We were destined to meet each other again

di zannarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Era stata una giornata difficilissima a lavoro, per cui non vedeva l'ora di tornarsene a casa, farsi una doccia, chiamare Tyrion per farsi quattro risate e andarsene a letto.
Jaime si strofinò gli occhi per scacciare il sonno che minacciava la sua guida.
“Ci mancava solo la pioggia!” pensò, guardando scocciato il parabrezza attraversato totalmente da rivoletti d'acqua che nemmeno il movimento regolare del tergicristallo faceva cessare. Fermatosi all'ennesimo semaforo rosso guardò distrattamente nello specchietto retrovisore, per accorgersi che stava per essere raggiunto da un auto a velocità decisamente troppo elevata.
Prima che potesse reagire in qualsiasi modo si sentì un sinistro scricchiolio di freni seguito da una leggera botta sul bagagliaio della sua Peugeot.
 “Niente di serio, per fortuna!” sospirò, per poi ricordarsi con rammarico di dovere scendere sotto la pioggia per firmare una maledetta constatazione amichevole.
Sarebbe stato più che contento di lasciare perdere tutte le scartoffie pur di andare a casa. Al diavolo tutto: poteva prendersi benissimo un'altra auto o pagare il meccanico...
Trasalì quando qualcuno bussò deciso al suo finestrino: “Mi scusi molto, signore! Potrebbe scendere?”
 Jaime trasse un altro profondo sospiro raccogliendo le forze, tirò su il colletto della costosa giacca firmata e scese sotto il diluvio, trovandosi faccia a faccia con la donna più brutta che avesse mai visto.
Più alta di lui, larga quasi una volta e mezza, labbra gonfie, naso enorme… il tutto incorniciato da un giubbotto mimetico scialbo su jeans da uomo. Jaime increspò poco elegantemente la bocca in una smorfia.
Il bestione sembrava molto a disagio.
“Sono veramente spiacente per la sua auto, signore! Ho sottovalutato la pioggia e i miei freni si sono inceppati… Non so davvero come scusarmi...”
 “…Senta. Consideriamolo un piccolo disguido, e pace.” tagliò corto il Lannister, fradicio fino al midollo e con la pazienza al limite. “Non mi interessa la burocrazia, né i danni subìti dalla mia auto.”
 “Io invece ti tengo a risarcirla, perché è colpa mia se..." cominciò infervorata lei.
“Siamo tutti e due d'accordo che è lei in torto, ma io le dico che non mi interessa il suo denaro. Lei ha subìto danni?” sbuffò Jaime, dando un'occhiata veloce alla carrozzeria della piccola macchinetta blu posta un po’ storta rispetto alla carreggiata.
“Fortunatamente no” rispose la donna con un che di tono marziale “ma insisto affinché mi dia il suo numero. La capisco, non vuole stare sotto la pioggia in una situazione così sgradevole: per cui se lei mi dà il suo contatto mi premurerò di richiamarla..."
Tanta testardaggine fece scattare qualcosa nella testa di Jaime, come la sensazione di cominciare a ricordare qualcosa di importante a lungo dimenticato. E poi, quegli occhi così azzurri...
 

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Capitolo 2
*** 2. ***


Anche quella notte lo stesso, identico sogno: un ragazzino storpio da proteggere e guidare verso il suo destino, lupi magici, un corvo a tre occhi a personificare tutta la sapienza e l'occulto del mondo...
 Jojen vede quelle cose ormai da molti mesi, e si sveglia convinto di aver vissuto un'altra vita tanto, tantissimo tempo prima. A volte quelle immagini lo coinvolgono così tanto che si stupisce di non risvegliarsi con le pellicce addosso, ma col suo pigiama di cotone, e di avere il caffè da bere al posto di dover cercare rane grasse da mangiare.
 Di un'altra cosa è più che certo: che Bran esiste, e che le loro due anime sono strettamente collegate. Il Brandon Stark di questa vita lo incontra ogni mattina andando al lavoro, passando vicino alle elementari del paese: un ragazzino allegro, vispo, in salute, che un giorno l' ha salutato con un sorrisetto che aveva un che di consapevole.

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Capitolo 3
*** 3. ***


 Manca poco meno di un quarto d'ora alla chiusura del supermarket dove lavora, e sinceramente Osha ne ha già le scatole piene. Non capisce perché il proprietario si ostina a tenere aperto fino all'una di notte, quando la gente normale è già a letto da un pezzo. Lei, per esempio, ci sarebbe già volentieri, sotto le coperte: avrebbe già chiuso baracca e burattini alle undici, si sarebbe intabarrata da capo a piedi per combattere le temperature sotto lo zero raggiunto in quei giorni, e se ne sarebbe andata a casa, stando bene attenta a non inciampare sui gradini resi visibili dalla neve.
    La donna sospira, massaggiandosi i cervicali più duri del bancone della cassa. Decide che visto che non starà in quel posto deserto un minuto più del dovuto, è meglio cominciare a stoccare gli ultimi scatoloni rimasti.
Un' ultima occhiata ai monitor per controllare che non ci siano clienti o ladri, e... c'è movimento nel corridoio sei. Osha si appoggia con le mani sul banco per guardare con più attenzione nel piccolo schermo. Un uomo massiccio, con cappellino da basket (in piena notte) e giubbotto logoro con tasche capienti si guarda furtivo attorno, prima di ficcarvi dentro generi di prima necessità. La cassiera sospira ed estrae una chiave del cassetto.
       Ringrazia Iddio di avere i nervi saldi e di aver fatto quel corso di autodifesa, quando riesce ad avvicinarsi non udita a quel borseggiatore da quattro soldi e a puntargli il fucile a canne mozze del proprietario sull'ampia schiena. L'uomo si ferma come congelato sul posto, con un pacchetto di sigarette ancora incellofanato in mano.
 Osha indurisce la voce: "Ok, adesso fai il bravo ragazzo, e con molta calma metti giù quelle Malboro, se non vuoi che ti faccia male."
 Il tizio esegue con estrema lentezza. Lei si prepara in caso quello decida di fare un passo falso, poi puntandogli le canne del fucile sul lato di una spalla lo fa voltare verso di sé. Quando fissa lo sguardo su quegli occhi marroni così caldi, un nome le si imprime in mente a caratteri di fuoco: Bruni. Qualsiasi cosa significhi, la  lascia senza fiato per un secondo, tempo sufficiente perché quell'uomo colga l'attimo per darsi alla fuga. Quando Osha lo vede sparire per la strada buia, con la neve che scende fitta e copre le sue tracce, ha l'impressione di aver perso parte del suo cuore per una seconda volta.

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Capitolo 4
*** 4. ***


 "Buongiorno, dottore." 
Fuori dalla finestra, il cielo plumbeo sembra opprimere il mondo. Fortuna che l'ufficio del suo responsabile é illuminato da una calda luce gialla, che lo fa sembrare un po' meglio.
 "Buongiorno, Jon!" saluta cordiale quello, togliendosi il cappotto. La clinica ha aperto da soli due minuti, e passerà almeno mezz'ora prima che arrivino i primi pazienti. Jon ha iniziato il tirocinio da sole due settimane, però già può anticipare cosa gli sta per dire lo psicologo: vado a prendermi un caffè. Ci pensi tu?
“Vado a prendermi un caffè alla macchinetta. Sistemeresti in ordine le carte dei casi clinici di oggi che sono sulla scrivania?”
Jon sorride lievemente, soddisfatto: "Certo professore, faccio io." Il dottore si avvicina alla porta, medita un momento: "Ragazzo, a momenti verrà qua Ygritte, che non appuntamento, ma ha fretta perché alle nove comincia la scuola. Appena arriva la fai accomodare direttamente e compili le sue cartelle. Ne sei in grado, no?"
Ygritte.  Jon ricorda bene quella liceale. Ygritte-senza-cognome, perché non ha mai avuto  dei genitori. Ygritte, che si taglia i polsi un giorno si e uno anche (e infatti è mortalmente pallida) e che ha i capelli rossi come fiamme. Ygritte, che ha forti problemi di aggressività,  e neppure tanto repressa.   Il solo pensiero che dovrà averci a che fare per dieci minuti da solo gli fa venire i brividi, ma non può farsi vedere sconvolto, se vuole fare carriera in psicologia.
 "Sissignore. Ci penso io!" esclama, cercando di sembrare convinto.
 Il suo tutor lo ringrazia, e in un attimo è solo. Il pendolo nell'ufficio è l'unica cosa che riempie in silenzio. Jon è a disagio: spera che la ragazza sia in ritardo, o che la macchinetta faccia il caffè freddo, così che l'altro sia costretto a berlo subito, e ritorni in fretta. Nel frattempo si mangia una pellicina, facendosi sanguinare il pollice. Quasi fa un salto quando suona il campanello. Trae un profondo sospiro per calmarsi girando la maniglia.
Ygritte è totalmente vestita di nero, con un enorme felpa che sembra rubata ad un fidanzato e il cappuccio calato sulla fronte che non riesce a coprire totalmente i capelli fulvi. Quando vede il ragazzo, il viso di lei sembra avere uno sprazzo di vitalità. "Tu sei Jon, vero? Jon Snow?"
 "E tu sei Ygritte. Ti stavo aspettando." L'universitario si fa da parte per farla passare, indicandole inutilmente con una mano la porta dello studio che ormai deve conoscere come le sue tasche. "Da questa parte." Una volta entrati nella stanza Jon chiude la porta per la privacy, e si avvicina alla scrivania, sedendosi sulla sedia girevole. La rossa si è già stesa sul lettino come se fosse di sua proprietà.
"Quando mi visita il professore Thomson si viene a sedere sempre qui, su questa seggiola" suggerisce lei alludendo allo sgabello vicino alla chaise-longue.
"Non sarò io a visitarti" risponde pacato il ragazzo, evitando con cura il contatto visivo. L'istinto gli dice che qualcosa non va, e che deve usare prudenza.
"Ok, ma io ho fretta. Per cui comincio a dire le cose a te." Ygritte si sistema meglio, e Jon crede che in fondo non c'è niente di male nell'ascoltare e basta: riferirà in seguito le cose salienti al professore. "Sai che io ti ho già visto, Jon Snow?"
Non gli è piaciuto affatto il tono dell'affermazione: aveva un che di sinistro, ma l'universitario decide di mantenere la calma. "Impossibile, Ygritte. Tutto ciò che so di te lo so dalle tue cartelle cliniche."
"Ah, e quindi tu leggi le mie cose?! alla faccia della privacy..."
"E’ per il mio lavoro, che..."
 "Beh, non importa." taglia corto lei."Però, sai, Jon Snow... io ti ho già visto, in un sogno... e ora tu mi dirai che era solo uno che ti assomigliava, frutto della mia immaginazione, e delle mie esperienze pregresse e bla bla bla. Ma non è affatto così. Eri tu, con la tua faccia. Sennò come facevo a sapere il tuo nome? Eravamo noi, ma non eravamo qui, adesso. Era tutto bianco, faceva freddo. Molto freddo. Ma tu eri nero, un povero corvo nero..."
Jon cerca di riportare alla mente l'interpretazione dei sogni di Freud, e tutto quello che ha imparato sulla psicanalisi.
"... ma noi siamo entrati in una caverna, perché io ti avevo rubato la spada. Avevo deciso che sarei stata tua, e che tu saresti stato mio….perché ero innamorata di te."
Il ragazzo sospira, cercando le parole adatte : "Questo è un fatto abbastanza comune, Ygritte: si chiama ‘transfert’, ed è quel sentimento forte che la paziente crede di provare per il dottore, solo perché con le sue cure la fa stare bene."
"Transfert di 'sto cazzo!" esplode lei, guardandolo in faccia. "Possibile che non ricordi, Jon Snow?! Devi ricordare!!"
Jon grugnisce, anche se non dovrebbe. "Vai avanti."
 "Ero lì davanti a te, nuda, e tu mi guardavi... oh, Jon, come mi guardavi... ma ancora non cedevi.
-Ygritte- mi hai detto -Non dovremmo!- , e io ti ho detto -Dovremmo, invece!- e finalmente mi hai baciato..." la ragazza fa una pausa, puntando gli occhi ferini nei suoi. "Di, te lo ricordi? Il bacio del Lord?"
 Il bacio del Lord. È assurdo, ma certo, gli ricorda qualcosa. Ma che fosse solo il titolo di un libro che voleva acquistare per sua madre?
Eppure, mentre Ygritte descriveva la scena, dentro la sua testa vedeva ricordi sfocati, come una vecchia pellicola . Ma lui non era nero: aveva un vestito fatto di pellicce come quello di lei. Caldo, acqua, una torcia che si spegne. capelli rossi. Assurdo.
"No, non potrei ricordare niente di simile, è ovvio. Perché è un sogno tuo." Jon cerca di darsi un contegno, ma la voce trema impercettibilmente e il cuore batte forte. Ma quanto ci mette il professore a tornare?
Lei lo guarda con un'espressione sdegnata. "Tu non sai niente, Jon Snow."
Quando il professor Thompson rientra, pochi istanti dopo, trova un Jon esterrefatto, e un' Ygritte con un'espressione finalmente felice.

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Capitolo 5
*** 5. ***


Arya sbatte con violenza le scarpette rosa da ballerina sul muro dello spogliatoio. Odia Sansa con tutte le sue forze: lei sì che è aggraziata, perfetta, leggiadra. Invece Arya ogni volta che indossa calze e body si sente un sacco di merda che tenta di balzellare.
Pensava che la danza avrebbe potuto essere il suo futuro, ma non c'è neanche lontanamente vicina. E tutto questo l'ha capito dopo aver guardato Miss-Perfezione-Sansa, ultima arrivata dall'America che ha già conquistato le sue insegnanti. 
     Due mesi dopo, Arya è indecisa se tornare a casa o passare la notte fuori. Il fatto è che non ha mai avuto il coraggio di dire alla sua "classica" madre che ha appeso al chiodo già da un po' le scarpette con le punte per imparare la street dance, e oggi le si sono strappati di brutto i pantaloni nuovi. L'unica soluzione sarebbe cucirli per minimizzare i danni, ma lei non è mai stata capace di tenere un ago in vita sua...
 "Hai fatto un bel pasticcio" osserva una voce flautata alle sue spalle.
Arya si volta a guardare la faccia di Sansa-so-tutto-io, che inaspettatamente non le sembra poi così superiore.
"Il fatto è che non posso andare a casa così... si vede proprio tutto!" si giustifica la castana, sentendola stranamente familiare.
"Puoi venire da me, se vuoi... posso provare a cucirteli."
Ad Arya viene in mente il ricamo di un metalupo su una cappa, fatto con punti piccoli e perfetti da sua sorella, e decide che vale la pena di fidarsi.

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