Eternal

di Hikari_Henko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tutor ***
Capitolo 2: *** Color ***
Capitolo 3: *** Soledad ***
Capitolo 4: *** Vattene ***
Capitolo 5: *** Celos ***
Capitolo 6: *** Calor ***
Capitolo 7: *** Trasladarse ***
Capitolo 8: *** Besàme ***
Capitolo 9: *** Idiota ***
Capitolo 10: *** Beso ***



Capitolo 1
*** Il tutor ***


-Lovino, mira!- disse lo spagnolo alzando gli occhi smeraldo al cielo notturno. Gli si rifletteva la galassia su quelle pupille nere, pece. Il suo volto candido veniva accarezzato dall’aria, che giungeva dalle alture.
-Cosa vuoi che me ne freghi, bastardo?- disse, come era suo solito rispondere in tono acido. Però Lovino non era affatto un cattivo ragazzo, e Antonio lo sapeva molto bene.
Erano nel loro piccolo orto dietro la scuola. Il loro orto. Dove tempo prima la loro storia ebbe inizio.
  • -
Una quindicina di studenti del secondo anno, selezionati dai professori per alcune lacune scolastiche, vennero radunati in un’aula. Tra essi si trovava uno studente, di origini italiane, caratterizzato da un ricciolo bizzarro.
Poco dopo che tutti arrivarono, entrarono altri studenti, questa volta del quarto o quinto anno. Uno di loro prese la parola e descrisse i motivi per i quali erano stati tutti radunati lì. Era un bel giovane, abbronzato, coi capelli di un profondo castano scuro. Due occhi verdi che risaltavano da Dio tra le ciocche, intrecciavano gli sguardi di chiunque.
-…quindi questi ragazzi avranno il compito di farvi da tutor, ovvero nel seguirvi negli studi al fine di migliorare il vostro andamento scolastico. Ora chiamerò il nome dello studente e il tutor al quale è stato assegnato e dopo ciò tornerete alle comuni lezioni. Quindi, Oscar Queen con …- e proseguì in questo modo, sino al termine di ogni studente, tranne uno. E chissà chi era.
L’italiano lo guardava storto. Non gli andava proprio.
-Quindi a me rimani tu, Lovino Vargas?- si avvicinò a lui col suo fare sorridente, come suo solito.
-Bene, vedo che sai leggere!- rispose lui con una piccola smofia. Fece per alzarsi e allontanarsi, ma il ragazzo lo fermò.
-Il primo incontro è oggi pomeriggio, nell’orto.- disse in fretta e furia, per poi salutarlo con un cenno del capo e allontanarsi di corsa.
-…ma è coglione? EHY COME- ma era troppo tardi, l’altro si era già allontanato. –Bah, manco il nome mi dice… che efficienza… e uno così dovrebbe aiutarmi?
Sbuffò per un po’ lungo la strada del ritorno in aula. Appena entrò nessuno lo salutò, nessuno lo guardò o gli parlò. Era solo.
Concluse le lezioni, come gli era stato chiesto, si recò nell’orto, dove non aveva mai osato avventurarsi. Finita scuola solitamente tornava subito a casa.
Giunse in quel luogo, molto grande. Però non vedeva il tipo abbronzato.
-Ma che bastardo… torno indietro va…- nemmeno a finire la frase che l’iberico spuntò fuori da alcuni cespugli.
-Oh, bueno! Sono contento che tu sia venuto, Vargas.
-Chiamami per nome,… se mi chiami Vargas mi sento mio nonno.
Antonio fece una risatina, per poi guidare l’italiano nel centro dell’orto dove aveva disteso un grande telo dove potevano poggiarsi per studiare.
-Ah a proposito… il mio nome è Antonio, Antonio Fernandez Carriedo.
-Ma tipo nome più semplice no eh? Quanto tempo sono rimasti all’anagrafe i tuoi?
-Sei simpatico lo sai?
Lovino aveva degli occhi bellissimi per Antonio. Non erano marroni, ma neppure verdi, come se avessero formato un unico colore e che fosse racchiuso in due piccole sfere.
-Quindi la tua materia calante è lo spagnolo… strano, sei italiano, e lo spagnolo ha praticamente le stesse origini… ma non importa, siamo qui per imparare.
Lovino lo fissava, ma non ascoltava quel che diceva “Tutte stronzate” si ripeteva “Quando finisce sto coglione”
-…e quindi per casa dovrai scrivermi un testo, su quello che vuoi…
-Cos- aspetta, ho perso il filo…su cosa dovrei scriverlo? Dammi un input almeno!
-Mh parla della scuola, di quello che ti piace fare…
-Ma io non so come farlo in spagnolo…
-E chi ti ha detto di farlo in spagnolo? Portamelo per domani in una lingua che tu sappia decifrare e andrà benissimo. Puoi andare, per oggi è finita.
“Solo?” si domandava. Prese le sue cose, fece un cenno di capo e si avviò: - Ma… rimani qui?
-Questa è casa mia!- rispose con un luminoso sorriso.
-Ah, sei proprio un barbone, come avevo immaginato- e se ne andò, lasciandosi lo spagnolo dietro.
Per la via del ritorno, penava un po’ a quel ragazzo bizzarro. A quei suoi occhi, alle sue labbra carnose e ai suoi capelli riccioluti. Arrivato a casa, corse in camera sua e non uscì fino al mattino successivo. Aveva paura.

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Capitolo 2
*** Color ***


Durante la notte Lovino allungò la mano verso il proprio zaino, prendendo un foglio bianco qualsiasi e una penna, iniziando a scrivere sulla scuola. Sovrappensiero, come se ci avesse preso gusto.
Il giorno dopo si ripresentò sempre nel solito posto. I vari aromi sprigionavano intensi profumi. L’aria era diversa all’interno dell’orto rispetto al mondo esterno. Era più fresca e decisamente più piacevole rispetto al solito autunno umidiccio. “Come cazzo è possibile comunque? Fa il mago da strapazzo?” Lovi non sapeva spiegarsi più nulla di quel ragazzo.
Antonio, come suo solito, sbucò dal nulla con il suo solito sorriso da ebete, per detto di Lovino.
- Buenos dìas
- Ma che caz- smettila di apparire SEMPRE A CASO!- sbottò l’italiano. –Comunque… ho il foglio, se ti interessa…
- Claro!
Si sederono sullo stesso telo del giorno prima, uno di fronte all’altro. Mentre l’iberico leggeva concentrato, Lovino ebbe quel poco di tempo per osservare meglio l’ambiente. L’orto sembrava essere diviso in quattro parti, ognuna per la stagione corrispondente. Le viti erano straboccanti d’uva, leggermente bagnate per una probabile annaffiata mattutina. C’erano alcune zucche, sparse. Il terriccio smosso. Le mani del ragazzo con accenni di terra umida. I suoi capelli scompigliati dal cappellino di paglia che si portava dietro. I suoi occhi così-
“Aspetta” pensò il giovane “Stavo guardando l’orto… come minchia sono arrivato ad osservare questo qui?”
Antonio aveva concluso la sua lettura e con una penna stava segnando qualcosa sul foglio.
“Che cazzo fa questo…”
-Allora Lovino…- disse allungandogli il foglio per riconsegnarglielo- il tuo compito è tradurre solo i sostativi presenti nel tuo testo e coniugare i verbi essere ed avere all’indicativo per i tre tempi. Se vuoi puoi andare, invece se pensi che il mio aiuto potrebbe esserti utile rimani pure qui. Sono cose che lo scorso anno avrai già studiato ma io vorrei comunque verificare.
“Per carità divina, figurati se rimango qui” avrebbe voluto rispondergli. Però se ne stette in silenzio, seduto dov’era. Prese solo la sua solita penna ed incominciò a scrivere. La maggior parte delle parole la sapeva, altrimenti, col suo solito fare timido, allungava un’occhiata ad Antonio e gli chiedeva come poteva tradurlo. La sua pronuncia era così soave, piacevole. Si adattava all’atmosfera.
-Hey…Come dovrei tradurre binocolo?
-Gemelos
Ogni parola, anche se semplice, era una poesia se pronunciata dall’iberico. E nonostante tutto nemmeno la pronuncia di Lovino era pessima, ma mancava l’enfasi che dava quel tocco di pura arte.
- kaβàʎo…? (caballo= cavallo)
- kaβáʎo , Lovino!- anche Antonio ci prendeva gusto. Ormai tanti gli parlavano in spagnolo o almeno ci provavano.  Tuttavia con questo ragazzo era tutto diverso. Sarà stata l’atmosfera giusta per scherzare, oppure il fatto che si conoscevano appena e volevano scoprirsi sempre un pochino di più. Fatto sta che a tardo pomeriggio Lovino era ancora con lui. Quando guardò l’ora rimase leggermente sconvolto, nonostante non fosse chissà che ora.
- Merda! Antonio, devo andare… - buttava tutto nello zaino frettolosamente. Antonio si avvicinò a lui un po’ confuso, ma allegro.
- Domani qui alla stessa ora…- gli tese un pomodoro-…tomate.
Aveva uno sguardo dolce, così rassicurante. Lovino si avvolse a quell’espressione, prendendo il dono e iniziando a correre verso l’uscita, urlandogli :
-HAI UNA FACCIA DA PEDOFILO!
Tonio lo fissò incredulo, scoppiando poi a ridere, salutando la sua figura ormai lontana per poi tornare ai suoi ortaggi.
-.-.-.-
Lovino era sotto casa. Col fiatone.
Ansia. Che a poco a poco diventava quasi terrore.
Aprì la porta, sperando di non trovare nessuno. Gli capitò di fronte suo zio.
Un uomo, o meglio, un omone. Odorava di sigaretta e di alchool.
Il ragazzo fece per correre in camera sua. Invano.
-Dove sei stato, depravato?
L’incubo aveva nuovamente inizio.
Cercava di raggomitolarsi a terra. Sperando in una via di fuga.
Due… tre… cinque… dieci frustate. Quasi non sentiva più nulla.
I calci, le strattonate per i capelli. I pugni. Gli insulti.
Con quel poco che aveva in corpo lo urtò contro il muro, fuggendo poi in camera sua.
Chiuso a chiave per tutta la notte.
Sotto le sue coperte. Abbagliato dai primi raggi notturni.
Pianse, nel suo silenzio più totale. Come era solito a fare.
In tutto quel blu, o nero, che lo avvolse, solo il dono del suo tutor risaltava.
Quel pomodoro, forse l’unico. Forse quello curato con maggiore premura. Se lo mise accanto a se, mentre dormiva, per ricordarsi che alcuni colori possono ricordarti la luce del sole.

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Capitolo 3
*** Soledad ***


La mattina seguente l’italiano uscì dalla finestra, per evitare altri incontri sgradevoli alle prime luci del giorno. Si scorgeva a chiazze la rugiada che aveva rinfrescato il terreno. Al contatto gli ricordava le piante dell’orto irrigate da quel bizzarro ragazzo. Quei riccioli scuri che ondeggiavano sul suo volto. Gli occhi, con l’iride d’un verde purissimo.
Lovino si era incapucciato per bene, non voleva farsi notare con tutti quei lividi. La gente avrebbe avuto un motivo in più per infastidirlo. Con lo zaino sotto braccio prese la via per raggiungere la scuola. Il sole incominciava a coprire ogni superficie con la sua luce. Piano piano la vita aveva inizio.
-.-.-.-
Antonio attese nel solito orto l’arrivo del ragazzo, con il quale il giorno prima si era divertito un mondo. Attese, trepidante. Con il suo solito faccino allegro. Il tempo passava. Di lui nessuna traccia. Venne pure buio. Di Lovino non ci fu traccia.
Lo spagnolo col cuore pesante, ripose il telo nello sgabuzzino dietro le piante di mele e si avviò. All’uscita trovò i suoi due compari di avventure, Gilbert e Francis, che parlavano delle solite riviste poco caste e ricche di immagini ancora meno caste.
-Yo Tonio- Gilbert gli fece un cenno appena lo vide- guarda qui cosa abbiamo!- disse, praticamente spiaccicandogli in viso l’immagine di una donna molto sinuosa e coperta a malapena. Antonio non diede grande risalto alla cosa, il che scompose i due amici.
-Che ti prende? – chiese Francis preoccupato- Non è che… ti interessa qualcuno?
Gilbert ad occhi aperti, scoppiò in una fragrante risata. L’iberico semplicemente sbarrò gli occhi, ma non parlò, per poi assumere un colorito rossastro.
-Ma quindi… è vero?
Antonio non rispose, distolse lo sguardo con la faccia coperta d’imbarazzo:- Mi interessa qualcuno… MA NON PER COSE DI QUESTO GENERE, CHIARO?
-Vedi te questo! Dove è finita la tua fame per i bei corp-
-NO NO NO NON INIZIARE!
Fatto sta che quella sera un vano tentativo di distrarre Toni dal solitario pomeriggio fu un’ubriacata di gruppo a casa di Francis, con ovviamente l’aggiunta di belle donne. Solo che lo spagnolo le rifiutò tutte e, mezzo intontito dai bicchieri di vino bevuti, tornò a casa barcollando, con un unico pensiero fisso: l’italiano.
Arrivato nell’abitazione, aprì la porta. Non c’era nessuno. Come al solito. Era solo.
-.-.-.-.-
Lovino, appena concluse le lezioni, non pensò minimamente di presentarsi da Antonio in quelle condizioni. Quel ragazzo sarebbe sicuramente stato un bel problema. Con tutte le domande che fa, lo avrebbe messo a disagio. E poi come avrebbe potuto sapere che se ne era andato via di sua spontanea iniziativa? Nessun testimone, nessuno badava a Lovino.
Era solo.
Due solitudini differenti. Con molte diversità. Percepite pure in un modo diferente.
Dove però entrambe erano macchiate dello stesso grigiore, bianco ormai. Il colore della solitudine. Il colore che annebbia la loro vista, la loro mente, i loro cuori, che si muterà poi in un rosso acceso, caloroso, che risveglierà i loro animi, intrecciandoli in un destino passionale.

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Capitolo 4
*** Vattene ***


Il giorno successivo Antonio si svegliò ancora intontito. Risentiva ancora della festicciola dei suoi compari. Doveva però andare a scuola. Non solo per la solita giornata di studio, ma per andare a cercare informazioni sull’italiano a cui deve fare da tutor.
Corse per i lunghi viali, sbarrando la strada a biciclette, automobili e autobus. Era in un fragrante ritardo. Riuscì tuttavia ad arrivare giusto in tempo per l’appello in aula, salvandosi quel bel sedere che si ritrova.
.-.-.-.-.-
Pure Lovino era in aula, silenzioso come sempre, col suo fare apatico negli ultimi banchi. Pensava  a cosa fare. Antonio avrebbe notato di certo che non si sarebbe presentato da lui per un bel po’… e non voleva ritrovarselo tra i piedi. Fatto sta che durante l’ora di arte si era ritrovato a disegnare sul proprio foglio un volto, con la testa ricca di ricciolini scuri, il viso morbido e due occhi color edera.
“Ma che caz- NONONONO PERCHE’?!” pensò tra sé e sé su ciò che aveva realizzato. Una copia sputata dello spagnolo. Accartocciò il foglio e lo nascose nel suo zaino. “Vaffanculo, idiota, stronzo,…” e vari altri insulti.
Proprio nel momento in cui sembrava essere nuovamente tranquillo, ecco che il suo viso si sbiancò. Sentendo una voce.
-Cerco Vargas, Lovino Vargas.- era Antonio.
“Perché cazzo sei qui? Perché mi cerchi? Cosa vuoi da me? Vuoi prendermi per il culo pure tu? E’ questo che vuoi, brutto idiota?”
-C-certamente… Vargas, vieni qui, questo ragazzo desidera parlarti.- fu la risposta della professoressa.
Il povero ragazzino era sotto lo sguardo di tutti.
“Ma hai visto che bel ragazzo?”
“Ma cosa vuole da Vargas?”
“Come può uno come Vargas conoscere un ragazzo così?”
“Per me non si conoscono”
“Sicuramente Vargas avrà combinato qualche rissa e ora gliene dice quattro”
“Sarebbe anche ora”
E tutti questi brevi commentini  non sfuggirono alle orecchie di Antonio. Rimase incredulo. Quasi ad occhi sbarrati. Lovino si avvicinò piano, sempre col cappuccio che gli copriva il viso da tutte quelle botte che si era preso due giorni prima.
Ogni passo sembrava interminabile. Sempre più pesante. Fino a quando lo raggiunse e uscirono dall’aula, rimanendo nella solitudine dei corridoi.
L’aria era ancora fredda, nonostante le finestre fossero chiuse. Qualche aula era chiassosa, qualche altra deserta.
Lovino era immobile davanti alla alta e fiera figura di Antonio. Con il viso sempre rivolto a terra, le labbra secche, gli occhi tremanti.
“Non guardarmi, stupido, vai via!”
Stettero per un po’ in silenzio, come se aspettassero che qualcuno dei due parlasse.
-Allora… perché non sei venuto ieri?
-Ero impegnato.
-Potevi avvisarmi. Ti ho aspettato tutto il pomeriggio.
-Cavoli tuoi.
“Vai via cazzo. Non darmi retta.”
-Se salti i corsi ne risenti… non tanto per me, ma per la tua media, perché con le tue presenze ti aggiungono almeno qualche credito in più.
-Me ne frego altamente.
“Antonio vai via, per favore…”
-Oggi vieni hai capito? E se devi andartene prima serve una giustificazione da parte dei tuoi…
-Non mi ni fotti nenti… (non me ne frega niente)
“Dai cazzo! Vattene!”
-E togliti quel cappuccio e guardami negli occhi!
Antonio glielo afferrò, anche se Lovino resistette, ma alla fine l’iberico si ritrovò di fronte un viso fracassato, più viola o nero che altro. Per di più, ora era anche imbrattato di calde lacrime salate.
-Vaffanculo!- gli urlò leggermente, mentre provava a scansarlo, anche se lo spagnolo lo teneva saldo al braccio- Lasciami! Brutto stronzo! Ti ho detto di lasciarmi! Va’ via!
-C-cosa ti è successo?!- era traumatizzato. Chi mai gli avrebbe potuto fare una cosa simile?
-Fottiti! Non sono affari tuoi! Ti ho detto di andartene! Porco- e continuò, sempre con l’altro che lo teneva a sé, mentre le sue lacrime aumentavano ad ogni parola che pronunciava.
Si sentiva ancora più solo. Il suo mondo crollato. Ora avrebbe perso anche Antonio. Anche lui, come tutti gli altri. E per cosa? Per una gran cazzata.
Iniziò a tirare pugni al ragazzo che lo bloccava, ma non troppo forti. Si stava solo sfogando a gesti.
Dopo poco smise di colpirlo. I singhiozzi continuarono. Ma la sua testa si poggiò sul caldo petto dello spagnolo.
“Vaffanculo…non andartene… non lasciarmi solo… non pure tu”
Sapeva che ormai l’aveva fatta. Si aspettava il solito deja-vù, dove gli altri rimanevano schifati dal suo comportamento e si allontanavano.
 
Non fu così.
Antonio lo abbracciò, ormai mezzo rotto pure lui, accarezzandogli i capelli tremanti, provando a dire l’unica cosa che gli veniva in mente per quel momento molto delicato .
-Non ti lascio qui da solo, tranquillo…
Ci fu silenzio poi. I due rimasero così per un po’.
Si sentiva il frastuono delle foglie che ondeggiavano sull’aria, come ballerine su un palco. Le leggere gocce di pioggia che scorrevano nelle grondaie. Le lezioni delle altre classi. Gli uccellini che intonavano ua melodia sempre differente.
Quando Lovino si riprese, alzò il viso e guardò Antonio.
-Ti aspetto nel solito posto dopo, allora- disse sorridendogli.
Il ragazzino ebbe per un attimo un volto rosso scarlatto.
-…bellissimo
-Eh?
“Oh merd-“
-CIOE’ BENISSIMO. SI. VAFFANCULO. CIAO.- e aprì la porta, entrando in aula.
La riaprì dopo un secondo.
-…e grazie. Credo.
Poi lasciò lo spagnolo definitivamente solo, col petto fradicio e mezzo distrutto.

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Capitolo 5
*** Celos ***


Al termine delle lezioni, Antonio fuggì, letteralmente, dall’aula.
Voleva assicurarsi che Lovino venisse. Quindi si appostò davanti all’uscita della scuola. Fissò attentamente ogni minimo studente abbastanza basso (già, il povero italiano non godeva di grande possenza) e con i capelli castani. Masse di ragazzi e ragazze si riversarono sulle porte.
Poi, scorse un ricciolo. Uno molto familiare.
-LOOOVIIIN- fece per urlargli lo spagnolo, ma si ritrovò già a terra per un pugno micidiale del ragazzo, colto dall’improvviso imbarazzo. Non aveva di certo scordato cosa gli aveva fatto nel corridoio.
Quel “Non ti lascio qui da solo” continuava a rimbombargli in testa.
-TI AVEVO DETTO CHE SAREI ARRIVATO CRETINO!
-Auch… come sei scontroso… sarai piccolino ma di forza ne hai cavolo…
L’italiano quasi gli tirava un altro pugno, ma si trattenne. Aiutò il bastardo ad alzarsi.
Andarono verso il loro luogo magico. L’orto sembrava sempre più rigoglioso ogni volta che si entrava. Con i soliti profumi dolci e freschi.
Erano soli. Le due solitudini unite.
Il caso vuole che Lovino, disattento, recandosi al telo, poggi il proprio piede vicino ad un ramo a terra che gli faccia perdere l’equilibrio. E, OVVIAMENTE, CHISSA’ CHI E’ LA PERSONA SU CUI CADE ADDOSSO SPUDORATAMENTE.
Dopo il tonfo, Antonio, leggermente di stucco, spalancò gli occhi e vide il proprio corpo a terra con quello di Lovino sopra.
-Ehm… tutto bene?
-… BRUTTO BASTARDO!
-MA COSA?! CHE HO FATTO?!
Poi ovviamente CHI POTEVA ARRIVARE IN UN MOMENTO COSI’ bello  IMBARAZZANTE?
-Tonio! Guarda che quando sei scappato dall’aula hai scordato la sac- ma Francis fu interrotto. Di fronte a quella scena, a cosa avrebbe potuto pesare?
-Kesesesese cosa ti prende Fra- oh… PHUAHAHAH
-N-NON E’ COME SEMBRA!
Il trio aveva incominciato a urlare cose incomprensibili, con Francis che fangirlava, Gilbert che faceva fotografie che avrebbe spammato in massa e Antonio che blaterava scuse.
Lovino non ci stava capendo più nulla. Cercò di mantenere la calma. Si alzò, lasciando Tonio steso a terra, recandosi al telo, tirando fuori dallo zaino i suoi libri.
I due appena arrivati si avvicinarono allo spagnolo.
-E’ lui?
-Chi scusa? Non vi ho mai parlato del mio studente
-Ma sì! Quello per cui hai perso la testa…
-I-Io non ho perso la testa per nessuno… gli faccio solo da tutor per lo studio.
-Sì sì e spiegaci come mai era sopra di te…
-E’ inciampato in un ramo…
-E spiegalo anche al tuo gioiellino là sotto…
Antonio leggermente traumatizzato da quelle parole guardò in bassò e realizzò la cosa.
-Fottetevi. Tutti e due.
Prese la sacca, andando poi verso il giovane. Inaspettatamente i due lo seguirono, sedendosi a cerchio con Lovino e Antonio ai poli opposti l’uno all’altro.
-Non dovreste andare? Che ne so… dai vostri pupilli?
Gilbert sogghignò:- La lancia padelle umana sta aiutando il damerino effemminato nell’aula di musica…
E Francis:- Il fissato del the fa ripetizioni come te… très bien…
Antonio sbuffò. Non notava la disapprovazione di Lovino. Anzi, era lì che coniugava verbi su verbi.
Gilbert lo stava fissando:- Come ti chiami, giovane allievo del grande maestro Tonio?
-V-Vargas… Lovino Vargas…
-Cosa è questa massa latina! Ad ogni angolo spuntano solo latini, latini su latini…
Lovino si girò a malapena a guardarlo, non lo attraeva come Antonio.
-Ma… cosa hai in faccia?
-Cos- CAZZO, NON TOCCARMI BASTARDO!
Troppo tardi, il cappuccio era stato sollevato e anche Gilbert e Francis avevano visto tutto. Lo spagnolo era preoccupato per la reazione.
Non andò male.
-Woho, guarda che roba!- esultò Gilbert contento.
-Ma che caz- Lovino non capiva. Stava per lanciargli contro un pugno.
-Sei un grande! Con così tante botte sei ancora in piedi?! Sei un macigno diamine! TONIO, GUARDA CHE ROBA!
Sembrava entusiasta e non si capiva il motivo. L’italiano era perplesso.
-Anche io ne prendo di pugni, kesesese! Cosa c’è di meglio di una bella rissa ogni tanto?                                     
Lovino oltre che essere leggermente stupito, per qualche ragione, si sentiva sollevato. Gilbert si complimentava di lui. Non che Antonio non lo facesse, però quel ragazzo dai capelli albini lo aveva fatto sentire forte. Molto forte. Come se quelli non fossero lividi inutili, presi perché se li meritava, anche se non aveva colpe.
-Cosa… cosa intendi?- ora il giovane era più attento, interessato. Lo guardava in un modo differente. Così acceso.  Antonio era preoccupato. E pure geloso.
-Voglio dire… sono queste cose che ti rendono un uomo! Uno forte! Guarda Francis, guarda come è ridotto! E’ perché non fa a botte!
-Non ascoltarlo ti porterà al delirio…
Lovino si appassionava ai loro discorsetti, si sentiva a proprio agio. Antonio perdeva la pazienza. Pensava di riuscire a tenerselo tutto per se per consolarlo EH! VOLEVI! Invece lo vedeva divertirsi con altri uomini.
-Ragazzi… stiamo studiando.- il suo tono di voce era cambiato. Pure l’italiano lo aveva notato. Non era la solita voce dolce e angelica che gli correggeva le pronunce o che lo sollecitava.
I suoi compagni compresero subito. Sollevarono le spalle sbuffando e allegramente salutarono i due lasciandoli alla lezione.
Lovino proprio non capiva. Che cavolo era preso allo spagnolo?  Non si parlarono per un po’ di minuti. Il ragazzo stendeva mano a mano l’inchiostro della penna sul foglio. Il vento muoveva le foglie e i sassolini. L’acqua zampillava sulle rotonde zucche.
-Senti- incominciò- cosa ti è preso?
Antonio lo fissò un attimo.
-Non è nulla…
-Cazzo, parla coglione, capisco benissimo quando qualcosa non va.
-No davvero…
-Parla.
-E va bene… tu, non dovresti avvicinarti così a loro.
-Cosa? E perché sentiamo.
Antonio prese un sospiro.
-Perché tu sei mio.
 
[Angolino annotazioni]
Scusate ma devo comparire un secondissimo! Intanto non spoilero nulla mhuahahaha e anzi siccome il mio livello di stronzaggine è alto vi comunico pure che per un po’ non so se sarò in grado di scrivere… Sarò ad una fiera i prossimi giorni e quindi non vi rivelerò questo punto cruciale MHUAHAHAHAH no ok spero che passiate un buon fine settimana, hasta luego :*
PS: ho notato che questo capitolo è più lungo… spero di mantenere questo ritmo e di intrattenervi di più
-Ringo 

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Capitolo 6
*** Calor ***


-Perché tu sei mio.
In quel momento l’aria divenne più limpida, ricolma di pensieri mistici e gradevoli. La mente di Lovino venne per un momento paralizzata. Era stato colto di sorpresa, parecchio di sorpresa. L’acqua della canna che scorreva limpida era l’unico suono udibile.
Esitò prima di parlare: -C-che cazzo stai dicendo?
Lo spagnolo ancora gli dava le spalle. Le pupille del giovane cercavano il suo sguardo, ma allo stesso tempo lo temevano.
Appena Antonio accennò a voltarsi, Lovino cercò di sbarazzarsi di tutte le sue insicurezze, assumendo un’espressione decisa.
-Sei il mio studente. Non il loro.
“Tutto qui?” pensò l’italiano.
“Io… non posso proprio essere altro… per nessuno?”
“Nemmeno per te, Antonio?”
“Antonio…”
“Mi odi anche tu vero?”
“Mi odiate tutti”
-E poi…
“Come?  Deve… dirmi altro?”
-… poi sei una persona speciale, per me.
Lovino sentì il proprio respiro farsi più veloce e carico, come le sue pulsazioni. Cosa diceva lo spagnolo, di punto in bianco? Lo avrebbe fatto esplodere di imbarazzo.
-Che cazzo dici, coglione?
“No, non ascoltarmi…”
-Lovi, sei parte della mia vita ormai… non posso ritenerti poco importante.
-Ma se ci siamo appena conosciuti cazzo!
“No, ti prego, fammi stare zitto!”
-Non mi importa, diamine.
-Beh non me ne sbatte, ciao.
“Dio, perché devo sempre rovinare tutto?”
Il ragazzino fece per andarsene. Lo spagnolo non obbiettò. Non si guardavano negli occhi.
Poco prima dell’uscita, Lovino si bloccò.
“Non voglio che finisca così, cazzo”
Antonio stava ancora in piedi, nello stesso punto. Tuttavia alzò lo sguardo quando sentì dei singhiozzi. Piccoli, flebili singhiozzi. Delle piccole spalle che tremavano. La voce soffocata di un povero ragazzo in trauma… un forte desiderio di consolazione.
-Sei un coglione… un dannato coglione…- sussurrava l’italiano.
Lo spagnolo si avvicinò piano piano a lui. Quando gli fu dietro, lo avvolse nelle sue calde braccia.
Lovino continuava a farfugliare insulti. Prima sull’amico, poi su sé stesso.
-Cazzo… sono un idiota… mi dispiace…- sussurrava.
Si staccò lentamente dalla presa di Antonio, per girarsi, far piombare il suo viso umido sul suo petto e continuare a scusarsi.
“Scusa, scusa”il tutore non sentiva altro. Per loro il mondo ora era solo un concetto astratto, l’immaginario. Avvinghiati, sotto il tepore del freddo sole, erano gli unici a esistere ora.
Solo in quei brevi momenti Antonio si accorgeva di quanto fosse freddo il corpo di Lovino. Era così stupendamente freddo. Sentendo le sue mani ormai legate alla schiena di lui, non osava muoverle. Percepiva pure le candide dita del ragazzo che cercavano calore.
Rimasero stretti così, per un’ infinità di tempo che non era ancora abbastanza. Osservavano il vuoto, solo quello c’era per mantenerli attaccati al suolo. Oppure avrebbero iniziato a fluttuare fra le nuvole, verso un luogo sperduto, dove il loro tempo sarebbe stato infinito.
Si staccarono. Per scelta loro. Si scambiarono degli sguardi veloci. Antonio avvicinò le sue mani al volto del giovane, ancora rossastro per il pianto, per distogliere le ultime lacrime.
-Ti detesto…- gli disse l’italiano. Prese le sue cose e se ne andò davvero. Lo spagnolo lo guardava sorridendo. Prese un pomodoro da una cesta, con l’intenzione di mangiarselo. Poi si ricordò.
-ASPETTA, VARGAS! HO QUI UNO DEI TUOI RISULT- ma ormai era troppo tardi, l’altro se l’era data a gambe. Poteva ancora raggiungerlo.
Lasciò tutte le sue cose lì dove stavano, mise il pomodoro in tasca, coprì tutto col telo e iniziò a correre.
Correre, correre, sempre più forte e veloce.
“Continua a correre”
Antonio iniziò a risentire quella voce, la stessa degli anni prima.
“Corri, corri”
E non perse tempo. Quella voce gli diceva sempre quando era giusto iniziare a muovere le gambe.
Finalmente vide il famoso ricciolo italico che si spostava qua e là, finchè voltò l’angolo e si diresse verso delle scale per il primo piano dell’edificio. Antonio stava per chiamarlo, quando vide che, appena aprì la porta, grosse mani afferrarono il ragazzo per il petto e lo risucchiarono all’interno dell’appartamento misterioso. Seguirono urla, imprecazioni e suoni confusi. Lo spagnolo si avvicinò silenzioso, salì le stesse scale e poggiò il suo orecchio alla porta, udendo la voce di un uomo che insultava il suo Lovinito.
Per poi solamente avvertire la forza con cui il ragazzo si era liberato e corso in un angolo remoto della casa.
Antonio scese le scale. Si posizionò nella parte posteriore dell’edificio. Iniziò a salire mano a mano, sperando di non essere sentito o visto. Arrivò ad una finestrella socchiusa, da dove provenivano versi strozzati.
Bussò.
-Lovi- sussurò lui. Sentì un balzo. Apparve il giovane, che lo fissò incredulo. C’erano le sbarre alle finestre.
Non dissero nulla, Antonio guardò un po’ dispiaciuto Lovino, per poi sorridergli, allungargli delle dita che vennero afferrate affettuosamente, per poi porgergli il pomodoro che ancora aveva in tasca.
-Tieni. Ci vediamo domani.
-A domani.
A malincuore, lo spagnolo si buttò per atterrare quatto quatto a terra, fuggendo verso a scuola. Iniziava a piovere.
L’italiano lo fissò mentre si allontanava, annusando costantemente il profumino del vegetale, ritoccandosi i polpastrelli riscaldati dal tocco di Antonio. Era una sensazione così piacevole.
Richiuse i balconi, si rintanò nella sua stanza, aspettando il giorno successivo. 

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Capitolo 7
*** Trasladarse ***


Antonio raggiunse l’istituto di corsa, sentendo le prime goccioline bagnarli i capelli. Aveva lasciato tutto lì e temeva che il vento avrebbe rovinato i libri, o peggio, le sue amate coltivazioni.
Fu così che si ritrovò davanti all’entrata principale, ma incrociò i suoi compari, accompagnati da un sopracciglione e un damerino, che tenevano sotto braccio le sue cose, al riparo sotto la tettoia. Non si fermò nemmeno a ringraziarli che si precipitò verso l’orto, ad aprire il suo grande telo e ricoprire i suoi amati bimbi. Anche se fradicio, si sentì sollevato e tornò dagli amici che aveva abbandonato all’ingresso.
-Gracias… scusatemi, dovevo sistemare ancora tutto…- prese il proprio zaino e lo appoggiò su una spalla.
-Alla buon’ora! Dove diamine stavi a quest’ora? Mica ti sei fatto Vargas vero?- Gilbert cercava di alleggerire la situazione, se pur interrotto da uno sguardo agghiacciante di Antonio, che subito dopo riprese quel suo solito sorriso, anche se inquietava un po’.
- In realtà, l’ho rincorso per ridargli dei compiti, poi però è incominciato a piovere e sono tornato subito…
-Quindi Vargas c’entra mon amie
-Vargas…- lo sguardo dell’inglese diventò dubbioso-… non l’ho mai sentito.
-Sopracciglio, mi deludi. Di solito conosci tutti.
-Fuck you, stupid Spanish.
Il loro rapporto non cambierà mai, mi sa.
-Vargas… Vargas… - pure l’austriaco si ritrovò perplesso. Anche se aveva una mezza idea.
Fatto sta che quei cinque andarono per locali a bere, stranamente, e la serata andò concludendosi con Roderich che suonava la pianola fuori dal tettuccio di un taxi con Gilbert che strimpellava cose con un mestolo, mentre si dirigeva alla casa del prussiano (nemmeno Dio sa dove abbiano trovato queste cose), Francis che trasportava Arthur ubriaco nel Motel più vicino chissà per qual motivo e Antonio che si reggeva a malapena in piedi, con un perizoma sulla testa, canticchiando motivetti poco illibati.
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Ovviamente, il giorno seguente si presentarono puntualmente in ritardo, cosa ormai considerata normale dagli insegnanti. Anche se appena entrato in aula, Antonio fu sbrigativo e uscì dalla classe…
Lovino come sempre se ne rimaneva appartato nel suo angolo buio, in mezzo alla sua solita classe di decisamente poca compagnia.
Tutto procedeva come i soliti giorni, soltanto che questo era sabato, il che significava: domenica. Domenica era tra i giorni peggiori. Rintanato nella sua camera tutto il giorno, senza bere o mangiare. Con unica compagnia l’unico oggetto che gli rimaneva del suo passato.
Soltanto che, qualcosa non andava.
Solitamente le ragazze della sua classe fangirleggiavano su certi studenti che passavano per i corridoi… ma le frasi “ Oh ragazze, guardate! Chi sono quelli?” “E’ il gruppetto di quarta! Sono un concentrato di figaggine acuta!” “Ma io conosco solo il francese tra quelli!” “OMMIODDIO SI AVVICINANO ALLA NOSTRA AULA”
E fu solo troppo tardi che Lovino si ritrovò Antonio e compagnia bella nella sua aula a parlare con le ragazze.
-Buenos dias ragazze, scusate l’intrusione… cercavamo Vargas- lui se ne stava sempre col suo solito sorrisone allegro. Quando le compagne sentirono il nome, cambiarono l’espressione vivida del loro volto in una vuota e cupa.
-Sta laggiù.
Tonio non si accennò minimamente a sorridere ancora verso di loro, o a porgere dei saluti. Aveva capito che non erano tipe da prendere in considerazione.
Lovino intanto era immobile che li fissava dal fondo dell’aula, che si avvicinavano sempre di più a lui.
-Hola Lovi!
-Che cazzo ci fate tutti qui?
-Ti sequestriamo, cherie
-Cos- non fece nemmeno in tempo a chiedere spiegazioni che il suo tutor lo prese a mo’ di sacco di patate fino all’uscio, per poi condurlo sottobraccio fino alla presidenza. Il ragazzino barcollava, imprecava, cercava di nascondersi, come sempre, i suoi lividi sul volto.
Venne portato in quell’angolo dell’istituto mai visitato personalmente, così freddo e cupo. Si estendevano quadri e foto degli studenti che ormai avevano lasciato la scuola da anni, forse secoli.
L’aula della presidenza non era più grande di una cameretta per bambini, ma ospitava tranquillamente cinque persone. Il Preside era un uomo anziano, basso. Era molto… particolare.
Era molto alto, magrissimo, ossuto, con i capelli biancastri raccolti in una coda. Portava degli occhiali rotondi più grandi del dovuto. La sua voce era abbastanza acuta per un uomo.
-Ahh il Signorin Vargas… prego, siediti.- disse il vecchio, sorridendo. Lovino fece, ansioso e ancora confuso.
-Sono stato informato… dal tuo tutor, ovviamente… di relativi problemi nel tuo ambiente familiare…
“Cosa cazzo gli ha detto lo spagnolo porcodd- “
-…in  pratica, che ti troveresti meglio a studiare solo nello stare in un luogo diverso.
-Eh- non stava capendo una mazza. Nemmeno gli prestava tutto l’ascolto del mondo, dopotutto.
-In questo istituto, specializzato appunto per la grande varietà culturale e linguistica, si sono stretti accordi anche negli anni precedenti…
“Dove vuole arrivare questo?”
-…con l’autorizzazione di un tutore, infatti, si ha la possibilità di soggiornare nell’abitazione di uno studente maggiorenne per maggior approfondimento nello studio delle materie. Fosse anche solo una prova di una settimana, o la permanenza per un anno intero, si può fare, se lo studente interessato è dedito alla partecipazione.
-Ma quindi io… cosa c’entro?
-Oh, allora il nostro Fernandez Carriedo non ha accennato proprio nulla, eh?
-In pratica- Antonio prese parola- ho fatto richiesta alla scuola di poterti ospitare a casa mia per aiutarti nello studio, e questo per l’intero anno.
“TU CHE COSA?!”
-Ti serve l’autorizzazione- ribattè l’italiano- e mio zio non acconsentirebbe mai.
“Semmai, dopo questa cazzata che hai fatto mi riempirà la faccia di sberle fino a farmi morire”
Il preside, nella sua eleganza, si alzò e si avvicinò ad un telefono/citofono attaccato al muro: - Abbiamo già chiamato. Arriverà qui a breve, per acconsentire il tutto.
-Eh…?
-In pratica… lui verrà a firmare, a lezioni concluse andrai a casa per prendere le tue ultime cose e poi… verrai a vivere da me.
“Ma stiamo scherzando?”
-Credo sia arrivato,- mise giù il piccolo citofono, probabilmente dalla segreteria della scuola- ragazzi uscite e tornate a lezione.
Salutarono. Lovino accennò solo un inchino, tenendo la testa bassa, avendo quasi scordato di avere il volto a chiazze. Aprirono la porta e uscirono in gruppo, circondando il ragazzino. Andarono verso le scale, alcuni gradini dopo, guardando verso il piano terra dove erano stati prima, videro l’enorme figura dello zio. Sorridente, con i vestiti migliori che aveva. L’italiano lo fissava, con un’apatia profondissima. Antonio fece segno agli altri due di andare, mentre lui rimase fermo con il ragazzo a fissarlo mentre stringeva felicemente la mano del preside, per poi allontanarsi.
-Io… spero che a te vada bene… insomma- lo spagnolo titubava, non sperava in una risposta da Lovino, ma…
-Grazie.
Rimasero in un totale silenzio per qualche secondo, fissando il vuoto, su quei freddi gradini. L’italiano si girò aggraziatamente verso il volto del tutor, sorridendogli dolcemente.
-Grazie davvero.
E OVVIAMENTE, CHI NON FANGIRLEREBBE INTERNAMENTE PER UN PICCOLO E INNOCENTE LOVI SORRIDENTE?
Antonio si tinse di rosso le guance per l’imbarazzo e per la felicità. Non una parola di più, non una di meno, il giovane gli sorrise ancora prima di mettersi il cappuccio e ritornare in aula prima che suonasse nuovamente la campanella. Lo spagnolo rimase nella suo allegro mondo per un po’, tornando velocemente in aula quando si accorse che tutti gli altri stavano rientrando nelle loro.
---
Le cose da portare via non erano molte, aveva si e no qualche completo vecchio che portava da tempo, i libri e quell’unico ricordo che aveva dei suoi genitori: una tartaruga di peluche. Strano ma vero, l’ultima cosa che gli ricordava la sua vera provenienza. L’unico oggetto che gli ricordava che quelli non erano i suoi amabili parenti.
Fatto sta che non parlò nemmeno con suo zio o sua zia. Prese le proprie cose, uscì. Si lasciò tutto alle spalle.
Tutto, proprio tutto. La fredda stanza dove dormiva ogni notte da 12 lunghi anni. Il lungo corridoio dove scappava dall’ira degli zii.
Davanti a lui, si ritrovò solamente Antonio, col suo sorriso da ebete che adorava.
“Che faccia da cretino…”
Dopo ciò, un taxi li portò fino alla distante nuova abitazione, allontanandosi sempre di più da quella vecchia e sconsolata casa.
Il tempo passava in fretta, Lovino guardava il mondo circostante. Era da moltissimo tempo che non saliva su un’ automobile. Sentiva il suo stomaco borbottare e le gambe che tremavano da un misto di eccitazione e ansia.
Il tutor lo guardava incuriosito, sempre sorpreso ogni momento di più. La compagnia dell’italiano gli stava giovando. D’un tratto, toccò la spalla al giovane, che si girò di scatto. La macchina rallentava.
Erano arrivati.
“Oh porca-“
La casetta davanti a loro era circondata da un largo giardino. Sarà stata un’abitazione a due piani, forse con soffitta. Era bianca con accenni di giallo e blu qua e là, progettata con uno stile tipicamente tardo romano, ma con aggiunte quali balconi, edera che contornava alcune nelle finestre e porte in legno massiccio.
“Quanto cazzo son ricchi questi qui?”
Antonio si diresse verso il vialetto per raggiungere l’entrata pagato il taxi, mentre Lovino prendeva sotto braccio il suo scatolone, seguendo lo spagnolo.
-Qui… penso non avrai problemi con lo studio.
-Perché dici?
-Io vivo da solo.
“Ma COSA?”
-I tuoi genitori?
-Boh
-COME BOH?
-Saranno nella casa in Spagna, forse…
“E perché diamine questo si trova qui?”
-Ah…
All’interno, tutto si rivelava più sicuro di quel che potesse sembrare da fuori. C’era un doppio muro, infatti, che proteggeva ermeticamente la casa vera e propria da possibili ladri o altro.
“Alla faccia della sicurezza”
Superata la vera entrata, ci si ritrovava in una classica casetta da famigliuola felice: pavimento in legno sul salotto,con un grande tappeto, un camino, una televisione e un gigantesco divano, piastrelle di marmo in cucina, arredata da cima a fondo con un piano cucina grande come il tavolo, quindi grande come una porta in pratica. Delle scale a chiocciola portavano alle camere e ai bagni. Si diressero direttamente lì, volendo prima sistemare tutto.
C’era una sola camera da letto, uno studio, una stanza con degli strumenti musicali(mezza vuota tra l’altro) e un bagno enorme.
Varcata la soglia della camera, l’italiano perplesso notò una cosa sostanziale.
-Dove sta il mio letto?
-E’ quello.
-Ma… è un matrimoniale, non ci dormi tu?
-Si, ma ci stiamo in due. Almeno, fino a quando non compreremo un altro letto.
“Oh merda…”

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Capitolo 8
*** Besàme ***


“Oh merda oh merda oh merda”
Era davvero un solo letto. Non poteva nemmeno usare la solita scusa del dormire sul divano perchè Antonio non glielo avrebbe mai permesso, ma allo stesso tempo non avrebbe mai lasciato che ci andasse lo spagnolo al posto suo, era casa sua, in fondo. Non riusciva però a rassegnarsi.
“Davvero devo dormire con questo qui?”
Il tutor prese ogni oggetto di Lovino, lo sistemò in un armadio accanto al suo, poi vide la tartaruga di peluche.
-Questa…
-L-LASCIA STARE- gliela strappò di mano, portandosela al petto, come per nasconderla.
-Tranquillo… se tra le poche cose che hai portato c’è pure questa… dovrà essere veramente speciale.
Antonio gli sorrise, non sembrava per nulla scosso di un vecchio peluche che si portava dietro un ragazzo di ormai sedici anni. L’italiano non potè fare a meno di arrossire di botto.
Lo spagnolo gli si avvicinò. Sentiva il suo leggero profumo, che emanava dal suo collo, dalle sue dita, che andarono a toccare quelle del ragazzino. A Lovino tornò in mente quel precedente giorno alla sua finestra, del loro saluto del leggero calore che si erano trasmessi attraverso le gelide sbarre. Gli tornò in mente quella strana sensazione… quel piccolo desiderio di piacere. La sua vicinanza a lui in quel momento non aiutava. Fino ad un giorno prima erano distanti, irraggiungibili. Una luce fioca che tentava di illuminare u arazzo.
Ora si trovavano a così poca distanza l’uno dall’altro che sentivano la lentezza dei loro respiri, l’inebriante profumino della pioggia che avvolgeva la stanza e il calore che le loro mani si trasmettevano.
In tutto questo,  l’italiano osò solo per pochi istanti a sollevare il viso per controllare l’espressione dell’altro, che si rivelò altamente lucente e pura, come un angelo disceso in terra.
Il silenzio rimase per pochi minuti, poi Tonio prese la parola.
-Ti piacciono le tartarughe?
-Le ho viste solo sui libri…
-Vieni con me
Lo prese per una mano, accompagnandolo al piano terra, percorrendo la strada verso il soggiorno.
Prima non l’ aveva notata, ma dietro la televisione era posata su un mobile una grande teca, dove all’interno si trovavano almeno venti piccole tartarughe acquatiche. Così graziose, ma anche impacciate, non sapevano se rimanere sulla terra ferma o andare nella fresca acqua.
Lovino si riconosceva molto in tutto questo. O almeno, credeva.
Perché lo spagnolo ne prese alcune che si postarono su tutto il suo corpo, cosa che il giovane non avrebbe mai osato fare.
-Ma che cazz
-Sono così piccine, vero?
-S-si… ma per qul motivo ti stanno così addosso cazzo?
-Mi ameranno forse
-Ma… cosa?
-Scherzo scherzo… penso si affezionino, sai, quando si vuole bene a qualcuno- ma Lovino lo interruppe per evitare eventuali arrossamenti sconvenienti.
-VA BENE VA BENE…- si avvicinò ad una, toccandole il guscio umido, notando delle lettere disegnate sopra.
-Sono i loro nomi, così non le confondo.
-Oh… come si chiama?
-Brunilde
-Ma sei scemo? Che nome è?!
Il restante del pomeriggio proseguì in questo modo, discutendo su nomi di tartarughe e sul fatto di quanto l’immaginazione di Antonio fosse infinita e senza senso.
Verso le 8, iniziarono ad avvertire un leggero brontolio allo stomaco. Fortunatamente non mancava nulla, in quella casa. L’italiano non aveva mai visto così tanto cibo, che per lo spagnolo era una normalissima cena da due persone. I profumi delle verdure, della carne, sbocciavano nel palato del giovane, che si saziò deliziato, congratulandosi con il tutor.
-Sei proprio bravo, se fai tutto da solo
-Posso insegnarti se vuoi, non fa male imparare
-Se dici… non mi dispiacerebbe
-Allora la cena di domani la preparerai tu
La serata proseguì bene. Lovino si sentiva veramente allegro, nel fare le cose che tutti i ragazzi facevano. Mettersi su un divano a giocare ai videogames, o guardare un episodio di qualche serie tv di cui la trama era andata perduta. Tutto andava magnificamente bene.
Fosse per la tranquillità e la spensieratezza della situazione, oppure della gioiosa presenza di qualcuno di cui si fidasse tanto, l’italiano non sapeva decidersi.
Tuttavia stava benissimo, non sapeva cosa fare per ringraziare il suo compare per quel bellissimo tempo trascorso assieme. O per tutti i pomeriggi in cui stava con lui. Non sapeva minimamente che fare.
Ormai ad un’ora tarda, si avviarono alla camera. Antonio prese un suo vecchio completo da prestare a Lovino per la notte, visto che i suoi ormai erano vecchi e troppo piccoli. Quei nuovi indumenti gli stavano larghi, ma gli andavano. C’era un pomodoro disegnato sopra.
Presi i posti, si ricoprirono fino al naso con le coperte, augurandosi la buona notte.
Lovino cadde subito in un profondo riposo, abbracciando il proprio tesoro, piccolo e caloroso. Accoccolato su sé stesso, in un modo che andava oltre la comune tenerezza, e Antonio lo sapeva. In quel buio, coi suoi occhi verde acceso, si soffermava sulle piccole clavicole che spuntavano dal collo della maglia, sui polsi aggrovigliati, sulle ciglia abbassate, le labbra socchiuse, i capelli che scivolavano sul cuscino pomposo. Si chinò appena verso di lui, lasciandogli un leggero bacio sulla sua fronte, sperando che i suoi brutti sogni potessero svanire del tutto.
---
La giornata seguente, dormirono fino a tarda mattinata, svegliandosi alle due del pomeriggio, avvolti dalla fredda luce del sole ormai invernale.
Chissà per quale strano motivo, si ritrovarono avvinghiati, con un forte calore che si poggiava sulle loro braccia e sulle loro gambe. La notte volle trasportarli nel più profondo abisso affettivo.
Lovino aprì a malapena gli occhi, annebbiati ancora dalla luce. Allungò una mano verso quella massa castana che si ritrovava a poca distanza da sé, senza nemmeno pensarci, scendendo fino a sentire una pelle liscia. Sobbalzò all’indietro, serrando gli occhi.
-COGL**NE, METTITI UNA CAZZO DI MAGLIA, PORCO D-
 Eppure è il sogno di tutti ritrovarsi uno spagnolo a petto nudo sul proprio letto.
Saltando questo fatto, nella loro più completa tranquillità fecero trascorrere il rimanente pomeriggio, giocando con parole spagnole e guardando la televisione. Come promesso, la sera Lovino volle imparare a cucinare qualcosa di più sfizioso dei soliti cibi che si preparava nella sua vecchia casa. Antonio ovviamente gli esponeva i passaggi e gli spiegava tutto, parlando anche del più e del meno.
-Vorresti salutare i tuoi zii?
-Hai visto come non ha esitato a cacciarmi di casa. Non servirebbe nemmeno provare.
La serata si concluse prima di quella precedente, in effetti, il giorno dopo sarebbero dovuti tornare a scuola per un’altra settimana.
Nonostante il tentativo dell’italiano di ergere una muraglia di cuscini per evitare altri contatti durante la notte, fu lui stesso ad oltrepassarla per attaccarsi a quel “termosifone umano” spagnolo. Il giovane era freddo, nonostante indossasse abiti anche pesanti o fosse sotto un piumone, mentre il tutor era costantemente caloroso, anche senza vestiti.
---
Passò una settimana da quel giorno. Lovino iniziò ad apprezzare la vita, nonostante i suoi compagni di classe fossero sempre terribili con lui. Gli importava poco, perché per tutto il resto del giorno avrebbe avuto Antonio.
Insieme anche a Gilbert e Francis, iniziò a girare per le città, alla scoperta del mondo che lo aveva sempre circondato. Conobbe nuove persone, moltitudini di ragazze simpatiche nei bar, uomini corpulenti che si divertivano nel mostrargli le loro riviste molto pure con ragazze molto vestite.
La vita di un classico ragazzo.
I lividi scomparirono, le sue energie lo indussero a muoversi di più, facendolo cambiare anche un po’ nella corporatura. Si avviava nella strada della maturazione.
Con Antonio proseguiva le sue lezioni, parlando anche spagnolo in casa ogni tanto per sfotterlo.
Non sentiva per nulla la mancanza della sua precedente vita.
“Tutto grazie a lui” si ripeteva. Non sapeva mai come ringraziarlo.
---
Trascorsero altre settimane, arrivava il periodo delle vacanze invernali.
Pochi giorni prima della fine della scuola, Tonio e Lovino decisero che quel sabato potevano goderselo ubriacandosi, visto che gli altri erano occupati (chissà con chi). Rimasero in casa, avendo fatto provviste e con l’intenzione di poter andare tranquillamente a dormire dopo, senza fare la fatica di trovare la strada per il ritorno alla loro dimora.
-Ma i tuoi sanno che bevi?
-Ci sono cresciuto con loro che si scolavano tranquillamente due bottiglie di vino a testa… quindi –si mise a ridere.
Dopo poco, iniziavano già a finire le prime bottiglie. Assunsero facce da ebeti, parlando in modo sconnesso, senza nemmeno capire se fossero in piedi. Solo Antonio era lucido per un certo verso. Lovino era partito.
Il giovane perse l’equilibrio e cadde addosso al maggiore, che lo tenne sollevato.
I loro volti erano vicinissimi. Coloriti di un rosso porpora, si sentiva veramente tanto l’odore dell’alcool.
Gli occhi dell’italiano erano fissi sull’ispanico. Rimasero fermi, nell’atmosfera calma del salotto.
Poi Lovino allungò le mani al sedere dello spagnolo, palpandoglielo, per poi scappare ridendo buttandosi sul divano, mentre Antonio non sapeva che espressione assumere dal movimento esperto e furtivo dell’italiano, che ridendo ancora sdraiato lo chiamava.
-ToNIo! ViENi QuI!
-Cosa c’è furfante?- si chinò sopra di lui, rimanendo comunque in piedi, ma piegandosi e poggiando le sue mani ai lati della testa di Lovino.
Il giovane cinse le proprie braccia sul suo collo, porgendolo ancora più vicino al suo volto.
-Besàme.

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Capitolo 9
*** Idiota ***


-Besàme.
Lo spagnolo venne colto da un improvviso arrossamento.
-Ma che dici, Lovi?
Sempre di più, l’italiano sogghignava malizioso, colto dall’ubriachezza. Tentava di avvicinare le labbra di Antonio al proprio corpo. L’altro ne aveva quasi paura.
Lo prese in braccio, avvolgendolo in un caldo abbraccio, portandolo nel loro letto. Tinto del loro profumo.
Lovino rimase così calmo, con la testa poggiata sulla sua spalla, mordicchiandogliela. Quando arrivarono, non volle lasciarlo per adagiarsi al materasso.
-Ti mollo solo se mi dai un bacio…- non si capiva se piano piano incominciasse a rianimarsi o ad addormentarsi.
-Perché?
-Perché sì.
-Mettiti sul letto e ti bacio.- e il ragazzo fece. Solo che Antonio lo baciò sulla guancia, e Lovino iniziò a farfugliare e piagnucolare.
-T-tu mi menti! Brutto bastardo!
“Penso sia ancora ubriaco”
Antonio scomparve per qualche minuto, ritornando in camera con l’ennesima bottiglia, che si scolò sulla porta.
-Ormai… a che serve fermarsi?
-Eh?- l’italiano non capiva nulla ormai. Vedeva solo il corpo dello spagnolo che si avvicinava a lui. Sempre di più. Si toglieva la maglia, si avvicinava. Eccolo, di fronte a lui.
Gli bacia la fronte.
-Non oggi. Se proprio devo baciarti, lo faccio quando siamo sani in testa.
Detto questo, si mise pure lui sul letto, accanto al compagno.
Lovino venne attirato da quel tepore. Si avvinghiò. Rimase così, senza obbiettare. Si addormentò poco dopo. A loro si avvolse il caldo e profumato amore, così per tutta la notte.
---
Il mattino successivo, il sole aveva appena incominciato ad albeggiare sui loro volti arrossati.
Lo spagnolo si svegliò per primo, ancora appiccicato a lui ci stava il giovane. Aveva un visino così innocente, dolce. Piegato contro il proprio petto, era una visione paradisiaca. Gli scompigliò appena i capelli, e Lovino assunse una faccia quasi offesa, mentre Antonio se la rideva sotto i baffi.
Gli accarezzò una guancia, e lui addolcì la sua espressione,  mentre con il volto andava alla ricerca del tepore di quella mano.
Tonio allora posò le sue labbra sulla sua fronte, baciandolo timidamente. Rispetto alla sera prima, era nettamente più lucido.
Lovino si svegliò di soprassalto, con lo spagnolo vicinissimo a lui, così tanto da avvertirne i respiri. Sprofondò nell’imbarazzo.
-Buenos di- ma venne interrotto da un violento pugno dell’italiano.
I due ormai erano abituati a risvegli del genere. Solo che l’italiano si svegliava sempre prima, e se non si spostava subito dall’iberico, gli scompigliava appena il volto e poi si allontanava imbarazzato. Quando invece la sera si davano alla pazza gioia, si sapeva che Lovino avrebbe dormito maggiormente.
Solo che la sera prima, era stata, per l’appunto, più imbarazzante.
“Besame”
E non stava sognando, ma forse Lovi lo aveva già scordato.
Non ci pensò nemmeno, se non quando incrociava il suo sguardo con il ragazzo.
Le lezioni proseguirono, si occupavano della casa e l’italiano iniziò a sorridere a scuola. Sia chiaro, solo alle donne. Gli uomini li trattava da schifo.
Pure quei pochi giorni che rimanevano prima delle feste natalizie trascorsero senza problemi.
---
Organizzarono una grande festa nell’istituto, dove si mangiavano piatti tipici, o si cantava, oppure suonava, tanto per stare in compagnia per quell’ultimo giorno.
Lovino prese un drink, fermandosi a parlare con alcune ragazze.
I suoi compagni rimasero invidiosi, non cambiarono, se non iniziando a parlargli poco più di prima, ma nulla di speciale.
Gilbert si avvicinò a Tonio, che fissava imbambolato l’italiano.
-EHY, TONNO, MI SENTI?
-S-SI’ NON SERVE URLARE!
-Alleluja! Cosa c’è, ti sei preso una cotta per quel ragazzino?
-C-che ne sai tu?- era chiaramente imbarazzato.
-Guarda che se hai bisogno di una mano, c’è Francis che libera aule per i piccioncini.
-Non mi servono, grazie.
-Fa come vuoi, torno dalla mia donnicciola isterica…- detto ciò, si allontanò verso l’austriaco che suonava il piano sul palcoscenico per intrattenere.
Lo spagnolo lo osservava, quel ragazzino. Era così uomo di fronte a delle ragazze, ma così poco virile di fronte ai ragazzi.
“Meglio così” pensò lui. Non aveva intenzione di condividerlo su vasta scala. Lovino lo notò, con aria allegra.
Salutò stranamente le belle donne e si avvicinò ad Antonio, che divenne improvvisamente impacciato.
-Ti stai divertendo?- gli chiese il maggiore.
-Stranamente, non è male. Speravo negli alcolici.
-Per quelli dobbiamo aspettare casa,  qui non possono nemmeno darteli visto che sei minorenne.
-Ridi ridi solo perché hai già la maggiore età, ma sotto sotto so che usi tante creme antirughe.
Risero appena, poi Tonio gli fece un sorriso, ma poco rassicurante.
-Cosa c’è?
-Nulla, nulla.
-Sicuro?
-Penso che andrò a vedere l’orto tra poco. L’ho sistemato questi giorni perché possa resistere all’inverno.
-Vengo pure io.
 -Non serve, tranquillo.-
-Voglio venire.  (eh fangirl, speravate fosse in quel senso)
-Come vuoi
Uscirono dall’istituto, dirigendosi nel loro luogo magico.
Era stato tutto coperto di staccionate e teli, lo spagnolo si era davvero impegnato.
Le piantine erano ugualmente rinsecchite, ma alcune si salvavano, Al loro rientro a scuola si sarebbero quasi tutte riprese.
-Mi mancherà questo posto…- sosprirò Lovino.
-Dici? Tanto rimarrà sempre qui, non si sposta.
Il ragazzino guardò Tonio, poi ripose lo sguardo sul cielo.
-Verranno i tuoi, dalla Spagna?
-Non penso… più probabilmente verranno per il mio compleanno a Febbraio.
-Capisco… pensavo foste cattolici fino al midollo, ma mi sbagliavo.
-Io lo sono, almeno, ho sempre rispettato i miei voti durante le festività, e mi concedo le giuste pause per il resto dell’anno… loro un po’ meno, non so perché… anche tu sei cattolico, no?
-Si, però non vado in chiesa da un bel po’…
-Ti porterò a quella di Natale, allora, oppure a quella della Vigilia.
-Domani quindi?
-Si, si potremmo. Di sera, prima di cena.
A Lovino tornarono in mente la sua prima lezione in quell’orto, quelle successive, i primi pomeriggi e il giorno in cui venne trasferito, tutte le sere passate a guardare il tramonto arancione con Antonio. Tutti quei giorni che cambiarono la sua vita. In modo positivo, ovviamente. Il suono del vento che li accoglieva, tra quelle leggere foglie che ondeggiavano, colorate, tinte ormai dell’imminente inverno.
Richiusero tutto, tornarono alla festa.
-----
Era la sera del 24, la Vigilia.
Lovino varcò la grande soglia, quel massiccio portone in legno. Il freddo venne abbandonato fuori. Non si ricordava praticamente nulla di cosa si facesse in una messa, Antonio non ci andava, preferiva pregare da solo, un altro giorno, nonostante fosse molto credente.
L’acqua benedetta era fredda, accarezzata da decine di mani ogni settimana. Fece il segno della Croce.
Si era messo in comunicazione con Dio.
Antonio lo scortò, trovando dei posti liberi. La chiesa era costruita a mo’ di anfiteatro, con l’Altare al centro.
Durante la messa, ogni tanto il ragazzino riconosceva delle parole latine, ma al posto di recitare le preghiere con quella lingua, le diceva in italiano, e Antonio in spagnolo. Erano le stesse parole, con suoni diversi di poco, con lo stesso significato di implorazione e suppliche.
Dio però non rispondeva, non ancora.
Dopo la comunione, ormai stava tutto per concludersi. Non poteva fare a meno di osservare il corpo dell’altro, impacciato come sempre, ma serio, o rilassato. Non l’aveva mai visto così.
-Amen.
-Amen.
Era tutto concluso. Inchino poggiando il ginocchio a terra, verso il Cristo crocifisso. Uscirono.
Una folata di vento li colpì, con forza, appena allontanati dal portone. Non parlarono subito.
-Quanta gente, vero?- disse Antonio.
-Oh… ehm, sì…
-Sono tutti i Cattolici di qui, oppure anche non, solamente per ritrovarsi assieme. Non penso tu abbia notato Gilbert.
-Ma lui… lui non è-
-No, lui è protestante, ma Roderich è cattolico, c’era lui al suo fianco. Saranno venuti per quello.
-Non pensavo fosse… cioè, non mi sembra un tipo da preghiere.
-Ogni tanto ci va, per Pasqua o Natale, non per altro.
Stettero un secondo in silenzio.
-Ma loro… cioè… stanno insieme?
-Sì, da un po’ ormai.
-Pensavo che… no, nulla.
-Cosa?
-Pensavo che la gente… sai com’è, molti non accettano gli omosessuali, specialmente in Chiesa…
-Il mondo deve capire che fede ed amore sono relativamente due mondi distinti. Io credo in Dio, lui non mi vieta di amare chi voglio. Non commetto peccati, e se ne compio, mi confesso. Amare non è peccato, ma un comandamento.
-Giusto…
Ci fu una breve pausa. Ora a Lovino palpitava nella testa quell’ “amare chi voglio”. Non ci aveva riflettuto.
Ad Antonio piaceva qualcuno?
Non ne parlavano mai, ogni tanto discutevano sul sedere o sul balcone di qualche ragazza, ma non di più.
Erano le otto di sera ormai, camminavano verso casa.
-Antonio…
Lo spagnolo si allarmò, non lo chiamava mai per nome.
-S-sì?
-A te piace… qualcuno?
-Oh… sì.
-Capisco…
-A te?
-Sì…
Un minuto di silenzio, si guardarono negli occhi, senza cambiamenti di espressione. Fermi dov’erano.
-…e dimmi, com’è?- chiese Antonio.
-Ha un bel culo… e- divenne rosso un poco- mi piace quando sorride.
-Ohoh! E chi è questa donzella?
-Non… non è una ragazza.
Il silenzio ritornò. Per quando Antonio cercava di rianimare la situazione, si dirigevano in una situazione sempre più imbarazzante.
-Tranquillo… non ho problemi con questo, pure io sono così. Anche a me piace uno.
-D-davvero?
-Si…
-E ora?
-E ora boh, la persona che mi piace non so se dirglielo o meno, anche perché è un momento delicato…
-Scusa, è una domanda odiosa…- abbassò lo sguardo.
-Tranquillo.
-Te la senti di provare a dirglielo?
-Io lo farei, perché mi piace, ma penserebbe che io sia un idiota… in effetti lo sono
-Però… quanto vorresti dirglielo da uno a dieci?
Ripresero a camminare, uno a fianco all’altro. Il freddo aumentava, ma non lo percepivano. Erano in un profondo imbarazzo.
-Penso undici.
-Allora provaci.
-Dici che dovrei?
-Se te la senti sì, se lo desideri, sì. Se lo vuoi, sì.
-Io sì
-E allora dillo.
-Ok.
Antonio prese un forte respiro, con quel poco coraggio che c’aveva.
-Mi piaci, Lovino.

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Capitolo 10
*** Beso ***


-Mi piaci, Lovino.
Il vuoto si estese, sotto i loro piedi.
La prima neve di dicembre cadeva.
-… i-io…- il giovane non distaccava i suoi occhi dall’altro, sapeva che sarebbero sprofondati entrambi.
Tonio, che sembrava sempre così tranquillo nel consolare gli altri, di essere gentile, di dire quei “ti voglio bene” a tutti, ora, come durante la messa, era una persona completamente diversa.
Gli occhi si cristallizzarono, vennero avvolti da quei candidi fiocchi.
Leggere e sottili, fredde lacrime, solcarono quel piccolo volto dopo tanto tempo.
-Lovi?! Tutto bene? Perché piangi? Ehy-
Il ragazzino si avvicinò a lui, allargando le proprie braccia, stringendolo con forza.
-Non sei idiota… Sei un grandissimo idiota!
-Eh?
Lo spagnolo non ci capiva una ceppa. Aveva solo un italiano che lo abbracciava mentre singhiozzava, sotto la neve, la Vigilia. Lo strinse a sua volta.
-Tranquillo…
-Brutto idiota!
Ecco, più o meno andarono avanti così.
Antonio guardava attorno a sé. Percorreva quel luogo ogni giorno, ma in quel momento era così diverso da quello di sempre. Era così caldo, così ampio, così… diverso. E in quel momento voleva solo scordarsi di tutto quello che era successo.
Si distaccò da lui, e Lovino fece lo stesso, anche se sorpreso, quasi scoraggiato, come se sperasse di rimanere nascosto su quel cappotto per sempre. Alzò lo sguardo verso Antonio, e si fissarono di poco. Un caldo calore li colpiva dopo ogni respiro. Occhiate profonde, che comunicavano.
“Avvicinati”
“Abbracciami di più”
“Continua a guardarmi”
“Ho paura”
“Voglio tutto di te”
Si avvicinarono, lenti, chiudendo poco gli occhi ad ogni millimetro. La mano dello spagnolo conduceva la testa dell’altro alla propria.
I nasi, freddi, vicini, si sfiorarono, inebriando il senso di desiderio.
Poi le punte delle labbra, anche quelle fredde, iniziarono a sovrastarsi, le une contro le altre, sempre di più, prendendo tutta l’alba rosata di cui erano tinte.
E il calore entrò leggero nelle loro bocche. Si scambiarono dei respiri.
Quando furono più sicuri, si riguardarono negli occhi. Era solo una la parola, che entrambi pronunciavano.
“Ancora”
I movimenti si accelerarono. Si riavvicinarono con meno esitazione, con più impeto. L’assalto era fatale. Le mani di entrambi ricadevano sui loro corpi, cercando ogni minimo strato di pelle su cui aggrapparsi, per sentire il calore dell’altro, sentire che non era per nulla un sogno.
E’ tutto vero.
Non piombarono nel vuoto, se non nel loro vuoto. Non serviva più nulla, ora tutto era stato fatto.
Dio solo sa quale fu stato il loro coraggio, di staccarsi, sorridere, raggiungere casa.
Fatto sta che appena aperta la porta il desiderio tornò. E lì nessuno li avrebbe visti.
“Di nuovo”
Si dissero con gli occhi. I loro colori si fecero più vividi.
Antonio si avvicinò a lui e Lovino fece lo stesso, più lentamente della seconda volta, ricominciarono da capo.
Dopo una decina di baci leggeri, l’italiano ridacchiò, ma Tonio non voleva sapere perché, se rideva almeno era felice.
Si avvicinò di più a lui, costringendolo ad addossarsi al muro. Il freddo e duro muro.
Il ragazzino vi appoggiò la testa e, poco dopo, costretto dalla presa dello spagnolo, sollevò pure le mani allo stesso livello, toccando quella medesima superficie gelida.
La pelle di entrambi si rizzò. Erano avvolti dal silenzio dei loro baci.
Questi divennero più intensi, entrambi aprirono poco a poco le loro bocche, sentendo il sapore dell’altro che entrava in loro. Lovino spostò le sue braccia, le sue mani, sul collo di Antonio, arrampicandosi sul suo busto. Il maggiore lo sollevò da terra, prendendolo in braccio, non staccando un secondo le loro labbra.
Mise le sue mani ovunque, gli tolse la giacca, il ragazzo la tolse a lui.
Cercava nella più completa agonia il calore del suo corpo.
E lì il destino fu segnato. Antonio si diresse alla loro stanza.
Ancora impregnata delle loro notti, passate ad abbracciarsi, desiderando l’impossibile, che ora magicamente era possibile.
Aprì furiosamente la porta, mentre l’altro lo tempestava di baci infiniti.
Lo appoggiò al letto, nel centro, e lui si mise sopra, con la schiena inarcata.
Le sue mani avrebbero voluto scivolare ovunque, comprendere il corpo dell’altro, toccarlo.
Voleva che tutto quello che si trovava davanti fosse suo.
Gli alzò pure l’ultima maglia, togliendogliela, ammirando il suo corpicino esile che ogni notte cercava riparo sul proprio. Era chiaro, molto chiaro. Senza ferite, senza nulla di apparente, se non i rimasugli delle volte in cui veniva pestato. Se non per dei segni, piccoli, ma non invisibili, sulle braccia. Non fece domande, non servivano, aveva già compreso.
Si abbandonò alla sua eccitazione, al suo desiderio di contatto sfrenato, movimenti irrequieti e ripetitivi, che li accarezzavano con dolcezza.
Le mani che tracciavano lievi percorsi sulla loro pelle scoperta, ora pure Antonio si tolse la maglia. La sua schiena inondata di cicatrici.
Un altro passato che era meglio dimenticare. Lovino poggiò lì le sue mani, accarezzandolo, sentendo il cambio di morbidezza tra i segni e la pelle intoccata. Gli piaceva toccare le cicatrici.
Era tutto così morbido, così caloroso.
Ormai si muovevano da soli e il tempo scorreva, su una ferrovia senza ritorno, senza destinazione. Nemmeno loro sapevano dove dovevano fermarsi. Più fermate superavano, più la possibilità di tornare sarebbe svanita, ma loro non volevano che svanisse. Volevano oltrepassare tutto, le montagne, il mare, l’oceano e cercare una terra tutta per loro.
Era il loro piccolo paradiso, quella stanza semibuia dove il loro piacere si sarebbe avverato dopo tempo.
Si strinsero, e il loro fulcro di piacere, ancora rinchiuso nei loro pantaloni, cercava di uscire, di avvicinarsi all’altro, in qualsiasi modo.
Antonio allora gli sciolse il nodo, lasciando che i pantaloni di lui scivolassero via dalle sue gambe, così gracili pure quelle. Si intrecciarono al suo corpo.
Lo spagnolo continuò con la propria mano nel luogo del piacere, estraendolo dall’ultimo, sottile, strato di indumenti che lo separava da ciò che bramava.
Lo accolse nella sua mano, mentre si protraeva verso di lui, ma allo stesso tempo timidamente si tirava indietro. Lovino sussultò per quel lieve piacere, per il tocco che non era lui a dare, ma era qualcun altro, colui che amava. Cercò di avvicinarsi alla sua mano, e allora l’altro decise di iniziare a muoverla.
Il ragazzino si strinse a lui, affondando le proprie dita sulla schiena dell’altro, aggrappandosi, cercando di non dare troppa evidenza al piacere, fallendo miseramente, perché venne proprio su quella mano tanto gentile.
Antonio sapeva già come usare ciò che gli era capitato tra le mani.
Andò alla ricerca del suo punto sacro, sfiorandolo delicatamente, poi infilandoci una, due dita, allargandolo mano a mano, abituandolo a qualcosa che sarebbe presto stata dentro a quel fragile corpo.
E il piacere giunse, dopo un interminabile tempo di attesa.
Fosse per quel bruciore della sua prima volta, fosse perché doveva solo liberare i suoni della sua goduria del momento, il ragazzino gemette.
I loro movimenti, la grazia con cui dondolavano sul materasso, era tutto così dannatamente magico.
Continuavano, tra sussulti, tra brevi parole sussurrate.
“Di più”
“Ancora”
“Ti amo”
E tutto divenne il nulla attorno a loro. Erano loro, in contatto, come fossero un’unica essenza, un’unica anima. E non avrebbero potuto desiderare di meglio.
Antonio si era giurato solennemente che, almeno per Natale, non avrebbe indugiato ad atti impuri, purtroppo dovette ricredersi.
Nella notte della nascita di Cristo, egli compì la prima volta di un ragazzino, desideroso quanto lui di tutto ciò che ora li circondava.
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Il mattino seguente, la neve continuava a svolazzare.
La terra intorno a loro era bianca.
Loro sonnecchiavano ancora nel loro nido d’amore, mentre i fiocchi bussavano sui vetri delle loro porte, delle loro finestre, che ancora echeggiavano i suoni della loro notte.
Antonio si svegliò, o meglio, aprì gli occhi e si rese conto che la notte magica era conclusa, ma sveglio non lo era proprio. Vedeva solo il corpicino nudo ed esile di Lovino, accanto al suo, ancora vicino alle sue labbra per gli ultimi baci. I corpi di entrambi pieni di succhiotti e graffi ovunque.
Quando il ragazzino si svegliò, rendendosi conto del tutto, si limitò ad arrossire e fare finta di nulla, mentre sprofondava nell’imbarazzo più cruento.
Passarono il Natale in maniera tranquilla, piccoli doni furono scambiati. Lovi non poteva permettersi chissà che dopo che nemmeno aveva più un soldo. Era riuscito a raccimolare un quaderno, con molte pagine, disegnando sulla prima pagina un pomodoro gigante, scrivendo “Ecco il quaderno di un idiota consumatore di pomodori”. Tonio gli comprò dei nuovi vestiti, più alla moda. Un maglione largo, che piacevano particolarmente al giovane, uno più stretto, per evidenziare le sue belle forme, e dei semplici pantaloni. Lovino quasi rifiutò il tutto, anche se dopo fu costretto ad accettare.
Il giorno passò, così come le notti, che si tinsero nuovamente dei suoni del loro nido amoroso, dove puntualmente si passava da “Ehy bastardo, stammi lontano stanotte!” a dei gemiti e sussulti continui.
Le vacanze invernali stavano per concludersi.

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