Anne and the Olympians

di MaryIsmyname
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREFAZIONE ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO UNO: una breve vita ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO DUE: Il passato ti attraversa i visceri, a volte ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO TRE: solo un brutto risveglio ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO QUATTRO: campo minato ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO CINQUE: l'arancione è il nuovo nero ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO SEI: pazzia portami via ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO SETTE: l'ultimo ballo ***



Capitolo 1
*** PREFAZIONE ***


PROLOGO


(Atene 560. A.C)

 
<< Lei è proprio sicuro di quello che sta compiendo, signor Michelangelo? >> disse Zeus, rivolto al figlio, Dioniso, che in quel periodo si faceva chiamare Marcus. Seppur gli dèi fossero immortali, il ragazzo, il dio del vino, non voleva dare troppo nell’occhio.
Ma era successo.
Aveva dato nell’occhio più del dovuto. Certo, gli ateniesi adoravano lui e le altre divinità, ma la religione non c’entrava affatto. Lei, lo aveva rapito più di qualsiasi altra dea greca che giornalmente vedeva sul Monte Olimpo, da ormai secoli.
<< Lo sono, padre >>
<< E allora non compiete idiozie! Non potrà mai essere reale questa infatuazione! >>
<< Padre. Se solo poteste avere l’occasione di conoscerla di persona, sono sicuro che ve ne innamorereste subito! Insomma padre, neghi dunque il modo in cui io sono venuto al mondo? >>
<< No, Dioniso. Ma, lei è un’altra storia. Non potrà mai esistere una relazione duratura tra voi due. In oltre, con Demetra siete prossimi al matrimonio! Non compiete simili sciocchezze! >>
<< Finchè lei sarà su questa Terra, non ci saranno attimi in cui non smetterò di cercarla, di amarla e di osservarla >>
<< Che succede qui, Zeus? >> chiese una voce proveniente dall’oscurità. Era ormai troppo facile immaginare di chi fosse quella voce. Senza neppur girarmi, riconobbi a chi appartenesse: Ares, il dio della violenza e della guerra. Non era ormai un caso, che fosse ovunque per origliare le conversazioni di altre divinità.
<< Cosa ci fai qui, fratello? >> dissi al ragazzo che ormai si trovava davanti a me: bello, possente, con occhi dello stesso colore dei lapislazzuli, fronte alta, capelli corvini e un atteggiamento da vero ipocrita.
<< Nulla, controllavo che tu non t’intromettessi troppo nella vita di quella ragazza. Come si chiama, scusa? Anne? >>
<< Come fai…? >>
<< Oh, niente di personale. Ma, io e lei ci conosciamo abbastanza bene, e sono sicuro che lei preferisca me a te. Insomma, tu sei così fragile, buono… lei preferisce tutt’altro! >>
<< FIGLI MIEI! Smettetela! State entrambi per convolare a nozze, e solo io e vostra madre sappiamo quanto abbiamo aspettato questa cosa.. e voi cosa fate? Rovinate tutto per una maledetta mortale!? >>
<< Padre, sono nato dall’unione con una donna mortale,e sono sicura che lei non fosse maledetta. E non lo è di sicuro Anne, quindi la smetta di sparlare su una donna perfetta come lei >>
<< Oh, santi Dei! Ma ti senti Dioniso!? >> disse Ares scrutandomi. Ora aveva in mano un bicchierino di frutto proveniente dal monte Olimpo, e lo sorseggiava come se fosse acqua.
<< Tra poco convolerete a nozze, vi proibisco di incontrarla di nuovo. Soprattutto se le vostre spose lo sapessero, per quanto immortali voi siate, non credo riuscireste a vivere un’esistenza felice >>
<< D’accordo >> dissi sconfitto.
<< Ma, la promessa che vi ho fatto prima vale ancora >>
<< Io non ho promesso nulla, quindi, siate liberi di trarre le vostre conclusioni >> disse Ares, uscendo dalla sala in grande fretta.
E già sapevo in quale luogo si sarebbe diretto: la sua dimora.
Dovevo essere più veloce, dovevo cercare di essere migliore, ma ovunque cosa i miei occhi fissassero trovavo sempre il suo volto impressovi sopra. Ma era troppo tardi, pochi giorni e il matrimonio sarebbe stato celebrato, e avrei trascorso la mia intera esistenza con una dea, che probabilmente non amavo neppure. Non importa quali saranno le conseguenze, devo per lo meno guardarla un’ultima volta, seriamente prima che tutto cambi. Cosi, quando mi ritrovai dinnanzi alla sua dimora non ebbi timore a spalancarla con grande forza. L’erba attorno alla villa era stata potata, e ovunque si odorava il timo, e successivamente vidi lei, che era intenta ad osservare il tramonto. Non posso dire, quanto rimasi ad osservarla, ma non indugiai nemmeno un secondo ad avvicinarmi a lei.
<< È stupendo, questa sera >> dissi, togliendole il fiato per la paura.
<< Mi avete spaventata, ma sono davvero lieta di vederla qui con me. Questo è… >>
<< ..il vostro momento preferito della serata. Ne sono a conoscenza >> affermai, prendendole la mano.
<< Ah si, e come fate a saperlo, Michelangelo? >> disse Anne, trattenendo il respiro per qualche secondo, che bastò per osservarla un’ultima volta: capelli castani scuri, tendenti allo stesso colore di Ares, occhi marroni come la terra e un sorriso mozzafiato.
<< Perché mi fissate così ardentemente? >> << Perché credo che questa sarà l’ultima volta, Anne >>
<< E come fate ad esserne così certo, Michelangelo? Insomma, non credo abbiamo fatto nulla di male >>
<< Purtroppo, dobbiamo smettere di vederci >>
<< Non potete dire questo! >>
<< Mi dispiace, ma lei ne verrà a conoscenza, in un modo o in un altro >>
<< Lei chi? >>
<< Sarà terribile per entrambi. Non voglio che vi capiti nulla per conto mio, voglio che viviate la vostra vita >>
<< Lo ripeto: lei chi? >> Senza darle il tempo di aggrottare la fronte, premetti le mie labbra sulle sue, e ci lasciammo andare ad un bacio profondo e perfetto. Era sicuramente un bacio d’addio, non avrei più baciato le stesse labbra, mai più avrei osservato un altro sorriso perfetto come il suo, e mai più avrei sfiorato il suo viso. Tutto sarebbe diventato come una tela ormai dipinta meravigliosamente che era appena stata rovinata buttandogli addosso un vaso d’acqua. Mi staccai da lei, e non riuscì neppure a fissarla negli occhi un ultima volta, che ero già in un’altra strada, in un’altra città… ma soprattutto lontano da Anne.



 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO UNO: una breve vita ***


CAPITOLO UNO: una breve vita

 

Giorno 01, 01, 634 a.C 

Una donna cominciò a camminare per la Terra quell’anno, quell’anno era il primo di tanti altri a venire. E di tante altrettante vite. Quello era il primo di una serie di nuove vite che avrebbe intrapreso la giovane ragazza. Perché, prima di quella, era una giovane Ateniese, al culmine della sua giovinezza, era amata da due giovani per bene, che tutt’un tratto erano scomparsi nel nulla. E lei non li aveva più visti, o meglio. Lei aveva scordato chi loro fossero, ed ora se uno di loro passasse per la strada, di certo non riuscirebbe a riconoscerlo. Perché oramai è sotto una terribile maledizione, dalla quale non può di certo scappare. Almeno non nell’ultimo anno della sua centesima vita. Ma è ancora presto per trarre conclusioni.

 
650 A.C Asia Centrale
 
Una giovane sedicenne cammina per delle strade isolate, circondate dal nulla. Mentre la sera cala, la giovane continua comunque a camminare per le strade oramai innevate. Una brutta neve sta scendendo dal cielo, la donna solleva lo sguardo, alzando il mantello per poter scrutare al meglio il cielo. Sarebbe meglio muoversi, pensa. E sarebbe meglio farlo al più presto. Era scappata dallo stato di Chen, la quale oramai era stata rasa al suolo dall’esercito di Chu, il nuovo imperatore cinese. Doveva scappare, sempre più veloce, perché aveva tentato di scappare anche a Chen servendosi del caos che si stava creando dall’esercito che stava rasando al suolo la sua città. Non aveva avuto notizie dalla madre, e dal suo povero padre. Nessuno dei due l’aveva vista fuggire, e neppure lei aveva visto nessuno dei due arrivare dalla sua parte. Si girava in direzione della strada innevata, sperando che la nuova neve che stava scendendo avrebbe coperto le sue tracce. Non sapeva perché non era ancora spaventata a morte, ma nonostante tutto era sollevata del fatto, che un giovane di un esercito proveniente da Occidente le avesse detto di scappare al più presto, ma doveva farlo da sola, senza avvertire nessuna persona della sua partenza. L’uomo era stato vago sulla sua identità, poiché le aveva detto che se le truppe di Chu avrebbero saputo che allo sterminio sarebbe sopravvissuta una giovane, avrebbero fatto il possibile per trovarla ed ucciderla. Aveva detto che le truppe di Chu avrebbero continuato a cercarla fino in capo al mondo, se fosse stato necessario. Se lui avrebbe saputo che lei era ancora viva. Ma lei non sapeva se Chu ne era a conoscenza. Durante il tragitto aveva più volte sperato di non vedere comparire all’orizzonte degli ufficiali, o sentire il rumore dei cavalli dell’esercito. E continua ancora adesso a sperare. Sta cercando un riparo dal giorno precedente, quando lo strano uomo le si era presentato dinnanzi. Sulle prime non gli aveva creduto, ma più le ore scorrevano, più Annà sentiva che scappare era la soluzione migliore. Ma come poteva fidarsi di un completo estraneo? Questo le scorrette nella testa più e più volte quando dal giorno prima non si era più fatta vedere dai genitori. Oramai non sapeva neppure se erano ancora vivi. Tutto le sembrava così strano. Perché mai non avrebbe potuto portare i suoi genitori con sé? Lo trovava estremamente ingiusto. Lei, lei che era la loro figlia. Il sangue del loro sangue non aveva potuto portarseli con sé? E soprattutto cosa sarebbe importato a Chu se lei ed i suoi genitori sarebbero potuti vivere sani e salvi? Cosa importava a Chu se solo lei sopravviveva? C’è un vero senso ad uno sterminio di massa dal quale Annà era riuscita a scappare? Quali ragioni potevano mai costringere l’Imperatore Cinese a volere tutta la sua gente morta? Cosa importava realmente a lui? Tutto non aveva senso. Soprattutto l’uomo, possente, con una colorazione degli occhi particolarissima, molto simile alla sua, aveva pensato.. ma nulla che aveva già visto prima. Probabilmente era un viaggiatore, oppure un infiltrato che aveva sentito dell’imminente sterminio e voleva avvisare. Ma perché solo lei? Nulla la faceva pensare che l’uomo la conoscesse, anche se quando l’aveva scrutata negli occhi fu come se l’avesse visto rimpiangere qualcosa. Anche se non sapeva con esattezza cosa. L’aveva scrutata come mai nessun uomo del posto o un viaggiatore avevano fatto. Quel giorno aveva sentito le gambe m0lli e lo stomaco in subbuglio come mai prima d’ora. Aveva sentito qualcosa dal profondo del cuore quel giorno. E neppure ora riusciva a dimenticare l’uomo che l’aveva salvata da una tremenda morte. Doveva a lui la possibilità di essere ancora viva. Lo doveva all’uomo senza nome.
Mentre si faceva ancora più buio e Annà si lasciava trasportare dai sensi di colpa, in lontananza le parve udire uno scoppiettio di un fuoco. Era vicina ad una cittadina, sarebbe probabilmente stato necessario meno di una mezz’oretta di cammino. Sentiva la sua pancia brontolare da sotto il vestito. Era rimasta senza viveri diverse ore prima ed ora, sentendo il dolce rumore del fuoco non faceva altro che pensare ad un buon piatto da mangiare per saziarsi. In quel momento però udì un altro rumore, qualcosa di più rumoroso. Qualcosa che assomigliava ad un ticchettio sulla via che stava percorrendo. Poi, vi fu un nitrito. Ed immediatamente capì da chi proveniva il rumore. Erano dei cavalli. Poco dopo sentì anche delle voci, una, sopra l’altra che non cessavano di strillare. Arcieri. Annà iniziò a correre furtivamente verso il centro, sperando di essere più veloce degli arcieri, sperando che il buio e la neve l’avrebbero salvata. Dopo qualche istante però, dietro di lei scorse un uomo, dai capelli scuri, o forse era solo il buio pesto che li rendeva scuri. Portava un mantello e sulle prime pensò che la sua vita sarebbe terminata in quell’istante. Stava per iniziare a gridare, quando lo sconosciuto le tappò la bocca. La pregò di restare in silenzio e lei, seppur spaventata, lo fece. Aveva troppa paura per rischiare che l’uomo la potesse uccidere da un momento all’altro.
<< Se vi libero, non gridate >> disse l’uomo. Annà annuì e poco dopo, l’uomo la liberò dalla sua morsa. Annà riprese a respirare affannosamente, come se negli ultimi sedici anni della sua vita non l’avesse fatto per abbastanza tempo. Si accarezzò la gola, che le sembrava ancora più secca di qualche ora prima, quando anche l’acqua era finita. L’uomo aprì una bisaccia che aveva nascosto sotto il mantello e tirò fuori un contenitore, poi lo porse alla donna.
<< Bevete >> disse. E lei lo fece, come mai prima d’ora. Aveva pensato che se durante il tragitto non avesse pensato all’acqua, forse la sua sete si sarebbe placata fino al momento in cui non avrebbe raggiunto un centro abitato.
<< La ringrazio, davvero >> disse quando trangugiò velocemente l’ultima goccia d’acqua.
<< Dovete scappare >> disse impaurito l’uomo.
<< Venite con me, non vorrete mica morire qui! >> disse Annà.
<< Io, non morirò >> disse malinconico.
<< Si invece! Venite con me, vi devo un debito per l’acqua >>
<< L’acqua non conta nulla per me, vi prego, voglio salvarvi. Stanno arrivando >> disse l’uomo guardandosi indietro. Ed io non posso salvarvi, le sembrò che dicesse. Dopo qualche istante sentì degli urli ed altri nitriti e come l’uomo aveva predetto, loro stavano arrivando.
<< Chi sta arrivando, signore? >> disse lei.
<< Non ha importanza, vi prego, correte >> disse lui. E lei, dal suo sguardo supplichevole che vedeva riflesso negli occhi dell’uomo, lo fece. Cominciò a correre, alla stessa velocità di prima e sperava che il centro abitato fosse più vicino di prima. Sentì l’uomo di prima gridare in direzione di quelli che probabilmente erano arcieri e poi sentì un enorme boato. Si girò nella direzione da cui proveniva ed in quel momento vide un enorme botto, che la scaraventò di qualche metro più avanti.
Atterrò violentemente, sbattendo la testa.
Tentò di rialzarsi, ma le sembrava che tutto stesse rallentando. Iniziò così a strisciare per terra, sentendo il cuore che martellava fortissimo nel suo petto. Vedeva un bagliore di luce alle sue spalle farsi sempre più vicino e delle voci che non smettevano di fare rumore. Continuò a strisciare per la strada, fino a quando non sentì un arciere fermarsi a poca distanza da lei. Si girò ed una donna era in groppa ad un cavallo. Portava una lunga veste bianca ed i capelli ricci erano raccolti. Sorreggeva in mano un arco nel quale aveva appena posizionato una freccia.
<< Non farlo Demetra! >> urlò lo stesso uomo di prima. Si era gettato ai piedi del cavallo e la stava supplicando. Nel frattempo, Annà cercava di sgusciare sempre più vicina alla città. La donna ora aveva rivolto il suo sguardo verso l’uomo e lo guardava trionfante.
<< Io, ti assicuro, mi terrò lontano da lei >> le disse.
<< Ah si? >> disse lei raggiante.
<< Si, ti prego. Risparmiala ora però >> disse l’uomo supplicandola ancora una volta.
<< Ti terrai lontano? >> disse abbassando l’arco.
<< Si >> disse scoraggiato lui.
<< Perfetto, tieniti lontano da lei >> disse la donna, e prima che l’uomo potesse fare nulla, scoccò la freccia in direzione di Annà, che sbatté la testa sulla via e rimase per terra fino a quando l’uomo, Dioniso, le si avvicinò. Era in una pozza di sangue, non poteva fare nulla per riportarla in vita. Scoraggiato, le prese il viso tra le mani ed iniziò a piangere guardando il suo viso spegnersi fino a quando non chiuse gli occhi. Poco dopo sentì la stessa sensazione che aveva provato la prima volta e Annà sparì, lasciando nella via un colore rosso vivo.
<< Andiamo Dioniso, torniamo a casa >> le disse una voce alle sue spalle.
<< No! Mi avevi promesso che l’avresti risparmiata >> disse accusandola tra le lacrime.
<< Non dire stupidaggini, non ho promesso niente a nessuno >> disse la donna.
<< Artemide, non ti desidero. Già lo sai, sparisci dalla mia vita! >>
<< Sei tu che non capisci! Io ti amo,Dioniso. Smettila di fare il bambino e torna a casa. Con tua moglie. Andiamo >> disse.
<< Mai >> disse Dioniso alzandosi.
E pochi secondi dopo, ancor prima che la donna potesse protestare, l’uomo era sparito. E con lui tutte le sue tracce. La donna cadde sulle ginocchia urlando, implorando il cielo che facesse qualcosa, ma non accadde nulla. Urlò più e più volte, fino a quando un’altra donna non le si materializzò accanto. Una donna splendida, con una tunica bianca come quella dell’altra donna, capelli lunghissimi e forme possenti. Una vera bellezza. La donna mise una mano sopra la spalla di Demetra, la quale si girò nella sua direzione fissandola.
<< Uccideremo ancora quella lurida bastarda >> disse sprezzante d’odio.
<< Giuramelo Afrodite, devo vederla morire ancora. Fino a quando nel suo ultimo istante di vita nel suo ultimo ciclo la riporterà alle tenebre come giusto che sia >> disse.
<< Lo giuro, Demetra >>. Afrodite allora aiutò l’altra donna a rialzarsi, quest’ultima richiamò a sé gli arcieri. Fece accomodare Afrodite dietro di lei, e d’un tratto il cavallo si librò nell’aria, percorrendo il cielo cosparso di neve, verso quella che doveva probabilmente essere una nuova vita per Annà.
 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO DUE: Il passato ti attraversa i visceri, a volte ***


CAPITOLO DUE: Il passato ti attraversa i visceri, a volte
 
 
509 A.C Roma


Una giovane donna, stava rannicchiata su un divanetto rosso in un'enorme sala da pranzo. Al suo fianco, aveva due ancelle. La prima le massaggiava i piedi, che erano appoggiati in una poltroncina di velluto, anch'esso rosso, la seconda la imboccava con dell'uva di stagione. Dopo qualche minuto la donna, decise di alzarsi e di mettersi a filare insieme alle sue ancelle, mentre ascoltava la natura fuori e pensava a suo marito che era partito per una pericolosa spedizione. Pregava ogni sera gli dei, sperando che lui potesse tornare a casa.
Guardava fuori dalle finestre da cui uscivano degli spifferi.. osservava la sua bella città: Roma. Ed era bella da mozzare il fiato.
La donna, raramente era uscita da Roma e talvolta si chiedeva com'era il mondo fuori. Amava la sua patria ed era per questo che la maggior parte delle volte abbandonava le sue pazze idee sull'abbandonare Roma e trasferirsi altrove insieme al marito. Le piaceva fantasticare su nuove città, nuove faccia da vedere, nuove donne con cui conversare sui tessuti da filare, sulle faccende di casa e sulle missioni dei propri mariti. Le sarebbe piaciuto uscire dall'ordinario a cui era intrappolata. Ma a lei qualche volta piaceva. Le piaceva aspettare ogni sera sulla soglia di casa, con indosso una veste bianca, simbolo della sua eterna purezza, il marito. Aspettava ogni volta sino al suo arrivo e quando lo vedeva arrivare ogni volta per il suo cuore era un sussulto. Anche quella volta significava che gli dèi le avevano dato ascolto, anche quella volta erano riusciti a salvaguardagli la vita, anche quella volta avevano fatto in modo di farlo rientrare nella sua casa, dove la sua meravigliosa moglie lo aspettava. Perchè è vero, sua moglie era così. Era davvero meravigliosa.. ed anche gli altri uomini concordavano. Era di una bellezza speciale, aveva lunghi capelli biondi che teneva sempre in elaborate acconciature che lei stessa faceva, oppure si faceva fare, meno frequentemente, dalle sue più fedeli ancelle. Aveva un corpo formoso, con le curve al posto giusto ed occhi meravigliosi, che ogni donna sognava. Era una delle poche donne, pure sia di spirito che di corpo e nonostante il matrimonio non aveva intenzione di spezzare la sua purezza. E tutto ciò la rendeva ancora più bella agli occhi delle persone romane che l'osservavano spesso aggirarsi per il mercato e mentre lei faceva compere per preparare una buona cena o della lana da filare, tutta la popolazione romana adorava osservarla da lontano. Anna, era una giovane desiderata da tutti gli uomini ed invidiata da tutte le donne. La donna però si faceva chiamare Lucrezia da dopo il suo matrimonio, e tutto questo la rendeva ancora più affascinante. Perchè aveva cambiato nome e nonostante il matrimonio voleva restare la stessa di prima. In tutti i sensi. Mentre la città di Ardea era sottoassedio, i figli dei re, si divertivano però in un altro modo quando non assediavano o si allenavano. Secondo gli uomini, le loro mogli, in loro assenza si recavano ai banchetti e partecipavano per la maggior parte delle volte a delle orge. Collatino però, il marito di Lucrezia, diceva che sua moglie, a differenza delle altre, era rispettosa verso il marito ed era sicuro che in quel momento se ne stava nell'atrio o nelle sue camere per filare insieme alle sue ancelle. Così, tutti insieme partirono per Roma per spiare le mogli altrui. E così fu, mentre le mogli degli altri uomini risiedevano ai banchetti, Lucrezia era proprio dove secondo il marito si trovava. Ed era assolutamente lì. Era seduta su una poltroncina, con i capelli raccolti, una veste bianca di seta con le ancelle al suo fianco, che come lei tessevano la lana.
- Ve lo dicevo io che Lucrezia era qui! - disse Collatino orgoglioso di sua moglie. La donna infatti era risultata molto matura, a differenza delle altre donne che nel frattempo che i loro mariti erano via per una battaglia loro si stavano divertendo moltissimo in loro assenza, si era fatta onore a restare a casa a filare, come d'abitudine. E quando l'uomo sorrise dopo averla fissata un'ultima volta, si allontanò dalla sua casa insieme agli altri, mentre una delicata Lucrezia continuava a filare ed assillarsi pensando al marito, che tanto le mancava. Qualche giorno più tardi, però, un uomo che partecipava alla spedizione insieme a Collatino, le fece visita. Verso tardo pomeriggio le si era presentato alla porta, e lei, lo aveva invitato ad entrare. L'uomo, Tarquinio Sesto, si era prima fermato per cena, e poi lei lo aveva invitato a fermarsi a dormire in una stanza per gli ospiti. L'uomo, accettò e si fermò da lei. Come di consuetudine, lei aveva filato fino a tardi, poi aveva fatto un bagno, si era sciolta e pettinata i capelli, aveva indossato la camicia da notte e si era infilata nel suo letto. Dall'altra parte della casa però, Sesto, non riusciva a dormire. Non riusciva a credere di trovarsi nella casa dell'amico Collatino, con la donna che desidera con estremo ardore. Tutta la sera l'aveva osservata dall'altra parte del tavolo, non le aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo e per tutto il tempo non aveva smesso di farle dei complimenti e qualche volta delle avances. Ci aveva provato, ma inutilmente. La donna era davvero pura e casta, come il marito diceva. Nonostante lui le avesse più volte detto quanto era bella, o quanto gli sarebbe piaciuto sposarla ed essere al posto di Collatino, Lucrezia lo aveva rimproverato poichè secondo lei era il vino che lo rendeva così 'audace'. Tutta la notte, mentre filava l'aveva osservata mentre tesseva e ne era rimasto affascinato, ed era rimasto affascinato dalla sua eterna bellezza. Aveva osservato i suoi capelli biondi, mentre le ricadevano più e più volte sugli occhi, aveva osservato i suoi seni che risaltavano da sotto la candida camicia da notte, ed aveva osservato i suoi occhi sollevarsi spesso per controllarsi furtivamente le spalle. Ora però non riusciva a smettere di pensare a lei, così prese la spada e si recò nella sua camera. La osservò per qualche minuto prima di salire nel letto della camera ed immobilizzarla.
<< Lucrezia chiudi la bocca! Sono Sesto Tarquinio ed ho una spada in mano. Una sola parola e sei morta! >> disse alla donna. Lei allarmata iniziò a piangere sommessamente dinnanzi all'uomo, che lei stessa aveva accolto in casa.
<< Lucrezia, Lucrezia.. io vi amo! Siete una donna tanto bella quanto pura. Vi ho sempre amata e vi ho sempre osservata al mercato e vi ho amata dal giorno in cui vostro marito mi ha invitato a cenare da voi. Ed io mi sono subito invaghito della vostra bellezza e della vostra provata castità. Possibile mai, che non abbiate ancora donato amore? Com'è possibile che non l'avete ancora donato a qualcuno, mia cara? >> disse l'uomo passandole la spada attorno al corpo.
Poi realizzò che aveva fatto tacere la donna così, intimandole ancora che sarebbe morta se avesse accennato ad una parola la liberò dalla sua stretta.
<< Non mi interessa il vostro amore, Sesto. Non voglio il vostro sporco amore. L'unica persona che amo, Sesto, è mio marito, vostro amico e compagno di leva. Siete una persona orribile ad entrare nella mia casa e tenere in ostaggio con una spada la moglie di un vostro caro amico! >> disse la donna in lacrime.
L'uomo questa volta, fu più audace ed iniziò a toccare la donna nel corpo. Le toccò una guancia, le braccia, il collo e le cosce. La donna tremò di paura, poichè capì in un baleno le intenzioni dell'uomo. Quando anche l'uomo capì che la donna stava per iniziare a gridare, le mise una mano sulla bocca.
 << Io voglio avere la vostra purezza, Lucrezia. E se non me la darete, io vi ucciderò ed accanto al vostro cadavere metterò un servo nudo e morto, così tutti vi daranno di una poco di buono.. che diceva di non dare nulla al marito, ma in realtà dava alla servitù. Cosa intendete fare, mia dolce Lucrezia? >> disse accarezzandole una guancia ancora una volta. La donna in lacrime, si lasciò portar via la sua purezza, proprio perchè non voleva che suo marito la ritenesse una donna ingrata e neppure gli altri abitanti. Aveva ceduto la sua purezza ad un uomo orribile che aveva preso la sua purezza con la forza, minacciandola di dire una bugia e di dipingerla come una traditrice. Il mattino seguente, Sesto partì soddisfatto di aver ottenuto la purezza della donna che in tanti desideravano e che neppure il marito aveva ottenuto. La donna però, dopo essere stata usurpata della sua purezza, inviò un messaggio al padre e a suo marito, Collatino. Nel messaggio li avvertiva di recarsi nella dimora dei due coniugi il più presto possibile, poichè era accaduto un fatto deplorevole. Giungono da lei, come promesso, il padre, il marito e due amici fidati: un certo Michelangelo ed un giovane chiamato Ares, come la divinità. Erano amici del padre ed appena ricevuto il messaggio erano accorsi insieme al padre di Lucrezia. I due uomini la guardavano, bramandola in silenzio con gli occhi. Entrambi avrebbero voluto essere al posto di Collatino peer averla come moglie, ma era chiaro che c'era più di una semplice infatuazione. Loro sembravano bramare qualcosa di più di un'infatuazione, il loro sembrava vero e proprio amore. Un amore non corrisposto però, perchè la donna era fedele a suo marito, almeno di spirito.. poichè Sesto l'aveva privata della sua purezza. Alla vista dei congiunti, scoppia a piangere.
Collatino allora le chiede: << Tutto bene? >>
Lei gli risponde: << Come fa ad andare tutto bene a una donna che ha perduto l'onore? Nel tuo letto, Collatino, ci son le tracce di un altro uomo: solo il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte. Ma giuratemi che l'adultero non rimarrà impunito. Si tratta di Sesto Tarquinio: è lui che ieri notte è venuto qui e, restituendo ostilità in cambio di ospitalità, armato e con la forza ha abusato di me. Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui >>
Uno dopo l'altro giurano tutti. Cercano quindi di consolarla con questi argomenti: in primo luogo la colpa ricadeva solo sull'autore di quell'azione abominevole e non su di lei che ne era stata la vittima; poi non è il corpo che pecca ma la mente e quindi, se manca l'intenzione, non si può parlare di colpa.
Ma lei replica: << Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l'esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore! >> Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime tra le urla del marito e del padre. I due corrono in suo soccorso, pensando di poterla salvare, ma tutto è perduto. I due uomini, Michelangelo e Ares nel frattempo stavano in piedi al centro della stanza, a guardare la loro donna che aveva appena perso la purezza e la vita. Ares, infuriato uscì dalla stanza e senza dare alcune spiegazioni prese una spada.
<< Cos'hai intenzione di fare, figliolo? >> gli disse il padre di Lucrezia, che lo aveva visto uscire.
<< Lo ucciderò, con le mie mani se necessario. Lo giuro. >> disse Ares, ed in un battibaleno, prese un cavallo, vi salì ed iniziò a galoppare, verso il luogo in cui vi risiedeva l'uomo che aveva violentato Anna ed era il colpevole della sua morte, insieme a sua moglie.. che in qualche modo, era sempre colpevole della morte di Anna.
Sempre.
Così mentre i Romani e suo fratello piangevano la morte di Anna, lui stava galoppando verso un nuovo inizio della vita. Un nuovo inizio, verso il quale Anna questa volta sarebbe potuta essere chiunque ed ovunque.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO TRE: solo un brutto risveglio ***


CAPITOLO TRE: solo un brutto risveglio



2014 D.C,
Yale University

Anne era nel suo dormitorio, a fissare il vuoto. Aveva il libro di medicina sulla pancia, ma non riusciva a stare calma. Era così entusiasta. Solo qualche giorno e sarebbe iniziato il semestre, nel quale lei era finalmente una studentessa del college. E non un college qualsiasi, ma Yale. La grande e prestigiosa Yale University. I giorni prima li aveva passati a scorrazzare per Boston e ne era rimasta assolutamente invaghita. Il giorno prima, aveva visitato la Beinecke Library all'interno della Yale University. Anne amava leggere, amava i grandi tomi, i grandi classici (come 'The Great Gatsby', che era il suo preferito), amava leggere addirittura i libri che le assegnavano a scuola. Aveva letto 'Il mercante di Venezia' che aveva adorato, aveva letto 'Orgoglio e Pregiudizio' che aveva divorato in qualche ora ed aveva portato l'analisi del testo dopo neanche ventiquattro ore. Era fatta così: a lei piaceva ed era grazie al suo studio costante era riuscita ad ottenere la sua borsa di studio alla Yale. E ne era così felice! Non era mai stata una ragazza molto amichevole ed infatti aveva pochissimi amici, quasi nessuno a dire il vero. Quando le era arrivata la lettera d'ammissione, ne era rimasta entusiasta e lo erano stati anche i suoi genitori, Patrick e Veronica. Le avevano organizzato anche una festa d'addio, avevano invitato tutti i ragazzi e le ragazze della sua scuola, ma si erano presentate solo quattro persone: la sua migliore amica Cindy, il fidanzato di Cindy, Harry, e due emarginati punk. Non che la cosa le fosse dispiaciuta, anzi, era felice che i due emarginati punk si fossero aggiunti alla sua festa d'addio, la resero così chic. I suoi naturalmente rimasero a bocca aperta vedendo che la figlia avesse così pochi amici, loro pensavano naturalmente che lei fosse come una di quelle stangone belle e popolari che girano nelle scuole superiori Americani. Purtroppo non era stato così per lei. La cosa non imbarazzava affatto Anne, ma le era dispiaciuto un mondo vedere i suoi genitori così sconfortati da quella terribile festa d'addio. Erano seriamente convinti che lei fosse desiderata da tutti, non era così. Anzi, molto spesso una ragazza al liceo la prendeva di mira, tutti i giorni, dal primo anno.. e lei non era mai riuscita a capire il motivo per il quale la odiava così tanto. Non le aveva fatto nessun torto, ma ce l'aveva a morte con lei. Più volte aveva pensato che se lo sguardo avesse potuto uccidere, lei sarebbe di certo morta per mano sua. Ma ora, ora era alla Yale University. E nulla poteva renderla più felice. Guardò l'orologio: le undici. Roteò gli occhi, i quali si fermarono su un volantino che aveva sulla scrivania: festino della 'confraternita ΓΧΡ' famosissima per le sue feste grandiosi e gli innumerevoli scherzi a studenti delle altre confraternite e agli insegnanti. Forse era ancora in tempo per quella festa. In fondo, come dice Fergie 'A little party never killed nobody', perciò con questa canzone nella testa si mise dei semplici jeans ed un maglione della Yale University che le avevano dato non appena era entrata all'università. Prese le chiavi della sua stanza ed uscì. L'aria autunnale la travolse come nel mezzo di una bufera e la fece rabbrividire. Le foglie rossicce e gialline le atterravano vicinissime, poi arrivò alla macchina e vi entrò. Raccolse i lunghi capelli castani, ai quali aveva da poco applicato uno shatush di un colore leggermente più chiaro e poi infilò le chiavi per accendere il motore. Si era sempre ritenuta abbastanza carina, ma quella sera, quella sera le sembrava di essere una terribile zoticona annoiata che non sapeva cosa voleva seriamente dalla vita. Ed era così, forse. Guardò il suo riflesso nello specchietto retrovisore e poi mise in marcia la macchina.

Raggiunse in non molto la casa della confraternita e nonostante fosse in macchina riusciva a sentire la musica sparata a palla già dalla sua vettura ed in secondo il cuore le balzò nel petto. Era stata così concentrata nel suo studio che non si era mai seriamente preoccupata di come ci si dovesse vestire, truccare o presentare ad una festa. Guardò fuori dall'auto ed in quel momento rimpianse di aver messo solo quei tremendi jeans.. tutte le ragazze, seppur ubriache, erano splendide nei loro cortissimi vestiti. E lei.. Anne era solo Anne. Prese un gran respiro, poi uscì dall'auto, la chiuse ed incominciò a camminare verso la casa, eccitata come non mai. Quella era la sua prima festa e non vedeva l'ora di entrare nel mondo dell'università. Alla porta della confraternita, c'era un ragazzo dai capelli corvini ed una corporatura massiccia allacciato a due ragazze evidentemente ubriache fradice che sghignazzavano a destra e manca. Il ragazzo era intento a bere da un bicchierino rosso che alzava in aria di tanto in tanto quando uno dei suoi confratelli entrava o usciva. Anne si avvicinò verso l'entrata ed immediatamente una delle ragazze iniziò a ridere tremendamente, così Anne si fissò rapidamente dal basso verso l'alto, senza però trovare nessun capello fuori posto, nessun outfit imbarazzante e si, non si era dimenticata i jeans a casa.

<< C'è qualcosa che vi diverte così tanto? >> disse fulminandole con lo sguardo. Una delle ragazze si staccò dal ragazzo per andare a vomitare mentre l'altra, contorcendosi sghignazzò ancora una volta.

<< Certo, uhm tesoro.. ricorda che alle feste si viene solo con le gambe scoperte >> disse la ragazza ridendo più forte.

<< Mi dispiace mia cara se non sono così sgualdrina come te, vedrò cosa sono in grado di fare la prossima volta >> disse Anne lanciandole un tono di sfida. Il ragazzo sghignazzò in sua direzione.

<< Cosa c'è cazzone? C'è qualcosa che turba anche te? >> disse.

<< Nulla >> disse il ragazzo zittendosi. << Puoi entrare troietta >> disse la ragazza cadendo al suolo.

<< Grazie cara, buona notte.. >> disse Anne sorpassandola. Si bloccò un momento e si guardò indietro: << Secondo me ti conviene portarla al pronto soccorso, non si sa mai che la tua ragazza sia morta.. sarei un testimone tremendamente scomodo, non credi? >> disse ridendo. Il ragazzo accennò ad un sorriso che spense subito, le fece una smorfia e poi si allontanò dall'ingresso. Complimenti per l'efficienza, si disse.

Dall'interno la musica era ancora più alta di quanto pensasse ed ora le sembrava davvero di trovarsi nel mezzo di un night club: ragazzi che scolavano intere bottiglie di solo Dio sa cosa e ragazze che ballano sensualmente ovunque. Nonostante questo, Anne si diresse verso il bar e si sedette su una delle numerose sedioline.

<< Cosa ti porto? >> disse il barista.

<< Ciò che vuoi, va bene tutto >>. L'uomo annuì e poco dopo le servì il drink che fece scendere velocemente per la gola e poco dopo ne ordinò ancora ed ancora ed ancora. Dopo quello che poteva essere il quinto, iniziò a blaterare qualcosa sulla fisica e sulla chimica, per finire col parlare con una bottiglia di birra sul tremendo comportamento delle ragazze a quella festa.

<< Non credi anche tu che queste ragazze siano solo delle gallinelle? >> disse con un bicchiere in mano. Rise di gusto e poi bevve l'ultimo goccio della bibita.

<< Da quale pulpito >> disse una voce.

La ragazza si volse nella direzione da cui proveniva la voce e vide con suo tremendo stupore che apparteneva al ragazzo di prima.

<< Oh per piacere! Non dovevi essere all'ospedale con quella là? >> disse facendo segno al barman di riempire ancora il bicchiere.

<< Sentiti! Anche tu farai la stessa fine tra poco, immagino >> disse spostandosi di una sedia. Anne si alzò, con in mano il bicchiere pieno ed iniziò a traballare nei suoi stessi piedi. Ridendo toccò il ragazzo ripetute volte sul petto come per rimproverarlo.

<< Credo tu sia ubriaca >>

<< Ha parlato quello sano, perché non vai a curare la tua ragazza? >>

<< Mi spieghi perché parli di lei? Vai a casa >>

<< Ma io voglio solo ballare e bere >> disse cominciando a ridere e saltare.

<< Okay, allora provvedo io >> disse il ragazzo. Non le lasciò il tempo di spiegare e la prese per le gambe.

<< Brutto maniaco! Mettimi giù >> cominciò a blaterare, ma prima che se ne rendesse conto aveva già chiuso gli occhi ed aveva iniziato a dormire, mentre lo sconosciuto, che così tanto sconosciuto non era la metteva al riparo da ubriachi universitari.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO QUATTRO: campo minato ***


CAPITOLO QUATTRO: campo minato


1945 D.C

Napoli, Italia
 

Una giovane donna, cammina preoccupata per una via desolata e fredda durante i primi minuti dell'alba di un giorno festivo di Ottobre. La ragazza trema dal freddo, ma tiene stretto al suo petto un piccolo fagottino nel quale era concentrata tutta la sua attenzione. Si guarda le spalle più e più volte, come se fosse spaventata da ciò che la circonda. La giovane donna alza il viso al cielo e vede una goccia di pioggia che le cade immediatamente sulla guancia e la riga, come fosse stata una lacrima. La donna si ferma per un attimo, si guarda nuovamente le spalle e poi inizia a camminare velocemente, sperando tra sé e sé che la pioggia non le impedisca la camminata. Dopo pochi minuti si ferma sotto un portico, cingendosi ancora una volta al petto il fagotto: respira a pieni polmoni e ricomincia a camminare, questa volta più velocemente. Questa volta inizia a piangere, prima silenziosamente e poi sommessamente, bagnando con qualche lacrima il fagotto. Spaventata dal brutto tempo e dai botti che provengono dal centro, si allarma e si nasconde dietro un altro portico, in tempo per vedere una macchina delle SS attraversare la strada a grande velocità. Trattiene il fiato e reprime i singhiozzi del pianto e spera con tutto il suo cuore che nient'altro possa creare un frastuono tale che i soldati nazisti potessero scendere dal veicolo per controllare. Così fu. I soldati continuarono il loro percorso con il loro veicolo ed in pochi secondi la strada ritornò ad essere desolata. E per la prima volta nella sua vita, ad Anne piacque. Tirò un sospiro di sollievo e si aggiustò il giubbotto che teneva. Sistemò la Stella di David che vi era cucita e poi asciugò le ultime tracce di lacrime che le erano rimaste e ricominciò a mettere un piede davanti all'altro per ricominciare a camminare. Era straziante quella lenta e titubante marcia che la separava da un destino tragico. E la faceva sentire tremendamente uno schifo. Peggio dei commenti che gli ariani facevano contro lei e gli altri Ebrei. Peggio di vedere la tua famiglia portata via su uno di quei grandi carri verdi, da cui tutti bene o male, sapevano che non saresti mai ritornato. E lei sapeva, che la sua famiglia non sarebbe più tornata da lei e questa 'cosa' la faceva sentire malissimo. Perché lei era sfuggita alle forze naziste che le avevano strappato l'unica cosa a lei più cara: la sua famiglia. Non avrebbe mai più visto la sua tenera madre che ogni sera le pettinava i capelli cantandole una canzoncina che l'aiutava a dormire.. perché era così. Con la guerra aveva paura di tutto, di tutti e aveva paura in ogni momento della giornata. Era già da quasi un anno che non andava più a scuola e non c'entravano solo le leggi razziali. A ricordare di quell'evento le scese un'altra lacrima che finì nel fagotto, che improvvisamente si mosse. Mosse il faggottino, cullandolo un po', fino a quando non vide che il piccolo essere all'interno si era nuovamente addormentato: un bambino, di pochissimi giorni. Il suo bambino. Le aveva impedito di andare a scuola, nonostante la giovane età, sedici anni, aveva voluto comunque tenerlo.. ma ora, in periodo di guerra voleva solamente tutelarlo al meglio e se anche la cosa le provocasse un dolore immenso al cuore era sempre più convinta che quella fosse la giusta decisione per lei ed il suo piccolo. Pianse ancora durante il tragitto, fino a quando non arrivò di fronte ad un istituto di suore: l'Annunziata. Era un istituto nelle quale le suore si occupavano di piccoli orfanelli che venivano lasciati davanti all'istituto quando le madri non erano in grado di badare a loro. Ed era proprio il suo caso. Per quanto le costasse quel gesto, prese forza, girò la ruota che avrebbe messo il suo piccolo nell'istituto e ve lo mese dentro. Prima di far girar la ruota e di non vederlo più però, lei prese un foglietto di un santino e lo strappò. Lo mise nel fagottino del figlio, che non aveva ancora ricevuto un nome e lo baciò. Guardò il suo bambino che improvvisamente aprì gli occhi, marroncini con qualche leggera sfumatura verde. Le si strinse il cuore vedendo la sua piccola creaturina che aveva partorito diversi giorni prima iniziare a lacrimare e poi a strillare sommessamente. Lo baciò per un'ultima volta, mentre il piccolo piangeva ancora e poi a malincuore suonò la campana, la quale avrebbe attirato una delle suore e avrebbe recuperato il bambino. Girò la ruota e se ne andò, correndo più forte del dovuto e quando fu abbastanza distante si accasciò a terra piangendo, questa volta più sommessamente delle precedenti. Dopo interminabili minuti, la donna decise di smettere di piangere, si asciugò le lacrime nel cappotto, cercando di tirarsi su il morale. Si era detta che avrebbe ripreso suo figlio subito dopo il dopoguerra, che sperava arrivasse presto e in quel momento avrebbe passato tutta la sua vita con lui, non lasciandolo mai un istante da solo. Si alzò dal suolo e ricominciò a camminare, vagando per le strade napoletane come uno straniero in una città sconosciuta. Poi li sentì. Rumori incalzanti, provenienti dalla fine della strada, sempre più vicini, sempre più pericolosi. E riconobbe immediatamente chi erano. Erano le SS e lei era così sola, così triste, così devastata che desiderava solo che la guerra finisse per riavere tra le braccia il suo piccolo, a cui non aveva ancora dato un nome. Corse ed in fretta e furia sperava di trovare un riparo nel quale non l'avrebbero riconosciuta in modo da scampare ancora per una volta l'allontanamento dalla sua città per andare chissà dove.

E poi accadde: un'altra macchina si fermò esattamente davanti a lei, parlando un tedesco troppo difficile per lei, l'unica cosa che capiva era che non l'avrebbe passata liscia. Non questa volta. Un soldato le si avvicinò, con aria autoritaria, mentre un altro le era ancora più vicino.
<< sagen Sie ihr, still zu sitzen! >> disse una delle guardie, e l'altra annuì.
<< Dice che devi stare ferma >> disse quella alla sua sinistra, traducendo quello che probabilmente era tedesco.
<< Salze mituns* >>. La guardia a sinistra non tradusse, la prese solamente per un braccio e la trascinò sulla volante. La fece accomodare sul sedile posteriore e mentre l'altro iniziava a mettere in moto, la donna si contorceva dalla paura. La guarda italiana fissava lo specchietto della guardia tedesca, poi le iniziò a parlare:
<< Ascoltami, non so cosa succederà per te, vorrei solo dirti che mi assicurerò che tutto vada per il meglio con tuo figlio, ma devi darmi quel pezzetto di carta >> disse sottovoce, per non farsi sentire dal soldato tedesco.
<< Sono menzogne! Non ho nessun figlio! >> disse lei in risposta.
<< Non è vero, Anna. Te ne prego >> disse lui sfiorandole una mano.
<< Come si permette di toccarmi? E di accusarmi di mentire?! Non mi tocchi! >> disse furiosa.
<< Senti, so che ti sembrerà strano, ma è una cosa importantissima. So che non mi credi né altro, ma posso davvero prendermi cura di lui, ti prego >> le disse guardandola negli occhi per qualche secondo per poi distogliere lo sguardo.
La donna stava per rispondergli, stava per dargli il pezzetto di carta, quando ad un tratto la guardia tedesca si fermò in un vicolo ed iniziò a parlare: << wir hier angehalten, Danny* >> disse all'uomo e lei capì solo quello che probabilmente era il nome del soldato italiano che le stava offrendo protezione, stava offrendo protezione al suo bambino. Ma come faceva a sapere del suo bambino? Come poteva fidarsi? Anche suo figlio era ebreo e chissà cosa gli avrebbero mai fatto.
<< Devi scendere, Anna >> disse il soldato italiano.
<< Cosa? Che ci faccio qui? >> disse titubante uscendo dall'auto. Il soldato tedesco pronunziò altre parole che lei non capì e mentre il soldato tedesco si accingeva a cercare qualcosa nella sua vettura, Danny la stava conducendo verso un muretto non tanto distante dall'auto.
<< Cosa succede qui? >>
> disse cercando di risultare autoritario.
<< Sa come funzionano queste cose, tenente.. >> disse la suora continuando a guardare il pavimento.
<< Lo so, non sarei venuto se non volessi provare che è mio figlio >>
<< E come mai è stato abbandonato in un orfanotrofio? Me lo dica signor tenente >> disse la suora, questa volta osservandolo negli occhi.
<< Mia moglie non si sentiva pronta per lui, ma io, io si. Perciò non importa se a lei non va bene, io lo crescerò >> disse l'uomo alzando un sopracciglio.
<< Mi segua >> disse la suora facendo strada al tenente, e mentre l'uomo entrò all'interno dell'orfanotrofio sentì un urlo squarciare l'istituto.
<< Ecco il santo, ora mi porti dal bambino.. velocemente! >> disse l'uomo. La donna non parve capire, ma lo condusse al fagotto, che qualche tempo prima era stata lasciato davanti all'istituto.
<< È dentro questa stanza, potete prendervi tutto il tempo che volete e poi andare insieme al bambino >> disse la suora abbandonando la sala. Nella stanza però non vi era solo il figlio di Anna, ma lei. Lei. Demetra, sua 'moglie'.

<< Mio dio, quanto carino è questo piccolo e tenero bambino? >> disse accarezzando una guancia del pargolo.
<< Lascialo, per favore! >> disse Danny.
<< Sei diventato così rammollito? Insomma, da te non me lo aspettavo! >> disse la donna, che continuava a cullare il bambino mentre stava seduta su una sedia a dondolo.
<< Lascialo, Demetra >> disse.
<< Quant'è bello, non credi? Ho sempre desiderato avere un bambino.. non hai mai voluto darmelo >> disse nostalgica fissando il vuoto.
<< ..è questo ciò che desideri Demetra? Un bambino? Posso, posso dartene uno >> disse Danny.
<< Oh, non diciamo sciocchezze, Dioniso. Certo, lo voglio un bambino, ma voglio un nostro bambino >> disse accarezzando ancora il piccolo pargolo.
<< Posso, posso fartelo avere >>
<< Certo, so che puoi.. ma questo per te non cambierebbe nulla per il nostro rapporto. Io sarei sempre una moglie che non vuoi, madre di un figlio che hai procreato solo per non aumentare la mia ira, perciò penso che non lo voglio. Sai.. l'eternità è così lunga.. ed io non mi butterò giù, insisterò fino a quando mi vorrai finalmente e solo lì avremo la nostra famiglia e finalmente, tu mi amerai quanto me >> disse Demetra continuando a cullare il bambino.

<< Sai che mai sarà così >>
<< Oh, non fare il poeta più di quanto tu già non lo sia stato >>
<< Lascialo, ti prego >>
<< Sai cosa? Penso che questa sia stata la morte che preferisco. Insomma, giovane, da poco madre e.. morta. Perciò, il suo piccolo pargolo posso anche lasciarlo a te, tanto.. ormai la sua sporca madre è morta! Buon anno Dioniso, direi che ci rivedremo, mi raccomando cibalo adeguatamente >> disse la donna prima di lasciare la stanza e dissolversi, lasciando il fagottino sulla sedia. Dioniso si chinò per prenderlo e quando lo prese si trasformò in cenere. Il dio non ci poteva credere, ancora una volta sua moglie lo aveva illuso, ed anche questa volta non poté fare altro che inginocchiarsi e piangere per la sua amata ed il bambino, che nonostante non fosse il suo aveva cercato di proteggere. Ma lei, lei era ovunque. Arrabbiato con il mondo uscì dall'istituto con la copertina che proteggeva fino a qualche secondo prima il bambino, annusò l'odore di Anna che era rimasto impresso nella copertina e se ne andò. Camminando a vuoto, camminando velocemente e poi piano. Senza una reale meta. Solo dove probabilmente sarebbe stata Anna. 'Ovunque' si disse. Così ricominciò la sua nuova vita, camminando.



*Salze mituns: Sali con noi

*wir hier angehalten, Danny: Fermiamoci qui, Danny

* hat es dortund halten Siees fest, Danny: vai lì a tenerla ferma

* michhier, ich muss zu meinem Bruder, Sergeant Lucassprechen: mi faccia fermare qui, devo parlare con mio fratello, il sergente Lucas

* Alles, was Sie wollen: tutto ciò che volete


 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO CINQUE: l'arancione è il nuovo nero ***


CAPITOLO CINQUE: l'arancione è il nuovo nero


1891 D. C

Philadelphia, Pennsylvania

L'aria era gelida fuori. Tremendamente gelida. Anche per una guardia federale era tremendo stare al freddo durante l'inverno. Stare al freddo in mezzo al nulla. Ed era esattamente ciò che odiava fare Arthur, anche se quello non era esattamente il suo vero nome. Lui era lì non di certo per vocazione verso la giustizia e neppure per racimolare qualche soldo in più. Niente affatto. Era una vita che la inseguiva, era una vita che cercava di salvarla, senza nessuna vittoria sfortunatamente. Lui era lì per lei. Era lì per una delle detenute.

Quella vita per lei era così distruttiva, forse la più brutta fino ad allora. Arthur non aveva mai pensato a lei in quel modo, seppur anche lui avesse avuto a che fare con la guerra per diverso tempo non era mai riuscito ad immaginarsela in un posto così squallido. Neanche per un secondo. E neppure adesso riusciva a capacitarsi del modo in cui viveva l'amore leggendario della sua vita. Lei non lo sapeva ancora naturalmente, lo sapeva, una volta. Ora non ne era certo. Naturalmente nel suo cuore aveva ancora un piccolo frammento di quella che era stata la sua prima e vera vita. Quella che sua moglie aveva tolto a lui, all'amore della sua vita ed a suo fratello. Gli sembrava di impazzire.. e non era di certo la prima volta.

Volse il viso verso il prato, nel quale erano ammassate le detenute, che indossavano tutte rigorosamente una divisa arancione. In quel momento erano tutte ammassate l'una contro l'altra nel tragico tentativo di scaldarsi a vicenda. Nonostante vi fossero delle incomprensioni l'una con l'altra nessuna di loro poteva o voleva sottrarsi ad un po' di calore umano. Ai lati del cerchio vi erano le detenute più anziane, che avrebbero concluso la loro vita a marcire in quello che veniva definito il penitenziario più all'avanguardia di quel tempo.. ma per una guardia non gli sembrava affatto così. L'Eastern State era un penitenziario tremendo, nonostante le carcerate fossero tutte donne in quel luogo succedeva di tutto. Nonostante fosse un penitenziario, all'interno trafficava di tutto: dal tabacco all'oppio, dall'oppio alla birra e tutto ciò non faceva altro che stupire Arthur, perché diamine, quel posto era come ritrovarsi a piede libero nella città. Il governo si era fatto in quattro per dare alla caccia a delle criminali, per giustiziarle, cercare di dare una scossa alla loro vita togliendole dai brutti giri.. e poi venivano piazzate in un penitenziario in cui girava di tutto. E questo mandava Arthur in bestia ogni secondo della giornata. Era da quattro anni che lavorava lì, quattro anni che la seguiva con lo sguardo sperando che lei lo riconoscesse in qualche modo. Ma non era mai stato così.

Annette (Ana) Vauman era l'amore della sua vita e non poteva credere che in quella vita lei fosse una tremenda assassina. Per quanto gli riguardava, lo era. Era arrivata al penitenziario in una bellissima giornata di maggio, la tipica giornata in cui gli uccellini cinguettano ed il sole è alto nel cielo. Era stata portata al penitenziario da Mary, anche chiamata Car poiché essendo l'unica detenuta con la patente e ritenuta abbastanza sana di mente trasportava le detenute da un posto all'altro. Accanto a Mary quel giorno vi erano anche quattro guardie federali, due delle quali erano state profumatamente pagate dal governo per trasportarla dal Mississippi alla Pennsylvania. E non appena incontrò il suo sguardo capì immediatamente che la sua splendida, pura e candida Anne non c'era più. Almeno non quell'anno. Quell'anno al suo posto vi era una giovane donna di ventitré anni che si era intrufolata nella casa del suo ex marito e aveva ucciso la sua nuova donna per poi farsi un bagno utilizzando il sangue della compagna del suo ex marito ed indossando il vestito da sposa della compagna dell'ex marito, che avrebbe dovuto mettere al matrimonio. Una vicina allarmata aveva chiamato la polizia e questi avevano trovato la donna immersa nella vasca a fare un riposino, noncurante della straziante fine che aveva inflitto alla nuova compagna dell'ex marito. Ed era così che era arrivata al penitenziario, carica d'odio, carica di pazzia e coinvolta in un brutale omicidio che le aveva procurato la pena massima: l'ergastolo. L'avrebbe perciò vista crescere, invecchiare fino a quando non si sarebbe spenta dentro a quell'orribile penitenziario, solo perché era stata lasciata dall'ex marito.

<< Rientrate! >> urlò una delle guardie. E fu così che la vide ancora una volta, la donna si girò dalla sua parte sfoderando un freddo sorriso, gli occhi di Ana risaltavano moltissimo nel suo viso. Ora fissava Arthur con uno sguardo che lo faceva scogliere, nonostante fosse una divinità che viveva da moltissimi anni. Rivederla era come ritornare indietro nel tempo, alla prima volta che l'aveva conosciuta nell'antica Grecia. Guardarla troppo però significava tirare fuori gli scheletri dall'armadio, ricordarsi del motivo per il quale era costretto solo a fissarla da così lontano. Più lontano di quanto volesse seriamente ammettere e tutto ciò lo demoralizzava.

Non appena rientrarono dell'edificio, una sirena s'illuminò creando frastuono nell'intero edificio: era il segnale che le detenute dovevano svolgere un'attività, naturalmente sotto lo sguardo attento delle guardie. Un gruppetto di donne anziane si diresse, scortate da una guardia all'esterno per poi entrare in quella che era la serra, infatti si poteva praticare giardinaggio per tutte le donne che, ormai sciupate dalla vecchiaia non potevano più essere utili per il penitenziario. Altre invece si dirigevano in aule in cui potevano riparare oggetti, creare banner e quant'altro. Anne voltò il capo in sua direzione ancora una volta prima di entrare in una delle enormi porte di legno del penitenziario. Mentre le detenute svolgevano attività che sarebbero dovute tornare utili in modo da farle ritornare la ragione, lui pensava solo al fatto che Anne aveva raggiunto ancora di più la pazzia in quel luogo, infatti la maggior parte delle malattie mentali erano causate dall'isolamento.

Ana alloggiava in una stanza molto piccola, con una finestrella e chiusa da un'enorme porta di legno e metallo, che servivano per impedire la fuga delle detenute. Vi era anche una parte dedicata ad un isolamento ancora peggiore: le persone più pericolose venivano messe in stanze con soffitti e pareti altissime, muri spessi e nessuna finestra.. era questo il luogo in cui Ana era impazzita. Dopo aver trascorso un mese e mezzo all'interno di quelle 'celle' Ana era uscita come un'altra persona. Andava blaterando di strane visioni di donne che le apparivano e che le dicevano di stare dalla sua parte. Probabilmente, come aveva suggerito il medico, era tutto frutto della sua immaginazione che le aveva causato sia un malessere fisico che psicologico. Quando aveva lasciato la 'cella', le guardie avevano trovato diverse scritte di Ana che aveva creato con le unghie e qualche volta del sangue, per questo motivo ora, fuori dalla sua stanza sostavano delle guardie che la controllavano ogni minuto della giornata. E quel giorno toccava proprio ad Arthur sorvegliarla. Adorava sorvegliarla, poiché durante quel lasso di tempo poteva osservarla da così vicino che poteva osservare le sue sopracciglia accigliarsi non appena le si avvicinava.. perché loro parlavano. Parlavano di libri, del tempo, delle festività e molto altro. Anche se non era esattamente permesso, Arthur si giustificava dicendo che lei credeva di parlare con una delle donne delle sue visioni e che parlare con loro la faceva stare meglio. Ed era così: secondo il dottore, parlare con Arthur/le donne le stava seriamente giovando alla salute. Era per questo che lo facevano lavorare con lei più e più volte alla settimana.

Non appena lo vide, ad Ana si illuminarono gli occhi e per quanto fosse orgoglioso da ammettere anche al Dio della guerra Ares balzò il cuore nel petto. Si trattenne dal correrle vicino e dal sollevarla per poi baciarla e rimanere a fissarla per tutto il tempo. Gli mancava così tanto un contatto con lei. Un vero contatto, ed invece non poteva neppure sfiorarla. "Nessun contatto con le detenute" era la regola principale del penitenziario, nemmeno un'amicizia.

<< Hai portato le carte, mi querido? >> chiese con un perfetto accento latino ispanico. Ana proveniva da qualche quartiere ispanico, di cui non aveva mai voluto accennare se non al suo avvocato.

<< Mi dispiace, per oggi dovremmo farne a meno >> disse Arthur fissandola accuratamente. Aveva una piccola cicatrice sopra il sopracciglio destro che la rendeva ancora più intrigante di sempre.

<< Che peccato! >> disse Ana sedendosi al tavolo, si mise degli occhiali neri riparati al centro con dello scotch nero e si fissò le mani.

<< Come stai? >> chiese Arthur.

<< Muy bien, e tu? >>

<< Abbastanza bene, grazie >> disse Arthur chiudendo per qualche minuto la conversazione.

<< Come sta tu novia? >> disse fissandolo finalmente negli occhi e poté vederle addirittura lo stomaco. Erano quelli gli occhi che bramava da sempre.

<< B-bene, mia moglie sta bene >> disse tossicchiando.

<< .. vino en prison la settimana scorsa a trovarmi, es muy amable >> disse sorridendo ad Arthur.

<< C-cosa.. è venuta? >> disse preoccupato.

<< Si, me ha dicho che il mio ex marito verrà a trovarmi questa settimana nel giorno di visite >> disse contenta.

<< Come scusa? >> disse.

<< Claro, gli manco >> disse avvicinandosi. << Mi ha anche detto che verrà un prete! Sabes que significa? Vuole sposarmi, Arthur! >> disse entusiasta lasciandosi cadere sulla sedia.

<< Non è possibile, mia moglie mente spesso Ana >> disse.

<< Non è affatto vero! Tu mujer es honesta! >> disse arrabbiata.

<< Non è possibile! >> urlò Arthur scaraventando con forza il tavolo dall'altra parte dell'abitacolo. << Non è possibile >> disse fumante di rabbia, avvicinandosi ad Ana. << Tu, no, tu non puoi >> disse alzando una mano in aria, come per volerle fare una carezza, ma poi la ritrasse subito. Ana nel frattempo si era coperta con le mani il viso, spaventata dalla situazione.

<< Scusa, non avevo intenzione di spaventarti >> disse Arthur sedendosi sulla sedia, che fortunatamente non aveva buttato dall'altra parte della stanza. A questo punto Ana aveva tolto le mani dal viso, mostrandosi mentre iniziava a piangere.

<< No te preocupes >> disse asciugandosi le lacrime con la manica dell'uniforme.

<< .. è che >> disse Arthur, ma poi si lasciò andare e la baciò. La donna inizialmente parve staccarsi da lui, ma poi ricambiò il bacio. Arthur si sentì sollevato di ricevere per la prima volta dopo tanto tempo un suo bacio. La amava così tanto, e lei era così lontana da lui da così tanto tempo.

Dopo minuti interminabili l'uomo si stacco da lei solo per fissarla sorridere come mai prima d'ora. E ad Arthur piacque la sua risata che si diffondeva per l'abitacolo, ma in quel momento la porta si aprì, mostrando sua moglie.

<< Cosa diamine state facendo?! >> urlò la donna.

<< Ti prego, no! >> disse Arthur.

<< Guardie!! Accorrete! Una guardia ed una detenuta sono sospetti! Guardie! >> urlò, fino a quando due agenti non si avvicinarono alla ragazza.

<< Prendetela e lasciatela marcire in isolamento, nessun contatto, con nessuno. Ci penserò poi io domani >> disse la donna. Arthur fece per sorpassarla, ma sua moglie lo bloccò.

<< Non pensavo tu fossi così sciocco Ares, forse ti sopravvalutavo >>

<< Per l'ultima volta.. lasciala stare! >> disse Arthur.

<< Oh no tesoro. La lascerò in pace solo una volta, e quella sarà l'epoca decisiva, sfortunatamente io non potrò mettere fine alla sua stupida esistenza quell'anno. Ma giuro, che la farò morire, ogni anno, ogni giorno di queste stupide e terribili sue esistenze che avrebbero dovuto far capire in cosa ti stai cacciando >>

<< Lo vedremo >>

<< Eccome, tesoro.. goditi il suo funerale domani >> disse sorridendo malignamente. Poi se ne andò, mentre dall'infermeria si alzava un urlo tremendo che squarciò la quotidianità del Penitenziario, così stremato e triste si lasciò cadere sulla sedia nella quale era stato seduto fino a pochi istanti prima.
 

[*mi querido: mio caro

* tu novia: la tua sposa

*vino en prison: è venuta in prigione/ es muy amable: è molto gentile-disponibile

*tu mujer es honesta: tua moglie è onesta]

 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO SEI: pazzia portami via ***


CAPITOLO SEI: pazzia portami via



New York, 1973 D.C

 

Il cielo era cupo dall'esterno del tetro edificio in cui lavora Anne. Era uno dei luoghi più terribili del mondo, ma era pur sempre un lavoro. Un lavoro che le assicurava un tetto sopra la testa ed i soldi per mangiare. Sicuramente non era uno dei lavori per i quali aspirava da quando era ragazzina, ma non sempre era terribile. Beh, non lo era fino a quando qualcuno all'interno non uccideva qualcuno dello staff o uno dei suoi vicini, oppure quando qualcuno si uccideva. Fino a lì, era più o meno sopportabile. Non certo una cosa spettacolare, ma tentava di andare avanti. Dalla finestra osservava il temporale, l'acqua che picchiettava contro le sudice finestre, che non venivano lavate a dovere. Beh, in realtà nulla era seriamente lavato a dovere in quel posto. Neppure i pazienti. Anche se avrebbero dovuto avere un occhio di riguardo, ma se ne preoccupavano solo quando al manicomio dovevano arrivare dei giornalisti (sgraditi, naturalmente), il sindaco oppure degli operatori per controllare che l'istituto fosse a norma. Ovviamente tutte quelle persone erano assolutamente sgradite per la signora che gestiva il tutto dentro il manicomio. Erano sgradite perché naturalmente l'istituto andava pulito da cima a fondo e necessitava di tutto l'aiuto possibile. Alcune volte aveva addirittura chiesto ai medesimi pazienti di lavare le loro celle, ma quando avevano dato gli attrezzi per pulire, la maggior parte di loro li teneva per poi colpire qualcuno dello staff, oppure li usavano per togliersi la vita. Si, perché nonostante la maggior parte fosse dei criminali suicidi volevano solamente uscire dalla quotidianità. In molti avevano tentato di evadere, ma nessuno di loro aveva mai seriamente varcato l'uscita. Non l'avevano fatto non per le conseguenze delle loro azioni, ma perché fuori di lì non avrebbero saputo come mandare avanti le proprie vite, ed era vero. Dipendevano in tutto e per tutto dagli operatori dello staff, non che la cosa dispiacesse. Per le infermiere più vecchie e più fuori di testa era qualcosa di meraviglioso, perché per loro è come avere tanti piccoli figli 'sperduti'. A volte è addirittura divertente guardarle mentre li accudiscono, beh, almeno quelli che preferivano.. altri erano tenuti in stati tremendamente disumani. Anne però non poteva lamentarsi, la paga era buona, i suoi pazienti non erano nemmeno troppo invadenti o fuori di testa.. volevano solo essere trattati come 'persone normali'. Ma cos'è la normalità? È normalità uccidere, senza battere ciglio, un proprio familiare? È normalità soffocare, nel sonno, il proprio figlio? È normalità credere di essere un soldato nazista? Non lo è affatto.

Anne si scrollò questi sudici pensieri di dosso, e mentre spingeva il carrellino del pranzo di alcuni dei suoi pazienti. Quell'anno ne ospitavano addirittura tremila. Era uno degli anni di maggiore necessità psichiatrica, ma già qualche volta Anne si era chiesta quanti avrebbero superato l'anno. Mille? Trecento? Settecento? Dieci? Chi lo sa.

<< ... è arrivato! >> urla da un angolo una delle tante dipendenti.

<< oh, è arrivato! >> annuisce un'altra, ma Anne non riesce a fare a meno di origliare.

<< Chi è arrivato? >> chiede indiscreta la ragazza, prendendo un vassoio e passandolo all'interno di una delle tante celle. La donna all'interno della cella, lo rimanda però indietro.

<< Mi rifiuto di pranzare! >> urla dall'interno.

<< Le prego di mangiare, Claude >> dice Anne.

<< Ma vi rendete conto per quale fottuto motivo sono qui?! >> impreca.

<< Si, fottuta lesbica >> urla una delle due infermiere avvicinandosi alle sbarre della cella.

<< Ora mangia >> riprende, ma Claude avvicinatasi allo spioncino le sputa in un occhio.

<< Brutta troia! Tranquilla, Anne, lei non ha bisogno del suo pranzo >> dice scaraventandolo contro il muro. Nel frattempo, dalle celle si alza un brusio indefinito per questo piccolo 'scontro' tra le due donne.

L'altra infermiera raccoglie il pranzo che la sua collega aveva scaraventato sul muro, mentre l'altra si asciuga gli occhi con la manica del camice.

<< Io vado nella zona C >> annuncia prendendo il suo registro, picchiettando nervosamente sulla cartellina rossa che sorregge tra le mani.

<< Perfetto, ci vediamo tra mezz'ora per la pausa pranzo, Mikela >> dice buttando tutto ciò che rimane del pranzo di Claude nella spazzatura.

<< Chi è arrivato? >> chiede Anne seguendola verso l'uscita del reparto D. L'infermiera però non riesce a proferire parola, perché proprio in quel momento passa un uomo. O un ragazzo. Avrà a malapena venticinque anni, pensa Anne.

<< Seguici, mostro! Affrettati, ci stai facendo sprecare la nostra pausa pranzo! >> urla un poliziotto, togliendosi il cappello blu e rosso.

<< Buon giorno signore >> dice il ragazzo. Ha i capelli ricci, trasandati e lunghi fino alle spalle. Sono di un colore marrone scuro, probabilmente per la sporcizia e gli occhi verdi, belli da mozzare il fiato. Anne trasale quando il ragazzo le rivolge la parola e spera che non lo possa notare, altrimenti sarebbe la fine. 'Non mostrarti mai spaventata con i pazienti, fiuteranno la tua paura e ne approfitteranno' le aveva detto una sua amica, morta per mano di un paziente. E da quel giorno aveva cercato in tutti i modi di evitare il contatto visivo con qualsiasi paziente.

<< Cammina, mostro! E non rivolgere la parola alle signore! >> dice un vigilante, spingendo il ragazzo a camminare. Il ragazzo ricomincia a camminare, ma non appena svolta l'angolo ad Anne sembra di sentire un ghigno provenire proprio dal ragazzo.

<< Si può sapere chi diavolo è? >> urla Anne.

<< Oddio, sul serio non hai idea di chi lui sia? Eppure è un tuo nuovo paziente, ti occuperai tu di lui, cioè, mi stupisce il fatto che la direttrice l'abbia assegnato a te.. cioè un mostro psicopatico così! A te! Ti potrebbe divorare da un momento all'altro ! >> urla eccitata la donna.

<< Fanculo Clara! Mi dici chi cazzo è quello? >> urla spazientita Anne.

<< Calmati, tesoro! Comunque, lo scoprirai ben presto dal momento che gli devi portare il pranzo >>

<< Fanculo, non mi muovo da qui senza sapere chi cazzo sia! >>

<< Li leggi i giornali? >> chiede con ironia.

<< Fanculo Clara, lo scoprirò da sola >> urla Anne allontanandosi con la cartella dei pazienti in una mano ed il vassoio del nuovo detenuto nell'altra.

Segue le indicazioni sulla cartellina, c'è solo scritto 'settore F, cella 145- Paziente numero 148204729038 Dennis Thompson- 21 anni- maschio- nessuna intolleranza alimentare'. Quando arriva al settore F, la luce al neon è tremolante e sembra in procinto di affievolirsi e spegnersi da un momento all'altro. Mentre si dirige verso la cella di Dennis, sente lo stomaco rivoltarsi quando sente l'odore di urina provenire da diverse celle. Ha tutto sottosopra e quando si ferma dinnanzi la cella che riporta il numero '145' non riesce ad evitare di trattenere il respiro. Le norme di procedura dei nuovi pazienti ( a meno che non vi sia qualche specie di cambiamento di programma) impongono che l'infermiera entri nella camerata due volte al giorno per mezz'ora, per pranzo e cena, per un'intera settimana. E questa cosa iniziava a terrorizzarla. Si dà uno schiaffo sul viso roseo e si fa coraggio. Prende le chiavi e apre la serratura.

Quando entra, caccia la paura in fondo allo stomaco e poggia con timore il vassoio sul letto del paziente, un nuovo numero in mezzo a tutto quell'orrore.

<< Ecco qui il cibo, mhm, signor Thompson >> dice rompendo l'attimo di silenzio tra i due. Il ragazzo non sembra emettere alcun rumore, si limita a fissarsi le scarpe, mentre si mordicchia le unghie nervosamente.

<< Beh >> dice Anne con paura dopo cinque minuti. << Non ha intenzione di mangiare niente? >> chiede.

<< Mhm, non lo so. Me lo dica lei. Cosa ci fa qui? >> dice con tono strafottente.

<< I-i-io, devo essere qui per mezz'ora questa prima settimana con lei, due volte al giorno >> dice Anne rimanendo in piedi vicino alla porta.

<< Ma non mi dica! Lei si che è un'infermiera provata! >> dice sghignazzando.

<< I-i-io >> prova a dire Anne, ma nulla da fare. Il ragazzo le aveva tolto le parole di bocca. Neanche un momento per chiudere gli occhi ed il ragazzo le era addosso, era chinato sopra di lei, era più alto di una decina di centimetri e la fissava ardentemente. Anne non aveva la forza per emettere alcun tipo di suono.

<< Sa, sa signorina cosa si dice di me? >> bisbiglia all'orecchio, producendo un sibilo.

Anne trasale ed anche questa volta non riesce a proferire alcun tipo di parola.

<< Si dice che io sia uno spietato assassino >> dice ridendo e la risata prodotta da tale affermazione intimidisce Anne.

<< E-e-ed è così? >> chiede Anne, stupendosi di aver parlato.

<< Cazzo, certo che no, mia cara >> dice ridendo ancora una volta.

<< C-cosa ci f-fa q-qui? >>

<< Deve capire signorina, che è fin troppo indiscreta. Chiuda quella cazzo di bocca, e vada, credo che il tempo qui sia terminato >> dice staccandosi dal muro. Anne chiude gli occhi, inspirando e dirigendosi velocemente verso l'uscita della cella. Dennis le fa un cenno mentre varca l'uscita e non appena chiude la porta, si lascia cadere a terra, facendosi prendere dal panico più totale.

 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO SETTE: l'ultimo ballo ***


CAPITOLO SETTE: l'ultimo ballo

Francia 1348 D.C- Palazzo Fontainebleu


<< Non siate sciocca, milady >> disse il maggiordomo, pulendo il viso della giovane donna seduta su una poltroncina rossa.
<< Oh, andiamo! Bertard, non sia sciocco lei! >> dice ridendo, riversandosi all'indietro. In quel momento le sue serve si precipitano verso di lei, temendo il peggio.
<< oh, no, no. Non è necessario, tranquille! >> dice ridendo ancora una volta. L'enorme e bianca parrucca sbilancia il suo corpo in avanti, facendola ridere ancora di più.
<< Siete ancora in tempo ad annullare la festa! Sapete benissimo della peste, milady, la prego! >> dice Bertard implorandola.
<< Non se ne parla, mio caro! >> dice ridendo per l'ennesima volta alzandosi questa volta, dal divanetto rosso. Sorregge un bicchierino di punch alcolico tra le mani e si mette a danzare tra la pista, mentre ascolta il rumore delle carrozze fuori dalla dimora.
<< Oh! Senta Bertard! La sente? >> chiede eccitata avvicinandosi al suo maggiordomo.
<< No, mi dica milady >> dice l'uomo pulendosi il sudore dalla fronte.
<< Carrozze Bertard! I nostri ospiti! Qualche ora e qui sarà tutto al completo! >> dice entusiasta.
<< Spalancate le porte >> dice avvicinandosi verso l'enorme porta d'ingresso.
I servi fanno ciò che la donna domanda e nemmeno un minuto che centinaia di ospiti si riversano all'interno del palazzo di Fontainebleu. Fa una riverenza impacciata a causa dell'alcool assunto precedentemente e mostra un sorriso raggiante ai primi duca e principi che varcano l'entrata. Sa perfettamente che l'uomo della sua vita l'aspetta e non intende sprecare neppure un attimo della sua esistenza.
<< Un ballo in maschera, mio caro! >> dice facendosi legare la mascherina nera. Si liscia il lungo vestito di seta nera proveniente da Oriente prima di spruzzarsi un altro po' di profumo.
Si lascia trasportare dalle note musicali provenienti dal pianoforte al centro della sala da ballo e mentre gli ospiti fanno i complimenti per i meravigliosi arazzi e tappeti pregiatissimi, Annie non può evitare di sorridere ubriaca a tutti gli uomini. Adora le attenzioni e sempre le ha amate, soprattutto dal genere maschile. Le piace essere osservata e desiderata.
<< Milady, mi concedete questo ballo? >> chiede un uomo. E con un sorriso, Annie accetta il ballo, probabilmente perché è ubriaca, probabilmente perché è terribilmente convinta che troverà l'amore della sua vita, ma quando l'uomo le pesta un piede non può evitare di gridare ed in lacrime abbandona la sala.
<< Mon Dieu! Questi baroni sono tutti des ingrats *. Non hanno un minimo di beauté*. Disgustosi! E questa sera avrei dovuto conoscere il mio futuro mari*! >> disse tra se e se Annie.
<< Milady, mi dispiace interrompere le sue preoccupazioni.. ma non ho potuto evitare di ascoltare la sua sventurata storia >> disse un uomo da dietro una statua di marmo.
La donna fa un balzo per lo spavento, ma in qualche secondo si ricompone.
<< Oh, et qui seriez-vous* ? >> disse Annie lisciando l'abito nero. Gioca con le perline dell'abito per qualche istante prima di osservare il giovane negli occhi. Era difficile distinguere i suoi occhi a causa delle numerose candele sparpagliate da ogni parte.
<< Il Principe Ascanio Latorre, provengo da l'Italia. Est-ce que vous la connaissez?* >>
<< Mais oui *! L'adoro alla follia ! >>
<< Ne sono contento >> disse l'uomo sorridendo.
Annie non riuscì a trattenere un risolino isterico alla vista del sorriso mozzafiato del giovane. Dopo un attimo di spensieratezza, si ricompose, prese l'orlo dell'abito e fece per andarsene, quando il giovane la prese per il polso.
<< Non se ne vada via, milady >> disse angosciato.
<< Pourquoi?* >>
<< Mhm, è difficile da spiegare >> disse.
La donna tolse il polso dalla mano dello sconosciuto ed iniziò a camminare tra l'enorme corridoio che portava alla sua stanza. Il corridoio era infinito, intervallato ogni quattro metri da dipinti famosissimi, tavoli riverniciati d'oro e vasi di pura ceramica.
<< Allora mi dispiace, ma no >> disse fermandosi davanti alla sua stanza.
Lui le accarezzò i capelli dolcemente e lei prese una sua mano, posandosela sulla guancia.
<< Vuole entrare? >> chiese inconsciamente Annie.
<< Io? Dice, dice davvero? >>
<< Si! >> disse trascinandolo all'interno dell'abitacolo. Era una stanza piuttosto grande, con arazzi alle pareti, tappeti rossi preziosissimi, al centro vi era un letto a baldacchino ed ai lati vi erano delle sedie di color panna e grigie con dei cuscini ricamati. Dall'altra parte della stanza, vi era un tavolino di marmo e vetro e proprio sopra il tavolino vi era un lampadario impreziosito da pietre meravigliose e scintillanti.
<< Avete una camera très branché* >> disse l'uomo.
<< Merci* >>disse la donna sedendosi sul suo letto.
L'uomo si fermò in piedi, dinnanzi al tavolino, toccando il rivestimento.
<< Si accomodi qui, vicino a me >> disse la donna sorridendo.
Quando si sedette, la donna le saltò letteralmente addosso, provando a baciarlo, quest'ultimo però riuscì in tempo ad evitare il bacio.
<< Non, non mi trovate abbastanza attraente? >> disse la donna, tirando su con il naso.
<< No milady, non è affatto questo >>
<< Allora cos'è? Pensavo di piacerle! >> disse arrabbiata, fissando Ascanio.
<< io, ci sono cose che non.. >> provò a pronunziare, ma la donna non gli lasciò finire.
Gli saltò addosso, questa volta non provò a baciarlo, piuttosto cercò di slacciarsi il corpetto ed il voluminoso vestito. Quando ci riuscì, l'uomo non parlava ancora, era attonito e sorpreso.. piacevolmente sorpreso. Quando rimase in lingerie, l'uomo sgranò gli occhi. Era da tantissimo tempo che non la vedeva così: giovane, incredibilmente bella ed incredibilmente vicina. La donna si avvicinò all'uomo, ed iniziò, lasciandogli dei baci umidi sul collo, a sfilargli le braghe rosse e nere**. Ascanio, ancora sorpreso non riusciva a formulare alcuna parola, così quando vide che la ragazza gli stava togliendo anche la giacca, la fermò.
<< Non siate sciocca >> disse ad Annie, che trafficava con la camicia di seta di Ascanio.
<< Io la voglio adesso >> disse farfugliando la donna.
Ascanio, a quelle parole cedette ed iniziò ad accarezzare dapprima i capelli e poi la pelle morbida della donna amata da secoli.
Quando Ascanio era però pronto ad unirsi con la sua amata, una figura entrò dalla porta. Era alta e slanciata e non fu difficile capire chi fosse.
<< Lo sapevo che era qui! Brutta strega! È mio marito! >> disse urlando la donna dai capelli biondi e dall'abito blu zaffiro.
<< Traditrice! Un uomo sposato! >> urlò in risposta uno degli ospiti.
<< Copra le sue vergogne! >> disse la stessa donna.
Annie andò in panico, ed urlando imbarazzata si rivestì alla bell'e meglio.
<< Punitela! >> urlò sempre la donna dai capelli biondi. Ora fissava la ragazza con odio sprezzante.
<< Giammai! >> disse Ascanio.
<< Ascanio, non dire fandonie! È una megera che ti ha fatto un incantesimo! >> disse furiosa.
<< Al rogo! >> gridò la folla d'invitati.
<< Non sono una strega! Lei chi è? Lurida feccia umana! Come osa! >> urlò Annie questa volta.
<< Non la vedete!? >> disse la donna sconvolta.
<< Uccidiamola! >> urlò la folla.
Annie gridò, come mai prima d'ora, provò a scappare, ma invano. La folla la prese per un braccio, poi per una gamba fino ad arrivare a trasportarla di peso nel vasto giardino. Scalpitò ardentemente per tutto il tempo, girandosi più e più volte a cercare Ascanio, ma di esso non vi era traccia.
<< Non sono una strega! >> provò ad urlare un'altra volta, prima che la legassero ad un albero.
<< Tacete, megera! >> urlò uno dei baroni con cui aveva precedentemente ballato.
<< Jésus aide-moi, s-il vous plaît *! >> bisbigliò tra se e se.
<< Stregoneria! Invoca l'aiuto di satana! >> urla qualcuno tra la folla.
Poi qualcuno prende della paglia dalla scuderia vicina, un altro prende una fiammella proveniente dalle numerose candele e senza dare il tempo di cacciare l'ultimo urlo, Annie viene bruciata sul rogo.
<< No! >> urla Ascanio precipidandosi ai piedi del rogo.
<< Marito mio! Ora siete al sicuro! >> disse la donna.
<< RITORNIAMO A FESTEGGIARE! >> urlò qualcuno.
<< Avreste fatto bene ad ascoltarmi, invece fate ciò che volete. Siete abominevole, mi stavate tradendo! Schifoso! >> urlò in lacrime la bionda.
<< Siete completamente pazza! Avete ucciso Anne! >>
<< Ares, giocando con il fuoco devi capire che si finisce col bruciarsi. Oggi è toccato nuovamente a lei, ed anche domani e dopodomani ancora >>
<< Smettila, lurida feccia >> urlò l'uomo prima di iniziare a correre, lontano dal palazzo reale, fino a non distinguere più la sua maestosa ed imponente figura.


*des ingrats: degli ingrati
*beauté : grazia
*mari: marito
*et qui seriez-vous : e chi sareste voialtri ?
*Est-ce que vous la connaissez?: la conoscete ?
*Mais oui : ma certo !
*Pourquoi ?: perchè ? (interrogativo, da non confondere con 'parce que/ parce qu')
*très branché : molto alla moda
*Merci : grazie
**braghe : tipico indumento medioevale
* Jésus aide-moi, s-il vous plaît : Gesù, aiutatemi per favore

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