The Kill

di ikuccia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cosa ci fai qui? ***
Capitolo 2: *** Chimiche pericolose ***
Capitolo 3: *** I'm running from you ***
Capitolo 4: *** Break me down ***
Capitolo 5: *** Mr. Nessuno ***
Capitolo 6: *** Premonizioni di una fine certa ***
Capitolo 7: *** Giù all'inferno ***
Capitolo 8: *** Look in my eyes ***
Capitolo 9: *** In principio ***
Capitolo 10: *** Do you hear me? ***
Capitolo 11: *** The Kill ***
Capitolo 12: *** Rebirth ***



Capitolo 1
*** Cosa ci fai qui? ***


<< Cosa ci fai sul mio letto e, soprattutto, come sei entrato? >> chiesi infastidita da quella scoperta.
Sembrava una serata come le altre mentre rientravo da lavoro ignara di cosa mi stava attendendo.
Poggiai la borsa e le chiavi sul tavolino in ferro battuto e vetro che adornava l’ingresso e, sfilate le decoltè che mi stavano torturando i piedi dalla mattina, mi diressi verso la camera da letto ed ecco la mia infelice sorpresa: era sdraiato sul mio letto con la schiena sorretta da due grossi cuscini, in attesa del mio rientro.
<< Nemo gradirei una risposta, oppure devo chiamare la polizia? >> lo esortai, con tono sarcastico, a darmi spiegazioni sulla sua presenza in casa mia mentre sul mio viso si accennava un sorriso di sfida.
Restò immobile a guardarmi.
La mia attenzione fu catturata dalle sue scarpe perfettamente allineate alla base del letto e dal suo completo nero di alta sartoria senza neanche una piega. Era lì da molto e mi aveva aspettata predisponendo tutto nel migliore dei modi e con maniacale attenzione per i dettagli.
<< Non sono in vena di giochetti stasera. E’ stata una giornataccia e vorrei solo fare un bagno caldo. >> e gli diedi le spalle mentre abbassavo la zip del tubino nero che scivolò via sul pavimento.
Mi irritava quel silenzio.
In lingerie mi avvicinai al mio ospite e, chinandomi all’altezza del suo viso, gli dissi che poteva chiamare la mia segretaria per prenotare una seduta; poi mi rifugiai in bagno.
Lo scrosciare del rubinetto della vasca inondava la stanza ormai ovattata dal vapore. Mi abbandonai a piacevole calore dell’acqua che stava allentando la tensione delle mie membra.
Il profumo inebriante di lavanda, con la sua soffice schiuma, mi aveva fatto dimenticare che dietro a quella porta c’era un uomo che mi attendeva.
Avevo deciso di ignorarlo e mi stavo godendo quell’angolo di paradiso.
Ormai l’acqua era diventata tiepida e la schiusa si era rarefatta addensandosi sulle pareti della vasca mostrando il mio corpo nudo galleggiante, quando la porta del bagno si aprì e Nemo fece il suo ingresso avvicinandosi al bordo della vasca dove sedette.
<< Perché hai fatto così tardi stasera? >> mi chiese percorrendo tutto il mio corpo con i suoi occhi color ghiaccio. Sentivo quello sguardo gelido scivolare centimetro per centimetro ed un brivido mi attraversò.
<< Avevo da lavorare. Piuttosto tu cosa ci fai qui? Chi ti ha fatto entrare? >> gli chiesi socchiudendo gli occhi per sottrarmi alla sua presenza mentre mi raggomitolavo su me stessa per nascondere la mia nudità.
Me ne stavo immobile in quella vasca che ora sembrava un pozzo senza fondo.
<< Ho le chiavi, ricordi? >>
<< Nemo, per favore esci… E’ imbarazzante…>> gli implorai mentre stringevo forte le braccia intorno alla gambe per difendermi dal freddo dell’acqua e del suo sguardo fisso su di me.
<< Come ti sei fatta quel livido? >> mi chiese tenendo la sua attenzione fissa su una chiazza violacea che si era allargata sul mio fianco come inchiostro su carta bianca. Era un livido molto scuro ed evidente, complice anche il pallore della mia pelle.
<< Non ricordi? Sei stato tu, una settimana fa… >> e raccogliendo un po’ di coraggio puntai le mie biglie azzurre nelle sue color ghiaccio.
Come era possibile che avesse dimenticato quell’incidente?
<< Eravamo nel mio studio, durante l’ultimo incontro. Eri fuori di te e mi hai colpita. >> provai a ricordargli.
Stavo analizzando il suo blocco emotivo mentre lui cercava di contraddirmi, di negare la veridicità della mia analisi, ed all’improvviso si era deformato sotto la spinta dell’ira: aveva sgranato gli occhi, la pelle del suo viso era diventata tesa, la sua voce si era fatta cupa ed alterata dalla rabbia. Mi ero avvicinata a lui per provare a calmarlo ma, di rimando, mi aveva violentemente spinta facendomi precipitare sulla mia sedia.
Non saprei dire cosa fosse stato peggio: il dolore fisico che si propagandava dal punto dell’impatto e divampava per tutto il mio corpo mandandomi in fiamme i polmoni ormai assetati d’aria, oppure il terrificante stupore di una reazione tanto violenta quanto inaspettata.
Nemo non era un uomo violento.
Era un uomo ben educato, dal lessico molto forbito, chiaro segno di un’eccellente formazione culturale, talentuoso e consapevole di esserlo al punto tale da poterlo definire un narcisista.
La sua diagnosi: un blocco emotivo che gli impediva di relazionarsi in modo profondo. Probabilmente la sua incapacità di amare era dovuta a pessimi rapporti familiari ma era difficile confermarlo perché ogni volta che mi relazionavo con lui ero costretta a ricostruire una serie di indizi e ad interpretare numerose metafore. Era proprio questo che mi affascinava di lui.
<< Le tue labbra sono diventate livide. >> mi disse e, prendendo il mio accappatoio, mi aiutò ad uscire dalla vasca.
Era una situazione fin troppo intima e mi creava disagio condividerla con quell’uomo.
Che cosa voleva da me?

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Capitolo 2
*** Chimiche pericolose ***


*Nemo*
Avevo aspettato per ore il suo ritorno, sdraiato sul suo letto, e quando finalmente era rincasata si era chiusa in bagno.
Avevo sentito il rumore dell’acqua precipitare nella vasca ma ora c’era un silenzio assordante e mi stavo spazientendo. Come faceva ad ignorarmi in quel modo?
Alzai il polsino della camicia per fissare il Rolex: era già trascorsa un’ora e non riuscivo ad immaginare cosa stesse facendo dietro quella porta. Decisi di andare a controllare.
Se ne stava immobile a galleggiare nella vasca; ormai la schiuma si era rarefatta e mi mostrava tutta la sua nudità sospesa in quel liquido.
La sua carnagione era pallida come il latte ed il suo corpo sembrava ancora più esile e fragile mentre si faceva cullare da quell’acqua che ormai doveva essere diventata fredda; aveva la pelle d’oca.
Percorrevo il suo corpo curva dopo curva.
Continuava a chiedermi perché fossi lì ma dribblavo le sue domande; in realtà non sapevo neanche io cosa mi avesse condotto a casa sua e perché sentivo la necessità di vederla.
Provava disagio, si capiva dalla sua espressione tesa. Si chiuse a guscio per difendersi dai miei occhi forse troppo prepotenti.
Il rumore dello spostamento d’acqua echeggiò nella stanza.
Il mio sguardo fu attratto da una macchia violacea che si allargava all’altezza del costato, appena sotto al seno destro, e continuava fino alla base della scapola.
<< Come ti sei fatta quel livido? >> le chiese e la risposta mi fece rabbrividire.
Sentivo una forte sensazione di nausea stringermi la gola mentre ascoltavo la cronaca di quell’incidente: ero stato io in un impeto d’ira durante un nostro incontro settimanale.
Come era stato possibile? Non ero un uomo violento eppure ero arrivato a colpire quella donna così fragile e marchiarla con quell’orribile segno.
Non ero un uomo violento ma non potevo negare che la vicinanza ad Eliza suscitava in me reazioni inspiegabili. Ero attratto da quella donna e questo mi rendeva pericoloso sia per lei che per me stesso.
Mentre l’ascoltavo sentivo i sensi di colpa consumarmi ma rimasi impassibile: né il mio volto, né un singolo spasmo del mio corpo avrebbero mostrato il turbamento che mi stava consumando all’interno.
Presi il suo accappatoio e la invitai ad abbandonare quell’acqua che ormai non doveva avere più nulla di confortevole e che stava colorando di viola le sue labbra carnose e ben definite.
Si sollevò lentamente regalandomi la vista della sua schiena che prontamente coprì.
Doveva essere una situazione estremamente imbarazzante per lei, si capiva dal rossore che aveva incendiato le sue gote, eppure per me, quel gesto, sembrò così naturale.
Le porsi la mia mano e l’aiutai a scavalcare il bordo della vasca e, una volta salda al pavimento, la strinsi accarezzandole la schiena per restituirle un po’ di calore.
<< Asciugati e non prendere freddo, ti aspetto in cucina >> e la lasciai al centro del bagno mentre mi fissava chiudere la porta alle mie spalle.
<< Nemo cosa stai facendo? >> mi chiese entrando nella stanza.
<< Preparo la cena.  Dovresti mangiare un po’ di più, ultimamente mi sembri molto dimagrita. >> le risposi andandole incontro con un calice di vino bianco.
Afferrò il bicchiere e le nostre dita si sfiorarono e nell’istante di quel breve contatto sentì una tremenda fitta al cuore che mi spezzò il respiro lasciandomi immobile.
<< Nemo tutto ok? >> mi chiese mentre i suoi enormi occhi azzurri travisavano preoccupazione per quella reazione.
Non riuscivo a capire cosa era appena successo e perché quel tocco mi aveva provocato un inspiegabile malessere.
Elize rappresentava un grande interrogativo per me: come poteva essere tanta passione e tanto dolore nello stesso momento? Perché ero così ammaliato da quella donna? Perché proprio lei?
La fissai per alcuni lunghi minuti e poi, avvicinandomi al suo orecchio, le sussurrai le mie scuse per averle procurato quel livido.
Lei abbassò gli occhi e mi disse: << Non sei una persona cattiva. A volte hai delle reazioni strane ma ti aiuterò a venirne fuori. >>
Come poteva aiutarmi se non riuscivo a capire cosa mi stava succedendo?

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Capitolo 3
*** I'm running from you ***


<< Nemo mi stai ascoltando? >> gli chiesi richiamando la sua attenzione.
<< Non mi piace venire nel tuo studio, è anonimo! Casa tua è arredata con molto più stile e mi fa sentire meglio. >> mi rispose dopo aver finito di scrutare l’ambiente che ci circondava.
<< E’ un ambiente confortevole. E’ terapeutico! >> obiettai scocciata; avevo parlato al vento mentre lui analizzava e criticava il mobilio del mio luogo di lavoro.
<< Non mi piace Eliza, non riesco a sentirmi a mio agio qui dentro. E poi questo divano non è comodo come vorresti far credere. Come pensi che possa rilassarmi e meditare su tua indicazione? >> e si alzò per iniziare un tour della stanza.
Era da più di un anno che, ogni martedì, affrontavamo un percorso di psicoanalisi ed ora, all’improvviso, sembrava aver notato quell’ambiente per la prima volta. Che fosse stato un diversivo per non affrontare il discorso sul suo comportamento dell’ultimo periodo? O forse quelle quattro mura gli cagionavano un reale malessere?
<< Nemo. Ok, ti ascolto. >> gli dissi dolcemente rivolgendogli un sorriso per rassicurarlo mentre mi appoggiai allo schienale della sedia in attesa della sua risposta.
<< E se non avessi nulla da dirti? >> mi rispose avvicinandosi alla mia postazione ed abbassando il viso in modo da potermi ferire con i suoi occhi color ghiaccio.
<< E se invece volessi parlarmi di tante cose? >>
<< Del tipo? >>
Mi stava sfidando ma questa volta ero intenzionata a non dargliela vinta.  Avevo tutto il pomeriggio libero e non lo avrei lasciato andare, nonostante la nostra seduta si stava consumando velocemente.
<< Perché hai quella reazione quando abbiamo un contatto che tu non hai previsto? La tua espressione ravvisa un’enorme sofferenza e mi piacerebbe discuterne con te. Cosa ti infastidisce: il contatto o l’inaspettato? >> desideravo che quell’uomo mi desse una risposta, anche un solo indizio per costruire una teoria comportamentale ma era pretendere troppo da lui. Come faceva spesso davanti a domande troppo dirette, si chiuse a riccio dietro la sua impenetrabilità.
Oh Nemo, cosa mi stai nascondendo?
Nemo non era come gli altri pazienti: per lui provavo un trasporto che difficilmente nutrivo per i nomi che avevo in agenda e questo rendeva tutto più complicato.
Era sbagliato!
Era deontologicamente pericoloso ma sembrava essere l’unico modo per notare le piccole sfumature del suo sguardo e della sua personalità.
Quell’uomo era impenetrabile ma, con il tempo, complice anche la mia attrazione per lui, avevo decifrato alcune piccole anomalie del suo comportamento che lasciavano intravedere la lotta intestina che lo stava logorando da tempo.
<< Tempo scaduto dottoressa! Alla prossima. >> ed infilandosi il cappotto si diresse verso l’uscita.
<< Nemo, non è ancora il momento. >> lo rincorsi ma fu un tentativo vano che mi lasciò l’amaro in bocca. Vedevo la sua sagoma farsi sempre più piccola mentre percorreva quel lungo corridoio che lo allontanava dal mio tentativo di aiutarlo.

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Capitolo 4
*** Break me down ***


*Nemo*
Le parole di Elize mi stavano torturando!
La mia mente mi riproponeva brevi fotogrammi delle ore precedenti: la rivedevo seduta mentre mi schiacciava sotto il peso del suo sguardo fisso; rivedevo le sue labbra pronunciare lentamente quelle parole; risentivo all’infinito quella domanda che mi stava attanagliando.
Mi sentivo in trappola ma da cosa stavo scappando?
Guidavo incurante dei limiti di velocità verso il suo appartamento. Avevo bisogno di far continuare quella seduta che, poche ore prima, avevo interrotto brutalmente. Ora volevo affrontare quella domanda.
<< Elize, sei in casa? >> chiesi entrando nel suo appartamento, accolto da qualche luce soffusa e dal silenzio.
Eccola far la sua comparsa nel salone: era scalza, coperta da una leggera camicia da notte blu che lasciava intravedere il suo essere donna.
<< Nemo? >> pronunciò il mio nome con enorme sorpresa; non si aspettava di rivedermi quel martedì e come biasimarla dopo la mia fuga. << Come sei entrato? Ah già, hai ancora le chiavi >> e mi fece segno di accomodarmi.
Il suo appartamento mi faceva sentire al sicuro.
Adoravo lo stile minimalista dei mobili ed i colori decisi sei tessuti; mi affascinavano gli enormi quadri di arte astratta che impreziosivano le pareti. Erano quei colori e quelle linee spigolose a rappresentarla al meglio, non certo quel bianco e quel sabbia che predominavano nel suo studio e che trasmettevano un senso di annullamento da ogni inclinazione personale. Persino quel divano sembrava più comodo.
<< Posso offrirti qualcosa? >> mi chiese mantenendo ancora troppa distanza tra di noi.
<< Cosa si prende in caso di ansia? O forse sono già allo stadio successivo del panico. >> le dissi fissandola come un cane bastonato che supplica aiuto. Sentivo la mia voce affaticata e vibrante come non lo era mai stata e ne rimasi turbato.
<< Nemo, descrivermi cosa stai provando. Ti prego, parla con me >> e la distanza tra di noi non esisteva più. Sentì la sua mano sul mio polso mentre monitorava i battiti.
Un’altra domanda a cui non riuscivo a dar risposta; il mio corpo era come immobilizzato e persino formulare una frase sembrava troppo faticoso. Stavo sudando freddo sotto il peso di quella reazione a me nuova e che non riuscivo a gestire.
Elize continuava a ripetermi che sarebbe passato, che dovevo solo non pensarci e provare a star calmo poi mi accarezzò dolcemente e quel malessere divenne spasmo: non avevo previsto quel contatto e subito una fitta mi sconvolse facendomi strizzare gli occhi e digrignare i denti.
Perché quella donna così minuta riusciva, con un solo gesto, a causarmi tanto patimento?
<< Scusa! >> singhiozzò colpevole mentre si ritrasse.
Leggevo sul suo viso il senso di colpa per avermi ferito ancora e, per la prima volta, la vidi spaesata ed incerta nel gestire quella reazione a cui non riusciva a dare spiegazione.
<< Nemo, posso abbracciarti? Anzi no, ora ti abbraccerò! Sto per avvicinarmi a te e voglio soltanto che tu chiuda gli occhi e ti concentri sul tuo respiro. Pensa solo all’aria che entra nei tuoi polmoni e lasciati andare. >> e lentamente portò le sue esili braccia intorno alla mia persona e, sfiorando la mia guancia con la sua, iniziò a chiudermi in una confortevole presa.
Nessuna fitta, nessun dolore.
 Era beatitudine quella che si stava diffondendo lungo il mio corpo e ben presto il respiro tornò ad essere leggero rinunciando alla sua pressa sul mio petto.
Sentivo il suo calore diffondersi sul mio corpo e, all’improvviso, quella gabbia sparì facendomi recuperare il controllo della mia persona. Elize era riuscita a strapparmi via da quella crisi.
Sapevo che quella cura era riservata solo a me: Elize non avrebbe concesso a nessun altro paziente quella libertà di piombare la sua vita privata e non gli avrebbe di certo regalato quel contatto così intimo. Percepivo un legame profondo tra noi.
Rimasi tra le sue braccia per un tempo infinito.
<< Eliza, perché mi succede? >> le chiesi stupidamente. Come poteva rispondermi? Era una reazione che mi accadeva solo con lei e se non riuscivo a spiegarmelo io, come avrebbe potuto comprenderlo lei?
<< Nemo parlami. Cosa vorresti dirmi? >> mi sussurrò regalandomi ancora il suo calore.
Oh Elize, non immagini quante cose vorrei raccontarti, solo per liberarmi dal peso di doverle sopportare da solo, ma sapresti sopportare tanto dolore?
Sapresti sopportare la mia natura?

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Capitolo 5
*** Mr. Nessuno ***


La pioggia batteva forte contro la vetrata che si apriva su un cielo soffocato da enormi nuvoloni neri trafitti da ripetute scariche elettriche.
Il boato di un tuono mi fece sussultare e mi costrinse ad ammirare la natura che stava soffocando la città sotto la sua ira.
Era una giornata strana, forse a causa dell’elettricità che invadeva l’aria e accresceva la mia inquietudine.
Quella notte Nemo mi aveva fatto visita, o forse lo avevo solo immaginato.
In piena notte, come mi succedeva spesso, il mio sonno si era interrotto. Avevo schiuso gli occhi per controllare l’ora ed eccolo seduto al bordo del mio letto che, nel suo silenzio, mi fissava.
Un battito di ciglia ed era sparito.
Che lo avessi sognato? Eppure avevo sentito la sua pressione sul piumone ed avevo riconosciuto il suo inconfondibile profumo, ma quando la mia mente si era liberata dall’intorpidimento notturno lui non c’era più.
Non riuscivo a pensare ad altro che alle ore notturne appena concluse ed ogni cosa mi spingeva a domandarmi chi realmente fosse quella presenza maschile che si era imposta nella mia vita.
Esaminavo la sua cartella in cerca di risposte.
Nemo, mister nessuno!
Persino Google non aveva risposte dettagliate da offrirmi: era un producer che le riviste di settore avevano ribattezzato come il Re Mida dei nostri giorni perché ogni artista che entrava nelle sue grazie diventava un vero e proprio fenomeno musicale. Oltre alla sua carriera ed ai numerosi gossip a lui attribuiti non vi erano informazioni sulla sua sfera privata. Prima del 2000, anno in cui aveva fondato la sua etichetta, Nemo sembrava non essere mai esistito. Come poteva un uomo di 35 anni essere stato un fantasma prima del suo grande successo? Non un profilo sociale, non una biografia, non un’informazione precedente alla creazione del suo business.
Rileggevo gli appunti che prendevo durante le nostre sedute per poter tracciare un profilo privato di quell’enigmatico uomo e colmare il suo oblio informatico.
Il nostro rapporto professionale era iniziato il 04.01.2016.
Ricordavo perfettamente quel nostro primo incontro: era una giornata esattamente come questa, la pioggia era fitta e rendeva tutto così irreale; me ne stavo al bancone della caffetteria di fronte allo studio a sorseggiare il mio cappuccino quando, da dietro, sentì Nemo sussurrarmi ad un orecchio che aveva bisogno di parlarmi.
Da subito fui colpita dai suoi occhi glaciali, di un azzurro talmente chiaro da sembrare di vetro, in eccessivo contrasto con il suo caschetto di capelli nerissimi. Era una persona molto distinta con una classe di altri tempi, eppure quel taglio di capelli era così stonato, quasi un atto di ribellione a tutto quel rigore e buon gusto.
Le mie dita si muovevano lentamente tra quei fogli dove erano incisi numerosi interrogativi: le metafore che usava, gli autori citati, gli indizi appena celati, le sue mezze risposte…chi era Nemo?
<< Dottoressa. >> la voce della mia segretaria mi richiamò alla realtà<< E’ arrivato questo per lei. >> e poggiò un pacco regalo sulla mia scrivania.
Attesi di recuperare la mia solitudine e rimossi il coperchio di quel contenitore. Al suo interno c’era una pregiata rilegatura alla cui pagina portava una dedica:
“Quando dormi sei ancora più bella. Tuo, Nemo”
Il mio cuore perse un battito.
Non lo avevo sognato!
Nemo era stato spettatore dei miei sogni finchè il mio risveglio non lo aveva costretto alla fuga. Ma come era riuscito a sparire nel tempo di un battito di ciglia? E perché dichiararsi quando poteva nascondersi dietro l’incertezza di morfeo?
Sentì la terra tremare pericolosamente sotto ai piedi e le vertigini impossessarsi della mia ragione rendendo tutto più annebbiato.
Avevo bisogno di aria!

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Capitolo 6
*** Premonizioni di una fine certa ***


*Nemo*
Le pupille di Elize diventarono sempre più piccole fino a spegnersi con l’ultimo alito di vita che abbandonava il suo corpo.
Non era servito a nulla tamponare vigorosamente con la mia mano quello squarcio che gli apriva l’addome facendo defluire via la sua esistenza. La stringevo tra le mie braccia, ormai pallida ed inerme, mentre il suo sangue inzuppava la mia camicia bianca.
L’avevo persa!
Spalancai gli occhi e mi ritrovai nel buio della mia camera da letto.
Me ne stavo seduto nel mio letto con il respiro corto e il corpo brillante di sudore.
Era solo un sogno, l’ennesimo sogno che preannunciava la tragica fine di quella donna tra le mie braccia.
Portai le mani al volto mentre mi ripetevo che era stato solo una visione notturna, una macabra fantasia, eppure quel senso di oppressione non si placava. E perché mi sentivo responsabile di quella morte?
Era un delirio che si ripeteva ormai da settimane ed ogni notte abbracciavo il cadavere di Elize senza vedere il colpevole di quel brutale gesto. C’era solo tanto sangue ed i suoi occhi che mi fissavano mentre si lasciava divorare dalla morte.
Mi trascinai in bagno per lavare via quelle sequenze sotto il getto gelido del lavandino.
Quella disperazione non mi apparteneva. Non ero un uomo dedito alla coltivazione dei sentimenti, probabilmente non ero neanche in grado di avere delle emozioni eppure Elize riusciva a ferirmi anche a distanza.
Cosa le sarebbe accaduto?
Alla comparsa dei primi incubi avevo deciso di abbandonare le sedute di psicoanalisi ed evitare quella donna. Il mio lavoro era stata una buona scusa da offrire alla sua segretaria ma non avrebbe retto davanti allo sguardo profondo della mia analista: Elize riusciva ad andare oltre la mia facciata così da assistere alla ballata dell’inferno che ardeva in me.
Se solo avesse abbandonato la sua umana ragione così da vedere la mia vera natura: ero un mostro!

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Capitolo 7
*** Giù all'inferno ***


Dopo lunghissime ore di fila finalmente eravamo entrate nel locale.
Helena aveva insistito tanto per trascinarmi in quel nuovo club che, a suo dire, avrebbe curato ogni mia mancanza. Cosa poteva farmi un po’ di divertimento?
Le pareti erano ricoperte di fredda pietra e dagli alti soffitti a volta scendevano enormi gabbie al cui interno ballerine seminude si dimenavano sulla spinta della musica. Fasci di luci colorate venivano sparati verso la postazione del dj sotto alla quale quello zoo di anime dava il suo spettacolo.
C’era troppa gente e troppa poca luce; perdere Helena in quell’ammasso di corpi fu un attimo.
Conquistare l’angolo bar in cerca di un po’ di coraggio liquido per sopportare quell’inferno in cui ero stata trascinata ed abbandonata.
Mi sentivo spersa in quel vortice di desideri e perdizioni.
<< Bella, che ti faccio? >> mi chiese il barman che, a dorso nudo, mixava pozioni alcoliche . << Japanese, >>
E mentre sorseggiavo il mio cocktail verde brillante, in quella baraonda di corpi sudati, lo vidi: dall’altra parte del bancone c’era Nemo che portava alle labbra il suo bicchiere mentre teneva lo sguardo fisso sulla pista da ballo.
Una strana felicità mi pervase dinnanzi e, all’improvviso, tutto il risentimento che avevo accumulato in quelle settimane sparì lasciandomi, comunque, i numerosi perché: perché aveva interrotto la terapia con un messaggio comunicatomi dalla mia segretaria? Perché non aveva parlato direttamente con me? Perché mi aveva donato quel libro? Era un regalo d’addio? Si era reso conto di aver superato il limite paziente/medico? Perché non gli andavo più bene?
Faceva veramente caldo in quel posto e la musica mi martellava nella testa; i fasci di luce mi ferivano gli occhi mentre cercavo di mettere a fuoco lo scenario che si apriva davanti a me; sentivo i miei riflessi lenti ed il mio orientamento compromesso. Cosa cavolo c’era nel mio cocktail?
Mi girai nella direzione di Nemo ed era sparito.
Sentivo l’ansia attanagliarmi la gola per aver perso l’occasione di zittire tutti quegli interrogativi che mi avevano perseguitato in quei giorni.
Nemo, dove sei? Provai a cercarlo con lo sguardo ma fu tutto vano.
Iniziai a fantasticare sulla possibilità che anche lui mi avesse visto così da decidere di andare via, evitandomi ancora.
Perché quell’uomo mi faceva quell’effetto? Avevo fallito come medico o come donna?
Stavo odiando quel locale e volevo solo tornarmene nella solitudine di casa mia. Al diavolo Helena!
Finalmente avevo calpestato l’ultimo gradino verso l’uscita da quel sottoscala; riuscivo a pregustare l’aria gelida che prepotente filtrava dalla porta d’ingresso quando sentì la mia marcia arrestarsi contro il mio volere: un ragazzo muscoloso mi trattenne per il bacino.
Da dove era uscito fuori e cosa voleva da me?
Per un istante rimasi immobile su quel pianerottolo ma poi il terrore prese possesso di me costringendomi a reagire cercando di divincolarmi da quella presa e trovare salvezza al di là di quella porta metallica color rosso vivo.
La musica era troppo alta perché qualcuno potesse accorrere in mio soccorso e quell’uomo alle mie spalle, che puzzava di alcool e cattive intenzioni, non ci pensava proprio a rinunciare alla sua preda. Sentivo il suo alito impastato dal troppo rum e le sue risate provenirmi alle spalle mentre mi dimenavo inutilmente sopraffatta dalla sua forza.
Mi salì il vomito e chiusi gli occhi per trattenere gli spasmi.
All’improvviso mi sentì spingere via, libera da quella presa che mi aveva fatto temere il peggio.
Riaprì gli occhi e vidi Nemo che teneva quell’uomo per il collo sollevandolo a pochi centimetri da terra. Come faceva ad avere tutta quella forza per sostenere quel ragazzone muscoloso che fino a poco fa aveva incarnato il mio aguzzino? E quando era arrivato in mio soccorso?
<< Nemo, fermati! >> 

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Capitolo 8
*** Look in my eyes ***


Avevo sbattuto quella dannata porta alle mie spalle e mi stavo facendo divorare dall’aria gelida di quel marciapiede.
<< Ma sei pazzo? Ma che cavolo ti è preso, Nemo? >> gli urlai in faccia.
<< Prego >> mi rispose impassibile affogando i suoi occhi color ghiaccio nei miei.
Eravamo a pochi passi di distanza, uno di fronte all’altro, e ci stavamo dichiarando guerra con gli sguardi. Eppure quegli occhi, pochi minuti prima, mi erano parsi così diversi: quel colore gelido aveva ceduto il posto a lingue di fuoco che avevano incendiato quelle biglie. Ma come era possibile?
<< Nemo perché? >> gli ringhiai in faccia.
<< Avrei dovuto permettere al quel porco di continuare? Lo sai cosa sarebbe potuto accadere? Almeno lo immagini dottoressa, o pensi che siamo tutti essere razionali e misurati come te? >> replicò con un sorriso sarcastico che mi ferì nell’orgoglio.
<< Perché hai abbandonato la terapia? Perché mi hai scaricata? Perché non sei venuto a dirlo direttamente a me? >> ero un fiume in piena dove le emozioni avevano preso il sopravvento.
Quell’uomo aveva fatto risvegliare in me una tensione che, per troppo tempo, avevo represso e che ora era esplosa impossessandosi delle mie membra e riportando alla luce una natura che avevo combattuto per tutta la vita.
<< Non mi interessi più. Ho altri piani.>> e con quelle poche parole mi mise K.O.
Lo guardai impietrita, con gli occhi sgranati che si riempivano di lacrime che non avevo la forza di trattenere.
Non solo Nemo mi aveva sorpresa degnandomi di una risposta, lui che amava creare silenzi snervanti, ma era stato spietato: la strafottenza che si leggeva sul suo viso era stata peggiore del destino che mi sarebbe toccato se non fosse intervenuto a strapparmi dalle grinfie di quell’ubriaco.
<< Ok. >> gli dissi con la voce rotta dal pianto che orami aveva sfondato gli argini dei miei occhi e stava allagando la valle delle mie gote << Grazie. >> sussurrai e me ne andai.
*Nemo*
Era giusto lasciarla andare eppure il suo viso stravolto dalle lacrime mise in discussione ogni mia certezza.
Volevo veramente rinunciare a lei? 
Rimasi impassibile mentre si allontanava, ma, ad ogni passo che allungava la distanza tra di noi, sentivo una forza attrattiva che prendeva il controllo di me.
Perché Elize mi faceva quell’effetto?
<< Elize! >> urlai correndo verso di lei che, imperterrita, continuava a bruciare terreno per scappare da me.
Perché mi stava ignorando?
Afferrai il suo esile corpo e lo spinsi contro il muro del palazzo che accostava il marciapiede e, quando finalmente la distanza tra di noi fu annullata, la baciai.
Mi imposi sulle sue labbra con prepotenza ed assaporai la sua bocca mista di lacrime e di domande soffocate a cui avrei dovuto dare una risposta.
In principio ero solo io a nutrirmi di lei ma poi, con mio grande stupore, anche lei iniziò ad esplorare il mio sapore lasciandosi andare al piacere che sentivo travisare sulle sue labbra.
Percepivo la fragilità del suo essere contro il mio corpo: la sentivo mia e sapevo che avrei potuto distruggerla in milioni di piccoli pezzi oppure conservarla in vita e torturarla a causa della sua natura umanamente peccaminosa.
Quel bacio fu come benzina lanciata sull’inferno che divampava in me.
Smettemmo di esplorarci pur rimanendo intimamente vicini. La fissai negli occhi e notai che avevano cambiato colore: il suo azzurro vivo ed intenso era diventato vitreo e freddo come il mio.
Fu un cambiamento repentino che mi permise di percepire la vera natura di quella donna.
Adesso comprendevo molte cose: l’attrazione che nutrivo nei suoi confronti, il dolore che mi cagionava e persino i miei sogni di sventura avevano senso ora.
Elize era come me: era un demonio intrappolato nella sua forma umana che supplicava di essere liberato.

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Capitolo 9
*** In principio ***


*Nemo*
In principio fu Lucifero a creare la guerra: si ribellò al volere del Padre e ci spinse in battaglia al suo fianco.
Dio non la prese bene, ci strappò via le ali e ci scaraventò in una valle di perdizione e di tormento.
I nostri capelli dorati diventarono neri come l’odio che aveva corrotto i nostri cuori ed i nostri occhi assunsero il colore di quella gelida gola.
Eravamo stati condannati a desiderare in eterno la città d’argento.
Lucifero diventò il padrone delle tenebre ed iniziò a nutrirsi dei peccati delle creature di Dio, ma questo non gli bastò; decise che noi, angeli caduti, dovevamo scendere sulla terra a tentare quegli esseri fragili.
Ci rese affascinanti, potenti, invidiati e ci diede il potere di ammaliare gli umani così da poter inquinare quel mondo perfetto che il Padre aveva creato.
Eravamo stati gettati sulla terra come semina per attecchire e diffonderci come mala erba.
Sapevamo di non essere soli ma ignoravamo dove fossero gli altri; il ghiaccio dei nostri occhi era l’unico distintivo.
Molti di noi ebbero sembianze umane che ricordavano la nostra natura angelica.
Venivamo al mondo come esseri umani, ignari della nostra vera natura finchè una tragica morte non sarebbe stata rivelatrice.
Prima del 2000 io non esistevo.
Della mia vita da umano non ricordo nulla se non l’attimo della mia morte: faceva molto freddo, probabilmente era inverno e riuscivo a sentire l’odore della neve mentre il mio corpo si spegneva su quel marciapiede, in una pozza di sangue.
Ricordavo l’odore dello sparo e sentivo la pallottola bruciare mentre mi trapassava il petto. Il sangue ha un odore acre e ferroso e tende a diventare subito freddo.
Ricordavo i lunghi minuti in cui il mio corpo lentamente moriva nella solitudine di quella strada; non è vero quello che si racconta: in quell’istante la tua mente non pensa a niente, non rivedi la tua vita come un film, hai solo una fottuta paura.
Ricordavo di essere stato ucciso dall’avarizia di un rapinatore; la mia vita valeva 25 dollari ed un vecchio orologio.
Ricordavo il momento in cui la mia vera natura aveva preso il sopravvento. Ero morto e poi non lo ero più: riaprì gli occhi e abbandonai quella pozza di sangue; il petto mi bruciava ancora ma ben presto quella voragine si sarebbe rimarginata.
Trovai un marchio a fuoco sulla mia pelle e quello divenne il mio nome: Nemo.
Del mio passato terrestre ricordavo solo la passione per la musica e, ben presto, ne feci il mio talento per incendiare gli animi di questi stupidi umani con il fuoco dell’invidia, della lussuria e della superbia.
Nella penombra del mio salotto ripercorrevo la mia caduta e la mia rinascita.
Ripensai agli occhi di Elize e a quel barlume demoniaco che si era rivelato.
Avrei dovuto assaporare la felicità di non essere più da solo in questa battaglia contro il creato ma ripensare alla mia risurrezione mi oppresse: quale sarebbe stata la tragica fine che avrebbe liberato Elize dalla sua terrena natura?

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Capitolo 10
*** Do you hear me? ***


<< Nemo, ultimamente sembra che qualcosa ti assilli, o forse sbaglio? >> gli chiesi sperando che questa volta avrebbe reagito alle mie domande.
<< Non da qualcosa, ma da qualcuno…>> rispose con lo sguardo fisso nel vuoto
<< Quel qualcuno potrei essere io? Vuoi dirmi qualcosa? Sai che sono sempre disponibile ad ascoltarti >> e gli sorrisi dolcemente per incoraggiarlo a fidarsi di me ma quell’uomo restò impassibile e, come ormai ero abituata, fece cadere nel vuoto le mie parole.
Nella mia mente si stava insediando il sospetto che quel bacio avesse risvegliato in Nemo la necessità di passare più tempo con me: non era interessato a me, era ossessionato da me!
Negli ultimi giorni avevo notato la sua ingombrante presenza nella mia vita: quell’uomo sapeva esattamente dove trovarmi ed era diventato spettatore della mia quotidianità, forse in attesa di qualcosa che non riuscivo a comprendere.
Era sempre stato enigmatico, ma il suo comportamento mi sembrava fin troppo anomalo per un uomo come lui, amante dei vizi e riluttante verso i sentimenti umani.
Era stato quel bacio a scatenare questa reazione?
Sembra la solita seduta dominata dai troppi silenzi di Nemo e dalle mie domande impertinenti, ma questa volta mi sorprese decidendo di regalarmi quelle risposte che avevo tanto atteso.
<< Elize tu vuoi sapere troppe cose sulla mia vita, pensi che le risposte siano intrappolate nel mio passato. Ma io non ricordo nulla! >> poi si interruppe per inumidire le labbra con la lingua in attesa che i pensieri prendessero forma nella sua mente.
Quel gesto mi cagiono un brivido di eccitazione al ricordo del suo sapore.
<< Nemo cosa significa che non ricordi il tuo passato? >> gli chiesi sperando che quel flusso di confidenze non si arrestasse.
<< Non lo ricordo. Posso descriverti la mia vita dal 2000 ad oggi, e ti assicuro che non ti piacerebbe, ma quello che è accaduto prima di questa data è buio totale. Diciamo che c’è stato un brutto incidente che ha spazzato via tutto. >> e poi spostò i suoi occhi color ghiaccio verso l’orizzonte che si spalancava sotto la finestra del mio studio.
Ero sorpresa dai suoi progressi: per la prima volta si era aperto rivelandomi piccoli frammenti di lui.
<< Ricordi il tuo incidente? >> ed all’improvviso l’attenzione di Nemo si spostò su di me facendomi sussultare.
Con le mani portò indietro le nerissime ciocche del suo caschetto per liberarsi il viso mentre socchiudeva gli occhi sotto la spinta di chissà quale triste ricordo; poi spalancò quei suoi fanali e mi trapasso.
<< Ogni minimo dettaglio! Ricordo l’odore del sangue, la paura, il bruciore della pallottola che mi ha trapassato il petto. E soprattutto ricordo la mia rinascita. >> disse lentamente, scandendo ogni singolo suono.
Rimasi impietrita a fissarlo.
Quelle parole mi avevano colpito, sillaba dopo sillaba, e ne sentivo ancora l’afflizione.
Maledissi quella domanda.
Perché quell’uomo mi attraeva così tanto? E non era un’attrazione animalesca tra un uomo ed una donna, era un legame più profondo e primitivo.
<< Nemo…io…mi dispiace >> ed abbassai lo sguardo mortificata per aver risvegliato il dolore di quella memoria.
<< Elize, sai cosa mi ossessiona più di tutto? Non sapere quale sarà la tua fine. Ma ti prometto che sarò presente nel momento della tua resurrezione >> poi mi guardò come non aveva mai fatto prima.
Alzai la testa di scatto al suono di quella promessa e mi irrigidì sulla sedia: tutti i miei nervi divennero d’acciaio ferendo le mie membra; i miei polmoni intrappolarono l’aria bloccandomi il respiro; le mie pupille si dilatarono; il sangue iniziò a correre tanto velocemente da percepirne il flusso nelle orecchie.
Cosa significava tutto questo?
Il mondo intorno a me crollò all’istante e mi sentì sospesa nel vuoto, immobile come una bambola di fragile porcellana pronta ad andare a terra in mille pezzi.
Non sapevo quanto fosse durato quel mio stato di trance ma quando tornai sensibile alla realtà Nemo era andato via.
Mi aveva lasciato in pasto ai miei dubbi ed affamata di risposte che ora pretendevo.

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Capitolo 11
*** The Kill ***


Le parole di Nemo si erano insediate nella mia mente e vi avevano messo radici impedendomi di rimuovere il ricordo di quel dialogo assurdo.
Sentivo la sua voce calda e profonda scandire ogni singola affermazione ed ogni volta mi veniva la pelle d’oca.
Stavo iniziando a dubitare persino della veridicità del suo passato, o almeno quel poco che diceva di ricordava.
Potevo fidarmi di quell’uomo?
Scossi la testa e feci un respiro profondo per oppormi a quel vortice di pensieri; fu in quel momento che sentì un rumore provenire dall’ingresso del mio appartamento.
<< Nemo! >> esclamai sorpresa quando me lo trovai in casa << Non ti voglio qui. Vattene e lascia le chiavi sul tavolino>>
Una strana inquietudine stava smuovendo le mie membra infiammando una lotta tra il desiderio di respingere quella presenza oscura e l’attrazione che nutrivo per essa. Vinse un primordiale senso di conservazione e mi allontanai da lui.
<< Elize >> il suono del mio nome pronunciato da quell’uomo diventò aguzzo ed echeggiò in quella stanza.
Mi arrestai ed inspirai lentamente per soffocare l’ira che stava detonando in me.
<< Nemo lasciami in pace, mi fai paura! >> dissi a denti stretti mentre mi posizionai davanti a lui per sfidare quei suoi occhi gelidi che mi guardavano imperterriti.
<< Per quello che ti ho detto? Elize ti ho solo raccontato la verità. Devi credermi! >> senza mai distogliere il suo sguardo dal mio.
<< La verità? Ma di cosa stai parlando Nemo? Adesso basta! Non voglio più essere la tua analista…Non ti voglio più nella mia vita… Smettila con questo stupido gioco, è durato fin troppo! >>
<< Nessun gioco, nessuna menzogna. Sono settimane che sei protagonista dei miei incubi. Credi che per me sia facile? Credi che sia divertente vederti morire notte dopo notte? Elize devi credermi! >>
Stavo tremando.
Come pretendeva che credessi a quelle parole?
Parlava di sogni eppure continuava ad insistere che quella mia onirica fine era certa.
Strinsi i pugni fino a far penetrare le unghie nella carne; sentì la paura mischiarsi al sangue che mi ribolliva nelle vene.
<< Adesso voglio che esci da quella porta e mi lasci in pace per sempre! >> poi feci un profondo respiro e gli urlai ancora contro << Vai via altrimenti chiamo la polizia! >> per poi chiudere gli occhi sperando che tutto sparisse.
Quando spalancai gli occhi Nemo era ancora davanti a me.
<< Elize non capisci che non dipende da me? >> mi tuonò contro << E’ il tuo destino, esattamente come è stato il mio. Non puoi farci nulla, è la nostra natura. Come fai a non capirlo? >> e ad ogni parola accorciava sempre di più la distanza tra di noi.
L’azzurro dei suoi occhi di ghiaccio fece spazio a lingue di fuoco che li incendiarono regalandogli un aspetto disumano e mefistofelico.
Il mio respiro diventò sempre più corto sotto le scosse di terrore che violentavano le mie carni.
Fu il rincorrersi di attimi: il mio scatto per afferrare il telefono e chiamare la polizia; le forti braccia di Nemo intorno al mio corpo per impedirmi di cedere a quella rabbia; il mio dimenarmi per fuggirgli e poi, quando finalmente libera, la rovinosa caduta sul tavolino di cristallo.
Sentì il fragore di quella sottile superfice di vetro andare in mille pezzi, e con essa anch’io.
Sentì il vetro attraversarmi.
Sentì l’odore della paura riempirmi i polmoni mentre, immobile su quel mare di cristalli, compresi cosa mi stava accadendo: la mia vita stava fluendo via dal mio corpo.
Sentì Nemo implorare il mio nome più volte mentre mi teneva stretta a lui cercando di tamponare quel taglio mortale.
La sua voce si fece sempre più lontana e tutto diventò sempre più sfocato e scuro.
I suoi occhi bruciavano di terrore mentre mi ripeteva che sarebbe andato tutto bene; gli credetti e la paura sparì.
Nemo fu l’ultima cosa che vidi.

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Capitolo 12
*** Rebirth ***


*Nemo*
Strinsi le mie braccia intorno all’esile corpo di Elize nel tentativo di placare l’ira che la stava divorando ma lei continuava a dimenarsi e a scappare dalle mie parole.
Dovevo sembrarle un pazzo: ero piombato in casa sua raccontandole qualcosa che la sua natura umana non avrebbe potuto comprendere ma sapevo che il suo tempo si stava consumando ed era solo questione di giorni.
La sua vera natura si stava risvegliando. Ero stato io a rianimare le fiamme degli inferi assopite in lei; furono le mie labbra sulle sue a dare ossigeno a quel fuoco.
Sentivo le sue unghie graffiarmi le braccia ed il profumo dei suoi capelli sbattermi sul viso ad ogni tentativo di divincolarsi dalla mia presa.
Ero impressionato da quanta forza ed ostinazione potesse celarsi in un essere così delicato.
Gli umani avevano l’arroganza di credere che il destino dipendesse solo da loro ma Elize sembrava diversa: il suo rifiuto non era per un destino non voluto ma per l’impossibilità di comprendere quel disegno di cui, mio malgrado, mi ero fatto messaggero.
Era una lotta tra noi due: io, un generale divorato dal fuoco di mille battaglie, che si contrapponeva al vigore del giovane soldato mosso da nobili ideali, che avrebbero consacrato la sua fine, e dal desiderio della sopravvivenza.
Sorrisi davanti a quella ribellione.
Risentì il ferro delle spade che si intrecciavano e le urla della lotta: il Padre contro il figlio; i fratelli contro i fratelli.
Riconobbi in Elize la mia stessa enfasi quando, ancora piumato, mi ribellai contro il disegno che era stato tracciato. Sentivo il fuoco ardere in lei e questo mi caricava di nuova energia facendomi cingere ancora più forte il corpo di quella guerriera.
All’improvviso, però, il ricordo degli ultimi istanti della mia vita umana mi sorprese e mi fece allentare quella stretta.
Fu una questione di attimi: all’improvviso restituì la tanto agognata libertà a quella donna che, in un ultimo atto di rivolta, perse l’equilibrio andando in frantumi.
Non doveva andare così; i miei sogni mi avevano preparato ad una realtà assai diversa.
Il fragore del tavolino di cristallo andato in pezzi rimbalzava ancora tra le pareti della stanza e mi feriva le orecchie mentre, immobile, guardavo quella vita spegnersi: Elize stava morendo davanti ai miei occhi e la paura che dilatava le sue pupille risvegliò in me il terrore della notte in cui mi fu restituita la mia natura demoniaca.
Mi accasciai su quel corpo lacerato dal vetro aguzzo e lo strinsi al mio petto.
Invocavo il suo nome mentre a mani nude cercavo, in vano, di tamponare quella ferita mortale.
<< Elize, andrà tutto bene… ci sono io qui con te >> le ripetevo mentre vedevo il suo tempo esaurirsi inesorabilmente.
<< Elize >> le sussurrai un’ultima volta per poi accarezzarle le palpebre e spegnere i suoi occhi ormai vitrei.
Chiusi gli occhi nauseato dall’odore pungente del sangue.
In realtà il mio malessere trovò origine nel ricordo della mia rinascita: era stato quell’odore pungente, che mi aveva invaso le narici, a caratterizzare il mio risveglio in quel freddo vicolo. Era un odore che non avrei mai più dimenticato, al pari dello smarrimento tra un passato spazzato via dai giardini della memoria ed un’antica natura che si liberava in me, prendendo il sopravvento.
Era un malessere che avrei risparmiato a quella donna.
Quell’odore doveva essere lavato via.
Sollevai quel corpo, stringendolo a me, e lo adagiai nella vasca da bagno dove affidai all’acqua il compito di rimuovere quel liquido viscoso ed il suo tanfo di morte.
Mi sedetti sul bordo di quel contenitore ad osservare l’acqua scorrere via, portando con se i segni della morte.
Il tempo passava immutato.
Fissavo le lancette del mio orologio segnare l’inalterabilità di quel corpo. Ad ogni ticchettio sentivo crescere l’ansia in me.
I miei sogni erano vere premunizioni oppure solo fantasie?
E se in Elize non ci fosse stata nessuna natura demoniaca?
Se quella notte, nei suoi occhi, avessi visto solo il riflesso del demone che risiedeva in me?
Poi all’improvviso l’inferno si manifestò.
Sentì un forte odore di carne bruciata e notai che sulla candida pelle del suo polso sinistro comparve il marchio che le restituiva il suo antico nome, esattamente come fu per me.
Le sue palpebre vibrarono per poi dare spazio a due enormi occhi color ghiaccio attraversati da scintille di fuoco che preannunciavano l’abisso che bruciava in quella donna fatta di peccato e dannazione
Si guardò intorno spaurita per poi poggiare quelle due fredde biglie su di me; mi sorrise.
<< Sitri >> la chiamai dolcemente ricambiando quel sorriso << Basta stare immersa, ed ora di uscire >>.
Le porsi la mia mano aiutandola a scavalcare il bordo della vasca e, una volta salda al pavimento, le appoggiai l’accappatoio sulle spalle per poi stringerla forte a me.
Il suo odore non era cambiato.
<< Sitri vieni con me >> .

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