi problemi, e la cosa lo consolò in qualche modo.

Restò accanto a Sherlock tutta la notte, dormendo sulla poltrona, ma ogni tanto svegliava e lo trovava sempre vigile, anche se tremendamente prostrato. Verso le quattro si era alzato per sgranchirsi e gli si era avvicinato.
“Dovresti dormire … non sei stanco?” gli aveva chiesto, accarezzandogli gentilmente una mano.

Lui aveva scosso la testa. Sembrava troppo debole anche solo per parlare, ma non riusciva a dormire. Il dolore era tanto che nemmeno la morfina riusciva a dargli pace e più Sherlock soffriva, più Gregory sentiva un sentimento d'odio sgorgargli nel cuore, odio nei confronti di chi lo aveva ridotto così.

Aveva riso, per non piangere o non urlare, svegliando tutti.

“Chissà cosa avrai fatto per meritarti di essere ridotto così ...” aveva sussurrato, trattenendo a stento le lacrime “Ora dormi … cerca di dormire … puoi farlo … per me?”

Un cenno del capo e poi Sherlock aveva chiuso gli occhi. Gregory era rimasto a guardarlo per qualche minuto, poi era tornato a dormire.

 

La mattina successiva, Gregory si svegliò grazie alla luce del sole che filtrava dalle tapparelle. Si stiracchiò e guardò l'ora. Erano le sette, entro un'ora avrebbe dovuto essere a scuola, ma non aveva portato nulla con sé, era uscito così com'era. Cosa avrebbe dovuto fare? Tempo per tornare a casa non ne aveva, tanto valeva prendersela con calma, poteva permettersi di saltare un giorno per stare con Sherlock, no?

Stiracchiandosi ancora si alzò e andò da lui, che dormiva ancora profondamente. Meglio così, pensò, almeno non sente dolore. In quel momento arrivò l'infermiera, con un carrellino dove erano posate le medicine e le garze.

“Buongiorno.” mormorò piano, quasi per non voler disturbare “Sono venuta per le medicazioni ...”

Appena vide Gregory, gli sorrise.

“Dorme ancora eh?” chiese, indicando Sherlock “Ah, per lei ho questi ...”
Si chinò sul carrellino e tirò fuori la divisa di Greg e la sua borsa con i libri e i quaderni.

“Questi me li ha consegnati stamattina presto il signor Holmes” spiegò “Così potrà andare a scuola senza problemi.”

Greg scosse la testa sorridendo. Mycroft era davvero premuroso e previdente. Faceva ridere anche il fatto che l'infermiera si rivolgesse a lui chiamandolo “signore”.

“Non lo so … preferirei restare qui con ...”

“Il signor Holmes ha insistito, mi ha chiesto di assicurarmi che lei vada a scuola.”

“Sul serio?” chiese, sorpreso per quelle attenzioni “Io veramente vorrei ...”

“V-vai … io starò bene ...”

Greg si voltò di scatto. Non sentiva la voce di Sherlock dal giorno precedente, quando si erano visti durante la scuola. Si era svegliato e gli sorrideva fiacco, tentando di celare il dolore che in realtà provava.

“Sei sicuro?” gli chiese, andando rapidamente al suo fianco “Se avessi bisogno di qualcosa ...”

“Sono in un ospedale, no?” sussurrò lui “Verrai dopo scuola, anzi, dopo aver studiato. Ti aspetto stasera ...”

“Sherlock, verrò appena uscito da scuo-”

“Per piacere, io ho bisogno di riposare e tu devi studiare. Non voglio che rischi l'esame per colpa mia.”

“Non dire idiozie! Non ...” si stava innervosendo, non voleva lasciarlo ancora solo! Stava per dirgli che non lo avrebbe mai lasciato, mai più, ma il suo sorriso tirato lo fece desistere.

“Come vuoi, hai vinto.” disse infine, fingendosi offeso “Tornerò appena potrò.”

Gli prese la mano, stingendo delicatamente per non fargli troppo male.

“È una promessa.”

Prese le sue cose ed uscì dalla stanza mentre l'infermiera iniziava a cambiargli le medicazioni. Trovò il primo bagno disponibile e lì si cambiò. Mentre si abbottonava la giacca pensò che qualcuno quel giorno si sarebbe fatto molto, molto male.

 

Dal momento che entrambi i fratelli Holmes sembravano sinceramente preoccupati per la sua istruzione, decise che non avrebbe pensato ad Alec fino alla fine della scuola. Non voleva essere sospeso o punito in qualche altro modo, facendo preoccupare Sherlock, ma di certo avrebbe avuto la sua vendetta.

Si era ripromesso di usare la pausa per studiare, ma aveva appena aperto il libro che arrivò una ragazza che aveva già visto in compagnia di Alec.

“Ciao … sono Haley …” si presentò lei, cercando di nascondere la timidezza “Volevo chiederti se sai come sta Sherlock … stamattina non è venuto a scuola … e sono un po' preoccupata per lui ...”

Gregory guardò la ragazza con gli occhi sgranati per la sorpresa. Era preoccupata per Sherlock?

“Come mai? Hai un motivo in particolare per essere preoccupata?” le chiese gelido.

“Io … non … non lo so … io ...” esitò “Ieri a causa sua io e Alec abbiamo litigato e ci siamo lasciati. Anzi, io ho lasciato lui perché mi tradiva.” specificò “Non so cosa sia successo, ma stamattina Alec è stato chiamato in presidenza e non è più tornato e nemmeno Sherlock c'è ...”

“Vuoi sapere cosa è successo?! Eh?! Lo vuoi davvero sapere?!” era furioso. Sapeva che sfogarsi su di lei non era l'ideale, ma non aveva nessun altro con cui farlo. Lei ovviamente, spaventata, non aveva fiatato, si era limitata ad annuire brevemente.

“Il tuo caro ex, insieme ad altri due suoi amichetti balordi, lo ha picchiato a sangue! Lo hanno dovuto operare d'urgenza e ora è sotto morfina per tutte le botte che ha preso, solo perché ...”

Si bloccò. Non sapeva cosa era successo, ma a quanto pareva Haley era più informata.
“Dimmi cosa è successo. Perché vi siete lasciati per colpa sua?”

La ragazza era sbiancata sentendo il racconto di Gregory ma, ancor più spaventata da lui, rispose immediatamente.

“Lui e Alec hanno litigato, come sempre. Alec è stato … be', è stato davvero poco gentile e Sherlock ha reagito. Gli ha detto che è una persona orribile perché si vede di nascosto da tempo con un'altra e ha spiegato come lo ha capito … Io non ci potevo credere, allora ne ho parlato con Alec, l'ho messo con le spalle al muro e ho fatto lo stesso con lei … e hanno confessato. L'ho lasciato, ovviamente … ma … non pensavo che Alec si sarebbe vendicato su Sherlock e in ogni caso … non così!”

Haley scoppiò in lacrime e Gregory in qualche modo si sentì dispiaciuto per lei.

“Non mi sembra che sia colpa sua se vi siete lasciati, no?” le chiese, addolcendo la voce.

“No … è vero ...” ammise lei con un sospiro “Dovrei … ringraziarlo … Alec è uno stronzo in effetti. Lo è sempre stato.”

La osservò con attenzione. Era frustrata, delusa e arrabbiata. Era stata ingannata dal suo cuore, aveva creduto di aver trovato qualcuno di importante, ma era stata usata da un ragazzino immaturo che non aveva meritato un briciolo del suo amore. Nonostante la rabbia nei confronti di Alec, provò un moto d'affetto per Haley. Anche lei aveva sofferto, era stata tradita e ferita dalla stessa persona che per poco aveva ucciso Sherlock.

“Se vuoi possiamo andare da lui insieme, stasera ...” le sorrise.

“Sì! Sì!” rispose lei, entusiasta “A che ora andrai? In che ospedale si trova?”

“Al Barts.” in quel momento suonò la campanella “Se vuoi ci possiamo trovare al Caffè Nero in Newgate Street alle sette. Va bene?”

Lei annuì.

“Certo. A stasera!”

Si allontanò, sorridendo timidamente, come stava facendo lui. Era sempre preoccupato per Sherlock e terribilmente curioso di sapere che fine avevano fatto Alec e i suoi amichetti idioti, ma Haley gli aveva toccato il cuore. Aveva capito che in lei c'era qualcosa di buono e, come era accaduto per Sherlock, aveva sentito la necessità di scoprirlo fino in fondo.

 

 

 

 

 

Gregory era rimasto con lui tutta la notte. Lui non era riuscito a prendere sonno se non verso le cinque e poi aveva dormito un paio d'ore prima di essere svegliato dall'infermiera. Era esausto, gli faceva male ovunque e gli veniva voglia di vomitare ogni cinque minuti, ma era anche incredibilmente felice.

Gregory era con lui, sarebbe rimasto con lui. In quelle ore, nei rari momenti di lucidità, non aveva fatto altro che osservarlo e il solo guardarlo lo aveva riempito di gioia. Nonostante il dolore, si sentiva bene. La morfina certo aiutava, ma sentiva che c'era qualcosa di più profondo e importante. Non erano le medicine, non erano le cure affettuose delle infermiere. Era Gregory. Era sempre stato Gregory. Da quando lo aveva conosciuto tutto sembrava aver acquistato senso.

Prima la vita era piatta, monotona, senza colore, Gregory aveva introdotto la luce nella sua stanza buia, facendogli venire voglia di uscire, di aprirsi al mondo che fino a quel momento aveva ritenuto indegno delle sue attenzioni. Poteva essere definito “amore” quel sentimento che provava nei suoi confronti?

Buongiorno, ometto ...”

Si voltò lentamente verso la porta e vide sua madre. Violet era pallida, tesa, appoggiata allo stipite della porta per non cadere. Mycroft le aveva detto ciò che era successo a suo figlio e lei si era precipitata in ospedale lasciando perdere tutto ciò che stava facendo, ma quella era la prima volta in cui lo vedeva. La sera precedente era tornata a casa per prendere alcune cose per lui e Mycroft le aveva telefonato per dirle che quella notte sarebbe rimasto Gregory con Sherlock. Si ricordava di lui, qualche volta lo aveva anche incontrato e sapeva quanto fosse importante per suo figlio che ci fosse, così aveva lasciato che fosse lui a stargli accanto.

Non aveva visto Sherlock prima dell'operazione, era rimasta in ospedale solo qualche ora, perciò non aveva ancora idea di come lo avessero conciato … fino a quel momento. Si era preparata per quella visione, aveva tentato di dirsi che in fin dei conti era vivo, che sarebbe stato bene .. ma quando lo vide su quel letto candido sentì crollare le gambe e fu solo con un enorme sforzo che non scoppiò a piangere. Il suo sorriso tirato era ciò che l'aiutava a non cedere al pianto. Doveva essere forte.

Mamma ...” la voce di Sherlock era ancora roca, segno che non parlava da parecchie ore “Sto bene … starò bene ...”

Violet gli si avvicinò e, presa una sedia, si sedette accanto a lui.

Non sono venuta stanotte perché ho saputo che qualcun altro ti ha fatto compagnia ...” mormorò, scusandosi per la sua assenza.

Sì.” rispose Sherlock, annuendo “C'era Gregory ...”

Sorrise senza pensarci e la cosa non sfuggì a sua madre.

Mamma ...” iniziò lui, arrossendo leggermente, come ogni volta in cui decideva di aprirsi con qualcuno.

Dimmi, tesoro mio.” lo incoraggiò lei, stringendo appena la sua mano “Ti ascolto. Vuoi parlarmi di Gregory?”

Era fin troppo ovvio, Violet poteva leggere suo figlio come un libro aperto e sapeva esattamente di cosa voleva parlare.

Ti ricordi quello che ti ho detto qualche mese fa?”

Certo. Hai scoperto cosa provi per lui?”

Sherlock non rispose subito. Restò in silenzio, con gli occhi chiusi, serio e pensieroso. All'improvviso uno splendido sorriso gli illuminò il viso, il respiro si fece più rapido e anche il battito accelerò. Era amore? Sì. Lo era.

Io … credo … credo di amarlo, mamma.”

Lo aveva fatto, aveva confessato di amare qualcuno, un ragazzo addirittura, e lo aveva detto a sua madre, l'unica in grado di comprenderlo più di se stesso. Aveva pronunciato quella frase come un'affermazione, ma quando aprì gli occhi e rivolse il suo sguardo verso di lei, fu per porle una muta domanda: sono davvero innamorato?

Sono sicura di sì, tesoro mio.” rispose lei, mordendosi le labbra per trattenere le lacrime incombenti. Vedere suo figlio in quello stato l'aveva devastata, ma il bagliore d'amore che aveva visto nei suoi occhi l'aveva fatta sperare che tutto potesse risolversi nel migliore dei modi.

Come lo sai?” chiese lui, che non si fidava di niente che non fosse tangibile, verificabile.

Lo so perché ti conosco, tesoro mio. Sei ferito, ti hanno quasi ucciso ...” si interruppe, pronunciare quelle parole non era facile. Aveva quasi perso suo figlio, non era qualcosa che poteva dimenticare facilmente “... eppure non stai pensando a te stesso, non sei preoccupato per te … ma stai pensando a lui … e sei bellissimo quando pensi a chi ami.”

Sherlock alzò un sopracciglio, non riusciva a capire cosa volesse dire. Violet lo intuì.

Quando avevi cinque anni, avevamo fatto insieme la torta preferita di Mycroft per il suo compleanno e tu gli avevi preparato un biglietto d'auguri fatto completamente con le tue mani. Volevi renderlo ancora più bello incollandoci sopra delle foglie di tutti i colori. Sei uscito in giardino per raccoglierne, ma sei scivolato e sei caduto per terra, sbucciandoti le mani e le ginocchia. Hai pianto un po', ma cinque minuti dopo eri già in forma per finire il biglietto.”

Un altro sopracciglio alzato le fece capire che ancora non aveva afferrato il concetto. Sorrise, certe volte Sherlock era davvero duro di comprendonio.
“Tu sei così, tesoro mio. Quando qualcosa o qualcuno ti interessa tanto, dimentichi tutto il resto, perfino e soprattutto te stesso. Mycroft era il tuo eroe, avresti fatto qualsiasi cosa per essere come lui o per attirare la sua attenzione … e ora c'è Gregory.”

Gli accarezzò lentamente la fronte, il solo pronunciare il nome del ragazzo lo aveva fatto sorridere. Ormai non aveva più dubbi.

Lo ami, tesoro mio ...” sussurrò

Lo amo …” confermò lui, mentre il suo sorriso si faceva sempre più bello.

Glielo dirai?”

Io ...” esitò, non ne era così certo. Il dubbio di essere rifiutato gli fece mancare il fiato “Non lo so … Se lui ...”

Se lui non ricambiasse i tuoi sentimenti?” concluse lei.

Sherlock annuì ma lei non smise di sorridere.

Come ti ho detto, l'amore è un'avventura, e cos'è un'avventura senza un po' di sfide e prove di coraggio? Se vorrai dirglielo, dovrai trovare il coraggio nel tuo cuore, Sherlock. Nessuno potrà aiutarti.”

Un forte dolore al petto gli fece chiudere gli occhi, ma passò presto. Violet però si era spaventata.

Amore mio! Ti fa male da qualche parte? Chiamo l'infermiera?”

No … è passato ...” aveva il fiatone, ma almeno stava meglio.

Hai sete? Ti hanno dato qualcosa da mangiare?”

Violet si alzò per andare a controllare la sua cartella appesa al letto per verificare che non avesse febbre e per fortuna la temperatura si era già abbassata rispetto al giorno precedente.

Glielo dirò, mamma. Gli dirò cosa provo per lui. Non mi importa cosa risponderà, voglio che lui lo sappia perché è vero.”

Violet mise a posto la cartella e tornò da lui. Il ragazzo che aveva di fronte era Sherlock, il suo piccolo Sherlock, pronto a sfidare tutto e tutti pur di difendere la verità, la cosa più importante per lui. Gli accarezzò la fronte.

Sono fiera di te, tesoro mio.”

Sherlock le sorrise. Era felice, si sentiva libero e leggero. Finalmente era riuscito a scoprire la verità su se stesso e su i suoi sentimenti e presto l'avrebbe condivisa con la persona che più era importante per lui. Guardò l'ora. Era ancora presto, Gregory non sarebbe arrivato che quella sera e lui già non vedeva l'ora che ciò accadesse.

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Capitolo 10
*** Il forziere del tesoro ***



Il forziere del tesoro

 


 

I sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde.

Sherlock – Uno scandalo in Belgravia

 



 

 

L'ufficio del signor Brown, il preside della scuola di Sherlock e Gregory, non era certo un luogo piacevole da visitare. L'uomo, da sempre votato alla disciplina, lo aveva arredato con semplicità, senza troppi fronzoli. Uno schedario, una scrivania ampia su cui era poggiato solo il necessario per scrivere e un telefono, una poltrona comoda per lui, due semplici sedie di fronte e, appeso alla parete, il ritratto della Regina Elisabetta II. Tutto qui.

Chi entrava, proprio grazie al vuoto che trovava, poteva percepire l'atmosfera della stanza in modi differenti. I nuovi studenti che venivano accolti si sentivano in pace, percepivano la gentilezza del preside e la sua disponibilità. Chi era convocato per discutere di argomenti seri invece, percepiva un senso di soffocamento, quasi si trovasse in uno stanzino per gli interrogatori.

Quando Alec entrò, vide il preside seduto nella sua poltrona e Mycroft in piedi accanto a lui. Entrambi avevano uno sguardo severo e freddo e ciò gli fece scendere un brivido lungo la schiena. Nessuno parlò e ciò contribuì ad appesantire la sensazione di disagio nel ragazzo. Solo il preside mosse una mano per indicargli una delle due sedie di fronte alla sua scrivania. Tremando, Alec si sedette, ma ancora una volta nessuno parlò. L'ansia crebbe, il panico si fece tangibile così, per sfogarlo, aprì la bocca per parlare, ma fu immediatamente interrotto, ancor prima che potesse pronunciare una singola sillaba.

“Immagino che sappia perché si trova qui, signor Parker.” chiese il preside, congiungendo le mani davanti a sé, sopra la scrivania.

Lo sapeva, o almeno poteva immaginarlo. Credeva di averla fatta franca il giorno precedente, non c'erano stati testimoni e sicuramente Sherlock … no, quel codardo aveva dunque parlato? In fin dei conti non gli avevano fatto nulla di male … nulla che non potesse essere risolto con un po' di disinfettante e un cerotto, giusto?

“Io ...” iniziò lui, sempre più a disagio.

“Ha quasi ucciso un ragazzo, signor Parker” intervenne Mycroft, riuscendo a celare tutto il suo odio e il suo disprezzo dietro una voce gelida come il ghiaccio.

“No! Non è vero! Non gli abbiamo fatto nulla! Non era messo così male!”

Mycroft sogghignò. Era stato fin troppo facile.

“Quindi ammette di aver picchiato a sangue Sherlock Holmes, ieri sera, dopo la fine delle lezioni.” disse, affermandolo invece di chiederlo.

“Io … io ...” Alec respirava a fatica, era evidente quanto fosse spaventato “Sì, ma ...” ammise infine. Avrebbe voluto giustificarsi, dirgli che lui e i suoi amici gli avevano dato una lezione perché si era intromesso in cose che non lo riguardavano, ma un'occhiataccia di Mycroft fu sufficiente per farlo desistere.

“Ha idea di come stia? Penso che abbia notato che oggi non è venuto a scuola.” domandò il preside, sempre più serio in viso.

“Avrà qualche botta, niente di più ...” azzardò, davvero non si era reso conto di quanto gli aveva fatto male.

“Niente di più?!” esclamò Mycroft, perdendo per un istante la sua calma “Mio fratello è stato operato d'urgenza per una frattura alla gamba e numerose emorragie interne! Le sembra poco?!”

Il signor Brown afferrò Mycroft per un polso e questo sembrò calmarlo. Alec, nel frattempo, era impallidito. Se era vero, lo avevano sul serio quasi ucciso …

“Non … non lo s-”

“Ci dirà i nomi degli altri, signor Parker.” lo interruppe il preside, con tono autoritario.

“S-sì, ma ...” tentò di difendersi il ragazzo, senza successo.
“Quello che avete fatto è molto grave e, mi dispiace, non ve la caverete con una semplice sospensione.”

Alec divenne, se possibile ancor più pallido. Mycroft invece, recuperata la calma, aveva tirato fuori dalla giacca un piccolo taccuino.

“Qui ci sono molti appunti che ho preso durante tutto l'anno.” spiegò, iniziando a sfogliarlo “Non è la prima volta che si comporta in modo poco corretto nei confronti di mio fratello, signor Parker, e io so esattamente come, dove e quando ha avuto tali comportamenti nei suoi confronti.”

Alec si alzò in piedi, offeso.

“Come?! Non ci avrete spiato?!” era furioso, ma in quel momento si trovava dalla parte del torto e niente avrebbe potuto cambiare quel fatto.

“Abbiamo più di un testimone, signor Parker.” mormorò Mycroft, sempre più soddisfatto della piega che stava prendendo la discussione “Il signor Paul Carter vi osservati a lungo e mi ha riferito tutto quello che ha fatto.”

“Questo non è giusto!” gridò lui, in preda al panico per il suo destino.

“Le consiglio di non protestare, signor Parker” lo ammonì Mycroft, tornato più gelido e serio che mai “Ci dirà i nomi dei suoi complici e non si aspetti dei trattamenti di favore.”

Alec non aprì nemmeno la bocca, si limitò ad annuire. Il perside prese carta e penna.

“Avanti, questi nomi.”

“Mark Owen e Stephen Fisher.” balbettò lui in risposta “Cosa ci accadrà?”

“Come avrà già capito, non potrete finire l'anno” rispose il signor Brown, annotando i nomi dei due ragazzi su un foglio “Verrete espulsi e trascorrerete i prossimi quattro mesi facendo lavori socialmente utili e partecipando a terapie di gruppo per aiutarvi a gestire la rabbia.”

Consegnò il foglietto a Mycroft, che uscì dalla stanza per portarlo alla segretaria, che avrebbe provveduto a convocare anche loro.

“Quattro … quattro me-”

“Siamo stati generosi.” lo interruppe il preside “Finirete giusto in tempo per l'inizio del prossimo anno scolastico, durante il quale sarete tenuti sotto stretta sorveglianza e dovrete continuare a seguire, se sarà necessario, le terapie di gruppo.”

In quel momento rientrò Mycroft, accompagnato dai signori Parker, rossi per l'imbarazzo e una certa dose di rabbia.

“Buongiorno, signori Parker.” li accolse il signor Brown “Vi ho già spiegato la gravità della situazione e come ho deciso di punire vostro figlio.”

I due non fiatarono, si limitarono ad annuire, tanta era la vergogna che provavano.

“Inoltre, dovrete pagare un risarcimento alla famiglia del signor Holmes per i danni arrecati alla sua salute. Pagherete le spese mediche e un ulteriore risarcimento per i danni morali. Verrete contattati dall'avvocato dei signori Holmes che vi descriverà nel dettaglio la cifra che dovrete pagare.”

Mycroft annuì solennemente. Nel suo viso un osservatore attento avrebbe potuto vedere la soddisfazione con la quale scrutava Alec e i suoi genitori mentre provavano la più disperata vergogna e umiliazione. Si lasciò sfuggire solo un minuscolo sorriso, unico segno visibile del piacere interiore che stava provando in quel momento. Il preside era invece addolorato. Non era stato facile dover accettare che un episodio del genere si fosse svolto proprio nella sua scuola, ma d'altra parte non poteva nemmeno ignorarlo. Sospirando si tolse gli occhiali e li posò sulla scrivania.

“Potete andare.”

I tre, sempre più scarlatti per l'umiliazione, mormorarono un ringraziamento e uscirono dalla stanza con la coda tra le gambe. Mycroft e il signor Bronw si scambiarono uno sguardo. Giustizia era stata fatta, ma erano entrambi consapevoli che, per Sherlock il difficile sarebbe arrivato adesso.

 

 

 

Erano quasi le sette quando Gregory arrivò di fronte al Caffè Nero. Entrò e, dal momento che Haley non era ancora arrivata, uscì per aspettarla fuori. Si sentiva euforico all'idea di rivederla, anche se ancora non sapeva spiegarsi perché. L'idea che lei tenesse così tanto a sapere come stava Sherlock lo riempiva di gioia. Inizialmente l'aveva addirittura fatto arrabbiare, quando aveva detto che la sua storia con Alec era finita per colpa sua, ma poi aveva capito che non ci credeva davvero, che erano la delusione e la rabbia a parlare per lei. Il fatto che avesse ammesso di aver sbagliato nel giudicare prima Alec e poi Sherlock aveva portato anche lui a rivalutare lei. Non erano trascorsi pochi minuti, quando finalmente arrivò. Le andò incontro, salutandola con un gesto della mano.

“Haley! Sono qui!”

Lei lo raggiunse. Sorrideva, ma era evidente che era anche preoccupata per Sherlock.

“Le visite iniziano alle sette e mezza, che ne dici di prenderci qualcosa di caldo mentre aspettiamo?”

“Certo, ottima idea.”

Si strinse nella giacca, in effetti soffiava un vento dispettoso. Haley tremava, ma non era solo il freddo a scuoterla. Qualcosa di più profondo l'aveva sconvolta. Erano successe tante cose, aveva scoperto delle verità che non avrebbe mai potuto immaginare e sentiva che altre rivelazioni sarebbero arrivate al suo cuore, ma era troppo presto. L'aspettativa di ciò che l'attendeva, anche se non sapeva bene di cosa si trattasse, la faceva fremere di aspettativa.

“Hai freddo?” le chiese gentilmente Gregory “Entriamo. Qui fanno un cappuccino buonissimo.”

Lei si limitò ad annuire e fu Greg a ordinare per entrambi e portare i due bicchieri al tavolino dove lei si era nel frattempo accomodata. L'atmosfera all'interno del bar era tranquilla, portava al rilassamento e anche Gregory, nonostante sapesse che il suo amico in quel momento stava soffrendo, non poté non godere di quella sensazione. Anche Haley sembrava a suo agio con lui, non le era mai successa una cosa simile e immediatamente capì come Gregory era riuscito a mettere a suo agio un ragazzo problematico come Sherlock.

“Ho capito adesso ...” mormorò, senza potersi trattenere.
“Cosa?” le chiese lui, che non aveva seguito il filo dei suoi pensieri.
“Sherlock … adesso ho capito come si è affezionato tanto a te.” rispose lei sorridendogli.
“Ah, sì?” chiese ancora, sorridendo.

“Sì. Sei dolce, comprensivo … è piacevole stare con te. Non ci avevo mai fatto caso quando ...” esitò.

“Quando stavi con Alec?” terminò lui.

“Sì.” rispose lei annuendo “Alec è sempre stato molto … carismatico? Forse … o forse è sempre stato un bullo. Io ero affascinata da lui e quando mi ha chiesto di metterci insieme non avrei potuto essere più felice!” sorrise, ricordando quel momento, ma tornò immediatamente seria. Ogni istante trascorso con Alec aveva ormai perso ogni bellezza, tramutato in un ricordo spiacevole. “Adesso invece ho capito chi è veramente. Lui era sempre stato molto gentile con me, ma era una gentilezza falsa, non stava con me perché mi voleva bene ma perché lo aiutavo con i compiti e, credo, perché mi trovasse bella … almeno credo ...” esitò ancora, dopo quello che le era successo erano molti i dubbi che aleggiavano nella sua testa.

“Tu sei molto bella, Haley.” confermò Gregory “Sei anche molto dolce. Non preoccuparti per quello che è successo ieri. Eri confusa e triste, non hai motivo di sentirti in colpa.”

Haley non rispose, prese la tazza di cappuccino tra le mani. Si sentì subito meglio, ma non fu certa che fosse esclusivamente merito del calore della bevanda. Alzò lo sguardo verso Gregory. Quel ragazzo era speciale. Emanava un'aura di pace e tranquillità ma allo stesso tempo aveva dimostrato in passato di poter essere anche determinato e coraggioso. Si sentì arrossire.

“È troppo caldo?” le chiese lui, premuroso.

“No … no … va benissimo ...”

Si sorrisero. Era scattato qualcosa tra di loro. Se si trovavano seduti allo stesso tavolo, in quel bar, un motivo c'era. Sherlock era ciò che li univa. Da una parte c'era Gregory, che gli voleva sinceramente bene e dall'altra Haley, preoccupata per lui e grata per ciò che, anche senza un reale intento generoso, aveva fatto per lei. Entrambi, in quell'istante, avevano capito che nei loro cuori era spuntato il seme di qualcosa che sarebbe presto cresciuto e poi sbocciato. Non parlarono, lasciarono che quella pace lo alimentasse.

 

 

 

 

Aveva cenato, se cena si poteva definire ciò che gli avevano dato da mangiare, le sette erano passate da quasi mezz'ora e lui non faceva altro che contare i minuti che lo dividevano dall'arrivo di Gregory. Sarebbero stati soli, lui gli avrebbe confessato il suo amore e ...e poi non lo sapeva, lo avrebbe scoperto solo affrontando quell'avventura. Si sentiva un pirata di fronte ad un forziere che avrebbe potuto essere pieno di gemme, dobloni e gioielli … oppure vuoto, con qualche ragnatela ad addobbarlo. In ogni caso ne sarebbe valsa la pena. La chiave sarebbe stata la sua voce e Gregory gli avrebbe svelato la verità. Si sentiva emozionato, pieno di energie nonostante i dolori che di tanto in tanto lo tormentavano.

Era trascorso un altro minuto, la lancetta dei secondi avrebbe fatto un altro giro prima che Gregory fosse arrivato? Trattenne il fiato, quando sentì in lontananza il ding dell'ascensore che arrivava al piano. Era lui o un altro visitatore? Restò in ascolto e sentì la voce di Greg che si avvicinava insieme a un'altra. Non era solo dunque … chi c'era con lui? Qualcuno rise, una ragazza … Haley? Cosa ci faceva lì? Non fece in tempo a chiedersi altro, quando i due entrarono.

Ciao Sherlock!” lo salutò allegro Gregory “Ho portato anche Haley, spero ti faccia piacere ...” si voltò verso di lei, che nel frattempo era entrata timidamente nella stanza.

Ciao Sherlock ...” era pallida, vedere il suo compagno di classe ridotto in quel modo da colui che credeva di amare era stato un duro colpo per lei “Ti fa tanto male?”

Era una domanda sciocca e lei lo sapeva, così come lo sapeva Sherlock.

Un po'.” ammise lui, ancora sorpreso per la sua presenza.

Gregory prese un paio di sedie e le posizionò accanto al letto in modo che entrambi potessero accomodarsi. Sherlock osservò ogni suo movimento. Aveva sperato di poter parlare da solo con lui, di potergli confessare i suoi sentimenti … perché lei era lì?!

Stamattina Haley è venuta da me per chiedermi tue notizie, dal momento che non sei andato a scuola” spiegò Greg, involontariamente rispondendo alle sue domande “Sembrava molto preoccupata quando le ho spiegato la situazione, così ...”

Gli ho chiesto di poter venire con lui a trovarti!” concluse lei, sorridendogli “Ti chiedo scusa per tutto quello che ti ho fatto, Sherlock. Mi sono resa conto che Alec non è altro che uno stronzo. Non so come lo abbiano punito, ma sono certa che qualsiasi cosa sia, sarà ben meritata.”

Se ne sarà occupato mio fratello ...” mormorò Sherlock “Glielo chiederò quando verrà a trovarmi.”

A proposito! Verrà stasera? E tua madre? Tuo padre? Verranno a trovarti?” chiese Gregory, sinceramente preoccupato per lui.

No …” rispose, poi cambiò idea “Sì, verranno più tardi e mia madre resterà con me stanotte.”

Non era vero, ma non voleva far preoccupare ancor di più Gregory.

Bene allora” commentò Greg “Così potrò rivedere tua madre, mi è sempre stata simpatica.”

No, non serve!” esclamò Sherlock, sbiancando all'improvviso “Verrà verso le dieci, voi potete tranquillamente andare via prima e ...” si morse un labbro, a disagio. Voleva chiedere a Gregory di stare da solo con lui, ma non ne aveva il coraggio.

Come preferisci” sussurrò Haley “Io posso stare una mezz'oretta, mio padre verrà a prendermi fuori dall'ospedale.

Si illuminò. Probabilmente Greg sarebbe rimasto di più? Avrebbe avuto l'occasione di parlargli … ma davvero voleva ancora farlo?

 

La mezz'ora successiva trascorse abbastanza tranquillamente. Gregory e Haley chiacchieravano e Sherlock per lo più ascoltava, rompendo il silenzio solo per rispondere alle domande che di tanto in tanto gli ponevano direttamente, ma solo con brevi risposte, “sì”, “no” o addirittura brevi cenni della testa. I due non ci fecero caso, ma nella sua mente e nel suo cuore si stavano addensando nere nubi di dolore.

Quando finalmente la ragazza se ne andò, accadde qualcosa che ruppe definitivamente la sua felicità. Haley si alzò, gli accarezzò la mano per salutarlo, poi si rivolse a Gregory e lo baciò sulla guancia, prima di uscire dalla stanza.

In quegli ultimi mesi aveva osservato l'amore, aveva visto quando scattava qualcosa tra due persone, anche prima che le due se ne rendessero conto, e benché avesse faticato a riconoscerlo in se stesso, non ebbe problemi a capire che, tra Gregory e Haley, stava nascendo proprio quello. I due sorridevano, era evidente che trovavano piacevole la reciproca compagnia … ma era vero amore? Era questo o la sua codardia lo portava a trovare mille scuse per non dichiararsi, anche se in precedenza si era ripromesso di farlo a qualsiasi costo? Prima però non c'era Haley, non aveva previsto la sua presenza, il fatto che potesse entrare così prepotentemente nella vita di Gregory. Lui aveva sorriso quando lei lo aveva baciato. Aveva sorriso! Raramente lo vedeva sorridere così! Cosa era successo? Un senso di pesantezza lo colpì al petto, facendogli mancare il respiro. Se Gregory si fosse innamorato di lei … lui cosa avrebbe fatto? La pesantezza si tramutò in dolore, ma non seppe dire se fosse una normale fitta dovuta alle botte e ai punti che tiravano o se fosse qualcosa di più … il suo cuore che si spezzava.

Gregory lo sentì gemere e si voltò immediatamente verso di lui.

Hey, Sherlock, qualcosa non va? Ti fa male da qualche parte?”

Il dolore era insopportabile, i pensieri vorticavano nella sua testa senza un ordine preciso, migliaia di lame che lo ferivano, offuscandogli la vista. Tutto si fece più rumoroso attorno a lui, ogni suono si amplificò e perfino i suoi stessi pensieri gli urlarono nelle orecchie. Chiuse gli occhi e tentò di calmarsi, respirando lentamente, ma tutto fu vano. Gridò, nella sua testa, un “basta”, che pose fine al caos ma non al dolore. Riaprì gli occhi, Gregory era di fronte a lui, pallido e teso.

Vuoi che ti chiami un'infermiera?”

No … non … non serve ...” mormorò, non senza una certa fatica.

Allungò un braccio verso la flebo e regolò la morfina, aumentando la dose. Faceva male. Faceva tutto male. Tutto era male. Voleva stare solo, voleva piangere, ma non poteva farlo, non di fronte a Gregory.

Sono un po' stanco … vo-vorrei dormire ...”

Non era del tutto una bugia, era in effetti esausto.

Come vuoi, tornerò domani sera … o prima se vorrai, è domenica, posso venire anche di pomeriggio ...”

Sherlock esitò, ma infine annuì e Gregory, vedendolo così prostrato, si alzò.

Ti lascio riposare. Domani ti porterò qualcosa da leggere, così non ti annoierai e … se ce la fai a scrivere, vuoi che ti porti il tuo taccuino?”

Annuì ancora, gli sorrise e non smise di farlo fino a quando lui non uscì con un “Ci vediamo domani.”

Aspettò di sentire il rumore lontano dell'ascensore, le porte che si aprivano, i passi di Greg all'interno, le porte che si richiudevano … ormai era lontano.

Il sorriso svanì dalle sue labbra, cancellato da una folata di vento freddo che portò la pioggia delle lacrime. Scoppiò a piangere silenziosamente, mentre sentiva il suo cuore straziato sotto le ferite dell'amara verità.

Voleva davvero rivederlo? Sì, dannazione, voleva. Lo amava, ma doveva accettare il fatto che non sarebbe stato ricambiato. L'aveva messo in conto, no? Un'avventura … aveva trovato il forziere e, senza nemmeno aprirlo, aveva capito che sarebbe stato vuoto. Era bastato sollevarlo per constatarne la leggerezza. C'era sì qualcosa, Gregory era sinceramente affezionato a lui, poteva vederlo … ma non avrebbe mai ricambiato quel sentimento così profondo che invece lui provava. Amore … che sciocchezza! Un altro, nuovo modo per soffrire. Prese quel forziere, lo aprì e, dal momento che non conteneva l'amore di Greg, ci mise dentro il suo. Sarebbe rimasto lì, vivo ma recluso, in modo che non potesse fargli ancora del male. Chiuse il lucchetto con un sospiro di sollievo. Il suo battito si fece più regolare, i suoi occhi si asciugarono lentamente e, stremato per quella dura prova, si lasciò vincere dal sonno.

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Capitolo 11
*** L'inizio ***


Cialve a tutti!!

Questo capitolo è interamente dedicato a Sherlock, spero non vi dispiaccia. Non preoccupatevi per Greg, lui tornerà presto e con lui … be', vedrete, vedrete. Per adesso un altro capitolo di passaggio, in cui entrerà nella vita di Sherlock qualcosa di veramente molto importante.

Un po' di angst sarà presente anche qui, ma sarà più lieve e vi prometto che in ogni caso la storia avrà un lieto fine!

Bien! Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate ;)

Mins

 

 

 

 

L'inizio

 

 

 

Ecco, esercito una professione tutta particolare. Credo di essere l'unico al mondo. Sono investigatore-consulente... ma non so se possa capire quel che significa.
Sherlock Holmes – Uno studio in rosso

 



 

Le due settimane seguenti furono devastanti. I dolori dovuti dagli ematomi e dalle varie ferite, nonché dai punti delle operazioni erano fortissimi da soli, ma c'era qualcosa che li amplificava.

Ovviamente gli faceva molto piacere che Gregory lo andasse a trovare tutti i giorni, anche se spesso lo faceva accompagnato da Haley, con la quale stava legando sempre più rapidamente … ma … ecco, era quello il problema.

Lei.

Haley.

Non che gli stesse antipatica … ma la consapevolezza che lei era riuscita a far innamorare di sé Gregory lo faceva impazzire. Provava nei suoi confronti un sentimento molto simile all'odio, ma si vergognava di questo perché, in fin dei conti, rendeva felice il ragazzo che amava. Il conflitto interiore era tale da scatenare una vera e propria guerra tra i suoi pensieri, quelli più egoistici che gli dicevano di fare in modo di sbarazzarsi di lei e quelli più altruistici, che invece erano a favore di quella relazione, sempre che di relazione si potesse parlare. Nessuno dei due aveva mai accennato a ciò, ma lui poteva vedere i sintomi dell'amore su entrambi ogni volta che li vedeva insieme e su di lui, quando erano soli e gli parlava di lei.

Tutto era troppo per lui, non era sicuro di poter reggere a tanta pressione e a tanto dolore. Quando nessuno lo vedeva, aumentava la dose di morfina. Faceva in modo che il dosaggio fosse alto quando era sveglio e non appena sentiva che il sonno stava per arrivare la toglieva del tutto, in modo da non insospettire i medici facendola finire prima del tempo.

Come se tutto questo non fosse stato sufficiente, c'era ancora un'altra cosa che lo faceva soffrire. La gamba rotta doveva restare immobile e per questo lui era immobilizzato a letto. Non poteva nemmeno andare in bagno o fare due passi e questo lo frustrava più di ogni altra cosa. Restare immobile per forza era qualcosa che non poteva nemmeno concepire, il suo cervello fremeva, i pensieri sfrecciavano … ma lui era bloccato a letto. Entro una settimana lo avrebbero fatto alzare per fare qualche passo con il fisioterapista, ma per il momento, come ripeteva sempre l'infermiera, doveva portare pazienza e lui, che ne aveva sempre avuta poca, stava già per esaurirla.

Erano da poco trascorse le otto quando si svegliò. Da quando era entrato in ospedale il suo ritmo sonno-veglia si era invertito. Dormiva per quasi tutto il giorno e restava sveglio di notte, come un gatto. Accanto al letto vide il vassoio con la sua cena, che probabilmente avevano lasciato mentre stava ancora dormendo. Potevano una zuppa di piselli, una fetta di polpettone e una ciotola di budino al cioccolato salvarlo dal tedio? Decise per un sì, in fin dei conti era parecchio affamato. Allungò un braccio verso il vassoio, ma l'inserviente aveva posizionato il tavolino troppo lontano perché lui potesse arrivarci senza spostarsi.
“Dannato tizio!” borbottò “Non sa nemmeno fare una cosa tanto semplice ...”

Guardò il campanello. Avrebbe dovuto chiamare l'infermiera solo per farsi passare il cibo? Lo stava per afferrare, quando sentì bussare alla porta.

Hey ...” sussurrò Gregory “Devi ancora cenare?”

Sì” ammise lui “Mi sono appena svegliato.”

Molto bene allora, mangia, ne hai bisogno, sei pallidissimo!”

Agli ordini, signore!” scherzò lui “Ho bisogno del tuo aiuto … non riesco a prendere il vassoio.”

Gregory non se lo fece ripetere due volte, prese il vassoio e glielo posò in grembo.

Sembra delizioso!” disse, per poi scoppiare a ridere.
“Seh, seh. Scherza pure. Il cibo qui è l'unica cosa degna di nota. Non c'è altro di interessante. Io ...”

... ti annoi?” chiese, prendendo una cucchiaiata di zuppa “Hum, in effetti è molto buona!”

Dovrei mangiarla io, ricordi?” gli ricordò Sherlock.

Certo … certo ...” gli restituì il cucchiaio “Mangia, se finirai tutto ti darò una sorpresa!”

Sherlock lo fissò con gli occhi spalancati. Sapeva quanto Gregory lo conoscesse e se stava interpretando bene quel suo sorrisetto, poteva aspettarsi solo il meglio. Si sbrigò a finire tutto, cosa non difficilissima, dal momento che il cibo era piacevolmente tiepido e, doveva ammetterlo, piuttosto gustoso. Ingoiò l'ultima cucchiaiata di budino e lasciò che Gregory lo liberasse dal vassoio.
“Avanti, avanti! Cos'è questa sorpresa?”

Gregory sembrava deciso a farlo penare. Prese la borsa che aveva portato con sé e ne tirò fuori un giornale piegato.

Ah …” mormorò Sherlock, guardandolo “Entusiasmante!”

Aspetta!” rispose lui, scoppiando a ridere “Oggi sono passato in edicola per prendere una rivista a mia madre e ho trovato questo con il Times ...”

Posò il giornale sul letto e lo aprì, rivelando un libro: La storia dei Pirati di Angus Konstam. Sherlock restò a bocca aperta per lo stupore. Aveva sempre amato la storia dei pirati e tutto quello che era collegato alle loro avventure. Gregory lo sapeva e aveva scelto il regalo perfetto al momento giusto. Almeno, leggendo quel libro, si sarebbe distratto un po'. Perché non ci aveva pensato prima?

Gregory, sei un genio io ti ...” si bloccò all'improvviso.

Stava davvero per dirgli che lo amava? Be', probabilmente l'avrebbe interpretata come un'innocente esagerazione, no? Meglio non rischiare.
“Ti adoro!”

Sì, poteva andare, molto meglio. Sfiorò la copertina del libro, emozionato. Un regalo da parte di Gregory, un meraviglioso libro da parte di Gregory … Probabilmente avrebbe potuto fare a meno della morfina, quella notte …

 

Aveva divorato il libro nel giro di tre giorni, durante le ore di veglia notturne, affascinato dalle storie di quegli uomini e donne che avevano sfidato il mare in cerca di nuove avventure. Certo, la maggior parte di loro non era animata da nobili pensieri, ma a lui era sempre piaciuto pensare che fossero in realtà spinti da ben altro.

La sua mente, impegnata con la lettura, si era dimenticata di tutti gli altri problemi, lasciandolo finalmente in pace. Non ricordava una sensazione simile, il vuoto riempito solamente dalla conoscenza. Quando era accaduto l'ultima volta? Sì, ne era certo. Era accaduto prima che incontrasse Greg. Lui aveva portato nuove cose nella sua vita, l'amicizia, l'affetto … l'amore … ma in quel momento tutto quello era doloroso e, sebbene avesse deciso di rinchiudere i suoi sentimenti in un forziere, questi tentavano giorno dopo giorno di evadere, tormentandolo dolorosamente. Tenendo la mente impegnata in altro che non fosse Gregory o ciò che provava per lui, si sentiva … vuoto. Sì, era quella la sensazione. Un vuoto vertiginoso nel quale si stava affacciando, giorno dopo giorno, lo attirava a sé con crescente forza, un buco nero pronto ad inghiottirlo. Poteva sfuggirgli? Doveva almeno provarci. L'alternativa sarebbe stata affrontare i suoi sentimenti e la persona che li aveva fatti nascere e, almeno per il momento, era fuori discussione.

La notte del terzo giorno però si ritrovò senza nulla da leggere e parecchie ore da trascorrere in solitudine e noia. Non aveva pensato di chiedere a Gregory un altro libro, non avendo previsto di finire tanto in fretta il volume. Avrebbe potuto rileggerlo, ma sarebbe stato noioso … nella stanza non c'era altro se non il giornale con il quale Gregory gli aveva portato il volume … Non si era mai interessato alla lettura dei quotidiani, ma tanto valeva tentare, non avendo alternative.

Con un sospiro prese il giornale e lo aprì sulla prima pagina. Nonostante le premesse, venne attirato dal titolo principale: “Morte di un nuotatore”

 

 

Londra

La finale nazionale di nuoto delle scuole superiori è terminata in tragedia, con la morte del giovane Carl Powers, durante la competizione. Il giovane nuotatore era partito con un ritmo invidiabile, quello che lo aveva messo tra i favoriti per la vittoria, ma verso metà del percorso ha iniziato a rallentare ed infine è annegato. Nessuno sforzo per salvarlo si è rivelato utile, quando il giovane è stato tirato fuori dall'acqua era ormai deceduto. I genitori, così come i suoi compagni di squadra e tutti i presenti, sono sconvolti da quanto accaduto.

Carl era un ragazzo solare, generoso e dedito allo studio e allo sport. Era sano e praticava il nuoto da diversi anni e, a detta del suo allenatore, la mattina della gara era particolarmente in forma. Nessuno sa spiegarsi cosa abbia causato il malessere che lo ha portato alla morte.

La polizia ha perquisito il suo armadietto, non trovando nulla di insolito, fatta eccezione per l'assenza delle scarpe. I genitori erano a conoscenza di quanto il ragazzo fosse affezionato a quel particolare paio di scarpe, regalo per una precedente vittoria, e avrebbero voluto conservarle per seppellirle insieme al figlio, ma non sono state rinvenute da nessuna parte, né negli spogliatoi né all'interno del palazzetto.

L'ispettore Graves, incaricato di seguire le indagini, ha affermato che non ci sono indizi che supportino la tesi di un omicidio, sebbene la morte sia avvenuta in circostanze misteriose.

 

L'articolo continuava, descrivendo i vani sforzi dei medici per capire cosa era accaduto al ragazzo e specificava che i risultati dell'autopsia sarebbero rimasti riservati.

Le scarpe ...” mormorò Sherlock “Mancavano le scarpe … perché?”

Quella domanda aleggiò nella sua testa per tutta la notte e la mattina seguente, verso le nove, era ancora sveglio a rimuginare sul significato nascosto di quella sparizione. Aveva letto e riletto quell'articolo, cercando altri appigli su cui costruire delle tesi, ma era un giornale vecchio, probabilmente avevano pubblicato qualche aggiornamento sulle indagini?

L'infermiera che di solito lo trovava profondamente addormentato, si stupì nel vederlo sveglio. Sherlock era pallido, più del solito, il viso tirato, esausto, ma gli occhi brillavano d'eccitazione.

Aveva dimenticato tutto, la sofferenza, perfino quella fisica, tutto il suo corpo era teso verso un nuovo obiettivo. Nella sua mente riecheggiavano le parole di Gregory, pronunciate tanto tempo prima. Da anni aveva dedicato la sua vita a raccogliere e catalogare quei dettagli che ai più sfuggivano. Poteva davvero diventare un detective, tanto bravo da surclassare perfino i poliziotti di Scotland Yard?

Mi fa piacere trovarti sveglio, Sherlock.” gli disse la donna “Hai voglia di fare colazione?”

No.” rispose lui, sbrigativo “Ho bisogno del giornale di oggi. Dei giornali degli ultimi tre giorni.”

La donna lo fissò con le sopracciglia alzate per lo stupore e, vedendo il quotidiano ancora aperto sul letto, sorrise.

Ah … ti annoi, eh? Lo posso capire, ma se vuoi posso farti portare dei libri e ...”

Sì-sì, libri” la interruppe lui “Andranno benissimo, ma ho bisogno di avere altre notizie su Carl Powers!” esclamò, con un entusiasmo tale da impressionare la donna.
“Carl … Powers? Chi sarebbe?” chiese lei.

Non ha letto i giornali?!” rispose lui, mostrandole la prima pagina “Il nuotatore morto durante la gara!!”

La donna prese il giornale e, vedendo la foto del ragazzo deceduto, capì a cosa si riferiva.

Ah … certo, certo … il giovane Powers … che storia tremenda ...” scosse la testa, sinceramente dispiaciuta.
“Io ho solo questo articolo, ma è stato pubblicato qualche giorno fa! Ci sono stati aggiornamenti?”

La donna si fermò a riflettere, cercando di ricordare cosa aveva sentito, anche per caso, su quella vicenda.
“Ah, sì, certo!” disse infine “Hanno archiviato il caso. Dall'autopsia non è emerso nulla che potesse chiarire cosa fosse successo durante la gara.”

L'infermiera scosse ancora la testa. Era evidente che fosse dispiaciuta per quanto accaduto al ragazzo e alla sua famiglia e soprattutto per l'assenza di un reale motivo per quella morte. Sherlock era invece frustrato. Com'era possibile che non avessero trovato nulla? Proprio nulla? Ci doveva pur essere un indizio, una traccia! Se solo avesse potuto vedere il luogo in cui si era svolta la gara ed era morto Carl …

Le scarpe!” gridò infine, facendola sobbalzare “Hanno detto altro sulle scarpe?

Le … scarpe?” chiese, senza capire dove volesse arrivare.

Certo! Le scarpe! Nel primo articolo c'è scritto che non le hanno trovate. I genitori volevano seppellirle con il figlio, ma non le hanno trovate da nessuna parte!”

La donna lo guardò allibita, come se gli fosse spuntata un'altra testa.

Non hanno più accennato alle scarpe, Sherlock … se vuoi posso portarti gli altri articoli, ma vedrai anche tu che non c'è nulla che possa interessarti ..:”

Va bene, grazie.” rispose lui, ritenendo ormai inutile continuare a spiegarle perché quelle scarpe fossero così importanti.

La donna finì di medicarlo, sorpresa sia per il fatto che lui non avesse aperto bocca durante tutto il procedimento, sia per l'energia e interesse che al contrario aveva dimostrato per il caso del giovane Powers.

Te li porterò dopo pranzo, va bene? Sempre che tu non stia dormendo … ne avresti un gran bisogno!” commentò premurosamente.

Non ho tempo per dormire!” protestò lui, quasi offeso, suscitando un sorriso alla donna.
“Come vuoi, signorino” commentò lei “Ci vediamo più tardi.

 

Come aveva previsto, non era riuscito a prendere sonno nemmeno per dieci minuti. Il pensiero che nessuno avesse dato peso all'assenza delle scarpe lo stava facendo impazzire. Avrebbe voluto alzarsi, correre alla piscina, controllare di persona, parlare con i poliziotti … ma non poteva, dannazione, non poteva! Se solo avesse avuto a disposizione un telefono … Doveva avvertirli! Come potevano non essersi accorti che quello era un dettaglio fondamentale per la risoluzione del caso? Perché si trattava di omicidio, ne era certo! Tutto il suo corpo, la sua mente e sì, perfino la sua anima, se c'era, gli dicevano che dietro quella morte apparentemente senza motivazioni, c'era qualcuno con un intento ben preciso.

La ragazza che a mezzogiorno gli portò il cibo fu felice di vederlo sveglio, ma rimase delusa nel constatare che, nonostante il cibo fosse caldo e profumato, non ne toccò nemmeno una briciola perché, nel frattempo, era tornata l'infermiera con i giornali vecchi che gli aveva promesso.

Mentre il risotto e la frittata si freddavano in compagnia di una fetta di torta alle mele, lui aveva letto e riletto i miseri articoli pubblicati sui giornali dopo il primo. Tutto quell'entusiasmo aveva risvegliato l'interesse della ragazza la quale, tornando indietro per prendere i suoi piatti che avrebbero dovuto essere vuoti, decise di affrontarlo.
“Hey, Sherlock! Non mangi niente oggi? Il risotto alle zucchine è particolarmente buono! Ti fidi? Deve essere ancora un po' … tiepido ...” mormorò, immaginando che invece fosse gelido.

Mhn mhn” rispose lui, che in realtà non aveva nemmeno ascoltato ciò che lei gli aveva detto.

Mi ascolti?” tentò di nuovo “Cosa cerchi su quel giornale?”

Sherlock era completamente assorto. Si voltò di scatto verso di lei, gli occhi cerchiati per l'assenza di sonno brillavano come due stelle.
“Ho bisogno di un telefono. Adesso.”

Cos-” iniziò lei, senza capire il nesso tra il risotto e ciò che lui le chiedeva.

Un telefono. Devo fare una telefonata. Adesso.” insistette Sherlock, che stava cominciando a perdere la pazienza.
“Va … va bene... vedo cosa posso fare … ma tu non puoi spostarti, lo sai … la fisioterapia comincerà tra un paio di giorni e forse solo la settimana prossima potrai camminare abbastanza per ...”

Mi serve adesso. Non posso aspettare. Quegli idioti hanno già chiuso il caso!”

Quale caso?” domandò lei, che si stava perdendo in quel discorso.

Lasci perdere” rispose lui, ormai spazientito “Mi porti il telefono, per piacere e io in cambio ...” lanciò un'occhiata al cibo ormai ben poco invitante sul vassoio “Se mi porta un telefono adesso … e possibilmente un elenco telefonico, prometto che mangerò tutto … anche stasera … e anche domani, va bene?”

La ragazza sospirò sorridendo. Valeva la pena aiutarlo, anche se non sapeva perché, almeno avrebbe mangiato!

Come vuoi, te lo porto subito. Per quando torno voglio vedere il risotto sparito, va bene?”

Sherlock annuì e le fece l'occhiolino, facendola ridere.

 

Il vassoio del pranzo era ormai vuoto. Il cibo non era stato così pessimo tutto sommato, ma in effetti lui non aveva nemmeno sentito il sapore. Annie, questo era il nome della ragazza che glielo aveva servito, fece lo scambio con il telefono una ventina di minuti più tardi, tentata di restare lì ad ascoltare cosa avesse mai di così urgente da dire e a chi, ma il dovere la chiamò alla cucina.

Rimasto finalmente solo con la documentazione che la stampa aveva da offrire e un mezzo per comunicare con la polizia, si sfregò le mani per l'eccitazione.

A noi due, ispettore Graves!”

Digitò il numero trovato nell'elenco e rimase in attesa. Gli ci volle almeno mezz'ora, ma alla fine riuscì a mettersi in contatto con un agente. Avrebbe preferito parlare direttamente con Graves, ma a quanto pareva era irraggiungibile.
“Dovrei parlare con l'ispettore Graves!” esclamò, tentando di far capire quanto fosse importante per lui “Verrei di persona, ma sono in ospedale e non posso muovermi!”

Di cosa hai bisogno, ragazzino?” gli chiese l'uomo, che dalla voce aveva intuito la sua età.

Devo parlare con l'ispettore Graves.” ripeté lui, determinato “Devo digli una cosa fondamentale!”

Dall'altra parte del telefono si sentì una risata.

Ah sì? Cosa devi dirgli? Qualcuno ha rapito il tuo gattino?” chiese lui, che evidentemente era in vena di scherzi.

Non mi prenda in giro!” gridò Sherlock, eccitato e arrabbiato allo stesso tempo “Devo dirgli delle scarpe!”

Le scarpe? Ti hanno rubato le scarpe? Questa sì che è nuova! È per questo che sei in ospedale?”

La condiscendenza con cui veniva trattato fece aumentare la sua frustrazione.

Il caso Powers! Il nuotatore morto durante la gara! Le scarpe mancavano!”

Senti, ragazzino … non immischiarti in cose più grandi di te. Se sei in ospedale mi dispiace, spero che tu guarisca presto, ma non telefonare a Scotland Yard per simili sciocchezze!”

Prima che Sherlock potesse protestare, l'agente aveva già riagganciato il telefono.

Idiota! Stupido! Sciocco! Perché non pensano? Perché non riflettono? Eppure è così ovvio! Così evidente che c'è qualcosa che non va!”

 

Dopo quella prima batosta, Sherlock non si scoraggiò. Chiamò e richiamò, parlò con altri agenti e fu ancora preso in giro. Alla fine, quando anche loro ormai avevano capito che non avrebbero ottenuto nessun risultato sbattendogli semplicemente il telefono in faccia, gli passarono l'ispettore Graves.

Allora” esordì l'uomo, che dava già segni di impazienza “Ho sentito che c'è un nuovo detective. Sentiamo, moccioso, cosa hai scoperto di così sensazionale che i miei uomini, con anni di esperienza, non hanno saputo notare?”

Sherlock notò il sarcasmo, ma non si lasciò scoraggiare.
“Le scarpe!” disse, tremando per l'emozione “Le scarpe mancavano, giusto? Perché? Ve lo siete chiesti?”

Non è importante, ragazzino ...” rispose lui, dopo un lungo sospiro “Non c'entrano con la sua morte.”

Non può dirlo! Se la risposta fosse lì?”

Carl Powers è morto in piscina, in acqua” spiegò Graves, con un tono che avrebbe potuto rivolgere a uno stupido “Non aveva le scarpe. È morto per un altro motivo, che non siamo riusciti a identificare, ma di certo non perché non indossava le scarpe! Mi sembra ovvio! Adesso però smettila di telefonare, noi stiamo lavorando, non abbiamo tempo per ragazzini che si credono detective!”

Ancora una volta sentire il rumore della chiamata chiusa all'improvviso non fece altro che gettare benzina sul fuoco che ormai stava divampando nel suo cuore.

Così era solo un ragazzino che si credeva un detective, eh? Bene. Lo sarebbe diventato. Un giorno sarebbe diventato il più grande detective di tutti e avrebbe umiliato quegli asini di Scotland Yard. Avrebbero capito che sottovalutarlo era stato un errore che non avrebbero mai dovuto commettere.

Ripensò a Gregory e, stranamente, pensare a lui non fece poi così male.

Potresti fare il detective.”

Ormai nella sua mente non c'era più spazio per i sentimenti. Anche se ancora non poteva saperlo, sopra il forziere aveva posato il primo mattone di quello che sarebbe diventato un edificio enorme, il suo palazzo mentale, dove avrebbe custodito per sempre tutto il suo sapere, dove avrebbe potuto riflettere in pace, libero dai condizionamenti della società e dalle sue regole.

Tutto il suo corpo vibrò, i suoi occhi erano più determinati che mai mentre, stringendo i pugni sul giornale sparso sopra il suo letto, pensava al suo futuro.

Sarò un detective.”

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Capitolo 12
*** Lo sceriffo e il pirata ***



Lo sceriffo e il pirata



 

 

[Riferendosi a Batman] Alcuni credono che lui sia più d'intralcio che d'aiuto. Alcuni credono che dovrebbe farsi i fatti suoi. Credono che faccia il vigilante solo per il suo piacere. Si sbagliano. È l'uomo migliore che abbia mai conosciuto. (James Gordon, Batman: Agente a terra)

 



 

 

Tutto stava andando decisamente alla grande. Certo, c'erano state delle giornate decisamente pesanti, la notte aveva faticato a dormire, ma ormai sembrava una cosa superata. Aveva altre cose a cui pensare che non fossero gli incubi. Sherlock stava sempre meglio e presto sarebbe uscito dall'ospedale, gli esami finali erano ormai alle porte, ma non lo preoccupavano più di tanto e, per finire … c'era Haley.

Se non fosse stato che la prima volta in cui si erano rivolti la parola si era svolta in circostanze non proprio piacevoli, avrebbe benedetto quel giorno. Con la scusa di andare a trovare Sherlock in ospedale insieme almeno un paio di volte alla settimana, erano diventati molto intimi, anche più di quanto si sarebbe aspettato. Fino a quel giorno non l'aveva mai nemmeno considerata, aveva sempre pensato a lei come la fidanzatina di quell'idiota di Parker, invece aveva rapidamente scoperto che era molto di più. Era simpatica, dolce, intelligente. Certo, non poteva essere ai livelli di Sherlock, ma si erigeva al di sopra della media … o almeno lui aveva iniziato a vederla così.

 

Erano in giardino, seduti accanto all'albero sotto il quale Greg si vedeva sempre con Sherlock, quando Haley sospirò rumorosamente. Sembrava proccupata.
“Qualcosa non va?” le chiese lui, allarmato da quel segno di impazienza.

“Cosa? Oh, no … nulla …” rispose lei distrattamente “Stavo pensando a Carl Powres ...”

“Chi … ah.” sussurrò Greg “Ho capito. Quel ragazzo che è morto in piscina. Brutta storia.”

“Sì. Terribile. È morto così, senza motivo ...”

Gregory si voltò per guardarla negli occhi. Sembrava sinceramente triste per ciò che era accaduto e in effetti nemmeno lui era riuscito a spiegarsi come fosse potuto accadere. Aveva seguito la vicenda sui telegiornali, a sua volta colpito dalle vicende di quel ragazzo poco più giovane di lui. Ciò che più lo aveva colpito era come Scotland Yard aveva gestito la situazione. Sembravano intenzionati a scoprire cosa ci fosse dietro la morte di Carl, invece poi avevano rinunciato, dicendo che non c'era nessuna prova che la morte potesse essere imputabile a qualcuno per negligenza o dolo. Era davvero così? Secondo l'autopsia Carl era sanissimo … ma allora perché era morto?

Si era ritrovato molte volte a pensare in quei giorni e soprattutto quando al telegiornale ripetevano la notizia, cosa avrebbe potuto fare lui, se fosse stato al posto dell'Ispettore incaricato di seguire le indagini. Sarebbe riuscito a fare meglio?

Scacciò quei pensieri tristi, non voleva rovinarsi la giornata.

“Stasera verrai da Sherlock?” le chiese, cambiando repentinamente argomento.

“Stasera no, devo studiare per l'interrogazione di domani ...”

“Ah … ma … avresti tempo per un cappuccino, dopo cena? Potremmo andare da qualche parte vicino a casa tua, così non perderai troppo tempo, che ne dici?

Si guardò attorno. C'era qualcosa che voleva dirle, ma non poteva farlo lì, c'era troppa gente. Haley intuì che c'era qualcosa dietro e sorridendo annuì.

“Va bene.” disse infine “Inoltre il tempo con te non è mai perso ...”

Arrossì e anche Gregory si sentì stranamente accaldato. Haley prese il tovagliolo che aveva avvolto il suo panino, una penna, e scrisse un indirizzo.

“Ci possiamo trovare qui stasera, se vuoi. Casa mia è poco distante. Dopo il cappuccino ti farò vedere dove abito.”

Gregory sorrise, la giornata stava andando sempre meglio! Avrebbe voluto abbracciarla, gli sarebbe venuto spontaneo abbracciarla … ma in quel momento suonò la campanella. Lei sorrise e gli fece un malizioso occhiolino.

“A stasera allora!” mormorò, prima di correre verso la sua classe.

“A stasera ...” sussurrò lui, in estasi, prima di rientrare a sua volta.

 

Il pomeriggio passò lentamente, troppo lentamente per i suoi gusti. Alle tre aveva già terminato di fare i compiti per il giorno successivo e non sapeva cosa fare. Dopo l'incontro con Haley sarebbe andato da Sherlock e gli avrebbe raccontato … un successo? Un fallimento? Era più propenso a credere che si sarebbe avverata la prima ipotesi, anche se sembrava troppo bello per essere vero.

Cosa poteva fare per passare il tempo? Non aveva voglia di studiare, si sentiva molto preparato, ma in compenso aveva bisogno di qualcosa per distrarsi … Lo sguardo gli cadde sulla sua collezione di volumi di Tex. Da quando aveva memoria aveva sempre collezionato quei fumetti, affascinato dalle storie, ma non si era limitato a quello. Era sempre stato affascinato dal Far West, dalle risse nei saloon, le lotte con gli indiani e, soprattutto, l'aura di potere e forza che aleggiava attorno alla figura degli sceriffi. Per sei anni di seguito, da quando aveva iniziato ad andare a scuola, a carnevale si era sempre vestito da sceriffo, con tanto di stella dorata appuntata sul gilè. Poi era cresciuto, la stella era rimasta in un cassetto e così pure i vestiti, ormai troppo stretti per essere indossati dal ragazzo che era diventato. Aveva iniziato ad appassionarsi di altri fumetti, quelli della DC e in particolare da Batman e dall'Ispettore Gordon. Gli era sempre piaciuta l'idea di eroi senza poteri, che si facevano strada nel mondo grazie alla loro intelligenza e al loro coraggio, sempre per far trionfare la giustizia ... e la morte ingiusta di Carl Powers tornò a riempire i suoi pensieri. Avrebbe davvero potuto fare di meglio? Fare la differenza? Far trionfare la giustizia come i suoi eroi? Erano forse le idee utopistiche di un ragazzino che poteva ancora permettersi di sognare, ma gli erano sempre rimaste nel cuore e ora che si aprivano davanti a lui le porte del suo futuro, sapeva che strada avrebbe intrapreso.

Era rimasto tutto il resto del pomeriggio disteso sul letto, pensando, immaginando ad occhi aperti … ad un certo punto si addormentò e sognò. Nel sogno cera una lapide nera, lucida, macchiata di sangue … gli sembrò di sentire una voce, un sussurro lontano … “Mi fidavo di te ...” Poi, dalle ombre, comparve Sherlock. Indossava un lungo cappotto nero e una sciarpa blu. Dai suoi capelli neri e spettinati, colava il sangue che macchiava la lapide.

“Mi fidavo di te ...”

Si svegliò di colpo, come se fosse stato schiaffeggiato. Cos'era? Da dove veniva quella tomba? E quel sangue? Cosa volevano significare? Perché Sherlock lo stava accusando? In quell'istante ricordò e i sogni che era riuscito a scacciare tornarono prepotentemente. Da quando Sherlock era stato selvaggiamente picchiato, aveva sognato quasi ogni notte la sua aggressione. Non c'era stato quando lui aveva avuto più bisogno, non aveva potuto difenderlo come si era ripromesso. Man mano che lo vedeva guarire era riuscito ad arrivare a patti con quelle visioni e, pian piano, i sogni avevano smesso di perseguitarlo, ma evidentemente non si era ancora del tutto redento. Cosa doveva fare ancora per sentirsi a posto con la coscienza? C'era qualcosa che gli sfuggiva … ma non aveva idea di cosa potesse essere. Chiuse nuovamente gli occhi, tentando di rilassarsi.

 

Cenò rapidamente, salutò i genitori e uscì. Era in ritardo, in ritardissimo. Si sentiva come il bianconiglio di Alice ma, infatti continuava a controllare l'ora. Con la metropolitana ci avrebbe messo poco, ma ugualmente non voleva far aspettare Haley, voelva avere tutto il tempo per dirle ciò che … be', tra poco avrebbe dovuto mettere insieme un discorso per farle capire ciò che provava per lei. Non si era preparato prima, sapeva che qualsiasi cosa avesse pensato sarebbe svanita dalla sua memoria a tempo di record, perciò aveva deciso che avrebbe lasciato fare al suo istinto.

Arrivò di corsa di fronte al bar indicato da Haley e, con un sorriso, constatò che era un Caffè Nero.

“Bella scelta …” mormorò, ripensando al fatto che la prima volta in cui erano stati insieme con calma era stata proprio in un bar di quella catena. Prese un profondo respiro, entrò e notò immediatamente Haley, seduta ad un tavolino appartato. Che avesse intuito che voleva parlarle di qualcosa di importante?

“Ciao ...” mormorò, vedendo che aveva già ordinato per entrambi.

“Sono appena fatti.” lo rassicurò lei “Forse anche troppo … così avremo tempo per parlare, giusto?”

“Sì … giusto ...” esitò, era arrivato il momento e lei si aspettava qualcosa da lui. Poteva esitare oltre? Come doveva dirglielo? In fin dei conti non c'era nulla di male in ciò che provava, no?
“Haley … volevo … parlarti.”

La ragazza gli sorrise, aveva intuito che Gregory probabilmente aveva iniziato a provare per lei lo stesso suo sentimento.

“Non ci conosciamo da molto, ma ho sentito subito che sei una ragazza molto dolce e intelligente. Ho capito subito che eri sprecata con Alec, che avresti meritato di meglio, qualcuno che potesse farti sorridere ...”

Haley sorrise, afferrandogli dolcemente la mano.
“Anch'io credo che quel qualcuno sia tu, Gregory.” mormorò timidamente “Non sono mai stata così felice da quando ti conosco. Sento che posso veramente essere me stessa, senza maschere o compromessi … e vorrei farti sorridere ...”

Gregory sorrise a sua volta avvicinandosi a lei. Sentiva nel profondo del suo cuore di volerla proteggere, di volere tutto il bene del mondo per lei e allo stesso tempo avvertiva il bene che lei gli trasmetteva, una pace unica, speciale.

Il profumo del cappuccino li avvolgeva mentre le loro labbra si sfiorarono per la prima volta.

 

Più tardi, camminando per strada per raggiungere il Saint Barts, gli sembrava di volare. Tutto era perfetto, niente sarebbe potuto andare storto. Sherlock sarebbe guarito, gli incubi sarebbero svaniti e lui avrebbe potuto affrontare serenamente ciò che lo aspettava.

Un allegro ding precedette come al solito l'apertura delle porte dell'ascensore, ma quella sera lo percepì come una musica che faceva da colonna sonora ai pensieri che aveva in testa. Era allegro e, anche se l'ombra dell'incubo del pomeriggio continuava a seguirlo, non poteva competere con la luce della gioia che provava nel cuore. Entrò quasi saltellando nella stanza di Sherlock, credendo di trovarlo come al solito tranquillo sul suo letto, invece era circondato da vecchi giornali. Su due sedie, poste accanto al letto, da una parte e dall'altra, erano poggiate due pile di giornali, la più ordinata probabilmente quella che doveva ancora visionare.

“Ciao Sherlock! … che succede?” domandò, prendendo una terza sedia per potersi accomodare davanti a lui.

“Mi sto documentando” rispose Sherlock, senza nemmeno alzare lo sguardo.

“Ah ...” mormorò Gregory, senza riuscir a capire.

Solo a quel punto Sherlock sollevò la testa e gli sorrise.

“Ciao. Sono felice che tu sia qui! Ho una cosa importantissima da dirti!”

“Davvero?” domandò Gregory, sorridendo malizioso “Anch'io ne ho una … ma posso aspettare se la tua è più importante ...”

Sherlock annusò l'aria, lo osservò attentamente e chiuse il giornale per poi posarlo sulla pila di quelli già letti.

“No. Dimmi prima tu.” disse, già sospettando di cosa si potesse trattare. Era abbastanza evidente che si fosse visto con Haley, il profumo della ragazza era inconfondibile e le sue labbra erano più rosse del solito …

“Grazie.” disse Gregory, tremando dall'emozione “Volevo che fossi il primo a saperlo. Io e Haley … ci siamo messi insieme!” esclamò infine, senza trattenere un singolo grammo della sua gioia.

Sherlock esitò per un istante e a Gregory sembrò quasi che fosse triste per quella notizia, poi però sorrise.

“Sono felice per voi ...” mormorò, per poi abbassare lo sguardo e rialzarlo solo dopo qualche istante “Haley dopotutto è una ragazza intelligente … starete bene … insieme ...” concluse, soppesando ogni parola, pronunciandola con estrema cautela.
“Grazie!” facendo attenzione a non fargli del male, si avvicinò a lui e lo abbracciò.

Si staccò e lo guardò con attenzione. La felicità lo aveva reso cieco a tutto e a tutti e solo in quel momento vide Sherlock per com'era realmente. Era pallido, più magro del solito, ma nei suoi occhi brillava una luce intensa, testimone di salda volontà.

“Sembra che anche tu abbia qualcosa di interessante da raccontarmi! Cosa ti è successo?”

“Ho deciso cosa voglio fare nella vita.” disse lui, indicando i giornali.

“ … il giornalista?” chiese Gregory, perplesso.
“No! Macché! Voglio fare il detective!”

“Il … detective?!” quasi scoppiò a ridere. Anche Sherlock aveva la sua stessa aspirazione?

“Sì … più o meno. Farò il consulente detective.”

“Il … cosa?” aggrottò le sopracciglia, non era del tutto chiaro.

“Non potrei mai entrare in polizia, odio i gradi, i distintivi e la disciplina, non riuscirei mai a sopravvivere. Inoltre non ho molta speranza di trovare colleghi veramente intelligenti, basta vedere come l'ispettore Graves ha trattato il caso Powers!” esclamò, indicando i giornali “Ho provato a fargli notare che l'assenza delle scarpe era fondamentale, ma non mi ha dato importanza.”

Divenne rosso e Gregory intuì quanto poteva essere stato frustrante per lui dover accettare che un Ispettore di Scotland Yard non prendesse in considerazione le ipotesi di un ragazzino, per quanto brillante potesse essere.

“Be' … mi sembra normale, dopo tutto sei solo un ...”

“Ragazzino?” chiese Sherlock beffardo “Sì, è vero, lo sono, ma sono anche più intelligente di lui, che non è riuscito a risolvere quel caso, ignorando l'indizio più importante!”

“Allora cosa hai intenzione di fare? Tornerai all'attacco?” chiese, vedendo quanto era combattivo.

“No … non avrebbe senso ormai. Il caso è stato archiviato e non mi darebbero retta. No, voglio prepararmi. Come hai detto tu, posso usare gli appunti che ho preso in questi anni per diventare un detective, così saranno loro a chiedere … no, ad implorare il mio aiuto in caso di necessità!”

Gregory sorrise. Non aveva mai creduto al destino, ma se stava cercando una conferma sulla strada da seguire, ce l'aveva davanti. Aveva aperto diverse porte, tutte ugualmente promettenti, ma una sola, in quel momento, lo attirava come non mai.

“Potrei essere io ...” mormorò, senza riuscire a trattenere un sorriso.
“Tu … cosa?” chiese Sherlock, che non aveva seguito il filo dei suoi pensieri.

“Potrei essere io a chiedere il tuo aiuto …”

Sherlock sorrise, capendo finalmente dove voleva arrivare.
“Tu ...”

“Sì, dopo l'università, entrerò in polizia … o almeno ci proverò!”

“Sono certo che ce la farai.” affermò Sherlock, sicuro di ciò che stava dicendo “Sei intelligente e coraggioso. Quelli di Scotland Yard dimostrerebbero una volta di più di essere degli incompetenti se non dovessero in futuro accettarti!”

Scoppiarono a ridere. Greg sentì che Sherlock era sincero, che non aveva detto quelle cose tanto per consolarlo o dargli false speranze, per questo lo aveva sempre ammirato. Era inevitabilmente sincero, nel bene e nel male e, considerato quanta stima provava per lui, si sentì onorato di ciò che lui pensava sul suo conto. Era bellissimo vederlo così energico, deciso, sicuro di sé. Non gli avrebbe parlato dei suoi incubi, non avrebbe avuto senso, e probabilmente lui gli avrebbe liquidati come sciocchi, privi di significato. Lui però sapeva cosa volevano dire, era consapevole di ciò che doveva fare e, fosse cascato il mondo, non avrebbe deviato da quella strada.

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Capitolo 13
*** Dolore ***


Dolore

 

 

 

Il dolore dell’anima è più grande che la sofferenza del corpo.
(Publilio Sirio)

 

 

 

Come era arrivato lì? Cosa era successo? Non ricordava, almeno in quel momento, era troppo stordito per rendersi conto di dove fosse e, in una certa misura, di chi fosse.

Il materasso era sfondato in più punti e la coperta, sfilacciata, era troppo sottile per dare calore. Lentamente aprì gli occhi. La squallida stanza era malamente illuminata dai lampioni della strada, che ne rivelavano il misero arredamento. Si mise a sedere a fatica, tossendo per la polvere che sembrava avergli riempito i polmoni. Come era arrivato lì? Ma certo …

 

Erano trascorsi alcuni anni da quel giorno, ma Sherlock lo ricordava alla perfezione. Quando Gregory gli aveva confidato il suo fidanzamento con Haley aveva percepito che la cosa che teneva ben chiusa nel forziere del suo cuore si era agitata. Era stata una strana sensazione, che lo aveva lasciato stordito, incapace di esprimere il suo reale pensiero. Certo, c'era la forte possibilità che se avesse detto a Gregory la verità, avrebbe perso la sua amicizia. Non poteva esserne certo, ma non se l'era sentita di rischiare. Per cosa, poi? Per sentirsi dire che no, non lo amava, perché erano due ragazzi e a lui piacevano le femmine? Molto meglio così, avrebbe gestito quel mostro, avrebbe imparato a domarlo e forse, con il tempo, la sua potenza si sarebbe affievolita e forse sarebbe morto di fame, rinchiuso nella prigione che aveva creato per lui.

Di cosa erano fatte le sbarre di quella cella? Erano solide, ma necessitavano di continua manutenzione. Con il tempo e l'esperienza, accumulata anche con una notevole sofferenza, aveva imparato che doveva togliere aria alla bestia, domarla, farla stare al suo posto, ed erano due le cose che la tenevano a bada. Da una parte c'era il lavoro della sua mente. Da quei giorni in cui si era appassionato alla vicenda di Carl Powers e a tutto ciò che questo aveva comportato, aveva capito che ciò di cui la sua mente aveva bisogno era quello: le indagini, la ricerca degli indizi più piccoli dove la gente di solito non guarda, la catalogazione di tutti quei particolari che potevano essere essenziali per la risoluzione di un caso. Quando la sua mente era impegnata, non aveva spazio per pensare ad altro e il suono dei suoi pensieri sovrastava le grida di dolore del mostro che albergava nel suo cuore. D'altra parte non sempre aveva la possibilità di dedicarsi a tale svago, che sarebbe diventato sempre più importante per lui, a tal punto da diventare una ragione di vita. Quando non c'erano stimoli esterni e la vita scorreva monotona come un placido fiume, doveva ricorrere ad altri mezzi. La voce all'interno del suo cuore tornava, più prepotente di volta in volta, come se si rendesse conto di averlo alla sua mercé, libera di tormentarlo sadicamente. In quei casi, se proprio non riusciva a trovare altre soluzioni o distrazioni, poteva ricorrere a una sola via d'uscita. Se la bestia non poteva essere messa a tacere da rumori più forti … doveva farla addormentare. Aveva sperimentato in ospedale per la prima volta l'effetto terapeutico e benefico della morfina, ma quando lo avevano dimesso non ne aveva più avuta a disposizione, così aveva fatto delle ricerche ed era riuscito a trovare un'alternativa.

La cocaina, diluita in una soluzione al sette per cento, era l'ideale per placare la sua mente in subbuglio.

Perché ne aveva bisogno? Perché doveva ancora placare quella sofferenza? Non se ne rendeva conto ma, nonostante i suoi sforzi, l'amore che provava per Gregory non si era affievolito e, anzi, con il passare del tempo non aveva fatto altro che crescere, a dispetto di tutti i suoi tentativi di sopprimerlo.

Cosa era accaduto? Niente di eclatante, in realtà. Greg, come era previsto, aveva lasciato la scuola per l'università. Avevano continuato a frequentarsi, come buoni amici, ma Sherlock aveva smesso di fargli visita di notte, cosa che Greg sembrava aver accettato di buon grado, senza troppi drammi, o semplicemente senza rendersene conto, impegnato a vivere la sua storia con Haley.

Era vero amore quello che c'era tra di loro? Sherlock non lo sapeva per certo, ma sembrava che rendesse entrambi felici, perciò era giunto alla conclusione che lo fosse.

Gli anni erano passati e anche lui, dopo aver concluso brillantemente la scuola superiore, era approdato alla facoltà di medicina. Avrebbe voluto trasferirsi come a suo tempo aveva fatto Mycroft, ma ancora non ne aveva avuta la possibilità. Alcune cose erano cambiate, altre erano rimaste immutate. Ciò di cui nemmeno Sherlock era cosciente però era che il dolore crescente che provava quando pensava al suo amico, non era altro che il suo cuore spezzato.

Pian piano, con il passare del tempo, la crepa si era allargata e il suo amore soffriva sempre di più, messo a tacere dalla mente e dalla droga, di cui aveva sempre più bisogno per non soccombere. Aveva iniziato con poco, una volta al mese, poi due, poi una volta alla settimana e infine, se non assumeva quasi giornalmente la sua dose al sette per cento, si sentiva uno straccio. Le crisi d'astinenza erano per fortuna molto brevi, dal momento che previdentemente riusciva a mettere da parte una buona scorta di fiale già pronte all'uso e almeno c'erano dei momenti in cui non ne aveva proprio bisogno, per esempio quando lavorava ad un caso.

Non aveva scherzato quando aveva detto che avrebbe fatto il detective e, lentamente, si era creato una certa reputazione nella sua cerchia di conoscenti. Certo, era ancora agli inizi, ma dover cercare gli occhiali di una vecchia signora o confermare i sospetti di una sua compagna di classe circa il tradimento del suo fidanzato erano pur sempre delle distrazioni che tenevano a bada la situazione.

Quando non investigava su qualche caso in particolare si dedicava alla raccolta e alla catalogazione di quei dettagli della vita di tutti i giorni, apparentemente inutili ma, ai fini di una potenziale indagine, estremamente importanti.

I segni sulle mani lasciate dalle diverse professioni, pescivendolo, macellaio, banchiere, insegnante, pianista; la cenere lasciata da diversi tipi di sigarette, sigari e tabacco da pipa; le qualità dei tessuti e il loro uso per i vestiti; i profumi, gli aromi, le varie marche e le differenze; gioielli, bigiotteria, orologi e relative marche. Assimilava ogni dettaglio importante, ogni sfumatura che caratterizzava qualcuno o qualcosa, e questa attività impegnava così tanto il suo cervello da fargli dimenticare tutto e dargli l'illusione della felicità.

 

Era così. Anche quel giorno aveva ricorso alla soluzione al sette per cento di cocaina. Non si era permesso di portarne nemmeno una fiala a casa, c'era il pericolo che suo padre, sua madre o perfino Mycroft, durante i fine settimana in cui tornava, potesse scoprirla. Aveva scoperto quella vecchia casa quasi per caso, seguendo un ragazzo dall'aria promettente. Lo aveva visto entrare e gli era andato dietro fino a quella stanza, dove lo aveva osservato praticare quel rituale che ormai era diventato anche suo. Dopo essersi iniettato la dose si era disteso su quel materasso lurido ed era rimasto lì a rilassarsi e a ridere, sotto l'effetto di una dose massiccia di cocaina.

Da quel giorno anche lui aveva iniziato a usare quel nascondiglio per le sue sedute, era comodo, opportunamente nascosto e soprattutto isolato, perfetto per i suoi scopi.

Raccolse le sue cose, sistemò la coperta e fece per alzarsi, poi si fermò. Anche quel giorno poteva ritenersi soddisfatto … o no? C'era qualcosa che non andava. Aveva sognato Gregory, lo ricordava come una visione nella nebbia, indistinta e sfocata, ma reale e presente. Perché la cocaina non aveva funzionato? Forse non aveva calcolato bene la dose? Doveva prenderne un'altra? Rovistò nella borsa e trovò immediatamente la fialetta trasparente che conteneva il siero dell'oblio. La prese tra le dita tremanti, senza rendersi conto che il silenzio che fino a poco prima aveva regnato incontrastato nell'edificio, veniva spezzato da dei passi affrettati. Qualcuno si stava avvicinando alla sua stanza.

Fece tutto con più fretta del solito. Normalmente avrebbe usato una nuova siringa, ma d'altra parte non correva rischi se l'aveva usata solo lui, perciò prese quella che aveva posato sul materasso e la riempì con la dose al sette per cento, se la infilò tra i denti e alzò la manica per posizionare il laccio emostatico. Riprese la siringa e avvicinò lentamente l'ago alla pelle per non mancare la vena … ma prima che potesse anche solo sfiorare la pelle, qualcuno gli afferrò bruscamente il braccio con una mano mentre con l'altra gli prendeva la siringa per gettarla via e schiaffeggiarlo.

 

 

 

 

 

“IDIOTA!”

Gregory era fuori di sé dalla rabbia e da un sentimento non meglio identificato che assomigliava tanto al senso di colpa.

 

Da qualche tempo aveva notato un lieve ma significativo cambiamento in Sherlock. Si era chiesto cosa potesse significare e, forse in modo troppo superficiale, aveva concluso che si trattasse della stanchezza dovuto al suo ingresso all'università. Era stato troppo frettoloso, aveva archiviato la questione senza darle il giusto peso, poi era arrivato Mycroft che gli aveva messo la pulce nell'orecchio. Gli aveva chiesto, come al solito, notizie su suo fratello, come stava, cosa faceva e se gli era sembrato strano. Aveva insistito così tanto e gli aveva posto così tante domande che si era ritrovato di fronte ai segni che aveva tentato di ignorare.

Sherlock era sempre stanco, irritabile, più magro del solito e sfuggente. Tutto questo era Sherlock, Gregory non lo aveva mai visto diver-no. C'era qualcosa che non tornava. Sherlock era stanco. Sherlock non era mai stanco. Sì, aveva deciso che la stanchezza era dovuta alla vita da universitario, ma era davvero così? Se Mycroft si era insospettito, significava che davvero c'era qualcosa che non andava.

Così avevano iniziato a tenerlo d'occhio e a seguirlo. Disgraziatamente lo avevano trovato in un periodo buono, ma non si erano demoralizzati. Continuando a osservarlo e annotando i suoi comportamenti, nel lungo periodo erano riusciti a raggiungere dei risultati. Da una parte Mycroft aveva preso nota dei suoi sbalzi d'umore e della sua stanchezza e, con la complicità dei genitori, aveva annotato i suoi spostamenti, quando usciva e quando tornava a casa. Greg, se riusciva ad intercettarlo in queste occasioni, lo pedinava con cautela, facendo attenzione a non farsi vedere, ma a quanto pareva, in quelle spedizioni durante le quali spariva per ore e ore, era troppo distratto, o altrettanto concentrato, per accorgersi di lui.

Infine ce l'aveva fatta, identificando quel vecchio edificio come la meta delle sue scorribande, ma non aveva osato seguirlo fino in fondo, non da solo. Per questo era tornato a casa, aveva telefonato a Mycroft e insieme si erano precipitati lì, apparentemente in tempo. Non potevano sapere che si era già fatto una dose, ma Mycroft lo notò semplicemente guardandolo negli occhi, così rincarò la dose, schiaffeggiandolo ancora.

Era stato lui, la prima volta, lui gli aveva strappato la siringa di mano, l'aveva scagliata contro la parete e aveva fatto abbattere la sua mano sulla sua guancia, dandogli a gran voce dell'idiota, mentre Gregory, stordito e inorridito di fronte a quella visione, li osservava senza osare entrare nella stanza.

Era arrabbiato, non sapeva se con se stesso o con Sherlock o con entrambi. Mycroft nel frattempo aveva continuato a parlare al fratello, anche se lui non aveva sentito cosa gli stava dicendo, stordito e confuso, lo aveva bruscamente tirato su per un braccio e lo stava portando fuori dalla porta, quando Gregory si mosse. Con un gesto altrettanto brusco, lo afferrò e lo spinse verso la parete, lo schiaffeggiò ancora, rendendo se possibile la sua guancia ancor più rossa.

“SEI UN IDIOTA! SEI DAVVERO UN IDIOTA!” gridò, liberando finalmente il pianto che fino a quel momento si era incastrato da qualche parte nella sua mente “Così è questo che fai? Da quanto? Quante volte? … perché?! Perché, Sherlock? Perché ti odi così tanto da farti questo?”

Perché. Perché. Tanti perché. Troppi. Troppe domande senza risposte. Sherlock avrebbe sciolto quei nodi? Avrebbe spiegato perché si stava consapevolmente distruggendo?

“Sherlock ...” mormorò, lasciandolo andare “Perché?”

Lui non rispose, Gregory vide le sue labbra tremare sotto le onde di un fiume in piena che presto avrebbe spazzato via gli argini nei quali fino a quel momento lo avevano trattenuto. La domanda era: dove avrebbe sfogato la sua energia?

Grosse e dolorose lacrime solcarono le guance scavate di Sherlock, che implodeva sotto il peso dell'amore che provava per quel ragazzo che, lo sapeva, non avrebbe mai potuto ricambiarlo.

Strisciò sulla parete verso la porta e, una volta lì, quasi corse via, seguito da Mycroft che, prima di lasciare la stanza, si voltò verso Gregory. Aprì la porta, come a voler dire qualcosa, poi rinunciò e seguì il minore, lasciando Greg solo, incredulo, ferito.

Perché era successo? Perché non era stato capace di notarlo, di prevederlo, di impedirlo? Si sentiva inutile, aveva fallito, non era riuscito a mantenere la sua promessa, non lo aveva protetto. Sì, forse era riuscito a difenderlo dagli altri, da tutti quelli che lo additavano come diverso e si prendevano gioco di lui per la sua straordinaria intelligenza, ma non era stato capace di proteggerlo da se stesso … e il risultato era stato la distruzione totale. Se gli altri e ciò che gli dicevano scivolavano su di lui come acqua, la sua stessa mente era riuscita a ferirlo in modo più profondo e doloroso … e lui non aveva fatto nulla per evitarlo.

Sospirò. Mycroft si sarebbe preso cura di lui. Lui stesso si sarebbe occupato della sua riabilitazione, lo avrebbe accompagnato in quel cammino faticoso. Stavolta sì, stavolta sarebbe stato più attento, non si sarebbe fatto ingannare, lo avrebbe aiutato. Davvero.

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Capitolo 14
*** Lontananza ***


Lontananza


 

 

L'assenza attenua le passioni mediocri e aumenta le grandi, come il vento spegne le candele e ravviva l'incendio.
Francois De La Rochefoucauld

 



 

La stanza era candida, immacolata, le pareti, di un tenue azzurro pastello, accentuavano la sensazione di trovarsi sospesi in un dolce cielo dalle candide nuvole. Tutto era predisposto e pensato per dare il massimo comfort, pace e serenità a chi la occupava. Era un'idea molto bella, ma la pratica era molto lontana dalla teoria desiderata dagli arredatori e al suo occupante dava più l'idea di un inferno.

Sherlock, disteso sul letto, si sarebbe mimetizzato perfettamente con l'ambiente circostante se non fosse stato per i suoi ricci capelli corvini e gli occhi di un azzurro intenso, cerchiati da ripetute notti insonni. La sua pelle era se possibile ancor più cerea del solito e tremava come una foglia scossa dal vento.

Gli faceva male tutto, non c'era un solo muscolo del corpo che non fosse dolorante. Non aveva memoria di una sofferenza così profonda, forse solo quella volta in cui era stato selvaggiamente picchiato da Alec … ma quello era un dolore diverso. Tutto il suo corpo si stava ribellando, chiamando a gran voce la droga che lui gli negava. Gli avevano somministrato del metadone, ma lui non ne sentiva l'effetto. C'era un dolore più grande, più profondo, che lo accecava, impedendogli di ragionare o pensare lucidamente. Tuttavia, da quando era stato ricoverato in clinica, un'unica idea girava e rigirava nella sua mente. Era forse quella mosca fastidiosa a farlo star male? Quel pensiero, quell'intenzione, era dolorosa ma necessaria. Era stato categorico e Mycroft non aveva trovato niente da ridire, anche se ogni giorno, quando andava a trovarlo, ripeteva la stessa domanda.

Sherlock aveva gli occhi chiusi, la mente ronzava di mille pensieri come un alveare, perciò non sentì quando il fratello entrò e gli si sedette accanto.

Buongiorno, bello addormentato.” lo prese in giro “Stai meglio oggi?” gli chiese, non perché non fosse evidente la risposta, ma per indurlo a parlare.

Spiritoso ...” mormorò lui a fatica.

Sei sempre sicuro della tua decisione?” gli chiese ancora Mycroft, che nel frattempo aveva tirato fuori la sua cartella clinica “Anche oggi Gregory mi ha chiesto di te.”

Sì.” ripose lui, con maggior slancio “Non lo voglio vedere. Cosa gli hai detto?” chiese poi, sempre debolmente.

Gli ho detto che migliori, che tra qualche settimana sarai già fuori di qui.”

Sherlock alzò un sopracciglio.

Mi prendi in giro?” chiese, quasi urlando e mettendosi a sedere, per poi scoppiare in una crisi di tosse.
“Calmati, fratellino.” lo rimproverò lui, spingendolo nuovamente giù “Non ti sto prendendo in giro. I medici dicono che presto non avrai più bisogno di restare in clinica, la disintossicazione sta procedendo bene.”

Ma …” protestò lui “Io sto male! Mi fa male tutto!”

Il tuo corpo non ha più bisogno della droga, o almeno non ne avrà tra breve. Il tuo problema attuale verrà risolto in un'altra sede. Con mamma e papà abbiamo deciso di tenerti a casa, lontano dal caos, sotto le cure di un medico che verrà a domicilio per le terapie che serviranno, se sarà il caso, e l'assistenza psicologica.”

Sherlock non rispose, come sempre impressionato dall'organizzazione del maggiore. Aveva pianificato tutto, fin nei minimi dettagli probabilmente.

Nella tua idiozia sei stato furbo.” commentò Mycroft “L'aver diluito le dosi al sette per cento ha permesso al tuo corpo di riprendersi con relativa rapidità, per questo uscirai presto dalla clinica … Per quanto riguarda la tua mente ...”

La mia mente non ha niente che non va!” sbottò lui, gracchiando.

Sherlock, ti sei iniettato quasi due dosi consecutivamente! Non stai bene! Ho capito perché avevi iniziato a drogarti e anche tu lo sai. Devi solo avere il coraggio di affrontare la questione. Tutto qui. Per questo insisto che tu ti veda con Gregory e gli dica la verità. Ti aiuterà a superare la delusione e il dolore.”

Ogni parola pronunciata da Mycroft era corretta, dolorosamente esatta. Doveva parlare con Gregory. Doveva dirgli la verità. No. Avrebbe dovuto parlare con lui. Avrebbe dovuto dirgli la verità, confessandogli il suo amore non corrisposto … ma non lo avrebbe fatto.

Quando starò meglio lo rivedrò. Non prima.”

La risposta, pronunciata quasi con rabbia, non ammetteva repliche. Mycroft temeva che quella decisione equivalesse ad una fuga e avrebbe portato a peggiorare la sua situazione, ma Sherlock sembrava convinto e difficilmente sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.

Come vuoi allora, fratellino.” mormorò. Gli faceva male vederlo così e si sentiva impotente di fronte a quella situazione. Uno o più bulli che lo picchiavano o lo insultavano poteva gestirli … ma il cuore era tutta un'altra faccenda, su cui non sarebbe stato in grado di interferire.

 

 

 

 

Da quanto tempo non vedeva Sherlock? Erano trascorsi già due mesi da quando lo aveva trovato in quella casa abbandonata, sul punto di farsi una seconda dose di cocaina? Quei mesi gli erano sembrati anni, ogni giorno telefonava a Mycroft per avere sue notizie, per essere certo che stesse bene, ma riceveva sempre la stessa risposta: Sherlock non voleva vederlo. Perché? Insomma, erano amici e probabilmente lui era il suo migliore se non unico amico, no? Allora perché non voleva vederlo? Aveva promesso che gli sarebbe sempre stato vicino, che lo avrebbe aiutato nei momenti di difficoltà … ma davvero non capiva perché lui non lo volesse. Si era sempre fidato, no? Cosa era cambiato? Davvero non riusciva ad accettarlo.

Aveva osservato il telefono per un'intera ora, indeciso se chiamare ancora Mycroft, quando sentì qualcosa suonare. D'istinto, preso alla sprovvista, alzò la cornetta.

“Pronto? Sherlock? Sei tu? Sher ...”

Il telefono suonava libero e in quel momento capì che aveva sentito il campanello.

Si alzò di scatto dal letto e corse giù per le scale, sperando di trovare, al di là della porta, il suo migliore amico.

“Sherlock!” esclamò, spalancando la porta, ma ne rimase deluso. Di fronte a lui non c'era Sherlock, ma una donna dai capelli neri e gli occhi, in quel momento stanchi e rossi per un pianto recente, chiari come i suoi. La riconobbe immediatamente, sebbene non la vedesse da tanto, troppo tempo.

“Ciao, Gregory.” mormorò lei “Posso ...”

“Certo, signora Holmes.” eslcamò, spostandosi per farla entrare “Si accomodi.”

Violet entrò in casa con estrema fatica. Era evidente quanto la condizione del figlio avesse pesato sulla sua salute.

“Posso offrirle qualcosa di caldo?”

Si sentiva a disagio. Entrambi avevano un peso sul cuore, ma parlare con la madre del suo migliore amico di ciò che lo affliggeva gli sembrava una montagna impossibile da affrontare. I minuti che trascorse in cucina furono un profondo respiro prima di una prova impegnativa.

Tornò in salotto con il vassoio su cui aveva posato un paio di tazze di tè, una zuccheriera e una ciotola piena di biscotti. Nella stanza risuonò il rumore della ceramica che sbatteva, si accentuò per un istante quando posò il vassoio e cedette il posto ad un silenzio imbarazzato. Fu Violet a romperlo.

“Sai perché sono qui, Gregory?” chiese la donna, sporgendosi per prendere la sua tazza. Il contatto con la ceramica calda sembrò rasserenarla, ma nei suoi occhi era evidente un tormento interiore che doveva averla perseguitata da tanto tempo.

“Sherlock ...” si limitò a rispondere lui, senza toccare la sua tazza, troppo teso per muoversi.

“Esatto.” confermò lei annuendo “Tu hai idea del perché si sia ridotto così?”

Pose la domanda con molto tatto, presupponendo che lui non ne conoscesse la risposta. Gregory scosse la testa, desolato.

“No. Non ne ho idea. Ciò che so è che sta male e che si rifiuta di vedermi.”

“Immaginavo ...” sussurrò lei “Infatti sono qui per parlartene ...”

Sorseggiò lentamente il suo tè, mentre Gregory attendeva con ansia che proseguisse.

“Voglio premettere che tu non hai fatto nulla di male, perciò non sentirti in colpa però quello che ti dirò.”

Tremando, Greg prese la sua tazza, ma ancora non bevve. Era impallidito, finalmente stava per scoprire cosa era successo al suo amico e non sapeva se esserne felice o impaurito. Perché poi sua madre gli stava dicendo di non sentirsi in colpa? Forse perché in realtà … doveva?

“A tuo favore posso dire che Sherlock non è mai stato bravo ad esprimere i suoi sentimenti né a gestirli, come hai potuto vedere.”

“I suoi … sentimenti?” una parte di lui, una piccola parte che fino a quel momento era rimasta in silenzio, iniziò a sussurrare la risposta, ma lui la ignorò.

“Sì … Gregory … lui …” Violet sospirò rumorosamente. Era di suo figlio che stava parlando, ma non sapeva da che parte cominciare “Conosco Sherlock, l'ho cresciuto, è come me, per questo andiamo molto d'accordo. Voi due siete amici, tu sei il suo migliore e unico amico … ma c'è qualcosa che non ha detto nemmeno a te ...”

“... a lei sì?” chiese, quasi offeso per essere stato escluso da un segreto proprio da lui.

“Sì. C'è qualcosa che lui non ti ha detto e tu non hai visto.”

“Non … non l'ho visto?”

“Come ti ho già detto, Sherlock non è bravo a esprimere i suoi sentimenti e soprattutto se non vuole farlo, è capace di tenerli nascosti a chiunque … ma non a me e nemmeno a suo fratello.” un altro sospiro “Va bene, te lo dirò senza troppi giri di parole. Gregory … Sherlock … ti ama.”

Se gli avesse dato una botta in testa con una mazza avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Violet poso la mano sulla sua.

“Lui … lui mi … non è possibile, non ci credo.”

“Nemmeno lui ci credeva, all'inizio, per questo ha chiesto a me e io l'ho confermato.”

“Come? Perché?”

“Te l'ho detto. Lo conosco meglio di quanto lui conosca se stesso e ho riconosciuto i sintomi, se così si può dire …” rise piano, ma era ovvio che non era allegra.

“I … sintomi?”

“Ti ha dato immediata fiducia, ha sacrificato se stesso per te, numerose volte e il modo in cui ti guardava o sorrideva pensando a te era speciale. L'ho visto sorridere quando gli ho regalato il suo primo paio di pattini. Sorride quando legge qualcosa che gli piace o quando qualcuno lo loda … ma quando pensava a te era diverso, diventava radioso.”

“Aspetti, aspetti un attimo … perché parla al passato? Ha detto che mi ama, no? Mi … mi ama ancora … almeno credo … o no?”

“Non sbagli, Gregory. Lui ti ama, non ha mai smesso, ma questo lo sta uccidendo dentro.”

“Non … non ca-” si bloccò, illuminato dalla soluzione del problema.

“Esatto. Quando hai cominciato a frequentare … come si chiama? Haley?”

“Sì ...” rispose lui debolmente.

“Lui stava per dichiararsi” mormorò “Me l'aveva detto quel giorno. Il giorno successivo sono andata a trovarlo ed era … diverso. Era evidente che qualcosa doveva essere andato storto. Ho pensato che tu lo avessi rifiutato, ma quando mi ha confidato che ti eri fidanzato con la sua compagna di classe, ho capito che non ci aveva nemmeno provato. Ha deciso di rinunciare al suo amore per te in egual misura per il tuo bene e per il proprio. Per te perché non voleva rovinare la tua felicità e per se stesso perché non ha avuto il coraggio di rischiare di soffrire. Così facendo però ha peggiorato le cose. Ha cercato di sopprimere il suo sentimento, ma era così vero, profondo e sincero che è sopravvissuto nonostante tutto … e ora lo sta dilaniando.”

La donna trattenne un singhiozzo. Si sentiva in colpa per non essere riuscita a proteggere suo figlio da se stesso, ma da quando aveva deciso di rinunciare all'amore si era lentamente chiuso, come un riccio, e lei non era più riuscita a entrare in contatto con lui, con la sua anima.

“Non ci credo. Non è possibile. Noi siamo amici!” protestò Gregory, in preda al panico.

“È proprio per questo motivo che non hai visto ciò che lui prova per te. Mi dispiace, ma sei stato cieco. Proprio per questo lui non vuole più vederti, il solo pensare a te è doloroso.”

“No ...”

“Non sarà per sempre, Gregory … Ci vorranno degli anni, ma riuscirà ad andare oltre. Nel frattempo ha bisogno di stare solo, di non pensare più a te.”

“Ma ...” protestò Greg, ma Violet lo fermò con un gesto deciso della mano.

“Non devi sentirti responsabile per ciò che gli è successo, né cambiare i tuoi sentimenti se ti senti in colpa. Nessuno ne è responsabile se non Sherlock. Lui ha deciso di ignorare i suoi sentimenti, lui ha preferito rifugiarsi nella droga piuttosto di affrontarli … e ora lui dovrà pagarne il prezzo.”

Il silenzio calò nuovamente nella stanza come la sera senza stelle che li osservava fuori dalla finestra.

Il viso di Gregory era bianco come il latte ma i suoi occhi erano rossi di pianto trattenuto.

“Avrei dovuto vederlo … avrei dovuto capirlo … Sono stato un idiota!”

La mano di Violet era ancora sulla sua, la strinse per rassicurarlo.

“È inutile che tu stia male per lui. Non ha bisogno di questo. Lascialo solo, per il momento. Quando starà meglio … quando sarà pronto, verrà lui a cercarti.”

L'espressione di Violet si addolcì e questo sembrò tranquillizzare Greg. Il suo desiderio di rivedere Sherlock era sempre forte, ma in quel momento capì che non era il caso. Affrontarlo avrebbe significato metterlo con le spalle al muro, peggiorando la situazione.

“Ho capito ...” disse infine, stringendo a sua volta la mano di Violet “Voglio aiutarlo e lo farò. Se stargli lontano è l'unico modo per farlo … così sia.”

Violet sorrise di più. Vide qualcosa negli occhi di Gregory, ma non disse nulla. Non lo conosceva così tanto da poter affermare che ricambiava l'amore di suo figlio senza saperlo, ma almeno era certa che gli fosse davvero affezionato. Chiunque altro lo avrebbe mandato affanculo o sarebbe andato da lui per fargli sputare il rospo di persona, ma Gregory aveva consapevolmente scelto di aspettare e restare sul filo del rasoio.

“Sherlock è fortunato ad averti come amico. Deve semplicemente rendersene conto.”

Gregory annuì.

“La ringrazio.”

Violet si alzò e gli strinse ancora la mano.

“Ci vedremo ancora.”

 

Gregory osservò la madre di Sherlock uscire di casa ancora intontito. Gli sembrava di essere stato travolto da uno schiacciasassi. Sherlock lo amava. Sherlock lo amava e lui non se ne era reso conto. Come aveva detto Violet, non era facile decifrare il suo cuore, ma davvero era impossibile? Davvero si era fatto sfuggire quei dettagli che avrebbero potuto fargli vedere la verità? Lei gli aveva detto che non sarebbe servito a nulla cambiare i propri sentimenti per il senso di colpa, ma non poteva fare a meno di pensare che, chiuso in una scatolina di velluto blu, c'era il colpo di grazia che avrebbe potuto ucciderlo dal dolore. Non aveva accennato nulla a sua madre, non voleva correre il rischio che lei, pur così intelligente e sensibile, lo dicesse a lui per errore.

Stava con Haley da anni, avevano litigato, si erano separati ed erano tornati a cercarsi e infine Gregory aveva deciso che non avrebbe voluto nessun altro al suo fianco se non lei. Salì in camera, aprì il cassetto della scrivania e prese la scatolina. L'aprì e ammirò il sottile anello che brillava nella penombra.

Le avrebbe chiesto di sposarlo. Erano entrambi molto giovani, ma Greg stava per entrare nella polizia ed era certo del suo futuro, lo vedeva con Haley al suo fianco. Nella fotografia che si era sviluppata nella sua mente, al posto di Sherlock c'era un grosso vuoto, che nessuno avrebbe potuto mai riempire se non lui. Lo avrebbe lasciato così, in attesa che lui volesse tornare, come un gatto randagio nella notte.

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Capitolo 15
*** Sherlock Holmes, detective consulente ***


Sherlock Holmes, detective consulente

 

 

“Si dice che il genio sia infinita pazienza. Come definizione è pessima, ma calza a pennello al lavoro dell'investigatore.” 

Sherlock Holmes, Uno studio in rosso

 


 

Sherlock? Sherlock caro, qualcosa non va?”

Martha Hudson era china sul giovane seduto al suo fianco. Qualche ora dopo il decollo si era addormentato, o così almeno aveva immaginato, dal momento che aveva chiuso gli occhi e non aveva più parlato. Lo aveva lasciato in pace per un po', poi si era preoccupata quando era impallidito improvvisamente e aveva iniziato a mormorare qualcosa di incomprensibile.

Lo scosse ancora, con un po' più di convinzione, e finalmente riuscì a svegliarlo.

Non … non stavo dormendo.” si giustificò immediatamente, ma la bocca impastata lo tradì.

Hai avuto un brutto sogno?” le chiese lei, sempre premurosa.

Non lo so, non ricordo.”

 

Mentiva. Sapeva benissimo cosa aveva sognato, ma aveva cercato di scacciare quell'immagine come una mosca fastidiosa, senza riuscirci fino a quando la signora Hudson lo aveva svegliato.

Nel sogno si trovava sul tetto di un edificio altissimo, talmente elevato che non riusciva a scorgerne la base. Candide nuvole aleggiavano attorno a lui come fantasmi. Dalla nebbia era emersa una figura, una sagoma a cui non era riuscito a dare un nome, che lo spingeva con la sua presenza verso il ciglio, facendolo arretrare inesorabilmente fino a inciampare oltre il bordo e cadere giù. Nel sogno cadeva e, come Alice nel Paese delle Meraviglie mentre precipitava nella tana del Bianconiglio, tutto sembrava andare al rallentatore e lui poteva vedere oggetti e immagini che volteggiavano attorno al suo viso: scrivanie, scaffali straripanti di libri, tazze di tè, pistole e pugnali. All'improvviso aveva visto il pavimento a scacchi bianchi e neri farsi sempre più vicino e allora una voce aveva riecheggiato nella sua mente, una voce presente ma di qualcuno che era assente nel sogno e nella sua vita da tanto, troppo tempo.

Era Gregory.

Non aveva un tono di rimprovero, sembrava deluso o sorpreso. Gli pose una sola domanda, due parole che lo turbarono nel profondo.

Sei reale?”

Sei reale?

Sono reale?

Quella domanda aveva continuato a risuonare nella sua mente fino a quando, mentre stava per sbattere contro il pavimento, qualcuno lo aveva scosso, mandando in frantumi il mondo nebbioso nel quale si trovava. Si mosse con cautela nello stretto spazio concesso dai sedili dell'aereo.

Quanto manca all'arrivo?” chiese, sporgendosi per guardare oltre l'oblò, ma non vide altro che il buio della notte.

Ancora un paio d'ore, tesoro.” ripose lei “Tra poco porteranno la cena. Hai fame, vero? Sono giorni che non mangi, sei troppo magro.”

Signora Hudson, lo sa ..:”iniziò lui, spazientito, ma lei lo interruppe.

Lo so, lo so!” esclamò, trattenendo una risata “Me lo hai già detto, non mangi mentre lavori, ma ormai il caso è chiuso, mio marito è stato giustiziato e noi stiamo tornando a casa. Penso che tu possa permetterti un po' di pollo con le verdure … e magari una fetta di dolce?”

Sherlock si voltò verso di lei e, per la prima volta dopo molto tempo, sorrise.

Si sentiva a suo agio con quella strana signora, così simile a sua madre per certi versi, protettiva e gentile, ma anche determinata e coraggiosa. Tutto era andato per il verso giusto e lui stava per tornare a casa. Si liberò dell'ombra di quel sogno, che svanì tra le scie di condensa che l'aereo lasciava dietro di sé.

 

 

Aveva conosciuto Martha Hudson dopo la risoluzione di un caso talmente semplice da rasentare il ridicolo. Da poco si era laureato e finalmente era riuscito a trasferirsi a Montague Street e da lì, grazie al passaparola, era riuscito a farsi una certa reputazione come detective. Certo, non era stato facile e i casi che gli venivano sottoposti erano noiosi, banali e privi di qualsiasi tipo di attrattiva … ma presto questo sarebbe cambiato, avrebbe trovato il caso perfetto per farsi notare, se non dal pubblico, almeno da Scotland Yard, per rendere reale il suo più grande sogno e mettere al loro posto quei poliziotti che anni prima avevano osato farsi gioco di lui.

Gli era capitato di aiutare una signora con la sparizione della sua collana, apparentemente rubata ma in realtà scivolata sul fondo del cassetto dove era stata riposta, e la pettegola aveva sparso la voce. Nipoti scomparsi, mariti fedigrafi, assicuratori imbroglioni o vicini di casa malintenzionati erano ormai diventati il suo pane quotidiano. Aveva iniziato a temere che la sua vita sarebbe stata tutta così, quando era arrivata quella telefonata.

La signora Spencer si era recata da lui dicendogli che la sua cara amica Martha, che si trovava in Florida con il marito, lo pregava di raggiungerla per aiutarla al più presto possibile. La telefonata che ne era seguita aveva confermato il suo presentimento. Il caso che tanto aveva aspettato era finalmente giunto.

La signora Hudson all'apparenza sembrava la solita casalinga con il solito noioso problema inerente la sua scarsa memoria o l'ansia derivante dal fatto che non sapeva dove andassero i suoi nipoti sabato sera … invece non era niente di tutto ciò. Dalla sua voce aveva intuito che qualcosa di veramente serio era accaduto, ma lei non poteva parlarne al telefono, e il fatto che la telefonata giungesse da un carcere lo aveva ulteriormente incuriosito. Per questo motivo aveva accettato il biglietto aereo che lei gli aveva inviato per posta ed era partito per la Florida, dove l'aveva incontrata perla prima volta.

Martha Hudson era sì una signora gentile ed educata, ma soprattutto nei suoi occhi poteva vedere le ombre di una giovinezza trascorsa nell'illegalità e nella precarietà. La sua richiesta non aveva nulla a che fare con gioielli scomparsi o nipoti troppo vivaci, ma con la sua stessa vita.

Il signor Hudson aveva campato per tutta la vita del redditizio commercio di droga, mascherando la sua attività dietro una innocente azienda che produceva dolci tipici inglesi, che esportava poi negli Stati Uniti. Era accaduto proprio lì il fattaccio e la signora Hudson si era ritrovata ad essere l'unica testimone di ciò che era accaduto.

Uno dei clienti del signor Hudson, Johnatan Stevens, non aveva trovato, insieme ai muffin, la quantità richiesta di cocaina per la quale si erano accordati, o così almeno aveva dichiarato. Per questo aveva chiesto che il suo fornitore si recasse da lui per verificare di persona, cosa che Winston avrebbe fatto ugualmente, non per cortesia ma per mancanza di fiducia.

Aveva portato Martha con sé, non si fidava di lei e voleva tenerla sotto controllo, per evitare che, malauguratamente, le fosse venuto in mente di scappare. Così l'aveva trascinata in quel viaggio pericoloso, finendo per coinvolgerla in un omicidio.

Winston e Martha erano andati all'appuntamento concordato con il cliente, ma qualcosa era andato storto, i due contraenti aveano iniziato a litigare su chi avesse ragione e, tra un insulto e un cazzotto, era spuntato fuori un coltello a serramanico che, dopo una breve colluttazione, era andato a piantarsi nel petto dell'altro.

La polizia, chiamata da un passante che aveva sentito degli strani rumori provenienti dall'edificio, aveva trovato la coppia in una stanza piena di sangue, droga e denaro. La signora Hudson, sotto shock, non si era resa conto che, per salvarsi la pelle, Winston le aveva messo tra le mani tremanti il coltello insanguinato. La polizia era stata frettolosa e aveva arrestato entrambi, ma l'unica a rischiare la morte era proprio Martha.

Sherlock l'aveva incontrata in carcere e aveva ottenuto il permesso di visionare la scena del crimine. Il caos che regnava in quella stanza era più che evidente, ma ugualmente era riuscito a ripercorrere le tracce del passaggio dei tre individui che avevano abitato quel luogo prima della catastrofe. Grazie alle impronte dei tre e all'osservazione della disposizione degli oggetti caduti durante la lotta, aveva tracciato un disegno ben preciso di ciò che era successo. Per sua fortuna aveva trovato un ispettore abbastanza intelligente da accettare le teorie di un giovane detective e sufficientemente ostile nei confronti di Winston Hudson, già noto alla polizia locale per i suoi traffici illeciti, per i quali non era mai stato incriminato per mancanza di prove, da mettere in discussione la soluzione precedentemente presa per buona per l'omicidio di Stevens.

Le prove procurate da Sherlock avevano così scagionato Martha e portato in tribunale al suo posto il marito. Winston se la sarebbe cavata con parecchi anni di reclusione, ma ulteriori prove raccolte da Sherlock avevano tramutato la sentenza per omicidio colposo in omicidio volontario e i trent'anni di prigione in una condanna a morte.

Così tutto era finito, finalmente. Martha era riuscita a liberarsi del suo marito/carceriere e Sherlock, che per il suo contributo al caso era finito sulle prime pagine dei giornali locali, aveva ottenuto quel momento di fama tale da attirare su di sé l'attenzione della polizia. L'Ispettore Allen era rimasto così ben impressionato dal giovane che lo aveva affiancato durante le indagini che aveva deciso di parlarne ai suoi colleghi d'oltreoceano, consapevole che quel promettente detective avrebbe continuato lì la sua carriera. Le voci avevano raggiunto Scotland Yard e, in particolar modo, tra i tanti, anche un novello Ispettore di nome Gregory Lestrade.

 

 

 

 

Sherlock Holmes.

Quel nome era sulla bocca di tutti. Il suo superiore ne aveva parlato, impressionato per la sua abilità. Non era rimasto sorpreso dalla notizia che il suo amico era riuscito a risolvere un caso di omicidio in Florida, si era sempre aspettato di sentir parlare di lui, prima o poi … e finalmente quel giorno era arrivato.

Non lo aveva più visto da quando, qualche anno prima, lo aveva trovato inerme disteso su di un materasso lurido in una vecchia casa abbandonata. Aveva aspettato, aveva portato pazienza e infine aveva dimenticato, un sistema difensivo per non soffrire. Sherlock gli mancava, tanto, ma mentre l'immagine di lui e il suono della sua voce svanivano dalla sua mente, lui era stato impegnato con altre e forse più importanti questioni. La laurea prima, l'ingresso in polizia poi e infine il matrimonio con Haley. Avrebbe voluto che Sherlock fosse stato il suo testimone, ma aveva capito che non sarebbe stato il caso, non dopo quello che aveva saputo da Violet. Non sapeva se lui era ancora innamorato o se era riuscito a superare la cosa. Di certo non avrebbe fatto il primo passo, rischiando di farlo soffrire ancor di più.

Cosa sarebbe successo quando lui fosse atterrato a Londra? Avrebbe cercato in qualche modo di imporre le sue capacità a Scotland Yard? Ricordava bene come aveva promesso di farlo, di dimostrare a tutti quanto poteva essere abile. Lo avrebbe rivisto, ne era certo … ma sarebbe stata una cosa buona? Per lui sì, certo, non aspettava altro da anni … ma per Sherlock? Lui era riuscito a superare quel trauma o era ancora lì, bloccato da un amore non corrisposto?

 

 

 

 

Montague Street. Aveva sognato per anni di poter percorrere quella via per tornare a casa e finalmente ce l'aveva fatta. Dopo la laurea era riuscito a mettere da parte abbastanza denaro per permettersi di affittare un minuscolo appartamento interrato. Era veramente minuscolo e le uniche finestre che facevano entrare un po' di luce erano quelle che davano direttamente sul marciapiede, ma era suo. Di certo un buon punto di partenza. Se non era del tutto decoroso ricevere in quella topaia i suoi clienti, sarebbe sicuramente stato meno imbarazzante rispetto al salotto della casa dei suoi genitori. Dopo la risoluzione del caso della signora Hudson però aveva iniziato a desiderare qualcosa di diverso, più grande, ma le sue ancor scarse finanze non gli avrebbero permesso di traslocare, almeno per il momento.

Di una cosa era certo, sarebbe approdato a Scotland Yard. L'ispettore Allen gli aveva assicurato che, dopo la loro recente collaborazione, non avrebbe più trovato le resistenze che inizialmente gli avevano impedito di collaborare in indagini importanti.

Era tornato dagli Stati Uniti da una settimana e da allora non aveva più sentito la signora Hudson, sia perché lei era presumibilmente impegnata a rifarsi una vita dopo la scomparsa del marito, sia perché lui stesso aveva bisogno di riposare dopo un lungo periodo durante il quale aveva lavorato giorno e notte senza mangiare o dormire e ciò lo aveva debilitato moltissimo. Aveva dormito per un giorno intero, non appena tornato a casa e solo dopo un paio di giorni di quasi assoluta inattività e pranzi a base di kebab e patatine fritte, era riuscito ad occuparsi di altro.

Nei giorni successivi era riuscito a risolvere qualche problema dei clienti che si erano presentati alla sua porta senza nemmeno muoversi di casa e, nei momenti di noia aveva archiviato i documenti dei casi precedenti, ma non c'erano stati fino a quel momenti degni di nota.

 

Quel giorno aveva acceso il computer con lo scopo di copiare alcuni appunti che aveva preso durante il suo soggiorno in Florida, quando qualcuno aveva suonato al suo campanello. Il suono era stato breve ma intenso e da quello aveva capito che il suo possibile cliente era preoccupato e in ansia. Così, dopo una breve presentazione senza troppi convenevoli, Deanna Edwards si era seduta sulla sedia di fronte alla sua.

Mi dica, signorina Edwards, perché ha aspettato così tanto prima di consultare un detective privato?”

La giovane donna impallidì, ma non perse la calma.

Come ...” chiese, smarrita.

Molto semplice” rispose Sherlock, sorridendo “Lei è pallida, ma non molto, nonostante sul suo viso si notino i segni di numerose notti insonni. La sua pelle è leggermente abbronzata e ciò dimostra che ha trascorso un breve periodo all'estero, in qualche località molto calda, ma non abbastanza per ridarle colore. Le sue unghie sono mangiucchiate, ma lo smalto che si è stesa con tanta cura mi fa pensare che abitualmente non sia avvezza a mordicchiarsele quando è nervosa. Deve essere successo qualcosa, almeno un mese fa, che l'ha portata a fuggire da Londra, e ora è di nuovo qui.”

La donna sospirò, rassicurata. Per un istante aveva pensato di essere entrata nello studio di un indovino.

Ha ragione, signor Holmes. Non ne potevo più! Ho dovuto andarmene! La situazione stava diventando insostenibile! Così ho fatto le valige e sono partita con una mia amica per la Florida.”

Sherlock aggrottò le sopracciglia, da quella premessa sembrava che il caso non fosse del tutto banale.

Vada avanti, la ascolto.”

La donna, che si era interrotta per calmare un pianto che era ormai imminente, proseguì.

Mentre ero lì ho sentito parlare di un certo Will-no, Winston … era Winston? Winston Hudson e del suo processo. Ho letto sui giornali che un detective privato inglese aveva collaborato con la polizia per il suo arresto, scagionando la moglie che era stata incastrata da lui per l'omicidio di un uomo ...”

Sherlock sorrise. La signora Hudson e il suo caso si erano dimostrati estremamente utili, più di quanto avesse potuto immaginare.

Così ho pensato di tornare e di venire da lei per chiederle consiglio. La mia situazione non sarà pericolosa come quella che ha affrontato negli Stati Uniti, ma la prego di credermi, non è meno spaventosa!”

Sherlock annuì.

Capisco. Sembra molto preoccupata … mi dica cosa è successo e non ometta nessun dettaglio. Ciò che lei giudicherebbe banale potrebbe invece rivelarsi fondamentale.”

La donna prese un profondo respiro.

Ho paura che il mio fidanzato mi stia nascondendo qualcosa.”

Sherlock alzò un sopracciglio, deluso da quella rivelazione. Davvero quella giovane donna era andata lì solo per un sospetto tradimento? No, c'era qualcosa di più, ne era certo. Non fu necessario spronarla a continuare, seppur con riluttanza, Deanna ricominciò subito a parlare.

So che potrebbe sembrare che io sia qui perché sospetto che Stephen mi tradisca, ma le posso giurare che non è così. Inizialmente lo avevo sospettato, lo ammetto, ma poi ho scoperto delle cose che mi hanno sconvolta ancor di più.

È cominciato tutto più o meno tre mesi fa. Io e Stephen viviamo insieme. Io lavoro come commessa in un negozio d'abbigliamento e lui è impiegato in una banca, ma ogni tanto si trova con i suoi amici per suonare con una band che hanno fondato da qualche anno. Ogni giovedì sera esce regolarmente per trovarsi con loro, ma avevo notato che qualcosa era cambiato. Aveva iniziato a ricevere chiamate misteriose alle quali rispondeva senza permettermi di ascoltare. Inizialmente avevo pensato che stesse organizzando una sorpresa per il mio compleanno imminente, ma si dimenticò perfino di farmi gli auguri. Così, insospettita, iniziai a osservarlo con più attenzione e a spiare il suo cellulare. So che non si dovrebbe fare, ma ero sinceramente convinta che mi stesse tradendo. Cancellava giornalmente la cronologia delle chiamate e i messaggi in arrivo e in uscita ed ero certa che ne ricevesse molti. Un giorno però riuscii a prendere il suo cellulare prima che potesse cancellarle e vidi qualcosa che mi fece ribollire il sangue dalla rabbia. C'era un messaggio di Grace, la mia migliore amica. Era un messaggio innocente, ma mi insospettì. Diceva “Ci vediamo stasera dopo lavoro così posso restituirti il CD che mi ha prestato Deanna”. Era vero che le avevo prestato un CD ed era normale che lui si trovasse con lei dopo il lavoro dal momento che i loro uffici si trovano nella stessa strada, ma quella sera lui fece più tardi del solito. Tornò a casa verso le dieci, non cenò, prese il suo borsone e uscì subito dopo, con la scusa del calcetto. Mi arrabbiai ovviamente, ma notai due cose … come dire? Fuori posto. Prima di tutto indossava una sciarpa, cosa che lui non faceva mai, nemmeno con il freddo più pungente. Secondo, sentii chiaramente il profumo che avevo da poco regalato a Grace. L'aroma era molto forte, mi fu impossibile non notarlo. Collegando i due fatti, immaginai che mi stesse nascondendo qualcosa, magari un succhiotto non previsto. Non fu difficile immaginare dove fosse stato tutto quel tempo e probabilmente dove sarebbe tornato. Immaginai che non potesse essergli rimasto addosso tutto quel profumo solo per quei pochi minuti in cui teoricamente si era visto con lei per la consegna del CD. Ero arrabbiata, furiosa, ma più che con lui, con Grace. Io e lei siamo amiche fin da quando eravamo bambine e non avrei mai immaginato che sarebbe arrivata a farmi del male in quel modo. Così, immaginando di trovarli insieme, andai da lei per poterli affrontare, ma la mia amica era sola e, anzi, quel giorno non aveva nemmeno indossato quel profumo. Aveva sì inviato il messaggio a Cal e si erano visti per un caffè, ma niente di più, lei era arrivata a casa verso le sette. Potrà credermi ingenua, ma Grace è sempre stata una pessima bugiarda, so sempre quando mi mente … e quella sera non mentiva. Cal non era stato da lei, probabilmente aveva immaginato che non sarei andata da Grace a controllare, ma mi aveva fatto sospettare il tradimento per nascondere qualcosa di più grosso. Nei giorni seguenti, con l'aiuto della mia amica, continuammo ad osservarlo, ma tutto ciò che venne fuori fu una serie di prove che continuavano a portare al suo tradimento proprio con lei. Durante le sere in cui lui spariva per incontrarsi con gli amici io andavo da Grace o lei veniva da me, ma il giorno dopo trovavo segni di rossetto sul colletto delle sue camice, abiti impregnati del profumo di cui le avevo parlato e biglietti della metropolitana strappati, con destinazione proprio la zona in cui Grace abita. Era ovvio che mi stava nascondendo altro, ma non poteva essere un tradimento.

Circa due settimane fa decisi di prendermi una pausa, così io e Grace partimmo per la Florida per rilassarci e dimenticarci di tutto. Siamo tornate un paio di giorni fa e io speravo che dopo la mia assenza qualcosa fosse cambiato, e in effetti un grosso mutamento c'è stato. Cal è sparito. I suoi vestiti sono ancora a casa, ma di lui non c'è traccia. Ho provato a cercarlo dai suoi genitori, dai suoi amici, ma nessuno sembrava sapere dove sia, così mi sono ricordata di quell'articolo di giornale che avevo letto durante la mia vacanza e … il resto lo sa.”

Sherlock aveva ascoltato tutto il discorso con gli occhi chiusi e le mani congiunte sotto il mento, la schiena ben dritta e un'espressione corrucciata. Non appena il silenzio calò sulla stanza riaprì gli occhi e sorrise.

Molto bene, signorina Edwards. Il suo caso sembra molto promettente. Dovrò venire a casa sua per fare un sopralluogo.”

Si alzò, già carico come una molla per poter iniziare a investigare, poi sembrò ricordarsi di qualcosa che aveva dimenticato.

Ah, non abbiamo parlato delle tariffe. Prendo cinquanta sterline al giorno, più le spese. Crede che possa andarle bene?”

Certo! Certo! Qualsiasi cosa pur di capire cosa sia successo a Cal!”

Sherlock annui, rassicurato per aver chiarito quel dettaglio, e si avvicinò alla porta per recuperare il cappotto e la sciarpa.

Dobbiamo andare immediatamente a casa sua, non c'è un momento da perdere ...”

Aveva appena preso tra le mani il cappotto, quando sentirono bussare energicamente alla porta. Ripose l'indumento e andò ad aprire. Che si trattasse di un altro cliente? Dall'impeto con cui aveva quasi sfondato la sua porta sembrava anche molto agitato.

Fece appena in tempo ad aprire, quando una donna sconvolta, spettinata e rossa per il fiatone e il pianto, entrò nella stanza. Deanna, alle sue spalle, la riconobbe subito.

Grace!” esclamò, sorpresa quanto Sherlock “Come mai sei qui? È successo qualcosa?”

Sherlock guardò prima Deanna e poi Grace, aspettando che quest'ultima rivelasse il motivo di tanta concitazione.

Mi dispiace avervi interrotti, ma è successo qualcosa di terribile!”

Senza che nessuno le dicesse nulla, andò a sedersi, tremando come una foglia per la paura.

Temo che non avremo più bisogno dei suoi servizi, signor Holmes” spiegò, una volta recuperato il fiato “La polizia ha trovato Cal.”

Deanna mosse un passo in avanti, ma non disse nulla, aspettando il seguito. Sherlock si rivolse alla sua nuova ospite.

Vada avanti. Lo hanno trovato. Bene. Dove si trova?”

Grace scoppiò in lacrime, ma si riprese abbastanza rapidamente.

Lo hanno trovato nella stazione della metropolitana di Elephant and Castle ...”

Deanna sorrise, ma qualcosa nello sguardo dell'amica la fece tornare seria.

“ … era morto.”

Sembrò che Deanna stesse per piangere o urlare, ma fu Sherlock a rompere il silenzio carico d'ansia che aveva riempito la stanza. Prese cappotto e sciarpa e li indossò rapidamente.

Signorina Edwards, sita pure qui con la sua amica finché non starà meglio. Io devo andare.” rispose Sherlock, fremente d'eccitazione.

Dove?” chiese Grace, aiutando l'amica a sedersi.

Mi sembra ovvio che ora, più che mai, abbiate bisogno di me” rispose lui, indossando i guanti “Non c'è un minuto da perdere!”

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Capitolo 16
*** Il cucchiaino d'argento ***


Il cucchiaino d'argento

 

 

“Il generale cinese Sun-Tzu, vissuto tra il sesto e il quinto secolo avanti Cristo, dovendo indagare sul caso di un abitante di un villaggio rurale ucciso a colpi di roncola, radunò tutti gli abitanti del villaggio e impose loro di poggiare le loro roncole per terra. Vide allora che uno sciame di piccole mosche accorreva su una roncola particolare e, da questa, individuò l'assassino.” 

 

 

 

Gregory Lestrade era pienamente consapevole di non dover essere felice, era morto un uomo e questo doveva essere un dramma, ma per lui era la prima occasione per mettersi veramente in mostra con i suoi superiori, il suo primo caso di omicidio. Il cadavere di Cal Russel era stato ritrovato in uno sgabuzzino chiuso nella stazione della metropolitana Elephant and Castle da un inserviente. L'area era stata prontamente sigillata e un agente si era recato all'indirizzo segnato sui documenti per avvisare la sua famiglia o chiunque avesse a che fare con lui della sua morte.

Uscì da Scotland Yard e inspirò l'aria frizzante del pomeriggio mentre, con passo sicuro, si avvicinò all'auto che lo avrebbe portato sul luogo del delitto. Lui, per la prima volta, avrebbe oltrepassato quei nastri gialli e neri che non permettevano l'accesso a nessuno se non agli ispettori. Lui sarebbe stato al comando, lui avrebbe dato gli ordini e gestito la cosa. Sapeva benissimo che, come non doveva essere felice, non doveva nemmeno credere che quel caso di omicidio fosse qualcosa di spettacolare, da prima pagina, ma ugualmente si sentiva eccitato e fiero del percorso che lo aveva portato fin lì. Quello poteva essere un inizio, tutto il resto sarebbe arrivato con pazienza e duro lavoro.

 

L'auto della polizia lo portò appena fuori dalla stazione. I nastri che delimitavano l'area del ritrovamento erano stati posti in modo da non ostacolare i servizi della linea e permettere ai viaggiatori di accedere ai binari, ma ugualmente una calca di curiosi intralciava il traffico, debitamente dispersa dagli agenti rimasti lì a sorvegliare la zona. Gregory, reprimendo un sorriso soddisfatto, oltrepassò il nastro e, scortato da un agente, raggiunse lo stanzino dove era stato ritrovato il cadavere. Non appena fu abbastanza vicino vide che qualcuno aveva chiuso la porta. Si rivolse all'agente al suo fianco.

“Potete darmi una spiegazione? Chi vi ha ordinato di chiudere la porta?” domandò, senza essere realmente arrabbiato.

“L'odore era insopportabile, Ispettore” rispose lui, leggermente intimidito “La gente si lamentava ...”

“Bene.” rispose “Avete fatto bene. Tra poco non sarà più un problema, immagino” concluse, vedendo arrivare la squadra della scientifica.

“Salve, lei deve essere l'Ispettore Gregory Lestrade, giusto?” domandò quello che con molta probabilità doveva essere il capo della squadra, porgendogli la mano“Richard Cox, molto piacere.”

“Il piacere è mio” rispose Greg, stringendogliela “Credo che sia meglio sbrigarci, il corpo è in uno stato pietoso, almeno da quello che mi hanno detto. Sono appena arrivato e non ho ancora avuto modo di vederlo.”

“Molto bene allora. Ho saputo che questo è il suo primo caso, sarò lieto di aiutarla a gestire la situazione. Mi raccomando, faccia attenzione ai dettagli, non si lasci sfuggire nulla.”

“La ringrazio” mormorò Gregory “Seguirò il suo consiglio. Ora però vorrei iniziare.” disse, rivolgendosi all'agente che lo aveva accompagnato “Possiamo esaminare questa scena del crimine?”

Una volta che i due ebbero terminato di indossare gli abiti protettivi, l'agente spalancò la porta.

Non appena Greg vide ciò che la porta celava, per poco non vomitò. Il corpo di Cal Russel giaceva a terra, in evidente stato di decomposizione. Del sangue raggrumato e nero gli copriva metà viso e alcune ciocche di capelli. I suoi vestiti erano macchiati di sangue e terra. Gregory, che aveva estratto dalla tasca un fazzoletto con cui si era coperto il naso per difendersi dall'odore, si avvicinò lentamente. Cal indossava un paio di jeans, una felpa e una giacca, tutti neri.

“Avete trovato qualcosa nelle sue tasche, a parte il portafogli?” chiese.

“Non abbiamo cercato oltre” rispose l'agente “Abbiamo pensato che sarebbe stato meglio lasciar fare a lei.”

Gregory annuì in segno d'approvazione e si concentrò sulle tasche della giacca. Ne estrasse un fazzoletto sporco, un paio di sterline, il biglietto accartocciato della metropolitana e un cucchiaino d'argento. Si alzò e lo esaminò sotto la luce, notando che recava l'incisione di due iniziali: RB.

Si rialzò e uscì dalla stanza.

“Ho trovato questo cucchiaino d'argento.” annunciò, porgendolo a un agente della scientifica che gli porse una bustina per prove “Non dovrebbe avere altro addosso, ma per sicurezza controllate ugualmente e cercate anche nella stanza che non ci siano altri oggetti che possano farci risalire ai suoi ultimi movimenti.”

“Cosa vuole che cerchiamo?”

“Biglietti della metropolitana, oggetti che potrebbero far parte di qualche refurtiva.”

“ … refurtiva?” chiese l'agente, che non aveva capito il nesso.

“Questo cucchiaino” disse Lestrade, alzando la busta che lo conteneva “È ovviamente stato rubato da qualche casa. Probabilmente Russel ha partecipato ad un furto che è finito in tragedia o perché il derubato ha reagito o perché successivamente è stato tradito dai suoi complici che hanno preferito tenersi la sua parte del bottino e abbandonarlo qui.”

Lanciò un'altra occhiata al corpo del disgraziato ladro scuotendo la testa, sconsolato. Come poteva un essere umano arrivare ad uccidere per avidità? Era ancora giovane e non aveva avuto ancora occasione di entrare in contatto con queste atrocità, non in modo così ravvicinato, ma capì in quell'istante che avrebbe dovuto farci il callo. Gli esseri umani possono essere gretti, egoisti e senza pietà e lui avrebbe dovuto farsene una ragione.

Osservò con pietà mista a rabbia il corpo che veniva portato via. Tutto l'orgoglio e la felicità per il fatto di trovarsi lì erano svaniti, macchiati dal sangue di un giovane, forse non proprio innocente, ma di certo non meritevole di una fine simile.

“Torno a Scotland Yard” disse, togliendosi gli abiti protettivi “Ho bisogno di fare qualche ricerca. Qui non c'è altro da fare, appena avrete finito di portare via il corpo, riaprite pure la stazione.”

Si allontanò quasi correndo dallo stanzino su cui ancora aleggiava l'odore sgradevole della morte. Non si accorse che qualcuno, nascosto tra i curiosi, lo aveva osservato attentamente per tutto il tempo.

 

 

 

 

Sebbene fosse stato elogiato per il suo lavoro in Florida, non se l'era sentita di chiedere ufficialmente di poter collaborare con il caso, tanto più che, agendo esternamente alla polizia, avrebbe potuto avere più libertà d'azione. L'unico ostacolo era che, in quel modo, non avrebbe potuto esaminare la scena del crimine, ma ugualmente avrebbe potuto dare un'occhiata. La stazione era piena di curiosi che venivano prontamente dispersi dagli agenti di guardia al perimetro della scena del crimine, ma lui era riuscito a mettersi in un punto strategico, dove non poteva vedere ciò che stava accadendo, ma ascoltare ciò che si dicevano gli agenti.

Era lì da qualche minuto, quando era arrivato anche l'Ispettore incaricato di seguire le indagini. Gli era passato davanti senza vederlo, forse perché troppo concentrato sul suo dovere o semplicemente perché lui aveva nascosto il viso sollevando la sciarpa fin sopra il naso.

Lo aveva riconosciuto subito, avrebbe potuto distinguerlo fra mille, anche se non lo vedeva da anni. Gregory. Gregory Lestrade, impegnato in una delle prime, se non la prima in assoluto, indagine su un omicidio. Non aveva saputo più nulla di lui, dopo quel giorno. Si era immaginato che avesse sposato Haley o qualche altra ragazza incontrata dopo, e la fede che indossava ne era la prova. Aveva sentito una fitta alla testa, ma l'aveva ignorata. Non era lì per lui ma per la sua cliente, per scoprire cosa fosse successo al suo fidanzato.

Restando nascosto, aveva sentito ogni parola che aveva pronunciato e, almeno in parte, combaciava con l'idea che si era fatto precedentemente.

Qualcosa però non lo convinceva. Se Cal Russel aveva cercato di ingannare la fidanzata con un tradimento inesistente per andare a svaligiare delle case, come era finito cadavere in una stazione della metropolitana? L'ipotesi che fosse stato ucciso da un padrone di casa troppo protettivo nei confronti dei suoi beni era da scartare. Se così fosse stato non si sarebbe preso la briga di nascondere il corpo del rapinatore in un luogo così scomodo, rischiando inoltre di farsi riprendere dalle telecamere di sorveglianza. No, erano stati i suoi complici ad ucciderlo e, sicuri dietro i loro passamontagna, avevano affrontato la possibilità di essere ripresi pur di liberarsi del cadavere. Altro punto senza senso. Se davvero volevano liberarsi delle prove avrebbero potuto farlo ovunque, per esempio gettandolo nel Tamigi, invece avevano rischiato di essere scoperti pur di metterlo lì, dove chiunque poteva trovarlo. Il cucchiaino nella sua tasca era un altro elemento da prendere in considerazione. Perché era lì? Distrazione o gesto premeditato?

Ovviamente tutti questi pensieri attraversarono la sua mente in pochi istanti, ma evidentemente non era successo lo stesso a Gregory, che aveva liquidato il tutto riducendo il tutto a una rapina andata male. La cosa buona era che presto tutti avrebbero abbandonato la scena del crimine e lui sarebbe stato in grado di esaminare ciò che Greg e gli uomini della scientifica si erano sicuramente lasciati sfuggire.

 

Sentì Gregory annunciare che sarebbe tornato a Scotland Yard e chiedere di portare via il cadavere così, fingendo di dirigersi verso il binario, tornò indietro e diede una rapida occhiata alla vittima proprio mentre lui si stava allontanando. Sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando lo vide. Lo osservò andarsene, vedendolo di sfuggita in volto, e notò che era disgustato. Era sempre stato molto emotivo e aveva sempre detestato le ingiustizie. Quell'omicidio doveva sembrargli qualcosa di difficile da accettare. Vederlo così lo turbò, anche se fu un attimo, ma ormai la sua attenzione era concentrata sul cadavere. Senza dare nell'occhio riuscì a soffermarsi abbastanza a lungo per osservare le macchie di terra e sangue sui vestiti, poi gli agenti lo chiusero in un lungo sacco nero.

Non aveva visto bene, ma si era fatto un'idea ben precisa della dinamica dell'omicidio. Proseguì e arrivato al binario prese veramente il primo treno che passò, arrivò a Kennington e lì entrò in un locale per comprare una porzione di pesce e patate. Non aveva veramente fame, ma sentiva la necessità di distrarsi, di fare qualcosa di ordinario mentre cercava di scacciare dalla sua mente l'immagine della schiena di Gregory che si allontanava. Doveva pensare solo al caso, alla morte di Cal Russel e a nient'altro. Lo aveva promesso, no? Non avrebbe più permesso che i sentimenti offuscassero la sua vista e facessero sussultare il suo cuore. Perché allora non ci riusciva? Ingoiò insieme alle patate il dolore e lasciò che la sua mente lavorasse esclusivamente sul caso. Aveva notato le macchie sui pantaloni e sulla giacca, erano evidentissime, così chiare su quel tessuto scuro, ma aveva bisogno di raccogliere alcuni campioni ed esaminarli con calma a casa. Guardò l'ora, ormai la polizia doveva essersene andata. Pagò il conto e uscì, lasciando che i suoi passi scandissero l'andamento dei suoi pensieri.

Come previsto, quando arrivò nel luogo che fino a poco tempo prima era stato sigillato, lo trovò nuovamente libero. Camminò come un normale passante, ma quando arrivò alla porta vi entrò con uno scatto rapido. Nessuno lo vide.

Una volta dentro fu inghiottito dal buio. Servendosi di una torcia ispezionò il pavimento. Era scuro, impolverato, ma erano evidenti le tracce di terra cadute dagli abiti di Cal. Nessuna macchia di sangue. La cosa che lo colpì fu invece la terra. Da lontano non lo aveva notato, ma c'erano due tipi di terriccio. Ne raccolse un paio di campioni, uno più chiaro e argilloso e uno scuro e morbido.

Mise le buste in tasca ed uscì, diretto nuovamente ai binari, ma stavolta per tornare a casa, dove avrebbe svolto i primi esami sui campioni raccolti. Più tardi sarebbe dovuto uscire di nuovo per tornare a Scotland Yard, stavolta in veste ufficiale, come detective assunto dalla signorina Edwards, per esaminare le fotografie del luogo e del cadavere. Aveva sperato di non doversi servire dell'aiuto di Lestrade, ma a quanto pareva non aveva scelta, doveva parlare con lui. Un altro brivido lo scosse, ma attribuì la sensazione sgradevole all'aria fredda che lo investì quando uscì dalla stazione di Holborn.

 

 

 

 

Erano trascorse alcune ore da quando era tornato a Scotland Yard. La risoluzione del caso stava procedendo bene e sembrava che tutto stesse andando per il meglio, eppure c'era qualcosa che non gli tornava. Era stato tutto troppo semplice. Cal Russell aveva in tasca un cucchiaino d'argento che faceva parte di un set d'argenteria rubata a Lord Rudolph Baker, il cui furto risaliva a una settimana prima. I tempi coincidevano con l'epoca della morte, come confermato anche dal medico legale che aveva esaminato il corpo. Ciò che restava da fare era interrogare Lord Baker e cercare di identificare i suoi complici. Uscì dal suo ufficio e andò a quello del suo collega che si era occupato del furto. La luce era accesa e l'ispettore Tom Moore era al telefono. La porta chiusa attutiva il suono della sua voce, ma prima di bussare riuscì ad ascoltare un pezzo della conversazione.

“Sì, certo, come d'accordo. Non si preoccupi. Certo. Va bene. Buonasera.”

Sentì il rumore della cornetta che veniva posata senza troppa grazia e un sospiro ansioso. Aspettò ancora qualche istante, poi bussò.

“Avanti!” esclamò, agitato come se qualcuno lo avesse colto a rubare la marmellata.

“Buonasera, Moore” disse Gregory entrando “Sto indagando sulla morte di un certo Cal Russell e sono certo che potremmo collaborare per trovare il suo assassino.”

Moore impallidì e sembrò turbato, ma mascherò il disagio con una risata.

“Sei già impantanato, eh? Hai bisogno di aiuto? Non preoccuparti, è normale, in fin dei conti si tratta del tuo primo caso ...”

“Non è questo, anzi, tutto il contrario. Ho la certezza che l'uomo trovato morto alla stazione sia uno dei ladri che hanno derubato Lord Baker.”

Moore sembrò esitare ancora, ma resse.

“Cosa te lo dice?” chiese.

“Questo!” esclamò Greg, mostrando con orgoglio la busta che conteneva il cucchiaino “L'ho trovato sulla vittima e ci sono le iniziali RB. Controlla sui tuoi documenti, dovrebbe corrispondere con il servizio di argenteria rubato a Lord Baker.”

Moore annuì, ma era ovvio che era agitato.

“Sì … certo … te li cerco subito.” si alzò e andò al suo schedario, da cui tirò fuori un fascicolo “Eccolo.”

Lanciò i documenti sul tavolo e Gregory non perse tempo per esaminarli. C'erano diverse fotografie e vide immediatamente che le iniziali della forchetta che era caduta ai ladri ed era stata ritrovata nel giardino della villa corrispondevano in tutto e per tutto con quelle del suo cucchiaino.

“Avevo ragione!” quasi gridò “Sono queste! Avete già trovato i ladri? La refurtiva?”

Era eccitatissimo, sentiva che stava per raggiungere la fine di quell'indagine e che stava per risolverla brillantemente. Sarebbe stato fantastico se, al suo primo caso di omicidio, avesse trovato subito l'assassino, ma tutto crollò di fronte all'espressione seria di Moore.

“Purtroppo no, Lestrade.” momorò lui, quasi vergognandosi “Erano incappucciati e dalle riprese delle telecamere di sorveglianza attorno alla villa non siamo riusciti a vedere la targa del furgone che hanno usato per caricare la refurtiva perché l'avevano oscurata. Fidati, lascia perdere.”

“Ma … ci sono altre vie!” protestò Gregory, infiammandosi “Possiamo verificare se altre telecamere attorno alla zona hanno ripreso il furgone! Avranno pur dovuto ripristinare la targa, una volta lontani dalla villa, no? Sarà un lavoro lungo perché non possiamo sapere da che parte sono andati, ma risolveremmo due casi in un colpo solo!”

L'eccitazione era salita ancora, si sentiva carico, deciso e pieno di idee, ma a quel punto Moore non riuscì nemmeno a smontare il suo entusiasmo, interrotto da qualcuno che bussava alla porta.

“Avanti!” gridò Moore, sollevato.

Entrò un agente, ma si rivolse a Gregory.

“Ispettore Lestrade, c'è qualcuno che vuole vederla. È nel suo ufficio.”

Gregory si voltò verso Moore, che sembrava ben felice di liberarsi di lui.

“Devo andare. Ne riparleremo più tardi.”

Si voltò e uscì con l'agente.

“Di chi si tratta?” chiese, mentre già si dirigeva nel suo ufficio.

“Holmes.” rispose lui e a Gregory sembrò che il solo pronunciare quel nome lo intimidisse.

“Holmes? Holmes chi?” chiese lui, in ansia.

“Non lo so ...” rispose lui, colto in fallo “Mi dispiace, ma non mi ha detto il nome ...”

Era Sherlock, ne era certo. Non voleva vederlo, non così, non era pronto. Era passato troppo tempo e lui non si era ancora preparato psicologicamente per quell'incontro. Era ovvio che era lì per il caso di omicidio e avrebbe potuto prevedere una sua visita dopo ciò che gli era successo in Florida, ma forse per codardia non ci aveva pensato.

“Grazie, Andrews” mormorò, sorridendogli per fargli capire che non aveva fatto nulla di sbagliato.

Lasciò il ragazzo e si diresse verso il suo ufficio.

Si fermò di fronte alla porta, esitando. Oltre quella soglia c'era Sherlock, il suo migliore amico, che non vedeva da tempo e che lo aveva amato. Prese un profondo respiro e lentamente l'aprì. Avrebbe affrontato la cosa di petto.

“Sher-”

Si bloccò. Tutte le sue certezze si sgretolarono sotto lo sguardo severo e tagliente di Mycroft Holmes.

“Buonasera, Ispettore.”

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Capitolo 17
*** Segreti ***


Segreti

 

 

Il segreto è la prima cosa essenziale negli affari di stato.
Cardinale Richelieu

 

 

 

Un silenzio irreale calò sulla stanza, rotto solamente dal rumore sommesso dei condizionatori e dal brusio ovattato delle voci provenienti da fuori.

Di tutte le persone che Gregory poteva aspettarsi di vedere, Mycroft era decisamente l'ultima. In effetti avrebbe potuto aspettarsi una sua visita dal momento che era diventato da poco Ispettore e che Sherlock sembrava deciso a iniziare a frequentare Scotland Yard. Era per quello che era lì? Per ricordargli ancora una volta di trattare suo fratello con i guanti bianchi? Sospirò rumorosamente, infastidito. Non gli andava che qualcuno gli dicesse cosa fare o come, anche se si trattava di Sherlock.

“Mycroft, sinceramente, non mi sembra il caso che tu ...”

“Si calmi Ispettore Lestrade” disse infine, muovendo un passo verso di lui, ma restando ugualmente a di stanza. Gregory non reagì bene, si alzò di scatto e lo raggiunse oltrepassando con pochi rapidi passi la scrivania.

“So benissimo perché sei qui” esclamò lui, dandogli del tu come aveva sempre fatto “e non ho intenzione di sentirti parlare di Sherlock e del fatto che presto ci incontreremo perché ...”

Mycroft alzò la mano per fermarlo e ottenne l'effetto desiderato.

“Le ho detto di calmarsi. Non sono qui per parlare di mio fratello. Anche se non sembra, la mia vita non ruota attorno a lui.”

Il tono di Mycroft sembrava sincero e anche il suo sguardo serio faceva intuire che si trovava lì per ben altri motivi.

“Non sono nemmeno qui per congratularmi per la sua promozione e il coinvolgimento nel suo primo caso d'omicidio, se se lo sta chiedendo, anche se in effetti quest'ultimo ha una parte fondamentale per la mia presenza.” disse, pesando ogni parola con cautela.

“Ah … capisco. No, in realtà non capisco.” momorò, tornando a sedersi, indeciso se essere sollevato o ancor più preoccupato.

“Non è mio costume perdere tempo in convenevoli, perciò verrò dritto al punto. C'è stato un errore, lei non doveva essere affidato a questo caso, doveva essere l'Ispettore Moore a occuparsene.”

“Cosa?” domandò Gregory, alzandosi di nuovo in piedi e chiedendosi se l'atteggiamento del suo collega avesse a che fare con quella situazione.

“Ha capito bene, non doveva saperne nulla. Moore era già stato istruito a proposito.”

“I-istruito?” chiese lui, spalancando gli occhi per lo stupore “Cosa diavolo ..:”

“Questo errore però mi permette di iniziarla a qualcosa che potrebbe farla salire di grado rapidamente, nei prossimi anni.”

“Non voglio averci niente a che fare” sbottò Gregory “Non mi interessano giochi politici o cosa altro voglia propormi, mi tenga fuori da tutto questo.”

“Bene. Come preferisce. Le comunico allora che il caso verrà affidato al suo collega, l'Ispettore Moore, con effetto immediato. Buona giornata.”

Mycroft si voltò per andarsene, ma Gregory lo raggiunse.

“Come sarebbe a dire? Non puoi togliermi il caso! Devo trovare l'assassino di quel ragazzo! Era un ladro, ma non meritava certo di fare quella fine!”

Il maggiore degli Holmes si fermò, ma non si voltò.

“Le ho proposto di rivelarle dei segreti di stato, ma lei ha deciso di non volersi immischiare nella politica, perciò non mi rimane altro che toglierle il caso. Dovrà comunicare tutti i suoi risultati a Moore entro domani. Mi sembra superfluo consigliarle di mantenere il riserbo su tutto ciò.”

“Non può!” protestò Gregory “Non ha l'autorità per farlo!”

Mycroft si voltò e sul suo viso comparve ciò che per un istante Gregory scambiò per un sorriso beffardo.

“Si sbaglia. Posso.”

Mentre Gregory restava con la bocca spalancata, senza parole per quello che era appena successo, Mycroft uscì elegantemente dalla stanza, probabilmente per recarsi da Moore per comunicargli la notizia. Guardò i file che aveva sulla scrivania e che avrebbe dovuto cedere al collega. Sospirò. Era sembrato tutto troppo bello. L'occasione che aveva aspettato per anni, la possibilità di risolvere il mistero di un omicidio, vendicare la vita spezzata di un giovane … Invece tutto sarebbe finito … perché poi? Perché c'era qualcosa di torbido dietro quell'omicidio? Qualcosa che non doveva venire a galla? Il desiderio di saperne di più si impossessò di lui e si maledisse per non aver accettato. Da una parte avrebbe fatto carriera rapidamente, ma dall'altra … si sentì ad un bivio, la scelta tra il bene e il male, tra la giustizia e la corruzione.

Con un sospiro si abbandonò sulla sua poltrona. Sì, aveva fatto bene a rifiutare. Una volta entrato in quel meccanismo non ne sarebbe più uscito. Si era impigliato per errore negli ingranaggi sporchi della politica ma si era liberato, lasciando però una macchia nella sua mente: la curiosità. Se c'era qualcosa da insabbiare, voleva dire che qualcosa non era stato fatto nel modo corretto e ora i politici cercavano di metterci una toppa.

Sogghignò, pensando che Mycroft fosse coinvolto. Si era sempre aspettato da lui una carriera del genere, dove avrebbe potuto imporre il suo potere nel segreto e nell'ombra. Si chiese per chi lavorasse di così importante da poter influire sulle scelte dell'Ispettore Capo di Scotland Yard. Il governo? I servizi segreti? Entrambi? Scoppiò a ridere rumorosamente, non per felicità ma per sfogare la rabbia che aveva dentro e che, se fosse stata liberamente espressa, probabilmente avrebbe portato alla distruzione del suo intero ufficio.

“C'è qualcosa che ti fa ridere, Gregory?”

Si fermò di colpo. Quella voce. Si voltò verso la porta e lo vide. Non si era accorto del suo ingresso. Da quanto tempo era lì?

Sherlock Holmes.

Sherlock.

Sherlock era lì, di fronte a lui, sorridente e strafottente, come lo ricordava.

Non era lo Sherlock pallido e distrutto dalla droga che aveva visto l'ultima volta che si erano incontrati. Non era turbato, o almeno non lo sembrava. Sorrideva e sembrava anche felice … ma per cosa?

“Sherlock ...” iniziò, senza sapere in realtà cosa dire.

“Ho sentito tutto e, francamente, sono convinto che tu non debba rinunciare al caso.”

Lo guardò, ancor più stupito.

Davvero? Davvero? Non lo vedeva da anni, si erano lasciati in modo orrendo e tutto ciò che era capace di dirgli era … quello?

“I-io … io n-non ...” iniziò, poi lo vide. Vide il suo sguardo e capì. Non erano le parole, non era ciò che aveva detto ma come lo aveva fatto e, cosa più importante, il suo sguardo. Non ci sarebbero state parole adatte a colmare il vuoto di quegli anni ma Sherlock ci era riuscito. Si erano ritrovati come se il tempo non fosse mai passato. Si sentì immediatamente a suo agio, come quando erano ragazzi. Se per qualsiasi altro quella situazione sarebbe stata ridicola o inaccettabile, per lui fu solo emozionante, come quando, anni prima, Sherlock era entrato senza permesso nella sua stanza, di notte, come un gatto. Si sentì un idiota o incredibilmente geniale a voler prestare attenzione a lui, ma, spazzata via ogni incertezza, gli sorrise.

“Cos'hai in mente?”

 

 

 

Qualche minuto prima

Aveva spedito a casa le ragazze che lo avevano atteso lì e si era dedicato all'analisi dei campioni di terra. Ciò che trovò combaciava perfettamente con l'idea che si era fatto, aveva solo bisogno di un paio di prove per confermare ciò che sapeva. Per farlo però doveva parlare con Gregory, l'unico in grado di aiutarlo, in quel momento, per questo si era recato a Scotland Yard senza esitare. Solamente durante il tragitto si era reso conto di ciò che stava per accadere.

Avrebbe ritrovato Gregory. Lo avrebbe rivisto. Gli avrebbe parlato ancora. Non aveva idea di cosa dirgli. Come avrebbe dovuto affrontarlo? Non si vedevano da anni e, dovendo essere sincero, l'ultima volta che i loro sguardi si erano incrociati non era stata idilliaca. Come colmare il vuoto che separava le loro vite? Erano ancora amici? Gregory si era dimenticato di lui? Quelle domande erano fastidiose e rischiavano seriamente di compromettere la sua sanità mentale. Tentare di cacciarle fu controproducente, tornavano indietro, come mosche, a offuscargli la vista. Si fermò davanti alla sua porta e fu allora che tutte le sue incertezze crollarono.

La voce di Mycroft, sebbene attutita dalla porta, era inconfondibile. Si avvicinò e posò l'orecchio al legno per sentire meglio. Non riuscì a capire ogni parola, ma quando Mycroft si avvicinò per uscire sentì chiaramente che l'indagine sarebbe stata affidata a un altro ispettore. Rapidamente si allontanò e andò a nascondersi in un angolo buio, aspettando che il fratello se ne andasse. Se Mycroft era lì significava che, come aveva immaginato, l'omicidio di Cal Russel era davvero più di ciò che appariva.

Quando fu nuovamente solo entrò. Gregory era in piedi, di fronte alla scrivania, osservava i documenti inerenti il caso che gli era stato appena tolto. Sembrava sconvolto, ma all'improvviso scoppiò a ridere. L'euforia di Gregory, dovuta più probabilmente alla frustrazione e alla rabbia represse, gli diede il coraggio di fare un passo avanti e farsi sentire. Aveva pensato mille volte a cosa dire e in ogni caso si era sentito patetico e melenso. “Mi sei mancato” “Mi dispiace per tutto” “Avrei dovuto cercarti prima”. Idiozie. Perché non fingere che non fosse cambiato nulla? In effetti per lui non lo era, i suoi sentimenti per Gregory non erano mutati. Certo, li aveva imprigionati nella cassa ben sigillata che stava nel suo cuore, era consapevole della loro esistenza e, per quanto cercasse di sopprimerli, loro erano sempre lì a ricordargli che c'erano.

Non voleva certo accrescere la depressione nella stanza riportando alla luce vecchie ferite, la presenza di Mycroft e il fatto che fosse coinvolto in qualche modo nel caso che era stato di Gregory non aveva fatto che confermare ciò che lui stesso aveva pensato. Certo, non poteva conoscere tutti i retroscena nei dettagli, ma ormai cominciava a vedere il quadro nella sua interezza. Perché non salutare il suo amico mostrandosi semplicemente com'era e com'era sempre stato? Come si erano conosciuti e non come si erano lasciati? Lui non era il drogato che Gregory aveva trovato in una puzzolente casa abbandonata, era Sherlock, lo strano ragazzo curioso e intelligente che aveva per amico Gregory, un altro ragazzo altrettanto curioso e coraggioso. Sebbene fosse consapevole che lui non avrebbe mai corrisposto il suo amore, non voleva rinunciare a lui, non più. Lo aveva fatto troppo a lungo e ormai era chiaro che non riusciva più a stargli lontano.

C'è qualcosa che ti fa ridere, Gregory?” domandò, sorridendo.

Ottenne il risultato sperato. Gregory si voltò verso di lui, imbambolato come se gli avessero dato una botta in testa. Gli sembrò di poter vedere i suoi pensieri vorticare nella sua mente.

Sherlock ...”

Era in evidente stato di shock, e d'altra parte poteva capirlo.

Ho sentito tutto e, francamente, sono convinto che tu non debba rinunciare al caso.” disse lui, sperando di farlo reagire in qualche modo.

I-io … io n-non ...” iniziò lui, sempre più confuso, poi però qualcosa cambiò. Sembrò che Gregory avesse preso una decisione, la stessa che lui aveva preso poco prima di entrare lì. Dimenticare il passato, vivere il presente per ciò che erano in realtà e non per ciò che di brutto era successo tra di loro. Vide ogni dubbio svanire dal suo viso e l'espressione del Gregory che ricordava tanto bene tornò.

Cos'hai in mente?” domandò infine, spazzando via ogni dubbio.

Sherlock, incoraggiato da quella domanda, andò a sedersi davanti alla sua scrivania.

Ho mentito, non ho sentito tutto, ma la presenza di mio fratello qui e il fatto che ti abbia tolto il caso la dice molto lunga.”

Greogry annuì.

Ha detto che deve esserci stato un errore, che il caso non doveva essere affidato a me. Io credo che ci siano di mezzo i servizi segreti ..:”

Questo è ovvio.” rispose Sherlock “Mio fratello lavora per il governo e di tanto in tanto per la CIA come libero professionista. Non è così difficile pensare che ci sia di mezzo qualche segreto di stato.”

Gregory sbuffò, irritato. Aveva appena iniziato e già si ritrovava in mezzo a simili casini? Cosa avrebbe dovuto fare? Ascoltare Mycroft e ritirarsi, lasciando che tutto venisse insabbiato o …

Dobbiamo scoprire la verità.” disse Sherlock, rispondendo alle domande che lui aveva solo pensato.”

Greg annuì, ma in quel momento gli venne in mente un dettaglio non trascurabile.

Tu come sei venuto a conoscenza di questo caso?” chiese, temendo la risposta.

Sono stato assunto dalla fidanzata della vittima.” rispose Sherlock “Mi ha chiesto di trovare Cal dal momento che era scomparso. Ho saputo della sua morte quando la sua amica, che era in casa sua mentre lei veniva a consultarmi, è stata avvisata dalla polizia. Mi ha raccontato anche molte cose interessanti sul conto di Russell che forse ti piacerebbe sapere.” concluse, sogghignando divertito.

 

 

 

 

 

“Tu sei stato … ah … capisco ...” iniziò Greg, sorpreso “Questa ragazza deve starti particolarmente a cuore se vuoi andare addirittura contro il volere di tuo fratello ...”

Lo osservò a lungo, cercando di decifrare nel suo sguardo e nei suoi movimenti cosa si celasse dietro quella decisione. Fu lui a rispondere.

“Dici? Sì, forse … Soprattutto è la curiosità a spingermi. Non illuderti che abbia scelto questo lavoro per bontà d'animo. Se dovessi farmi coinvolgere emotivamente da ogni mio cliente non potrei essere obiettivo. Ciò che conta è il problema, l'enigma da risolvere, nient'altro. I sentimenti sono solo un ostacolo.”

Aveva pronunciato quelle parole con distacco, quasi con freddezza, che ferì Gregory più di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere. L'uomo che stava davanti a lui era Sherlock, non aveva dubbi, era lo Sherlock dinamico, intraprendente e ribelle che aveva imparato a conoscere, ma c'era in lui qualcosa di diverso, un velo di riserbo che oscurava il suo cuore. Che fossero stati tutti quegli anni di distacco a renderlo così? La sofferenza che aveva patito a causa dell'amore non corrisposto lo aveva portato a chiudersi in se stesso fino a quel punto? Era davvero sincero quando diceva di aver rinunciato ai sentimenti o piuttosto li teneva nascosti? Avrebbe dovuto stargli vicino o la loro separazione aveva permesso alle sue ferite interiori di rimarginarsi, lasciando però una cicatrice nascosta che lo aveva cambiato per sempre? Avrebbe più ritrovato il vecchio Sherlock?

Tutte quelle domande attraversarono la sua mente in rapida successione, ma Sherlock interruppe il filo dei suoi pensieri.

“Allora, cosa vuoi fare? Vuoi scoprire l'assassino di Cal Russell … con me?” chiese, come se fosse un invito a cena.

Gregory esitò. Non voleva mettersi nei guai e compromettere la sua carriera a Scotland Yard, ma d'altra parte l'invito di Sherlock era piuttosto allettante. Che fare? Come sempre, Sherlock sembrò intuire i suoi dubbi.

“Non devi preoccuparti, non finirai nei guai, te l'assicuro. Mi prenderò la responsabilità di qualsiasi cosa dovesse andare storta.”

“N-ne sei sicuro?” domandò ancora, indeciso se fidarsi o meno.

“Non verrai coinvolto più di tanto, te lo prometto. Ho giusto bisogno di vedere le foto del cadavere di Russell per confermare le mie ipotesi, niente di più.”

Gregory non rispose subito. Restò in silenzio, osservando il fascicolo che aveva di fronte. In effetti la tentazione di scoprire cosa c'era sotto era forte, molto forte, tanto da indurlo in tentazione e farsi corrompere dalla politica. Aiutando Sherlock avrebbe potuto saperne di più senza macchiarsi la coscienza e lo stato di servizio.

Annuì, ormai aveva deciso.

Così come si era fidato di Sherlock anni prima, scelse di fidarsi di lui ancora una volta. Non aveva idea di dove sarebbe precipitato sbirciando nella tana del Bianconiglio, che nella sua immaginazione aveva preso le sembianze di Mycroft, ma tanto valeva provare, no?

“Va bene!” esclamò infine, sbattendo il pugno sul tavolo “Facciamolo!”

Sherlock sogghignò, soddisfatto.

Il gioco era iniziato.

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Capitolo 18
*** Indizi per cercare la verità ***


Indizi per cercare la verità


 

La singolarità è quasi sempre un indizio. Più un crimine è anonimo e banale, più è difficile scoprire il colpevole.

Sherlock Holmes - Il mistero di Boscombe Valley




 

 

 

Sherlock aveva sorriso, soddisfatto. Gregory aveva infine acconsentito ad aiutarlo, ancora faceva fatica a crederci, eppure c'era qualcosa che stonava. Davvero poteva permettersi di coinvolgerlo? Davvero poteva rischiare la sua carriera in quel modo? Sarebbe stato incredibilmente egoista da parte sua, no? Sì, appena un pochino in effetti. Approfittare del loro legame passato per ottenere ciò che voleva non poteva esattamente dirsi nobile, giusto? … ma era davvero solo questo? Sul serio stava cercando aiuto da Gregory solo perché sapeva che non lo avrebbe rifiutato?

Sì, ormai aveva deciso. Gregory lo avrebbe aiutato, ma senza spingersi troppo oltre. Non voleva rischiare per lui e soprattutto avrebbe lavorato meglio da solo.

Il ghigno svanì dal suo viso all'istante.

In realtà non dovrai fare molto, Gregory” spiegò con calma “Se mio fratello dovesse venire a sapere che ti ho coinvolto finiresti nei guai e come minimo perderesti il posto ...”

Si guardò attorno, l'ufficio di Gregory era pulito e ordinato, era evidente che il suo proprietario lo aveva occupato da poco e ancora non si era totalmente ambientato.

Cosa …” iniziò lui, ma capì a cosa Sherlock si riferiva “Capisco. Sì, credo che tu abbia ragione.”

Strinse il pugno, ma Sherlock si affrettò a rassicurarlo, più per potersi assicurare la sua collaborazione che per vero desiderio di consolarlo.

Ti terrò aggiornato su cosa scoprirò.” promise, guardandolo negli occhi e questo sembrò calmarlo.

Va bene” acconsentì Lestrade dopo un lungo sospiro “Di cosa hai bisogno?”

Mi basteranno le fotografie della scena del delitto e il rapporto dell'autopsia. Credo che tu li abbia già a disposizione.”

Gregory annuì e allungò un braccio per recuperare i vari fogli sparsi sulla sua scrivania.

È tutto qui” disse porgendoglieli “Non posso prestarteli però, dovrò consegnarli a Moore entro domani.”

Basterà, non preoccuparti. Devo solamente confermare una teoria che ho già ampiamente accertato … Purtroppo non sono riuscito a vedere chiaramente il corpo e la scena del crimine intatta da vicino, ma ho raccolto dei campioni di terra che hanno confermato ciò che avevo già visto.”

Di cosa si tratta?” chiese Greg.

Sherlock non rispose. Prese i documenti e iniziò ad esaminarli uno ad uno. C'erano molte fotografie, tutti i dettagli che non era riuscito a scorgere da lontano, ma che combaciavano esattamente con ciò che si era immaginato. Lesse con estrema attenzione anche il referto dell'autopsia, annuendo di tanto in tanto.

Ottimo. Ti ringrazio.” posò i documenti sulla scrivania.

Tutto qui?” chiese Gregory, dubbioso.

Tutto qui.”confermò Sherlock, lapidario.

Quindi ora te ne andrai … ancora?” chiese, lasciando intuire dal tono della voce il dispiacere che provava per quella nuova separazione.

Certo, non ho nulla da fare, qui.” rispose Sherlock con semplicità.

Ma … pensavo che ...”

Ecco, era arrivato il momento. Gregory voleva delle spiegazioni. Non poteva certo dargli torto, visto il modo in cui si erano separati. Doveva dirgli che lo aveva amato, che aveva sofferto per il suo fidanzamento con … In quel momento notò la fede. Così si era sposato. Non ne sapeva nulla. Lo aveva intuito, ma vederlo effettivamente davanti ai suoi occhi era tutt'altra cosa. Era un tasto delicato, sarebbe stato saggio toccarlo proprio in quel momento? Avrebbe rischiato di riportare a galla argomenti che sarebbero stati bene dove stavano, sepolti.

Era impallidito, il suo cervello non sarebbe stato capace di elaborare tutte quelle informazioni in una sola volta.

Non ho bisogno di spiegazioni per il passato, Sherlock.” lo rassicurò Gregory, alzando una mano, notando il suo disagio “Solo speravo che, ora che ci siamo incontrati di nuovo, non mi avresti ...”

Abbandonato? Lasciato solo? Gli occhi da cucciolo bastonato di Gregory dicevano quello e altro. Si erano in effetti abbandonati a vicenda, ma Sherlock si era allontanato da lui per non soffrire … e aveva sofferto ugualmente, mentre Gregory si era rifatto una vita lontano da lui. Davvero era stato male? Davvero aveva sentito la sua mancanza tanto quanto lui? Erano domande alle quali Sherlock non aveva risposte né la minima intenzione di cercarle. Ciò che poteva fare era pensare al presente.

Gli era mancato Gregory? Sì.

Era stato felice di rivederlo, nonostante tutto? Sì.

Ottimo. Perché fuggire ancora, se l'uomo che poteva renderlo felice era lì, davanti ai suoi occhi? Certo, non poteva ricambiare il suo amore, ma Sherlock stesso si era imposto di non averne più bisogno, di poter sopravvivere senza. Di una cosa però aveva sentito la mancanza in tutti quegli anni e a quella non avrebbe rinunciato.

L'amicizia e la complicità che solo lui era capace di dargli, come pochi minuti prima, quando era stato disposto a seguirlo in una folle avventura senza pensarci. Sorrise, suo malgrado.

Non sparirò ancora, te lo prometto.” assicurò lui, raggiungendo la porta “Non ora che le cose stanno iniziando a farsi interessanti! Ricordi la nostra promessa?” gli fece un rapido occhiolino, uscì e si chiuse la porta alle spalle.

 

 

 

 

Era successo davvero? Si sentiva stordito, come quando la mattina si svegliava all'improvviso al termine di un lungo e strano sogno. Le ultime ore erano state incredibili, piene di emozioni per il suo primo caso serio, ma l'ultima mezz'ora aveva i tratti indefiniti e sfocati di un ricordo onirico. Si sedette tremante sulla sedia e analizzò a mente abbastanza lucida ciò che era accaduto.

Aveva parlato con Moore del suo caso, poi era tornato nel suo ufficio per continuare le indagini, ma era stato interrotto da Mycroft Holmes. Bene. Fin qui tutto bene. Cosa gli aveva detto? Non era andato da lui per parlare di Sherlock ma aveva cercato di riparare a un errore coinvolgendolo in un intrigo politico che in qualche modo aveva a che fare con il caso e l'atteggiamento sospetto del suo collega. Ricordò la rabbia, la frustrazione e il senso di impotenza che aveva provato … poi era arrivato Sherlock.

Sherlock.

Il suo Sherlock.

Da anni aveva atteso il suo ritorno, da anni aveva portato pazienza … e infine il suo gatto randagio era tornato a casa. Molto era cambiato in lui e molto era rimasto immutato, lo aveva visto nei suoi occhi, nel suo modo di fare, sfuggente e felino. Aveva chiesto il suo aiuto, certo di ottenerlo, con una buona dose di sfacciataggine, doveva ammetterlo. Insomma, si era presentato dopo anni di assenza, dopo tanto silenzio … e aveva preteso la sua completa e totale fiducia, senza il minimo dubbio … o forse qualche dubbio c'era stato? Quanta fatica aveva dovuto fare per arrivare a bussare alla sua porta e implorare il suo perdono? Perdono? Davvero doveva perdonarlo? Per cosa, poi? Per averlo amato e aver sofferto per questo? Si diede mentalmente dell'idiota per aver anche solo pensato quelle cose.

Anni prima lo aveva promesso a se stesso, di portare pazienza, di aspettare i suoi tempi … e finalmente era stato ripagato. Il suo amico era tornato e sembrava intenzionato a restare nella sua vita.

Lentamente, con molta cautela, radunò i fogli sparsi sul tavolo e li infilò in una cartellina che avrebbe consegnato a Moore. Qualcosa lo inquietava, ma non sapeva esattamente dire cosa fosse. Forse la situazione dalla quale era appena uscito, un intrigo politico con il quale non aveva assolutamente voglia di avere a che fare … oppure Sherlock? Oppure entrambi? Non lo sapeva, ma sentiva una sensazione di disagio, molto simile alla preoccupazione. Sherlock gli aveva detto che non avrebbe avuto nulla da temere, in effetti non aveva fatto altro che mostrargli dei documenti … ma sarebbe stato davvero così? Si accorse di essere più preoccupato per il suo posto di lavoro che per il giovane Holmes. In fin dei conti lui se l'era sempre cavata egregiamente da solo, giusto? Era così o stava semplicemente cercando di giustificarsi? Per cosa poi?

Sospirò rumorosamente guardando l'ora, si alzò e uscì dalla stanza, diretto all'ufficio di Moore. Consegnargli quelle carte sarebbe stato difficile, ma doveva farlo presto, il prima possibile, per coprire Sherlock. Se Moore avesse pensato che gliele aveva date prima di poterle far vedere a chiccessia, nessuno dei due sarebbe stato in pericolo, giusto? No, no, così non andava, aveva troppi dubbi, era evidente che qualcosa lo preoccupava. Doveva cambiare pensieri, concentrarsi sulla rabbia che provava per essere stato privato del suo caso. Sì, sarebbe stato molto più verosimile.

Quando si ritrovò di fronte alla porta dell'ufficio di Moore sentì dei rumori provenire dall'interno. L'adrenalina lo portò ad aprirla senza nemmeno bussare.

“Moore, ti ho portato i documenti relativi al caso Russell” borbottò, lanciandoli malamente sulla sua scrivania “Credo che tu sappia che ora il caso è tuo.”

Moore annuì.

“Sì, mi è stato comunicato. Potevi portarmeli domani, stavo per andare ...”

“Ho preferito liberarmene subito, non si sa mai che qualcuno li legga per sbaglio.”

Si morse un labbro. Perché aveva detto quelle cose?

“Qualcuno chi?” chiese Moore ridendo, poi tornò serio “Il signor Holmes ti ha detto qualcosa?”

“Non mi ha detto nulla, non preoccuparti” rispose Gregory con freddezza “So solo che il caso mi è stato affidato per sbaglio e che doveva essere tuo fin dall'inizio per qualche segreto ...”

Notò il pallore di Moore e scrollò le spalle.

“Non ne so nulla e non voglio saperne nulla. Domani è un altro giorno, giusto? Arriveranno altri casi buoni per me. Di questo non voglio avere niente a che fare.”

Uscì a passo di marcia dalla stanza, lasciando il collega senza parole. Da una parte era vero, non voleva essere complice di chissà quali sordidi segreti, ma dall'altra … Si avvicinò alla finestra, domandandosi dove si fosse recato Sherlock e cosa stesse facendo. Le luci dei fari delle automobili si riflettevano nei suoi occhi senza che lui le vedesse davvero. Un altro sospiro, rassegnato stavolta. Era ora di tornare a casa. Tornò nel suo ufficio per raccogliere le sue poche cose e, sempre con Sherlock in mente, tornò a casa.

 

 

 

 

I campioni che aveva raccolto dalla scena del delitto erano due tipi differenti di terra, provenienti da due diverse aree di Londra. Si recò immediatamente dove pensava che avrebbe trovato il primo e infatti, come aveva immaginato, sulla riva del Tamigi trovò un terriccio scuro, morbido, come quello che aveva macchiato il busto, le braccia, le gambe e il viso di Russell.

La ferita d'arma da fuoco sulla tempia testimoniava che qualcuno gli aveva sparato dall'alto verso il basso a una distanza ravvicinata e le macchie di terra trovate sul corpo e in particolare sui pantaloni confermavano che era stato fatto inginocchiare in riva al Tamigi prima di essere ucciso.

L'omicidio di Russell non aveva niente a che fare con il furto, di questo ormai era certo. C'era stata un'esecuzione, le cui motivazioni in quel momento gli sfuggivano. La sparizione di un uomo però doveva essere giustificata in qualche modo, per questo i veri colpevoli avevano gettato polvere sugli occhi della polizia.

Il furto probabilmente era vero ed era servito come specchietto per le allodole, per convincere che dietro la morte di quell'uomo non ci fosse altro che un imprevisto. Il suo cadavere, così come quel cucchiaino d'argento, erano stati messi lì da chi voleva che qualcuno, più precisamente l'ispettore di Scotland Yard, li trovasse.

La falla in quel piano era però un giovane ispettore, Gregory Lestrade, che si era visto affidare un caso più grande di lui e che, nella sua ingenuità, aveva raccontato a un estraneo alla polizia cose che avrebbe fatto meglio a tenere per sé. Sherlock non aveva intenzioni cattive, era ovvio, non voleva mettere nei guai il suo vecchio amico, ma doveva arrivare alla verità, con qualsiasi mezzo, a qualsiasi costo.

Ora che aveva definitivamente chiarito ciò che c'era dietro la morte di Russell mancava solo una cosa da capire: perché era stato ucciso? Se Mycroft in persona era stato disturbato per quel caso significava che c'entravano i servizi segreti, ma ormai questo fatto era assodato, ma che ruolo aveva Cal in tutta quella recita? Aveva fatto qualcosa di sbagliato per meritare di morire? Di certo aveva a che fare con le sue sparizioni negli ultimi mesi. Non c'entravano amanti o furti in giro per le case ma qualcosa di molto più compromettente. Ormai non aveva più dubbi, Cal era una spia e ciò che aveva fatto fino a poco prima della sua morte era direttamente collegato con lo spionaggio. Il problema era capire in cosa era implicato. Se poteva affermare senza ombra di dubbi dove era stato assassinato, come poteva ricostruire senza prove ciò che era accaduto in precedenza? Poteva solo contare su ciò che avrebbe trovato a casa sua, senza allarmare la sua fidanzata.

Tornò sulla strada e, chiamato un taxi, gli diede l'indirizzo della sfortunata ragazza. Doveva dirle perché il suo fidanzato era stato ucciso o ci aveva già pensato qualcuno della polizia?

 

Le luci dell'appartamento in cui aveva vissuto Cal erano accese e la sua fidanzata, di cui non ricordava nemmeno il nome, lo accolse quasi sollevata, felice di vedere un viso amico, o almeno il viso di qualcuno che lei considerava amico.

Ormai so già tutto, signor Holmes” mormorò lei, davanti a una tazza di tè caldo che aveva preparato anche per lui “Un agente di Scotland Yard è venuto a casa mia e mi ha spiegato che Cal era implicato in una serie di furti e che è stato ucciso dai suoi complici dopo un colpo andato male.”

La ragazza singhiozzò, ma Sherlock ignorò quel momento di emotività.

Questo spiega le sue continue assenze, perché mi mentiva … Non so se esserne sollevata o … oddio, il mio Cal un ladro … non … non ci posso credere … non è vero … non è ...”

Sherlock posò la tazza sul tavolino e il rumore fece destare Deanna dal torpore in cui era caduta. Si asciugò frettolosamente gli occhi per darsi un po' di contegno.

Le chiedo scusa, ma non posso davvero crederci.” mormorò, abbassando lo sguardo per la vergogna.

Non si preoccupi … lei …” esitò, indeciso sul da farsi. Era giusto rivelarle la verità, soprattutto ora che non aveva abbastanza prove per avvalorarla? No, decisamente no. Non voleva esporsi, dire troppe cose prima che tutto fosse finito, ma anche allora non era certo che fosse saggio metterla a parte di segreti sicuramente più grandi di lei.

Sì?” la voce della donna risuonò come una preghiera, la vana speranza di poter cambiare la realtà anche quando ogni possibilità sembrava svanita. Sherlock sospirò. Non era portato per quelle cose, non voleva avere a che fare con i sentimenti, nemmeno quelli altrui, eppure non aveva scelta: doveva consolarla.

Il suo fidanzato le ha mentito, solo per questo non merita il suo perdono. Di certo non meritava di morire, ma questo è un altro discorso ...”

La donna lo osservò dubbiosa e anche lui non era certo di ciò che stava dicendo né di come affrontare la situazione in generale. Aveva bisogno di più dati per poter portare avanti le indagini, ma ormai la ragazza era convinta che il caso fosse chiuso, come poteva chiederle di ispezionare la stanza del fidanzato senza destare sospetti? Inoltre, chi poteva assicurargli che lì avrebbe trovato qualcosa di utile per la sua indagine? Se davvero era una spia, difficilmente avrebbe tenuto in casa documenti compromettenti.

Ascolti ...” iniziò, illuminato improvvisamente da un'idea “Ho bisogno di avere i numeri degli amici del suo fidanzato, quelli con cui usciva.”

P-perché?” domandò lei.

Vorrei semplicemente andare a fondo della questione. Non mi fido degli ispettori di Scotland Yard, a mio parere fanno un lavoro mediocre, probabilmente archivieranno il caso senza nemmeno scoprire il nome dell'assassino.” concluse, sperando di aver suscitato la sua indignazione o, almeno, la sua curiosità.

Cosa? Non è possibile! Non ci credo! Devo sapere … devo … sapere chi lo ha ucciso!” gridò, per poi scoppiare a piangere.

Posso aiutarla, se vuole” cercò di consolarla Sherlock “Ma avrò bisogno del suo aiuto.”
Deanna rialzò lo sguardo, i suoi occhi erano rossi e osservavano Sherlock dubbiosi.

V-va bene … ma … ma io ...”

Non si deve preoccupare del denaro” la tranquillizzò Sherlock “Non voglio che mi paghi per questo. Se avessi dovuto trovare il suo fidanzato vivo sarebbe stato diverso, in questo caso di stratta di giustizia.”

Deanna annuì e, nonostante gli occhi gonfi di pianto, sorrise.

Va bene. Mi fido di lei.”

Sherlock sorrise in risposta. Non era stato del tutto sincero, una minima parte della sua mente era davvero sincera quando rivendicava giustizia per Cal Russell, ciò che veramente lo spingeva era la pura curiosità. La pista che partiva da Cal Russell era ormai fredda, come il suo corpo all'obitorio, ma c'erano altri fili che conducevano al ragno che stava cercando e, con un po' di pazienza, avrebbero rivelato la verità.

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Capitolo 19
*** Irregolari di Montague Street ***


Irregolari di Montague Street
 

 

“Uno di quei furtantelli riesce a fare di più di una dozzina di agenti regolari” dichiarò Holmes “La sola vista di un funzionario fa tacere tutti, ma quei ragazzi vanno dovunque e sentogno ogni cosa. Hanno sveltezza e acume; occorre soltanto organizzarli.”

Sherlock Holmes, Uno studio in rosso



 

Deanna non era stata molto utile, non era certa di quali amici potessero avere a che fare con l'attività illecita del fidanzato, ma gli aveva lasciato la sua agenda, sperando che potesse servirgli e in effetti si era dimostrata una miniera di informazioni. Leggendo tra gli indirizzi, ne notò tre segnati da poco, appuntati nella stessa pagina: Adrien Leroy, Gustave Roux e Hector Bonnet, con relativi indirizzi, che avrebbe controllato entro quella notte. Si trattava di una corsa contro il tempo, doveva trovare gli indizi prima che i servizi segreti li distruggessero, sempre che non fosse già accaduto.

Era appena uscito dall'appartamento di Deanna e stava camminando lungo il marciapiede, riflettendo sulla prossima mossa, quando vide un'auto nera rallentare per avvicinarsi a lui. Poteva trattarsi di una coincidenza, ma di certo il lusso di quell'auto non corrispondeva con il tenore di vita degli abitanti di quella via. Erano lì per lui.

Accelerò il passo e l'auto, che stava per fermarsi, proseguì, aumentando l'andatura per fermarsi proprio di fronte a lui. Non fecero in tempo a fermarlo, appena aveva sentito il suono acuto dei freni si era voltato ed era corso via nella direzione opposta. Poco dopo l'ingresso dell'abitazione di Russell c'era un vicolo molto stretto, così lo imboccò correndo. I suoi inseguitori avevano rinunciato a un pedinamento a piedi e lo stridore delle ruote sull'asfalto gli fece capire che erano ripartiti per poterlo prendere una volta uscito dall'altra parte. Tornare indietro sarebbe stato da folli, ma proprio perché era l'ultima cosa che si sarebbero aspettati, era la più giusta da fare. Si fermò e senza esitare tornò sui suoi passi. Prima di uscire nuovamente sulla strada si fermò all'angolo dell'edificio. Uno degli agenti era sceso e aspettava il suo ritorno. Bravi, in fin dei conti non erano così stupidi. Si alzò il bavero del cappotto sopra gli zigomi e, con calma, si allontanò nella direzione opposta. L'uomo non aveva dato segno di averlo visto, ma per cautela, una volta raggiunte le scale della metropolitana, scese rapidamente e prese il primo treno che si fermò al binario.

 

La stazione di Euston era ancora abbastanza animata nonostante l'ora. Lì vicino c'era North Gower Street, la via dove abitava Adrien Leroy, così vi si diresse tagliando per Euston Street. Una volta arrivato all'incrocio però si bloccò. Nascosta nell'ombra, tra le case a schiera di mattoni rossi dove doveva vivere Leroy e un edificio ricoperto di pannelli a specchio, c'era un'auto nera. Arretrò di qualche passo. Se i servizi segreti erano lì a sorvegliare la casa probabilmente li avrebbe trovati anche da Roux e Bonnet.

Tornò sui suoi passi, non sarebbe stato saggio farsi vedere, soprattutto perché gli uomini di Mycroft avevano già dato segno di volerlo intimidire. Non c'erano riusciti, quell'agguato non lo avrebbe scoraggiato di certo. Molto probabilmente volevano solo parlare, dirgli di non indagare oltre … ma se non avevano ottenuto il risultato di allontanarlo mentalmente dal suo scopo, erano riusciti a mettere dei paletti attorno al suo obiettivo, ponendolo al di fuori della sua portata. Gli unici testimoni di cui era a conoscenza erano sorvegliati, non poteva esaminare i documenti di quello morto e non aveva altre idee sulle quali lavorare.

Se tutte le vie ufficiali erano sbarrate, non gli restava che l'ingresso secondario. Se dietro quell'omicidio c'erano i servizi segreti e un segreto ben custodito, sicuramente anche qualcun altro, molto interessato, avrebbe potuto esserne a conoscenza. Non frequentava la zona più malfamata di Londra da quando vi si recava per drogarsi, tanti anni prima, ma alcune informazioni preziose erano rimaste nella sua memoria. Conosceva quasi tutti gli spacciatori, da quelli che vendevano robaccia a poco prezzo a quelli che invece non commerciavano se non prodotti di prima qualità. Molti di loro non vivevano solo di cocaina o ecstasy, il loro “negozio” poteva offrire merce rubata, denaro falso e … informazioni. Da uno di questi tizi Sherlock era riuscito a raccogliere informazioni sufficienti per rintracciare il marito di una sua cliente che era misteriosamente scomparso, fuggito con la sua amante sudamericana. Non era entusiasta di consultare proprio lui per quel problema, ma non aveva altra scelta.

 

Porky Shinwell non era certo uno stinco di santo, aveva nel suo curriculum una lunga lista di furti, truffe, denunce per aggressione ed era stato perfino accusato di omicidio, uscendone quasi del tutto pulito. Sherlok non lo vedeva da anni, ma era sicuro che, se aveva bisogno di informazioni, poteva chiedere a lui. Abitava in un piccolo appartamento in Whitechapel high street, non lontano dalla stazione di Aldgate. Ovviamente non lo si poteva trovare a casa, nemmeno Sherlock era certo di qualche fosse l'edificio giusto, ma sapeva che lo avrebbe potuto trovare al bar Costa.

Il rumore del traffico serale venne attutito quando si chiuse la porta alle spalle ma fu prontamente sostituito dal vocio presente nella sala. Lingue di tutta Europa si mescolavano, rendendo quasi impossibile concentrarsi su una singola conversazione. Lui però non era lì per guardarsi attorno, cercava Porky e lo trovò immediatamente, seduto al suo solito tavolino, lo stesso in cui lo aveva visto la prima volta che si erano incontrati.

Ciao Porky, vedo che gli affari vanno bene.”

Il faccione roseo e pasciuto dell'uomo testimoniava che non stava passando un brutto periodo e anche gli abiti, non firmati ma di buon gusto, gli fecero capire che doveva essere piuttosto soddisfatto di come andavano le cose.

Sì … certo … non mi posso lamentare ...” prese la tazza di tè fumante e bevve un sorso “Siediti, Sherlock, sei qui per affari?”

Lo sguardo famelico di Porky si illuminò, ma quando Sherlock scosse la testa sedendosi si spense rapidamente.

No, ho bisogno di informazioni.” rispose lui, avvicinandosi per non farsi sentire ma cercando di non destare sospetti nei presenti, che in ogni caso si stavano facendo gli affari loro. Porky si sfregò le mani, entusiasta.

Le informazioni costano, giovane Holmes, spesso più della cocaina ...”

Ne sono consapevole, Porky” sbottò Sherlock “Saprò ripagarti. Non adesso, almeno, ma sarò in debito con te.”

Gli pesava dover firmare una cambiale morale, ma il tempo stringeva e non aveva altra scelta che affidarsi alle sue viscide mani. Sembrò funzionare. Porky sorrise e annuì compiaciuto.

Molto bene. Quando mi avrai fatto la tua richiesta ti comunicherò, insieme a ciò che vuoi sapere, il prezzo da pagare. Ti sembra equo? Non tutte le informazioni sono uguali e certe pesano più di altre ...”

Non prometteva bene, ma non poteva che accettare.

Ottimo. È sempre un piacere fare affari con te. Ora veniamo al sodo.”

Forse dovremmo appartarci ...” Sherlock si guardò attorno, nessuno badava a loro, ma non era tranquillo.

Parla piano, come se mi stessi raccontando com'è andata la tua giornata” suggerì Porky “Se vuoi nascondere qualcosa, mettilo in evidenza.”

Sherlock annuì, quel ragionamento non era privo di logica.

Ho bisogno di informazioni sulle spie straniere … francesi.” aggiunse alla fine, notando lo sguardo di Porky, che evidentemente riteneva quella domanda troppo generica.

Spie francesi, eh?” chiese, riflettendo “Come mai questa passione per la Francia?”

Credo che tu abbia sentito del cadavere ritrovato nella stazione di Elephant and Castle”

Sì, e allora? Era un ladro, l'ho sentito al telegiornale.”

Non era solo un ladro, Porky. Il suo nome era Cal Russell e sono certo che fosse invischiato con i servizi segreti.”

Porky fischiò, impressionato.

La cosa si fa interessante … Probabilmente riuscirai a ripagarmi molto prima di quanto immagini, Holmes.”

Nemmeno questo piacque a Sherlock, ma proseguì.

Credo che abbiano costruito delle prove false per convalidare l'ipotesi del furto e nascondere la vera ragione della sua morte. Non ho prove per affermare che si trattassero di spie francesi, ma dai nomi dei suoi complici posso dedurre che fosse così.”

Porky alzò entrambe le sopracciglia, un chiaro invito a proseguire.

Leroy, Roux e Bonnet. Dovrebbero essere francesi, ma potrebbero anche essere belgi per quel che ne so.”

Sono francesi” affermò Porky “Ne ho già sentito parlare.”

Ottimo! Sai qualcosa?”

Porki si strinse nelle spalle, sorseggiando il suo tè.

Voci, solo voci, niente di concreto.”

Una voce è sempre meglio del nulla in cui sono caduto” mormorò Sherlock, lievemente abbattuto “Almeno avrei una pista da cui cominciare, no?

Più che giusto. Dunque …” posò la tazza e si rilassò sulla sedia, restando però concentrato “Mi pare che avessero a che fare con la base militare di Baskerville, ma non ne sono del tutto certo. ”

Una base militare. Be', è un inizio.”

Molto più di un inizio” mormorò Porky “Un ragazzo che lavora alla dogana ha visto parecchi scatoloni di merci destinati a quella base e pare che contenessero prodotti chimici molto pericolosi e delicati.”

Non mi sembra interessante ...” commentò scettico Sherlock.

Devi ancora sentire il meglio!” esclamò Porky “So per certo che qualcuno, di cui non so il nome ma ora posso immaginare, è andato in giro a chiedere in modo molto discreto, dei contatti con … rullo di tamburi … spie francesi!”

Sherlock trattenne il fiato.

Probabilmente questo Russell era venuto a conoscenza di qualche segreto riguardo a un'arma sperimentale e voleva venderlo al miglior offerente” spiegò Porky “Per questo lo hanno fatto fuori. Non posso dirti come sia riuscito a scoprirlo, ma di certo sapeva qualcosa di pericoloso che non doveva trapelare. Credo che abbia dovuto agire con molta cautela, per non farsi scoprire.”

Sherlock annuì. Il ragionamento di Porky aveva senso. Le assenze di Cal, le bugie, servivano a nascondere questo? Doveva averci messo parecchio a trovare i contatti giusti e quando finalmente li aveva trovati si era fatto scoprire. Stava continuando a ragionare, unendo i punti di quell'enigma che lentamente stava diventando sempre meno sfocato … quando Porky ruppe l'incantesimo.

Ora però veniamo al tuo pagamento.” disse, sogghignando “Sarà molto più leggero di quanto immagini.”

Sherlock trattenne il fiato, immaginandosi ciò che gli stava per essere chiesto.

Voglio che tu mi dica cosa c'è dietro. Voglio le informazioni che stava cercando di vendere Russell.”

Sherlock sgranò gli occhi, non del tutto sorpreso da quella richiesta, ma ugualmente turbato.

Non credo di potertelo promettere” mormorò “Dovrei recarmi a Baskerville e rischierei al cento per cento di farmi scoprire … a meno che ...”

Si morse un labbro. Se Russell era riuscito a passare le informazioni a una delle spie probabilmente era per questo che i servizi segreti li tenevano d'occhio. Scosse la testa. Anche cercare di entrare in una di quelle case sarebbe stato avventato, ma tra le due ipotesi, era quella più fattibile.

Va bene.” disse infine “Ci proverò. Cercherò di sorvegliare i tre francesi e vedrò se riuscirò a cavarne qualcosa.”

Ottimo!” esclamò Porky, sfregandosi le mani, lo sguardo di un bimbo a cui è stata promessa una fetta enorme di dolce “In caso contrario troveremo ugualmente il modo di saldare il tuo debito, non preoccuparti ...”

Nemmeno in quel caso Sherlock si sentì a suo agio, ma annuì.

Tra l'altro ...” mormorò Porky, pensieroso “C'è una cosa che mi sfugge … ma in questo momento non mi viene in mente ...”

Quando ti ricorderai, fammelo sapere” gli disse Sherlock con un sospiro “Mi trovi a questo indirizzo” gli passò un biglietto da visita e si alzò per uscire.

 

Ormai era troppo tardi per cominciare una seria indagine su quei tre, tanto valeva tornare a casa e pianificare la sorveglianza, ma quando uscì dal locale e in lontananza vide una sua vecchia conoscenza, gli venne in mente un'idea che avrebbe fatto al caso suo. Era un azzardo, non poteva essere certo che lui acconsentisse di aiutarlo, ma valeva la pena provare.

Attraversò rapidamente la strada e lo raggiunse prima che potesse sparire in una stradina laterale.

Wiggins! Hey, Wiggins!”

Il ragazzo, sentitosi chiamare, si voltò di scatto, impaurito.
“Cosa … oh … Shezza ...” mormorò, riconoscendolo e chiamandolo con il nomignolo con il quale si era fatto riconoscere durante tutti quegli anni.

Non si erano frequentati molto, ma parecchi anni prima avevano condiviso lo stesso spacciatore. Wiggins non aveva un bell'aspetto, ma di certo era migliore rispetto a quando si faceva, cosa che aveva smesso di fare, a giudicare dai suoi occhi limpidi, ma era altrettanto evidente che la vita non era ugualmente facile per lui. I suoi abiti erano puliti, ma numerose toppe testimoniavano il fatto che era passato parecchio tempo da quando era stato in grado di comprarsene di nuovi.

S-se vuoi della roba, non posso aiutarti” disse, guardandosi nervosamente attorno.

Niente di tutto ciò.” lo fermò Sherlock “Piuttosto, ti piacerebbe guadagnare cinquanta sterline?”

Gli occhi di Wiggins si illuminarono.

È … uno scherzo?” chiese, guardandolo dubbioso.

No. Te l'assicuro … e non ha nemmeno a che fare con la droga. Ho bisogno che tu tenga sotto controllo una persona per me.”

Wiggins alzò entrambe le sopracciglia per la sorpresa.

Cosa?”

Sono un detective ora” spiegò Sherlock “Ma le persone che devo tenere d'occhio sono a loro volta sorvegliate da gente che non vuole che se ne vadano a spasso e contemporaneamente non vuole che altri – come me per esempio – indaghino su di loro. Inoltre sono tre e non posso osservarle tutte insieme. È chiaro?”

Chiaro …” mormorò lui, grattandosi la testa e cercando di riordinare le idee “Quindi io … cosa dovrei fare?”

Sherlock prese il suo taccuino, scribacchiò tre indirizzi con i rispettivi nomi e strappò la pagina che gli porse.

Tu sorveglierai questi due indirizzi, Roux e Bonnet. Chiaro? Chiedi anche a Tommy di aiutarti, anche a lui andranno cinquanta sterline. Dovrete appostarvi nelle vicinanze della loro casa, senza farvi notare, e avvertirmi quando vedete dei movimenti sospetti, sia da parte loro che di chi li sorveglia. Chiaro?”

Wiggins annuì.

Chiaro, signore.” disse, per prenderlo in giro.

La sera alle otto verrai da me per consegnarmi i rapporti di entrambi in North Gower Street, mi troverai sul tetto della casa di fronte a questo indirizzo” spiegò, indicando il nome di Leroy “Chiaro?”

Sospirò piano. Avrebbe preferito comunicare più rapidamente e senza far allontanare Wiggins dalla sua postazione, ma non aveva ancora i mezzi per poterlo fare. Non gli piaceva nemmeno coinvolgere lui e Tommy, ma loro avrebbero agito senza sapere di cosa si stavano occupando.

 

Il giorno seguente sarebbe stato eccitante e quasi divertente. Se non avesse saputo la posta in gioco lo avrebbe considerato un divertimento fine a se stesso, ma non era così. Leroy non dava segno di voler uscire di casa e anche i suoi sorveglianti erano ben decisi a non lasciargli il minimo spiraglio per poter fuggire o mettersi in contatto con i suoi complici. Si chiese quanto avrebbe dovuto aspettare per uno sviluppo interessante della faccenda, ma capì che, in un caso come quello, doveva semplicemente portare pazienza. Era riuscito a trovare un nascondiglio perfetto, dal tetto della casa di fronte nessuno poteva vederlo e lui poteva spiare indisturbato, dovendo sopportare di tanto in tanto solo qualche folata di aria fredda, ma si era ben coperto e tutta la sua attenzione era rivolta a quell'assedio.

Erano trascorse un paio d'ore da quando si era appostato, che venne raggiunto da Wiggins. Si voltò verso di lui e lo guardo severamente.

Deve essere successo qualcosa di molto grave per averti fatto lasciare la tua postazione così presto!” borbottò seccato.

Sì e no, Shezza” rispose lui, in evidente disagio “Il fatto è che … be', ho trovato un piccolo problema. Sono andato da Tommy per vedere se anche lui era nella mia situazione, ma ...”

Wiggins si sporse leggermente e, notata l'auto nera parcheggiata in posizione strategica, tornò a nascondersi per parlare con Sherlock.

Ho trovato questa situazione da Bonnett, dove c'è Tommy,” spiegò “invece da me … non c'era nessuno.” mormorò infine, quasi pensando che fosse colpa sua.

Come sarebbe a dire nessuno?” domandò Sherlock, visibilmente sorpreso “Deve esserci qualcuno! Sono tutti e tre sp-” si interruppe “Devono essere sorvegliati tutti e tre” continuò non è possibile che non ci sia nessuno!”

A dire il vero qualcuno è arrivato, ad un certo punto” continuò lui “È arrivata un'auto nera, sono scesi degli uomini, sono entrati nel palazzo dove abita Roux e sono usciti dopo una decina di minuti, un quarto d'ora al massimo … e poi sono andati via.”

Qualcosa non torna ...” mormorò Sherlock.

Restò assorto per qualche istante, poi scosse la testa e si rivolse a Wiggins.

Avete fatto un ottimo lavoro” disse piano, poi tirò fuori due banconote da cinquanta sterline “Questo è per il disturbo. Porta la sua parte a Tommy e salutamelo da parte mia.”

Wiggins sorrise.

Figurati, è stato anche divertente!” esclamò “Ora che sei un detective, noi potremmo essere i tuoi assistenti!”

Sherlock alzò un sopracciglio, interdetto, ma Wiggins continuò.

Gli ispettori di Scotland Yard hanno gli agenti al loro comando, anche tu dovresti avere una rete di agenti che ti aiutino quando, come in questo caso, ne hai bisogno. Una sorta di polizia irregolare!”

Era evidente che Wiggins era eccitato dall'idea di continuare a collaborare con Sherlock in quel modo, non solo per guadagnare qualche soldo ma anche per l'idea della caccia, più eccitante di qualsiasi droga.

Inoltre conosco molti senzatetto e ragazzi disoccupati come me che potrebbero essere i tuoi occhi e le tue orecchie in giro per la città!”

Sherlock sorrise. Non era una brutta idea, affatto. Avere a sua disposizione una rete di senzatetto sparsa per tutta Londra gli avrebbe permesso di eguagliare e addirittura superare la polizia e tutte le telecamere di sorveglianza sparse per le strade.

Va bene, Wiggins. Ci sto. Tu sarai il capo, tutti gli altri faranno riferimento a te. Chiaro? Per ora non ho più bisogno di voi, ma in futuro ...”

Saprà dove trovarmi, capo!” sussurrò lui con aria complice, stavolta totalmente sincero in quella dimostrazione di rispetto.

Sherlock lo osservò andare via e poco dopo, a sua volta, lasciò il nascondiglio.

 

Avrebbe voluto andare subito da Roux, ma passò da casa, nell'eventualità che Porky gli avesse lasciato un messaggio. Aveva appena girato l'angolo, quando lo vide, seduto su un muretto. Non appena Porky lo vide gli si avvicinò lentamente, come se stesse passeggiando normalmente.

Oh, Sherlock! Che piacere!” esclamò, come se non lo vedesse da mesi “Non ci vediamo da una vita! Abiti qui? Chi l'avrebbe mai detto! Stavo aspettando un mio amico per andare al British Museum, sai, lui è di fuori e non lo ha mai visto … ma mi sa che ormai dovrò aspettare …”

Lo guardò negli occhi, sperando che capisse e Sherlock rapidamente dedusse cosa voleva.

Oh … Porky! Sì … da un po' abito qui … Vuoi … vuoi entrare? Ti offro qualcosa di caldo.”

L'uomo non se lo fece ripetere due volte. Gli sorrise e lo seguì dentro l'edificio. Una volta raggiunto l'appartamento, Porky si chiuse la porta alle spalle.

Non mi fido delle telecamere” spiegò, per giustificare il suo comportamento in strada “Ora mi offrirai un tè o quello che vuoi, dovrò stare qui almeno una decina di minuti per sostenere la nostra messinscena “In realtà ho poche cose da dirti.”

Sherlock aveva nel frattempo riempito il bollitore.
“Quello a cui accennavi ieri e che non ricordavi?” domandò lui, in realtà impaziente di andare da Roux.

Esatto!” esclamò lui, eccitato “Mi hai citato tre spie, giusto? Leroy, Bonnet e Roux.”

Sherlock annuì.

Bene. Ecco la notizia bomba. Non è possibile che Roux sia coinvolto!”

Il moro alzò un sopracciglio. Cos'era quella storia? Prima non veniva sorvegliato, degli agenti entravano in casa sua e … All'improvviso capì. Porky sembrò percepire la luce nei suoi occhi come il sintomo che aveva intuito ciò che stava per dirgli.

Gustave Roux e sì una spia francese ...” si interruppe per accrescere la suspance, riuscendoci alla perfezione “... ma è morto sei mesi fa.”

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Capitolo 20
*** Verità o conseguenze ***


Verità o conseguenze

 

 

Verità o conseguenze?

Bonnie, L'inversione degli Zygon, Doctor Who

 


 

L'espressione di Porky era indecifrabile, un osservatore non avrebbe potuto sapere se fosse felice o semplicemente incuriosito da quella novità.

Gustave Roux era morto da sei mesi. Sherlock si fermò un istante per ragionare. Porky non avrebbe avuto nessun motivo per mentirgli, quindi per forza doveva essere vero … e se era vero … Ripensò a ciò che era successo quella mattina, al fatto che nessuno sorvegliasse la sua casa e al suo incontro con quell'uomo misterioso. Se era vero, significava che quello che si spacciava per lui stava facendo il doppio gioco e probabilmente anzi, sicuramente, era l'assassino di Russell.

Represse un sorriso, doveva andare a cercare indizi nella sua casa e, con un po' di fortuna, le informazioni per ripagare Porky. Non era sorvegliato e questo era un vantaggio, ma lui non usciva praticamente mai e questo avrebbe potuto essere un problema. Osservò Porky, valutando le varie opzioni. Se davvero doveva introdursi in quell'appartamento non avrebbe potuto farlo da solo. Chiederlo a lui sarebbe stato conveniente? Avrebbe alzato il prezzo della sua consulenza? Aprì la bocca per chiedergli cosa avrebbe comportato una sua eventuale collaborazione, quando gli venne in mente Wiggins. Guardò l'ora, era ancora troppo presto perché Porky potesse uscire e la lancetta sembrava andare al rallentatore.

Qualcosa non va, Sherlock?” chiese lui, notando la sua agitazione.
“No … no, certo che no.” mentì, ma non voleva certo condividere con lui i progetti per le sue prossime mosse.

Ne sei sicuro?” insistette lui.

Sì, adesso però basta.”

Porky annuì, ma continuò ad osservarlo mentre Sherlock continuava a guardare l'orologio.

Il tempo sembrava non voler passare.

 

 

 

 

Qualche ora prima

Era stata una giornata strana e quella notte non era riuscito a prendere sonno. Troppi pensieri lo avevano disturbato, lasciandogli tregua solo verso le cinque del mattino. Alle sette, quando suonò la sveglia, era fin troppo evidente che non aveva dormito a sufficienza. Quando Haley scese in cucina per la colazione, lo vide sveglio, in piedi di fronte al tavolo, il volto segnato da profonde occhiaie e l'espressione di chi vorrebbe capirci qualcosa ma non ci riesce.

“Hey amore ...” sussurrò lei, avvicinandosi per baciarlo sulle labbra “Non hai dormito? È per il caso?”

In quel momento Gregory sembrò svegliarsi. Sbatté gli occhi un paio di volte e si rivolse alla moglie.

“No … non … sì.” ammise infine “Anche se non come credi. Purtroppo ...”

Si fermò. Non le aveva ancora parlato degli ultimi sviluppi. Era il caso di dirglielo? Se lo avesse fatto avrebbe dovuto raccontarle anche del perché glielo avevano tolto. Sospirò. Forse poteva dirle almeno una parte della verità.

“Va tutto bene con il caso. Ho dovuto passarlo ad un altro collega però ...”

Haley alzò entrambe le sopracciglia.

“Perché lo hai fatto?” domandò “Era il tuo primo caso di omicidio! La tua prima occasione di ...”

“Ce ne saranno altre.” tagliò corto lui “Questo era troppo … Be', non posso dirti altro. Per favore, non chiedermelo.”

Haley annuì.

“Capisco. Non devi preoccuparti, posso immaginare che, nel tuo lavoro, ci possano essere tante cose che non puoi condividere nemmeno con me ...” gli accarezzò la guancia per rassicurarlo.

“Grazie ...” rispose lui, sospirando per il sollievo.

“La cosa che ti preoccupa però non ha a che fare con il caso … o sì?”

Gregory esitò. Era il caso di avvertirla? In fin dei conti lei e Sherlock erano stati in classe insieme …

“Ieri ho incontrato Sherlock” disse infine “Temo che voglia andare in cerca di informazioni pericolose sul caso, cose che non dovrebbe sapere.”

Haley alzò entrambe le sopracciglia per la sorpresa.

“Sherlock?!” chiese “Davvero? Come stava? Non lo vedo da anni! So che è stato molto male ...”

Gregory non le aveva detto nulla sulla natura della “malattia” di Sherlock e di certo non lo avrebbe fatto.

“Stava piuttosto bene. È un detective privato a quanto pare.” rispose, anche se la descrizione “detective privato” non gli sembrava calzante.

“Grande!” esclamò lei, per poi scoppiare a ridere “Ci sta, ci sta tantissimo! Ho sempre pensato che avrebbe potuto farlo! È sempre stato un ottimo osservatore!”

“Già … già …” mormorò Greg “Spero solo che non faccia qualcosa di irresponsabile. È sempre stato bravo anche a mettersi nei guai ...”

Era quello che lo preoccupava. Sherlock gli aveva detto di stare tranquillo, ma non riusciva a farlo. C'era qualcosa che lo inquietava, il presagio di qualcosa di terribile. Non per se stesso, ma per lui. Si stava infilando in un caso più grande di lui, senza tener conto delle conseguenze. Mycroft era coinvolto, avrebbe perdonato il fratello o lo avrebbe punito?

 

 

 

 

Finalmente Porky se n'era andato e lui aveva via libera. Doveva subito andare da Wiggins per spiegargli il piano per introdursi nella casa di Roux o, meglio, di chi si fingeva lui … o no? Sapeva di aver bisogno di aiuto, ma non era molto certo sul da farsi. Coinvolgere Wiggins gli era sembrata una buona idea ma, una volta rimasto solo, aveva cominciato a riflettere su ogni possibilità. Se lo avesse coinvolto lo avrebbe compromesso e non poteva permetterselo, quel ragazzo era sveglio, intelligente e soprattutto passava inosservato tra la gente. Come aveva detto lui stesso, avrebbe potuto essere il capo di una possibile squadra di poliziotti irregolari ai suoi ordini, metterlo nei guai con Mycroft non avrebbe di certo giovato. No, doveva arrangiarsi, almeno per quella volta.

Come agire però? Era certo di avere a che fare con un professionista, tentare di intrufolarsi in casa sua non sarebbe stato facile.

Prese una mappa di Londra e passò l'intero pomeriggio cercando di studiare un piano per introdursi nell'appartamento, tanto concentrato da non accorgersi che, nel frattempo, era calata la sera. Aveva scartato una decina di opzioni e stava valutando l'undicesima, quando qualcuno bussò violentemente alla porta. Non aspettava visite, probabilmente avrebbe dovuto cacciare un cliente, dal momento che non poteva concentrarsi su altro che non fosse quel caso, ma non appena aprì la porta, restò a bocca aperta. Di fronte a lui c'era Wiggins.
“Come … come mi ...” iniziò a chiedere, poi capì che doveva aver svolto una piccola indagine per scoprire dove abitava “Lascia perdere ed entra” disse senza troppi complimenti.

Il ragazzo scosse la testa.

Non c'è tempo.” mormorò “Mi sono preso la libertà di sorvegliare la casa di Roux e proprio un quarto d'ora fa è uscito e sembrava avere intenzione di non tornare troppo presto. Il tempo di venire qui. Credo che l'ingresso sul retro sia il più sicuro.” concluse, confermando una delle tante ipotesi che aveva vagliato Sherlock.

Ottimo! Ottimo! Hai fatto un ottimo lavoro!” ripeté, prese in mano il portafogli, ma si rese conto che era vuoto “Mi dispiace, adesso non ...”

Non importa. Mi hai già dato cinquanta sterline e per un giorno intero di lavoro direi che bastano. Alla prossima!”

Sherlock sospirò e rimise a posto il portafogli. Doveva sbrigarsi. Si vestì rapidamente di nero e uscì. Ormai la sera era calata e, così vestito, si sarebbe perfettamente confuso con le ombre della città.

Era arrivato a destinazione poco dopo, il più rapidamente possibile. La casa era silenziosa e sembrava disabitata. Come aveva detto Wiggins, Roux se n'era andato … ma perché? Era uscito per qualche motivo specifico per poi tornare o semplicemente se n'era andato senza lasciare traccia del suo passaggio? Non poteva saperlo, doveva entrare per scoprirlo.

Sgattaiolò nel vicolo che dava sul retro e si arrampicò sulla scala antincendio. Aveva immaginato di trovare chissà quali serrature o lucchetti, invece era una normalissima porta, chiusa da una normalissima chiave. Indossò i guanti neri e si mise all'opera. Fu più complicato estrarre il giusto grimaldello da tutti quelli che si era portato rispetto ad usarlo e infatti, come previsto, nel giro di un paio di minuti era dentro.

La stanza era deserta, non sentiva nessun tipo di rumore.

Estrasse la piccola torcia elettrica e iniziò a perlustrare l'appartamento. Le stanze erano arredate con semplicità, non denotavano alcun gusto personale e anche la polvere presente sui mobili meno usati gli fece capire che si trattava di un appartamento che da molto tempo era rimasto sfitto. Roux, o chi diavolo era quel tizio, doveva averlo utilizzato solo durante quegli ultimi mesi.

Si avvicinò ad uno scrittoio e aprì il cassetto. Era vuoto.

Fece lo stesso con l'anta del mobile accanto, ma il risultato con cambiò. Aprì ogni cassetto, ogni armadio, perfino il mobiletto del bagno, ma tutto era inesorabilmente vuoto. Non c'era nulla di ciò che cercava.

Si affacciò alla finestra, facendo attenzione a non farsi vedere. La strada era deserta ad eccezione di un uomo che portava a spasso un paio di bassotti. Con un sospiro decise di tornare sui suoi passi. Avrebbe cancellato ogni prova del suo passaggio, anche se a quel punto ormai probabilmente sarebbe stato inutile, dal momento che Roux non sarebbe più tornato.

Il rumore della porta che si apriva e si chiudeva lo fece raggelare. Non si era accorto del ritorno del padrone di casa e ora stava per essere scoperto! Non fece in tempo a nascondersi dietro la tenda, che sentì una voce familiare avvicinarsi.
“Non nasconderti, Sherlock. Ti troverei.”

Mycroft aveva parlato senza esitazioni, la sua voce era come sempre pacata, ma avvertì qualcosa di diverso, simile all'irritazione. Era arrabbiato?

Il maggiore dei fratelli Holmes entrò nella stanza e accese la luce, che abbagliò Sherlock per qualche secondo.

Immaginavo di trovarti qui” disse “Ho visto quel ragazzino, credo che si chiami Wiggins, sorvegliare questo appartamento per tutto il giorno. Appena se n'è andato ho capito che sarebbe venuto da te per informarti della partenza di Roux …”

“ … sì, certo … Roux. È morto mesi fa.” lo interruppe Sherlock, scocciato.

Immaginavo che fossi venuto a conoscenza di questa informazione” rispose Mycroft senza perdere la calma “Ma non cambia nulla della tua posizione.”

La mia ...” iniziò Sherlock.

Esatto. Sei nei guai, fratellino. Ti stavi per immischiare in fatti che non ti riguardano. Per stavolta penso di poter chiudere un occhio, ma non dovrai mai più intrometterti negli affari dei servizi segreti. Sono stato chiaro?”

Lo sguardo del maggiore non ammetteva repliche. Sherlock stava per ribattere ugualmente, ma Mycroft lo precedette.

Non so cosa tu sappia di preciso, ma non dovrai più continuare ad indagare … non che tu abbia molta scelta, dal momento che i documenti sensibili sono stati distrutti e le copie si trovano in un luogo che tu non potresti raggiungere.”

Lo sguardo indignato di Sherlock valse mille parole, che Mycroft interpretò in un istante.

Sei come un bambino, sapevo di non potermi fidare di te.”

Come … non capisco! Tu come facevi a sapere che ..:”

Che ti eri interessato del caso?” chiese beffardo lui “Ovvio. Ti sorveglio, fratellino. Giorno e notte.”

Evidentemente non hai altro da fare, vero?” chiese Sherlock, ridendo per trattenersi dal prenderlo a pugni.

Pensa quello che vuoi, non mi impedirà di continuare a tenerti d'occhio.”

Perché dovresti farlo? Non hai motivo di non fidarti di me!”

NE HO INVECE!” gridò Mycroft, che per un istante si era accalorato, perdendo il suo naturale aplomb “Mi hai dato prova più di una volta di non potermi fidare di te, fin da quando eravamo bambini.”

Fammi un esempio!” esclamò Sherlock, incrociando le braccia al petto e alzando gli occhi al cielo, certo di coglierlo in fallo.

Hai iniziato a drogarti, tanto per dirne una.” spiegò Mycroft, lisciando una piega sulla manica della giacca.

È stato tanto tempo fa! Anni fa! Per quanto tempo dovrai continuare a rinfacciarmelo?!”

Fino a quando non mi darai prova di potermi fidare di te. Per il momento mi limiterò a riprendere sia te che l'Ispettore Lestrade. Lascerò in pace Wiggins e l'altro ragazzo, so che sono ai tuoi ordini, ma non sanno nulla di concreto.” spiegò “La prossima volta non sarò così clemente e le conseguenze delle tue azioni potrebbero non piacerti quanto una semplice gita in un istituto di riabilitazione dalla droga, fratellino.”

Mycroft non sorrideva, era evidente che non provava piacere in ciò che stava facendo, ma Sherlock, accecato dalla rabbia, lo vide ridere e prendersi gioco di lui.

Come sai di Gr-”

Non lo sapevo, lo sospettavo, ma ora lo hai confermato.”

Non hai il diritto di ...”

Di cosa, Sherlock? Di fare il mio lavoro?”

Sei uno ...”

Non andrei avanti, se fossi in te” lo fermò ancora una volta “Per stasera limitati a tornare a casa e a dimenticare tutto ciò che sai. Promettilo.”

Se non lo facessi?!” gridò Sherlock con evidente tono di sfida.

Potrei cambiare idea sulla mia precedente affermazione. La carriera di Lestrade non subirà danni, ma tu potresti scoprire com'è fatta all'interno una prigione federale. Ho già parlato con la tua cliente e le ho spiegato che il caso è chiuso e il suo fidanzato è stato ucciso dai suoi complici dopo la rapina.”

È una bugia e tu lo sai!” esclamò Sherlock, rosso in viso “Non puoi ...”

Cosa, fratellino?” chiese Mycroft, sottovoce “Non lo ripeterò più. È il mio lavoro e non ti devi immischiare. Dillo.”

Cosa?”

Mycroft lo fissò negli occhi. Non aveva intenzione di ripetere ciò che voleva che Sherlock pronunciasse. Il minore sospirò, sconfitto.

Sei stato chiaro.”

Molto bene” rispose, annuendo “Puoi uscire dalla porta principale, fratellino. Ti scorterò a casa tua.”

Non serve.” protestò gelido.

Serve.” ribatté perentorio Mycroft “Ah, non pensare di potermi ingannare. Al primo sgarro verrò a prenderti di persona.”

Lo guardò ancora, quello sguardo intenso che lo faceva sentire sempre colpevole, inadeguato.

S-sei stato chiaro.” ripeté, esaudendo il desiderio del fratello di sentire quella frase ancora una volta.”

Molto bene. Andiamo.”

Con un ultimo sospiro, Sherlock seguì il fratello. Si sentiva come un bambino colto con le mani nella marmellata, e l'imbarazzo misto alla rabbia era insopportabile.

Avrebbe dovuto parlare con Porky, spiegargli che il suo piano era naufragato, pagarlo in qualche altro modo, ma quello era l'ultimo dei suoi pensieri.

Avrebbe dovuto convivere con quella stretta sorveglianza, imparare a prendersene gioco, a evitarla se possibile, anche se non del tutto, un gioco di abilità e strategia, dal quale, nonostante tutto, sarebbe uscito sempre perdente.

 

 

 

 

Nello stesso istante, nell'ufficio dell'Ispettore Gregory Lestrade, una donna poggiava una lettera sulla scrivania.

 

Ispettore Gregory Lestrade

 

Al suo interno c'erano un biglietto da visita e un messaggio.

 

Ho notato che, nonostante la nostra chiacchierata, Lei ha voluto fare di testa sua. Si presenti oggi alle ore 19,00 al Diogene Club. Troverà l'indirizzo nel biglietto da visita, che presenterà all'usciere. Non parli, mai. L'accompagneranno in una stanza e lì dovrà restare fino al mio arrivo.

Mycroft Holmes

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Capitolo 21
*** John Watson ***


Ciao a tutti!

Piccola premessa. In questo capitolo ci saranno dialoghi presi direttamente dalla serie e anche nei prossimi capitoli mi capiterà di citarli, ma mai più come in questo caso. Volevo descrivere l'incontro di Sherlock con John e soprattutto i suoi pensieri in questa occasione. Inoltre ho voluto approfondire alcune cose che nel telefilm non sono state trattate. Non preoccupatevi per ciò che leggerete, non ci sarà Johnlock. Assolutamente no.
Grazie per continuare a leggere questa storia!
Un abbraccio
Mini

 

 

John Watson

 

 

 

“Lei non conosce ancora Sherlock Holmes” mormorò. “Non so se le piacerebbe come compagnia duratura.”

Stamford, Uno studio in rosso

 

 

 

 

 

Il club Diogene era uno dei più bizzarri ritrovi di Londra. Di antica fondazione, annoverava tra i suoi soci i londinesi più asociali e timidi, che preferivano la discreta e silenziosa compagnia dei loro simili alla solitudine totale. Chiunque entrava all'interno dell'edificio non poteva emettere un singolo suono, pena un ammonimento. Al raggiungimento del terzo, si veniva ufficialmente banditi. Grazie a questa regola, il silenzio regnava sovrano in tutte le stanze, tranne che in una stanza apposita, insonorizzata, dove era consentito parlare.

Era lì che, quel mattino, Gregory si stava dirigendo.

Lo faceva da ormai quattro anni, una volta al mese, da quando Mycroft glielo aveva chiesto la prima volta.

Non che fosse entusiasta della cosa, all'inizio aveva accettato solamente perché si sentiva ricattato, ma con il tempo, seppure a malincuore, aveva dovuto convenire che quegli incontri erano per il bene di Sherlock, dal momento che il giovane detective, che stava pian piano conquistando la fiducia degli agenti di Scotland Yard e altrettante invidie. I casi che gli venivano sottoposti dai clienti erano tutto sommato banali, ma a quanto pareva riuscivano a mettere abbastanza alla prova le sue capacità e perfino lui si era ritrovato a chiedere la sua consulenza in più di un'occasione, come aveva promesso. Tra tutto quello però c'erano anche le operazioni di Mycroft, nelle quali spesso e volentieri Sherlock tentava di intrufolarsi senza permesso e Gregory, da buon cane da guardia, glielo impediva, come gli impediva di cacciarsi in qualsiasi altro guaio. Lo faceva nell'ombra, seguendo le istruzioni di “M”, come si firmava nei rari messaggi che inviava, dal momento che il più delle volte lo contattava con delle chiamate. Si sentiva usato e in effetti Mycroft lo usava come uno strumento per proteggere il suo fratellino da se stesso, ma questo non gli dispiaceva, non del tutto almeno. Se doveva sorvegliarlo, almeno poteva stargli vicino e, Signor Governo inglese o no, fare ciò che aveva giurato: proteggerlo, da tutto e da tutti.

 

Quattro anni prima

Aveva avuto quasi un mancamento quando aveva letto il biglietto. Se Mycroft aveva scoperto i piani di Sherlock, significava che erano entrambi nei guai. Lo avrebbero licenziato? Non ne era del tutto certo, ma non si sentiva affatto tranquillo.

Le ore quel giorno erano passate più lentamente del solito e ogni volta che guardava l'orologio sembrava passato solo qualche secondo. Arrivare a fine giornata era stato terribile e stancante ma, quando fu il momento di tornare a casa, nonostante la stanchezza, si sentiva agitato e nervoso all'idea di cosa lo stesse aspettando. Nessuno dei suoi superiori aveva accennato al caso e anche i suoi colleghi sembravano ormai essersene dimenticati, ognuno andava avanti con la sua vita, leggero, mentre lui sentiva un peso nello stomaco difficile da sopportare o da spiegare.

Guardò l'ora per l'ultima volta. Erano le sette e avrebbe potuto tornare a casa … ma il biglietto di Mycroft era parecchio esplicito. Doveva recarsi da lui, capire cosa voleva e soprattutto liberarsi dell'ansia che quelle poche righe gli avevano insinuato.

Chiamò Haley e le spiegò frettolosamente che avrebbe fatto tardi, poi scese in macchina e chiamò il primo taxi che vide. A bordo dettò l'indirizzo al conducente e sperò che tutto quello finisse rapidamente.

 

Il taxi si fermò di fronte ad un edificio elegante, imponente, simile a quelli che aveva ai lati, ma aveva qualcosa di diverso che incuteva timore nell'osservatore … o semplicemente Gregory si stava lasciando suggestionare da ciò che stava per succedergli. Aveva letto e riletto le istruzioni sul biglietto e si sentiva pronto per quella prova. Bussò, aspettò che qualcuno andasse ad aprire e, di fronte ad un uomo vestito con un completo nero, come gli aveva scritto Mycroft, si limitò a consegnare il biglietto da visita. L'uomo lo esaminò con attenzione e, eseguito lo stesso esame anche su Gregory, si decise a farlo passare. Prima che lui potesse anche solo pensare di parlare, cosa che comunque non avrebbe fatto, viste le raccomandazioni sul biglietto, gli intimò il silenzio posando il lungo e sottile indice sulle labbra, per poi fargli cenno di seguirlo lungo un ampio corridoio, sul quale si affacciavano numerose porte. Si fermò di fronte all'ultima, bussò piano un paio di volte ed aprì la porta, scostandosi per lasciarlo passare.

Gregory entrò riluttante nella stanza, ma una volta dentro rimase a bocca aperta per lo stupore. I mobili dovevano essere costosissimi e rilucevano sotto il maestoso lampadario a gocce. Anche le copertine dei libri che colmavano gli scaffali dell'imponente libreria brillavano e sembravano invogliare il visitatore a sfiorarli …

“Buonasera, Ispettore Lestrade.”

Le sue fantasie vennero bruscamente interrotte dalla voce suadente di Mycroft, seduto in una poltrona affacciata alla finestra.

“Buonasera, Mycroft” rispose lui “Dopo tutto questo tempo continui a darmi del lei? Ci conosciamo da anni, potresti darmi del tu e chiamarmi per nome!” disse, esasperato da quella ventata di gelo che lo faceva tremare ogni volta in cui si trovava a parlare con lui.

“Preferisco così … almeno per ora.” ripose Mycroft, con la solita calma “Vuole qualcosa di caldo?”

“No, grazie” ribatté lui “Vorrei sapere cosa mi aspetta. Se devo essere punito, preferirei che accadesse il prima possibile e in fretta, se non ti dispiace.” esclamò, sottolineando il “ti”.

“Bene, come preferisce.”

Mycroft tirò una cordicella che pendeva accanto alla tenda e rimase in attesa. Due minuti più tardi entrò un cameriere con un vassoio sul quale erano poggiate una teiera e un paio di tazze. Lo posò sul tavolino di fronte all'uomo e uscì silenziosamente come era entrato.

Gregory, nel frattempo, fremeva. Tutta quella calma, la lentezza ostentata, non facevano che accrescere l'ansia che già lo aveva fatto impazzire dal mattino.
“Quindi?” chiese infine, vedendo che Mycroft si era versato il tè “Cosa mi accadrà?”

Mycroft alzò lo sguardo dalla tazza e lo guadò, fingendosi sorpreso.
“A lei? Nulla!”

Greg aprì la bocca, stupefatto e offeso.

“Nulla?!” gridò, ma lo sgaurdo di Mycroft spense la sua rabbia.

“Nulla. Esatto.” confermò lui “Non è qui perché deve subire una punizione. Potrei punirla per quello che ha fatto in effetti ...” mormorò, facendolo impallidire “Ma non lo farò. Il suo legame con mio fratello potrebbe rivelarsi prezioso.”

“Cosa vuoi dire?” chiese, mentre il panico continuava a salire.

“Non tutto ciò che va storto è un male. Mio fratello si è esposto a un pericolo più grande di lui, ma fortunatamente i danni non sono stati irreparabili. Ho sistemato la questione appena in tempo. Potrei farla licenziare per aver passato a un estraneo delle informazioni che dovevano restare segrete, ma non lo farò.”

“Come ...”

“Non starò qui a dirle i modi in cui sorveglio mio fratello, Ispettore. Sarebbe un'inutile perdita di tempo. Piuttosto, vorrei che lei entrasse a far parte di questi metodi.”

Gregory sollevò entrambe le sopracciglia.

“Come, prego?” chiese, incredulo.
“Ha capito benissimo. Lei mi fornirà informazioni su mio fratello.”

“Come? Non sarò il suo cane da guardia, questo è sicuro!”

Era indignato. Come poteva Mycroft pensare di poterlo trattare in quel modo?

“Lo sarà.” rispose lui “Ho la sua carriera tra le mie mani, le conviene obbedire.”

Era in trappola. A causa della sua fiducia in Sherlock, era finito nei guai. Strinse i pugni.

“No, non se la prenda con mio fratello. Per quanto lui possa essere incosciente, non ha fatto altro che seguire il suo istinto. La colpa della sua situazione è solamente sua, perché glielo ha permesso. Per rimediare, dovrà impedire che ciò che è accaduto si ripeta. Sono stato chiaro?”

Gregory fremeva per la rabbia, non tanto nei confronti di Sherlock, che in effetti non lo aveva obbligato a collaborare. Il suo odio era tutto per Mycroft, per il modo freddo e calcolatore con il quale stava sfruttando quella situazione.

“Allora?” ripeté lui, come un maestro che attende una risposta dal suo alunno più disobbediente.

“Sei stato chiaro.” rispose infine, a denti stretti, rifiutandosi per l'ennesima volta di usare il lei.

“Bene.” commentò lui infine, sorvolando sulla lieve mancanza di rispetto, almeno secondo lui “Verrà qui ogni mese, in un giorno prestabilito. Per ora può andare, verrà contattato per il prossimo incontro.”

Mycroft prese la tazza di tè e continuò a bere come se Gregory non fosse più presente, così l'ispettore uscì silenziosamente dalla stanza e poi dall'edificio, diretto a casa. Si sentiva sollevato, anche se non del tutto libero, un cane al guinzaglio di un uomo che aveva in pugno il suo futuro, una trappola nella quale si era ficcato per conto suo, solo per aiutare Sherlock …

Sbuffò, rabbrividendo. La sera era davvero fredda.

 

 

 

 

 

Il caso era stato molto divertente. Kevin Ward era morto, su questo non c'erano dubbi, ma le modalità lo lasciavano alquanto perplesso. Il suo cadavere, era stato ritrovato, cinque giorni dopo la denuncia della sua scomparsa, in un fosso asciutto accanto a una strada molto frequentata appena fuori Londra, in avanzato stato di decomposizione.

Era stato assunto per il caso dal fratello della vittima, Joshua Ward, che aveva insistito affinché esaminasse la scena del crimine. Kevin era vestito con una tuta, il che fece immaginare a Lestrade che, mentre faceva Jogging, doveva essere stato sorpreso da un pirata della strada che, spaventato dal suo gesto, era fuggito via subito dopo l'incidente. C'era qualcosa però che non tornava in ciò che Sherlock aveva visto nella vittima. Nonostante fosse sporco, ricoperto di sangue, polvere e sterco di uccelli, erano evidenti in lui i segni di un uomo destrorso. Il logoramento sulla manica destra, la macchia sulla camicia sulla parte destra, la riga in testa … tutto sembrava far supporre che l'uomo usasse appunto la mano destra. Allora perché diamine le scarpe erano allacciate al contrario? Sembrava che qualcuno lo avesse fatto al posto suo, ma perché qualcuno avrebbe dovuto farlo? Probabilmente perché la vittima non le indossava al momento dell'omicidio.

Inoltre c'erano i lividi. Alcuni erano evidenti, Kevin era andato a sbattere contro alcuni detriti che si trovavano sul fondo del fosso e, se era vera l'ipotesi dell'incidente stradale, l'impatto avrebbe dovuto lasciargli molti ematomi. Era riuscito a vedere il cadavere, nudo dopo l'autopsia, e ad osservare le ferite. Avrebbero dovuto essere tutte uguali, eppure c'era qualcosa che non lo convinceva.

Nonostante le perplessità di Gregory che, istigato anche dalla sua acida e fastidiosa collaboratrice, Sally Donovan, era propenso a chiudere il caso per dedicarsi alla serie di suicidi che si erano verificati a Londra nelle ultime ore, era riuscito a farsi consegnare le chiavi di casa di Kevin, un bel villino nella periferia della città, non molto distante dal luogo dove era stato ritrovato il cadavere

Lì, dopo un'accurata ispezione, aveva scoperto due cose. Prima di tutto aveva confermato, osservando diversi oggetti, che era destrorso. Aveva notato poi che, nonostante l'ipotesi della corsa serale, tutto nel salotto lasciava presupporre che si stesse preparando per una serata davanti alla televisione. In cucina c'era una ciotola di pop corn e una tazza dove la bustina di tè galleggiava nel liquido scuro e freddo.

Aveva ispezionato il giardino e notato delle impronte provenienti dal retro. Qualcuno aveva camminato attraverso il giardino, aveva appoggiato una scala alla parete ed era entrato nello studio dell'uomo, che si trovava dalla parte opposta della casa rispetto alla cucina, dove Kevin si stava preparando tè e pop corn.

Cos'era successo? Il ladro, pensando di trovare la casa vuota o sperando di non farsi sentire, aveva scassinato la finestra ed era entrato, ma il proprietario di casa lo aveva sentito e questi, sentendosi scoperto, lo aveva ucciso a sangue freddo.

Sherlock, rientrato in casa, aveva esaminato la stanza della finestra sotto la quale aveva trovato i segni della scala. Nella stanza, che era rimasta chiusa per molto tempo, c'era un residuo di odore di candeggina, che svanì quasi immediatamente. Sul davanzale c'erano dei solchi ben precisi, sui quali erano rimaste incastrate delle scaglie di vernice verde, come se qualcuno vi avesse appoggiato una scala di metallo dipinta di verde. Al centro della stanza, accanto al tappeto sul quale erano visibili delle macchie chiare, il pavimento era leggermente più lucido. L'assassino era entrato, era stato scoperto e, dopo aver ucciso Kevin, lo aveva messo in un sacco e aveva pulito il pavimento con la candeggina, per eliminare ogni traccia di sangue, lasciando però cadere per errore qualche goccia anche sul tappeto. Quindi, anche se tutti gli indizi portavano lontano, l'omicidio era stato commesso lì. Continuò a osservare e vide cosa cercava. Vicino alla finestra c'era una pianta d'appartamento. Sulla terra, secca e chiara per la mancanza d'acqua, c'era una zolla più scura. Ne prelevò un campione e uscì, diretto al Barts. L'assassino aveva pulito tutto il sangue, ma quella probabilmente era una goccia sfuggita alla sua pulizia.

Non era molto, ma almeno aveva una base da cui partire, almeno sarebbe stato certo che si era trattato di un omicidio e che si era svolto in casa. Il problema era chi poteva averlo ucciso. Aveva immediatamente sospettato del fratello. Kevin era un uomo agiato, viveva in una casa lussuosa e l'arredamento stesso testimoniava che poteva permettersi uno stile di vita elevato. Joshua invece portava i segni di un lento e costante decadimento. I suoi abiti erano firmati, ma erano anche logori e riparati in più punti. Un tempo poteva permettersi di pagare abiti costosi e ora no, ma doveva comunque mantenere una facciata, fingendo che nulla fosse cambiato. Un problema di debiti avrebbe potuto giustificare un tentato furto con omicidio accidentale o addirittura un omicidio premeditato.

Era arrivato al Barts, fermamente convinto a confermare le sue teorie. Lì aveva trovato Molly Hooper, l'anatomopatologa che si era innamorata da sempre. Avevano frequentato insieme qualche corso all'università e lei, da quel momento, si era invaghita totalmente di lui. Non era mai stata tipo da dichiarare apertamente i suoi sentimenti, ma questi erano ben evidenti anche per uno che, come lui, aveva deciso di rinchiuderli per sempre nel più recondito angolo del suo cuore.

Molly, in sua presenza, diventava come un cagnolino e se avesse avuto una coda probabilmente l'avrebbe agitata furiosamente solo vedendolo. Questo Sherlock lo sapeva e, ovviamente, lo utilizzava a suo vantaggio, chiedendole ogni tipo di favore. Era stato grazie a lei se era riuscita a vedere il cadavere di Ward.

Arrivato in obitorio, la salutò con un sorriso finto, che lei accolse con la solita, stupida felicità.

Ho bisogno di un cadavere.” disse, come se le stesse chiedendo un fazzoletto per il naso.

C-cosa?” domandò lei, incerta.
“Un cadavere. Mi serve. Un esperimento.”

Ah … capisco … ti serve … come ti serve?” chiese lei, incerta su come aiutarlo.

Il più fresco che hai.”

Ah … be' …”

La donna sembrò pensarci un po', poi si illuminò e andò a recuperare il cadavere, che portò di fronte a Sherlock pochi minuti dopo. Il consulente detective aprì la zip.

Quanto è fresco?” chiese, annusando l'odore emanato dal corpo e osservandolo per sincerarsi che facesse al caso suo.

È appena arrivato. Sessantasette anni, morte naturale. Lavorava qui. Lo conoscevo. Una brava persona.” aggiunse alla fine, sorridendo, mentre Sherlock chiudeva la zip del sacco dove era contenuto.

Bene.” disse infine, tornando a guardarla “Cominciamo con il frustino.”

 

Trascorse i successivi venti minuti picchiando selvaggiamente il cadavere. Per quanto quell'esperimento gli servisse per determinare la natura degli ematomi sul corpo di Kevin Ward, dovette ammettere quell'esercizio lo aveva aiutato a sfogare un po' di rabbia repressa.

Aveva appena preso fiato, quando sentì entrare Molly.

Allora … giornataccia, eh?” chiese lei, con l'evidente quanto disturbante intenzione di chiacchierare con lui.

Devo sapere che tipo di ematomi si formano nei primi venti minuti dal momento della morte.” rispose lui, appuntandosi la forma e il colore dei vari lividi.

Senti … mi stavo chiedendo … magari più tardi … quando avrai finito ...”

Hai messo il rossetto?” la interruppe lui, notando qualcosa di diverso in lei “Non avevi il rossetto, prima.”

Mi sono ...” mormorò lei, spiazzata per quell'affermazione improvvisa “Mi sono rifatta il trucco.” rispose, imbarazzata ma anche felice che lui lo avesse notato.

Lui sembrò dubbioso per un istante.

Scusa, stavi dicendo?” chiese, continuando a prendere appunti.

Mi chiedevo se ti andasse una tazza di caffè.”

Non esitò. Il fatto che si fosse truccata e il tono della sua voce non promettevano niente di buono, almeno per lui. Evitò facilmente il problema.

Nero, con due zollette, grazie. Vado di sopra.”

Non aveva tempo per caffè e chiacchiere, doveva scoprire se in quella zolla di terra c'era del sangue. Non si accorse, andandosene, che Molly aveva sussurrato un timido “Certo!”

 

Un quarto d'ora più tardi si trovava nel laboratorio, intento a terminare l'analisi sul campione di terra, quando sentì le voci di due uomini avvicinarsi alla stanza dove si trovava. Uno era Stamford, l'altro non lo conosceva. Uno di loro bussò e i due uomini entrarono. Lo sconosciuto si guardò attorno con un'espressione nostalgica in viso. Non gli fu difficile inquadrarlo immediatamente. Ormai era abituato a questo genere di cose, dedurre la vita delle persone semplicemente osservandole, cogliendo ogni sfumatura sugli abiti, la postura, la scelta delle parole e i segni visibili sul corpo.

Molto diverso dai miei tempi!” esclamò con un sospiro appena accennato.
“Oh, non immagini quanto!” rispose Stamford, ridacchiando.

Lui però non aveva tempo per quelle cose, doveva scrivere a Lestrade. Sì, c'era sangue sulla terra della pianta in casa di Kevin Ward e sì, l'assassino era il fratello. Mancava solo un punto da chiarire, ma non poteva farlo da solo … ma aveva riscontrato un un piccolo contrattempo che non aveva previsto.

Mike? Mi presti il telefono? Il mio non ha segnale.”

Scusa, perché non usi il fisso?”

Preferisco gli SMS.” rispose Sherlock,seccato.

Scusa ...” mormorò lui “È nel cappotto.”

Sherlock represse un'imprecazione. Stava per alzarsi, quando sentì la voce dell'amico di Mike.

Oh … ecco ...” mormorò lo sconosciuto “Usi il mio.”

Oh … grazie.”

Era sinceramente sorpreso. Nessuno era mai così gentile con lui, non in quel modo spontaneo e disinteressato. Mike sembrò notare l'interesse di Sherlock per il nuovo arrivato e si affrettò a presentarlo.

Un mio vecchio amico, John Watson.” disse, indicandolo.

Sherlock nel frattempo si era avvicinato a lui. Prese il cellulare e compose il messaggio e il numero di Gregory a memoria. Lo aveva salvato nella rubrica del suo telefono. Perché lo sapeva a memoria? Non diede ascolto a quella domanda che gli era salita spontaneamente e si concentrò su ciò che stava facendo.

 

Se il fratello ha una scala verde, arresta il fratello.

SH

 

Scrivendo, si voltò verso John. Voleva stuzzicarlo e aveva i mezzi per poterlo fare.

Afghanistan o Iraq?” chiese.

L'atmosfera nella stanza si gelò e, anche senza vederli, intuì che John doveva aver lanciato uno sguardo stupito a Stamford.

Come, scusi?” chiese, sbigottito.

Dove è successo, in Afghanistan o in Iraq?”

In Afghanistan … ma come fa a saperlo?”

John era senza fiato per lo stupore, era evidente. Stava per dargli il colpo di grazia, quando vide arrivare Molly.

Ah! Molly! Il caffè, grazie!”

Quel silenzio, la finta indifferenza, come se avesse appena fatto una cosa normalissima, avrebbero avuto più effetto di qualsiasi nuova affermazione eclatante. Restituì il cellulare a John e guardò Molly mentre prendeva la tazza dalle sue mani. Niente più traccia di rossetto. Che fine aveva fatto? Perché lo aveva tolto?

Che fine ha fatto il rossetto?” chiese, stupito.

Ah … non mi stava bene.”

Davvero?” chiese “Invece stavi meglio. Hai la bocca troppo … piccola, ora.” disse, liquidandola con un gesto della mano. Bevve un sorso di caffè. Troppo amaro. Avrebbe dovuto specificare due cucchiai belli pieni. Ignorò il suo “Ok” e tornò a concentrarsi su John.

A lei piace il violino?” chiese, senza guardarlo.

Ancora silenzio. Quella domanda dovette sembrargli assurda e intuì che stava guardando ancora Stamford, in cerca di aiuto.

Come, scusi?”

Ancora una volta, lo aveva lasciato spiazzato. Ottimo. Si stava divertendo.

Io suono il violino quando penso e a volte non parlo per giorni interi … Due potenziali coinquilini dovrebbero conoscere i difetti reciproci.”

Altro silenzio. Altri dubbi. Gli parve di poter sentire le domande ronzare nel suo cervello.

Gli hai parlato di me?” chiese infine a Mike, che sembrava divertirsi quanto Sherlock, ma per un motivo diverso, in quanto, per una volta, il detective non stava rivolgendo a lui quel genere di deduzioni.

Niente affatto.” negò questi, scuotendo la testa.

Allora chi ha parlato di coinquilini?” chiese, irritato, probabilmente per il modo in cui lo aveva decifrato senza fatica.

Io.” rispose Sherlock, indossando il cappotto “Stamattina Mike mi ha detto che sarà difficile per me trovare un coinquilino … e dopo pranzo si presenta con un vecchio amico chiaramente appena rientrato da una missione militare in Afghanistan.” si voltò indossando la sciarpa. Il suo sguardo era quello di chi sta spiegando che due più due fa quattro “Non è stato difficile.”

Il silenzio che i sera aspettato non arrivò. John era ormai troppo arrabbiato o seccato per porre altro tempo di fronte alle sue domande.

Come sapeva dell'Afghanistan?”

Non rispose, per le spiegazioni ci sarebbe stato tempo. In quel momento voleva andare da Gregory e spiegargli perché doveva arrestare Joshua Ward e accusarlo di omicidio. Non c'erano prove evidenti, ma sotto un buon interrogatorio avrebbe confessato. Inoltre, certo di aver trovato in John un coinquilino, avrebbe iniziato il trasloco. Non sapeva cosa fosse, ma c'era qualcosa nello sguardo di quell'ex soldato che gli dava fiducia. La sua voce decisa e il suo sguardo fiero gli ricordavano in qualche modo … qualcuno … in un passato ormai dimenticato … era … era … chi era? Lo sguardo deciso e fiero di un soldato senza macchia e senza paura, che affronta il pericolo a testa alta. Sì, aveva bisogno di un uomo così, al suo fianco. O almeno questo la sua mente gli suggerì in quel momento. Non si era accorto che, nel profondo, si stava muovendo qualcosa.

Ho adocchiato un piccolo appartamento al centro di Londra. Insieme potremmo permettercelo. Ci vediamo domani sera alle sette. Scusate, devo scappare, ho lasciato il mio frustino all'obitorio.”

Non aveva tempo per spiegazioni inutili, aveva altre cose da fare. La sua mente, in continuo fermento, era già altrove.

Tutto qui?” chiese John, frustrato.

La sua voce lo fece fermare. Era incuriosito da quel modo di fare, del suo non accontentarsi di una spiegazione ad effetto.

Tutto qui … cosa?” chiese, tornando indietro.

Vuole condividere un appartamento con me.”

Non era una domanda, ma gli occhi di John chiedevano spiegazioni. Quali? Cosa c'era da capire in ciò che aveva detto?

Problemi?” chiese, con sguardo innocente.

John sembrò divertito da quell'uomo che, seppure in grado di intuire il suo passato, non sembrava capace di comprendere una situazione come quella.

Noi due non ci conosciamo affatto, non conosco questo posto e nemmeno il suo nome.”

Era arrivato dunque il momento, poteva stupirlo, gettargli addosso tutto ciò che aveva visto.

Io so che lei è un medico militare, che è stato ferito in Afghanistan. So che ha un fratello che si preoccupa per lei ma non gli chiederà aiuto perché non lo approva, probabilmente perché è un alcolista o, meglio, perché di recente ha lasciato la moglie. E so che la sua analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico, diagnosi corretta, temo.” una pausa ad effetto, giusto il tempo per fargli digerire tutte quelle informazioni “È sufficiente per frequentarci, non crede?” chiese infine, tornando verso la porta, lasciandolo ammutolito dallo stupore. Aprì la porta, ma si fermò.

Il mio nome è Sherlock Holmes e l'indirizzo è il 221B di Baker Street.” un rapido occhiolino per concludere “Buonasera.”

Non sentì ciò che Mike disse probabilmente a John per giustificare il suo comportamento. Si sentiva alla grande. Aveva risolto un omicidio e lasciato senza parole il suo potenziale, anzi certo coinquilino … John … John Watson.

John Watson.

Medico militare.

Leale.

Forte.

Deciso.

Le cose non avrebbero potuto andare meglio.

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Capitolo 22
*** Gelosia ***


Gelosia

 


 

 

La gelosia è un mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre.
(William Shakespeare)


 

 

 

Cosa era successo? Quando aveva iniziato nuovamente a provare dei sentimenti? Quando il mostro si era liberato dal suo petto, strisciando indisturbato nella notte e seminando zizzania tra i suoi pensieri? Quando tutto quello aveva avuto inizio?

Per anni era riuscito a restare indifferente, a ignorare i richiami del suo cuore, tenuto prigioniero in un luogo che lui stesso aveva dimenticato … poi all'improvviso qualcosa si era rotto, la crepa che lentamente si era allargata non aveva più retto e si era spezzata inesorabilmente, facendo fuoriuscire tutto ciò che fino a quel momento aveva custodito.

Cos'era stato? Cos'aveva scatenato tutto quello? Chi o cosa aveva dato il colpo di grazia alle sue certezze?

Suonava ormai da ore, incapace di concentrarsi su un singolo pensiero, circondato da ricordi, immagini sfuggenti di momenti ormai passati, pezzi di un puzzle che da tempo aveva iniziato a comporsi davanti ai suoi occhi senza che lui potesse ancora scorgerne il disegno.

La musica lo avvolgeva, cullandolo dolcemente nei suoi pensieri, tutto il mondo là fuori continuava a girare, ovattato, lento come i fiocchi di neve che cadevano leggeri in quella notte fredda.

Sentì una voce, lontana, l'eco di qualcosa che gli era estraneo, eppure tremendamente vicino. Cosa diceva? Non riusciva a sentirlo. Forse parlava con qualcuno. Chi erano? La signora Hudson e John?

John ...

John Watson.

Dottor John Watson.

Un medico e un militare.

Gli era piaciuto subito, fin dal loro primo incontro. Era stato breve ma decisivo. Si era sentito attratto da lui quasi all'istante, una sensazione che avrebbe riconosciuto, se non avesse consapevolmente deciso di dimenticare e isolare in un luogo remoto della sua memoria, almeno in quel momento.

Erano andati a convivere e tutto era stato più chiaro. Lentamente, aveva iniziato a indagare su di lui, su cosa lo attraesse tanto. Era coraggioso, aveva ucciso un uomo per salvargli la vita e lo conosceva a malapena da un paio di giorni. Lo guardava con rispetto e ammirazione, affascinato dalla sua intelligenza come poche persone con cui aveva avuto a che fare. Era bastato poco. Una pillola, una pallottola e una cena cinese, e la loro amicizia era stata sigillata per sempre.

Quanto tempo era passato da allora? Se qualcuno glielo avesse chiesto, non sarebbe stato in grado di rispondere. Giorni, mesi, anni? Non ne aveva idea. Ciò che contava era che la sua amicizia con John cresceva, cullata da un'intimità e da una sintonia che non aveva avuto con nessun altro prima … o sì? Non ricordava … non ricordava … non ricordava! Cos'era? Perché quando pensava a John si alzava una cortina di nebbia attorno alla sua mente?

Assassini, ladri, truffatori, gente strana, brutte faccende, erano ormai il loro pane quotidiano. I clienti abbondavano e spesso erano anche troppi, ma era quello che aveva sempre voluto fare, no? Indagare, scoprire ciò che gli altri non vedevano, risolvere enigmi e lo faceva, eccome se lo faceva! Ma … c'era qualcosa che mancava, una voce che lo chiamava da lontano, soffocata dalle grida di aiuto di chi, per curiosità o reale disperazione, andava da lui in cerca della soluzione ai suoi problemi. Lui non lo sapeva, non lo vedeva, ma infilzato tra i casi irrisolti, eppure invisibile a occhio umano, c'era un mistero che non era ancora riuscito a risolvere. Ne percepiva la presenza, come un disturbo di sottofondo, l'interferenza in una radio mal sintonizzata.

Poi.

Poi era arrivata lei.

La rivelazione lo aveva turbato come un boato inaspettato. Era stata lei. La Donna. Solo lei. Era stata capace di fargli vedere ciò che fino a quel momento aveva tenuto nascosto, ignorato, dimenticato.

Chi era Irene Adler? Una donne eccezionalmente intelligente, furba, determinata, ma portatrice di un enigma a cui non era riuscito a venire a capo. Una donna che lo aveva battuto al suo stesso gioco.

Lei era una donna, non c'erano dubbi, ma era anche il suo riflesso perfetto, gli restituiva la sua stessa immagine. Ciò che non vedeva in lei, non vedeva in se stesso … e ora era morta. Avrebbe voluto scoprire qualcosa di più su di lei, sul mistero che si portava dentro … ma lei stessa aveva deciso diversamente.

 

Quando il silenzio tornò a imporsi nuovamente sulla sua anima, posò il violino e andò a recuperare il telefono che lei gli aveva inviato, il regalo d'addio di una donna che sapeva di andare incontro alla morte, spezzando così ogni possibilità di scoprire cosa si celasse in quel pozzo dove la luce non riusciva a entrare. Lo sfiorò con un dito. Per accedervi avrebbe dovuto indovinare la password, ma doveva procedere con saggezza, i tentativi erano limitati. La possibilità di scoprire il suo cuore era sfumata, ma il contenuto del cellulare era sempre a portata di mano, e l'avrebbe avuto.

 

 

 

 

La sua vita stava decisamente andando alla deriva. Qualcosa era cambiato, ma non sapeva identificare esattamente cosa. Lui lo aveva notato, Haley lo aveva notato. La tensione, accumulata durante quegli ultimi mesi, aveva leso gravemente il suo rapporto con la moglie. Non si parlavano più come prima, il lavoro aveva iniziato ad essere sempre più importante di qualsiasi cosa, cena programmata, vacanza, serata tranquilla in casa … e quando aveva tempo per queste cose, l'ombra del dovere, o comunque una latente tensione, erano sempre presenti.

La cosa più dolorosa era che, nonostante non capisse da che cosa derivasse di preciso, era convinto che tutto ciò dipendesse esclusivamente da Sherlock.

Da quando, qualche anno prima, lo aveva rivisto e avevano iniziato a collaborare, aveva notato in lui qualcosa di diverso, di cambiato, probabilmente collegato con il suo passato innamoramento nei suoi confronti. Poi c'era stato quel dannato caso, che lo aveva messo in cattiva luce con Mycroft, condannandolo a tempo indeterminato a fare da cane da guardia al minore degli Holmes. Non che gli dispiacesse, certo, lui stesso avrebbe spontaneamente fatto qualsiasi cosa pur di proteggerlo.

Era quello? No, forse no. Cos'era? Da quando era arrivato John tenere d'occhio Sherlock era diventato sempre più difficile. Perché? Forse da quando era arrivato quel medico militare Sherlock si era lasciato andare ancor di più, trovando un complice per le sue pazzie? Quei due erano diventati amici in fretta, si vedeva che tra di loro c'era una stretta sintonia.

Gelosia.

Quella parola era affiorata alla sua mente numerose volte, ma l'aveva sempre ricacciata indietro, gettandola tra le opzioni non contemplate. Lui non poteva essere geloso. Insomma, Sherlock non era mica di sua proprietà e aveva tutto il diritto di farsi altri amici, anzi, era ciò che aveva sempre sperato per lui, inoltre era andato a convivere con John per pura necessità, per condividere le spese di un appartamento che sarebbe stato altrimenti troppo costoso per entrambi. Sì, era così. Era questo e lui non era geloso. Era arrabbiato con Sherlock perché, come al solito, si metteva nei guai e lui doveva rimediare. Sì, ne era certo. Non la gelosia. Gregory Lestrade non poteva essere geloso. Assolutamente no. Perché, poi? Era felicemente sposato con la donna che aveva sempre amato, no? Felicemente … sposato … Felicemente …

Accartocciò il foglio sul quale stava scrivendo i turni per gli agenti e lo scagliò con violenza contro la parete.

Dannazione.

Dannazione.

Dannazione.

Gli mancava Sherlock. Gli mancava da morire. Lo vedeva spesso, si incontravano durante i casi, si inviavano SMS … ma gli mancava. Gli mancava il rapporto che avevano avuto per tanto tempo … ma era stato davvero tanto? Qualche anno, ma sembrava una vita intera. Quanto era passato? Quanto aveva aspettato? Quanto Sherlock lo aveva fatto penare con la finestra aperta? Quando il suo gatto sarebbe entrato silenziosamente nella notte per fargli compagnia? Mai più. Sembrava quella la risposta. Non sarebbe più tornato. I tempi in cui erano amici e complici sembravano irrimediabilmente finiti. Sherlock lo aveva lasciato indietro e aveva trovato un altro con cui condividere i suoi sorrisi.

Si irrigidì. I suoi … i suoi sorrisi? Perché pensava al sorriso di Sherlock? Quando era stata l'ultima volta in cui lo aveva visto sorridere di cuore? Non era passato molto tempo … ma … quel sorriso … non era di certo rivolto a lui.

Ormai non poteva farci nulla. Doveva ammetterlo, prima di tutto con se stesso. Non poteva continuare a negare che, nonostante si sforzasse di rifiutarlo, la verità era che semplicemente … era geloso.

 

 

 

 

Aveva ripreso in mano il violino. Una musica era entrata nella sua mente e aveva iniziato a chiamarlo per rivelarsi. Le idee si muovevano nella sua mente, collegandosi tra di loro, in un processo che ormai era diventato per lui automatico. Era facile, bastava pensare ai dati in suo possesso e collegarli gli uni con gli altri fino a creare una catena solida, anello dopo anello. Tutto ciò era molto comodo per il suo lavoro, ma spesso lo portava ad isolarsi dal resto del mondo. Per esempio, non si era accorto che la signora Hudson aveva portato un piatto con del cibo e lo aveva fatto raffreddare sul tavolo, continuando a suonare fino a che, tra le note e le idee, non avevano risuonato i passi rassicuranti di John. Doveva parlargli, doveva dirgli le conclusioni a cui era giunto. Se non lo avesse fatto, avrebbero continuato a girare nella sua testa fino a farlo impazzire. Prese il lapis e tracciò la musica sullo spartito ciò che la sua mente aveva partorito in quelle ore.

Che deliziosa melodia, Sherlock!” esclamò la signora Hudson, portando via il piatto “Non l'avevo mai sentita prima.”

John era a disagio, non sapeva come muoversi, come affrontare il suo lutto, ma lui non se ne accorse. Ormai era andato oltre, aveva imparato a chiudere i suoi sentimenti in un luogo ben protetto e a dare la priorità a cose più … importanti? Lo sentì schiarirsi la voce.

Stai componendo?”

Posò il lapis. Sì, quel passaggio andava bene.

Mi aiuta a pensare.”

Riprese il violino e tornò a suonare, lasciando che i pensieri e le idee seguissero le note, come una danza, scandita da un ritmo ben preciso.

A cosa stai pensando?”

Si fermò di colpo. Aspettava quella domanda, lo stimolo giusto per farlo parlare, per dargli la possibilità di esprimere ad alta voce ciò che fino a quel momento era stato solo nella sua mente.

Posò il violino e si voltò verso il portatile di John, puntandogli contro il dito, quasi fosse il computer stesso il coplevole dei suoi drammi.

Il contatore del blog è ancora fermo a milleottocentonovantacinque.”

Ah … sì … è difettoso. Non lo aggiustano.”

Difettoso … o è un hacker che manda un messaggio!”

Prese il cellulare e digitò quelle cifre. 1895.

Un rumore sgradevole accompagnò la scritta “Tentativi rimasti: 3”.

Aveva fallito. Una delle tante ipotesi era sfumata davanti ai suoi occhi. Non espresse totalmente la frustrazione che provò in quel momento.

È difettoso.” si limitò a dire, per poi mettere di nuovo via il cellulare.

D'accordo. Bene. Io mi assento per un po'.”

Sentì a malapena queste parole, impegnato com'era nella composizione di quel brano che consapevolmente stava dedicando alla defunta Irene Adler ma che, in realtà, era per la sua anima, ormai destinata a restare per sempre chiusa in quel forziere arrugginito.

 

In seguito si sarebbe chiesto un paio di volte cosa sarebbe successo se non avesse guardato fuori dalla finestra per osservare John che si allontanava. Non avrebbe visto quella donna vestita di nero avvicinarsi a lui invitarlo a salire su un'auto dello stesso colore. Era Mycroft? No, non sembrava nel suo stile, non lo avrebbe mai prelevato di fronte a Baker Street, rischiando di farsi vedere da lui. Se non era Mycroft quindi … chi era? Lasciò il violino e si vestì rapidamente, colto da quella frenesia che lo faceva agire nel momento del bisogno. Scese rapidamente le scale e, scorto un taxi che si stava avvicinando, lo fermò e ordinò all'autista di seguire l'auto nera senza dare troppo nell'occhio. Non fu difficile, la preda sembrava voler essere seguita, quasi desiderasse che Sherlock vedesse dove John stava per essere portato. Era la conferma definitiva. Non era Mycroft, ma allora chi …?

Si fece lasciare poco distante da una grande fabbrica abbandonata, luogo dove aveva visto recarsi l'auto. Non poteva rischiare di farsi vedere, avrebbe dovuto procedere a piedi, anche se sospettava che, chiunque fosse lì, desiderasse farsi scoprire.

Raggiunse la struttura e dal basso vide la donna che aveva portato via John parlare al cellulare. Rapidamente salì le scale per arrivare al piano dove c'era lei, senza farsi vedere. Anche da lì sentì, grazie all'eco, la voce di John che, sbagliando, credeva di parlare con Mycroft. Evidentemente il suo ospite non era ancora arrivato.

Sta componendo musica triste. Non mangia. A malapena parla. Solo per correggere la TV. Direi che ha il cuore spezzato ma … be' … è Sherlock! Lui fa sempre così ...”

L'ultima cosa che sentì prima di perdersi in un turbinio confuso di pensieri fu il suo nome, pronunciato da John in tono scherzoso, poi … la vide. La vide e fu un ronzio, un insopportabile ronzio che gli impedì di ragionare, di pensare coerentemente.

Era viva.

Irene Adler era viva.

Era viva e si era rivelata proprio a lui, a John.

Perché? Perché fingersi morta? Certo, voleva metterlo alla prova facendogli avere il suo cellulare ma allo stesso tempo aveva trovato il modo di proteggersi da quelli che la volevano uccidere. Geniale. Fingere la propria morte era qualcosa a cui non aveva mai pensato … ancora. La Donna si era rivelata una valida avversaria.

Non seppe e non avrebbe saputo mai cosa si fossero detti quei due né quanto tempo fosse passato da quando l'aveva vista a quando aveva ricevuto il messaggio. Fu quello, quella suoneria particolare, a risvegliarlo.

 

Non sono morta. Vogliamo cenare insieme?

 

Il ronzio cessò, lui tornò in possesso di parte della sua lucidità. Si rese conto che dovevano averlo sentito. Si infilò il cellulare in tasca e corse via. Non voleva vedere John, non voleva che lo fermasse e soprattutto non voleva vedere Irene Adler. Non in quel momento. Era troppo presto.

Non seppe come riuscì a tornare a casa, la sua mente era persa in altri sogni, in altre spiagge, mentre le sue gambe lentamente lo portavano al 221B di Baker Street. Fu solo quando vide i numeri sulla porta che si rese conto di essere arrivato a casa. Stava per prendere la chiave, quando vide qualcosa che lo bloccò. Segni di un'intrusione. Entrò con cautela all'interno dell'edificio, guardandosi attorno senza far rumore. Ovunque era evidente che qualcuno si era introdotto con la forza e altrettanto brutalmente aveva aggredito la signora Hudson.

Una rabbia incontenibile, cieca, lo travolse, eliminando ogni altro pensiero. Se lei era in pericolo, nient'altro sarebbe stato importante, nemmeno se stesso.

 

 

 

 

Non vedeva Sherlock da Natale, da quando si era reso conto e aveva dovuto ammettere con se stesso di essere irrimediabilmente geloso di lui e di chiunque gli fosse accanto. La signora Hudson, sempre materna e scherzosa. John, onnipresente, il suo migliore amico, paziente e leale, probabilmente il suo sostituto nella vita di Sherlock e anche se pensare ciò era cattivo non poteva farne a meno. Perfino Molly Hooper, quella ragazza che aveva frequentato l'università con lui, per l'occasione si era vestita con cura. Davvero era passato così tanto tempo? Aveva sempre pensato che il loro legame fosse più forte del tempo e della distanza, ma la freddezza degli occhi che Sherlock posava su di lui gli avevano chiarito che sì, si era spezzato.

Era al lavoro, a Scotland Yard. Non doveva pensare a lui. Non in quel modo. Stava riponendo alcuni documenti nel suo archivio, quando sentì il telefono, la suoneria che aveva appositamente scelto per lui. Rispose subito, come un bambino impaziente di scartare i regali per il suo compleanno. Un momento … cosa stava pensando? La voce di Sherlock, chiara e forte, lo distrasse da quei pensieri.

“Lestrade? C'è stata un'irruzione a Baker Street. Mandi i suoi agenti meno irritanti e un'ambulanza.”

Si irrigidì. Lui era in pericolo? La signora Hudson? In quel momento si sentì in pensiero perfino per John.

“S-state bene? C'è qualche ferito? Perché ti serve l'ambulanza?”

“Oh, no-no, noi stiamo bene.” rispose Sherlock, tranquillamente, fin troppo per i suoi gusti “No, è per il ladro. Si è ferito piuttosto gravemente. Costole rotte, cranio fratturato, possibile perforazione del polmone. È caduto dalla finestra.”

 

Non ci mise molto a organizzare l'uscita. Nel giro di una ventina di minuti tutto era finito. I paramedici stavano caricando sull'ambulanza l'americano che aveva fatto irruzione e a lui non restava altro da fare che parlare con Sherlock. Non sapeva esattamente cosa avrebbe detto, si sarebbe dovuto comportare in modo professionale, in fin dei conti era lì come Ispettore di Scotland Yard, non come … amico. Sospirò e gli si avvicinò. Sembrava tranquillo e la cosa gli parve subito strana, ma quando gli fu vicino vide che teneva i pugni chiusi dietro la schiena. Che fosse ancora scosso? Si voltò un istante mentre la barella passava davanti a loro e vie in che condizioni era il “poverino”. Sinceramente non si sarebbe aspettato che fosse conciato così male per una semplice caduta. Guardò Sherlock, che a sua volta osservava l'uomo. I suoi occhi traboccavano sentimenti simili alla rabbia e alla felicità, o almeno così gli sembrò, non ci avrebbe di certo messo la mano sul fuoco, ma pensò che probabilmente non era caduto da solo e non un a sola volta. Cosa era successo?

“Sherlock?” lo chiamò, sperando di attirare la sua attenzione.

“La signora Hudson adesso sta bene.” rispose lui, come intuendo la domanda che lui gli avrebbe fatto.

Gregory annuì. Era chiaro. Quell'uomo aveva fatto del male, fisico e psicologico, alla cara signora Hudson. Aveva sempre pensato che, in quegli anni, la donna fosse diventata per Sherlock una sorta di seconda mamma e ne aveva avuto la prova quella sera. Era arrabbiato perché le avevano fatto del male ma era anche soddisfatto per averla vendicata. Anche lui, in qualche modo, si sentì sollevato. L'americano non era in pericolo di vita e, per legittima difesa, si era preso ciò che si meritava.

“ … e di preciso quante volte è caduto dalla finestra?” chiese, sperando di coinvolgerlo in un dialogo scherzoso e amichevole.

“I miei ricordi sono confusi, ispettore. Ho perso il conto.”

Ispettore … lo aveva chiamato … Ispettore … Il suo tono non sembrava quello di un vecchio amico, non sembrava intenzionato a buttarla sullo scherzo … oppure sì? Era lui che esagerava o davvero Sherlock aveva eretto un muro di ghiaccio tra di loro?

Sospirò. Non aveva voglia di affrontare quell'argomento. Era tardi e lui era stanco. Non rispose, nemmeno Sherlock sembrava più presente, perso tra chissà quali pensieri. Lui guardò la strada e attraversò. Prima di aprire la portiera dell'auto si voltò un'ultima volta e lo vide rientrare in casa con passo deciso. Era felice lì, con John e la signora Hudson … e lui? Lui sarebbe tornato a casa, da sua moglie, dalla sua felicità.

Forse.

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Capitolo 23
*** Notte: regno dei sogni, regno degli incubi, regno dei gatti ***


Eccomi qui!

Prima di iniziare vorrei fare una piccola premessa. Manca poco, molto poco alla fine della storia. Da qui in poi seguirò più o meno la trama della serie, ma si tratterà di balzi tra un episodio e l'altro, una serie di missing moments perché ciò su cui non voglio soffermarmi non è la storia di Sherlock con John ma quella non narrata, quella di Sherlock con Gregory.

Buona lettura ;)

 

 

 

Notte: regno dei sogni, regno degli incubi, regno dei gatti

 

 


 

 

Babadook è l'uomo nero che ti ruba il sonno intero…

Babadook





 

John non capiva. John non avrebbe mai potuto capire. Come avrebbe potuto, dopotutto? Non gli aveva mai detto nulla e certamente non glielo avrebbe rivelato mai, così John avrebbe continuato a pensare che ciò che i suoi sbalzi d'umore e il suo nervosismo avessero a che fare esclusivamente con l'assenza di casi sufficientemente stimolanti per lui. In effetti era vero, almeno in parte. Doversi occupare di un caso, ragionare sulle varie ipotesi, tenendo occupato il cervello, era ciò che lo aiutava a liberarsi da quel “regalo” che gli aveva fatto Irene Adler. Quella Donna, La Donna, gli aveva permesso di specchiarsi nei suoi occhi, di vedere più in profondità la sua anima, per la prima volta dopo tanto tempo … e ne aveva avuto paura. Il forziere era stato aperto e ora lui nuotava in acque torbide. Non era servito a nulla o quasi infilzare quel maiale. Era stato uno sfogo, l'unica nota piacevole di quel caso così semplice da essere risolto in una mattinata.

Per questo motivo aveva accettato il caso di Henry Knight. La sua storia era assurda, ne era pienamente consapevole,eppure lo aveva intrigato più degli ultimi casi … o forse stava solo fuggendo?

Ciò che era successo poi era ai limiti dell'assurdo, ma allora perché erano partiti? Perché Sherlock aveva bisogno di andarsene da Londra, di allontanarsi da … da chi? Da cosa? Aveva sperato di poter scappare, in realtà si era immerso ancor più nelle sue paure. Aveva sempre cercato di apparire agli altri come un essere privo di sentimenti, totalmente impermeabile a ciò che gli accadeva attorno, ma … non era vero. Le maschere che aveva scelto di indossare negli anni stavano cadendo una dopo l'altra, un domino di emozioni che lo stava devastando come una malattia. La cicatrice del suo cuore spezzato si era aperta e ora sanguinava copiosamente, lasciandolo nel torpore e nella confusione. L'unica cosa che ancora funzionava era la mente … o almeno così aveva creduto fino a quando aveva visto il mastino. Quando Henry gliene aveva parlato aveva creduto a un'esagerazione, alla mania di persecuzione di un povero pazzo … ma era reale! Reale! Lo aveva visto con i suoi occhi, quella notte … oppure no? Cosa gli stava succedendo? Le emozioni stavano contaminando, come un virus, le sue capacità intellettive? Aveva sempre pensato che provare dei sentimenti ostacolasse il pensiero razionale e, di conseguenza, il suo lavoro. Era davvero così? Perché aveva scelto di dimenticare la sua parte più umana? Era davvero solo per quello?

 

 

 

 

Da quando aveva divorziato da Haley era la prima volta che si prendeva una vacanza, ed era stata la più bella della sua vita, lontano da impegni, responsabilità e ricordi dolorosi. Si era goduto quel tempo che aveva deciso di dedicare esclusivamente a se stesso ed era partito. Si sentiva libero, soddisfatto, anche se percepiva l'assenza di qualcosa o qualcuno, per questo forse era rimasto interdetto quando Mycroft gli aveva chiesto di andare a sorvegliare il fratello a Dartmoore, ma anche piacevolmente sorpreso.

Prima di tutto si era chiesto cosa ci facesse Sherlock così lontano da Londra e inoltre il maggiore degli Holmes sembrava oltremodo spaventato dalla sua presenza lì. Sapeva che non lontano da quel villaggio c'era una base militare, Baskerville, e che si raccontava della presenza di un mastino demoniaco che andava in giro per la brughiera seminando morte e terrore … ma questi due fatti cosa avevano a che fare con lui? Sicuramente un uomo razionale come Sherlock non poteva lasciarsi coinvolgere dai deliri di qualche pazzo su un cane fantasma, giusto? Il suo obiettivo doveva per forza essere qualche segreto custodito a Baskerville … sempre che il segreto in questione non fosse proprio una qualche creatura geneticamente modificata prodotta da quei laboratori. Aveva sentito dire di tutto, perfino che addestrassero gli animali per sostituire i soldati in guerra, quindi non poteva essere così strano che circolassero voci riguardanti qualcosa di soprannaturale. Lui non doveva fare niente di particolare in realtà se non tenere d'occhio Sherlock e assicurarsi che non facesse nulla di avventato, cosa per niente semplice, vista la situazione.

Avrebbe alloggiato nella sua stessa locanda e in questo modo avrebbe potuto stargli vicino e magari, tra una chiacchiera e l'altra, sempre se fosse riuscito a fermarlo abbastanza a lungo da poter chiacchierare, sarebbe riuscito a ricavare qualche informazione. Lo scoglio principale era la diffidenza che Sherlock sembrava avere nei suoi confronti. Non aveva mai detto apertamente di lavorare per Mycroft e Sherlock non aveva nessun motivo per pensarlo, ma sentiva che il suo amico covava dei sospetti nei suoi confronti. Sospetti fondati, ovviamente, ma non lo avrebbe mai ammesso, sarebbe stato come porre fine alla loro già precaria amicizia.

Quella specie di missione sembrava partire con le peggiori premesse, ma una volta arrivato nel piccolo villaggio quasi si ricredette. Il cielo era sereno, la temperatura gradevole, l'atmosfera era tranquilla, ma condita da quel po' di eccitazione che condiva la sua quasi vacanza in modo perfetto.

 

Aveva portato il suo bagaglio in camera e, dal momento che non aveva ancora visto Sherlock, pensò di aspettarlo al pub della locanda. Se fosse stato ancora in camera lo avrebbe incontrato mentre scendeva e se era già uscito lo avrebbe intercettato al suo rientro. Nel frattempo aveva deciso di prendersela con calma, in fin dei conti quella finta vacanza doveva pur avere un senso, no? Ordinò una pinta di birra e si sedette al bancone. I proprietari erano due uomini, la cui relazione sentimentale era fuori da ogni dubbio. Il più giovane dei due gli servì la birra accompagnata da una ciotola di patatine e qualche salatino.

“Guai in paradiso, eh?” chiese al più anziano, sopraggiunto in quel momento con una cassa di bibite che iniziò a mettere nel frigorifero dietro il bancone.

“A quanto pare ...”

Senza sapere bene perché, Greg decise di origliare quella conversazione. Si voltò e fece finta di farsi i fatti suoi.

“Cosa è successo?” chiese di nuovo il giovane “Stamattina ho visto uscire solo quello basso, il biondino.”

“Ieri sera hanno litigato e il signor Holmes non è ancora rientrato.”

Sentendo il nome di Sherlock, Greg si fece ancora più attento.

“Non ci posso credere! Sono così carini insieme! Spero che facciano presto pace!”

Sembrava davvero coinvolto da quella lite, quasi conoscesse i due personalmente o volesse in ogni caso la loro felicità “Sai perché hanno litigato?”

“A quanto pare il signor Holmes era molto nervoso. Il dottore ha cercato di consolarlo, ma lui ha reagito male. Se fossi stato in lui anch'io mi sarei arrabbiato. Stamattina era anche lui molto teso.”

Gregory gioì intimamente, vergognandosene immediatamente dopo. Perché doveva essere felice per l'infelicità di Sherlock? Ricordò quando, anni prima, Sherlock si era dimostrato felice per la sua relazione con Haley, pur amandolo … ed era solo un ragazzo. Ora lui, adulto fatto e finito, esultava per il momentaneo distacco del suo amico da colui di cui era geloso? No, non era ammissibile. Finì di bere la sua birra e in quel momento sentì la voce dei due avvicinarsi sempre di più. Li vide fermarsi, stavano parlando di un qualche acronimo, una parola che non riuscì a sentire … ma vide gli occhi di lui, di Sherlock, quando incrociarono i propri.

Sherlock era bravo a nascondere i propri sentimenti, soprattutto quelli positivi, ma l'indignazione era qualcosa che traspariva dal suo sguardo come una spada. Era offeso, arrabbiato per la sua presenza lì. Come avrebbe dovuto reagire? Sapeva perché era arrabbiato e di certo non poteva non comprenderlo, ma a quanto pareva aveva appena fatto pace con John, i due sembravano tubare come una coppietta sposata da anni. Un momento. Perché stava pensando quella cosa? Ovvio, era geloso e dispiaciuto per come lo guardava Sherlock. Un sentimento molto simile alla rabbia lo fece sorridere, nemmeno lui avrebbe saputo dire il perché.

“ … cosa diavolo ci fai tu qui?!” chiese Sherlock, quasi gridando.

“Uh! Anch'io sono felice di vederti. Sono in vacanza, ci credi?” il suo tono era sarcastico, aveva voglia di litigare con lui, di dirgli che era stanco di essere ignorato così, di non essere più considerato suo amico, non dopo tutto quello che c'era stato tra di loro!

“No. Affatto.”

“Salve John” disse, vedendo arrivare anche Waston. Così era vero. Avevano davvero fatto pace.

“Greg ...” rispose lui, salutandolo, senza immaginare minimamente cosa stesse passando per la testa dell'ispettore.

“Ho saputo che eri in zona. Cos'hai in mente? Stai cercando il cane infernale, come dice la TV?”

Si sentiva cattivo, arrabbiato, ma in quel momento la sua rabbia era nulla in confronto a quella di Sherlock, che sembrava volerlo incenerire con lo sguardo. Dannazione.

“Sto aspettando una spiegazione, Ispettore. Perché sei qui?”

“Te l'ho detto! Sono in vacanza!” come se Sherlock avesse potuto credergli.

“Sei tutto abbronzato, è chiaro che sei appena tornato da una vacanza!”

Ovvio. Come aveva potuto pensare Mycroft che Sherlock avrebbe potuto credere a quella copertura? Forse non ci aveva nemmeno sperato, tanta era l'urgenza di tenere sotto controllo il fratellino.

“Volevo farmene un'altra.”

“Oh … è stato Mycroft, vero?”

Colpito e affondato.

“Ascolta ...” forse poteva ancora rimediare.

“Ma certo! Sente parlare di Baskerville e subito mi manda un controllore a spiarmi in incognito. È per questo che ti fai chiamare … Greg?”

Un istante di silenzio non sarebbe bastato per contenere l'urlo represso. Davvero si era dimenticato il suo nome? Davvero?! Stava per gridare, quando John intervenne, placandolo prima che potesse dargli un pugno.

“È il suo nome.”

“Davvero?” Sherlock sembrava sincero, si era sul serio dimenticato di lui. Un nome, il nome di una persona non importante, il suo nome, uno tra i tanti da dimenticare, sostituito dal più comodo “Ispettore”, dal momento che per lui non era altro che quello, uno strumento utile per raggiungere i suoi scopi. Era questo ciò in cui si era trasformato? Non contava più nulla per Sherlock?

“Già!” rispose, con rabbia a malapena repressa “Se ti fossi scomodato a chiederlo.” come se non lo sapessi, ipocrita “Io non sono il tuo controllore … e non eseguo gli ordini di tuo fratello.” come se non fosse vero, altro ipocrita.

“Forse puoi essere l'uomo che ci serve ...” mormorò John, attirando la sua attenzione e quella di Sherlock.

 

Uscendo dal pub, più tardi, si sentiva leggero come una piuma. Si era divertito, nonostante tutto. La presenza di Sherlock era bastata per ridargli il buonumore, come una droga che però poi ti fa precipitare in un abisso di depressione. Sarebbe andato avanti così per sempre? Lui che insegue Sherlock per elemosinare un po' della sua attenzione come un tossico qualsiasi? Drogato di Sherlock … ecco cos'era … e invidiava John che poteva respirare il suo profumo ogni giorno, ogni minuto … lui che aveva il rispetto e l'amicizia di … sì, dell'uomo che Gregory aveva capito di amare. Gli ci erano voluti anni per capirlo, ma ci era arrivato.

Una volta lontano dal paese, in mezzo alla campagna e nascosto alla vista dietro un enorme masso, scoppiò a ridere. Rise di se stesso, della sua stupidità, del tempo che aveva impiegato a capire che amava Sherlock e che lo avrebbe sempre amato. La risata riecheggiò nell'aria e si tramutò in un pianto disperato quando Gregory capì che, per quanto lo potesse desiderare, Sherlock non sarebbe mai stato suo. Non più. Era arrivato troppo tardi.

 

 

 

 

Quella notte fece fatica a dormire. I pensieri danzavano nella sua testa come fiammelle impazzite, sfuggite da un incendio che lui stesso aveva appiccato. Pensieri confusi, disordinati, senza un senso, ma sopra quelle voci, al di là del brusio, c'era una sola immagine, un solo volto … Jim Moriarty. Lo osservava oltre la nebbia, i suoi occhi brillavano della luce delle fiamme dell'inferno e lo aspettavano, famelici. Era lui il mastino, il suo mastino, la sua paura ancestrale, ciò che era riuscito a bloccarlo, terrorizzarlo. Era davvero così debole? Un solo pensiero, il mero ricordo di lui era sufficiente per paralizzarlo? Sì, a quanto pareva era proprio così. Jim era stato chiaro, lo avrebbe fermato, in un modo o nell'altro.

Si alzò dal letto e andò alla finestra. Il cielo era sereno, qualche nuvola solitaria transitava nel blu intenso della notte. Aprì la finestra, lasciando che l'aria frizzante della brughiera gli scompigliasse i capelli e lo risvegliasse da quel brutto sogno. Indossava solamente la camicia e i pantaloni scuri ma non aveva freddo, aveva bisogno di sentirsi vigile, avvolto da quel fresco che sembrava dare sollievo anche alla sua mente in subbuglio.

Voltandosi verso la stanza, vide John profondamente addormentato. Quel caso lo aveva stremato, fisicamente e psicologicamente e ora dormiva il sonno di chi non ha pesi sulla coscienza. Lui invece no, non riusciva a dormire, non con quei pensieri che lo tormentavano.

Jim. James. James Moriarty.

No, non lo voleva vedere, non voleva sentire il suo nome nella sua mente, ripetuto come un mantra a ricordargli che presto avrebbe dovuto affrontare lui e tutto ciò che rappresentava. No, doveva pensare ad altro.

Greg. Gregory. Gregory Lestrade.

Perché stava pensando a lui? Rise piano, pensando allo scherzo che gli aveva fatto quel giorno. Aveva finto di non ricordarsi del suo nome, ma era stato facile visto che era arrabbiato anzi, furioso. Gregory non era lì per lui, ma per ordine di Mycroft, per sorvegliarlo Sì, era così, ne era certo. La cosa lo aveva sempre divertito, perché invece si sentiva sul punto di scoppiare per la rabbia? Cosa c'era in fondo al suo cuore che premeva per uscire? Le emozioni già da tempo avevano preso il sopravvento, da quando era riuscito a specchiarsi nell'immagine di Irene, la Donna che era riuscita a riflettere l'immagine di un uomo non privo di emozioni, ma così colmo di esse da poter scoppiare da un momento all'altro. Lei aveva innescato la bomba e questa era esplosa, eliminando ogni cosa, perfino le emozioni, alla fine … o almeno così aveva creduto. La paura c'era, aveva resistito, ne aveva avuto numerose prove in quei giorni, aveva dovuto toccare con mano le ceneri di quella distruzione e le aveva sentite calde, come se celassero qualcosa di importante, vivo, che aveva resistito tutto quel tempo, tutti quegli anni. Cos'era? Era un sentimento vivo, vitale, sempre più presente e sempre più grande, che non poteva ignorare. Sapeva che c'era ma non ricordava cosa fosse. Chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime scendessero libere, lucide sulla sua pelle chiara. Non voleva piangere, non stava piangendo, il suo cuore sanguinava e lui non poteva fermarlo. Una voce dentro di lui urlava e finalmente lui la sentì. Non poteva continuare a razionalizzare tutto. La mente poteva arrivare fino a un certo punto, ma se voleva davvero risolvere quell'enigma, l'unico enigma invisibile inchiodato nella mensola del suo palazzo mentale, doveva far agire il cuore e l'istinto. Come tanti anni prima, una notte ormai dimenticata.

Come un sonnambulo uscì sul balconcino e chiuse la finestra, in modo che l'aria fredda non svegliasse John. Con cautela si arrampicò sull'edera che cresceva lungo la parete.

 

 

 

 

Alla fine era riuscito a dormire. Aveva mangiato parecchio, bevuto troppo e riso come l'ubriaco che era. Ciò che aveva visto quella sera andava oltre ogni immaginazione e aveva bisogno di esorcizzarlo, in un modo o nell'altro. Il terrore che aveva provato però non doveva essere nulla se paragonato a ciò che aveva visto in Sherlock. I suoi occhi erano fissi, puntati su un demone che solo lui riusciva a vedere. Era vero, era buio e il mastino era davvero spaventoso, ma cosa poteva aver visto Sherlock di così terribile da ridurlo in quello stato? Troppe emozioni, troppi fantasmi erano emersi dalla nebbia della brughiera, e pensò che il gas tossico avesse semplicemente aiutato a tirare fuori ciò che ognuno di loro aveva dentro e, per quel che riguardava lui, a confermare ciò che aveva pensato quel pomeriggio. La stanchezza, il cibo e l'alcool avevano fatto il resto, ma il sonno in cui era precipitato era stato agitato e abitato da cani con gli occhi rossi come il fuoco, che divampava attorno a lui, accerchiandolo, facendolo quasi soccombere. I crepitii si fecero più presenti, più pressanti, vicini a lui, le fiamme lo accerchiavano … quando una semplice folata d'aria fredda fu sufficiente a spegnerle tutte insieme. Il silenzio tornò a regnare sovrano e a quel punto si svegliò.

Aprì lentamente gli occhi e si rese conto di essere più lucido di quanto avrebbe mai potuto sperare. La luce della luna filtrava attraverso le tende, mosse dalla brezza proveniente da fuori. La finestra si era aperta … ma come? Era sicuro di averla chiusa prima di dormire, o forse era troppo ubriaco e se l'era immaginato? Si alzò di malavoglia e andò a chiuderla con un sospiro.

“Gregory, vecchio mio, non puoi andare avanti così.” mormorò, rimproverandosi.

Tornò a distendersi intenzionato a dormire, nonostante temesse di ricadere di nuovo in quel pozzo di fuoco, quando si accorse di non essere solo. Accanto a lui, con gli occhi azzurri ben aperti, c'era Sherlock. Lo fissava con intenzione, quasi volesse chiedergli il permesso di stare lì ma al contempo certo di poterlo ottenere. Un deja vu o, meglio, una notte già vissuta, una delle tante di un tempo ormai passato, che aveva temuto di non rivivere più. Si rilassò con il volto sul cuscino e sorrise. Sherlock, rassicurato, chiuse gli occhi e poco dopo, cullato da una musica che solo lui poteva sentire, si addormentò.

Era tornato. Nonostante le sue paure, Sherlock era tornato da lui, come un gatto randagio nella notte. Si era perduto, ci erano voluti anni, ma era riuscito a ritrovare la strada di casa.

Gregory si beò di quella vista, incantato dal ritmo del suo respiro regolare e, senza rendersene conto, scivolò a sua volta nel sonno.

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Capitolo 24
*** La chiave ***


Non vi siete persi nessun capitolo in mezzo, non preoccupatevi. Come ho già detto, non voglio ripercorrere tutti i fatti della serie, solo quelli più importanti ai fini della storia.

Buona lettura!!






La chiave






L’uomo è dove è il suo cuore, non dove è il suo corpo.
Mahatma Gandhi





To-toc.

To-toc.

To-toc.

Il rumore sordo della pallina sulla parete scandiva il tempo, un lancio dopo l'altro, risuonando nella sua mente, come i passi cadenzati di un boia che sta per raggiungere il condannato al patibolo. Era consapevole di avere poco tempo a disposizione prima di … be', prima di andarsene. Non era certo dell'esito del colloquio che avrebbe avuto di lì a poco con Jim Moriarty, ma aveva poche speranze di poter lasciare quel tetto da vivo o di poter rivedere ancora John o … Gregory.

Gregory Lestrade. Aveva dormito con lui, quella notte a Dartmoore, aveva sentito ancora una volta quel calore che aveva cercato di dimenticare e, con sua somma sorpresa, non si era sentito respinto. Gregory lo aveva accolto come un tempo, come quando andava a rifugiarsi da lui la notte, quando aveva paura di qualcosa o era preoccupato e, esattamente come all'ora, se n'era andato con il sorgere del sole, discreto e silenzioso.

Da allora non si era più avvicinato a lui, non in quel modo.

Era stato bello e spaventoso insieme, il brivido che si prova quando ci si trova di fronte a un precipizio. Da anni non sentiva più quella paura mista ad eccitazione che lo faceva fremere come un adolescente alla prima cotta … la prima e unica cotta che avesse provato in vita sua. No, non era una cotta, era Amore, con la A maiuscola. Se fino a quel momento aveva visto solo il buio in fondo a quel precipizio, ora era riuscito a vedere della luce, il riflesso dell'acqua che lo avrebbe abbracciato una volta che si fosse buttato. La paura c'era sempre, ma ora era consapevole del fatto che non si sarebbe schiantato sui massi appuntiti del rifiuto, ma avvolto dall'acqua fresca e limpida di un amore che sì, forse, poteva essere ricambiato.

Il problema era che, purtroppo, anche stavolta, era arrivato tardi.

L'esistenza, pilotata da Jim Moriarty, stava chiudendo il sipario sulla sua vita.

Sapeva esattamente cosa doveva fare, non gli restava altro che farlo.

Impostò il messaggio, lo avrebbe inviato più tardi.





Doveva essere un incubo, ne era certo. Non aveva dormito, quella notte, ma per forza doveva essere un brutto sogno. Sì, si era addormentato sulla sua poltrona e aveva sognato tutto. Si stropicciò gli occhi gonfi per il sonno e in quel momento sentì bussare alla porta.

Avanti ...” mormorò con la voce ancora impastata per il sonno.

Buongiorno Ispettore.”

Era Sally Donovan. Grugnì, irritato. Non aveva mai provato molta simpatia per quella donna, non da quando aveva notato come trattava Sherlock, esattamente come i bulli avevano sempre fatto a scuola. Eppure non aveva potuto farci nulla, aveva dovuto tenerla perché, nonostante il carattere di merda, era brava, intelligente e capace nel suo lavoro.

Dimmi” mormorò mentre il suo cervello già pensava ad una tazza di caffè accompagnata da una ciambella.

Non li abbiamo ancora trovati. Né lo psicopatico né il dottor Watson.”

Chiuse gli occhi, trattenendo il fiato come se fosse stato raggiunto da un pugno sullo stomaco.

Era vero. Era dannatamente vero. Sherlock era stato accusato di una quantità assurda di crimini e ora era latitante. Sospirò e annuì.

Capisco. Continuate a cercare.”

Sally annuì a sua volta, raggiante. Che stronza. Gioiva per quella situazione, mentre lui avrebbe solo voluto sprofondare e dimenticare tutto, gettando quei problemi tra le mani di qualcun altro. Chiunque, ma non lui. Strinse gli occhi, pensando a ciò che era accaduto in così poco tempo.

Prima il processo, poi il rapimento di quei due bambini … e ora quella fuga, poco prima dell'arresto. Aveva sperato, no, era stato certo fino all'ultimo istante che Sherlock fosse innocente e, nonostante tutto, voleva crederci ancora. Se si fosse lasciato arrestare senza lottare probabilmente avrebbero potuto trovare una soluzione, capire cosa era successo e confermare che era stato incastrato, invece con quel gesto folle aveva fornito l'ultima prova a suo sfavore, insieme alle altre. Avrebbe voluto combattere ancora … ma no, non poteva rischiare la carriera per un uomo che gli aveva sempre e solo mentito, ingannato il prossimo … lui … Proprio lui che, dopo quella notte, aveva scoperto finalmente di amarlo, di averlo sempre amato, ma di non aver avuto il coraggio di ammetterlo, nemmeno con se stesso. Si era nascosto, prima dietro il finto amore che aveva pensato di provare per Haley, poi nel lavoro e ora …? Ora dietro a cosa avrebbe potuto nascondersi? Era esposto, terribilmente esposto, ma aveva ancora paura di soffrire.

I suoi pensieri tornarono a quella notte a Baskerville. Gli era sembrato sincero, perfino … no, non era possibile? Oppure sì? Che Sherlock fosse davvero ancora innamorato? Come avrebbe potuto resistere tutto quel tempo senza dimostrare nulla … senza soffrire? No, doveva esserci altro sotto. Erano trascorse diverse ore da quando lo aveva visto per l'ultima volta, a Baker Street. Aveva lo sguardo atterrito di una preda accerchiata dai suoi predatori. Avrebbe voluto fare di più, aiutarlo … ma lui non glielo aveva permesso. Si sentiva impotente. Da quando era entrato nella polizia, aveva sempre cercato di fare del suo meglio per far vincere la giustizia. Lo aveva promesso, anni prima, a se stesso e a Sherlock. Nonostante tutto, in quel caso, sentì di aver fallito.

In quel momento entrò la sua segretaria, con la posta del giorno. La ringraziò con un sorriso tirato, non aveva voglia di parlare, con nessuno, se non per questioni urgenti.

Tra le solite missive, ne notò una diversa dalle altre. Era una busta senza francobollo o timbri. Probabilmente qualcuno l'aveva imbucata a mano. Non era la prima volta che accadeva e in quei casi si dimostrava sempre molto prudente.

Quando fu solo la sollevò per esporla alla luce e verificarne il contenuto prima di aprirla. C'era una lettera scritta a mano, una grafia che aveva già visto … e una chiave.





Vieni a giocare. Sul tetto del Bart's Hospital.

SH

P.S. Ho qualcosa di tuo che forse rivuoi.


Un semplice messaggio, niente di che, ma con quel messaggio aveva innescato una bomba che, di lì a poco, sarebbe stata pronta ad esplodere. John se n'era andato da poco quando era arrivata la risposta di Moriarty. Aveva riflettuto tutta la notte, preparandosi per quel momento ma, nonostante questo, si sentiva impreparato per quello che lo aspettava. Non si trattava di risolvere un caso, di mettere alla prova la sua intelligenza con qualche enigma … stava per sacrificare la sua vita per amore delle persone a cui teneva di più.

John.

La signora Hudson.

Gregory.

Soprattutto Gregory. Non avrebbe potuto dirgli addio, non di persona, e soprattutto non avrebbe potuto tuffarsi nelle acque limpide dei suoi sentimenti, dirgli che lo amava ...

Aveva sperato fino all'ultimo istante di non dover inviare quel dannato messaggio, di potersi risparmiare di morire … ma alla fine Moriarty non gli aveva dato scelta. Si sarebbe buttato, avrebbe confermato le accuse di quel criminale, suicidandosi sul marciapiede di fronte al Bart's.

Il sangue di Moriarty, che si stava già coagulando sulla ferita, riluceva come un tessuto prezioso sul tetto dell'ospedale. Non aveva altra via di fuga. Doveva farlo per proteggerli, sacrificarsi per loro.

Gli ultimi istanti di vita, della sua vita … prima di gettarsi nell'anonimato di un'esistenza sotto copertura, nella quale sarebbe stato costretto a fuggire e a nascondersi.

Addio John ...”

Lo sguardo del suo amico amico era terrorizzato. Avevano litigato quella mattina, eppure John era lì, pronto a stare al suo fianco come sempre, fedele come l'amico che era e che si era sempre dimostrato. Sorrise mentre le lacrime scendevano lentamente sulle sue guance magre. Non era stato facile mentirgli, dirgli che era un impostore, un imbroglione … ed era stato altrettanto difficile dirgli addio. Non sapeva se lo avrebbe più rivisto.

Abbassò la mano che teneva il cellulare. Sbirciò per un istante e andò ai messaggi inviati. Dopo quello che aveva spedito a Moriarty ce n'era un altro, che si affrettò a cancellare. Non voleva lasciare prove di alcun tipo del suo inganno.



Sms to: Mycroft

Operazione Lazarus.

Nella mia cassetta di sicurezza, a Baker Street, troverai una scatola di metallo chiusa a chiave. Consegnala a Gregory.

S


Il messaggio venne cancellato. Lanciò a terra il telefono e, allargate, le braccia, immaginò che sotto ci fosse Gregory ad attenderlo, l'acqua limpida in cui immaginava di tuffarsi quando pensava a lui. Chiuse gli occhi, sorrise e si buttò.





Il caos regnava sovrano a Scotland Yard. Le voci di tutti gli agenti si sovrapponevano l'una sull'altra. Sally sembrava impazzita di gioia malgrado cercasse di celare malamente questo suo sentimento dietro a un comportamento professionale. Anderson, che avrebbe normalmente gioito con lei, sembrava invece sperduto, come un bimbo lontano dai genitori.

Non capiva. Cosa stava succedendo? Non riusciva a distinguere le parole, c'erano troppe voci. Aveva sentito un Holmes … forse lo avevano trovato prima che fosse troppo tardi? In quel momento entrò Sally.

Ispettore Lestrade! Abbiamo trovato Holmes!”

Un istante di gioia lo travolse. Forse non tutto era perduto.
“Dov'è?” chiese, senza rendersi conto di essere impallidito.

Si è suicidato.” esclamò lei “Si è buttato dal tetto del Bart's. Siamo stati allertati da un agente che è arrivato con i primi soccorsi.”

Suicidato.

Si è suicidato.

Si è buttato dal tetto del Bart's.

C-capisco.”

Come vuole procedere?” chiese lei, che evidentemente non vedeva l'ora di potersi recare sul posto.

Vai tu.” gli rispose lui, secco “Io devo fare una cosa.”

Ma ...” provò a protestare lei, che però sembrava anche felice di quello strano ordine.

Non dovrai fare niente di eclatante. Il caso è chiuso. Non si può arrestare un uomo morto. Fa in modo di ripristinare l'ordine e torna per fare rapporto sull'accaduto. Chiaro?” chiese, guardandola negli occhi con odio mascherato da determinazione.
“Chiaro, capo” rispose lei, entusiasta, prima di correre via.

Quando fu solo, Gregory sospirò piano. Non voleva vederlo. Non voleva vederlo ricoperto di sangue. Nemmeno anni prima, quando era stato pestato dai suoi compagni di classe, lo aveva visto con il viso sporco di sangue, ma direttamente in ospedale, dove il rosso sulla sua pelle era dovuto semplicemente ai disinfettanti. Quella volta ce l'aveva fatta, anche se per poco, e lui si era convinto di poterlo aiutare, di poterlo risollevare dal dolore in cui era precipitato. Questa volta no, niente e nessuno avrebbe più potuto salvare Sherlock Holmes … e lui non era certo di voler assistere a quel macabro spettacolo.

Sherlock … cosa hai fatto?”


Era riuscito a liberarsi solamente dopo un'ora e finalmente era tornato a casa.

Il silenzio rimbombò nelle sue orecchie. Da quando non c'era più Haley si era abituato a quella mancanza di suoni, ma quel giorno tutto quella finta quiete lo ferì come un colpo al cuore. Non era l'assenza di Haley … era l'assenza di Sherlock … e avrebbe dovuto sopportarla per sempre. Ora che sapeva, ora che era certo di ciò che provava per lui … ora che era certo di amarlo … lui non avrebbe più potuto saperlo, non avrebbe più potuto dirgli che lo amava, se non davanti a una fredda lapida con inciso il suo nome.

Era rientrato da pochi minuti, quando qualcuno suonò il campanello. Come previsto, era uno degli uomini di Mycroft che, senza troppe cerimonie, gli consegnò una piccola borsa. Gregory lo ringraziò con lo sguardo e, senza aspettare altro, chiuse la porta e tornò in casa.

Andò in salotto e, posata la borsa sul divano e la chiave che aveva trovato nella busta sul tavolino, l'aprì. Tirò fuori una scatola di metallo, semplice, grande a sufficienza da tenere dentro … cosa? Cosa poteva mai contenere?

Tremando, Gregory prese la chiave e aprì il contenitore.

Taccuini.

Dentro c'erano cinque taccuini di pelle marrone.

Ne prese uno e, sfogliandolo, lo riconobbe. Le pagine erano ingiallite dal tempo, ma riconobbe la macchia di fango che non era riuscito a pulire, anni prima, ben impressa sul bordo delle pagine.

Sherlock ...”

Era il suo taccuino di appunti e, accanto a quelli, altri che doveva aver scritto nel corso degli anni. Ne sfogliò altri, la grafia acuta e precisa di Sherlock era evidente. Un nodo alla gola gli impedì di respirare correttamente. Tremando posò i libretti sulla scatola e, tirata fuori la lettera che aveva letto poco prima, la mise sopra tutto.

Erano successe troppe cose in troppo poco tempo e lui si sentiva smarrito, perso come un bambino solo nella tempesta.

Non ricordava esattamente l'ultima volta in cui aveva dato sfogo al suo dolore. La rabbia sì, quella era riuscito a sfogarla parecchie volte, soprattutto in palestra, ma il dolore … quello no. Da quando non accadeva?

Prese nuovamente il primo taccuino, quello che aveva salvato dalla pioggia e dal fango. Lo aveva salvato … ma non era riuscito a fare lo stesso con il suo proprietario. Sapeva cos'era, era consapevole del peso di quelle pagine. Era il cuore di Sherlock, la sua anima … e lui ne possedeva la chiave … ma a cosa sarebbe servito, ora?

Strinse quel libretto tra le mani tremanti e, urlando il suo dolore al mondo, scoppiò a piangere.





Caro Gregory.

Se stai leggendo questa lettera, significa che sono morto. Non voglio che piangi per me, non ce n'è davvero bisogno. Come hai visto, vi ho ingannati, ho mentito e questo è ciò che merito. Ti ho mentito per tutti questi anni e voglio che almeno adesso tu sappia la verità.

Ti amo, Gregory, ti ho sempre amato e non ho mai smesso di farlo, anche se ci ho provato. Quando ho scoperto la tua relazione con Haley e poi il tuo matrimonio con lei ho deciso di farmi da parte, di dimenticare, di non pensare più all'amore che provavo per te perché ero certo che niente e nessuno avrebbe mai potuto sostituirti. Ho deciso di non amare perché non avrei potuto amare nessun altro che non fossi tu.

È stato bello dormire con te, come un tempo, quella notte a Baskerville. Avrei voluto dirti queste cose di persona, ma il destino ha deciso diversamente.

Appena avrai l'occasione di farlo, torna a casa, mio fratello, o probabilmente uno dei suoi uomini, ti porterà qualcosa di importante. Voglio che ce l'abbia tu. Ti ho voluto dare la chiave, in modo che solo tu possa aprire quel cofanetto, non voglio che Mycroft veda cosa contiene, è troppo prezioso. È solo per te e voglio che tu lo veda, completamente, senza più segreti.

Ti prego, custodiscilo con cura e, ti prego, perdonami.


Ti amo

Per sempre tuo

Sherlock

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Capitolo 25
*** Gatto randagio ***


Eccoci arrivati. Questo è il capitolo finale. È stato divertente e commovente scrivere questa storia, è stata una specie di sfida. Ho voluto procedere con calma, per gradi, fino a raggiungere questo finale.

Ho cambiato l'incontro tra Gregory e Sherlock dopo lo iato, ma spero che vi piaccia ugualmente.

Vi ringrazio per avermi seguita fin qui. Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e anche chi mi ha seguita in silenzio.

Alla prossima!!

Mini

 

 

 

 

 

Gatto randagio

 

 

 

 

Di qualunque cosa le nostre anime siano fatte, la mia e la tua sono fatte della stessa cosa

Emily Brontë

 

 


 

 

Erano trascorsi due anni.

Due fottuti anni.

Due anni, in cui aveva provato ad andare avanti, a vivere senza soffrire o sentirsi in colpa per ciò che era successo. Due anni di merda. I suoi sottoposti avvertivano il suo disagio e ognuno, a modo suo, cercava di consolarlo, anche se per il motivo sbagliato. Tutti credevano che stesse male per il divorzio e così, in un modo o nell'altro, lo spingevano ad andare oltre, a superare quel trauma. Avevano ragione a dire che soffriva per amore, questo sarebbe stato evidente a chiunque, ma non sapevano di essere molto distanti dalla verità. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che l'Ispettore Gregory Lestrade potesse star male per Sherlock Holmes.

Da quanto si era suicidato, Gregory aveva convissuto tra sentimenti contrastanti. Da una parte c'erano i sensi di colpa, che lo attanagliavano soprattutto durante la notte, impedendogli di dormire, ripetendogli sussurrando all'orecchio che avrebbe potuto fare di più, avrebbe potuto aiutarlo, salvarlo da … cosa? Avrebbe davvero potuto fare di più o quel finale tragico era voluto da Sherlock e in quel caso non avrebbe potuto far altro che assistere impotente alla sua autodistruzione?

Dall'altra parte c'era l'amore, sempre più forte, che provava per quell'uomo straordinario che aveva perso la vita troppo presto.

Aveva letto i suoi taccuini, li aveva divorati, sperando di allentare quella morsa che gli stringeva il cuore ogni volta in cui pensava a lui. Erano pieni di appunti, più o meno approfonditi su … be', tutto. Il primo, quello che non aveva mai avuto il coraggio di leggere, era stato scritto da un adolescente ancora poco pratico dei meccanismi che fanno muovere gli esseri umani e, pensò Greg con un po' di tenerezza, ingenuo e innocente. I successivi dimostravano, pagina dopo pagina, una lenta ma costante maturazione. C'era un buco nelle date, probabilmente il periodo che aveva trascorso a disintossicarsi dalla droga, senza avere la possibilità o la volontà di confidare alla carta i suoi pensieri più intimi.

Un bussare impertinente lo risvegliò, riportandolo alla realtà.

“Avanti!” gridò seccato, come era sempre più spesso.

“Permesso? Posso entrare, Ispettore? Greg? Volevo invitarti a bere un caffè.”

Philipp Anderson era di certo la persona che più lo capiva e, proprio per questo, quasi ogni giorno lo invitava a uscire dal suo ufficio per prendere un po' d'aria fresca, ma soprattutto per esporgli le sue ultime teorie, dal momento che era uno dei pochi disposto ad ascoltarlo. Al contrario di Sally Donovan, ancora profondamente certa delle teorie che aveva sviluppato su Sherlock, si era convinto che fosse stato tutta una montatura, che in realtà il consulente detective fosse stato incastrato. Per questo motivo si era sentito in dovere di rimediare, in qualche modo. Continuava a dire a chiunque non lo avesse già sentito che Jim Moriarty esisteva davvero e che aveva escogitato un piano per screditare Sherlock Holmes. Asseriva inoltre che Sherlock era riuscito ad aggirare tale piano fingendo la propria morte e che ora si stava nascondendo da qualche parte, continuando seppur nel suo anonimato a risolvere i crimini più disparati. Tutta quella dedizione, che era sfociata nel suo massimo con il suo licenziamento da Scotland Yard e la creazione di un fan club, i cui folli membri non facevano altro che elaborare teorie sempre più pazze sul conto del detective, avrebbe potuto intenerire Gregory, ma in realtà lo faceva impazzire di rabbia.

Sherlock era morto.

Non sarebbe tornato.

Non si stava nascondendo da qualche parte, aspettando di tornare e dimostrare che tutti si sbagliavano e che lui era vivo. Se fosse stato così non gli avrebbe scritto quella lettera, si sarebbe messo in contatto con lui in qualche modo o almeno con John il quale, almeno da quanto aveva potuto constatare, era turbato e scosso quanto lui.

Perso in quei pensieri, lo aveva seguito e senza rendersene conto era arrivato al chiosco dove prendeva sempre il caffè, sentendo a malapena i discorsi vaneggianti del suo ex collega.

“Greg? Greg? Mi senti?”

L'ispettore si voltò verso l'amico, riemergendo dai suoi pensieri. Era di fronte a lui e gli porgeva una tazza di caffè da asporto.

“S-sì … certo … cosa dicevi?”

“Ti stavo parlando di quel caso di omicidio risolto in Francia qualche giorno fa. Non ci sono dubbi sul fatto che sia stato Sherlock! È lui! È vivo, come ti avevo detto!”

Gregory sbuffò. Non ne poteva più, davvero, ancora un po' e sarebbe scoppiato. Prese il suo caffè con un malcelato gesto di stizza, ignorando la sua ultima affermazione per non cadere nella tentazione di prenderlo a pugni.

“Lo so che la pensi come me! Avanti, non negarlo! Lui è ...”

A quel punto Gregory non ce la fece più. Due anni di dolore represso esplosero in un colpo solo.

“Lui è morto, Philipp. Morto. È morto e non potrà tornare!” non gridò, ma la sua voce era ferma, rabbiosa “Vorrei tanto dovermi arrabbiare con lui perché ci fa fare la figura degli idioti, vorrei poterlo ringraziare perché ci aiuta … ma … non posso … non posso ...” mormorò infine, ricacciando con un enorme sforzo le lacrime che già gli facevano pizzicare gli occhi.

“Ma … Greg ...”

Gregory non gli rispose. Non aveva nemmeno più voglia di caffè. Si voltò, lanciò il contenitore ancora pieno nel cestino e si avviò a passo di marcia verso Scotland Yard.

Sapeva che era sbagliato prendersela con lui, che in fin dei conti non poteva sapere quanto lui soffrisse anche solo pensando a Sherlock. Non poteva sapere quanto lo aveva amato, quanto lo amava ancora. Si impose di non pensare più a lui e, per dimenticare, si immerse ancor di più nel lavoro.

 

 

 

 

 

Londra. La sua casa. Aveva girato il mondo, ma nessun luogo avrebbe mai potuto eguagliarla. In Italia era riuscito a vedere opere d'arte senza pari, visitare il Tibet era stato stimolante, l'America del Sud lo aveva incantato e la Francia era stata da sempre la sua seconda patria ma, per quanto ciò che aveva visto nel suo lungo esilio potesse essere bello, interessante o unico, la mancanza dell'atmosfera che aveva trovato solo a Londra si era fatta sentire. Più di una volta si era riproposto di tornare, di mandare al diavolo tutto e riconquistare la sua libertà, poi però pensava a quanto aveva perso per quello, a quanto aveva dovuto rinunciare … e allora lasciava perdere, per non distruggere tutto ciò per cui aveva lavorato e rendere vano il suo sacrificio.

Era stato difficile, aveva sofferto in quegli anni, psicologicamente e fisicamente, ma finalmente era tornato. Londra sarebbe stata ancora il suo regno.

C'erano molte cose che doveva fare, questioni in sospeso da sistemare, al di là del caso presentatogli dal fratello il quale, pensò, poteva essere una scusa per farlo tornare, anche se Mycroft non lo avrebbe mai ammesso.

C'erano John, la signora Hudson, Molly … e Greg. Un po' alla volta avrebbe affrontato tutti, avrebbe spiegato, fatta eccezione per Molly che già era consapevole del suo segreto. Non era la prima volta che provava paura, ma quella sembrava una sfida più difficile del solito. Avrebbe incontrato rabbia, dolore, risentimento … ma non avrebbe rinunciato a loro per nulla al mondo. Aveva già imparato a sue spese cosa poteva portare reprimere i sentimenti in favore di una paura paralizzante, non avrebbe commesso ancora lo stesso errore. Se John o la signora Hudson o addirittura Gregory lo avessero respinto, dicendogli di odiarlo per tutta la sofferenza che avevano patito dopo la sua morte, se ne sarebbe fatto una ragione, ma almeno non sarebbe rimasto con l'eterno dubbio di un rifiuto. Un rifiuto … lo aveva temuto per tutta la vita, per questo aveva preferito nascondersi nella solitudine. La solitudine non ti permette di soffrire, ti protegge, come una stanza insonorizzata che ti isola dai rumori esterni, ma ti impedisce allo stesso tempo di sentire la musica. Sofferenza, un rischio evitato, ma il prezzo era troppo elevato, aveva imparato a capirlo. Non poteva più fare a meno di quei sentimenti che gli pulsavano dentro e lo facevano vibrare. La paura di fallire c'era ancora, ma non era più quel senso di stordimento che portava all'inattività, all'ignavia. La paura si era trasformata nel fuoco che lo avrebbe portato ad agire, a non rinunciare a ciò che desiderava e a conquistarlo.

Dalla lanterna della Cattedrale di Saint Paul, guardava la città.

La sua città.

Sherlock Holmes era tornato.

 

 

 

 

La sera era calata presto o semplicemente lui non si era accorto che le ore erano trascorse mentre lavorava. Erano già le otto quando Sally andò da lui.

“Greg? Sei ancora qui? Credevo che te ne fossi già andato.”

Greory sollevò lo sguardo dall'ultimo rapporto che stava esaminando e si massaggiò gli occhi stanchi.

“Stavo per andare … mi manca poco ...”

“Lascia perdere, hai lavorato anche troppo oggi … e non solo oggi. Sono settimane che non ti prendi un solo giorno di respiro e lavori per due ...”

“C'è molto da fare.” sbottò lui, seccato.

“Sì, ma ...” provò a insistere lei, ma lo sguardo del suo superiore la fermò “Come vuoi.” mormorò infine, rassegnata.

“Ci vediamo domani, Sally.” borbottò Greg, raccogliendo le sue cose. Quando ebbe finito, si alzò e uscì dal suo ufficio e poi dall'edificio senza guardare in faccia nessuno.

 

A casa venne accolto dal solito, dannatissimo silenzio. Non aveva avuto altre relazioni da quando aveva divorziato, troppo occupato a dimenticare un matrimonio fallito e un amore che mai e poi mai avrebbe trovato il suo lieto fine.

Come al solito si fece una lunga doccia, lasciando che l'acqua portasse via ogni pensiero, negativo o positivo che fosse, anche se ultimamente di questi ne aveva ben pochi.

Come al solito si preparò una semplice cena, niente di complicato, giusto un po' di carne con delle patate, tanto per non morire di fame e sì, una ciambella per dessert.

Come al solito si prese la sua dose di televisione spazzatura, altro buon metodo per spegnere il cervello e non pensare.

Come al solito andò a dormire. Finestra e porta chiuse, per impedire a qualsiasi cosa di disturbare il suo sonno.

Silenzio.

Luce spenta.

Il tiepido calore del suo letto.

Duro lavoro, doccia calda, cibo, televisione. Si sentiva stordito, ubriaco, piacevolmente distante dalla realtà. Chiuse gli occhi e si lasciò abbracciare dall'oblio del sonno. Un'altra giornata era andata. Quanto avrebbe potuto resistere così?

 

Toc.

Toc.

Toc.

Toc.

Un rumore sordo, di legno che sbatte, accompagnato da un fruscio simile a quello della stoffa. Stava sognando? Aprì lentamente gli occhi per permettere al sogno di svanire del tutto dalla sua mente, ma il rumore non cessò e solo allora si accorse che a svegliarlo non era stato solo quel suono, ma una leggera brezza che, filtrando dalla finestra aperta, faceva muovere le tende. Si alzò di scatto per andare a chiudere la finestra. Probabilmente Sally aveva ragione, aveva lavorato così tanto da non essersi reso conto di averla lasciata aperta. Avrebbe dovuto davvero prendersi una vacanza … ma da cosa? Dalla vita? Dal dolore? Avrebbe potuto prendersi una pausa dal lavoro, ma il dolore sarebbe rimasto lì, immutato o forse addirittura più forte.

Lo spifferò cessò, il silenzio tornò nella stanza, ma qualcosa era cambiato. Percepì una presenza, un'ombra alle sue spalle. Si maledì per non avere a portata di mano la pistola, ma d'altra parte come avrebbe potuto prevedere di doversi difendere in casa sua?

“Chi sei?” domandò, sentendosi un idiota perché era evidente che nessuno avrebbe potuto entrare, per quale motivo poi? “Fatti avanti! Sono … sono armato!” gridò infine, mentendo spudoratamente. Si avvicinò all'interruttore, ma l'intruso accese per primo la lampada che teneva sul comodino accanto al letto.

Nella fioca luce arancione, apparve Sherlock.

Il cuore di Gregory si fermò per un istante.

Era lui? Era davvero lui? Non stava sognando, giusto? Sherlock era lì, di fronte a lui, gli sorrideva. Era entrato nella sua stanza, quel dannato gatto randagio.

“Non è un sogno, Gregory … sei sveglio.”

La sua voce. La sua bellissima voce, così profonda, calda, accogliente come un piumone, come un abbraccio, una carezza. Non c'erano dubbi. Era vero.

“Tu … bastardo!”

Non seppe dire altro, i suoi occhi, lucidi di pianto, parlavano per lui. Con un paio di passi eliminò la distanza che li divideva e lo raggiunse. Sherlock, in piedi ancora in penombra, sorrideva. Anche se si aspettava un pugno, uno schiaffo o qualche altra offesa, si sentiva felice perché non aveva avuto paura delle sue emozioni, le aveva affrontate a viso aperto. Sia quel che sia, pensò, non mi interessa altro che essere onesto, con me stesso e con lui.

Non chiuse gli occhi, ricambiò lo sguardo di Gregory, intenso e infuocato di rabbia e qualcosa che non riuscì a decifrare.

In quell'istante Gregory fu certo che quello non era un sogno. L'odore della pelle di Sherlock gli invase le narici e da quella distanza poteva sentire il suo respiro e il battito del suo cuore, deciso, forte. Era vivo. Era vero.

“ … bastardo ...” ripeté Gerg, per poi scoppiare a ridere, contagiando anche lui in quello sfogo.

Greg ripensò alla lettera che due anni prima Sherlock aveva scritto per lui, a ciò che gli aveva confidato. Poteva essere ancora così? Se lo aveva amato per tutti quegli anni, forse quei due ultimi di assenza non avevano cambiato nulla … sarebbe bastato un passo, uno ciascuno, per raggiungersi e, finalmente, trovarsi.

Sherlock sorrise, rilassandosi e così fece anche Gregory.

La tensione era sparita, i dubbi svaniti, come fantasmi di paure ormai morte.

Senza dire nulla, senza programmarlo, entrambi si avvicinarono, muovendo un passo in avanti.

Un passo con la mente.

Un passo con il cuore.

Un passo e furono vicini, in tutti i sensi.

Un abbraccio, intimo e delicato.

Un bacio, a lungo atteso e desiderato, che unì i loro corpi e le loro anime.

Passò un attimo, un'ora, un giorno, un anno, un secolo … e infine si allontanarono, ma il loro legame perdurò nei loro sguardi.

“Ti amo ...” sussurrò Sherlock, rosso in viso per l'emozione e l'eccitazione.

“Ti amo ...” mormorò a sua volta Gregory, ancor più rosso e sul punto di scoppiare a ridere per sfogare la gioia. Rise. Gregory, rise, dopo due anni, rise di gioia.

“Dovrò chiamare Donovan ...” disse, asciugandosi le lacrime “Domani non andrò al lavoro ...”

“Ne sei certo?” chiese Sherlock, incredulo.
“Ne sono più che certo. Ho di meglio da fare.”

Senza dire altro, Gregory aiutò Sherlock a liberarsi del cappotto e della sciarpa, lasciandolo così con il suo completo poi, mentre lui si toglieva anche la giacca e iniziava a sbottonarsi la camicia, andò a recuperare un pigiama, ma quando tornò da lui per farglielo indossare, capì dal suo sguardo che non ne avrebbe avuto bisogno, non immediatamente almeno … e che anche il suo sarebbe stato di troppo. Sorrise, beandosi di quella vista, di quel sorriso, di quegli occhi, dello sguardo di Sherlock, il suo Sherlock.

 

Più tardi, entrambi esausti, si addormentarono sotto il piumone. I rispettivi pigiami erano abbandonati, inutilizzati, sparpagliati sul pavimento. La luce della luna filtrava gentilmente dalle tende. Il silenzio era scandito dal battito dei loro cuori che, finalmente, battevano all'unisono.

 

 

 

 

 

 

Come promesso, ecco il vostro lieto fine, questa storia è conclusa. Non escludo che in futuro possa scrivere ancora su di loro, seguendo questo filo narrativo, ma per ora mi fermo qui. Vi ringrazio ancora per essere arrivati fino alla fine.

Un abbraccio

Mini

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