Always Fighting

di nikita82roma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CINQUE ***
Capitolo 6: *** SEI ***
Capitolo 7: *** SETTE ***
Capitolo 8: *** OTTO ***
Capitolo 9: *** NOVE ***
Capitolo 10: *** DIECI ***
Capitolo 11: *** UNDICI ***
Capitolo 12: *** DODICI ***
Capitolo 13: *** TREDICI ***
Capitolo 14: *** QUATTORDICI ***
Capitolo 15: *** QUINDICI ***
Capitolo 16: *** SEDICI ***
Capitolo 17: *** DICIASSETTE ***
Capitolo 18: *** DICIOTTO ***
Capitolo 19: *** DICIANNOVE ***
Capitolo 20: *** VENTI ***
Capitolo 21: *** VENTUNO ***
Capitolo 22: *** VENTIDUE ***
Capitolo 23: *** VENTITRE ***
Capitolo 24: *** VENTIQUATTRO ***
Capitolo 25: *** VENICINQUE ***
Capitolo 26: *** VENTISEI ***
Capitolo 27: *** VENTISETTE ***
Capitolo 28: *** VENTOTTO ***
Capitolo 29: *** VENTINOVE ***
Capitolo 30: *** TRENTA ***
Capitolo 31: *** TRENTUNO ***
Capitolo 32: *** TRENTADUE ***
Capitolo 33: *** TRENTATRE ***
Capitolo 34: *** TRENTAQUATTRO ***
Capitolo 35: *** TRENTACINQUE ***



Capitolo 1
*** UNO ***


- Come mai sei già sveglia così presto? - Rick aveva raggiunto Kate che se ne stava in piedi vicino al bancone della cucina, la abbracciò da dietro rendendosi conto di quanto sua moglie fosse tesa mentre le massaggiava le spalle irrigidite da una postura forzata.

- Non riuscivo più a dormire…

- Speravo che l’ultima mattina che potevamo passare insieme senza il pericolo di chiamate improvvise l’avremmo passata a letto insieme, tra coccole e baci - le disse scostandole i capelli e baciandole il collo, ma questo non ottenne il risultato sperato. - Non credo che dopo tutto questo tempo sarà facile abituarmi all’idea che non potrò stare con te sempre…

- Un anno… - Kate sembrava non ascoltarlo - … è passato un anno. Un anno tra poco…

- Lo so Kate. - anche Rick aveva cambiato tono. Non era più scanzonato e languido, era diventato fermo e profondo. Aveva sciolto l’abbraccio con il quale cingeva Kate e si era portato davanti a lei.

- Eravamo lì - disse lei indicando un punto nel pavimento. Cambiare i mobili e la cucina non era servito a molto, anzi a nulla. Anche Rick guardò a terra per un attimo e, chiudendo gli occhi, gli sembrò di vedere quella scena così limpida davanti a se. L’odore del sangue, il dolore al petto, la mano di Kate che allenava la presa sulla sua sempre di più fino a lasciarla. Il terrore. Aveva avuto incubi su questo ogni notte fino a quando Kate non era stata fuori pericolo ed aveva continuato ad averli spesso anche dopo, diventando sempre meno frequenti, anche se ancora ogni tanto gli capitava e, con l’avvicinarsi di quel giorno gli era successo di sognarlo ancora, ma non l’aveva detto a Kate. Sperava che per lei non fosse così. Non avevano mai parlato di quello che era accaduto lì quella mattina, da quando lei aveva recuperato la memoria. Rick le prese la mano e la strinse forte. Erano lì, erano insieme, erano vivi. Un anno dopo.

- Ho avuto paura di perderti Rick e avrei voluto morire anche io. Potrai mai perdonarmi per averti trascinato dentro tutto questo?

- Kate, c’è solo una cosa che ti rimprovero, lo sai. È non avermi coinvolto dall’inizio, avermi allontanato da te. Quello è stato più doloroso di qualsiasi proiettile, credimi. 

Castle la tirò verso di se e lei si appoggiò con la testa sul suo petto, proprio dove poteva sentire il suo cuore battere più forte.

- Pensi che sia un caso? Ritornare a lavoro un anno dopo, esattamente il giorno dopo della chiusura del caso LokSat. Come se questo anno non ci fosse stato…

- In questo anno ci sono stati alcuni dei giorni più belli della mia vita. Nonostante tutto non lo cambierei con niente al mondo. 

- È stato un anno intenso, nel bene e nel male. Ma hai ragione tu Rick, ci sono stati alcuni dei giorni più belli della nostra vita. Tu ci ripensi mai a quella mattina?

- Qualche volta, ma sempre meno… 

- È strano sai… Io invece ho cominciato a pensarci sempre più spesso proprio negli ultimi tempi. E non è la paura paralizzante come dopo il cecchino, con gli attacchi di panico… È diverso… È la paura che potevo perdere te e… e Lily… E quando ci ripenso e ci vedo lì a terra penso che se fosse successo qualcosa a voi, se succedesse qualcosa a voi due impazzirei.

- Ehy, Kate… non ci devi pensare. Non ci devi pensare…

Rick la strinse di più contro il suo petto e la cullò come se fosse anche lei una bambina e Kate si lasciò cullare e svuotò la sua mente riempiendola solo della sua voce, del suo profumo e del battito del suo cuore.

- Che ne dici di passare ancora un po' di tempo a letto con tuo marito prima che la piccola despota ti reclami tutta per se? 

- Mi sembra una buona idea, Castle - sorrise Kate a quel nomignolo che già da un po' usava per Lily che sembrava proprio avere un bel caratterino autoritario. 

 

“Tutta la mamma” ripeteva lui. E in effetti se era possibile con il passare dei mesi la loro somiglianza anche fisica invece che diminuire era aumentata. Jim una sera aveva portato al loft gli album fotografici di Kate quando era piccola e tutti avevano convenuto che avrebbero potuto scambiare le foto di lei con quelle di Lily e i più non avrebbero notato la differenza, solo per i capelli, Lily ne aveva molti di più della madre alla stessa età, per il resto erano identiche. 

A Rick era piaciuto molto sfogliare quegli album dei ricordi di sua moglie che non aveva mai visto e Kate fu felice di notare che per la prima volta nè per lei nè per suo padre fu particolarmente doloroso farlo. C’era malinconia e nostalgia, sua madre le mancava, tanto e le sarebbe piaciuto immensamente condividere quei momenti anche con lei, sentire i suoi racconti di quando lei era una bambina, con quella dolcezza nei ricordi che solo una madre sa mettere, le sarebbe piaciuto averla nella vita di sua figlia, perché era certa che Johanna avrebbe avuto tanto da insegnarle e con Martha si sarebbero in qualche modo bilanciate, dando a Lily due visioni completamente diverse della vita, ma, adesso lo capiva, entrambe importanti. Non c’era più, però, nel fare quei gesti semplici, come sfogliare un album di fotografie che per tanto tempo aveva evitato per non farsi del male, quel dolore e senso di oppressione che rendevano difficile anche respirare e guardare le foto era impossibile per le lacrime che scorrevano ininterrotte. 

 

Quell’ultima settimana era stata difficile. Kate era abbastanza nervosa all’idea di tornare a lavoro e non c’era solo il pensiero di lasciare Lily tutto il giorno, ma anche i suoi dubbi sul riprendere il comando del distretto: lo aveva fatto per poco tempo ed in una situazione particolare, quando le sue attenzioni erano più rivolte a LokSat che ad altro e non sapeva se ora sarebbe stata in grado di sostenere la situazione e le responsabilità. Castle cercava in tutti i modi di sostenerla e di ricordarle che era la migliore e per quello aveva quel posto, al dodicesimo tutti la rispettavano e l’aspettavano con pazienza, le sue paure erano infondate, dopo pochi giorni sarebbe stata nuovamente padrona della situazione come lo era sempre stata, “Datti solo il tempo di assestarti” le ripeteva e anche lei in fondo sapeva che lui aveva ragione, doveva solo rientrare nei suoi panni che aveva volutamente deciso di dimenticare per quei mesi e dedicarsi, per una volta, totalmente alla sua vita, anzi alla loro vita. Ad aggiungersi a questo, però, c’era stata Lily che per la prima volta era stata male proprio in quei giorni. Quella che inizialmente il pediatra aveva liquidato solo come una febbre che sarebbe passata in 24 ore si era trasformata in qualcosa di più serio, con la temperatura che continuava a salire Lily che si rifiutava di mangiare e piangeva ininterrottamente. Avevano quindi deciso di portarla direttamente in ospedale. Lì scoprirono che le cause del suo pianto disperato era un’otite che aveva causato anche la febbre alta. Passarono tutta la notte con lei in osservazione in ospedale, in attesa che la febbre scendesse e che gli antidolorifici che le avevano somministrato facessero effetto. Rick ci era già passato con Alexis una volta, ma era più grande, e vedere la sua piccolina di pochi mesi piangere così disperata senza poter fare nulla lo straziava, così come Kate era devastata da quella prima vera situazione difficile della sua nuova vita da madre e non si allontanava un attimo da lei, senza mai togliere la mano dalla sua culla per farle sentire la sua presenza costante e quando Lily si avvicinava e la stringeva sentiva tutta la sua impotenza schiacciarla come un macigno.

In un paio di giorni, fortunatamente, la situazione era tornata sotto controllo e Lily aveva ripreso ad essere quella di sempre con sommo sollievo di entrambi i suoi genitori, ma quella piccola disavventura aveva innervosito di più Kate e reso più complicato il suo distacco da lei: sapeva, però, che doveva farlo, più tempo passava più sarebbe stato difficile e Rick aveva ragione, prima o poi lei si sarebbe sentita in trappola in quella vita.

 

Era stato strano prepararsi quella mattina. Aveva messo la sveglia ma lei lo era già da molto prima e non l’aveva fatta suonare per non svegliare Lily: si era vestita in silenzio, convinta che anche Rick stesse dormendo invece non si era accorta che lui si era svegliato nel momento stesso in cui lei si era alzata e non aveva percepito più la sua presenza al suo fianco nel letto. Aprì la cassaforte della camera da letto prendendo distintivo e pistola. Stava per uscire di camera quando si accorse che Castle era sveglio e la osservava.

- Dormi Rick, è presto - Gli disse dopo essersi avvicinata per baciarlo.

- Dobbiamo prendere il nostro caffè, Kate.

Lei gli sorrise e lo baciò ancora mentre lui ancora insonnolito la seguiva in cucina.

Aspettarono in silenzio che il liquido scuro fosse pronto, seduti uno davanti all’altra prendendosi le mani come due timidi innamorati alla prima uscita. Lui le accarezzava il dorso con il pollice e lei lo solleticava con le dita. Si sorrisero quando la macchina li avvisò che era pronto e separarono le loro mani a malincuore. Bevvero sorseggiando piano e giocando sempre con le loro mani.

- Devo andare Castle… - sbuffò Kate lamentandosi guardando l’orologio e proprio in quel momento si svegliò anche Lily piangendo. Kate roteò gli occhi verso l’alto scuotendo la testa. Non ce l’avrebbe mai fatta ad uscire di casa sentendola piangere.

- Credo che abbia fame… - Disse Rick controllando l’orario e facendo un rapido conto su quando aveva mangiato l’ultima volta. Kate sfilò la pistola dalla fondina e tornò in camera a prendere Lily. La allattò prendendosi il tempo che sarebbe stato necessario, mettendo per la prima volta nella sua vita il suo lavoro completamente in secondo piano. Lei gli regalò uno dei suoi sorrisi gioiosi quando fu sazia e la lasciò tra le braccia di suo padre. Li baciò entrambi ed uscì rendendosi conto di quanto fosse estremamente tardi.

 

Entrò a passo più svelto del solito al dodicesimo, senza però dimenticarsi di salutare chiunque le regalasse un sorriso ed un bentornata. 

- Ehy Capitano! Ti sei dimenticata che orari si fanno da queste parti? - Gli disse Esposito mentre Kevin batteva con il dito sull’orologio.

- Javier non dire nulla, lasciamo perdere! - Sbuffò mentre stava per entrare nel suo ufficio

- Problemi Beckett? - Chiese serio l’ispanico

- No, ordinaria amministrazione, Lily che si mette a piangere mentre sto per uscire. 

- Difficile lasciarla eh! - Sorrise Rayan e Kate sospirò chiudendosi dentro il suo ufficio.

Come prima cosa appena appoggiato la borsa e la giacca sull’attaccapanni, prese il cellulare e controllò i messaggi. Castle gliene aveva già mandati due, erano due foto di Lily una insieme a lui sveglia e sorridente mentre la faceva salutare guardando l’obiettivo, l’altra che dormiva su di lui. Proprio mentre aveva il telefono in mano arrivò un terzo messaggio di Lily che dormiva nella sua culla. Aveva già capito che Rick le avrebbe documentato tutta la loro giornata momento per momento. Tolse la suoneria e si sedette alla sua scrivania, di nuovo, a pieno titolo. La targa era appoggiata proprio davanti a lei, la prese e la guardò, leggendo quelle semplici parole: Capitano Katherine Beckett. Sembrava dovesse convincere più se stessa del suo ruolo che gli altri. Pochi giorni prima l’avevano chiamata di nuovo dal partito. Sapevano che avrebbe ripreso il lavoro e volevano farle l’imbocca al lupo, ma anche ricordarle di quegli impegni che avevano già concordato da tempo e che loro contavano molto su di lei, perché era una figura vincente. Per una volta, Kate, vedeva la sua esperienza di poliziotta veramente come qualcosa di temporaneo e pensava che forse era anche questo a farle venire dubbi sul suo ruolo. Nemmeno quando aveva deciso di accettare l’offerta dell’FBI aveva avuto questa sensazione, forse perché contava che il lavoro in un certo senso fosse più o meno lo stesso: avrebbe dovuto investigare, acciuffare criminali, solo per conto di altri. Ora invece di preparava a fare un salto verso qualcosa di veramente diverso. C’era ancora tempo, era ancora tutto da verificare, la notizia, per ora, non era trapelata, se non qualche rumors ma che era già uscito da tempo quando non c’era nulla di concreto quindi nessuno dava più di tanto seguito alla cosa. Pensò che anche se fosse andato tutto come sia Rick che quelli del partito credevano, aveva ancora più di un anno prima che le cose cambiassero effettivamente. Le elezioni ci sarebbero state a novembre dell’anno successivo, in questo periodo al massimo doveva solo cercare di far conciliare al meglio i suoi impegni come capitano con quelli che il partito richiedeva per la sua preparazione. Ma, prima di tutto, quelli di madre e di moglie che non intendeva assolutamente mettere in secondo o terzo piano. “Una cosa alla volta” pensò per non farsi schiacciare da tutti quei pensieri. “Ora sei il Capitano Beckett, comportati da tale.”.

 Avevano già provveduto a rimettere tutte le sue cose come erano. La foto del loro matrimonio alla quale pensò dovesse aggiungerci una di quelle che avevano di loro tre insieme, gli elefanti e tutte le altre sue cose insieme ad una pila di documenti da controllare. Sopra il mucchio di fogli trovò anche una lettera della Gates, non era una donna di molte parole e di molti complimenti, ma quelle poche righe di buona fortuna scritte a mano dal suo ex capitano le fecero molto piacere, per la stima e la fiducia che aveva nei suoi confronti.

 Chiamò Ryan ed Esposito e li convocò nel suo ufficio. Loro erano sempre quelli che lei considerava la sua squadra e le persone là dentro delle quale si fidava di più, nonché i suoi migliori detective. Si fece aggiornare sui casi ancora irrisolti e su quelli, invece, che avevano appena chiuso e dei quali dovevano essere ancora stilati i rapporti. Non c’erano grossi casi su cui indagare, ordinaria amministrazione. C’era solo uno che aveva subito attirato la sua attenzione e la preoccupava, lo stesso sul quale stavano indagando i suoi detective e che occupava la loro lavagna, una serie di donne uccise barbaramente dopo aver consumato un rapporto sessuale apparentemente consenziente. I sospetti portavano tutti in una direzione, tanto probabile quanto pericolosa da essere percorsa, per questo dovevano andare con i piedi di piombo. Ramon Campos, figlio di Carlos Campos, uno dei più importanti boss del narcotraffico venezuelani che operava da tempo negli Stati Uniti, ricercato da tutte le agenzie governative per reati di vario tipo e latitante da anni. Suo figlio però cittadino americano, era almeno teoricamente incensurato, anche se su di lui pendevano vari sospetti per gestire lo spaccio tra la Florida e la Georgia, ma da qualche tempo tutto dava a pensare che si fosse trasferito in città.

Seduta sulla scrivania ad osservare la lavagna con le varie ipotesi fatta da Ryan ed Esposito, Kate spostava lo sguardo da quella al fascicolo. Prese un pennarello rosso ed aggiunse alcune annotazioni. Era il capitano, ma investigare le piaceva, era più forte di lei e se aveva deciso che non sarebbe andata sul campo se non fosse strettamente necessario, non le potevano impedire di lavorare ai casi al distretto. 

- Portatemi tutto quello che trovate su Ramon Campos - disse poi ai due che si scambiarono un sorriso compiaciuto e le diedero un plico che avevano già compilato, dandosi poi il cinque. 

- Ah, bel lavoro detective! - Disse lei compiaciuta

- Grazie capitano! - Risposero i due in coro.

- Tesoro! Sei tornata allora! - Lanie stava venendo verso di loro con dei fascicoli in mano. Li lasciò sulla scrivania di Esposito ed andò ad abbracciare la sua amica. - Come sta la mia nipotina?

- Ora bene, per fortuna.

- Già, la fa anche arrivare tardi il primo giorno di lavoro! - La prese in giro Esposito immediatamente fulminato da uno sguardo di Kate.

- Ma tu perché sei qui e vieni così di fretta? - Chiese Kate alla dottoressa

- Ho delle novità su questo caso, e vi ho portato tutto quello che ho trovato. Mentre inserivo nel database i risultati delle autopsie ho trovato altri 5 omicidi con le stesse modalità. Giovani donne, uccide dopo un rapporto sessuale, sgozzate e lasciate morire dissanguate. Direzione del taglio e tipo di lama coincide per tutte, è coltello tascabile non molto grande, con il taglio che va da destra a sinistra, fatto da dietro la schiena tagliando la gola, quindi un mancino. 3 in Florida e 2 in Georgia. 

- Quindi abbiamo a che fare con un serial killer - disse Ryan

- Non lo so, queste cinque erano tutte prostitute e nelle loro città lavorano per lo stesso giro.

- E noi adesso dobbiamo capire se anche queste due lo erano a New York. - Disse Kate aggiungendo quegli elementi in un angolo della lavagna scrivendo velocemente

- Non è venuto fuori nulla di questo tipo dalle indagini che abbiamo fatto. - Precisò Esposito.

- Controllate di nuovo. Ora che sapete cosa cercare, magari vedrete qualcosa che vi è sfuggito. - Poi si rivolse a Lanie prendendo personalmente i risultati di quelle autopsie e ringraziandola. Tornò quindi nel suo ufficio mentre i due detective uscivano per altri sopralluoghi e cercare informazioni anche dai vicini di casa. Una lunga serie di scartoffie la aspettavano.

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Capitolo 2
*** DUE ***


Kate tornò a casa più tardi di quanto avesse voluto e di più stanca di quanto pensasse di essere. Come spesso le accadeva aveva saltato il pranzo ed era andata avanti a caffè. Tutto come sempre, insomma.

Appena mise piede dentro il loft sentì quel calore familiare ad attenderla che non si era accorta quanto le fosse mancato fino a quando non l’avvolse, insieme all’abbraccio di Rick, che non si era nemmeno accorta le fosse arrivato così vicino da stringerla a se.

- Sei stanca. - Non era una domanda, era un’affermazione. Le bastò guardarla un attimo, sentire le sue labbra tirate mentre ricambiava un bacio in modo fin troppo distratto. Se ne accorse anche lei, quindi fu Kate a baciarlo molto più coinvolta subito dopo che lui ebbe parlato, perché voleva farlo e non voleva metterlo in secondo piano.

- Sì, ma non troppo per baciare mio marito come si deve. - E gli diede un altro sonoro bacio sulle labbra. - Lily? 

- Dorme, in camera. - Kate controllò l’orario, erano le nove di sera passate da un po'. Fece una smorfia triste. - Mangiamo?

- Non hai mangiato? - Chiese Kate sorpresa, visto l’ora tarda.

- Ti aspettavo. Ho fatto cenare Lily, poi abbiamo fatto un bel bagnetto insieme, si è fatta con non poca fatica asciugare e cambiare e alla fine si è addormenta. - Rick le disse tutto come se stesse raccontando una favola. Kate sospirò si era persa un’intera giornata di sua figlia. Poi mentre lui finiva di riscaldare la cena entrò piano in camera al buio e si avvicinò alla culla per guardarla dormire. Ora capiva perchè a Castle era sempre piaciuto starla a guardare, prima lo trovava inquietante benchè anche a lei piacesse guardare lui, ma con Lily era diverso. Avrebbe passato tutta la notte ad osservare ogni sua piccola smorfia o movimento. Profumava di buono, di bebè e di talco. La scoprì appena per vedere quale pigiama Rick le avesse messo e non si stupì più di tanto nel vedere quello comprato pochi giorni prima con la scritta “I love my daddy”, ormai ne avevano una collezione con quel genere di scritte perchè ogni volta che Castle ne vedeva una non resisteva dal comprarla: presto a Lily sarebbe servita una cabina armadio più grande della loro. Le rimboccò le coperte e proprio in quel momento sembrò svegliarsi facendo qualche lamento, ma stava solo sognando e riprese subito a dormire tranquilla. Pensò che crescere Lily senza un padre così presente come Castle sarebbe stato veramente difficile ed avrebbe voluto dire lasciare la loro bambina tra asili nido e baby sitter, decisamente non quello che avrebbe voluto per sua figlia. Erano fortunati a poter fare quella vita, dove almeno uno di loro non aveva quasi mai obblighi o orari lavorativi da rispettare, Lily sarebbe cresciuta con almeno uno di loro sempre presente e non poteva volere nulla di più. Si ritrovò a parlarle, sussurrandole appena, che avrebbe fatto il possibile per esserci di più anche lei, che quella giornata non sarebbe stata la norma, che non voleva lasciarla addormentata la mattina e tornare la sera che già dormiva. Era bello vederla dormire, ma non voleva fare solo quello. Non voleva che sua figlia si dimenticasse di avere una madre.

- Sai, a farle il bagno e a cambiarla sei molto più brava tu. - Rick era dietro di lei, aveva avvicinato il viso al suo orecchio sussurrandole con un filo di voce per non disturbare Lily. Non si era accorta della sua presenza ancora una volta, avrebbe dovuto fare qualcosa per rivedere la sua soglia di attenzione al mondo circostante quando era in presenza di sua figlia: probabilmente Castle aveva ascoltato tutto quello che aveva detto, era talmente presa dai suoi pensieri che non lo aveva sentito arrivare e non sapeva da quanto fosse lì. Si asciugò una lacrima dal volto e si voltò abbracciandolo.

- Sei un papà perfetto.

- Lo so. - sorrise - Mi hai sposato anche per quello no? Perchè sussurro ai bambini.

Kate sorrise sulla sua camicia strattonandolo appena. Era impossibile quando faceva così!

- Dai, andiamo, Beckett! La cena è pronta.

 

Mangiarono raccontandosi le rispettive giornate, Kate gli accennò del caso al distretto che l’aveva tenuta fino a tardi per seguire gli sviluppi di una pista e Rick gli fece un resoconto dettagliato di tutto quello che aveva fatto con Lily. Gli disse che aveva cominciato a leggergli delle storie, in realtà era un libro giallo, ma lui sosteneva che a lei piacesse la sua voce e tanto non capiva cosa leggeva. Kate sospirò dando però ragione a sua figlia, la voce di Rick quando leggeva era più irresistibile del solito. Poi gli raccontò anche delle sue disavventure con il bagnetto, tanto che aveva finito per essere anche lui tutto bagnato, quindi alla fine avevano fatto il bagno insieme. 

 

Lily era una bambina tutto sommato di facile gestione, ma se c’era una cosa che proprio non sopportava era fare il bagnetto. Urlava e si dimenava come una matta, così un giorno Rick aveva proposto a Kate di fare il bagno con lei. All’inizio era un po' intimorita e non sapeva bene come fare. Si era consultata con il pediatra chiedendogli se fosse possibile e non gli aveva dato controindicazioni, doveva solo fare attenzione ai prodotti che usava. Così era cominciato quel dolce rituale di fare il bagno con sua figlia che, tra le sue braccia, a contatto con il suo corpo, si rilassava completamente ed anzi le piaceva stare in acqua e ci passavano tanto tempo fino a quando non si raffreddava. Nella grande vasca del bagno della loro camera, che apprezzava di più di quella piccola vaschetta di plastica per neonati che era immediatamente sparita in chissà quale angolo del loft, tanto avevano capito che non l’avrebbero più usata, Lily batteva le mani ed i piedi nell’acqua e sembrava anche divertirsi e per Kate quello era il momento più bello della giornata, mentre Rick spesso le massaggiava la schiena e le braccia con una morbida spugna.

Fu in una di queste prime occasioni che Rick rimase letteralmente pietrificato da una scena che lo colpì lasciandolo senza parole. Lily era adagiata sul petto di Kate, con la testa tra i suoi seni ed aveva la bocca appoggiata esattamente sopra la sua cicatrice, sembrava la stesse baciando, proprio come aveva fatto lui, la prima volta che lei era stata tra le sue braccia, tutta bagnata, anche quella sera, anche se per altri motivi. Era stato il suo primo modo di amarla, di farle capire che amava tutto di lei, ogni segno che dimostrava che fosse viva, che fosse con lui. Ed ora la loro bambina stava facendo la stessa cosa, inconsapevolmente, e non era nemmeno certo che Kate se ne fosse accorta: Lily, Rick lo sapeva, sarebbe stata la cura migliore per scardinare ancora quelle resistenze che sua moglie aveva, che lui non era mai riuscito ad abbattere, per liberarla, finalmente, da quelle restanti paure che aveva, dietro le quali si rifugiava ancora. Lily avrebbe liberato Kate da quella parte di se stessa che lui non era mai riuscito a raggiungere, ribaltando quel rapporto rimasto irrisolto tra lei e sua madre, spostando il suo punto di osservazione, facendola passare dall’altra parte, facendola diventare madre. Tra le proteste di Kate le scattò una foto, non amava che Rick le facesse delle foto in quelle occasioni, ma lui le spiegò che quella era troppo importante e poi lo avrebbe capito. Le mostrò la foto dopo che aveva asciugato e rivestito Lily, quando ancora la teneva tra le sue braccia dondolandosi sulla sedia nella sua cameretta. Kate non fece subito caso a cosa ci fosse di così particolare, facendo spazientire Rick, che invece trovava la cosa lampante, ed alla fine fu lui ad indicarlo, facendo perdere, secondo lui, così tutta la magia della scoperta. Rimase, quindi, anche Kate senza parole. Razionalmente sapeva che quella di Lily era una posa del tutto casuale, che era solo appoggiata a lei, come in tante altre occasioni, come forse si era già messa in quel modo altre volte. Razionalmente. Però capì quello che aveva visto Rick, oltre la razionalità, oltre la ragione. Sapeva a cosa aveva pensato, perché era la stessa cosa che pensava lei: la loro prima notte insieme, le sue promesse sussurrate di esserci, sempre, di portarla ad distruggere tutte le barriere che ancora lui non era riuscito ad abbattere e di farlo in qualsiasi modo. E lo aveva fatto, aveva mantenuto la sua promessa, perché anche lei sapeva che Lily era il suo tassello mancante, era il dono più grande che Rick le aveva fatto. Sua figlia non l’avrebbe fatta diventare un’altra persona, però le avrebbe permesso di vedere il mondo da un’angolazione che non aveva mai preso in considerazione e le avrebbe fatto rivedere le sue priorità, e lo stava già facendo.

Avevano condiviso molti bagni insieme, sia Kate che Rick con Lily ed alcune volte anche tutti e tre insieme e sembrava che lo adorassero tutti e tre quel momento. Beckett non avrebbe mai pensato che essere una famiglia volesse dire tutto quello che stava provando in quei primi mesi da madre. 

 

- A cosa stai pensando, così sorridente? - Chiese Rick a Kate persa nei suoi ricordi.

- A quando facciamo il bagno tutti e tre insieme - Ammise candidamente - Vi avrei voluto vedere oggi… Siete sempre così dolci quando siete insieme…

- Così poi mi avresti rimproverato perché l’ho fatta piangere troppo perché non si voleva far asciugare cambiare. Non capisco perché con lei in tutto questo il mio tocco non funziona… - sbuffò Rick con disappunto.

- Con me non piange - Lo stuzzicò Kate - Vuole solo essere accarezzata, te l’ho detto, così si rilassa…

- Ti rendi conto Kate? Siamo arrivati al punto che sei tu a dirmi come devo cambiare un neonato! Tu che non li volevi nemmeno prendere in braccio! Ho creato un mostro! - Disse Rick tirando fuori tutto il suo lato melodrammatico e beccandosi in faccia il tovagliolo che gli lanciò Kate per farlo stare zitto mentre rideva di gusto. Aveva ragione lui, non lo avrebbe mai detto nemmeno lei, era convinta che non sarebbe mai riuscita ad occuparsi con tanta naturalezza di sua figlia, a capirla con un istinto innato che era venuto fuori dalla prima volta che la aveva preso in braccio. Castle si tolse il tovagliolo che penzolava dalla sua testa e la guardò con quel broncio infantile che adorava.

- Dai Castle, non te la prendere! Sarà sicuramente il tuo 50% di patrimonio genetico che le fa preferire le mie carezze, che ti ricordo, piacciono molto anche a te!

- Cosa vorresti dire, che al 50% del tuo patrimonio genetico non piacciono le mie carezze? Eppure mi sembra che a te piacciono molto, di solito… Soprattutto certe carezze in certe occasioni… - Beckett arrossì non potendo dire altrimenti e Castle si prese il punto soddisfatto.

 

Kate era a casa, la stanchezza sembrava essere scomparsa dopo quella cena con suo marito e quelle chiacchiere così quotidiane, come una famiglia qualsiasi, in quella normalità che per loro era sempre sembrata una chimera irraggiungibile. Sorrideva felice mentre lo aiutava a sparecchiare e mettere i piatti nella lavastoviglie, non lesinandogli qualche abbraccio o bacio rubato mentre si voltava verso di lei. Si riprometteva solo di impegnarsi a non fare così tardi, ad avere orari più regolari, lo doveva a Rick a Lily ma soprattutto a se stessa.

Salutò il pianto di sua figlia come un regalo, finalmente poteva passare del tempo con lei, in quel rituale che era tutto loro, al quale non voleva rinunciare, nonostante tutto. Rick non provò nemmeno a dirle che andava lui, aveva capito da come l’aveva guardata nella culla quanto volesse stare con lei e le lasciò sole per un po’, magari dovevano fare qualche altro discorso da Beckett a MiniBeckett e questa volta era giusto non intromettersi. Andò nel suo studio e scrisse qualche pagina di quel capitolo che faticava a finire, perché la sua mente era costantemente altrove: a sua figlia, a sua moglie, poi andò nella loro camera da letto e vide Kate che sdraiata, si era addormentata distrutta da quella prima giornata di lavoro, appena aveva avuto modo di rilassarsi. Teneva ancora Lily su di se, che invece non sembrava molto intenzionata a dormire, ma guardava con gli occhi ben svegli sua madre sbavandole tutta la maglietta. Rick la sfilò delicatamente dalla stretta di Kate per metterla nella culla, ma poi ci ripensò, la sistemò tra di loro e rimase a guardarle, fino a quando anche Lily non si addormentò: solo allora si sentì libero di dormire anche lui. Avrebbe discusso di questo con Kate la mattina dopo… o forse no… 

 

Kate anche quella mattina si svegliò presto, con due piedini che le solleticavano il braccio. Lily era appoggiata con la testa sul braccio di Rick e con i piedi addosso a lei. Aveva dormito praticamente tutta la notte senza svegliarsi mai, era la prima volta e non sapeva se il motivo era solo che aveva dormito con loro o perché pian piano cominciava a cambiare i suoi ritmi, abbandonando l’idea di mangiare in piena notte, anche se, la sera prima, l’aveva allattata l’ultima volta più tardi del solito. Temeva che dormire con loro potesse diventare un vizio che poi non gli avrebbero più tolto, ma non riusciva ad essere arrabbiata con Rick per averglielo concesso, risvegliarsi con quei piedini appoggiati su di se era la migliore delle sveglie possibile. La spostò quel tanto che bastava per potersi avvicinare di più a lei e Rick, abbracciandoli entrambi e appoggiandosi con la testa vicino a quelle di loro due, formando un incastro perfetto. Aveva ancora un po’ di tempo prima di doversi alzare per un’altra giornata che l’avrebbe portata per troppo tempo lontano da loro.

 

Si era alzata, infine, lasciando dormire papà e figlia insieme non prima di averli guardati ancora per un po’ in piedi in fondo al letto. Le sembravano perfetti, anzi per lei lo erano veramente. Erano la sua famiglia perfetta, perché era la sua.

Rick si era alzato risvegliato dai lamenti di Lily che si agitava al suo fianco e sentì l’acqua della doccia scorrere, indicando dove fosse Kate. Mise Lily nella sua culla ancora non era proprio del tutto sveglia e lui era sicuro che se ne volesse occupare la sua mamma appena uscita dal bagno e intanto andò a preparare la colazione. Più di un caffè, come al solito, perché sapeva che Beckett avrebbe ripreso a saltare il pranzo ed aveva bisogno di qualcosa di più nutriente, per non tornare di nuovo sfinita a casa come la sera prima.

Appena uscì dalla doccia Kate vide il letto vuoto e sentì Lily borbottare nella culla. Si occupò di lei prima di finire di prepararsi, non voleva perdersi anche quel momento della giornata, uno dei pochi che sapeva ci sarebbero stati per stare insieme. Il profumo delle uova e del bacon l’aveva raggiunta fino alla cameretta di Lily mentre la cambiava, quindi raggiunse Rick con la piccola in braccio, proprio mentre adagiava il contenuto della padella nel piatto, due uova fritte con il bacon croccante, un piatto di frutta già tagliata e un caffè fumante. Aveva già l’acquolina in bocca.

- Mi vuoi mettere all’ingrasso Castle? - Chiese Kate accomodandosi con Lily in braccio. Non l’avrebbe lasciata fino a quando non sarebbe dovuta uscire.

- Voglio solo che non arrivi a cena senza mangiare nulla - Le disse appoggiato al bancone con i gomiti ed il mento appoggiato sulle mani mentre la osservava mangiare soddisfatto.

- Perché non venite al distretto per la pausa pranzo? Così possiamo andare a mangiare qualcosa insieme, se ti va… - Gli propose Kate prendendolo di sorpresa e facendolo rialzare subito

- Dici sul serio? Possiamo venire? - Chiese già tutto eccitato

- Certo che potete venire, perché non dovreste? Non dobbiamo mica rimanere lì tutto il tempo, mangiamo qualcosa insieme, così posso passare un po’ di tempo con te e con lei. - Disse accarezzando la fronte di sua figlia prima e poi cercando la mano di suo marito, stringendola nella sua.

- Non mi potevi fare una proposta migliore! - Gongolò Rick - Anche i ragazzi saranno felici di rivederla, è un po’ che non la vedono. 

- Dovrò dirlo anche a Lanie. Se sa che siete passati e non l’ho avvisata mi ucciderà! - Disse Kate alzando gli occhi al cielo pensando alla sua amica.

- Non ti preoccupare, la tua amica darà la colpa a me ed ucciderà me, tu sarai salva. - Rick si meritò un’occhiataccia di Kate, che ricambiò tirandole un bacio. Quella giornata era cominciata nel migliore dei modi.

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Capitolo 3
*** TRE ***


Beckett arrivò al distretto con animo molto più leggero del giorno precedente, forse perché aveva già rotto il ghiaccio, o più semplicemente perché sapeva che quella giornata sarebbe stata meno lunga: avrebbe visto Castle e Lily a pranzo. Non sapeva perché non ci aveva già pensato, in fondo fare una pausa pranzo era tra le cose che le spettava, se la passava con suo marito e sua figlia non c’era nulla di male.

Appena aperte le porte dell’ascensore e messo piede al dodicesimo, però il suo entusiasmo si smorzò immediatamente. Un gran via vai di uomini concitati non le faceva pensare a nulla di positivo e soprattutto si chiedeva perché c’era tutta quella confusione e nessuno l’aveva avvisata. 

Fermò un agente che sembrava barcamenarsi un po’ spaesato. L’aveva già visto nel suo periodo in cui era rientrata prima di andare in maternità: John Hamilton, per tutti al distretto era Johnny, era il più giovane lì e le faceva un po’ tenerezza.

- Agente Hamilton, cosa sta succedendo?

Il ragazzo sobbalzò trovandosi davanti il capitano che lo guardava dall’alto verso il basso per merito dei suoi alti tacchi e della statura dell’agente non proprio notevole, con le mani sui fianchi ed una voce più severa di quando avesse dovuto, di certo non era lui il responsabile di tutto.

- Ca… Capitano Beckett… Una delle piste che stavamo seguendo si è rivelata valida. Abbiamo trovato Ramon Campos, i detective Ryan ed Esposito sono andati con una squadra ad arrestarlo, lo stanno portando qui adesso.

- E perché nessuno mi ha avvisato? - Chiese brusca.

- Io… Io non lo so Capitano… - Rispose il ragazzo intimidito. Certo, lo sapeva che lui non poteva saperlo, si appuntò mentalmente di dover mettere le cose in chiaro con i due detective.

- Va bene, vai pure. - Il ragazzo si congedò mettendosi sull’attenti e lei andò nel suo ufficio sbattendo la porta alle spalle. Era veramente frustrata di non essere stata avvisata, lei era il loro Capitano, il loro superiore, non nella squadra, ma del distretto. Avevano il dovere di metterla al corrente degli sviluppi della situazione, come loro avevano sempre fatto sia con Montgomery e soprattutto con la Gates. Non voleva paragonarsi a loro, non pensava di esserne ancora degna, però pretendeva che il suo ruolo fosse rispettato al di là di ogni rapporto di amicizia che c’era tra loro. Erano bastati quei pochi minuti per spazzare via il suo buon umore mattutino: non sarebbe proprio stato una giornata meno lunga, tutto il contrario pensò.

Il suo cellulare squillò e quando vide che era il numero di Ryan fece appello a tutto il suo sangue freddo per non sbranarlo per telefono. La informò di quello che già sapeva. Il blitz era andato a buon fine, Campos era sotto la loro custodia e lo stavano portando al distretto per interrogarlo. Poi Ryan disse una frase che fece perdere definitivamente le staffe a Beckett.

- Ehy Kate, se vieni al distretto lo puoi interrogare tu.

- Ryan io sono al distretto e gradirei essere informata prima quando ci sono questi sviluppi. Come è prassi che sia per il capitano del distretto.

- Beckett, noi veramente pensavamo che tu, ecco… Fossi impegnata con Lily…

- Ryan, voi non dovete pensare. Voi dovete chiamarmi. Punto. Ne riparliamo dopo quando sarete qui.

 

Esposito e Ryan arrivarono circa un’ora dopo. Kate non sapeva niente di dove fossero, nè di cosa era successo, nel frattempo però, la notizia doveva essersi diffusa anche perché insieme alla sua squadra del distretto c’era stato il supporto delle forze speciali della polizia di New York. Aveva passato quasi tutto quel tempo al telefono con i suoi vari superiori, ad inventarsi risposte a fatti che non conosceva minimamente, facendo, pensò, anche più volte la figura della stupida, cosa che odiava profondamente. Annotava mentalmente anche quello tra le cose di cui i due detective gli avrebbero dovuto dare conto.

Appena fu avvisata che stavano arrivando, uscì fuori dal suo ufficio per aspettarli in corridoio. Si sarebbe dovuta preparare alla lotta di nervi che avrebbe dovuto fare con Ramon Campos, di certo non uno che sarebbe crollato facilmente, se lo avrebbe fatto, ed invece era assorta solo dal pensiero della sfuriata che avrebbe fatto ai due amici. Odiava profondamente essere quel tipo di capitano, ma erano stati loro a metterla in condizione di agire così. Doveva far rispettare le gerarchie, anche con loro, oppure non avrebbe mai tenuto quel luogo in pugno ed avrebbe fallito miseramente il suo lavoro.

Si era fatta venire molti dubbi nell’ultimo periodo, su di se e sul suo lavoro, però se pensava a tutto quello razionalmente, sapeva che era lì perché se lo era meritato, perché era brava a fare il suo lavoro ed avrebbe voluto continuare a dimostrarlo fin quando fosse rimasta lì. Voleva che fosse chiaro a tutti, soprattutto ai suoi amici, che per quello che riguardava il lavoro lei era il Capitano Beckett, non Kate, e che se loro erano veramente suoi amici, non dovevano farsi scrupoli a disturbarla, ma anzi dovevano essere i primi ad avvisarla di qualunque cosa accadesse al distretto, perché lei si fidava di loro ma non voleva che le nascondessero le cose o prendessero decisioni senza interpellarla per poi farla trovare come quella mattina in una complicata situazione a barcamenarsi tra scuse poco credibili ai vertici della polizia della città.

 

Li vide camminare soddisfatti per il corridoio, mentre due agenti tenevano Campos ammanettato e lo strattonavano per fargli accelerare il passo.

- Voi due - disse Beckett agli agenti - portatelo nella sala interrogatori, mentre voi nel mio ufficio. Subito. - Si rivolse ai due detective che rimasero sorpresi dalla sua fermezza.

 

- Yo Beckett, non ci fai i complimenti? - Disse Esposito chiudendo la porta dell’ufficio del capitano dandosi il cinque con Ryan mentre si sedevano compiaciuti davanti alla scrivania del capitano.

- Complimenti? Per aver preso Campos? Bravi. Ben fatto. Ma si da il caso che qui il capitano sono io, e quando ci sono queste operazioni devo essere avvisata e messa al corrente di ogni cosa. Voi non vi dovete preoccupare di quello che accade nella mia vita, quello è un mio problema e spetta a me gestirlo. Vi siete mai preoccupati di avvisare la Gates o Montgomery? No, non lo abbiamo mai fatto, e con me non deve essere diverso.

I due detective deglutirono a fatica vedendo una Beckett veramente furiosa in piedi dietro la scrivania con le mani appoggiate sul bordo, protesa verso di loro.

- Sapete mentre voi venivate qui, tutti belli soddisfatti del vostro lavoro io cosa ho fatto? Ho passato un’ora a rispondere a telefonate degli stati maggiori della polizia di New York, del sindaco e non solo, inventandomi cose, tergiversando, perché di quello che voi stavate facendo io non sapevo nulla. Vi sembra normale questo? - Chiese sbattendo le mani sul tavolo.

- Non mettetemi mai più in una situazione del genere. Sono stata chiara? Mai più. - Disse ferma - Voi due siete i miei più cari amici, ma questo qui non conta. Io mi devo poter fidare di voi e fidarmi vuol dire sapere che se succede qualcosa, voi la prima cosa che fate è alzare il telefono e chiamarmi e mettermi al corrente di tutto, non dirmi che non mi avete avvisato per non disturbare. - Provò ad addolcire un po’ il suo tono, vedendo le facce dispiaciute dei due, ma era ancora troppo arrabbiata. Si sedette, esausta per aver dovuto fare quella sceneggiata, odiava fare quella parte, perché aveva odiato ogni volta che era dall’altra parte ed aveva dovuto subirla. Lei non voleva essere questa, ma non voleva nemmeno che il suo ruolo cambiasse e la considerazione che gli altri avevano di lei fosse cambiata solo per il fatto di essere diventata madre. Lei lì dentro era la Beckett di sempre. Si prese la testa tra le mani.

- Beckett… ci dispiace molto, veramente. Non abbiamo pensato a… a quello che dovevi fare tu, qui… - disse Ryan

- Sì, Beckett, abbiamo sbagliato. Scusaci - aggiunse Esposito.

- Io non voglio fare questa parte, con nessuno, figuriamoci con voi. Però se voi siete i primi a non rispettare il mio ruolo, come faccio a farmi rispettare dagli altri. Lo capite questo? 

- Certo Capitano. - Risposero i due in coro.

- Andate ora. E comunque, ottimo lavoro ragazzi, veramente.

- Ehm…. Beckett nell’appartamento di Campos abbiamo trovato questo - Esposito tirò fuori dalla tasca della giacca una busta di plastica trasparente con un coltello - crediamo sia l’arma del delitto, preferisci che lo portiamo subito alla scientifica oppure vuoi che te lo lasciamo per l’interrogatorio? 

- Lasciamelo qui, lo portiamo dopo. - Disse Kate ed Esposito mise la busta sulla scrivania. - Altro che devo sapere?

- Parecchia droga e soldi in contanti, ma questo lo potevamo immaginare. Una discreta collezione di film porno amatoriali in molti era anche il protagonista. La pista delle prostitute è valida, dalle dichiarazioni dei vicini delle due ragazze uccise, quello che facevano pare compatibile con una prostituzione non da marciapiede, ma qualcosa di più ricercato. - Spiegò Ryan - La scientifica ha sequestrato tutti i video, per vedere se per caso fossero state coinvolte anche le ragazze uccise.

- Bene… - Kate prese il suo fascicolo e lo sfogliò velocemente, più per riordinare le idee che per cercare spunti. - … Vediamo di farlo parlare - Prese anche il coltello e uscì dall’ufficio seguita da Esposito e Ryan diretta alla sala interrogatori. Disse ai due di rimanere fuori: quello era il suo regno, era il posto dove si sentiva di più a suo agio in tutto il distretto, era lì che sapeva di dare il meglio di sé e più l’avversario era difficile, più sentiva scorrere l’adrenalina nelle vene. Fece un respiro profondo, e poi entrò.

L’uomo sembrava assolutamente a suo agio, per nulla spaventato. La guardava, anzi con un sorriso beffardo e l’aria di sfida. In quel momento tra i due la più nervosa era lei. Era tanto, tanto tempo che non si sedeva più in quella posizione. E se aveva perso la sua freddezza? Se non fosse più in grado di portare avanti un’interrogatorio? I dubbi l’attanagliavano stringendo lo stomaco un una morsa d’acciaio e gli vennero in mente tutti le volte che era stata lì e non aveva saputo mantenere la calma, Simmons scaraventato contro lo specchio dietro di se, quando aveva quasi rotto una mano al tizio delle demolizioni che non gli voleva dire nulla su Castle, la donna che aveva buttato a terra con un calcio alla sedia perché non voleva parlare quando la vita di Alexis era in pericolo. Ora però non c’era nessun caso personale, non riguardava nè l’omicidio di sua madre, nè c’era la vita di Castle di mezzo. Doveva solo fare quello che sapeva fare meglio. Chiuse gli occhi solo un’istante e sentì lo sguardo di quell’uomo su di se, non era uno sguardo di un criminale, no, c’era dell’altro dietro. Era ora di giocare la sua battaglia, di buttarsi.

 

La loro schermaglia durò più di quanto avesse previsto. Immaginò che chiedesse subito un’avvocato, così da prendere tempo, invece non lo fece. Andarono avanti per un paio d’ore, tra accuse mosse da lei e negate da lui, tra minacce e provocazioni, da entrambe le parti. Kate però non intendeva prendersi una pausa, voleva continuare a martellarlo, anche se Ryan ed Esposito che osservavano da dietro il vetro a volte non capivano chi stava esasperando chi. L’agente Hamilton che arrivò a passo svelto a comunicare che l’avvocato di Campos era arrivato lo videro quasi come una liberazione, almeno quell’interrogatorio inutile si sarebbe interrotto. La notizia dell’arresto del rampollo del narcotrafficante aveva fatto il giro velocemente se i suoi gli avevano già fatto avere uno degli avvocati più collusi e ambigui della città, non era la prima volta che lo vedevano al fianco di boss della malavita, ma non avevano mai avuto sufficienti prove per dimostrare che fosse colluso con varie organizzazioni criminali: l’avvocato Tony DeVito era un personaggio particolare, aveva iniziato la sua carriera collaborando con un clan mafioso molto rinomato all’epoca a Little Italy, da dove proveniva, ma al contrario di altri suoi colleghi altrettanto collusi, non si era mai legato ad un clan in particolare, non era mai entrato nell’organigramma di nessuna famiglia, lavorava free lance, se così si può dire, stando bene attento a quali clienti scegliere, senza andare mai a pestare i piedi a clan rivali. Aveva la sua posizione in ogni rivalità e rimaneva fedele a quella parte. Questo gli era valsa la protezione e vari lascia passare ottenuti in modi poco puliti, ma fino a quando nessuno poteva provarlo, erano solo congetture. DeVito riusciva a carpire qua e là notizie utili per i suoi vari clienti, era un viscido ed arrogante avvocato vecchio stile, basso e tarchiato, con una forte stempiatura e due baffi sottili. Poteva essere uscito da un film sulla mafia anni 70 e non avrebbe sfigurato.

Esposito entrò nella sala interrogatori, interrompendo Beckett e beccandosi uno dei suoi sguardi taglienti, ma sapeva già che gli sarebbe toccato e fece finta di nulla. Le si avvicinò comunicandole l’arrivo dell’avvocato di Campos che fece immediatamente capolino dalla porta entrando con fare teatrale e salutando Beckett come se fosse una sua vecchia amica.

- Detective, anzi no, adesso Capitano Beckett! Che piacere rivederla e rivederla di nuovo in splendida forma. Mi sono molto preoccupato per lei quando ho sentito cosa le è successo un’anno fa, no? Che spiacevole avventura, sia per lei che per suo marito. Sta bene anche lui, adesso vero? - Kate non rispose a nessuna sua domanda. Si era incrociata con DeVito almeno in un paio di circostanze, nel corso dei suoi anni da detective, sempre per difendere membri di clan molto ben radicati a New York e ancora le bruciava di quella volta che era riuscita a sfilarle un assassino da sotto il naso, appigliandosi ad un cavillo di una perquisizione poco accurata dove delle prove potevano essere state inquinate. Fu intrattabile per molti giorni, dandosi la colpa per non aver potuto dare giustizia ad una famiglia che per anni avrebbe vissuto l’incubo di un omicidio irrisolto, con il dolore di non avere un colpevole, di non poter sapere la verità, che non allevia il dolore, ma almeno riesce in parte a far accettare la cosa, mettere un punto e provare a ripartire. E se dare ad un figlio la notizia della morte della madre era terribile, dare a dei genitori la notizia della morte del figlio e dover ammettere di non poter fare di più, era straziante, quegli sguardi tristi e rabbiosi, di chi si sentiva strappato oltre che dell’affetto più grande anche della possibilità di rendergli giustizia l’avevano tormentata e nemmeno Castle era riuscito a consolarla e a darle uno spunto valido per vedere qualcosa di buono in quella storia. Detestava quell’uomo, quella specie di avvocato che infangava il nome di tutti gli avvocati per bene, di quelli che erano morti per la verità invece di sotterrarla, come sua madre.

- Vi lascio un’ora per parlare. Poi ricominciamo. - Disse Beckett ai due uomini mentre stava per uscire.

- Capitano, questo se lo può riprendere - Disse DeVito indicando il coltello - dubito che in così poco tempo la scientifica lo abbia già analizzato, quindi è inutile che sia qui. Evitiamo questi giochetti, Beckett, la facevo più sveglia.

Prese la bustina con il coltello e sbattè la porta della sala interrogatori, diede la prova ad Esposito e gli disse di portarla alla scientifica. Sentì una voce inconfondibile salutare tutti al distretto si voltò e lo vide. Spingeva il passeggino di Lily per il corridoio del distretto con un sorriso radioso e mostrava a tutti il suo orgoglio per essere il padre di quella splendida bambina che si guardava intorno incuriosita. Avanzava lentamente perché tutti al distretto volevano vedere la figlia del Capitano che faceva il suo debutto lì e lei accettava con pazienza le carezze e gli sguardi di tutti fino a quando non fu abbastanza vicino a Kate, che non seppe se l’aveva riconosciuta, l’aveva percepita o solo si era stancata di quella processione intorno a sè, ma si mise a piangere e ad agitarsi, fino a quando non fu tra le braccia sicure di sua madre, che come un fulmine l’aveva raggiunta e presa.

- Che bello che siete qui… - disse sospirando a Rick

- Giornata impegnativa? - Chiese innocentemente

- Campos. Lo sto interrogando da ore senza nessun risultato. Ed ora è arrivato anche il suo avvocato. - Continuava a parlare, mentre teneva Lily tra le braccia cullandola appena, ma si era già calmata ed ora giocava con i suoi capelli, o meglio glieli tirava.

- Osso duro?

- DeVito… - disse Kate a denti stretti…

- Ah… - Anche Castle ricordava bene quella storia e come si era sentita sua moglie - Questa volta sarà diverso, vedrai…

Rick si era avvicinato e sfidando Lily le aveva dato un casto bacio sulla guancia.

- Andiamo a magiare Beckett? - Chiese poi Castle ansioso di ritagliarsi qualche minuto da solo con lei. 

- Sì, gli ho detto che sarei tornata tra un’ora, così nel frattempo ha modo di parlare con il suo avvocato.

Proprio mentre stavano per uscire la porta della sala interrogatori si aprì ed uscì l’avvocato DeVito.

- Capitano, vorrei parlare con il mio cliente in un ambiente più… riservato, mi capisce?

- Certo, darò disposizione per farvi portare in un’altra stanza per il tempo che dovrete convenire.

- Ma che bella la sua famiglia Capitano Beckett… Deve esserne molto orgogliosa. Non sapevo che avesse anche una figlia, una splendida figlia… - Gli sguardi in contemporanea di Kate e Rick avrebbero potuto al tempo stesso gelare e squagliare quell’uomo. Istintivamente strinse di più a sè Lily e ringraziò Esposito e Ryan che si erano avvicinati subito a loro, mettendosi tra lei e Rick e DeVito, in un inequivocabile segno di protezione verso il loro Capitano e la sua famiglia. Potevano aver avuto delle discussioni, ma quello che entrambi provavano per Kate era qualcosa di immutabile, perché non era solo il loro capitano, era una loro amica, una di famiglia e lo sarebbe sempre stata, a prescindere dai ruoli che avevano.

Beckett e Castle entrarono in ascensore e Kate premette ripetutamente sul tasto del piano terra, visibilmente nervosa per quell’incontro con DeVito che l’aveva messa particolarmente a disagio. Rick le passò un braccio intorno alla spalla e lei si concesse di appoggiarsi su di lui per qualche secondo, fino a quando non raggiunsero il pianterreno. Mise Lily nel passeggino non senza qualche difficoltà perché voleva rimanere in braccio a lei, si aggrappò a suo marito che spingeva diligentemente il passeggino con la loro bambina e si incamminarono come una normale famiglia verso il loro solito ristorante.

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Capitolo 4
*** QUATTRO ***


Si sedettero nel loro solito tavolo, più appartato, e Kate pensò che era strano trovarlo libero a quell’ora di punta.

- Ho chiamato questa mattina per riservarlo - disse Rick - e prima di salire sono passato ed ho lasciato una genero mancia al ragazzo per far sì che si ricordasse.

Kate sorrise mentre si sedeva, quel discorso non la sorprendeva affatto, era tutto molto da Castle, dall’uomo che pretendeva che ogni momento ed ogni cosa fatta per lei fosse sempre perfetta.

Ordinarono due cheeseburger con patatine. Tutte le idee di mangiare sano e rimettersi in forma per smaltire quei pochi a dir la verità chili ancora di troppo che aveva erano andate a farsi benedire, aveva solo bisogno di cibo consolatorio. Era la prima cosa con la quale si poteva consolare, visto che non poteva approfittare delle attenzioni di suo marito.

Giocherellava nervosamente con il tovagliolo di carta che ormai aveva ridotto ad un mucchietto di coriandoli ed ogni tanto sorrideva a Lily che giocava con i suoi peluches legati al passeggino portando alla bocca tutto quello che le era a portata di mano. Le sembrava che quei mesi fossero volati via, la guardava e pensava che fosse ieri che l’aveva stretta a se la prima volta, che aveva sentito il suo battito ed il suo respiro, il suo profumo inconfondibile, che aveva sentito la sua pelle sulla sua ed aveva capito che era una cosa sola con lei, qualcosa che non riusciva a spiegare ancora adesso e forse non ci sarebbe mai riuscita.

- Cosa c’è Kate? - le chiese Castle che la osservava serio ed attento e lei non si era nemmeno accorta. Le capitava spesso ultimamente.

- Pensavo a DeVito e a Campos. 

- Ok ma… Cosa c’è che ti fa stare così? - Insistette Castle vedendola pensierosa

- Non posso permettere che quell’avvocato gliela faccia passare liscia. Non posso andare dalle famiglie di quelle due ragazze a dirle che non avranno mai giustizia.

- Non accadrà Kate. Metterai dentro Campos a vita e quei genitori te ne saranno grati.

- Come fai ad esserne certo Rick?

- Perchè so che sei la migliore. - Le prese una mano e la strinse sotto la sua. Sapeva che lui lo pensava realmente.

- Sai Rick, ora è più difficile. Parlare con i genitori delle vittime dico, non so se ce la posso fare. - disse guardando Lily sempre presa dai suoi giochi.

- Capisco quello che vuoi dire. So come ti senti. - Castle si sporse per accarezzare Lily tra i capelli che non si curò molto di lui, seria e concentrata sui giochi.

L’arrivo dei loro piatti interruppe quel discorso. Mangiarono riuscendo a mettere da parte quei discorsi più scomodi e Kate rise di gusto nel vedere Castle sporcarsi la camicia con il ketchup del panino che cercava di nascondere la macchia con il tovagliolo peggiorando solo la situazione e lo prese in giro dicendogli che gli avrebbe comprato un bavaglino come quello di Lily visto che sembrava averne più bisogno di lei. 

- Sai Babe, mi piace tutto questo… - gli confidò Kate mentre spostava il piatto ormai vuoto da davanti andando a prendere la mano di Rick.

- Io che mi sporco mentre mangiamo? - Scherzò lui nel vedere quello sguardo fin troppo profondo di Kate che faticò per qualche istante ad assimilare per come lo aveva colpito in profondo.

- No, noi qui, un pranzo insieme qualsiasi, con lei… Mi sembra impossibile a volte avere tutto questo con te. - Deglutì per quella confessione che non si aspettava nemmeno lei di fargli, ma era qualcosa che aveva dentro e non riusciva a tenersela, era felice e voleva dirglielo.

- Con qualcun altro ti sarebbe sembrato più possibile? - La prese in giro Rick fingendosi offeso e provando a ritrarre la mano che lei strinse ancora di più.

- Non ci sarebbe stato niente di questo con nessun altro. Lo sai Castle. - Glielo disse con una voce decisa e forte che non ammetteva replica e contrastava con la tenerezza con la quale accarezzava la mano del marito. In un momento c’era tutta Kate Beckett, quella dura e sicura di se, quella che conoscevano tutti, e quella che era solo per lui che si lasciava emozionare ed emozionava solo con un gesto: Kate non era mai stata una che nella loro intimità si era mai limitata di fargli capire quando lo volesse e come lo considerasse suo, con i fatti e con le parole, se ritornava con la mente a quel giorno che aveva cambiato per sempre le loro vite, era stata proprio lei alla fine a rompere gli indugi in modo così irruente e aveva usato tutte le sue armi a disposizioni per ribadirglielo e continuava a farlo ogni volta. Non era però abituale che questo venisse fuori in altre circostanza, nella quotidianità ed ogni volta che lei lo faceva, che gli riaffermava con decisione la sua unicità nella sua vita per lui era come sentire le farfalle nello stomaco ogni volta e valeva di più di qualsiasi dichiarazione d’amore che potesse fargli, perché quella sicurezza nel suo sguardo mentre gli diceva che lui era l’unico ed il solo per lei valevano più di ogni altra parola e si sentiva a corto di argomenti per rispondere. L’unica cosa che seppe fare, non trovando modo per risponderle mentre sorrideva quasi imbarazzato da quel discorso fatto in quel contesto così inusuale per loro, tra camerieri che giravano tra i tavoli, il chiacchiericcio dei tanti clienti e i mugugni di Lily intenta a ciucciare la zampetta di un pupazzo, fu prendergli lui la mano tra le sue mentre entrambi i loro sguardi si focalizzavano esattamente su quell’intreccio che per loro aveva un significato molto più profondo.

 

Un cameriere, senza molto riguardo, poggiò i due piatti con il dolce sul tavolo, andando ad urtarli e beccandosi uno sguardo arcigno di Rick che avrebbe voluto fargli un lunghissimo discorso su come aveva appena interrotto la sacralità del momento e Kate vedendolo così accigliato scoppiò a ridere di nuovo: si rendeva conto che quando era con lui ed era così leggera, ridere era molto più facile e la faceva stare bene. Non se ne sarebbe privata mai finchè poteva.

- Ti prego Castle, vorrei riprendere possesso della mia mano per mangiale, se me lo concedi.

- Sai che la tua mano sarebbe mia di diritto da molto tempo, vero? 

Kate sorrise e cominciò a mangiare la sua fetta di torta e prima che Rick cominciasse la sua Lily buttò a terra uno dei suoi sognali attirando con il rumore gli sguardi di entrambi i genitori. Castle fu il più rapido a piegarsi per raccoglierlo e mentre si stava rialzando, incrociò lo sguardo di sua figlia che seguiva incantata il suo semplice movimento con quel sonaglino colorato. Si fermarono a guardarsi, come se non si fossero forse mai visti, eppure quella era una cosa che accadeva quotidianamente, ma lui sembrava faticare ad abituarsi a quest’altro paio di occhi uguali a quelli di Kate, che lo guardavano curiosi e ne rimaneva sempre rapito.

- Castle… - lo richiamò Beckett con la voce proprio da Beckett quando lo doveva rimproverare - … mi piacerebbe che quegli sguardi ogni tanto li rivolgessi di nuovo anche a me, non solo a tua figlia. - Rick fu per un attimo sgomento nel vedere la serietà con la quale lo aveva ripreso ed ebbe un vortice di emozioni in un lampo che gli fecero pensare se effettivamente aveva trascurato sua moglie. Balbettò qualcosa e Kate non resistette più a tenere la sua faccia seria, prendendolo in giro per le sue espressioni che sarebbero state da foto. Ci mise qualche secondo per riprendersi dall’immagine di Beckett gelosa di MiniBeckett ma poi rilanciò dicendo che se era così allora voleva anche lui riappropriarsi di qualcosa di lei che ormai era diventata proprietà di sua figlia e le fece un occhiolino maliziosa. Kate diventò tutta rossa prima di rispondergli prima con lo sguardo che a parole, al che Rick ritrattò, assicurandole che stava scherzando. Poi risero di nuovo, insieme e si accorsero che anche Lily rideva con loro. In fondo bastava poco per essere felici. 

 

Il tempo era volato, letteralmente. Finì di mangiare il suo cheeseburger e poi disse a Castle che doveva scappare in ufficio. Riuscì con i suoi soliti modi a strapparle ancora qualche minuto, solo il tempo di tornare insieme al dodicesimo. Si lasciò convincere quindi ad andare insieme fino al portone e lì salutò suo marito con un trasporto che raramente aveva mostrato nei pressi del suo luogo di lavoro, fregandosene per una volta, del via vai degli agenti e detective che c’era lì intorno.

- Grazie per il pranzo Castle. Ne avevo proprio bisogno.

- Per me lo possiamo anche fare sempre. - rispose lui con gli occhi che brillavano. Kate gli sorrise e gli accarezzò una guancia lentamente, dando modo a lui di appoggiarsi al suo tocco. Si piegò per salutare anche Lily che come la vide alla sua portata si dimenò per farsi prendere, ma dovette darle un dispiacere non potendo farlo.

- Ti amo Rick. - Gli sussurrò poi baciandolo, lasciandolo di sorpresa che non ebbe nemo modo di replicare prima che lei entrasse di corsa al distretto. Castle rimase con una mano a mezz’aria in segno di saluto ed un “Ti amo” incastrato tra le labbra. Glielo avrebbe detto quella sera stessa a casa. E ripetuto molte volte. Girò il passeggino e tornò verso il loft mentre Lily ancora si lamentava per non essere stata presa in braccio dalla mamma: era una bella giornata di quella calda primavera, ideale per stare un po' all’aperto.

 

- Allora, signor Campos, rivediamo la sua posizione. Entrambe le vittime avevano tracce del suo liquido seminale e i segni di un rapporto sessuale consumato poco prima di morire. Una strana coincidenza, non trova?

- Dato il… ehm… lavoro… delle due signorine, non penso che le tracce di DNA siano solo del mio assistito - La interruppe DeVito, mentre Ramon continuava a guardarla, senza parlare, ostentando una sicurezza ben oltre il limite della strafottenza.

- Ed immagino è un caso anche che entrambe siano state uccise nello stesso modo, così come altre cinque donne in passato, tra la Florida e la Geogia, guarda caso proprio quando il suo cliente gestiva affari in quell’area… 

- Capitano, si rende conto che le sue sono solo insinuazioni e che non ha niente in mano contro il mio cliente? - Kate fece finta di non sentirlo, sapeva che aveva ragione lui, aveva bisogno assolutamente che quel coltello fosse compatibile con l’arma che aveva ucciso quelle donne, altrimenti con quelle prove non avrebbe potuto trattenerlo ancora a lungo.

- Campos, dove era la notte tra il 29 e 30 aprile e in quella tra il 3 e 4 maggio? - Lo incalzò ancora Beckett

- Come faccio a ricordarmi, Capitano? Ma se lei ha detto che sono stato con quelle donne, sarò stato con loro. Non è stata nè la prima nè è stata l’ultima volta che ho passato le mie notti con qualche puttana per divertirmi un po’, sa cosa intendo vero? Un po’ di ragazze ben pagate e disponibile, qualche amico da far felice… Se mi vuole arrestare per questo… 

- Potrei anche farlo Campos. - Lo minacciò

- Suvvia Capitano! Lo sa benissimo anche lei che sarebbe solo una mera perdita di tempo, giusto quello di pagare la cauzione ed il mio cliente sarà fuori e per lei sarà solo una figuraccia da giustificare ai suoi superiori. È proprio sicura di volerlo fare?

Kate ci pensò mentre fissava negli occhi il giovane che non sembrava proprio intimorito da lei. Lasciarlo libero con il rischio che sparisse o giocarsi il tutto per tutto nella speranza che arrivassero buone notizie dalla scientifica? 

- Beh, signor Campos, la sua mi pare una confessione in piena regola. Quindi, Ramon Campos la dichiaro in arresto per favoreggiamento ed induzione alla prostituzione.

- Ma questo è assurdo! - Sbraitò Ramon all’indirizzo di Beckett che rimase questa volta lei impassibile davanti alle sue proteste. Fece un gesto verso lo specchio dietro di lei e vennero subito due agenti a prelevare il giovane.

- Credo che questa notte almeno resterà qui a farci compagnia, signor Campos - Il giovane, ora in piedi davanti a lei, era notevolmente più basso di quanto sembrasse seduto e lei lo sovrastava di vari centimetri guardandolo con aria soddisfatta mentre lui non accennava a nascondere tutto il suo disappunto per quell’incidente di percorso che nè lui nè il suo avvocato avevano calcolato.

- Ha fatto un grave errore Capitano Beckett. Un grave errore. Domattina il mio cliente sarà già libero di andarsene, farò immediatamente ricorso! - La minacciò DeVito puntandole in faccia l’indice, che Beckett scansò con un gesto della mano.

- Si rilassi avvocato, se ne è così sicuro. Da qui a domattina possono succedere molte cose… - Kate uscì soddisfatta dalla sala interrogatori, lasciando l’avvocato a recuperare le sue carte, per poi vederlo andare via a passo svelto.

 

- È stata dura eh, Beckett! - Le disse Esposito mentre tornava nel suo ufficio. - Non c’è male come ritorno…

- Speriamo solo che l’arma coincida con quella del delitto. Altrimenti ha ragione DeVito, pagherà la cauzione e poi sparirà, magari tornando in Venezuela per qualche tempo…

- Non essere negativa Beckett. Lo incastreremo quel bastardo, ne sono sicuro.

- Sono realista Javier. Abbiamo solo una possibilità.

L’ispanico lasciò un fascicolo sulla scrivania del suo capitano e poi tornò alla propria postazione, dove il collega Ryan era in costante contatto con la scientifica in attesa di novità.

Kate vide i molti messaggi sullo schermo del cellulare. Erano tutti di Castle che le mandava foto di lui e Lily documentandole la loro giornata. La vide al parco sorridente e poi a casa mentre mangiava l’orecchio del suo elefante di peluche, e poi c’era anche un video dove lei e Rick giocavano insieme. Controllò l’orario era un po’ prima di quanto pensasse, ormai lei aveva più poco da fare. Fece un giro di telefonate istituzionali per aggiornare i suoi superiori degli sviluppi, informandoli della decisione presa di fermare Campos con un capo di imputazione minore per prendere tempo in attesa della prova schiacciante. La informarono che della pratica per la cauzione se ne sarebbe occupato il giudice Markway, l’amico di Rick, quindi poteva stare tranquilla che avrebbe fatto tutto quello che era in suo possesso per allungare i tempi e cercare ogni cavillo necessario per darle margine di indagare.

Decise quindi di tornare a casa, non prima di aver intimato a Ryan ed Esposito di avvisarla per qualunque novità sul caso e questa volta fece in modo che fosse ben chiaro a tutti e due il concetto.

 

- Mamma sei a casa? Non avevi la serata tra ragazze con le tue amiche? - Chiese Rick sentendo aprire la porta mentre era intento a preparare la cena.

- Non sono tua madre, spero vada bene lo stesso… - Rick sobbalzò sentendo la voce di Kate ed i suoi passi inconfondibili mentre si avvicinava.

- Sei già a casa? - Esclamò stupito.

- Se aspettavi qualche altra visita, torno più tardi… - Lo provocò. Castle chiuse il forno e andò verso di lei, cingendola con fin troppa veemenza a se.

- In realtà sì… stavo aspettando un capitano di polizia dannatamente sexy con cui ho pranzato oggi…

- Ah bene Castle… e me lo confessi così? - Gli disse parlandogli a pochi centimetri dalle labbra

- Sì, te lo confesso così… però anche mia moglie va benissimo… - Strinse ancora un po’ di più e la baciò con passione, gli piaceva da morire quando giocavano così tra di loro, come due ragazzini. 

- Ci vorrà ancora un po’ per la cena, pensavo venissi più tardi… - Le disse quando ebbero finito di salutarsi a modo loro.

- Non ho molta fame Castle… Lily? 

- Si è addormentata… - guardò l’orologio - mezz’ora fa, più o meno. Dopo aver fatto merenda.

Kate andò in camera, ripose nella cassaforte le pistola ed il distintivo e si stava per cambiare quando entrò anche Rick, lo sentì avvicinarsi e abbracciarla da dietro, come a lei piaceva tanto quando la avvolgeva con le sue braccia possessive. Si era già tolta le scarpe e si sentiva così bene protetta dal suo corpo che la sovrastava.

- Che ne dici di un bel bagno? - Le sussurrò Rick per non svegliare Lily - Solo io e te… La cena si cuoce, lei dormirà ancora per un po’…

- Ma… - provò ad obiettare lei

- Solo io e te Kate… - ripeté lui mordendole il lobo dell’orecchio e poi baciandola sul collo così che tutte le resistenze di sua moglie venissero meno in un attimo. - Dammi solo qualche minuto, ma tu non ti cambiare. - Il gemito che Beckett si era lasciata sfuggire quando le sue labbra si erano fatte più insistenti era la risposta affermativa che Rick non aveva più bisogno di sentire. La sciolse dal suo abbraccio per sparire oltre la porta del bagno dove lei lo sentì immediatamente armeggiare con l’acqua e non sapeva cos’altro. 

Controllò Lily che dormiva tranquilla e la pregò di continuare a farlo. “Non fare come tua nonna”, le sussurrò piano in uno di quei discorsi che dovevano rimanere tra loro. Pensò che suo marito le avesse letto nella mente per capire che un bagno bollente era proprio quello di cui aveva bisogno quella sera. Sentì la voce di Rick chiamarla piano ed entrò anche lei nel loro bagno, completamente avvolto dal vapore dell’acqua calda vide i vestiti di Castle buttati in un angolo e lui già dentro la vasca. Accostò la porta senza chiuderla, per quello scrupolo materno che ancora la faceva quasi sentire in colpa di volersi dedicare del tempo solo per se con suo marito, nella speranza di non venire interrotti.

- Devo entrare vestita? - Chiese Kate maliziosamente mentre cominciava a sbottonarsi la camicia.

- No, voglio che ti spogli qui… così ti posso vedere… - Rispose lui tirandosi un po’ più su nella grande vasca da bagno appoggiando le braccia sul bordo osservandola soddisfatto mentre i bottoni si aprivano uno dopo l’altro fino a quando la camicia di Kate non raggiunse gli abiti di lui seguita a breve da tutto il resto. Entrò quindi nella vasca con lui tra i brividi che le procurava quell’acqua fin troppo calda ma soprattutto il contatto con il corpo di Castle sul quale si appoggiò, mentre lui cominciava a massaggiarla lentamente con la spugna sulle braccia e a riprendere a baciarla sul collo.

Se l’acqua si fosse raffreddata non se ne sarebbero accorti. In realtà si sarebbero accorti di ben poche cose. Si lasciarono andare ai sensi e a loro stessi in una struggente lentezza d’amarsi estraniati dal resto del mondo, come era ogni volta, quando entravano in quella bolla dove solo a loro era concesso stare e non c’era più niente. E soffocarono gemiti, urla e sospiri sulla bocca e sul corpo uno dell’altra, in quell’unica accortezza che tacitamente adottarono ricordandosi non sapevano quanto coscientemente che Lily dormiva a pochi metri da loro. 

Kate si ritrovò con le braccia allacciate dietro la nuca di Rick e la testa appoggiata nell’incavo del suo collo, lì, dove gli piaceva baciare la sua pelle e sentire il suo profumo: era completamente adagiata su di lui che le passava le sue mani sulla schiena, sollevando un po’ d’acqua ogni volta. Rimasero in quella posizione fin quando i loro respiri non tornarono normali, tra un bacio ed una carezza e tanti sorrisi.

- Penso che questo lo possiamo mettere direttamente tra i migliori ritorni a casa di sempre - le disse Rick decisamente soddisfatto.

- Sì, direi che possiamo farlo… - rispose languidamente Kate

- Però prossimamente possiamo anche provare a fare qualcosa di meglio… - rilanciò lui stuzzicandola

- Si può sempre fare di meglio Castle… - Gli rispose baciandolo con passione prima di uscire dalla vasca, mentre lui la osservava con il corpo ricoperto di goccioline d’acqua che scorrevano lungo tutta la schiena, fino ad arrivare sui glutei e poi sulle lunghe gambe. Doveva smetterla di guardarla altrimenti sarebbe uscito ed avrebbe ricominciato subito da dove avevano finito poco prima.

- Tu non esci Castle? - Gli chiese Kate mentre si avvolgeva nel suo accappatoio ridendo e lui da dentro l’acqua sbuffava. Lo osservò con quella sua faccia stretta in quella smorfia contrariata e rise. - Sei incontentabile!

- È un reato esserlo della propria moglie, che specifico, non fa niente per facilitare le cose?

- Uhm… no, non lo è ancora… Altrimenti dovrei arrestarti, lo sai!

- Per favore, Kate, non infierire su di me! 

Si legò l’accappatoio in vita e prima di uscire dal bagno lo avvisò che avrebbe controllato lei la cena. Rick rimase a sbuffare ancora qualche istante nella vasca, poi aprì l’acqua fredda che gli fece fare qualche altra smorfia. Si decise ad uscire, sistemò il bagno raccogliendo i vestiti sparsi ed asciugando l’acqua che avevano involontariamente fatto uscire dalla vasca senza rendersene assolutamente conto e con un gran sorriso stampato sul volto indossò anche lui l’accappatoio e la raggiunse in cucina. 

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Capitolo 5
*** CINQUE ***


Passarono il resto della serata dopo la cena sdraiati sul divano a guardare un film, con Lily in braccio a Kate ora decisamente molto sveglia ed attiva, tanto che Beckett più che vedere il film era attenta cercare di evitare in tutti i modi che rotolasse via ora che aveva imparato a girarsi di fianco. Le regalava di tanto in tanto qualche smorfia che sia Kate che Rick avevano battezzato senza ombra di dubbio come sorrisi compiaciuti. 

- Credo che la dovresti far dormire un po’ meno durante il giorno Castle… La sera è su di giri in questi giorni! - Disse Kate divertita mentre la sollevava per farla giocare.

- È solo felice di vederti, ne sono sicuro. È sempre quel 50% del mio patrimonio genetico che fa sì che vuole stare con te.

- Comunque la metti, Castle, è colpa tua!

- In questo caso sono ben felice di prendermi tutte le colpe del caso.

Alla fine Lily si addormentò su Kate che si potè godere qualche momento di totale relax in quella catena di abbracci e carezze che era ormai una consuetudine per loro.

 

- È già cresciuta così tanto… - disse Kate notando come ora occupava una porzione sempre più grande del suo corpo quando stava sdraiata, ricordandosi invece come le sembrava minuscola appena nata.

- Ti preoccupa? - Sorrise Castle accarezzandole i capelli

- Solo che il tempo sembra volare ed ho paura di perdermi tante sue prime volte importanti quando sono a lavoro.

- Qualunque cosa sarà ti prometto che la filmerò per te! Anzi, no, farò finta di niente e la obbligherò a farlo ancora quando ci sei tu e ti dirò che è la prima volta, farò la mia migliore faccia stupita e sarà bellissimo! - Le disse convinto ed eccitato.

- Saresti capace di farlo, Castle!

- Certo che lo sarei! Per te questo ed altro!

- Tu non ti preoccupi mai Rick? - Gli chiese mentre giocava con le dita della mano di lui, massaggiandole e stringendole come fossero un antistress personale.

- Tutti i giorni, di tutto. Ma è normale, sarà sempre così. E più crescerà più le preoccupazioni saranno grandi, e diverse. Perché prima sono cose che tu puoi controllare, in qualche modo, perché dipende da te, dopo sempre meno, fino a quando non sarà grande e dirà che andrà a vivere in un’altra città per studiare, con il suo ragazzo, anzi no, questo non te lo dirà ma sarà implicito.

- Non stai più pensando alla stessa figlia, vero? - Gli chiese sorridendo Kate, aveva lasciato la mano di suo marito libera di gesticolare come piaceva a lui quando parlava e faceva scorrere dolcemente le dita sulla schiena di Lily.

- Scusami… - le disse Castle cercando le sue labbra per un rapido bacio

- No, scusami tu, è che a volte mi dimentico che tu tutto questo lo hai già vissuto e che per te è diverso.

- Non l’ho già vissuto. Non l’ho vissuto con te. Non pensare che io sia meno entusiasta, eccitato, impaurito di quanto non lo sei tu. Quando Meredith era incinta di Alexis ero un ragazzino stupido che prendeva tutto solo come un gioco. Ora è diverso, l’unica cosa che è vero, ci differenzia è che adesso sono consapevole di cosa vado incontro. Ma le emozioni Kate, sono come le tue. Sono solo cresciuto e meno irresponsabile, anche se non sempre sembra così… - ammise

- Io so come sei, non mi interessa quello che pensano gli altri. Ma non crescere troppo però Rick. Vorrei che nostra figlia avesse quel padre divertente con cui giocare insieme a tutte le cose più strane che la tua fantasia sa creare, così come mi hai raccontato che hai fatto con Alexis. Vorrei che Lily si possa sempre divertire con te, come solo tu puoi far in modo che lo faccia. - Rick portò la sua mano su quella di Kate sulla loro bambina e sentivano come il suo respiro le faceva alzare ed abbassare ritmicamente. Faticava ancora, Kate, in quelle occasioni, a contenere le sue emozioni per quel piccolo miracolo che stavano custodendo.

- Alexis è cresciuta molto prima del previsto, è stata una piccola adulta anche da bambina, sempre molto responsabile, anche più di me, spesso. Credo che abbia sentito il peso del comportamento di Meredith e anche se non l’ha mai dato a vedere abbia sofferto per la mancanza della madre e penso ne soffra ancora, anche se non lo ammetterà mai. 

- Tu le hai dato tutto quello che avevi, hai fatto tutto quello che potevi, non puoi rimproverarti nulla

- Non lo faccio, sono consapevole che più di quello che le ho dato non potevo, il resto doveva darglielo sua madre, ma non le è mai importato. Sai, credo che sia perchè è sempre stata una ragazza così matura che ho continuato a fare con lei fino a quando era grande tutti quei giochi da bambini, non solo perchè mi divertivo terribilmente anche io, ma per continuare a darle un po’ di quella spensieratezza infantile che forse non ha avuto abbastanza. L’ho osservata molto quando è venuta qui le ultime volte, soprattutto quando era sola, senza Dustin. Sono felice che abbia accettato Lily nella sua vita, le vuole molto bene. Certo avranno sempre un rapporto particolare, non saranno mai realmente come due sorelle, però so che Lily potrà sempre contare su Alexis e questo mi fa stare più tranquillo.

- Sì, anche a me. È importante per tanti motivi… - La voce di Kate lasciò trasparire quella sua preoccupazione sempre presente dentro di lei, la sua più grande paura. Rick la colse, ma fece finta di nulla, non aveva bisogno di indagare oltre.

- Ho visto Alexis come vi guarda a te e a Lily quando siete insieme… Credo che invidi molto sua sorella, perché sa che lei avrà quello che invece Alexis non ha mai avuto.

- Cosa?

- Non avrà mai te. - Kate sospirò, Rick riusciva a lasciarla sempre senza parole con la semplicità dei suoi discorsi, che la investivano senza che fosse mai realmente preparata a ricevere la potenza delle sue dichiarazioni.

- Spero di riuscire ad essere per Lily almeno una piccola parte di quello che tu immagini che io possa essere.

- Tu sarai molto meglio di quello che io immagino. Questa piccola despota non poteva avere una madre migliore al mondo. E su questo non accetto nessuna obiezione.

- Ti amo Castle. - Gli disse Kate scivolando meglio tra le sue braccia e mettendosi comoda mentre ormai quel film che non aveva seguito per niente stava arrivando ai titoli di coda.

- Ti amo anche io Beckett.

 

 

Il cellulare di Kate squillò prima della sveglia, quando ancora dormiva beatamente appoggiata al petto di Rick. Lo afferrò rapidamente dal comodino rispondendo mentre già si stava alzano.

- Beckett!

- Ehy Capitano, buone notizie. E’ appena arrivato il referto dalla scientifica. Corrisponde. E’ lui, è Ramon Campos. - Ryan aveva una voce squillante e soddisfatta nonostante l’orario ed il fatto che probabilmente avevano lavorato gran parte della nottata, ma quello era un risultato troppo importante.

- Arrivo subito. - Disse chiudendo la comunicazione.

Rick si appoggiò con i gomiti sul letto mentre lei entrava ed usciva dal bagno velocemente, facendo tutto in modo più rapido e silenzioso possibile.

- Novità? - Gli chiese con voce impastata Castle

- Sì, abbiamo l’arma dei due omicidi. Dobbiamo formalizzare le accuse a Campos, non ha via d’uscita stavolta.

- Bene! Pranziamo insieme dopo? - Chiese speranzoso, aveva già fatto la bocca a quella piacevole novità del giorno prima tanto da farla voler diventare una consuetudine.

- Oggi meglio di no, sarà una giornata impegnativa, non so quando mi posso liberare, non voglio stravolgere gli orari di Lily. - Disse osservandola dormire nella culla per nulla infastidita da quel via vai in camera. Le fece una carezza prima di salutare con un bacio Rick ed uscire di casa.

- Ricordati di pranzare però! - Le disse prima che chiudesse la porta, poi si alzò, andò a prendere Lily dalla culla e la mise a dormire sopra il suo petto, dato che Beckett si era alzata, ora quello era il posto di MiniBeckett ed il loro, quasi, segreto.

 

Kate nel suo ufficio aveva seguito personalmente tutta la trafila per la conferma delle accuse ed il trasferimento di Campos dalla cella del distretto fino al carcere dove sarebbe stato detenuto in attesa di giudizio. Quando dall’ascensore uscì come una furia l’avvocato DeVito cominciò ad urlare ed sbraitare chiamando a gran voce il Capitano Beckett e lei, sentendo tutta quella confusione, uscì per capire cosa stava accadendo. L’uomo, bloccato da due agenti, a cui Esposito e Ryan avevano impedito di avvicinarsi ulteriormente, appena la vide le puntò il dito contro continuando ad urlare. Kate si avvicinò, guardandolo infastidita, fece un cenno agli agenti di lasciarlo e ai due detective di spostarsi e, con le braccia conserte, lo scrutava dall’alto in basso, intimamente compiaciuta del suo disappunto.

- Allora avvocato, c’è qualche problema?

- Lei ha fatto un grosso errore Capitano Beckett, un grandissimo errore!

- Devo dedurre che quel discorso della cauzione non è andato come sperava… - disse abbozzando un sorriso.

- Dov’è il mio assistito? Devo parlare con lui! Subito! - Urlò

Kate controllò l’orario

- Direi che a quest’ora si trova già da un po’ alla prigione di Rikers Island, può chiedere di lui lì.

- Sta giocando con il fuoco Capitano Beckett. Tutta questa vicenda, quando si sarà conclusa, sarà la sua rovina.

- È una minaccia, avvocato DeVito? - Si intromise Esposito con il suo consueto atteggiamento protettivo nei confronti di Kate

- No, Detective, è una previsione. E difficilmente sbaglio in queste cose. Ricordatevelo.

L’avvocato se ne andò con la stessa veemenza con la quale era entrato mentre tutti lo osservavano allontanarsi.

- Ehy Kate, tutto bene? - Gli chiese Ryan vedendo che era rimasta immobile a guardarlo andare via.

- Sì, tutto ok… Rimettiamoci al lavoro che c’è ancora tanto da fare.

 

Non sapeva bene perché le parole di quell’avvocato l’avevano colpita. Non era la prima volta che riceveva delle minacce più o meno velate, perché di quelle si trattava, dopo arresti di personaggi scomodi o di grossi giri di droga o criminalità varia. Era strano per lei questo modo di vivere il suo lavoro, dove doveva cercare di tenere fuori le sue emozioni il più possibile e non farsi toccare da quello che accadeva ed invece adesso le sembrava di avere ogni nervo scoperto e di essere esposta e vulnerabile: doveva ritrovare se stessa e doveva farlo subito. Cercò, quindi, di scacciare ogni pensiero di DeVito e Campos dalla sua testa e concentrarsi su quelle noiosissime scartoffie che di certo non la aiutavano a tenersi occupata, ci fosse stato almeno un altro caso su cui indagare, avrebbe avuto qualcosa che l’avrebbe distratta. 

Sobbalzò sentendo bussare alla porta e poi aprirsi prima ancora che avesse detto di entrare. Era già pronta a fare una scenata a chiunque fosse stato, quando il rumore dei tacchi e del piede che batteva a terra nervoso le fecero alzare prima lo sguardo che la testa.

- Allora tesoro? Lo devo venire a sapere da Javi che ieri hai portato qui la mia nipotina e non mi hai detto niente?

- Lanie, hai visto che giornata è stata ieri? - Le disse Kate con un tono che implorava pietà, non aveva voglia di una discussione, nemmeno scherzosa con lei.

- Ok, ragazza, mi pare di capire che non è aria, vero? - Disse la dottoressa accomodandosi avendo intuito lo stato d’animo dell’amica.

- No, decisamente no… - sospirò, per poi cambiare discorso - Però non ti preoccupare che occasioni di vedere la tua nipotina al distretto non mancheranno. Castle si è già entusiasmato all’idea di venire ogni tanto qui per pranzare insieme e lo sai com’è fatto, dovrò mettergli un freno!

- Mi stupisce che il tuo scrittore non sia qui anche oggi! 

- Solo perché gli ho detto che avevo da fare, si era già proposto! - Sorrise Kate.

- Però ti fa piacere, eh!

- Si vede?

- No, ti vengono solo gli occhi a cuoricino e l’aria sognante quando pensi a loro, per il resto sei uguale!

- Lanie! Smettila!

- Eddai Kate! Che c’è di male! Hai tutte le ragioni per esserlo!

Beckett si ricompose sulla sedia per assumere un tono più professionale e provare a tagliare il discorso della sua amica che sapeva altrimenti non sarebbe finito mai.

- Allora dottoressa Parrish, mi doveva dire qualcosa? - Le chiese con tono fin troppo serio per il sorriso che aveva

- Certo Capitano Beckett, le porto i risultati definitivi dell’autopsia delle due ragazze, con tutti i riscontri sull’arma del delitto che coincide perfettamente.

- Uhm… ed è venuta solo per questo?

- No, la motivazione era dirti che ero arrabbiata perché non mi hai chiamato per vedere tua figlia.

- Vieni domani prima della pausa pranzo, vedrai che Castle sarà sicuramente qui, anche senza invito, se conosco mio marito almeno un po’…

 

Naturalmente non pranzò. Prese qualcosa di dolce al distributore del distretto solo per evitare di avere un calo di zuccheri. Le uniche cose che le strapparono un sorriso in quel pomeriggio furono i video e le foto che Castle le mandava. Gli comunicò che per aveva quasi finito e che non sarebbe arrivata a casa tardi. Guardò la pila di pratiche in sospeso da controllare e pensò che potevano attendere il giorno dopo.

L’ascensore occupato e fermo da un po’ la fece spazientire e così decise di scendere a piedi. Giunta quasi al pian terreno si soffermò davanti alla porta della palestra del distretto. Guardò dentro e la trovò desolatamente vuota, ma fu spinta ad entrare. Sentiva i suoi passi rimbombare nell’ambiente vuoto e sul pavimento di legno. Attraversò tutta la sala fino ad arrivare negli spogliatoio. Vide il suo armadietto, contrassegnato dalle sue iniziali KB, semplicemente. Non il cognome, come facevano tutte, non la matricola. Solo KB. Lo aprì e trovò uno dei suoi cambi puliti, che era lì chissà da quanto. Senza pensarci troppo si cambiò, notando come ancora dovesse perdere qualche chilo per rientrare perfettamente nei suoi abiti. Andò quindi verso i sacchi portando i primi timidi colpi, come se volesse studiare quel nemico inanimato, per poi forzare sempre più il ritmo e aumentare l’intensità. Colpiva, schivava, pugni e calci in sequenza, appoggiandosi solo di tanto in tanto a quel sacco, giusto il tempo di respirare e riprendere fiato, per poi ricominciare una serie di affondi e schivate, movimenti laterali veloci, senza sosta, senza pensare, solo colpire. Andò avanti fino a quando non sentì le braccia bruciare e tornò negli spogliatoi. Si tolse le fasce dalle mani, arrossate e un po’ gonfie ugualmente, non più abituate all’esercizio costante. Si sedette sulla panca a pensare a quante volte quel luogo era stato il suo rifugio, quante notti ci aveva passato sopraffatta dalla frustrazione di non venire a capo dell’omicidio di sua madre, di trovare sempre strade chiuse e nessuna via d’uscita. Quante volte era andata lì a sfogarsi per tutto quello che avrebbe voluto ma non riusciva ad essere, quando voleva essere migliore per se stessa e per gli altri e lasciarsi le paure e le bugie alle spalle. Quante volte in quei due mesi, lunghi, infiniti, in cui Castle era sparito era andata lì per urlare tra un colpo e l’altro il suo dolore, le sue paure, la sua angoscia per quella vita che pensava di aver solo assaporato e che le era stata portata via in quello che doveva essere il suo giorno più bello ed era diventato un incubo. Ed ora era di nuovo lì, ad allenarsi, si disse, a scaricare la tensione di quei primi giorni della sua nuova vita, di nuovo a lavoro. Ne aveva bisogno e poi le avrebbe anche fatto bene. Era stanca ma si sentiva meglio, almeno un po’. Si fece una doccia fredda per ritemprare il fisico e poi tornò a casa.

 

- Ehy, mi stavi facendo preoccupare, ti aspettavo da un po’. - Le disse Castle appena rientrata.

- Mi sono fermata alla palestra del distretto. Ho avuto voglia di allenarmi. - Gli rispose salutandolo affettuosamente.

- Beckett, se volevi fare un po’ di esercizio lo sai che sono sempre disponibile!

- Castle! - Bastò una parola ed uno sguardo per farlo stare zitto.

 

- Allora, come mai questa voglia di allenarti oggi? - Riprese il discorso Rick mentre stavano cenando

- Perché ancora devo rientrare in forma - glissò lei

- Per me sei in splendida forma. Mi piacciono tutte le tue forme - disse lui compiaciuto guardandola mentre mangiava.

- Tu non sei obiettivo Castle! - Rise Kate

- Perché, qualcuno al distretto ha avuto da dire sulle tue forme più obiettivo di me?

- Nessuno al distretto parla delle mie forme, Castle, dovresti saperlo.

- Uhm.. Va bene, se proprio ti piace fare esercizio e preferisci farlo da sola in palestra e non con me a casa, me ne farò una ragione… - disse eccessivamente offeso.

- Non sono due esercizi che si annullano a vicenda Rick… 

- Bene… Allora ti comunico che voglio esercitarmi molto spesso e molto a lungo con te. - Le disse alzandosi e dandole la mano per farla alzare. Kate lo assecondò e lasciò che lui la spingesse verso il bancone della cucina, cominciando a baciarla e ad accarezzarla sotto la maglia, mentre lei aveva già sbottonato un paio dei bottoni delle sua camicia, rispondendo voracemente ai baci di Rick.

 

- Richard, che buon profumino! Che cosa hai preparato per… - esclamò Martha rientrando in casa sorprendendo i due - … cena! - Finì la frase con molta meno enfasi ma con un sorriso che riempì il suo volto.

- Ciao mamma - disse Rick fingendo nonchalance sistemandosi la camicia mentre Kate nascondeva il viso nella spalla per buona parte scoperta di suo marito molto più a disagio, limitandosi ad un “Ciao Martha” ovattato.

- Oh ragazzi, fate come se non ci fossi, non fate caso a me, anzi io ora vado in camera mia… La cena può attendere, l’amore no! - E così salì le scale per andare nella sua stanza, lasciando Rick e Kate a guardarsi e ridere.

- Direi che dobbiamo rimandare l’esercizio, vero? - Chiese lui deluso.

- Direi di sì - rispose lei mordendosi il labbro esternando altrettanta delusione. - E direi anche la prossima volta dobbiamo ricordarci meglio gli orari di tua madre o trovare un posto più riservato. - Finì dandogli un bacio.

- Ha un radar, ne sono sicuro. Ha qualcosa che le dice quando è il momento meno opportuno per rientrare. Non c’è altra spiegazione! - Sbuffò Rick.

 

 

Come Kate aveva previsto, Rick si era di nuovo invitato a pranzo e questa volta era stata ben felice di accettare. Gli aveva mandato un messaggio appena arrivata al distretto, per il momento non c’erano nuovi casi e, se non avessero scoperto qualcosa quella mattina, la giornata sarebbe stata tranquilla. 

Il caso di Campos era ormai chiuso, loro avevano fatto tutto quello che dovevano fare, ora era una questione di tribunali. Non aveva più nè visto nè sentito nemmeno l’avvocato DeVito, probabilmente arresosi all’evidenza delle prove. L’unica cosa che si chiedeva era come mai uno così esperto come Campos avesse tenuto l’arma del delitto sempre a portata di mano e non se ne fosse sbarazzato. Non sembrava un serial killer, nonostante i delitti tutti avvenuti nello stesso modo ed anche dalle loro indagini, riprendendo anche i casi di Florida e Georgia, era venuto fuori che quelle ragazze erano state uccise semplicemente perché volevano uscire dal giro, come avevano anche scoperto delle loro due vittime. Erano quindi degli avvertimenti in puro stile mafioso che davano alle loro altre ragazze, non l’opera di un maniaco. 

- Yo Beckett - Esposito era entrato nel suo ufficio bussando senza aspettare risposta come sempre, facendo sospirare e scuotere la testa a Kate. Non avrebbero mai imparato, pensava - Sai la novità?

- Dimmi Espo… - chiese lei spazientita che quegli indovinelli proprio non li sopportava

- Sia Orlando che Atlanta hanno chiesto il trasferimento del processo per Campos.

- Per me lo possono processare dove vogliono, l’importante è che stia dentro per sempre. Mi dovevi dire altro, Javier?

- Hanno trovato un cadavere tra la Lexintong e la 47°, nel bagno di un coffeshop. 

- Andate a vedere di che si tratta, poi fatemi sapere.

- Ok Beckett - Esposito uscì dall’ufficio e lo vide chiamare Ryan per uscire verso il luogo del delitto. Sorrise vedendoli, gli mancava quel fare squadra insieme, indagare e riuscire ogni tanto, soprattutto da quando al distretto era arrivato il ciclone Castle, a divertirsi.

Provò a chiamarlo, per avvisarlo del contrattempo, ma non le rispose. Le aveva mandato un messaggio poco prima, dicendo che sarebbe uscito a fare acquisti con Lily prima di venire al distretto e lei già immaginava la quantità di cose inutili che stava comprando vagando con la loro bambina dentro chissà quali negozi, talmente preso da non accorgersi nemmeno che lo stava chiamando.

Tornò quindi ai suoi fascicoli, in attesa di novità dai suoi due detective che non tardarono ad arrivare. La vittima era morta di overdose, un tale Mark Robben che però sembrava una persona assolutamente pulita e non collegata a nessun giro di droga. Avevano convocato i genitori e la fidanzata, con i quali Beckett aveva parlato a lungo per tutta la mattina e tutti glielo avevano descritto come un ragazzo amante dello sport e della vita sana, niente vizi, niente che potesse far pensare ad una morte per overdose, per un ragazzo che non aveva nemmeno mai fumato in vita sua.

Appena se ne furono andati arrivò anche Lanie con i primi risultati dell’autopsia. Le confermò che non c’erano, sul corpo del ragazzo, altre tracce che facessero pensare ad un consumatore di droga abituale, nè chimiche nè visive sulla pelle e questo confermò i loro dubbi ormai già quasi certezze, che non si trattava di un’overdose, ma di un omicidio.

- Tuo marito e la tua bambina ancora non sono arrivati? - Chiese Lanie impaziente di vedere la piccola. Kate non si era accorta di quanto fosse tardi. In effetti Castle doveva essere già lì da un po’ per andare a pranzo insieme, non si era proprio resa conto del tempo che aveva passato a parlare con la famiglia di Robben. Prese il cellulare e non trovò nè chiamate nè messaggi e Castle non sembrava più in linea da poco dopo che le aveva detto che sarebbe andato a fare shopping. Non aveva visualizzato nemmeno il suo ultimo messaggio in cui gli chiedeva di richiamarla. Provò a farlo lei, ma il suo cellulare ora risultava spento.

- Tutto bene Kate? - Chiese Lanie vedendola agitarsi.

- Castle non risponde al telefono da questa mattina ed ora è spento. - Disse stringendo il suo telefono tra le mani che sentiva gelare.

- Magari sarà con Lily da qualche parte che non prende bene. 

- Doveva già essere qui, Lanie! Non è da Castle non avvisarmi di quello che fa con Lily, mi fa continuamente la cronaca delle loro giornate! - Rispose spazientita.

- Tesoro, non stai forse un po’ esagerando? Sono in ritardo di quanto? Mezz’ora o un’ora al massimo! - Provò a dire la dottoressa in tono più conciliante, ma Kate non sembrava ascoltarla, anzi non lo faceva proprio.

- Kevin, mi devi rintracciare questo numero, subito. - Ordinò Beckett dettando il numero di Rick

- È per il caso? - Chiese il detective ma non ottenne risposta, ma finendo di digitare i numeri capì di chi si trattava - Ma è di Castle!

- Sì. Trovalo. - Rispose secca

Passò qualche minuto in cui Kate provava ripetutamente a chiamare senza ottenere risposta.

- Capitano, è spento e non riusciamo a localizzarlo adesso. L’ultimo volta che è stato agganciato ad un ripetitore è stato in un parcheggio all’East River.

- East River? - Disse Beckett perplessa - Cosa ci faceva Castle lì? 

Tornò nel suo ufficio, prese la pistola e le chiavi della macchina e si apprestò ad uscire.

- Beckett dove vai? - Le urlò Esposito.

- A vedere che sta combinando Castle con nostra figlia!

L’ispanico fece un cenno a Ryan che si alzò di scatto, presero le loro armi e seguirono il loro capitano mentre Lanie li guardava andare via preoccupata.

 

 

Kate parcheggiò la macchina all’entrata del parcheggio e cominciò a correre tra le fila delle auto cercando quella di Castle, mentre Ryan ed Esposito facevano la stessa cosa nella direzione opposta.

- Hey Beckett… - La voce di Javier fermo davanti ad una Mercedes la fece subito correre nella sua direzione. Era la macchina di Castle, non ci fu bisogno di forzarla, le portiere erano aperte, a terra c’era il suo cellulare spaccato e dentro non c’era nessuna traccia nè di lui nè di Lily. Kate rimase in piedi impietrita, incapace di muoversi mentre osservava il seggiolino sul sedile posteriore vuoto, con le cinghie tagliate e la copertina e l’elefantino di sua figlia caduti a terra tra i sedili.

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Capitolo 6
*** SEI ***


- Beckett… Kate… - La voce di Esposito si faceva sempre più dolce. Provò a poggiarle una mano sulla spalla ma lei con un gesto del braccio gli fece capire che non voleva. Javier fece un cenno con la testa a Ryan e si allontanarono di qualche passo per chiamare al distretto. Non sapendo nemmeno cosa dire. Era Beckett il suo capitano, quella che avrebbe dovuto prendere le decisioni, quella che era a pochi passi da loro, immobile, a guardare dentro quell’auto, incapace di muovere un muscolo. Si allontanò ancora di qualche passo, più per suo scrupolo personale che pensando che lei potesse realmente sentire o capire qualcosa di quello che stava facendo. Prese una decisione che probabilmente gli avrebbe causato non pochi problemi, ma era quello che riteneva giusto fare.

- Capitano Gates, sono Javier Esposito. C’è un problema. Riguarda Beckett…


Castle che non rispondeva al telefono. Lei che lo aspettava. Lui che non veniva. Una macchina vuota. Nessuna traccia.

Un vortice l’aveva investita ma invece che farla vacillare sembrava averla cementata lì, senza riuscire a farla muovere. Non riusciva a capire nemmeno cosa stesse provando. Non sapeva nemmeno se provava realmente qualcosa. Si sentiva trasportata in un’altra dimensione, le pareva di osservarsi dal di fuori e di non capire. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto piangere. Stava ferma. Quando riprese possesso del suo corpo e non sapeva se erano passati pochi istanti o ore, si inginocchiò davanti allo sportello del sedile posteriore, davanti al quale era rimasta immobile. Sentì il profumo di Lily ancora presente tra le pieghe del seggiolino che non amava per niente, non sapeva se era per quelle cinghie che la tenevano ferma o se perché dietro da sola si sentisse trascurata, lei sempre abituata ad essere al centro della loro attenzione. Allungò la mano per afferrare quello che c’era di lei ma la sua ragione ebbe la meglio e si fermò. Sapeva di non dover toccare nulla. Fece un respiro profondo e si rialzò.

- Chiamate la scientifica. Fate smontare l’auto pezzo dopo pezzo. Trovate qualcosa. - Disse ai due detective con un filo di voce allontanandosi. Davanti alla sua auto si appoggiò sul tetto con le braccia incrociate e lasciò che le emozioni, per qualche istante, la attraversassero come vere scosse elettriche, ma lei si sentiva anestetizzata, come se la sua mente non riuscisse a processare quello che aveva appena visto, come se una parte di se si fosse estraniata e recepisse quella, come una delle tante situazioni che aveva già vissuto negli anni della sua carriera in polizia. C’era dentro di lei un dolore sordo, ingabbiato insieme alla sua paura, in una bolla che non lo metteva in contatto con niente del resto del suo corpo, che non riusciva ad uscire e a manifestarsi. Si sentiva congelata dall’interno, come se le sue emozioni fossero state messe in stand-bye, come una bomba con un timer da innescare.


- Kate… - La voce compassionevole di Kevin la fece rialzare. Si passò una mano sugli occhi, era convinta di aver pianto, ma erano asciutti. Si chiese se era possibile piangere dentro, se era così sarebbe annegata presto. - Forse è meglio se vieni con noi. La macchina la facciamo riportare agli agenti che stanno arrivando con la scientifica.

L’irlandese non disse altro, allungò la mano per farsi dare le chiavi che il suo capitano gli diede senza protestare, ma facendo solo un gesto di assenso con la testa.

Esposito continuava a parlare al telefono ed attaccò proprio mentre i due stavano tornando verso di loro e le prime volanti del distretto arrivavano sul posto.

- Isolate tutta la zona, nessuno deve entrare o uscire da questo parcheggio fino a quando la scientifica non ha finito tutti i rilievi. - Disse Javier agli agenti arrivati sul posto, seguiti da lì a poco dagli uomini della scientifica che si erano subito messi a lavoro.

Beckett osservava in silenzio il via vai dei suoi uomini, seguendo i loro movimenti con lo sguardo, li fissava così a fondo che a volte le immagini sembravano diventare sfuocate per poi ricomporsi. Si rese conto che la sua era una presenza assolutamente inutile in quel momento, ma nemmeno questo servì a farla ridestare da quello stato di inerzia e apatia nel quale sembrava caduta.

- Beckett, torniamo al distretto. Qui ci pensano loro. - Lei lo guardò senza dirgli nulla - Ma se preferisci restiamo qui fino a quando non hanno finito - si corresse l’ispanico.

- No, andiamo. Qui non possiamo fare niente. - Disse accondiscendente e salì dietro in macchina, lasciando i due ai loro soliti posti davanti. Non disse una parola per tutto il tragitto, così come rimasero in silenzio anche i suoi detective. Kate era in stato di shock e non si era ancora ripresa, lo avevano capito.

Impiegarono più del previsto per arrivare al distretto, a causa di un incidente che aveva bloccato la strada senza dargli possibilità di cambiarla e mentre Esposito si innervosiva per non poter raggiungere la loro metà velocemente, Kate seduta dietro, stava con la testa appoggiata al finestrino a guardare le macchine nell’altra corsia che sfilavano ai loro fianchi molto lentamente.

Quando entrarono al 12° c’era più caos di quanto potevano immaginare. Una decina di uomini in giacca e cravatta si muoveva per i corridoi come se fosse casa loro, spostando scrivanie e posizionando altro materiale.

- Cosa sta succedendo qui? Voi chi siete? - Chiese Beckett fermando fisicamente uno di quegli uomini che immediatamente gli mostrò un distintivo. FBI. 

- Cosa volete nel mio distretto? - Lo incalzò, ritrovando il suo piglio autoritario, come se quell’intrusione l’avesse ridestata.

- Ordini superiori. Dobbiamo collaborare ad un caso. - Rispose lui veloce e secco.

- A quale caso? - La voce di Kate si era alzata di almeno un tono.

- Il sequestro del tuo scrittore e di sua figlia - rispose una voce a lei ben conosciuta mentre l’uomo usciva da una delle stanze riunioni che sembrava essere diventata il suo quartier generale.

- Will? Cosa ci fai tu qui? - Beckett ora era veramente indispettita e sembrò sul punto di far esplodere tutta la sua rabbia proprio su di lui.

- Mi hanno avvisato e sono venuto subito. - Disse lui sorridendo, con un atteggiamento che tutti trovarono estremamente fuori luogo, in particolare Ryan ed Esposito.

- Chi ti ha avvisato? - Chiese Kate scandendo bene ogni parola.

- Affari interni, ora scusami, devo finire di sistemare delle cose, poi sono subito da te. - Così rientrò nella stanza e lo osservò un istante dai vetri con le tapparelle lasciate aperte, mentre dava indicazioni ai suoi indicando alcune cose su una lavagna. Poi Kate si voltò a guardare i suoi due detective e gli fece cenno di seguirli nel suo ufficio.

- Chi avete chiamato? - Nella sua voce si mescolavano toni minacciosi e disperati, di chi forse solo in quel momento prendeva consapevolezza della cosa.

- Sono stato io - Disse Javier - Ho avvisato la Gates. Credevo che fosse meglio…

- Credevi Javier? Tu hai deciso, tu hai chiamato. Tu mi hai scavalcato. Sono io il capitano.

- Scusami Beckett, ma sono sempre convinto che non puoi essere tu, adesso, a decidere per tutti quello che dobbiamo fare, in questa situazione.

- Io so quello che posso fare Javier. E so anche quello che non posso fare. Ma sembra che questo fatto, ultimamente, non vi sia molto chiaro.

Sorenson entrò nell’ufficio di Beckett interrompendo quella discussione.

- Kate dobbiamo parlarti - disse Will - vieni di là

Lanciò un’occhiata tagliente ai due prima di seguire Sorenson nell’altra stanza. Si sedette al grande tavolo delle riunioni, segnò su un foglio i numeri di telefono suoi e dei familiari di Rick, del loft, di Andrew, il suo agente, della casa editrice, tutti quelli che le venivano in mente. Will diede un’occhiata al foglio poi lo passò ad uno degli agenti che si mise al lavoro su uno dei computer che avevano appena istallato.

- A chi stava dando la caccia questa volta Castle per finire nei guai? - Le chiese l’uomo accavallando le gambe ed incrociando le braccia in attesa di una sua risposta.

Kate inclinò la testa da un lato, poi la scosse leggermente guardandolo con gli occhi che erano diventati una fessura.

- Cosa stai dicendo Will?

- Sì, insomma, di cosa si stava occupando?

- Di nulla, ha chiuso la sua agenzia di investigazioni dopo quello che è successo l’anno scorso.

- Uhm… sì, ricordo, capisco… Persone con cui aveva avuto discussioni ultimamente? Lui o sua figlia intendo, aveva qualche giro strano la ragazza?

Kate si irrigidì sulla sua sedia, si sporse verso di lui, spostando qualsiasi cosa ci fosse su quel tavolo tra di loro, sbattendo violentemente le mani sul piano.

- È mia figlia Will. Castle è stato rapito con mia figlia, è una bambina di 4 mesi, lo capisci? Hai capito di cosa stiamo parlando?

Sorenson rimase a bocca aperta, balbettò qualcosa di incomprensibile.

- Scusami Kate… Mi avevano detto Castle e sua figlia, ho dato per scontato che fosse - Aprì la cartellina per leggere il nome - Alexis, 23 anni… 

Beckett lo fermò prima che continuasse.

- Non è Alexis. Era con nostra figlia. - Sussurrò appena.

L’uomo si passò una mano tra i capelli mentre eliminava dal suo fascicolo tutta la parte riguardante la figlia maggiore di Castle. Chiamò uno dei suoi uomini e gli disse di fare altrettanto, c’era stato un equivoco e la situazione era totalmente diversa.

- Sai che siamo qui, adesso, solo perché c’è di mezzo tuo marito ed anche tu, adesso, in qualche modo. - Il tono della voce di Will ora era più conciliante e meno sprezzante. - Gli affari interni hanno insistito molto per avere la nostra consulenza e farci prendere parte alle indagini subito, ora capisco perché.

Sorenson chiamò uno degli agenti, gli disse qualcosa e questo tornò poco dopo con un foglio.

- Saltiamo questa parte di convenevoli Will, so come vanno queste cose.

- Bene Kate, se lo sai, sai anche dovrò chiederti delle cose… Quando hai sentito Castle per l’ultima volta?

- Questa mattina, erano forse le dieci, più o meno.

- Ok… Era tutto come sempre? Cioè dico, tra di voi, tutto normale?

- Certo che era tutto normale, dovevamo vederci per pranzo!

- Nulla di strano negli ultimi giorni? Cambiamenti di umore, abitudini…

- Dove vuoi arrivare?

- Ufficialmente non può essere considerato un rapimento, lo sai Kate. Sono passate poche ore, la bambina era con suo padre. I danni all’auto e al cellulare non bastano. - Disse Sorenson cercando di essere il più calmo possibile, sapeva bene che quel discorso avrebbe fatto saltare i nervi a Kate, la conosceva bene

- Allora che ci fate tutti quanti voi qui? - Chiese infastidita

- Vogliamo aiutarti. In questi casi, solitamente, la cosa più probabile è la sottrazione di minore da parte di uno dei genitori. - Beckett lo interruppe subito

- Non ti permetto di insinuare certe cose su Castle, Will, non ti devi permettere.

- Non sto insinuando niente, Kate. Ti sto dicendo la soluzione più rapida per poter indagare senza avere le mani legate. - Gli mise davanti il foglio che gli avevano portato poco prima - Una denuncia per sottrazione di minore. È la via più veloce, lo sai.

- Secondo te, io adesso dovrei denunciare mio marito che è scomparso di aver rapito nostra figlia?

- Sì, dovresti. Ci permetterebbe di indagare più agevolmente. - Rispose lui calmo

- Ho i miei uomini, ho il mio distretto dove ti ricordo che tu sei ospite, quindi no, grazie. Faccio da sola. - Si era già alzata quando lui la richiamò.

- Kate… ti ricordo che tu sei il capitano della omicidi. Non credo che vorresti indagare su questo caso. E le sparizioni di minori sono in ogni caso competenza della nostra agenzia. Per come stanno le cose adesso, sei tu che dovresti chiedermi di poter collaborare alle indagini e non il contrario. Se sono qui e lavoriamo da qui, è per fare un favore a te, non certo a me.

Beckett tornò indietro e guardò il foglio. Prese la penna in mano e le sembrava di stare per pugnalare suo marito alle spalle. Era però convinta che lui avrebbe capito, anzi che lui le avrebbe detto di fare esattamente così, come lei avrebbe detto a lui a parti inverse. Firmò quel foglio senza nemmeno guardarlo, facendo sbattere la penna sul tavolo, poi si avvicinò a Sorenson, tanto da essere a pochi centimetri dal suo viso.

- Non deve uscire una parola di questa storia da qui. Se qualcosa viene fuori Castle sarà marchiato e rovinato a vita ed io ti giuro che appena li troverò poi te la farò pagare a te, Will, sono stata chiara?

- Non ti preoccupare Kate. Non mi piace il tuo scrittore, non mi è mai piaciuto da quando ti dicevo che era cotto di te e tu non mi credevi, ma sono sicuro che non sia colpa sua, credimi.


Appena uscì dalla sala riunioni trovò Esposito con una tazza di caffè e gliela porse

- È decaffeinato, sai da quando sei andata in maternità non lo ha più bevuto nessuno…

- Già, non è un granchè…

- Non credo che però adesso hai bisogno di caffeina. - Fece una pausa mentre lei prendeva la tazza - Scusami Beckett. Ero solo preoccupato per te.

- Lo so. Però…

- Ti dovevo informare prima, lo so.

- Sì, ma hai fatto bene.

Intanto dalla porta lasciata aperta sentirono le conversazioni di Sorenson e degli agenti all’interno. “Richard Castle, 48 anni, maschio, bianco, 1,88 è con una bambina di 4 mesi, Lily Castle, capelli scuri presumibilmente vestita nel momento della sparizione con una vestitino bianco e rosa. In caso di segnalazione o avvistamento intervenite solo e soltanto quando siete sicuri di non mettere a repentaglio la salute di nessuno dei due…”

- Beckett, cosa vuol dire tutto questo? Castle? - Chiese Esposito incredulo.

- Sottrazione di minore. Per Sorenson è l’unico modo per cominciare le ricerche subito.

- E tu hai acconsentito? - Esclamò stupito il detective

- Castle avrebbe fatto lo stesso per Lily. - Bevve un sorso di caffè e poi ridiede la tazza ad Esposito, aveva lo stomaco chiuso e la nausea.

- Hai avvisato Martha e Alexis?

- No… 

Non ci aveva pensato. Le era completamente passato di mente di doverle avvisare e poi avrebbe dovuto chiamare anche suo padre. Doveva, sapeva che doveva farlo ma non trovava la forza di dire e raccontare quanto accaduto, come se parlandone diventasse più reale di quanto la sua mente non lo rendesse tale, minuto dopo minuto.

Chiamò come prima cosa Alexis e non fu facile gestire per telefono l’ansia della figlia di Rick, le sue domande incalzanti alle quali non aveva nè voglia nè forza di dare una risposta, ma cercò di farlo al meglio che poteva, senza lasciarsi trascinare a fondo e contagiare dalla sua ansia e paura, che erano le stesse che ancora riusciva a tenere chiuse dentro di se, ma sentiva che la loro gabbia si stava incrinando sempre di più. Fu più facile parlare con suo padre, con lui bastavano poche parole, comprese la sua sua angoscia che voleva nascondere per non gravare di più sulla figlia, ma non le disse altro. Fu lei a sorprenderlo con una richiesta per lui insolita, se poteva raggiungerla al loft.


- Katherine, tesoro sei tu? Pensavo fosse Richard che tornava con Lily dal parco! Sei uscita prima oggi… - Martha la accolse a casa con un caloroso abbraccio, senza far minimamente caso al suo umore. Solo quando la lasciò e si accorse che non aveva nemmeno risposto al saluto la guardò con aria interrogativa - Katherine, va tutto bene?

- Martha, siediti, per favore. Ti devo dire una cosa… 

L’attrice si portò le mani davanti alla bocca mentre indietreggiava verso il divano.

- Richard, non è vero?

Kate si sedette vicino a lei e le prese la mano.

- Doveva venire a pranzo da me al distretto oggi, con Lily. Ma è da questa mattina che non lo sento. Abbiamo rintracciato il suo cellulare, era in un parcheggio, vicino alla sua macchina a East River. L’auto era aperta, il cellulare distrutto. Non sappiamo dove sono, nè Rick nè Lily… - Kate sospirò e disse le ultime parole con la voce incrinata dal pianto che sembrava voler prepotentemente farsi strada. Martha con gli occhi lucidi le accarezzò il volto e non vide il capitano di polizia, nè la donna forte che aveva sempre conosciuto. Era una madre, come lei, con le stesse paure e le stesse angosce che strisciavano vili dentro di loro. 

- Ho avvisato Alexis - le disse asciugandosi una lacrima, solo una, che aveva lasciato incustodita - Ha detto che avrebbe preso il primo aereo.

- Tuo padre? Hai chiamato Jim? - Si preoccupò Martha

- Sì, gli ho detto di venire qui… Non è un problema, vero?

- Stai scherzando Katherine? Hai fatto benissimo. È casa tua questa, non te lo dimenticare.

Kate, invece in certe occasioni sembrava dimenticarselo. Quando non c’era Castle. E non perché lui fosse uscito e dovesse tornare, si sentiva come quando lui era sparito per quei due mesi. Era apolide. Il loft era casa sua, la sentiva sua solo quando c’era lui. Quando lui non c’era, allora no, non la sentiva più casa sua. Nessun luogo era casa se Castle non c’era ed era ritornata a sentirsi immediatamente così, ospite in qualcosa che non era suo, perché mancava lui.

- Io… mi dispiace non avertelo detto prima ma… adesso tutti i nostri telefoni sono sotto controllo, per sicurezza.

- Non ho niente da nascondere, mia cara, non ti preoccupare di questo. Ma perché? Cosa è successo?

- Non lo so Martha… non sappiamo nulla, non mi ha contattato nessuno. Non lo so… io non lo so veramente…

Il suono del campanello le fece sobbalzare. Inutile dire che entrambe speravano che fosse qualcuno che nella loro razionalità non poteva essere. Kate si alzò per andare ad aprire e si sforzò di sorridere all’uomo dall’altra parte della porta.

- Katie…

- Papà…

Come al solito le parole furono poche. Martha si alzò e si offrì di preparare un caffè a Jim mentre Kate gli disse che sarebbe andata a cambiarsi.


Jim bevve il suo caffè in silenzio, mentre Martha provò a farsi forza con una più forte vodka, poi incoraggiò l’uomo a raggiungere Kate, che non era ancora uscita dalla camera. Bussò, ma la porta era aperta. La trovò rannicchiata sul letto, con le ginocchia al petto mentre stringeva tra le mani la coperta della culla di Lily, guardandola impassibile. Jim le si avvicinò e si sedette sul bordo del letto vicino a lei. La abbracciò e solo allora Kate si lasciò andare, tra le braccia di suo padre, ad un pianto disperato ed inconsolabile, come solo un’altra volta aveva fatto in tutta la sua vita, mentre lui le accarezzava la schiena e le ripeteva che sarebbe andato tutto bene e Martha, appoggiata alla muro fuori dalla porta della camera, sentiva solo i singhiozzi soffocati di Beckett e non riuscì a trattenere i suoi.

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Capitolo 7
*** SETTE ***


Jim tenne sua figlia stretta a se fino a quando non sentì i suoi singhiozzi attutirsi ed il suo respiro diventare più lento e meno convulso. Non si stava rilassando, era solo stremata. Poi Kate trasformò quell’abbraccio che sapeva più di un appiglio per non affondare nell’appoggiarsi su di lui per riprendere fiato. Sentì quanto suo padre in quel momento era piccolo e forte allo stesso tempo. Le sue braccia non l’avvolgevano morbide e protettive come quelle di Castle, era una stretta ferma e decisa, ma tenera, di chi saldamente la voleva tenere e non lasciarla andare a fondo, come lei aveva fatto con lui. Sentiva, Jim, di non aver mai fatto abbastanza per Kate dopo la morte di Johanna, che era stato sempre lui ad appoggiarsi a lei e lei ad essere forte per entrambi e non era mai riuscito a farle capire realmente quanto l’amasse e fosse importante per lui. Loro non comunicavano molto con le parole e forse questa era sempre stata una scusa per non dirsi le cose, per non far uscire i loro sentimenti nascosti dietro ai muri che si erano costruiti. 

Eppure per Jim, Kate, la sua Katie, era la cosa più importante al mondo. Più di qualunque altra e la cosa che lo rattristava di più è che lei non lo avesse realmente mai capito, che non avesse capito quanto nella sua depressione dopo l’omicidio di sua madre non c’era solo il dolore per la perdita per la donna della sua vita, ma anche quello per non essere in grado di sopportare e supportare come avrebbe voluto la loro figlia. Vederla adesso annientata, stringere la coperta della sua bimba lo riportò alla mente ad un anno prima, quando tutto era stato, per un attimo, nelle sue mani…

 

“Signor Beckett, c’è una complicazione, le dobbiamo parlare”. Quella frase risuonò nella mente di Jim a lungo, come un riverbero che lo anestetizzava, era ancora tutto così vivo nella sua mente che gli sembrava il giorno prima e non un anno. Seguì il medico in una sala appartata, senza finestre, illuminata solo di fredde luci al neon. Non era pronto a sentirsi dire quello che immaginava volessero dire quelle parole, non la sua Katie. Quello che seguì fu inaspettato, ma non meno difficile. “Sua figlia è incinta, lo sapeva?”. Non rispose, non ci fu bisogno perchè la sua espressione bastò al medico per capire che no, non lo sapeva. “Vede signor Beckett, la situazione è critica. Noi potremmo essere chiamati a fare delle scelte, ma dobbiamo essere autorizzati da un familiare, qualunque queste siano. Suo marito non è in grado di prendere alcuna decisione per la salute del Capitano Beckett quindi è lei il suo parente più prossimo…” il medico fece una pausa, Jim aveva già capito però cosa gli voleva chiedere. “… Deve dirci lei cosa e chi…” “Katie. Pensate a Kate”. Lo disse di getto, non ci aveva nemmeno pensato, sapeva che non lo avrebbe fatto. Il medico annuì e lo lasciò solo in quella stanza dove si lasciò andare sedendosi su una panca con le gambe troppo deboli per sostenerlo. Guardò la parete che un tempo doveva essere bianca davanti a lui con dei poster attaccati che non riusciva nemmeno a leggere: mille domande fluttuavano nella sua testa, chissà se Kate lo sapeva, se lo aveva detto anche a Rick o se non ne erano a conoscenza e lui era stato il primo a saperlo e a dover decidere. Lui che era sempre entrato in punta di piedi nelle loro vite era stato costretto a farlo, adesso, in modo irruente e precipitoso, senza poter pensare a cosa avrebbero fatto loro, lasciandosi guidare solo dal suo sentimento di padre che portava tutto solo a lei, Katie, quella che sarebbe comunque sempre stata la sua bambina, alla quale sperava di aver salvato la vita, pronunciando il suo nome, ma che temeva potesse distruggerla quando avrebbe scoperto la verità. Il medico era stato chiaro, le possibilità erano poche, quasi nulle ed il responsabile sarebbe stato lui. E sarebbe stato lui a doverlo dire ad entrambi, pronto a prendersi le loro urla ed anche il loro odio, ma senza pentirsi di aver scelto la sua priorità, Katie.

Era rimasto ore lì seduto da solo, mentre Martha e Alexis si trovavano in un altra sala con gli amici e colleghi di Rick e Kate. A loro no, non avrebbe detto nulla. Non era giusto, riguardava solo sua figlia e suo marito, nessun altro. Fu Lanie ad andarlo a cercare per comunicargli che avevano finito di operare Rick, che era andato tutto bene ma avrebbero sciolto la prognosi solo dopo le successive 24 o 48 ore per dichiararlo completamente fuori pericolo. Di Kate, invece, ancora nessuna notizia ed attese altre ore prima che tornasse il medico con cui aveva parlato prima. “Probabilmente è un miracolo, non lo so, ma per ora sono vivi entrambi”. Quella frase fu liberatoria e una nuova spada di Damocle sulla sua testa. “Per ora” voleva dire tutto e nulla, ma si sforzava di vedere la cosa positiva, sua figlia era viva ed avrebbe combattuto come sempre, per se stessa e inconsapevolmente anche per suo figlio.

Raggiunse la camera di Kate senza poter entrare, la guardava dal vetro lottare immobile. Jim le avrebbe voluto dirle che doveva lottare di più e con più forza adesso, perché doveva lottare per due. Lui e Martha, due genitori, soli, erano in quei giorni entrambi fuori da una stanza in un ospedale, a pochi metri di distanza, a vedere i loro figli combattere per la loro vita e provò un po’ di invidia quando il medico disse alla donna che Rick era fuori pericolo e si sarebbe svegliato presto.

Fu così.

La prima cosa che fece fu chiedere di sua moglie, la prima parola che pronunciò fu il suo nome: Kate. Fecero passare un paio di giorni prima di parlargli delle sue reali condizioni, il medico di Castle volle aspettare che si fosse stabilizzato prima di sottoporlo a qualcosa che avrebbe potuto generargli altro stress ad un fisico ancora debole.

Poi una sera, quando ormai tutti erano già andati via, ottenne di poter rimanere oltre l’orario di visita, per poterci parlare in solitudine. Di una cosa Jim era assolutamente sicuro, se c’era un uomo che amava sua figlia quanto lui, era quello che aveva davanti e sperò che questo bastasse per far sì che potesse capire le sue decisioni.

Avvicinò la sedia di legno al letto di Castle che era stupito della visita del suocero, soprattutto a quell’ora. Aveva appena mangiato qualcosa di molliccio ed insapore, protestò. Jim sorrise, era un buon segno. “Si tratta di Kate, vero? Non mi stanno dicendo la verità, lo so.” Gli disse Rick tornando serio.

“Ci sono state delle complicazioni, Rick, qualcosa che nessuno immaginava, almeno credo, che ha creato alcuni problemi e mi hanno chiesto di fare delle scelte” Castle ascoltava attentamente Jim, impaurito di chiedere qualsiasi cosa. “Kate è incinta. Voi lo sapevate?” Jim vide il volto sbigottito di Rick e questo bastò come risposta. In qualche modo sapeva che era così, perché era certo che sua figlia non avrebbe rischiato di finire in situazioni così pericolose se lo avesse saputo. 

“Come sta Kate? E il…” non finì la frase, era ancora troppo, per lui, da metabolizzare in quel momento. “Il dottore mi ha detto che è un miracolo, ma sono vivi entrambi. Però sono ancora in una fase critica, Kate non è fuori pericolo ancora.”

Rick annuiva ma Jim non sapeva se realmente lo stava ascoltando, poi ne ebbe la conferma. “Che scelte hai dovuto fare Jim?”. Era la domanda che temeva di più, ma alla quale sapeva di dover rispondere, perché era giusto che sapesse. “Katie. Pensare prima a Katie”. Castle chiuse gli occhi, e si appoggiò al cuscino. Annuì con la testa e strinse la mano di suo suocero e Jim seppe che aveva capito. Gli chiese di non dirlo a nessuno, che nessun altro avrebbe dovuto saperlo prima di Kate e glielo avrebbe detto lui. 

 

 

- Ti voglio bene Katie… - Le sussurrò tra i capelli. E fu tutto quello che seppe dirle, prima di uscire e lasciarla sola.

Rimase in camera, sola, come sarebbe stata anche se ci fossero state mille persone intorno a lei. 

Sentì la porta aprirsi e la voce di Alexis che faceva domande a Martha e Jim e chiedeva di lei. Ma Kate non se la sentì, in quel momento di uscire e ringraziò che Martha avesse capito la situazione, dicendole che aveva bisogno di riprendersi.

Cercò la maglia di Castle sotto il cuscino e ringraziò che non l’avesse messa tra i panni da lavare e che c’era ancora il suo profumo sopra. Il profumo di casa, insieme a quello di Lily. Poi lo sguardo si posò sulle loro foto ed in uno scatto d’ira le avrebbe volute in quel momento buttare tutte, perché in tutte lo vedeva che gli sorrideva e lei quel sorriso lo voleva avere lì, per baciarlo e lo voleva stringere, come faceva lui in ogni foto, e voleva tenere stretta anche Lily nel loro abbraccio ed addormentarsi tutti e tre insieme nel loro letto, fregandosene se poi lei si sarebbe abituata così e lo avesse voluto fare sempre. E scorrendo con lo sguardo tutte le foto, finì su quella scattata di sfuggita il giorno del loro matrimonio, quando ballavano, insieme.

Con lui molte volte era stato come danzare, in mezzo ad una sala affollata, solo che la musica del loro amore la sentivano solo loro due mentre gli altri li guardavano increduli e lei, forse per la prima volta nella sua vita, di quegli sguardi non aveva imbarazzo. Castle era stato anche questo: qualcuno che le aveva ribaltato gli schemi, i punti di osservazione e l’aveva fatta sentire a volte più leggera e libera di affidarsi solo alle proprie emozioni e viverle. Gli aveva detto più volte che aveva portato un sorriso ed un po' di leggerezza nel suo lavoro difficile e duro ed in realtà lo lo aveva fatto direttamente nella sua vita approfittando di quei piccoli spiragli di luce che solo lui riusciva a vedere nel suo muro e ci si fiondava per lanciare il suo assedio dove vedeva le resistenze meno efficaci.

Poi, di solito, danzavano quando erano soli. Ed era il momento più bello, quello fatto di sguardi e silenzi, di mani sfiorate e di piccole cose che rendevano tutto perfetto, oltre tutto il resto. Aveva temuto all’inizio, che quella danza potesse fermarsi e la loro musica finire, che era solo l’infatuazione del momento, per quel sentimento covato a lungo e poi esploso, che faceva vedere il mondo con Richard Castle un luogo diverso e magnifico. Per la paura di essere risvegliata dal suo sogno aveva preferito lei fare un brusco risveglio, avrebbe sofferto meno, pensava, quando ancora le sembrava possibile che per lei potesse esistere una vita senza di lui. Illusa. Era stato di nuovo lui a prenderla per mano, letteralmente, riportandola nel loro mondo, dove le aveva promesso che avrebbero ballato per sempre e la loro musica non sarebbe mai finita. 

Capì che non era vero, però, che la musica poteva finire, all’improvviso, ma di nuovo Castle le insegnò che loro per continuare la loro danza ormai non avevano più bisogno della musica, dovevano solo chiudere gli occhi e continuare a farlo fino a quando non sarebbe ripresa, lì dove si era interrotta. Lo avevano fatto più volte, avevano ballato insieme in silenzio anche a distanza, anche separati, nel loro mondo, senza mai cedere. Ma adesso non sapeva se ci sarebbe riuscita ancora. Non sentiva la musica e le gambe erano ferme, incapaci di muovere un passo nel loro mondo per il terrore che di fatto, quel mondo, non ci fosse più.

Sentiva una fredda sensazione di solitudine e vuoto, un angoscioso silenzio totalizzante che non lasciava spazio a nulla, nemmeno al dolore. Non era il tempo del dolore e sperava che non lo sarebbe mai stato. Era il tempo della paura, dell’ignoto, dell’essere sospesa e del non sentirsi nemmeno capita, perché sembrava che tutti volessero altro da lei, che fosse quella lei che conoscevano loro, che fosse Beckett, il capitano, quella che prendeva in mano la situazione e come diceva Castle, buttava giù le porte a calci e rincorreva i criminali per le strade di New York con i tacchi alti. Le sembrava di non trovarsi più ed era frustrante perché avrebbe voluto andare al distretto, stare lì tutta la notte e tutti i giorni e le notti seguenti fino a quando non li avrebbe riportati a casa, in un modo o in un altro, ma non ci riusciva e si arrabbiava con se stessa e con gli altri, con chi sembrava non capire e nemmeno accettare le sue paure.

Uscì timidamente dalla loro camera e trovò seduti sul divano Martha, suo padre ed Alexis. Si voltarono a guardarla come se avessero visto un fantasma e forse il suo aspetto doveva ricordarlo parecchio, con quella lunga tshirt bianca sopra un paio di leggins dello stesso colore. Martha lasciò le mani della nipote per farle spazio tra loro, ma Kate si accomodò nella poltrona libera, davanti a dove era suo padre, osservò i cartoni della pizza aperti sul tavolo dove mancavano solo pochi spicchi, segno inequivocabile che non era l’unica ad avere lo stomaco chiuso.

- Mangia qualcosa Katherine - la esortò Martha, ma lei rifiutò scuotendo appena la testa, non aveva nemmeno voglia di parlare. Incrociò un paio di volte lo sguardo impaurito e diretto di Alexis e non riuscì a sostenerlo.

- Cosa è successo Kate? Perché mio padre e mia sorella sono spariti? - Chiese la ragazza glaciale. Beckett sollevò la testa, ora sì a guardarla, si sentì investita dal freddo delle sue parole. Alexis non era una che parlava a caso, se le aveva detto quello era perché aveva pensato di dirle esattamente quello: “mio padre e mia sorella”, lei ne era fuori, glielo aveva chiesto come se fosse una cosa che non la riguardasse, come se stesse parlando con un estranea, con qualcuno che doveva solo risolvere il caso, nulla di più.

- Non lo so, Alexis, non lo so… - le rispose afflitta.

- E perché stai qui senza fare nulla eh Kate? Perché non stai cercando papà e Lily? Perché siamo tutti qui, intorno ad un tavolo a guardare dei cartoni di pizza che nessuno mangerà? - Sbottò la Alexis urlando sorprendendo Martha ma lasciando impassibili i due Beckett.

- Non posso fare nulla. Non è un mio caso, se ne sta occupando l’FBI. - Kate non ingaggiò un duello dialettico con la figlia di Rick. La lasciò urlare e le rispose allo stesso modo di prima, con un filo di voce e senza voglia di parlare.

- E da quando in qua è un problema questo per te? Da quando lasci che sia cosa è tuo o cosa no per indagare? Doveva essere tutto diverso! Papà aveva detto che sarebbe cambiato tutto, ed invece siamo sempre qui, dopo un anno, a dover sperare in non so nemmeno più cosa, sempre allo stesso punto, sempre a vivere in attesa di sapere che andrà tutto bene. Per quanto poi eh Kate? Se torneranno quando sarà la prossima volta che dovremo essere di nuovo qui così? 

Kate si prese le sue accuse abbassando la testa senza rispondere, in realtà non aveva nulla da dirle, nulla che le potesse dire avrebbe cambiato la sua percezione della situazione e lei non credeva nemmeno che fosse così sbagliata, anzi aveva ragione. Doveva cambiare tutto, non era cambiato nulla.

- Alexis, non sarà urlando a Katherine che risolveremo qualcosa. - La riprese Martha.

- Nemmeno se stiamo tutti qui senza fare nulla! - Le rispose la nipote.

- Ora basta Alexis! - Fu Jim adesso ad alzare la voce attirandosi gli sguardi stupiti delle tre donne. - Tuo padre è suo marito, tua sorella è sua figlia. Ti auguro di non scoprire mai cosa si prova.

Kate fu la più sorpresa delle tre a sentir suo padre parlare così, soprattutto per aver preso le sue parti in maniera così decisa ed autoritaria: non si era mai intromesso in nessun modo nella vita sua e di Rick, aveva sempre mantenuto con Martha ed Alexis un comportamento cortese e rispettoso, senza mai dare giudizi o consigli non richiesti, al contrario della madre di Rick. Lì, però era scattato qualcosa in lui, lo aveva visto dal suo sguardo e dalle mani che avevano stretto forte i braccioli della poltrona ed era solo il padre che difendeva sua figlia nel momento in cui la vedeva più debole e spaurita.

- Papà, non ti preoccupare… - Gli disse per non far degenerare la situazione ma ad interrompere quel momento di tensione tra i quattro ci pensò il suono del campanello del loft.

I loro sguardi si incrociarono per qualche istante, poi fu Kate la prima ad alzarsi ed andare ad aprire, seguita a ruota dagli altri tre che le rimanevano qualche passo indietro. Dietro alla porta Esposito, Ryan e Lanie.

- Ciao Beckett… - la salutò l’ispanico con la faccia tesa ed una smorfia che faceva fatica a trattenere.

Kate lo guardò senza dirgli nulla, spostò lo sguardo su Kevin e Lanie tutti ugualmente seri e tesi, poi guardò di nuovo Javier, scuotendo la testa.

- No… - disse con un filo di voce intrisa di terrore e solo Lanie capì quello che le stava passando per la mente in quel momento e si fece avanti passando oltre i due detective andando ad abbracciarla.

- Tesoro, no, tranquilla. Volevamo solo vedere se avevate bisogno di qualcosa…

- Scusaci Beckett… nessuna novità… - disse Ryan appena si accorse anche lui di quanto quella visita a quell’ora potesse essere male interpretata.

Martha e Alexis alle sue spalle tirarono un sospiro di sollievo, mentre Kate si lasciava abbracciare da Lanie.

- Detective, volete della pizza? - Chiese Martha ai Kevin e Javier facendogli cenno di seguirla e i due obbedirono all’attrice, lasciando così sole le due amiche.

 

Kate entrò nella sua stanza, seguita da Lanie che chiuse la porta per avere un po’ di tranquillità sola con lei. La osservò camminare per la camera con le braccia incrociate sul petto e fermarsi davanti alla culla di Lily, accarezzandone il bordo rivestito. La dottoressa si sentì straziata davanti all’immagine della sua amica che in quel momento era solo una madre davanti ad una culla vuota.

- È devastante Lanie… - si confidò alla fine senza togliere lo sguardo dalla culla mentre la sua amica le era vicino, cingendole la vita con un braccio, per darle come poteva il suo supporto e farle capire che non era sola. - … Non so nemmeno cosa sto provando. È qualcosa che non sono in grado di affrontare.

- Sì che lo sei Kate, puoi affrontare tutto e devi farlo.

- Sono passate 12 ore, non si è fatto sentire nessuno. Nessuno ha chiesto nulla. Lo sai anche tu cosa vuol dire questo…

- Non devi pensare a queste cose. Non adesso.

- Sono un poliziotto Lanie! So come vanno queste cose.

Lanie la strinse un po’ di più, costringendola a lasciare la culla e fare qualche passo indietro, verso il bordo del letto, dove si sedettero e Kate afferrò subito la coperta di Lily che aveva lasciato lì da prima, stringendola tra le mani quasi giunte in preghiera.

- Se c’è una persona che conosco che ce la può fare adesso se tu, Kate. - Le disse mettendo una mano sopra le sue, obbligandola ad abbassarle.

- Mi sopravvaluti e non solo tu. Tutti si aspettano altro, Alexis credo che mi odi e pensa che sia colpa mia.

- Non è colpa tua, Kate, andiamo!

- Non lo so… Mio Dio, era così felice Castle questa mattina, tutto eccitato all’idea di andare a fare shopping con Lily ed io gli ho anche detto che stava esagerando rimproverandolo. È l’ultima cosa gli ho scritto e che lui ha letto…

- E tutto il resto glielo dirai appena lo ritroverai.

- Loro sono tutta la mia vita Lanie. Sono tutto…

Nemmeno la dottoressa trovò parole per replicare, a lei che di solito non mancavano mai. Non sapeva cosa dire per non sembrare stupida e banale. Lasciò che Kate appoggiasse la testa sulla sua spalla per qualche secondo, mentre combatteva la sua lotta interiore per non crollare di nuovo. 

Alla fine Kate le disse che preferiva rimanere lì da sola e la salutò: sentì dopo poco i tre congedarsi anche dagli altri ed uscire. Riconobbe il passo rapido di Alexis che saliva le scale per andare in camera sua e quelli più lenti di suo padre e Martha vagare per il loft. Sarebbe stata una lunga notte…

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Capitolo 8
*** OTTO ***


Kate non dormì quasi mai quella notte. Ogni volta che chiudeva gli occhi e le sembrava di essere vinta dalla stanchezza nella sua mente tornavano solo prepotenti gli incubi dei suoi giorni peggiori con una sola differenza, non era lei a morire, ma era quella che rimaneva sola, in una stanza che diventava sempre più buia e sempre più stretta, con le pareti che si avvicinavano e la intrappolavano, mentre l’oscurità inghiottiva Rick e Lily cancellandoli dalla sua vista. E urlava e non aveva voce per farlo. E si sentiva la gola bruciare dallo sforzo di urlare la sua disperazione che rimaneva intrappolata dentro di se, come se fosse anche incapace di dire al mondo quanto stava male. Era un’angoscia muta, una paura così grande da non riuscire nemmeno a spiegarla.

Quando apriva gli occhi si alzava di scatto nel letto e si voltava da una parte e dall’altra, sperando che fosse solo un sogno. Ma non lo era. Era sola.

Andò in bagno e si mise sotto la doccia, lasciando che l’acqua, che scorreva forte sul suo corpo, coprisse anche le lacrime che si concedeva di far uscire. Pensava a se stessa, alla visione che avevano gli altri di lei, che doveva essere sempre quella forte, quella determinata, quella che trasformava il suo dolore in rabbia e grinta per andare avanti. Non sapeva, però, se era più quella. Lo era stato, per tanto tempo, per tanti anni, ma poi Castle aveva lentamente scardinato il suo muro dietro quale nascondeva i suoi dolori e le sue paure, l’aveva messa a nudo, innanzi tutto a se stessa, pezzo dopo pezzo ed ogni volta, rialzarsi e combattere era stato sempre più difficile. Glielo aveva fatto fare la forza della disperazione nel non arrendersi quando a Washington doveva trovare l’antidoto per salvarlo ed era stato ancora più difficile combattere quando lui era sparito, in quei due mesi in cui sola contro il mondo si ostinava a credere in lui, nonostante tutto dicesse il contrario. Era stata una violenza fisica doverlo lasciare con la scusa che era solo per il suo bene e per proteggerlo, quando le mancava come l’aria. Quanto tempo buttato, sprecato.

Dopo la nascita di Lily, poi sapeva di aver fatto un altro passo avanti e lasciato altre scorie alle spalle, Rick glielo ripeteva spesso, che sarebbe stata la loro piccola despota a farla cedere del tutto, lei obiettava ma sapeva che aveva ragione.

Ma quella Kate, era la Kate solo di Castle e di Lily.

Per tutti gli altri era sempre Beckett e in quel giorno si era resa conto come per tutti era sempre la stessa Beckett, anche per i suoi amici più cari. Era schiava di quella figura che si era abilmente costruita negli anni, per non prestare il fianco alle debolezze, agli attacchi, per essere impassibile ed impenetrabile, quella corazza che in poche occasioni aveva tolto e si era lasciata vedere scalfita e ferita. Così ora doveva essere Kate quella forte, quella che incurante del suo mondo che le cadeva intorno doveva andare avanti, si aspettavano questo da lei. Tutti. Ripensò alle parole di Alexis, anche lei la vedeva così, come quella che doveva fare qualcosa. Non era la madre di Lily e la moglie di Rick. Era Kate Beckett e doveva fare qualcosa, perché lei questo faceva, prendeva le situazioni di petto ed agiva, incurante dei suoi sentimenti. Questo era quello che pensavano tutti di lei, perché questo era quello che lei aveva sempre mostrato a tutti. Sentiva come se non le fosse concesso nemmeno di aver paura, di non saper cosa fare o di aver paura di fare qualsiasi cosa. Uscì dalla doccia e si guardò allo specchio cercando qualcuno che non vedeva più o che non voleva vedere. Vedeva il suo corpo, nudo, cambiato, segnato ed ogni traccia sulla sua pelle l’avevano portata ad essere quello che era ora, una donna vulnerabile, una madre ed una moglie, prima che un capitano della polizia di New York. Questo era quello che vedeva lei, quello che vedeva solo lei. Si passò le mani tra i capelli lunghi e bagnati, sentendo l’acqua che si staccava scorrere sulle dita. Si pettinò a lungo, fissando la sua immagine allo specchio, come se ogni colpo di spazzola insieme all’acqua che schizzava via dovesse eliminare anche uno strato di se. Chiuse gli occhi e poggiò le mani sul bordo del lavandino, stringendolo forte come se volesse staccare la base di marmo dal resto e farla diventare creta morbida tra le mani. Respirò, lentamente e profondamente e quando aprì di nuovo gli occhi non si guardò più. Legò i capelli in una coda alta, tornò in camera, accese tutte le luci fino a rimanere abbagliata. Si vestì, con foga, jeans, maglietta, stivali ed un giacchetto di pelle. Prese distintivo e pistola che mise dietro i pantaloni e pochi altri effetti personali. Chiavi, soldi, cellulare, tutto nelle tasche della giacca. 

Uscì dal loft che era ancora notte.

 

 

- Voglio sapere cosa state facendo. E lo voglio sapere ora. - Era arrivata al distretto, entrata nella sala delle riunioni che era diventato il quartier generale dell’FBI per quel caso.

- L’agente Sorenson non c’è, non so se sono autorizzato a dirle qualcosa. - Rispose un altro agente presente in quel momento.

Kate si allontanò e prese il cellulare per chiamare Will

 

- Beckett! Che succede è notte fonda. - Disse la voce assonnata del suo ex dall’altra parte del telefono.

- Voglio sapere cosa sta accadendo e nessuno mi dice nulla. Quindi o vieni qui e mi dici tutto tu, o dici ai tuoi di informarmi.

Fu una conversazione breve, perché in pratica non c’erano novità. Nulla. Nessuna traccia, nessuna richiesta. Aspettavano solo i risultati della scientifica per vedere se nell’auto o nel parcheggio c’erano tracce particolari. Avevano anche sequestrato le telecamere esterne di alcuni edifici lì vicino, ma la zona dove era parcheggiata la macchina di Castle era in un cono d’ombra per tutti i dispositivi. Si vedeva solamente quando la macchina arrivava, ma nulla più, nè niente all’interno. Guardò e riguardò quei video decine di volte. All’ennesima visione si alzò di scatto dalla sua postazione ed andò nella sala riunioni.

- Toyota Corolla, blu, vetri oscurati targata di New York EV1110 - Kate andò da un agente al computer e gli sbattè davanti una schermata del video stampata.

- Cosa è Capitano Beckett? - Chiese calmo

- Questa auto esce dal parcheggio 4 minuti dopo che il cellulare di Castle smette di funzionare e viene dalla stessa zona d’ombra dove era parcheggiata la sua auto. Era arrivata lì circa 15 minuti prima di lui. - Lui sembrava non capire.

- È una macchina che non dà nell’occhio se non per i vetri oscurati che non sono usuali, ma è un’auto che passa inosservata, ce ne sono decine, centinaia di migliaia in città! - Era spazientita che non capivano l’ovvio.

- Cosa dobbiamo fare?

- Trovatela. Voglio sapere tutto. Dell’auto, dei suoi spostamenti e del suo proprietario. - A Kate non importava che quegli uomini fossero dell’FBI e non i suoi. Aveva trovato qualcosa, poteva essere un buco nell’acqua, ma per ora aveva questo tra le mani e non l’avrebbe lasciato per niente al mondo.

L’agente inserì i dati nel computer ed apparve subito la schermata relativa al suo proprietario.

- Emma Vladic, 33 anni non sposata, nessun figlio. Lavora come centralinista per una società che vende pizze surgelate. Qualche piccolo precedente per possesso di droga anni fa e fermata un paio di volte per guida in stato di ebbrezza. - L’uomo le lesse diligentemente la scheda

- L’indirizzo. - Chiese perentoria

- Ma non abbiamo nulla…

- Dammi l’indirizzo. - Visto che quello non rispondeva, girò il foglio che aveva stampato prima e ci appuntò sopra l’indirizzo copiandolo dallo schermo ed uscì dalla stanza e dal distretto. Quello prese subito il telefono e chiamò il suo superiore.

- Agente Sorenson… Sono Clark, c’è un problema… Il Capitano Beckett ha trovato un indizio, una sospettata ed è andata da sola a prenderla.

 

Kate tornò al distretto poco più di un’ora dopo. Aveva fatto quello che tutti volevano da lei. Aveva agito. Era andata a casa della Vladic, da sola, l’aveva presa e portata al distretto. Quando la pattuglia mandata in appoggio da Sorenson era arrivata, Kate stava già uscendo di casa con la donna ammanettata ed ora lui la aspettava, braccia incrociate e sguardo truce, nel corridoio davanti all’ascensore. Incrociarono i loro sguardi, ma Beckett tirò dritta, portandola fino alla sala interrogatori e facendola sedere dentro. Poco prima di entrare anche lei, però, sentì Sorenson afferrarle il braccio e costringerla ad uscire.

- Cosa vuoi Will? - Gli disse strattonandolo per fargli lasciare la presa che però lui non mollò, anzi diventò ancora più forte.

- Cosa ti sei messa in testa di fare eh Kate?

- Quello che non fate voi. Faccio il mio lavoro.

- Questo caso non è il tuo lavoro.

- Hai ragione, è molto di più. E non sarai tu a dirmi quello che posso o non posso fare. - Spostò con decisione la mano del suo ex dal suo braccio.

- Sai che ti posso far allontanare, vero? - La minacciò

- Sai che non mi fermerei comunque, vero? - Lo sfidò e poi senza dirgli altro entrò nella sala interrogatori pronta ad un altro round.

 

Mise una foto di Castle sul tavolo tra lei e la donna facendo attenzione a non incrociare mai con lo sguardo la foto, sapeva che sarebbe stato tutto più difficile e non sapeva, invece, se avrebbe potuto reggere le emozioni.

- Conosce quest’uomo? - Chiese nel modo più impersonale possibile. La Vladic prese la foto e la guardò, la cosa che più stupiva Beckett era come non fosse per niente preoccupata di quella situazione. Era stata prelevata alle prime luci dell’alba dalla polizia, portata in centrale ed interrogata ed era come se fosse ad un incontro qualsiasi.

- Sì, certo, è quello che scrive i libri gialli, Castle. Li ho letti tutti.

- Lo ha mai visto… di recente?

- In tv, una volta, qualche tempo fa… Parlava del suo nuovo libro, qualcosa per bambini, non è il mio genere, meglio i gialli.

- Dico di persona. Lo ha visto?

- No! - disse convinta e stupita della domanda - Dovrei?

- Dov’è la sua auto? La corolla blu?

- Ah mi avete portato qui per la mia auto? Eppure non ho ancora fatto la denuncia! Sa, me l’hanno rubata due giorni fa, ma sono stata molto impegnata con il lavoro eh… - Beckett la interruppe

- Quindi lei mi sta dicendo che la sua auto le è stata rubata, casualmente due giorni fa, la stessa auto che era sul luogo di un sequestro di persona ieri mattina… Furto che lei, tra l’altro non ha denunciato… Che coincidenza!

- Eh sì, coincidenza… Ma cosa vuole da me Capitano?

- Voglio sapere dove sono Richard Castle e sua figlia, perché l’ultima volta che sono stati visti erano proprio vicino alla sua auto, in un parcheggio sull’East River!

- Io nemmeno ci sono mai andata lì! Cosa ne posso sapere?

 

- Beckett, puoi venire un attimo? - Ryan era entrato nella sala interrogatori interrompendo il confronto tra le due donne con un fascicolo in mano. Kate lo seguì nella stanza adiacente guardandolo con la faccia di una che vuole solo dirgli “Spero per te che sia importante”.

- Nel sedile posteriore dell’auto di Castle hanno trovato dei capelli lunghi e biondi, vicino al poggiatesta. - Spiegò il detectie

- Come quelli di Emma Vladic… 

- Già, la scientifica sta facendo un riscontro adesso sul dna, quello della Vladic è in archivio e…

- Kate, ti posso fare un paio di domande? - Sorenson aveva interrotto i due Ryan si era immediatamente fatto da parte

- Sai se Castle frequentasse qualche donna con i capelli lunghi e biondi che potrebbe essere stata sulla sua auto? - Le chiese Will senza girarci troppo intorno

- Mi stai chiedendo se so se mio marito frequentava qualche altra donna?

- Magari solo persone che corrispondono che possano essere stati nella sua auto…

- No, l’unica che mi viene in mente è Gina, la sua ex moglie ed ex editor ma so che non ha rapporti con lei, nemmeno di lavoro, da mesi. 

- Ne sei sicura? Non potrebbe aver avuto qualche motivo per stare in macchina con Castle?

- No, Will, non lo avrebbe avuto. Ma fai come vuoi.  - Disse andandosene. 

 

Passò in sala relax prima di tornare da Emma Vladic. Aveva allentato la tensione un paio di minuti, solo un paio di minuti in cui lei era tornata dall’altra parte e sentiva di nuovo il suo fisico e la sua mente cedere, schiacciata di nuovo dall’oppressione della paura e del non sapere. Si era seduta per qualche momento sul divano fissando la macchina del caffè, come se dalla sua mente potesse materializzarsi Castle che gliene preparava uno, proprio di quelli che a lei piacevano tanto, come solo lui li sapeva fare, con il suo ingrediente segreto che non avrebbe voluto scoprire mai. Decise, alla fine di farselo da sola, più per necessità che per altro, perché le faceva male male fisicamente ed emotivamente compiere quei gesti così quotidiani ma che per lei avevano un senso completamente diverso, erano loro. Gli sembrava di sentire le mani di Castle sulle sue, quando la vedeva armeggiare con quella macchina e si precipitava da lei, per aiutarla e finire lui l’opera. Riuscì anche a sorridere, per un attimo, pensando ai loro primi tempi di amore “clandestino” al distretto, quando lui usava ogni stratagemma, anche solo porgerle una tazza, per poterle accarezzare brevemente la mano, in quel gesto che avevano codificato volesse significare ben altro. Quanto Rick fosse l’elemento centrale della sua vita da quando ne era entrato a far parte, lo vedeva chiaramente anche nelle piccole cose quotidiane, soprattutto in quelle, perché tutto quello che riguardava lei, gli parlava solo di lui, non c’era cosa che non facesse che non riusciva a ricondurla a loro.

Era persa in questi pensieri sorseggiando quel caffè non così speciale, quando Ryan la interruppe di nuovo.

- Purtroppo il dna non corrisponde e quello ritrovato non è in nessun database. - Kate annuì senza dire nulla. - Con questo non credo che possiamo trattenere Emma Vladic ancora a lungo, c’è solo una mancata denuncia per furto d’auto e tra l’altro di quell’auto fino a quando non la troviamo non sappiamo se è realmente coinvolta in qualcosa con questa storia. 

Kate rigirò per un po’ la tazza tra le mani senza dire nulla, poi si alzò e ne svuotò il contenuto nel lavandino.

- Sì, falla andare ma Kevin… - Lo richiamò prima che uscisse - Voglio che scavi nella sua vita e mi trovi tutto di lei, qualsiasi cosa, anche la più piccola. È l’unica cosa che ho adesso e non voglio che ci sia anche un millimetro della sua vita che non sia analizzato.

- Ok Capo - Kevin uscì e Beckett da dietro le veneziane della stanza osservò anche Emma Vladic andarsene dal distretto, impassibile come era arrivata qualche ora prima insieme a lei.

 

Kate stava per rientrare nel suo ufficio, quando si sentì chiamare da una coppia che era appena uscita dall’ascensore. Ci mise un po’ a capire chi fossero, fino a quando non si presentarono. Anna e James Robben, i genitori del ragazzo trovato morto in un coffeshop. Aveva completamente dimenticato il loro caso.

- Mi dispiace signore ma non abbiamo novità ancora in merito. I detective Franklin e Huges si stanno occupando del caso - Beckett li chiamò e i due giovani detective arrivarono con il fascicolo riguardante quello che ormai a tutti sembrava sicuro essere un caso di omicidio. Kate li presentò e Huges prese la parola, tra i due era il più intraprendente, erano una coppia giovane ma brava, da come li aveva visti lavorare vedeva molto affiatamento tra loro e gli ricordavano Esposito e Ryan nei primi anni di lavoro.

- Ecco, vede, suo figlio è stato visto in quel coffeshop insieme ad un altro ragazzo, di cui abbiamo solo un identikit, lo riconoscete? - Mostrarono il foglio ai genitori ma nessuno aveva mai visto quella persona e non sembrava nemmeno il genere di frequentazioni del figlio 

- Uno dei camerieri del locale ci ha detto che vostro figlio andava spesso lì, vi risulta? - Ancora una volta ricevettero una risposta negativa.

- Signori, vi assicuro che faremo il possibile per scoprire cosa è accaduto a Mark - Disse Kate cercando di svincolarsi da quella situazione e risultando più sbrigativa e impaziente di congedarli, ma fu la voce della madre di Robben a riportare la sua attenzione su di loro.

- Cosa c’è, capitano, adesso che avete da indagare su qualcuno famoso la vita di mio figlio vale di meno? - La donna guardava verso il fondo del corridoio e Kate si voltò a seguire la sua stessa linea di sguardo, vedendo Esposito che sulla loro lavagna stava mettendo le foto di Castle e ricostruendo tutta la situazione. Fisso quella scena senza dire nulla e la donna prese il suo atteggiamento come un’ammissione di colpa. 

- Quello che è stato ucciso è mio figlio, lei non immagina nemmeno come ci si sente. - Quelle parole erano uno schiaffo dietro l’altro per lei ed il tono alto della voce della donna avevano attirato l’attenzione di tutti gli altri agenti e detective.

- Andiamo signora, venga con me… Mi parli di suo figlio, magari ci aiuterà… - Beckett le mise una mano intorno alle spalle e la accompagnò in un’altra stanza, dove erano sole. Quella donna le sembrava ancora più piccola e fragile di quanto fosse in realtà appena la toccò. Sembrava consumata dal dolore. La usò per uscire da se stessa. Da quando si era arruolata in polizia il suo scopo era sempre stato questo: dare risposte e giustizia ai parenti delle vittime e quella donna ne aveva bisogno. Lei in quel momento la capiva, più di quanto volesse o potesse dirle, ma non c’era bisogno di farlo, non era il momento del compiangersi e poi lei era certa che sua figlia l’avrebbe ritrovata, in un modo o in un altro. Anche se le ore passavano mute.

Non fu una conversazione lunga, parlarono per poco ma Kate pensò di aver trovato qualcosa su cui ampliare il raggio di azione per quell’indagine. Mark Robben era stato adottato a pochi mesi di vita. Avrebbe detto a Franklin e Huges di cercare anche in questa direzione. Salutò quindi i genitori del ragazzo e la madre si scusò per il suo comportamento di prima. 

Poi potè tornare ad essere se stessa e a farsi sommergere dalle sue paure.

 

- Kate! Ma cosa sta succedendo? Siete impazziti? - Alexis aveva spalancato la porta del suo ufficio, seguita da un’imbarazzata Martha da Javier e Kavin che assistevano a tutto stupiti. 

- Cosa hai fatto Kate! - Urlò la ragazza - Mio padre è su tutti i notiziari accusato di sottrazione di minore!

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Capitolo 9
*** NOVE ***


Beckett non rispose alla ragazza che provò a fermarla mentre usciva dal suo ufficio ma evitò la presa, travolgendo quasi Martha e i due detective dietro di lei. 

- Will cosa hai fatto? - Urlò appena messo piede nella stanza dove si trovavano tutti gli agenti dell’FBI che la guardarono interrompendo ogni attività

- In merito a cosa? - Rispose lui calmo.

- È appena arrivata Alexis, mi ha detto che su tutti i notiziari c’è la faccia di Castle come se fosse un ricercato. - Urlò ancora

- Tecnicamente lo è. - Ammise lui per nulla turbato accavallando le gambe e sedendosi meglio sulla poltrona - Purtroppo c’è stato un equivoco qualche ora fa. Una pattuglia ha visto un uomo con una bambina che poteva sembrare lui ed ha fatto una segnalazione, probabilmente c’è stata una fuga di notizie non so a che livello, mi dispiace.

- Una fuga di notizie? Ti dispiace? Cosa hai in mente Sorenson? Stai giocando con la vita della mia famiglia, te ne rendi conto?

Kate urlava così forte che nonostante la porta chiusa tutti fuori potevano sentirla. Anche Alexis entrò nella stanza e anche lei si mise ad urlare la sua rabbia sia contro l’agente dell’FBI che contro Kate, per lei responsabile quanto lui di aver accettato di fare una cosa del genere a suo padre.

- Alexis, per favore calmati - provò a chiederle Kate supplicandola con tono conciliante

- Calmarmi Kate? Dovrei calmarmi? Avete dato mio padre in pasto alla stampa, lo avete fatto diventare il colpevole della storia per che cosa? Cosa state facendo?

- Quello che mi hai chiesto Alexis, sto cercando di fare qualsiasi cosa per riportare a casa tuo padre e tua sorella. - Si morse l’interno della guancia dopo aver detto quelle parole, usando le stesse che la ragazza le aveva rivolto con astio la sera prima. 

- Voi siete tutti pazzi! - Sbraitò ancora la giovane all’indirizzo di Sorenson. - Sotto casa nostra c’erano già i primi giornalisti che stavano arrivando! Dovete trovare papà non farlo passare per un criminale!

- Signorina Castle, si controlli - Intervenne Sorenson e in quel momento fu Martha ad entrare per portare via la nipote prima che peggiorasse la situazione.

- Katherine, perché? - Le chiese solamente con tono afflitto

- Mi dispiace Martha, ma era l’unico modo per poterci mettere subito a lavoro. - Provò a giustificarsi Kate mentre le due donne andavano via. Chiamò subito una pattuglia per andare al loft e tenere a bada la stampa che di lì a poco li avrebbe asfissiati e non solo la stampa. Da lì a poco il suo cellulare cominciò a squillare: Andrew, l’agente di Rick, Price il suo editore, il sindaco, il giudice Markway, anche dalla produzione di Los Angeles per la serie tv su Nikki Heat. Tutti che le chiedevano cosa stesse facendo. Rispose ad un paio di telefonate, poi cominciò a rifiutarle. Avrebbe voluto spegnere il cellulare, ma non poteva farlo. Le speranze di venire contattata ancora non le aveva perse, anche se erano passate ormai più di 24 ore.

 

Fissava la tv su quel canale all news che nel box a lato aveva impressa l’immagine di Castle sorridente con quella dicitura sotto che la feriva continuamente. Ricercato. Era stata lei a metterlo lì, era colpa sua. Lo aveva fatto per una ragione che continuava a credere giusta, ma Alexis aveva ragione, lo aveva dato in pasto alla stampa sapendo che lui era una vittima.

Esposito bussò aspettando stranamente diligentemente che lei gli desse il permesso per entrare.

- Abbiamo trovato delle cose interessanti su Emma Vladic, posso? - Chiese Javier e Kate gli fece cenno di sedersi.

- Una macchina nuova, una casa in una zona non male… Un po’ troppo per una centralinista. 

- Vai avanti Espo… - Kate chiaramente non aveva voglia di indovinelli

- Siamo andati un po’ più a fondo ed abbiamo scoperto che circa 4 anni fa ha avuto una relazione con un membro dei Surcin, criminali slavi. Ha testimoniato in un processo come testimone a suo favore, di fatto scagionandolo da accuse molto pesanti, il giudice le ha creduto. Dopo poco lei ha comprato quell’appartamento che hai visto tu questa notte, trovato quel lavoro da centralinista ed anche il giudice si è ritirato a vita privata in Belize.

- Non abbiamo mai avuto niente a che fare con i Surcin, da quello che mi ricordo - Chiese Beckett confusa

- No, ma sai chi era l’avvocato di Nikolaj Surcin? Tony DeVito. Capisci ora cosa voglio dire Beckett? Non ti sembra quantomeno strano?

Proprio in quel momento sullo schermo della TV apparve l’avvocato DeVito che parlava del suo ultimo assistito, Ramon Campos. Sarebbe stato trasferito da New York in Florida, per essere giudicato lì per gli omicidi commessi.

- Andate a prenderlo e portatemelo qui. - Ordinò Beckett perentoria.

 

 

Poco dopo era di nuovo faccia a faccia con Tony DeVito nella sua stanza degli interrogatori e non era affatto calma. Aveva i nervi a fior di pelle e doveva imporsi di mantenere il controllo. Era appoggiata con il peso del corpo sulle braccia tese sul tavolo, tenute rigide per nascondere il tremore nervoso che avrebbe evidenziato in ogni altro modo.

- Adesso, avvocato, mi dice tutto quello che voglio sapere su Emma Vladic

- Io non so nemmeno chi sia Emma Vladic.

- Una testimone in un processo di un suo cliente, di qualche anno fa.

- E secondo lei io mi dovrei ricordare di tutte le testimoni dei processi dei miei clienti? Andiamo capitano, sia seria! - Fece una sonora risata che Beckett non prese per niente bene, sbattendo le mani sul piano facendo rimbombare nella stanza il rumore che fece sobbalzare il piccolo uomo.

- Lei non sa quanto sono seria in questo momento. Non lo può nemmeno immaginare - Gli disse avvicinandosi di più a lui - Cosa c’entra Emma Vladic con la sparizione di Castle?

- Ah Castle! Ho sentito in tv… Brutta storia Capitano Beckett… Mi dispiace… Sembrate una famiglia così felice l’altro giorno… Un peccato che suo marito… - DeVito non finì la frase, si ritrovò puntata in faccia la pistola di Beckett che lo guardava feroce.

- Basta giocare DeVito. Dimmi quello che voglio sapere. Ora. - Intimò caricando la sua pistola, mentre l’uomo si era alzato velocemente facendo cadere la sedia ed arretrando fino al muro.

- Lei è pazza Beckett! Io la rovino! - Piagnucolò l’uomo.

- Ho detto ora DeVito. - Replicò Kate non curandosi delle sue parole, ma la porta della sala interrogatori si spalancò ed entrarono Sorenson insieme ad Esposito e Ryan.

- Non fare idiozie Beckett! - Urlò Javier

- Kate metti giù quella pistola! - Gli fece eco Sorenson che aveva tirato fuori anche la sua e la stava puntando verso di lei.

Beckett si voltò a guardare i tre, sempre tenendo salda in mano la sua arma, mentre Esposito le si avvicinava.

- Beckett… no… - Le disse semplicemente l’ispanico fissandola negli occhi. Non era una sfida la sua, era il suo modo di comunicarle che non doveva cedere così. Uscì da lì seguita dai suoi detective, mentre Sorenson in un atto formale si scusava con l’avvocato DeVito che minacciava urlando che le avrebbe rovinato la carriera, che era finita in quel momento. Kate lo sentì, ma le sue parole non le facevano alcun effetto, le scivolavano addosso senza toccarla minimamente. La sua carriera era l’ultima cosa alla quale stava pensando.

 

- Vattene a casa Beckett! Subito. - Le urlò Sorenson appena congedato l’avvocato - Sei fuori da questo caso, sono stato chiaro? Lo siete tutti qui dentro! - Sbraitò l’agente prima di richiudersi nella stanza delle riunioni.

- Cosa intendi fare Kate? - Le chiese Ryan

- Hai sentito, no? Sono fuori. Vado a casa.

- Ma… 

- Ma troverò Castle e mia figlia. Fosse l’ultima cosa che faccio.

- Sai che noi ci siamo, vero? - Gli disse Esposito.

- Lo so. Ma questa non è una cosa che vi riguarda…

- Lo è Beckett. Siamo tuoi amici. Ci riguarda. - Le assicurò l’irlandese. - Passiamo dopo da te, ti aggiorniamo se c’è qualcosa di nuovo. Tu cosa farai?

- Non lo so. Qualcosa farò. - Gli disse mentre le porte dell’ascensore si richiudevano.

 

- Ci sono novità? - Martha le si fece subito incontro appena entrò dentro casa, ma Kate scosse solo la testa negativamente.

- Allora che ci fai qui? - Le disse Alexis dal divano dove controllava in modo compulsivo i messaggi sul cellulare. Kate si avvicinò e si sedette vicino a lei.

- Alexis, ascoltami per favore… - Kate si piantò con i gomiti sulle ginocchia e prese la testa fra le mani, massaggiandosi le tempie per qualche secondo prima di continuare a parlare con la ragazza. - … Io lo so che tu sei arrabbiata con me, che pensi che tutto questo è colpa mia. Ti capisco, veramente. Però ti prego credimi che non è facile nemmeno per me. Tuo padre e tua sorella sono tutta la mia vita. Tutta la mia vita, Alexis e te lo dico sinceramente, non credo ci sia nessuno che voglia ritrovarli tanto quanto lo voglio io. Vuoi sapere che ci faccio qui? Sorenson mi ha mandato via dal distretto, perché ho quasi sparato ad un uomo mentre lo stavo interrogando e questo di certo non mi aiuterà a ritrovare prima nè Rick nè Lily. Tu hai tutto il diritto di essere arrabbiata con me, per qualsiasi cosa. Però non mettere in dubbio il fatto che io non cerchi in tutti i modi di ritrovarli.

- Come lo fai Kate? Facendo passare papà per un mostro? Come gli hai potuto fare una cosa del genere? E’ papà, Kate! Lui non farebbe mai nulla di male a te o Lily, come puoi lasciare che venga fatto passare per un rapitore di neonati? 

- Mi dispiace Alexis, non doveva accadere questo, doveva essere solo un modo per velocizzare le indagini. Nulla di più.

- Beh, non so più che pensare Kate… Tu stai qui, a parlare a spiegare e intanto di papà e di Lily non si sa nulla. Perché non sei fuori a cercarli eh? Perchè non fai qualcosa? - La ragazza andò in lacrime al piano di sopra lasciando Kate seduta da sola con tutta la sua frustrazione per quella situazione.

- Katherine, Alexis è sconvolta, ma non pensa realmente quello che ti ha detto… Ti vuole bene lo sai… - provò a consolarla l’attrice

- Non lo so Martha… non so più niente…

- Vedi, io credo che Alexis stia in parte rivivendo quello che le era accaduto quando era stata portata a Parigi… Oggi me ne ha accennato, di come suo padre era andato a riprenderla…

- Ed io invece sono qui senza fare niente per mia figlia… Pensate questo? - Chiese Kate senza più forze nemmeno per ribattere

- No tesoro, assolutamente no! Katherine, guardami - le disse la donna prendendole le mani - Richard è mio figlio. So quello che stai sentendo. Non potrei mai giudicarti. Mai.

Kate le fece un cenno d’intesa, poi andò nella sua stanza. Notò un pacchetto sul letto, lo scartò rapidamente trovando dentro un cellulare acceso. C’era un solo numero in memoria. Lo compose.

 

- Beckett. - Esclamò ferma appena sentì che dall’altra parte avevano risposto.

- Jefa… Còmo està?

- Chi sei?

- Una persona che ha molto in comune con te. Tu hai una cosa che voglio io. Io ho una cosa che vuoi tu.

- Cosa vuoi?

- Ahora nada. Ci sentiamo tra poco. Se ti chiamo non farmi aspettare, vale?

- Va bene…

- Jefa… non fare scherzi. Niente FBI, e non fare domande su questo telefono, ci siamo capiti, no?

 

Camminò nervosamente per la stanza, controllando e ricontrollando la sua pistola. Aprì la cassaforte e prese anche la sua arma di riserva e i caricatori. 

Martha bussò alla sua stanza e Kate si sistemò velocemente le pistole addosso, prima di far entrare la donna.

- Tutto bene Katherine? - Chiese premurosa - Mi sembrava di averti sentito parlare

- Sì, era il distretto, ma nulla di rilevante.

- Vuoi mangiare qualcosa? 

- No, grazie Martha…

- Come vuoi tu… Ho sentito tuo padre prima… Ha detto che passerà più tardi.

La ringraziò si nuovo, poi si mise seduta sul letto con il cellulare tra le mani ad attendere novità.

 

“Magazzini a Paidge Avenue - Whale Creek. Niente scherzi” Il messaggio che le arrivò diceva solo questo.

Uscì di camera dicendo a Martha che doveva andare subito al distretto ma come aprì la porta di casa fuori vide Ryan ed Esposito.

- Ehy Beckett dove stai andando? - Chiese Esposito

- Non ora Javier, non ora.

- Beckett, che cosa è successo.

- Ti ho detto non adesso devo andare! - Insistette lei

- Veniamo con te. - Disse Ryan

- No, non potete venire con me. - Disse in tono fermo ma senza alzare la voce

- Sì che possiamo. E lo faremo Beckett. - Replicò l’ispanico

- Non posso metterli in pericolo, non potete venire!

- Cosa è successo, Beckett? Spiegaci…

 

Scesero in ascensore fino al garage dove era parcheggiata la macchina di Kate. Qui raccontò tutto ai due detective che le fecero notare come gli avessero detto niente FBI e loro non erano dell’FBI. Si lasciò convincere a portarli con se, intimandogli, però, di non fare assolutamente niente di propria iniziativa.

- Voi perchè siete passati? - Gli chiese mentre guidava fissando la strada impaziente di arrivare

- Hanno trovato la macchina della Vladic. È stata data alle fiamme ieri. La scientifica ha trovato dentro, però, la lama di un taglierino e corrisponde con il taglio delle cinture del seggiolino di Lily. Non è molto, però è qualcosa. - Spiegò Ryan

- E’ stata interrogata di nuovo? - Si informò Beckett

- No, Sorenson non ritiene che ci siano comunque abbastanza elementi per farlo.

 

Il capannone era buio ed in una zona isolata, non c’era nessuno a quell’ora. Il cancello con la rete metallica era stato lasciato volutamente aperto, sembrava un vero e proprio invito ad entrare. Beckett parcheggiò l’auto nella piazzale ricoperto di ghiaia antistante all’ingresso. Uscì impugnando la sua arma e fece cenno ai due detective di seguirla in silenzio e a distanza, infine gli intimò ancora una volta di non fare niente per nessuna ragione.

Entrò per prima constatando come anche la porta di ingresso fosse aperta e dentro una grande stanza grigia e completamente sgombra se non per qualche fusto metallico arrugginito abbandonato in un angolo ed un altra porta in fondo. Sentì il cellulare squillare.

- Jefa… vedo che sei in compagnia… 

- Dove sei?

- Mira in alto! - Kate alzò lo sguardo e vide varie telecamere. - Sono al sicuro, lontano, ma ti vedo.

- Cosa vuoi da me Campos!

- Mi hai riconosciuto Jefa? Lo sapevo, sei brava! Non ti sei portata nemmeno l’FBI solo i tuoi hombres! Brava!

- Perché sono qui? Vuoi me? Prendimi, fai venire i tuoi uomini, ma lascia stare mio marito e mia figlia.

- No, non ci faccio niente con te adesso… Mi servi in altro modo. Ti farò sapere. Ma ti ho detto, tu hai una cosa mia, io ho una cosa tua. Sono un uomo di parola, valuterai tu stessa. Uno per uno. Poi ci risentiremo.

L’uomo riattaccò e Kate si avvicinò lentamente alla porta ignara di cosa l’aspettasse oltre, con Kevin e Javier che l’avevano raggiunta all’interno. 

Entrò in una stanza molto più piccola e completamente buia, illuminata solo dalla luce esterna che veniva da un lucernario rotto che era diventato l’entra di piccioni che cercavano riparo all’interno. Il suo cuore si fermò, quando vide a terra, in un angolo un corpo immobile con le braccia legate dietro la schiena e le caviglie bloccate da una corda. Fece un paio di passi nella sua direzione, non aveva bisogno di vedere chi fosse, lo sapeva. Lasciò cadere la pistola a terra, mentre i due detective fermi sulla porta, non osavano avvicinarsi.

Poi fu un attimo e i due passi lenti diventarono una breve corsa disperata verso l’uomo. Si inginocchiò vicino a lui lo voltò per poterlo vedere in volto. Aveva un grosso livido ed un taglio sulla tempia. Sentì il suo respiro lento ed il battito del cuore rallentato.

- Castle… - Lo chiamò sussurrando appena il suo nome, poi si voltò verso i due detective facendo cenno di sì, con la testa. - … È vivo.

 

Lo liberò dalle corde e rimase seduta a terra vicino a lui fino a quando non arrivarono i paramedici chiamati dagli agenti. Castle sembrava drogato o anestetizzato, non riprendeva conoscenza, mentre Kate non aveva smesso per un istante di accarezzagli il volto e tenergli la mano che era tanto più fredda di come lui era solitamente, sempre molto più caldo di lei. 

Non lo lasciò mai, nemmeno per tutto il tragitto fino in ospedale, dove già li aspettavano Martha ed Alexis, insieme a suo padre e Lanie, avvisati da Esposito e Ryan.

Aspettò fuori dalla porta della stanza dove lo avevano portato, camminando nervosamente avanti e indietro per il corridoio senza fermarsi un attimo, senza guardare nessuno, immersa nei suoi pensieri e ragionamenti. Si sentiva interiormente divisa a metà e se da una parte la gioia di riavere con se Castle era enorme, l’angoscia di sapere che Lily era sola era ancora più forte. Aveva sperato, in tutte quelle ore, che ovunque fossero, potessero essere insieme, che ci fosse stato Castle con lei a cullarla e a consolarla, a stringerla a se ed avvolgerla con il suo abbraccio protettivo. Ora, invece, aveva la certezza che ovunque fosse, sua figlia era sola. Si chiedeva come stesse e immaginava il suo pianto disperato senza nessuno che la potesse calmare, senza una carezza, un abbraccio e quel contatto che ricercava sempre, ma pregava solo che stesse bene.

- Signora Castle… - Kate fermò il suo andirivieni per raggiungere il medico che l’aveva chiamata. Non si era presentata come poliziotto o capitano, era lì come la moglie di Rick, in quel momento voleva essere solo quello ed aveva delegato a i suoi due detective di spiegare la situazione ed avvisare il distretto, ovviamente obbligandoli a tenersi per se gran parte della storia. Alle domande dell’FBI avrebbe pensato poi.

- Le condizioni di suo marito sono mediamente buone. Ha subito una botta alla testa molto forte, ma la tac ha escluso complicazioni. Il suo stato clinico base è compatibile con quello di un paziente profondamente sedato, direi da svariate ore in una posizione non comoda, quindi probabilmente quando si sveglierà avrà un po' di dolori ed acciacchi. Preferiamo non svegliarlo subito, anche per dargli modo di riprendersi un po' per volta, abbiamo iniziato a somministrargli degli stimolanti, penso che nel giro di un paio d’ore dovrebbe essere cosciente. Se vuole può andare da lui, anche se sta dormendo.

Non se lo fece ripetere due volte ed entrò da lui mentre era ancora presente un infermiera. Gli chiese dove fossero i vestiti che aveva Rick e quella indicò il mucchietto di abiti messi su una sedia. Si fece portare una busta poi consegnò tutto a Lanie, chiedendole di far analizzare tutto il contenuto alla scientifica, per vedere se dalle tracce di particolati presenti riuscivano a capire dove era stato tenuto e si fece consegnare il cambio che aveva chiesto di far prendere a Martha al loft prima di raggiungerli: sapeva che Rick odiava quei camici che mettevano negli ospedali, era stato un pensiero forse stupido e superficiale in quella situazione, ma le era venuto spontaneo pensare a qualcosa per farlo stare bene.

Chiese quindi all’infermiera se potava aiutarla con la flebo mentre lei con tutta la cura del caso, gli toglieva quel camice verdognolo per fargli indossare una delle sue magliette. Il corpo di Rick era pesante e le rendeva difficile l’operazione, ma Kate non demorse e non volle nemmeno che l’infermiera facesse altro che rimettergli la flebo. Era suo marito, se ne sarebbe occupata lei e così fece, non trattenendosi nemmeno da accarezzare il suo corpo più di quando quell’operazione richiedesse e stringendolo a se. Aveva bisogno di lui. Gli pulì delicatamente il viso eliminando i segni del sangue dalla tempia intorno all’area dove lo avevano già curato e poi tenendo la sua mano tra le sue, rimase solo in attesa che si risvegliasse. 

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Capitolo 10
*** DIECI ***


Kate si prese per una volta il diritto di essere egoista. Non si spostò mai da vicino il letto di Castle, non separò mai le loro mani. Nemmeno per un istante. Non lo fece nè quando entrarono Martha e Alexis, nè quando le infermiere vennero a controllarlo. Sentì su di se lo sguardo di Alexis che la trapassava, chiedendole silenziosamente ma con l’insistenza della postura di spostarsi da lì, ma non gli importò. Aveva bisogno di pensare a se stessa e quello voleva dire che lei, Rick, quella notte non lo avrebbe lasciato nemmeno un secondo. Fu costretta a farlo solo quando, un paio di ore dopo che era lì da sola con lui che cominciava ad agitarsi in un risveglio che non sembrava tranquillo, sentì suonare quel cellulare e corse fuori dalla sua camera con il cuore in gola. Non aveva certo dimenticato, nemmeno per un istante, sua figlia, non avrebbe mai potuto, era un pensiero costante e fisso. Ma la presenza di Castle era per lei linfa vitale dalla quale attingere forze per continuare a combattere, pensare e sperare.

“Uno per uno”  Era solo un messaggio, ma mentre stava rimettendo via l’apparecchio un altro bip la fece sussultare ed una foto che si caricava e diventava sempre più chiara, fino a vedere sdraiata Lily su una sorta di letto con un’espressione che le sembrava tutto sommato serena. Ma la foto invece che rasserenarla sul fatto che fosse viva e stesse bene aveva avuto l’effetto contrario. Aveva rotto i suoi argini emotivi interiori definitivamente, lasciandosi invadere dallo sconforto e dal desiderio unico di avere la sua bambina tra le braccia e stringerla a se, cullarla, accarezzarla come faceva tutte le sere, fu una mancanza non solo emotiva ma fisica, come se le mancasse un pezzo di se: il cuore, o almeno metà. 

Tornò in stanza da Castle, dove c’era l’altra metà del suo cuore e lo trovò sveglio, con gli occhi sbarrati a guardare un punto indefinito davanti a se. Si chiese quanto fosse stata fuori, mentre andava verso di lui e le sembrava che nemmeno si fosse accorto della sua presenza.

- Rick… Hey Babe… - Gli prese la mano e solo in quel momento lui si voltò a guardarla ed era semplicemente terrorizzato.

- Kate… Lily… Io… - Kate abbassò lo sguardo deglutendo mentre lui provava a balbettare qualcosa. 

- … Lily… - Ripetè Rick agitandosi ed irrigidendosi come a volersi alzare da lì, ma la botta alla testa ed il risveglio forzato gli procuravano ancora forti giramenti e non riuscì a fare nulla di più che barcollare provando a fare forza sulle braccia.

- Calmati… calmati… Ti prego stai giù. - Appoggiò le mani sul suo petto per farlo stendere, sentì come era sudato, il respiro affannoso ed il battito accelerato. Lui si voltò a guardarla con uno sguardo disperato e colpevole, mentre lei non riusciva a trovare parole per rispondere alle sue mute domande, non voleva aggravare la situazione, ma sapeva di dovergli dire qualcosa, prima che impazzisse.

- Rick, ti prego stai giù… - gli ripetè quando lo sentì irrigidirsi di nuovo mentre pronunciava il nome della loro bambina, accarezzandolo sul volto madido di sudore. Non c’erano tanti giri di parole, doveva dirgli quello che poteva.

- Kate… - la supplicò con le lacrime agli occhi e lei si fece coraggio cominciò dalla fine, cercando di far tremare la sua voce il meno possibile, ma non sapeva quanto avrebbe retto

- Mi hanno mandato una foto poco fa. Sembra tranquilla… - I suoi propositi di rimanere impassibile erano già venuti meno nel ripensare all’immagine di Lily.

- Chi?

- Carlos Campos. - Disse Kate abbassando la testa ammettendo implicitamente al marito che quella situazione, ancora una volta, era colpa sua.

- Cosa vuole da noi Kate?

- Non lo so ancora. Ha detto che mi dirà poi… - Si avvicinò ancora di più a Castle, non stava bene, ma aveva bisogno di lui, come marito, come padre di Lily ed anche come partner. Sapeva che era l’unica persona in quel momento di cui si poteva fidare. - … Castle, ascoltami, io sono fuori da tutta questa storia, ufficialmente, mi capisci Castle? - Era sempre un po’ titubante sul fatto che lui fosse abbastanza lucido per capirla.

- Sì, sei fuori. FBI anche questa volta? - Chiese serrando i denti.

- Sorenson. Ma ho esagerato e me la sono cercata, ma non è questo il punto. Ascoltami Castle… Nessuno tranne Javier e Kevin sanno che io sono in contatto con Campos. È stato lui a dirmi come trovarti e a darmi un telefono per comunicare con lui. Questo non lo dovrà sapere nessuno, va bene? Non voglio mettere a rischio la vita di nostra figlia…

- Sì… Qual è la versione ufficiale sul mio ritrovamento, allora?

- Ryan ed Esposito hanno detto che hanno ricevuto una segnalazione per un corpo dentro un capannone abbandonato che pensavano fosse un cadavere da un anonimo.

- Va bene… - disse lui chiudendo gli occhi

- Riposati Rick… Ho bisogno di te… - Gli sussurrò sulle labbra dandogli un bacio.

- Kate? - La chiamò sfiorandole con le dita che erano di nuovo calde il dorso della mano - Andrà tutto bene… 

Lo guardò addormentarsi profondamente. L’effetto di qualsiasi cosa gli avessero dato non era del tutto passato e lei non sapeva realmente quanto avesse capito o fosse stato lucido mentre gli aveva parlato: tanto, sperò e dentro di se sapeva che era così e quell’ultima frase, quella sua voglia di rassicurarla, nonostante tutto, le fecero ancora di più capire perché avesse bisogno di lui, sempre, ma soprattutto in quel momento, lui era sempre quel punto di luce che squarciava il buio al quale poteva aggrapparsi, e riuscì a chiudere gli occhi e dormire anche lei, distrutta, per qualche ora.

 

Quando si svegliò Kate trovò due occhi azzurri che la fissavano intensamente. Castle con la testa piegata di lato la osservava risvegliarsi con un sorriso tirato.

- Mi dispiace Kate… - le disse

- Di cosa Castle? - Replicò lei con la voce ancora impastata dal sonno. Aveva dormito solo tre o quattro ore, ma le sembrava di essersi fermata per un periodo di tempo troppo lungo.

- Di non essere riuscito a fare di più… di non essere riuscito a… - Lo vide stringere i pugni fortemente stringendo il lenzuolo.

- Non è colpa tua Rick… Non è nulla colpa tua… - Cercò di sciogliere la stretta delle sue mani facendogli prendere la sua. - Non è colpa tua - gli ripetè ancora sedendosi sul bordo del letto ed appoggiando la fronte su quella di Castle che, in un gesto forte tanto quanto impulsivo, la abbracciò stretta tanto da farle male. Era Rick, adesso ad aggrapparsi a lei ad assicurarsi a Kate, aveva bisogno di sapere che lei era lì e che era con lui, tanto quanto lei aveva bisogno di lui. Aveva bisogno di sapere che non pensava che fosse colpa sua e più si tormentava più la stringeva, senza nemmeno rendersi conto. Kate non riuscì nemmeno a lamentarsi, anzi, a sua volta si aggrappò alla sua schiena facendo scivolare la testa sulla sua spalla e sentendosi libera di piangere e sfogarsi con l’unica persona che sapeva poteva capirla senza bisogno che dicesse nulla, sentì quell’abbraccio disperato di Rick come il via libera per essere finalmente la Kate che era solo sua. 

 Anche Castle si lasciò vincere dalle sue emozioni ed anche lui si lasciò andare ad un pianto nervoso. Le loro braccia si stringevano in una morsa salda mentre lasciavano che le loro paure uscissero fuori e si fondessero insieme. Era qualcosa che stavano vivendo insieme per la prima volta e trovarono istintivo aggrapparsi letteralmente uno all’altra. Avevano vissuto tanti momenti difficili, nei quali erano stati a turno in pensiero per la vita uno dell’altra ed il ritrovarsi era stato liberatorio, era stato tornare a vivere. Lo aveva provato lei dopo Parigi, dopo i due terribili mesi di solitudine, dopo il suo avvelenamento così come per lui averla riabbracciata dopo il rapimento della Nieman o quando era sotto copertura con Simmons e per finire solo l’anno prima, quando era finalmente fuori pericolo. Ora era diverso. Ora non erano loro. Ora insieme stavano vivendo un angoscia difficile da poter gestire, per la prima volta non combattevano uno per l’altra ma dovevano combattere insieme e dover vedere uno il dolore dell’altro mentre scorre inesorabile sulla pelle e nell’anima. Dopo non stettero meglio non si sentirono liberati dalle lacrime, ma sapevano di essere insieme ed era già molto di più di quanto non fosse qualche ora prima.

 

Kate quindi si fece raccontare da lui cosa era accaduto e Rick gli spiegò di come si erano avvicinati all’auto un uomo che lo ha minacciato ed una donna che faceva la stessa cosa con Lily e lui pensando che si trattasse di una rapina per non peggiorare le cose era stato diligente, assecondandoli. Gli disse che lo avevano condotto in un parcheggio fuori mano e lì, quando ha visto la donna prendere Lily si era impaurito ed aveva reagito ma era stato messo ko e l’ultima cosa che ricordava era che lo trascinavano su un auto e sentiva Lily piangere vicino a lui. Poi più nulla, non l’aveva più vista nè sentita e si era risvegliato in ospedale. Kate si rese conto che Rick non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato, era convinto che era stata quella mattina, e non che erano già passate quasi 48 ore. Quando glielo comunicò lo vide irrigidirsi ancora di più, serrare la mascella e deglutire con forza. 

 

- Signor Castle, ci sono delle visite per lei - Un’infermiera era entrata annunciando che qualcuno lo voleva vedere. Rick sorrise pensando subito alla madre e alla figlia

- Ho chiamato a casa con il tuo telefono - disse a Kate indicando quello ufficiale sul comodino - spero non ti dispiace, il mio…

- Lo hanno distrutto Rick… Ma scusami, avrei dovuto chiamarle io, mi dispiace non averci pensato - si giustificò Beckett, ma Rick alzò le spalle rassicurandola che non era un problema.

Dalla porta però non entrarono nè Martha nè Alexis, ma Henry, il suo avvocato.

- Ciao Rick… dovrei parlarti… - Disse l’uomo avvicinandosi al letto e salutandolo con una vigorosa stretta di mano mentre nell’altra teneva la sua cartellina di cuoio marrone

- Certo, dimmi. - Rispose Rick mettendosi seduto più in alto, mentre Kate si era alzata dal letto.

- Da solo, Rick. - Insistette l’uomo

- Henry, c’è solo mia moglie qui, puoi dirmi tutto quello che vuoi!

- Appunto Rick, devo parlarti senza tua moglie.

Rick guardò Kate che si stava avviando alla porta per lasciarli soli ma la fermò tenendola per la mano.

- Qualunque cosa mi devi dire non c’è motivo perché lei se ne vada. - Disse fermo Castle.

- Ok… Come vuoi. - L’avvocato si sedette sulla sedia avvicinandola al letto, poggiò la cartellina sulle sue gambe e tirò fuori una mucchietto di fogli - Sono qui perché mi ha detto Alexis che devo difenderti da una denuncia fatta da… ehm… tua moglie.

Kate abbassò lo sguardo mentre Rick cercava i suoi occhi non capendo cosa stesse succedendo

- Come ti dicevo, Rick, tua moglie ti ha denunciato per sottrazione di minore e tu sei o meglio forse eri, formalmente ricercato dalla polizia - gli mise davanti copia della denuncia e delle stampe che riprendevano le notizie degli ultimi giorni, mentre Rick con lo sguardo vagava tra i fogli, il viso del suo avvocato e quello di sua moglie.

- È uno scherzo? - Chiese Castle

- No, è la verità Rick… - disse Henry

- Kate? - Esclamò Castle sbigottito.

- Rick, lasciami spiegare… - Lo supplicò Beckett che ricevette un cenno con il capo segno che poteva parlare. - Quando siete scomparsi non potevo in realtà fare nulla. Lily era con te, era passato troppo poco tempo perché potessero far partire le indagini, oltretutto a parte il tuo cellulare rotto non c’era niente che facesse pensare ad un sequestro, ufficialmente. L’unico modo per potervi cercare era che io facessi una denuncia per sottrazione di minore, così avrebbero potuto cominciare ad indagare e a cercarvi. Doveva essere solo un atto formale, non doveva uscire niente, Sorenson mi aveva dato la sua parola. Credimi Rick, l’ho fatto solo perché pensavo fosse il modo per trovarvi prima.

Castle rimase in silenzio ad ascoltare Kate, assimilando ogni parola del suo discorso senza dire nulla, annuendo di tanto in tanto.

- Ok, hai fatto bene. - Disse alla fine. - Hai fatto quello che era giusto per trovare prima Lily.

- E te. - Sottolineò lei

- Kate, non sono arrabbiato. Ti avrei detto di fare la stessa cosa, se avessi potuto. - Le sorrise e lei fece lo stesso, sentendosi sollevata. Sperava con tutto il cuore che lui l’avrebbe capita e dentro di se sapeva che l’avrebbe fatto.

- Henry, come vedi non abbiamo più nulla da discutere in merito. - Disse Rick a mo di commiato al suo avvocato, lasciandogli intendere che la sua presenza era di troppo

- Le accuse contro Castle sono cadute automaticamente appena al distretto hanno registrato la sua posizione come vittima di un rapimento, per questo impossibile che possa aver commesso quanto era stato accusato. - aggiunse Beckett in tono più formale, parlando più da Capitano che da moglie.

- Come volete - Disse Henry alzandosi - allora arrivederci.

 

- Cosa altro è successo che io non so? - Chiese Castle a Kate una volta rimasti soli

- Che mi hanno chiamato tutti, dal tuo agente ai produttore da Los Angeles.

- Ok, un po’ di pubblicità gratuita, chiamerò Andrew e gli dirò di fare dei comunicati stampa, poi? - Cercò di sdrammatizzare. Sapeva che non era così ma in quel momento non gli importava nulla.

- Alexis non ha preso bene la cosa… - Disse ora Kate più seria.

- La denuncia? 

- No, tutto. - Kate si passò le mani con forza sugli occhi e tra i capelli espirando con forza - E’ arrabbiata, anzi forse anche più che arrabbiata con me per tutto quanto.

Se c’era una cosa che Castle odiava più di ogni altra era essere in mezzo tra Kate ed Alexis. Non era una cosa che si era verificata spesso, per sua fortuna, ma ogni volta prendere una posizione gli sembrava impossibile, un tradimento di una verso l’altra.

- Parlerò io con Alexis, te lo prometto. - Cercò di rincuorare sua moglie.

- Papà! - Alexis entrò correndo incontro a suo padre seguita da Martha, mentre Kate si defilò andando verso l’uscita, non prima di essersi scambiata alcuni sguardi con l’attrice che voleva darle il suo appoggio in quel momento. Travolto dall’abbraccio della figlia, Rick non si accorse subito che Kate non era più nella stanza con loro e la cercò guardandosi intorno, prima di trovare lo sguardo della madre che gli indicò la porta socchiusa. Beckett in effetti era lì fuori, appoggiata al muro con le braccia incrociate al petto e la testa bassa a guardare le fughe delle mattonelle. Sapeva che in quel momento sarebbe stata di troppo, che la tensione tra lei ed Alexis non avrebbe fatto bene a Rick e gli lasciò quel momento da soli. 

- Kate, dobbiamo parlare con Castle. - La voce di Sorenson la fece ricomporre in una posizione più autoritaria.

- Sono appena entrate sua madre e sua figlia - rispose mettendosi davanti alla porta per impedirgli il passaggio e guardando Will dritto negli occhi. Lui sostenne il suo sguardo per qualche istante, intenzionato ad entrare, ma poi cedette.

- Ok, 5 minuti, il tempo di andare a cercare un caffè, poi andiamo da lui.

Fu di parola, dopo 5 minuti esatti tornarono da lei, che era rimasta davanti alla porta della camera di Castle, desiderosa di dargli ancora qualche istante di tranquillità con la sua famiglia e preoccupata, allo stesso tempo, che si ricordasse quanto gli aveva detto quella notte.

- Dimmi un po’ Kate - gli chiese Sorenson prima di entrare - come mai guarda caso, ritrovano tuo marito e tu sei la tra i primi ad arrivare?

- Perché si da il caso che se i miei detective hanno un caso di possibile omicidio, avvisano il loro capitano. - Rispose sicura

- Quindi solo per questo eri lì, anche se ti avevo detto di stare fuori dalla questione del rapimento

- Certo, per questo. Il mio lavoro posso continuare a farlo, o devo chiederti il permesso? - Rispose sarcastica

- Fino a quando le accuse di DeVito non saranno formalizzate, potrai continuare a farlo, credo. Certo proprio una fortunata coincidenza che quello che doveva essere un omicidio si è rivelato il ritrovamento di tuo marito, non trovi?

- Di fortunato, in tutta questa storia, non vedo proprio nulla Will ed il fatto che tu la continui a trattarla ridendo e facendo battute non credere che migliori il mio umore. - Disse infine togliendosi dalla porta e lasciandolo entrare con gli altri due agenti.

Martha ed Alexis uscirono mentre lei entrò con gli altri, attirandosi di nuovo gli sguardi gelidi della figlia di Castle.

Rick ripetè a Sorenson esattamente quello che aveva detto a Kate e come avevano concordato la notte, omise tutto il resto. Kate fu sollevata nel constatare che era stato più lucido di quanto lei pensasse. 

 

- Sono passati tanti anni, ma vedo che al tuo amico dell’FBI continuo a non piacere. - Si sfogò Rick con Kate appena rimasti soli.

- A quanto pare no, Castle…

- Per forza, è ancora cotto di te. Pensa che smacco per lui essere stato battuto dallo “scrittore fesso”

- Castle, punto primo io non sono una gara che qualcuno mi vince o mi perde, secondo Will è sposato, terzo non mi pare il momento di fare certi discorsi.

- Ok, scusa Beckett, hai ragione. Ma il tuo Will non è sposato, non ha la fede. Quindi non lo è più. - Kate rimase sorpresa da come Castle si fosse accorto di un dettaglio al quale lei non aveva fatto minimamente caso.

- E poi sono passati così tanti anni da quando stavamo insieme, non essere ridicolo Castle!

- Non sono ridicolo. A me non basterebbe una vita per dimenticarmi di te, Kate… - Si fece subito serio

- Ma tu non sei lui e non dovrai mai dimenticarmi. - Gli rispose lei altrettanto seriamente.

Il bip del telefono con il quale Campos comunicava con Kate li riportò alla realtà dei fatti. Un’altra foto di Lily non più sveglia e sorridente che guardarono insieme con il cuore in gola e due messaggi “no te preocupe, sta solo dormendo, per ora.”  “Rispondi al messaggio quando sarai a casa. Altre istruzioni”

Rick insistette con Kate perché andasse a casa subito per sapere cosa volessero ed alla fine decise di firmare la sua cartella e farsi dimettere immediatamente, nonostante i medici volessero tenerlo ancora sotto controllo per la botta alla testa.

Ad attenderli al loft, appena uscirono dal taxi, una folla di giornalisti che i pochi uomini della polizia che Kate aveva fatto mettere a presidiare l’entrata faticavano a contenere. Non rilasciarono dichiarazioni, tranne specificare che lui non era colpevole di nulla e che era una vittima, così come sua figlia. Fu Kate, però, prima di entrare che si fermò fuori qualche istante in mezzo alla folla di giornalisti, chiedendo, anzi imponendo che da quel momento in poi nessuno parlasse più di quella storia, perché ogni ingerenza da parte della stampa sarebbe stata giudicata come d’intralcio alle indagini ed avrebbero agito di conseguenza. Rick la osservava da dentro il portone ed anche in quella situazione così difficile per loro, non potè non notare come Kate rimanesse composta ed autoritaria ammirandone la fierezza con la quale parlava di una cosa che sapeva la stava tormentando come mai nulla prima d’ora.

 

Salirono al loft dove vennero accolti dallo stupore di Martha e Alexis nel vederli presto di ritorno a casa. Le due donne lo ripresero più volte per la sua avventatezza di essere voluto uscire così presto pur essendo ancora visibilmente stordito da quanto accaduto e a nulla servirono le sue rassicurazioni che stava bene e che la cosa più importante per lui fosse essere a casa con loro. Kate, come aveva già fatto prima, era rimasta appoggiata al bancone della cucina, mentre loro stavano parlando sul divano, stringendo nella tasca del giacchetto il cellulare con il quale doveva contattare Campos. Rick si voltò un paio di volte a guardarla assorta nei suoi pensieri, pervaso dalla spiacevole sensazione di quella frattura che stava vedendo con i suoi occhi tra una parte e l’altra della propria famiglia, sentendosi preso in mezzo, in un momento, in cui, quello che sarebbe servito invece era solo tranquillità e compattezza. Non aveva, però, al momento nè la forza nè la voglia di mediare una situazione della quale non sapeva nulla. Non potevano disperdere energie su quello, la priorità era Lily. Si rialzò dal divano, sbandando un po’ per i giramenti di testa e raggiunse Kate, chiedendole se lo accompagnava in camera. Lei fu sollevata dalla sua richiesta che capì fosse solo un modo per potersi dedicare alla questione fondamentale: la loro bambina.

 

Castle rimase per un attimo interdetto entrando in camera nel vedere la culla di Lily: fu per lui, come lo era stato per Kate, uno shock ed una presa di coscienza che faceva male come ricevere un pugno nello stomaco. 

Kate lo vide per un attimo vacillare ed accorse a sostenerlo facendolo sdraiare. Vedeva, adesso, ancora più chiaramente, quanto fosse ancora debole e traumatizzato dagli eventi, moralmente e fisicamente, nonostante fino a quel momento, avesse fatto lui la parte di quello forte a cui lei si era subito potuta appoggiare per cercare di rimanere a galla tra i suoi tumulti e le sue paure. 

- Ci sono io con te Rick. Ci penso io a te. - Kate lo strinse mentre lo aiutava a sdraiarsi per fargli capire che anche lui poteva contare su di lei, come lei faceva. Sempre. Aveva bisogno che lui sapesse senza alcun dubbio che lei per lui c’era e ci sarebbe stata, anche se troppe volte non era stato così o non glielo aveva dimostrato come avrebbe voluto.

Era stato anche il comportamento di Alexis a farle venire quei dubbi e a far sentire Beckett in debito con Castle, non del suo amore, perché di quello era certa che lui non avrebbe mai dubitato, ma del suo esserci sì, sapeva che lui lo aveva fatto, che si era sentito solo ed abbandonato, perché lei lo aveva fatto, più di una volta, e sapeva anche che, per quanto Rick facesse finta di nulla, in fondo dentro di lui, quella paura risiedeva sempre e Kate temeva che non l’avrebbe mai dissipata.

- Manda quel messaggio Kate, non ti preoccupare - gli disse quando vedeva che si stava occupando di lui indugiando, secondo Rick, fin troppo sul suo stato di salute e non per il motivo per cui erano con un tacito accordo andati in camera: mandare quel messaggio. Kate lo fece e poco dopo il telefono squillò.

 

- Jefa, sono stato di parola. Tu esposo està bien. Tambien tu hija està bien. Ora ascoltami bene. Ramon verrà trasferito nei prossimi giorni. Tu mi dovrai far sapere come e quando. Al resto penso io. Quando io avrò Ramon, tu avrai tu hija. Mi hai capito, Jefa? Non fare scherzi, lo dico per la tua bambina.

Campos attaccò senza darle possibilità di rispondere. Rick guardò Kate spronandola a raccontarle quello che si erano appena detti e lei gli disse quello che voleva sapere Campos: come far evadere il figlio durante il trasferimento in Florida.

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Capitolo 11
*** UNDICI ***


Castle ancora una volta si sollevò troppo velocemente nel sentire quello che gli aveva appena detto Beckett. Piantò entrambe le mani sul materasso premendo con forza verso il basso come per aggrapparsi e sostenersi fisicamente ma non solo.

A Kate, invece, servì qualche istante in più per reagire e processare quello che aveva appena sentito e ripetuto. Lasciò quel telefono per prendere il suo e cominciò a scorrere nervosamente i numeri sulla rubrica, fino a quando la mano di Castle non gli oscurò lo schermo, obbligandola a fermarsi e guardarlo.

- Chi vuoi chiamare Kate? - Chiese Castle

- Non avviso nessuno Rick, devo solo avere quelle informazioni. - Rispose lei velocemente per rassicurarlo.

- Devi chiamare il distretto e dire che c’è Campos dietro tutta la storia. - Le disse calmo spiazzandola

- Cosa stai dicendo Rick? - Lo guardò stupita, incredula di quelle parole.

- Quello che ti ho detto. Non possiamo fare nulla da soli.

- Non dobbiamo fare niente. Gli devo solo dire quello che vuole sapere. - Gli disse chinando la testa.

- Kate, rifletti. Chi ti dice che se ottiene quello che vuole poi lascerà Lily? Che non ti chiederà altro? - Si agitò Rick

- Nessuno, Castle. Nessuno. - Sospirò Kate buttando via anche il suo telefono.

- Guardami Rick - Beckett prese la testa di lui dolcemente tra le mani - Io voglio solo nostra figlia, non mi importa di niente altro. Ma ho bisogno di sapere che tu sei come, perché ho bisogno di te.

- Non fare nulla di avventato Kate. Promettimi solo che qualunque cosa vuoi fare ci penserai bene, per te, per nostra figlia e per noi.

- Te lo prometto Castle.

Gli promise qualcosa che non sapeva nemmeno lei cosa essere. A cosa doveva pensare in realtà? Aveva solo un’immagine fissa in mente, sua figlia e fare qualunque cosa per riaverla: per Kate qualunque cosa voleva dire tutto. Sarebbe stata disposta a barattare tutta la sua vita per Lily, per essere certa che fosse al sicuro e lo avrebbe fatto senza esitare.

Si concesse solo qualche momento per sdraiarsi vicino a Castle che faticava a rimanere per troppo tempo seduto o in piedi a causa dei giramenti di testa e la cosa sembrava infastidirlo più per non riuscire ad essere di aiuto in qualche modo che per la sua salute. 

Rick teneva le mani incociate dietro la testa e sembrava perso in un mondo lontano, a Kate sembrava terribilmente anche troppo lontano da lei. Avrebbe egoisticamente voluto il suo abbraccio, sentire le sue braccia morbide e forti cingerle i fianchi reclamandola in quel modo possessivo che fingeva spesso di trovare fastidioso ma che in realtà amava più di ogni altra cosa. Era ogni volta nelle sue assenze che capiva quanto le piacesse sentirsi sua ed era ancora una sensazione strana e difficile spiegare anche a se stessa: lei sempre così fiera e indipendente amava profondamente sapere di appartenere ad una persona. Non era un possesso fisico e nemmeno un condizionamento mentale o forse era tutto questo ed anche di più, perché quello che sentiva era un’appartenenza totale come se fosse il suo stesso essere ad essere suo e sentiva lo stesso che valeva per lui, perchè allo stesso modo lui le apparteneva. 

Fu lei, allora, a cercare di inglobare nel suo abbraccio tutto lui, appoggiandosi sul suo torace e stringendolo mentre respirava fin troppo concitato: avrebbe voluto calmarlo ma sapeva benissimo che non poteva fare nulla, soprattutto stando lì con lui, era preoccupato ed impaurito per Lily tanto quanto lei. Gli posò un bacio sul cuore, sopra la maglietta e lui la strinse per un momento, prima che lei si alzasse. Non si scambiarono più nemmeno uno sguardo o una parola fino a quando lei uscì.

 

 

Quando Kate arrivò al distretto regnava il caos. Sorenson e i suoi erano sempre accampati nella sala riunioni ed ora che ufficialmente Castle non era più implicato in nulla sembrava quasi che avessero preso più sul serio la situazione, cosa che provocò un enorme fastidio in Beckett. Il caso di Mark Robben ancora era lontano dal trovare una soluzione, nonostante Franklin e Huges lavorassero alacremente sul campo ed al distretto. Esposito e Ryan erano appena rientrati dopo aver fatto i rilievi su duplice omicidio di una coppia di fidanzati appartati fuori da un cinema, tutto faceva pensare ad una rapina finita male, ma non era stato ancora accertato nulla. Sarebbe stata una giornata intensa di lavoro, se non fosse che la sua mente era proiettata da tutt’altra parte e che, per una volta, di tutti quegli omicidi le importava molto poco.

Era andata lì quel pomeriggio decisa ad avere più informazioni possibile sul trasferimento di Campos senza dare nell’occhio. Aveva un contatto a Rikers Island, un agente, Terry, che per un po’ aveva collaborato con lei anni prima, un ragazzo apposto che poi era passato alla penitenziaria. Lo aveva rivisto varie volte nel corso degli anni quando era andata lì per interrogare dei detenuti e si erano intrattenuti a chiacchierare del più e del meno come dei normali conoscenti, niente di più. Lui sicuramente le avrebbe potuto dire qualcosa, ma credeva che sarebbe stata una cosa troppo sfacciata, magari avrebbe fatto insospettire qualcuno. Poteva chiamare anche in tribunale, sicuramente Markway qualcosa sapeva, ma era un’amico di Rick e non voleva metterlo in mezzo. E poi, anche lì, come si sarebbe giustificata davanti ad una semplice richiesta di perché? Solo curiosità? Non si era mai fatta tutti questi problemi, era convinta che probabilmente fossero solo sue fissazioni e preoccupazioni eccessive, ma le sembrava di camminare su un percorso di vetri rotti dove ogni passo poteva tagliarsi e doveva prestare la massima attenzione. Il suo dna di poliziotta le metteva un bollino su ogni cosa che voleva fare “colpevole” e si sentiva come se avesse tutti i fari puntati su di se, tutti pronti a cogliere anche in una sola domanda, l’opportunità per scavare e scoprire tutto quello che stava accadendo.

Le andò inconsapevolmente in soccorso la persona che meno era indicata in quel momento, Sorenson, quando senza troppi riguardi entrò nel suo ufficio mentre lei accarezzava ancora la cornetta del telefono indecisa se e chi chiamare.

- DeVito non ti denuncerà. - Gli disse serio

- Dovrei ringraziare la tua mediazione, Will?

- Non ho fatto nulla, quando l’ho sentito ha detto che non ne vale la pena e che doveva occuparsi del suo cliente.

- Ho sentito che sarà trasferito…

- Sì, in Florida, settimana prossima.

- Non me lo aspettavo in realtà che accettassero il trasferimento del caso

- In Florida è molto più probabile che venga condannato alla pena di morte. - Disse semplicemente Sorenson come se fosse ovvio il motivo

- Già, probabilmente è per quel motivo.

- Avete risolto un bel caso con il figlio di Campos, sicuramente sarà un colpo duro anche per suo padre. È il suo unico figlio e so che è molto legato a lui. Per un po’ di tempo mi sono occupato di lui, qualche anno fa, aveva fatto di tutto perché suo figlio stesse fuori dai suoi giri, evidentemente qualcosa gli è sfuggito di mano o il dna criminale è venuto a galla.

- Esposito e Ryan sono in gamba, anche se fanno un po’ tropo di testa loro - Le parole di Sorenson davano un senso a molti dei pensieri di Kate di quelle ore e cominciava a capire sempre di più i discorsi di Campos, un padre correva il rischio di perdere il suo unico figlio: non gli faceva pietà, non provava nessun tipo di sentimento di questo tipo per lui, però in un certo senso capiva l’essere disposto a tutto per salvare un figlio ed era proprio quel concetto che la atterriva, sapendo che la sua arma di ricatto era sua figlia. Le sembrò per qualche istante di far parte di una guerra di disperati, con la consapevolezza, però, l’unica vittima di tutto questo era sua figlia.

- Va tutto bene Kate? - Le chiese Sorenson quando si era reso conto che non aveva risposto e neppure sentito le ultime cose che le aveva detto.

- No, non va tutto bene, come potrebbe? - Rispose secca.

- Ti avevo chiesto se tuo marito ha ricordato qualche altro dettaglio. Dai vestiti che hai fatto analizzare è venuto fuori che lui non è mai stato spostato da quel capannone e lì non sono state trovate tracce di tua figlia di nessun tipo. Questo vuol dire che non li hanno mai tenuti insieme e che il vero obiettivo è sempre stato lei e lui solo un diversivo. - Non era stupido, era arrivato anche lui alla stessa conclusione, che nei fatti al momento era l’unica logica, ma Kate, in quel momento, avrebbe preferito che tutti fossero lontani mille miglia dalla verità, perché aveva paura che ogni mossa verso di lei di chiunque la potesse solo mettere in pericolo.

- Sì, è sicuramente così… - ammise passandosi le mani sugli occhi.

- Perché Kate? Hai qualche idea? Qualcuno che ti ha minacciato, vecchi casi…

- Sì, Will forse qualche centinaio di persone… Le controlliamo tutte? - Rispose con una risata isterica

- Ti sei fatta molti nemici, Beckett… Lo sai che vuol dire questo?

- Che ho solo fatto il mio lavoro.

- No, che sei brava, ma questo l’ho sempre saputo.

- Ehy Sorenson - Lo richiamò Kate mentre stava uscendo. - Tu, tutto bene?

- Tutto come sempre Kate, si fanno scelte, anche sbagliate che in alcuni momenti sembravano le migliori. Poi magari quelle migliori sono quelle che non sono state fatte.

L’agente se ne andò chiudendosi la porta alle spalle e Kate pensò che come sempre Castle aveva capito tutto subito di lui.

 

A Kate era venuto in mente un vecchio caso ancora irrisolto, un omicidio insolito di qualche tempo prima del quale era fortemente sospettato un uomo poi arrestato per un un altro delitto poco tempo dopo, senza però mai mettere in relazione i due casi: Reginald Milton si chiamava e, se non ricordava male, anche lui era detenuto a Rikers Island. Avrebbe potuto utilizzare la scusa di andare ad interrogare Milton un’ennesima volta per fare qualche chiacchiera con il suo amico della penitenziaria, quell’idea le parve la migliore di tutte quelle avute fino a quel momento, di certo quella che avrebbe suscitato meno sospetti, capitava che ogni tanto si occupasse di vecchi casi irrisolti, sapevano tutti quanto desiderasse dare giustizia a tutti i parenti delle vittime.

Nel formulare quel pensiero nella sua mente si materializzarono le immagini dei genitori delle due ragazze uccise da Ramon Campos a New York ed immaginò altri 10 volti, quelli dei genitori delle altre cinque ragazze della Florida e Georgia. Sette vite, quattordici persone che non avrebbero mai avuto giustizia se lei avesse agito. Sette famiglie che per anni si sarebbero consumate nel sapere che l’assassino delle loro figlie era libero e magari avrebbe ucciso ancora e lei avrebbe avuto sulle mani il sangue di altre donne e le lacrime di altre famiglie. Lo avrebbe sopportato? Sarebbe stata in grado di vivere con questo fardello, con la paura di scoprire ogni giorno che Ramon Campos aveva ucciso ancora? Lei sarebbe stata complice di ogni goccia di sangue versata da quell’uomo, sarebbe stata colpevole tanto quanto lui.

Poi tra quei volti fatti di ombre sconosciute c’era uno solo che aveva senso, quello per il quale sì, sarebbe stata in grado di sopportare tutto ed era quello di sua figlia. Al resto, alla sua coscienza, alla sua vita, al suo lavoro, al suo futuro, ai suoi valori avrebbe pensato poi. Quando Lily sarebbe stata di nuovo a casa, al sicuro. Avrebbe pagato quello che avrebbe dovuto, Castle avrebbe capito, doveva capire, non era importante nulla se non riavere la loro bambina.

Quando bussarono di nuovo alla sua porta, aveva appena attaccato con il penitenziario di Rikers Island per fissare un colloquio per la mattina successiva. Non voleva forzare la mano per averlo subito, sarebbe stato qualcosa di insolito senza niente di nuovo in mano, ma era stato direttamente l’agente con il quale aveva parlato a dirle di andare la mattina dopo e lo trovò perfetto.

Fu Lanie questa volta ad entrare. Teneva in mano una busta di plastica con molta cura, si avvicinò alla scrivania e gliela mise davanti.

- Ciao tesoro, sono… le cose… di Lily… Sono state analizzate e ho pensato di riportartele subito… Insomma che tu le volessi…

- Grazie Lanie. - Kate abbassò lo sguardo sulla busta bianca opaca che non lasciava vedere nulla del contenuto interno. Era sicura che quella fosse stata un’accortezza della sua amica, come a volerle preservare quel briciolo di riservatezza per una cosa sua e sapeva che su quegli oggetti c’erano state mani che avevano lavorato e strumenti e pinze e forbici e analisi e campioni prelevati, ma apprezzò il suo gesto.

- Come sta Castle?  - Chiese la dottoressa distogliendo Kate dall’attenzione che rivolgeva alla busta facendoci scorrere le dita sopra come se la stesse accarezzando

- Meno bene di quanto voglia far vedere, fisicamente e non solo - Sospirò Beckett

- E tu invece? - La voce di Lanie era dolce e piena di umana compassione per la sua amica che non era abituata a vedere così devastata. 

- E io? Io non lo so. Cosa dovrei dirti, che rivoglio mia figlia? Che al pensiero che le succeda qualcosa divento matta? Devo cercare di resiste, Lanie. Lo devo fare per me, per Lily e per Rick.

- Ce la farai tesoro. Tu sei forte.

- Lo dite tutti - sorrise amaramente.

- Magari abbiamo tutti ragione. Ti lascio sola Kate… - Le disse Lanie indicando con lo sguardo la busta, sapeva che non l’avrebbe aperta fin quando lei fosse rimasta lì. 

 

 

Rick si ritrovò solo in camera. Martha gli aveva chiesto se avesse bisogno di qualcosa e la risposta fu più sgarbata di quanto avrebbe voluto darle: voleva solo stare solo. Vagava lentamente per la stanza, appoggiandosi ai mobili per darsi una stabilità quantomeno fisica, visto che quella emotiva era impossibile anche da ricercare. Ripiegò la coperta di Lily mettendola nella culla, ne prese il cuscino e lo sprimacciò come se dovesse prepararsi per metterla a dormire: operazioni quotidiane che faceva senza pensarci velocemente con una sola mano mentre con l’altra la teneva salda a sul petto. Ora i gesti erano lenti, compassati, fatti con una cura quasi maniacale, aggiustando ogni piega ed accarezzando la federa più volte. Rimase a guardare la sua opera e la rabbia lo assalì al punto che prese la culla e la rovesciò a terra creando un gran frastuono che fece immediatamente accorrere Alexis e Martha, incuranti delle sue richieste di solitudine. 

Lo videro in piedi, incerto, vicino al letto ad osservare quello che aveva appena fatto, con i pugni serrati e la faccia tesa in una smorfia rabbiosa. Alexis fu la prima a raggiungerlo, abbracciandolo e sentendolo vacillare come mai le era capitato, lui così grande e grosso rispetto a lei, ora sembrava un ramoscello in balia del vento.

- Papà… - Lo chiamò dolcemente ma lui continuava a guardare davanti a se anche se non vedeva nulla con gli occhi completamente pieni di lacrime che ancora non avevano trovato la strada di uscire.

- Richard, vuoi che chiamo Katherine? - Gli chiese Martha rimasta a qualche passo da lui

- No, voglio solo stare solo. - Disse ancora una volta alle due rosse.

- Papà, non credo che sia il caso… - Insistette sua figlia

- Alexis, per favore… Lasciatemi solo.

Sua figlia, riluttante, sciolse il suo abbraccio, accarezzandogli ancora la schiena in un tentativo di dargli un po’ di conforto. Non aveva mai visto suo padre così e la cosa la colpì profondamente. Era arrabbiato, era la prima cosa che si poteva notare vedendolo, insieme agli occhi impauriti e ad una sofferenza, invece più nascosta. Prima di uscire si avvicinò alla culla, voleva sistemarla ma lo sguardo che le rivolse suo padre, le fece capire che non doveva farlo.

Avrebbe dovuto fare di più, si ripeteva. Avrebbe dovuto capirlo che non erano un coppia di balordi qualsiasi, che non era una rapina. Avrebbe dovuto trovare il modo di avvertire Beckett, anche solo facendo il suo numero, poi lei avrebbe capito, lo avrebbe trovato. Invece non aveva pensato, non aveva ragionato. Non era stato lui, si era fatto solo portare in balia degli eventi. Non fare nulla, per non peggiorare la situazione, per non mettere in pericolo Lily. Avrebbero preso la macchina e i soldi, pensava. Li avrebbero lasciati in qualche posto isolato, si sarebbe fatto venire a prendere, avrebbe subito una ramanzina da Kate, forse, ma poi li avrebbe abbracciati felice di vederli stare bene. Sì, se la era immaginata così la storia nella sua mente mentre guidava verso quel parcheggio fuori mano. Gli chiese quanto volevano, sarebbe andato in banca, prelevato quello che era necessario, dovevano solo lasciarlo con la sua bambina. Ottenne come risposta solo di stare zitto e guidare. Poi quando aveva visto la donna dietro prendere Lily non aveva capito più niente, aveva provato a reagire e poi era tutto confuso. L’ultima immagine che aveva di sua figlia era lei che piangeva e le mani di quella donna che tenevano un taglierino. Ed era il suo incubo. Vedeva il riflesso della luce su quella lama come un flash accecante e la vedeva avvicinarsi a lei e poi più nulla, ma la sua mente ricomponeva immagini terribili e si vedeva disperato in ginocchio vicino alla macchina con quella lama a terra sporca di sangue. Non era reale, lo sapeva, ma lo tormentava. E si ripeteva che avrebbe dovuto fare di più. Si sentì infinitamente stanco, indietreggiò fino a quando le gambe non toccarono il bordo del letto e si sedette.

 

 

Kate rientrò a casa chiudendosi pesantemente la porta del loft alle spalle. Non aveva più ricevuto messaggi nè telefonate da Campos e quel silenzio la inquietava. 

- Novità? - Le chiese speranzosa Martha mentre si versava del vino

- No… - sospirò Kate - Castle?

Martha le indicò con uno sguardo la porta di camera. 

- È lì da quando sei andata via. Non vuole vedere nessuno.

- Mi potevi chiamare - le disse Kate poggiando una mano su quella dell’attrice, per trasmettere anche a lei un po’ di calore umano. Martha non diceva nulla, ma non era facile nemmeno per lei quella situazione difficile alla quale si aggiungevano i contrasti con Alexis.

- Non ha voluto… voleva stare solo.

Kate annuì.  Le fece male quella confessione di Martha, ma lo capiva. Lei aveva attinto da lui la sua energia per ricaricarsi, ritrovarlo era stato come respirare a pieni polmoni prima di andare di nuovo in apnea, vitale. Lo aveva visto, vivo, ed era per un attimo riemersa, lasciando che il suo corpo si ricaricasse di ossigeno in modo brutale e doloroso, ma necessario. Lo aveva tenuto per mano, per accertarsi che non glielo portassero via ancora, se ne era presa cura perché sentiva l’urgenza di farlo e non era stata nemmeno a chiedersi il perché, non lo voleva fare, perché in realtà la risposta dentro di se la conosceva bene. Era una mancanza che si allargava piano piano come una chiazza d’olio, qualcosa alla quale non aveva nemmeno mai fatto caso, perché tutto era stato così naturale e spontaneo ed era cresciuto dentro di lei: era il suo essere madre. 

Kate entrò in camera senza bussare e lo vide girarsi di scatto per controllare chi fosse quella presenza sgradita che aveva invaso il suo spazio, già pronto a ringhiare di lasciarlo solo. Rick vide che era lei e si rilassò. Loro potevano essere soli insieme, in quel momento. Beckett nel vedere la culla di Lily a terra tremò guardando Castle che sembrò scusarsi solo con lo sguardo di quel che aveva fatto, si alzò per rimetterla in piedi e trovò subito la mano di Kate, sulla sua. La presero, insieme, ed insieme la sistemarono, come doveva essere. Lasciarono che le loro dita si incrociassero su quel legno rivestito dalla morbida imbottitura, come tante volte avevano fatto, guardandola dormire. Non si erano ancora detti una sola parola quando si andarono a sedere di nuovo sul letto, guardando sempre nella stessa direzione, insieme, come due tuffatori di nuoto sincronizzato che non avevano nemmeno più bisogno di guardarsi per sapere quello che stavano facendo e dovevano fare.

Kate tirò fuori dalla tasca del giacchetto di pelle l’elefantino doudou che le aveva riportato Lanie e lo mise tra le mani di Castle. Lei lo aveva stretto tutto il pomeriggio. Non l’aveva fatta stare meglio, ma le sembrava un appiglio sicuro. Lui guardò il pupazzo stupito, era convinto che lo avesse Lily, che glielo avessero preso dall’auto e lo avesse con se.

- Era nella tua macchina… Me lo ha riportato Lanie oggi - Gli spiegò Kate.

Castle portò il piccolo oggetto morbido sul volto, sentiva distintamente, ancora il profumo di sua figlia, mescolato a quello di Kate. Ricordava perfettamente il giorno in cui Beckett lo aveva comprato. Era stato il giorno che aveva lasciato il distretto per andare in maternità, ufficialmente. Una mattina era passata solo a salutare i colleghi e lui era andato a prenderla all’ora di pranzo praticamente rapendola davanti a tutti, tra le congratulazioni e gli auguri di tutti i ragazzi del distretto e Kate che per una volta rideva di quella prepotenza di Castle che in ogni altra occasione avrebbe giudicato fuoriluogo. Era felice, erano felici e stavano bene, così si concessero in quella non troppo fredda giornata di inizio dicembre una passeggiata per le vie di New York, capitando non di certo casualmente, davanti ad un grande negozio per bambini e mentre lui saccheggiava tutta la parte dei vestiti, suscitando più di qualche sorriso divertito tra le altre clienti, tutte donne, e commesse, lei era rimasta colpita da quel piccolo elefantino grigio con il corpo che sembrava una morbida copertina di peluche. Non aveva molta esperienza di cose per bambini si ritrovò a studiarlo ed analizzarlo, fino a quando una commessa non arrivò in suo soccorso spiegandole cosa fosse e a cosa servisse. La trovò una cosa tanto semplice quando entusiasmante e una volta a casa lo presentò a Rick. “Lui dormirà con noi, prossimamente” gli disse così seria che Castle non potè fare a meno di ridere della sua stessa espressione facendola anche indispettire e finirono a battibeccare sul fatto che lui non avrebbe diviso il letto e sua moglie con un elefante facendo battute più o meno esplicite che lei raccolse stuzzicandolo ancora di più per poi finire quel discorso proprio nel luogo del contendere, tra baci e carezze. Alla fine l’elefantino dormì veramente con loro, più che altro con Kate. Quell’acquisto era stato una benedizione, perché Lily lo adorava e lo teneva sempre con se, lo voleva vicino quando dormiva nella culla, se non c’era la mano di sua madre vicino a lei per farla addormentare.

Rick guardò l’elefantino e poi Kate.

- È sola… E senza te… - disse stringendolo facendosi morire altre parole in gola.

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Capitolo 12
*** DODICI ***


- È senza di noi Rick…

- Quando non ci sei per dormire lo vuole sempre vicino - le disse rigirando il pupazzo tra le mani guardandolo come una reliquia - ed anche nel passeggino e in macchina. Lo vuole sempre. Profuma di te, e di lei… Come fa a dormire adesso?

- Ti prego Rick basta… - Lo supplicò

- Tu non ti rendi conto Kate quanto nostra figlia ha bisogno di te… È così bella quando ti si addormenta in braccio e ti appoggia la sua manina sul viso… Quando fate il bagno e lei sgambetta nell’acqua… è felice… 

- Basta Rick per favore… - Lo pregò ancora

- Tu e lei insieme siete la cosa più bella che ho mai visto in tutta la mia vita, non avrei potuto chiedere di più. Quando ho visto perla prima volta l’amore nei tuoi occhi mentre guardavi nostra figlia… c’era tutta la mia vita lì, ero l’uomo più felice del mondo.

- Per favore Rick… - Kate si sentiva lacerare dentro nel sentir parlare Castle. Sentire come lui descriveva il rapporto tra lei e Lily era devastante e le faceva sentire dentro tutto il vuoto per la sua assenza.

- Ti ricordi appena nata, avevi paura a cambiarla e lo facevamo insieme… Ora lo fai ad occhi chiusi e riesci anche a farla divertire…

- Ho avuto il maestro migliore e mi devi insegnare a farle tante cose ancora… Devo imparare tanto da te Castle… Sei tu quello esperto…

- Già… Esperto… 

Kate sentiva addosso tutto il dolore di Rick che si univa al suo, stava vivendo la stessa fase che aveva passato lei appena accaduto il fatto. Lo vedeva totalmente indifeso, come quel pupazzetto che teneva in mano, come se anche lui fosse un bambino solo ed impaurito e si sentì morire dentro ancora un po’. La sua ancora fluttuava nel mare alla deriva e si sentì anche lei di nuovo sola e persa. Quante volte Rick l’aveva tenuta a galla, da molto prima di essere una coppia, quante volta si era aggrappata alla sua presenza per fare un passo in più ed andare avanti. Lui c’era sempre stato, con la sua pazienza, i suoi sorrisi ed il suo ottimismo, pronto a tenderle la mano ed aiutarla, anche quando lei quella mano la rifiutava e lui non si scomponeva. Lei sapeva che c’era e tanto le bastava. Nel momento stesso in cui lo aveva visto ed sicura fosse vivo, si era sentita più leggera, convita che ancora una volta ci sarebbe stato lui a sostenerla, a darle la forza della speranza con il suo ottimismo innato e la sua determinazione. Vicino a lei, invece, c’era un bambino impaurito, un uomo sopraffatto dalle suo stesso dolore e dalle sue paure e la cosa che le faceva più male era che per la prima volta con lui si sentiva totalmente impotente di fare o dire qualsiasi cosa che lo potesse aiutare. Erano stati sempre convinti che per qualunque cosa la loro vicinanza sarebbe stata la migliore fonte di forza e di cura, ma Kate sentiva come essere lì, così vicini da sfiorarsi le mani e da sentire uno il battito del cuore troppo forte dell’altro, non li faceva stare meglio, nè li stava aiutando in alcun modo. Era dolore che si sommava a dolore e in realtà erano soli insieme, nel senso peggiore che riusciva a sentire dentro di se. Avrebbe voluto che le parlasse, che si sfogasse con lei, che tirasse fuori la sua rabbia ed il suo sgomento, ma non aveva nemmeno il coraggio di chiederglielo, sarebbe stata una richiesta egoistica, perché era suo il bisogno di sapere. Gli si avvicinò e lo baciò sull’angolo della bocca, tenendo le labbra su di lui più a lungo solo per prolungare il contatto mentre lui rimaneva immobile e lei gli accarezzava l’altra guancia con tutta la dolcezza che poteva.

- Domani mattina vado a Rikers Island. C’è un detenuto collegato ad un vecchio caso ancora irrisolto. Con la scusa vedrò di saperne di più del trasferimento di Campos. Non lo trasferiranno prima della prossima settimana. - Lo aggiornò su quanto scoperto nel pomeriggio

- Hai deciso, quindi… - Constatò Castle mentre si alzava appoggiando l’elefantino di Lily nella culla.

- Non ci sono decisioni da prendere Rick. Perché non ci sono alternative. - Gli disse Kate amaramente

- Ok…

Kate comprese che il suo bisogno di stare solo non era finito, così si alzò dal letto ed uscì dalla stanza, mentre lui era in piedi davanti al mobile con le loro foto con una cornice in mano di loro tre insieme, quella che era la loro prima foto a casa, la sua preferita. Rimase qualche istante sulla porta ad osservarlo poi rientrò e avventò letteralmente su di lui, dimenticandosi anche che ancora era debole ed intontito, sentendolo vacillare ma tenendolo per una volta lei stretto e saldo a se mentre si rifugiava con il volto nel suo torace.

- Ti amo Castle, ti prego non dimenticarlo mai. - Gli mormorò

Rick le regalò un timido sorriso che lei non vide mai prima di darle un bacio tra i capelli.

- Non potrei.

 

 

- Ci sono novità? - Chiese Alexis appena era scesa dalla sua camera. Raggiunse Martha e Kate che erano sedute sul divano in silenzio. Avevano scambiato qualche battuta soprattutto sullo stato di Rick, nulla più. Beckett sapeva di non poter dire alla figlia di Castle come stavano le cose, ma allo stesso tempo non poteva continuare a dire che non c’era nulla di nuovo, avrebbe capito la sua frustrazione e sarebbe stata più che comprensibile, così la aggiornò su quelle che erano le indagini ufficiali, aggiungendoci alcuni suoi “sospetti” e spiegandole come, secondo lei, era tutto strettamente ricollegato al caso Campos che aveva seguito giorni prima ed era stata anche la prima cosa che aveva detto a Sorenson quando indagava su DeVito, anche se lui non le aveva creduto.

- Quindi è collegato ad un tuo caso… 

- Sì, lo è - Ammise Kate

- Come sempre, quindi… - la colpì la ragazza

- Alexis! - Martha rimproverò la nipote con tono stupito e severo ma Beckett la interruppe

- Non ti preoccupare Martha, va tutto bene… - la rassicurò Kate

- Non posso stare qui a sentire certe cose, vado a preparare qualcosa da mangiare! - Disse alzandosi da lì e spostandosi in cucina dove, inevitabilmente, avrebbe sentito tutto ugualmente.

- Cosa va bene Kate? Non mi pare ci sia qualcosa che vada bene, in realtà. - I suoi occhi azzurri erano come lame di ghiaccio che la trapassavano ma era inutile sottrarsi ancora a quel confronto che sembravano stessero rimandando solo di volta in volta.

- Alexis, credimi, io farei qualsiasi cosa se potessi cambiare le cose in questo momento.

- Cosa faresti Kate? Cosa cambieresti? E’ sempre così! Da sempre! Tu, papà, ed adesso anche Lily! Non finirà mai, ci sarà sempre qualcosa ancora, nonostante le promesse.

- Pensi che io voglia tutto questo? Tuo padre e tua sorella sono tutta la mia vita.

- Penso che tu non rinuncerai mai a quella che sei, nemmeno per loro.

Kate rimase a bocca aperta incapace di replicare. 

- La tua vita Kate. Tutto è sempre stato intorno alla tua vita. Le scelte di mio padre, tutto quello che è successo in questi anni, tu che hai giocato con lui come il gatto con il topo fino a quando non sei stata tu a non riuscire più a giocarci e ti sei arresa, perché tanto lo sapevi, lui c’era sempre per te. C’è sempre stato in ogni modo che tu gli hai permesso di esserci e lui si è adattato pur di starti vicino, pur di farti contenta e stare con te. Ha accettato le tue fughe e le tue scelte, il mettere sempre prima quello che per te era importante non pensando nemmeno a se stesso o a quello che pensava la sua famiglia perchè per lui c’eri prima di tutto tu. Ed io ero anche felice quando lo vedevo così contento con te, come non lo era mai stato, nonostante tutto quello che voleva dire starti vicino. Lui era felice con te. Tu lo ami papà, vero però ti importa realmente di lui, quello che sente per te, di come vive per te e la vostra famiglia? Avete rischiato di perdere tutto, un anno fa e poi avete avuto tutto. Ma non ti bastava nemmeno quello, vero Kate? Mio padre, tua figlia non erano abbastanza per te se non c’era la tua vita e loro intorno. Perché poi la vita ricomincia e tanto c’è papà a che si occupa di Lily mentre tu ritorni alla tua vita e al tuo lavoro come se nulla fosse, tanto c’è papà che si prende cura di tua figlia mentre le tue priorità sono altre. È facile essere la moglie di Richard Castle, mettere al mondo dei figli e poi…

Alexis si fermò a riprendere fiato, aveva rovesciato addosso a Kate tutto quello che aveva dentro e non riusciva a trattenere. Anni di paure e tensioni, di situazioni accettate solo per amore del padre, di volte in cui si era nascosta dietro il suo essere forzatamente più grande e matura perché tutti volevano che fosse così. Ma ora aveva paura. Per suo padre che vedeva distrutto, per sua sorella che non sapeva dove fosse e per quella vita che le sembrava di nuovo così ciclica di una madre che lascia la figlia a suo padre per dedicarsi al suo lavoro. Non avrebbe permesso che Lily vivesse lo stesso, che soffrisse per le stesse sue assenze. Aveva visto l’amore con il quale Kate si occupava di sua figlia fino a pochi giorni prima le aveva così invidiate che si sentiva anche moralmente responsabile per quel distacco. Avrebbe voluto che sua madre l’avesse guardata almeno una volta con gli occhi che Kate guardava sua figlia e proprio per questo ora non capiva perché aveva dovuto riprendere la sua vita e mettere tutti di nuovo in questa situazione? Perché non potevano solo essere felici? Perché non faceva niente per esserlo? Perchè non le bastava essere felice con suo padre e sua sorella?

Nel silenzio totale del loft anche Martha smise di preparare la cena. Si sentivano solo i singhiozzi di Alexis. 

- Mi dispiace, per tutto. - Kate si teneva la testa tra le mani, non sapeva cosa dire alla ragazza, si era arresa a lei e alle sue parole. Avrebbe voluto dire tante cose, replicare punto su punto, spiegare quanto lei amasse Rick e sua figlia, quanto si era colpevolizzata per gli errori del passato, ma non poteva fare nulla per cambiare quello che era stato. Non sarebbe servito nulla, non in quel momento. Si prese le sue accuse che erano state quelle che spesso di era anche rivolta da sola. Non aveva senso fare una gara di sofferenza in quel momento, lo stavano facendo tutti in modo diverso, sfogandosi diversamente. Per Alexis era il momento della rabbia e lo capiva. Era stata arrabbiata con il mondo alla sua età per anni.

- Alexis, basta. - La voce bassa e calma di Rick sorprese sua figlia alle spalle che si voltò verso di lui e fece alzare anche lo sguardo a Kate.

- Papà… io… 

- Basta. - Girò tutto intorno al divano, portandosi dietro Kate. - Lily è nostra figlia. Alexis non ti permettere di giudicare. Nemmeno tu. 

Castle poggiò le mani sulle spalle di sua moglie che chiuse gli occhi al suo tocco, non la stringeva ma sentiva come era forte il suo contatto e percepiva tutta la tensione sulle sue dita che premevano su di lei.

- Ehm… Ragazzi… La cena è pronta… - Martha provò ad interrompere quel momento di palese tensione, dove Alexis era la più sorpresa dal comportamento di suo padre.

- Io non mangio. Non ho fame. - Disse Rick visibilmente contrariato andando nel suo studio seguito con lo sguardo nei suoi movimenti da moglie, madre e figlia.

 

Le tre donne si ritrovarono in silenzio sedute allo stesso tavolo a mangiare un piatto di mac & cheese preparato da Martha più per voglia di non stare ferma che per quella di cucinare. Nessuno in realtà si sarebbe preoccupato di quanto fosse buona o meno quella cena, erano tutte abbastanza grandi per capire che dovevano nutrirsi per pura sussistenza nonostante avessero tutte lo stomaco chiuso e passavano più tempo a dividere i riccioli di pasta con la forchetta uno dall’altro e a masticare lentamente, troppo lentamente. L’unico rumore che accompagnava lo sbattere delle forchette sul piatto era il picchiettare frenetico sui tasti che veniva dallo studio di Castle e quando questo cessò improvvisamente fu come se le tre si accorgessero per la prima volta della presenza l’una dell’altra. Era una situazione imbarazzante per Kate, non si era mai trovata con Martha ed Alexis in una situazione simile, avevano sempre avuto un rapporto ottimo di rispetto ed anche complicità. Adesso lei e la figlia di Castle sembravano due estranee che era peggio di essere nemiche e Martha in mezzo a loro che non poteva parteggiare per nessuna, benchè cercasse di capire le posizioni di tutte e due e provasse pena per Kate come madre in quella situazione, non poteva non vedere anche la sofferenza della nipote che vedeva troppi fantasmi del passato ritornare a galla.

Kate si alzò per buttare gli avanzi del suo pasto e prendere un piatto pulito per portare qualcosa a Castle.

- Papà ha detto che non ha fame. - Le disse Alexis vedendola andare verso lo studio.

- Lo so… - Beckett tirò dritta ed entrò, era seduto davanti alla sua scrivania e guardava il monitor dove faceva scorrere una dopo l’altra le varie foto di Lily di quesi mesi. Kate gli diceva sempre che ne scattava troppe, in continuazione, ma a lui non sembravano mai abbastanza, ogni momento era speciale e degno di essere immortalato.

Kate appoggiò il piatto vicino al computer ma Rick non prestò attenzione nè a lei nè a quello che aveva appena portato, si mise vicino ma a guardare le loro foto non ci riusciva, mentre lui ci si stava torturando. Appoggiò la mano su quella di Rick che faceva nervosamente scorrere le foto, bloccando quell’incedere e fissando sullo sfondo proprio una foto dove erano tutti e tre, un po’ mossa, con Lily in braccio a Kate mentre Rick provava a baciare sua moglie e scattare il selfie allo stesso tempo. Due pessimi risultati a giudicare dal bacio e dalla qualità della foto. Però era una foto bellissima, era un momento qualsiasi felice di quelli che avevano vissuto tanti in quei quattro, splendidi, mesi.

Solo allora Castle guardò verso Beckett, infastidito da quell’interruzione.

- Devi mangiare qualcosa Rick, non hai mangiato nulla…

- Non ho fame. Non voglio niente. - Scostò la mano di Kate e riprese a scorrere le foto.

- Sei ancora debilitato Rick… - provò ad insistere lei, ottenendo però da Castle solo uno scatto rabbioso che gli fece buttare via il piatto dalla scrivania facendolo in mille pezzi a terra che si mischiarono con la pasta. Il frastuono fece accorrere anche Martha ed Alexis che però rimasero a distanza perché la scena che videro era tutt’altra di quella che si sarebbero aspettate: Kate in piedi davanti a Castle che seduto aveva appoggiato la testa contro il suo ventre e la stringeva a se piangendo senza sosta soffocando i suoi singhiozzi sul corpo della moglie, mentre lei gli accarezzava i capelli. Beckett pregò con lo sguardo le due donne di lasciarli soli e Martha fece uscire Alexis e chiuse la porta dello studio.

- Sfogati Rick… Non tenerti tutto dentro… - gli ripeteva accarezzandolo dolcemente e quando lui si staccò e la guardò, con gli occhi arrossati e bagnati, si piegò sulle ginocchia, per essere alla sua altezza, e gli asciugò il viso con le sue mani, baciandolo e poi lo fissò intensamente negli occhi mentre gli teneva il volto tra le mani ed avrebbe voluto giurargli che avrebbe riportato a casa la loro bambina, ma sapeva di non poterlo fare.

 

Pulirono insieme per terra in silenzio, in quel silenzio che li stava caratterizzando fin troppo e non era un silenzio complice, ma fatto di imbarazzo e distanza. Non erano abituati a sentirsi così, a vicenda. Prima che Kate uscisse dallo studio Rick la chiamò.

- Scusami Kate.

- Non è successo nulla. - Disse indicando il sacchetto dove avevano messo cocci e cibo raccolti velocemente.

- Non per questo, cioè, non solo per questo, ma per Alexis.

- Stiamo passando tutti un momento difficile. Ognuno con i suoi ricordi a tormentarlo.

- Kate… Sei… Sei l’unica moglie che avrei mai dovuto avere e soprattutto sei un’ottima madre.

- Non lo dire adesso Castle… Non ora. - Le sue parole avevano sempre il potere di farla tremare come una corda di violino e in quella situazione i suoi nervi ancora più scoperti erano esposti alle sue parole pericolosamente.

- Lo sei soprattutto ora, io lo so. - Beckett incassò gli apprezzamenti del marito senza rispondere. Aveva un gran bisogno di sentirselo dire, anche se diceva il contrario. Le parole di Alexis non l’avevano ferita, ma le avevano fatto tornare tanti di quei dubbi che cercava sempre di tenere il più lontano possibile da se stessa.

- Rick, dovresti parlare con Alexis. È scossa da tutto quello che è accaduto ed ha bisogno di parlare con te, con calma.

- Domani lo farò.

 

Fu strano ritrovarsi quella notte a dormire insieme nella loro stanza così silenziosa. Non c’erano i mugolii di Lily quando sognava, nè i suoi lamenti quando il suo pupazzo le finiva troppo lontano e non ne sentiva più il calore ed il profumo, nè il suo pianto che interrompeva le loro notti e nemmeno il suo respiro profondo di quando dormiva beatamente. Era vuota. Entrambi sapevano che non stavano dormendo e facevano solo finta, riconoscevano a vicenda il respiro trattenuto e quello forzato, i movimenti impercettibili per non disturbare ed il rimanere fermi distanti.

- Come hai superato le scorse notti Kate? - Gli chiese Castle quando non riuscì più a fare finta di dormire.

- Non ho dormito fino a quando non c’eri tu. 

Continuarono a non dormire, ma passarono tutta la notte abbracciati.

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Capitolo 13
*** TREDICI ***


- Capitano Beckett! 

Uno degli agenti della penitenziaria la salutò con particolare calore vedendola varcare l’entrata del penitenziario di Rikers Island. Era solita andare e venire da quei posti in maniera molto spiccia, senza perdersi in troppe chiacchiere e convenevoli, era sempre gentile e cordiale con tutti, ma se doveva andare ad interrogare un detenuto andava, faceva il suo lavoro irritandosi se ci fossero state perdite di tempo inutili e andando via. Era semplice. Quel giorno, invece, era il contrario. Ogni perdita di tempo, chiacchiera e possibilità di attaccare bottone le era non solo gradita ma indispensabile. Era la prima volta che tornava lì da tanto tempo e dopo quello che era accaduto con Loksat ormai aveva raggiunto una notevole fama negli ambienti della polizia di New York, era un esempio per le giovani matricole, soprattutto per le ragazze che la vedevano come una donna di successo che non era mai scesa a compromessi, capace di emergere in un mondo maschile e maschilista. 

Quella mattina però aveva poco del capitano istituzionale, quando si era vista allo specchio pensò che aveva indossato di nuovo i suoi più dinamici abiti di detective che quelli “burocratici”, come Castle chiamava i suoi tailleur austeri. Avanzava nel corridoio che portava alla sala interrogatori fasciata nei suoi stretti jeans scuri ed il rumore dei tacchi alti degli stivali si sovrapponeva al ticchettio delle fibbie del giacchetto di pelle. 

Parlò con Milton per una mezz’ora ottenendo nulla, ma non le importava. Era stata molto più interessante l’attesa, con uno di quegli imprevisti che in condizioni normali l’avrebbero alterata non poco e che invece aveva benedetto. C’erano stati dei problemi nell’aerea comune. Da quando Ramon Campos era arrivato al Rickers la tensione tra le bande sudamericane era aumentata, in special modo tra i CB, i Caballos Blancos, fedeli ai Campos e i Socorros scagnozzi del suo principale rivale, il messicano Oscar Sanchez. Quella mattina le schermaglie fra i due gruppi si erano trasformate in un paio di accoltellati non gravi che avevano creato molto scompiglio ed un ritardo generale per le visite programmate, quella di Beckett inclusa, che utilizzò proprio quell’espediente per poter chiedere più informazioni sulla situazione di Ramon Campos, parlando con il suo amico l’agente Terry, che fu ben felice di intrattenersi con lei aspettando che la situazione tornasse alla normalità. Scoprì quindi che Campos era tenuto in isolamento proprio per evitare maggiori problemi con gli altri detenuti, fino a quando non sarebbe stato trasferito, era ancora questione di poco, perchè sarebbe rimasto lì solo altri cinque giorni. 

Terry, sempre molto loquace, gli raccontò che anche lui avrebbe preso parte alla scorta per il trasferimento, perché con un bimbo in arrivo quegli straordinari in più gli avrebbero fatto molto comodo, ed in fondo era un lavoro semplice. Avrebbero preso un volo dal La Guardia fino a Jacksonville e poi da lì lo avrebbero portato al penitenziario nella contea di Union. Terry si era già fatto i conti e con quanto avrebbe guadagnato le disse che avrebbe finito di comprare i mobili per la camera del suo bambino. Kate si rabbuiò a sentire quei discorsi e il suo peso opprimente tornò a schiacciarla in modo insostenibile. Se ne accorse anche l’agente che aver sentito della sua situazione presente da più giorni su vari notiziari e si scusò imbarazzato, rassicurato da Beckett. Gli era stato molto utile, ma questo non poteva dirglielo. Prima di andarsene gli chiese se poteva controllare la scheda del registro del penitenziario di Reginald Milton, perché le sarebbe stato utile sapere delle sue visite e di chi gli inviava i pacchi mensili, l’accompagnò quindi nell’ufficio dove si occupò personalmente di andarle a fare una copia del materiale che aveva richiesto, così l’avrebbe potuto consultare con comodo. Rimasta sola cercò velocemente nello schedario quella di Ramon Campos, che era il suo vero obiettivo. Fotografò rapidamente tutte le varie pagine e la rimise a posto, proprio poco prima che Terry tornasse con il plico dei fogli fotocopiati.

 

 Uscita da lì guidò per tornare al distretto ma si fermò in un parco fuori mano, dove non era mai stata. Era sporco e piuttosto squallido, con a terra ricordi di nottate allegre. Camminò sull’erba consumata e malcurata fino a raggiungere lo spiazzo con le altalene che l’avevano inconsciamente attratta ma appena valutato lo stato pericolante abbandonò l’idea di sedersi lì optando per una canonica panchina. Girava e rigirava tra le mani il cellulare con il quale avrebbe dovuto chiamare Campos assorta nei suoi pensieri e dilaniata dai dubbi della sua coscienza che tornava prepotentemente a farsi sentire anche se la sua voce era sempre tenuta a bada dalla presenza costante della necessità di riavere Lily. 

Un ragazzo si sedette vicino a lei, tirando fuori una bustina dalla tasca della giacca, chiedendole se volesse qualcosa per rilassarsi un po’. Kate sorrise e quello lo prese come una risposta affermativa, facendole vedere altre delle sue mercanzie di prima qualità, specificò prima che, scostando il giacchetto, Kate gli mostrasse il suo distintivo, facendolo filare via di corsa. Un’altra lei, qualche tempo prima, lo avrebbe arrestato lì, in quel parco, ma in quel momento voleva solo stare sola a pensare e quel parco sporco, fatiscente, mal frequentato e pieno di miseria umana le sembrava la cosa che più fosse vicina a lei, a quello che stava per fare. Pensò all’agente Terry e agli altri ragazzi che avrebbero fatto la scorta, a cosa avrebbero rischiaro, alle famiglie che avrebbero potuto piangere delle vittime innocenti, a quel bambino che non avrebbe mai potuto conoscere il padre, a tutti quei colleghi che avrebbe mandato incontro ad una probabile esecuzione. Pensò a sua figlia. 

- Campos, sono Beckett. Tuo figlio sarà trasferta tra 5 giorni al penitenziario della contea di Union… Per ora non so altro.

- Vale Jefa… Aspetto altre tue notizie. Tu hija quiere vederte… È impaziente.

Lo era anche lei, terribilmente. Lo aveva chiamato con l’intenzione di dirgli tutto quello che aveva scoperto quella mattina. Poi non ce l’aveva fatta era stata lì lì per rivelare tutto quello che gli aveva detto Terry ma le erano morte le parole in gola. Ora non stava nemmeno meglio. La sua coscienza non era pulita nè come poliziotto nè come madre. Si sentiva messa in mezzo, è carne nè pesce, in errore sotto tutti i punti di vista e sapeva che avrebbe dovuto parlare con Castle… 

 

 

Rick capì che Kate aveva ragione, la notte si superava solo non dormendo e lui lo aveva fatto pochissimo, così come lei. L’aveva sentita per poco tempo rilassata tra le sue braccia con il respiro più calmo ed in quel tempo si era permesso di stare tutto il tempo ad osservarla dormire, era una delle cose che da sempre gli piacevano di più e che lo facevano stare se non bene almeno meglio, nonostante tutto. Riuscì a dormire anche lui pochissimo e fu un sonno nervoso al quale Kate assistette impossibilitata, invece, a calmarlo. Si vegliarono a vicenda, ognuno custode del riposo dell’altro, come a volersi proteggere in quei brevi periodi di incoscienza. Castle ebbe tanto tempo, poi, per pensare prima del sorgere del sole e che il nuovo giorno cominciasse. Un giorno in più. Un altro giorno. Quando salutò Kate prima che lei uscisse per andare al Rikers, si prese il lusso in quell’occasione di abbracciarla e tenerla tra le sue braccia più di quanto un normale saluto avrebbe dovuto essere. Era come se non volesse lasciarla uscire e andare via, voleva tenerla vicino a se, almeno lei, al sicuro ed a Kate era piaciuto indugiare tra le sue braccia ed assaporare ancora un po’ del suo calore dal quale aveva cercato di trarre coraggio e forza. Poi l’immagine di Lily portata via da lui si era materializzata nella mante di Castle e aveva lascaito all’improvviso Kate, come poteva pensare che tenerla vicina a lui avrebbe voluto dire essere al sicuro? Beckett si era allontanata dal suo petto osservando il suo volto tirato e lo aveva accarezzato lì dove le sue rughe si accentuavano, le faceva male vederlo così e Beckett sapeva benissimo che lui si stava colpevolizzando e non lo voleva, perché non era colpa sua e se c’era una responsabile di questa storia era solo lei, lui era solo una vittima. Kate aveva avvicinato le labbra a quelle di suo marito, nella ricerca di un contatto che le sembrava tanto inopportuno quanto necessario. Aveva temuto un suo rifiuto che non ci fu e si erano scambiati lì vicino alla porta del loft un bacio tenero e struggente del quale non sapevano quanto ne avevano bisogno fino a quando non si erano sfiorati. Rick poi le aveva ripetuto di stare attenta quando era già fuori dalla porta e lei gli aveva detto ancora una volta che lo amava e di non dimenticarselo.

 

- Tu la perdoni sempre, vero? - Chiese Alexis a suo padre appena aveva richiuso la porta del loft alle sue spalle.

- Kate non ha niente da farsi perdonare.

Rick invitò sua figlia a seguirlo, si sedettero vicini sul divano e Castle prese le mani di Alexis prima di parlarle.

- Qual è il tuo problema con Kate? Perché sei così dura con lei?

- Per tutto quello che è stato, per questo, perché sarà sempre così. Vivere con la paura che accada sempre qualcosa alle persone alle quali vuoi bene. Non è facile papà.

- Non devi prendertela con lei, allora, ma con me. Quando ami qualcuno, hai sempre paura che gli accada qualcosa.

- La paura però è supportata dai fatti nel nostro caso.

- Sai qual è stato uno dei giorni più brutti della mia vita? Quando ti hanno rapito. E sai chi c’era vicino a me, quel giorno? Beckett e non perché stavamo insieme, perché lei ci sarebbe stata a prescindere. Mi ha permesso di fare delle cose che non pensavo fosse possibile delle quali non mi ha mai chiesto conto. Perché voleva che ti ritrovassimo il prima possibile a qualsiasi costo. Mi è stata vicino, ha ascoltato i miei sfoghi, le mie paure ed i miei ricordi. Ha provato a darmi coraggio e a farmi vedere positivo quando credevo che la mia vita fosse finita, perché non vedevo un appiglio positivo in tutta quella storia. 

- Perché mi sta raccontando tutto questo? 

- Non voglio farti ricordare momenti terribili, voglio solo che provi a capire. Per me non è diverso oggi. Lo stesso terrore che provavo in quei giorni, lo provo adesso. Sono le stesse paure e gli stessi incubi però allora c’era Kate che mi diceva che sarebbe andato tutto bene, che tu eri una ragazza in gamba e te la saresti cavata. Ed infatti sei riuscita anche a farmi avere tue notizie che mi hanno fatto venire fino a Parigi. Kate aveva ragione e si fidava delle tue capacità più di quanto facessi io.

- Tu sei venuto fino a Parigi… Ora cosa sta facendo Kate?

- Solo perché tu non sai quello che sta facendo non vuol dire che non faccia nulla. Ci sono delle cose che è meglio che tu non sappia, nè nessun altro.

- Perché? 

- Perché è così. Perché nessuno vuole rischiare la vita di Lily in nessun modo. 

- Qualcosa che porterà nuovi guai, allora.

- Non è importante ora questo Alexis. Conta solo avere il più presto possibile Lily a casa. Al resto penseremo dopo. C’è solo una cosa che voglio che sia ben chiara. Tu sei mia figlia ed io ti amo immensamente, però questo non vuol dire che puoi attaccare Kate e riversarle contro la tua rabbia, perché non se lo merita. Tu non hai nemmeno idea di quello che sta passando e non ne ho nemmeno io in realtà perché non ho il coraggio di chiederglielo, perché mi spaventa il suo dolore.

- Perché lo stai dicendo a me, papà?

- Per farti capire. Questa è casa tua Al, però se devi stare qui per aggredire Kate non credo che tu debba rimanere. In questo momento abbiamo tutti bisogno di essere uniti, di farci forza in qualche modo e non posso pensare che mia figlia usi ogni occasione per scontrarsi con mia moglie. Lily è tua sorella e sono felice di sapere che le sei così affezionata. Ma Kate è sua madre e non puoi mettere in dubbio quello che prova per sua figlia.

- Perché è sua madre?

- Sì. Perché è sua madre e non è Meredith. Non devi mai pensare che Kate sia come tua madre, perché non è così. Se c'è una persona che è pienamente consapevole di cosa vuol dire essere una madre e di quanto sia importante essere presente per la propria figlia è Kate.

- Come fai a dirlo?

- Lo so e so che lo sai anche tu in realtà. Ho visto come le guardavi più volte quando erano insieme. Se Kate lavora, non sta abbandonando sua figlia, fa quello che fanno tutte le persone normali. Io ho tanto tempo libero e quindi mi occupo di lei. Ma non la sta abbandonando a me per seguire i suoi sogni. Non la puoi accusare di questo, non è giusto.

- Vuoi che me ne vado, quindi?

- No, Alexis. Voglio che rimani, ma che capisci la situazione. Per me e per Kate questo momento è molto difficile, abbiamo bisogno di qualcuno che ci sostenga, non che ci attacchi nelle nostre debolezze. Quello che le hai detto ieri è stato crudele, sei andata a colpirla dove sapevi le avresti fatto del male, non è da te Alexis. 

- È difficile anche per me papà, e lo è stato ancora di più quando sono arrivata. Tu e Lily scomparsi e Kate che non faceva nulla. Mi sono sentita tradita ed abbandonata. Perchè non faceva qualcosa, perché pensava solo al suo dolore e non a voi?

- Perchè è umana. - Rick fece una pausa durante la quale sua figlia lo guardò senza riuscire a capirlo realmente - Ma non credo che lei pensasse solo a se stessa. Ma soprattutto Alexis, se Kate a casa sua vuole piangere, per qualsiasi motivo, deve essere libera di farlo senza che nessuno le dica che non va bene. Noi siamo la sua famiglia, non qualcuno a cui rendere conto del suo lavoro.

 

 

Kate andò al distretto pre riconsegnare il fascicolo su Reginald Milton che aveva preso quella mattina prima di andare al penitenziario.

- Novità? - chiese a Ryan ed Esposito che si erano presentati nel suo ufficio appena l’avevano vista arrivare

- Qualcosa, ma non molto. Sulla lama del taglierino hanno trovato un’impronta parziale che sarebbe compatibile con quella di una certa Maria Asenjo. - Iniziò Esposito

- Che sappiamo di lei? - Chiese Kate interessata

- Poco, una condanna per spaccio 8 anni fa. Però la cosa interessante è che adesso lavora per la stessa società di Emma Vladic e che il suo fidanzato Hector Yepes è stato assolto 3 anni fa dall’accusa di aver ucciso un connazionale venezuelano… E indovina da chi era difeso? - Le chiese Ryan 

- De Vito - disse Beckett

- Proprio lui. - l’irlandese indicò il nome sul verbale.

- Bene. Portateli qui, voglio farci quattro chiacchiere… 

- Li abbiamo già cercati ma sono tre giorni che nessuno li ha visti e che la Asenjo non va nemmeno a lavoro. 

- Non può essere casuale - concluse Beckett. Sapeva benissimo che tutto era collegato a Campos e questo lo sapevano anche Ryan ed Esposito. Volevano comunque continuare ad indagare, non solo perché altrimenti sarebbe stato tutto troppo sospetto, ma anche perchè ancora sperava di riuscire ad arrivare ad una soluzione in modo alternativo da quello che le stava imponendo Campos. - Sorenson cosa dice?

- Non molto. - disse Kevin - solo che dopo tre giorni senza notizie pensa che… Forse dovremmo dirglielo Beckett… 

- No. - Tuonò Kate - Ryan, non potete tradirmi su questo.

- Non lo faremo Beckett. Siamo con te. Fidati di noi. - la tranquillizzò Esposito mentre lei fissava Kevin negli occhi che non riuscì a sostenere a lungo lo sguardo glaciale del suo capitano. 

Beckett stava per tornare a casa, doveva parlare con Castle il prima possibile, quando Sorenson la fermò conducendola in una stanza dove rimasero soli.

- Vuoi interrogarmi? - Lo sfidò Kate braccia conserte al centro della stanza rifiutandosi di sedersi davanti all’agente che si alzò portandosi davanti a lei

- Perché sei sempre sulla difensiva con me? - Chiese Will

- Non mi hai dato motivo per fare altro… 

- Kate… Siamo tutti qui per aiutarti. E per farlo è necessario che tutti noi siamo lucidi, razionali e non coinvolti. Tutto quello che non sei tu. Ed è comprensibile. 

- Cosa mi devi dire Will? Parla.

- Chiunque ha rapito tua figlia è un professionista esperto. Non ha lasciato tracce, conosceva bene tutti i percorsi e le telecamere per non farsi vedere. Le persone identificate dai tuoi detective potrebbero essere effettivamente coinvolte e abbiamo cominciato a cercarle anche noi. Però Kate… tuo marito è stato liberato, tua figlia no… sono passati tre giorni, nessuno si è fatto sentire. Sai anche tu questo cosa vuol dire…

- Ridimensionerete le ricerche.

- No! Non ancora, almeno… Però Kate… Ormai non credo che vogliano un riscatto, sembra più una ritorsione. Ed il fatto che abbiano rilasciato anche Castle mi fa pensare che è qualcosa che possa riguardare entrambi e da vicino, qualcosa di personale. Dovreste farmi un elenco di tutti i casi a cui avete lavorato insieme nei quali siete stati direttamente coinvolti o anche se ci sono persone che possono avercela con voi per altri motivi.

- Chiedi a Ryan ed Esposito. Ti daranno tutto l’elenco. Io vado a parlarne con Castle e faremo una lista di quelli più importanti.

- Ah Kate… Sai se Castle aveva qualche fan magari un po’ più pressante di altre, sai qualche squilibrata qualcosa così…

- Gli arrivano sempre tante lettere, ma non penso nessuno con questa capacità organizzativa. Però gli dirò di fare un elenco di quelle più insistenti.

Andò nel suo ufficio e chiuse la porta. Si guardò intorno. Quanto era stata effettivamente lì? Poco, troppo poco. Avrebbe voluto lasciare un segno importante, anche se sapeva che il suo tempo lì sarebbe stato breve. Probabilmente però un segno l’avrebbe lasciato, ma per la cosa più odiosa che un poliziotto può fare: tradire i suoi colleghi. Lesse il suo nome sulla targa e la girò. Non lo meritava, non meritava di essere il Capitano del dodicesimo.

Uscendo dal distretto e si fermò ad osservare e salutare ognuno di quegli agenti che le riservavano sempre uno sguardo o un sorriso. Che in quei giorni terribili non avevano mai mancato di farle sentire il loro appoggio, per come potevano. Provò a sostenere lo sguardo di ognuno di loro mentre se ne andava.

Non tornò al loft come aveva previsto. Parcheggiò l’auto lungo il marciapiede, in fila, come tante altre. Varcò il cancello pesante e camminò tra i viali in quel percorso che aveva fatto migliaia di volte, una processione solitaria. Le parole incise nella pietra quel giorno le facevano ancora più male. Sentiva che prima di se stessa stava tradendo lei, sua madre. Le avrebbe voluto chiedere cosa doveva fare, come poteva esserci una decisione giusta ed una sbagliata in quella situazione. Le chiese perdono, per non essere quella che lei avrebbe voluto, per rinnegare tutto quello che era stata e la sua vita e le chiese, infine, di provare a capirla. Toccò la pietra fredda e ruvida, ci sfregò le mani sopra fino a far arrossare i palmi, poi andò veloce verso la sua auto e ripartì.

 

- Ciao Kate! Tuo padre è libero, se vuoi andare da lui.

Beckett salutò Anne, la segretaria di suo padre e si diresse verso la stanza in fondo al corridoio. Non andava quasi mai nel suo studio, veramente erano anni che non ci metteva più piede, ma notava che era tutto rimasto identico, ma non la stupiva, nè suo padre nè i suoi soci erano persone che amavano troppo i cambiamenti e che badavano poco alle apparenze, uomini concreti. Bussò alla porta del suo studio e sentì la sua voce impostata e professionale invitarla ad entrare e poi il suo stupore nel vedere che chi si era palesata era sua figlia. 

- Katie! Cosa ci fai qui? Ci sono novità?

Kate si chiuse la porta alle spalle, assicurandosi che fosse ben chiusa, poi si sedette alla scrivania si suo padre, come una cliente qualsiasi.

- Ho bisogno di parlarti. - Fece una pausa per far sì che le sue parole fossero chiare - Come mio avvocato.

- Cosa succede Kate? - Chiese Jim preoccupato.

- Papà, questo vuol dire che qualunque cosa io stia per dirti, tu non la potrai dire a nessuno e nessuno vuol dire incluso Castle.

- Katie, mi devo preoccupare?

- Castle è stato ritrovato perché mi hanno detto dove trovarlo. Io so chi ha rapito Lily, sono in contatto con loro. Loro vogliono una cosa da me per lasciarla andare ed io gliela darò.

- Di cosa stai parlando, Katie?

- Carlos Campos vuole sapere come far evadere il figlio durante il trasferimento in Florida. Questa mattina ho avuto tutte le informazioni necessarie. Per ora ho preso tempo dandogli solo qualcosa di non rilevante, ma non posso rischiare la vita di mia figlia.

- Lo sai questo cosa vuol dire Katie?

- Sì, lo so. Vuol dire che sarò esattamente come quelli a cui ho dato la caccia per tutta la vita, vuol dire che delle persone, dei colleghi, probabilmente moriranno per causa mia, vuol dire che tutto quello che ho fatto fino a qui verrà spazzato via, che tradirò me stessa, che tutte le promesse che ho fatto a mamma non varranno niente e sarò uguale a quelli che l’hanno uccisa, che ci saranno famiglie che mi odieranno tanto quanto io ho odiato loro. Ma Lily sarà a casa.

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Capitolo 14
*** QUATTORDICI ***


Jim rimase ad ascoltare lo sfogo della figlia.

- Mi stai parlando sempre come al tuo avvocato? 

- Sì. Perché così qualsiasi cosa ti dico tu non avrai nessun obbligo di riferirla e rimarrà confidenziale tra avvocato e cliente.

- Credo che dovresti valutare altre soluzione Katie. Te lo dico anche da avvocato.

- Far mettere FBI e Polizia sulle tracce di Campos che tiene mia figlia? Mettere in pericolo la sua vita? Non posso farlo, non posso giocare con la vita di Lily sperando di arrivare in tempo

- Avresti detto questo ad una persona che fosse venuta per denunciare un rapimento? Che giocavate con la vita dei loro parenti?

- È diverso papà!

- Certo che è diverso, perché è tua figlia! Perché sei venuta a parlare con me Katie? Cosa vuoi sentirti dire, che stai facendo la cosa giusta? Se me lo chiedi come avvocato non posso mai dirti di sì.

- E come padre?

- Avrei fatto tutto per te Katie. - Jim si sporse sulla scrivania mettendo una mano sopra quelle della figlia strette a pungo - E se te lo stai chiedendo, anche tua madre avrebbe fatto qualsiasi cosa. 

- Mamma è morta per quello in cui credeva.

- Sì, perché tua madre era testarda, più di te, forse. Ma non avrebbe mai messo a rischio la tua vita. La sua sì, non la tua, sono situazioni diverse. Ma soprattutto tua madre non avrebbe mai voluto che tu lo facessi per lei. Vedi, Katie, forse adesso puoi capire quello che ho cercato di dirti per tanti anni, quando provavo a spiegarti che mettendo a rischio la tua vita non avresti mai fatto quello che voleva tua madre e non era quello il modo per renderle giustizia. L’amore di un genitore per il proprio figlio va al di sopra di tutto, anche della ricerca della verità e della giustizia, anche dei propri principi. Lo capisci adesso Katie, vero?

- Sì… - ammise sospirando

- Perché non vuoi che Castle sia coinvolto?

- Se mi dovesse accadere qualcosa, di qualsiasi tipo, Lily deve avere suo padre vicino e Castle deve potersi prendere cura di lei. Appena che lei sarà casa al sicuro, io mi andrò a costituire. Per questo tu devi essere informato, come mio avvocato.

- Pensaci bene Katie… Pensa a qualsiasi alternativa e soprattutto non fare niente di avventato.

- Non ti preoccupare papà. - Kate strinse la mano di suo padre 

 

 

Kate rientrò al loft dopo aver schivato l’immancabile capannello di giornalisti sotto casa. Stava cominciando a non farci quasi più caso. Avrebbe giurato che la casa fosse vuota mentre sentiva solo i suoi passi, ma dalla porta di camera che dava sullo studio vide Castle. Lasciò le sue cose disordinatamente sul letto e lo raggiunse. Sentiva basse le loro voci provenire dal computer di Castle e le risate. Non doveva nemmeno vedere lo schermo per sapere cosa stesse facendo.

- Mia madre è alla scuola, Alexis è uscita. - Castle l’avvisò cosicché si sentisse libera di parlare mentre continuava a fissare le immagini sullo schermo.

-  Ho avuto molte più informazioni di quanto sperassi ed ho chiamato Campos ma… - Kate si fermò, non sapeva come spiegare a Rick la sua titubanza.

- Ma? - Chiese Rick distogliendo gli occhi dallo schermo e guardando sua moglie in piedi vicino a lui.

- Ma non sono riuscita a dirgli tutto. Ho preso tempo.

- Capisco… 

- Sicuro Rick? Capisci che non sono riuscita a dire a Campos quello che voleva sapere per liberare nostra figlia? Come fai a capirmi che non riesco a farlo nemmeno io?

- Nel momento in cui lo farai rinnegherai quella che sei, ucciderai una parte di te. Mi spaventa questo Kate, sarei stupido a negarlo. Vorrei essere io a dover essere messo davanti ad una decisione simile. Ci deve essere un’altra via d’uscita, c’è sempre, la dobbiamo solo trovare. Dobbiamo prendere tutto quello che abbiamo, parlarne con Ryan ed Esposito ed anche con Sorenson. Tutti insieme Kate. 

- No, Castle. Non voglio giocare con la vita di nostra figlia. Ed ho bisogno di sapere che tu non farai nulla di testa tua. Che ti fiderai di me. Perché io devo sapere che qualunque cosa accada tu ci sarai. - Beckett scandiva bene le sue parole, parlando lentamente, come chi sta maturando una decisione e la sta comunicando prima di tutto a se stessa.

- Che vuoi dire Kate? - Le chiese preoccupato.

- Qualsiasi cosa accadrà, Lily avrà bisogno di te. Devo sapere che non farai nulla di testa tua come sempre, Castle.

- Lily avrà bisogno di noi! Cosa stai dicendo Kate? - Rick si alzò prendendo Kate per le spalle, quasi scuotendola.

- Ti amo Castle, amo nostra figlia. Farò qualunque cosa per riportarla a casa. Però le mie scelte avranno un prezzo da pagare e lo farò. Per questo tu ne devi stare fuori, perché lei avrà bisogno di te. Alexis ha detto che io non avrei mai rinunciato alla mia vita per niente, nemmeno per voi. Non è così.

- Non devi dimostrare nulla a nessuno. Soprattutto non devi dimostrare niente a me, Kate. - Lo abbracciò, facendo scorrere le mani sulla sua schiena ed appoggiandosi alla sua spalla mentre lui le parlava.

- Babe… E’ giusto così. - Gli diede un bacio sfuggevole e poi andò nella camera di Lily.

Si sedette sulla sedia a dondolo dove si rilassava con sua figlia in braccio, per farla addormentare e si sentiva vuota senza. Si guardò intorno, era lì che sua figlia sarebbe cresciuta, era tutto stato fatto per lei, scelta ogni singola cosa pensando a lei. La immaginò più grande, con il sorriso furbo, seduta a terra sul tappeto a giocare con Castle, che sarebbe stato la sua vittima preferita di ogni tipo di gioco e lui si sarebbe fatto pazientemente fare qualsiasi cosa da lei, solo per farla felice. Lo vedeva seduto sulla poltrona mentre le leggeva una favola prima di dormire, anzi no, mentre la inventava ed ogni sera gliene avrebbe inventata una nuova. Doveva solo riportarla a casa, sarebbe stata bene. 

 

 “And I just wanna see you smile, Yeah I just wanna see you smile” 

Pensava a quella che era diventata l’unica ninna nanna che le cantava sempre quando erano sole, anche se sapeva che il più delle volte Castle la spiava da dietro la porta, per sentirla cantare, a quanto erano vere, in quel momento, le parole di quella canzone perché lei realmente avrebbe solo voluto vedere sua figlia dormire tranquilla, sognare e sorridere.

Si sfilò il distintivo che teneva ancora appuntato sui pantaloni. Lo girò e rigirò tra le mani, passò le dita sul contorno e più volte su quella parola “Captain”. Le sembrava quasi una maledizione quel ruolo, dal suo primo giorno quando aveva ricevuto l’incarico non aveva più vissuto una vita normale e tutto quello per cui aveva lavorato anni ed anni si stava pian piano dissolvendo.

Pensò al suo passato, a quella ragazzina di nemmeno vent’anni che entra all’accademia spinta dalla rabbia e dalla voglia di vendetta, alle umiliazioni subite dai compagni, uomini, più grandi, a quanto si era allenata, fisicamente ma non solo, per tenergli testa. A quel giorno che in uno scatto d’ira si era tagliata i capelli, per essere meno donna, meno debole. Pensò a Royce aveva saputo indirizzarla verso quel lavoro, a come era stato martellante e divertente lavorare con lui e come l’aveva forgiata, capendola senza opprimerla. Pensò a Roy che le aveva insegnato tutto quello che sapeva su come essere una brava detective, pensò al suo sacrificio per darle un’opportunità. Si chiese cosa le avrebbe detto lui adesso e si chiese se lei avrebbe ugualmente fatto tutto da sola o se si sarebbe fatta aiutare da lui. Pensò a Sorenson e alla scelta di non sacrificare la sua carriera, nemmeno per lui e a quanto aveva sofferto come una stupida quando lui, invece l’aveva lasciata per Boston ma il suo lavoro era sempre più importante, anche di lui. Pensò a Ryan ed Esposito, alle loro notti in bianco al distretto con quel caffè schifoso i primi anni alla omicidi, le chiamate nel cuore della notte, pensò agli interrogatori infiniti, alle teorie alla lavagna, a Castle che era entrato come un tornado al distretto, migliorando tutto, almeno per lei, anche se non lo voleva ammettere. Pensò a quella prima vittima che li aveva fatti incontrare e forse doveva esserle anche riconoscente. Pensò alla Gates e a quanto il loro rapporto conflittuale era riuscita a farla crescere e a diventare più forte. Pensò all’orgoglio provato il giorno che scendeva da quella scalinata con Bracken finalmente in arresto e per la prima volta si era sentita libera di guardare al mondo con occhi diversi. Pensò a tutti i colleghi, gli agenti, i collaboratori che la rispettavano, alle matricole che avevano detto di prenderla come esempio. Pensò ai suoi sogni di ragazza ed essere arrivata a capo del proprio distretto era un traguardo che forse non aveva mai sperato di raggiungere, pensò al suo futuro che in quel momento non era che una mera illusione. Non ci sarebbe stata Washington, non ci sarebbe stato nessun ruolo politico, non ci sarebbe stato più nulla. Nel suo futuro vedeva Castle che giocava con Lily, li vedeva felici e voleva che questo fosse reale, almeno questo.  Pensò che faceva bene a temere la felicità, perché ci si abitua presto e dopo fa male, dopo rimangono solo i sogni che si infrangono. Pensò che in quei quattro mesi era stata più felice di quanto avesse mai potuto sperare di esserlo, e doveva essere contenta per questo. Le note di quella canzone continuavano a risuonarle in testa, mentre il distintivo era stretto nella sua mano, ma non valeva più nulla. Nemmeno i suoi sogni valevano più nulla, quelli di una ragazza e di una donna che aveva dedicato gran parte della vita al suo lavoro, alla giustizia, alla voglia di arrivare sempre alla verità, per dare voce a tutte quelle persone che non possono più parlare e per dare sollievo alle famiglie delle vittime, con quell’illusorio balsamo che è l’assicurare alla giustizia un criminale. Il grazie che aveva ricevuto dai parenti di una vittima era sempre il momento più bello del suo lavoro, perché sapeva che nel suo piccolo era stata utile a qualcuno, che una famiglia avrebbe potuto piangere il proprio caro in pace, sapendo che l’omicida era stato arrestato, che lei lo aveva arrestato. Tutto questo non aveva più alcun valore davanti a sua figlia e se convivere con il rimorso di aver provocato altro dolore in famiglie già provate, di mettere a rischio la vita di colleghi sarebbe stato atroce, il rimpianto di non aver fatto qualunque cosa per salvare Lily sarebbe stato impossibile da sopportare. Sapeva bene, dall’inizio, che non avrebbe avuto una scelta da fare, che la scelta era solo una e la doveva solo accettare.

Come on dream on, dream baby dream

 

Si alzò dalla sedia a dondolo e si appoggiò al lettino di Lily. Non aveva mai dormito lì, lo avrebbe fatto quando sarebbe tornata a casa.

- Campos? Sono Beckett. Ho quello che vuoi sapere. Ma prima voglio essere sicura che Lily stia bene e che sia viva.

- Jefa, non sei tu che dai le condizioni.

- Voglio solo vedere che mia figlia sta bene. Mandami un suo video con il notiziario di oggi. Poi ti dirò tutto.

- Vale. Ti farò contenta. Ma tu non fare scherzi.

 

Kate sentì i passa di Castle avvicinarsi e si voltò mentre metteva il telefono, continuando a tenere in mano il distintivo.

- Hai sentito tutto. - Non gli stava ponendo una domanda, sapeva che era così.

- Sì. - Ripose Rick quando le era ormai davanti e le spostò i capelli dal viso, portandoglieli dietro l’orecchio, approfittando per accarezzarla con il dorso della mano sulla guancia.

- Mi dispiace. Tutto questo non porterà una buona pubblicità nemmeno a te… 

- Sono già un padre rapitori di bambini, non sarà peggiore… - Ironizzò Rick, ma vide Kate colpita da quanto aveva detto - Ehy! Non è colpa tua. Te l’ho già detto, hai fatto bene, ti avrei detto di fare lo stesso.

- Alla fine aveva ragione Gina, Castle… Non è stato molto conveniente per te sposarmi - Fu Beckett a provare a sdrammatizzare

- Katherine Beckett che tu sia diventata la signora Castle non è stata la cosa più conveniente che ho fatto, è stata la migliore. Ti amo e sono orgoglioso di essere tuo marito e lo sarò sempre.

Rick alzò il viso di Kate per guardare i suoi occhi brillare tra le lacrime. Ogni volta che la guardava e la vedeva così forte e fragile, capiva perché si era innamorato di lei, da subito, forse. Quegli occhi fieri che nascondevano le paure e la tristezza di una ragazza che era un vero e proprio mistero erano adesso gli occhi di sua moglie e lui li guardava sempre con lo stesso amore e stupore, pronto a cogliere una nuova sfumatura di lei ogni volta. La bacio lentamente, come se volesse accarezzarle l’anima con quel bacio che diventò più disperato, come se da quel tocco di labbra dipendessero le loro vite.

Fu il bip del cellulare di Kate ad interromperli, ma non era il video, come avevano sperato. Solo Campos che li avvisava che glielo avrebbero mandato il prima possibile. Quel ritardo fece agitare Kate.

- Vuol dire che non è con lui - Disse Rick

- Già… evidentemente no. - Rispose pensierosa Beckett

- Pensi sia positivo?

- Non so dove sia Campos. Per quanto ne so può essere in qualsiasi stato o anche fuori dagli Stati Uniti e Lily invece è qui a New York

- Magari anche lui è qui, e solo la tiene in un posto dove una bambina piccola da meno nell’occhio, magari con qualche famiglia che ha già dei bambini, o una coppia che si è trasferita da poco in un quartiere nuovo…

- Non dobbiamo fare troppi film su dove sia Lily adesso. Dobbiamo solo aspettare che sia tutto finito. - Tagliò corto Kate. Aveva già capito Rick cosa stava facendo, cominciava ad elaborare e lei non poteva permettersi il lusso di pensare ad altro in quel momento.

 

Uscì dalla stanza di Lily ed andò nello studio di Castle. Stampò le foto che aveva fatto alla scheda del penitenziario di Ramon Campos, voleva vedere se trovava altri elementi che potevano essere interessanti. Prese i fogli ed andò sul divano a studiarli in solitudine fino a quando Campos non avrebbe chiamato. Mentre procedeva nella lettura di quelle azioni di routine, visite, colloqui, telefonate, improvvisamente la sua attenzione fu attratta da un foglio con una richiesta. Sobbalzò sul divano imprecando. 

Cercò nelle tasche con le mani tremanti il cellulare che le aveva dato Campos e compose il numero velocemente.

 

- Jefa, que pasa? Te lo faccio avere il video, stia calma!

- Non è per il video Campos! È per tuo figlio! DeVito ha chiesto la revoca dell’isolamento!

- Non è possibile! 

- Ho i fogli Campos! La copia della sua cartella del penitenziario. L’ho fatta oggi per avere più informazioni da darti e la stavo leggendo adesso. Ieri l’avvocato DeVito ha chiesto la revoca dell’isolamento per tuo figlio.

- Hijo de puta! Ramon doveva rimanere in isolamento perché è pericoloso per lui stare in mezzo alle bande.

- Lo so, Campos!

- Jefa, puoi fare qualcosa?

- Non lo so, vado al Rickers.

 

- Beckett, che succede? - Le chiese preoccupato mentre Kate prendeva giacca e chiavi della macchina per uscire.

- DeVito sta facendo il doppio gioco con Campos. Se la sua richiesta verrà accettata sarà una condanna a morte per Ramon Campos. Devo provare a fermare la revoca dell’isolamento!

 

Kate uscì velocemente di casa ed altrettanto velocemente guidò fino al Rickers. Sperò che la richiesta di DeVito venisse rigettata ma aveva un tremendo sospetto: non era lui l’unico a giocare sporco in quella posizione, se aveva fatto istanza di revoca dell’isolamento sapendo che dopo cinque giorni sarebbe stato trasferito voleva dire che sapeva che c’era chi gliela avrebbe accordata in tempi rapidi.

 

Arrivò al penitenziario e fu accolta dal frastuono delle sirene di allarme. Corse dentro cercando qualcuno che le dicesse cosa stava accadendo. Vide le squadre antisommossa entrare nelle aree comuni della prigione, risate e grida di giubilo di una parte dei detenuti, mentre altri urlavano ed insultavano, poi dai discorsi di alcuni agenti capì che tutte le sue paure erano realtà: Ramon Campos era stato accoltellato nella sua camera un’ora dopo il trasferimento dall’isolamento.

Si maledisse per non aver letto prima quei fogli, avrebbe potuto opporsi e bloccare il procedimento. La vita di sua figlia dipendeva dalla liberazione di Ramon ed ora lui era morto. Andò via da lì tanto velocemente quanto era arrivata, non poteva più fare nulla. Appena salì in macchina per tornare a casa il bip del cellulare le annunciò l’arrivo di un messaggio. Era da un numero sconosciuto ma non aveva bisogno di mittenti. Lily era su un vecchio passeggino vicino alla tv che trasmetteva il notiziario dell’ora precedente si mordeva le mani e guardava incuriosita verso chi la stava riprendendo, anche se aveva quell’espressione tipica di quando stava per piangere ed infatti verso la fine del video la sentì lamentarsi un po’. Poi le immagini si interruppero. Era viva, stava anche bene, per quel che aveva potuto vedere. Solo che ora sapeva che tutto quello che aveva da dare a Campos era inutile.

Guidò fino a casa con la forza dei nervi, parcheggiò in garage per evitare i curiosi e le sembrò che quell’ascensore fosse dannatamente troppo lento.

Castle sembrava che l’aspettasse o che avesse sentito la sua presenza perché appena provò a mettere la chiave nella serratura la porta si aprì e lei gli si buttò letteralmente tra le braccia.

- Ramon è stato ucciso. Non ho più niente in mano. - Gli disse urlando contro se stessa mentre il cellulare squillava.

 

- Jefa… 

- Non sono arrivata in tempo.

- Io sono un uomo di parola, ma a questo punto il nostro accordo non ha più motivo di esistere.


Per chi è interessato, questa è la canzone Dream Baby Dream citata nel testo. https://www.youtube.com/watch?v=06fCMfcMnqk

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Capitolo 15
*** QUINDICI ***


Kate aveva cominciato a tremare. Rick vicino a lei teneva l’orecchio vicino al telefono per sentire cosa si stessero dicendo e si sentì gelare il sangue nell’udire la voce fredda di Campos.

- Campos, io sono stata di parola. Ti prego, lascia andare mia figlia.

- Perché dovrei farlo? Mio figlio è morto per colpa tua…

- Lei non c’entra nulla, ti prego… Se pensi che sia colpa mia prenditela con me, ma lei lasciala stare.

- Se lo facessi mi toglierei gran parte del gusto… Avrai presto mie notizie, Jefa… Non fare scherzi… Tu figlia è ancora viva…

Lo sguardo perso nel vuoto di Kate ed il suo tremore che non accennava a smettere fecero destare Castle realmente per la prima volta da quando si era risvegliato dopo il rapimento. Fu come se qualcuno avesse tolto il manto di doloroso ed angoscioso torpore che aveva investito tutti i suoi sensi. Vedere sua moglie di nuovo fragile ed impaurita fu la scossa di cui aveva bisogno. Starsi a compiangere, passare le ore a guardare le foto e i video non serviva a nulla. Stavano soffrendo, avevano paura, ma dovevano reagire, lui doveva farlo. Invece da quando si era risvegliato aveva passato le ore solo a colpevolizzarsi, compiangersi, crogiolarsi nel dolore e nei ricordi. Aveva allontanato anche Kate non permettendole di starle vicino come avevano bisogno di stare, come se facesse una gara a chi stava peggio e si isolava di più. Era la prima volta che stavano affrontando qualcosa del genere insieme e non lo avevano ancora fatto, insieme. Erano due persone che soffrivano da sole per la stessa cosa.

Strinse Kate a se trascinandola letteralmente fino al divano dove la fece sedere sulle sue gambe, continuando a tenerla tra le sue braccia. 

- Calmati Kate… Calmati amore… 

Da quanto tempo non aveva più una crisi di panico? Rick la cullava nello stesso modo in cui cullavano Lily perché Beckett in quel momento era totalmente indifesa, proprio come una bambina. Si era appoggiata a lui, nascondendo il volto sul suo collo e stringendogli le braccia intorno alle spalle.

- Ha detto che si sarebbe fatto sentire. Kate, ascoltami, devi stare calma adesso. Se ti vuole parlare ancora vuol dire che non farà del male a Lily.

Rick accarezzava la schiena di Kate aspettando che calmasse il suo pianto e che la sua crisi passasse. Aspettava tenendola stretta a se, ascoltando il suo respiro diventare sempre meno ansioso e le sue braccia rilassarsi dalla stretta intorno alle spalle. Beckett alzò la testa per guardarlo e si perse nei suoi occhi blu dove trovò di nuovo quella luce che aveva cercato tante volte in quei giorni, dove sapeva che poteva ripararsi da tutto. 

- Non devi fare tutto da sola Beckett, non sei sola. Siamo insieme, ok? Io e te, come sempre. - Rick le asciugava le lacrime dal viso mentre lei annuiva - È più difficile e fa più paura, ma Kate noi ce la faremo, lo sai questo, vero? Noi ce la facciamo sempre, siamo una bella squadra, lo siamo da sempre, anche se tu non lo vuoi ammettere però  io lo so che lo hai pensato anche tu dall’inizio perché faticavi a resistere al mio rude fascino!

Riuscì a strapparle un sorriso alla fine e lui sorrise con lei, togliendole dal volto le ultime lacrime.

- Come fai Castle?

- A fare cosa Beckett?

- A farmi sempre ritrovare la speranza.

- Perché se non avessi sempre avuto la speranza che tutto sarebbe andato come volevo con te, mi sarei arreso tanti anni fa Kate. Ti ricordo sempre che non sei stata facile da conquistare. 

Kate sorrise di nuovo tornando ad appoggiarsi al petto di Castle, aveva bisogno di sentirsi protetta come solo lui sapeva fare, accogliendola tra le sue braccia.

- La riporteremo a casa Kate… 

Rimasero così a lungo, riscoprendo la forza che riuscivano a darsi a vicenda. Insieme erano più forti, lo sapevano, lo avevano sempre saputo, eppure nelle difficoltà spesso continuavano a voler combattere da soli, per non doversi scontrare con la sofferenza dell’altro, per volersi preservare a vicenda, non capendo, invece, che quello era il modo in cui si facevano più male e che li portava a soffrire di più. Insieme galleggiavano nella tempesta e se le onde li sommergevano riuscivano a riportarsi in superficie e ad evitare gli scogli. Quando Martha ed Alexis tornarono a casa li trovarono così, abbracciati sul divano, stretti uno all’altra, con gli occhi arrossati dal pianto, per quelle lacrime che non sempre erano riusciti a trattenere.

- Ragazzi, cosa succede? - Chiese Martha preoccupata mentre Kate si stava spostando, ma Rick la trattenne con decisione vicino a se. Non doveva andare da nessuna parte, nè vergognarsi di aver bisogno di stargli vicino, tanto quanto ne aveva lui di lei.

- Avevamo un pista, credevamo fosse quella giusta, ed invece è stato un niente di fatto… Ci eravamo illusi per un po’ e poi è stata dura… - disse Rick a sua madre per giustificare lo stato suo e di Kate. In fondo, non era del tutto una bugia.

- Oh Richard… Katherine… - Martha li abbracciò e li baciò entrambi con l’affetto sincero di una madre preoccupata per i suoi ragazzi.

- Cosa succede adesso? - Chiese Alexis

- Adesso proviamo a ricominciare da capo e cercare un’altra strada - disse Kate alla ragazza cercando di farsi forza.

 

- Beckett! - Il suo cellulare aveva squillato e dall’altro capo c’era Ryan che le parlava fin troppo timoroso.

- Capitano, scusa se ti disturbo… Abbiamo appena trovato il cadavere di un uomo dopo una segnalazione anonima e credo che dovresti venire.

Segnò su un foglio di carta che le aveva passato Castle l’indirizzo, andò in bagno per rinfrescarsi il viso, prese le sue cose e si apprestò ad uscire.

- Vengo con te. - Le disse Rick fermandola sulla porta

- Non credo sia il caso Castle.

- Non era una richiesta, Kate. Vengo con te.

Capì dal suo sguardo che non avrebbe desistito ed anche se lei aveva tutti i mezzi per poterglielo impedire in fondo non voleva farlo. Era un tuffo nel passato uscire di casa insieme per andare sulla scena del crimine, qualcosa che da tanto non facevano ma che sembrava come se lo avessero fatto fino al giorno precedente. Prese posto nell’auto vicino a lei, si allacciarono la cintura di sicurezza contemporaneamente, in quel sincronismo di movimenti che non avevano mai perso, che gli era sempre venuto naturale, più di quanto sembrasse normale a chiunque li osservava, come se fossero due marionette manovrate dallo stesso burattinaio. 

Rick guardava Kate correre sulla strada con la sua guida decisa a tratti nervosa mentre fissava l’asfalto e le macchine con lo sguardo attento. Le poggiò una mano sulla gamba, prendendosi una confidenza che raramente si permetteva quando lavoravano insieme, stando sempre ben attento al rispetto dei loro ruoli e del suo soprattutto. Pensò che quella era la prima volta che uscivano per lavoro insieme, dal giorno dell’agguato di LokSat. Istintivamente strinse un po’ di più la presa sulla gamba di Kate che si voltò a guardarlo di sfuggita un paio di volte mentre lui, invece, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, non che fosse una novità, in quella situazione, in realtà.

- Tutto bene Castle? - Gli chiese mentre continuava a fissare la strada

- Sì, tutto bene… - La sua risposta fu fin troppo incerta, ma non voleva ricordarle anche quel giorno e lei si accorse della sua titubanza ma fece finta di nulla.

- Perché hai insistito per voler venire?

- Non volevo lasciarti sola. Non adesso. 

Rick si aspettava una ramanzina delle sue, invece Kate appoggiò la sua mano su quella di lui e la strinse per qualche istante prima di portarla di nuovo sul volante.

- Grazie Castle.

- Ni nulla Beckett. - Sorrisero entrambi e forse finsero solamente di essere un po’ più rilassati.

 

Parcheggiò a breve distanza dall’area delimitata dal nastro della polizia nel parcheggio antistante ad un vecchio cinema abbandonato da anni. Due volanti erano poco più avanti, c’era anche la macchina di Javier e Kevin. Uscirono dall’auto e Becektt si incamminò sul marciapiede seguita da Castle.

- Kate! - Rick richiamò la sua attenzione e quando lei si girò le prese la mano e si avvicinò quel tanto che gli serviva per prenderla di sorpresa e baciarla. Un bacio tenero ed inteso che Kate dopo l’iniziale stupore ricambiò, indugiando qualche istante ancora sulle sue labbra dopo che si erano separati.

- Ti amo Castle, ma oggi non ti darò una pistola. - Capì che anche lei si ricordava esattamente quello a cui aveva pensato lui in auto e si incamminarono mano nella mano fino alla zona circoscritta.

- Yo Castle e Beckett come ai vecchi tempi! - Esclamò Esposito

- Perché mi avete fatto venire? - Chiese Kate andando subito al sodo, mentre vedeva Lanie poco distante da loro piegata su un corpo mentre faceva i suoi rilievi.

- Credo che ti interessi, visto chi la vittima. - Rispose Ryan e i due detective si spostarono lasciando il passo e visuale a Castle e Beckett. Kate guardò il corpo da lontano ma lo riconobbe subito quindi portò lo sguardo sui due per avere conferma e di nuovo sul corpo. Kevin annuì

- Sì, Beckett, è l’avvocato Anthony DeVito. 

Kate si avvicinò a Lanie mentre indossava i guanti e vide la grande quantità di sangue a terra ed il corpo dell’avvocato orrendamente mutilato. Si chinò per osservare meglio la scena.

- Gli hanno amputato le mani quando era ancora vivo. E poi è stato giustiziato con un colpo alla nuca, dall’alto verso il basso. - Disse Lanie mostrandole il foro di entrata del proiettile.

- Un’esecuzione. - Constatò Kate rialzandosi guardando Castle e i suoi detective. - Trovato qualcosa?

- Veramente sì, Beckett… C’era un foglio… Era indirizzato a te… - Ryan le porse il foglio dentro una busta di plastica e Kate la prese velocemente, e con altrettanta rapidità tirò fuori quel foglio, mentre Castle si metteva al suo fianco per leggere.

“Questa è la fine che fanno i traditori. Fai la scelta giusta.”

- Chi è Beckett? Che scelta devi fare? - La incalzò Esposito.

- Chi sa di questo foglio? - Chiese Castle perentorio.

- Lo ha trovato Lanie e lo ha dato a noi - Rispose Javier

- Perché facciamo che voi non lo avete mai visto. - Disse Rick prendendo il foglio dalle mani di Kate e mettendolo in tasca della giacca.

- Castle, cosa diavolo stai facendo? Quella è una prova che hai appena inquinato! - Disse ad alta voce Javier facendo voltare uno degli agenti impegnati in altri rilevamenti.

- Abbasta la voce Espo - Lo riprese Kate. - So chi ha scritto quel foglio, so perché DeVito è stato ucciso. Ma non ora e non qui.

- Cosa sta succedendo Beckett? Si tratta di Lily? Campos? - Chiese Ryan

Kate si morse il labbro ed il suo viso si costrinse in una smorfia. Fece segno di sì, annuendo con il capo, mentre Rick le cingeva il fianco avvicinandola a se.

- Ok… questo cambia tutto… - Sospirò Esposito che si allontanò dagli altri tre per andare a chiedere agli agenti quanto tempo ancora gli occorreva per finire i rilievi nel parcheggio davanti a quell’edificio ormai fatiscente.

- Credo che ci dovete dire più di qualcosa. - Disse Ryan ai due guardandoli con aria interrogativa. Rick e Kate si scambiarono un’occhiata d’intesa ed annuirono. 

- Andiamo all’Old Haunt - Propose Castle.

 

Lanie fece trasferire il cadavere di DeVito al laboratorio per fare l’autopsia mentre Beckett, Esposito e Ryan seguirono la proposta di Castle e tutti e quattro si avviarono verso il locale dello scrittore. Era tanto tempo che non tornavano tutti insieme lì e di certo avrebbero preferito andarci in ben altra occasione, ma quello era l’unico luogo che gli era venuto in mente dove potevano parlare liberamente senza temere interruzioni o occhi indiscreti. 

- Cosa credi sia il caso di dirgli? - Chiese Rick a Kate mentre erano soli in auto diretti al pub

- Loro già sanno che ero in contatto con Campos, dovrò dirgli quello che mi ha chiesto e come ho scoperto del tradimento di DeVito. - Rick notò il volto teso di sua moglie mentre guidava

- Hai paura che non capiscano le tue scelte? - Kate si morse il labbro nervosamente. Non si sentiva pronta per affrontare il giudizio degli amici e non sapeva se avrebbero compreso la sua decisione.

- Sono il loro Capitano. Con quello che sto per dirgli perderò totalmente credibilità ai loro occhi e non posso biasimarli.

- Sei anche una loro amica, Kate e loro sanno cosa vuol dire Lily per te.

Castle si rese conto, durante quel breve viaggio nell’osservare il nervosismo di Beckett, quanto quella scelta che aveva fatto era stata difficile per lei, più di quanto pensasse. Vedeva nei suoi occhi fissi sulla strada il suo sentirsi colpevole per qualcosa che non aveva fatto, ma che aveva scelto di fare. Aveva tanta voglia di portarla via da lì, da quel confronto con i suoi amici e colleghi, di stringerla e di dirle che sarebbe andato tutto bene, in ogni caso.

- Io sono orgoglio si te, Kate. Oggi ancora di più e sono orgoglioso di essere tuo marito.

- Perché mi dici questo Castle?

- Perché voglio che tu non lo dimentichi mai, signora Castle. - Le strappò un sorriso tra i sospiri e lei era certa che lui le avesse letto il suo tormento.

 

Parcheggiarono davanti all’ingresso e poco dopo li raggiunse anche l’auto di Esposito e Ryan. Li aspettarono fuori dal locale, appoggiati agli sportelli della vettura di Kate. Non era freddo in quella sera di fine maggio, ma Beckett sentiva il corpo percorso da brividi. Appoggiò inconsciamente la testa sul petto di suo marito che le cinse i fianchi con un braccio, avvicinandola di più a se, poggiando il mento sulla testa di Kate per baciarla tra i capelli. 

- Ehy ragazzi… - Li salutò Ryan quando fu abbastanza vicino. Non si erano accorti che i due detective erano arrivati, si erano nuovamente persi nei loro pensieri.

- Andiamo? - Disse Castle ricomponendosi senza mai lasciare Kate.

Entrarono nel locale, salutarono Brian e Annie ed andarono direttamente al piano inferiore che Rick aveva fatto completamente ristrutturare, era rimasta solo la vecchia scala di legno da quando lo aveva comprato. In un angolo c’era il tavolo da poker dove adesso passava le serate con i suoi amici scrittori ed era lì che si diressero i quattro. Castle andò verso il mobile in fondo alla stanza dal quale prese quattro bicchieri ed una bottiglia di whiskey dalla vetrina dei superalcolici sempre ben rifornita. Aveva bisogno di qualcosa di forte e pensò di non essere l’unico.

Mise i bicchieri sul tavolo e li riempì per metà lasciando poi la bottiglia a disposizione di tutti. Bevve il suo tutto d’un fiato e lo riempì ancora.

- Allora Beckett. Che succede? - Chiese Esposito venendo al punto mentre bevve un sorso di whiskey.

Kate fece un respiro profondo e Rick prese la sua mano sotto il tavolo, stringendogliela. Qualsiasi cosa fosse accaduta, lui sarebbe stato al suo fianco. Sempre.

- Quello che sto per dirvi probabilmente cambierà molte cose, voi potrete prendere le vostre decisioni e fare le vostre scelte. L’unica cosa che vi chiedo è prima di fare qualsiasi cosa, aspettate che Lily sia a casa. Poi vi do la mia parola, che potrete fare tutto, non mi opporrò in alcun modo. - Beckett aveva cominciato quella che le sembrava una vera e propria confessione, solo che era dalla parte opposta rispetto al solito. I due detective annuirono, spiazzati da quella premessa.

- Dopo che Castle è stato rilasciato, Campos mi ha contattato ancora, varie volte. Mi ha mandato foto e video di nostra figlia. Secondo lui avevamo ognuno il figlio dell’altro. Ramon era in carcere per causa mia, così lui ha preso Lily ed ha liberato Castle per dimostrarmi che era solo una cosa tra di noi. Uno per uno, come diceva lui.

- Cosa ti ha chiesto Beckett?

- Dettagli sul trasferimento di Ramon, per farlo evadere. - Guardò i due amici che la scrutavano con uno sguardo che non lasciava trasparire nulla - Io avevo accettato. 

Kate fece una pausa e lasciò che i due assorbissero la notizia, vide nei loro occhi, in quel momento stupore e biasimo, poi proseguì.

- Se volete accusarmi, avete tutte le ragioni per farlo, non ho niente da dire su questo. Non vi chiedo di capirmi. Ero andata a Rickers Island con la scusa di interrogare Reginald Milton per avere più notizie sul trasferimento di Campos ed avevo avuto tutte le informazioni che mi servivano, avevo fotografato il suo fascicolo della prigione per avere più notizie. Avevo chiamato Carlos Campos prendendo tempo, chiedendogli un video di Lily per dimostrarmi che era sempre viva e nel frattempo controllai quelle carte che avevo fotografato. Fu lì che scoprii che era stato DeVito a chiedere la sospensione dell’isolamento di Ramon, isolamento che era stato chiesto proprio per proteggerlo. Così ho chiamato Carlos Campos per avvisarlo del tradimento del suo avvocato e sono tornata al Rickers Island per provare ad impedire il trasferimento, ma era troppo tardi. Ramon era già stato ucciso.

- Cosa è successo con Campos ed il vostro accordo? - Chiese Esposito

- Mi ha chiamato quando ha saputo la notizia. Ha detto che il nostro accordo adesso non aveva più motivo di esistere e si sarebbe fatto sentire lui.

- E Lily? - Chiese ancora l’ispanico

- Nulla, solo che per ora è ancora viva e non dovevo fare scherzi. Sono stati gli uomini di Campos ad uccidere DeVito dopo che gli ho detto del suo tradimento, ne sono certa e quel biglietto ne è la prova.

- Cosa intendi fare adesso Beckett? - Intervenne Kevin

- Aspettare di sapere cosa vuole Campos.

- E poi? - Insistette l’irlandese

- Fare quello che è necessario per far liberare mia figlia. Dopo che Lily sarà a casa, fare quello che è giusto.

- Sei sicura Beckett? Sai cosa vuol dire, vero? - Le disse Esposito. Non sembrava arrabbiato, più preoccupato, anche se la sua voce era asciutta e incisiva.

- Lo so. Non mi importa, non è importante. Nostra figlia lo è, solo lei. Io non vi chiedo nulla, non vi voglio mettere in mezzo a questa storia più di quanto già non lo siate. Vi prego solo di non dire nulla fino a quando non Lily non sarà a casa. 

I due detective si guardarono e poi annuirono. 

- Ok Kate. Qualsiasi cosa per Lily. 

Esposito e Ryan finirono i loro drink, poi salutarono Castle e Beckett dicendo che andavano al distretto per i rapporti su DeVito. Per ora avrebbero indirizzato le indagini sull’omicidio per vendetta, senza forzare troppo la mano. Di dare giustizia a quell’avvocato non ne sentivano per niente il bisogno. Rick li accompagnò fino all’uscita, era ormai ora di chiusura ed anche Brian ed Annie se ne stavano andando dopo aver ripulito il bancone e sistemato le sedie. Castle gli disse che avrebbe pensato lui a chiudere il locale, andò nel retro a vedere se trovava qualcosa per mangiare: trovò dei nachos ci mise sopra abbondante cheddar e chorizo e fece squagliare il tutto pochi secondi al microonde.

Chiuse le imposte e tirò giù la serranda, poi con il suo piatto di nachos e due birre tornò al piano inferiore chiudendosi a chiave anche la porta del sotterraneo alle sue spalle. Trovò Kate intenta a roteare il bicchiere tra le mani guardando il liquido ondeggiare e nemmeno lo vide arrivare con i suoi generi di conforto che appoggiò sul tavolo: Kate sentì solo le mani di Rick spostarle i capelli e poi la sua bocca baciarle lentamente il collo. Avrebbe voluto dirgli di no, che non era il momento nè il luogo adatto, però l’unica cosa che fece fu inclinare la testa per facilitargli il compito.

- Mangiamo qualcosa? - Le chiese sedendosi vicino a lei, prendendo un paio di nachos filanti ed imboccandola. Spostò il bicchiere con il whiskey e le porse una delle due bottiglie di birra tenendo l’altra per se. Mangiarono imboccandosi a vicenda, scambiandosi, in quel momento, più che solo il cibo, era una condivisione totale di quel momento, un prendersi cura a vicenda uno dell’altra. 

- Restiamo qui? - Gli chiese Kate come in una supplica.

- Era esattamente quello che volevo proporti. 

Si spostarono dall’altra parte della stanza, dove c’era un enorme divano letto angolare, molto più grande di quello del loft. Kate gli aveva chiesto più volte come aveva fatto a farlo entrare lì e lui diceva che era una delle sue magie. Non era la prima volta che lo facevano, gli era capitato, alcune volte, quando erano usciti con i loro amici ed avevano passato la serata all’Old Haunt che poi non tornassero a casa, ma decidessero di fermarsi a dormire lì, perché troppo brilli per rimettersi alla guida e perché così potevano sempre approfittare di un po’ di solitudine mai troppo facile da trovare al loft. 

Rick sistemò i tanti cuscini per creare una sorta di nido dove potersi stendere, prese alcune coperte da una cassapanca e poi si sedette vicino a Kate che si lasciò spogliare da suo marito con estrema delicatezza.

- Rick… Non… - sussurrò prima che lui la baciasse e continuò a farlo, dolcemente a lungo. Si spogliò anche lui, poi la prese e la trascinò con se, sdraiandosi tra i cuscini.

- Ti amo Kate. - Le disse tra un bacio e l’altro, mentre la stringeva a se ed erano nudi non solo fisicamente, erano pelle su pelle, erano carne viva e sofferente che si accarezzava e provava a curarsi. Erano baci dal sapore salato delle troppe lacrime versate. Rick prese un paio di coperte avvolse lì i loro corpi già avvolti tra loro. Passarono lì quella notte avvinghiati, stretti più che potevano uno all’altra, sussurrandosi il loro amore tra baci e carezze. Era quello il modo in cui lasciarono che fossero le loro anime ad amarsi.

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Capitolo 16
*** SEDICI ***


Kate si svegliò prima di Rick. Si era scoperto, come sempre, quando dormiva. Lei indugiò ancora un po’, invece sotto quella vellutata coperta. Una delle tante cose che amava di lui era come riusciva sempre a scegliere le coperte migliori, le più morbide ed adatte per ogni stagione. La abbassò e fece scivolare fuori le braccia, lasciando che il tessuto le coprisse i seni. Aveva ancora il braccio di Castle appoggiato pesantemente sul suo fianco e le gambe intrecciate alle sue. Dormiva profondamente lo sentiva dal respiro regolare e dai suoi tratti distesi come era giorni che non vedeva. Gli spostò i capelli dalla fronte dove la ferita ed il livido erano ancora ben visibili, poi scese a tracciare il profilo del suo volto, sfiorando appena le sue labbra morbide che aveva baciato a lungo quella notte, fino ad arrivare al suo petto dove indugiò un po’ sulla cicatrice che diventava sempre più chiara. Sentiva la sua pelle fredda, più del solito, quel posto non era particolarmente caldo, nonostante la stagione, così si avvicinò di nuovo a lui e si accoccolò sul suo petto, appoggiando la testa vicino al cuore, così da sentirne il battito costante. 

Pensò alla notte appena trascorsa e fu convinta di non essersi sentita mai tanto amata come in quelle ore. In realtà quello era un pensiero che si era ritrovata a fare molte volte ed ogni volta le sembrava impossibile che ci fosse qualcosa ancora in più che lui potesse fare per lei, ma puntualmente veniva smentita. Ma quella notte Castle aveva amato il suo dolore e le sue paure come aveva fatto lei con le sue, in quello scambio che nei giorni precedenti non c’era mai stato. Lo aveva sentito dalla delicatezza dei suoi baci e delle sue carezze, dal non volere e non chiedere nulla di più di quello. Aveva sentito più volte le sue lacrime bagnarle la pelle nuda, così come quelle di lei avevano fatto con lui, ma non si erano allontanati nemmeno per un istante. Non c’era stato bisogno di parlarsi, di dirsi nulla di più che “ti amo” ripetuto decine e decine di volte, sapevano di cosa avevano bisogno, ed erano solo loro in quel momento che potevano darsi quella consolazione necessaria per alleviare i tumulti dell’anima. Gli aveva fatto bene allontanarsi dal loft per qualche ora, non dover dormire in quella camera dove tutto gli ricordava costantemente l’assenza della loro bambina ed era come sale su una ferita aperta ogni angolo dove volgevano lo sguardo.

Non si era accorta che nel frattempo Rick si era svegliato e lei si strinse ancora un po’ di più a lui, come a voler far aderire ogni cellula del suo corpo e Castle le facilitò il compito cingendola più saldamente.

- Non volevo svegliarti - sussurrò Kate

- Non lo hai fatto - Rick cercò la mano di sua moglie appoggiata sul suo petto ed intrecciò le loro dita tenendole strette. - Cosa pensi di fare oggi?

- Andare a casa, farmi una doccia e poi andare al distretto. Come sempre. Devo anche parlare con Sorenson: non è possibile che l’FBI in tutto questo tempo non sia venuta a capo di niente. È assurdo Castle! Ci fosse stato chiunque altro in questa situazione… sono  passati giorni senza che abbiamo scoperto nulla! - Disse a Rick agitata stringendo ancora di più la sua mano - Alcune volte mi sembra quasi che Sorenson e i suoi non credano in quello che stanno facendo, che siano rassegnati al peggio…

Alla fine il suo tono era afflitto e scoraggiato.

- Hey, amore… Lily sta bene, noi lo sappiamo. Conta solo questo adesso. Vuoi andare a casa?

- No… restiamo ancora un po’ qui, se per te va bene.

Castle si sdraiò meglio sul divano, così che Beckett potesse stare più comoda appoggiata su di lui.

- Certo, rimaniamo tutto il tempo che vuoi.

 

Nella lavagna del distretto vicino alle scrivanie vuote di Esposito e Ryan campeggiava in bella mostra la foto di Tony DeVito. Diede una sbirciata al fascicolo lasciato sulla scrivania di Javier e vide che avevano già fatto gran parte del lavoro, sicuramente quella notte erano rimasti lì fino a tardi. 

Stava per entrare nel suo ufficio quando sentì una voce familiare chiamarla

- Capitano Beckett! - Kate si voltò e vide incedere verso di lei a passo sicuro il Capitano Gates.

- Signore, buongiorno - La salutò affettuosamente Kate.

- Hai qualche minuto da dedicarmi, Beckett? - Chiese la donna e Beckett aprendo la porta del suo ufficio la invitò ad entrare e ad accomodarsi sul divano dove si sedette anche lei.

- Ci sono novità? - Chiese la Gates. Non aveva bisogno di dire di cosa stesse parlando, il tono della sua voce e lo sguardo facevano capire che il soggetto era solo uno.

- No signore, nessuna… - rispose amaramente Kate.

- Mi dispiace immensamente per questa situazione Kate - Il capitano Gates poggiò per qualche istante la sua mano su quelle di Beckett che teneva strette sul grembo e non le passò inosservato il fatto che l’aveva chiamata per nome, cosa che a memoria non aveva fatto quasi mai, a simboleggiare una sua vicinanza non solo istituzionale ma umana. Ricambiò quel gesto con un sorriso.

- A cosa devo questa visita signore?

- Non una cosa piacevole, Beckett, ma ho preferito farla io di persona.

- Mi dica signore 

- Ho saputo dell’omicidio di DeVito

- Sì signore, abbiamo trovato il corpo stanotte, Ryan ed Esposito hanno lavorato fino a tardi…

- Sì, non sono qui per questo… DeVito aveva fatto una denuncia nei tuoi confronti agli affari interni, poi ritirata.

- Sì signore, è vero.

- Beh, sono qui per farti qualche domanda su questo…

- Signore, non penserà che io ho ucciso DeVito?

- Io no, ma non sono tutti come me. Per questo sono venuta di persona. Dove era ieri sera Capitano Beckett?

- A casa, con mio marito, poi sono andata a Rickers Island, perché dovevo controllare la cartella di un detenuto per un vecchio caso, e sono tornata a casa dove c’era sempre Castle, poi sono venute anche sua madre e sua figlia e sono stata lì fino a quando non mi hanno chiamato per il cadavere di DeVito.

- Quanto sei stata al Rickers?

- Poco, non ho nemmeno preso quello che mi serviva, perché proprio in quel momento c’era stato l’omicidio di Ramon Campos ed era un vero caos, quindi sono tornata subito a casa.

- Non è un po’ strano, Beckett, che tu di sera, mentre sei a casa, hai un dubbio e vai in un penitenziario a cercare una scheda, proprio nel lasso di tempo, più o meno, in cui viene uccisa una persona che tu hai accusato di essere coinvolta nel rapimento di tua figlia.

- Sì, forse è strano. Ma può controllare anche il GPS della mia auto e vedrà che io ero da tutt’altra parte rispetto a dove è stato ucciso DeVito ed il registro del Rickers dimostrerà che sono andata proprio con quell’auto.

- Va bene Beckett, per me basta così. - Disse la Gates cambiando tono di voce.

- Non ho ucciso DeVito, Signore, anche se sono convinta che sia coinvolto nel rapimento di mia figlia.

- Lo so, è solo il mio ruolo che mi impone certe cose ed ho preferito che non fosse un estraneo, visto il momento, a farlo.

- Grazie, Capitano.

- Beckett, mi saluti anche Castle… Sono sicura che tutto andrà per il meglio.

Kate accompagnò la Gates fino all’ascensore e poi prima di tornare nel suo ufficio approfittò per andare nella sala riunioni che ormai era il quartier generale dell’FBI nel suo distretto per parlare con Sorenson.

- Novità? - Chiese a Will

- Non volevo disturbarti, ho visto che eri impegnata… In realtà sì, anche se non grandi cose. Ho fatto girare l’identikit di Maria Asenjo ed Hector Yepes e ieri sera un nostro informatore che lavora in un supermarket di Coney Island ha visto negli ultimi giorni entrambi andare a compare materiale per bambini pannolini, latte in polvere, cose così.

- Ok… - rispose Kate pensierosa

- Può essere un buco nell’acqua, ma manderò degli uomini a controllare l’area, così se si rifanno vivi li possono seguire e magari scoprire qualcosa.

- Bella idea, Will. Così se vi scoprono cosa accadrà a mia figlia?

- Hai qualche idea migliore Kate? 

- Non lo so, di certo non quella di rischiare la vita di Lily per far pedinare dai tuoi due che potrebbero averla in ostaggio.

 

Rick, rimasto a casa, sembrava adesso un leone in gabbia. Aveva risolto o almeno ci aveva provato, tutte quelle questioni lasciate in sospeso negli ultimi giorni, con giri di telefonate che gli sembravano infiniti. Aveva parlato per oltre un’ora con Andrew ascoltandolo distrattamente in realtà mentre gli proponeva cose da fare per sistemare “quel problema” come lo chiamava lui riferendosi alle accuse formulate contro di lui. Castle non aveva alcuna intenzione di fare nulla, alzò anche la voce dicendogli che lo pagava per questo, per risolvere i suoi problemi ed occuparsi della sua immagine. Si infuriò buttando il cellulare tra il divano e gli sembrava impossibile come nessuno capisse che la sua voglia di fare apparizioni pubbliche o qualsiasi altra cosa era pari allo zero. Così quando Andrew gli aveva proposto un’intervista in un popolare talk show, dove poteva lanciare anche un’appello per i rapitori di sua figlia, Rick trovò l’idea agghiacciante. Se c’era una cosa che nella sua vita aveva sempre fatto, anche nei periodi più dissoluti dove riempire le pagine dei giornali di gossip era una delle sue attività preferite era stata lasciare Alexis fuori da tutto questo. Non c’erano sue foto in giro, se non quelle ufficiali, quando era più grande alle presentazioni dei suoi libri. Aveva sempre lottato per mantenere sua figlia lontana da tutto questo e di certo non avrebbe usato il rapimento di Lily per farsi pubblicità, che genitore meschino sarebbe stato se avesse fatto una cosa del genere? Rabbrividì al solo pensiero e si arrabbiò ancora di più con Andrew. Certo, lui non poteva sapere che i rapitori di Lily non si sarebbero certo fatti commuovere da un padre in tv, e magari dal suo punto di vista poteva anche essere una cosa che li aiutava, sapeva che anche Kate che odiava essere un personaggio pubblico lo aveva fatto durante il suo rapimento, ma in quel caso sarebbe stato inutile e lui non poteva fingere. Cancellò poi tutti i suoi prossimi impegni lavorativi a tempo indeterminato, avvertì anche Price che non sapeva se e quando avrebbe ricominciato a scrivere il nuovo libro che aveva in programma per l’autunno e l’uomo fu molto più comprensivo, non si doveva preoccupare per quello ed anche la produzione di Los Angeles per la serie TV su Nikki e Rook sarebbe andata avanti senza le sue consulenze sulla sceneggiatura, si fidava del team di autori.

- Ti va di parlare un po’ ragazzo? - Martha si era avvicinata a Rick che guardava fuori dalle finestre del loft. Il cielo era completamente azzurro quella mattina, nemmeno una nuvola visibile. Castle pensò che sarebbe stata una bellissima giornata per uscire con Lily e portarla a Central Park e fare una passeggiata fino all’ora di pranzo e poi raggiungere Kate per pranzare insieme. Era così che doveva essere la loro vita. Normale. Lo assalì di nuovo un senso di frustrazione e smarrimento che sua madre colse subito appena si girò a guardarla.

- Mi manca ed ho paura. - Le disse semplicemente.

- Oh Richard… - Sua madre lo abbracciò e lui la lasciò fare stringendosi un po’ a lei. Ormai conosceva Martha, era quella eccentrica, dai consigli non richiesti, dalle intrusioni nella sua vita e nella sua camera nei momenti mento opportuni, ma era anche quella che gli era sempre stata vicino quando ne aveva bisogno, la prima ad aver capito i suoi sentimenti per Kate, prima ancora che li capisse lui stesso e che lo aveva spronato anche mettendolo con le spalle al muro contro se stesso. Rick sapeva che Martha lo capiva e capiva anche Kate, lo aveva visto dallo sguardo che aveva riservato più volte a sua moglie e per la prima volta aveva visto sua madre trattenersi. Immaginava, conoscendola, che avrebbe voluto essere molto più plateale e protagonista nel dimostrare la sua vicinanza a sua moglie ma era rimasta un passo indietro, in disparte. Non perché volesse lasciarla sola, ma perché sapeva che non c’era nulla e nessuno che potesse aiutarla a sorreggere la sua pena, tranne Rick.

Martha preparò a suo figlio una tazza di caffè e si sedette vicino a lui sul divano mentre sorseggiava la calda bevanda.

- Avete lavorato tutta la notte? Ci sono novità? - Chiese la donna

- No mamma… Nulla di concreto. Siamo stati all’Old Haunt con Ryan ed Esposito, dovevamo parlare in un posto tranquillo di una pista che sta seguendo Kate ma non è una cosa ufficiale, capisci cosa intendo?

- Certo…

- Poi siamo rimasti lì a dormire. Kate non voleva tornare al loft e nemmeno io… Avevamo bisogno di staccare un po’. Ogni volta che entriamo in camera è così difficile…

- Almeno adesso ha te. Il giorno che siete scomparsi, tu e Lily… Dio mio Richard, non so nemmeno descriverti come stava Katherine… Se non ci fosse stato Jim…

Rick deglutì a vuoto, poggiando il caffè sul tavolino davanti a lui. Non aveva ancora pensato a questo, a come Kate si fosse, improvvisamente, ritrovata sola e sentì come se l’ossigeno che inviava ai suoi polmoni non fosse sufficiente per respirare.

- Ho parlato con Alexis, mi ha raccontato quello che le hai detto. - Proseguì Martha

- Non capisco perché si comporta così. Non è giusto mamma!

- Lo so Rick. Ma tua figlia è spaventata. 

- Ha detto a Kate delle cose che non meritava, soprattutto adesso.

- E Katherine ha avuto un comportamento irreprensibile con lei. Dovresti apprezzarlo molto.

- Lo faccio mamma. È per questo che la amo così tanto, anche se Alexis sembra non capirlo.

- Lo capisce, solo che adesso cercava un colpevole…

- E se la prende con la persona che in quel momento era più debole… Stento a riconoscere mia figlia! 

- Non essere troppo duro con lei Richard! Alexis ha paura per te ed anche per Katherine ma soprattutto vuole che sua sorella non viva quello che ha passato lei con Meredith.

- Sai che non accadrà mai questo, vero mamma? Kate non è Meredith! Kate voleva solo essere felice con la sua famiglia. Essere tranquilla e vivere la sua vita con noi. Non è tanto, no? Merita di essere felice dopo tutto quello che abbiamo passato! Perché ancora una volta dobbiamo lottare? Perchè dobbiamo lottare sempre, disperatamente, per avere qualcosa che è normale, per tutti! 

Lo sconforto di Rick si era tramutato in rabbia e frustrazione. Marta posò un braccio intorno alle spalle di suo figlio sentendo come i suoi muscoli erano tesi, gli accarezzò la testa ed il collo e poi si appoggiò sulla sua spalla.

- Oh Richard… ma certo che avete diritto ad essere felici, pochi possono dire di averne più di voi… 

- Quando tutta questa storia sarà finita vorrei prendere Kate e Lily e portarle via lontano in un posto dove siamo solo noi… Tenerle al sicuro per sempre…

- Sai che quella non sarebbe mai la vita che vorresti realmente vero? E soprattutto quella che vorrebbe Kate… Non è scappando via che cambierai qualcosa.

- Lo so. Solo che vorrei veramente farlo… 

- Magari fallo ma non per sempre, diciamo per una vacanza. - Sorrisero entrambi un po' forzatamente

- Sai mamma, ieri sera ho capito ancora una volta di più quanto ho bisogno di lei. E sai qual è la cosa che mi dispiace di più? Tutti pensano che sia io che ho salvato lei, che l’ho cambiata, che ora è una Kate diversa e invece nessuno si accorge che è stata a fare tutto questo a me. Che uomo sarei ora se non avessi incontrato lei? Uno che ancora passa tutte le sere da una festa all’altra, magari uno scrittore fallito che vive solo dei successi passati, sposato forse con un’altra donna finta da ostentare ai fotografi ed interessata solo alla vita di copertine che potevo offrirle.

- Richard….

- È normale mamma? Amare sempre così tanto una persona? Lei è quella che ho sempre cercato ed ogni giorno è solo una conferma. Vorrei solo che fosse felice, vorrei vederla di nuovo sorridere alla nostra bambina.

- Non so se è normale, io non ho mai vissuto qualcosa del genere… però è senza dubbio bellissimo, ragazzo. E sono certa che sarà tutto questo ad aiutarvi, ancora una volta, a venirne fuori. 

 

- Ti devo parlare. 

Il ragazzo nel sentire la voce del suo capitano alle sue spalle, si allontanò dal computer, si tolse le cuffie e si girò sulla sedia nella sua direzione

- Dimmi Beckett

- Non qui Vikram.

- Dove?

- Tra mezz’ora, nel parcheggio, vieni alla mia auto.

Kate lo aspettò lì, picchiettando con le dita sul volante. Quando sentì la portiera aprirsi salutò con un sorriso tirato il ragazzo e poi partì.

- Cosa succede? - Chiese Vikram che l’aveva seguita senza fare troppe domande

- Ho bisogno del tuo aiuto.

- Per tua figlia?

- Esatto. Ma non è una cosa ufficiale e soprattutto potrebbe diventare una cosa non legale. Se non vuoi, ti capisco, fai finta che questa conversazione non c’è mai stata.

Beckett girava a vuoto per il quartiere mentre parlava con l’informatico.

- Cosa devo fare?

- Sei sicuro?

- Certo che lo sono. Ti devo tanto Beckett, non dimentico.

Kate accelerò ed ora la sua guida aveva una meta. Parcheggiò sotto il suo appartamento ed invitò Vikram a seguirla conducendolo all’interno.

- Dove siamo? 

- Casa mia. - Rispose mentre accendeva le luci e lo esortò ad accomodarsi.

- Non sapevo che tu e Castle…

- No, non è così stavolta. È casa mia di prima. Il mio vecchio appartamento, lo sto risistemando. Tra me e Castle è tutto ok.

Kate gli raccontò tutta la storia, come aveva fatto la sera prima con Ryan ed Esposito e la cosa che la colpì maggiormente fu il suo sguardo attento ai particolari e nessuna traccia di giudizio o biasimo. 

- Chi ha portato quel telefono a casa tua? - Fu questa la sua prima domanda, una cosa tanto banale che lei, in quelle ore concitate, non aveva nemmeno calcolato.

- Io… non lo so, in realtà. Dovrei chiedere a Martha c’era lei a casa…

- Ok, dammelo, fammi controllare una cosa.

Kate mise il telefono nelle mani di Vikram senza lasciarlo

- Sicuro che quello che fai non sarà rintracciato da loro? Vikram non devi mai, mai, mai fare nulla che possa mettere in pericolo Lily

- Tranquilla Beckett, è solo una misura precauzionale.

Vikram aprì l’apparecchio, era un modello economico non troppo recente. Tolse la sim card e la batteria, aprì lo sportellino che conteneva i circuiti. Sembrava tutto normale. Richiuse il telefono e lo accese, non c’erano pin o password di nessun tipo. Tirò fuori il suo portatile dalla borsa, accese il computer ed il suo wifi protetto e collegò il telefono. Kate lo osservava armeggiare con quell’unico mezzo che aveva per tenersi in contatto ed avere notizie di sua figlia sperando che sapesse quello che stava facendo. Vikram dal canto suo, stava analizzando con un software il contenuto della memoria del telefono ed il suo firmware. Nessuna anomalia, nessuna manomissione, era un normalissimo vecchio smartphone di fascia bassa.

- Tutto in ordine, non ha niente di strano.

- È positivo?

- Sì lo è. Posso metterci qualcosa di mio, così quando ti contattano il segnale verrà immediatamente registrato e captato dal mio software che ne identificherà la posizione.

- Sei sicuro che Campos non se ne accorgerà?

- Sì assolutamente. Per farlo avrebbe dovuto modificare il codice esattamente come farò io e questo, invece è pulito, come uscito dal produttore, ne sono certo Kate, fidati. Se avessi anche solo un dubbio te lo direi.

- Ok fallo.

Vikram ci mise pochi minuti a settare le sue impostazioni nel telefono e adesso poteva dal suo computer avere libero accesso ad ogni informazione. Riconsegnò l’apparecchio a Kate che lo lasciò sul tavolo, fissandolo come per chiedergli di suonare. Non sentiva Campos dalla sera precedente e l’ultima conversazione non era stata tranquillizzante.

- Non credo, in ogni caso, che Lily sia con Campos.

- Probabilmente no. Non penso che si tenga una bambina così piccola vicino. Ho sentito Sorenson e quelli dell’FBI parlare di Coney Island e di una coppia di ispanici.

- Spii l’FBI, Vikram? - Gli chiese Kate sorridendo

- Mi piace tenermi informato. E controllo che facciano le cose nel modo corretto.

- Sei entrato nel loro sistema dal distretto? - Chiese perplessa

Vikram scosse le spalle con aria innocente

- Usano la nostra connessione…

Lo squillo del telefono interruppe la loro chiacchierata e subito un’icona sul desktop del computer di Vikram cominciò a lampeggiare. La invitò a rispondere mentre lui controllava il suo programma.

- Beckett!

- Hola Jefa. Come stai?

- Campos cosa vuoi da me?

- Calma Beckett, calma… Devi stare tranquilla, tua figlia è molto più rilassata di te. L’ho vista questa mattina, è proprio una bella bambina, come sua madre… sarebbe un peccato se le accadesse qualcosa, non trovi?

- Dimmi cosa vuoi, Campos. Finiamo questa storia.

- Voglio vendetta e non ho la tua stessa voglia di finirla. Voglio chi ha ucciso mio figlio. 

- Non so chi è stato, ma chiunque sia è in carcere.

- Non mi importa dov’è, voglio sapere chi è. Io lo voglio morto e tu trova il modo di scoprirlo. È il tuo lavoro, no? Cercare gli assassini.

- Non mi faranno mai indagare su un omicidio avvenuto in carcere.

- Non è un problema mio, Jefa, è tuo. Ah dimenticavo. Quando lo trovi sarai tu a doverlo uccidere per me. Diciamo che è un risarcimento. Tu mi dai l’infame morto ed io ti do tua figlia viva. Oppure sarà il contrario. La scelta è sempre tua.

- Campos, voglio vedere mia figlia. Voglio vedere che sta bene.

- Vale, sono un uomo gentile. Ti farò avere sue notizie. Però sappi che non ho molta pazienza… ed una bambina come la tua può valere molto per me… c’è chi pagherebbe molto bene per salvare la vita del proprio figlio… capisci cosa intendo? Non mi far perdere la pazienza Beckett… 

Kate lasciò il telefono sul tavolo dove si piantò con i gomiti sulla superficie di legno scuro passandosi le mani tra i capelli. Vikram la guardava inorridito per quello che aveva appena sentito. Aveva visto Kate l’anno precedente più volte in preda allo sconforto per la mancanza di suo marito e quella separazione che si era imposta ma che la faceva soffrire terribilmente, ma non era nulla in confronto allo sguardo terrorizzato mentre ascoltava le minacce di Campos. Le lasciò qualche minuto per riprendersi mentre controllava quei dati che gli dicevano ben poco. Il suo telefono usava un sistema di criptaggio molto sofisticato ed il segnale sembrava spostarsi rimbalzando da un capo all’altro degli Stati Uniti senza alcuna logica era un lavoro da professionisti. Rintracciarlo era impossibile e fu questo che le disse appena alzò lo sguardo. Kate annuì nemmeno troppo sorpresa, evidentemente non si aspettava nemmeno lei qualcosa di diverso.

Gli disse di controllare l’altro numero sconosciuto dal quale le avevano mandato il video, se poteva provare a risalire a qualcosa in più da quello. Era un usa e getta già disattivato, poco dopo l’invio del filmato. L’ultima cellula che aveva agganciato, però, era di una zona periferica di Coney Island. Quella notizia fu come un lampo che illuminò per un istante il viso di Kate, una speranza.

- Vikram, tutto questo e tutto quello che scoprirai in seguito sarà una cosa solo tra me e te. Non dovrà saperlo nessuno. Nè Esposito e Ryan nè soprattutto Castle.

- Perché Kate? Tu e tuo marito mi pare che come coppia quando indagate insieme funzionate bene.

- Anche troppo a volte - sospirò Beckett - ma Castle deve rimanerne fuori. Se mi dovesse accadere qualcosa, devo essere certa che lui sia al sicuro. Per nostra figlia. 

Kate di quella storia aveva mentalmente calcolato tutte le evenienze e le possibilità soffermandosi in modo particolare su quelle più negative. Solo una cosa non prendeva mai in considerazione: non riuscire a riportare a casa sua figlia. Lo avrebbe fatto, in ogni modo, con ogni mezzo a costo di qualsiasi cosa. 

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Capitolo 17
*** DICIASSETTE ***


Rick si era sentito imprigionato a casa senza poter fare nulla, così dopo pranzo era uscito per raggiungere Beckett al distretto. Il suo ufficio però era chiuso e Kevin e Javier gli dissero che era uscita poco prima, convinti che sarebbe andata a casa. Castle per non dire che non sapeva dove fosse Kate, disse ai due che lui era in giro da un po' e forse non si erano incrociati, stava per andarsene quando lo fermò Sorenson per stuzzicarlo con qualche domanda irriverente ma Rick non cadde nelle sue provocazioni e si limitò a ricordargli che il suo lavoro era ritrovare sua figlia e si aspettava che lo facesse. Provò a chiamare Kate un paio di volte, ma il suo cellulare suonò a lungo a vuoto prima di risultare irraggiungibile. Tornò a casa fermando il primo taxi agitato più di quanto desse a vedere.

 

Uscita dal suo appartamento con Vikram, Beckett accompagnò a casa il ragazzo, poi girò un po' in auto pensando alla telefonata di Campos. Doveva pensare a qualcosa ed in fretta, il narcos sembrava cominciare a diventare più impaziente e le sue minacce diventavano più specifiche. Non era un bel segnale.

Quando Kate aprì la porta del loft non fece in tempo ad entrare e richiuderla che trovò le braccia di Rick a stringerla. 

- Ehy, stai bene? Tutto ok? - le chiese concitato

- Sì Rick, perchè?

- Ho provato a chiamarti, non mi hai risposto poi il tuo telefono era staccato… non sapevo…

Kate diede un bacio sulla guancia a Rick, chiuse la porta alle sue spalle, poi controllò il suo telefono.

- È scarico… - gli disse in una smorfia

- Cosa hai fatto? Hai scoperto qualcosa, ti hanno contattato?

- Solite cose, al distretto… - disse evasiva

- Non eri al distretto Kate. - le rispose Castle guardandola serio. - Sono passato, volevo vederti, volevo rendermi utile fare qualcosa ma mi hanno detto che eri uscita già da un po'… Sono stato in pensiero, ho avuto paura Kate! 

Rick aveva alzato la voce pur non volendolo fare. Al piano di sopra c’erano Martha ed Alexis e non voleva che sentissero la loro discussione. 

- Scusami Rick, io non volevo farti preoccupare. - gli disse accarezzandogli il volto - Avevo bisogno di stare un po' da sola… ho girato un po' in macchina. Ci sono delle novità… 

- Quelle novità? - chiese riferendosi alle sue telefonate con Campos e lei annuì con la testa

- Cosa succede? - La voce di Alexis da sopra le scale fece girare entrambi nella sua direzione. Anche Martha raggiunse la nipote e Kate fece cenno ad entrambe di scendere.

Erano tutti e quattro seduti intorno al tavolo, quando Kate raccontò quello che poteva alle due donne.

- Da quello che ci aveva detto Rick dei rapitori e da un’impronta parziale trovata nell’auto bruciata, siamo arrivati ad un profilo. Maria Asenjo che è una collega della proprietaria dell’auto sulla quale hanno trasportato Rick e Lily. Lei ed il suo compagno Hector Yepes non sono rintracciabili dal giorno del loro rapimento. Abbiamo mandato in giro degli identikit ed un collaboratore dell’FBI che lavora in un supermarket a Coney Island li ha identificati mentre compravano pannolini e latte in polvere. Non abbiamo la certezza che siano loro e per il momento non sappiamo dove si nascondono. Però a giudicare da quello che hanno comprato, almeno sappiamo che si stanno prendendo cura di Lily. - Kate strinse la mano di Rick - So che non è molto, che speravate in qualcosa di più, ma questo per ora è quello che abbiamo.

- Perché non mandate qualcuno lì, a sorvegliare quel posto, a cercarli? - Chiese Alexis concitata

- Non vogliamo farli insospettire per ora. Non sappiamo come potrebbero reagire e cosa potrebbero fare a Lily. La priorità è non metterla in pericolo. - Proseguì Kate rispondendo alla ragazza

- Ma perché non si fanno sentire? Non chiedono nulla? - Chiese ancora la figlia di Castle.

- Non lo so, forse pensano che prolungando l’attesa sarà più facile ottenere quello che vogliono - Kate cercò di usare la sua migliore espressione da poker per mentire alla ragazza. Non poteva certo dirle del resto, coinvolgere anche loro in quella storia.

- Beh, per lo meno sappiamo che si preoccupano per la bambina - sospirò Martha - se le comprano pannolini e latte vuol dire che ci tengono che stia bene, no?

- Sì Martha. È l’unica cosa che in questo momento mi rincuora. - Ammise Kate sinceramente. 

 

Mangiarono il cibo cinese che aveva ordinato Rick in un’atmosfera fin troppo silenziosa ed inusuale per quella casa. Nessuno aveva molta voglia di parlare, nemmeno Castle che era quello che ravvivava sempre le situazioni più cupe. L’unica cosa positiva è che i rapporti tra Kate e Alexis sembravano meno gelidi dei giorni precedenti. La ragazza aveva avuto modo di pensare alle parole del padre, ed anche sua nonna aveva più volte parlato con lei consigliandola di tenere un atteggiamento più morbido e non cercare colpevoli dove non c’erano. 

- Papà, è un problema se Dustin viene qui? - Alexis interruppe il silenzio della cena

- No, non lo è mai stato. Non è cambiato nulla. - Rispose Rick come se stesse sottolineando un fatto ovvio

- Lo so, pensavo solo che tu e Kate preferivate non avere estranei in casa adesso… - si giustificò la ragazza. Rick stava per risponderle, ma Kate lo precedette.

- Dustin non è un estraneo. In questo momento tutti abbiamo bisogno di avere vicino le persone che amiamo. 

- Grazie Kate - Le due si scambiarono un sorriso sotto lo sguardo soddisfatto di Castle e Martha, poi la più giovane andò in camera sua per chiamare Dustin e dirgli che poteva raggiungerla.

Castle e Beckett, finalmente soli nella loro stanza, poterono parlare anche di tutto il resto che Rick aspettava impazientemente di sapere e Kate non sapeva, invece, fino a quanto gli avrebbe detto.

- Allora? - le chiese impaziente Rick

- Campos mi ha chiamata oggi pomeriggio. Vuole sapere chi ha ucciso suo figlio, che io indaghi per scoprirlo

- Beh questo mi pare ragionevole. Ramon Campos era un tuo caso, puoi chiedere di occupartene tu, posso fare delle telefonate al sindaco e a Markway se possono fare qualcosa per darti il caso - Rick era già un fiume in piena pronto ad esondare e mettersi in moto per cercare una soluzione, ma Kate decise di dirgli tutto smorzando subito il suo entusiasmo.

- Non è tutto… Vuole vendetta e che il responsabile venga ucciso. E che sia io a farlo.

- Cosa gli hai risposto? - Chiese Castle ora serio e preoccupato

- Ancora niente. Ma lui ha detto che se gli consegnerò morto chi ha ucciso suo figlio, lui ci ridarà Lily viva. Altrimenti il contrario.

- Lo sai vero che non finirà mai? Che se lo farai ti ricatterà sempre, che ti avrà in pugno? Che… - Rick le parlava in modo concitato gesticolando freneticamente. Kate gli fermò le mani stringendogli i polsi e lui smise di parlare.

- Non mi ricatterà. Non ci sarà nulla per cui ricattarmi Castle. Qualsiasi cosa farò, una volta riavuta nostra figlia sarò io stessa a costituirmi. Non diventerò la sua marionetta. 

- No Kate… no… Devi trovare un’altra soluzione, dobbiamo parlare con Sorenson, seguire quella pista dei due rapitori. Non puoi fare altro Kate… tu non puoi… non…. 

Lo fece smettere di parlare baciandolo e poi si lasciò andare tra le sue braccia, appoggiandosi sulla sua spalla.

- Non parlare Castle. Non pensare ora a quello che sarà. Dobbiamo solo riportare a casa nostra figlia. Devo fare solo quello. 

- Non devi farlo tu, non devi farlo da sola.

- È mia figlia Rick. - Gli disse allontanandosi da lui e guardandolo dritto negli occhi - E farò qualsiasi cosa per riportarla a casa.

- È anche mia figlia Kate! È nostra figlia! Ma questo non vuol dire che dobbiamo fare cose stupide! - La frustrazione ed il nervosismo di Castle venne fuori con le sue parole.

- È stupido voler rischiare il meno possibile? È stupido voler fare la cosa che la riporti a casa prima? - Gli rispose con lo stesso tono stizzito

- Sì, è stupido! È stupido se questo vuol dire che tu devi rischiare in prima persona, se metti in gioco la tua vita e quello che sei e non consideri le alternative. È stupido Kate, è molto stupido.

- La mia vita Castle? Quello che sono? Quanto pensi che mi importi adesso tutto questo? Quanto pensi che sia importante per se l’alternativa è la vita di mia figlia?

- Per me è importante! Per me sei importante! Io non voglio pensare che tu e Lily siete alternative. Amo nostra figlia Kate, in modo infinito. Ma amo anche te, immensamente.

Kate si alzò dal letto dove erano seduti e cominciò a camminare per la stanza nervosamente.

- Non si tratta di me e di te Castle. Si tratta di Lily. Conta solo lei adesso.

- Conti anche tu Kate. Perché non lo capisci?

- Non è certo mia intenzione farmi ammazzare Castle!

- E allora qual’è la tua intenzione? Prestarti a fare da sicario per Campos e costituirti? Cosa pensi che ti accadrà poi in qualsiasi carcere andrai? Sarai bersaglio di chiunque, delle altre detenute, delle guardie! 

Beckett rimase in silenzio. Certo che ci aveva pensato a tutto questo e non si stupì nemmeno che Rick avesse immediatamente delineato lo scenario. Decise di minimizzare, anche perché la sua idea in realtà era diversa, ma non voleva nè poteva dirgli nulla. Sapeva come avrebbe reagito, ancora peggio di quanto stava facendo e lui da tutta quella vicenda doveva rimanerne fuori in ogni modo, non era solo voglia di saperlo al sicuro, era necessità che lo fosse: se il suo piano avesse funzionato solo in parte, doveva essere certa che lui fosse a casa sano e salvo per Lily ed era certa che non l’avrebbe mai lasciata agire da sola se fosse stato al corrente di come intendeva agire.

- Non essere così pessimista Rick, poi dovresti saperlo, so difendermi bene.

- Sì, come poliziotto in mezzo ai criminali. Perché non capisci Kate?

- Cosa devo capire Castle?

- Che ti amo e che sono preoccupato per tutto quello che vuoi fare! - La fermò prendendola per un braccio e obbligandola a guardarlo mentre glielo ripeteva, ma lei dopo un attimo di esitazione si voltò ancora, dandogli le spalle.

- Farò solo quello che ritengo giusto debba essere fatto. Farò tutto il possibile per portare Lily a casa. - Gli parlava decisa, ma senza guardarlo negli occhi. Non ce l’avrebbe fatta a sostenere il suo sguardo. Rick sbuffò rumorosamente per esternare tutto il suo disappunto. Poi volle pungerla nel vivo, farla ragionare.

- Io non credo che riuscirai mai ad uccidere un uomo a sangue freddo. Tu non sei un’assassina Kate, nemmeno se si tratta di uccidere un criminale ed un omicida. Non potresti mai farlo così.

- Mi stai sfidando a farlo Castle? - L’aveva presa nel modo sbagliato, come se la sua fosse una sfida ed aveva ripreso il suo atteggiamento di chi deve lottare contro il mondo, anche contro di lui.

- Dio no Kate! Tutto il contrario! Ti sto dicendo di non farlo! Che non lo puoi fare!

- Ti ricordi cosa mi hai detto una volta Castle? Che c’è un lato di te che emerge solo quando toccano le persone che ami. Beh per me è la stessa cosa. Tu volevi ritrovare Alexis come io voglio ritrovare Lily e farò qualsiasi cosa per farlo. Qualsiasi. - Era aggressiva Kate adesso mentre parlava ed adesso sì, lo guardava e non aveva paura del suo sguardo, semmai era il contrario era lei che voleva intimidire lui.

- Perché pensi che io non voglio ritrovare Lily? Che non mi interessi farlo? - Era offeso da quell’insinuazione, anche lui voleva ritrovare sua figlia, esattamente come aveva voluto ritrovare Alexis.

- Penso che non ti sei fatto scrupoli ad andare a Parigi, mentendo a me e a tua madre, non facendoci sapere niente. Ti importava di come stavamo noi in quel momento? Di quanto potevamo essere preoccupate per te? No, perché pensavi solo a trovare tua figlia, a fare quello che da padre ti sentivi in dovere di fare. Vuoi negare che ti sei messo in situazioni pericolose o irresponsabili? Che hai rischiato la tua vita per trovarla? Non c’è bisogno che me lo dici Castle, lo so che lo hai fatto, perché so che avresti fatto qualsiasi cosa per lei. Per me adesso è la stessa cosa per mia figlia, perché da madre e non da poliziotta, farei qualsiasi cosa per trovarla e pensavo che tu fossi l’ultima persona a dirmi di non farlo. Avrei avuto bisogno del tuo appoggio, di sapere che comunque andassero le cose, tu saresti stato la mia forza.

Erano distanti, fisicamente e non solo. Castle in piedi vicino alla porta di camera, Kate dalla parte opposta, oltre la culla di Lily che sembrava una barriera dietro la quale si era rifugiata.

- Cosa c’è Kate? Sei arrabbiata con me perché pensi che non sto facendo niente per nostra figlia? Mi stai rinfacciando questo? 

- No. Io voglio che tu non faccia niente. Tu non devi fare niente. Perché tu, qualsiasi cosa accada, devi esserci per lei. Non faccio paragoni Rick, so quanto è importante nostra figlia per te.

- E tu lo sai quanto sei importante per me? - La guardò mentre abbassava la testa verso il basso, verso la culla vuota. Castle si passo le mani tra i capelli, sconfortato - Quando sono tornato da Parigi, ti ricordi cosa mi hai detto? Io non me lo dimentico Kate, tu invece te lo sei dimenticata più volte. “Non fare più niente del genere senza di me”.  Perché tu ora vuoi fare tutto da sola? Perché vuoi sempre risolvere tutto da sola? Perché passano gli anni ma quando hai qualche problema continui ad escludermi dalla tua vita come se fossi un estraneo e non tuo marito e non il padre di tua figlia e non la persona che da anni ti ama più della sua vita! Alcune volte sembra che non te ne accorgi nemmeno o non ti frega niente di me, del mio amore e di noi! Sempre la stessa scusa, Kate! Sempre la stessa scusa! Che devi tenermi al sicuro, che vuoi che io stia bene. Possibile ancora non hai capito che non posso stare bene se so che sei in giro non so dove a fare a pezzi la tua vita? Possibile che non capisci che se fai a pezzi la tua vita fai ai pezzi anche a la mia?

- Non si tratta di me o di te questa volta Rick! Stiamo parlando di nostra figlia! Come puoi anche solo pensare che io non sappia quello che provi per me o peggio che non mi interessi? Pensi veramente questo di me? Che non mi frega niente di te? Tu non lo sai come sono stata io quando ti chiamavo e non mi rispondevi e poi il tuo telefono era staccato. Quando ho visto la tua macchina vuota e tu e Lily non c’eravate più. Non sai cosa ho provato in quei momenti, cosa è passato per la mia testa, quali ricordi sono riaffiorati e mi hanno divorato dentro durante la tua assenza. Mi sono sentita persa, sola al mondo, non avevo più niente. Quando ti ho visto al magazzino immobile a terra non avevo nemmeno il coraggio di avvicinarmi per la paura che fossi tu morto ed ho sentito il mondo cadermi addosso e quando ho sentito che respiravi sono tornata a respirare anche io. 

Kate si fermò per riprendere fiato. Sentiva il cuore battere veloce nel petto e così forte che lo sentiva rimbombare. Era arrabbiata con Castle, con il mondo ed anche con se stessa. Si appoggiò con entrambe le mani sul bordo della culla, lasciando tutto il peso del proprio corpo scivolare verso il basso.

- Rick come puoi pensare che non mi interessa di noi? Io so che ho sbagliato tante volte, che per te sto sbagliando ancora adesso. Però mi fa male sentire questo, mi fa male sapere che ogni volta che abbiamo una discussione tu pensi sempre di non essere importante per me. Io vorrei che tu fossi sicuro del mio amore per te, perché sapere che tu ogni volta metti in dubbio i miei sentimenti è… non so nemmeno spiegartelo, ma fa male. Non sono perfetta Castle, lo sai. Però se c’è una cosa di certo nella mia vita è che tu e nostra figlia siete le cose più importanti e quelle che amo al di sopra di tutto ed il solo fatto che tu possa pensare che a me non importi di te e del tuo amore mi fa sentire svuotata. Il tuo amore Castle è la cosa che mi ha tenuto in vita e mi ha fatto andare avanti nei momenti peggiori. È stata la certezza del tuo amore che mi ha permesso l’anno scorso di superare quel periodo in cui sbagliando, lo ammetto Rick, mi sono allontanata. E tutti i giorni mi ritrovavo a guardare la fede e a pregare che tu non cambiassi mai idea su di noi. 

Kate si toccò la fede, accarezzandola e nello stesso momento anche Rick fece la stessa cosa. Castle stava per risponderle quando il cellulare avvisò con un bip l’arrivo di un messaggio e quando Beckett lo prese dovette attendere il caricamento del video.

Lily dormiva in una sorta di letto con un paio di cuscini intorno. Le avevano messo una tutina nuova che le stava molto grande sentiva tra i rumori di una tv sintonizzata su un canale latino, il suo respiro profondo e qualcuno sei suoi mugolii che faceva spesso quando dormiva. Furono pochi secondi ma le strapparono un sorriso. Castle era andato vicino a lei, stava per far ripartire il video quando un altro messaggio annunciò l’arrivo di un secondo che appena lo fece partire fu molto meno rasserenante. Lily era seduta su un passeggino e piangeva, si vedeva una mano che provava a darle il biberon ma lei non voleva mangiare e la scansava muovendo le braccia rapidamente e portandosele davanti al viso. Fu più lungo del primo e per tutto il tempo non sentirono altro che il pianto della loro bambina.

La discussione di prima non esisteva più. C’era solo silenzio nella camera del loft. 

- Lo sai che ti hanno mandato volutamente quel video, vero Kate? - Lei fece solo cenno di sì con la testa. - Non ti far condizionare.

- Come fai ad essere così calmo Castle?

- Non sono calmo. E vorrei prendere quei bastardi tanto quanto te e non hai nemmeno idea delle cose che mi stanno passando per la mente in questo momento.

Fu l’altro cellulare adesso a squillare, quello di Kate personale.

 

- Beckett

- Ciao Kate, sono Vikram, puoi parlare?

- No, ma tu dimmi.

- Con i video che ti hanno mandato sono riuscito a tracciare da dove sono partiti ed effettivamente è Coney Island. Ho più dettagli ma non posso dirteli per telefono.

- Ok, aspettami, arrivo.

 

Kate riagganciò e prese la giacca lasciata sulla sedia, insieme alla pistola che aveva riposto in precedenza.

- Dove vai Beckett?

- Ho una pista. - Gli disse mentre si infilava le scarpe

- Per cosa?

- Per Lily. 

- Vengo con te. - Si mosse a prendere la giacca ma Kate lo fermò mettendogli una mano sul petto.

- No! Tu devi stare fuori da tutto questo Castle. Ti prego, stanne fuori.

Uscì dalla camera e poi dal loft, Rick sentì la porta chiudersi ed il suo passo rapido sul corridoio.

 

- Cosa succede Richard? - Martha era entrata in camera da letto, trovandolo seduto con i pugni serrati e la testa bassa.

- Quanto hai sentito?

- Della vostra discussione? Praticamente tutto. Diciamo che se volete mantenere i segreti forse dovreste chiudere meglio le porte o parlare più piano.

- Alexis?

- Ha sentito tutto anche lei.

- Altre pessime notizie da darmi mamma? - Chiese sarcastico

- No, ma credo che sia ora che ci racconti come stanno le cose. Che cosa nascondete tu e Kate? Cosa sapete realmente di questa storia Richard?

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Capitolo 18
*** DICIOTTO ***


Kate guidò rapidamente fino a casa di Vikram, lo chiamò quando era quasi arrivata, avvisandolo di scendere e portare tutto con se. Andarono poi nel suo vecchio appartamento dove il ragazzo le spiegò tutto quello che aveva scoperto grazie agli ultimi video che le avevano inviato.

- Come ti ho detto Kate, i messaggi che ti hanno mandato sono realmente partiti da Coney Island. Una zona molto isolata e periferica, a dir la verità. 

Le mostrò sul monitor la mappa della zona dove un cerchio rosso circoscriveva l’area che interessava loro.

- È partita da qui, come vedi non ci sono molte strutture. Sono tre case indipendenti, un autodemolizioni ed un magazzino.

- Il market di cui parlava Sorenson è lì vicino?

- Non proprio, non è di mano. Ma credo sia una cosa voluta, per non dare nell’occhio nella zona. E poi ho scoperto che in realtà lì vicino c’è un pub molto frequentato dai latinos perché trasmettono le partite di calcio dei campionati sudamericani. Potrebbe essere andato lì per vedere qualche incontro e poi prima di tornare indietro essersi fermato a prendere quello che gli serviva.

- Ne parlerò con Sorenson di questo, voglio vedere se dai nastri della video sorveglianza riesce a ricavare gli orari delle sue visite e se corrispondono con quelli delle partite.

- Non credo che sarà molto utile come riscontro, Kate. Ci sono giorni in cui gli incontri ci sono uno di seguito all’altro, un qualsiasi orario del giorno troveresti una corrispondenza.

- Sei esperto di calcio Vikram… credevo solo baseball e cricket dalle tue parti!

- Beh sì, ma ho vissuto per un po’ di tempo in europa e mi sono appassionato. 

- Sorenson non ha tutta questa conoscenza sul calcio, glielo chiederò comunque, sarà un pretesto per riuscire a recuperare più informazioni possibili. 

- Dimentichi che io posso accedere ai loro sistemi. - Le ricordò Vikram

- No, non lo dimentico. Ma non tutto quello che si sa di un’indagine viene inserito nei sistemi. Tu sei esperto di computer, io di persone e preferisco lavorare su quelle. - Rispose decisa

- Ok Capitano.

Kate si appuntò su un foglio le vie e i nomi dei proprietari delle tre abitazioni e delle altre due attività.

- Puoi controllare eventualmente gli spostamenti di quel numero? Per capire cosa fanno e se hanno dei percorsi abituali?

- Ho provato a rintracciarlo, ma subito dopo i messaggi è stato disattivato, come la volta precedente. Credo che ogni volta che ti contattano subito dopo attuano questa procedura, proprio per paura di essere poi seguiti e rintracciati.

- Ok… Allora tu trovami tutto quello che puoi su quei posti.

- Proprietari?

- No, mappe. Dettagliate, il più possibile. Interni ed esterni. Quando avremo individuato dove sono voglio già essere preparata.

 

 

Alexis poggiò tre tazze di caffè fumante sul tavolo. Era passata da poco mezzanotte e Rick aveva appena finito di raccontare la verità su quello che Kate stava facendo, almeno tutto quello che lui sapeva. Raccontò alle due donne come lo aveva ritrovato, le telefonate ed i messaggi con Campos, i video e le foto di Lily che periodicamente ricevevano, rassicurandole che da quello che si poteva vedere stava bene. Gli raccontò che Campos aveva chiesto a Kate informazioni per far evadere il figlio in cambio di liberare la loro e di come lei avesse accettato di sottomettersi al suo volere, rinnegando tutti i suoi principi pur di riportare a casa Lily ed anche delle nuove minacce dopo l’omicidio di Ramon e delle richieste sempre più inammissibili che erano seguite, che però Kate sembrava ancora una volta disposta ad accettare. Nel suo ricostruire quella storia c’era rabbia ed amarezza che non sfuggì a Martha e Alexis. Spiegò poi la discussione che avevano involontariamente ascoltato ed il fatto che ancora una volta Kate voleva fare tutto da sola, escludendolo. Rick si aspettava parole dure da parte di sua figlia, che aveva criticato pesantemente sua moglie nei giorni precedenti anche per quel motivo, ma la sua reazione lo sorprese.

- Credo che questa volta Kate abbia ragione. - Disse Alexis e suo padre e sua nonna la guardarono stupiti - È la cosa più logica ragionando come una madre. Vuole essere sicura che se le dovesse accadere qualcosa sua figlia avrà qualcuno che si prenda cura di lei come farebbe lei stessa. 

Quell’obiezione convinse Martha, meno suo padre che proprio non capiva perché tutti dovevano pensare solo al lato peggiore della storia e non la vedevano dal suo punto di vista: insieme sarebbe stato più facile ritrovare Lily e meno pericoloso per tutti. Alexis, però, si guardò bene dal dire che c’era dell’altro, che era un altro il motivo per il quale era d’accordo con Kate: per una volta volta, finalmente, aveva tenuto fuori suo padre da una storia potenzialmente molto pericolosa ed era certa che in questo caso non avrebbe avuto ripensamenti, coinvolgendolo alla fine come l’anno precedente, perché era certa che il suo desiderio di sapere Lily al sicuro con lui nel peggiore dei casi, sarebbe stata più forte della voglia di averlo al suo fianco.

 

Quando Kate rientrò a casa li trovò così, seduti al tavolo con le loro tazze di caffè. Castle la guardò di sfuggita e lei fece lo stesso.

- Vuoi anche tu una tazza di caffè Kate? - Le chiese Martha che si stava già alzando per prepararlo ma Beckett le face cenno di rimanere seduta.

- No grazie, ho bisogno di farmi una doccia e dormire un po’.

- Ci sono novità? - Chiese ancora l’attrice

- No, nulla di rilevante purtroppo

- Sanno tutto. - Intervenne Castle senza distogliere lo sguardo dalla sua tazza di caffè - Gli ho raccontato tutto. 

Kate guardò suo marito molto contrariata senza però dire una parola.

- Katherine, hai… le foto? - Martha era titubante nel fare quella richiesta, ma desiderava veramente molto vedere che la piccola stesse bene

Beckett lasciò il cellulare sul tavolo e poi entrò in camera andando direttamente in bagno. Sotto il caldo getto dell’acqua cercava di sciogliere i muscoli tesi così come i suoi nervi. Avrebbe voluto che suo marito fosse più comprensivo nei suoi confronti, che accettasse le sue scelte e la sostenesse. Aveva bisogno fisico della sua vicinanza, di perdersi nel suo abbraccio dove per qualche istante riusciva anche a non pensare a tutto quello che aveva intorno. Si massaggiò il collo e le spalle cercando di scaricare un po’ della tensione accumulata, avrebbe voluto altre mani al posto delle sue, quelle che sapevano sempre toccare ogni punto giusto del suo corpo e della sua anima. Passò le mani sulle clavicole scendendo fino ai seni gonfi ed indolenziti che massaggiò sotto l’acqua calda cercando conforto: anche il suo corpo le ricordava l’assenza di sua figlia e quel distacco improvviso e brutale. Fu assalita da un’onda di tristezza e nostalgia. Non contava nemmeno più i giorni che erano trascorsi le sembravano comunque troppi, un tempo infinito. Mentre continuava a massaggiarsi alla tristezza si aggiungeva la rabbia di sentirsi defraudata anche della possibilità di vivere quei momenti con sua figlia chiedendosi se avrebbe avuto la possibilità di viverli ancora. 

 

Rick nel suo studio ancora non aveva smaltito la rabbia per quell’atteggiamento di Kate. Era ormai notte fonda, Martha ed Alexis erano tornate nelle loro stanze mentre lui non aveva alcuna voglia di dormire. Faceva scorrere le foto di Lily e si chiedeva come stesse realmente sua figlia e quanto ancora sarebbe durata quella situazione che li stava lentamente logorando, lo sentiva dentro. Sentiva tornare fantasmi che credeva essere riuscito a mettere da parte, paure che credeva aver superato ed invece si rendeva conto che non era così, che erano chiuse in angoli della sua sua mente e che tornavano a galla ogni volta che dentro di se scattavano quei meccanismi che lo facevano tornare a momenti del passato che lo avevano segnato. 

L’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era litigare con sua moglie ma le sue paure avevano preso il sopravvento sulla sua razionalità. L’idea che oltre a Lily fosse in pericolo anche Kate lo faceva diventare matto così come che lei lo lasciasse fuori dalla sua vita e dalle sue decisioni: il ricordo di quando lei se n’era andata gli bruciava ancora ogni volta che ci pensava ed ogni volta che la sentiva distante come in quel momento aveva in mente la sua immagine con la valigia in mano mentre usciva dalla porta. Si sentiva impotente nel non riuscire a farle capire quanto la sua incolumità fosse maledettamente importante per lui e che lui non sarebbe mai potuto stare bene se lei era in pericolo.

Dalla camera ora proveniva solo silenzio, non sentiva più nè il rumore della doccia nè del phon. La porta che la divideva dallo studio era semiaperta, aveva sentito Kate aprire la cabina armadio e girare per la stanza, prima di spegnere la luce che non illuminava più la striscia di pavimento dello studio che arrivava fino alla sua scrivania. Aspettò ancora un po' prima di andare in camera, sperando che Kate si addormentasse presto: Castle non avrebbe retto emotivamente un altro confronto con Beckett quel giorno, quello che avevano avuto in precedenza lo aveva provato a sufficienza, si erano detti cose che non avrebbero voluto dirsi, accusati di cose che sapevano non essere vere guidati dalle loro paure più che dalla ragione. Avrebbero dovuto parlare di tutto quello, con calma, una volta che questa situazione si fosse risolta, perchè doveva risolversi positivamente, Rick voleva crederci e sperarci, non si voleva arrendere a quello che Kate faceva passare per inevitabile, le loro vite non potevano distruggersi così, perchè lo scenario prospettato da Kate voleva dire solo quello, che la loro vita e la loro famiglia si sarebbe in ogni caso distrutta.

Castle entrò in camera chiudendosi la porta dello studio alle spalle, muovendosi al buio nell’ambiente familiare. 

Beckett era rannicchiata in un angolo del letto dandogli le spalle. Ci mise poco a capire che non stava dormendo, non era una cosa sulla quale riusciva a mentirle. Lui semplicemente la sentiva, come se riconoscesse le vibrazioni del suo corpo. Si girò dalla sua parte, come per volerla accarezzare ma si fermò con la mano a mezz’aria e si ritrasse tornando di nuovo dalla sua parte, consapevole e che lei aveva percepito la sua esitazione e sentendosi colpevole per questo. 

Kate aveva sperato in quell’abbraccio, sentire il corpo di Rick aderire al suo, la sua mano cingergli il ventre ed intrecciarsi con la sua, come tante notti avevano dormito quando era incinta. Le piaceva addormentarsi con le labbra di Castle che le accarezzavano il collo e svegliarsi sentendo il suo respiro pesante farse il solletico e scoprire che non si erano mossi. Kate sapeva che anche in quel momento le sarebbe bastata una parola e lui lo avrebbe fatto, che anche se era ancora arrabbiato non le avrebbe mai negato la sua vicinanza, ma era troppo orgogliosa per chiederlo e sapeva che non era nemmeno giusto farlo. Ma più passavano i minuti più quella sua esitazione le sembrò un oceano che li stava separando che diventava sempre più grande. Non poteva lasciare che andassero così le cose, non in quel momento, si ripeteva. Sapeva che le cose sarebbero diventate più complicate quando lui avrebbe scoperto tutto. Si girò notando che lui era esattamente nella sua stessa posizione e le dava le spalle. Era una posizione innaturale per Castle che se non dormiva abbracciato con lei, lo faceva per lo più a pancia in giù occupando istintivamente la maggior parte dello spazio del letto. Nemmeno quando era sveglio e pensieroso mentre lei dormiva stava così ma intrecciava le braccia dietro la testa e fissava il soffitto o lei, anzi, prevalentemente lei. Molte delle parole che Rick le aveva detto l’avevano toccata ed avevano riaperto in lei delle ferite che credeva da tempo rimarginate ma non era così, erano cicatrici più dolorose di quelle sulla pelle, ma decise di mettere da parte la sua frustrazione e si avvicinò a lui, stringendolo come lui era solito fare con lei, facendo scorrere la mano sul suo torace: Castle non si mosse, tantomeno le disse qualcosa, ma Kate sapeva che era sveglio da come aveva trattenuto il respiro più a lungo mentre lei lo abbracciava e si appoggiava sulla sua schiena. 

- Ti amo, Richard Castle e voglio vivere la mia vita nel calore del tuo sorriso e nella forza del tuo abbraccio. - Gli sussurrò Kate prima di appoggiare la testa sul suo stesso cuscino, aspettando inutilmente che lui rispondesse in qualche modo alle sue parole. Le erano venute spontanee ma non erano scelte a caso. Erano la sua promessa, quella promessa che lui aveva messo in dubbio pensando che non le importasse nulla di loro, quella promessa che lei gli avrebbe potuto ripetere ogni giorno della sua vita. Sospirò e si strinse di più a Rick. 

 

Beckett si svegliò con il pesante braccio di Castle che la stringeva mentre dormiva a pancia in giù. Non sapeva quando di preciso in quel che rimaneva di quella breve notte si erano spostati ritrovandosi in quella posizione. Avrebbe voluto rimanere lì con lui almeno fino a quando non si fosse svegliato, aspettare che aprisse gli occhi e sistemargli il suo ciuffo spettinato ma non poteva, voleva andare al distretto il prima possibile.

Kate si preparò rapidamente e prima di uscire non si trattenne dall’avvicinarsi a Rick e baciarlo dolcemente. 

- Già te ne vai Beckett? - Le chiese Castle con la voce ancora impastata dal sonno mentre Kate approfittò per spostargli quel ciuffo come avrebbe voluto fare.

- Io… sì… Ho molto da fare… - Kate aveva un tono da chi sapeva di essere colpevole

- Già… immagino. - le rispose Rick non nascondendo l’amarezza e lei gli diede un altro bacio prima di uscire lasciandolo a letto pensieroso.

Appena arrivata al distretto fece un giro di telefonate chiedendo più di qualche favore per riuscire a farsi assegnare il caso della morte di Ramon Campos. Detestava fare quel tipo di pressioni e ancora di più si sentiva meschina ad usare il nome di Castle per farsi ascoltare, soprattutto perché lui non era affatto d’accordo con quello che stava facendo, e non sapeva nemmeno tutto. Alla fine fu il giudice Markway a dirle che avrebbe fatto modo di mettere una buona parola sia con il procuratore che con il suo capo dipartimento per far assegnare il caso al loro distretto, visto che si erano occupati dell’arresto. Le chiese poi con molta discrezione come andavano le ricerche di Lily e come stava Castle, ma a Kate risultava sempre molto difficile parlare di questo e si rese conto di averlo liquidato fin troppo velocemente. Non stava negando la realtà, ma ogni volta che ne doveva parlare con estranei le sembrava di rendere tutto ancora più vero e doloroso. 

Un’ora dopo aveva un fax che le assegnava ufficialmente il caso sull’omicidio di Ramon Campos: il passo avanti che le serviva per prendere tempo. 

Prima di andare a Rickers Island passò da Sorenson a chiedergli se aveva novità. Due agenti di origine ispanica stavano girando per la zona di Coney Island per scoprire qualcosa. Gli disse di quel pub scoperto da Vikram e di provare ad incrociare gli orari delle partite con quelle delle visite di Hector al supermarket. A lui sembrò un’ottima idea. Anche Will le chiese come stava e vedendola infastidita ed evasiva cambiò subito discorso chiedendo novità sull’omicidio di DeVito ma chiude l’argomento dicendogli di chiedere a Ryan ed Esposito, perchè lei aveva altro lavoro da fare.

 

Passò il resto della giornata al Rickers ad interrogare i membri dei Socorros lì detenuti. La sua attenzione si concentrò su tre persone, Ivan Valencia, uno dei più feroci sicari del clan, Juan Martinez uno degli uomini più vicini a Oscar Sanchez e Pedro Suarez per il quale più volte il suo avvocato aveva chiesto più volte una perizia psichiatrica sempre rigettata ma Kate credeva che se aveva finto, lo aveva fatto molto bene perchè a lei sembrava effettivamente una personalità molto disturbata, tanto da averle lasciato un senso di inquietudine addosso dopo averlo incontrato, per quello sguardo vuoto ed il ghigno sadico.

Le ore erano passate e senza che se ne rendesse conto era già sera inoltrata quando chiese tutti i fascicoli di aggressioni senza colpevoli avvenuti in quel carcere con lame. Dai rapporti dei medici ne aveva trovate tre con lame del tutto simili a quella che aveva colpito a morte Ramon e dai rapporti risultava che sia Valencia che Suarez erano nel gruppo dei sospettati per ogni aggressione ma non avevano mai trovato abbastanza prove per accusarli formalmente. 

Era veramente tardi, decise di rompere gli indugi e mandare un messaggio lei a Campos. Voleva che sapesse che stava lavorando su quello che le aveva chiesto, che era riuscita a farsi assegnare il caso ed indagare. “Ho ottenuto il caso e cominciato le indagini. Ho tre sospettati. Spero di avere novità domani” “Vale Jefa. Sei molto rapida, tua figlia ti aspetta”

Si rese conto che non aveva sentito Castle per tutto il giorno e stava per chiamare anche lui, per avvisarlo che tra poco sarebbe arrivata a casa ma una chiamata di Vikram la precedette. Aveva novità e si diedero appuntamento nel suo appartamento. 

 

Quando Beckett arrivò, Vikram era già lì sotto ad attenderla con una sacchetto in mano e la sua tracolla con il computer appoggiato al portone. Salirono in casa ed il ragazzo tirò fuori dal sacchetto due contenitori di cibo da asporto.

- Indiano, ti piace? - le chiese facendosi venire solo in quel momento il dubbio suo suoi gusti alimentari

Kate annuì, pensando a quel ristorante indiano estremamente caotico vicino al loft dove ogni tanto andavano a cena con Castle e dove lui puntualmente esagerava con spezie e peperoncino finendo per ustionarsi la bocca e le labbra che, secondo lui, guarivano solo con una massiccia dose di baci suoi. Sorrise pensandoci ed avrebbe voluto che al posto di Vikram ci fosse suo marito con lei. Prese il telefono e gli mandò un messaggio dicendogli che era ancora impegnata con il lavoro e di non aspettarla per cena, ma solo dopo averlo inviato si accorse che anche l’ora di cena era già passata. Non arrivò nessuna risposta. 

Vikram aveva aspettato che finisse per cominciare a mangiare, Kate aprì il suo contenitore ed un profumo di spezie la invase: samosa di verdure, pollo tandori e riso biryani. Solo cominciando a mangiare si rese conto di quanto avesse fame e che aveva solo preso qualche caffè durante tutta la giornata. Mangiarono rapidamente ma Vikram per tutto il tempo le decantò tutte le prelibatezze della cucina del suo paese e descrivendo quel piccolo take away, nascosto in una piccola traversa vicino al distretto, come uno dei migliori dove aveva mangiato a New York. Le elencò almeno altri dieci piatti che doveva sicuramente provare. 

Finito di mangiare, davanti a due birre sempre portate dal ragazzo, questo cominciò a spiegargli cosa aveva scoperto: innanzi tutto una delle villette la potevano eliminare dai possibili nascondigli perchè abitata da circa 20 anni da un’anziana coppia con un figlio disabile e risultava che abitavano proprio lì e che ogni giorno dei volontari andavano a trovare il ragazzo per assicurarsi che non avesse problemi. 

Le altre due erano una vicino alla prima e l’altea in posizione più isolata che convinse Kate che il loro obiettivo fosse quello. Vikram sorrise della deduzione di Beckett

- C’è dell’altro, in effetti. Questa - disse indicando sulla mappa la casa più isolata - Appartiene ad un certo Vince Maggi, piccolo trafficante di Little Italy con varie attività commerciali a suo nome, tra cui si arriva anche dopo una serie di scatole cinesi alla FrostOne, la società dove lavorano Maria e Emma, non ti sembra un po' strano?

- Sono lì - esclamò Beckett soddisfatta

- Sì credo sia la cosa più probabile. - rispose Vikram tirando fuori altri foglio. - queste sono le piantine della casa: interno, garage ed esterno. 

Beckett fu molto attenta alle sue spiegazioni su quello che Vikram aveva trovato in quella giornata sui sistemi di allarme perimetrali del giardino e sulla dislocazione dei vani. Poi il ragazzo le fece una proposta che la fece irrigidire

- Credo che dovremmo dire tutto a Sorenson così da preparare un blitz per liberare Lily

- No Vikram! Non erano questi i patti! Se tu non te la senti puoi andare, ma dammi il tempo di andare a riprendere Lily!

- È pericoloso da sola Kate! Non sappiamo quanti sono lì dentro, come sono armati…

- Infatti questo devo scoprirlo prima di agire.

- Hai un’idea?

- Sì, ma mi serve qualcuno che non sia mai stato in contatto con i Campos, come te!

- Io? Io non sono un uomo d’azione ! Dovresti saperlo! - disse Vikram un po' agitato

- Tra le attrezzature in dotazione al distretto abbiamo delle telecamere a rilevazione termica. Domani sera dovresti passare lì, intorno a quella villa e fare delle riprese dalla strada. Così potremmo vedere quanti sono all’interno.

- Ok… Se è solo questo…

- Vikram, non ti voglio obbligare, se non lo vuoi fare troverò un altro modo.

- Beckett, ti aiuterò. - la rassicurò e poi passarono altro tempo a discutere su come organizzare la cosa, dove poter mettere la telecamera nell’auto, il percorso migliore e dove sarebbe stato meglio fermarsi. 

Quando Vikram se ne andò dal suo appartamento era molto tardi. Kate sistemò il materiale che il ragazzo le aveva portato e si mise sul divano a guardare ancora la piantina della casa e le foto aeree che aveva trovato negli archivi: stava già pensando mentalmente come potersi organizzare. Non si accorse nemmeno che si addormentò lì. 

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Capitolo 19
*** DICIANNOVE ***


Kate si svegliò repentinamente sentendo bussare con insistenza alla porta. Ci mise qualche momento per capire dove si trovasse, poi vide i fogli sparsi sul divano e si guardò intorno mettendo a fuoco che quello era il suo vecchio appartamento. La luce che filtrava dalle imposte rimaste aperte le fece capire che era già mattina: era tutta indolenzita segno che aveva passato quella notte in qualche posizione veramente scomoda. Raccolse i fogli mentre il bussare non cessava anzi diventava sempre più forte andandosi a sommare al mal di testa che si accorse di avere non appena si fu messa in piedi. Si chiese chi potesse cercarla lì e si convinse che fosse Vikram che forse aveva scoperto qualcosa di nuovo, ma quando aprì la porta rimase a bocca aperta nel trovarsi davanti un Castle dall’aria furente che entrò dentro senza chiedere permesso.

- Così adesso non torni a casa nemmeno per dormire. Rimani qui, nel tuo appartamento! - le urlò contro

- Rick ero qui a lavorare… mi sono messa a leggere delle carte e mi sono addormentata sul divano, non mi sono nemmeno accorta... - si giustificò. 

- A lavorare eh! Ma mi sembra che non eri da sola, vero? - disse indicando le due bottiglie di birra ancora sul tavolo

- No, non ero da sola… - ammise

- Bene almeno non neghi l’evidenza. - Castle fece una pausa girandole le spalle mentre Beckett indietreggiò fino a sedersi di nuovo sul divano scansando i fogli e prendendosi la testa fra le mani con i gomiti piantati sulle ginocchia. Vedeva come suo marito era nervoso, sapeva che qualsiasi cosa poteva dirgli non era mai abbastanza per spiegarsi.

- Rick ascolta…

- Ascoltare cosa, Kate? Le tue bugie? Le tue omissioni? Stai indagando su nostra figlia con chi? Non con Javier o Kevin immagino. Io sono suo padre! Tu preferisci coinvolgere un estraneo rispetto a me! 

- Lo sai perché, Rick! Te l’ho spiegato! 

- Cosa mi hai spiegato, che non vuoi mettermi in pericolo? Nemmeno io voglio che tu lo sia, ma a te non importa! Anzi tu preferisci direttamente andartene da casa, lasciarmi da solo, fare quello che ti pare lontano da me, escludendomi!

- Non è così Castle! 

- No? Allora com’è Kate? Lo sai come sono stato ieri sera quando non tornavi? Come è stato questa mattina risvegliarmi solo ed accorgermi che tu non eri venuta, che la tua parte di letto era intatta? 

- Mi dispiace io… non volevo rimanere qui - si alzò e gli andò vicino - Rick… io volevo tornare a casa, da te.

Kate provò a prendere la sua mano, ma Castle si ritrasse lasciandola a bocca aperta.

- Però sei rimasta qui. Mi hai mandato un messaggio dicendo di non aspettarti, non ti sei fatta sentire per tutto il giorno. So che hai chiamato più di qualche mio amico per farti dare il caso di Campos. Ti ricordi di essere mia moglie solo quando ti serve, Beckett? 

- Basta Rick! Perché mi vuoi ferire così? Perchè continui a mettere in dubbio quanto sia importante il nostro matrimonio per me?

- Io lo metto in dubbio? Sei tu che lo fai, che te ne vai, che mi lasci a casa mentre vai a fare le tue indagini lasciandomi… lasciandomi solo. 

Kate era senza parole e lo guardava girare per l’appartamento fino a quando non arrivò davanti alla finestra. Quella finestra.

- Cosa pensi di fare ora Kate? Riempirla con le tue carte di nuovo? Ricominciare con una nuova ossessione? Aveva ragione Bracken allora… Lui ti conosceva meglio di me… - Rick sospirò mentre Beckett ora lo guardava inorridita, lo prese per una spalla e lo girò di forza.

- La mia ossessione? La mia ossessione Rick? Sto cercando di riportare a casa nostra figlia! Sì è la mia ossessione se la vuoi chiamare così e pensavo fosse la stessa cosa per te, che anche tu lo volessi! Sono ossessionata dal rivolerla ti sembra strano? - gli urlò nervosamente mentre faticava a trattenere le lacrime per la rabbia. - Come puoi solamente pensare di paragonarlo al caso di mia madre? Mia madre è morta Castle! Io cercavo il suo assassino. Ora voglio ritrovare mia figlia e non considero nemmeno una possibilità diversa dal riportarla a casa sana e salva. 

Ora era Rick a non avere parole. Sapeva di aver fatto un paragone improprio e gli si gelò il sangue solo a pensarci. Si spostò dalla finestra e si appoggiò allo schienale del divano e il suo sguardo cadde sui fogli che aveva ammucchiato Kate. Guardò quelle mappe e poi lei che aveva ancora il viso contrito dalla rabbia per quello che le aveva detto.

- Cosa mi stai nascondendo Kate? Cosa sono questi fogli? Cosa vuoi fare?

- Non ti riguarda Rick.

- Sì che mi riguarda se si tratta di te e di nostra figlia! Come può non riguardarmi?

- Ne devi stare fuori Castle! Per favore…

- Tu non vuoi fare quello che ti ha chiesto Campos vero? Non hai mai voluto farlo, non è così? Ti conosco bene Kate, per quanto tu possa dire il contrario non sei un killer.

- Castle, ti prego…

- Vuoi fare di testa tua vero? Vuoi fare da sola… Come sempre, non è così? Ti vuoi far ammazzare Kate? Perché?

- Perché è mia figlia Rick! E farò tutto quello che posso per riprendermela senza mettere a rischio la sua vita.

- Lo possiamo fare insieme Kate, io e te. Per nostra figlia. Non ti fidi più di me?

- Sì che mi fido di te Rick, non è questo lo sai. Ma non posso coinvolgerti in questo. Non questa volta. Fidati di me, ti prego.

- Io mi fido di te. Mi fido delle tue capacità, so quanto vali. Ma so anche quanto sei disposta a rischiare ed io non posso accettare che tu metta in pericolo la tua vita. Perché non lo capisci Kate? 

- Mi dispiace Castle… 

- Se ti dispiace veramente andiamo insieme al distretto. Parliamone con Ryan ed Esposito. Facciamoci aiutare da Sorenson, almeno diamo un senso alla sua presenza lì.

- Ne abbiamo già parlato Rick. Non metto in pericolo Lily coinvolgendo Polizia e FBI. È una cosa che devo fare da sola.

- Da sola… Non ti è bastato quello che è successo con LokSat, vuoi ancora fare le cose da sola. Sai che c’è però Kate, io non sono più disposto a stare così, a rimanere in disparte mentre tu pensi a come mettere a repentaglio la tua vita, ad aspettarti a casa senza sapere se e quando tornerai. 

- Cosa vuoi dire Castle? 

- Che se vuoi fare le cose da sola, se vuoi stare da sola nel tuo appartamento puoi anche evitare di tornare al loft. Almeno eviterò attese inutili come uno stupido. 

- Rick, cosa stai dicendo?

- Quello che ti ho detto Kate. Il matrimonio non è stare insieme quando le cose vanno bene e quando c’è qualcosa che non va essere da soli ad occuparsi dei problemi. Tu questo non l’hai capito e non so se lo capirai mai. Troverai sempre una scusa, sempre un motivo per fare di testa tua e lasciarmi fuori

- Non è una situazione come le altre questa!

- Nemmeno LokSat lo era vero? Almeno questa volta me lo hai detto in faccia, non hai fatto la sceneggiata di lasciarmi.

- Non ti voglio lasciare Castle, non ti ho mai voluto lasciare! Voglio solo che ti fidi di me e mi lasci sistemare questa storia. Io voglio solo avere la mia famiglia unita. Tutta. 

- Dovrei fare finta di nulla? Non ci riesco Kate. Non più. Mi dispiace.

Il telefono di Kate squillò. Era il direttore di Rickers Island. Erano pronti per le perquisizioni delle celle dei detenuti che lei aveva indicato e voleva sapere se dovevano aspettarla. Gli disse di sì, che sarebbe arrivata il prima possibile.

- Devo andare Rick. Mi aspettano per le perquisizioni a Rickers Island. Ci vediamo stasera.

- No Kate. Non ci vediamo stasera. Io ti amo, ma non tornare a casa se le cose non sono cambiate.

Rick uscì dall’appartamento senza più guardarla e senza dire nulla. Kate rimase a fissare la porta chiusa incredula. La freddezza nelle parole di Rick l’aveva colpita come un pugno alla bocca dello stomaco. Non riusciva nemmeno a muoversi le sembrava di essere tornata indietro di molti anni, quando un’altra volta era rimasta sola nel suo appartamento guardando Castle andarsene e credeva di averlo perso per sempre. 

 

Kate si guardò nello specchio dell’ascensore di Rickers Island e faticò a riconoscersi nell’immagine riflessa. Si era velocemente rinfrescata prima di uscire, aveva gli stessi abiti del giorno prima, senza un filo di trucco e con una faccia molto segnata sia dalle poche ore di sonno sicuramente non riposanti, che per la discussione avuta con Castle poco prima. Non voleva pensarci ora, non doveva farlo per non lasciarsi andare nello sconforto. Campos non le aveva portato via solo sua figlia, ma le stava portando via tutta la sua vita.

Si concentrò sul lavoro e sulla prima perquisizione che stavano facendo. Indossò anche lei i guanti come tutto il resto del gruppo. Cominciarono dalla cella di Pedro Suarez che divideva con un altro componente della stessa banda, un ragazzo molto giovane, arrivato in carcere da poche settimane: i due furono fatti mettere faccia a muro in un angolo della cella tenuti sotto tiro da due guardie, mentre altre due cominciarono a perquisire tutto con il massimo scrupolo, mentre Beckett ed il direttore assistevano vicino alla porta. Svuotarono armadietti smontando ripiani e base e controllarono ogni indumento, fecero la stessa cosa con le brandine togliendo rivestimenti a cuscini e materassi e controllando nelle intercapedini e nei tubi di acciaio dei letti a castello, aprirono ogni barattolo, controllarono ogni libro o rivista senza però trovare nulla. Kate spostava continuamente lo sguardo tra le guardie che facevano i loro controlli a Suarez ed il suo compagno di stanza che sembravano fin troppo agitati per essere due puliti. Si avvicinò a loro, per osservarli meglio, mentre i due agenti cominciarono a svuotare i flaconi di sapone nel lavandino.

- Cosa c’è Suarez… sei agitato? - Lo sfidò Beckett ma quello non rispose, voltandosi dall’altra parte, verso il suo compagno di cella. - Ehy Pedro, hai qualche problema? Pensi che possiamo trovare qualcosa di compromettente?

L’uomo biascicò qualcosa di incomprensibile, Kate si avvicinò al lavandino dove il sapone defluiva lentamente nello scarico. Aprì l’acqua e vide come questo si riempiva fin troppo, facendo fatica a svuotarsi. Provò a mettere un dito nello scarico, ma non riuscì a sentire nulla. Chiese allora ad una delle guardi di smontare la tubatura e tra acqua e sapone che cadde a terra allagando il pavimento, caddero anche quattro pezzi metallici che sembravano proprio una lama spezzata ed un mucchietto chiuso in una pellicola trasparente, sicuramente cocaina. Raccolse i pezzi di lama, li mise in un sacchetto e li face inviare immediatamente alla scientifica per un confronto. Poi disse di portare Suarez in sala interrogatori mentre il direttore si sarebbe occupato del suo compagno di cella per gli stupefacenti che dichiarò essere suoi, ma non la lama.

 

L’interrogatorio di Pedro Suarez fu più faticoso di quanto pensasse. L’uomo era veramente instabile, non capiva perchè era ancora in quella prigione nonostante le richieste di trasferimento in un centro psichiatrico. Dalle sue frasi sconnesse e confuse era riuscita ad estrapolare però qualcosa di interessante su quel giorno. Lui era veramente presente quando era stato ucciso Ramon Campos, raccontando perfettamente quanto era accaduto, come era stato ferito mortalmente. Era convinta però non fosse stato lui, era stato un omicidio troppo lineare e pulito per averlo commesso un uomo così confuso. Così riuscì a farsi dire chi gli aveva dato la lama per buttarla, saltando direttamente il discorso omicidio. Alla fine disse solo il nome Ivan, ripetendolo più volte e poi confermando che fosse stato Valencia. Fece mettere Suarez in isolamento e poco dopo fu Ivan Valencia a sedersi davanti a lei. Il suo interrogatorio fu molto più facile di quello di Suarez, perchè lui fece scena muta, non rispondendo a nessuna delle sue domande. Rimasero a sfidarsi lei con le sue domande lui con il suo mutismo a lungo, fino a quando si arrese all’evidenza che era del tutto inutile continuare e doveva solo aspettare i risultati della scientifica.

 

Beckett andò al distretto per stilare il rapporto su quello accaduto quella mattina.

- Ehy Capitano! Sei tornata a lavorare sul campo come noi detective? - Le disse Esposito scherzando avendo saputo delle sue indagini al Rickers. Bastò uno sguardo di Kate per fargli capire che non era proprio sua intenzione mettersi a scherzare, quindi Javier cambiò subito tono - Novità su Lily?

- No, nessuna ancora. - Kate stava per entrare nel suo ufficio quando il detective la fermò mettendo una mano sulla sua spalla

- Beckett, lo sai vero che per qualsiasi cosa noi ci siamo? Ti puoi fidare di noi, come sempre.

- Grazie… 

Sola nel suo ufficio la discussione con Castle della mattina tornò prepotentemente al centro dei suoi pensieri. Non poteva veramente credere a quello che le aveva detto. Poteva comprendere il suo non capirla nelle sue scelte, nel non accettare la sua volontà di esporsi in prima persona. Quello che le faceva male e non voleva credere che lui pensasse sul serio era tutto quello che aveva detto su di loro e sul loro matrimonio. Sentiva le parole di Rick rimbombarle nella mente mentre guardava lo schermo bianco del computer dove avrebbe dovuto scrivere il suo rapporto ed invece non aveva nemmeno cominciato a scrivere una parola. Imprecò anche lei contro il cursore che lampeggiava come aveva sentito fare tante volte a Castle e sorrise amaramente perchè tutto nella sua vita sembrava ricondurre a lui. 

Controllò il cellulare per vedere se ci fossero sue chiamate o messaggi, ma non c’era nulla. Fu lei allora a provare a chiamarlo ma si vide rifiutare la chiamata. Poi le arrivò un messaggio.

“Non credo che abbiamo nulla da dirci adesso. Ho rifiutato la chiamata perchè non volevo farti preoccupare se non avessi risposto.”

Kate sospirò profondamente. Castle si preoccupava per lei anche quando non le voleva parlare. Avrebbe voluto buttare tutto all’aria e correre da lui urlandogli contro che lo amava e perchè non la capiva.

Poi fu un altro telefono a squillare ed il suo cuore accelerò i battiti.

 

- Hola Jefa… Novità?

- Ivan Valencia. Sto aspettando i risultati della scientifica ma è lui che ha ucciso tuo figlio.

- Ne sei sicura?

- Sì. Ne sono sicura.

- Sai quello che devi fare allora.

- Voglio vedere mia figlia. Voglio essere sicura che sta bene.

- Sta bene. Credo però che le manchi sua madre, sai? Ultimamente mi dicono che è molto nervosa… Forse vuole anche lei che ti sbrighi a fare quello che devi, sempre se ci tieni a lei.

- Campos, non fare scherzi. Sto facendo tutto quello che posso e che mi hai chiesto.

- Lo so… Non sei stupida, vero, Jefa? Non metterai in mezzo i tuoi amici dell’FBI perchè sai altrimenti a tua figlia cosa accadrà? Non vuoi vero avere sulla coscienza la sua vita?

- Non la toccare Campos.

- Non sei nella posizione di dirmi cosa fare. Puoi solo fare tu e sperare di non fare troppo tardi.

 

Kate scoppiò in un pianto nervoso. Doveva parlare con Vikram, dovevano accelerare i tempi. Esposito entrò come sempre nel suo ufficio senza aspettare che Kate rispondesse al suo bussare e la trovò con gli occhi arrossati ed il volto rigato dalle lacrime. 

- Che succede Beckett?

- Nulla di nuovo Espo, solo che non è facile.

- Maledizione Kate, possibile che non possiamo fare nulla? Che non ci sono novità dopo quanto accaduto?

Kate stava per rispondergli quando un bip dal cellulare con il quale comunicava con Campos spostò immediatamente la sua attenzione da Esposito a quel video che si stava caricando. Non era molto diverso dall’ultimo ricevuto, una Lily molto agitata che si lamentava e piangeva in quel passeggino che tutto sembrava tranne che comodo. Chiuse gli occhi ancor prima che finisse, lasciando che fosse Javier che si era spostato vicino a lei a vedere. Kate scosse la testa mordendosi l’interno della guancia per non farsi vincere dalle lacrime. Il suo amico la guardava senza saper cosa fare realmente. 

- Vuoi che chiamo Castle? - Le chiese innocentemente non sapendo che quella era un’altra ferita aperta che faceva male.

- No, di cosa volevi parlarmi Javier? - Gli chiese cercando di darsi un tono ed asciugandosi le lacrime

- Io non credo che ora sia il momento adatto… 

- Non ti preoccupare, dimmi. Si tratta del caso Robben. Franklin e Huges hanno trovato il colpevole, lo stanno interrogando. Volevo sapere se volevi seguire l’interrogatorio, ho anche convocato i genitori per dargli la notizia. 

Uscì con Esposito e proprio in quel momento vide Vikram che veniva verso il suo ufficio ma fece finta di nulla e lui capì che non era il momento giusto. Quindi le disse che le avrebbe lasciato solo dei documenti sulla sua scrivania.

Assistette a tutto l’interrogatorio del killer di Mark Robben al di là del vetro. Era felice di non essersi sbagliata su Franklin e Huges, erano stati molto bravi. Quell’indizio sull’adozione si era rivelato determinante, avevano scoperto che Robben aveva un fratello gemello ed anche lui lo aveva saputo da poco: Luke era un tossicodipendente. Era stato adottato poco dopo di lui da un’altra famiglia che però lo aveva presto riportato in orfanotrofio e lì era rimasto fino a 18 senza trovare mai una sistemazione, soffriva di epilessia e questo aveva scoraggiato ogni possibile famiglia adottiva. Mark quando aveva scoperto di lui si era offerto di aiutarlo e in quella caffetteria avevano un appuntamento al quale però il fratello non si era presentato, ma lo aveva fatto uno spacciatore al quale Luke doveva dei soldi. Aveva scambiato Mark per suo fratello e lo aveva ucciso in un attacco di rabbia credendo che facesse apposta a non riconoscerlo. Lo spacciatore aveva confessato tutto.

- Abbiamo rintracciato anche Luke, lo stanno portando qui. - Le disse Esposito.

- Ottimo lavoro. Sono contenta che ve la state cavando molto bene anche senza di me in questi giorni. 

- Che vuoi dire Beckett?

- Nulla Javier, sono solo felice di avere degli ottimi detective.

Quando Franklin e Huges uscirono Beckett si congratulò personalmente anche con loro era il primo caso complesso che risolvevano da soli ed erano giustamente molto orgogliosi del loro lavoro. I genitori di Robben arrivarono proprio mentre lei finiva di fare i complimenti ai due e fu felice di poter dire a quella coppia distrutta dal dolore che avevano arrestato l’assassino del figlio. Erano i momenti che la ripagavano di tutto il lavoro che facevano, quelli nei quali capiva perchè il suo lavoro era così importante. Il pianto di Anna Robben che istintivamente si gettò ad abbracciarla rischiò di farla piangere ancora, ma strinse quella piccola donna tra le sue braccia, rassicurandola che suo figlio avrebbe avuto giustizia. Lasciò poi che fossero i due detective che avevano risolto il caso a spiegare alla coppia come erano andate le cose e a rivelargli l’esistenza di Luke. I coniugi Robben furono sorpresi ed amareggiati insieme, loro non sapevano che Mark avesse un fratello gemello, altrimenti li avrebbero adottati entrambi. Luke fece il suo ingresso al distretto insieme ad un agente, sembrava spaesato ed impaurito, chiedeva di non essere arrestato perchè non aveva fatto niente. I coniugi Robben faticarono a guardare quel ragazzo così uguale e così diverso dal loro Mark. Beckett li invitò ad andare tutti e tre in una stanza dove potevano parlare un po’ e magari conoscersi meglio. Era certa che nessuno avrebbe ridato ai Robben loro figlio, nè a Luke gli anni perduti tra orfanotrofi e centri di riabilitazione, però era sicura che da quel giorno in poi le cose sarebbero cambiate. “Anche nei giorni peggiori c'è sempre spazio per un po' di gioia” valeva anche per loro.

Tornò nel suo ufficio e vide i fogli che le aveva lasciato Vikram. Era la scheda del sistema di allarme di quella casa, le sembrava una cosa piuttosto semplice, soprattutto perchè riguardava solo il giardino e non l’interno. Dopo poco il ragazzo bussò alla sua porta richiudendosela alle spalle ed oscurando le veneziane.

- Ho controllato il segnale del video che ti hanno mandato. È sempre da lì.

- Bene. Vuol dire che Lily è lì.

- Sì, lo credo anche io

- Questa sera vai a fare quel giro. Se avremo abbastanza informazioni, voglio agire subito, anche domani stesso.

- Beckett, ma non è troppo presto? Non abbiamo ancora abbastanza informazioni dell’interno.

- Devo solo sapere quanti sono, per capire come poter fare. Tu sai come disinserire l’allarme perimetrale? 

- Qualche idea ce l’ho, dopo aver visto la zona ti dirò quale penso sia la migliore. Potrei inserirmi nella linea elettrica e mandare il tilt quella rete creando un black out temporaneo per permetterti di entrare e poi uscire.

- Bene, allora aspetto tue notizie. 

- Ci vediamo da te dopo che ho finito? Così possiamo analizzare insieme i filmati.

- Perfetto. Alla cena stasera ci penso io.

 

Kate sapeva di non poter comunicare con Castle di nulla che riguardava Campos per telefono, perchè i loro numeri erano sempre sotto controllo. Doveva però dirgli del video e decise di andare al loft.

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Capitolo 20
*** VENTI ***


Uscito dall’appartamento di Kate, Rick tornò al loft furioso chiedendo più volte con tono poco gentile al tassista di andare più veloce. Voleva solo andare a casa, chiudersi nel suo studio e non vedere nessuno per le prossime ore. O giorni.

I suoi intenti però morirono sul nascere quando aprì la porta e trovò sua madre ad attenderlo.

- Richard! Sei uscito presto! Ci sono novità? 

- No, nessuna novità

- Cosa hai fatto allora? 

- Sono stato a parlare con Kate. Non è tornata questa sera a casa. Sono andato a cercarla. Era nel suo appartamento.

- Oh meno male, sta bene…

- Non sta facendo quello che le ha chiesto Campos. Vuole andare a riprendersi Lily e vuole farlo da sola. Le ho detto che se continuava a voler fare tutto da sola poteva non tornare a casa. 

Rick si rese conto che aveva più bisogno di parlare che di stare solo in silenzio. Ripetere a sua madre quello che aveva detto a Kate ed osservare il suo volto inorridito gli fece avere la giusta percezione della gravità delle sue parole.

- Richard! Come hai potuto dire una cosa del genere a Katherine?

- Sono stanco mamma - le disse sedendosi al bancone della cucina - Sono stanco di svegliarmi e trovarmi da solo, di andare a dormire preoccupato di non sapere dove sia. Mi ha escluso da ogni decisione. Ha scelto cosa fare e lo farà a prescindere da quello che le posso dire. L’ho pregata di non fare tutto da sola, di non mettersi in pericolo, ma non mi ascolta nemmeno.

- Katherine è una madre che sa che sua figlia è in pericolo. Sa quello che fa, ne sono certa, non è una sprovveduta. Lei farà qualsiasi cosa per riprendersi sua figlia, Richard e tu non puoi biasimarla per questo! 

- Ho paura di perderle entrambe mamma. Non lo sopporterei. Kate non capisce quanto è importante per me e questa cosa mi fa impazzire.

- Certo che lo capisce Richard! Ma questo non cambia la sua volontà di voler fare tutto quello che è in suo potere per vostra figlia.

- Io la vorrei aiutare mamma, lo potremmo fare insieme se lei me lo permettesse, invece come sempre, vuole fare tutto da sola, fregandosene che siamo sposati, che siamo una famiglia, che dobbiamo risolvere insieme i problemi, non allontanandoci! Sembra che non le importi nulla di questo e di me, dei miei sentimenti!

- Ragazzo mio, prechè sei così cieco? Come fai a non renderti conto che è esattamente il contrario, eppure è palese per chiunque conosce tua moglie! A lei importa talmente tanto di te che la sua prima preoccupazione è tenerti al sicuro. Come puoi non capire che non ti sta escludendo, come fai a mettere in dubbio i sentimenti di tua moglie? 

- Io non…

- Sì che lo fai Richard! - lo interruppe sua madre - Hai pensato a come si sente Katherine a sentire sempre che tu metti in dubbio i suoi sentimenti? Che le dici che non le importa niente di te e di voi? Lo hai detto anche adesso e ti ho sentito l’altra notte. Come staresti tu al suo posto, se qualcuno mettesse in dubbio quello che provi per lei? E se lo facesse proprio lei? È da insensibili Richard! Tu veramente pensi quello che le hai detto? Tu sei convinto che lei se ne freghi di te e di voi? 

- No…

- Secondo te perché sta facendo tutto questo se non per voi e la vostra famiglia? Avrebbe bisogno del tuo appoggio, del tuo sostegno non di avere altre preoccupazioni!

- Non posso vederla andare a rischiare la vita e fare finta di niente, mamma. E mi sento impotente ed inutile. Non posso fare niente per mia figlia nè per mia moglie. Sto qui che aspetto gli eventi, nella speranza di riavere la mia famiglia e con il terrore di perderla. È frustrante! 

- Lo hai detto questo a Katherine?

- No…

- Più facile attaccare lei vero? Più facile scaricare su di lei le tue paure. Eppure sai cosa sta provando, perché è quello che senti anche tu e sai anche cosa sta facendo, perchè lo hai fatto, prima di lei. Quando mi hai detto al telefono da Parigi “Vado a riprendermi mia figlia” è stato tremendo Richard, ma sono una madre, cosa ti potevo dire, non farlo? E Katherine era terrorizzata come me per la tua stupidità ma ti ha capito. Ora lei vuole fare la stessa cosa per vostra figlia e tu non solo non la capisci, ma le dici addirittura che se lo fa di non tornare a casa.

Castle non rispose alle parole di sua madre, anzi si sentì colpito da un’ansia ulteriore. Razionalmente sapeva che sua madre aveva ragione ma sentiva qualcosa che lo bloccava ad agire diversamente. Aspettò che Martha uscisse poi si preparò una tazza di caffè e Alexis lo raggiunse ancora in pigiama. 

- Ehy vuoi che ti preparo la colazione? - chiese Rick a sua figlia

- Sì papà magari… 

- Uova o pancakes? - chiese Castle

- Secondo te? - Disse Alexis come se la risposta fosse scontata

- Pancakes, ovvio! - Rispose suo padre con il primo sorriso della giornata mentre già preparava l’impasto.

 

Castle osservò Alexis mangiare soddisfatta i suoi pancakes e gli sembrava di rivederla bambina, ora era una donna adulta ma nella sua mente era sempre la piccola con i capelli rossi color carota che si arrampicava sulle sedie e lo osservava cucinare dal bancone dirigendo i suoi movimenti. Ora i capelli erano più scuri e più corti, ma era sempre lei. Si immaginò Lily più grande e del tutto uguale a quelle foto di Beckett da bambina che aveva visto, con l’espressione vispa e lo sguardo serio, seduta come faceva Alexis mentre lui le preparava la colazione gli stessi pancakes per lei e per Kate che seduta vicino alla figlia aspettava la loro colazione. 

- Pensavi a Lily e a Kate? - Gli chiese Alexis vedendo come il viso di suo padre si era velato immediatamente di tristezza. Castle annuì

- E a te quando eri piccola e controllavi che eseguissi le ricette correttamente. - Cercò di sorridere

- I tuoi pancakes sono sempre i più buoni papà!

- Solo perché sono ricoperti di cioccolata come piace a te - Le rispose lui prendendone un pezzo dal piatto della figlia 

- Questa sera arriverà Dustin.

- Se ti servono le chiavi della macchina per andarlo a prendere, sai dove sono.

- Papà… mi dispiace se ho esagerato con Kate, ma credo che lo hai fatto anche tu. 

- Sì, lo so. - Sospirò Rick

- Non mi voglio intromettere nelle vostre cose, hai detto anche tu che non devo farlo, però… Non vorrei essere stata io la causa di questo. - Chiese sinceramente preoccupata.

- No, Alexis, tranquilla, non sei stata tu. Sono situazioni nostre, che ci portiamo dietro da un po’, prima o poi dovremo affrontarle, ma non è facile. - La rassicurò. Rimasero in silenzio qualche minuto mentre lei finiva la sua colazione sorseggiando una tazza di cioccolata. Le colazioni di suo padre erano sempre come quando era una bambina.

- Papà, se tu dovessi fare qualcosa di rischioso e potessi farla da solo, coinvolgeresti Kate sapendo che potrebbe farsi del male?

- No, certo che no. - Rispose deciso Castle a sua figlia

- Ti sei risposto da solo. Ecco perché Kate ti vuole tenere fuori da tutta questa storia. Perché lo faresti anche tu con lei. - Le disse come se fosse ovvio.

- Dove si era nascosta mia figlia nei giorni scorsi? - Le chiese Rick con un sorriso amaro

- Sotto tanta paura papà - ammise lei.

- Mi dispiace Alexis. 

Rick sistemò la cucina, aveva bisogno di fare cose per tenersi occupato e provare a non pensare, ma gli sembrava tutto inutile, come si sentiva anche lui.

- Io esco - Disse Rick ad Alexis

- Vai da Kate?

- No, devo stare un po’ da solo.

- Mi raccomando papà, non fare altre cose stupide.

 

Rick uscì di casa non sapendo dove andare di preciso fermò un taxi e gli diede il primo indirizzo che gli venne in mente. 

Entrò all’Old Haunt tirando su la serranda lasciata a metà.

- Siamo ancora chiusi - la voce di Brian da sotto il bancone lo accolse

- Sono io, vado sotto. Se mi cercano, non ci sono per nessuno. - Disse Castle al ragazzo

- Ok capo! - Replicò lui mentre tornava ad abbassare le imposte.

Rick si chiuse la porta alle spalle assicurandola con una doppia mandata, scese le scale di legno ed andò nel suo rifugio. C’era ancora il divano con le coperte ed i cuscini come li avevano lasciati qualche notte prima. Erano stati così uniti quella notte che gli sembrava impossibile il punto dove erano arrivati. Si sdraiò sul divano, togliendo di mezzo tutte le coperte ed i cuscini che profumavano di lei e di loro e si ritrovò a pensare quante giornate aveva passato in quel luogo quando Alexis era piccola e doveva scrivere, quando aveva bisogno di isolarsi da tutto e da tutti dopo la separazione con Meredith. Quel paragone gli mise i brividi, lui e Kate non si stavano separando, avevano solo discusso e lui le aveva detto tante cazzate. 

Solo quello. 

 

 

Kate arrivò al loft quella sera e stava per aprire la porta, ma un attimo prima di mettere la chiave nella toppa ripensò alle parole di Castle di quella mattina e si fermò, decidendo di suonare alla porta di quella che doveva essere la sua casa.

- Katherine, hai dimenticato le chiavi? - Martha le aveva aperto la porta, facendosi subito da parte invitandola ad entrare.

- No… - Le rispose Beckett abbassando lo sguardo e prendendosene uno di rimprovero dall’attrice

- Oh mia cara, mica vorrai prendere sul serio le farneticazioni di mio figlio!

- È in casa? - Chiese quasi timidamente

- No, è fuori, da questa mattina. Ha detto che aveva bisogno di stare solo.

- Io sono passata per dirgli che oggi mi hanno mandato un nuovo video di Lily

- E come sta? - Chiese subito Martha ansiosa. Kate non riuscì a dirle nulla, preferì che fosse lei stessa a vedere il video, ma come era accaduto a lei, dopo pochi secondi chiese di interromperlo. - Povera piccola… 

Poi l’attrice guardò Kate, che sembrava ancora una volta scossa dal sentire il pianto di sua figlia dal video

- Katherine… Ragazza mia, ti prego, fatti forza… Lily sta bene, sarà solo spaventata e stranita dal vedere estranei intorno, però sta bene

Lei annuì, passandosi una mano sugli occhi togliendo quelle lacrime che stavano nascendo.

- Vado a prendere alcune mie cose, puoi dire tu a Rick che sono passata e del video?

- Non c’è bisogno, aspettalo, rimani qui. - La pregò la donna

- No, Martha, Rick è stato chiaro questa mattina. Intendo rispettare le sue decisioni. 

- Katherine, sai che Richard non parlava seriamente. Questa è casa tua.

- È meglio così per adesso. Ora dobbiamo solo concentrarci su Lily, è lei la priorità. Io e Castle avremmo modo di chiarirci dopo.

Kate andò in camera, lasciando Martha vicino alla porta che scuoteva la testa disapprovando la decisione di quei due. Aprì la cabina armadio cercando una borsa dove mettere le cose che le sarebbero servite per quei giorni e che sperava fossero poche, come i giorni che sarebbe rimasta lontana. Sperava con tutta se stessa che se quella situazione si fosse risolta per il meglio, poi avrebbero trovato il modo per risolvere tutte le loro divergenze e per tornare ad essere quello che erano sempre stati, anche per il bene della loro bambina. Mise dentro la borsa un paio di cambi ed una delle magliette di Castle, non ne potè fare a meno. Aprì la cassaforte, prendendo la sua pistola di riserva ed i caricatori. Cercò nel comodino la scatola dove teneva l’anello di sua madre e mise nella stessa collana quello che le aveva regalato Rick quando era nata Lily. Chiuse tutto ed uscì da lì con un nodo in gola. Sentì la porta che si stava aprendo, non avrebbe resistito a farsi vedere da Rick mentre andava via, ma per fortuna erano Alexis e Dustin che tornavano dall’aeroporto. Il ragazzo la salutò affettuosamente, pur non sapendo cosa dire in un occasione del genere.

- Te ne vai Kate? - Chiese Alexis preoccupata.

- È meglio così, tuo padre… 

- Mio padre è uno stupido a volte Kate, lo sai. - La interruppe la ragazza - E mi dispiace per quanto ti ho detto nei giorni scorsi. 

- Non ti preoccupare Al, veramente, è tutto ok. Ti capisco.

- Ci sono novità?

- Ti aggiornerà tua nonna, io adesso vado, non voglio incontrare Rick, capisci, vero?

Alexis annuì, mentre Dustin guardava le tre donne non capendo nulla di quella situazione. Kate, quindi uscì scendendo velocemente le scale fino al piano terra e poi fermando il primo taxi per farsi riportare al suo appartamento.

Prima andare a casa si fermò al ristorante italiano dietro l’angolo. Era stato uno dei primi posti dove era uscita allo scoperto con Castle, all’inizio della loro relazione. Era un piccolo ristorante a gestione familiare ora in mano ai figli e ai nipoti di quel Dante che dava il nome al locale. Kate andava a prendere spesso la cena in quel posto quando viveva da sola ed ormai Nick e Tony i due nipoti di Dante la conoscevano bene e quando aveva cominciato ad ordinare da portare via per due, i ragazzi non le avevano risparmiato battutine e allusioni mettendola più volte in imbarazzo e alla fine si era decisa ad andare a cena lì con Rick vincendo la sua ritrosia a farsi vedere in giro con il suo fidanzato. Sorrise pensando a quando lui l’aveva baciata durante la cena e lei si era arrabbiata tantissimo perché non voleva dare spettacolo in pubblico e a quanto era cambiata in quegli anni insieme a lui. Fosse stato lì, quella sera, probabilmente avrebbe passato più tempo a baciarlo che a mangiare.

- Ehy Kate! Qual buon vento ti riporta da queste parti? - Le chiese Nick mentre Kate leggeva il menu per il take away

- Lavoro… - sospirò

- Ti preparo il solito, per te e tuo marito? - Il solito voleva dire lasagne, polpette e verdure al forno. Era quello che avevano mangiato la prima volta che erano andati a cena insieme lì e Castle voleva prendere sempre quello, in onore di quel momento speciale. Non era stata una buona idea andare lì, dove ogni cosa le ricordava suo marito.

- No, oggi sono con un collega…

Ordinò quindi due parmigiane e due timballi con verdure, niente manzo, specificò. Chiacchierò un po’ con Nick aspettando che preparassero la sua cena e poi li raggiunse anche Tony che come prima cosa le chiese di sua figlia: aveva sentito in tv del suo rapimento. Kate si trovò profondamente a disagio a rispondere a quella domanda ed i due forse lo capirono, cambiando immediatamente discorso, gliene fu mentalmente grata. Poi andò a casa dove aspettò Vikram continuando a studiare le piantine e segnandosi distanze e memorizzando la dislocazione delle stanze.

 

Vikram arrivò più tardi di quanto Kate pensasse e mentre lei scaldava al microonde la loro cena, lui cominciò a raccontare quello che aveva visto e registrato.

- Dalle immagini delle telecamere termiche non ci sono altre persone in casa a parte loro due. La casa non ha sistemi di sicurezza particolari, ma tutto il giardino è protetto da una rete metallica elettrificata, non un normale allarme perimetrale, quindi. Il corpo di quello che dovrebbe essere un bambino molto piccolo è in una stanza senza finestre, situata dalla parte opposta rispetto all’ingresso. Mentre facevo il mio giro ho visto che è stata spostata e portata in un altra stanza, ma dopo una mezz’ora riportata dove era. Ci ho messo più del dovuto perché volevo essere sicuro di questi spostamenti. La camera da letto dei due non è vicina a quella stanza e da sul retro.

Kate lo ascoltava attentamente poi portò la loro cena a tavola ed i due continuarono a parlare mentre consumavano la cena.

- Come si può aggirare la recinzione elettrificata?

- Non si può. Come ti dicevo, posso disattivare il sistema elettrico temporaneamente. Questo ti da circa 15 minuti per agire. Se le cose dovessero protrarsi potrei provare a farlo di nuovo, ma non ti assicuro la riuscita.

Guardarono le immagini registrate da Vikram e Kate osservò attentamente tutto il percorso fatto dal ragazzo. 

- Da qui. - Disse ad un certo punto indicando lo schermo e Vikram fermò le immagini - Passerò da qui. 

- È il punto più lontano dall’ingresso - obiettò il ragazzo

- Sì, ma è il punto più coperto della strada, dove darò meno nell’occhio mentre forzerò la rete. Tutti gli altri punti sono più di passaggio, questa strada è laterale e qui non passa nessuno. La casa vicina non ha finestre che danno direttamente su questo punto di strada. 

- Giusto… io… non ci avevo pensato… - disse Vikram in imbarazzo

- Tu non devi pensare a queste cose, mi servi per il resto, Robin - lo prese in giro Kate che nonostante tutto trovava la forza di sorridere. - L’entrata non è lontana da lì, attraversare il giardino mi porterà via pochi secondi. 

- Ho fatto lo zoom sulla porta - Gli disse l’informatico facendole vedere un’immagine ingrandita - la serratura è un modello vecchio, credo che in quella villetta non abbiano fatto lavori di manutenzione da molti anni, se escludiamo la recinzione esterna. Mi raccomando Kate, il tempo. Devi fare tutto rapidamente. 

Passarono il resto delle serata a considerare le varie alternative per agire. Avrebbero aspettato che i due si mettessero a dormire, prima di entrare. Kate poi per sicurezza, una volta entrata, avrebbe dovuto inserire del gas narcotico nella camera di Maria e Hector, per poter portare via Lily in tutta tranquillità. L’unica cosa che la preoccupava e le premeva era evitare ogni tipo di scontro con i due, perché ne sarebbe potuto nascere qualcosa di pericoloso per sua figlia. Doveva calcolare ogni variabile ed essere pronta a tutto. 

 

Appena Vikram se ne fu andato Kate mandò un messaggio ad Alexis, chiedendole se la mattina successiva poteva andare da lei, doveva darle una cosa. La ragazza le rispose immediatamente in modo affermativo, chiedendole se era successo qualcosa. Kate la rassicurò, andava tutto bene.

Beckett prese da una mensola una delle loro foto che aveva portato lì. La fissò per un po’ poi chiuse gli occhi e le sembrò di rivivere tutti i momenti che aveva passato con Castle negli ultimi anni. Prese un paio di fogli e cominciò a scrivere… 

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Capitolo 21
*** VENTUNO ***


- Vieni Alexis, entra.

La figlia di Castle era arrivata all’appartamento di Beckett piuttosto presto quella mattina. Kate sorrise vedendo che aveva due caffè in mano, come di solito faceva suo padre.

- Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere - disse dandole una delle due tazze

- È nel DNA dei Castle? - Chiese sorridendole

- Forse sì - Le rispose la ragazza che si guardò intorno. Non aveva più visto l’appartamento dopo che Kate e suo padre avevano deciso di ristrutturarlo

- Così questo è il vostro rifugio… - Chiese innocentemente la ragazza, sapendo che era lì che più di qualche volta suo padre e Beckett si erano ritagliati delle serate tutte per loro

- Così doveva essere… - Sospirò Kate

- Scusami - Disse Alexis rendendosi conto che in quel momento aveva proprio sbagliato cosa di cui parlare. - Cosa volevi darmi?

Kate prese una delle due buste chiuse sul tavolo e la diede alla ragazza.

- Dalla a tuo padre.

Alexis guardò la busta dove sull’esterno c’era solo scritto “Per Rick” 

- Non gliela puoi dare tu?

- No, non posso. E per favore, aspetta questa sera per farlo. 

- Perché Kate?

- Alexis, non fare domande, per favore. - La pregò Beckett - Aspetta solo questa sera per dargliela.

- Non fare cose avventate Kate. 

La donna accarezzò il volto della ragazza. 

- Fai in modo che tuo padre non faccia cose stupide, Alexis. 

- Kate, mi dispiace…

- Va tutto bene, veramente. Promettimi solo che qualsiasi cosa accada starai vicino a tuo padre.

- Ma Kate…

- Promettimelo Alexis, per favore. - La supplicò Beckett

- Certo Kate, certo.

 

Si salutarono con un abbraccio che mise una pietra sopra a quei giorni di scontri ed incomprensioni che c’erano stati tra loro: Kate sapeva quanto Rick avrebbe avuto bisogno di sua figlia se qualcosa non fosse andato per il verso giusto e sapeva che di lei, per questo, si sarebbe potuta fidare ciecamente. 

Andò al distretto solo per prendere quello che le occorreva per quella sera. Andò nel magazzino dove tenevano armi ed attrezzatura e non le fu difficile prendere quanto necessario e concordato con Vikram. Mise tutto in uno zaino, poi passò da Javier e Kevin dicendogli che per quel giorno non sarebbe rimasta al distretto.

- Per Lily? - Chiese Esposito e Beckett potè solo annuire.

- Tenetemi lontano Sorenson, non ho voglia di dargli spiegazioni - disse vendendo l’agente che si avvicinava a loro.

- Ehy Beckett, qualunque cosa devi fare, stai attenta. - Le disse Ryan e lei fece ancora cenno di sì con la testa ed andò a passo veloce verso l’ascensore.

Si mise in macchina e guidò veloce fino allo studio di suo padre. La sua segretaria gli disse che era occupato con un cliente e lei rimase lì, a fare avanti e indietro nervosamente per il corridoio fino a quando la porta del suo studio non si aprì e ne uscirono due uomini e suo padre che li salutò cordialmente per poi andare verso sua figlia.

- Katie, cosa ci fai qui? Vieni entra…

Andarono nello studio di Jim, ma Kate non si mise seduta, rimase in piedi davanti alla scrivania, prese dalla tasca interna della giacca una busta uguale a quella che aveva dato ad Alexis e la porse a suo padre.

- Se mi dovesse accadere qualcosa la devi dare a Rick.

- Cosa stai dicendo Katie?

- Papà, ti prego, non fare domande. Ti chiedo solo come mio avvocato, se mi dovesse accadere qualcosa, dai questa a Castle. 

- Katie, non fare pazzie, per favore. Se non vuoi farlo per me, fallo per tuo marito. Lo distruggeresti, sai di cosa sto parlando, vero? - Jim fece un riferimento non troppo velato a se stesso e a Kate venne un nodo in gola al pensiero di suo padre anni prima.

- Non farò pazzie, la mia priorità è portare a casa Lily. Ti voglio bene papà.

- Ti voglio bene Katie.

Uscì velocemente da lì, per non far vedere a suo padre che si stava commuovendo e tornò al suo appartamento.

Passò tutto il giorno a guardare e riguardare i filmati di Vikram e a studiare quelle piantine che sapeva ormai a memoria, chiudeva gli occhi e ripassava mentalmente tutti i passaggi che avrebbe dovuto fare.

 

 

Era sera e Castle era chiuso nel suo studio. Non aveva sentito Kate da quello scarno messaggio del giorno prima e la sera, quando era tornato a casa gli avevano detto che era tornata a prendere le sue cose e a dirgli del video di Lily. Martha gli aveva raccontato di come Kate era provata da quel nuovo video e di come aveva faticato a trattenere le sue lacrime nel sentire la figlia piangere. Era arrabbiato con tutti ed anche con se stesso.

- Papà? - Alexis si era affacciata nello studio. Aveva parlato con Dustin di quanto le aveva detto Kate, consultandosi con lui su cosa dovesse fare: lei avrebbe voluto dare subito la lettera a Rick, mentre lui la convinse a rispettare la volontà di Beckett, se aveva detto di fare così aveva i suoi motivi che loro non sapevano e alla fine si era convinta a dare retta al suo ragazzo.

- Ehy, piccola, cosa c’è?

- Questa. - Gli disse consegnandogli la lettera. Rick riconobbe subito la calligrafia della moglie e guardò Alexis con aria interrogativa - Me l’ha data questa mattina e mi ha detto di aspettare questa sera per dartela.

- Perché?

- Non lo so, ho fatto quello che mi ha detto, sembrava importante. Ti lascio solo… - Fece il giro della scrivania, andò a dare una bacio a suo padre e poi uscì. 

Rick strappò con cura il lato superiore della busta, poi prese il foglio, lo aprì e cominciò a leggere.

 

“ Amore mio,

So già che nel leggere questa lettera sarai arrabbiato e deluso ancora una volta. Non ti chiedo più di capirmi, te l'ho già detto troppe volte e tu lo hai sempre fatto, non sarebbe giusto. 

Ti avevo promesso che non ci sarebbero stati più segreti, che qualunque cosa l'avremmo affrontata insieme, ma non ho potuto mantenere la mia promessa, nemmeno questa volta. 

Non so cosa accadrà nei prossimi giorni, l'unica cosa che ti posso promettere è che farò ogni cosa che ho facoltà di fare per nostra figlia e farla tornare a casa, da te. Non potevamo rischiare insieme questa volta Rick te l’ho detto molte volte, non potevamo rischiare di lasciare sola Lily se qualcosa dovesse andare per il verso sbagliato. Tutto quello che è accaduto è successo per colpa mia, della mia vita e del mio lavoro e sono io che devo porre rimedio a tutto questo. Lo devo fare da sola non perché non ti voglio al mio fianco, ma perchè uno di noi due deve essere al sicuro, per nostra figlia. 

 

Nella nostra vita i momenti felici sono sempre stati troppo brevi per quanto avrei voluto ma sono stati così forti da riempire non so quante vite e sono fortunata per averli vissuti con te. 

Ti amo come nemmeno credevo fosse mai possibile amare qualcuno e tutto quello che mi hai dato è di più di quanto potessi anche solo sognare. So che tutto questo ti sembrerà stupido detto ora, ma essere tua moglie e la madre di tua figlia è il regalo migliore che potessi ricevere e mi ha reso una donna incredibilmente felice. Per me è così bello ed importante essere tua moglie che se tu me lo chiedessi io ti risposerei ogni giorno della mia vita.

Sei e sarai sempre l'amore della mia vita vorrei che questo non lo dimenticassi e, ti prego, non ne dubitare mai perchè il pensiero che tu possa non essere sicuro del mio amore è una cosa che mi devasta. 

So che qualunque cosa accadrà nostra figlia con te starà bene perché sei l'unico padre che avrei potuto desiderare per la nostra bambina.

 

C'è solo una cosa che sogno: avere la possibilità di litigare con te per tutto questo e che tu possa trovare ancora da qualche parte nel tuo cuore la forza e l'amore per perdonarmi.

 

Ti amo. Sempre.

Kate”

 

Finì di leggere con le mani che tremavano nel tenere il foglio di carta. Quella lettera era tutto quello che non avrebbe mai voluto leggere. Uscì dallo studio, cercò una copia delle chiavi dell’appartamento di Beckett e nel farlo rovesciò tutto il contenuto della scatola dove era convinto che fossero. Alexis sentendo il rumore andò da lui che imprecava e si muoveva nervosamente.

- Dobbiamo andare da Kate, subito! - Disse Castle alla figlia.

- Ma papà…

- Subito Alexis! Perché non mi hai dato prima quella lettera? 

- Kate ha detto che…

- Kate non sa quello che fa! - Urlò Rick con le chiavi finalmente trovate in mano.

Guidò più velocemente che potè fino all’appartamento di Kate e come temeva lo trovò vuoto. Sul tavolo le piantine che aveva analizzato e sopra queste due cellulari, il suo e quello che utilizzava per parlare con Campos. Li prese entrambi e tornò sconsolato al loft.

 

 

Vikram aveva disattivato la rete elettrica. Kate aveva 15 minuti, poi il sistema di emergenza sarebbe entrato in funzione. Tagliò rapidamente le maglie della rete di protezione elettrificata ora che era innocua, creandosi un varco sufficientemente grande per passare. Fece segno a Vikram seduto in macchina che andava tutto bene e poi attraversò il giardino andando fino alla porta d’ingresso. Da quanto visto in precedenza con la telecamera termica i due Maria e Hector erano nella stanza che si trovava dalla parte opposta all’entrata e stavano dormendo. Lily invece si trovava in una piccola stanza senza finestre, tra la cucina ed il soggiorno, in quello che aveva tutta l’idea di essere nato come un ripostiglio o qualcosa del genere. Ignorò quello che sentiva dall’interno, il pianto di Lilly che le arrivava ovattato e cercò di rimanere concentrata e con le mani più ferme possibili: fece scattare la serratura della porta in breve tempo cercando di fare meno rumore possibile. Dovette resistere alla tentazione di andare subito verso sua figlia, anche se una volta dentro la casa sentiva il suo pianto sempre più forte. Si mosse al buio rapidamente ma con circospezione, con la pistola in mano senza mai abbassare la guardia, tenendosi sempre con le spalle verso il muro. Girò l’angolo del corridoio di scatto ed era libero, stava andando nella direzione opposta a dove si trovava Lily ma doveva raggiungere la camera dei due rapitori per metterli fuori servizio. Aprì piano la loro porta, quel tanto che bastava per far passare una piccola canula di plastica e aprì il contenuto della bomboletta di gas narcotico, dopo essersi assicurata che i suoi tappi fossero ben posizionati. Richiuse con la stessa cautela ed aspettò qualche secondo mentre fremeva per andare da Lily. Poi non resistette più, abbandonò la prudenza e corse nella casa senza pensare più a quella mappa che aveva studiato con cura, ma seguendo solo il suo pianto. Quando aprì la porta la trovò su quel letto logoro che aveva visto nelle foto. Le mani le tremavano mentre la sollevava e la portava verso il suo petto. La strinse a se, prendendosi qualche istante per assaporare il contatto con il suo corpicino, abbracciandola e baciandola tra i capelli, cercando di calmare quel pianto disperato che non accennava a diminuire. Aveva temuto più di una volta di non poterla più tenere in braccio, di non poter più guardare quegli occhi uguali ai suoi che le avevano fatto conoscere un nuovo mondo dalla prima volta che i loro sguardi si erano incrociati. Poi sentì le sue manine cercare il suo viso ed il pianto di Lily che cominciava a calmarsi. Avrebbe voluto stare lì a cullarla fino a quando non si fosse addormentata ma non poteva, aveva i minuti contati e sapeva di aver già perso troppo tempo. Prese la prima coperta che trovò sul letto e ci avvolse Lily, poi uscì ed andò di corsa verso la recinzione. Vikram la vide arrivare ma non fece in tempo ad avvisarla che il blackout stava per terminare, se ne accorse solo quando vide le luci accendersi e Kate fece solo in tempo a passare Lily dal varco che aveva creato.

- Vattene Vikram, portala da Castle! Subito! - Kate urlò al ragazzo che teneva tra le mani la sua bambina - Vattene!

Si stava separando di nuovo da sua figlia, dopo averla tenuta con se solo per pochi minuti, ma aveva fatto quello che voleva, Lily era libera, lui l’avrebbe portata via da lì, contava solo questo. Fissò la sua bimba tra le braccia del ragazzo e pensò che doveva tentare il tutto per tutto.

 Vikram guardò ancora una volta Kate che continuava a dirgli di andarsene. Kate provò a passare ma il varco non era abbastanza largo per non sfiorare il filo elettrificato e cadde a terra stordita. Sentì degli uomini correre mentre stava entrando in macchina guardò Kate a terra, voleva fare qualcosa ma sapeva che non glielo avrebbe mai perdonato. Mise in moto e partì. Sentì poi solo degli spari in lontananza e Lily che aveva ricominciato a piangere.

Il ragazzo si era allontanato abbastanza da Coney Island, aveva controllato più volte che nessuno lo avesse seguito, aveva girato a vuoto, cambiato direzione più volte, ma non notò nulla di strano e potè rilassarsi e scaricare parte dell’adrenalina. Lui non era uno d’azione, lui era uno che controllava le cose dal suo computer. Fermo ad un semaforo si mise le mani fra i capelli al pensiero di Kate a terra, degli spari e del non aver potuto fare nulla e Lily non accennava a smettere di piangere. Fu ridestato dal suono di un clacson che lo avvisava che era verde. Ripartì, svoltò ancora l’angolo e si fermò qualche istante al bordo della strada in quella via dove c’erano ancora un paio di negozi aperti, di quelli h24. Controllò Lily, a farle qualche carezza, ma lui era del tutto impacciato con i bambini e non aveva alcuna esperienza, constatato che non riusciva a fare nulla, pensò solo a ripartire e guidare il più velocemente possibile fino a casa di Castle. Aveva adagiato la bambina sul sedile vicino al suo ed ogni tanto controllava che non cadesse, tenendola per la maggior parte del tempo con la mano, per assicurarsi che stesse ferma. “Ancora mezz’ora e sei a casa” pensava Vikram tenendo Lily.

 

Castle era nel suo studio. Non riusciva a dormire, ma nemmeno a scrivere. Il cursore lampeggiava sullo schermo bianco continuamente e come diceva lui, sembrava sfidarlo. Gli lasciò vincere la sfida, non aveva nemmeno voglia di combattere. Stava appoggiato pesantemente allo schienale fissando la foto di Lily e Kate che teneva sulla sua scrivania. Anche se era tremendamente arrabbiato con sua moglie non riusciva a non essere preoccupato per lei e a non sentirne la mancanza. Teneva piegata vicino al computer la lettera che gli aveva scritto, ormai poteva dire di saperla quasi a memoria. Aveva percorso con il dito ogni singolo tratto che aveva scritto. Voleva anche lui discutere con lei, dirle quanto le aveva fatto male la sua assenza e che senza di lei non poteva vivere.

Rick sobbalzò quando sentì suonare il campanello. Erano quasi le due di notte. Accese la luce e andò ad aprire e mentre si avvicinava alla porta, sentiva sempre più chiaro il pianto di un bambino. Nella sua mente in pochi istanti passarono mille domande e mille immagini. Era Lily, ne era certo. Erano tornate. Aveva un sorriso raggiante sul volto mentre stava per aprire, chiedendosi perché Kate non avesse le chiavi di casa, forse le aveva dimenticate nel suo appartamento oppure tenendo Lily in braccio aveva difficoltà a cercarle, magari era ferita. No si disse che non doveva pensare questo. Aprì, quindi sfoggiando il suo sorriso migliore che diventò un volto perplesso quando dalla semioscurità del corridoio riconobbe il viso imbarazzato di Vikram che teneva in modo incerto quel fagottino piangente e subito gli porse. Castle prese immediatamente sua figlia ed entrò in casa senza dire una parola al ragazzo che lo seguì dentro chiudendosi la porta alle spalle. Martha, Alexis e Dustin svegliati dal suono del campanello e dal pianto di Lily scesero immediatamente al piano inferiore stupite dalla scena.

Rick teneva in braccio Lily avvolta in una coperta che di certo aveva visto tempi migliori mentre Vikram era vicino alla porta con lo sguardo basso di chi sa di dovere delle spiegazioni che ancora non gli erano state chieste ma era solo questione di tempo. Rick butto via quella coperta e portò sua figlia in camera. La pulì attentamente, la cambiò mettendogli una delle sue morbide tutine, poi prese la sua coperta ed il suo elefantino, glielo mise vicino in modo che potesse sentirlo, avvertirne la presenza ed il profumo. Fece tutto in modo meccanico, non si rendeva ancora conto di tutto quello che stava succedendo, non aveva ancora realizzato. Castle stringeva a se Lily e la cullava dolcemente. Era una sensazione così bella averla di nuovo tra le sue braccia, sentire il suo cuoricino battere forte e veloce. Cominciò a calmarsi mentre passeggiava per la camera con mille domande in testa. Quando smise di piangere tornò di là. Vikram era stato fatto accomodare da Martha, ma appena vide Castle uscire si alzò di scatto.

- Dov’è Kate? Perché Lily è con te? - Rick non aveva fatto tanti giri di parole.

- Non ha fatto in tempo ad uscire. - Vikram disse la prima cosa che gli era venuta in mente, non sapendo che per Rick tutto quello non aveva senso, visto che non sapeva di cosa stava parlando, così si mise a raccontargli tutto, del loro piano, di come Kate gli aveva passato Lily e gli aveva urlato di portarla a casa, di come lui se n’era andato e l’aveva lasciata lì, stordita a terra, degli spari che aveva sentito in lontananza.

- Perché l’hai lasciata lì? Perché non l’hai aiutata? - Rick cercava di stare calmo mentre teneva in braccio Lily ma non ci riusciva. A malincuore la mise tra le braccia di sua madre, lui aveva bisogno di muoversi di camminare.

- Me l’ha ordinato lei, me lo aveva fatto giurare da prima, che se le fosse accaduto qualcosa io dovevo solo pensare a portare Lily a casa. Ho fatto quello che mi ha detto. 

- Dobbiamo andare dal distretto, raccontare tutta la storia a Ryan ed Esposito e anche a Sorenson. Quella gente non scherza ora che Kate ha rotto il patto non si faranno scrupoli. 

Rick accarezzò Lily che sembrava dormire tranquilla tra le braccia di Martha. Si raccomandò più volte di tenerle sempre vicino il suo elefantino e di chiamarlo se ci fosse bisogno di qualsiasi cosa. Non la voleva lasciare, ma sapeva che Lily stava bene e Kate era la sua priorità. Uscì con Vikram diretto al distretto. Chiamò Esposito e Ryan fregandosene se li svegliava nel cuore della notte, aveva bisogno di loro per trovare Kate e doveva dirgli anche che Lily era a casa. Si diedero appuntamento al distretto. 

Seduto in macchina si passò più volte le mani sul volto. Era stanco ma pieno di adrenalina. Vikram si voltava spesso a guardarlo senza però dirgli nulla: Castle sembrava perso nei suoi pensieri ed essere molto lontano da lì, in quel momento.

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Capitolo 22
*** VENTIDUE ***


- Castle cosa sta succedendo? - Esposito fu il primo ad arrivare, Rick era già al distretto con Vikram e camminava nervosamente per il corridoio vuoto.

- Lily è a casa, hanno preso Kate.

- Cosa? - Esclamò Javier

- È così maledizione! È così! - Urlò Rick

- Cosa è così? - Chiese Ryan appena arrivato

- Hanno preso Kate - gli disse il suo collega

- Vikram, che c’entri tu in questa storia? - Chiese Esposito

L’informatico raccontò anche a loro come era andata tutta la storia.

- Le hanno sparato? - Disse Ryan

- Non lo so, ho sentito solo gli spari, non ho visto. Ma Kate era a terra, priva di sensi…

- Ci devi portare lì, subito - lo incalzò Esposito

- Non andate da nessuna parte, fino a quando non l’ho interrogato - Disse Sorenson dietro di loro

- Ti sbagli, noi adesso andiamo subito, se non ti va bene arrestaci - lo sfidò Castle

- Scrittore, sai che potrei farlo? Fosse solo per aver tenute nascoste certe informazioni, come dire, determinanti.

- Fallo allora, no? - Rick gli andò più vicino ed Esposito gli mise un braccio davanti al petto per allontanarlo

- Buono fratello… Questo non aiuterà a trovare Kate. Dai andiamo - disse Esposito ai tre che seguirono l’ispanico, ma Vikram fu fermato da Sorenson

- Vi ho detto che lui devo interrogarlo e non va da nessuna parte. - Will parlava a tutti ma guardava negli occhi solo Castle che non abbassò mai lo sguardo

- Coney Island. Tra Manhattan Avenue e Maple. - Disse ai tre Vikram prima di seguire Sorenson nella stanza degli interrogatori

- Andiamo! - Castle seguito da Esposito e Ryan andò deciso verso gli ascensori.

 

- Non puoi andare più veloce Javier? - Rick dal sedile posteriore non riusciva a stare fermo ed incitava il detective ad accelerare.

- Non è la tua Ferrari Castle! - Rispose Esposito dopo che glielo aveva chiesto già 5 volte negli ultimi minuti.

- Amico prova a rilassarti! Non serve a niente se ti agiti così - Gli disse Ryan voltandosi a guardarlo con un sorriso.

- Già, facile dirlo, non c’è mica tua moglie Kevin - Castle fu più sgarbato di quanto voleva essere, ma era esattamente quello che pensava.

Esposito arrivò all’indirizzo che gli aveva detto Vikram, girarono intorno all’abitazione e videro il varco creato da Kate nella rete. Rick si stava precipitando verso quel punto, ma Javier lo bloccò.

- Castle è elettrificato, non ti far friggere!

I due detective si guardarono intorno per capire come poter entrare lì dentro. Ryan si accovacciò vicino il buco nella rete e lo esaminò con la torcia per vedere se c’erano dei segni, principalmente, dopo il racconto di Vikram, voleva vedere se c’erano tracce di sangue. 

- Ragazzi, qui sembra pulito, non mi sembra ci sia sangue! - Esclamò il detective e Castle subito si avvicinò per vedere

- Sei sicuro Ryan? - Lo incalzò lo scrittore

- Così sembra, dovremmo analizzare qualche campione.

- Come disattiviamo questo maledetto circuito? - Chiese Castle spazientito

- Voi ve ne potete andare, ci pensiamo noi qui - Un uomo vestito di nero si avvicinò ai tre. - FBI i miei uomini stanno già lavorando su questo. - Disse indicando un gruppo di agenti in fondo alla vita

- Noi non andiamo da nessuna parte! Si tratta di mia moglie!

- Lei è qui in qualità di cosa? Non mi risulta, signor Castle che lei abbia alcun diritto per trovarsi sulla scena di un crimine. Vada a casa, stia con sua figlia, mi dia retta, è meglio e non intralcerà il nostro lavoro. 

Castle stava per rispondergli ma quello gli voltò le spalle e contemporaneamente Esposito e Ryan lo bloccarono facendolo sedere in macchina. 

- Non costringerci ad ammanettarti Rick! - Gli disse Esposito - Non ti mettere a fare cazzate con loro, ci rimetteresti solo tu ora. Dobbiamo stare dentro questo caso e collaborare. 

Guardarono gli agenti mentre disabilitavano il circuito elettrificato della rete, provvedendo poi a creare un altro varco a qualche metro di distanza da quello di Kate. Prima di entrare, però, l’uomo che li aveva fermati chiamò Sorenson che gli disse di aspettarlo prima di fare irruzione nell’abitazione. Will arrivò qualche minuto più tardi, evidentemente non aveva interrogato Vikram oppure gli era servito solo per sapere subito dove mandare i suoi uomini. 

- Voi se volete potete venire - disse a Ryan ed Esposito appena giunto sul posto. - Lui resta fuori 

Sorenson guardò Castle e Rick fu convinto di aver visto sul suo volto quasi un sorriso compiaciuto di poterlo tenere finalmente in disparte.

Ryan ed Esposito si allacciarono i loro giubbotti antiproiettile e lo stesso fece Sorenson mentre Rick li guardava seduto sul sedile posteriore della macchina, con lo sportello aperto scalciando qualche sassolino che trovava fuori a terra.

I due detective e gli agenti FBI entrarono con la massima cautela nel giardino, facendo stando attenti a non sovrapporre i loro passi alle impronte già presenti nel terreno. Arrivati alla porta d’ingresso la trovarono già forzata, come Vikram aveva detto che aveva fatto Kate. Osservarono l’ambiente, dove notarono un paio di pacchi di pannolini e due barattoli di latte in polvere e sempre seguendo le indicazioni di Vikram andarono verso la camera dove dormivano Maria ed Hector: gli aveva detto del gas narcotico usato da Kate e si sistemarono anche loro i tappi sul naso, non sicuri che in un ambiente piccolo e chiuso si fosse già diradato, anche perché non sapevano quanto ne aveva usato.

Aprirono con cautela la porta e due agenti misero sotto tiro i due rapitori sul letto. Poi, dopo essersi qualificati, Sorenson accese la luce e fece segno ai due di abbassare le armi, passandosi le mani tra i capelli.

 

Castle vide uscire Sorenson, Ryan ed Esposito che stavano discutendo animatamente. Si alzò immediatamente dalla macchina andandogli incontro. 

- Scrittore stai alla larga - lo anticipò Sorenson mentre era al cellulare

- Cosa sta succedendo? - Chiese Castle guardando l’agente e i due detective che gli fecero cenno di aspettare

- Katherine Beckett, 37 anni, alta 175 capelli lunghi castani, addestramento da poliziotta, abile nel corpo a corpo e nell’uso delle armi. Scomparsa da circa 4 ore. È armata con una Glock 19 e una Glock 26.

- Javier, Kevin che cosa vuol dire tutto questo? Perché sta parlando di Kate come di una sospettata?

- Hector Yepes e Maria Asenjo sono morti. Due colpi a bruciapelo alla testa nel sonno. I bossoli ritrovati sono di una 9mm e compatibili con quelli che abbiamo noi di ordinanza. - Spiegò Ryan

- No, Kate non lo avrebbe fatto. Voleva solo riportare Lily a casa, che vantaggio poteva aver avuto dall’uccidere loro due? - Replicò Rick incredulo

- Beckett avrebbe fatto tutto per sua figlia, non è vero Castle? Avrebbe tradito i suoi valori e i suoi colleghi, figuriamoci se non avrebbe ucciso chi l’aveva rapita. Vediamo, Kate prende Lily, poi prova a scappare ma non ce la fa, da Lily a Vikram e la fa portare a casa, così sa che sua figlia è al sicuro. Quindi torna dentro per provare ad uscire in altro modo, ma viene assalita dalla rabbia e uccide nel sonno i due rapitori ecco i due spari che aveva sentito Vikram cosa erano, magari preso dalla foga non si era accorto del tempo che passava e quello che gli era sembrato qualche secondo era molto di più. Non mi sembra così assurdo, non è vero Castle? 

- Come ha fatto Kate ad uscire se il perimetro era elettrificato? - Rispose Rick come se sostenesse l’ovvio.

- Abbiamo trovato i resti di un telecomando, probabilmente attivava a distanza l’allarme perimetrale. - Replicò Sorenson mostrandogli una bustina con dei resti di plastica e circuiti elettrici

- No… non Kate, se fosse uscita di lì come prima cosa sarebbe venuta a casa, mi avrebbero avvisato, sarebbe andata da sua figlia, cosa stai dicendo Sorenson?

- Dai Castle, andiamo! Kate si sarà poi resa conto di quello che aveva fatto, non è stupida è pur sempre un poliziotto per il momento, sa come vanno queste cose e che l’avremmo capito subito che era stata lei, così è scappata via. Era sicura che Lily con te stava bene e questo le bastava. Lo sai com’è Kate, è impulsiva e alcune volte si fa prendere un po’ troppo la mano, io la conosco.

- Stai zitto Sorenson. Tu Kate non la conosci. Non sai niente di lei e non ti permetto di fare insinuazioni sul suo conto! Kate è stata rapita, dalle stesse persone che hanno rapito Lily e tu la stai trattando da criminale, come prima hai fatto con me. Cosa vuoi fare adesso, distruggere anche la sua vita? Dovresti cercare chi l’ha presa non fare il suo identikit! Se era per te e per le tue indagini, nostra figlia ancora non sapevamo dove fosse!

- Chi ha rapito tua figlia è morto, ucciso da tua moglie, lo capisci Castle? Questa non è una tua storia. E se voi invece che voler avere la vostra vendetta privata mi informavate di quanto stava accadendo, probabilmente Lily era già a a casa da un pezzo e Kate non era una ricercata. 

- Sorenson giuro che ti farò rimpiangere tutto questo - lo minacciò Rick

- Faccio finta di non aver sentito Castle, solo perché ho pietà di te in questa situazione E voi due, portatelo via prima altrimenti lo faccio arrestare. - Ordinò Will ai due detective che convinsero Castle a salire in macchina e si allontanarono da lì.

- Voi non ci crederete, vero? Non crederete a quell’idiota! - Urlò in macchina mentre Esposito guidava nella notte per tornare a Manhattan

- No, Castle, noi non ci crediamo. Ma non possiamo metterci a fare una guerra aperta con lui. 

- Ragazzi voi dovete tornare lì, cercare altri indizi, qualsiasi cosa! E poi Lanie deve analizzare quei corpi, sono sicuro che troverà qualcosa che dimostrerà che non è stata Kate! - Il tono di Castle era più una supplica che una richiesta

- Dubito che Lanie metterà mai le mani su quei corpi. Sorenson sa il suo rapporto con Kate com’è non li farà mai analizzare a lei, li porteranno direttamente ai laboratori dell’FBI.

 

Il cellulare di Castle interruppe la loro conversazione.

- Alexis, che succede?

- Papà, Lily continua a piangere e non riusciamo a farla smettere in nessun modo, in più è molto calda. - Castle sospirò e si portò una mano tra i capelli

- Portatela al pronto soccorso, io vi raggiungo lì il prima possibile.

 

- Chi è che sta male Castle? - Chiese Esposito

- Lily… 

Il detective alla guida schiacciò il piede sull’acceleratore, Ryan mise fuori il lampeggiante ed accese la sirena mentre Castle, seduto dietro, aggiungeva solo preoccupazioni ad altre preoccupazioni, si sentì uno stupido perché era ovvio che la prima cosa che avrebbe dovuto fare era chiamare un medico per far controllare il suo stato di salute, ma non ci aveva proprio pensato. 

Arrivati in ospedale Castle scese dalla macchina di corsa, mentre Esposito andava a parcheggiare l’auto. Si aggirò agitato tra i corridoi cercando notizie di sua figlia, fino a quando non gli andò incontro Alexis che lo accompagnò nella stanza dove avevano portato Lily. 

C’era ancora un dottore dentro quando Castle: era lo stesso medico che l’aveva avuta in cura qualche settimana prima quando era stata male per via dell’otite. Alexis e Martha gli avevano già spiegato la situazione, ora vedeva Lily addormentata e con una flebo nel suo piccolo braccio che fece andare sottosopra lo stomaco di Rick.

- Come sta? - Chiese al medico con un filo di voce

- Non è nulla di grave, stia tranquillo. Era solo debilitata, probabilmente aveva mangiato poco negli ultimi giorni. La febbre è una conseguenza del suo organismo un po’ debole unita al fatto che sicuramente si è un po’ raffreddata in questi giorni. 

Rick si sentì un po’ più tranquillo ed il medico gli spiegò che la flebo era per darle il giusto apporto glicemico dati i valori bassi e che l’avrebbero tenuta quella notte in osservazione ma se tutto andava bene, la mattina dopo poteva portarla a casa.

- Signor Castle… - Il medico tornò indietro poco prima di uscire - Visto che sua figlia veniva regolarmente allattata da sua moglie, credo che sarebbe la cosa migliore se potesse riprendere a farlo, glielo dice lei?

- Mia moglie purtroppo non è quei al momento, per… problemi di lavoro… - Castle si sentì morire dentro nel dire quello e facendo passare Kate per una madre che lasciava la figlia che stava male per il suo lavoro

- Ah capisco, beh, come non detto… Può rimanere qui tutto il tempo che vuole, ovviamente.

Rick rimase solo con Lily, appoggiò il mento sul bordo delle sbarre del lettino di Lily ed accarezzò la mano di sua figlia con un dito: per fortuna adesso dormiva profondamente. La lasciò per poco andando fuori a parlare con la sua famiglia e Ryan ed Esposito che nel frattempo li avevano raggiunti. Fu sollevato del fatto che avevano già spiegato tutto loro di quanto era accaduto a Kate e le conclusioni folli di Sorenson.

- Devo avvisare Jim - Disse Castle rendendosi conto che era un’altra delle cose alle quali non aveva pensato. - È suo padre ed è un avvocato, sarà necessario. Alexis, domattina chiama anche Henry per favore e spiegagli la situazione. 

- Vuoi che rimaniamo Castle? - Chiese Esposito

- No, no… Andate al distretto e cercate di aiutare Kate in qualche modo.

- Hey Rick, vedrai che Kate sta bene e la troveremo, come lei ha trovato Lily. - Javier lo salutò con una pacca sulla spalla e poi con il suo compagno andarono verso il dodicesimo.

- Andate anche voi - Disse a Martha, Alexis e Dustin - resto io con lei. Abbiamo un po’ di cose da raccontarci questa notte - Provò a sdrammatizzare con la sua famiglia

- Sei sicuro Richard che vuoi restare solo? - Si preoccupò sua madre

- Non sono solo mamma, c’è Lily che mi fa compagnia stasera. - La donna lo abbracciò forte e lo stesso fece poi Alexis. - Ehy Dustin, mi raccomando pensaci te alle mie chiome rosse, ok?

Il ragazzo rispose imbarazzato che poteva contare su di lui e Rick li seguì con lo sguardo fino a quando non girarono il corridoio, poi tornò in stanza da Lily mettendole vicino il suo elefantino che gli aveva dato Alexis prima di andarsene.

- Ehy piccola despota sbrigati a tornare a tiranneggiare il tuo papà… - le sussurrò prima di passare tutto il resto della notte a guardarla dormire.

 

Lily passò una notte serena, Castle molto meno, non riuscendo mai a riposarsi, sussultando ad ogni suo movimento. Quando si svegliò ed aprì gli occhi Rick ebbe un tuffo al cuore, gli sembrò che fosse Kate a guardarlo dal volto di sua figlia e una sensazione di ansia e tristezza lo assalì. Rimase vicino a lei anche la mattina seguente durante la visita del dottore di turno che confermò il buono stato di salute generale. Poteva portarla a casa, stando solo attento nei giorni seguenti a farla nutrire a dovere e tenerla al caldo.

- Sua figlia andrebbe cambiata. Può chiamare sua moglie altrimenti ci pensiamo noi - Disse un’infermiera a Castle una volta che il medico fu uscito.

- Mia moglie non c’è

- Oh d’accordo, allora ci pensiamo noi! - Rispose la donna andando a prendere Lily

- Non c’è bisogno, faccio io. Vado a prendere le sue cose.

La donna lo guardò stupita mentre Castle uscì ed andò da Alexis che lo aspettava in corridoio. L’aveva chiamata appena Lily si era svegliata, chiedendole proprio di portargli tutto il necessario per la piccola.

- Come sta? - Chiese la figlia maggiore di Rick riferendosi alla sorella

- Bene. La posso portare a casa. - Rispose Castle prendendo la borsa

- E tu?

Rick sorrise alla figlia e non le rispose, ma rientrò nella stanza di Lily che cominciava ad agitarsi nel lettino: prese in braccio sua figlia e l’infermiera capì che poteva lasciarli da soli, la piccola le sembrava in buone mani.

Per Castle quello fu un vero e proprio tuffo nel passato che voleva non si ripetesse mai. Quante volte quando Alexis era piccola aveva dovuto rispondere a medici, insegnanti o spesso anche semplicemente andando in un negozio a comprarle dei vestiti a domande su dove fosse sua madre o anche solamente aveva dovuto sentir battute sul fatto che poi sua madre avrebbe avuto o meno da ridire su quello che lui stava facendo. Gli faceva male, ogni volta, sopratutto quando Alexis era più grande e capiva e rispondeva lei a tono per lui. Quante volte, soprattutto nei primi tempi, quando ancora non erano separati ma lei andava e veniva da Los Angeles, era stato difficile dire che non c’era per lavoro e Alexis stava male e lo guardavano con compassione al pensiero di un padre che si occupa della figlia da solo. Erano passati molti anni, le cose erano cambiate ed un padre che si occupa della propria figlia adesso faceva meno effetto sulle persone, ma a lui quelle domande e quegli sguardi riportavano in superficie le stesse sensazioni e lo stesso disagio, al quale si aggiungeva il suo personale dramma del sapere che Kate, invece, non avrebbe mai lasciato volontariamente sua figlia e avrebbe voluto dire a tutti che lei non era quel genere di madre e se non era lì era solo perché non sapevano dove fosse nè chi l’aveva presa. La sua mente rifiutò di aggiungere “se era ancora viva” perché non poteva permettersi un pensiero del genere, sarebbe impazzito.

 

Quando Castle rientrò al loft con Lily ed Alexis trovò ad attenderlo anche Henry e Jim Beckett: Alexis aveva già aveva spiegato loro la situazione. Parlò con entrambi brevemente mentre Martha si occupava della nipote, aggiungendo alcuni dettagli su quanto accaduto che Alexis non conosceva. Jim non sembrò molto sorpreso di quello che Rick stava dicendo e, una volta che Henry li aveva saluti dicendo che sarebbe tornato al suo studio per esaminare la situazione con i suoi soci, il padre di Kate si sentì libero finalmente di parlare con lui.

- Katie è venuta da me, qualche giorno fa e mi ha raccontato quello che avrebbe voluto fare con le informazioni da dare a Campos per far evadere il figlio. Mi ha detto che mi parlava come al suo avvocato, non come a suo padre. Poi dopo quello che è successo l’ho rivista ieri. Io pensavo che avesse lasciato perdere tutto, invece mi ha lasciato una busta per te, dicendomi che se le succedeva qualcosa avrei dovuto dartela e che lei stava facendo di tutto per riportare a casa Lily. - Jim aprì la sua ventiquattrore per prendere quello che gli aveva lasciato Kate ma Rick lo fermò.

- Non sappiamo cosa è successo a Kate, non voglio niente ora Jim. Non adesso. Ho solo bisogno che mi aiuti a non far infangare l’immagine di Kate da Sorenson e da chiunque altro. Io non mi fido delle loro perizie, hanno già deciso quale strada devono prendere le indagini ma nel frattempo stiamo perdendo tempo prezioso per cercarla.

- Andrai al distretto? - Chiese Jim

- No, ho bisogno di stare con mia figlia e credo abbia bisogno anche lei di… di noi… - sospirò Rick - Però Ryan ed Esposito mi avviseranno se ci fosse qualche novità, nel caso ti farò sapere subito.

- Certo… Grazie - Jim salutò Castle, poi prima di andarsene fece lo stesso con sua nipote, che dalle braccia di Martha osservava il via vai di persone in casa e tutti che le stavano intorno, incuriosita.

- Stai bene Richard? - Gli chiese Martha mentre gli lasciava prendere Lily

- Starò bene quando Kate sarà a casa - rispose lui nervoso

- Devi stare tranquillo, però figliolo, altrimenti anche tua figlia si innervosirà come te. - Lo pregò l’attrice

- Certo… hai ragione… Vado a stendermi un po’ - disse a sua madre mentre Lily si appoggiava con la testa sulla sua spalla

- Vuoi che la teniamo noi? - Chiese sua madre

- No, no… io… ho bisogno di stare con lei adesso

Martha accarezzò il viso di suo figlio e Rick andò nella sua camera. Mise Lily tra i cuscini al centro del letto mentre lui si toglieva rapidamente quei vestiti che gli sembrava puzzassero di ospedale, indossò una tshirt e si sdraiò anche lui, prendendo poi Lily e facendola adagiare sul suo torace dove la piccola in poco tempo si rilassò, cullata dal respiro profondo di Castle che le accarezzava dolcemente la schiena. Prese l’elefantino di Lily e respirò profondamente tra le pieghe della stoffa. Lily aveva ragione a volerlo sempre vicino a se, il profumo di Kate era inconfondibile così, lo appoggiò vicino a sua figlia che immediatamente lo afferrò con una delle sue manine. 

- Hai ragione piccola, manca tanto anche a me la mamma… - Rick cominciò a parlare a sua figlia, l’unica persona con la quale sentiva di potersi sfogare liberamente - … e tu sei mancata tanto anche a lei e le manchi anche adesso. Io ero sicuro che lei ti avrebbe riportato a casa, perché vedi, se tu sei così testarda già da piccola, è perché hai ripreso da lei, anche se la tua mamma direbbe il contrario, che sei come me, ma non è vero, tu sei in tutto e per tutto una piccola Beckett e lei ottiene sempre quello che vuole. Ora voleva che tu fossi a casa e sei qui. Tu che dici, lei lo sa che noi vorremmo che anche lei fosse qui? Sicuramente sa che tu lo vorresti, non so però se sa che lo vorrei anche io, perché sono stato un stupido e le ho detto delle cose ancora più stupide. Un giorno lo capirai anche tu, la paura di perdere le persone che amiamo di più ci fa dire e fare cose senza senso ed è quello che ho fatto io. Sai qual’è piccola, la cosa che ora mi fa stare peggio? Che lei possa pensare che per me è cambiato qualcosa, che non la amo più ed invece il tuo papà ama tantissimo la tua mamma, ogni giorno di più, aveva solo tanta paura di tutto questo. Lily, non devi credere alle cose che qualcuno dirà di lei, la tua mamma non avrebbe mai fatto quelle cose, fidati di me, perché io la conosco come nessuno…

Castle si accorse che Lily si era addormentata. Le accarezzò il viso, sentendo che ormai era fresca, era convinto che la febbre le fosse passata o comunque abbassata, anche se era ancora spossata, molto meno vivace del solito. Chiuse anche lui gli occhi, aveva veramente bisogno di riuscire a dormire un po’.

- Tornerà tutto come prima Lily, te lo prometto.

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Capitolo 23
*** VENTITRE ***


La stanza era buia, illuminata solo dalla luce della luna quasi piena che filtrava dalle finestre lunghe e strette sotto il soffitto.

Kate alzò la testa indolenzita, sentiva i muscoli del collo tirare come fossero stati sottoposti ad un lungo sforzo: erano alti quei soffitti, molto alti con delle tubature che si snodavano lungo tutta la superficie. Piegò la testa di nuovo verso il basso perché le sembrava di essersi sottoposta ad uno sforzo enorme, aveva il fiatone ed il cuore che batteva forte, troppo forte. Si rese conto solo in quel momento che le sue braccia erano legate dietro la schiena ed il bruciore forte ad un avambraccio la investì come all’improvviso, destandola da quel torpore in cui si trovava. Ci mise un po’ per mettere a fuoco quello che era accaduto.

Lily.

L’ultima cosa che ricordava era lei che passava sua figlia a Vikram e gli ordinava di correre via, di andarsene. E quei passi che sentiva raggiungerla, il tentativo di scappare dal varco nella rete e poi più niente. Realizzò che il dolore al braccio poteva essere l’ustione che si era provocata a contatto con i fili metallici elettrificati. Capì dallo shock che aveva subito che sicuramente quel sistema era stato modificato ed ampliato altrimenti non poteva causare quel genere di reazione. Provò a muovere le gambe ma anche queste erano bloccate alla sedia dove si trovava. Presa dalla rabbia provò a divincolarsi per qualche secondo, ma capì che era inutile e cercò di modulare la respirazione per calmarsi.

Cercava di capire cosa aveva sbagliato, cosa non aveva considerato. Era certa che non ci fosse nessuno nella casa tranne Maria, Hector e Lily, la telecamera non aveva rilevato la presenza di nessun altro corpo ed era impossibile che i due si fossero svegliati dopo la dose di narcotico che aveva inserito nella camera, aveva controllato le imposte, erano chiuse quindi non si era disperso. Dormivano forse con i tappi nel naso per sicurezza? Non aveva considerato questa ipotesi, poteva essere quello il motivo? Allora perché non erano intervenuti subito, quando era in casa con Lily? Si concentrò, cercando di ricostruire mentalmente le ultime cose che aveva sentito e visto, facendo il difficile sforzo di togliere tutte le immagini di sua figlia e concentradosi sull’ambiente circostante. Ma, no, non erano loro, i passi che aveva sentito erano molti di più di quelli di due persone e soprattutto non sembravano i rumori di due appena svegliati che le correvano incontro, ma uomini con abbigliamento tattico e scarpe pesanti, forse stivali o anfibi militari. Da dove erano venuti? Dovevano per forza essere dentro il perimetro dell’abitazione, ma perché non aveva rilevato la loro presenza nè in giardino nè nella casa? Lasciò andare quei ricordi, non riusciva a trovare un appiglio per capire cosa era andato storto, pregava solo, dentro di se, che Vikram ce l’avesse fatta, che fosse scappato e che ora Lily fosse a casa con suo padre. L’aveva tenuta tra le sue braccia solo pochi minuti che le erano bastati per farle capire ancora una volta perché aveva fatto tutto quello e l’avrebbe rifatto altre mille volte anche sapendo che sarebbe finita così. Lily era al sicuro con Castle, ne era certa, non era solo una speranza, lei lo sentiva. Aveva fatto quello che doveva e lo sguardo di sua figlia, la sua piccola mano che le aveva toccato il volto, valevano tutto. Se la immaginava tranquilla adesso, dormire nella sua culla con Rick che rimaneva lì fermo a guardarla, anzi no, sapeva che lui l’avrebbe presa e fatta dormire con se, come faceva sempre quando erano soli e per lei non c’era niente di più bello di vedere di nascosto la sua piccola dormire sopra il suo papà. Ripensava all’angoscia provata solo pochi giorni prima, quando c’era lei in quella camera, sola, senza sapere nulla di loro, senza il suo mondo. Anche in quel momento era sola, però aveva la certezza che loro fossero insieme, a casa e al sicuro ed era questa l’unica cosa importante, tutto quello per cui avrebbe lottato con le unghie e con i denti, saperli a casa al sicuro.

Le prime luci del giorno filtravano dalle finestre, si era accorta di aver passato lì già molte ore e cominciava a sentire in maniera distinta dolore alle braccia e alle gambe per la posizione imposta. Si chiedeva cosa volessero da lei e quanto ancora dovesse stare lì prima di mettere fine a quella storia, sapeva che era solo questione di tempo ed era certa che più il tempo fosse stato lungo, più sarebbe stato difficile. 

Era convinta che alla fine Vikram avesse detto tutto a Castle e che probabilmente ora lo sapevano anche al distretto. L’avrebbero cercata, sapeva che Rick avrebbe fatto di tutto ed era proprio quello che avrebbe voluto evitare. Lo conosceva, si sarebbe messo nei guai ed invece doveva restarne fuori, pensare solo alla loro bambina.

Un rumore di passi che si avvicinavano la fece abbandonare i suoi pensieri. Sentiva l’incedere deciso di più persone farsi sempre più chiaro, poi fermarsi ed aprire quella che doveva essere una porta metallica situata sulla parete davanti a lei nell’angolo alla sua destra. La stanza fu invasa da una luce fredda molto più forte che veniva dalle lampade al neon da fuori e i suoi occhi ne furono abbagliati per qualche secondo tanto che vide solo le sagome di quattro uomini entrare, ma non riuscì a vederne i tratti. La porta fu richiusa con un rumore stridulo: uno dei tre uomini si posizionò davanti a lei, due li sentì spostarsi ai suoi lati ed uno si spostò dalla parte opposta della stanza alle sue spalle. Nessuno parlava, sentiva solo il rumore dei passi del quarto uomo allontanarsi e poi frugare in quella che poteva essere una cassapanca di legno o qualcosa del genere, lo capì da come il coperchio di legno rimbombò quando la chiuse. Kate cercava di mettere a fuoco l’uomo davanti a se, ma rimaneva nella zona di ombra della stanza, le pareva, solamente che ogni tanto scoprisse i denti in un sorriso compiaciuto. L’uomo si spostò verso il muro indietreggiando di qualche passo e premendo un’interruttore accese una luce che disorientò Kate.

- Hola Jefa! - La salutò beffardo l’uomo che si era avvicinato a lei senza che se ne rendesse conto - Ci hai messo molto più del previsto… Finalmente ci incontriamo, non sei contenta? Volevo conoscerti da tanto tempo… diciamo più o meno… dieci anni…

Kate lo guardò e ascoltava le sue parole ma non era convinta di aver capito bene. Dal suo volto traspariva tutta la sua confusione e Campos si fece una grassa risata nel vederla così.

- Non capisci vero? Ne ero sicuro. Quanta gente hai ucciso eh Capitano Beckett? Non te lo ricordi nemmeno vero? Hai perso il conto? Le mie vittime me le ricordo tutte, una per una. Sono 42. Tu ne hai uccise di più o di meno? Eppure io sono un assassino per il tuo stato e tu no, perché? 10 anni fa tu hai ucciso un uomo che per me era come un fratello. Un colpo solo in testa.

Kate sentì il rumore di una pistola che veniva caricata e poi avvertì la pressione della canna sulla sua tempia destra.

- Si chiamava Ramon, come mio figlio. L’avevo chiamato così in suo onore e tu li hai uccisi entrambi.

- Non ho ucciso io tuo figlio! - Fu la prima volta che Beckett parlò

- Oh sì, è come se l’avessi fatto tu. Se io sono il mandate di tutti gli omicidi del mio clan tu sei la responsabile dell’omicidio di mio figlio. 

Campos girava intorno a lei che rimaneva con lo sguardo fisso dritto contro il muro.

- Cosa provi quando uccidi qualcuno Beckett? Ti piace? Ti senti potente? Hai la sensazione di sentirti un po’ come Dio che puoi in una frazione di secondo decidere se prenderti la vita di qualcuno?

Campos tornò davanti a lei e le alzò la testa per imporla a guardarlo.

- Ma sai cosa ti da ancora più potere? Decidere. Decidere se uccidere oppure no. E quando. Quello è il potere. Vedere chi hai davanti arrivare a pregarti di ucciderlo e tu invece, non lo fai. Quello è potere. Sapere che da un tuo gesto dipende la vita di qualcuno.

L’uomo allungò la mano e quello che teneva la pistola puntata contro Kate gliela passò. Campos la prese mirò su Beckett e con un rapido gesto premette il grilletto.

Una sonora risata di Campos risuonò nella stanza mentre osservava la donna.

- Hai avuto paura eh Beckett? L’ho visto nei tuoi occhi… A cosa hai pensato in quell’istante? A tua figlia? A tuo marito? Alla tua vita o a tua madre?

Kate lo guardò con uno sguardo d’odio.

- So tutto di te. Ti ho seguito in questi anni. Sei stata brava, brillante. Ho avuto paura, più volte che qualcuno rovinasse la mia vendetta, ma tu sei sempre stata brava o fortunata…

Campos prese una sedia abbandonata in un angolo che Beckett non aveva visto fino a quando l’uomo non l’aveva trascinata fino a sedersi davanti a lei. Diede la pistola al suo uomo e tirò fuori dalla tasca un coltello che Beckett riconobbe essere uguale a quello con cui Ramon aveva ucciso le sue vittime e rimase a fissarlo mentre lo apriva e vedeva la luce riflettersi sulla lama.

- Ti sembra familiare, vero? Sì, è come quello di mio figlio. Ce li aveva regalati mio padre. Ecco perché è stato così stupido da tenerlo e non buttarlo, perché Ramon era un sentimentale e non avrebbe mai buttato il coltello che gli aveva regalato suo nonno, lui non era uno che faceva molti regali era povero e per darci questi aveva risparmiato molti mesi. Una bella storia eh?

Campos si avvicinò a Beckett e fece scivolare la lama del coltello lungo il suo petto lacerando la maglia e lasciando sulla pelle una sottile striscia rossa  dalla quale uscì qualche goccia di sangue.

- Molto affilato non è vero? Sei molto bella Jefa… Sarà un peccato ucciderti… - Campos fece passare un dito lungo la linea di sangue che andava da sotto il collo fino in mezzo ai seni di Kate, raccogliendolo e poi portandoselo sulle labbra macchiandole con il sangue di Beckett. Kate non mosse un muscolo, rimase immobile a fissarlo. Lui voleva la sua paura, lo sapeva e non voleva dargliela.

- Fai la dura Jefa… Mi piace questo sai?

Campos girò la sedia, si mise seduto a cavalcioni, incrociando le braccia sullo schienale, facendo roteare il coltello dal qual ancora scendeva quale goccia di sangue lungo la lama. L’uomo osservò a lungo Beckett guardandola negli occhi e lei ricambiava lo sguardo senza mai abbassarlo. 

- Mi sono chiesto molte volte perché non ti avevo fatto uccidere da qualcuno dei miei uomini. Alla fine non sarebbe stato difficile, prenderti di sorpresa, magari quando rientravi a casa. Bang! Bang! - Simulò lo sparo di una pistola con le dita - e tanti saluti al Detective Beckett. Non avrei avuto soddisfazione, tu non avevi paura di morire, verdad? Ora invece sì, io so che hai paura… Ma non per te… Per tua figlia… 

Kate distolse lo sguardo da lui, abbassando la testa, ma si sentì afferrare da due mani dietro di lei che la costrinsero ad alzarla di nuovo.

- Vedi? Lo sapevo! Io so molte più cose di te di quanto credi, Jefa… Ormai sei un personaggio pubblico, si scoprono molte cose di te in giro, tante chiacchiere che sono realtà…

- Mia figlia è al sicuro

- Certo, lo è, se non decido di farla uccidere. Ma non è questo, vero? Tu hai paura che lei resti sola, che cresca senza sua madre, come te. Questo ti fa paura, vero? Sapere che tua figlia crescerà con ancora più dubbi dei tuoi e magari sarà arrabbiata con te perché l’hai lasciata ma pensa come starà, invece, quando scoprirà che sua madre è morta per colpa sua, per salvare lei… E tu, Beckett, morirai con questa certezza. Se ti avessi uccisa prima, non avrei avuto soddisfazione, non come avrò adesso, quando deciderò di ucciderti. 

- Lily avrà suo padre, non le farà mancare nulla. - Kate non riuscì a nascondere tra le sue parole quel senso di angoscia che la stava assalendo e Campos se ne accorse e sorrise

- Certo, Jefa… Certo… - Poi si alzò e le si avvicinò le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e poi le sussurrò - Sempre che tuo marito non faccia come tuo padre o peggio… 

Un brivido percorse tutto il corpo di Kate nel sentire quelle parole. Campos girò ancora dietro di lei, lo sentì parlottare a bassa voce con uno dei suoi scagnozzi e riapparve alla sua sinistra con un tubo di metallo in mano. Fu una frazione di secondo e Kate sentì un dolore intenso all’addome. Strinse i denti riuscendo a non urlare e deglutì con fatica.

- Esto es para mi amigo Ramon - Le disse Campos mentre lei respirava con difficoltà ma lo vide mentre la stava colpendo ancora e provò a contrarre i muscoli addominali per attutire il colpo ma fu inutile. - Y esto es para mi hijo

Non riuscì questa volta a trattenere un urlo soffocato, spezzato dal fiato che le mancava perché faticava anche a respirare. Sentì il rumore della sbarra di metallo cadere a terra, e vide i quattro uomini uscire senza dirle altro.

Fu di nuovo sola e pressoché al buio. Tossì ed ogni colpo di tosse era come sentire l’eco dei colpi precedenti. Si sentì improvvisamente sfinita e pensò che sarebbe caduta se non fosse stata legata a quella sedia che, si rese conto solo in quel momento, era saldamente fissata al pavimento. Il dolore al torace le sembrava far passare per qualche attimo in secondo piano quello alle braccia che ormai da ore erano in quell’innata posizione.

Non riusciva a quantificare lo scorrere del tempo, doveva essere pomeriggio lo immaginò da come la poca luce che filtrava era girata all’interno della stanza. Cominciava a sentire la gola secca irritata dalla polvere di quel posto e dalla sete. 

Tornò buio nella stanza e Kate si sentiva sempre più debole, ma come il suo corpo cedeva in avanti il dolore alle braccia diventava lacerante. Sentiva i muscoli pulsare e bruciare e le articolazioni doloranti e la cosa peggiore era non sapere quanto sarebbe durato tutto quello e cosa ci sarebbe stato dopo. Non riusciva a sperare di uscire da lì, non riusciva ad aggrapparsi a nessun tipo di speranza.

Lasciò la sua mente vagare ed abbandonarsi ai ricordi ed il primo pensiero andò subito a Castle, al giorno che si erano incontrati, non avrebbe mai immaginato che quel caso, apparentemente uno come tanti, avrebbe condizionato il resto della sua vita, l’avrebbe stravolta e cambiata in meglio. Lo vide con i suoi occhiali da sole, quella barba in po’ lunga che le piaceva tanto e forse glielo aveva detto poche volte. Pensò a tutte le volte che aveva sorriso, senza farei vedere, delle sue assurde teorie e a quanto gli mancava il suo caffè quelle mattine piatte in cui non veniva al distretto e non sapeva se era più dipendente dalla caffeina o da lui. Lui, senza dubbio. Pensò a quante volte era stata sul punto di dirgli quello che provava e quante volte aveva sperato lo facesse lui e poi quando lo aveva fatto aveva avuto paura, ma era stata la sua salvezza “Resta con me Kate… Non lasciarmi ti prego…”. Sentiva la voce di Castle chiara nella sua mente come se glielo dicesse in quello stesso istante. Quante volte il suo pensiero l’aveva salvata, le aveva dato forza ed una ragione per resistere e combattere anche contro se stessa? Quel “ti amo” aveva riempito il suo cuore proprio quando stava per fermarsi, lo aveva convinto a battere e non mollare prima che la sua paura per quelle parole avesse il sopravvento sulle sue emozioni. C’era lui, c’era sempre stato lui nella sua mente ogni volta che stava per cedere e lasciarsi andare, era vicino a lei a darle quella forza per resistere e sperare, ancora.

Pensò alle parole di Campos, al paragone di Rick con suo padre e a quello che gli aveva detto suo padre stesso: lo distruggerai. No, non era così, non poteva essere così, Castle aveva Alexis e Lily a cui doveva pensare. Sarebbe stato forte, in ogni caso. Più forte di suo padre, più forte di quanto tutti pensavano potesse essere. 

Resta con me Kate… Non lasciarmi ti prego… Ti amo Kate

Beckett respirò profondamente ignorando il dolore al torace ed alla gola. Doveva resistere più che poteva.

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Capitolo 24
*** VENTIQUATTRO ***


Rick passò tutto il resto della mattina a letto con Lily era riuscito anche a dormire per un po’, poi quando si era svegliato era rimasto a guardare la sua bambina fino a quando anche lei non aprì i suoi grandi occhi guardandolo attenta: uno sguardo alla Beckett. La lasciò sola sul letto giusto il tempo di rivestirsi e subito cominciò a lamentarsi, calmandosi di nuovo quando la prese in braccio. Lily voleva il contatto fisico, probabilmente, pensava Castle, la cosa che le era mancata di più in quei giorni, lei che era stata sempre abituata, viziata avrebbe detto Kate anche se poi era la prima a farlo, a stare sempre vicino a loro.

 

- Come sta? - Chiese Martha quando vide uscire Rick dalla camera con Lily che si divertiva a tirargli i capelli appoggiata sulla sua spalla

- Direi meglio, no? - Rispose a sua madre girando la piccola verso di lei per fargliela vedere, perfettamente in ordine ed appena cambiata

- Oh direi di sì… ha di nuovo il suo sguardo vispo e curioso! - Esclamò Martha avvicinandosi alla nipote che sorrise alle smorfie dell’attrice. 

Castle poi preparò il latte per Lily e fu sollevato nel vederla mangiare con appetito una razione anche più abbondante di quello che era solito darle. Giocò con lei sdraiato sul tappeto in soggiorno: aveva sparso tutti i suoi giochi e pupazzi invadendo la stanza di animali con forme e colori diversi, che suonavano e si illuminavano, con specchietti e sonagli e lasciava che Lily glieli tirasse addosso dopo averli tutti sbavati a dovere il tutto mentre alla tv si ripetevano cartoni animati con allegre canzoncine. Rick voleva intorno a loro colori e musica e qualsiasi cosa desse allegria e si sforzò lui per primo di ridere con lei, giocare ed essere allegro. Glielo doveva. Mise tutto il resto in standby per dedicarsi esclusivamente a lei e continuò anche quando rientrarono Alexis e Dustin e si unirono a loro e Lily sembrava veramente felice di avere tutte quelle persone intorno. Per Castle contava solo quello in quel momento, sua figlia felice. Lo riportò alla realtà il suono del campanello. Fu sua madre ad aprire, ma dalle voci degli ospiti capì che era lui che volevano. Si alzò e cercò di ricomporsi, lasciando Lily a giocare con Alexis ed il suo ragazzo e la piccola seguì con lo sguardo il suo papà allontanarsi: stava per mettersi a piangere, Alexis lo intuì dalla curva delle sopracciglia allora fu lei a prenderla in braccio e farla di nuovo rasserenare, continuando a giocare insieme.

 

- Ciao ragazzi, novità? - Chiese Rick a Ryan ed Esposito

- Sì, Castle, possiamo parlare un attimo? - L’ispanico era serio e Martha invitò i tre a sedersi al tavolo della cucina offrendosi di preparargli del caffè, ma declinarono l’invito.

- Cosa succede?

- Ecco, questa mattina abbiamo fatto delle altre perquisizioni alla casa e al giardino. Abbiamo ritrovato la pistola di Beckett. La balistica l’ha confrontata con i bossoli trovati vicino ai corpi dei rapitori e combaciano perfettamente. Gli ha sparato lei. - Spiegò Esposito

- No, vuol dire che gli hanno sparato con quella pistola, non che gli ha sparato Kate. - Protestò Castle

- Non c’erano altre impronte sull’arma, solo le sue. - Aggiunse Ryan

- Andiamo ovvio che c’erano solo le sue, è la sua pistola! Se qualcuno avesse voluto far credere che lei li avesse uccisi, non avrebbe di certo lasciato impronte, no? Dai ragazzi, voi non crederete mica che Kate ha ucciso quei due!

- Castle, tutto porta in questa direzione. - Concluse Kevin sconsolato

- Lo credete veramente? Stiamo parlando di Beckett! - Esclamò Rick alzando la voce più del dovuto

- Era pronta a tutto per sua figlia, ce lo ha detto anche lei, l’altra sera all’Old Haunt. Avrebbe fatto evadere Campos, messo a rischio la vita di altri colleghi. Perché non uccidere chi ha rapito Lily? - Castle ascoltò Ryan incredulo

- Kate non uccide le persone a sangue freddo. Vi ricordate di chi state parlando? È Beckett! 

Rick era veramente infastidito dall’atteggiamento dei due.

- Ci dispiace Castle, ma al momento non ci sono prove che le cose siano andate diversamente - Gli disse Esposito.

- Beh, credo che non abbiamo più nulla da dirci allora - Rick si alzò dal tavolo - Gli avvocati miei e di Beckett vi contatteranno al più presto.

- Ma Castle… - provò ad obiettare Ryan

- Ma cosa Kevin? Se Kate fosse riuscita ad uscire da quella casa da sola in qualsiasi modo la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata tornare a casa da sua figlia. Mi parli di prove? Ma qui non servono prove, basta la logica. Voi conoscete Beckett, sapete chi è, quali sono i suoi valori, la sua onestà. Ha fatto tutto questo per non sottostare ai ricatti di Campos e voi perché trovate la sua pistola, la prima cosa che dite è che è stata lei ed ora è latitante? Secondo voi Kate starebbe volontariamente lontana da Lily per quanto tempo così? Per sempre? Oppure ora volete controllare i miei spostamenti per vedere se scappo con mia figlia per raggiungerla? 

- Non te lo dovremmo dire, ma Sorenson lo ha già fatto. - Ammise Kevin. 

- Bene, così avrà solo la prova di quanto tempo sta perdendo dietro teorie assurde.

Il cellulare di Esposito squillò, il detective ascoltò in silenzio annuendo solo qualche volta e ringraziando alla fine.

- Era il distretto - disse Javier - sono arrivati i risultati dell’autopsia e confermano sia l’orario della morte che coincide con quanto detto da Vikram su quando erano lì sia le cause, colpo alla testa da distanza ravvicinata. Mi dispiace Castle.

I due se ne stavano andando lasciando Rick deluso ed arrabbiato.

- Beckett non è solo il vostro Capitano è anche vostra amica. Non mi aspettavo che la abbandonaste così, senza nemmeno provare a cercare la verità.

 

Appena i due se ne furono andati Rick si chiuse nel suo studio e gli altri potevano sentire solo le sue urla al telefono con Henry, il suo avvocato. Appena riagganciò con lui ricevette la chiamata di Jim Beckett che lo informò che Kate era stata ufficialmente accusata del duplice omicidio di Hector Yepes e Maria Asenjo e quindi al momento dichiarata latitante. Castle chiese a Jim se potevano richiedere una seconda autopsia sui corpi dei due rapitori perché lui era convinto che nessuno aveva veramente esaminato quei corpi, ma che erano partiti dall’idea che fosse stata Beckett e che avevano cercato solo di confermare la loro teoria. A Rick era venuta in mente solo una persona della quale si fidava ciecamente e che sapeva non si sarebbe fatta influenzare dalle prove e quella persona era Lanie. Castle discusse per un po’ su questo con Jim, che non credeva fosse la persona più adatta, visto che lavorava per la polizia, mentre Rick era convinto che questo fosse un punto a loro vantaggio, perché tutto quello che Lanie avrebbe trovato, sarebbe stato trovato direttamente dalla polizia e non da un consulente privato. Alla fine Jim si convinse e Castle gli disse di mandare subito una richiesta urgente, avrebbe pensato lui a contattare Lanie ed anche qualche sua conoscenza per far approvare subito la loro istanza. 

Come aveva previsto, Lanie si rese immediatamente disponibile per aiutare Kate e il suo amico Markway avrebbe fatto in modo che la sua richiesta venisse accolta appena gliela avessero fatta pervenire: non era molto, ma era tutto quello che Rick poteva fare per Kate in quel momento, fosse rimasto solo lui a credere in lei, non si sarebbe arreso.

Rimase qualche minuto seduto in silenzio alla sua scrivania ed ascoltò le voci provenire dall’altra stanza. Alexis e Dustin si stavano divertendo a giocare con Lily e sentiva i suoi gridolini felici, era l’unica cosa che lo faceva sorridere e si decise a tornare da loro e riprendere i loro giochi. Rick stette in piedi dietro il divano per un po’ solo guardandoli, divertito da come Lily provava a fare movimenti nuovi per raggiungere i suoi giochi e si sforzava di allungarsi e girarsi per cercare quelli che le piacevano di più, che Alexis prontamente le avvicinava per farglieli prendere e così ricominciava il suo studio attento con le mani e con la bocca, per poi lanciarli di nuovo divertita. Castle la studiava ammirando quanti piccoli progressi stava facendo, come riusciva a stare seduta per un po’ o esplorava le parti più lontane del suo corpo con una predilezione per i piedi portandoseli in bocca. La cosa più bella, per Rick, fu quando alzando lo sguardo si accorse della sua presenza e gli regalò un gran sorriso seguito da una serie di sillabe senza alcun significato ma che lui interpretò come una richiesta di giocare insieme che lui non declinò riprendendo il suo posto sul tappeto.

Quando Lily cominciò a dare i primi segni inequivocabili di stanchezza Rick prese sua figlia e si mise con lei sul divano per farla dormire mentre Alexis e Dustin si erano offerti di mettere a posto tutti i giochi sparsi per la casa, nonostante per Castle non ci fosse bisogno: non gli interessava in quel momento nè dell’ordine nè di un’ambiente presentabile, avrebbe rimesso tutto di nuovo in mezzo una volta che Lily si fosse svegliata ed avrebbe voluto giocare di nuovo. Insistette poi con i ragazzi che uscissero con i loro amici, voleva che tutti conducessero una vita normale, per quel che era possibile in quella circostanza, che non stessero a casa con lui solo per compatirlo o fargli compagnia, perché la loro presenza, in ogni caso non cambiava il suo umore nè fermava i suoi pensieri. Disse lo stesso anche a Martha, pregandola di riprendere il suo ruolo a teatro, facendo leva sulla sua vanità e dicendole che non poteva privare per troppo tempo gli spettatori della sua arte, che era lei la star dello spettacolo e doveva andare. Martha si lasciò adulare dal figlio, ben sapendo che lo faceva apposta per farla cedere, ma capì che dietro quella richiesta di normalità ce n’era un’altra che non voleva dire ed era quella che aveva bisogno di stare da solo.

Alla fine Lily non riuscì ad addormentarsi come Rick aveva sperato ed una volta solo si trovò a doverla cullare camminando avanti e indietro per tutto il loft. Si sentì impotente nel non riuscirla a fare dormire, nonostante tutti i suoi sforzi. Preoccupato che potesse esserle tornata la febbre gliela misurò tre volte temendo che quel termometro a raggi infrarossi non fosse poi così preciso come decantato sulla confezione ma il responso fu sempre negativo. Fu sollevato e scoraggiato allo stesso tempo, non sapendo come fare per calmare quello che non era un vero e proprio pianto, più un lamento continuo e dopo aver scartato anche l’ipotesi di mal di pancia e simili Rick si sedette mettendo Lily seduta sulle sue ginocchia e la guardò pregandola di calmarsi. Le fece un lungo discorso spiegandole la loro situazione e dicendole che la capiva se era stanca e nervosa perché lo era anche lui ed era certo che la cosa che mancava ad entrambi era la stessa, anche se la chiamavano in due modi diversi: mamma, Kate. Le disse che lui avrebbe fatto di tutto per farla tornare a casa, proprio come Beckett aveva fatto per lei ma che nel frattempo doveva essere paziente con lui che cercava di fare del suo meglio. Lily sembrava ascoltarlo con l’espressione di chi capiva quello che stava dicendo anche se era impossibile, ma a Rick piaceva pensare così. Quelle cose, però, le diceva più a se stesso che a lei. Gli sembrava improvvisamente che tutto fosse difficile. Aveva passato giornate intere solo con Lily, avevano giocato, mangiato, l’aveva fatta addormentare, calmato il suo pianto. Tutte cose di normale amministrazione. Ora, però gli sembrava tutto difficile, credeva di essere inadeguato per ogni situazione e per ogni cosa che faceva riusciva solo a pensare a come l’avrebbe fatta Kate. Era sicuro che lei sarebbe riuscita a calmare il pianto di Lily e si sentiva frustrato per non riuscirci, perché appena smise di parlare, subito ricominciò con i suoi lamenti. Farla passeggiare di nuovo per il loft fu inutile, ormai lo aveva girato tutto, più volte senza alcun risultato. Ingresso, cucina, sala, studio, camera di Lily, camera sua e ricominciava. In uno dei suoi tanti passaggi decise di provare un’ultima cosa, che non aveva mai fatto, perché la considerava come un’intromissione in uno spazio che non era suo. Prese la coperta di Lily dalla culla ed il suo elefantino, poi andò nella stanza della figlia e si mise sulla sedia a dondolo, appoggiando Lily sulla coperta sul suo petto con il suo pupazzo vicino, dondolandosi lentamente e ricominciando il suo monologo.

- L’ultima cosa che ho detto a tua madre è stata di non tornare a casa. Mi ha preso un po’ troppo in parola, tu non credi? Se pensi che sono stato uno stupido hai ragione. È un bene che tu non capisci in realtà quello che sto dicendo, se no saresti ancora più triste, ma posso parlare liberamente solo con te, perché sei l’unica che ancora non mi giudica e non mi vuole dare consigli o rincuorarmi o dirmi stupide frasi fatte che si dicono in questi momenti. Tu non sai ancora cosa è la paura, o forse lo sai ma non sai che è paura quello che provi. È quella cosa che ti fa piangere quando ti svegli ed il tuo elefantino è andato lontano e per lontano per te è solo in fondo alla tua culla e non c’è nemmeno la mano della mamma da stringere forte con la tua presa che sembra sempre troppo stretta per una piccolina come te. Ecco anche io vorrei adesso stringere la mano della tua mamma ed anche io ho paura ogni volta che mi sveglio e non c’è. Ed ho paura anche quando sono sveglio, in realtà e penso a lei e non so dov’è, non so come sta, cosa sta passando in questi momenti. Vorrei averle detto altre cose, sai? Vorrei averle detto che quello che faceva era stupido, perché si sarebbe messa nei guai, ma che io comunque credevo in lei. Avrei dovuto starle vicino sostenerla ed invece l’ho allontanata, pensando che così ci avrebbe ripensato, mi avrebbe dato ascolto, sarebbe stata più prudente. Non mi fraintendere, io volevo che tu tornassi a casa, tantissimo, però volevo solo che la tua mamma fosse più prudente e non facesse come suo solito. Volevo essere con lei aiutarla, come sempre. Io e la tua mamma ne abbiamo passate tante insieme sai? Un giorno quando sarai più grande te le racconteremo e ci rideremo anche su, di tutte le altre cose ed anche di questa e tu magari penserai che sono delle storie come quelle delle favole ed avrai un po’ ragione perché vivere con la tua mamma è stata sempre come una grande avventura degna delle favole più belle, quelle con le grandi storie d’amore che poi si concludono sempre con il vissero felici e contenti. Imparerai anche cos’è l’amore Lily e che ci sono tanti tipi. Il primo che conoscerai sarà quello della tua mamma ogni volta che ti guarderà, perché nessuno ti guarderà mai come lei, nemmeno io, perché solo la tua mamma ti guarderà in quel modo, come ha fatto dalla prima volta che ti ha visto e ti ha preso tra le sue braccia, non lo dimenticherò mai quel momento. Ti va se ci facciamo una promessa? Tu mi prometti che avrai pazienza con me, che mi perdonerai se non riuscirò ad essere bravo con te come lo è la mamma ed io ti prometto che farò tutto il possibile perché la tua mamma torni presto da noi. Ci stai?

Lily si era addormentata. Castle non sapeva nemmeno di preciso quando, ma era ormai evidente che la sua voce la faceva addormentare. Immaginava quando lo avrebbe detto a Beckett, lo avrebbe preso in giro dicendogli che è perché parla troppo e la sfinisce e lui gli avrebbe risposto che è solo perché la sua voce è profonda e la faceva rilassare, specificando sussurrandole vicino all’orecchio come lo stesso effetto lo ha anche su di lei. Poi avrebbe finito per baciarla sul collo e farle vedere in quanti altri modi poteva rilassare lei. Provò un profondo senso di vuoto e di mancanza. Si alzò piano e portò Lily nel suo letto creandole una barriera con i cuscini per non farla rotolare e si sdraiò vicino a lei. Pensò che sarebbero stati giorni difficili, sotto tutti i punti di vista.

Il suono insistito del campanello svegliò Lily bruscamente mandando dopo poco tempo in frantumi tutto il suo lavoro per farla addormentare. La prese in braccio ed infastidito andò ad aprire alla porta ed il suo fastidio aumentò quando vide chi era.

- Cosa vuoi Sorenson? - Chiese Rick senza invitarlo ad entrare

- Il cellulare con il quale Beckett comunicava con Campos e le chiavi del suo appartamento. - Disse l’agente saltando anche lui i convenevoli

- Non ho nessuno dei due - Mentì Castle bloccando Sorenson con la mano libera mentre stava per entrare al loft

- Non mi lasci entrare? - Chiese Will

- Hai un mandato? - Lo sfidò Rick

- Me lo devo procurare?

- Se vuoi entrare in casa mia sì. Quindi ti consiglio di non tornare se non lo hai. E adesso scusami ma ho da fare, devo far addormentare di nuovo mia figlia, visto che tu l’hai svegliata. 

Rick chiuse la porta senza aspettare una risposta di Sorenson che rimase immobile ed irritato davanti alla porta chiusa, chiamando immediatamente per ottenere un mandato di perquisizione per il loft di Castle e l’appartamento di Beckett mentre Rick avvisò Jim della visita dell’agente dell’FBI e di quello che voleva

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Capitolo 25
*** VENICINQUE ***


Si era lasciata vincere dal sonno. Un sonno vuoto, senza sogni, senza incubi. Non sapeva quanto aveva dormito, cominciava a perdere la cognizione del tempo, ma quando aprì gli occhi vedeva una pallida luce entrare dai vetri, probabilmente albeggiava. Se era possibile stava ancora peggio di quando si era addormentata, il dolore al torace ora era più pulsante e le braccia le sembrava di non sentirle più, provava a muovere le dita, ma lo faceva con fatica. Aveva sete e cominciava anche ad avere freddo si sentiva scossa da brividi e non sapeva se fossero per la stanchezza o per il freddo vero e proprio anche se data la stagione la temperatura non era così bassa.

Chiuse gli occhi, le sembrava di far fatica anche a rimanere lucida immaginava di essere nella cella frigorifero ma non c’era Castle che la teneva tra le sue braccia. Era sola, lui non era con lei. Lui le aveva detto che poteva non tornare più. Lui non la voleva. Provò a ribellarsi al quel pensiero che la faceva tremare non solo per il freddo. Sentiva le parole di Rick nella sua mente. “Puoi anche evitare di tornare al loftNon tornare a casa” . Lottava anche con la sua mente con i suoi pensieri lottava contro Castle e le sue parole e cercò rifugio nell’unica persona che sapeva poterla amare incondizionatamente: Lily.

Lily che era più che una parte di se stessa, era la parte migliore.

Lily che aveva fatto diventare il giorno più brutto della sua vita in quello più bello.

Lily che era la speranza che tutto poteva cambiare in meglio.

Lily che era stata la sorpresa più grande ed inaspettata della sua vita, la sua più grande paura e la sua gioia più vera.

Lily che era rimasta aggrappata alla vita tenendo in vita anche lei, malgrado tutto e tutti.

Lily che le aveva fatto amare i suoi occhi per la prima volta, quando li aveva visti uguali in lei. 

Lily che era veramente il frutto di tutto l’amore che c’era tra lei e Castle.

Lily che era semplicemente sua figlia e mai avrebbe anche potuto lontanamente immaginare che sarebbe stata tutto questo ed anche di più.

 

Avrebbe pianto, pensando a sua figlia, se avesse avuto modo di farlo, ma non ci riuscì, anche le sue lacrime erano secche, come la sua gola. Nei pochi minuti da quando l’aveva presa da quel letto sudicio a quando l’aveva affidata a Vikram aveva capito ancora di più perché aveva fatto tutto quello, per le mani di sua figlia che toccavano il suo volto come se avesse voluto salutarla o forse ringraziarla per essere andata a riprenderla. Le aveva promesso, da prima che nascesse, che ci sarebbe sempre stata, che non l’avrebbe mai abbandonata ed ora sapeva che quelle promesse erano vane, non avrebbe più potuto mantenerle. Lily non avrebbe mai saputo di quelle parole nè di tante altre cose. In una delle lettere contenute nella busta che aveva dato a suo padre aveva scritto per lei una parte di tutto quello che avrebbe voluto dirle che però era impossibile per lei da spiegare mettendo nero su bianco, non era lei quella della famiglia brava con le parole. Aveva provato a spiegarle quanto la amava e quanto in poco tempo aveva cambiato la sua vita in meglio facendole provare cose che credeva fosse impossibile provare. La pregava di non odiarla per averla lasciata ancora così piccola e che non era stata una sua scelta ma lo aveva fatto solo per lei, perché tra lo scegliere tra la sua vita e quella di sua figlia non aveva mai avuto il minimo dubbio su quale scegliere e lo aveva fatto senza esitazioni e che considerava ogni singolo istante trascorso insieme come il più bello e prezioso dei regali ed ognuno di quei momenti era qualcosa per la quale era valsa la pena vivere.

 

Rimpiangeva solo tutte le cose che non avrebbe mai visto. I suoi primi passi, il suo primo Natale incantata dalle luci con le quali Castle avrebbe avvolto tutto il loft, i castelli di sabbia sulla spiaggia da costruire insieme, quella passeggiata in riva al mare che Rick le aveva promesso l’estate precedente quando erano negli Hamptons, la sua prima volta sull’altalena che per Rick doveva essere qualcosa di speciale perché quello era un luogo speciale e lo volevano condividere con lei. 

Non avrebbe mai visto il suo primo giorno di scuola e non avrebbe mai provato quel nodo alla gola nel vederla allontanarsi da sola verso il primo grande passo della sua vita al quale ne sarebbero seguiti altri ai quali avrebbe sempre assistito con uguale commozione ed orgoglio.

Avrebbe voluto vederla sporcarsi di quel gelato al cioccolato di cui andava tanto ghiotta quando era incinta e che piaceva tanto al suo papà, avrebbe voluto vederla correre verso la porta del loft ed abbracciarla quando la sera rientrava dal distretto e lei l’avrebbe presa in braccio e riempita di baci. 

Pensò che non l’avrebbe mai consolata dopo una caduta, incoraggiata a raggiungere i suoi obiettivi, ascoltata quando voleva confidarle le sue paure o condividere le sue gioie, e non l’avrebbe nemmeno mai sgridata e non avrebbero mai litigato come tutti i genitori prima o poi fanno con i propri figli e le sarebbe mancato anche quello, per capire cosa di prova a stare dall’altra parte.

Pensò, soprattutto, che non avrebbe mai sentito le sue prime parole e la sua voce chiamarla mamma. E magari Rick si sarebbe rifatto una vita e lei avrebbe chiamato mamma un’altra donna, sarebbe stata felice con lei e amata vivendo in una vera famiglia. Lo doveva sperare per Castle ed anche per Lily ma allo stesso tempo solo a pensarci le sembrava che le stessero portando via una parte di sé, quella famiglia che aveva avuto per così poco tempo.

Pensò poi che tutto sommato era stata anche fortunata. Aveva incontrato l’amore della sua vita, anche se ci aveva messo tanto, troppo, ad accorgersene e quante persone posso dire lo stesso? Quanti hanno la fortuna di incontrare realmente la persona che le completa, che sono tutto quello di cui si ha bisogno e che hanno bisogno di tutto di te? Quanti vivono quel travolgente sentimento che avevano vissuto lei e Castle? Aveva vissuto anni con lui pieni di tutto, e lui era il suo amore, il suo migliore amico, il suo partner nella vita e nel lavoro, il padre di sua figlia e la persona che l’aveva resa immensamente felice ogni giorno che avevano trascorso insieme.

 

Fu il rumore dei passi che si avvicinavano alla porta ad allontanare quei pensieri dalla sua mente e a farla concentrare sul presente. Entrarono in tre e due si posizionarono ai suoi fianchi come la volta precedente e quello che aveva imparato a riconoscere come Campos davanti a lei. La luce le ferì gli occhi troppo abituati all’oscurità come una lama. 

- Come va Jefa? Riposato bene?

Kate come il giorno precedente non rispose alle provocazioni di Campos lo guardava con l’espressione più neutra che riusciva ad avere, cercando di nascondere il dolore fisico e mentale e la necessità di bere che diventava sempre più incombente.

- Hai avuto modo di pensare? Ti sei chiesta come ho fatto a prenderti? Ero sicuro che saresti venuta a prendere tua figlia, te l’ho detto, ti conosco. Non volevo renderti le cose troppo facili, se no avresti pensato che fosse una trappola, però nemmeno troppo difficili, altrimenti non saresti mai venuta da sola, avresti chiamato quei due idioti dei tuoi tirapiedi. Nelle tue mappe, però, non c’era l’ultima ristrutturazione, una stanza sotto il garage completamente schermata. I miei uomini hanno aspettato lì e poi ti hanno presa. Peccato solo che hanno aspettato un po’ troppo o tu sei stata troppo brava, altrimenti adesso ti avrei avuto qui, con tua figlia. E credimi, sarebbe stato molto più bello vedere le tue reazioni… Ma posso accontentarmi, ho solo dovuto cambiare un po’ i miei piani…

- Sei solo un sadico Campos! - Urlò infine Beckett inorridita dalle sue parole e da quella sua idea. La sua voce uscì roca per la gola troppo secca seguita da un paio di colpi di tosse che le provocarono ancora più dolore al costato.

- Cosa succede Jefa? Hai forse sete? Diego! - Urlò poi rivolto verso la porta - Siamo stati così scortesi da non offrire nulla alla nostra ospite? Dovremmo provvedere.

L’uomo si fece avanti e rovesciò un secchio d’acqua gelata con violenza sul viso. Kate cercò di catturare qualche goccia d’acqua che le ricadeva sulle labbra: le diedero un sollievo per qualche istante, salvo poi far aumentare la sua necessità di acqua. Campos osservava come miseramente andasse alla ricerca delle piccole quantità d’acqua che scendevano sul suo volto sorridendo compiaciuto delle sue privazioni. 

- Dissetata Beckett? 

Kate non gli rispose lo guardava con la testa bassa alzando solo gli occhi. Cominciò subito a sentire aumentare la sensazione di freddo ora che era anche tutta bagnata.

- Ho ucciso, torturato, violentato e mi ha dato piacere e potere. Non arrivi dove sono io se non sei così, se non provi piacere nell’essere quello che sei. Sono un sadico dici? È vero, ma ero un niño de cinco años quando la polizia nel mio paese ha ucciso davanti a me mio padre e mia madre. Dici che è solo colpa mia? No, io sono diventato così perché sono quelli come te che mi hanno forgiato. Sono un prodotto del tuo sistema, di quel sistema che difendi tanto.

- Cosa vuoi da me? Vuoi uccidermi? Fallo, fallo tu. Fammi essere la numero 43 della tua lista. - Lo sfidò Beckett

- No, Jefa… Non così… non togliermi la soddisfazione. Io voglio che sia tu ad arrivare ad implorarmi di ucciderti. 

- Non accadrà

- Non esserne così sicura Jefa… Ho i miei metodi… E poi magari alla fine chissà, potrei anche non ucciderti… Potrebbe esserci anche qualcosa peggio della morte… Devo pensarci…

 

Kate non si era accorta che gli uomini che erano ai suoi fianchi non c’erano più fino a quando non li vide riapparire e attendere un cenno da Campos che arrivò puntuale: sentì due mani stringere con forza il suo braccio e cercare di stenderlo, nonostante le corde. Provò un forte dolore ai muscoli costretti da troppo tempo nella stessa posizione, come se le bruciassero dall’interno. Sentì un’ago bucarle la pelle, si irrigidì, provò inutilmente a divincolarsi, intuendo solamente quello che le stava accadendo. Sentì a malapena le parole di Campos  “Non ti agitare, ora passa tutto” prima che si sentisse euforica per qualche istante e subito dopo la invase un senso di benessere. Non aveva più freddo nè sete, non sentiva più dolore nè al torace nè quello delle braccia che non erano più pesanti ma leggere, non aveva più paura. Non c’era più un pensiero negativo nella sua mente, non c’era sofferenza, nulla, si sentiva come sospesa, distaccata dal suo stesso corpo e in pace.

Durò solo pochi minuti, poi la bocca cominciò a tornare secca ed il non avere freddo si trasformò in vero e proprio caldo, sentiva la pelle bruciare e le gambe pesanti come se fossero piombo. Era però sempre rilassata, sapeva dov’era e cosa le stava succedendo ma non era più un problema, niente era un problema, niente la preoccupava: respirava lentamente sempre più lentamente ed il cuore che prima batteva veloce ora aveva una frequenza molto più bassa. Era calma. Sentì Campos ridere mentre le scattava delle foto e le venne istintivo ridere anche a lei, non sapendo nemmeno perché.

La lasciarono di nuovo sola, in quello stato di calma apparente, di finta rilassatezza. Aveva l’illusione di stare bene, ed ogni cosa che appariva nella sua mente la classificava come positiva. Non aveva problemi nemmeno in quello stato. Fu vinta dalla sonnolenza e dormì addormentandosi e svegliandosi più volte ed ogni volta che si risvegliava. La cognizione del tempo già labile era sparita del tutto. Potevano essere passati minuti ore o giorni, non se ne sarebbe accorta. Le sembrava che era passato solo qualche minuto da quando Campos era lì, ed erano già delle ore. 

La sensazione di benessere e calma sparì progressivamente, lasciando man mano che riprendeva coscienza di se, uno strascico fisico e psichico devastante. Si sentiva totalmente inerme, non riusciva a pensare a nulla e tutti i dolori del suo fisico provato tornarono prepotentemente a bussare alla sua testa ed invaderla. Le girava la testa ed aveva la nausea, aveva conati di vomito che le provocavano solo maggior dolore al costato e all’esofago. Avrebbe voluto urlare, gridare, piangere ma cercò di trattenersi di lasciarsi tutto dentro. Era ancora bagnata ed il caldo era scomparso lasciando il posto solo a brividi di freddo che la facevano tramare forte.

Ma non era solo il freddo a farla tremare.

Era la paura. Era il terrore di quello che le stava accadendo. Capì le parole di Campos in quel momento e ne ebbe veramente paura, per quello che poteva diventare, per quello che poteva chiedergli, per quello che poteva farle.

 

Campos ed i suoi uomini rientrarono quando era già buio, quando Kate era in preda al panico e scattava per ogni rumore. Le faceva male la testa insieme a tutto il resto. L’uomo le si avvicinò con un bicchiere colmo d’acqua che le avvicinò alla bocca. Kate bevve avidamente lasciando che una parte del liquido le colasse ai lati della bocca e scendesse sul collo. Bevve senza pensare a cosa fosse, poteva anche essere veleno, ma il suo fisico aveva talmente ne bisogno che non pensò a nulla, solo a bere. E sentire quel liquido che scendeva dalla sua bocca e attraversava la gola le sembrava la maggior fonte di ristoro mai avuta, come se per qualche istante l’incendio che la attraversava si spegnesse. Solo alla fine si accorse del sapore dolciastro che le era rimasto in bocca e Campos rise del suo sguardo preoccupato.

- Non ti preoccupare Jefa, è solo zucchero! Non voglio che tu muoia di stenti, mi toglieresti tutto il divertimento! Sei stata bene in queste ore? Erano passati tutti i tuoi dolori, vero? Non sentivi più niente, eri rilassata, senza pensieri, non è vero? Non è bellissimo? Ora capisci perché così tanta gente vuole farsi? Perché sta bene per un po’ e dimentica tutto, tutti i suoi problemi… Non è bellissimo?

Campos rise ancora mentre Kate riprese a tremare.

- Cosa c’è Beckett? Hai freddo? È paura? O voglia di averne ancora? Ti accontento Jefa… 

Kate sentì di nuovo la stretta sul suo braccio, l’ago che entrava, il flash che si impossessava della sua mente. I pensieri che svanivano insieme al dolore e alla paura. E tutto ricominciava da capo.

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Capitolo 26
*** VENTISEI ***


- Ecco il tuo mandato Castle, ora togliti e facci fare il nostro lavoro. - Era mattina presto quando Sorenson appena Castle aprì la porta gli buttò contro un foglio di carta che Rick lesse velocemente prima che la sua attenzione fosse catturata da uno degli agenti che stava entrando nella sua stanza.

- Ehy fermati! 

- Signor Castle le ricordo che abbiamo un mandato per tutta la sua casa. - L’uomo stava aprendo la porta ma la mano di Castle bloccò il suo polso stringendolo con decisione.

- Mia figlia è lì dentro e sta dormendo. Io la vado a prendere e non entra nessuno fino a quando non esco.

- Temo che questo non sarà possibile Castle - Intervenne Sorenson

- Oh questo non solo sarà possibile, ma andrà proprio così. Altrimenti se per caso mia figlia dovesse essere in qualche modo traumatizzata dalla cosa stanne certo Sorenson, la tua faccia ed il tuo nome sarà su tutta la stampa nazionale, su ogni sito internet associata a quello che irrompe nella stanza di una neonata appena rapita senza alcun rispetto. Se qualcuno entra io ti rovino Sorenson ed ho tutti i mezzi ed i modi per farlo.

- Mi minacci scrittore?

- No, ti espongo lo scenario futuro che ti aspetta. - Replicò Castle guardandolo con disprezzo. Sorenson fece un cenno al suo agente che si spostò dalla porta di camera, andando a controllare l’altro ambiente.

- Cinque minuti Castle, non di più - Lo ammonì Sorenson

- Ci metterò il tempo necessario perché mia figlia si svegli normalmente. Fattelo andare bene.

 

Castle uscì dalla camera con Lily in braccio, impiegandoci molto di più dei cinque minuti che Sorenson gli aveva concesso, senza che però l’agente gli dicesse nulla. Fuori ad aspettarlo ora c’erano anche Martha, Alexis e Dustin loro sì, svegliati non nel più cortese dei modi.

- Richard cosa sta succedendo? Questi signori sono piombati nelle nostre camere e ci hanno fatto uscire senza avere il minimo riguardo nei nostri confronti.

Rick guardò ancora una volta Sorenson con odio, mentre l’agente lo ricambiava con uno sguardo soddisfatto appoggiato al muro vicino all’ingresso con le braccia incrociate al petto. Dopo che ebbero finito di controllare la parte del soggiorno, furono obbligati a rimanere lì fino alla fine della perquisizione di tutti gli altri ambienti, ma Rick dopo poco si alzò con Lily in braccio e Sorenson gli andò incontro con l’intento di fermarlo.

- Scrittore allora proprio non capisci quello che ti viene detto e continui a fare come ti pare.

- Mia figlia deve mangiare ed io ora le preparo il latte, che tu lo voglia o no. Poi se vuoi impedire ad una bambina di quattro mesi di mangiare perché tu devi fare la tua perquisizione sarà una tua responsabilità quello che ne consegue.

Ancora una volta l’agente si fece da parte e Castle poté preparare il latte a Lily e poi tornare a sedersi con la sua famiglia per farla mangiare. Martha si mise vicino al figlio passandogli un braccio sulle spalle, sentendo quanto fosse nervoso e teso per quella situazione. Avrebbe voluto fare di più per il suo ragazzo, ma in quella situazione non sapeva veramente cosa fare. Lo vedeva sempre più arrabbiato, soprattutto dopo che anche Esposito e Ryan lo avevano tradito, come diceva lui. Si sentiva solo a combattere quella battaglia senza alcun mezzo per ritrovare Kate e allo stesso tempo dover dimostrare la sua innocenza ed il non poter far nulla tramutava la sua frustrazione in rabbia che solo Lily sembrava riuscire a tenere a bada. Non si sarebbe arreso, glielo aveva detto e ripetuto a Martha più volte.

 

 Castle aveva contattato Vikram la sera prima, superando la sua diffidenza per il ragazzo e ci aveva parlato a lungo insieme ad un investigatore privato, Chris Moore, che conosceva da anni che era stato un suo consulente per molto tempo per i suoi libri. Si erano fatti ripetere più volte tutto quello che avevano fatto nei giorni precedenti al blitz solitario di Kate, Vikram gli aveva consegnato una pen drive con tutti dati raccolti, le registrazione video che avevano fatto, le telefonate ricevute da Kate. Rick ascoltò varie volte quelle conversazioni tra sua moglie e Campos e sentire la voce di Kate gli faceva aumentare l’ansia ed i sensi di colpa per quello che aveva detto. Il suo ottimismo vacillò più volte temendo che non avrebbe potuto sentirla ancora, che non si sarebbe potuto scusare, che non le avrebbe potuto dire che la amava.

 

Il loft era ormai tutto sottosopra quando Sorenson andò di nuovo da Rick che insieme agli altri faceva giocare Lily attratta dai giochi che Dustin faceva volteggiare sopra di lei, mentre era adagiata sulle ginocchia di suo padre che con le sue mani grandi la proteggeva dai suoi continui tentativi di rotolare da una parte all’altra.

- Dobbiamo andare a controllare le tue auto Castle, vieni con noi?

- Andate pure. Occhio solo alla Ferrari, non credo che se me la danneggi l’FBI sarà felice di vedere addebitati nel tuo conto spese i costi per riparare i danni.

Rick si guardò con Alexis e sorrise. L’idea che aveva avuto sua figlia la sera prima era stata semplice e geniale. Dustin aveva noleggiato un’auto per i loro spostamenti durante il periodo che sarebbero rimasti a New York non sapendo quanto sarebbe stato lungo e la figlia di Castle aveva proposto di mette lì il cellulare e le chiavi dell’appartamento di Kate che erano le cose che Sorenson stava cercando. Non avrebbe mai potuto avere un mandato di perquisizione per quell’auto. Così, prima di andare a dormire, aveva portato lì le due cose. Vikram aveva installato un software sul suo computer portatile che avrebbe ricevuto le telefonate fatte su quel dispositivo ed avrebbe potuto rispondere da lì, in caso si fossero messi in contatto con lui. Rick si sentì più tranquillo e aveva dormito tutta la notte con il portatile sul comodino, cancellando poi come gli aveva fatto vedere Vikram, ogni traccia di quel software, quando era rimasto in camera con Lily appena arrivato Sorenson.

Will tornò dal garage con i suoi uomini ancora più irritato di quando era sceso.

- Ricerca infruttuosa Sorenson - Gli disse Rick con un sorriso beffardo

- Otterrò un mandato anche per l’appartamento di Kate, con o senza le chiavi, Castle.

- Non devi dirlo a me, ma al suo avvocato.

Gli agenti se ne andarono e solo in quel momento Rick potè guardarsi intorno per vedere quello che avevano combinato nel loft. Lasciò Lily ad Alexis ed entrò nel suo studio, dove cominciò nervosamente a raccogliere i fogli rovesciati a terra dai cassetti tolti dalla scrivania e i tanti libri rimossi dalla libreria e ammucchiati qua e là. Cercò nervosamente la lettera di Kate che gli aveva dato Alexis ma non riusciva a trovarla. Prese tutti i fogli che aveva ammucchiato e li guardò di nuovo con ansia senza risultati. 

- Stai cercando questa? - Gli disse Martha porgendogli un foglio che aveva raccolto da sotto la sedia davanti alla scrivania. Rick la guardò ed annuì. - Devi rilassarti Richard, sei troppo nervoso figlio mio, non risolverai nulla così.

- Guarda cosa hanno fatto? È tutto un caos! - Si lamentò Castle.

- Metteremo in ordine pian piano, Richard, non devi fare tutto subito.

Rick diede retta a sua madre ed andò nella sua camera e lì il caos era ancora maggiore. Cominciò pazientemente a mettere tutti i vestiti sparsi a terra nella cabina armadio i suoi e quelli di Kate, appendendoli pazientemente uno dopo l’altro. Sistemò i cassetti dividendo tutti gli indumenti intimi che erano ammucchiati in un angolo e non potè evitare di pensare più di una volta a quando sua moglie li aveva indossati e lui glieli aveva tolti. Poi preso dalla rabbia tirò di nuovo tutto fuori, prese una busta e mise tutto dentro. Uscì fuori dalla camera con la busta in mano e disse a sua madre di far lavare tutto. Non sopportava che gente estranea avesse messo le mani nelle loro cose. Fosse stato per lui, avesse seguito solo la sua rabbia e la sua impulsività avrebbe buttato via tutto. Cercò di calmarsi ancora, sistemando gli oggetti sul suo comodino e rimettendo i cassetti che erano appoggiati sul letto nella loro sede naturale. Lo stesso fece con quello di Kate, ma non riuscì ad evitare di soffermarsi sulle sue cose. Vide la scatola dove teneva i suoi ricordi più cari e l’aprì convinto di trovarla vuota ed invece era tutto al suo posto. C’era l’orologio di suo padre ed aprendo la scatola più piccola trovò anche la collanina con l’anello di sua madre. Rick era certo che l’avesse con se. Lo indossava sempre nei momenti di difficoltà ma la sorpresa più grande fu vedere che vicino a quello ne aveva messo un altro, quello che le aveva regalato per la nascita di Lily. L’ultima volta che l’aveva vista era sicuro che lo avesse, lo doveva aver lasciato quando era andata a casa e lui non c’era.

Smise di sistemare e prese la collana tra le mani, stringendola nel pugno. Si chiese cosa avesse voluto dire. Perché aveva lasciato quell’anello, pensava che dopo quanto le aveva detto se proprio avesse voluto avrebbe lasciato lì la sua fede o il loro anello di fidanzamento, invece no, Kate aveva lasciato quello ed era uno dei tanti misteri di Beckett che non avrebbe mai capito. Quando sentì il suo cellulare vibrare in tasca, rimise tutto velocemente a posto e rispose. Era Jim, lo voleva avvisare che Sorenson aveva ottenuto il mandato per l’appartamento di Kate. Rick non se lo fece ripetere ed uscì per andare anche lui lì.

 

L’appartamento di Kate era ancora quasi vuoto. Lo stavano risistemando, ma senza fretta, in fondo a loro bastava poco quando si volevano rifugiare lì. Rick aveva insistito come prima cosa di fare quei lavori ai quali teneva particolarmente, così avevano fatto isolare acusticamente le pareti e cambiare i pavimenti. In più le aveva fatto trovare una sera che si erano concessi solo per loro un letto nuovo, molto più grande del precedente. Avevano battibeccato un po’ per la reale utilità di quel letto che occupava quasi tutta la stanza, con Kate che sosteneva fosse inutile, visto che dormivano quasi sempre abbracciati e Rick che insisteva dicendo che non aveva pensato al dormire quando lo aveva visto, ma ad altre attività più piacevoli che richiedevano un’ampia superficie per poter sperimentare molte più cose e finirono col cominciare a farlo proprio quella sera e Kate non si lamentò più del suo acquisto. Quei ricordi riuscivano a strappare a Castle un sorriso ed un pezzo di cuore allo stesso tempo. Quando arrivò sul pianerottolo, vide la porta divelta e si precipitò dentro. Sapeva che Sorenson non avrebbe trovato nulla, perché per sicurezza aveva mandato Jim la sera prima a prendere tutto quello che riteneva compromettente in qualsiasi modo e conservandolo nella cassaforte del suo studio. 

C’erano solo due agenti uno stava controllando il divano togliendo tutti i cuscini, mentre l’altro frugava tra i pensili della cucina. Avessero conosciuto Kate, avrebbero saputo che la sua cucina è sempre miseramente vuota. Sembrarono quasi non accorgersi di lui che si diresse verso la camera da letto e fu lì che vide Sorenson, in piedi davanti al letto sfatto solo per metà con la maglia di Kate in mano e la testa piegata su questa. Rick lo fissò per alcuni istanti, per lui era tutto già chiaro da tempo.

- Non l’hai persa per causa mia Will, ma solo per colpa tua.

Sorenson sobbalzò come se si fosse ridestato in quel momento dai suoi pensieri e da ricordi lontani. Lasciò cadere la maglia di Kate sul letto e Rick la riconobbe subito come una delle sue.

- Ha sempre le stesse abitudini, prendere le magliette altrui per dormire. - Disse l’agente a Castle voltandosi verso di lui.

- Kate può prendere tutto quello che vuole - Gli rispose Rick con un sospiro. Non si riferiva agli indumenti.

- Avevo ragione io, vero? Tu eri innamorato già da allora, ammettilo scrittore.

- Così come tu lo sei ancora adesso, non è vero? Perché Beckett non si dimentica, ti capisco.

Non si risposero alle rispettive domande, non ne avevano bisogno, sapevano che la risposta era affermativa per entrambi.

- Sai Sorenson ti devo ringraziare. Non fosse stato per quell’invito al tuo matrimonio, forse quel giorno non avrei sposato Kate, ma la tristezza che ho visto nei suoi occhi quando mi ha detto che non era pronta per vedere il giorno più bello di qualcun altro dopo quello che ci era accaduto, mi ha aiutato a capire che non era necessario aspettare oltre. Ci siamo sposati quella sera stessa. Il nostro giorno più bello, fino quando è nata nostra figlia.

- Cosa mi vuoi dire scrittore?

- Niente. Non ho nulla da dirti. Ma vedi Sorenson, tutto quello che tu stai facendo contro di me, contro Kate, non ti farà raggiungere nessuno scopo. Io troverò mia moglie, perché Kate è mia moglie, non te lo dimenticare mai, e tutte le tue accuse, tutte le tue insinuazioni dovrai rimangiartele e non sarà piacevole, te lo assicuro.

Sorenson fece poi allontanare Rick che rimase a guardare nel pianerottolo fino a quando non misero dei sigilli e se ne andarono, quindi tornò al loft. 

Arrivato a casa trovò una visita inaspettata. Victoria Gates era seduta sulla poltrona nel suo soggiorno e teneva sulle sue gambe sua figlia che sembrava del tutto a suo agio. Sorrise per un attimo vedendo la scena, soprattutto ripensando alla fama che aveva appena arrivata al dodicesimo. Davanti a lei sua madre e sul tavolo avevano due tazze di caffè. Martha era stata un’ottima padrona di casa, come sempre.

- Signor Castle! - Lo salutò vedendolo

- Capitano Gates… - Disse Rick sedendosi sul divano non distante da lei e prendendo Lily che come al solito era voluta andare tra le braccia del padre.

- È sempre più bella - disse la donna mentre gliela lasciava - e sempre più uguale a sua madre.

- Sì, è proprio una mini Beckett - sorrise Castle osservando sua figlia che sorrideva a sua volta. - Come mai qui Capitano?

- Ho saputo degli sviluppi del caso.

- Se è qui per accusare Kate, non è una cosa che voglio sentire - La ammonì Rick mettendosi sulla difensiva

- No, signor Castle. Non voglio accurare di nulla il Capitano Beckett. 

- Non crede a quello che dicono tutti? 

- Io devo credere alle prove, e le prove non sono favorevoli per Beckett. So che avrebbe fatto di tutto per riportare a casa sua figlia, ma so anche che persona è e quali sono i suoi principi. 

- Che vuol dire questo Capitano? 

- Che spero che riusciate a trovare delle prove per scagionare Beckett. E soprattutto che troviate lei.

- Non sono in molti ormai a credere a Kate.

- Signor Castle, lei ha sempre creduto a Beckett e non si è mai arreso, nemmeno nelle situazioni più delicate. Non lo farà adesso solo perché è solo?

- No, Capitano, quello mai.

- Sono sicura che troverà quello che le serve e che troverà sua moglie. E stia sicuro, quando questo accadrà, avrà tutto il mio appoggio e la mia collaborazione per far tornare questa storia nei giusti binari.

 

La visita inaspettata della Gates gli diede un po’ di conforto e speranza. Si sentì meno solo, anche se sapeva che materialmente lei non poteva aiutarlo. Passò il resto della giornata rifugiandosi lui tra le piccole braccia di sua figlia che era l’unica cosa che gli dava conforto. 

 

 

La mattina dopo Rick si era svegliato sempre di pessimo umore e come al solito l’unica cosa che aveva avuto modo di tirarlo sù erano stati i sorrisi si Lily appena sveglia vicino a lui. Ormai non ci provava nemmeno più a metterla nella culla, la voleva sempre vicino a sé, soprattutto la sera, perché quella metà di letto vuoto lo uccideva ogni volta che lo guardava. L’aveva come tutte le mattine vestita con quelle tutine che lui amava tanto e Kate molto meno, poi l’aveva lasciata alle cure di Alexis mentre anche lui era andato a farsi una doccia. Quando tornò in cucina vide Lily in braccio a Dustin ed Alexis che giocava insieme a lei. Li osservò pensando che in fondo erano una bella coppia anche loro e si immaginò che se le cose fossero diventate serie, tra qualche anno avrebbe potuto vedere un’altra scena dello stesso tipo ma non con sua figlia in braccio. Scosse la testa non si sentiva proprio ancora pronto per calarsi nei panni di un nonno, solo l’idea lo faceva sentire tremendamente vecchio e si disse che in fondo non lo era ancora, con più di una punta di narcisismo si disse, guardando le sue figlie, che era solo uno splendido papà e contava di rimanerci ancora per un bel po’, quindi si schiarì la voce per annunciarsi.

- Caffè papà? - Chiese Alexis che non attese una risposta ma gli mise davanti la sua tazza che Rick assaporò subito lasciandosi rigenerare dalla calda bevanda. Dustin, poi, un po’ imbarazzato ancora nel confrontarsi con il padre della sua ragazza, soprattutto in una situazione così delicata, gli porse Lily che appena visto il papà sgambettava per andare da lui che la prese con il braccio libero e aspettò che si accomodasse come di consueto con la testa sulla sua spalla e Rick sorrise tra sé e sé pensando che anche in quello era uguale a sua madre.

Non aveva ancora finito di bere il suo caffè che il suo cellulare squillò.

- Castle!

- Ciao, sono Lanie… Ho i risultati dell’autopsia e del tossicologico che ho fatto sui due rapitori, me li hanno appena portati.

- Ciao, Lanie, dimmi - Le rispose ansioso.

- I colpi di pistola li hanno uccisi, ma sarebbero morti ugualmente. Ho trovato tracce di una neurotossina con la quale erano stati avvelenati più o meno un paio d’ore prima dell’ora del decesso. Quando sono stati uccisi erano coscienti ma impossibilitati a muoversi o parlare, questa li avrebbe condotti presto alla morte. Chiunque li abbia avvelenati voleva che fossero lì inermi e che poi fossero uccisi.

- Non è una coincidenza Lanie! Hanno voluto far credere che fosse stata Kate. L’hanno incastrata! - Esclamò Rick

- Lo credo anche io. Vado a portare i risultati ai ragazzi.

- Ci vediamo al distretto.

 

Rick lasciò di nuovo Lily ad Alexis ed uscì di corsa da casa, fermando con foga il primo taxi che passava facendosi portare al dodicesimo ed appena salito chiamò Jim, Henry il suo avvocato e l’investigatore privato Moore per avvisarli della novità e dirgli di raggiungerlo al distretto. Sapeva che Lanie avrebbe trovato qualcosa, aveva fatto bene a non fidarsi degli esami svolti dall’FBI. Adesso avrebbe sbattuto quei risultati in faccia a Sorenson ed anche a Ryan ed Esposito.

Arrivò al distretto chiedendo di Lanie, lei doveva essere già lì, ma Javier e Kevin gli dissero che gli avevano appena portato un cadavere di un omicidio che avevano appena scoperto i detective Franklin e Huges. I due gli chiesero perché fosse lì e Castle rispose in modo evasivo che c’erano novità che riguardavano Kate, ma avrebbe aspettato Lanie: loro volevano le prove, lui gliele avrebbe date. Senza dire niente nè chiedere permesso entrò nell’ufficio di Kate chiudendosi la porta alle spalle.

Prese la targa di Kate tra le mani, pensò se quel ruolo fosse veramente maledetto per loro. Sembrava che da quando Beckett fosse diventata capitano la sorte si era accanita contro di loro. Guardò la sua sedia vuota e pensava che nonostante tutto quel posto lei se lo fosse veramente meritato sul campo, per tutto quello che aveva fatto. Era orgoglioso di lei, glielo aveva detto abbastanza volte? Gli sembrava di non avergli detto mai abbastanza di nulla.

Sentì un telefono suonare e non capì immediatamente cosa fosse. Poi si rese conto che era il telefono con cui Campos si teneva in contatto con Kate e rispose fin troppo agitato.

 

- Señor Caste?

- Campos! Dov’è mia moglie? Ti darò tutto quello che vuoi ma lasciala andare!

- Io ho già tutto quello che voglio. È qui, davanti a me, legata ad una sedia e tra poco la ucciderò. Però, dato che anche io ho un cuore, volevo che vi salutaste un’ultima volta.

Ci fu un attimo di silenzio in cui Rick smise anche di respirare e forse anche il suo cuore smise di battere per qualche istante, perché non lo sentiva più.

- Rick… - la voce affaticata di Kate gli arrivò dritta al cuore e gli fece male

- Kate, amore mio… - Castle non riuscì a nascondere la voce incrinata e piena di paura.

- Castle, amore, non piangere ti prego. Ti amo, Babe, ti ho sempre amato. Sempre. - Kate aveva chiaramente riconosciuto lo stato d’animo di Rick anche da quelle poche parole

- Ti amo Kate. Ti amerò sempre. - Ormai non provava nemmeno più a trattenere il pianto.

- Rick, sarai un ottimo papà per Lily, lo so. Ti amo, non dimenticarlo mai.

Castle stava per risponderle ma dal telefono sentì solo svariati colpi di arma da fuoco. Poi il silenzio. Ed il telefono gli cadde dalle mani finendo sul pavimento.

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Capitolo 27
*** VENTISETTE ***


Castle non aveva sentito Esposito e Ryan che erano entrati nell’ufficio di Beckett. Era fermo, immobile, in piedi davanti alla scrivania con gli occhi fissi sulla targa con il nome di lei e la mano che teneva il cellulare ancora semiaperta. Nella mente risuonavano quegli spari e la voce di Kate. Lo aveva rassicurato, lei a lui, aveva usato i suoi ultimi istanti per dirgli di non piangere e che sarebbe stato un buon papà. 

- Castle, cosa succede? - chiese Esposito perentorio.

Rick si voltò a guardarlo senza dire nulla. Non aveva ancora realizzato del tutto quello che aveva sentito. Non sapeva cosa dire.

- Allora Castle? Si può sapere cosa c’è? - lo incalzò ancora l’ispanico

- Kate… - mormorò appena

- L’hai sentita? Ci hai parlato? Dov’è? - disse Javier

- Le hai detto di costituirsi? - concluse Ryan

Rick era totalmente attonito e non riusciva a dire nulla. Vikram entrò nella stanza all’improvviso con ancora le cuffie in testa. Guardò Castle con gli occhi sbarrati e lucidi e solo in quel momento Rick sembrò processare quello che aveva sentito e sentì il suo corpo riempirsi di rabbia e dolore con il respiro che si fece immediatamente più veloce e la mascella serrata con i denti si consumavano strusciando gli uni sugli altri.

Castle uscì dall’ufficio di Beckett come una furia, spintonando Ryan e Vikram fece appena in tempo a spostarsi prima che la sua mole lo travolgesse. Spalancò la porta della stanza dove ancora erano Sorenson ed i suoi uomini così forte che la porta sbatté contro il muro per poi richiudersi. 

- Castle, ma cosa diavolo fai qui? - Gli urlò Sorenson mentre si alza dalla sua postazione andandogli incontro bellicoso. Rick allo stesso modo avanzava fissandolo, ignorando le sue parole. - Allora si può sapere ancora cosa diavolo vuoi? 

Ma quando l’agente FBI fu abbastanza vicino, Castle gli sferrò un pugno in pieno volto che lo fece barcollare all’indietro fino a quando non si fermò sul grande tavolo che usavano per le riunioni. Rick gli si avventò sopra prendendolo per il bavero della giacca, stringendolo con forza e facendogli sbattere la schiena sul piano. 

- È colpa tua Sorenson! È solo colpa tua! Tua e di tutti quelli che sono qui! - Gli urlava a pochi centimetri dalla sua faccia vedendo il sangue scendere dal suo naso. - Non avete fatto niente per lei! È morta per colpa vostra!

Castle sentì qualcuno afferrare da dietro le sue braccia e tirarlo via con forza, lasciò la presa su Sorenson, come se la scarica di adrenalina fosse finita e si sentiva svuotato. 

Esposito e Ryan lo trascinarono fino al muro vicino alla porta della stanza e lo misero con le spalle appoggiate tenendolo con le mani sul petto, per paura che potesse avventarsi di nuovo su Sorenson, ma Rick era come un sacco vuoto in quel momento, sentì le gambe deboli e scivolò lungo la parete fino ad accasciarsi a terra dove si lasciò andare ad un pianto disperato.

Tutti si fermarono a guardarlo, anche Sorenson che si tamponava il naso con un asciugamano: non c’era più davanti a loro lo scrittore famoso, quell’uomo grande e grosso che sembrava voler sempre proteggere tutti quelli che amava, sembrava un bambino con le ginocchia raccolte al petto e la testa appoggiata sopra che non aveva pudore nel piangere stremato, con i singhiozzi che sembravano tagliargli il respiro.

Ryan si portò le mani tra i capelli, mentre Esposito si coprì il viso e Vikram in uno scatto di rabbia gettò le cuffie a terra. Nel distretto, su tutto il piano era calato un silenzio irreale. Nessuno aveva il coraggio di parlare nè di fare niente: sembravano statue di un presepe doloroso immobili nelle loro attività quotidiane. Qualcuno aveva gli occhi lucidi e c’era chi non riuscì a trattenere le lacrime. Non c’era lì dentro qualcuno che non amasse Beckett, non era solo il loro capitano, era una di loro, l’avevano sempre vista così e non era cambiato nulla con il cambio di ruolo, lei era quella di sempre, quella che aveva un sorriso ed una parola per tutti, in ogni occasione. Nel silenzio totale l’unica cosa che tutti sentivano era il pianto di Castle che si trovò solo perché nessuno aveva il coraggio di dirgli nulla, nè di avvicinarsi a lui, per pudore o paura di quel dolore così assoluto.

Fu Vikram a spiegare quello che era accaduto, la telefonata che aveva registrato sul suo computer ed aveva ascoltato contemporaneamente a Castle, le minacce di Campos ed infine gli spari. Poi nulla.

Il campanello dell’ascensore che arrivava al piano attirò l’attenzione di tutti gli agenti che si voltarono a guardare chi fosse che aveva osato interrompere quel silenzio. Ne uscì Lanie con il suo solito sorriso, il passo svelto ed un fascicolo sottobraccio con i risultati dell’autopsia che aveva anticipato a Castle per telefono. Era felice perché finalmente aveva qualcosa per aiutare la sua amica. Lo aveva detto anche a Javier la sera prima, Kate era innocente al diavolo le prove che loro avevano. Era Kate, non poteva essere altrimenti e lei avrebbe trovato qualcosa per dimostrarlo e lo aveva fatto. Focalizzando l’attenzione sulla fine della stanza, non si accorse della strana aria che c’era lì, fino a quando non vide le scrivanie di Javier e Kevin vuote. Si voltò allora a cercare le prime persone che le potessero dare una risposta e vide Franklin e Huges con gli occhi lucidi.

- Ragazzi che succede? Avete una faccia che pare che è morto qualcuno! - Esclamò Lanie. I due non risposero, abbassarono per un attimo lo sguardo sospirando. Poi Franklin guardò la dottoressa e si fece coraggio

- Il Capitano Beckett… Lei è…

- No! - Gridò Lanie stringendo con forza il fascicolo tra le mani mentre il giovane detective annuiva tristemente.

La voce di Lanie arrivò fino alla stanza dove erano tutti in silenzio intorno a Castle che non accennava a calmarsi e Javier le si fece subito incontro. La faccia dell’uomo rigata dalle lacrime non lasciava spazio a fraintendimenti.

- No Javi! No! - Gridò ancora Lanie ed era l’unica lì che aveva il coraggio di parlare in quel momento. Esposito la strinse a se, soffocando le sue urla contro il suo petto, accarezzandole i capelli e cercando di calmare il suo pianto, ma fu lei, invece a far piangere di nuovo lui. 

- Castle? - Chiese lei staccandosi da Javier - Lo sa?

- Sì. È lui che… - il detective non ce la fece a continuare, Lanie chiuse gli occhi sospirando, mentre Esposito le fece strada fino alla stanza dove era ancora Rick, immobile nella stessa posizione. La dottoressa si mise in ginocchio vicino a lui, abbracciandolo, ma nemmeno questo lo fece smuovere ed appoggiò la testa contro la sua spalla. Lenie era forse l’unica ad aver da sempre saputo quanto era profondo e forte il legame che c’era tra Rick e Kate. Lo aveva capito quando erano in pochi ancora a scommettere su di loro, ma per lei era chiaro. Conosceva la sua amica e vedeva quella luce diversa nei suoi occhi quando c’era lui e riconosceva quell’energia che si creava quando loro erano nella stessa stanza. Non riuscì nemmeno ad immaginare quello che Castle stava passando in quel momento e nemmeno lei trovò il coraggio di dirgli nulla. Gli agenti dell’FBI stavano tornando al loro lavoro, mentre Sorenson ancora si teneva il naso dolorante per il pugno ricevuto.

Poi Rick di colpo sembrò ridestarsi, alzò la testa lasciando vedere il volto completamente bagnato dalle lacrime e gli occhi rossi. Lanie si allontanò da lui, rialzandosi in piedi. 

- Jim… Sta venendo qui… gliel’ho detto io… - disse calmo con un filo di voce

Improvvisamente il suo pensiero era quello. Jim. Doverlo dire a Jim. Si asciugò il viso con il dorso della mano e si alzò in piedi. Gli sembrò di barcollare, come se fosse sul ponte di una nave in mezzo alla tempesta.

Confrontarsi con il dolore altrui non era facile e furono solo un paio di detective che si avvicinarono a Castle senza dire nulla, dandogli solo una pacca sulla spalla, mentre avanzava incerto nel corridoio. 

- Castle, vuoi qualcosa? Vuoi andare nella sala relax? - Gli chiese Lanie ma Rick rifiutò e si sedette istintivamente vicino a quella che era stata la scrivania di Kate. Lo notarono tutti, ma nessuno commentò. 

- Ehy amico, vuoi che ci parliamo noi con il padre di Kate? - Gli chiese Ryan ma Rick scosse la testa. Doveva farlo lui.

- Cos’è questo? - Esposito sfogliò il fascicolo che aveva lasciato Lanie sulla sua scrivania

- I risultati dell’autopsia che mi ha chiesto di fare Castle.  Hector Yepes e Maria Asenjo erano stati avvelenati. Sarebbero morti comunque. - Rispose Lanie sospirando

- Una messa in scena - Ringhiò Javier

- Già… così sembra - concluse Lanie

- Basta! Non ha più senso adesso. - Sbottò Castle - Volevate le prove? Eccole. 

Sorenson uscì dalla stanza e chiese a Vikram, che era rimasto in un angolo lontano dagli altri, di portare ai suoi una copia della registrazione intanto che lui andava a farsi medicare.

 

Gli agenti dell’FBI insieme a Esposito, Ryan e Lanie ascoltarono più volte quella registrazione. Vikram spiegò ai colleghi come era impossibile tracciare quel telefono, che lui ci aveva già provato varie volte, facendo vedere tutti i tracciati che portavano sempre ad un punto morto, con cellule che rimbalzavano il segnale da un punto all’altro del paese. Un lavoro da veri professionisti, con una codifica che avrebbe richiesto settimane di lavoro per decifrarla.

Castle sentiva in lontananza quella registrazione ripetersi all’infinito, come le volte che aveva risentito le parole di Kate nella sua mente. Tutti ora stavano ascoltando le ultime parole che lui e sua moglie si erano scambiati, i loro ti amo ed i loro per sempre.  Si sentì privato anche di quel momento e di quel ricordo che ora era alla mercé di tutti analizzato e vivisezionato. Ora stavano tutti indagando, ora si davano da fare, ora che non aveva più importanza. Vide uno degli agenti dalla porta lasciata aperta andare alla lavagna cancellare quanto scritto in precedenza e considerare ora sì, Kate una vittima, la persona scomparsa.

Sorenson tornò con un grosso cerotto ed un tampone in una narice, rendendo per Rick, se era possibile, la sua voce ancora più fastidiosa.

- Castle, non abbiamo prove al momento che Beckett sia stata uccisa, per questo noi ora ci muoveremo come in un caso di rapimento.

- Ora Sorenson? Ci pensi ora che le hanno sparato? Ora che l’hanno uccisa? Cosa vuoi che mi importi di quello che fai ora? L’hai trattata come una criminale, hai messo a soqquadro la nostra casa, il suo appartamento, avete violato la nostra privacy, la nostra camera, avete messo le vostre mani sulle nostre cose, quelle che ci erano più care. Ed ora mi dici che vuoi indagare? Vattene Sorenson, non ti far più vedere da me o giuro che quello di prima era solo una carezza. 

A Rick stava montando di nuovo la rabbia e trovava Will la persona giusta sulla quale sfogarsi. Avrebbe voluto spaccargli la faccia, togliergli quel sorriso irriverente che troppe volte gli aveva mostrato.

- Non è centro picchiando me che risolvi qualcosa scrittore. Ma se pensi che ti farà stare meglio, che ti sentirai più uomo dopo, accomodati, picchiami. Ti assicuro, non ti denuncerò nemmeno per aggressione. Non vali nemmeno la perdita del mio tempo. 

Castle si era alzato precipitosamente facendo cadere anche la sedia per come l’aveva spostata con le gambe rapidamente. Si stava avventando su Sorenson quando il rumore delle porte dell’ascensore che si aprivano lo fece desistere: Jim Beckett, accompagnato dal suo avvocato e dall’investigatore Moore, percorse rapidamente il corridoio fino a lui guardandosi intorno in quel clima surreale.

- Richard! Cosa sta succedendo? - Chiese Jim preoccupato mentre Sorenson si allontanava lasciandoli soli. 

Rick cominciò a dirgli della telefonata ma prima che finì il padre di Kate si accorse della telefonata registrata che veniva dell’altra stanza. Castle fece silenzio e Jim potè sentire l’ultima parte: non c’era bisogno di aggiungere altro. Vide suo suocero diventare impassibile e sollevare gli occhi verso l’alto guardando su, oltre il soffitto di quella stanza e sospirò profondamente.

- Mi dispiace Jim, io… io avrei dovuto impedirle di fare qualsiasi cosa, io l’avrei dovuta tenere al sicuro, non doveva accaderle nulla, te l’avevo promesso…  mi dispiace Jim… mi dispiace…

- Non è colpa tua Richard. Non potevi fare nulla. Katie è così. 

- Io mi dovevo prendere cura di lei.

- Katie è con sua madre. È con Jo ora…

Jim si allontanò dirigendosi verso gli ascensori per andare via mentre Castle sentendo quelle parole ricominciò di nuovo a piangere ma si alzò e corse verso il padre di Kate.

- Non andartene Jim, non andartene da solo. Non adesso. Ti prego, vieni a casa con me. - Disse asciugandosi le lacrime

- Io… 

- Per favore Jim. Lo sai, anche Kate vorrebbe così.

 

Dal distretto al loft, le uniche parole pronunciate furono l’indirizzo di casa da Castle al tassista. Rick e Jim non avevano bisogno di parlare, non dovevano dirsi più nulla. Sapevano. Ognuno riconosceva il dolore dell’altro e lo rispettava. Jim aveva temuto quel momento da sempre, da quando Kate era entrata in polizia. Ogni notte temeva una chiamata dei suoi colleghi. L’aveva vista sprofondare nelle sabbie mobili dell’ossessione dell’omicidio di sua madre e poi venirne fuori per caderci di nuovo. Aveva sperato veramente che sarebbe stato diverso adesso con Castle, che il loro amore l’avrebbe convinta a prendere scelte diverse, ma questa volta la sua scelta riguardava qualcosa di più, qualcosa di ancora più forte ed importante. Riguardava sua figlia e Jim non riusciva nemmeno ad arrabbiarsi con lei per quanto era stata folle. I suoi sospiri si mescolavano con quelli di Rick e Jim si chiedeva quali fossero i suoi pensieri in quel momento, qual era il ricordo a cui stava pensando. Sapeva esattamente quello che provava: il dolore, la paura, il senso di smarrimento e di vuoto di quando di portano via più di una persona cara, ma la persona della tua vita. Gli appoggiò una mano sulla spalla e Rick si voltò verso di lui asciugandosi gli occhi con il dorso della mano, dove le lacrime stavano ricomparendo senza pudore.

Da fuori la porta sentirono le risate all’interno di Alexis, Dustin e Lily e a Castle comparve un timido sorriso, stava per aprire quando si voltò verso l’altro uomo.

- Jim, per favore, rimani qui al loft con noi. Abbiamo una stanza in più al piano di sopra. Sai anche per Lily sarebbe meglio averci tutti vicini.

- Te lo ha detto Katie, vero? - Rispose Jim provando a sorridere anche lui

- Cosa?

- Di non lasciarmi solo.

- Beh… lei si preoccupa molto per te, anche se magari non sempre lo dimostra come vorrebbe. Ne abbiamo parlato qualche volta… sai com’è…

- Entriamo Richard.

Le risate dei tre li invasero e Alexis rimase sorpresa nel vedere suo padre insieme a Jim ma si accorse subito che qualcosa non andava. I due uomini si avvicinarono a loro senza dire nulla, Jim prese in braccio Lily che era sdraiata sul tappeto e si mise seduto sul divano perdendosi negli occhi di sua nipote.

- Alexis puoi chiamare tua nonna e dirle di venire a casa? - La voce di Rick non riuscì a nascondere il suo stato d’animo e i suoi occhi troppo arrossati fecero il resto.

- Papà, cosa succede? - Chiese Alexis alzandosi ed andando davanti a Castle che l’unica cosa che riuscì a fare fu abbracciare sua figlia e darle un bacio tra i capelli. - Papà?

- Katie - disse Jim abbassando lo sguardo senza aggiungere altro. Alexis guardò Rick che serrava i denti e fece solo un minimo cenno di assenso con la testa non dicendo nulla. 

- Chiama tua nonna - Le disse ancora Rick prima di andare verso il mobile dove teneva i liquori. Riempì un bicchiere a metà e stava per berlo quando incrociò lo sguardo di Jim che aveva seguito tutti i suoi movimenti senza dire nulla. Castle lanciò il bicchiere contro il muro davanti a lui ed il rumore forte dell’impatto insieme a quello dei vetri che ricadevano a terra spaventò Lily che cominciò a piangere. Guardò sua figlia con aria colpevole mentre Jim tentava di calmarla e con un gesto gli disse se voleva prenderla ma Castle rifiutò.

- Scusatemi - disse a tutti ed andò a chiudersi nel suo studio.

 

- Richard… - La voce di sua madre lo fece voltare. Era in piedi davanti alla finestra e guardava fuori New York che viveva come tutti i giorni, come sempre, come se nulla fosse. Perché il mondo non si era fermato?

Erano stati Ryan ed Esposito a raccontare tutto, Rick non si era nemmeno accorto che erano al loft. La donna abbracciò il figlio gli accarezzò il viso ed asciugò le lacrime. Martha pensò in quel momento che forse lo aveva fatto troppe poche volte quando era piccolo, ed ora per farlo doveva allungarsi, perché quel suo ragazzo era un uomo molto più grande di lei, anche se in quel momento era solo un bambino. Castle si lasciò accompagnare da sua madre fuori dallo studio ma appena vide i due detective in compagnia di Lanie si irrigidì.

- Cosa ci fate voi due qui? - Disse a Javier e Kevin

- Ecco noi… volevamo vedere se avevate bisogno di qualcosa… - disse Ryan

- Sì, che ve ne andiate - Rispose secco Castle attirandosi lo sguardo stupito di Alexis e Martha. - Subito.

- Amico… - Provò a replicare Esposito.

- Andate via. 

- Castle, ci dispiace. Noi… - continuò l’ispanico

- Vi dispiace? Voi non avete idea di quanto dispiace a me. Mia moglie è morta per colpa vostra. Perchè voi siete stati a guardare, perché vi siete fatti condizionare da Sorenson dimenticandovi che è Kate. L’avete fatta passare da vittima a colpevole e non avete fatto nulla per aiutarla. L’avete lasciata sola. Kate era sola e magari lei sperava che qualcuno l’andasse ad aiutare che seguisse una traccia… invece no, perchè i suoi detective, i suoi amici sono stati i primi a considerarla colpevole. Andate via adesso, per favore.

Nessuno osò replicare allo sfogo di Rick. I tre salutarono gli altri e stavano per uscire quando Castle chiamò Lanie.

- Se vuoi puoi rimanere. - disse alla dottoressa che si guardò con Esposito che le fece cenno di sì con la testa. Le diede un bacio e poi uscì con Ryan mentre lei rimase al loft.

 

Le pizze che Dustin era andato a prendere per il pranzo rimasero per lo più intatte nei loro contenitori. Non c’era voglia di mangiare, nè di parlare, nè di fare altro. Stavano tutti cercando di metabolizzare quanto era accaduto e nessuno ci riusciva. L’unica che viveva come sempre era Lily che passava dallo stare in braccio da uno all’altro che si sforzava per farla giocare e sorridere. Alla fine era lei che riusciva a far star meglio tutti, tutti tranne il suo papà che la guardava continuamente ma non era riuscito a prenderla in braccio da quando era rientrato. Lo avevano notato tutti, come il fatto che parlasse di Kate sempre al presente, ma nessuno gli aveva detto nulla.

Era ormai sera e Lily dava i primi cenni di stanchezza per quella giornata anomala che anche lei aveva vissuto senza esserne consapevole. Aveva cominciato a lamentarsi in braccio ad Alexis dopo che le aveva dato il suo biberon di latte e la ragazza aveva più volte incrociato lo sguardo di Castle chiedendogli silenziosamente un aiuto che lui però sembrò ignorare, abbandonato a se stesso inerme.

- Richard, occupati di tua figlia. Ha bisogno di te - gli disse Jim perentorio dicendogli quello che tutti pensavano ma che nessuno aveva il coraggio di dire ad alta voce. Castle annuì e prese Lily dalle braccia di Alexis portandola in camera sua. Entrare lì fu come essere investito da un treno in corsa. Gli sembrava di vedere Kate in ogni angolo di quella stanza. Era vicino all’armadio mentre sceglieva cosa mettersi, in piedi davanti alla culla di Lily che la guardava dormire, sulla porta del bagno con solo un’asciugamano annodato sopra i seni ed i capelli bagnati, sdraiata sul letto che dormiva serena e nuda che lo guardava ammiccante. Chiuse gli occhi per scacciare le immagini ma diventarono solo più nitide e si sovrapposero una con l’altra. Si sdraiò facendo addormentare Lily sopra di se mentre continuava a vedere Kate ovunque fino a non sapere più se era sveglio o stava dormendo.

Il suo cellulare vibrò. Adagiò con cura Lily ormai addormentata tra i cuscini per non farla cadere dal letto. Guardò sullo schermo “Sconosciuto”. Si ricordò in quel momento che aveva lasciato il cellulare di Campos al distretto. Era di nuovo lui? Lo chiamava sul suo numero? Si alzò di scatto ed indugiò un po’ prima di rispondere.

 

- Castle!

- Figliolo… - Rick sobbalzò sentendo quella voce al telefono. Erano passati tre anni più o meno dall’ultima volta che lo aveva visto e quell’ultima volta gli aveva lasciato un sapore amaro in bocca. Si era illuso che quello che gli avesse detto o che avesse fatto, quell’abbraccio e quelle parole di stima che per tutta la vita aveva sognato da suo padre fossero state vere, ed invece doveva convivere con la realtà che era stato solo un modo per truffarlo. Però dentro di se, forse la voce del suo innato ottimismo che lo portava a voler vedere il bene ed il buono, gli diceva che magari un fondo di verità c’era. In un attimo si chiese se avesse saputo quello che era accaduto e se lo stava chiamando per quello, se per una volta nella sua vita avesse voluto offrirgli il suo conforto, quel conforto di un padre che tante volte quando era piccolo aveva cercato disperatamente senza mai avere nulla.

- Papà…

- Richard, vieni a riprenderti tua moglie. 

- Cosa stai dicendo papà?

- Kate è con me. È viva, Richard. Vieni.

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Capitolo 28
*** VENTOTTO ***


Kate aveva perso il conto di quante iniezioni le avevano fatto e non ricordava nemmeno da quanto. L’ultima pausa però le era sembrata un tempo eccessivamente lungo, o forse, pensava, era il suo corpo che cominciava ad averne bisogno di più, più spesso. Si ribellava a quell’idea, ma quando aveva sentito aprire la porta fu inconsciamente felice pensando che presto ne avrebbe avuta dell’altra ma non fu così. “Jefa, mi dispiace dover interrompere il nostro gioco, ma degli impegni improvvisi mi portano lontano da qui. Quindi è ora di farla finita. È un peccato sai? Mi sarei voluto divertire ancora a lungo con te, ma non si può avere tutto ed io mi accontenterò della tua vita.” Le aveva detto Campos mentre le puntava una pistola al petto, spalleggiato da uno dei suoi scagnozzi. Lo aveva sentito chiamare Castle e poi le aveva avvicinato il telefono all’orecchio per poterci parlare, un’ultima volta. E si erano detti “Ti amo” ed era tutto quello che sembrava fossero in grado di dirsi, ma a Kate sembrava tutto troppo poco per quello che avrebbe voluto. Sperò che ne fosse sicuro, che non avesse dubbi sul fatto che lo amava, lo aveva sempre amato e lo avrebbe amato sempre. Si era preparata a finire i suoi giorni lì e quando aveva sentito il primo sparo pensava al dolore che sarebbe arrivato immediatamente dopo. Ormai quella sensazione la conosceva bene. Invece non sentì nulla. Non ci fu dolore, nè freddo. Niente. Si era accorta che Campos era caduto a terra e la sua pistola scivolata lontano insieme al telefono. Seguirono in rapida successione altri colpi che uccisero il primo dei suoi uomini e poi anche gli altri due. Aveva avuto l’istinto di gettarsi a terra, con tutta la sedia, con un disperato colpo di reni che le aveva provocato dolori lancinanti, ma non voleva essere in mezzo all’area di tiro. Si era accorta che stavano sparando da sopra le vetrate quando aveva visto i cristalli dei vetri frantumati a terra. Poi ci c’era stato solo silenzio. Aveva provato a trascinarsi ma l’unica cosa che aveva ottenuto era stata tagliarsi con i vetri rotti. Si era accorta che Campos era sempre vivo quando aveva tossito e poi aveva sentito altri passi da fuori la stanza. Temeva fossero altri dei suoi uomini ma tutto quello che aveva visto erano solo quattro figure completamente vestite di nero con dei passamontagna che coprivano anche i loro volti: uno di questi, aveva dato mute indicazioni agli altri che avevano spostato i corpi mentre lui era in piedi a sovrastare Campos gravemente ferito. Aveva tirato fuori la pistola “Da parte di mio figlio” e poi aveva fatto fuoco. Uccidendolo. Kate, in quel momento, era convinta di essere al centro di una guerra tra bande e se le andava bene, sarebbe passata ostaggio da un gruppo all’altro. Poi l’uomo si era accovacciato vicino a lei ed aveva estratto un grande coltello che teneva legato alla caviglia. Lo aveva visto avvicinarsi sempre più ed aveva chiuso gli occhi, ma tutto quello che poi aveva sentito erano le corde ai polsi tranciate di netto e le sue braccia scivolare via doloranti dopo giorni di costrizioni. Aveva ripetuto lo stesso alle caviglie, liberandola da quella sedia e l’aveva deposta a terra poco più in là, dove non c’erano vetri. “Tutto bene Katherine?” le aveva detto togliendosi il passamontagna. Hunt, era Jackson Hunt.

 

- A cosa stai pensando Katherine? - Le chiese il padre di Castle mentre silenziosa era sdraiata nel retro di un furgone.

- A quello che è successo prima. È tutto così confuso… - Rispose lei con la voce ancora un po’ roca e tremante.

Hunt la fece bere ancora. Era disidratata e debole. Aveva visto subito sulle sue braccia i segni dei buchi dell’ago e non aveva avuto bisogno di molto tempo per capire quello che avevano fatto.

- Rick… devi chiamare Rick… - Gli ripeté Kate più volte.

Poi il furgone si fermò e i tre uomini aiutarono Hunt a portare Kate in una specie di garage in una zona isolata alla periferia di New York. Quello che fuori sembrava un luogo semi abbandonato, dentro, invece, aveva rivelato un luogo perfettamente attrezzato. Era un ambiente piccolo, ma aveva tutto il necessario per viverci in caso di necessità. Un lavandino di metallo e fornelli per cucinare, un frigo, un mobile pieno di provviste, un tavolo con un paio di sedie ed un letto appoggiato alla parete di cartongesso nel punto più rispetto all’entrata. Dietro quella parete una tenda grigia segnava l’ingresso di una sorta di bagno con il minimo indispensabile, era abbastanza in caso di necessità.

Adagiarono Kate sul letto ed uno di quegli uomini controllò le sue ferite, erano tutte superficiali, compresa una al labbro inferiore tagliato in un angolo. Avrebbe avuto bisogno di un paio di punti che le mise lì sul posto senza che Kate riuscisse nemmeno a lamentarsi. La fecero bere ancora, poi le diedero un sonnifero. Doveva recuperare le forze. Hunt chiuse la porta del garage ed andò via con gli altri tre. Tornò a controllarla dopo qualche ora e vide che cominciava a svegliarsi. Le diede ancora da bere dell’acqua con sali minerali e vedendola ancora molto affaticata le somministrò un altro sonnifero.

 

———

 

Rick era sempre in piedi in camera con la mano che tremava nel tenere il cellulare vicino all’orecchio.

- Se è uno scherzo è di pessimo gusto, Hunt

- Non è uno scherzo figliolo. Katherine è con me. Ti sto mandando delle coordinate per messaggio. Vieni qui, porta qualcosa per tua moglie. Mi raccomando Richard, vieni da solo e non dire a nessuno dove stai andando.

- È viva? Sei sicuro? - Gli chiese di nuovo in lacrime

- Sono sicuro. Stai tranquillo. Ti aspetto.

 

Aprì la cabina armadio, prese la prima borsa che trovò e ci mise dentro una tuta e qualche tshirt, prendendo anche un paio delle sue. Uscì di camera con la borsa in mano e tutti lo guardarono senza capire.

- Richard, ma cosa stai facendo? - Gli chiese Martha andandogli incontro

- Papà, ma dove vuoi andare? - Lo rimproverò Alexis

Rick non sapeva cosa dire alla sua famiglia.

- Mi ha chiamato Hunt - Castle vide come sul volto di sua figlia e sua madre cambiò subito espressione - Ha Kate. Ha detto che è viva. Mi ha detto di andare da lei.

Rick non riusciva quasi a parlare, non sapeva se sentirsi sollevato, piangere ancora, non riusciva a mettere da parte tutto quello che aveva provato in quella giornata e quelle emozioni contrastanti che si rincorrevano dentro di lui. Era un crogiolo di emozioni che non riusciva ad incanalare.

- Chi è questo Hunt! - Urlò Jim che per la prima volta sembrava veramente aver perso la pazienza, urtato dal fatto che stessero giocando anche con i suoi di sentimenti

- È… mio padre… - Disse Castle - È una lunga storia Jim… Io ora vado da lei… vado da lei…

- Vuoi che veniamo con te? - Chiese Alexis

- No, ha detto che devo andare da solo… voi state qui, con Lily. Io… non lo so… vi chiamo dopo… vado da lei…

- Papà non puoi guidare in questo! - Lo ammonì Alexis vedendo suo padre più che confuso.

- Non ti preoccupare. Sto bene. Devo solo andare da lei. 

Rick uscì di casa mentre Martha stava spiegando, non senza fatica, tutta la sua storia a Jim ed Alexis andò in camera di suo padre da Lily.

 

Guidò in uno stato che in qualsiasi altro momento della sua vita avrebbe ritenuto opportuno non mettersi al volante, ma in quell’occasione avrebbe guidato fino a lei anche da cieco. Rick arrivò al luogo che suo padre gli aveva detto e lo trovò appoggiato ad una porta metallica. Parcheggiò la sua Mercedes sulla strada sterrata fece il giro per prendere la borsa che aveva messo sul lato passeggero e si avvicinò all’uomo. Niente convenevoli voleva solo Kate.

- Da quanto è qui? - Chiese Castle nervoso a suo padre

- Da questa mattina. - Rispose l’uomo tranquillo

- Da questa mattina? Da questa mattina? È con te da questa mattina e mi hai chiamato solo adesso? Io… io credevo che fosse morta! Ho passato il giorno più brutto della mia vita credendo che mia moglie fosse morta, che non l’avrei più vista, che avrei dovuto crescere da solo mia figlia. Sono stato così male che non riuscivo nemmeno a toccare mia figlia perché mi sentivo in colpa per stare così male.

- Dovevo sistemare delle cose importanti Richard.

- Cosa c’è più importante di dirmi che che mia moglie è viva?

- Fare in modo che rimanesse viva, ad esempio. E che poi potesse tornare alla sua vita.

- Un minuto Hunt! Un minuto per chiamarmi e dirmelo. Tu non sai cosa ho passato. Non lo puoi nemmeno immaginare. Ero morto anche io. Con lei. - Gli occhi di Rick di erano riempiti di nuovo di lacrime suo padre gli diede solo una pacca sulla spalla e lo fece entrare. Il garage era illuminato da una luce bassa che veniva da una piccola lampada appoggiata su un mobiletto.

- Come sta? - Chiese Rick a suo padre. Hunt gli indicò con un cenno della testa il letto in fondo al garage dove Castle si precipitò. 

- Ha almeno un paio di costole incrinate ed è molto debilitata e disidratata. Richard… - Hunt fece una pausa - Kate è stata drogata.

- Anestetico anche lei? Dorme profondamente. - Disse accarezzandole la fronte e spostandole i capelli. 

- No. Le abbiamo dato noi un sonnifero per farla riposare. A Kate è stata somministrata eroina. Almeno tre o quattro volte a giudicare dai segni sulle braccia. Non so se gliel’hanno fatta assumere anche in altro modo. Quando si sveglia potrebbe non essere lucida o avere bisogno di una dose. Quella roba che abbiamo trovato da Campos è molto forte e crea dipendenza rapidamente. Qui c’è tutto quello di cui avrete bisogno per qualche giorno. C’è cibo e acqua a sufficienza. L’ambiente è totalmente sicuro e schermato. Aspetta che Kate si sarà ripresa. Devi essere sicuro che non abbia conseguenze prima di portarla a casa. Noi finiamo di sistemare le varie questioni in sospeso. Quando tornerete sarà tutto apposto. 

- Kate sarà più forte. - Disse Rick sicuro prendendo la mano della moglie.

 

Jackson Hunt e suo figlio erano seduti al piccolo tavolo del garage, uno davanti all’altro. L’uomo osservava Rick che però non ricambiava il suo sguardo, era fisso su Kate che dormiva ancora. Aveva chiamato Jim, gli aveva confermato che Kate era viva anche se al momento stava dormendo perché era troppo debole e debilitata. Poi Hunt gli aveva raccontato quello che era accaduto, che i colpi d’arma da fuoco che aveva sentito erano i loro quando avevano ucciso Campos e i suoi. Avevano poi portato via Beckett ed erano tornati a finire i conti con il resto della sua banda. Altri uomini erano morti, molti li avevano presi, sequestrando grandi quantità di armi, stupefacenti e denaro.

- Sei sicuro che sta bene? - Gli chiese Rick vedendo che Kate ancora non riprendeva conoscenza

- Per quello che ha passato sì, sta bene. - Rispose Hunt - So che Katherine ha avuto modo di parlare con Rita.

- Già, e non le ha dato dei gran consigli… - Sbuffò Castle

- Le ha detto quello che secondo lei era meglio da fare, quello che era giusto.

- Giusto per chi? Per Kate? Per me? - Quella era una ferita che ancora gli faceva molto male.

- Giusto. E basta. Tu non puoi capire Richard. Le nostre vite sono diverse. Non dico migliori o peggiori. Diverse. Anche nei rapporti umani. Sono stato anche quasi un anno senza avere notizia di Rita, in passato. Per noi è così e lei ha ragionato così quando ha parlato con Kate. - Hunt cercava di giustificare le scelte di Rita ma agli occhi di Rick era impossibile.

- Beh, papà, mi dispiace dirtelo, ma la vita delle persone normali non è così. Io impazzisco nel non sapere cosa succede a Kate anche solo per un paio di giorni. Oggi è stata straziante l’idea che non avrei più potuto… - Non riuscì a finire nemmeno la frase che un nodo alla gola lo bloccò.

- Lei è in gamba Richard, molto in gamba. E penso che sarebbe stata perfetta per essere uno dei nostri se non avesse incontrato te. Mi sono informato su di lei. Avrebbe avuto tutte le carte in regola, avremmo dovuto solo lavorare un po’ su quei problemini di voglia di verità che ha mostrato anche con l’FBI… - rise Hunt

- Questo non lo avreste cambiato mai. Kate è così, vuole la verità e la giustizia, le vuole sempre. Non sarebbe stata mai come voi. Se Rita l’ha convinta a fare quello che ha fatto è stato solo perché ha fatto leva su questo, ed ha messo la verità e la giustizia davanti a tutto, anche a noi. Mi ha fatto male, terribilmente, perché non si è fidata di me e mi ha messo da parte, però io la amo anche per questo, perché lei non smetterà mai di fare quello che ritiene giusto e di cercare la verità.

- Adesso però era diverso, mi pare.

- Non riguardava noi. Riguardava nostra figlia. Kate ha pensato prima di tutto da madre, so che per te è difficile da capire quello che vuol dire avere un figlio ed essere disposti a fare qualsiasi cosa per lui, anche a sacrificare se stessi.

- Stai cercando di colpirmi Richard? Cosa ti posso dire se non che hai ragione? È vero, non lo so. Ma è ammirevole l’amore che hai per tua moglie, la difenderesti sempre e comunque.

- Non è ammirevole. È solo amore. Ma non credo che sia un’altra cosa che tu possa capire, papà.

- Hai ragione ancora una volta. Nella mia vita non c’è spazio per questo e non ce n’è mai stato. Sono scelte, dalle quali non sempre ci si può tirare indietro. So che non sono stato il tipo di padre che un figlio vorrebbe avere.

- Non è vero, non sei proprio stato un padre.

- Però tecnicamente lo sono e nel corso degli anni ho fatto quello che ho potuto fare per fare in modo che, nonostante tutto, voi foste al sicuro. Ti ho seguito come ho potuto, Richard. Mi dispiace non esserci stato l’anno scorso con LokSat, ma ero da tempo impegnato in un’altra missione. Avrei voluto fare di più.

- Belle parole, papà… - sorrise Rick ironicamente

- Sai anche tu, vero, che questa era una cosa dalla quale Kate non ne sarebbe uscita. Nè viva e se mai l’avesse fatto, non ne sarebbe mai uscita pulita.

- Ti hanno detto di intervenire per questo? Chi è stato? Ordini dall’alto? L’agenzia? Il partito?

- No, nessuno mi ha ordinato niente. Ma mettere in salvo tua moglie era il minimo che potevo fare. Kate starà bene. Fisicamente ha sopportato di peggio e ne verrà fuori come quella che ha fatto catturare Carlos Campos dopo anni che gli davano la caccia.

- Kate non accetterà mai di prendersi meriti non suoi, se lo pensi non la conosci. 

- Non potrà fare altrimenti. E se veramente avrà intenzione di entrare in politica queste sono cose che dovrà accettare. Se ne deve rendere conto. Il mondo perfetto ed ideale che tua moglie vorrebbe non esiste Rick, lei lo sa e lotta per far sì che lo sia un po’ di più, ma è una goccia nel mare adesso. Accettare certi compromessi la aiuterà a poter fare di più.

- E vuoi farmi credere che questo alla CIA non interessava eliminare Campos? 

- Non direttamente, non era una priorità. Se lo avessero voluto fare, bastava una pallottola in testa in qualsiasi momento, non sarebbe stato un problema. Avrebbero usato uno dei tanti agenti che hanno, sarebbe bastato anche un pivello. Non mi mandano a sporcare le mani per dei narcotrafficanti, alla mia età, non è un caso di sicurezza nazionale, è solo un delinquente internazionale. Roba di poco conto, per noi, ma una cosa che influenzerà molto l’opinione pubblica. Quelli del partito di Kate ne saranno entusiasti! - Rise ancora mentre Rick proprio non ci riusciva. Guardava Kate addormentata e con il volto sofferente su quel letto poco distante da loro. Non c’era niente per ridere, anche se sapeva di dover essere felice per vederla lì vicino a lui, viva anche se un po’ malconcia, ma l’aveva vista in condizioni decisamente peggiori.

- Quindi perché tutto questo?

- Quante domande ragazzo! Sei proprio un tipo curioso… Prendilo come un regalo per quanto fatto l’anno scorso con LokSat. Un modo per mettersi in pari. Ho chiesto solo aiuto a qualcuno che mi doveva un paio di favori e sono stato fortunato, abbiamo organizzato velocemente il tutto.

- Dovrei ringraziarti? 

- Non mi devi niente.

- Quale sarà la versione ufficiale quindi?

- Beckett ha agito in accordo con la CIA senza informare Polizia e FBI, della sua copertura. Ha recuperato sua figlia e poi si è fatta volontariamente scoprire per essere catturata e localizzare il covo di Campos. Una volta ottenute le informazioni necessarie siamo intervenuti per liberarla. Nel conflitto a fuoco Campos ed alcuni dei suoi sono morti.

- Una bella storia. 

- Banale Richard, ma di quelle che alla gente piacciono sempre ed hanno un bel riscontro.

Rick bevve il suo bicchiere di vodka. Aveva bisogno di qualcosa di forte.

- Da quanto sapevi che avevano rapito Lily?

- Dall’inizio. - Ammise Hunt finendo anche lui il suo bicchiere di vodka.

- Perché non hai fatto qualcosa subito allora? Perché aspettare che ci fosse di mezzo Kate? Cosa fai, guardi le nostre vite come se fossimo i criceti in una gabbia ed intervieni quando vuoi tu? - Rick era infuriato con suo padre

- I nostri metodi non sempre sono sicuri, tua figlia è piccola, c’erano troppe variabili rischiose e non potevo contare su un’organizzazione sicura e pianificata come avrei dovuto. Appena Lily era al sicuro sono intervenuto. Sta bene ora?

- Sì, è solo un po’ debilitata, non ha mangiato molto in questi giorni a quanto ed ha avuto qualche linea di febbre, ma il medico che l’ha visitata ha detto di non preoccuparsi.

- È con Martha?

- E con Alexis ed il suo ragazzo e con loro c’è anche il padre di Kate.

- È un brav’uomo Jim Beckett. Ha avuto il coraggio di cadere e rialzarsi. È forte. - Disse Hunt versandosi un altro bicchiere di vodka che bevve di getto. Ne voleva dare un altro anche a Rick, ma rifiutò e non fu sorpreso che suo padre aveva indagato anche sul passato di suo suocero.

- Sì. Io non so se ne sarei capace… Oggi ho pensato di essere morto anche io. Non sentivo nemmeno il dolore, non sentivo più niente. - Disse voltandosi a guardare ancora Kate, poi padre e figlio rimasero in un imbarazzante silenzio. 

Rick non aveva altro da dire, Hunt non aveva mai provato in vita sua un sentimento così forte, per niente e per nessuno, qualcosa capace di annientare la volontà e la razionalità di una persona. Non sapeva se esserne dispiaciuto o meno, l’aveva sempre considerata una debolezza, qualcosa da evitare. Vedeva, però, gli occhi di suoi figlio tremare solo per un pensiero e guardarla adorante. Pensò, per un momento, che forse vivere anche per poco un sentimento del genere era qualcosa che avrebbe riempito il cuore di emozioni per una vita intera, che le avrebbe dato un senso, diverso dal suo sicuramente, ma profondo. Volle pensare, anche solo per un breve istante, che quel ragazzone che aveva davanti, che ormai era un uomo maturo, aveva un cuore con così tanto amore da dare anche perché era cresciuto senza un padre e negli anni aveva accumulato dentro di se tutto quello che ora era smanioso di dare e dimostrare ai suoi cari: alle figlie ed alla moglie, soprattutto.

Kate si lamentò, provando a rigirarsi a fatica e Rick subito scattò in piedi per andarle vicino. Le accarezzò la fronte, poi le strinse una mano tra le sue.

- Castle… - disse con un filo di voce ancora prima di aprire gli occhi. Non aveva bisogno di vederlo, era lui - Hunt… Lily… - provava a dire qualcosa, riuscendoci a stento. Rick sentì la porta di quel magazzino chiudersi, li aveva lasciati soli, suo padre sapeva che in quel momento era di troppo. Si chiese se sarebbe tornato, se l’avrebbe più rivisto o se ancora una volta sarebbe sparito dalla sua vita senza un saluto e come ogni volta con la domanda se fosse per sempre. Ma non aveva tempo ora per questi pensieri. Jackson Hunt non era la sua famiglia, Kate sì, doveva pensare a lei. Si sedette a terra vicino alla brandina, le passò un panno bagnato sul volto che l’aiutò a svegliarsi un po’. 

- Kate, Lily è a casa, sta bene. Non ti preoccupare.

- Lily… - ripetè sofferente e non nel fisico.

- Sta bene Kate, è tutto finito.

Beckett si guardò intorno appena riuscì a mettere a fuoco l’ambiente sconosciuto.

- Dove siamo? Hunt…

- Ti ha portato lui qui. Non pensare ora a questo. Non ti affaticare. Riposati ancora un po’…

- Perdonami Rick.

Si accostò appena alle sue labbra, baciandola piano, cercando di non sfiorarle quel taglio che aveva da un lato, ma lei sembrò usare tutte le sue forze per avvicinarsi a lui e sentire quel contatto più vivo su di se. Ne aveva bisogno anche se nel provare ad alzarsi sentiva farle male tutto. 

- Stai giù - le disse appena si staccò dalla sua bocca, sentendola lamentarsi nel distendersi. Kate cercò la mano di Rick e gliela strinse appena la trovò. Lui semplicemente la guardava, non dicendo nulla. Era viva. Avevo visto di nuovo i suoi occhi, assaporato il sapore delle sue labbra, accarezzato la sua pelle. Tutto quello che pensava non avrebbe mai più potuto fare ed ora ancora di più non capiva come avrebbe fatto a vivere senza.

Sì, avrebbero dovuto parlare, in seguito. Molto. Erano arrivati di nuovo ad un passo dal baratro ma ora, come sempre, si stavano risollevando insieme. Erano di nuovo dovuti arrivare al limite di perdersi per capire quanto non avrebbero mai potuto farlo. In quel momento non avevano bisogno di parlarsi, o forse a modo loro lo stavano facendo. Le lacrime che vedeva scorrere lente e silenzioso sul viso di Kate gli parlavano di tutto quello che aveva dentro. Erano una dichiarazione silenziosa, come la sua mano che usava tutte le forze che aveva per stringere quella di lui, come sempre. Però, Rick non riuscì a dirle che l’aveva perdonata. Quello no. E non per quello che si erano detti, perché lei era scappata senza dirgli cosa avrebbe fatto, ancora una volta. Non riusciva a perdonarla per aver rischiato di lasciarlo solo, quello no, non poteva accettarlo e di quello sì, avrebbero dovuto parlarne.

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Capitolo 29
*** VENTINOVE ***


Rick non poté resistere dall’accarezzare il viso di sua moglie mentre dormiva. Era stanco, emotivamente squassato da quella giornata che gli aveva fatto vivere il dolore più intenso mai provato in tutta la sua vita. Non gli sembrava ancora vero che era lì, si stava di nuovo riempiendo di lei, piano piano. Castle era come una sagoma sgonfia che stava riprendendo forma, l’uomo accasciato a terra al distretto svuotato di ogni sentimento stava a poco a poco ricomponendosi. 

Kate si svegliò e come prima cosa accarezzò i capelli di Rick addormentato sul bordo del letto. Al suo tocco si ridestò subito. La guardava ma aveva difficoltà a parlarle. Nella sua mente ancora gli sembrava di avere a che fare con un fantasma. Doveva rielaborare tutto quello che aveva processato in quel giorno.

- Dovrei andare in bagno. - gli disse Kate a fatica. Il dolore alle costole rendeva complicato parlare. Rick l’aiutò ad alzarsi costatando come erano ridotti male gli abiti che aveva addosso e l’accompagnò in quel piccolo bagno ricavato nel retro del garage dove un lavandino, un wc e una doccia improvvisata era tutto quello che c’era, insieme ad uno specchio e una mensola. Kate insistette per rimanere sola e Rick l’accontentò riluttante, ma tirò la tenda grigia e aspettò di là lasciandole un paio di asciugamani appesi ad un gancio.

Castle ascoltava i rumori provenienti dalla stanza attigua, aspettò che il rumore dell’acqua cessasse e si appostò dietro la tenda. Kate apparve poco dopo tenendosi con entrambe le braccia al muro ed un asciugamano legato intorno al corpo. Rick notò il segno che Campos aveva fatto sul corpo di Kate che dal collo scendeva fino ai seni e i buchi sulle braccia.

- Non guardare Castle. Non guardare…

- Che ti hanno fatto Kate? - quella di Rick non era una vera domanda, più un lamento nell’immaginare quello che doveva aver subito.

- Ho freddo… - Kate stava tremando e Castle la prese in braccio portandola sul letto. Mentre l’aiutava a rivestirsi con i vestiti puliti che le aveva portato vide i lividi sull’addome e li sfiorò appena sentendola irrigidirsi. Percorse il taglio che era solo una sottile linea rossa fino al mento di Kate, obbligandola ad alzare la testa per guardarlo. Le fece indossare una tshirt e fece scorrere le mani lungo le sue braccia: Kate si ritirò quando arrivò nell’incavo delle braccia segnate ma Rick la trattenne.

- Non ti devi vergognare di me Beckett. Mai. - le disse Castle e vedendo aumentare il suo tremore le fece indossare anche la felpa, massaggiandole poi brevemente i polsi segnati dalle corde. Si ricordò di farla bere, ma lei non voleva per via della nausea sempre più forte. La fece stendere e la coprì ma il suo tremore non accennava a smettere e sudava freddo. Rick le passò una mano sulla fronte. Era fredda. Poi la vide cominciare a piangere, un pianto nervoso. La vide provare a rannicchiarsi con fatica in un angolo del letto ed agitarsi.

Castle si tolse la giacca e le scarpe e si distese sul piccolo letto vicino a Kate. Lei percepì la sua presenza, sentì il suo profumo di colonia più forte man mano che lui le si avvicinava. In un primo momento ebbe l’istinto di ritrarsi ma poi si lasciò andare e scivolò tra le sue braccia lasciandosi abbracciare da lui che la cullò amorevolmente mentre lei era scossa da spasmi.

- Supereremo anche questa amore mio, stai tranquilla. - le sussurrò all’orecchio mentre la baciava dolcemente. Lei annuì appoggiando la testa sul suo petto.

- Ti amo Castle. 

Rick la tenne stretta a se tutta la notte e gran parte della mattina dopo e più lei si dimenava e lamentava, più lui la teneva vicino a sè. Quando tremava la dava calore con il suo corpo, sfregandole la schiena dolcemente e se si lamentava copriva i suoi lamenti con i baci. Kate gli aveva detto di andarsene, di lasciarla sola, che lei non poteva stare con lui, non lo meritava, non più. Rick le rispondeva abbracciandola e dicendole che non l’avrebbe mai lasciata. Mai.

 

Castle non aveva dormito quasi mai quella notte ed ogni volta che si era addormentato aveva solo rivissuto i momenti più difficili di quella giornata. Si era svegliato più volte di soprassalto convinto che quello che teneva tra le braccia era solo il corpo senza vita di Kate, come nei suoi sogni, e non bastavano i suoi movimenti violenti, lo scalciare inconsulto, i suoi lamenti per fargli capire subito che non era così. Sentiva come se quella giornata avesse avuto su di lui degli effetti irreversibili, come se si fosse portata via un pezzo del suo cuore che si era frantumato in quelle ore terribili. Poi era Kate ad avere gli incubi o meglio allucinazioni, visto che non dormiva. La sentiva agitarsi e ripetere frasi apparentemente senza senso, con la voce impastata al punto da rendere il più incomprensibile. Castle capì che stava rivivendo quei giorni passati tra le mani di Campos e la sentiva forzare il suo abbraccio e volersi liberare anche di lui e sudava e si agitava mentre Rick provava a farla ritornare in se a svegliarla da quello stato di incoscienza fino a quando lei non lo guardò con gli occhi sbarrati, stupiti e terrorizzati insieme.

- Sono io… sono io… non ti faccio del male Kate. - le ripeté Rick più volte mentre lei sembrava facesse fatica anche a riconoscerlo.

- Castle? Perché sei qui. Non devi stare qui. È pericoloso. Campos… Devi stare con Lily tenerla al sicuro! - Il volto di Kate ora era terrorizzato e la sua voce concitata, mentre Rick la accarezzava per cercare di tranquillizzarla.

- Campos è morto, non ti farà più del male Kate, non lo farà a nessuno… Non ti farà più male.

Le non sembrava credergli e voleva divincolarsi ma Rick la teneva stretta più che poteva, con la paura di stringerla troppo e farle male. Era una lotta di equilibri quella che stavano combattendo. Kate si addormentò di nuovo infine in tarda mattinata, sembrava finalmente più calma ed anche il suo sonno era più rilassato.

Rick ne approfittò per alzarsi dopo averla coperta con cura. Con la luce del giorno che entrava dalle vetrate sopra la porta, vedeva i segni sulla sua pelle ancora più scuri e marcati. Frugò facendo attenzione a non fare troppo rumore in quel luogo che sarebbe diventato la loro dimora per i giorni seguenti. Effettivamente la dispensa era ben fornita, adatta per sopravvivere per almeno un paio di settimane evidentemente quello doveva essere un rifugio nel quale suo padre contava di poter passare un po’ di tempo in caso di necessità: pensò che in fondo era stato un bel gesto da parte di suo padre bruciare un suo nascondiglio per loro ma la sua parte razionale gli fece pensare che quello era il minimo che dovesse fare un padre. Trovò anche una cassetta di medicinali, dove c’era tutto l’occorrente per un primo soccorso ed anche qualcosa di più. Decise infine di preparare qualcosa di caldo da mangiare per Kate, quando si sarebbe svegliata, avrebbe dovuto provare a mangiare qualcosa per riprendersi un po’.

 

Kate si svegliò a metà pomeriggio con il profumo della cucina di Castle. Lo vide seduto su una delle due sedie, appoggiato al tavolo, pensieroso.

- Rick? - Lo chiamò - Va tutto bene?

Castle si voltò immediatamente verso di lei, la osservò e la vide con i tratti del volto più distesi e gli occhi più luminosi.

- Ti senti meglio? - Le chiese lui sedendosi sul bordo del letto ed accarezzandole la fronte e le guance, mentre Kate si tirava su, mettendosi seduta e togliendosi di dosso quelle coperte: il freddo le era passato.

- Sì, meglio, grazie. - Guardò verso i fornelli dove c’era la pentola che aveva invaso l’ambiente con il suo profumo - Hai trovato anche qui per fare sfoggio delle tue doti di chef?

Rick sorrise, se aveva voglia di scherzare voleva dire che stava sicuramente meglio. 

- Beh, mio padre aveva delle scorte niente male. Dalla carne surgelata ai legumi in scatola c’è un po’ di tutto per non morire di fame per diverso tempo!

- Potevamo anche andare a casa, sto meglio adesso… 

- Kate… Dobbiamo rimanere qui, per qualche giorno… - Le disse Rick prendendole una mano mentre lei lo guardava perplessa.

- Perché? - Gli chiese infastidita e stupita

- Sono accadute un po’ di cose Kate… Eri ricercata per omicidio di Hector Yepes e Maria Asenjo. Ti avevano incastrato Kate, ma non ti credeva nessuno. Jackson Hunt mi ha detto che ci avrebbero pensato loro a sistemare la questione e a costruire una situazione per farti uscire pulita da tutta questa storia.

- Io sono pulita Rick. Non ho fatto nulla. Ho solo preso Lily e stavo andando via. Non ho ucciso nessuno! - Replicò Kate disgustata da quel discorso

- Lo so, lo so. Io non ho mai dubitato amore, mai. 

Kate si abbandonò pesantemente sul cuscino tenendosi la testa tra le mani. Aveva sperato di poter vedere sua figlia entro poche ore di poterla di nuovo stringerla a se, di poter tornare a casa e alla sua vita. Le ritornarono, però, in mente le parole che le aveva detto Castle nel suo appartamento l’ultima volta che si erano parlati e si preoccupò:  “puoi anche evitare di tornare al loft” “non tornare a casa se le cose non sono cambiate

- Cosa c’è Kate? - Le chiese Rick vedendola rimanere in quella posizione, preoccupato che se sentisse male di nuovo. Lei si fece scivolare le mani lungo il viso e poi lo guardò senza coraggio di fare quella domanda e Castle poi le prese una mano tra le sue. - Ehy?

- Pensavo a Lily.

- Sta bene, Lily. Ora sta bene. - Si lasciò sfuggire Rick

- Che vuol dire ora sta bene? - Si allarmò Kate e lui si rese conto di essersi lasciato sfuggire una parola di troppo.

- Non è stata benissimo appena tornata a casa. Ma era solo un po’ debilitata e con un po’ di febbre. Abbiamo passato la notte in ospedale, la mattina dopo è stata dimessa, stai tranquilla.

Kate si rabbuiò, mordendosi la guancia interna, evidente segno di nervosismo.

- Ehy, non ti preoccupare, sta bene ora veramente. Questi giorni per distrarla l’abbiamo fatta giocare tutti tantissimo ed è stata iperattiva! La solita piccola despota che voleva le attenzioni di tutti! - sorrise Rick facendo sorridere anche Kate. Poi aprì le braccia e la invitò ad appoggiarsi a lui e Kate si tirò su a fatica poggiando la testa sulla spalla di suo marito e tentando di abbracciarlo nonostante il dolore alle braccia che le arrivava come delle fitte pungenti.

- Mangiamo? Ti va? - Le chiese baciandola tra i capelli. Kate annuì più per farlo felice che per vera fame. Ancora era abbastanza nauseata ed aveva mal di stomaco, ma erano giorni che non mandava giù qualcosa di diverso da acqua.

Castle preparò due piatti con la zuppa che aveva preparato mentre lei dormiva. Li mise sul tavolo e l’aiutò ad alzarsi per mangiare con lui. Kate guardò il piatto e sorrise.

- Cos’è Castle, una sorta di ramen? - chiese mescolando il suo piatto con noodles e carne.

- Una specie, sì… - Sorrise lui - C’è sempre quel ristorante giapponese dove dovevamo andare… 

- Quello affollatissimo sulla terza? 

- Sì esatto. Lì fanno un ramen fantastico, dobbiamo andarci Kate! - le disse prendendole la mano - dobbiamo fare tutte le cose che volevamo fare e stavamo rimandando.

Kate annuì avvicinò le loro mani al suo viso e baciò il dorso do quella di Castle. Poi cominciò a mangiare la sua zuppa senza lasciare la mano di Rick. 

- È buono. - gli sorrise prendendo un altro cucchiaio di brodo e carne.

- Lo dici solo perché sei molto affamata Beckett, non mi lusingare!

- Non sono molto affamata, è buono perché l’hai fatto tu, per me.

Entrambi sentivano che stavano vivendo quella situazione con grande imbarazzo. Avrebbero voluto tutti e due parlare di altro, ma nessuno aveva il coraggio di farlo. Non era il momento, non erano ancora pronti, fisicamente nè emotivamente. Avevano vissuto giorni difficili e li avevano affronti in modi discordanti, sapevano entrambi che avevano molto da dirsi ma non avrebbero retto ad un altro scontro, non adesso. Però Kate non era tranquilla e Rick se n’era accorto. Girava e rigirava la posata nel piatto, mangiando qualche cucchiaio di zuppa ogni tanto, non impegnandosi nemmeno a raccogliere i noodles con la forchetta. Castle, che invece aveva quasi finito la sua, decise di rompere il silenzio.

- Per essere buono lo stai mangiando poco… - Prese il discorso da lontano, provando a sdrammatizzare.

- Te l’ho detto non sono molto affamata, ho ancora un po’ di nausea…

- E poi cos’altro? - Gli chiese lui

- Vorrei solo tornare a casa. Alla nostra vita, come prima. Sempre se… - fece una pausa e deglutì per sciogliere quel nodo in gola che stava per far comparire di nuovo lacrime indesiderate - tu lo vuoi.

- Ti preoccupi per questo? - Le chiese stupito sorridendo, con quel sorriso appena accennato, quasi timido che era così diverso da quello scintillante che mostrava a tutti e Kate annuì, mordendosi il labbro inferiore, come una bambina scoperta a fare qualcosa che non avrebbe dovuto.

- Quello che mi hai detto l’ultima volta, di non tornare… - Iniziò Kate ma fu immediatamente interrotta da Castle

- Ero arrabbiato e preoccupato e direi che avevo anche ragione ad esserlo, visto che siamo qui. Ma non ne voglio parlare, non oggi, non sono pronto e non lo sei nemmeno tu. Ma se ti preoccupi per quello, Kate… - spostò la sedia avvicinandosi a lei e prendendole entrambe le mani nelle sue. - … Non potrei più vivere al loft senza di te e non posso vivere in nessun altro posto senza di te.

- Castle io… 

- Shhh mangia. Ti devi rimettere in forma, altrimenti non possiamo litigare. Era il tuo sogno no? - Le sorrise Rick facendola sorridere a sua volta.

- La lettera… - abbassò lo sguardo Kate imbarazzata

- La so a memoria, se vuoi te la recito! Ero bravo a scuola quando dovevo fare le recite! Mi metto qui in piedi vicino a te, faccio finta che tu sei la maestra alla cattedra. - E si era messo realmente in piedi vicino a lei con le mani dietro le schiena dondolando come un bambino in attesa di dover recitare la sua poesia.

- Se vuoi che mangio, falla finita! - Gli disse Kate dandogli un colpetto sul fianco e Rick si sedette di nuovo davanti a lei, con i gomiti appoggiati sul tavolo ed il mento appoggiato sui palmi della mani che sostenevano la testa. Beckett prese qualche altro cucchiaio di zuppa, faticando non poco con i noodles - Hai intenzione di fissarmi ancora a lungo, Castle?

- Sempre è un tempo ragionevolmente lungo? - Le strappò un sospiro. - Mi dispiace, ma questo nostro romantico rifugio non era rifornito di bacchette.

- Mi adatterò! - Esclamò prendendo la forchetta per raccogliere la pasta e gli ultimi pezzi di carne.

- Brindiamo? - Le chiese Castle quando aveva posato la forchetta alzando il suo piatto dove era rimasto del brodo.

- Vuoi brindare con il piatto ed il brodo? - Kate aveva un’espressione misto dal divertito e l’inorridito chiedendosi come gli era venuta in mente questa cosa. Rick alzò le spalle come se fosse la cosa più normale del mondo quella richiesta.

- E a cosa vorresti brindare?

- Beh vediamo… Potremmo brindare al fatto che ho cucinato un buon ramen in condizioni precarie, al fatto che tu hai accettato questo mio invito a pranzo… Oppure… - si fece più serio - potremmo brindare al fatto che sei viva e che siamo insieme.

Kate prese il suo piatto e lo alzò come aveva fatto suo marito e poi bevvero direttamente da lì quel che rimaneva del brodo. 

- Non ti ricorda una scena della Bella e la Bestia? - Le chiese alla fine Castle molto soddisfatto

- Castle, sono forse 25 anni che non guardo la Bella e la Bestia, dovrei ricordarmelo?

- Dobbiamo assolutamente recuperare allora Beckett! - Rick si alzò, le prese una mano e delicatamente la invitò ad alzarsi. Kate era ancora non proprio molto a suo agio nè in perfette condizioni, sentiva la testa girare per quel movimento repentino e vacillò fino a quando non fu suo marito a tenerla, obbligandola di fatto, ad appoggiarsi a lui che, con lei tra le sue braccia, dondolava appena.

- Ti ricordi almeno del ballo? - Gli chiese Rick mentre le cingeva un fianco e prendeva la mano - Fai finta ora che anche noi stiamo ballando… Quando andiamo a casa ci sdraieremo sul divano, tu su di me e Lily in braccio a te e guarderemo La Bella e la Bestia. Ti canterò tutte le canzoni, le so a memoria. Poi mangeremo pop corn e pizza senza nemmeno alzarci da lì e potremmo anche addormentarci alla fine della serata e rimanere tutti e tre insieme tutta la notte. Ti piace come programma?

- È perfetto. 

- Manca la parte finale però…

- Sarebbe?

- Mia madre che la mattina scende ci vede mentre siamo occupati a baciarci in modo molto poco casto.

- Hai dimenticato il punto in cui in braccio a me c’è Lily? - Lo rimproverò Kate ridendo

- Lily dorme e secondo me è felice se vede che ti bacio

- Non posso essere io a baciare te? - Gli chiese con una punta di malizia

- Non aspetterei altro! - Le sorrise ancora, staccandosi un poco per guardarla negli occhi e Kate si avvicinò a lui quel tanto che era necessario per baciarlo prima dolcemente, accarezzandolo con le labbra, per poi lasciare che diventasse un bacio sempre più intenso, non curandosi della ferita, dei dolori alle braccia e al costato, stringendolo e lasciandosi stringere, anzi sostenere da lui, fisicamente e non solo. Un bacio che più andava avanti più palesava l’urgenza e scopriva la paura nascosta negli angoli della mente, di non poterlo più fare. Quando le loro bocche si separarono continuarono a darsi piccoli baci in punta di labbra. Avevano entrambi gli occhi serrati, affidavano a tutti gli altri sensi il compito di ritrovarsi. Poi Rick appoggiò la fronte su quella di Kate e lei aprì gli occhi per guardarlo, gli prese il viso con entrambe le mani, lo accarezzò, con i pollici sul volto, mentre le altre dita gli solleticavano i lati della testa ed i capelli. 

- Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato veramente che non ti avrei più rivisto Castle. Che non ci sarebbe stato più tempo per tutto questo, ancora un volta.

- Ti prego Kate… - Anche Rick ora aveva aperto gli occhi e la guardava a pochi centimetri da lui. Non era pronto, non ancora per dirle quello che aveva provato

- No, ascoltami… Sai cosa ho pensato Rick? Che io ero stata fortunata, perché avevo incontrato te, ti avevo amato e tu mi avevi amata ed è più di quanto la maggior parte delle persone possano mai avere in tutta la loro vita.

- Non smetterò mai di farlo.

 

Rimasero abbracciati in piedi fino a quando Rick non sentì Kate cedere, troppo debole ancora per resistere a lungo. La loro volontà che tutto fosse come sempre, gli faceva dimenticare che in realtà non era così, che Kate era stata sottoposta a cose orribili per lunghi giorni ed il suo fisico ne era provato più di quanto lei volesse far vedere. La fece sdraiare e lei pretese che anche lui lo facesse. Aveva una necessità che era qualcosa che andava oltre il bisogno. Si accoccolò tra le sue braccia, appoggiando la testa sul suo petto. Infilò la mano tra i bottoni della sua camicia, slacciandone un paio e cominciò ad accarezzare dolcemente il suo torace. 

- Voglio andare negli Hamptons - le disse Castle godendosi quelle carezze.

- Quando?

- Appena sarà tutto sistemato e tu starai bene. Io te e Lily, nessun altro.

- Castle, ma io ho il lavoro e…

- Avrai diritto dopo tutta questa storia a qualche giorno per riprenderti, no? Magari non ti sei accorta, ma non sei messa benissimo Beckett… 

- Sì, probabilmente hai ragione. Piacerebbe anche a me tornare lì. Poi l’aria di mare farà bene anche a Lily…

- Le faremo fare i primi bagni in piscina e poi giocheremo con la sabbia, faremo dei castelli bellissimi. - Raccontò Rick tutto eccitato ed era già impaziente di partire.

- Sai a me cosa piacerebbe fare invece? - Gli sussurrò Kate

- Quello che vuoi, possiamo fare tutto.

- Vorrei portare Lily sulle altalene.

- Tutto qui? Ne posso far mettere una nel giardino della villa a tre posti, con uno apposito per i bambini, che ne pensi? - Kate rise nel constatare come la mente di Castle viaggiasse sempre a ritmi che a volte per lei erano insostenibili. Non faceva in tempo a dire una frase che lui aveva già costruito il mondo intorno.

- È un’idea bellissima e mi piacerebbe molto. 

- Consideralo fatto, allora! - Rispose lui estremamente contento di aver trovato qualcosa che la rendesse felice in quel momento

- Però non era quello che intendevo. - Lo vide intristirsi e si precipitò a specificare - Cioè, se fai mettere delle altalene nel giardino degli Hamptons sarò felicissima, io non ci avevo proprio pensato. Io volevo portare Lily alle nostre altalene. Capisci Castle nostre in che senso?

- Nostre nostre. - Le rispose lui.

- Esatto. - Si erano capiti, non che fosse difficile in quel caso.

- Beh, le giornate sono belle, credo che un’uscita al parco si possa fare, magari potrebbe essere l’occasione per inaugurare quel marsupio che giace in camera di Lily e non abbiamo mai usato.

- Sarebbe perfetto… - Kate si rilassò ancora di più sul petto di Rick, che tirò su la trapunta, coprendola.

- Sarà perfetto, amore… - le disse lasciandole un bacio tra i capelli mentre sentiva che si stava addormentando.

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Capitolo 30
*** TRENTA ***


Quella notte Kate aveva di nuovo combattuto contro i suoi incubi. Gli antidolorifici che Hunt aveva detto a Castle di darle avevano finito il loro effetto e lei sentiva ancora di più il dolore ma non solo. Combatteva contro la tentazione di assumere nuovi farmaci non solo per gli effetti anelgesici. Guardava i segni sulle sue braccia e si imponeva di resistere ed essere forte. Rick aveva indossato solo una tshirt e si era addormentato vicino a lei, in quel piccolo letto erano quasi costretti al contatto continuo e la cosa faceva piacere ad entrambi, ma non era solo Kate ad avere sonni agitati, anche Rick aveva i suoi incubi contro cui combattere. Lo aveva più volte sentito pronunciare il suo nome e si era stretta ancora di più a lui perchè lui aveva bisogno di lei tanto quanto lei di lui.

Avevano passato già un paio di giorni in quel garage. Fosse stato un anno prima avrebbero avuto tutto quello di cui avevano bisogno, loro. Ora, però, gli mancava Lily, ad entrambi, soprattutto a Kate che cominciava a sentire un vero e proprio bisogno fisico di sua figlia. Aveva insistito con Rick che però era stato irremovibile, aspettando che Hunt gli facesse sapere qualcosa. Non voleva rischiare per un giorno in più che le accadesse qualcosa. Aveva però nel frattempo parlato con Martha ed Alexis ed infine con suo padre. Lo aveva sentito provato ed aveva percepito il suo sincero dolore più forte del sollievo di saperla al sicuro. Ripensò per un po' alle parole che le aveva detto Jim, a quella giornata lunga e silenziosa che avevano vissuto, ricollegò ad alcune cose che le aveva detto Castle in quei giorni che però non aveva ben collocato nel tempo e le venne un dubbio, tremendo.

Erano seduti sul letto, avevano messo tutti i cuscini appoggiati al muro insieme alle coperte arrotolate creando una sorta di divano dove stare al giorno. Non avevano molto da fare per lo più si erano coccolati parlando di progetti per il futuro, cosa gli sarebbe piaciuto fare, dove andare in vacanza o quali ristoranti provare. Kate pensò che se fosse stata bene avrebbero di certo saputo come occupare quelle giornate in modo molto più divertente per entrambi. Gli mancava la sua vita, anche da quel punto di vista.

- Rick? - Lui si voltò verso di lei approfittando per darle un bacio. - cosa è successo dopo la nostra telefonata?

Castle capì che doveva affrontare quel discorso con lei. 

- Ero al distretto, aspettavo Lanie per il referto della sua autopsia. Era l’unica che credeva in te. Come prima cosa ho preso a pugni Sorenson.

- Cosa hai fatto? - chiese Kate allibita

- Gli ho rotto il naso, credo. Ero arrabbiato, furioso perché nessuno mi aveva creduto quando dicevo che non eri latitante ma ti avevano presa.

- Avrei voluto vederti! - Kate sorrise e gli fece una carezza. Rick era sempre così protettivo con lei.

- Non ero un bello spettacolo Beckett…

- Javier e Kevin non ti hanno fermato?

- Sì ma dopo. Ho preso tutti un po' di sorpresa, avevo l’adrenalina a mille all’inizio. Poi mi sono sentito svuotato e ho pianto seduto per terra per un bel po'… Dio mio Kate… è stato terribile, straziante, mi sono sentito svuotato, finito.

- Mi dispiace Rick… Mi dispiace tanto… ti prego perdonami…

- No Kate. Non ti posso perdonare. - Sospirò Rick e Kate lo guardò con il terrore negli occhi. - Ho passato un giorno intero convinto che fossi morta Kate. Morta. Che fossi rimasto solo. Lo sai cosa vuol dire? Lo sai come ci si sente?

- Io… credevo che Hunt ti avesse chiamato subito… io non ero cosciente… Lo avrei fatto io… Ti prego Rick… 

- Hai capito perché non volevo che facessi tutto da sola? Perché non volevo accadesse questo! Non volevo che tu rischiassi la tua vita perchè non posso vivere senza di te, lo capisci questo Kate? Tu non hai idea di cosa si prova a pensare che la persona che ami con tutto te stesso non ci sia più!

- Lo so Castle… la tua macchina che bruciava l’ho sognata per molte notti…

- Quanto Kate? Quanto tempo è passato? Qualche minuto? Io ho vissuto un giorno con la convinzione che tu fossi morta. Ho dovuto dirlo a tuo padre, a mia madre ed Alexis. È stato terribile Kate. Terribile. Dire a tuo padre che tu… - Rick non riuscì a proseguire, la guardò ma Kate abbassò lo sguardo, anche per lei immaginare suo che riceveva una notizia del genere era una cosa che le metteva i brividi -  E tutto è successo solo perché tu hai voluto fare tutto di testa tua! Come faccio a perdonarti di esserti quasi fatta uccidere? 

- Sei ingiusto Rick. Io ho passato due mesi d’inferno non sapendo che fine avessi fatto. Alla fine avevo perso le speranze, ero convinta che non ti avrei più rivisto. Non puoi dirmi che non so cosa si prova, non puoi farlo. Non è una gara a chi soffre di più, cosa dobbiamo dimostrarci? Io volevo solo essere sicura che nostra figlia fosse al sicuro e sapevo che qualunque cosa fosse successa c’eri tu a prenderti cura di lei. - Beckett provava ad essere più conciliante nonostante le sue parole l’avessero ferita ma Rick stava tirando fuori tutta la sua rabbia ed il dolore che aveva dentro di se e che non era riuscito a far defluire.

- Non sono nemmeno riuscito a prenderla in braccio quando sono tornato a casa. Non riuscivo a guardare nostra figlia negli occhi perchè vedevo te. Che padre sarei potuto essere? È stata tutto il pomeriggio con Alexis e gli altri e io mi spostavo quando volevano darmela. Mi sono vergognato di me stesso. Che padre sono?

- Splendido Rick. L’unico che avrei mai voluto per mia figlia.

- Basta Kate! Basta! Perché non capisci?

- Cosa devo capire Rick? Il dolore che hai provato? La tua paura? Le capisco, non sai quanto le capisco. Perché sono le stesse che proverei anche io.

- Allora perché insisti a volerti comportare così se sai cosa sento?

- Perché era diverso Rick! C’era nostra figlia di mezzo. E poi, amore, perché voglio che tu sia al sicuro, non sopporterei se ti accadesse qualcosa… 

- Siamo sempre a questo punto, vero? Passano gli anni cambiano le situazioni ed io e te finiamo sempre per discutere di questo. Tu che mi vuoi tenere al sicuro, io che non voglio che ti accada nulla. Ne verremo mai fuori? Possiamo farci male sempre per questo?

- Per amore… - sbuffò Kate in una risata

- Già, per amore… un amore devastante… - aggiunse Rick

- Ti sei mai pentito Rick?

- Di cosa?

- Di noi. 

- Ma cosa dici Kate?

- Avresti sofferto di meno ad innamorarti di qualcun’altra. Qualcuna meno complicata, con una vita più semplice, che non avrebbe messo in pericolo te o i vostri figli solo per quello che fa.

Castle ascoltava le parole di Kate ed era risentito da quello che le stava dicendo. Le sollevò la testa prendendole il mento ed obbligandolo a guardarlo. Beckett non sapeva cosa leggere in quello sguardo. Vedeva la mandibola di Rick muoversi nervosamente e sentiva i denti sfregare vedeva il suo respiro profondo e accelerato, come il battito del cuore che si mostrava nella vena sul suo collo che pulsava violentemente. Abbassò gli occhi per evitare di incrociare quelli blu di lui così scuri da sembrare neri. 

- Guardami Kate! - La voce perentoria di Castle le fecero alzare lo sguardo. Rick si avventò sulle sue labbra stringendole la testa con le mani per non farla muovere e la baciò con forza, si prese quel bacio con rabbia e disperazione. Non c’era tenerezza c’era solo l’urgenza di farle capire la sua sofferenza ed il suo bisogno di lei. Non era un bacio, era volersi prendere tutta la sua anima dalle labbra, con le labbra. Perse ogni cautela che aveva avuto per la sua ferita, non si preoccupava si sembrare irruente e la baciò e prepotentemente, un bacio violento e bramoso al quale lei rispose timidamente, mentre lui indugiava sempre con più insistenza come se le dovesse scavare dentro e raggiungere con quel bacio i nascondigli più nascosti di lei divorandola fino a quando non dovette separarsi dalle sue labbra, all’improvviso, perché aveva bisogno di ossigeno. Non le rimase vicino come di solito faceva si allontanò come una molla, tornando a guardarla e vedendola stupita di quel bacio così diverso, ma anche Kate ora aveva il respiro accelerato adesso ed il suo cuore pulsava veloce. Si stavano scambiando sguardi di sfida e di desiderio. Castle le si avvicinò di nuovo ed ora Beckett era pronta ad una nuova battaglia, non si sarebbe più fatta prendere di sorpresa dalla sua irruenza, ma lui invece la sorprese ancora, perché Rick si avvicinò lentamente sfiorandole le labbra ed accarezzandole con la lingua, e poi le diede tanti piccoli baci in sequenza, come il battito d’ali di una farfalla appoggiata sulla sua bocca. Infine la baciò ed il bacio che le dette era un bacio morbido ed umido, un bacio lento, con le lingue che giocavano tra loro senza fretta, perché non aveva nessuna fretta adesso, anzi voleva prolungarlo il più possibile, assaporarla con calma. Quando Castle decise di porre fine a quel bacio che sembrava infinito Beckett lo guardò ancora più sorpresa: non capiva il senso di quei baci così, in quel momento.

- Credi che avrei potuto amare qualcun’altra? Che potrei mai amare un altra donna? Io so amare solo te Kate. Posso amare solo te, in ogni modo, con ogni parte di me. Non esiste altra donna che posso amare, non dopo aver conosciuto te. Mi ferisce che tu possa anche solo domandarti se avessi preferito innamorarmi di qualcun’altra, cosa devo fare di più per farti capire dopo tutto questo tempo che non potrei mai aver voluto nessun altra? Non so più come dimostrartelo Kate, veramente.

- Non mi devi dimostrare nulla Castle. Non ho bisogno di dimostrazioni. Vorrei solo che smettessimo di accusarci a vicenda di cosa accadute in passato, che ogni volta che succede qualcosa dobbiamo ritirare fuori tutto quello che è stato prima. - Kate si voltò dandogli le spalle. Sentiva ancora il sapore di lui sulle sue labbra e tutto questo faceva solo sì che quella discussione fosse ancora più dolorosa. Perché doveva essere sempre tutto così maledettamente complicato tra loro? Perché non potevano solo amarsi come avrebbero voluto?

- Lo vorrei anche io, ma non è facile Kate.. - Rick le prese una mano e la tirò per farla voltare. Quando Kate si girò notò che Castle stava fissando i segni degli aghi sul suo braccio teso, erano ancora di un colore tendente al violaceo così come dello stesso colore erano i segni delle corde sui polsi, ma le facevano un effetto diverso, avevano un diverso significato. Suo marito con la mano stava percorrendo la sua pelle fino ad arrivare proprio lì, all’incavo del gomito e poco prima che li sfiorasse provò a ritrarsi, ma Rick tenne la presa ancora più salda e la guardò negli occhi.

- Perché ti vuoi nascondere a me? Perchè continui a vergognarti dei segni sul tuo corpo? Questi tra qualche giorno spariranno ed ora, quando li vedo, sai a cosa penso? A quanto sei forte e mi chiedo come hai fatto a resistere non solo fisicamente anche a questo. Tu invece vuoi nasconderti da me, non solo il tuo corpo ma anche le tue emozioni. Perché? Non ti fidi di me? Non al punto di dirmi perché ti fa così paura questo?

- Ci sono stati dei momenti nei quali mi è piaciuto. - Sospirò Kate cominciando a parlare senza però riuscire a guardare Castle negli occhi - Non sentire più niente, nessun tipo di dolore nè fisico nè psicologico nè emotivo mi ha fatto stare bene. Vedevo te e Lily e mi sforzavo di sentire qualcosa, ma non provavo nulla e stavo bene. Poi quando l’effetto passava avevo paura di quello che sentivo e stavo male, ancora di più ma allo stesso tempo avrei voluto provare di nuovo quella sensazione di estraniazione assoluta ed avevo paura di me stessa. So che era solo l’effetto di quella roba, ma è qualcosa che non riesco a perdonarmi. Non mi nascondo da Rick, mi vorrei nascondere da me stessa.

- Non ci riuscirò mai vero? - Le disse Castle accarezzandole il dorso della mano che teneva nella sua con il pollice ed abbozzando un sorriso

- A farti capire quanto sei straordinaria, anche se mi fai impazzire.

- Sono sempre esasperante e snervate… - sorrise anche lei

- Sì, Beckett decisamente. Ma sei anche sempre incredibile ed intrigante. E tante altre cose…

- Stiamo andando meglio, Castle, che ne dici? - Si appoggiò con la testa alla sua spalla

- In che senso? - Chiese lui sorpreso dalle parole e dal gesto.

- Che adesso riusciamo a discutere stando vicini. Senza scappare. Io credo che certe cose non cambieranno mai, perché tu avrai sempre paura che mi accada qualcosa ed io vorrò sempre tenerti lontano dai pericoli, al sicuro. Credo anche che litigheremo ancora, per questa cosa e per altre, magari per cosa dovremmo comprare a Lily, perché tu la vorrai viziare troppo ed io no…

- Oppure il contrario! - La interruppe Rick

- Non credo proprio Castle!

- Io dico di sì. Anzi, ne sono certo! - La puzecchiò

- Posso finire? - Lo riprese e Rick che voleva continuare fece silenzio - Dicevo, litigheremo sicuramente per tante cose. Però vorrei che lo facessimo sempre così. Vicini. Non voglio più che scappi via e mi lasci sola e non voglio più scappare e lasciarti solo. Non voglio più discorsi a metà o non fatti, perché poi torneranno a galla e ci faranno stare male. Vorrei che ci dicessimo tutto, nel bene e nel male, che non ci tenessimo qualcosa dentro per paura di discutere, perché poi diventerà qualcosa di più grande e sarà più doloroso affrontarlo.

- Hai ragione Kate, io sarò sempre preoccupato per te. Sempre. Ti chiedo però solo di non lasciarmi fuori dalle tue decisioni, di rendermi partecipe, di non allontanarti, escludermi e fare tutto con altri. Avremmo ugualmente litigato forse, però avrei saputo.

- Se tu avessi saputo, ti conosco, non saresti riuscito a stare fermo e a lasciarmi andare. Per questo non ti ho detto nulla. Perché so che tu non sei capace di stare a guardare. - Castle distolse lo sguardo da lei abbassandolo sul pavimento mentre Kate continuava a parlare - Come posso dirti quello che voglio fare, se voglio tenerti al sicuro ed ho la certezza che tu sei talmente testone da non rimanere fermo? Non lo hai mai fatto nemmeno per cose meno pericolose. E non provare a negarlo o ti dovrei fare l’elenco di tutte le volte che ti ho detto di rimanere in macchina e tu hai fatto di testa tua! - Lo ammonì Kate vedendo che stava per risponderle, ma poi sospirò ammettendo implicitamente che aveva ragione lei, non che avesse bisogno della sua ragione per sapere che era vero.

- Quindi continuerai a fare le cose di testa tua senza dirmi nulla… - Sbuffò Rick contrariato mentre Kate adesso si era scostata da lui guardava severa. 

- Castle, io spero di non trovarmi più in una situazione del genere. 

- E se dovesse accadere? Cosa farai? Andrai di nuovo in missione con Vikram che è arrivato al loft tremando come una foglia, più spaventato di Lily? O ti farai accompagnare da Ryan ed Esposito che ti avevano già messo una targa da ricercata addosso? Ti fidi più di loro che di me?

- Castle non è una questione di fiducia. Non c’è persona al mondo della quale io mi fidi più di te. Non ricominciamo per favore!

- Ok… Ok… Hai ragione, scusa.

- Castle, ascoltami. Mentre ero legata a quella sedia la cosa che mi faceva più male era pensare a tutte le cose che non avevamo potuto fare, tutte le cose che mi sarei persa di Lily, tutte le volte che non sarei potuto starle accanto e quelle che non avremmo potuto condividere. Tutto questo, per me viene prima di tutto. Noi e la nostra famiglia… Voi… Voi venite prima di qualsiasi cosa. Se tu ti senti più sicuro, se ti fa stare meglio io sono pronta a lasciare tutto, il distretto, la polizia, tutto, appena torniamo a casa. Senza rimpianti. - Rick vide la sincerità delle sue parole nei suoi occhi che non avevano alcun segno di cedimento. Era qualcosa sulla quale aveva sicuramente riflettuto molto ed era arrivata a quella decisione con decisione e serenità. La baciò brevemente, come se volesse ringraziarla per quello che gli aveva detto.

- No, Kate, non voglio. Non voglio condizionare la tua vita e le tue scelte, non devo essere io.

- Castle, tu non condizioni la mia vita, tu sei la mia vita e non posso fare a meno di pensare a cosa è meglio per noi per le mie scelte.

- Avevi deciso di rimanere al tuo posto fino alle elezioni del prossimo anno. Non voglio che cambi le tue scelte solo per le mie paure. Tu sei questa, io mi sono innamorato di te anche per questa parte di te e non voglio cambiare quella che sei e non voglio che dei bastardi possano influenzare le nostre vite. 

Kate si appoggiò nuovamente a lui e questa volta Rick l’abbraccio.

- Abbiamo superato la tempesta? - Le chiese Castle mentre anche lei ora cingeva il suo petto portando il viso proprio nell’incavo del suo collo e respirando il suo profumo, il profumo di casa ed annuendo.

- Voglio tornare a casa Rick. Voglio tornare da nostra figlia, non ce la faccio più.

- Ti prego Beckett, resisti ancora. Hunt ha detto che si sarebbe fatto sentire…

 

Jackson Hunt si fece effettivamente sentire quella sera. Rick mise il vivavoce mentre gli spiegava quello che aveva fatto e come aveva risolto la questione di Kate. Gli consigliò di aspettare il giorno successivo e poi potevano tornare a casa stando attenti a non rilasciare nessuna dichiarazione alla stampa. Gli avrebbero dato poi ulteriori informazioni su quello che Kate avrebbe dovuto fare. Ora che il momento di tornare realmente a casa si avvicinava, Kate cominciava ad essere nervosa ed impaziente. Passarono tutta la notte abbracciati nello spazio ristretto di quel letto ed era l’unica cosa di quel posto che piaceva ad entrambi.

Beckett era agitata e si muoveva in continuazione appoggiata sul petto di Castle ed era strano, perché di solito la notte quello sempre agitato era lui.

- Castle? - Gli sussurrò Kate soffiandogli leggermente sull’orecchio ma quel tanto che bastava per fargli solletico e non solo…

- Uhm?

- Mi perdoni? - La sua voce era terribilmente seria a dispetto della situazione. Rick però non aveva voglia di riprendere ora quella discussione.

-  Non lo so Beckett, ci devo pensare. Ne riparleremo quando sarai in forma ed avrai altri modi per farti perdonare.

Le diede un bacio tra i capelli, mentre lei si mordeva il labbro inferiore anche se lui non poteva vederla. L’aveva perdonata. Si sarebbero sempre perdonati. 

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Capitolo 31
*** TRENTUNO ***


Castle si chiuse la porta del garage alle spalle. Kate camminava lentamente verso l’auto e lui si era fermata a guardarla voleva far credere di stare meglio di quanto non stesse effettivamente. Forse anche quelle tuta grigia e la tshirt bianca non aiutavano a far sembrare migliore il suo aspetto.

- Non vieni Castle? - Chiese Kate quando era già davanti alla Mercedes di Rick ed aveva già aperto lo sportello.

Rick si guardò indietro e la raggiunse camminando velocemente, mentre lei entrò lentamente in auto, visibilmente sofferente nel piegarsi. Castle fece una smorfia di disappunto nel vederla così. Che stava peggio di quanto pensasse si rese conto quando mise in moto e Kate non provò nemmeno a mettersi la cintura di sicurezza: si sporse verso di lei per darle un bacio che lei ricambiò indugiando sulle labbra di Castle più di quanto lui si aspettasse.

- Sei pronta a tornare a casa? - Le chiese facendole una carezza e lei si appoggiò alla sua mano per prolungare il tocco.

- Non vedo l’ora.

 

- Sai - Le disse Rick mentre guidava verso casa fermandosi ad un semaforo rosso - questa volta i tuoi amici sono stati bravi, la mia auto è quasi intatta!

- Non è divertente Castle! - lo rimproverò

- Lo so, per questo voglio prendere una macchina nuova. - Le poggiò una mano sulla gamba sorridendo.

- Se lo vuoi fare per me non è necessario. - Rispose sicura Kate

- Lo faccio per noi. Anzi, lo dobbiamo fare insieme. - Le disse entusiasta e lei sorrise vedendolo eccitato per quella cosa. Non le importava molto in realtà, però l’idea di fare qualunque cosa insieme era, in quel momento, una gioia, un balsamo per l’anima ancora scossa dagli eventi.

Beckett guardò Castle perplessa quando lo vide accostarsi lungo la strada in un punto che non conosceva. Spense il motore e si slacciò la cintura di sicurezza.

- Cosa stiamo facendo fermi qui Castle? - Gli chiese Kate che non capiva quello che avesse in mente il marito.

- Colazione! - Rispose lui come se fosse ovvio

- Non andiamo a casa?

- Certo, ma prima facciamo colazione. Pochi minuti Kate, poi andiamo.

Entrarono così in quella piccola caffetteria che profumava di buono. Non era una di quelle chic di Manhattan e nemmeno una delle tante catene che si trovavano ormai ovunque. Non era molto grande, la maggior parte dei tavoli, cinque, erano lungo la vetrina e ce n’erano un altro paio nel fondo del locale, con dei divanetti, decisamente più appartati. Rick fece accomodare Kate in uno di quelli e poi andò ad ordinare la colazione, specificando bene al ragazzo che preparava i caffè come dovesse essere quello per sua moglie. Si fece mettere su un vassoio due fette diverse di torta una al cioccolato e arancio ed una alla vaniglia e marmellata di ciliegie e in una busta anche una dozzina di cookies con gocce di cioccolato da portare a casa. Tornò al tavolo con le fette di torta lasciando scegliere a Kate quella che avrebbe preferito, finirono per mangiarle tutte e due entrambe, sorridendosi quando le forchette si scontravano andando contemporaneamente sulla stessa. Non c’erano molti alti clienti oltre loro nel locale, a quell’ora di mattina tutte le caffetterie della loro zona erano prese d’assalto da gente che andava di corsa. Lì sembrava tutto molto più lento. C’era un tavolo con un ragazzo che leggeva un libro ed una coppia di anziani che come loro stava facendo colazione. Rick pensò che era un peccato che così poche persone assaporassero la bontà di quei dolci e di quei caffè pensò appena il ragazzo portò loro le due tazze con abbondante schiuma. L’espressione di beatitudine di Kate appena ne bevve un sorso gli fece capire che era proprio come lo voleva lei e sorrise soddisfatto, ancora di più nel vederla sporca di schiuma sul labbro superiore e non resistette dall’avvicinarsi e baciarla proprio lì, per togliergliela. Finirono di consumare la loro colazione tra poche parole, tanti silenzi e qualche sorriso quando i loro sguardi si incrociavano. Rick pensò che uno dei motivi per i quali amava Kate era anche che con lei stava talmente bene che non aveva bisogno di riempire i loro silenzi con le parole, perché stava bene anche così, a comunicare con uno sguardo o una mano sfiorata, lui che era sempre stato accusato di essere logorroico con lei aveva scoperto la bellezza del silenzio condiviso con chi si ama.

 

Rick parcheggiò l’auto nel garage ed uscì. Vide però che questa volta era Kate che stava indugiando, rimanendo seduta all’interno. Le aprì lo sportello, ma lei ancora non dava cenno di muoversi. Si preoccupò, temendo che non stesse bene.

- Kate? Ti senti male? 

Si voltò verso di lui e lo guardò scuotendo la testa, prendendo la mano che Rick le porgeva per aiutarla ad uscire, ma non la lasciò piuttosto andò a cercare il suo abbraccio. Castle le accarezzò dolcemente la schiena mentre lei si appoggiava sulla sua spalla: ora che erano lì, pronti ad entrare a casa, Beckett sentì veramente la tensione di tutti quei giorni sciogliersi. Era veramente a casa. Era veramente finito tutto. Pochi piani sopra a dove erano c’era sua figlia che l’aspettava e le braccia che la stavano tenendo erano quelle di suo marito. Era tutto quello che pensava non avrebbe più avuto, che non avrebbe avuto più tempo per vivere ancora una volta tutto quello, ed invece era lì, ancora una volta erano stati più forti di tutto o solo più fortunati di tanti altri, perché Kate, nonostante tutto, continuava a sentirsi fortunata. Appoggiò la testa nell’incavo del suo collo e respirò a pieni polmoni il profumo di Castle. Era impaziente di salire a vedere Lily, ma allo stesso tempo in quel momento si sentiva ancora emotivamente troppo scossa e non riusciva a muoversi e a decidersi di spostarsi da lì, vicino la macchina ancora con lo sportello aperto. Rick le prese il volto tra le mani e la baciò dolcemente per rassicurarla. Funzionò.

 

La porta del loft chiusa davanti a loro era l’ultima cosa che separava Kate sul suo mondo. Rick mise le chiavi nella toppa e guardò Kate, invitandola ad aprire. Sapeva che quello che le aveva detto nel suo appartamento l’aveva ferita più di quanto volesse far vedere o di quanto le avesse detto. Voleva farle capire che quella era casa sua, nonostante le cavolate che lui poteva averle detto.

- Bentornata a casa Kate . Le disse mentre lei stava aprendo la porta di casa loro.

 

- Signor Castle… Katherine… - Dustin si era alzato per vedere chi fosse entrato ed Alexis si sporse non appena sentì il suo ragazzo accogliere suo padre e Beckett. I due sorrisero al giovane e si avvicinarono al divano dove si trovava Alexis e Kate si guardando Lily sdraiata sulle ginocchia di Alexis che giocava con lei. Si portò una mano davanti alla bocca trattenendo a stento l’emozione mentre Castle vicino a lei le cingeva un fianco. Rick si aspettava che Kate sarebbe corsa a prendere in braccio sua figlia, invece si era fermata a guardarla commossa. Lily non si era ancora accorta subito della sua presenza ma appena lo fece, appena si voltò e la vide subito cominciò ad agitarsi ma Kate immobile. Castle rimase per un attimo spiazzato da quel comportamento poi fu lui a prendere Lily in braccio anche se la piccola non sembrò del tutto felice, tanto che continuava a guardare nella direzione di Kate lamentandosi e muovendosi.

Alexis si alzò e Dustin la seguì lasciando Beckett e suo padre da soli, lui le fece un sorriso ringraziandola e la figlia fece altrettanto, mentre il ragazzo imbarazzato salutò. Alexis avrebbe voluto salutare Kate in altro modo, soprattutto dopo quanto era accaduto negli ultimi tempi, ma capì che non era quello il momento. Trascinò letteralmente fuori casa Dustin andando alla scuola di recitazione da sua nonna per dirle che erano tornati a casa ed allo stesso tempo per impedirle di precipitarsi subito al loft.

 

Rick guardò Alexis uscire e si sedette lì dove prima era sua figlia con la piccola in braccio. Fece cenno a Kate di raggiungerlo e lo fece sedendosi con cautela tenendo una mano sul costato e mantenendo una certa distanza innaturale tra loro che Castle non apprezzò.

- Kate… - la chiamò Rick amorevolmente

- Non posso… Non la posso prendere Castle… Io… mi sento sporca

- Kate, non lo sei. Non hai colpa di niente di quanto accaduto, non è stata una tua scelta. Prendila Kate. Ha bisogno di te, guardala… 

Beckett osservò sua figlia che sembrava smaniosa di andare in braccio a lei cercava di divincolarsi da Castle.

- Mi sono sentita inumana, non avevo più controllo su di me, sulla mia mente e i miei pensieri. Non sentivo più nulla, vedevo Lily e te e non provavo niente… E la cosa peggiore è che mi sembrava di stare bene… 

- Prendi tua figlia Kate. Tu sei tutto tranne che inumana, sei il più straordinario essere umano che io conosco. Ma anche se ti senti così, non c’è medicina migliore di Lily per farti ritrovare quello che pensi di aver perduto. Lei è la parte migliore di noi… 

Beckett lasciò che Castle adagiasse Lily tra le sue braccia: lo voleva terribilmente, ne aveva un bisogno atroce eppure allo stesso tempo lo temeva. Il suo istinto ed il suo corpo, però, non seguirono le sue paure e le sue braccia assunsero la posizione naturale per accogliere sua figlia. Rimase a guardarla mentre lei le sorrideva e la guardava a sua volta ed era come se la vedesse di nuovo per la prima volta, come se stesse rinascendo con lei: le accarezzò timidamente il profilo del volto e poi la sua mano. Lily afferrò il dito di sua madre stringendolo con forza, come faceva spesso, come aveva fatto appena nata. La stava riportando a se, era Lily inconsapevolmente che stava guidando la sua mamma a lei. Perché Lily non vedeva le cicatrici, i lividi, i segni degli aghi sulla pelle, non capiva la paura ed il senso di inadeguatezza. Per Lily c’era solo l’istinto, lo stesso che aveva portato Kate ad aprire le braccia per accoglierla anche se la sua mente non voleva, e gli diceva che quella era la sua mamma ed era con lei, non un pupazzo o un cuscino con il suo profumo. E finalmente la strinse a se, portando il volto della piccola vicino al suo, baciandola, più volte, accostando la sua pelle su quella morbida della sua guancia rosa della piccola. Non si curò del dolore che sentiva ancora alle braccia con i muscoli provati nel tenerla sollevata, nè quello al costato ogni volta che Lily le assestava involontariamente qualche calcetto. Aveva sopportato tutto quello solo per quel momento, solo per lei. Kate riuscì a rilassarsi, lasciandosi andare sul divano: sembrava stanchissima per quella battaglia di emozioni che stava combattendo. Si rannicchiò in un angolo con Lily in braccio che invece era già completamente a suo agio, appoggiata sul suo petto con la mano protesa sul viso di Kate che chiuse gli occhi per assaporare quel momento che stava diventando più intenso di quanto potesse immaginare. 

- Mi sei mancata tanto bimba mia… - le sussurrò Kate commossa mentre sua figlia si stava beatamente addormentando. 

Rick si sentiva in imbarazzo nel rubare con lo sguardo i sentimenti di Beckett in quel momento e vederla così lo emozionava profondamente. Non poteva fare a meno di pensare ogni volta che vedeva Kate totalmente coinvolta dalla loro bambina, a tutto quello che avevano fatto per arrivare fino a lì, quel percorso ad ostacoli che sembrava infinito, al quale ne avevano appena aggiunto uno difficile e doloroso. Vedeva quella donna con i capelli lunghi e mossi dai riflessi dorati che le ricadevano sulle spalle con la fronte che sfiorava quella di Lily, con i lineamenti morbidi e distesi, totalmente abbandonata a quella creatura e non poteva fare a meno di ripensare alla giovane ragazza dai capelli corti e scuri che con passo deciso gli mostrava il distintivo e lo guardava sprezzante e fiera. Non era scomparsa, lo sapeva. Era sempre lì, nascosta ma pronta a tornare a galla ogni volta che Kate voleva proteggersi o proteggere gli altri. L’aveva rivista pochi giorni prima e si era sentito intimidito da lei, come non gli era mai capitato prima, aveva avuto paura di fare un salto indietro, nel passato quando doveva lottare ogni giorno anche solo per poterle stare vicino, come collega o qualcosa di simile. Si era sentito escluso non solo dalle sue decisioni ma dalla sua vita ed ora non avrebbe più potuto tollerarlo. Ora però aveva nuove certezze, e la prima era che non ne avrebbe avute. Non avrebbe avuto la certezza che Kate sarebbe cambiata, che avrebbe imparato ad affidarsi agli altri e non agire da sola per non metterlo in pericolo. Però aveva anche la certezza che qualunque cosa fosse accaduta, lei avrebbe sempre fatto di tutto per tornare da lui e da Lily. Kate era sua, non per possesso ma per volontà, allo stesso modo in cui lui si sentiva suo. Era sua moglie, sua amica, sua amante e nonostante tutto questo Rick sapeva che lei era la sua conquista continua, che non avrebbe ma smesso di scoprire qualcosa di lei, di conquistarne una parte.

Castle si alzò per lasciarle sole e permettere a Kate di vivere liberamente quel momento, ma appena lei sentì il divano muoversi si voltò verso di lui con lo sguardo interrogativo.

- Avete bisogno di un po’ di tempo solo per voi - Le sussurrò per non svegliare sua figlia addormentata ma Kate non sembrava dello stesso avviso ed allungò una mano verso di lui che la prese ed ora era in piedi proprio davanti a loro.

- Ho bisogno di noi. - Lo tirò verso il divano e lui assecondò la sua richiesta, mettendosi vicino a lei che cambiò immediatamente posizione, lasciandosi avvolgere dalle braccia di Rick, ed intrecciarono le dita delle loro mani, proprio sopra il corpo di Lily che dormiva finalmente tranquilla. Kate sospirò appoggiando la testa sulla spalla di suo marito che si piegò verso di lei per baciarla dolcemente mentre sentiva sua figlia muoversi su di lei nel sonno.

- Le sei mancata anche tu. - Le disse Rick osservando le loro mani unite che tenevano la loro bambina - non si è mai addormentata così velocemente e serena quando tu non c’eri e nemmeno io ho mai dormito bene senza di te.

Passarono così il resto della mattinata, assaporando quella normalità che era mancata a tutti. Ci sarebbe stato poi il tempo per i giochi, per chiamare gli amici, riprendere in mano la propria vita e tutto il resto. Quella mattina il tempo era solo per loro e rimasero in quel modo fino a quando Lily, incurante del desiderio dei suoi genitori di passare anche il resto della giornata senza fare nulla, si svegliò e reclamò le loro attenzioni, di sua madre soprattutto che si rialzò un po’ controvoglia mettendosi ben dritta sul divano e sollevando in aria Lily che sgambettava e le sorrideva interrompendo i lamenti.

- Credo abbia fame - Disse Rick controllando l’orologio ed alzandosi: gli sembrava impossibile che avessero già trascorso tutto quel tempo lì.

- Sì, lo credo anche io… Ci pensi tu a prepararle il latte? - Gli chiese Kate mentre l’aveva fatta sdraiare sul divano proprio dove prima era Castle. Le sembrava che fosse cresciuta tantissimo ora che la guardava bene mentre cercava di mordersi i piedi.

- Tu no… Ecco io pensavo che… - Rick balbettò fissando Kate che scosse la testa appena, mentre con le mani teneva Lily per evitare che rotolasse giù dal divano - … ok, sì certo, lo preparo io.

Beckett percepì il disagio e l’imbarazzo di suo marito.

- Castle! - Lo richiamò e lui si voltò mentre già stava andando in cucina. - Va tutto bene, credimi.

- Ne sei sicura Kate?

- Sì, solo non mi va di parlarne adesso.

- Ok, come vuoi tu…

Rick la osservò poi dare il biberon a Lily con tenerezza e sembrava quasi incerta per una cosa che non aveva mai fatto, se non per farle bere di tanto in tanto un po’ d’acqua e quando la piccola decise che ne aveva abbastanza, Kate la passò a Castle mentre lei si alzava con fatica dal divano, che era molto più morbido del letto nel garage e tirarsi per lei non era così semplice, però non appena fu in piedi, il gesto che fece a suo marito su eloquente e lui lasciò che prendesse di nuovo Lily con la quale camminò per il loft.

 

- Vuoi che ci penso io a cambiarla? - Le chiese Rick quando era evidente che Lily che avesse bisogno.

- No, ce la faccio. Ho bisogno di farlo, di prendermi cura di lei, come sempre.

Rick annuì e Kate andò in camera con Lily. Sapeva che non doveva essere così apprensivo, che doveva lasciare Beckett fare quello che aveva sempre fatto senza preoccuparsi troppo, ma aveva anche lui difficoltà a limitare quel lato protettivo del suo carattere, anche se sapeva che non aiutava per niente Kate a lasciarsi tutto alle spalle vivere con lui che l’avrebbe tenuta sotto una teca di cristallo.

I suoi pensieri furono interrotto dall’arrivo al loft di Martha con Alexis e Dustin.

- Richard! - Sua madre lo abbracciò come se non lo vedesse da anni - Dov’è Katherine? Sta bene?

- Sì, mamma sta bene non ti preoccupare! - Le rispose in tono rassicurante appoggiando le mani sulle spalle - È  in camera, con Lily, la sta cambiando.

- Oh ma certo, che si prenda tutto il tempo che vuole per stare con la sua bambina! Se lo meritano entrambe! Io intanto ho bisogno di bere qualcosa! 

I quattro si spostarono tutti in cucina dove Martha versò un bicchiere di Pinot nero per se e per suo figlio, mentre Alexis e Dustin optarono per un più salutare succo di mela. Riuscirono a parlare finalmente molto più distesi, con Rick che sorrideva per qualsiasi cosa. Alexis e Dustin comunicarono ai due che sarebbero tornati a casa la sera successiva. Avevano lasciato tutto in sospeso a Philadelphia partendo all’improvviso. Rick ne fu dispiaciuto, ma capiva che la vita di sua figlia almeno per adesso era là e era giusto che tornasse anche lei alla sua normalità, come tutti loro.

- Posso avere anche io qualcosa da bere? - Chiese Kate uscendo di camera con Lily in braccio vestita di tutto punto con una vestitino bianco con i bordi rosa comprato sicuramente in uno di quei momenti in cui si sentiva in vena di qualcosa di estremamente “confettoso” come dice Castle quando la vedeva scegliere cose poco pratiche ma molto chic e con troppo rosa per i suoi standard.

- Katherine, tesoro! - Martha le si fece incontro e Beckett fece appena in tempo a lasciare la piccola a Castle prima di essere abbracciata dall’attrice 

- Non farci mai più una cosa del genere, mi hai capito? - Le disse rimproverandola bonariamente mentre le teneva il viso tra le mani. - Ci hai fatto così spaventare! Questo giovanotto qui che ora sorride come un bambino… Beh, immagina come poteva stare… peggio di tutti noi.

Martha era una brava attrice, ma non fino a quel punto. Si commosse nel ripensare al suo ragazzo distrutto dal dolore, un dolore che era di tutti, ma suo ancora di più. Kate prese la mano della donna e poi fu lei ad abbracciarla sotto lo sguardo silenzioso di Rick. Notò come si era cambiata anche lei, togliendosi quella tuta grigia ed indossando un paio di jeans ed una maglietta rossa a maniche lunghe e sotto a questa vide i polsi avvolti in delle fasce bianche: stava cercando di nascondere tutti i suoi segni, tranne quello sul labbro, impossibile da coprire.

- Ti prendo il tuo bicchiere! - Disse poi Martha asciugandosi gli occhi e Kate salutò anche Alexis e Dustin e tornò al fianco di Rick, accarezzandogli la schiena con nonchalance mentre gli girava intorno. Si guardarono negli occhi per qualche istante e poi Castle le cinse la vita con il braccio libero e lei si appoggiò al suo fianco beatamente. Martha vide il volto di suo figlio distendersi nuovamente, mentre aveva vicino a sé la sua famiglia finalmente di nuovo riunita. Vedeva il suo sorriso sincero che gli riempiva il volto, sembrava anche più bello di quanto non gli appariva di solito, così come Katherine che vedeva essere provata più di quanto voleva dare a vedere, non le era sfuggita la postura rigida e la smorfia quando Rick aveva appoggiato la mano su di lei stringendola più di quanto si fosse aspettata, ma allo stesso tempo le vedeva gli occhi sorridere ancora di più del suo volto. Le sembrò ancora più impossibile che il suo ragazzo avrebbe potuto vivere senza tutto quello. 

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Capitolo 32
*** TRENTADUE ***


Castle aveva ordinato del cinese per tutti e Kate sottolineò che per tutti poteva voler dire per tutto il palazzo: come al solito non si era regolato. Beckett amava particolarmente quel pranzo, non per il gusto di quello che stavano mangiando, non solo almeno, perché Rick aveva preso tutto quello che le piaceva ed aveva disposto le scatole al centro del tavolo lasciando che ognuno si servisse liberamente, sembrava avesse imbandito un piccolo buffet solo per loro, lo amava per la ricerca di normalità: per Lily che nel passeggino vicino che studiava con tutti i suoi sensi, estremamente curiosa quei giochi colorati e dalle forme strane, per come Dustin guardava Alexis quando era convinto che lei non se ne accorgesse e vedeva il sincero amore ancora acerbo di due ragazzi che volevano diventare grandi, per gli sguardi di Martha al sorriso sereno di Rick e per la naturalezza con cui teneva la mano sulla sua gamba, accarezzandola, bisognoso di un contatto continuo. Stavano sforzandosi anche di parlare di banalità, come in qualsiasi altro momento ed era Martha a tenere banco in questo, raccontando alcuni aneddoti delle ultime repliche del suo spettacolo che vedevano coinvolti alcuni dei suoi studenti che aveva voluto in scena con lei e Rick sorrideva a tutti i racconti di sua madre, ma Kate era convinto che avrebbe sorriso a qualsiasi cosa, anzi gli sarebbe piaciuto se effettivamente stava ascoltando qualcosa di quello che veniva detto o era proiettato nel suo mondo fatto in quel momento, pensava Kate, solo di arcobaleni, unicorni, fate e gnomi saltellati a giudicare dalle sue espressioni. Gli strinse la mano appoggiata sulla sua gamba e lui si volto a guardarlo con quell’espressione che lei avrebbe voluto che il resto del mondo sparisse da quella stanza e li lasciasse soli almeno un’ora o due, per sicurezza. Si accontentò di baciarlo lievemente sulle labbra, assaporando un po’ del sapore della salsa piccante che aveva appena mangiato con i noodles di soia.

Kate si accorse che Dustin aveva smesso di guardare Alexis e da un po’ stava fissando lei e Castle con aria perplessa: Rick era troppo nel suo mondo per accorgersene e Marta e Alexis che gli erano di fianco non avevano incrociato il sua sguardo come aveva fatto lei, facendolo sentire un po’ a disagio, tanto che smise di guardarli fissando il piatto vuoto, ma fu solo per poco, poi fu di nuovo attratto dai due.

- Allora Dustin, tutto bene? - Gli chiese Kate in tono cordiale ma sinceramente curiosa di capire come mai li stesse esaminando così attentamente. 

- Sì… Sì… - rispose il ragazzo imbarazzato

- Ma? - Continuò Kate sorridendo, non lo voleva mettere a disagio, ma sapeva che c’era qualcosa, il suo istinto glielo diceva e difficilmente sbagliava.

- Ecco… Io… mi chiedevo come fate voi due a far finta di nulla, dopo quello che è accaduto intendo.

Rick tossì nervosamente e si irrigidì guardando il ragazzo severamente, anche Alexis lo guardò truce e sembrava Kate l’unica che aveva comprensione per quella domanda. Capiva che per chi li vedeva da fuori poteva essere strano. 

- Io e Castle abbiamo avuto modo di parlare nei giorni scorsi. Non facciamo finta di nulla, ma fare le cose normali di sempre, aiuta. - Gli spiegò Beckett - E poi ormai siamo quasi abituati a queste situazioni, no?

Provò ad alleggerire la tensione che si era creata con scarsi risultati visto che Rick era sempre teso ed anche Alexis non era da meno. Kate strinse la mano di suo marito e cercò aiuto con lo guardo in Martha che provò a riportare la conversazione su binari più allegri ma nessuno adesso la ascoltava più come prima.

- Non si fa mai finta di nulla, è impossibile. - Disse Castle interrompendo uno dei racconti di sua madre, come se avesse fino a quel momento cercato la risposta alla domanda di Dustin - Ma non possiamo farci rubare il presente ed il futuro da chi ci ha già tolto giorni al passato. 

- E non ha mai pausa adesso signor Castle? - Chiese ancora il ragazzo facendosi coraggio

- Mai? - Chiese Rick sorridendo - Ho sempre paura, ma non da adesso, da sempre, per tutte le persone che amo. Ed è proprio questa paura che ti fa apprezzare ogni singolo momento che vivi con loro. Fallo anche tu, sempre. Non dare mai nulla per scontato di quello che hai oggi. Domani potresti non averlo.

Dustin annuì a Castle ed il pianto di Lily servì a catalizzare le attenzioni su di lei facendo cadere quel discorso che rischiava di diventare più pesante di quanto voleva essere solo la curiosità del giovane.

-  Sembra proprio che qualcuna voglia fare il suo riposino - disse Kate prendendo in braccio Lily ed alzandosi da tavola. Rick accompagnò i suoi movimenti facendo lo stesso ed accompagnò le sue due donne in camera.

- Credo che dovremmo cambiarla, o vuoi farla dormire con quel vestito? - Chiese Castle a Kate punzecchiandola per la scelta che aveva fatto, molto poco pratica che andava contro a ciò che gli diceva sempre.

- Credo di sì - Rispose lei facendo una smorfia, sapendo che suo marito aveva ragione. Rick sorrise soddisfatto per aver fatto ammettere a Beckett la poca praticità di quella scelta e si offrì di cambiarla lui, mentre lei li aspettava seduta sul letto. Notò tra i cuscini la sua maglia stropicciata.

- Sarà il caso di metterla a lavare - disse a Castle quando tornò con Lily vestita con una più comoda tutina che si stava già addormentando in braccio a suo padre.

- Aiutava Lily a calmarsi. - Ammise Rick

- Oh certo… - sospirò stupita Kate. Non ci aveva pensato. Era convinta che l’avesse presa lui.

- E a me a sentirti più vicina - Aggiunse Castle mentre metteva Lily nella culla, ma Beckett lo fermò.

- Mettila qui - indicò il loro letto - Possiamo stare un po’ tutti e tre insieme, che ne dici?

Rick non disse nulla ma sorrise facendo esattamente quello che aveva detto lei, adagiando Lily in mezzo a loro.

- Sai Beckett, credo che avremo una figlia estremamente viziata. - Bisbigliò mentre accarezzava la schiena della piccola e le loro teste si sfioravano sopra quella della bambina.

- Passerà gran parte della giornata insieme a te, come potrebbe essere altrimenti?

- Alexis ha passato molto più di gran parte delle giornate con me, eppure non è viziata, quindi se Lily lo sarà dipenderà dalla variante Beckett - bisbigliò ancora Castle serio.

- Quindi vuoi dire che sono io che vizio nostra figlia? - Ormai era una battaglia di bisbigli, si stavano divertendo a punzecchiarsi a vicenda e anche quello era tornare alla normalità.

- Non proprio, voglio dire che magari ha preso da te!

- Allora vuoi insinuare che io da piccola ero viziata?

- Beh, potrebbe essere Beckett, no?

- No! Assolutamente no!

- Uhm… chiederò a tuo padre, tanto tra poco sarà qui. Lui è sicuramente più affidabile di te in questo!

Kate sbuffò ma fu felice di sapere che Jim sarebbe arrivato presto. Lasciarono da parte i battibecchi e si presero per mano. Lily dormiva beatamente tra di loro. In fondo che male c’era a viziarla un po’, pensarono entrambi senza dirselo.

 

Jim Beckett fu di parola, arrivò veramente poco dopo che Lily si era addormentata, impaziente di vedere sua figlia come solo chi lo poteva conoscere bene riusciva a capire.

Kate sentì la sua voce ed uscì dalla camera, trovandolo a scambiare alcune parole con Martha ma si ammutolì subito, vedendo la figlia appoggiata allo stipite della porta che si mordeva il labbro con la testa abbassata e gli occhi verso l’alto a guardarlo. A Jim sembrò di rivederla bambina, quando combinava qualche pasticcio e veniva scoperta impaurita dall’essere sgridata.

- Ciao Katie - disse semplicemente l’uomo ma lei gli andò incontro abbracciandolo.

- Scusami papà - sussurrò Kate prima di staccarsi da lui. Jim la accarezzò con la dolcezza che solo un padre poteva avere e la paura ancora segnata intorno agli occhi. Vide i polsi fasciati di Kate e appena si mosse notò anche il suo incedere affaticato. Non voleva sapere altro, non voleva sapere cosa la sua bambina aveva dovuto sopportare, ancora una volta e Kate notando il suo sguardo si tirò le maniche della maglietta fino ai polsi per provare a nascondersi e tornò a guardarlo con quello sguardo colpevole.

- Stai bene? Va tutto bene? - Le chiese solo Jim e Kate sapeva che non si riferiva solo all’aspetto fisico. 

- Guarirà in pochi giorni - disse toccandosi il labbro - ed anche gli altri segni andranno via presto. Per il resto, va tutto bene. Sono a casa.

- Era quello che volevo sapere. Ora devo andare Katie. Ci vediamo nei prossimi giorni. - Jim non voleva imporre la sua presenza, anche se a Kate avrebbe fatto piacere passare un po’ più di tempo con lui, sapeva che era provato da quella visita più di quanto volesse far vedere.

- Ci sentiamo papà. - Lo salutò osservandolo uscire.

 

Era quasi sera ed erano soli a casa quando il campanello suonò ancora. Pensarono che qualcuno al distretto aveva dovuto sapere la notizia e che Esposito e Ryan o Lanie avessero deciso di andarli a trovare. Castle così abbandonò controvoglia il loro letto e i giochi che stavano facendo con Lily di nuovo sveglia e attiva come sempre.

- Signor Castle, Buonasera. - Disse uno sconosciuto fuori dalla porta, elegantemente vestito con abiti di ottima fattura sartoriale

- Ci conosciamo? - Chiese Rick diffidente

- No, ma abbiamo un amico in comune.

- Cosa vuole?

- Parlare con sua moglie. 

- Mi dispiace ma…

- Il nostro amico in comune mi ha detto che lei è un tipo diffidente, e mi ha detto di portarle questo, lei avrebbe capito. - Lo sconosciuto tirò fuori dalla ventiquattrore di pelle nera un libro, era una copia di Casino Royale

- Bene. Come la posso chiamare? - Chiese Castle picchiettando il palmo della mano con il dorso della copertina del libro, capendo chi si trovava di fronte.

- Mi chiami pure Renè Mathis, andrà bene. - Disse l’uomo pacato

- Ma certo, Renè… Mi segua, andiamo nel mio studio - Sorrise Rick sarcastico

 

Lo fece accomodare e poco dopo dalla porta che dava sulla camera da letto, lasciata aperta per poter controllare Lily che giocava nel suo lettino, entrò anche Kate che si mise seduta vicino a Renè mentre Castle era davanti a loro, tamburellando con le dita sul piano della scrivania. Rick l’aveva informata brevemente quando era andato ad annunciarle chi era che li attendeva e Beckett non sembrò molto felice di dover fare quella conversazione.

- Immagino sappia perché sono qui. Ci sono delle questioni che abbiamo diciamo risolto in suo favore. - Disse l’uomo

- Vi dovrei ringraziare? Signor…?- Chiese Kate mantenendo le distanze

- Renè Mathis, abbiamo concordato con suo marito. - Sorrise ironico - Non sono qui per i ringraziamenti e non facciamo mai qualcosa per ottenere un ringraziamento. Sarò sincero con lei Capitano Beckett, l’operazione Campos non era una cosa nei nostri piani, nè una nostra priorità. È stata un’occasione che si è presentata per saldare un conto in sospeso che avevamo dall’anno scorso, dal caso LokSat. Il nostro contatto operativo voleva fare qualcosa per lei e così abbiamo colto l’occasione.

- Quindi cosa dovrei sapere? Quale sarà la versione ufficiale?

- Lei era in missione per nostro conto da quando sua figlia è stata rapita, l’abbiamo contattata appena saputo del rapimento ed ha lavorato per noi, per liberare sua figlia e catturare Campos per porre fine ai commerci con vari paesi del centro e Sud America, contemporaneamente. Ha lavorato da sola senza dire nulla a nessuno nel suo distretto e nemmeno all’FBI. Verrà fuori tutto, Capitano Beckett e lei deve rispondere che tutto quello che ha fatto era controllato e autorizzato dall’agenzia. 

- Non mi pare difficile.

- Non ho detto che lo sia, Capitano Beckett.

- Quando ha ripreso sua figlia e l’ha affidata a Vikram, lei si è fatta volutamente rapire per arrivare nel suo covo, dove poi noi l’abbiamo localizzata e tratta in salvo. Abbiamo sequestrato, droga, armi ed arrestato molti uomini della sua organizzazione. Campos è stato ucciso nel corso del blitz che è stato effettuato ieri. Immagino che non abbiate detto a nessuno della sua liberazione, non è vero? - Chiese Renè ad entrambi.

- Lo sa solo la mia famiglia - Disse Castle - ed il padre di Beckett. Non lo hanno detto a nessuno.

- Perfetto, fate in modo che non lo facciano. Nessuno saprà di quello che le è stato fatto durante il suo sequestro, Beckett. Abbiamo concordato, con il capo della polizia ed i vertici del suo partito, una conferenza stampa per domani mattina. Pensa di essere pronta?

- Con il vertici del partito?

- Ma certo, anche loro sono stati informati ovviamente, pensava che non sapessimo dei suoi prossimi impegni? Quando sarà resa nota la sua candidatura per il prossimo anno? Al meeting di luglio che si terrà qui a New York, immagino. 

- Sì, così avevamo deciso… - disse Beckett pensierosa

- Cambiato idea Capitano?

- No…

- Bene, perché le assicuro che puntano molto su di lei, hanno grandi progetti - Le disse Renè sorridendo. - E questa operazione che lei ha brillantemente portato a termine, mettendo a rischio la sua stessa incolumità, le porterà una visibilità molto grande. Per non parlare di quanto farà scalpore la parte della madre che salva la figlia di qualche mese in mano ad un’associazione criminale. Mi creda, questa cosa farà colpo e lei ne trarrà grandi benefici.

- Non voglio fare carriera sulla pelle di mia figlia e non voglio prendermi meriti di cose che non ho fatto.

- Capitano Beckett, la politica è questo, la scienza dell'opportunismo e l'arte del compromesso come dice Liszt, dovrà abituarsi e poi ci saranno vere e proprie menzogne, lei ha realmente salvato sua figlia e sradicato l’organizzazione di Campos.

- È tutto relativo, quindi - disse Kate poco convinta.

- Assolutamente sì, dipende come si racconta la storia e su questo abbiamo un esperto, che è suo marito e se rimaniamo in tema di citazione, il cancelliere Bismark diceva che la politica è l'arte del possibile, la scienza del relativo e lui era un gran diplomatico. Si dovrà abituare a tutto questo, lo prenda come un primo banco di prova.

Rick e Kate si guardarono mentre Renè li osservava, poi Castle le fece un cenno di incoraggiamento con il capo, facendole capire che lui era d’accordo e lei si rassicurò, facendo a sua volta di sì con la testa a Renè.

- Bene Capitano Beckett. Allora mi raccomando, domani mattina puntuale alle 9:30 alla sala conferenze del quartier generale della polizia di New York. Ci sarà anche il sindaco, sarà contento di rivedere il suo amico, signor Castle, verrà anche lei, non è vero?

- Dovrei? - Chiese Rick

- Sarebbe positivo se vicino al Capitano Beckett ci fosse anche suo marito e sua figlia, darebbe un’immagine…

- Questo se lo può scordare, non userò mai mia figlia per farmi pubblicità. - Lo interruppe Kate. - E questa non è una cosa sulla quale sono disposta a trattare nè con voi nè con il partito nè con nessuno. Se mi vogliono per quella che sono non possono volermi cambiare.

Renè rise di gusto davanti a quella donna più testarda e decisa di quanto potesse immaginare.

- Nessuno la vuole cambiare, ma vede Beckett, lei ha una grande opportunità nelle sue mani. La politica, nel nostro paese, sta vivendo una fase di profondo rinnovamento. Le persone sono stanche dei vecchi politici che ritengono responsabili della crisi che  li ha colpiti, non si riconoscono in loro e preferiscono la non politica alla politica. I partiti stanno provando a rinnovarsi cercando gente lontana da questa immagine, gente nuova ma capace con ideali e valori positivi e che saprà farsi amare dalla gente, come lei.

- Non sarò di certo io a cambiare questo paese, anche se dovessi diventare senatrice - sorrise Beckett

- Perché porsi limiti? Da qui a qualche anno non si sa cosa potrebbe accadere e se si fa trovare preparata…

- Credo che lei stia correndo un po’ troppo.

- Oppure ho solo uno sguardo più attento di lei su quella che è la realtà delle cose. Non si sottovaluti Beckett, perché gli altri non lo stanno facendo.

L’uomo si congedò e Castle lo accompagnò lasciando Kate da sola nel suo studio a riflettere alle sue parole.

 

- Sei preoccupata? - Le chiese Rick tornando da lei

- Si nota?

- Io lo noto. Hai quella ruga proprio qui, sulla fronte, che ti si forma solo quando sei eccessivamente pensierosa. - Le disse accarezzandole la fronte nel punto esatto che stava descrivendo.

- Non so se sarò mai in grado di gestire tutto questo. Di essere all’altezza delle aspettative che hanno. 

- Non pensare alle loro aspettative, pensa solo a quello che puoi fare tu. Non devi per forza compiacerli, farai quello che ti sentirai di fare e ti spingerai fin dove vorrai. Senza pressioni. Se poi non te la senti, puoi sempre rinunciare, continuare con la tua carriera di Capitano, fare strada in polizia e diventare il capo della polizia di New York tra qualche anno.

- Esageri sempre!

- Non ho mica detto io che devi diventare Presidente degli Stati Uniti, anche se prima o poi una donna dovrà farlo.

- Dai Castle, sii serio!

- Lo sono Beckett!

- Proprio questo mi preoccupa!

- Cosa?

- Che tu sei serio!

Risero entrambi di quello scambio di battute poi Castle tornò serio

- Se ti fa piacere domani sarò vicino a te.

- Certo che mi fa piacere.

- Però se tu non vuoi fare quella conferenza stampa, non ci andremo. Dopo quello che è successo devono capire se vuoi un po’ di riposo.

- No, voglio chiudermi questa storia alle spalle il prima possibile.

 

 

Era mattina presto quando Rick notò che l’altra metà del letto era fredda e vuota. Vide la porta di camera lasciata socchiusa ed ancora insonnolito uscì. Vide Kate appoggiata alla vetrata del loft guardare New York che si stava ancora svegliando, mentre lei doveva esserlo già da molto, se mai aveva dormito. Avevano fatto tardi quella notte, la prima nel loro letto, ma non l’avevano passata in modo molto diverso da quelle precedenti, in quello molto più piccolo del rifugio di Hunt, abbracciati a scambiarsi baci e coccole fino a quando a Castle non parve che erano crollati entrambi, o forse solo lui che come ultima cosa ricordava solo le labbra di Kate sulle sue e le risate soffocate dai baci per non svegliare Lily. Pensò che forse lei non si era mai addormentata, invece, che era stato lui a lasciarla sola abbandonandosi a Morfeo colpevolmente.

La raggiunse abbracciandola da dietro e Kate sobbalzò, Rick non sapeva se era stato lui ad essere diventato particolarmente silenzioso o lei ad aver abbassato i suoi livelli di guardia persa nei suoi pensieri da non sentirlo arrivare. Sentì la sua pelle fresca a contatto con il suo corpo molto più caldo, le diede un bacio sul collo e gli scappò una risata notando come forse la sera prima aveva esagerato lasciandole proprio lì il segno delle sue labbra.

- Credo che sarà meglio se oggi indossi un foulard - Le sussurrò non potendo fare a meno di ridere e Kate si portò una mano sul collo come se potesse sentire qualcosa.

- Non lo avrai fatto veramente Castle! - Sembrò rimproverarlo a bassa voce

- Temo di sì, Beckett… ieri sera… 

- Dio mio Castle! Nemmeno a vent’anni ho dovuto coprirmi per queste cose! - Sbuffò lei contrariata ma Rick la fece girare per guardarla negli occhi

- Perché a vent’anni sicuramente non avevi un ragazzo che ti amava come ti amo io. - Glielo disse con una tale semplicità e con quello sguardo da cucciolo ancora velato dal sonno che non potè fare a meno di sorridere pensando che in fondo non gli importava nulla e se voleva poteva farne quanti voleva. 

- Caffè? - Le chiese interrompendo i suoi pensieri

Non poteva dirgli di no e non lo fece.

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Capitolo 33
*** TRENTATRE ***


Aveva seguito i consigli di Castle quando si era vestita. Le aveva fatto tutta una spiegazione su una teoria per la quale i colori da scegliere erano importanti per quello che voleva comunicare. Aveva quindi aperto la cabina armadio, si era immerso dentro e ne era uscito con una serie di tailleur e camice da abbinare. Ne provò uno rosso con una gonna molto corta che Castle le pregò di togliersi subito, altrimenti non sarebbero più andati a nessuna conferenza stampa perché non l’avrebbe fatta uscire da quella stanza per molto tempo. Poi fu il turno di uno bianco, con i pantaloni, la osservò per un po’, ma non commentava. “Mi ricorda il giorno che ci siamo sposati” le disse infine e fu Kate a quel punto a decidere di cambiarsi. L’ultimo, quello blu sempre con i pantaloni, alla fine fu quello che entrambi ritennero più adatto. Era sobrio ed elegante e la stoffa misto seta lo rendeva lucente, illuminandole ancora di più il viso e la giacca le faceva risaltare il punto vita tornato quello di un tempo dopo le sue dure sedute in palestra. Rick le propose una camicia bianca, sempre di seta, da mettere sotto. Si guardò allo specchio e doveva dire che non stava male, anzi. Se non fosse stato per quel succhiotto sul collo sarebbe stata perfetta pensò senza falsa modestia indossando un paio di scarpe dal tacco particolarmente alto di un blu poco più scuro dei pantaloni. Rick le portò un foulard rosso Valentino che le mise al collo stando attento a coprire bene i suoi segni, sembrava particolarmente contento del risultato guardandola.

- Allora Beckett, che ne pensi? Ti piaci? - Le chiese soddisfatto

- Beh, penso che puoi essere soddisfatto di tua moglie, no?

- Molto, molto soddisfatto - La baciò con passione prima che lei lo allontanasse per andare a finire di truccarsi e pettinarsi.

 

Castle e Beckett erano arrivati alla sede della polizia, avevano evitato tutta la stampa che li attendeva fuori per qualche scatto o dichiarazione prima della conferenza stampa passando da un’entrata secondaria. Kate lasciò che fosse lui a guidare sottolineando che era un’eccezione solo perché ancora non era in forma e quelle scarpe avevano dei tacchi decisamente troppo alti, cosa che aveva appurato anche lui stesso quando se la trovò vicina alta praticamente quanto lui. 

 

- Capitano Beckett! È splendida! - Le disse una donna che si avvicinò a lei con passo svelto appena entrata nella sala adiacente a quella della conferenza stampa dove c’era un gran via vai di persone, compreso il capo della polizia Bratton ed il sindaco Welldon - Sono Susan, l’addetta stampa che seguirà i suoi prossimi appuntamenti mi hanno mandato dalla segreteria del partito. Mi aspetti qui, torno subito!

Kate guardò Susan: cartellina in mano, due cellulari, un tablet, si spostava camminando in modo nervoso ed a scatti, passando a salutare una persona ed un altra con voce squillante.

- Sono tutte così? - Chiese Kate a Castle che sorrideva molto più a suo agio di lei in quella situazione

- No, anche peggio - disse sorridendo

- Non sei di conforto, Castle, per niente. - Borbottò Kate guardandolo gelida

- Troverò il modo per confortati dopo - Rispose ammiccando facendo roteare gli occhi a Kate mentre scuoteva la testa.

Nel frattempo Susan era tornata guardandoli estremamente sorridente.

- Oh siete perfetti! E la scelta dei colori? Fantastica! State benissimo insieme. Tra 15 minuti cominciamo. Parlerà prima il sindaco, poi il capo della polizia ed infine lei. Ha preparato il suo discorso introduttivo?

- Ehm… veramente no, è importante? - Chiese Beckett

- Certo che lo è! Pensi a qualcosa, breve, pochi minuti solo per introdurre quello che ha fatto. Poi le faranno le domande loro.

- Oh va bene, allora parlerò direttamente lì. - Affermò Kate più sicura

- Ne è proprio sicura?

- Sì, certo.

- Ok, ok… Io non potrò essere di là per fermare in caso giornalisti con domande inopportune, per ora dovrà cavarsela da sola fino a quando non sarà ufficializzata la sua candidatura ufficialmente.

Susan riprese a girare tra le varie persone nella stanza lasciando una Beckett più che perplessa a cercare appiglio nello sguardo di Rick.

- Non sopravviverò mai a tutto questo! - Esclamò pensierosa

- Oh sì che lo farai! Hai sopportato di peggio mi pare!

Arrivò poi il sindaco a salutare Rick e glielo portò via per presentargli altre persone che voleva introdurre nel loro giro di partite a poker. Lo osservava Kate, stringere mani e sorridere con disinvoltura a chiunque, pienamente a suo agio, bello, eccessivamente bello pensò, in quel completo blu poco più scuro del suo con il ciuffo di capelli ribelle e quel filo di barba che gli aveva pregato di non tagliarsi perché gli piaceva così e lo faceva sembrare anche più giovane. Lo sentì garantire la sua presenza da una cena di beneficenza a non sapeva chi, ma Castle non si tirava mai indietro per queste cose e se poteva aiutare qualcuno lo faceva non per pubblicità ma per vero interesse a condividere quella che lui considerava una fortuna che gli era arrivata in dono con chi era meno fortunato di lui, non dimenticandosi mai da dove era partito, dal nulla.

- Kate! - Beckett si sentì chiamare da una voce familiare e quando si voltò vide Alexis che spingeva il passeggino con Lily dentro ben sveglia che si guardava intorno curiosa come sempre.

- Alexis! Che ci fate qui? - Chiese stupita nel vedere lei ma soprattutto sua figlia

- Papà mi ha detto di venire e di aspettarvi dietro le quinte, non ti preoccupare.

Approfittò dei minuti che mancavano per prendere in braccio Lily e coccolarla un po’. Stava diventando una necessità sempre maggiore, se ne era accorta in quel breve periodo in cui si era allontanata da casa lasciandola sola, con una paura inconscia che potesse accaderle qualcosa. Il contatto con sua figlia, che cominciò a giocare con i suoi capelli tirandoli e spettinandola un po’, la aiutò come sempre a calmarsi, come se lei riuscisse a ristabilire nella sua anima il giusto ordine delle cose, facendo dissolvere quelle inquietudini a volte esagerate che la affliggevano. Aveva ragione Castle, cosa poteva essere una conferenza stampa o un confronto dialettico dopo quello che aveva sopportato? 

Rick tornò da loro sorridente, baciò entrambe le sue figlie appena arrivate e ne approfittò per fare lo stesso con Kate.

- Credo che tra poco dovremo andare di là, sei pronta? - Beckett annuì, lasciò controvoglia Lily ad Alexis ed anche lei non sembrò molto felice di separarsi da sua madre, e seguì insieme a Rick il resto delle persone andando incontro al fuoco dei giornalisti senza nemmeno un giubbotto di sicurezza, pensò sorridendo.

 

Le introduzioni del sindaco e del capo della polizia furono più lunghe ed articolate di quanto Kate si immaginasse. Rimase seduta vicino a Rick ad un lato del palco, tenendo sempre stretta la sua mano. Lui la guardava spesso e le sorrideva, le spostò un paio di volte una ciocca di capelli che le ricadeva sul viso, sorridendole per invitarla a stare calma. Quando fu poi il suo turno prese posto davanti davanti ai microfoni, con Castle che rimase qualche passo dietro di lei vicino al muro di fondo, nella penombra, ma nonostante questo ben visibile a tutti.

Il suo discorso iniziale fu breve e conciso, spiegò i dettagli che poteva rivelare su come si era svolta l’operazione ringraziando le varie agenzie per la collaborazione e si scusò con il suo distretto e la sua famiglia per non averli potuti avvisare di quanto stava facendo. Le domande che seguirono furono ben diverse da quelle che si sarebbe aspettata, ben poche sull’operazione e Campos, per lo più dai network all news nazionali e la maggior parte, invece, su di se, i rapporti con i suoi colleghi, la sua famiglia e sua figlia. Alcune di queste domande erano al limite della morbosità chiedendole di descrivere emozioni e sensazioni private. Rick si avvicinò di un passo a lei che più di qualche volta si era voltata cercandolo con lo sguardo: lui le aveva sorriso come sempre e lei riuscì alla fine a rispondere a tutte le domande, evitando quelle più personali declinando gentilmente di rispondere perché non riteneva quei particolari necessari per la conoscenza del caso ed anche quelle più specifiche sull’operazione, Campos e la sua organizzazione liquidandole come informazioni riservate. Alla fine, comunque andò molto meno peggio di quanto pensasse ed anche rispondere a domande personali le era infine sembrato meno terribile di quanto credesse, doveva solo imparare a dosare cosa dire e cosa no, mettere dei paletti oltre i quali non si sarebbe mai sporta mantenendo i fatti che riguardavano la sua famiglia al di fuori dai riflettori. Prima di andarsene Castle la raggiunse e i fotografi non lesinarono a scattare foto e Kate, inizialmente rigida, riuscì ad essere il più naturale possibile, appoggiandosi al suo fianco con la solita naturalezza.

 

- Beh, meno male che avevi paura di non andare bene! - Esclamò Castle appena furono fuori dalla sala delle conferenze - Sei stata perfetta Beckett!

Ebbe tempo di darle un veloce bacio prima che le furono addosso Susan e gli altri, tutti pronti a congratularsi con lei che però cominciava a sentirsi veramente stanca fisicamente e mentalmente. Si stava rilassando dopo essere stata tesa fino a quel momento. Era soddisfatta di se stessa per aver superato quella prova che temeva più di tante altre cose aveva dovuto affrontare in vita sua. 

- Perché hai fatto portare qui Lily? - Chiese infine a Caste quando erano rimaste soli e gli altri si erano allontanati ed anche Alexis era tornata a casa per prepararsi per la partenza di quella sera.

- Volevo portarvi in un posto, per stare un po’ insieme, ti va? 

- Assolutamente sì!

- Ehy, se sei stanca non fa niente, torniamo a casa.

- No, no Castle. Mi va assolutamente di passare del tempo con voi.

 

Lily continuava a non apprezzare l’essere legata al seggiolino in macchina e Kate notò Rick piuttosto agitato, era la prima volta che la portava in auto dopo il loro rapimento: gli accarezzò il volto cercando di dargli quel conforto che lui le offriva sempre quando era lei ad essere nervosa e preoccupata, poi prese la sua mano e la tenne stretta mentre guidava. Era diverso, erano insieme. Attraversarono Manhattan ed il suo traffico mettendoci più di quanto Rick pensasse, ma per una volta non ne era infastidito, passare del tempo insieme andava bene anche lì nell’abitacolo della loro auto.

Libery State Park non era uno dei posti che avevano mai frequentato, non insieme almeno. Kate aveva un vago ricordo di esserci stata una volta da piccola con i suoi genitori, ma nulla di più, Castle invece ci aveva portato qualche volta Alexis quando era piccola a fare dei pic nic ed era proprio quello che voleva fare quel giorno. Avevano fatto una sosta in un take away vicino al parco e Rick ne era tornato con una busta di cibo spazzatura e soft drink che stava facendo venire l’acquolina in bocca ad entrambi. Si erano poi fermati in un parcheggio all’interno del parco e Rick tirò fuori dal portabagagli il passeggino di Lily e una borsa con dentro tutto il necessario ed chiedendosi quando Rick avesse preparato tutto quello. Passeggiarono per un po’, fino a raggiungere la parte più esterna del parco, vicino al mare con il vento che li spettinava, ma era caldo e piacevole per la stagione. Rick spingeva il passeggino di Lily dove avevano messo anche il cibo e tutto il resto che Rick aveva preparato per loro e per Lily e Kate si teneva aggrappata al suo braccio appoggiandosi a lui. Non avevano fatto molte di quelle passeggiate di quel tipo prima di allora ma entrambi si sentivano così rilassati ed a loro agio nel camminare tra le poche persone che quella mattina come loro si godevano la bella giornata di fine maggio. Si erano fermati, più di una volta su una delle tante panchine che orlavano il bordo della strada esterna del parco, Kate non aveva ancora una grande autonomia nel camminare, ma quelle soste facevano piacere anche a Castle. Parlavano di loro, di Lily, dei piani per il suo futuro immediato, avrebbero dovuto cominciare a breve il suo svezzamento e Rick ipotizzò scenari apocalittici sulle prime volte che avrebbe dovuto mangiare pappe e verdure che avrebbe sicuramente sputato ovunque, proponendole di comprare vestiti adatti anche usa e getta se esistevano. Kate rise talmente tanto delle sue esagerazioni immaginandosi quelle scene che il dolore al costato si fece più forte, facendo preoccupare Rick ma lo tranquillizzò. Non si sarebbe fatta rovinare quella giornata da nessun tipo di dolore. Così giocarono con Lily seduta nel passeggino rivolta verso di loro che gli tirava qualsiasi cosa gli mettessero in mano.

Osservarono altre famiglie come loro passare con passeggini e figli in braccio o che gli correvano intorno e Castle ogni volta guardava Kate e Lily. 

- Li hai mai invidiati? - Chiese a Kate

- Chi?

- Gli altri. Quelli che avevano una vita normale, una famiglia, dei figli con cui uscire ed andare al parco, allo zoo, al cinema… - Sospirò Castle

- Non ci ho mai pensato, in realtà. Prima pensavo che non sarebbe mai stato qualcosa che avrebbe fatto parte della mia vita. Poi con te… - Gli prese la mano tra le sue - … ho pensato che potesse essere possibile, ma tutto quello che è successo dopo il nostro matrimonio, non mi ero mai fermata a prendere la cosa in seria considerazione. Fino a… Beh, te l’ho detto… Quel giorno dopo LokSat… Ma lei è state più veloce dei miei pensieri - Sorrise Kate guardando Lily

- Già… Ha sconvolto tutto… - Rick abbassò gli occhi per guardare innamorato sua figlia intenta a sbavare su un sonaglino rosso a forma di giraffa. - … In meglio, ovviamente

- Sicuramente in meglio. - Confermò Kate - E tu, li hai mai invidiati?

- Io? Sì, sempre. Quando era piccola Alexis, le poche volte che uscivamo con Meredith non eravamo proprio il ritratto della famiglia felice e spesso preferivo evitare. Dopo, invece quando lei era piccola ed eravamo soli, la portavo fuori quasi tutti i fine settimana, il sabato e la domenica erano sempre dedicati a noi, però eravamo solo io e lei ed anche se non mi diceva niente, ogni tanto la vedevo osservare gli altri bambini che giocavano con la mamma ed il papà e li osservavo anche io. Poi sei arrivata tu ed è quello che ho desiderato dal primo momento. 

- Castle, dubito che dal primo momento il tuo desiderio fosse esattamente questo. - Rise Kate

- Facciamo dal secondo, il primo era per arrivarci!

Kate gli diede un buffetto sul petto e Rick approfittò per fermare lì la sua mano ed abbracciarla.

- Non scherzo, Beckett, l’ho desiderato per tantissimo tempo. Noi così, come siamo adesso, con lei che ci guarda e sorride. Lo volevo tantissimo.

- Non me lo hai mai detto però, così seriamente… Ci abbiamo solo scherzato su ogni tanto o fatto discorsi ipotetici…

- Non volevo condizionarti o farti pressioni e credevo che quando saresti stata pronta me lo avresti detto tu. Anche se ti confesso che ho pensato più di qualche volta che non sarebbe accaduto mai.

Beckett si avvicinò a lui baciandolo teneramente.

- E dove era finito il tuo infinito ottimismo, Castle?

- Stava lottando contro la tua ferrea razionalità, Beckett! E alla fine comunque non abbiamo deciso nè io nè te, ma ha deciso lei in piena autonomia. 

Risero entrambi e Lily cominciò a ridere con loro lanciando via tutto quello che aveva vicino e Kate mentalmente ringraziò l’idea di Castle di legare i giochi al bordo del passeggino così avrebbe evitato di raccoglierli per tutto il parco.

 

Ripresero la loro passeggiata fino ad un punto nel prato che a Rick sembrava ottimo per fare il loro pic nic, al sole che ancora non era troppo caldo ma dava quella piacevole sensazione di calore, da dove si vedeva la statua della libertà in lontananza.

Si distesero sulla grande coperta scelta da Castle e Kate pensò che doveva essere qualcosa che aveva riservato per quell’occasione perché non l’aveva mai vista a casa e si misero comodi, togliendosi scarpe e giacche. Fecero mangiare Lily e poi gustarono tutte quelle cose che facevano malissimo ma che erano terribilmente buone, per un giorno potevano fare uno strappo ad ogni regola. Kate poi ne approfittò per camminare, scalza, sull’erba. Fece pochi passi ammirando il panorama ed il grande parco. Ora che Castle glielo aveva fatto notare si fermò veramente a guardare le altre coppie con i loro bambini, tutti almeno apparentemente molto felici. Poi però delle risate attirarono di nuovo la sua attenzione e si voltò verso Rick che sdraiato teneva Lily sollevata in aria che sgambettava come se stesse nuotando ed erano loro che ridevano felici: non aveva nulla da invidiare a nessuno. Rimase a guardarli a lungo con Rick che sollevava Lily e la riabbassava sul suo petto ed ogni volta lei rideva. Poi Castle si tirò su, mettendosi seduto e tenendo Lily tra le sue gambe: lo vedeva parlottare al suo orecchio e poi la indicava facendo vedere a Lily dove si trovava. Tornò da loro mettendosi seduta al fianco di Rick e prendendo lei Kate in braccio.

- Secondo te Castle, quanti sono quelli che invidiano a noi adesso?

- Tutti, Beckett!

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Capitolo 34
*** TRENTAQUATTRO ***


Tornando a casa Kate gli chiese di fare una deviazione e passare al distretto, parlare con i suoi detective, con Javier e Kevin. Castle gli aveva spiegato delle loro discussioni, dei loro dubbi su di lei ma Beckett voleva parlarci, chiarire di persona. Ormai anche loro dovevano sapere tutto, avevano seguito la sua conferenza stampa: non ci aveva pensato, e si sentì colpevole. Anche loro come Rick la credevano morta e non erano stati avvisati che le cose erano andate diversamente. Dopo la sfuriata di Rick al loft non si erano più fatti sentire, non avevano avuto contatti con nessuno della famiglia, Javier e Kevin rispettavano il dolore di Castle facendo un passo indietro.

Rick le propose di aspettarla con Lily sotto, ma lei non fu d’accordo, voleva che salisse con lui. Perché avrebbe voluto che lui ascoltasse i loro chiarimenti e soprattutto esorcizzare l’ultima volta che erano stati lì, quando era cominciata tutta quella storia, con il confronto e le minacce di De Vito poi fin troppo portate a compimento.

Ormai Kate era completamente entrata nella parte cucita per lei dalla CIA e l’avrebbe mantenuta anche con Ryan ed Esposito, voleva però far prima parlare loro, per capire cosa gli avevano detto e fino a quando le ufficiali ed ufficiose concordavano. Avrebbe poi dovuto anche parlare con Vikram per capire cosa invece sapeva lui e fino a che punto era stato coinvolto dall’agenzia.

Castle la vide già in ascensore cambiare atteggiamento e postura. Sapeva che quello che aspettava Kate era un compito più difficile ed emotivamente complesso di fare la conferenza stampa la mattina, avrebbe dovuto affrontare Javier e Kevin non solo come suoi detective ma anche come suoi amici. Kate arrivata al piano uscì camminando decisa verso il suo ufficio. Tutti gli agenti e i detective presenti la salutarono calorosamente e lei ricambiò tutti con un sorriso ringraziandoli e non solo per cortesia ed educazione: Rick le aveva detto quanto tutti fossero rimasti sconvolti dell’accaduto e lei se avesse potuto avrebbe voluto abbracciarli tutti, uno per uno. Si fermò davanti alle scrivanie di Esposito e Ryan e l’ispanico fu il primo ad alzare la testa per guardarla. Si appoggiò allo schienale della sedia, lasciandosi scivolare un po’ all’indietro.

- Capitano Beckett! Come dire, chi non muore si rivede! - La salutò caustico Esposito. Kate sembrò colpita nel segno dalle sue parole abbassò lo sguardo solo un attimo per poi tornare a guardare il suo detective.

- Hey, ciao Capitano - Ryan fu più soft del compagno.

- Ciao. - Disse semplicemente Kate. - Mi dispiace ragazzi…

- Certo, come no Beckett… immagino. - Continuò Javier

- Novità? - Chiese ai due

- Nulla di che. Sono venuti quelli della CIA hanno mandato via Sorenson e compagni, ci hanno lasciato fuori dalle indagini sull’omicidio di De Vito e sul rapimento o omicidio del nostro Capitano. Cose che capitano tutti i giorni. Fortunatamente oggi in conferenza stampa hai spiegato a tutti cosa è successo, così l’abbiamo capito anche noi. - Esposito non riusciva a nascondere la sua rabbia dietro le parole velenose

- Speravamo che almeno a noi ci avessi avvertito prima. - Disse Kevin visibilmente deluso. - Siamo stati male per te Kate. Siamo stati tutti molto male.

Castle era alle spalle di Kate e stava cullando Lily nel passeggino cercando di farla addormentare.

- Sono tornata a casa solo ieri e mi avevano imposto di non dire nulla. Non è stata una mia scelta.

- Siamo tuoi amici Beckett! Siamo la tua squadra! Dovevi avvisarci! - Sbottò l’ispanico.

- Javier, non ho potuto avvisare nemmeno Castle, ci sono stati degli imprevisti anche nella mia missione e non tutto è andato come doveva. Non avrei mai voluto farvi credere che fossi morta è stata una cosa improvvisa, così come il blitz che hanno dovuto fare per catturare una parte degli uomini di Campos. Mi dispiace, ve lo dico ancora. Per questo ed anche per il fatto che dopo tutti questi anni, possiate pensare che veramente potevo uccidere due persone a sangue freddo.

- Beckett ma noi… - Provò a fermarla Ryan ma Kate gli chiese di tacere.

- Ormai non importa quello che voi credevate vero e cosa no. Detective Esposito, nelle prossime due settimane sarai tu il più alto in grado qui al distretto. Devo riprendermi fisicamente e non solo dopo quanto accaduto negli ultimi giorni, se ci saranno dei problemi, sarò comunque reperibile.

- Va bene, Capitano. - La salutò Javier in modo formale rimettendosi al computer.

- Ok, quindi ciao ragazzi.

- Ciao Beckett - Fu il mesto saluto di Ryan.

Castle e i due detective si scambiarono qualche occhiata gelida prima che lui la seguì verso l’uscita. I tempi in cui i due lo minacciavano se l’avesse mai fatta soffrire sembravano tristemente lontani.

 

 

 

Rick era andato ad accompagnare Alexis e Dustin in aeroporto insieme a Martha. Si era salutata calorosamente con la figlia di Castle, almeno con lei in parte le cose erano tornate normali, si erano ancora scusate entrambe per i loro comportamenti e Kate aveva capito l’ansia e le preoccupazioni di una figlia per suo padre e non riusciva, nonostante tutto, ad essere arrabbiata con lei anche se le sue parole l’avevano ferita molto e l’avevano portata anche a farsi tante domande. Sperò che anche Alexis avesse infine capito le sue motivazioni e le sue paure nonché il suo sincero amore per Castle e Lily che veniva prima di ogni altra cosa.

Appena rimasta sola, la prima cosa che Kate fece fu chiamare Lanie. Si chiuse in camera per parlare con l’amica che, come tutti, aveva sentito la sua conferenza stampa: ormai dalla mattina la notizia era stata data da tutti i TG e le speculazioni sul suo conto non mancavano, nè da parte di chi si occupava di politica, riprendendo le voci di corridoio che volevano un suo imminente impegno, nè da chi si occupava di gossip per analizzare il rapporto tra lei e lo scrittore. Le parole di Lanie, però, non furono nè rabbiose come quelle di Esposito nè deluse come quelle di Ryan: non riuscì a trattenere le lacrime nel sentire la voce della sua amica, e le disse che quando il display si era illuminato con la sua foto aveva avuto un vero tutto al cuore. Kate si scusò anche con lei, per tutto quello che avevano passato a causa sua e la ringraziò per non aver lasciato solo Rick, nè prima nè dopo e per aver sempre creduto in lei. Nelle parole di Lanie non ci fu biasimo o rimprovero, solo la gioia sincera di saperla viva e poter parlare ancora con lei. Le raccontò anche dell’incontro/scontro con i due detective al distretto e la dottoressa cercò di mediare, “Sai come è fatto Javi, gli passerà” le aveva detto e Kate in cuor suo ci sperava nonostante tutto. Anche lei si sentiva tradita: avevano dubitato di lei, si erano lasciati convincere da Sorenson che fosse veramente capace di uccidere e scappare. Ma lei non era così, non uccideva a sangue freddo nemmeno i suoi peggiori nemici. Non lo aveva fatto nemmeno con Bracken e nemmeno con LokSat e ne aveva avuto l’opportunità. Quando lo aveva fatto era sempre stato per difendersi o per difendere gli altri. Portare via una vita era sempre qualcosa di traumatico, ma Kate non l’aveva mai fatto se non quando era strettamente necessario. Non era un’assassina. Se lo ripeteva e ne era convinta.

 

 

- Dovremmo partire domani - Le disse Rick mentre era accoccolata sul suo petto. La luce di camera era già spenta e Lily dormiva nella sua culla beatamente, quella lunga giornata al parco aveva stancato anche lei.

- Domani? - Chiese Kate stupita

- Sì, domani. Hai impegni?

- No, no… certo che no…

- Ok, allora partiamo domani. Sempre se ti va, ovviamente Kate.

- Certo che mi va!  Perchè devi pensare il contrario? - gli chiese contrariata sbuffando contro il suo collo.

-Uh non lo so, ma…

- Ma niente Castle. Voglio andare con mio marito e mia figlia nella nostra casa al mare, sei contento così? 

- Ti rendi conto cosa hai detto Beckett?

- Dio mio Castle, cosa ho detto? - cominciava ad essere esasperata da quella versione di infantile di suo marito

- Hai detto nostra! È fantastico! Dopo tutti questi anni sei riuscita a dire nostra!

- Sì casa nostra, sei felice?

- Tantissimo! 

- Allora dormi Castle e non parlare più. - Ma Rick si voltò per baciarla con passione, premendo un po' troppo forte sul suo torace e facendole emettere un gemito che non riuscì a soffocare: si ritrasse colpevole ma lei lo fece avvicinare di nuovo a se, catturando le sue labbra e non permettendogli di parlare più per molto tempo. 

 

Kate non aveva minimamente considerato cosa volesse dire partite con una bambina piccola. Le sembrò che dovesse portarsi tutto quello che aveva al loft “per ogni evenienza” ripeteva a Castle che la guardava estremamente divertito dal vederla così poco razionale ed organizzata immersa, invece, nel caos.

- Lettino, seggiolone e tutte le altre cose simili sono già negli Hamptons. - Le disse Castle quando vide Kate presa dal panico per non sapere come far dormire Lily temendo che gli avrebbe chiesto di smontare il lettino che aveva in camera - Beckett, rilassati. È tutto a posto. Prendi solo le cose che le serviranno per questi giorni. Pensavo che con la bella stagione saremmo andati ogni tanto negli Hamptons ed ho ordinato il necessario e chiesto a Mike di montarlo. Ci sarà la sua camera più o meno già pronta.

- E quando pensavi di dirmelo Castle?

- Beh in realtà doveva essere una sorpresa… - Ammise lui alzando le spalle un po' dispiaciuto per aver dovuto rovinare i suoi piani.

Kate finì di preparare i bagagli più tranquilla anche se alla fine il necessario per Lily erano due valige, esattamente come quelle loro, ma Castle non mise bocca sulle sue scelte e scese per caricare tutto in macchina mentre Kate finiva di preparare la piccola.

Rick tornò a casa pronto per partire trovando, invece, Kate seduta sul bordo del letto con Lily sdraiata lì vicino con la sua palla di peluche preferita che stava cercando di imitare nella forma portandosi i piedi verso la bocca.

- Ehy sono pronte le donne della mia vita? - Le chiese Rick sorridente entrando on camera, ma Kate non lo era altrettanto.

- Sono un disastro Castle!

- Eh? Che succede?

- Per preparare le sue cose, ho fatto un disastro, mi sono fatta prendere dal panico…

- E quindi? Capita! - Le disse facendo spallucce.

- Quando andavamo in montagna con mamma e papà lei preparava sempre le mie cose ed era tutto sempre perfetto.

- Se tu te lo ricordi vuol dire che non eri così piccola ed anche tua madre non sarà stata perfetta le prime volte ed avrà fatto un disastro. Facciamo tutti disastri le prime volte! Poi avrà fatto pratica fino a diventare come te la ricordi tu. Dai andiamo andiamo adesso, tanto Lily non si ricorderà i tuoi disastri! - Rick strappò un sorriso a Kate e prendendo la piccola in braccio uscirono di casa.

 

- Questa non è la strada per andare negli Hamptons - esclamò Kate dopo pochi minuti

- No, infatti, facciamo prima una piccola sosta.

- Dove?

- Qui! - Disse Rick fermando la macchina ai lati del parco.

- Ma… - Kate era perplessa non capendo il perché di quella sosta

- Non volevi portare Lily sull’altalena?

Il viso di Kate si aprì in un sorriso stupito e gioioso. 

Castle teneva Lily in braccio e Kate per mano dall’altra parte. Conoscevano quel breve percorso a memoria. Quel luogo aveva significato sempre molto per loro. Era stato testimone dei loro litigi e del loro fare pace. Si erano rifugiati lì quando dovevano incontrarsi clandestini, lì Castle le aveva chiesto per la prima volta di sposarlo e sempre lì Kate aveva preso la decisione più importante della sua vita, andare da lui e cominciare quello che ancora non sapeva sarebbe diventato il viaggio più bello della sua vita. E poi ripensava alle ultime volte, a quando ancora convalescente e senza memoria Rick l’aveva portata lì parlandole di loro e a quando ci era tornata da sola e sempre lì per un segno del destino e forse non solo di quello aveva ritrovato se stessa, la sua memoria, il suo amore e la sua vita. Quel posto per loro non sarebbe mai stato uno come un altro. Era il loro posto.

Seduti su una panchina osservarono per qualche minuto una mamma spingere il proprio bambino: sentivano le sue risate che scaldavo il cuore. Lily in braccio a Castle sgambettava impaziente come se avesse percepito che erano lì per fare qualcosa di speciale e di molto importante per i suoi genitori.

Appena le altalene furono libere si precipitarono a prenderne possesso come due bambini ed una volta seduti si guardarono e risero di loro stessi coinvolgendo anche Lily nelle loro risate. Rick teneva salda sua figlia con un braccio mentre con l’altra si teneva alla catena e si muoveva appena dondolandosi delicatamente. Aveva dimenticato il marsupio, ma si adattò ugualmente. Kate gli scattò molte foto, voleva immortalare quel momento, la chiusura di un cerchio cominciato tanto tempo prima. Rick e Lily nel loro luogo era così felice che quasi si commosse e lo fece ancora di più quando Castle lasciò la catena ed andò a cercare la sua mano. Erano uniti mentre si dondolavano piano in quel gioco che Lily sembrava già adorare.

- È perfetto Rick. Questo momento è perfetto. - gli disse Kate sorridendo felice e lui annuì stringendo ancora di più la mano di lei prima di alzarsi e mettere tra le braccia di sua moglie Lily. Ora toccava a lei e fu meno cauta di lui dondolandosi di più e facendo ridere sua figlia ancora più forte. Era stato il pensiero di sua figlia e la paura del suo futuro quando ancora era dentro e a farla ridestare dall’oblio della sua memoria e fatta tornare al suo presente. Erano lì proprio come in quel pomeriggio di pioggia, ma non c’erano più lacrime solo sorrisi e sole e Castle lì con loro che le guardava incantato, facendo ora lui un servizio fotografico completo alle sue due donne con tanto di video con le risate di Lily e di Kate.

- Ti puoi fermare un attimo? - Le chiese Rick improvvisamente diventato serio. Beckett non capì ma si fermò piantando i piedi a terra e guardandolo perplessa: cosa era accaduto per far cambiare così repentinamente la sua 

Castle si mise in ginocchio davanti a Kate che lo guardava imbarazzata e sorridente. Prese una mano di sua moglie e lasciò che Lily stringesse con la sua manina un dito dell’altra.

- Un giorno ti avevo detto che quello che avevamo non mi bastava e che meritavamo entrambi di più. Sono passati un paio po’ di anni, tu continui a non aprirti sempre facilmente e stare con te continua ad essere una sfida ed una conquista, ogni giorno. Ora però ho tutto quello che voglio e siete voi che rendete ogni giorno la mia vita straordinaria, come voi. Ti amo Katherine Hougthon Beckett. Se tornassi indietro sceglierei sempre e solo te e ti risposerei ogni giorno della mia vita. Ricominciamo da qui?

Lily agitava con tutta la sua forza il dito di Rick mentre Kate lo guardava immobile, l’unica cosa che muoveva erano i muscoli del volto in un sorriso sempre più alto.

- Beckett, vedo che a distanza di anni ancora non hai imparato a rispondere alle mie proposte. Sì o no?

 

In realtà non ci fu bisogno di una risposta quando Kate si alzò dall’altalena ed abbracciò Rick, tenendo Lily in mezzo a loro. Avrebbero ricominciato da lì o da qualunque altro posto lui avrebbe voluto, avrebbero ricominciato sempre. 

Si fermarono a mangiare in un ristorante per strada e ai due non passò inosservato il chiacchiericcio alle loro spalle: avevano riconosciuto Kate e si chiedevano se fosse veramente lei. Castle poi la prese in giro più volte dicendole che ormai era lei la vip della famiglia e presto le avrebbero chiesto anche gli autografi mentre lui sarebbe stato declassato da scrittore di successo bello e sexy a scrittore consorte.

Quando arrivarono negli Hamptons Mike li attendeva davanti all’entrata.

- Buonasera signor Castle! È tutto sistemato! - Disse l’uomo a Rick mentre si occupava di scaricare i bagagli dall’auto e portarli dentro. Kate entrò godendosi le sensazioni di benessere che quel posto le provocava. Adorava il loft, ma lì era diverso, sentiva quella villa come se fosse il loro rifugio, perché era lì che erano sempre andati le poche volte che avevano del tempo libero da passare insieme e perché sempre lì avevano potuto godere di quella privacy che al loft era sempre stato difficile da conquistare. Per molto tempo si era sentita a disagio lì, inquieta, dopo la sparizione di Rick, ma il loro matrimonio sembrava aver cancellato ogni traccia di inquietudine lasciando spazio solo alle sensazioni e ai ricordi piacevoli, anche quelli dell’estate precedente che adesso viveva come se fossero un sogno, qualcosa di lontano ed ovattato. Le sembrava tutto così strano. 

Vide Castle passarle vicino con Lily in braccio. 

- Scusami Beckett, ma devo far fare il giro della villa a questa ragazza! - le disse provocandola e salendo al piano superiore. Kate li guardò sparire sopra ed andò in cucina a prendere qualcosa di fresco da bere, notando che, come al solito, la dispensa era stata rifornita di ogni necessità.

Rick stava giocando seduto a terra con Lily ed i suoi sonaglini quando si accorse che sulla porta c’era Kate che li osservava.

- Già finito il giro turistico? - Chiese ironica

- Oh sì, ha preferito fermarsi qui per ora, ti piace?

Kate aveva già notato la stanza: assomigliava a quella del loft, anche se molto meno piena di giochi e con tonalità poco più chiare con le pareti bianche ed un motivo di conchiglie rosa chiaro.

- È splendida, veramente.

Era la stanza che l’anno prima era stata di Rick quando ancora dormivano separati, la stanza dove per la prima volta avevano dormitoninsieme. Le faceva uno strano effetto vederla trasformata così, bellissimo ma strano. Rick mise Lily nella sua sdraietta dove continuò ad intrattenersi e si alzò per andare da Kate che nel frattempo era entrata dentro per vedere meglio la stanza della loro bambina.

- Volevo che anche qui avesse un posto tutto per se. Mi piacerebbe poterci venire più spesso.

- Piacerebbe anche a me. Comunque ti avverto Castle, è l’unica ragazza alla quale puoi far fare il giro della villa senza aver paura che ti spari. 

- Beckett te l’ho mai detto che ti adoro quando sei gelosa? - la strinse a se facendo aderire i loro corpi avvicinandoli fin troppo pericolosamente, baciandola e mordicchiandole le labbra per stuzzicarla di più.

- Mike ha già regolato la temperatura della piscina, che ne dici di un bagno tutti e tre insieme prima che faccia buio?
 



Domani l'ultimo capitolo

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Capitolo 35
*** TRENTACINQUE ***


Avevano appurato che Lily adorava la piscina e stare nell’acqua: Castle le aveva preso una ciambella tutta colorata con la quale sgambettava in acqua allegramente schizzandoli tutti e ridendo divertita quando Kate la spingeva da dietro da una parte all’altra o quando Rick la sollevava prendendola da sott’acqua. Amava meno la spiaggia dove al momento non apprezzava nè la sabbia nè l’estro di Castle per le sue strutture architettoniche contro le quali lanciava i suoi pupazzetti gommosi e Kate sosteneva che facesse apposta avendo già un’ottima mira come lei, mentre Rick diceva che era una pura casualità. 

Mike aveva finito di montare le altalene come aveva chiesto Castle, con un posto apposito per Lily e quella insieme alla piscina era la sua attività preferita. Kate l’aveva messa lì da sola per vedere se la cosa le piacesse e poi aveva cominciato a farla dondolare molto lentamente e la cosa fu accolta con assoluto entusiasmo dalla piccola che gradiva anche quando l’oscillare diventava più ampio, il tutto sotto lo sguardo di un Castle più che preoccupato, riscoprendo le antiche ansie che lo avevano accompagnato per tutta l’infanzia di Alexis. Non era però Lily l’unica a divertirsi con le altalene, Rick aveva visto più di una volta Kate concedersi qualche minuto di relax: chiudeva gli occhi e lasciava che il vento le facesse ondeggiare i capelli mentre lei si spingeva sempre più in alto. Castle adorava quei momenti nei quali la poteva spiare riscoprendo quella ragazza spensierata che troppo presto era stata costretta a crescere e lasciare spazio alla donna intransigente.

Avevano passato pomeriggi a fare lunghe passeggiate mano nella mano in riva al mare con Lily adagiata sul petto di uno o dell’altra godendosi anche lei tutto il calore che i suoi genitori non le facevano mancare in nessun momento. Tutto quello che era accaduto diventava un ricordo sempre più lontano e labile, come i segni sulla pelle di Kate che stavano pian piano scomparendo molto più facilmente di quelli nell’anima che ogni tanto le facevano riaffiorare paure ed incubi immediatamente calmati dalle braccia di Rick che protettive la accoglievano. 

Ogni sera speravano che Lily crollasse ma l’aria di mare invece che stancarla come accadeva a tutti i bambini, sembrava averla rigenerata donandole ancora maggiore energia e così la sera finivano ad essere loro più stanchi di lei e crollare addormentati dopo essersi concessi solo qualche coccola. Era capitato poi più di qualche notte che Lily si fosse svegliata piangendo e avevano finito per portarla a letto con loro, rimandando quella ricerca di intimità che desideravano entrambi ardentemente, ma che fino a quel momento non avevano ancora trovato, non essendo andati più in là di qualche bacio bagnato in piscina.

 

Era quasi una settimana che erano negli Hamptons e quella sera Castle aveva deciso di portare le sue donne a cena fuori. Aveva prenotato quel ristorantino italiano dove erano stati anche l’estate precedente. Avevano mangiato dell’ottimo cibo, brindato più volte a loro. Si erano scambiati promesse guardandosi negli occhi, avevano giocato con Lily in attesa tra una pietanza e l’altra con lei che curiosa guardava nei loro piatti e voleva provare ad afferrare qualsiasi cosa. Castle amava vedere Kate prendersi cura di Lily, come si voltava a guardarla amorevolmente ogni volta che lei sapeva stesse richiamando la sua attenzione e non sbagliava mai, era quel sesto senso materno che aveva naturalmente sviluppato. Amava come la accarezzava, la dolcezza dei suoi gesti delicati, la voce che cambiava quando parlava con lei che diventava se era possibile ancora più melodiosa ed amava come Lily la guardava in totale adorazione di sua madre. Aveva pensato che sarebbe stato geloso ed invece non trovava nulla di più bello dell’assistere all’amore incondizionato tra madre e figlia se madre e figlia erano loro due, si riempiva il cuore nel vederle e nemmeno lui riusciva a trovare le parole per descrivere il suo sentimento. E non ci riuscì nemmeno quando Kate gli prese le mani quando avevano già finito la cena e lo fissò negli occhi diventando improvvisamente seria. 

- Per te vale la pena lottare tutta la vita, Castle. Contro tutti, soprattutto contro me stessa. Non posso prometterti che riuscirò ad essere quella tu vorresti che io sia, ma ti prometto che farò di tutto per provarci.

Le mani strette che si accarezzavano a vicenda il dorso con i pollici erano la loro risposta muta. Solo loro ne sapevano il significato.

- Io voglio che tu sia solo te stessa, la donna che amo. Voglio solo esserci per te. Sempre.

 

Lily si era già addormentata quando arrivarono a casa dopo cena. Kate la prese in braccio, scostandole i capelli dalla fronte, notando quanto le erano cresciuti e pensando che avrebbe dovuto farglieli accorciare quando tornavano a New York. La adagiò sul suo petto baciandola ed inspirando il suo profumo di bimba mentre saliva le scale. Ogni volta che si beava così di lei le sembrava ancora impossibile che Lily fosse reale, il suo piccolo miracolo che cresceva ogni giorno a vista d’occhio, che si incantava a vedere le sue piccole grandi scoperte e conquiste. Riuscì a cambiarla senza farla piangere troppo, mettendole quel pigiamino nuovo che le aveva preso Rick, e si riaddormentò quasi subito dopo averla cullata un po’ tra baci e carezze. La poggiò nel lettino, controllando come ogni volta che tutti i paracolpi fossero ben posizionati e le rimboccò il lenzuolino avvicinandole il suo pupazzo per farla stare tranquilla. Press il baby monitor e lasciò la luce notturna accesa e la porta semi aperta prima di scendere da Castle.

 

Era seduto sul divano, aveva tolto la giacca e si era slacciato due bottoni della camicia. Si era versato due dita di scotch con ghiaccio e lo aveva assaporato, lasciando il liquido ambrato in bocca per degustarlo meglio. Kate lo trovò così bicchiere in mano, rilassato che la guardava scendere le scale in modo che lui giudicò fin troppo sensuale. Le si avvicinò, mise il baby monitor vicino alla sua giacca e prese il bicchiere dalle sue mani. Ne bevve un sorso anche lei prima di recuperare un cubetto di ghiaccio e lasciare il bicchiere sul tavolo davanti al divano. Si piegò in modo molto provocante per passarlo sulle labbra di Castle che fu percorso da brividi non dovuti al freddo del ghiaccio. Ripetè l’operazione più volte mentre goccioline di acqua e liquore scorrevano sulle sue dita e ai lati della bocca di Rick che lei baciò avidamente. Castle le accarezzava le gambe nude mentre lei allontanandosi appena mise quel che rimaneva del ghiaccio in bocca e poi tornò a baciarlo, passandogli quel piccolo pezzo gelido che ormai sapeva di loro più che di scotch. Castle sapeva che avrebbe potuto farlo impazzire con quel ghiaccio se avesse voluto, ma Beckett aveva altri piani per quella sera e si mise a cavalcioni su di lui, le ginocchia appoggiate sul divano ai suoi fianchi ed il vestito che saliva lungo le sue cosce lasciandole completamente scoperte. 

Non diede modo a Rick nemmeno di parlare avventandosi sulla sua bocca succhiando e mordendo le labbra lussuriosamente, giocando con la lingua disegnando il contorno e solleticandolo. Vedeva il desiderio mescolato con lo stupore affogato nei suoi occhi blu che diventavano sempre più scuro di passione, sentiva il suo respiro spezzato mentre strusciava bacino su di lui provocando esattamente la reazione che voleva, sentendo crescere il suo desiderio. Gli sbottonò la camicia senza togliergliela ed accarezzava il suo torace con movimenti lenti, come se volesse scavare la pelle in profondità, rivendicando il possesso del corpo di suo marito, come se ci fossero mai stati dubbi sul fatto che le apparteneva totalmente. Scivolò all’indietro sulle sue gambe, dando respiro per qualche istante alla sua virilità così stimolata dai suoi movimenti, e scese baciandogli il collo e poi il petto mentre le mani sotto la camicia aperta gli accarezzavano i fianchi per poi andare sulla schiena e tornare indietro di nuovo sul suo addome, scendendo pericolosamente verso il basso e mentre la bocca di Kate non si stancava mai di baciare, succhiare e leccare la sua pelle e i muscoli contratti dal piacere, le mani si avventuravano sempre più in basso fino alla cinta dei pantaloni di Castle che slacciò senza fatica per poi fare la stessa cosa con i bottoni e la zip. Il respiro di Rick accelerò ma Kate non sembrava intenzionata ad interrompere la sua azione, anzi si fece più audace, accarezzando la sua erezione da sopra i boxer sentendola crescere rapidamente al suo tocco. Rick in balia di sua moglie portò le sue mani sul corpo di lei andando a cercare i suoi seni ancora costretti dentro il vestito senza bisogno del reggiseno. Avrebbe voluto prenderli e stringerli ma Kate bloccò le sue mani e le accompagnò, invece, sui suoi glutei sui quali resisteva ancora solo la sottile striscia di stoffa del perizoma. Si introdusse dentro di lei trovandola già decisamente bagnata e vogliosa, almeno quanto lo era lui, ormai liberato da ogni costrizione di stoffa. Kate avvicinò di nuovo il suo bacino al suo, sentendo libera la sua voglia premere contro di lei ed era tornata a baciargli il collo e lo morse un po' più forte quando le sue dita sfiorarono i suoi punti più sensibili. Poi Castle sfilò via la mano portandosi le dita alla bocca.

- Amo il tuo sapore Beckett… riesce sempre a mandarmi fuori di testa - le disse guardandola fissa negli occhi e lei non resistette più, non aspettò nemmeno il tempo di spogliarsi, ma scostò il tanga, si sollevò appena e lo indirizzò dentro di se lasciandosi poi scivolare fino a che non fu completamente in lei, accompagnando i suoi movimenti con gemiti non più trattenuti cominciando una danza veloce ed intensa che la portò da lì a poco a riversarsi sul corpo di lui tremante tenendosi stretti sudati e vibranti per il piacere mche ancora scorreva nei loro corpi ancora uniti.

- Ti amo Castle. - gli disse appoggiando la fronte sulla sua, con la voce scossa dall’orgasmo appena raggiunto ed il respiro accelerato, mentre teneva la testa di lui tra le mani, accarezzandogli e scompigliandogli i capelli. Kate sorrideva mostrandogli il suo sorriso più brillante che era una gioia per gli occhi di Castle, così come la sua voce, la più bella che Rick poteva sentire e riusciva a farlo eccitare di nuovo sapere che era lui ad averla resa così. Affogò la testa sul collo di Kate baciandolo con passione, risalendo fino all’orecchio, succhiando il lobo per riaccendere il desiderio soffiando sulla brace del precedente non ancora spento e sentì le mani di Kate stringersi sulle sue spalle.

- Andiamo in camera - riuscì a mugolare mentre scendeva da lui e dal divano. Castle riuscì con fatica a ricomporsi, lasciando lì i pantaloni e seguendola solo con i boxer che contenevano a fatica il suo desiderio e la camicia aperta. Kate si voltò a guardarlo impaziente e faticò anche lei a mantenere i buoni propositi di arrivare fino in camera. Rick si ricordò all’ultimo di prendere anche il baby monitor e pensò con non poco senso di colpa che difficilmente lo avrebbero sentito.

 

Quel vestito era decisamente di troppo adesso, così come la sua camicia e tutto il resto che Rick lanciò sul pavimento senza curarsi troppo di dove sarebbe finita. La fece indietreggiare fino al bordo del letto ora era lui ad avere il comando della situazione. Castle amava la sua intraprendenza ed anche essere dominato da lei, ma allo stesso tempo impazziva all’idea di essere lui a donarle piacere, farla arrivare al limite e guardarla nel momento in cui lo faceva. Ed era quello che stava facendo in quel momento. Sdraiata sul letto con le mani che stringevano le lenzuola tanto che credeva che le avrebbe strappate, mentre lui era immerso in lei ed ogni volta che alzava la testa per osservare il suo piacere sentiva i suoi lamenti che lo pregavano di non smettere e lui non lo faceva sorridendo compiaciuto. Quando sentì che lei urlava il suo nome ed il suo corpo fremere intorno al suo viso le prese le mani e fece intrecciare le loro dita, poi risalì il suo corpo con una scia di baci umidi fino ad arrivare alle sue labbra che baciò avidamente mentre di nuovo si univa con lei e diventando una cosa sola scivolò dentro di lei che lo accoglieva calda e bagnata dal piacere già donato mentre le mani di lui percorrevano il suo corpo e solo quelle provocavano in Kate brividi di piacere: era lui, il suo corpo, le sue mani, il suo respiro profondo che le solleticava la pelle, il suo profumo diventato più forte dal desiderio crescente che le inebriava la mente. Adorava il corpo di Castle caldo e sudato su di se, quel viso un po' ruvido da quella barba che gli aveva pregato di non tagliare perchè gli piaceva così, anche quando strusciandosi graffiava dolcemente la sua pelle, lasciandogli quella scia rosa del suo passaggio. 

E Rick la sentiva persa nei suoi sensi e amava quando le sue mani lo stringevano di più marchiandolo quasi sulla pelle con le unghie in quel possesso che non aveva bisogno di rivendicare perchè lui era totalmente suo, senza possibilità di poter essere di nessun altra, mai. Lei aveva cancellato ogni suo ricordo precedente, non sapeva più come fosse stato contro nessuna prima di lei e non gli interessava ricordarlo, era lei tutti i suoi sensi ed il bisogno di averla riempiva ogni anfratto del suo corpo e della sua anima. Era tutto lui che voleva tutta lei, non solo una questione di sesso e desiderio carnale, era di più, lei lo prendeva con ogni cellula del suo corpo e lo attirava a lei, lo seduceva in modo completo anche solo rimanendo ferma a guardarlo con quello sguardo per il quale lui avrebbe scalato montagne a mani nude. Era bisogno innanzi tutto emotivo ed il sapere di essere desiderato era ancora più eccitante del desiderarla, sentire che lei lo voleva allo stesso modo di cui lui voleva lei era un onda di piacere difficile da contenere.

Kate tra le sue mani si trasformava, lui riusciva a non farle percepire più il senso del suo limite portandola oltre quel confine che per troppo tempo si era imposta, accarezzandole l’anima negli anfratti più remoti oltre la barriera delle paure che nascondevano i suoi desideri. E Kate desiderava solo una cosa: amarlo ed essere amata da lui in ogni senso.

Ricominciarono la loro danza ora lenta e profonda per poi diventare più veloce e frenetica, cambiando ritmo ed accompagnata da sospiri e gemiti e quelle parole che uscivano dalla bocca troppo cariche di loro, fino a quando, stremati e appagati dal piacere si addormentarono abbracciati.

 

Le immagini del baby monitor mostravano Lily sveglia ma silenziosa, intenta a mordicchiare il suo elefantino. Nemmeno lei aveva osato interromperli quella notte, lei che aveva cominciato la sua corsa verso la vita proprio in una notte come quella in quella stessa stanza.

 



Grazie a tutti quelli che hanno letto anche questa parte della serie "Always". A presto con una nuova puntata.

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