Nuovi inizi

di Camipp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVII ***
Capitolo 28: *** XXVIII ***
Capitolo 29: *** XXIX ***
Capitolo 30: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I ***


NOTE: Vi dico subito che dopo questa lunga nota non vi stresserò più e vi godrete, spero, la storia. 

Io sono l’autrice Avenal Alec, forse di mio avete già letto Forgiveness e qualche altra piccola storia.

Per problemi tecnici non sono più riuscita ad aggiornare il mio profilo con altre storie ma Camipp ., gentilissima, devo dire, ha ben pensato che una FF Bellarke merita sempre di essere condivisa anche su EFP e quindi abbiamo deciso per questa soluzione. 

Pubblicheremo la storia che sto scrivendo sul suo profilo il martedì e il venerdì. La ringrazio di cuore per il suo desiderio di far conoscere questa mia storia a più persone. 

Ora passo a qualche annotazioni sulla FF dopo veramente non vi stresserò più.

 

Inizialmente non era mia intenzione scriverla, il finale della 3x16era molto complesso, tutto quello che è avvenuto durante la stagione ha segnato molto i nostri e pur non apprezzando il rapporto di Clarke con Lexa, era un elemento che, scrivendo una FF in IC, di cui dovevo tenere conto.

Visto che non ho apprezzato molti dei comportamenti di Clarke diventava difficile raccontare del rapporto Bellarke poi, però, mi sono fatta convincere e questo è il risultato...

I primi capitoli forse sono molto carichi ma speravo di asciugarmi “presto” un po’di problemi per poter proseguire con una storia in generale più leggera e senza la cupezza che contraddistingue The 100. 

 

Le coppie saranno il filo conduttore della storia e gli avvenimenti come la minaccia delle centrali nucleari e non solo un corollario per parlare dei rapporti che si sviluppano fra i personaggi….

spero che i Memori e l’Ice mechanic siano delle ship che non vi disturbano perché ci sarà qualcosa anche su di loro. 

 

Ok, direi che ho finito con il mio papirozzo, scusate la lunghezza e grazie per la pazienza. 

Spero che la storia che leggerete vi piaccia, lasciate pure le vostre impressioni, positive o negative che siano, mi piacerebbe tanto saperle.

E ora mi fermo lasciando che le parole che leggerete vi raccontino una storia che vi permetta di arrivare “sane di mente” a gennaio/febbraio quando dovrebbe cominciare la 4° stagione, con la speranza (vana) che Jason, questa volta, ci dia almeno qualche gioia Bellarke

Un bacio a tutte e buona lettura. 

 

Avenal Alec. 

 

P.s. : mi scuso in anticipo per refusi, errori di ortografia, sintattici e  strutturazione di alcune frasi ma la storia è stata scritta di getto e non ho avuto il tempo di farne una revisione approfondita. 

 

 

 

 

 

Capitolo 1

 

 

 

Il tramonto colorava con le sue tinte infuocate i declivi attorno alla città di Polis. 

“Tre giorni” pensò Clarke senza riuscire ad apprezzare quella splendida vista.

Un sospiro stanco le sfuggì dalle labbra, non aveva ancora parlato con nessuno della nuova minaccia, non ne aveva avuto ancora il coraggio. Forse, tenerla per se, significa fare finta che non esistesse. Troppe cose erano andate distrutte durante le ultime settimane e non riusciva a guardare in faccia Bellamy, sua madre, tutti e dire loro che non era ancora finita, specialmente ora  che tutti si stavano dando da fare per trovare una sorta di equilibrio. 

Bell lo sapeva ma non le aveva chiesto più niente, sentiva il suo sguardo preoccupato su di se ma continuava a tacere, aspettando che lei trovasse la forza. 

 

Strinse le mani al parapetto, non era più certa di avere la fermezza necessaria per affrontare ancora ciò che sarebbe accaduto.

In quel momento sentiva la mancanza di Lexa, con lei, solo per poco, aveva trovato la pace, non le bastava sapere che il suo spirito sarebbe sempre stato accanto a lei, voleva perdersi fra le sue braccia, sentirsi consolare dal suo amore, ma non sarebbe mai più accaduto. 

 

          “Gli altri sono pronti . Clarke sentì la sua presenza dietro di se, non lo aveva sentito arrivare. Non voleva voltarsi, non voleva mostrargli le lacrime che le bagnavano le guance. 

“Clarke girati”. ma lei non lo fece, scosse solo il capo tentando con tutta se stessa di riprendere un minimo di contegno. 

Sentì la sua mano appoggiarsi alla spalla. Rimasero immobili in quella posizione, come se Bellamy, con quella semplice stretta, capisse quello che stava provando e, in un lampo di consapevolezza, comprese: Lui sapeva cosa lei stava sentendo, il dolore che traboccava al ricordo di una persona amata ormai scomparsa. Gina, un nome che per lei non significava nulla, ma che per Bellamy rappresentava un mondo.

Si voltò verso di lui, non lo guardò in viso, si lasciò avvolgere dalle sue braccia e cullare nel suo abbraccio. Cercando, l’uno nell’altro, la forza di superare il dolore e la mancanza.

Solo quando il tramonto lasciò lo spazio alle prime stelle della sera e la consapevolezza del compito che li attendeva si fece strada nei loro pensieri si sciolsero  da quell’abbraccio che, forse, era durato anche troppo.

“Sei pronta?” chiese Bellamy scrutandola attentamente.

Clarke annuì e si fece strada verso quella che, una volta, era la stanza del trono. 

 

In quei tre giorni, da quando la Citta della Luce era stata distrutta, era stato fatto molto: i feriti erano stati spostati in alcune stanze vuote dove era stato attrezzato un piccolo ospedale, chi non era stato ferito si stava adoperando a pulire le aree che erano state il campo di battaglia e,altri, avevano costruito delle scale nella tromba dell’ascensore per poter comunicare nuovamente con l’esterno. 

Molta gente dei clan si era spostata dalla Torre e bivaccava nella città adoperandosi per dare una nuova parvenza di quotidianità ad un luogo che portava i segni visibili dell’orrore che l’aveva colpito. 

Nessuno aveva ancora osato allontanarsi dai confini di Polis, come se, quel luogo che aveva raccontato dei loro misfatti, fosse anche l’unico in cui potessero essere compresi, accettati e perdonati. Pochi erano stati coloro che, nel buio della notte, si mescolavano nelle ombre per scomparire nella foresta non riuscendo a reggere lo sguardo degli altri consci delle nefandezze commesse. 

La notte ancora si sentiva la gente urlare per gli incubi, molti avevano cominciato a riunirsi in piccoli gruppi, persone di clan diversI, persino gli skykru. Ognuno sembrava trovare nella presenza degli altri il conforto di sapere che, come loro, comprendevano le ombre di rimorso che si rincorrevano nei loro sguardi sfuggenti.  

Forse, pensò Clarke osservando la gente ora riunita nella sala del trono, era l’unica cosa positiva che ALIE aveva fatto per loro, mostrandoche, sotto le numerose differenze dovuto alle differenti culture, erano tutti uguali: reagivano, soffrivano e si tormentavano allo stesso modo. 

In quella sala erano presenti i portavoce di tutti i 13 clan, alcuni erano i vecchi ambasciatori ma, per lo più, erano persone stimate della loro comunità che si stavano facendo carico di capire come affrontare tutto quello che stava succedendo.

Non c’erano più scranni nella sala del trono, molti erano andati distrutti durante la battaglia e nessuno aveva avuto tempo di sostituirli. Stuoie colorate erano state poggiate a terra e ora erano occupate dalle genti dei vari Clan. L’unica area ancora libera era il trono.

Per un istante Clarke vide Lexa seduta su quel trono, statuaria e autoritaria come l’aveva vista il giorno in cui lei era diventata ambasciatrice e gli skypeople erano diventati il 13 esimo clan.

Erano passate poco più di 3 settimane eppure sembrava una vita ormai, un mondo che non esisteva più. La fiamma esisteva ancora ma forse non c’erano più nightblood per ricoprire quel ruolo. Il pensiero corse a Luna che aveva scelto un’altra strada, non aveva voluto prendere il ruolo di commander. Ora le cose erano diverse, la gente da cui si era allontanata, aveva le mani lorde di sangue d’innocenti quanto le sue durante il conclave

Avevano bisogno di una persona come lei. 

 

Clarke sentiva tutti gli occhi addosso, doveva parlare, dare inizio a quella riunione per decidere insieme quale sarebbe stato il loro futuro ma, era un ruolo che non poteva più ricoprire non era pronta. Osservò i loro volti, non c’era animosità nei suoi confronti ma solo il desiderio di chi voleva ricominciare a vivere, qualunque fosse stata la strada.

Per un attimo temette di cedere a quel peso poi, eccola, la presenza dietro di sé che gli stava infondendo la forza necessaria per fare ciò che doveva essere fatto.

Fece alcuni passi avanti fra la gente seduta, dietro di lei Bellamy.

Non raggiunse il trono ma si fermò in mezzo a loro mentre Bellamy proseguì oltre, sfiorandole le dita con la mano. Un piccolo tocco che, ancora una volta, le stava dando la forza necessaria. Lo vide avvicinarsi ad una delle colonne della sala, appoggiare le spalle ad essa e farle un mezzo sorriso.

 

Parlò di quello che era successo nella Città della Luce senza mai accennare a quello che ancora sarebbe dovuto accadere. 

Parlò con il cuore in mano delle perdite che ognuno di loro aveva subito, di tutto il dolore che avevano causato ma cercò di parlare anche di speranza e di convivenza. 

Disse loro quello che molti di loro già sapevano, dovevano affrontare quello che era accaduto insieme perché ALIE era riuscita a colpire tutti loro. 

Molti annuirono, erano cose che tutti sentivano e sapevano. 

Ognuno guardava gli altri clan in modo diverso perché, anche se per poco, tutti erano stati complici dello stesso orrore e dopo di esso, ognuno di loro aveva cercato di essere d’aiuto agli altri, non importava da che parte fossero stati.

Parlò loro di un nuovo futuro e, per un attimo, le parole le morirono sulle labbra. Fu un istante poi si fece forza e continuò affrontando un discorso che lei sapeva difficile ma che ora forse sarebbero stati in grado di capire. 

Parlò loro di Luna, la reietta, l’unica che aveva le capacità di portarli oltre l’orrore che avevano provato. 

Ci furono mormorii di dissenso, tutti ricordavano il suo tradimento ma, ora più di allora, compresero la sua scelta. Clarke sapeva che ognuno di loro riconosceva le capacità di Luna e che una persona come lei sarebbe stata in grado di permettere all’intero popolo di guardare avanti.

Parlò loro della necessità che i 13 portavoce presenti guidassero fuori dallo stato di emergenza tutti i clan, certa che sarebbero riusciti a cooperare per un bene superiore: ricostruire un mondo sulle ceneri di quello che era andato distrutto. 

Terminò con poche parole di commiato, avrebbe lasciato loro lo spazio di parlare, di conoscersi e di confrontarsi, lei aveva un altro problema da affrontare e sapeva che la sua presenza lì era solo d’intralcio.

Tutti coloro che erano in quella stanza avevano subito il lavaggio mentale di ALIE e, quel punto in comune, sarebbe stata la base su cui lavorare. Lei non poteva capire, lei era diversa da loro e questo creava una barriera che forse non sarebbe mai stata abbattuta. 

Fece un cenno del capo a Kane seduto poco distante assieme a Abby, lui avrebbe preso la parola, era certa che avesse le capacità di gestire quello che sarebbe avvenuto dopo.

Uscì dalla stanza nel silenzio generale senza mai voltarsi dietro.

 

Cercò di raggiungere la stanza che condivideva con altre ragazze il più presto possibile, aveva bisogno di solitudine, di piangere sulla vita che sembrava sfuggirle dalle mani. Era stanca, così stanca di dover prendere decisioni e sentirsi diversa dagli altri, qualunque cosa facesse, ogni decisione presa, aveva eretto muri fra lei e gli altri. 

Era forse la stessa solitudine che aveva provato Lexa quando era diventata commander, non la sopportava, non sarebbe mai potuta essere come lei.

Voleva essere come tutti, poter vivere del calore umano senza aver paura di perderlo ad ogni passo. Pensava di averlo trovato con Lexa, una speranza che il suo destino fosse diverso ma, quel desiderio, ogni giorno che passava, sembrava sempre più irraggiungibile. Le sue mani sporche del sangue di Finn e Lexa parlavano di una vita che non avrebbe mai potuto condividere con altri. Le persone che amava morivano accanto a lei ed era un peso che non riusciva ad accettare, il timore di ciò che doveva ancora affrontare la paralizzava dalla paura.

Si lasciò cadere su una delle brande lasciando che il dolore di quella solitudine la pervadesse, solo per pochi istanti voleva gettare la maschera e piangere di se stessa e della sua vita che sembrava non avere alcun futuro. 

Voleva perdersi nel dolore fino ad addormentarsi, domani sarebbe tornata forte per affrontare i prossimi sei mesi e qualunque cosa sarebbe successa perché non conosceva altra via e altro comportamento

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Capitolo 2
*** II ***


Capitolo 2

 

Cinque minuti e finalmente sarebbero arrivati ad Arkadia. Non vedeva l’ora di scendere dal Rover per allontanarsi dagli altri e soprattutto da Clarke. 

Era cominciato tutto due giorni prima, la mattina successiva alla riunione dei clan. Clarke non gli aveva quasi rivolto la parola, aveva ascoltato le decisioni prese dai clan poi si era allontanata e solo nel tardo pomeriggio era ritornata. Si era avvicinato a lui e gli aveva chiesto di accompagnarla ad Arcadia con il Rover. Bell avrebbe voluto parlare, ma Clarke non sembrava disposta a farlo e questa cosa lo impensieriva molto. 

Si era ripromesso, dopo quello che era avvenuto ad Arkadia, di non affidarsi più alle decisioni prese da altri. Ognuno di loro, da quando erano scesi sulla terra, aveva dovuto subire pressioni fuori dal comune e spesso la rabbia, il dolore, la paura avevano preso il sopravvento e offuscato il loro giudizio con conseguenze disastrose per tutti. 

Ora lui non voleva cadere più in quel tranello e sapeva che qualunque cosa stesse succedendo doveva capirla prima di affrontarla e Clarke non poteva farsi nuovamente carico di tutto. Sperava di poter parlare con lei durante il viaggio, perché nulla al mondo l’avrebbe tenuto nuovamente diviso da lei, non si aspettava però che altri sarebbero partiti con loro.

Diede una scorsa allo specchietto retrovisore del Rover tentando di capire perché Clarke avesse voluto che Emori, Murphy e Roan fossero dei loro. Il guerriero dell’Ice Nation avrebbe dovuto rimanere ancora a riposo, la pallottola non era stata mortale grazie alla giubba di cuoio che indossava sotto la pelliccia e che aveva in parte attutito il colpo, ma comunque portava ancora i segni del colpo. Non si fidava di lui e non lo voleva. 

Altra incognita era la presenza di Murphy e la sua compagna. John si era dimostrato affidabile quando avevano avuto bisogno di lui ma lo conosceva abbastanza per sapere che non era cambiato così tanto da potersi fidare completamente. 

Perché allora Clarke li voleva con , cosa sapevano che lui non poteva ancora conoscere

Si sentiva infantile ad irritarsi per cose del genere ma l’atteggiamento di Clarke, dopo quello che avevano superato insieme, lo feriva e rattristava. 

Per fortuna stavano finalmente varcando i cancelli di Arkadia e sarebbe potuto scendere dal Rover.

Quando fermò la macchina di fronte al piazzale d ingresso della zona dell’officina, aprì subito lo sportello e balzò fuori, RavenMonty e Harper che venivano loro incontro era la scusa ideale per pensare ad altro. 

 

Clarke osservò Bellamy andare incontro agli altri ragazzi, non sapeva esattamente cosa gli passasse per la testa ma poteva intuire i suoi pensieri, gli sguardi che gli lanciava di sottecchi erano eloquenti. Sapeva che si sentiva ferito dal suo mutismo ma lei non era ancora in grado di affrontare la cosa. 

Quando aveva saputo che un gruppo sarebbe partito per rintracciare Luna e che la restante popolazione aveva deciso di dividersi fra Arkadia e Polis aveva capito che, per i clan, le cose sarebbero andate per il verso giusto. Questo le aveva dato la sicurezza di poter affrontare il problema ben più grave. Non ne aveva ancora parlato con nessuno ma un piano aveva cominciato a formarsi nella sua mente o per lo meno un obiettivo concreto. Ne avrebbe voluto parlare con Bellamy ma sapeva che probabilmente le avrebbe fatto cambiare idea, tentando di convincerla a parlare con Abby e Kane per trovare una soluzione insieme ma, non sarebbe stato possibile, loro due dovevano concentrarsi sui clan tentando di costruire un futuro per tutti. 

Se si fosse saputo della minaccia Clarke non sapeva prevedere in che modo avrebbero reagito i clan e questo la spaventava. Prima doveva avere la certezza che le parole di ALIE fossero vere; Sapeva che in quanto AI era programmata per dire la verità se interrogata direttamente, di certo non poteva mentire ma ciò che non veniva detto non era una vera menzogna. Sperava che la realtà fosse meno pericolosa di quella descritta da ALIE mentre la manipolava per convincerla che la Città della Luce era l’unica soluzione possibile.

Ora, assieme agli altri, doveva scoprire l’intera verità. 

 

Vide Bellamy abbracciare Raven per poi salutare con una stretta anche Monty e Harper, li vide sorridere felici e scherzare per qualche battuta. Il suo cuore si fece pesante per ciò che avrebbe dovuto dire loro. Non voleva togliere nuovamente il sorriso dai loro volti. 

Sperava che Bellamy comprendesse che, se aveva deciso di non parlare, era per dargli ancora qualche momento di serenità e tempo per affrontare la perdita di Octavia, sparita ormai da diversi giorni.

Scese dalla macchina per ultima, Murphy stava accompagnando Emori dagli altri, la giovane grounder continuava a guardarsi intorno enon riusciva a mascherare del tutto lo stupore, il complesso di Arkadia appariva ancora più maestoso visto da vicino. Anche John osservava in giro interessato, non era più tornato al campo da quando era partito con Jaha e, da allora, molte cose erano cambiate. 

Clarke sentì una presenza accanto a sé, l Ice King non sembrava molto propenso ad avvicinarsi alla struttura, di certo la prima volta che era stato portato lì non era stato piacevole ma la ragazza sapeva che questa volta sarebbero stato tutto diverso, lui, nonostante tutto, era diventato uno di loro nel momento in cui aveva tentato di aiutarli per riprendersi Polis da ALIE ma soprattutto non le aveva lasciato scelta.

La giovane prese un respiro e fece un passo avanti, poi un altro. Presto ogni cosa sarebbe cambiata di nuovo e lei doveva avere la forza di guardarli negli occhi mentre diceva loro che sarebbero morti entro 6 mesi se non avessero trovato una soluzione. 

 

Bellamy vide avvicinarsi Clarke seguita a ruota dal grounder, e con un motto di stizza, voltò loro le spalle per entrare nell’hangar. Si odiava ma non ne poteva fare a meno. Lì sentì ridere ma non riusciva ad essere sollevato di averli trovati tutti sani e salvi, il mutismo di Clarke lo preoccupava perché aveva la certezza che ciò che dovevano affrontare era qualcosa di molto grande e pericoloso per tutti loro. 

Si guardò in giro, ogni cosa era esattamente come l’aveva lasciata, sapeva che erano passati pochi giorni eppure, nella sua mente, sembravano anni. Si avvicinò al banco di lavoro di Raven, era illuminato da una luce artificiale e la superficie del tavolo era ingombra di pezzi meccanici di ogni genere, toccò un pezzo particolarmente grande senza capire esattamente cosa fosse. 

«Stavo tentando di aggiustare una pompa di refrigerazione quando siete arrivati» spiegò Raven andandosi a sedere dietro il bancone e prendendo in mano il pezzo che lui aveva appena toccato. 

«Da quello che mi ha detto Abby avremo presto molta gente qui al campo e avere i macchinari funzionanti è una delle priorità».

Bellamy sapeva che Raven lo stava scrutando, era così visibile la sua tensione, si chiese?

«di certo per un meccanico come te, cose del genere saranno un gioco da ragazzi!»

«Beh negli ultimi tempi ho giocato con cose ben più complesse ma, staccare la spina con questi giocattolini, non è un male!» ribattésorridendo «tu invece come stai?»

Ecco la domanda a cui non poteva dare una risposta, tutti sapevano che Octavia se ne era andata dopo aver ucciso a sangue freddo Pike. Al solo ricordo si sentì rabbrividire, anche quello era stata colpa sua e ora Octavia era sparita chissà dove, da sola, piena di rabbia e dolore. Lui non era riuscito a proteggerla ed era stato la causa di tutto. Abbassò gli occhi e non rispose, non era ancora in grado di pensare alla sorella senza provare un profondo rimorso e l’arrivo degli altri gli permise di sviare la domanda.

Quando furono tutti riuniti attorno al tavolo di lavoro di Raven, Bellamy sentì chiedere Clarke dove fosse Jasper ma il silenzio calò fra loro.

«È nella sua stanza» rispose quindi Raven «quello che è successo lo ha segnato molto e non se la sentiva di vedervi, per ora».

Bellamy annuì, tutti sapevano che ruolo aveva giocato durante la battaglia con ALIE e le sue fragilità erano nuovamente emerse. Si chiese per un istante se dovesse raggiungerlo, ma poi si rese conto che non sarebbe servito a nulla. 

«Vi abbiamo preparato le stanze, se volete, potete portare dentro la vostra roba» disse Harper per spezzare il silenzio che era nuovamente calato dopo le parole di Raven.

Bellamy annuì grato, una notte di riposo avrebbe fatto bene a tutti loro ma, in quel momento, sentì Clarke parlare.

«Dopo dobbiamo parlare, è importante che lo facciamo prima che arrivino gli altri nei prossimi giorni » il suo tono era grave e l’attenzione di tutti si calamitò su di lei. 

«Ne possiamo parlare adesso se è così importante, non vorrai mica aspettare ancora?» si lasciò sfuggire Bellamy calcando sulle ultime parole e mostrando forse per la prima volta chiaramente quanto fosse inquieto.

Clarke aprì la bocca, la sua espressione sorpresa parlava per lei, la tensione serpeggiò fra loro e gli altri ragazzi si allertarono subito. Non era da Bellamy comportarsi in quel modo. 

«Beh io di certo prima voglio farmi una doccia e mettere qualcosa sotto i denti prima di dover, di nuovo, salvare il mondo» disse Murphy indifferente all’atmosfera che si era creata, poi senza altre parole si  avviò verso uno dei corridoi passando fra Bellamy e Clarke, Emori lo seguiva a breve distanza. 

«Se ci indicate la stanza dove dobbiamo andare non sarebbe male»continuò senza voltarsi. 

Harper scattò in avanti e li raggiunse mentre Roan sembrava non volersi allontanare da Clarke.

Bellamy continuava a fissare la ragazza sperando che gli rispondesse per le rime com’ era abituata a fare una volta ma lei invece abbassò lo sguardo. Il ragazzo non ne poté più e prese l’uscita dell’hangar, aveva bisogno di un po’ di aria.  

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Capitolo 3
*** III ***


Capitolo 3

 

Aveva superato di pochi metri la porta d ingresso quando sentì i passi frettolosi di qualcuno. Non aveva bisogno di girarsi per sapere che Clarke lo stava seguendo.

Avrebbe voluto allontanarsi ancora di più ma sapeva che lui aveva creato quella situazione ed era ora che venisse affrontata. 

Si fermò aspettando che lei lo raggiungesse, non si voltò a guardarla, fu lei a doverlo superare per pararsi di fronte a lui. 

Mi vuoi spiegare quella sparata che hai fatto dentro?” chiese affannata Clarke.

“Mi vuoi spiegare perché in tutti questi giorni, da quando mi hai detto – non è ancora finita – hai fatto finta che tutto andasse bene mentre sappiamo entrambi che siamo nuovamente in pericolo?” ribattè Bellamy.

“Avevo parecchio a cui pensare prima di poterne parlare. A Polis le cose stanno andando bene, non volevo rovinare tutto” rispose Clarke sviando lo sguardo.

“E quindi hai pensato che nemmeno io dovevo sapere a cosa andremo incontro?” disse Bellamy senza cedere.

Clarke strinse le labbra in una linea sottile prima di rispondere.

“Sapevo che stavi pensando a Octavia, so che vorresti trovarla, aspettavo di capire cosa volessi fare prima di…

“Stronzate” la bloccò Bellamy “non è questo il problema e tu lo sai, Octavia ha fatto la sua scelta, una scelta con cui dovrò convivere, l’ho lasciata andare perché sapevo che non avrei potuto fare niente per lei in quel momento. Perché vuoi continuare a farti del male Clarke” chiese Bellamy toccandole il mente per spingerla ad alzare gli occhi e guardarlo.

“Io non mi sto facendo del male Bellamy” rispose Clarke deglutendo a fatica.

“Una volta mi hai detto che ti fidavi di me, che insieme potevamo risolvere qualunque situazione ci si sarebbe parata davanti, perché adesso non vale più?”

Clarke spostò il mento di scatto per non guardarlo.

“Io mi fido di te Bellamy, avrò bisogno di te ora più che mai, perché questo non ti basta, ne avremmo parlato dopo, tutti assieme, perché non ti va bene?” alzando lo sguardo e puntando i suoi occhi chiari su di lui.

“Vuoi sapere perché non mi va più bene principessa?” replicò Bellamy lasciando che un sorriso sarcastico gli si dipingesse sulle labbra.

“Perché sono stanco di vederti divorata dai sensi di colpa, dal peso di decisioni che non dovresti prendere da sola perché, finchè continuerai a lasciarmi indietro, non potrò mai proteggerti.” Prese un profondo respiro prima di continuare, lasciò che il suo sguardo spaziasse fra i boschi e le montagne di fronte a se. 

“Clarke, quando hai deciso di prendere la fiamma, ero accanto a te, hai cercato la mia mano e io te l’ho data, te l’ho stretta per darti anche la mia forza. Per continuare a darti il mio sostegno, la mia forza, devo stare accanto a te. Guardami Clarke” le disse obbligandola a guardarlo“Insieme significa condividere e per farlo dobbiamo parlare. Non puoi portare ogni peso da sola, non è giusto e non ti fa bene. Ti chiedo solo di parlarmi sempre e non chiuderti. Lo puoi fare per me?”

 

Bellamy sentiva nella sua voce il tono della preghiera, ma era così che si sentiva, non riusciva più pensare di vedere Clarke così: distaccata, distante e sofferente. Aveva già perso Octavia quando non erano più riusciti a parlare, non poteva pensare di perdere anche lei allo stesso modo, non quando avevano ancora qualcosa di grande e che la spaventata da affrontare. 

Attese in silenzio che Clarke parlasse, non riusciva nemmeno ad intuire cosa avrebbe potuto dirgli quando lei crollò davanti ai suoi occhi. 

D’impulso la sostenne prima che cadesse sulle ginocchia, la fece lentamente sedere a terra, le mani di Clarke erano aggrappate alla sua giacca, il suo viso era nascosto contro il tessuto e singulti squassavano le sue spalle. 

“Sono stanca..” mormorò la ragazza  “Sono stanca…” ripetè, le sue parole erano spezzate dal pianto, dai profondi respiri che tentava di fare. 

Bellamy la strinse forte a , lasciando che le lacrime lenissero qualunque sentimento Clarke stesse provando. Solo pochi giorni prima era crollata, un sintomo di quanto stesse male. Si chiese cosa potesse fare per aiutarla, per superare qualunque cosa lei stesse vivendo. Poi lei cominciò a parlare, un mormorio attutito dal giaccone a cui era appoggiata.

“ Fra 6 mesi la Terra sarà destinata alla distruzione, questo è quello che mi ha detto ALIE mentre ero nella Città di Luce, avremmo potuto salvare i nostri spiriti rimanendo imprigionati nel programma. Io ho scelto di combattere qui, sulla Terra, ho deciso di sperare ma ora” continuò alzando lo sguardo “mi chiedo se ho fatto la scelta giusta. Altre persone moriranno, persone che amo scompariranno e io non ci posso fare niente. Sono stanca di sentirmi responsabile per tutti, sono stanca di soffrire” terminò con un mormorio.

Bellamy la guardò disperato, senza riuscire a proferire parole, annichilito dall’orrore per quello che li aspettava e angosciato nel vedere Clarke così distrutta.

Riuscì solo ad avvicinarla nuovamente a se, la tenne stretta, appoggiò le sue labbra sui suoi capelli biondi. “Siamo stati insieme all’inizio, lo saremo fino alla fine” disse in un sussurro, questa era l’unica certezza che aveva e che riusciva a condividere con lei. La strinse ancora più forte a se, non voleva lasciarla andare, non voleva che si sentisse sola in quel momento.  

Il suo sguardo corse nuovamente all’orizzonte, a quelle colline e quei boschi che aveva cominciato a sentire come casa e che, forse, nuovamente, gli sarebbero stati tolti per sempre. 

No, non l’avrebbe permesso, avrebbe lottato per quella Terra che lo aveva visto soffrire e crescere. 

Spostò leggermente da se Clarke, aspettò che alzasse gli occhi, arrosati dalle lacrime, e parlò “Noi lotteremo Clarke, lotteremo perché questa e casa nostra e per ciò che stiamo costruendo. Non ti posso promettere che non soffrirai più ma di certo qualunque cosa succederà la affronteremo insieme. Mi hai capito?” chiese scrollandole le spalle.

Clarke annuì impercettibilmente ma Bellamy non bastava.

“insieme principessa?” disse sperando che quel nomignolo risvegliasse in lei qualcosa.

La ragazza lo scrutò, si pulì il viso ancora macchiato dalle lacrime con la manica della maglia “insieme” ripetè con decisione.

Bellamy annuì soddisfatto, aveva visto negli occhi di Clarke la scintilla della determinazione che l’aveva sempre contraddistinta. 

Aveva rivisto la Clarke che non aveva paura di pararsi di fronte a lui e obbligarlo a prendere delle decisioni o a fare qualcosa. Questo, per ora gli bastava, un passo alla volta, le avrebbe fatto capire che non sarebbe stata sola al comando e avrebbe potuto condividere lo sconforto, le sue fragilità anche con lui. Non sarebbe stata più lei a guidarlo, avrebbero camminato uno accanto all’altro mentre affrontavano la nuova minaccia. 

Rinvigorito da una nuova determinazione si alzò.

“Pronta?” Le chiese allungando la mano per aiutarla ad alzarsi, un sorriso faceva capolino fra le sue labbra.

Lei annuì tendendogli la mano. Bellamy però la tirò su troppo di slancio e  gli finì addosso. La giovane alzò il viso verso di lui, le mani intrecciate bloccate fra loro e quella libera di Clarke poggiata sul suo petto. 

Rimasero immobili per alcuni istanti, consci, per la prima volta dell’intimità che da tempo si era creata fra di loro. 

“Tutto ok?” chiese Bellamy in un sussurrò mentre il suo sguardo per la prima volta scendeva sulle labbra di Clarke.

La ragazza riuscì ad annuire, incantata, per un istante dallo sguardo che Bellamy aveva diretto alla sua bocca, istintivamente umettò la labbra poi scrollò il capo, quella vicinanza era troppo per lei e si allontanò di un passo.

“Andiamo?” Bellamy percepì l’incertezza in quella domanda, come se nemmeno Clarke riuscisse a capire cosa fosse appena accaduto.

Certo principessa, andiamo ad salvare il mondo!” disse incamminandosi verso il hangar. “Ma prima” continuò guardandola divertito “mettiamo qualcosa sotto i denti e ci facciamo una doccia, credo che l’apocalisse possa attendere ancora qualche giorno

Clarke annuì, lo osservò mentre si allontanava verso l’ingresso dell’Arca, c’era qualcosa di diverso in lui, la decisione con cui camminava e il modo con cui teneva dritte le spalle  lo facevano apparire determinato e sicuro di se. Per istante ripensò allo sguardo che le aveva rivolto e si sentì fremere ma scacciò subito quella sensazione, lo sentiva un tradimento nei confronti di Lexa. Si rabbuiò all’istante e sentì il suo cuore farsi pesante. 

“Ehi ci sei?” Bellamy si era girato per aspettarla, un leggero sorriso sulle labbra.

“Arrivo” rispose Clarke incamminandosi e cercando di allontanare qualunque pensiero e concentrandosi solo a quello che sarebbe successo nelle prossime ore quando avrebbe parlato agli altri di quello che li attendeva da lì a pochi mesi.

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Capitolo 4
*** IV ***


 

Capitolo 4

 

Eccoli di nuovo lì attorno al tavolo da lavoro di Raven, sembrava strano come, fra tutti gli spazi di Arkadia, per loro fosse diventato spontaneo radunarsi attorno a quel banco. Avrebbero potuto parlare anche nella sala mensa dove Harper e Monty avevano fatto trovare loro un pasto frugale dal vago sapore di plastica. 

Bellamy inaspettatamente aveva sentito la mancanza dei piatti preparati attorno ai bivacchi a Polis, poltiglie non ben identificate, dai sapori forti e asprigni. Erano gusti strani ma non fastidiosi e soprattutto molto più energetici di quelli del campo, dove le riserve erano poche e molto diluite. 

Avevano finito il pranzo in poco, qualche chiacchiera rilassata ma tutti erano consci che la riunione dopo il pasto non era solo un piacevole diversivo. Mancava solo Jasper, era regredito al periodo dopo la morte di Maya, non si era buttato sul bere e, per paradosso, questo spaventava un po’ tutti, la paura che potesse fare qualcosa di stupido sembrava seguirlo come un’ombra. Quando aveva raccolto i suoi piatti e aveva mormorato di essere stanco e di voler tornare nella sua stanza non aveva stupito nessuno. 

Bellamy si sentiva inquieto ma, in quel momento, la sua mente doveva essere focalizzata su altro. Osservò con più attenzione chi era presente tentando di capire perché, oltre a Harper, Monty e Raven, Clarke avesse deciso di chiamare anche Emori, Murphy o Roan. 

Dopo il chiarimento che avevano avuto qualche ora prima, non si erano più rivolti parola se non per qualche battuta durante la cena. Bellamy aveva scelto di aspettare, lui si era esposto con lei, adesso era lei che doveva fare la prossima mossa e dimostrare che aveva capito ciò che le aveva chiesto.

 

Clarke guardò i volti dei ragazzi che aveva riunito, una parte di leiavrebbe voluto che ci fosse anche Miller ma Brian era stato ferito più gravemente del previsto e non se l’era sentita di separarli e, il ragazzo, era utile anche a Polis, per quello alla fine aveva ceduto alle insistenze del Ice King. Non aveva mai avuto intenzione di portare il guerriero con loro ma lui sapeva qualcosa. 

La prima volta che lo aveva visto era insanguinato da capo a piedi, era stata chiamata perché qualcuno lo aveva trovato mentre strisciava fuori da un mucchio di cadaveri. Nessuno aveva creduto che potesse essere ancora vivo ma lui aveva dimostrato chiaramente che la morte non lo impauriva e che gli dei lo amavano. 

Mentre lo controllava, incredula che il proiettile avesse scalfito solo la pelle, aveva capito che era stato uno strano medaglione di metallo a bloccare il colpo. Clarke lo aveva sfiorato fra le mani, era grande e pesante, sembrava molto vecchio.  Non era riuscita ad osservarlo bene perché subito Roan gli e lo aveva sfilato dalle mani. Quando lo aveva scrutato curiosa il grounder le aveva parlato. Le aveva detto che, qualunque viaggio avesse intrapreso, lui sarebbe dovuto andare con lei, gli spiriti che vegliavano il cancello fra la vita e la morte avevano parlato. Lo avevano fatto tornare alla vita con uno scopo e il suo destino era indissolubilmente legato al popolo venuto dal cielo. Clarke non credeva alle sue parole ma lui era diventato irremovibile ed ora era con loro, in mezzo.

Altro paio di maniche Murphy ed Emori.

Come al solito John non aveva avuto nessuna intenzione di collaborare, voleva andarsene via il prima possibile da Polis con la sua compagna ma Clarke aveva bisogno non solo delle conoscenze dei territori di Emori ma soprattutto di scoprire tutto della casa in cui si era trovata per almeno un secolo ALIE. Aveva tentato di parlare con Jaha ma, da quando si era svegliato dopo la distruzione della città della Luce, si era ammutolito ed viveva in uno stato semi-catatonico. Aveva tentato in tutti i modi di smuoverlo, gli aveva parlato apertamente della minaccia delle centrali nucleari ma niente lo aveva scalfito.

Era stato in quel momento che aveva capito che doveva raggiungere i luoghi in cui tutto era cominciato e dove ALIE era stata progettata la prima volta. Forse là avrebbe trovato delle risposte, per questo motivo aveva trascinato con sé John che, anche se non del tutto convitno, aveva capito che era comunque un buon modo per allontanarsi da Polis. Ora lei era pronta a raccontare cosa sapeva e cosa era successo in quei 5 minuti in cui si era dovuta scontrare con Becca e la sua invenzione. 

La spiegazione fu breve e, con una certa fatica, dovette ammettere di fronte a tutti che ALIE le aveva dato la possibilità di scegliere se liberarli tutti rimanendo nella Città di Luce o morire sulla Terra. Vide nei loro occhi la paura e l’incertezza ma non vi lesse alcuna riprovazione e questa la sollevò parecchio. Non sapeva se era in grado di sopportare sguardi di biasimo. Da quando se ne era andata via dopo M.W. tutti erano cambiati, si erano allontanati da lei, e lei da loro. Le loro vite avevano preso strade e, benché avessero collaborato per sconfiggere la minaccia di ALIE, sapeva che ancora molto doveva essere detto, Bellamy gli e lo aveva fatto capire chiaramente solo poche ore prima. 

Il suo sguardo corse verso il ragazzo bruno che le stava accanto, sentiva il suo sguardo su di sé, in attesa che lei parlasse.

Avrebbe voluto subito esporre loro ciò che aveva pensato di fare, del resto li aveva trascinati tutti o quasi lì eppure aspettò. Voleva, per una volta, fidarsi degli altri, delle loro parole e decisioni, sapere di non essere più sola.

Il suo cuore si colmò di gioia e si sentì sollevata quando si rese conto che Bellamy le stava sorridendo. Un sorriso quasi impercettibile, l’angolo della bocca lievemente al insù, gli occhi scuri vibranti di calore, come un abbraccio.

 “Quanto possono essere attendibili le parole e le proiezioni di ALIE”  chiese Bellamy ma lei scosse la testa. 

Prima che potesse rispondere intervenne Raven “Se ciò che è stato detto a Clarke fosse vero, direi il 100%, ma c’è un’altra possibilità.” Prima di continuare la ragazza prese un profondo respiro “Nel periodo in cui sono stata collegata tramite il Chip ho compreso che ALIE, pur essendo un programma, in qualche modo si è evoluto oltre a ciò che BECCA immaginava, è diventata senziente, se così si può dire. Non più unicamente una macchina che seguiva una ferrea logica ma qualcosa di diverso, soprattutto dopo aver visto le conseguenze delle sue azioni quando ha innescato la guerra termonucleare. Credo che possa aver nascosto parte della verità a Clarke per farle prendere una decisione e, questo, potrebbe darci qualche possibilità in più

Bellamy vide annuire Clarke alle parole del meccanico, era certo che la ragazza avesse già pensato a questa possibilità ed era anche il motivo per cui probabilmente erano lì. 

“Come facciamo a capire se ALIE mentiva o meno?” chiese quindi a Raven. 

“L’ideale sarebbe collegarci a quello che rimane della rete satellitare attorno alla terra, è l’unico modo che può aver avuto ALIE per avere conferma delle sue proiezioni, ma non c’è nulla di simile qua in giro, dovremmo tornare dove Jaha ha trovato ALIE, forse da lì potrei ottenere più informazioni”

Ecco a cosa servivano Emori e John, rifletté a quel punto Bellamy, loro sapevano dove era rimasto imprigionato il programma per tutti quegli anni, probabilmente se Raven avesse avuto accesso alla casa avrebbe potuto trovare qualcosa.

Volse lo sguardo verso Clarke. “Pensavi di andare là ed Emori e John” indicando i ragazzi che seguivano la discussione “farebbero da guida, giusto?”

Clarke annuì poi rivolgendosi a Murphy “Abbiamo bisogno del vostro aiuto per raggiungere la casa, senza di voi sarebbe tutto più difficile”

John la osservò, appariva imperscrutabile come al solito, sul viso quella smorfia fastidiosa. Volse lo sguardo verso Emori che sembrava colpita da ciò che aveva appena saputo, strinse la mano al ragazzo, poi alzò il mento e annuì “Si vi porterò là, se l’imbarcazione che abbiamo usato è ancora al suo posto dovremmo impiegarci pochi giorni, altrimenti il viaggio sarebbe più lungo e pericoloso”

Bellamy sentì Clarke rilassarsi e decise quindi di prendere la parola “Se veramente abbiamo pochi mesi dobbiamo muoverci, partiremo domani” Poi parlando a Emori “Potremmo usare il Rover per raggiungere l’imbarcazione o saremo costretti ad abbandonarla da qualche parte?”

“no, potremmo arrivare tranquillamente, sono strade spesso battute ed  è tutta pianura” 

Bellamy si rallegrò della notizia, sarebbe stato un problema muoversi a piedi per lunghi tratti, specialmente per Raven. 

“Partiremo Clarke, Emori, John, Raven ed io” poi rivolgendosi adHarper e Monty “ nei prossimi giorni dovrebbero arrivare gli altri e voi dovete rimanere qui a controllare ogni cosa, non mi fido delle condizioni di Jasper” Entrambi annuirono, conosci di essere stati relegati nelle retrovie ma, non poteva essere fatto differentemente. 

“Monty, dovremmo vedere alcune cose prima della mia partenza” s’intromise Raven “avrò di certo bisogno del tuo supporto da qui” il ragazzo annuì. 

“Verrò con voi” la bassa ma potente voce dell’Ice king riverberò nella sala facendo ammutolire tutti. 

“E perché dovresti?” chiese Bellamy.

“La mia spada potrà esservi utile ed è il mio destino” rispose deciso Roan.

Bellamy non poté fare a meno di sorridere sarcastico “non credo al destino e ancor meno alla necessità della tua presenza.”

Clarke alzò la mano e gli e l’appoggiò sulla spalla. “Credo che sia opportuno che venga anche lui”.

Bellamy piego la testa, la guardò infastidito.

“È forte, conosce bene tutte queste zone e solo voi due, fra tutti, sapete combattere e potremmo averne la necessità!”. Nessuno era certo di quanta gente fosse fuggita durante la dittatura di Ontari e Jaha e il rischio di trovare altri nemici là fuori era ancora alto.

Bellamy dovette annuire a malincuore, ma l’idea di portarsi dietro il grounder non gli piaceva. 

“Se è tutto, noi ce ne andremmo a dormire” disse Murphy con il suo solito sorriso strafottente e mettendo subito in chiaro che non avrebbe alzato un dito fino a quando non fosse stato necessario. 

Clarke lo trafisse con uno sguardo seccato ma poi annuì. “Certo potete andare, ci occuperemo noi dei dettagli

John rispose con un mezzo sorrisetto e s’incamminò verso la zona dei dormitori con Emori alle calcagna. 

Gli sguardi di tutti erano puntati sulle loro schiene e Raven, prima di cominciare a trafficare con qualcosa sul bancone, sbuffò “Io mioccuperò di organizzare tutto quello che penso potrà servire quando arriveremo nella casa, mi dai una mano Monty” chiese il meccanico “Così potremmo cominciare a pensare a come tenerci in contatto nel caso di serva qualcosa dai server che abbiamo qui ad Arkadia”

Bellamy annuì, era talmente abituati a dover reagire in poco tempo che tutti sapevano già cosa fare “Domani mattina farò un giro nell’armeria, per ora darò un’occhiata al Rover, voglio essere certo che sia tutto in ordine per quando partiremo”

“E noi ci occuperemo di recuperare le cose che possono servirvi durante il viaggio” continuò Harper rivolgendosi a Clarke che annuì sorridendo poi il suo sguardo si posò sul terrestre “Se vuoi puoi andare a riposare, qui ce la caviamo da soli

Roan si alzò in tutta la sua altezza, era evidente infastidito dalla facilità con cui si stavano sbarazzando di luistava per ribattere quando Raven intervenne.

“Ehi! Lo sai cos’è questo?” alzando fra le mani quello che sembrava un hardisk, il guerriero non rispose, serrò la mascella “ Ecco” continuò a quel punto il meccanico con un sorrisetto canzonatorio sulle labbra “Ora non ci servi, i tuoi muscoli saranno più comodi là fuori quindi vai pure a dormire” poi abbassò gli occhi su ciò che stava facendo e si disinteressò dell’uomo.

Roan osservò la ragazza ancora alcuni istanti, se gli occhi avessero potuto uccidere di certo avrebbero avuto un meccanico in meno, poi prese un profondo respiro ma, invece di prendere la direzione dei dormitori, uscì dall’hangar.

Clarke lo guardò indecisa poi alzò le spalle e raggiunse Harper che si stava dirigendo verso il magazzino di Arkadia per cominciare a recuperare le provviste e ciò che sarebbe stato necessario per il viaggio.

 

NOTA: Ciao a tutti, sono sempre io, l’autrice AvenalAlec, lo so vi avevo promesso che non avrei più scritto nulla ma me la passerete spero. Vorrei parlavi di Roan, il mio amato Ice King. Premetto che lui mi sta simpatico di base, l’attore (che ho amato in Black Sails) è stato lo “stampino” sui cui ho costruito il personaggio di Karel nella mia precedente FF  prima ancora di sapere che sarebbe stato presente nella serie quindi capirete perché io lo ami. Nella serie per ora di lui sappiamo veramente poco e questo mi ha permesso di lasciar correre la fantasia, spero che ciò che scoprirete di lui ve lo farà amare quanto lo amo io. Elemento più importante, che avrete già intuito in questo capitolo, ma uscirà spesso è la cultura grounder legata al mondo del sovrannaturale. La serie the 100 è una serie principalmente Sci-Fi lo dimostra anche la spiegazione scientifica della Fiamma ma, credo che, in una cultura come quella grounder, la Fiamma sia solo un’espressione della “religione” e delle “credenze” grounder. Ogni civiltà del passato credeva in entità sovrannaturali e ritengo che questo elemento possa essere portato anche nel mondo di the 100. Per cui sì, Roan crede che le voci degli spiriti gli abbiano parlato, spiriti che potrebbero avere ancora una loro importanza nel corso della storia. Spero che questa deriva possa piacervi. Ok, direi che ho detto tutto….alla prossima Nota :P. 

E, come al solito fatemi sapere cosa ne pensate…ora ma anche nei capitoli futuri perché so già che spesso mi odierete e non apprezzerete il modo in cui ho “trattato” alcuni personaggi.

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Capitolo 5
*** V ***


Capitolo 5

 

Stavano viaggiano già da diverse ore, erano partiti di prima mattina e ora il sole cominciava già la sua parabola discendente nel cielo. Per gran parte del tempo nel Rover aveva regnato il silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Anche se era solo il primo giorno di viaggio, molti avevano passato diverse ore con la testa a ciondoloni e mezzi assonnati. 

La nottata era stata lunga, la sveglia era suonata presto per tutti e, il movimento ritmico del Rover, aveva fatto il resto. Pochi erano stati attratti dal paesaggio che li circondava e che si susseguiva, lievi declivi erbosi dal giallo cangiante inframezzati da macchie di alberi ad alto fusto molti dei quali ancora spogli. Le montagne, passo dopo passosembravano sempre più vicine, in alcuni tratti erano ancora avvolte dalla neve ma, per lo più, erano coperte da fitti boschi di conifere. 

Emori li aveva avvertiti che i luoghi che stavano cercando si trovavano oltre ad esse.

Si erano fermati a mangiare qualcosa, una sosta veloce e poi erano ripartiti seguendo le indicazioni che la grounder dava loro. 

Clarke guardò Bellamy alla guida, era concentrato sulla strada, se tale si poteva chiamare il sentiero seminascosto che costeggiava una lunga macchia di alberi secolari e dal sottobosco molto fitto. Non aveva mai ceduto il posto di guida a nessuno di loro, così era fatto, si trovò a riflettere Clarke. 

Non lo aveva mai visto tirarsi indietro di fronte a nulla e a nessuno, il primo a farsi carico di ogni responsabilità, anche quando fingeva di non volerne avere alcuna. Si chiese da dove gli provenisse quella forza e l’immagine di Octavia le balenò davanti agli occhi. Forse lei era la risposta. Era cresciuto dovendola proteggere a qualunque costo e, per quanto fosse possibile, facendola vivere come una ragazza normale. 

Sulla Terra, quando erano scesi, non aveva fatto altro che accogliere sotto la sua responsabilità tutti i ragazzi come un fratello maggiore. 

Ed ora eccolo lì, di certo sfinito dalla lunga marcia e dall’attenzione che doveva prestare al terreno, ma non aveva ceduto. 

 

Clarke sentì il suono di una risatina provenire dal retro del Rover, alzò lo sguardo verso lo specchietto retrovisore: John ed Emori parlavano fittamente e ogni tanto la ragazza ridacchiava per qualcosa che Murphy diceva. 

Sentì una fitta al cuore vedendo le loro teste così vicine, dimentichi di ciò che li circondava, persi l’uno nell’altro. Il suo pensiero corse a Lexa, ai momenti che avevano vissuto assieme, e un forte senso di rimpianto s’ impossessò di lei. Si erano amate, si erano sentite, eppure niente di ciò che era successo fra loro le appariva reale ora, non c’erano stati quegli stessi momenti di pacata tranquillità. 

Ognuna era stata immersa per gran parte del tempo nel proprio ruolo, non avevano mai potuto assaporare, se non per pochi istanti, la serenità che ora vedeva in Emori e John. 

Sentiva che con lei aveva sfiorato qualcosa di profondo e immenso ma, con un lampo di paura, si rese conto che tutto ciò che era successo era racchiuso in una bolla, qualcosa che si sarebbe cristallizzato nel tempo come un ricordo sfumato, un attimo d’intensità che poco aveva a che fare con la vita reale. 

Le faceva paura credere che, quello che aveva vissuto, presto si sarebbe trasformato in uno splendido ricordo sbiadito ma era ciò che provava e la fece sentire profondamente triste.

 

Distolse di colpo lo sguardo dallo specchietto retrovisore concentrandosi sulla strada, non voleva pensarci, non voleva credere che si potesse amare una persona così intensamente per pochi intensi attimi ma, allo stesso tempo, diventare consapevole che sarebbe rimasta solo un ricordo.

 

All’improvviso venne sbalzata verso il cruscotto senza però sfiorarlo grazie alla cintura di sicurezza, Bellamy aveva frenato di colpo. Dietro di se Clarke sentì un paio di gemiti e si volse subito per controllare se stessero bene, Emori era aggrappata a Murphy che la stava sorreggendo mentre non era andata altrettanto bene a Roan e Raven che in quel momento si stavano rialzando da terra. 

Vide il grounder allungare una mano per aiutare Raven in difficoltà ma la ragazza fece finta di non vederla e si rimise seduta apostrofando Bellamy mentre si massaggiava la gamba “Che cavolo fai Blake, stai tentando di ucciderci?”

“Chiedilo alla ragazza di Murphy che non ci ha avvertito del crepaccio!” rispose laconico il ragazzo scrutando di fronte la larga fenditura nel terreno che sbarrava loro il passaggio. 

Bellamy volse lo sguardo prima a destra e poi a sinistra, la spaccatura correva trasversalmente a loro e il territorio oltre al solco era più basso di almeno un paio di metri, sembrava che di fronte a loro qualcuno avesse deciso di dividere in due il mondo usando un ascia

 

Sentì accanto a se la presenza di Emori, osservava il terreno ma  non sembrava perplessa da ciò che vedeva.

“Allora?” Chiese sperando che la ragazza gli desse una spiegazione sensata.

“Siamo arrivati” poi girandosi verso il retro del Rover “John, Roan, scendete mi dovete dare una mano, tu” rivolgendosi poi a lui “ torna indietro di circa 10 mt”

“Potevi avvertirmi per lo meno” rispose stizzito Bellamy ma nemmeno il suo tono sembrava scalfire la ragazza che alzò le spalle e rispose “non pensavo ci avremmo messo così poco” poi scese dal Rover accompagnata dai due ragazzi.

Bellamy li osservò scendere poi volse di nuovo lo sguardo di fronte a se, strinse con forza il volante, sentiva ancora l’adrenalina scorre, se non avesse frenato in tempo ci sarebbero di certo finiti di dentro. 

La spaccatura era larga e, chissà quanto era profonda. Respirò a pieni polmoni cercando di rilassarsi. Clarke lo osservava, non stava dicendo nulla ma era chiaro che entrambi avevano avuto lo stesso pensiero: forse fidarsi di Emori non era stata una buona idea.

Come se fosse stata richiamata da quella riflessione la ragazza bussò al finestrino chiuso di Clarke che sobbalzò.

“Allora vuoi venire indietro o no?” 

Bellamy incrociò lo sguardo di Clarke che annuì così il ragazzo ingranò la retromarcia. 

Dagli specchietti retrovisori vide i tre avvicinarsi ad un folto gruppo di cespugli e i due ragazzi, dietro alle indicazioni di Emori, cominciare a spostare dei rami e poi con una certa fatica un tronco. 

Arrivato vicino al punto in cui i ragazzi stavano lavorando Emori si avvicinò nuovamente al veicolo. 

“Da adesso in poi noi ci muoveremo a piedi per spostare gli altri ostacoli voi ci seguirete.” Poi volse loro le spalle, disse qualche parola ai ragazzi e fece cenno a Bellamy di venire avanti ed inserirsi nel varco aperto nella boscaglia.

Il ragazzo fece qualche metro prima di fermarsi nuovamente intuendo ciò che la ragazza voleva fare.

Qualche istante dopo la sentì urlare qualcosa a Roan e a Murphy fermi vicino all’ingresso e questi ultimi, con molta attenzione, cominciarono a coprire nuovamente l’ accesso. 

Finito il lavoro, i tre superarono il Rover cominciando adincamminarsi dietro la ragazza che aveva faceva loro da guida. 

 

Bellamy era certo di doversi fermare continuamente per spostare qualche impedimento e chiedendosi se non fosse stato più semplice proseguire a piedi anche se sarebbe stato di certo difficoltoso per Raven.

Si erano inoltrati di poche decine di metri nella macchia quando si accorse che il sottobosco era veramente intricato e che Emori li stava realmente guidando attraverso uno stretto sentiero ripulito. 

Stavano procedendo quasi a zig zag ma il percorso era chiaramente più sgombro del resto della foresta, dopo qualche centinaio di metri si fermarono nuovamente in quello che sembrava un vicolo cieco, di nuovo la grounder diede delle indicazioni ai due ragazzi che cominciarono a spostare dei tronchi e la radice divelta di un albero. 

Procedettero in quel modo per alcune ore, Bellamy sentiva il sudore corrergli lungo la schiena e le mani umidicce sopra al volante, doveva fare attenzione ad ogni manovra del Rover che spesso risultava troppo ingombrante in alcuni punti. Avevano dovuto togliere le cose stivate sul portapacchi e metterle dentro per evitare che s’ incastrassero fra i rami più bassi. 

Per l’ennesima volta da quando si erano ficcati in quel bosco si chiese dove li stesse portando Emori e se avessero fatto bene a fidarsi di lei. Raven ora era fra lui e Clarke e, come quest’ultima, lo stava aiutando nel prendere le misure e a fare attenzione al percorso. La concentrazione di tutti e tre era rivolta alla strada e le poche parole che si scambiavano servivano a dargli delle indicazioni.

Era dovuti scendere tutti un paio di volte quando la ruota del Rover si era bloccata in qualche buco del terreno ma, tutto sommato, le cose stavano procedendo bene anche se, di minuto in minuto, man mano che la stanchezza si stava facendo sentire, la tensione nella cabina aumentava. Non sapere esattamente dove stessero andando e quando quella tortura di viaggio sarebbe finita metteva loro ansia. 

Avevano percorso non più di tre km ed erano preoccupati di quanto ancora mancasse, lo avevano chiesto ad Emori ma quella aveva alzato le spalle, sul viso nessun cenno di stanchezza mentre l’Ice king e Murphy stavano cominciando a pagare il prezzo di quell’escursione nel bosco, entrambi erano sudati, sporchi e feriti, graffi segnavano le loro braccia e il viso. 

Finalmente notò che i ragazzi davanti di loro avevano un passo più spedito, forse, erano arrivati, il percorso risultava ancora accidentato e cominciava ad avere una pendenza maggiore quindi Bellamy strinse ancora più saldamente la presa sul volante qua.

 

“La sentite anche voi questa puzza?” chiese Raven interrompendo il silenzio che in quel momento regnava nella cabina del Rover.

Simultaneamente tutti e tre cominciarono ad annusare l’aria e storsero il naso. “Sembrano uova marce” disse Clarke e Bellamy annuì disgustato. 

Non riuscivano a dare una spiegazione a quella puzza e man mano che scendevano sul sentiero scosceso, l’odore diventava sempre più forte. 

Clarke e Raven si guardavano in giro, Bellamy lanciava solo qualche occhiata, tutta la sua attenzione era rivolta alla guida. In quel momento il Rover stava costeggiando sul lato sinistro un rialzo roccioso mentre alla loro destra il declivio sembrava meno ripido. Quando superarono la parete di roccia, di fronte a loro si aprì uno slargo privo di alberi e in fondo ad esso, incastrata ai piedi della montagna, vide una piccola casupola. Fece ancora diversi metri parcheggiando poi il Rover vicino alla cascina dove gli altri li stavano aspettando. 

 

Bellamy spense il motore con un sospiro di sollievo. In quel momento non gli interessava dove fossero finiti, ma solo di poter scendere, sgranchirsi le gambe e sciogliere la tensione che faceva urlare ogni singolo muscolo delle suo corpo.

“Direi che siamo arrivati.” rilassando la schiena contro lo schienale del veicolo.

“Pare proprio di sì.” rispose Clarke guardandosi in giro. 

Oltre alla casupola non sembrava esserci altro, erano circondati da roccia e alberi, sembrava un posto letteralmente dimenticato da Dio, forse vicino all’inferno pensò Bellamy vista la puzza che sembrava aleggiare in quella conca.

“Qua sembra che ci sia meno puzza.” disse Clarke quasi leggendogli nel pensiero.

“Dici?, per me è nauseante come prima.

“Non dirmi che Bellamy Blake ha il naso raffinato!” ribatté Ravendandogli un colpetto con la spalla.

“Una delle mie tante qualità che non conoscete.” replicò Bellamy rilassandosi a quello scambio di battute chiudendo gli occhi che gli bruciavano.

“Direi che è ora di scendere, gli altri ci stanno aspettando.” disse poi aprendo lo sportello della macchina.

 

Le due ragazze lo seguirono a pochi passi di distanza e si riunirono al gruppo che li stava aspettando accanto alla casupola. Da vicino, appariva più solida del previsto.

Quando furono a portata di voce Emori parlò “Per stanotte dormiremo qui. Ad un paio di chilometri da qua c’è l’approdo con la barca e con quella potremmo proseguire fino alla casa”

Bellamy tirò un sospiro di sollievo a cui anche Raven e Clarke si unirono. Non capiva però tutta quella segretezza, sapeva da Murphy che avevano fatto un lungo pezzo di strada con Jaha e il suo accolito e non ce lo vedeva l’ ex-cancelliere, preso dalla sua missione, a passare il tempo a rimettere in ordine arbusti per cancellare il sentiero. Un pensiero passò nella sua mente, si guardò più attentamente in giro. 

La casa sembrava chiusa da tempo, davanti alla porta si erano accumulate molte foglie e l’erba attorno a loro era molto alta: non sembrava calpestata da tempo. Non vedeva segni evidenti di fuochi da campo. 

Guardò John che si era fatto ancora vicino ad Emori

Conosceva abbastanza Murphy da sapere che, se avesse conosciuto il posto, non si sarebbe fatto remore ad entrare in casa o stravaccarsi da qualche parte a riposare ignorando tutti loro. In quel momento appariva vigile.

“Murphy non sei mai stato qui vero?” chiese quindi Bellamy avvicinandosi a lui minaccioso. Non sapeva ancora cosa stesse succedendo e la sensazione che Emori non li stesse portando dove aveva promesso si faceva sempre più insistente.

Il ragazzo non rispose e Bellamy, irritato, gli si fece sotto prendendolo per la giacca prima che qualcuno potesse intervenire. 

Cosa state combinando tu e la tua ragazza?” indicandola con il mento. 

Gli altri si allertarono, Emori si intromise subito “È colpa mia, lui non c’entra” disse.

Bellamy lasciò andare Murphy e fece un passo indietro, mise le braccia conserte e chiese guardandola torvo “Allora parla.” 

Emori abbassò lo sguardo, con la mano si sfregava le fasciature che coprivano l’arto deformato, rimase immobile, insicura poi alzò il viso, negli occhi un’ espressione di sfida.

“Vi ho detto la verità, a poca distanza da qua c’è un fiume che ci porterà sull’ isola dove si trovava ALIE, all’andata abbiamo fatto un percorso diverso, ma dovevo tornare qua prima di continuare” la ragazza di fermò, il suo viso vagò sui presenti che la stavano scrutando.

“La mia mano” indincando il braccio coperto dalle fasciature  “In queste ultime settimane ho sforzato troppo la mano, specialmente quando era sotto l’influsso del chip ora il dolore è tornato e fa male.” La voce lesi spezzò, stavo continuando a massaggiarsi la mano e, per la prima volta, Bellamy si accorse delle occhiaie e la pelle tirata della ragazza, gli occhi non riuscivano a mascherare il dolore che la giovane probabilmente sentiva anche in quell’istante.

“L’odore che sentiamo..” si intromise Clarke avvicinandosi “È una fonte termale vero?” 

Emori volse lo sguardo verso di leì e annuì poi spiegò “I miei genitori l’hanno scoperta quando io e mio fratello eravamo molto piccoli, in giro si mormorava che, il terremoto che aveva scosso queste zone decine di anni fa, avesse aperto le porte dell’inferno. Raccontavano dell’odore nauseabondo che si era sparso in tutte la valle e nei terrotoriquelli circostanti, nessuno osava venire in queste zone.”

“Si è vero” confermò l’ Ice King accanto a loro “Attorno al fuoco ancora si parla di quel terremoto e si narrava che in questo posto ci fossero le anime dei morti che vagavano fra i boschi”

“I miei genitori non credevano a quelle cose, volevano trovare un luogo dove vivere in pace e dove noi non venissimo perseguitati per le nostre malformazioni. Oltre a quei massi c’è una polla d’acqua calda. Non era buona da bere ma, da subito, ho scoperto che se vi tenevo la mano dentro, i dolori si facevano meno forti. Questa..” indicando la casupola dietro di se “è la mia casa”

Bellamy annuì a quelle parole rilassandosi, forse, si rese conto, aveva giudicato male Emori e il suo stile di vita. Guardò John, era pronto a difendere Emori da qualunque loro attacco e, ricordando come si era comportato durante il combattimento a Polis e nei giorni successivi, comprese che forse, c’era in lui molto di più di ciò che aveva sempre mostrato. 

“Beh, non so voi, ma il viaggio per arrivare qui è stato infernale” disse guardando ognuno di loro “direi di scaricare la roba che ci serve per la notte e accamparci poi..” aggiunse con un sospiro “un bagno caldo non mi dispiacerebbe, sempre che la puzza non mi uccida prima” concluse sorridendo.

La tensione nel gruppo si dissolse, ci furono dei sorrisi, un cenno divertito da parte di Clarke e una battutaccia da parte di Raven.

“Direi che si può fare” replicò Clarke poi, rivolgendosi ad Emoricontinuò con dolcezza, “Vai pure alla polla, ci occuperemo noi dei bagagli, immagino che più tempo passerai a contatto con quell’acqua meglio sarà”

Emori annuì lasciando intravedere il suo sorriso affascinante “Sì!” poi avvicinandosi alla porta della casa l’aprì con una certa fatica “Non è molto spaziosa, se volete potete usarla per dormire qui questa notte, c’è un focolare dove potremmo preparare da mangiare e altre cose. Muovetevi liberi come se foste a casa vostra.

“Grazie” disse Bellamy avvicinandosi a lei. La ragazza era sempre stata sfuggente con tutti loro, aveva dimostrato in più di un’occasione la sua capacità di adattamento e la sua forza ma con loro si era sempre defilata e spesso, il suo silenzio, era apparso imperscrutabile come se, passo dopo passo, li stesse analizzando. Ora sembrava che avessero passato una specie di esame accordando loro la sua fiducia.  

La cosa, prima di ciò che era avvenuto nell’ultimo mese, non gli sarebbe interessata, ma ora, dopo tutto ciò che lui aveva fatto, tutto ciò che aveva subito, aveva un che di consolatorio. 

Riconoscere con se stesso che i grounder potevano essere amici e che di fronte alla vita erano tutti uguali gli stava aprendo un mondo che ancora non conosceva e che lo stava, passo dopo passo, cambiando. Superare la sua diffidenza nei loro confronti, specie dopo ciò che gli aveva fatto Echo, sarebbe stato difficile ma, non impossibile. 

Sapere che anche i grounder potevano dare fiducia a loro skypeople stava aiutando molto. Una consapevolezza che aveva cominciato ad accettare subito dopo la battaglia con ALIE quando aveva visto come la gente si era riunita e aveva cercato di affrontare ciò che era avvenuto.

Il suo sguardo intercettò quello dell’ Ice King che si trovava leggermente discosto dal gruppo, il suo corpo rilassato mostrava comunque la tensione di chi, in ogni momento, era pronto a combattere e, questo, lo rinfrancava. 

Bellamy comprese che non sarebbe stato il solo a difendere il gruppo in caso di pericolo. Istintivamente fece un lieve cenno d’assenso nella direzione del grounder che annuì impercettibilmente. 

“Sarà meglio controllare comunque la zona qui intorno, non vorrei ci fossero soprese” disse Bellamy, il grounder annuì “me ne occuperò io, tutti i clan  si tengono lontani da quest’area ma, dopo ciò che è successo …” lasciò in sospeso la frase. Molti erano scappati da Polis quando l’effetto del chip era svanito e nessuno sapeva cosa avrebbero potuto fare.

Emori, ancora sull’uscio della porta, annuì “Sì, sarà il caso, questa è una zona di passaggio anche per animali selvatici, per lo più sono erbivori ma è meglio controllare i dintorni, potrebbero esserci dei predatori. Sono diversi mesi che non ritorno qui.”

Era una notizia che Bellamy sperava di non sentire, avrebbe implicato dei turni di guardia ma, sapere di avere un tetto sulla terra, del cibo caldo da preparare e un bagno a portata di mano, superava i timori.

“Bene cominciamo a scaricare!” disse e, a quelle ultime parole, il gruppo si divise, ognuno ormai abituato a gestire le diverse incombenze.

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Capitolo 6
*** VI ***


Capitolo 6
 
“Cerca di fare un po’ di rumore mentre arriviamo alla sorgente d’acqua” disse Bellamy accompagnando le parole con il sonoro rumore di un ramo secco che si spezzava sotto il suo stivale.
“E perché mai dovrei farlo?” chiese Clarke guardandolo perplessa mentre lo seguiva a pochi passi di distanza.
“Non vorrei mica pescare quei due in atteggiamenti intimi?” rispose scherzoso Bellamy.
“Beh mi sembra che tu non abbia mai avuto di questi problemi quando eravamo al campo!”
“Infatti non sto parlando per me Principessa” rispose il ragazzo girandosi verso di lei. “Mi riferivo a te!”
“E cosa ti fa pensare che io sia così puritana?” chiese Clarke curiosa mettendosi al suo fianco mentre continuavano a camminare.
“Mi ricordo come mi guardavi disgustata quando ero in compagnia femminile” rispose Bellamy senza che il suo sorriso si spegnesse.
“Non era la compagnia che mi dava fastidio ma Tu” rispose contraccambiando il sorriso Clarke.
“Colpito e affondato direi!” rispose ridendo Bellamy “Spero che la tua opinione di me sia cambiata da allora”
Clarke non rispose e abbassò gli occhi mentre superava una radice particolarmente grossa. “La sai che è così” ribatté lasciando intravedere un dolce sorriso che le fece brillare i chiari occhi azzurri poi, il suo sguardo si adombrò.
“Pensi che Raven ci raggiungerà” chiese tornando seria e cambiando il discorso.
Bellamy guardò di fronte a se, camminarono in silenzio per un paio di metri.
Avevano sbrigato le faccende al campo molto velocemente, grazie al fatto che nella casa di Emori c’era praticamente tutto, non avevano dovuto aprire molti bagagli. Entrambi pensavano che Raven sarebbe stata lieta come loro di prendersi una pausa e godersi il bagno ma aveva risposto dicendo che doveva controllare se riusciva a collegarsi con Arkadia e, se le fosse avanzato del tempo, li avrebbe raggiunti.
Bellamy aveva la sensazione che stesse mentendo o credeva di sapere la verità ma non se la sentì di parlarne a Clarke ma aveva sperato che avrebbe accolto volentieri l’idea di immergersi nelle acque termali. Di certo avrebbero giovato alla sua gamba.
Al suo diniego, non avevano insistito ma ora si sentivano in colpa ad averla lasciata indietro. Si sentivano degli irresponsabili a godersi quel momento quando entro breve tutti sarebbero morti.
“Forse potremmo andarla a chiamare. Il terreno non mi pare così accidentato” riflettè ad alta voce Clarke.
“Non credo si farebbe convincere” rispose Bellamy pensieroso. Raven  sapeva essere più testarda di tutti loro messi insieme e, dopo ALIE, qualcosa era cambiato in lei, sembrava che le tragedie subite negli ultimi mesi avessero cominciato a chiedere il loro scotto.
Le loro riflessioni s’interruppero quando cominciarono a scorgere la sorgente. Lo spettacolo che gli si parò davanti li lasciò senza fiato.
Incastrata ai piedi della parete rocciosa che avevano costeggiato per scendere si apriva un avvallamento sassoso dove era adagiata una piscina naturale dall’inteso color celeste e dalla forma elissoidale. La superficie dei pietroni attorno ad essa era di uno strano colore bianco mentre la limpida acqua vicino alla superficie lasciava intravedere la superficie biancastra sottostante. Man mano che l’altezza dell’acqua aumentava il colore diventa sempre più intenso fino a raggiungere quello celeste cristallino nella parte centrale. Una leggera nebbiolina, causata dal vapore caldo dell’acqua si spargeva su tutta la superficie e, i raggi del sole che colpivano le goccioline sospese creavano strani giochi di luce e arcobaleni.
Ogni rumore sembrava ovattato fino a quando il silenzio non fu interrotto da uno sciabordio dell’acqua e una risata. Solo in quel momento si accorsero che sulla destra della piscina, semi nascosti da un masso crollato durante il terremoto, c’erano Murphy ed Emori.
“Beh non li abbiamo colti sul fatto!” disse Bellamy scherzoso guardando Clarke “E ora, principessa, se non ti dispiace, io mi butterei anche, quelle acque sono troppo invitanti” poi, senza aspettarla scese verso la sorgente.
A Pochi passi di distanza cominciò a spogliarsi, si tolse il giaccone e il cinturone con la pistola, poi scalciò via gli scarponi e calzetti. A quel punto si fermò un istante, perso in qualche pensiero, volse il capo verso la ragazza dietro di lui e poi verso la polla.
Clarke si chiese cosa stesse pensando, lo vide alzare le spalle e poi la maglietta e i pantaloni fecero la stessa fine del giaccone e cominciò a immergersi lasciandosi sfuggire un mormorio soddisfatto.
“Avevi paura che una puritana come me rimanesse sconvolta vedendoti a torso nudo e in mutande?” scherzò Clarke mentre si stava avvicinando al luogo in cui Bellamy aveva lasciato cadere i vestiti, stupendosi per prima di quelle parole che normalmente non sarebbero state da lei, ma quel posto la faceva sentire in vacanza.
Le ricordava le infoimmagini archiviate sull’Arca che mostravano la terra come il paradiso terrestre che era stato e forse, nell’inferno in cui si erano schiantati, quel luogo poteva benissimo rappresentare l’eden che tutti avevano immaginato.
La bellezza di quel luogo, il sorriso soddisfatto di Bellamy mentre si immergeva erano come il canto di una sirena, voleva buttarsi in quell’acqua limpida e cominciò a spogliarsi. Come il suo compagno prima di lei cominciò dal giaccone ma, a differenza di Bellamy, lo ripiegò prima di appoggiarlo a terra, si tolse scarponi  li mise uno accanto all’altro vicino alla giacca e quando si sfilò le calze le mise dentro agli scarponi. Quando si tirò su, diede l’ennesima scorsa alla sorgente, il suo sguardo veniva continuamente calamitato dalla bellezza di quel luogo quando si accorse che Bellamy, immobile poco distante da lei, immerso fino al collo la stava osservando con quel suo  mezzo sorriso sghembo dipinto sulle labbra.
“Cosa hai?” chiese quindi la ragazza.
“Niente, volevo solo capire fino a che punto fossi pudica principessa” rispose lui senza che il sorriso sparisse dalle sue labbra.
Clarke si chiese da dove Bellamy avesse preso l’idea che lei fosse così virtuosa ma non riuscì a darsi una risposta.
Si sfilò maglia e i pantaloni, poi dopo averli piegati e poggiati sulla giacca s’ incamminò verso la polla d’acqua, con gli occhi cercò Bellamy certa di trovarlo già lanciato in esplorazione dell’intera piscina e invece, incrociò il suo sguardo. Era rimasto tutto il tempo immobile mentre si spogliava.
Le guance di Clarke si arrossarono quando si resero conto di come la stava osservando, nei suoi occhi leggeva l’apprezzamento per ciò che aveva visto e la cosa la mise profondamente a disagio, forse, in un occasione diversa, avrebbe abbassato lo sguardo ma, niente in quella circostanza sembrava normale così lo sfidò “Credevo ti fossi abituato a vedere le ragazze seminude”
“Non te però” rispose Bellamy lasciando scivolare il suo sguardo sulle curve della ragazza.
“Idiota” rispose Clarke schizzando con un piede un po’ d’acqua nella sua direzione e bagnandolo.
Bellamy sgranò gli occhi a quell’affronto “Non sei nemmeno entrata in acqua e vuoi già affrontarmi una battaglia acquatica?” chiese alzando gli schizzi, ben più consistenti di quelli che aveva lanciato in precedenza lei, ma Clarke fu lesta a schivarli, quando qualche goccia la colpì comunque si irrigidì d’istinto aspettandosi che fosse fredda invece l’impatto con l’acqua calda fu decisamente piacevole.
Senza nemmeno pensarci su, si slanciò verso l’acqua e dopo poche pesanti falcate per raggiungere un punto più alto si immerse sotto, nuotò per alcuni istanti a pelo d’acqua poi riemerse  sorridendo a pochi metri di distanza da Bellamy.
“Non sapevo che sapessi nuotare” disse sorpreso.
“Ho imparato quando ero da sola” rispose Clarke “poi ho smesso” terminò in un basso mormorio.
Bellamy si accorse subito che Clarke si era persa, fu solo un istante, la raggiunse , l’agguantò e la capovolse in acqua.
La ragazza riemerse poco distante sputacchiando l’acqua che aveva bevuto.
“Ehi Blake cosa ti passa per la testa? Volevi per caso affogarmi”
“Ero certo che saresti riuscita a riemergere” replicò il ragazzo prendendola in giro “al massimo ti sarei venuto in soccorso, se proprio dovevo” concluse facendo finta di riflettere se quel gesto ne valesse realmente la pena.
Clarke scosse il capo ridendo “La puzza di uova marce ti deve aver dato alla testa Bellamy!”
“O volevo solo mostrarti che insieme possiamo anche divertirci” rispose serio il ragazzo lasciando che Clarke scrutasse i suoi occhi e vi leggesse la verità in quelle parole.
Le aveva promesso solo il giorno prima che avrebbero lottato uno affianco all’altro, perché allora non potersi semplicemente rilassare e divertire insieme, almeno per poco tempo.
Clarke fece un passò verso Bellamy come se un forza invisibile la stesse spingendo verso quegli occhi scuri. “Grazie” mormorò quando si trovavo solo a pochi passi da lui. Un sorriso sincero si aprì sul viso del ragazzo “Di niente principessa e, ora” disse senza smettere di fissarla negli occhi “fammi vedere come si nuota sottacqua” Clarke rispose al suo sorriso e annuì contenta mentre cominciava a spiegargli i rudimenti del nuoto che aveva imparato da autodidatta.
Bellamy la osserva, i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da lei,  sembrava una ragazzina spensierata e senza nessun problema al mondo se non godersi quel momento, forse nemmeno sull’Arca Clarke era stata così. Di certo lui non l’aveva mai vista così e scoprire questo lato di lei che solo lui era riuscito a far emergere lo riempiva di una strana gioia inaspettata.
Clarke era presa dalle sue spiegazioni, corredate da esempi pratici quando il suo chiacchiericcio fu interrotto dalla voce di Murphy “l’avete finita di disturbare con questo vociare?”.
Entrambi si girarono di colpo verso la coppia che quietamente si stava godendo il bagno su un lato della sorgente. Entrambi, da quando erano entrati in acqua, si erano dimenticati della presenza di quei due.
La voce di Murphy li aveva presi in contropiede ma Bellamy rispose scherzando “Scusa, seduti lì come due vecchietti non vi avevamo nemmeno visti”
“beh adesso che lo sapete potreste anche rilassarvi un po’ e tranquillizzarvi, se non vi avessi visto con i miei occhi, non avrei mai pensato che voi due sapeste come divertivi.”
“E ora tu ci dici che dobbiamo rilassarci?”
“Sì, perché scoprirete che quest’acqua è ancora più piacevole se vi godete il silenzio.”
 
Bellamy lo osservò per alcuni istanti confuso, aveva quasi la sensazione che si fossero invertite le parti e fosse Murphy la persona responsabile mentre loro gli immaturi. Lanciò un’occhiata di sottecchi a Clarke e si rese conto che anche lei era perplessa quanto lui.
Lo sguardo del ragazzo si spostò verso Emori che era seduto accanto a lui, la schiena poggiata contro un masso, gli occhi chiusi, sembrava rilassata e, di colpo Bellamy si rese conto che, se per le loro quella sorgente era solo un bel posto in cui divertirsi e fare un bagno, per Emori significava un medicina contro il  suo dolore.
Si sentì un po’ sciocco per come si era comportato prima poi scacciò quel pensiero. Giocare in quel modo era stato divertente e, anche quella poteva essere vista come una sorta di terapia. Decise di avvicinarsi ai ragazzi e distendersi vicino a loro per godersi la pace del posto con l’intenzione però di tornare a divertirsi quando Emori avesse scelto di uscire.
Clarke lo seguì e come lui si distese lasciando solo la testa fuori dall’acqua, un masso come cuscino.
Effettivamente, si rese conto Bellamy, anche starsene così distesi senza fare nulla in quel dolce anche se puzzolente tepore non era affatto male. Presto la testa si svuotò da qualunque pensiero, conscio solo del calore dell’acqua che lo avvolgeva e la leggerezza del suo corpo.
 
Un fischio acuto squarciò l’ovattato silenzio e il tonfo di una pietra nell’acqua a poca distanza fece aprire gli occhi di soprassalto a Bellamy che si tirò subito su all’erta, l’effetto fu devastante per il suo equilibrio e il suo senso dell’orientamento. Gli ci vollero alcuni secondi prima di raccapezzarsi. Si guardò in giro guardingo fino a quando non intercettò, poco distante da loro, il guerriero grounder che li stava osservando con uno sguardo disgustato dipinto sul viso.
“Fra poco tramonterà il sole, credo sia ora di prepararci per la notte” disse laconico prima di voltare loro le spalle e sparire fra gli alberi da cui ero probabilmente venuto.
“Cazzo!” lasciò sfuggire in un sommesso mormorio Bellamy, l’improvvisata di Roan era stata una vera doccia gelata e un rientro repentino nella realtà. Mentalmente si diede dello stupido per essersi lasciato trascinare dagli eventi ed essersi rilassato in quel modo.
Volse uno sguardo verso gli altri, Emori e Murphy sembravano del tutto indifferenti all’agguato dell’ Ice King mentre sulla faccia di Clarke era di nuovo dipinta un’espressione seria. Conscia quanto lui di ciò che era avvenuto.
 
Sentì un tuffo al cuore quando vide che la luce ridente nei suoi occhi era scomparsa. Per l’ennesima volta, da quando erano arrivati sulla Terra, si chiese se avrebbero mai avuto la possibilità di vivere senza essere continuamente allerta.
Fece un profondo sospiro sapendo che a quella domanda non c’era risposta. Orami l’aveva capito tanto tempo prima.
Uscì dall’acqua e si diresse verso i suoi vestiti, un ultimo sguardo di rimpianto a quel piccolo paradiso che li aveva accolti anche solo per poco. Chissà se avrebbero mai avuto la fortuna di ritornare lì.
Cominciò a vestirsi, si sarebbero bagnati ma non gli interessava più di tanto, raggiunto l’accampamento si sarebbe cambiato mettendo definitivamente la parola fine a quell’pomeriggio che di certo sarebbe rimasto fra i suoi ricordi più belli.
Silenziosa quanto lui Clarke si stava rivestendo, entrambi malinconici per ciò che avevano trovato e perso in così poco tempo.
 
NOTA: Allora? Come sta andando la lettura…spero sia stato piacevole questo momento Bellarke…non so quanti altri ne vedremo ahhha…si, lo so, sono pessima. E ora incrocio le dita per i prossimi due capitoli sperando che vi piacciano quanto e piaciuto a me scriverli. Vi ringrazio ancora di cuore per le vostre recensioni e le belle parole che state spendendo.  
AVVISO IMPORTANTE
Dalla prossima settimana cominceremo a pubblicare 3 capitoli alla settimana: il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Quindi segnatevi sul calendario la data 5 dicembre…e incrociamo le dita, ormai anche questa FF è diventata una corsa contro il tempo per terminarla entro la fine di gennaio come per i nostri eroi che in 6 mesi dovranno trovare un modo per non morire.

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Capitolo 7
*** VII ***


​Capitolo 7
 
Roan osservava il fuoco da campo spegnersi lentamente, l’arancione delle fiamme si stava lentamente trasformando nel brillante carminio delle braci che ancora bruciavano. Con cautela scese dalla posizione in cui si era messo di guardia a qualche decina di metri dal pallido raggio di luce, senza fare alcun rumore lasciò cadere qualche altro ceppo poi, come era venuto, la sua ombra si mescolò all’oscurità della foresta.
Si era proposto di fare la guardia prima ancora che qualcuno ne paventasse l’idea. Probabilmente quelli non ci avevano pensato, pensò corrucciato. Era difficile per lui associare quella banda di ragazzini che si stavano divertendo a fare i campeggiatori con ciò che li aveva visti fare in quelle ultime settimane. L’idea che tutto ciò che era successo fosse causato dalla loro inettitudine era un pensiero che ogni tanto gli attraversava la mente. Nessuno di loro poteva definirsi un guerriero.
Permettevano ad una ragazzina bionda che non sapeva nemmeno difendersi di guidarli e credevano che un’altra ragazza menomata avesse le risposte che loro cercavano mentre il mondo presto sarebbe stato distrutto.
La grounder con la deformazione alla mano e il suo compagno non serviva nemmeno contarli, i reitti erano infidi e non avevano alcun codice morale o etico, probabilmente quando sarebbe arrivato il momento di combattere sarebbero fuggiti per nascondersi da qualche parte e attendere la fine.
Forse solo Blake, che non si era fatto remore a sparargli, sembrava adatto a quel mondo. Una smorfia di disgusto gli marchiò il viso ripensando a quando li aveva trovati alla sorgente. Un guerriero dei clan o della loro nazione mai si sarebbe fatto trovare impreparato.
Scosse il capo infastidito, sapeva ciò che gli spiriti gli avevano detto quando lo avevano spedito sulla Terra e non riusciva a capire come quel gruppo potesse in qualche modo segnare il suo destino e, per l’ennesima volta da quando si era risvegliato sommerso dai cadaveri, si chiese perché non lo avessero lasciato morire in pace e con onore.
Ogni guerriero sperava di morire in combattimento e di poter raggiungere i luoghi a cui la sua gente apparteneva realmente.
 
-Yu gonplei ste oden
 
          La vita sulla Terra non era altro il purgatorio in cui tutti dovevano espiare i peccati di tutti coloro che erano morti nella grande catastrofe. Solo vivendo da guerrieri, mostrando il proprio valore, la propria forza e la propria tempra d’animo avrebbero potuto accedere al luogo loro promesso. Chi aveva camminato su quelle terre prima di loro non aveva dimostrato nessuna di queste qualità ed era per quello che ora loro dovevano dimostrarsi all’altezza.
Roan sputò a terra irritato dalla piega di quei pensieri a cui spesso ritornava da quando si era svegliato.
L’arrivo degli Skypeople prima, aver scoperto che non c’era alcun mito dietro a Becca Promheda dopo, aveva cominciato ad instillare dei dubbi nelle sue convinzioni ed era qualcosa che non riusciva ad accettare, minava tutto ciò che aveva fatto nella sua vita. Come un pensiero sfuggente e non voluto riapparve l’immagine dei quattro nella sorgente termale.
Aveva mai provato quel tipo di tranquillità? ma soprattutto se il loro modo di vivere era sbagliato perché sembrava molto più intrigante della sua intera esistenza. Si mosse a disagio sul posto poi, in uno scatto di rabbia, decise di fare una perlustrazione, il movimento gli avrebbe permesso di non pensarci.
 
Raven si alzò con circospezione dal suo giaciglio sperando di non svegliare nessuno. In quel momento non voleva leggere alcuna domanda nei loro occhi, non voleva vedere sguardi sfuggenti per il dolore che certo le si leggeva in faccia. Era stanca e il dolore pulsante alla gamba non accennava a diminuire. Si mosse con cautela mentre superava i giaciglio di Clarke che le dormiva accanto. Uno sguardo a Emori e Murphy che abbracciati erano cullati dalle braccia di Morfeo ed infine a Bellamy. Il ragazzo aveva il sonno leggero di solito ma il bagno doveva aver fatto effetto anche a lui; come tutti gli altri dormiva profondamente.
Non potè fare a meno di sorridere invidiosa della serenità che leggeva sui loro volti ripuliti dalla stanchezza e lo stress a cui ormai erano sottoposti quotidianamente.
Era gelosa di quel sonno che ormai, da quando era stata ferita, non le apparteneva più. Prima di ALIE, grazie ad un mix di sonniferi e antidolorifici che Abby le forniva di nascosto quando la vedeva al limite, riusciva a dormire per una notte filata, dopo ciò che le aveva fatto ALIE e ciò che lei stessa aveva commesso non riusciva a dormire più di due ore filate perchè gli incubi o il dolore la svegliavano di soprassalto in un bagno di sudore.
Nemmeno quella notte era stata diversa e, dopo essersi ripresa dall’orrore dell’incubo, il dolore alla gamba, all’anca e alla schiena malamente sollecitata dalla postura che doveva mantenere, aveva cominciato a pulsare senza permetterle di riprendere più sonno.
C’erano momenti come quello in cui il dolore era tale che desiderava solo tagliarsi via la gamba con una sega per non doverlo sopportare più. Aveva tentato di distrarsi pensando a come risolvere il problema che Clarke aveva esposto loro ma, finchè non avesse scoperto qualcosa in più, si sentiva inutile e questo la faceva impazzire forse anche più del dolore, lanciò uno sguardo allo zaino, alla scatola che aveva portato con sé ma scosse il campo determinata
Decise di uscire con la speranza che l’aria fresca potessero in qualche modo calmarla.
Fece gli ultimi passi verso l’uscio con cautela ma, lo scricchiolio della porta, per poco non la fece scoprire. Si girò di scatto appena il rumore si diffuse nella stanza ma i ragazzi all’interno non si mossero e rimasero silenziosi. Pochi passi dopo era oltre l’uscio e respirava l’aria frizzante della notte.
Si guardò in giro, il silenzio e l’oscurità avvolgeva ogni cosa eccetto per i pochi metri attorno al fuoco che scoppiettava allegramente.
Scrutò nelle tenebre cercando di individuare il grounder anche se era abbastanza certa di non poterlo scorgerlo.
Sembrava che quel tipo si facesse un punto d’onore nel dimostrarsi un guerriero tutto d’un pezzo. Sorrise ricordando come, gonfiando il petto, si fosse offerto volontario per fare il turno di guardia durante la notte, come se, visto dove si trovavano, fosse necessario.
Si lasciò sfuggire un singulto divertito ripensando a come fosse tornato su dalla fonte decisamente irato. Sul momento era rimasta perplessa e aveva persino chiesto un po’ allarmata se fosse successo qualcosa ma lui aveva solamente bofonchiato prima di superarla e inerpicarsi nuovamente nella foresta.
Aveva scoperto solo dal racconto dei ragazzi cosa fosse accaduto. Di certo per quel grunder doveva essere stato uno smacco accorgersi che qualcuno si era divertito mentre lui si comportava come se ci fosse un pericolo imminente che avrebbe potuto sorprenderli quello stesso giorno.
Ed era stato proprio il ricordo degli sguardi riposati dei ragazzi di ritorno dalla sorgente che la spinsero verso la sorgente.
Voleva raggiungere la polla con la speranza che quell’acqua apparentemente miracolosa potesse lenire, seppure per poco, anche le sue sofferenze.
Non se l’era sentita di andare quando Bellamy e Clarke l’avevano invitata, non voleva vedere il suo corpo alla luce del sole, era troppo doloroso e, una parte di lei, non desiderava nemmeno che gli altri lo vedessero.
Era una mappa di tutto ciò che le era accaduto da quando era scesa sulla terra e non voleva vedere nei loro occhi la compassione.
Lei, per prima, non voleva compatirsi ma sapeva che lo avrebbe fatto se avesse visto come era ridotta la sua gamba, ormai quasi priva di muscolatura dal ginocchio in giù, le ferite inferte al costato quando l’avevano torturata i grounder, i segno dei buchi degli aghi di Mount Weather, le cicatrici sui suoi polsi quando ALIE era pronta a sacrificarla per convincere Abby.
Non aveva bisogno nemmeno di allungare la mano verso il collo per sentire la cucitura dove Clarke aveva fatto l’incisione per togliere il chip o sentire la pelle corrugata dove era intervenuta Abby per estrarle la pallottola per sapere cosa fosse diventato il suo corpo e sentire il vuoto che provava dentro.
Strinse le labbra, accese la piccola torcia portatile e accantonò quei pensieri, voleva raggiungere la sorgente nella speranza di dimenticare ogni cosa come era avvenuto ai ragazzi.
 
Roan osservava la ragazza claudicante da una posizione riparata. Quando aveva sentito il rumore della porta si era subito allertato ma alla vista del meccanico si era subito rilassato, non era intenzionato  ad uscire dalla sua posizione protetta in mezzo agli alberi ma incuriosito aveva continuato a fissarla.
L’aveva guardata prendere un paio di respiri e poi, dopo aver acceso una piccola luce avviarsi lentamente fra gli alberi verso la sorgente.
Il passo della giovane era pesante e la zoppia sembrava più accentuata. Era chiaro cosa volesse fare e si chiese cosa potesse passarle per la mente per spingerla a girare di notte nella foresta facendo tutto quel rumore, poi!.
Quando lo superò cominciò a seguirla silenziosamente, anche se pensava che la ragazza fosse un’incosciente a muoversi di notte e su quel percorso sassoso in quelle condizioni, era suo dovere seguirla e controllare che non le succedesse niente di grave.
Se era lei la persona che doveva risolvere il problema con le radiazioni proteggerla era il suo compito principale.
Arrivata ai pressi della polla la ragazza di fermò di colpo ammirata dalla vista alla quale anche lui dovette arrendersi.
La luna poco oltre la sommità della parete rocciosa illuminava l’acqua dalla quale saliva una leggera nebbiolina. Il pallore lunare dava a quel luogo un’atmosfera irreale come se non appartenesse a quel mondo.
La piccola figura che si stagliava solitaria in quel paesaggio aveva un che di toccante e riuscì a scalfire persino la sua dura corazza. Fu un’istante e, appena la ragazza fece qualche passo verso la polla, l’immagine scomparve.
 
Si accorse subito della difficoltà che aveva nel procedere sulle pietre disseminate attorno alla polla. La vide fermarsi per respirare a pieni polmoni. Un paio di volte incespicò e, in quelle occasioni, sentì il suo corpo protendersi nel vano tentativo di aiutarla anche se troppo distante da lei.
Dopo quella che parve un’eternità finalmente raggiunse un masso abbastanza grande a cui appoggiarsi. Lentamente cominciò a spogliarsi, anche da quella distanza riuscì a sentire il rumore della ferraglia quando si tolse il tutore, la vide lasciar cadere gli ultimi indumenti e rimanere nuda.
Roan lasciò che il suo sguardo indugiasse sulle forme compatte della ragazza fino a quando il suo occhio non cadde sulle gambe, era evidente che uno dei due arti era decisamente più sottile dell’altro. Si chiese se quella fosse una malformazione congenita e come fosse stato possibile che ad una persona con tali difficoltà fosse permesso di vivere.
Le riflessioni s’interruppero quando sentì la giovane lasciarsi sfuggire un’imprecazione ad alta voce.
Seguita da altre molte altre che lasciarono il grounder basito, poi comprese. Senza il tutore la ragazza non aveva più alcun sostegno e fare dei passi, anche sostenendosi alla roccia, era impossibile senza rischiare di cadere. Il pietrame sul terreno non era stabile, un solo movimento sbagliato e avrebbe potuto cadere facendosi molto male.
La vide prendere a pugni il masso per poi rimanere immobile. Roan sperava che la ragazza decidesse di desistere e ritornasse all’accampamento ma quella fece qualcosa di diverso. Si accucciò a terra e, lentamente, a carponi, tentò lo stesso di raggiungere l’acqua, pochi centimetri alla volta.
Roan provò una profonda rabbia vedendo quella figura che strisciava patetica a terra quando, solo poco prima, gli era apparsa di un opalescente bellezza.
Non poteva, non voleva vederla in quel modo, uscì con poche falcate dalla foresta e la raggiunse.  
 

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Capitolo 8
*** VIII ***


Capitolo 8
 
Raven sentiva gli occhi bruciare, per le lacrime che non voleva versare e per il fastidioso dolore delle pietre che le stavano graffiando i palmi delle mani e le ginocchia. Odiava ciò che stava facendo in quel momento, perché non aveva deciso di abbandonare l’idea di entrare in acqua quando ne aveva avuto l’opportunità? Ora si trovava a pochi passi dalla riva del laghetto e non riusciva a muoversi.
Continuava a darsi della stupida, si era accorta che il piede dell’arto menomato si era incastrato fra due piccole rocce e, nella posizione in cui si trovata, con il dolore che le pulsava in tutto il corpo non riusciva ad essere lucida.  Per l’ennesima volta si diede dell’idiota ma, quel luogo, quell’acqua erano stati un richiamo così forte da non riuscire a rinunciarci.
Trovarsi lì, in mezzo al nulla, bloccata, le fece provare una profonda rabbia.
Cercò di sedersi senza torcere troppo la gamba, sperava che, liberate le braccia dal peso del suo corpo avrebbe potuto spostare il piede quando bastava per liberarlo. Di certo non si sarebbe fermata e non si sarebbe ancora pianta addosso per la situazione in cui si era andata a ficcare.  
La sua manovra venne interrotta quando, all’improvviso, si sentì sollevata in arriva e poi rimessa in piedi.
 
Sentì il cuore balzarle in gola e brividi freddi scivolarle lungo la schiena, cercò immediatamente di spingere via con le mani il suo assalitore. Ma venne bloccata con ancora più forza verso il corpo massiccio dell’uomo che la stava trattenendo, cercò di alzare il gomito nel vano tentativo di colpire il viso dell’aggressore ma non riusciva a trovare abbastanza spazio per muoversi. Tentò nuovamente di divincolarsi quando le parole dell’uomo la bloccarono. “Ferma! Sono io!”
 
Raven riconobbe la voce del Ice King e questo la frenò quanto necessario affinché il guerriero allentasse la presa su di lei senza rischiare che lei cadesse.
“Lasciami!” sibilò la ragazza, il fatto che fosse Roan non aveva messo a tacere la sua paura, non del tutto.
Il grounder non obbedì e, invece di lasciarla andare, si sentì sollevare.
Il guerriero la prese in braccio come se fosse una bambina, armeggiò con la fibbia del mantello dal quale non si separava mai e lo lasciò cade ai suoi piedi poi, prima che la ragazza potesse dire qualcosa, fece alcuni passi verso l’acqua della sorgente termale.
“Cosa stai facendo!”
“Hai detto che i miei muscoli sarebbero stati utili qua fuori, li sto usando” disse senza guardarla in viso concentrato sul terreno mentre, con attenzione, entrava in acqua.
Raven boccheggiò un paio di volte ammutolita, a disagio per come la sua nudità fosse esposta allo sguardo del grounder e colpita dal comportamento di Roan.
Avrebbe voluto scagliarsi contro di lui dicendogli che era in grado di fare le cose da sola, che non aveva bisogno dell’aiuto di un sporco grounder ma dovette ricacciare nella gola quelle parole e il suo orgoglio ormai ammaccato.
In quel momento, anche se non avesse più voluto entrare in acqua, avrebbe comunque avuto bisogno di un aiuto per uscire dalla situazione in cui si era andata a cacciare.
 
Chiuse gli occhi cercando di estraniarsi dal contatto del grounder, non voleva sentire il solletico delle pellicce del grounder sulla sua pelle, il calore che provava fra quelle braccia che riscaldavano il suo corpo intirizzito in quella fredda sera di fine febbraio.
Aprì gli occhi di colpo perché chiuderli sembrava non aiutarla a trovare l’autocontrollo necessario.
Il suo viso era a poca distanza dalla mascella irrigidita di Roan, il grounder non la degnava nemmeno di un’occhiata di sottecchi, gli occhi puntati avanti. Sentiva lo sciabordio dell’acqua fra le gambe del guerriero che, ormai da alcuni metri, camminava dentro la polla.  
“Qua andrà bene!” disse Raven sperando che la lasciasse andare e lei potesse liberarsi dalla presenza ingombrante dell’uomo ma, quello, sembrava non volerle darle retta.
“Sei sordo!” chiese piccata “qua va bene!”
“È troppo bassa, se vuoi stare qua dentro, almeno fallo dove l’acqua è più alta e la tua gamba potrà essere immersa completamente” rispose laconico il guerriero.
 
Raven rimase in silenzio guardinga, fecero ancora qualche metro. Fra loro regnava il silenzio più assoluto, dopo quella che alla ragazza parve un’eternità l’uomo si fermò e, con molta delicatezza, la fece immergere nell’acqua calda.
L’impatto con il calore sprigionato dalla sorgente rispetto al freddo esterno, mitigato solo dal calore del corpo del guerriero, le mozzò il respiro e sentì la sua pelle bruciare al contatto con l’acqua calda. Fu un istante poi il suo corpo si abituò facendole provare una sensazione di benessere mai provata prima dall’ora.
Si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto.
“Quando vuoi uscire avvertimi, ti verrò a prendere” le disse il Grounder che si trovava dietro le sue spalle e si stava già dirigendo verso la riva.
 
L’aveva lasciata in un punto in cui, da seduta, tutto il suo corpo era immerso fino alle spalle, a pochi centimetri di distanza da lei un masso le permetteva di appoggiare la schiena. Si chiese se l’avesse fatto volutamente.
“Tu non vieni?” chiese in un sussurro girando appena il collo, stupita lei stessa per quella domanda.
“Qualcuno deve stare di guardia” rispose stringato il guerriero lasciandola al silenzio del suo bagno mentre recuperava il mantello che aveva lasciato cadere poi lo vide appoggiarsi al masso dove lei aveva abbandonato i vestiti. Le voltava le spalle e il suo sguardo era concentrato alla foresta.
La ragazza si spostò leggermente, quanto bastava per appoggiarsi alla roccia che affiorava dalla superficie.
Lascio che la sua mente si liberasse, il dolore persisteva ancora ma l’acqua aveva comunque un effetto calmante.
Immersa lì dentro il suo corpo era leggero e questo aveva un effetto rasserenante anche sulla sua mente. Era ancora conscia della presenza del grounder poco distante ma, man mano che si rilassava, il pensiero di lui si affievoliva, in quel momento non voleva interrogarsi sul suo gesto o sulla consapevolezza che lui l’avesse vista in quello stato di fragilità.
Mai avrebbe voluto che qualcuno la vedesse così e un parte di lei era irritata che lui ora conoscesse anche quel suo lato che mai avrebbe fatto vedere a qualcuno.
Scacciò quel pensiero con l’intento di godersi quel momento. Con le dita cominciò a giocare con l’acqua, i riflessi della pallida luna giocavano su di esse e le increspature che si creavano al passaggio delle sue mani. Chiuse gli occhi lasciando che i movimenti solleticassero la sua pelle.
 
Roan sentiva dietro di se il lieve sciabordio dell’acqua che ritmicamente interrompeva la quiete della notte. Il suo corpo era vigile a qualunque rumore, specialmente da quelli provenienti dalla sorgente. Spesso, quando non aveva sentito alcun suono arrivare da dove si trovava il meccanico, si era girato quando bastava per controllare che stesse bene.
Spesso il suo sguardo indugiava sulla ragazza. Come era avvenuto quando la giovane era arrivata alla polla e la sua figura solitaria si era stagliata ai raggi della luna, così ora ammirava il profilo del suo capo e del suo viso che gli ricordavano da vicino le storie raccontate attorno ai fuochi da campo: spiriti della natura che popolavano le foreste.
Sapeva esattamente chi era ragazza, l’aveva tenuta stretta a se quando l’aveva accompagnata in acqua, aveva sentito la tensione del suo corpo e i suoi tentativi di liberarsi quando l’aveva agguantata.
Aveva provato sulla sua pelle la sua lingua sferzante e diretta ma, ora, immersa in quella polla vedeva solo la bellezza di uno spirito guerriero che, nella tranquillità della notte, raggiungeva la fonte dal quale traeva la propria forza.
Lasciò che si rilassasse in quell’acqua per più tempo possibile poi, l’arco che la Luna aveva ormai fatto nel cielo, gli indicò che era passato fin troppo tempo.
Con un tuffo al cuore comprese che, anche per lei, quel momento di pace in cui anche lui indirettamente si era sentito coinvolto, doveva terminare.
Si girò per avvertirla ma la ragazza sembrava avesse percepito qualcosa, la vide tirarsi su a sedere e volgere il viso verso la sua direzione.
Da quella distanza Roan era certo che il meccanico non potesse incrociare il suo sguardo eppure, la sensazione che potesse farlo anche nella notte, gli fece provare uno strano fremito come se qualcosa stesse cambiando, come se, per la prima volta, si stessero veramente vedendo.
Si incamminò verso la sua direzione mentre la ragazza continuava ad osservarlo, vedeva l’acqua incresparsi e ogni tanto dalla superficie apparivano le sue mani che, subito dopo, si rituffavano nell’oscurità del liquido.
Entrò nella polla, i pantaloni di pelle, ancora bagnati da prima gli aderivano alla pelle ghiacciata, gli creavano un leggero fastidio a cui non feceva nemmeno cosa.
Quando ormai si trovava a pochi passi da lei vide la ragazza distogliere lo sguardo, le spalle leggermente incurvate come se, si sentisse colta in fallo.
Si girò per appoggiare una mano sulla roccia sulla quale fare leva per sollevarsi.
“Ti farai male, aspetta!” disse Roan raggiungendola “appoggiati!” allungando la mano verso di lei.
La ragazza rimase immobile, il suo sguardo guardava puntato alla roccia poi si girò e alzò la mano che il grounder prese per aiutarla a sollevarsi.
 
Raven rimase un istante bloccata con la mano in quella del grounder, leggermente disorientata dal movimento dopo il tempo passato in acqua, il suo corpo, in quel momento, sembrava non rispondere ai suoi comandi.
Dovette appoggiarsi pesantemente alla mano del guerriero e, pochi istanti dopo, l’uomo le mise l’altro braccio attorno ai fianchi per sorreggerla avvicinandola a lui.
Tentò di scostarsi ma la gamba su cui stata poggiando gran parte del peso sembrava non essere in grado di fare alcun passo.
Sentì il guerriero sbuffare poi, un attimo dopo, si sentì sollevare e si ritrovò nuovamente fra le sue braccia.
“Posso camminare!” cercò di dire Raven. Non voleva cedere, non voleva sentirsi così vulnerabile ma il guerriero non rispose e, questo la fece irritare. Le loro conversazioni, seppure minime, sembravano a senso unico e lei, ogni volta, aveva avuto la sensazione di comportarsi come la bambina piagnucolosa che si impuntava su sciocchezze e lui l’adulto maturo che la trattava come tale.
“Immagino che da adesso in poi penserai che sono un’idiota che non conosce i propri limiti e quello che può fare con questa gamba?” si ritrovò ad esclamare irata.
“È così?” chiese il guerriero continuando a guardare di fronte a se.
Raven ammutolì, rendendosi conto che, effettivamente, era stata un’idiota ma soprattutto perché era consapevole che sì, lei tendeva di pensare a se stessa come ad una persona che era in grado di superare tutti i limiti anche quelli fisici. Ancora, a volte, faceva fatica ad accettare il fatto che non tutto fosse possibile per lei che, rispetto agli altri, fosse diversa.
“Io posso fare tutto quello che fanno gli altri?” mormorò seccata.
“E questo che insegnano gli Skypeople? Che tutti possono fare tutto? Anche chi, come te, ha una malformazione come la tua?”
Raven alzò di scatto il viso sorpresa, per un’istante, incrociò gli occhi del grounder che le aveva lanciato un’ occhiata prima di continuare a guardare di fronte a se.
“Non sono nata così!” esclamò Raven “Mi hanno sparato alcuni mesi fa, poco dopo che eravamo scesi sulla terra e ora non posso più usare la gamba” concluse abbassando lo sguardo e focalizzando l’attenzione sul tessuto della giubba del guerriero.
Si sentì scrutare dal grounder che, nello stesso momento, aveva rallentato il passo come se fosse stato colpito da qualche strano pensiero o dalla scoperta di ciò che le era successo.
Continuarono in silenzio fino a quando non raggiunsero la riva. Con cura l’uomo l’appoggiò accanto alla roccia dove aveva lasciato i vestiti.
Appena toccò i piedi a terra Raven  trovò subito l’equilibrio, la sensazione che aveva provato appena uscita dall’acqua era svanita. Con la coda dell’occhio notò il guerriero annuire e fare qualche passo indietro.
Raccolse il mantello fra le mani, lo strinse un istante poi la guardò di nuovo. In quel momento Raven non sentì alcun disagio benchè fosse nuda di fronte a lui.
Sembrò che Roan avesse preso la sua decisione e le passò il mantello “Asciugati con questo” poi si allontanò di qualche metro e cominciò a scrutare la foresta. Immobile come una statua, sembrava essersi dimenticato completamente della sua presenza.
 
Raven rimase impalata a fissare la schiena dell’uomo cercando di decifrare cosa stesse accadendo in quel momento. L’Ice King sembrava diverso o, forse, lei lo stava cominciando a vedere in maniera diversa.
Eccetto Lincoln i suoi contatti con i grounder erano stati minimi e mai piacevoli, aveva tutto il diritto di diffidare di loro dopo tutto quello che le avevano fatto. Per lei, tutti erano grounder ma, ora, quel guerriero cominciava ad avere un nome e questo la stava destabilizzando.
Un freddo refolo di vento le fece accapponare la pelle e decise di sfruttare il mantello che Roan le aveva lasciato per asciugarsi sommariamente prima di rivestirsi.
Il processo non fu né facile né veloce specialmente quando dovette indossare il tutore ma, alla fine ce la fece e, con sua gran sorpresa, si accorse che il suo corpo era meno rigido e il dolore era solo un basso rumore di sottofondo.
Diede un’ultima occhiata alla sorgente di acqua termale che sembrava aver compiuto quel miracolo e in cuor suo sperò che in futuro ci sarebbe stata nuovamente la possibilità di ritornarci. Poi volse le spalle a quel luogo e lentamente s’ incamminò verso il grounder, lo superò per raggiungere il sentiero che l’avrebbe riportata dagli altri.
La torcia che aveva portato con sé illuminava abbastanza il terreno da permetterle di vedere gli ostacoli davanti al suo cammino.
Non si era fermata a chiedere al grounder di seguirla, non voleva che lui continuasse ad aiutarla.
Ciò che era successo alla sorgente doveva essere relegato al passato. Non avrebbe mai permesso di far credere agli altri che lei avesse bisogno di qualcosa, non voleva che gli altri la lasciassero indietro o peggio, vedendola in difficoltà, venissero in suo soccorso.
In quel mondo, cose del genere avrebbero potuto significare la morte di qualcuno e lei non voleva esserne la causa. Non voleva vedere nuovamente qualcuno morire.
Strinse le labbra quando, superando un ostacolo, sentì un acuto dolore all’anca, avrebbe stretto i denti e sarebbe andata avanti.
 
Roan la lasciò andare seguendola a distanza, come aveva fatto all’andata. Il passo della giovane questa volta era più sicuro, la zoppia meno evidente.
L’acqua della sorgente termale doveva averle giovato parecchio e, una parte di lui, ne fu contenta. Non sapeva nemmeno lui cosa gli stesse succedendo. Ma durante il tempo trascorso in quel luogo qualcosa era cambiato.
Sapere che quella ragazza fosse in quelle condizioni a causa di una ferita, aver notato, seppur superficialmente, altre cicatrici sul suo corpo lo avevano colpito più di quanto immaginasse e si chiese cosa le fosse accaduto.
Quella ragazza per lui era un completo mistero, sembrava avere la stessa forza di un guerriero anche se non lo era, lo aveva visto nel modo in cui aveva tentato di trascinarsi senza smettere di lottare.
Gli altri ragazzi del gruppo avevano un’alta considerazione di lei eppure non si comportava come un leader. Non l’aveva vista manipolare nessuno di loro e le sue richieste erano state sempre dirette.
Era abituata a donne diverse nella sua vita, donne come quella pazza di sua madre.
Raven rappresentava per lui un mistero, qualcosa in cui non si era mai imbattuto e questo lo disorientava.  
All’improvviso, nella sua mente, si formò la sfuggente immagine di una ragazza dai capelli neri e gli occhi celesti. Il suo sguardo battagliero che si apriva in un sorriso. Taria, un nome che avrebbe voluto ricacciare nel suo doloroso passato ma che aveva sempre segnato la sua vita e il suo presente.
Scosse il capo cercando di allontanare quel ricordo e concentrò il suo sguardo sulla ragazza che faticosamente stava tornando dagli altri.
La seguì fino a quando non raggiunse la porta della casupola, la vide alzare il viso verso il cielo. In quel luogo la luna non si vedeva e ogni cosa era avvolta nell’oscurità. Il fuoco ormai spento da tempo.
Pochi istanti in cui il guerriero rivide in quella figura lo spirito che aveva visto alla sorgente poi, quando lei entrò, solo l’oscurità gli fece compagnia.
Raggiunse una posizione da dove poteva controllare la casa e lo spiazzo di fronte sperando che la tranquillità della foresta e la monotona sorveglianza che aveva fatto così tante volte nel corso della sua vita gli dessero un po’ di pace.
 
 

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Capitolo 9
*** IX ***


 Capitolo 9
 
Clarke osservava il movimento dell’acqua attorno alla barca, ipnotizzata dal modo in cui essa si spostava al passaggio e come si chiudesse subito dopo nel gorgo creato dai motori, la scia poi si ampliava fino a lambire le rive rocciose.
Lo scorrere del fiume era lento e pacato, pochi erano i punti in cui, in mezzo al letto, le rocce affioravano dalla superficie.
Emori aveva detto loro che quella parte di fiume e per chilometri non era utilizzata da nessun clan. Le tribù che vivevano prevalentemente di pesca più che di caccia erano molto più a sud rispetto a dove si trovavano loro, su un altro affluente del fiume che avrebbero incontrato solo il giorno dopo.
Si erano svegliati presto quella mattina, carichi e riposati come non era capitato da molte settimane.
Clarke guardò di sottecchi Bellamy, seduto di fronte a lei, scrutava con attenzione le rive.
Il pensiero corse a quella mattina quando si era svegliata e lo aveva visto.
Dormiva a pochi metri da lei, il suo visto era sereno e rilassato.
Saperlo lì vicino la faceva sentire al sicuro e protetta come non era mai riuscita ad essere nemmeno quando era con Lexa. Il pensiero le fece provare una stilettata di dolore eppure era inconfutabile. Ogni volta che aveva avuto veramente bisogno di qualcuno Bellamy era stato accanto a lei, anche quando lo aveva abbandonato. Si era chiesta, per un istante, se quello significava avere un fratello.
Si ricordò come aveva sorriso al pensiero. Lo aveva scrutato con più attenzione, lasciando che i suoi occhi accarezzassero le linee del suo profilo.
I suoi capelli scuri gli sfioravano le tempie e gli occhi. La sua mano si era allungata per scostarglieli poi, di soprassalto, l’aveva ritratta confusa e imbarazzata. Quel gesto, fra loro due, le era apparso troppo intimo e, tutt’ora, al pensiero, sentiva le gote arrossarsi.
 
Si ricordò come si era sentita turbata quando lui aveva aperto gli occhi e le aveva sorriso.
Le aveva sussurrato un buongiorno ancora impastato dal sonno, poi aveva richiuso gli occhi come se fosse stata sua intenzione tornare a dormire.
Clarke si era sentita sollevata e aveva colto l’occasione per uscire e preparare la colazione. Una fuga che non era certa di saper decifrare.
La mattina erano stati talmente impegnati per preparare tutto per il viaggio a piedi e poi in barca che non aveva avuto più tempo di osservarlo e parlargli.
E durante il viaggio in barca, entrambi erano rimasti assorti nei loro pensieri e a godersi quel viaggio sul fiume inaspettatamente piacevole fino a quel momento.
 
Quando Bellamy incrociò il suo sguardo Clarke si rese conto di averlo fissato troppo intensamente e chissà per quanto tempo. Vide le sue labbra incresparsi in un mezzo sorriso e farle un cenno nella sua direzione.
Lei rispose allo stesso modo poi, imbarazzata, puntò gli occhi sul fiume ben consapevole che lui la stava osservando, lo sentì alzarsi e poi sedersi vicino a lei.
“Questo viaggio in barca è di certo meglio dell’ultimo fatto!” disse sorridendo, poi alzò il viso verso il sole e chiuse gli occhi godendosi il  vento che la velocità della barca creava.
“Mi sarebbe piaciuto godermi di più il mare, sin da piccolo mi sono sempre immaginato l’oceano e la sensazione  che doveva dare entrandoci dentro.” Mormorò poi.
Clarke si volse ad osservarlo, raramente lui parlava dei suoi desideri e, per la prima volta, si rese conto di quanto poco lo conoscesse.
Di quanto in realtà poco si conoscessero a vicenda pur avendo condiviso così tanto insieme.
Come quella mattina, osservò il suo profilo mascolino e l’aria rilassata che aveva, e si domandò cosa sarebbe successo se tutto quello che era avvenuto non fosse accaduto e loro stessero continuando la loro vita sull’Arca.
“Chissà se ci saremmo mai incontrati sull’Arca” si lasciò sfuggire Clarke.
Bellamy volse lo sguardo verso di lei “Di certo non saremmo andati d’accordo e, tanto per la cronaca, un paio di volte, prima del tuo arresto e della mia espulsione dalle guardie, ci siamo incontrati”.
“Veramente” disse sorpresa Clarke “ non me lo ricordo” continuò scuotendo il capo tentando di ricordare.
“Ci siamo visti ma il tuo sguardo è sempre passato oltre, sull’Arca i nostri mondi non s’ incontravano mai.”
Clarke si lasciò sfuggire una smorfia, consapevole di quanto Bellamy avesse ragione.
Sull’Arca le loro vite erano lontane anni luce.
“Pensi mai che forse la nostra vita sarebbe stata migliore se fossimo rimasti nell’Arca e non ci fosse stato il problema dell’aria?” chiese curiosa. Spesso ci aveva pensato, specialmente quando ogni cosa attorno a lei sembrava distruggersi e morire.
Bellamy rifletté un istante poi scosse il capo “È vero che qui sulla Terra passiamo gran parte del nostro tempo a salvarci la pelle ma sull’Arca vivevano in un limbo fatto di rigide leggi” rispose.
Clarke annuì e poi si ricordò “Non avrei potuto ricevere risposta diversa da uno che la prima sera urlava – facciamo ciò che cavolo ci va di fare!” disse sorridendo “Dio! Quanto ti ho odiato in quel momento!”
“E me lo hai fatto pesare per un bel po’” rispose Bellamy unendosi al suo sorriso.
“Del resto non capivi un tubo di quello che succedeva” continuò imperterrita Clarke.
“E tu non facevi che ricordarmelo”
“Però se non ci fossi stato tu sarei caduta in quella trappola e probabilmente sarei morta.” Rifletté Clarke guardandolo negli occhi.
“E che un medico era utile comunque, anche se eri insopportabile”
“No, tu non mi avresti mai lasciato morire comunque” ribatté sicura lasciando che quella sincerità trapelasse anche dal suo sguardo “Grazie” concluse.
“Ti sei accorta che mi stai dicendo un po’ troppo spesso grazie?” replicò divertito Bellamy.
“Forse sono in debito con te di molti ringraziamenti!” rispose Clarke lasciando poi vagare lo sguardo lungo il fiume e le cime degli alberi che lo costeggiavano.
Bellamy annuì a quelle parole senza sapere esattamente cosa rispondere, conscio di come Clarke stesse cambiando sotto i suoi occhi.
Il silenzio calò fra loro, impacciati l’uno della presenza dell’altro. Non erano abituati a parlarsi così francamente e Bellamy, dopo la sfuriata ad Arkadia, aveva cercato di alleggerire l’atmosfera fra loro consapevole di quante cose le avesse detto e quante ne dovesse ancora superare.
L’arrivò di John fu proverbiale quando disse loro che stavano per arrivare al luogo dove avrebbero passato la notte; Era ora di prepararsi.
Clarke e Bellamy si alzarono entrambi, una pronta a chiamare il guerriero e l’altro Raven.
Emori non aveva parlato molto del posto in cui si sarebbero accampati ma, dal modo in cui ne parlava, non doveva essere piacevole ma soprattutto di facile accesso.
I motori abbassarono i giri fino a spegnersi poi, senza preavviso la barca cominciò a virare a destra, sembrava stesse andando a schiantarsi contro una grossa roccia crollata sulla riva del fiume, le erano così vicini da poterne accarezzare le pareti se avessero voluto quando Emori fece ruotare velocemente la ruota del timone grazie anche all’aiuto di John accanto a lei.
La poppa della barca sfiorò le pareti poi si inserì uno stretto percorso fra la parete rocciosa, di cui il masso ero solo l’entrata, e la scoscesa riva boscosa  del fiume.
Dopo pochi metri la macchia lasciò spazio alle rocce; Emori cercava in tutti i modi di far solo sfiorare i galleggianti alle pareti e con maestria evitava di far incagliare l’imbarcazione. Il percorso durò solo pochi minuti nei quali tutti gli altri tennero il fiato sospeso.
Sopra le loro teste c’era solo roccia e un piccolo lembo di cielo che si intravedeva. Sembrava che la barca si fosse infilata in una spaccatura della montagna senza fine poi, di colpo, il tratto di fiume si allargò in una specie di bacino che, a circa una decina di metri, si stringeva nuovamente in una fenditura simile a quello che avevano appena superato.
Emori costeggiò lentamente le ripide sponde sulla destra fino a raggiungere l’alta parete  rocciosa che chiudeva lo specchio d’acqua e si accostò a due tronchi di alberi ormai morti che emergevano dalla superficie.
Disse qualcosa a John che lanciò con attenzione delle cime prima su uno poi sull’altro tronco per bloccare la barca. Quando la manovra terminò e furono fermi Clarke notò le goccioline di sudore che imperlavano la fronte della ragazza. Ogni cosa era stata così precisa e così veloce che non riusciva ancora a raccapezzarsi su come fosse riuscita a entrare in quel spaccatura senza che si schiantassero o anche solamente scalfissero la vernice e la ruggine della barca.
“Beh, che io sia dannato! Gran bella manovra Emori” si lasciò sfuggire Bellamy accanto a lei.
Emori si voltò e sorrise. Bellamy rimase incantato a quella vista, forse era grazie a quei sorrisi che Murphy aveva trovato un po’ di pace ed era cambiato. Riflette sentendo un amaro retrogusto a quel pensiero. Il suo sguardo si spostò su Clarke poi lo scostò imbarazzato.
“Sarà difficile riuscire a difendersi se ci attaccheranno dall’alto e, oltre all’acqua, non c’è alcuna via di fuga” disse Roan intromettendosi mentre scrutava con attenzione ogni roccia e albero che li circondava.
“Non ci fermeremo qua” rispose Emori voltandosi verso di lui “Andremo là” indicando con un dito la cima della parete rocciosa.
“E come ci saliremo lassù?” chiese Roan che analizzava il luogo da ogni punto di vista.
“Da là” indicando un altro stretto percorso scavato nella roccia e sospeso sull’acqua a poca distanza da dove era ormeggiata la barca.
“Questo significherà lasciare incustodita la nave e la ragazza non ce la farà a salire su quel sentiero.”  Indicando Raven che era appena uscita dalla sala motori.
“Quel luogo non è per tenerci al sicuro da predatori umani ma da quelli marini.” Irremovibile Emori.
Clarke ripensò subito alla cosa che aveva attaccato Octavia quando incautamente era entrata nelle acque del fiume. Non aveva alcuna intenzione di incontrarne di nuovi.
“Se Emori dice che quella è la soluzione migliore allora ci adegueremo” rispose Bellamy prendendo per la prima volta la parola “Per come ha guidato la barca ha dimostrato di conoscere questi luoghi molto meglio di tutti noi messi insieme”
“E io sarò in grado di salire su quel maledetto sentiero” esclamò Raven osservando truce il grounder.
“Dovremo comunque fare dei turni di guardia” disse Emori “In alto c’è un punto in cui queste rocce si collegano a riva. Il fumo del fuoco potrebbe attrarre qualcuno, meglio essere preparati.”
Roan osservò lo specchio d’acqua in cui si trovavano, ormai le onde create dalla barca erano sparite lasciando solo il movimento placido della corrente. L’acqua scura non permetteva di vedere il fondo che, probabilmente, si trovava a decine di metri sotto la superficie dell’acqua.
Emori notò lo sguardo non convinto dell Ice King. “I custodi di questo luogo escono al tramonto e, ti assicuro, non vorresti essere su questa barca se sentiranno qualche rumore provenire da essa. Saranno degli ottimi guardiani per l’imbarcazione e tutto quello che contiene” poi, rivolgendosi a tutti continuò “prendete solo quello che può starvi in uno zaino ma cercate di essere leggeri. Il cibo ce lo procureremo sopra.”
A quelle parole Roan fissò con attenzione ognuno di loro, sembrava pronto a contraddire nuovamente Emori ma poi scrollò le spalle e, senza dire una parola, raggiunse la poppa dove aveva lasciato il suo giaciglio e cominciò a recuperare la sua roba e le sue armi.
Clarke rimase bloccata alcuni istanti alle parole della grounder, osservava con un certo timore le acque su cui si trovavano, intimorita all’idea che da un momento all’altro qualche mostro marino potesse attaccarli.
Osservò poi il cielo ancora luminoso di un terso celeste. Le rocce a strapiombo non permettevano che filtrasse la luce del sole e l’ombra che proiettavano nella forra rendevano il luogo già buio. Non riusciva a capire quando sarebbe calato il tramonto ma era certa che quel luogo ,già molto prima di quell’ora, sarebbe stato inglobato nell’oscurità della notte.
Sentì accanto la presenza di Bellamy che, come lei, osservava quel posto. Uno dei tanti luoghi inospitali che avevano scoperto arrivando sulla Terra e la rendevano ancora estranea e aliena ai loro sguardi.
“Sarà meglio muoversi e andarcene di qui!” disse Bellamy e Clarke annuì.
In quel momento Raven li raggiunse “Sempre posti tranquilli ci offre la terra” disse senza staccare gli occhi dalle acque di un cupo verde scuro, “Abbiamo un problema” ed entrambi i ragazzi si voltarono verso di lei.
 
“La radio e la parabola per le comunicazioni con Arkadia ” disse Raven, poi vedendo gli sguardi perplessi dei ragazzi continuò “sono troppo pesanti da portare su quel sentiero per capre e da qua non credo sarà possibile agganciarmi ad alcun segnale.”
Quello poteva essere un problema, pensò Clarke, quando erano partiti avevano deciso di tenere il segreto sulla loro spedizione, avevano concordato con Monty e Harper di sentirsi almeno ogni 12 ore per indicare la loro posizione, se entro 24 ore non si fossero messi in comunicazione con loro avrebbero dovuto avvertire Abby o Kane della loro scomparsa e, per com’era la situazione di certo avrebbero dovuto saltare due aggiornamenti.
Clarke guardò Bellamy infastidita, quel problema non sarebbe sorto se non gli avesse dato retta.
Era stato lui ha obbligarli a quei contatti costanti. Le aveva detto chiaramente che non si sarebbero mossi se non avessero potuto tenere una comunicazione quotidiana o non avessero avvertito in anticipo Monty e Harper che le comunicazioni sarebbero state incostanti.
Quando Bellamy si era intestardito Clarke si era sentita esasperata da quel comportamento, per gran parte della sua vita sulla Terra, non aveva mai dovuto rendere conto a nessuno dei suoi spostamenti. Solo il fatto di aver visto Raven e gli altri ragazzi appoggiare l’idea l’aveva fatta desistere. Se avesse fatto come voleva lei, a quell’ora non si sarebbero trovati in quella situazione.
 
Bellamy era consapevole di ogni pensiero che passava nella testa di Clarke ma non disse niente, se lei non capiva perché lui si era comportato in quel modo significava che doveva fare ancora molta strada.
“Pronti a salire” chiese Emori che intanto si era avvicinata a loro senza rendersi conto della tensione presente.
“Riusciamo a portare su antenna e radio?” chiese Clarke cercando di porre rimedio alla situazione in cui si erano andati a cacciare. Non voleva che qualcuno che cominciasse a fare domande sulla loro scomparsa.
“Se vuoi morire fallo pure!” rispose subito Emori.
“Potremo tirarlo su con una corda lungo la parete rocciosa” disse quindi Clarke osservando la roccia di fronte a loro che si alzava per una ventina  di metri circa.
“Rischieremmo di rompere le attrezzature” rispose sintetica Raven intenta a guardare anche lei la parete rocciosa.
“Oppure più semplicemente ci metteremo in contatto con Monty e Harper domani mattina appena usciremo di qui” si intromise Bellamy “Immagino che troveremo un punto in cui fermarci il tempo necessario di metterci in contatto con Arkadia” disse Bellamy rivolgendosi ad Emori.
Lei alzò le spalle e rispose tranquilla “Non dovrebbero esserci problemi, a poche chilometri più a valle comincia la zona di pianura e sarà più facile fermarci”
“ Perché non siamo andati direttamente là allora invece di fermarci qui” chiese Roan che era sopraggiunto in attesa di salire sul costone.
“Perché è meno difendibile che questo buco dimenticato da dio” rispose come se la domanda del guerriero fosse stupida.
“Domani sarà troppo tardi” si intromise Clarke “Monty e Harper avranno già contattato Kane e Abby a Polis.” Lasciando trapelare la stizza che provava in quel momento.
“Harper e Monty aspetteranno qualche ora, tranquilla” rispose Bellamy con un mezzo sorriso cercando di rassicurarla.
Clarke lo guardò dubbiosa.
“Aspetteranno che saltiamo anche il contatto della sera prima di avvertire gli altri. Sanno che ci possono essere degli imprevisti quando si esce.” Rispose Bellamy sperando di convincerla ma la ragazza sembrava ancora incerta.
“Di certo ci insulteranno quando li contatteremo ma saranno molto felici di sentirci” continuò Bellamy sorridendo poi si  avvicinò al lato della barca che dava sulla parete  “e ora…se abbiamo risolto, direi che è ora di concentrarci sulla scalata che ci attende”
“era meglio se non fossimo stati legati da questi contatti così frequenti” borbottò Clarke non ancora convinta ma decisa a lasciar stare e fidarsi delle parole di Bellamy.
A quelle parole il ragazzo si voltò verso Clarke e guardandola dritta negli occhi mormorò “Se non capisci perché tenersi in contatto non sia importante allora abbiamo un problema Clarke” poi si voltò ben sapendo che quella frecciata era andata dritta nel segno.
Clarke doveva imparare che la fiducia si vedeva anche in quelle cose.
Bellamy a quel punto decise di ignorare Clarke e concentrarsi su Emori e John intenti a posizionare una tavola rettangolare di legno fra la sponda dell’imbarcazione e la roccia di fronte a loro.
A vederla così sembrava molto instabile poi  Emori  cominciò ad armeggiare prima sul lato corto della tavola e agganciarla alla barca ed infine, con l’aiuto di John, incastrarla sulla parete di fronte. Con attenzione ci salì sopra e, raggiunto il limite della tavola, la agganciò con due uncini alla roccia. Rimaneva instabile ma sembrava che i movimenti della barca non la facessero muovere più di tanto.
Terminata l’operazione Emori li osservò uno dopo l’altro poi parlò “io salirò per prima seguita da John poi Bellamy, Clarke, Raven ed infine Roan.”
Bellamy approvò la soluzione scelta dalla grounder ma Raven non sembrava d’accordo “io sarò l’ultima della fila così, nel caso in cui scivoli, non rischierò di travolgere nessuno”
“e così ti troveremmo direttamente in acqua” rispose infastidita Emori “no, Roan che è forte ed è comunque abituato a terreni impervi saprà frenare la tua caduta nel caso avvenisse.”
Bellamy notò quanto poco Raven apprezzasse l’idea, la vide stringere le labbra e abbassare gli occhi mentre con le mani sembrava intenta a stringere una delle cinghie dello zaino poi prese un respiro e annuì.
“Direi che è ora di muoverci” disse guardandoli e facendo un passo verso la passatoia.
Emori annuì e cominciò la scalata su quei gradini che a malapena si notavano incastrati com’erano in mezzo alla roccia. Erano molto alti e distanti fra loro e, per salire, doveva usare anche le mani.
Bellamy si rese conto che quella salita sarebbe stata molto difficoltosa e non volle pensare quanto sarebbe stato difficile poi la discesa ma la grounder, forse leggendo i loro sguardi e il fatto che erano rimasti tutti immobili disse. “Tranquilli, la discesa sarà più tranquilla.” Poi sorrise loro senza aggiungere altro e lasciandoli con una vaga, poco piacevole, curiosità.
Uno dopo l’altro cominciarono la scalata.
 
Raven si sforzava di tenere il passo degli altri ma, solo dopo  pochi metri di scalata, aveva cominciato a sudare copiosamente. Si fermò un istante a respirare. Sentiva le braccia cominciare a farsi pesanti, visto che erano obbligate a sorreggere molto del peso del corpo. Sapeva che non poteva affidarsi alla gamba con il tutore e, questa sensazione, più che un reale impedimento, la stava facendo innervosire.
Razionalmente sapeva che le scanalature naturali e i gradini creati erano abbastanza grandi per poter ospitare i suoi piedi e darle la sicurezza necessaria eppure, attimo dopo attimo, aveva la sensazione che, ogni volta che il piede con il tutore fosse il terzo appoggio, non avesse la giusta stabilità, che fosse sempre più faticoso tirarlo su, verso il nuovo appiglio.
Si sentiva stremata e, osservando gli altri davanti a lei, pur con il fiatone apparivano agili e sicuri in ogni movimento. Non voleva vederli, fisso lo sguardo sul successivo appoggio si tirò su determinata.
Tutta la sua concentrazione era sul supporto successivo, uno alla volta, non guardava oltre al successivo scalino, non voleva vedere dove si trovavano gli altri, aveva detto che ce l’avrebbe fatta e, che fosse dannata, ce l’avrebbe fatta. Sentiva sotto di se la presenza del guerriero, una presenza silenziosa.
Da quando era cominciata la scalata non aveva aperto bocca e, ne era certa, trovarsi dietro di lei per lui doveva essere un’agonia, immaginava che se avesse potuto, l’avrebbe superata per raggiungere presto la cima e dimostrare, una volta di più, le sue doti da guerriero forte e fiero.
 
Fu una cosa improvvisa, era certa di aver messo il piede bene nello scalino di roccia, quando sentì il suo corpo scivolare di colpo verso il basso. Il cuore  perse un battito ma, nello stesso momento in cui il suo respiro le si mozzava in gola per lo spavento, sentì il piede raggiungere un sostegno.
Abbassò gli occhi e vide il suo scarpone bloccato dall’enorme mano del guerriero.
Istintivamente si sporse verso l’esterno, togliendo la tensione sulle braccia per vedere il grounder sotto di lui ma, la voce stentorea dell’uomo la bloccò “Ferma!” la ragazza percepì nella sua voce lo sforzo che stava facendo mentre la sorreggeva. Ora, oltre al piede, doveva reggere parte del suo peso.
Raven comprese immediatamente e fece nuovamente leva sulle braccia mentre, dal basso, Roan guidava il suo piede verso l appoggio sicuro.
Pochi istanti dopo Raven aveva nuovamente il controllo del suo corpo e di tutti gli appigli attorno a lei.
Avrebbe voluto sporgersi per poter ringraziare l’uomo ma, era una cosa saggia, quindi spostò appena il corpo quanto bastava per poter osservare il guerriero da sotto le braccia.
I loro occhi si incrociarono, lo vide annuire come se, il fatto di averla vista in viso l’avesse rassicurato.
Raven nei suoi occhi non scorse il fastidio o la rabbia per quella situazione come si era aspettata ma solo lo sguardo di un uomo che la stava spronando ad andare avanti.
“Fra pochi metri siamo in cima” mormorò con sorriso accennato e, quella pacata sollecitazione, le diede un rinnovato vigore.
Presto sarebbe finita, presto avrebbe raggiunto la cima e, con una riserva di forza che non pensava più di possedere, ricominciò a salire fino a quando, ad un certo punto, si sentì afferrare da delle mani che l’aiutarono a raggiungere la cima.
Appena i suoi piedi si appoggiarono su un terreno solido crollò.
Le orecchie le ronzavano per lo sforzo e il corpo era un blocco dolorante. Sentiva di sottofondo i ragazzi che le davano delle pacche sulle spalle complimentandosi con lei ma non riusciva a fare altro che prendere dei profondi respiri. Quando ormai non vedeva più le stelline davanti agli occhi osò alzare lo sguardo e, la vista che si parò di fronte, le mozzo il respiro lasciandola a bocca aperta.
 
Bellamy sorrise vedendo Raven ammutolita dalla vista di fronte a loro, era stata la stessa espressione che aveva colto negli altri quando finalmente erano riusciti a raggiungere la cima dopo quella infernale salita. Spesso, durante la scalata, si era voltato ad osservare come se la cavava l’amica, conscio, come tutti, di quanto le costasse rimanere al passo e credeva che il paesaggio di fronte a loro ripagasse quella fatica.
Lo sguardo poteva perdersi a vista d’occhio, le montagne dal quale erano arrivati digradavano verso dolci colline e oltre, un’enorme sole rosso al tramonto incendiava il cielo dei suoi colori.
Per la prima volta, da quando erano scesi sulla Terra, potevano ammirarne l’immensità che, fino a quel momento, era rimasta celata dalle montagne in cui erano atterrati o nella vasta immobilità del mare quando erano lui e Clarke erano sulla piattaforma di Luna.
Bellamy osservò di sottecchi Clarke, John e Raven.
Erano sudati, sporchi e stanchi eppure non riuscivano a distogliere lo sguardo da quel panorama che li aveva completamente rapiti.
Anche lui provava la stessa cosa e rivolse nuovamente lo vista al tramonto lasciandosi cullare da quell’attimo.
Rimasero immobili per diversi minuti ammirando di volta in volta il cambio dei colori che tingevano il cielo. Sentiva dietro di se Emori e Roan muoversi e preparare l’accampamento e gli fu grato che lasciassero loro quegli attimi così preziosi.
Era per spettacoli come quello che continuavano a lottare e sopravvivere.
Quando ormai anche l’ultima luce del giorno venne inghiottita dal crepuscolo Bellamy rammaricato si girò per dare una mano ai due grounders.
Avevano già acceso il fuoco e avevano messo a scaldare in un contenitore di latta qualcosa. Si avvicinò per osservarne l’interno e vide galleggiare dei pezzi di verdure e forse la carne avanzata dal loro pranzo.
Si avvicinò allo zaino che aveva portato con sè e cominciò ad estrarre delle gallette di pane liofilizzato. Avrebbero potuto aggiungerle alla zuppa, sapevano di cartone ma erano nutrienti e avrebbero riempito i loro stomaci vuoti.
Sentì attorno a se il movimento degli altri, impegnati come lui a preparare ciò che mancava. Si guardò intorno, davanti a loro la vista era sgombra grazie al fatto di trovarsi su una specie di sperone della roccia, alla loro sinistra c’era il precipizio sulla fessura che avevano intravisto quando erano entrati nello specchio d’acqua mentre, alla loro destra, si sviluppava una foresta di conifere.
Fece qualche passo in quella direzione, Emori aveva detto che dovevano fare dei turni di guardia, era il caso di capire dove fosse meglio appostarsi. Sentì dietro di se la presenza di qualcuno, si girò appena, immaginando che fosse Roan.
“Il punto migliore per mettersi di guardia è là in fondo” disse incamminandosi verso quella direzione, Bellamy gli fu subito dietro. Attraversarono gli alberi per meno di una decina di metri poi si fermarono su un'altra frattura che li divideva dal resto della montagna. Alla loro sinistra una roccia crollata aveva creato un ponte naturale. Probabilmente era il punto che aveva menzionato Emori.
“Potremmo fare la guardia da qua, la luna sarà visibile fra poco e illuminerà quella pietra come a giorno e potremmo vedere qualunque cosa si muova”, indicando il punto in cui si trovavano, era semi nascosto dalle piante ma permetteva loro una visione su tutto il ponte.
Ora che anche quella cosa era decisa potevano godersi la cena e decidere i turni di guardia.
Parlarono poco al ritorno, come poco avevano parlato all’andata,  conosci però della presenza l’uno dell’altro, senza riuscire a superare quel distacco che forse avrebbe permesso loro di diventare amici.
Furono guidati verso l’accampamento dal lieve bagliore del fuoco e dal profumo della zuppa che stava cuocendo.
Si unì agli altri per la cena e nel frattempo li aggiornò su dove si sarebbero messi a fare la guardia.
“Io farò il primo turno di guardia fino alle 3:00” disse Bellamy
“Io farò quello successivo fino al mattino” rispose Roan.
Bellamy annuì verso la sua direzione, sperava in quelle parole, sapeva che John non si sarebbe mai proposto per un turno di guardia, Emori doveva riposarsi e preferiva che lo facessero anche le ragazze, specialmente Raven dopo le fatiche della giornata. Sapere che il guerriero avrebbe diviso con lui la guardia lo rinfrancava.
Gli altri non aggiunsero nulla sollevati forse di poter riposare e consapevoli che, in caso di attacco, di certo Bellamy e Roan era le persone più adatte per un contrattacco e difenderli.
 
 
NOTA: Capitolo lunghissimo e di passaggio….Ho provato ad alleggerirlo ma, ahimè, non riuscivo a togliere nulla sorry….mi rifarò con i prossimi spero!!
Come al solito fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe piacere ;)

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Capitolo 10
*** X ***


Capitolo 10

 

Avevano finito di mangiare presto e, mentre loro riordinavano ciò che avevano usato, Bellamy si era allontanato per cominciare il suo turno di guardia.

Clarke si guardò in giro, il guerriero grounder si era già disteso accanto al fuoco per dormire, Emori, John e Raven osservavano il fuoco parlando ogni tanto, persi per lo più nei loro pensieri.

Sopra di loro la volta stellata era illuminata dalla pallida luna piena e solo le stelle più lucenti facevano capolino fra la luce lunare. Infilò le mani dentro il giaccone, il freddo e l’umidità della sera cominciavano a lentamente a salire.

Clarke si spostava attorno al campo senza meta, si sentiva agitata, Emori aveva avvisato loro che l’indomani nel pomeriggio sarebbero arrivati vicino alla casa dove Jaha aveva trovato ALIE e la ragazza non si sentiva pronta ad affrontare la verità. 

Nei due giorni appena trascorsi aveva evitato di pensarci, cercando di relegare nell’angolo più buio della sua mente il problema ma ora lo sentiva nuovamente emergere. 

Strinse con forza nella mano destra, infilata nella tasca, la scatola che conteneva la fiamma, lo spirito di Lexa. Dopo la Città della Luce e lo scontro con ALIE pensava di avere la forza di lasciare la fiamma ai loro legittimi proprietari, i clan, eppure, appena si era ripresa, l’aveva chiesta alla madre che l’aveva conservata, l’aveva messa nella scatola e impulsivamente l’aveva portata con sè. 

Anche se sapeva che il ricordo dell’ Heda sarebbe rimasto sempre con lei e che doveva superare il passato, non era ancora pronta a lasciarla andare. Sentiva che se avesse rinunciato a quell’ultimo frammento la sua vita sarebbe andata avanti definitivamente e, una parte di lei, non ne aveva ancora il coraggio. 

Lexa le aveva insegnato molto e sentiva di avere ancora bisogno del suo sostegno, per quanto irrazionale fosse.

I suoi passi la portarono dove sapeva che Bellamy era di guardia. Aveva bisogno di lui, si rese conto, aveva bisogno che la rassicurasse, che scherzasse con lei e che dicesse che ogni cosa sarebbe andata bene.

Il bosco non era troppo fitto e presto vide la figura di Bellamy accovacciata, le spalle appoggiate al tronco di un albero. Non riusciva a vedere il suo viso ma sembrava concentrato a fissare un punto davanti a lui. 

Clarke sentì spezzarsi un ramo sotto i suoi piedi e vide il giovane fulmineo ma silenzioso prendere l’arma accanto a lui e girarsi nella sua direzione. Dovette riconoscerla perché si rilassò subito e riappoggiò il fucile di fianco poi lo vide volgere nuovamente il capo in un’altra direzione, in attesa, forse, che lei si avvicinasse.

Quando lo raggiunse si sedette ai piedi del tronco, appoggiando anche lei la schiena ad esso. Percepiva accanto a se la presenza e il calore confortante di Bellamy e, questo, si rese conto, le bastava.

Rimasero in silenzio, entrambi concentrati ad osservare la roccia illuminata dalla luna che faceva da passerella sopra la spaccatura del terreno. 

Clarke era colpita dalla forza che doveva essersi generata per rompere in quel modo la montagna e, al cui confronto, lei si sentiva minuscola e impotente. 

Quel pensiero le fece nuovamente salire l’ansia, avrebbero dovuto combattere non contro degli uomini o una macchina ma con un mondo immenso che li avrebbe avvelenati lentamente. Prese un profondo respiro cercando di calmarsi. 

Non era mai stata una persona che si faceva prendere dall’ansia, anzi, sapeva che molto spesso era stata additata e accusata per la freddezza con cui prendeva le sue decisioni eppure, questa volta, era qualcosa di diverso che nemmeno lei sapeva spiegare. 

«Ce la faremo anche questa volta.» disse con un bisbiglio Bellamy avvicinando la sua testa a Clarke. 

Nella penombra la ragazza non riusciva a distinguere i lineamenti del ragazzo, il suo viso era comunque rivolto verso la rupe, concentrato ad individuare qualunque movimento sospetto. 

Per l’ennesima volta si chiese come riuscisse Bellamy a leggerle dentro così bene. «Come fai sempre a capire quello che penso?» si lasciò sfuggire Clarke.

Sentì una lieve risatina provenire dal ragazzo. «Forse perché ti ho affidato la mia vita tante volte o forse perché solo con te riesco a venire a patti con i miei errori» rispose in un sussurro tornando serio.

Clarke si commosse a quelle parole perché le comprendeva e capiva, uno era lo specchio dell’altro eppure, lui, era riuscito ad andare oltre, a vederla veramente più di chiunque altro conoscesse o avesse conosciuto.Sentì fra le mani gli angoli smussati della scatola in alluminio che conteneva lo spirito di Lexa, nemmeno con lei era stato così.

Rabbrividì al pensiero, un brivido che le corse lungo la schiena e che Bellamy, accanto a lei, dovette percepire. 

Aprì la termocoperta che si era appoggiato sulle gambe e gli ne passò una parte.

Clarke la recuperò grata, meglio far intendere che avesse freddo piuttosto che lasciar trapelare la sua confusione. 

«Capire se quello che stiamo facendo è la cosa giusta è la parte più difficile» continuò poi Bellamy «Ma nel momento in cui abbiamo delle responsabilità verso altri è nostro dovere farlo» 

Alla ragazza sembrò che in quelle parole ci fosse una sottile domanda inespressa, come se anche lui continuasse a vivere diviso fra ciò che era obbligato a fare e a ciò che avrebbe voluto fare.

«Avresti voluto seguire Octavia vero?» chiese quindi Clarke ma vide Bellamy appoggiare la testa al tronco, rivolgere uno sguardo al cielo notturno che si intravedevano fra il fogliamo e poi scuotere la testa. 

«No, non sarebbe stata la cosa giusta, ha la sua strada da percorrere e fra noi, per ora, non ci potrebbe essere alcun dialogo» rispose poi.

Clarke si spostò leggermente verso di lui, toccandogli leggermente una spalla, un modo per dargli conforto «Vedrai che tornerà e potrete di nuovo parlare »

«Insomma sarà più matura di me che ti ho aggredito per averci abbandonato» rispose Bellamy girando il viso verso di lei.

«Avrei dovuto tornare prima» rispose Clarke «Non avrei dovuto lasciarti solo ad affrontare ogni cosa, avrei dovuto parlarti e farti capire ciò che stava succedendo» disse convinta. Le parole che Bellamy le aveva detto due giorni prima erano vere, forse, molte cose non sarebbero accadute se avesse capito che lui meritava di più da lei.

«Quello che è accaduto è stata anche colpa mia» continuò poi decisa «Ma è una cosa che non potremmo più cambiare e possiamo solo andare avanti.»  concluse Clarke parlando anche a se stessa. 

«Ed è per questo che ce la faremo a superare anche questa nuova cosa che si sta per abbattere su di noi» rispose Bellamy mentre tornava a concentrare l’attenzione al punto in cui i possibili aggressori sarebbero potuti passare.

«Dove riesci a trovare tutta questa sicurezza?» chiese Clarke incuriosita.

«Senza la speranza cos’altro ci rimane» rispose Bellamy tornando a guardarla per un’istante.

Clarke non seppe trovare risposta, era stata la speranza a darle la forza di abbassare quella leva quando si trovava con Becca e ALIE ma ora, non riusciva più a ritrovarla. Quello che li attendeva era troppo grande per loro.

«Torna dagli altri Clarke, riposa, non pensare a ciò che ancora non conosciamo» disse Bellamy «Arriveranno dei giorni bui e solo allora potremmo preoccuparci» 

La ragazza avrebbe voluto dargli ragione ma se fosse tornata dagli altri sapeva che i pensieri che le turbinavano nella mente non l’avrebbero lasciata in pace. «Preferisco rimanere qui a tenerti compagnia» rispose e notò il profilo di Bellamy incresparsi in un lieve sorriso. 

Rimasero in silenzio consapevoli l’uno della presenza dell’altro poi il ragazzo parlò «Quando Octavia, da piccola, non riusciva a dormire, mi chiedeva sempre di raccontarle delle storie» 

«Che storie?» chiese incuriosita Clarke.

«Amava le leggende sulle antiche divinità, in particolare quelle che parlavano di Atena e Diana» rispose Bellamy.

«Le racconteresti anche a me?» domandò subito Clarke. 

L’attimo rimase sospeso fra loro come se Bellamy stesse decidendo se condividere con lei quello che doveva essere un momento che apparteneva solo ai due fratelli.

«Scusa non dovevo chiedertelo» disse poi precipitosa Clarke prima di cominciare ad alzarsi «Hai ragione è ero che vada dagli altri.» ma prima che potesse alzarsi la mano di Bellamy la bloccò «Aspetta, rimani con me, lascia che racconti una di quelle storia» le disse.

Lei si risedette, conscia dell’intimità che si stava creando fra di loro e di quanto fosse importante ciò che Bellamy stava per fare.

Si accomodò meglio, il ragazzo con cura la coprì con la coperta, poi cominciò a raccontarle la storia.

Clarke chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla voce pacata di Bellamy. Sentiva il suo corpo rilassarsi, avrebbe dovuto alzarsi e tornare dagli altri ma invece si accoccolò più vicina a lui, crogiolandosi nel calore che la stava avvolgendo. 

«Buoni sogni, Principessa!» lo sentì sussurrare, percepì il suo tocco fra i capelli, una leggera carezza che l’accompagnò fra le braccia di morfeo, la scatola con la Fiamma dimenticata ormai nel fondo della tasca. 

 

 

Raven buttò un altro ceppo sul fuoco per ravvivarlo. Ogni tanto buttava un occhio dietro di se dove Clarke era scomparsa fra gli alberi, curiosa di quella lunga assenza ma, stranamente, conscia di dove la ragazza si trovasse. 

Quei due forse, finalmente, stavano cominciando a capire quanto avessero bisogno l’uno dell’altro. Provò un istintivo moto d’invidia nei loro confronti ma lo ricacciò nei recessi più profondi della sua anima, non si chiese se sarebbe potuta essere di nuovo felice. Non era né il luogo né il tempo per poterlo fare. Se avesse ceduto a quella vaga speranza forse non avrebbe avuto la forza di andare avanti. 

Sapeva che ciò che la spingeva era il testardo desiderio di dimostrare a se stessa che ALIE non aveva avuto ragione, che quella della città di luce non era una vera vita. Non voleva mai ammetterlo ad alta voce e nemmeno con se stessa, non totalmente, che la connessione con ALIE l’aveva cambiata più di quanto lei stessa immaginasse e ne era terrorizzata. 

Aveva la sensazione che con lei ALIE fosse andata oltre lasciandole in custodia un segreto nascosto che non riusciva però decifrare

Un brivido le corse lungo la schiena, non vedeva l’ora di raggiungere la casa dove si era trovata l’intelligenza artificiale nella speranza di ottenere risposte, non solo sul cataclisma che si stava abbattendo su di loro ma per comprendere cose le stava accadendo.

Mosse  impaziente il ceppo che stava facendo fatica a prendere fuoco. Per poterlo fare doveva stare piegata in avanti e questo sollecitava l’anca che già le stava facendo un male del diavolo. In realtà tutto il suo corpo cominciava ad irrigidirsi e il freddo stava penetrando anche attraverso i vestiti.

Finalmente il pezzo di legno che aveva buttato fra le braci cominciò ad ardere allegramente ma sembrava che quel calore non riuscisse a raggiungerla e il dolore che cominciava a provare alle gambe e alla schiena stava cominciando a diventare sempre più fastidioso. 

Era certa che in quella situazione non sarebbe riuscita a dormire. Il suo sguardo vagò sugli altri, Emori e Murphy, avvolti nelle coperte si abbracciavano strettamente anche nel sonno. Anche il guerriero dormiva placidamente dall’altra parte del fuoco, di fronte a lei. 

Raven si ritrovò ad osservare i forti lineamenti maschili dell’uomo, le ombre create dai giochi di luce del fuoco segnavano il suo profilo giocando sui chiari scuri delle cicatrici che gli segnavano l’intero viso. Probabilmente senza di essi sarebbe potuto persino essere attraente, rifletté Raven, ricordando i chiari occhi celesti che l’avevano scrutata più volte negli ultimi due giorni, ma non era di certo il suo tipo.  Quel pensiero le provocò un lieve sorriso. Abbassò lo sguardo quasi imbarazzata e scosse il capo divertita. 

Forse anche per lei era giunto il momento di dormire, aggiunse un ceppo al fuoco e si alzò ma la gamba cedette e si ritrovò a terra, seduta scomposta, in un motto di stizza sbattè il pugno sulla terra. Perché tutto questo doveva capitare a lei, pensò stizzita. 

Rimase ferma alcuni istanti, il dolore di sottofondo a cui normalmente era abituata sembrava farsi ogni secondo più forte. A malincuore allungò una mano verso il suo zaino. Lo avvicinò e cominciò a cercare la scatolina che aveva preso in infermeria prima di lasciare Arkadia. Quando la trovò la estrasse, la rigirò fra le mani. Non aveva bisogno di aprire il coperchio per vedere le 10 fialette di morfina, una siringa ipodermica e degli aghi ancora sigillati. 

Se fossero stati sull’Arca, per quel furto sarebbe stata espulsa immediatamente e probabilmente anche se fosse stata ad Arkadia avrebbe pagato a caro prezzo quell’effrazione ma aveva deciso comunque di prenderla. Non sapeva nemmeno lei perché l’avesse presa. 

No, in realtà lo sapeva, ma non voleva ammettere di non essere in grado di gestire il dolore eppure, in quel momento, sentiva di non avere un’altra alternativa.

Aprì la scatola, le mani le tremavano, poi prese una delle fialette, l’alzò verso la luce del fuoco osservando il liquido chiaro colorarsi dei riflessi delle fiamme. 

I suoi occhi andarono oltre la boccetta e incrociarono quelli di Roan che la stavano fissando. Abbassò di colpo la mano e gli occhi, imbarazzata nascose con l’altra mano la scatolina. Un gesto inutile visto che quel grounder non poteva sapere cosa aveva in mano. Alzò quindi il mento e lo guardò fisso negli occhi.

Vide l’uomo tirarsi su con un gomito, non le disse niente, distolse lo sguardo e lo concentrò sulla sacca che teneva accanto a se, poi prese da una delle tasche un piccolo involucro e gli e lo gettò. Il sacchetto fece una leggera parabola che superò il fuoco e gli cadde direttamente in grembo. 

Raven abbassò lo sguardo sull’involucro stretto da un laccio di cuoio e prima che potesse chiedere qualche spiegazione, l’uomo parlò «Scalda dell’acqua, quando sarà calda toglila dal fuoco e buttaci dentro il contenuto, quando sarà tiepida bevilo. Ti aiuterà a dormire e lenirà il tuo dolore» poi si girò mostrandole la schiena e si rimise a dormire. 

La ragazza guardò confusa la sagoma del guerriero alcuni secondi poi spostò la sua attenzione al sacchetto che teneva ancora in grembo. Lo prese in mano e con cura slacciò il filo di cuoio che lo teneva chiuso. Dentro c’era uno strano mucchietto di polvere. Lo avvicinò al naso, aveva lo stesso profumo delle erbe selvatiche e del pino quando veniva bruciato. Curiosa, con attenzione, tocco con l’indice un po’ di polverina e poi l’assaggiò. Era piccante ma aveva un vago sapore dolciastro.

Alzò nuovamente gli occhi verso il guerriero cercando di decifrare quell’uomo che sembrava accorgersi sempre di ciò di cui aveva bisogno.

Il suo sguardo si spostò alla scatolina accanto alle sue gambe, era ancora aperta e la fialetta di morfina che aveva estratto poggiata sopra le altre. 

Allungò la mano e la rimise in ordine poi chiuse la scatola.

Non avrebbe dovuto credere ad un grounder, non era gente di cui poteva fidarsi eppure, seguì le indicazioni che le aveva dato l’uomo cercando di essere il più silenziosa possibile poi bevve la bevanda che, per sua fortuna, aveva anche un buon sapore. Subito dopo raggiunse il giaciglio aspettando che il sonno o la bevanda facessero effetto. Non ci volle molto e Raven non si accorse dell’attimo in cui cadde in un sonno profondo. 

Non vide il guerriero girarsi e annuire vedendola ormai addormentata.

 

Bellamy percepiva il passare delle ore, l’arco della luna aveva lentamente accorciato le ombre sulla passerella e, ora, stavano cominciando nuovamente ad allungarsi. Non si era spostato dalla sua posizione e il dolce tempore proveniente da Clarke lo stava scaldando. Era caduta in un sonno profondo e non se la sentiva di svegliarla. 

Lui invece era abituato a quelle posizioni scomode, alle ore di guardia. Quante volte gli era capitato negli ultimi mesi di scambiare i turni di guardia durante la notte e osservare il mondo al di là dei muri del loro primo accampamento e quelli di Arkadia dopo. Troppe notti era rimasto là ad osservare quel mondo inospitale, preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere da un momento all’altro, preoccupato per chi era là fuori. 

Il suo pensiero corse alla figura che gli dormiva accanto, come spesso era accaduto quella notte come quelle passate. 

 

Un leggero rumore proveniente dalla sua sinistra improvvisamente lo allertò, alzò leggermente il fucile e si sporse oltre il corpo di Clarke che tratteneva accanto a se con il braccio destro. Non ebbe tempo di controllare chi fosse che la figura del guerriero dell’ Ice Nation gli si parò di fronte.

Bene, pensò Bellamy, conscio della posizione in cui si trovava e della presenza di Clarke vicino a se. Non riusciva a vedere il viso del grounder perché completamente in ombra ma di certo si immaginava una smorfia disgustata come era avvenuto solo il giorno prima alla fonte. 

“Puoi riposare ora, sono venuto a darti il cambio” disse il guerriero prima di fare alcuni passi verso la direzione della rupe in cerca di un altro punto in cui appostarsi. 

“nessuna battuta !” consapevole anche lui della stupidità di quella frase che voleva sottolineare ciò che il guerriero aveva appena visto.

Il guerriero si fermò “mi è stato insegnato a difendere sempre ciò che è più prezioso per noi” disse senza voltarsi “Che sia una persona o il proprio clan” poi si allontanò.

Bellamy si appoggiò al tronco, lasciò i suoi occhi vagare fra gli alberi illuminati dalla luna, sentì il calore di Clarke vicino a se consapevole che sì, come aveva detto Roan, lei era preziosa per lui in modi che nemmeno riusciva ad immaginare e di cui fosse consapevole. Preziosa come lo era sua sorella Octavia anche se ormai l’aveva persa per sempre, forse era per quello che aveva condiviso le storie che raccontava a sua sorella con Clarke, aveva bisogno di quel momento, di condividere la solitudine che l’attanagliava quando stava solo e il ricordo della sorella si faceva più forte.

Strinse la ragazza accanto a se, non riusciva a pensare di perdere anche lei e forse era per questo motivo che continuava a prendersi cura di leisebbene consapevole di quanto Clarke fosse cambiata dopo Mount Weather.

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Capitolo 11
*** XI ***


Capitolo 11
 
NOTA: la casa dove si trovava ALIE non è proprio uguale a quella vista nella serie ma non avevo voglia di rivedermi le parti della serie per farne una descrizione più accurata e me la sono inventata…sorry!! …non mi ricordo nemmeno se fosse bianca o quanto distante fosse dall’acqua…ahahaha
 
Arrivarono all’isola di ALIE il giorno dopo, in tarda mattina. La tensione sull’imbarcazione era palpabile e, man mano che si avvicinavano alla meta, anche Murphy cominciò a sentirla ma, per motivi molto diversi rispetto agli altri.
Senza riflettere allungò la mano a sfiorare quella di Emori che si trovava accanto a lui. Lei si voltò  e gli sorrise. Uno dei suoi soliti sorrise allegri e pieni di vita che riuscivano sempre a rendere il sole un po’ più luminoso e la giornata più bella.
Ancora non riusciva a capacitarsi che lui, dopo tutto quel tempo passato a vivere la vita con uno sguardo disincantato e cinico, fosse riuscito a trovare qualcuno che lo facesse stare come non si era mai sentito prima.
Ma, in quel momento, per quanto quel sorriso lo avesse aiutato non riusciva a fare a meno di pensare ai tre mesi passati nel bunker sotto il faro. Sentì i brividi scorrergli lungo la schiena e l’innaturale terrore che potesse nuovamente rimanere incastrato in quel posto o in uno peggiore.
Aveva imparato sin da piccolo la solitudine in mezzo alla gente ma quello che aveva provato quando era rimasto rinchiuso era qualcosa di diverso, aveva dovuto vedere dentro se stesso e questo lo aveva fatto quasi impazzire.
“Dove attraccheremo?” chiese ad Emori in un sussurro. Lei conosceva molte cose di lui ma non tutto del suo passato e quello che gli era successo durante i mesi sull’isola.
“All’approdo a est, quello vicino alla casa” rispose la ragazza corrugando la fronte perplessa per quella domanda “Non dovevamo andare lì?” chiese poi.
John annuì guardando di fronte a se, in lontananza vide il faro ma allontanò subito lo sguardo da esso per concentrarlo altrove. Lentamente la barca virò costeggiando l’isola fino a quando si ritrovarono accanto alla banchina dove avrebbero potuto ormeggiare la barca, oltre ad essa, in alto, si stagliava la casa in stile coloniale che era stata la dimora di ALIE per quasi cent’anni.
Era adagiata su una collina, i grandi finestroni che coprivano la facciata al piano terra permettevano una vista panoramica agli abitanti di tutto lo specchio d’acqua di fronte a loro. Una splendida casa di villeggiatura, ma nulla in confronto alla futuristica bellezza della Città di Luce, l’aveva definita Jaha nei suoi vaneggiamenti.
Murphy sentì un nuovo brivido corrergli lungo la schiena. Dietro di se sentì la presenza degli altri che, alla vista della casa sulla collina, si erano alzati e la stavano ammirando stupiti della sua maestosa armonia, un luogo intatto arrivato direttamente da un passato che non avevano mai conosciuto.
John aiutò ad assicurare la barca poi, con un balzo saltò sulle assi di legno del pontile. Senza voltarsi dietro cominciò ad incamminarsi verso la casa “Io faccio strada!” disse lasciando che il suo tono di voce e l’andatura facesse intendere loro un menefreghismo che in realtà non provava ma, non avrebbe mostrato loro cosa quella casa era in grado di fargli.
Camminò un passo davanti all’altro, disinteressato di cosa stessero facendo dietro di lui fino a fermarsi davanti ad una delle portefinestre della casa. Solo a quel punto volse per vedere dove fossero gli altri. Scorse il guerriero, tanto per cambiare, rimasto di guardia sul pontile e che Emori stava finendo di mettere in ordine alcune cose sulla barca. Storse il naso a quella vista, sapeva perfettamente cosa pensasse l’ Ice King di quelli come Emori e non gli piaceva che fosse così vicino a lei.
Stava per fare dietrofront e tornare dalla ragazza quando si rese conto che gli altri erano ormai troppo vicini.
“Entriamo, o lascio a voi l’onore?” chiese Murphy inchinandosi di fronte a loro e lasciandosi sfuggire un sorrisino sardonico.
Vide Blake lanciare un’occhiata alle due ragazze che lo seguivano, imbracciare il fucile e fargli un cenno.
“Entrò io!” rispose il ragazzo.
Niente di nuovo anche qui, il solito Blake dall’armatura scintillante pronto a fare la cosa giusta. Peccato che anche lui fosse caduto e quell’armatura ormai fosse macchiata di fango, pensò Murphy, consapevole quanto, quel pensiero, avesse un vago retrogusto amaro. Aveva sempre avuto rispetto per Bellamy, anche quando lo aveva cacciato e, sapere cosa aveva fatto, in qualche modo, lo aveva fatto scendere dal pilastro dal quale lui, solo 6 mesi prima, avrebbe voluto scaraventarlo giù.
Bellamy intanto stava osservando dalle finestre l’interno della casa, i tendaggi erano scostati e si poteva scorgere l’enorme salone vuoto, oltre ad esso, le porte erano aperte sul grande atrio che dava sulla porta del grande ingresso principale. Se Murphy avesse chiuso gli occhi avrebbe, con la mente, potuto percorrere le sale semi ammobiliate e i laboratori che si trovavano ai lati del grande atrio, avrebbe potuto vedere l’enorme scala che porta alla balconata del primo piano e la serie di stanze che si aprivano su di essa molte delle quali chiuse.
Vide Blake tentennare poi prendere una decisione “Aspettate qui, faccio il giro della casa” disse poi s’ incamminò lungo il perimetro.
Murphy non disse niente, il suo sguardo concentrato sulla barca e su Emori, l’aveva già avvertita che, se le cose si fossero messe male, se ne sarebbero andati. Non aveva senso combattere contro qualcosa che non poteva essere sconfitto…più semplice trovare qualche posto in cui trovare riparo. Qualche mezza idea già ce l’aveva e, le settimane di vagabondaggi da solo e con Emori,  lo avevano aiutato parecchio.
Raven e Clarke erano poco distanti da lui, sbirciavano, come aveva fatto prima Bellamy, fra le finestre, incantate e quasi timorose di entrare. Quell’atteggiamento lo irritò, nemmeno lui sapeva perché. Quella casa era solo un mucchio di mattoni e legno di lusso, nulla di più. Tentato di convincersi.
Impulsivamente saggiò la maniglia di una delle porte che si abbassò senza alcuno sforzo, sentì il click della serratura e la tirò verso di se. Rimase un attimo immobile, in attesa di sentire qualunque strano rumore proveniente dall’interno ma non avvenne nulla e alla fine spalancò il battente ed entrò.
Era stanco di aspettare che qualcosa accadesse. Odiava quel posto e voleva andarsene il prima possibile.
Si guardò in giro e s’incamminò nell’atrio osservando le porte che si aprivano su di esso. Alcune erano chiuse o, semplicemente, lui non se le ricordava.
Sentì dietro di se i passi delle ragazze, lievi ed esitanti. Passò in rassegna ogni porta aperta del piano poi prese le scale, fece la stessa cosa di sopra, controllò ogni singola porta aperta ma non trovò nulla solo un’immobilità che durava da decenni, saggiò le porte chiuse ma tali rimasero.
Doveva aver impiegato più tempo del previsto perché quando ritornò anche Emori e Bellamy avevano raggiunto le ragazze nel grande atrio.
Si guardavano attorno indecisi.
“Alcune porte sono chiuse a chiave, nelle altre non c’è niente” disse Muprhy avvicinandosi a loro. “E adesso che si fa?” chiese appoggiandosi alla parete con le braccia conserte.
Di certo non sarebbe stato lui a dirigere le prossime mosse. Già era tanto che li avesse accompagnati lì.
Vide Blake guardarsi attorno, confuso anche lui, come anche le altre ragazze, da quel luogo, così diverso da qualunque altro avessero visto, così pulito e ordinato.
 
“Fuori c’è un annesso, un grande piazzale, oltre al quale c’è una strada che non so dove porti” disse Bellamy cercando di cominciare a fare il punto della situazione. Prima di tutto dovevano essere certi che non ci fossero state minacce umane per il tempo che sarebbero stati lì.
Si rivolse quindi alla grounder che sembrava propensa a parlare e dare una mano più di quanto avesse fatto Murphy che se ne stava discosto da loro con quella smorfia strafottente in viso.
“Che tipo di minacce dobbiamo aspettarci qui? Umani o di altro tipo?”
“Beh io sconsiglio di fare un bagno la fuori, se volete rimanere vivi” si intromise Murphy che continuò “Mostri marini….uhhhhh” sbarrando gli occhi e muovendo le mani come se volesse spaventarli.
Bellamy rimase perplesso dal comportamento di John che non lo rassicurava molto, durante gli ultimi giorni aveva mostrato un lato di se migliore ma, ora, sembrava essere tornato quello di una volta. Non era però il momento di pensarci, avevano altri problemi da affrontare e rivolse l’attenzione a Emori.
“Qui non venivano mai umani, per molti era un posto spettrale, strani luci provenivano da quest’isola e nessuno osava avvicinarsi, dovremmo essere al sicuro”
“La barca, dovremmo spostarla o fare dei turni di guardia?”
“No, basterà spostarla dall’altro lato dell’isola, vicino al faro c’è un pontile più grande con un rimessaggio  , ho scelto questo ad est perché è il più vicino alla casa”
Bellamy annuì confortato, l’idea di fare dei turni di guardia in giro per l’isola non gli piaceva molto.
“Direi che la prima cosa è trovare un luogo che potremmo adibire come sala operativa e poi finiremo di esplorare il resto delle porte chiuse”
Aveva valutato l’idea di accamparsi fuori ma aveva la sensazione che ormai quel luogo fosse solo una struttura vuota e sperava che stando all’interno fosse più difendibile.
“Ok, portiamo su la roba che ci serve poi Emori sposterà la barca, io e Roan faremo un giro di perlustrazione all’esterno e voi”, rivolgendosi a Clarke e Raven, “lo farete all’interno!” Tutti annuirono e cominciarono i lavori che si erano divisi.
 
Non lo trovo, dov’è?.
Quella domanda era diventata ormai una cantilena nella mente di Raven e, man mano che aprivano le porte chiuse, la sensazione di rabbia e frustrazione che provava stava aumentando.
Era certa che il luogo in cui era nata ALIE non sarebbe stato facile da trovare ma sperava che, in quella casa, avrebbero trovato qualche nuovo indizio ma, per ora, non era così.
Le stanze al primo piano erano camere da letto, al piano terra c’erano laboratori ma nessun terminale. La sorpresa maggiore che l’aveva riempita di una certa soddisfazione l’avevano trovata nel sotterraneo, oltre la sala caldaie e una piccola officina avevano trovato la stanza dei server, il cuore pulsante di tutto, aveva impiegato poco a far ripartire le macchine e aveva scoperto così che si trovavano in una casa gestita da un sistema domotico. Ogni impianto era collegato ai server ma, ecco la parte negativa, il sistema era a circuito chiuso e non aveva trovato un modo per infilarcisi dentro e soprattutto non aveva ancora trovato un modo per accedere agli enormi server che avevano immagazzinato chissà che tesoro in dati.
La sua frustrazione ormai era arrivata al limite, se non avesse trovato un terminale con cui accedere al sistema sarebbero stati ad un passo da quell’enormità di dati ma senza alcuna possibilità di usarli.
Anche le buone notizie di Bellamy, che era tornato dal giro di perlustrazione, non avevano fatto altro che aumentare l’insoddisfazione di non aver ancora trovato ciò che cercavano. All’esterno della casa, in mezzo alla vegetazione, avevano trovato delle parabole per le comunicazioni satellitari.
Aveva sperato a quel punto che magari da qualche parte ci fosse un altro impianto ma Bellamy aveva scosso la testa. Era rimasto solo il faro ma, dopo un’ispezione, aveva scoperto che nemmeno lì c’era quello che stava cercando.
Ora era nel largo openspace che era stato adibito anche dagli occupanti precedenti come sala comune, oltre all’enorme cucina con penisola, c’era un tavolo dove potevano sedersi tranquillamente dodici persone e un’area relax con dei divani. Tutti erano stati concordi nel riservare quello spazio a sala operativa.
Si trovava al piano terra, sul lato sud della casa e, le enormi finestre sul lato est e sud,  permettevano loro di spaziare con lo sguardo su tutto il paesaggio che digradava verso le rive dell’isola.
Tre porte la collegavano con l’atrio centrale mentre altrettante porte finestre permettevano loro l’accesso direttamente verso l’esterno sul lato est, ovest e quello a sud. Quella stanza era stata chiaramente costruita per permettere agli ospiti della casa di godere a quasi 360° gradi della vista esterna ma risultava anche un punto efficiente per la guardia e in caso di fuga se fosse stato necessario.
Raven scrutava dalle porte finestre quello splendido paesaggio ma la sua mente non lo elaborava, concentrata a capire cosa avessero trascurato di controllare. Avevano passato l’intera giornata ad ispezionare la casa e i luoghi circostanti senza trovare quello che cercavano.
Gli altri, dietro di se, stavano cominciando a organizzarsi per la cena e la notte, avevano deciso che sarebbero rimasti tutti nella stessa stanza a dormire, dividersi nelle varie camere era troppo pericoloso. Si voltò verso i compagni dietro di lei, erano intenti a trasformare quello spazio in uno “accampamento”, avevano già portato giù i materassi dalle camere al primo piano e, a quanto sembrava, si stavano dividendo i compiti per cercare e preparare qualcosa da mangiare e, chi avesse il diritto di fare la doccia per primo visto che, al piano terra, si trovava un bagno con tutto il necessario.
Provò un moto d’affetto per ognuno di loro, aveva notato come tutti avessero cercato di aiutarla portando i carichi più pesanti e stemperare il suo umore che si faceva di minuto in minuto più nero.
“Raven” si sentì chiamare da Bellamy, si voltò a guardarlo, il suo sorriso franco e aperto riusciva sempre a rasserenarla. “Abbiamo estratto a sorte e tu sarai la prima ad avere l’onore di usare il fantastico bagno qui accanto” Raven sorrise ben sapendo che non c’era stata nessuna estrazione.
La giornata era stata lunga e forse quello avrebbe potuto aiutare almeno per po’ ad alleviare la frustrazione che provava.
“Così sia!” disse annuendo avvicinandosi al suo zaino per recuperare un cambio.
Quando superò le porte della stanza e si ritrovò sull’atrio centrale il suo sguardo venne attratto, come spesso era capitato durante la giornata di perlustrazione, da un’opera d’arte che occupava una porzione molto ampia del muro sotto le scale che portavano al primo piano.
Incorniciata da una cornice di acciaio, l’opera d’arte era stata lavorata su vetro nero lucido e su di essa, sparpagliati in maniera caotica occupando tutto lo spazio, erano incastonate nella superficie una serie di simboli matematici e lettere greche bianche.
Lo accarezzò, colpita dalla fredda e liscia sensazione che percepiva al tatto.
Per un’istante provò anche a premere verso il centro dell’enorme lastra di vetro con la vana speranza che nascondesse dietro qualcosa ma, non successe niente. Scosse la testa e lasciò scivolare la mano sul fianco poi raggiunse il bagno ma, non potè fare a meno di guardare furtivamente quella lastra che, in qualche modo, sembrava nasconderle qualcosa.

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Capitolo 12
*** XII ***


Capitolo 12

 

Il chiarore della luna illuminava il prato che digradava verso la riva, la figura solitaria del guerriero dell’ Ice Nation si stagliava solitaria e, a quella vista, Bellamy non potè che provare un moto di rispetto nei confronti di quel grounder che sembrava prendere con molta serietà il suo ruolo di sentinella. Ne avevano discusso molto a cena, fare dei turni di guardia oppure era una precauzione inutile?.

Il re della nazione del ghiaccio aveva subito stabilito che lui comunque sarebbe uscito e avrebbe fatto dei giri attorno alla casa e dentro la struttura. 

Bellamy trovava in parte eccessiva quella preoccupazione eppure si era anche reso conto che con una persona come Roan era difficile ragionare. La sua vita sulla Terra forse era stata dura quanto la loro sull’ Arca e quello era il suo modo personale per essere parte di quel gruppo partito per trovare le risposte e salvare tutti compresa la sua gente.

Lo comprendeva, anche per lui era difficile addormentarsi su un morbido giaciglio e, forse per quello, si era seduto su quella rigida panca in legno sotto una delle finestre. La schiena poggiata al muro, un ginocchio piegato su cui era posata mollemente la mano e lo sguardo che puntava all’esterno. Sapeva che avrebbe passato lì l’intera nottata. 

Spostò lo sguardo verso i ragazzi distesi sui materassi che avevano portato giù dal piano superiore. Emori e Murphy riposavano come se nulla di preoccupante potesse accadergli e, per un’istante, li invidiò. Il suo sguardo poi passò oltre e si rabbuiò vedendo Raven agitarsi sotto le coperte. Da quando erano partiti era sempre stato così e la stessa cosa valeva quando erano ad Arkadia

Era conscio che il dolore fisico la stava facendo lentamente deperire ed era certo che non fosse solo quello ma, lei non parlava, chiusa come al solito nel suo testardo mutismo. Non chiedeva, non voleva alcun aiuto, rendendo ancora più difficile qualunque approccio nei suoi confronti. Da quando era stata in contatto con ALIE qualcosa in lei era cambiato, una luce diversa le incupiva il sguardo e, quando non sapeva di essere osservata, il suo viso si perdeva in qualche oscuro pensiero.

Con la coda dell’occhio vide Clarke tirarsi su a sedere e guardarsi in giro fino a quando non si accorse di lui, a quel punto si alzò e si avvicinò.

Bellamy non era certo di volerla vicino, non in quel momento. 

Quando si avvicinò lui spostò il piede per permetterle di sedersi ma lasciò che il suo sguardo rimanesse puntato all’esterno.

Roan è ancora là fuori?” chiese in un sussurro Clarke cercando di scorgere la figura che si era spostata oltre la zona di luce e ora probabilmente era mimetizzato fra i boschi che si ergevano ai lati della casa.

“A quanto pare sì” rispose Bellamy.

“Se non troveremo niente qui cosa faremo?” chiese quindi Clarke facendo la domanda che era nei pensieri di tutti.

Il ragazzo non rispose, lui stesso non aveva risposte.

“Non possiamo tornare indietro senza nulla!” continuò imperterrita Clarke.

“E quindi dovremo continuare a girare finchè ci arriverà un segno o moriremo senza avvertire gli altri di ciò che sta succedendo?” rispose Bellamy puntando il suo sguardo su di lei.

“Tornare indietro significherà seminare il panico fra i clan ora che forse hanno trovato una nuova strada, non possiamo tornare indietro senza nulla, io voglio continuare la ricerca” Rispose Clarke con fermezza.“Verrai con me?”

Scrutò il viso di Clarke in penombra, in attesa che lui rispondesse, ma aspettava soprattutto che lui appoggiasse le sue idee come era sempre avvenuto. 

La Clarke che adesso gli parlava non era più la ragazza che non era riuscita a tirare la leva da sola a Mount Weather o che aveva condiviso con lui il comando dei ragazzi appena erano scesi sulla terra. 

Ora era diventata una donna che prendeva le decisioni da sola, arbitrariamente, era diventata il commander of death, l’ambasciatrice degli skykru, la Flaimkeepa e, in tutto questo percorso, aveva cominciato a dimenticarsi di loro. Ma lui era cambiato, per quanto Clarke fosse importante per lui, aveva delle responsabilità nei confronti degli altri e di se stesso.

La osservò un istante “No, non verrei, credo che i clan potrebbero sorprenderci!” rispose Bellamy cercando di mantenere la voce bassa.

La ragazza rimase in silenzio un istante.

Quindi tu vuoi tornare?” chiese nuovamente la ragazza.

“Credo sia la cosa migliore, probabilmente parlando con gli altri, con le genti dei clan, scopriremo nuove informazioni. Solo in questi due giorni di viaggio Emori ci ha mostrato un intero mondo che non conoscevamo. Magari loro ci sapranno mostrare altri luoghi e soluzioni a cui non abbiamo pensato.” Disse Bellamy guardando poi verso l’esterno, scorgendo nuovamente la figura del guerriero che stava facendo un nuovo passaggio questa volta più vicino alla casa. “Forse è arrivato il momento di imparare e scoprire cosa loro hanno da offrirci” concluse tornando a guardare Clarke. 

La ragazza non rispose, conoscendola stava cercando un altro modo per perorare la sua casa ma fu distratta da Raven, che, a quanto sembrava, come loro, non riusciva a dormire. Nel silenzio della stanza la sentirono respirare rumorosamente e avvicinarsi claudicante allo zaino che aveva appoggiato su uno dei divani. Prima di aprirlo diede un’occhiata in giro e si accorse di loro due seduti alla finestra. 

Fece un cenno nella loro direzione frugò nello zaino e, trovato qualcosa, si avvicinò lentamente a loro.

“A quanto pare nessuno a molto sonno!” disse “Tisana grounder, qualcuno vuole favorire” mostrando il sacchetto che aveva fra le mani “per dormire funzionava veramente bene

Clarke prese fra le mani il sacchetto e lo aprì per annusarne il contenuto.

“Chi te l’ha dato?” chiese quindi

L’Ice King in persona” rispose dopo un attimo di esitazione “devo dire che funziona”.

“Perché no, magari sarà utile” rispose Bellamy alzandosi per raggiungere la cucina. Le ragazze lo seguirono in silenzio e, in silenziorimasero il tempo in cui prepararono la tisana. La pace irreale di quel luogo sembrava entrare lentamente anche dentro di loro. 

La bevvero osservando il mondo immobile fuori, persi nei loro pensieri.

“Ho bisogno di uscire da questa stanza” disse Raven rompendo il silenzio. “Buona notte” rivolgendosi ad entrambi e imboccando la prima porta che dava sull’atrio.

Bellamy la seguì con lo sguardo, indeciso se seguirla. Alla fine scosse il capo, sembrava volesse cercare una solitudine che in loro presenza non poteva avere. Guardò Clarke vicino a sé “Va a riposare, domani cercheremo più a fondo, magari troveremo qualcosa di utile poi decideremo come comportarci.” 

La ragazza annuì poco convinta “E tu?”

Bellamy diede un’ultima occhiata alla porta da cui era uscita Raven“Rimarrò sveglio ancora un po’” rispose, vide la ragazza aprire la bocca per parlare “Vai a dormire Clarke, è tardi” poi si incamminò verso la finestra. La ragazza lo seguì ma si fermò al suo giaciglio dove si distese in attesa che il sonno prendesse il sopravvento eppure, il suo sguardo non riusciva ad allontanarsi dalla figura di Bell seduto accanto alla finestra, chiedendosi cosa stesse succedendo fra loro due. Lui era diverso con lei non era certa di che cosa significasse questo cambiamento.

 

 

Raven ormai fuori nell’atrio volse per un istante lo sguardo oltre la porta da cui era uscita. Non riusciva a stare là dentro con quei due svegli, era evidente che qualcosa stesse succedendo, lo aveva visto nei loro occhi quando la mattina era tornati insieme dal luogo di guardia e, in tutta onestà, non se la sentiva di vederli così vicini. Le faceva troppo male. 

Ora si guardò in giro, indecisa su che direzione prendere, una soffusa luce azzurrognola correva al livello di un ipotetico corrimano. Si incamminò verso il bagno e nuovamente, come poche ore prima, la sua attenzione fu attratta dall’opera in vetro che aveva visto. La luce soffusa colorava i simboli bianchi incisi di un pallido celestino e, di colpo, il suo sguardo localizzò fra i molteplici simboli quello dell’infinito. Si trovava su un lato, all’altezza della maniglia. Le sembrava impossibile ma ciprovò. Forse quel pannello non era solo una specie di opera d’arte.

Poggiò la mano sulla porta provò prima a spingere, ma non accadde nulla, infine, con entrambe le mani provò a spostarlo lateralmente. Subito il panello cominciò a muoversi sulle guide collegate alle cornici dei quadro, al di là si accese la luce su una stanza. Un altro laboratorio, intuì Raven, ma completamente diverso: nella parte in fondo campeggiavano dei monitor, esattamente ciò che stavano cercando dall’inizio della giornata. 

Se avesse potuto avrebbe saltellato di gioia, ma lasciò solo che un enorme sorriso le si dipingesse sul viso. Ora avrebbe trovato le risposte che cercava.

Rimase immobile sul posto alcuni secondi, indecisa se condividere con gli altri la scoperta che aveva fatto poi, scosse il viso. 

Entrò subito nella stanza e la porta a vetri dietro di se si chiuse silenziosamente come quando si era aperta.

Si sedette di fronte al monitor e accese il Case accanto. 

Subito apparve la parola “Password”, non potè fare a meno di sorridere soddisfatta, la strada era quella giusta e sentiva proprio il bisogno di scontrarsi con qualcosa di più difficile che riparare la pompa di un refrigeratore. 

Cominciò a pigiare sui tasti seguendo le stringhe che apparivano sul monitor. I suoi occhi concentrati dai simboli, le sue mani volavano sulla tastiera, il resto del mondo e il dolore ormai dimenticato mentre il tempo passava.

 

Roan osservò il cielo leggermente velato, metà della notte ormai passata. Dalla casa non proveniva alcun suono e la foresta sembrava calma e immobile, forse era il momento di rientrare, sarebbe nuovamente uscito poco prima dell’alba.

Silenzioso passò vicino alle porte finestre, davanti ad una di queste scorse la figura di Bellamy che, al suo passaggio, gli fece un lieve cenno con il capo. Il guerriero decise di entrare dalla porta vicina alla finestra in cui si trovava il ragazzo.

Qualche parola sussurrata per aggiornare il ragazzo poi scrutò fra i corpi addormentati.

“Il meccanico?” chiese preoccupato.

Raven è uscita, aspettavo che tu rientrassi per andarla a cercare. Non credo sia andata fuori” rispose il ragazzo e il guerriero annuì “se fosse stato così l’avrei vista. La vado a cercare” disse quindi volgendosi per raggiungere una delle porte.

“Fai attenzione con lei!” 

Roan si bloccò, perplesso da quelle parole, voltò il viso verso il ragazzo ancora seduto sulla panca. “Sembra forte ma è molto fragile in questo momento”. Il guerriero sbuffò a quelle parole trovandole quasiridicole e, senza rispondere a Blake, si incamminò verso l’atrio.

Quella ragazza non era fragile, non lo sarebbe mai stata, una combattente come lei doveva solo trovare una nuova strada e venire a patti con ciò che era. Ripensò alle parole del ragazzo.

No, Raven non era fragile.

Nel silenzio del corridoio cominciò a sentire uno strano mormorio di voci, non riusciva a capire da dove venissero e questo lo allertò immediatamente, i ragazzi stavano tutti dormendo eccetto...

Fece alcuni passi in direzione delle voci sussurrate quando si trovò di fronte ad un pannello di vetro. Sembrava che provenissero da dietro al pannello ma non riusciva a scorgere alcuna luce.

Cominciò a saggiare la superficie di fredda della lastra ma non ottenne nulla fino a quando provò a farla scorrere e, si accorse che si apriva con una certa facilità e dava su una stanza.

Ne aprì solo uno spiraglio, quando bastava per scorgerne l’interno. Di fronte a lui vide Raven di schiena, stava parlando con qualcuno che le rispondeva. Gli ci vollero alcuni istanti per rendersi conto che stava parlando con una pallida donna dai capelli neri che indossava un vestito rosso. Oltre a lei, su grandi schermi appesi alla parete, vide le immagini di foreste incendiate e strane strutture coniche prendere fuoco e liberare un’enorme fumo. Rimase immobile cercando di capire cosa stesse accadendo davanti ai suoi occhi.

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Capitolo 13
*** XIII ***


Capitolo 13

 

Raven era stupita dalla facilità con cui era riuscita a bypassare la password e ad entrare nel sistema, si rese conto che qualcosa non quadrava infatti, pochi istanti dopo aver avuto accesso al sistema, il monitor su cui stava lavorando si oscurò di colpo e la luce della stanza si spense. Si guardò in giro pensando ad un black out ma, quando stava per alzarsi per scendere nella stanza dei server, la luce tornò e una voce la fece sobbalzare.

“Benvenuta Raven, ti stavo aspettando”

La ragazza sentì un brivido scorrerle lungo la schiena e il panico assalirla, ALIE era morta, non poteva essere la sua voce. Si girò lentamente verso il monitor e lì la vide, ALIE con il suo fottuto vestito rosso e quel mezzo sorriso accondiscendente sulle labbra.

“Tu sei morta” disse Raven in un sussurro.

“Io sono un programma, non posso morire!” rispose con quell’aria materna la voce.

Il meccanico cercò di schiarirsi la mente per riuscire a capire in che modo fosse possibile che ALIE fosse ancora viva e in quel luogo. Poi capì, Il programma che aveva seguito Jaha era solo una parte del tutto, la gran parte, quella che serviva ad elaborare l’intera struttura della City of Light.

“Esatto Raven, sapevo che eri intelligente ed è per questo che ti aspettavo. Se Jaha non fosse riuscito a portare a termine il suo compitodovevo trovare un’altra strada..”

“ed è per questo che mi hai incasinato la testa” ribatté irritata Raven.

“No, ti ho solo fatto capire che in me avresti trovato molto più di quello che il mondo reale e giocare con i motori potessero darti” rispose calma la donna.

“E quindi…cosa vuoi da me!” chiese Raven cercando di capire.

“La city of light rimane la vostra unica soluzione” cominciò a spiegare ALIE ma Raven la interruppe di nuovo “dimenticare i nostri ricordi, dimenticare il dolore? Questa non è una soluzione!” 

“Ah, mia piccola Raven, forse non è quello che voi state cercando, la tua amica Clarke lo ha fatto capire chiaramente quando mi ha disattivato mandando in frantumi tutto quello che avevamo tentato di costruire ma, sono certa che tu capirai, non si tratta di dolore o ricordi ormai, non lo è mai stato. Si tratta di salvare almeno il vostro spirito dall’ annientamento. È questo che Clarke non ha voluto capire.

“Perché dovremmo fidarci di te, hai detto che esiste ancora un 4% di territorio abitabile.”

ALIE rise pacatamente “Sai che non posso mentire. Esiste quel luogo ma, di certo, in 6 mesi non riuscirete a raggiungerlo tutti, molti potrebbero perire nel viaggio e, potreste non raggiungerlo mai o morire comunque una volta arrivati là.” Rispose ALIE.

“Dov’è?” chiese immediatamente Raven cercando di carpire qualunque informazione utile.

RavenRavenpensi ancora che io stia tentando di prendermi gioco di voi?” disse ALIE, poi sugli schermi attaccati alle pareti apparve un’immagine satellitare della terra. “Voi siete qui”, facendo illuminare un piccolo puntino sulla costa est degli Stati Uniti “e dovreste arrivare qui” facendo illuminare un altro puntino che si trovava molto più a nord.

A quella vista Raven si appoggiò pesantemente alla sedia. Sarebbe stato impossibile portare tutti sani e salvi nella nuova terra poi si rimise nuovamente dritta. 

“Non ti credo, avresti potuto dirlo prima!” disse irritata.

“Mi avreste creduto?, non potevate vedermi, dovevo portarvi prima tutto in salvo e Clarke ha visto cosa potrebbe succedere. Lei sapeva.”

“Mostrami ciò che hai fatto vedere a lei, voglio vedere.”

Ed ALIE le mostrò ogni cosa, le centrali nucleari già esplose, i dati che aveva elaborato, ogni cosa e, man mano che i dati e le immagini scorrevano, Raven sentiva la speranza e la voglia di lottare sfuggirle fra le mani.

All’improvviso le immagini sparirono, solo ALIE campeggiava su ogni schermo.

“Parla con gli altri, posso ancora aiutarvi a salvarvi.” Poi il monitor tornò nero come prima della sua apparizione. 

Raven schiacciò un tasto, e lo schermo si colorò di cartelle con i dati che ALIE le aveva mostrato. Non riusciva ad aprirle, non voleva credere ancora alle parole del programma. 

Rimase immobile, il suo sguardo immoto, nella mente ancora le immagini che ALIE le aveva fatto vedere. Incredula che tutto fosse realmente finito.

“Così questo è ciò che sta avvenendo?” disse una voce dietro di se.

Raven sobbalzò convinta di essere sola poi si girò sapendo già che avrebbe trovato il guerriero. Quando i loro occhi s’ incrociarono non disse niente, le immagini avevano già raccontato tutto.

“Lei era la cosa che vi parlava nella mente?” chiese nuovamente l’uomo facendo qualche passo dentro alla stanza. Si guardava in giro con pacato interesse. 

“Si era lei” si ritrovò a rispondere. 

Raven si rese conto di quanto la presenza del guerriero fosse anacronistica imponente dentro quel luogo così piccolo. 

Cosa vuoi fare adesso?” chiese il guerriero continuando a scrutare in giro.

“Parlerò con gli altri e decideremo” rispose la ragazza.

Quindi credi ancora che Wanheda e Blake troveranno le risposte?” chiese l’uomo fissandola.

“Non è una decisione che posso prendere io” rispose Ravententando di capire.

Ma quella cosa ha parlato a te.”

“Perché ero qui in questo momento e sono l’unica a conoscere come usare questi programmi” disse sbuffando e indicando le apparecchiature dietro di sé.

Quindi tu credi alle parole di quella donna?” insistette Roan.

“Certo che gli credo! Perché dovrebbe mentire, è un computer! E i programmi non mentono.” Rispose Raven cominciando ad essere stanca di quelle domande stupide.

“Senti, non ha senso nemmeno che ne parliamo, queste cose non le puoi capire!” sbottò irritata per poi rendersi conto di quanto era stata maleducata con lui che in quei giorni l’aveva aiutata così tanto. Abbassò gli occhi imbarazzata.

“Scusa” mormorò, “non è colpa tua, solo che” disse alzando gli occhi “non c’è niente da fare ormai, non c’è una Magia” disse schioccando le dita “ che eviti tutto questo!”

Il guerriero annuì a quelle parole ma face qualcosa d’inaspettato, le sorrise. 

“Quando vedevamo l’Arca nel cielo, pensavamo che fosse solo una stella lucente.” disse Roan “Poi abbiamo scoperto che c’erano degli uomini là dentro. Credevamo che i nostri bambini con il sangue nero lo fossero perché toccati dagli spiriti dei passati comandati e che la fiamma avesse un potere magico solo per i predestinati e che la puzza di uova marce arrivasse direttamente dall’inferno. Ora ho scoperto che quelle cose hanno una spiegazione diversa, vista da un’altra prospettiva. Forse” disse fermandosi un attimo e scrutandola attentamente “anche qui c’è un’altra prospettiva” concluse il guerriero. “Ora sta a te cercarla, non saresti arrivata fino a qua, non avresti sopportato tutto quello che ti è accaduto senza alcun motivo” continuò. 

Raven non seppe rispondere colpita dalla fiducia che quell’uomo sembrava serbarle. 

“Riposa, torna a cercare delle risposte, sveglia gli altri, fai come vuoi. Io continuerò a fare ciò che so fare meglio: il soldato”. Poi si incamminò verso la porta.

Roan” lo bloccò Raven chiamandolo per la prima volta con il suo nome.

Il guerriero si fermò. “Grazie” continuò la ragazza. L’uomo fece un cenno con il campo, un sorriso accennato che lei vide solo di profilo poi uscì dalla stanza lasciandola sola a capire cosa fare.

 

Raven si girò verso lo schermo, voleva credere alle parole di Roan, alla fiducia che aveva riposto in lei, senza nemmeno conoscerla. Le sue mani sfiorarono di nuovo la tastiera pronta ad aprire le cartelle che ALIEle aveva lasciato visionare, cominciò ad andare sempre più in profondità, nei dati immagazzinati dei Server in cerca di qualcosa che non aveva visto.

 

Bellamy si svegliò sentendo dei pesanti passi affrettati arrivare dall’atrio. Si tirò su a sedere, non sapeva che ore fossero ma ormai si stava facendo mattina. Non sapeva nemmeno quanto avesse dormito, si ricordava solo che il grounder era tornato dal suo giro in casa e gli aveva detto che Raven stava bene e che lui sarebbe tornato all’esterno. 

Il ragazzo controllò in giro, tutti stavano ancora riposando ma il giaciglio di Raven era ancora vuoto.

Si stava per alzare quando sulla porta apparve il meccanico, il viso stravolto dalla stanchezza, la coda di cavallo sfatta, i vestiti stropicciatima un radioso sorriso le illuminava il viso.

“Dobbiamo tornare subito a Polis” disse Raven senza badare al tono di voce. “Abbiamo bisogno della fiamma!” continuò avvicinandosi “Forse ho trovato una soluzione, ma dobbiamo fare presto, credo che ALIE ci abbia mentito, certo non lo abbia fatto consapevolmente, è una macchina, ma forse i dati che ci ha dato non sono quelli reali, devo avere il programma ALIE 2, ci aiuterà nella ricerca.”

Bellamy cercava di seguire le parole di Raven ma non riusciva a farlo. 

Le si avvicinò “Raven più piano, non capisco!”

La ragazza scosse il viso “Si, scusa, la notte è stata lunga, ALIE mi aveva scoraggiato ma poi ho capito tutto grazie a Roan. Dobbiamo ringraziare lui se forse ho trovato una soluzione. Dov’è adesso? “ continuò la ragazza guardandosi in giro.

Ravenguardami, fermati un istante! Parti dall’inizio non capisco!”

La ragazza si fermò a fissarlo senza capire, poi il suo sguardò si illuminò.

Consapevole ora che loro non potevano sapere tutto quello che era successo durante quella notte. 

“Sveglia gli altri, dobbiamo parlare!” disse a quel punto. 

Bellamy era sempre più perplesso ma Raven sembrava comunque sicura di se. La vide uscire dalla stanza. 

“Dove stai andando?”

“A cercare Roan, ci deve essere anche lui!” rispose la ragazza uscendo mentre Bellamy cominciò a chiedersi in che momento il guerriero fosse diventato per RavenRoan. Il ragazzo non perse però tempo e cominciò a svegliare gli altri. 

 

 

Gli altri erano già svegli e curiosi quanto lui quando finalmente Raven arrivò seguita a poca distanza dal guerriero dell’ Ice Nation. Il suo viso era ancora illuminato da un sorriso ma il passo pesante e il pallore della sua pelle gli fecero capire quanto la ragazza fosse in realtà stanca.

Si avvicinò a loro e si sedette su una delle sedie della penisola attorno alla quale si erano riuniti. Bellamy le passò una tazza con la brodaglia calda che aveva preparato. Non era caffè, non avevano trovato alcun tipo di cibaria ancora commestibile ma i grounder, per loro fortuna, avevano un buon surrogato ad esso.

Raven si scaldò le mani intirizzite dal freddo e gli fece un cenno di ringraziamento.

Poi cominciò a parlare “Ieri sera ho scoperto dove si trovano i terminali per accedere ai server ma, ho avuto una brutta sorpresa, ALIE, o meglio il suo programma latente era ancora presente e mi ha parlato, mi ha fatto vedere ciò che ha mostrato a Clarke e, molto di più” disse squadrando ognuno di loro.

Bellamy era frastornato dalla piega degli eventi, non voleva credere che ALIE potesse essere ancora una minaccia ma soprattutto che tutto quello che aveva detto a Clarke fosse vero, sperava in cuor suo che fosse tutta una menzogna per costringerla a prendere una decisione. Scrutò Ravenquella notizia avrebbe dovuto abbatterla invece era calma e solo poco prima l’aveva vista sorridente. Aveva trovato altro!

Ma tu hai trovato qualcosa, un modo per salvarci?” chiese Bellamy.

Raven annuì “Non so se è un modo per salvarci, ma mi sono resa conto, quando ho visto i dati che mi aveva lasciato ALIE, che stavo guardando le cose dalla prospettiva sbagliata.” Disse la ragazza lanciando di sottecchi uno sguardo fugace al guerriero che si trovava poco discosto da loro nella sua solita posizione guardinga.

ALIE è una macchina e in quanto tale analizza dei dati, fa delle statistiche e calcola delle probabilità.”

“ci stai dicendo che ha sbagliato” la interruppe Clarke.

“No, credo che lei abbia calcolato la peggior probabilità possibile ed è quella che ci ha presentato, forse c’è la possibilità che i dati originali da cui ha tratto le sue conclusioni possano raccontare un’altra storia. Ma…” prima che gli altri potessero dire qualcosa “Non sono riuscita a recuperare i dati originali, sembra che non esistano più ed è impossibile, per questo credo che forse ci sia la possibilità che la verità che ci ha detto ALIE non sia l’unica.” Concluse Raven.

“Quindi ora devi solo capire come accedere a questi dati” chiese Bellamy cominciando a capire perché la ragazze avesse parlato della fiamma.

“Credo di aver già trovato un modo ma ho bisogno di ALIE 2.0” disse Raven guardando il guerriero. 

“A cosa ti servirebbe?” chiese Clarke 

ALIE 2.0 è la versione aggiornata del primo programma e, a differenza del vecchio, è progettata per interagire con gli umani e mettere le proprie conoscenze al loro servizio. Se noi utilizzassimo il chip per aggiornare il programma latente di ALIE potremmo scovare i dati originali e, probabilmente, la nuova versione lavorerebbe con noi per valutare soluzioni alternative che non presuppongono la migrazione dell’intera specie umana in una nuova City of Light. Ed è per questo motivo che dobbiamo tornare a Polis per prendere il chip” ConcluseRaven aspettando che gli altri metabolizzassero le sue parole.

Cosa succederebbe alla fiamma dopo che lo avrai utilizzata” chiese Clarke sporgendosi verso il meccanico.

“Beh probabilmente diverrebbe inutilizzabile, sarebbe impossibile riportare il programma dentro alla memoria del chip” rispose Ravenscrollando le spalle confusa dalla domanda. 

Ora sapevano cosa fare quindi Bellamy intervenne: “Ok, quindipartiremo per tornare a Polis a recuperare il chip, possiamo avvertire subito Monty o Harper così a Polis saranno pronti.” Poi rivolgendosi a Emori “Quanto tempo impiegheremo per arrivare?” 

La ragazza scosse il viso pensierosa ma prima che potesse dire qualcosa Clarke estrasse la scatola che conteneva la fiamma poi fece qualche passo indietro. Tutti ammutolirono alla vista, si sentì solo un borbottio proveniente dal grounder poco distante.

“Beh” disse Raven sorridendo “direi che non ci hai risparmiato un bel viaggio Clarke.”

“Credo che i clan dovrebbero sapere” mormorò Clarke.

“La cosa non ti era interessata quando si è trattato di trafugare la fiamma quando doveva passare a Ontari” s’intromise Roan facendo qualche passo avanti e guardandola dritto in viso.

Clarke alzò gli occhi e li puntò sull’uomo “Ontari non aveva alcun diritto di tenere la fiamma”

“e secondo quale criterio?” chiese tranquillo Roan senza mostrare una minima traccia di ciò che pensava.

Lexa non avrebbe voluto” rispose in un mormorio indistinto.

Lexa era morta, il ruolo doveva passare a Ontari” replicò l’ IceKing.

“Uccidendo degli innocenti nel sonno?” gli disse Clarke alzando la voce.

Roan scrollò le spalle indifferente all’accusa lanciata dalla ragazza “Le nostre leggi lo permettevano!” 

Ma era sbagliato, doveva andare ad Aden” continuò testarda Clarke.

“E chi ti da il diritto di dire ciò che è giusto o sbagliato? Il fatto che tu sia stata l’amante dell’Heda non ti fa essere una di noi ragazzina! Hai tentato di togliere il ruolo a Ontari per darlo a una reietta, hai portato la morte a Polis assieme alla tua gente e, ora, di nuovo, hai tenuto la fiamma con te. Non parlami di ciò che è giusto. Tu non sai più nemmeno perché stai camminando su questa terra. Rispose sprezzante Roan lasciando che il suo viso mostrasse il disprezzo che provava. 

La ragazza ammutolì e non riuscì a mantenere lo sguardò sul guerriero, volse gli occhi in cerca di quelli di Bellamy con la speranza che lui l’aiutasse ma ciò che vide gli spezzò il cuore e la face sentire sola, forse per la prima volta da quando si erano ritrovati.

Bellamy la fissava ferito, lo vide abbassare gli occhi sulla scatoletta e poi tornare a guardarla.

“Dovevo portarla con me” mormorò, indifferente che gli altri la stessero ascoltano, concentrata unicamente su Bellamy, ma lo vide scuotere il capo disgustato come se, trafugando la fiamma, avesse fatto qualcosa di orribile. 

Poi volse il capo verso il guerriero. “Su una cosa ha ragione Clarke, questa fiamma è importante per voi ma è anche l’unica chiave per riuscire a salvare tutti noi ed è il momento di prendere una decisione.”

 

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Capitolo 14
*** XIV ***


Capitolo 14

 

Roan sentiva gli occhi di tutti fissi su di lui, consapevole di ciò che volevano da lui, doveva prendere una decisione non per se stesso ma per tutti i clan. Una decisione che normalmente avrebbe dovuto prendere il commander

Distruggere la fiamma significava andare contro tutto quello per cui suo padre prima e sua madre poi avevano lottato: Avere Un commander della Ice NationUn modo per ridare lustro alla loro tribù e vendicare la morte di Taria, sua sorella, morta prima del conclave per mano di Lexa

Non avrebbe mai potuto dimenticare il giorno in cui il suo corpo era stato portato al campo, un allenamento andato male, un colpo troppo profondo, non c’era stato nulla da fare. Ma Roan sapeva, come tutto il clan, che la sorella minore era forte e che Lexa la odiava.

C’era stata una guerra fra i clan per chiedere giustizia, suo padre era morto, sua madre era definitivamente impazzita, la sorella gemella di Taria rapita dagli uomini di M.W. e il rapimento di Costia da parte di sua madre non aveva fatto altro che inasprire la loro posizione nei confronti dell’Heda e quindi di tutti i clan. Aveva tentato di fare da intermediario per la sua gente ma aveva ottenuto solo l’odio di sua madre e poi l’esilio da parte del commander che non credeva in lui. E ora, gli veniva chiesto di decidere per tutti i clan e rinnegare tutto quello che aveva fatto fino a quel momento tradendo un’altra volta la fiducia che riponeva in lui la sua tribù. Taria era sempre stata amata da tutti. Solare e gioiosa era una forza della natura, poteva ottenere le cose con la forza, grazie alle sue capacità, ma preferiva ottenerle con un sorriso.

Roan sentì un peso al cuore al ricordo del viso sorridente della sorella a cui cercava di non pensare mai. 

Sentiva il peso degli sguardi di tutti su di sé, sapeva cosa si aspettavano da lui ma loro non potevano sapere che prendere quella decisione significava assumersi un ruolo che non gli apparteneva e non gli era mai appartenuto nemmeno ora che si fregiava del nome di IceKing.

Bellamy osservò il guerriero, consapevole della difficile scelta che gli si parava di fronte, fidarsi delle loro parole e cancellare tutto ciò che era avvenuto prima fra gli skypeople e i grounder o continuare a credere che loro portassero solo sventura. 

Quando era stato il suo momento di decidere, aveva fatto la scelta sbagliata, guardò prima la scatola e poi Clarke. Comprese in maniera incontrovertibile che forse il legame che lo legava a lei era sbagliato, lei non si era mai fidata abbastanza di lui da parlare con onestà eppure l’aveva appoggiata in qualunque scelta che avesse fatto.

Come poteva far capire al guerriero che comprendeva le sue difficoltà e allo stesso tempo spingerlo a lasciar loro la fiamma e fare ciò che doveva essere  fatto.

Roan, se ci fosse un’altra soluzione non lo farei mai” era stata Raven a parlare, la vide prendere un profondo respiro e guardandolo negli occhi continuò “Potrei dirti che a nord, molto più a nord di qui esiste un luogo in cui potremmo essere al sicuro, sarebbe un lungo viaggio. Non è detto che tutti riusciranno ad arrivarci, anche credendo che tutte le tribù ci ascoltino, i morti saranno tanti e forse là sarà comunque difficile vivere. Non voglio prendere in considerazione questa possibilità finchè non sarò sicura che non ci sia un altro modo per risolvere tutto. Non posso…” abbassò gli occhi incerta

Bellamy guardò Raven sbalordito, non aveva accennato alla possibilità che ALIE avesse detto la verità a Clarke sulla terra abitabile e nemmeno che lei sapesse dove fosse.

Raven dove si trova questo luogo?” chiese sperando che quella potesseessere la terra promessa a dispetto dei dubbi del meccanico.

“Non saprei quantificarlo in giorni di viaggio, si trova vicino alla calotta polare, sull’isola di Terranova.” Rispose e a quella notizia Bellamy provò un profondo senso di sconfitta. No, dovevano affrontare la minaccia, non potevano scappare da essa.

Alzò gli occhi verso il guerriero che lo fissò a sua volta e poi annuì.

Si avvicinò al tavolo e afferrò la scatolina arancione in cui si trovava lafiamma, la girò fra le mani un istante, l’aprì osservando quella minuscola cosa che aveva segnato le vite di tutti loro e quelle dei loro avi.

“E sia!” disse chiudendola di scatto per poi passarla a Raven “fai quello che devi” poi uscì dalla stanza.

Ormai la decisione era stata presa!

 

Raven non attese oltre e s’ incamminò verso la stanza dei terminali. La zoppia era accentuata e Bellamy, prima ancora di pensare, la bloccò per un braccio mentre passava per raggiungere la porta.

Sei stanca, riposati, non puoi continuare con questi ritmi”

“Ce la faccio” rispose irritata, strattonando il braccio.

Bellamy sapeva che Raven era una ragazza testarda e non avrebbe dato retta a nessuno di loro ora che aveva un obiettivo in mente ma aveva paura che si stesse stancando troppo.

Raven devi avere la mente lucida per fare ciò che devi, hai un’unica possibilità e se non funziona rischiamo di perdere il chip per niente” Bellamy non era certo che fosse vero ma, lo sguardo negli occhi gli fece bene sperare.

La ragazza prese un respiro e annuì

“Forse hai ragione, dormirò per qualche ora poi mi rimetterò al lavoro”

Bellamy le sorrise soddisfatto

“Prendi una delle camera di sopra così non ti disturberemo” continuò poi, la ragazza annuì nuovamente fece per incamminarsi verso la porta quando si lasciò sfuggire un singulto di dolore.

Il ragazzo gli fu subito accanto ma lei lo scansò infastidita.

“Ce la faccio!”.

Bellamy rimase un istante con le mani protese poi le lascio cadere lungo i fianchi.

“Clarke hai degli antidolorifici e anche un sonnifero” chiese poi Raven in un sussurro senza guardarli. Bellamy rimase impietrito a quella vista, gli occhi bassi che non volevano incontrare i loro, le spalle piegate in avanti sconfitta dal dolore.

Clarke si riscosse dalla trance in cui sembrava caduta da quando aveva visto passare la fiamma dalle mani di Roan a quelle di Raven.

“Non credo di aver portato nulla di abbastanza forte, scusami.” Rispose in un mormorio colpevole la ragazza bionda.

Raven sospirò poi li guardò e Bellamy scorse in quello sguardo una pena che gli frantumò l’anima. 

“Nel mio zaino” sussurrò “c’è della morfina”.

Clarke boccheggiò un paio di volte a quelle parole “Dove l’hai presa!”

Ma Raven non rispose, il suo viso ora contraffatto dal dolore e dal senso di colpa.

“Non è il momento Clarke, prendila!” s’impose Bellamy perfettamente consapevole di ciò che aveva fatto Raven.

Vide Clarke tentennare un istante di troppo, il ragazzo si spazientì raggiunse lo zaino alla ricerca del medicinale.

“La scatoletta bianca” mormorò il meccanico che ora si era appoggiata nuovamente al bancone della cucina.

Bellamy la trovò e l’aprì con una certa apprensione, quando vide ancora la scatoletta intatta con tutte le fialette si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

Si avvicinò a Raven senza nemmeno lanciare uno sguardo a Clarke che era ancora immobile vicino a loro.

Era conscio che Clarke, vissuta a stretto contatto con la madre nel reparto medico, trovava inaccettabile il furto di Raven e anche lui sapeva quali potevano essere le conseguenze dell’uso di quell’oppiaceo ma vedeva solo il dolore di Raven che era ormai al limite. Non l’avrebbe mai chiesta se il dolore non fosse stato così forte.

Per ora era importante che lei riuscisse a dormire poi avrebbero affrontato anche quella cosa.

“Ti faccio io l’iniezione” disse avvicinandosi e cominciando a predisporre il necessario. Raven si arrotolò la manica della maglia poi voltò il viso verso la finestra sopra al piano di lavoro della cucina senza dire una parola. Osservava fuori ma Bellamy poteva vedere la mascella rigida della ragazza, percepiva la tensione nel suo corpo e quanto odiasse ciò che stava succedendo.

Fu questione di un attimo e poi fu tutto finito, Bellamy tolse il laccio emostatico e le tirò giù la manica.

“La terrò io.” mormorò infine chiudendo la scatola.

Raven non rispose, continuava a guardare fisso fuori dalla finestra poi lentamente si girò “Grazie” sussurrò con un’espressione sofferente in viso poi si alzò e uscì dalla stanza.

Bellamy a quel punto si girò infuriato verso Clarke

“Perché sei rimasta lì imbambolata, perché non hai portato qualcosa che potesse aiutarla senza aspettare che arrivasse fino a questo punto. Perché Clarke, rispondimi!!

Vedeva la ragazza di fronte a lui e quasi le sembrava di non riconoscerla, dov’era finita la ragazza che aveva avuto il coraggio di uccidere Atomquando lui non era stato in grado di farlo o aveva tentato di salvare Finnin tutti i modi quando era stato pugnalato, che si era fatta infettare pur di continuare a vegliare chi era stato colpito dalla febbre rossa. Dov’era la ragazza che teneva ad ognuno di loro a costo della sua anima e vita.

Scosse il viso disgustato da ciò che vedeva.

“Non lo sapevo!” rispose in un mormorio colpevole Clarke

“Come fai a non averlo visto, a non vederlo, sono mesi che Raven soffre. Secondo te perché alla fine una persona forte come lei ha preso quel maledetto chip. Abby l’aveva esonerata dal lavoro a causa del dolore all’anca. Come fai a non saperlo” si ritrovò ad urlare Bellamy.

Clarke chinò il viso lasciando che i capelli coprissero i suoi occhi..

Poi si rese conto che lei non avrebbe potuto saperlo, lei era andata via ma questo pensiero non alleviava la rabbia che provava in quel momento. Sapeva cosa aveva passato Raven, doveva pensarci. Aveva chiesto tanto a tutti loro eppure non si era fermata a riflettere di cosa avessero bisogno.

Si allontanò da lei, non aveva la forza di stare nella stessa stanza con lei.

 

Bellamy uscì dalle porte finestre per prendere una boccata d’aria e cercare di mettere ordine nel caos della sua mente ma sembrava un’impresa impossibile. Osservò davanti a lui Roan che li aveva lasciati poco prima, era certo che sarebbe sparito in uno dei suoi giri di perlustrazione invece era di fronte a lui, immobile, gli dava la schiena mentre osservava il mare di fronte alla casa.

Si avvicinò a lui, sentiva di doverlo ringraziare per la fiducia che stava concedendo loro.

“I clan capiranno, Abby e Kane stanno lavorando per questo a Polis” disse Bellamy mettendosi accanto al grounder mentre il suo sguardo spaziava sul paesaggio che riempiva la loro visuale.

Una leggera foschia saliva fra gli alberi e sull’acqua mentre il cielo dallo strano color perlaceo aveva ormai perso i colori dell’alba.

Il guerriero accanto a lui scosse il capo. “Il commander designato dagli spiriti e la Fiamma sono la base del nostro mondo ora, gli e l’ho portato via e non credo che molti lo sapranno accettare” rispose l’ Ice King.

Il tono monocorde di Roan preoccupò Bellamy “Cosa potrebbeaccadere?”

“La guerra di certo, non tutti amano voi skypeople e non tutti accetteranno le vostre parole, è una cosa che dovremo affrontare. Spero solo che il meccanico trovi ciò che cerca altrimenti…” lasciò in sospeso la frase, non c’era bisogno di dire altro, le conseguenze era facilmente comprensibili.

Rimasero in silenzio per molto tempo, ognuno seguiva il filo dei propri pensieri, ognuno sapeva che da quel giorno in poi ci sarebbero stati molti giorni bui e pericolosi.

“Quando ci saprà dire qualcosa il meccanico?” chiese il guerriero ad un tratto.

“Non lo so, ora sta riposando”

Il guerriero si volse verso di lui a quelle parole, il suo sguardo preoccupato. Bellamy fraintese la sua espressione “Raven non era in grado di lavorare, aveva bisogno di riposare” disse difendendo la ragazza.

Si, stava per crollare e la zoppia era molto accentuata questa mattina” disse il grounder. 

Quelle parole lasciarono perplesso Bellamy per un istante, quella preoccupazione del guerriero lo incuriosiva ma noto le occhiaie dell’uomo e si rese conto che anche lui aveva bisogno di riposare.

“Hai fatto la guardia tutta la notte” disse Bellamy “mi occuperò io di controllare il perimetro oggi”

Vide l’ ice king annuire alle sue parole quando all’improvviso si allertò e si voltò. Bellamy seguì il suo movimento, dietro di loro Emori e Murphy stavano uscendo dalla casa per venire loro incontro.

“Scendiamo al rimessaggio per controllare la barca poi faremo un giro per vedere se troviamo qualcosa di utile” disse Murphy quando erano abbastanza vicini.

Bellamy annuì a quelle parole “Io sarò in perlustrazione e speriamo di trovare qualcosa da portarci dietro” stava per salutarli e partire per il primo giro quando notò il modo con cui Murphy lo stava osservando. 

“Qualche problema?” chiese quindi curioso e in parte infastidito da quello sguardo.

Murphy non disse niente e scrollò le spalle poi s’incamminò verso il davanti della casa con Emori accanto a lui. 

Bellamy si ritrovò a guardare la schiena del ragazzo cercando di decifrare quel suo silenzio quando quello si bloccò e voltò il viso verso di lui.

“Anche per lei è stata dura a Polis, non dimenticarlo!” disse poi continuò a camminare come se non avesse detto nulla.

Bellamy percepiva lo sguardo del guerriero su di sé ma non disse niente, non aveva nulla da dire in quel momento. 

“Io vado, ci vediamo dopo” disse poi si incamminò verso il pendio della collina.

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Capitolo 15
*** XV ***


Capitolo 15

 

NOTA: Vi rubo un momento solo per augurare a tutti voi delle buone feste, ringraziandovi ancora di cuore perché mi state accompagnando in questo viaggio. È vero sono molto più avanti di voi ma, vi assicuro, ogni cosa che scrivo, la faccio pensando a voi con la speranza che in queste “pagine” troviate una storia che vi coinvolga e vi faccia passare un momento di piacevole relax. Che dire, ancora auguri e al prossimo capitolo lunedì 26 dicembre. Come al solito curiosa di sapere cosa ne pensate della storia e dei personaggi. 

 

Clarke era rimasta sola nella stanza da quando Emori e Murphy, dopo la sfuriata di Bellamy, erano usciti di soppiatto. Li aveva notati solo con la coda dell’occhio, la sua mente ancora confusa da ciò che era appena successo solo pochi minuti prima. 

Si sedette sul divano troppo frastornata per fare qualunque cosa, un loop di pensieri che non la lasciavano in pace. Il suo sguardo fu attratto a malapena dal guerriero della Ice Nation che, silenzioso, era entrato per prendere la sua roba. Il tempo di uno sguardo serio poi se n’era andato lasciandola sola. 

Aveva osservato l’uscio dal quale era uscito, consapevole e ferita dalle parole che il grounder le aveva rivolto cominciando a sentire un profondo senso di colpa per aver trafugato la Fiamma ma, non era riuscita a fare altrimenti. 

Aveva bisogno di tenere con  Lexa ancora per poco, si sentì colpevole di non essere riuscita a staccarsi da lei, da quel frammento che rappresentava il ricordo tangibile dell’Heda. Per un’istante, al pensiero che Raven avrebbe distrutto la Fiamma, provò un senso di ribellione, con lei avrebbero distrutto anche l’eredità che Lexa aveva lasciato al suo popolo.

Le lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso, sentendosi impotente di fronte a quello che sarebbe avvenuto al chip. Scosse il capo e si pulì le lacrime dagli occhi poi guardò oltre la finestra e vide Bellamy camminare verso il pendio della collina scomparendo lentamente alla sua vista

Sentì un tuffo al cuore al ricordo di come l’aveva guardata quando aveva estratto dalla tasca la scatola che conteneva la fiamma. Quello sguardo l’aveva distrutta più di qualunque parole le era stata detta. Non capiva, non riusciva a capire perché, dopo tutto quello che avevano passato assieme, lui l’avesse guardata in quel modo. 

Tentò di pulirsi nuovamente le lacrime, si lasciò sfuggire unsingulto e un lieve sospiro colmo di dolore. Chiuse gli occhi tentando di non pensare, nel vano tentativo di dimenticare la sofferenza che le pesava nel cuore. 

 

Si svegliò di soprassalto alcune ore dopo, sorpresa di essersi addormentata, sentiva gli occhi gonfi dal pianto, la mente intorpidita. Sbattè gli occhi un paio di volte scrollando la testa nel tentativo di schiarirsi la mente. Si mise a sedere e nello stesso istante lo notò.

Era appoggiato con la spalla allo stipite della porta, il fucile a tracolla, uno sguardo serio in volto. Indecifrabile per lei che credeva di conoscerlo bene.

Raven?” chiese Clarke spezzando il silenzio fra loro.

“Sta dormendo di sopra, anche Roan credo. Emori e Murphy sono alla rimessa, hanno trovato parecchia roba interessante da portare con noi ad Arkadia, altra la porteremo più avanti si ci riusciremo. Sono venuto a prendere qualcosa da mangiare prima di tornare fuori, l’isola è grande.

“È così che sarà fra noi?” chiese di getto Clarke ferita dalla freddezza nelle parole di Bellamy ma lui non disse niente.

“Ho sbagliato a prendere la fiamma ma…” lasciando in sospeso la frase conscia che le sue motivazioni erano del tutto personali. 

“Non puoi accusarmi di tutto Bellamy” tentò di nuovo Clarke

“Non lo sto facendo, quello lo stai facendo tu Clarke come il farti carico di ogni cosa” rispose il ragazzo fissandola negli occhi.

“Ed è stato sbagliato anche questo vero, ho sofferto per voi, ho tentato di trovare una strada per salvarci tutti e ora tu mi guardi come se avessi commesso i peggiori crimini.” Rispose con veemenza Clarke.

Lui scosse la testa a quelle parole. 

“Molte delle cose che hai fatto Clarke le abbiamo fatte insieme, non dimenticarlo.” replicò Bellamy con una smorfia infastidita dipinta sul viso “E stiamo entrambi venendo a patti con ciò che abbiamo dovuto compiere.”

Clarke scosse il viso confusa “E allora, cosa ho fatto di così sbagliato al punto di trattarmi come hai fatto. Voglio bene a Raven  e non le avrei mai fatto intenzionalmente male, la fiamma che ho portato con me ci sta risparmiando tempo, ci siamo sempre fidati l’uno dell’altro, cosa ho sbagliato da meritarmi il tuo disprezzo.”

Ora la ragazza era in piedi pronta a fronteggiarlo ma lui sembrava completamente indifferente al suo sfogo e alle sue domande. 

“Tutti abbiamo sofferto Clarke” disse  “Tutti abbiamo sbagliato, ma tu ci hai dimenticato, hai dimenticato cosa significa essere una famiglia, hai dimenticato cosa significa esserci l’uno per l’altro” concluse Bellamy con tono monocorde, poi si girò e si incamminò verso l’uscita principale prima che Clarke potesse scorgere il dolore nei suoi occhi. 

 

La ragazza si lasciò cadere sul divano, confusa, ferita e arrabbiata da quelle parole. Tutto ciò che aveva fatto lo aveva fatto per tutti loro, perché Bellamy non riusciva a vederlo a capirlo. 

Aveva forzato Lexa affinchè cambiasse e non uccidesse lui e gli altri dopo il massacro dei 300 guerrieri, erano stati i suoi tentativi di salvare la sua gente che avevano portato Lexa alla morte. 

A quel pensiero sentì le lacrime pungerle gli occhi. Forse solo lei aveva compreso a pieno la solitudine in cui aveva vissuto quando si era fatta carico della sicurezza della sua gente. 

Lei sapeva cosa significava sacrificare se stessa per il bene di tutti. Bellamy questo sembrava non capirlo, non volerlo accettare eppure era stato accanto a lei quando aveva dovuto tirare la leva a Mount Weatherper salvare i loro amici.

Era stato accanto a lei quando era entrata nella City Of Light. Insieme avevano deciso che le regole per tutti i ragazzi le avrebbero stabilite loro. Era stata lei a prendere il coltello dalle sue mani quando avevano dovuto uccidere Atom moribondo dopo che era stato investito dalla nebbia acida. Lui non aveva dovuto guardare gli occhi di Finnmentre gli toglieva la vita per sollevarlo dalle sofferenze della tortura che i grounder gli avrebbero inferto. 

Lei aveva sacrificato tutta se stessa per ognuno di loro, perché lui non riusciva a vederlo? Si chiese angosciata.  

Eppure aveva sempre creduto che lui capisse, riuscisse a vederla in tutte le sue fragilità, uno lo specchio delle sofferenze e delle decisioni dell’altro riflettè delusa. Perché non era così? Li aveva dimenticati, si disse ricordando le parole di Bellamy, eppure loro erano il motivo di tutte le decisioni sofferte che aveva preso e di ogni suo tormento. 

 

Raven aprì gli occhi ma li richiuse subito dopo, la luce brillante del sole che entrava dalla finestra illuminava l’intera stanza. La ragazza si rese conto che, appena raggiunta la prima camera che aveva trovato, si era lasciata cadere sul letto distrutta dalla stanchezza e ora si rese conto di essere ancora vestita. Riaprì gli occhi cercando di abituarli alla luce. Il corpo indolenzito dalle ore di sonno e la mente intorpidita dalla morfina ancora in circolo. 

Ci vollero diversi minuti prima che riuscisse a capire cosa erasuccesso le ore precedenti, ricordò prima Bellamy che le faceva l’iniezione poi la notte passata sui terminali. La mano corse subito alla tasca del giaccone in cerca della scatolina contenente la fiamma. 

La presenza di quella piccola scatola la rassicurò, ero certa di poter trovare una soluzione, doveva crederci altrimenti sarebbe stata l’ennesima partita persa. 

Guardò fuori dalla finestra, attorno solo il verde degli alberi. Quel mondo ormai era la loro casa e non voleva perderla per sempre.

Con decisione scese dal letto, avrebbe messo qualcosa sotto i denti e avrebbe fatto vedere a quella stronza di ALIE cosa era in grado di fare. Sorrise soddisfatta a quel pensiero s’ incamminò verso la cucina al piano terra.

La casa era silenziosa, forse tutti erano in giro, Bellamy le aveva promesso che nessuno l’avrebbe disturbata e cercava sempre di mantenere le sue promesse. Sorrideva quando entrò in cucina ma il sorriso le morì sulle labbra quando vide Clarke accanto ad una delle finestre.

Fra le mani una tazza, il suo sguardo perso nel vuoto. Raven non era certa di poterla affrontare dopo quello che era successo quella mattina. Non voleva vedere nei suoi occhi uno sguardo di accusa o peggio di pietà.

Poi si fece forza ed entro nella stanza. Clarke si girò al suo ingresso, le fece un cenno di saluto ma fra loro calò un silenzio imbarazzato. 

Il meccanico si avvicinò alla penisola e si sedette pesantemente su uno degli sgabelli. 

“Vuoi mangiare qualcosa, ti abbiamo tenuto da parte il pranzo” disse Clarke con un filo di voce, chiaramente impacciata dalla situazione.

Raven annuì e lasciò che Clarke le portasse gli avanzi del pranzo. 

Senti, scu..”

“Scusa”

Entrambe scoppiarono a ridere e parte dell’imbarazzo si sciolse.

“Chi parte?” chiese quindi Raven con un mezzo sorriso mentre affrontava una specie di spezzatino che Clarke le aveva messo davanti.

“Scusami, se l’avessi saputo, se me ne fossi accorta avrei portato ciò che era necessario.” Cominciò Clarke sporgendosi verso di lei con la speranza che vedesse la sua sincerità “Sono mortificata, avrei dovuto fare più attenzione ma, con tutto quello che stava succedendo, dopo che ti avevamo liberato da ALIE ogni cosa ha cominciato a correre e non riuscivo a pensare, dovevo solo agire e poi sono arrivati le centrali..” continuò Clarke tutto d un fiato. 

“Calma Clarke” la interruppe Raven con un mezzo sorriso “non potevi saperlo, solo Abby sapeva a che punto ero arrivata” disse.

Raven rimase a fissare il boccone sulla forchetta “Sai, prima che mi esonerasse dal lavoro, tua madre ogni tanto mi dava sottobanco qualcosa” disse alzando gli occhi verso Clarke. 

Vide che la ragazza la osservava sbalordita da quelle parole “Molto prima di ALIE i dolori erano già molto forti” cominciò a raccontare il meccanico “Ho sempre tentato di gestire il dolore ma, a volte, mi faceva impazzire e Abby interveniva fino a quando non è stato più possibile.” continuò mentre con la forchetta disegnava strani disegni sullo stufato “Quando abbiamo deciso di partire per venire qui avevo paura di non farcela, di non essere in grado di fare ciò che dovevo e beh” incerta su come continuare “credevo che la morfina mi avrebbe aiutato” concluse Raven guardando Clarke con sguardo colpevole. 

Fu un istante poi si senti avvolgere in un abbraccio a cui seguirono delle parole sussurrate “ Mi dispiace, è stata anche colpa mia, se me ne fossi resa conto avrei portato dietro l’intera farmacia di Arkadia”  disse Clarke.

Raven la strinse ancora con più forza. “Lo so che l’avresti fatto!” rimasero abbracciate per alcuni istanti poi si separarono. 

Un sorriso sincero sui loro visi.

“Comunque credo che solo Bellamy si sia reso conto di come stavo!” disse poi Raven, anche se l’immagine del grounder che l’aiutava le passo per un’istante davanti agli occhi. Sentì le gote infiammarsi a quel pensiero poi vide lo sguardo di dolore negli occhi di Clarke al nome di Bellamy e fu dispiaciuta per lei.

“Sai come è fatto, si preoccupa per noi! Non voleva essere così duro, sai che lo fa perché ci tiene a te” disse Raven sperando di risollevare l’umore dell’amica ma vide il suo sguardo farsi ancora più cupo. 

“Non è solo quello Raven” disse Clarke in un sussurro “mi sembra di non riconoscerlo” concluse cupa.

Raven non sapeva cosa dire, come farle capire chi era diventato Bellamy Blake durante la sua assenza, quanto entrambi fossero cambiati.

“Clarke ascoltami” disse, poi aspettò che la ragazza alzasse gli occhi per continuare. “Quando tu hai deciso di andartene..no Clarke aspetta, non ti sto accusando, abbiamo capito tutti il perchè” disse Ravenvedendo lo sguardo colpevole che era passato negli occhi della ragazza. “sto solo cercando di spiegare cosa ha significato per lui e perché oggi abbia reagito così”  Raven  vide Clarke aprire la bocca per parlare poi la richiuse, si sedette nello sgabello accanto a lei e aspettò. 

Il meccanico si ritrovò ad annuire vedendo quel gesto. Spostò il piatto che aveva appena toccato e cominciò a parlare. “Bellamy è stato fondamentale per permettere al campo Jaha di trasformarsi in Arkadia e con tutti noi che siamo arrivati fra i primi sulla Terra era come un fratello maggiore. Se avevamo qualche problema era lui che chiamavamo, era sempre presente per noi. Non sai quante volte ha tirato fuori Jasper da una rissa perché era troppo ubriaco o lo ha accompagnato di peso nella sua stanza perché non riusciva a stare in piedi. Aiutava Lincoln negli addestramenti e aveva sempre una parola buona con tutti noi ma, il suo pensiero costante, ogni volta che usciva in perlustrazione, eri tu.

Vide Clarke spalancare gli occhi a quelle parole. “Aveva paura che ti stessi punendo troppo per tutto quello che era avvenuto a Mount Weather, si sentiva colpevole per averti lasciato andare poi ti ha trovata.” Per un’istante Raven si fermò, il pensiero ritornò all’esplosione e come Bellamy e gli altri erano ritornati da Polis. “Senti” disse poi cercando un modo per calibrare le parole “Bellamy è corso da te la notte dell’esplosione di Mount Weather pensando tu fossi in pericolo, ha abbandonato Gina per te, si era fidato di una grounder e quando è arrivato lì….”

 

Clarke non aveva bisogno di sapere il resto, era presente ma ora, vedeva le cose da una prospettiva diversa. “Bellamy mi ha visto prendere il ruolo di ambasciatrice del 13 esimo clan, avevo giurato fedeltà alla persona che ci aveva tradito e quando mi ha chiesto di tornare a casa con lui ho scelto di restare” concluse dicendo ciò che stava per dire Raven

Il meccanico annuì “Clarke, non farti una colpa per ciò che hai fatto, eri sicura che quella fosse la strada giusta e grazie a te siamo riusciti a distruggere la City of Light, hai salvato Arkadia quando Lexa voleva massacrarci dopo la morte di quei 300 guerrieri ma, ricordati che anche Bellamy ha fatto tutto quello che ha fatto per proteggere ognuno di noi, per lui ormai siamo una famiglia.” Concluse Raven.

Clarke sentì un peso nel cuore a quella parola, famiglia, la stessa che Bellamy aveva usato con lei.

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Capitolo 16
*** XVI ***


Capitolo 16

 

Raven lavorò tutta il resto della giornata e gran parte della notte, aveva dormito poche ore per potersi rimettere al lavoro. Nessuno l’aveva disturbata, ogni tanto aveva sentito la presenza di qualcuno degli altri dietro di se, Clarke o Bellamy forse le avevano portato qualcosa da mangiare, si ricordava di aver ringraziato e forse detto qualcosa ma tutta la sua attenzione era diretta ai monitor e a ciò che stava scoprendo. Aveva persino dovuto rassicurare più volte Clarke che stava bene. 

ALIE 2.0 aveva funzionato ed era riuscita ad aggiornare il vecchio programma, quando al posto di Becca vestita in rosso era apparso il suo ologramma vestito come una grounder aveva tirato un sospiro di sollievo e, come aveva sperato, la nuova Becca l’aveva aiutata nell’elaborazione di tutti i dati che servivano e forse aveva trovato una soluzione.

Finalmente tutto era pronto. Sorrise soddisfatta, Becca l’aveva aiutata a ottenere del tempo che pensavano di non avere. 

Si alzò sentendo ogni giuntura e la gamba farle male ma il suo unico obiettivo in quel momento era parlare con gli altri e partire per Polis il prima possibile. Le notizie che le aveva dato Monty lo preoccupavano. 

Guardò l’ora, era mattina inoltrata e, per un’istante, si chiese se sarebbero riusciti a partire in giornata.

Superò la porta a pannello persa nei suoi pensieri e si scontrò contro un …muro.

Si rese conto subito che in realtà era andata a sbattere contro Roan, solo lui aveva quella corporatura così massiccia e, in quel momento, la stava trattenendo fra le sue braccia.

Si scostò subito come se quel contatto l’avesse bruciata. Le ci volle un attimo in più per accorgersi che era a torso nudo e il suo sguardo si perse ad osservare i muscoli scolpiti del guerriero e le goccioline d’acqua che lasciavano una scia sulla sua pelle.

Alzò lo sguardo seguendo una di quelle scie fino a quando notò i capelli ancora bagnati del grounder, i suoi occhi si alzarono ancora sfiorando le sue labbra dove si soffermarono un po’ troppo.

“Ti piace ciò che vedi?” sentì le parole di Roan ma il suo sguardo ci mise un po’ per staccarsi dal sorrisino divertito che si era dipinto sulla bocca del guerriero.

“Hai appena fatto la doccia?” si ritrovò a dire Raven umettandosi le labbra.

“A volte capita” rispose scoppiando a ridere il grounder.

Raven sentì le guance in fiamme, sviò subito il suo sguardo imbarazzata.

“Dove sono gli altri?” chiese quindi per uscire da quella situazione scomoda “Ho trovato ciò che stavamo cercando” disse guardandolo in viso. Il guerriero divenne subito serio “Bellamy è fuori con Murphy a caccia, Emori e Clarke stanno facendo l’inventario delle cose qui in casa per vedere cosa può tornare utile ad Arkadia

Raven annuì “Cercherò le ragazze e tu, se puoi” disse mentre il suo sguardo veniva nuovamente calamitato dai pettorali del grounder “chiama i ragazzi, ci vedremo in cucina” 

Roan fece un cenno d’assenso “Prima però mi andrò a vestire, se posso!” disse il grounder lasciando che nuovamente un sorriso divertito si dipingesse sul suo volto. Poi prima che lei potesse rispondere a tono si girò per incamminarsi lungo il corridoio. Solo in quell’istante Raven notò le cicatrici che deturpavano la schiena del grounder chiedendosi cosa fosse successo. Scosse il viso e si avviò in cerca di Emori e Clarke.

 

 

Clarke si spazzolò i pantaloni sporchi di polvere, non che quella cosa fosse molto utile visto lo stato in cui erano ridotti i suoi abiti. Girò lo sguardo verso Emori che in piedi poco distante era coperta come lei da alcune ragnatele. Avevano trovato quello sgabuzzino nel sotterraneo qualche ora prima ed era una vera e propria miniera d’oro. Detersivi, oggetti per l’igiene personale e materiale per le pulizie. Cose scontate nel passato ma una vera ricchezza in quello in cui loro vivevano. 

“direi che abbiamo finito anche qui” disse Clarke alla grounder mentre chiudeva una cartellina dove aveva inventariato tutto. Emoriannuì con un sorriso soddisfatto. “ora cosa ci manca?” chiese quindi scostando alcune ragnatale che erano rimaste impigliate fra i capelli.

“Avevamo deciso con gli altri di controllare se per caso troviamo un ingresso per la soffitta, ci sono degli abbaini sul tetto ma nelle stanze non si vedono!” 

Emori annuì poi si fermò ad osservarla pensierosa. Clarke la guardò confusa “Qualche ragno fra i capelli” chiese toccandosi subito la testa. La grounder scosse il capo “Non pensavo fossi così!” disse poi la grounder. La ragazza era ancora più confusa da quelle parole “ in che senso?” chiese.

“Murphy mi aveva detto che hai la tendenza a comandare e basta poi ti fai coinvolgere anche quando hai la possibilità di restarne fuori e poi trascini tutti nei tuoi danni ” disse Emori senza rendersi conto dell’impatto di quelle parole.

Clarke spalancò gli occhi sbalordita pensando allo stesso tempo che fosse tipico di Murphy quel commento. 

“Comunque” continuò Emori incamminandosi verso le scale che davano al piano terra “mi sembra che tu te la stia cavando bene visto quello che ti è capitato

Clarke cercò di rimanere al passo con la grounder, incuriosita da quella conversazione che mai  si sarebbe immaginata di fare con lei.

“Sembravi distante all’inizio ma credo che fosse solo perché dovevi ancora metabolizzare tutto quello che ti era successo” concluse Emori  sorridendole. Clarke ricambiò il  sorriso frastornata da tutte quelle parole, non aveva mai immaginato che la ragazza di John fosse così loquace e quel pensiero ne portò un altro con se che la rabbuiò: prima non si era mai data l’occasione, nemmeno dopo che aveva distrutto la City of Light, di conoscere Emori

Continuò a rimanere in silenzio fino a quando non raggiunsero l’atrio principale poi si voltò verso la ragazza “sentì io ho bisogno di prendere un po’ d’aria” Emori annuì “io intanto provo a vedere com’è la situazione di sopra.

 

Clarke oltrepassò le porte dell’ingresso principale e si incamminò sulla strada che portava al faro, forse una camminata le avrebbe schiarito le idee.

Da quando aveva parlato con Raven si era chiesta quando tutto fosse cambiato e perché lei non se ne era accorta. Aveva osservato come Bellamy interagiva con gli altri, i sorrisi e le chiacchiere con Emori, che aveva cominciato a parlare di se e della sua gente, le battute ironiche che si scambiava di continuo con Murphy o i discorsi con Roan sull’isola, le perlustrazioni. Discorsi che lei non aveva mai seguito con interesse ma che avevano permesso ai due di cementare la loro amicizia basata già sul rispetto reciproco. 

Si rese conto che il Bellamy che vedeva era lo stesso che sin dal loro atterraggio era stato il punto di riferimento per i ragazzi più di quanto lo fosse mai stata lei. 

Con un tuffo al cuore si rese conto che tutto quello che era riuscita a fare, lo aveva fatto grazie a Bellamy. Sin dall’inizio erano stati uno a fianco all’altro nel prendere le decisioni per tutti eppure, ad un certo punto, qualcosa era cambiato e lei si era appoggiata a lui ogni volta che doveva risolvere un problema sapendo che lui ci sarebbe sempre stato per lei. 

Quando avevano smesso di camminare uno a fianco all’altra si chiese Clarke cercando di ricordare. Scosse il capo infastidita, comprendendo finalmente perché Bellamy fosse stato così deluso dal suo comportamento con Raven e che gli avesse nascosto il fatto di aver portato con se la Fiamma. 

Bellamy si era aperto con lei facendole capire che lui voleva esserci per lei, camminare al suo fianco, condividere il peso delle sue responsabilità. A quella parola Clarke si bloccò conscia di ciò che il ragazzo avesse voluto dirle. 

Crollò sulle sue gambe e sentì le lacrime scorrerle sulle guance, un lacerante peso nel cuore. La sua mente corse lontano, alla pira funebre di FinnLexa accanto a lei che le raccontava di Costia, della solitudine del ruolo di leader di quanto l’amore fosse pericoloso perché significava essere debole.

Love is weakness.

 

Lei aveva creduto a quelle parole, aveva avuto bisogno di credere che quello fosse l’unico modo per salvarsi, per ignorare il dolore che sentiva per Finn, doveva farsi carico del peso del suo ruolo per non permettere più a se stessa di soffrire. Si rese conto che era questo che l’aveva spinta verso Lexa

Una solitudine che incontrava un’altra solitudine ma lei non era mai stata sola, lei aveva avuto attorno a se Bellamy, OctaviaMontyRaven, Jasper, Haper, Lincoln, Nathan e persino Murphy oltre a sua madre e Kane. Li aveva dimenticati per scivolare nell’oblio che l’amore di Lexa le offriva sebbene nella parte più profonda della sua anima fosse conscia che quell’amore non sarebbe mai potuto essere totalizzante, assoluto e vero come lo aveva visto negli occhi di Lincoln e Octavia o persino in quelli di John ed Emori o Kane ed Abby. Non avrebbero mai potuto camminare l’uno a fianco dell’altra sostenendosi a vicenda perché il suo popolo si sarebbe sempre messo in mezzo come era avvenuto quando l’aveva tradita a Mount Weather.

Clarke urlò con tutte le sue forze, lasciando che il dolore per quell’amore ormai perduto si librasse nell’aria. 

Non vide gli stormi di uccelli volare via al suo grido o l’ Ice King che si fermava e si allontanava dal sentiero per lasciarle quel momento di intimità in cui la sua anima era stata finalmente messa a nudo.

Continuò ad urlare fino a quando non ebbe più voce, fino a quando il suo dolore divenne solo un rumore sordo di sottofondo, fino a quando un'altra cicatrice ormai guarita non si formò sul suo cuore.

Non seppe per quanto tempo rimase immobile in quel luogo, lungo quella strada tortuosa in mezzo ai pini.

Ad un certo punto si alzò, i suoi occhi limpidi segnati da una nuova fermezza diedero un’ultima occhiata al sentiero che portava al faro, poi si girò e si incamminò per tornare alla casa, per tornare dalla sua famiglia, per tornare a vivere con la consapevolezza di poter amare ancora, non ora ma un giorno. 

 

NOTA: e finalmente Bye bye Lexa…direi che 16 capitoli di lutto sono stati più di quanti gli sceneggiatori ne hanno dedicati a Finn. Sono stata brava veroAhahaha….e voi soprattutto pazienti :P

 

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Capitolo 17
*** XVII ***


Capitolo 17

 

Guardava fuori dalla finestra senza staccare lo sguardo dalla strada da dove Clarke sarebbe dovuta arrivare, non riusciva nemmeno a capire quanto tempo era trascorso da quando Roan lo aveva costretto a rientrare e si era messo di posta accanto alla finestra.

Tutti stavano aspettando solo lei ma, nessuno osava chiedere nulla al guerriero, una strana atmosfera di attesa serpeggiava fra di loro. 

Era cominciato tutto quando Roan era venuto a chiamarli dicendo che Raven aveva delle buone notizie, entrati in casa Emori e Ravenavevano detto loro che Clarke era usciti e si erano divisi per cercarla. 

Ad un certo punto Bellamy aveva sentito un urlo provenire dalla strada lungo il faro, il suo cuore si era fermato poi non aveva pensato più a nulla se non che Clarke fosse in pericolo e lui non era là con lei come le aveva promesso. 

Non era riuscito a tagliare fra la vegetazione troppo fitta e aveva preso la strada, superata una curva quell’urlo lacerante si era ripetuto, aveva accelerato il passo, stava superando l’ennesima curva di quel maledetto sentiero quando aveva visto il guerriero dell’ Ice Nationvenirgli incontro. Era tranquillo ma Bellamy non voleva fermarsi lo aveva superato ma quello lo aveva bloccato “Ha bisogno di stare sola” gli aveva mormorato ma lui non poteva credergli

Aveva tentato di svincolarsi ma la morsa del Guerriero sul suo braccio era diventata ancora più ferrea. Bellamy si era girato verso di lui con l’intenzione di tirargli un pugno se fosse stato necessario ma l’uomo aveva scosso la testa, il suo sguardo serio mostrava la decisione di chi era pronto ad usare la forza pur di fermarlo. “Ha bisogno di solitudine” aveva ripetuto 

Bellamy aveva tentato di parlare ma Roan l’aveva interrotto nuovamente “Tu meno di tutti dovresti andare da lei

Quelle parole erano state un pugno allo stomaco per lui e, ora, si ritrovava a guardare fuori da quella maledetta finestra con la speranza che lei arrivasse, di poterle andare incontro e guardarla negli occhi per sapere che stava bene. Per quanto tentasse in tutti i modi di prendere le distanze da lei, non riusciva a farlo, sapere di averla fatta soffrire gli lacerava l’anima e, si chiese, se mai sarebbe riuscito a superare tutto ciò oppure sarebbe stato più semplice abbandonarsi a lei a quel legame che lo stava avviluppando sempre di più.

Con quel pensiero che ormai non riusciva a togliersi dalla testa si scostò dalla finestra e raggiunse gli altri.

 

Clarke rientrò a casa nel tardo pomeriggio, ci aveva messo molto, aveva vagato un po’ fra gli alberi cercando di ritrovare un minimo di presentabilità e di coraggio di affrontare gli altri.

Quando fece il suo ingresso nella sala comune tutti gli occhi si puntarono su di lei, vide subito del sollievo e qualche sorriso come se, averla finalmente lì di nuovo li avesse rasserenati, per lei fu un sollievo e sentì il calore di averli attorno. 

Il suo sguardo corse a Bellamy e quando i loro occhi si incontrarono lui annuì e le sorrise lievemente, contento di vederla, eppureClarke si rese conto che nel suo sguardo c’era qualcosa di diverso o, era lei che ora era diversa? Si chiese per un istante.

Le sue riflessioni furono interrotte però dalle parole di Raven.

“Ora che ci siamo tutti, anche se con parecchio ritardo, è il caso di cominciare a parlare di cosa possiamo fare per evitare il disastro nucleare!” disse il meccanico sorridendo conscia che quelle parole potevano dare speranza a tutti loro.

“Quindi non moriremo..” “ALIE aveva mentito” “cosa dobbiamo fare..” Venne subissata dalle voci degli altri che volevano sapere ogni cosa, sorrise nella loro direzione e aspettò che la smettessero di parlare, cosa che avvenne poco dopo.

“Allora, prima di tutto” cominciò la ragazza cercando di riordinare i pensieri visto tutte le informazioni che doveva dare “ALIE aveva ragione…” vide i ragazzi allertarsi perplessi a quelle parole “ma, non aveva preso in considerazioni il fatto che noi avremmo cercato una soluzione” disse soddisfatta. 

I ragazzi apparivano ancora più confusi di prima e quindi Raven si sbrigò a spiegare ciò che aveva scoperto “ALIE 2.0 o Becca, come ormai mi piace chiamarla, mi ha aiutato ad elaborare i dati di ALIE e abbiamo scoperto che esistono attorno ai nostri territori, ma non solo, una serie di centrali nucleari che, si, se lasciate senza alcuna manutenzione potrebbero nei prossimi mesi o nel lungo periodo esplodere ma, se prese in tempo, come noi faremo, ci permetteranno di diminuire in maniera considerevole per almeno qualche anno l’impatto delle radiazioni su di noi” Ravenaspettò un istante aspettando che i ragazzi cogliessero le implicazioni di quelle parole. 

“Quindi stiamo solo rimandando l’ineluttabile” disse John decisamente infastidito da quella notizia.

“No” rispose subito Clarke, la sua mente stava già elaborando le informazioni che aveva dato loro. “tu vuoi creare una reazione a catena opposta a quella ipotizzata da ALIE, cercare di evitare che le centrali più vicine a noi e anche le altre esplodano per diminuire l’impatto delle radiazioni e permetterci di raggiungere quel 4% di Terra che non sarà contaminata

Raven sorrise annuendo “Si e no, in realtà” disse “ Con Becca abbiamo elaborato anche molto altro che ci potrebbe permettere di non dover migrare e affrontare di petto le radiazioni. Ma, in quel caso, avremmo bisogno dei Clan” disse il meccanico lanciando uno sguardo al guerriero che, come sua abitudine stava leggermente in disparte.

“Quando Becca è scesa sulla Terra, si iniettò il siero e ne portò con se una certa quantità che distribuì al maggior numero di persone con la speranza di poter far fronte, fra le altre cose, al problema delle radiazioni. Sulla Terra scoprì che una fetta di popolazione aveva retto alle radiazioni in maniera inaspettata e che le mutazioni genetiche erano minori di quanto si aspettasse, il siero da lei portato non ha fatto altro che rafforzare delle linee di sangue rendendoli ancora più forti.

“Ma non tutti sono Nighblood” intervenne Clarke “non c’è una regola per cui essi nascano così

“È stato tentato di individuarne la fonte e come renderlo ereditario, ma nulla” confermò Raon

“Perché la manifestazione visiva del sangue nero è una deviazione recessiva delle modifiche genetiche che il siero ha portato alla popolazione” rispose Raven notò però gli sguardi perplessi dei ragazzi. 

“Vediamo se posso spiegarlo in maniera più semplice – Le popolazioni sopravvissute alla guerra dimostravano già di avere delle caratteristiche genetiche in grado di reggere bene alle radiazioni visto cheerano ancora vivi all’arrivo di Becca dopo solo tre anni dalla guerra. Il siero iniettato a una buona fetta di popolazione ha reso le tribù ancora più forti, infatti i casi di bambini nati con deformazioni stanno, di generazione in generazione, diminuendo” Raven volse a quel punto lo sguardo verso Emori sperando che lei confermasse le sue parole vide la ragazza annuire. “Ed è stato proprio questo elemento del sangue che ha attratto gli uomini di Mount Weather che hanno cominciato a dare la caccia ai grounder per il loro sangue.”

“Quindi tutti potrebbero prendere la Fiamma” si intromise Clarke cercando di capire le implicazioni del discorso fatto da Raven ma vide la ragazza scuotere il capo.

“Il sangue nero possiamo vederlo come un elemento bonus nella lotteria della genetica e rappresenta la manifestazione del mix genetico adatto per accogliere la Fiamma come in effetti è stato fatto per generazione ad ogni assegnazione del commander.”

Tutti rimasero in silenzio per un istante.

“Non capisco come questo ci possa aiutare, ci stai dicendo che le tribù potrebbero avere la possibilità di sopravvivere alle radiazioni” disse Bellamy “ma per quanto riguarda noi?” chiese.

“Secondo le proiezioni elaborate con Becca le tribù potrebbero vivere, ma le probabilità, per ora, sono attorno al 30% per loro e sotto il 10% per noi ma, se noi potessimo analizzare e mappare le linee di sangue grounder potremmo creare un siero in grado di aumentare notevolmente le percentuali di sopravvivenza di tutti.”

“Ma non abbiamo i mezzi per fare quello che chiedi” disse Clarke

“In realtà sì, abbiamo sia le conoscenze che i mezzi” rispose Ravenlasciando in sospeso un’istante la frase “A mezza giornata di viaggio da Polis, verso le montagne, c’è una laboratorio militare. Prima della guerra facevano esperimenti e ricerche di biogenetica” Disse Raven sganciando la bomba. Tutti cercarono di metabolizzare le sue parole.

“Come l’hai scoperto?” chiesa Clarke cercando di superare la sorpresa.

“Beccai server in questa casa contengono dati di ogni genere, immagini satellitari con l’esatta posizione di basi militari e molto altro e lei mi sta aiutando a trovare tutte queste cose e come affrontare i problemi specifici delle varie centrali.” disse Raven guardandoli sorridendo poi il suo sguardo cadde sul volto del guerriero scuro in viso.

“Quindi stai dicendo” cominciò Clarke senza essersi accorta dello sguardo di Roan “che potremmo creare un siero che ci possa coprire dalle radiazioni grazie al sangue grounder e nel frattempo mandare dei tecnici per cercare di gestire l’emergenza e, tutto questo ci darebbe tempo e la possibilità di sopravvivere!” 

“Dipende da cosa diranno i clan” mormorò a quel punto Bellamy scrutando il guerriero dell’ Ice Nation con attenzione.

Nessuno parlò per diversi istanti consci di tutte le implicazioni del discorso fatto da Raven con il ricordo, in molti di loro, di ciò che era avvenuto a Mount Weather

“Credo che la cosa migliore, per adesso è tornare ad Arkadia, così tu” disse Bellamy voltandosi verso Raven “potrai continuare a lavorare e, nel frattempo, vedremo come è la situazione a Polis e con i clan, forse” disse pensieroso ci aiuterebbero..”

Il visto di Raven si adombrò e scosse il capo “Non possiamo andare ad Arkadia, non adesso” disse. Tutti gli occhi si concentrarono su di lei e compresero che c’era qualcosa che non aveva detto.

“Oggi ho sentito Monty per avvertirlo che avevamo trovato quello che cercavamo e che saremmo tornati presto ad Arkadia ma lui mi ha detto che la situazione a Polis sta degenerando” si lasciò sfuggire un sospiro sconfortato “Luna è arrivata due giorni fa ma  quando si è scoperto che la fiamma era scomparsa, un malumore che era stato tenuto a freno è sfociato in tumulti, molti clan hanno abbandonato Polis e…” questa volta Raven non aveva la forza di continuare a parlare perché non sapeva più cosa dire. 

Aveva percepito dalle parole di Monty che la situazione era molto grave e sapere che la fiamma non esisteva più, per come l’avevano sempre conosciuta, lo aveva preoccupato. Non aveva chiesto nulla ma il suo silenzio era stato eloquente. Raven aveva dovuto usare tutta la sua forza di persuasione per rassicurarlo e per chiedergli di non dire ancora nulla ad Abby a Kane, non prima di averne discusso con gli altri. 

Ora si trovavano lì e dovevano risolvere un problema ancor più immediato delle centrali e, cosa peggiore, ogni giorno che avrebbero perso tentando di risolvere quel problema avrebbe reso più difficile gestire la minaccia nucleare. 

“Si sa quali clan hanno abbandonato l’assemblea?” chiese Clarke preoccupata.

Raven scosse il capo.

“Dobbiamo tornare a Polis questo è certo” rispose Bellamy.

“Una volta lì dovremmo trovare un modo per trovare un punto comune fra tutte le tribù” continuò Clarke seguendo il filo di pensieri di Bellamy.

“E chi sarà la vittima che dovrà dire che Pufff” si intromise Murphy muovendo le mani come un prestigiatore “la fiamma è sparita?”

“Cercheremo di far capire loro cosa ci ha spinto a fare quella scelta” tentò Clarke ma Roan la interruppe parlando per la prima volta “I clan, la gente non capirà, non tutti. Non capiranno le vostre parole, vedranno in voi coloro che hanno distrutto il loro mondo e, conoscono solo un modo per reagire alla minaccia che rappresentate” disse Roan.

“La guerra” sussurrò Bellamy consapevole della verità di quelle parole. 

Ma non possiamo permettere questa guerra, è insensata” ribattè Clarke.

“Come per loro sarà insensato sentir parlare di centrali nucleari e di tutte quelle cose che Raven ha detto” rispose Raon

QuindiCosa proporresti?” chiese Clarke “Uccidere tutti quelli che si metteranno contro di noi?” 

“Se sarà necessario sì!” rispose Roan deciso, mostrando il volto del guerriero che non aveva mai smesso di essere da quando erano partiti.

“Ma non possiamo farlo! Non potrei mai farlo! Non voglio che il sangue generi altro sangue, non voglio che la violenza generi altra violenza” urlò quasi Clarke, i suoi occhi turbati dai fantasmi del passato.

“Quando ho preso la decisione di lasciare la Fiamma a Raven” disse Roan senza mostrare alcun turbamento alle parole di Clarke “sapevo che questo sarebbe potuto accadere e ora agirò di conseguenza per onorare questa decisione presa per il bene della mia gente.”

“E se io non volessi” ribattè Clarke.

“Potresti provare a fermarmi ma avresti un alleato in meno!” rispose senza battere ciglio il guerriero.

Fra i due si alzò un muro, l’atmosfera si fece subito elettrica. 

Bellamy si spostò impercettibilmente verso Clarke, cosa che non sfuggì al guerriero che si lasciò sfuggire lievissimo sorriso sarcastico.

Poi Clarke prese un respiro chiuse gli occhi un istante infine parlò.

“Quando saremo a Polis decideremo, mia madre e Kane di certo avranno pensato qualcosa e c’è anche Luna con loro”

Roan si lasciò sfuggire una smorfia ma fece un cenno d’assenso.

“Ok, quindi torniamo, come e quanto tempo ci impiegheremo?” chiese Bellamy rilassandosi a sua volta e guardando Emori.

“Prenderemo il braccio a sud del fiume, se partiremo domani mattina presto in serata saremo abbastanza vicini, poi ci inoltreremo fra le montagne a piedi fino a Polis. Se tutto va bene, dopo domani nel pomeriggio potremmo essere là

“E il Rover?” chiese Bellamy pensieroso, essere in macchina lo rassicurava e la camminata non avrebbe giovato a Raven

Ma vide Emori scuotere il capo “Ci porterebbe fuori strada, se fossimo dovuti tornare ad Arkadiacome era preventivato, saremmo passati dal percorso fatto all’andata ma, così, la strada più veloce è quella che vi ho indicato. Bellamy annuì contrariato all’idea di dover abbandonare il mezzo ma si fidava del giudizio della grounder.

“Va bene, dobbiamo prepararci a partire, se dobbiamo andare a piedidovremmo essere leggeri.”

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Capitolo 18
*** XVIII ***


Capitolo 18

 

Clarke si avvicinò alla figura poco distante al luogo dove avevano deciso di allestire il campo. 

In quel momento Bellamy gli stava dando la schiena, osservava il fiume che scorreva davanti a lui e la riva dall’altra parte, ogni tanto il suo sguardo si spostava a destra e a sinistra, il fucile imbracciato. 

Da quando avevano attraccato, Roan e Bellamy avevano cominciato a battere parte delle rive vicino al campo e l’entroterra, una prima perlustrazione mentre loro preparavano il campo per la notte. 

Fermarsi prima che facesse buio piuttosto che inoltrarsi nella foresta che li avrebbe portati a Polis significava rallentare la tabella di marcia che avevano pianificato ma, entrambi gli uomini, avevano valutato che quel luogo con il fiume alla spalle era molto più difendibile rispetto ad accamparsi in mezzo ai boschi. 

“Ti ho portato qualcosa da mangiare” disse Clarke mettendosi di fianco a lui e appoggiando su un masso la ciotola con lo stufato che Emori aveva preparato. 

Bellamy si girò e le sorrise ma, per diversi istanti non si mosse dalla sua posizione, il suo sguardo nuovamente alla sponda del fiume. Clarke come lui osservava il fiume, molti pensieri e preoccupazioni si susseguivano nella sua testa e, non ultima, la consapevolezza che quel qualcosa di ancora inespresso fra loro stesse diventando una barriera.

Durante il viaggio in barca avevano parlato poco, da quando erano partitila mattina presto avevano passato gran parte del tempo fra le cartine topografiche e altre carte che Raven aveva portato con se. Tutti si erano concentrati sulle posizioni delle varie centrali, calcolando distanze e possibili gruppi di tecnici e guardie da mandare per ogni centrale. Anche Roan aveva partecipato a quelle discussioni, cosa questa, che aveva sorpreso parecchio Clarke visto le ultime parole che si erano scambiati il giorno prima poi aveva capito: come tutti, pianificare quel futuro, significava non pensare a cosa sarebbe successo quando sarebbero arrivati a Polis. 

Ora la tensione di quella notte all’aperto con una minaccia tangibile rendeva lontani i ricordi del loro viaggio all’andata. 

“Posso fare la guardia io mentre mangi” disse.

Bellamy si girò fissandola, sembrava pensieroso e non propenso a lasciare la sua posizione di guardia. “Guarda che mi ricordo ancora ciò che mi hai insegnato” continuò Clarke con un mezzo sorriso.

La ragazza capì che anche lui ricordava quella lontana notte in cui avevano trovato i fucili e, per la prima volta, lei aveva ammesso di aver bisogno di lui. 

Erano passati solo 6 mesi eppure sembrava una vita intera. Nemmeno all’epoca si fidavano ancora completamente l’uno dell’altro eppure entrambi sapevano che avevano bisogno l’uno dell’altro. 

Forse quello fu anche il pensiero di Bellamy perché annuì e le passò il fucile prima di sedersi sulla roccia e mangiare.

Clarke imbracciò il fucile, le sembrava così estraneo, le armi non erano mai state il suo forte e, con il fucile, aveva sparato solo in quella occasione ma lo tenne stretto a se cominciando a scrutare la riva come aveva fatto Bellamy poco prima. Si rese conto che era una cosa che non aveva mai fatto prima. Non le erano mai capitati turni di guardia, di imbracciare un’arma per salvarsi la vita. Lo aveva fatto quando era da sola, quando aveva salvato Lexa da Puana ma di solito era Bellamy che aveva quel ruolo. Difendere lei e gli altri.

Gli lanciò uno sguardo di sottecchi, lui osservava i boschi concentrato. E, forse per la prima volta, Clarke si chiese come doveva essere passare ogni istante della propria vita con unarma fra le mani e la tensione di dover uccidere o ferire qualcuno per difendere se stesso e le persone che amava. Era una sensazione di cui non era mai stata consapevole conscia che, ogni volta che si era mossa o aveva viaggiato, altri la difendevano.

Lui la difendeva.

“Deve essere difficile essere sempre all’erta” si ritrovò a mormorare Clarke.

“Dopo un po’ ci fai l’abitudine” disse Bellamy osservandola.

“Cercherò di difendervi anch’io come posso” disse Clarke guardandolo con decisione.

Bellamy le sorrise “Sono sicuro che lo farai ma, ora che ho finito di mangiare, puoi lasciare che lo faccia io” disse alzandosi e riprendendo in mano il fucile.

“Presto John, Emori ed io faremo il primo turno di guardia così tu e Roanpotrete riposare dato che avete deciso di rimanere svegli per gran parte della notte” 

Bellamy annuì a quelle parole ma il silenzio fra loro non si spezzò. 

Entrambi consci l’uno della presenza dell’altro non riuscivano più a trovare le parole per comunicare fra loro. 

“Io vado allora!” mormorò Clarke prendendo la strada dell’accampamento.

Bellamy non disse nulla il suo sguardo nuovamente concentrato sul mondo che lo circondava in attesa della prossima minaccia. 

 

 

Erano ormai le quattro del mattino, l’ora più buia come la definiva qualcuno eppure Bellamy amava quelle ore della notte quando ogni cosa era più silenziosa e il lento trascorrere del tempo sembrava reale e non una continua corsa contro qualunque cosa venisse loro incontro. In quel momento si trovava accanto al fuoco dell’accampamento, le spalle al  fiume, gli occhi puntati alla foresta, il fucile accanto a se. 

Dava la sensazione che fosse svogliato nel suo turno di guardia eppure nulla gli sfuggiva. Sapeva che a una decina di metri davanti a lui, sulla sinistra, Roan mimetizzato dalla boscaglia, era di guardia. 

Da quando Raven aveva parlato delle tensioni a Polis entrambi avevano capito che Clarke poteva essere un obiettivo. I suoi rapporti con l’ultimo commander, il modo con cui aveva affrontato la City of Light e il fatto che avesse spalleggiato Luna e promosso una nuova organizzazione dei clan l’avevano resa un bersaglio ed essere stata in ultimo la Flamekeepadi certo non aiutava.

La notte sembrava tranquilla come molte altre che lo avevano già visto di guardia ma, l’improvviso brusio della radio al suo fianco. lo allertò. 

Era il segnale che lui e Roan aveva concordato nel caso ci fosse stato un pericolo in agguato. Con nonchalance lasciò scivolare la sua mano verso il fucile e lo raccolse come se l’intenzione fosse stata quella di spostarlo. Se lo appoggiò in grembo, la sicura tolta, il fiocco che teneva il coltello stretto al suo fianco sciolto. 

Sentì un rumore sordo provenire dal luogo in cui si trovava Roan e un gorgoglio, poi oltre al cerchio di luce formato dalle fiamme vide aggirarsi due figure pronte ad attaccare. 

Bellamy non pensò un istante, imbracciò il fucile e sparò alle gambe dei due guerrieri che gli venivano incontro.

Subito ne sbucarono altri, non riuscì a capire quanti fossero, si muovevano ai limiti dell’ombre. L’istante successivo l’accampamento fu pieno di grida di guerra. 

Erano sotto attacco. 

Bellamy si avventò verso il primo guerriero che sembrava puntare al giaciglio dove Clarke si era appena messa seduta svegliata dallo sparo, la stava per colpire con un accetta quando crollò addosso a lei, una freccia conficcata nella schiena e dietro di lui, stava sbucando Roan un’altra freccia già incoccata per colpire qualcun altro.

Il ragazzo si girò e vide Emori e Murphy lottare con altri due guerrieri, Raven poco distante in piedi con una pistola fra le mani stava prendendo la mira su un altro grounder che, entrato nel cerchio della luce del fuoco, stava andando a dare man forte ai due guerrieri, sparò diversi colpi e il guerriero cadde a terra. Bellamy usò il calcio del fucile per spaccare il naso al guerriero che si stava avventando contro di lui. 

Quando il guerriero per lo slancio gli venne addosso, Bellamy, con una presa lo fece volare oltre la spalla come gli aveva insegnato Lincoln, sguainò il coltello per attaccare l’ennesimo grounder che gli stava venendo in contro.

Ormai non capiva più cosa stava succedendo, non riusciva a vedere oltre la visuale dei corpi che lo stavano attaccando, nelle sue orecchie rimbombavano urla, tonfi e spari. Aveva cercato di raggiungere Clarke per difenderla ma, durante l’attacco, l’aveva persa di vista. 

Il tempo parve fermarsi fra una schivata, una parata e un affondo, sentiva accanto a lui Roan lottare e finire un avversario dietro l’altro. Lo vide affrontare due guerrieri pronti a colpire Raven e ucciderli con pochi fendenti della spada ben assestati. Ad un certo punto sentì gridare il suo nome, era Clarke, a terra, il viso sporco di sangue, un guerriero grounder incombeva su di lei. Bellamy si slanciò in quella direzione e riuscì ad atterrare il grounder prima che questo potesse sferrare il colpo. Rotolarono a terra insieme, sentì un dolore acuto alla fronte ma cercò con tutte le forze di non perdere conoscenza. 

Il guerriero grounder era sopra di lui, pronto a colpirlo, Bellamy tentò di fare leva con il ginocchio e con uno sforzo riuscì a scaraventarlo via, si guardò in giro frenetico in cerca di qualcosa per colpirlo, sentì Clarke chiamarlo e lanciargli un coltello, cadde poco distante da lui e in un unico movimento lo prese prima che lo raccogliesse il grounder, ci fu una nuova colluttazione ma Bellamy riuscì ad avere la meglio e uccidere il guerriero poi balzò in piedi pronto ad un nuovo scontro ma, la battaglia era ormai finita.

Si guardò freneticamente attorno per essere certo che tutti loro fossero salvi.

Era pieno dei corpi dei guerrieri uccisi, Roan in piedi vicino al fuoco, poi  poco oltre vide John in ginocchio che si teneva un braccio, Emoriapparentemente incolume accanto a lui. Con la coda dell’occhio vide Clarke che correva verso Raven distesa in terra. Non si interessò ad altro e corse in quella direzione. 

Quando si avvicinò si accorse che la ragazza aveva gli occhi aperti ma il viso era una maschera di dolore. Si teneva il fianco, la maglia era stracciata e una scia di sangue appiccicava il tessuto al corpo. 

Clarke le scostò con attenzione le mani poi alzò la maglia. 

Bellemy notò lo squarcio e per un istante temette il peggio, sentì le ginocchia cedere mentre guardava i lembi slabbrati della ferita poi sentì Clarke tirare un sospiro di sollievo.

“Non è molto profonda” mormorò rivolta a Raven “Ora prendo il kit medico” alzandosi per raggiungere la borsa che aveva nello zaino.

“Cazzo fa male però” rispose il meccanico con una smorfia di dolore ancora più accentuata.

“Beh significa che sei viva” rispose Bellamy sorridendo e tornando a respirare più tranquillo ma chiedendosi come fossero riusciti a rimanere tutti vivi dopo quell’attacco, il suo sguardo fu calamitato dal guerriero della nazione del ghiaccio, si stava aggirando fra i corpi, le due lame che teneva fra le mani scintillavano di sangue al riverbero del fuoco. 

Bellamy capì che, se non ci fosse stato lui, loro sarebbero stati tutti morti.

 

Roan camminava fra i corpi identificando ogni singolo clan di appartenenza, aveva contato Trikru, degli esiliati, alcuni del clan del popolo delle sabbie e anche alcuni dei suoi ma non solo. 

Vedere dei suoi guerrieri fra quelli che li avevano attaccati lo stava preoccupando e uno strano pensiero cominciava a farsi strada nella sua mente.

In quell’istante fu attratto da un lieve movimento al limitare dell’accampamento. Si diresse in pochi passi in quella direzione.

Era un guerriero dell’Ice Nation e lo conosceva, in quel momento stava tentando di strisciare verso l’oscurità della foresta, era sempre stato un codardo, pensò Roan vedendo quella figura penosa a terra.

Lo bloccò mettendogli uno stivale nella schiena.

“Adesso Torin avrai parecchie risposte da darmi” mormorò sicuro che lui avesse sentito poi fece un fischio agli altri.

Sentì subito la presenza di Blake accanto a se. “Come sta il meccanico?” chiese senza diminuire la pressione dello scarpone sul grounder.

“Clarke la sta medicando adesso, doloroso ma sta bene

Roan annuì.

“Qui abbiamo qualcuno che potrebbe darci qualche risposta” disse quindi il guerriero indicando con il mento il grounder a terra.

“Portiamolo dagli altri” disse quindi Bellamy ma Roan scosse il capo “non vorrei che Clarke poi mi obblighi a lasciarlo vivere o che non apprezzi i miei metodi.” Poi rivolgendosi al guerriero a terra continuò “Ora Torin ci dirà quello che vogliamo sapere e otterrà una morte veloce altrimenti beh, lui mi conosce, vero Torin?” 

Soddisfatto Roan notò che il guerriero annuiva freneticamente quindi tolse lo stivale dalla sua schiena e gli permise di girarsi.

“come mai eri con quella feccia del popolo delle sabbie e non solomasoprattutto perché hai osato alzare le armi contro di me, il tuo Re?” chiese subito Roan

“Tu non sei il nostro RE, tu hai appoggiato la Wanheda e il ritorno della reietta, tu hai tradito il tuo popolo, c’è una nuova Regina e lei guiderà tutti noi al mondo di prima, alle vecchie tradizioni, noi abbiamo un nuovo nightblood, un legittimo commander.”

Bellamy rimase perplesso a quelle parole ma dovevano avere un senso ben preciso per Roanlo sentì respirare profondamente, l’ira gli trasfigurava il viso e per un attimo credette che avrebbe ucciso il prigioniero seduta stante.

Stava per intervenire quando l’ Ice King parlò di nuovo.

“Alzati” ordinò a Torin. Il grounder si alzò con una certa fatica, Bellamy riconobbe nell’uomo uno dei primi guerrieri che aveva ferito.

“Ti lascio vivere” disse il Re, Bellamy stava per intervenire, dalle parole del Ice King sembrava che l’interrogatorio fosse finito e c’erano ancora molte cose che dovevano sapere ma prima che potesse aggiungere altro Roan continuò “Torna dalla tua regina, mia sorella, e dille che presto mi riprenderò ciò che mi appartiene per diritto” poi l’Ice King si voltò mostrando le spalle al guerriero ferito e si incamminò verso l’accampamento.

Bellamy rimase pietrificato alcuni istanti senza capire ciò che stava avvenendo. Guardò il grounder ferito poi Roan “Non lo possiamo lasciar andare” disse.

“So già tutto quello che dovevamo sapere” rispose l’ice King senza smettere di camminare

Nota: il 19esimo capitolo verrà pubblicato mercoledì 3 gennaio. Buon San Silvestro e che il vostro 2017 sia splendido

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Capitolo 19
*** XIX ***


Capitolo 19

 

Bellamy ripresosi dalle parole dette da Roan agguantò il guerriero ferito “Mi dispiace ma non vai da nessuna parte” lo trascinò con se verso il campo “Emori, portami una corda” urlò. Vide tutti girarsi verso di lui ma non ci fece caso, quando la ragazza gli portò una corda legò il prigioniero poi si diresse infuriato verso l’ Ice King. 

“Senti bene” disse affrontandolo “Tu non fai quello che vuoi, il prigioniero rimane finchè non sapremo tutto

Roan lo fronteggiò senza battere ciglio “Non ti dirà nulla che io non sappia già, è inutile tenerlo con noi”

“Questo lo decideremo solo dopo che mi dirai cosa sta succedendo” rispose Bellamy senza cedere. 

La tensione fra i due era papabile poi Roan fece spallucce e si allontanò cominciando a spostare i cadaveri su un lato del campo. Bellamy prese un paio di respiri e, in quell’istante, la sua vista cominciò ad annebbiarsi, si toccò il viso. Quando guardò la mano, era ricoperta di sangue.

“Prima di interrogarlo lascia che ti medichi” Bellamy sentì la voce di Clarke dietro di se. Era pochi passi dietro di lui e per un’istante si chiese quando si fosse spostata. Quando aveva chiamato Emori, Clarke stava controllando Murphy.

“Non serve, è solo un graffio, come stanno gli altri?’” chiese invece.

Raven abbastanza bene, sono riuscita bloccare il sangue ma dovrò farle dei punti, Murphy aveva solo dislocato la spalla ma ora è a posto il resto sono graffi, ora vorrei controllare te” rispose Clarke.

“Non serve” rispose testardo Bellamy “Pensa a mettere i punti a Raven

“Sono il medico e voglio essere certa che fra un momento o l’altro non sverrai o peggio, prima hai battuto con forza su una pietra” replicò decisa Clarke.

A quelle parole e vista la fermezza nello sguardo della ragazza Bellamy cedette e si sedette vicino al fuoco.

Clarke cominciò subito a pulirgli la ferita anche se il suo sguardo ogni tanto correva verso il prigioniero e poi su Roan.

“Sapevi che aveva una sorella” chiese a quel punto Bellamy.

Clarke scosse il capo “Non ho mai parlato molto con lui.”

“Voleva lasciar andare il prigioniero” continuò poi.

“Hai fatto bene a trattenerlo” mormorò Clarke, concentrata a ripulire l’interno della ferita. “Sei stato fortunato, non è niente di grave” dichiarò spostandosi leggermente da lui per prendere un cerotto “Grazie” mormorò Bellamy “Tu come stai?” 

Clarke non lo guardò impegnata ad aprire il cerotto, alzò solo le spalle “A posto e contenta che stiamo tutti bene” replicò alzando lo sguardo. 

“Grazie”

“E per cosa?” chiese Clarke perplessa.

“Beh per quello” indicando con il mento il cerotto “ e per avermi lanciato il coltello

“Te la saresti cavata lo stesso” ribattè lei.

Ma sarebbe stato più difficile” rispose lui.

“Te l’avevo detto che avrei tentato di difenderti” replicò lei lasciando che il sorriso illuminasse il suo volto.

“Allora l’hai fatto bene” disse Bellamy. 

Rimasero alcuni istanti così, sorridendosi a vicenda, consci che un piccolo lembo di ciò che era stato distrutto nel tempo era stato ricucito.

“Ora dobbiamo capire cosa volesse dire prima il prigioniero.” disse dopo un istante Clarke e Bellamy annuì.

“Lo chiediamo direttamente a lui o all’ Ice King” mormorò il ragazzo guardando il guerriero della Ice nation che aveva appena terminato di spostare i cadaveri. 

“Un confronto fra i due potrebbe essere interessante” suggerì Clarke pensierosa “Magari potremmo ottenere qualche informazioni in più”

“Non ti fidi di Roan?” 

“Mi fido di lui, ma non mi fido di come vuole farlo” rispose Clarke in un bisbiglio. Bellamy a malincuore annuì, aveva cominciato a fidarsi e rispettare l’ Ice King ma era consapevole che le settimane passate da Clarke nella corte di Polis le avevano dato la possibilità di conoscere quel mondo meglio di lui.

Quindi?” chiese Bellamy.

“Interrogheremo il prigioniero, se c’è qualcosa che Roan non vuol farci sapere lo capiremo subito” rispose Clarke con decisione poi si alzò e si diresse verso il ferito, Bellamy pochi passi dietro di lei.

“Sono venuta a curarti, ho visto che zoppichi” disse Clarke inginocchiandosi vicino all’uomo. 

“Non mi faccio curare da te, tu porti la morte!” rispose il guerriero spuntando per terra.

“Morirai comunque se la tua gamba andrà in cancrena” la sua voce e il suo viso non mostrarono alcuna apparente espressione ma Bellamy notò un lampo di dolore passare negli occhi della ragazza.

“Allora, se non vuoi le nostre cure, ti chiederemo subito perché tu e gli altri volevate ucciderci” disse Bellamy.

“Che voi viviate o meno non interessa a nessuno, lui” indicando con il mento l’ Ice King “Doveva morire” 

Entrambi rimasero perplessi da quelle parole, entrambi convinti, come tutti, che Clarke fosse l’obiettivo.

“Perché” chiese quindi Bellamy.

“Perché è un traditore rispose il guerriero.

“Lui è l’ Ice King, l’ Heda gli ha dato quel ruolo” disse Clarke 

Ma l’uomo, quando venne nominata l’Heda sputò a terra. “Ha tradito la sua gente quando non ti ha preso la fiamma e quando si è fatto coinvolgere da te e quella tua follia che ha coinvolto tutta Polis.”

Ma….” Disse Clarke sempre più confusa dalle parole senza senso di quell’uomo.

“Di tutta la verità Torin” li interruppe Roan “Di loro che la nuova regina” disse quasi spuntando quelle parole “Sperava di uccidermi per non avermi più tra i piedi e poi avreste torturato e ucciso ognuno di loro nel tentativo di trovare la Fiamma

“Perché lo devo dire, lo stai dicendo tu ora e, se non ci avessi tradito,sapresti che è la cosa giusta, ciò per cui abbiamo sempre lottato, per l’ IceNation, per tutti coloro che hanno visto le loro famiglie distrutte a causa degli skypeople, perché la nostra nuova regina, Echo, sa onorare la memoria di Taria…” ma il prigioniero non potè più continuare il pugno dell’Ice King lo colpì in pieno volto spappolandogli il naso prima che Bellamy riuscisse ad intervenire. 

Ci furono alcuni minuti di parapiglia mentre Bellamy cercava di scrollare di dosso al prigioniero Roan che lo stava riempiendo di pugni, dovettero intervenire anche Clarke e Emori per riuscire a allontanare l’ Ice king dal guerriero ferito. 

Bellamy riuscì finalmente a spingere lontano Roan mettendosi fra lui e Torin mentre Clarke si occupava di controllare le condizioni dell’uomo.

“Respira ma è svenuto” disse dopo alcuni istanti la ragazza voltandosi verso Bellamy che si trovava poco distante da lei, un occhio su Roan e l’altro su di lei. A quelle parole annuì poi si voltò verso il guerriero.

“Credo tu ci debba molte spiegazioni!” lo apostrofò.

L’ Ice king non rispose subito, il suo viso ancora una maschera di rabbia, i suoi occhi non si staccavano dal guerriero steso a terra svenuto. Probabilmente, si rese conto Bellamy, se non fossero riusciti ad allontanarlo dall’uomo, Roan lo avrebbe senza dubbio ucciso. 

Si chiese cosa potesse averlo fatto scattare in quel modo. 

Da quando lo conosceva era stato impenetrabile e calmo. Non aveva mai fatto trapelare nulla di se e quella furia nei suoi occhi lo lasciava sconcertato e, in qualche modo, gli ricordava da vicino quella che aveva visto nello sguardo della sua stessa sorella quando lo aveva preso a pugni dopo la morte di Lincoln. Non potè fare a meno di chiedersi chi fosse Taria e cosa rappresentasse per lui per averlo visto scattare in quel modo e come fosse possibile che Echo fosse sua sorella, al solo pensiero sentì montargli una profonda rabbia e fu lui, questa volta, a doversi trattenere dal prenderlo a pugni. Si avvicinò lentamente cercando di mantenere il controllo.

“Quindi la nuova Ice Queen è tua sorella Echo” mormorò guardandolo ma l’uomo non lo guardò, annuì indifferente. Il suo respiro ancora alterato.

Bellamy decise di cambiare la domanda sperando che questo smuovesse il guerriero “Chi era Taria?”

L’Ice King si girò verso di lui lentamente, negli occhi l’ira stava lasciando il posto al dolore. Bellamy vide Roan trasformarsi davanti ai suoi occhi, il suo viso ora segnato da un’amarezza che non aveva mai mostrato prima, incurvò le spalle sconfitto da quel peso. 

“La gemella di Echo, mia sorella nonché una nightblood” rispose il guerriero in un sospiro poi si allontanò da loro, si sedette accanto al fuoco dove buttò alcuni pezzi di legno e smosse le braci per farlo appiccare meglio.

Bellamy incrociò lo sguardo con Clarke perplesso ma lei scosse il capo confusa quanto lui. 

Roan, fissava le fiamme che si facevano sempre più vivaci.

“Quando Taria, mia sorella, venne mandata a Polis per l’addestramento eravamo fieri di lei, stava dando lustro al nostro clan ma soprattutto il clan credeva in lei. Sarebbe potuto essere un buon commander se gli spiriti l’avessero scelta ma, durante un allentamento fra NightbloodLexaferì a morte Taria. Gli occhi di Roan erano persi in dolorosi ricordi L’Ice nation chiese vendetta al predecessore di LexaDarcos, per ciò che era successo ma non avvenne, il commander stava cercando di creare quella coalizione di cui Lexa si vantava tanto e i Trikru erano fra gli ultimi clan a dover essere convinti. Quando Darcos morì credemmo che Luna del vecchio clan dei Floukru vincesse la sfida, sapevamo che era più forte di Lexa ma, beh, sapete come è andata finire.” Disse alzando gli occhi verso di loro.

Bellamy annuì a quelle parole conscio delle implicazioni della storia raccontata da Roan e come mai potessero esserci delle tensioni fra i trikrul’ Ice nation ma non spiegava tutto. 

“Mah Lexa non l’avrebbe mai fatto, non avrebbe ucciso un’altra persona per motivi politici, lei odiava essere l’Hedaodiava ciò che quel ruolo le aveva tolto e voi le avete tolto Costia” ribattè Clarke ricordando le parole di Lexa e dolore nei suoi occhi.

Roan si lasciò andare ad una risata amara “Ciò che tu hai voluto vedere nell’ Heda non era ciò che lei era stata per lungo tempo”

Clarke aprì nuovamente la bocca per ribattere ma l’Ice King  la interruppe prima che potesse dire qualcosa. “La tanto amata Costia che tu citi inizialmente aveva scelto Taria invece di Lexa” ribattè lasciando la ragazza a bocca aperta. 

“Certo non avevamo prove ma tutti sapevano quanto fredda potesse essere Lexa e la facilità con cui uccideva le persone.”

Ma comunque voi avete ucciso Costia” ribattè Clarke.

“Appena Lexa divenne Heda, mio padre decise di uscire dall’alleanza che Darcos aveva creato con tanta fatica” continuò con un sospiro stanco Roan “l’ Ice nation venne attaccata dai Trikru e il resto della coalizione, anche se molti degli ambasciatori erano contrari, ma, come hai potuto vedere anche tu, lei, non badava molto a quelle cose. Se non volevamo far parte della coalizione con le buone ci avrebbe piegati con la forza.

In quella guerra molti nostri guerrieri valorosi morirono fra cui anche mio padre, fummo sconfitti, io diventai un ostaggio di Lexa a Polis” disse Roan, si fermò un’istante a quel ricordo “La nostra tribù si piego ma non perse il suo spirito, mia madre ormai era accecata dalla rabbia e sì, rapì Costia, e la torturò per far cedere Lexa ma l’ Heda non cedette e i rapporti si inasprirono, cercai di fare da intermediario ma ottenni solo di essere torturato e poi esiliato. 

Mia madre ormai aveva un unico intento distruggere l’Heda e riportare la gloria nell’Ice Nation, ed Echo adesso sta cercando di fare questo, riunire i clan sotto di se, dimostrando che voi, Luna e la politica di Lexa è statala causa di tutto ciò che è avvenuto.”

“Ma non è così, Lexa non c’entra con Jaha o ALIE, non può essere accusata di ogni cosa, è grazie a lei se Echo è stata liberata da M.W., ha tradito me e noi Skypeople per voi”

Roan rise e per un’istante la scrutò come se non credesse alle parole di Clarke.

“Non ti facevo così ingenua WanhedaLexa non vi ha traditi per salvare i guerrieri dentro a M.W. ma perché liberarli significava avere una nuova moneta di scambio nei rapporti con l’ Ice Nation. Voleva sbattere in faccia a mia madre la sua clemenza. Disse Roan sputando fuori quelle ultime parole. “Mia madre ti cercava non per ucciderti come Lexa ti ha fatto credere ma per averti come alleata perché tutti sapevano chi aveva ideato il piano per liberare i guerrieri da Mount Weather e questo avrebbe spostato le sorti del conflitto

Clarke stava cercando di metabolizzare le parole di Roan, non voleva credere a quello che gli stava dicendo conscia per la prima volta di essere stata manipolata, guardò Bellamy vicino a lei e ricordò ciò che l’ IceNation aveva fatto, al tradimento di Echo. Possibile che se fosse stata loro alleata tutto quello non sarebbe avvenuto. Mille domande, mille pensieri che non avevano ancora risposta.

“Eppure tu alla fine ti sei piegato di fronte a Lexa, quindi hai capito che lei era nel giusto, che ciò che lei ha fatto lo ha fatto per tutti voi” ribattèClarke cercando una rassicurazione nelle parole dell’ Ice King

“Se ben ti ricordi, la prima volta che parlammo a Polis ti diedi un coltello” replicò Roan guardandola negli occhi “tu non sei riuscita a fare quello che dovevi, io dovevo trovare un modo per revocare il mio esilio e proteggere la mia gente anche dalla follia di mia madre. Il suo animo era imbevuto di odio e non conoscevano altra strada per rendere omaggio a ciò che Taria avrebbe potuto fare per noi. L’Ice nation si stava disgregando nell’orrore della pazzia di mia madre e non potevo permetterlo in nome di mia sorella ma anche di mio padre” concluse l’ IceKing “Il mio primo obiettivo, da sempre, è stato quello di proteggere la mia gente, è ciò che ho promesso a mio padre quando morì fra le mie braccia sul campo di battaglia, è il motivo per cui ho scelto di fidarmi di voi e concedervi la Fiamma.”

Tutti compresero per la prima volta quanto importante fosse stata la scelta compiuta da Roan consapevoli che, se avesse voluto prendere loro la fiamma avrebbe potuto farlo, i cadaveri dei guerrieri uccisi ne erano la testimonianza. 

 

Clarke si alzò di scatto e si allontanò dagli altri, non poteva rimanere con loro un istante di più, un forte senso di nausea le stava attanagliando lo stomaco, si allontanò poco oltre il limitare della luce del fuoco e vomitò. Non era in grado di affrontare tutto quello che Roan gli aveva detto, non poteva essere così, non era ciò che lei aveva visto in Lexa, si chiese se tutto quello che era avvenuto poteva essere evitato, sentì un altro conato e l’agre sapore di bile in bocca. Cadde sulle ginocchia chiedendosi se, forse, tutta la sofferenza, tutte le morti che si erano susseguite in quelle settimane potessero essere scongiurate.

Sentì i passi di qualcuno avvicinarsi, sapeva già chi fosse, non aveva bisogno di girarsi, solo lui sarebbe venuto da lei sempre e comunque anche se, probabilmente, in quel momento la odiava per ciò che la sua scelta, il suo perdono alle azioni di Lexa aveva innescato.

Percepì la mano di Bellamy appoggiarsi alla sua spalla, nello stesso modo in cui l’aveva appoggiata solo pochi giorni prima sul balcone della torre di Polis. Clarke si lasciò confortare un istante da quel contatto.

“Non lo potevo sapere…” mormorò in un singulto.

“No, non lo potevi sapere, nessuno di noi poteva immaginarlo ma ora abbiamo la possibilità, per la prima volta da quando siamo sulla Terra, di sapere esattamente a cosa andiamo incontro.”

“Non credo di avere la forza Bellamy” disse alzando lo sguardo colmo di lacrime.

Bellamy si sentì stringere il cuore a quella vista, conscio di come tutto il mondo in cui Clarke aveva creduto e per cui aveva lottato si era sgretolato nelle parole di Roan

“Ce la farai Clarke, ce la fermo insieme come abbiamo sempre fatto

La ragazza si gettò fra le sue braccia, si aggrappò a lui in cerca di conforto. Non aveva più lacrime da versare ma sentiva che fra le braccia di Bellamy riusciva a trovare il sostegno di cui aveva bisogno anche seuna parte di lei era consapevole che non fosse giusto. Doveva avere la forza di rialzarsi con le proprie gambe per poterlo guardare finalmente negli occhi con la stessa determinazione con cui lo aveva fronteggiato quando erano scesi sulla terra e che li aveva resi una squadra formidabile.

“Se avete smesso di abbracciarvi direi che si può passare oltre” la voce di Murphy interruppe quel momento che, per un istante, era stato solo loro.

Clarke si sciolse da quell’abbraccio con una certa titubanza, consapevole ancora del calore del corpo di Bellamy.

Si alzarono e con un certo imbarazzo raggiunsero gli altri poco distanti. Clarke non era certa di cosa avrebbe visto nei loro occhi, disprezzo forse ma venne accolta solo da sguardi di comprensione e questo le fece provare un energia inaspettata, guardò Bellamy al suo fianco e dopo molto tempo non si sentì più sola e carica per affrontare ciò che sarebbe avvenuto.

Guardò l’ Ice King “Cosa facciamo ora?” chiese.

“Quello che avevano programmato di fare: raggiungere Polis il prima possibile poi mia sorella ed io dovremmo fare un bel discorsetto” concluse con un sorriso feroce , nessuno ebbe alcun dubbio che quel discorso avrebbe previsto anche parecchio sangue. 

“Potremmo partire subito” s’ intromise Bellamy “fra poco sorgerà l’alba” 

Il guerriero annuì.

Cosa facciamo del prigioniero” chiese a quel punto Clarke.

Bellamy osservò la figura svenuta poi Roan “Lasciamolo qua, quando si sarà svegliato recapiterà il messaggio dell’ Ice King alla Regina.” 

Clarke annuì, sapeva che non potevano fare altro e quell’atto di forza di Roan poteva giocare a loro favore in futuro.

“Ok, se è tutto deciso dovremo prepararci” disse quindi la ragazza quando Raven si intromise. Era ancora distesa nel suo giaciglio, si teneva a fatica  su un gomito per poter parlare.

“Io non verrò con voi” disse

Clarke e Bellamy intervennero in simultanea per rifiutare la decisione di Raven ma lei li bloccò sul tempo “In queste condizioni sarei solo di peso, voi dovete raggiungere Polis il prima possibile e con me sarebbe impossibile, oltre alla gamba ora c’è anche questa ferita al fianco.” rispose, un chiara smorfia di fastidio sul viso.

I due giovani ammutolirono a quelle parole, consapevoli che Raven aveva ragione e dispiaciuti di quanto dovesse costare alla ragazza quell’ammissione.

“Non possiamo lasciarti qui da sola però” affermò Bellamy cercando di pensare a come risolvere il problema.

“Rimarrò io” si intromise Murphy in quel momento sorprendendo tutti per le sue parole.

Ma non sapreste poi come arrivare a Polis” affermò Emori.

Il ragazzo scrollo le spalle noncurante “Troveremo un modo!” senza sembrare particolarmente preoccupato.

Emori rimarrà con voi” disse a quel punto l’ Ice King e tutti si voltarono verso di lui “Clarke, Bellamy ed io vi anticiperemo, conoscono queste zone bene quanto Emori” 

Clarke annuì a quelle parole.

“Ok, se abbiamo deciso, sarà il caso di cominciare a prepararci, anche voi” disse Bellamy rivolgendosi a Murphy, Emori e Raven “Cercate di essere lontani da qua il prima possibile” loro annuirono.

“Devo finire di mettere i punti a Raven” mormorò Clarke a Bellamy che annuì.

“Noi ci prepareremo, partiamo appena avrai finito”.

 

NOTA: discorso Lexa….inizialmente non ci doveva essere questo ribaltamento completo sul personaggio, è nato tutto quando Roan deve decidere se lasciare la fiamma o meno a Raven, ho scritto la sua storia e mi sono resa conto di quello che avevo scritto solo dopo e, mi pareva funzionasse bene. Qui è successa una cosa simile più un elemento, ho sempre mal digerito il tradimento di Lexa e, ancor di più, la spiegazione decisamente poco in linea con le tradizioni grounder che hanno dato. Hanno chiesto la pelle di Finn, ucciso Gustus per molto meno rispetto a ciò che per decenni e non solo avevano fatto quelli di M.W. a tutte le popolazioni. Figurati se delle tribù combattive e con quella mentalità avrebbero potuto accettare un patto. In la ritengo una sciocchezza. La mia ovviamente non è un spiegazione più plausibile ovvio ma credo che dal punto di vista politico, visti i trascorsi che ho creato fra le varie tribù avesse un senso….e lo ammetto, volevo finire di distruggere quest’aura di grandezza che hanno voluto creare attorno al personaggio di Lexa…è stato più forte di me :P . Vi assicuro non odio il personaggio di Lexa…diciamo che una serie di fatto esterni a the 100 mi hanno spinto a digerirlo con fatica e, il rapporto fra Clarke e Lexa non c’entra. Non avrei altrimenti impiegato 16 capitoli per “farla fuori”. 

 

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Capitolo 20
*** XX ***


Capitolo 20

 

Roan li obbligò ad una marcia forzata, Clarke comprendeva l’impellenza di arrivare a Polis il prima possibile ma quando i polmoni cominciarono a bruciarle per lo sforzo di camminare su per quei sentieri impervi dove il guerriero li stava portando e le sue gambe erano ormai diventate di blocchi, pensava che ciò che lo spingeva nella marcia non fosse l’urgenza ma rabbia e la furia. Bellamy, dietro di lei, sembrava reggere meglio quell’andatura sostenuta ma, negli ultimi chilometri, il fiatone del ragazzo era diventato rumoroso quanto il suo.  

Diverse volte l’ Ice King li aveva obbligati a scalate per evitare i bivacchi di altri clan e persino della loro gente. Aveva tentato di protestare ma Roan era stato irremovibile e Bellamy lo aveva appoggiato. Dopo ciò che era successo con ALIE e l’impatto che aveva avuto non era più possibile capire chi era loro amico o nemico, non fino a quando non fossero giusti a Polis.

Stava tentando di tenere il passo del guerriero della nazione del ghiaccio quando questi rallentò fino a fermarsi. Fece un gesto nella loro direzione e Clarke si bloccò crollando a terra per la stanchezza. Bellamy le fu accanto, rimase in piedi vicino a lei, il fucile imbracciato, pronto a difenderla come sempre ma Clarke non voleva più essere quella che doveva essere difesa e con una certa fatica si rimise in piedi, al suo fianco, scrutando un lato della foresta.

Roan tornò sui suoi passi e li raggiunse, sembrava rilassato “Ci siamo, Polis e in fondo a questa collina, non ho visto guardie, entreremo dal lato nord, quello più vicino alla torre.” Poi s’ incamminò verso la direzione che aveva indicato loro. 

Arrivarono a Polis poco dopo mezzogiorno, si infilarono nei vari cunicoli creati fra le macerie e raggiunsero l’interno della Torre da una porta secondaria. 

Era sorvegliata da due guardie in quel momento, Clarke li riconobbe subito: erano Nathan e Brian.

Bellamy andò loro incontro e quando loro lo videro lasciarono subito i loro posti. Clarke e Roan si avvicinarono con più calma.

Ci furono diversi abbracci e Nathan immediatamente investì Bellamy di domande senza dare il tempo al ragazzo di rispondere.

Salutarono anche lei con altrettanto calore e questo sciolse ancora alcune delle incertezze che Clarke si portava dentro.

“Tua madre sarà contenta di vederti, era preoccupata per te, per tutti, da quando ha scoperto che non eravate andati a prendere Luna ma che eravate scomparsi nel nulla abbiamo pensato che sarebbe andata di volata ad Arkadia per farsi dire tutto da Monty, poi i clan hanno cominciato a disgregarsi, la fiamma è sparita e tua madre e Kane sono dovuti rimanere qua” disse Nathan tutto d’un fiato prima di sorriderle nuovamente felice di vederla.

“Cosa vi è successo, dove siete andati?” chiese Brian facendosi vicino ma Roan si intromise “Qua non siamo al sicuro, è meglio entrare, disse guardandosi in giro”

“Cosa ci fa un Ice nation?” chiese Nathan quasi sputando quelle parole “Sono loro la causa di tutto, Echo è diventata la loro regina”

“Si lo sappiamo” lo interruppe Bellamy “Lui è con noi e dobbiamo subito vedere Kane e gli altri” Nathan lo scrutò un’istante poi annuì.

“Ok da questa parte” facendoli entrare nella torre. “Chiama Indra per un cambio” disse poi rivolgendosi al compagno. 

Attraversarono parecchi corridoi, Bellamy era davanti a lei, impegnato in una fitta conversazione con Nathan, poi raggiunsero l’ascensore che era stato aggiustato nel frattempo. 

Quando salirono sull’ascensore il silenzio cadde fra loro, la cabina sembrava strettissima e la tensione che si cominciava a respirare aumentava di piano in piano, Clarke non sapeva ancora come affrontare tutto quello che stava per accadere e, sapere che nessuno sapesse ancora della minaccia delle centrali l’angosciava. D’istinto volse lo sguardo verso Bellamy che si girò verso di lei e le sorrise come se sapesse a cosa stava pensando. 

Le porte dell’ascensore si aprirono, Clarke fece un profondo respiro, riconosceva quel corridoio anche se dopo la battaglia era stato ripulito, quel corridoio l’avrebbe riportata nuovamente alla sala del trono.

Quando si presentò davanti alle porte della sala queste erano aperte e vide subito il trono e, questa volta, non provò nessuna emozione se non il rimpianto per qualcosa che ormai era andato perduto.

La sua attenzione venne subito attratta dal gruppo di persone che si trovavano attorno ad un enorme tavolo che si trovava al lato sinistro della stanza. Riconobbe Kane e Luna chini su delle carte e poco dopo sua madre. Fece un paio di passi verso la loro direzione quando la madre alzò il viso e la riconobbe. 

Si corsero incontro e si abbracciarono poi la madre le prese il viso fra le mani, la gioia nei suoi occhi si tramutò subito in preoccupazione quando notò il sangue rappreso che Clarke non aveva avuto il tempo di togliersi dai capelli. 

“Sei stati attaccati, dove siete spariti, state bene, Raven  e con voi?” chiese guardandosi poi in giro in cerca del meccanico.

Clarke sorrise a quella sfilza di domande.

“Stiamo tutti beneRaven arriverà, noi siamo arrivati il prima possibile appena abbiamo saputo”

Con la coda dell’ occhio vide Kane abbracciare Bellamy e sincerarsi che stesse bene, anche le persone attorno al tavolo avevano smesso di guardare le carte ma, non fissavano lei o Bellamy, i loro sguardi erano diretti a Roan, li vide borbottare fra loro e questa cosa la indispettì.

Anche Bellamy doveva essersi accorto di qualcosa perché il suo sguardo scrutò quegli uomini che per lui erano estranei. 

Fu però Kane a prendere la parola “Credo che dovremo interrompere la riunione per adesso” gli uomini e alcune delle donne riunite attorno al tavolo annuirono e preso una delle porte laterali presenti nella sala.

Anche Luna, dopo un cenno di riconoscimento, stava per uscire quando l’ Ice King parlò per la prima volta “Lei deve rimanere”

Ci fu un momento di tensione, Abby guardò prima il guerriero poi Kane ed infine Clarke che a quello sguardo disse seria “Sì Luna deve rimanere.”

“Credo che siate stanchi del viaggio o qualunque altra cosa abbiate fatto” tentò la madre.

“No” la interruppe Bellamy “dobbiamo parlare subito, il tempo non è dalla nostra parte

Abby e Kane si scambiarono uno sguardo perplesso.

“Credo che i nostri problemi possono aspettare …” ma Clarke alle parole di Kane scosse la testa. 

A quel punto entrambi desistettero, Abby si rivolse quindi a Luna “Rimani per cortesia” la ragazza annuì.

“Andiamo di là” disse Abby indicando una delle stanze laterali “Potremmo parlare con tranquillità e voi potrete mangiare qualcosa”.

Raggiunsero la sala, un incrocio fra una sala da pranzo e un salotto. L’ IceKing fu l’ultimo ad entrare, chiuse la porta dietro di se e rimase immobile.

Clarke, non se la sentiva di sedersi e come Bellamy rimase in piedi.

“Forse non sai” cominciò Abby “ma in questo momento i membri dell’ Ice Nation non sono fra i nostri maggiori sostenitori” lanciando uno sguardo al guerriero.

Clarke annuì a quelle parole, consapevole del motivo “Roan è con noi e se non fosse stato per lui noi non saremmo qui” poi cominciò a raccontare. 

Spiegò loro tutto quello che era avvenuto da quando aveva incontrato ALIE e Becca, la decisione che aveva dovuto prendere, il viaggio per trovare la casa di ALIE

Quando disse cosa era successo alla fiamma sentì un mormorio di sgomento pervadere la stanza ma Clarke continuò a parlare spiegando cosa avevano scoperto e infine parlò dell’attacco e del perché fossero arrivati di corsa a Polis

Quando concluse solo un silenzio preoccupato permeava la stanza. 

Kane fu il primo a parlare “Senza la fiamma non so come potremo evitare la guerra ma soprattutto di tenere uniti i clan” mormorò.

“Ma pensavo che i clan avessero capito che ci può essere un’altra forma di governo e collaborazione” disse Clarke

Ma Kane scosse il capo “Lo pensavamo anche noi ma il ruolo del commander, la Fiamma, è troppo radicata in questi popoli, non riusciranno ad accettare una nuova forma di governo e senza il sostegno dei clan non potremmo salvarci” concluse.

Clarke a quel punto si sedette pesantemente su una sedia, non riusciva a trovare  una via d’uscita da quella situazione.

“Eravamo riusciti a convincere Luna di quanto fosse importante il suo ruolo” disse Abby guardando di sfuggita la ragazza “Gran parte dei clan sembravano ormai decisi ad averla come nuovo Commander ma ora…senza la Fiamma e con l’arrivo di Echo..” mormorò senza riuscire a terminare quello che stava dicendo. 

La stanza cadde nuovamente nel silenzio più assoluto.

L’Ice nation non sarà un problema, spezzeremo la testa e ogni cosa si disgregherà” annunciò l’ Ice King spezzando il silenzio.

“E come pensi di fare” chiese Luna.

Mi riprenderò ciò che mi appartiene e chi segue Echo dovrà scegliere se morire o piegarsi.” Rispose con decisione Roan.

“Anche se tu riuscissi in questo intento” disse Kane scrutandolo attentamente “Dopo non avremmo comunque la fiamma e non ci sarebbe nessun Commander

“Prima sistemeremo Echo poi troveremo una soluzione al resto” replicò tranquillo Roan.

“Ma non vogliamo muovere guerra all’ Ice Queen, non è una soluzione e perderemo solo tempo, che non abbiamo, nel cercala” disse Kane.

“Non ci sarà nessuna guerra e sarà lei a venire da noi” rispose il guerriero dell’ Ice nation con uno sorriso scaltro sul viso.

Tutti lo guardarono senza capire poi Luna parlò “Tu vuoi sfidarla a duello e riappropriati del tuo ruolo, o sarà lei a sfidarti per legittimarlo

Ma perché dovrebbe farlo?” chiese Bellamy troppo lontano dalla mentalità grounder.

“Perché noi diremo che entro due giorni da ora, Luna ascenderà e diventerà il nuovo commander” rispose Roan

“Ma noi non abbiamo la fiamma” ribattè Bellamy

“Lei non lo sa!” disse Roan. “Torin ha detto che con lei c’è un nightblood, probabilmente adulto e in grado di sfidare Luna per il ruolo di commander, verrà qua per mostrare ai clan che c’è un alternativa”

“E cosa ti fa pensare che lei non solo abbia un nightblood ma che sia adulto” chiese Kane incuriosito comprendendo già le implicazioni del discorso fatto da Roan.

Ma fu Luna a rispondere per lui “Là fuori ci sono molti nightblood, nessuno ne parla. Non tutte le famiglie vogliono che i loro figli venganoaddestrati per aspirare ad un ruolo che non potranno mai ottenere e, molto spesso, i genitori, pur di non vedere i loro figli morire, preferiscono nasconderli”

Ontari era una di loro” chiese incuriosita Clarke.

Roan annuì “Ontari avrebbe potuto essere tra i prescelti ma, come avrete notato, era un po’ instabile, per questo i genitori la tennero nascosta. Poi quando Taria morì mia madre la prese con se con lo scopo di addestrarla, Echo ha trovato un altro nightblood, probabilmente di qualche altro clan dissidente” concluse il guerriero.

“Quindi, se ho ben capito” cominciò Kane “Tu vuoi inscenare l’ascensione di Luna sperando che Echo si presenti a contestarla proponendo un candidato diverso e, in quell’occasione, tu la vorresti sfidare per riprenderti il tuo ruolo ma non capisco perché dovrebbe farlo con una parte dei clan dalla sua parte e la possibilità di ottenere la stessa cosa con un guerra” Le perplessità di Kane erano le stesse che provava anche Bellamy, non c’era una logica nel modo di pensare grounder, non una logica che lui comprendesse. Volse il viso verso Clarke, era pensierosa poi parlò.

“Ha una logica, è quello che la stessa regina Nia ha fatto, ha messo in dubbio la capacità di giudizio di Lexa di fronte a tutti gli ambasciatori. Il duello e la morte della regina ha dimostrato la forza dell’ Heda, legittimando il suo ruolo. Echo verrà anche solo per il fatto di avere un nightblood con 

Il guerriero annuì a quelle parole.

Ma questo” continuò poi “non ci aiuterà nel momento in cui si saprà che non esiste più la fiamma”.

“La Fiamma non è morta” disse Roan “ha solo cambiato forma, lo abbiamo visto tutti su quegli schermi dove Becca-Promheda parlava con Raven” 

Ma quello era un programma di computer” rispose allibita Clarke.

“Anche la Fiamma era un programma di computer” continuò Roan.

Ma sarebbe impossibile spiegarlo alla tua gente” Disse Bellamy intromettendosi.

“John Murphy è riuscito a convincere i clan che Ontari era il nuovo commander e non era nemmeno ascesa” replicò quindi Roan lasciando immaginare loro le implicazioni di quel discorso.

Ma questo sarebbe mentire a tutti loro” tentò di dire Clarke. La ragazza non riusciva ad accettare quell’idea, non dopo tutto quello che le era accaduto, quello che aveva dovuto fare. Credeva fermamente nella possibilità che i clan potessero vivere in pace, aveva spinto Lexa in quella direzione. Volse lo sguardo verso Luna poi verso la madre, Kane e persino Bellamy perché nessuno confutava le parole dell’ Ice King. 

“Clarke..” cominciò Luna “Non ho mai voluto il ruolo di commander, non credevo al modo in cui veniva scelto e i sacrifici che dovevano essere fatti. Sarei ascesa a commander solo se fosse stato strettamente per il bene di tutti ma se ci fosse un altro modo…” disse lasciando in sospeso la frase.

“Ma tu saresti comunque il commander ma mentiresti sulla tua legittimità di tale ruolo. Non sarebbe diverso da ciò che Jaha fece sull’Arca per l’ossigeno o ciò che ha fatto Ontari o persino ciò che ha fatto ALIE che ha usato ogni mezzo per ottenere ciò che voleva. No, non lo accetto, non lo accetterò mai. Fate pure la finta ascensione ma non chiedetemi di mentire sulla Fiamma. Terminò Clarke uscendo poi dalla porta.

 

Abby si alzò per raggiungere la figlia ma Bellamy la fermò.

“Ci vado io!” disse uscendo dietro alla ragazza. 

 

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Capitolo 21
*** XXI ***


Capitolo 21

 

 

NOTA: metto questa nota all’inizio…spero che questo capitolo vi dia qualche gioia visto che, come mi avete fatto notare, il Bellarke non è forse centrale come appariva dai primi capitoli e, di questo, un po’ mi dispiaccio. Ovviamente non era voluto, pensavo ad una storia Bellarkecentrica ma, il mondo di the100 ha le sue “regole” e mi sono trovata a sviluppare una storia che ricorda più una 4° stagione che una FF Bellarke

Entro la fine di certo otterrete una bella serie di soddisfazioni, mi dispiace solo che non siano quante speravate. 

Buona lettura e fatemi comunque sapere come vi sembra questo capitolo di svolta nel rapporto Bellarke

Un bacio a tutte A. 

 

 

Clarke camminò come una furia attraverso i corridoi, senza una meta precisa poi infilò la prima porta che trovò aperta. La stanza dava sul lato nord della Torre, le ampie vetrate distrutte coprivano l’intera parete. Lasciò che il suo sguardo si perdesse nell’immensità della vista che si poteva cogliere da quell’altezza. 

Una vista diversa da quella che aveva ammirato solo pochi giorni prima dalla rupe vicino al fiume. Il suo sguardo si posò sui declivi montuosi coperti dai boschi di conifere che sembravano allungarsi all’infinito. Da quel lato la presenza antropica era quasi inesistente e poteva cullare nell’idea, anche se assurda, che oltre a lei, non ci fosse nessun altro nel mondo, solo boschi e montagne. Voleva farsi avvolgere da quella sensazione e dimenticare le responsabilità che aveva di fronte agli altri, un sorriso amaro le increspò il viso. 

In quel momento sentiva che nulla di quello che aveva fatto aveva mai avuto un senso. 

Aveva in tutti i modi tentato di non pensare alle parole di Roan su Lexadurante la marcia ma ora le tornavano in mente una dietro l’altra mostrandole ogni sua scelta, ogni suo sacrificio da un’altra prospettiva. Forse questo non avrebbe mai del tutto adombrato il ricordo di Lexa, di quell’intimità che avevano condiviso per poco e di come l’avesse aiutata nella City Of Light ma di certo aveva messo in dubbio ciò che aveva fatto da quando si erano conosciute e il suo atteggiamento nei confronti di chi le era sempre stato vicino.

Ricordò con amarezza come, piena di sicurezza, era entrata a Camp Jahacon la guardia grounder dopo aver sancito la tregua con Lexa. Sua madre aveva tentato di opporsi alla loro presenza e lei le aveva sbattuta la verità. Le sue parole “Tu sarai il cancelliere ma io sono al comando”mostravano chiaramente che qualcosa in lei aveva cominciato a cambiare. Si chiese se fosse mai stata adatta al ruolo di leader che si era assunta, se era giusto prendersi in carico quella responsabilità specialmente ora che attorno a se c’erano persone come Abby, Kane, persino Roan e Luna che sembravano aver chiaro in mente cosa fosse giusto fare.

“Bella vista!” disse una voce accanto a sé.

Clarke non si girò, sorrise lievemente, aveva riconosciuto la voce ma soprattutto sapeva che Bellamy sarebbe arrivato subito da lei. Era fatto così, qualunque orrore lei avesse commesso, lui le era sempre accanto anche se non se lo meritava. 

“Sei venuto qua per farmi cambiare idea?” chiese guardandolo di sottecchi.

“No” rispose il ragazzo contemplando la vista di fronte a loro.

“Sai cosa mi piacerebbe fare?” mormorò Clarke ammirando come lui il panorama. Il ragazzo scosse il capo “Lasciare Polis ora, subito e tentare di raggiungere quel 4% di Terra vivibile.” 

A quelle parole Bellamy si girò di scatto sconcertato

“No, non voglio scappare” rispose Clarke a quello sguardo “Non lo farei mai ora, spero un po’ di aver capito ma, ci sono così tante persone che sembrano sapere cosa è giusto fare che, viste le mie passate esperienze, forse farei meno danni a cercare una nuova terra.” Concluse con un mezzo sorriso.

“Pensa che bello” continuò poi come se stesse parlando a se stessa  “Per quanto inospitale la Terra sia stata con noi, abbiamo visto posti come quelle sorgenti termali, come quella vista sulla roccia o anche la casa dove abbiamo trovato ALIE. Non ti piacerebbe vedere cosa questo mondo potrebbe offrirci” Domandò a Bellamy. 

“Sarebbe bello ma non possiamo farlo, non ancora!” rispose il ragazzo conscio che a quelle parole parte del sorriso di Clarke si era spento.

“Non me la sentirei di farlo” Tentò di spiegare il ragazzo “ma credo che per te partire sarebbe una cosa positiva” concluse senza però avere il coraggio di guardarla negli occhi.

“E tu non verresti? ” si sentì chiedere. Bellamy rimase in silenzio, una parte di lui condivideva ogni parola detta da Clarke. Anche lui si sentiva completamente logorato dalla vita e dalle esperienze che gli erano piovute addosso, ma non sapeva se avrebbe mai trovato il coraggio di abbandonare tutti dopo essere stato per lungo tempo una guida per loro.

“Non lo so Clarke, in questo momento ho poche certezze e non sapere ciò che dobbiamo fare non aiuta” rispose frustrato.

Clarke si girò verso di lui “Cosa pensi sia giusto fare?” chiese scrutandolo negli occhi, aspettando le sue parole.

Il ragazzo si allontanò dalla vetrata, guardava in giro l’arredamento della stanza, una delle tante che mostravano i segni del prima e che erano state abbandonate a se stesse per quasi 100 anni salvo qualche uso sporadico. I segni delle bruciature di qualche fuoco sul pavimento, mostravano che la camera era stata usata come bivacco da qualche membro dei clan venuti a Polis. Trovava tutta quella cosa assurda, invece di cercare di andare avanti, di ricreare qualcosa, i grounder avevano preferito vivere sulle macerie di un’umanità che non esisteva più.

C’erano così tante cose che non capiva ancora della loro cultura rifletté e questo rendeva ancora più difficile capire le implicazioni delle parole di Roan e le conseguenze di una scelta come la loro.

Era ormai in mezzo alla stanza e si girò verso Clarke ancora accanto alla vetrata.

“Non ho idea di ciò che potrebbe succedere se i clan scoprissero che abbiamo mentito, cosa significherebbe visto quello che dobbiamo ancora fare per salvarci tutti ma,” disse guardandola “Roan e Luna conoscono questo mondo, tutto ciò che hanno sempre tentato di fare, da quando li abbiamo incontrati, è stato di proteggere la loro gente.”

“Dici che Roan sapesse esattamente cosa stava facendo quando ci ha dato la fiamma?”.

Bellamy annuì convinto. “Si. Credo che, nell’attimo stesso in cui ce l’ha consegnata, abbia pensato a come affrontare le conseguenze. Quando gli chiesi cosa sarebbe avvenuto arrivati a Polis disse che ci potevamo aspettare la guerra. E, a quanto sembra, aveva ragione e ha proposto una soluzione che anche Luna condivide.

“Non ci vedi nulla di sbagliato?” chiese Clarke tentando di capire, di cambiare il punto di vista sulle cose, facendo quello che non era riuscita a fare perché troppo coinvolta da ciò che le stava accadendo.

“Io credo che in questo momento, ciò di cui abbiamo bisogno è che i clan siano uniti, con la verità o la menzogna non importa, tutti sono necessari per riuscire a rendere operativo il piano di Raven.”

“Ma, nel lungo termine, quando noi non ci saremo, se dovesse succedere qualcosa a Luna? Se non riuscissimo a reggere questa menzognasignificherebbe spargimenti di sangue, una frattura insanabile fra noi e loro” ribattè Clarke turbata dall’entità delle conseguenze.

Bellamy non rispose, le implicazione erano più che chiare.

“Se ci fosse un modo per riavere la Fiamma” mormorò Clarke. 

Certo a quel punto sarebbe stato tutto più semplice ma, pensò Bellamy, la catena dei commander e del loro potere non si sarebbe mai spezzata, persone come Ontari sarebbero potute diventare Heda e l’insensato sacrificio dei nightblood sarebbe continuato.

“Tu vorresti veramente che la gente si facesse governare seguendo un usanza del genere? Noi non potremmo mai accettarlo” replicò Bellamy. 

“Ma è ciò che vogliamo fargli credere, che la Fiamma esiste quando sappiamo che si è trasformato solo in un ologramma dentro ad un computer” replicò Clarke conscia del circolo vizioso in cui stavano cadendo.

Bellamy alzò di scatto il viso a quelle parole, una strana idea stava prendendo forma, una verità a cui non aveva dato peso quando Roan lo aveva detto. Era un’idea assurda ma forse non doveva scartarla subito.

“Devo tornare dagli altri!” esclamò Bellamy “vieni?”

Cosa succede” chiese sbalordita Clarke.

“E se la fiamma esistesse ancora? E se tutti potessero vedere gli spiriti in essa custoditi” replicò il ragazzo di getto.

“Bellamy di cosa stai parlando, non capisco!” rispose Clarke sempre più perplessa. 

Il ragazzo tentò di fare ordine nella sua mente cercando di raccogliere le idee su quella che era solo un’intuizione.

“Quando eravamo nella casa di ALIE e Raven lavorava ai computerabbiamo visto tutti il suo modo di interagire con il programma, con Becca.” Cominciò.

Clarke annuì ma i suoi occhi mostravano tutta la sua confusione.

“Ti ricordi come era vestita Becca?” chiese a quel punto Bellamy.

La ragazza tentò di ricordare poi il suo viso si illuminò “Con vestiti grounder, era Becca –Promheda” 

“Esatto” confermò Bellamy “Se ALIE 2.0 fosse rimasto uguale al programma della sua creazione, l’ologramma di Becca avrebbe mantenuto i vestiti terrestri prima della guerra termonucleare invece, indossava quelli grounder

“Ciò significa che si è evoluta” continuo Clarke interrompendolo “Come Intelligenza artificiale può essersi evoluta interagendo con i commander, è stata progettata per quello!”

Bellamy annuì sorridendo.

Lexa diceva di riuscire a mettersi in contatto con gli spiriti dei vecchi commander e, una delle prove per dimostrare di essere il nuovo commander, era recitare il nome di tutti i predecessori a partire da Becca Prom-Heda” continuò Clarke riflettendo. “Se trovassimo un modo di far vedere alla gente dei clan che la Fiamma e gli spirti dei comandanti hanno scelto una nuova forma per il bene di tutti, forse potremmo farcela senza dover mentire!” terminò Clarke, un sorriso che le raggiungeva gli occhi illuminava il suo viso.

“Oh, Bellamy, forse ce l’abbiamo fatta” ripeté ridendo Clarke. Quando vide il sorriso aprirsi sulle labbra del ragazzo e annuire verso di lei, non riuscì a trattenersi e si slanciò per abbracciarlo. 

Si sentì sollevare in aria, le sue risate si mescolarono a quelle di Bellamy che sembrava essere felice quanto lei per aver trovato una soluzione, per quanto forse azzardata,. Ma soprattutto entrambi avevano sentito che quello scambio di battute, aver trovato quel punto in comune, aveva riallacciato un altro filo di quel rapporto che sembrava essersi perso. 

 

Quando Bellamy smise di farla girare la posò lentamente a terra, i loro corpi si sfiorarono, Clarke sentì il suo petto strusciare contro quello di lui e un brivido la infiammò. 

I neri riccioli di Bellamy che sfioravano il colletto del giubbotto, solleticavano le sue dita intrecciate sul suo collo. Le loro cosce si sfregavano una contro l’altra creando una piacevole sensazione. Entrambi percepirono la tensione salire fra di loro. 

Clarke alzò lo sguardo verso Bellamy, perdendosi nei suoi occhi scuri e nella passione in esso celati. Lo vide scrutare le sue labbra come se fosse pronto a farle sue. Il tempo si fermò e il rumore dei battiti del loro cuore sembravano riempie il silenzio della stanza poi, qualcosa nello sguardo di Bellamy cambiò, e la luce che vi aveva visto fino a pochi istanti prima si fece sempre più lontana.

“Sarà meglio che raggiungiamo gli altri” mormorò il ragazzo in un soffio mentre si scioglieva da quell’abbraccio.

Clarke annuì meccanicamente, frastornata da ciò che era appena avvenuto. Era qualcosa che andava oltre al legame che avevano, qualcosa a cui aveva paura di dare un nome. 

Qualcosa che doveva rimanere ancora nascosto.

Bellamy fece un paio di passi in direzione della porta e, vedendo il ragazzo di schiena che si stava  allontanando da lei, Clarke sentì un vuoto nel cuore.

“Aspetta” disse protendendosi verso di lui, non aveva mosso un passo, come se il pavimento, la terra la stessero trattenendo.

Bellamy si girò, il suo viso era tornato serio.

Inghiottì un paio di volte a vuoto, non sapeva esattamente cosa dire poi lasciò che parte di quel sentimento che poteva accettare venisse allo scoperto.

“Non voglio chiederti scusa” cominciò insicura “l’ho fatto molte volte e mi sembra che quella parola abbiano perso significato, io, vorrei che noi…” continuò balbettando, poi alzò gli occhi “io vorrei che un giorno tu riuscissi a perdonarmi e che noi tornassimo ad essere ciò che eravamo…” buttò fuori le parole di getto.

Bellamy la guardò un istante “Non saremo più ciò che eravamo” replicò serio “ma siamo una famiglia e riusciremo a sistemare anche questo” terminò mentre i suoi occhi tornavano a scintillare e il sorriso si disegnava sulle sue labbra.

Clarke sentì il peso che aveva sentito sciogliersi, fece un paio di passi, lui alzò lentamente le braccia per accoglierla in un nuovo abbraccio. Un abbraccio diverso da quello che si erano appena scambiati, un abbraccio che aveva il calore di chi finalmente è tornato a casa. 

In quel momento la tensione che avevano sentito poco prima era dissipata dalla serenità di aver trovato finalmente la pace. 

Si sciolsero con naturalezza da quel abbraccio, come se avesse messo un punto al passato che li aveva tenuti per così tanto divisi. Clarke cercò la mano di Bellamy, desiderava stringerla come a sancire quel legame.

Le loro dita si intrecciarono, si sorrisero a quel contatto coì vero e reale.

“Insieme?” chiese Clarke

“Insieme “ rispose Bellamy. 

Uno a fianco all’altro come doveva essere.

 

Si incamminarono verso la stanza dove avevano parlato con gli altri. Consci entrambi del calore delle loro mani che si toccavano, in parte impacciati per quell’intimità che avevano ritrovato ma che in qualche modo ora si stava mettendo fra loro senza che nemmeno se ne rendessero conto.

Ad ogni passo divennero consapevoli l’uno dell’altro in un modo che non avevano mai provato prima, nemmeno quando Bellamy l’aveva lasciata dormire accanto a lui o quando avevano giocato insieme nella sorgente termale. Più quella consapevolezza aumentava più il contatto delle loro dita sembrava bruciare.

Bellamy ad un tratto si fermò, sciolse la stretta, “Devo andare un attimo da Nathan, vi raggiungo subito” disse ma c’era qualcosa di inespresso nel suo sguardo che Clarke non riuscì a cogliere. Questo la addolorò, come se una parte del vuoto che si era andato colmando negli ultimi minuti volesse di nuovo prendere il sopravvento ma, non sapeva che fare, ogni cosa appariva strana e riuscì solo ad annuire.

Il ragazzo le sorrise, si permise persino di farle l’occhiolino, poi si allontanò. Si era reso conto di quanto quella separazione avesse confuso Clarke, lo aveva letto nei suoi occhi ma quella situazione era difficile anche per lui. In quei pochi istanti che avevano condiviso aveva capito che davanti a lei era tornato il lato migliore della vecchia Clarke, forgiata da tutte le esperienze vissute e si era reso conto di quanto lei fosse preziosa per lui ma, soprattutto, di quanto ne fosse innamorato. 

 

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Capitolo 22
*** XXII ***


Capitolo 22

 

“Manca poco tranquilla” tre parole che nella mente di Raven si erano trasformate in una litania costante, specialmente negli ultimi chilometri. Non sapeva più dove trovare la forza per mettere un passo davanti all’altro, solo il fatto che Murphy ed Emori la stessero sorreggendo a turno le permetteva di non mollare ma ormai era arrivata al limite. 

Per quanto gli altri avessero tentato in tutti i modi di farla riposare, di obbligarla a prendersela con la calma, l’urgenza di Raven di arrivare a Polis l’aveva spinta oltre ogni suo limite fisico. 

Ormai era pronta a cedere e i due ragazzi che la stavano sorreggendo in quel momento dovettero capirlo. 

“pochi passi Raven e siamo arrivati, poi ci verranno a prendere, ma devi fare ancora pochi passi, non puoi svenire ora” erano le parole di Muprhyche tentavano di farsi strada nel suo stato di febbricitante. 

Alla fine crollò e il mondo attorno a lei divenne buio. 

 

Si svegliò lentamente, sbattè gli occhi diverse volte per abituarli alla luce soffusa che illuminava la stanza. Si guardò in giro muovendo lentamente la testa, quel luogo le era completamente estraneo, non ricordava come era arrivata lì, ricordava a malapena il viaggio nei boschi. 

Sentiva la testa ovattata ma il suo corpo, stranamente, non le faceva male. Si spaventò, per un istante credendo di essere ancora soggetta alla volontà di ALIE poi, quando provò a muovere la gamba, il lieve dolore che sentì le fece, forse per la prima volta da quando era stata ferita, tirare un sospiro di sollievo.

Questo però non la aiutava a capire dove fosse. 

Era consapevole solo delle calde coltri di pelliccia che la avviluppavano e l’estraneità della stanza. 

Tentò di tirarsi  su sul gomito sinistro, un lieve pizzicorino e la pelle sul fianco che tirava leggermente le ricordarono di colpo l’ennesima ferita che la Terra le aveva inflitto, come se non ne avesse abbastanza, pensò infastidita. Per fortuna era solo fastidiosa e questo le permise di concentrarsi sulla stanza. 

Il suo movimento dovette allertare qualcuno perché sentì dei passi provenienti dalla sua destra, girò il capo sperando di individuare la persona e, con una certa sorpresa, vide che si trattava di Clarke. Era riuscita ad arrivare a Polis dopotutto, come non ne aveva la più pallida idea.

“Ehi, ben svegliata!” le disse accostandosi a lei con un sorriso. “come stai?”

Intontita ma direi bene” rispose Raven accorgendosi di avere la bocca impastata. 

“Prova a tirarti su così ti do qualcosa da bere e poi controllo la ferita

Raven riuscì solo ad annuire e con molta calma appoggiò le schiena alla testata del letto, era stato meno difficile del previsto e questo la rincuorò.

“Bevi!” 

Raven annuì grata quando Clarke le passò la tazza con un liquido ambrato dentro. Ne bevve un sorso e immediatamente la tisana le ripulì la bocca dal acre sapore che sentiva. 

Guardò Clarke mentre sorseggiava la tisana, qualcosa era cambiato in lei, si ritrovò a pensare Raven, la scrutò con più attenzione, sembrava che i suoi occhi fossero più vivi di quanto lo fossero mai stati negli ultimi mesi.

Per un istante si chiese per quanto avesse dormito.

“Quanto ho dormito e, come sono arrivata qui?” 

“Hai dormito quasi un giorno intero, Emori, una volta raggiunto un posto sicuro abbastanza vicino a Polis, ci ha raggiunto per chiedere aiuto, eri in stato d’incoscienza e ti abbiamo portato subito quaUn po’ di cure grounder e skykru insieme ti hanno rimesso in sesto.” rispose Clarke con un mezzo sorriso.

Raven si ritrovò ad annuire, il discorso aveva senso e il suo corpo stava decisamente meglio di quanto si aspettasse visto la marcia che avevano dovuto fare. Man mano che passavano i minuti cominciava a ricordare un po’ tutto e anche il motivo per cui Clarke e gli altri erano dovuti partire prima.

“Qua com’è la situazione?” chiese quindi sperando di ricevere notizie positive.

“Sono tese ma crediamo di aver trovato una soluzione e, tanto per cambiare” disse Clarke “Abbiamo bisogno delle tue competenze e capacità informatiche ma ne parleremo più tardi dopo che avrai riposato ancora un po’, non c’è fretta

Raven si tese a quelle parole “C’è sempre fretta ed è il mio corpo che deve stare a risposo non la mia mente quindi, anche se non posso muovermi di qua, se veramente devo fare qualcosa, potrebbe tenere impegnata almeno la mia mente.” 

Clarke la scrutò pensierosa, si voltò verso la porta poi disse “Va bene, se mia madre mi scopre di certo mi uccide questa volta, vuole che tu stia al riposo completo, lei e gli altri non l’hanno ancora appoggiata del tutto”

“E sapere che mi stai di nuovo mettendo a lavoro non le farà piacere” rispose Raven per lei. 

Clarke annuì chiaramente in colpa.

“Tranquilla, anzi ti ringrazio, odio trovarmi in questa condizione e se mi dai qualcosa da fare mi aiuterà a non sentirmi completamente inutile” mormorò la ragazza fissandosi le mani appoggiate sulle pellicce che coprivano il letto.

“Sappi che è una follia e che contiamo tanto su di te!” rispose Clarke rincuorandosi.

“Contiamo?” chiese Raven scrutandola attentamente “Pensavo che gli altri non fossero d’accordo”

“È stata un’idea di Bellamy e poi beh, ne abbiamo parlato con Monty e secondo lui si può fare e sai che gli altri non si tirano mai indietro ma, ci servi tu!”

“Ok adesso sono curiosa” rispose il meccanico con un sorriso “Blake che ha un’idea che potrebbe funzionare non è di tutti i giorni”

Risero insieme di quella battuta poi Clarke cominciò “Vogliamo mostrare gli spiriti della Fiamma o almeno Becca-Promheda ai clan e solo tu puoi farlo” disse tutto d’un fiato.

Il silenzio allibito del meccanico gettò Clarke nello sconforto poi Ravenparlò “Esattamente cosa vi proponete di fare e perché” chiese quindi.

Clarke cominciò quindi a spiegare per filo e per segno ogni cosa. A partire dal conclave che si sarebbe svolto quella stessa sera, all’ipotesi che Echo si sarebbe fatta vedere, al lancio della sfida da parte di Roan e ogni altra cosa che avevano pensato.

Quando concluse guardò Raven in attesa di sapere cosa ne pensava, se lei avesse detto che era impossibile allora…Clarke non voleva nemmeno pensarci. 

Il meccanico rimase in silenzio per diversi minuti e Clarke era sempre più preoccupata.

Roan cosa ha detto della vostra idea?” chiese quindi Raven spiazzando completamente la giovane.

“Ehm, per la verità non ha detto nulla è rimasto in silenzio mentre Luna, mia madre e Kane sono molto perplessi sia per la fattibilità che per il risultato” concluse Clarke ancora delusa.

“Devo parlare con Roan!” rispose decisa Raven.

“Perché” chiese Clarke confusa.

“Se lui crede che Becca Promheda possa esistere per la sua gente allora lo faremo

“Se lui dicesse di si allora la cosa per te sarebbe fattibile” chiese Clarke che continuava ad essere perplessa, non capiva come mai per Raven il giudizio dell’ Ice king sembrasse così importante.

“Si” rispose Raven annuendo allo stesso tempo “se lui è con noi, io posso far apparire Becca Promheda” terminò determinata.

Clarke sospirò di sollievo a quelle parole, forse quel folle piano poteva funzionare.

“Ok, disse alzandosi in piedi, “Vado a cercare Roan

“Aspetta, dov’è Monty” chiese quindi il meccanico.

“È ancora ad Arkadia, sta aspettando di avere tue notizie, partirà appena tu gli darai l’ok

Raven annui a quelle parole, Clarke si accorse che stava riflettendo. 

“Chiama anche gli altri poi e anche Emori, avremmo bisogno di lei” disse infine il meccanico “E portami carta e penna”.

Clarke stava per chiedere ma era consapevole che Raven avrebbe spiegato tutto a tempo debito quindi annuì e uscì dalla porta in cerca del guerriero dell’ Ice Nation

 

Bellamy sorrise vedendo Nathan, Brian, Raven, Clarke e persino Murphy. Sentiva una sensazione di calore nel petto. 

Si trovavano tutti nella stessa stanza e in quel momento stavano chiacchierando tranquillamente fra loro. 

Vedendoli tutti lì assieme, gli faceva capire che forse, tutto quello che era successo aveva comunque un senso, tutto quello che avevano passato li aveva resi forti ma soprattutto una famiglia. 

Nella sua mente, in un momento di malinconia, passarono le immagini dei visi di chi non ce l’aveva fatta e il vuoto che avevano lasciato. Poi vide Roan ed Emori,  nuove presenze costanti nella loro vita, molto di ciò che erano riusciti a fare non sarebbe stato possibile senza di loro. 

Pensò a Monty e Harper che erano pronti a partire e raggiungerli e, sorrise al pensiero, sentì per un’istante una stretta al petto ricordando che Jasper aveva scelto di raggiungere la piattaforma sul mare, aveva deciso di staccarsi da loro e da tutto ma, lo capiva, vedere loro significava avere ogni giorno di fronte il ricordo pressante di ogni cosa persa e ogni decisione che aveva preso. 

Allontanarsi lo avrebbe aiutato a trovare un nuovo equilibrio e quel pensiero lo portò direttamente a ricordare Octavia, a ciò che lui le aveva tolto, alla sua scelta. Non sapeva dove fosse, aveva incrociato più volte Indra da quando era tornato e aveva tentato di sapere da lei qualcosa ma non gli aveva mai risposto e nei suoi occhi aveva letto che gli stava nascondendo qualcosa.

Prima o poi lo avrebbe scoperto.  

Scacciò quel pensiero, ora erano lì in camera di Raven in attesa di sapere da lei come avrebbero potuto mettere in pratica quello che avevano pensato. 

“Ok” cominciò Bellamy “Visto che ci siamo tutti direi di cominciare”

Il silenzio calò nella stanza. 

“Abbiamo saputo” prese la parola Clarke “che la Regina del ghiaccio e i suoi seguaci si stanno accampando fuori da Polis e che quasi sicuramente lei e la sua guardia d’onore sarà al conclave di stasera. Ciò significa” disse guardandoli tutti “Che metterà in dubbio la legittimità dell’ascensione di Luna. Prevediamo che..” continuò lanciando un’occhiata a Roan “Quando l’Ice King la sfiderà per il trono lei accetterà. Noi ci auguriamo che Roan vinca e questo ci permetta per lo meno di evitare un’immediata guerra civile

“E chi ci dice che lui” disse Nathan interrompendola e guardando il guerriero della nazione dei ghiacci “Sia migliore della sorella e che non aizzi tutti contro di noi smascherando il fatto che non abbiamo la fiamma”

Bellamy si rese conto che i dubbi di Nathan erano legittimi ma, dopo aver viaggiato assieme al guerriero avevano cominciato a fidarsi di lui e a comprenderlo, in modi diversi, per entrambi, l’incolumità della propria gente era fondamentale.

“Io mi fido di lui” disse semplicemente Bellamy.

Vide Nathan scrutarlo attentamente.

“Ho visto ALIE parlare, poi anche Becca Promheda” cominciò a dire Roan “In questo settimane ho capito che combattere con voi non significa proteggere la mia gente, non vi tradirò e lo posso giurare sul mio onore” concluse scrutando negli occhi il ragazzo.

L’attimo rimase sospeso fra loro, gli altri in silenzio osservavano la scena, sulla scelta di Nathan si sarebbe giocato tutto. 

Poi il ragazzo annuì “Ok, va bene” disse allungando una mano verso Roan. Il guerriero la guardò un istante poi la strinse “Ma quando tutto questo sarà finito mi dovrai dire dove possiamo trovare dei polli”.

L’ Ice King lo guardo perplesso mentre attorno a loro si levarono dei risolini e Brain sorridendo mormorava un “idiota” nei confronti di Nathan.

“Tranquillo guerriero” continuò Nathan guardando il grounder che appariva infastidito da quelle risate “ne parleremo con calma più avanti, io e il mio compagno” facendo un cenno a Brian accanto a lui “vorremmo mettere su un allevamento di polli ma non sappiamo nemmeno se qui ci sono e avere come appoggio direttamente l’ Ice King non è male” 

A quelle parole ci fu un altro scoppio di risatine, Bellamy vide il grounder sempre confuso, probabilmente stava etichettando Nathan e Brian per due strambi quindi decise di prendere la parola prima che la cosa potesse degenerare. 

“Se abbiamo terminato i convenevoli, direi che è ora di cominciare a parlare seriamente. Clarke ha detto che il nostro piano si può fare

Tutti tornarono seri e gli occhi si concentrarono su Raven, appoggiata alla testata del letto, sembrava che il risposo forzato e i medicinali avessero fatto effetto, i suoi occhi erano cupi ma appariva comunque in forma dopo tutto quello che le era capitato.

Si, la cosa è fattibile, dovrei accertarmi solo di alcune cose ma non dovrebbero esserci problemi anche se sarà meglio decidere, nel caso, come e dove  far apparire Becca ma” disse la ragazza “prima di decidere come andare avanti ho bisogno di avere una conferma da te” disse girandosi verso Roan.

“Credi veramente che la tua gente potrà capire che quella che mostreremo è Becca Prom-heda e non penserà che è solo un nostro trucco” chiese.

In quel momento Clarke comprese perché Raven aveva voluto parlare al guerriero, lui era l’unico ad aver visto Becca, ad aver capito cosa stava per succedere là fuori e le conseguenze ma era anche l’unico che poteva dir loro se, la loro idea, avrebbe potuto avere l’esito sperato. Luna era stata lontana per troppi anni e ciò che aveva fatto l’aveva segnato mentre Roan viveva immerso in quella cultura che Luna aveva ripudiato. 

“Quando ho visto per la prima volta Becca Promheda è stato nella casa sulla collina. Non sapevo come fosse fatta eppure l’istinto mi ha detto che quella cosa che stava parlando con Raven era lo spirito della Prima. Ho compreso che, per quanto la cosa a voi appaia assurda, là dentro, non c’era solo lei ma tutti gli spiriti dei nostri commander e la storia del nostro mondo. La gente capirà” disse deciso Roan guardando il meccanico “vedrà che gli spiriti hanno dovuto cambiare forma perché il mondo è cambiato e loro dovranno cambiare con esso. Tu.” Parlando direttamente a Raven “hai il potere di farlo” Concluse sicuro.

Le gote del meccanico si colorarono di un vago rossore, per un istante svincolò dallo sguardo del guerriero poi annuì e, la tensione che si era percepita nella stanza, si sciolse.

Quindi a questo punto cosa facciamo?” chiese Murphy interessato per la prima volta a ciò che stava succedendo.

“Avrò bisogno che tu, Emoririusciate a trovarmi questa roba.” Disse passando loro un foglio che aveva tenuto fra le mani fino a quel momento. “Nathan ne sa abbastanza per aiutarti a capire che pezzi sono”

La ragazza prese il foglio poi, appena si rese conto che era scritto in una lingua a lei estranea, lo passò a John che, dopo averlo guardato puntò gli occhi su Raven “Perché lei?”

“Perché io so dove trovare tutto dentro e fuori Polis” si intromise decisa Emori “Per quando vuoi la roba?” chiese quindi al meccanico.

Raven puntò lo sguardo prima sull’ Ice King poi sugli altri.

“Quando dovrebbe avvenire l’ascensione di Luna?” chiese.

“Stanotte il conclave si riunirà e sfiderò mia sorella, se si presenterà, se il resto andrà come deve andare, dopodomani al tramonto il conclave si riunirà di nuovo nella sala del torno per scegliere Luna come nuovo commander.”

Tutti in quel momento si resero conto che avevano poco tempo e si fecero prendere da un istante di scoramento, ce l’avrebbero fatta in tempo? Era la domanda inespressa di tutti.

“Ce la faremo, non potrebbe essere altrimenti!” disse deciso Bellamy.

Raven annuì e con lei tutti gli altri.

Monty deve arrivare entro domani, questa è la lista delle cose che mi servono da Arkadia” disse passando un foglio che Nathan prese.

mi occuperò io di parlare con lui e, se non c’è altro, da dire è meglio che noi ci muoviamo” affermò guardando Brian, Emori e Murphy.

“No, siamo a posto” disse Raven di rimando e i ragazzi uscirono già proiettati verso i loro compiti.

“Io devo andare a prepararmi per l’incontro con Echo” disse a quel punto Roan, il suo sguardo era cupo e Raven si rese conto di quanto fosse difficile anche per lui tutto quello che stava succedendo. Non aveva mai dimostrato alcun cedimento e per questo provò una profonda ammirazione per la sua forza d’animo. 

Si guardarono per alcuni istanti, come se entrambi volessero dire qualcosa ma non trovassero le parole poi il guerriero le fece un cenno e uscì senza salutare. 

Raven lo osservò fino a quando la porta non si chiuse dietro di lui sentendosi più sola senza la sua presenza poi scacciò quella sensazione e si concentrò su Bellamy e Clarke.

Finchè gli altri non mi porteranno la roba che mi serve non potrò fare altro” disse odiando per un istante l’idea di perdere del tempo prezioso.

“Direi che per ora hai fatto più che abbastanza e devi riposare il più possibile” disse Bellamy sorridendole.

“Noi ora dobbiamo convincere Abby, Kane e Luna della fattibilità del nostro piano” continuò rivolgendosi a Clarke che annuì di rimando.

“Controllo la fasciatura di Raven e arrivo!” rispose lei.

“Ok, allora esco!” rispose Bellamy incamminandosi verso la porta “Ti aspetto fuori.”

La ragazza annuì con un sorriso che le rimase sulle labbra anche quando, dopo che Bellamy era uscito, si girò verso Raven.

“Mi sono persa qualcosa?” chiese il meccanico scrutando attentamente Clarke.

“Di cosa stai parlando” chiese Clarke mentre era impegnata a prendere delle nuove garze che poi immerse in una strana poltiglia verdastra.

“Tu e Bellamy…non so..” rispose Raven pensierosa.

Clarke alzò di scatto la testa prima di abbassarla di nuovo e nascondere il soffuso rossore sulle sue gote.

“A cavolo, cosa è successo?” chiese il meccanico incuriosita.

“Non lo so….” Mormorò Clarke imbarazzata.

“Non ti seguo” rispose Raven.

“È come se avessi ritrovato il vecchio Bellamy, quello che tu hai sempre visto ma con qualcosa di diverso” rispose la ragazza.

“Beh, di certo, come è successo per tutti, anche lui è cambiato” 

“Forse mi dovrò ancora abituare a vederlo senza sentirmi in colpa” riflettè Clarke

“Può darsi” rispose Raven ma, in cuor suo, il meccanico era certa che il motivo era una altro “O forse ti sei resa conto che Bellamy è anche in bel ragazzo” disse sorridendo e prendendola un po’ in giro.

Le gote di Clarke si fecero ancora più rosse, Raven vide chiaramente che era pronta a negare poi si fermò e disse “Sì, è un bel ragazzo

“Beh averlo scoperto può di certo avertelo fatto vedere in maniera diversa” rispose Raven che stava facendo di tutto per non ridere di fronte all’evidente imbarazzo.

“Può essere” rispose Clarke “credo che sia un po’ come quello che sta accadendo fra te e Roan” disse quindi alzando gli occhi su di lei. 

Questa volta fu Raven a rimanere per un istante spiazzata da quelle parole e non seppe cosa rispondere. 

“Si vede” continuò Clarke mentre cominciava a cambiare la fasciatura sul fianco “Che cominciate ad andare d’accordo, di certo molto di più rispetto a quando vi siete conosciuti” rispose con un mezzo sorriso mentre contemplava con occhio critico il lavoro che aveva appena terminato.

“Mi fa piacere” continuò mentre rimetteva a posto la roba che aveva usato “vederti rilassata di fronte ad un grounder, visto quello che è successo negli ultimi mesi” concluse guardandola finalmente in viso.

Raven annuì ma non sapeva cosa dire, consapevole che per lei, Roan, non era solo più un grounder, per fortuna Clarke in quel momento non sembrava aver colto nulla di altro, lei non sarebbe stata in grado di affrontare delle domande su quello che stava succedendo con il guerriero. 

“Ok, finito disse Clarke alzandosi “Sarà meglio che vada, dobbiamo ancora capire come affrontare mia madre e Kane” concluse con una smorfia prima di avviarsi verso la porta.

“Passate dopo a dirmi come è andata e se Roan è riuscito a fare quello che doveva.

Clarke si girò e annuì, stava per chiudere la porta quando la sua testa sbucò dallo spiraglio aperto “L’ Ice king mi sembra un tipo a posto e, sai com’è, potrebbe anche darti qualche gioia” disse con un mezzo sorriso facendole l’occhiolino poi chiuse la porta senza aspettare la sua reazione.

Colpita e affondata, pensò Raven  appoggiandosi ai cuscini e ripensando alle parole di Clarke.

Non sapeva quando era avvenuto ma aveva scoperto che le piaceva avere il guerriero attorno a se. Solido, protettivo, per lo più silenzioso le dava una sensazione di sicurezza che non aveva mai provato con nessun altro. Ogni tanto, le era capitato di ricordare il loro scontro fuori dalla stanza di ALIE quando aveva potuto ammirare il suo torso nudo. Al solo pensiero sentì le gote arrossarsi e un brivido di pura eccitazione scorrerle nel ventre. 

Analizzò la cosa per qualche istante e comprese che, non ora, ma quando forse le cose si fossero messe al meglio, un pensiero su di lui l’avrebbe potuto anche fare poi, si rese conto del suo stato, delle sue ferite e rise di se stessa. Chi mai avrebbe voluto una persona con un corpo martoriato come il suo, che si doveva drogare per non sentire dolore e non era in grado di difendersi in un mondo pericoloso come quello in cui vivevano. Scosse il capo contrariata per la china che avevano preso i suoi pensieri. Si lasciò scivolare sotto le coperte, forse il sonno avrebbe scacciato quei pensieri e le avrebbe permesso di tornare ad essere concentrata su quello che avrebbe dovuto fare.

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Capitolo 23
*** XXIII ***


 

Capitolo 23

 

“E così Roan e Raven?” chiese Bellamy osservando Clarke che ancora sorrideva dopo aver chiuso la porta.

La ragazza arrossì per essere stata colta in fallo con quella battuta e per un attimo temette che avesse sentito qualcosa in più della sua conversazione con il meccanico.

Cosa fai Blake, stavi origliando?”

“Se ti chiedi se ho sentito quello che vi siete dette dentro la stanza…” Bellamy lasciò in sospeso la frase mentre notava che le guance di Clarke stavano diventando sempre più rosse. 

“Sfortunatamente la porta era chiusa e beneHo sentito solo l’ultima battuta che hai fatto.” rispose Bellamy ma l’idea che le due ragazze potessero aver parlato anche di lui solleticava la sua curiosità e, vista la reazione di Clarke, di certo non riguardava il loro futuro piano.

“È il caso che andiamo comunque da mia madre e Kane” rispose Clarke sviando il discorso e incamminandosi lungo il corridoio. Li avrebbero trovati di certo nella sala dove si sarebbe riunito il conclave quella stessa sera.

Bellamy gli fu subito dietro, un mezzo sorriso fra le labbra, indeciso se torturarla ancora un po’ con delle domande o lasciar perdere ma, fu Clarke a parlare per prima. “Credo che quei due sarebbero una bella coppia

“DiciRaven con la sua linguaccia sferzante riuscirebbe a ridurre a brandelli chiunque e lui mi sembra una persona che non va molto per il sottile. Rispose Bellamy cercando di capire cosa avesse visto Clarke in loro.

“Ma lui è protettivo nei suoi confronti e ha la massima fiducia nelle sue capacità mentre Raven sa che è un guerriero forte, adatto a questo mondo come mai non è riuscito ad esserlo Finn” Clarke si bloccò a quelle parole, un motto di dolore al pensiero di ciò che aveva detto e cosa aveva fatto. “E il fatto che non sia molto loquace non significa che non sappia capirla anzi, credo riescano a capirsi anche senza tante parole.” Continuò la ragazza “Non hai notato gli sguardi che si lanciano?” disse girandosi verso di lui.

“No!” a quella risposta lapidaria Clarke alzò gli occhi al cielo “Ah, uomini” mormorò.

“E questo che vorrebbe significare” chiese Bellamy cercando di interpretare la mezza occhiata che la ragazza gli aveva lanciato subito dopo. Credeva di conoscere bene le donne, e normalmente, avrebbe interpretato quello sguardo in una maniera precisa ma, di fronte a lui, c’era Clarke, non una ragazza qualsiasi. 

“Quello che ho detto, gli uomini determinate cose non le capiscono…” lasciando in sospeso la frase.

Bellamy stava per ribattere ma ormai erano arrivati nella stanza dove gli altri erano riuniti e quel discorso, con i possibili sottointesi, venne accantonato, per il momento.

Prenderli tutti assieme o uno alla volta, si chiese Bellamy osservando Kane, Abby e Luna di fronte a loro mentre erano intenti a discutere. Il conclave si sarebbe svolto da lì a poche ore e non tutti i clan sembravano avere un rappresentante sicuro. A chi dare voce durante la riunione? La scelta di Echo di sfidarli più o meno apertamente aveva spaccato a metà anche i clan. 

“Come va qua?” chiese Bellamy avvicinandosi a Kane che lo aveva visto.

Il viso di Marcus si adombrò era chiaramente preoccupato. “La situazione si sta facendo più tesa di minuto in minuto, giù in città ci sono stati dei tafferugli, la gente, anche delle stessa tribù, si sta dividendo e, non sappiamo se ciò che farà Roan basterà a sedare gli animi, sempre che lui vinca e non cambi idea” mormorò infine Kane guardandolo negli occhi “L’abbiamo visto uscire e inoltrarsi nei boschi”

“L’avete spiato insomma” chiese infastidito Bellamy, sentiva quasi come un affronto personale quella scelta. Sapeva che Kane e gli altri stavano facendo quello che reputavano meglio ma, sentiva che era sbagliato. Come spiegarlo loro? Se chiese frustrato.

Rivolse lo sguardo a Clarke e vide nei suoi occhi le sue stesse perplessità. 

“Noi ci fidiamo di Roan” disse Clarke prendendo la parola “Ha visto l’enormità della minaccia paventata da ALIE, ci ha salvato la vita e mettere in dubbio la sua lealtà è come mettere in dubbio la nostra. È questo che volete?” chiese sferzante Clarke guardando negli occhi prima Kane poi sua madre poco distante da lui ed infine Luna. Li vide abbassare gli occhi ma, non seppe interpretare esattamente quel gesto. 

“Sentite” cominciò a dire Clarke prendendo un bel respiro “Sia che vi fidiate o meno di Roan dobbiamo lasciargli fare quello che deve. Se, come voi pensate, ma io dubito, ci tradirà, dovremmo solo agire di conseguenza come avremmo fatto con Echo. Disse Clarke cercando di essere, forse per la prima volta da quando era scesa sulla Terra, diplomatica con qualcuno. Aveva imparato fin troppo bene cosa significava fare ogni cosa di testa sua. 

Con un sospiro di sollievo vide Kane, sua madre e Luna annuire. Per lo meno quella era fatta e forse non era ancora il caso di riprendere il discorso di Becca Promheda. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto però dalle parole di Bellamy.

“Ma, se Roan dimostrerà la sua lealtà allora voi dovrete lasciarci fare anche per l’ascensione di Luna e la presentazione di Becca” disse il ragazzo.

Clarke si voltò verso di lui come gli altri che adesso lo scrutavano. 

“È azzardato” cominciò Kane

“Pericoloso” continuò Luna subito dopo ma prima che potessero dire altro Bellamy li interruppe di nuovo “Non è più azzardato che mentirgli. Se ho capito una cosa in tutti i mesi è che fare una cosa con la menzogna può causare più morti che dicendo la verità e voi” guardando negli occhi prima Kane e Abby “ dovreste saperlo meglio di me visto ciò che siete stati disposti a fare per un po’ di ossigeno”

Un silenzio esterrefatto crollò su di loro. 

“E così che vuoi che siano le cose fra di noi” chiese Kane avvicinandosi a lui e spezzando il silenzio.

“No, so solo che non voglio più che le mie mani siano lorde di sangue per una menzogna o per paura” rispose Bellamy guardando l’uomo senza mai abbassare lo sguardo.

“Fra poco il conclave comincerà, credo sia ora di cominciare a prepararsi” disse infine prima di girarsi e uscire dalla stanza. 

Clarke diede un’ultima scorsa agli altri che stavano ancora fissando Bellamy poi lo seguì. 

“Non è andata esattamente come speravo” disse Clarke mettendosi subito al suo fianco sperando di alleggerire la tensione che ancora percepiva ancora nel corpo di Bellamy.

A quelle parole il ragazzo si fermò e la guardò “Non era ciò che volevo” rispose scuotendo il capo.

“E allora perché?” chiese curiosa di capire esattamente cosa passasse nella testa dell’amico.

“Perché sono stanco di vivere nel ricordo di ciò che ci ha fatto soffrire in passato. Voglio voltare pagina e Emori, Lincoln, Indra e persino Roan ci hanno dimostrato che si può fare e che lì fuori” disse indicando il paesaggio che si vedeva oltre una delle finestre “Esiste un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto finora.” Concluse il ragazzo senza smettere di guardarla, i suoi occhi scuri fissi nei suoi, una domanda, la richiesta di essere compreso.

Clarke sentì le parole di Bellamy come se fossero le sue stesse parole, ricambiò lo sguardo annuendo ma sentiva che non era abbastanza e fece l’unica cosa che ormai contraddistingueva il loro rapporto. Lo abbracciò, la necessità fisica di sentirlo vicino, come vicini erano i loro spiriti.

Bellamy rimase bloccato per alcuni istanti poi strinse Clarke contro di se, la sua presenza confortante fra le sue braccia. 

Chiuse gli occhi e lasciò che i capelli di Clarke solleticassero la sua guancia. Fu un grave errore perché cominciò a percepire le sue forme contro le sue e il calore di quell’abbraccio che lo avvolgeva. Sentiva il desiderio di far scivolare le sue mani lungo i fianchi di Clarke per poterla stringere meglio e appoggiarla contro di se e contro la sua eccitazione.

Quella consapevolezza lo risvegliò di colpo e si spostò da lei, forse troppo bruscamente, poi la guardò negli occhi, intimorito dall’idea che avesse letto nei suoi pensieri, nel suo corpo una verità con cui stava venendo ancora a patti. Rimase confuso quando Clarke abbassò gli occhi poi notò il rossore che le imporporava le guance. 

“Clarke” la chiamò esitante.

Mhm” rispose lei alzando gli occhi.

“Credo tu sia diventata troppo grande per gli abbracci” la schernì Bellamy

Clarke rimase per un ‘istante a bocca aperta. 

“Bellamy Blake cosa stai insinuando?” ribattè piccata lei.

“Niente” rispose lui con un mezzo sorriso 

“No adesso me lo spieghi” replicò Clarke, una parte di lei voleva che lui le dicesse che sì, quegli abbracci fra loro stavano mettendo in movimento qualcosa che nessuno dei due si sarebbe mai aspettato.

“Una puritana come te non lo capirebbe” ridendole in faccia “ e ora vado a prepararmi” disse voltandole la schiena e raggiungendo la camera poco distante.

“Blake!” urlò Clarke.

Lui voltò solo la testa, quel mezzo sorriso divertito ancora sulle labbra.

Ti dimostrerò il contrario” rispose lei, senza essere esattamente consapevole delle sue parole dette così di getto.

“Non vedo l’ora Principessa” ribattè subito lui poi le fece un occhiolino prima di aprire la porta

“Idiota” mormorò Clarke ormai paonazza “Idiota” urlò all’indirizzo della schiena del ragazzo. Solo la risata dietro la porta che si stava chiudendo accompagnò le sue parole.

La ragazza rimase impietrita un istante, il viso ormai scarlatto dopo quello scambio di parole e con una serie di immagini non proprio pudiche che le passavano per la testa, pronta a metterle in pratica proprio in quel momento e con lui per dimostrargli cosa?...si chiese poi Clarke perplessa. Che era brava a letto o che lo desiderava?.

“Non sapevo che voi due flirtaste in questo modo” le parole di sua madre dietro di lei la fecero sobbalzare, si girò di scatto e, se era possibile, il colore del suo incarnato era diventato ancora più rosso. Sentì la bocca arida incapace di proferire parola.

“Mi piace vederti così” le disse poi la madre sorridendole.

“Così come?” rispose Clarke confusa.

“Con gli occhi vivi e le gotte arrossate, non più in preda alle paure e al dolore” poi l’abbracciò con forza. “Ti voglio bene Clarke.” Le disse in un sussurrò. 

La ragazza anche se presa in contropiede rispose subito all’abbraccio. Stretta a lei, anche se in modo diverso da Bellamy, era come tornare a casa. “Ti voglio bene anch’io” ribattè.

Rimasero così per alcuni attimi poi si sciolsero, entrambe con gli occhi lucidi e un nodo in gola.

“E ora” disse la madre guardandola negli occhi “Prepariamoci per questo conclave e per quello che avverrà con la fiamma

Quindi ci appoggerai” chiese Clarke speranzosa.

La madre annuì “Si, voglio credere in ciò che volete fare, ho fiducia in voi.” Rispose Abby 

“E Kane?” 

“Lo capirà anche lui tranquilla” le rispose poi l’abbracciò di nuovo “Sono fiera di te” disse dandole un bacio sulla guancia. 

“Grazie..” riuscì solo a mormorare Clarke con le lacrime che ormai le bagnavano le gote. 

Quando si separarono la madre la guardò, le asciugò una lacrima e poi disse sorridendo “Adesso dobbiamo andare prima di ritrovarci a piangere qui in mezzo al corridoio.” 

Clarke annuì senza riuscire a proferire parola.

 

Bellamy osservava la sala scrutando fra la gente che si stava riunendo, si sentiva spoglio senza un’arma ma era stato deciso di vietare l’accesso al Conclave armati. Nathan, Brian e altri guerrieri Trikru facevano i controlli all’accesso dell’ascensore poi, da lì, i rappresentanti dei vari clan e i loro secondi venivano accompagnati nella sala.

L’atmosfera era strana, piccoli campanelli di persone erano raggruppati ai lati, discutevano animatamente, lanciavano feroci occhiate agli altri rappresentanti giunti per quella riunione. Per lui tutto ciò era nuovo, sull’ Arca non aveva mai fatto servizio di sorveglianza durante le elezioni e, scesi sulla Terra, le sue preoccupazioni erano state altre. Quando Pikeaveva assunto il potere le cose erano andate diversamente e lui era emotivamente troppo coinvolto per tentare di capire cosa stesse succedendo. Ora si trovava nella situazione di dover analizzare ogni dettaglio, ogni movimento di quella gente per capire le loro intenzioni. Indra dall’altra capo della stanza stava facendo la stessa cosa. 

La scrutò, era dimagrita molto dopo ciò che era avvenuto nelle ultime settimane, il suo sguardo era determinato come sempre ma, i suoi occhi non mostravano più la battagliera luce che l’aveva contraddistinta quando l’aveva conosciuta. Quei mesi l’aveva segnata ma, Bellamy, era certo che ci fosse altro. La guerriera doveva essersi accorta che la stava fissando, si voltò verso di lui, un cenno del capo poi tornò a scrutare fra la gente. 

Bellamy continuò la sua ispezione, Kane, Abby e Luna guardavano lasala mentre discutevano fra di loro, alle loro spalle il trono che era stato di Lexa e di tutti i commander prima di lei. Il pensiero dell’ Heda passò per un istante nella sua mente e, stranamente, non provò nulla se non un sottile dolore all’idea di così tante vite sprecate e distrutte dalle differenze. Quel pensiero però passò oltre come il suo sguardo verso l’ Ice King seduto scomposto su uno degli scranni, le braccia poggiate mollemente sui braccioli della seduta, il capo leggermente inclinato osservava la gente presente in sala, un lieve sorriso accennato che metteva i brividi. Sembrava molto sicurò di sé, pensò Bellamy, ma soprattutto, a dispetto di quella posizione rilassata, era molto intimidatorio. 

Sapeva che aveva fatto visita alla sorella poche ora prima e come prevedeva si era già sparsa la voce che durante il Conclave ci sarebbe stato probabilmente un confronto diretto fra i due fratelli. 

Ma Echo non si faceva vedere, al pensiero della Regina sentì il principio della rabbia che spesso lo aveva accompagnato da quando quella donna lo aveva tradito. Se non le avesse creduto forse Gina e gli altri sarebbero stati ancora vivi..

Bloccò subito quel pensiero, sperando però di riuscire a trattenersi alla sua vista, c’era troppo in ballo per lasciarsi andare all’ira. Con quel pensiero continuò a perlustrare la sala in cerca di Clarke che sembrava sparita dopo il loro scambio di battute di poche ore prima. Sorrise al ricordo provando un misto di leggerezza e aspettativa. Entrambi erano consci che qualcosa era cambiato in loro e ora lui voleva scoprire dove questo li avrebbe portati. Se pensava al futuro, a tutto ciò che avrebbero dovuto fare per salvarsi, avrebbe dovuto provare paura eppure ciò che erastato costruito negli ultimi giorni, ciò che ancora si proponevano di costruire gli instillava una profonda fiducia per il futuro e, forse per quello, si sentiva così libero di scherzare con Clarke.  

La sua attenzione fu attratta da una grounder, non riconosceva la tribù, l’aveva vista spesso accanto a Abby nei primi giorni dopo la battaglia di Polis, l’aveva aiutata come interprete. Sapeva solo che si chiamava Kenza. La vide fendere con sicurezza la folla di gente che si muoveva libera nella sala e raggiungere Abby. Disse loro qualcosa, gli altri annuirono poi, come era arrivata se ne andò. 

Si chiese se fosse giunto il momento di cominciare il conclave, l’ IceQueen ancora non si vedeva, forse avrebbe fatto un’entrata ad effetto come la madre prima di lei, Clarke gli aveva raccontato dello scontro fra la Regina Nia e Lexa, un tassello in più per capire come funzionava la mente dei grounder. Se la figlia era simile alla madre allora probabilmente sarebbe accaduta una cosa del genere ma quel pensiero venne accantonato quando cominciò a sentire un vociare irato proveniente dal corridoio. Si allertò subito, lanciò un’occhiata ad Indrache annuì e, prima che potesse muoversi dalla sua posizione la guerriera si stava già spostando lateralmente senza farsi notare per raggiungere l’uscita. Il resto dei rappresentati dei vari clan sembravano ignari dei rumori che provenivano dall’esterno, buttò un occhio verso Roan che, pur non avendo cambiato la sua posizione rilassata, scrutava l’ingresso. 

Il vociare si acquietò subito e con una certa sorpresa Echo e altri due guerrieri fecero ingresso nella sala del Trono. La gente si accorse subito della sua presenza, tutte le conversazioni si bloccarono bruscamente e si levarono alcuni mormorii di dissenso. Echo rimasi alcuni istanti davanti all’ingresso della sala, il suo sguardo squadrò tutti i presenti, Bellamy, seminascosto da un campanello di persone potè osservarla con attenzione. Un viso che non aveva dimenticato, dritta e altera sembrava analizzare ogni persona lì dentro per poi cancellarla se inutile, si soffermò su Kane ed Abby solo un’istante per poi esaminare con attenzione Luna. Quando lo sguardo delle due donne si incrociò rimase incatenato per alcuni istanti, sul viso dell’ Ice Queen apparve un mezzo sorriso di scherno poi il suo sguardo passò oltre ad incrociare quello del fratello. Per un istante vide la maschera di Echo creparsi alla vista di Roan, durò poco poi il viso inespressivo della donna si ricompose. Lo sguardo di Echo gli rimase impresso, marchiato nella mente, aveva visto dolore negli occhi della ragazza e una muta richiesta di aiuto. Non era certo ciò che Bellamy si aspettava e questo lo lasciava turbato.

“Credo che sia arrivato il momento di cominciare” le parole di Kane interruppero le riflessioni di Bellamy che si concentrò nuovamente sulla gente dei clan che lentamente si andava a sedere nei numerosi scranni messi a disposizione.

Avevano discusso molto su come agire e quale linea tenere

Dopo attente riflessioni avevano deciso di essere diretti il più possibile. Tutti sapevano dei malumori e delle spaccature interne e non potevano lasciarle crescere ancora o lasciare che insinuazioni si facessero strada nella mente e nel cuore della gente e dei vari rappresentanti presenti. La scelta stessa di dare la possibilità anche a più rappresentanti, come nel caso dell’ Ice Nation, di trovare posto ammettendo per lo meno la loro presenza in quel luogo doveva mostrare il desiderio di continuare ad essere aperti e collaborativi. 

Di certo entro la fine di quel conclave gli scranni sarebbero tornati adessere 13 anzi 15 visto che ormai il nuovo clan delle barche e i rappresentanti degli esiliati erano diventati dei loro. Come sarebbero riusciti ad ottenere quel risultato era qualcosa che ancora Bellamy non capiva, sapeva delle spaccature all’ interno di alcuni clan e di certo la sfida fra Roan ed Echo non avrebbe potuto risolvere tutti i giochi di potere che ormai si erano sviluppati in quegli ultimi giorni.

Concentrò la sua attenzione di Kane pronto a parlare. Per un istante rivide il Kane capo della sicurezza sull’ Arca, un uomo in grado di intimorire chiunque per la sua intransigenza e autorità. Era quell’uomo che oggi vedeva in quella sala, non l’uomo che si era trasformato in quei mesi sulla Terra. 

“Oggi” cominciò parlando con voce decisa ed impostata “siamo riuniti per la prima volta per decidere del nostro futuro e quale strada seguire. Una strada che dovremmo percorre insieme” fece un pausa, il suo sguardo abbracciò ognuno di loro. “Luna, l’ultima dei nightbloodaddestrata in questo stesso luogo” continuò poi indicando la ragazza accanto a lui “prenderà il ruolo di commander per guidare i clan in una era di pace, prosperità e condivisione”.

Un brusio di sottofondo si levò a quelle parole, la gente cominciò ad agitarsi e Bellamy si aspettava che, da un momento all’altro, Echo si alzasse in piedi e proclamasse l’illegittimità di quella decisione ma, la ragazza non parlò. Il ragazzo spostò lo sguardo verso Kane, poi verso Roan. La tensione cominciava a farsi sempre più evidente, quando la Regina dell’Ice Nation avrebbe parlato? Quando avrebbero terminato con quella riunione farsa? Cosa non avevano calcolato? 

Si chiese Bellamy temendo per la prima volta che tutto quello che avevano deciso, discusso, compreso fosse  solo un errore di calcolo. 

Scrutò Echo, il suo viso era pallido, sembrava scolpito nella pietra, i suoi occhi grandi fissi sul fratello. 

 

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Capitolo 24
*** XXIV ***


Capitolo 24

 

Kane sembrava essere consapevole quanto lui che qualcosa non stava andando come doveva e continuò a parlare “Crediamo fermamente che questa sia la soluzione giusta per tutti noi…” questa volta fu interrotto dal vociare di un uomo di un clan che non riconosceva “Questa non è l’ unica soluzione” alle sue parole diversi assentirono. “Si, noi non crediamo alle vostre parole” “È vero è colpa vostra, della Wanheda, se l’ Heda è morta”

“Siete voi che avete portato la morte” “Luna è una rietta non la riconosciamo” le voci di chi era contro di loro si alzarono da più parti, alcuni si levarono in piedi minacciosi. 

La mano di Bellamy corse subito alla cintola dove però non c’era la sua arma. Lanciò uno sguardo prima ad Indra e poi a Nathan e Brian che, iniziata la riunione, si erano spostati di guardia alle porte. Erano pronti ad intervenire se fosse stato necessario. 

Ad un certo punto una voce femminile si levò sulle altre “L’ Ice Nation ha un nightblood” una frase che calamitò l’attenzione di tutti, Bellamy tentò di scrutare in mezzo alla folla che ormai era in piedi per capire chi avesse parlato ma il frastuono di chi ripeteva le parole di quella voce sconosciuta riempì la sala.

“Silenzio!” Bellamy si girò di scatto verso Kane, non lo aveva mai sentito usare quel tono e la stanza si ammutolì di colpo.

“Sappiamo dell’esistenza di un altro nightblood, ma non è stato addestrato per il ruolo di Commander, volete veramente farvi governare da una persona del genere. Credete veramente” chiese dopo un momento di sospensione “che gli spirti lo sceglieranno?” 

Bellamy si accorse che molti di coloro che avevano urlato il loro malcontento solo pochi istanti prima abbassarono gli occhi. 

Il suo sguardo corse nuovamente verso Echo che, in quel momento, aveva il viso piegato di lato, inizialmente Bellamy pensò che stesse parlando con qualcuno dietro di lei poi, quando rivolse il suo viso verso gli altri, vide il suo viso marchiato dal dolore, fu un’istante poi tornò al suo sguardo impenetrabile. 

La vide alzarsi in piedi e fare qualche passo verso il centro della sala, i suoi occhi passarono in rassegna gli uomini presenti “L’Ice Nation propone Adelhard, un nuovo nightblood. Siamo certi che gli spiriti lo sceglieranno” disse.

A quelle parole un ragazzo poco più che ventenne fece alcuni passi avanti e si mise al fianco di Echo. Alzò la mano e con un piccolo  coltello che doveva essere sfuggito al controllo si tagliò il palmo della mano, subito alcune stille di sangue nero caddero sul pavimento. Il ragazzo a quel punto aprì il palmo della mano mostrando le tracce del sangue a tutto il conclave.

A quella vista altri tre rappresentati di diversi clan dissero le stesse parole 

pronunciate poco prima da Echo.

Bellamy prese un profondo respiro, il momento era giunto. 

Vide Roan alzarsi dallo scranno dove era rimasto fino a quel momento, indifferente a tutto quello che era avvenuto attorno a lui. Fece alcuni passi verso la sorella poi, con calma, senza smettere di fissarla, estrasse qualcosa dalla giubba che indossava: era un pesante medaglione in metallo. 

Lo alzò facendolo dondolare davanti a se in modo che tutti lo vedessero. Quel pendente doveva avere un significato particolare, pensò Bellamy, perché molti, a quella vista, ammutolirono.

“Fino a quando questo sarà al mio collo, l’ Ice Nation non appoggerà mai un commander non addestrato.” 

“Tu hai perso ogni diritto a portarlo quando hai tradito la tua gente” lo schernì Echo “Io sono l’ Ice Queen” rispose altera alzando il mento.

“Allora non mi resta che ucciderti per riappropriarmi del mio ruolo o tu uccidere me per ottenere questo” rispose calmò Roan.

Bellamy vide Echo deglutire, esitare  “Così sia, nomino Ilan come mio campione” a quelle parole, il secondo guerriero che aveva scortato la regina si fece avanti. 

Nell’ombra Bellamy non era riuscito ad osservarlo bene ma ora notò la possente struttura fisica del guerriero dai capelli scuri ma soprattutto lo sguardo feroce che lanciò a Roan. 

Appariva imponente e temibile e per istante Bellamy dubitò che Roan potesse batterlo ma scacciò immediatamente quel pensiero.

L’ Ice King, dall’altro canto non sembrava particolarmente sorpreso o intimidito dalla presenza del guerriero. Annuì alla sorella.

“Domani allora si deciderà il destino dell’Ice Nation” poi l’uomo uscì dalla stanza. 

Bellamy tirò un sospiro di sollievo, qualunque cosa sarebbe successa ormai il dado era tratto. Cominciò a rilassarsi quando sentì la voce di Kane alzarsi sul mormorio degli altri partecipanti.

“Ora, se altri vogliono legittimare la propria posizione davanti al proprio e agli altri clan, questo è il momento” disse.

Bellamy lo guardò confuso chiedendosi dove volesse andare a parare, poi notò un leggero movimento alla sua destra, come in una perfetta coreografia orchestrata, tre uomini che non conosceva si alzarono in piedi. 

Il più vecchio dei tre cominciò a parlare “Sono Vilnius, rappresento il popolo delle sabbie, esigo chiarezza sulle intenzioni del qui presente Meret che ha parlato in nome del popolo delle sabbie appoggiando Adelhard” alle sue parole seguirono le stesse dichiarazioni da parte di altri due uomini del clan delle rocce e delle foreste dell’est.

L’attenzione di tutti si concentrò sui tre uomini che prima avevano appoggiato il nightblood. Nessuno dei tre proferì parola presi in contropiede da quelle dichiarazioni e, prima che potessero pensare ad una risposta, Kane intervenne. “Se i tre non hanno nulla da dire ora o non desiderano sfidare i loro rappresentanti per legittimare la loro posizione, possiamo rimandare ogni decisione a domani dopo la sfida fra l’ Ice king e il campione dell’ Ice Queen” 

A quelle parole ci fu un momento d’immobilità nella sala poi, nuovamente, come se ogni cosa fosse stata decisa in anticipo, i rappresentati che appoggiavano Luna si alzarono e con la loro guardia del corpo uscirono ordinatamente.

Bellamy era frastornato da quello che era accaduto, guardò nuovamente Kane e vide un lieve sorriso increspare le sue labbra, ci mise alcuni istanti ma poi capì. 

Ogni cosa di quella riunione era stata una farsa, una semplice messa in scena per far uscire allo scoperto i capi dei dissidenti e metterli all’angolo. 

Quei tre, pensò osservando gli uomini che sembravano non aver ancora del tutto capito cosa fosse successo, non erano altro che dei mediocri leccapiedi. Se Roan avesse vinto, qualunque ribellione si sarebbe spenta, perché una potenza come l’ Ice nation sarebbe stata fuori gioco e quei tre non avevano la forza necessaria per essere realmente pericolosi. Non dopo la prova di forza fatta di fronte a tutti da parte dei tre rappresentati che avevano dichiarato il loro ruolo davanti al conclave.

Bellamy volse nuovamente lo sguardo verso Kane, ammirato delle capacità politiche di quell’uomo, chiedendosi, per la prima volta, se sarebbe stato in grado di tale acutezza. 

 

 

Ormai gran parte della gente era uscita dalla sala, Bellamy aveva perso di vista Echo e forse, questo, era un bene. Nella sua mente passò l’immagine della ragazza e rimase perplesso dall’atteggiamento che aveva tenuto durante il conclave ma scosse le spalle, non voleva dedicare un minuto in più a quella donna. Gli si accostarono Nathan e Brian. “Stiamo andando a fare un giro nelle stanze laterali per controllare che siano usciti tutti e qualcuno non tenti qualche giochetto” disse Miller scrutando in giro e passandogli la pistola, c’era sempre la possibilità che qualcuno volesse far fuori Luna a tradimento quindi annuì alle parole del ragazzo. “Io prenderò le stanze a sinistra” disse, in realtà la sua intenzione era cercare Clarke, un tarlo gli era rimasto da quando aveva sentito la voce femminile parlare per prima del nightblood, possibile che fosse stata lei per sbloccare la situazione?, superò diverse stanze comunicati senza vedere nessuno. In quella parte del piano, prima della distruzione e della guerra, erano collocati degli uffici collegati fra loro da diverse porte. Quando raggiunse l’ennesima stanza si accorse che era occupata da Roan, si fermò confuso. 

Il guerriero stava scrutando oltre lo spiraglio di una tenda che separava quella stanza da quella successiva. Stava per chiamarlo quando il guerriero si volse verso di lui e mettendosi il dito davanti alla bocca gli fece cenno di tacere. 

Bellamy si allertò immediatamente e si avvicinò a lui cercando di vedere cosa avesse attratto l’attenzione dell’ uomo. 

Rimase si stucco quando notò, oltre la cortina che il tessuto creava, Echo e il suo campione Ilan. 

“Perché stai tentando di distruggere tutto quello che sto costruendo, stiamo costruendo?” Era il guerriero a parlare, non guardava Echo, camminava avanti e indietro nella stanza infuriato.

“Me lo vuoi spiegare Echo?” domandò minaccioso fermandosi e scrutandola.

La ragazza era vicino ad un muro e a quelle parole abbassò lo sguardo.

“Guardami quando ti parlo!” disse Ilen avvicinandosi a lei.

Echo fece un passo indietro spaventata. “C’è qualcosa di sbagliato in ciò che stiamo facendo..” mormorò la ragazza ma non riuscì a finire la frase. 

Ilan si era avventato su di lei e con una mano le bloccava la gola obbligandola ad alzare il viso verso di lui.

A quell’ attacco da parte del guerriero Bellamy provò l’impulso di entrare nella stanza e allontanare quell’uomo da Echo ma, Roan, vicino a lui, conscio forse di ciò che stava per fare, lo bloccò trattenendolo per un braccio. 

Bellamy lo guardò infuriato, come poteva lasciare che qualcuno trattasse sua sorella in quel modo ma, guardando gli occhi del guerriero, comprese che Ilan non l’avrebbe passata liscia.

Lo sguardo di Bellamy tornò ai due nell’altra stanza.

“Tu sei sbagliata!” la apostrofò il guerriero “Quella al conclave non era una regina dell’ Ice Nation ma una povera bambina che si è messa a giocare in un mondo di adulti.” 

“È questo che vuoi Eh?” chiese Ilan scuotendole il viso “È questa l’immagine che vuoi dare della regina dell’Ice Nation? Tua madre, tua sorella e tutta la tua tribù sarebbe rimasti disgustati dal tuo comportamento. Ti sei fatta piegare da quel traditore di tuo fratello e da quello Skypeople…” di scatto la lasciò andare e ricominciò a camminare nella stanza sempre più infuriato.

Echo si appoggiò alla parete dietro di lei, le spalle incurvate, il suo viso che guardava in terra.

“Guardati anche adesso?” continuò bloccandosi e guardandola “Sei patetica, avrei dovuto lasciarti dove ti ho trovata, persa nella tua follia.”

“Patetica” pronunciò nuovamente quasi spuntando quella parole. Poi prese un respiro profondo, il suo sguardo concentrato oltre di lei, perso in qualche lontano pensiero. Si passò una mano davanti agli occhi poi si riavvicinò a lei. 

“Echo, guardami..” disse Ilan, il suo tono era più dolce ora “Non volevo dire quello che ho detto, mi dispiace” a quelle parole la ragazza annuì senza guardarlo però negli occhi. “Senti” continuò lui alzandole con dolcezza il mento “chi ti è stato accanto quando sei uscita da Mount Weather e nessuno della  tua famiglia era con te? Dimmelo?” 

“Tu” mormorò in un soffio la ragazza

“Io, esatto” rispose Ilan sorridendole “Quello che sto facendo lo sto facendo per te, per noi. Lo sai questo vero?” chiese quindi.

Echo annuì lievemente, il suo corpo scosso da un tremito, ma qualcosa, in quel gesto fece di nuovo infuriare il guerriero che alzò nuovamente la voce.

“E adesso cos’hai, perché se mi avvicino ti comporti così?, pensi che ti voglia fare male? Potrei farlo, lo sai!!” avvicinandosi nuovamente a lei “ma, se lo faccio, è perché te lo meriti, non mi ascolti..” terminò in un sussurrò, la voce di nuovo calma ma non per questo meno minacciosa “tu non hai visto cosa possono fare quegli Skypeople, quali nefandezze possono commettere controllandoci la mente, io si, io l’ho visto, l’ho vissuto. Devono essere sterminati lo sai Echo, vero che lo sai?” di nuovo la voce del guerriero si era alzata di tono, di nuovo aveva cominciato a camminare nella stanza. 

Bellamy si rese conto che quel ragazzo era completamente folle e per questo forse ancora più pericoloso. 

Lo vide fermarsi di colpo, scrutare in giro e per un’istante pensò di essere stato visto ma, il suo sguardo passò oltre. “Dobbiamo andare, queste pareti potrebbero avere orecchie.” Disse incamminandosi verso la porta che dalla stanza comunicava con il corridoio ma Echo non si muoveva “Moviti” le urlò quindi “E pulisciti quella faccia, fingi almeno di essere una regina se puoi” disse. 

Bellamy vide la ragazza passarsi una mano sul viso, il suo labbro inferiore tremò poi raddrizzò la schiena e raggiunse il guerriero. Nel suo sguardo la stessa espressione imperscrutabile che aveva tenuto nel conclave. Una facciata che nascondeva una fragilità che non avrebbe mai immaginato. Si chiese come fosse possibile che Echo gli avesse dato tutto quel potere, come fossero giunti a quel punto. Sentì attorno al suo braccio la stretta ferrea dell’ Ice King, era immobile come una statua, il suo viso una maschera di odio. 

Bellamy ormai era certo, Ilan, il giorno dopo sarebbe morto, non tanto perché era il campione della sorella ma per ciò che le stava facendo. 

Quando ormai i due erano distanti, Roan si staccò da lui di qualche passo, il suo sguardo perso ad osservare uno strano graffito su una delle pareti della stanza. Perso nei propri pensieri, poi parlò. Un flusso di parole che non erano rivolte nemmeno a Bellamy, testimone involontario di qualcosa che il guerriero non avrebbe mai ammesso. 

“Quando Echo e Taria sono nate, è stato subito chiaro che Taria era una persona speciale” cominciò a raccontare Roan “Crescendo Echo è diventata, per mia madre e per molti della tribù, un’indistinta ombra nella luce della sorella. Più tentava di fare qualcosa per attrarre l’attenzione di mia madre più falliva. Quando Taria è morta Echo ha cercato di essere la figlia perfetta ma mia madre, persa nel suo dolore, non la vedeva. Ho cercato” mormorò guardandolo “ di starle accanto ma poi c’è stata la guerra, il mio soggiorno forzato a Polis, l’esilio, la sua prigionia e, tutto è cambiato” disse scuotendo la testa. “È rimasta dentro a Mount Weather un anno prima che la liberaste” continuò scrutandolo attentamente. Bellamy rabbrividì a quelle parole solo in parte consapevole dell’orrore che Echo aveva  dovuto subire. “Quando è tornata, ha cercato mia madre, come ha sempre fatto. È stato per questo che la regina ha scelto lei per ingannarti e allontanarti da Mount Weather” Bellamy sentì un vuoto dentro consapevole per la prima volta di ciò che c’era dietro a quella ragazza che aveva odiato per così tanto tempo. Avrebbe voluto chiedere perché si facesse trattare in quel modo da Ilan, ma ormai aveva capito. “Echo e Ilan sono cresciuti assieme” disse Roan quasi leggendogli nella mente “mi ricordo che quando lo addestravo lei parteggiava sempre per lui. Era un ragazzo forte, protettivo” spiegò “avevo saputo che era stato soggiogato ma…non immaginavo questo!”

“Cosa succederà ora?” chiese Bellamy conscio del peso che Roan stava portando.

Il guerriero lo guardò negli occhi “Ilan morirà domani” 

“Ed Echo” chiese Bellamy. Dopo ciò che aveva visto ogni rabbia che provava nei confronti della ragazza era sparito, solo il dolore per tutte le tragedie che aveva subito, che tutti avevano subito

“Non lo so..” Rispose Roan in un mormorio. Per un’istante il guerriero perse la sua corazza e Bellamy vide l’uomo segnato dalla vita. D’istinto si avvicinò a lui e gli strinse la spalla, non conosceva altro gesto per mostrargli quando lui capisse la sua situazione. L’ Ice King parve capirlo e annuì grato poi si sciolse dalla stretta, il suo sguardo tornato quello di sempre.

“Ora devo andare. Devo prepararmi per il duello di domani.”

 

 

NOTA: Ok anche la storia di Echo è partita per la tengente prima che me ne accorgessi, ‘sti personaggi che hanno una vita propria arggh…., ve lo giuro non era voluto. Avevo apprezzato molto Echo nella fine della 2° e mi è dispiaciuto assai che poi me l’abbiano distrutta con quel tradimento. Camipp era della stessa opinione e così, niente dovevo “aggiustare” il personaggio ahahah.

p.s. comunicazione di servizio… per prepararvi psicologicamente e avvertirvi che stiamo raggiungendo la fine di questa Long che terminerà al 30 esimo capitolo ufficiale :P.

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Capitolo 25
*** XXV ***


Capitolo 25

 

Roan camminava avanti e indietro nella camera che gli era stata assegnata da quando era ritornato a Polis. Respirava lentamente cercando di trovare la concentrazione per ciò che avrebbe dovuto fare, nella mente ripeteva movimenti, affondi, parate e finte. 

Conosceva Ilan fin troppo bene, l’aveva addestrato lui sin da piccolo e, per un certo periodo, era stato il suo secondo ma sapeva che questa volta sarebbe stato tutto diverso, Ilan era cambiato, ALIE gli aveva fatto qualcosa e il ragazzo ormai sembrava essere posseduto da una lucida follia e questo lo preoccupava come lo preoccupava la consapevolezza di non avere la freddezza di combattere, non dopo aver visto come si era comportato Ilan con Echo. 

Non aveva paura di morire, un guerriero cercava la morte, viveva per la morte e se quello sarebbe stato il suo destino l’avrebbe accettato ma, ora, aveva la brutta sensazione che, la sua rabbia per tutto ciò che Echo stava subendo, non gli avrebbe permesso di essere concentrato durante il combattimento e che la morte si sarebbe potuta abbattere su di lui prima del previsto

Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da un sommesso bussare alla porta, guardò fuori dalla finestra, il sole era già alto, probabilmente lo stavano venendo a prendere per scortarlo all’arena dove si sarebbe svolto il duello. 

Aprì la porta sicuro di trovare uno dei suoi guerrieri venuto a chiamarlo invece vide di fronte a se il meccanico che si infilò dentro la stanza, il viso era segnato dalla stanchezza eppure ad essa si sovrapponeva l’immagine di lei alla sorgente

Roan si rese conto che non voleva averla lì in quel momento, non voleva pensare a lei, non quando la sua anima era lacerata dalle tragedie che si continuavano ad abbattere sulla sua vita e su quella della sua famiglia. Non ora che si sentiva così fragile. 

Si avvicinò alla poltrona dove aveva riposto le sue armi e cominciò ad indossarle, non voleva vederla, ammirare il suo profilo deciso e la sua bellezza che, di giorno in giorno, l’aveva affascinato sempre di più.

“Volevo ringraziarti per quello che stai facendo per noi” disse Raven.

Roan si girò “È il mio dovere e lo faccio anche per la mia tribù” disse solamente cercando di non mostrare quanto fosse turbato in quel momento.

“Grazie lo stesso” replicò Raven sembrava volesse aggiungere altro ma poi gli fece solo un cenno con il capo e si incamminò verso l’uscita. 

Arrivata alla porta si bloccò, la mano posata sulla maniglia, “Non morirai vero?” disse in un sussurro.

Roan la osservò sbalordito per alcuni istanti, non gli aveva mai parlato così.

“Sarà il destino a deciderlo” rispose.

Lei si voltò, uno sguardo che non le aveva mai visto negli occhi “Promettimi che non morirai” 

“Non posso farlo” rispose Roan “Perché me lo stai chiedendo? ” continuò poi facendo qualche passo nella sua direzione non voleva aggrapparsi a ciò che vedeva negli occhi della ragazza.

“Perché me lo stai chiedendo Raven?” ripeté il guerriero ma la ragazza sfuggì al suo sguardo.

Ormai il guerriero era vicino a lei, piegò di lato il capo.

“Perché?” chiese in un sussurro roco l’ Ice King.

“Tu non morirai” rispose Raven guardandolo fisso negli occhi.

Roan sentì un calore riempirgli il cuore, un sentimento che non aveva mai provato. Raven lo stava osservando con quell’ espressione fiera e decisa che solo la compagna di un guerriero possedeva. Sembrava gli stesse lanciando una fune nel momento in cui si sentiva più perduto.

Ciò che avvenne fu inevitabile.

Il guerriero accostò le sue mani al viso di Raven e la baciò. Un bacio feroce, di possesso. Un primordiale desiderio di marchiare quella donna,di assaporare una certezza ora che il suo futuro sembrava così incerto. Roan sentì la ragazza cedere, si aggrappò a lui per poter rendere più intimo quel contatto.

L’ uomo si lasciò sfuggire un sospiro di soddisfazione, lasciò il viso della ragazza per stringerle i fianchi e sollevarla contro di sé. La sentìaggrapparsi a lui circondandogli il collo con le sue braccia. 

Le loro labbra ancora sigillate in un bacio che li stava divorando e rappresentava il centro della loro stessa vita.

Entrambi sentirono la necessità di raggiungere una maggiore intimità. Roan appoggiò la schiena della ragazza contro la porta per rendere più stabile il loro contatto senza doversi separare. Le sue mani scivolarono sotto i glutei di Raven che a quel contatto mormorò soddisfatta poi lei gli cinse i fianchi con le sue gambe. Ora solo i vestiti li separavano. 

Continuarono a baciarsi, sfregandosi l’uno contro l’altro senza mostrare alcun pudore entrambi desiderosi di qualcosa di più ma, anche nella tempesta di ciò che provavano, entrambi sapevano che entro breve qualcuno avrebbe bussato alla porta e Roan avrebbe dovuto affrontare il suo destino

Raven fu la prima a staccarsi, sciogliendo l’abbraccio e lasciando che Roan la appoggiasse a terra  poi accostò il capo alla petto del guerrierostringendolo a se per sentire il battito affrettato del suo cuore a cui quello della ragazza faceva da contraltare. Entrambi avevano il fiatone, persi nel ricordo di ciò che era appena avvenuto.

“Promettimi che non morirai” le mormorò dopo alcuni minuti lei “Promettimi che non morirai e stanotte verrai da me” insistette spostandosi per poterlo guardare negli occhi. 

Roan si piegò verso di lei lasciando che le loro labbra si sfiorassero “Non morirò” disse in un sussurro guardandola negli occhi poi la baciò di nuovo sigillando una promessa che aveva tutta l’intenzione di mantenere.

Rimasero così, immobili, uno di fronte all’ altro, i loro sguardi incatenati come se il tempo non avesse più significato fino a quando un sommesso bussare alla porta lì risvegliò.

Il guerriero si riscosse frastornato e si allontanò dei lei, notò che Raven non riusciva più a guardarlo negli occhi, strofinava la mano sui pantaloni in un gesto nervoso entrambi consci di quanto avevano appena condiviso, frastornati dalla realtà che si era fatto largo nel loro momento.

“Là a sinistra” disse indicando con un cenno del capo la parete della stanza “dietro quella tenda c’è una porta se vuoi puoi uscire da lì” concluse spostandosi per farla passare ma Raven rimase immobile, lo guardò negli occhi. La ragazza si rese conto che si stavano dando la possibilità di nascondere quello che era avvenuto ma, comprese in un istante, non era ciò che voleva. Non sapevo cosa sarebbe successo della sua vita dopo quel combattimento. Voleva dimostrare a se stessa che aveva ancora la forza di stare accanto ad una persona per cui stava cominciando a provare qualcosa. 

Si spostò di un passo dalla porta poi l’aprì senza mai smettere di guardare Roan. Vide le sue labbra in un dolce sorriso appena accennato e in quel momento capì che aveva fatto la cosa giusta poi notò il suo sguardo aprirsi alla sorpresa.

Raven si girò verso la porta ormai aperta e vide Bellamy che li scrutava, passando dall’uno all’altro, un mezzo sorriso.

La ragazza abbassò gli occhi imbarazzata, fu solo un istante poi li rialzò di nuovo, guardò il guerriero “Vedi di non morire” disse solamente poi prese la strada per l’uscita. “Blake” mormorò in direzione di Bellamy “Reyes” ribattè di rimando, il mezzo sorriso non accennava a sparire dal suo viso. 

 

Bellamy seguì con lo sguardo il meccanico per un istante poi guardò il guerriero, avrebbe voluto dire qualcosa ma si bloccò. Lo sguardo di Roan aveva perso quell’accenno di dolcezza che aveva scorto per un istante quando si era aperta la porta, ora era tornato il guerriero che aveva conosciuto prima di quel viaggio, quello che aveva tentato di prendere la fiamma a Clarke. 

“Sei pronto?” chiese solamente avvicinandosi.

“Sì” rispose “Perché sei venuto tu? Dove sono i miei guerrieri?” chiese quindi scrutandolo. 

Bellamy scrollò le spalle “Quando ho detto loro che sarei venuto io non hanno osato contraddirmi” rispose con un mezzo sorriso. 

“Ti stai facendo strada eh” disse l’ Ice King con un cenno di rispetto negli occhi “così mi accompagnerà uno skypeople per un duello per il mio ruolo di Re e una donna degli skypeople è l’unica che mi è venuta a salutare” riflettè per un istante. “Strano il destino, ma gli spiriti me lo avevano detto” continuò poi tranquillo.

“Io non credo al destino ma che le persone possano cambiare sì” rispose Bellamy ricordandogli la battuta fatte solo pochi giorni prima quando erano ad Arkadia.

Roan annuì. “Ti prenderai cura di mia sorella qualunque cosa succeda?” chiese a quel punto il guerriero.

Bellamy sapeva che quella era una promessa difficile per lui, entrambi ne erano consapevoli ma, non ci pensò un’istante. Se sua sorella avesse mai avuto bisogno di qualcuno avrebbe voluto che nella sua strada incontrasse un guerriero come Roan. 

“Sì, mi prenderò cura di lei come fosse mia sorella.” Rispose quindi.

Il guerriero dell’ Ice Nation annuì a quelle parole conscio del peso che avessero per lo Skypeople.

 

 

Man mano che camminava lungo il corridoio che lo avrebbe condotto all’arena il rumore della folla diventava sempre più alto. Spettacoli del genere piacevano sempre alla gente, più importante era la posta in palio più alte sarebbero state le urla. Un mezzo sorriso passo sulle sue labbra quando si ricordò che poco più di un mese prima aveva fatto quello stesso percorso, all’epoca era il campione di sua madre, che all’ultimo aveva tradito e ora si trovava a combattere contro il campione della sua stessa sorella. Si chiese se quella follia sarebbe mai terminata. Un pensiero che mai gli sarebbe passato per la mente prima ma ora, dopo aver cominciato a conoscere gli Skypeople, si rese conto che lui era cambiato e vedeva le cose in maniera diversa. 

Finalmente giunsero all’interno dell’arena, Bellamy si era fermato accanto all’entrata, vide subito Clarke accanto a lui. Scrutò in mezzo alla folla nel tentativo di scorgere Raven e la individuò poco distante dagli altri, parlava con il medico e stava scuotendo la testa. I loro occhi si incrociarono un’istante poi Roan guardò di fronte a se. Il palco era gremito dai rappresentanti dei clan, fra loro vide anche sua sorella il suo viso era pallido alla luce del sole.

Sentì la sua mano stringersi attorno all’impugnatura della spada e a quel punto cercò Ilan. Si trovava a poca distanza da lui, era arrivato dalla parte opposta e come lui stava aspettando che il duello avesse inizio.

Fu Kane a prendere la parola, come l’aveva presa durante il conclave. Non si trovava sul palco ma ai suoi piedi, fece alcuni passi avanti fino a raggiungere i due contendenti al centro dell’arena.

“Non conosco le vostre regole” mormorò Kane scrutandoli attentamente ma poi alzando la voce e guardando la folla assiepata nell’arena urlò

“Il combattimento cominci finchè uno non muoia o chieda pietà”

Poi si spostò dall’area.

I due contendenti cominciarono a girarsi attorno, Roan scrutava ogni minimo cambio di espressione di Ilan, sapeva che dopo una frattura alla spalla destra aveva la tendenza a fare un doppio passo prima di fare un affondo, che preferiva muoversi in senso orario e scartare lateralmente dalla parte opposta prima di colpire. E infatti, il giovane guerriero provò subito con un primo affondo che Roan bloccò facilmente con una torsione della spada poi lo spinse via ma in quel momento, quando il campione delle sorella si era avvicinato a lui, aveva visto negli occhi una luce che non gli piaceva. 

Non ebbe tempo di pensare, il ragazzo lo attaccò di nuovo, un movimento scoordinato, Roan riuscì facilmente a schivarlo e prima che l’altro si mettesse in guardia riuscì a colpirlo con un fendente al fianco. La giubba di Ilan si stracciò ma il suo corpo rimase incolume. 

Da quel momento il ragazzo non smise più di attaccarlo, come se quel primo colpo che Roan aveva messo a segno fosse stata scintilla che aveva esplodere tutta la sua rabbia. 

Non era preciso, anzi, eppure era forte e agile e quello gli permetteva di farsi sotto un attacco dopo l’altro con una furia che aveva poco di umano e a cui Roan faceva fatica a star dietro. 

Ormai non sentiva più il rumoreggiare della folla, ogni cosa gli appariva ovattata, concentrato sugli attacchi del avversario. Più che il clangore delle spade il suo corpo percepiva il riverbero dei colpi quando bloccava un attacco o veniva bloccato. 

Le spade continuavano a mulinare senza sosta e Roan cominciava a sentire la fatica avanzare, le fastidiose ferite inferte dalla spada gli fecero capire che era stato colpito sin troppe volte. I suoi polmoni bruciavano per la fatica. Doveva agire immediatamente prima che fosse troppo tardi. Un unico colpo rischioso che doveva risolvere la questione, non oltre, non se lo poteva più permettere. 

Non poteva sbagliare altrimenti sarebbe morto. Il ragazzo sembrava avere lo spirito della morte in corpo.

Ilan gli era già sotto con un nuovo attacco, lo parò spingendolo via poi fece alcuni passi indietro prendendo le distanza dal suo avversario, voleva dare la sensazione che ormai fosse allo stremo delle forze e infatti il ragazzo partì nuovamente contro di lui. 

Roan lo aspettava, di colpo lasciò cadere la sua spada e quando Ilan gli fu sotto, si abbassò e scartò lievemente a destra. 

Con la sua mano sinistra bloccò il polso del ragazzo, deviando il fendente che per la forza riuscì comunque a scalfirgli la manica della giubba. Nello stesso istante fece partire un pugno che prese il ragazzo alla bocca dello stomaco, il colpo tolse il respiro al giovane che si piego per un istante su se stesso e allentò la presa sulla mano che impugnava la spada. Roan non aspettava altro, torse il polso e prima che l’altro potesse fare qualcosa usò il pomello dell’impugnatura per colpirlo al viso. Il colpo non fu violento quanto desiderava ma abbastanza per spaccargli la bocca e diversi denti. Il giovane barcollò indietro. 

Era ormai disarmato. 

Roan raccolse la spada che era rimasta ai suoi piedi e si avvicinò al ragazzo. I suoi occhi non avevano perso la loro scintilla di follia.

L’ Ice King lo guardò, rivide il giovane che era stato, esitò ma poi lo attaccò per l’ultima volta tranciandogli la giugulare. Ilan crollo a terra, le sue mani tentarono di tamponare il flusso di sangue che stava uscendo dal collo. 

In quel momento il ragazzo alzò gli occhi e lo strazio di ciò che vide si abbattè su di lui: la follia era sparita negli occhi di Ilan. Rivide lo sguardo del giovane guerriero che, un lontano giorno d’estate si era presentato a lui per cominciare l’addestramento, i suoi occhi brillavano all’idea di poter cominciare ad usare una spada vera e non solo un mero surrogato. Ben presto la scintilla di luce nei suoi occhi lasciò il posto all’opaco vuoto della morte. Il ragazzo morì lasciando che un’enorme pozza di sangue imbrattasse la sabbia bianca dell’arena. La folla era ammutolita durante la fase finale del combattimento e, anche durante la morte del giovane, il silenzio era calato sugli spettatori. 

Roan si guardò attorno, riuscì ad individuare subito Raven fra la folla, lo sguardo di orrore nei suoi occhi furono una pugnalata ma doveva concludere ciò che aveva cominciato.

“Io sono Roan Kom Azgheda” tuonò “Re dell’ Ice Nation, chiunque da questo momento si metterà contro di me o contro il conclave otterrà questo!” disse infilzando la spada sporca di sangue nella pozza che si era creata accanto al corpo di Ilan.

Poi si girò verso il palco dei rappresentati dove si trovava Echo ora in piedi, anche dalla distanza poteva vedere il pallore del suo viso e l’espressione di paura, prese un profondo respiro. Per chi guardava la scena sembrava solo un momento di teatrale impatto mentre lui stava tentando di tenere assieme i pezzi della sua anima per ciò che era costretto ancora a fare. 

“Echo, figlia di Marius e Nia” tuonò “Viene e inginocchiati di fronte al tuo re” nel silenzio le sue parole rimbombarono. L’immobilità sembrava regnare all’interno dell’ arena, lentamente la ragazza fece un passo verso di lui, poi un altro fino a quando non lo raggiunse. 

Quando ormai erano uno di fronte all’altro Roan potè vedere il dolore negli occhi della sorella poi lei piegò il viso e si inginocchiò, abbassò il capo lasciando scoperto il collo. 

“Echo kom Azgheda, per le nostre leggi dovrei ucciderti” cominciò l’ Ice King “ma non voglio cominciare il mio regno con le mani coperte dal sangue di mia sorella” la giovane a quelle parole alzò il viso e la folla cominciò a rumoreggiare. 

“Silenzio” urlò contro la folla Roan, la sua voce potente riuscì a sovrastare il mormorio della folla “Il conclave deciderà della vita o della morte di Echo Kom Azgheda.” A quelle parole la folla ricominciò a mormorare. Roan girò lo sguardo verso Bellamy che annuì e cominciò ad incamminarsi verso di lui, quando gli fu vicino Roan mormorò “Te l’affido, portala al sicuro fino a quando il conclave non deciderà” poi allungò il braccio verso la sorella facendola alzare. I suoi occhi erano sbarrati, terrorizzata forse di cadere nelle mani di colui che aveva tradito ma Roan le sussurrò “Vai con lui, ti terrà al sicuro fino a quando sarà deciso il tuo destino” alzò la mano per accarezzarle il viso ma si bloccò, non poteva farlo, non in quel luogo non in quel momento, Echo però annuì e si lasciò portare via da Blake.

Roan a quel punto si girò nuovamente verso la folla che sembrava non voler lasciare ancora l’arena ed era pronta a dire la sua su ciò che era appena accaduto. Prese un respirò e parlò nuovamente “Molte cose sono cambiata da quando gli Skypeople sono entrati nei territori dei clan. Il vecchio mondo non esiste più. Una nuova era sta per cominciare, da domani la costruiremo e gli spiriti dei vecchi commander veglieranno su di noi come hanno sempre fatto, un nuovo custode della Fiamma ci accompagnerà in questo viaggio” concluse, poi, nel silenzio successivo a quelle parole, uscì dall’arena. 

Passò accanto a Raven, non voleva guardarla, nella sua mente ancora l’immagine del viso contraffatto dall’orrore quando aveva ucciso Ilan ma il suo sguardo fu comunque attratto da lei, timoroso di vedere disgusto nei suoi occhi, lo stesso che in parte provava lui per se stesso per ciò che era stato costretto a fare. Il meccanico lo guardava, il suo viso era imperscrutabile, l’ Ice king volse lo sguardo di fronte a se chiedendosi se, quella sera, avrebbe avuto il coraggio di presentarsi nella sua stanza come le aveva promesso e se lei lo avrebbe fatto entrare.

 

Bellamy sentiva dietro di se il mormorio di Nathan e Brian, quando era uscito dall’ arena accompagnando Echo, aveva subito capito che aveva bisogno di un aiuto armato e li aveva chiamati. Non tutti aveva preso bene la scelta di Roan di lasciare in vita la sorella, era una scelta che aveva stupito lui per primo e non sapeva esattamente cosa pensare. L’aveva lasciata in vita per il legame di parentela, per senso di responsabilità oppure perché credeva fermamente che quel gesto, lasciare al conclave di decidere del destino di Echo, fosse la cosa giusta?. 

Scosse il capo al pensiero di ciò che lui aveva fatto per la sorella e forse era la persona meno adatta per giudicare le motivazioni del guerriero. Di certo, la sua scelta dava una profonda svolta ai rapporti con le tribù, una svolta che a loro serviva per affrontare il problema delle centrali.

“Avrebbe dovuto ucciderla!” sentì mormorare Brian a voce abbastanza alta da farsi sentire da lui ma soprattutto da Echo che camminava al suo fianco. Sentì la ragazza rabbrividire, sembrava il fantasma della ragazza che lo aveva aiutato dentro a Mount Weather. 

“Non è il momento Brian” lo apostrofò ad alta voce voltando la testa nella sua direzione. Vide Nathan accanto al compagno irrigidirsi, sapeva quanto fosse dura avere Echo così vicina ma, loro, non sapevano.. scorse dietro di loro Clarke. 

L’aveva chiamata appena entrati nel tunnel, era certo che Echo avrebbe avuto bisogno di qualcosa di forte per calmarsi dopo tutto quello che era accaduto. La ragazza lo stava fissando intensamente, non era certo di cosa le passasse per la testa se era confusa dal suo comportamento. Lui stesso si meravigliava della facilità con cui aveva accettato di farsi carico di Echo dopo ciò che aveva visto e le parole di Roan.

Sentì la ragazza accanto a se barcollare, la tensione delle ultime ore, forse giorni, cominciava a farsi sentire. Allungò un braccio per sostenerla “Siamo quasi arrivati” le mormorò.

La ragazza annuì ma non si scostò da lui. “Perché lo stai facendo?” chiese in un sussurro. Bellamy rimase in silenzio un istante “Non lo so..” rispose, ed era vero. 

“Cosa mi succederà?” chiese quindi la ragazza.

Il ragazzo scosse la testa, non poteva sapere cosa il conclave avrebbe deciso. “E tu” insistette Echo “Cosa vuoi?”. 

Bellamy la fissò nella penombra del corridoio poco illuminato, vedeva i suoi occhi cerchiati dalle occhiaie, la pelle ancora più pallida alla luce delle poche lampade appese, la sua paura e il suo tormento nello sguardo. “Che tu riesca a trovare la pace.” Disse con sincerità Bellamy, qualunque essa fosse. 

Era la stessa pace che avrebbe desiderato per sua sorella, la stessa che lui forse cercava ancora. La pace di chi ha superato i propri tormenti, il proprio senso di colpa ed era riuscito ad andare avanti. La ragazza annuì alle sue parole, un sorriso accennato sulle labbra.

Quando arrivarono di fronte ad una stanza che probabilmente in passato era uno ripostiglio per gli attrezzi, Bellamy fece entrare la ragazza. La prigione era piccola e buia, filtrava solo una lieve luce da una piccola bocca di lupo. Il ragazzo rabbrividì al pensiero di lasciare lì Echo, consapevole di ciò che aveva passato dentro Mount Weather. 

Volse lo sguardo verso la grounder ma sembrava indifferente a ciò che la circondava. Si accomodò pesantemente sulla piccola branda nella stanza, le mani giunte in grembo, il capo chino in avanti, era immobile, solo lievi singulti le scuotevano le spalle. Di nuovo nella mente di Bellamy rivide la fiera guerriera che dopo un anno di prigionia aveva avuto la prontezza di riflessi di trattenere la guardia.

Bellamy si girò verso Clarke “Dalle un calmante o un sonnifero, sta per crollare” la ragazza stava per aprire la bocca, le scorte di medicinali si stavano scarseggiando, non voleva usarle per quella donna che li aveva messi così in difficoltà, che era stata la causa di tutte quelle morti ma, allo sguardo del ragazzo, desistette e aprì la valigetta che aveva portato con se.

Bellamy era conscio di ogni pensiero passato nella mente di Clarke ma questo non gli fece cambiare idea. Il ragazzo si inginocchio di fronte a Echo “Adesso Clarke ti darà qualcosa per dormire, non avere paura, ti risveglierai.” Disse rassicurandola, aveva notato il suo sguardo smarrito. 

Clarke fece l’ iniezione poi Bellamy con cura fece distendere Echo. 

“Rimani con me fino a quando non chiuderò gli occhi?” chiese la giovane con voce tremante, sembrava una bambina impaurita, Bellamy sentì qualcosa spezzarsi dentro e riuscì solo ad annuire prendendole la mano.

Lentamente vide le sue palpebre farsi pesanti poi, poco prima di chiudere gli occhi, la ragazza lo guardò, un lieve sorriso sulle labbra, una scintilla di vita nello sguardo “Sai, quando gli incubi della prigionia a Mount Weather mi svegliavano di soprassalto, per addormentarmi pensavo a te, pensavo che sarei riuscita a venire nel vostro campo e tu mi avresti sempre tenuta con te, al sicuro,  ma la Regina non me l’ha permesso…” sussurrò mentre ormai l’effetto del sonnifero prendeva il sopravvento. 

Bellamy si sentì stordito da quelle confessione, si alzò, sentì Clarke appoggiargli una mano sul braccio ma la scostò, uscì senza guardare nessuno in viso, aveva bisogno di aria e della luce del sole per superare ciò che era appena successo. Maledetta Terra, maledetto mondo che li faceva soffrire in quel modo. Riusciva solo a pensare mentre guadagnava l’uscita. 

 

 

NOTA dell’autore: Salve a tutti, prima di tutto vi ringrazio delle vostre recensioni e dei complimenti che mi fate per questa storia che mi ha letteralmente tenuta impegnata notte e giorno!!....Camipp lo sa visto gli orari più assurdi in cui gli mandavo i miei scleri notturni. Comunque questa nota è per dirvi altro ossia che la mia mente macchiavellica ha in serbo per voi una ---rullo di tamburi---- TRACCIA FANTASMA ahaha….non dovrei svelarvi tutto ma sono buona per cui ve lo dico. Questa FF come sapete è a Rating arancione quindi leggibile anche dai minorenni ma Roan e Raven meritano uno spazio loro a rating rosso quindi, per NON cambiare il rating della storia io e Camipp abbiamo deciso per un “giochetto”: domani verrà pubblicata da Camipp una one shot a rating rosso dal titolo “L’anima di un guerriero” ….volete sapere se Roan andrà da Raven, se lei gli aprirà la porta e cosa succederà nelle buie ore della notte? ….ecco allora vi consiglio di non perdere quella lettura e spero sia all’altezza delle vostre aspettative. Per gli altri che non sono interessati, non cambierà nulla, dopo domani, come al solito pubblicheremo il 26 esimo capitolo della storia e, tranquilli, non perderete il senso della storia, solo i particolari più piccanti e beh quanto possono essere cuccioli assieme Roan e Raven :P

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Capitolo 26
*** XXVI ***


Capitolo 26

 

 

Bellamy osservava la festa dal suo angolo nascosto, la schiena contro il muro dietro di lui, l’ennesimo bicchiere riempito fra le mani e i suoi pensieri persi altrove. Ogni cosa si stava svolgendo come in ogni festa che si rispettasse, musica, balli e alcool. Spesso gli altri lo avevano chiamato per festeggiare con loro ma aveva sempre detto di No. Sapeva che Nathan e non solo lo stavano tenendo d’occhio preoccupati. Anche Clarke gli era venuta incontro un paio di volte, come lo aveva cercato anche nel pomeriggio ma lui aveva sempre svincolato da quando aveva lasciato Echo alla prigione e il suo umore si era fatto sempre più pesante e angosciato.

Aveva passato diverse ore a vagare nella città, fra la gente che cominciava a prepararsi per la festa poi era uscito. Inizialmente pensava fosse solo il tentativo di allontanarsi dal dolore che aveva letto negli occhi di Echo, il fatto che si sentisse assurdamente responsabile per ciò che le era capitato poi, mentre girava fra i vicoli di Polis, il suo sguardo aveva cominciato a scrutare fra la gente alla ricerca di una ragazza dai capelli scuri, con l’unico impossibile desiderio di rivedere sua sorella e avere la certezza che stesse bene. 

Se ne era reso quando, uscito dalla città, aveva cominciato a vagare senza meta fra i boschi nell’ insensato tentativo di cercarla, sentendosi colpevole per averla lasciata andare. Nuovamente colpevole per ciò che era accaduto a Lincoln. 

Nella sua mente un continuo caos di immagini lo stavano tormentavano. Pensava ai 300 uomini uccisi, i loro volti senza più luce mentre cercava i feriti, e pensava alle vite che aveva spezzato, agli occhi dei loro familiari che non li avrebbero più rivisti, a Nylah, alla sua forza, alla tragedia che doveva essere stata perdere suo padre e suo fratello per mano di uno skypeople. E poi il suo pensiero ritornava a Octavia, non si trattava più della scelta che aveva compiuto quando aveva ucciso Pike ma cosa sarebbe potuta diventare.

Per quanto assurdo fosse, non voleva pensare che sua sorella potesse trasformarsi in una nuova Echo, non voleva trovarsi nella situazione in cui si era trovato Roan e doverla fronteggiare sui lati opposti della barricata, senza la possibilità di parlare. 

Come se i suoi pensieri lo avessero fatto apparire, il nuovo Ice King sbucò dalla folla e si incamminò verso di lui. Bellamy tolse il piede che aveva appoggiato sulla sedia accanto a lui ma il guerriero scosse il capo.

“Nemmeno un bicchiere?, non abbiamo ancora festeggiato la tua vittoria” disse Bellamy con la voce impastata, consapevole quanto fosse di cattivo gusto quella battuta, il guerriero lo scrutò attentamente “Forse ti conviene andarci piano con quella bevanda” rispose.

Il ragazzo appoggiò la testa contro il muro dietro di se per poter guardare il guerriero più comodamente “E tu potresti farti i fatti tuoi” rispose infastidito. “Ero venuto a ringraziarti per mia sorella, ma non è il momento.” Disse poi volse le spalle per andarsene “Potevi andarla almeno a trovare” urlò Bellamy arrabbiato, la sua voce sovrastò la musica e alcune delle persone attorno si girarono nella loro direzione ma lo sguardo che lanciò loro l’ Ice King li fece subito voltare da un’altra parte. Il guerriero si avvicinò allo skypeople, la rabbia appena celata nei suoi occhi. “Sono l’ Ice King, non posso andare a trovare mia sorella, se vogliamo che ogni cosa funziona e ora” continuò con voce più bassa “ti conviene uscire di qua e prende un po’ di aria prima che tu possa combinare qualche danno, sei ubriaco” detto ciò si volse e se ne andò.

Bellamy sapeva che Roan aveva ragione, si era comportato come uno stupido, non poteva andare a trovare la sorella perché questo avrebbe significato aprire il fianco alle insinuazioni sui loro rapporti e il conclave doveva essere unito, credere in lui. L’ Ice Nation e il suo Re si trovavano in un posizione difficile, dover riguadagnare una fiducia persa da tempo e Roan doveva calibrare ogni suo gesto e scelta. 

Sentì un peso nel cuore al pensiero di come le loro vite fossero bloccate dalle responsabilità, da scelte che avevano ripercussioni più grandi di loro.

Scalciò la sedia lontano da lui poi si alzò, costeggiò il muro per uscire, la sala, come l’intera città, era in festa ed era difficile muoversi. Al centro la gente ballava al ritmo dei tamburi e a strani strumenti a fiato, il suo sguardo fu attratto da Clarke che, poco distante, da lui stava ballando. 

Uno stretto corpetto sopra una camiciola bianca le segnava i fianchi e una strana gonna tagliata a sbiego si allargava attorno alle sue gambe mentre seguiva il ritmo della musica. Stava tentando di eseguire gli strani passi di una danza grounder, il suo sorriso felice e privo di preoccupazioni fece breccia nella sua mente annebbiata dall’alcool, fece un passo nella sua direzione, voleva prenderla fra le sue braccia in quel momento e stringerla a se, immaginare i suoi occhi ridenti mentre la sollevava in aria come facevano alcuni dei ballerini con le loro partner, lasciarla scivolare contro il suo corpo poi… il nulla. Sapeva perfettamente cosa avrebbe voluto fare con lei ed era altrettanto sicuro che non sarebbe riuscito a trattenersi se gli fosse stata accanto. 

Certo, il modo in cui, solo il giorno prima, aveva scherzato con lei, come ormai lei gli sorridesse, i suoi occhi non più tormentati gli avevano fatto comprendere che qualcosa stava succedendo ma non era certo di cosa ciò significasse e averla fra le sue braccia in quel momento sarebbe stato troppo.

A malincuore voltò lo sguardo e si incamminò verso l’uscita, quella giornata era stata lunga e, come aveva detto Roan, non era in se. Alla luce del giorno forse i cupi pensieri che lo stavano assillando avrebbero avuto una prospettiva diversa. 

Si rese conto che, effettivamente aveva bevuto troppo, sorrise di se stesso, da quando era sceso sulla Terra aveva toccato pochissimo alcool mentre quella sera si era ritrovato sempre con una tazza in mano, anche quella un’ usanza grounder a quanto sembrava. 

Stava per imboccare il corridoio quando si scontrò con una persona che arrivava dall’altra parte. D’istinto allungò le mani per evitare che cadesse e per trovare lui stesso l’equilibrio. Era una giovane donna bionda. Alzò gli occhi verso di lui, un sorriso divertito fra le labbra, le gote rosse per il caldo o per il bere, lo guardò e poi gli disse qualcosa in una lingua che non riconosceva. Rispose ma, era chiaro che la ragazza non conoscesse la sua lingua e scosse il capo perplessa senza però smettere di sorridere, poi alzò la brocca che teneva in una mano e gli fece cenno di bere. 

Bellamy scosse il capo, le sue mani erano posate sui fianchi della ragazza e, anche attraverso il leggero tessuto che indossava, poteva sentire il calore di quel contatto, i fianchi torniti fra le sue mani. Senza accorgersene l’accostò a se, la grounder rimase un istante sorpresa poi gli sorrise, per un istante nella sua mente annebbiata dall’alcool un’altra ragazza bionda si sovrappose alla giovane che aveva di fronte a se. Alzò una mano verso i lunghi capelli biondi della grounder e gli e li scostò poi avvicinò il viso al suo e lasciò che le loro labbra si toccassero. 

Trascinò la ragazza contro il proprio corpo per rendere più intimo quel bacio, le sue mani corsero alla schiena per stringerla a se, la passione di quel momento che doveva trovare uno sfogo quando, di colpo, si rese conto che il corpo della giovane non aderiva al suo come doveva, si riscosse e si allontanò, di fronte a lui il viso di una sconosciuta. 

Lei aprì gli occhi , gli sorrise, un invito detto in un'altra lingua ma lui scosse il capo, respirò profondamente nel vago tentativo di riprendere il controllo della sua eccitazione, conscio dell’errore che stava commettendo, fece un passo indietro, mormorò una scusa, parole inutili ma che la ragazza comprese in qualche modo. Vide gli occhi incupirsi un’istante, forse stava per dire qualcosa ma Bellamy la superò, quella giornata doveva finire e subito. Superò i corridoi senza nemmeno vederli, il suo corpo in fiamme, la sua mente persa in qualche cupo pensiero. Scaricò un pugno contro il muro, la vana speranza che il dolore riuscisse a farlo tornare lucido, l’unica cosa che ottenne fu un immediato dolore, le nocche della mano sanguinanti e nient’altro. 

 

Clarke era riuscita finalmente a sedersi dopo l’ennesimo ballo, i piedi, chiusi in piccole scarpette di cuoio che le avevano imprestato, le facevano un male del diavolo, il corpetto le stringeva mozzandole il respiro e stava pensando di andarsi a cambiare. 

Un altro ragazzo la stava nuovamente invitando verso gli altri ballerini ma negò decisa, non ce la faceva, sentiva le guance in fiamme per il caldo e l’alcool che non smettevano mai di offrirle. 

Non aveva mai visto Polis così piena di vita e festosa e questo le faceva ben sperare per il futuro. Il suo sguardo corse verso l’angolo in cui Bellamy era seduto, sapeva ormai che era sparito, l’aveva visto uscire, l’aveva visto avvinghiato a  quella ragazza grounder. 

Sentì una fitta al petto al ricordo chiedendosi perché l’avesse fatto. Era conscia di quanto aver visto Echo in quello stato l’avesse turbato. Quando aveva tentato di parlare con lui l’aveva scansata e, forse questo, l’aveva ferita ancor di più che vederlo con quella ragazza. 

Scosse il capo infastidita, non voleva pensare a lui, in quel momento voleva solo divertirsi e per farlo doveva cambiarsi, con calma si avviò attraverso i corridoi, salutando qualcuno, accennando un passo di danza con qualcun altro, sorridendo a chi le sorrideva. 

Arrivata poco lontano alla stanza di Raven si fermò un istante, sapeva che era stanca ed era andata a dormire presto ma, nei suoi occhi aveva letto una certa angoscia e, con quel ricordo in mente,  si incamminò verso la sua porta, stava per bussare quando sentì un vago gemito seguito da una roca risata maschile, la sua mano rimase sospesa un istante di fronte al battente poi fece un passo indietro, un sorriso divertito fra le labbra, un rossore ancora più accentuato sulle gote. 

Continuò lungo il corridoio e girato l’angolo di fronte a lei vide, una decina di metri più avanti, una figura che conosceva perfettamente: Bellamy. Era appoggiato contro una colonna, il suo sguardo perso nel paesaggio oltre le finestre, si avvicinò fino a mettersi accanto a lui.

“Bella vista!” disse con una mezza risatina sciocca.

Bellamy non rispose, non si girò verso di lei. Rimasero così mentre i loro occhi si riempivano dell’infinito, il cielo terso era punteggiato da migliaia di stelle luminose, la via Lattea, da quell’altezza, sembrava ancora più vicina, una strada luminosa fatta di polvere di stelle. I boschi e le montagne macchie buie, solo i fuochi e la musica ai piedi della torre sembravano dare vita all’immobilità che sembrava permeare l’intera Terra. 

“Laggiù tutto appare così pericoloso” le parole di Bellamy interruppero il silenzio “Chissà se sta bene!” mormorò. 

Clarke non aveva bisogno di chiedere a chi si riferisse “È forte, una guerriera, sono certa che se la caverà!” rispose quindi.

“E se non fosse così, e se qualcuno le facesse male…” replicò il ragazzo.

“Vuoi andarla a cercare?” chiese quindi Clarke voltandosi verso di lui.

Bellamy scosse il viso “non posso!”

“Perché?”

“Gli altri, chi penserà a loro? C’è troppo da fare, non posso andarmene adesso!” 

Clarke volse di nuovo il viso verso la vista, non c’era nulla che poteva dire, Bellamy aveva ragione, c’era ancora tanto da fare eppure pensava che non fosse giusto che lui dovesse farsi carico di tutti loro, non sapeva cosa volesse dire avere un fratello ma conosceva i fratelli Blake e questo le bastava per capire che non era giusto. 

“La cercheremo” si ritrovò a dire Clarke ad alta voce guardando il suo profilo. 

Bellamy si girò verso di lei “Non hai sentito, non possiamo farlo!”

“Tu non hai sentito Blake, se questo è importante per te lo è anche per me e sono certa che vale anche per gli altri” ripose decisa Clarke. “Abbiamo ancora qualcosina da sistemare ma, se  i clan saranno dalla nostra, sarà più facile cercarla o sapere come sta, tu non credi?”

Bellamy fece un mezzo sorriso, che per un istante gli illuminò il volto “Hai ragione principessa, si potrebbe anche fare…” poi il suo s’incupì nuovamente e sfuggì quello di Clarke. 

“E meglio che tu vada ora” mormorò.

Clarke lo guardò perplessa senza capire perché, nuovamente, lui l’avesse esclusa. Voleva parlargli ma non trovava le parole, lui non era mai stato così, nemmeno prima che si chiarissero, nemmeno quando non erano arrabbiati, nemmeno quando si erano allontanati. 

Percepiva la tensione del suo corpo ma sembrava non voler condividere qualunque altro pensiero lo angustiasse, la giovane sospirò incapace di trovare un modo per abbattere quel muro che sembrava essersi alzato fra di loro. Non voleva vederlo così, non ora che ogni cosa sembrava andare per il verso giusto, non quando l’intera Polis sembrava festeggiare e il loro rapporto era così saldo. Gli sfiorò la mano in cerca di un contatto, ma lui la allontanò immediatamente, un sussulto poi niente.

Clarke alzò la mano, per appoggiarla sul suo braccio, ferita da quel gesto, quando alla fioca luce del corridoio notò il sangue sulle sue dita, confusa lo toccò cercando di capire quando si fosse fatta male, poi si rese conto che non era suo. 

“Fammi vedere la mano Bellamy” disse tentando di prendere il braccio. 

“Non è niente!” rispose lui scostandosi.

“Blake, non farmi arrabbiare” replicò Clarke strattonando il suo braccio, il ragazzo cedette e gli fece vedere la mano, le nocche erano escoriate  ma non sembrava ci fosse nulla di rotto, non sembrava nemmeno troppo gonfia “Dovresti smetterla di prendere a pugni le cose!” mormorò controllando i danni che si era fatto. 

“Vieni, ho del disinfettante in camera” disse quindi trascinandolo con se.

“Non serve” tentò Bellamy.

“Non rompere!” replicò decisa Clarke spingendolo verso la sua stanza poco distante. 

“Siediti là” indicando a Bellamy una sedia, dopo che furono entrati. Il ragazzo stava per ribattere quando Clarke lo bloccò di nuovo “zitto e non osare dire niente” a quel punto il giovane si sedette pesantemente sulla sedia. 

La ragazza trafficò un’ istante dentro al suo zaino poi si sedette sul letto accanto alla sedia e cominciò a medicarlo. Ogni tanto guardava Bellamy di sottecchi ma lui sembrava concentrato a guardare i graffiti sul muro di fronte a lui. Il silenzio fra di loro ormai imbarazzante, o per lo meno lo era per Clarke che non capiva cosa stesse succedendo poi l’immagine della ragazza grounder fece capolino nella sua mente, forse aveva tutta quella fretta di andarsene per poter tornare da lei. Rimuginò un’istante provando una fitta di gelosia all’idea che lui cercasse, in un momento così difficile per lui, la compagnia di un’estranea quando c’era lei. Non, beh, non in quel senso, pensò, o forse no. Scosse il capo confusa, mentre l’immagine di come sarebbe stato baciarlo le passò per la mente, l’alcool le stava giocando brutti scherzi quello era certo eppure non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine delle sue labbra. Lo guardò nuovamente di sfuggita ma avrebbe potuto anche fissarlo per come lui era concentrato a guardare il muro. Osservò il suo profilo alla luce fioca delle candele, ammirandone la perfezione, le sue labbra carnose, le sue lunghe ciglia e infine quel ricciolo ribelle, sentì il desiderio impellente di spostarlo da lì ma si trattenne. In quel momento Bellamy si girò verso di lei, la scrutò un istante e la ragazza sentì il rossore imporporagli le gote. 

“Se hai finito io andrei!” mormorò il ragazzo che appariva completamente indifferente al tumulto che in quel momento provava Clarke.

La ragazza annuì e cominciò a risistemare le medicazioni. Bellamy si alzò, la guardò un istante “Buon notte!” disse solamente e si voltò per raggiungere la porta. 

“Buon divertimento!” mormorò acida Clarke, parole buttate lì sottovoce, indecisa se sperare che sul viso del ragazzo apparisse la sua classica espressione strafottente pronta a prenderla in giro o se ne andasse e la lasciasse riflettere sul perché si sentiva così delusa da lui. 

Bellamy si fermò un istante, Clarke era certa che lui l’avesse sentita ma continuò ad avanzare verso la porta. 

“Mi hai deluso Bellamy Blake!” disse ad alta voce la ragazza alzandosi dal letto e avvicinandosi a lui. Ed era così, si sentiva delusa e ferita perché non riusciva a capire perché lui si stesse comportando in quel modo, perché la stesse tenendo fuori.

Bellamy non poteva far finta di non aver sentito quelle parole e, infatti, si girò verso di lei, negli occhi un’espressione minacciosa “E di grazia, in che modo avrei deluso la Brave Princess ?” disse lui accentuando proprio quelle ultime due parole. 

Clarke rivide per un istante l’uomo che aveva incontrato i primi giorni sulla terra, cosa stava succedendo, si chiese perplessa. Sapeva che entrambi avevano bevuto, che non erano in se, eppure, c’era qualcosa che proprio non riusciva a capire. 

Si avvicinò a lui, fronteggiandolo allo stesso modo con cui lo aveva fronteggiato in passato, quando si erano appena conosciuti.

“Mi hai deluso perché predichi bene ma razzoli male Blake” disse quindi senza smettere di fissarlo, senza farsi intimidire dall’altezza del ragazzo. 

“E questo cosa starebbe a significare?” chiese quindi lui. Eppure Clarke leggeva nei suoi occhi che aveva ben compreso di cosa si stesse parlando e di come si stesse comportando.

“Sto dicendo, Blake” disse quindi la ragazza “Che non hai mai perso occasione di farmi la paternale sul fatto che dovessimo dirci tutto, di come le cose si affrontano assieme e ora che c’è qualcosa che ti turba, e non è tua sorella, ti tiri indietro e questo mi fa arrabbiare, siamo amici, o almeno così credevo” terminò facendosi sempre più vicina, i loro petti quasi si sfioravano, il viso di Clarke alzato per poter vedere gli occhi di Bellamy.

Il ragazzo prese un profondo respiro, chiusi gli occhi un istante, le sue mani si serrarono a pugno diverse volte. “Clarke non siamo in grado di parlare di questo adesso, ho bevuto, hai bevuto, non capiresti…” mormorò ma non riuscì a dire altro “non capirei dici?” sputò fuori Clarke, ormai la rabbia negli occhi “io capisco solo che preferisci andare a perderti fra le braccia di una grounder piuttosto che dirmi cosa succede” poi fece qualche passo indietro “Vai, non mi interessa, fai quello che vuoi, io ora mi cambio e torno alla festa a divertirmi, non ho più alcuna intenzione di stare dietro alle tue stronzate!” terminò con il fiatone, dopo aver sputato l’ultima frase. 

Si girò per non vederlo in viso mentre usciva ma si sentì agguantare per il braccio, vide per un istante la stanza vorticare davanti ai suoi occhi e, prima che riuscisse a capire cosa fosse successo, sentì le mani di Bellamy sul suo sedere, il loro corpi attaccati. Clarke si accorse immediatamente dell’erezione che premeva contro di lei, sentì un brivido scorrerle lungo la schiena, “ecco perché è il caso che io me ne vada Principessa” mormorò  come un soffio Bellamy al suo orecchio poi, di colpo, Clarke fu di nuovo libera, immobile, il riverbero dell’eccitazione appena provata ancora in circolo. 

“ Ok, potevi dirlo subito invece di fare il muso, come se fosse successo chissà cosa! Potevi dirlo che dovevi fare solo del sesso!” disse Clarke piccata , infastidita dal comportamento di Bellamy, ancora eccitata dopo il modo con cui si erano toccati e a quello che sarebbe potuto succedere se solo.... 

Bellamy la scrutò un istante, poi scosse il capo deluso. Da quando si erano incontrati in corridoio e Clarke gli aveva parlato, riuscendo per l’ennesima volta a rasserenarlo, aveva dovuto controllarsi per non avvicinarsi troppo a lei, un desiderio sempre più impellente farsi strada, perfettamente conscio di ciò che desiderava, la consapevolezza che era l’alcool a farlo stare così, la vaga speranza che ciò che il suo corpo desiderava fosse ciò che anche Clarke voleva e invece, a quanto sembrava, la ragazza non era dello stesso avviso. Si chiese se per caso si fosse immaginato tutto e frainteso il modo in cui avevano scherzato in passato, “Non credevo avessi l’obbligo di raccontarti se o con chi ho voglia di fare sesso” rispose Bellamy chiedendosi allo stesso tempo come fosse possibile che si stessero perdendo su un discorso del genere, soprattutto partendo dal presupposto che lui doveva andare a dormire e di certo non era in cerca di una grounder visto che l’unica donna che desiderava a quanto sembrava non si era nemmeno resa conto di ciò che stava succedendo.

“Tu sai che non è quello!” ribattè lei.

“E allora cos’è?” chiese di rimando Bellamy che ormai cominciava ad essere confuso e, allo stesso tempo eccitato dalla vista di Clarke. Le sue gote arrossate, le labbra socchiuse, il respiro che ritmicamente faceva alzare e abbassare il seno, le iridi celesti dei suoi occhi segnati da un luce battagliera eppure, alla sua domanda, non rispose come se lui dovesse capire, capire qualcosa che sembrava non fosse chiaro nemmeno nella mente della ragazza.

“Dimmi Clarke” tentò quindi scandendo le parole “non ti capisco!”

“Perché lei?” mormorò, sviando poi lo sguardo da lui.

“Sei gelosa!” comprese poi in un istante.

“no, io no e che…avevo pensato che avessi chissà quale problema e, sì ero gelosa che volessi stare con lei piuttosto che parlare con me” ribattè Clarke

“Beh, volendo fare solo del sesso forse non era il caso venissi da te, o sì, principessa” la stuzzico Bellamy divertito a vedere Clarke così a disagio, era perfettamente conscio che stava giocando con il fuoco, che tutto quello era un assurdità, che non aveva la più pallida idea di ciò che stava facendo se non che adorava il modo in cui, senza riflettere Clarke, si era umettata le labbra quando aveva parlato di sesso e come il rossore sulle sue gote si era fatto più accentuato. 

“Ma se mi dici il contrario…potremmo anche provarci…” un mezzo sorriso invitante fra le labbra, si avvicinò di un paio di passi, lei ne fece alcuni indietro sviando lo sguardo. “Se fossi un’altra direi che l’idea ti piace, visto non riesci più a guardarmi in viso, stai pensando a ciò che ti piacerebbe che io ti facessi,” continuò imperterrito avvicinandosi a lei. Bellamy vide Clarke sgranare gli occhi a quelle parole e rise soddisfatto, allora non era solo lui ad essere eccitato da quella situazione assurda in cui si trovano, completamente assorbiti dal presente nessuno dei due sembrava nemmeno pensare al dopo, ma solo all’attimo come se altro non esistesse.

“Bellamy..” sussurrò Clarke, le sue spalle ormai contro il muro “io credo che tu abbia bevuto troppo” mormorò “forse è il caso che tu vada…”

ormai lui era di fronte a lei “forse hai ragione, ho bevuto troppo…” appoggiando una mano contro il muro “ma sai cosa” disse lasciando in sospeso la frase un istante, le sue labbra a pochi centimetri di distanza da quelle di Clarke “prima voglio rubarti un bacio” mormorò prima di sfiorare la bocca della ragazza poi si allontanò da lei, non seppe nemmeno con che forza riuscì a staccarsi dalle sue labbra, ma sapeva che era giusto così, non voleva che quella piccola fiammella che si era appena accesa si trasformasse in un fuoco che avrebbe distrutto entrambi quando, il giorno dopo, si fossero svegliati. Un bacio poteva essere accantonato come uno scherzo, altro no.

“Bell..” sussurrò Clarke allungando il braccio per prendergli la mano prima che si allontanasse, un gesto istintivo, un gesto che non era da lei, forse era l’alcool che parlava eppure l’idea che lui la lasciasse così, dopo il modo con cui si erano sfiorati, dopo aver letto l’eccitazione nei suoi occhi era…sbagliato. 

“Clarke..” mormorò Bellamy guardandola di sottecchi, il viso rigido, si stava trattenendo, pensò la ragazza e, stranamente, non voleva. “Sarebbe solo sesso..” continuò lui anticipando quelle che di certo sarebbero le parole di Clarke. “E se volessi solo sesso da te?” chiese la ragazza. 

Lui la scrutò un istante, la sua mente annebbiata dall’alcool, da quello che lei gli chiedeva. 

“Tu non vuoi questo” disse avvicinandosi a lei, sfiorando lentamente con le dita i suoi capelli, la clavicola scoperta e poi giù verso  la scollatura fra i seni. Clarke a quel leggero contatto si inarcò verso di lui. 

“Non vuoi questo” piegandosi e mordendo lievemente quell’unico punto in cui il suo collo si collegava alla cavicola. Clarke sussultò a quel contatto, la sua testa scattò all’indietro. 

“Tu non vuoi questo” continuò Bellamy accostandola di scatto verso di se, con tutta l’intenzione di farle sentire nuovamente la sua eccitazione, la sua bocca che non aveva smesso di mordere e baciare il collo di Clarke. 

La giovane si sentì avvolgere completamente da lui, un leggero sospiro eccitato sfuggì dalle sue labbra, le sue mani corsero ai fianchi di Bellamy per trattenerlo contro di se. “Voglio di più…” mormorò Clarke cercando la sua bocca “Non solo questo” sussurrò quando le loro labbra furono a pochi millimetri di distanza. 

Si guardarono negli occhi, la passione li offuscava, persi in quella vicinanza così diversa da tutto quello che avevano mai provato prima. La smania che si stava trasformando in un sospiro affrettato. Nessun dubbio nei loro occhi solo il desiderio, persi in un mondo che non aveva nulla a che fare con quello reale. 

“Voglio ogni parte di te” mormorò Clarke lasciando che il suo respiro solleticasse le labbra di Bellamy, il suo corpo che si strusciava contro quello di lui.

Il ragazzo rimase immobile un istante, un unico momento in cui la lucidità prese il sopravvento, la consapevolezza che il giorno dopo si sarebbero risvegliati e tutto sarebbe cambiato poi Clarke si umettò le labbra e lui non capì più nulla. Dovevano essere sue e le baciò, non aveva alcuna intenzione di pensare a cosa sarebbe successo l’indomani.

 

NOTA: Oibò! Cosa succederà ai nostri? Ehm, ehm …ehm…se siete maggiorenni consiglio di passare alla one shot a rating rosso che verrà pubblicata domani dal titolo “In Vino Veritas” sempre sul profilo di Camipp, scoprirete così come è andata a finire questa nottata sotto l’effetto dell’ alcool, chi non fosse interessato a saperlo o, per questioni di età, non può leggerla, beh..Lunedì 23, verrà pubblicato il 27 esimo capitolo e, tranquilli, senza entrare nello specifico darò degli indizi su come la nottata fra Clarke e Bellamy ha cambiato le carte in tavola fra i due J . Un bacio e non uccidetemi per questa scelta, Avenal Alec ;)  

 

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Capitolo 27
*** XXVII ***


Capitolo 27

 

Clarke si risvegliò lentamente, sbattè gli occhi un paio di volte prima di aprirli, sentiva sul ventre il peso del braccio di Bellamy che non l’aveva lasciata un’istante da quando, con cura, l’aveva appoggiata nel letto dopo… arrossì un istante al pensiero di ciò che era successo durante quella notte, con la coda dell’occhio guardò gli abiti che erano rimasti a terra, nell’esatto punto in cui avevano fatto l’amore. 

Sorrise al pensiero che si era formato parlando di amore e istintivamente si accostò un po’ di più al corpo caldo  di Bellamy che dormiva accanto a lei di fianco, incuneando le sue gambe fra quelle di lui, sentendo la sua eccitazione mattutina contro la sua coscia, una vicinanza che la faceva sentire bene e protetta, nel posto giusto. 

Pensava che l’alcool avrebbe offuscato i suoi ricordi, i loro, eppure, dopo avergli chiesto di fermarsi, conscia di desiderarlo con ancora più intensitàdi quello che avrebbe mai pensato, ogni singolo momento di quello che era avvenuto dopo si era impresso nella sua mente. Come l’aveva guardata quando si erano uniti per la prima volta, quel mormorato “Guardaci”, la fece tremare di nuovo di piacere. 

Voltò il viso verso il ragazzo, perdendosi un istante ad ammirarne la perfezione. Il ricordo andò a tante mattine prima quando, appena svegliata dopo il bagno alla sorgente, lo aveva osservato, la serenità del suo sonno e quel ricciolo nero che gli era scivolato sugli occhi, come allora, anche in quel momento desiderò spostarlo. All’epoca si era trattenuta confusa dall’intimità di quel gesto, questa volta invece nulla la fermò, accostò la mano ai suoi capelli, si divertì a passare il dito sul quel singolo ricciolo, avvolgerlo fra le dita per poi lasciarlo libero, lo scostò ma, quel piccolo ribelle tornava al punto di partenza. 

Un gioco che durò alcuni minuti, Clarke era completamente persa da quel semplice movimento, dalla assurda normalità di ciò che stava facendo.

“Sai che stai giocando con il fuoco?” le parole di Bellamy mormorate con la voce ancora impastata dal sonno la bloccarono, quel tono roco, sembrava miele caldo sulla sua pelle, sentì subito la scintilla dell’eccitazione accedersi dentro di lei come una miccia, la sua pelle si increspò per il piacere. “Ho giocato con il fuoco e non mi sono bruciata” rispose Clarke girandosi di fianco e accostandosi ancora di più verso di lui.

Bellamy aprì gli occhi, un sorriso accennato sulle labbra, i loro sguardi si persero nuovamente l’uno nell’altro, conscio di ciò che Clarke aveva sottointeso con quelle parole, del significato che poteva avere per il loro rapporto. Il ragazzo la strinse a se, avvicinò le sue labbra a quelle di lei, un bacio, uno sfioramento, doveva essere qualcosa di dolce, caldo, confortante ma si trasformò subito in un fiamma che stava nuovamente divampando fra di loro come era accaduto quella notte. Un bacio che divenne subito intimo come le carezze che si scambiavano e che sfioravano i loro corpi. Bellamy trascinò Clarke sopra di se, senza smettere di baciarla, di toccarla. 

La ragazza si adeguò subito a quella posizione, si lasciò sfuggire unmormorio soddisfatto che ricordò a Bellamy le fuse di un felino, erano già pronti ad andare oltre con quel gioco quando un violento bussare alla porta li bloccò facendoli sobbalzare.

Griffin” era la voce di Murphy, quanto mai inopportuno in quel momento “Sveglia, ti stanno aspettando tutti per una riunione, ci sei?” 

“Arrivo!” urlò immediatamente Clarke spaventata dall’idea che lui potesse entrare se non avesse risposto. “Hai visto Blake?” la ragazza abbassò lo sguardo sotto di se, Bellamy aveva il capo reclinato all’indietro, una mano davanti agli occhi, un mormorato “Gesù” gli sfuggì dalle labbra. “No?” si lasciò sfuggire Clarke, una risposta che appariva più una domanda. “Maledetto Blake” sentì Murphy fuori dalla porta “non è nemmeno in camera sua, l’hai visto?” continuò il ragazzo. Bellamy aveva tolto la mano davanti e la scrutava serio “Non lo vedo da ieri” disse Clarke che stava cercando di raccapezzarsi. Ci fu un’istante di silenzio, come se John non fosse convinto delle sue parole poi alzò la voce per farsi sentire “Ok, tu muoviti però!”. 

Bellamy e Clarke rimasero immobili un istante, la ragazza guardava di sfuggita la porta poi si voltò verso di lui, negli occhi, una nota di rammarico, la realtà si era messa in mezzo. “Dobbiamo andare….noi..” le disse prendendola per i fianchi con l’intenzione di spostarla, chiaramente a disagio per la situazione. 

Ma Clarke non sembrava dello stesso avviso “Tu dici?” mormorò strusciandosi contro di lui. Bellamy si bloccò all’istante, i suoi occhi si fissarono sul suo viso. “che ne hai fatto della Clarke Griffin, quella che ripeteva sempre che aveva delle responsabilità” mormorò cominciando ad assecondare il movimento della ragazza. “Si è presa una vacanza” mormorò fra un gemito e l’altro Clarke, il suo capo reclinato indietro, mentre godeva di quel lento movimento. Bellamy non riuscì a trattenersi, la voleva di nuovo, con la stessa intensità con cui l’aveva voluta durante la notte. L’avvolse fra le sue braccia e la trascinò sotto di se. Entrò in lei in un unico movimento, che la  fece gemere di piacere. 

“tu non sei una Principessa” le mormorò all’orecchio “tu sei una Strega” disse aumentando poi il ritmo fino a quando entrambi non raggiunsero l’orgasmo.

 

Clarke ci mise 30 minuti per uscire dalla sua porta e avviarsi verso la sala della riunione. Tentava di contenere la gioia che provava in quel momento, non tanto per quel veloce amplesso che, beh, al solo pensiero la faceva arrossire eccitata, ma per ciò che era avvenuto dopo, quando entrambi si erano dovuti alzare per affrontare la realtà della loro vita. Per un istante aveva temuto che la magia che era avvenuta fra loro durante quella nottata sarebbe svanita appena fossero usciti da quel letto. Si era alzata, dando le spalle a Bellamy ancora disteso poi, il suo sguardo era stato calamitato dietro di se. Lui era lì, le pellicce gli coprivano appena i fianchi, un sorriso sornione sulle labbra. “Secondo round stasera Principessa?” una domanda leggera eppure c’era molto altro dietro. Entrambi lo sapevano. Clarke era rimasta immobile un istante, un turbine di pensieri della sua testa poi si era avvicinata a lui sedendosi sul letto “Secondo round stasera Blake” aveva risposto baciandolo. 

Nessuno dei due sapeva cosa sarebbe successo durante il corso di quella giornata ma una cosa era certa, ora, loro erano diversi. Quello che era avvenuto durante quelle ore era solo la continuazione di ciò che già erano. Forse dovevano dargli ancora un nome ma sapevano entrambi già cos’era e, la conferma Clarke l’aveva avuta quando dopo essersi baciati lei si era alzata, nuda di fronte a lui, senza alcun imbarazzo, con la naturalità di chi ormai conosce completamente l’altro. 

Bellamy l’aveva percepito e si era alzato anche lui. Dopo era successo qualcosa che non avrebbe mai immaginato e che tutt’ora la faceva sorridere divertita. Lui aveva insistito in tutti i modi per aiutarla a vestirsi, l’aveva presa in giro quando lei lo aveva guardato sbalordita, come se fosse difficile mettersi su una maglia, aveva persino mormorato un “puritana”. Quel semplice atto di vestirsi era diventato un gioco, con lo stesso affiatamento che c’era sempre stata fra loro, arrossì quando ripensò alla battuta che le aveva sussurrato all’orecchio quando ormai lei era completamente vestita “Ora sono obbligato a farmi una doccia fredda, Principessa”, una frase che raccontava di un intimità condivisa semplice eppure così importante. Ed infine lei era stata pronta per uscire, in quell’istante lui l’aveva bloccata contro la porta. Un bacio veloce quanto intenso. “Per ricordarti il mio sapore fino a stasera!” le aveva sussurrato roco poi aveva aperto leggermente il battente della porta e l’ aveva letteralmente cacciata fuori dalla sua stanza, una risatina divertita aveva accompagnato quel movimento. Clarke si era girata, sulle labbra ancora il sapore di Bellamy, la sua mente in subbuglio, sapeva solo che era in mezzo al corridoio quando un sorriso, probabilmente ebete, gli si era dipinto in viso. Il cuore che le batteva ad un ritmo più leggero di quanto le fosse mai capitato nell’intera sua vita, pronta comunque ad affrontare ogni cosa sarebbe successa. 

 

Arrivò alla sala che ormai erano già tutti lì.  “Alla buon ora!” l’apostrofò sorridendo Raven appena la vide “stavano già tentando di convincere Murphy a venirti a chiamare di nuovo” continuò dando uno sguardo dietro di se in direzione del ragazzo che, in quel momento, era appoggiato con il gomito  sul davanzale di una delle finestre, Emori accanto a lui silenziosa come sempre . “All’appello manca solo Bellamy che non siamo riusciti a trovare” disse mostrando una certa preoccupazione, “Sarà da qualche parte a smaltire la sbronza” replicò sarcastico John. 

. “Beh arriverà immagino!” rispose Clarke mentre si avvicinava al tavolo facendo finta di osservare con interesse le cose che erano state appoggiate sopra. “Parlavi di me Principessa?” si sentì chiedere da dietro le spalle. Non ebbe il tempo di voltarsi per vedere Bellamy che il ragazzo venneinvestito da una sequela di bonari insulti per il ritardo e per il modo in cui si era presentato. Alcuni fecero persino qualche allusiva battuta sul fatto che i suoi abiti erano quelli della sera prima, puzzasse di alcool e forse di una certa bionda. 

Clarke si bloccò a quelle parole. Tese l’orecchio per sentire cosa avrebbe detto ma lui rise alle battute dei ragazzi, mormorando con fare cospiratorio che quello era un segreto fra lui e una certa bionda e che loro non si dovevano impicciare. Pochi istanti dopo era accanto a lei, una vicinanza che in quel momento sembrava troppa e Clarke non riuscì a fare a meno di spostarsi di qualche passo. 

Bellamy la guardò di sottecchi poi lo vide fare un mezzo sorriso, se il calore che sentiva era pari al colore che avevano le sue guance, pensò Clarke, era chiaro come stesse in quel momento. 

 

“Cominciamo questa riunione?” chiese quindi Bellamy guardandosi in giro. Aveva tentato di non guardarla, se non di sfuggita da quando li aveva raggiunti direttamente dalla camera di Clarke, aveva avuto bisogno di diversi minuti per riuscire a mettere ordine a ciò che era successo durante quella lunga notte e quella mattina e, non ci era riuscito, non del tutto. Sapeva esattamente ciò che era avvenuto, cosa lui ormai provasse per lei ma, per quanto aver visto un inedita Clarke l’avesse stupito non osava credere che tutto fosse così bello o semplice. Non con i loro trascorsi, non con ciò che la terra aveva fatto loro. 

In quei pochi attimi in cui era rimasto solo aveva preso un'unica decisione, non si sarebbe fatto sfuggire Clarke e solo quella sera, quando ogni cosa si sarebbe risolta in un modo o nell’altro con i clan, avrebbero parlato, non avrebbe più vissuto un attimo in più senza sapere cosa stava succedendo fra loro. Troppo cose nella loro vita erano un incognita per lasciare morire qualunque cosa fosse accaduta fra loro quella notte. Se fosse stato solo sesso, tale sarebbe stato, se fosse stato altro, beh, lo avrebbe scoperto. 

“Bellamy, ci sei…” venne riscosso da Raven che lo stava fissando, in realtà lo stavano fissando tutti, compresa Clarke che, in quel momento lo stava scrutando con molta attenzione, uno scintillio malizioso negli occhi. Il ragazzo si schiarì un attimo la gola “si ci sono, ero solo un attimo distratto” “Da una bionda immagino” rimarcò Nathan per prenderlo in giro. 

“ragazzi basta!” li rimproverò quindi Clarke “altrimenti non andiamo più avanti!” bastarono quelle parole per riportare tutti all’ordine e permettere a Raven di continuare a parlare. “Come dicevo per chi non mi stava a sentire prima” disse il maccanico guardando Bellamy con un mezzo sorriso “Stamattina presto Monty e Harper sono riusciti a raggiungerci con tutto quello che avevo chiesto, ora sono a riposare. Anche Emori” lanciando un’ occhiata di riconoscenza alla grounder “è riuscita a recuperare tutto quello che le avevo chiesto quindi, ancora poche ore di lavoro, tutto sarà pronto” Terminò guardandoli tutti. 

Nessuno parlò per qualche secondo, consci di ciò che avrebbero dovuto fare, con la speranza che quel piano funzionasse come doveva. “io non ho nulla contro il vostro piano!” disse Kane guardandoli attentamente “ma siete sicuri di ciò che state facendo? La situazione è ancora delicata, l’ IceKing rimane ancora un incognita”. 

Roan, non è un incognita, lui, forse più di tutti noi vuole che questa cosa funzioni” si intromise Bellamy pensando a tutto quello che aveva passato il guerriero e ciò che desiderava per se e il suo popolo. 

“Perché non è qua allora?” chiese quindi Kane, guardandosi in giro. “Perché in questo momento si sta preparando ad  affrontare qualunque giudizio il conclave darà su sua sorella” ribattè Raven, i suoi occhi come schegge di ossidiana. Kane la osservò un istante cercando di capire quell’atteggiamento così battagliero poi sembrò lasciar perdere. “E come vorreste fare questa cosa?” chiese quindi

Raven alzò le spalle poi cominciò a spiegare cosa aveva in mente e nessuno di loro ebbe più nulla da obiettare. 

La riunione durò poco più di una mezz’ora poi lentamente tutti si dispersero, ognuno di loro aveva dei compiti ben precisi per essere certi che ogni cosa funzionasse. 

Bellamy e Clarke non si erano più guardati, era stato difficile ma entrambi, consci l’uno dell’altro, erano consapevoli che, in quel momento, avevano bisogno di focalizzare tutta la loro attenzione sui prossimi passi da compiere per la riuscita di quel piano. 

Era bastato un saluto, uno sguardo, un accenno del viso per capire che, sì, ciò che stava succedendo fra di loro poteva aspettare almeno poche ore ancora. Il ragazzo si stava incamminando verso l’uscita un obiettivo ben presente nella sua mente da quando Raven aveva nominato Echo ma, poco prima che potesse uscire, fu bloccato da Kane. 

Si voltò verso di lui, in quegli ultimi giorni c’era stata una certa tensione fra di loro, spesso di erano scontrati e non era certo di cosa altro volesse dirgli in quel momento. Aveva troppi pensieri per la mente per poteraffrontare lo sguardo di Kane che lo giudicava. 

“Dimmi?” chiese comunque, le mani poggiate sulla cintura dei pantaloni, un gesto che faceva sempre quando doveva affrontare qualcosa che non gli faceva piacere. 

“Sei certo di ciò che volete fare?”

“Si” rispose solamente Bellamy fronteggiandolo.

“Non hai paura delle conseguenze se i clan non accetteranno ciò che vedranno?” continuò Kane fissandolo negli occhi.

“Certo, ma non possiamo continuare a mentire o a nasconderci, le cose devono essere affrontare” gli rispose deciso, ricambiando lo sguardo di Marcus.

E Echo, cosa dovremmo fare di lei?” chiese quindi.

Bellamy non rispose subito, se avesse dovuto pensare solo a quello che Echo aveva fatto, la sua risposta sarebbe stata la morte immediata ma, sapendo ciò che lei aveva subito, sapeva che la sua risposta era un'altra. “Non merita l’esilio” cominciò, vide una luce strana negli occhi di Kane “ma nemmeno di morire, le sue mani sono sporche di sangue quanto le mie, le nostre. Questa gente, noi, non vogliamo più questa vita, non l’abbiamo mai voluta e non possiamo costruire ciò che vogliamo se cominciamo ad uccidere chi ha tentato di difendere la propria gente.” Concluse Bellamy.

“Lasciarla vivere significa mostrarsi deboli!” rispose Kane, una luce feroce nei suoi occhi.

Roan ha dimostrato che essere clementi non significa essere deboli, se dovremo alzare le armi contro qualcuno, le leveremo ma, ora, dobbiamo dimostrare che c’è un altro modo di vivere.” Ribattè Bellamy. 

“Eppure noi stavamo costruendo qualcosa quando hai scelto Pike” disse a quel punto Kane con un sorriso beffardo sulle labbra, ricordandogli ciò che lui aveva fatto e le conseguenze che aveva avuto.

Bellamy sorrise a quelle parole, un peso che avrebbe sempre portato ma una serenità che solo in quel momento aveva acquisito “Mi sono fatto trascinare da molte cose quando ho scelto di seguire Pike, sono perfettamente consapevole di ciò che ho fatto e il peso delle mie colpe solo io lo conosco ma..” disse avvicinandosi a Kane, il suo sguardo deciso quanto quello dell’uomo “Ho capito che agire come avete agito voi, non parlando, orchestrando le cose da Polis, abrogandovi il diritto di decidere senza prendere in considerazione la situazione, obbligando la gente a cose fatte, non è un buon modo di agire. Noi oggi mostreremo alle tribù chi siamo e cosa possiamo fare insieme e, ora, se hai finito ho un sacco di cose da fare” terminò prima di girarsi e andarsene. 

“ehi Bellamy” lo chiamò Kane.

Bellamy si fermò, prese un respiro profondo poi si girò pronto ad affrontarlo nuovamente.

Quando si voltò Kane gli stava sorridendo. “sono fiero di te” gli disse “finalmente sei diventato l’uomo che credevo tu potessi diventare”. 

Bellamy rimase bloccato un istante cercando di capire quelle parole, e metabolizzarle poi fecero breccia in quella parte di se stesso che aveva dovuto tenere in silenzio per anni, il figlio che non aveva più un padre. Ora Kane, con quelle parole, era riuscito in pochi istanti a riempire quel vuoto che lo aveva sempre accompagnato. “Grazie” riuscì solo a mormorare. Si guardarono solo pochi istanti, poi il ragazzo fece un cenno del capo a Marcus e si girò per uscire, non voleva mostrargli i suoi occhi lucidi. 

Una rinnovata forza gli scorreva nelle vene e, prima di portare a termine ciò che li avrebbe cambiati per sempre da quando erano scesi sulla Terra, un unico tassello da rimettere a posto: Octavia.

Raggiunse la sala al piano terra dove le guardie si riunivano a refettorio e dove venivano decisi i turni, era certo che lì avrebbe trovato Indra, l’unica persona che forse teneva a sua sorella quanto lui. Come si aspettava si trovava ad uno dei tavoli, stavano mangiando qualcosa con altri guerrieri, le si avvicinò. “Dobbiamo parlare!” disse solamente. La Trikru alzò gli occhi verso di lui, Bellamy la vide prendere un profondo respiro, entrambi sapevano perché fosse lì. Fece un cenno di saluto ai commensali e senza rivolgere parola al ragazzo si avviò verso l’uscita.

Bellamy la seguì, Indra lo portò ad un cortile interno poco frequentato e, dopo aver perlustrato con lo sguardo l’area si voltò vero il maggiore dei fratelli Blake.

“non è in grado di vederti in questo momento” gli disse Indra senza alcun preambolo. 

“Sta bene?” chiese, spaventato dal termine usato dalla guerriera.

“Sta bene quanto una persona che ha perso la sua strada!” rispose la donna.

Indra…” mormorò minaccioso Bellamy che non aveva voglia di quei giochetti da grounder “Dove si trova?”

La guerriera lo guardò un istante. “A qualche giorno di cavallo da qui, nei territori della tribù delle foreste dell’Est. Sta fisicamente bene, se è quello che mi stai chiedendo ma né io né te possiamo andare da lei ora”

“Perché?” chiese leggendo il dolore negli occhi della guerriera. Quel rifiuto era doloroso per lui quanto per lei. 

“Perché si sente tradita da entrambi e ha bisogno di trovare il suo nuovo equilibrio!” rispose Indra.

“Ho paura che lontana possa farsi avvelenare dal dolore e che facciaqualcosa di avventato…” mormorò Bellamy dando sfogo alle preoccupazioni. 

La guerriera gli si avvicinò posandogli una mano su braccio. “Octavia è forte alla fine capirà!” rispose. 

“Veglierai su di lei?” chiese quindi Bellamy consapevole che non poteva fare altro. 

“come se fosse mia figlia!” rispose decisa Indra

Il ragazzo osservò la donna, sapeva che la guerriera avrebbe mantenuto la sua promessa ma dalle sue labbra sfuggì l’ultima paura che non riusciva ad affrontare “non la metterai contro di me?” 

La guerriera lo osservò un istante, un lampo di dolore passò nei suoi occhi poi parlò “Non c’è nulla di più doloroso di due fratelli l’uno contro l’altro. Non lo farei mai, lo giuro sul mio onore” rispose Indra.

Bellamy comprese la sincerità in quelle parole. “Grazie” risposeannuendo “Mi avvertirai se avrà bisogno di me?” chiese, la donna fece un cenno di assenso. Bellamy sapeva di non poter ottenere di più, che doveva fare un passo indietro e aspettare, sarebbe stata difficile ma era pronto a seguire la volontà di sua sorella. 

Prese un profondo respiro, alzò gli occhi verso lo spicchio di cielo che si vedeva da quel piccolo cortile interno. Era terso, nemmeno una nuvola a macchiarlo, non sapeva ciò che gli avrebbe riservato il futuro ma, ora, era pronto ad affrontare ogni cosa gli sarebbe capita. Sapeva di essere diventato un uomo e non più il ragazzo che urlava sotto la pioggia

We do whatever the hell we want”.

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Capitolo 28
*** XXVIII ***


Capitolo 28

 

Clarke osservò la sala del trono, nella notte le candele la illuminavano, sembrava uguale a come l’aveva vista quando vi era entrata quando aveva deciso di piegarsi a Lexa di fronte a tutti i clan. Molte cose erano cambiate da allora ma, quel luogo sembrava nuovamente risplendere come quella notte, eppure tante erano le differenze, il trono in quel momento era vuoto e tale sarebbe rimasto se tutto fosse andato come doveva. 

Quindici e non più tredici scranni attorno ad esso ma soprattutto i volti in quella sala erano cambiati. I rappresentanti, come alla precedente riunione erano arrivati, avevano deposto le armi all’ingresso e infine accompagnati da due guardie del corpo si erano accomodati nei loro posti. 

Osservò la madre che aveva preso il posto come rappresentante degli Skykru, sorrise al pensiero, una scelta politica come altre ne erano state fatte. Sua madre era ormai riconosciuta da tutti per le sue doti mediche e, aver scelto lei per il ruolo, voleva rimarcare ciò che gli Skykru avrebbero potuto offrire a tutti gli altri clan. 

Kane camminava per la sala, conosceva ormai i volti di ogni uomo e donna, era diventato un mediatore eccezionale, dal forte carisma e autorità. In poco tempo aveva ottenuto il rispetto di tutti i rappresentati e, finchè fosse stato necessario, avrebbe continuato in quel ruolo. 

Il suo sguardo passò oltre, Indra sedeva come  rappresentante dei Trikru, non era un ruolo che lei avrebbe voluto mantenere, non lo desiderava, aveva mostrato più volte lo sfinimento per tutto ciò che le era accaduto ed era più interessata ad addestrare i guerrieri, stare fra i soldati che seduta su quelle sedie. Solo Kane era riuscito a convincere Indra dell’importanza del suo ruolo in quel momento, la necessità che lei fosse presente. 

La guerriera rappresentava una delle tribù più forti sul territorio e tutti sapevano dei legami con gli Skykru, a quel pensiero ne seguì subito un altro e lo sguardo della ragazza di spostò dall’altro lato della sala dove, di fronte allo scranno degli Trikru, era seduto l’Ice King. In quel momento Raven era piegata verso il guerriero, la mano poggiata sulla sua spalla. 

Un gesto intimo, inconsapevole. 

La ragazza stava parlando con Roan, il suo viso concentrato come quello dell’ Ice King e sorrise vedendoli. Non aveva avuto dubbi su chi fosse andato durante la notte nella camera di Raven e, sebbene nessuno dei due mostrasse ufficialmente il loro coinvolgimento, era qualcosa lei riusciva a percepire. Si chiese se anche per lei e Bellamy fosse così. Arrossì al pensiero. Li scrutò ancora un istante e sapeva di non essere l’unica a farlo, una Skykru che parlava in quel modo ad un Ice Nation, sì, gli equilibri erano cambiati, fondati su singole persone, su legami che si erano creati. Non più atti di forza come era avvenuto in passato. Chi entrava in quella sala in quel momento avrebbe potuto vedere accanto al trono a sinistra e a destra, 4 tribù: Floukru, il cui scranno il quel momento era vuoto, rappresentato da Luna l’ultimo nightblood ad essere stato addestrato. Skykru con le loro conoscenze mediche, coloro che eranovenuti dal cielo e cambiato tutti gli equilibri, ed infine Trikru e Ice nation, le potenze miltari. 4 Tribù che stavano lavorando nella stessa direzione e mostravano contro chi avrebbero dovuto scontrarsi dei ribelli, l’ennesima prova di forza, nulla di clamoroso, ma bastava per mantenere il controllo. I rappresentanti dei vari clan lo sapevano, lo accettavano e in queste scelte trovavano una sorta di rassicurazione. Il loro mondo era basato sulla forza, sulla volontà e su una gerarchia ben definita. Kane, con quella disposizione, stava dando tutto ciò. Ci sapeva fare, pensò Clarke,  gli e ne doveva dare atto. 

Si chiese solo come sarebbe stato affrontato l’arrivo di Becca, Marcus non era convinto, non del tutto, ma aveva deciso di affidarsi a Raven che, dopo aver cacciato dalla sala lei, Bellamy, Abby e Luna perché inutili, aveva lavorato con gli altri ragazzi per tutto il pomeriggio nella sala del trono e in quella accanto. 

Clarke cercava di capire cosa fosse successo alla sala da quando ci aveva messo mano il meccanico ma, oltre ad alcune pellicce distese ai piedi del trono, non c’erano grosse differenze rispetto a prima. Si rese conto di essere in trepidante attesa per ciò che sarebbe accaduto, qualcosa su cui lei non aveva alcun potere. 

Riflettè su quella cosa, da quando era scesa sulla Terra era la prima volta che si trovava ad essere spettatrice di ciò che sarebbe avvenuto e la sensazione non le dispiaceva. Certo, fremeva per l’attesa, era preoccupata per ciò che sarebbe successo ma sentiva la speranza crescere in lei. 

Il suo sguardo venne calamitato da Bellamy, che stava facendo servizio di guardia, se così si poteva dire, visto che passava fra i secondi dei vari rappresentati, qualche battuta, una chiacchiera, un sorriso. Sembrava aver trovato la sua dimensione. 

Come se avesse capito che lei lo stava osservando alzò gli occhi, era certa che in ogni momento, da quando era entrata in sala, lui sapesse dove si trovava e queste le riscaldava il cuore. 

Gli sorrise, lui lo ricambiò, quel mezzo sorriso che gli illuminava il volto e che aveva cominciato a conoscere e ad amare nel corso del tempo. Non era sola, lui era con lei, ecco quello che le stava dicendo quel sorriso poi, un attimo prima di voltarsi e rispondere ad un guerriero, le fece l’occhiolino. Un simbolo di quel qualcosa di nuovo che era nato fra diloro e che la fece sussultare.

Ormai tutti i posti erano occupati, Clarke vide Kane spostarsi verso il centro della sala e, quando cominciò a parlare, cadde il silenzio. La ragazza si rese subito conto della bravura di Kane come oratore. Cominciò a parlare di una storia, della storia dell’Arca, di coloro che erano stati esiliati dalla Terra e che sognavano un giorno di poterci ritornare perché quella era anche casa loro. Raccontò loro di ciò che aveva significato incontrare delle genti, combattere contro di loro, tentare di capirle mentre il sangue, le perdite dei loro cominciavano a ferire i loro animi. 

Parlò di ciò che ALIE aveva fatto a tutti, parlò con il cuore in mano attingendo ai suoi ricordi personali poi parlò delle tribù, sottolineando le qualità che aveva riscontrato nelle persone che aveva conosciuto nel tempo trascorso ed infine parlò della Fiamma, di ciò che per loro significava. 

“Un mondo estraneo per me, nato su una nave in mezzo alle Stelle” disse dopo  un pausa “eppure, fondamentale per voi.” 

Continuò dopo aver lasciato che il suo sguardo incontrasse ognuna delle persone in sala “Ora mi chiedo, volete ancora avere un commander, una persona che, solo per il colore del proprio sangue, possa decidere per voi?, solo perché ha la possibilità di ascoltare gli spiriti e le voci dei passati commander..?” lasciò in sospeso la frase, la gente lo osservava confusa “E se quegli stessi spiriti potessero parlare direttamente ad ognuno di voi, di noi? Se potessero mettere al nostro servizio la loro saggezza, saresti pronti ad accettarlo?” chiese ancora, il lieve mormorio si levò fra la gente perplessa, quasi non riuscissero a capirne il senso. 

Kane lasciò in sospeso quelle ultime parole, la ragazza lo vide spostarsi lateralmente lasciando libera la visuale sul trono dove da sempre si erano seduti i commander

Una luce perlacea cominciò a vibrare attorno e sul trono, un pulviscolo che sembrava fatto di stelle, un’opalescente luminosità celestina lo nascose per un istante alla vista. 

Clarke provò un brivido superstizioso, come se realmente di fronte a lei stesse accadendo una qualche magia. Lentamente la nebbiolina che aveva avvolto il trono scomparve mostrando alla sala ammutolita dallo stupore una figura, era seduta sul trono. La ragazza riconobbe i vestiti, erano quelli di un’astronauta, il suo sguardo venne calamitato sulle parole scritte sul taschino “Commander”, e si rese conto che quella che aveva di fronte ai suoi occhi era Becca, la scienziata che era scesa sulla terra. Come se le sue parole avessero richiamato la figura immobile fra di loro, questa si alzò, lentamente tolse il casco mostrando il suo viso alle gente riunite, un sommesso stupore attraversò la sala, nessuno osava parlare. 

Le sue vesti cambiarono di fronte agli occhi della gente, ora era abbigliata come una grounder, come Becca-Promheda e, in quell’istante, la sua dolce voce cominciò a narrare la storia delle prime genti, quando il mondo era solo un cumulo di macerie.

Dietro alle sue spalle, immagini del ieri scorrevano e si riconcorrevano, ricordi della prima, memorie che provenivano direttamente da Becca. 

Raccontò loro delle loro origini, del mondo che avevano creato. 

L’istante successivo la luminosa opalescenza avvolse Becca-Promhedanascondendola alla vista, Clarke trattenne un istante il respiro, coinvolta come tutti da ciò che stava avvenendo.

Dalla brumosa nebbia una nuova figura apparve, era un guerriero, strani simboli maori gli marchiavano il viso, i suoi occhi neri di ossidiana sembravano sondare la sala, la scrutavano in cerca di nemici. Un urlo invase la sala mentre il guerriero cominciava una strana danza, straneparole uscivano dalla sua bocca. 

Dietro di lui altri guerrieri, nascosti dalla nebbia del ricordo cantavano e danzavano quell’antico inno di guerra.

Alcuni balzarono sulle loro sedie, i secondi pronti ad agire, il sangue di tutti i guerrieri ribolliva a quelle parole, frasi che facevano parte del loro stesso DNA. 

L’uomo terminò quella danza, le figure dietro di lui immobili, scrutava la gente di fronte a se, e parlò, dichiarò il suo nome: Tana Savae Comcru, Commander, e, come la Promheda primo di lui, cominciò a raccontare la sua storia, delle battaglie e delle vecchie famiglie che per prime avevano colonizzato i territori e di come si erano formati i primi clan. Ad esso altri Commander si susseguivano ognuno raccontava la propria storia e come il mondo fosse cambiato con loro. 

Clarke era incantata e sbalordita da ciò che Raven era riuscita a fare, no, pensò non la ragazza ma la Fiamma, il meccanico era stato un mezzo, come Roan aveva detto, per mostrare una magia che superasse qualunque loro immaginazione. 

Non seppe per quanto rimasero lì incatenati dai racconti di quelle figure leggendarie, da un momento all’altro la ragazza si aspettava che anche Lexa apparisse ma, in cuor suo, non ne era certa. 

Non dopo ciò che le avevano raccontato, non dopo ciò che era successo negli ultimi mesi sotto il suo commando e come il mondo del prima fosse andato distrutto. 

No, Lexa non sarebbe apparsa si rese conto, una ferita ancora aperta, il segno tangibile della crisi che aveva coinvolto il mondo intero. Quando l’opalescenza sparì senza far apparire altri commanderLuna fece un passo avanti.

Si posizionò di fronte al trono dove, fino ad un attimo prima gli altri commander avevano parlato. 

“Io sono Luna Kom Floukru, ultima nightblood addestrata e.. non prenderò il ruolo di Commander. Gli spiriti hanno parlato, seguiranno i nostri passi, ci accompagneranno nel nostro cammino, ci aiuteranno con la loro saggezza. Saranno la memoria del nostro passato e del nostro futuro, non saranno più solo il retaggio di un'unica persona ma dell’intero popolo. Terminò la giovane andandosi poi ad accomodare nello scranno degli Floukru, ora occupato dal suo legittimo rappresentante. 

L’intera sala rimase per diversi minuti nel silenzio, avvolti dalla magia di ciò che era appena avvenuto, quando dal basso della torre, come un unico coro le voci della gente li raggiunsero, ad essi si aggiunsero i bassi tamburi poi archi e strumenti a fiato, una musica che raggiunse la gente al conclave, un simbolo dell’unione che tutti sentivano in quel momento. Clarke si guardò in giro, non capiva poi Kane prese la parola di nuovo. “La vostra storia, la storia delle tribù appartiene a tutti e, ciò che voi avetevisto in questo luogo, gli spiriti lo hanno mostrato fuori da questa torre. Uscite, parlate alle vostre genti, osservate la torre, una nuova luce celeste brilla in alto, un fuoco che racconta dal nostro nuovo cammino, di un nuovo conclave, di un nuovo ordine, festeggiate questo nuovo mondo di tutti. Concluse poi si allontanò dal centro della sala. Mentre la musica delle tribù permeava la stanza, lentamente i rappresentanti si alzarono, straniti come dopo essersi risvegliati da un sogno si avviarono verso le porte per uscire. Quella notte avrebbero avuto molto di cui parlare con la loro gente.

Quando la sala si svuotò solo loro, gli artefici di quel cambiamento rimasero. Clarke, ancora sbalordita raggiunse Raven che, nell’altra sala stava festeggiando la riuscita di quello spettacolo che, di certo, sarebbe rimasto nella storia di tutti i popoli. 

Era contenta, non era ancora certa di cosa sarebbe successo il giorno dopo ma, la gente che fino a pochi momenti prima aveva cantato, stava trasformando anche quell’occasione in una festa e, secondo lei, quello poteva essere un buon inizio.

Clarke si fece prendere da quell’atmosfera di euforia che stava contagiando tutti loro, si stava avvicinando a Bellamy, voleva essere accanto a lui in quel momento quando Kane prese la parola, un sorriso soddisfatto gli illuminava il viso.

“Beh ragazzi, credo proprio che voi abbiate avuto ragione, se i rappresentanti e la gente è rimasta impressionata da ciò che ha visto, quanto lo sono rimasto io, direi che da domani ogni cosa cambierà definitivamente e in meglio” le sue ultime parole furono accolte da uno scroscio di applausi e grida di giubilo a cui anche Clarke partecipò. “E ora, a quanto sembra, una nuova festa grounder sembra essere cominciata. Non mi aspettavo che le tribù fossero così festaiole” terminò lasciandosi andare ad una risata contagiosa, poi si avvicinò all’ Ice King che, come tutti si erano riunito nella sala, allungò una mano. Il guerriero osservò un istante l’uomo, poi gli e la strinse. “E ora andate a divertirvi, da domani si comincerà a costruire il nuovo mondo, un nuovo inizio per tutti.”

Nessuno in quel momento desiderava pensare alla minaccia delle centrali, quanto bui sarebbero stati i giorni del futuro ma, in quel clima di festa, dopo ciò che erano riusciti a fare, tutti guardavano al futuro con speranza. Erano riusciti a finalmente a superare il dolore di ciò che la Terra gli aveva portato via ed ora erano pronti ad andare avanti. 

 

Quindi ora si festeggia?” chiese Nathan sorridendo.

“Come se dopo ieri non ne avessi abbastanza” replicò Bryan assestandogli una pacca.

“Beh, io non sono mai stata ad una festa grounder, quindi noi ci andiamo, vero Monty?” si intromise Harper sorridendo al suo compagno che annuì divertito.

“Beh a questo punto credo che ci andremo tutti!” continuò di getto Clarke

“Basta che lui” intervenne Murphy guardando Bellamy “non si faccia fuori tutto l’alcool

“Sarà impegnato a festeggiare con la bionda” rimarcò Nathan ridendo “Ce la presenti vero?” chiese poi.

“Potrei anche farlo!” rispose Bellamy “ora però” continuò “Se mi scusateandrei a farmi la doccia che non sono riuscito a fare stamattina e che voi avete ampiamento notato” poi si incamminò verso l’uscita.

“Ti devi preparare per la bionda?” gli urlò dietro Nathan.

Ma Bellamy non rispose e gli mostro il dito medio, scoppiando a ridere. Prima di superare Clarke, si accostò a lei, i ragazzi continuavano a scherzare fra loro. “Se metti i vestiti di ieri sera, ti giuro che li taglio con il coltello stasera!” le mormorò sorridendo, Clarke arrossì e riuscì solo ad annuire. “Bene allora  a più tardi Principessa.” Poi uscì.

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Capitolo 29
*** XXIX ***


Capitolo 29

 

Clarke arrivò nella sala dei refettorio dove ormai la festa era già in corso, non riuscì a superare la soglia che già si ritrovò un boccale fra le mani, rise a quel gesto. Era una cosa a cui si sarebbe potuta abituare. Lasciò che il suo sguardo si perdesse fra la folla senza fermarsi su nessuno in particolare, respirando a pieni polmoni l’aria di gioia e di divertimento che si sentiva poi, sentì un nodo allo stomaco quando si chiese chi sarebbe sopravvissuto ai giorni che sarebbe arrivati. Tentò di scacciarlo eppure non voleva schiodarsi da lì. Si chiese se sarebbe sempre stato così, un momento di felicità in mezzo ad un oceano di dolore. Ripenso alle parole che Bellamy le aveva detto dopo che aveva permesso la tortura di Lincoln per salvare Finn

“Ciò che siamo e ciò che siamo costretti a fare per sopravvivere sono due cose differenti

il suo cammino era stato segnato per tutti i successivi mesi da quelle parole, credendo fermamente che quello fosse un passaggio obbligato prima di vivere eppure, lentamente, la sopravvivenza era diventata vita, aveva intaccato ciò che pensava di essere, cambiandola e facendola crescere. 

Si rese conto che, stare su quella Terra, in quel mondo, avrebbe sempre significato sopravvivere, fare delle scelte difficili, vedere le persone care morire per una sciocchezza, un errore o un sacrificio, eppure era conscia che c’era qualcosa di più. 

Era cresciuta in un mondo, quella dell’Arca, che da sempre aveva insegnato loro che anche una piccola effrazione poteva essere pagata con la morte, anche in quel mondo non avevano fatto altro che sopravvivere in attesa di altro ma loro la chiamavano vita. 

Ora sulla Terra avrebbero dovuto continuare a sopravvivere ma questa volta sapeva che quella sopravvivenza non mascherava altro che l’essenza stessa della vita: andare avanti, lottare ogni giorno per ciò che era realmente importante, godendosi attimo per attimo ogni gioia che si sarebbe presentata loro. Ed era ciò che avrebbe fatto da quel momento, non si trattava più di sopravvivere in attesa di momenti migliori ma di vivere. 

Con decisione fece una passo avanti all’interno della sala facendosi subito travolgere dall’atmosfera, sorseggiò la bevanda che le avevano dato, mentre con lo sguardo cercava di individuare gli altri ragazzi, uno in particolare in realtà. Finalmente lo individuò, lo stesso tavolo del giorno prima, sempre la stessa postura ma ora un sorriso fra le sue labbra mentre ascoltava qualche battuta divertente che Nathan o uno degli altri ragazzi attorno al tavolo aveva fatto. 

Si diresse verso di loro cercando di evitare i ballerini e chi la volevabloccare per un ballo e con una certa fatica riuscì a raggiungerli. Un coro di saluti l’accolse, Bellamy solo un sorriso. 

“Ehi siediti, dobbiamo brindare!” disse John seduto sul tavolo, le gambe distese di fronte a se, le spalle appoggiate contro il muro, un braccio sulle spalle di Emori accanto a lui,  forse aveva già bevuto troppo perché non si accorse che non c’erano più sedie attorno al tavolo e  già Harper si era trovata incastrata in braccio a Monty che sembrava non dispiacersi della cosa. 

“Se qualcuno si alza e va a ballare forse potrei anche sedermi” rispose Clarke guardandosi in giro certa di non trovare una sedia. 

“Ah, non guardare me” disse in quel momento Nathan seduto poco distante da lei “Sono rimasto in piedi a fare la guardia tutto il giorno e lei” indicando Raven seduta dall’altro parte del tavolo “mi ha fatto sgobbare tutto il pomeriggio nella sala del trono. Nessuno mi schioderà da qua!” rispose assestandosi meglio sulla sedia, Brian in piedi vicino a lui scuoteva mesto la testa. “Chiedi a Blake di alzarsi” continuò poi Nathan facendo cenno a Bellamy dietro di lui.

Clarke fissò Bellamy, riconosceva quel sorriso “Non serve che io mi alzi perché lei si sieda!” disse infatti. Quella frase produsse qualche risatina fra i ragazzi. Blake non era nuovo a quel tipo di battuta ma forse Clarke non l’avrebbe apprezzata, pensarono i ragazzi, non era abituata ai loro modi schietti e al cameratismo che c’era fra loro dopo che se ne era andata. “Anche se una sedia sarebbe più comoda potrei accontentarmi di te” disse superando Nathan e accomodandosi in braccio a Bellamy, le gambe su un lato, mostrava un fianco al ragazzo.  

Approfittò della situazione spostandosi diverse volte per sedersi con maggior comodità, sentì il respiro del ragazzo mozzarsi poi prima che qualcuno dicesse qualcosa alzò il bicchiere “A noi!” e bevve subito un sorso, seguita dagli altri poi cominciarono a chiacchierare, nessuno più stranito nel vedere Clarke Griffin in braccio a Bellamy Blake. 

“Sai che sei una strega, Principessa” mormorò il ragazzo al suo orecchio e lei, per risposta si mosse nuovamente sul bacino del ragazzo che, per l’ennesima volta, si ritrovò ad annaspare a causa di quel movimento.

Bellamy stava facendo fatica a trattenersi, Clarke sembrava perfettamente tranquilla e a suo agio seduta su di lui, i gomiti appoggiati al tavolo chiacchierava allegramente con Raven e le altre ragazze. Si era bloccataun istante solo quando Emori le aveva chiesto come mai era vestiti con i suoi soliti pantaloni e una maglia piuttosto che l’abito grounder della seria prima. In quell’occasione era stato lui a sorridere sotto i baffi mentre Clarke spiegava di quanto in realtà fosse scomodo. 

Aveva tentato di seguire le varie conversazioni, i ballerini, fare qualche battuta per distrarsi ma nulla funzionava, alle fine fece ciò che si era ripromesso di non fare, allungò il boccale che aveva fra le mani e che gli era durato per l’intera serata, gelosamente vuoto e se l’era fatto riempire. Aveva notato di sfuggita lo sguardo corrucciato di Clarke ma, doveva capire che era colpa sua se doveva buttarsi sull’alcool, anzi, forse era il caso di farglielo capire. 

Bevve una lunga sorsata poi appoggiò sul tavolo il boccale. Liberata la mano che si trovava più vicina al fianco di Clarke cominciò a giocherellare con il passante della cintura dei pantaloni della ragazza, lievi strattoni, lei si mosse leggermente ma Bellamy non era certo se quella reazione fosse dovuta a lui o ad altro. Passò a quel punto il dito sull’ orlo, la maglia di Clarke lo copriva a malapena e questo gli permise di andare oltre e sfiorare la pelle nuda poco sopra l’anca e, questa volta, la reazione fu più evidente: per un istante perse il filo del discorso e si raddrizzò lievemente come se qualcosa l’avesse punta. 

Il ragazzo sorrise divertito da quel nuovo gioco, all’apparenza intento a seguire le conversazioni del tavolo, tutta la sua concentrazione era su quel piccolo lembo di pelle accessibile alle sue dita. Una carezza, uno sfioramento, man mano che il tempo passava sentiva Clarke agitarsi, seppur lievemente sempre di più, certo, questo non faceva bene nemmeno a lui ma era troppo divertente. 

Quando infilò la mano sotto la maglia la sentì trattenere il respiro un istante. A quel punto Bellamy si sporse lievemente di lato, quanto gli bastava per poter vedere il suo profilo. Sembrava impassibile, concentrata ad ascoltare le chiacchiere attorno al tavolo eppure, quando il suo indice sfiorò per un istante l’arco del suo seno la vide deglutire a fatica e umettarsi le labbra. Bellamy si bloccò a quella visione, consapevole che se non si fosse fermato all’istante non avrebbe potuto più trattenersi poi, si rese conto che contenersi forse non aveva più molto senso, avevano più che abbondantemente festeggiato con gli altri e loro due avevano ancora un conto in sospeso. 

Tolse la mano dalla maglia e accostò le labbra all’orecchio di Clarke “Sei pronta per il secondo round Principessa?” le sussurrò. La ragazza sussultò a quelle parole e si volto verso di lui, i loro visi vicinissimi, un lieve cenno d’assenso, il desiderio di baciarsi lì dimenticandosi di chi li circondava.

“Ehi potreste prendervi una stanza!” si inserì John. Alcune risatine nel gruppo. “Potremmo anche farlo!” ribattè subito Bellamy ridendo.

“Che ne dici Principessa, seguiamo il consiglio di Murphy e ci cerchiamo una stanza” chiese alzandosi in piedi e facendo scendere Clarke dalle sue gambe. 

“Potremmo anche farlo” rispose r la ragazza mantenendo un tono divertito come gli altri. “Ma domani ci dobbiamo svegliare presto e la giornata è stata lunga!” continuò seria “Quindi io credo vi saluterò qui” disse Clarke facendo un cenno di saluto “Bellamy mi accompagni?” chiese, il ragazzo annuì, il viso serio in quel momento, fece un saluto agli altri raccomandandosi di non esagerare troppo e seguì Clarke verso l’uscita. 

Una accanto all’altro distanti, concentrati entrambi ad uscire da quella sala il prima possibile. Rimasero in silenzio per tutto il tragitto, neicorridoio, in ascensore fino a quando si ritrovarono di fronte alla camera di Clarke, la più vicina a loro. 

Si fermarono un istante davanti alla porta, entrambi perfettamente consci di ciò che sarebbe potuto accadere dall’altra parte, ci avevano pensato tutto il giorno eppure, ora, mentre erano lì di fronte a quella porta chiusa per un istante ebbero paura.

Clarke appoggiò la mano sulla maniglia, la osservava, sentiva dietro di se la presenza di Bellamy, ebbe un esitazione, chiedendosi se ciò che stavano facendo era giusto, confusa da ciò che provava, ciò che stava succedendo fra loro poi lo sentì avvicinarsi di più a lei, il suo torace che sfiorava appena la sua schiena. Appoggiò la mano sopra la sua ancora ferma sulla maniglia poi insieme l’aprirono.

Clarke fece qualche passo dentro la stanza, non riusciva a voltarsi, sentì Bellamy chiudere la porta dietro di se. 

Prese un profondo respiro poi si giro, lui era là di fronte a lei, lo stava scrutando, cercando forse una risposta nei suoi occhi.

“Eccoci qua!” disse Clarke per spezzare la tensione

“Eccoci qua” rispose Bellamy facendo alcuni passi verso di lei.

Si guardarono negli occhi, come si erano guardati quando avevano fatto l’amore, come si erano sempre guardati quando uno cercava la forza di andare avanti nello sguardo dell’altro.

Bellamy riusciva a leggere la tensione, il disagio di Clarke in quel momento, ormai la conosceva da troppo tempo, sapeva quanto quello che era avvenuto fra di loro le facesse paura e quanto di loro fosse in gioco in quel momento. Quello che poteva avvenire fra loro durante quella nottata l’ avrebbe cambiata definitivamente, non c’era più alcool in mezzo, non più la rincorsa delle emozioni per sentirsi viva e scappare da ciò che stava accadendo o il barricarsi dietro un amore impossibile per non soffrire. Ciò che stava succedendo fra di loro sarebbe stato qualcosa di nuovo che l’ avrebbe coinvolta per il resto della sua vita.

Quella mattina si era ripromesso che avrebbe scoperto la verità su di loro, lo dovevano a loro stessi.

Cosa vuoi Clarke?” le chiese, non si avvicinò di un passo, non voleva baciarla e perdersi in lei, non prima di sapere, non prima di capire. 

La ragazza sfuggì per un istante lo suo sguardo, poi lo rialzò subito dopo.

“Non lo so” ammise guardandolo. Nei suoi occhi la fragilità di chi sta aprendo il proprio cuore mostrando le proprie paure e tormenti. “Ma so che è qui dove voglio essere” continuò. 

“So che ho amato ogni singolo istante che abbiamo passato insieme mentre facevamo l’amore.” Cominciò Clarke prendendo sicurezza dalle sue parole, una luce decisa nei suoi occhi “So che mi piace scherzare con te come facciamo, sapere che tu sei accanto a me mi fa sentire protetta, amo quando discutiamo e quando troviamo insieme le soluzioni. So che quando sono con te non devo essere per forza forte ma posso essere me stessa assieme alle mie paure. So che non mi abbandonerai mai e sarei sempre al mio fianco, anche quando sbaglio. Disse con un mezzo sorriso “ma..” tornando seria “Non so se sono in grado di darti quello che tu desideri, sono spaventata all’idea di farti ancora soffrire per i miei errori, per le mie scelte, per la mia testardaggine. Non so se ancora in grado di amare..” ma non riuscì a finire le ultime parole, Bellamy la trasse a se e la baciò. 

Mmhh” si lasciò sfuggire Clarke quando si staccarono, aprì gli occhi e incontrò quelli scuri di Bellamy “Non avevo finito di dirti perché io…” ma lui non la lasciò continuare baciandola di nuovo “Si, ma se non finisco di dirti quello che dovevo..” tento di nuovo Clarke ma le labbra di Bellamy furono di nuovo sulle sue. “Così non è giusto…” mormorò la ragazza che ormai aveva perso il filo del discorso, persa fra quelle braccia e quelle labbra. 

“Mi volevi dire che come staremo insieme qua dentro, staremo insieme anche la fuori” chiese quindi serio Bellamy guardandola. Clarke sorrise, come avrebbe potuto nascondere ciò che c’era fra di loro si chiese  ma rispose semplicemente “Si”

Lui le sorrise mormorò un “bene” prima di appoggiare di nuovo le sue labbra su quelle di lei. 

“Ti fiderai sempre di me e mi dirai tutto quello che passa per la tua testolina bionda

“Solo se lo farai anche tu” mormorò Clarke, “si può fare” sussurrò lui prima di baciarla un’altra volta.

“Guarderai solo me e farai sesso solo come” chiese quindi Bellamy sorridendole malizioso mentre le sue mani cominciavano ad infilarsi sotto la sua maglietta. “Solo se lo farai anche tu” rispose Clarke lasciando che anche le sue mani sfiorassero la pelle del ragazzo sotto la maglia. 

“Non mi abbandonerai mai più” chiese a quel punto Bellamy. “Non potrei mai farlo” rispose Clarke guardandolo negli occhi, una promessa che valeva più di mille parole.

“Anch’io ti amo Clarke Griffin” disse a quel punto Bellamy prima di baciarla. 

Un bacio a cui entrambi si abbandonarono consci del significato di ciò che si erano detti, liberi di amarsi come entrambi meritavano. 

Fecero l’amore con lentezza, esplorandosi, guardandosi, baciandosi, persi l’uno nell’altro, uno lo specchio dell’altro come se nient’altro esistesse oltre a loro. 

Anime e corpi messi a nudo.

Fecero l’amore fino a quando, sfiniti, non si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro, con l’abbandono di chi ha finalmente trovato la propria casa. 

 

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Capitolo 30
*** Epilogo ***


EPILOGO

7 mesi dopo

 

“Secondo me dovremmo andare con il Rover  disse Bellamy mentre parcheggiava la macchina accanto al costone ma sembrava che nessuno lo stesse ascoltando. Solo Clarke, accanto a lui, gli lanciò un occhiata prima di scendere dall’auto. Il ragazzo guardò di fronte a se il crepaccio dove alcuni mesi prima avevano rischiato di finire e per l’ennesima volta si chiese perché gli altri non capissero la sua preoccupazione. Li sentiva prendere gli zaini e scherzare tranquilli, alla fine decise di scendere anche lui visto che nessuno sembrava volergli dare retta! 

Raven stava chiedendo a Nathan e a Brian come stesse andando alla stazione Cerere “Niente lavoro ragazzi!” era stata Clarke a parlare. 

“Parla quella che ha passato il tempo ad aggiornarci sull’andamento alla Stazione Idiometi da quando siamo partiti” ribattè divertito Murphy che si stava caricando lo zaino sulle spalle. 

“Beh, ovvio che ne ho parlato, siamo riusciti finalmente a creare un siero stabile e dall’ultima pioggia acida, nessuno è morto e, le poche lacerazioni sono state assorbite lasciando solo delle lievi cicatrici” Rispose ancora gongolante Clarke. 

Bellamy sorrise, sapeva quando lavoro c’era stato dietro, grazie ai macchinari trovati nel Bunker militare, ormai ribattezzato Idiometi, gli archivi scovati da Raven e le conoscenze di Becca Prom-heda erano riusciti in 7 mesi a fare qualcosa di incredibile. Non solo la mappatura genetica dei clan ma una serie di cure che permetteva loro di affrontare gli effetti più immediati delle radiazioni e monitorarne nel lungo termine le conseguenze sulle persone.

“Allora anche noi dovremmo gongolare per i risultati ottenuti, le ultime covate sono sane come tutti piccoli nati da quando abbiamo spostato la maggior parte del bestiame dentro Cerere” replicò sorridendo Nathan. 

Ma è vero che c’è stato un parto tri-gemmellare” chiese Emoriincuriosita. “Si, una delle mucche ha avuto 3 splendidi vitelli e tutti e tre sani” rispose Brian al posto del compagno. 

“Da quel che so anche il sistema di filtraggio dell’acqua per le culture idroponiche nella stazione Demetra sta dando ottimi risultati ” si inserì Raven. “Si è vero”, confermò Monty che lavorava nel secondo bunker che era stato trovato nelle zone attorno a Polis grazie alle mappe trovate nelle memorie dei server. Il ragazzo ormai si occupava a tempo pieno della manutenzione dei macchinari per il filtraggio dell’acqua che prelevavano dai pozzi. 

“Adesso stiamo cercando di capire come bonificare il terreno e speriamo di riuscire in futuro anche a far crescere delle piante da frutto” poi continuò guardandola “So che state cercando una soluzione per sintetizzare dei materiali adatti per la costruzione degli edifici” Ravenannuì “Si, è uno dei prossimi progetti. Ora che abbiamo messo in sicurezza molte delle centrali nella zona e cominciamo a prevedere con un certo anticipo i movimenti delle piogge acide stiamo cercando di capire come cominciare a costruire case salubri e con i giusti sistemi di filtraggio, la gente è stanca degli allarmi, di dover lasciare le proprie case a causa di una pioggia e aspettare settimane prima di uscire, vero Roan?” chiese al guerriero che in quel momento stava finendo di scaricare lo zaino “Si, anche se i tre bunker sono abbastanza grandi per non pestarci i piedi e la gente è abituata ad entrare ed uscire con tranquillità, mettere troppe tribù insieme non è mai sicuro e a volte capita che non tutti riescano ad arrivare in tempo. Certo grazie al sistema di comunicazione ideato da Raven” disse lanciando uno sguardo di pura adorazione alla compagna “Tutto è diventato più semplice ma, i trascorsi e le vecchie faide sono difficili da superare” rispose l’ Ice King. 

“Io ho sentito che c’è stato quasi un caso diplomatico quando gli stalloni di due tribù diverse hanno montato la stessa cavalla e non si sapeva di chi sarebbe stato il puledrino” disse Murphy ridendo “Non me ne parlare!” rispose Nathan passando uno zaino al compagno, “ci siamo ritrovati a fare i turni di guardia nella stalla della cavalla durante il parto per controllare che non ci fossero dei tafferugli” concluse scuotendo la testa il ragazzo. “Me lo ricordo” ribattè Clarke “È stata la prima volta che abbiamo dovuto utilizzare le attrezzature fare un test di paternità” concluse ridendo.

“Se siamo pronti si può partire” disse a quel punto Emori voltandosi verso i ragazzi. Ormai tutti avevano gli zaini in spalla e seguirono la grounder verso il varco fra gli alberi senza smettere di chiacchierare e aggiornarsi sulle rispettive vite. 

Solo Bellamy rimase indietro ad osservarli, il viso corrucciato. Certo molte cose erano cambiate dopo quella prima riunione del conclave quando gli spiriti dei vecchi commander avevano parlato. 

Erano stati mesi in cui tutti avevano dovuto dare il massimo per far fronte ai continui problemi che dovevano affrontare, le tensioni fra le tribù non si erano dissolte come neve al sole e solo grazie al carisma di Luna e Roan, l’appoggio di Indra e le capacità diplomatiche di Kane erano riusciti a evitare parecchie situazioni scottanti

Avevano dovuto affrontare le prime piogge acide che li avevano presi in contropiede quando erano arrivate prima del previsto, affrontare un epidemia di febbre rossa particolarmente virulenta, la diffidenza dei clan quando era stato deciso di utilizzare le tre basi sotterranee quando il mondo esterno era irrespirabile. Molti erano morti in quei primissimi mesi ma, lentamente, con caparbietà e forza d’animo erano andati avanti e ora, a soli 7 mesi di distanza finalmente cominciavano a vedere il frutto dei loro sforzi. 

Le piantagioni e il bestiame nelle due stazioni Cerere e Demetra stavano crescendo in un ambiente sano. La stazione di Idiometi, la più piccola, in breve tempo era diventata il centro nevralgico, i laboratori di ricerca, gli enormi server a cui Raven aveva avuto accesso e le capacità di Becca prom-heda di analizzare e trovare soluzioni aveva permesso di fare passi enormi in poco tempo. 

E ora, dopo tanto tempo in cui ogni loro pensiero era volta alla sopravvivenza dell’intera umanità, finalmente erano riusciti a prendersi due giorni di riposo dal mondo e dalle responsabilità. Era diventata prima una neccessità poi un desiderio condiviso da tutti loro. 

Volevano ritrovarsi.

Da quando era cominciato tutto, lentamente si erano divisi, Nathan e Brian si erano ritrovati a lavorare nella stazione Cerere, Monty e Harper invece erano nella stazione Demetra. Emori e Murphy, ormai battevano a tappeto i territori alla ricerca della tecnologia nel mondo precedente o qualunque cosa fosse utile, Clarke era bloccata la maggior parte del tempo  nella stazione di ricerca Idiometi mentre Raven faceva da spola fra tutte e tre. Lui e Roan erano diventati dei veri girovaghi passando nei vari territori del clan nel continuo tentativo di mantenere l’ordine anche se cercavano di rimanere lontano pochi giorni.

Ad un certo punto si erano resi conto che sentivano la mancanza gli uni degli altri e così, ora, eccoli lì, due giorni solo per loro. L’intenzione era di raggiungere la sorgente e non pensare alle responsabilità per almeno due semplici giorni. 

“Ehi Blake ci sei?” chiese Raven girandosi.

Lui sorrise e fece un cenno d’assenso ma la preoccupazione che provava non sembrava passare. Volse uno sguardo dietro di se, dove avevano parcheggiato il Rover. “E tu Reyes, come va la gamba.” Chiese mentre superavano le prime radici che sbucavano da ogni parte.

“Non provarci Bellamy” disse la ragazza facendo attenzione a dove metteva i piedi. “non usarmi per qualche tuo trucchetto!” 

“Non lo sto facendo” rispose lui “ma credo che per te questa discesa potrebbe essere troppo faticosa

“Ti sbagli, io sto bene, sono in grado di fare la discesa e, se proprio non ce la facessi ho lui” indicando il guerriero dell’ Ice Nation “che mi può portare in braccio” rispose sorridendo. Roan lanciò solo uno sguardo senza dire nulla ma un lieve sorriso gli increspò le labbra.

Nessuno ancora capiva cosa avessero trovato l’uno nell’altro eppure, sette mesi dopo, eccoli lì. In pubblico si sfioravano appena, fra amici Ravenimmancabilmente faceva qualche battuta in sua direzione a cui di solito  lui non rispondeva eppure, bastava uno sguardo del guerriero che la giovane meccanico arrossisse e i suoi occhi brillassero di dolcezza. 

“Ma poi” si intromise John “vorrei ricordarti il  tempo che abbiamo impiegato per portare su il Rover” 

“Mai più” si era intromesso Nathan.

“Non è stato poi così difficile!” ribattè Bellamy ma fu subito investito da una mare di insulti. 

Certo, pensò il ragazzo, avevamo impiegato oltre 8 ore a portare su il Rover ma comunque ce l’avevano fatta. “non è stato poi così difficile” mormorò ma Nathan lo sentì e si voltò subito verso Clarke “Ma come riesci a sopportarlo?” chiese quindi. 

La ragazza sorrise, scosse la testa “Non chiedermelo, ogni tanto mi chiedo cosa mi sia preso a mettermi con uno come lui, se solo lo avessi saputo sarei scappata a gambe levate!” gli altri risero. “Beh, se ci avessi pensato prima, non ti troveresti in questa situazione” la prese in giro Murphy. La battuta scatenò altre risatine ma nessuno aveva dubbi sul fatto che quei due dovessero stare assieme e quando fossero innamorati l’uno dell’altro. 

“Se voi foste nella stessa situazione non ridereste così” rispose piccato Bellamy squadrando i ragazzi ma quelli nemmeno gli diedero retta e continuare a scherzare. 

Il ragazzo scosse il capo poi si avvicinò a Clarke che camminava poco avanti a lei. “Come va?” chiese.

“Bell, veramente vorrai fare così tutto il viaggio?” chiese la ragazza guardandolo leggermente irritata.

“No” mormorò lui ma lo sguardo di Clarke lo fece esitate un istante “Si, …un po’ ..e che voglio essere sicuro che tu stia bene e non ti affatichi..” a quelle parole la ragazza alzò un istante gli occhi al cielo, prese un profondo respiro poi cominciò a togliersi lo zaino dalle spalle “Tieni, mi pesa, portalo tu..” mormorò passandoglielo.

Il ragazzo sorrise sollevato a quel gesto e gli prese subito lo zaino “Vediche avevo ragione?” la ragazza lo guardò come se non riuscisse a credere alle sue orecchie poi scosse il capo e si allontanò da lui avvicinandosi a Raven che aveva seguito tutta la scena e ridacchiava. “Tranquilla Raven, non ridere troppo, Roan potrebbe diventare uguale!”

“non credo proprio, non ce lo vedo!” ribattè subito convinta il meccanico ma lo sguardo di Clarke le fece subito fare marcia indietro “No, ok, ha ragione, temo il momento, potrebbe essere anche peggio di Bellamy” a quelle parole entrambe scoppiarono a ridere poi continuarono a chiacchierare per il resto del tragitto che risultò meno difficoltoso di quanto Bellamy avesse paventato.

Quando si avvicinarono al costone che li avrebbe portati alla capanna di Emori, la ragazza li fece bloccare. Era allerta e, quel comportamento, allarmò tutti, Nathan, Harper, Bellamy e Roan si avvicinarono subito alla ragazza. 

“C’è del fumo” bisbigliò indicando un punto davanti a loro. Proveniva dalla luogo in cui avrebbe dovuto trovarsi la capanna. Tutti sapevano che era una zona disabitata ma c’erano parecchi banditi in giro e questo fecetemere loro il peggio.

“Io passerò dai boschi di sotto” disse Roan. “Nathan e Harper che hanno una buona mira con i fucili vi anticiperanno nascondendosi nei boschi sopra lo spiazzo”

Bellamy annuì “Noi continueremo invece sulla strada e ci avvicineremo

I ragazzi assentirono e si divisero. Ormai le risate spente, di nuovo impegnati ad affrontare una nuova minaccia. Aspettarono che gli altri si allontanassero nei boschi prima di riprendere il cammino.

Quando Bellamy superò la roccia che dava loro riparo, gli altri che  si erano appostati non avevano fatto alcun segnale di pericolo. Si sporse è notò solo un fuoco da campo e una pentola messa a bollire. Il luogo sembrava deserto fino a quando dalla porta della capanna non uscì una donna, era una grounder dai capelli scuri e dalla carnagione abbronzata, le vesti che portava gli ricordavano una delle tribù più lontane ad est, di cui però non riusciva a ricordare il nome. Imbracciò il fucile e uscì da dietro la roccia tenendo sotto tiro la donna che sembrava non essersi accorta di nulla. 

Ferma” urlo Bellamy.

La donna sobbalzò a quel richiamo, volse lo sguardo in giro fino a quando non incontrò quelli del ragazzo. Si bloccò all’istante, la paura dipinta sul volto.

“Sei da sola?” chiese quindi Bellamy abbassando leggermente l’arma. La donna annuì freneticamente. Il giovane esitò un istante poi abbassò il fucile e alzò una mano. “non voglio farti nulla” a quelle parole gli altri ragazzi uscirono da dietro la roccia.

Emori fece qualche passo in avanti, le mani alzate “Veniamo dalle stazioni vicino Polis, un tempo quella” disse indicando la capanna da dove la donna era uscita “era la mia casa, non vogliamo farti del male.” Terminò sorridendo.

La grounder dovette capire che i giovani non erano venuti per farle del male e annuì “Sono Milla della tribù delle foreste dell’ est, sto cercando di raggiungere Idiometi e ho trovato riparo qui.  Pensavo fosse disabitata” spiegò.

Emori annuì “Per noi sarebbe un onore condividere il nostro cibo con voi” rispose usando l’ antica formula fra viaggiatori.

In quel momento dall’interno della capanna sentirono provenire il pianto di un bambino, tutti si bloccarono, la donna sembrò agitarsi nuovamente forse impaurita che qualcuno potesse fare male a lei o alla creatura pensando che avesse mentito. 

Bellamy si incamminò verso la porta, il fucile a tracolla, disse alla donna di spostarsi verso il fuoco mentre lui controllava dalle finestre la stanza che sembrava all’apparenza vuota. Aprì lentamente la porta e poi entrò, il pianto del piccolo non sembrava voler cessare. Si avvicinò al giaciglio da cui, in mezzo alle coltri, riusciva solo a vedere un piccolo braccio e una manina stretta a pugno agitarsi. 

Fece qualche altro passo calamitato dal pianto, dal ricordo di un altro pianto 18 anni prima. Abbassò il viso e i suoi occhi incontrarono quelli del neonato. 

Sapeva che non lo poteva vedere, non distintamente, era troppo piccolo eppure, per un istante ebbe la sensazione che gli occhi grigi del bambino si fissassero sui suoi. 

Continuava a piangere ed ad agitarsi, istintivamente Bellamy allungò la mano verso di lui. Desiderava sentire il contatto con quel caldo corpicino. Il bimbo agguantò il suo dito, stringendolo forte, tentando in tutti i modi di portarlo alla bocca. 

Sei affamato vero piccolino” mormorò mentre liberava la mano, un lieve carezza sui radi capelli neri. Con cura prese il bimbo il braccio, era strano tenerlo. “Adesso ti porto dalla tua mamma che ti darà da mangiare” e con attenzione, senza mai smettere di guardare il piccolo e cullandolo fra le sue braccia, si avvicinò all’uscita.

 

Stava ritornando alla capanna dopo essere riuscita ad un uccidere una lepre, ci aveva messo troppo e doveva affrettarsi, per fortuna non era troppo lontana. 

La guerriera sentì il ramo spezzarsi ma la preoccupazione per quel ritardo l’aveva resa poco reattiva e avventata. Si girò in ritardo pronta ad affrontare la minaccia, diverse volte avevano rischiato di essere attaccate ed erano riuscite a cavarsela per un soffio ma, con suo sommo stupore, di fronte a lei c’era l’ Ice King.

“Così stai ritornando a casa Octavia kom  Eastrikru” disse il guerriero.

La giovane rimase immobile per alcuni istanti. “Cosa ci fai qua?” chiese la ragazza riprendendosi subito.

“Un uccellino mi ha detto che sarebbe stato piacevole fare un bagno nella sorgente termale” rispose Roan con un mezzo sorriso.

Indra….maledetta Milla” Mormorò la ragazza. 

“E con te?” domandò incamminandosi verso la capanna doveva avevano trovato riparo prima di ripartire il giorno dopo. 

“No” disse il guerriero seguendola “ e non prendertela con Milla, lo sapevi che, da quando ti ho rivisto fra gli Eastrikru, ti avrei tenuto d’occhio.” 

E io ancora non capisco perché tu lo stia facendo, me la so cavare da sola!” rispose la giovane aumentando il passo arrabbiata da quell’intrusione nel suo mondo. 

“Come ti ho già detto, molta gente è preoccupata per te! E con uno di loro ho un debito!” rispose il guerriero.

“Non gli avrai detto di Aurora vero?” 

“No, io mantengo le mie promesse.” 

“E allora perché sei qui?”

“Perché se devi raggiungere Idiometi dove di certo incontrerai la gente da cui sei scappata” disse il guerriero beccandosi un’occhiataccia Octavia“Forse era il caso che incontrassi alcuni di loro prima” concluse Roan

La giovane si bloccò e si girò di scatto verso di lui fronteggiandolo “Chi hai portato con te?” 

“dovresti immaginarlo…” rispose semplicemente l’ Ice King. 

“Bellamy” mormorò Octavia appoggiandosi contro un tronco, la capanna poco oltre l’ultima fila di alberi. 

Era troppo presto, non poteva ancora rivederlo, non ne aveva la forza. 

Era partita perché spaventata che la piccola non stesse bene a causa delle radiazioni, sapeva che a Idiometi avrebbero potuto fare qualcosa e, solo per quello, aveva deciso di partire. 

Per tutto il viaggio non aveva voluto pensare a Bellamy. Lo aveva lasciato con il cuore colmo di rabbia, di dolore e, per lunghi mesi, nemmeno il sapere di portare in grembo la figlia di Lincoln era riuscita a scalfire la corazza di odio che provava per il mondo che le aveva portato via l’unica cosa realmente importante della sua vita. 

Poi, quando aveva preso fra le braccia la piccola Aurora per la prima volta, qualcosa in lei si era rotto, l’ angoscia per la perdita di Lincoln si era sfogata in un pianto di dolore, nella nebbia di quella sofferenza aveva sentito il piccolo corpo caldo di sua figlia e quel calore era diventata la sua luce, la sua forza per affrontare la vita. 

Si era asciugata le lacrime sul suo viso, su quello della piccola che le aveva accolte e guardandola aveva capito che non era più sola, che aveva nuovamente una famiglia, una parte dell’unico uomo che avrebbe mai amato, e l’avrebbe protetta con tutta se stessa. 

In quell’istante l’immagine di Bellamy le era passata davanti agli occhi, comprendendo per la prima volta quello che aveva significato per lui essere responsabile per lei. 

Altre lacrime le avevano bagnato le guance, il desiderio di rivederlo, di dirgli che finalmente aveva capito ma la paura che non bastasse. Non avrebbe voluto fare quel viaggio ma la salute della piccola era cagionevole e, per lei, avrebbe affrontato qualunque cosa anche lo sguardo di biasimo del fratello. 

In quell’istante sentì il pianto di un bambino, non pensò ad altro che ad Aurora, superò gli ultimi alberi e scattò in mezzo allo spiazzo. Si bloccò quando vide delle persone accanto al fuoco e Milla, era pronta ad attaccarli per salvare sua figlia quando li riconobbe: Clarke, RavenEmori, John, Monty, Harper e Brian, erano tutti lì e la guardavano a bocca aperta. Rimase immobile fino a quando non vide una figura uscire dalla porta, un fagotto piangente fra le mani: Bellamy.

Vide il fratello alzare lo sguardo verso gli altri, un sorriso fra le labbra, poi i suoi occhi si oscurarono un istante, confusi dalla direzione in cui gli altri stavano guardando. Si girò anche lui e i loro occhi si incontrarono. Lesse la sorpresa e la gioia nei suoi occhi, lo vide fare un passo verso di lei. 

Octavia sentì gli occhi pungerle gli occhi, un nodo alla gola vedendo il fratello che teneva fra le braccia Aurora. L’emozione di sapere che fra quelle braccia la piccola sarebbe stata protetta quando con lei. 

Non pensò a niente e si slanciò verso di lui, lo abbracciò stringendolo a se, la piccola fra le loro braccia. Per un istante si mormorarono parole senza senso, poi Bellamy si allontanò leggermente “Octavia…” riuscì solo a mormorare, gli occhi lucidi per la commozione, sentì la neonata agitarsi fra loro “Devo dare la piccola alla madre” sussurrò guardando un istante la bambina fra di loro.

“Scemo, è tua nipote” ribattè la sorella fra le lacrime. Bellamy rimase immobile, guardò lei poi la neonata, ormai le lacrime di gioia scivolavano anche sulle sue guance, rise, liberò un braccio con cui teneva la piccola e abbracciò di nuovo Octavia “Mi sei mancata sorellina” le mormorò ad un orecchio. “Anche tu” rispose lei in un singulto. 

Aurora, in quel istante smise di piangere, avvolta dal calore di quelle due persone che avrebbe dato la vita per lei. 

Bellamy alzò lo sguardo, guardando oltre la spalla della sorella. Incontrò gli altri, la sua famiglia. Vide nei loro occhi la commozione, alcuni si stavano asciugando le lacrime che non erano riusciti a trattenere poi incontrò gli occhi celesti di Clarke, un sorriso pieno di amore le illuminava il viso segnato dalle lacrime. La sua mano era posata sul grembo, dove una nuova vita stava crescendo. 

“Ti amo” gli disse silenziosamente e, in quel momento, Bellamy capì che ogni cosa sarebbe andata per il meglio.

 

FINE

 

STORIA BONUS ----scritta il 24 dicembre 2016 e che ho deciso di inserire in questa Long.

 

 

24 dicembre 2157

 

Clarke guardava la vallata, era cambiata così tanto dal loro arrivo, un sorriso triste appena accennato al pensiero di chi non c’era più ma, in quel giorno, voleva essere felice per tutto ciò che erano riusciti a fare. 

La coltre di neve come una coperta bianca copriva le case che avevano costruito con i nuovi materiali, accanto serre e stalle in grado di affrontare le sporadiche piogge acide e mantenere salubre l’aria e il terreno anche nelle peggiori condizioni. 

Lasciò che il suo sguardo si perdesse fra luci accese nelle case e fuochi all’esterno per i viaggiatori che cercavano un luogo dove essere accolti, una nuova tradizione, come altre era nate da quando le tribù erano diventata un’unica grande nazione. 

All’improvviso sentì dietro di se lo scricchiolio della neve, i passi di una persona, sorrise, sapeva chi era. 

Non si voltò ma aspettò di farsi avvolgere dalle braccia di Bellamy. Si appoggiò a lui sentendo il calore del suo corpo anche attraverso gli strati dei loro vestiti, il suo respiro caldo fra i capelli.

“Tutto ok Principessa?” chiese in un mormorio.

Clarke annuì, chiuse gli occhi accoccolandosi contro di lui, godendosi quel momento di pacata serenità. Rimasero così tranquilli, i loro respiri che si mescolavano.

“Ehi, voi due volete entrare o no?” urlò Murphy “vogliamo mangiare”.

Entrambi scoppiarono a ridere, John non aveva mai perso l’abitudine di essere inopportuno. 

“Dovremo andare Principessa” mormorò Bellamy stringendola ancora un istante contro di se “Ci rifaremo stanotte” continuò poi mordicchiandole lievemente il lobo dell’orecchio. Clarke si perse un istante in quelle sensazioni lasciandosi sfuggire un gemito, poi la realtà si abbatté su di lei “Non pensi a tutta la gente in casa?”

“Troveremo un modo…” rispose il ragazzo senza smettere di stuzzicarla. “Bell… e meglio rientrare”

“Tu dici..

“No, ma dobbiamo!” rispose Clarke con un sospiro insoddisfatto, sciogliendosi dall’abbraccio in cui era avvolta.

Bellamy non oppose resistenza, sapeva che avrebbero trovato un modo per stare soli anche se la casa era piena di gente e, a quel punto... Sorrise un istante al pensiero di ciò che le avrebbe fatto, desideroso di continuare ciò che avevano cominciato lì fuori. 

Si incamminarono verso la casa, le mani intrecciate, silenziosi.

Varcarono la porta e furono subito investiti dal vociare della gente, le loro risate spensierate. 

Clarke abbracciò la grande sala con uno sguardo, i suoi occhi si fermarono su Roan che, protettivo come sempre, anche se intento a parlare con Marcus e Indra lanciava sguardi a Raven dall’altra parte dellasale. Nathan e Bryan, chiacchieravano con Monty, Harper e John, quella vigilia erano riusciti  a lasciare il loro allevamento di polli almeno per quella sera. 

Poco oltre Abby, Luna, Emori e Octavia stavano discutendo di qualcosa mentre finivano di allestire la tavola. 

Sorrise vedendoli tutti lì riuniti, felice che tutti ce l’avessero fatta ma il suo cuore si colmò di gioia quando il vociare eccitato anticipò l’ arrivo di alcuni bambini che, in quel momento, scappavano ridenti da Jasper che dietro di loro li stava riconcorrendo facendo strani versi. Gli occhi sereni di chi ha trovato pace.

Clarke sentì Bellamy accanto a lei, la mano rilassata posata sul suo fianco, si guardarono un istante: era per quello che avevano lottato. Non avevano bisogno di parlarsi per saperlo, lo leggevano l’uno negli occhi dell’altra. 

All’improvviso fra le gambe degli adulti apparve un piccolo di circa sei anni, correva verso di loro, un coltello fra le mani, un fiocchetto rosso sull’impugnatura, la copia in miniatura del padre. “Mamma, papà…guardate cosa mi ha regalato la zia Octavia” urlò lanciandosi verso di loro per farsi prendere in braccio dal padre. Bellamy si abbassò venendo investito dall’abbraccio del piccolo, poi lo prese in braccio, cercando di evitare il fodero del coltello  fin troppo vicina al suo viso.

“Forse dovremmo dire alla zia Octavia che è troppo presto per regalarti un coltello, Jake

“Ma mamma, mia cugina Aurora ce l’ha già da un anno, e zio Roan mi ha detto che mi insegnerà ad usarlo, posso tenerlo? Farò attenzione!” concluse il piccolo che la guardavano con quegli neri da cucciolo, così simili a quelli di suo padre.

“Va bene, puoi tenerlo ma se fai male a qualcuno te lo sequestro” disse a quel punto Clarke conquistata come al solito da quegli occhi. 

Il piccolo si slanciò verso di lei per abbracciarla “Grazie mamma!” disse prima di stamparle un bacio umido sulla guancia poi si liberò dalla presa del padre e corse via.

“Vedrete che adesso mia cugina Aurora non dirà più che sono troppo piccolo anche se non abbiamo nemmeno un anno di differenza” disse voltandosi, un sorriso contagioso sulle labbra, poi scappò via a inseguire la bambina dai capelli neri. 

“È così siamo arrivati al primo coltello” mormorò Bellamy accanto a lei, i suoi occhi fissi sul figlio che mostrava agli altri bambini il suo nuovo regalo. “Pronta?” le chiese. 

Clarke seguiva anche lei Jake, preoccupata per l’arma che aveva fra le mani “Se siamo riusciti ad affrontare il primo anno sulla Terra riusciremo ad affrontare anche questo” mormorò in un sorriso. 

Poi i loro sguardi si incrociarono consci che insieme avrebbero potuto affrontare anche un figlio che giocava con un coltello.

Il mondo attorno a loro si perse in un caleidoscopio colorato mentre si perdevano l’uno negli occhi dell’altro. 

Bellamy l’ attirò a se. “Buona Vigilia principessa” le mormorò “Buon Vigilia a te …se tu te lo fossi dimenticato…ti amo Bellamy Blake” glisussurrò a fior di labbra Clarke prima di baciarlo. 

 

OK ADESSO È PROPRIO FINITA!

SIGH!!

 

NOTA: Vi do il tempo di ripigliarvi dalle lacrimucce. Se non vi sono venuti almeno gli occhi lucidi allora significa che ho fatto proprio un brutto lavoro, nel qual caso mi scuso, cercherò di fare meglio la prossima volta. 

Vi ringrazio comunque di cuore per aver seguito questa vera e propria maratona a tappe forzate. Vi ringrazio per ogni commento che avete lasciato, per la pazienza con cui mi avete seguito. Per aver messo la mia storia fra le preferite, le seguite e le ricordate. Non mi aspettavo di ottenere questi risultati con una FF ambientata nel mondo di the 100 e per di più in una sezione popolata da tante Clexa ;). 

Ringrazio ancora mille volte Camipp che mi ha seguito in questa avventura e ha pubblicato la mia storia sul suo profilo. Ti lovvo assai, lo sai questo vero???

Che altro dirvi che mi dispiace che quest’avventura sia finita e chissà quando ci rivedremo….in realtà potrebbe succedere che forse ci rivedremo prima del previsto. E non intendo quest’estate con l’ennesima FF post 4° stagione (ormai mi sento abbonata a questo tipo di FFahahah) ma, molto prima. 

Diciamo che aver scritto dei capitoli a rating rosso, non essere riuscita a fare una storia Bellarke-centrica, aver avuto un piccolo grillo parlante (si Camipp parlo di te) che voleva più sesso fra quei , potrebbe avermi spinto a cominciare una nuova storia. 

Un’ AU questa volta, il problema più grosso però potrebbe essere che essendo a rating rosso ed essendo di base una storia erotica con scene molto esplicite, potrebbe non piacervi. 

Chi lo sa…comunque, se seguendo la sezione the 100 di efp o il profilo di Camipp apparirà una FF dal titolo “ALL IN –Scommessa vincente” piena di avvertimenti/note di ogni genere passate a dargli un’occhiata magari pur trattando argomenti scabrosi ( :P) ahahahh….potrebbe piacervi. 

Che altro dire, vi ringrazio ancora di cuore e speriamo di rivederci presto. 

 

No, ok..sono pessima e, lo ammetto la AU che sto scrivendo mi piace troppo….quindi faccio il peggior spam possibile e vi metto qualche estrattino a random ahahahahaha….

 

Ricordo l’esatto momento in cui la realtà si è abbattuta su di me (...) Non quando, durante la cerimonia informale, ho visto la bara di mio padre calata nella buca sul terreno.(…) No, la realtà si è abbattuta su di me quando il notaio ha letto per la prima volta il testamento di mio padre e, di fatto, io Clarke Griffin sono diventata l’erede e amministratore delegato unico dell’ Arca Investiments e ho solo 24 anni (…)

 

Fra le ciglia Clarke osserva l’autista, spera di intercettare il suo sguardo, leggervi disgusto, qualunque cosa non l’impassibilità che lo contraddistingue sempre.

Lo odia, come riesce sempre ad essere così impenetrabile? Bellamy Blake non è solo il suo autista quando esce per quelle sue avventure degradanti, è il suo capo della sicurezza. L’unica persona che non può licenziare. L’unico uomo del quale suo padre si fidasse.

 

“Un foglio secondo te può cambiare la vita?” mormora Bellamy(…) Perché Jake Griffin ha voluto includere lui nel testamento?, perché promuoverlo a capo della sicurezza, perché mettere quella strana clausola per cui non può essere licenziato?. Perché proprio lui?(…) È una domanda a cui non riesce ancora a dare risposta...

 

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