Una nuova identica mattina era appena iniziata nella casa di riposo. Come ogni giorno tutto il personale del turno diurno iniziò ad arrivare nel parcheggio della struttura e a prepararsi per il lavoro. Come ogni giorno il programma delle attività era lo stesso come lo sarebbe stato anche il menù della colazione.
A conferma di ciò, proprio come al solito, anche le assistenti irruppero nella stanza 101 nello stesso modo chiassoso di sempre.
Ma per Yoongi ogni cosa quel giorno era profondamente diversa.
Era diverso il silenzio della stanza quando si era svegliato un po' prima dell'arrivo del personale.
Era diverso il suo umore che lo stava rendendo apatico e remissivo.
Era diverso il comportamento delle ragazze che per una volta si affaccendarono subito intorno a lui e che si stupirono non trovando nessuna resistenza da parte di Yoongi quando cercarono di aiutarlo a vestirsi.
Anche la conclusione di quella visita di routine fu diversa.
Le due donne dopo aver finito di infilargli il maglioncino e le scarpe erano semplicemente uscite dalla stanza. Nient'altro.
Yoongi lanciò un ultimo sguardo al letto vuoto davanti al suo, poi uscì dalla stanza 101 e si diresse al giardino.
Lentamente, con una lentezza quasi estrema, si diresse verso quella panchina su cui gli era piaciuto trascorrere diversi pomeriggi fino a quel momento.
Era un punto tranquillo del giardino, dove d'estate crescevano tantissimi fiori che quasi riuscivano a sommergere ogni anno le gambe di quella panchina su cui finalmente si andò a sedere. Con la testa un po' piegata all'indietro si godette i raggi del sole sul viso mentre riprendeva fiato per la passeggiata.
Quella semplice sensazione di calore sulle guance lo riportò di nuovo indietro nel tempo, a quel pezzo di storia che non aveva avuto il tempo, o forse il coraggio, di raccontare il giorno prima.
Era la parte della storia che più lo aveva tormentato negli anni seguenti, la parte che più di tutte aveva fatto fatica a superare, quella che ancora adesso sperava fosse andata diversamente, quella che avrebbe voluto cancellare.
Quella che in fin dei conti non aveva ancora mai accettato.
*
La mattina successiva a quella serata al cinema conclusasi nel suo capanno degli attrezzi, Yoongi si era svegliato tardi, con la luce che filtrava dalle tende arrivandogli dritta in faccia. Era sceso più addormentato che sveglio fino in cucina dove sua madre lo aveva rimproverato per essersi svegliato a quell'ora e dove suo padre leggeva il giornale ignorando moglie e figlio. Restò con loro giusto il tempo di prepararsi qualcosa per colazione e poi se la svignò alla svelta nella sua biblioteca privata.
Scena analoga si svolse quella mattina in casa Park. Jimin era rientrato tardissimo tentando di non fare il minimo rumore e si era addormentato ancora con gli abiti per uscire addosso. Probabilmente avrebbe avuto la forza di cambiarsi solo se Yoongi lo avesse prima spogliato... con quel pensiero in testa si era addormentato di sasso fino al mattino, quando suo padre era andato a bussare alla sua camera per avvisarlo della colazione.
Come un morto che cammina si era alzato, cambiato, sciacquato il viso e finalmente aveva raggiunto il suo posto in cucina. Fissava il nulla con la guancia abbandonata sul palmo della mano, rivivendo sprazzi confusi della sera precedente con la mente ancora impastata dal sonno.
Suo fratello lo risvegliò tirandogli un poco gradito scappellotto sulla nuca prima di sedersi a sua volta.
«Allora, hyung! Ti è piaciuto ieri il film?»
«Mh? C'eri anche tu?»
Cercò di trattenersi dal guardarlo male, concentrandosi invece finalmente sul piatto che aveva davanti.
«Oh sì, io c'ero. Ma tu? Non te ne sei mica andato via a metà film con il tuo amico? Cos'è, ti sei imbarazzato a vedere una donna nuda?»
Quella stupida frase sarcastica provocò una serie di reazioni a catena. Jimin in primis si irrigidì visibilmente. Dopo un attimo di silenzioso imbarazzo sua madre esclamò che quelli erano discorsi da uomini e lei aveva molto da fare; al contrario suo padre sembrava improvvisamente molto interessato e nella testa del ragazzo anche più arrabbiato di quanto in realtà non fosse.
«Cosa significa, Jimin?»
«Io-
Si stava vergognando da morire, ma doveva trovare una risposta convincente, una risposta che lo facesse apparire come un vero uomo etero.
«Io mi sono imbarazzato, è vero. Ma semplicemente perché vorrei poter scoprire le bellezze di un corpo femminile in una situazione più piacevole, ecco.»
Forse non era passato esattamente come un "vero uomo etero", ma più come un "vero sfigato etero".
«Verginello» gli sibilò malevolo suo fratello, attento a non farsi sentire dal padre che dal canto suo sembrava soddisfatto della risposta, ma non altrettanto contento della situazione.
«Jimin, ormai sei quasi un adulto a tutti gli effetti, non mancano molti anni a quando potrai andare al militare. Non puoi continuare a prendere certe... "questioni" alla leggera. Vorrei morire con il capezzale circondato dai miei nipoti.»
Sottolineò tutto il discorso con uno sguardo penetrante e severo. Solo un "Sì, papà" abbandonò le labbra di Jimin in risposta.
Divorò la colazione senza più alzare la testa, ascoltando distrattamente i nuovi discorsi della sua famiglia. Poi si rintanò in camera sua: quel giorno non poteva andare da Yoongi. Se qualcuno avesse scoperto qualcosa... Non voleva nemmeno pensare a quell'eventualità.
Evidentemente invece Jihyun non vedeva l'ora di pensarci.
Cosa diamine aveva fatto di così grave a suo fratello da meritarsi tutto quell'odio?
«Hyung, secondo te sospettano già qualcosa? Che hai fatto di bello col tuo amichetto per tornare addirittura più tardi di me?»
Il sorriso sarcastico stampato sulla sua faccia irritò Jimin ancor più delle sue frasi malevole, soprattutto perché ormai a quelle era abituato fin sa quando suo fratello lo aveva beccato semplicemente abbracciato un po' troppo stretto ad un suo amico.
«Secondo te nostro padre sospetta già qualcosa della gravidanza della tua rispettabile ragazza da una notte e via? Temo sarai nei casini una volta tornato a casa.»
Non voleva dirlo. Non voleva dirlo davvero, con quel tono cattivo per di più. Aveva tenuto il segreto per mesi, da quando aveva incontrato in lacrime davanti a casa una delle tante avventure di suo fratello. Tra i singhiozzi gli aveva prima confessato di aspettare un bambino e poi lo aveva scongiurato di non dirlo a nessuno, cercando di convincere più se stessa che Jimin che avrebbe trovato una soluzione.
Ma ormai lo aveva detto. Non poteva rimangiarsi le parole. Aveva perso troppo le staffe e si era trasformato nel Jimin subdolo che mai avrebbe voluto essere.
«Senti, Jihyun, mi dis-
«Cosa- Come lo sai? Chi cazzo te l'ha detto?!»
Sembrava a dir poco terrorizzato. Nel giro di un secondo aveva controllato 3 volte la porta, come se sperasse di poterci guardare attraverso per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando. Poi si avvicinò di colpo al fratello, senza nemmeno aspettare una risposta.
«Non osare farne parola con nessuno, hai capito?»
«E tu non mettere in giro strane voci su me e i miei amici, hai capito?» lo scimmiottò.
Anche se era stata una mossa orribile da parte sua, certo non più orribile di quello che gli stava facendo suo fratello, ormai doveva cercare di sfruttarla. Jihyun fece un verso di disapprovazione, ma comunque annuì.
«Non una parola, siamo intesi» e si avviò di nuovo verso la porta, dove si fermò per aggiungere con un ultimo ghigno «Cerca solo di non farti beccare con un uomo!»
La porta si richiuse troppo in fretta e l'oggetto che Jimin aveva lanciato, qualcosa di leggero preso a caso dal tavolo, rimbalzò inutile contro il legno.
Alla fine, anche se non si erano dati appuntamento e nonostante la promessa che aveva fatto a se stesso, appena dopo pranzo Jimin sgattaiolò fuori casa e, con un percorso più lungo del solito, raggiunse casa di Yoongi.
Suonò al campanello annunciandosi alla madre con nome e cognome, per andare sul sicuro.
«Buon pomeriggio signora Min, le ho portato della frutta fresca. Suo figlio è sempre così gentile con me, mi sembrava giusto ricambiare»
Lei lo accolse cortese, lasciandolo entrare nell'ingresso di casa.
«Ti ringrazio, Jimin. Vuoi che ti chiami Yoongi?»
«Gliene sarei grato. Spero di non disturbarlo, non ci eravamo messi d'accordo per vederci.»
La madre al "disturbarlo" fece un gesto come a dire che non era possibile.
«Mio figlio è sempre rintanato in quella sua biblioteca, sono contenta che abbia qualcuno con cui uscire un po'» fece una pausa, poi sembrò voler aggiungere qualcosa «Ah, Jimin»
«Mi dica, signora»
Lei lo fissò, indecisa, ma alla fine scrollò la testa.
«No niente, seguimi»
Alla fine furono loro ad andare di sopra. La madre di Yoongi lo annunciò prima di farlo entrare nella piccola biblioteca privata del figlio. Era una stanza bellissima, con file di librerie e una comoda poltrona da cui il suo probabilmente ormai ragazzo si era appena alzato.
«Jimin! Buon pomeriggio. Che ci fai qui?»
«Yoongi- sua madre parlò prima che l'ospite potesse rispondere -tuo padre tornerà questa sera. Con questa giornata così calda, comunque, vi consiglio di restare in casa al fresco o a godervi l'ombra in veranda. Meglio non uscire. Vi chiamo appena la macedonia sarà pronta.»
Detto ciò lasciò la stanza, ma solo dopo aver lanciato una veloce occhiata di intesa al figlio.
«Non credo faccia così caldo oggi» osservò Jimin stranito.
«Restiamo qui comunque, ti va? Parliamo un po'.»
Davanti al sorriso di Yoongi che accompagnò le sue parole, l'altro non trovò nulla da obiettare e si lasciò velocemente convincere.
Durante quel pomeriggio, il più piccolo si ritrovò, tra un argomento e l'altro, a raccontare pieno di imbarazzo la sua visione dei fatti di quel periodo di amicizia, da quando aveva scoperto di provare dei sentimenti per l'altro fino alla sera prima. Anche Yoongi in modo molto più sintetico e spiccio confessò come aveva vissuto alcuni momenti insieme, le sue paure e perfino le paure di sua madre, che era a conoscenza della sessualità del figlio ormai da tempo.
Così, alla fine, anche Jimin si aprì ancor di più con l'altro, vedendo lo sforzo che aveva fatto Yoongi per rivelargli quel suo timore. Gli raccontò così tutto ciò che era successo quella stessa mattina, spaventandosi anche solo a ripensarci.
Si rese conto che suo padre era completamente l'opposto della signora Min: non avrebbe mai accettato di avere un figlio anormale, uno che invece di sognare di stringere una bella figliola tra le braccia aveva pensieri schifosi su altri uomini.
Yoongi decise di non fare alcun commento sull'uomo vedendo quanto quell'accaduto avesse scosso il figlio. Dopotutto non era nemmeno così sorpreso: come lui, anche una larghissima parte della popolazione coreana la pensava esattamente allo stesso modo.
Dovevano solo stare attenti, molto attenti.
*
Stare attenti.
Fu quello il pensiero fisso che lo tormentò nei giorni successivi. Ora che sapeva che dovevano nascondersi anche dai loro stessi familiari, gli sembrava di non potersi più permettere nemmeno di farsi vedere insieme a Jimin. Allo stesso tempo, però, era convinto che iniziare all'improvviso ad evitarsi sarebbe parso ancor più strano agli occhi di chi li conosceva.
Fu così, con quel genere di pensieri in testa, che iniziò a comportarsi in maniera sempre più strana. Un giorno quasi obbligava Jimin ad uscire insieme fino a sera e poi, il giorno successivo, finiva per evitarlo in preda all'ansia che quell'incontro li avesse esposti troppo.
Il più piccolo cercò di sopportare con pazienza. Dopotutto, anche se non ne avevano più parlato, capiva come poteva sentirsi. Capiva la paura crescente, quell'ansia che lo spingeva a nascondersi ma allo stesso tempo a mostrarsi come al solito.
Tuttavia, quando durante un'uscita Yoongi iniziò a comportarsi in maniera più strana del solito, Jimin non riuscì più a trattenersi.
«Yoongi, piantala. Ti prego, smettila. Smettila di comportarti così.»
L'altro lo guardò mostrandosi subito sulla difensiva.
«Cosa intendi?»
«Smettila di continuare a guardarti intorno in modo ossessivo, di fingere di star parlando tranquillamente con me solo quando qualcuno ci guarda, di cambiare strada di continuo una volta perché è troppo affollata mentre quella successiva perché è troppo vuota. A sto punto sarebbe stato meglio uscire da soli!»
La voce gli era salita in modo stridulo mentre finiva per riversare tutta la sua frustrazione in quelle parole.
«Lo sto solo facendo per noi, perché nessuno ci scopra. E abbassa quella dannata voce.»
Jimin scosse la testa.
«Se stai tanto cercando di aiutarci, perché ci stai anche rovinando? Ormai riusciamo a vederci solo secondo i tuoi capricci, a malapena parliamo! Per non parlare... per non parlare del fatto che non mi hai più sfiorato nemmeno con un dito.»
Mentre pronunciava le ultime parole abbassò la testa. Non voleva fargli vedere che gli occhi gli si stavano riempiendo di lacrime.
Sapeva che quella situazione non era solo colpa di Yoongi e razionalmente riusciva anche ad accettare che si stesse comportando così per proteggere la loro coppia. O almeno aveva creduto di riuscire ad accettarlo.
Yoongi rimase spiazzato. Non era da Jimin arrabbiarsi a quel modo e fare una scenata di quel tipo in mezzo alla strada. Era così incredulo che nemmeno si preoccupò di controllare se qualcuno li stesse osservando.
«Credevo fosse chiaro a entrambi quant'è pericolosa questa situazione. Ma evidentemente questo ragazzino arrapato non riesce a capire che sto facendo tutto questo per salvargli il culo!»
Il minore indietreggiò.
"Ragazzino arrapato".
Yoongi... Yoongi gli aveva appena rinfacciato con quelle due semplici parole il suo voler un contatto fisico con lui, la persona che amava.
"Arrapato"
La sua mente ebbe un blackout. Improvvisamente si sentì giudicato dall'unica persona che credeva dalla sua parte. Quella battaglia contro il mondo che sembravano voler intraprendere per poter rivendicare il loro amore come qualcosa di naturale in una società che lo trovava disgustoso, a quanto pareva era morta ancor prima di iniziare. Quei suoi sentimenti che credeva così normali erano appena stati declassati ad "arrapamento", una mera questione ormonale da ragazzini.
Doveva andarsene da lì, immediatamente.
*
Yoongi restò a lungo immobile in mezzo alla strada, con lo sguardo perso nel punto in cui Jimin era sparito. Dopo quelle parole lo aveva solo fissato mentre, un passo dopo l'altro all'indietro, si era allontanato sempre di più. Lo aveva guardato anche quando si era voltato e si era messo a correre. Lo aveva fissato e basta, senza riuscire ad aggiungere nulla.
Aveva insultato Jimin, aveva riversato su di lui tutto il suo odio per il mondo che ad un tratto gli era sembrato volesse dividerli a tutti i costi.
E poi... e poi era stato lui a rovinare tutto. Jimin non gli era stato portato via da chissà chi: lo aveva allontanato lui stesso.
A passi lenti, lentissimi, era tornato a casa. Senza salutare nessuno si era barricato nella sua biblioteca. Era rimasto a fissare la strada oltre al vetro della finestra anche dopo che il sole era tramontato e a malapena distingueva il contorno della siepe del suo giardino.
Immobile in quella posizione, aveva cercato di bloccare anche i suoi pensieri, ma invano. Quelli continuavano a sfrecciare a tutta velocità tornando continuamente sullo stesso ricordo: il volto tutto ad un tratto distrutto di Jimin.
A sua madre era bastato un solo sguardo quando il figlio era rientrato a casa per capire che qualcosa era andato storto. Suo padre, invece, non aveva avuto bisogno nemmeno di quello.
Quando finalmente si convinse a schiodarsi dalla sua poltrona seguendo il mero istinto di cibarsi e raggiunse i genitori a tavola, suo padre sapeva già che cosa era successo quel pomeriggio.
«Yoongi, mi rendo conto che probabilmente non vuoi parlarne, ma so che hai avuto una discussione con il tuo amico questo pomeriggio.»
Lui alzò gli occhi incredulo e improvvisamente molto incazzato.
«Come diamine fai a saperlo?!»
«Yoongi, tesoro, non parlare così a tuo padre!»
Sua madre cercò di accarezzargli un braccio per calmarlo, ma lui la scansò senza tanta grazia.
«Abitiamo in un paesino, le voci corrono più veloci di un'automobile. Volevo solo dirti di stare attento. Un semplice pettegolezzo innocente può trasformarsi in un secondo in una cattiveria e sai quanto ha fatto tua madre per proteggerti.»
Cosa stava dicendo? Era vero, sua madre lo aveva protetto quando da piccolo i suoi compagni di scuola lo avevano preso in giro dicendo che lo avevano visto fissare il culo di un altro ragazzo. La signora Min lo aveva preso bonariamente in giro con le altre mamme dicendo che probabilmente era solo invidioso a causa delle sue gambe così magre. Quella volta aveva messo a tacere tutte proteggendolo dalle malevoci e da quel momento lui aveva cercato di non dare mai più a nessuno modo di prenderlo in giro.
Ma cosa c'entrava con il suo litigio con...
«Aspetta, cosa vuol dire? Hai sentito dei pettegolezzi?! Non si sarà mica sparsa la voce di... di me e... No. Non è possibile, giusto?»
Per un attimo la sua mente andò così in confusione che riuscì solo a pensare che era la prima volta che ammetteva con suo padre di essere gay. Sapeva che ne era a conoscenza e che aveva sempre rispettato pacatamente la sua scelta in quanto era convinto che tutte quelle faccende fossero unicamente scelte del figlio dalle quali lui preferiva starne semplicemente fuori.
Ma se ora ne stavano improvvisamente parlando voleva dire esattamente quello che temeva: che il peggio era accaduto.
Si alzò di scatto a sedere. I genitori lo guardarono stupiti.
«Yoongi, cosa-
«Mamma, la cosa è più grave di quanto crediate voi. Perdonatemi, ora devo andare. Cenerò più tardi.»
Il suo tono ora era calmo in modo quasi inquietante. Doveva mantenere la calma.
Ora la cosa più importante era parlare con Jimin. Solo quello: parlare con lui. Insieme avrebbero risolto tutto. Insieme ce l'avrebbero fatta.
Uscì di casa dopo aver indossato nuovamente le scarpe avviandosi a grandi falcate verso casa del suo ragazzo. Il litigio del pomeriggio non gli sfiorò neppure la mente finché non si ritrovò di fronte alla porta di casa Park.
Jimin avrebbe accettato di vederlo? Ma come avrebbe fatto a chiamarlo? Se suo padre avesse già sentito i pettegolezzi...
No. Doveva mantenere la calma.
Fu a quel punto che si accorse di un ragazzo di qualche anno più piccolo che lo fissava stranito dalla porta davanti a lui mentre cercava di entrare in casa. Un ragazzo davvero molto simile a Jimin.
«Ehy! Sei Jihyun, vero? Ti prego, chiamami tuo fratello, ma non dirgli chi sono. Ho davvero urgenza di parlargli.»
Lui lo guardò ancor più confuso.
«In effetti non ho idea di chi tu- Ah. Certo, ora è chiaro. So bene chi sei. Tranquillo non dirò nulla sulla tua identità, non voglio entrare nelle vostre... faccende.»
Ghignò sull'ultima parola prima di varcare la soglia e sparire nella casa.
Yoongi sentì un moto di violenza nascergli dentro vedendo quel sorrisetto, ma che riuscì a reprimere facendolo sfogare solo in un piccolo tic nervoso della testa.
Poco dopo fece capolino Jimin che si rabbuiò appena lo vide.
«Sei tu. Cosa vuoi? Una tempesta ormonale ti ha colpito e sei venuto da questo ragazzino arrapato?»
La sua voce suonò alle orecchie di Yoongi molto più rude del solito. Il colpo affondò in profondità nel suo cuore.
«Jimin, mi dispiace. Ti prego, perdonami. Qui sono io il ragazzino. Sono andato in panico quando dovevo solo restare calmo e ti ho insultato in modo così stupido. Te lo giuro, vorrei continuare a dirti quanto io sia stato pessimo, ma lascia perdere il nostro litigio per un attimo. È successo un disastro. Mio padre ha sentito... dei pettegolezzi. Su noi due.»
Qualunque traccia di rabbia sparì da quel giovane volto per far posto alla paura.
«Cosa- Come...Come è successo?» balbettò il più piccolo.
«Non lo so. Appena saputa la notizia sono corso subito qui.»
Ma l'altro all'improvviso non lo stava più ascoltando; fissava invece un punto preciso alle sue spalle.
«No. No, no, no. Vieni qui, mettiamoci dietro la siepe.»
Yoongi fu afferrato per un braccio e spostato dietro alla recinzione della casa, lontano dal marciapiede e nascosti alla strada.
«Yoongi, quella dietro di te era la macchina di mio padre, sta arrivando. Se ha sentito anche lui le voci è meglio che mi trovi a casa quando entrerà. Vediamoci domani alle 10 sotto la statua nella piazza del mercato, va bene? Devo andare, Yoongi.»
«Jimin... va bene, a domani. Senti, prima che tu vada devo dirtelo ancora: mi dispiace. Sono stato un pessimo fidanzato ultimamente. Perdonami.»
Jimin a malapena gli fece terminare l'ultima parola. In un secondo aveva gettato le braccia intorno al suo collo e lo aveva baciato.
Bastò quel contatto delle loro labbra per far sparire dal mondo per un attimo qualunque preoccupazione o problema; bastò quello per far capire a Yoongi quanto gli fosse mancato stringere così quel ragazzo.
Ricambiò il bacio cercando di trasmettergli tutte le sue scuse e il suo amore.
«Ti amo Min Yoongi»
«A...anche io, Park Jimin»
«Devo andare...»
Si allontanò veloce e sgattaiolò in casa, lasciando Yoongi da solo con quella confessione che gli si ripeteva in loop nella testa.
"Ti amo Min Yoongi"
Lanciò un ultimo sguardo alla casa e alla fine si voltò per tornare sui suoi passi.
*
Yoongi passò tutta la sera e tutta la mattina seguente in ansiosa attesa dell'orario dell'appuntamento.
Attese e attese, prima a casa per non arrivare in piazza troppo in anticipo e poi lì sotto la statua.
Attese, per ore.
Fu solo quando ormai si stava avvicinando mezzogiorno che il ragazzo perse le speranze di veder arrivare Jimin. Si avviò così di corsa verso casa sua, immaginando già la discussione con il signor Park.
Avrebbe cercato di picchiarlo? Sperò vivamente di no. Sapeva cavarsela con le parole quando serviva, ma a forza fisica Jimin, con quel corpo tonico, lo batteva senza ombra di dubbio.
Ma quando arrivò tutto trafelato per la corsa sotto il sole, ebbe la sorpresa peggiore di tutte.
La casa era semplicemente... vuota.
Le persiane erano tutte chiuse, nessun rumore proveniva dall'interno e la macchina non c'era da nessuna parte.
Se n'erano andati. Così, da un giorno all'altro.
Yoongi cercò di pensare a tutte le alternative possibili, ma dentro di sé sapeva benissimo qual era la verità.
Erano tornati a Seoul prima del tempo.
Se n'erano andati.
Jimin... se n'era andato.
Il rumore che fece il suo cuore in quel momento si udì forte e chiaro. Fu incredibilmente simile a quello di un pugno scagliato con tutta la forza contro una siepe di legno.
*
Solo in seguito Yoongi seppe cos'era successo. Suo padre era tornato a casa stringendo tra le mani dei brandelli di una lettera.
«Un mio amico alle poste è riuscito a salvare questi. Dei suoi colleghi la stavano per fare a pezzi... Purtroppo la busta non si è salvata.»
Se avesse avuto ancora qualche lacrima nel suo corpo, Yoongi era sicuro che sarebbe scoppiato a piangere. Anche ora che Jimin non era più con lui riuscivano a perseguitarli per il solo fatto di essersi amati...
Si rintanò, come sempre più spesso faceva in quel periodo, nella sua biblioteca e osservò quei pezzi di carta stropicciati e strappati.
Li stese e cercò di appiattirli e stirarli con la mano contro la coscia.
Fu così che scoprì che il padre di Jimin era tornato a casa quel giorno fresco di pettegolezzi. Era stato messo in ridicolo al bar da alcuni amici ancor più idioti di lui e questo gli era andato giù ancor meno di avere un figlio finocchio. A quanto pareva uno di questi li aveva visti uscire dal cinema insieme e aveva in seguito sentito altre voci di chi li aveva visti per strada per mano quella sera. L'uomo non aveva impiegato molto per mettere insieme tutti i puntini, comprese le frecciate di Jihyun, per capire che c'era della verità in quelle voci.
Era tornato a casa infuriato e aveva riversato tutta la sua rabbia e il suo disgusto sul figlio. Alla fine Jimin ormai in lacrime in ginocchio sul pavimento aveva urlato di essere innamorato di Yoongi, ma questo non gli aveva fatto ottenere nessuna pietà: suo padre aveva iniziato ad urlare ancor più forte che sarebbero tornati immediatamente a Seoul e nel giro di un paio di ore avevano già impacchettato quasi tutto quello che si erano portati per l'estate.
La mattina presto erano partiti e Jimin non aveva avuto nessuna possibilità di informarlo. Se n'erano semplicemente andati, da un momento all'altro.
"Yoongi, mi dispiace davvero tantissimo. Qualunque cosa possano dirti, ricorda che il nostro amore è la cosa più bella al mondo. Non c'è niente di orribile in due persone che si amano. E io ti amo Yoongi.
Scrivimi presto all'indirizzo sulla busta.
Grazie per quest'estate meravigliosa. Sono sicuro che ci rivedremo.
Tuo, per sempre,
Park Jimin"
Ma quell'incontro fugace di qualche minuto, nascosti dietro la siepe, fu a tutti gli effetti l'ultimo loro incontro per molti, moltissimi anni.
*
Yoongi osservò il giardino intorno a lui, vedendolo un po' sfuocato a causa di una lacrima rimasta impigliata tra le sue ciglia. Era contento che Sunmin non avesse sentito quella parte della storia.
Riflettendoci, Jihyun doveva essere stato il nonno di quella ragazzina e forse il figlio che aspettava da lui la ragazza di Seoul poteva essere sua madre o suo padre.
Era decisamente meglio che avesse ascoltato solo la parte felice. Non credeva avrebbe avuto la forza, nonostante fossero passati tutti quegli anni, di raccontare a voce quell'ultima parte.
Era stato duro rivedere Jimin in quelle condizioni, ormai vecchi. Era stato un colpo al cuore, ma all'inizio non aveva sentito nessuna fiamma dell'amore riaccenderlo. Aveva provato tanta nostalgia, ma nonostante tutto aveva avuto una bella vita, piena di emozioni. Era riuscito così a tenere a bada la tristezza.
Quando però Sunmin gli aveva detto quelle parole, confessandogli che Jimin non si era mai più legato a nessuno, proprio come lui, quella vecchia ferita aveva ricominciato a fargli male.
E ora lo stava perdendo di nuovo.
Chiuse gli occhi un attimo. Aveva sempre vissuto una vita senza Jimin e ora che lo aveva ritrovato, era tutto il mondo che lo stava per perdere, non più solo lui.
Ora che lo aveva appena ritrovato, non voleva riaprire gli occhi su un mondo senza di lui.
*
«Pronto? Oh. Certo. Certo, informo subito il dottore. Potete inviarci tutti i documenti? La ringrazio. Sì, arrivederci.»
Bastarono poche parole per comunicare quella notizia. Non era certamente la prima di quel tipo lì alla casa di riposo e non creò molto scompiglio. Ci furono soprattutto un po' di tristezza e tante carte da compilare.
Poi una delle infermiere si ricordò del signor Min, era giusto che anche lui fosse informato di quella notizia.
Mentre lo cercava, rimuginò sul modo più gentile per dirglielo. Dopotutto era stato il suo compagno di stanza, anche se solo per pochi giorni.
Quando finalmente lo trovò, seduto sulla panchina, con gli occhi chiusi, ripensò per l'ultima volta a che parole usare.
"Yoongi, prima è arrivata una telefonata dall'ospedale. Purtroppo Jimin è venuto a mancare poco fa. Non so se eravate amici, ma volevo dirti che mi dispiace davvero tanto."
Ma si accorse presto che non ci sarebbe stato bisogno di pronunciare nessuna di quelle parole.
La stanza 101 aveva appena perso entrambi i suoi inquilini nello stesso giorno.
Seduto su quella panca, in mezzo al verde del giardino, Yoongi sembrava finalmente in pace, anche se una piccola lacrima era scesa lungo la sua guancia.
Forse dentro di sé sapeva già che anche Jimin aveva lasciato questo mondo.
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