Sotto l'albero (di mele)

di _Trixie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dicembre, 1 ***
Capitolo 2: *** Dicembre, 2 - un anno prima ***
Capitolo 3: *** Dicembre, 3 ***
Capitolo 4: *** Dicembre, 4 - un anno prima ***
Capitolo 5: *** Dicembre, 5 ***
Capitolo 6: *** Dicembre, 6 - un anno prima ***
Capitolo 7: *** Dicembre, 7 ***
Capitolo 8: *** Dicembre, 8 - un anno prima ***
Capitolo 9: *** Dicembre, 9 ***
Capitolo 10: *** Dicembre, 10 - un anno prima ***
Capitolo 11: *** Dicembre, 11 ***
Capitolo 12: *** Dicembre, 12 - un anno prima ***
Capitolo 13: *** Dicembre, 13 ***
Capitolo 14: *** Dicembre, 14 - un anno prima ***
Capitolo 15: *** Dicembre, 15 ***
Capitolo 16: *** Dicembre, 16 - un anno prima ***
Capitolo 17: *** Dicembre, 17 ***
Capitolo 18: *** Dicembre, 18 - un anno prima ***
Capitolo 19: *** Dicembre, 19 ***
Capitolo 20: *** Dicembre, 20 - un anno prima ***
Capitolo 21: *** Dicembre, 21 ***
Capitolo 22: *** Dicembre, 22 - un anno prima ***
Capitolo 23: *** Dicembre, 23 ***
Capitolo 24: *** Dicembre, 24 - Un anno prima ***
Capitolo 25: *** Dicembre, 25 ***



Capitolo 1
*** Dicembre, 1 ***



Dicembre, 1
 
 

 
Those Christmas lights light up the street
Maybe they'll bring her back to me
Then all my troubles will be gone
Oh Christmas lights, keep shining on
- Christmas lights, Coldplay
 
 
 

Regina aprì gli occhi.
Non era cambiato nulla da ieri e ogni cosa era cambiata dallo scorso anno.
Regina, un sospiro profondo, le coperte perfettamente in ordine dall’altro lato del letto, guardò il soffitto.
Pensò di rimanerci, in quel letto. Pensò che tanto non avrebbe fatto alcuna differenza.
Pensò che era il primo giorno di dicembre e che faceva freddo, un freddo artigliante, azzannante, un freddo che lei non aveva mai vissuto a Storybrooke né tanto meno nella Foresta Incantata.
Faceva freddo e il mondo era silenzioso. Il mondo era silenzioso perché il sole ancora non era sorto e la città dormiva ancora.
Anche Regina avrebbe voluto dormire. Ma Regina non dormiva più da molto tempo.
Da trecentoquaranta giorni, per la precisione.
Tanto valeva alzarsi, preparare la colazione, svolgere un po’ di lavoro.
Distrarsi, in qualche modo. E voleva distrarsi, Regina, ogni secondo in cui era sveglia. Per non pensare. E questo proposito era quanto mai difficile ora, dopo tutto quanto, con Henry lontano da casa per frequentare il college.
Uno studente modello, il suo bambino.
Regina non poteva che essere immensamente grata del fatto che tutta la schifosa adolescenza che aveva passato, sbattuto da un Universo a un altro, con la sua vita costantemente appesa a un filo, non lo avesse danneggiato tanto da impedirgli di crearsi e conquistarsi un futuro.
Quello di Henry, era l’unico futuro in cui Regina riusciva ancora a credere.
Quando infine si alzò dal letto raggiunse la finestra e scostò la tenda.
Niente.
Il suo vialetto era vuoto.
E non aveva nevicato.
I lampioni decorati con ghirlande verdi e fiocchi rossi, i fili di lucine colorate a illuminare i profili delle case, desolati fantocci bianchi, pupazzi di plastica e stoffa, che certo avrebbe fatto figura migliore se avesse nevicato.
Regina sperava sempre, che nevicasse.
Non nevicava da molto tempo, a Storybrooke. Non nevicava da trecentoquaranta giorni.
Non nevicava da quando Emma se ne era andata da quella casa, sbattendosi la porta alle spalle.
Regina sperava che tornasse. Anche la neve, ma soprattutto Emma.
Regina sperava che Emma tornasse per cacciare il gelo dal suo cuore, nell’inverno più freddo che Regina avesse mai vissuto e che durava tra trecentoquaranta giorni, da quando Emma se ne era andata.
 
 

 
NdA
Niente panico, è solo la prima.
Non saranno tutte così tristi, anzi. Ma la struttura di questa storia sarà un po’ particolare: nei giorni dispari (come oggi) avremo il Natale presente e in quelli pari il Natale passato (sì, effettivamente fa un po’ “Canto di Natale”, ma non vi sono riferimenti).

Come sempre, grazie a Isarainbow per aver accettato di fare la cavia <3

A domani,
T.

P.S. Mi dispiace. 



 

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Capitolo 2
*** Dicembre, 2 - un anno prima ***



Dicembre, 2
- un anno prima - 
 
 

 
It's beginning to look a lot like Christmas
Soon the bells will start
And the thing that will make them ring
Is the Carol that you sing
Right within your heart
- It’s beginning to look a lot like Christmas
 
 

 
 
Uscendo di casa quella mattina, Regina respirò a pieni polmoni l’aria decembrina, fredda, ma in modo piacevole, come una ventata di cambiamento.
E aveva il profumo della felicità.
Sorrideva, Regina, mentre infilava le chiavi nella portiera dalla Mercedes e si metteva alla guida, pensando alle braccia di Emma intorno al suo corpo quella mattina, non appena era suonata la sveglia.
Emma aveva grugnito.
Emma odiava svegliarsi la mattina, ma soprattutto, Emma odiava separarsi da Regina.
E Regina, doveva ammetterlo, lo odiava altrettanto.
E tuttavia passare la notte con Emma - e che facessero l’amore o si coccolassero fino a chiudere, sfinite, contro la loro volontà, gli occhi, non faceva differenza - ma passare la notte con Emma era un toccasana per Regina.
Guidò cautamente, attraverso le strade innevate di Storybrooke, attenta ai bambini che potevano sbucare da dietro a un angolo da un momento all’altro, godendosi quell’atmosfera di brio ed allegria con un tale senso di comunanza e appartenenza che Regina non aveva mai provato in vita sua.
Quello era il suo primo Natale con Emma.
E Henry sarebbe tornato dal college nel giro di un paio di settimane.
Regina contava i giorni, le ore, i minuti persino, che mancavano al momento in cui sarebbe stata con Emma e Henry, loro tre soli.
In famiglia. La loro famiglia.
Regina svoltò nel parcheggio del municipio, parcheggiò al suo solito posto. Accanto all’entrate dell’edificio dove lavorava, davanti a lei, un piccolo coro stava cantando. Mentre frugava le tasche alla ricerca di spicci da dare loro in offerta, Regina chiamò il contatto di Emma dalla lista dei preferiti sul suo telefono.
Come c’era da aspettarsi, la ragazza rispose all’ultimo squillo.
«Sono sveglia!» esclamò Emma, all’altro capo del telefono, in modo davvero molto poco convincente, trascinando vocali con voce nasale.
«Certo, tesoro, non sospetterei mai che tu ti sia addormentata nel momento esatto in cui ho lasciato il letto».
«Saresti dovuta rimanere».
«Ho un lavoro, Emma. E anche tu».
«Vaffanculo al lavoro. Torna a casa».
«Emma».
La ragazza grugnì e Regina rise. Persino quel grugnito era musica, per le orecchie di Regina.
«Almeno possiamo vederci a pranzo?»
«Ho un appuntamento di lavoro, Emma, mi dispiace».
«Vaffanculo agli appuntamenti di lavoro. Cancellalo».
«Emma!».
«Lo so che vuoi farlo».
Regina sospirò. Non è che fosse qualcosa di importante. Si morse il labbro inferiore.
«D’accordo. Ma offri tu».
«Qualsiasi cosa per te, Regina»
«A dopo».
«A dopo».
 
 
 
NdA
Ed eccoci, un anno prima, con una Regina decisamente più felice. Con Emma.
Grazie per aver accolto con tanto entusiasmo questa idea e vi ricordo FacebookCuriouscat  o Twitter nel caso abbiate dubbi o domande o curiosità.
A domani,
T. <3  


 

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Capitolo 3
*** Dicembre, 3 ***



Dicembre, 3
 


 
 
Oh when you're still waiting for the snow to fall
It doesn't really feel like Christmas at all
Still waiting for the snow to fall
It doesn't really feel like Christmas at all
Christmas lights, Coldplay
 



 
Emma rientrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle con un colpo di tacco dello stivale.
Controllò di non avervi lasciato l’impronta e sospirò sollevata prima di proseguire fino alla cucina del piccolo appartamento che aveva affittato a Boston. Non era grande o lussuoso come quello che si poteva permettere prima che Henry la portasse a Storybrooke, ma era accogliente e confortevole.
E, in ogni caso, non aveva bisogno di un appartamento più grande.
Posò il sacchetto di cibo take-away sul tavolo della cucina, poi si tolse gli stivali e la giacca.
Faceva freddo, quell’inverno.
Aveva ripreso la sua vecchia occupazione come cacciatrice di taglie, cercando di riprendere la mano dopo tutti gli anni passati a Storybrooke.
Non ricordava che gli appostamenti fossero tanto duri e sfibranti.
Non ricordava fossero tanto solitari.
Non ricordava che lasciassero così tanto tempo per pensare.
Di certo ricordava quell’unico appostamento fatto con Regina, fuori dal municipio, nel tentativo di smascherare Zelena.
Ogni volta che saliva sul suo Maggiolino giallo era Regina che le tornava in mente. Non nel cuore, perché nel cuore di Emma Regina aveva la sua sede naturale, e nemmeno nell’anima, perché l’anima di Emma vagava inquieta per il mondo, alla ricerca di Regina, da quando se ne era andata da Storybrooke.
Emma accese la televisione perché le facesse compagnia, mentre aspettava la quotidiana chiamata da sua madre. Controllò l’orologio. Il telefono avrebbe squillato tra circa un’oretta.
Avrebbe avuto tempo anche per farsi una doccia.
Sua madre non aveva mai nessuna vera novità da raccontarle. Chiamava solo per assicurarsi che stesse bene e si premurava sempre di dire come a casa, a Storybrooke, tutti stessero bene. Beh, insomma, non bene. Ma tirano avanti. E Emma lo sapeva che non parlava di tutti, ma parlava di Regina.
Che, comunque, rimaneva il tutto di Emma.
Dannazione, doveva smetterla di pensare a Regina. Se ne era andata. Era fuggita, come sempre, come aveva predetto Regina anni prima, poco dopo essere arrivata a Storybrooke.
Provò a concentrarsi sul notiziario, mentre apparecchiava un posto solitario e scartava il cibo dal proprio involucro macchiato di olio.
Dicevano che era molto strano, quell’inverno, perché ancora non aveva nevicato.
Emma non si era nemmeno accorta, della mancanza di neve. La sua vita non era che un deserto e in un deserto noti quello che c’è, non quello che non c’è. Perché ogni cosa manca.
 
 


 
 
NdA
Siamo tornati a soffrire, ma questa volta dal punto di vista di Emma.
Come sempre un grazie va a Isarainbow, che si sorbisce queste altalene emotive in modo concentrato (e il grazie vale per tutti i capitoli, anche per quelli in cui non sarà specificato).
E grazie a voi per sorbirvele a distanza di ventiquattro ore <3
A domani,
T. 

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Capitolo 4
*** Dicembre, 4 - un anno prima ***


 

Dicembre, 4
– un anno prima -
 
 


 
Frost grows outside the window
First kiss under the mistletoe
It’s christmas time again, Backstreet Boys
 
 

 
Emma attese che Regina la raggiungesse fuori dal cancellino del numero 108 di Mifflin Street e le mise un braccio intorno alla vita, mentre con l’altra mano scorreva lo schermo del telefono.
«Secondo la lista di regali che abbiamo fatto, ci mancano solo mia madre e Henry» disse lo sceriffo, lasciando che Regina sbirciasse sullo schermo del suo telefono.
«Non mi sono mai ridotta a fare i regali all’ultimo momento, signorina Swan» rispose il sindaco, sospirando mentre iniziavano a camminare verso il centro della città. Regina portava un adorabile cappello nero, che a Emma ricordò alcuni film ambientati negli anni ’20, per ripararsi dai candidi fiocchi di neve che cadevano ormai da giorni.
«Vorresti dire che è colpa mia?» domandò Emma, togliendo il braccio dal fianco di Regina solo per poterle prendere la mano. Avevano deciso di fare una passeggiata, loro due sole, sotto la neve. Quando Emma lo aveva proposto, Regina aveva borbottato qualcosa riguardo polmoniti fulminanti e capelli crespi, ma aveva acconsentito il secondo esatto in cui aveva visto l’espressione speranzosa dello sceriffo. Emma lo sapeva, che Regina non sapeva dirle no.
«Sto illustrando i fatti» rispose Regina. «Questo è il primo anno in cui facciamo i regali insieme. Ed è il primo anno in cui mi riduco all’ultimo momento per comprarli».
«Regina, mancano più di venti giorni».
«Solo ventuno».
«Abbiamo tempo» rispose Emma, fermandosi nel bel mezzo della strada e mettendosi di fronte al sindaco. «Adesso abbiamo tempo, abbiamo tutto il tempo del mondo, Regina. Solo per noi. E l’anno prossimo potrai convalidare o smentire la tua teoria per quanto riguarda i regali».
Il sindaco scosse la testa. Alzò la mano, accarezzando il viso di Emma e togliendo un fiocco di neve che si era posato sul piccolo e arrosato naso della ragazza.
«L’anno prossimo? Ma davvero? Quindi hai intenzione di rimanere da queste parti?»
«Oh, Regina Mills» rispose Emma, circondando i fianchi del sindaco con entrambe le braccia e stringendola a sé. «Ho intenzione di rimanere ovunque tu sia».
Regina si alzò in punta di piedi e diede un bacio a fior di labbra a Emma. La sensazione delle labbra calde dello sceriffo era un piacevole contrasto con il freddo intorno a loro.
Sopra di loro, da un albero spoglio e coperto di ghiaccio, fiorì un piccolo, verde rametto di vischio. 



 

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Capitolo 5
*** Dicembre, 5 ***




Dicembre, 5
 
 


 
I'm dreaming of a white
Christmas with you
White Christmas
 
 
 
 


Emma le mancava. Sempre. Costantemente.
C’erano giorni in cui Emma le mancava più che in altri.
Le mancava soprattutto la sera.
Ma no, questo non era vero, perché Emma le mancava a ogni ora.
Le mancava doversi preoccupare di cosa cucinare allo sceriffo, se si fosse fermata da lei per cena.
Le mancava il Maggiolino di Emma.
Le mancavano le sue telefonate a orari improbabili durante la giornata, per sapere se andasse tutto bene.
Le mancava parlare di Henry.
Le mancavano i racconti di Emma, su quel Mondo Senza Magia.
Le mancavano le espressioni di Emma, quando Regina le raccontava di come era vivere nella Foresta Incantata.
Le mancavano le mani di Emma sul corpo, a stringerla dolcemente intorno ai fianchi mentre la baciava o intorno alle gambe, in ben altre situazioni, perché non si muovesse troppo, dal momento che, a parere di Emma, il sindaco doveva renderle la vita difficile anche in quei casi.
Le mancava il sapore della bocca di Emma sulla sua.
Sapeva spesso di cannella, Emma. E cioccolata.
Regina sospirò. Si schiarì la voce e riprese a leggere i documenti che aveva davanti, seduta alla scrivania del suo ufficio.
Prese un sorso dal bicchiere di cartone lì accanto, che si era fermata a compare prima di arrivare in ufficio.
Era ancora caldo.
Era cioccolata con cannella.
Non era come Emma.
Emma le mancava.
Sempre. Costantemente.
E ancora non aveva nevicato. 




 

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Capitolo 6
*** Dicembre, 6 - un anno prima ***


Dicembre, 6
 - un anno prima -
 
 


 
It's beginning to look a lot like Christmas
Toys in every store
But the prettiest sight to see
Is the holly that will be
On your own front door
- It’s beginning to look a lot like Christmas
 
 
 


 
Emma aveva passato gran parte della sua vita ad odiare il Natale.
Natale, per lei, era quel momento dell’anno che si riempiva di luci e colori e canti di gioia, quando tutti sorridevano, e che cosa ci fosse da sorridere lei proprio non ne aveva idea, e i negozi si riempivano di giocattoli, che attiravano i bambini costringendoli a schiacciare il naso sulle vetrine e ripetere alla mamma e al papà che sì, volevano proprio quella bambola e no, non la macchina blu, ma quella rossa.
Ma lei non aveva mai avuto qualcuno a cui chiedere dei giocattoli, nessuno con cui scambiare un bacio sotto il vischio, nessuna anziana zia di cui sopportare lamentele e inopportune domande sulla sua vita sentimentale.
Natale era un concentrato di tutto quello che, in quanto orfana, non aveva potuto avere.
E, quando aveva scoperto di essere incinta di Henry, era stata soprattutto un’idea, piccola ed assillante, ad averle mangiato il cuore: non potrò comprargli il regalo di Natale che desidera.
Emma non voleva che il suo bambino crescesse come lei, senza un singolo regalo di Natale, senza nemmeno l’attesa, del Natale. Perché il Natale era solo un periodo come tutti gli altri. Forse, solo un po’ più fortunato per mendicare qualche spiccio o qualcosa da mangiare.
Ma poi, dieci anni dopo, Henry si era presentato alla sua porta e l’aveva portata in quella piccola cittadina del Maine, Storybrooke, sul vialetto del numero 108 di Mifflin Strett, esattamente dove Emma si stava dirigendo in quel momento.
E ogni cosa, da quella sera, era cambiata.
Emma inspirò a fondo l’aria fredda di dicembre, che per qualche ora stava dando loro la tregua dalla neve. Non aveva nemmeno pensato di prendere il Maggiolino per raggiungere Regina. Mai e poi mai avrebbe sottoposto la sua fidata macchina a una tortura quale era quella del freddo e della neve, no. Il Maggiolino era rimasto a casa, al sicuro sotto una vecchia coperta di lana.
Oltrepassò il familiare cancello in ferro battuto, poi percorse a passi veloci il vialetto fino alla porta, dove suonò il campanello. Nell’attesa, Emma sistemò il vischio appeso sotto il numero 108, che il vento aveva spostato facendolo pendere lievemente a sinistra.
Sorrise, non appena Regina le aprì la porta con un grembiule da cucina legato in vita e un cucchiaio in mano.
«Em-»
Il sindaco non riuscì a finire la frase, perché Emma avvolse le proprie braccia intorno alla sua vita, baciandole prima una guancia e poi le labbra, sulle quasi si soffermò a lungo.
Il cucchiaio che Regina aveva in mano cadde a terra.
«Signorina Swan, che cos-»
«Oh, Regina, mi sei mancata da impazzire» rispose Emma, a pochi centimetri dal sorriso sorpreso, ma divertito, del sindaco. Lo sceriffo chiuse la porta di Regina con il tacco dello stivale.
«Emma, spera di non aver lasciato la tua impronta sulla mia porta».
«Altrimenti? Hai intenzione di punirmi?» domandò con malizia Emma, spingendo Regina verso le scale che portavano al piano superiore.
«Emma, devo finire la torta!» provò a protestare Regina.
«Davvero?»
«No».
«Quanto amo il Natale». 

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Capitolo 7
*** Dicembre, 7 ***



Dicembre, 7
 


 
 
 
Last year, we stole a dance in the dark
This year, we're just a thought from afar
Everyone's hoping for snow
But I'm just hoping that you might make it home
- Hoping for snow, The Vamps
 
 



Regina rientrò in casa, la schiena un fascio di muscoli doloranti e i piedi che non vedevano l’ora di essere liberati da quelle scomodissime décolleté. Regina le scalciò, una dopo l’altra, senza nemmeno preoccuparsi di dove finissero.
Non era giornata.
Accese le luci in salotto e si versò immediatamente del sidro di mele in un calice di vetro. Ne inspirò a fondo l’aroma, prima di vuotare il contenuto in un unico sorso.
Aveva già accennato al fatto che non fosse giornata?
I suoi collaboratori erano degli incompetenti, ecco cosa erano.
Si versò un secondo bicchiere di sidro di mele.
E lei non aveva alcuna intenzione di nominare qualcuno come Sceriffo di Storybrooke. David poteva continuare come sceriffo ad interim, ecco quanto.
E avrebbe strappato il cuore a chiunque avesse osato dire di nuovo che ormai era passato un anno e che Emma non sarebbe tornata. Regina vuotò anche il secondo bicchiere.
Loro non avevano il diritto di dire proprio nulla. Di certo non potevano parlare di Emma.
E Emma era lo Sceriffo di Storybrooke.
Sarebbe morta piuttosto che vedere quella carica assegnata a un’altra persona.
A piedi nudi, dopo essersi riempita di nuovo il bicchiere, Regina accese le radio e si sedette sul divano.
Il radiocronista della città commentava, stupito, quanto fosse inusuale quell’assenza di neve. Che ci fosse della magia, sotto? Magia nera, magari? Che Storybrooke fosse sul punto di affrontare una nuova minaccia?
Regina arricciò il naso, disgustata. La gente doveva imparare a riflettere su quello che diceva. E quell’uomo veniva persino pagato, per dire sciocchezze. Ridicolo.
Ma poi la voce del radiocronista sfumò nel nulla.
E Regina riconobbe immediatamente le note che seguirono.
Si irrigidì.
Gli occhi si riempirono di lacrime e le labbra iniziarono a tremare.
«I know how to whisper and I know just how to cry».
Quella giornata non faceva abbastanza schifo, così, vero?
Ovviamente si trattava di quella canzone.
Ovviamente Regina aveva riconosciuto quella canzone.
«I know just where to find the answers and I know just how to lie».
Perché Regina conosceva molto bene quella canzone.
E anche Emma la conosceva.
«I know just how to fake it and I know just how to scheme».
Era la loro canzone.
Quella che avevano ballato durante il loro primo appuntamento.
«I know just when to face the truth and then I know just when to dream».
Emma le aveva preso la mano.
«And I know just where to touch you».
E le aveva sorriso, mentre Regina si alzava.
«And I know when to pull you closer».
Le mani di Emma le avevano circondato i fianchi, mentre Regina aveva messo le proprie attorno al collo di Emma.
Regina iniziò a piangere.
Emma le aveva sussurrato quella canzone, dall’inizio alla fine.
Provò a bere il terzo bicchiere di sidro, ma il gusto amaro delle lacrime e di tutto quello che era andato storto ne coprì il sapore.
E Regina aveva imparato quella canzone, ogni parola. E la bisbigliava a Emma, ogni volta che la ragazza si svegliava nel bel mezzo della notte, terrorizzata dall’ennesimo incubo. Emma aveva spesso incubi.
Lanciò il bicchiere dall’altro lato della stanza.
«And I know when to let you loose and I know the night is fading and I know the time's gonna fly and I'm never gonna tell you everything I've gotta tell you».
Regina portò le ginocchia al petto, incrociando le braccia sopra di esse.
Singhiozzò, calde lacrime scivolavano lungo il volto, nere per il mascara delle ciglia.
Ogni nota, ogni parola della loro canzone era una stilettata nel suo corpo, tagli lungo la sua pelle, che Emma tanto amava toccare e baciare, che Emma non avrebbe mai più toccato o baciato.
«But I'm never gonna make it without you, do you really want to see me crawl? And I'm never gonna make it like you do, making love out of nothing at all».
«Making love out of nothing at all» bisbigliò Regina. «Emma».
Regina sapeva che quell’anno non avrebbe nevicato.
 
 
 
 
 
NdA
Ehi, buongiorno!
La canzone di Emma e Regina è Making love out of nothing at all, Air Supply (che ascoltai per la prima volta grazie a una certa Evil Panda e niente, la adoro).
Grazie anche a Isarainbow e a uno e ciascuno di voi <3
A domani!
T. 


 

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Capitolo 8
*** Dicembre, 8 - un anno prima ***




Dicembre, 8
- un anno prima -
 
 
 

 
It doesn't show signs of stopping
And I've bought some corn for popping
The lights are turned way down low
Let It Snow! Let It Snow! Let It Snow!
- Let it snow
 
 



 
«Il film è finito?» domandò Regina, prima che Emma la baciasse di nuovo.
«Non lo so» rispose la ragazza, sdraiata sopra Regina sul divano, una mano accanto alla testa del sindaco per non gravare eccessivamente su di lei con il proprio peso. Iniziava a farle male il polso, ma non c’era modo che Emma si spostasse, non da quella posizione.
Baciò il collo di Regina, sentendo il sindaco inarcarsi appena sotto di lei, le mani eleganti di Regina sepolte tra i capelli biondi di Emma, una gamba del sindaco tra quelle dello sceriffo.
«Credo siano i titoli di coda».
Emma non rispose, mordendo il collo di Regina prima di tornare alle labbra.
Il sindaco rise. «Emma, non abbiamo visto nemmeno una scena» le fece notare, tirandole dolcemente i capelli per allontanarla da sè.
«Non mi importa del film».
«Ma il giovedì sera è la serata film».
«Lo sappiamo entrambe che è solo una scusa per stare sul divano a fare la adolescenti» rispose Emma, dando un bacio sulla guancia di Regina e poi un morso. Il sindaco rise di nuovo, facendo scivolare le mani dai capelli di Emma al collo della ragazza, poi sul dorso, verso il basso, fino ad infilarle nelle tasche posteriori dei jeans di Emma.
«Visto? Questo è lo spirito» disse Emma, mordendo il naso di Regina.
«Cosa hai con i morsi questa sera? Hai già finito tutti i cioccolatini del calendario dell’Avvento, hai ancora fame?!»
«Per te ho sempre fame» rispose Emma, ammiccando.
Regina scosse la testa. «Non iniziare qualcosa che non puoi finire, Emma».
«Chi ha detto che non posso finire? Perché non posso finire?»
«Perché se non ti sbrighi a tornare a casa rimarrai bloccata nella neve. Ha ricominciato a cadere».
Emma spostò lo sguardo verso la finestra, realizzando che sì, aveva effettivamente ricominciato a nevicare. Guardò Regina. Come accidenti aveva fatto ad accorgersi che aveva ricominciato a nevicare, se aveva passato le ultime due ore sotto di lei?
«Come fai a saperlo? Che nevica, dico».
«Oh, lo sento nell’aria».
«Sei molto strana, Regina Mills. Oserei quasi dire che tu abbia poteri magici».
«Ma davvero?» fece il sindaco, fingendosi stupita. Spostò una mano dal sedere di Emma al fianco della ragazza, tracciandone la linea con l’indice, risalendo lungo il corpo, tra il seno dello sceriffo, fino al mento. «E cosa te lo fa credere? Sentiamo».
«Tanto per iniziare mi tieni prigioniera qui. Sopra di te. E non riesco a smettere di baciarti».
«E mordermi».
«E morderti. Deve essere un incantesimo, non c’è altra spiegazione. Temo di dover rimanere qui, lo sai?» fece Emma, in finto tono avvilito.
«Non ti dispiace passare qui la quarta note consecutiva? Non ti manca il tuo letto?»
«Farò questo enorme, immenso sacrificio» sospirò Emma, guadagnandosi un pizzicotto sul sedere da parte di Regina.
«Ti libero dall’incantesimo, signorina Swan. Sei libera di andartene» rispose Regina.
«Ma nevica. È pericoloso uscire con la neve. E poi tu sei così comoda, qui. Non voglio privarti del mio calore proprio adesso».
Regina scosse la testa. «Sei pessima a trovare scuse, lo sai?»
Emma arricciò il naso. «No, non è vero. È che non mi servono scuse. Entrambe vogliamo che io rimanga qui, esattamente dove sono, con te».
 
 
 
 


NdA 
Buon 8 dicembre e buon albero di Natale per chi lo farà oggi ** 
Grazie per aver letto e grazie a Isarainbow per la pazienza, come sempre (ti regalerò una spilla con la tua faccia). 
A domani, 
T. 



 

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Capitolo 9
*** Dicembre, 9 ***



Dicembre, 9
 
 

 
I've made mistakes but so have you
It's been a year of nothing new
And now I'm waiting for this to unfold. 
Hoping for snow, The vamps
 
 


 
Il sole non era ancora sorto. Emma girò la chiave nella serratura dell’appartamento di Boston, cercando di fare il meno rumore possibile per non disturbare i vicini.
Soddisfatta di quanto silenziosa avesse imparato ad essere, Emma sospirò, prima di fare un passo indietro e inciampare nella sua valigia. In un battito di ciglia, finì a gambe all’aria.
Imprecò.
E il telefono iniziò a suonare, rimbombando nel pianerottolo vuoto.
E al diavolo i suoi propositi di essere una vicina impeccabile.
Rimanendo sul pavimento, perché tanto valeva stare comodi, Emma sfilò il telefono dalla tasca della giacca, con un sospiro.
Era sua madre. Alzò gli occhi al cielo.
«Mamma» rispose, infastidita.
«Emma! Buongiorno, tesoro! Sei già in viaggio?» bisbigliò Mary Margaret all’altro capo del telefono.
«Sto per partire» rispose Emma, cercando di essere comprensiva. In fondo non vedeva sua madre da un anno, non c’era da stupirsi che Snow fosse tanto eccitata dalla prospettiva di avere sua figlia a casa per Natale.
Emma ancora si chiedeva come avesse fatto Mary Margaret a convincerla a partire proprio quel weekend. Mancavano ancora due settimane a Natale.
Due settimane a Storybrooke.
Sarebbe stato impossibile evitare Regina.
Non che volesse evitare Regina.
Regina…
Insomma, sarebbe stato…
Già.
«Tienimi aggiornata, tesoro! E presta attenzione, ti prego!»
«Sì, mamma».
«Hai scritto a Regina?»
«Mamma» l’ammonì Emma.
Uno dei suoi vicini di casa si affacciò in mutande e canottiera alla porta, un’espressione assonnata e insieme furiosa in volto. Emma sorrise innocentemente e si strinse nelle spalle.
Il vicino, un uomo sui cinquant’anni, rientrò sbattendo la porta. A quanto pareva, se a lui non era concesso dormire, a nessuno sarebbe stato concesso dormire.
«Ci sarà anche Regina alla festa di Natale, Emma. Ed è ora che voi due parliate. Quello che è successo lo scorso Natale-»
«Smetti di parlare prima che io decida che un solitario Natale a Boston è quello che mi serve» la fermò Emma, chiudendo gli occhi, un groppo in gola.
Lo sapeva, d’accordo?
Lo sapeva benissimo come era andato a finire lo scorso Natale.
«Manchi anche a lei, lo sai? Non lo dice, ma glielo leggi negli occhi».
Respirare diventò molto, molto difficile, per Emma.
«No-Non parlare di lei, non-»
«Chiamala, scrivile. Fa’ qualcosa, Emma!»
«Devo andare. Ci sentiamo più tardi».
Emma chiuse la chiamata prima che Snow avesse il tempo di risponderle. O dire altro su Regina.
Emma rimise il telefono in tasca e si alzò da terra.
Prese la valigia.
Stava tornando a Storybrooke.
A Storybrooke c’era Regina.
A Storybrooke c’erano le rovine di quella che sarebbe potuta essere la sua casa.
 
 
 

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Capitolo 10
*** Dicembre, 10 - un anno prima ***


 
Dicembre, 10
- un anno prima -
 
 
 
What a bright time
it's the right time
To rock the night away
Jingle bell time is a swell time
To go gliding in a one-horse sleigh
Giddy-up jingle horse
pick up your feet
Jingle around the clock
Mix and a-mingle in the jingling beat
- Jingle bells rock
 
 
 

 
«Dove stiamo andando?» domandò Emma, gli occhi bendati e Regina a guidarla. Lo sceriffo non avrebbe mai acconsentito a una cosa del genere se si fosse trattato di altri al di fuori di Regina.
Ma a Regina avrebbe affidato la sua stessa vita e quella di suo figlio.
Beh. A Regina aveva più volte affidato la propria vita e quella di Henry. E non vedeva alcun motivo per smettere proprio in quel momento.
Una delle mani del sindaco stringeva la mano dello sceriffo, mentre l’altra era appoggiata alla base della sua schiena.
A Regina non l’aveva detto, ma Emma si era accorta che non avevano fatto altro che girare a vuoto, partendo da casa di Emma, fino al numero 108 di Mifflin Street. I tentativi di Regina per farle perdere l’orientamento non avevano funzionato. Affatto.
«Non ho intenzione di svelartelo, signorina Swan» rispose Regina.
Emma represse un sorriso divertito. «Scommetto che non manca molto».
«Ancora un passo» la guidò Regina. «Perfetto, ferma» aggiunse, mettendo entrambe le mani sui fianchi di Emma e poi mettendosi di fronte allo sceriffo.
Emma fece volontariamente un passo avanti, stringendosi a Regina e mettendo le braccia intorno al collo del sindaco. «A me sembra che ora sia perfetto».
«Sei ingestibile, signorina Swan».
«Sei tu che sei irresistibile. Oh, con questo freddo sono sicura che hai le guance tutte rosse».
«Emma, smettila».
Emma alzò gli occhi al cielo, prima di rendersi conto che il sindaco non avrebbe potuto vederlo. Sentì le mani di Regina raggiungere con dita abili il nodo della benda dietro la testa e Emma si abbassò appena per agevolarle il compito.
Sciogliendole la benda, Regina si fece da parte.
E Emma aprì gli occhi solo per ritrovarsi davanti una carrozza aperta, con delle coperte ordinatamente appoggiate sui sedili. Guardò Regina, interrogativa.
Il sindaco si strinse nelle spalle. «Hai detto che non hai mai fatto un giro in carrozza. Questa è una carrozza».
«Lo so che è una carrozza, ma-»
«È il nostro primo Natale insieme, Emma. Voglio che sia unico».
«Magari persino speciale?»
Regina rise. «Sì» concesse, arrossendo. E non per il freddo. «Allora, vogliamo andare a fare un giro per le vie innevate di Storybrooke, signorina Swan?» domandò poi Regina, prendendo una mano dello sceriffo e facendo qualche passo indietro, senza distogliere gli occhi da quell’incantato stupore che era il volto di Emma, verso la carrozza.
«Sì! No! Aspetta» notò poi lo sceriffo, accigliandosi. «Non ci sono i cavalli!»
Regina agitò la mano nell’aria e la carrozza si mosse di qualche metro in avanti.
Gli occhi di Emma brillarono e la ragazza si affrettò a seguire Regina, che salì su quel fiabesco mezzo a quattro ruote per prima, porgendo poi la mano allo sceriffo.
«La vostra carrozza è pronta, principessa Emma».
Lo sceriffo alzò un sopracciglio e scosse la testa. «Non avrebbe mai funzionato».
«Cosa?»
«Io, nel ruolo di principessa» rispose Emma, afferrando comunque la mano di Regina per aiutarsi a salire in carrozza.
Regina fece una smorfia, mettendole un braccio intorno ai fianchi e dandole un bacio sulla guancia. «Non lo so. Magari sì. Ti immagino, con un vestito bianco e rosa, che raccogli fiori in mezzo al bosco, cantando un sentimentale motivetto che ti ha insegnato Snow».
«No» disse Emma. «Io non canto».
«Come vuoi» fece Regina, alzando le mani in segno di resa, prima di indicare a Emma di prendere posto. Regina la imitò, sedendosi accanto a lei.
Lo sceriffo stese le coperte sulle loro gambe, ben sapendo quanto Regina soffrisse il freddo.
«Grazie» disse il sindaco, appoggiando la testa sulla spalla di Emma. Il braccio dello sceriffo intorno alle spalle.
«Grazie a te» bisbigliò Emma in risposta, mentre Regina faceva muovere la carrozza con un gesto della mano. «Comunque non mi ero per nulla accorta che avessimo girato a vuoto solo per arrivare davanti a casa tua».
«Sta’ zitta a apprezza lo sforzo, Emma».
Lo sceriffo mise una mano sotto il mento di Regina per voltare il viso del sindaco verso il proprio, prima di baciarla.
 






NdA
Un paio di precisazioni. Riguardo allo scambio di battute tra Emma e Regina («Voglio che sia unico»/ «Magari persino speciale?»), il riferimento è alla battuta in cui Emma descrive il legame tra loro come “I don’t know unique. Maybe even special”.
La parte in cui Regina chiama Emma “principessa Emma” e poi le fa notare che avrebbe cantato, cosa che subito Emma nega, è invece un chiaro riferimento all’episodio di questa settimana (06x10).
Grazie a Isarainbow **
E a tutti voi!
A presto, T. 

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Capitolo 11
*** Dicembre, 11 ***



Dicembre, 11
 
 
 
 
 
Stroke those keys with your delicate touch
And type those little words that mean so much!
- Straight no chases, Text me merry Christmas
 
 
 
 
 
Snow aveva accennato qualcosa a riguardo, ma dal momento che la conversazione era caduta nel vuoto, Regina aveva pensato si trattasse di una possibilità, non di una certezza.  
Dannazione, Snow.
Regina non era preparata, no, decisamente non era preparata.
Emma era tornata.
Emma era tornata a casa, Emma era tornata a Storybrooke.
Aveva visto il Maggiolino giallo della ragazza parcheggiato di fronte alla casa di Snow e David, quella mattina mentre si recava in ufficio. Ora stava tornando a casa, camminando per le strade buie di Storybrooke, dopo aver trascorso la giornata a tormentarsi su Emma e se Emma stesse bene.
Aveva viaggiato di notte?
Aveva viaggiato sola?
Si era coperta abbastanza?
Aveva evitato quelle dannate tavole calde dalla reputazione poco raccomandabile?
Era tornata solo perché era Natale o era successo qualcosa? Mancavano due settimane al venticinque dicembre, non era troppo presto? Certo Snow sapeva essere convincente, quando voleva.
Regina controllò il telefono.
Nulla.
Aveva sperato che Emma le scrivesse.
O la chiamasse. Dio, quanto le mancava la voce di Emma.
Ma Emma aveva ignorato tutte le sue chiamate, quando se ne era andata.
E Regina aveva smesso presto, di lasciarle messaggi nella segreteria telefonica. Emma non voleva parlarle, Emma non voleva saperne nulla di lei? Bene, Regina non avrebbe imposto la sua presenza e si sarebbe fatta da parte.
Ma Emma le mancava comunque.
L’ultimo messaggio che aveva lasciato a Emma risaliva al compleanno della ragazza, in realtà.
Regina sapeva che Emma non l’aveva ascoltato.
Glielo aveva detto Henry, che aveva passato la giornata con lei.
Presto anche il loro bambino sarebbe tornato dal college e sarebbero stati di nuovo loro tre insieme, come lo scorso Natale, a casa.
Solo… questa volta era tutto così diverso.
Regina guardò di nuovo il telefono.
Nessun messaggio da parte di Emma.
Ma quando Regina alzò gli occhi, un piccolo, timido fiocco di neve di posò sul suo naso.    

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Capitolo 12
*** Dicembre, 12 - un anno prima ***



Dicembre, 12
- un anno prima - 
 
 


 
I’ve got to go away.
Baby, it’s cold outside.
- Baby, it’s cold outside


 
 
 
Emma si infilò la giacca e fece per alzare la zip, quando le mani di Regina l’afferrarono per il colletto.
Emma doveva andare a casa.
Davvero.
Non poteva fermarsi un’altra notte da Regina.
Aveva finito la biancheria pulita e quel giorno non era passata da casa a prenderne di nuove e certo non poteva chiedere a Regina di fare il bucato da lei, no?
Insomma.
Non era come se vivessero insieme.
No.
Emma passava molte notti da Regina, certo. Ma non vivevano insieme.
Il sindaco fece un passo avanti, costringendo Emma a retrocedere e appoggiare la schiena alla porta.
Le mani di Regina erano così dolci e i suoi baci sul collo era tanto delicati…
Emma reclinò la testa all’indietro, portando le proprie mani sulla bassa schiena e poi sul sedere di Regina, il bacino del sindaco premuto contro il proprio.
Oh, buon Dio.
Le mani di Regina si mossero per sfilarle la giacca e Emma, senza opporre la minima resistenza, l’aiutò a liberarsi delle maniche. 
Regina si alzò appena sulla punta dei piedi - perché era a piedi nudi, mentre Emma indossava gli stivali e superava adorabilmente l’altra di molti centimetri - e morse il labbro superiore di Emma, un basso gemito di piacere sfuggì alle labbra del sindaco.
Emma sorrise.
Dio, come poteva lasciare quella donna lì, da sola, senza nessuno che l’adorasse come andava adorata, per ogni sua perfezione e per ogni suo difetto?
Non poteva.
E tuttavia avrebbe dovuto perché, davvero, di mutande pulite proprio non ne aveva.
«Regina, devo and-»
Regina la interruppe, le mani sotto la maglietta dello sceriffo, sui fianchi nudi di Emma, ancora in punta di piedi per poter raggiunge l’orecchio di Emma e sussurrare: «Tesoro, fa freddo fuori».
Emma lasciò perdere.
Sollevò Regina di peso, un braccio intorno alle spalle e uno sotto le ginocchia della donna, strappando al sindaco un’esclamazione sorpresa e uno sguardo di ammirazione.
Dopotutto, poteva sempre passare da casa la mattina seguente.
Quella notte di biancheria non ne sarebbe proprio servita. 




 

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Capitolo 13
*** Dicembre, 13 ***




Dicembre, 13
 
 
 
 
 
 
And voicemail? That's from Christmas past
- Straight no chases, Text me merry Christmas
 
 


«Hai chiamato Regina?»
«No» rispose Emma, secca, lanciando uno sguardo duro a sua madre e portandosi alla bocca una generosa forchettata dei pancake che stava mangiando per colazione. Era tornata da pochi giorni e quella era la domanda che si era sentita rivolgere più spesso.
Se David era presente, l’uomo le rivolgeva sempre uno sguardo di silenziosa speranza.
Ma la cosa più difficile era sentire la voce infantile del suo fratellino, cinque anni da poco compiuti, chiederle per quale motivo non potesse giocare più con Regina e Emma insieme. “Siamo solo molto occupate, Neal” era una scusa che non avrebbe retto per sempre, Emma lo sapeva.
«Emma» disse Snow, stirando le labbra in un gesto di rimprovero.
«Cosa? È inutile che usi quel tono. La chiamerò quando sarò pronta».
«Non hai nemmeno il coraggio di pronunciare il suo nome».
«Non voglio parlarne».
«Sei tu che te ne sei andata, Emma» disse Mary Margaret, esasperata. «Non hai risposto alla sua chiamata nemmeno il giorno del tuo compleanno!»
«Ora andate d’accordo? Vi scambiate braccialetti dell’amicizia e parlate di quanto stronza io sia stata?!» esclamò Emma, alzando la voce e sbattendo una mano sul tavolo.
«No!» urlò Mary Margaret. «Andiamo d’accordo, certo. Ma è stato Henry a dirmelo. Regina non mi ha mai raccontato nulla di quello che è successo tra di voi o dopo di voi. E se tuo fratello sa qualcosa di te, della tua vita e del tuo passato, è solo perché Regina gli racconta tutto quello che abbiamo affrontato insieme da quando sei arrivata a Storybrooke ogni volta che viene a farci visita. Tu te ne sei andata! Non lei. E dovresti sentire con quanta dolcezza Regina parl-»
«Smettila!» urlò Emma, alzandosi e allontanandosi da Mary Margaret, verso la sua stanza. «Smettila» intimò la ragazza, il tono minaccioso e gli occhi pieni di lacrime. Salì le scale al piano superiore, ignorando sua madre che le chiedeva di tornare in cucina. Non avrebbe più parlato di Regina, questo lo poteva promettere, e che scendesse almeno a finire la colazione.
 
 

 
***
 

 
«Emma. Ciao, volevo… Volevo solo augurarti buon compleanno. So che Henry è appena arrivato da te. Era indeciso, sai? Insomma, non sapeva se una sorpresa del genere ti avrebbe fatto piacere. Mi ha chiesto cosa ne pensassi. L’ho spinto io a farti visita. So che non ti piace passare il compleanno da sola. So che non ti piace passare nessun giorno da sola. Ad ogni modo, prenditela con me se… Sì, se avresti preferito non vedere nessuno.
Spero che le cose a Boston vadano bene. Tua madre dice che te la cavi. Mi fa piacere saperlo. Ti-. Mi importa di te. Quindi, buon compleanno, Emma. Ecco tutto» seguirono alcuni attimi di silenzio, durante i quali Emma poté udire il proprio respiro affannato. «Anzi, no, al diavolo. Non è tutto perché, nonostante quello che è successo, Emma, ti-beep».
Emma chiuse gli occhi, il telefono all’orecchio. Era il messaggio che Regina le aveva lasciato il giorno del suo compleanno.
E il messaggio terminava prima che Regina avesse il tempo di completare la frase.
Emma, comunque, sapeva che cosa il sindaco stesse per dirle.
E se solo Regina non avesse esitato tanto, Emma avrebbe potuto sentirlo. Ancora una volta. Una sola.
Perché Emma era sicura che non lo avrebbe mai, mai più sentito dalle labbra di Regina. E non voleva sentirlo da nessun’altro paio di labbra.
Non dopo quello che era successo, non dopo il modo in cui Emma se ne era andata, sparendo dalla vita di Regina senza che il sindaco potesse fare qualcosa per fermarla.
Emma chiuse gli occhi.
Aprì la conversazione di Regina sul telefono. L’ultimo messaggio risaliva a poco meno di un anno prima, alla vigilia di Natale.
Sorrise, un velo di tristezza sull’anima.
Ehi. Credo che mia madre ti abbia detto che sono tornata per le vacanze di Natale. So che ti ha invitata alla festa. Se preferisci che io non ci sia fammelo sapere. Buona giornata”.
Scrisse Emma, con dita delicate e tramanti.
Un attimo di esitazione, prima di inviare il messaggio a Regina. 



 

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Capitolo 14
*** Dicembre, 14 - un anno prima ***



Dicembre, 14
- un anno prima - 
 
 
 
 
He's making a list,
checking it twice,
gonna find out who's naughty or nice.
Santa Claus is coming to town.
- Santa Claus is coming to town
 
 


 
«Babbo Natale non ti porterà alcun regalo, Regina» disse Emma, mettendo il broncio.
Il sindaco alzò un sopracciglio nella direzione dell’altra, scettica.
«Babbo Natale non porterà nessun regalo a te, Emma».
«Cosa?! Sei tu che non vuoi giocare con me!»
«Io voglio giocare con te» le corresse Regina, chiudendo il libro che stava leggendo mentre Emma le massaggiava i piedi, sedute sul divano del numero 108 di Mifflin Street.
«Hai cambiato idea?» domandò Emma, speranzosa e incredula al tempo stesso.
«No» rispose il sindaco, sfilandosi gli occhiali da lettura e appoggiandoli al basso tavolino poco distante, insieme al libro. «Voglio giocare con te, ma non a palle di neve».
«Regina! Lo considererò il mio regalo di Natale da parte tua, ti prego! Per favore!».
«Henry sarà a casa tra pochi giorni, potrai giocare con lui».
«Io voglio giocare con te» rispose Emma, incrociando le braccia al petto.
Regina si trattenne a stento dal mettersi a ridere per quanto ridicola e infantile sapesse essere talvolta Emma. Certo non avresti mai detto che fosse nell’autunno dei suoi trent’anni dal suo atteggiamento.
Il sindaco spostò i piedi dalle gambe di Emma, solo per mettersi in ginocchio accanto a lei.
«Stai facendo i capricci. A Babbo Natale non piace chi fa i capricci».
«A Babbo Natale non piace chi non ha spirito natalizio. E tu fai schifo in quanto a spirito natalizio!».
Regina fece una smorfia. «Ti prego. Questa casa vincerà il primo premio del concorso cittadino per la casa meglio decorata per Natale».
«La tua è tutta apparenza, ecco cosa» rispose Emma, alzandosi in piedi e iniziando a camminare avanti e indietro di fronte al divano dove Regina rimase seduta. «Le decorazioni? Certo, tutti sono capaci di comprare le decorazioni più costose al mondo e chiedere alla fidanzata di rischiare la vita per appenderle sul tetto e poi prendersi tutto il merito. L’albero? Oh, sì, certo, bellissimo. Grande e pieno di palline e luci, con le quali la suddetta fidanzata ha rischiato di strozzarsi. Più volte. Per non parlare del puntale, che per poco non mi trapassava la trachea, lasciandomi a terra agonizzante. Ma poi, quando si tratta di venire al dunque e la tua donna ti chiede, semplicemente, di fare un piccolo sforzo e mostrare tutto questo ostentato spirito natalizio e uscire a giocare a palle di nev-»
Emma venne interrotta da qualcosa che Regina le lanciò in faccia.
Lo sceriffo lo prese e lo alzò di fronte al viso.
Era il maglione di Regina.
Confusa, Emma, si voltò verso il sindaco, sempre seduta sul divano. Aveva un corpetto rosso, addosso, che scompariva nei pantaloni neri e Emma non era sicura di voler immaginare che cosa nascondessero.
«Re-Regina?»
«Non ti basta questo, come spirito natalizio? Forse preferisco essere cattiva per Babbo Natale, ma molto, molto brava per te» disse Regina, alzandosi in piedi per avvicinarsi a Emma. Afferrò i cordoncini della felpa - con tanto di renna dal naso rosso e sporgente - di Emma e li usò per tirarla di qualche centimetro verso di sé.
La gola dello sceriffo si seccò all’istante.
La voce di Regina la mandava in confusione quotidianamente, ma quando ricorreva a quel tono, quello pieno di promesse di vita eterna, Emma stentava a ricordare la propria identità.
«Te l’ho detto, che voglio giocare con te» aggiunse il sindaco, guardandola dritta negli occhi.
«Questo è un colpo basso, Regina. Sei sicuramente sulla lista dei cattivi».
Il sindaco ammiccò, facendo un passo indietro e lasciando i cordoncini della felpa di Emma.
Lo sceriffo le prese subito una mano.
«Mi dispiacerebbe lasciarti su quella lista da sola. Possiamo essere molto, molto cattive in due».



 

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Capitolo 15
*** Dicembre, 15 ***



Dicembre, 15
 
 
 
 
 
I’ll be home for Christmas
if only in my dream.
- I’ll be home for Christmas
 
 



Emma le aveva scritto.
E quando Emma le aveva scritto, Regina aveva pensato di stare ancora sognando.
Perché Emma le aveva scritto.
La sua Emma le aveva scritto.
E non appena il cuore di Regina riprese a pompare sangue nelle vene e non appena i polmoni di Regina ripreso a contrarsi e a espandersi, una lacrima cadde lungo la guancia di Regina.
Il sindaco guardò fuori dalla finestra della sua camera.
Nevicava.
Tenue e leggera, impalpabile e fine, quasi uno spettro di sé stessa, la neve cadeva tuttavia.
E Emma era tornata.
Regina si morse il labbro inferiore, lo sguardo di nuovo sullo schermo del telefono.
Aveva aspettato quel momento per quasi un anno intero. Giorni su giorni, istanti su istanti, ognuno poteva essere quello in cui Emma l’avrebbe chiamata o le avrebbe scritto.
Ed ecco, alla fine.
E Regina non aveva idea di come rispondere.
Il suo primo istinto era stato di telefonare a Emma, ma no, forse, tutto quanto considerato, non sarebbe stata una buona idea.
Proporle di vedersi per parlare, prima del giorno della festa?
No, anche questa possibilità aveva tutta l’aria di finire davvero, davvero male. 
C’erano tante cose che Regina avrebbe voluto dire a Emma. Cose che tuttavia Regina non poteva dire a Emma. Non… così.
Non sarebbe stato giusto.
Regina sospirò profondamente.  
“Ehi. Sì, Snow mi ha detto qualcosa a riguardo. Preferisco che tu ci sia alla festa. L’ha organizzata tua madre, se preferisci, sono io quella che può declinare l’invito. Grazie e buona giornata a te”.
Regina lesse il messaggio un paio di volte.
Non era molto.
Lei e Emma non avevano molto, non più.
Ma era abbastanza perché Regina potesse fingere che ci fosse ancora una speranza.
“Non declinare l’invito”. 

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Capitolo 16
*** Dicembre, 16 - un anno prima ***



Dicembre, 16
- un anno prima -
 
 
 
 
 
Gone away is the bluebird
Here to stay is a new bird
He sings a love song
As we go along
Walking in a winter wonderland
- Winter Wonderland
 
 
 

«Mi sembri dimagrito, tesoro. Sei sicuro di mangiare abbastanza?»
«Sì, mamma» rispose Henry, con un sospiro sconsolato, mentre il sindaco lo squadrava da capo a piedi.
Era appena entrato in casa, dopo essere stato lontano mesi per frequentare il college. Regina aveva aperto la porta d’ingresso prima ancora che Emma spegnesse il motore del Maggiolino. E, solo a causa di una dannatissima riunione cittadina che Regina era stata sul punto di annullare, il sindaco non era riuscito ad accompagnare Emma.
«Non iniziare, Regina. Henry sta bene» intervenne Emma, raggiungendo la donna e il figlio sul portico di casa.
«Oh, il mio bambino. Quanto mi sei mancato» disse Regina, ignorando completamente lo sceriffo mentre stringeva Henry, che ormai la superava di molti centimetri ed era costretto a piegare le ginocchia per assecondare l’abbraccio di sua madre, per la terza volta in circa centoventi secondi.
Emma si avvicinò a Regina e le mise una mano sul fianco per allontanarla dolcemente da Henry, che chiedeva silenziosamente di poter respirare.
«Non mi abbracci mai così» disse lo sceriffo, fingendosi offesa.
«Perché non lo meriti» rispose secca Regina, senza nemmeno voltarsi verso Emma, sistemando la sciarpa di Henry perché gli coprisse meglio il collo.
«Perché siamo qui fuori? Non possiamo entrare?» domandò il ragazzo, intuendo l’arrivo di uno dei tipici battibecchi tra le sue madri.
«Non me lo merito?! Regina!» urlò Emma, scandalizzata.
«Henry, tesoro, ricordi chi dimentica sempre di portare fuori la spazzatura, la mattina, prima di andare al lavoro?»
«Emma» rispose Henry, rassegnato.
«Esatto. Ora, prova a immaginare chi mai potrebbe aver dimenticato di portare fuori la spazzatura questa mattina?»
«Sempre Em-»
Il ragazzino non poté finire la frase, colpito in pieno volto da una manciata di neve.
«Non vendere tua madre al nemico, Henry» disse lo sceriffo, in tono serio. «Non è gentile».
Regina fulminò Emma con lo sguardo. «Emma, che cosa diavolo ti salta in mente? Henry potrebbe prendersi un accidente a causa tu-»
Lo sceriffo afferrò Regina per i fianchi, spostandola repentinamente di fronte a sé.
La palla di neve che Henry aveva destinato a Emma finì con il colpire gloriosamente il naso di Regina.
«Oh» fece il ragazzo, grattandosi la testa incerto. «Scusa, ma’. Era per la mamma».
Emma sghignazzò.
Ma la risata morì sul viso dello sceriffo quando Regina si voltò verso di lei, lo sguardo duro e il sopracciglio sollevato.
Oh.
Emma si era appena cacciata in un gran bel guaio, a giudicare dal modo in cui le labbra di Regina si piegarono verso l’alto, assaporando già la vendetta.
Il sindaco fece un passo verso Emma e la ragazza retrocedette all’istante, facendo i gradini del portico all’indietro.
«Regina, tesoro, scusa. Davvero» disse Emma, le mani alzate in segno di resa. «Mi dispiace tanto, è stato un gesto avventato. Non volevo che la palla di neve ti colpisse».
Emma continuò a retrocedere.
Un passo indietro per ogni passo che Regina faceva verso di lei.
«Regina, ehi».
E il sindaco si fermò.
Emma la studiò.
Quello era un brutto segno.
Regina non era solita abbandonare i propri propositi di vendetta.
Emma deglutì.
Il sindaco sollevò una mano e, prima che lo sceriffo potesse dire qualcosa, Emma si ritrovò coperta di neve da capo a piedi.
Neve che Regina aveva fatto cadere dal ramo sotto il quale Emma aveva finito con il ritrovarsi e che ora svettava altero, vuoto, non più appesantito dalla neve che aveva sommerso lo sceriffo.
Emma imprecò.
E Regina sorrise, soddisfatta, prima di tornare da Henry e condurlo in casa.
Doveva essere stato un viaggio lungo, dopotutto, e lui aveva bisogno di scaldarsi.
Quel tempo era davvero freddo.
E l’umidità ti entrava dritta dritta nelle ossa.
E la mamma?
Oh, potevano tranquillamente ignorare le promesse di vendetta di Emma, che si stava liberando del cumolo di neve con tenacia, elencando tutti i modi in cui l’avrebbe fatta pagare a Regina Dannazione Mills.
Entrambe sapevano che un solo sorriso del sindaco avrebbe fatto andare in fumo ogni proposito.  




NdA 
Ehi! 
E così alla fine Emma è riuscita a convincere Regina a giocare a palle di neve. Più o meno. 
Grazie ad Isarainbow per la pessima, pessima persona che è, in modo che io non sia pessima da sola. 
Grazie a tutte voi, per le vostre opinioni, per l'entusiasmo con cui avete preso questo piccolo gioco. Quasi mi dispiace che manchino solo nove giorni/capitoli! 
A domani, 
T. 💚

 

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Capitolo 17
*** Dicembre, 17 ***



Dicembre, 17
 
 
 
 
I don't want a lot for Christmas
There is just one thing I need
I don't care about the presents
Underneath the Christmas tree.
- All I want for Christmas is you, Mariah Carey


 
Per l’intero tragitto dall’aeroporto a Storybrooke, non avevano parlato di lei.
Non una parola, non un accenno.
Henry, seduto rigidamente sul sedile del passeggero del Maggiolino, rispondeva pazientemente alle domande di sua madre riguardo il college e gli amici e se c’era qualcuno di importante, nella sua vita.
Sospirava rassegnato, Henry, perché sapeva che avrebbe dovuto ripetere ogni singola parola sulla sua vita per Regina, non appena l’avesse rivista.
Le sue madri ancora non si parlavano.
E lui lo trovava assolutamente ridicolo.
Oltre che stupido.
E infantile.
E privo di senso.
Quando Emma se ne era andata, l’anno precedente, Henry aveva smesso di parlarle per qualche giorno.
Non voleva saperne assolutamente nulla, di lei.  
Perché, anche se il sindaco non lo dava a vedere, di sicuro non davanti a suo figlio, Henry le vedeva, quelle crepe sul cuore già martoriato di Regina.
Ed era stata proprio Regina a fare una ramanzina di quelle che il ragazzo si sarebbe ricordato per sempre e a convincerlo a revocare quel trattamento di silenzio nei confronti dell’altra madre.
Quando Henry aveva infine chiamato Emma a Boston, aveva capito che anche nel suo cuore vecchie ferite erano state riaperte e nuove se ne erano formate.
Semplicemente, Emma e Regina, non avevano mezze misure.
Tutto o niente.
E, all’altra, avevano dato tutto, ogni cosa.
Ora, dovevano imparare a vivere con il nulla nella loro anima.
Henry sospirò.
Il Maggiolino si fermò di fronte al numero 108 di Mifflin Street.
«Eccoci a cas- qui. Arrivati, ragazzino» disse Emma, evitando di guardare Henry negli occhi.
«Sono sicuro che la mamma sarebbe felicissima di farti una cioccolata, se-»
«Grazie, Henry. Ma devo tornare dai nonni e aiutarli per la cena di questa sera».
«Non sai cucinare».
«Apparecchierò».
«Saremo solo noi cinque, Emma. Tu, io, i nonni e il piccolo Neal. Non-»
«A questa sera. I nonni non vedono l’ora di rivederti e Neal non fa che parlare di te da giorni» tagliò corto Emma, sempre con gli occhi puntati sulla strada di fronte a lei.
Un solo sguardo in direzione del numero 108 le era bastato perché le crepe nel suo cuore finissero il lavoro iniziato un anno prima, mandandolo in mille pezzi.
Buia, ecco come era la casa di Regina.
Era quasi Natale e non c’era neppure l’ombra di una decorazione, sulla casa di Regina, solo una spolverata di neve sul tetto.
Voleva solo andarsene, Emma.
Henry aprì la portiera della macchina.
«Vorrei solo che vi parlaste. Nulla più» confessò il ragazzo, prima di uscire dal Maggiolino.
Emma attese che Henry prendesse le valige dal bagagliaio, poi partì, sgommando, gli occhi pieni di lacrime.
Il ragazzo la guardò allontanarsi, scuotendo la testa per la frustrazione.
E poi due braccia calde e il profumo familiare di mele e i capelli corti di Regina che gli solleticavano le guance, Henry sorrise contro la spalla di sua madre.
Ma lo sentiva, dal modo in cui Regina si aggrappava a lui, quanto Emma le mancasse. 



 

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Capitolo 18
*** Dicembre, 18 - un anno prima ***



Dicembre, 18
– un anno prima - 
 
 
 
 
 
Time for presents
And exchanging kisses
Time for singing Christmas songs.
- Merry Christmas Everybody, Shaking Stevens
 
 
 
 
 
«Fatto!» esclamò Emma soddisfatta, sollevando in aria il regalo che aveva appena incartato e che, secondo il biglietto che vi era legato, era destinato a sua madre.
Seduta accanto a lei, a terra, con la schiena appoggiata al divano, Regina la guardò disgustata.
«No» disse solo, osservando il pacchetto di Emma come se fosse quanto di più orribile avesse visto nella sua intera vita e in ogni mondo si fosse recata.
«Cosa?!» fece Emma, guardandola confusa. «È perfetto».
Henry, seduto di fronte a loro, sogghignò. «No, Emma. È… bitorzoluto»
«Bitorzoluto?» fece Emma, guardando disorientata il pacchetto che aveva appena fatto. Certo, la carta si era strappata in un paio di punti e gli angoli erano sorprendentemente arrotondati, ma a lei sembrava assolutamente perfetto.
«Raccapricciante, Emma. Semplicemente raccapricciante» disse Regina, rubando il pacchetto dalle mani dello sceriffo e strappando la carta prima che Emma avesse il tempo di riprenderselo.
«Regina!» urlò la ragazza, in tono sofferente. «Quello era il rumore della mia anima lacerata».
Il sindaco alzò gli occhi al cielo. «Non ti sembra di esagerare?»
«Io?! Io starei esagerando?! Tu stai esagerando! E poi quel regalo è per mia madre. Non le importa del pacchetto».
«Sul serio? Questo è per tua madre?» domandò Regina, guardando sconcertata il libro di ricette, “Cento e uno modi di cucinare il frutto proibito”, prima di riportare lo sguardo su Emma.
«La sua torta di mele non è buona come la tua. Magari così migliora».
«Io ho provato a dirle che non era per nulla appropriato» intervenne Henry.
Emma gli lanciò la carta da regalo strappata che Regina aveva appena appallottolato e messo da parte per gettarla. «Sembri tua madre, quando fai così».
«Grazie, Emma. Lo considero un complimento» replicò il ragazzo, facendole la linguaccia.
Regina guardò Henry, rivolgendogli un sorriso orgoglioso e complice.
Emma fece una smorfia nauseata, ma in quel momento avrebbe solo voluto stringere Henry e Regina a sé, la sua famiglia, per non lasciarli più andare.
«Presta attenzione, Emma» fece Regina, indicando con il mento in direzione del pacchetto che ora stava facendo. «Non ti avrei lasciato consegnare quel regalo nemmeno a tua madre».
«Non era poi così orribile».
«Lo era» dissero Henry e Regina, all’unisono.
Emma lanciò un cuscino in direzione di Henry, che a sua volta lo rilanciò a Emma.
Regina scosse la testa, ma non poté rimproverarli, concentrata come era sul chiudere il pacchetto. Aveva bisogno di aiuto per tenere uniti i lembi mentre tagliava del nastro adesivo. «Emma, dammi il dito».
«Qui? Ora? Di fronte a nostro figlio?».
Regina strappò di netto la carta da regalo che aveva in mano.
«Signorina Swan» disse, in tono basso, minaccioso, quasi un ringhio.
Emma sapeva che avrebbe dovuto essere un avvertimento, ma aveva avuto un ben diverso esito nel basso ventre.
«Ogni secondo che passa mi pento sempre più di essere tornato a casa» gemette Henry, alzandosi in piedi.
«Dove vai, tesoro? Sono sicura che tua madre non dirà più nulla del genere. A meno che non voglia vedersele tagliate, quelle dita».
«Sarebbe davvero molto controproducente anche per te, Regina» le fece notare Emma.
«Un prezzo che sono disposta a pagare».
«Io vado a prendere un bicchiere d’acqua e una dose di pudore» tagliò corto Henry, uscendo dal salotto e dirigendosi in cucina.
«Stai scherzando, Regina?! Rinunceresti alle mie dita?! Le mie dita sulla tua pelle, tra i tuoi capelli, dentro di te?!»
«Emma!» urlò il sindaco, prima di tirarle il cuscino in faccia e restituirle il regalo per Snow. «Il pacchetto te lo fai da sola».
«Cosa?! Tu lo hai rotto, tu lo ripari!»
«No».
«Regina!»
«Emma!»
«Non rinunceresti mai alle mie dita, vero?»
Regina spalancò la bocca. Esitò. Si morse l’interno della guancia. «No» ammise infine.
E Emma sorrise soddisfatta, prima di mettersi a rifare il pacchetto per sua madre. 


 

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Capitolo 19
*** Dicembre, 19 ***




Dicembre, 19
 
 
 
 
 
Have a holly jolly Christmas
And when you walk down the street
Say hello to friends you know
And everyone you meet
 
Ho ho the mistletoe
Is hung where you can see
Somebody waits for you
Kiss her once for me
- Holly Jolly Christmas
 



Regina aprì la porta del negozio di alimentari, il caratteristico scampanellio ad accompagnarla, quando la vide.
Camminava verso di lei, no, camminava verso il negozio, con la testa china e gli occhi puntati al telefono. Il viso corruciato, Emma non sembrava avere un’aria molto allegra, men che meno natalizia.
Non la vedeva da quasi un anno.
Un anno meno una settimana.
Ed era bella, Emma.
Regina era da sempre convinta che il viso della signorina Swan dovesse essere incantato. Non potevi smettere di guardare il viso di Emma Swan. E, quando quella visione ti veniva negata, non potevi fare altro che dimenticare quanto Emma fosse bella.
Ne trattenevi il concetto, la sensazione vaga di una bellezza sublime, ma non avresti potuto richiamarla alla mente, non avresti potuto conservarla dentro di te. Per la mente umana, una tale bellezza non poteva essere concepita. Per l’animo umano, una tale bellezza non poteva essere imprigionata.
E Emma era vicina, terribilmente vicina, a pochi metri da Regina.
Ma non si era accorta di lei.
Il cuore di Regina le si strinse nel petto e un gemito sfuggì alle sue labbra intirizzite.
Fu in quel momento che Emma alzò i suoi occhi chiari su Regina. Fu un tonfo sordo nel suo petto.
Emma sapeva che sarebbe accaduto, prima o poi.
Ma non era pronta.
Si fermò, osservando il sindaco con stupore.
Sopra la testa di Regina, beffardo, pendeva un ramo di vischio.
«C-Ciao» disse infine Emma, il respiro pesante, lo sguardo fisso in quello del sindaco.
«Mamma, ho fatto. Possiamo and-»
Henry raggelò non appena vide le sue madri. Stava uscendo dal negozio con le braccia cariche di sacchetti che contenevano la spesa che aveva fatto Regina. Una spesa eccezionale, dal momento che aveva acquistato l’intero assortimento di dolci e altre schifezze, come le chiamava lei, solo per Henry. Normalmente non acquistava nulla di tutto quello dal momento che nessuno le avrebbe mangiate.
Henry era al college.
Emma a Boston.
Il numero 108 di Mifflin Street era vuoto.
Ma Henry era tornato e… forse… magari…
«Emma! Ciao!».
«Ciao, ragazzino» rispose Emma, infilando le mani nelle tasche, cercando di sorridere.
Henry fece saettare gli occhi dall’una all’altra madre.
Regina sembrava incapace di reagire e Henry dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non urlare a Emma di fare qualcosa, qualsiasi dannata cosa.
«Andiamo, mamma? Inizio ad avere freddo» disse perciò Henry, facendo qualche passo verso la Mercedes di Regina.
Il sindaco annuì, come riscuotendosi.
«Buona giornata, signorina Swan» disse infine, distogliendo lo sguardo da Emma e camminando velocemente verso la propria auto, Henry accanto.
Emma fece per inseguirli, poi si trattenne.
Guardò Henry posare un tenero bacio tra i capelli di Regina.
Anche Emma lo faceva sempre, per Regina.
Le portava le borse della spesa e la riempiva di baci. 



 

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Capitolo 20
*** Dicembre, 20 - un anno prima ***



Dicembre, 20
– un anno prima - 
 
 
 
 
 
Once upon a time in a town like this
A little girl made a great big wish
To fill the world full of happiness
And be on Santa's magic list.
-  Shake up Christmas, The Train



 
Natale era una tradizione di quel Mondo Senza Magia che Regina non aveva capito fino in fondo, non nei primi anni di permanenza a Storybrooke.
Così, quando aveva adottato Henry, Regina si era ripromessa di rendere la vita di quel bambino perfetta sotto ogni punto di vista. Non gli sarebbe mancato nulla, ecco quanto, e sarebbe cresciuto con principi sani e salde tradizioni.
Per questo, durante il primo Natale di Henry, Regina aveva deciso di guardare ogni singolo film a tema che la videoteca di Storybrooke potesse fornire. Ben presto, anche quella era diventata una tradizione in casa Mills: la maratona di film di Natale.
Sempre gli stessi, sempre uguali, perché Storybrooke certo non era una cittadina all’avanguardia, ma erano i loro film e questo bastava.
Naturalmente, tra una maledizione e l’altra, non sempre tale tradizione era stata rispettata, ma quel Natale Regina non vedeva l’ora di includere anche Emma nel rituale che condivideva con suo figlio.
Era l’unica sera all’anno in cui, con sbalordita incredulità da parte di Emma, Regina permettesse di portare cibo nel suo prezioso e immacolato salotto. E anzi, il sindaco aveva disposto personalmente ogni genere di dolce natalizio, con gran abbondanza di quelli che prevedevano mele nella ricetta, sul basso tavolino di fronte al divano.
Emma dovette sedersi, quando la vide portare poi una bacinella di popcorn, volontariamente, non costretta né minacciata dallo sceriffo, in salotto.
Henry sogghignò.
«Sono sicura tu non sia Regina. Non Regina Regina. La mia Regina. Quella che non mi fa nemmeno portare un bicchiere d’acqua in salotto».
«Non è vero. Basta che usi il sottobicchiere» la corresse il sindaco, sedendosi tra Emma e Henry sul divano.
Il ragazzo aveva il telecomando in mano, pronto a far iniziare il film non appena lo sceriffo si fosse ripresa dallo stupore.

 
 
***

 
Dal momento che anche Emma era presente, Regina aveva deciso di abbondare in cucina, ricorrendo alle teglie più grandi che potesse trovare e comprando il doppio in termini di patatine e popcorn.
Naturalmente, la signorina Swan e suo figlio avevano finito comunque tutto, litigando persino su chi dovesse mangiare l’ultima fetta di torta, che Regina aveva infine diviso in due parti uguali pur di farli tacere. Non ne poteva più di varianti sul tema di “sono tuo figlio, sei geneticamente programmata a sacrificarti per il mio bene” e “hai avuto più anni per mangiare la torta di Regina! Questa fetta mi spetta di diritto”.
Il sindaco diede un bacio tra i capelli di Henry, appoggiato alla sua spalla, dove il ragazzino si era addormentato. Avrebbe potuto giurare che fosse ieri, il giorno in cui lo aveva portato a Storybrooke per la prima volta e i suoi fini capelli di neonato le avevano solleticato il naso, una promessa riguardo la felicità che avrebbero conquistato in futuro.
Regina accarezzò poi il viso di Emma, appoggiato sulle sue gambe, dove lo sceriffo si era a sua volta addormentata, appesantita da tutto quello che aveva ingurgitato. Scostò una ciocca di capelli biondi, notando come la bocca di Emma fosse aperta. Posando due dita sotto il mento dello sceriffo, Regina la chiuse.  
Emma si agitò appena, scosse la testa. «Bu-Buon Natale» mugugnò nel sonno e Regina sorrise.
«Già, buon Natale» rispose il sindaco in un soffio, trattenendo una risata.
Reclinò la testa e l’appoggiò ai cuscini del divano.
Chiuse gli occhi.
Sullo schermo della televisione scorrevano i titoli di coda, ma al sindaco non importava.
Probabilmente la mattina seguente si sarebbe pentita di quella decisione, ma in quel momento Regina non aveva la minima intenzione di svegliare Emma e Henry.
Avrebbero dormito lì, insieme, al sicuro, dove nulla avrebbe potuto fare loro del male.
 
 

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Capitolo 21
*** Dicembre, 21 ***



Dicembre, 21
 
 
 
 
 
To see the joy in the children's eyes
the way that the old folks smile
says that Christmas will never go away
-  Christmas Time
 



Emma si guardò allo specchio e fece una smorfia.
Quel vestito era indubbiamente bello. Rosso, con un profondo scollo a v e una gonna ampia che le arrivava all’altezza delle ginocchia, abbinato a un paio di scarpe del medesimo colore. Ed era decisamente nelle corde di sua madre.
Emma si girò di tre quarti, per poter osservare il dietro del vestito. I suoi capelli cadevano, sciolti, sulla schiena.
No.
Decisamente non faceva per lei.
Tornò a guardarsi di fronte e mise le mani sui fianchi.
Era natalizio.
Ma, di nuovo, no. Non era qualcosa che Emma avrebbe scelto di indossare.
La ragazza raggiunse la zip e la abbassò, cercando di essere quanto più delicata possibile.
Aveva perso il conto del numero di cerniere dei vestiti di Regina che aveva rotto. La sarta di Storybrooke la salutava sempre con un enorme sorriso.
Emma si chiese che cosa avrebbe indossato Regina, per la festa di Natale.
E poi Emma si diede mentalmente una pacca sulla testa, scivolando fuori da quel vestito rosso, perché non aveva alcun diritto di farsi domande su Regina.
Comunque era sicura sarebbe stata incantevole, come sempre.
C’era qualcosa, nella bellezza di Regina, che la faceva risultare assolutamente irresistibile, come un’oasi nel deserto o un fuoco in una tempesta di neve.
E, anzi, Regina era entrambi.
Era il deserto che ti stremava e l’oasi che ti ristorava.
Era la tempesta che ti abbatteva e il fuoco che ti risollevava.
E all’una e all’altra parte non potevi sottrarti, né volevi.
Perché Regina poteva essere entrambi e, di Regina, volevi tutto quanto.
A Emma, Regina aveva offerto tutto e…
E Emma, dannazione, se ne era andata.
La ragazza gettò il vestito rosso sul letto, prima di aprire l’armadio. Si vestì, poi si guardò allo specchio.
Sì, era adatto a una festa e sì, era decisamente molto più adatto a lei.
E poi avrebbe tenuto le scarpe rosse, abbinate alla maglietta. Quello era abbastanza natalizio, no?
Legò i capelli in una treccia laterale, cercando di cacciare dalla mente le dita abili di Regina. Aveva l’abitudine di intrecciarle i capelli distrattamente, Regina, mentre Emma guardava un film o giocava con i videogiochi di Henry. Che poi era uno dei lati positivi di avere un figlio al college.
Emma si diede un’ultima controllata allo specchio e, con l’esclusione delle profonde occhiaie sotto gli occhi, decise di essere più che presentabile, prima di scendere al piano inferiore.
Suo padre le sorrise all’istante.
«Sapevo non avresti mai indossato il vestito di tua madre» disse orgoglioso, alzandosi subito per offrirle il braccio.
Emma ricambiò il sorriso, divertita, e scosse la testa.
David indossava un completo giacca-pantalone grigio, con camicia bianca e papillon rosso. Emma indossa a sua volta un paio di pantaloni dello stesso grigio e una giacca, ma con una maglietta rossa.
«Quel vestito ti sarebbe stato divinamente, Emma» commentò Mary Margaret, con il piccolo Neal, un completo identico a quello del padre, tra le braccia. «Ma sei molto bella anche così».
Emma sorrise.
Anche se avrebbe preferito essere al braccio di Regina, come l’anno scorso, e non di suo padre.
 




 
NdA
 
Ehi!
 
Un piccolo appunto sull’ispirazione riguardo un dettaglio di questo capitolo: la cerniera/zip. Non è stato un inserimento del tutto conscio e volontario, ma di certo è dovuto a quel costante discorso endofasico nella mia testa cui Isarainbow fornisce spesso impulso e direzione. Quella della zip so già diventerà uno dei nostri (e numerosi) headcanon SwanQueen oltre che inside joke. Grazie so much!
 
E con questa siamo a meno quattro! Grazie e tutti voi, questo Natale è sempre più un Natale SwanQueen e non saprei cosa chiedere di più (a parte che siano canon).
 
A domani,
T. 

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Capitolo 22
*** Dicembre, 22 - un anno prima ***



Dicembre, 22
- un anno prima - 
 
 
 
 
 
And let me meet a girl one day
That wants to spread some love this way
We can let our souls run free
And she can open some happiness with me.
-  Shake up Christmas, The Train
 
 
 

Regina indossava un abito rosso, lungo, con la gonna a sirena e uno spacco laterale che per poco non aveva provocato l’asfissia per meraviglia nella signorina Swan, quando l’aveva vista uscire dalla porta del numero 108 di Mifflin Street. Ormai erano passate ore, e la festa organizzata da sua madre procedeva a gonfie vele, ma Emma non si era ancora ripresa.
Regina non faceva che ripeterle di smetterla di guardarla e di prestare attenzione a chi le parlava, ma Emma non riusciva a farlo. E non riusciva a farlo perché non voleva.
Il sindaco si sistemò la stola bianca sulle spalle, lasciate scoperte dal vestito, guardandosi intono. Per l’occasione, Snow aveva affittato una delle sale del municipio e l’aveva addobbata personalmente a giudicare dai dettagli kitsch e dall’eccesso di brillantini che davano la nausea a Regina.
Sembrava che tutti si divertissero, forse anche grazie all’abbondanza di vino e spumante che veniva servito, ma soprattutto era Regina a divertirsi, al braccio di Emma, destreggiandosi tra una conversazione e l’altra e rubando per dispetto gli stuzzichini dal piatto che lo sceriffo riempiva con regolarità al buffet.
Emma avrebbe fatto passare a chiunque la voglia di rubarle del cibo, ma si trattava di Regina. E poi accadeva così di rado che il sindaco mangiasse con le mani che Emma era in ogni caso troppo affascinata dalle labbra di Regia che si chiudevano così vicine alle sue dita per protestare,
«Hai freddo?» domandò Emma, mettendo una mano sulla bassa schiena di Regina.
«Un po’» rispose il sindaco.
«Dovremmo ballare» suggerì Emma, accennando alla pista da ballo.
«Cosa? No!»
«Perché no? Andiamo, Regina» insistette Emma, con un sorriso, mettendo entrambe le mani intorno ai fianchi del sindaco.
Fu con un movimento familiare, intimo, consueto che Regina appoggiò le proprie mani all’altezza delle clavicole dello sceriffo, scuotendo la testa.
«Lo so che vuoi ballare con me» continuò Emma, mordendosi il labbro. «Vuoi fare tutto con me».
Regina alzò gli occhi al cielo. «Sei impossibile, Emma».
«Ma ho ragione».
«Andiamo a ballare» rispose il sindaco, allontanandosi appena da Emma e prendendole una mano per trascinarla verso la pista da ballo.
«Ammetterai mai che ho ragione?» le domandò Emma, quando si trovarono in mezzo alle altre coppie che ballavano.
Regina si strinse le spalle, non rispose. Circondò il collo di Emma con le braccia, facendo aderire il proprio corpo a quella della ragazza.
Emma le mise le mani sui fianchi.
«Lo so che vuoi distrarmi. E sta funzionando. Ma ho comunque ragione».
 
 
***
 
 
Regina osservava Emma dal lato della pista.
I movimenti della ragazza erano scoordinati e impacciati mentre, tra Henry e il piccolo Neal, si esibiva nei passi di quel ridicolo ballo di gruppo.
Emma colse lo sguardo del sindaco, le fece l’occhiolino e poi le mandò un bacio nell’aria.
Regina stirò le labbra, arrossì. Bevve un sorso del suo champagne.
Emma mise il broncio e il sindaco le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Devi prenderlo» mimò Emma con le labbra.
Regina alzò gli occhi al cielo, ma allungò comunque il braccio e afferrò, nell’aria, il bacio che Emma le aveva mandato.
Il viso della ragazza si illuminò all’istante.
E Regina fu all’improvviso consapevole della piccola scatoletta che aveva nella borsa.
Sì, era la scelta giusta.
 
 
***
 
 
Emma abbandonò la pista da ballo.
Era accaldata, una ciocca ribelle di capelli era sfuggita alla treccia che il sindaco le aveva fatto prima di uscire, ma rimaneva splendida.
Bevve un sorso di champagne dal bicchiere di Regina e il sindaco la lasciò fare.
Quando la ragazza tornò a guardarla, aveva una piccola scatoletta di velluto rosse tra le mani.
L’espressione indecifrabile, Emma spostò gli occhi in quelli di Regina, che sorrise.
«Cosa è?» domandò lo sceriffo, circospetta.
«Una piccola scatola, Emma».
La ragazza guardò il sindaco, seccata.
«Il mio regalo di Natale» concesse Regina, con un sospiro.
«Ah».
«Prendila».
Emma, con mani tramanti, la prese.
E la guardò.
«Puoi… aprirla» suggerì il sindaco, riprendendosi il bicchiere di champagne che la ragazza le aveva rubato poco prima, in modo che avesse entrambe le mani libere per poter aprire la scatolina.
Emma, il volto pallido, fece come Regina le aveva chiesto.
Quando vide ciò che vi era all’interno, le sue spalle si rilassarono per un momento solo, prima che Emma scuotesse la testa.
«No» soffiò lo sceriffo, prima di richiudere la scatola e restituirla a Regina.
E poi Emma si allontanò, a passo veloce, verso l’uscita.
E quella scatola, tra le mani di Regina, divenne improvvisamente così pesante che le servì ogni goccia di forza che aveva in corpo per non farla cadere, sacrificando tuttavia il bicchiere di champagne, che le scivolò dalle dita, come Emma, frantumandosi ai suoi piedi in mille pezzi. 

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Capitolo 23
*** Dicembre, 23 ***



Dicembre, 23
 
 
 
 
 
This is the holiday you're with the family
We put aside our differences and let it be, oh
Oh, how much fun it is to give and to receive
This time of year, love is all we need oh
-  Christmas time
 
 
 

Emma non era ancora entrata.
Aveva detto ai suoi genitori e al piccolo Neal di precederla e che li avrebbe raggiunti nel giro di pochi minuti, giusto il tempo di schiarirsi la mente con una passeggiata, ma Emma non era ancora entrata.
La sala doveva ormai essersi riempita.
Emma aveva visto da lontano gli invitati entrare uno ad uno, finché, camminando, il municipio era scomparso. Si era dovuta fermare, però, nei pressi del bosco. Perché quelle scarpe che già la stavano uccidendo avrebbero decisamente finito il loro lavoro in pochi secondi se si fosse avventurata tra gli alberi anche solo per pochi metri.
Emma sospirò.
Non era il fatto che volesse evitare Regina.
Al contrario.
Emma avrebbe voluto incontrarla.
E parlarle, magari.
Ma non era sicura che questo fosse anche quello che voleva Regina.
Era stata Emma ad andarsene e ora, forse, probabilmente, Regina non voleva saperne nulla di lei.
Quel saluto del sindaco, fuori dal negozio di alimentari, poteva essere stato un semplice saluto di cortesia, dopotutto. In fondo, Regina era così e l’educazione era importante.
E poi c’era sempre una piccola, piccola possibilità che Regina non si fosse presentata sola, quella sera, ma con qualcuno.
Qualcuno di cui, magari, Regina si era innamorata.
Qualcuno di cui, magari, Regina si stava innamorando.
Qualcuno di cui, magari, Regina era disposta ad accontentarsi, perché Emma l’aveva lasciata, quel giorno di Natale dell’anno prima.
E Regina aveva avuto trecentosessantaquattro giorni per convincersi che Emma non sarebbe mia più tornata, di certo non per lei.
Emma scosse la testa.
A Boston era stato facile ignorare tutto quanto. Era stato come mettere tutto quanto in pausa. Dove per tutto quanto Emma intendeva Regina.
Ma ora era tornata… a casa.
Ed era come se nulla fosse cambiato.
La foresta che costeggiava Storybrooke rimaneva tanto tetra quanto affascinante, la casa dei suoi genitori era sempre troppo affollata per i suoi gusti, Granny non aveva cambiato i prezzi, fissi dai primi Anni Ottanta, Henry era ancora un bambino agli occhi di Emma e a quelli di Regina, Regina, già, di Regina Emma era innamorata.
La ragazza sussultò violentemente quando il telefono nella tasca della giacca vibrò.
Lo prese, quasi sperando si trattasse di Regina.
Sorrise comunque, quando lesse il messaggio, anche se non si trattava di Regina.
Ti stiamo aspettando tutti, Emma, ma proprio TUTTI. Dove sei finita?, aveva scritto Henry.
 

 
***
 

La vide entrare.
Da quella stessa porta da cui se ne era andata un anno prima.
E, per poco, Regina non lasciò cadere il bicchiere di champagne che aveva in mano.
Ma solo perché questa volta Regina non aveva alcuna scatolina e poteva concentrarsi sul bicchiere.
Prese un respiro profondo, la testa leggera e non certo per l’alcol.
Gli occhi di Mary Margaret e David, con cui stava parlando, si fissarono immediatamente su di lei, mentre Henry si limitò a metterle un braccio intorno ai fianchi, quasi volesse sostenerla.
Tuttavia l’espressione di Regina non mutò, seppure impallidì, e su sul volto rimase quella maschera di cortese grazia che aveva imparato a indossare da quando Emma se ne era andata.
Si impose di non guardare in direzione della ragazza, che stava scandagliando la sala con lo sguardo, probabilmente in cerca dei suoi genitori.
«Scusate» disse Regina, alzando appena il bicchiere di champagne, quasi vuoto, a voler indicare che si allontanava per prenderne un altro.
«Vuoi che ti accompagni?» domandò prontamente Henry.
«Posso venire anche io?» urlò il piccolo Neal, al fianco di Snow.
«No, Neal, perché non vieni a ballare con la mamma?» intervenne Mary Margaret, notando lo sguardo del sindaco.
«Ma io voglio ballare con Regina!» protestò il bambino, con lo stesso tono che aveva usato Emma quando il sindaco aveva provato a negarle un ballo, l’anno scorso.
«Dopo balleremo io e te» disse Regina, avvicinandosi per accarezzare i capelli di Neal. «Promesso. Tu però aspettami» aggiunse, fingendosi severa.
E Neal annuì, battendo le mani.
Dopo un breve cenno a Henry, Regina si allontanò.
 
 
***
 
 
«Regina».
Il sindaco si irrigidì, appoggiata al tavolo dove attendeva che le servissero il bicchiere di champagne che aveva chiesto.
La voce proveniva dalle sue spalle, ma Regina l’aveva riconosciuta, perché l’avrebbe riconosciuta ovunque, anche in quell’inferno di brillantini che erano le decorazioni di Snowhite.
Voleva vederla?
Sì, Dio, certo che voleva.
E tuttavia Regina era paralizzata.
Il fatto che lei fosse lì, aveva per Regina la stessa consistenza di un sogno.
Aveva sperato a lungo che tornasse.
E ora?
Ora che era tornata, se ne sarebbe andata di nuovo?
«Lo champagne, signor sindaco» disse la cameriera, porgendole il bicchiere. Regina lo prese.
Il vetro era freddo.
Sospirò.
Poi si voltò verso Emma. 



 

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Capitolo 24
*** Dicembre, 24 - Un anno prima ***



Dicembre, 24 – Vigilia di Natale
- un anno prima -
 
 
 
 
 
Shake up the happiness
Wake up the happiness
Shake up the happiness
It's Christmas time
-  Shake up Christmas, Train
 
 
Regina ignorò gli sguardi dei presenti.
Si mosse verso Emma.
Passi veloci.
Sempre più veloci, pur di raggiungere Emma.
Una scheggia di vetro doveva essersi conficcata nella suola della scarpa destra e graffiava tetramente il pavimento, a ogni passo.
«Emma» chiamò Regina, fuori dalla sala, tra i corridoi, pensando di trovarvi lo sceriffo.
Ma Emma non c’era.
Sentì una porta aprirsi in lontananza.
Si affrettò in quella direzione, quel dannato vestito a impacciarla nei movimenti e la piccola scatolina ancora saldamente stretta tra le mani.
Ebbe l’impulso di bruciarla, dannazione, e bruciare tutto quanto con essa.
«Emma!» chiamò il sindaco di nuovo, superata una porta, non appena vide Emma camminare avanti e indietro. Si trovavano fuori dall’ufficio di Regina.
«Emma» ripeté, quasi un sussurro, incredibilmente grata che la ragazza si fosse fermata.
«Non posso farlo» disse Emma.
«Credevo fosse la soluzione più logica» tentò Regina, spalancando le braccia, impotente.
«Ma davvero?»
«Emma, passi da me la maggior parte delle notti. Il fatto che non viviamo insieme è… ridicolo».
«E ovviamente la soluzione più logica è offrirmi la chiave di casa tua come regalo di Natale! Almeno non mi hai chiesto di sposarti!»
«Ah!» fece Regina, risentita. «Straordinario, Emma, la tua espressione sollevata era dovuta al non averci trovato un anello, davvero straordinario».
«Non rigirare la situazione a tua favore, Regina, non ti azzardare. Mi conosci, mi dovresti conoscere. Avresti dovuto chiedermelo, prima di-»
«Questa» fece Regina, alzando la scatoletta e avvicinandosi a Emma. «Questa è la mia proposta!»
«No! Questa è una decisione che tu hai preso! Per me!» rispose lo sceriffo, prendendo la scatolina e lanciandola a terra. Lo sguardo di Regina si incendiò.
«Non ho preso alcuna decisione per te».
«Hai fatto duplicare la chiave prima ancora di parlarmi della possibilità di trasferirmi. Hai dato per scontato che io sarei stata felice della proposta».
«Non ha assolutamente alcun senso che tu debba suonare il campanello per entrare in casa quando hai il tuo posto a tavola, il tuo cuscino preferito sul divano, il tuo accappatoio, il tuo lato del letto! Quella è casa tua, Emma».
«No, non lo è» rispose la ragazza, d’istinto. «Non-non posso». 
«Già, perché a quanto pare nelle tue intenzioni non rientra quella di costruire un futuro con me».
«Non l’ho mai detto».
«Non ha importanza. Mi riprendo la chiave e al diavolo. Continua a suonare il campanello, non mi importa. Ammesso che tu voglia ancora metterci piede, in casa mia, e non ti sia stancata di venire a letto con me» rispose Regina, tagliente.
Emma strinse gli occhi a due fessure. «Lo stai facendo di nuovo! Non sei tu, Regina. Sono io! Guarda… me! Io non… Non ho mai avuto radici. Non ho mai avuto una casa, una vera casa. Un posto da poter dire mio. Passavo da una famiglia adottiva all’altra. Poteva durare settimane, qualche volta mesi. Potevo essere fortunata e finire in una vera famiglia, ma la maggior parte delle volte non era affatto una famiglia. E sai cosa facevano? Mi davano una chiave. La chiave della loro casa. Una chiave che avrei dovuto restituire, alla fine, perché non era casa mia. E poi ricominciava. Una nuova famiglia, una nuova chiave che mi veniva offerta e poi strappata.
E tu ora mi offri questa chiave, mi… accogli in casa, come se fossi ancora quell’orfana senza nulla in tasca, come se fossi ancora persa».
«Non è così, Emma» si intromise il sindaco, gli occhi appena velati di lacrime, come ogni volta in cui si parlava dell’infanzia e dell’adolescenza di Emma.
Perché, di quello, Regina si sentiva terribilmente in colpa.
«Mi dispiace, per quello che è successo in passato. Mi dispiace davvero. Ma non ho intenzione di riprendermi quella chiave. Non ho intenzione di vederti sparire dalla mia vita».
«A un certo punto ti stancherai di me. Come hai fatto con Graham» disse Emma, scuotendo la testa. Prese una mano di Regina e se l’appoggiò sul cuore. «Tieni, prendilo. Chiudiamola qui!»
Regina strappò la mano dalla presa di Emma e scosse la testa. Fece qualche passo indietro, lontano dalla ragazza.
«Non sono più quella persona, Emma, e lo sai».
«No, non lo so. Non so nulla di quello che ti passa per la testa perché, invece di parlarne con me, tu fai duplicare le chiavi di casa tua!» l’accusò di nuovo la ragazza.
«Oh, ti prego» fece Regina. «Quella chiave non è stata altro che un pretesto! Tutta questa faccenda è assurda, Emma. Non vuoi trasferirti? Bene, fantastico, continua a vivere con i tuoi. Vuoi lasciarmi? Dimmelo, urlamelo chiaramente invece di cercare ridicole scuse!».
«Sono innamorata di te, Regina! Sei tu a non essere chiara, a tenermi lontana»
«Stai… Stai dicendo che non credi che io ti ami?» domandò il sindaco, in un sussurro incredulo. «Cosa credi che significhi l’offerta di vivere con me?!»
«È perché sono figlia di Snowhite? Il tuo è un piacere perverso di vendetta? O forse è perché sono bionda? Le bionde sono il tuo tipo, da quel che ho capito. Oh, aspetta. È il distintivo, non è vero?»
«No! Emma. Ti-»
«Risparmiatela» la fermò la ragazza.
Le campane iniziarono a suonare. Dodici rintocchi e sarebbe stato Natale.
«È perché sei tu, Emma. Solo tu. Ti amo perché sei Emma» disse Regina, con decisione. Un rintocco. Un altro.
Regina fece un passo verso Emma.
Un nuovo rintocco.
Lo sceriffo scosse la testa.
Il quarto rintoccò riverberò nel cuore di Regina.
«Forse ora ci credi davvero» disse Emma, un rintocco ad accompagnare le sue parole. «Ma domani ti sveglierai, desiderando non avermi mai offerto quella chiave».
«Tutto quello che desidero è svegliarmi con te. Essere felice con te».
Alle orecchie di Regina non giunse alcuna risposta da Emma, ma solo rintocchi. Uno dopo l’altro, interminabili, sembravano tagliare sempre più a fondo la pelle di Regina.
Ne mancavano solo tre.
«Un giorno non mi vorrai più. E rivorrai quella chiave» disse Emma, la voce ridotta a un sussurro. «Non posso prenderla, sapendo di doverla restituire».
Ancora due rintocchi.
«Mi dispiace, Regina».
«Emma!» chiamò il sindaco, mentre la ragazza si allontanava.
Un solo, singolo rintocco.
Emma correva e Regina non poteva inseguirla.
Non con quel vestito, non con quelle scarpe.
Non con l’anima in frantumi.
Come il bicchiere di champagne.
La chiave di Emma dimenticata a terra.
L’orologio di Storybrooke rintoccò per la dodicesima volta.
«Emma» bisbigliò Regina, in una stanza vuota. «È… Natale».
 
 
 
 

 
NdA
Buona Vigilia di Natale! 🎄🎁
Ci vediamo domani con l’ultimo capitolo di questo piccolo calendario! Grazie 😍
T. 😘
 
 
 
 

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Capitolo 25
*** Dicembre, 25 ***



Dicembre, 25 - Natale
 
 
 
 
 
I won't ask for much this Christmas
I won't even wish for snow, and I
I just wanna keep on waiting
Underneath the mistletoe
-  All I want for Christmas is you, Mariah Carey
 
 
 
 
«Emma».
«Ehi».
«Ehi».
Emma si schiarì la voce.
Regina bevve un lungo sorso di champagne.
Si impose di abbassare il bicchiere.
Sarebbe stato decisamente troppo imbarazzante chiederne già un altro.
Emma strisciò i piedi a terra, nervosamente. Forse non era stata una buona idea, quella di parlare a Regina senza sapere esattamente cosa dirle.
Ma c’erano tante cose che voleva dirle.
«Come vanno le cose, qui? Storybrooke è tranquilla come sempre?» tentò la ragazza.
«Sono sicura che Snow ti abbia tenuta aggiornata su tutti i pettegolezzi cittadini» rispose Regina, educatamente. Il tono neutro, il sorriso tirato non raggiungeva gli occhi. «Alle sue chiamate rispondi, mi ha detto».
Emma chiuse gli occhi, un nodo in gola.
Ovviamente non ci sarebbe mai stato modo per evitare le frecciatine di Regina.
E non solo perché, effettivamente, Emma se le meritava.
Ma perché lei era pur sempre Regina e Regina era così. Dolceamara, come una mela avvelenata.
Emma si era innamorata di lei anche per questo.
«Mi dispiace» concesse Emma, facendo un passo avanti, in un sussurro.
«Per non aver risposto alle telefonate? O per essertene andata, così, senza aggiungere una parola? Non un saluto, non un messaggio. Nulla. A parte la spazzatura. Perché dannazione a te se ti sei ricordata una singola volta di portare fuori la spazzatura!» rispose Regina, quasi senza fare pause tra una frase e l’altra, ma sempre mantenendo il controllo della propria voce. Non c’era motivo di rovinare la festa di Snow.
La spazzatura, pensò Emma, incredula. Regina ricordava la spazzatura, solo Regine se ne sarebbe potuta ricordare.
«Mi sei mancata» sfuggì alle labbra di Emma, prima che potesse trattenerlo. E Regina rise appena, incredula.
«Scusa, non avrei dovuto dirlo» disse la ragazza. «E… non avrei dovuto andarmene. Sarei dovuta restare. Avrei dovuto rispondere alle tue telefonate. Mi dispiace».
Lo sguardo di Regina si indurì. La donna scosse la testa.
«Perché te ne sei andata, poi? Potevi tagliare un altro ramo del mio albero di mele, se proprio volevi farmela pagare. Ma un anno senza tue notizie… Un anno senza di te, Emma».
La ragazza chiuse gli occhi. Si passò le mani tra i capelli.
«Io-» scosse la testa.
Prese il bicchiere di champagne dalle mani del sindaco e ne vuotò il contenuto.
«Non preoccuparti, prenditi anche questo, di me. Non che sia rimasto molto, da quando te ne sei andata» commentò Regina, un sorriso sarcastico in volto.
Emma le restituì il bicchiere di champagne, vuoto.
«Ho avuto paura. Ho avuto paura di venire a vivere con te. Ho avuto paura di noi. Ho avuto paura di… credere che, finalmente, ero arrivata. Ero arrivata a casa mia. E non sto parlando di casa tua in senso letterale, Regina» disse la ragazza, fermando le proteste del sindaco. «Sto parlando di te. Potrei trovarmi nel bel mezzo del deserto e, se tu fossi con me, io non avrei bisogno di altro. Tu sei, Regina, la mia casa.
Ma ho avuto paura che tu te ne saresti andata.
Perciò ho pensato di farlo io, di andarmene perché forse così avrebbe fatto meno male».
«Tutto questo è ridicolo».
«Mi sbagliavo. E ogni giorno mi dicevo che l’indomani sarei tornata a casa, sarei tornata da te. Ti avrei chiesto scusa per la mia reazione. Avrei preso la chiave, se tu me l’avessi offerta di nuovo» continuò Emma.
A stento dominava l’impulso di prendere le mani del sindaco e intrecciarle alle proprie.
Le era mancata, Regina. E non solo perché quella sera era splendida, il vestito attillato, dal collo stretto, colore dello zaffiro.
Regina era uno zaffiro, per Emma.
«Ma non sei tornata».
Emma sorrise tristemente.
«La verità? Con il passare dei giorni, ho capito di non avere motivo per ritornare. Perché immagino che tu di me non ne voglia sapere più nulla e probabilmente questa è l’unica cosa su cui mai ammetterai che ho ragione.
Con il passare dei giorni, tornare aveva sempre meno senso. Perché avevo bruciato la mia possibilità con te» rispose Emma, stringendosi nelle spalle.
Regina non rispose, ma si limitò a guardare Emma con sguardo indagatore.
La ragazza sospirò.
«Non era mia intenzione dire tutto questo. Vado a cercare Henry, buona serat-»
«Non ho assegnato a nessuno la carica di sceriffo».
«Oh» fece Emma, disorientata. «Mary Margaret questo non lo ha detto».
«Cosa vuoi che faccia?» domandò Regina, trattenendosi a stento dal commentare acidamente sul fatto che le uniche informazioni che Snow non sapeva tenere per sé erano i segreti altrui.
«Cosa intendi?»
«Cosa vuoi che faccia per la carica di Sceriffo? Devo nominare un’altra persona? Vuoi riassumerla a pieno titolo?»
Emma spalancò la bocca. «Mi stai dando la possibilità di rimanere?»
«Sono qui. Sono sempre stata qui. E non ho intenzione di andare da nessuna parte. Hai detto di voler tornare, ora hai la possibilità di tornare.
Sono ancora qui. Perché talvolta sei insopportabile, Emma, e fai saltare ogni singolo nervo del mio corpo con la tua testardaggine, ma io sono ancora più testarda di te.
Sono ancora qui e non ho intenzione di muovermi. Non lontano da te, non vicino a te. Se vorrai tornare a Boston, non ho alcuna intenzione di impedirtelo, ma gradirei che per il futuro mantenessimo rapporti civili, se non altro per Henry.
Ma soprattutto, Emma, se vuoi andartene, e andartene per tornare mai più, questa volta vorrei che tu me lo dicessi. Perché sarò qui, finché tu non mi lascerai andare. E rimanere così, sospesa… Devo muovermi, Emma.
Verso di te o lontano da te».
Ed eccolo, di nuovo, nel basso petto, quell’impulso che ordinava a Emma di scappare.
Ma guardò gli occhi di Regina e gli occhi di Regina le raccontavano di un dolore cui Emma voleva mettere fine.
Un dolore che Emma condivideva.
Un dolore che Emma aveva loro inflitto.
Per paura del domani, per paura di amare.
Fece un passo verso Regina.
Il sindaco trattenne il fiato.
«Rimango» disse Emma. «Mi dispiace di essere scappata in quel modo. Voglio rimanere» ripeté, con le lacrime agli occhi.
Regina tirò un sospiro di sollievo.
Fece un passo verso Emma e le spostò una ciocca di capelli che era fuggita alla treccia.
L’orologio di Storybrooke iniziò a suonare.
Dodici rintocchi e sarebbe stato di nuovo Natale.
«Non scappare di nuovo, Emma» disse Regina, la voce tremante, come il rintocco che si era appena spento.
«Troverò un modo per rimediare» rispose la ragazza, un nuovo rintocco. «Per farmi perdonare» aggiunse, prendendo la mano di Regina e baciandole l’interno del polso mentre l’orologio rintoccava per la terza volta.
«Emma-»
«Sono seria» disse la ragazza. «Non posso pretendere che le cose ricomincino da dove le ho interrotte. Ci abbiamo messo anni, decenni per trovarci. Ed è bastato un attimo perché io distruggessi tutto quanto».
Erano già all’ottavo rintocco e il cuore di Regina batteva, batteva davvero, dopo così tanto tempo.
Ed Emma era lì.
Emma era lì e aveva ragione, anche se Regina non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, sul fatto che fosse loro servito tanto, tanto tempo per trovarsi.
E Regina non voleva sprecarne altro.
Un nuovo rintocco.
«Perciò questa volta ho intenzione di rimanere e ricostruire tutto quanto. Non importa quanto tempo ci vorrà, e probabilmente non sarà mai abbastanza, ma non mi importa davvero. Voglio rimanere» disse lo sceriffo di Storybrooke.
Mancavano solo tre rintocchi.
«Emma» la chiamò Regina, accarezzandole una guancia.
Due rintocchi.
Regina sorrise.
Un solo, singolo rintocco.
E Regina fece un nuovo, piccolo passo verso Emma.
L’orologio di Storybrooke rintoccò per la dodicesima volta.
«Emma» bisbigliò Regina. «È… Natale. Sei tornata. E io ti ho già perdonata».
«Davvero?» domandò la ragazza, con un filo di voce.
Regina non rispose.
Non a voce.
Regina baciò Emma, a fior di labbra, delicatamente, come aveva sognato di fare in tante notti, come credeva che non avrebbe mai più potuto fare.
Emma baciò Regina, a fior di labbra, delicatamente, promettendole che sarebbe rimasta, promettendole che questa volta non avrebbe sprecato la loro felicità.
Sopra le loro teste penzolava, inosservato, un piccolo ramo di vischio.
E in quel giorno di Natale la neve tornò a cadere dai cieli di Storybrooke.
 
 
 
 
 
 
NdA
 
Buon Natale, Swen 😍🎄
 
Iniziamo dai piccoli dettagli: “Regina era uno zaffiro, per Emma” è un’analogia che si lega a una delle possibili origini del nome zaffiro, dall’ebraico “la cosa più bella”. Oltre ad altri significati che lo zaffiro ha assunto nel corso dei secoli.
 
Vorrei poi ringraziare – e non solo perché è Natale – il supporto di Isarainbow. Questa raccolta sarebbe stata sicuramene diversa senza le sue osservazioni e gli incoraggiamenti e tutto quanto. Grazie 💙💚
 
Un grazie ovviamente a tutti voi che avete letto e commentato questa piccola raccolta. Per me è stata una piccola magia di Natale. Grazie, infiniti grazie 😍
E per ringraziarvi (e spero che sia gradito) ho pensato di aggiungere ancora un pezzettino, a questa storia. Altri due capitoli, uno per il passato (31 dicembre) e uno per il presente (1 gennaio).
(Verranno però pubblicati al di fuori di questa raccolta).
 
Grazie, anche per la pazienza di leggere tutte queste NdA, e tanti, tanti auguri! 😘
T. 


 

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