Tutto può cambiare (o quasi)

di Trailunwinki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una serata alquanto ordinaria ***
Capitolo 2: *** Quando si apre una porta, se ne chiude un'altra ***
Capitolo 3: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 4: *** Qualche ora prima ***
Capitolo 5: *** Il passato diventa futuro ***
Capitolo 6: *** Dove tutto ha inizio, dove tutto ha fine, dove tutto ricomincia. ***
Capitolo 7: *** Tutto può cambiare (o quasi). ***



Capitolo 1
*** Una serata alquanto ordinaria ***


Una serata alquanto ordinaria
 
E dopo l’ennesima giornata di lavoro, si trovarono nuovamente nella piccola cucina di Baker Street.
Era ormai un'abitudine che due volte a settimana la famiglia Watson si fermasse a cena dal detective. All’inizio la situazione non era stata delle più facili, ma alla fine i due uomini avevano dovuto cedere davanti all’insistenza della giovane neomamma Mary Morstan.  
Così era passato più di un anno e mezzo.
Un anno da quando c’era stato il presunto ritorno di Moriarty.
Un anno da quando era nata Elisabeth.
Un anno da quando Sherlock aveva rischiato un’overdose.
Capitolo della sua vita che sembrava chiuso, o almeno si sperava lo fosse.
Per questo erano nate le serate a Baker Street: per non lasciare il famoso consulente investigativo solo, per farlo sentire come se niente fosse cambiato, che tutto fosse rimasto ai tempi in cui erano loro due "contro il resto del mondo”. Però per quanto, sia Sherlock che John, facessero finta che tutto fosse tornato alla normalità la loro non era che una mera illusione. Infatti il detective passava la maggior parte del tempo in silenzio, era sfuggente, dormiva e mangiava meno di prima, ma soprattutto non si esibiva più come un tempo davanti alla polizia con il suo modo di fare melodrammatico e strafottente. Forse per Sherlock era solamente un periodo difficile, forse l’astinenza da sostanze stupefacenti lo faceva diventare un po’ più chiuso in se' stesso, plausibile; ma il dottore era certo che la causa principale del suo malessere fosse il fatto che John non era in grado di affidarsi e fidarsi completate di lui.
Sì perché, per quanto Mary cercasse di tranquillizzare il marito, dicendogli che non sarebbe successo nulla, il pensiero di lasciare Sherlock solo con la sua piccolina lo faceva impazzire.
La cosa curiosa è che John Watson era pronto a gettarsi tra le fiamme dell’inferno per lui, a uccidere chiunque minacciasse la vita del detective, eppure ogni volta che Sherlock aveva in braccio Elisabeth, John tratteneva il fiato, terrorizzato per l’incolumità della bambina.
Perché dopotutto era di Sherlock che si stava parlando.
Lo Sherlock che si metteva a suonare il violino alle tre di notte.
Lo Sherlock che faceva esperimenti di ogni genere sul tavolo della cucina.
Lo Sherlock che nel frigo teneva cibo (cibo?) insieme a dita e teste umane per studi di oscura natura.
E soprattutto lo Sherlock che in preda alla noia poteva sparare contro la tappezzeria della casa disegnando una faccina, arpionare un maiale morto, oppure fare qualunque cosa gli passasse per la testa per tenersi occupato.
In aggiunta, per quanto il detective si sentisse un po’ ferito della cosa, in realtà non sembrava completamente a suo agio quando quel fagottino girava per l’appartamento: la osservava come fosse un bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro. Quindi i dubbi del dottore erano sempre più fondati: Sherlock non era assolutamente tagliato per fare da babysitter.
Quella sera invece il detective era troppo preso anche per accorgersi della presenza della piccola Elisabeth seduta tra le gambe della madre. Infatti di fronte alla parete del divano, dove erano state poste foto, articoli e note riguardanti il caso, Sherlock borbottava qualcosa tra se’.
John, dal canto suo, se ne stava seduto sulla poltrona rossa in uno stato di dormiveglia: era oramai da qualche tempo, per essere precisi più o meno da quando era nata Elisabeth, che il dottore non solo assisteva il detective durante le sue indagini, ma aveva anche un lavoro regolare come medico al St Bartholomew's Hospital (W Smithfield, London EC1A 7BE). Il risultato? Ogni sera era più stanco della precedente.
Per questa ragione ci mise più del necessario per accorgersi che la candida camicia del detective era macchiata sull’avambraccio destro.
_Sherlock quella macchia da dove salta fuori?_ chiese lui alzandosi barcollando dalla poltrona.
Il detective, dopo una trentina di secondi, capì che John stesse parlando con lui.
_Cosa stai dicendo?_ rispose.
_Certo, fai il finto tonto signor Holmes_ gli afferrò con fare decido il gomito _Sto parlando di questo Sherlock.
_Non è niente John, mi stai disturbando_ rispose secco lui.
_Me lo avevi promesso Sherlock, lo avevi giurato_ disse il medico abbassando il tono.
_Per l’amor del cielo John sempre la stessa storia. Sei come mio fratello_ gridò.
_Per una buona volta nella tua vita potresti fidarti di quello che ti dico? E comunque, qualsiasi cosa sia, non sono affari tuoi.
_Ehi, cosa diamine vorresti dire con questo? Io...
L’orologio batté le nove risuonando per tutto il salotto.
_Bene_ cominciò Mary _salvati da un orologio.
La donna si alzò prendendo la piccola in braccio: _E’ l’ora della nanna peste, domani ci aspetta una nuova giornata.
La bimba sbuffò in risposta ma la madre non le diede possibilità di lamentarsi: quella sera c’erano già abbastanza mocciosi capricciosi nella sala.
Prese per mano il marito e lo allontanò dal detective che era nuovamente ricaduto nel suo stato quasi catatonico davanti alla prove del caso.
_John dai, è tardi. Lo sai che è fatto così_ gli sussurrò all’orecchio.
_Lo so Mary, ma quando si parla di lui e di quel suo maledetto vizio perdo completamente il controllo_ ringhiò stringendo i pugni nelle tasche dei pantaloni.
 _ Si ti conosco troppo bene mio caro; ma siamo tutti stanchi e spossati. Quindi non credi che sia saggio rimandare questa discussione a domani?
Sbuffò visibilmente guardandosi la punta delle scarpe.
_Si forse hai ragione tu. Comunque a proposito di domani, ho dovuto fare un cambio di turno al lavoro e quindi nel pomeriggio non riesco a passare a prendere la bambina all’asilo. Non puoi andarci tu?
_Ma John non ti ricordi più? Ti ho ripetuto almeno un migliaio di volte che uscivo con Molly e avevo una visita dall’oculista.
Sembrava che quella sera nulla filasse per il verso giusto.
_Mary cara, ho un mal di testa terribile e domani devo svegliarmi presto per andare al lavoro, non è meglio rimandare anche questa conversazione a domani mattina? Dopotutto, come hai sottolineato tu, siamo tutti stanchi e spossati.
Le diede un bacio sulla fronte cercando di fare la faccia più colpevole possibile; poi sorrise guardando la figlia: _Guarda ha le palpebre che cadono. Portala di sopra, così almeno sarà più tranquilla.
_Va bene, ci vediamo tra poco_ rispose lei.
La donna si voltò verso la porta, fece in modo che Elisabeth desse un bacio sulla guancia ad un indaffaratissimo Sherlock e poi sparì su per le scale.
John allora si diresse in cucina avvicinandosi a una delle sedie del tavolo.
_Organizzarsi per andare a prendere Elisabeth sembra sempre più difficile che pianificare un assalto alle truppe afgane.
Sapeva benissimo che Sherlock faceva come se in quel momento lui non esistesse, forse per il suo modo di fare, oppure perché si sentiva offeso. In ogni caso ormai il dottore aveva imparato a sopportare qualsiasi cosa lo riguardasse.
Certe volte lo invidiava per la sua grande capacità di concentrazione: era in grado di cancellare ogni cosa lo circondasse e focalizzarsi su un unico obiettivo dimenticando anche ciò che era davvero importante al di fuori del suo lavoro investigativo.
Però John non era come Sherlock, non poteva smettere di pensare. Quindi l'unica soluzione era lavorare, lavorare e lavorare ancora fino a quando la stanchezza non avrebbe cancellato tutto abbandonandolo a un sonno, forse non ristoratore, ma almeno senza incubi.
Così si mise a sparecchiare gli ultimi piatti rimasti della cena e a lavarli nel lavandino alle sue spalle. Dopo aver asciugato e riposto le stoviglie nei loro ripiani tornò verso la sua poltrona distrutto, ma almeno più tranquillo di prima.
Si staccò l'orologio dal polso e prima di appoggiarlo sul tavolino gli diede un ultimo sguardo: le 9.40 pm
_Ho il dubbio che Elisabeth non sia l'unica addormentata al piano di sopra_ sorrise.
_ Più tardi andrò a chiamare Mary per tornare a casa_ e così si appoggiò allo schienale chiudendo gli occhi.
Solo allora Sherlock aprì bocca: _Se vuoi vado io.
_Cosa? A chiamare Mary? Senti Sherlock se sei arrabbiato e vuoi che ce ne andiamo per quello che è successo prima mi dispiace. Lo sai che mi preoccupo per te.
_Lo so_ continuò il detective rimanendo rivolto alla parete _ ma non volevo dire questo.
Fece una pausa.
_ Se hai bisogno che qualcuno vada a prendere Elisabeth, ci vado io.
John non voleva rispondere in quel momento, non era più tanto lucido ed aveva paura che qualsiasi cosa avrebbe detto potesse suonar alquanto scortese. Così tra uno sbadiglio e l'altro, con gli occhi più chiusi che aperti farfugliò un "Si,si" girandosi sull'altro lato.
Per poi addormentarsi.

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Capitolo 2
*** Quando si apre una porta, se ne chiude un'altra ***


Quando si apre una porta, se ne chiude un'altra  
 
Con un colpo sordo la porta del soggiorno venne chiusa.
John aprì gli occhi e si guardò introno spaesato: _Ma dove diamine…_ poi riconobbe il camino, la parete e la poltrona di pelle nera di fronte a lui.
_ Ho dormito qui?_ si domandò.
Il risveglio del dottore era stato troppo brusco per collegare immediatamente tutti gli avvenimenti della sera passata e il Sole, che gli finiva direttamente in faccia, non aiutava per nulla.
_Buongiorno John_ Sherlock era appena entrato nella stanza.
_Sherlock, ma che ore sono?_ chiese strofinandosi gli occhi.
_Sono le 9.30. Mary è tornata a casa circa un’ora fa con la bambina per cambiarla e portarla al nido.
John si raddrizzò sulla poltrona in un attimo: _Oddio! Inizio al Barts alle 10.00.
Saltò in piedi e iniziò a raccogliere la sua roba per poi dirigersi in bagno,  mentre un alquanto indifferente Sherlock si sedeva alla scrivania accendendo il computer di John.
_Vorrei ricordarti che questa non è più casa tua, non puoi fare quello che vuoi.
_Non iniziare a fare il pignolo ora_ ringhiò il dottore chiudendosi in bagno.
Il detective sorrise continuando a guardare lo schermo del computer.
Poco dopo John uscì con un aria meno assonnata e vestiti passabili. Si voltò verso il salotto e solo allora si rese conto che Sherlock aveva il suo portatile.
_Quello è il mio computer?
_Probabile.
_Sherlock_ John iniziava a perdere la pazienza. 
_Ho detto che è probabile_ tagliò corto lui.
_Bene, visto che è probabile,  non avrai nulla in contrario se adesso lo sequestro.
Prese il portatile lasciando il detective con le mani su una tastiera inesistente e, al suon di “Adesso chi è il pignolo tra noi”, scese le scale. 
Quella mattina l'aria era pungente, ma il dottore non se ne accorse nemmeno.
Dopo aver pagato il taxi, si diresse verso la porta d’ingresso e poi su di corsa in reparto per timbrare il cartellino.
L’orologio segnava le 9.59 quando riuscì a passare il badge nella macchinetta.
Per un pelo.
Dopo aver ripreso fiato e aver indossato il camice, prese la cartella clinica del primo paziente della giornata.
Era strano pensare di essere tornato a vagare per quei corridoi. Anche se lavorava lì da ormai più di un anno, i ricordi di quando era solamente uno studente non lo abbandonavano mai.
A volte, quando aveva un momento di tranquillità, andava a trovare Molly ai piani inferiori; oppure controllava il detective quando si recava in laboratorio per particolari ricerche alle quali nessuno era permesso partecipare.
 
Il resto della giornata, dopo l’inconveniente della mattina, sembrò abbastanza tranquilla: qualche visita di routine e nessuna emergenza grave. 
Mentre usciva dallo spogliatoio, dopo aver lasciato giù il camice, controllò il cellulare in caso ci fossero telefonate o messaggi.
Nessuno lo aveva cerato; gli unici due messaggi erano arrivati verso l’ora di pranzo da parte di Sherlock:
“Ho trovato una nuova pista”
SH
“ti mando un’e-mail con tutti i dettagli. Guardala.
Ci vediamo”
SH     
John inconsciamente alzò gli occhi al cielo: quell’uomo aveva la capacità di irritarlo anche dall’altra parte della città.
Però stiamo sempre parlando di Sherlock: è capace di far arrabbiare chiunque incontri per strada, figuriamoci chi lo conosceva da più di sei anni.
Eppure per quanto fosse difficile viverci insieme, a John mancava il vecchio rapporto con il detective. Perché alla fine, da quando Sherlock aveva simulato la sua morte dal tetto di quello stesso ospedale, le cose erano cambiate. 
Era arrivata Mary, la sua salvezza , che lo aveva aiutato nei momenti più difficili e ora c’era anche Elisabeth.
Tutte cose così meravigliose da aver, inevitabilmente, allontanato Sherlock da lui.
Ma è così che va la vita e per quanto a volte John non sembrasse completamente felice, non poteva assolutamente lamentarsi: aveva una moglie e una figlia che lo amavano incondizionatamente e lui avrebbe fatto qualunque cosa per loro.
 
Una pioggerellina leggera iniziò a scendere quando il dottore giunse davanti alla soglia di casa.
Le luci all’interno erano spente: Mary non era ancora tornata.
Cercò nella valigetta il suo mazzo di chiavi e, dopo aver aperto la porta, abbandonò la giacca sopra il divano.
Accese la luce della cucina e riempì il bollitore per prepararsi un Tè.
Mentre l’acqua si scaldava John si decise ad accendere il computer per vedere la mail inviatagli dal detective.
All’interno trovò solo una serie di immagini che, secondo il dottore, non avevano alcun senso: la prima immagine mostrava il cadavere della vittima con a fianco riportate le scene di altri cadaveri con i medesimi tagli sulle braccia.
La seconda immagine non era altro che la foto della carta d’identità della vittima.
La terza, invece, mostrava un altro documento d’identità che raffigurava lo stesso ragazzo, di qualche anno più giovane, ma con un nome completamente differente.
Dalla quarta immagine in poi le cose si complicavano: una riportava il dépliant di un gruppo emergente di giovani parlamentari, la quinta l’etichetta di un tubetto di una tinta per capelli e  la sesta un’altra etichetta, ma questa volta di un detersivo, fotografato in modo da rendere visibile le sostanze chimiche contenute.
Si capiva che c’era qualche collegamento tra le varie foto, ma al dottore sembrava sfuggire. L’unica cosa chiara era che la vittima aveva cambiato nome negli ultimi anni per chissà quale ragione.
Rimase per un po’ ad osservare quelle foto, ma alla fine decise di lasciar perdere: si sarebbe fatto spiegare il giorno seguente dal suo sociopatico preferito.
Il Tè intanto si era già raffreddato, ma non gli importava più di tanto: infatti, da quando Mary aveva deciso di mettere a dieta la famiglia, anche il Tè delle cinque aveva perso la sua bellezza. L’unico modo per ottenere qualche biscotto vecchio era farselo offrire dalla signora Hutson.
Nel momento esatto in cui John appoggiò la tazza vuota sul tavolo si sentì il cancello aprirsi: Mary era a casa.
Il dottore uscì dalla cucina e si diresse verso di lei.
_Per caso hai rapinato un negozio?_ esordì prendendo alcuni sacchetti che teneva in mano.
_Spiritoso, ho solo approfittato di qualche sconto sui vestitini per Elisabeth_ rispose Mary dandogli un bacio.
_A proposito la bambina è in camera sua?_ domandò.
John la guardò confuso: _No tesoro, non è con te?
Mary si irrigidì: _Elisabeth non è con me_ ripose piano.
John per poco non si sentì mancare: _Pensavo andassi tu a prenderla.
_No.
Senza neanche prendere la giacca i due genitori si diressero alla macchina, Mary salì dalla parte del guidatore e chiuse la portiera con forza.
_John sei un grandissimo … [aggiungete pure un insulto a piacere]_ urlò mettendo in moto la macchina.
Le ruote sgommarono e Mary partì come un fulmine, diretta al nido, passando in mezzo alle macchine senza curarsi del fatto che i semafori fossero verdi o meno.
_Rallenta!_ urlò John quando una berlina stava per finirgli contro.
_No, perché sono furiosa con te_ ringhiò lei picchiando il pugno sinistro sulla testa del marito.
_Come fai a dimenticarti di tua figlia, John, TUA FIGLIA! Perché quando ti chiedo una cosa non la fai mai?
Un taxi gli suonò il clacson.
_Che poi, se ti chiedessi tutti i giorni di andarla a prendere, capirei; ma tu non ci sei mai andato_ il suo tono era sempre più alto.
_Meno male che non abbiamo un altro figlio, perché se no quello potresti dimenticarlo nel congelatore.
_Ok ho capito, tuo marito è un idiota, ora però puoi, per l’amor di Dio, RALLENTARE?
John era tentato di scendere dall’auto in corsa prima di ritrovarsi al Barth con un trauma cranico.
_No, non rallento
_Perché?_ domandò disperato.
_Perché in questo momento ho voglia di spararti; quindi o sparo oppure cerco di calmarmi guidando.
Senza preavviso Mary tirò il freno a mano inchiodando davanti all’entrata del nido: ecco cosa voleva dire essere sposato con una donna potenzialmente mortale.
Davanti a loro una delle insegnanti stava chiudendo il cancello, ma, vedendo correre i coniugi Watson verso di lei, si fermò: _Signora Watson, che piacere vederla.
_Ciao Susan
_E questo deve essere suo marito: il dottor John Watson_ disse poi porgendogli la mano.
_Allora posso fare qualcosa per voi?
_Susan per caso Elisabeth è qui con te? È in macchina?
La donna rimase stupita dalla domanda.
_No, in realtà Elisabeth è uscita insieme agli altri bambini. Sono venuti a prenderla.
_Chi?_ domandò John preoccupato.
_Un uomo strano: alto con i capelli scuri. Diceva di essere un amico di famiglia ed Elisabeth non sembrava spaventata da lui. Inizialmente non volevo lasciargliela, ma poi la mia collega mi ha detto che potevo star tranquilla, perché aveva già visto quell’uomo e sapeva essere un vostro stretto conoscente.
Mary e John rimasero in silenzio osservandosi l’un l’altro.
_E’ successo qualcosa alla piccola?_ domandò Susan allarmata, ma i due non la ascoltavano più.
In un momento entrambi i coniugi sgranarono gli occhi.
_Sherlock_ urlarono all’unisono.
John si precipitò al posto del guidatore, mentre Mary ringraziava Susan tranquillizzandola. Subito dopo anche la donna fu in macchina e senza aspettare altro tempo si diressero al 221B di Baker Street.
Mai a Londra ci fu viaggio tanto corto: in pochi minuti erano già di fronte all’appartamento.
Con il cuore che gli batteva forte in gola, John aprì la porta nera e si diresse su per le scale urlando il nome del detective. 
Però subito dopo la prima rampa il dottore calpestò qualcosa che si ruppe sotto al suo piede: aveva appena calpestato un piccolo oggetto fatto di vetro, che aveva lasciato una macchia scura sul gradino insieme a una serie di frammenti taglienti. John sbiancò ipotizzando cosa fosse quell’oggetto, ma la conferma l’ebbe quando sentì rotolare uno stantuffo di plastica bianca.
_No, no, no. Non di nuovo_ farfugliò terrorizzato.
_John che succede? Perché ti sei fermato?_ chiese Mary al marito, ma lui non la stava ascoltando. Aveva gli occhi fissi verso la porta socchiusa del soggiorno, oppresso da un senso di panico così forte da bloccargli le gambe.
_Non puoi farmi questo di nuovo. Non con Elisabeth
Quel nome riuscì a riscuoterlo: con tutta la forza di volontà di cui era capace fece gli ultimi gradini e spalancò la porta.
A primo impatto l’appartamento era in disordine come al suo solito e il detective sembrava non trovarsi in quella stanza.
Poi però lo vide.
Sherlock stava a terra, con la schiena appoggiata alla poltrona di pelle nera, rivolto verso la finestra. Le gambe distese davanti a lui e la testa inclinata verso destra in una posizione del tutto innaturale.
Il dottore senza perdere altro tempo di mise davanti all’amico e solo allora una delle sue paure più grandi si dissolse, mentre un’altra ritornava in superficie: Elisabeth si trovava in braccio al detective che piangeva perché le urla del padre l’avevano svegliata; Sherlock, dal canto suo, non sembrava aver ripreso conoscenza.


Che fosse arrivato troppo tardi?







note…
E anche il secondo capitolo è andato.
Inizio questa nota scusandomi con tutti voi: alla fine del primo capitolo volevo, in un certo senso, presentarvi la storia, ma mi sono accorta di non aver scritto nulla solo nell’istante in cui la fanfiction è stata pubblicata….quindi non uccidetemi, vi prego.
Comunque, tornando a cose più importanti, il secondo capitolo non è che mi faccia impazzire, ma dopotutto nulla di quello che scrivo mi fa impazzire. 
Spero solo che vi sia piaciuto. Soprattutto l’ultima scena: ho cercato di trasmettere più apprensione possibile e, se anche per un millisecondo, vi siete sentiti un po’ come John allora avrò raggiunto il mio obiettivo.
Cercherò in tutti i modi di mantenere una pubblicazione abbastanza regolare...lo giuro.

 
Infine, per chi non si fosse già stancato di ascoltarmi e avesse qualche curiosità, ecco qui una chicca.
La decisione più difficile della fanfiction è stata quella del nome della piccola Watson.
Perché nella storia originale Mary e John ebbero un maschietto: William (come il nome del nostro amato detective).
Ora, per restare in tema, il nome più corretto sarebbe stato Will, ma il modo in cui suonava Will Watson mi faceva accapponare la pelle.
Quindi ho ripiegato sul più banale nome esistente: Elisabeth.
In realtà in questi giorni, come alcuni di voi sapranno, è stato divulgato il nome della piccola; però visto che avevo già deciso per Elisabeth e non trovando così meraviglioso quello scelto, il nome rimarrà invariato (in questo momento mi sfugge e mi rifiuto in ogni caso di dirlo per non spoilerare nulla).
Bene ora che mi sembra di avervi detto tutto non posso far altro che ringraziarvi per aver letto e augurarvi una buona serata.
Ps siate clementi per quanto riguarda la grammatica...sono una frana.

Trailunwinki

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Capitolo 3
*** Punto di non ritorno ***


Nota.
Scusatemi, scusatemi, scusatemi. Vi avevo promesso che avrei cercato di essere regolare con la pubblicazione, ma, a quanto pare, non ne sono in grado.
Sono appena tornata a casa, dopo aver passato le vacanze dai parenti e quindi, non avendo il computer, non ho potuto pubblicare prima il terzo capitolo.
Comunque, questa volta ho voluto scrivere prima la nota perché volevo avvisare tutti che il capitolo non contiene spoiler sulla quarta stagione (non l’ho ancora vista).
Mi scuso ancora del ritardo e di possibili errori grammaticali (abbiate pietà di me…prendevo sempre 4 nei saggi).
Bene, mi sembra di aver detto tutto. Quindi vi lascio e vi auguro buona lettura.
 


Punto di non ritorno.

_Mary, porta subito via Elisabeth.
Il tono era deciso.
La donna non se lo fece ripetere due volte: prese la bambina in braccio e si diresse verso la cucina.
John allora si chinò sul detective: _Andiamo Sherlock, svegliati_ sussurrò premendo due dita sul suo collo.
L’ultima volta che gli aveva controllato il polso non aveva sentito nessun battito, ma questa volta non fu così.
Gli si avvicinò maggiormente per ascoltare il respiro, appoggiando anche una mano sulla fronte.
Temperatura e respirazione nella norma.
Sherlock, a quel punto, si mosse leggermente infastidito sperando di poter tornare a dormire. Mentre John si mise con il volto a pochi centimetri dal suo e gli alzò la palpebra.
_John, che diamine stai facendo?_ protestò l’altro cercando di allontanarsi; ma il dottore gli bloccò la testa tenendogli l’occhio sinistro aperto.
_Bene_ disse _le pupille non sono dilatate.
Ergo, nessun sintomo dato dall’assunzione di cocaina.
_Ovvio che non lo sono.
Il torpore, che prima circondava il detective, stava iniziando a scomparire; mentre il dottore tirava un sospiro di sollievo.
_Dio Sherlock, mi hai fatto prendere un colpo.
_Per quale motivo. Tua figlia sta bene, no?_ rispose, appoggiandosi alla poltrona per rimettersi in piedi.
John rimase sorpreso: _Che razza di risposta è? Lo sai che mi preoccupo per te.
_Nessuno te lo ha chiesto. So badare a me stesso anche da solo.
I loro sguardi erano intrecciati e nessuno dei due sembrava aver intenzione di mollare.
_Piantala_ ringhiò il dottore.
_Ok, va bene: ora che hai controllato, che tua figlia sta bene e che io non ho ingoiato nulla, puoi anche andartene.
Il dottore rimase fermo.
_Non ho bisogno di aiuto e  men che meno di una balia.
A quel punto John non ci vide più: si diresse verso il divano, poi, dopo esserci salito in piedi con le scarpe, strappò via tutti i fogli , che il consulente aveva affisso, e li gettò nel camino acceso.
_Che stai facendo?_ urlò Sherlock sotto shock.
_Adesso basta Sherlock, ho raggiunto il limite. Mi senti? Sono stufo dei tuoi modi di fare strafottenti e irritanti.
_Io…Io_ il detective aveva perso le parole.
_Sono stufo di dover stare tutte le sere a pensare alla tua salute. E non venirmi a dire che la tua salute è meno importante di un caso di omicidio. Perché, indovina un po’, se vai avanti così il prossimo omicidio da risolvere sarà il tuo!
_Non sei altro che un bambino viziato e capriccioso. Quindi, fino a quando ti comporterai come tale, avrai sempre, e dico SEMPRE, bisogno di qualcuno che ti faccia da balia. Però, sai una cosa? Mi arrendo: John Watson se ne va_ disse, alzando le mani.
_Fino a quando non imparerai a comportarti come un adulto, dimenticati pure della mia esistenza. Tanto non mi sembra che sia difficile per te.
Con questo si diresse verso le scale, sbattendo la porta d’ingresso in modo così violento da far tremare i vetri delle finestre e lasciando un alquanto attonito detective immobile nel salotto del 221B di Baker Street.

 
Trailunwinki

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Capitolo 4
*** Qualche ora prima ***


Qualche ora prima …
 
Il freddo si era fatto più intenso e la lieve pioggerella ora ricopriva i rami degli alberi con curiosi cristalli di ghiaccio.
Nessuno aveva voglia di uscire, anche le vie del centro erano quasi deserte. Solo qualche pendone si avventurava fuori, cercando di arrivare al lavoro in orario.
Tutto sembrava tranquillo, fatta esclusione per un punto: un angolo di una strada, poco lontana da Regens Park. Infatti lì, anche nelle ore più tarde, si poteva sentire il suono di un malinconico violino o le sirene della polizia.
In particolare quel pomeriggio il 221 B di Baker Street  sembrava più animato del solito.
 
_Non è possibile Lestrade, controlla di nuovo_ rispose il consulente.
L'ispettore poteva sentirlo camminare avanti e indietro, nel suo appartamento, dal fruscio che lo raggiungeva attraverso il cellulare.
_Sherlock, ho già controllato più volte: non c'è niente.
_Ci deve pur essere qualcosa. Hai trovato il suo vecchio indirizzo? Hai parlato con i famigliari?
_Sì, e come ti ho detto cinque minuti fa, non c'è nulla: nessun reato, nessuna multa, niente di niente. La sua fedina penale è immacolata_ concluse.
Sherlock sbuffò
_Era il classico ragazzo per bene.
_Nessun ragazzo per bene cambia nome e città in poco tempo.
_Chi ti dice che è così; potrebbe aver cambiato nome perché quello precedente non gli piaceva.
_E’ la cosa più stupida che potessi dire.
_Grazie è!
_Nessuno cambia nome solo perché non gli piace_ continuò Sherlock.
_Non è vero, l'anno scorso mille persone hanno fatto richiesta all'anagrafe_ si difese.
_Ok va bene, allora nessuna persona intelligente cambia nome perché non gli piace e fidati, James non era stupido
Sbuffò di nuovo.
Il silenzio cadde tra i due, fino a quando Sherlock non proseguì.
_Vorrà dire che dovremo usare un diverso approccio per trovare la causa del decesso, visto che non possiamo confermare l'ipotesi dei debiti.
_Perché sei così convinto che avesse dei debiti?
_Lestrade, aveva degli strozzini alle calcagna, è ovvio che avesse dei debiti.
_E tu come diavolo fai a sapere che era seguito dagli strozzini?
_Ma perché non osservi mai? Quelle cicatrici sul braccio, come pensi se le sia procurate?
_Che ne so! Probabilmente è caduto o qualcos'altro.
Possibile che dovesse essere sempre così difficile avere una conversazione normale con quell'uomo?
_No. Sono cicatrici da taglio: le linee sono profonde e fini, se si fosse fatto male accidentalmente non sarebbero così nette. Inoltre i tagli sono quattro, quattro nella cultura orientale rappresenta un numero sfortunato, addirittura presagio di morte. Quindi, questo uomo era stato minacciato. E per quale motivo una persona può essere minacciata? Le ipotesi sono molte; ma contando l'età della vittima, le sue origini e la palese ambizione, credo che l'ipotesi dei debiti sia l’unica possibile.
_Perché dici che era una persona ambiziosa?_ domandò.
_Perché un giovane trasferitosi nella capitale da quattro mesi, che riesce ad entrare in un partito emergente, non può non essere ambizioso.
Corretto, come sempre.
 
Un urletto divertito raggiunse le orecchie dell'ispettore dall'altro lato del telefono.
_Elisabeth scendi subito dal tavolo_ la rimproverò il consulente
 _Sherlock, John è lì vicino?
_No perché?_ gli chiese il detective, come se fosse sorpreso da quella domanda.
_Non hai detto che c'è Elisabeth? Dai passamelo, devo parlare un attimo con lui_ necessitava di sentire qualcuno che fosse almeno lontanamente normale. Per oggi ne aveva avuto abbastanza dei modi bruchi del consulente.
_John non c'è, Elisabeth è con me_ rispose calmo.
L'ispettore per poco non si strozzò: Sherlock da solo con la bambina? John e Mary dovevano aver perso il senno.
Eppure, al posto di preoccuparsene, colse il lato divertente della situazione: _Quindi ora fai anche il babysitter?_ scherzò.
_Non è divertente Lestrade.
_No, hai ragione, è molto divertente_ un sorriso comparve sulle labbra dell'ispettore. Era raro riuscire ad avere la meglio su quell'arrogante del suo amico.
_Stai crescendo Sherlock, ne sono felice_ ammise.
_E questo che diamine significa Lestrade?_ borbottò lui dall'altra parte del telefono.
_Nulla. Grazie di tutto, mi faccio sentire appena avrò altre notizie.
_No aspett...
Lestrade chiuse la telefonata appoggiandosi allo schienale della sedia.
Sherlock da solo con Elisabeth. Davvero le cose stavano cambiando: quell'uomo, che qualche anno prima non aveva nessun contatto con il mondo, ora, un passo alla volta, stava imparando a vivere davvero.
E tutto grazie a quel dottore che, per quanto a volte provasse istinti omicidi verso il detective, alla fine non lo abbandonava mai.
Così, con un lieve e caldo sentimento di tenerezza, l'ispettore tornò al lavoro.
 

 

Nota…
Come promesso, ecco il nuovo capitolo. Non è lunghissimo, ma spero vi possa piacere.
Comunque, arrivati a questo punto, vi voglio chiedere cosa ne pensate fino ad ora della storia: vi sta piacendo? E il nome scelto per la piccola Watson?  Avete consigli o semplicemente qualcosa da farmi notare? Sono aperta a tutto: critiche, lamentele, apprezzamenti, “disprezzamenti”, ecc.
Ringrazio, in ogni caso, coloro che hanno messo tra i preferiti, i seguiti o, semplicemente, si sono fermati un momento a leggere questa specie di “roba” (non mi permetterei mai di considerarla qualcosa di decente).
Credo di essere a posto (tanto so, per certo, che appena avrò pubblicato mi verrà in mente una marea di cose che potevo scrivere qui sotto), quindi vi saluto con un forte abbraccio e ci vediamo prossimamente.
 
PS. Per vedere come si risolverà, se si risolverà, la situazione tra John e il nostro amato Sherlock dovrete aspettare ancora un pochino
PPS. Più avanti potrebbe esserci un minuscolo e lontano riferimento alla Johnlock….quindi rimanete sintonizzati

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Capitolo 5
*** Il passato diventa futuro ***


Il passato diventa futuro
  
_Che razza di detective_ disse buttando il telefono sul divano.
Lestrade era davvero incorreggibile. Una volta che un caso si dimostrava interessante, davvero interessante, lui si perdeva in sciocchezze come quella.
Non riusciva a capirlo, non riusciva ad accettarlo: tutti gli dicevano di lasciare perdere, di chiudere quell’indagine assurda; ma perché nessuno sembrava in grado di capire?
James Russell, giovane esordiente dalla carriera politica promettente, apparso nel nulla pochi mesi prima, dopo aver cambiato identità e con evidenti cicatrici derivanti da una storia turbolenta, viene trovato morto davanti all’uscio di casa, al 24 di Vauxhall Grove*, per uno shock anafilattico. Andiamo, doveva pur esserci qualcos’altro. Il suo passato aveva un gusto troppo dolce per non avere nulla a che fare con la sua dipartita. 
Osservando le foto prese dai giornali e comparandole con l’unica trovata di quando non viveva a Londra era subito visibile il cambiamento: i capelli corti e ramati, ora erano di un castano scuro tenuti indietro. Portava occhiali costosi dalla montatura larga, per nascondere i lineamenti del viso e Sherlock era certo che l’uomo avesse ricorso anche alla chirurgia estetica al naso e agli occhi.
_ Perché non eliminare anche le cicatrici?_ si domandò.
_ Ovvio, le teneva come monito.
Ora però, era normale chiedersi dove avesse trovato tutti quei soldi per le operazioni.
Le ipotesi erano più di una: da uno spaccio di stupefacenti, al hackeraggio di qualche servizio online delle banche. 
Però quelle cicatrici, quel particolare metodo per minacciare qualcuno, sembrava più opera della mafia. Cosa altamente improbabile, ma il collegamento era abbastanza immediato.
Un tintinnio della vetreria lo costrinse a rivolgere la sua attenzione altrove lasciando perdere il caso. Si diresse in cucina, dove Elisabeth era riuscita a spostare la sedia per salire sul tavolo e raggiungere così i suoi strumenti che, agli occhi della piccola, dovevano apparire alquanto divertenti.
_Elisabeth scendi dal tavolo_ le ordinò nuovamente.
Lei scosse la testa e rivolse la sua attenzione verso una siringa senza ago che il detective aveva usato poco prima per degli esperimenti.
_ No, quella non devi toccarla_ fece per prendere la siringa dalle sue piccole mani paffute, ma la bambina la lanciò sul pavimento facendola rotolare fino al pianerottolo.
_Piantala_  urlò.
Però Elisabeth lo ignorò continuando a gattonare tra i campioni fino a quando non tentò di afferrare una beuta contenete formaldeide. Sherlock, a quel punto, intervenne strappandole con forza il pericoloso liquido.  
Lei lo fissò con i suoi grandi occhi azzurri. Davanti a quello sguardo severo si addolcì: _Sei tale e quale a tuo padre.
Ma la bambina non sembrò apprezzare il complimento, e così scoppiò in lacrime.
La sua voce rimbombò per la casa e il detective cercò in tutti i modi di tranquillizzarla invano. 
Però, nel momento esatto in cui stava per arrendersi e chiamare i coniugi Watson, qualcuno salì le scale fino a raggiungere il suo appartamento:  _ Per l’amor del cielo, che diamine succede?
_Mycroft. Che ci fai qui?
Sherlock si era aspettato (in realtà aveva sperato) che quella persona fosse la signora Hudson e non suo fratello.  
_Sono venuto a portarti un caso interessante_ disse alludendo alla cartelletta che portava sotto al braccio. 
_Ma vedo che sei impegnato. Credo passerò più tardi_ concluse dirigendosi verso la porta da dove era entrato.
_Aspetta.
Mycroft si fermò.
_Ho bisogno del tuo aiuto.
Il politico, a quelle parole, si voltò con un sorrisetto sulle labbra. Sherlock odiava quel suo atteggiamento e ancora di più odiava il fatto di aver bisogno del fratello maggiore.  
Non si era mai abbassato a chiedere esplicitamente aiuto, si era ripromesso che non lo avrebbe mai fatto. Ma quella situazione era troppo difficile, troppo diversa dai suoi soliti problemi da obbligarlo a infrangere qualcuna delle sue regole.
_Capisco, ma io Sherlock non vedo come potrei.
_Ti prego Mycroft.
Sherlock sfoderò lo sguardo più triste e indifeso di cui era capace: doveva raggiungere il suo obiettivo a qualunque costo.
Cinque secondi e ventinove centesimi dopo Mycroft sospirò: aveva vinto.
_E va bene fratellino, però prima voglio sapere il perché. Perché hai bisogno del mio aiuto.
_Lo sai benissimo.
_Sì_ sorrise _ma voglio sentirtelo dire.
_Bastardo_ borbottò il consulente tra sé
_Su, coraggio_ lo incalzò il fratello.
_Ho bisogno della tua intelligenza. Hai più esperienza di me.
Mycroft aggrottò la fronte: _Non era la riposta che mi ero immaginato. Comunque, in cosa dovrei avere più esperienza. In bambini? Andiamo Sherlock, lo sai benissimo che non ne sono in grado. Trovo tutte le persone stupide e noiose, figuriamoci un bambino.
_Allora che razza di fratello maggiore saresti?
_Ad ogni modo, ti aiuterò a risolvere questo problema prima che ci renda tutti sordi. Anzi ho già un piano.
_Ovvero?_ domandò il detective.
_Semplice: utilizzeremo il cervello Sherlock. Vedi la situazione come uno dei tuoi casi e deduci il da farsi.
Il politico fece roteare il suo ombrello, facendolo atterrare sulla scarpa di vernice nera, prima di sedersi sulla poltrona di John.
_ Molto bene_ iniziò _ dimmi fratellino, perché un bambino piange?
Sherlock ci pensò un attimo.
_Primo: potrebbe avere fame; cosa da escludere, visto che ha mangiato al nido poco più di due ore fa. Dalle varie ipotesi si può anche escludere l’essere assonnato perché, sempre al nido, hanno orari fissi per far riposare i bambini. Inoltre Elisabeth, quando ha sonno, si tocca l’orecchio destro.
_E’ un certo interesse per un essere umano, quello che colgo?_ scherzò Mycroft.
_Silenzio_ lo zittì il detective.
_Comunque stavo dicendo, seconda ipotesi: potrebbe stare poco bene. Mal di pancia, oppure influenza, ma è perfettamente visibile che la bambina gode di ottima salute e quindi questo esclude anche eventuali escoriazioni o tagli.
_Terza ipotesi: potrebbe avere freddo o caldo. Oggi è una giornata particolarmente fredda, quindi è più probabile che Elisabeth possa avere freddo, ma in casa la signora Hudson tende a mantenere il termostato impostato sui 21,5°. Temperatura, che ipotizzo sia corretta, visto che, entrando, ti sei tolto il cappotto e lo hai gettato sul mio divano.
_ Vedo che siamo in forma _ lo canzonò l’altro.
Ancora quel maledetto sorrisetto. 
L’informazione era stata registrata inconsciamente dal detective.
_Però ti è sfuggito un particolare abbastanza importante.
_Per Dio Mycroft! Non ho, non ho mai avuto e spero non avrò mai figli in vita mia; cosa vuoi che ne sappia.
_Gli anni Sherlock_ lo interruppe l’altro.
_Cosa?
_Quanti anni ha Elisabeth?
_Uno e mezzo. Allora?
_Allora non credi che se avesse fame, sete o altro te lo avrebbe detto?
Nota mentale: non provare mai più a chiedere aiuto a Mycroft!
_Visto che sembri così bravo, perché non continui tu?_ domandò irritato.
Mycroft in riposta sorrise. Ancora.
_Con molto piacere.
Ma prima che il politico riuscisse ad aggiungere altro Mrs Hudson fece capolino dalla porta del salotto: _Cosa state facendo voi due?
_Stiamo cercando di risolvere un caso_ rispose Sherlock.
_Quale caso?
_Questo_ concluse indicando Elisabeth ancora seduta sul tavolo, con le gote arrossate e le manine sugli occhi lucidi.
Mrs Hudson si avvicinò alla bambina, le mise una mano dolce sulla zazzera bionda e, con fare materno, le bisbigliò qualcosa all’orecchio.
Elisabeth, in risposta, smise di piangere e allungò le braccia verso l’anziana signora, che se la portò al petto. 
_Non cambierete mai. Così geniali, ma in fondo così stupidi. Questa bambina ha solo bisogno di essere cambiata e si è messa a piangere perché nessuno si occupava di lei.
_Quasi come qualcuno di mia conoscenza_ disse Mycroft rivolto a suo fratello.
_Sta zitto Mycroft, solo perché non l’ho dedotto subito, non vuol dire che hai vinto tu. Ci sarei arrivato.
_Questo non è un gioco Sherlock_ urlò la donna.
_ Elisabeth è una bambina e come tale deve essere trattata. Ora, se volete scusarmi, devo prendermi cura di lei. Visto che qui nessuno sembra in grado di farlo.
Con questo Mrs Hudson fece dietro front e si diresse, di buona lena, verso la vecchia camera di John.
 
Mycroft si alzò dalla poltrona e rivolse il suo sguardo verso la parete opposta.
_Vedo che stai ancora lavorando al caso di James Russell.
_Sì. Cosa ne pensi?
_Banale, scontato.
Sherlock sbuffò. Al solito, suo fratello adorava mettersi in mostra.
_Immagino tu lo abbia già risolto.
_Certo. Ci ho messo più o meno dieci minuti. Bisogna solo cambiare il proprio punto di vista e tutto apparirà chiaro.
Tirò indietro la manica della giacca e osservò l’ora.
_Bene, credo che sia arrivato il momento di togliere il disturbo.
Recuperò il cappotto piegato sul divano e se lo mise.
_Lascio le cartelle riguardanti il nuovo caso vicino al computer, semmai volessi dargli un’occhiata.
_Lo sai che non lo farò Mycroft.
_Certo. Lo farai.
Alzò l’ombrello in segno di saluto e uscì dalla stanza.
_Avvisami quando scopri qualcosa di interessante.
Stava per sparire dalla visuale del detective, dopo la prima rampa di scale, quando si fermò.
_Un’ultima cosa fratellino. Rimanere legati al passato a volte non serve a nulla, bisogna sempre guardare avanti.
_Cosa c’entra questo adesso!
_Niente, è solo un monito. Ci vediamo.
Sherlock in risposta lanciò il cuscino, che teneva sulla poltrona rossa, contro la porta.
Dio, tra le urla di Elisabeth e la visita inaspettata del fratello, ora la sua testa non faceva altro che pulsare impedendogli di pensare lucidamente.
Recuperò il cuscino e lo abbracciò lasciandosi cadere sul divano sperando così, di trovare un po’ di pace per almeno qualche minuto, prima di tornare alle sue indagini.
Stava quasi per addormentarsi quando: _Cu cu? 
Sherlock grugnì. 
_Vedo che suo fratello se ne già andato. Poteva almeno salutare.
_Che tempismo Signora Hudson. Che tempismo_ si mise a sedere e si massaggiò le tempie.
Elisabeth fece capolino nella stanza solo in quel momento e si diresse verso la cesta, vicino alla poltrona di John, dove erano stati radunati tutti suoi giochi. Rovesciò il contenuto sul pavimento e si mise a giocare con un trenino di legno, che le aveva regalato Lestrade qualche mese prima. 
In pochi istanti si dimenticò completamente di cosa la circondasse
_Beh, oramai il mio aiuto qui non è più necessario. Se dovessi avere ancora bisogno di me, sai dove trovarmi caro.
_Adesso che ci penso, c’è una cosa che potrebbe fare per me.
_Cosa?
_Tè Signora Hudson.
La signora in questione gonfiò il petto e uscì anche lei dal salotto.
_Non sono la sua cameriera giovanotto e sarebbe un bene che, ogni tanto, mettese in ordine queste sue diavolerie. O qualcuno potrebbe farsi male_ disse facendo rotolare giù dalle scale la siringa che aveva lanciato Elisabeth.
_Tè Signora Hudson.
_Non sono la governante!
Mrs Hudson lasciò definitivamente l’appartamento, mentre Elisabeth faceva “Chiuf chiuf” con il trenino verde.
 
_Niente, nemmeno qui_ commentò ad alta voce, togliendo l’ennesimo vetrino di sangue dal supporto del microscopio.
Erano passati una ventina di minuti da quando la padrona di casa era tornata al 221A. Elisabeth si era tranquillizzata e quindi Sherlock, tenendola sempre d’occhio, aveva potuto riprendere il suo lavoro.
_Allora James, perché ti hanno ucciso; ma soprattutto come? Sì, da giovane eri cagionevole e nemmeno ora eri molto forte, ma non avevi nessuna allergia particolare. Le analisi sui campioni di sangue non rilevano reazioni allergiche ai detersivi della lavanderia e nemmeno al Katon**, il conservante antimicrobico, contenuto nella tinta per capelli. Quindi cosa ha provocato quello shock anafilattico?
Un tonfo in salotto lo distrasse. 
Si voltò subito per vedere se Elisabeth era nei paraggi, ma, come aveva correttamente dedotto dal tonfo, la bambina era sparita dal suo campo visivo.
_No, non di nuovo_ si lamentò allontanando la sedia.
_Elisabeth tutto ok?_ domandò.
Nessuno rispose.
Sherlock allora si alzò in piedi. 
_Elisabeth_ urlò entrando in salotto, ma della bambina nemmeno l’ombra.
Sherlock inconsciamente sentì il suo cuore battere più forte e dovette appoggiarsi alla poltrona rossa per non perdere l’equilibrio: panico.
Non poteva essere vero. Aveva perso la figlia del suo migliore amico. Del suo unico amico. 
John non lo avrebbe mai perdonato, anzi lui non se lo sarebbe mai personato. 
Era così spaventato che, in un primo momento, non si rese nemmeno conto che gli scatoloni di John, impilati in ordine vicino alla finestra attaccata al divano, erano tutti riversi a terra.
_Elisabeth.
Con un senso di ansia e sollievo sollevò gli scatoloni e, sotto a uno di essi, ricoperta dai maglioni smessi del padre, trovò la piccola Elisabeth.
Sherlock tirò un sospiro di sollievo: non si era fatta nulla. Quei maglioni orribili del dottore l’avevano protetta. 
Lei, infastidita dalla luce, seduta sul pavimento, si coprì il volto. Il detective sorrise e si accovacciò al suo fianco.
_Non farlo mai più.
Elisabeth lo guardò dubbiosa per un po’, poi decise di sorridere a sua volta regalando al detective un sorriso bello e genuino; ma i bambini sono istintivi e irrequieti. Così si girò, gli diede le spalle e si nascose nuovamente tra gli scatoloni.
Sherlock si stava per allontanare quando un verso lo richiamò. La bambina era nuovamente uscita allo scoperto e stava porgendo al consulente un piccolo manubrio da un chilo e mezzo, il manubrio che John usava per mantenere in allenamento la spalla ferita.
_Te_ disse lei con una vocina allegra.
_E’ per me?_ domandò Sherlock avvicinandosi.
Elisabeth annuì e lasciò che Sherlock prendesse il manubrio.
_Grazie.
Non sapeva che farsene di un manubrio, ma in quel momento la cosa non gli importava: era il primo vero contatto che avevano loro due soli, dopo un anno e mezzo che si conoscevano. La prima volta che Elisabeth gli porgeva qualcosa, senza nessuno che li guardasse o controllasse: niente John, niente Mary, nemmeno niente Mrs Hudson. 
Finalmente sembrava arrivato il momento in cui sia Sherlock, che Elisabeth erano pronti a riconoscere l’altro come membro della propria famiglia.
E, a conferma di questo, lei allungò le braccia. Lui la prese e la fece sedere su un braccio, mentre con l’altro le mostrava il manubrio che gli aveva donato. 
_Ti piace il manubrio del papà? 
_ ì _rispose.
_Sai mi sono sempre chiesto perché lo avesse comprato. Ogni volta che provavo a domandarglielo, John rispondeva che era per la sua spalla. 
Elisabeth lo prese tra le mani provando ad assaggiarne la consistenza con i denti da latte.
_ Alla fine, come volevasi dimostrare, lo ha dimenticato qui. Perché, in realtà, tuo padre non ha mai avuto necessità di fare eserciz…
Il detective si bloccò di colpo. Gli occhi sbarrati, le labbra semi aperte e la testa che lavorava a pieno regime. Un elemento stupido e banale, ora si era rilevato fondamentale. Anzi di vitale importanza.
Iniziò a ridere di gusto e strinse con più forza la piccola Elisabeth contro di sé.
_Chi lo avrebbe mai detto. Sherlcok Holmes è stato battuto da un Watson.
Aveva risolto il caso e, come ogni volta, Mycroft non si era sbagliato: mai soffermarsi troppo sul passato.
Abbassò lo sguardo verso Elisabeth: aveva lasciato cadere il manubrio ed ora sembrava più interessata a un bottone della sua camicia.
_Ho il dubbio che diventerai un ottimo detective piccola mia.
Elisabeth in risposta gli rivolse un nuovo sorriso e…
_Eok.
Ecco, tre lettere. Tre lettere che rappresentavano cosa fosse, agli occhi di quella bambina: l’unico consulente investigativo al mondo, il grande Sherlock Holmes era solo Eok. 
Nulla di più.
Eppure al detective non dispiacque, anzi sorrise all’idea che qualcuno potesse chiamarlo così. 
_Eok_ ridacchiò.
Un altro borbottio della bambina lo costrinse a girarsi e vide che aveva iniziato a nevicare.
_Vuoi guardare la neve?_ le domandò.
Lei non rispose continuò solo a indicare la finestra e a guardare Eok in modo di supplica.
_Va bene.
Si portò vicino alla finestra, tirò meglio di lato la tenda e si sedette a terra, con la schiena appoggiata alla poltrona nera e in braccio Elisabeth.
_Per una volta possiamo anche prenderci una pausa, hai appena risolto il tuo primo caso.
 
Così, avvolti dal senso di pace e tranquillità della neve, i due si addormentarono.  
 

 
 
* il 24 di Vauxall Grove esiste davvero. È una casa molto carina che ho visto gironzolando per le vie di Londra con GoogleMaps …..quindi chiunque ne sia il proprietario spero vivamente che non si offendi e accetti i miei complimenti: gran bella casa, davvero!
 
** vi copio la descrizione del composto.
Formula: C4H4ClNOS/C4H5NOS
Conservante antimicrobico attivo contro batteri, funghi e lieviti; impiegato dall’industria cosmetica è costituito da clorometilisotiazolinone, metilisotiazolinone e sali magnesio. Si trova nei saponi, shampoo, latti detergenti, bagno schiuma, mascara, detergenti, carta igienica, prodotti sanitari. Negli adesivi, colle, agenti agglomeranti, nelle tinture, ecc.
 
 
Nota…
Dopo più o meno un’eternità, sono tornataaaaaaa!
Prima di tutto devo scusarmi con quelle sante persone che stanno seguendo la storia e sono costrette ad aspettare secoli: scusatemi. *si mette in ginocchio e chiede pietà*
Diciamo che questo ritardo è stato la somma di più fattori: per prima cosa la sessione di esami mi ha risucchiato e sono riuscita a liberarmi solo lunedì; seconda cosa questo capitolo era diventato il mio peggior incubo. Perché, se per gli altri capitoli avevo almeno una bozza o qualche frase scritta, questo invece era un buco nero. Non avevo la più pallida idea di come svilupparlo, sapevo solo che era necessario incastrare alcune cosine e far interagire Elisabeth e Sherlock da soli.
Quindi, dopo revisioni, note, bozze e altre revisioni eccolo qui. Non mi convince ancora del tutto, ma per ora andrà bene.
Ancora una volta vi chiedo di essere clementi per quanto riguarda la grammatica e se dovete farmi notare qualunque cosa siete liberissimi di scrivere.
Per ultimo, vi lascio una domanda: cosa ne pensate di Eok?
 
PS. Se qualcuno dovesse trovare elementi simili a quelli della sua Fan Fic, vi posso assicurare che è un caso. Queste cavolate sono frutto della mia testa bacata e, per evitare qualsiasi influenza, di questi tempi sto evitando tutte le storie riguardanti Sherlock, John e Rose.
 
Un abbraccio e vi saluto :)
Trailunwinki

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Capitolo 6
*** Dove tutto ha inizio, dove tutto ha fine, dove tutto ricomincia. ***


Dove tutto ha inizio, dove tutto ha fine, dove tutto ricomincia.
 
_Accidenti_ disse a denti stretti, quando fu di nuovo in grado di comprendere cosa lo circondasse.
La reazione spropositata di John lo aveva spiazzato.
Più di una volta aveva risposto in modo sgarbato al suo ex coinquilino, ma mai aveva ottenuto un comportamento tale. E, ancora peggio, non capiva cosa lo avesse provocato.
A rigor di logica aveva semplicemente detto la verità: era abituato al modo morboso e irritante con cui Mycroft si prendeva cura di lui, ma il fatto che ora anche gli altri si fossero trasformati in madri apprensive lo irritava assai. Certo avrebbe potuto usare dei termini e un tono più gentile per sottolineare la cosa, ma il modo con cui John lo aveva immediatamente accusato di aver assunto della cocaina lo infastidiva.
A differenza di quello che molti credevano non era così stupido: per quanto gli fosse difficile comprendere e relazionarsi con una bambina, sapeva bene che certi atteggiamenti non erano assolutamente tollerati. Questa poca fiducia nei suoi confronti lo faceva sentire inutile, mostrava quanto poco la gente si fidasse di lui.
Quanto poco John, si fidasse di lui.
E questo faceva male.
Molto male.
Perché John era sempre stata quella persona che non lo avrebbe mai abbandonato. Quella pronta a tutto pur di stare al suo fianco. Quella che aveva sparato a un taxista per salvargli la vita, quando si erano conosciuti solo poche ore prima. Quella capace di sfidare uno dei criminali più pericolosi al mondo per farlo fuggire. Quella in grado di credergli anche quando nessun’altro sembrava in grado di farlo.
John era tutto questo per lui.
E queste erano solo alcune delle ragioni per cui, la sua brillante mente, non riusciva ad accettare cosa fosse successo pochi istanti addietro.
Mary fece capolino dalla porta della cucina e lo fissò con compassione.
Compassione? Per chi? Per lui? Nessuno lo aveva mai guardato in quel modo. Doveva sembrare così distrutto?
La riposta non tardò ad arrivare: _Tutto bene Sherlock ?_ domandò.
Lui non si mosse e rimase fisso sulla moquette rossa: sì, doveva proprio fargli pena.
Poco dopo si accorse che qualcosa, o meglio, qualcuno cercava di attirare la sua attenzione tirandogli l’orlo dei pantaloni.
Elisabeth si era fatta mettere a terra per raggiungerlo.
_Eok, Eok su_ disse.
Lui in risposta la strinse a sé.
_Accidenti_ ripeté _compatito da una bambina di tre anni. Si può cadere più in basso di così?
Silenzio.
_Sono stato troppo lento. Avrei dovuto dedurre che, se mai avessi deciso di portarti a casa senza prima avvisare tuo padre, avrei ottenuto questo_  un sospiro leggero uscì dalla sua bocca.
_Almeno avrei evitato la distruzione delle prove del caso. Tutto tempo prezioso andato in fumo.
A quelle parole Mary scoppiò a ridere: _Non ci posso credere_ disse.
_Davvero pensavi che la reazione di John fosse legata ad Elisabeth?
Sherlock si rivolse alla donna sorpreso.
_Andiamo Sherlock, quella è solo una scusa. Come è una scusa il fatto che le prove sono andate distrutte: sabbiamo bene entrambi che hai già risolto il caso.
_Come diamine fai a saperlo?
_Oh mio caro Sherlock, non sei l’unico a saper giocare al gioco delle deduzioni. Certo non sarò brava quanto te, ma diciamo che me la cavo.
Il detective sorrise _Touché.
_Lo sai perché John si è arrabbiato? Quando ha visto la siringa sulle scale ha temuto per la tua vita e si è precipitato a controllare che stessi bene.
_Ancora?_ iniziò.
_Tutti sempre pronti a preoccuparsi: io sto bene. Sono pulito da quasi due anni. Cosa devo fare perché vi fidiate di me?
_La fiducia qui non c’entra. Non importa quale sia la situazione, non importa cosa potrebbe succedere. Quando c’è di mezzo la tua salute John non è capace di pensare.
_Ma è assurdo!
_ No, non lo è. Anzi la cosa è molto semplice, se solo osservi la situazione sotto un’altra prospettiva.
_E sarebbe?
Mary guardò il detective con dolcezza prima di rispondere: _L’amore.
Wait.
WHAT?
Aveva capito male.
Aveva sicuramente capito male.
_Cosa? _ domandò confuso.
_Sì. Per quanto sia doloroso ammetterlo, per John tu vieni prima sia di me che di Elisabeth. Sei la persona più importante.
La bocca gli si era seccata e sentiva un nodo che gli bloccava la gola: _Ma…ma lui vi ama.
_Certo, e io amo lui incondizionatamente. Proprio per questo, posso dirti che non può vivere senza di te. E, a quanto pare, sembra sia un vizio di famiglia_ aggiunse alludendo alla piccola Elisabeth stretta tra le sue braccia.
_Voi avete bisogno l’uno dell’altro e questa è una cosa che nessuno potrà mai cambiare.
Per quanto sembrasse assurdo e irreale, Sherlock sapeva che quella era la verità: lui e John erano legati.
Legati da quel 29 gennaio in cui si erano incontrati per la prima volta.
_Grazie.
Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.
_Per cosa? Grazie a te. Però ricordati una cosa Sherlock: se provi a far parola di quello che ti ho detto con mio marito, importante o meno, ti uccido. Chiaro?
Mary sembrava scherzare, cosa di cui il consulente non era del tutto sicuro: quella donna poteva spaventare anche lui a volte.
_Cosa credi debba fare ora?
_Semplice. Risolvi il problema.
_Dici che devo andare a parlargli?
_Sì.
_Ma non so dove possa trovarsi.
_Sherlock, ti ho già detto una volta, prima ancora di sposarmi, che questi trucchetti con me non funzionano. Sai bene dove sta andando.
Alla fine il detective si arrese: con Mary Watson non c’era scampo. Lasciò la piccola alle cure della madre e recuperò il suo fidato cappotto. Poi, prima di uscire dalla porta, si voltò un’ultima volta verso la donna: _Mary, qualcuno ti ha mai detto che sei fantastica?
_Che vuoi farci, è la mia croce. Ora vai.
Così il detective si chiuse la porta alle spalle.
 
Il taxi lo lasciò proprio di fronte al parcheggio delle ambulanze. Nel preciso punto dove anni prima si trovava John.
Nonostante fosse trascorso tanto tempo da quel giorno, alcune cose non cambiavano così facilmente: ogni volta che passava di lì un brivido gli correva giù lungo la schiena. Entrò dall’entrata laterale e si diresse verso le scale che portavano al tetto. Il ritmo scandito dei passi sui gradini di cemento lo aiutarono a mettere ordine nella propria mente, capire quali cose fossero importanti.
Come iniziare un discorso che doveva essere fatto da anni, ma che nessuno dei due voleva fare?
Non ne aveva idea. Sapeva solo che il momento era giunto.
Che lui fosse pronto o meno. 
Quando raggiunse il pianerottolo in cima alle scale, Sherlock vide la porta socchiusa. Con una lieve pressione la aprì e fece attenzione a non richiuderla dietro di sé: non aveva nessuna intenzione di rimanere bloccato lassù una seconda volta.
Subito dopo si voltò alla ricerca della persona che si aspettava di vedere. E come volevasi dimostrare la trovò poco distante, al limitare del tetto, seduta di spalle con la testa rivolta verso l’orizzonte.
_Lo sapevo che ti avrei trovato qui.
_Vattene Sherlock.
Il detective lo ignorò e continuò ad avvicinarsi mantenendo anche lui lo sguardo fisso sull’orizzonte.
_Il tetto del St Bartholomew’s Hospital. Dove tutto è iniziato.
_Vorrai dire dove tutto è finito_ rispose freddamente.
_Quante volte ancora dovrò scusarmi prima che tu riesca a perdonarmi? Dopotutto lo sai che ho fatto quello che ho fatto solo per salvare te e gli altri.
_In realtà hai salvato solo te stesso. Ma non è questo il problema; il vero problema è che nessuno ti ha chiesto di buttarti giù da questo tetto per salvarci. Nessuno voleva che tu morissi.
Sherlock stava per interromperlo, ma il dottore lo fermò.
_E non provare a dirmi che era l’unica soluzione possibile, perché è una menzogna. Avremmo potuto trovare una soluzione, avremmo potuto catturarlo insieme_ fece una pausa _avrei potuto aiutarti maledizione!
La voce del dottore era bassa rauca e dannatamente triste. Sherlock poteva immaginarsi come dovesse apparire il suo volto, ma non voleva avvicinarsi troppo. Rimase tre passi dietro, perché il consulente sapeva che se John si fosse rivolto direttamente a lui non sarebbe stato in grado di continuare. Cosa difficile, ma necessaria.
_Non hai mai provato a comprendere cosa fossero stati quei due anni per noi e, per assurdo, questo lo posso ancora capire. Dopotutto sei Sherlock Holmes. Ma la cosa che non posso assolutamente tollerare è il fatto che tu, da quella missione, non sei mai tornato davvero. Continui a fare di testa tua lasciandomi indietro.
_Mi hai lasciato indietro Sherlock_ ripeté, rivolgendo finalmente a lui i suoi intensi occhi blu.
_Tu e quel tuo maledetto fratello mi avete lasciato indietro. Poi, come se questo non bastasse, ora mi ritrovo a dover competere con una moglie che, per quanto riguarda intuito, è vostra pari.
Sherlock era bloccato, bloccato in mezzo a una tempesta di sentimenti da cui non era in grado di uscire; non da solo almeno.
_Mi dispiace_ sussurrò.
Solo allora John scoppiò a ridere, ma non era una risata allegra, era amara: _No, no. Non è così che le cose torneranno ad essere quello che erano. È troppo comodo scusarsi e basta. Devi credere a quello che dici, devi capire cosa significa, non basta dirlo; devi sentirlo.
_Lo sai che non ne sono in grado.
_Menzogna. Cerchi di far credere a tutti che sei solamente una macchina priva di sentimenti, che non hai un cuore. Eppure in tanti anni che ti conosco, nemmeno una volta ti ho visto come tale, e sai perché? Perché so chi sei.
_Davvero?
Non era una domanda vera e propria, era solamente un’esternazione dei propri pensieri.
_Davvero: “Caring is not an advantage” è la più grande bugia che Mycroft potesse dirti. Perché nemmeno lui crede in quelle parole. Ne è la dimostrazione: incapace di vivere senza preoccuparsi del suo adorato fratellino.
John aveva colto nel segno.
Gli ultimi raggi del sole sparirono dietro l’edificio di mattoni rossi, che stava di fronte a loro.
_Quindi, cosa voi fare? _domandò infine il dottore.
_ Cercherò di seguire il tuo consiglio.
_Ritorneremo ad essere noi due contro il resto del mondo?
Sherlock sorrise davanti a quella insolita definizione per identificare lui e il suo assistente-amico.
_Noi due contro tutti John.
Solo allora il consulente si sentì libero di avvicinarsi. Si sedette al suo fianco e rimase lì, immobile: la tempesta era passata e nella sua mente (segretamente anche nel suo cuore) era tornato il sereno. Godevano della vicinanza l'uno dell’altro osservando Londra a pochi centimetri dal baratro che li aveva separati.
Ora che le cose erano tornate alla normalità, almeno Sherlock sperava lo fossero, non avevano più bisogno di parole.
 
_Scusami per le tue indagini.
John era visibilmente dispiaciuto per aver distrutto ore e ore di lavoro.
_Non importa. Tanto l'ho risolto.
_Davvero? Hai capito chi ha ucciso James?
_Sì. Nessuno.
_Non capisco: tu eri certo che fosse un omicidio.
_No. Ero troppo preoccupato a collegare tutti i fili del suo passato per accorgermi di un banalissimo dettaglio.
_Ovvero?
_James era cagionevole di salute, ma non aveva nessuna allergia particolare. L’ho confermato trattando un campione del suo sangue con tutti i composti chimici con cui fosse potuto venire a contatto e non ho trovato nulla.
_Quindi?
_Quindi ciò che ha ucciso James è stato un fenomeno rarissimo che viene definito come anafilassi da sforzo.
_Lo shock anafilattico da esercizio fisico. Ne avevo sentito parlare, ma solitamente non è letale.
_Questa volta invece lo è stato. Comunque c’è una cosa che devo rivelarti: non ho risolto io questo caso. Almeno, non da solo.
John rimase sorpreso dall'affermazione del detective.
_Chi?
Sherlock sorrise: _Tua figlia. È stata lei, in modo del tutto casuale, a suggerirmi la soluzione. Ha un grande potenziale.
_Beh dopotutto è la figlia di un sicario. Un giorno potrebbe anche soffiarti il lavoro.
_Ne dubito fortemente.
_Oh giusto, tu sei l'unico consulente investigativo al mondo_ lo canzonò.
_Precisamente. Però credo che con un buon apprendistato e un insegnate ottimo potrebbe diventare meglio di tutti gli ispettori di Scotland Yard.
_Stai iniziando ad affezionarti a lei?
_Mmm, probabile. In ogni caso ti ho promesso che ci sarei sempre stato per voi tre.
_E noi per te, ricordalo!
Il detective annuì. Poi, fece forza sulle braccia per rimettersi in piedi. Si spazzolò via la polvere di cemento dal cappotto e si rivolse nuovamente al dottore: _Hai appetito?
_Muoio di fame.
_Bene, c'è un ottimo cinese vicino a BakerStreet.
_Lo so Sherlock.
Ma il consulente lo ignorò completamente continuando a parlare: _Un buon ristorante cinese si riconosce dalla maniglia della porta...




Signori e signore, eccomi di nuovo tra voi con il penultimo capitolo!
Sì, l’atto sta per concludersi e questa sarà l’ultima volta in cui vedremo John e Sherlock, perché nel prossimo capitolo… surprise.
Però almeno John e Sherlock hanno fatto finalmente pace. E quale posto poteva essere migliore del tetto del Barth’s per una riconciliazione?
Perché alla fine tutti dobbiamo prima o poi fare i conti con quell’ospedale. È inevitabile.
Comunque, da patita come sono della Johnlock, non potevo non fare un piccolo riferimento a questa coppia. Perché, anche se non sono molto dell’idea di vedere la Johnlock realizzata sul teleschermo, sono certa che sarete d’accordo con me se dico che quei due sono già una coppia di fatto; solo che esprimono il loro amore in un modo completamente differente.
Come dice Keira Knightley, nei panni di Joan Clarke in The Imitation  Game:  “Noi non siamo come le altre persone, noi ci amiamo a modo nostro. Possiamo vivere la vita che vogliamo. […]ognuno avrà la compagnia dell'altro. La compagnia e la Mente. Sarà meglio di molti altri matrimoni. Perché io ci tengo a te. E tu tieni a me. E ci capiamo come nessuno ha mai capito noi.”
E chi poteva far capire a Sherlock, quali sentimenti prova per lui il dottore, se non la loro prima fan girl Mary Watson? Dai quella donna è troppo una sostenitrice della coppia… c’è nella 3x02 e nella 4x01 è palese!
A parte questo, a un certo punto pensavo di essere andata un po’ in OOC (vi prego ditemi di no), ma alcune frasi erano necessarie.
Concludo chiedendovi un’informazione: non so se ho già fatto questa domanda, comunque voi sapreste dirmi da dove arriva la citazione “Noi due contro il resto del mondo?”.
Perché io l’ho utilizzata e ogni tanto la trovo in qualche ff, ma non ricordo proprio da dove salta fuori (va beh, di chiunque sia spero non si offenda per questa innocua citazione).
 
Vi saluto e vi lascio andare a nanna. Buona notte!
Trailunwinki
 
PS: il cambio continuo di grandezza dei caratteri e del font del titolo non sono una cosa voluta: la mia memoria fa schifo e quindi tutte le volte mi dimentico le cose.
Perdonatemi.

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Capitolo 7
*** Tutto può cambiare (o quasi). ***


 Tutto può cambiare (o quasi).
 
Trois (3) heuurs après-midi étaient à peine passées et il y avait une lumière parfaite pour prendre des phótos.
Ainsi, il traversa la place et la rue pour aller immortaliser le seizième présidente américain: Abraham Lincoln.
Il enleva le protège- objectif de sa caméra, il approcha l'œil à l'oculaire et il mît au point.
Il était prêt à prendre ses phótos, mais au tout dernièr moment il s'aperçut que, appuyée à la pierre rugueuse derrière de la statue, il y avait une femme immeuble avec la tête baissée.
_Madame, est-ce que vous n' allez pas bien?_ il demanda.
Il n' obtint aucune réponse par la femme, alors il se rapprocha à elle en appuyant sa main sur l'épaule, mais il retira aussitôt son bras vu qu'elle était froide et rigide comme une plaque de verglas.
_Un médecin_ il cria _ Appelés-vous un docteur immédiatement!
 
[ Erano appena passate le tre del pomeriggio e c'era una luce perfetta per fare alcune foto.
Così attraversò la piazza e la strada per andare a immortalare il sedicesimo presidente americano: Abraham Lincoln.
Tolse il tappo dall'obiettivo, avvicinò l'occhio all'oculare e mise a fuoco.
Era pronto a scattare quando all'ultimo secondo si accorse che, appoggiata alla ruvida pietra dietro alla statua, stava una donna china immobile.
_Signora si sente bene?_ domandò.
La donna non rispose, così le si avvicinò appoggiandole una mano sulla spalla, ma subito ritrasse il braccio spaventato: era fredda e rigida come il ghiaccio.
_Un dottore_ gridò _chiamate subito un dottore.]
 
Il taxi mi aveva lasciato proprio davanti all'entrata dell'Abbazia di Westmister, quindi mi ci vollero solo due o tre minuti per raggiungere la scena.
Mezz'ora prima a Scotland Yard era giunta una telefonata che denunciava la presenza di un cadavere in Parliament Square ai piedi di Abraham Lincoln.
Passai sotto il nastro giallo e raggiunsi il mio collega.
_Giorno Toby_ dissi.
Lui alzò la mano in segno di saluto senza togliere gli occhi dal taccuino, che teneva nell'altra, e volle nuovamente sottolineare che il suo nome era Tobias, non Toby.
Sorrisi.
_Allora cosa abbiamo?
_Aurora Smith 29 anni, accoltellata alla schiena con un Columbia pieghevole. Single, insegnava alla scuola elementare St Edwards RC Primary School in Lisson Grove e non aveva precedenti penali.
Mi piegai per scostare il lenzuolo che le copriva il viso _Era una bella ragazza.
_Concordo, ma non è tutto _ continuò Tobias mostrandomi una busta che conteneva un volantino di una steak house lì vicino.
No, non di nuovo.
_Dove lo hai trovato?_ domandai sperando che i miei sospetti fossero errati.
_Era legato con un cordoncino al braccio della vittima.
_Sei sicuro che sia lui?_ continuai.
_No, ma visto che, ora come ora, non abbiamo nessun sospettato non possiamo scartare questa ipotesi.
_Quindi siamo a tre_ conclusi.
_Siamo a tre_ ripeté Tobias tornando a osservare il taccuino.
Sapevano bene tutte e due cosa questo significava, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta voce: eravamo davanti a un serial killer.
Oppure, stando all'appellativo che gli avevano dato i giornalisti, all'assassino dei vicoli.
Ma questo era tutt'altro che un vicolo: era il cuore, il centro esatto della capitale britannica.
Quindi, o era frutto di qualcuno che voleva far passare il suo omicidio per quello di un altro, oppure l'assassino aveva appena portato il gioco a un livello superiore.
_I suoi genitori sono stati avvisati?
_I signori Smith non ancora, ora stiamo cercando di rintracciare i suoi due fratelli, Jack e Jim; gestiscono un negozio di ricambi per le imbarcazioni turistiche.
Vorrà dire che prima o poi dovremo parlare anche con loro.
_Vedo che la piazza intera è stata fatta evacuare_ continuai.
_Per forza, un cadavere ai piedi del Big Ben davanti a migliaia di turisti non ė un bello spettacolo.
_Quanto tempo ci avete messo?
_Non lo so nemmeno, a me è parso un secolo. Ma è proprio questo che mi sconvolge: migliaia di persone, migliaia di possibili testimoni e nessuno ha visto nulla. L'unica cosa che abbiamo è un turista francese che l'ha notata per sbaglio mentre faceva una foto.
_Forse nessuno ha visto qualcosa proprio perché erano in troppi_ osservai
_Assurdo! A volte vorrei che Lestrade fosse ancora qui, lui si che era abituato a questo genere di indagini. Ha risolto casi molto più complicati, come quello dei falsi suicidi.
Da quel poco che ricordavo non mi sembrava che le cose fossero andate proprio in quel modo, all'epoca ero ancora troppo piccolo, ma per Tobias Gregson, Lestrade era sempre stato un vero eroe. L'uomo che gli aveva insegnato tutto: le basi per seguire un indagine, le tattiche per interrogare probabili sospettati e via discorrendo.
Per questa ragione tenni il commento per me e mi misi subito ad analizzare la borsa della donna.
Improvvisamente sentii Tobias sbuffare in modo teatrale borbottando qualcosa. Poi, in preda a un moto di rabbia, lanciò il taccuino a terra.
_Inutile: è impossibile! E quel che è peggio è che il capo continua a farmi pressioni per i due cadaveri del vicolo_ gridò.
Una risata sommessa giunse alle nostre orecchie.
_Ah signori miei. I casi impossibili non esistono_ disse qualcuno alle loro spalle.
Mi voltai e vidi una ragazza in contro luce, che attraversava la piazza deserta.
_Cosa ci fa lei qui, se ne vada immediatamente_ disse in modo deciso il mio collega.
_Non posso.
La sua voce era ferma.
_Come? Non ha visto il nastro giallo? C'è un'indagine in corso e lei signorina è pregata di allontanarsi oppure la arresterò.
La ragazza rise avvicinandosi, uscendo così dal cono di luce.
_E per cosa, intralcio alle indagini? Ma fatemi il piacere non ne siete in grado.
Tobias stava per ribattere quando lei lo interruppe: _Come ho già detto non posso allontanarmi per un semplicissimo motivo.
_Allora qual è?
Quella femmina stava facendo innervosire tutti.
_Semplice_ i suoi occhi azzurri si fermarono dritto su di me_ avete un disperato bisogno di me.
Tobias scoppiò a ridere: _Ma davvero? Per Dio, il messia è arrivato! Chissà come abbiamo fatto fino ad ora il nostro lavoro. Non è così Greg?
_Si chiama Gavin agente Gregson_ intervenne la donna.
Cosa?
La ragazza alzò gli occhi al cielo vedendo la mia faccia e quella degli altri agenti.
_Bene, ora che abbiamo constatato l'ovvio e perso tempo, possiamo tornare alla vittima?
La situazione stava diventando sempre più assurda.
_Senta abbiamo scherzato e va bene, ma adesso se ne vada per favore. Non è autorizzata a stare qui e, inoltre, non sa come stanno le cose_ dissi deciso.
Eppure lei continuò a guardarmi senza un minimo accenno ad allontanarsi.
 
_Ha ragione, non so molto_ iniziò.
_Solo che questo è un omicidio passionale, non ha nulla a che fare con gli altri due di questo mese. La vittima conosceva il suo aggressore, il quale ha lasciato il biglietto per far passare la morte come il terzo caso dell'assassino dei vicoli e, molto probabilmente, il nostro uomo tra qualche giorno verrà trovato morto in uno dei suddetti vicoli.
_Ma come?_ domandò Tobias ancora incredulo da prima.
_Risparmi il fiato detective. Come ho fatto? Semplice, ho osservato.
_Dov...
_Altra domanda errata. Dove ho imparato? Diciamo che ho avuto un ottimo insegnate.
_Ah...beh, quindi? Come facciamo a rintracciare il killer?_ domandai incerto.
_Finalmente iniziamo a ragionare- un lieve sorriso le si dipinse sul volto piegando la testa di lato.
_Ehi?_ risposi offeso.
 
_Posso chiedervi di mostrami la mano sinistra della vittima?
_E per quale ragione di grazia?_ sbottò Tobias.
_Quando il suo collega ha scoperto la ragazza, ho visto dei segni particolari sul volto. Ho un'ipotesi su come può esserseli procurati, anzi chi può averli provocati, solo che per esserne sicura devo vedere la sua mano sinistra.
_Avanti Gavin fagli vedere questa maledetta mano così possiamo toglierci di mezzo la psicopatica.
Seguii l'ordine di Tobias e le permisi di analizzare la mano. Lei non si avvicinò di molto: rimase a osservare l'arto a due piedi di distanza.
_Mmm, come pensavo- disse poco dopo.
_Può farci partecipi delle sue brillanti supposizioni o ci ritiene troppo stupidi?
Tobias aveva raggiunto il limite di sopportazione.
_ Signori io non ho mai detto che voi siate degli stupidi. Diversamente da quello che tanti credono, io ho un grandissimo rispetto di voi detective è solo che non siete in grado di andare oltre, di vedere.
_Ci illumini allora.
_Molto volentieri: secondo il mio parere, se volete venir a capo di questa storia il primo uomo da interpellare e interrogare credo sia il suo ex. Non si sono lasciati da molto e da quel che ho potuto notare non è stato nemmeno facile, viste le evidenti maniere poco gentili di lui. Non so se mi spiego.
_ Come fa a sapere che si sono lasciati da poco? La conosceva per caso?_ improvvisamente una vocina iniziò a farsi largo nella mia testa: che fosse coinvolta anche lei?
_No detective non la conoscevo, è che presenta delle cicatrici sugli zigomi affilati; li ha nascosti bene sotto uno spesso strato di fondotinta, ma in contro luce sono ancora visibili. Probabilmente lui l'ha colpita più volte con un anello che le ha lasciato dei segni indelebili. Inoltre hanno rotto da poco perché sull'anulare sinistro è visibile l'assenza di un anello che le ha assottigliato il dito. In più, anche se è abbronzata, il segno bianco non è ancora andato via del tutto.
Rimanemmo in silenzio: in pochi minuti avevamo già un possibile indiziato e senza nemmeno aver consultato qualche fascicolo o aver parlato con parenti e amici.
_Bene, mi sembra che vi abbia già dato una mano no?
Non sapevamo più che dire, eravamo nuovamente allibiti.
_Se avrete ancora bisogno di me e, da quanto posso vedere, ne avete bisogno, sapete dove trovarmi_ si voltò facendo dondolare la coda bionda allontanandosi.
_E dove? _ domandò Tobias.
_ Ma come, è ovvio no? Al 221B di Baker Street. Buona giornata detective.
E con questo sparì dietro l'angolo della strada con una mano alzata in segno di saluto.
_Si può sapere chi era quella?_ domandai rivolgendomi agli altri.
_Come, non avevate mai incontrato lei?_ chiese un poliziotto in divisa.
_Se lo chiedo, vuole dire che non l'ho mai vista_ conclusi seccato.
_Ma è Elisabeth Watson, l'investigatore privato numero uno di tutta Londra. L'allieva del famosissimo Sherlock Holmes.
 
Elisabeth era cresciuta
Elisabeth era diventata un detective, anzi un ottimo detective.
Ma dopotutto era ovvio, aveva imparato dal migliore.
Il solo ed unico consulente investigativo al mondo.

 
 
 
E con questo si conclude “Tutto può cambiare (o quasi)”.
Ringrazio le perone che mi hanno seguito fino a questo momento e soprattutto Luciacross che mi ha lasciato dei bellissimi commenti.
Spero che vi sia piaciuto e mi scuso ancora per il fatto di non essere stata molto regolare con la pubblicazione.
In conclusione lancio una sfida a tutti: sapete dirmi se in questo capitolo ci sono elementi presi dai libri? E se sì quali sono e da quale/i libri ?
Buona indagine e un abbraccio a tutti.
 
 
Trailunwinki
PS: Anche se li vedete in poche righe, cosa ne pensate dei due detective e di Elisabeth adulta?
Fatemi sapere…sono molto curiosa.

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