Hang a shining star upon the highest bow ˜ Let’s sing together this Christmas

di Rinalamisteriosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pattini da ghiaccio - Aine & Kei ***
Capitolo 2: *** Tazza calda - Haruki, Ringo, Ryuuya ***
Capitolo 3: *** Dormire davanti al caminetto - Kaoru & Syo ***
Capitolo 4: *** Vischio - Kotomi/Mitsuo [Spoiler!] ***
Capitolo 5: *** I personaggi addobbano l'albero di Natale insieme - HEAVENS ***



Capitolo 1
*** Pattini da ghiaccio - Aine & Kei ***


Hang a shining star upon the highest bow ˜ Let’s sing together this Christmas

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Pattini da ghiaccio*

 

Era davvero raro che il dottore facesse dei regali a suo nipote. Quella volta gli mise fra le braccia un paio di pattini da ghiaccio e lo invitò a uscire dal suo laboratorio.

«Ho sentito dire che hanno inaugurato un palazzetto del ghiaccio qui vicino e che tutti i bambini sono entusiasti di andarci, perché non vai anche tu, Aine-kun?» rispose davanti all’evidente stupore del ragazzino, tornando alle sue carte complicate e ai suoi esperimenti.

«Ah. È perché si avvicina Natale, zio?» domandò lui, senza staccare i suoi occhioni da quelle scarpette con la lama, ricordando in che mese dell’anno effettivamente fossero, cioè dicembre.

«Molto bene, bravo! E inoltre meriti un po’ di svago ogni tanto, non puoi sempre stare rinchiuso in camera a studiare musica, dai retta a me», passò da un tono gentile a uno scherzoso, scompigliandogli affettuosamente i capelli blu cielo.

Aine regalò un dolce sorriso allo zio e poi corse di sopra a cambiarsi, mise due maglie larghe e pesanti sotto un cappotto blu scuro, pantaloni di velluto, un cappellino e un paio di guanti di lana, mentre ai piedi calzò degli stivaletti. Ovviamente portò con sé la paghetta mensile e anche il regalo, celato dentro una piccola sacca sportiva.

 

 

 

Una volta giunto al palazzetto del ghiaccio di cui gli aveva parlato lo zio, dopo aver attraversato una lunga strada con tantissime luminarie natalizie, Aine si sentì un poco fuori luogo, non immaginava fosse così pieno di gente: c’erano non solo bambini e ragazzini esagitati, ma anche genitori apprensivi, che si assicuravano che i loro figli non si facessero troppo male, e giovani coppiette felici.

Lui invece si sentiva tutto solo e spaesato, fermo all’ingresso della pista ghiacciata, senza decidersi a indossare i pattini laminati, ad andare a ritagliarsi uno spazio per pattinare tranquillo.

Con le piccole labbra tremanti, stringeva con forza la sua sacca e stava per fare dietrofront, per tornare sui propri passi e inventarsi qualcosa, un altro modo per svagarsi, quando lo vide lì, in mezzo alla calca di persone.

Un ragazzino alto più o meno come lui, o almeno da lontano gli parve così, dal volto serio e inespressivo, dalla frangetta calata sulla fronte e dalla bocca contratta come se nemmeno lui si stesse divertendo.

Un pesce fuor d’acqua.

Qualcosa dentro di lui, forse un istinto, forse un presentimento o forse semplice empatia, lo spinse ad agire. Allora Aine individuò una panca in cui togliersi gli stivali per calzare le scarpette, si rialzò con sguardo deciso, rischiò di sbilanciarsi parecchie volte mentre procedeva lentamente, a zigzag, incerto e oscillante, ma era tutta questione di abitudine, presto avrebbe imparato, si disse incoraggiante. L’estate precedente, con i pattini a rotelle ci era riuscito in un mese, qui chissà… Barcollante arrivò infine a un metro di distanza dal ragazzino, che gli voltava le spalle, forse per cambiare direzione poiché non si era accorto di lui.

Fu allora che venne la figuraccia, Aine oscillò troppo verso destra e finì per perdere l’equilibrio, per scivolare rapidamente giù, colpendo la superficie ghiacciata con un braccio e con la tempia.

Non era sfuggito a lui e a qualche altro intorno l’acuto lamento che suo malgrado aveva lanciato.

Almeno così aveva attirato la sua attenzione, pensò, infatti il ragazzino slittò elegantemente verso di lui, si fermò senza alcun tremito e gli tese una mano guantata.

«Fai attenzione», lo avvertì fingendosi sgarbato e biasimevole, se lo stava aiutando significava che la sua vera natura doveva essere più accorta e pacata di quanto in realtà trasparisse a una prima occhiata.

Senza interrompere il contatto visivo, Aine accettò la sua mano, la strinse e provò a rimettersi in piedi, pur senza trattenere una smorfia di dolore per le botte prese e una lacrimuccia. Il braccino però non era rotto, riusciva a muoverlo bene, più o meno.

E stava per perdere nuovamente l’equilibrio, ma quella presenza rassicurante che lo sostenne con le sue braccia gli impedì di finire gambe all’aria come uno stupido.

«Che imbarazzo!» sussurrò, intimidito. «M-mi spiace, avrei voluto presentarmi in modo meno goffo, ma le gambe mi hanno tradito. Io sono Kisaragi. Kisaragi Aine. Grazie per l’aiuto!».

Il ragazzino annuì e fece per voltarsi, ma lui sentiva già di non volere che si chiudesse nella sua riservatezza, non era giusto che rappresentasse per Aine un singolo estraneo di quelli che si incrociavano una volta nella vita, che ti aiutavano e che poi non vedevi più. Dovevano diventare amici, loro due, e visto che l’altro era così bravo a pattinare e così capace, poteva insegnargli a stare almeno in equilibrio e a non barcollare come un pinguino ubriaco.

«Ti prego, rimani vicino a me, non andare via!» esclamò con trasporto, strizzando gli occhi lucidi e arpionandosi al suo braccio. Il ragazzino, ignaro di essere stato scelto come suo amico, in fondo rimase colpito da quel capriccio improvviso, ma si limitò ad assecondarlo e lo condusse con calma verso i punti meno affollati. Alla fine Aine scoprì come si chiamava quel ragazzino riservato e solo apparentemente freddo.

Onpa Kei.

Ancora era troppo presto, non poteva saperlo, però non aveva trovato soltanto un amico fedele.

Lui e Kei condividevano la stessa passione per la musica. Kei avrebbe imparato a leggere e a decifrare Aine come uno spartito diventando, un giorno, il compositore perfetto per lui.

 

 

 

«Kisaragi-kun, hai un bernoccolo sulla fronte».

«Veramente? Si nota tanto? Lo zio mi prenderà in giro, uffa!».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 874
Prompt:
26. Pattini da ghiaccio

 

Note: Ultimamente mi sento molto ispirata e direi che è meglio approfittarne cavalcando quest’ondata di creatività davvero insolita da parte mia xD

Torno in questo fandom con una nuova raccolta, questa volta a tema natalizio e invernale, incoraggiata dall’entusiasmo di Starishadow, alla quale dedico il primo capitolo ^^

Spero che ti piaccia e che siano credibili… Io non posso affermare con certezza se a questi due piaccia pattinare oppure no, ma mi sembrava un’idea carina e originale per un loro primo incontro, tu che dici?

Diciamo che in parte devo ringraziare un ricordo legato a mia sorella, che anni fa, nel periodo natalizio, era andata veramente in una struttura simile a un palazzetto con una pista di pattinaggio sul ghiaccio e aveva visto persone scivolare facendosi davvero male. Aine almeno ne è uscito con un bernoccolo e forse un livido sul braccio, ma nulla di grave! xD

 

Il titolo non è farina del mio sacco, in realtà contiene due citazioni provenienti da due canzoni a tema, sapreste indovinare quali? ^_^

 

Grazie per aver letto fin qui *inchino* il prossimo aggiornamento è previsto per domenica, causa impegni che mi terranno lontana dal pc.

 

A presto!

 

Rina

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Capitolo 2
*** Tazza calda - Haruki, Ringo, Ryuuya ***


Doc

*Tazza calda*

 

Avere una tazza calda fra le mani era una delle cose che Haruki Mori adorava di più nella sua vita.

Che si trattasse di latte al miele, caffè alla menta, cioccolata calda, tè verde, non passava giorno – soprattutto nella stagione invernale – senza vedere il giovane compositore intento a riscaldare le dita fredde e intorpidite, ad assaporare lentamente una di queste bevande bollenti, soffiando piano fino a farle diventare tiepide, proprio per avere la scusa di tenere il più possibile quel calore piacevole sui palmi.

Così riusciva a suonare meglio del solito e si sentiva più propositivo, soddisfatto e ispirato. Era un po’ come portare i guanti di lana nei giorni gelidi o come stendere le braccia sotto il kotatsu a casa dei suoi. Era piacevolissimo!

Aspettando il suo primo Natale lontano dai genitori, cosa c’era di meglio di una tazza di cioccolata calda, una copertina sulle spalle e la stufetta davanti a sé?

Cosa poteva desiderare di più?

Crogiolarsi nel silenzio più assoluto, sopra una comodissima poltrona, privandosi persino della musica che tanto amava, per guardarsi dentro e per fare un veloce bilancio delle sue esperienze scolastiche o personali. Concedersi una ventina di minuti per lui solo.

Dalla tazza calda salivano leggere spirali di vapore che gli solleticavano il naso, ma che lo riscaldavano e lo rilassavano in modo gradevole.

 

 

 

Quando Ringo si trovò ad aprire casualmente la porta e a scovarlo in quello stato di estasi silenziosa, non ebbe cuore di disturbarlo, con un lieve sorriso intenerito ritornò sui propri passi e decise che gli avrebbe consegnato il suo regalino dopo o in un altro momento. Sapeva che per tradizione il regalo di Natale si faceva alla propria fidanzata la sera del 24 dicembre, però l’idol ci teneva a ringraziare Haruki per il dono prezioso della sua amicizia sincera.

E magari gli avrebbe offerto qualcosa da bere, di caldo ovviamente, per renderlo ancora più felice!

 

 

 

E quando, qualche ora dopo, Ryuuya rientrò dopo essere stato impegnato altrove, il compagno di stanza era già sprofondato nel mondo dei sogni. Se ne stava placidamente addormentato sulla poltrona, la testa leggermente girata, un braccio piegato e la guancia premuta su esso. Sorrideva tranquillo, Haruki, e se lui fosse stato tipo da incantarsi per simili scene, avrebbe detto che era tenero come un bambino piccolo o bello come un angelo.

Il più grande lanciò uno sguardo critico al tavolino accanto alla poltrona, dove c’erano sei tazze vuote da sgombrare. Era tentato di svegliarlo per dirgli di pensarci di persona, che doveva assumersi le sue responsabilità e lasciare ordine, invece di stare a far nulla di proficuo per poi poltrire, ma non lo fece. Non disse nulla, perché accanto alle tazze c’erano cinque fogli, degli spartiti con il pentagramma pieno di accordi e di note, segno che aveva creato qualcosa. Lui non voleva impicciarsi, ma era impossibile ignorare la scritta a caratteri cubitali che risaltava all’inizio del foglio, sopra la prima riga del pentagramma. Non era il titolo della musica, ma una frase semplice, precisamente un augurio.

Un augurio rivolto proprio a lui in un misto di giapponese e inglese.

 

For my strict roomate: ho finito la musica che mi avevi chiesto, poi dimmi che ne pensi… Merry Xmas!

 

«Sai sempre come sorprendere quelli che ti circondano, vero Haruki?» si disse Hyuuga facendo spallucce, passando sopra al disordine e alle abitudini particolari del compagno, spostandolo piano per togliergli la copertina schiacciata dietro la schiena e sistemandogliela attorno, per coprirlo dal freddo. Un gesto premuroso e accorto che fino a qualche anno prima riservava solamente ai suoi fratelli minori, ai due più piccoli, e che talvolta, non visto, riservava anche al ragazzo.

E nonostante ciò, poi avrebbe fatto finta di non essere responsabile di quel gesto, in fondo aveva una reputazione da duro da difendere. Sorrise lievemente.

Buon Natale.

 

 

 

«Questo portachiavi con l’angioletto che suona l’arpa è davvero carino, ma non dovevi disturbarti per me!» esclamò sorpreso il compositore, quando finalmente, il giorno seguente, era riuscito a incontrare l’altro ragazzo.

«Aww! Sei così modesto, Ruki-chan, certo che te lo meriti!» non si trattenne Ringo, che quel giorno non si era travestito, tirandolo in un veloce abbraccio affettuoso nel quale lo strinse a sé e il modo esuberante in cui gli si era rivolto non era dissimile dalla sua maschera abituale. Forse perché loro ormai si confidavano ogni cosa, si stimavano reciprocamente, erano amici e si volevano un gran bene.

Haruki non sapeva dire se fosse più affezionato a lui o a Ryuuya, ma di una cosa era sicuro, non li avrebbe cambiati con nessun altro al mondo.

Andarono a sedersi in un tavolino per tre prenotato nel locale addobbato a festa, e in attesa del ritardatario del trio – non per suo volere, il giorno di Natale si lavorava come in qualunque altro giorno ordinario, Ryuuya doveva andare sul set e girare delle scene – Ringo gli offrì da bere qualcosa di caldo.

«Buon Natale, Ruki-chan».

«Buon Natale. Facciamo del nostro meglio anche l’anno prossimo, okay?».

«Ben detto!».

E infine i due amici fecero incontrare le loro tazze mimando un brindisi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 821
Prompt:
25. Tazza calda

 

Note: Un capitolo su questo trio non poteva mancare *-* il fatto è che Haruki mi ispira troppa tenerezza e chi meglio di lui poteva meritare un simile trattamento?

Cioè, io lo strapazzerei di coccole!!! >.< Per mantenere i personaggi IC, però, mi sono trattenuta, eheh xD

 

Nello scorso capitolo mi sono intenerita a scrivere di Aine, qui di Ruki-chan… E non saranno gli unici personaggi fluff della raccolta, sapete? :D

Ho già chiari tutti gli abbinamenti ^^ spero davvero di non deludervi.

Grazie e alla prossima!

 

Rina

 

 

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Capitolo 3
*** Dormire davanti al caminetto - Kaoru & Syo ***


Doc

*Dormire davanti al caminetto*

 

Il caminetto spento e polveroso non esercitava la stessa attrattiva che provava quando era piccolo, non vi aleggiava la stessa magia e pensava che nemmeno metterci della legna e attizzare il fuoco gli avrebbe fatto cambiare idea.

Kaoru al momento era solo, era spossato per le molte ore di studio passate stando chino sui libri di medicina e sui svariati appunti che annotava durante le lezioni, era annoiato quando la teoria non ci azzeccava per niente con ciò che in realtà gli interessava davvero.

I suoi passi sembravano rimbombare nella stanza vuota, producevano l’eco pesante, ribaltavano il silenzio in cui si era ostinatamente ritirato dopo essere uscito fuori dall’ambiente accademico.

Proprio perché sapeva che c’era un edificio del vecchio dormitorio in cui non ci andava quasi mai nessuno, l’aveva scelto come suo rifugio personale.

L’eco non cessò nemmeno quando si lasciò cadere su una sedia, il peso del suo corpo, sebbene non fosse per nulla imponente, aveva prodotto un tonfo e uno scricchiolio sinistri.

Kaoru coprì uno sbadiglio con una mano, mentre l’altra corse a stringere ciocche di capelli biondi come a cercare un qualche appiglio dalla monotonia della routine quotidiana, dalla pesantezza di una scelta di vita, seppure niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare strada.

Il cammino era ancora lungo, ma ce l’avrebbe fatta, sarebbe diventato un medico.

I giorni in cui avevano esercitato delle lezioni pratiche non gli erano affatto dispiaciuti, sapeva già come misurare la pressione, usare uno stetoscopio, fare le punture, attaccare una flebo e dosare alcuni medicinali. Più o meno, non pretendeva certo di essere diventato un esperto in materia, ma finora non aveva sbagliato.

Gli venne da sussultare quando, all’improvviso, una notifica sul cellulare aveva infranto nuovamente il perfetto silenzio della stanza. Tirò l’oggetto fuori dalla tasca del cappotto pesante che ancora indossava sopra l’uniforme scolastica e i suoi occhi azzurri fissarono avidamente lo schermo, scorrendo le parole del messaggio appena ricevuto.

Il freddo che aveva provato a contatto con l’aria gelida e pungente di dicembre e che l’aveva accompagnato fino a quel momento parve andar via, sostituito da un calore avvolgente.

Nonostante la stanchezza e la noia, Kaoru si lasciò andare, rilassò i lineamenti e sorrise apertamente, con il cuore. Per lui era raro concedersi un sorriso, di solito si preoccupava di più della felicità del suo gemello piuttosto che della propria, ma quelle poche parole lette avevano sortito un effetto positivo.

Si sfilò la sciarpa dal collo e si levò in piedi soltanto per sedersi nuovamente, questa volta a terra, sopra il tappeto ruvido; il caminetto sporco e polveroso ai suoi occhi non sembrava più così brutto, anzi gli riportava alla mente un ricordo in particolare, di otto anni prima. Si immaginò di nuovo bambino, che, dopo aver poggiato il cucchiaio utilizzato per mangiare una fetta di Christmas cake, aveva visto il fratello fare altrettanto, massaggiandosi con aria soddisfatta il pancino pieno.

 

 

 

«Anche quest’anno la torta che abbiamo decorato insieme era buonissima, vero nii-san?» disse lui spontaneamente, mettendosi in ginocchio sulla sedia e sporgendosi per prendere il suo piatto vuoto e per riporlo sopra il proprio, con tutta l’intenzione di mettere ordine come facevano i grandi.

Il piccolo Syo annuì, balzando giù dalla sedia e raggiungendo il caminetto acceso.

«Kaoru, ti va di giocare ancora con me?» sentì la sua vocina chiara e squillante che gli faceva questa domanda, mentre anche lui scendeva dalla sedia, piano perché teneva i piatti fra le manine e non voleva farli cadere, altrimenti si sarebbero rotti e poi si sarebbe sentito in colpa davanti al cipiglio severo della madre. Riuscì a metterli sulla mensola della cucina e tornò indietro. Avrebbe voluto posare anche la torta rimasta in frigo, ma dato che il fratello lo richiamò per la seconda volta, decise di accontentarlo.

«E a cosa giochiamo?» lo interrogò, prima di vedere che il maggiore si era seduto sopra il tappeto, con le gambe strette al petto e il mento poggiato sulle ginocchia. Kaoru si piegò e si mise al suo fianco, fissandolo incuriosito, anche se gli occhi del suo gemello non stavano ricambiando l’occhiata, ma erano puntati verso il fuoco. Kaoru notò che il caminetto acceso sembrava una cosa viva, i colori dei mattoni e della griglia di ferro posta a barriera erano ancora più vividi del solito e il calore che proveniva da tutto quello scenario era piacevole.

Inoltre, le due ghirlande natalizie appoggiate sulla mensola e le due piccole calze, una azzurra e una lilla, che pendevano sotto di esse lo rendevano ancora più magico. Chissà se Santa-san sarebbe arrivato quella stessa notte, per riempirle di dolcetti e caramelle! Kaoru non si aspettava nient’altro, se proprio Santa-san voleva fargli un regalo per essere stato un bravo bambino, preferiva che lo facesse a Syo piuttosto che a lui. Ci rinunciava volentieri e senza ripensamenti, perché vedere suo fratello sorridere meravigliato sarebbe stato il regalo migliore del mondo.

«Syo-chan? Allora?» lo incalzò pacatamente, con una mano sulla spalla, finché l’altro non spostò le braccia e gli mostrò il suo nintendo portatile. L’aveva ricevuto mesi prima come regalo di compleanno e ogni tanto adorava tirarlo fuori e giocarci, talvolta coinvolgendolo perché non gli sembrava giusto escludere il fratello da quella cosa che tanto lo divertiva e lo distraeva dal suo problema di salute.

«Ape Escape. C’è una dannata scimmia che non riesco a catturare, magari puoi provarci tu, Kaoru, visto che sei così paziente! Ti arrivo al punto giusto in cui bisogna sfidarla e ti passo il nintendo!» esclamò, cambiando la sua espressione assorta in un ghigno di sfida verso lo schermo della piccola console.

«Nii-san… l’idea di catturare scimmie non mi entusiasma, ma se lo desideri mi sta bene, tanto Santa-san scenderà dal camino più tardi, vero?».

«E questa è la scusa perfetta per rimanere svegli ad attenderlo! Modestamente sono un grande, lo so», si lusingò da solo, sorridendo mentre partiva la musichetta introduttiva prima della schermata del menù.

 

 

 

Senza rendersene conto, proprio come successe allora, non ce la fece ad aspettare di vedere il leggendario Santa-san - in cui ormai non credeva più -, e nemmeno ad aiutare Syo nella sua partita contro delle movimentate scimmie dal casco lampeggiante. Non ricordò altro. La stanchezza prese il sopravvento su di lui, però non prima che riuscisse a rispondere al breve messaggio il cui mittente era proprio suo fratello.

Perso nel ricordo d’infanzia, si era appisolato con la guancia poggiata sulle braccia intrecciate sopra le ginocchia, abbracciandosi da solo per non perdere quel calore familiare che ancora sentiva.

Dormire davanti al caminetto. Non era la prima volta che gli capitava e si stupì di scoprire che entrambe le volte, nel passato e nel presente, al suo risveglio ritrovava la stessa compagnia.

«Oi, Kaoru, svegliati. Ti rendi conto che qui non siamo a casa nostra?!» lo riprese una voce decisa e così familiare da farlo sussultare, spingendolo a sollevare la testa di colpo. Meno male che in fondo aveva il sonno leggero.

«Ti ho scritto che avrei ritardato un poco, ma se preferivi dormire potevi specificarlo, invece di rispondere solamente OK», borbottò Syo, levando esasperato gli occhi al soffitto e incrociando le braccia al petto.

«Nii-san, non arrabbiarti, è stato più forte di me. Adesso sono sveglio, perciò ti dispiace aiutarmi?» si scusò tranquillamente Kaoru, tendendo una mano verso di lui.

Loro due potevano anche essere molto simili nell’aspetto esteriore, però ognuno era cresciuto con il proprio carattere e tante piccole differenze, inoltre non condividevano le stesse esperienze, soprattutto quelle degli ultimi anni. E non si vedevano spesso.

Sospirando, l’altro lo tirò in piedi e a una distanza così ravvicinata le occhiaie risultavano ancora più evidenti sul viso del gemello.

«Non me la conti giusta. Ci hai scritto in faccia che sei stato tutta la notte chino sui libri», affermò Syo, accigliandosi più di prima.

«Vero, per un esame, ma non ha importanza. Puoi non tenere il broncio e farmi un sorriso dei tuoi?» lo pregò Kaoru, indietreggiando di un solo passo e incrociando le mani dietro la schiena.

«Kaoru, non-».

«Per favore, oppure sarò costretto a stringerti in un abbraccio soffocante stile Natsuki finché non lo farai», lo ricattò, anche se in maniera molto serafica.

«No, di Natsuki basta uno, preferisco il mio solito fratellino pacato e riservato. Un po’ troppo ansioso e possessivo a volte, però va bene come sei».

Ed ecco che finalmente Kaoru lo vide ridere, un poco imbarazzato per l’ammissione, ma saperlo rilassato era come un ulteriore incentivo, uno stimolo a continuare per la strada che aveva scelto, una molla che scattava nei momenti giusti.

Sicuramente avrebbe recuperato il sonno, ma l’idea di passare quello che restava della giornata con il fratello gemello, era certo che sarebbe bastata a tenerlo sveglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 1412
Prompt: 9. Dormire davanti al caminetto

 

Note: In verità avrei voluto postare un’altra storiella nel terzo capitolo, però ho finito prima questa e quindi ecco a voi la breve one-shot incentrata su Kaoru Kurusu. Chi lo conosce può capirla meglio, inoltre ho cercato di renderla comprensibile anche a chi non lo conosce, non entrando nei dettagli perché altrimenti si sarebbero perse le sfumature fluff, di leggerezza che vorrei dare all’intera raccolta.

Nell’anime è stata omessa la malattia di Syo e io l’ho posta giustamente ai margini per concentrarmi più sulle sensazioni e i ricordi d’infanzia di Kaoru in questo suo momento.

Proprio nel flashback sta il tema natalizio, scoverò sempre modi diversi per parlarne, se avete notato mi sono documentata a riguardo xD

Ammetto candidamente di non essere un’esperta sui due gemellini, spero che vi piaccia ugualmente :D Kaoru sta ancora studiando, mentre per Syo immaginate quello che volete (le cose son due: o è ancora uno studente, o ha già debuttato e ha fatto tardi per un impegno di lavoro).

 

“Ape Escape” era un gioco che adoravo da piccola, non so se ci avete mai giocato, il mio era per Playstation… E niente, mi gasava troppo e l’idea di inserirlo in qualche modo è stata più forte di me xD che nostalgia!
E poi il gioco originale era giapponese, quindi va bene :D

 

Grazie e alla prossima!

 

Rina

 

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Capitolo 4
*** Vischio - Kotomi/Mitsuo [Spoiler!] ***


Doc

*Vischio*

 

{Last Christmas ima wa mada

Omoide ni nante dekinai yo

Demo ai wa mou

Koko ni wa i nai this year}

 

Musica era come la magia suggestiva del Natale.

Per lei, Natale era sempre stato una gioia condivisa, una dinamica meraviglia, un calore diffuso che scaldava nonostante l’abbassamento della temperatura e il cadere lento, ipnotico dei fiocchi di neve.

Da bambina adorava ascoltare le Christmas carols originarie di altri paesi e tradotte in lingua giapponese, il fatto che si potesse riadattare un brano per permettergli la diffusione su larga scala era meraviglioso. Non ne era sicura, ma forse era stato proprio grazie a queste canzoni orecchiabili e carine che l’approccio alla musica era venuto spontaneo nella piccola Kotomi.

Non c’era niente che la rendesse più felice del fatto di canticchiarle mentre si rigirava fra le manine un rametto di vischio.

 

Musica era come la vita in continuo movimento.

Tutto nella vita poteva diventare musica, anche il silenzio.

In molti non ci facevano caso, troppo presi della caotica routine quotidiana, davano per scontato ogni suono esistente, ogni rumore prodotto dai mezzi che li circondavano.

Esistevano musiche basse e dolci come un sussurro, moderate e normali come un’abitudine, intense e forti come un temporale. Suoni naturali e artificiali, spontanei e artefatti, lieti e angoscianti.

Talvolta, al risveglio, la quindicenne rimaneva stesa sotto le coperte apposta per concedersi un po’ di tempo ad ascoltare tutto quello che riusciva, le piaceva distinguere le melodie dalle cacofonie, sorrideva dei ragionamenti e degli abbinamenti che le balenavano nella mente, si sforzava di trattenere alcuni pensieri per quando si sarebbe seduta a prendere nota per una futura composizione.

Certe mattine, canticchiando a labbra chiuse, Kotomi spalancava le imposte della sua finestra e salutava il nuovo giorno con la luminosità nello sguardo, traboccante di gioia sincera per tutti i suoni che le avrebbe regalato.

Con indosso la vestaglia, agitava le braccia in alto per salutare il solito postino che passava con la bicicletta e che aveva la gentilezza di risponderle con un cenno educato della testa coperta dal cappello.

Lo sfregare delle ruote sulla carreggiata al momento in cui la bicicletta frenava era il primo suono, poi soggiunse il trillo del campanello sul canestro attaccato al manubrio.

Dopo regalava un saluto verbale a Koichi-kun, il bambino che abitava nell’appartamento accanto e che in quel momento apriva la porta per recarsi a scuola. Quello arrossiva di rimando e si defilava sbatacchiando di qua e di là la sua cartella, la sua timidezza la inteneriva davvero e lo scalpiccio delle sue scarpette era un’armonia infantile, così dolcemente nostalgica perché anche lei correva molto da bambina.

 

Musica era come un intercalare di emozioni.

Felicità, tristezza, nostalgia, paura, forza, debolezza, gentilezza, sfrontatezza e poi altre, molte altre sensazioni che non avevano definizione.

Convergevano tutte in un unico sentiero, cavalcavano la stessa onda, volavano alto, sfrecciavano fino al cielo e anche oltre, verso le stelle più lontane, trascendendo lo spazio e il tempo.

Infine tornavano giù, entravano in testa e non ti abbandonavano mai, scaldavano il cuore e vibravano le sue corde più intime, facevano tremare le gambe.

 

Musica era un intreccio di relazioni importanti.

Grazie alla sua magia, alla sua vitalità, al suo coinvolgimento emotivo, alle sperimentazioni che si potevano fare con essa, Kotomi aveva conosciuto tantissime persone che l’avevano consigliata e aiutata durante il suo percorso di formazione musicale.

Nel liceo che frequentava, Kotomi si era iscritta al club di musica, un raduno di semplici appassionati, aspiranti musicisti, novelli idol che avevano fatto la gavetta partecipando a delle selezioni rigidissime, e poi c’erano quelli come lei, che sognavano di comporre musica.

Inoltre, in questo luogo pieno di allegria e spensieratezza, di larghe finestre e variopinte carte da parati sui muri, la giovane aveva concepito un progetto ispirato proprio a quell’ambiente che le era tanto caro e familiare, ossia il suo ideale di accademia musicale.

 

Musica era amore, un batticuore costante, un crescendo di note, partendo dalle più basse.

Tra tutte le sue conoscenze in quel campo, solamente una persona si era mostrata interessata al suo progetto forse troppo ambizioso e certamente irrealizzabile, una ragazza non avrebbe mai potuto illudersi di riuscire a creare da sola un simile istituto.

Mitsuo Saotome sembrava nato per calcare il palcoscenico, per stupire il pubblico, per accattivarsi il sostegno di tutti.

Mitsuo Saotome era bello, sorprendente, sfrontato, esagerato nei modi. Sapeva esattamente come sfruttare le sue doti canore per colpire nel segno, come reagire a tutte le provocazioni che gli scagliavano contro, come essere agguerrito senza in realtà ferire nessuno.

Un giorno, si erano ritrovati entrambi nell’aula del club, da soli perché gli altri membri erano in ritardo, e lei si era permessa di contraddirlo quando il ragazzo, con la sua voce bassa e strascicata, aveva detto che la musica non poteva rispondere alle esigenze di tutti e che era in verità destinata soltanto a chi la studiava bene.

E lei aveva replicato concitatamente tutto quello che aveva sempre pensato, che la musica è magia, suggestione, vita, emozioni, testa, cuore e relazioni. E che rinunciare alla musica era come vivere un’esistenza in bianco e nero, senza nessun altro colore.

«Come ti sentiresti se improvvisamente tu vedessi soltanto bianco e nero? Non sarebbe triste e vuota una vita così?».

Infine, Kotomi aveva realizzato, non era stato altro che un modo per metterla alla prova. Quel ragazzo impertinente, quel novello idol, si era sfilato lentamente gli occhiali da sole, fissandola con i suoi penetranti occhi castani, per poi affermare con aria soddisfatta che gli piaceva il suo modo di pensare e che dovevano fissare un appuntamento, perché da quel giorno lei sarebbe diventata la sua compositrice.

E non si limitarono a un solo incontro, ma ne ebbero molti altri, sia al club, sia all’agenzia Suzuki per la quale lui aveva iniziato a lavorare come attore.

E in seguito, sulle note appassionanti di For Love, il singolo di esordio come cantante che consentì a Saotome di scalare la vetta della classifica nazionale con un record di ben venti milioni di dischi venduti, i due si erano innamorati l’uno dell’altra.

 

 

 

*

 

 

 

{Last Christmas futari nara

Negai wa kanau to shinjiteta

Mada koe rare nai

Kimi wa ima demo special}

 

Un rametto di vischio, una piccola pergamena e un fiocco rosso che li teneva insieme.

Ecco ciò che aveva trovato la giovane sulla moquette davanti alla porta della sua camera.

Incuriosita, Kotomi si era inchinata per prendere l’insolito dono, per sciogliere il nastro cremisi e per spiegare il pezzo di carta arrotolato su se stesso.

«L’appuntamento è vicino alla Tokyo Tower. Al solito posto, al nostro orario. Non mancherò. Your beloved King», lesse in un mormorio stupito la ragazza dai lunghi capelli castani, che cadevano ondulati fino a metà schiena, per poi portarselo al petto e scuotere il capo con un sorriso radioso. Chissà che cosa le aveva preparato, quale folle e sorprendente piano si era inventato per stupirla nella serata della Vigilia di Natale!

Kotomi volse lo sguardo indirizzandolo verso il tondo orologio appeso alla parete laterale e i suoi occhi blu si sgranarono, perché accidenti, se non si sbrigava avrebbe fatto tardi per il servizio di volontariato all’ospizio per anziani. Aveva promesso loro che per l’ora di pranzo li avrebbe intrattenuti suonando prima il pianoforte e poi la chitarra, si sarebbe sentita profondamente in colpa se li avesse delusi in qualche modo.

Inoltre, l’aspettava sua sorella maggiore che non era affatto male come truccatrice, sarebbe stato più consigliabile affidarsi a lei piuttosto che impiastricciarsi da sola. A quel punto sarebbe tornata di corsa a casa per scegliere i vestiti adatti, in modo da non sfigurare… Occielo!

Chiuse velocemente la porta per darsi una mossa. Una mossa in tutti i sensi.

 

 

 

Assolvere a tutti gli impegni della giornata e arrivare in tempo all’appuntamento era stato davvero faticoso, ma ce l’aveva fatta per miracolo.

Alla fine non aveva intrattenuto soltanto quei gentili, saggi e adorabili vecchietti, distesi e sereni nonostante la ragnatela di rughe che tracciava i loro volti segnati dal tempo, ma anche alcuni nipotini in visita all’ospizio; la presenza allegra dei bambini le aveva veramente scaldato il cuore, com’erano felici nel sentirla suonare e cantare! E come la incoraggiavano!

Dopo essersi preparata adeguatamente per il suo appuntamento con Mitsuo, Kotomi volle portare con sé un ricordo di quelle ore trascorse piacevolmente, era il cappello natalizio -un cono rosso con una stellina attaccata alla punta- piazzato sul suo capo.

Percorse il tragitto senza mai toglierlo, la ragazza dai capelli castani e dagli occhi blu, che inoltre aveva scelto di indossare per l’occasione un pullover dello stesso colore del cappello, un poncho color argento e una gonna lunga fino alle ginocchia con le pieghe, tinta di un rosso più tenue, per finire con dei collant grigi e degli stivaletti ai piedi.

Si fermò davanti a un albero sempreverde ricoperto da una ragnatela di lucine scintillanti e attese il suo arrivo, scorgendo tutti i volti che passavano nella speranza che non tardasse troppo. Nella borsetta conservava un presente per lui, un cappello di lana fatto con le sue mani, intrecciato con i ferri del mestiere. Ovviamente, era di colore rosso.

Se volgeva lo sguardo a destra, poteva vedere la Tokyo Tower che si stagliava imponente fino al cielo notturno, illuminata a festa.

 

 

Appena lo vide arrivare, perché lei era ormai in grado di riconoscerlo anche se si camuffava con mascherine stravaganti per passare inosservato, gli corse incontro e venne subito accolta dalle sue braccia, rifugiandosi in un abbraccio che tanto le era mancato. Caldo, rassicurante, tangibile. La rilassava incredibilmente accostare l’orecchio al suo petto e sentire i battiti regolari del cuore, tutti gli altri suoni si annullavano anche per una come lei, una che prestava particolare attenzione a tutto ciò che le orecchie captavano. Quello però era un ritmo che amava, le donava il sentore che non se lo stava immaginando, che lui si era realmente liberato da tutti gli impegni con l’agenzia ed era lì, tutto per lei.

Lui sussurrò piano il suo nome all’orecchio e lei annuì, stringendo maggiormente la presa.

Quello che ormai il Giappone conosceva come Shining Saotome, per Kotomi sarebbe stato sempre Mitsuo-san. Quando le sollevò il mento, lei si perse nei suoi occhi, che quella sera sembravano davvero brillare di una luce propria simile all’argento del suo poncho, e attese fiduciosa, schiudendo le labbra.

Allora lui si scostò e le mostrò un altro rametto di vischio, indietreggiò di un passo, nascose le mani dietro la schiena.

«Sai che hai qualcosa nell’orecchio, my darling?» le fece sapere, in tono teatrale.

«No. Cosa?» stette al gioco, sorridendo radiosa.

Lui ghignò, eseguì un piccolo trucco di prestigio e lei finse di credere che quel rametto fosse finito magicamente tra l’orecchio e il cappello natalizio, applaudendolo per tre volte.

«Bravo, bravo. Adesso però tocca a me fare una magia. Chiudi gli occhi, Mitsuo-san, e aprili soltanto quando te lo dico io, non prima!» stabilì lei, con voce melodiosa.

Dopo essersi assicurata che gli occhi che adorava fossero ben chiusi, estrasse il regalo dalla borsa e lo sistemò tra i capelli ribelli del ragazzo, che erano di un castano ramato.

«Aprili. Non avevi nulla di rosso, bisognava rimediare», chiarì, senza smettere di sorridere.

«L’hai fatto con le tue mani, vero? For me?» mormorò con un filo di emozione Saotome, tastando il suo regalo.

«Yes!» rispose in inglese, dato che a lui faceva piacere.

E finalmente lui le prese il viso fra le mani, mentre quelle di lei si aggrappavano alle sue spalle, sollevandosi in punta di piedi, e si scambiarono un dolce e intimo bacio, lo sfondo imponente e luminoso della Tokyo Tower alle spalle e l’augurio silenzioso di poter rendere speciale e indimenticabile ogni loro momento nell’avvenire, di sorprendersi a vicenda e di amarsi con tenerezza e passione finché sarebbe stato possibile.

Consapevoli del fatto che non esisteva regalo più bello del forte legame che li univa e che risuonava come musica nell’aria.

Si staccarono sorridenti, unendo le loro fronti e intrecciando rispettivamente la mano destra sopra lo stesso rametto di vischio, dalle intense foglie verdi e dalle bacche cremisi.

 

«Merry Christmas, my darling».

«Merry Christmas, my beloved King».

 

E la loro serata speciale non era ancora finita, anzi era appena cominciata nel modo più romantico e perfetto possibile.

 

 

 

 

 

 

 

___

Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Christmas Game – Puzzle Time” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 1999 (esclusi i versi della canzone)
Prompt: 45. Vischio

 

Note: Perché stavolta la mia scelta è caduta su Kotomi?

Mi dispiace che non esista alcuna storia con lei protagonista, ho controllato anche su fanfiction.net, e così ho tentato di rimediare inventando qualcosa a riguardo.

Non è semplicemente adorabile? *-* Dite che è la mia visione è coerente con quel poco che si sa su di lei?

Non volevo che somigliasse ad Haruka, una protagonista che mi annoia tantissimo, anche se non la odio -in fondo nella prima serie mi piaceva, si rendeva più utile secondo me.

Giuro che dopo questo capitolo fluff sulla coppia Kotomi/Saotome ho smesso con le storielle ambientate nel passato, i prossimi capitoli della raccolta riguarderanno i protagonisti ^^

Chiedo scusa se non vado tanto a braccetto con il romanticismo, per questo mi stavo concentrando più sull’amicizia e sui rapporti fraterni, ultimamente mi sento impacciata con le coppie di personaggi xD

Ah, quasi dimenticavo: le citazioni tra virgolette appartengono alla versione giapponese di Last Christmas, mi sembrava giusto rendere un piccolo omaggio a questa canzone per la recente scomparsa di George Michael. Immaginatela canticchiata da Kotomi ^^ ecco il video da dove l’ho presa: https://www.youtube.com/watch?v=zC8o1gv_Jy4

 

Alla prossima!

 

Rina

 

 

 

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Capitolo 5
*** I personaggi addobbano l'albero di Natale insieme - HEAVENS ***


Doc

*Gli Heavens addobbano l’albero di Natale insieme*

 

Eiji Ootori, nella sua giovane vita, ne aveva veduti tanti, tantissimi alberi di Natale, soprattutto durante i suoi viaggi invernali all’estero. Ne aveva ammirati di svariate dimensioni, veri o artificiali, multicolori, illuminati a festa o in modo semplice, con solo qualche luminaria e alcune palline qua e là. Quando era bambino, certe volte, guardandoli, si chiedeva ingenuamente quanto tempo richiedesse addobbarne uno.

La sua famiglia non era solita festeggiare il Natale, quindi trovare una risposta adeguata per un tale dubbio era davvero complicato, con suo padre che lo ignorava dicendo che si trattava di “una sciocchezza senza importanza” e suo fratello che, per il suo bene, gli suggeriva di lasciar perdere, che in effetti c’erano cose più importanti delle quali doveva davvero preoccuparsi, tipo proseguire i suoi studi, ascoltare la musica ed evitare vaneggiamenti che avrebbero soltanto alterato l’umore del genitore.

«Però, Eiichi niisan, me la prometti almeno una cosa?» se ne usciva infine il minore degli Ootori, dispiaciuto e speranzoso, con i grandi occhioni color porpora prossimi alle lacrime e la vocina mesta.

«Va bene. Qualunque cosa, se serve a non farti piangere», sospirava il ragazzino più grande, condiscendente.

«Quando avremo degli amici, lo faremo insieme a loro, vero? Un sorprendente albero di Natale, tutto nostro!».

 

 

 

«Siamo tornati!».

Prima che l’esclamazione allegra e improvvisa di Van invadesse la stanza, regnava una calma quasi surreale. Nagi era seduto sul divano a leggere superficialmente una rivista a caso, non potendosi muovere per colpa di Shion, che si era addormentato con la testa riccioluta sulle sue gambe mentre ascoltava la musica contenuta nel lettore mp4 dalle apposite cuffiette.

Kira stava controllando il bollitore del tè, mentre Eiji era impegnato a visionare le scatole di cartone contenenti gli addobbi natalizi.

Quando Van, sorridendo, irruppe nella stanza, seguito lentamente da Yamato, appesantito da uno scatolone rettangolare alto almeno due metri, i quattro alzarono simultaneamente lo sguardo, anche se tre di loro tornarono subito alle precedenti operazioni.

Solamente Eiji si mosse per accogliere cordialmente i due ragazzi.

«Bentornati! L’avete trovato, vero?» s’informò con un sorriso gentile il fratello minore del leader del gruppo.

Yamato lasciò cadere lo scatolone davanti a sé e mostrò un ghigno soddisfatto, nonostante la fronte sudata per la fatica. Si passò una volta il dorso della mano su essa, scostando le ciocche bionde, prima di rispondere: «È stato facile come bere un bicchier d’acqua. Per quanto cerchino di isolarci dal mondo, non ci riusciranno mai!».

«Ben detto! Io ho guidato il furgone fino al magazzino ben fornito della Raging Entertainment e nessuna delle guardie ha ostacolato il nostro passaggio», spiegò Kiryuin.

«In verità, è bastato che io facessi qualche telefonata, inventandomi delle minacce che, a quanto pare, hanno funzionato. Bene, ragazzi! Portate tutto nella nostra sala prove», ordinò Eiichi, l’ultimo ad arrivare, dietro di loro.

«Se collaboriamo, finiremo presto. Vero, niisan?» aggiunse Eiji, agguantando la scatola leggera e più vicina a lui fra tutte le altre.

E riguardo a queste, rappresentavano un segno tangibile dell’affetto autentico del pubblico, era la prima volta che gli Heavens assistevano a un mirabile esempio di generosità da parte delle loro fan sfegatate.

Loro non si sarebbero mai aspettati di trovare, quella mattina stessa, parcheggiato proprio davanti all’uscita dell’edificio che li ospitava durante quell’isolamento forzato a opera del presidente Ootori, un furgone grigio con cartelli e poster di incoraggiamento.

Poi, aprendo lo sportello scorrevole, di scoprire un mucchio di scatole di piccole, medie o grandi dimensioni.

Fu così che, incoraggiati dal gesto carino, Kiryuin e Hyuuga junior partirono in quarta alla ricerca di un abete adatto allo scopo. E adesso che erano tornati, potevano procedere con i preparativi tanto desiderati da Eiji.

 

 

 

Non era mai avvolta da un perfetto silenzio, la sala prove o piccola palestra, quando era occupata da loro.

Il parquet di legno veniva calpestato dalle suole delle scarpe da ginnastica, finché dalle casse appese agli angoli non risuonava la musica e il rumore dei passi cambiava, si faceva più ritmato, più frenetico a seconda della coreografia. A volte si facevano delle ripetizioni e a volte delle pause, e in questi momenti la stanza dalle pareti di vetro infrangibile si godeva un lieve chiacchiericcio, a parte quando qualcuno dava delle precise indicazioni e gli altri tutti zitti ad ascoltare, oppure quando qualcun altro preferiva eseguire la sua serie di flessioni piuttosto che parlare.

Quel giorno di dicembre, però, la sala abituale, dove gli unici oggetti fino ad allora consentiti erano borsoni muniti di cerniere, asciugamani per detergersi dal sudore e bottiglie d’acqua per dissetarsi dopo tanto movimento e ricerca di una perfetta sincronizzazione, ospitava un abete artificiale alto due metri. Non sarebbe stato prudente procurarsene uno autentico, dal momento che i veri alberi tendevano a perdere i sottili aghi verdi che circondavano i loro rami ed era meglio non rischiare che qualcuno scivolasse, poiché nel pavimento della sala potevano cadere e spargersi queste particolari foglioline.

L’alberello dalla chioma sempreverde era inoltre circondato da scatole e scatoloni pieni di vari addobbi – palline di vetro soffiato o altri materiali, morbidi fili colorati, cappelli natalizi, calze per contenere dolcetti e caramelle, lucine arrotolate o aggrovigliate, sfere di vetro includenti minute sculture e neve finta, campanelle, bastoncini di zucchero, eccetera.

 

 

 

Tutto era partito dalla timida proposta espressa da Eiji Ootori, infatti il ragazzo fu quello che si stupì più di tutti per il rapido svolgersi degli eventi, non si aspettava che una sua frase pronunciata per puro caso qualche giorno prima venisse presa sul serio.

«Non mi dispiacerebbe addobbare un albero di Natale insieme. Potrebbe aiutare a sentirci più un gruppo… e inoltre potrebbe essere divertente, o almeno spero che sia così. Non l’ho mai fatto, anche se da piccolo lo desideravo molto», confidò.

Tuttavia, dato che nessuno degli altri ragazzi aveva replicato sul momento, nemmeno suo fratello, lui non ci aveva più pensato a quel desiderio d’infanzia emerso fuori di colpo, anche perché poi avevano ripreso seriamente con le prove della coreografia di “Fumetsu no Inferno”.

 

 

 

«Yamato, spostalo un po’ più a destra», suggerì Van riferendosi all’albero ancora spoglio.

«Ma che dici? Riportalo a sinistra, stava meglio prima!» esclamò Nagi in disaccordo.

«Prova due passi avanti», mormorò Kira, tranquillo.

«No, aspettate! E se invece lo mettessimo tre passi verso il muro? Se è troppo centrale, dopo noi come facciamo le prove?» propose Van, cambiando idea.

«E basta! Mi avete scambiato per il vostro servo? Insomma, decidetevi!» sbottò infine il ragazzo più alto, confuso e alterato dalle loro continue affermazioni discordanti, non sapendo più a chi dare retta.

«Perdonali, Yamato, non intendevano farti arrabbiare», intervenne Eiji, conciliante.

«Ehi, qui ci sono delle lucine tutte ingarbugliate fra loro. Chi mi aiuta a sbrogliarle? Non posso chiederlo alle stelle», soggiunse la voce svogliata di Shion, inginocchiato accanto a uno scatolo aperto, mentre dietro di lui stava un altro con un sacco di ghirlande natalizie.

 

 

«Yamato, tu sei cresciuto con tre fratelli, giusto? Avrai esperienza con gli alberi di Natale», provò a fare conversazione Eiji, mentre insieme al biondo visionava il contenuto di una scatola contenente fili di svariati colori, scartando quelli che, su suggerimento di suo fratello maggiore, erano troppo chiari, vivaci e non rispecchiavano per niente lo spirito degli Heavens.

«Preferisco non ricordare. Io sfidavo Hyuuga Ryuuya a chi allestiva l’albero migliore in casa, ma non sono riuscito a batterlo nemmeno in quello», sbuffò Yamato.

«Oh. Mi dispiace», si rammaricò l’amico, ricevendo però una pacca sulla spalla dall’altro, segno che non se l’era affatto presa.

 

 

 

«Nagi, cosa hai fatto?» domandò Kira, senza scomporsi minimamente nonostante un centinaio di palline colorate avessero appena invaso il parquet, rotolando disordinatamente intorno a loro e sparpagliandosi per tutto il perimetro della sala prove.

«Calma, calma. In questo modo vi ho risparmiato la fatica di tirarle fuori dalle scatole una per volta, dovreste ringraziarmi. All’idol più carino dell’universo non piace commettere errori», replicò con candida incuranza il più piccolo, nonostante avesse rovesciato il contenuto di ben due scatole.

«“Idol più carino dell’universo”, sveglia Shion e aiuta Van, sembra in difficoltà con quelle lucine!» sbottò Yamato, agitando dei filamenti blu e viola come se fossero pon pon, mentre Eiji manteneva il suo sorriso lieve, muovendosi per andare lui stesso in aiuto del bruno dagli occhi castani.

Con un sospiro esasperato, Nagi si dedicò ad Amakusa, trascinandolo, dopo averlo fatto alzare a fatica, verso l’albero, dove Eiji arrivò per passargli il primo filo sottile di minuscole lucine liberato dal groviglio, perché iniziassero ad avvolgerlo nei rami più bassi.

«Per adesso non preoccupatevi di altro, poi ci penseranno i più alti a completare il lavoro. Finite questo, così andiamo a smistare le varie decorazioni, per decidere su quali rami collocarli, ok?».

 

Così, sei membri degli Heavens, fra suggerimenti, chiacchiere, scherzi e risate, passarono tre ore ad addobbare serenamente l’albero di Natale, insieme, con le specifiche mansioni distribuite fra di loro.

E mentre esso prendeva forma, illuminato dalle lucine luminose, colorato da lunghi fili prevalentemente color argento, azzurro ghiaccio, porpora, blu cobalto, blu cielo e altre sfumature di blu o viola, arricchito con palline decorate e oggettini vari, Eiichi fece nuovamente la sua comparsa con sette cartellini vuoti e sette penne per tutti loro.

 

 

 

«Ragazzi, prendetene uno ciascuno. Scriviamo due aggettivi per il gruppo e appendiamoli assieme agli addobbi: in questo modo sarà davvero il nostro albero», stabilì il ragazzo con gli occhiali.

Anche ricercare le parole adatte fu un’attività simpatica che li aiutò molto a stabilire una maggiore intesa e complicità fra gli Heavens.

Speranza e gentilezza”, furono i primi due aggettivi segnati e appesi da Eiji Ootori, un ragazzo a modo, che modestamente sottovalutava il proprio talento pur possedendo un genio artistico fuori dal comune, un’ottima memoria e una voce angelica e perfettamente intonata.

Forza e coraggio”, appuntò senza alcun indugio Yamato Hyuuga, il membro più grintoso e tosto degli Heavens, posizionando il suo cartellino su uno dei rami più alti.

Empatia e luminosità”, scrisse con grafia elegante Shion Amakusa, che era stato l’ultimo a unirsi al gruppo, eppure aveva dimostrato in più occasioni di tenerci moltissimo.

Serietà e autocontrollo”, riportò Kira Sumeragi, che faceva parte del trio originale e che non parlava molto, ma di sicuro sapeva esattamente ciò che voleva, avendo offerto fin dal principio le sue qualità innate per il bene degli Heavens, impegnandosi duramente con tutti loro.

Talento e costanza”, decise Nagi, dopo una veloce discussione con Shion e Van, dal momento che lo avevano anticipato nella scelta dei due aggettivi, quindi alla fine aveva optato per questi termini. Il più piccolo e bassino del gruppo protestò un poco quando venne sollevato da Yamato per appendere il proprio cartellino, ma fu ben felice di metterlo in alto.

Fascino e divertimento”, scribacchiò Van, il burlone degli Heavens, un sorriso impertinente sul viso attraente, che, passando accanto ai due, batté il cinque con Hyuuga e scompigliò i capelli a Mikado.  

Suspance e imprevedibilità”, riportò infine il leader del gruppo, dal momento che Eiichi nutriva ancora la forte convinzione che gli Heavens, tutti insieme, potessero raggiungere vette sempre più alte di popolarità e ottenere un maggiore riconoscimento, un qualunque premio, con un’incredibile performance che soltanto i sette guerrieri della musica potevano eseguire. Malgrado le difficoltà apparentemente insormontabili, avrebbero fatto ogni cosa per risorgere, rialzarsi e proseguire il cammino.

Una volta che ebbero aggiunto il tocco finale, cioè un puntale argentato in cima all’albero ormai interamente addobbato, Eiichi fece spegnere le luci in sala e il risultato del loro lavoro emerse fuori in tutta la sua sorprendente bellezza e luminosità, lasciandoli decisamente a bocca aperta.

E il minore degli Ootori, felice e commosso, colse l’occasione per ringraziare affettuosamente il suo fratellone, perché la loro semplice promessa, che si erano scambiati quando lui era bambino, si era finalmente concretizzata, brillava vividamente al centro della sala e scaldava il cuore.

 

 

 

*

 

 

 

Silenzio in sala.

Telecamere posizionate a diversi metri dallo stupefacente albero di Natale che rispecchiava lo spirito irriducibile degli Heavens, i “guerrieri della musica”.

«Oh! Oh! Oh! Buon Natale!» esordì Van, in un’interpretazione personale e gioiosa di Babbo Natale, con indosso il tradizionale costume rosso con cappello sopra gli stivali marroni e un sacco pieno sulle spalle.

Scampanellando, Nagi si mise al suo fianco, lui invece era abbigliato come un grazioso elfo aiutante di Babbo Natale, mentre a un imbronciato e a braccia conserte Yamato era toccato il costume da renna, con tanto di corna finte.

I quattro membri degli Heavens rimanenti avevano invece sfilato davanti a loro, con abiti alla moda che facevano parte di una recente collezione autunno-inverno di una famosa stilista, per poi posizionarsi di fronte all’albero, accanto agli amici in costume.

«Buonasera a tutti! Siamo lieti di essere qui», esordì seraficamente Eiji, parlando a un microfono, che poi passò al fratello maggiore.

«Ci tenevamo a ringraziare sentitamente i nostri cari angeli per i bellissimi doni che ci hanno fatto e per tutto il loro sostegno», continuò Eiichi.

«Il vostro affetto unito alla voce delle stelle ci accompagnerà sempre», sussurrò Shion.

«Per questo, siamo qui oggi a dedicarvi la nostra cover di una canzone natalizia molto conosciuta nel mondo occidentale e tradotta in giapponese», riferì Kira.

«Ecco a voi “Santa Claus is coming to town” interpretata dagli Heavens!» annunciarono tutti in coro.

E subito dopo, partì l’introduzione strumentale della base.

 

 

 

Saa anatakara

MERRY CHRISTMAS

Watashikara

MERRY CHRISTMAS

SANTA CLAUS IS COMING TO TOWN”.

 

Ne kikoete

kurudesho

Suzunone ga

suku soko ni

SANTA CLAUS IS COMING TO TOWN”.

 

Matikirenaide

Oyasumi shita koni

Kitto subarashii PRESENT motte”.

 

Saa anatakara

MERRY CHRISTMAS

Watashikara

MERRY CHRISTMAS

SANTA CLAUS IS COMING TO TOWN”.

 

Saa anatakara

MERRY CHRISTMAS

Watashikara

MERRY CHRISTMAS

SANTA CLAUS IS COMING TO TOWN”.

 

Ne kikoete

kurudesho

Suzunone ga

suku soko ni

SANTA CLAUS IS COMING TO TOWN”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

______

Note: Approfittando del fatto che le feste, come ogni anno, sono ritornate in mezzo a noi, ho ripescato la one-shot dedicata agli Heavens e ho deciso di pubblicarla oggi (secondo la wikia, il 12 dicembre è il compleanno di Van xD anche se qui non si parla di compleanno, lui è comunque presente, quindi va bene, dai ^^).

Ammetto che non mi piaceva com’era uscita alla prima stesura, tuttavia oggi, rileggendola, ho pensato di darle una possibilità: è bastato dare una ritoccatina qua e là, aggiungere qualcosa et voilà, ecco a voi la storia natalizia! :D

Che ne pensate? Spero vi piaccia ^^

Potete ascoltare il video che mi ha ispirata su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=ziRMA6lrJIk

L’idea dei colori per farvi immaginare chi canta ogni verso va bene secondo voi? Mi sembra più indicata rispetto all’uso dello stile copione, ma se non vi piace posso cambiare la parte finale. (Nelle frasi a colori alternati cantano due insieme, ovviamente).

 

Eiichi (rosso)

Eiji (viola)

Van (arancione)

Yamato (fucsia)

Nagi (evidenziatore giallo)

Shion (verde)

Kira (blu)

Tutti e sette (nero)

 

Grazie per l’attesa e alla prossima!

Rina

 

 

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