Beautiful as the Devil

di xlambertx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** one; ***
Capitolo 2: *** two; ***
Capitolo 3: *** three; ***



Capitolo 1
*** one; ***


Non starò qui a spiegarvi come sono diventato umano, né come questo può aver influenzato negativamente l'andazzo della mia vita. Vi basti sapere questo: ero un angelo. E poi non lo ero più.

Ho fatto tante cazzate nella mia moltitudine di anni. Non ho mantenuto promesse, ho infranto sogni, una volta ho pure incitato un ragazzo al suicidio. Non sono stato esattamente un modello da seguire, no, ma mi sono divertito.

Se la mia vita è stata qualcosa, quello è l'aggettivo giusto. Divertente. Certo, magari non in questo momento, non quando mi ritrovo in un quartiere cadente di una qualche città in giro per il mondo. E magari neanche quando il mio capo mi ha buttato giù dal mio attico in Paradiso (anche se mi piace pensare che sia accidentalmente inciampato e sia, per caso, caduto su di me, facendomi scivolare su questo orrido pianeta).

In ogni caso ho sempre pensato che avrei continuato con il mio allegro stile di vita per molto, molto tempo. Ora che ci ripenso non ho mai dato molta importanza al tempo. Una volta una mortale mi ha detto una frase, tratta probabilmente da non so quale libro, "Penso che sia questo vivere per sempre: non dare troppo significato a niente" (*). Lì per lì non ci avevo dato troppa importanza, confermando ampiamente ciò che la frase faceva intendere, ma in quel momento non riuscivo a togliermela dalla testa. E di sicuro il fetore emanato dai rifiuti che mi circondavano non aiutava.

Dovevo assolutamente capire dove mi trovavo, e poi, in secondo luogo, come tornare a casa mia, nel mio amato attico. Tentai di alzarmi in piedi un paio di volte, prima di riuscirci veramente e poi mi scrollai un po' di polvere dai vestiti. Provai a volare, ma scoprii che le mie magnifiche ali non facevano niente di più che frusciare dolcemente. Camminare, quella era la mia unica opzione. Uscii da quel lurido vicoletto camminando con aria di superiorità, il mento bene in alto e uno sguardo indifferente, per far capire a quegli insulsi mortali che io valevo più di loro, nonostante i jeans macchiati e la t-shirt lercia. Notai che la gente mi evitava, lo attribuii al fatto che notavano quanto io fossi superiore alla loro condizione plebea, anche se, ripensandoci ora, probabilmente facevo talmente schifo da spingere chiunque a ripudiare anche solo la mia presenza. Trovai un parco che mi pareva molto carino, in quella città (di cui ancora non sapevo il nome) e mi sedetti sulla prima panchina all'ombra che trovai. Mi guardai intorno per qualche secondo, per poi notare un ragazzo, dall'altra parte della strada. Era seduto, anzi, raggomitolato, su un muretto. La sua canottiera, probabilmente con il logo di una qualche band rock, lasciava scoperta molta pelle, permettendomi di notare i numerosi tatuaggi che gli decoravano le braccia (e non solo). Mi fece tornare alla mente quella volta in cui mi ero ubriacato e mi ero risvegliato nell'appartamento di una sconosciuta con quattro frecce tatuate sull'avambraccio e svariati lividi in faccia. In quel momento notai che, tra un tiro e l'altro, i suoi occhi erano puntati su di me. O meglio, su qualcosa dietro di me. Voltai la testa per capire cosa fissava con tanta insistenza, e mi ritrovai con lo sguardo puntato sulle mie ali, che in quel momento erano spiegate ai lati del mio corpo, per comodità, e riflettevano la luce del sole. Lo fissai di rimando per qualche secondo, giusto per essere sicuro che il suo sguardo non stesse vagando a vuoto. No, fissava proprio le mie ali. E, per di più, ora aveva addirittura un'espressione divertita! Nessun mortale può prendersi gioco delle mie ali, glielo avrei fatto capire molto presto. Mi alzai e mi avvicinai, per mettere in chiaro le cose. Scelsi il tono da usare dal mio vasto repertorio, poi gli dissi "Hey, ragazzino, che hai da guardare?". Lui rise. "Delle ali? Ma sei serio? Che cosa pubblicizzi? E, soprattutto, quanto ti pagano? E poi, amico, ragazzino? Andiamo, avrò un paio d'anni meno di te!" esclamò il ragazzo davanti a me. "Non pubblicizzo niente, moccioso. Tra di noi ci sono incommensurabili oceani di tempo che..." risposi, prima che lui si mettesse a scimmiottare il mio tono. "Incommensurabili oceani di tempo" scandì, facendomi il verso, "Amico, che problemi hai?". "In questo momento molti" gli risposi, "Primo fra tutti il motivo per cui riesci a vedere le mie ali" e le mossi, giusto per chiarire il concetto. "Mh, vediamo..." borbottò lui, fingendo di concentrarsi "Forse perché sono enormi, attaccate ala tua schiena, si muovono e brillano?" le guardai meglio. "Oh, sì. È glitter. Ieri mi sentivo molto felice." mi giustificai. "Glitter? Quanti anni hai? Otto? Amico, mia sorella che ne ha undici ha smesso di usarlo da anni!" commentò, evidentemente sarcastico. Io mugolai qualcosa, profondamente offeso, poi gli ordinai "Insulso mortale, ora mi porterai a casa tua!", serissimo. "Spero tu stia scherzando" rispose lui, "Sai, di solito non porto sconosciuti in casa, anche se, devo ammettere non sei niente male. Certo, per uno che ama il genere "Bello e dannato". Io sono più un tipo da "Ragazzo della porta accanto". Ti è andata male". Restai interdetto per qualche secondo. Ma cosa aveva capito? "Ma che hai capito? Devo trovare un modo per tornare a casa mia e mi serve che qualche stupido mortale mi aiuti!" gli gridai quasi. Un paio di vecchiette che passavano di lì con dei carrellini si girarono a guardarmi di traverso. Io rivolsi loro un sorriso smagliante, e loro tornarono a borbottare dei loro affari, che probabilmente consistevano nel prendersi gioco di qualche loro amica. Poi spostai di nuovo lo sguardo sul ragazzo davanti a me. Aveva una dentatura perfetta, e mi era facile scorgerla, considerando che aveva la bocca spalancata e un'espressione sconcertata. "Che c'è?" gli chiesi. Stava veramente iniziando ad annoiarmi. "No, no, no, scusa. Dammi un attimo. Tu, strano ragazzo munito di ali, mi stai chiedendo di portarti a casa mia, dopo aver insultato la mia mortalità, come se anche tu non dovessi morire, non perché hai doppi fini ma per tornare a casa tua. Ed io devo credere a questa enorme balla nonostante tu non ti sia neanche preso il disturbo di chiedermi il mio nome. Giusto?", io annuii, per poi aggiungere "Ah, dimenticavo, io sono un angelo. In quanto tu umano sei in una posizione inferiore alla mia, ergo non puoi dirmi di no.". Lui scosse la testa, ridendo. "Okay, sei simpatico. Cosa sei? Un attore fallito? Un cantante di qualche band sfigata che sta tentando di farsi conoscere?". Lo guardai disgustato. "Fammi strada" gli ordinai, con tono severo. "Se vuoi ti porto in giro per Bradford, ma niente di più" concesse lui, saltando giù dal muretto su cui era ancora appollaiato. "Bradford? Siamo a Bradford? Qua c'è un ragazzo che non devo assolutamente incontrare!" esclamai, realizzando immediatamente che me ne sarei dovuto andare al più presto da quella città. "Come si chiama? Magari lo conosco." disse lui, con tono pimpante. "Zayn, Zayn Malik" scandii io. Qualche secondo dopo caddi a terra, con la guancia che mi bruciava.

(*) Shadowhunters-Città degli Angeli Caduti (C. Clare)
La dice Alec a Magnus durante gli Ironworks. Non potevo non mettere questa citazione, si addice perfettamente all'immagine che voglio creare di Liam all'inizio di questa storia.

#spaziounicorniglitterosisquad

Buonsalve personcine carine!

Mi sono sempre piaciuti gli spazi autrice :3

In generale sarà una storia abbastanza ironica, come si può già capire dall'inizio

E boh, fatemi sapere che ne pensate :3

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Capitolo 2
*** two; ***


"Per quale diavolo di motivo l'hai fatto?" sibilai minaccioso al ragazzo davanti a me. "Oh, vediamo, perché mai avrei dovuto farlo?" assunse un espressione fintamente perplessa "Forse perché l'ultima volta che ti ho visto mi hai dato del frocio bastardo e mi hai picchiato a sangue? Oppure perché dopo mi hai lasciato in quella casa e mi sono beccato una denuncia per violazione di domicilio? O ancora per tutte le volte che sono stato obbligato ad andare dallo strizzacervelli dopo quell'episodio, perché tutti hanno creduto che fossi impazzito quando ho raccontato loro cos'era successo veramente?" chiese ironicamente. "Ah, se non lo sai tu..." borbottai in risposta, facendolo adirare ancora di più.
Provocare mi era sempre riuscito particolarmente bene. Sono sempre stato bravo a spingere la gente oltre il limite massimo della propria sopportazione. Me ne sono sempre vantato.

Molti credono che gli angeli siano persone estremamente buone. Pronte a consigliare, aiutare, migliorare la vita delle persone in un battito d'ali. Pochi lo sono veramente. La maggior parte di noi ha semplicemente talento in qualcosa. Sì, be', la cosa terrena a cui si può paragonare il Paradiso è una scuola per ragazzi dotati. Una sottospecie di campus per geni.
Sembra strano perfino a me paragonare Dio a un talent scout, ma alla fine è questo che fa. Sceglie i più bravi giocatori e cerca di accaparrarseli. Di portarli nella sua squadra.
Realizzai in quel momento che è triste essere scelti solo per una dote innata e non per la personalità o l'impegno. Ma sempre meno triste di essere trattati come piccoli pedoni, mandati a morire, a sacrificarsi per i pezzi migliori.

Sentii il rumore dei suoi passi farsi sempre più lontano, così mi affrettai ad alzarmi e corrergli dietro. Assurdo! Io che correvo dietro ad un insulso umano. Umano che, per di più, aveva appena osato schiaffeggiarmi con quelle sue piccole e morbide mani, che erano veramente belle e...
Mi chiesi seriamente quale fosse il mio problema? Avevo appena elogiato il mezzo con cui quel mortale mi aveva toccato in modo inappropriato, per la sua posizione? Decisi che era un dato di fatto, le sue mani erano davvero delle belle mani, e in quanto oggettivamente tali meritavano un riconoscimento. Non per questo avrei voluto che mi toccassero ancora, né con l'intento di procurarmi dolore né in modo più gentile.
Lo raggiunsi e lo presi per un braccio, facendo arrestare la sua marcia rabbiosa, e concentrando tutta la sua attenzione su di me. "Ho detto che devi portarmi a casa tua, è chiaro?" sillabai, con cattiveria, prima di guardarlo negli occhi. Li teneva abbassati, probabilmente per non far vedere quanto lo facessi stare male. Quanto la mia sola presenza gli riportasse alla mente una miriade di ricordi legati al nostro ultimo incontro.
I sensi di colpa iniziarono a lambire la mia mente. Brucianti s'insinuarono nel mio cervello facendomi capire, per la prima volta nella mia vita ultraterrena, che forse i mortali erano più fragili di quanto pensassi.

Quella fragilità era quanto di più bello e spaventoso potessi arrivare a bramare.

All'improvviso non mi sembrava più tanto giusto distruggerlo in quel modo. Non mi sembrava giusto fare a pezzi una così bella opera d'arte.
"Ti prego" mugolai, incapace di sostenere la mia maschera di superiorità. Incapace di portare altra sofferenza in un'esistenza già lacerata, come sembrava essere la sua. Fu in quel momento che alzò lo sguardo, puntando le sue pupille nelle mie. I suoi occhi arrossati, più vicini di quanto pensassi, s'impressero a fuoco nella mia mente, pieni d'ira com'erano. Colmi di rabbia, ma anche di una lasciva arrendevolezza.
Si è arreso al fatto che gli rovinerò l’esistenza, pensai. Non so fare altro, dopotutto.
In un impeto di tristezza decisi che avrei fatto di tutto per migliorarla, la sua vita, prima di riuscire finalmente a tornare alla mia misera esistenza, fatta di pura malignità e egoismo.

"Allora andiamo" sussurrò, rassegnato, prima di scrollare la mia mano dal suo braccio, a cui era ancora aggrappata, e svoltare a destra, lentamente, in modo tale da permettermi di seguirlo. Lo feci. Lo seguii per qualche minuto, fino a quando non tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi. Aprì la porta di casa sua e poi mi disse di entrare. Feci anche questo, guardandomi intorno, circospetto, e facendo attenzione a non far cadere niente con le mie ali.
La casa non era piccola, anzi. Già da fuori si potevano intuire le dimensioni, ma da dentro era tutta un'altra cosa. Era semplicemente fantastica, con le pareti dipinte di quei colori chiari e le enormi finestre che facevano sì che la stanza fosse inondata di luce. Era un santuario del bene.

L'opposto di me.

Improvvisamente mi sentii tremendamente fuori luogo, in quel posto tanto bello. Arretrai, fino ad appoggiare le ali sulla porta d'ingresso, e poi scivolai contro di essa. Avvolsi le ali intorno al mio corpo, morbide ma impenetrabili, lì a proteggermi dal resto del mondo. O a proteggere il mondo da me.
La mia testa stava per esplodere. Sentii Zayn appoggiare qualcosa sul mobile nell'altra stanza e poi camminare, fino a raggiungermi. Iniziai a tremare, non volevo che mi vedesse in quello stato. "Liam?" mi chiamò. Appoggiò le mani sulle mie ali e le scostò dolcemente. Cercai di opporre resistenza, senza grandi risultati. Iniziai ad annaspare, alla ricerca di aria. "Liam?" ripeté a voce più alta, inginocchiandosi davanti a me. La sensazione di soffocare era sempre più forte. "Okay, ehm... Va bene. Allora vediamo un po'. Cerca di respirare con me, okay?" disse lui, afferrandomi il volto e costringendomi a guardarlo negli occhi. Sentii improvvisamente caldo. Iniziò ad accarezzarmi una guancia, mentre mi ripeteva di respirare con lui. Tentai di rallentare il ritmo delle inspirazioni, riuscendoci parzialmente. "Guardami, Liam. Guardami, okay? Passa fra poco. Va bene?" disse lui, con un tono di voce totalmente calmo.

Come potevo crederci, in quel momento? Mi sembrava impossibile che cessasse in così poco tempo. I tremiti continuavano a scuotermi tutto il corpo, eppure con la mano andai a cercare la sua, quella che stava ancora sfiorando delicatamente la mia pelle, e la afferrai, tentando di intrecciare le nostre dita. A quel gesto lui spalancò gli occhi, per poi puntare lo sguardo sulle nostre dita. Le sue, più scure, a contatto con le mie, che si fondevano in una morsa di pura paura. E poi fece un gesto che mi stupì ancora di più. Appoggiò la fronte contro la mia e mi baciò. Mi feci trasportare da quel contatto inebriante, dimenticando tutto il resto. Dimenticando la paura, dimenticando i tremori, dimenticando addirittura di respirare. Dimenticando tutto tranne la morbidezza delle sue labbra e il suono del suo nome.

Zayn.

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Capitolo 3
*** three; ***


Quando uscii dalla stanza buia di Zayn lo cercai con lo sguardo. Non sapevo perché avesse compiuto quel gesto ma sapevo che mi era piaciuto. Insomma, il tutto era tremendamente sbagliato, visto che quel ragazzo mi odiava, e a malincuore dovetti ammettere che forse ero stato un pelino cattivo. E poi insomma, io non sapevo di essere gay. Ero profondamente convinto del mio orientamento sessuale, specialmente in quel periodo. Ero stato io, dopotutto, a offrirgli un biglietto diretto per l'ospedale. Anche per quello psichiatrico. E tutto ciò solo perché non mi piaceva il fatto che gli piacessero i ragazzi. Forse, ripensandoci ora, ero semplicemente geloso della libertà con cui si muoveva nel mondo, completamente a suo agio con sé stesso. Comunque, sto divagando. Lo cercai con lo sguardo. Lo feci scorrere per tutta la stanza, fino a intravedere la silhouette snella e tonica seduta sul divano, rigorosamente bianco. La mano, che prima mi aveva toccato con tanta delicatezza, giaceva ora abbandonata sulla spalliera. Quella che mi aveva afferrato il volto ora impugnava un telecomando, probabilmente l'unico oggetto nero in tutta la casa. Mi appoggiai su quello che sarebbe dovuto essere lo stipite di una porta, se solo ci fosse stata la porta, e lo fissai. La luce lo circondava, esaltando la sua innata bellezza, ma la cosa più luminosa della stanza era proprio lui. Notai, con piacere, che si era cambiato. Ora indossava solo un pantaloncino da basket nero ed era a petto nudo. Eppure splendeva nella sua semplicità. Riluceva di quel fascino che solo le cose belle hanno. Solo le persone belle. Quel tipo di fascino che ti costringe a voltare la testa per strada e rimanere a fissare imbambolato le persone che lo possiedono. Quel tipo di fascino che hanno le persone inconsapevoli di averlo. Le persone che ridono spensierate, pensando di non piacere. Quelle che scherzano, convinte che nessuno riderà mai alle loro battute. Quelle che amano, sicure che non arriverà mai il loro turno di essere felici. E sì, ammetto di essere rimasto a fissarlo per un bel po', prima che si accorgesse della mia presenza. Quando voltò la testa mi affrettai a riprendere una posizione austera, e, con voce grossa, a dire "Quello che hai visto è stato solo un momento di défaillance, probabilmente dovuto allo stress accumulato nelle ultime ore. Non capiterà più, stanne certo". Il sorriso sul suo volto si spense, lasciando il posto ad un'espressione vagamente scocciata, che però poteva anche essere interpretata come semplicemente stanca. Era stanco delle mie scuse, probabilmente. Stufo marcio dell'atteggiamento di superiorità che mi ostinavo ad assumere. "Sì, va bene. Liam il Perfetto non può ammettere di essere stato debole, dopotutto" disse, chiaramente sarcastico. Roteai gli occhi e andai a sedermi vicino a lui. "Sei stato tu a baciarmi" dissi, omettendo la domanda di cui veramente desideravo la risposta. Perché l'aveva fatto? Invece di accontentarmi voltò la testa, squadrandomi. I miei occhi erano puntati nei suoi. Catturati, incollati alle sue iridi. "Tu mi odi" soffiai, continuando a fissare i suoi occhi. Attratto da essi come lo è la Terra dal Sole. "Tu mi odi, persino io mi odio, eppure mi hai baciato" ripetei, avvicinandomi. Gravitando verso di lui, perché, anche se non ne ero ancora cosciente, lui sarebbe effettivamente diventato il mio sole. "Perché mi hai baciato?" dissi ancora una volta. Lui non rispose, semplicemente continuò a fissarmi. Io feci lo stesso. Rimanemmo così per un'infinità di tempo, fino a quando lui non girò la testa, tornando a guardare la televisione, che era rimasta accesa. "Okay, bene, non rispondermi. Molto maturo, davvero." lo stuzzicai, tentando, invano, di ottenere una reazione. "Sai cosa c'è?" sbottai. Si girò, ancora una volta, verso di me, inarcando un sopracciglio, ma mantenendo intatto il suo religioso silenzio. "Milioni di persone vorrebbero baciarmi. Milioni di persone si sentirebbero estremamente onorate se solo gli dedicassi un minimo di attenzione, figuriamoci se le baciassi. Milioni di ragazze sverrebbero al solo ricevere un mio cenno, e tu, insulso ragazzino, hai deciso di prendere liberamente possesso del mio corpo, toccandolo e usufruendone a tuo piacimento, senza il mio permesso." alla fine del mio discorso la smorfia sul suo viso poteva significare solo due cose. O stava per vomitare, oppure si stava trattenendo dallo scoppiarmi a ridere in faccia. Non sapevo davvero quale delle alternative fosse la migliore. Gli scappò un risolino, seguito poi da un "Se sono così tanti a voler stare con te allora perché sei qui da solo?" Da solo? Io non ero solo. Giusto? "Non sono solo" borbottai alzandomi. Mi diressi deciso verso la porta d'ingresso e la aprii. "Non sono solo!" gridai, prima di chiudermela alle spalle. "Non sono solo" ripetei, come fosse un mantra. "Non sono solo" dissi, entrando in un bar. "Non sono solo" sospirai, prima di ordinare l'ennesima vodka liscia. "Non sono solo" proclamai felicemente, ubriaco fradicio, ballando con una biondina che indossava un vestitino rosso succinto e si strusciava su di me in una discoteca fuori Bradford. "Non sono solo" ripetei, quando mi trascinò ferocemente in un bagno. "Non sono solo" strascicai, mentre lei si affrettava a togliermi i vestiti, dopo aver gettato sul pavimento lurido il minuscolo pezzo di stoffa che indossava. "Non sono solo" urlai, lasciando che prendesse lei in mano la situazione. "Non sono solo" le dissi ancora una volta mentre si rivestiva. "Non sono solo" sussurrai, constatando felice che mi aveva lasciato scritto il suo numero di telefono e il suo nome. "Non sono solo" ripetei, stavolta a me stesso, cercando il cellulare per chiamare Zayn e rinfacciarglielo, dimenticando che non avevo il suo numero. "Hey, non sono solo" biascicai, al telefono spento, scivolando lentamente sul pavimento del bagno. Se non ero solo, perché mi sentivo così vuoto?

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