Over Worlds - Travel to the Void

di Everian Every
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo ***
Capitolo 2: *** La Rovina del Mondo ***
Capitolo 3: *** Fuga Rovinosa dalla Cripta ***
Capitolo 4: *** Ce L'Hanno Tutti Coi Kishin, qui? ***
Capitolo 5: *** Giochiamo a Freccette ***
Capitolo 6: *** Piacere. Cerco di Aiutarti Uccidendoti ***
Capitolo 7: *** Necessità di Supporti Esterni ***
Capitolo 8: *** Riecco un Paio di Vecchi Amici ***
Capitolo 9: *** In the Multiverse ***
Capitolo 10: *** Appare un O.d.M. Selvatico... ***
Capitolo 11: *** Discorriamo un po' Insieme... ***
Capitolo 12: *** Perché un Generale non Basta ***
Capitolo 13: *** C'è chi Scende e c'è chi fa Patti col Diavolo ***
Capitolo 14: *** Adreus, una Brutta Persona Brutta ***
Capitolo 15: *** Della Serie: WTF?! ***
Capitolo 16: *** Uno in Meno ***
Capitolo 17: *** Ultra Evoluzione Assoluta ***
Capitolo 18: *** Gyber si Scatena - Parte Uno ***
Capitolo 19: *** Gyber si Scatena - Parte Due ***
Capitolo 20: *** Verso l'Abisso ***
Capitolo 21: *** Il Regno dei Dijin + ANNUNCIO MUY IMPORTANTE ***
Capitolo 22: *** Problemi di Famiglia ***
Capitolo 23: *** Il Serafino e l'Essente ***
Capitolo 24: *** Every Entra in Gioco! ***
Capitolo 25: *** Il Sogno ***
Capitolo 26: *** Folle di Rabbia ***
Capitolo 27: *** Il BloodDreamer ***
Capitolo 28: *** Ma Guarda. Un Ens in un Tornado! ***
Capitolo 29: *** Tu Combatti e MUORI ***
Capitolo 30: *** L'Abisso - Parte Uno ***
Capitolo 31: *** L'Abisso - Parte Due ***



Capitolo 1
*** Arrivo ***


Dieci soli rossi e neri volteggiavano a velocità inusuale sul cielo della landa desolata. Il calore era insopportabile, ma il Supremo non sentiva il suo peso. Non era toccato da dolore, gelo, angoscia, nulla che lui stesso non permetteva di penetrare nella sua mente. Era padrone di sé stesso al cento per cento. O almeno, quasi... Una piccola parte di lui era ancora legata al capo e lo rendeva un suo "servitore". Pur essendo Every lontano, troppo perché potesse raggiungerlo, sentiva il suo volere contrastarlo.
Era come avere una voce nella testa che gridava di non fare ciò che si pensava di fare. Una sorta di seconda coscienza rumorosa e antipatica che lo incitava a fermarsi.
Alzò lo sguardo abissale sui dieci astri. Lui che sapeva vedere anche nel buio più assoluto non temeva di essere ferito dalla luce accecante di banali lampadine ancestrali. Globi di fuoco, calore e luce che vivevano dall'inizio dell'universo. Molto giovani se rapportati a lui. Lui che li aveva visti nascere e morire per diciassette volte.
Alzò una mano e fece comparire un cilindro a mezz'aria, stringendolo tra indice e pollice.
"Deh, sempre in ritardo. Sono millenni che mi lamento con il capotreno e ancora mi tocca aspettarli per ben ventidue secondi e mezzo?" si lamentò Nero, guardando l'orizzonte infuocato.
Per miglia e miglia, finché lo sguardo poteva permettersi di spaziare, nulla più che terreno arido e coperto di crepe e fratture in molti casi mortali si mostrava. Che desolazione. La Paura amava quel genere di luoghi, calmi, pacati e rilassanti con quel senso di smarrimento che comunicavano agli ignari viaggiatori. Erano un invito a non mettervi piede, insomma.
Uno sbuffo fece aguzzare lo sguardo al demone. Sorrise, calcandosi il cappello sui capelli color sabbia.
"Finalmente è qui. Non vedevo l'ora di rivederla." mormorò, facendo comparire il bastone da passeggio, spostandosi di un passo indietro e allungando la mano, in modo da afferrare al volo la maniglia di una delle porte del treno che sfrecciò per pochi secondi davanti a lui a velocità supersonica.
Poi, dopo pochi istanti appena, non c'era già più nulla. Un occhio inesperto avrebbe solo potuto vedere come un lampo che risucchiava Nero al suo interno.
 
Villa Gyber, Albeggiare sulla scogliera;
 
"Dunque dunque dunque. Salse salse salse. Buongiorgio buongiorgio buongiorgio." ripeteva Every correndo di qua e di là tra i macchinari che aveva fatto portare sul bordo della scogliera.
Due pilastri di adamantio, eretti da Mirrus per l'occasione, svettavano per circa sette metri a dieci metri di distanza tra loro, precariamente abbarbicati al crinale.
Cavi spessi quanto un braccio umano correvano fin dentro la villa, incastrati nelle colonne alla bell'e meglio. Energia elettrica era portata nelle due colonne attraverso di essi, di modo che i pilastri sembravano due proiettori da cui erano sparati raggi di luce in ogni direzione. L'energia era poi convertita in una specie di strana sostanza violacea che fluttuava a mezz'aria sopra le due colonne, condensandosi in due sfere in continua crescita. Per la conversione erano stati usati degli strani aggeggi non più grossi di un dado, sferici, posti proprio alla base delle colonne.
Il funzionamento del tutto sfuggiva agli occhi della Lucas Force, ma il ragazzo spiegò, per sedare il loro scetticismo (o sete di conoscenza, come lo chiamava Every) che quella tecnologia proveniva da un manoscritto che aveva rubato dalla Sala della Sapienza, dov'erano contenuti tutti i saperi del cosmo, comprese cose che nessuno sapeva.
Alla fine, dopo una serie di dispute, si era deciso di far andare nel mondo dell'Omino di mai a salvare Giuly Lucas, che aveva categoricamente deciso di unirsi a Lelq, il quale per contro aveva strenuamente sostenuto che sarebbe andato da solo per evitare ai suoi amici di correre rischi inutili, che non si sarebbe perdonato se ci fossero andati di mezzo loro e altre sciocchezze simili.
"Tipico degli eroi, essere così testardi e stupidi." aveva commentato Every, ricevendo un sonoro pugno in testa da Victus, addetto alla sua sorveglianza.
Oltre ai due amici, andavano anche Shruikan, il quale non avrebbe mai permesso a nessuno di far del male ai suoi amici. Victus, che, essendo stato uno di quelli che erano già stati in quel mondo e conoscendo già da tempo (il perché, non aveva voluto dirlo) Every, poteva aiutare come "guida". Litios, che pure voleva dare una mano, come del resto Meteor e Donatozzilla.
Infine Randor e Mirrus erano stati scelti proprio da Every. Volevano aiutare, ma il primo non aveva avuto il coraggio di farsi avanti e il secondo aveva pur sempre una famiglia a cui pensare. Ma il ragazzo con gli occhiali aveva spiegato che la loro presenza sarebbe stata fondamentale per la buona riuscita della missione. Motivo? Chi poteva saperlo? Quel tizio non si decideva a dare spiegazioni e chiedergli qualcosa era del tutto inutile.
Anche Gyber si era unito al gruppo, anche se con un po' di riluttanza. Dai loro discorsi aveva capito che se Giuly era in pericolo nel mondo dei Supremi, lo era anche lì. Infatti, era vero che se l'Omino riusciva ad ucciderla lei sarebbe morta anche lì, ma era pur vero che se il suo corpo veniva ucciso la missione sarebbe stata inutile. Tuttavia non si poteva certo permettere di lasciare i suoi amici da soli in un mondo ignoto. Si fidava di loro, ma non poteva abbandonarli.
Così, pur essendo combattuto tra l'andare e il restare, aveva optato per la partenza. Deadpool stranamente non si era fatto vivo se non sporadicamente, in quei giorni, inoltre era sempre più serio. Quando lo si incocciava per i corridoio proseguiva per la sua strada o non degnava di uno sguardo, come fosse assorto nei suoi pensieri. Era preoccupante, ma non c'era tempo di pensare a lui. Di certo era un altro dei suoi scherzi.
Every finì di collegare i cavi. Sbuffò, passandosi una mano sulla fronte.
"Tutti pronti? Tra poco iniziamo!" esclamò, sorridendo verso di loro.
Lucas ripassò mentalmente le indicazione che gli erano state fornite.
"Per prima cosa." aveva detto Every la sera prima "Sappiate che potrò portare solo un certo numero di persone. Dovete sapere che far passare esseri senzienti da un mondo all'altro, nelle condizioni in cui mi trovo ora, mi costa molta fatica. Per ogni essere senziente che passa, sia che sia morto, sia che sia vivo o che sia anche solo un robot. Questo perché gli esseri senzienti possiedono un'essenza molto particolare, diversa dalle altre e per spostarla da un mondo ad un altro devo staccare una parte della mia essenza. Un po' come una sorta di controllo delle impronte digitali. Se gli oggetti non senzienti possono passare tranquillamente, quelli senzienti devono invece essere riconosciuti dalla barriera che eressi all'inizio del Multiverso tra la mia Realtà e le vostre. Politica isolazionista, che volete farci, non sono un tipo molto socievole. Fatto sta che devo "avvolgere" la vostra essenza con un pezzo della mia perché la barriera vi faccia entrare. Capite? Per questo, posso far passare solo pochi di voi. Punto due: il portale. Da solo non sono in grado di aprire un portale tra qui e il mio Mondo che sia grande abbastanza da farvi passare tutti. Per questo avrò necessità dell'aiuto di un paio di voi" e aveva allora indicato Mirrus e Litios "per potenziare la mia capacità. Punto tre: il portale che aprirò non darà subito sul mio Mondo. Non è così semplice come viaggiare da un Universo ad un altro qualsiasi. Sempre politica isolazionista, scusate, errore primordialmente compiuto da me. Aprirò quindi un portale che da sull'Interstizio. Una sorta di limbo, una zona cuscinetto tra i vari Universi che esiste a prescindere in modo che non ci siano interferenze gravi tra di essi. Di solito non si nota, nei viaggi tra un mondo e un altro, ma, come ho detto..."
Gyber aveva sbottato: "Politica isolazionista, si, abbiamo capito, sei un asociale, dacci un taglio ora."
Every lo guardò offeso, ma riprese poco dopo, come se nulla fosse.
"Questo primo portale resterà spalancato tutto il tempo che vorrete. Costruirò con il vostro aiuto... sapete, no... non ho poteri, quindi... comunque, costruirò un macchinario che lo terrà aperto per me. Una volta aperto dovrete entrare tutti subito, insieme. Questo perché una volta nello spazio Interstiziale, avrete circa quarantacinque secondi di sopravvivenza. Poi la materia annullante di cui è composta quella zona vi annullerà e non ci saranno poteri rigenerativi che tengano. Non sarete mai esistiti, di voi non rimarrà nemmeno il ricordo. Una volta dentro, aprirò il secondo portale per mandarvi nel mio Mondo. Questo resterà aperto per trenta secondi. Di più non posso materialmente permettermelo. Siate rapidi. Siate veloci. Non fermatevi e non guardate indietro. Là dentro ci si muove in modo... complicato. Quindi state bene attenti e attaccatevi a chi sapete sa volare veloce anche in assenza di aria e magia."
Lucas annuì, alzandosi dalla poltrona e guardando grave Every.
"Dicci cosa ti occorre e te lo faremo avere. Qualsiasi cosa sia utile al tuo lavoro,"
E così, il mattino seguente, lui, Mirrus e Litios si erano svegliati all'albeggiare per costruire la macchina spacca mondi, come l'aveva chiamata il ragazzo. In effetti, considerando le occhiaie profonde e la marea di scartoffie e progetti che si era portato fuori dallo studiolo che gli era stato affidato al suo arrivo, non doveva aver dormito per niente.
Ora tutto sembrava pronto.
Every impose le mani in mezzo alle due colonne e chiuse gli occhi. Subito l'energia delle due colonne si incanalò verso i suoi palmi aperti, in una fitta rete di elettricità che sfrigolava nell'aria. Un calore intenso iniziò ad emanare dalla struttura, mentre nello spazio vuoto tra i vari archi elettrici che congiungevano le mani del ragazzo e le colonne in adamantio, iniziavano a colorarsi di un viola intenso.
Poi calò un silenzio innaturale, così, tutto d'un colpo. Ogni suono fu risucchiato da quella sostanza viola pulsante intorno alle mani del ragazzo, che stringeva i denti e si puntellava sulle gambe per resistere alla forza repulsiva che proveniva dal portale in formazione. Poi le sfere in cima alle colonne ebbero un sussulto, e tutto parve bloccarsi. Poi, come un'esplosioni, vi fu un botto fragoroso e le due masse violacee si condensarono intorno alle formazioni di adamantio, riversandosi da lì lungo la rete elettrica.
Every fu sbalzato indietro e afferrato da Litios, che fece affidamento a tutta la sua forza per non ribaltarsi.
"FUNZIONA! E NON È MORTO NESSUNO!" gridava tutto contento il ragazzo, paonazzo per lo sforzo.
"ORA" seguitò, rivolgendosi a Lelq, sempre gridando per farsi sentire sopra il frastuono generato dal portale "RICORDATE COSA VI HO DETTO! AVRETE POCO TEMPO UNA VOLTA LÀ DENTRO. USATELO BENE. IO APRIRÒ IL SECONDO PORTALE SUBITO, MA VOI DATEVELA UNA MOSSA, OK? UN'ALTRA COSA: SE L'OMINO VI DOVESSE ATTACCARE STATE CALMI! HO FATTO IN MODO CHE NON VI UCCIDA. ORA ANDATE, PRESTO!"
Detto ciò si staccò a fatica da Litios e si avvicinò al portale, vincendo chissà come il poderoso risucchio.
I ragazzi che dovevano partire si misero in posizione. Da lontano, gli altri membri della Lucas Force, in particolar modo Shiro, Applejack e Rainbow Dash, li guardavano carichi di apprensione.
Lucas inspirò a fondo.
"VIA!" gridò, e il gruppo si lanciò nella massa viola.
Il mondo ruotò intorno a loro man mano che attraversavano il varco speciale e scomparve.
Lelq fu l'ultimo a passare.
Buio. Poi una sensazione formicolante.
Il musicista aprì lentamente gli occhi. Vide intorno a sé i suoi compagni. Fluttuavano, immersi in una specie di gelatina viola. Non riusciva a respirare. Qualcosa gli impediva ogni movimento. Era oppresso da quella sostanza budinosa che lo circondava. Provò a muovere le gambe a rana, come in piscina, ma non ottenne nulla.
Era invischiato in quello schifo! Sentiva l'aria mancare nei polmoni. Non la riusciva a trattenere. Sentiva come un aspiratore che gliela risucchiava dai polmoni. Percepiva chiaramente l'ostilità intrinseca di quel luogo che lo fissava con una miriade di puntini luccicanti color rosso porpora, simili a occhietti senza espressione.
E non era tutto.
Oltre alla sensazione di sfiatamento e alla innaturale pressione che percepiva su tutto il corpo, percepiva come se qualcosa di é venisse staccato via di istante in istante. Si sentiva scomparire e la cosa era tutto fuorché piacevole.
L'unica cosa che poteva fare era ruotare gli occhi, cercando una qualsiasi fonte di salvezza. Qualsiasi cosa, pur di sfuggire a quella buia, fredda morte senza gloria o memoria.
Annaspò, vedendo davanti a sé, a pochi metri (metri? centimetri? Le distanze erano molto variabili lì dentro) aprirsi un varco rotondo da cui filtrava un raggio di luce, che veniva subito inghiottito in quella violacea membrana che era l'Interstizio.
Cercò disperatamente di muoversi, dimenticandosi di tutti i suoi compagni. L'istinto di sopravvivenza gli gridava di scappare, di arrivare a quel dannato varco, ad ogni costo! E il dolore e la fatica non facevano che spingerlo all'in là con maggior foga! Non voleva morire!
Ad un tratto, qualcuno gli afferrò il colletto della maglia blu elettrico con su disegnata un basso. Si sentì trascinare via, come nel nuoto a rana. Si fermò per un istante, bloccato da quella mano, un istante impercettibile tanto fu breve, ma che Lelq riuscì a vivere come fosse un'intera vita. Per quell'istante si sentì spacciato, finito, azzerato.
Poi, risucchiato fuori da quello stato di morte, con uno slancio venne catapultato verso il varco luminoso, rimanendo abbagliato man mano che la luce diventava più vicina e intensa.
Aprì gli occhi. Tutto quello che sentiva era il brontolio dello stomaco di Donatozzilla.
Si guardò intorno. Si sentiva intorpidito.
D'un tratto si ricordò dei suoi compagni. Si sentì uno stupido a non aver pensato nemmeno per un istante a loro. Erano passati? Stavano bene? Vide Shruikan, Litios, Lucas... C'erano tutti. Tutti tranne Meteor.
Lelq scrutò ovunque. Erano nella stanza del portale. Erano nella Cripta, nell'anticamera. Riconosceva l'enorme struttura del portale. Era chiuso. Come si fossero rigenerati gli imponenti battenti del portone, non se lo sapeva spiegare. Per il resto era tutto come se lo ricordava.
Ma di Meteor nemmeno l'ombra.
"D-dov'è..." mormorò, guardandosi istintivamente alle spalle, vedendo il portale giusto nel momento in cui si chiuse con un lieve pop.
Lucas era in piedi, aveva il fiatone. Doveva aver lottato con tutte le sue forze per uscire da lì. Guardava ora il punto in cui si era chiuso il portale, ora uno dei suoi compagni, ora di nuovo l'aria davanti ai suoi occhi. Sembrava spaesato.
Si voltò verso Shruikan che, piegato in due per la fatica, si teneva le ginocchia.
Tra un respiro e l'altro, lo spietato controllore del famelico sangue nero disse, senza alzare gli occhi da terra: "Ho fatto... del mio meglio, ma... Non sono... non sono riuscito a prendere tutti. Ho portato Randor, Lelq e Dz. Credevo Mirrus lo avesse trascinato insieme a te."
Il leader della squadra si voltò allora verso il ragazzo in questione, che si asciugò il sudore con la manica del camice da laboratorio, prima di mettersi seduto con una gamba piegata al petto.
"In effetti l'ho visto, e ho cercato di raggiungerlo. Però poi Vic mi si è messo davanti e lo ha preso con sé, allora mi sono diretto al portale. Da lì in poi non so che fine abbia fatto."
Victus lo guardò con inespressività.
"La tua affermazione manca di senso. Io mi sono occupato di portare Litios e Gyber. Non ho nemmeno visto Meteor." fece il moro.
"Cosa?! Cosa... che stai dicendo, dannazione? Se non lo hai preso su tu allora chi..." esclamò Lelq, che si sentiva in colpa per non essersi preoccupato prima del compagno. Si sentiva roso dentro da un angoscia immonda. Si sentiva dannatamente responsabile.
Victus alzò semplicemente le spalle, storcendo un angolo della bocca.
Lucas mosse qualche passo nervoso, stringendo i pugni.
"aaAAAA! CAZZO!" gridò, tirando un calcio da cui partì una piccola fiammata aranciogniola.
"Iniziamo bene. Siamo già qui e abbiamo perso un compagno." commentò acido il Kishin, buttandosi pesantemente a sedere.
Mirrus batté un pugno a terra, digrignando i denti.
"E la cosa peggiore è che non potrà tornare in vita!" sbottò Dz, incrociando le braccia sul petto. Era chiaramente furioso, tanto che Litios gli si allontanò un poco per evitare di essere travolto da una sua possibile trasformazione involontaria.
"Cosa intendi?" chiese preoccupato Gyber.
"Lo hai sentito Every, no? Crepare là dentro segna il capolinea. Addio, a mai più, finisce lì. Sei cancellato per sempre." commentò Litios, studiando l'ambiente.
"Ragiona, zuccone. Se così fosse non ce lo ricorderemmo manco più, no? Scompari del tutto anche nella memoria. Tutto di te cessa di esistere. Ma non è il caso del nostro compagno. Lo ricordiamo no? Questo vuol dire che non è morto. O quantomeno non è stato inghiottito dall'Interstizio." commentò Lelq.
Tutti restarono muti. Aveva ragione. Ma allora dov'era finito? Chi era il tizio che lo aveva rapito? Di certo una persona molto potente, visto che era entrata nell'Interstizio con il corpo mutato. Che fosse un Supremo o uno dei loro lecca piedi? L'Omino di mai, magari...
Ogni ipotesi sembrava peggio della morte nell'Interstizio.
"Tuttavia, ragazzi..." bofonchiò Shruikan "penso ci siano questioni più urgenti di questa."
Il Kishin alzò un braccio, indicando un grosso ciclope in frac, alto almeno due metri, con una bombetta nera in testa. Teneva le braccia enormi penzoloni lungo i fianchi. L'occhio viola spadroneggiava nell'inquietante testa tondeggiante.
Lelq sgranò gli occhi, mentre Victus veniva avvolto da una fitta nebbia candida.
"Merda..." ringhiò il musicista.
Lucas lo fissò, mettendosi leggermente sulla difensiva, inquietato dal comportamento del compagno.
"Che c'è?"
Lelq non rispose. Deglutì.
Una Rovina.
Che bel modo di entrare in quel mondo.
 
Angolo di ME!
 
Vi ero mancato? Eh? Eh?
No.
...
Vado a piangere in un angolino!
Ok, dai, torno semi-serio.
Dunque! Eccoci per il primo capitolo della parte uno. Avevo detto che lo avrei postato il dodici di questo mese, ma non ci avevo voglia, scusatemi. Dovrebbe essere chiara la situazione, no? L'Omino di mai ha preso possesso di un universo buttando fuori il suo ex-padrone (cioè ME!) e prendendo in ostaggio Giulyu Frost.
Il gruppo di eroi della Lucas Force si dirige nell'universo in questione per recuperare la ragazza, suonarle all'Omino e vivere per sempre felici e contenti. No. Forse quello non del tutto, conoscendo il suddetto gruppo di eroi che, mannaggia 'n transfer, sembra cercarseli i guai (col cuore, ragazzi ^^). Ma chissà! Tutto è possibile!
Ordunque al prossimo capitolo: La Rovina del Mondo!
A rivederci!
Ev.

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Capitolo 2
*** La Rovina del Mondo ***


"Quello cos'è?" chiese Lucas, armandosi con il fido fucile di precisione d'oro.
"Sicuramente un cadavere ambulante." disse il Kishin sogghignando.
Lelq scrutò il bestione. Era bizzarro. Gli dava una strana sensazione di disagio che non aveva provato di fronte a nessun'altro suo simile, la prima volta che aveva incontrato quei parassiti.
Indiscutibilmente, sebbene non fosse più grosso o più imponente degli altri. Sembrava anzi uno dei più deboli, eppure... non se lo sapeva spiegare, ma quel coso sembrava molto più cattivo.
Anche Gyber appariva preoccupato. Fissava il nemico mentre un leggero pulviscolo bianco gli danzava intorno.
"Non saprei dire con certezza perché, ma mi sembra molto interessante." commentò Mirrus, poggiando un braccio sulla spalla di Litios, che a sua volta studiava con freddo interesse il mostro.
"Già. Intriga anche me. Vorrei studiarne i resti." commentò Litios stesso, facendo ondeggiare per la sicura una granata all'apparenza comune.
Shruikan storse la bocca in una risata folle.
"Sempre che resti qualcosa da studiare, scienziato della malora!" gridò, lanciandosi contro il bestione, ali e falce sguainati e pronti a far di chiunque un tumulto di brandelli insanguinati.
Gyber lo vide scattare e, allarmato, cercò di fermarlo, ma senza successo.
"Dannazione, BlackClaw! Non andargli contro! Quello non è normale!" gridò con un guizzo di esasperazione negli occhi.
Ma Shruikan non lo sentì. Preso dalla foga, si fiondò sul ciclope con uno slancio pazzesco, roteando su sé stesso per assestare un violento colpo di lama al fianco del nemico, che rimase immobile, incapace probabilmente di cogliere i movimenti troppo veloci del dio della follia.
L'arma cozzò contro la pelle coriacea della Rovina, incidendovi un taglio. Ma non proseguì per più di due centimetri nelle carni del mostro. Shruikan guardò sorpreso la sua arma appena conficcata vicino agli addominali del ciclope. Questi, dal canto suo, non lo degnava di uno sguardo, sovrastandolo di molto. Fissava con il solo, violaceo occhio i suoi compagni, uno ad uno. Sembrava una statua. Era... agghiacciante.
Poi si mosse. Il Kishin se ne rese conto dalle vibrazioni che dal corpo gigantesco si trasmettevano lungo il manico della sua falce.
Strinse di più l'arma, facendo pressione coi piedi per estrarla. Uno schizzo di sangue viola scuro si liberò dalla ferita, evaporando a contatto con il terreno.
"Ma che... Di che sei fatto mostro?" chiese BlackClaw, indietreggiando di un passo per studiare meglio la creatura.
Il ciclope parve scosso da un moto di vita, finalmente, e si raddrizzò. Ora misurava almeno due metri e mezzo. Spostò lo sguardo verso il ragazzo con la falce e aprì lentamente, con un orribile suono di risucchio, una specie di bocca rettangolare, priva di denti, con lembi di pelle che univano le due labbra come colonne che sorreggono un ponte. Dentro le fauci era completamente buio. Ma non un normale buio, causato dall'assenza di luce. Quella cosa che si agitava nelle viscere della creatura era viva! Si muoveva e sembrava fissare con milioni di piccoli occhietti invisibili il ragazzo.
"Analisi:" iniziò il gigante con voce cavernosa. "Kishin millenario, Toklafe di serie D1E32. Livello, sedici punto sette, uno, sette, tre, tre, due, uno per cento. Prognosi: Eliminazione a prescindere dal diritto di causa e insurrezione."
Detto ciò, una luce viola si accese in mezzo alla sua bocca.
Il Kishin la fissò estasiato.
Quello era un suo nemico e lui lo doveva, voleva farlo a pezzi, tuttavia... Quella luce era così bella, così calda e rassicurante che non poteva certo agire contro di lei... Così... Pura...
Lelq si lanciò, seguito da Gyber e Victus. Lucas prese la mira. Bersaglio: l'occhio del ciclope.
Gli altri, colti alla sprovvista, restarono un attimo perplessi da tanta foga. Insomma. Stavano sparando a Kishin! KISHIN! Quello poteva saltare in aria e rigenerarsi come se nulla fosse! Che motivo c'era di tanto scompiglio.
Fu un attimo. Lelq era così vicino al suo compagno! Se solo avesse allungato ancora un po' la mano lo avrebbe preso e tratto in salvo! Ma quella luce gli annebbiava i sensi. Lo confondeva, lo faceva perdere.
E quando udì il sibilo letale e il verso soffocato dell'amico che veniva trafitto al petto dal raggio della morte certa... si sentì piombare addosso il mondo intero.
Sentì gli altri gridare, dietro di lui.
Cadde in ginocchio insieme a Shruikan.
Udì lo scalpiccio dei loro passi, mentre correvano assetati di vendetta verso il mostro.
Ondeggiò come il Kishin, con la bocca socchiusa in un flebile segno di sgomento.
E poi lo vide, troneggiare sul suo amico e compagno. La Rovina alzò un braccio, la mano aperta a rivelare il palmo su cui si era aperta un altra bocca. La luce viola si diffuse intorno al volto girato di Shruikan, come un'aureola infernale.
Lelq pensò che gli si addiceva molto, in fin dei conti.
E infine fu la volta del solito, orrendo sibilo.
Solo che stavolta il suono fu sovrastato da una strana esplosione metallica proveniente dalle sue spalle. Lelq vide l'aria poco sopra la sua testa tremolare e incresparsi in una linea retta, colpendo il ciclope dritto in fronte. Il mostro vacillò, cadendo all'indietro come un blocco di cemento, riuscendo a stabilizzarsi con una spinta dei potenti addominali.
Un filo di fumo partiva dalla fronte, proprio sopra il grosso occhio viola acquoso, ma non sembrava aver riportato danni di alcun tipo. Un secondo suono si udì in lontananza, un fracasso di macerie che cadevano a terra.
Il musicista capì.
Lucas aveva sparato un colpo dritto in testa al bestione per fargli mancare il colpo, dando a lui il tempo per portare al sicuro Shruikan.
Così il colpo della Rovina aveva centrato il soffitto, e il bestione ora sembrava più rintronato di prima. Lelq ne approfittò, come rinunciare ad un'occasione simile, offertagli su un piatto d'argento? Scattò flettendo i muscoli delle gambe e raggiunse in pochi, semplici balzi l'amico. Questi stava inginocchiato con una mano sul petto, in corrispondenza del polmone. Aveva la bocca leggermente aperta e gli occhi sbarrati, ma non sembrava morto, svenuto o che altro. Sembrava più che altro incredulo.
Il ragazzo non perse tempo a far domande e lo prese per poi balzare indietro alla massima velocità che poteva raggiungere, vedendosi sfrecciare in parte doc, Dz e Gyber, tutti pronti e determinati ad abbattere il muro di muscoli.
I due raggiunsero Lucas, intento a ricaricare il fucile con la sua energia.
"Come sta?" chiese Litios che era li in parte, in attesa di ordini da parte del capitano.
"Non lo so. Sembra sia stato colpito al petto, ma se non toglie la mano non possiamo vedere in che punto, di preciso..." spiegò Lelq, venendo ad un tratto interrotto dal mormorio del Kishin.
"Mi ha... mi ha ferito." disse con una lucidità spaventosa "Come diavolo ha fatto a ferire ME?"
Strinse i pugni, raschiando il terreno, mentre dal suo corpo esalava una strana aura nerastra, i suoi capelli fluttuavano e i suoi occhi si riempivano di vene rosse.
Litios gli si avvicinò, prendendogli il polso e scostandolo dal petto con delicatezza. In mezzo alle costole, proprio sopra il cuore, si trovava un foro largo poco più di un centimetro, in cui il sangue no del ragazzo non riusciva a coagulare, lasciando il piccolo traforo intatto. Fortunatamente per Shruikan, il suo potere di guarigione gli aveva permesso di creare una sorta di parete intorno alla ferita, ma non era sufficiente a curarlo del tutto.
"Per fortuna gli ha perforato il polmone e nemmeno in maniera troppo grave. Se avesse colpito il cuore penso lo avrebbe fermato del tutto." commentò Litios, ignorando bellamente lo sfogo del compagno.
Il Kishin lo prese per una spalla e lo scostò senza troppe cerimonie, ergendosi in tutta la sua maestosa crudeltà.
Lelq lo fissò. Se si fosse lanciato in battaglia con il suo solito modo di fare sprezzante e incurante del pericolo, certamente avrebbe rischiato di riportare ferite ben più gravi se non addirittura letali.
"Aspetta, Shruikan, dobbiamo elaborare una strategia." ordinò con tono fermo Lucas, senza distogliere gli occhi dal mostro, che veniva in quel momento bersagliato da una serie di colpi portati dai tre membri della Lucas Force. Questi lo colpivano ripetutamente, in un continuo mordi e fuggi atto a sfiancarlo e a non farsi beccare. Il bestione muoveva goffamente gli arti anteriori cercando di colpirli con le grosse mani, col solo risultato di frantumare il terreno.
"C'è una cosa di cui non riesco a capacitarmi. Che vi fa qui una Rovina? Non dovrebbero essere in grado di entrare nella Cripta, no?" commentò Victus, che se ne stava in disparte a fissare lo scontro. Randor era come svanito.
"Che intendi, Mors?" chiese Litios, cercando di capire quale dei suoi esplosivi fosse il più adatto alla situazione.
"Intendo dire che quel coso, altresì noto con l'epiteto di Rovina, è una creatura ai comandi dei Supremi, molto resistente e forte e con la straordinaria capacità di assimilare i propri simili per aumentare la forza del risultante. Il punto è che il luogo in cui ci troviamo è stato eretto proprio in modo tale da impedire a quelle creature di entrare." spiegò il moro impassibile.
Lelq si morse il labbro.
"E se fosse un Supremo?"
Tutti lo fissarono.
"Intendi dire uno di quei tizi super mega potenti da cui dobbiamo salvare Giuly?" chiese Lucas.
Lelq annuì.
"Si, possibile." si intromise Victus "Ma sarebbe davvero spiacevole. Non devo certo essere io a ricordarti com'è andata a finire contro Alter, giusto? E stavolta non c'è più Nero a difenderci. Sempre che quello non sia proprio il signor Nero."
"No, non può essere un Supremo."
Tutti si voltarono. Randor era apparso dall'ombra del Kishin, con aria cupa.
"E perché no? Insomma, quali altre possibilità ci sono?" esclamò stizzito proprio Shruikan, che smaniava di combattere e quindi voleva concludere il discorso in fretta.
"Molto semplice. Se fosse un Supremo avvertiremmo il suo influsso. Ho eseguito gli ordini di Lucas e ho provato a entrare nella sua mente. Era vuota. Anzi, non c'era proprio o, se c'era, era davvero ben nascosta. Un Supremo avrebbe contrattaccato ad un attacco mentale no? Dopotutto la mente è il loro dominio assoluto, gli intrusi dovrebbero dar loro fastidio. Inoltre se sono così potenti come dite e rappresentano le emozioni e i modi di essere, sicuramente uno di loro avrebbe già influito sui nostri pensieri. Invece non sento alcuna alterazione. Erhm..." bofonchiò il ragazzo, abbassando gli occhi.
"Non fa una piega. Tuttavia non è da escludersi l'ipotesi che quello sia un Supremo e stia giocando con noi. Sono famosi per il loro amore verso il tormento altrui, dopotutto." dichiarò Victus, incrociando le braccia sul petto.
"Proposte per batterlo?" chiese Lucas a quel punto.
Shruikan ebbe un fremito di impazienza.
Un abbastanza malconcio Mirrus fu scaraventato alle loro spalle da una manata a tradimento del ciclope.
"Se non è un Supremo, dovremo distruggere completamente il suo corpo, o andrà avanti a combattere. Non ha poteri rigeneranti, ma è dotato di una resistenza paurosa. Evitate ogni suo attacco. Il più debole potrebbe tramortire un Kaiju. E soprattutto non cercate di parare i suoi raggi speciali. Come abbiamo visto non lasciano scampo a nessuno." disse Lelq, alzandosi e preparando la pistola a pentagramma che portava sempre con sé.
"E se fosse un Supremo?" chiese Litios.
"Allora pregate che un altro Supremo si degni di volerci salvare."
 
Donatozzilla colpì con tutta la sua forza la mandibola del mostro, ma quello non diede segno nemmeno di un minimo fastidio. Spostò l'occhio su di lui e restò immobile, facendosi colpire da un potente pugno di Gyber che impattò sul suo addome.
L'albino strinse i denti, balzando subito lontano, imitato dal mezzo Kaiju. Arrivato a distanza di sicurezza, si massaggiò le nocche in fiamme.
"Colpire quel bestione è come tirare pugni ad un blocco di acciaio. Lui non si fa nulla e noi ci spezziamo le ossa." brontolò Dz, ruotando i polsi per saggiarne la stabilità.
"Analisi." tuonò la Rovina "Elementi in numero nove. Livelli mobili tra Diciassette per cento e Ventiquattro per cento. Possibilità di auto-incremento di un massimo del Venti per cento. Capacità fisiche: elevate. Capacità mentali: elevate. Capacità tattiche: elevate. Capacità di resistenza: elevate. Prognosi finale: Sterminio."
"Ragazzi, non dategli tregua né modo di arrivare a voi!" gridò Lucas, che aveva intuito la prossima mossa del gigante.
Se quel coso aveva degli assi nella manica, si stava preparando a lanciarli. Tutto stava nel capire quali fossero e nel riuscire a intercettarli prima che potessero mietere vittime.
La Lucas Force si sparpagliò per l'ampia sala si pietra, preparandosi a combattere.
Il ciclope era in mezzo.
E poi scomparve.
Nello stupore generale, Lucas mormorò: "Ma cos..." prima di essere colpito dritto nello stomaco.
Il mostro gli era apparso in parte senza che nessuno si accorgesse di nulla. Teletrasporto? Impossibile, non era stata rilevata alcuna traccia magica da parte dei presenti, e molti di loro erano in grado di percepire l'alone di magia che l'incantesimo di teletrasporto lasciava.
Forse si era mosso così rapidamente da risultare impercettibile perfino agli acutissimi sensi del manipolo di eroi? Ma che razza di creatura era, allora? Che fosse davvero un Supremo dotato di poteri straordinari?
Il leader della Lucas Force strinse i denti e strabuzzò gli occhi, ma non cedette. Facendo forza con tutto il suo corpo riuscì a reggere l'affondo micidiale e a incendiare il braccio della bestia prima che potesse staccarsi da lui.
Ma la Rovina era dura a morire, allontanò l'arto dal ragazzo con molta lentezza, senza distogliere lo sguardo da lui, ma prima che Lucas potesse fare alcunché colpì di nuovo, stavolta con una forza almeno dieci volte superiori, piegando il corpo umano come un boomerang. Le fiamme sul braccio colossale si spensero per la velocità dell'attacco, mostrando come non lo avessero nemmeno scalfito.
Questa volta Lucas non riuscì a reggere e si piegò su un ginocchio, poggiandosi al fucile come ad una stampella, aspettando che qualcuno lo aiutasse. Il ciclope, intanto, alzò il braccio per poi calarlo come una mannaia.
Fu allora che Shruikan li raggiunse, colpendo con il manico della falce la testa del bestione, sbilanciandolo in avanti, proprio sopra uno degli aculei di adamantio che Mirrus stava creando giusto in quel momento. Gyber e Litios trassero in salvo il loro capitano proprio un istante prima che l'imponente zampa di un rettile di almeno cento, centocinquanta metri schiacciasse completamente la Rovina al suolo.
Dz ritrasse velocemente il piede, tornando normale in tutta fretta. Il gruppo si riunì.
"Dannazione..." mugolò Lucas, steso a terra da Gyber.
"Gli ha fracassato la spina dorsale. Ci vorrà un po' perché la si possa guarire come si deve." commentò Mirrus.
"Occhio che torna!" gridò Gyber, caricando un King Punch e scagliandolo verso il ciclope che era balzato verso di loro.
Victus si tramutò in nebbia e si lanciò all'attacco, accendendosi di fiamme cremisi e nere lungo il percorso.
Il ragazzo e l'onda d'urto cozzarono a mezz'aria contro il mostro, facendolo sbilanciare e cadere a terra rovinosamente. Shruikan, non ancora sazio di violenza, scattò, scavando dietro di sé un lungo e profondo solco con la punta della falce nera fino a raggiungere il punto di impatto e tirare verso l'alto l'arma con tutta la sua forza, fino a tranciare in due il mostro.
Randor guardò Litios che annuì.
Il primo si dissolse nelle ombre e si attaccò a quella del ciclope, trattenendolo a terra, mentre Litios canalizzava un'ingente quantità di energia in un solo punto, pronto a colpire.
Con un salto si proiettò sopra il bersaglio, steso a terra, e puntò il dito.
"Megalo raggio distruttore." mormorò con freddezza. Dal dito partì un raggio di luce bianca accecante che schiacciò il bestione, sollevando il terreno tutt'intorno a lui.
Un enorme nuvolone di polveri e detriti impediva la vista del bersaglio, tanto da convincere Shruikan a tirare un fendente con la falce. Lo spostamento d'aria fece vorticare la polvere, mostrando il ciclope che teneva per il collo Randor e aveva la bocca aperta.
Lelq capì cosa stava facendo a sgranò gli occhi, partendo alla carica, iniettandosi nel braccio il contenuto di una siringa.
Il mondo si fece più nitido, più lento, più ampio ai suoi occhi.
Sogghignò, lanciandosi all'attacco.
Fu una vera e propria scheggia.
Poco prima che il sibilo indicasse che era troppo tardi, il ragazzo apparve proprio sotto di lui, un pugno caricato indietro come una molla.
"Buongiorno, signore, come posso ucciderla oggi?" gracchiò, prima di alzarsi con un unico, potente sforzo della schiena, tirando il pugno contro il mento grassoccio del mostro, chiudendogli di netto la bocca.
Le fauci si chiusero e il sibilo partì. Un attimo dopo, la testa del ciclope esplose in una coltre di fumo nero. Randor fu lasciato libero e insieme a Lelq fece un balzo indietro, lontano da quella cosa spaventosa.
"Lo... Lo ha ucciso?" chiese timoroso.
Lelq ansimò.
Non ne era sicuro, ma quel colpo avrebbe ucciso di certo anche la bestiaccia. Doveva essere in grado di distruggere OGNI cosa, no? Era morto, doveva esserlo per forza!
Ma un bagliore violaceo in mezzo alla pira di fumo nero e grigio che si alzava dal collo tranciato in due del mostro gli fece morire la speranza in cuore.
"O mio dio, stai giù!" gridò, cercando di buttarsi a terra.
Ma il sibilo lo raggiunse. E un dolore lancinante gli infiammò la spalla.
Vide Randor spingerlo a terra. Il suo sangue che schizzava e poi... buio.
Lucas gridò un ordine, ma non c'era davvero bisogno di dirlo.
Gyber e Dz erano già scattati contro il mostro, Mirrus aveva eretto delle sculture di adamantio per tenergli fermi i piedi e il Kishin si era già preso un impegno per quella serata: pasteggiare con l'anima di quel coso schifoso.
Con un solo volteggio, la falce di Shruikan si schiantò contro il ciclope, mentre Gyber lanciava un King Punch potenziato con tutte le magie distruttive in suo possesso dal capo opposto. Tutto il loro odio, la loro rabbia, la loro sete di sangue intrise i loro attacchi!
E il ciclope non fece altro che alzare le braccia e afferrare ad uno il pugno e all'altro il manico della falce e bloccarli così a mezz'aria.
Intanto Dz avanzava a pesanti passi, ingigantendosi sempre di più, fino a che non sovrastò la scena coi suoi centoquaranta metri di altezza. Sollevò ancora in corsa il pugno e lo schiantò sul ciclope, che lo fissava vacuo.
Per un attimo vi fu uno stallo. Il corpo del Kaiju non lasciava vedere nulla.
"DZ, VATTENE DA LÌ!" gridò Lucas.
"Non... posso... mi ha affer...afferr..." ringhiava quello con aria sofferente.
Poi ci fu u sibilo che raggelò il sangue di tutti.
E poi il braccio di Dz esplose.

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Capitolo 3
*** Fuga Rovinosa dalla Cripta ***


Gyber vide tutta la scena. Aveva ancora il braccio intrappolato dalla presa del ciclope quando Dz colpì.
Il ragazzo Kaiju abbatté il suo gigantesco pugno proprio sopra la Rovina, ma, un attimo prima che la colpisse, il mostro aveva spalancato la bocca, da cui erano spuntati dei denti lunghi e aguzzi, per poi, fulmineamente, piantarli nella pelle coriacea del rettile, perforandola come fosse burro e bloccando l'attacco.
L'albino restò allibito da quella vista.
Era stato così rapido che nemmeno lui era riuscito a seguirlo completamente.
Poi c'era stato il sibilo e, percorso da scosse e convlusioni, il braccio del Kaiju esplose, in più onde d'urto concentriche che si espansero da tutto l'arto mandando schizzi di sangue e carne.
Dz ululò di dolore, ondeggiando all'indietro, tenendosi il braccio martoriato e sanguinolento con quello sano. Ogni passo causava uno scossone sismico che martellava i piedi di tutti i presenti.
La Rovina spostò indietro le braccia e, con forza, scagliò le sue due prede lontano, mandandole a sbattere contro il muro della sala.
"Dannazione! Mirrus, bloccalo, veloce! Viic, dobbiamo..." disse Lucas, cercando di muoversi, rimanendo però bloccato a causa delle profonde ferite alla schiena che, stranamente, nessuno era riuscito a guarire o quantomento ad alleviare il dolore.
Ma la cosa peggiore non fu la sofferenza, bensì la vista che si profilò agli occhi del leader della squadra.
Dal nulla, all'improvviso, avevano iniziato ad appparire, strappando il fragile velo di nebbia che pareva avvolgere la stanza, un intero esercito di ciclopi identici a quello che non avevano nemmeno scalfito fino a quel punto. Solo che questi erano alti tre metri e più e sembravano molto più forti e cattivi del primo.
"Cosa significa?" mormorò Lucas, mentre Victus compariva dietro di lui aiutando Gyber e il Kishin a stare in piedi.
"Un intero esercito. Hanno un intero esercito. CAZZO!" gridò l'albino, mentre Shruikan studiava il nemico con sguardo fermo.
"Li abbiamo sottovalutati sin dall'inizio e così gli abbiamo dato il tempo di sferrare il primo colpo, essenziale in battaglia." bofonchiò, riparando la falce col suo sangue nero.
Randor apparve lì in parte portando con sé Lelq. Mirrus e Litios si unirono al gruppo.
"Siamo in una situazione critica. Direi sui tremila contro uno, unità più, unità meno." commentò Litios, incrociando le braccia.
"E Dz è messo male." fece Mirrus, guardando il bestione che rantolava dietro di loro con gli occhi iniettati di sangue.
La Rovina più piccola alzò il braccio. Doveva essere il loro capo.
Ogni singolo ciclope aprì la bocca, in cui si materializzò un bagliore viola intenso. Uno stridio terribile pervase l'aria.
"Questi li evitamo, Litios?" chiese Mirrus, conoscendo le alte capacità di calcolo dell'amico.
Il ragazzo fissò la schiera effettivamente notevole delle Rovine.
"Non abbastanza da sopravvivere senza perdite." rispose seccamente.
"Mirrus, non puoi traspotarci lontano da qui?" chiese il leaderrivolgendosi all'uomo.
Questi strinse il camice da laboratorio.
"Ci ho provato, ma qualcosa blocca i viaggi inter-spaziali. Siamo bloccati qui e temo che siano proprio quei cosi a trattenerci."
La Lucas Force fissò le Rovine e le Rovine fissarono loro. Gli uni carichi di rancore, paura, odio, frustrazione, gli altri vacui e inespressivi.
Poi un istante di silenzio in cui le luci viola si affievolirono all'unisono.
E infine...
Una tempesta di sibilii squarciò l'aria. L'etere fu sconvolto da una moltitudine di raggi invisibili, così grandi in numero che furono addirittura visibili per un istante. Erano come fili di ragnatela luccicanti, color indaco, che si irraggiavano ad una velocità incredibile, formando un reticolo affascinante. Se non fossero stati letali per qualunque cosa sarebbero stati bellissimi.
Lucas gridò l'ordine di ritirata e chiuse gli occhi.
Non voleva vedere i suoi amici morire. Sperò solo che gli altri potessero fuggire in qualche modo.
Non riaprì gli occhi finché non sentì le grida dei suoi compagni, sovrastate soltanto da un unico, assordante ruggito.
Spalancò le palpebre e fissò inorridito lo spettacolo che gli si presentava davanti. Donatozzilla, in uno sforzo immane, era rimasto trasformato ed ora li sovrastava, facendolo loro da scudo con la sua mole. Il suono atroce di carne che veniva trapassata senza pietà proseguì per oltre tre minuti, mentre il bestione teneva la testa alta. Aveva gli occhi rivoltati per lo sforzo, aveva perso i sensi.
Quando i raggi delle Rovine cessarono, una grande colonna di fumo acre si sollevò dalla sua schiena. Un rivolo di sangue colò dalla sua bocca. Vacillò, cercando di pronunciare qualche parola di rammarico, qualche scusa per non averli difesi abbastanza a lungo. Ma non c'era più nulla da dire.
Quando si fu trasformato del tutto, crollò a terra. La Rovina a capo dell'esercito alzò di nuovo il braccio e i suoi soldati marmorei aprirono le bocche. Il ronzio si propagò di nuovo nell'aria. Stavolta però, tutti puntarono un unico bersaglio. Dz.
"Lo vogliono attaccare ancora? Ma che cazzo!" gridò il Kishin, lanciandosi all'attacco, incurante degli avvertimenti del leader.
Gyber ringhiò e fece per andare ad aiutarlo, ma una mano lo fermò.
Si guardò la spalla e impallidì.
Dietro di lui stava, ritto sulle gambe tozze e muscolose, un ciclope in frac nero, con una bombetta dello stesso colore in testa da cui pendeva una catenella d'oro a cui era attaccato un cipollotto arrugginito che ticchettava allegramente.
Tutti lo fissarono allibiti, incapaci di porsi sulla difensiva.
Poi i sibilii partirono, e il ciclope svanì.
Lucas fu il primo a girarsi verso Donatozzilla.
Stentò a credere ai suoi occhi.
Il ciclope si trovava davanti al ragazzo, in una mano (aveva mani enormi, quasi sproporzionate rispetto al corpo, con cui poteva tranquillamente avvolgere un intera quercia) tratteneva Shruikan dall'andare al massacro. I raggi colpirono il bestione che schermò i due membri della Lucas Force col suo stesso corpo.
"Andate. Andate. Andate." ripeté indicando con lo sguardo vacuo un punto alle loro spalle.
Lelq si riscosse all'improvviso, girandosi per terra intorpidito. Quando si ricordò dove si trovava si mise a sedere di scatto, tornando in un attimo sul chi vive. Notò il ciclope che aveva salvato i suoi amici. Notò il suo occhio. E sgranò i suoi.
"Quello è... è... è..." balbettò, alzandosi a fatica.
"Lelq! Meno male stai..." fece Mirrus, ma si arrestò quando notò il terrore nei suoi occhi. "Che c'è? Conosci quel mostro?"
"Quello è..." il ragazzo non sapeva rispondere. Era paralizzato, bloccato dai flash del suo ultimo scontro con uno di quegli esseri che non gli aveva mostrato nemmeno un milionesimo di quello che sapeva fare.
"Quello è un Supremo." concluse per lui Victus, impassibile.
Un silenzio di tomba crollò sul gruppo.
 
Il bestione di due metri e mezzo esatti mise a terra Shruikan e Dz con delicatezza. Era la Violenza, ma usava una premura quasi maniacale in tutto ciò che faceva.
Si assicurò personalmente che tutte le ferite dei ragazzi non fossero mortali e che le loro condizioni mentali non fossero state alterate. Non li curò perché, a detta sua, non era in grado, ma fece si che un po' della sofferenza fosse alleviata con uno strano tocco del dito anulare.
Ruins era il suo nome e Gyber aveva sussurrato all'orecchio di Lucas una frase che lo aveva colpito molto. Gli aveva detto: "Se questo ci aiuta, tranquillo. Abbiamo vinto, a prescindere dal nostro nemico."
Inspiegabilmente, le altre Rovine avevano smesso di attaccare. Ondeggiavano dall'altro lato della sala, ad un centinaio di metri di distanza, fissandoli insistentemente. Aspettavano che il demone svanisse, probabilmente. Quell'essere metteva soggezione, e di certo i ciclopi nati da lui dovevano ben sapere quanto temere la sua forza.
"Li sto trattenendo, ma non resteranno fermi ancora a lungo. Parsifal è forte e l'Omino lo aiuta. Lo aiuta. Aiutalo. Aiutato, voce del verbo aiutare..." bofonchiò Ruins mettendosi in piedi di fronte al gruppo una volta che il giro di "visite" fu completo.
"Parsifal?" chiese Lelq.
"Parsifal. Parsifal, Rovina Implacabile. L'unico che abbia raggiunto il livello di forza a cui si trova. Livello sopra il limite massimo, sopra il limite. Può considerarsi sopra un dio. Sopra sotto, sotto sopra." la sua testa ebbe uno scatto, piegandosi verso destra per tre volte e tutte e tre le volte tornando a posto, come se avesse una molla difettosa. "Lui lavora per l'Omino, già, per l'O-O-O-Omino di Mai. Lavora... Lavora... Omino di M-M-Mai..."
"In pratica è una Rovina più potente delle altre?" chiese Litios, interessato all'argomento.
"Si. Le Rovine, nascono dalla Violenza. La Violenza porta Rovina. Lui è la Rovina suprema, la più fofoforte. Vi ucciderà appena io sarò lontano. Voi scappate, scappare, fuggite, corrrrrrete... Fuggite-fuggire... Ah...." disse quello, in preda a tic vari.
"Ma che ti prende?" chiese Lelq, dubbioso.
Il ciclope ondeggiò un po' prima di bloccarsi e afferrare al volo il cipollotto. Con gesti meccanici e piccoli spasmi e contrazioni a rendergli più difficili i movimenti, si portò il tondeggiante orologio da taschino verso il volto, premendolo sul grosso occhio quintessenziale.
Dopo qualche istante, le convulsioni cessarono e il bestione parve rilassarsi. Da sotto il frac si udirono dei sospiri pesanti e sollevati, mentre sbuffi d'aria gonfiavano il vestito in diversi punti.
Una bocca si aprì sul collo del mostro, emettendo una specie di sonoro sbadiglio per poi richiudersi senza lasciare traccia di sé sulla pelle, come se la spaccatura non fosse mai esistita.
"Perdono. Sono poco funzionale e tendo a perdere il controllo di me stesso, senza una guida capace come quella del buon Nero. Per questo mi ha donato l'orologio. Così mi posso calmare da solo, anche se per poco. Comunque, sto utilizzando la mia essenza per tenere ferme le Rovine. Ho poco controllo su di loro, ora che l'Omino di mai ha stretto un patto con Parsifal, quello là" indicò con un dito appuntito la Rovina più bassa, quella che aveva creato da sola tanti problemi all'intera squadra "Potrò trattenerli per poco. Intanto eccovi una strada." seguitò, facendo un largo gesto col braccio verso le loro spalle. Tutti si voltarono per veder comparire uno squarcio viola che dava su una strana landa fosca e nebulosa, color dell'oro, ma stranamente buia e dal senso opprimente di cella. La porta dimensionale che il mostro aveva chissà come aperto mostrava una specie di tunnel in quel caos distorto, che conduceva ad un'altra uscita.
"Non posso teletrasportare esseri con una condizione di esistenza legata alla vita come voi. Ma posso fare una transizione da qui al Mondo di mai e dal Mondo di mai a un posto qualsiasi. Dall'altra parte troverete qualcuno che vi possa aiutare più di un vecchio essere di differente condizione di esistenza senza controllo come me. Andata. Sento che l'Omino sta facendo pressione sulle Rovine. Presto vi attaccheran..."
Come a dare conferma delle sue ultime parole, un raggio viola molto più intenso e grande, e decisamente visibile, gli fece esplodere la faccia. Un grosso squarcio si apriva sul lato destro del suo viso, ma la cosa sembrava tangerlo quanto una brezza leggere ferirebbe una montagna di diamante: proprio per nulla.
"Andate! Andate!" li incitò il ciclope, mentre la ferita si rimarginava ad una velocità incredibile, per poi voltarsi ad affrontare le Rovine.
Gyber prese Lucas e lo aiutò, insieme a Lelq, ormai ripresosi, a camminare verso il portale. Litios e Victus portavano Dz, mentre Shruikan e Mirrus chiudevano la fila, fissando il Supremo avanzare imperterrito, a dispetto delle numerose ferite che stava riportando.
"Forza, entrate!" gridò Lucas.
"Ma, capo, sei ferito, devi metterti al sicuro per p..." provò a far notare Mirrus, senza ottenere altra risposta se non un'occhiataccia.
Chiarite le sue posizioni, il biondo si voltò a fissare la scena.
Ruins alzò un braccio, ma le Rovine lo fecero esplodere. Alzò allora l'altro, ma esplose anche quello. E poi venne massacrato, finché di lui non rimase che il ricordo. E quando Parsifal mosse il primo pesante, deciso e violento passo verso di loro, per agguantarli, per ucciderli tutti, successe una cosa terribile e meravigliosa al tempo stesso.
Dal punto in cui Ruins era stato fatto a pezzi, una crepa si formò, una crepa nel tessuto stesso della Realtà. Poi un'altra, ed un'altra ancora, finché una mano artigliata, ruvida già solo allo sguardo, uscì dal varco e afferrò il volto della Rovina, strappandolo di netto.
Il Supremo riapparve, chiudendosi dietro la spaccatura. Stavolta però appariva più grande, sebbene le dimensioni fossero le stesse.
Né Lucas, né Lelq, né tantomeno Gyber si sarebbero saputi spiegare il perché, ma il demone sembrava così grande da essere più grande di un pianeta, più grande dell'intera galassia. Faceva letteralmente paura.
Alzò un braccio.
E Lucas mormorò: "Andiamocene alla svelta."
Varcarono il portale poco prima che il colpo si abbattesse sulle povere Rovine indifese. La porta si chiuse con un pop. E quando uscirono dal tunnel dorato, e si trovarono in un paesello di montagna, un boato proveniente dalle profondità dello spazio, li fece cadere tutti a terra attoniti.
Probabilmente erano stati mandati molto lontano dalla Cripta. Eppure erano tutti certi che quel boato fosse stato provocato dall'unico pugno della Violenza.
 
L'uomo al bancone sorrise, portandosi il boccale di birra alle labbra.
"Qualcosa ti diverte, straniero?" chiese scorbutico l'oste.
"Sono qui e Ruins si è divertito. Magari lo farò anch'io? Che cattiveria sarebbe, da parte mia..." e scoppiò a ridere, aspettando l'ingresso del Kishin.   

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Capitolo 4
*** Ce L'Hanno Tutti Coi Kishin, qui? ***


"Cazzo!" gridò frustrato Lucas, battendo un pugno sul terreno coperto di muschio.
Il portale del Supremo li aveva scaricati in una pineta alle pendici di una catena montuosa riccamente innevata. Il sole batteva forte dall'alto, ma una fredda e piacevole tramontana soffiava tra le fronde. L'odore delizioso del sottobosco e la fragranza di quell'aria limpida permeavano l'idillico quadretto montano.
Il Kishin era andato in esplorazione per rimanere un po' per i fatti suoi. La sensazione di pericolo di vita che aveva avvertito contro quella strana orda di mostri... non era abituato a ricevere ferite che non potesse rimarginare. Né tantomeno ad incontrare nemici che non potesse falciare in poco tempo.
Randor parlottava con Victus, chiedendogli informazioni su quel posto e sulle creature che li avevano aggrediti. Il Supremo aveva detto "Rovine". Una cosa era certa, erano pericolosi. Ed erano tanti, davvero tanti, Lucas ne era certo.
Ora stava appoggiato ad un albero, mentre Mirrus e Litios pensavano ad un modo per fargli guarire la schiena, ancora gravemente danneggiata dal colpo del mostro chiamato Parsifal. Ogni ferita che aveva procurato quella bestia forsennata non accennava a rigenerarsi. Nessuna tecnica curativa era stata in grado di aiutarli in alcun modo. Quantomeno Ruins, col suo potere, aveva alleviato il dolore. Ora il biondo poteva muoversi un poco, prima di essere paralizzato dalle fitte.
"Sconfitta totale, eh?" borbottò cupo Gyber, sedendosi in parte a lui quando doc e Litios si allontanarono per andare a visitare Donatozzilla, quello messo peggio.
Lucas guardò l'amico, steso su un masso. Non aveva ancora ripreso conoscenza e la sua schiena... dio, la sua schiena era crivellata come fosse uno scolapasta. Aveva usato la sua mole per difenderli ed ora rischiava la vita. E lui non poteva fare nulla.
Strinse i denti, mentre una lacrima gli solcava il viso.
Ma quanto di più atroce, era sapere che aveva deluso Lelq. Lui contava su di loro per ritrovare Giuly, e Lucas si sentiva terribilmente responsabile. La disfatta aveva demoralizzato tutti. Quel posto schifoso sembrava fatto per uccidere chiunque. Gli veniva da chiedere se l'immortalità esistesse, lì. Se la felicità fosse cosa proibita o no, vista la spietata legge di estirpazione del debole che vigeva laggiù.
"Come faremo a proseguire? Dz non ne vuole sapere di stare meglio, Lelq è a pezzi e io... io non riesco nemmeno ad uccidere uno stupido ciclope prima che quello uccida i miei amici." mormorò.
Gyber gli poggiò una mano sulla spalla, con tutta la delicatezza possibile.
"Ce la faremo. Ne sono convinto. Dopotutto siamo la Lucas Force. Abbiamo sottovalutato l'avversario. Non capiterà ancora, vedrai."
Lucas fece per ribattere, ma un rumore di passi pesanti li zittì.
Tutti si misero in attento ascolto, fissando un punto nel fitto della boscaglia, da cui provenivano i passi. Suoni di passi, di rami spezzati, di foglie smosse.
Gyber fece segno a tutti di stare in silenzio e si accovacciò lentamente, preparandosi a placcare chiunque si fosse presentato davanti a loro.
I cespugli si mossero.
Tutti si prepararono.
E poi si Shruikan si mostrò loro.
"Ehy." borbottò seccato, avanzando nella radura, ripulendosi la veste dai rametti. "Perché tanto affetto? Calmatevi, non tutti insieme..." sfotté sempre cupo, mettendosi a sedere a gambe incrociate.
"BlackClaw! Dove ti eri andato a nascondere? Sono ore che sei sparito nel bosco, credevo fossi scappato!" esclamò Mirrus, sperando di allentare la tensione. Il Kishin lo squadrò con tanta di quella disapprovazione che il buon doc dovette abbassare lo sguardo mortificato.
"Ehy, amico, sul serio. Dov'eri sparito?" chiese Gyber dopo essersi ripreso dall'iniziale sgomento, avvicinandoglisi.
"Ho trovato un villaggio e... qualcuno che ci può aiutare." rispose duro l'altro, indicando col pollice un tizio che si stava ingegnando per districarsi dai rami in cui si era intrappolato.
Era un uomo, alto sui due metri, dalle spalle robuste, vestito come un taglialegna, con tanto di pantaloni verde muschio, camicia a quadri con le maniche tirate fin sui gomiti a mostrare gli avambracci muscolosi e abbronzati. Calzava due stivaloni di cuoio spesso, con la suola coperta di punte di acciaio, e in testa, messo sulle ventitré, aveva un berretto da golfista con tanto di piuma, anche se questa era molto inusuale, completamente viola e dal colorito metallico. Aveva i capelli color sabbia, anche se striati di argento, e i suoi occhi...
Tutti rabbrividirono alla vista degli occhi. Uno era per metà fatto di rubino e per metà di zaffiro. Le due parti ruotavano nell'orbita. Il destro, invece, era normale. Solo che pupilla e iride erano sostituite da uno strano disegno geometrico viola.
"Quella è..." disse Victus, preparando un pugnale di nebbia.
"Non ce n'è bisogno, signor Victus Mors. E no, mio caro Litios, usare quella bomba atomica non mi ucciderà come speri. Inoltre..." disse il nuovo arrivato, sorridendo con uno sguardo ammaliatore e spudoratamente astuto, guardando doc "Mirrus Starflare, tu non dovresti proprio cercare di combattermi. Se morirai allora nessuno fermerà tutto questo. Nemmeno io. Nemmeno un Supremo."
 
Qualche ora prima, al limitare di villaggio circondato dalla pineta...
 
Il Kishin atterrò con un tonfo sordo, stringendo i denti.
Quel dannato foro al petto gli faceva male ogni volta che si muoveva. Era seccante, soprattutto quando volava e i muscoli delle spalle tiravano i pettorali, facendogli patire le pene dell'inferno. Ma un po' di dolore non ferma che i deboli e chi si è rassegnato. E lui non era né l'uno né l'altro.
Aveva sorvolato la vallata in cui si trovava la foresta per un bel po', scorgendo vari elementi a lui ben noti. Aveva visto un covo di Urse Major, delle tane di salamandra e perfino il nido di un drago verde orientale.
Sembrava il mondo dov'era situata Equestria. Anche se non ricordava una conformazione geografica simile da nessuna parte. E lui quel pianeta l'aveva visitato tante di quelle volte. Probabilmente era solo una copia malata dell'originale, come ogni cosa di quel posto orribile, del resto. Infine, si era diretto a terra non appena aveva avvistato un villaggio circondato dalla boscaglia. Era un borgo modesto, composto da qualche casa, una falegnameria, una stazione per i carrelli, probabilmente collegata con qualche cava sulle montagna. Soprattutto, però, c'era un'osteria.
Il ragazzo si accostò ad un muro per non farsi vedere.
Voleva studiare gli abitanti per mimetizzarsi meglio. Dopo i recenti avvenimenti, aveva convenuto con sé stesso che la strategia "attacca a testa bassa tutto quello che si muove" non era prudente, finché restava lì. Aveva visto dei minotauri, dei grifoni e, stranamente, delle manticore. Non ricordava che fossero senzienti. Ma quello non era il mondo a cui era avvezzo, doveva tenerlo a mente.
Decise di camuffarsi sotto forma di minotauro e di andare alla locanda Quei posti di solito erano i migliori per racimolare informazioni. Chissà, magari poteva scoprire di più sull'identità del tizio che Ruins aveva detto loro di cercare. Colui che poteva aiutarli. Non di fidava troppo dei Supremi, ma che alternative aveva? I suoi amici erano in grave pericolo, e lui da solo avrebbe fatto ben poco, anche se gli costava ammetterlo.
Bah, prima la sicurezza di tutti, poi il suo stupido orgoglio.
Si avvicinò con passo sicuro e spavaldo alla porta del locale, una taverna buia e umidiccia, in cui, ad un primo sguardo, si riuniva la feccia del luogo. Doveva essere capitato in una città malfamata. Una bella fortuna, visto che gli prudevano le mani. Voleva sgozzare qualcuno, eppure, qualcosa lo tratteneva. Dopo la recente sconfitta, non riusciva a evitare di aver paura di tutti. Dopotutto non conosceva quel luogo. E se tutti fossero stati forti come il ciclope? Deglutì, senza però perdere la calma, e andò a sedersi al bancone, facendo un cenno al barista. In parte a lui stava un tizio completamente coperto da un mantello nero, che gli ostruiva la visuale. Dall'altro lato, c'erano solo un paio di sgabelli vuoti.
Il minotauro dietro al bancone, un mastodonte grande quanto un armadio, si avvicinò, buttandosi con poca grazia lo straccio con cui aveva pulito i bicchieri fino a quel momento e prese un boccale, riempiendolo di un liquame viola e nauseabondo. Quando la schiuma fu sul punto di strabordare, glielo sbatté sotto il naso, bagnandolo con gli schizzi.
"Vacci piano, bestione!" sibilò Shruikan, trattenendosi a stento dal lanciarglisi contro e squartarlo.
Un silenzio di tomba calò sulla stanza.
"Come hai detto pulce?" fece una specie di grossa locusta geneticamente modificata, alta almeno il doppio del Kishin e con tre grosse lame al posto di ogni zampa, voltandosi dalla sedia su cui era seduta a sorseggiare lo stesso liquame viola che ora campeggiava davanti a lui.
Shruikan si alzò, notando che tutti lo fissavano minacciosi. Cercò di apparire il più cattivo possibile, impavido e calmo, in modo da evitare la rissa, ma il timore di essere ferito di nuovo lo paralizzava. Perdere una parte di sé senza poterla riottenere era stata un'esperienza quasi nuova e sconosciuta per lui e ancora ne sentiva la pesantezza gravargli nel cuore.
"Non cerco rogne, ma nemmeno gente che mi insudicia senza motivo." rispose gelido.
Il minotauro dietro di lui sbuffò, battendo un pugno sul tavolo. Tutti i presenti smisero di starsene fermi a guardare e lo accerchiarono. Era stata una mossa geniale. Si complimentò da solo per la zero diplomazia con cui aveva agito.
"Non cerchi guai? Beh, li hai trovati, cocco." gli gracidò in faccia un'idra in miniatura, che aveva dei becchi da corvo al posto delle normali fauci draconiche.
BlackClaw sogghignò, acquisendo un po' più di fiducia con l'aumentare dell'adrenalina che aveva in corpo. "Ma non mi dire. E sentiamo, sareste voi, i miei guai?"
"No, sarei io, il tuo guaio." disse una voce da dietro la piccola folla che gli si era stretta intorno. Tutte le creature furono scosse da un piccolo fremito. Poi si spostarono formando una sorta di passaggio che metteva in mostra un individuo seduto al bancone, intento a giocherellare con una pallina da golf. Vestiva una camicia di flanella a quadri, dei pantaloni verde scuro e delle bretelle rosse ornate con dei ricami a forma di abete e renne, il che gli dava un tocco natalizio davvero insolito. Portava un berretto sgualcito color del cielo al tramonto, proprio di un golfista, e due stivaloni in cuoio marrone scuro. Di spalle sembrava essere una persona comune.
Poi si voltò, mostrando il volto che, seppur giovane, era percorso da qualche ruga poco marcata che gli donava un sentore di maturità davvero affascinante. Aveva dei baffetti che rendevano il suo sorriso quasi paterno, anche se era chiaramente pervaso di malizia e astuzia. I suoi occhi erano verde acqua e guizzavano di una vitalità innata.
"Ti va di fare una partita a golf?" chiese l'umano, sorridendo.
Un attimo prima il giovane Kishin era lì, incredulo, che fissava un essere umano stare perfettamente a suo agio in mezzo a tante bestie che perfino lui, creatura millenaria, non pensava nemmeno possibili.
Un attimo dopo il giovane Kishin si trovava a volare senza controllo fuori dalla locanda, sbalzato da un gancio al mento davvero niente male.
Il tizio era stato davvero rapido. Era balzato dal suo sgabello, cogliendolo alla sprovvista, e  lo aveva colpito dritto dritto sull'osso, chiudendogli la bocca che aveva aperto involontariamente per lo stupore.
Precipitò a qualche metro dal locale. Non era stato un attacco così forte. Si, quell'uomo era niente male, per un umano. Ma decisamente non aveva chissà quale capacità che lo potesse rendere una minaccia seria.
L'umano uscì dalla locanda sgranchiendosi le ossa con piacere.
"E così, signor... signor? Non mi hai detto il tuo nome, che scortese. Ma non te l'ho detto nemmeno io. Siamo pari, credo. Comunque, dicevo, signor Kishin di nome Shruikan BlackClaw..."
Shruikan si bloccò. Il sangue smise per un istante di circolare, il suo mondo, con quelle poche parole, il tempo si bloccò un istante.
"Come sai il mio nome? Chi sei tu?" chiese allibito.
"Semplice. Sono il fratello maggiore di un tizio che tutti chiamano signor Nero." rispose sornione l'altro, avvicinandosi.
"Mai sentito."
"Meglio per te, dico davvero. Il mio ragazzo è, come dire? Particolare... Maniaco del controllo, adora intessere piani complicatissimi per fini che definirei banali, inutili, quasi. Pensa che una volta, per ordinare un risotto con funghi ha fatto in modo che..." iniziò allora a conversare il tizio, sorridendo allegro.
Shruikan sbuffò. Non aveva tempo.
Portò le mani all'indietro e fece comparire due lunghi falcioni. Scattò in avanti, come un proiettile e, dopo un volteggio, fece per tranciare in due il tizio, atterrandogli alle spalle. Mutò aspetto. Tanto la sua copertura era palesemente saltata. Quel tale lo aveva riconosciuto nonostante il camuffamento, e ciò poteva voler dire solo una cosa: erano stati tracciati. Forse il Supremo, Ruins, li aveva ingannati, attirandoli in una trappola peggiore.
Si rialzò, spolverandosi la veste ornata da occhi, voltandosi poi a gustare il risultato delle sue azioni.
"Ma cosa..." mormorò. Il tizio era ancora lì che lo guardava sorridendo allegro.
"Oh beh." fece "Dovrai impegnarti molto più di così. Almeno... se la tua intenzione è di salvare Giulyu Frost, carissimo."

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Capitolo 5
*** Giochiamo a Freccette ***


"Argh!" il Supremo si schiantò contro l'albero, spezzandolo a metà. Il tronco appuntito crollò a terra con un tonfo assordante, ricoprendolo di aghi di pino.
"Beh, è questo il potere di cui tanto vi vantate? I ciclopi erano decisamente più forti!" lo schernì il Kishin, atterrando lì vicino. Cavolo, era eccitato! Si era preoccupato tanto per nemici terribili ed ora uno di quelli che sarebbero dovuti essere i più forti si diostrava scadente e debolissimo.
L'uomo si alzò ridendo di gusto, spolverandosi dagli aghi come se non fosse accaduto nulla.
"Oh, beh, e tu non sei poi tanto abile con quella falce. Non mi hai ancora fatto un graffio, suvvia! Con, quante? Cento milioni, duecento? Quello che è... Tutte quelle anime che hai dentro e non sei in grado di ferirmi?"
Shruikan ringhiò, punto sul vivo. Il fatto era che lui continuava a tranciarlo e il Supremo si rimarginava più in fretta di quanto lui stesso avrebbe saputo fare. Invece, tutti i colpi che, bene o male, l'uomo gli sferrava gli causavano contusioni e bozzi che non se ne volevano andare.
Saltò in avanti e diede un fendente con tutta la sua forza, lacerandolo in due. Prima che i due spezzoni del corpo si potessero riunire, volteggiò, rapidissimo, ingrandendo la falce con un'eco dell'anima, per poi abbatere la lama sul Supremo, tagliandolo nuovamente a croce.
L'uomo restò un attimo stupito, era addiritura buffo, il volto tagliato a metà, a sinistra basito, a destra ancora sorridente. Il bello era che dentro al corpo sembrava non esserci nulla. Era una specie di guscio spesso intorno ai dieci centimetri, color caramello all'interno.
Come attratti da una calamita, i brandelli del demone si attaccarono l'uno all'altro con un risucchio sordo. Shruikan fece per attaccare ancora, ma stavolta il Supremo non sorrideva più. Quando la falce scattò, lui aveva già alzato il braccio. Quando la lama fu sul punto di farlo a fette, una lunga spranga metallica, terminante con una protuberanza in legno ben tornito, era comparsa nella mano dell'altro e aveva parato il colpo.
Il fratello di Nero sogghignò, alzando lo sguardo. Non c'era odio, cattiveria. Era semplicemente gentile. Fece forza con il bicipite che si gonfiò, e la falce saltò via di mano al ragazzo, finendo incastrata in una roccia.
"Giochiamo a golf?" chiese l'uomo.
Il Kishin balzò verso la falce, ma qualcosa di gigante lo intercettò, facendolo volare lontano, molto lontano, fino alle montagne.
Piombò in un cumulo di neve e non fece in tempo a rialzarsi che una valanga lo travolse, trascinandolo a valle e coprendolo con quasi due tonnellate di neve. Sotto tutto quel peso, iniziò a sentirsi soffocato. Cercò di rialzarsi, ma era davvero un'impresa. Mise tutta la sua forza e spinse verso l'alto, facendo pompare sangue ad una velocità incredibile, rischiando di far esplodere i vasi. Si lasciò cadere sfinito. Stava terminando l'ossigeno. Doveva pensare in fretta.
Ebbe un'idea, folle, ma pur sempre un'idea. Che diamina, lui era pur sempre un dio della follia! Ricominciò a spingere, stavolta per portare le mani sotto il corpo. Non senza una certa fatica riuscì a spingere prima una poi l'altra fin sotto il petto. Le unì a preghiera. Iniziava già a perdere la sensibilità alle dita. Ma intanto riuscì a generare le proiezioni di tre occhi viola che lanciarono un raggio immenso che sciolse la neve.
Finalmente libero da quel peso opprimente, si girò sulla schiena, inspirando a pieni polmoni. Un'ombra si stagliò sopra di lui.
Il Supremo si affacciò sorridente.
"Via, via, animo! Siamo solo al round due!" esclamò, lanciando in aria una pallina da baseball. Sollevò la mazza da golf e colpì la pallina a mezz'aria, lanciandogliela contro. La sfera arrivò ad una velocità impressionante, perforando la neve e scavano un buco così profondo da rendere invisibile la palla.
"Ops, mancato." disse ridendo giulivo, sedendosi sul bordo e aspettando che lui si rialzasse.
Il Kishin lo bersagliò di occhiatacce e si mise in ginocchio, facendo riapparire la falce tra le mani. Portò le braccia all'indietro e, poggiandosi sulle punte dei piedi, si diede una spinta fenomenale, sorpassando il demone, che si trovò tagliato nuovamente a metà.
"Eh, ma allora è un vizio!" disse stizzito, anche se non lo era per davvero. Stava solo facendo finta, sin dall'inizio del combattimento. Quanto era seccante.
Il Kishin restò a mezz'aria. Finché era lassù non lo poteva prendere. Del resto, non aveva visto ali, sul suo corpo. In effetti, che ne sapeva lui se avesse dei poteri di levitazione o membrane per volare nascoste in qualche modo? Però, ehy, fino a quel punto non aveva spiccato nemmeno un voletto, doveva pur significare qualcosa. Ne avrebbe approfittato per prendere fiato e riflettere sul da farsi.
Fece scomparire la falce e unì le mani a preghiera, generando i tre occhi giganteschi sopra di sé, puntandoli dritti sul bersaglio, che ancora gli sorrideva da terra.
Voleva giusto fare un tentativo, per vedere se con quell'attacco fosse in grado di metterlo in difficoltà. L'energia si canalizzò nelle tre pupille delineate da una luce eterea, facendo brillare il cielo di un'intensa luce viola.
"Crepa, fammi questo favore." sussurrò, gli occhi fissi sul nemico, freddi e incapaci di provare pietà.
I raggi partì ad altissima velocità, incenerendo la neve prima ancora di toccarla. Il Supremo inizialmente sembrò indeciso se spostarsi o meno, e Shruikan temette di mancare il colpo. Poi però sogghignò. Era rimasto fermo troppo a lungo. I potenti attacchi lo centrarono in pieno, sollevando una coltre di nebbia dovuta al candido manto evaporato per la grandiosa quantità di energia sprigionata.
Il Kishin sospirò, rimanendo in posizione, le mani giunte davanti al petto e i tre occhi di luce ancora evocati sopra di sé. Non si sarebbe più permesso di abbassare la guardia. Un sibilo gli fece alzare lo sguardo, giusto in tempo per vedersi arrivare addosso una freccetta da gioco, sparata a velocità impressionante dritta nel suo terzo occhio verde. Si piegò all'indietro, vedendosi passare ad un nonnulla dal volto il proiettile, che, ci avrebbe giurato, era ricoperto di una strana sostanza violacea semi-trasparente.
Si rialzò e, rapidissimo, si lasciò cadere, sentendo passare sopra di sé, proprio dove poco prima stava il suo cuore, altri dardi.
"Ma da dove li lancia? Sembra essere ovunque, eppure non può trovarsi in linea d'aria con me... Non sa volare, accidenti a lui! A meno che..." pensò, sgranando gli occhi.
Evocò la falce e la fece roteare mentre precipitava a corpo libero, girando su sé stesso. Aguzzò la vista, mentre il clangore delle freccette, che, intercettate dall'arma, rimbalzavano via, si faceva assillante. Fu allora che lo vide. O meglio, li vide. A una distanza abnorme, dal lato opposto della valle, su una catena montuosa in lontananza, riconobbe un'eco dell'anima incredibilmente potente e, per giunta, identica a quella del Supremo. Solo che, roteando, ne vide un'altra in un punto diverso, poi un'altra, un'altra e un'altra ancora. Sembrava quasi che quel mostro si fosse teletrasportato in cinque posti diversi, su montagne anche lontanissime in modo da essere sullo stesso piano su cui si trovava lui poco prima, e da lì avessero preso a bersagliarlo. Ma con che forza lanciavano delle freccette a così alta velocità e con che precisione riuscivano a mirare esattamente ai suoi punti vitali?
Atterrò sulle punte dei piedi e, senza perdere tempo, scattò, frantumando il terreno denudato dal suo ultimo attacco. Non si voltò, ma sentì chiaramente, appena staccati di nuovo i piedi da suolo, tre colpi perforare la nuda roccia. Doveva prestare attenzione, errori non erano ammessi, giacché una strana sensazione lo pervadeva. Non sapeva darsi una spiegazione, ma sentiva che uno di quei colpi lo avrebbe di certo ucciso. Per un istante si sentì impotente come contro il ciclope.
Schizzò nella foresta, parando gli attacchi con la falce e ringraziando i riflessi e i sensi ultra - acuiti da millenni di combattimenti.
Altre freccette arrivarono, trapassando alberi e tranciando di netto, per la forza dell'impatto, alcuni tronchi. Non era al sicuro nemmeno lì. Ma come diavolo facevano quei tizi a vederlo anche nella fitta pineta, circondato dalla vegetazione?
Scivolò sulle ginocchia, sporcandosi la veste sacra per evitare un colpo radente. Dannazione, non gli davano scampo. Piantò la falce a terra e si sollevò sulle braccia proprio prima che una freccetta gli trapassasse la schiena frantumandogli la spina dorsale. Senza por tempo in mezzo, ruotò tenendosi sospeso al manico con le mani e schivò due attacchi, balzando a terra e creando uno scudo di sangue nero spesso tre metri. Ma la raffica di colpì non si fece dimenticare così facilmente. Anzi, iniziarono a crivellarlo di colpi. Ogni istante che passava, sentiva la sfera assottigliarsi, riempirsi di fori e crepe. Non aveva molto tempo. Poi gli venne un lampo di genio.
Le possibilità erano due. O quel tizio, con la capacità di teletrasportarsi più impercettibile (visto che non aveva nemmeno immaginato si fosse trasportato lontano) della sua lunga carriera di assassino a tempo perso e con il dono dell'ubiquità, era anche dotato di una vista e una forza che nemmeno si poteva sognare, oltre che di un qualche potere di rivelazione, come il suo per quanto riguardava le anime, oppure, sempre sfruttando il fatto di poter, apparentemente, essere in più posti in contemporanea senza usare copie (dal momento che quelle che aveva percepito non erano certo copie o proiezioni del Supremo, avendo queste un'eco dell'anima decisamente diverso da quello dell'originale), era nei paraggi e lo teneva d'occhio, fornendo grazie ad un possibile collegamento telepatico con gli altri sé stessi, informazioni preziose proprio a questi ultimi. Ma, in questo secondo caso, le capacità di elaborazione dei dati che stava dimostrando lo rendevano più capace di un super computer quantistico all'avanguardia.
Non aveva molte possibilità. Doveva trovare il Supremo che lo stava spiando e abbatterlo. Sempre sperando che le sue supposizioni, di per sé molto fantasiose, lo ammetteva, si rivelassero corrette.
Si mise seduto a gambe incrociate e chiuse gli occhi tranne quello centrale, che invece si illuminò di una forte luce verde smeraldo.
"Eco dell'anima." mormorò.
Ogni rumore si zittì. Si sentì più leggero, poi, pian piano, percepì distintamente il mondo intorno a lui chetarsi e svanire, lasciando di sé una flebile traccia quasi impercettibile. Ed eccole. Le anime. Ogni essere vivente (eccezion fatta per i casi di simil-vivi, che l'avevano persa da tempo, e dei non-morti, la cui condizione di non-vita era pur sempre assimilabile al concetto di essere vivente in senso lato) ne possedeva una, grande o piccola che fosse, lucente o oscura. Le anime delle piante erano simili a fili d'erba di dimensioni microscopiche, tanto da essere quasi invisibili se non quando guardate insieme le une alle altre. Quelle degli animali non senzienti erano strane, dalla forma in perenne movimento, mentre quelle degli esseri senzienti erano, solitamente, sfere di diverso colore (gli umani erano blu, eccezion fatta per coloro che divenivano portatori di un uovo di kishin) con una particolarità ad un estremo, come, per esempio, delle punte o qualcosa che ricordasse l'aspetto fisico del portatore.
Shruikan espanse la sua percezione, cercando individuare l'anima del Supremo. Però qualcosa non tornava. Era come se tutto ciò che di vivo ci fosse nei paraggi avesse l'anima identica a quella del demone. Come se tutto fosse lui... Cercò di non pensarci e focalizzò la sua attenzione sull'obbiettivo: trovare la spia. Si concentrò in un punto, a circa duecento metri di distanza, in cui sentiva chiaramente il palpitare di un'anima troppo grande per essere quella di un essere vivente normale.
"Bingo." mormorò, sorridendo ad occhi chiusi.
Spalancò le palpebre, sorridendo con aria malata in volto.
"A noi due, piccolo omuncolo fetente!" gridò, facendo esplodere la sfera di sangue nero, sbalzando le freccette in arrivo. Fece apparire la falce e si lanciò all'assalto, tagliando i tronchi di tutti gli alberi che gli si paravano innanzi o a portata di arma. Per aumentare la velocità, generò due paia di ali nere con cui si diede una fortissima spinta. Ora sapeva cosa fare. La paura di poco prima era svanita per lasciare il posto ad una forte determinazione. Nessuno... nessuno... NESSUNO faceva temere per la propria vita il Kishin Shruikan BlackClaw!
Arrivò in una radura circondata da massi con quattro stradine che si inerpicavano nel fitto del bosco. Salì su uno dei macigni e balzò, puntando dritto al bersaglio, seduto al centro della radura. Gli dava le spalle. Poveretto.
Fece fluire tutta la sua energia nella lama della falce e la sollevò, mentre il sangue nero ribolliva, ingigantendo l'arma, che iniziò a brillare di un'intensa luce verde e viola.
"Con questo ho ucciso divinità più grandi e cattive di te! Prendi, BLACK BLOOD INGIUSTICE HAMMER!" gridò a mezz'aria, sicuro di vincere.
Poi colpì.
Il terreno si frantumò in quattro. Zolle intere si sollevarono da terra di parecchi metri, franando poi con un gran fracasso. Le pietre che delimitavano l'area andarono irrimediabilmente in pezzi, diventando ghiaia. La valletta fu sconvolta. I pini che la circondavano furono spazzati via dall'onda d'urto in un raggio di almeno venti metri.
Chissà se i ragazzi lo avevano sentito. Probabilmente si. Ghignò, pensando a cosa avrebbero detto Lelq e Victus che sembravano intimoriti dai Supremi.
"Ti pregherei di togliere quella fastidiosa falce dalla mia mano." disse una voce sotto di lui.
Smise di sorridere e fissò incredulo l'uomo che lo fissava, ora per nulla amichevolmente. Era ancora seduto comodamente su un sasso piatto che non si era stranamente rotto, e teneva un braccio muscoloso sollevato, in modo che la punta della falce fosse impiantata nell'osso. La mano stringeva la lama, tenendola in stallo.
"Ma che..." fece per dire il Kishin, ma il demone non perse tempo. Ruotò il braccio e lo fece cozzare a terra.
"Non salverete mai Giulyu se è tutto qui quello che avete da offrire al buon vecchio Blaso. E lui non è gentile quanto me." sibilò freddamente l'uomo, schiacciandolo sotto una scarpa.
La falce era svanita, eppure lui non l'aveva richiamata. Della ferita sul braccio dell'altro nemmeno l'ombra. E, all'improvviso, le sue braccia erano state avvolte da un bagliore viola molto intenso.
Shruikan sgranò gli occhi. Era la stessa luce delle Rovine. 

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Capitolo 6
*** Piacere. Cerco di Aiutarti Uccidendoti ***


"Allora? Come la mettiamo, cocco?" chiese il Supremo, fissandolo dall'alto in basso.
Shruikan ringhiò sommessamente, non riuscendo a staccarsi dalla falce. L'uomo la teneva ora per la lama, senza ferirsi, eppure era come se una grossa mano lo stesse schiacciando a terra, impedendogli ogni movimento. Non era nemmeno lontanamente paragonabile a quando la valanga lo aveva sommerso.
"Ti arrendi, si o no?" lo incalzò l'altro, sbuffando. "Non ho tutto il giorno."
Il Kishin non lo degnò di uno sguardo. Stava ragionando su come fare a liberarsi. Non aveva molto tempo, se quel tizio avesse deciso di decapitarlo con un taglio di quelle braccia illuminate di viola... l'istinto gli consigliava di fare di tutto perché non lo toccasse. Cercò di usare il varja, o di far coagulare il sangue nero in un nugolo di aculei che trapassassero il demone, ma era tutto inutile. Qualcosa lo bloccava del tutto.
Il Supremo sbuffò.
"Allora penso che qui abbiamo finito. Preparati a..." disse, bloccandosi quando si accorse dello sguardo interrogativo del ragazzo. "Cosa? Che c'è? Cosa ti perplime?"
"Cosa..." fece Shruikan, schiarendosi la gola "Cosa diavolo ti sta cadendo addosso, scusa?"
L'uomo lo fissò stupito. "Prego?"
"Ma si, quella... quella cosa là sopra, un puntino sopra la tua testa che sembra precipitare qui ad alta velocità. Magari ci conviene spostarci?"
"Ohohoh, io non ci casco, bimbo, non sono nato mica ier..."
"UNLEGAAAAAL!" gridò una voce proveniente dall'alto. Il puntino sopra la testa si fece via via più grande, fino a diventare la figura di una donna alta e muscolosa,vestita con un kimono blu elettrico.
Il Supremo alzò lo sguardo con un sorriso ebete stampato in volto.
"Amo..." fece per dire, quando la donna gli piombò addosso, schiacciandogli la testa a terra con un pugno che gli fracassò il cranio in un milione di pezzi.
"STUPIDO BAKA!" gridò lei. Era una donna sui venticinque anni, alta e atletica, dai capelli neri legati sulla nuca in due code lunghe e sinuose che formavano due specie di mezzelune corvine. Gli occhi color mandorla, striati di viola, erano accesi di un furore intenso e vivo. Anche se il sinistro sembrava di vetro, con una piccola incrinatura nella pupilla.
"COME TI SEI PERMESSO DI LASCIARMI A TRENTACINQUE GALASSIE DI SITANZA DA QUI!" strepitò, alzando il corpo decapitato dell'uomo e tirandogli un pugno sullo sterno, perforandolo di netto e scagliandolo contro gli alberi che vennero rasi al suolo.
Il Supremo si rigenerò e sorrise.
"è sempre un piacere, tesoro." disse, andandole incontro a braccia aperte.
"Stupido idiota!" lo aggredì lui, prendendolo a pugni un po' ovunque.
L'uomo restò basito, subendo e riformandosi ad ogni colpo che, per la forza con cui era lanciato, gli creava uno squarcio nel punto di impatto.
"IDIOTAAAA!" gridava lei, tempestandolo impietosamente.
"Tesoro... Luce dei miei occhi... Amore mio... Dolcezza... Suvvia... Fammi... Fammi spiegare..." balbettava lui tra un colpo e l'altro.
"NO!" strepitò alla fine lei assestandogli un poderoso destro. L'attacco sembrò non aver sosrtito alcun effetto. Shruikan fissò la scena, non capendo cosa fosse cambiato da prima a dopo. Poi sgranò gli occhi. Al suo udito finissimo era giunto un lievissimo sibilo che gli ricordò immediatamente i grossi ciclopi.
Poi ci fu un sonoro POP e il corpo del Supremo fu distrutto completamente in un lampo di luce viola.
"Ti ascolto. Ora." borbottò la giovane donna.
Il Supremo si riformò. Sorrideva con imbarazzo, grattandosi il collo. Erano strani, quei due. Lui sembrava soggiogato da lei, che era molto, molto più piccola di lui, sebbene fosse comunque ben piazzata.
"Vedi, avevo da fare..." disse lui.
Lei mise su il broncio come una bambina e incrociò le braccia, voltando la testa e gonfiando le guance.
"Mi hai fatto rimanere laggiù con gli altri, cattivo! Sai che Ruben è un maniaco..." protestò lei. Era assurda. Di tutta la sua furia distruttiva di poco prima non era rimasto nulla. Ora si comportava come una ragazzina di cinque anni a cui era stato rubato il giocattolo preferito.
"Ma ti giuro che non l'ho fatto apposta! Blaso mi avrebbe obbligato a fare più di quanto non avessi già fatto, così1 E poi dovevo venire qui ad accogliere questi bravi ragazzi."
Lei socchiuse gli occhi e gli fece la linguaccia, voltandosi poi del tutto sdegnata.
"Preferisci il tuo lavoro a me!" squittì.
Sruikan vide il Supremo avvicinarla e cingerla con le braccia, sussurrandole qualcosa all'orecchio. Dapprima la ragazza arrossì, sorridendo. Poi spalancò gli occhi, sconvolta, e gli tirò uno schiaffo.
"PERVERTITO!" gridò.
"Ma dai! Sei stata tu che lo hai proposto a me, l'ultima volta!" protestò l'altro, massaggiandosi la guancia.
"E tu potevi dire di no! Sono cose che devo sentirmi io di fare, prima di tutto. Non sono mica una macchinetta che..."
"Okokokokok..." si arrese l'uomo, alzando gli occhi al cielo. Si passò una mano sul collo, sospirando stressato. Poi parve ricordarsi del Kishin.
"Ah giusto. Lui. Le presentazioni. Il Kishin Shruikan BlackClaw, lei è la mia partner, diciamo, Legacy, Legacy lui. Lui me, io lui." disse, gesticolando un po'.
"E il tuo nome?" chiese la ragazza seccata.
"Beh, lo sai il mio nome, tortina di..." disse lui con aria zuccherosa.
"BAKA!" lo rimproverò lei, dandogli un sonoro cazzotto in testa.
"Ma perché mi devi picchiare?" piagnucolò lui, abbassandosi con le mani sul capo.
"Perché tu non ti presenti mai? SANTO EVERY, non è difficile! Piacere, Unlegal, Supremo del blablabla..."
"Si, si... come vuoi tu, Legacy." borbottò l'altro. Poi tornò improvvisamente serio, sollevandosi in tutti i suoi due metri di altezza. "Parliamone, Shruikan BlackClaw. Parliamo di affari."
Il ragazzo lo fissò impassibile. Non aveva più scampo. Sarebbe morto lì, in quel momento. Un bel problema davvero, non aveva nemmeno detto addio alla sua sorellina, alla sua squadra, ai suoi amici. Però aveva vissuto una vita molto carina, dopotutto. Insomma, si era guadagnato il titolo di "sterminatore di civiltà", mica briciole.
"Uccidimi in fretta, fantoccio. Non girarci intorno." borbottò, chiudendo i tre occhi per un'ultima volta.
Unlegal lo fissò basito. Poi sembrò capire quello che aveva detto il ragazzo e scoppiò a ridere fragorosamente.
"OHOHOHOHOH! Ragazzo mio! Fai scassare dalle risate, tu!" strepitò, tenendosi la pancia dal gran divertimento.
Legacy lo guardò malissimo e l'uomo, sentendosi probabilmente perforato dallo sguardo a dir poco incendiario della ragazza, tornò serio, pur mantenendo un atteggiamento allegro e gentile.
"No, no, non sono qui per ucciderti, anzi. Ti voglio aiutare." disse cordialmente, porgendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi.
Il ragazzo lo fissò nascondendo la sua incredulità.
"Certamente, capisco. Però una domanda. Cosa?!" disse, mettendosi seduto da solo.
Unlegal ritrasse la mano, sorridendo cheto.
"Tranquillo, non bleffo. Io non lo faccio mai se non a poker e a rubamazzetto."
"E a dadi, e a biliardo, e a qualsiasi gioco di carte, e alle slot machine, e a polo, e a tennis, e..." iniziò a elencare Legacy dietro di lui, contando con le dita ogni volta che diceva un nome.
Unlegal restò immobile, il sorriso fisso sul volto, con un tic persistente che tradiva il suo nervosismo.
"NON... dire queste cose a tutti quelli che incontriamo, ti va? Eheheh..." le chiese macchinosamente, voltandosi verso di lei con l'espressione tesa al massimo nello sforzo di non cedere ad uno scatto d'ira.
Lei parve pensarci un po' su, appoggiando il mento all'indice, poi, con aria scherzosa, trillò uno strafottente: "No!", riprendendo ad elencare altre attività in cui il Supremo era solito barare.
Inaspettatamente, Shruikan scoprì che era un baro di quasi tutte le attività ludiche e che barava pure a morra cinese, il che, signori miei, lo rendeva pessimo ai suoi occhi!
"STAVO DICENDO!" sbraitò ad un certo punto il Supremo, facendo zittire la ragazza che però continuò a ridacchiare soddisfatta "Non ti sto ingannando. Ascolta, Blaso vi da la caccia sin dal primo istante in cui avete messo piede qui, vi ha sguinzagliato dietro le Rovine e fidati che ce ne sono molte più di quelle poche manciate che hai visto finora; oltretutto, come se non bastasse, ha mobilitato anche Parsifal, ordinandogli di non inseguire più Giulyu Frost, ma di darvi la caccia e di abbattervi tutti senza remore. Credi davvero di avere molte chance contro un Supremo pazzo e libero di usare tutto il suo potere, un esercito infinito di bestie ottuse e distruttive e un ciclope di due metri e mezzo che sembra più o meno l'apocalisse personificata?"
Shruikan sogghignò.
"Ho molti assi nella manica." disse sarcastico.
Unlegal allora si erse in tutta la sua altezza e spalancò le braccia con aria di sfida. "Allora forza, mostrami che sai fare. Perché prima io ti ho battuto, mi pare, e posso assicurarti che anche solo Parsifal è molto, ma molto più pericoloso di me. Anche Legacy è più forte di me, figurati l'Omino, che potrebbe farli fuori entrambi con un gesto della mano."
Il Kishin lo guardò da sotto in su, stringendo i denti, con aria pensosa. Un po' gli rodeva, ma gli doveva dare ragione. In quel momento, un aiutino non sarebbe stato sgradito. Però voleva ancora fare un paio di domande a quel tizio.
"Se tu sei un Supremo e questo Parsifal non lo è, come mai sei più debole di lui? Mi avevano riferito che quelli come te non hanno rivali se non i loro simili." chiese, cercando di apparire il più freddo e tagliente possibile.
Unlegal si rabbuiò, incrociando le braccia. Legacy, non appena udì le parole del ragazzo Kishin, si intromise nel discorso, abbracciandosi al Supremo.
"Unny non ama parlare di queste cose. Il fatto è che è costretto a trattenersi, e allora sembra essere più debole degli altri. In realtà lui è il più forte tra gli enti di differente condizione di esistenza."
"I chi?"
"Ah già. Voi li chiamate Supremi. Ma enti di differente condizione di esistenza è più corretto per identificarli."
"Oppure Eraser." fece Unlegal.
"No, quelli sono servitori di un altro mastro..." disse Legacy, perplessa.
"Si, ma alla fine della fiera sono noi con nomi diversi. Giacché dovrebbero essere fatti per controllare noi Supremi, anche se alla fin fine quello che si ottiene è sempre uno di noi con un carattere lievemente differente. Insomma, siamo la stessa cosa. Anche se quel mastro si ostina a non volerlo ammettere."
"Smettila di fare di discriminare." lo rimbrottò lei.
"Si, si. Comunque. Ci sono problemi per cui non posso superare o andar sotto il cinquanta percento di potenza. Insomma... Devo usare sempre quella quantità di potere. E così chi è più forte mi batte, anche se potrei farlo a pezzi con un dito, stritolarlo, smembrarlo, distruggerlo, abbatterlo, maciullarlo, ARGH! Lo farei a brandelli, quel... quel..." disse il demone, andando via via infervorandosi in modo da costringere la ragazza a stritolargli il braccio per farlo tacere.
Doveva averlo punto sul vivo.
"Ma perché devi limitarti?" chiese ancora il ragazzo, divertito dalla scenata. Contava sul fatto che così si sarebbe attirato addosso la rabbia di chi lo voleva aiutare.
"Molto semplice." rispose invece con calma Unlegal "Vedi un Supremo rappresenta solitamente qualcosa di assolutamente astratto, come un'emozione. Per esempio, il mio fratellino, il signor Nero, è la Paura, l'idea stessa della paura e di tutto ciò che ad esso è collegato. Da qui deriva l'assoluta invulnerabilità di un Supremo. Non si uccide un'idea, giacché essa è parte integrante di tutto, specialmente una cosa come la paura, che fa parte del pensiero degli esseri senzienti che creano il multiverso. Noi siamo i mastri creatori, e li siamo tutti. Ma di solito questi ci relegano a ruoli inferiori per poterci controllare, ci rendono... come dire? Deboli. Il capo, al contrario, ci diede la possibilità di essere noi stessi, quindi molto al di sopra degli altri, con poche, accettabilissime condizioni. Ma non divaghiamo.
Come dicevo, un Supremo, o, per meglio dire, un ente di differente condizione di esistenza rappresenta un'idea. Al tempo stesso, tuttavia, ne rappresenta il contrario, giacché il contrario di un'idea è la negazione dell'idea stessa. Prendiamo rabbia e calma, ad esempio. La calma cos'è, se non assenza di rabbia? E la rabbia? Lo stesso. Insomma, quello che voglio dire è che un Supremo ha sempre due lati di sé stesso, uno normale e l'altro all'opposto. Da qui derivano gli "opposti", appunto, che sono il contrario dei Supremi. Per esempio il Coraggio, opposto della Paura; l'Amore, opposto dell'Odio; la Dolcezza, l'opposto della Violenza, e così via...
Veniamo a me.
Io sono piuttosto particolare. Non sono un'emozione, un sentimento. Io sono un ideale. Anzi, forse sarebbe meglio dire L'Ideale, il primo e fondamentale. Io sono Male e Bene. Sono la Cattiveria e la Bontà. Sono il nero e il bianco che colorano ogni cosa a questo mondo controverso.
In quanto sia Bene che Male, sono costretto a non poter usare né il potere dell'uno al massimo, né dell'altro. Per questo devo sempre limitarmi ad attingere al cinquanta per cento di entrambi, per evitare che ciò alteri l'equilibrio del tutto esistente. Ammettiamolo, se dilagasse nel Multiverso un po' di paura in più cosa cambierebbe? Non poi un granché. Ma se il Bene o il Male prevalessero l'uno sull'altro? Il sottile filo che su cui siamo in bilico si spezzerebbe e la Realtà esploderebbe, andando a finire in malora.
Combattere con me è come combattere contro due Supremi al cinquanta per cento. Ma due Supremi al cinquanta per cento non sono nemmeno lontanamente paragonabili ad un qualsiasi essere al sessanta per cento, come Legacy."
Shruikan restò in attento silenzio fino alla fine della spiegazione. Eccezionale davvero. Compativa quell'omone sulle cui spalle gravava il peso di tutto, circa. Non poteva permettersi passi falsi, altrimenti il Multiverso avrebbe visto una delle due parti in cui era diviso prevaricare i suoi confini e distruggere ogni cosa.
"Capisco. Ma se non puoi fare nulla per competere con l'Omino, come conti di darci una mano?" questionò con schiettezza.
"Molto semplice. Vi farò seguire una pista con cui raggiungerete in sicurezza o quasi la vostra amica. Ci vorrà un po', ma vabbé. Dovete sapere che Blaso, l'Omino, può arrivare ovunque. Ma ci sono posti che, ora come ora, fatica a raggiungere. Andate in quei posti e troverete altri Supremi. Chi lo sa, magari vi aiuteranno, anche se dubito. Però, ehy. Tentar non nuoce, ti pare?"
Il ragazzo annuì, alzandosi finalmente in piedi. Lo aveva convinto. Si sarebbe fidato di lui.
"Meglio andare dai tuoi amici ora. Debbo parlare con tutti voi di questioni urgenti." concluse Unlegal. Il Kishin fece un cenno con la testa e spalancò le ali.
"Ti precedo. Riesci a starmi dietro, se volo?"
"Tranquillo, conosco la strada." fece l'uomo sorridendo. L'altro lo fissò per un attimo con aria inespressiva, per poi sfrecciare sopra le cime degli alberi.
Unlegal lo guardò allontanarsi. Poi, senza distogliere gli occhi dal cielo, porse un biglietto a Legacy.
"Dallo ad entrambi. E mi raccomando. Sta attenta. Ora sarai anche tu sulla lista nera di Parsifal, visto che li aiutiamo." le disse, guardandola infine nei grandi occhi mandorla.
Lei gli sorrise e gli diede un bacetto sulla punta del naso.
"Tranquillo. Quel ciccione non mi fa paura. Alla peggio, Ruben farebbe di tutto per salvarmi!" disse allegra, allontanandosi saltellando. Unlegal si voltò, ma fu richiamato dalla voce della ragazza, stavolta preoccupata.
"Aspetta... Non mi starai facendo andare via p-perché vuoi..." balbettò.
Lui voltò appena il volto, quel tanto che bastava per sorriderle.
"Ci vediamo tra duemila, tremila anni. Quando sarò in grado di rigenerarmi di nuovo." mormorò.
Lei restò immobile, impotente. Poi strinse le mani intorno al foglietto e singhiozzò, davanti a quello stupido, stupido addio.

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Capitolo 7
*** Necessità di Supporti Esterni ***


"E così hai deciso di aiutarci? Come mai? Non pensavo i Supremi o come cavolo hai detto che vi chiamate fossero addirittura interessati alla nostra salute." commentò Lelq dopo aver sentito il racconto di Shruikan, inframmezzato da sporadiche battute allegre di Unlegal.
Il musicista non si fidava di lui.
Sembrava tanto amichevole che doveva per forza nascondere qualcosa. Aveva detto, quando Shruikan gli aveva chiesto dove fosse finita Legacy, la ragazza che doveva essere con lui, che era andata a fare due passi, visto che, in fondo in fondo, era abbastanza timida. Il Kishin era rimasto piuttosto sorpreso da quella risposta, ma non aveva aggiunto altro a tal proposito.
In ogni caso quello era un Supremo e lui non aveva dei trascorsi del tutto positivi con quegli esseri.
Sin dal principio, si erano rivelati subdoli e inaffidabili. Purtroppo Lucas sembrava invece approvare l'idea di collaborare con uno di loro. Inizialmente aveva sentito un grande conforto a sapere che lui e gli altri lo avrebbero seguito fino in capo al mondo per salvare Giuly, ma adesso stava pian piano rivalutando la cosa. Avrebbe cento volte di più preferito essere da solo e libero di agire come meglio credeva. A quell'ora non sarebbe certo rimasto ad ascoltare le parole di Unlegal.
Però il capo era lui, e così...
Immerso in questi ed altri ben più cupi pensieri, non si rese conto che l'omone gli aveva cordialmente risposto.
"Scusa? Non ho capito l'ultima frase che hai detto." dissimulò, poggiandosi ad un albero, lievemente in imbarazzo.
Unlegal sorrise e pazientemente rispose: "Non tutti apprezzano l'idea di un mondo in cui Blaso regni. Non è una visione positiva e tantomeno per noi Supremi. Le lotte intestine tra di noi non sono ignote. Non qui, per lo meno. E pensare che uno di noi spadroneggi avvalendosi di leggi promulgate proprio per evitare che egli prenda il potere, beh... da fastidio. Io, come ho già avuto modo di spiegare al buon Shruikan, non sarei di grande aiuto. Ma gli altri Supremi si. Per questo farò il possibile per aiutarvi, mettendovi in contatto con loro e facendovi procedere per strade sicure."
"Capisco. Quello che non capisco è perché dovremmo chiedervi aiuto. Non possiamo semplicemente trovare la nostra amica e andare nel Nulla dove Every ci ha detto che avrebbe aperto un portale?" questionò il leader, ancora appoggiato al tronco d'albero.
Unlegal sospirò, intrecciando le dita con aria pensosa.
"Vedete, il punto è che... Blaso ha allestito il suo centro operativo proprio nel Nulla per... svariati... motivi."
Tacque un attimo. Sembrava che quegli "svariati motivi" di cui aveva parlato lo turbassero alquanto.
"Per quali motivi, se posso chiedere?" lo incalzò Gyber.
"Il Nulla è il luogo ove tempo addietro il consiglio dei Supremi segregò un'entità di nome Howtlas, una delle dodici anime grandi, uno dei dodici esseri più potenti del Multiverso, uno dei dodici che sono riusciti a superare il limite massimo del sessanta per cento. Una creatura molto potente, un dio, per farla breve. E l'Omino di mai lo vuole sfruttare per "rinnovare" questo Mondo, visto che è troppo pigro per farlo da solo, giacché il suo potere è infinitamente maggiore di quello di Howtlas."
"Stupendo. Dobbiamo andare dritti in bocca al leone per salvarci." borbottò Litios, tamburellando con le dita metalliche sulla gamba.
"Precisamente. Per questo ci serve un Supremo. Da soli non potremo vincere, ma con uno di questi bestioni dalla nostra sarà fatta. Tutto sta nel convincerli." concluse soddisfatto il Kishin.
Lelq lo squadrò con occhio critico.
Non era convinto nemmeno lui delle sue stesse parole.
Spostò lo sguardo sul Supremo.
"Ripetimi perché tu non puoi aiutarci?"
"Semplice, sono costretto ad adottare restrizioni molto pesanti. Perciò sono, pur avendo dalla mia la forza di un Supremo, non la posso sfruttare e, di conseguenza, sono decisamente più debole sia di Blaso che di Parsifal, di cui un Supremo è, invece, infinitamente superiore. Oltretutto, scusatemi tanto, ma anche se io fossi un Supremo al cento per cento libero di agire come l'Omino di Mai, di certo in un combattimento contro di lui e Parsifal uniti, senza contare l'apporto di Howtlas, perderei. Sarebbe pur sempre un tre contro uno. Quello che vi serve è il supporto, se possibile, di più di noi. Altrimenti perderete di certo."
"Tch, chiedi l'impossibile. Nessuno di voi ci aiuterà. Da quel che so, te e quelli come te siete degli sporchi approfittatori e non vi invischiate in affari da cui non potete trarre profitto." commentò Victus.
"Se così fosse ora non starei aiutando voi, ma vi avrei già portati da Blaso." rispose sorridendo Unlegal. "E comunque è vero, noi cerchiamo spesso il profitto personale. Ma non vedo dove sia il problema. Se è così che stanno le cose, non vi sarà sufficiente forse mostrare loro il vantaggio che vi è nell'aiutarvi?"
Lo sguardo con cui aveva detto quelle parole mostrava una malizia e un'astuzia esasperate, coinvolgenti addirittura.
"Quindi dobbiamo reclutare un esercito di Supremi?" obiettò Mirrus.
"Oh, no! Vi basterà far si che uno di loro si unisca a voi e che gli altri vi diano un paio di queste." rispose, estraendo dal taschino della camicia due foglietti di carta con sopra disegnato il simbolo dei Supremi da un lato e la parola "Doppio" sull'altro.
"Che diavolo..." brontolò Gyber, avvertendo una strana energia provenire da quei rettangoli violetti.
Senza preavviso,Unlegal lanciò le due carte in direzione di Kishin e Litios, che le afferrarono al volo rimanendo un attimo interdetti.
BlackClaw fissò la carta con un misto di sospetto e disgusto, come se fosse qualcosa di aberrante.
"Che ci devo fare, pulirmi il culo?" chiese Litios ostentando non curanza.
Unlegal non fece caso agli schernimenti del ragazzo e seguitò a parlare come se niente fosse.
"Fatevene dare anche dagli altri Supremi. Saranno il vostro asso nella manica contro Blaso."
Lucas lo fissò con sguardo neutro.
"Che dovrebbero essere quelle carte?"
"Il dono." intervenne Victus.
Il biondo spostò lo sguardo stanco su di lui. Lelq riusciva a vedere la sua spossatezza solo con un'occhiata. Era a pezzi eppure continuava a combattere solo per aiutare lui. In quel momento come mai prima di allora, riusciva a capire perché lui fosse il loro capo.
"Il dono. Buon Natale?" fece Mirrus in tono sarcastico.
"Il dono dei Supremi." si intromise Lelq a spiegare, attirando su di sé gli sguardi di tutti "Sono delle carte particolari intrise del loro potere. Da quanto ho capito dalla mia esperienza personale, agiscono modificando direttamente l'essenza di chi le utilizza, anche se in maniera solo momentanea. Porre la carta a contatto con la vostra essenza la attiverà e per farlo... beh, in verità io l'ho semplicemente stretta in mano. Credo si attivi solo nel momento in cui il possessore desideri attivarla. Fatto sta che il potere che ne deriva è qualcosa di... Mostruoso."
Unlegal scosse con orgoglio la testa in segno di approvazione, incrociando le braccia.
"Ora, non posso garantirvi protezione più di così. L'Omino di Mai ha appena sconfitto Ruins con l'aiuto di Parsifal e sta venendo qui. Sa che vi ho aiutati e vuole vendetta. Dovete scappare, io li tratterrò quanto mi è possibile."
"Aspetta. Non sarà per questo che hai mandato via da qui Legacy, vero?" chiese Shruikan, che in effetti aveva spiato tutta la scena della separazione del duo dall'alto degli alberi, invisibile e inudibile.
Il Supremo si passò una mano sul collo.
"Beh, diciamo pure di si. In ogni caso, ora dobbiamo pensare a voi. Ruins ha fatto quel che ha potuto, ma non è un granché come curatore." disse, avvicinandosi a Donatozzilla, ancora svenuto e riverso con la schiena crivellata rivolta al cielo.
"Puoi curarlo?" chiese esterrefatto doc, il quale aveva cercato inutilmente di far rinvenire l'amico fino a poco prima.
"In effetti si. Non c'è Supremo con capacità curative pari alle mie." rispose Unlegal, imponendo una mano sulla schiena martoriata del giovane.
Il sangue che Ruins aveva solo in parte fermato dal fuoriuscire dalla miriade di piccole ferite iniziò a ribollire e divenire più scuro. Una luce abbagliante di un viola acceso pervase la radura, costringendo tutti eccetto Unlegal a coprirsi gli occhi.
"Fatto." disse il demone, guardando con soddisfazione il ragazzo rettile finalmente libero dalle ferite mortali. L'unica cosa che non aveva aggiustato era stata la maglietta, ridotta ancora in uno stato ai limiti dell'accettabile.
"Sta bene? Perché si sta agitando e dai versi che fa non si dir..." commentò preoccupato Mirrus, osservando l'amico contorcersi e lamentarsi con gli occhi ancora chiusi.
Unlegal alzò una mano sicuro di sé, facendolo tacere. Intanto quello si contorceva.
"Ehm, Unlegal?" fece timidamente Lucas.
"Va tutto bene." rispose l'altro.
"UNLEGAL, CAZZO, STA SPUTANDO SANGUE!" gridò Lelq nel momento in cui Dz stava iniziando a tossire liquido rosso e viola.
"Uhm, forse ho sbagliato qualcosa..." bofonchiò il Supremo, grattandosi il mento.
"FORSE?!" strepitò ancora Lelq.
"Forse ho accelerato il processo di morte." concluse il demone.
Tutti lo guardarono esterrefatti.
Poi Litios si alzò in piedi e gli andò incontro, Shruikan balzò in aria e gli puntò la falce alla gola e Mirrus lo incagliò nei cristalli di adamantio. E lui non se ne avvide nemmeno!
Poi Donatozzilla, con Gyber in parte che cercava di tenerlo calmo, di bloccare quel suo assurdo delirio, spalancò le palpebre ed emise un unico, prolungato verso di sospirante, stendendo in avanti il braccio come in procinto di afferrare qualcosa di invisibile.
"NOOO!" gridò dopo qualche istante in cui aprì e chiuse la bocca incapace di parlare.
"Che c'è?!" gridò Gyber preoccupato, mettendogli le mani sulle spalle.
Dz lo guardò con occhi velati di lacrime e, singhiozzando, gli disse: "La... La mia braciola... Me l'hanno portata via... LA MIA BRACIOLA! Era così tenere e... così bella, fumante, cotta ai ferri con... con tanta squisita salsa barbecue e quella punta di rosmarino che non guasta mai e invece lei... Io..."
Infine i due si guardarono e il ragazzo lucertola scoppiò a piangere disperato, invocando invano il nome della braciola che gli aveva rubato lo stomaco da tanto doveva essere buona.
Gyber restò un attimo interdetto. Poi gli tirò un pugno in testa ringhiando.
"Non sporcare la mia camicia con le tue lacrime, è quella MIGLIORE CHE HO!"
Gli altri rimasero sollevati dalla scena. Lucas alzò il pollice e sorrise.
"Sta bene, sta bene..."
Un dolore lancinante lo colse all'improvviso.
Il Supremo gli si accostò e con mano esperta lo fece staccare dall'albero. Lucas digrignò i denti, perforato da una fitta che gli pervase tutte le ossa fino a fargli formicolare insopportabilmente la muscolatura.
"Bello schifo. Davvero bello schifo." commentò, riappoggiandolo al pino.
"Che c'è? Non sei in grado di curarlo?" chiese Shruikan cupo in volto.
"No, no, non c'è problema. Però è senz'altro messo maluccio. Ha delle escoriazioni niente male, muscoli pelle e tendini sono stati distrutti in più punti, uno dei quali lascia intravedere  perfino le ossa... La tua memoria mi mostra che Parsifal ti ha colpito violentemente."
Lelq vide rabbrividire il loro leader. Non lo dava a vedere, ma quel colpo subito doveva avergli inferto più danni di quanti non ne volesse dare a vedere.
"A questo proposito." intervenne Gyber. "Mi è chiaro che quelle specie di raggi che le Rovine e, mi par di capire, anche voi Supremi sapete... sparare, diciamo, sono in grado di perforare qualsiasi barriera e di annullare qualsiasi potere rigenerante, oltre a vanificare qualsiasi intervento medico. Ma com'è possibile che Parsifal sia riuscito a bypassare il potere rigenerante e quelli curativi con un attacco diretto?"
"Vedi questa luce con cui sto avvolgendo il mio braccio?" chiese il Supremo, alzando l'avambraccio destro che prese ad emettere un fioco bagliore violaceo. 
Gyber annuì.
"Le Rovine utilizzano, come hai detto tu, dei raggi particolari, che potremmo definire anti-reali. Tutto ciò che incontrano, indipendentemente dalla sua natura, svanisce e diventa quasi impossibile da rigenerare se non si dispone di un potere di molto superiore a quello di chi colpisce. Parsifal, come altre ventitré Rovine a livello massimo, chiamate i generali e di cui fa parte anche Legacy, ha a disposizione una versione più debole del potere di un Supremo, ovvero la capacità di combattere con l'essenza. Diverso dal combattimento con l'aura, con l'energia o con l'incremento dell'anima, il combattimento con l'essenza è, diciamo, il conflitto ultimo a cui si può arrivare. Questo perché in un conflitto simile non c'è nessuno che possa definirsi immortale. Quando si combatte con l'essenza, si è avvolti da questa luce. Più è grande il vostro essere più vi sarà facile sopraffare l'avversario. Ah, è complicato e abbiamo poco tempo... In sostanza, si tratta di mettere a confronto la natura  due entità. Quello con l'essenza più forte, vince. L'altro perde il suo stesso essere, che si disgrega e svanisce. E l'essere è ciò che ci fa essere reali. Senza, spariamo definitivamente. Noi Supremi siamo... complessi. La nostra essenza, al contrario di quella di esseri come voi, cioè legati a qualcosa di materiale, è infinita, e non ne esiste una abbastanza grande da poterci sconfiggere né mutare. Da qui la nostra invulnerabilità a tutto.
Per questo motivo è essenziale che un Supremo combatta al vostro fianco. Parsifal potrebbe schiacciarvi con un dito, e l'Omino di mai necessita di ancora meno, visto che lui può, letteralmente, fare tutto, o quasi. Capite?"
"Quindi se veniamo toccati da un attacco con quella lucetta tutt'intorno siamo fottuti?" semplificò Litios.
"In effetti si. Un pezzo della vostra essenza si staccherà e riattaccarlo sarà qualcosa di molto difficile. Non ci sarò sempre io a medicare le vostre ferite." concluse il demone, con aria grave.
Intanto la luce intorno alla sua mano e lungo tutto il suo avambraccio aveva preso a cambiare colore da un viola acceso ad un grigio chiaro e opaco. La stessa luce stava illuminando anche l'albero a cui era appoggiato Lucas, senza che questi se ne accorgesse. Dopo qualche istante di sbigottito silenzio, il leader della squadra si alzò in piedi e si stiracchiò.
"Cavolo, ora si che sto bene."
Unlegal gli sorrise. "Spero di aver risposto alle tue domande. Ora andate. BlackClaw, portali al villaggio dove mi hai incontrato. Troverete il portale che vi condurrà dal prossimo Supremo. Ne ho lasciato aperto un secondo. Quello vi porterà direttamente nel Nulla, da dove potrete tentare di tornarvene a casa. Sono certo che farai la scelta migliore, Lucas."
Il ragazzo lo fissò negli occhi e alzò la mano in segno di amicizia.
Unlegal la strinse forte ricambiando lo sguardo.
"Grazie, Supremo." mormorò il biondo. L'altro sorrise e lasciò la presa, allontanandosi nel fitto della boscaglia.
Il gruppo si riunì intorno al biondo.
"Ehy, di che diavolo parlava con quel Spero di aver risposto alle tue domande?" chiese Mirrus.
Lucas distolse lo sguardo dall'omone che se ne stava andando fischiettando allegramente.
"Ha detto che sarebbe andato a combattere le Rovine per farci guadagnare tempo, che quei mostri erano quasi arrivati qui e quindi dobbiamo muoverci. E che Giuly è al sicuro."
"Davvero? In che senso al sicuro?" questionò con tono di voce criptico Victus, le braccia conserte e la solita espressione vacua che lo contraddistingueva.
"Ha detto che si trova con l'unica persona oltre a Every a cui i Supremi diano retta. Il suo nome è..."
 
"Murmure. E tu devi essere Giulyu Frost. È un onore, signorina, fare la vostra conoscenza." disse l'uomo dal volto segnato da cicatrici quando la ragazza angelica riaprì i grandi occhi viola.
 
Angolo di ME! (quasi. circamente molto forse. Avete capito, no?)
 
So di aver detto ieri a qualcuno che oggi non avrei potuto pubblicare, ma eccomi qui!
Il punto è che (sto ascoltando Hello di Adele tradotta by sio, quindi non so se scriverò cose sensate, eh) il computer era tipo morto. Poi ho lodato il sole. Non ha funzionato. Ho mangiato un budino E lodato il sole. Ancora nulla. Poi mia mamma è andata a farlo riparare ed eccoci qui!
Ed ora che ho fatto questo teatrino del cispo-spatolato del tutto inutile con cui vi ho dato parziali informazioni di dubbia utilità, facendovi perdere tre secondi delle vostre vite che non torneranno mai più, vado a cazzeggiare allegramente, non prima però di avervi lasciato questa (CIAAAAO DALL'ESTEEEEERNOOO) frase di senso (in)compiuto:
Domani avrò fatto una cosa di cui poi mi ero pentito oggi.
OAIC!
Ev.

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Capitolo 8
*** Riecco un Paio di Vecchi Amici ***


"Forza, per di qua." disse fermamente Murmure alzandosi e incedendo a passo deciso oltre una frattura del muro.
Giuly avrebbe voluto rimanere lì, aveva una paura infame di uscire e trovarsi di fronte quei mostri così crudeli che le avevano strappato le ali. Ricordava ancora il loro primo incontro, quando lei era riuscita ad uscire da quel posto assurdo in cui l'avevano rinchiusa.
Quando aveva aperto gli occhi si era ritrovata di fronte un muro che le stava facendo la linguaccia. Inizialmente offesa da tanta mancanza di rispetto, si era poi stupita. Un muro che faceva una linguaccia? Che doveva significare? Si era guardata intorno, ma era come se il muro si spostasse a seconda del suo sguardo, così che le stesse sempre perfettamente davanti. Aveva provato a muoversi solo per scoprirsi incatenata per mani e piedi con asticelle di liquirizia a giganteschi bastoncini di zucchero, di quelli che fanno tanto spirito natalizio, intagliati in grosse siepi. Come lo sapeva, visto che il muro le impediva di vederli? Semplice, era come se, guardandoli, la sua vista si sdoppiasse mostrando in contemporanea sia la muraglia, sia le catene. Infatti non riusciva a guardarli per molto tempo visto che il suo cervello, non abituato a una condizione simile, lavorava troppo e troppo in fretta per calcolare due informazioni diverse.
Aveva provato a muovere le candide ali bianche, ma niente, era come se fossero intrappolate in reti molti resistenti. Anche i suoi tentativi di spezzare le catene erano futili. Erano liquirizie molto resistenti. Era rimasta lì ferma per un po' finché non le era baluginata un'idea un po' folle e infantile, ma pur sempre un'idea. Si era così messa a rosicchiarle e, magia delle magie, quelle erano saltate in aria, squittendo come tanti topolini e correndo via terrorizzate su invissibili gambette. Le aveva trovate buffe. Passare il muro maleducato era stato facile. Le era bastato chiedergli se, per favore, si potesse spotare un attimino. E quello si era spostato.
Ma poi, quello che inizialmente aveva reputato uno scherzo stupido di qualche membro della squadra, si era rivelato in tutta la sua orrenda natura d'incubo. Era uscita da quel posto (di cui non avrebbe saputo dare descrizione) ed era emersa tra le rovine in fiamme di una città nel bel mezzo del deserto. Quello che la terrorizzò era l'assenza di cadaveri, ma la presenza di numerose scie di sangue che si dipanavano dagli edifici distrutti e si dirigevano tutte in una piazzetta poco distante. E nella piazzetta... in mezzo alla rovina stavano, simili a ombre che si stagliavano sul cielo di fuoco, le Rovine, i ciclopi dell'Omino di Mai, intenti a pasteggiare coi cadaveri della povera gente di quel posto. Giuly riconobbe alcuni corpi e dovette trattenersi dal gridare. Era alla Canterlot High school, anche se, dal posto, non lo avrebbe mai detto.
Non ricordava minimamente deserti, e gli edifici erano così devastati da essere irriconoscibili. I ciclopi l'avevano vista, avevano mugugnato qualcosa riguardo il doverla ricatturare e l'avevano inseguita. Lei aveva cercato riparo, ma coi loro raggi invisibili le avevano perforato la spalla in tre punti. L'avevano presa, graffiandola in più punti con le grosse e goffe mani artigliate, strattonandola per avere l'onore di poter dire di averla catturata. Lei aveva urlato di dolore, aveva pregato di lasciarla andare, perforata da una simile agonia. Poi uno di loro aveva gridato al cielo, un urlo rauco e rabbioso e aveva bofonchiato con quella voce fonda e incerta di chi non sa parlare bene, dicendo di avere fame, che intera non sarebbe servita e via dicendo. L'aveva sbattuta a terra con violenza, rivoltandola con la schiena all'aria con un calcio che le aveva squarciato il fianco. Le aveva posto un piede sulla schiena e le aveva tirato le ali. E aveva tirato e tirato e tirato... Lei era svenuta dopo il decimo strattone. Si era svegliata con la vista offuscata, un dolore tremendo e lo sciocco desiderio che fosse stato solo un sogno, che in parte a lei ci fosse Lelq, il suo Lelq, pronto a darle conforto dopo un'esperienza simile. Ma lui non c'era. Una lacrima le scese dalla guancia, mentre il sordo scrocchiolio delle ossa delle sue ali che venivano divorate dal mostro la raggiungeva come un nugulo di aghi che l'avrebbero trafitta.
In seguito Murmure le avrebbe spiegato tutto. Le avrebbe spiegato cosa fossero le Rovine, le avrebbe spiegato che il loro creatore, Ruins, era stato sconfitto dall'Omino di Mai che lo aveva soggiogato al suo volere. Le aveva spiegato che senza la guida della Violenza, che di solito le teneva a bada, sopprimendo i loro istinti omicidi e la loro fame insaziabile, erano diventate come animali che tutto volevano distruggere e divorare. E poi le aveva parlato di Fizzgerad, che l'aveva salvata rinunciando alla sua vita, le aveva parlato di Nero, che l'aveva curata ed affidata a lui, perché la conducesse in un luogo sicuro, nel Nulla, dove avrebbe trovato il modo di fuggire da quel Mondo morto e sepolto.
Murmure... Lo aveva conosciuto pochissimo tempo prima, aveva aperto gli occhi e aveva visto la figura ammantata stare in ascolto a pochi passi da lei. Terrorizzata, aveva cercato di tramortirlo, spinta dalla paura di poter soffrire di nuovo come con le Rovine. Lui era stato gentile. Si era accorto di lei e l'aveva fermata, prendendole la mano con cui stringeva il sasso di cui si era armata, prendendola con forza, con decisione, con dolcezza. E quando lei gli aveva tirato uno schiaffo, piangendo e gridando di lasciarla andare, che lui era un mostro e che doveva lasciarla in pace, lui l'aveva abbracciata. E lei aveva pianto e gli aveva tirato pugni sulla schiena, e aveva gridato e scalciato finché solo le lacrime sommesse per la sofferenza di quello che aveva ingiustamente subito aveva bagnato il suo mantello scuro. E lui l'aveva lasciata fare, carezzandole la testa, ripetendole che era finito, che era al sicuro, che non avrebbe sofferto più.
Non sapeva spiegarselo, ma quell'uomo silenzioso e guardingo, con un solo braccio e una spada legata alla cintola, che la fissava con una dolcezza paterna che non aveva mai visto negli occhi di nessun altro... si fidava di lui. Sentiva di poterlo fare e per questo, in quel momento, dopo aver scoperto che Blaso la cercava per usarla come ostaggio, che voleva uccidere la Lucas Force per poter proseguire con la conquista del Multiverso e che stava risvegliando le Rovine sparse ovunque per usarle come esercito, quando lui si alzò e uscì allo scoperto, lei ignorò la paura e lo seguì senza dubbi in mente. Murmure era la sua ancora di salvezza e ci si sarebbe aggrappata con entrambe le mani, pur di rivedere la sua famiglia e i suoi amici.
Uscirono dalla catapecchia. La cittadina umana era stata distrutta completamente, le Rovine avevano spazzato via perfino il terreno, tramutandolo in sabbia con la loro furia devastatrice. Il cielo era plumbeo, ora che le fiamme si erano estinte. Quel posto le mettteva una tristezza immensa nel cuore. Si guardò intorno, stringendosi tra le braccia. Tremava e Murmure se ne avvide. Con un'unica, fluida mossa si slacciò il pesante manto e la avvolse prima che potesse ribattere qualcosa. Le sorrise, e lei non poté più protestare. Aveva un sorriso così buono che, probabilmente, avrebbe placato perfino quei grossi ciclopi dalla mente ottusa, incatenati dal volere dell'Omino.
"Per di qua." disse con calma, indicando una stradina poco lontana. Lei lo seguì con passo incerto. Nero le aveva curato le ferite più gravi, asserendo che tuttavia, per farla riprendere del tutto e per farle riavere le ali, avrebbe dovuto chiedere o a Blaso o al miglior guaritore tra i Supremi, Unlegal. Barcollò sotto il peso della stanchezza e cadde in avanti, trovandosi appoggiata al braccio forte e saldo di Murmure. Le era scivolato incontro appena aveva visto il suo mancamento e l'aveva sostenuta prontamente. La pregò di camminare in parte a lui, ma di camminare comunque, che presto avrebbero potuto riposare. Ma quella zona era ancora infestata dalle Rovine. I ciclopi erano ovunque, in quel mondo marcito per colpa della Follia, cadente, ridotto ad un'ombra di sé stesso.
Mosse qualche passo incerto, poi la stanchezza la avvolse in un freddo abbraccio e cadde addormentata.
 
Nero sospirò, girando la pagina del libro che stringeva in mano.
Si trovava ancora sul treno, il viaggio sarebbe stato lungo ancora. Ma non era solo lì. In quel momento stava gustandosi una tazza di té di fronte allo spettacolo delle Rovine in marcia per la conquista del tutto esistente, era accanto al gruppo di Lucas, Lelq e gli altri, studiandoli nel loro cammino ed era anche nell'Abisso, la sua dimora, dinnanzi al corpo inerme del giovane Meteor. Essere lui aveva i suoi piccoli privilegi, come, appunto, il dono dell'ubiquità. Non un banale incantesimo, non un patetico sistema di copie o cloni. Era ovunque in ogni momento, e stava a lui scegliere dove essere "cosciente" o meno.
Chiuse il libro sul treno che sfrecciava nelle profondità del cosmo infinito e serrò gli occhi, concentrandosi su Meteor. Avvertiva il simbionte che cercava di svegliarlo, di muoverlo. Ma il ragazzo era profondamente addormentato.
Il demone sorrise compiaciuto, allentando la presa mentale su di lui, lasciandolo libero di destarsi. Fece apparire una poltrona su cui si accomodò, aspettando.
L'eroe si scosse. Sbatté le palpebre e si mise carponi, tossendo. Si sentiva oppresso. Dov'era? Il pavimento freddo era nascosto da una nebbia nera e fitta che veniva percorsa da striature violacee. La nebbia gli arrivava fino al gomito, nascondendogli le mani alla vista. La cosa lo spaventò un poco e si rialzò in fretta e furia, tenendo d'occhio la coltre. Era certo che qualcosa si muovesse li sotto, aveva sentito chiaramente un tocco viscido sulla mano, come un serpente che gli avesse strisciato sulle nocche. Si guardò intorno, muovendo qualche passo. Buio. Oscurità. Fumo. Non vedeva nulla, non sentiva nulla. Non c'era suono, non c'era vita, in quel posto. Eppure era sicuro di veder continuamente qualcosa muoversi in quel muro tetro che lo circondava, facendo vibrare l'oscurità.
Rabbrividì. Sentiva uno sguardo penetrante sulla nuca. Una paura irrazionale, atavica, lo aggredì da dietro e lo trafisse al cuore. Era paralizzato, gli occhi iniettati di sangue con le pupille dilatate oltre il normale. Poi la morsa di terrore si allentò e una voce lo richiamò alla razionalità.
"Ragazzo?"
Era una voce calma, giovanile, bellissima. Avrebbe pagato qualsiasi prezzo per ascoltarlo di nuovo, quell'ipnotico canto liutato. Si voltò titubante, tutti i sensi acuiti dall'iniziale scossa. Il simbionte combatteva come un animale ferito, cercando di farlo andare via da lì, di non farlo voltare. Ma qualcosa di più forte del simbionte gli suggeriva di non seguire gli avvenimenti di una bestia recalcitrante che si nutriva dei suoi sentimenti negativi, che lavorava unicamente per sopravvivere e per dominare la sua mente e il suo cuore. Si voltò del tutto e si trovò davanti un ragazzo di vent'anni, dal volto affilato e bellissimo, vestito come un nobile dei primi anni del novecento, con i capelli ben curati, tirati indietro, come una duna sinuosa e morbida. Un sorriso gli ornava il volto. L'unica pecca erano gli occhi. Uno era vuoto, mancante, solo un'orbita nera e ferma, imperscrutabile. Il sinistro, al contrario, mostrava una pupilla e un'iride fuse insieme in un complesso disegno geometrico di un viola intenso.
"Chi sei tu?" chiese con voce spiritata.
L'altro socchiuse le palpebre. Qualcosa guizzò nell'orbita vuota, una saetta più nera dell'oscurità stessa.
"Il mio nome è come il mio cuore. Nero. Per servirti. O per chiederti un favore, in questo caso particolare." rispose con semplicità e una punta di compiacimento.
Le tenebre che facevano da scenario all'insolito duo si fecero più soffocanti. Lembi di quella nube oscura impenetrabile si facevano vicini a Nero, si alzavano da terra e gli lambivano le gambe, come farebbe un gatto affamato che chiede la sua ciotola di cibo. Improvvisamente, nella mente del ragazzo la voce del simbionte gridò più forte, facendo indietreggiare la seconda presenza che lo invitava a stare calmo. Ma fu solo un istante, poiché il Supremo gli era già apparso a fianco. Era alto, magro, dal fisico asciutto, slanciato nel pesante soprabito di velluto con tre code svolazzanti che arrivavano fino al terreno, spazzando il fumo. Gli mise una mano sulla spalla e si chinò in modo che le sue labbra sfiorassero le sue orecchie.
Un fremito scosse l'eroe e il simbionte fu come schiacciato nella sua mente.
"Mi aiuterai, ragazzo mio?" gli sussurrò il demone.
Meteor non ci pensò nemmeno. Pensare non gli serviva più. Ora il Supremo lo faceva per lui. Era un burattino nelle mani dell'alto figuro dai capelli di sabbia. Annuì senza convinzione e l'altro si rialzò compiaciuto. Stese una mano guantata di bianco e l'oscurità intorno a loro si divaricò in un corridoio. In realtà, non erano avvenuti cambiamenti. Era sempre avvolti dalle tenebre, eppure qualcosa davanti ai due sembrava diverso. Se fino a quel momento non c'erano via di fuga possibili, ora un'apertura nel buio assoluto si era aperta. Era come un'apertura nascosta dietro ad un drappo che fino a quel momento aveva tenuto celato solo uno spesso muro.
Nero si incamminò e l'altro lo seguì senza volontà.
Attraversarono cunicoli inesistenti e attraversarono immensi salone fatti di nulla. Avanzarono per quasi un'ora in quel luogo senza luogo, immersi in un tempo senza tempo. Infine si fermarono e la morsa mentale del Supremo si allentò un poco, così che Meteor potesse vedere coi suoi occhi lo spettacolo che gli si offriva dinnanzi. Il corpo di un giovane, che avrà avuto la sua stessa età, coi capelli castano scuro scarmigliati e sparsi sul volto, gli occhi chiusi, steso in una posizione scomposta, se ne stava lì, davanti ai suoi occhi. Non respirava, ne era conscio. Il suo cuore non batteva, anche di questo era ben consapevole. Era morto, questo era chiaro. La vista di quel volto sofferente, di quell'espressione fredda e statica, gli ricordava vagamente il nome di un certo Red Ghast, ma, stranamente, non sapeva bene chi fosse.
"Che vuoi che faccia?" chiese con la gola secca e gli occhi spenti.
"Per quanto tutti possano pensare che sia spacciato, devi sapere che il giovane Michael è ancora vivo e il suo organismo sta ancora producendo il suo prezioso sangue. Il problema è che, ahimè, è incapace di sopravvivere a lungo, in questo stato. Deh, a meno che tu non lo congeli... e non condivida con lui il tuo simbionte."
"C-cosa? Ah, si..." mormorò l'altro senza spostare lo sguardo.
Lentamente, una parola dopo l'altra, Nero stava inconsciamente lasciando andare la presa sulla sua mente, e lui stava ritornando in pieno possesso di sé. Iniziava a ricordare...
Every, il portale, Victus che gli si avvicinava con le ali da demone aperte, un sorriso che non gli conosceva stampato in volto. Poi buio. I ricordi affioravano. Giuly... I suoi amici... Diavolo!
Come uno sparo, il simbionte tornò a farsi sentire e il Supremo lo lasciò libero.
Si mise in guardia.
"Tu chi sei e cosa vuoi da me?!" gridò, congelando i pugni pronto a combattere.
Il demone sospirò desolato.
"Non mi vuoi proprio aiutare?"
In tutta risposta, il ragazzo gli infilzò il petto con un aculeto di ghiaccio.
"Tu che dici, pezzo di merda?" ringhiò "Sai, odio che rapisce la gente a tradimento."
"Tch, non mi dire." commentò Nero deluso "Allora non posso farne a meno."
Svanì.
Meteor restò da solo. Anche Michael era sparito nel buio. Si voltò di qua e di là in preda ad una furia omicida. Lo aveva ingannato, lo aveva costretto a fare quello che voleva lui e gli aveva fatto perdere tempo prezioso. Non sopportava i manipolatori.
"Fatti avanti! FATTI AV..."
Una mano guantata apparve dal buio e gli prese la faccia, tappandogli la bocca.
"Abbi la compiacenza di stare zitto." disse Nero, apparendo dietro al braccio. La sua voce era sempre bellissima, ma ora era divenuta così fredda che in confronto il suo ghiaccio sembrava un sole ardente.
Meteor sgranò gli occhi, colto da un improvviso spasmo di paura pura e cruda. Invincibile, il terrore lo avvolse e gli impedì di attaccare. Il ghiaccio si sciolse e le braccia caddero inerti lungo i fianchi. Uno sguardo era bastato al Supremo per piegarlo e probabilmente anche meno sarebbe stato sufficiente ad ucciderlo.
Era invincibile quel giovane uomo ammantato di notturna e malevola oscurità? In quel momento lo avrebbe detto senza nemmeno pensarci.
"C-che vuoi da me?" bofonchiò da dietro la mano del demone.
"Te l'ho detto. Se volessi quindi essere così gentile da smettere di fare il moccioso lagnoso e iperattivo e ti mettessi al lavoro te ne sarei grato."
Lo lasciò andare e il corpo di Michael riaffiorò dalla nube.
"Non puoi farlo da solo?" disse aspro, massaggiandosi la mandibola dolorante. Era magrolino, ma aveva una stretta d'acciaio.
"Io so e posso fare molte cose, ma per determinate attività ho bisogno di usufruire di strumenti. Come te. Tu sarai il mio strumento. E non mi interessa se a te causa problemi. Arrenditi a questo fatto, perché non mi farai cambiare idea in nessun modo. Deh, fai in fretta, ho urgenza di avere quel corpo in freddo il prima possibile." sbottò Nero, sedendosi su una poltrona e sorseggiando una tazza di té che erano comparsi in quel momento dal nulla.
Meteor lo squadrò con astio, stringendo e aprendo più volte i pugni carico di rabbia. Poi però si arrese. Non aveva poi tante scelte. Se anche lo avesse sconfitto, poi come sarebbe scappato da lì? Non aveva idea nemmeno se un "lì" ci fosse. Si chinò allora davanti al ragazzo apparentemente morto. Gli toccò il polso e lo sentì bollente, tanto da costringerlo a staccare la presa.
"Ma che..."
Nero non disse nulla. Sembrava assente. Teneva lo sguardo perso nel vuoto, ma qualcosa suggeriva all'eroe di non tentare azioni avventate. Il pericolo era sempre in agguato, lì.
Rimise le mani sul corpo e iniziò a congelarlo cercando di non distruggere i tessuti interni. Era un lavoraccio, doveva stare attento a non creare dei cristalli che perforassero le cellule. Doveva solo avvolgerle nel ghiaccio e bloccarle, senza danneggiarle. Richiedeva grande concentrazione.
Mentre lavorava, un fremito squassò l'oscurità che ondeggiò come uno specchio d'acqua che viene scossa da onde concentriche. Nero alzò gli occhi, come in ascolto di qualcosa. Meteor lo fissò per un attimo, poi tornò su Michael.
Il Supremo mormorò qualche parola e un secondo fremito pervase il tetro Abisso.
Meteor rialzò lo sguardo. Vide l'oscurità venire sconvolta da un piccolo turbine, in cui comparve la figura di una donna.
Nero la vide apparire e socchiuse gli occhi. Si alzò.
"Legacy. Mi auguro tu stia portando buone nuove." disse freddamente. Poi però vide l'espressione della ragazza. Stava piangendo. In una mano stringeva un foglietto spiegazzato.
Il Supremo restò immobile. Poi i suoi occhi si fecero sempre più sottili, mentre una smorfia di disgusto ed ira gli si formava sulle labbra.
"Lo ha fatto davvero?" chiese. Gli tremava la voce. Ora non era più così bella. Ora sembrava la voce vera e propria del terrore, di ciò che spaventa e distrugge. Iniziò a mostrare perché lui faceva paura.
Il suo aspetto si fece via via più minaccioso, pur restando uguale. La sua presenza si fece sempre più grande, fino a dare l'impressione che lui fosse ovunque, che il suo corpo fosse più grande dell'intero Multiverso. Batté le mani chiuse a pugno sui braccioli della poltrona e si rizzò in piedi, facendo fremere tutto l'Abisso. L'oscurità si ritrasse, spaventata essa stessa dal suo padrone. E lui stette fermo, ritto, statuario, più nero del nero Abisso.
Poi però si calmò. Parve ricordarsi di non potersi sfogare e si placò. Tornò normale. Eppure il suo volto sembrava quello di un vecchio stanco.
"Ha sofferto?" chiese.
Quella che doveva essere Legacy annuì.
Nero fece apparire il suo fidato bastone da passeggio, in quercia scura e lucida, con un pomello in madreperla e avorio sulla sommità. Lo strinse dietro la schiena, mentre un cilindro signorile gli calava in capo.
"Quanto gli ci vorrà per riformare il corpo?"
"Sui... sui dieci milioni di a... anni..." singhiozzò lei.
Lui le si avvicinò e Meteor gli vide fare una cosa che mai si sarebbe aspettatto. La cinse con un braccio e la abbracciò, tenendole il capo sulla spalla. Lei pianse a dirotto, gridò di dolore. E lui non fece altro che lasciarla fare.
Quando si fu sfogata, si staccò da lui che la fissò con occhi di ghiaccio.
"P-promettimi che la farai pagare a... a Blaso... pr... prometimelo, Nero." disse Legacy.
"Va. Fizzgerad si sta rigenerando e tu devi riposare. Voglio che restiate qui al sicuro, finché Parsifal non sarà più un problema. Sta cercando anche voi generali, dopotutto."
"Tu che farai?"
"Io mi occuperò personalmente dell'Omino di mai. Ma prima desidero fare visita a mio fratello. Ora va." concluse con tono imperioso. L'oscurità, stavolta titubante, ancora atterrita dal suo padrone, tornò a lambire la ragazza, facendola svanire inghiottita nell'Abisso. Nero si voltò verso Meteor.
"Hai concluso?" chiese.
Lui annuì. Non riteneva sicuro parlare in quel momento.
"Bene. Entra nel portale e aspetta. Dovrebbe arrivare un certo Francis, se non vado errato. Conducilo dai tuoi amichetti. Per allora saranno giunti da Agonia. Poi portali tutti da me. Vi darò qualche utile consiglio."
L'eroe annuì di nuovo, alzandosi.
Uno squarcio violaceo si aprì davanti a lui e, senza nemmeno dargli il tempo di muovere un passo, lo inghiottì come fossero fauci di un mostro possente.
Rimasto solo, il Supremo sorrise. Sorrise, ma i suoi occhi erano traversati dal dolore per il fratello.

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Capitolo 9
*** In the Multiverse ***


L'Omino poggiò i polpastrelli sul tavolino, gli occhi chiusi e il volto disteso in una calma tombale. Il suono si propagò nella stanza. Spostò le dita sapientemente, secondo uno schema perfetto ed armonico, pigiando a volte piano a volte con violenza sul tavolino da lavoro, piatto, muto, inutile, che fluttuava davanti a lui in quel bianco nulla che era la sua dimora. E il tavolino non rispondeva, stava lì, fermo, immobile, intatto, stoico. Gli resisteva. Intanto la dolce melodia di un pianoforte a coda si propagava nell'aere, rabbonendo la sterile atmosfera del Mondo di mai.
Il Mondo di mai era un posto strano. A primo acchito si mostrava come una distesa immensa di dolci colline coperte di tenera erba verde smeraldo, spazzata da un vento forte, ma gentile. La vallata ondeggiante si perdeva all'orizzonte, dove l'occhio poteva distinguere una catena montuosa che sembrava circondarla del tutto, come una cinta muraria. In alto il cielo chiaro, puntellato da rade nubi candide, sonnecchiava placido, illuminato da nessun sole. Questo era il Mondo di mai. Niente di più, niente di meno. Era tutto lì. Chi vi entrava (cosa che poteva accadere solo tramite i suoi abitanti originali) poteva camminare anche per l'eternità, senza avanzare di un passo. La corona di guglie restava irraggiungibile, lontana. Proprio in mezzo a quella distesa, sulla collina più alta, si ergeva una struttura. O, per meglio dire, infinite strutture tutte nello stesso luogo, nello stesso momento. Era una cosa complessa.
L'intero Mondo era una specie di vari "strati" sovrapposti l'uno all'altro. Un incolto avrebbe detto "dimensioni" parallele. I Supremi soltanto lo vedevano nella sua interezza. Ogni Supremo aveva una "zona", ovvero una di queste "dimensioni", per dirla nel modo sbagliato, e poteva portare solo in quella zona specifica. Se per esempio si entrava nel Mondo di mai accompagnati dall'Odio, si arrivava nella dimora che gli era propria. Se si era accompagnati dalla Rabbia si arrivava nella sua area di competenza e così via. Di conseguenza, la Rabbia avrebbe condotto ad una villetta biancheggiante con piscina sul retro, l'Odio avrebbe portato ad un condominio, la Violenza ad una caverna, la Paura ad una villa gotica detta "casa di carbone"... Tutte nello stesso posto, nello stesso momento, eppure in luoghi diversi e in momenti diversi. E nelle dimore degli abitanti originali del luogo si trovavano i loro "domini", ovvero quella parte del Mondo di mai invisibile a chiunque non fosse guidato da un Supremo stesso. Per esempio, il dominio della Paura era l'Abisso, luogo misterioso racchiuso dietro all'ultima porta della torre di vedetta della vita.
Blaso aveva la sua "zona" come tutti gli altri. Era un manicomio. C'è chi avrebbe detto che era ovvio, ma non per lui. Quel posto era stato costruito per tenerlo segregato per sempre. Era collegato alle dimore dei suoi fratelli e sorelle in modo che potessero tenerlo sott'occhio. All'esterno sembrava un normale casone squadrato, con imponenti finestre che correvano per tre piani intorno a tutto il perimetro. Su tutti e quattro i lati (anche se in realtà, camminando intorno all'edificio l'edificio stesso girava, mostrando sempre la stessa facciata, ma in modo che nessuno se ne accorgesse) si aprivano delle porte metalliche sempre libere di sbatacchiare al vento della vallata. All'interno si presentava come un gigantesco corridoio totalmente bianco. Una volta entrati non c'erano finestre. La porta si chiudeva e non si apriva più. Si era avvolti nel candido pallore che faceva sembrare quel luogo senza limiti, sconfinato. Si era persi, per dirla in una parola, nel nulla. Si poteva solo camminare, in qualsiasi direzione, non faceva differenza quale, fino ad incontrare una grande roccia a cui era incatenato uno scheletro coperto di bende, con brandelli di pelle ancora attaccate e armi varie conficcate nelle ossa. Dietro alla roccia diventavano appena riconoscibili tre corridoi diversi. Due erano trappole, che ti facevano tornare alla roccia. Uno, che cambiava ogni volta, era un collegamento diretto con il capo. Ovunque lui fosse, percorrendo il corridoio adatto si poteva arrivare nel luogo in cui si era nascosto. Ma Blaso non lo faceva da anni. Non gli importava più del capo. Lo aveva abbandonato. Li aveva abbandonati tutti.
In quel momento lui era lì, immerso nel bianco, tra gli infiniti corridoi che solo lui poteva vedere, tutti collegati a quella zona irraggiungibile se non a lui, in cui era racchiusa la sua mente. Lui poteva renderla ciò che desiderava. Si poteva rilassare, sfogarsi. Essere sé stesso e non trattenersi.
Nessuno lo aveva mai compreso. Tutti avevano sempre parlato di lui con timore, come se fosse un appestato. Dicevano di lui che era pazzo. Ma non era forse vero che la follia non esiste? Si è pazzi solo perché si ha il coraggio di pensarla diversamente? Non è follia, non è stranezza, è solo una visione differente delle cose. Non certo qualcosa per cui fosse cosa giusta punire chi ne fosse affetto. Non gli piaceva essere sé stesso. Era un Supremo, e poteva fare tutto quello che voleva, eppure non era felice.
Poggiò le mani sul tavolino e sospirò. La sua figura tremolò. Alzò una mano, una delle tante che gli crescevano e sparivano ogni secondo, e strinse le dita. Nella sua stretta si materializzò una fotografia incorniciata nell'oro. Gli luccicò una lacrima, vedendo la sua vecchia famiglia. Sua moglie. Sua figlia. E poi Leonardo. Leo, il suo Leo. Lo stesso Leo che Nero aveva fatto divorare dall'Apocalisse, nella zona di congiunzione tra Universi. Non lo aveva mai scordato. E non aveva mai perdonato Nero. Ma non poteva nemmeno sperare di sconfiggere il signore dell'Abisso. Nessuno era alla sua altezza. Lui vedeva tutto, ogni cosa, e tutto usava a suo vantaggio. Ma poteva sfruttare i suoi piani a suo favore.
La foto si dissolse.
Se il piano della Paura avesse avuto successo, lui si sarebbe trovato a dominare quella Realtà e così avrebbe potuto comandare come più gli piaceva, avrebbe cancellato la legge del non intervento che impediva ai Supremi di agire direttamente nel Mondo, avrebbe tolto il divieto che il consiglio dei Supremi gli aveva imposto, col quale gli si imponeva di non creare nuovi Supremi e avrebbe sfruttato la nuova libertà per rendere Supremi sua moglia, dea del mare di un altra Realtà, sua figlia Evey, e avrebbe riportato in vita suo figlio Leo. Sarebbe stato in grado di vivere con loro senza il costante terrore di perdere il controllo e di farli fuori. Se tutto fosse andato come da programma, forse sarebbero morti un po' di quei ragazzi che si facevano chiamare Lucas Force. Ma, per tutti gli dei in cui la gente credeva, la morte non era un problema per lui! Lui, che avrebbe potuto distruggere il Multiverso con uno schiocco di dita senza che nessuno potesse far nulla per impedirlo, e che lo avrebbe saputo ricreare ancora più grande e infinito di prima con meno fatica! Li avrebbe riportati in vita e, per farsi perdonare, avrebbe dato loro grandi nuovi poteri! Avrebbe distrutto i loro più acerrimi nemici con una sola spazzata della mano e avrebbe creato per loro l'utopia! Sarebbe stato perfetto. Ma se loro lo fermavano prima, convincendo uno qualsiasi degli altri Supremi ad aiutarli, avrebbero rovinato tutto. Il Multiverso non poteva conoscere la pace senza che prima lui potesse scatenarvi la guerra!
Chiuse gli occhi nella mente e li riaprì nella Mondo di mai, trovandosi di fronte il volto piatto e privo di lineamenti della Rovina che lo aveva disturbato.
"Dimmi tutto, ciccino piccino cuscino." disse con voce spenta.
Il ciclope si stropicciò le manone. "Abbiamo scortato il signore Ruins nella sua dimora qui, nel Mondo di mai. Non ci creerà fastidi per un po'."
Blaso annuì, tenendo gli occhi socchiusi puntati nel bianco vuoto della sua casa infinita.
L'altro aspettò un attimo, poi estrasse goffamente un foglio dal taschino del pesante frac nero che lo ricopriva a stento. Il lembo di carta mostravano taglietti e fori, probabilmente dovuti agli artigli della bestia. L'Omino prese e lesse la lista di nomi.
"Abbiamo difficoltà a catturare gli altri Generali. Non è da escludere che gli enti di differente condizione di esistenza li stanno proteggendo. Suggerirei personalmente un attacco diretto a ciascuno di loro ora che sono isolati per..."
"TACI!" gridò a quelle parole il ragazzino, spalancando le orbite. Il ciclope emise un verso stridulo di paura, rattrappendosi sotto il peso di quello sguardo morto. L'occhio sinistro era pressoché normale, presentante il simbolo dei Supremi, viola, sempre in movimento. L'altro era mancante del tutto, una cavità vuota da cui fuoriusciva un fumo verde chiaro acre e denso. Non c'era la solita spensieratezza e lo scherno infantile ad ornare quegli occhi. Erano privi di vitalità, come fossero ciechi.
"Non scatenerò una guerra che porterebbe al collasso certo tante di quelle cose solo per catturare delle stupide Rovine modificate così, tanto per divertirsi. Se ci sarà l'opportunità di prendere tutti i Generali della Rovina allora la sfrutteremo, ma fino ad allora voglio che Parsifal non si occupi di altro all'infuori di quei mocciosetti iperattivi." disse, richiudendo le palpebre. Quando le riaprì gli occhi erano tornati normali, color verde acceso.
Il ciclope rimase immobile per un istante, fissandolo.
"E la ragazza?" chiese infine l'Omino, seccato.
"Murmure la tiene ancora nascosta. Se vossignoria volesse darci la grazia del suo grandioso aiuto sarebbe certo più semplice trovar..."
"Taci! Sai che se intervenissi su un Every mi troverei con l'intero consiglio dei Supremi contro e allora sarebbe la fine. Trovateli da soli, siete pur sempre decine di migliaia e più! Datevi da fare!"
La Rovina si chinò in avanti in un buffo inchino teso. Fece per allontanarsi nel bianco latteo più assoluto quando parve ricordare qualcosa di molto urgente.
"Eccelsa maestà..." mugghiò, voltandosi verso l'Omino.
Questi si era piegato, poggiando i pugni chiusi su una scrivania emersa dal nulla, scrutando nel vuoto. Il suo corpo sembrava sul punto di sciogliersi. Uno strano liquame grigiastro semi trasparente, a malapena visibile, gli fuoriusciva da ogni parte, unendosi alla sua ombra rotondeggiante sul terreno, unica macchia scura in quel candido nulla.
"Che vuoi?" chiese una voce proveniente dall'ombra del ciclope stesso, che tremò, indietreggiando di qualche passo. Il grosso occhio giallo e viola della bestia saettò verso il suolo, dove il pavimento era scurito dal suo corpo massiccio. "Parla, Rovina, o ti strapperemo le budella e ne faremo coriandoli!" ruggì la voce cavernosa e distorta dell'ombra.
Una seconda voce, più stridula e dal tono lagnoso, si fece sentire dall'ombra dell'Omino.
"Ma nnnnoooo! Non gli ffffffacciaaaaaaamo maaaaleeee! È solo confuuuuusoooooo! Anche nnnnoooooi siamo confuuuuusiiiiiiiii! Sono tutti confusi, sssuuuuuuu!"
"TACI! Voglio dire, io taccio! No, tu, voi... essi... costoro! Ah, parlare con me è del tutto inutile! Muoviti, Rovina, parla ai tuoi signori Blaso!" tuonò e impose l'ombra del ciclope, che stava cercando di non dare nell'occhio per poter sopravvivere a quell'essere immondo che era il Supremo della Follia.
I primi sentori del suo influsso sulla sua mente si stavano facendo sentire. Quando si rimaneva in presenza dell'Omino di mai troppo a lungo c'era il serio rischio di ammattire. Inoltre, se il Supremo era in preda ad uno dei suoi scatti d'ira, la sua coscienza si divideva in più pezzi che infettavano le ombre di tutti coloro che si trovavano vicino a lui, generando un vero e proprio esercito di Blaso arrabbiati e confusi. Se la propria ombra era assalita dal demone, poi, la morte era quasi assicurata. Una morte lenta, inevitabile e dolorosa. Molto dolorosa.
"La traslazione della ragazza è stata completata prima di perdere il soggetto." disse in fretta il ciclope, rattrappendosi sotto la pressione del potere del ragazzino.
"Ah si?" chiese, stavolta il corpo del giovane, alzando gli occhi dalla scrivania. "Quindi l'avete estratta?"
Il ciclope mugghiò in segno affermativo.
"Ottimale... Portatela qui finché non è cosciente. Le parlerò personalmente. Dopotutto... è una delle mie creazioni migliori."
Blaso fece scattare il capo all'indietro, lasciandosi trasportare insieme alle due ombre infette in una risata squilibrata, mentre il ciclope veniva lentamente risucchiato nell'oscura pozza nera oramai non più appartenente a lui. Non emise un suono. Il dolore che provava nell'essere divorato vivo dalla follia era tale da togliergli il fiato.
Due Rovine si fecero avanti, si inchinarono, raccolsero la bombetta caduta al compagno appena scomparso e andarono a portare il verbo del Folle nel Mondo.
 
Maty si avvicinò alla porta socchiusa.
Dallo spiraglio si poteva intravedere la figura ingobbita del sedicenne intento a scrutare nello specchio illuminato di viola. Era abbastanza agitato. Continuava ad imprecare, sbattendo di quando in quando i pugni sulla piccola scrivania. Quando non lanciava un'esclamazione alquanto poco gentile, ripeteva a mezza voce "Dove sei, dove sei?" aumentando il tono fino ad esplodere.
Lei era andata da lui, nella stanzina piccola e fredda che gli avevano elargito, posta nei più reconditi meandri della titanica villa di Gyber, per portargli la colazione. Erano almeno tre giorni che non mangiava, scacciando con poche, brusche parole tutti quelli che avevano provato a dargli qualcosa.
Ormai ci avevano perso le speranze, a farlo ragionare. Doveva mangiare, era un umano, tra l'altro fisicamente debole e deperito. Se si fosse rifiutato ancora a lungo di certo lo avrebbero trovato svenuto. Ma sembrava che non volesse staccarsi da quello specchio fino a che non avesse trovato Giuly.
Maty fece per bussare quando Every si rizzò di scatto, gridando frustrato.
Prese lo specchio e lo scagliò contro la parete, fracassandolo. Spazzò con un unico, rapido e feroce gesto delle braccia la superficie della scrivania, facendo crollare a terra i fogli coperti di disegni e il portapenne in ottone. Infine tirò un calcio rabbioso al letto li di fianco, facendo rimbalzare il cuscino sul muro. Gridò ancora una volta per poi calmarsi e poggiarsi con le mani al banco di frassino lucido. Ansimava.
La ragazza bussò timidamente.
Lui non rispose.
"Ti... ti ho portato da mangiare?" mormorò incerta, guardandolo sospettosa, temendo un altro scatto d'ira.
Lui non rispose ancora. Si voltò di scatto, facendola sussultare un po', e le prese il vassoio con irruenza, sbattendolo sulla scrivania. Si sedette, rilassandosi finalmente. Prese un pezzo di pane e lo sbocconcellò, sotto lo sguardo curioso della ragazza.
"Grazie." bofonchiò ad un tratto.
Lei sorrise.
"Finalmente metti qualcosa sotto i denti. Iniziavamo a pensare che saresti morto di fame." commentò per rompere il silenzio che si era soffermato su di loro.
Every smise di mangiare e si voltò verso di lei. Aveva borse pesantemente marcate sotto gli occhi, il volto era incavato e smorto, di un pallore cadaverico. Maty lo guardò inorridita.
"S-stai bene? Sembri un..."
"Cadavere? Si, in effetti mi sento così, ultimamente." mormorò il ragazzo.
"Che ti stai facendo? Non è normale essere nel tuo stato. Insomma... non mangi e non dormi, ma la tua forza vitale sembra..."
"Svanire lentamente. Lo so. Funziona così. Più uso l'incantesimo di controllo con cui scruto nel mio Mondo più la barriera eretta da Blaso mi prosciuga delle mie forze."
"Ti ucciderai..."
"Non importa. Avevo il compito di impedire ai Supremi di abusare dei loro poteri e ho fallito. Ho messo nei guai voi, che non centrate nulla e... Devo fare qualcosa per sdebitarmi. Sono stato debole. Come al solito."
Maty lo guardò allibita.
"Starai scherzando!" gridò, tirandogli uno schiaffo. Every la fissò stupito, tenendosi la guancia arrossata.
"Di che parli?"
"Quelli ti hanno tradito, ti hanno pugnalato alle spalle! Non è certo colpa tua se le cose sono andate così! Se questi... Supremi sono forti come dici non hai colpe! E vorresti suicidarti? Non dire idiozie, ti prego!" lo rimbrottò la ragazza.
I due si guardarono ancora per un po'. Lei tratteneva lo sguardo corrucciato. Lui era assolutamente basito. Poi lo sguardo della giovane si rabbonì.
"Ascolta, apprezziamo il tuo aiuto. Davvero. Non fosse per te non potremmo salvare Giuly. Ma non devi minimamente sentirti in colpa per qualcosa che ha fatto qualcun'altro. Non sei tu il cattivo. Non devi suicidarti ok? Promettimelo."
Lui sorrise.
"Prometto. Però..."
"Però?"
"Temo mi servirà un altro specchio." I due sorrisero di nuovo.
"Te lo darò dopo che sarai venuto a farti visitare dal medico."
"D'accordo, cherie."
Every si alzò. Maty aprì la porta e gli fece strada.
Si voltò in tempo per non vedere uno sguardo carico di fretta balenare e venire soppresso dal ragazzo.
Frattanto, alle porte della villa, un uomo dallo sguardo stralunato, bocca e braccia sporche di sangue e una testa di donna ferocemente mutilata stretta per i capelli, stava incedendo gridando a gran voce il nome di Every.

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Capitolo 10
*** Appare un O.d.M. Selvatico... ***


Il gruppo di eroi uscì dal portale ritrovandosi nel bel mezzo di una pianura praticamente infinita. Il cielo era strano, color porpora spento, pervaso da una miriade di macchie più chiare, forse nuvole. Lampi verdi e blu si abbattevano a terra, percorrendo la strada dalla volta celeste al terreno bigio per qualche minuto prima di diradarsi, dando il tempo anche all'occhio meno allenato di un umano di distinguere chiaramente la loro filiforme figura.
Ma quello non era il particolare più bizzarro. Sparsi su tutta la piana, perdendosi con essa fino all'orizzonte, si sollevavano, sottili come fogli  carta, dei rettangoli in cui era raffigurato lo stesso terreno morto che copriva tutto il postaccio. Alcuni di questi rettangoli erano sospesi in aria, facendo dirottare i fulmini che formavano così degli archi a mezz'aria.
Il piattume secco e sgradevole della landa era intervallato solo a sporadici alberelli rattrappiti e qualche cumulo di rocce ornate da erba di un verde melmoso sgradevole alla vista.
"Che razza di posto è questo?" chiese Gyber, avanzando di qualche passo con aria circospetta. L'aria era asfissiante, pervasa da qualche assurdo gas mefitico che nessuno sapeva riconoscere. Tutto appariva addirittura scurito, quasi fosse coperto da un manto di caligine proveniente dalle anormali nubi immobili del cielo.
"Non so. Ma non è certo nella mia top ten dei posti da visitare per le vacanze." commentò sarcastico Lelq, facendosi a sua volta avanti impaziente di proseguire.
Shruikan invece osservava il luogo con un certo interesse.
"Ti vedo pensieroso, Kishin, che ti prende?" gli chiese Victus avvicinandoglisi.
Il ragazzo dal sangue nero lo fissò per un attimo senza rispondere, per poi riscuotersi da una sorta di torpore che lo aveva preso.
"No, nulla, è che... sai, posto desolato, pericoloso, tetro... Qui sembra fatto per me, amico, se solo ci fosse qualcuno da ammazzare ogni tanto..." rispose con aria sognante, ammirando una saetta verde acceso cadergli a pochi metri di distanza con un boato assordante.
"Si. Penso che sia un luogo dai parametri accettabili per te. Accettabili." fece il moro per tutta risposta, fissando il loro leader sorpassarli per affiancare Lelq e Gyber.
Lui sembrava essersi ripreso del tutto, al contrario di Donatozzilla che ancora sospirava invocando la sua "bistecchina gemella". Il tutto con vari gorgoglii di stomaco a fare da sottofondo. Dopo tutte le ferite ricevute, tuttavia, era abbastanza ovvio che il ragazzo, di per sé goloso, fosse terribilmente affamato.
"Muoviamoci. Dobbiamo trovare un Supremo che sia disposto ad aiutarci." ordinò Lucas, iniziando a marciare spedito verso l'ignoto. Gyber lo guardò con un poco di titubanza e scarsa convinzione, ma poi, per la pace del gruppo, decise di non obiettare. Non era certo che le scelte del loro capo fossero corrette. Ancora non si fidava di Unlegal, di Every o di chiunque altro provenisse da quella gabbia di matti. Era un mondo infido. Al cento per cento. Insomma, erano da poco scampati alla morte per mano di un solo ciclope in frac e bombetta sul capoccione, gli stessi Lucas e Donatozzilla avevano riportato lesioni davvero gravi e il loro capo, ora guarito del tutto, se ne andava bel bello come se non fosse successo nulla, sicuro di sé in una maniera che il ricco lord trovava particolarmente stupida!
"Come conti di trovarlo se non sappiamo nemmeno dove siamo?" gli chiese scrutando il cielo con un guizzo di preoccupazione negli occhi di rubino.
Il biondo gli si bloccò a fianco, inspirando profondamente. Se ne stette lì, con i pugni piantati nei fianchi e lo sguardo perso all'orizzonte infuocato di quel mondo ignoto. Non disse una parola per quasi un minuto, con gli occhi di tutti puntati su di sé, immobile, statuario. Gyber non sopportava quando il suo amico e capitano di ventura faceva così. Contrastava con l'idea che di Lucas, anzi, di Daniel stesso si poteva avere. Lui era sempre stato il leader impavido, ligio al dovere, impeccabile nel rispettare il proprio codice d'onore e la propria morale, sempre attivo e con un piano in mente. Insomma, pensare lui pensava, ma molto di rado non riusciva ad escogitare qualcosa per troppo tempo. Era più per l'azione pura, in poche parole.
L'albino non era certo che in quel momento la sua guida fosse la scelta più saggia. Qualcosa dentro di sé gli suggeriva di prendere i suoi compagni, fare dietro front e andarsene il più lontano da lì. Dopotutto quel fantomatico Omino di mai voleva Giuly viva quanto loro, no? Gli serviva come ostaggio vivo, quindi non le avrebbe fatto del male, giusto? Perché diamine rischiare le loro vite, allora? Se Lelq voleva suicidarsi, che lo facesse pure, ma da solo!
Lucas intanto si era deciso a parlare. Aveva, pare, escogitato un piano eccezionale, eroico e sì, anche un po' masochista! Un piano degno di lui, insomma.
"Andiamo dove c'è più distruzione. Unlegal mi ha parlato mentalmente, mentre mi curava. Ha detto che incontreremo l'Odio da queste parti. Da quanto mi ha potuto... mostrare, Adreus, così si chiama, è famoso per la sua insensata mania di radere al suolo la vita in qualsiasi posto vada."
Shruikan sogghignò, figurandosi il Supremo come un essere molto simpatico. Gyber gli scagliò un'occhiataccia, tornando poi a fissare Lucas con impazienza.
"Quindi ci basta andare dove sono tutti morti e siamo a cavallo?" chiese. Si sentiva sempre più arrabbiato. Innaturalmente arrabbiato.
Il biondo annuì convinto, non percependo la furia che stava cogliendo il compagno ad ogni momento che sprecavano.
"Aspetta però." li bloccò Mirrus perplesso.
L'antracia digrignò i denti.
"Cosa, doc?" chiese Lucas, voltandosi verso di lui.
Gyber si tratteneva a stento.
"Unlegal ti ha comunicato mentalmente? Perché? Non poteva dire a tutti, a voce, quello che ha detto invece a te solo?"
"Mi ha spiegato anche questo. Le cose da dire erano tanto e il tempo poco. L'esercito di Rovine e soprattutto Parsifal erano prossimi a raggiungerci. Se fossero arrivati a noi, non ci saremmo salvati, così ha usato questo trucco per dare più informazioni possibili, contando sul fatto che io vi avrei aggiornato una volta al sicuro. E per rispondere alla tua domanda, Litios..." fissò con espressione di rimprovero il cyborg alieno, che aveva prontamente alzato entrambe le mani come un bimbo a scuola "No, non siamo al sicuro, quindi no, non perderò tempo a dirvi tutti i dettagli. Scusate ragazzi, ma per il bene di tutti è necessario che vi fidiate di me."
L'antracia sbottò.
"Qualcosa non va, Gyber?" chiese Mirrus.
"Si, non va tutta questa storia del cazzo." ringhiò l'albino, facendo saettare gli occhi sull'uomo col camice. Di rimando, il maestro dell'adamantio lo fissò incredulo.
"Amico, che ti prende?" intervenne Dz, mettendogli un braccio intorno alle spalle. Ma Gyber non era propriamente dell'umore adatto a fare l'amicone, così scrollò il busto facendo perdere l'equilibrio al ragazzo lucertola che così cadde a terra goffamente.
"Ehy, dannazione! Vacci piano, amico!" gridò, alzandosi di scatto e avvicinandosi minacciosamente all'antracia che, per tutta risposta, aprì le braccia in segno di sfida e gonfiò i pettorali.
"Vuoi vedertela con questo ragazzaccio, Dz? Perché ho davvero voglia di pestare qualcuno, giuro!"
 "E fatela finita!" Lelq si mise tra i due, puntando contro uno la pistola a pentagramma e contro l'altro la lama solitamente nascosta nel suo fidato violino "Non ho tempo da perdere con due teste calde come voi, accidenti! Vedete di darvi una calmata."
Lo sguardo gelido del musicista bastò a far raggelare il ragazzo lucertola che si fece da parte con aria contrita. Al contrario, il lord sembrava ancor più su di giri. Ansimava dalla rabbia e teneva le mani aperte, le dita contratte come uncini e frementi, pronte a scattare e strangolare chiunque gli fosse malauguratamente capitato a tiro.
"Sembra che qualcuno gli abbia appena distrutto una banconota sotto gli occhi. Io lo so. Ci ho provato." commentò Victus a braccia conserte, con Litios che annuiva con gli occhi chiusi e l'espressione di chi la sa lunga.
"Sono solo innervosito che un grosso mostro accompagnato dalla banda infinita distruggo-tutto-punto-com ci stia braccando per farci ammazzare e voi state qui a pensare a parlare, invece di darsi una mossa! Mi innervosisce il fatto che nessuno di voi sembri dare peso al fatto che c'è un viziato moccioso del vattelappesca che potrebbe farci sparire perfino dalla memoria dei nostri cari con uno schiocco di dita e che ci vuole morti! Che ho io? Che avete voi, piuttosto!" sbraitò Gyber, mettendosi a camminare in cerchio.
"Amico, rilassati..." mormorò Donatozzilla.
"Sul serio." Shruikan piegò la testa di lato con fare annoiato "Dacci un taglio. Non sei divertente."
"Taci, dio della follia dei miei stivali! Assassino che da dell'assassino ad altri assassini! Tu non hai il diritto di giudicare, con gli innumerevoli crimini e le miriadi di vite che ti sei portato appresso negli anni! E tu!" indicò Litios, che pareva sul punto di dire qualcosa "Tu non hai fatto altro che portare ordigni di distruzione nel multiverso! In quanto a te, leader, tu sei il meno meritevole di aprire bocca! Tu che hai accolto in una squadra pensata per essere composta da eroi i peggiori mostri del mondo! Tu sei stato la causa di una delle rovine più grandi!"
"Stai esagerando, però." disse all'improvviso Mirrus, ergendosi tra l'antracia e il resto del gruppo, che lo fissava tra l'allibito, l'arrabbiato e il piacevolmente sorpreso (Litios) "Da dove vengono queste parole non degne del tuo pensiero, Gyber?"
L'albino fu sul punto di ribattere con tutta l'acidità che aveva in corpo, ma una mano comparve dal nulla e gli tappò la bocca.
"Tranquilli, carini, non dovrete linciare il vostro amico!" esclamò una voce squillante proveniente da ogni direzione.
Tutti si misero in posizione, pronti a sferrare un contrattacco. Qualcosa di strano stava accadendo e strano voleva dire "Omino di mai".
"EEEECCOOOOOO RADIATOOOOOOOR!" gridò un uomo sulla quarantina, in calzamaglia fucsia con linee che percorrevano tutto il corpo, nere, simili a fulmini e una mascherina da supereroe di un disgustoso rosa shocking ben calcata sugli occhi cinerei. Indossava un paio di stivaletti a punta dai bordi d'oro zecchino e teneva i capelli arancione chiaro sparati in aria con una sapiente manata di gel industriale e luccicante. La bocca era messa in risalto da un rossetto verde smeraldo sul labbro superiore e viola glitterato su quello inferiore. Ancora più strambo, il tizio portava, legato sulle spalle da cinghie di cuoio che gli passavano sotto le ascelle, un grosso stereo dalle cui casse veniva sparata una musica elettronica a massimo volume.
L'inaspettato individuo comparve così, a caso, "aprendo" una porta che, una volta richiusa, scomparve. Fece una capriola, dimostrando una grande agilità, visto il pesante stereo che si portava appresso, ballonzolò qui e là con qualche sgraziato passo di danza, per poi fermarsi davanti al gruppo che lo guardava incerto se picchiarlo e poi fargli domande o se picchiarlo e basta come punizione per il suo orrido look.
Kishin optò per la seconda, ma Lucas lo trattenne per il colletto del vestito, ricevendo un'occhiataccia dall'amico.
Litios provò a dire qualcosa, ma la musica era così assordante da impedir loro di sentire alcunché.
Il tizio si avvicinò sorridendo e schioccò le dita, facendo cessare il fracasso all'istante. Una lieve sinfonia per violino pervase l'aria, calmando improvvisamente gli animi degli eroi.
"Che magia è questa?" chiese Mirrus, improvvisamente vicino al nirvana.
"La mia." rispose con aria beffarda l'uomo, storcendo le labbra in una smorfia divertita. Una lunga cicatrice gli correva dal naso fino alla bocca, spaccandola in due. In quel punto, il tizio aveva applicato una illegalissima dose di rossetto nero come la pece, opaco addirittura.
"E tu saresti?" chiese titubante Lucas.
Nessuno di loro volevo più combattere. Tranne Gyber che ancora si sentiva incendiare da un odio senza precedenti. Era come se, ad eccezione dell'antracia, qualcuno avesse impostato le loro coscienze da "allarme rosso" a "pace, fratello, fuma lo spinello!".
Gli occhi rosso acceso dell'uomo guizzarono di felicità.
"Vedo che il vostro amico ha una predisposizione eccezionale per il mio padrone! Lo trovo FEEEENOMENALE!" strepitò, alzando un indice al cielo. Lelq notò con disgusto, subito scacciato dal benessere artificiale che gli veniva imposto dall'aura dello strambo uomo, che anche i suoi denti erano stati passati con del rossetto di un viola molto scuro. La lingua era giallo elettrico. Probabilmente si era colorato anche l'ugola di un marrone kiwi per completare il tutto. Proprio sulla lingua era attaccato un piercing con un piccolo teschio in bella mostra sulla sommità.
La musica cambiò in un motivetto in stile anni sessanta.
"Predisposizione? Cosa?" esclamò Mirrus, che si era messo involontariamente a ballonzolare come in un vecchio cartone animato in bianco e nero.
"Mirrus, che stai..." mormorò Shruikan, allibito.
"Non lo so!" esclamò il compagno euforico "Ma mi sento felice! E amichevole! E bello! E amo 'sta cosa!"
Il tizio in calzamaglia scoppiò in una fragorosa risata, tenendosi la pancia tra le mani. La musica lo assecondò, e una canzone heavy metal venne sparata a palla dalle casse del suo stereo fino a che non smise di ridere.
"Si può sapere chi sei?! Sono serio! Diccelo oppure..." lo minacciò Lelq. L'esasperazione che quel tizio gli procurava era di molto maggiore al buon umore che poteva infondergli.
"Oppure cosa, signor mio? Mi picchi? Mi tiri un vinile in testa?" lo schernì l'uomo, ballando la break dance in maniera davvero fenomenale.
"Oh, no. Non sprecherei mai un buon vinile per uno come te. Piuttosto ti ficcherei questa" il musicista estrasse la sua spada "in posti che non pensi nemmeno di avere. E farà male. E ti ucciderà un pochino tanto. E il mondo, ne sono certo, mi ringrazierà."
L'uomo si sollevò sulle mani, fissando il terreno, flesse le braccia e si diede una poderosa spinta, girandosi a mezz'aria e atterrando con grazia sulle punte, raccogliendosi poi in una posizione ad uovo, le mani poste in una posa statuaria una sotto il mento, l'altra stretta su un ginocchio. Una cheta musichetta di sottofonda da ascensore si diffuse nell'aria.
Il tizio rimuginò un po', poi si alzò e partì un assordante assolo di chitarra. Aprì la bocca e gridò, sovrastando la musica: "IO SONO..."
Tutti lo fissarono in trepida attesa.
"L'OMINO..."
Gli sguardi di tutti tremarono lievemente. La musica cessò all'improvviso e l'uomo sorrise sornione.
"Di mai."

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Capitolo 11
*** Discorriamo un po' Insieme... ***


Le due entità astratte rimasero immobili nell'immensità vuota del Mondo di mai.
L'una, il sinolo di Bene e Male, la loro unione più intima e assoluta, che racchiudeva in sé i  loro segreti e le loro verità, cercava qualcosa che distogliesse l'attenzione dell'altro, la personificazione della Paura, del Terrore, di ciò che porta alla morte per quanto è devastantemente terrificante. 
Il primo, Unlegal, non aveva corpo. Era pura entità, aleggiava nell'aria senza esservi presente davvero. Era ridotto ad un semplice pensiero, immutabile, eterno, assoluto. L'Omino di mai, insieme a Parsifal e all'esercito di Rovine, aveva distrutto il suo corpo terreno con una potenza così grande da impedirgli di ricostruirlo prima dei prossimi diecimila anni del Mondo di mai, corrispondenti a quasi tredici miliardi di anni nella Realtà. Magari per un Supremo qualsiasi un lasso di tempo simile sarebbe stato nulla, dopotutto il tempo non li influenzava per niente. Ma Unlegal non era un Supremo qualsiasi. Lui era il più "mortale" di tutti.
Al contrario di Nero, che, ancora nel suo corpo, le mani dietro la schiena avvolte al lungo bastone di quercia lucida e scura, teneva le labbra sottili e pallide strette, gli occhi corrugati e i tendini del collo che vibravano di rabbia. Lui non era mortale. Proprio per nulla, eccetto quando si infuriava. Allora sembrava più che altro un bambino viziato e iper-vendicativo, che faceva di tutto per far pagare cara qualsiasi cosa gli avesse causato un accesso di furore. Certo, farlo arrabbiare era più complesso di quanto sembrasse, ma quella volta l'Omino aveva davvero esagerato. Aveva toccato una delle poche persone per cuui Nero non solo provasse vero affetto, ma addirittura rispetto, una cosa che lui non concedeva che a pochissimi eletti.
I due Supremi rimasero immobili, statici nel buio del tempio in stile classico che era la dimora di Unlegal.
"Che ti dice la testa, Nero? Hai combinato un bel casino!" sbottò infine la voce profonda e tonante del Male.
"Che mi dice la testa? Stolto! Idiota! Che dice a te, piuttosto? Metterti contro l'Omino senza che io potessi aiutarti! Non hai pensato per un istante che sarebbe andata a finire così? Sapevi bene che non solo eri in inferiorità numerica, ma le tue limitazioni erano e sono troppo ingenti perché tu possa scontrarti contro un'Anima Grande e un Ente di Differente Condizione di Esistenza." rispose acido Nero, battendo la punta del bastone sul terreno coperto di polvere.
"E chiamaci Supremi! Tanto ormai lo fanno tutti!"
"No, non azzardarti nemmeno ad ipotizzare che io chiami noi, che siamo ben diversi da stupidi Supremi, creature rozze di un Mondo in cui un moccioso ha trovato un orologio patetico che lo muta in forme di vita aliene, proprio come quegli esseri rozzi e primitivi."
"Rozzi, primitivi, bah, sono certo più avanzati di te che ancora ti ostini a leggere libri cartacei invece di sfruttare le nuove tecnologie!"
"Non cambiare argomento. Hai fatto una cosa stupida, ma stupida come poche altre azioni nel corso della storia lo sono state! Hai mandato quei mocciosetti da Enti che non li aiuteranno mai. Adreus, Lyram, per non parlare di Agonia! Cosa ti fa pensare che li supporteranno? Sarà tanto se Adreus non li sbudellerà prima ancora che possano anche solo riconoscerlo! E se anche sopravvivessero a quella serpe, Agonia li spellerà vivi! L'unico di cui, STRANAMENTE, non mi viene da preoccuparmi è quell'inetto di Lyram, ma solo perché la sua intelligenza è così sviluppata da renderlo addirittura più intelligente di un sasso!"
La Paura imprecò, voltandosi e mettendosi a camminare in cerchio con una certa agitazione. Unlegal lo fissò, cercando di trattenersi dal tirargli uno schiaffo. Era pur sempre nel Mondo di mai, lì non gli serviva certo un corpo per colpire chi voleva.
"Sono certo che sopravvivranno fino al momento in cui arriveranno a te! Per allora dovresti prepararti ad aiutarli, invece di stare qui a borbottare come un gufaccio incarognito." disse infine, a denti stretti.
"Oh, e perché mai? Ancora nutri fiducia nei nostri fratelli e sorelle? Gli Enti non meritano fiducia! Mi stupisco perfino del fatto che tu voglia affidarti a me per la salvezza di questo Mondo che, francamente, potrebbe benissimo sprofondare nell'Abisso e li morire nel dolore e nell'oblio."
"Tu avrai perso fiducia nei Supremi" Unlegal calcò il tono su quel Supremi, sapendo di far arrabbiare di più il fratello minore "Ma io no! Tu avrai deciso di rimanere da solo. Al contrario, e qui, se permetti, sta la mia superiorità rispetto a te, io mi sono impegnato per tenerci uniti, per intrattenere relazioni amichevoli tra di noi. Così mi sono costruito alleati fedeli, invece che nemici, come hai fatto tu, caro il mio fratellino."
Nero storse la bocca, stringendo la presa sul bastone, che scricchiolò.
"Vedi" seguitò Unlegal con un po' più calma "Io ho semplicemente chiesto ad Adreus, Lyram e Agonia il loro aiuto, come ora lo sto chiedendo a te. Non pretendo che loro combattano Blaso, so che nessuno di loro troverebbe il modo di sconfiggerlo. Invece tu, scommetto, hai già mille mila modi in testa per sbarazzarti di lui. Correggimi se sbaglio."
"Quindi avresti semplicemente chiesto agli altri Enti di aiutare i mocciosi ad arrivare a me? E che poi io li aiutassi attivamente a sconfiggere quel pazzo della Pazzia?" chiese irato Nero, sempre dando le spalle al fratello maggiore.
"Certo. In questo modo quei poveretti avranno modo di ritrovare la ragazza, di ottenere i doni dai Supremi, in modo da potenziarsi, e poi tornare a casa sani e salvi col tuo prezioso aiuto."
La Paura si voltò. Sul suo volto era impressa tanta pietà quanta ne ha il leone che divora la gazzella. Lo sguardo freddo del piccolo uomo che si trovava ad affrontare l'immenso essere immateriale avrebbe gelato il sangue perfino al più spietato degli assassini, per tanta e tanto grande gelida fermezza che vi era imprigionata.
Quello sguardo, che sapeva terrorizzare tutti, che nemmeno gli altri Supremi sopportavano a lungo e temevano, era invece ben sostenuto dagli occhi inesistenti di Unlegal.
"Usare il tuo potere su di me non ti aiuterà molto." disse con tono duro il Male. "Dovresti sapere che su di me non ha effetto. Sono il tuo mentore, del resto. Non puoi spaventarmi."
"Tu credi" iniziò Nero, facendo una breve pausa, per poi riprendere con voce divertita "Che io aiuterò quei piccoli uomini?"
Unlegal restò interdetto.
"Certo, anche tu vorrai che l'Omino fallisca e Every ritorni, dopotutto."
La Paura sorrise affabilmente.
"Certo che no."
Unlegal avrebbe sgranato gli occhi se ne avesse avuti. Un rombo di tuono scosse il cielo al di là del tetto del tempio. La terra iniziò a tremare, roboantemente empita del potere più oscuro del Male in persona.
"Di che stai parlando?!" tuonò Unlegal. Vapori mefitici avevano preso ad innalzarsi dalle fratture del terreno che la scossa sismica avevano aperto. La coltre vibrava, si contorceva, pervasa da scosse violacee. Il vento ululava fortissimo. E Nero sorrideva incurante dei frammenti di ghiaccio che avevano preso a cadere dal cielo, intrappolati nel vento e tramutati in proiettili che perforavano mura, colonne, il corpo stesso dell'oscuro signore. In mezzo a quel cataclisma, sembrava che gli elementi naturali si spostassero atterriti dalla presenza di un essere mostruoso ed etereo, tanto che tra i vapori e la grandine era quasi visibile la sagoma di un essere a sette braccia, grande quanto un albero secolare. Un bagliore viola più scuro delle saette che crepitavano nel mezzo della tempesta sollevata dal potere del Supremo del Male, abbagliava l'uomo vestito di nero.
"Non volevo nemmeno immaginare che tu fossi deciso ad imboccare quella strada, signor Nero!" gridò la voce di Unlegal, divenuta più profonda e potente, che sembrava provenire ora da un luogo, ora da un altro.
"Ahi, si è infuriato." commentò tranquillamente la Paura, a proprio agio pure in mezzo all'accanita furia del suo stesso simile.
"Come puoi anche solo ipotizzare che quello che vuoi compiere sia giusto? Come puoi sperare che porti del bene?! Nero, dannazione! Non ti insegnai a guardare al bene dei molti, piuttosto che a quello dei singoli?!"
"Diamine, si, mi hai imposto la stessa manfrina sul milione di volte e fidati, sei riuscito ad inculcarmi in testa un'idea ben precisa, ma vedi... Quello a cui ambisco è il futuro migliore possibile." replicò pacatamente Nero, sorridendo.
Unlegal gridò di rabbia.
"Il migliore possibile?! Stai cercando di far morire miliardi di creature!"
"Suvvia, come sei drammatico" La Paura sospirò "Sto solo cercando di usare ordini sbagliati a cui non posso sottrarmi per raggiungere scopi migliori. Ovviamente per farlo devo correre qualche rischio. Non tutte le strade possibili, imboccato il bivio che mi hanno obbligato a raggiungere, portano alla catastrofe."
"Obbligato? Ordini sbagliati? Chiarisciti."
Nero si poggiò pigramente sul bastone di quercia. "Un nostro comune amico, che tanto influsso ha su di me, mi ha dato direttive ben precise. Pare che l'abbandono del caro Every abbia sconvolto molte persone e, purtroppo, le stesse leggi che tu hai tanto insistentemente voluto inculcare nella nostra esistenza mi obbligano a fare quello che sto facendo. Ho le mani legate a procedere verso la fine del mondo. Quanto meno sto cercando di porre qualche pezza qui e là dove mi sia possibile. Apprezza lo sforzo."
Il Supremo etereo si fece più cheto, pur tenendo la guardia alta. "Quanto conti di poter fare per fermare questa pazzia, dovendo essere tu stesso a portarla avanti?"
"In realtà ho già un piano in mente. Sarà una partita interessante. Dovrò lottare contro un avversario finalmente stuzzicante che, guarda caso, sono io stesso. Fidati di me, Unlegal, saprò evitare la morte universale. Quello che però non posso evitare ora è che qualche piccolo uomo soffra. Sono certo che capirai." fece la Paura, sollevandosi in tutta la sua notevole altezza. La longilinea figura tremolò, mentre un ghigno affabile, uno schiaffo in faccia morale bello e buono, gli si stampava in volto. "Deh! Vedo che ti sei ripreso perfettamente! Ora vado. Importanti impegni mi attendono. Devo ritardare il processo in corso, devo... Farmi odiare. Come sempre, del resto. Tutti odiano Nero, già... A rivederci, fraterno amico."
L'umanoide si voltò, iniziando ad allontanarsi a con grandi e calmi passi che poco a poco lo facevano sprofondare nel terreno fino a lasciare di lui solo lo sbiadito ricordo di una macchia di catrame sul terreno. La tempesta si chetò e Unlegal emise un sospiro di tristezza.
"Perché devi sempre essere tu il capro espiatorio, fratellino?" mormorò. Iniziò a rattrappire la sua essenza per cadere in un letargo auto-indotto rigenerativo. Prima di spegnersi e di perdere la propria individualità, pensò a quanto fosse orribile cercare di salvare qualcuno che inevitabilmente ti avrebbe visto come un mostro.
 
"Forza, per di qua!" la incitò Murmure.
Giuly perse la presa e cadde. Il dirupo su cui si erano rifugiati, una montagna sparuta distante qualche kilometro dalla città, era immerso nel bel mezzo di un desertico nulla. La vista del cielo plumbeo sarebbe stata mozzafiato se non fosse stato per le folate di vento e gli appigli precari che risucchiavano costantemente tutta la tua attenzione sul percorso accidentato. Il pesante mantello di Murmure, che le aveva dato per sopportare il freddo, era già volato via da un pezzo.
La ragazza rimpianse le sue ali d'angelo. Le avrebbero fatto comodo, soprattutto in quel momento in cui si trovava a qualche centinaio di metri da terra, su uno strapiombo, intenta a pensare alla sua vita mentre cadeva bellamente senza freni. Sarebbe morta? Poteva provare ad usare i suoi poteri. Del resto lei controllava quattro degli otto elementi esistenti. Sempre che in quell'universo non ne esistessero altri, ovvio. Chiuse gli occhi viola intenso e cercò di plasmare con la mente uno scivolo d'aria che la rallentasse fino ad una corrente ascendente. Per tutta risposta, una folata le diede uno schiaffo sulla guancia. I suoi poteri erano out, caput, morti. Sarebbe morta di certo, allora. Perfetto! Il suo sogno si avverava, crepare in un deserto, con la sola compagnia di un uomo di mezza età più agile di lei, con un carinissimo mocherino al posto di un braccio. Meraviglioso davvero.
Stava facendo testamento mentalmente, progettando di andare a tormentare Shruikan una volta divenuta fantasma, quando si sentì strattonare. Fu orribile. Si sentì come agganciata per l'ombelico e trascinata verso l'alto. Non faceva, in realtà, male, però era stranissimo. Vide sé stessa caderle incontro decine di volte, più simile ad uno sbuffo di fumo che ad una ragazza vera, mentre la parete rocciosa le scorreva in parte dalla direzione sbagliata, fino a che non si trovò di nuovo appesa nel punto in cui si trovava poco prima di precipitare. Stesso sasso sporgente a punta con cui si era graffiata il palmo, stessa sporgenza di pochi centimetri su cui mettere un piede, stesso spunzone di roccia friabile che presto avrebbe ceduto. La sorpresa di essere di nuovo lì le fece perdere la presa prima ancora che lo spunzone si staccasse di sua propria volontà. Barcollò cercando di mantenere l'equilibrio roteando le braccia e per poco non cadde di nuovo. Se non che Murmure si sporse verso di lei da un ripiano poco distante che aveva raggiunto chissà come, e le afferrò un braccio, tirandola su con poca fatica.
"Dovresti fare più attenzione, mia cara." borbottò, rimettendosi in piedi e guardando la cima. "Forza, riprendiamo."
Lei lo guardò esterrefatta risalire con baldanza giovanile e sicurezza la parete rocciosa. Aveva una maestria impareggiabile, come se scalasse montagne ben peggiori di quella da tutta la vita. Inoltre si portava dietro lo spadone, che doveva essere bello pesante, come se nulla fosse.
"Aspetta! Che è stato... quello?" gli gridò.
Murmure non si fermò.
"Andiamo, non c'è tempo. Le Rovine ci staranno cercando."
"Come sarebbe... Aaahh! Che rabbia! Suvvia, una spiegazione, piccola piccola. Ti prego!"
"Muoviti."
Tassativo come un giudice, l'uomo prosguiva la scalata e ormai era così distante che il vento non le permetteva di comunicare con lui. Lei mise su il broncio e lo seguì, cercando di tenergli dietro a fatica.
Dopo qualche altro sbuffo e parecchi metri di scalata infernale, la ragazza giunse finalmente sul cucuzzolo del promontorio. Il vento fischiava impietosamente intorno a loro, facendo roteare le nubi che, vista l'altezza, li circondavano con la loro cappa grigiastra, bagnandoli in viso e costringendoli a tenere gli occhi socchiusi.
"Perché siamo qui?! Non mi pare ci sia nulla di interessante!" gridò la ragazza, stringendosi con le braccia per scladarsi.
Murmure si mise in ginocchio e trcciò dei segni con dito nella neve. Fissò cupo il cielo quasi si aspettasse che comparisse un dragone cinese che li divorasse, loro, il vento e la montagna, con un sol morso.
"Ci hanno bloccati. Dannazione!" imprecò, avvicinandosi al bordo dello strapiombo.
"Cosa? Chi ci ha bloccati? Ci ha bloccati come? Che sta succedendo?!" strepitò Giuly. La situazione la stava mandando ai pazzi. Era sperduta nel nulla, in compagnia della persona più prolissa del mondo e, come se non bastasse, nessuno aveva la compiacenza di dirle nulla! Ok, un tizio di nome Blaso o giù di lì stava cercando lei per trattenerla come ostaggio. Ok, le aveva scatenato contro un esercito di bestioni in frac con un occhio solo e una bocca grande quanto una betoniera. Ok, un tizio l'aveva salvata. Ma perché non le diceva dove stavano andando, dove fosse l'uscita da quell'inferno, sempre che ce ne fosse davvero una, o perché l'amico che Murmure aveva nominato un paio di volte sovrappensiero non veniva ad aiutarli?
"Forza, dobbiamo scendere." disse cupo l'omone, apprestandosi a ripetere il cammino al contrario.
Giuly sgranò gli occhi.
"Stai scherzando?! Mi hai fatto davvero venire qui per niente?!"
Non ricevette risposta. Di nuovo. A quel punto mamma pazienza venne meno e subentrò la rabbia. Gli si avvicinò a passo deciso e gli afferrò la spalla con una mano, tirandolo verso di sé. Lui mugghiò per il dolore. Giuly non capì subito, ma poi, guardando meglio dove aveva messo la mano, impallidì.
"S-scusami..." mormorò contrita, ritirando la mano e fissandola come fosse imbrattata di sangue. Murmure si alzò in tutta la sua altezza, tenendosi il moncherino che lei gli aveva stretto con la mano, massaggiandolo. Uno strano liquido violaceo fuorisuciva dal cappotto. Aveva un'espressione terribilmente seria e i suoi occhi così duri erano una pugnalata al cuore della ragazza. Non voleva fargli del male, non sapeva che avesse... qualcosa di doloroso alla spalla. Quando lo aveva toccato aveva sentito qualcosa di freddo e innaturale, come una sorta di ragnatela metallica premere contro il suo palmo. Presa dall'impeto non ci aveva dato nemmeno peso e aveva stretto.
L'uomo rimase fermo a fissarla, terrificante, per pochi secondi, addolcendo poi lo sguardo.
"Tranquilla. Non potevi sapere che questa carcassa" disse, dandosi un colpetto sulla spalla malandata "avesse un problema alla spalla."
Quando vide che le sue parole non sortivano effetto e lei ancora fissava il terreno, abbozzò un sorriso e le alzò dolcemente il viso con la mano ruvida.
"Suvvia, fammi un sorriso." la incoraggiò.
"Ti... ti ho fatto male? Non... Non mi piace fare del male..."
"Tranquilla, è tutto apposto. Tutto apposto. Piuttosto, avevi delle domande?"
Giuly si sforzò di sorridere.
"S-si, ma... non sono importanti. Adesso è meglio scendere, no?"
Murmure rimase un secondo in silenzio. Si guardò intorno, scrutando il cielo ancora una volta, sospettoso, simile ad un segugio che però non caccia, ma si nasconde.
"In realtà abbiamo tempo, però ho pensato che parlare qui, al freddo, sarebbe stato poco saggio. E se ti stai chiedendo perché allora siamo saliti fin quassù, è molto semplice. Un mio amico, quel Nero di cui ti parlavo, avrebbe dovuto aprirci un portale per il suo mondo privato. Lì sarebbe stato semplice fuggire nel Nulla e da lì raggiungere la tua Realtà di origine. Sai, l'influenza di Blaso blocca ogni tipo di teletrasporto o mezzo di spostamente rapido, oltre alla stragrande maggioranza di poteri sfruttanti l'energia. In sostanza, è impossibile uscire dal pianeta stando a livello del terreno. Ma quest'influenza non si estende ovunque. Salendo in altezza, per esempio, avremmo potuto scappare. Ma, a quanto pare, qui siamo ancora troppo in basso."
Giuly annuì. Risposte. Non poteva certo negare che quelle inforazioni non le fossero care. Ma la prospettiva neonata di essere ingabbiati lì, non la eccitava.
"Quindi ora che faremo? Se non possiamo scappare allora..."
"Tranquilla. Ho i miei metodi. E anche Nero li ha. Dobbiamo andare ad un vecchio punto di raccolta dei Supremi, è un luogo in cui, per convenzioni antiche come il cosmo, i Supremi non possono imporre barriere. Da lì dovremmo essere in grado di raggiungere un luogo sotto il controllo di un Supremo diverso dall'Omino."
"C'è sempre un ma, quando la situazione è così." commentò Giuly.
"Il problema ora è raggiungere quel luogo. Le Rovine ti cercano. Io ho un minimo di influenza qui. Dovrei essere in grado di nasconderti per un po', ma con tutto l'esercito mobilitato da Blaso sarà dura. Questo mondo pullula di quelle macchine da guerra, ormai..."
Giuly deglutì. Il ricordo di quei mostri, della loro insensata crudeltà... L'avevano catturata e, seppur dovessero tenerla in vita, l'avevano torturata fino a farle perdere i sensi. Una lacrima le scese lungo la guancia, cristallizzandosi in un fiocco di neve.
Murmure le mise la mano sulla spalla e le sorrise paternamente.
"Andrà tutto bene. Ti proteggerò a costo della vita." disse, avviandosi poi verso il costone.
Chissà perché, quelle parole le davano solo un senso di tristezza e inquietudine.   

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Capitolo 12
*** Perché un Generale non Basta ***


"Uccidilo!"
"Prendilo!"
"Fallo fuori!"
"Ho fame!" furono le grida concitate che seguirono alla rivelazione dell'uomo in calzamaglia riguardo la sua identità. Lucas sprigionò una fiammata diretta contro il suo volto sghignazzante mentre il Kishin e Victus si scagliavano contro di lui con le falci spianate. Gyber caricò un pugno che brillò di luce da tanta energia ci stava mettendo dentro. Litios armò il braccio, che divenne sempre più sottile e lungo, sempre più simile ad una lama ricurva dall'aspetto poco rassicurante. Lelq armò la pistola a pentagramma e sparò tre colpi in rapida successione con doc alle spalle che impose le mani al cielo e creò un grosso spuntone di adamantio che lanciò come un giavellotto spropositato. Donatozzilla si ingigantì, mettendosi a guardare l'orizzonte in cerca di qualche taverna in cui poter finalmente pasteggiare.
Il tizio in calzamaglia rise e poi, schioccando le dita, svanì. La fiammata di Lucas, i colpi musicali di Lelq e l'adamantio di Mirrus si schiantarono con fragore, bagnando di luce tutti i ragazzi. Shruikan e Victus incrociarono per errore le falci e caddero a terra di schiena. Dz continuò a cercare cibo.
Lo strano individuo riapparve a mezz'aria, le braccia conserte ed un ghigno perverso in volto.
"Siete buffissimi! Ah! Credete davvero che io sia il grande Blaso, costruttore di tutto ciò che esiste e non solo? Custode del terzo nome?" Scoppiò a ridere. "Siete proprio dei novellini qui! AHAHAH! Dovreste vedere le vostre facce!"
Tutti lo fissarono. Litios inarcò un sopracciglio. Victus lo guardò senza dar segno di sgomento o qualsiasi altro tipo di emozione. Gyber sbuffò come un mantice, il pugno ancora carico e il desiderio di usarlo sulla testa di qualcuno persistente. Lelq e gli altri erano diffidenti. Dz iniziava a mugolare disperato: non c'era cibo.
"E allora chi saresti, di grazia?" chiese nervosamente Litios, che stava perdendo la pazienza.
"Rispondi. In fretta. O ti taglio a metà, poi in quarti, poi in ottavi e così via a costo di usare un microscopio per individuare le tue molecole e dividerle!" sbottò Shruikan, piantando la falce a terra, pronto a creare uno scudo di sangue intorno alla squadra in caso di necessità.
Il tizio sogghignò ancora più convinto.
"Mi chiamo Rubens, sedicesimo generale delle Rovine, servitore del grande signore Adreus. Piacere. E a giudicare dallo spostamento d'aria crescente, dall'urlo disumano che voi non riuscite a sentire ancora e dalla grande carica di rabbia repressa che sta arrivando dalle vostre spalle, Uroi mi ha trovato. Scusate gente, devo schivare il pugno che ha ucciso più di mille divinità."
detto questo scomparve di nuovo. Il gruppo si guardò basito.
"Ma che cavolo..." bofonchiò Lucas.
"Tutti i pazzi svitati toccano a noi, ragazzi, arrendiamoci all'evidenza." disse sorridendo sconsolato Doc.
"Aspettate però." li fece tacere Lelq alzando una mano e sollevando lo sguardo al cielo. "In effetti inizio a sentire qualcosa."
"Vero." gli fece eco Litios.
"Pure io." seguitò freddamente Vincent.
"Datemi... Un... Biscotto... Non chiedo molto!" implorò Dz, tornando normale.
Una brezza leggere iniziò ad investirli. Poi la brezza divenne un vento sostenuto. Poi una piccola tromba d'aria. Poi un uragano. Poi la corrente era così forte da obbligarli a sorreggersi a vicenda.
"Che sta succedendo?!" gridò Lucas per farsi sentire. Ma era inutile. Il tornado era così violento da disperdere la sua voce prima ancora che uscisse dalla gola. Oltretutto nell'infuriare della tempesta iniziava a farsi strada un grido prepotente così forte da tappar loro le orecchie. Era una voce femminile, tonante, rabbiosa.
Mentre tutti cercavano di resistere alle folate impietose, un lampo saettò in mezzo a loro. Fu come un fulmine a ciel sereno, apparve e scomparve subito dopo. E, qualche millesimo di secondo dopo, una figura apparve in mezzo a loro, sbattendo i piedi sul terreno. L'impatto fu devastante, causando una scossa tellurica che sradicò tonnellate di roccia e terra dal suolo e frantumò la barriera del suono, assordando tutti per qualche istante. L'onda d'urto generata dal solo sbattere di piedi della donna bestiale che si era appena mostrata con tanta furia ai loro occhi scaraventò via l'uragano di poco prima, riportando la calma. Quando tutto quel trambusto si fu placato, la Lucas Force ebbe modo di rialzarsi dolorante. Adesso il terreno, poco prima piatto a perdita d'occhio, era increspato dai detriti sollevati dalla donna, che si innalzavano anche di qualche centinaio di metri tutt'intorno come denti di squalo. E, nel centro, circondata da un cerchio di circa due metri di diametro di terreno intatto, si ergeva la figura imponente dell'umana che aveva devastato il paesaggio in un raggio di qualche centinaio di kilometri.
Era alta, aveva muscoli che parevano d'acciaio e un collo taurino che dava l'impressione di essere indistruttibile su cui svettava la testa fiera e coperta di tatuaggi di un verde palude. Due spalle possenti dalla forza di un dio ciascuna le sorreggevano le braccia, veri e propri tronchi d'albero che avrebbero potuto tranquillamente spaccare il diamante. Le gambe erano un guizzare di muscoli perfettamente definiti e quasi strabordanti sotto la pelle d'ebano che li ricopriva. Un body builder sarebbe parso come uno stuzzicadenti al confronto. I suoi occhi fieri e irrequieti erano formati da tre cerchi concentrici di tre tonalità diverse di verde. Il capo era incorniciato da lunghi capelli raccolti in trecce e legati in una lunga coda di cavallo che le fluttuava selvaggia dietro la schiena granitica. Sorrideva gustando lo scenario a testa alta, i pugni, sulle cui nocche erano tatuate le lettere HATE LOVE, erano serrati sui fianchi.
Si accorse solo dopo qualche istante dei ragazzi che goffamente cercavano di rimettersi in piedi, ancora troppo destabilizzati da tutta quell'energia che li aveva travolti così di getto. Randor era l'unico a non avere problemi, insieme a Gyber. Ma se il secondo fissava con odio la nuova arrivata, saggiando le dita come se fosse in procinto di aggredirla, il primo cercava timidamente di aiutare i suoi compagni. Mirrus stava vomitando l'anima (che non aveva), mentre Lelq fissava il cielo chiedendosi se fosse possibile chiedere il risarcimento per i danni all'Omino di Mai, una volta finita quell'avventura.
"Ehy!" gridò Rubens, riapparendo all'improvviso dietro a Gyber e dandogli una pacca sulla spalla che, sia per la forza sovrumana dell'uomo che per il fatto che avesse colto alla sprovvista il lord, lo fece ruzzolare giù dalla piccola montagnetta su cui era abbarbicato. Rubens lo fissò con aria colpevole e mormorò un "Ups!", per poi alzare lo sguardo sulla donna e sogghignare.
"RUBENS! Che fai qui? Sai che il signore Adreus ci ha detto di non immischiarci." gridò la lei, alzando lo sguardo su di lui che si mise a ballare la cucaracha ridendo come un matto. Una musica rilassante si diffuse nell'aria, facendo vibrare i detriti e facendoli diventare istantaneamente sabbia. Il suono ebbe effetto anche sui membri della Lucas Force che si sentirono subito meglio e si risollevarono per osservare i due tizi.
"Ragazzi, vi presento la diciassettesima generalessa delle Rovine, Uroi Encarten, la forza del Mondo di Mai!" disse Rubens, voltandosi verso i ragazzi.
"Bhe, molto piacere miss..." fece per presentarsi cordialmente il loro leader, che però fu preso per una spalla da Gyber e fatto cadere a terra. Il lord era abbastanza alterato, tanto che non ci pensò due volte e caricò un pugno coperta dall'ambizione e avvolto da ogni potere elementale, avvolgendo poi il tutto nell'aura del potere del frutto gura gura.
"MUORI!" gridò, gli occhi rossi di natura ancor più iniettati di sangue e cattiveria in quell'affondo letale che non avrebbe certo mancato il bersaglio.
Uroi, la donna, vide il giovane lord caricare e sorrise compiaciuta.
"FORZA! VOGLIO CHE TU MI COLPISCA PIÙ FORTE CHE PUOI!" gridò percuotendosi il petto muscoloso con due pugni, per poi mostrare il corpo difeso unicamente dal vestito da sacerdotessa verde e marrone scuro, pronta a ricevere l'attacco.
Gyber, galvanizzato dalla provocazione, non se lo fece ripetere due volte e potenziò ulteriormente l'attacco, gonfiando il braccio e attivando il gear fourth, per poi aggiungere la forza di saitama ed entrare nella versione super sayan di quarto livello divino.
"TU CI ATTACCHI ED IO ATTACCO TE!" gridò il lord come se volesse dare una spiegazione delle sue azioni a sé stesso più che agli altri, come se volesse darsi sicurezza su quanto stava per compiere, quasi non fosse certo dell'esattezza dei suoi intenti.
Arrivò di fronte ad Uroi, trascinandosi dietro un vortice di pura energia invisibile che distrusse il terreno creando un cono di arenaria arsa e divelta dietro di lui, per poi fare forza con la schiena e le gambe e colpire duramente sullo sterno la donna che lo sovrastava di una buona ventina di centimetri e che, in quel momento, lo aspettava a braccia aperte sorridendo con aria di sfida. Il pugno creò una spaccatura nel tessuto della realtà che si propagò dalle spalle di Uroi per diverse decine di metri prima di destabilizzarsi e svanire. Un altro terremoto, ancor più forte del precedente, ma non accompagnato da alcun disastro naturale, scosse il panorama, facendo vibrare perfino l'aria così forte da far sembrare che in realtà tutto fosse fermo.
Ma Uroi era rimasta immobile, impassibile, intaccata. Fissava Gyber con disappunto e delusione, come se segretamente avesse sperato di poter subire un danno considerevole da quell'attacco.
"Ed è questo il tizio che il grande e potente Adreus, l'invincibile inabissatore di mondi, ha scelto come predestinato a ricevere il suo grande potere?" chiese voltandosi verso Rubens che, al contrario di lei, era rimasto stupito dalla forza incredibile che il ragazzo aveva sprigionato con un solo colpo. Un pugno del genere avrebbe di certo ucciso un dio. Ma non della serie ucciso e ridotto ad anima. No, raso al suolo, annientato, annichilito, reso un niente. Un pugno del genere rasentava il potere di distruzione della luce viola dei Supremi e delle Rovine, sebbene in forma molto depotenziata.
"Cavolo, Uroi, guarda che non è proprio malaccio. Guarda quanta energia ha rilasciato." commentò, scrutando negli occhi dell'albino che, invece, si fissava la mano stupefatto, non consapevole di poter sfoderare così tanti poteri diversi in una volta sola senza incorrere in una trasformazione. Cercò di muovere le dita, ma scoprì che si era spezzato tutte le ossa di mano ed avambraccio. Al contrario la donna era del tutto illesa. Tuttavia non sentiva rabbia per questo. Era come se con quel pugno si fosse liberato da tutto l'odio che aveva in corpo ed ora provasse una calma senza precedenti.
"Bah, portiamolo dal capo. Lui saprà dirci se è lui che voleva vedere. Seguici, antracia. Ti porteremo al cospetto del grande e potente Adreus." disse infine Uroi, congiungendo le braccia sul petto.
"Ehy aspettate un attimo! Qualcuno vuole cortesemente spiegarci che sta succedendo qui? Non potete semplicemente arrivare, fare i vostri porci comodi e poi dare ordini a destra e a manca! Ci sono regole da rispettare! Come la normale regola di gentilezza che invita le persone ad avvisare prima di causare una catastrofe naturale! PER DIRNE UNA!" esclamò Lucas, allargando le braccia spazientito.
Uroi lo fissò con aria assorta.
"Tu, piccolo angelo. Tu hai qualcosa dentro, ma non riesco a capire cosa..." borbottò "Qualcosa che quel giovane lì ti ha rubato molto tempo fa." concluse indicando Lelq, il quale la fissò spalancando gli occhi stupito.
"Cosa gli avrei rubato io?" chiese, ma Rubens si intromise a forza nel discorso sorridendo lievemente in imbarazzo.
"Niente, niente! Comunque, il biondino ha ragione, dobbiamo parlare di affari!"
"Ancora?" chiese seccato il Kishin che di affari ne aveva piene le tasche.
"Noi siamo i due generali delle Rovine al servizio del grande e potente signore Adreus. Vedete, ogni Ens, o meglio, Supremo, come li chiamate voi, ha al proprio servizio una o più creature. Almeno, alcuni Entes, cavolo, volevo dire Supremi, hanno dei servitori. Ogni servitore fa parte dell'esercito delle Rovine, di cui è generale. Ci sono ventuno generali. Avrete già conosciuto Legacy, terza generalessa. Vi sono poi tre GrandAmmiragli, di cui avete avuto modo di conoscere solo il più potente, Parsifal."
Uroi si schiarì la gola e aggiunse "Il musicista e il mezzo morto" indicò Lelq e Vic "hanno conosciuto anche Gioyglory."
L'altro la fissò un attimo inespressivamente, poi continuò imperterrito: "Già. Gioyglory, l'ala guaritrice del Mondo di Mai. Conoscerete più tardi, penso, Gwenn Vanescense, la lady ardore del Mondo di Mai... Beati voi..." si fermò un attimo con aria sognante, tracciando con le dita la sagoma di una ragazza formosa a mezz'aria e sbavando leggermente, facendosi riportare coi piedi per terra da un pugno ben assestato della donna forzuta "Si! Magari, se incontrerete il grande e potente signor Nero potrete conoscere il suo maggiordomo, ventesimo generale delle Rovine, Fizzgerad, il bianco titano del Mondo di Mai. Comunque, io e Uroi abbiamo ricevuto ordine di trovarvi e prelevare coloro che fossero propensi ad accettare il potere del grande e potente signore Adreus. In sostanza porteremo da lui quelli di voi che non sono stati danneggiati dall'attacco di Uroi di poco fa. Il grande e potente signore Adreus li valuterà e, se li riterrà degni, darà loro i suoi poteri, così come il grande e potente signore Unlegal ha fatto per voi due." disse, indicando Litios e BlackClaw, che sentirono la carta donatagli dal Supremo del Bene e del Male diventare più calda nelle loro tasche.
"Ottimo. E chi sarebbe degno di andare da questo tizio?" chiese con fare spiccio Lelq, avanzando di un passo con aria di chi ha una fretta indiavolata. Tanto valeva assecondarli, se questo significava arrivare più vicini a Giuly.
"Lui, ovviamente" disse Uroi indicando Gyber "E..." spostò lo sguardo su Randor. Il ragazzo, che fino a quel momento era rimasto zitto, in disparte, timidamente, si fece piccolo piccolo sotto quello sguardo così penetrante "Tu."
"Cos'ho fatto di male?" piagnucolò, aggrappandosi al braccio di Lucas che si mise subito di fronte a lui con fare protettivo.
"Ehy, se non vuole venire però non vie..." fece per dire il leader, facendo lampeggiare gli occhi con un bagliore d'incendio poco promettente. Peccato che Uroi fosse di tutt'altro avviso. Con una rapidità sorprendete, tale che nessuno dei presenti la vide per quale istante, si mosse contro i due ragazzi, spostando con una leggera spinta il biondo e afferrando per la collottola il pallido Randor che si mise a guaiolare cercando di farle perdere la presa.
"T-ti prego, no! Se mi agito io... divento..." uggiolava impaurito, ma la donna non aveva orecchie per starlo a sentire. Aveva solo un'espressione terrificante di determinazione stampata in volto.
"Tu verrai con noi." sentenziò gelida "Perché l'ho detto io."
I membri della Lucas Force si misero di nuovo in posizione d'attacco. Stavolta anche Donatozzilla lì imitò, allungando i suoi terribili artigli.
"Ti ha detto di lasciarlo andare." sibilò Lelq.
Shruikan ringhiava come un lupo affamato, ma esitava, non attaccava subito come avrebbe fatto prima del loro arrivo in quell'universo. Era più... cauto. Gyber sbatté i pugni, infondendoli dell'elettricità di tutti i Pokemon di tipo elettrico, avanzando deciso, accompagnato da Litios che aveva tramutato una mano in lama grigia e aveva estratto un lanciagranate modificato. Mirrus aggirò i due generali delle Rovine e creò un cerchio di adamantio, posizionando alcuni frammenti di materiale intorno all'area segnata. Vincent estrasse la falce, ma restò immobile, aspettando.
Dal canto suo, Uroi non si preoccupava minimamente di loro. Non li degnava nemmeno di uno sguardo, concentrata com'era sul tenere a un metro di altezza dal suolo il povero Randor che continuava a dimenarsi, iniziando ad emettere una strana nebbiolina di un blu scurissimo da tutto il corpo. Rubens fissava nervoso ora uno ora un altro, a turno, tutti i presenti, mentre una musichetta in crescendo da film horror lo avvolgeva. Lelq Puntò proprio lui, avanzando lentamente, la pistola puntata dritta sulla nuca. Lo avrebbe colto di sorpresa colpendolo alle spalle.
"Uroi, non è il caso di usare la violenza, se noi..." iniziò l'eccentrico uomo, rivolto alla collega.
"TACI." impose lei categoricamente. "Fa il tuo dovere, tramortiscili. Volenti o nolenti, questi due incontreranno il grande e potente signore Adreus."
"Ma..."
"Fallo e basta."
Rubens abbassò lo sguardo. Quando ebbe rialzato gli occhi tutti poterono notare un improvviso cambiamento nelle iridi. Quelli che prima erano vitali occhi grigi ora erano diventati inespressivi occhi completamente color indica, senza distinzioni tra iride, pupilla o sclera.
"Ave Adreus." sillabò. La musica cessò, lasciando un innaturale silenzio. Poi l'uomo colpì da tutte le direzioni.

Daniel si rialzò tossicchiando. La "leggera spinta" del donnone l'aveva leggermente spinto ad un centinaio di metri di distanza. Quella aveva una forza fisica così grande che anche il più piccolo dei suoi movimenti avrebbe potuto distruggere una montagna, se lo sentiva fin nella spalla lussata che gli aveva appena sfiorato con due dita. Non era un nemico normale. Si sentì inondato dalla stessa spiacevole sensazione che aveva sperimentato durante lo scontro con Parsifal. Paura di non riuscire ad uscirne vivo con tutti i suoi amici d'appresso. Strinse i denti e si poggiò una mano sul petto, in corrispondenza del cuore. Strinse le dita, poi partì a razzo verso il gruppo. Poteva vederlo già da quella distanza, che le cose andavano male.
Un immenso uragano verde aveva avvolto i suoi compagni. Uno stridio che gli fece istantaneamente sanguinare le orecchie lo investì. Cadde in ginocchio coprendosi con le mani inutilmente e gridò. ma nessuno poteva udirlo, coperto dal grido della banshee.
 
Angolo di ME:
 
Ok. No, non è casuale che Rubens abbia praticamente la capacità di Lelq di manovrare il suono a suo piacimento. Solo che Lelq lo fa con strumenti meccanici, Rubens ha un potere più particolare.
Lo spiegherò qui, ora e mai più, quindi occhio a non perdervi la descrizione semi-seria.
Rubens ha la facoltà di manovrare l'energia cinetica. Può muovere le cose, fermarle, far cambiare loro direzione... ogni cosa concerna il muoversi lui lo controlla. Può far muovere gli elettroni e generare fulmini, parare attacchi elettrici, respingere armi e proiettili... In particolare è specializzato nel far vibrare le molecole per produrre, appunto, onde d'urto tra cui rientrano i suoni. A questo si aggiunge la componente psichica, in quanto con le varie melodie può cambiare lo stato d'animo di chi ascolta. Teoricamente potrebbe scomporre il corpo di qualcuno in particelle subatomiche e contenere esplosioni anche ingenti, ma non è addestrato per farlo. Ho scelto i poteri dei generali delle Rovine per il finale della fiction, quindi non spoilero. Ma spero che, se mai arriverò a scriverlo, lo apprezzerete ^^.
CIAAAAOOOOOOO!!!!!
Ev.

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Capitolo 13
*** C'è chi Scende e c'è chi fa Patti col Diavolo ***


La discesa fu, in effetti, più facile. Sembrava quasi che la montagna volesse tirarli a valle. Il vento si calmava ogni qual volta i due si trovassero in un punto particolarmente precario. Li incitava a scendere quando costeggiavano la parete rocciosa.
Lei non aveva più paura. La presenza di Murmure si era trasformata in qualcosa di caldo e protettivo. L'aiutava ogni qual volta ne avesse bisogno, la fretta con cui l'aveva costretta a salire il monte era svanita del tutto.
Ancora, però, la sua mente era affollata di domande. Prima fra tutte, come l'avesse salvata quando, scalando la vetta, era caduta nel vuoto rischiando di sfracellarsi al suolo. In quel momento era stato davvero come se il tempo si fosse piegato su sé stesso e fosse tornato a prima che la roccia cedesse. Inoltre adesso era colta da una curiosità morbosa sulla spalla monca del suo accompagnatore. Pensandoci, si era sempre più convinta che nascondesse qualcosa sotto la manica cucita per nascondere il braccio mancante.
Dannata curiosità, era un argomento privato. Non poteva chiederglielo. Però avrebbe tanto voluto sapere cos'era lo strano reticolo che aveva sentito toccandolo.
Quando toccarono terra, la ragazza si lasciò cadere sdraiata su un grosso masso levigato e freddo, fissando la cima impervia. Aveva scalato una montagna. Senza la giusta preparazione fisica. Senza i giusti mezzi per sopravvivere. In effetti, a ben pensarci, era strano davvero che fosse arrivata tanto in alto e poi fosse ridiscesa senza troppa fatica, tra l'altro senza nemmeno buscarsi un raffreddore per il vento gelido e tagliente.
"Strano eh?" chiese Murmure, che si era appollaiato su un masso poco distante, scrutando l'orizzonte. I resti della città da cui erano fuggiti erano ancora visibili, in lontananza. Quella che doveva essere stata una metropoli gigantesca, stile New York nel suo universo, era stata trasformata ad un cumulo fumante di macerie. Era strano, una costruzione così grandiosa distrutta, spazzata via. Quanta importanza poteva avere, se era stata distrutta con così poco? O forse, la domanda giusta era: quanta malata cattiveria era servita per distruggere tante vite? Se le cose stavano come aveva detto Murmure, miliardi, decine di bilioni di trilioni di vite, un'infinità di esseri viventi, di ogni tipo, erano stati trucidati per i capricci di un demone onnipotente che non aveva di meglio da fare se non radere al suolo un mondo che non era nemmeno suo.
"Cosa?" chiese Giuly "Che qualcuno si diverte a giocare con le vite di tutti? Non è strano. L'ho già visto fare."
"Mi riferivo alla scalata, in realtà. So perfettamente che anche tra i tuoi amici c'è chi non scherza." replicò pacatamente Murmure, senza distogliere lo sguardo dalla città distrutta. Sembrava malinconico.
"Ah. In effetti mi chiedo come io abbia fatto a non ammalarmi." ammise ridacchiando lei, alzandosi sui gomiti.
Murmure rimase in silenzio.
"Blaso ti sta tenendo in vita." disse infine. Secca, come un colpo di pistola dritto al cuore, la frase la colpì, rimbalzando nel suo cervello incapace di comprenderla.
"Cosa? Ma non è lui a darmi la caccia?" esclamò.
Murmure annuì cupo. "Infatti. Ed è lui il primo a volerti viva. Sai, ha punito severamente le Rovine che ti hanno fatto del male."
"Non capisco..."
"Nemmeno io. Non riesco a capire quando Blaso sia diventato... pazzo."
Giuly lo fissò stupita. L'Omino era la follia. Dire che era pazzo era come dire che un cane è un mammifero.
"Non era pazzo sin dalla nascita?"
"Primo, i Supremi non nascono. Esistono, imprescindibilmente dalla Realtà. Quando non c'è nulla di concreto ci sono loro, quando c'è un mondo materiale ci sono loro. Ci sono, non nascono, né si generano o altro. Sono idee. Ma non per questo sono come ciò che rappresentano. Insomma, non si può dire che la Paura sia un fifone, né che la Violenza sia una bestia irragionevole. Anzi, Ruins odia la violenza. Non sopporta che qualcuno faccia del male agli altri, lo detesta. Blaso, beh... è strano, magari insolito o addirittura fuori di testa. Ma pazzo, malato al punto di uccidere così tanto... Era da tempo che non lo vedevo così."
"C'è stato un tempo in cui era buono?"
"Già. Sai, in principio, lui era il più odiato dei Supremi. I suoi simili, con rare eccezioni, lo emarginavano, lo... bullizzavano, al modo in cui entità immateriali ed eterne possono bullizzare qualcuno. Gli avevano fatto credere di dover essere un mostro crudele e sanguinario. Così, per molto tempo vagò nella sua forma originale, ovvero la prima forma materiale che aveva creato per sé, divorando esseri viventi e non, distruggendo senza distinzione. Ma non lo faceva per cattiveria. Lo faceva perché così pensava di rendere felici i suoi simili e che così lo avrebbero finalmente accettato. Ovviamente non accadde mai. Le cose cambiarono quando il capo lo incontrò."
"Il capo?"
"Every. L'originale. Il solo. Era buono, Every. Ed era il mio migliore amico. Lui fu il primo a credere in Blaso. Lo trasformò. Lo rese buono. Insomma, a volte distruggeva ancora qualche galassia, ma lo faceva per sbadataggine. Il fatto che fosse così pericoloso, che ad ogni suo gesto avrebbe potuto radere al suolo il multiverso, convinsero Every a chiudere la maggior parte di lui nel Mondo di mai. Al capo pianse il cuore dovergli fare questo, ma era necessario. Eppure Blaso lo accettò di buon grado. Limitato a tal punto nei poteri, ottenne il consenso di visitare il multiverso. Trovò l'amore e crebbe una famiglia. Era felice. Ma poi successe qualcosa... Il capo sembrò uscire di senno tutt'a un tratto. Si chiuse nel Mondo di mai sotto la protezione del signor Nero, inviando quello spaventapasseri di quando in quando a compiere missioni assurde. Tutto sembrò andare normalmente, per lo più, fino a quando lo spirito della paura non fu inviato nel Multiverso a cercare Blaso per riportarlo nella nostra Realtà. Con ogni mezzo a sua disposizione, Nero cercò di acciuffare l'Omino senza causare troppi danni. Ne conseguì uno scontro, purtroppo, in cui uno dei due figli di Blaso perse la vita. L'Omino fu ricondotto in catene nel Mondo di mai e la sua memoria fu cancellata dalla mente di coloro i quali lo conobbero nel suo momento migliore. In quel momento Blaso perse per la seconda volta il controllo."
Murmure si fermò, sospirando con aria grave.
Giuly gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.
"Eri... amico dell'Omino, vero?"
"Oh, si. Lui mi salvò la vita. Vedi, c'è stato un tempo in cui i Supremi non erano in guerra, un tempo in cui Blaso era uno dei più saggi e rispettati tra i suoi simili. Poi scoppiò il conflitto che ci flagella tutt'oggi."
"Ma questa guerra che scopo ha, insomma, mi sembra tutta una..." fece per chiedere la ragazza. Un rombo di tuono li fece ammutolire. Murmure si mise in piedi, la mano sul pomo della spada.
"Ch-che succede?" chiese lei spaventata. Un altro rombo di tuono.
"C'è che Blaso ti vuole viva..." commentò Murmure "ma ti vuole dove può tenerti sotto controllo."
Sguainò la spada. La lama baluginò nella luce cupa del cielo terso. Un lampo illuminò il paesaggiò. Lungo la pianura arida e desolata si profilarono le sagome di decine, centinaia di grossi ciclopi in frac e bombetta neri. Erano distanti, ma si stavano avvicinando. Correvano e sembravano come dei oscuri in movimento, un esercito di demoni di ombre che nascevano dalle cupe profondità del terreno e che si scagliavano sul mondo con furia ceca e precisa. Il rombo che si udiva ad intermittenza non era altro che il loro ruggito di battaglia, emesso dalle cupe voragini che avevano per fauci. Un verso primordiale di fame insaziabile che scacciava ogni speranza dal cuore di chi aveva la sventura di udirlo.
"Dobbiamo muoverci." disse imperioso l'uomo, voltandosi a prendendo a costeggiare di corsa la montagna. Giuly rimase ferma solo un istante di più a fissare la miriade di piccole sagome scure che si avvicinavano. Rimase ferma fino a quando non tornarono a confondersi col terreno brullo e con l'aria satura di polvere e cenere. Poi seguì Murmure.
Corsero a perdifiato, dove Giuly non avrebbe saputo dirlo. Seguiva soltanto l'uomo col mantello sperando che sapesse quello che stava facendo.
"Dove stiamo andando?!" gridò, cercando di superare l'urlo del vento che aveva ripreso a soffiare contro di loro. Di nuovo, la natura veniva piegata dal potere della Follia e usata per respingerli contro l'esercito di Rovine, nelle fauci del mostro da cui stavano scappando.
Murmure non rispose. Si limitò ad indicarle un punto in lontananza. Tra il polverone che il furioso aquilone sollevava e la mancanza di luce era difficile capire cosa stesse indicando. La ragazza aguzzò la vista, arrivando ad intravedere quelli che potevano essere i ruderi di una cittadina. Tra le sagome scure degli edifici balugginava un bagliore violaceo. Non sapeva spiegarselo, ma quanto più lei osservava il bagliore, più un sentore di paura le cresceva in petto.
 
"MUORI!" gridò la giovane donna, scagliando il macigno contro l'Omino.
"EHY!" gridò lui, incrociando le braccia sul petto e saltando come in una polka russa. Soltanto che saltò proprio sulla traiettoria del masso che altrimenti non lo avrebbe nemmeno sfiorato. La pietra lo schiantò a terra. Scomparve sotto detriti e spuntoni di roccia.
Miss Seek guardò soddisfatta il cumulo di macerie, voltandosi per cercare un'uscita da quello stupido posto. Era un luogo strano davvero. Il terreno e il cielo avevano lo stesso colore rosato con macchie verde scuro che sembravano fluttuare come molecole nel mezzo del liquido interstiziale. Di conseguenza non si poteva sapere con certezza quale fosse il basso, quale l'alto, dove fosse il davanti... nulla. L'unico modo in cui la mezzo demone poteva sapere di muoversi era guardare l'Omino e gli oggetti che lui stesso le dava per ucciderlo, come quel sasso. Erano il suo solo punto di riferimento.
Aprì la mano e la sua fidata Artemys le apparve sopra. Strinse il lungo manico lucente provando un certo piacere nel sentire tutto il sangue con cui aveva macchiato quell'arma. Le piaceva ricordare tutti i volti che aveva fatto rigare di lacrime, tutti gli occhi che aveva svuotato della loro energia.
Portò la lama dietro la schiena e emise un soffio che si solidificò in una lunga e sottilissima linea di ghiaccio.
"Break." disse semplicemente, dando un unico, potente colpo con la falce, tagliando in due il pezzo di ghiaccio con una precisione millimetrica. Le due parti in cui lo aveva diviso tremolarono. Erano così sottili da essere praticamente invisibili, se non viste dall'alto. Le metà si divisero. Una cadde a terra. O quantomeno al livello dei piedi della ragazza. L'altra si sollevò a circa tre metri sopra la sua testa. Lo spazio si distorse e si spezzò, rivelando un varco verso un altro mondo. Dall'altra parte si scorgeva una pianura verdeggiante che non chiedeva altro che di essere bruciata.
Seek sorrise. Da lì sarebbe stato un gioco da ragazzi riunirsi al suo universo di origine. Mosse un passo, ma qualcosa la bloccò. Guardò stizzita verso il basso, dove una catena le tratteneva la caviglia.
"Ma come osi?!" digrignò i denti e colpì gli anelli che la tenevano legata al nulla, usando il manico della falce. Il metallo stridette e si spezzò. Quando rialzò gli occhi, al posto del portale si trovava l'Omino mai che le sorrideva sorseggiando una pipa di panocchia.
"Ciiiau, pischiella!" le disse, dandole un bacino sul naso.
Lei lo guardò allibita. Poi si rese conto di quanto era successo. E si alterò leggermente.
"MA COME OSI!"
Blaso si mise a correre a testa in giù, sghignazzando mentre l'altra lo inseguiva a velocità supersonica, le ali tramutate in lame d'acciacio, le braccia aperte da cui fuoriuscivano fiamme che creavano proiezioni di decine di mani gigantesche coperte di aculei di lava incandescente. Una tempesta di fulmini si abbatté sul piccolo omuncolo che correva a rotta di collo, venendo di quando in quando incenerito, fulminato o inghiottito in una delle tante voragini senza fondo che lei apriva sul suo cammino.
"IO TI SPEZZO LE OSSA, TI SQUARTO E TI ELIMINO DALLA FACCIA DELLA TERRA!" gridava lei, radendo al suolo l'intero mondo in cui si trovavano. Artemys la seguiva fluttuando sopra di lei, fremendo in attesa di poter affondare la lama nelle carni della prossia vittima.
E l'Omino rideva, rideva... E correva, correva. Seek si stufò presto di quel gioco da bambini e si fermò. Afferrò la falce e canalizzò fulmini e fiamme in un globo che avvolse la lama. Piegò il busto e, come una molla, scattò, trascinandosi dietro l'arma che squarciò il tessuto stesso della realtà, facendo crollare il paesaggio.
Vi fu un lampo di luce accecante, poi la mezzo demone non vide più nulla per qualche istante, sentendo solo la risata dell'Omino diventare sempre più sfocata, sempre più distante.
Tutto tornò visibile. Seek emise un singulto, spalancando gli occhi.
"Ah, ti ho svegliata, finalmente." disse la voce di Blaso, con una certa furbizia.
La ragazza mise a fuoco ciò che aveva di fronte. Era seduta su una (le costava ammetterlo) comoda poltrona di teschi con cuscini imbottiti. Davanti a lei sedeva, su una sedia a dondolo, con una tazzina di succo di caramelle gommose tra le mani, stava l'Omino. Fino a qualche secondo prima, aveva tentato di uccidere in tutti i modi quel fastidioso insetto, scagliandogli contro qualsiasi cosa. Letteralmente, qualsiasi. Ed era stato solo un sogno.
"Mi prendi... Mi prendi in giro?" sibilò, cercando di muoversi.
"Oh, tranquilla, non puoi muoverti." le rispose tranquillamente l'Omino. "Vedi, non sei qui. In effetti, al momento, non sei in nessun luogo. Ufficialmente, hai smesso di esistere."
Seek rimase immobile, attonita. Non capiva. Aveva... smesso di esistere? La sua più grande, unica paura, il suo terrore che quella maledetta della sua controparte riuscisse a cancellarla come aveva innumerevoli volte cercato di fare con l'aiuto di quel verme patetico, schifoso e insignificante di Lelq, si era dunque avverato?
"No, la ragazza non ti ha fatto nulla. Diciamo che è stata colpa mia." Blaso sorrise affabile, bevendo un sorso zuccherino. La bevanda, invece di diminuire, aumentò, strabordando e svanendo nel nulla.
"Spiegati, prima che mi arrabbi sul serio." rispose lei, decidendo di assecondarlo fin quando la situazione non le fosse stata piùù chiara.
"Ti ho portato qui." rispose Blaso, sorseggiando la tazza che si distruggeva e si ricostruiva ogni volta che la toccava con le labbra "Per discutere di affari."
"Che genere di affari?"
"Popopò! Una cosa alla volta. Conosco perfettamente il tuo carattere... come dire? Irascibile? Insomma, sei una mia creazione, è normale che..."
"Una tua COSA?!"
"Calma, calma. Ora ti spiego. Ammetto che questo non è il genere di notizia che si riceve tanto facilmente. Insomma, non è che esci di casa e incontri uno che ti dice "ehy, ma che diamine, sai che io ti creato?", cioè, capirai anche tu che è... Comunque! Non tergiversiamo, mh? Tu nasci dalla mente di un... di una, a dirla tutta, magistra. Lei ti pensa, tu esisti. Se non ti pensasse non esisteresti. Ora, la mente di un mastro o di una magistra è composta da noi, gli Entes, o Supremi, se ti piace chiamarci così... Si, noi siamo la mente e... NON TERGIVERSIAMO, HO DETTO! In particolare, tu nasci da me, la Follia, da Adreus, l'Odio, e da Unlegal, nella sua parte più marcia, il Male. Sei, potremmo dire, mia figlia. Non figlia nel senso di figlia, piuttosto direi figlia nel senso di figlia. Cogli la differenza? Oh, ma non sei l'unica. Di quelli che sono nella Realtà di cui sono attuale padrone, sono padre di cinque o sei. Naturalmente, non sono padre padre, diciamo che nasci da quello che io rappresento. Non è un concetto troppo facile da capire, ma poco importa. In ogni caso, fa come se non ti avessi detto nulla. Dopotutto hai vissuto benissimo fino ad oggi come se io non esistessi, no? Ad ogni buon conto, proprio per poterti parlare senza doverti combattere, ti ho trasferita. In sostanza, ho preso la tua essenza e l'ho rinchiusa in un luogo che non esiste. Di conseguenza, tu ora non esisti. Oltretutto, un posto che non esiste non ha uscite, non esistono uscite in un posto che non esiste, già già. Comunque! Sei qui perché ho bisogno dei tuoi servigi, capisci?"
"Si può sapere di che parli? Io non..." sbottò la mezzo demone, ma lui le mise un dito sulla fronte, zittendola.
"Non. Azzardarti. MAI. A toccarmi." ringhiò lei, stringendo i teschi dei braccioli della poltrona.
"Si si si, tu e il tuo narcisismo, la sua supponenza, il tuo "oh, sono figa e tutti devono ammetterlo"! Noia noia noia, diamine! Senti, facciamola breve, ché non ho voglia di perdere tempo a ragionare con chi non ha voglia di farlo se non seguendo al cento per cento unicamente la sua linea di pensiero. Tu sei una creatura comunque sia ragionevole e, in quanto tale, sono certo tu sia disposta a trattare con me riguardo a certe impellenti questioni."
Seek mugolò di rabbia, cercando di dimenarsi pur non riuscendo a muoversi. E ogni volta che la sua impossibilità di movimento le veniva stampata in faccia, le veniva resa evidente, la sua frustrazione cresceva in maniera esponenziale. In ogni caso, ben presto le fu evidente che ogni sforzo era vano e rinunciò a ribellarsi. Si mise il cuore (sempre che ne avesse uno, non ne era certa. Doveva controllare, prima o poi) in pace e fissò l'Omino con una scintilla di cattiveria negli occhi iniettati di odio.
"Che vuoi da me."
"Voglio che tu mi porti la testa di queste persone, bimba mia." rispose il ragazzetto sorridendo soddisfatto, aprendo il palmo della mano davanti a lei. L'immagine formata da fumo acre e fastidioso dei volti di una decina di ragazzi a lei ben noti si profilò sotto i suoi occhi. Un bagliore di eccitazione la colse, ma fu brava a mascherarlo. Nemmeno l'epiteto bimba mia con cui l'aveva chiamata l'infastidì più di tanto.
"Dovrei ucciderli? E a me cosa ne viene in cambio?" chiese, ad un tratto attratta dalle parole del demone.
Blaso sorrise ancor più soddisfatto, unendo i polpastrelli delle mani e mettendosi più comodo sullo scranno. La sedia a dondolo cigolò un poco.
"Tu vuoi distruggere e io lo rispetto. Ma vedi, prima o poi le cose da distruggere finiscono. Io posso darti tutto ciò che desideri, sai... è uno dei piccoli vantaggi dell'essere me!"
"Tutto qui? La creazione dal nulla non è che un piccolo frammento di ciò che posso fare. No, patetico esserucolo, non mi convinci affatto!"
"Allora aumentiamo la posta in gioco. Vedi, c'è una cosa che, anche volendo, non potresti mai avere."
"Ah si? Ma non farmi ridere!" esclamò la ragazza, con un risolino di scherno pronto ad uscirle dalla gola.
"No, sono serio. C'è una persona che non hai mai avuto la forza di uccidere. Forse è l'unica creatura che tu da sola non farai mai fuori! L'unico essere esistente più forte di te, tra quelli che conosci."
"DIMMI CHI è?" domandò irritata lei.
L'Omino si sporse con un ghigno sornione in viso.
"Ti voglio offrire la testa di Giulyu Frost."
Un battito. Due battiti.
Seek restò di sasso di fronte alla proposta della Follia.

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Capitolo 14
*** Adreus, una Brutta Persona Brutta ***


Le onde sonore si infransero contro quelle create da Lelq, che si mise prontamente a difesa dei suoi compagni. Impegnato a contrastare l'attacco musicale di Rubens che si era messo a roteare sulla schiena lanciando miriadi di raggi concentrati di onde sonore a destra e a manca provocando una sorta di uragano verde, il musicista della Lucas Force non si accorse di Uroi, la quale, per nulla ferita dal suono lacerante del compagno, era scattata alle sue spalle e aveva preso Gyber per il collo.
A nulla erano valsi i tentativi del lord di liberarsi, non sembrava esserci forza in grado di spezzare la presa della donna. La generalessa strinse la presa fino a incrinare le vertebre, mentre una luce verde chiaro illuminava i tatuaggi che le coprivano il corpo, rilucendo anche da sotto la veste pesante da sacerdotessa. La luce avvolse l'antracia che emise un verso strozzato e svenne. Randor, ancora prigioniero nell'altra mano, gridò alla vista dell'amico, credendolo morto, e emise tutta in una volta una potente folata di energia oscura che travolse Uroi.
La magia del tecno-guerriero arrivò a Rubens, il quale si trovò in difficoltà e ruzzolò su sé stesso per recuperare l'equilibrio e rialzarsi. Quando l'energia oscura si fu diradata, Randor guardò dritto davanti a sé. Uroi era ancora nascosta da una coltre buia, insieme ai compagni del ragazzo. Le si vedeva solo la mano spuntare dal fumo. Poi una luce viola baluginò nell'oscurità e un sibilo fischiò.
Rubens gridò, scattando in avanti e teletrasportandosi, riapparendo a braccia spalancate vicino a Randor. Un secondo sibilo fece fischiare le orecchie al ragazzo e poi, proprio a pochi centimetri dal suo volto, vi fu una sorta di frattura nel tessuto della realtà che vorticò su sé stessa per poi svanire e causare un'esplosione che lo avrebbe di certo spazzato via se solo Uroi non lo avesse tenuto fermo così saldamente. La spinta dell'esplosione tramortì il che si afflosciò inerme.
Uroi emerse dal fumo nero e scrutò Rubens con occhi criptici. Non era più illuminata e aveva allentato la presa sul collo dei due eroi, ma ancora li sorreggeva come sacchi di patate. Rubens la fissava allibito.
"Sei impazzita?!" esclamò "Lo avresti ucciso! Che avrebbe detto il grande e potente signore Adreus se gli avessimo portato un cadavere senza testa?! Che ti dice il cervello?!"
"Taci." lo zittì lei. "Ora tramortiscili, prima che possano riorganizzarsi."
La donna non aspettò nemmeno risposta, si incamminò subito lasciando di stucco Rubens, che, scossa la testa con un sospiro desolato, si voltò verso i membri della Lucas Force. L'energia sprigionata dalla guerriera li aveva sovraccaricati, facendo perdere loro i sensi. Tuttavia, ora che l'attacco dei due generali era cessato, si stavano rialzando mugolando intontiti.
L'uomo impose le mani su di loro ed emise una melodia rilassante. L'adrenalina nei loro corpi venne meno e iniziarono a perdere nuovamente le forze, ripiombando a terra uno dopo l'altro. L'ultimo a cadere fu Lelq che allungò una mano cercando di fermare i due dal portare via i loro compagni.
Poi stramazzò a terra.
 
I due generali camminarono sul terreno reso accidentato dall'assalto aereo di Uroi di poco prima. Nessuno dei due aveva voglia di parlare di quanto era appena accaduto. Avevano disobbedito agli ordini di Adreus, che aveva detto loro di non andare dai ragazzi, di non portarli da lui. Avevano mentito al gruppo facendo credere loro che così non fosse. E, come se non bastasse, li avevano aggrediti senza motivazioni valide. Sarebbe bastato spiegarsi meglio. Senza tralasciare lo scatto di rabbia di Uroi, che aveva quasi ucciso, no, no... eliminato per l'eternità uno dei membri della squadra.
Alla fine Rubens ruppe il silenzio.
"Perché mi hai chiesto perché l'ho fatto?"
Lei lo guardò sempre con quell'espressione fredda e accusatoria che non addolciva mai.
"Di chi parli, bimbo?"
"Sai di cosa parlo." la guardò. Anche i suoi occhi, tornati ad essere grigi, erano schegge di ghiaccio che attaccavano la donna "Quando sei arrivata mi hai detto che non dovevamo immischiarci perché Adreus aveva detto così. Perché lo hai detto? Volevi fermarmi?"
"Taci."
"No, voglio una risposta, e la voglio or..."
"Taci, dannazione, taci!" gridò infine lei esasperata, alzando lo sguardo al cielo temporalesco.
Rubens restò per un attimo interdetto a fissarla, mentre avanzavano senza nemmeno guardare dove mettevano i piedi. Poi storse la bocca in una smorfia di tristezza. Sapeva bene cosa stava passando Uroi. Lo stavano passando tutti loro.
Da quando Blaso, o meglio, l'Omino di Mai aveva intrapreso quella folle campagna di conquista, tutti loro erano divenuti bersagli. La politica degli Entes era qualcosa di molto complesso. Essendo loro dotati di un potere tale che un abuso di forza avrebbe distrutto tutto ciò che esisteva non potevano permettersi di combattere tra di loro. Per evitare che il rischio si presentasse, il primo consiglio dei Supremi, formato dai tre Entes più importanti tra cui Unlegal e lo stesso Blaso aveva stabilito delle leggi secondo cui il sigillo che limitava il potere degli Entes potesse essere rimosso solo nel momento in cui uno di loro commetteva un crimine. In questo modo, gli altri Entes, qualora fossero interessati nel fermare il recidivo, potevano privarsi parzialmente delle limitazioni ed intervenire a fermarlo. L'Omino si era avvalso di quella legge. Lui poteva attaccare gli altri Entes al massimo del suo potere, sconfiggendoli, nel momento in cui questi avessero disobbedito alla legge. Disobbedire alla legge equivaleva ad aiutare i ragazzi della Lucas Force. Per questo Unlegal e Ruins erano stati attaccati da Parsifal e poi dall'Omino in persona.
Era una situazione delicata, di diplomazia, in cui nessuno osava muovere un dito per evitare di rompere quell'incantesimo che sorreggeva e teneva unito tutto ciò che esisteva.
E Blaso era stato intelligente a creare quella situazione. Aveva costretto i Supremi diversi da lui ad adottare restrizioni di potere ancora maggiori del solito grazie ad una legge che imponeva loro di stanziarsi in un pianeta e non muoversi da lì, né di usare poteri superiori al venti per cento del loro totale. Insomma, erano come legati ai ceppi. Questo proclama entrava in vigore nel momento in cui Alter Nerius, l'Ens dell'Arroganza e della Modestia, prigioniero nella Cripta, si liberava, per evitare che potesse causare danni. Quando Alter si era liberato, gli altri Entes si erano ritirati in una sorta di arresti domiciliari su diversi pianeti, isolandosi in modo che quell'essere spregevole non potesse rintracciarli e convincerli a scatenare una guerra vera e propria con cui conquistare il potere sul Mondo di Mai, al prezzo di distruggere tutto il resto della Realtà intera. La situazione era rimasta invariata anche quando Alter era stato sconfitto dagli eroi chiamati dal Multiverso da Blaso, questo perché Blaso non aveva avvisato i suoi simili, astutamente, lasciando loro credere di non poter togliersi i sigilli. In questo modo aveva avuto il tempo di accedere al Nulla, dove l'universo in cui si trovavano aveva inizio e fine. Da lì aveva avuto mano libera sull'imporre i sigilli agli altri Entes minacciandoli di distruggere il Nulla alla minima mossa falsa.
Era stato infido e geniale nel programmare la sua conquista.
I generali erano finiti in mezzo. L'Omino aveva scatenato Parsifal, che di solito veniva tenuto rinchiuso nel Mondo di Mai, perennemente sconfitto dal ben più forte Ruins, dal momento che la Rovina aveva un'insaziabile desiderio di distruggere tutti i suoi simili a causa di un'esposizione troppo prolungata all'Abisso che lo aveva fatto impazzire di paura. Blaso voleva usare Parsifal per catturare i Generali, anche se il motivo era sconosciuto. Sette erano già caduti nelle sue mani. Unlegal solo sapeva quali atroci sofferenza il ciclope aveva inflitto loro prima di farli arrivare dalla Follia. Gli altri Generali, forti, ma troppo deboli in confronto al GrandAmmiraglio, avevano paura e si erano rifugiati sotto la protezione degli Entes. Solo che, se questi entravano in conflitto con Blaso aiutando i ragazzi a salvare la loro amica, ogni protezione sarebbe venuta meno. Al tempo stesso, tutti loro sentivano quanto fosse necessario permettere ai giovani eroi di andare avanti con la loro missione. Tuttavia il terrore che Parsifal incuteva in chi lo conosceva da miliardi di anni, da chi aveva visto cosa sapeva fare... Era in grado di paralizzare anche il cuore forte di una donna come Uroi, che non aveva pianto nemmeno quando la sua famiglia era stata sbranata da un demone davanti ai suoi occhi innocenti di bambina, prima che Adreus la salvasse.
"Uroi..." mormorò Rubens, passandosi una mano sul collo.
"No, non... Hai ragione. Sono stata una stupida." mormorò lei, abbassando il capo desolata. "è che vedere tutto questo" fece un ampio gesto con la mano con cui abbracciò il paesaggio devastato e spoglio "un tempo questo universo era meraviglioso. Certo, c'erano conflitti, ma diavolo! C'era vita! Ora cosa resta? Cosa? Sassi? No, nemmeno quelli possono più dirsi al sicuro dalla distruzione. Questo mondo è morto, e noi, che non abbiamo fatto nulla per fermare chi lo ucciso, siamo stati suoi assassini al pari di chi ha mosso i fili direttamente. Se ti ho chiesto spiegazioni al tuo gesto è... è perché avevo paura. Sono stata una vigliacca che è scappata quando la sua presenza era richiesta di più, che nonostante avesse la forza per fare la  differenza non ha mosso un dito..."
L'uomo la scrutò per un poco. Era indeciso sul da farsi. Poi semplicemente si rimise in cammino, mentre un portale si apriva dinnanzi a loro, mostrando un altra zona identica a quella in cui si trovavano, con la sola differenza che lì il terreno non era stato divelto brutalmente. Una melodia placida e gentile si diffuse nell'aria e sembrò quasi avvolgere la generalessa, prenderla tra le braccia e sospingerla dolcemente verso lo squarcio. Alla fine la donna si asciugò gli occhi, rinsaldò la stretta sul ragazzo e partì rincuorata dal potere del compagno, attraversando con lui il portale.
 
Si trovarono dall'altra parte in pochi istanti. Uroi si guardò intorno con aria vigile, in cerca di qualcosa. Intanto Gyber e Randor iniziavano a dare segni di vita.
Rubens li poggiò uno contro la schiena dell'altro e impose su di loro le mani, da cui provenì una canzone dal ritmo incalzante e ripetitivo. Ad ogni basso che la musica accentuava, uno scossone percorreva i due, facendo guizzare di volta in volta sempre più energia in loro. Alla fine, con uno scossone bruco e repentino, i due aprirono gli occhi e si buttarono a terra in preda agli spasmi. L'uomo sorrise imbarazzato.
"Ups, ho dato loro troppa energia!" esclamò ballando due passi di valzer alternati a due di chachachà. Uroi lo guardò e soffocò un sorriso triste, per poi tornare a perlustrare la zona.
"Trovato nulla, bambola?" le chiese l'uomo, apparendole a scatti dinnanzi ballando la laurensia.
Lei annuì dopo qualche istante ad occhi chiusi. Indicò un punto imprecisato davanti a loro in cui l'aria sembrava incresparsi leggermente. Chiunque altro non fosse abituato ad avere a che fare con l'essenza non avrebbe scovato quella perturbazione nell'essenza stessa della realtà nemmeno con tutti i poteri del mondo. Serviva un durissimo e lungo allenamento per comprendere i mille segreti di quel potere straordinario che era alla base di tutto.
"Ottimo, ottimo! Oh, gli angioletti si sono ripresi!" esclamò Rubens, facendo un triplo salto mortale all'indietro con avvitamento e raccoglimento a mezz'aria, atterrando sulla testa con un sorriso eccitato. Un guizzo di vitalità aveva sostituito il gelo che poco prima abitava i suoi occhi.
Randor se ne stava con le mani poggiate a terra, cercando di sollevarsi, ma ancora bloccato su un fianco a terra, intento a rigurgitare l'anima. Gyber tratteneva i conati e se ne stava carponi, con un ginocchio sul terreno. Avevano entrambi gli occhi sbarrati, ma se il primo appariva spaesato e impaurito, il secondo era freddo e aveva un che di spietatezza nello sguardo.
"Ehy!" esclamò Rubens, sparendo e riapparendo in parte al più malandato dei due. "Tecnopate, che stai facendo?" chiese, dando una pacca leggera sulla spalla del giovane pallido come un cencio.
"L-lascialo..." mugghiò l'antracia, cercando di alzarsi, col solo risultato di perdere l'equilibrio e ricadere a terra sulla faccia. Emise un verso di dolore e poi uno meno gentile di frustrazione.
"Su, su, ora, con caaalma, ci alziaaaamo tutti lentamente, leeentameeeente, ok?" Rubens prese per un braccio Randor e, delicatamente, lo aiutò a rimettersi in piedi, facendolo respirare per bloccare il vomito.
"Che... che posto è questo?" chiese spaesato il piccoletto.
"Oltremondo, regno dei demoni. Ma stay tranqua, qui non c'è più briciola alcuna di vita, eheheh!" rispose con aria complice l'uomo, mettendo bene in mostra la dentatura assurdamente colorata. "Siamo vicini al grande e potente signore Adreus, prestate attenzione. Adreus non desidera essere disturbato, ma noi lo disturberemo lo stesso, perché noi possiamo, siamo fighi, no?"
Gyber lo fulminò, mettendosi alla fine seduto e chiudendo poi gli occhi inspirando profondamente. Si sentiva ancora distrutto dalle onde soniche di quel tizio che avevano letteralmente scombussolato tutto il suo organismo. Di certo però, una volta rimessosi in piedi, avrebbe dato tanti generosi e gentili buffetti amichevoli sulla faccia di quel tizio. E anche alla donna. Si, anche a lei, già che lo aveva fatto arrabbiare pure lei. Diavolo, gli avevano rovinato la camicia buona!
"Quindi! Ora noi andiamo dal grande e blablabla lui, vediamo di che umore è, come prende la vostra visita, poi, se cerca di uccidervi, facciamo dietro front, mangiamo un pasticcino e torniamo indietro, semplice, no?" concluse Rubens, sorridendo.
Randor lo fissò sconvolto. Poi fissò Gyber. Poi Uroi. Poi di nuovo Gyber.
"Scherzi, no?" mormorò.
"Certo che no! ANDIAMO!" esclamò l'eccentrico individuo, prendendolo per mano, afferrando poi Gyber per il colletto e tirandoseli dietro senza aspettare il loro assenso, tra le proteste del primo e gli insulti e le minacce del secondo che rischiava di finire strozzato dalla sua stessa camicia preferita.
Uroi scosse la testa e cadde a sedere, poggiando le mani sulle ginocchia nodose. Una luce verde illuminò i suoi tatuaggi e una nenia uscì dalle sue labbra.
 
I tre attraversarono la perturbazione di essenza e si trovarono di fronte un grande mare di terra brulla e rossastra, su cui il vento faceva volteggiare lembi di sabbia. Qualche raro arbusto spuntava qui e là. Il cielo era grigio e immobile, come fosse dipinto.
"Ma... siamo nello stesso posto di prima?" chiese stranito Randor.
"Ti stupisci? Diavolo, ne vediamo di peggiori, amico." borbottò Gyber, che si stava massaggiando il collo intorpidito.
"Vero, vero." rispose il compagno, annuendo.
"Per risponderti, si, siamo nello stesso luogo." disse Rubens, apparendo davanti al duo, facendoli sobbalzare "Ora, vogliate seguirmi, siori, venghini, siori, venghino, venghino! Odio a palate a ore dodici e tre quarti, orsù!"
Si avviò verso un puntino scuro che spezzava la monotonia del paesaggio. Gyber aguzzò la vista per cercare di vedere cosa fosse quel puntolino. Se fosse stato Parsifal? O l'Omino di mai? Però non avevano molte alternative. Non sapevano come tornare indietro, visto che, una volta passati nella perturbazione questa era sparita e qualunque tentativo di tornare sui propri passi era apparso inutile. Lo seguirono, Randor stando dietro l'amico.
Più si avvicinavano, più il puntino diventava visibile, fino ad assumere la forma di un piccolo fauno vecchio e decrepito, seduto su uno sgabello da pianoforte in mogano marcio. Indossava un gilet a cui erano attaccati decine e decine di ami da pesca, una camicia leggera di flanella a quadri e un paio di pantaloni larghi che gli arrivavano fino alle ginocchia, lasciando vedere il resto delle gambe caprine dal fulvo pelo marrone scuro. Gli zoccoli erano bizzarri. Uno era fatto d'oro, l'altro di ossidiana. Sulla testa, a coprire un'acconciatura afro ingrigita dal tempo, stava un grosso cappellone da giocatore di golf su cui era attaccata la spilla con su scritto a lettere rosse e scheggiate "YOU ARE THE NUMBER ONE!". I suoi occhi erano foschi e concentrati. Uno era come un vetro rotto, coperto di fratture che formavano come una ragnatela su una sfera di un biancore che emanava quasi tristezza. L'altro aveva la sclera di un rosso bordeaux con pupilla e iride viola fatte in modo da formare la runa dei Supremi. Due baffi grigiastri gli davano un'aria da vecchio nonno stanco, accompagnati invece da un pizzetto più scuro, ben curato, che sembrava invece appartenere ad un distinto uomo d'affari di mezz'età.
Teneva le mani stretta intorno ad una catenella lunga che cadeva sulle sue ginocchia e poi slittava sul terreno, sparendo in lontananza.
"Signore..." chiamò Rubens, lievemente agitato, stropicciandosi le mani. La musica si era chetata del tutto.
"Shh." disse perentorio. I tre aspettarono in silenzio.
Il fauno storse le labbra e iniziò a tirare a sé la catenalla che si rivelò essere davvero lunga. Tirò per quasi cinque minuti, tenendo un capo in una mano e lasciando ammassare in un piccolo gomitolo scomposto il resto. Alla fine trasse a sé l'altro capo a cui era attaccata... un'ancora. Non un'ancora piccola, da collanina, no. Un'ancora coperta di alghe, lievemente arrugginita, ricurva e dai bordi affilati come rasoi, con tre punte una sulla sommità e due sulle estremità dei due ganci, grande quanto un uomo. E lui la tirava a sé come se fosse una banconota da dieci legata con un fil di spago.
La prese, tirò via le alghe e la lanciò in aria. Con la stessa facilità con cui chiunque avrebbe lanciato in aria una pallina da ping pong, lui la lanciò in aria. Ed era magro. Secco. Debole. GRACILE. Ma tralasciando il fatto che la sua massa corporea era fisicamente troppo piccola perché potesse fare qualsiasi cosa stesse facendo, visto che lui sembrava non dar peso alle leggi della fisica, era abbastanza spettacolare. L'ancora scomparve tra le nubi, accompagnata dallo sferragliare della catenella. Il satiro fissava arcigno in alto, dov'era scomparso il pezzo di metallo. Quando poi l'estremità della catenella si sollevò dal suolo e fece per slittare a sua volta in cielo, con un guizzo improvviso lui l'afferrò e tirò indietro il braccio con un gesto secco. Roteò l'arto e poi lo gettò in avanti con un colpo secco e un lieve mugghio di fatica. La catena fu scossa da un fremito, tendendosi tra la forza che la faceva sollevare in aria e quella che ora la obbligava a ricadere. Poi la pesante ancora si fece visibile e capitombolò sul terreno, a qualche decina di metri di distanza, perforando il suolo in mezzo ad un intenso polverone scuro.
"Ma che..." borbottò Gyber sconvolto. "Ok, siamo strani, ma questo... cioè... Perché?"
Randor lo squadrò scettico. "E tu che mi dicevi che non dovevo stupirmi." l'antracia lo fulminò e Randor si mise subito sulla difensiva, impaurito "Cioè... Come... Io..."
Rubens li divise, portandosi a fianco del piccolo fauno, alto appena un'ottantina di centimetri.
"Signore, sul serio, dovremmo..."
"Dimmi." disse ad un tratto il piccoletto, mettendo a tacere ogni altro rumore. La sua voce era stridula, eppure profonda come un tuono che rimbomba in una caverna. Era fastidiosa, pesante, graffiante. E quando quella voce aveva dato prova della sua esistenza, scandendo quella singola parola, era bastato a gelare l'aria. Non semplicemente metaforicamente, ma letteralmente. Oltretutto ogni cosa, in quel momento, sembrava ovattata, piatta, fredda. "Dimmi, Rubens" seguitò il nanetto "Perché mi hai disobbedito?"
Il generale deglutì sgomento. Iniziava a sudare freddo.
"Io..."
"Perché sono qui e non tre metri sotto terra?" gracchiò ancora l'altro. Si voltò verso di lui, mostrando gli occchi foschi e crudeli di un acido colore giallognolo. Quello destro era coperto da una sorta di alone rossastro che gli dava un aspetto spiritato.
Gyber strinse i denti e fece un passo avanti.
"Signore!" esordì, tentennando quando il Supremo spostò lo sguardo penetrante su di lui "Signore... Ehm... Adreus, supppongo. Ecco. Ci serve il suo aiuto per"
"Taci." impose il piccoletto. La bocca di Gyber scomparve. La sua gola tremò, mentre le corde vocali svanivano. Il lord si afferrò la faccia sconvolto, incapace di emettere suoni, mentre Randor gli si avvicinava preoccupato, tentando di fare qualcosa con la magia nera, senza alcun risultato.
"Rubens, sono molto contrariato dalla tua condotta. Dovrei punirti per aver ignorato così impunemente i miei ordini. Te ne rendi conto?" seguitò Adreus come se nulla fosse, spostando di nuovo la sua attenzione sull'eccentrico uomo. Rubens si sistemò meglio lo stereo legato sulle spalle e si fece forza.
"Signore, mio assoluto e grande padrone, ve ne prego, donatemi qualche istante del vostro preziosissimo tempo, permettetemi di esporvi le mie motivazioni." disse, piegandosi su un ginocchio, la testa bassa. Il fauno storse le labbra e si voltò a guardare in lontananza, facendo ondeggiare tra le dita adunche la catenella.
"Parla, ma in fretta. Sto pescando e non voglio perdere qualche pesce per colpa delle tua insignificanti farneticazioni."
Rubens sollevò il capo visibilmente sollevato, al contrario di Gyber che appariva più guerrafondaio che mai. Randor doveva trattenerlo anche con l'ombra per evitare che andasse dal Supremo e si mettesse a prenderlo a pugni.
Il generale si alzò e si schiarì la gola.
"Mio signore, so che non volete avere problemi e non desiderate mettervi in contrasto con l'Omino di mai, tuttavia è fuori di dubbio che non si possa rimanere immoti dinnanzi a tanta distruzione. L'Omino ha infranto palesemente i limiti imposti dal Consiglio, ha ecceduto sotto ogni possibile punto di vista e va fermato se non punito per le sue mancanze di rispetto. Comprendo che entrare in guerra aperta con lui sia qualcosa di improponibile per il bene di ciò che esiste e non esiste, tuttavia non è lontano dalle nostre possibilità favorire questi giovani eroi elargendo loro i vostri gloriosi e radiosi doni."
Terminò il discorso pieno di fronzoli e tanto disgustoso servilismo e attese la reazione del piccolo oltre essere. Gyber si era chetato un po', pur guardandolo ancora con un cipiglio infuriato, sbuffando e tenendo il petto gonfiato da un focalenergia e da un caioken ridotto. Randor passava lo sguardo nervosamente prima dall'uno, poi all'altro, come aspettandosi un qualche cataclisma.
Adreus sbuffò, alzandosi in piedi. Tirò la catenella e l'ancora gli saettò in mano in pochi secondi, solo che non era più lunga due metri e larga tre, bensì aveva le dimensioni di un ciondolo giocattolo come quelli che si trovano nelle merendine con sorpresa. La catena si rimpicciolì alle dimensioni di una collana che il Supremo si infilò con calma al collo.
"Benché io sia convinto che tu sia solo un debole che non sa adattarsi alla situazione corrente, ammetto che l'idea di Blaso al potere mi secca. Non per altro, solo... beh, sarebbe bello vedere questi mocciosi attaccarlo e morire brutalmente nel tentativo. Acconsento a concedere il mio aiuto." disse, voltandosi con le mani dietro la schiena.
Gyber sembrò quasi soddisfatto e Rubens tirò un sospiro di sollievo. Solo Randor non si fidava pienamente.
Adreus fissò il ragazzetto che si nascose dietro all'amico sotto quello sguardo così penetrante.
"Dimmi, piccola creatura, cosa angustia la tua mente inferiore e limitata dal tuo patetico essere te?" gli domandò. Gyber si mise in mezzo con aria minacciosa e schioccò ripetutamente le dita. Il Supremo lo fissò con aria infastidita; nei suoi occhi lampeggiò un bagliore terrificante, ma al lord non toccò particolarmente. Si indicò il punto del volto dove poco prima aveva la bocca e sbatté un piede per terra. Rubens emise un verso soffocato di preoccupazione, fissando i due con crescente apprensione.
"Non farlo arrabbia-a-are...." mormorò, mordendosi le mani.
I quattro rimasero immobili, in stallo, Randor dietro Gyber, Rubens al loro fianco e davanti a tutti il piccolo Adreus, sovrastato da tutti e tre gli altri. Eppure qualcosa di strano stava accadendo al fauno. Era come se stesse crescendo, diventando sempre più immenso, diventando più grande di tutto ciò che esiste e che non esiste messo insieme, rimanendo però concentrato in quel piccolo corpicino. Nei suoi ottanta centimetri, Adreus parve essere diventato più grande di qualsiasi cosa, schiacciando i tre piccoli esseri che aveva davanti col solo sguardo. Poi però sorrise e l'aria si distese. Tutto tornò normale.
"Mi piaci, piccoletto, i miei generali hanno deciso bene a farti venire qui." esclamò, estraendo le mani da dietro la schiena. Teneva due carta colorate di viola: su un lato era scritto "Odio", sull'altro era inciso il disegno del simbolo dei Supremi. "Non mi esporrò oltre, per voi. Prendete questi doni e andatevene, prima che cambi idea e vi consegni a Blaso."
Rubens sorrise, distendendo i muscoli. Gyber si massaggiò il volto su cui stava ricomparendo la bocca. Randor tremolò, voltando lo sguardo alle loro spalle. La distorsione spazio temporale stava svanendo, lasciando vedere Uroi che meditava. E a qualche kilometro di distanza un'altra distorsione, da cui uscirono i loro amici correndo. I due membri della Lucas Force sorrisero felici nel vederli sani e salvi. Adreus fece per tornare a pescare, ma si bloccò, rabbuiandosi in volto. Scrutò la spaccatura da cui erano usciti i ragazzi, che aveva creato apposta per loro perché li raggiungessero. Lui lo vide prima che fosse visibile.
"Li avete portati da me." sibilò l'Ens, afferrando la catenella a forma di ancora e staccandosela dal collo.
Rubens lo guardò preoccupato, mentre Uroi gli si avvicinava, cambiando espressione nel vedere la sua preoccupazione.
"Mio signore..." fece per dire l'uomo, ma Adreus esplose in una nube di vapore verde acqua molto denso. La sua voce divenne distorta, come se milioni di voci parlassero all'unisono, graffiando il terreno, letteralmente, creando trombe d'aria e profondi tagli nel terreno ad ogni parola.
"LI AVETE PORTATI DA ME!" gridò, mentre in lontananza Lucas e gli altri evitavano il raggio mortale di Parsifal. 
 
Angolo di ME!

Lunghetto, visto che di solito faccio solo quattro pagine a capitolo. Però amen. Portate pasiensia.
Piccolo avviso, da adesso in poi chiamerò i Supremi con il loro vero titolo, cioè Ens (singolare) e Entes (plurale). Se vedrete Supremi o Supremo sarà o un errore mio o riferito ad altri personaggi (Che si chiamano davvero Supremi, anche se in realtà sono Demiurghi). PACE!
Ev.

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Capitolo 15
*** Della Serie: WTF?! ***


"Cosa intendi?" ringhiò Seek, facendo scaturire fiamme da tutto il corpo che però non intaccavano minimamente il luogo in cui si trovavano. Perfino i suoi poteri avevano smesso di esistere.
"Quello che ho detto, quello che ho detto!" cantilenò l'Omino, mettendosi a roteare sul posto ridendo felice e battendo le mani a tempo. Si bloccò avvicinando il volto a quello della ragazza fino a far sfiorare le guancie. La sua bocca si aprì innaturalmente fino a spaccare in due le guancie. Una lunga lingua nera fuoriuscì dalla cavità sulla faccia della Follia, emanando un pungente odore di biancospino. "Ti ho separata da Giulyu Frost, rendendoti in grado di ucciderla senza problemi, kikiki!" ridacchiò con voce metallica.
Seek corrugò la fronte, rilassando i muscoli delle braccia. La presenza del demone così vicino a lei non era, stranamente, sgradevole. Era qualcosa di familiare, rassicurante per lei. Le veniva voglia di accettare qualsiasi sua parola come pura verità. Strinse gli occhi e le labbra e si concentrò.
"Menti."
"No! Mai... Io non mento mai! Distorco la verità a mio favore, tutt'al più!"
"Nessuno può diividerci. Nessuno."
"Omni... Potens... La parola dice tutto da sé. Razionalmente è vero, nessuno può dividervi. Regole specifiche vi legano. Ma le regole non esistono per me. Non sono mai esistite..."
"MENTI!"
L'Omino si ritrasse. La bocca tornò a dimensioni normali. Negli occhi verdi scintillava un barlume bizzarro, inquieto, impaziente.
"Mettimi alla prova." spirò senza muovere le labbra. Era terribilmente serio.
Seek lo fissò sostenendo lo sguardo.
Alla fine sospirò.
"Non ho voglia di perdere tempo. Liberami e ucciderò quei mocciosi. Tanto per me è solo un vantaggio. Ma se poi quella sgualdrinella non sarà là..." digrignò i denti, accendendo gli occhi di fiamme cremisi "dovrai risponderne a me!"
Blaso sogghignò compiaciuto.
"Bene. Allora l'affare è fatto. Tu ucciderai quei mocciosi e in cambio io ti lascerò la testa della tua controparte più amichevole, mh?"
Schioccò le dita e una lieve pressione schiacciò per un istante il petto della ragazza. Strabuzzò gli occhi, come se fosse stata un patetico umano che tornava a respirare dopo un lungo periodo di apnea. Strinse i braccioli della sedia di ossa e li frantumò. Esplose in una bomba di fiamme infernali e rase al suolo la stanza, che mostrò delle pareti bianche e monotone in cui sembrava di essere rinchiusi in uno spazio infinito. Finalmente tornava ad esistere! Che bella sensazione! Non lo voleva ammettere, ma sperimentare la non esistenza l'aveva scossa. Vedere realizzata la sua unica e più grande paura, scomparire, essere incapace di fare qualsiasi cosa...
Blaso la fissava tenendo il mento poggiato sulle mani intrecciate. Sorrise amichevolmente.
"Prima che tu vada, però, un accorgimento." disse, schioccando la lingua. Sul polso della ragazza si tatuò un simbolo violaceo che prese a fumare. La ragazza lo fissò. Sembravano due occhi tondeggianti sopra un sorriso seghettato, il tutto tagliato in quattro parti da una croce greca.
"Credi che lo terrò? Tch, non credo proprio. Nemmeno fosse chissà quale grande tatuaggio." borbottò lei, cercando di toglierselo, arrivando pure a tagliarsi il braccio e a farlo ricrescere. Ma niente, il sengo, per quanto lo incendiasse, lo amputasse, lo coprisse di petrolio o di acido, restava lì, sul suo polso.
"Niente regole, ricordi? Vuol dire che potresti essere un dio o anche peggio, ma quel coso non te lo levi. Puoi avere tutto il potere del multiverso, ma con me non vale nulla. Il tuo nome non conta nel mio mondo, fattene una ragione. Quel tatuaggio, come lo chiami tu, serve ad obbligarti ad usare il cento per cento dei tuoi poteri sempre e comunque. Non voglio che tu, come tuo solito, ti trattenga dando ai tuoi nemici la possibilità di riorganizzarsi, di scappare o che altro. Distruggili. Eliminali. Spazzali via! Ed ora va, demone, va e portami la testa di quella ragazza e di quel musicista. E già che ci sei anche quella del leader, quel Lucas! Anzi, lui portamelo vivo! Ho grandi idee per la sua morte!"
L'Omino di allontanò canticchiando.
Seek lo fissò con odio.
"Troverò il modo di ucciderti. Te lo garantisco, Blaso."
"Benvenuti, benvenuti, nel Mondo di Mai. Benvenuti, benvenuti, in mezzo ai guai! Questo è il mondo in cui non vali, questo è il mondo in cui muori e cadi! Niente nome, niente onore, alcun potere, alcun valore!
Benvenuta nel Mondo di Mai, Helen! Benvenuta dove nessuno vale più di zero!" gridò il demone prima che un portale si aprisse e, come una bocca, catapultasse a forza la ragazza in un luogo sconosciuto.
 
Every vide il giovane uomo insanguinato che fissava il mobilio della villa con aria quasi schifata, facendo ballonzolare come uno yo-yo la testa recisa che si era portato dietro. Ray ryu si rialzò pulendosi una macchia di sangue vicino alla bocca, fissandolo contrito.
"Mi hai colto alla sprovvista. Fidati. Ora ti faccio male."
Lo strano ed inquietante individuo non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Si limitò a emettere un fischio acutissimo per poi tornare in silenzio. L'eroe della Lucas Force si mise in posizione, tendendo i muscoli. Inspirò ed espirò, pronto a scattare ad un qualsiasi ordine di Wesker, che stava arrivando trafelaton in quel momento dalla base operativa in America, comunicandogli attraverso un auricolare il da farsi.
Maty scrutò il giovane uomo. Se ne stava immmobile, eccezion fatta per la testa (sia la sua che quella della donna morta) che roteava per la stanza come in cerca di qualcosa di più interessante di stupidi quadri di inestimabile valore e vasi preziosissimi tanto quanto inutili.
"Chi sei tu? Mi pare di conoscerti, ma non ricordo..." mormorò, facendosi avanti.
Il ragazzo spostò di scatto lo sguardo ipnotico su di lei, raggelandola. Every si scurì in volto, avanzando di un passo e mettendosi di fianco alla ragazza.
"Che vuoi fare, stuzzicadenti? Proteggierla da me? Sei così gracile che non sapresti proteggere nemmeno te stesso da una formica." lo schernì l'altro, sorridendo con un gusto maniacale nel vedere come il piccolo sedicenne fremesse di rabbia a quelle parole. "Per rispondere alla tua domanda, Maty Frost, sono Francis. Piacere. Ma anche no."
Maty ebbe un sussulto.
"Lo conosci?" le sussurrò Every, i pugni stretti involontariamente fino a sbiancargli le nocche.
"Si, io..." mormorò lei, sostenendo lo sguardo sarcastico e perverso di Francis, che la stava spogliando con gli occhi e, molto probabilmente, vivissezionando pezzo per pezzo "Tu sei quello che ha salvato Shruikan e Giuly da quel demone, anni fa?" chiese poi direttamente a lui.
Francis continuò a sorridere, però con una nuova luce negli occhi. Interesse, sicurezza, compiacenza. "Ah, sono conosciuto almeno un po'! Mi fa piacere. Allora saprai perché sono qui, giusto?"
Maty restò in silenzio, non sapendo cosa rispondere.
Il sorriso del giovane uomo vacillò, lasciando il posto ad una smorfia di frustrazione.
"Cazzo, è ovvio! Voglio andare dove si trova la mia sorellina e portarla indietro, qui, dove, purtroppo, non posso uccidere nessuno per non ferire lei o il mio fratellino!"
"Fratellino? Sorellina?" chiese Maty lievemente sconcertata.
"Si, li ho scelti come miei fratelli minori acquisiti, PROBLEMI?!" saltò su Francis, facendo esplodere la testa di donna in una mano. Ray ryu ringhiò mettendosi in posizione come fosse ai blocchi per gareggiare ai cento metri.
Every si preparò a scansarsi con la ragazza. Quel tizio emanava pericolo da tutti i pori. Era instabile ed abbastanza forte da entrare nella villa di Gyber e sconfiggere uno dei membri della squadra senza il minimo problema. Li avrebbe uccisi tutti, se solo avesse voluto.
"Non c'è problema! N-non c'è alcun problema, calmati, ti prego." disse Maty sulla difensiva.
Francis si calmò. Tornò ad appollaiarsi sul bracciolo di una poltrona succhiandosi le dita sporche di cervella mugolando di piacere. "Dovreste provarlo. Cervello umano, delizioso!"
I tre lo fissarono. Maty ed Every erano disgustati. Ray non lasciava trasparire emozioni tanto era concentrato.
"Comunque! Quando mi mandate dalla mia sorellina? Sono impaziente di spaccare qualche testa. Uhm... qualche altra testa, insomma. Ci siamo capiti. Muoviamoci! Ho fretta!" esclamò ad un tratto, alzandosi di scatto. Nel farlo, tuttavia, emise involontariamente delle gocce di sangue che si solidificarono e saettarono verso i due davanti a lui. Ray sgranò gli occhi e scattò, intercettando una buona parte delle spine. Le altre, purtroppo, raggiunsero Maty. lei lanciò un gridolino, chiudendo gli occhi e parandosi il volto con le braccia. Ma non sentì dolore, quanto piuttosto un verso strozzato. Aprì lentamente gli occhi e vide Every che le faceva scudo con la schiena. Lo guardò negli occhi terrorizzata.
"P-perché... Perc... Perché ti sei messo in mezzo?" chiese mentre gli occhi le luccicavano.
Lui non rispose. Ondeggiò lievemente per poi voltarsi con gli occhi inettati di sangue. Una ventina di scheggie rosse striate di bordeaux lo avevano trafitto, alcune trapassandolo da parte a parte.
"F... Acciamo in... fretta. Voglio... Tornare a... cercare... G... Giulyu..." rantolò, mettendosi ad avanzare verso l'uscita, dove i resti del portale con cui aveva fatto passare Lelq e gli altri ancora troneggiavano sulla scogliera.
Maty lo fissò per un istante per poi corrergli incontro e sorreggerlo, imitata prontamente da Ryu. In quel mentre entrò come una furia Wesker, seguito a ruota da un'agitatissima Okami e dall'intera squadra team fortress.
"Che sta succedendo qui?!" tuonò il vice comandante della Lucas Force, cercando di capirci qualcosa.
Francis uggiolò come un cane bastonato, fissando tutta quella carne non maciullata e mormorando qualcosa sul non poter far arrabbiare i suoi fratellini.
Ryu diede un segno a Medico, che accorse a curare Every.
"Bisogna proziedere con extrazione. Mhm, difficile, difficile." mormorò l'uomo, estraendo pistola medica e delle pinze dal camice. Insieme a Maty iniziò ad operare la schiena del giovane che si ostinava a ripetere di star bene nonostante la perdita ingente di sangue. "Non ha intaccato zone vitali. Fortuna, fortuna." borbottava Medico, armeggiando con le pinze per estrarre le scheggie e poi curando la ferita prima che la perdita di fluidi vitali fosse troppo grave.
Wesker interrogava Francis che, invece di rispondere, sospirava frasi con aria sognante su quanti organi nascondevano tutti loro messi insieme. Ryu si accostò a Spia e gli sussurrò quello che era accaduto.
Dopo qualche minuto Every era di nuovo in piedi, pronto a mandare Francis ovunque volesse. Preparò il portale bofonchiando tra sé e sé qualche maledizione strana riguardante divinità sconosciute e demonietti del solletico poco amichevoli.
Il portale fu pronto in qualche ora. Francis lo attraversò sorridendo e scrocchiandosi le nocche con piacere, senza nemmeno stare a sentire i suggerimenti del crononauta. Quando fu del tutto sparito nel vortice, il ragazzo crollò a sedere sfinito. Vedeva puntini rossi e neri volteggiargli davanti agli occhi.
Non si accorse nemmeno che Maty gli si era seduta in parte. Li fissava il cielo, sdraiato ed esausto. Lei guardava l'orizzonte.
"Perché ti sei messo in mezzo? Potevi morire." gli chiese infine.
Every non rispose subito. Inspirò profondamente e poi chiuse gli occhi.
"Se io morissi, non avrei nessuno da far soffrire. Nessuno piangerebbe per me. Tu invece... Beh... non devo nemmeno dirlo."
Maty lo fissò un po' offesa. "Non dirlo neanche per scherzo." mormorò. Lui si mise a sedere e la guardò stranito. "Nessuno deve morire senza motivo. Nessuno." continuò lei, nascondendo la faccia fino agli occhi dietro alle ginocchia strette fra le braccia.
Fissarono l'orizzonte e il mare e il vento e le nuvole. Restarono così per un po', finché lui non le si avvicinò e le cinse le spalle con un braccio. Lei non si trattenne più e tutta la tensione di prima le calò addosso come un macigno. Poggiò la testa sulla sua spalla e lasciò che la abbracciasse, piangendo sommessamente.
"Avevo... Avevo paura che tu... che tu saresti..." mormorava, singhiozzando, mentre lui le carezzava i capelli e fissava il cielo.
Quando lei si fu calmata si staccarono. Aveva gli occhi rossi e una lacrima ancora le rigava la guancia. Lui le passò un dito sulla pelle, asciugandola delicatamente. Era serio, ma qualcosa brillava nei suoi occhi.
"Non farlo mai più. Promettimelo. Ti prego, promettimi che non lo farai mai più, non sopporto quando qualcuno m... m..." disse, senza riuscire a completare la parola con la m.
Lui non rispose. Non poteva promettere qualcosa che non avrebbe mantenuto. Lei si alzò con aria triste. Aspettò ancora un po' per avere risposta, ma quando non la ricevette si allontanò in silenzio. Lui aspettò un attimo, maledicendo la sua assoluta codardia che gli impediva di parlare ogni qual volta ci fosse da dire qualcosa di importante. Maledisse il suo essere un idiota chiacchierone sempre, incapace di aprire bocca quando davvero ce n'era bisogno.
E quando era ormai troppo tardi mormorò: "Scusami. Ma non posso."

Angolo di ME:

Della serie: è finita la scuola, quindi vai di capitolo nuovo arrandom!
Bella lì. Giulyu Frost, un annuncio per te: non arrabbiarti, ti prego, per quello che accade a miss Seek. Ti posso solo garantire che, al nostro prossimo incontro con la signora del dolore la vendicherò di questo e del finale (che, te lo ripeto, doveva essere "malvagio") dello scontro tra Dz e lei. Sarà vendetta vera, prometto.
Oh, e... Buone vacanze a tutti (e io che ho gli esami di maturità... Me misero!) :3
Ev.

 

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Capitolo 16
*** Uno in Meno ***


Il primo fischio trapanò le orecchie degli eroi solo dopo tre ore di cammino. Fu una vera sorpresa girare intorno ad una delle molte anomalie di quello strano mondo e trovare dentro l'anomalia un gruppo di ciclopi in frac che, sollevato lo sguardo su di loro, avevano emesso dei versi acuti e agghiaccianti e poi era saltato fuori dalla parete di mondo e li aveva caricati come una squadra di rugbisti imbufaliti a cui avevano negato la birra a fine partita.
Erano una trentina, ma dopo l'iniziale sgomento e la prima paura provata nel rievocare il ricordo del loro incontro con Parsifal si rivelarono abbastanza deboli. Shruikan non si fece pregare e, nonostante non combattesse come sempre, ma prestasse attenzione a schivare i raggi dei ciclopi, falcidiò i primi cinque, concentrandosi sul distruggerli del tutto in modo che non potessero rialzarsi in stile zombie. Mirrus si armò insieme a Litios e affrontò un altro gruppo di cinque Rovine, venendo raggiunti prontamente da Victus che aveva evocato la falce e l'aveva avvolta da fiamme infernali. Lelq organizzò il party iniziando con un bel mashup per poi passare a qualche passo di drumstep, avvolgendo con i suoi suoni i ciclopi per rallentarne i movimenti e stordirli. Lucas scavò col calore un tunnel nel terreno e si immerse, riaffiorando nel bel mezzo del gruppo di nemici, travolgendoli con una poderosa fiammata gialla.
"Questi non valgono niente, ragazzi!" esclamò euforico Mirrus, trapanando un ciclope che tentò di aprire la bocca per sparare un raggio mortale, venendo fatto esplodere da uno dei raggi canori della pistola di Lelq.
"Colpiteli mentre sparano. Potenzierà il danno." disse il musico, saltando in aria per evitare un pugno che fracassò il terreno.
"Io questa la chiamo in un modo." disse Shruikan, piegando le ginocchia e diramando una rete di sangue nero sul terreno intorno a sé "VENDETTA!" gridò poi, alzando il braccio al cielo. Miriadi di spine nere si alzarono dalla rete nera, trafiggendo alcune Rovine e iniziando a propagarsi nel loro corpo, facendo esplodere le carni e la pelle dei mostri.
"Dz! Amico! Unisciti a noi!" gridò Lucas, accortosi dell'assenza del lucertolone. Il ragazzo, infatti, se ne stava in disparte a fissare i ciclopi. Lelq sparò in bocca ad un altro dei nemici, che stramazzò al suolo con la testa maciullata, le gambe rotte, le braccia e il busto trafitti dalle scheggie di adamantio di doc, per poi voltarsi verso il mezzo kaiju.
"Dz, che ti prende?" gli chiese, rendendosi conto che l'amico stava tremando, stringendo e aprendo i pugni. Ansimava e aveva le pupille dilatate. Probabilmente, lui aveva vissuto più traumaticamente lo scontro con le Rovine. Dopotutto, era quello che era andato più vicino a lasciarci la pelle tra di loro. Aveva subito danni ingenti. In realtà, ma questo lo sapeva solo Lucas, Donatozzilla era morto. Mentre Unlegal lo curava, era deceduto per via delle ferite, ma il Supremo lo aveva salvato riportato in vita senza farlo notare a nessuno. Insomma, non era la prima volta che qualcuno moriva e tornava in vita, ma era la prima volta che qualcuno moriva lì, in quel Mondo. Come funzionasse la morte lì era un bel mistero.
Il mezzo kaiju strinse i denti, mentre l'ultimo ciclope veniva steso da Litios che lo trapassava con un braccio tramutato in lama e Lucas gli friggeva le gambe con un colpo di spada dorata avvolta dal suo fuoco.
Shruikan fissò l'amico e abbassò lo sguardo. Sapeva cosa stava provando. Era quello che aveva sentito anche lui, lo sgomento di trovare un nemico contro cui non potevano combattere come avevano sempre fatto, che qualsiasi nemico, lì, poteva essere l'ultimo che avrebbero affrontato. In fin dei conti, tutte le loro battaglie si erano tenute contro dei nemici che, bene o male, potevano essere sconfitti da chiunque di loro. Erano scontri alla pari. Entrambe le parti davano colpi così come entrambe le parti ne ricevevano. Non c'erano nemici invincibili, nel Multiverso. E se un avversario era troppo forte, potevano contare su una trasformazione, un power-up. Li su cosa potevano contare, contro avversari come l'Omino di mai che potevano sconfiggere tutti loro messi assieme senza nemmeno muovere un dito? Su cosa potevano contare, se esistevano creature come Parsifal, Uroi o Rubens che possedevano un potere che anche usato al minimo era stato sufficiente a batterli?
"Dz, va tutto bene?" chiese doc, avvicinandoglisi e mettendogli una mano sulla spalla.
Come svegliatosi in quel momento da un brutto sogno, il ragazzo sbatté le palpebre e fissò Mirrus. Cercò di abbozzare un sorriso che però gli morì sulle labbra. Aveva gli occhi lucidi.
"Non è... Non è niente, solo... Ho fame, e quando ho fame non... non sono proprio al top, ecco tutto." disse "Allora, andiamo? Dobbiamo ancora trovare i nostri amici, no?"
Lucas lo guardò, venendo affiancato da Lelq.
"Sei certo che ce la farà?" gli chiese il musico.
Il biondo deglutì. In quelle condizioni, Dz era davvero in pericolo. Sarebbe bastato poco, un blocco come quello di poco prima per farlo capitombolare. Se si fosse fermato davanti ad una Rovina, di certo questa lo avrebbe ucciso senza troppe remore.
"Sono sicuro." rispose il leader "Mi fido di tutti voi. Siete la mia squadra, sono certo di tutti voi. Forza, andiamo!"
Il gruppo si riunì intorno al biondo.
"RAGAZZI! So che quando siamo arrivati qui abbiamo trovato un nemico che non ci potevamo aspettare. Le abbiamo prese e, lo ammetto, è stato brutto. Insomma... Non ci hanno dato nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo. Abbiamo subito una sconfitta, ma è forse la prima volta che veniamo messi in difficoltà? NO! Abbiamo già dovuto affrontare nemici più forti di noi, ma ce l'abbiamo sempre fatta! Io vi dico che ce la faremo anche adesso, anche qui dove sembra che tutti i poteri del Multiverso non siano sufficienti a garantire la sopravvivenza. Ce la faremo perché siamo una squadra! Io vi prometto che nessuno di noi morrà prima di essere tornato a casa. Non sarà qui la fine della Lucas Force, non lo accetto perché non è vero! Dz, tu hai subito un trauma terribile. Ma ti prego, fidati di me ancora una volta. Fidati di me quando ti dico che la prossima volta che combatteremo saremo pronti. La prossima volta che combatteremo non verremo sconfitti di nuovo. Noi vinceremo la sfida contro il Mondo di mai. Ma per farlo dobbiamo restare uniti e concentrati. Non possiamo farcela da soli. Quindi ve lo voglio chiedere una volta per tutte: SIETE CON ME?!"
Un boato seguì le sue parole, tutti alzarono il braccio con il pugno chiuso al cielo, gridando la loro rabbia, la loro ostinazione, la loro forza. E la landa desolata risuonò delle loro grida come il campo di battaglia Acheo dopo la vittoria. Dz esitò, strinse il pugno fino a sanguinare. Poi però lo alzò al cielo e gridò con loro, con i suoi amici. Si, avrebbero vinto quella sfida come ogni altra. Ne era certo. In quel momento, finalmente, ne era certo.
Quando si furono sfogati, si fissarono. I loro volti sorridevano tra di loro e saettavano di fredda determinazione quando guardavano quel mondo morto.
"Ora." li richiamò ancora il biondo "Dobbiamo organizzare un piano di battaglia per il prossimo scontro."
"Io propongo il buon vecchio spacca tutto. Funziona, no?" esclamò alzando la mano Mirrus.
Dz lo guardò male.
"No, amico. Non funziona." disse il Kishin, rabbuiandosi.
Lucas trattenne un sospiro.
"Ragazzi, non litighiamo, ok? Dunque, la scelta migliore, al momento, è cercare di rimanere uniti. Cercheremo quindi un modo per recuperare i nostri compagni dispersi e poi cercheremo Giuly. Quando avremo l'aiuto di uno degli Entes andremo nel Nulla e da lì torneremo nel nostro mondo. Fino a quando non avremo l'aiuto necessario, non ci confronteremo con Parsifal. Questo è un ordine. Sono stato chiaro?"
Tutti annuirono, chi con più convinzione di altri. Shruikan storse le labbra, ma alla fine acconsentì. Era vero che non avrebbe più combattuto come prima, avventatamente, ma rifiutava di non gustare la rivincita contro quel ciclope maledetto.
"Ottimo" Lucas sorrise, drizzando la schiena e dandosi una pacca sulle cosce per spolverarsi i jeans "Allora direi di andare. Forza, all'avventura!" Esclamò, puntando un dito al cielo con gaia sicurezza, il sorriso beffardo che scherniva il destino e i capelli scarmigliati dal vento.
Lelq lo fissò scettico, incrociando le braccia. "E da che parte, oh intrepido leader?"
Il biondo restò fermo nella sua posa per qualche istante, per poi lasciar cadere la testa sul petto, desolato. "Oh, ma io che ne so..."
"Come immaginav..." fece per commentare Lelq, appoggiato da Litios, quando Lucas li prese entrambi sotto le braccia, stringendoli così forte da farli tossire.
"Sono certo che ce la faremo anche andando a caso! FORZA! ALL'AVVENTURA!" strepitò di nuovo.
Mirrus si schiaffò la mano sulla faccia. Victus era troppo apatico per farlo, così bisbigliò qualcosa all'orecchio del ragazzo lucertola che, di rimando, lo fissò con aria interrogativa. Vincent fece spallucce e cercò di imitare doc come meglio poteva, finendo per tirarsi uno schiaffo troppo forte che lo fece cadere all'indietro.
Il gruppo si mise in marcia seguendo dubbiosamente il biondo eroe che, al contrario, sembrava molto fiducioso. Probabilmente li avrebbe portati in qualche altra trappola, ma poco importava. Il suo buon umore era contagioso e un po' di ottimismo serviva davvero tanto, in quel momento.
Si avviarono verso una direzione casuale, visto che in quel posto non sembravano esserci punti di riferimento. Niente stelle, niente magnetismo (altrimenti Litios lo avrebbe percepito negli ingranaggi commisti al suo apparato biologico).
Marciarono per ore. Giorni. Mesi. O forse minuti, ma anche i minuti potevano essere eternità, soprattutto con un kaiju semi-traumatizzato che brontola per la fame.
Mirrus si avvicinò al ragazzo dai capelli blu e gli mise una mano sulla spalla. Mirrus era sempre stato così, amichevole, protettivo nei confronti degli amici. Ogni qual volta c'era un problema, lui era lì per aiutare a risolverlo. Spesso, però, era così concentrato nell'aiutare gli altri, da dimenticarsi di aiutare sé stesso. Così come aveva rifiutato più volte le proposte di collaborazione passiva con la squadra date da Lucas per via della sua famiglia, altrettanto aveva fatto per aiutare Lelq.
Dz lo fissò, sorridendogli debolmente.
"Amico, vedrai che andrà tutto bene." gli disse l'uomo, cercando di apparire sicuro a dispetto di tutti i suoi dubbi. Lui era il più oggettivo del gruppo, del resto. Davanti ad una sfida sapeva bene quando era il momento di arrendersi, quando gli altri invece volevano lottare a tutti i costi.
Il mezzo kaiju abbassò lo sguardo.
"G-già... Il fatto è che... Insomma, mi capisci, no? Anche tu non te la sarai vista troppo bene. Quegli... quegli affari mi hanno perforato, capisci? La mia pelle dovrebbe essere impenetrabile, eppure mi hanno crivellato come fossi un semplice foglio di carta. Così come Shruikan. Diavolo, Lucas sta sottovalutando la cosa!" mormorò. Mirrus lo squadrò pensieroso.
"Dz, cosa ti angoscia davvero? Non sei il tipo da sconvolgersi così per delle ferite, non mentire. Non posso aiutarti se tu non mi dici la verità. Se però non vuoi non voglio costringerti, ok? Però sappi che se ne volessi parlare..."
"Sono morto, doc." sibilò il rettile, a capo chino.
Mirrus restò ammutolito, a guardarlo spaesato senza sapere cosa dire.
"B-bhe, però sei ancora..."
"Tu non capisci. Nessuno di voi capisce. Non sono... Non sono morto E BASTA. Sono sparito, capisci? Fine, caput, niente aldilà, niente resurrezione. Mi hanno cancellato del tutto. L'ho sentito solo dopo che Unlegal mi ha guarito. O meglio, ricreato dal nulla... Ho perso tutto e, tornando, ho provato la sensazione di perdere tutto. Non sai quanto sia orribile. Doc, tu non lo sai, dannazione!"
"Dz..."
"Io... Che razza di mondo è questo? Che razza di mondo è questo dove è possibile sparire per sempre, senza possibilità di dire la propria? Mi manca la mia Rainbow, doc, mi manca. Tornare e sentire di averla perduta... Non c'è tortura che sia equivalente. Non c'è, nessuno potrà mai causarmi un dolore così grande."
Mirrus restò in silenzio, guardandolo. Non sapeva cosa dire, per la prima volta. Decise di stare zitto, rimanendogli vicino.
Camminarono fianco a fianco per un po'. L'aura protettiva e quasi paterna dello scienziato era di gran conforto. Ad un tratto, Donatozzilla alzò lo sguardo. Era allarmato. Le narici fremevano e aveva iniziato a fare una cosa che le lucertole erano solite ripetere: saggiava l'aria con la lingua. Le pupille gli si erano dilatate in lunghezza, assottigliandosi fino a diventare fessure, mentre le squame sulla sua pelle iniziarono a replicarsi, coprendogli le braccia fino al gomito. Con uno stridio gli artigli si svilupparono sulle dita, scintillando di rosso.
Doc si mise sulla difensiva, guardando l'amico allarmato non sapendo dove altro dirigere gli occhi.
"Ragazzi!" sibilò.
Tutti si fermarono. Vedendo l'espressione di Mirrus e la strana reazione di Dz, si misero subito in allarme. In particolare, il Kishin e Litios sguainarono le armi il più silenziosamente possibile. Lucas non voleva darlo a vedere, ma era davvero teso. Scrutava in ogni direzione, aspettandosi chissà cosa. L'unico calmo era Vincent, che guardava in una direzione, immobile, inespressivo.
"Che succede, Dz?" bisbigliò Mirrus, cercando di avvicinarsi all'amico con cautela per evitare di venire affettato dai suoi artigli micidiali. Non sembrava però arrabbiato. Sembrava... spaventato.
"Ho paura che" fece per dire Lelq, mettendo mano alla pistola a pentagramma.
Non fece in tempo a finire la frase che un botto squarciò il cielo.
"Cazzo." ringhiò Lucas, preparandosi all'impatto.
Un oggetto saettò a terra più veloce di un fulmine, abbattendosi con una violenza ben superiore, con un boato assordante. La massa fumosa dell'esplosione si diradò in pochi istanti, risucchiata dalla bocca del grosso ciclope col frac nero. L'occhio grande, viola e abbagliante di una cattiveria subdola e sadica li squadrò tutti. La bocca si chiuse, per poi riaprirsi emettendo una poderosa boccata di fumo che assunse la forma del simbolo degli Entes.
"P-Parsifal?!" esclamò Mirrus, creando due spuntoni di adamantio sulle braccia che crebbero presto in due scudi terminanti con vari uncini aguzzi che gli coprirono interamente gli avambracci e le mani.
Lucas non attese e scagliò un fascio di fiamme rosse incandescenti che sciolsero il terreno al loro passaggio, creando una voragine tra gli eroi e la Rovina del Mondo. Parsifal non se ne curò, non cercò nemmeno di farsi scudo. La vampata lo travolse, ma venne risucchiata dalle fauci del mostro con la stessa rapidità con cui aveva spazzato via la nuvola di fumo e polvere. Non si era fatto nulla. Gonfiò la bocca e poi eruttò le fiammate con una potenza tre volte superiore a quella impiegata dal biondo, che fece scudo agli amici, cadendo su un ginocchio per lo sforzo.
"Dannazione! Mirrus, scudo! Dobbiamo ritirarci, presto!" gridò.
Doc non si fece attendere. Diede un doppio pugno sul terreno davanti a sé. Dal suolo, poco distante, esplose una gigantesca scheggia di adamantio che separò il gruppo dal titano, respingendolo, ma non riuscendo nemmeno a scalfire la durissima pelle del suo petto.
Vincent e Lelq, seguiti da Lucas e Litios, si lanciarono di gran carriera in direzione opposta al mostro. Dz e Shruikan erano immobili e con loro Mirrus, che non poteva smettere di far crescere l'adamantio con cui era riuscito a bloccare Parsifal.
"ANDATE! NON LO TERRÒ FERMO ANCORA A LUNGO!" gridò l'uomo col camice svolazzante. La Rovina stava iniziando ad emettere energia, sollevando un vento terribile.
Ma il Kishin e Dz non sembravano volerlo ascoltare.
"Non mi fermerò finché non lo avrò piegato! Non finché non avrò fatto capire a quell'ammasso di merda che nessuno si deve azzardare a toccarmi senza ricevere una giusta punizione!" gridò il ragazzo moro, emettendo sempre più sangue nero da tutti i pori. Senza Raven, sua sorella, che non era potuta venire per limiti di persone che Every aveva potuto portare lì, il Kishin non si doveva trattenere per paura di ferirla. Non lo aveva mai detto nemmeno a lei, ma quando si scatenava arrivava ad emettere un particolare tipo di sangue nero che avrebbe attaccato e ucciso anche lei. Cosa quel sangue nero avesse di particolare, non voleva dirlo. Ma non amava usarlo.
Dz invece sembrava diviso tra il rettile e l'umano. L'uno diceva di attaccare per difendersi, l'altro di fuggire, di scappare da quell'incubo terribile! Si teneva la testa, il corpo in mutazione costante con squame che crescevano e si staccavano. Gridava straziato, terrorizzato, la mente dilaniata tra istinto bestiale e raziocinio incapace di formulare pensieri compiuti perché subito interrotti dal prevalere dell'altra parte.
Mirrus lo guardò da sopra la spalla. La Rovina aveva iniziato a tirare spallate all'adamantio, mandandolo in frantumi con una facilità allarmante. Era come se il materiale indistruttibile fosse tramutato in cartongesso quando posto in vicinanza del bestione. E la velocità con cui distruggeva la scheggia rilucente era troppo alta perché Mirrus potesse contrastarlo generando altro adamantio.
Strinse i denti. Gli sarebbe costato caro.
"Kishin, quando te lo dico... prendi Donatozzilla e scappa!"
"HO DETTO" gridò BlackClaw.
"NON MI IMPORTA DI QUELLO CHE VUOI FARE! VUOI CREPARE QUI INSIEME A DZ?" Urlò di rimando l'altro, che iniziava a sentire come se i colpi all'adamantio di Parsifal si ripercuotessero sul suo corpo. Sentì un osso fracassarsi. Poi un altro. Una costola rientrò dolorosamente perforando il polmone.
"Ti prego... Kishin..."
Shruikan restò in silenzio. Doveva tenersi alla falce piantata nel terreno per non essere spazzato via dal vento che la Rovina stava sollevando con la sua sola presenza. Guardò Dz. Era ridotto ad un ammasso semi umano e semi rettiliano incapace di agire. Il Kishin strinse i denti e riassorbì il sangue.
"D'accordo." disse, aprendo le ali, che riempì di piccole fessure per far passare attraverso l'aria in modo da non venir trascinato via dall'uragano. Flesse i muscoli e si lanciò, vincendo la forza urlante del vento, verso Dz. Più si avvicinava all'amico, più si avvicinava, al contempo, a Parsifal. Grossi pezzi di adamantio si staccavano ad ogni colpo dalla scheggia di doc. Non si fermò a pensarci, prese Dz e lo addormentò con un'eco dell'anima destabilizzante. Il bestione fremette ancora un po' nella lotta all'incoscienza, ma poi si afflosciò come morto tra le braccia dell'amico.
"Forza, capo, che ti porto via da..." fece per dire Kishin, allontanandosi. Si accorse solo quando era troppo lontano del suo errore. Si volto e vide con orrore Parsifal afferrare Mirrus. Doc non lottava nemmeno. Alzò le braccia e sembrò sorridere. Shruikan gridò, ma i rumori erano, per lui, come svaniti. Cercò di lanciarsi in aiuto dell'amico, ma non fece in tempo. Un sibilo, che però fu interrotto dalla risata di Mirrus. Un piccolo botto. Poi il corpo del buon dottore esplose in un gigantesco grappolo di cristalli di metallo con cui intrappolò Parsifal.
Shruikan planò a terra, incredulo.
"No..."
"Kishin!" sentì gridare i suoi amici. Si voltò pallido più del solito.
"Lo ha... lo ha..." cercò di balbettare.
"CORRI!" sentì gridare Lucas. Vide il biondo arrivargli in parte seguito dagli altri. Lo presero sotto braccio. Vic e Lelq trasportarono lui, mentre Lucas e Litios, fisicamente migliori, si caricarono il mezzo Kaiju svenuto. Corsero a perdifiato, mentre Shruikan non sapeva cosa dire. Mirrus si era... Non era possibile, no! Non era possibile. L'aria davanti a loro si increspò. Non si accorsero nemmeno di aver attraversato un varco spazio dimensionale. Seppero solo che un momento prima correvano verso il nulla, con il sibilo di Parsifal che gli fischiava nelle orecchie e che un attimo dopo avevano di fronte, a poche centinaia di metri, Gyber, Randor, Uroi e Rubens. Dietro di loro, difficilmente distinguibile da lì, stava un piccolo esserino. Quando il raggio della Rovina esplose a pochi metri da loro, sollevando un'ondata di terreno tramutato in miriadi di proiettili che sfregiò loro la pelle, l'esserino esplose in una nube di fumo verde. Poi Gyber fu scagliato via e Randor emise un grido tra il furioso e il terrorizzato. Poi fu l'inferno in terra.
 
Angolo di ME:

Eheheheh... Non odiatemi per la fine del povero doc. Che posso dirvi... C'est la vie!
Ev. 

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Capitolo 17
*** Ultra Evoluzione Assoluta ***


L'antracia atterrò, fracassando il terreno. Un ululato di rabbia proruppe dalla sua gola, mentre si sollevava sulle gambe che avevano iniziato a irrobustirsi.
"Ora sei dannatamente finito, tappo!" gridò, trasformandosi del tutto. Solo che la trasformazione lo rese qualcosa di... diverso dal solito. I vestiti si fusero con la sua pelle che divenne del tutto bianca e poi argentata, le mani vennero avvolte da due sfere nere che crepitavano di elettricità, lasciando libere le dita di muoversi. Gli avambracci vennero ricoperti da tre strati di uno strano materiale metallico che gli si solidificò addosso come un'armatura. I bracciali così creati terminavano sul gomito in tre punte lunghe venti centimetri. I pettorali possenti e le spalle furono avvolti dalla stessa materia che si solidificò in una robusta corazza acuminata sulle scapole. Sette spine nere con tre linee dorate su ciascuna crebbero dalle vertebre fino a raggiungere il metro di lunghezza. Il bacino e le gambe ricevettero la stessa protezione delle braccia e del busto, mentre la parte inferiore della testa fu ricoperta da un mezzo elmo nero bordato d'oro. I piedi divennero zoccoli per poi essere avvolti da altre due sfere nere che sfrigolarono al contatto col suolo. Due code nere e d'oro saettarono spaccando il terreno con involontari colpi di frusta, mentre la testa e il collo gli si irrobustivano e divenivano più simili a quelli di uno squalo.
Gyber mosse un passo indietro, guardandosi il nuovo corpo in un misto di curiosità e stupore.
"Che significa? Che razza di forma è questa, io..." borbottò, ma fu costretto a tacere subito, attirato dalle grida di Randor. Alzò lo sguardo allarmato e vide l'amico in ginocchio, avvolto da una nube di oscurità da cui partivano raggi magici senza controllo, distruggendo qualsiasi cosa toccassero. Rubens cercava di calmarlo, saltellando a destra e a manca per evitare di rimanere folgorato. Adreus era sparito. Il lord spostò lo sguardo. A qualche centinaio di metri di distanza correvano i suoi amici, inseguiti da un tizio che lui aveva imparato troppo bene a conoscere e a odiare. Parsifal sembrava una forza della natura concentrata in un punto mentre galoppava spostando letteralmente montagne di terra ad ogni passo. Se Lucas e Lelq non corressero al contrario sparandogli contro di tutto li avrebbe raggiunti in pochi istanti.
Digrignò i denti.
"Manco per cinque minuti e mi combini questo, fiammifero? Ora ricordo perché non ho mai apprezzato l'idea di averti come capo." ringhiò. Qualcosa dentro di lui lo spingeva a non dar retta al suo cuore quanto piuttosto al lasciarsi andare all'odio. Ignorò la sensazione, o meglio, non se ne accorse nemmeno e scattò, le braccia portate all'indietro. Peccato che avesse calcolato la sua forza in base alle sue precedenti capacità. La spinta che si diede fu troppo violenta e si trovò a viaggiare alla velocità della luce senza controllo, sparendo all'orizzonte.
Intanto Randor era in preda ad una crisi isterica.
 
Se ne stava ora carponi, sputando una strana sostanza verde e grigia, molto scura e viscida che riluceva diabolicamente alla non-luce della sua magia nera. La colonna di fumo che emetteva senza sosta aveva raggiunto il cielo, spandendosi come una cappa opprimente a spirale, roteando su sé stessa, come un tornado al contrario che nasce dal basso e poi occupa con prepotenza la volta.
Si guardò la mano, le pupille dilatate dallo sforzo di trattenersi.
Li vedeva. Erano intorno a lui. Erano tutt'intorno a lui!
Uomini, crudeli, sorridenti, indifferenti al suo dolore, uomini col camice grigio e verde che gli attaccavano delle spine alla colonna vertebrale, al petto, alle gambe, nella testa, lo trapanavano da parte a parte e lo obbligavano a stare in vita mentre soffriva e si contorceva ed urlava. Li vide mentre gli iniettavano quella sostanza, quel liquame di fogna che lo aveva reso il mostro che era! Lo riempirono di quell'empia sostanza, lo corruppero. E poi, quando fu pronto, quando ormai di lui non era rimasta che una massa vitrea e senza volontà, lo scagliarono contro il mondo, contro i suoi amici. Lo vedeva, lo vedeva bene, vedeva quegli uomini malvagi ridere mentre attaccava Ryu, Junior, Lucas, Maty, Nelly, Shiro, tutti... Quel potere che gli avevano messo dentro era... una maledizione.
 
"Ragazzo, resisti!" gridò Rubens, cercando di avvicinarsi al giovane riverso a terra. Ma qualsiasi suo tentativo era vanificato dall'impressionante energia che il piccolo Randor emetteva. Tentare di raggiungerlo era un suicidio, ma il generale doveva farcela. Sapeva cos'era successo a lui e a Gyber. Nel momento in cui Adreus aveva rilasciato la sua essenza, l'Odio aveva pervaso i due e li aveva contagiati con il suo potere deleterio, rendendoli delle bombe dalla forza inimmaginabile, ma, di fatto, fuori controllo. Se non avesse trovato il modo di placarlo e di estrarre l'Odio dal suo organismo sarebbe esploso, portandosi dietro qualche miliardo di kilometri di territorio.
Come se non fosse sufficiente, Adreus era stato colto impreparato e il rilascio di energia del ragazzino lo aveva sbalzato lontano. Ma presto sarebbe tornato e allora avrebbe ucciso chiunque avesse trovato lì. Gli sarebbe bastato usare più del due per cento del suo potere...
Parsifal avanzava, intanto, avvicinandosi sempre di più ai suoi bersagli. Se li avesse raggiunti sarebbe stata la fine. Tre minacce a cui far fronte e nessuna idea su come porre rimedio. Il musico piegò le ginocchia, saltando in aria, evitando così un'ultra antracia che gli si era scaraventata contro.
"Fermati, Giuda!" gli gridò il megalodonte, fissandolo con gli occhi che avevano assunto una colorazione viola scuro.
"Amico, io che centro? Non posso farci nulla se siete sfortunati!" gli gridò di rimando il generale, svanendo appena in tempo per evitare una sfera di poco più grande di un granello di sabbia che emetteva luce di un forte colore viola. La pallina sparì negli ignoti recessi di quel cielo senza stelle. Si udì solo il botto e la terra che vibrava, ma era chiaro che l'esplosione era stata devastante.
"Che centri? Sei stato tu a metterci in questo casino!" gridò Gyber che, senza sapere come, previde il luogo in cui l'altro sarebbe riapparso e diede una gomitata alle proprie spalle, venendo bloccato da entrambe le mani del generale.
L'antracia si voltò di scatto tirando una spazzata con la mano libera. Lo spostamento d'aria fu così forte da essere visibile, sparendo come una falce viola all'orizzonte. Ogni movimento del lord, ora, emanava tanta di quell'energia da causare distruzione.
Dal canto suo Rubens non sembrava in svantaggio. Parò facilmente un pugno e i due rimasero in stallo. Entrambe le braccia dei guerrieri fremevano per lo sforzo inutile di prevalere l'uno sull'altro. E se Gyber aveva nelle braccia la forza allo stato puro, una forza fisica pari a mille volte quella di mille miliardi di personaggi dei suoi amati anime, l'altro emetteva un'onda acustica che ne annullava gli effetti, contrastandola perfettamente. Una sfera invisibile si creò intorno a lui e tutto al suo interno venne spazzato via. La sfera si allargò man mano che lo stallo si prolungava, arrivando a spazzare via perfino l'energia di Randor che, non essendo guidata, non seppe fronteggiare tutta quella violenza. Rubens vide il ragazzo a rischio e allentò la presa, lasciando che il pugno di Gyber avanzasse verso di lui. La sfera vaporizzante si dissolse e il lord proseguì per inerzia l'attacco, ma il generale si chinò verso destra, venendo appena sfiorato sulla spalla dal pugno, colpendo con un'onda sonora l'addome scoperto dell'ultra antracia.
L'albino venne scagliato all'indietro, ma con un colpo di reni si stabilizzò atterrando a qualche metro di distanza, pronto ad attaccare ancora. Non aveva subito danni, ma qualcosa iniziava a farlo calmare. Il generale delle Rovine, invece, si piegò su un ginocchio. Era vero che l'attacco di prima lo aveva sfiorato, ma era pur vero che era andato abbastanza vicino da staccargli l'intero braccio e un pezzo di busto e di testa. Ansimò, mentre il potere rigenerativo faceva del suo meglio per ovviare al danno.
Gyber si guardava stordito i pugni. Non era abituato a saper fare così tanto. Assolutamente. Ma di una cosa era certo: gli piaceva l'odore del sangue, il suono della realtà che si dissolveva per i suoi colpi. Gli piaceva terribilmente.
"A-ascoltami..." mugghiò Rubens, mettendosi in piedi. Ormai era quasi del tutto guarito. "Non serve a nulla combattere tra di noi, amico! Non vedi che abbiamo altri problemi?"
L'ultra antracia lo scrutò assottigliando gli occhi viola. Non poteva dargli tutti i torti. Parsifal era vicino e sentiva la presenza di Adreus farsi più vicina ad ogni istante che passava.
"Spiegami cosa succede e può darsi che non ti farò a pezzi." gli concesse alla fine, incrociando le braccia.
"Quando Parsifal è arrivato, Adreus è andato su di giri. Si è infuriato. Lui non voleva avere nulla a che fare con l'Omino di mai e con questa guerra. Perciò ha attaccato. Nel farlo, ha emesso una quantità eccessiva di essenza, travolgendo te e il tuo amico. Ha attivato i vostri doni, capisci? Ora sei al limite massimo e fidati di me se ti dico che hai appena assaggiato quello che ora sai fare. Il punto è che... se tu ora sei in grado di controllare parzialmente la tua forza, il tuo amico no. La sua psiche più fragile ha ceduto alla quantità di Odio che lo ha investito. Dobbiamo calmarlo, capisci? E poi andarcene da qui prima che arrivi Adreus, o Parsifal, o tutti e due, altrimenti siamo finiti, mi capisci, Gyber?!"
Il lord non rispose. Meditò qualche istante sulle parole dell'uomo. Da un lato avrebbe davvero voluto farlo fuori, ma non era del tutto sicuro di essere in grado. Se poco prima non avesse abbassato la guardia non gli avrebbe mai spaccato il corpo. Oltretutto il potere di Parsifal, bhe, poteva sentirlo. Ed era qualcosa che aveva percepito solo in un'altra persona, la peggiore del Multiverso: Miss Seek. Senza contare Adreus. Lui era il problema principale.
"Cosa proponi?" chiese infine.
Rubens sorrise.
"Uroi è andata ad affrontare Parsifal. Lo terrà impegnato per... dieci minuti circa, prima di venire sopraffatta. Dobbiamo approfittarne. Tu vai dai tuoi amici e portali qui, mentre io calmo il piccoletto, lì. Poi ce ne andremo da un altro Ens, ok?"
Gyber annuì. Era poco convinto del piano e, anche se non sapeva perché, la parte su Uroi lo intristiva. Ma non protestò e balzò indietro, verso i suoi amici, che se la stavano vedendo brutta. Rubens lo guardò allontanarsi, poi inspirò. Sperava di riuscire a scappare prima che Adreus decidesse di tornare.
 
Parsifal era ormai vicino ad afferrarli. Shruikan sembrava in trance. Vincent doveva trascinarselo dietro come un bambolotto di pezza per evitare che finisse tra le fauci del mostro. La morte di Mirrus lo aveva traumatizzato profondamente. Non tanto la morte, quanto il fatto che non si fosse accorto prima delle sue intenzioni e lo avesse fermato. Non se lo perdonava.
Dz era ancora svenuto e fu per questo che Lucas e Litios rimasero indietro. Il biondo inciampò imprecando. Tentò di rialzarsi, incitando Litios a proseguire, ma era tardi. L'ombra del ciclope lo avvolse, immensa, opprimente. Sentì il braccio titanico solcare l'aria verso l'alto. Sbarrò gli occhi, pensando che ormai fosse la fine. Non poteva spostarsi, o avrebbe colpito i suoi amici. Non poteva sperare di fermarlo, perché nulla poteva fermare la forza di quell'essere. Una forza così grande da essere sempre infinitamente superiore a quella dei suoi avversari. La forza della Rovina del Mondo.
Si voltò per poter vedere negli occhi il suo assassino. No, non si sarebbe arreso. Non era da lui. Alzò le braccia e sparò la fiammata più forte che poteva. Fiamme rosse, avrebbero sciolto un pianeta, ma contro Parsifal era come gettare un chicco di riso contro una montagna. Sentì uno spostamento d'aria e pensò di essere giunto al capolinea. Si stupì quando, invece della cupa mietitrice gli si palesò di fronte l'imponente figura di Uroi, il pugno caricato e avvolto dalla proiezione dorata di un pugno grande quanto un macigno. La donna, sebbene fosse più bassa e ben più piccola del mostro, era simile ad uno scudo impenetrabile in quel momento, con i tatuaggi illuminati di luce verde e gli occhi accesi di un viola penetrante.
I due esseri si colpirono e il suono fu così assordante da fracassare il tessuto stesso della realtà.
Lucas non sentì molto, dopo l'impatto, tranne la voce potente di Uroi che gridava a lui e ai suoi amici attoniti poco lontano di andare da Rubens. Poi ci fu solo il verso furioso di Parsifal, simile ad uno stridio di posate su una lavagna unito al rombare di un tuono e allo sfrigolare di cavi elettrici rotti. I due si colpirono di nuovo e di nuovo il mondo parve sul punto di capitombolare.
Lucas non si fece pregare, si alzò in fretta e si rimise a correre, venendo ben presto bloccato da uno strano tizio a metà tra uno squalo e un antracia parecchio inquietante, alta sui quattro metri, che afferrò Dz e poi, con il potere della mente, li sollevò tutti, portandoli in un batter di ciglia da Rubens e da un Randor che ancora tossiva terrorizzato, ma che, tutto sommato, stava quasi bene. Quando li vide, il generale sembrò sollevato.
"Oh, bene, ci siete... aspetta, Gyber, che fine ha fatto quel tizio sulla trentina, col camice? Euuh... Mirror? Mario? Mirco? Come si chiamava?" chiese perplesso, grattandosi con entrambe le mani mento e capelli.
L'antracia fece per rispondere, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte senza dire nulla, poi si voltò con aria perplessa verso Lucas, a cui si velarono all'improvviso gli occhi.
"Lui è..."
"Ragazzi, attenti!" gridò Lelq, buttandosi a terra e trascinando con sé Litios e Shruikan.
Un'ancora delle dimensioni di un grattacielo apparve in cielo, diretta a capofitto proprio su di loro.
"Dannazione, non abbiamo più tempo!" fece Rubens, unendo le mane, i palmi rivolti all'ancora scura. Un'onda sonora si propagò verso l'alto, deviando il gigantesco pezzo di metallo, che piombò ben visibile a dieci kilometri di distanza. Il polverone li raggiunse con velocità allarmante, mentre l'arma gigante svaniva come se non fosse mai esistita.
"IO VI AMMAZZO TUTTI!" proruppe la voce di Adreus mentre, poco distante, appariva la sua figura. Adesso non era più un vecchio fauno di meno di un metro, decrepito e arruffato. Ora era alto dieci metri e brandiva due mezze ancore viola con tre uncini a testa, lunghi sui dodici metri. Afferrò con una mano una delle due metà e la scagliò verso il gruppo a mo di giavellotto.
Gyber saltò di scatto, apparendo come se si fosse teletrasportato davanti alla traiettoria dell'arma. Piegò le braccia all'indietro e poi, lavorando di schiena e di bacino, fece cozzare i pugni chiusi sulla punta dell'ancora. L'arma lo fece volare all'indietro di diversi metri prima che riuscisse a bloccarla.
"Dannazione, quanto si sta impegnando, per sapere?" chiese a gran voce a Rubens, che stava lavorando per aprire un portale.
"Hai presente quanto impegno ci vuole ad unire due pezzi dei lego? Più o meno quello." gli rispose di rimando l'altro facendolo sudare freddo. Se non si sbrigava era belli che spacciati.
"IO VI AMMAZZO!" gridò di nuovo l'Ens, facendo roteare l'altra lama sopra la testa. Prese una piccola rincorsa e piantò l'arma nel terreno, da cui partì una profonda voragine da cui eruttava luce viola che cancellava tutto ciò con cui entrava in contatto. Lui sapeva controllare i suoi poteri, sapeva come indirizzare la sua forza senza disperderla. Gyber no. Per questo fece davvero fatica a contrastare l'attacco di luce viola. Si ustionò le mani e fu costretto a retrocedere di qualche passo, ma non si arrese. Però fu lento a riprendersi. Un secondo Adreus, di più o meno due metri, gli si era materializzato in parte ed ora stava per colpirlo con un'altra ancora illuminata di viola.
"Sprofonda nei flutti dell'Odio, insetto!" gli sibilò il fauno.
Era troppo veloce, non lo avrebbe scampato stavolta. In più, l'Adreus di dieci metri aveva recuperato una delle due armi e stava per piombargli addosso dall'alto dopo essere balzato in cielo. Lucas gridò con le lacrime agli occhi. Nessuno di loro aveva il potere di contrastare quell'attacco, nessuno di loro aveva la capacità di resistere ad un Ens, nemmeno se questi si limitava profondamente. Solo Rubens avrebbe potuto, ma ora era impegnato a violare il confine tra mondi per andare da un altro Ens.
Fu allora che Randor alzò lo sguardo. Non c'era paura, esitazione o timore, stavolta. I suoi occhi erano diventati viola e le sue labbra erano strette in una smorfia di risoluta certezza. E la certezza era una sola: Gyber non sarebbe morto. Per il piccolo Randor il tempo si bloccò. Adreus si muoveva lentamente per lui, ora. Poggiò un pugno sul petto e si percosse. Lo fece ancora. E ancora. E ancora, finché non sentì qualcosa smuoverglisi sotto la pelle. Un battito gli rispose. Poi un altro. E un altro. Il suo cuore iniziò a tambureggiare come impazzito.
"Per i miei amici... Per loro... Con loro... Mai... CONTRO!" gridò, mentre il tempo tornava normale e la sua magia si espandeva. Il suo corpo mutò. Braccia, avambracci, mani, cosce, gambe e piedi si separarono dal corpo, rimanendo a fluttuare in parte alle articolazioni. Tra i vari pezzi si crearono delle sorte di collegamenti di fumo nero. La metà sinistra del suo volto fu attraversata da linee di un verde acqua metallico, mentre sul lato corrispondente del corpo crescevano dei rigonfiamenti di metallo e dei tubi che collegarono il braccio sinistro alla spalla. Un nucleo blu chiaro in cui saettavano dei piccoli fulmini viola gli ornò il petto, proprio sopra il cuore.
Sparì per riapparire in parte all'Ens. Lo afferrò per un braccio, bloccandolo poco prima di poter trafiggere l'antracia, che lo guardò sbigottito. Con semplicità quasi ridicola, il nuovo Randor lanciò in aria il fauno, mandandolo contro la sua copia più grande, impalandolo sulla punta dell'ancora. Poi alzò una mano e, senza guardare l'obiettivo, chiuse le dita a pugno, facendo implodere il corpo dell'Ens.
Adreus si tramutò di nuovo nella sua forma originale, una massa di ectoplasma e fluttuò a terra. Fremeva furibondo.
"Come desideri..." sibilò, ricreando il corpo da fauno, delle dimensioni di un uomo. Solo che adesso aveva tratti molto simili a Mirrus. Il gruppo di eroi fremette.
"Quanto ti manca, amico?" chiese preoccupato Lelq, avvicinandosi a Rubens.
"Poco..." mormorò questi che, per tutto il combattimento, era rimasto con gli occhi chiusi e le palme delle mani aperte davanti a sé.
Uroi volò sopra di loro, andandosi a schiantare al suolo. Era gravemente ferita, al contrario di Parsifal, del tutto illeso, che si stava avvicinando a passi pesanti.
"Bhe, mi spiace dirtelo così, ma questo poco non lo abbiamo."
Adreus non si mosse. Spostò un dito verso l'alto. Una forza devastante sollevò da terra Gyber e Randor, immobilizzandoli e bloccando ogni loro potere.
"Ora vi..." fece per dire l'Ens, quando il raggio viola di Parsifal lo trafisse al cuore. Si guardò il buco nel petto. Poi alzò lo sguardo furibondo verso la Rovina. "COME HAI OSATO?!" gridò, lasciando liberi i due eroi che cercarono di rialzarsi nonostante il profondo dolore che la semplice presa del demone gli aveva causato.
Adreus si avviò a grandi passi contro Parsifal.
"Loro sono il MIO obiettivo." Mugghiò il ciclope, allungando a sua volta la falcata "E tu sei un traditore!"
I due si confrontarono, pugno contro ancora. Di norma Adreus avrebbe avuto la meglio sin dal principio. Ma all'orizzonte si poteva vedere la coltre oscura dell'ombra dell'Omino.
"Sta arrivando anche l'Omino di mai!" gridò Rubens, riuscendo ad aprire finalmente il portale. "Presto, per di qua, se ci tenete a vivere!"
I ragazzi lo seguirono di corsa. L'ultimo ad attraversare fu Rubens. Guardò Uroi mentre una lacrima gli rigava il volto.
"Mi dispiace..." mormorò, poi andò dall'altra parte e la frattura si richiuse.
 
Adreus e Parsifal si colpirono di nuovo. Il ciclope era in svantaggio. La rigenerazione dell'Ens, anzi, la sua invulnerabilità rendeva inutile qualsiasi attacco. L'Odio colpì ancora, e ancora, e ancora, facendolo cadere in ginocchio. Quando sferrò l'ennesimo colpo contro il bestione, il colpo con cui lo avrebbe di certo tagliato a metà, però, Parsifal reagì. Scattò e afferrò l'ancora a mezz'aria. Si alzò in piedi, sovrastando sempre più Adreus, che ringhiò.
"Ciao, Blaso..." mormorò l'Odio, mentre la Follia prendeva possesso di Parsifal e schiacciava il suo simile, imprigionandolo nel suo potere...
 
Angolo di ME!:

WEEEEEEEE
Allora, devo dare due avvertimenti: Primo, avete visto che la gente qui picchia duro, ma tanto. Quindi mi risulta difficile rendere a parole il livello di forza di ciascuno. Mettiamola così, ora Gyber e Randor potrebbero uccidere tutti i loro compagni con un dito, ecco. Sono al livello di un generale. Anche se Parsy è ancora troppo pro per loro :p
Punto due: voi avete appena visto Parsifal, e non avete visto, in realtà, quello che sa fare, ma a cosa sa resistere. Praticamente a tutto. Ora, voi sapete che Miss Seek (pg di Giulyu Frost) può subire danni, no? Lo dico perché ricordo un paio di ff che avevo letto in cui, bene o male, qualcosa le facevi. Io vi avviso, lei qui ha il potere di Parsifal. Quindi capirete che non sarà tanto facile counterarla, oky? OKY!
Ev.

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Capitolo 18
*** Gyber si Scatena - Parte Uno ***


Il portale si chiuse con un botto sordo.
Si ritrovarono in una stanza ghiacciata in cui una luce bluastra illuminava la struttura architettonica meravigliosamente barocca intagliata direttamente nel gelido cristallo. Litios e Vincent aiutarono Donatozzilla contro una colonna azzurra. Il rettile si raggomitolò singhiozzando contro l'appoggio, mentre i due lo guardavano cercando di provare compassione, magari tristezza. Ma i robot non provano compassione, né tristezza, tantomeno i figli della fine della vita. Lelq si lasciò cadere esausto su un blocco di ghiaccio spaccato, nascondendo il volto tra le mani, mentre Lucas cercava di guardarli uno ad uno, sperando di aver sbagliato, di poter trovare alla fine della conta il loro amico scomparso. Ma poi si arrese e lasciò cadere il capo sul petto.
Nessuno aveva la forza di alzare lo sguardo. Nessuno, eccetto Gyber. Il lord era furioso. Camminava avanti e indietro, le mani a sfera intrecciate dietro la schiena e un'espressione ermetica sul volto da squalo. Quando era così calmo voleva dire che dentro di lui stava imperversando un demonio che avrebbe trucidato chiunque lo avesse anche solo sfiorato per sbaglio. Randor si guardava la mano coperta dai cavi metallici, per poi passare all'altra, ora avvolta da un alone violaceo. Fluttuava a qualche centimetro da terra e i suoi occhi erano così luminosi da essere accecanti. Tuttavia sembrava... distante. La fine che aveva fatto doc sembrava non averlo toccato.
"Forza, dobbiamo muoverci." disse Rubens ad un tratto.
"Non hai il minimo rispetto per il nostro dolore?" sibilò Lelq, sollevando la testa che aveva fino a quel momento tenuta appoggiata alle mani.
Il generale sbuffò.
"Amico, per favore, non puoi darci un minuto?" chiese Lucas, cercando di placare le acque. Aveva gli occhi arrossati e stanchi. Il suo calore gli impediva di piangere lacrime, che si prosciugavano appena uscite dagli occhi.
"Se restiamo qui troppo a lungo quello ci trova, e stavolta non sarà solo, ma avrà un esercito! Dobbiamo sbrigarci, dannazione!" esclamò Rubens, allargando le braccia esasperato.
"MA NON TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE CI è CAPITATO?! CAZZO, ABBIAMO APPENA PERSO UN CARO AMICO!" gridò Shruikan, andandogli incontro con aria minacciosa. Lucas lo afferrò per le spalle, bloccandolo a fatica, mentre piccoli aghi di sangue nero si formavano involontariamente sul corpo del Kishin. "CREDI CHE CI FREGHI QUALCOSA DI QUESTO CESSO DI MONDO?! NO! SIAMO QUI SOLO PERCHÉ I TUOI CAZZO DI CAPI HANNO PRESO UNA DI NOI! ED ORA GUARDA!"
"E CREDI CHE NON ABBIA PERSO NESSUNO ANCHE IO?!" esplose Rubens con un'ira così imponente da far ammutolire il moro, che però continuò a fissarlo con aria ferita. Una lacrima cadde dall'occhio grigio del generale, che abbassò le spalle in segno di sconfitta. "Ho perso... Tutto, in questa guerra. La mia casa, la mia... la mia famiglia. I miei amici migliori se ne sono andati uno dopo l'altro, catturati da quel mostro di Parsifal. Tu pensi... Pensi di essere il solo, qui, che vuole vendetta? Ti sei mai fermato a chiederti quello che cosa provano gli altri? No, certo... A voi non interessa questo mondo e lo capisco, tuttavia non potete dire che non vi importi di voi stessi e della vostra amica. Se restiamo qui a piangerci addosso saremo perduti, e allora fine dei giochi, basta, capolinea. Se invece ci diamo una mossa, possiamo sperare di trovare Lyram in tempo. Dobbiamo farlo, capite?"
"A che pro?" mugghiò Dz, che aveva lasciato cadere la testa all'indietro, contro la colonna. Teneva gli occhi chiusi e tremava ancora, non si capiva se di paura o di sconforto. "Tanto, ormai... Siamo segnati."
Rubens strinse i pugni.
"Vuoi mollare, Dz? Vuoi mollare? E tu saresti un eroe?" lo provocò.
"No, non lo sono..." borbottò l'altro.
"Come? Scusa, non ho capito bene."
"NON LO SONO! Se lo fossi stato ora non saremmo qui, avremmo potuto fermare quello schifoso aborto mono-occhio e doc sarebbe... sarebbe..." annaspò, come se cercasse di trovare a mezz'aria la parola che gli mancava. Si arrese presto e richiuse la bocca, fissando nel vuoto.
Lucas lo guardò sconsolato. Che diavolo stava succedendo alla sua squadra? Sembrava quasi che qualcosa stesse influendo su di loro, indebolendoli mentalmente in modo da farli crollare più facilmente. Si ripromise di chiederlo al prossimo Ens che avessero incontrato, perché quella spossatezza morale non l'aveva mai vista, nemmeno quando Gray era riuscito a sconfiggerli a più ripetizioni dopo essere stato resuscitato.
"Ragazzi, so che è difficile, ma dobbiamo muoverci. Giuly è ancora là fuori e noi dobbiamo andare a salvarla. Dobbiamo farlo, se no che amici saremmo? Inoltre... Capisco che gli ultimi avvenimenti possano avervi lasciati scossi, ma diamine. Non è la prima volta che qualcuno di noi muore. Eppure siamo sempre riusciti a salvarci tutti. Perché stavolta dovrebbe essere diverso?" proferì il leader, cercando di infondere nelle sue parole tutto il coraggio e la forza che non sentiva di avere nemmeno per sé stesso.
"Sai il perché." lo lapidò Dz, scoccandogli una sola, rapida, impietosa occhiata giudicante che lo fece vacillare come mai pugno aveva fatto prima. Una stilettata al cuore avrebbe fatto certamente meno male.
"Non credere, ragazzo kaiju, che il vostro amico sia perduto per sempre. Se è questo il pensiero che vi opprime tutti, posso garantirvi che non è qualcosa di cui preoccuparsi." disse Rubens, capendo l'intenzione di Lucas.
"Ah, davvero? Ma che bella notizia! Sentito, ragazzi? Mirrus è morto, ma noi di che ci dovremmo preoccupare? Tanto Rubens ha la soluzione!" sbottò sarcastico Lelq.
"Dico sul serio. Ragionate. Le opzioni sono due: o Parsifal lo ha annichilito, facendo si che solo un Ens lo possa far ritornare, oppure si è suicidato. Nel primo caso, che però scarterei perché, se lo ricordate ancora, allora non è stato annichilito, basterà chiedere a Lyram, a Nero, o a chiunque altro degli Entes di riportarlo indietro. Non c'è nulla di più facile, diavolo. Nel secondo caso, la sua essenza è stata trasportata nel settimo mondo della morte. Da lì è facile uscire, basterà chiedere al Mietitore, un Ens particolare. Ci saranno delle faccende burocratiche da sbrigare, ma sarà facile farlo tornare indietro. Fidatevi, il vostro amico non è spacciato, ne ha ancora di di botte da prendere e da dare."
Il silenzio calò sul gruppo, interrotto solo dallo scalpiccio dell'antracia.
"Ovviamente, rimanendo qui Parsifal ci troverà e ci ucciderà, annichilendoci, nessun Ens verrà a riportarci indietro allo stato di esistenza e i vostri amici non torneranno mai più. Siete voi a scegliere, qui ed ora, se condannarli o no. Non vi importa di questo Mondo? Perfetto. Ma, ripeto, mi rifiuto di credere che la stessa non curanza sia rivolta ai vostri amici."
Lelq alzò lo sguardo di nuovo, incrociando gli occhi di Lucas. Litios diede una gomitata a Vic che fece un cenno con la testa. Shruikan strinse i denti e i pungi, ma si calmò subito.
"Promettimi che, dopo aver dato tanti calci in culo all'Omino e a quel ciclope stupido, mi ridarete i miei amici sani e salvi." disse. Ma non sembrava un ordine. Sembrava una richiesta.
L'espressione dell'uomo si addolcì.
"Posso garantirti che, avendo Nero dalla nostra, non c'è nulla di più facile."
"Allora andiamo, facci strada." disse Lucas, un po' confortato.
Gyber si bloccò di scatto. Coi suoi quattro metri di altezza e i due metri di spalle faceva davvero paura, soprattutto di schiena, con gli aculei puntati verso di loro.
"E così... Continui, eh, capitano?" ringhiò, mettendo tanta di quella cattiveria in quel capitano da farlo sembrare un insulto.
Lucas lo guardò stranito.
"P-prego?" chiese.
Rubens scrutò l'antracia dubbioso. "Non creiamo guai, ok?"
"Oh, non devi dirlo a me, quanto piuttosto a lui, mio generale!" esclamò l'albino voltandosi a braccia spalancate. La mezza maschera nera nascondeva le sue fauci, ma chiunque poteva capire che stava smaniando di prendere a morsi il biondo e l'uomo eccentrico.
"Gyber, non ricominciare, eh!" disse Lelq, alzandosi.
"Non ricomin...? Non ricominciare?!" esplose il lord, scatenando un'ondata di energia che frantumò il ghiaccio in più punti. "TACI, LELQ! TUTTO QUESTO È COLPA TUA E DI QUEL CRETINO CHE CI OSTINIAMO A CHIAMARE LEADER!"
Lucas lo guardò. Non lo aveva visto così nemmeno quando, poche ore prima, sotto l'influsso passivo di Adreus, si era infuriato senza motivo.
"Amico, ti prego, cerca di capire..." cercò di calmarlo Lucas.
"CERCA DI CAPIRE?! Ti avevo detto sin dall'inizio che quell'Every, quel moccioso patetico, ci avrebbe causato solo guai! Ma tu nooo! Non guardiamo in faccia la realtà!" sbottò, avanzando a grandi passi con aria minacciosa. "Tu ci hai fatto accogliere quel vermiciattolo! Tu ci hai fatto venire qui e seguire quel pazzo alla ricerca della sua ragazza! Cara ragazza, per carità! Ma vale la vita di tutti noi?! Tu hai condannato a morte i tuoi amici, Lucas!" Shruikan e Vincent cercarono di mettersi in mezzo e di bloccarlo prima che potesse toccare il biondo. Il ghiaccio aveva notevolmente indebolito i suoi poteri, quindi era indifeso. I due afferrarono l'ultra antracia per le braccia, ma lui se li scrollò di dosso con facilità, mandandoli a sbattere contro il ghiaccio che traforarono di diverse decine di metri. "E un'altra cosa!" continuò "Ho firmato un contratto con te. Ma da adesso, fiammifero, i miei soldi sono MIEI e le mie cose sono MIE. E se non lo rispetterai ti giuro che potrai anche essere il prescelto, l'angioletto cocco di mammà, ma ti infilerò la testa su per il culo e poi ti tirerò nel water e si, si, proverò davvero tanto piacere nel farlo."
I due erano faccia a faccia. Gyber era così grosso che il biondo spariva quasi vicino a lui. I loro occhi saettavano gli uni negli altri, ma, per una volta, Lucas non se la sentiva di litigare. Percepiva chiaramente quanto troppo forte per lui fosse diventato l'amico. Come uno squalo e un pesce rosso, per l'appunto.
"Altro da aggiungere?" chiese freddo il biondo, deglutendo appena.
"Si: fottiti."
Gyber si voltò, facendo guizzare una delle due code contro la spalla del fiammifero, lussandogliela.
"Nessuno vi ha chiesto di venire, razza di idiota." disse Lelq contrito.
Gyber si voltò e gli si avvicinò. Il ragazzo gonfiò il petto cercando di non farsi sottomettere.
"E ci avevano avvertito che ci sarremo suicidati solo per permettere a te e alla tua ragazza di riabbracciarvi? A me non pare."
"Nessuno aveva detto che sarebbe stato facile. Anzi, mi pare di avervi detto che sarebbe stata dura, questa volta. O sbaglio?" lo sfidò ancora il musico, assottgliando gli occhi.
Gyber lo fissò emettendo un mormorio insolito da tutto il corpo, simile alle fusa feline, ma più profondo e cupo. Tutti restarono col fiato sospeso, mentre Rubens si avvicinava preoccupato.
Fu fulmineo. Nemmeno si videro i movimenti che l'ultra antracia compì, semplicemente un istante prima Lelq era in piedi davanti al colosso e un attimo dopo si trovava incastrato nella parete con qualche frattura multipla.
"NON MI SFIDARE, LELQ, NON FARLO!" gridò Gyber con una voce potente che avrebbe fatto tremare la parlata regale delle autorità di Canterlot. Fece per avvicinarsi al povero ragazzo che non riusciva a far altro che rantolare, quando la mano del generale gli afferrò il polso e lo lanciò lontano, fracassando una colonna. Il lord si rialzò scuotendo la testa infuriato. I suoi occhi si colorarono di un viola molto intenso. Aprì le dita e dalle mani sferiche fuoriuscì una sostanza di un colore blu scurissimo che avvolse tutti gli oggetti inanimati, tramutando la stanza di ghiaccio in una coltre di quello che sembrava catrame blu cielo notturno.
"Crepa, Rovina." ringhiò, lanciandosi all'attacco, trascinandosi dietro quel fumo che solidificò in due lunghe lame coperte di spine nere e d'oro. Rubens unì le mani ed emise un'onda sonora che lo contrastò, ma solo parzialmente. Il lord era diventato forte, molto forte, tanto che il generale non poteva più sperare di batterlo senza usare tutto il suo potere. L'ultra antracia arrancò fino a lui, che lo fissava terrorizzato, per poi afferrargli con la coda il collo e stringerlo, facendolo soffocare per un istante. Lo scrollò e lo lanciò contro il soffitto. Il tonfo del corpo che prima si fracassava contro la volta coperta dalla sostanza emanata dal megalodonte e poi ricadeva al suolo pervase la stanza, amplificata proprio da quella roba bluastra. Lucas cercò di incenerirlo, ma le sue fiamme furono risucchiate dalla sostanza come da un buco nero.
"Ma che..." balbettò il biondo, indietreggiando mentre l'amico inferocito gli si dirigeva contro a passo deciso, lasciando raschiare le lame sul terreno. Le scintille non fuoriuscivano nemmeno, venendo risucchiate immediatamente dalla sostanza.
"Vedi, Daniel, vecchio mio... Ora i miei buchi neri sono più... particolari, diciamo. Non solo posso controllare l'estensione di ciascuno e manipolarli per creare oggetti, ma posso decidere cosa debbano assorbire... e con quale intensità!" disse pacato il colosso, piantando poi le spade nel suolo, facendo tremare tutto il grande buco nero con cui li aveva avvolti. Sotto ciascuno dei presenti si creò un cerchio viola in cui vennero presto tutti risucchiati senza che nessuno avesse la forza di resistere. Lucas cercò di gridare, ma anche il suono era intrappolato nella morsa gravitazionale.
Rubens era l'unico a resistere. In quanto generale, aveva raggiunto il limite massimo come Gyber. Erano alla pari, ma si trovava in difficoltà. Probabilmente aprire il portale fino a lì doveva averlo stremato.
Gyber rideva, rideva, mentre incrementava lentamente il risucchio, facendoli sprofondare sempre di più. E più sprofondavano più sentivano i loro corpi venire disintegrati, annientati a livello atomico e non solo.
Fu a quel punto che Randor si accorse di quanto stava accadendo. Smise di fissarsi la mano fumante e spostò lo sguardo inespressivo come quello di Victus sull'ultra antracia. Vide quello che stava facendo. E qualcosa gli si smosse dentro, qualcosa che poteva avvicinarsi circa al fastidio. Mosse la mano destra, quella non robotizzata, e una massa di magia viola scuro fece scaraventare Gyber contro una parete, facendolo finire nel suo stesso buco nero. Per un istante tutto sembrò fermarsi. La stanza tornò normale, il buco nero svanì e i ragazzi furono liberi.
Rubens si rimise il più in fretta possibile in piedi e disse, massaggiandosi le gola dolorante: "È... È morto?"
Non ebbe bisogno di ricevere risposta. Un buco nero viola si aprì dal nulla e Gyber saettò contro Randor che appena in tempo lo bloccò con una barriera magica, sbattendo però la schiena contro l'ultima colonna, facendola andare in frantumi.
La stanza rombò. Litios alzò lo sguardo e un occhio gli lampeggiò.
"Ragazzi, dobbiamo uscire." commentò piatto. Uno scossone. Poi grossi pezzi di ghiaccio precipitarono a terra dal soffitto. "Subito."
 
Angolo di ME:
Pubblico oggi (che non è sabato) perché domani (che invece è sabato) non riuscirei manco ad accendere il computer. Quindi isi.
Aaaaanyway. Come dico sempre io, enjoy this :D
(a fine esami penso comunque che mi prenderò qualche giorno di pausa... giàggià :/)
Ev.

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Capitolo 19
*** Gyber si Scatena - Parte Due ***


Corsero fuori dalla stanza di ghiaccio il più in fretta possibile. Rubens e Randor restavano ai lati del gruppo per bloccare gli eventuali attacchi di Gyber che invece era rimasto indietro dopo che il generale lo aveva stordito con un'onda acustica a sorpresa. Ma l'ululato di rabbia dell'ultra antracia si era fatto sentire in brevissimo tempo.
Il soffitto cedeva ad un ritmo pauroso e il corridoio in cui si erano infilati (che tra l'altro era il solo accessibile dalla stanza) sembrava stringersi intorno a loro. Nessuno di loro conosceva incantesimi di teletrasporto abbastanza potenti e che agissero anche in luoghi del tutto sconosciuti come quello. Tutti tranne Randor e Rubens, ma se il secondo era troppo stanco per portarli via in tempo, il primo aveva garantito che "nessuna delle sue magie, ora, era sicura per nessuno di loro", lasciando una sorta di timore nei suoi confronti nei suoi compagni. Dopo aver visto, tra l'altro, la sua potenza e la sua nuova determinazione nessuno era più disposto a riconoscerlo. Era completamente diverso dal solito, timido, impacciato, impaurito Randor Zacaris.
Passarono tra altre sale gigantesche in ghiaccio. Lì le colonne erano integre, ma il potere di Gyber stava infettando tutta l'area. Giganteschi ammassai di quella sostanza bluastra che rappresentava i suoi nuovi, migliori, potenziati buchi neri si stava spandendo sull'acqua solidificata, corrodendo l'ambiente circostante. Dovevano sbrigarsi e cercarono di correre verso il corridoio al lato opposto delle sale di volta in volta in cui un cunicolo terminava. Sembrava che quel posto fosse infinito. Ad un tratto, da uno degli ammassi di buchi neri, il lord apparve. Non portava più la maschera e teneva le fauci spalancate, mostrando le quattro chiostre di denti acuminati su ogni arcata, che scintillavano come schegge di acciaio. Fu come un proiettile, travolse Rubens e lo portò con sé in un altro buco nero. Il gruppo si bloccò di scatto, fissando il punto in cui erano spariti.
La sostanza, che si era spalmata come melma sulla parete orizzontale, era increspata come un lago in cui era stato gettato un sasso. Riemersero da una pozza a qualche metro di distanza, sul soffitto, ma Gyber riuscì a ritirare sotto l'uomo, che fece in tempo a gridare uno strozzato "Correte!"
Gli eroi non se lo fecero ripetere, si misero a scappare verso l'uscita. Una luce li aspettava, finalmente, in fondo a quell'ennesimo corridoio.  L'ultra antracia saettò di nuovo verso di loro da un buco nero che si stava formando in quel momento a lato dell'ingresso. Randor mise le mani in avanti e riuscì a bloccare l'assalto, ma stavolta l'avversario era pronto. Spalancò la bocca nel momento in cui la magia dell'ex-compagno lo tangeva e una forte luce viola si formò tra i denti. Il raggio perforò la barriera e il corpo di Randor con la stessa facilità con cui un compasso perfora un foglio di carta. Il corpo del virus-ombra evaporò nel punto di compatto, lasciando solo un grosso foro sull'addome. I brandelli di materia nerastra di cui era ora composto si bloccarono a mezz'aria, per poi essere risucchiati verso il ragazzo, ricomponendone l'organismo.
"Errore grossolano, affrontarmi così." commentò, prima di unire le mani aperte davanti al muso dell'antracia a velocità super sonica. Sparò a sua volta un raggio, che mandò il lord a sbattere contro un buco nero, facendolo immergere.
L'intera azione si svolse in così poco tempo che fu come se non fosse successo per quasi tutti i presenti, eccezion fatta che per i due contendenti. Rubens emerse con un profondo sospiro da un buco nero, aiutandosi con onde di energia che contrastavano l'attrazione gravitazionale.
"Forza. Per di qua!" gridò, incitando gli altri a seguirlo.
Il gruppo proseguì, sotto gli incessanti attacchi del megalodonte infuriato che si ostinava a mirare a Lelq e a Lucas, ignorando gli altri. Rubens e Randor riuscivano sempre più a fatica a correre e a difendere il gruppo allo stesso tempo, giacché gli attacchi si facevano sempre più violenti ed energici.
Quando finalmente emersero alla luce del giorno, l'edificio crollò del tutto, risucchiato da un gigantesco ammasso blu scurissimo, da cui emerse la figura di Gyber, più imponente e minaccioso che mai.
"Vi trascino in tribunale... Vi ci trascino da cadaveri!" ruggì. Si lanciò all'assalto, trascinandosi dietro la massa blu che gli cingeva il corpo dalla vita in giù come una gigantesca coda mortale. Una luce viola scuro avvolse tutto il suo corpo. La massa gigante, grande quanto una montagna, si sollevò dal suolo come un'onda di marea e si piegò su sé stessa, abbattendosi su di loro.
Randor e Rubens si fecero avanti, imponendo le mani. Kishin ringhiò di rabbia e si decise a contrattaccare, unendo le mani a preghiera e generando il varja che canalizzò nelle immagini di tre grandi occhi verdi che lo circondarono. Lucas e Lelq lo imitarono, l'uno puntando la pistola, l'altro generando fiamme. Litios tramutò le braccia in cannoni a laser. Vincent stette a guardare passivo, con un dito poggiato sul mento. Dz cercò di aprire la bocca per lanciare un raggio atomico, ma rimase indeciso, incapace di fare alcunché, bloccato dal suo dolore. Non avrebbe ferito nessuno dei suoi amici, non ne avrebbe persi più.
Gyber spalancò le fauci e generò luce viola. Il suo raggio e il suo gigantesco buco nero piombarono come un mondo intero sul piccolo gruppo, che diede fondo alle sue energie per resistere, creando una sorta di bolla con i vari attacchi combinati che resistette, venendo però avvolta e scomparendo.
Quando l'onda blu cessò, fu visibile l'antracia lottare brutalmente corpo a corpo con tutti i suoi vecchi amici. Parò un pugno di Litios e gli piegò il braccio, schivando la falce di Shruikan spostando indietro il busto. Diede un colpo di coda a Lelq, catturando con la seconda Vic e lanciandolo a terra. Randor si avvolse di luce viola a sua volta e lo attaccò colpendolo sul volto. L'antracia vacillò, ma per pochi istanti, rispondendo con una gomitata. Lasciò andare Litios che cadde a terra e, con entrambe le mani sparò due raggi in volto a Rubens, mandandolo a gambe all'aria. Venne colpito da Lucas sulla schiena con un doppio pugno ardente; si piegò sulle ginocchia, affaticato, ma, con un colpo di reni, si raddrizzò e diede una testata al biondo. Intanto Randor si era ripreso e gli aveva scagliato due colpi magici. Ne parò uno con un avambraccio, tagliandolo in due, ma l'altro lo centrò in pieno stomaco, facendolo barcollare. Shruikan ne approfittò per intrappolargli una zampa nel sangue nero, mentre Lucas cercava di colpirlo di nuovo sul volto, ma Gyber fu più rapido: afferrò il pugno del leader e lo frantumò, per poi sbatterlo a terra. Rubens gli diede un pugno sul retro del ginocchio, facendolo cadere a terra ansante, ma ancora quello non si arrese, sparando un raggio che fece terra bruciata in un cerchio intorno a lui. Lelq gli sparò con la pistola a pentagramma, mentre Litios lo colpiva con il braccio cannone sulla schiena. L'ultra antracia sputò un grumo di sangue, poggiando le mani al suolo. La sostanza blu iniziò a colare da tutto il suo corpo, parando i colpi, per poi esplodere, travolgendo tutti. Come una saetta, il lord frantumò il sangue nero che lo bloccava e si scagliò contro Randor, fracassandogli la mascella con un pugno, per poi prendere la faccia del Kishin e schiantarla a terra. Rubens fece diradare la sostanza con un'onda sferica, per poi colpire con un pugno alla velocità della luce la schiena dell'antracia, che gridò di dolore, piegandosi a fionda in avanti. Senza crollare a terra, Gyber si diede una spinta con il bacino e colpì con una manata il generale, mandandolo a sbattere contro le macerie dell'edificio di ghiaccio. Parò un altro colpo di Litios e gli diede un pugno in pancia, piegandolo e facendolo svenire. Lucas lo caricò incendiandosi del tutto, venendo però intercettato da una coda dritta in testa, colpito nello stomaco da una frustata dell'altra e poi afferrato per il colletto dagli artigli del mostro, che lo fece schiantare a terra con una forza tale da farlo rimbalzare a terra e, mentre si trovava a mezz'aria, gli sparò contro un raggio che, se lo avesse colpito, lo avrebbe ucciso spazzandogli via testa e buona parte del busto.
Una fiammata blu intercettò l'attacco, obbligando l'ultra antracia a coprirsi gli occhi con un braccio. Una saetta preannunciò l'impatto di una meteora dorata avvolta da fiamme bluastre che si piazzò tra Lucas, steso a terra ansimante, e Gyber, che invece si stava riprendendo in fretta.
"Johara, ora!" gridò una bellissima voce femminile proveniente dal globo di fiamme blu.
Un piccolo tornado di polvere si sollevò dal suolo, attorniando il lord, che provò a liberarsi sparando raggi energetici che però venivano catturati e, in modo ignoto, annichiliti dal vortice.
Fiamme blu si unirono lentamente al vortice, incendiando l'ultra antracia che gridò di dolore. Rubens ne approfittò per alzare debolmente una mano e aggiungere le proprie onde sonore calmanti, mentre Randor usava la sua magia per prosciugare le energie del megalodonte.
Il lord si dimenò per diversi minuti, mettendo alla prova i quattro. Aveva un'energia impressionante. Ma alla fine, la superiorità numerica lo piegò. Smise di muoversi, vinto dalla fatica, e il vortice si placò, lasciandolo discendere dolcemente a terra. Ansimava.
Finalmente, poterono rimirare l'ambiente in cui si trovavano. Si trattava di una infinita distesa di ghiaccio e terra brulla che si perdeva fino all'orizzonte, immutato, similmente al mondo in cui erano prima, l'Oltremondo. Solo che lì la pianura veniva interrotta da improvvisi dislivelli, conche del diametro di centinaia di kilometri, montagne alte fino a svanire nel cielo. Un monte particolarmente alto si innalzava poco lontano lì. Tutt'intorno alla montagna si snodava una gigantesca città che svaniva con la cima rocciosa tra le nubi azzurrine della volta celeste, da cui filtrava la luce innaturale del luogo. La città sembrava quasi un lungo serpente che stritolava la montagna.
"Uff, grazie ad Unlegal..." mormorò Rubens, piegandosi sulle ginocchia.
I ragazzi erano però troppo concentrati sui nuovi arrivati... o meglio, le nuove arrivate, per prestare attenzione a lui o a Gyber. Una era una donna sui trent'anni, dallo sguardo pacato e profondo, serio e reso più penetrante dal suo volto affilato e bianchissimo. Gli occhi socchiusi in uno sguardo languente erano di un azzurro quasi bianco, striato di lillà. Portava i lunghi capelli castani chiaro raccolti in una crocchia. Indossava un corpetto celeste sopra una lunga tunica stretta in vita da una cintura in pelle, entrambe color grigio-marroncino. Stava ritta in piedi, le mani intrecciate dietro la schiena con grazia da ballerina.
L'altra era una ragazza di poco più di diciotto anni. Era decisamente... stupenda. Aveva una pelle dorata che pareva essere più liscia del velluto, lucente e perfetta come metallo, ma al tempo stesso morbida e calda. I suoi occhi erano di un arancione scintillante, senza distinzioni tra sclera, iride o pupilla, mentre i capelli ricordavano una distesa di foglie in autunno, con varie tonalità di arancione, giallo e castano che si mescevano tra loro in un quadro meraviglioso, lasciato libero di incorniciare il volto perfetto e bellissimo della dea. Il fisico era stupendo. Non esagerato in nessun senso, ma delle misure giuste, perfette, idilliche. Portava con eleganza una giacchetta di jeans logora e scolorita, che solo lei riusciva a rendere il capo d'abbigliamento più chic del mondo. Sotto portava una maglietta bianca e dei pantaloni in falsa pelle grigia molto attillati con tanto di scarpe da trekking ai piedi. I pantaloni avevano dei risvolti che lasciavano intravedere le caviglie lisce e perfette. Il suo volto era simile ad un quadro di inestimabile valore, anche con l'espressione dura e austera che la faceva sembrare una soldatessa. Teneva le braccia snelle, coperte dalle maniche aderenti della maglietta fino a poco sotto il gomito, lasciando a due guanti beige l'onore di coprire le sue mani incantevoli e delicate, stese lungo i fianchi, tradendo la sua tensione soprattutto nei pugni stretti.
"Chi è quello splendore?" chiese con la mandibola slogata il Kishin.
"Ehy, non ci pensare proprio, lei è mia, bello." disse categorico Lelq.
"Ehy, ma tu sei occupato! Io invece..." si fece avanti Lucas, lisciandosi i capelli con una mano e sorridendo con un sopracciglio che ondeggiava.
Litios gli diede uno scappellotto. "Lo sei anche tu. E anche io. TUTTAVIA, secondo calcoli molto accurati, è chiaro, palese, oltretutto ovvio che io debba stare con questa venere."
"E perché scusa?" chiese imbronciato Dz.
"Perché sono l'unico abbastanza bello." rispose come fosse la cosa più ovvia l'alienandroide.
Vincent alzò una mano. "Posso dire una cosa?"
"TU STA ZITTO!" gridarono gli altri all'unisono, tornando poi a litigare, mentre le due donne e Rubens si avvicinavano, salutandosi amichevolmente.
"ASPETTATE!" gridò ad un tratto Lucas.
"Che c'è?" chiese Litios contrariato.
"Lascialo perdere e difenditi, robottino! È un altro dei suoi sporchi trucchetti per distrarci!" lo richiamò Shruikan, mettendosi in guardia come un pugile.
"Sul serio, Rubens ce la sta rubando!" riprovò il biondo, indicando i tre.
Rubens, in effetti, aveva iniziato a vezzeggiare la ragazza, facendo arrossire l'altra donna. Però la diretta interessata sbuffava annoiata, alzando gli occhi al cielo.
"Mia cara, cara, CARA Gwenny! Per me è un vero piacere poterti incontrare di nuovo! Vieni! Baciami! Non negarci il nostro destino!" gridò ad un tratto il generale, lanciandosi verso di lei. Ma la ragazza era di un altro avviso. Si scostò di lato e lo lasciò cadere rovinosamente. Lui si rialzò stoicamente e ci riprovò. Lei saltò in aria. Una volta che lui fu faccia a terra, lei gli piombò addosso con i tacchi, schiacciandogli il cranio e facendogli saltare le cervella.
"Non avrai esagerato, sorellina?" chiese perplessa la dama bianca.
"No, che dici. È il solito Rubens, del resto, sfacciato con tutte, in particolar modo con me. L'ho già fatto fuori un centinaio di volte e non l'ho ancora ucciso."
La dama bianca pensò un attimo, poi scrollò le spalle sconsolata. "Penso tu abbia ragione... Comunque, abbiamo altro da fare. Papà ci ha chiesto questo favore e noi dobbiamo farlo al meglio. Ora non ci resta che capire che sia successo al pesce..." disse, indicando alla fine Gyber, ancora a terra ansante con le mani poggiate sull'addome. Teneva gli occhi chiusi e faceva esercizi di respirazione.
"Ehm..." si schiarì la gola Lelq.
Le due si voltarono verso il gruppo di ragazzi. La dama bianca sgranò gli occhi. Quella che Rubens aveva chiamato "Gwenny", invece, si strinse gli occhi con due dita.
"Sai, a volte mi chiedo se sia davvero così positivo essere me." brontolò la ragazza d'oro in un modo assolutamente adorabile che fece schizzare i ragazzi a mille. Litios si diede uno schiaffo, Lelq si inginocchiò e lodò il sole e la luna, Lucas volò verso il cielo e tornò con un pezzo di nuvola intorno al volto a mo' di barba, Shruikan e Donatozzilla si mangiarono le mani a vicenda. Vic aprì la bocca e disse: "Wo."
"S-si... in effetti a volte è svantaggioso... Beh, almeno guarda il lato positivo." balbettò la dama.
"Si? Qual è il lato positivo di essere così bella da mandare in confusione chiunque? Io non vedo lati positivi in una maledizione!" sbottò l'altra alzando lo sguardo offesa.
"Suvvia, maledizione, come sei melodrammatica."
"Si, questa è una vera benedizione! Condividila con me!" esultò Rubens, rigeneratosi, alzandosi di scatto dietro le due donne che gli tirarono un pugno all'unisono, senza guardarlo, facendolo svenire di nuovo.
"Oh beh, senti. Non facciamola durare troppo, ok? Fai quella cosa e... finiamola qui." disse infine la ragazza focosa, roteando una mano.
"Sicura?" chiese premurosamente la dama.
"Si, Johara, ne sono certa."
"Ok, come vuoi! Non scaldarti..." disse Johara "Ma poi non prendertela con me perché ti fa il solletico dappertutto, Gwenn. Questa è una TUA idea."
La dama bianca alzò una mano e una leggera polvere azzurrina si sollevò dal suolo. Era polvere di ghiaccio che avvolse il corpo di Gwenn e la ricoprì dolcemente, come una coperta, facendola letteralmente svanire nel nulla.
"Nascondineve..." mormorò Johara.
I ragazzi videro Gwenn svanire, arrivando a piangere e a battere i pugni sul terreno per il dolore di averla perduta.
"Sono ancora qui, idioti. Sono solo diventata invisibile!" sibilò lei dal nulla.
"Che voce bellissima..." mormorò Dz.
"GWENN, DOVE SEI!?" GRIDAVA LELQ.
"Non potrò... mai più... vivere, senza di lei..." piangeva Lucas carponi sul terreno.
Vic alzò la di nuovo la mano. "Ragazzi, voi siete già tutti impegnati..." mormorò.
Tutti lo fissarono con gli occhi accesi da fiammate e lampi che fecero ammutolire il mietitore.
"Ora basta! Partirò alla ricerca di un incantesimo con cui vederla di nuovo!" gridò ad un tratto Dz, alzando di scatto il braccio.
"Ed io sarò con te!" diede man forte il Kishin, mettendogli una mano sulla spalla.
"Si!" esclamò convinto Daniel saltando in piedi con ritrovata fiducia, mentre Litios si metteva a calcolare le possibilità di riuscita di sì ardua missione. Vincent fece per alzare la mano, ma Johara gliela abbassò, scuotendo la testa, mentre la voce di Gwenn si faceva sentire, intenta a borbottare insulti. Rubens mise una base musicale da film d'avventura e si mise in testa un cappello da cowboy.
"Fino alla fine del mondo ed oltre, ragazzi!" gridò, guidandoli alla volta del magico incantesimo di rivelazione di oggetti invisibili.
Tutti lo seguirono gridando a loro volta: "SIII!"
Fu in quel momento che, sotto gli sguardi allibiti delle due ragazze e gli occhi spenti di Victus, apparve di nuovo Randor. Il ragazzo, scomparso dopo la sconfitta di Gyber, si materializzò in quel momento con aria di disappunto in volto, stendendo le mani per fermarli.
"Voi non andate da nessuna parte." ordinò.
Lelq lo guardò storto. "Ah, no? E cosa ci fai se no, scusa?"
"Forse ci spruzza addosso un po' di fumo." propose con aria strafottente Litios.
"O forse ci guarda male e si mette a piangere, povero piccolo." fece Dz, fingendo di asciugarsi gli occhi come un bambino.
"O forse, più probabilmente, dirò a Rainbow Dash, ad Applejack, a Giuly, a Diana e a Shiro quello che state facendo barra dicendo e che avete fatto barra detto fino a dieci minuti fa." replicò pacato il tecno virus, incrociando le braccia. I cinque si fissarono sudando freddo.
"È stato lui!" esclamarono alla fine, indicandosi a vicenda. Poi si misero a correre a destra e a manca, finendo per sbattere gli uni contro gli altri. Quando si rialzarono avevano assunto tutti la medesima espressione: un sorriso scaltro, occhi chiusi e lievemente corrugati, con tanto di mano stretta sul mento.
"Ora basta scherzare." disse Litios.
"Si, hai ragione, amico mio, abbiamo perso fin troppo tempo!" gli diede corda BlackClaw, mentre Lelq annuiva con forza.
Lucas sollevò la mano, schioccando le dita. "E poi il nostro test è riuscito perfettamente. Abbiamo messo alla prova Randor e abbiamo capito che possiamo fidarci di lui. Complimenti, Randor, sei davvero un grande."
Gli altri annuirono, facendo commenti concordi, mentre Rubens li fissava stupito.
"Ma come? Niente avventura? E come si fa? E poi lei... E poi io... E poi..." balbettava. Vincent gli si mise in parte e gli diede della lievi pacche sulla spalla per consolarlo.
In quel mentre Gyber si mosse, zittendoli tutti.
"Oh, perfetto. E i cretini gli hanno dato il tempo di riprendersi. Grande!" disse stizzita Gwenn, facendo apparire intorno alla sua sagoma invisibile delle meno invisibili e meno amichevoli fiamme arancioni.
"Tranquilla." disse il lord, mettendosi a sedere con le possenti gambe incrociate. Aveva gli occhi chiusi e si stava sistemando la maschera sul muso. "Non ho intenzione di proseguire con lo scontro. Tutto quello di cui ho voglia e bisogno in questo momento è di uscire da questo mondo di merda al più presto, con o senza di loro."
Il silenzio preoccupato si fece gravo di dolore. Quelle parole furono il colpo di grazia al buon cuore di Daniel. Lucas sentì la lacrima solcargli la guancia scavandogli quasi un solco nella pelle da tanto bruciava e stette zitto mentre il vento iniziava a soffiare dalla montagna stretta dal serpente fatto di edifici...

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Capitolo 20
*** Verso l'Abisso ***


Giuly e Murmure ci misero qualche ora ad arrivare ai ruderi della città distrutta da cui avevano intravisto il bagliore viola. L'esercito di Rovine galoppava ancora come un vento oscuro alle loro spalle, ma erano ancora distanti, troppo perché fossero un problema. Avevano tempo.
L'Every numero tre la condusse lungo quella che un tempo doveva essere la periferia della cittadina, che, dalle dimensioni, non sembrava altro che un semplice villaggio di campagna. Il punto era che tutto sembrava uguale. Non esistevano distinzioni tra campagna, città, foresta, oceano... tutto era deserto.
La ragazza rifletté su quello che aveva appreso durante la fuga dal mastro crono viaggiatore. Aveva scoperto, per cominciare, che lui era Every. Per la precisione il terzo Every esistito. Le aveva spiegato che l'originale, l'Every numero zero, il mastro che aveva detto addio ai suoi poteri per vivere una vita mite nel mondo da lui creato, aveva trovato uno speciale meccanismo chiamato cronorivoluzionatore, un dischetto di metallo, che, inserito in un semplice esoscheletro di acciaio, permetteva all'utilizzatore di accedere ad alcune capacità legate alla manipolazione della quarta dimensione, tra cui il viaggio temporale. Tutto frutto di tecnologia che chiunque avrebbe potuto usare, insomma. Murmure le aveva spiegato come il numero zero avesse compiuto numerosi viaggi temporali, frantumando ogni volta la linea del tempo in due sotto linee. La prima era quella in cui lo zero non aveva fatto il salto temporale, la seconda in cui invece il viaggio era avvenuto. Una delle due, in ogni caso, durava per un periodo limitato ed era del tutto separata, irraggiungibile ed inesistente per l'altra. Una delle due linee temporali svaniva, la realtà di quella linea, tutto ciò che esisteva veniva distrutto, annichilito. Nella maggior parte dei casi la cosa non portava effetti nella linea principale, ma per quarantasette volte (un numero, a ben guardare, irrisorio se paragonato alle migliaia di viaggi temporali anche di piccola durata compiuti dal crononauta) l'Every della linea destinata a morire, invece di svanire, si reincarnava nella linea originale. Quello era stato il destino di Murano Every, detto Murmure, il camminatore della Frattura.
Lui era stato il terzo ad arrivare. Every lo aveva trovato ferito e lo aveva aiutato con l'aiuto prezioso del signor Nero. Lo zero, con tutti e quarantasette quelli che vennero dopo, si unirono in una gilda. Non eroi, non mercenari, non avventurieri. Amici che condividevano il passato terribile di aver visto tutto quello che aveva strappatogli di mano ingiustamente, piuttosto.
A parlare dei tempi andati, quando erano tutti insieme, quando vivevano come loro della Lucas Force, insieme, come una grande famiglia, uniti, felici, faceva luccicare gli occhi all'omaccione. Giuly si sentiva stringere il cuore a sentirlo e a vederlo. Poteva sentire quanto stava soffrendo. Quasi riusciva a scorgere il suo cuore sotto i vestiti e il petto, coperto di crepe da cui spuntavano i vetri infranti del passato felice che non lo abbandonava e gli ricordava di tutto quello da cui era stato strappato. Spine incurabili nemmeno con la pistola medica di Medico.
E pensare a quanto Murmure non dava a vedere tutto quello che aveva dentro la faceva stare ancora peggio. Lui le sorrideva sempre. Come faceva a sorridere, si chiedeva lei. Era impossibile che, con un peso simile chiuso e compresso nell'animo, pronto ad esplodere, fosse in grado di essere così solare nei modi e nelle espressioni che le rivolgeva. Si sentiva quasi in colpa a farsi rincuorare da quell'individuo che l'aveva già salvata più volte e per cui non poteva fare nulla.
Lo seguì rimuginando su queste cose e quasi non si avvide del braccio che le aveva sollevato di fronte per fermarla.
"Ouch!" disse, andando a sbattere contro il gomito. Lui si voltò stupito e quando la vide massaggiarsi il naso dolorante si affrettò ad assicurarsi che stesse bene e a scusarsi quando era stata lei ad essere sbadata.
Le fece segno di seguirlo in silenzio e si chinò, avviandosi verso un rudere più vicino al centro cittadino. Più si addentravano tra le macerie, più gli edifici apparivano in stato migliore. Che poi, migliore... diciamo che, quantomeno, avevano qualche muro in piedi, nulla di più.
Arrivarono nei pressi di una grande piazza rettangolare i cui palazzi erano quasi integri. Al centro della piazza si trovava una colonna di luce larga quanto una torre e alta fino al cielo. Era probabilmente la fonte del bagliore che avevano intravisto dalla montagna. Era davvero imponente.
La ragazza guardò la base della torre e rabbrividì, notando una trentina di grossi ciclopi alti tra i tre e i sette metri e rotti che pattugliavano la zona, marciando lentamente come tetre ombre viventi intorno al torrione di luce. Erano strani. Diversi dai ciclopi che aveva già visto. E anche Murmure pareva sospettoso. Li fissava da lontano con le sopracciglia aggrottate, come a cercare di capire cosa ci fosse che non andava.
"Che facciamo? E che cos'è quella colonna di luce?" bisbigliò la ragazza.
L'Every si ritrasse, imitato prontamente dalla sua giovane accompagnatrice, dietro al muro della cattedrale che avevano costeggiato. Giuly lo guardò ansiosa, sperando che le dicesse qualcosa tipo "Quella torre di luce e qualcosa da cui dobbiamo tenerci lontano. Quindi marcia in dietro, e andiamocene allegramente da tutt'altra parte." Ma non sarebbe stato così, già lo sapeva, solo non riusciva a farsene una ragione.
"Quello è il nostro piano B. Ero d'accordo che, se sul monte avessimo avuto sfortuna e il portale per il Mondo di mai non si fosse aperto, avremmo trovato una via di fuga qui, in uno sbocco per l'Abisso... Ma quelle Rovine non erano previste..." rispose dubbioso.
"Perfetto." piagnucolò lei, appoggiandosi al muro e chiudendo gli occhi, stanca. Si risollevò subito, quando sentì l'uomo allontanarsi. Lo vide stupita entrare nell'edifico di fronte alla cattedrale a cui si erano avvicinati, che sembrava essere un grosso centro ricreativo. Tracce di poster stracciati sventolavano sulle pareti butterate di fori. Lo seguì incuriosita, trovandoselo di fronte proprio sulla soglia. Per poco i due non si scontrarono.
"Ehy, non sparire così, che mi preoccupo." gli disse.
Lui le sorrise. "Scusa, volevo controllare che questo casone fosse vuoto. Preferisco elaborare un piano all'interno, dove siamo un po' più coperti, capisci?"
Lei comprese al volo e annuì, lasciandosi poi guidare dentro l'edificio fatiscente. Entrarono in un lungo corridoio che probabilmente costeggiava tutti e quattro i lati del grande fabbricato, racchiudendo un cortile interno a cui si poteva accedere da alcuni varchi nel colonnato che costeggiava il giardino (ormai ridotto ad un ammasso di polvere). Il colonnato si sollevava nel lato interno del corridoio, sopra ad un muretto su cui i due si sedettero.
"Dunque" esordì Murmure, disegnando distrattamente col dito nella polvere "Là fuori ci sono almeno un centinaio di Rovine e presto ne arriveranno altre due, tremila. Il problema maggiore è che temo che i ciclopi qui fuori siano diversi dagli altri. Sono certo che te ne sei accorta anche tu."
"In effetti... Hanno qualcosa di strano. Però io ne ho viste al massimo una trentina, non cento." rispose lei, fissandolo coi grandi occhioni viola.
Lui si pulì l'indice sporco di polvere strofinandolo col pollice e fissò il cielo. "Già, è che tu hai guardato in piazza. Io ho usato una carica dell'esoscheletro e ho fermato il tempo, dandomi il tempo di perlustrare tutta la cittadina. Posso garantirti che ce ne sono almeno cento, se non centocinquanta."
"Esoscheletro? Quello con cui manovrate il tempo?" chiese lei incuriosita.
"Ah-ha. Ora però ho solo altre tre cariche, quindi solo tre azioni fattibili e non so se sarò in grado di portarti nell'Abisso. Quei bestioni sono... troppo strani. Spero, anche se so che non sarà come vorrei, che non sia come penso che sia."
"E come pensi che sia?" lo incalzò. Era animata da una grande curiosità. Avrebbe voluto vedere il suo esoscheletro, chiedergli come funzionasse, come fosse l'Abisso, perché non avesse un braccio... Ma doveva trattenersi, il tempo era scarso.
Murmure si passò la mano sul volto, cercando di nascondere la preoccupazione, probabilmente per non mettere ansia anche a lei. "Vedi, le Rovine possono nascere da Ruins. Lui si stacca un pezzo di corpo che tanto poi rigenera, lo lancia e, una volta attivato, produce da quasi due millimetri cubi di materiale più ciclopi di quanti potremmo contarne in tutta la vita. Questo è il metodo normale. C'è poi un secondo metodo, che non vedevo usato da... da quando persi la vita nel mio mondo di origine. Quando vidi tutto venire distrutto dal corvo..."
"E che metodo è?" continuò lei.
Gli occhi color smeraldo spento dell'uomo si inumidirono e Giuly si morse il labbro, temendo di essersi spinta troppo oltre.
"Il Mondo di mai ha molti segreti, la maggior parte dei quali comprende i metodi più efficaci per distruggere il tutto esistente in un soffio. Solo poco di quel mondo che non esiste al pari dei suoi abitanti mi è noto. Una cosa che mi fu insegnata dall'Every originale e che imparai a temere fu l'esistenza di quelle che sono chiamate Ruin's Industries. Si tratterebbe di stabilimenti giganteschi in numero infinito, raggiungibili solo per gli Entes, in cui è possibile creare delle super Rovine, dando loro immediatamente il potere quasi pari a quello dei generali, che hanno il potere massimo. Si tratta di creature praticamente invincibili, un esercito infinito, letteralmente, illimitato, che può distruggere l'indistruttibile ed uccidere l'immortale. Chiunque controlli un'armata simile potrebbe senza alcuna difficoltà conquistare tutto ciò che esiste, capisci? Ora, le Rovine create nelle Ruin's Industries sono ben distinguibili dalle Rovine normali, in quanto presentano parti del corpo composte da un metallo particolarmente duro, che riassume in sé le caratteristiche di adamantio, vibranio, acciaio, pietraluce e numerosi altri minerali, come l'agalmatolite marina, da cui i ciclopi traggono una forza e un potere devastante. Quelli che ho visto io non avevano queste modifiche, quindi forse la mia supposizione è errata. Almeno, per il bene della Realtà, mi auguro che sia così."
Giuly lo studiò attentamente. Era davvero preoccupato. E tanto le bastava per essere preoccupata a sua volta.
"Quindi cosa proponi di fare?" chiese quasi temendo la risposta.
"L'importante è che tu resti in vita. Dobbiamo farti arrivare nell'Abisso, dove Nero ti aiuterà. Lui è l'unica persona, che io sappia, che nemmeno Blaso sarebbe tanto pazzo da sfidare, sarai al sicuro. Userò il mio esoscheletro, con tre cariche dovremmo avere abbastanza tempo per arrivare al portale senza incontrare difficoltà."
"Quanto dura una carica? Insomma, se con una hai fatto il giro della città dovremmo..."
"Non è così facile. Se uso una carica per bloccare tutto, tranne me, in un'area circoscritta come la città, allora posso tenere il tempo bloccato anche per un'ora, un'ora e mezza. Ma se la uso per due persone, la cosa cambia, il tempo diminuisce drasticamente, perché l'esoscheletro deve aumentare l'energia emessa in maniera esponenziale. Oltretutto, il tempo a nostra disposizione è basso anche perché i ciclopi tendono ad essere refrattari a qualsiasi tipo di controllo. Posso bloccarli per un po', non per sempre. Se quindi fermo il tempo, potrebbero liberarsi dal controllo temporale ed attaccare. Dovremo essere veloci. Ce la puoi fare?"
La ragazza deglutì. Tutt'a un tratto, le ali monche avevano preso a bruciarle in maniera insopportabile. Si convinse che era solo ansia e deglutì, facendosi forza.
"S-si, ce la posso fare." rispose.
Lui sorrise, alzandosi in piedi, presto imitato dalla giovane angelo.
"Forza allora."
Uscirono all'esterno e si misero all'angolo della cattedrale. Ora le Rovine in piazza erano poco meno di venti. Dove fossero le altre era un mistero. Giuly lo accolse come un segnale favorevole alla loro missione e si sentì leggermente rincuorata.
"Al mio via, corri, non fermarti per nessuna ragione, d'accordo?" la voce di Murano le echeggiò come fosse lontana. Annuì meccanicamente, i nervi tesi al massimo e pronti a scattare. Una goccia di sudore le imperlò la fronte.
In quel momento sentì un pesante rumore, come di qualcosa che cade, seguito da un fruscio di abiti che sfregano tra di loro. Si voltò, sentendo come se il mondo stesse iniziando ad andare al rallentatore e vide tre gigantesche Rovine di cinque-sei metri stagliarsi su di loro, fissandoli con occhi fucsia carichi di una freddezza che nemmeno una macchina avrebbe saputo esprimere. Li vide sollevare lentamente un braccio, aprire le fauci, caricare i raggi viola. Ora tutto si muoveva così lentamente che vide distintamente i raggi distruttivi venire sparati da quelle bocche innaturali, squadrate, sdentate, melmose, e dirigersi verso di lei. Ed ebbe paura, paura di morire.
Fu allora che sentì di nuovo la voce di Murmure, ora ovattata più che mai, gridarle: "VIA!". Non ci pensò nemmeno, si voltò e si mise a correre. Corse il più in fretta che poté, ma le gambe erano pesanti, qualcosa non andava. Vide Murmure al suo fianco prenderla per mano. Il contatto con la mano amica la rincuorò e non solo. Sentì le forze tornare in lei, sentì i sensi aguzzarsi di nuovo come prima. Piegò lievemente di lato il capo e vide i ciclopi ancora bloccati nel vicolo, immobili, i raggi che si muovevano così lentamente da sembrare fermi, ora puntati a terra. I tre mostri erano terrificanti, così grossi da stare a malapena nel vicolo che empivano con la loro mole titanica.
Corse a perdifiato. Il portale era ad appena duecento metri. Tra loro e la loro meta quindici colossi bloccati nella loro marcia ondeggiante, gli occhi spenti e inanimati.
Centocinquanta metri... cento metri.
Qualcosa tremolò. Sentì Murmure imprecare, mentre un botto sordo, reso più cupo e prolungato dal tempo che ancora non si era riattivato del tutto, indicava che i tre raggi erano giunti a segno. Le Rovine intorno al portale si stavano girando lentamente verso la fonte del suono; alcuni li avevano individuati. L'Every numero tre armeggiò con qualcosa che aveva sul petto. Si era tolto il mantello, scoprendosi la spalla e la parte sinistra del corpo, quella col moncherino. Sulla pelle nuda era incastrata una fitta rete di piccole venature di metallo in cui scorrevano impulsi di luce bluastra, inviati da un grosso nucleo incastonato nel petto dell'uomo, su cui stava tamburellando con le dita, facendo brillare alcuni punti come fosse una tastiera.
Il tempo sembrò riattivarsi del tutto. Ottanta metri. Le Rovine si mossero. Murano lanciò un grido di rabbia, dando un pugno al marchingegno che aveva attaccato al petto. Un impulso blu fu emesso dal reticolo che gli copriva la spalla e, probabilmente, anche buona parte di braccio, gambe e schiena. Tutto tornò a rallentarsi. Per un istante, Giuly sentì di nuovo la sensazione di pesantezza, che però svanì quasi subito. Settanta metri.
Le Rovine però non si bloccarono del tutto. Sfrecciò di fianco ad uno dei ciclopi che alzò una mano facendole prendere un colpo. Per fortuna erano ancora lentissimi, alcuni addirittura immobili. Però il potere del macchinario dell'Every stava perdendo efficacia. Cinquanta metri.
Quaranta metri. Strinse i denti. Un raggio le sfrecciò accanto, esplodendole a pochi passi di distanza e sbalzandola all'indietro. Rotolò, ferendosi sul terreno coperto di sassolini piccoli e aguzzi. Urlò, coprendosi la testa. Ottanta metri. Murmure la vide e si voltò, correndole incontro, evitando con balzi e scivolate i ciclopi che stavano diventando troppo veloci. Si muovevano ormai come se nulla fosse. L'Every le si avvicinò e l'aiutò ad alzarsi. Lei aveva le orecchie tappate, non sentiva quello che le stava gridando l'uomo, ma poteva intuire il significato. Si alzò vacillando e mosse qualche passo. Maledizione! Si era slogata una caviglia. Murmure le mise una mano intorno alla vita e si scusò (così almeno lei interpretò), sollevandola di peso, dimostrando una forza notevole. Si mise a correre, schivando il raggio di un mostro. La lanciò in aria ed estrasse la spada, tranciando in due il braccio di uno dei ciclopi che aveva cercato afferrarli. Quella lama doveva essere particolare per riuscire a ferire i ciclopi con tanta facilità. La riprese al volò e saltò su uno dei mostri, usandolo come trampolino per lanciarsi in alto. La lasciò andare un istante, il tempo di pigiare alcuni tasti sul suo esoscheletro. Un altro impulso blu rallentò ancora i ciclopi, investendoli come un'onda d'urto che li fece tremare. La riprese ed atterrò, correndo a perdifiato.
Trenta metri.
Venti metri.
Dieci.
Cinque.
Qualcosa colpì Murano alle spalle. Cadde, facendo precipitare anche Giuly, che si mise carponi il più in fretta possibile. Si voltò terrorizzata. Davanti a lei c'era un essere abominevole. Una Rovina alta sui tre metri, di gran lunga più piccola dei suoi compagni. Quello che la spaventò fu però il braccio destro del colosso. Era interamente fatto di un lucido metallo argentato. L'occhio era circolare, completamente nero ad eccezione di una piccola pupilla a forma di mirino di color viola acceso. Venatura di metallo si dipartivano dal bulbo oculare sul faccione enorme ed informe. Quello si muoveva perfettamente. Alzò il braccio, fulmineo, ma non lo abbassò mai. Qualcosa saettò e il ciclope fu tagliato a metà. Il corpo si divise e cadde a terra con un tonfo metallico.
Giuly si stropicciò gli occhi. Davanti a lei stava apparendo una figura dapprima sfocata, poi sempre più nitida. Era come se una forte luce l'avesse abbagliata ed ora dovesse riabilitare la vista. La figura di un giovane uomo vestito di un lungo soprabito a tre code nero come la pece, con un cilindro altrettanto oscuro calcato sui lisci e corti capelli color sabbia.
Il nuovo arrivato impugnò stretto il bastone di quercia nella mano guantata di bianco, sollevata ancora nell'atto di tirare un fendente. Afferrò più saldamente il manico del bastone e lo batté a terra, piano, ma con decisione. L'immagine viola del simbolo degli Entes si materializzò sul terreno e si smaterializzò con la stessa velocità con cui si sbatte un occhio. Un'improvvisa onda d'urto travolse i ciclopi, spazzandoli via fino a farli diventare polvere che si unì a quella che già impestava la piazza.
L'effetto dell'esoscheletro di Murmure svanì, distrutto dall'attacco dell'alto individuo.
"N-ero..." mugghiò Every, rotolandosi su un fianco. Si teneva la spalla monca, da cui gocciolava sangue e una sostanza fluorescente di colore bluastro. La Rovina metallica lo aveva colpito, lacerandogli spalla e schiena.
L'Ens si voltò con un sorriso gentile e falso in maniera terrificante. Nascondeva alla perfezione il suo disappunto.
"Murmure, vecchio amico. Come ti sei ridotto. Prego, appoggiati a me." gli disse, chinandosi per aiutarlo e porgendogli un braccio. Murano si sollevò da solo, rifiutando l'aiuto.
"Non pensare a me, vecchio cieco. Pensa alla ragazza." borbottò, arrancando verso Giuly.
"Ah, la giovane Giulyu... L'angioletto che ha tanto attirato l'attenzione ultimamente." mormorò sogghignando il signore oscuro. "Mi permetta, signorina, di porgerle i miei omaggi e di prestarle il mio aiuto."
Giuly lo guardò stranita.
"Ehm..."
"Tranquilla, sta con noi. Giulyu, Nero. Nero... bhe, tu lo sai già perfettamente." disse l'Every, appoggiandosi al portale che non lo assorbì. Era strano.
La ragazza, intano, seppur diffidente, prese delicatamente la mano dell'Ens e si fece aiutare. Lui la sollevò con grazia e, nel rimetterla in piedi, le curò le ferite e le fece recuperare le energie. Oltretutto, con sua estrema sorpresa, le fece ricrescere le ali, facendole diventare più grandi e più forti di prima. In più le fece apparire una tracolla a cui erano appese due padelle d'acciaio temprato.
"G-grazie..." commentò lei allibita, guardandosi le ali non sapendo se essere felice o se piuttosto colpire terrorizzata Nero con una padella e fuggire. Optò per la prima. Dubitava che, dopo quanto aveva visto, potesse funzionare la seconda ipotesi.
"Forza, altre Rovine stanno arrivando, e noi abbiamo fretta, giusto? Prego, entrate nell'Abisso, da questa parte." li invitò il signor Nero, mentre le ferite di Murmure guarivano da sole, senza che l'Ens le avesse anche solo guardate.
Murano si avvicinò a Giuly.
"Pronta? Stai per entrare nel cuore della paura. Te la senti?"
Lei annuì, aggrappandosi al suo braccio.
I due entrarono nel portale che stavolta li avvolse e li fece sparire.
Nero si voltò a fissare il cielo mentre Parsifal si faceva avanti a grandi passi, mirandolo con dieci bocche spalancate su braccia, volto e busto (il frac, come fosse pelle, si apriva intorno alle varie fauci).
"Non fa piacere nemmeno a te che le Ruin's Industries siano in funzione, vero?" gridò con tono di scherno.
Il ciclope non rispose, si limitò a sparare i raggi. Un boato sconvolse l'atmosfera. Un polverone enorme avvolse l'Ens e, quando si diradò, metà del pianeta era svanito nel nulla. Nero e il portale erano intatti, fluttuanti nel vuoto. Il ciclope muggì di rabbia.
"Come se sperassi davvero che funzionasse. Tuttavia..." mormorò Nero, storcendo il volto in un ghigno soddisfatto. Svanì e riapparve di fianco al grand-ammiraglio delle Rovine. Parsifal fece per girarsi, ma Nero lo bloccò poggiandogli un dito sulla spalla. Il potere dell'Ens piegò in due la Rovina, fermandolo del tutto. Tremava di terrore, mentre l'Ens comunicava con lui mentalmente...
 
Angolo di ME:
Avendo finito gli esami, pubblico direttamente questo capitolo. Da adesso fino a nuovo ordine (che impartirò io medesimo) la fiction è SOSPESA, e con lei anche la serie di spin-off  "Let's meet the...". Non per motivi strani, ma ho bisogno di rilassarmi, quindi CIAOOOOOOOO!
Ev.

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Capitolo 21
*** Il Regno dei Dijin + ANNUNCIO MUY IMPORTANTE ***


Il gruppo viaggiava alla volta della montagna. Gyber avanzava senza dire una parola, grande e maestoso, stagliandosi contro al vento della bufera di neve che poteva solo piegarsi davanti a lui. Effetto minore aveva Randor, per via della sua stazza di molto inferiore rispetto al grosso megalodonte. Tuttavia si vedeva che la tormenta non lo tangeva affatto. Allo stesso modo i tre generali camminavano senza la minima difficoltà, al contrario dei sei eroi.
Vincent, Lelq, Lucas, Litios, Donatozzilla e Shruikan arrancavano nella neve. La tormenta era tutto fuorché naturale. Imperversava come se il suo compito fosse quello di scaraventarli nelle profondità sconfinate del cielo.
"Presto, da questa parte!" gridò Johara, indicando un grande tempio in fondo alla lunga via principale che si snodava lungo tutta la montagna, in mezzo alla città serpentina. Il tempio sembrava greco, con una grande anticamera aperta con un colonnato che portava ad un portone socchiuso grande quanto un kaiju.
"Non voglio vedere cosa lo ha aperto..." borbottò il Kishin, stringendosi le spalle intirizzito. Il freddo faceva male al suo sangue nero.
"In realtà" disse Gwenn, ancora invisibile grazie al nascondineve di Johara "Sono stata io."
BlackClaw si immobilizzò, sgranando gli occhi.
"Whao, Kishin... È... È stato terribile! Ho sentito la tua faccia crollare di colpo!" esclamò Dz, prendendolo in giro. Tutti gli passarono in parte, entrando nel tempio, lasciandolo solo al freddo, col suo dolore. Lucas gli diede una pacca, passandogli in parte, così come fece Lelq. Vic gli si avvicinò e fece per fargli pat-pat. Poi abbassò la mano ed entrò.
"PERCHÉÉÉÉ!?" gridò il Kishin, cadendo in ginocchio, le mani strette ad artiglio verso l'altro.
La voce di Deadpool riecheggiò nell'aria, eterea: "Consiglio di Deaddy: Shruiky, ogni cosa a suo... No, aspetta... Dovevo dire... Ah si... Perché sei un idiotaaa... Ciaoooo!"
Shruikan si guardò intorno.
"Anche qui? NAAA!" gridò di nuovo. "PERCHÉÉÉÉ?!"
"Omino di mai. Ricordi? Se c'è qualcuno di folle in qualsiasi mondo, compare anche qui al cento per cento, amico." commentò Rubens. 
"Ma dobbiamo perdere la serietà anche qui? Credevo fosse una storia seria!" sbottò Litios da dentro il tempio.
I due fuori, al freddo, si guardarono. Si schiarirono la gola e entrarono come se nulla fosse.
Dentro trovarono Lelq, Lucas, Vincent, Donatozzilla, Gwenn ancora coperta dall'incantesimo, ma quantomeno visibile come macchia più scura del resto del paesaggio. I ragazzi fissavano a bocca aperta la stanza di ghiaccio e neve fresca che gli si parava di fronte. Due grandi scalinate si sollevavano dai lati della stanza, che era abbastanza grande per contenere dieci campi da calcio. Ogni gradino si sollevava di circa tre metri e le scalinate salivano per un centinaio di metri, congiungendosi sulla sommità ad un balconcino grande quanto una sala da ballo che dava sul piano superiore. Un grandissimo portone di ghiaccio bluastro stava granitico in mezzo alle due scale, imponente, mentre ai due lati della sala si aprivano due archi di circa cinquanta metri l'uno che davano ad altre due sale giganti. Mucchietti di neve appena posata dava un'idea di morbida rotondità in quel luogo così spigoloso e rigido.
"Che razza di posto è questo?" chiese stupito Lucas.
"Benvenuti nella dimora di quello che voi chiamereste dio. O almeno... credo che da voi si chiami così, no? Comunque. Benvenuti... Nel Sottomondo, il regno dei Djin! Questo è il palazzo del grande Discus, re dei Geni, le entità positive di questo universo, quelli che per voi sono angeli. Un tempo qui era un posto meraviglioso in cui gli elementi naturali ed esoterici convivevano in perfetta armonia. Poi sono arrivate le Rovine, tramutando tutto in una distesa di desolazione e di ghiaccio..." esclamò, rabbuiandosi nel parlare dei ciclopi.
"A mia sorella non fa piacere rievocare i brutti momenti." seguitò a concludere l'invisibile Gwenn.
"Ma per sapere, quanti sono i ciclopi? Perché diamine, sembra che siano ovunque." chiese Litios, guardandosi intorno con circospezione.
"Beh, pensa il numero più grande che riesci ad immaginare, poi moltiplicalo un infinito numero di volte per infinito. Quello è un terzo di quante ce ne sono attualmente." rispose Gwenn.
"Mi prendi in giro?" fece l'alieno cibernetico, alzando un sopracciglio.
"Ci puoi giurare. Il punto è che non è un numero quantificabile. Esistono infiniti nuclei da cui possono nascere miliardi di miliardi di Rovine, sparsi per questo Universo. Senza contare che dalla distruzione che le Rovine provocano, nascono altri loro simili. Diciamo che sono abbastanza da non lasciare nemmeno un centimetro dell'universo senza controllo. Oltre al fatto che sono infinite..."
Johara storse le labbra alle parole della sorella e si incamminò a passo lento verso la scalinata gigante sulla loro sinistra.
Dz la guardò allontanarsi e pensò a quanto potesse capirla. Probabilmente anche per lei tutta quella faccenda doveva essere stata tragica. Vedendo i suoi occhi poteva scommettere che anche lei, come tutti loro, aveva perduto qualcosa di incredibilmente importante.
"Non pensarlo." disse la voce di Gwenn alle sue spalle, facendolo sobbalzare.
"M-ma qui state tutti a leggere la mente altrui?!" strepitò lui, aggrappandosi con gli artigli al braccio di Gyber. L'ultra antracia si accorse appena di lui. Lo guardò male e gli sbuffò in faccia, creando un piccolo vortice che fece cadere a terra il rettiliano. Il bestione si alzò in piedi e si incamminò dietro a Johara.
"Testone." mormorò offeso Dz, incrociando le braccia.
Lelq sbuffò. Non avevano tempo da perdere cincischiando dietro allo stupido lord. "Senti, Gwenn, vuoi dirci che ci facciamo qui?"
"Ah sì. Beh, vi ho portato da mio padre. Sapete, lui è... Beh, un... quasi... credo... Insomma, dovrebbe essere uno degli Entes facenti parte del consiglio. Ma... oh, fa niente! Si chiama Lyram, è la rabbia e, beh... non è cattivo. Però è di una pigrizia incomprensibile. E non è mai fiero di me, ma questo... questo è poco importante."
"Ooooottimo. Allora andiamo? Intendo, da quella parte, perché io incontrerò un Ens solo quando dovrò suicidarmi." disse Lucas, indicando la porta ancora semi aperta del tempio.
"Dì, ma mi prendi in giro?" chiese Lelq, guardandolo male.
"Ragazzi, non litigate, per favore." disse Victus con la massima calma e pacatezza, mettendosi tra i due, che lo fissarono senza capire.
"Ma noi..." fece Lelq.
"Non stiamo litigando." concluse Lucas.
"Già! Stavamo solo scherzando." Lelq allargò le braccia.
"Esatto!" rincarò la dose Lucas.
Vic li guardò a turno per una decina di volte. Poi scrollò le spalle e se ne andò, alzando le braccia.
"Io ancora non ho ben capito che gli prende a quel vostro amico. Sembra sempre così serio. Mi da un po' sui nervi..." borbottò Gwenn.
"Eh, devi capirlo. Ha un problema, una malattia tumorale al cervello che gli impedisce di provare emozioni all'infuori dell'imbarazzo." spiegò Litios.
La ragazza non rispose. Probabilmente si stava massaggiando gli occhi con espressione frustrata, chiedendosi perché stesse perdendo tempo con quella banda di idioti. Si sentiva solo un leggere borbottio sommesso della sua voce. Aveva una voce così perfetta da essere irresistibile anche quando si lamentava. Cioè molto spesso. Ma glielo si perdonava. Ad una così si sarebbe perdonato anche un genocidio!
"Dai, muoviamoci. Prima lo incontrate, prima potrò tornare a tre kilometri di distanza da lui." sbottò alla fine lei, lasciando le sue impronte su una montagnetta di neve, segno che si stava allontanando verso la scalinata.
I ragazzi la fissarono (per quanto fosse possibile visto che era soggetta al nascondineve di Johara). Dz alzò un sopracciglio, poi chiuse gli occhi e fece spallucce, seguendo gli altri, imitato subito dagli altri. Salirono i gradini con una certa fatica, visto che erano molto più alti di loro. Gwenn invece veniva sollevata da folate di vento gelido che facevano apparire ad intermittenza la sua sagoma, come se fosse un fantasma.
"Credevo controllasse il fuoco, accidenti, non il ghiaccio!" disse Lucas, digrignando i denti mentre Lelq gli dava una mano ad inerpicarsi sull'ennesimo gradino.
"Che è, ti secca la cosa?" gli chiese il musicista, senza fermarsi.
"No, no, non è quello. Ma diamine, questo freddo non mi fa usare il mio fuoco! E come se non bastasse qualcosa mi impedisce di volare..."
"Sarà l'influsso dell'Ens." commentò Litios impassibilmente.
"Si? Allora perché quell'idiota di Gyber riesce a farlo? E Randor?" sbottò il biondo, allargando le braccia con aria contrita.
"Magari perché sono diventati molto, ma molto più forti di noi? E smettila di farti problemi. Nessuno qui si sogna di pensare che tu sia più debole di loro, solo che loro hanno avuto poteri da creature altamente sleali." disse esasperato Shruikan, che intanto usava il suo sangue per forare il ghiaccio e arrampicarsi con più facilità.
Lucas storse la bocca e proseguì rimuginando cupo, silenzioso.
Finalmente arrivarono in cima. Johara li stava aspettando in piedi di fronte ad un portone alto una decina di metri. Aveva un'espressione così seria dipinta in volto da mettere in soggezione solo a scrutarla negli occhi. Gyber stava piegato sulle ginocchia, con le braccia poggiate sulle gambe, intento a scrutare nel vuoto. Randor e Rubens invece stavano discutendo. Il ragazzo ombra si staccò dal generale delle Rovine quando vide i suoi compagni.
Lucas lo guardò.
"Di che stavate parlando?"
"Gli ho chiesto chi sia il nostro vero nemico. Se questo fantomatico Omino di mai o chi altri. Perché ho la sensazione che l'Ens non sia propriamente la causa di tutto." rispose secco l'altro.
Lucas lo fissò aspettando che continuasse.
"E chi dovrebbe..." fece per chiedergli, ma Gwenn si schiarì la voce, attirando a sé tutti i loro sguardi.
"Ora. Due cose prima di incontrare... lui... Non è un tipo facile con cui trattare, va bene? Non è gentile, non è favorevole all'aiutarvi, ma, quantomeno, non dovrebbe cercare di uccidervi o di catturarvi. Voi entrate, chiedetegli due doni e poi andate subito via, intesi?"
"Woa, ok, calma, ragazza, se è così terribile faremo come dici." rispose Lelq, alzando le mani in segno di resa.
"Bene. Perché è davvero terribile." replicò la ragazza.
"Via, lo fai sembrare un mostro..." mormorò un po' offesa Johara.
"Beh, scusa se mia madre è stata bruciata viva per colpa di quel santo là dentro! Scusa davvero tanto!" sbottò Gwenn.
"Non è... Oh, lasciamo perdere che è meglio." fece per rispondere a tono l'altra, fermandosi subito prima di tirare uno schiaffo alla sorella che, a quanto sembrava, lei era in grado di vedere perfettamente.
"Aspé, tuo padre, l'Ens della rabbia, ha bruciato viva tua madre?" chiese sbalordito e in parte disgustato Lucas.
"Si! Cioè, no... è che lui... Oh, al diavolo tutti!" disse Gwenn. L'ultima cosa che si sentì furono dei singhiozzi. Poi una vampata di fiamme cremisi ruppe il nascondineve e una meteora infuocata partì da dove si trovava la ragazza e sfrecciò verso il soffitto, perforandolo di netto.
"Cos... MA COME CAVOLO È POSSIBILE CHE LEI RIESCA AD USARE IL FUOCO E IO NO?! QUESTO È IMPOSSIBILE!" sbraitò il leader.
"Eh, invidia, amico mio, invidia." lo stuzzicò Lelq.
"Affanculo, tu!"
"Se avete finito di fare i bambini, direi che possiamo pure sbrigarci." disse Johara glaciale.
I due si calmarono all'istante a quelle parole letteralmente di ghiaccio e chinarono la testa chiedendo scusa. Poi Lucas alzò lo sguardo e chiese, incuriosito: "Ma, Johara, scusa se te lo chiedo, cos'è successo alla madre di Gwenn, di preciso? Davvero vostro padre l'ha bruciata viva?"
La donna non rispose subito. Rubens le si era avvicinato e le aveva sussurrato alcune parole fugaci all'orecchio, prima di sparire nel nulla. Poi lei sospirò. Sembrava molto provata.
"Ehm, Johara?" insisté Lucas.
Lei alzò lo sguardo sorpresa e, quando riuscì a metabolizzare le informazioni scosse la testa e rispose.
"Non credo di avere il diritto di dirlo a perfetti sconosciuti. Perdonami, ma è una cosa tra lei e nostro padre." rispose lei freddamente. Poi addolcì il tono "Dovete capire che avere come genitore un Ens non è... bello. Insomma, possono fare qualsiasi cosa per te, però... non sanno cosa significhi provare sentimenti. Le loro personalità sono costruite, false, imitazioni di quelle vere. Quindi è normale che non diano molta importanza a quello che persone come me o voi ritengono invece fondamentale."
"Sembri rassegnata, più che triste." commentò Randor, ricevendo un'occhiataccia da Lelq. "Che c'è? Ho solo notato che..."
"Il tatto, gente, il tatto. Ti rendi conto del cinismo di quello che hai appena detto?" lo ammonì acido il musico.
Johara alzò una mano. "Non preoccuparti, Lelq, non c'è problema. Dice solo quello che pensa. E, per risponderti, si, sono rassegnata. Ti rassegni dopo i primi tremila anni passati a piangere perché tuo padre si ricorda a malapena che esisti solo per sottoporti a dolorosi test."
"Che genere di t..." fece per chiedere ancora Randor, ma stavolta l'antracia intervenne per primo, alzandosi in tutti e quattro i metri della sua stazza. Aveva uno sguardo durissimo tanto che gli occhi sembravano lame affilate. Fece scrocchiare le ossa dei polsi e tanto bastò a zittire il ragazzo, che incrociò le braccia e stette in silenzio.
"Ad ogni modo, è inutile fermarci a parlare inutilmente. Andiamo, non c'è tempo." concluse lei, avanzando verso il portone a capo chino.
"Tch, è da quando siamo qui che lo si ripete..." ringhiò Gyber, mettendosi dietro di lei con le braccia giunte dietro la schiena come fosse il suo personale bodyguard.
"Se ci fosse Mirrus, ora si sarebbe scusato con lei..." mormorò Shruikan, stringendo i pugni. Dz gli mise una mano sulla spalla e i due si fissarono. Il mezzo kaiju era ben più grosso dell'amico. Ma in quel momento il loro dolore sembrava grande in ugual misura.
La generalessa toccò appena il portale e questo iniziò a mutarsi in una patina semi trasparente di nebbia biancastra.
"Stream." sussurrò, muovendo le dita sottili sulla superficie di polvere, facendo turbinare i granuli eterei che la componevano in un disegno sinuoso e meraviglioso. Quando sulla gigantesca porta fu raffigurata l'immagine di un giglio, la polvere venne scossa da un fremito, bloccandosi in quella posizione. "Possiamo attraversare, ora." avvisò Johara, muovendosi a passo sicuro attraverso il velo di pulviscolo. Gyber la imitò prontamente, chinando istintivamente la testa. Al loro passaggio, la polvere si aprì e si richiuse lasciando intatto il bellissimo disegno.
Gli altri membri della Lucas Force si fecero forza e attraversarono. Incontrare Entes stava diventando quantomeno stressante, viste le recenti esperienze che avevano vissuto, loro malgrado, vicino a quegli esseri.
Il salone in cui entrarono era smagliante come un sorriso perfetto. Colonne altissime che parevano tronchi secolari scandivano le tre navate di quella che pareva una sala del trono. La stanza era lunga almeno quanto tre campi da calcio e in fondo, ammantato da una luce innaturale che faceva apparire tutto tra il color cielo chiarissimo e il bianco accecante, si ergeva un grande trono incastrato nel ghiaccio in cui svettava una figura rotondeggiante i cui dettagli erano irriconoscibili per via della neve e del gelo che l'avevano intrappolata. Dietro alla figura si intravedevano, nascoste nell'alone di luce bianca, delle titaniche canne d'organo che scintillavano. Tra loro e il trono si stendeva una tavola rettangolare di un centinaio di metri intorno a cui erano radunate varie sedie, anch'esse incastrate nel ghiaccio, più piccole dello scranno maestoso a capo tavola, in cui erano tuttavia ben visibili le figure contorte dal dolore di svariati esseri simili a sirene, la cui coda tuttavia terminava con diversi tipi di pinne. Erano vestiti in modi eccentrici e diversissimi tra loro.
"Che posto è questo?" chiese affascinato Lucas, guardandosi intorno. Litios studiava le possibili vie di fuga, al contrario di Dz che stava nervosamente sul chi vive, come Shruikan e Lelq. Victus era immancabilmente indecifrabile e Randor sembrava addirittura annoiato. Gyber invece se ne fregava della stanza e dei poveracci morti nel ghiaccio. Seguiva solo Johara, desideroso di incontrare Lyram e andarsene da lì il più in fretta possibile.
"Questa è la sede della divinità ufficiale di questo universo. Seguitemi, veloci, e non toccate niente. I poteri dei Djin possono essere velenosi quando il loro corpo e la loro anima vengono uccisi."
"Djin?" chiese Litios, inarcando un sopracciglio "Sono Geni, o sbaglio? Non avrei mai immaginato che servissero una divinità."
"Qui i Djin sono lievemente diversi da quelli a cui potreste essere abituati voi. Qui sono più simili a divinità minori, o ad angeli, se vi è più comodo." rispose lei, seguitando a camminare a fianco delle raccapriccianti statue di ghiaccio in cui quelle creature erano state tramutate. Osservandoli più da vicino era possibile scorgere ferite profonde, arti mancanti, pezzi di corpo attaccati al resto dell'organismo solo da sottili lembi di pelle, come se qualcosa li avesse strappati a morsi, ma solo in parte, congelandoli subito prima che potessero cadere a terra.
"Se questi erano gli dei, non voglio sapere cosa li ha uccisi." commentò nervosamente Dz, sfregandosi le mani con fare irrequieto.
"Io invece ho paura di sapere cosa sia successo qui." mormorò Lucas, corrugando la fronte. Le Rovine avevano ucciso ogni cosa di quel cosmo. Quindi erano responsabili anche della carneficina i cui effetti si mostravano ora sotto i loro occhi. Questo voleva dire forse che erano in grado, oltre che di far uso di capacità fisiche notevolmente sopra la norma, anche di manipolare elementi come temperatura o peggio... forse anche leggi fisiche? Se questo era il caso, allora non aveva sottovalutato il nemico: di più.
Arrivarono nei pressi del grande trono ghiacciato e finalmente poterono ammirare il grande corpo esanime del dio di quel mondo. Non appena lo videro non poterono che restare esterrefatti o divertiti. Il grande Discus, essere onnipotente in quanto dio assoluto di quell'universo, era un ammasso di cianfrusaglie: la testa era un mappamondo grande quanto una palla da demolizione, raffigurante un pianeta blu e grigio. Su una macchiolina di un azzurro chiaro era attaccato con del nastro adesivo un monocolo, la cui catenella pendeva inerte senza essere attaccata a nulla. Un cilindro alto almeno un metro e sottilissimo gli svettava su quella sottospecie di testa priva di qualsiasi lineamento, di occhi o di bocca. Il capoccione rotondo sormontava un gigantesco appendiabiti, alto almeno tre metri, in legno lucidissimo, anche se, vedendolo curvo come se fosse fatto di plastilina malleabile, non si sarebbe detto. Al posto delle braccia, dalle diramazioni del lungo stelo di legno pendevano un ombrello viola scuro e un piede di porco, minuscoli in confronto alle altre parti del corpo. Non aveva gambe, se non si contava il treppiedi con cui terminava l'appendiabiti.
"Ma che diavolo..." mormorò Shruikan, stranito e irritato al tempo stesso da tanta insensatezza. Gli sembrava una presa in giro, un essere del genere potente quanto una divinità. Che diavolo!
"Si, fa uno strano effetto, però fidatevi, da vivo era molto peggio." disse la donna, strusciando una mano sul ghiaccio che cingeva interamente il colossale essere, quasi come se le mancasse immensamente. Intanto tutti si stavano accorgendo di un particolare: man mano che avanzavano verso il fondo della sala (che si dimostrò ben più lontano di quanto non apparisse, nascosto com'era, all'entrata, dal gigantesco Discus), iniziava a fare sempre più caldo. Lucas se ne accorse per primo, perché iniziò a sentire quel particolare sfrigolio nelle ossa, quella carica elettrizzante che avvertiva quando era in procinto di attivare la trasformazione Nova.
E ben presto scoprirono la causa di quel calore insopportabile.


Angolo di ME:
Non gasatevi. Non ricomincio a pubblicare (che amorevole controsenso!).
Posto questo E SOLO QUESTO capitolo unicamente per avvisare la gentile clientela: la pubblicazione tarderà un po' più del previsto. Prendetevela con Giulyu Frost e la sua fiction Five nights at Giuly's (che dolore ogni volta che scrivo Giuly senza la u. Dolore vero dettato dalla troppa abitudine...). No dai scherzo.
Il fatto è che ho letto la sua ff (cioè, se non l'avete letta pure voi, che complici siete? Ma si vergognino, commendatori!) e mi è partito lo sghiribizzo. Di copiarla.
AHAHAAHAHAHno.
No, semplicemente voglio scrivere qualcosa di diverso dall'azione pura e ho optato per "mistero, pseudo horror" cose così, insomma, sull'onda della sopracitata fiction. Un avviso. Il primo che PROVA anche solo a PENSARE che io scriverò qualcosa di simile a quello di FNaG, beh... si sbaglia :)
Conoscendomi si dovrebbe già intuire che dissacrerò il genere horror e che sarà qualcosa di non horror ma manco a pagarmi oro.
Oh sentite, un giorno, FORSE, si vedrà qualche risultato.
Ecco, io avviso. Presto però tornerò su questa fiction, non ve preoccupe, muchaci. Ho promesso al Sole che la finirò, costasse la vita ad una spillatrice (una spillatrice malvagggiaaah!), ma la finirò.
E dopo tutto sto ambaradan che non so manco io perché io l'abbia reso lungo tanto così, io vi saluto a rivederci (cit. Alice in Wonderland)
Ev.

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Capitolo 22
*** Problemi di Famiglia ***


Dietro al dio morto, a una quarantina ancora di metri, svettava l'organo, le cui canne erano collegate ad un piccolo strumento, delle dimensioni di un pianoforte a muro comunissimo. Davanti alla tastiera stava seduto, chino e ingobbito per la concentrazione, un uomo sulla trentina. Da dietro sembrava una persona normale, con capelli castani molto scuri e mossi che gli ricadevano sulla schiena in parte e in parte erano legati in una gagliarda coda di cavallo. Vestiva una camicia viola chiaro, con le maniche tirate fino ai gomiti, mostrando la pelle color crema su cui erano tatuate fiamme nere che partivano dalle mani, intente a danzare veloci sui piccoli tasti bianchi che premevano con destrezza, producendo una melodia poco più che orecchiabile. Una giacca elegante di un bianco più lindo di quello della neve stessa stava ripiegata e poggiata con poca cura su un cumulo di neve e ghiaccio vicino allo strumento musicale.
Lelq storse le labbra mentre si avvicinavano, mentre Dz si asciugava il sudore dalla fronte e Litios cercava di non dare a vedere gli effetti prodotti dal troppo surriscaldamento delle sue componenti meccaniche.
"Diamine, quel tizio è proprio negato. Sono... cinque secondi che lo ascolto e ha già cannato una cinquantina di note!" sibilò indignato.
Johara si lasciò scappare un sorriso. "E vedrai che sarà sempre peggio. Diciamo che suonare non è proprio l'attività in cui mio padre eccelle."
"Gwenn!? Sei tu!?" gridò l'omaccione, sollevando la testa zazzeruta di scatto. Aveva un udito finissimo, per essere un suonatore orrendo. La donna inclinò il capo, mordendosi il labbro per non rispondere male.
"No, papà, sono Johara e ho portat..." fece per rispondere, ma l'Ens chinò subito la testa e la tacitò con un secco: "Ah. Peccato." Lei strinse un pugno e si trattenne a stento dal gridargli contro. Glielo si leggeva in faccia.
"Beh, vi presentò mio padre. Ragazzi, lui è Lyram, la Rabbia e la Calma, il fuoco primordiale, fonte di ogni forma di energia mai esistita. Parlategli, anche se temo che non vi ascolterà facilmente." disse. Aveva la voce incrinata dal pianto e tutti loro potevano sentirlo chiaramente. Gyber sbuffò, sedendosi a terra con un tonfo sordo. Né lui, né Randor parevano risentire del calore terrificante emanato da quel tipo, ma se il primo si doveva trattenere per non andare da lui e urlargli di prestare un minimo di attenzione di affetto a sua figlia, il secondo sembrava non interessarsene minimamente. Al contrario il Kishin incrociò le braccia e si mise a studiare l'uomo con interesse. Non lo avrebbe attaccato, ma il desiderio c'era.
Lucas si fece coraggio e mosse il primo passo, ma qualcosa lo cacciò indietro, facendolo cadere a terra.
"Ma che..." esclamò.
Dz lo guardò e deglutì, provando a muovere un passo in avanti, ma anche lui subì la stessa sorte del loro capo. Litios cercò di analizzare con l'occhio bionico la zona, ma non rilevò traccia di alcuna attività elettromagnetica o di altri tipi di energia rintracciabile dai suoi sensori.
"Strano, qui non c'è nulla, eppure è come se un muro ci impedisse di passare. Johara, tu che mi sai dire a riguardo?" chiese l'alieno cyborg incuriosito. La donna scosse la testa. Nemmeno lei sapeva che pesci pigliare. Tutti, perfino i due ultra potenziati, presero a guardare l'aria che li separava da Lyram con interesse o frustrazione.
Solo Lelq non li imitava. Non aveva occhi che per l'Ens, intento a suonare maldestramente quello che era probabilmente uno degli organi più belli che lui avesse mai visto. Strinse i denti, cercando di resistere all'impulso che gli stava salendo di andare da lui e di prenderlo a pugni. Ma all'ennesimo fa diesis sbagliato, lanciò un'imprecazione e si mise a marciare spedito verso di lui. Sotto gli occhi increduli di tutti, raggiunse l'Ens e si mise a discutere con lui.
"MA CHE..." sbraitò Lucas, sempre più arrabbiato. Lo stavano superando in troppi, ultimamente.
Intanto Lyram aveva preso per una spalla il giovane Lelq e lo aveva fatto sedere a forza sul lungo sgabello a fianco a lui, ignorando ogni sua parola.
"Allora sei un musicista?! Oh, perfetto! Anche Gwenn lo è, sai?! Mi da lezioni, ma ora non c'è, quindi lo farai tu, ok?! Ottimo, vai, spiega!" gridò il demone. Lelq lo fissò scandalizzato. A guardarlo da vicino sembrava quasi un goblin, con il volto grande e color crema su cui campeggiavano due tozze zanne che facevano capolino dal labbro inferiore. Tutto sommato non era nemmeno brutto, a parte le zanne sembrava quasi normale. Ma la corporatura non lasciava dubbi sulla sua inumanità, con le gambe sottili e le braccia sproporzionatamente grosse terminanti con dita tozze e callose.
"Mi prendi in giro?" chiese.
"No! Ora vai! Anzi! Che maleducato! Dimmi il tuo nome!" strepitò l'altro. Aveva una voce alta e squillante che sbatteva sui timpani del povero Lelq come delle martellate. Il ragazzo restò muto, indeciso se rispondere a quello che era parso più un ordine che una richiesta.
"M-mi chiamo L..."
"Non mi importa! Ora dimmi come si suona! Vai ragazza, che sei una bomba!"
Lelq lo fissò sgranando gli occhi.
"No, senti, scusa, ma io sono un ma..."
"Si, si, dopo lo dici a uno di quei cadaveri, che a loro interessa più che a me, ora dimmi come si suona, vai!" gridò ancora Lyram. La parte più snervante era che, nel parlare, guardava solo la tastiera, senza degnare di uno sguardo lui o qualsiasi altra cosa, con un sorriso vacuo sulle labbra. Sembrava quasi che fosse paralizzato in quella posa.
"E se io rifiutassi?" sibilò alla fine Lelq.
Lyram restò immobile, le dita sospese sulla tastiera. Il suo sorriso vacillò, finché, con uno sbuffo, il demone lasciò cadere pesantemente le mani sul bordo dell'organo, chiudendo gli occhi e divenendo tutt'a un tratto più cupo. Il musico sobbalzò, temendo una sua reazione violenta. Ma l'Ens si limitò a voltarsi verso di lui con espressione spenta.
"Senti, fammi un favore, ti prego, fa finta di darmi corda finché Johara resta qui, d'accordo? Fallo e darò a te e ai tuoi amici quel cavolo che volete. Ma ti prego, reggimi il gioco per un po'."
Ora Lelq era più sconvolto di prima.
"Aspetta, fammi capire bene: COSA?!" gridò. L'Ens gli afferrò le labbra con due dita, serrandogliele fino a fargliele sparire. Lui mugolò, ma senza labbra non riusciva più a parlare.
"Zitto, per l'amor di... Ah, cavolo! È che non posso fare la parte del buono davanti a lei, capisci? Rovinerei il personaggio!"
Le labbra ritornarono al loro stato e il musico se le tastò immediatamente, come temendo che sarebbero riapparse un istante dopo.
"Il personaggio? Scusa, ma non capisco, amico." commentò sarcastico dopo un attimo.
L'Ens sbuffò di nuovo.
"È... è complicato, è dannatamente complicato. Il punto della questione è che più loro due mi odiano meglio è per tutti, capisci?"
"Nnnno." rispose con aria tagliente Lelq.
"Diamine! Che c'è di difficile? Loro mi devono vedere come un mostro!" sbottò l'altro. Il ragazzo stava iniziando a temere che andando avanti così sarebbe esploso e lo avrebbe ucciso, ma era troppo divertente stuzzicare gli squali.
"Beh, devi dimostrare di essere un mostro. E non lo sei? Hai ucciso la madre di tua figlia bruciandola viva. Ora, scusami tanto, eh, ma io questo lo chiamo atto mostruoso."
"Ma se non l'ho uccisa i...!" fece per gridare Lyram, saltando in piedi. Poi parve rendersi conto di aver detto qualcosa di troppo e tornò zitto a sedere, nervoso. Lelq fu subito incuriosito da quella reazione così eccessiva.
"Prego? E se non l'hai uccisa tu chi diavolo... Aspetta. Quando abbiamo incontrato le tue figlie, una delle due era avvolta dal fuoco. Gwenn è sparita in mezzo al fuoco. Lei controlla il fuoco quindi... Lei ha ucciso sua..." mormorò, sempre più sorpreso delle sue stesse considerazioni.
"Shh! Taci, nessuno deve saperlo!" sibilò Lyram, agitando le mani in maniera goffa quanto buffa.
Lelq alzò un sopracciglio.
"Johara lo sa. E credo che anche Gwenn lo sappia. Che problema c'è?"
"Non ci arrivi? Se lo si sapesse, lei verrebbe guardata come un'assassina. Ma non fu colpa sua. Aveva appena sviluppato il potere e... Fu un incidente. Ma la gente deve continuare a credere che sia stato io, capisci? Se anche io sono visto come un crudele sadico bastardo, dov'è il problema? Sono un Ens! Non mi importa di quello che pensano gli altri di me!"
"Ma perché farti odiare da loro? Continua a non avere senso."
"Se sei uno di noi Entes puoi capire. Abbiamo nemici. Nemici con poteri pari ai nostri. Nemici che farebbero di tutto per destabilizzarci e causare un conflitto aperto tra Entes che porti alla distruzione di tutto ciò che esiste. Se io mostrassi un legame con loro, i miei nemici me le porterebbero via. Io non posso permettere che accada, non... non posso. Ma se loro mi odiano e mi vedono come uno schifoso e vile ratto di fogna, ben venga. Quantomeno saranno al sicuro."
Lelq lo fissò senza parole. Non riusciva nemmeno più a sentire la rabbia che lo aveva portato ad avvicinarlo.
"Sei disposto a farti odiare da loro pur di salvarle?" chiese.
Lyram tornò a guardare i tasti.
"Forza insegnami. Johara sta perdendo la pazienza e presto se ne andrà come Gwenn. Allora potrò darvi quello che volete e vi farò andare avanti."
Il musicista lo scrutò indeciso se provare compassione e stima o piuttosto repulsione per quel tizio. Certo, si comportava da stronzo con le sue stesse figlie per proteggerle e si era accollato tutta la colpa della morte della madre di una delle due, però... lui non avrebbe mai potuto fare a meno di Anna. Trovava inconcepibile che un genitore potesse fare una cosa simile.
"Spiegami come fa Gwenn ad odiarti se sa che è stata colpa sua." disse freddamente. Opzione B selezionata. Non era un padre e aveva fatto soffrire le sue figlie. Non era degno della benché minima stima.
Lyram pigiò qualche tasto a caso distrattamente. "Le raccontai di aver risvegliato per sbaglio i suoi poteri mentre sua madre la stava cullando. Le dissi che fu un mio esperimento per vedere fin dove arrivavano le sue capacità e, beh, lei mi diede la colpa. Era il modo migliore per proteggerla da un dolore più grande. Insomma, se lei pensasse che sia stata colpa sua, come credi che si sentirebbe?"
Altro colpo morale. Diavolo, quel tizio metteva a dura prova la sua morale, non sapeva letteralmente cosa pensare di lui. Decise di lasciar perdere e di assecondarlo. Del resto erano lì per trovare Giuly, non certo per fare da psicologi ad entità la cui psiche era stata costruita casualmente.
 
Johara guardò i due con gli occhi stretti in una morsa glaciale.
"Alloooora... Non ho capito quale sia il tuo potere. Però so che sai fare cose fighe, insomma... Quel tornado era tipo wao. E quella cosa che hai fatto a Gwenn, come si chiamava? Nascondineve, tipo? Controlli il ghiaccio, roba simile?" fece Lucas per cercare di fare un po' di conversazione.
"Perché continui ad ignorarmi?" mormorò lei quasi impercettibilmente.
"Cosa? Ma io mica ti ignoro, ragazza." disse basito il biondo, ficcandosi le mani in tasca.
Johara si voltò distratta dalla sua voce e si riscosse.
"Eh? Oh, no, no... scusa, non parlavo di... Comunque, cosa dicevi?" e tornò a guardare l'Ens e il musicista.
"Chiedevo del tuo potere. Cioè, Gwenn usa il fuoco, ma tu? Ghiaccio, tipo?" riprovò Lucas, un po' scoraggiato.
"Gwenn controlla il calore, quindi può sia bruciare che congelare. Io controllo l'etere." rispose l'altra sempre distratta verso il duo seduto di fronte all'organo.
"Etere. Figo. E sarebbe?"
"È come una sorta di pulviscolo... Ti prego, almeno stavolta... Guardami..."
Lucas la scrutò attentamente. Qualcuno gli toccò la spalla e, quando voltò la testa per vedere chi fosse, sobbalzò nel trovarsi di fronte il muso di Gyber. L'ultra antracia si teneva piegato su un ginocchio, curvo per far stare la testa da squalo all'altezza di quella del leader del gruppo. Lui scosse la testa e gli fece cenno di seguirlo un po' lontano dalla donna. Lucas tentennò. Le recenti esperienze gli avevano fatto vedere i fidato amico come una potenziale minaccia, ma si fidò lo stesso e, dopo un istante, lo seguì, seppure a distanza.
I due si misero di fianco al cadavere di Discus.
"Lasciala stare, Daniel." disse serio il lord.
"Perché? Che ho fatto stavolta che ha urtato la tua sensibilità, si può sapere?" sbottò l'altro, pentendosi di quanto detto all'occhiataccia del vecchio compagno.
"Non me, ma lei. Guardala bene."
Lucas si voltò verso la donna. "Eh. Cos'ha?"
"Quello con cui sta parlando Lelq ora è suo padre, Daniel. E lei ha un rapporto difficile con lui. Basta guardare come lo fissa, sperando che lui le rivolga per lo meno un'occhiata. Vuole il suo affetto. Deve aver vissuto per migliaia di anni, lo leggo nei suoi occhi. Ha un'esperienza che supera quella di una stella, lo sento, e sai che io ci so fare con queste cose."
In effetti, Gyber Damucard aveva la straordinaria capacità, sempre, di capire al volo quale fosse il livello del nemico o dell'alleato che si trovava di fronte. Poteva coglierne la forza, ma anche la debolezza. Era straordinario da questo punto di vista, anche se non se ne vantava quasi mai con gli amici.
"Deve soffrire molto." mormorò il biondo, guardando Johara sotto un altro aspetto. Ora l'austera e fredda donna che stava ritta in piedi, tesa verso una persona che non le avrebbe mai dato quello che voleva, gli appariva in tutta la sua tristezza. Provò improvvisamente il desiderio di abbracciarla e di dirle che sarebbe andato tutto bene. "Che possiamo fare per lei?" chiese, sperando che il lord gli avrebbe risposto. Ma Gyber era tornato nella sua silenziosa fortezza, seduto a gambe e braccia incrociate, gli occhi serrati come se stesse meditando.
Ad un tratto, Johara si voltò di scatto, il volto rigato da due linee di lacrime, e si allontanò a passo rapido, vicino alla corsa. Lucas fece per fermarla, ma all'ultimo ritrasse la mano. Non era la sua causa, doveva ricordarlo.

"Se n'è andata." commentò Lelq, fissando il portone di pulviscolo roteare al passaggio della donna.
Lyram si stropicciò gli occhi.
"Prendi, allora. Come pattuito." disse, facendo apparire in una piccola vampata di fuoco viola scuro due carte da gioco contrassegnate dal simbolo degli Entes e dalla parola "Rabbia". "Funzioneranno al meglio sul biondino di fuoco e su un tizio di nome Meteor. Dalle a loro. Non posso fare altro. Ora andate, fuori dal tempio vi attende il portale che vi condurrà da Agonia."
Lelq restò un attimo in silenzio. Guardò le due carte. Ricordava quanto potere conferivano. Erano terrificanti. Quelle però erano diverse da quella che aveva avuto lui. La carta della Paura era stato qualcosa di... ancor più tremendo. Già le due carte della Rabbia emanavano un potere che non aveva mai percepito, una forza così soverchiante che nessun nemico che avevano affrontato fino a quel momento era in grado nemmeno di sognarsi di eguagliare. Ma la carta della Paura... stringendola in mano, senza il bisogno di attivarla, aveva avvertito una potenza così sconfinata che lo aveva letteralmente atterrito. Non per niente era la carta della Paura.
"Grazie, io non so come..." fece per dire, ma l'Ens sbatté un pugno sulla tastiera, fracassandola.
"Vattene. Non so quanto riuscirò a trattenermi ancora..." mugghiò. Lui lo guardò iniziando a temerlo un po', stringendo i due pezzi di carta plastificata. Il calore diventava sempre più intollerabile, anche i suoi compagni se ne stavano accorgendo. Perfino Lucas, che controllava le fiamme più roventi del cosmo, stava grondando di sudore.
Si alzò e si allontanò di corsa.
"Allora?" gli chiese Shruikan, ma lui fece cenno a tutti di correre.
"Non è così male, se ci parli insieme." disse mentre saettavano di fianco ai cadaveri, il ghiaccio che si scioglieva pian piano.
"Ma... E l'aiuto... che doveva... darci?" ansimò Litios, che sopportava malissimo l'alta temperatura.
Lelq mostrò le due carte e poté finalmente rilassarsi. Non lo avrebbe mai detto, ma durante tutta la chiacchierata con l'Ens era rimasto preso da un'ansia terribile.
Uscirono di corsa dal tempio e, come promesso, trovarono un portale. Anzi, ne trovarono due, addirittura. Solo che il primo dava su una distesa di fuoco viola e lasciava intravedere un'uscita non distante. Il secondo era coperto. Dalla mole delle Rovine.
E da Parsifal.

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Capitolo 23
*** Il Serafino e l'Essente ***


Parsifal li fissò uno dopo l'altro. Poi voltò l'occhio (che si spostò sulla faccia con un suono viscido e ributtante) verso il portale aperto da Lyram. Ebbe un sussulto come se stesse ridendo sobbalzando, per poi rivoltare l'occhio verso di loro ed aprire le fauci, lanciando un grido rabbioso che smosse le Rovine, tutte alte almeno il doppio di lui, a muoversi verso gli eroi a passi pesanti e rapidi.
Gyber ringhiò, illuminando gli occhi di luce viola e ricoprendo le braccia dal buco viola che crebbe fin sui gomiti come delle grosse lame frastagliate.
"Non possiamo ancora affrontarli, Gyber!" gridò Lelq, ma l'ultra antracia non gli diede retta e si lanciò all'attacco con un ruggito animalesco.
Lucas digrignò i denti e guardò Randor. "Amico, ti prego, dagli una mano."
Il ragazzo lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e fluttuò con rapidità all'inseguimento del megalodonte. Intanto Vincent si era messo di buon impegno a calmare Dz che era indietreggiato terrorizzato fino ad attaccarsi con la schiena alla parete del tempio ed ora guardava con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa ed ansante verso la Rovina più potente in assoluto. Shruikan digrignava i denti, mentre una lacrima gli rigava il volto e il sangue usciva a tratti dalla sua pelle come aculei sottilissimi per poi risparire nell'organismo. Litios attendeva l'ordine del loro leader. E Lucas non sapeva cosa fare.
"Dannazione!" gridò frustrato. Erano inermi contro quelle bestiacce. Sebbene Gyber fosse riuscito a farne a pezzi una decina e Randor non fosse da meno, non voleva dire che fossero in vantaggio, visto che Parsifal si limitava a guardarli, come se stesse aspettando qualcosa. Appena fosse entrato in battaglia li avrebbe fatti a pezzi. Inoltre era troppo vicino al portale loro unica via di fuga per poterlo aggirare.
Gyber afferrò tra le fauci il collo di un ciclope di otto metri e lo scosse come se fosse un cucciolo di tigre, spezzandoglielo. Guardò Parsifal. Parsifal guardò lui e il suo grande occhio violaceo fu percorso da un lampo di sfida e divertimento. L'ultra antracia ringhiò infuriata.
"Ti spezzerò le gambe. Poi divorerò le tue braccia e per finire ti caverò quell'occhio e la massa di fango che hai al posto del cuore!" gli ruggì contro, saettandogli contro con un poderoso colpo di gambe che sollevò una montagnetta di ghiaccio scoprendo umido terriccio sottostante. La Rovina allargò le braccia e strinse i pugni, facendo scrocchiare le nocche.
I due si scontrarono generando una sfera di una trentina di metri di diametro a malapena visibile entro la quale l'energia rilasciata dai loro corpi vaporizzò all'istante ogni cosa. Gyber sferrò un pugno tremendo, fracassando la struttura stessa della realtà, ma Parsifal parò con l'avambraccio. Il megalodonte si ritrasse, lasciando la Rovina il cui braccio era illeso, ma fumante nel punto d'impatto. Si misero a fluttuare e ripresero a scontrarsi, scambiandosi pugni che spezzavano la realtà, lasciando profondi squarci da cui colava la sostanza dell'Interstizio che, a contatto con qualcosa di esistente, svaniva in una nube di vapore. Erano così veloci che non le fratture che apparivano dopo ogni colpo si presentavano a gruppi di cento. Quando si scontravano creavano un frastuono assordante e le onde d'urto spezzavano il terreno e il cielo, mettendo in serio pericolo il gruppo di eroi.
"Che cazzo sta succedendo? Non vedo niente!" gridò Lucas, cercando di coprirsi vicino al tempio. Erano tutti aggrappati alle pareti di ghiaccio della struttura, in balia dell'uragano che Parsifal e Gyber stavano causando. Le Rovine erano state tutte spazzate via dalla foga dei loro attacchi, al contrario di Randor che apparve davanti ai suoi amici, imponendo le mani spalancate davanti a sé. Una barriera magica li avvolse, proteggendoli, ma ogni istante che il combattimento tra colossi si protraeva questa vibrava paurosamente e a riempirsi di crepe che il giovane faticava a rigenerare in tempo.
"Che facciamo, Lucas?!" gridò Litios, cercando di sovrastare il baccano, ma il leader non sapeva che pesci prendere. Non potevano muoversi, dannazione! Ad un tratto Gyber riapparve. Era stato colpito da una manata del ciclope dritto sul muso ed ora stava volando ad una velocità vertiginosa verso terra. Toccò il suolo da un'altezza di quasi trecento metri, sprofondando per una ventina, portandosi dietro quasi tutto il piazzale davanti al tempio. Gli effetti dello scontro si placarono, permettendo a Randor di abbassare le difese.
Parsifal precipitò a terra in piedi, senza subire alcun danno. Le sue gambe scomparvero nel terreno, perforandolo come fosse burro. Si risollevò senza fatica e osservò l'ultra antracia intenta a rialzarsi. Aveva diversi ematomi su tutto il corpo e uno dei buchi viola era stato rotto come fosse un vetro.
Gyber sputò un grumo di sangue e di denti rotti a terra, avvolgendo di nuovo le gambe e le braccia con la sostanza violacea. Sbatté tra loro i pugni e ruggì, lanciandosi di nuovo all'attacco. Ma Parsifal non si fece intimidire. Alzò un braccio e, più velocemente del lord, glielo abbassò sulla spalla, facendolo sprofondare nel terreno, creando una scossa sismica che fece tremare l'intera montagna. In cielo, oltre le nubi che coprivano la vetta del promontorio, si sentì un boato in risposta al fragoroso sisma, segno che una slavina era in arrivo. La Rovina fece per colpire di nuovo, ma un'onda sonora lo travolse di fianco, mandandolo a schiantarsi contro un edificio di ghiaccio, riducendolo ad un cumulo di polvere azzurrina.
"Diavolo, cinque minuti che spariamo e questo è il risultato? Ragazzi, tutto bene?" esclamò Rubens, apparendo da un varco spazio dimensionale creato apposta. Dietro di lui fece capolino Gwenn. La ragazza aveva il corpo avvolto da placche di magma e fiamme rosso acceso che scoppiettavano allegramente.
Gyber sputacchiò sangue e si appoggiò al generale eccentrico. Aveva diverse ossa rotte e qualche foro lo trapassava da parte a parte, bloccando perfino il suo ultra sviluppato potere rigenerativo.
"Che cos'ha mangiato quel coso? Concentrato di steroidi?" chiese Lelq, avvicinandosi di corsa.
"Era come... colpire adamantio senza usare poteri. Utile solo a spezzarti le ossa delle mani..." mugghiò a fatica il lord, tenendosi il fianco da cui colava una cascata di sangue.
"Cazzo, amico, hai un aspetto orribile!" commentò Lucas, cercando di aiutarlo, ma Gyber lo allontanò in malo modo, scacciando poi anche Rubens e chiunque volesse aiutarlo.
"S-sto bene. Non mi serve la vostra... compassione." disse tossicchiando.
Lelq scosse la testa.
"Forza, finché è a terra. Dobbiamo approfittarne per scappare!" li esortò Gwenn, voltandosi verso il portale e pietrificandosi.
"Nessuno fugge. Nessuno si salva." disse il ciclope, ritto in piedi con le braccia penzoloni lungo i fianchi e l'occhio privo di pietà puntato su di loro. Era proprio davanti al portale di Lyram. E sembrava molto più pericoloso di prima.
 
Gwenn, Rubens, Randor e Gyber si stavano scontrando contro il generale supremo delle Rovine. Parsifal riusciva perfettamente a tener loro testa con una sola mano, tenendo l'altra dietro la schiena. Era talmente veloce da essere impercettibile anche per i quattro che avevano raggiunto il limite massimo. Ogni colpo che riceveva lo incassava senza indietreggiare di un millimetro e senza riportare danni. Il suo frac si rompeva e si rigenerava come fosse parte del suo corpo, ad una velocità tale che, appena tagliato, era subito come nuovo, come se lo strappo non ci fosse mai stato.
Lucas guardava preoccupato l'ultra antracia. Era ferito, ma non c'era stato verso di trattenerlo dal farlo entrare in battaglia. Era animato da una furia omicida che non gli faceva sentire dolore, ma si vedeva che avrebbe retto ancora per poco.
"Devo, devo, devo fare qualcosa!" andava ripetendo, osservando lo scontro da dietro la barriera creata per loro dai quattro super esseri. Shruikan stava in ginocchio, osservando cupo lo svolgersi del combattimento. Litios e Victus erano in piedi e cercavano di calmare Donatozzilla, caduto in preda ad una crisi di panico di fronte al ciclope che aveva ucciso uno dei suoi migliori amici.
Lelq invece camminava avanti e indietro, buttando un occhio di quando in quando per vedere come procedeva lo scontro. Sempre peggio. Gwenn aveva aumentato la temperatura delle sue fiamme fino a renderle blu, più incandescenti di qualsiasi altro fuoco esistente. Rubens generava un campo di onde sonore continuo che avrebbe sradicato l'intera montagna, ma che sembrava sufficiente a far fluttuare appena le due code del frac del mostro. Randor imperversava con scariche di un tipo di energia magica che non avevano mai visto prima, dando aiuto a Gyber qualora questi fosse caduto per via delle molteplici ferite. Parsifal, dal canto suo, con una sola mano li aveva già stremati a furia di pugni o colpi simili a vere e proprie badilate che ogni volta producevano tanta energia da annichilire gli attacchi dei quattro. Il portale era inavvicinabile.
Il musicista digrignò i denti e gli occhi gli si inumidirono. Pensò a Giuly e ad Anna. A Mirrus, a Nelly, a Junior, a Deadpool, a Wesker, a tutti quelli che voleva rivedere. Pensò che di quel passò non li avrebbe rivisti mai più. Lanciò un grido di rabbia e di dolore al cielo. Litios lo guardò per un istante con pietà, per poi tornare ad occuparsi di Litios, mentre Lucas appoggiava le mani alla barriera. Fu a quel punto che Lelq si ricordò. Gli occhi gli si illuminarono d'un colpo e prese a rovistare in tasca. Toccò un foglio di carta e poi fissò Lucas.
"Daniel!" gridò. Guardò Shruikan e Litios. "Kishin, Litios, svelti, venite qui!"
I tre lo guardarono con un misto di curiosità mista a rassegnazione e gli si accostarono.
"Che c'è, Lelq?" chiese cupo BlackClaw.
"Le carte." rispose quello, tutto eccitato.
"Ti pare il momento di pensare ai soldi che ti devo a poker? Eddai!" sbottò Lucas.
"No, che capisci. E si, mi devi ancora cinquanta euro. Parlo dei doni! I doni degli Entes! Li avete anche voi tre, no? Usateli, così sarete forti quanto Randor e Gyber!"
I tre lo fissarono con nuova attenzione, ma ancora dubbiosi.
"Non so se fidarmi." commentò secco il Kishin, incrociando le braccia.
Litios mormorò qualcosa, riflettendo.
"Potrebbe essere la nostra sola chance di battere quel colosso! Ragazzi, dovete farlo, oppure quello ci ammazzerà tutti!" replicò il musicista.
Lucas si passò una mano sul collo nervosamente. "Non so, amico. Hai visto quanto hanno cambiato i nostri compagni quelle carte. Randor è diventato... freddo e insensibile peggio di Victus. E Gyber, beh... non devo nemmeno dirlo, no?"
"Preferisci morire a cambiare un po', o preferisci sopravvivere ed essere magari lievemente peggiore di adesso? Pensaci, Daniel. Vuoi dire addio a Aj, alle tue figlie, ai tuoi amici per questo?"
"Non lo so, amico..."
"In fondo, tanto vale provare." si intromise Litios "Facendo due calcoli, le nostre attuali possibilità di sopravvivere sono inferiori. A zero. Quindi..."
Lucas lo guardò indeciso, al contrario di Shruikan che fece una smorfia disgustata.
"Mi hai convinto." ammise alla fine il biondo, afferrando la carta della Rabbia e stringendola al petto. Litios lo imitò e tutti e tre fissarono il Kishin in attesa. Ma questi storse la bocca e li guardò freddamente di rimando.
"Non intendo usare questo pattume. Non mi farò aiutare da chi ha ucciso Mirrus." sibilò, voltandosi ed allontanandosi in silenzio.
I tre lo guardarono preoccupati. Poi Litios e Lucas annuirono l'uno verso l'altro e strinsero con più forza le carte, spingendole verso i loro petti. Una luce abbagliò la zona. Una luce viola e potente da cui emersero due figure splendenti di energia. Il primo a tornare visibile fu Litios. Il ragazzo si guardò le mani. Avrebbe voluto vederle avvolte da guanti metallici d'oro coperti da una ragnatela di fili d'acciaio in cui era incanalata elettricità, ma quello che i suoi occhi incontrarono furono le sue mani normali. Non era cambiato di una virgola.
"Strano..." mormorò, girando la testa per guardarsi meglio, un po' deluso.
Al contrario, quando Lucas emerse, Lelq non poté non guardarlo ammirato. Il ragazzo era completamente vestito di bianco, che jeans e giacca di pelle candidi come la neve, maglietta sempre bianca e scarpe dello stesso non colore.  I capelli erano diventati letteralmente d'oro, così come gli occhi, mentre la carnagione si era fatta chiarissima, quasi luminosa. Le mani e probabilmente anche i piedi, erano così luminosi da essere inguardabili senza ferirsi gli occhi. Dietro la schiena apparivano due grandi paia d'ali che fluttuavano, prive di attacchi col resto del corpo, a qualche centimetro dalle sue scapole. Le piume d'argento riflettevano la luce emanata dal giovane rendendola ancora più ridondante.
"Wow. Questo è forte." commentò Lucas saggiando i pugni. Ogni volta che chiudeva le dita, un po' di energia crepitava creando un momentaneo campo elettrico tutt'intorno.
"Perfetto. Ora resta da capire cosa sia successo a lui." fece Lelq, indicando Litios, che ancora si fissava stranito.
"Penso che io sia cambiato interiormente." borbottò poco convinto.
"Che detto in maniera umanamente comprensibile?" chiese il leader esasperato.
"Uhm..." si limitò a bofonchiare l'altro. Aprì e chiuse le dita di una mano un pio di volte, poi volse lo sguardo verso Parsifal. Puntò le dita socchiuse su di lui e restò immobile per un istante. Poi le spalancò, e la Rovina esplose con fragore. "Bingo." disse con pacata soddisfazione l'alieno androide.
"Ma che, ma cosa, ma che, ma come, ma che cazzo?!" esclamò Lucas gesticolando come un matto.
Lelq fissava invece incredulo il ciclope ancora intatto che barcollava scuotendo il testone, lievemente intontito, dando il tempo ai quattro che lo stavano attaccando di colpirlo ripetutamente. "Direi... Spumeggiante!" disse infine.
"Spiegami. Spiegami. Spiegami." Lucas mise il braccio intorno alle spalle di Litios.
Il ragazzo lo fissò, facendo lampeggiare l'occhio bionico. "È molto semplice. Ho ottenuto il potere di controllare..."
"L'etere." concluse per lui Johara.
Tutti e tre si voltarono verso di lei, colti alla sprovvista. La donna incedeva lentamente verso di loro, circondata da un pulviscolo lampeggiante, come composto da miriadi di brillantini.
"L'etere. Bella cosa. E che cos'è?" chiese Lucas.
"Una sostanza simile alla polvere, per certi aspetti. Non conosco molto a riguardo, sono davvero pochi i manipolatori dell'Etere. La forma originale della Paura era composta da etere. So solo che con questo pulviscolo si può manipolare la realtà a livello sub atomico. Creare esplosioni, barriere letteralmente impenetrabili, lame infallibili... è più o meno come una dimensione extra, oltre a spazio e tempo. Ma solo Nero sa precisamente come funzioni. L'etere è tra i dieci elementi più potenti e pericolosi che esistono, insieme al fuoco di sole oscuro e alla Substantia che compone l'Abisso. C'è chi pensa che il bastone di Nero sia un composto di questi dieci materiali uniti insieme." spiegò la donna.
"Interessante. Quindi posso far esplodere le cose?" chiese Litios.
"Si. Puoi creare esplosioni di qualsiasi portata. Potresti far saltare in aria pianeti, che io sappia. Non ho mai apprezzato l'uso violento dell'etere, ma so che alcuni suoi maestri sono in grado di creare esplosioni così potenti che quello che voi chiamate Big Bang al confronto sembrerebbe lo scoppio di un palloncino."
I tre restarono basiti.
"Quindi è una vittoria gratuita, no?" chiese speranzoso Lelq, che già pregustava la scena della definitiva distruzione di Parsifal.
"Frena gli entusiasmi." Johara lo tacitò. Aveva uno sguardo terribilmente freddo e triste "Parsifal è abbastanza forte da sconfiggere tutti voi. Se anche foste in cento e aveste tutti il vostro potere più grande, come voi due, per dire... Parsifal sarebbe comunque così potente da potervi uccidere con un semplice pugno. Nemmeno i ventuno generali delle Rovine sarebbero in grado di sconfiggerlo."
"Così forte? Tch. Eppure non ha ancora battuto quei quattro." ribatté Lucas spavaldo.
"Primo, sta usando una sola mano. Secondo... Indossa, sotto il frac, un sistema meccanizzato che lo trattiene. Letteralmente, è come una prigione che blocca i suoi movimenti limitandone infinitamente la forza. Se non avesse quell'armatura addosso, sareste già defunti." rispose pacatamente Johara.
Lelq scrollò le spalle. "L'importante non è battere lui, ma fuggire da qui con Giuly, no? Non c'è un modo per aggirarlo, per evitare di combatterlo?"
"Si. Dobbiamo chiedere a mio padre di trattenerlo." concluse lei.
I tre restarono un attimo fermi.
"Beh, allora tanto vale andare a chiamarlo. Lelq, vai tu. Noi lo tratterremo."
"Ma non mi darà mai ascolto."
"Va! Vai a chiamare Lyram." ordinò il leader.
Il musicista sbuffò, ma si voltò e corse verso il tempio. Johara guardò Lucas, imitata da Litios.
"Sei veloce, capo. Non credevo saresti riuscito ad entrare, parlare con l'Ens e tornare senza che me ne accorgessi." commentò il ragazzo, stiracchiandosi. "Per sapere, che hai chiesto all'amicone?"
"Non l'ho trovato. Volevo chiedergli di salvare almeno Lelq. Doveva aiutarlo a trovare Giuly, ecco tutto. Insomma, ormai mi sembra chiaro che creperemo qui, ma... se almeno uno deve vivere qualche giorno in più, voglio che sia Lelq."
"Alla fine l'Omino lo troverà e lo farà a pezzi, lo sai, vero?" chiese Johara, cupa.
"Si." rispose Lucas sorridendo, guardando il cielo vuoto e infinito. La valanga stava arrivando, iniziava a sentirsi come un rombo lontano "Si, ma voglio che prima possa almeno rivedere la sua ragazza. Almeno lui che può farlo un'ultima volta."
Gli altri due annuirono. Poi il trio si diresse verso Parsifal, il quale aveva iniziato ad usare due mani.

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Capitolo 24
*** Every Entra in Gioco! ***


Le luci in villa Gyber erano tutte spente. La maggior parte del team era in viaggio verso diversi angoli del Multiverso in cui erano apparse strane creature che stavano mettendo a ferro e fuoco mondi su mondi. La villa era praticamente vuota, ad eccezione di Okami, Giuly ancora in coma, Deadpool, che però sembrava più morto che vivo, visto che a stento si muoveva dal letto, come se avesse una malattia terribile che nemmeno i suoi poteri riuscivano a curare, Maty, che aiutava Okami ad accudire i due, ed infine l'ospite, Every.
Il ragazzo era inquieto, tuttavia. Da quando Francis era partito si aggirava per la villa, cupo. Quella sera in particolare, quando Maty andò nella sua stanza per portargli qualcosa da mangiare, visto che non c'era verso di farlo partecipare ai pasti come ogni persona normale e non mangiava quasi nulla, non era dove avrebbe dovuto essere.
La ragazza bussò timidamente alla porta, senza ottenere risposta. Provò con poca più forza, chiamando il ragazzo per nome, ma scoprì solo che l'uscio era appena accostato. Aprì la porta e vide la stanza vuota, immersa nella luce lunare.
"Dov'è andato?" mormorò preoccupata. Di solito a quell'ora, Every non usciva dalla camera nemmeno sotto minaccia. Se ne stava davanti allo specchio con cui scrutava nel suo mondo in cerca di Giuly e non parlava con nessuno.
La ragazza poggiò il vassoio sul tavolo e si avvicinò incuriosita allo specchio. L'immagine era ancora impressa sulla superficie liscia. Ma non era né il suo riflesso, né tantomeno la posizione di Giuly. Raffigurava un altro giovane, di circa vent'anni, simile in maniera impressionante ad Every, solo con un'espressione più triste e al tempo stesso più dura. I lineamenti erano più affilati di quelli di Every, e il suo fisico, appena visibile nel piccolo specchio, era ben più piazzato di quello del mingherlino ragazzo che aveva conosciuto lei. I suoi occhi in particolare la colpirono. Erano castani e le mettevano in cuore una sensazione di tristezza che non riusciva a spiegarsi. Stava guardando qualcosa davanti a sé, ma lei non poteva vedere cosa, però riusciva a distinguere il dolore che si nascondeva nel profondo di quelle iridi marroni.
"Chi è... questo..." mormorò, passando un dito lungo il volto della figura, quando un rumore la fece voltare di scatto. Si trovò di fronte Every. Il ragazzo aveva aperto del tutto la porta e la teneva con una mano. Era vestito con una giacca da viaggio e teneva in spalla uno zaino colmo.
"Che ci fai qui?" le chiese scontroso.
Lei indietreggiò andando a sbattere contro il tavolino. Deglutì, sotto quegli occhi arrabbiati che lampeggiavano riflessi nei suoi.
"T-ti avevo portato la cena, ma non ti ho trovato, e quindi..."
"Non fa nulla. Tanto sono in partenza." borbottò lui, voltandosi dopo qualche secondo e incamminandosi nel corridoio buio. La ragazza si rese conto solo dopo qualche istante del significato delle sue parole.
"Aspetta!" gli corse dietro e lo prese per un braccio, fermandolo. Lui si voltò e la guardò di scorcio da sopra la spalla "Aspetta. Io..." Maty ritrasse la mano. Restò ferma senza sapere di preciso cosa fare. Le parole le morirono in gola, soffocate dalla paura.
"Che c'è?" chiese lui, addolcendo il tono.
"Non andare. Sei ancora debole e poi... che cosa ne è dei miei amici? Li hai... trovati?" disse infine lei, facendosi coraggio. Lui la fissò per un istante con sguardo enigmatico. Sospirò e si voltò del tutto, fissandola dritta negli occhi così intensamente da farla arrossire.
"Giulyu e gli altri staranno bene. E anche io sto bene. Non devi preoccuparti, non voglio che ti preoccupi. Ok? Però devo fare un paio di cose nel Multiverso prima, eh, di tornare nel mio Mondo, capisci? Quindi devo andare e fare il più in fretta possibile."
Maty abbassò lo sguardo, presa dallo sconforto. Sentiva come se qualcosa non quadrasse.
"Ma come sai che stanno bene? Insomma, io nello specchio ho visto solo un ragazzo che ti assomiglia! Cosa... Cosa ne sai di Giuly? E di Lucas, Lelq, Gyber, Dz, tutti... Come sai che stanno bene... Io non... non ce la faccio più a... a..." si mise a singhiozzare. Every restò immobile, senza sapere cosa fare. Non si aspettava quella reazione.
"Maty, che ti succede? Per favore, non piangere. Mi guardi un attimo?" le prese delicatamente il volto tra le mani e le fece alzare con gentilezza lo sguardo verso di lui.
"Scusa è che... Io non... Odio la tensione e... e sapere che loro potrebbero... che loro potrebbero... Mo... Mor..." singhiozzò lei con gli occhi gonfi di lacrime. Lui la strinse in un abbraccio.
"Shh, non piangere. Fidati di me, ti prometto che te li riporterò tutti. Le cose si sono complicate e ho bisogno di un aiuto, capisci? Quel ragazzo è la chiave. Grazie a lui, un mio caro amico porrà fine a questa follia e porterà indietro tutti i tuoi amici. Ti fidi di me, Maty?"
Lei alzò lo sguardo e, singhiozzando un'ultima volta, abbozzò un sorriso. I due si staccarono e lei si asciugò le lacrime.
"C-certo che mi fido. Sciocco, mi fido. Però ho comunque paura. Insomma, ultimamente, là fuori è sempre più pericoloso. Ho sentito Wesker che ne parlava, prima che partisse. Diceva che il Multiverso si sta riempiendo di grossi ciclope con parti robotiche che sembrano davvero pericolosi. Non è sicuro, Every, non è sicuro per nessuno, ora come ora."
Lui sorrise scaltro. "Ragazza di poca fede. Io ho un asso nella manica che gli altri non hanno. Andrà tutto bene, vedrai."
"Quindi partirai?" insistette lei nella speranza di farlo desistere.
"Mi spiace, ma devo. La speranza più grande perché i tuoi amici tornino è là fuori, purtroppo." rispose lui, serio, per poi voltarsi e prendere la via del corridoio. Dopo i primi passi però si fermò, facendo sperare Maty. Aggiunse, senza voltarsi, con la voce incerta: "Maty, volevo dirti che..."
Si fermò. Lei lo guardò incuriosita. Poi lui emise un risolino ironico e riprese a camminare. "Non fa niente. Non fa niente." disse, sparendo oltre il corridoio.
La ragazza lo guardò andarsene, chiedendosi cosa volesse dirle.
 
Every si diresse a passo deciso verso la scogliera, gli occhi fissi sulla luna illuminata solo a metà.
"Bella, non è vero? Per voi umani, la luna è, come dire, un qualcosa di incommensurabilmente meraviglioso e sgargiante, non è così?" gli sibilò la voce del corvo all'orecchio.
"Vattene, Elphrin." ringhiò lui senza fermarsi nemmeno.
La voce emise il riso innaturale e stridente del demone. "Ma non posso, sciocco! Nero mi impedisce di ucciderti, ma non può fermarmi dal parlarti, non è vero? Volevo solo dirti che quanto provi per quella ragazza è davvero stupendo! Potremmo paragonarlo alla luna, non è così?"
"Taci." fu la risposta lapidaria del giovane, che scatenò nuova ilarità nella voce nella sua mente.
"Non vorrai darmi torto? Eppure quella luna rappresenta benissimo il tuo piccolo cuoricino, non è vero? In fondo entrambi sono belli e succosi, entrambi sono... a metà, non è così?! KIIIKIKIKI! Solo che quella luna si riempirà col tempo, non è vero? Mentre il tuo cuore sarà lasciato a metà da quella ragazzina, non è così?! KIKIKIKIIII!" la voce svanì lentamente, lasciando quella risata graffiante a lacerargli la mente, insieme alla consapevolezza che aveva ragione.
Ma non era il momento di farsi prendere dallo sconforto. Si fermò davanti alla scogliera e aprì il palmo della mano destra. Chiuse lentamente pollice, mignolo e anulare, toccandosi con medio e indice l'occhio sinistro. Trascinò le dita sul bulbo come per togliersi una lente a contatto. Una rivolo di sangue gli uscì dalle palpebre e accompagnò le sue dita fino al bordo del volto. Chiuse entrambi gli occhi e trattenne un grido di dolore. Odiava quella cosa. Aprì lentamente l'occhio sinistro, lasciando chiuso l'altro. La sclera era diventata di un fucsia molto tenue, mentre iride e pupilla si erano tramutati in dieci cerchi concentrici perforati da due croci greche. Una versione molto meno potente della runa degli Entes che Nero gli aveva fornito per poter avere temporaneamente alcune capacità solitamente non acquisibili. Per esempio la capacità di aprire un varco tra universi anche distantissimi perfino qualora questi fossero protetti da una barriera impenetrabile.
Avanzò un passo nel vuoto e si lasciò cadere nel precipizio. Mentre precipitava verso il mare spumeggiante e i massi aguzzi a quasi sessanta metri di distanza, sentì un calore sempre più intenso avvolgerlo. Tenne l'occhio sinistro aperto; se non lo avesse fatto, si sarebbe sfracellato. Non poteva vedere attraverso quella runa, era praticamente ceco finché usava quella tecnica, ma era un piccolo prezzo da pagare, visti i risultati. Il fischio della caduta si affievolì e una sensazione di gelo lo circondava. Alla fine sentì del terreno solido poggiarsi sotto i suoi piedi e si azzardò a chiudere l'occhio. Attese un istante che la realtà si costruisse intorno a lui e poi li riaprì. Quel tipo di trasporto inter universale, infatti, "sgretolava" l'universo di partenza e "ricostruiva" quello di arrivo intorno all'utilizzatore. Ovviamente questo avveniva solo dal punto di vista del soggetto, i due universi, in realtà non subivano mutamenti. Aprire gli occhi durante il processo significava vedere il nulla assoluto, qualcosa che niente di ciò che esisteva poteva comprendere, e che quindi, se visto, creava un paradosso che distruggeva il soggetto. Praticamente, fissare il nulla significava diventare nulla e quindi smettere di esistere. Una condanna a morte bella e buona, anzi, peggio, a ben guardare.
In ogni caso, quella tecnica portava sempre e infallibilmente a destinazione, ma funzionava solo se il soggetto si trovava in pericolo di vita. Un altro svantaggio da considerare.
Ad ogni modo, Every arrivò sano e salvo a destinazione. Si trovava in mezzo ad un sentiero circondato da una fitta pineta che conduceva verso delle colline verdeggiante. Il bosco circumnavigava le colline come un mantello verde scuro. I colli si aprivano sopra una spiaggia su cui la risacca si infrangeva placidamente. Il cielo stellato mancava del grande sorriso lunare, ma era così limpido e bello che rasserenava l'animo.
In mezzo ai dolci pendii, sul punto più elevato, si innalzavano le mura di un grigio castello dalle guglie aguzze che tendevano una muta sfida alla volta astrale. L'edificio tardo settecentesco stagliava un'ombra lunga e bluastra.
Il ragazzo rinsaldò la presa sullo zaino e si mise in cammino a passo spedito. Non aveva fretta di arrivare, tanto senza il segnale non poteva farsi vedere. Però prima arrivava meglio era, almeno... si sarebbe goduto lo spettacolo. Al solo pensiero gli veniva da sbattere i piedi per terra e digrignare i denti dall'impazienza.
 
Intanto, nel palazzo regnava il silenzio, rotto solo dai passi ritmici delle statue guardiane, imponenti sculture di pietra e marmo con lunghe alabarde in ottone che marciavano lungo i corridoi dell'edificio, sorvegliando la zona per proteggere i Nessuno addormentati.
A tentare quella impenetrabile difesa era una singolare, sinuosa silhouette di un serpente, un anaconda di dieci metri che si mescolava con le ombre, scivolava tra gli spazi più angusti, sibilava cercando un odore in particolare. Strusciò lungo la parete di un corridoio illuminato da una infinita serie di fiaccola scoppiettanti e si bloccò, vedendo due guardie che stavano venendo proprio verso di lui. Rapido come una saetta, si sciolse in una pozza di ombra e svanì tra le tenebre lanciate dalla luce delle torce. I due guardiani lo sorpassarono senza percepirlo nemmeno. La serpe sollevò la testa dall'ombra, sibilando verso i due ammassi di pietra che stavano svoltando in un altro corridoio in quel momento. Quando furono spariti del tutto, fissò ancora per un istante, immobile, il punto in cui aveva avuto l'ultimo scorcio del duo, e poi si lanciò alla volta della sala in fondo al cunicolo in cui si trovava. Era certo di trovare ciò che cercava proprio lì.
Fece capolino al termine dell'androne, sbirciando la grande sala riunioni dell'Organizzazione Tredici. Era un ambiente circolare, con pilastri in marmo bianco striato da un particolare metallo nero che annullava le magie più pericolose dentro al circolo. Tre grossi lampadari scendevano dal soffitto alto una ventina di metri, illuminando quasi a giorno ogni angolo. Non era possibile nascondersi, lì. Ma non ce n'era necessità. La sua preda era di fronte a lui, seduta al grande tavolo ottagonale che copriva gran parte della superficie. Gli dava le spalle ed era intento a studiare delle carte di magia Nessuno, la testa poggiata all'unica mano che gli rimaneva.
"Never..." sibilò compiaciuto il serpente. La sua figura si sollevò da terra, il suo fisico cambiò. La parte terminale della coda si irrobustì e venne rivestita da un'armatura di ferro dello Stige, rubato durante un'incursione negli inferi. Da circa metà del corpo longilineo, la sua figura mutò, assumendo tratti umani, muscolatura che quasi lacerò la pelle, la quale, prontamente, rispose inspessendosi e fondendosi con le ossa formando un primo strato protettivo tra il verde e il biancastro. Una seconda armatura blu scuro gli coprì le spalle che gli stavano crescendo e da cui si stavano diramando due braccia possenti, ornate da bracciali d'oro e di platino. Il collo si fece taurino e la testa si schiacciò e si fece più grande, acquisendo una seconda bocca sopra la prima. Tre occhi campeggiarono su un lato del capo, mentre l'altro era completamente coperto da creste ossee che uscivano dalla pelle come una specie di porcospino impiantato nel volto. Una corona di corna gli ornò il collo, diramandosi a raggiera per un metro buono, terminando con punte aguzze da cui pendevano catenelle a cui erano attaccati denti di un drago e le piume di una fenice sacra.
Il ragazzo sollevò la testa e fece per voltarsi, portando la mano allo spadone a guardia crociata che teneva legato alla cintola, ma il naga lo bloccò prima, dandogli un colpo con la lunga coda che gli fece fracassare il tavolo e sbattere contro la parete opposta.
"Neverian Every, Never per gli amici. Io posso chiamarti così, giusto? Never? In fondo siamo grandi amici, noi due." lo schernì il dio, avanzando producendo uno stridore ad ogni suo movimento per via della corazza che strusciava sul terreno.
"Ti prego, non farlo. Mi insulteresti." mugghiò Never dolorante. Strinse la spada e scomparve in una nube di polvere celeste.
"Oh, no. Scusa, ma non è questo il momento in cui scapperai, piccolo essere inferiore." sancì Ouroboros, schioccando le dita e voltandosi verso il corridoio da cui era entrato. Una saetta viola partì dalla sua mano e colpì un punto preciso, facendo apparire Never che gridò per il dolore. Cercò di rimettersi in piedi, ma l'elettricità gli scorreva ancora dentro. Se non fosse stato un Nessuno, a quel punto sarebbe morto di certo.
"Che diavolo puoi volere da me, Ouroboros?" ringhiò Never, ridotto carponi. Rumori di passi fecero storcere la bocca al grande naga, che si chinò e gli si avvicinò rapidamente.
"Niente di personale, piccolo amico. Davvero. Però ora devo proprio ucciderti. Sai no, un tuo vecchio amico mi ha chiesto di organizzare un bel raduno, una rimpatriata, e io non potevo certo tirarmi indietro, no?" gli sussurrò all'orecchio, prendendolo infine in una mano e sollevandolo con sé, fracassando il corridoio e scagliandolo in quella al piano superiore. L'essere si chinò usando la coda come una molla e poi gli partì a razzo contro, infilzandolo con gli aghi del suo volto, facendogli devastare il tetto del castello. I due volarono in cielo mentre sotto di loro si radunavano le guardie e alcuni Nessuno.
Ouroboros sentì delle grida concitate, poi usò il suo potere di fluttuazione e portò entrambi al di sopra delle nubi, dove si staccò Never dalla testa e lo strinse in un pugno, facendolo gridare. Non lo voleva ancora finire, quindi lo stava tenendo in vita con i suoi poteri.
"Crepa, aspide! Scommetto che ti ha mandato quel... quel figlio di puttana di Nero, vero? Ti sei venduto perfino a lui, adesso? Patetico!" gli gridò Never con le ultime forze.
Ouroboros ringhiò infuriato, stringendo più forte, gustandosi il rumore delle ossa che si frantumavano e penetravano la carne tenera e perforavano gli organi interni.
"Gli doveva un favore! Del resto, è grazie a lui se sono riuscito ad arrivare a questo livello! Lui mi ha fatto il dono del Nucleo dell'Infinito, uno dei tre oggetti più potenti mai esistiti! In cambio mi ha chiesto di uccidere TE?! Non vedo altro che guadagni per me, in questo affare, tu che dici? Oh, aspetta, come come? Non capisco, cosa stai... cosa stai dicendo? Ah, giusto, non hai più i polmoni, non puoi parlare!" ruggì il dio, prendendo poi Never con una mano e scagliandolo a terra ad una velocità folle. Rise e poi si lanciò all'inseguimento. Il castello si palesò sotto di loro. Il naga allungò una mano artigliata verso l'ormai cadavere e strinse tra indice e pollice un lembo d'aria proprio sopra il petto di Never. Tirò verso di sé, estraendo l'anima morente, chiudendola in un globo di luce viola per poi sparire in un portale nero.
Il cadavere si schiantò sul pavimento del palazzo, facendo scattare tutti i presenti, ovvero gran parte del corpo di guardia e praticamente tutti e ventidue i Nessuno, compreso il loro capo. Un vocio concitato si diffuse nel gruppo quando il polverone si fu diradato. Una ragazza, anch'essa sulla ventina, dai corti capelli blu raccolti in un codino e gli occhi verde acqua, si fece strada tra i suoi compagni, tendendo una mano da sotto la pesante tunica nera dell'Organizzazione.
"Xyron, no, non guardare, non è..." fece per fermarla un'altra Nessuno, una donna sempre sulla dai capelli castani lasciati indomiti di fluttuare sulle spalle. In parte a lei stava, lievemente in disparte, un altro Nessuno che guardava la scena con occhi colmi di rabbia. Teneva il volto nascosto nel cappuccio e le mani stretta intorno ai manici delle lance retrattili che portava legate ai fianchi da due cinghie di cuoio.
"Non è... vero... Non è..." mormorava Xyron, inginocchiata al margine del profondo cratere rosso di sangue in cui era sparito il cadavere, tenendo gli occhi sbarrati sull'obbrobrio di interiora spiattellate miste a frammenti ossei e pelle esplosa. Alcuni Nessuno la presero di forza, portandola lontano da quella scena, al che lei prese ad agitarsi e ad urlare. Anche la donna che aveva provato a fermarla dall'avvicinarsi allo scempio le andò dietro, cercando di tranquillizzarla. Il Nessuno incappucciato sbatté un pugno sulla parete, allontanandosi a passi ampi. Voleva stare solo.
Raggiunse la sua stanza e si lasciò andare, prendendo a pugni tutti ciò che gli capitava a tiro. Le ombre intorno a lui iniziarono a prendere forma, ad acquisire solidità, sollevandosi dal pavimento, accompagnando le sue grida furiose. Il suo stesso corpo iniziò a mutare, la pelle si inspessì e la muscolatura aumentò gradualmente. Il processo si interruppe di scatto quando udì un rumore provenire da un angolo buio in fondo alla grande stanza da letto. Tramutato in mezza bestia, si accasciò a terra stremato, piangendo sommessamente con la bocca allungata e irta di denti aguzzi sollevata verso il soffitto.
"Sono arrivato tardi, allora." commentò una voce giovanile proveniente dalla finestra in fondo alla camera. Il Nessuno non si mosse. I suoi occhi divennero rossi e tondi come lune piene, quelle che mancavano in quella nottata infausta. Il suo respiro si fece meno affannoso mentre i suoi battiti calavano. L'istinto di uccidere gli si presentò, pressante in maniera orribile e irresistibile. Fece un balzò improvviso e si avventò sul ragazzino che era appena spuntato dal nulla senza nemmeno far presagire il suo arrivo con una qualche manifestazione magica o energetica. Lo placcò e lo prese per il collo con una mano semi tramutata in zampa da raptor, affondandogli i denti in un braccio. Quello lanciò un gridolino più di sorpresa che d'altro.
Il Nessuno iniziò sin dal primo contatto ad usare il suo potere per far marcire la carne dell'umano avventato, ma si fermò subito. Nella sua testa, la voce dell'entità che lo aiutava nella gestione dei suoi poteri, Nightmare, protestò sommessamente, ma lui la scacciò in malo modo.
"Chi... chi sei tu?" chiese stupito, lasciando andare il giovane che lo guardava terrorizzata, tenendosi la gola con una mano.
"E-every, perché?" chiese il ragazzo, guardandolo ad occhi sgranati. "E per sapere, chi sei tu che volevi uccidermi, a me che sono tanto carino?" chiese poi di rimando con voce infantile e impaurita.
"Darksaurus. Dark." rispose basito in modo atono il Nessuno.
Dark sbatté le palpebre. Non riusciva a capire. Never era morto pochi istanti prima sotto i suoi occhi. Uno dei suoi migliori amici era stato fatto a pezzi e si era spiaccicato sul pavimento di un corridoio del castello sotto i suoi occhi giusto due minuti prima. Perché allora aveva davanti agli occhi un Never più giovane di qualche anno che lo guardava terrorizzato?
 
Angolo di ME!

Ouroboros, Xyron e i Nessuno in generale (eccetto Dark e Never) sono oc di King Mortebianca (junior, big J, per intenderci).
Nightmare è un frammento di Eon (chiunque abbia letto E.A.P.H. by Tnecniv Victus Mors lo dovrebbe sapere) e appartiene pertanto a Tnecniv. Seguendo la storia di E.A.P.H., Nightmare è in simbiosi con Darksaurus.
Darksaurus appartiene all'omonimo autore.
Maty, beh... lei la cito già nei ringraziamenti, ma comunque, appartiene all'omonima autrice.
Queste le si chiama "informazioni di servizio", lo si fa tantissimo.
Ev.    

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Capitolo 25
*** Il Sogno ***


"Quindi tu sei Every."
"Si."
"Never è una tua... brutta copia."
"Esatto."
"E tu mi stai dicendo che eri qui perché avevi bisogno del suo aiuto."
"Chiaro."
"Ma sei arrivato tardi."
"Corretto."
"Quindi ora devi ritrovarlo."
"Puntuale."
Dark si grattò la testa fissando con aria scettica il ragazzino che si trovava di fronte.
"Tu che dici, Nightmare, ci possiamo fidare?" pensò rivolto all'entità nella sua mente.
Il frammento di Eon si materializzò nel suo pensiero come una nuvoletta arancione con due grandi occhi viola e una bocca nera stilizzata.
"Non saprei, idiota. Tu che dici? Oh, aspetta: no? Diavolo di un me, ovviamente non possiamo fidarci del primo cretino che si dimentica di venire a salvare qualcuno che primo era lui stesso e secondo gli serviva!" strepitò la creatura, aprendo la bocca da cui faceva sporadicamente uscire fiammelle ocra.
"In effetti... Però mi sembra innocuo. E poi potrebbe essere la mia unica possibilità di avere vendetta."
"Smetti di farti prendere dalla rabbia, baka! Pensa piuttosto a mangiare qualche incubo! Ho fame, e qui dentro la tv non prende un accidenti di decente!"
"Perché devi essere sempre di così grande aiuto?"
"Ah, non guardare me, amico, io ho solo detto GUARDA GUARDA!"
Il ragazzo sbuffò mentalmente e fece per allontanarsi. Nightmare storse la bocca nera, roteando gli occhi con un guizzo infastidito.
"Emana un odore che non mi piace. Ma potrebbe esserti utile se vuoi salvare quel tuo amico depresso." mugugnò, facendo apparire due braccine arancio che incrociò, voltando la testa di lato.
Dark restò un attimo in attesa.
"Non vorrai dirmi che..." fece per replicare, ma qualcosa lo riportò alla realtà.
"Ehy, amico? Ma, ci sei? Ti senti bene?" gli chiedeva Every schioccandogli le dita davanti agli occhi e scuotendolo ogni tanto.
"Eh? Ah, si, si. No stavo... Ah, lascia perdere. In ogni caso, se tu eri venuto per Never ormai è tardi. Puoi anche sloggiare, a meno che non ti serva altro. Nel qual caso vattene comunque. Non posso perdere tempo dietro a te." gli disse corrugando la fronte e stendendosi sul letto con fare non curante.
Every lo guardò sorridendo sornione.
"Oh, ma non è tardi, no no. Never non è morto, non del tutto, almeno..."
Per poco il Nessuno non si soffocò, rotolandosi sul letto e finendo a terra.
"C-che cosa hai detto?! Se ti azzardi a prendermi in giro io ti...!"
"Tranquillo, nessuna presa in giro. Vedi, ogni Every, cioè ogni altro me, possiede uno di questi." disse il ragazzo, scostando la camicetta e mostrando una piccola pietra preziosa incastrata nella pelle sulla spalla magrissima. "Questo affarino, solitamente invisibile, appare alla morte di uno di noi nella Realtà. Non ho tempo da perdere, quindi sarò breve. In sostanza si tratta di un oggetto di respawn automatico: quando un Every muore lontano dal nostro Universo di origine, l'Eververse, per la precisione, la nostra essenza viene riportata là in un modo o nell'altro, rinascendo con un corpo identico, mente e ricordi immutati, capacità invariate. Insomma, torna nel mio mondo come se non fosse mai morto. Per ucciderci, infatti, bisogna farci fuori nell'Eververse."
Darksaurus ascoltò la spiegazione mentre il cuore prendeva a battergli più forte nel petto.
"Vuoi dire che..."
"Che Never è vivo, nel mio mondo. Ed io posso tornare nel mio mondo. Tuttavia... recenti avvenimenti hanno reso quel posto un tantino pericoloso, quindi mi servirebbe chi mi protegga. Sai, Never mi serviva proprio per questo: dovevo incontrare una persona nel mio Universo e mi serviva qualcuno che mi proteggesse, visto che sono praticamente inerme." concluse il ragazzo, sorridendo con le punte delle dita giunte davanti agli occhi illuminati da una luce indecifrabile.
Il Nessuno lo guardò a bocca aperta. Una voce (probabilmente Nightmare e il suo buon senso uniti insieme) gli sussurrava di non fidarsi, ma dopo aver visto Never ridotto in quello stato... era stata dura trattenersi per non distruggere tutto e per non ferire più di quanto già non fosse la povera Xyron.
"P-perché dovresti chiedere il mio aiuto, allora? Perché non qualcun'altro?" obiettò a denti stretti, mettendosi seduto sul materasso soffice.
Il ragazzo piegò di lato la testa. "Primo, perché chi altri mi aiuterebbe? Tu invece... beh, ti sto offrendo la possibilità di ritrovare il tuo amico, no? Una valida merce di scambio per i tuoi servigi come guardia del corpo. E secondo. Dopotutto tu ci sei già stato, laggiù. Ma ovviamente ricordi poco, già... Nightmare... Oh, a proposito, so di lui, può pure manifestarsi se lo desidera. Dicevo, il tuo amichetto pezzetto di Eon ha occultato quei ricordi per non renderti meno controllabile di quanto tu non sia già."
Si guardarono per qualche istante. Il Nessuno era senza parole. Perfino Nightmare, dentro di lui, si era ammutolito alle parole del ragazzino.
Every sfoggiò un sorriso a trentadue denti e allungò la mano verso di lui. "Allora... Accetti di aiutarmi?"
 
Il signor Nero guardò l'orologio gigante appeso in cima alla torre della cittadella della polvere, del Settimo mondo della Morte, la capitale delle Anime Morte. Di lì a poco sarebbe arrivato, probabilmente, anche quel ragazzo, quel Mirrus.
L'aria bigia del mondo dei morti tremolò alle sue spalle, mostrando la sagoma del grande ciclope albino Fizzgerad, attorniato da uno stuolo di servitori della Paura, incubi di basso rango per lo più.
"Dimmi, fido amico, di quali nuove ti fai foriero questa volta?" chiese il demone, osservando la meta del suo futuro viaggio, la grotta in cima alla cittadella di polvere.
Il ciclope tremolò appena. Era messo male, aveva ancora una gamba mancante e l'altra era instabile. Il potere curativo dell'Abisso lo stava ricostruendo lentamente, purtroppo.
"Avete visite, my lord. Dal bordo esterno delle lande Abissali del sogno." mugghiò il bestione, prendendo un incubo e mangiandolo intero, riacquisendo subito un po' di forze.
Nero sorrise impercettibilmente. "Deh! Non fatelo attendere oltre! L'ospite è di grande riguardo e va trattato di conseguenza!" disse, voltandosi e attraversando l'ologramma di Fizzgerad come se fosse un vero portale inter-dimensionale. Il ciclope, non appena se lo fu trovato di fronte, fece per inginocchiarsi, perdendo però l'equilibrio precario del solo arto inferiore. Nero fu veloce e lo tenne sollevato con un dito, sorridendogli.
"Non affaticare oltre le tue fragili membra. Non è necessario. Portatelo nelle sue stanze a riposare." ordinò agli incubi lì presenti, che emisero dei sospiri e chinarono le teste come dei perfetti maggiordomi fatti di catrame gassoso, per poi allontanarsi portandosi dietro il ciclope.
Nero si voltò facendo saettare le tre code del lungo soprabito nero e sorrise ad alcuni incupain, incubi di grado maggiore, che gli si stavano avvicinando col fiatone.
"Tutto pronto per il nostro ospite?" chiese rivolgendo loro il più affabile dei sorrisi.
"Tutto è pronto, my lord." disse trafelato uno dei servitori con quella voce strascicata e lontana che era propria di quelle creature del sogno.
"E per quanto riguarda il nostro piccolo progetto?" seguitò Nero, seguendo le creature che lo scortarono attraverso la magione, la casa di Carbone, salendo la torre ovest e da lì entrando nell'altrimenti inaccessibile salone delle quattro porte. Era una sala rettangolare perennemente avvolta dalla penombra, con una poltrona al centro, un grosso camino vittoriano su uno dei lati più corti sormontato da un dipinto di cui non si poteva scorgere il soggetto vista la mancanza di luce o qualsiasi altro mezzo possibile di visione. Tre colonne si alzavano al centro e vicino ai lati della sala mentre sul lato lungo opposto a dove risiedeva l'entrata si alzava una scala che conduceva ad una piccola balaustra di legno antico. Oltre la ringhiera in mogano lucido si potevano intravedere le quattro porte maledette. Una di esse era coperta da pesanti catene arrugginite, un'altra sembrava mai stata aperta, una terza era socchiusa e lasciava trapelare un bagliore violaceo molto tenue. La quarta era completamente viola, di un viola tanto intenso da essere quasi nero. Non aveva maniglie o serrature, al centro soltanto appariva il disegno della runa degli Entes, la stessa che ognuno di loro portava in un occhio.
Il re del terrore si mosse verso quest'ultima porta a passo deciso, aprendola senza esitazione. L'interno mostrava solo un buio impenetrabile che non lasciava possibilità alla luce estenuata dell'esterno di entrare nemmeno di un millimetro oltre la soglia. Senza timore, attraversò a passo sicuro il varco e si immerse nell'Abisso, sorridendo. Camminando in quel posto così armonico e caotico al tempo stesso in cui ogni cosa era a lui chiara e distinguibile tanto quanto per ogni altro essere era incomprensibile ed invisibile, si sentiva in pace, rilassato come non mai. L'Abisso lambì la sua mano guantata e lui si limitò a scuoterla per scacciarlo. L'oscurità tornò statica e morta, quasi cercando di non toccare l'Ens, tremando di paura di fronte a lui, pur essendo quello stesso posto la paura assoluta.
Attraversò l'Abisso in breve, lui che poteva farlo, ritrovandosi nel sogno. Se l'Abisso era, di quella creatura senza nome che Nero aveva costruito nel suo Mondo di mai, la metà di mente più oscura e malata da cui nascevano gli incubi, il sogno era il corpo. Una distesa in cui il fumo nero dell'Abisso si alzava solo di pochi centimetri dal suolo. Il sogno, le periferie dell'Abisso e l'Abisso stesso erano il regno assoluto della Paura, ove l'oscuro signore poteva fare tutto ciò che più gli aggradava senza che nemmeno gli altri Entes potessero interferire.
La landa del sogno, grigia e indaco spento, era divisa dall'Abisso dalla periferia dell'Abisso, un luogo di non esistenza in cui ogni essere vivente che necessitasse del sonno ristoratore cadeva nel momento in cui smetteva di sognare poco dopo essersi addormentato e poco prima di svegliarsi. Quel momento in cui la mente dell'individuo cessava di essere, spariva del tutto e poi riappariva nel sogno.
L'Ens guardò in giro saggiando il pomo in madreperla e avorio del bastone con entrambe le mani. Dopo un po' infilò una mano guantata nella tasca del soprabito ed estrasse un cipollotto che ticchettava allegramente. Guardò le dodici lancette. Due roteavano alla velocità della luce in direzioni opposte. Altre due sembravano muoversi a scatti come se fossero rotte e non riuscissero ad avanzare senza retrocedere subito dopo alla posizione iniziale. Tre si muovevano normalmente come lancette dei secondi mentre le altre riportavano le scritte "Intempo", "Pertempo", "Fuoritempo", "Senzatempo", "Sempretempo". Quella di "Intempo era diretta verso di lui. Ripose il cipollotto e si sistemò con due dita il cilindro sui lisci capelli color sabbia, sorridendo affabile, mentre il terreno del sogno si contorceva e si apriva a pochi metri di distanza da lui. La voragine rigurgitò il grande naga Ouroboros, il quale reggeva tra gli artigli di una mano l'anima fremente di Never.
"Ouroboros, vecchio mio! Quanto tempo è passato dal nostro ultimo incontro?" disse Nero allargando le braccia e andandogli incontro gioiosamente.
Il naga sibilò, lanciandogli contro l'anima, che l'Ens prontamente afferrò con la punta del bastone e schiacciò a terra, facendola sparire sotto la coltre di fumo dell'Abisso.
"Il mio debito è saltato, spaventapasseri arrugginito. Non contattarmi mai più." ringhiò, incrociando le braccia.
"Oh, ma tu mi devi ancora quanto io ti ho concesso." gli fece notare Nero sorridendo in maniera odiosamente gentile.
"Vaneggi."
"Ou contraire, dico pienamente il vero. Ricordi il mio dono quale fu?"
Ouroboros fu percorso da un brivido freddo.
"Mi donasti il potere del nucleo dell'..."
"Infinto. Precisamente. Il che significa che quello per cui mi sei debitore è altrettanto infinito. Ricordalo, te ne prego. Non vorrei doverti far vedere di nuovo l'Abisso."
Il naga sibilò terrorizzato al solo ricordo del primo sguardo lanciato alla coltre oscura del sogno.
"Ma io ti ho già reso il nucleo! In realtà, non so nemmeno perché ti ho portato l'anima di questo moccioso patetico, invece di divorarla!"
"Non essere sciocco, moccioso. Non si addice ad un'anima grande, dopotutto." Nero abbassò il capo in modo che solo il sorrisetto ora tagliente e freddo come un coltello di ghiaccio fosse visibile da sotto il cilindro. "Quello che tu mi diedi indietro era il nucleo del nulla, non dell'infinito. Dopotutto, dopo l'uso che ne hai fatto tu, lo hai consumato svuotandolo della sua infinita energia. Quindi..."
Ouroboros fece per ribadire, ma qualcosa lo tacitò prima ancora di aprire bocca. Qualcosa in quel sorriso dipinto sulla bocca dell'Ens, qualcosa di... pericoloso. Se si fosse spinto oltre, probabilmente l'essere in debito con Nero sarebbe stato il minore dei suoi problemi.
Ringhiò e chinò il capo in segno di resa. Nero allargò il sorriso e prese l'anima di Never tre due dita, portandola davanti agli occhi.
"Ora cosa vuoi che faccia per te... my lord?" chiese stentatamente il dio, attendendo risposta dal demone che rise gaiamente.
"Attendi, amico mio. Attendi impaziente il mio prossimo ordine. Posso garantirti che sarà l'ultimo favore che ti imporrò di eseguire!" esclamò, per poi schioccare le dita e far sparire Ouroboros dal sogno. Si rivolse quindi all'anima che fremeva ancora di più tra le sue dita. Il suo sorriso ora era ancora più freddo, ma privo di cattiveria. Era quasi vuoto e il suo occhio sinistro, quello con la runa, lampeggiava di luce innaturale. "Ed ora, vecchio mio... ora io e te discuteremo lungamente di affari. Discuteremo di affari urgenti..."

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Capitolo 26
*** Folle di Rabbia ***


Lelq arrancò sopra le scale di ghiaccio. Con lui c'era Shruikan, che lo aveva seguito dopo averlo visto entrare nel tempio. Il dio della follia si era fatto spiegare la situazione e lo aveva portato in volo sino all'entrata della sala delle divinità congelate. Erano corsi fino in fondo, all'organo, ma non avevano trovato nessuno. Nessuna traccia dell'Ens se non qualche fiammella violacea che ancora si ostinava a non spegnersi sulla neve, senza scioglierla.
"Dove... dov'è finito?" chiese il Kishin col fiatone, guardandosi intorno.
Lelq lo imitava, camminando lentamente in circolo con la bocca spalancata e gli occhi sgranati per lo sconforto.
"N-non capisco... Che significa? Perché non c'è?" balbettò.
"Lelq, amico, è meglio se usciamo." disse secco Shruikan, guardandosi intorno un'ultima volta per poi fissare lo sguardo sul musico che si stringeva tra le braccia come se fosse infreddolito. "Lelq?" lo prese per una spalla e lo fece voltare verso di sé, rimanendo di sasso nel trovarlo in lacrime coi denti digrignati.
"Shruikan... cosa... cosa..." singhiozzò, sollevando poi il volto stravolto dallo sconforto su di lui "COSA CAZZO VUOL DIRE TUTTO QUESTO?!"
BlackClaw restò interdetto. Lelq si mise a girare in tondo, tirando calci alla neve, al ghiaccio, all'aria.
"Perché ci sta succedendo tutto questo? Perché Blaso doveva prendere proprio Giuly? Perché doveva decidere per noi di che morte saremmo morti? Perché doveva giocare con noi?!"
"Non lo so..." mormorò Shruikan, barcollando con lo sguardo spento.
"Perché Lyram non è qui?! Perché non è qui ad aiutare le sue figlie?! Dopo i bei discorsi che mi aveva fatto, PERCHÉ CAZZO NON È QUI CON LORO?!"
"Non lo so." ripeté l'altro, stringendo i pugni e serrando gli occhi.
"Ha davvero così paura dell'Omino di mai da fuggire come  un codardo? Non gli importa proprio nulla del suo mondo e delle creature che vi ha messo? Non gli importa nulla se tutto questo va in fumo? Davvero gli basta questo?! RISPONDI, LYRAM, DAVVERO SEI DISPOSTO A VENDERE TUTTO QUESTO PER LA TUA INCOLUMITÀ?!" gridò Lelq, gettandosi in ginocchio con le guancie rigate di lacrime e alzando gli occhi al cielo.
Shruikan non rispose. Prese la carta del Bene e del Male e la osservò cupo. Guardò l'amico e si voltò verso l'uscita, mentre un alone viola iniziava ad avvolgerlo come una fiamma oscura che divorava ogni cosa toccasse. I suoi occhi divennero neri, così come la pelle. Un grande occhio verde gli si spalancò in mezzo al volto ormai privo di lineamenti. La corporatura si fece più magra ancora e molto, molto più alta e slanciata. Le dita e le braccia si allungarono fino a toccare terra dove il suo corpo si confuse con la sua ombra.
"Non lo so." disse poco prima di sparire dalla sala, con voce rauca e stridula, antica e maligna.
Lelq restò da solo, gli occhi chiusi dietro le mani e l'immagine della Lucas Force e della sua famiglia che venivano bruciate come fotografie vecchie nel focolare del camino stampata sulla retina.
 
Si riebbe dopo poco, quando uno scossone gli fece alzare debolmente la testa.
"S-shruikan?" balbettò, mettendosi a fatica in piedi. Non lo vide e pensò che fosse andato con gli altri. Gli altri. Il pensiero viaggio a fianco dei suoi amici. Dovevano combattere già da un po' con la Rovina del Mondo. Era rimasto lì per... almeno mezz'ora, incurante del freddo, preso solo da quel pesante dolore al cuore. Nemmeno Alter lo aveva fatto sentire così devastato. Il potere mentale di Blaso era ancora più grande di quello della Superbia.
Si incamminò barcollando verso l'esterno. Gli fu difficile scendere la scalinata di ghiaccio e più volte risciò di spezzarsi una gamba o peggio, ma, con l'ausilio degli artigli metallici della mano meccanica riuscì ad attutire anche le cadute peggiori perforando il duro ghiaccio. Arrancò verso la porta e la socchiuse, venendo abbagliato dalla luce dello scontro.
Parsifal aveva già messo al tappeto l'ultra antracia, troppo provata dallo scontro in singolo di poco prima e dalla battaglia contro i suoi amici di quando erano arrivati in quella specie di inferno gelido. Randor non fluttuava più e si era ridotto per lo più a creare barriere che però il colossale ciclope frantumava in pochi secondi. Johara era gravemente ferita alla spalla e all'addome, dove riportava i segni di tre artigliate, tante quante le dita del ciclope escluso il pollice. Sangue scuro e denso scendeva dalla sua pancia lacerata, ma lei continuava a rinchiudere in reti d'etere il mostro. Litios aveva perduto il braccio meccanico e Lucas non poteva volare dal momento che entrambe le sue ali erano state spaccate in due. Gwenn era svenuta poco lontano. Rubens era stanco per i recenti scontri come Gyber, ma insieme a Shruikan seguitava a combattere accanitamente. Il Kishin lo colpì particolarmente. Il suo corpo era diventato letteralmente uno scheletro tutto nero senza braccia e gambe che si sollevava come un cobra da una pozza di sangue ribollente e violaceo larga circa un metro. L'occhio verde in mezzo al volto inespressivo sparava raggi romboidali che causavano un rumore assordante e sembravano riuscire a bloccare il ciclope quando questi stava per assestare un pugno.
"Che gli è successo?" chiese allibito, mormorando più a sé stesso che a qualcuno in particolare.
"Me lo chiedo anche io." uggiolò Dz, rannicchiato poco distante, intento ad osservare la scena a sua volta. Aveva gli occhi spenti e teneva il volto semi nascosto tra le braccia e le ginocchia.
Il musico tornò a guardare il gruppo di guerrieri. La stra grande maggioranza delle azioni avvenivano così velocemente che poteva scorgerne solo pochi effetti. Vedeva i suoi amici e Parsifal in piedi immobili l'uno di fronte agli altri. Di quando in quando un nuovo taglio o una contusione spuntava sul corpo di uno dei ragazzi. Ogni tanto un'esplosione più forte delle altre scuoteva il terreno, ma niente più.
Lelq restò immobile. Poi lasciò perdere la preoccupazione e si lasciò cadere a sedere in parte al mezzo kaiju.
"Sai qual è la cosa più buffa?" bofonchiò da sotto le braccia il ragazzo coi capelli blu al musico. Lelq alzò un sopracciglio. "Che quel mostro potrebbe uccidere Shadow Blade con un dito, eppure ora è qui ad uccidere noi. Che razza di giustizia."
Una lacrima rigò il volto di Lelq, che si coprì gli occhi con due dita. Poggiò la testa contro la parete ghiacciata del tempio e si lasciò andare ad una risata isterica.
Ad un tratto, il vento si chetò. Il rumore della valanga, fino a quel momento costante sottofondo, si zittì parimenti. I due guardarono incuriositi la scena, impauriti da quanto sarebbe potuto accadere. Poi, con un potente colpo d'aria, i corpi dei ragazzi vennero sbalzati contro il tempio, frantumando la parete. Lelq si rialzò intontito. Non sentiva altro che un fischio insistente. Intorno a lui, sfocati, apparivano detriti, macerie a non finire, corpi inermi. Shruikan si alzò in parte a lui, facendolo girare appena. Tutto sembrava ovattato, tanto che nulla lo sorprendeva o intimoriva più. Vide la figura del Kishin sollevarsi a fatica e far apparire una mano dal corpo scheletrico, poggiandola a terra per sorreggersi meglio. Lucas apparve poco lontano, tenendosi la testa ferita da cui colava icore dorato. Anche gli altri si rialzarono. Gyber e Gwenn mancavano all'appello.
Lentamente, tutto tornò a farsi definito, concreto, solido. I suoni si fecero vivi, veri, sostituendo quel fischio acuto e lancinante.
"Che... che è successo?" mormorò il musico, tenendosi il capo frastornato tra le mani.
Shruikan tremolò, mentre il suo corpo si faceva più umano, acquisendo braccia, gambe, un busto magro, ma quantomeno con un po' di carne addosso, con indosso solo una tunica bianca lacerata e legata in vita da una corda. La pelle era ancora nera, ma adesso il volto aveva riconquistato lineamenti e il grande occhio verde si era chiuso, lasciando il posto a due normali occhi blu.
"G-gwenn..." balbettò Johara, cercando di sollevarsi e protendendo un braccio in avanti, verso una coltre di fumo bianco che aveva coperto la Rovina e i due portali. La donna cadde in avanti, tossendo copiosamente sangue. Litios le si avvicinò e la sorresse col braccio sano, mentre Victus compariva da sotto le macerie. Lelq si chiese per un attimo che fine avesse fatto prima, visto che non lo aveva scorto da nessuna parte prima che quel pandemonio avesse luogo.
Poi però udì un verso strozzato provenire dalla nube e il ringhiò cupo simile a fusa di Gyber. Lucas alzò una mano e lanciò una fiamma bianca che spazzò via i residui della coltre, mostrando il ciclope e i due guerrieri. L'ultra antracia era stesa a terra, sveglia e fremente, con un pesante piede del mostro stretto sulla testa. Si poteva sentire da lì il rumore di ossa che si frantumavano e si ricomponevano. Parsifal teneva alto un braccio. Nella mano stringeva per il busto Gwenn, semi svenuta ancora. Alcune fiamme rosse erano ancora accese dall'attacco del biondo serafino.
"La ucciderò. Consegnami i reietti. O la ucciderò, Johara." disse senza passione il ciclope, stringendo la presa. Gli artigli perforarono le carni della giovane. Se avesse stretto di più la presa l'avrebbe tagliata da parte a parte facendola letteralmente a pezzi.
Gyber ringhiò più forte, ricevendo solo una pressione maggiore sulla testa. Il terreno intorno al suo capo si crepò per la troppa pressione. Johara piangeva guardando la sorella, mentre i membri della Lucas Force non potevano che stare a guardare impotenti. La proposta di Parsifal non li scosse minimamente.
"J-Jo... Ha...Ha-r..." mugolò la ragazza di fuoco, mentre un rivolo di sangue le rigava il volto incantevole e gli occhi le si velavano di morte.
"No..." mormorò Lelq mentre la generalessa dell'etere cadeva in ginocchio gridando e implorando pietà ad un mostro senza più una morale o un cuore da toccare.
"No..." ripeté il musico ad occhi sgranati. Non poteva farlo. Erano dalla stessa parte, in fondo. Generali dello stesso esercito. Che senso aveva che la uccidesse? "LYRAM!" gridò alla fine. Nessuna risposta. Parsifal lo guardò con il grosso occhio cattivo luccicante. Aprì di scatto la bocca e si udì un sibilo.
"LELQ, ATTENTO!" gridò Dz, buttandosi verso l'amico. Troppo tardi, il sibilo partì. Lelq chiuse gli occhi e restò immobile. Non poteva schivare. Poi udì un botto sordo e un calore piacevole che gli si spandeva sul viso. Aprì gli occhi. Davanti a lui non c'era nulla. Solo il ciclope e... Una delle fiamme lasciate sul terreno intorno a lui si era sollevata?
No, non si stava sbagliando. Il fuoco si era stirato e si era innalzato, volteggiando in aria sopra il ciclope e avvolgendoglisi intorno al braccio con cui teneva Gwenn. Parsifal guardò il fuoco che diveniva viola. Un grosso occhio viola, la runa degli Entes, apparve sul terreno e una voce emise un urlo terribile. Poi una luce immensa accecò tutti per un istante. Gli eroi si trovarono a fluttuare sul terreno. Quando tutto fu terminato, Gyber era con loro. Davanti a loro stava un uomo vestito con una camicia viola con le maniche sollevate al gomito. Teneva tra le braccia Gwenn, svenuta.
Johara lo guardò con gli occhi colmi di pianto.
"P-padre..."
"Johara, porta Gwenn con te. Proteggi tua sorella per me. Io terrò fermo Blaso." disse secco Lyram.
Parsifal aprì la bocca ed emise un ruggito tremendo che scosse il cielo e la terra. Poi parlò, ma con la voce di Blaso, mentre la runa degli Entes gli veniva tatuata da una mano invisibile sull'occhio viola.
"Non crederai di potermi sconfiggere, vero, Lyram?" gracchio, mentre un'ombra imponente divorava l'orizzonte avvicinandosi a loro a velocità vertiginosa. "Non potrai nemmeno rallentarmi, folle! Ho già sconfitto Adreus, Unlegal, e perfino il potente Ruins, il più forte di tutti, è caduto sotto i miei colpi, non ha potuto fare altro che inginocchiarsi di fronte a me! Chi sei tu per poter sperare di fare alcunché contro di me?"
Lyram non rispose. Si voltò pacatamente e poggiò Gwenn tra le braccia di Lelq.
"Ve ne prego, aiutate le mie piccole a raggiungere un posto sicuro." disse gentilmente, per poi alzarsi e stringere i pugni, facendo scrocchiare il collo. "Blaso, anzi... Omino di mai. Chiedi chi sono io per poterti affrontare?"
Una fiammata viola si innalzò dietro il gruppo, alta quanto una montagna.
"Sono una persona molto arrabbiata." ringhiò l'Ens, scagliandosi contro il nemico, amalgamandosi contro il fuoco. Fiamme e ombre si scontrarono a mezz'aria, creando un'onda d'urto così devastante da distruggere ogni cosa nel raggio di miliardi di kilometri. Solo grazie a Randor i ragazzi non vennero spazzati via. Il portale si aprì sotto di loro e li inghiottì. Lucas e Gyber dovettero tenere ben salda la presa su Johara per evitare che uscisse dalla bolla protettiva di Randor per andare a perire insieme al padre.
 
Lyram, nella sua forma primigenia di fuoco puro e viola, osservò Blaso materializzarsi facendo sparire Parsifal in un'ombra.
"Blaso." disse gelido la Rabbia.
L'Omino fece un cenno, diventando pura ombra, la sua forma originale.
"Nel mondo esterno, la Realtà, esiste un popolo chiamato popolo delle Ombre, sai?" disse l'Omino, fluttuando sul cumulo di morte che un tempo era stato il regno dei Djin.
"Non ti perdonerò mai." sibilò ignorandolo l'altro.
"Queste ombre sono deboli al fuoco, sai? Proprio non lo possono soffrire. Bah, che patetici!" seguitò incurante l'Omino, ondeggiando mentre il calore dell'Ens nemico aumentava fino a mille miliardi di volte il calore contenuto in tutti i corpi celesti del Multiverso, annichilendo quel Mondo fino a renderlo nulla puro.
"Io sono l'ombra originale, colui che inventò il concetto stesso di ombra. Insomma, queste... queste Ombre deboli ed insignificanti mi offendono, capisci?"
"Combatti. Combatti e sta zitto!" esclamò Lyram, emettendo fiamme e centuplicando il calore e l'energia emanati, al punto da creare nuova materia dal nulla, materia che poi distruggeva in pochi secondi involontariamente.
"Per questo motivo ho inviato qualche Rovina in ricognizione là fuori, non si sa mai che dopo questo Universo non mi venga voglia di conquistarne qualche d'un altro, sai com'è..." seguitò voltandosi l'ombra originale, per nulla toccata da quel potere così incredibile. Rise infantilmente.
Lyram non attese più e lanciò il suo attacco. Immersi nel nulla, i concetti di spazio e tempo smettevano di sussistere, per questo ogni azione divenne indescrivibile. Fino a che l'Omino non si voltò di scatto, ricreando all'improvviso ogni cosa, tempio e città compresi, rendendoli come nuovi, un paradiso verde ghiacciato come una tundra. Velocissimo, un lembo della sua ombra si espanse come un braccio e bloccò Lyram, facendolo sprofondare nel nuovo terreno. La potenza che l'Omino sprigionò fu così grande che azzerò l'Essenza del nemico, rendendolo un piccolo essere insignificante.
"Non credere di poter fare alcunché, Ens primario. Io sono uno dei tre Imprescindibili! Non puoi competere con me in alcun modo. Né tu, né Adreus, né tantomeno quel patetico ammasso di muscoli di Ruins, Agonia o chiunque altro! Ricordati che io sono..."
"Nero ti fermerà." lo interruppe Lyram, divenuto serio.
L'Omino Indietreggiò, e i due tornarono in forma umana. La Follia lo guardò con gli occhi sgranati, mentre l'ombra del corvo e del terrore, molto più grande della sua, lo sovrastarono per un istante. Ringhiò e gridò al cielo.
L'altro demone ne approfittò per liberarsi e colpirlo con una fiammata che lo fece saettare nel cielo, distruggendolo al loro passaggio. Quando fu a distanza inter galattica, spezzò la fiammata e un'esplosione travolse l'Omino, arrivando fino alla Rabbia che si voltò, parando un fendente di ombra dell'avversario, apparsogli alle spalle proprio in quell'istante. I due si scambiarono qualche colpo, generando e distruggendo realtà in quantità sempre maggiori. Volteggiarono nel nulla totale, avvinghiati, una colonna nera e viola che sfrigolava e eruttava lapilli e rigurgiti d'ombra che esplodevano in pochi istanti. Si separarono per scontrarsi e cozzare l'uno contro l'altro, generando un'esplosione simile ad un big bang di mille volte più devastate, per poi separarsi di nuovo e cozzare ancora, e ancora, e ancora, fin quando non si trovarono stretti l'uno all'altro.
Lyram espanse il fuoco che lo componeva e travolse con un intero universo di fuoco essenziale l'avversario. L'Omino rispose generando uno tsunami dalle proporzioni cosmiche di pura ombra essenziale. I due materiali assoluti stridettero compattandosi, creando un intero nuovo universo dentro l'Eververse fatto per metà dell'uno e per metà dell'altro.
Quando i due attacchi cessarono e i due demoni si ritrassero in forme corporee di dimensioni più piccole, gli stessi confini che separavano l'ex-Sottomondo dagli altri Mondi dell'Eververse presentavano profonde crepe luminose che variegavano l'aspetto indescrivibile del non-esistente.
Lyram emise un verso strozzato, mentre le ferite che Blaso gli aveva inferto si rimarginavano a fatica. Lunghi e profondi squarci si aprivano interrompendo le fiamme che lo formavano, e la rimarginazione era impedita da quel liquame inconsistente e nero dell'ombra primigenia.
"Te l'ho detto, Lyram" disse l'Omino, apparendogli dietro. Anche lui era ferito, ma in proporzione lui era quasi illeso "Un Ens qualsiasi come te non ha speranze contro un primario!" gridò, travolgendolo con un getto d'ombra e creando uno strato di adamantio spesso decine di miliardi di kilometri sotto di loro. Lyram vi si schiantò, perforandolo del tutto. Le sue fiamme distrussero il materiale resistentissimo e deflagrarono, spezzando l'attacco della Follia, la quale però gli apparve davanti e fece comparire un lungo braccio d'ombra immenso con cui strinse il piccolo braciere a cui aveva ridotto la Rabbia.
"Sei mio, finalmente!" disse eccitato l'Omino, ricostruendo il Sottomondo.
Lyram emise una vibrazione simile ad un risolino. "Tanto stai combattendo contro qualcuno di molto più forte di noi due messi assieme. Arrenditi, Blaso, rassegnati al fatto che Nero ti sconfiggerà come ha fatto con Adreus millenni or sono e come ha fatto con qualsiasi altro Ens che abbia tentato di conquistare il potere assoluto."
Una piccola fiammella saettò lungo il braccio oscuro e penetrò nell'organismo del demone d'ombra, esplodendo e accecandolo momentaneamente.
L'Omino ringhiò di rabbia e lo scagliò lontano. "QUELLO SPAVENTAPASSERI E IL SUO CORVACCIO NON SARANNO UN PROBLEMA IN ETERNO! PUOI STARNE CERTO!"
Lyram sorrise. "Attento, Blaso. Nero non perdonerà tutto questo." disse e, approfittando della distrazione dell'avversario, svanì nel nulla, lasciandolo solo.
Il demone guardò il punto in cui l'altro era svanito con gli occhi iniettati di furia omicida. Gridò, e il gridò frantumò la Realtà, distruggendo di nuovo l'intero mondo infinito dei Djin.
Il nulla assoluto e inesistente avvolse l'Ombra, nascondendo al Multiverso la sua furia.

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Capitolo 27
*** Il BloodDreamer ***


Il gruppo di eroi venne schiantato sulla superficie brulla di un pianeta nano grigio e coperto di bitorzolute montagnette di magma solidificato. Si rialzarono doloranti, guardandosi intorno.
Lelq si mise a fatica in piedi, subito scrutando il panorama in cerca di qualsiasi cosa potesse essere usato come nascondiglio o come via di fuga. Parsifal era sempre più vicino. Ogni volta che arrivavano da un Ens, era sempre meno il tempo concessogli per parlargli evitando di venire attaccati dal colosso.
"Questo posto è deserto." commentò Litios, dandosi qualche colpetto alla tempia. Un suono frizzante di elettricità che crepita in un circuito e lo accende strepitò dalla sua testa.
Rubens si mise in piedi, fissando il cielo tetro coperto di stelle luccicanti. Teneva gli occhi persi nel vuoto, immerso nei suoi pensieri. Pugni e bocca erano stretti in una posa tesa e nervosa, tanto che le pupille non avevano ancora perso la colorazione viola assunta nella battaglia. Dapprima divenuti grigio scuro, man mano che il generale aveva infuso potere nella sua musica, vene purpuree avevano rigato l'iride fino a riempire sia iride che pupilla di un bigio color violetto.
Gwenn e Johara invece erano accasciate a terra, abbracciate a piangere.
"Ragazze, io..." mormorò Lucas, facendosi avanti.
"No." disse Johara tirando su col naso e asciugandosi una lacrima. La donna teneva stretta a sé la sorella minore in un gesto materno e protettivo, carezzandole i bei capelli arancioni e castani. "Non dire... non dire niente, giovane eroe, tu non hai..." le si incrinò la voce e riprese a piangere silenziosamente con gli occhi serrati.
Il biondo serafino restò immobile. Non sapendo che altro fare, cadde in ginocchio e strinse i pugni, levando un occhiata disperata al cielo, sperando veramente che qualcuno potesse aiutarli.
L'ultra antracia sbuffò, mettendosi a fatica in piedi. "Non dobbiamo fermarci più."
"Ma, Gyber, come puoi..." disse Donatozzilla.
L'altro gli scoccò un'occhiata severa che lo zittì all'istante. Poi però addolcì lo sguardo. "Devo chiedervi scusa. Davvero, perdonatemi. Prima siamo rimasti indietro per colpa mia. Se solo non avessi dato di matto, a quest'ora magari non sarebbe successo niente."
Shruikan, che aveva riacquisito l'aspetto normale, emise un verso di disappunto a quelle parole, come se concordasse a dargli la colpa, ma stavolta il grande megalodonte non fece altro che accettare la critica e muso duro. Si sentiva colpevole, del resto.
Johara alzò di scatto lo sguardo trafitto dalla sofferenza e lo fissò con gli occhi sbarrati. "No, ti prego, non sentirti responsabile, tu non hai colpa! Parsifal sarebbe arrivato comunque e ci avrebbe attaccati!"
Lui la guardò con compassione. "Non dire altro. Non riuscirai a farmi cambiare idea. Mi sento responsabile e se è vero che ancora penso quello che ho detto quando siamo arrivati nel mondo dei Djin, è altrettanto vero che non intendo essere di nuovo io la causa dei nostri problemi. Per questo intendo far sì che più nessuno debba soffrire a causa di quell'essere. Dobbiamo muoverci ora, adesso! Prima che quel mostro abbia la possibilità di rintracciarci. Troviamo il prossimo Ens e chiediamogli aiuto. Questo è il solo modo che abbiamo per riuscire nell'impresa."
Tutti lo fissarono in silenzio.
Il Kishin sbottò e si mise le mani dietro la testa, incamminandosi verso un grande cratere poco distante. "Allora tanto vale muoversi."
"Si? E dove? Non sappiamo come muoverci." fece notare Randor, che aveva ripreso le forze ed ora fluttuava di nuovo.
BlackClaw non lo degnò di uno sguardo, ma si fermò. "Anime. Percepisco un'anima artificiale provenire da laggiù."
"E come sai che si tratti proprio di un Ens? A proposito, che Ens dovremmo trovare qui, che non ricordo?" chiese Lucas.
Rubens si riscosse e rispose distrattamente. "Agonia. Dobbiamo trovare Agonia."
Litios diede un'occhiata d'intesa con Lelq. "Oh, bene. Un nome, un programma..."
"Azzeccato per la situazione." annuì il mezzo kaiju.
"Bene. Tornando a noi, Shruikan. Sei certo che sia lui?" seguitò a dire il leader.
In realtà Shruikan non ne era certo per nulla. In realtà quella che sentiva era, appunto, un'anima artificiale, cioè creata per riempire un manichino inanimato, solitamente usata da qualche psicopatico per creare un'intelligenza artificiale completa. In fin dei conti, creare anime non era così difficile, il difficile era avere i pezzi necessari e la strumentazione. Ad ogni buon conto, un'anima artificiale poteva riempire qualsiasi cosa e non apparteneva necessariamente ad un Ens. Come aveva già constatato guardando Lyram assumere la sua forma originale, l'Ens aveva abbandonato l'anima che stava usando fino a quel momento. O ancora, Unlegal aveva creato un'anima che aveva pervaso l'intero pianeta su cui si era insediato. Piante, animali, tutto era parte di lui. O ancora, Adreus aveva usato ben dieci anime diverse nello scontro con loro, anime che lui si era occupato con una certa fatica di neutralizzare senza che gli altri se ne accorgessero.
Quello che stava percependo poteva essere di tutto, perfino lo stesso Parsifal, anche se di solito il colosso non aveva un'anima sua. Oltretutto, stava percependo altre due anime in avvicinamento abbastanza rapido alla loro posizione alle loro spalle e una terza sotto terra. Quest'ultima era simile a quelle di Rubens, Gwenn e Johara, quindi era, probabilmente, un altro generale. Le due anime che gli erano famigliari... Non intendeva parlarne per non dare false speranze agli amici. Rimaneva solo l'anima nel cratere. Visto che il generale sotterraneo stava andando da lei, gli sembrava logico che quello fosse l'Ens a cui era legato.
"Una sensazione." rispose sommariamente, riprendendo a marciare verso la conca.
Agli altri non rimase che seguirlo in silenzio. Una strana aura veniva emanata ad intervalli dal Kishin. Appariva in maniera terrificante più pericoloso di prima. Esponenzialmente più pericoloso. Nemmeno le trasformazioni di Lucas e Gyber, di norma due dei più potenti membri della Lucas Force, avevano generato un simile potere, così grande che nemmeno i due eroi riuscissero a controllarla.
Arrivarono sull'orlo del cratere e guardarono giù. Si trattava di una depressione di un paio di kilometri di ampiezza, profondo si e no un centinaio. Al centro si alzava una spirale di vento che sollevava come un piccolo tornado la polvere grigiastra del posto. Alla base della colonna d'aria e detriti stava una figura imponente e massiccia, appollaiata su un meteorite grande quanto un camion con doppio rimorchio appallottolato su sé stesso.
"Quello sarebbe Agonia?" chiese Victus, facendo sobbalzare Lelq che non si aspettava di trovarselo in parte.
Johara, che ancora teneva stretta a sé la sorellina, indurì l'espressione e deglutì. "Il dolore, si. Proprio lui."
"Fantastico." commentò Dz nervoso, grattandosi la schiena "Sembri temerlo, davvero bello."
La donna non distolse lo sguardo preoccupato dalla figura raggomitolata sul masso spaziale. "Di tutti gli Entes, Agonia è uno dei tre più terrificanti. Insieme a Nero e Relboww, è temuto perfino dai suoi simili. Dopotutto, come vi comportereste davanti a qualcuno che può farvi provare un dolore così grande da spezzarvi o piegarvi a suo piacere anche se foste divinità onnipotenti?"
Lelq deglutì. Lucas invece socchiuse gli occhi e prese ad incedere verso il centro delle depressione a passo deciso, seguito a ruota da un annoiato Shruikan e da un impassibile Randor. Gyber storse la bocca, cupo, e li seguì. Quindi Rubens, Gwenn e Johara, Victus, Donatozzilla e Litios presero a scendere dal pendio interno. Lelq guardò un attimo il cielo.
"Giuro... che non mi arrenderò mai più. Non finché potrò lottare per voi." disse, pensando alla sua famiglia. Quindi si incamminò. Destinazione: il dolore.
 
"Non ammazzarmi!" gridò Meteor, correndo a perdifiato mentre Francis strappava a mani nude metri e metri di roccia correndogli dietro con la bava alla bocca e la stessa espressione che ha un segugio quando insegue una preda dopo essersi inebriato col profumo del suo sangue.
"Suvvia, fermati, piccolo insetto! Voglio solo strapparti gli intestini centimetro dopo centimetro!" gli gridò di rimando il ragazzo, balzando in aria con violenza, creando un piccolo avvallamento di qualche metro.
Meteor si voltò in corsa solo per trovarsi faccia a faccia con Francis. Gli occhi del pazzo e quelli del simbionte si intercettarono e una comune vena di fredda spietatezza li traversò come una stella cadente. Il giovane eroe si voltò di scatto, saettando in avanti giusto un secondo prima che il blood dreamer lo potesse colpire con un colpo delle dita aperte a mo' di artigli.
Il braccio di Francis penetrò nel suolo fino alla spalla, facendolo sorridere di piacere. Estrasse la mano facendo esplodere una tonnellata buona di roccia e si scrocchiò le ossa del collo.
"Quanto sei testardo, cadavere ambulante." sospirò sogghignando. In realtà, amava quando le sue prede pensavano di poterlo evitare, di potersi mettere in salvo.
Si lanciò di nuovo all'inseguimento. Il giovane umano legato al simbionte aveva dimostrato capacità interessanti, tanto per cominciare un'abilità innata per la criogenia e per la criocinesi. Possedeva conoscenze di combattimento piuttosto avanzate e qualità fisiche e mentali di un lottatore professionista. Oltretutto, attaccato al suo organismo agiva una creatura a lui ignota, ma che pareva moltiplicare le sue già alte doti atletiche. Tuttavia, per quanto fosse forte, veloce, agile e di riflessi pronti, lui, un blood dreamer, ovvero uno dei demoni più potenti di tutto il suo universo, non aveva la minima difficoltà a tenergli testa.
In poche, semplici falcate lo raggiunse e gli si affiancò. Meteor storse la bocca disperato e diede un doppio calcio al terreno, frenando bruscamente. Colse impreparato l'avversario, che non si bloccò in tempo e andò a schiantarsi contro una roccia, frantumandola. Il simbionte ne approfittò e colpì con violenza il terreno con le nocche di una mano. Francis si alzò scrocchiando di nuovo il collo e sorridendo e gli andò incontro a passo deciso.
"Non ancora..." mormorò tra sé e sé Meteor mentre l'altro si avvicinava.
Francis alzò una mano e questa fu ricoperta da uno strato di sangue scuro che si solidificò in un'armatura luccicante.
"Non ancora..." ripeté Meteor. Una goccia di sudore gli imperlò la fronte e cadde a terra.
Francis allargò il sorriso in un ghigno orrendo, caricando il pugno. Gli arrivò di fronte con uno scatto repentino, quasi come se si fosse teletrasportato, e fece per colpirlo con tutta la sua forza.
"ORA!" gridò Meteor, mentre il suo attacco detonatore si azionò e un cumulo di lance di ghiaccio slittavano dal terreno di fronte alla sua mano e sbalzavano indietro l'aggressore, stordendolo. Il ghiaccio perforò la carne del ragazzo che sputò sangue con un'espressione sconvolta in volto.
Meteor ne approfittò per alzarsi e riprendere a correre, scomparendo immediatamente verso la fonte del potere essenziale che Nero gli aveva indicato un attimo prima di abbandonarlo insieme a quel malato mentale.
"Così dovrei averlo messo fuori..." disse a mezz'aria, quando uno spostamento d'aria non gli fece perdere stabilità, sbilanciandolo in avanti. Di fianco a lui apparve Francis. La maglietta di flanella rosso spento che portava era bucata, ma non aveva alcuna ferita.
"Sorpresa, sfigato!" gli disse in tono strafottente, colpendolo allo stomaco con i pugni uniti a martello. Il colpo privò di tutto l'ossigeno il giovane eroe, facendolo schiantare ad una velocità improponibile al suolo che si aprì sotto di lui come fosse un angelo caduto. Quando si bloccò, un dolore atroce pervase tutto il suo corpo.
Francis gli atterrò davanti ridendo sguaiatamente con una mano stretta sulla faccia stralunata.
"Cosa mi hai... fatto?" mugghiò Meteor tenendosi lo stomaco e guardandolo con odio e paura misti insieme.
"Chi, io?" il blood dreamer lo guardò divertito. Quel suo volto così orribilmente tirato in un sorriso folle e innaturale in cui ogni dente luccicava di uno strano bagliore rosso sangue aizzava l'eroe, lo mandava in bestia, come fosse una burla gigantesca. "Io non ti ho fatto proprio nulla. Oh! Giusto! A meno che tu non ti riferisca alla quantità di sangue che ti ho iniettato nello stomaco... con questi!" disse mostrando le mani da cui colava liquido rosso scuro che si solidificò in piccoli aghi di pochi centimetri, sottilissimi e incredibilmente aguzzi.
"C-che mi sta succedendo?!" Meteor non riusciva più a ragionare. Sentiva quella cosa, quella cosa viva che gli aveva immesso nel corpo con quel pugno, strisciargli su per le arterie, infiltrarsi nelle sue cellule, risalire verso il cervello e divorargli ogni singolo pezzetto di corpo.
"In effetti il processo di digestione interna avrebbe dovuto farti collassare già un paio di secondi fa. Mi stupisce davvero che tu sia vivo! Ma che ci vuoi fare... meglio così!" seguitò il demonio, avvicinandoglisi.
"Io ti ammazz..."
"No, non dirlo!" Francis alzò un piede e glielo schiantò sulla testa, incassandogliela di cinque centimetri buoni nella roccia sottostante. Meteor soffocò un grido di dolore. Il sorriso svanì dal volto del ragazzo con la maglia rossa di flanella, lasciando il passo ad un altro tipo di follia, uno sguardo assatanato, furibondo, feroce.
"Ora..." mormorò Francis con la voce tremante come fosse in estasi "Ti... ucciderò! Ti strapperò... Farò a brandelli il tuo bel corpicino! Si! E poi, e poi! Poi guarderò nella tua gabbia toracica e nella tua testolina e frugherò nel tuo cervello facendolo a piccoli bocconcini per cani! E troverò... stanerò quella cosa che resiste al mio sangue dentro di te! E ucciderò anche lei! Non è bellissimo?"
Meteor avrebbe tanto voluto mandarlo a quel paese, anche se in maniera molto meno gentile, se solo il dolore non fosse stato intollerabile e la mascella non si fosse frantumata con quel calcio. Ma non dovette rammaricarsene troppo. Qualcun altro lo disse al posto suo.
"No, non lo è, Francis." disse una voce secca che dapprima l'eroe non riconobbe. Una sagoma scura vestita con un kimono bianco ornato da triplette di occhi verdi colpì con un violento calcio il volto di Francis, scaraventandolo a qualche decina di metri di distanza.
La figura si sollevò lentamente fissando la nube di polvere che aveva sollevato il corpo del blood dreamer. Meteor cercò di muoversi, ma il sangue infetto di Francis aveva bloccato quasi tutte le sue funzioni vitali. Il nuovo arrivato si voltò verso di lui e gli si fece incontro con aria seccata.
L'eroe gorgogliò qualcosa riconoscendo finalmente il suo salvatore.
"Zitto, non sprecare energie, testone." lo ammonì Shruikan, estraendolo da terra con quanta più cura gli fosse possibile. Lo scrutò con aria tesa per poi infilzargli il petto con le unghie. Un po' di sangue nero entrò nella ferita e si mescolò a quello del suo organismo.
"Fantastico! Ora ho ben due liquidi parassiti dentro di me!" Pensò snervato l'eroe.
"Dovrebbe fare effetto in poco, sempre che il mio sangue sia abbastanza forte da battere quello di Francis." lo rassicurò con scarso risultato il dio della follia, spostando subito l'attenzione sull'avversario che si stava rialzando.
Francis apparve davanti a Shruikan che però non fece una piega, sbuffando spazientito.
"Crepa, caro..." urlò il blood dreamer, tirando un calcio potentissimo dritto in volto al Kishin che restò immobile. Francis lo riconobbe solo in quel momento e sbiancò, bloccando la gamba a pochi millimetri dall'altro che gli scoccò un'occhiataccia.
"Hai finito di fare l'idiota?"
Francis lasciò cadere il piede e rimase per un po' inebetito a guardare il Kishin. Poi rovesciò indietro il capo e rise di gusto. "Shruiky! Fratellino!" gridò, afferrandolo in un abbraccio che avrebbe stritolato un blocco di marmo.
"Lasciami! Mi fai male!" strepitò BlackClaw. Francis lo lasciò subito, sorridendo amichevolmente. Quello era uno dei pochi esseri in grado di ferire perfino il Kishin. Oltretutto era maniacale, non si fermava dinnanzi a nulla e uccideva senza distinzione. Era una vera fortuna che anni prima il Kishin avesse salvato il blood dreamer da un nemico ancora più potente di lui con l'aiuto di Giuly Frost ed ora il mostro considerasse entrambi alla stregua di fratelli minori. Era come avere un Hulk dalla propria parte, solo che Francis era più terrificante.
"Che ci fai qui, amico? Credevo avessi deciso di restare nel tuo universo e non farti più vedere dal nostro ultimo incontro." borbottò Shruikan, stringendo la mano all'amico e accennando un sorriso.
Meteor trasse una boccata d'aria, come se fosse stato in apnea fino a quel momento.
"Ho sentito che la mia sorellina era nei guai, così sono venuto ad aiutarla! Immagino che tu sia qui per lo stesso motivo!" esclamò allegro il demonio.
Shruikan annuì. "Infatti. E anche lui è qui per lo stesso motivo. Quindi se evitassi di farlo fuori te ne sarei grato, tu capisci."
"Ma naturalmente, tutto per il mio fratellino!" replicò Francis, schioccando le dita. Dei sottili fili di sangue fuoriuscirono dal corpo di Meteor che iniziò a sentirsi all'improvviso molto meglio. Il liquido rosso e viscoso fluttuò nell'aria e penetrò nelle carni del blood dreamer. Il Kishin fece altrettanto col suo sangue nero.
"Anf... Grazie, devo ammettere che avere sangue vivo dentro il proprio corpo non è decisamente il massimo del divertimento..." ansimò Meteor, massaggiandosi il petto dove le ferite erano state curate dal simbionte.
Francis fece una smorfia di scontento. "Avrei voluto finirlo, in effetti." si rese poi conto che Shruikan lo stava squadrando con aria seria "Ma ho promesso che non lo farò. Non toccherò gli amichetti del mio fratellino, lo giuro."
"Ottimo. Allora possiamo andare. Gli altri sono già arrivati da Agonia." disse il Kishin, facendo strada ai due. Meteor si tenne a distanza di sicurezza dal demonio. Il trio arrivò sull'orlo del cratere. Al centro infuriava un tornado di un centinaio di metri di diametro. La sua potenza obbligò tutti e tre ad arpionarsi al terreno.
"Che sta succedendo?!" gridò Meteor.
Il Kishin restò impassibile. "Non preoccupatevi. Agonia, l'Ens, sta solo schermando la conversazione. Entrate nel tifone."
"E tu non vieni?" gridò di rimando Francis.
"Io sono già dentro." replicò Shruikan, svanendo con uno scoppio leggero.
I due si guardarono. Il blood dreamer sorrise e si lanciò contro Meteor che gridò con voce improvvisamente molto acuta.
 
Angolo di ME:
Ora, non sapendo io che cosa sia Ciccio (Francis, ricordo, è l'oc di Ciccio. Bella frate!) ho provato con blood dreamer. Sostanzialmente un tipo di demone molto, ma molto potente. Ovviamente, l'amicone Francisco de la Vega ha poteri superiori a quelli di un normale blood dreamer. Sognatore del sangue... mi piace! E visto che bladdy borny scorre possente in noi, penso ci metterò patti, vincoli e tante cose BELLEH.
Pace, eh.
Ev.  

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Capitolo 28
*** Ma Guarda. Un Ens in un Tornado! ***


"Qui si sta bene. Lo trovo bizzarro, visto che siamo in mezzo ad un tornado." commentò piattamente Victus. Il ragazzo teneva sempre le braccia incrociate e fissava davanti a sé con gli occhi vacui socchiusi a metà, come se stesse dormendo ad occhi aperti.
"Testone, è ovvio che qui si sta bene." Litios gli scoccò un'occhiataccia "Dopotutto, è risaputo che nell'occhio del tifone vige la quieta totale."
Il ragazzo spostò lentamente lo sguardo sul cyborg alieno. I due si fissarono per un po'. Alla fine Vincent annuì e batté un pugno sul palmo dell'altra mano. "Giusto." Litios si diede una violenta pacca sulla fronte. Solo che la diede con troppa violenza e si sbalzò contro la parete del tornado, finendo risucchiato verso l'alto con un grido di rabbia e improperi rivolti al mietitore.
Il generale del dolore, un tizio spuntato poco dopo il loro arrivo da sotto terra, fece scattare un braccio verso Litios. Da sotto la manica lunga dell'impermeabile slittò un lungo e quasi invisibile filo metallico che produsse un suono fastidiosissimo, raggiungendo il ragazzo e attorcigliandosi alla sua caviglia in una frazione di secondo. Con un solo, meccanico gesto dell'avambraccio, il generale fece ripiombare l'eroe in mezzo al gruppo.
Lucas lo guardò e si sporse verso Rubens, sussurandogli all'orecchio per non essere sentito. "Scusa, come hai detto che si chiama il tipo? Perché mi inquieta un po'."
In effetti, quel generale in particolare era un uomo (si supponeva dalla sua struttura fisica che fosse umano o quasi) enigmatico. Alto poco più di un metro e ottanta, con spalle robuste, aveva l'intero corpo coperto da pesanti bendaggi che lo facevano apparire molto più grosso di quanto non fosse in realtà. Sopra le bende, sporche e unticce come avessero più di diecimila anni, indossava un lungo soprabito beige sgualcito con un colletto tenuto alto a nascondere la parte inferiore della testa, anch'essa del tutto bendata eccetto che per due piccoli fori per gli occhi. Indossava un cappello da macchinista e due bracciali molto larghi sopra le maniche del soprabito. Le gambe, oltre alle bende, portavano un paio di pesanti pantaloni di pelle nera le cui estremità erano strette in compatti stivaloni di cuoio marrone scuro con speroni sul tallone, che gli davano un tocco da cowboy che poco gli si addiceva. Le mani erano strette tra le bende tanto che non si potevano riconoscere nemmeno le dita. Il risultato era che al posto di mani vere e proprie, sembrava avere dei grossi cucchiai di lino sporchi e rattoppati da altro lino e fil di ferro. Gli occhi, appena visibili tra cappello ben calcato sul viso e alto colletto tirato fin sul naso, erano solo due puntini violetti in mezzo ad un nero che lasciava raramente trapelare il luccichio di qualcosa di metallico.
"Aladrej Creech. O Creech delle corde, se preferisci." rispose pacatamente e con una sorta di rispetto reverenziale Rubens. L'eccentrico soldato canterino aveva chetato la musichetta di sottofondo che faceva sempre partire dallo stereo sulle sue spalle, quasi come se temesse la possibile reazione negativa del commilitone muto.
"E che potere ha? Sai, così mi regolo in caso dia di matto e cerchi di farci fuori." seguitò Lucas.
Rubens sospirò, senza voltarsi verso il suo interlocutore. "Il suo corpo è composto da un unico lunghissimo filo di un metallo molto resistente, anche se altamente sensibile al calore. Questo filo cresce all'infinito se lasciato libero di farlo, per questo porta le bende, per segregarlo in uno spazio limitato. Quello stesso filo può plasmarsi a suo piacere, inspessendosi, allungandosi, contraendosi. Può renderlo invisibile restringedone il diametro o tagliarlo per avere più corde da utilizzare. Un filo solo dei suoi potrebbe tranciare in due un buco nero iper massivo oppure anche solo un piccolo atomo, con le conseguenze che sai. Essendo un semplice ammasso di metallo sotto forma di filo, non risente di malattie o alterazioni di salute. La gravità ha poca influenza su di lui e gli attacchi fisici rimbalzano sul suo corpo. Oltretutto è muto, quindi comunica solo attraverso un alfabeto tutto suo che consiste in diverse vibrazioni della sua corda. Come se parlasse attraverso un violino. Per il resto è normale, mangia, anche se non so come, beve, respira, sente... non credo vada in bagno, sai? No, proprio non credo. Del resto come potrebb-"
"Ok, capito il concetto! Grazie!" Lucas tornò a guardare Creech.
Se era debole al fuoco, non era un grande problema. Il vero problema era il golem d'argilla seduto sopra il meteorite da cui nasceva quel tornado innaturale. Se ne era rimasto immobile tutto il tempo senza dare segni di vita. Indossava un completo da samurai (in argilla) con quattro corde spesse e robuste da vascello (ancora in argilla) ben legate intorno al busto rotondo e possente. Una folta capigliatura (tanto per cambiare, in argilla) gli incorniciava come una criniera indomita il volto squadrato e teso in un'espressione rude e rabbiosa, con gli occhi chiusi e le labbra sottili strette. Grosse braccia (cinque, per la precisione, sempre in argilla) gli circondavano il corpo, tenute in posa meditativa con le dita (ne aveva tre per ogni mano, disposte a triangolo intorno al palmo) unite in punte. Ogni arto ricordava troppo quelli delle Rovine, lunghi, conici, enormi, terribili armi di distruzione che non venivano fermate nemmeno dagli scudi più impenetrabili.  
Il gruppo restò in silenzio per un po'. Il Kishin aprì di scatto gli occhi e lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, oltre il muro di vento grigio.
Lelq sbottò spazientito. "Che è, stiamo qui in eterno? Ho fretta, io!"
Gyber storse le labbra. "Idiota. Cosa proponi, svegliarlo? O magari provare a fargli fare il sonnambulo?"
"Esatto! Non è poi così difficile, no?" esclamò il musico.
"E cosa crederai di fare dopo, quando si sarà svegliato e vorrà staccarti la testa dal collo?" replicò violentemente l'ultra antracia.
Lelq stava per rispondere, quando qualcosa perforò la parete del tornado e si schiantò proprio nel meteorite su cui stava Agonia. Una ragnatela di crepe frantumò la roccia astrale, facendola crollare su sé stessa. L'Ens cadde a terra in mezzo al fragore di massi che si schiantavano l'uno sull'altro.
"HIIII!" trasalì Rubens, portandosi le mani alla bocca.
Gwenn smise di piangere e tirò su col naso, fissando la scena con orrore e paura la scena. Johara le si mise subito davanti, generando due cerchi davanti alle mani di puro etere color crema chiarissimo. Dz iniziò ad agitarsi mentre Lucas e Randor si mettevano in posizione.
Al contrario, Gyber sorrise. Un sorriso ebete, sarcastico e snervato. "Ovviamente. Come potevo anche solo sperare che QUESTO non sarebbe accaduto? Era ovvio. OVVIO! Insomma, sarebbe stato troppo semplice arrivare, prendere di nascosto due SCHIFOSE carte da gioco da quel coso e andarsene TUTTI INTERI. Troppo semplice. Trooooppo semplice."
Victus gli diede un paio di pacche che, secondo la sua logica molto personale e poco capibile per ogni altro essere vivente, avrebbero dovuto essere di conforto. In realtà furono due schiaffi che fecero voltare il bestione verso di lui ancora più arrabbiato e con un principio di schiuma-alla-bocca-da-rabbia-canina sul labbro inferiore.
Rubens si avvicinò sornione a Creech, che era rimasto impassibile con le braccia conserte e il volto abbassato verso le punte dei suoi stivali.
"Amico miiiiooooooo!" disse con tono adulatorio il dj. Creech non si mosse "Diiiimmi che metterai una buona parola per noi col tuo caaapooooo."
Aladrej restò immobile. Solo un suono stridulo, fastidioso, come una lunga nota di violino stirata e sfregiata da un suonatore orribile. Rubens sbiancò, balzando di nuovo vicino al gruppo.
"Ora state tutti fermi, ok?!" esclamò, allargando le braccia e guardandosi intorno con aria terrorizzata.
"Che c'è?! Che c'è?!" gridacchiò Donatozzilla. Il rettiliano aveva le pupille dilatate oltre il passabile.
"Creech mi ha parlato." disse semplicemente il generale. Lelq, Litios, Gyber, Lucas e Shruikan avrebbero voluto gridargli "MA NO?!" e poi strozzarlo tanto per perdere tempo. Ma si trattennero.
"Che ti ha detto?" chiese invece Johara, scoccando al compagno un'occhiata preoccupata, come se in realtà già avesse intuito la situazione.
Rubens deglutì. "Siamo nella sua rete."
Lucas si tolse gli occhiali e li pulì. Li rindossò con noncuranza e poi lo fissò con sguardo serio e posato, le mani giunte e un'espressione di empatia. "E che roba è?"
"Quando Agonia si trova sotto la minaccia di qualcosa Aladrej agisce costruendo un reticolato di fili invisibili e praticamente indistruttibili intorno all'Ens, per evitare che quest'ultimo distrugga troppe cose."
"Fili. Perfetto. Bruciamoli." propose il biondo serafino con ampio gesto delle braccia.
"Tch, magari. No, purtroppo stavolta non sarà così semplice, giovane eroe." replicò il generale.
"Spiegami l'arcano per cui un punto debole, magicamente, non è più un punto debole." disse allora Gyber, sedendosi pesantemente.
Intervenne Gwenn con aria focosa. Quanto era bella quando faceva la preoccupata/incendiaria/piromane (O.d.M.: v rovesciata tre. Per i mortali <3. Giusto un piccolo inserto promozionale per ricordare alla gentile clientela che qui ci sono IO che faccio le regole e che, se voglio, posso intervenire. Purtroppo avevamo finito i Deadpool, così hanno assunto me. Non me ME, me me. Oh, al diavolo, andate avanti a leggere, che cavolo! Forza, intervenne Gwenn...)
La ragazza di fuoco sospirò scontrosa. "Quando Creech agisce nelle vicinanze dello sconvolgimento naturale provocato involontariamente da Agonia, come questo tornado, le sue corde acquisiscono momentaneamente alcune qualità del Dolore, come l'invulnerabilità a tutto e la possibilità di distruggere tutto, perfino Mastri. In questo senso, Creech è la seconda... terza creatura più potente mai esistita in tutta la realtà, perché diventa invulnerabile a tutto eccetto agli Entes e capace di distruggere tutto ciò che esiste. Basta sfiorare i suoi fili, ora, per perdere un arto o peggio... per ritrovarsi l'essenza divisa in due o più tranci e quindi perdere sé stessi e svanire dalla realtà, dalla memoria... da tutto."
I ragazzi la fissarono. Poi fissarono Aladrej. Poi fissarono Rubens, che annuiva veementemente. Poi fissarono il polverone da cui iniziava ad emergere una figura umana.
"MA PORCA..." gridò Gyber, alzando faccia e braccia al cielo. Johara sobbalzò e lo placcò, facendogli abbassare le mani. Lui scosse il capo e la guardò, stesa sul suo petto. La donna di qualche milione di miliardi di anni d'età era minuscola in confronto al giovane lord.
"Ma che ti salta in testa?!" le strepitò contro l'antracia.
Lei sbuffò, alzandosi e spolverandosi la veste. "Stavi per toccare un filo sospeso sopra di noi."
"Aspetta, tu li vedi?" esclamò Lelq.
"Si. Anche il vostro amico." la generalessa indicò Litios, intento a scrutare già da qualche minuto l'aria intorno a loro. "I fili non sono invisibili all'etere. Grazie ad esso possiamo scorgerli. Vero, Litios?"
Lui annuì distrattamente. "In realtà è molto difficile, ma direi che abbiamo una sfera di dieci metri di diametro senza pericoli. Insomma, se Dz non si sposta di un millimetro punto zero settantacinque alla sua destra, dovremmo essere apposto."
Il mezzo kaiju capì che stava parlando di lui e si scansò di scatto a sinistra con un gridolino impaurito, finendo dritto contro Victus che cadde con un "Oh cielo" a terra.
"E noi dovremmo affrontare il Dolore? Cielo, questo non fa già abbastanza male?" mormorò sconvolto da quella scena Gyber.
Rubens si fece avanti sorridendo imbarazzato. "Ragazzi, non perché io ami rovinare bei momenti, ma il nostro comune amicone di terracotta."
"Argilla." corresse Shruikan.
"Lui. Sta arrivando proprio ora."
In effetti, la sagoma scura di un corpo si stava stagliando in mezzo al polverone. Solo che ciò che emerse di lì a qualche secondo non fu propriamente quello che tutti si aspettavano, cioè un bestione infuriato di cinque metri e mezzo che cercava di ucciderli a sassate in testa. Quello che i loro occhi pavidi videro elevarsi come un lottatore che solleva il cinturone da campione dei pesi massimi era invece un giovane uomo sui venticinque, trent'anni, volto spigoloso e solcato da un sorriso euforico incorniciato da una rada barba nera. Occhi e capelli erano di un castano molto scuro e questi ultimi apparivano mossi e ben curati. Il fisico possente e muscoloso era messo in risalto dalla maglietta di flanella rosso porpora che risaltava i pettorali e i bicipiti scolpiti. Sollevato sulla testa, lo sconosciuto reggeva un tremante Meteor che si teneva stretto tra le braccia guaiolando stentatamente "Ma che cos'ho fatto di male mai?" e altre frasi simili.
"Ed è touch down!" gridò Francis schiantando a terra l'eroe che si incastrò (di nuovo) nel terreno, stavolta affondando del tutto la testa e rimanendo bloccato in una posa da struzzo. Il simbionte si dimenò mugghiando qualcosa di incomprensibile a causa del terreno roccioso che gli circondava molto amichevolmente la faccia.
Era indubbiamente ridicolo.
Ma non fu divertimento o scherno quello che annebbio di lacrime gli occhi di alcuni membri della Lucas Force. Non fu per fare un video e postarlo su youtube che Litios si avvicinò di corsa all'amico (che poi, diamine... Parlandone col produttore, io, in quanto Omino di Mai, potrei passare le registrazioni della scena e... Ok, sto zitto. Never promise!).
"Meteor... METEOR!" tuonò Lucas, volando a razzo in parte al compagno d'avventure e tirandolo fuori di scatto con una sola mano. Di nuovo, come poco prima con Litios, la forza fu regolata secondo criteri scriteriati e il risultato fu un simbionte urlante con la faccia escoriata che volava in balia del vento verso morte certa. E ancora una volta l'incredibile abilità con le corde di Creech salvò la situazione. Chissà se quel tizio abbia mai preso in considerazione l'idea di darsi al lavoro del boia. Quanti ne impiccherebbe lui... Tornando a noi!
Quando fu di nuovo a terra, Meteor fu inondato di domande, pacche sulle spalle (Johara si occupò di rimettergliele apposto ogni volta che venivano rotte. Accidenti ai potenziamenti.) e saluti gioiosi. Alla fine fu compito di Rubens intervenire con il suo proverbiale tatto.
Il generale, non sapendo come fare per disperdere il gruppo e dare un attimo di tregua al poveretto sotto torchio, prese saggiamente la decisione di andarci sul pesante. Fece apparire un piccolo mangiacassette portatile con jack per le cuffie e una grossa molla sul retro. Girò la molla. Lanciò la radiolina in mezzo al gruppo. Dopo un secondo, un'onda sonora li sbalzò tutti via.
Con un suono di protesta come di una corda di pianoforte che si spezza perché tirata troppo, Creech alzò la testa e impose la mani spalancate da cui si diradarono decine di fili che si avvolsero intorno ai ragazzi e li salvarono da morte certa.
Aladrej si avvicinò minaccioso a Rubens che cercò qualche frase di scusa, ridacchiando imbarazzato e indietreggiando per la propria sicurezza personale. Suoni molti concitati che parevano essere brutti insulti piovvero sul dj, che sembrò sotterrarsi per la vergogna, incapace di interrompere la sgraziata e graffiante sinfonia del collega.
"Meteor, dove diavolo sei stato per tutto questo tempo?" chiese allora Dz, avvicinandosi di nuovo all'amico, ma stavolta dandogli lo spazio per respirare. Anche gli altri gli si fecero intorno. Perfino Randor che sembrava disinteressato della ricomparsa del compagno e anche Gyber, il quale mal nascondeva il suo sollievo e la sua felicità.
"Diciamo che ho avuto... qualche problema." disse l'eroe, reprimendo un conato di vomito.
"Amico, che ti è capitato? Sei sparito e noi abbiamo pensato che tu fossi... morto." disse con secco sconcerto Lelq.
Meteor restò un attimo in silenzio, incerto se parlare dell'accaduto o meno ai suoi amici. Alla fine si decise ed alzò il capo. "Sono stato portato in un posto chiamato Abisso da un certo Nero."
A quelle parole tutti restarono sconcertati. Gyber si fece cupo tutt'a un tratto. Lelq strinse i pugni e deglutì, mentre perfino Victus sembrò rabbrividire. Johara e Gwenn si diedero un'occhiata d'intesa e i due generali che stavano ancora litigando si chetarono all'improvviso fissando di scatto il simbionte con aria interrogativa e sconvolta.
In coro, entrambi esclamarono: "Nero ti ha portato nell'Abisso e non ti ha ucciso?!"
In realtà Creech produsse solo degli acuti lancinanti, ma probabilmente il senso era quello.
Meteor annuì e raccontò per filo e per segno la sua breve eppure terribile visita in quella cosa. Raccontò dell'arrivo di una donna di nome Legacy, al che Shruikan distolse lo sguardo improvvisamente più teso. Raccontò del ragazzo, quel Michael, che Nero aveva desiderato congelare. Perché si fosse servito di lui, Meteor, quando egli poteva fare tutto non era chiaro nemmeno ai generali, che liquidarono la faccenda con un generico: "Sicuramente, fa parte del suo piano."
Che piano, poi, non sapevano dirlo nemmeno loro. Johara soltanto aggiunse, su richiesta di Lucas, che Nero era conosciuto per avere sempre la mani in pasta in grandi affari inter universali e che quindi elaborava di continuo complessi piani per compiere anche le più ridicole azioni, come uccidere una persona o fare a pezzi un pianeta. Bazzecole, per una creatura che avrebbe potuto radere al suolo tutto l'esistente e non solo con un cenno del capo.
"E alla fine lui mi ha portato qui. Ho aspettato per un po', come mi aveva ordinato. In effetti, ci sono voluti giorni. Per lo meno il maledetto mi spediva razioni di cibo e di liquidi. Alla fine è arrivato quel... quel pazzo maniaco! E sono cominciati i problemi! Mi ha... Mi ha inseguito per tre giorni e tre notti! Voleva... Voleva uccidermi!" strepitò alla fine del racconto Meteor, indicando Francis e rattrappendosi per la paura davanti al suo sguardo ora così apparentemente amichevole.
Il blood dreamer sorrise quando si rese conto che stava parlando di lui. Shruikan non sorrise. Sospirò e si fece forza.
"Ragazzi... Ragazzi, devo... devo dirvi una cosa." borbottò giocando a dislocarsi le dita e riposizionarle con scatti dolorosi.
Tutti lo guardarono incuriositi.
"Vi pres... accidenti, è imbarazzante... vi presento Francis, il mio... il mio frablblblb..." disse, mangiandosi le ultime parole.
"Il tuo chi?" chiese Lucas.
"Il mio fratblblbl..." ripeté Shruikan di poco più convinto.
Lelq gli fece un cenno esasperato come ad esortarlo di spicciarsi.
Allora il Kishin si incupì e prese fiato. "IL MIO FRATELLO MAGGIORE ACQUISITO!" gridò.
Francis sorrise.
Gli altri si voltarono a guardarlo stupiti.
"Ripeti, prego?" chiese piatto Vincent.
Il Kishin sospirò per l'ennesima volta (lo faceva un po' spesso, ultimamente). Poi raccontò al gruppo di come lui e Giuly si fossero trovati un giorno a vagare per sbaglio in un mondo abitato da demoni e umani e di come si fossero trovati coinvolti in uno scontro con un demone al fianco, appunto, del blood dreamer e di come quest'ultimo fosse sul punto di essere sopraffatto dal nemico che, a detta di BlackClaw, era di una potenza mai vista prima. Il tutto perché lui e la ragazza di Lelq erano andati a cercare un minerale molto particolare di cui avevano sentito parlare riguardo alle sue presunte qualità come materiale per produrre strumenti musicali con cui costruire un violino nuovo per il musico. Sottolineò aspramente quest'ultimo dettaglio, facendo arrossire Lelq.
Francis annuiva a tutto. In realtà stava guardando la cappa di fumo da cui era emerso poco prima portandosi dietro Meteor.
Fu quando Lucas fece per presentarsi al demonio che Agonia decise di farsi vivo e tutto andò a rotoli come al solito.

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Capitolo 29
*** Tu Combatti e MUORI ***


*EEE qui è d'obbligo un piccolo avvertimento. Potrebbero esserci un paio di scene un pochino gore e sanguinolente, quindi a chi non piacciono consiglio di andare all'angolo autore dove riassumerò gioiosamente il capitolo evitando particolari crudi, oky? Perfetto! Se invece non ve ne frega una cippa, leggete. Alla fine non è poi sto gran ché, eh. Però dovevo almeno avvisare u.u.*
 
L'Ens era imponente. Alto davvero più di cinque metri, grosso come un rinoceronte dopato e dallo sguardo cattivo. Il perfetto boss di fine livello. Anzi, il cattivo forzuto dei manga, quello che alla fine veniva preso a calci nel sedere, ma che all'inizio spaccava i culi a destra e a manca che nemmeno durante l'apocalisse divina. Il lato positivo era che lo avrebbero, in teoria, brutalizzato, dopo un po'. Il lato negativo era che la realtà delle cose funzionava leggermente in modo diverso dai manga. Fu chiaro sin da quando Litios si circondò di etere (era diventato rapidamente molto abile nell'usarlo) e il colosso gli apparve davanti cogliendo tutti alla sprovvista, colpendolo con un calcio che lo mandò a sbattere contro il tornado. L'aria lo sollevò da terra e lo fece sparire. Stavolta Creech non intervenne per salvarlo.
Lucas deglutì.
"Questo fa paura. Ok? Questo fa una dannata paura del dodici, accidenti a lui!" gridò, inondandosi di fiamme luminescenti.
Il terrore che quella creatura incuteva non stava nella mole, nell'aspetto o nella forza bruta che aveva in un solo colpo dimostrando perforando perfino uno scudo fatto con l'etere che era non un materiale, ma una dimensione a sé stante come spazio e tempo! Si, insomma, anche questi fattori contribuivano, ma la ragione vera risiedeva nell'aura che emanava. Involontariamente, quella palla di argilla rimodellata per sembrare un poco gentile guerriero ammazza tutti eruttava una quantità di energia incredibile. Lelq, Dz e Victus, che non avevano potenziamenti, ne risentivano enormemente, tanto che erano a terra spossati e doloranti senza nemmeno essere stati sfiorati dall'Ens. E Johara li stava schermando al meglio delle sue capacità con una barriera d'etere. Senza, probabilmente, sarebbero stati distrutti completamente dalla sola presenza del demone.
Agonia si guardò lentamente intorno senza dire una parola. Gyber ringhiò e partì all'attacco, colpendo ripetutamente la testa e il collo dell'imponente golem, che però lo ignorava senza subire alcun danno.
"Aspetta, Gyber! Non toccarlo! Il suo potere..." fece per avvertirlo Rubens, ma l'Ens lo vide e alzò un dito verso di lui. Un sibilo, un bagliore viola come un fulmine a ciel sereno, e il generale cadde in ginocchio con lo stomaco bucato e il potere rigenerante azzerato. Dopodiché l'Ens afferrò di scatto un braccio dell'ultra antracia, dimostrando una velocità invidiabile nonostante le dimensione. Lo scosse un po' e lo scagliò come Litios verso la sommità del tornado.
Shruikan e Randor fecero per reagire, ma il colosso li intercettò, indicandoli con un dito e sollevandoli con una sorta di telecinesi molto potente con cui li bloccò a mezz'aria. Bloccò con un avambraccio l'assalto infuocato di Lucas che però riuscì a scalfirlo: il pungo con cui il serafino era partito all'attacco era penetrato nell'argilla fino al polso, rimanendovi tuttavia incastrato. Agonia emise una sorta di soffio lento e monotono, fissando con gli occhietti incisi nell'argilla il leader. Senza troppe cerimonie, fece scattare verso il cielo sia Randor che il Kishin. Con la mano ora libera strinse in una morsa potenzialmente letale l'angelo elevato facendolo gridare di dolore e mandando in frantumi definitivamente le sue ali metalliche.
Come un giocatore di baseball, caricò la mano e lanciò a velocità molto superiore a quella della luce verso l'alto. Fissò poi Johara, Gwenn e i ragazzi svenuti. Con un semplice schiocco di dita, li fece sparire. Rimasto solo si scrocchiò le ossa del collo e fece un cenno a Creech, il quale annuì. Il generale impose di nuovo le mani e una serie innumerevole di fili argentei si rese visibile. Il reticolato copriva per intero il corpo del golem d'argilla, bloccandone i movimenti e si estendeva lungo tutto l'occhio del tifone. Agonia era stato ben attento a far volare via i ragazzi in modo che non sfiorassero nemmeno un filo.
Le sottilissime corde si avvilupparono e si ritrassero, liberando l'area e l'Ens, rientrando sotto le bende di Aladrej. Una volta libero da quell'impedimento, Agonia si diede un violento pugno sul petto, crepando l'intero corpo d'argilla che andò in frantumi, rivelando la sua figura. Si trattava di un essere umanoide con il corpo composto da una sfera e da degli anelli metallici, rispettivamente busto e addome. Il busto aveva cinque piccoli globi incastonati a cui erano attaccate altrettante braccia di metallo. Il bacino era composto da due trapezi ribaltati in acciaio temprato. Era un robot. Un robot di, al più, due metri.
La testa ripresentava fedelmente le fattezze del corpo d'argilla, anche se in piccolo. Gli occhi erano uno viola, presentante il simbolo degli Entes al posto di pupilla e iride (il sinistro), mentre il destro era una vera e propria ragnatela da cui sfrigolava elettricità su campo rosso molto scuro. I capelli lunghi e fluidi erano di un color nebbia molto sfocato.
Con un gesto spicciò di una mano, Agonia fece cessare il tornado, rivelando il cratere nella sua interezza. In lontananza, sul ciglio della depressione, stava un intero esercito di Rovine che l'Ens guardò con ben poco interesse. In mezzo ai ciclopi di più di venti metri di altezza stava comodamente seduto Parsifal. Il Dolore vide chiaramente anche a quella distanza la Rovina del mondo alzare un calice colmo di icore divino e brindare a lui. Ricambiò con un annoiato cenno della testa. Intanto lì intorno gli eroi che aveva buttato fuori dal tornado si stavano rialzando.
"Quindi sei fatto così, in realtà?" chiese una voce strafottente alle sue spalle.
Colto alla sprovvista, l'Ens si voltò di scatto con gli occhi sgranati, trovandosi di fronte il blood dreamer. Francis sorrideva, stando poggiato a Creech. Il generale era immobilizzato dal sangue del ragazzo.
"M-ma come... come ha fatto a... restare lì? E a battere un generale senza potenziamento, per giunta?!" esclamò allibito Lucas.
Gwenn digrignò i denti. "Perché su di lui un potenziamento sarebbe inutile. Lui è già al limite massimo... è già al sessanta per cento!"
 
Agonia e Francis si fissarono per un istante. Poi l'Ens emise un verso gutturale, socchiudendo gli occhi e incrociando le braccia due a tre.
Creech emise dei suoni sgraziati oltre il sangue infetto che lo immobilizzava. Rubens tradusse per il gruppo di eroi, essendo l'unico in grado di comprendere il generale. "Ora Agonia sfiderà il vostro amico e per farlo ridurrà il suo potere in modo che sia uno scontro gradevole per entrambi. Se la battaglia lo soddisfarà, allora ci concederà l'aiuto che Unlegal gli ha pregato di darci. Altrimenti... non esiterà a consegnarci in catene all'Omino di mai..."
Lelq deglutì.
In quell'istante Dz notò le Rovine che si erano assiepate lungo il crepaccio. Balbettò qualcosa finché anche Shruikan non si voltò a guardare, rimanendo di sasso.
"Ragazzi, abbiamo..."
"Non temete." lo bloccò Johara. "Blaso non si azzarderebbe mai a toccare Agonia. Perfino lui non è così pazzo da inimicarsi il Dolore."
Lucas deglutì. Se quell'Ens era così terribile da far paura perfino a qualcuno di così potente come l'Omino di mai, allora preferiva non averci nulla a che vedere. 
Francis rise di gusto e si mise in posizione come un wrestler. Un secondo dopo era già apparso di fronte all'Ens e gli aveva sferrato un pugno poderoso sul petto tra due braccia, mandandolo indietro di parecchi metri. Agonia guardò le crepe sulla sfera di metallo che si riempivano e il bozzo formato dal pugno che si ricompattava. Alzò lo sguardo solo per trovarsi faccia a faccia con l'amico calcio sferrato dal blood dreamer. Il colpo lo mandò a gambe all'aria.
Senza perdere tempo, Francis gli piombò addosso, colpendolo ripetutamente così velocemente da fracassargli il busto sferico. Agonia mugghiò indignato e con un braccio colpì la testa del ragazzo, schiantandolo a un centinaio di metri di distanza. Le ferite sul corpo metallico si risanarono in fretta e l'Ens marciò verso l'avversario, battendosi il busto con pugni ritmici, provocando fratture che guarivano in pochi millesimi di secondo. Francis gli apparve di fronte e gli sferrò un pugno allo stomaco, ma stavolta Agonia lo intercettò col suo colpo. Le due mani cozzarono e quella di metallo dell'Ens andò in frantumi, mentre il blood dreamer continuava fino a fargli esplodere tutto il braccio. Ridendo come un folle, saltò in aria e diede un violento calcio in faccia al demone che vacillò. Rapidamente, Francis roteò a mezz'aria e colpì con un altro calcio lo stomaco e poi di nuovo la testa del grosso nemico, mandandolo a terra.
Scombussolato, Agonia si rialzò faticosamente, venendo però atterrato di nuovo da un poderoso colpo di tacco simile ad una ghigliottina dritto in sul collo. La forza del calcio fece perforare per diversi metri il terreno roccioso alla creatura, creando un cratere nel cratere.
"Che c'è, hai già finito, pezzente? Vieni fuori, schifoso insetto! Voglio strapparti in due la testa e bere qualsiasi cosa tu abbia al posto del cervello!" gridò euforico il ragazzo, emanando una strana luce purpurea.
Poi si udì il suono di qualcosa che si frantuma. Il ghigno sul volto del blood dreamer vacillò e si tramutò in un'espressione di sconcerto. Una serie di bozzi si formò sul suo petto, facendo rientrare i pettorali, rattrappendolo. Il suo braccio esplose in una marea di sangue, la sua faccia fu attorcigliata, fracassata e tumefatta e, per finire, decine di piccoli tagli esplosero su tutto il suo corpo, escoriazioni e bozzi che gli coprivano la pelle e profonde lacerazioni che rigavano vestiti e muscoli.
Restò immobile col volto irriconoscibilmente devastato, la bocca aperta con la mascella dislocata, un occhio sporgente e spappolato che colava da un'orbita. Il braccio mancante era stato sostituito da una cascata di sangue mentre l'altro era rivoltato in una posa innaturale e rivoltato intorno a sé stesso con ossa e tendini che fuoriuscivano dal gomito. Le gambe erano piegate verso l'interno e tremavano. Un gorgoglio usciva dalla bocca sporca di sangue e priva di alcuni denti saltati via poco prima.
Ma non era dolore quello emesso con quel suono affranto. Era divertimento. Rabbia. Forse un po' di noia, ma poca.
Con una certa fatica, Francis rigirò il braccio con uno schiocco secco, lasciando che le ossa e tutto quanto il resto guarissero da soli con scatti e rumori agghiaccianti. Le ferite minori su tutto il corpo si erano già riparate, mentre il braccio stava ricrescendo lentamente. Con la mano ormai sana, si afferrò la bocca e la riportò nella sede originaria, massaggiandola mentre i pezzetti di ossa si incollavano tra loro come per magia.
In pochi minuti era di nuovo in forma, senza più alcuna ferita. Però ora era alquanto arrabbiato. Quel tizio lo aveva rotto! E lui era indistruttibile! Gliel'avrebbe fatta pagare. Tutto stava nel tirarlo fuori dalla voragine in cui lo aveva scaraventato. Ma non fu in realtà un vero problema. In effetti, Agonia gli risparmiò la fatica. Se lo ritrovò davanti insieme a tutti e cinque i suoi pugni che gli perforarono il busto come fosse burro, mandandolo a sbattere contro le rocce del terreno. Sputò sangue, ma si rialzò subito. Partì all'attacco e cercò di colpire l'avversario, che stavolta parò con efficacia il colpo. Anzi, ad esplodere fu proprio il braccio del blood dreamer, questa volta.
I due si scambiarono qualche altro colpo, prima di separarsi. Francis iniziava stranamente a sentire la stanchezza, come se l'Ens gli avesse assorbito energie preziose e avesse bloccato la sua capacità di recuperarle senza bisogno di riposo o nutrimento.
Lucas guardava preoccupato la scena.
"Non dovremmo..." cercò di proporre di andare ad aiutare il ragazzo.
Rubens sbuffò. "Te l'ho detto circa mille volte solo negli ultimi, ehm, dieci secondi, amico. Se ci provi, siamo morti tutti."
Lucas tornò a guardare i due che avevano ripreso a combattere accanitamente. Ora il divario si era allargato ulteriormente in favore dell'Ens. Francis quasi non riusciva a toccarlo se non per incassare qualche pugno micidiale.
Si voltò di nuovo con aria disperata e, con voce lamentosa, chiese al generale: "Questo è il potere peculiare di Agonia. Come ogni Entes, anche il Dolore possiede la più che totale onnipotenza, ma, come tutti i suoi simili, si è specializzato nell'utilizzo di una capacità in particolare. Prima di dirvi di cosa si tratti, vi spiegherò il suo stile di combattimento. Innanzitutto, considerate il fatto che utilizza il fattore di guarigione più alto mai esistito, regolandolo in base all'avversario. Ama iniziare lo scontro con un potere curativo minimo, in modo da far credere al nemico di avere qualche possibilità almeno di ferire il suo corpo mortale. Dopo i primi colpi, utilizza la sua peculiarità, si cura e riprende a combattere aumentando vertiginosamente forza fisica e fattore di rigenerazione. Continua così fino a che il dislivello tra lui e l'avversario non è insormontabile. Oltretutto utilizza la capacità degli Entes di privare di ogni capacità di risanamento l'avversario, rendendolo, in sostanza, mortale. Ma veniamo alla sua peculiarità, forse uno dei poteri più orrendi del mondo.
La farò breve.
Qualsiasi ferita il corpo di Agonia subisca, per quando velocemente lui la curi, viene ripetuta sul nemico, al di là delle sue capacità di resistenza. Anche una creatura indistruttibile come un blood dreamer riceve il danno perché è un danno a livello essenziale. Semplicemente, Agonia fa in modo che, in qualche modo che nessuno di noi può capire, la ferita diventi parte del bersaglio, come un qualcosa dovuto ad una conformazione genetica, come il colore degli occhi. Qualcosa di naturale, insomma. Il dolore, però, è tutto fuorché naturale. In quanto Ens del Dolore e del Piacere, egli incrementa la sofferenza inflitta oltre ogni limite, ma lentamente, per sfiancare il nemico. Ogni immunità alla sofferenza viene bypassata. Ogni difesa è vana.
Agonia, insieme a Nero e a Relboww, Ens del Caos e dell'Ordine, è uno dei tre Entes più temuti, tanto che nemmeno i loro simili si azzardano a sfidarli. Certo, Agonia non si scontrerebbe mai contro Ruins perché sa perfettamente che la Violenza lo sconfiggerebbe. E sia Agonia che Relboww, è risaputo, temono enormemente il signor Nero. Si può dire che Nero, pur non avendo mai sfoggiato particolari doti distruttive, sia il più pericoloso, potente e temuto Ens."
Lelq fischiò annoiato. "Spiegazione impeccabile." Personalmente gli fregava poco sia di Agonia che di Francis o di quell'altro, vattelappesca. Solo il nome di Nero gli aveva fatto correre un brivido freddo lungo la spina dorsale. Non capiva ancora perché, ma pensare a quel tizio lo metteva in uno stato di agitazione inspiegabile.
"Quindi è una battaglia persa." mormorò Shruikan tra l'affranto e il frustrato.
Lelq chiuse gli occhi e si sdraiò a terra. Si trattenne dal dire "di nuovo".
 
Francis emise un'ondata di fumo. Aveva provato tutto. La sua prima trasformazione, un imponente guerriero vestito da samurai con un elmo dalle fattezze feline con un grande pennacchio rosso acceso sulla sommità. La sua rapidità aumentata e i suoi riflessi potenziati insieme alle due letali katana lunghe e seghettate ad arte lo rendevano un nemico terrificante per chiunque, ma Agonia era più veloce, più agile e il metallo del suo corpo sembrava essere diventato più duro del diamante, non scalfibile, addirittura. La sua altra forma, un berserker con una pesantissima corazza e due martelli da guerra da dieci tonnellate l'uno, in grado di distruggere mondi interi con un solo colpo, aveva una forza terrificante, ma l'Ens era tanto forte da riuscire a perforare sia le teste dei martelli con semplici pugni, sia l'armatura normalmente impenetrabile.
Oltretutto, la rimarginazione delle ferite iniziava ad essere troppo difficoltosa. Alcuni fori dovuti ai pugni del demone non si rimarginavano e il dolore pulsava innaturale nella mente del blood dreamer, così abituato a non percepirlo.
"Fanculo!" ringhiò, mentre il sangue che formava la corazza e le armi ormai rotte per terra si liquefaceva e rientrava nel suo organismo. Il suo corpo fu scosso da un guizzo. "Ah, bene, amico! Mi hai convinto. Vado con la numero tre. Preparati, eh! Perché questa è la mia ultima carta. E se lo è per me, stanne certo... lo sarà anche per il tuo fegato di metallo."
Il suo corpo luccicò. Sangue fresco iniziò a trasudare dalla pelle del blood dreamer, ricoprendolo come gelatina lucida e viscida. Ma la trasformazione finale fu interrotta dall'Ens che gli apparve di fronte e gli conficcò una mano nel petto, estraendo un piccolo globo luccicante e giallognolo, di un giallo paglia, sbiadito, più luminoso al centro della sfera e quasi spento verso l'esterno, da cui cadeva costante una leggere polverina dorata.
Francis allargò la bocca mentre il processo di mutazione cessava bruscamente e il sangue penetrava di nuovo nei vasi arteriosi e venosi. Un grido rimase soffocato nella sua gola.
Shruikan reagì scattando bruscamente, mentre Lucas, Litios e Dz si alzavano prontamente, pronti ad aiutare il loro amico a salvare il ragazzo, ma tutti furono fatti sedere a forza da una rete di fili invisibili tracciata da Creech. Il generale scosse la testa in segno di diniego inequivocabile, mentre i quattro si dimenavano come animali selvatici in trappola.
Rubens osservò preoccupato Agonia che estraeva con cautela il globo dal petto del ragazzo e se lo portava di fronte al volto. Johara strinse le labbra e si abbracciò le ginocchia. Gwenn serrò i pugni e guardò l'Ens con aria di condanna. Loro tre sapevano bene che quella che teneva in mano il demone era l'essenza, qualcosa che solo loro Entes, i Mastri e i Demiurghi potevano manovrare, con cui si poteva tramutare tutto in tutto. Se veniva estratta, il soggetto che ne era privato era irreparabilmente immobilizzato tra l'esistenza e la non esistenza, inerme, impotente, azzerato come il più patetico dei moscerini.
Non si poteva sapere cosa avesse intenzione di fare Agonia con in mano l'essenza di Francis. Avrebbe potuto tramutarlo nel primo cactus con la capacità di manovrare il sangue, oppure renderlo un figlio dei fiori. Magari letteralmente figlio dei fiori.
Invece l'Ens la esaminò un poco e poi la rimise dentro il demonio che si riebbe come da un'apnea troppo prolungata. Respirò affannosamente per un po', mentre Agonia si avvicinava al gruppo di eroi. Creech lasciò liberi i quattro che si alzarono di scatto. Mentre il Dolore avanzava davanti al gruppo, gelando il sangue nelle loro vene, estrasse due carte da gioco e le fece cadere a terra di fronte a Victus e a Donatozzilla.
"Per chi soffre e non sente altro che desiderio di vendetta." disse l'Ens, facendo trasalire tutti i presenti. In particolare, i quattro generali guardarono allibiti l'essere come se il fatto che avesse parlato fosse un qualcosa di incredibile.
Agonia schioccò le dita e Creech gli si avvicinò. Due portali si aprirono. Nel primo sparì il duo. Il secondo rimase aperto.
"Bene. Ed ora?" chiese Lucas.
"Ora si va. Senza Agonia a trattenerlo, Parsifal si starà mobilitando." rispose prontamente Johara.
Shruikan era andato a prendere Francis ed ora lo aiutava a camminare, visto che sembrava ancora molto scosso.
"Aspettate." disse Meteor, facendo voltare tutti verso di lui. "Non in quel portale. Di lì si va dalla parte sbagliata."
"Che stai dicendo?" sibilò Lelq, impaziente. Le Rovine avevano iniziato a correre lungo il crinale della depressione e la terra già tremava per i loro passi. Il muggito rabbioso di quei mostri li pressava nonostante fosse ancora lontano.
"Fidatevi. Dobbiamo andare di qua." replicò Meteor, lanciando un sassolino nero a terra. Questo emise un flebile ronzio per poi esplodere in una colonna di luce viola alta fino al cielo e larga una decina di metri.
"Woo! Che cos'è?!" gridò Litios, sovrastando il rumore assordante emesso dalla colonna.
"Seguitemi!" gridò semplicemente Meteor, entrando nella luce. Gli altri titubarono, ma alla fine lo seguirono. Non si sarebbero divisi per nulla al mondo, in quell'universo del cavolo.
Parsifal si materializzò davanti alla colonna che si spense all'improvviso insieme al portale aperto da Agonia, come se la presenza del nuovo arrivato li avesse disattivati. Il ciclope si guardò intorno e aprì un palmo verso l'alto. L'immagine del simbolo degli Entes apparve come un ologramma sulla sua mano.
"Qui Parsifal. Tutto secondo i piani. Ti mando il frammento." disse. Poi raccolse una piccola scheggia invisibile ad occhio nudo e la lanciò dentro il piccolo ologramma ancora acceso sul suo palmo. L'immagine fu scossa come da un'interferenza, emise qualche ronzio e poi si spense.
Il ciclope sbuffò, aprì una bocca sulla mano e sparò un raggio dentro al pianeta, distruggendolo in un istante, per poi teletrasportarsi al luogo del suo ultimo incontro con il gruppo di eroi.
Si sedette e chiuse l'occhio.
Odiava dover aspettare.
Ma odiava ancora di più farlo dovendo vedere quella ragazza di nome Helen che si agitava intorno a lui.
 
Angolo di ME/Angolo riassuntone mollone
In_poche_parole.it ci offre il seguente riassunto:
Francis affronta Agonia, tramutatosi in un robot di due metri scarsi con cinque braccia. Inizialmente il blood dreamer sembra avere la meglio, ma poi Agonia sfrutta il suo potere per sconfiggerlo con facilità. Prima che possa usare la sua terza e ultima mutazione, però, Francis viene bloccato repentinamente dall'Ens che estrae la sua essenza e la studia attentamente. Ridandogliela senza infliggergli alcun danno, Agonia apre due portali, uno per sé ed uno per i ragazzi, donando due doni, uno a Victus ed uno a Dz. Il gruppo fa per andare nel portale aperto dal Dolore, ma Meteor interviene e apre un altro tipo di portale, una grande colonna di luce viola alta fino al cielo, che ha destinazione ignota. Il gruppo usa quest'ultimo. Allorché appare Parsifal che raccoglie una strana scheggia quasi invisibile e la manda in un ologramma raffigurante il simbolo degli Entes. Dopo questo, distrugge il pianeta su cui si è svolta la vicenda (così, per sport) e si teletrasporta nel luogo del suo futuro, ultimo incontro/scontro con la Lucas Force, dove ad aspettare i ragazzi c'è anche un'impaziente Miss Seek...
 
Cosa mai accadrà? Dove stanno andando i nostri eroi? Che fine hanno fatto Giulyu e Murmure? Cosa sta tramando il signor Nero? Ma soprattutto... Perché deve sempre tramare qualcosa, quel vecchio cilindraccio che non è altro?
Molte domande, troppo poche risposte.
Ma presto ne avremo altre, proprio qui, su A TUTTO... REALITY... OOOOVER WOOORLDS!
(dovevo farla, scusate ^_^)
(Ah, chiedo scusa se ho pronunciato impunemente il nome di Seek, ma... chiamarla sempre miss Seek alla lunga mi suona ripetitivo... Scusate... Cmq non lo farò quasi mai più e sempre e solo da parte del narratore, mai dei pg [si, insomma, a meno che non si tratti di quel masochista di Blaso...])
Ev.

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Capitolo 30
*** L'Abisso - Parte Uno ***


"Ce ne hai messo di tempo, vecchio mio." ansimò Murmure, prendendo fiato.
Nero sorrise, accendendo una sigaretta e portandosela alle labbra.
L'Every lo guardò e alzò un sopracciglio. "Fumi?"
"Di quando in quando." rispose semplicemente l'Ens, senza badare troppo all'uomo senza un braccio. Stava invece studiando con grande attenzione Giuly.
La ragazza si era seduta sul terreno coperto da quella strana nebbiolina oscura che faceva da pareti e soffitto allo strano posto in cui l'alto figuro della Paura li aveva condotti dopo averli salvati dalle Rovine. Due lunghe file di colonne di fumo si erano formate al loro arrivo. Murano era poggiato con il braccio ad una delle imponenti strutture cilindriche, respirando faticosamente. Nero era appoggiato con la schiena ad una colonna della fila opposta, intento a fissarli da sotto il cilindro con aria criptica, aspettando che si riprendessero.
Giuly si accorse di aver attirato la piena attenzione del demone quando vide i suoi occhi, il destro completamente nero in cui si agitava quella stessa sostanza oscura che li circondava, come un animale in gabbia, e il sinistro, marcato dal simbolo degli Entes, che la teneva sotto mira come un fucile pronto a sparare. Qualcosa in quella figura alta, slanciata e così tetra da scacciare perfino le tenebre più profonde le suggeriva che con lui nemmeno la sua fida padella avrebbe avuto molto effetto.
"Ehm..." si schiarì la gola. La tensione che quel tizio le metteva la obbligava a cercare di fare conversazione. "Non credo che ci siamo ancora presentati a dovere, quindi... Ehm... Piacere, Giuly Frost." disse, allungando la mano verso l'entità, che parve piacevolmente sorpreso e sorrise, drizzandosi in tutta la sua altezza, tanto da mettere ancora più in soggezione la ragazza, la quale vacillò al suo cospetto.
Con un gesto repentino che fece tremare Giuly, le prese delicatamente la mano con la sua, sfiorandole appena la pelle pallida con le labbra sottili in un elegante baciamano all'antica.
"Piacere mio, signorina. Il mio nome è, come già ha accennato il nostro comune amico Murmure, Nero. Sono lieto che stiate bene. Spero che il travaglio causatovi da mio fratello maggiore, Blaso o Omino di mai, come tutti lo chiamano oramai, non sia troppo grave perché non accettiate le mie scuse più sentite a nome suo."
Giuly lo fissò spiazzata, non sapendo che fare. Il sorriso così gentile stonava con gli occhi duri e seri che non lasciavano trasparire alcuna vera emozione. L'aspetto affascinante, gentile e bellissimo di quello che, a prima vista, chiunque altro avrebbe scambiato per un normale ragazzo dell'antica aristocrazia dai modi affabili, contribuiva a renderlo ancora più terrificante, come se dietro a quella facciata di bon ton e sorrisi gentili si nascondesse qualcosa di aberrante e pericolosissimo.
"Ehm..." cercò di dire lei, sentendosi però morire dentro tutte le parole che aveva in testa e che le fluttuavano in gola senza però raggrupparsi in frasi di senso compiuto.
Murmure venne in suo soccorso, avvicinandosi al duo. Nero distolse lo sguardo da lei, lasciandole il tempo per tirare il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.
"Non pensi che prima delle scuse formali dovremmo quantomeno raggiungere il Nulla e da lì uscire da questo universo, ti pare?"
Nero annuì e prese il bastone che aveva incastrato nel terreno lì vicino mentre lasciava loro il tempo per prendere fiato.
"Suppongo tu abbia ragione, ragazzo mio. Bien bien! On y va, alors."
L'Ens schioccò le dita, facendo diradare l'oscurità dell'Abisso, mostrando la lunga strada lastricata circondata dal colonnato. La strada era lunga davvero, non si poteva vedere la fine.
"Uhm... Sicuri che... che sia sicuro, qui?" chiese Giuly, titubante.
Nero la guardò e sorrise bonariamente, in modo da rassicurarla. Una sensazione di protezione avvolse la ragazza quando l'alto demone le cinse le spalle con un braccio, facendola irrigidire e poi rilassare.
"Non avete di che temere, ma chere. Nulla può farvi del male qui senza il mio permesso, ve lo posso garantire. Vi basterà restare all'interno del colonnato che ho personalmente eretto in modo da rendere sicura la via attraverso le lande del Sogno. Rimanete vicini a me e nulla vi tangerà, avete la mia parola."
La ragazza lo guardò, indecisa. Da un lato, sentiva di avere poco di cui fidarsi di quel tizio, dall'altro, invece, sentiva che quella persona l'avrebbe riportata a casa, sana e salva. Alla fine vinse il sorriso caldo e rassicurante di Nero. Lei gli sorrise debolmente di rimando e annuì piano.
"Deh! Allora possiamo anche avviarci. Il cammino è lungo e faticoso, e noi non vogliamo arrivare in ritardo, nevvero?"
Murmure storse le labbra e si avvicinò a Giuly, porgendole il braccio. Lei, senza farselo ripetere, lo prese a braccetto e i due si incamminarono allontanandosi un po' da Nero, il quale sorrise con aria indecifrabile e li seguì a distanza.
Dopo qualche passo, la ragazza avvicinò la testa a Murano, poggiandola sulla sua spalla.
"Murmure, mi fa paura..." mormorò, cercando di non farsi sentire dall'Ens.
L'Othery sospirò. "Stai tranquilla. Una volta che si fa un patto con Nero non c'è di che avere paura, basta pagare il prezzo che lui impone."
"Di che stai parlando?!" chiese sempre a bassa voce, ma con tono più preoccupato, lei. La notizia era arrivata inattesa e disarmante. Che razza di patto avevano fatto?
Murmure sbuffò, in difficoltà, cercando le parole migliori da dire in quel frangente. "Il punto è che... Solitamente Nero agisce da dietro le quinte. Non è lui a combattere le sue battaglie, ma lascia che siano gli altri a farlo. E affinché ciò avvenga nel più silenzioso dei modi, firma patti con i suoi burattini, se li vogliamo chiamare così. È subdolo, conosce i punti deboli di chiunque e sa come sfruttarli al meglio. Se si desiderano i suoi servigi o semplicemente un suo aiuto, è necessario sottoscrivere un accordo con lui. Spesso questo comporta un grande vantaggio e uno svantaggio ancora maggiore.
Molte volte, in cambio di potere o di informazioni o di qualsiasi altra cosa gli si potrebbe chiedere, egli domanda piccolezze in cambio. Uccidi questa persona, recupera questo manufatto, dammi una ciocca dei tuoi capelli... Cose che, a prima vista, magari, potrebbero sembrare piccolezze, ma che alla fine creano un effetto domino di eventi che porta a catastrofi immani. Per questo è sconsigliato chiedere il suo aiuto. "
Giuly gli strinse la spalle.
Murano se ne accorse e la guardò di sottecchi, vedendola più impaurita di prima. "Con questo non devi pensare che sia assolutamente malvagio." rettificò allora "Di fronte all'evidenza, sembra che lui abbia causato miliardi di morti e basta. Ma analizzando meglio gli eventi, ci si rende conto che se lui non avesse agito così, sarebbero morte molte più persone. Lui agisce in vista del benessere del più gran numero di persone, anche a costo di doversi sporcare le mani con qualche migliaio di vite.
Una cosa non dissimile da quello che fate voi delle Lucas Force, anche se in proporzione minore. Uccidete qualche creatura per evitare che loro massacrino mondi interi."
"Capisco..." disse cupa la ragazza. L'uomo decise di stare in silenzio e lasciarla in pace.
Camminarono in silenzio per un po'. Giuly si voltò a controllare Nero due o tre volte, nervosamente, come se l'Ens dovesse sparire da un momento all'altro. Ma lui era sempre lì, che camminava con calma, leggendo un libro e facendo roteare pigramente il bastone in una mano guantata.
"Murmure..." mormorò dopo qualche minuto.
"Si?" fece lui, senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte oscuro.
"Che patto abbiamo firmato con lui?"
"Non noi. Io. Gli ho chiesto aiuto."
"E... e cosa ti ha chiesto, in cambio?" domandò ancora lei con angoscia. Non voleva che Murmure si facesse del male per lei. Non di nuovo.
Lui si rabbuiò per un istante, ma camuffò la preoccupazione in fretta e tornò solare come prima. "Per ora niente. Diciamo che mi sono indebitato con lui. Ma non c'è nulla di cui preoccuparsi: Nero ed io siamo amici di vecchia data. Certo, non come lo erano lui e il capo, ma comunque siamo in buoni rapporti. Non mi chiederà chissà che, penso."
Giuly emise un mugolio nervoso.
Murano la guardò e aggiunse: "Anzi, ne sono sicuro."
Ma lei non lo ascoltava più. Ormai si era convinta che Nero avrebbe portato via anche Murmure. Ne era certa, anche se non sapeva perché.
 
Arrivarono alla fine della strada dopo quelle che erano sembrate ore di cammino. La parte più bizzarra di quella camminata era che né Giuly né Murano avevano sentito la stanchezza. Si sentivano anzi più riposati, se possibile, di quando erano partiti, come se, invece di una passeggiata, avessero dormito sul più comodo dei materassi.
I due si bloccarono quando le colonne scomparvero e il lastricato cedette il passo di nuovo alla sostanza oscura.
"Siamo arrivati?" domandò la ragazza, stiracchiando la schiena lievemente indolenzita.
Nero li superò e toccò il muro di buio con la mano.
"Non ancora. Prima dobbiamo..." fece per dire, quando un boato lo fece esplodere.
Giuly gridò, cadendo in ginocchio e tappandosi le orecchie, mentre Murano cercava di afferrarla per trarla al sicuro, guardando intanto in giro per capire cosa stesse succedendo.
La fece rialzare velocemente e le gridò di correre, mentre altri boati si schiantavano sulle loro orecchie, accompagnando esplosioni di luce viola che fracassavano l'Abisso intorno a loro.
Giuly non capiva cosa stesse accadendo, ma si fidò dell'Othery e corse dietro di lui, immergendosi nella foschia dell'Abisso.
Man mano che si allontanavano da dove Nero era stato fatto esplodere, il buio fumo di quel posto pareva diventare più aggressivo, opprimendoli, attaccandoli. La ragazza percepì la pelle formicolarle in maniera dapprima solo fastidiosa, poi dolorosa, quasi come se migliaia di piccoli insetti la stessero mordendo con minuscole chele infiammate.
"Che sta succedendo?!" strillò, tenendo gli occhi sbarrati fissi sul mantello svolazzante di Murano, il quale sembrava volare davanti a lei, costringendola a correre più in fretta di quanto non fosse abituata a fare. I polmoni le stavano già iniziando a bruciare terribilmente, e le esplosioni non si erano chetate né allontanate.
La voce dell'uomo la raggiunse portata dal vento dell'Abisso.
"Rovine! Non so come siano finite qui, ma sembra che il potere di Blaso sia abbastanza grande da mettere in difficoltà perfino il signor Nero!"
Il cuore di Giuly perse un centinaio di battiti. L'immagine di quei grossi ciclopi che divoravano cadaveri le si stampò in mente e non la lasciò più andare, inorridendola e facendole venire uno sgradevole sapore di bile in bocca.
"Non è possibile." mormorò, mentre lacrime di puro terrore le rigavano le guancie arrossate.
"Giulyu!" la richiamò la voce di Murmure. Lei alzò lo sguardo e vide che l'uomo la stava guardando con occhi decisi e duri da sopra la spalla senza smettere di correre. "Non lascerò che ti tocchino."
La ragazza lo guardò sconcertata. Poi annuì e assunse a sua volta la stessa espressione del compagno di viaggio. Non potevano permettersi di farsi cogliere dal panico.
Corsero fino a raggiungere quello che sembrava un labirinto fatto da siepi alte una ventina di metri, che si estendeva per decine e decine di kilometri fino a svanire nell'oscurità di quel mondo infinito eppure non più grande di una camera da letto.
"Ascoltami, ora!" gridò ancora Murano "Dobbiamo entrare nel labirinto! Non c'è altra soluzione! Confido... confido nel fatto che l'uscita ci porti un po' più vicini al portale per il Nulla! In ogni caso... Quello è l'unico posto in cui possiamo sperare di seminare le Rovine!"
Giuly non disse nulla, si limitò a seguire la sua guida. Entrarono tra i muri di siepi e presero la prima strada a sinistra. La strada era dritta, lunga e finiva con una brusca curva verso destra.
"Presto!" non fece in tempo a dire Murmure che la parete verde scuro della siepe venne divelta da un gigantesco ciclope in frac di più di sei metri d'altezza che slittò, impattando contro l'altro muro, riuscendo a fermarsi prima di attraversare anche quello. Si alzò e caricò un raggio viola, colpendo il terreno sotto i piedi dei due. Ma quando guardò soddisfatto il proprio lavoro, dovette lanciare un ruggito di rabbia.
Giuly, infatti, prontamente aveva aperto le grandi ali bianche e aveva sollevato in aria entrambi, portandoli lontani, passando sopra le siepi. Volarono verso l'uscita all'altro capo del labirinto, passando sopra le siepi, ma il carico era troppo per lei, e questo la rallentò molto, rendendola un facile bersaglio per una Rovina di cinquanta metri che stava arrivando al limitare della selva a passi pesanti.
Il raggio invisibile le trafisse l'ala, facendole lanciare un grido acuto. Istintivamente, lasciò andare Murmure, che scomparve in una delle strade del labirinto, per poi schiantarsi a sua volta in un'altra via a una trentina di metri di distanza.
Si afferrò la spalla e strinse i denti, mentre sentiva l'ala iniziare a chiudersi dolorosamente. Nella caduta si era pure rotta un braccio, probabilmente. No, forse no, riusciva ancora a muoverlo. Si guardò intorno. Provò a chiamare debolmente Murmure, ma niente.
Era sola.

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Capitolo 31
*** L'Abisso - Parte Due ***


"GIULYU! RESISTI! STO ARRIVANDO!" gridò Murmure, lanciandosi a rotta di collo tra le siepi, evitando l'ennesimo raggio di una Rovina.
Strinse i denti, trascinando sul terreno la spada sguainata. Uno dei ciclopi lo aveva colpito alla spalla sana ed ora sentiva un dolore allucinante che gli risaliva lungo il collo fino al cervello, causandogli un'emicrania tremenda.
Ma doveva resistere. Doveva! Se fosse successo qualcosa alla ragazza non se lo sarebbe mai perdonato.
Frenò di scatto giusto in tempo per evitare un ciclope di dieci metri che sfondò la siepe parandoglisi dinnanzi con aria minacciosa. Il mostro alzò una mano, pronto a colpirlo con il palmo aperto, grande quanto un canestro da basket. L'OthEry fece per voltarsi di volata e fuggire dalla parte opposta, ma trovò la strada sbarrata da altre due Rovine poco più piccole del loro compagno, con le fauci spalancate e illuminate dal bagliore violaceo che presagiva il loro attacco più potente.
Strinse i denti e attivò il crono-scheletro, rallentando i bestioni. Saltò in aria, facendo schiantare sul terreno la mano artigliata del colosso alle sue spalle, che rimase incastrata nel materiale di cui era composto l'Abisso. Come sperava, l'Abisso non gradì quel graffietto e un'esplosione di materia nera e viscosa, simile a petrolio, eruttò in volto alla Rovina, per nulla rallentata dal potere temporale di Murano.
Questi atterrò e il tempo tornò alla velocità normale. Si voltò a guardare lo spettacolo orrendo del ciclope che veniva inghiottito e fatto a pezzi dall'Abisso, cercando invano di allungare una mano per salvarsi. Le altre due Rovine spararono i loro raggi, ma Murmure fu più veloce e schivò agilmente acquattandosi, facendo esplodere gli attacchi sul ciclope morente, mandandolo in frantumi.
L'Abisso parve brontolare e immagini orribili, rappresentanti ogni paura esistente e non solo iniziarono a materializzarsi in testa all'OthEry che faticò per tenere a bada il terrore crescente provocato dal potere di quel posto. Strinse i denti e scavalcò quello che restava del colosso di dieci metri, ora ridotto ad una collinetta nerastra e ribollente, correndo poi oltre il varco aperto nelle siepi.
"GIULYU! DOVE SEI?!" gridò ancora, svoltando più volte. Quel maledetto labirinto sembrava non volergli dare nemmeno un piccolo aiuto nel trovare la sua preziosa ospite.
Gli sembrava ormai di correre in tondo quando sentì un fruscio alle sue spalle. Si fermò col fiato corto e si avvicinò rapidamente alla siepe di destra. Gli pareva di aver udito qualcosa. Ma non sapeva bene cosa. Mise l'orecchio vicino al fogliame e restò in ascolto, la spada stretta in pugno.
Una mano artigliata grande il doppio della sua testa spuntò dalle frasche, prendendogli la faccia e trascinandolo dall'altra parte del muro verde.
Si sentì sollevare bruscamente, cercando di menare fendenti senza però riuscire a ferire il suo aggressore, nonostante la spada colpisse duramente il polso del ciclope. Altrettanto bruscamente, fu schiantato al suolo. Rimase a terra, dolorante con la schiena e la testa che dolevano. Cercò di mettersi su un fianco, ma sentì chiaramente un calcio arrivargli dritto nello stomaco prima ancora di essere colpito. Rotolò per qualche metro, andando a sbattere contro un tronco. Quando riuscì a mettersi carponi e la vista divenne più chiara, sputò un grumo di sangue e si rese conto che quello contro cui aveva sbattuto non era un tronco, bensì la gamba di un altro ciclope. Alzò lo sguardo e storse la bocca nel vedere l'occhio grande e luminoso fissarlo inespressivo. La bestia emise un barrito vittorioso e lo prese per la vita, iniziando a stritolarlo.
Era così debole e la stretta era così dura che non poteva nemmeno attivare il crono-scheletro.
Era circondato. Era praticamente morto. Ma magari, morendo, avrebbe dato la possibilità a Giuly di salvarsi. Non tutto era perduto.
Un grido perforò l'aria. E una padella colpì in pieno volto il ciclope, schiacciandogli in piano il grosso occhio rotondo. La bestia mollò Murmure, che cadde dai sei metri di altezza a cui era stato alzato, prendendo una storta ad una caviglia e gridando di dolore.
Il ciclope barcollò all'indietro, le mani sull'occhio da cui usciva una sostanza biancastra simile all'albume. Nel sentiero si trovavano altre quattro Rovine, che avanzarono minacciose verso l'intrusa, ma Murmure fu fulmineo e, con le poche forze rimaste, azionò il dispositivo per bloccarle temporalmente. Intanto l'Abisso, come se si fosse accorto in ritardo che qualcuno gli aveva sbattuto contro a mo' di martello la testa di un tizio, iniziò a brontolare, facendo eruttare il terreno e tirando verso un baratro senza possibilità di fuga il gruppo di giganti.
Giuly atterrò accanto all'amico, preoccupata. L'ala ferita non le permetteva di volare per molto tempo, ma almeno qualcosa riusciva a fare.
"Che ci fai qui? Dovresti essere dall'altra parte del..." mugghiò Murmure, sollevandosi a fatica con l'aiuto di lei.
Giuly non rispose, si limitò ad afferrarlo saldamente e a prendere lentamente quota, riuscendo a librarsi oltre la cima delle siepi in tempo per non essere inghiottiti dall'abisso.
"Che stai facendo?" esclamò Murano, adirato "Lasciami giù, ti rallenterò e basta!"
"Puoi anche scordartelo." fu la lapidaria quanto affaticata risposta della ragazza.
"Tu sei più importante di me, devi sopravvivere e..." protestò ancora l'uomo.
Giuly gli lanciò un'occhiata esasperata e furiosa. Balzò su una siepe e poi da lì planò a terra, poggiando a sedere l'accompagnatore.
"Non ti azzardare mai più!" gridò, tirandogli uno schiaffo.
Lui fece per rispondere, ma quando la vide in lacrime, abbassò lo sguardo. I due rimasero fermi per un paio di minuti, silenziosamente, senza nemmeno il coraggio di guardarsi in viso.
"Come hai perduto il braccio?" domandò stringendosi tra le braccia lei.
Lui la guardò perplesso. "Ti sembra il momento di parlare di queste cose?"
"Lo so, è solo che... Murmure, ho paura. Siamo in trappola, lo so che lo sai."
Murmure la fissò. Poi si arrese e sospirò. In effetti, quelli erano forse i loro ultimi momenti, perché sprecarli a deprimersi.
"Accadde... Accadde tanto tempo fa. Quando c'era il capo, quando... quando erano tempi più felici. Eravamo andati in missione io e un altro paio di miei compagni, sai, noi... dovevamo fermare un Ens. Avevamo ricevuto il supporto di Nero, lui ci avrebbe aiutati a sconfiggerlo, ovviamente. Ci scontrammo contro l'Ens, Agonia, il Dolore. Fu terribile. Alla fine, grazie a Nero, il mostro si inginocchiò e stipulò un patto con cui si impegnava a cessare le sue attività al di fuori del Mondo di Mai. Tuttavia... Per onorare l'accordo, uno di noi doveva cedere il suo braccio. Permanentemente. La scelta di Agonia per la sua vittima sacrificale ricadde sul secondo più giovane della nostra squadra. Un mio caro amico. Chiesi la grazia per lui, che aveva solo tredici anni, dei del cielo, tredici anni. Agonia acconsentì, ma quando mi prese il braccio mi fissò e mi diede dello stolto, strappando l'arto anche al ragazzo. Non mi sono mai perdonato quel fallimento."
Giuly trasalì, portandosi una mano sulla bocca, sconcertata.
"Mi... mi dispiace tanto, io..."
"No, tranquilla." disse Murmure, tacitandola. Lui intanto si era accasciato contro la siepe, chiudendo gli occhi per riposare.
Il silenzio piombò sul duo.
Giuly era ora troppo in imbarazzo per poter dire alcunché e Murmure, dal canto suo, sentiva di aver detto fin troppo.
Alla fine il silenzio fu rotto dalla voce roca di quest'ultimo, che si mise a canticchiare.
"Dammi tre parole..." ma si fermò subito, pensieroso.
"Dammi tre parole..." ripeté.
Giuly lo guardò incuriosita e gli si sedette accanto.
"Sole, cuore, amore!" cantò con voce melodiosa.
Lui sorrise. "Ah, no, non intendevo quella, intendevo... Ah, lascia perdere. Solo un ricordo di un povero vecchio nostalgico. Nulla di che."
"Ora però mi hai incuriosita." lo incoraggiò lei.
Lui inspirò. "Una volta, io e alcuni miei amici, eravamo andati a festeggiare il diciottesimo del ragazzo di cui... di cui ti parlavo poco fa. E niente, ci siamo ubriacati senza ritegno e, eheh... in effetti sono successe, EHM, due o tre cosette imbarazzanti, a quella festa. Gran festa, gran festa davvero. Comunque, fatto sta che eravamo ubriachi fradici, come si suol dire, e dovevamo tornare a casa. Lungo la strada ci siamo messi a canticchiare, solo che storpiavamo i testi in maniera terrificante. E niente, è venuto fuori dammi tre parole. E poi andava avanti con un loda sempre il sole. A caso, eh, totalmente a caso."
"Ma sono quattro."
"No, perché il e sole vanno unite, secondo la logica sbronza." rettificò Murmure, chiudendosi poi in un silenzio tombale, interrotto dai rombanti passi dei ciclopi che ancora li braccavano.
Giuly alzò lo sguardo al cielo. Murmure la notò e rimuginò un attimo, alzandosi di scatto facendola sobbalzare.
"Ora basta. Ho deciso." sbottò l'OthEry.
"Cosa?" chiese lei basita.
"Ti porterò via da questo postaccio. Omino di mai o non Omino di mai." disse, facendola alzare sbrigativamente e prendendo a camminare.
"C-che stai dicendo? Se andiamo là fuori ci faranno fuori."
"Oh, no, perché se ci provano... beh, non ci provano. Fidati di me." replicò seccamente l'uomo tagliando corto. Procedettero tra le siepi e quando incapparono in una grande Rovina che li fissò, emise un verso stupito e poi li caricò, Murmure non fece altro che ringhiare.
"Che intenzioni hai?! Scappa, scappa!" gridò Giuly, ma lui non le diede retta, andando avanti con aria arrabbiata, strappandosi di dosso mantello e camicia, rimanendo a torso nudo. Giuly restò basita di fronte al fisico incredibilmente possente, muscoloso, marchiato da cicatrici. In corrispondenza della spalla destra, quella a cui mancava il braccio, era incastrato nella pelle un globo luminoso blu scuro in cui sembrava guizzare elettricità, piccole saette biancastre che strepitavano sotto il vetro sottile. Il globo era incastonato in placche metalliche fuse con l'organismo sottostante e da cui si dipanava la ragnatela di cavi che costituiva il crono-scheletro. Sullo sterno era invece appeso con cinghie di cuoio un dispositivo romboidale non più grande di una foglia di vite, collegato con alcuni fili alla sfera.
"Prestami la tua forza, AGONIA!" impose l'OthEry, e un flusso elettrico blu scaturì dalla spalla menomata, condensandosi in un braccio di pura energia intorno al quale si materializzò uno strano alone violaceo.
Murmure caricò il nuovo arto e, con uno sforzo sovrumano, come se muoverlo richiedesse tutta la sua forza, colpì l'aria davanti a sé. In una frazione di tempo così minuscola da essere praticamente nulla, di fronte al pugno chiuso si formò un cilindro d'aria, lungo fin dove la vista poteva arrivare, in cui ogni cosa era stata cancellata letteralmente. La Rovina, proprio sulla traiettoria dell'attacco del piccolo uomo. si ritrovò con un foro largo tre metri proprio in mezzo al grosso addome. Gorgogliò, barcollando, finché il potere del Dolore fece sgretolare il resto del suo organismo in polvere.
Murmure lasciò cadere pesantemente il braccio lungo il fianco. Aveva la fronte imperlata di sudore e gli occhi erano così iniettati di sangue che davvero poco mancava a farli piangere lacrime bordeaux.
Giuly gli si avvicinò a piccoli passi, quasi temendo di poter essere colpita a sua volta e fare la fine della Rovina.
"Cosa..."
"Giulyu, tu... Devi andare... Devi and..." ansimò Murano, barcollando. La ragazza lo sorresse giusto in tempo per non farlo crollare. Sentiva le sue membra tremare, lo percepiva freddo e, da vicino, aveva un aspetto ancora più spaventoso. Le vene erano in risalto, il petto si alzava irregolarmente, la mano sana era livida, come per eccesso di sangue, come quando si compie uno sforzo e i vasi si dilatano troppo.
"Murmure. Murmure! Cosa ti succede? Perché sei così..." fece per dire lei, agitatissima, quando un folto gruppo di ciclopi gli si parò di fronte.
"Non c'è... tempo..." ringhiò lui, scansandola. "Giulyu... Scappa... Vai da quella parte... là c'è... c'è l'uscita... Va!"
"Mur..."
"VAI!" gridò infine lui, per poi alzare il braccio elettrico. Un poderoso fulmine scaturì dal cielo oscuro dell'Abisso e lo colpì, caricandolo, fulminando l'OthEry, dandogli potere e togliendogli la vita lentamente, come una droga che corrompe.
La ragazza, spaventata, lo fissò per un istante, ma poi si voltò e, con le lacrime agli occhi corse via, seguendo l'indicazione di Murmure.
Rimasto solo con le Rovine, l'uomo abbassò il braccio. Sentiva il potere dell'Ens scorrergli nel corpo, distruggerlo senza dargli la possibilità di riprendersi. Sentiva la morte lambirlo, ma non gli importava. Sapeva a cosa andava incontro evocando il Patto.
Il Patto, che solo pochissimi Every potevano usare e che solo l'originale era in grado di controllare senza ripercussioni, conferiva momentaneamente a chi lo aveva stipulato il cento per cento dei poteri di un Ens a scelta. Tuttavia, a parte l'originale, nessun'altro poteva sopravvivere. Un potere così grande era addirittura inconcepibile. Letteralmente inconcepibile, così grande che solo pensarlo era impossibile. Ottenerlo deturpava l'essenza stessa, la distruggeva, la faceva a pezzi, cancellando il povero malcapitato dall'esistenza senza possibilità di ritorno.
Il potere più grande toglieva tutto.
E Murmure lo sapeva bene. Ma con quel potere, le Rovine, anche le più potenti, chiunque... chiunque non era nulla per lui. L'onniscienza gli aveva permesso di vedere la via di fuga. L'onnipotenza gli aveva permesso di creare una strada sicura per Giuly.
Ma nonostante tutto, solo una cosa non poteva fare. Sopravvivere.
Lo sapeva bene.
Colpì con il pugno e le Rovine, le siepi, tutto tremò, vacillò e poi scomparve nel nulla. L'Abisso sibilò, studiandolo, mentre lui ansimava e sentiva già gli effetti di quella sua follia. Cadde in ginocchio. Il braccio blu svanì e il potere di Agonia lo abbandonò, privandolo dell'unica cosa che lo teneva ancora in vita.
Sorrise.
Almeno Giuly era salva.
"Ne sei certo?" gli sussurrò all'orecchio la voce melliflua e bellissima del Signor Nero.
Trasalì, ma non fece in tempo a voltarsi che vide la punta del bastone del demone perforargli la gabbia toracica, distruggendo il crono-scheletro.
"C-che cosa hai fatto?" chiese stentatamente l'OthEry.
Nero rise debolmente, mentre le Rovine li accerchiavano.
"La ragazza è fuggita, signore." mugghiò uno dei colossi.
Murmure sgranò gli occhi.
"Li hai..." borbottò, ma Nero dimenò il bastone, fracassandogli qualche vertebra. Il dolore lo zittì e lo costrinse a chiudere gli occhi da cui iniziava davvero a gocciolare sangue. Ora gli era chiaro.
Le Rovine. L'Abisso. Era tutto un piano di Nero. Lui non si interessava minimamente di salvare la ragazza. Sapeva bene che non sarebbe morta né più e né meno. Lui voleva la SUA vita, non quella della giovane angelo!
"Addio, Murmure. Vorrei poterti dire che è stato bello..." sussurrò Nero, tirando verso l'alto il bastone che aprì in due il corpo dell'uomo.
 
Intanto Giuly era giunta al portale. Si guardò intorno.
Nero le apparve di fronte.
"Dov'è Murmure?" chiese lei innocentemente.
"Non temere. Ho cacciato Blaso e Rovine. Lui resterà qui, ora, con me. Al sicuro." rispose l'alto figuro con gentilezza. "Prego, vai. Oltre il portale troverai i tuoi amici."
La ragazza lo guardò, sollevata. Non sapeva perché, ma qualcosa le diceva di fidarsi di quell'individuo. Attraversò il portale sotto gli occhi gelidi della Paura, abbandonando l'Abisso.

Il treno fischiò. Una nuova passeggera era salita a bordo...
 
Angolo di ME:


Piccola nota tecnica. Quando si parla del 100% del potere di un Ens, no. Non è il massimo. Si tratta del cento per cento del dieci per cento dell'un per cento del potere di un Ens. E no, non equivale all'onnipotenza totale, nel senso, può fare tutto, tranne superare un Ens oppure sopravvivere o roba simile. Onnipotenza intesa in senso più ridotto, diciamo. Prendetela per buona. MA LO AVEVO GIÀ SPIEGATO!
Comunque. Piccola notizia di routine. Ho iniziato a scrivere il combattimento finale prima di quello con Blaso. E, cavolo, ci stavo riflettendo, ma... la battaglia che sto scrivendo mi prende non meno di tre capitoli. Blaso necessiterà di cinque capitoli (spero non di più), senza contare il capitolo finale. E poi ci sarà un'altra cosa che richiederà due o tre capitoli... Cioè... io rischio di fare cinquanta capitoli con questa fanfiction. Non so voi, ma... Che diamine... Prometto maggior concisione, in futuro ^^'
Pace :D
Ev. 

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