Son of Chaos

di Mary_Julia_Solo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Broken ***
Capitolo 2: *** Cap.1 - Kjell ***
Capitolo 3: *** Cap.2 - Asgard ***



Capitolo 1
*** Prologo - Broken ***


Prologo - Broken
 
- Trust me, you do not wanna feel what I feel. -
 
Asgard, 24 settembre 2010 Midgardiano
Synne camminava a passo spedito nel corridoio dagli alti muri. Era contenta di essere tornata, anche se era passato molto tempo. Heimdall era stato molto stupito di sentire la sua preghiera, mentre stava inginocchiata in un campo molto fuori da Londra, quasi in Galles. Certo non sarebbe servito inginocchiarsi, ma lei pregava, pregava davvero che il Bifröst tornasse a prenderla così come l’aveva lasciata. Per fortuna Heimdall l’aveva vista. Synne voleva molto bene al guardiano. Dopotutto era stato lui a trovarla, mentre tremava in una notte di inverno. Non sapeva dove sarebbe stata in quel momento, se le cose fossero andate diversamente. Magari, chissà, sarebbe diventata una persona migliore. O magari sarebbe morta. Avrebbe preferito entrambe le opzioni, dopotutto. Heimdall si era offerto di accompagnarla fin da Odino, per spiegare il perché della sua sparizione e del suo ritorno improvvisi, magari prendendosi pure colpe che non aveva. Lui aveva soltanto cercato di aiutarla, Synne lo sapeva bene e perciò non aveva accettato la sua gentile offerta. Mentre camminava, tutti la osservavano stupiti. Doveva far loro uno strano effetto rivederla. Tra la folla che si era formata ai lati del corridoio, Synne riconobbe i visi dei Tre Guerrieri e di Lady Sif. Volstagg non ci pensò due volte prima di raggiungerla. Il suo volto si aprì in un enorme sorriso.
-Ma guarda chi si vede! La ragazzina! Ne è passato di tempo, dico bene? -Synne ricambiò il sorriso, mentre l’uomo le metteva una mano sulla spalla, facendola sbilanciare.
-Precisamente sedici anni, mio caro Volstagg. -intanto Fandral, Hogun e Sif li avevano raggiunti.
-Bella come sempre, se posso dire. -commentò Fandral, sorridendo e rivelando di non essere cambiato per nulla.
-Mi spiace domandarlo, Synne, ma cosa ti è accaduto? -si intromise Hogun, mentre Sif ancora non aveva detto una parola. Forse ce l’aveva ancora con lei per quello che era successo con Thor anni prima. Però non si poteva portare rancore per così tanto tempo… Ma per gli abitanti di Asgard, sedici anni erano solo un mero battito di ciglia. -Sembri… più vecchia. -concluse Hogun, mentre la donna si sistemava meglio i capelli castano chiaro sulle spalle, preparandosi per l’udienza con Odino.
-Il tempo passato su Midgard non mi ha giovato, a quanto sembra. -sui visi dei Tre Guerrieri si formò un’espressione stupita, mentre Sif rimase indifferente.
-Sei andata su Midgard? E com’è lì? È vero che si vestono in modo… -il viso di Volstagg si contrasse in una smorfia mentre cercava di trovare la parola giusta. -Strano? -terminò. Synne rise. La risposta giusta era che ad Asgard si vestivano in modo strano, ma dopotutto erano punti di vista. Annuì e rispose:
-Eccome. Se vedeste non ci credereste nemmeno. -lei aveva recuperato il suo vecchio vestito, lo stesso che indossava prima di andarsene, che era soltanto un po’ impolverato, ma che le stava ancora alla perfezione. Finalmente Sif si decise a parlare, chissà, forse perché era già stanca di averla nella sua visuale:
-Perché dopo tutto questo tempo sei tornata, di grazia? -era ovvio che la guerriera avrebbe preferito che non fosse tornata del tutto. All’improvviso Synne desiderò non essere mai partita da casa. Avrebbe dovuto rimanere su Midgard, il luogo a cui apparteneva e non invischiarsi di nuovo negli affari di Asgard. Soprattutto se concernevano i suoi principi.
Fece per ribattere che doveva parlare con il Padre degli Dei, quando una voce calda e forte, che conosceva bene, si levò alle sue spalle:
-Non essere così scortese, mia buona Lady Sif. -Synne si voltò e vide Thor arrivare, il Mjöllnir in pugno e il mantello rosso che fluttuava sulla sua schiena. Sorrise, felice di rivederlo, anche se forse non avrebbe dovuto. Effettivamente no. -Sono felice che tu sia qui, Synne. -esclamò il biondo prendendola tra le braccia e sollevandola, come faceva sempre. Lei rise, certa che Sif avesse appena roteato gli occhi al cielo. Thor la posò a terra e domandò:
-Che cosa ti porta qui? -Synne fece un respiro profondo e rispose, guardando il Dio del Tuono con i suoi profondi occhi azzurri:
-Devo parlare con tuo padre, Thor. -lui annuì e, come la donna sperava, si rivolse ai suoi amici.
-Miei buoni amici, se Synne è qui dev’essere per un motivo importante, quindi è meglio se lasciate che parli con mio padre. -loro annuirono e li lasciarono passare. Thor posò una mano sulla schiena di Synne e la guidò per tutto il corridoio, fino alla porta della sala del trono. All’improvviso la donna si fece insicura. Cosa diavolo avrebbe detto a Odino? Che scuse poteva trovare per essere scomparsa così? E le scuse servivano davvero? Sospirò, sentendo una fitta ai polmoni. No, no, no. Non poteva permettersi di cedere ora. Non se lo sarebbe mai perdonata. La voce di Thor la riportò alla realtà:
-Synne, stai bene? -il Dio la stava guardando con gli occhi azzurri spalancati ed evidentemente preoccupati. Lei annuì lentamente, sorridendo subito dopo, cercando di far scomparire ogni preoccupazione. Thor era un buon amico ed era felice di rivederlo, Sif poteva dire quello che le pareva.
-Non sei invecchiato di un giorno. -il biondo sorrise a sua volta, ribattendo:
-Nemmeno tu, Synne. -il sorriso della donna si fece più mesto.
-Invece sì e lo sai. Smettila di fare il galante. -
-Oh, io non vedo molte differenze. -forse Thor aveva ragione. Non era lei a essere invecchiata, era la sua anima che era andata lentamente appassendo, intrisa degli errori passati. -Perché sei qui per parlare con mio padre, se posso chiederlo? -lei alzò le spalle, fingendo che non le importasse.
-Soltanto per spiegare il perché della mia sparizione. Forse mi accetterà di nuovo come cittadina di Asgard. Spero… -Thor le diede una pacca su una spalla, ridendo.
-Non vedo perché non dovrebbe. -già, il Dio aveva ragione. Forse era lei che non voleva accettarsi come cittadina di Asgard. Sapeva che non sarebbe riuscita a vivere di nuovo in quel mondo, con i segreti che si portava appresso. Si sistemò i capelli, mentre entrava, dicendo a Thor:
-Scusa, ma, se non ti dispiace, preferirei avere udienza da sola. -lui annuì, accompagnandola ancora per qualche metro, per poi sussurrarle all’orecchio:
-Non devi sistemarti, comunque. Sei già perfetta. -Synne arrossì a quell’affermazione. Com’era possibile che fossero tutti ancorati al passato? Ormai lei non era più una ragazzina. Ma nessuno di coloro che aveva incontrato sul suo cammino per arrivare all’udienza con Odino sembrava essersene accorto. Thor sembrava ancora troppo interessato a lei, i tre Guerrieri la chiamavano ancora ragazzina e Sif ancora la odiava. Be’, forse era un bene. O forse no. Si sarebbe sentita davvero male se… Scosse la testa. Lei doveva rimanere nel presente. Ascoltò i passi di Thor che si allontanavano e la porta che si chiudeva alle sue spalle. Inspirò, espirò e alzò lo sguardo sul trono, dove il Padre degli Dei stava seduto composto. Si preparò a parlare.
 
Thor non era mai stato molto curioso, ma quando si parlava di qualcosa che gli apparteneva, tutto cambiava. Synne era sempre stata sua. Lo sapeva soltanto guardandola negli occhi. Quella ragazza era molto più forte di quanto sembrava. Persino più di Sif, pur non avendo mai combattuto. Ma non stava certo in quello la vera forza. Synne non cedeva mai davanti a niente. Mai, davvero. Per questo motivo era sua. Appena la porta si chiuse alle sue spalle, prese la bella iniziativa di origliare. Perché nemmeno lui, il figlio di Odino, aveva il diritto di ascoltare? Cosa nascondeva davvero la scomparsa improvvisa di Synne? Nel corridoio c’erano pochissime persone. Il Dio del Tuono rimase immobile, in ascolto, cercando di carpire più brandelli di conversazione possibili. Sentiva indistintamente la voce di suo padre, così si avvicinò un po’ di più alla porta, praticamente premendoci contro l’orecchio. Ora riusciva quasi perfettamente a sentire la voce di Synne.
-Sono qui per una questione abbastanza urgente, Padre degli Dei. -esitò per un attimo. -Vorrei spiegare il perché della mia sparizione improvvisa. -
-Prima che cominci vorrei farti una domanda, Lady Synne. -la donna doveva aver annuito, poiché Odino pose la sua domanda. -Heimdall ti ha ovviamente aiutata, ma era a conoscenza del motivo della tua fuga? -
-Si, Padre di Tutti. -per la mente di Thor passò un pensiero, che era lo stesso di Odino.
-Ora vorrei saperlo io questo motivo. -sentì indistintamente Synne tossire e poi parlare, la voce leggermente… tremante?
-Ci sono cose che forse non sapete Padre degli Dei… -Thor non riuscì a sentire il seguito, perché una voce lo sorprese alle spalle.
-Si può sapere cosa stai facendo? -si voltò cercando di restare calmo, imbarazzato per essere stato scoperto, a fronteggiare l’espressione corrucciata di Sif. Il Dio si passò una mano tra i capelli biondi, sorridendo.
-Assolutamente niente di interessante, mia buona Lady Sif. -la guerriera lo guardò sospirando e scuotendo la testa.
-Origliare l’udienza di Synne con Odino ti sembra nulla? -non trovando una risposta adeguata per la prima volta nella sua vita, Thor optò per il silenzio. -Thor, se ha voluto parlare con lui da sola, un motivo ci dev’essere. -
-Ma… -all’improvviso, lui ritrovò la parola. -Ma io sono Thor, il Dio del Tuono, figlio di Odino, devo avere il diritto di ascoltare! Se riguarda Asgard devo saperlo, sto per diventare Re! -Sif sollevò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto.
-Forse non riguarda Asgard, ma soltanto lei in persona. -
-Be’, ho lo stesso il diritto di sapere! -esplose Thor, che aveva cercato di tenere quei pensieri soltanto per sé. -Se riguarda lei, riguarda anche me! Non capisci, Sif, che se fosse rimasta sarebbe stata la mia sposa? -per Sif quelle parole furono come secchi d’acqua ghiacciata in faccia, ma non si fece scoraggiare e disse al Dio quello che pensava lei.
-Avresti voluto che fosse così, ma non sarebbe successo, lo capisci? Lei non ricambiava i tuoi sentimenti, lo capisci? Eppure era così ovvio… Eri troppo accecato dalla tua vanità per vedere la realtà. -Thor si sentì punto sul vivo, ma non ascoltò quello che l’amica gli stava dicendo. Non le credeva. Era gelosa e lui lo sapeva. Synne provava qualcosa per lui, ne era certo.
-Vattene Sif. -la sentì sbuffare e allontanarsi. Non gli importava, non in quel momento. Forse poteva ancora capire il centro della discussione tra Synne e Odino. Ma tutto fu vano, riuscì a sentire soltanto a sentire gli ultimi brandelli di una frase.
-…tutto questo tempo. Vorrei che la cosa non venisse alla luce, Padre degli Dei, lo desidero tantissimo, non posso permettere che tutti sappiamo. -Thor sentì suo padre sospirare.
-Hai ragione, Lady Synne. Meglio che tutto rimanga nell’ombra. Nessuno reagirebbe bene alla cosa. Bene, ora sei libera di andare. La regina ti accompagnerà alle tue stanze, se hai intenzione di restare. -
-Grazie, Padre degli Dei. -poi, soltanto dei passi. Thor raccolse il Mjöllnir, scocciato. Se non fosse stato per Sif, lui avrebbe sentito il segreto che Synne celava. Sbuffò, rassegnato, e riprese la sua strada. Però si impose una cosa: doveva scoprire perché Synne era tornata. Forse l’avrebbe chiesto a suo padre, forse l’avrebbe obbligata a parlare, non lo sapeva. Sapeva soltanto di dover sapere.
 
Synne fu molto felice di rivedere la regina, quasi più di rivedere Heimdall. Non sapeva davvero perché, ma lei era gentile, più di chiunque altro. Se ben ricordava, era stata lei a trovarle una famiglia lì ad Asgard, cercando in tutti i modi possibili di non far sapere a nessuno il suo regno di origine, Midgard. L’aveva sempre tenuta lontana dal palazzo, sicura che fosse la scelta migliore. Fino a quando non c’era più riuscita.
Frigga aveva un bel sorriso stampato in viso, uno di quelli veri, senza interessi nascosti dietro, come quelli di tutti gli altri che aveva incontrato in precedenza.
-Mia regina… -disse Synne chinando il capo. Frigga le sfiorò il mento, spingendola ad alzare di nuovo lo sguardo su di lei.
-Non essere così formale, mia cara Synne. Sono così felice di rivederti. -la donna sorrise di rimando, per poi abbracciare la regina come una bambina che rivede la madre dopo tanto tempo.
-E io sono felice di essere tornata, Frigga. -la regina rise, riconoscendo in Synne la ragazza spensierata che ricordava, sebbene il suo viso fosse cambiato, in tutti quegli anni. Synne era sempre stata legata alla famiglia reale in modo particolare, come nessuno. Già, forse anche troppo.
-Ho sentito quanto hai detto a mio marito, e devo dirti che comprendo perfettamente perché te ne sei andata. -Synne abbassò lo sguardo, distogliendo gli occhi da quelli gentili di Frigga.
-Sono io che non comprendo me stessa. Sono stata una codarda. Sono fuggita e non so nemmeno… Forse volevo… Io… Non so.  -
-Ti serve solo tempo. -Synne annuì, ma sapeva che non era vero. Di tempo ne era già passato, e non poco. E lei ancora non riusciva a perdonarsi. -Ma non restiamo nel passato. Ora sei qui ed è questo che conta. -le due donne camminarono per i corridoi, fino alla stanza che era stata assegnata a Synne, parlando di tutto meno che dell’argomento “scottante”. Synne era davvero grata a Frigga per questo. Non capiva però come sia lei che Odino avessero accettato di tenere tutti all’oscuro. In fondo, non era nulla di così tremendo. Forse. Ma lei era scappata, non poteva tornare tutto normale, non all’improvviso.
-Bene, ora ti lascio. Suppongo che tu abbia bisogno di passare un po’ di tempo da sola, per ambientarti di nuovo. -Frigga si congedò, lasciando Synne immersa nei suoi pensieri. La donna aprì la porta e si guardò intorno. Tutto quello non le apparteneva più ormai da tempo. Non poteva adattarsi di nuovo. E poi non aveva intenzione di fermarsi a lungo. Certo, sarebbe di nuovo scomparsa. Questa volta per sempre. Un violento colpo di tosse la scosse. Non aveva più tempo, non aveva più tempo! Doveva cercarlo prima che fosse troppo tardi. Credeva di sapere dove fosse, quando lei viveva ancora lì ci andavano spesso insieme. E magari proprio per quello lui non ci andava più. Sospirò e oltrepassò la porta, controllando il corridoio. Era deserto. Tirò un sospiro di sollievo. Non aveva la minima idea di cosa gli avrebbe detto, ma non voleva che la vedessero andare da lui. Soprattutto perché Thor sembrava ancora ossessionato da lei. Era un buon amico, ma in quelle circostanze non riusciva a sopportarlo. Non poteva acclamarla proprietà sua. I suoi passi risuonavano macabri nel vuoto in cui camminava. Tutto il coraggio le venne meno. Si sentiva un indistricabile nodo in gola. Non doveva tornare, decisamente no. Il suo segreto avrebbe potuto rimanere soltanto suo. E invece no, con tutto quello che stava capitando, lei aveva deciso di tornare. Forse era impazzita. Solo la pazzia poteva averla condotta di nuovo ad Asgard. Quel luogo non le apparteneva. Era soltanto una lurida Midgardiana con un segreto troppo grande da portare. Certo non sapeva che quel segreto sarebbe diventato ancora più grande, così grande e pericoloso da portare Odino a spezzare il suo patto con lei. Non sarebbe stato un problema suo. Asgard rimaneva un luogo troppo divino per lei. Gli uomini non dovevano entrare in contatto con gli Dei. Ciò che era di Asgard rimaneva ad Asgard, ciò che era di Midgard rimaneva a Midgard. E Synne era di entrambi i Regni. Una cosa certo inammissibile. Heimdall avrebbe fatto meglio a lasciarla morire. Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri, senza ottenere molto risultato. Si fermò poco prima di raggiungere la biblioteca. Solo in quel momento si accorse di essersi morsa il labbro a sangue. Si appoggiò al muro, cercando un sostegno, anche se sarebbe stato più utile uno morale piuttosto che fisico. Sapeva di doverlo fare, ma doveva trovare la forza. Strinse i pugni. Inspirò. Espirò. Si riprese e ricominciò a camminare. Quando fece il primo passo dentro la biblioteca, sorrise. Era esattamente come la ricordava. Libri a perdita d’occhio. Aveva sempre dubitato che fossero in molti a leggerli. Lì ad Asgard preferivano allenarsi nel combattimento. Poi lo vide. E nulla poteva farle tornare il sorriso, in quel momento. Nemmeno lui era cambiato. Nemmeno un singolo dettaglio era diverso. E lei lo aveva osservato talmente tante volte che poteva dirlo con certezza. Lui non l’aveva vista, era troppo concentrato nella lettura. Synne perse tutta la sicurezza che aveva trovato. Uscì correndo, prima che lui potesse vederla. Non poteva, semplicemente non poteva. Tornare così all’improvviso, tornare, era stato un immenso sbaglio. Una volta uscita, scivolò lungo il muro e si ritrovò a terra, a piangere lacrime silenziose. Cosa diavolo le era venuto in mente? Doveva andarsene, al più presto. Forse Heimdall le avrebbe fatto un secondo favore senza nemmeno farle domande. Si rialzò, asciugandosi le lacrime con la manica del vestito. Prese a camminare verso l’uscita, sempre che si ricordasse la direzione. Non sapeva esattamente dove si trovasse, quando una voce ruppe il silenzio:
-Posso chiederti dove stai andando, Synne? -era Thor, ma la sua voce era strana, meno gentile del solito. Synne non poteva dire la verità, così disse la prima cosa che le passò per la testa.
-Oh, Thor. Ehm, io… Temo di essermi persa. -il Dio del Tuono sollevò un sopracciglio, davvero poco convinto.
-Non so se posso crederti. Conosci il palazzo quasi meglio di me. Allora… -la sua voce si fece più dura, quasi… cattiva. -Dove stai andando? -
-Me ne vado, va bene? Non posso restare! -rispose lei, stizzita. Thor la fissò per qualche secondo, lo sguardo azzurro perso nel vuoto. Poi lasciando stupita e sconcertata Synne, le afferrò un polso con una forza che aveva solo lui.
-No… Non puoi andartene! -Synne si ritrovò ad essere quasi spaventata.
-Thor, ti prego, tu non sei così… -lui strinse la presa, afferrandole anche l’altro braccio.
-Come puoi sapere come sono? -Synne notò che era davvero troppo vicino. Prima che potesse fare qualcosa, il Dio la spinse contro il muro e la baciò. La donna cercò di allontanarlo, senza molto risultato. -Perchè vuoi andartene? Non mi ami Synne? -lei riusciva soltanto a provare un gran senso di disgusto. Che cosa diavolo aveva fatto per ridurre Thor così? Non era né bella, né tantomeno attraente. Lui non avrebbe potuto semplicemente innamorarsi di Sif o di qualunque altra, ma non di lei?
-No, non ti amo… -sputò. Lui si ritrasse, ma non per la risposta di lei, ma rendendosi conto di quello che stava facendo. Aveva un’espressione sconcertata dipinta sul viso.
-E perché? -domandò, ormai quasi più per curiosità che per vero interesse. Ma era una domanda ridicola. Non lo amava perché sì, non aveva certo scelto. Synne fece un passo indietro e prima di correre lontano da lui mormorò:
-Perché il mio cuore appartiene già a qualcun’altro. -Thor non la seguì, rimase fermo a rendersi conto per davvero di quello che aveva fatto. Si sentì una persona orribile. Come aveva potuto farle del male? E se lo aveva fatto era ovvio che lei era soltanto una sua ossessione e nulla di più. In più Sif aveva ragione. Era stato davvero cieco, nella sua vanità. Era ovvio che il cuore e la mente di Synne erano già occupati da un’altra persona.
Synne corse a perdifiato, senza una direzione precisa, i capelli che le ricadevano scomposti sul viso, le lacrime che le offuscavano la vista. Possibile che provocasse disastri solamente esistendo? Non sapeva quanto sarebbe riuscita a sopportare ancora tutto questo. Forse presto non avrebbe più dovuto preoccuparsi. Ubriaca di lacrime com’era non riusciva più a comprendere nulla. Perse per qualche attimo la condizione del tempo e dello spazio. Urtò malamente qualcuno e, sarebbe finita a terra, sbalzata indietro dall’urto, se quel qualcuno non l’avesse bloccata prendendola per i fianchi. Synne non riusciva a vedere nulla e si sentiva la testa vorticare. In tutta quella confusione, in tutto quel nulla, comparve una voce.
-Attenta! Potresti farti male! -tutto scomparve per Synne. Tutto, c’era solamente quella voce. Era gentile, quella voce, ma non come quella di Thor, era meno… sicura? Forse lo era meno falsamente. Thor era sempre gentile con tutti, che a volte lei dubitava che lo fosse sempre seriamente. Ed era una voce che lei conosceva molto, forse troppo, bene. Synne si spostò i capelli dal viso, mentre riusciva a sentire la pelle scottare, oltre il vestito, dove lui teneva ancora le mani. Pur avendolo visto poco prima, Synne non si sentì meglio. Era così vicino che avrebbe potuto baciarlo. Ma il suo viso troppo stupito la fermò, insieme ai troppi errori passati.
-Synne…? -mormorò lui, quasi pensando che lei potesse sparire da un momento all’altro, quasi come se non potesse credere che lei fosse reale.
-Loki… -rispose lei, sentendosi un’idiota per non essere riuscita a dire assolutamente nulla di più. Forse non c’era nulla da dire, assolutamente nulla. Synne non si sarebbe mai perdonata quello che gli aveva fatto, fuggendo così, senza nemmeno poterlo salutare. Temeva che lui avesse pensato che lo prendesse in giro, come chiunque altro, che non perdeva occasione per tormentarlo. Lui però non sembrava arrabbiato, sembrava essere in uno stadio tra il felice e il troppo sorpreso per parlare. Ora la stava osservando, quasi come se fosse un’opera d’arte. Synne si chiese se si fosse accorto di quanto era invecchiata, ma probabilmente no. Almeno non da come la stava guardando.
-Mi-mi dispiace… -cominciò Synne, mentre gli occhi verdi di Loki si univano a quelli color cioccolato di lei. -Non volevo andarmene così. Non volevo farti del male… -prima che potesse aggiungere qualunque cosa, le labbra di lui furono sulle sue, mettendola a tacere. Non riusciva bene a capire se tutto quello significasse che non era arrabbiato o che forse lo era estremamente, non si poteva mai dire. Synne si era preoccupata solo di quello, da quando aveva deciso di tornare. Ma ora tutte quelle preoccupazioni sparirono. Non doveva più preoccuparsi di nulla. Era tornata da lui, solo questo contava. Synne affondò le dita nei capelli color penne di corvo -era così che per anni li aveva descritti nei suoi diari- di lui, scompigliandoli tutti, pur sapendo che lui lo odiava. Si separarono per riprendere fiato e allora fu tempo di domande.
-So che non volevi scappare… ma devo chiedertelo: perché lo hai fatto? -Synne lo guardò a lungo. Non sapeva cosa rispondere. Forse perché non poteva. Ma presto, troppo presto non avrebbe più potuto rispondere nulla. E non avrebbe dovuto più preoccuparsi di nulla. Un violento, molto più violento degli altri, colpo di tosse la scosse. La vista le si appannò e sarebbe scivolata a terra, se Loki non l’avesse sostenuta. Synne sentì un rivolo di sangue caldo scivolarle lungo la guancia, mentre ancora teneva la testa piegata. La sua vista si offuscò ancora una volta e la donna perse i sensi. Loki, dopo averle sfiorato la guancia sporca di sangue, l’aveva adagiata a terra, non riuscendo più a sostenerla. Synne rinvenne, sentendo il panico salirle dentro. Non si poteva aspettare ancora? Doveva proprio venirle in quel momento l’attacco peggiore? Sentì dei passi avvicinarsi velocemente e poi una voce.
-Loki! Cos’è successo? -era Thor. Si chiese da quanto tempo li stesse guardando. Be’, almeno finalmente avrebbe capito.
-Non lo so. Però sta male, molto male. -riuscì a sentire un accenno di panico, un leggero tremore, nella sua voce.
-Potrebbe essere una malattia di Midgard. -constatò Thor, ed effettivamente aveva ragione. Synne sapeva di non poter fare molto, la sua malattia andava avanti da troppo tempo. Per uscirne c’era un’unica via… La morte.
-Loki… -rantolò, cercando di stare calma. Ma non aveva più tempo. Lui le prese la mano, come a dimostrare che era lì e che non l’avrebbe lasciata. -Qualunque… -un colpo di tosse la scosse -Qualunque cosa succeda, ricordati che… ti amo. -finì in un sussurro quasi impercettibile, senza riuscire più a dire nulla. Il Dio la guardò con dolcezza e le sollevò leggermente la testa, baciandola, ignorando il sangue ormai rappreso agli angoli delle sue labbra.
-Anch’io ti amo. -sussurrò in risposta. Poi si alzò e lasciò che fosse Thor a sollevarla. Mentre camminavano il più in fretta possibile, Synne sentì il Dio del Tuono scusarsi con lei per quello che poco prima aveva fatto, per essere stato così cieco.
 
Il tempo sembrava quasi fare rumore, infrangendosi sulle pareti del palazzo. Thor continuava a lanciare e a riprendere il Mjöllnir, troppo agitato per fare qualunque altra cosa. Quella di Synne era davvero una malattia di Midgard, da quanto aveva sentito, e temeva che potessero fare ben poco. Loki era seduto a terra, lo sguardo perso davanti a sé. Non riusciva a concepire di poter perdere Synne di nuovo. Ne sarebbe morto. Era da tempo che i principi di Asgard non si trovavano così uniti per qualcosa. Certo, sarebbe stato meglio se l’argomento fosse stato più allegro, ma la felicità era qualcosa che aveva abbandonato Asgard. Almeno per Loki. Le porte della Camera della Guarigione si spalancarono e ne uscì Frigga, che si torceva le mani, lo sguardo triste. Loki balzò in piedi, mentre Thor lasciava cadere pesantemente il martello. La Regina sopirò prima di parlare.
-Noi non conosciamo le malattie di Midgard, ma abbiamo provato di tutto. Però… -abbassò lo sguardo, rialzandolo subito in direzione del suo figlio minore. Loki spalancò gli occhi, mentre il muro che in tutti quegli anni si era creato crollava. Sembrava che il suo cuore si fosse fermato. Fece per correre nella Camera, ma Frigga lo fermò. -No, non lo fare… -gli occhi di lui stavano diventando lucidi, ma la madre sapeva che non avrebbe pianto. Lo strinse a sé e lui affondò la testa nella sua spalla, reprimendo l’istinto di gridare. Sempre a lui. Perché sempre a lui? Cosa aveva fatto di male? Cosa aveva fatto di sbagliato? Magari tutta la sua vita era sbagliata. Si chiese perché diavolo fosse nato, se poi… Se poi cosa? Se poi tutti lo disprezzavano mentre adoravano suo fratello? Se poi non sarebbe diventato re di Asgard? Se poi soffriva e basta? Perché? Perché?! Sentì una delle pesanti mani di Thor posarsi sulla sua spalla, cercando di confortarlo. Frigga, con le lacrime agli occhi, quasi come se stesse parlando a un bambino, mormorò:
-Andrà tutto bene, te lo prometto. Te lo prometto… -ma nulla sarebbe andato bene da lì in avanti, nulla. E Loki lo aveva capito quando, otto mesi dopo, si lasciò cadere nello spazio sperando, forse, di sparire per sempre.

Angolo autrice: 
Salve bella gente! :) Ditemi una cosa: vero che faccio schifo con le trame? Maaa, non volevo dirvi questo. Volevo magari intervistare qualcuno e chiedergli/le perché mai è arrivato fino in fondo al capitolo. Purtroppo non è possibile quindi sarà per una prossima volta :) (questa faccina mi inquieta ma non so perchè)
Nooo, no, non sono pazza. Almeno non del tutto. Ehmmmm, comunque è molto probabile che nessuno abbia capito molto di questo capitolo, ma il senso era proprio quello. Cioè, tutto quello che dovete sapere verrà spiegato nei prossimi capitoli (ok, forse non proprio tutto tutto. Si aggiungeranno altre cose incomprensibili però. Sorry not sorry). Scusate per quel Thor decisamente prepotente. Lo sappiamo che il nostro Dio del Tuono in realtà è solo un grande golden retriver con gli occhioni dolci. Poi, a parte questo, come avrete notato sono completamente incapace di far parlare asgardiano agli asgardiani. No, perchè loro usano questo lessico ultra forbito… Vabbè, poi c’è Synne. Di sicuro non avete capito molto di lei e perché se ne sia andata. O magari, visto che siete certamente più intelligenti di me che credo di avervi fregato lo avete capito. Poi c’è il nostro povero Loki (cioè il mio personaggio preferito in assoluto, perché dai, anche con tutto quello che ha fatto, come si fa a non amarlo? E qui ci stava una faccina con gli occhi a cuore, ma non posso metterla :(). Vabbè lui è Loki quindi a lui capitano tutte le sfighe. Però adesso mi sa che se continuo a scrivere mi viene più lungo il commento del capitolo, quindi ve saluto! Baci <3 E grazie di essere giunti fino alla fine di questo (ehm) confundente (?) capitolo.
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)

 

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Capitolo 2
*** Cap.1 - Kjell ***


Capitolo 1. - Kjell
 
- All things truly wicked start with an innocence... -
 
Londra, 29 gennaio 2013
-Allora… -borbottò il ragazzo, posando la tazza di tè sul tavolo. Accese il computer e cercò la pagina sulla quale lavorava già da parecchio tempo. Posò le dita sulla tastiera, osservando l’ultima frase che aveva scritto. Il suo sguardo vagò per qualche attimo nel vuoto, cercando di trovare le parole giuste. Poi, cominciò a battere velocemente sulla tastiera. “Dennis si guardò intorno, mentre il gelo lo avvolgeva. Era sicuro di aver scorto del movimento, nel buio della stanza. Non aveva paura, ma dopotutto non ne aveva mai. Aveva smesso di credere ai mostri e ai fantasmi da molto tempo, pur continuando a vederli nei suoi sogni. In un attimo -lui non se ne accorse neanche- cadde sul pavimento gelato, battendo malamente la testa. Qualcosa, qualcosa di grosso, l’aveva urtato. Nell’universo creato dal colpo, il sogno che faceva ormai da quando era soltanto un bambino, tornò. Il sangue era tanto, troppo. Il dolore era immenso, ma su di lui non c’era segni di ferite. No. Il sangue proveniva da una donna, una donna che… stava morendo.”  Sobbalzò, cancellando velocemente le ultime frasi scritte. Doveva concentrarsi, non poteva farsi deconcentrare da quel sogno che faceva ormai da troppo tempo. Era così, non era il protagonista della sua storia a fare quel sogno così spesso, bensì lui. Sobbalzò quando sentì una porta sbattere alle sue spalle. Chiuse velocemente il computer e prese la tazza, le mani scosse da uno strano tremore. Aveva una cattiva sensazione. Non su quello che stava accadendo, non era così semplice. Aveva una cattiva sensazione sulla sua vita. Temeva che sarebbe successo qualcosa che l’avrebbe irrimediabilmente cambiata. Non sapeva se era pronto per questo.
-Ehi, Kjell! -esclamò una voce dietro di lui, facendolo sobbalzare. -Che stai facendo? -lui rimase ad osservare Darcy, la stagista di Jane, il cui padre era molto amico della madre del ragazzo, con sguardo vacuo. -Mmmh… Secondo me stavi provando a scrivere. -Darcy si diresse verso la dispensa e aprì una delle ante, mentre il suo viso si apriva in un’espressione di disappunto. -Le mie barrette al cioccolato sono scomparse! Oh, aspetta, ne è rimasta una. -prese la barretta al cioccolato e sbatté l’anta, sedendosi al tavolo e riprendendo a guardare Kjell, scartando la barretta. -Scommetto che le ha prese Jane! A proposito, non è che l’hai vista per caso? -lui scosse la testa, sorridendo, poiché Darcy aveva fatto la domanda masticando la barretta, quindi era praticamente incomprensibile.
-Veramente credo che sia uscita. Quando sono tornato dalla biblioteca era scomparsa. -Darcy spalancò gli occhi e sollevò le sopracciglia.
-Uscita! Ma sei sicuro? Non è che magari si è nascosta sotto il divano o qualcosa di simile? Pensavo che fosse in giro tipo zombie in pigiama a mangiare gelato! -Kjell rise, immaginandosi la scena di uno zombie in pigiama a mangiare gelato.
-Sono abbastanza sicuro, ma se vuoi controllare sotto il divano… -Darcy scosse la testa, alzandosi di scatto e facendo sobbalzare l’amico.
-Ho un’idea migliore. Jane! -gridò, per poi ripetere più forte. -JANE! -si risedette, abbastanza soddisfatta. -No, a quanto pare non è in casa. -in quel momento la porta d’entrata si spalancò e Jane corse dentro, vestita di tutto punto, lanciando subito un’occhiataccia alla sua stagista.
-Darcy! Ma si può sapere che diavolo c’è da urlare? Riuscivo a sentirti fino in strada! -la stagista alzò le spalle, continuando a mangiare la sua barretta.
-Be’, arrivo qui e Kjell mi dice che non sei in casa! E allora ho pensato che fosse troppo incredibile per essere vero! -Jane sbuffò posando pesantemente la sua borsa su una delle sedie.
-Sono andata da Grace per discutere di… -guardò Darcy e poi sventolò la mano. -Lascia perdere, tanto non ci capiresti nulla. -l’altra sembrò profondamente offesa.
-Grazie… -Jane la ignorò, rivolgendosi a Kjell.
-Comunque tua madre ti cerca. -Grace Barker era la madre del ragazzo. -Dice che ti vede parlare faccia a faccia. -Kjell si accorse solo in quel momento di avere il telefono completamente morto. Forse sua madre aveva provato a chiamarlo, ma lui non poteva sentire.
-Ok, spero che non sia nulla di grave. -si alzò e infilò il computer nella borsa. Prese la giacca dallo schienale della sedia e salutò le due amiche, che cominciarono subito a litigare quando lui fu uscito. Non capiva esattamente come quelle due riuscissero minimamente a sopportarsi. Primo, erano completamente diverse, secondo, di sicuro Darcy non era interessata per davvero a tutta quella scienza. Eppure Jane la teneva ancora con sé. Forse era per tutto quello che era successo due anni prima in New Mexico, quando Jane aveva deciso in parte di abbandonare la scienza e di credere alla magia. Non era mai stato ben in chiaro di quello che era successo, ne aveva sentito parlare da qualche parte su internet, ma tutto quello che era davvero successo lo sapevano soltanto Jane, Darcy e il Dottor Selvig. Non aveva mai fatto domande, non che in fondo gli interessasse più di tanto. Si stinse nella giacca quando il pungente freddo di gennaio lo colpì. Era un inverno particolarmente freddo. Prese la metropolitana, come sempre. Ragionò molto sui suoi sogni. Quando era più piccolo erano meno frequenti e meno dettagliati, ora invece li faceva ogni notte. Era come una tortura, non riusciva a comprendere il loro significato. Eppure dovevano dire qualcosa. Sognava tutto quel sangue… Sembrava così vero, talmente vero che se avesse allungato la mano nel sonno a toccarlo, il giorno dopo probabilmente si sarebbe svegliato con le mani insaguinate. In un certo senso si sentiva quasi un assassino, non sapeva bene perché. Forse quello era un sogno premonitore, o peggio un ricordo cancellato. Si riscosse dai suoi pensieri quando la metro rallentò progressivamente, fino a fermarsi. Si accorse però che non erano ad una fermata. No, erano nel bel mezzo del tragitto. Le altre persone erano certo confuse quanto lui. Che diavolo stava succedendo? Quasi a peggiorare la situazione, le luci si spensero all’improvviso. I passeggeri cominciarono gradualmente ad urlare, terrorizzati da tutta quell’oscurità. Anche Kjell era spaventato, ma cercò di combattere la paura per riuscire a capire cose stesse succedendo. Poteva trattarsi soltanto di un guasto, ma qualcosa gli diceva che non era così. Gli parve di scorgere un movimento, fuori, sui binari. Sentì un enorme gelo avvolgerlo. Solo in quel momento cominciò davvero ad essere spaventato e a non riuscire a controllarlo. Era quello che accadeva al protagonista della sua storia. Era quello che accadeva a lui nei suoi sogni da qualche tempo. Fece qualche passo verso il finestrino dove era certo di aver visto quel movimento, mentre i suoi occhi si abituavano al buio. Da principio non vide nulla, poi, all’improvviso, come dentro un horror, un viso comparve davanti a lui, oltre il vetro. Non aveva nulla di umano. Era pallido, come quello di un cadavere, magro e con qualche cicatrice. Gli occhi erano come pozzi, completamente neri, senza traccia di iride o di bianco. I capelli, per quanto riuscisse a vederne, erano bianchi. In tutto quell’orrore completavano due orecchie a punta, non meno pallide del resto del viso. Kjell fece un balzo indietro. Da quale angolo dell’inferno proveniva quell’essere? Doveva aver urtato qualche altro passeggero, poiché cadde pesantemente a terra, all’indietro, battendo la testa. Tutto si fece più oscuro di quanto non fosse già. La luce tornò improvvisa. La luce delle stelle. Ce n’erano tante, forse troppe per riuscire a sopportarle. Quelle stelle venivano invase dall’oscurità, quasi come carta scompare sotto l’inchiostro. Poi tutto si fece rosso, ma questa volta non era sangue, era… Qualcos’altro. Qualcosa che non riusciva ad identificare. Ma gli incuteva terrore, come se sapesse che era qualcosa di effettivamente pericoloso. Spalancò gli occhi, libero di farlo di nuovo e vide che tutto era scomparso. Non c’era oscurità, e la metro continuava tranquilla il suo percorso. Nessuno segno di visi pallidi o di stelle. Fece un profondo respiro, cercando di stare calmo. Era probabile che fosse svenuto, ma tutto era sembrato troppo realistico. Doveva fare luce su quella faccenda, anche se non aveva la minima idea di come. Scese dalla metro e risalì in fretta in superficie, contento di poter finalmente respirare di nuovo aria buona. Si passò una mano sul viso, accorgendosi di star tremando. Quello che gli era successo lo aveva sconvolto. Non riusciva a capire quello che aveva visto. L’universo improvvisamente oscuro. Che cosa significava? Aveva troppe domande, domande che probabilmente non avrebbero mai ricevuto risposta. Si incamminò velocemente verso casa. Voleva soltanto parlare con sua madre e poi avrebbe rimesso insieme le idee, cercando di descrivere quello che aveva visto. Magari sarebbe potuto andare da uno psicologo e farsi curare. Era ovviamente mentalmente disturbato. Altrimenti per quale altro motivo avrebbe visto quelle cose? Certo, la magia esisteva, a quanto pareva, ma forse il suo era un trauma infantile o qualcosa del genere. Aprì la porta di casa e la chiuse alle sue spalle, gridando:
-Sono tornato! -non ottenendo risposta, posò poco elegantemente la borsa a terra e si tolse la giacca, gettandogliela sopra. Arrivato in salotto, vide sua madre seduta sul divano, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra che si muovevano quasi impercettibilmente.
-Mamma? -domandò, preoccupato. Quel giorno succedevano troppe cose strane. Lei si riscosse e lo guardò, sorridendo.
-Kjell, siediti. Suppongo che Jane ti abbia detto che ti voglio parlare. -il ragazzo annuì, non sapendo bene cosa pensare. Che cosa diavolo doveva dirgli di tanto importante? -Io e tuo padre abbiamo ragionato e abbiamo convenuto che tu sia pronto. -pronto per cosa? Non domandò e lasciò che Grace continuasse. -Lascia che ti racconti una storia. -
 
Norvegia, lontano da qualsiasi centro abitato, 7 febbraio 2013
Il vento infuriava all’impazzata nella pianura innevata. La neve era già alta e non accennava a smettere di scendere da quel cielo grigio e azzurro. C’era una foresta, poco più avanti. Kjell si sistemò meglio sulla testa il cappuccio della pesante giacca che indossava. Diede un colpo con una delle mani guantate all’aggeggio che Jane gli aveva prestato. Diceva che apriva delle porte tra i mondi o qualcosa del genere. Non che ci credesse molto ma quell’apparecchio, che andava lentamente congelandosi, continuava a produrre dei fastidiosi “bip” da almeno dieci minuti, sempre intorno a quel punto. Era partito per la Norvegia praticamente subito dopo aver parlato con sua madre, senza nemmeno pensare, dimenticando immediatamente la sua vita a Londra. Non aveva potuto aspettare di più. Sapeva che forse avrebbe potuto scoprire qualcosa sulle sue “visioni”. Ricordò quanto lui e Grace si erano detti, o quanto lei aveva raccontato a lui, dieci giorni prima:
-Per-per cosa dovrei essere pronto? -domandò, ignorando l’ultima frase. Che cosa diavolo farneticava sua madre? Forse aveva a che fare con tutto quello che aveva visto e che sognava. Magari era davvero un assassino. Grace sospirò.
-Per sapere la verità. Almeno quella che posso dirti. -Kjell scosse la testa, non capendo.
-La verità? -lo sguardo di lei si fece grave.
-Sì, le verità su di te. Tuo padre e io non volevamo mentirti, ma non sapevamo come dirtelo. Non credevamo che fossi pronto. Ora, invece… Be’, hai diciotto anni. -il ragazzo si torceva le mani, riflesso incondizionato di quando era agitato. Doveva essere veramente tremendo. Ma dopotutto, in cuor suo, sapeva benissimo cosa Grace gli avrebbe detto. Era fin troppo scontato. Forse aveva visto troppi film.
-Non siete i miei genitori, non è vero? -la mormorò appena, quella domanda, abbassando gli occhi. Lei annuì, mordicchiandosi il labbro inferiore. –Ma allora… chi sono? -a questo punto sua madre sospirò di nuovo.
-Lascia che ti racconti questa storia, Kjell. -il ragazzo annuì debolmente, aspettando che cominciasse. -Quando ancora andavo al liceo, avevo una migliore amica, la nostra amicizia andava avanti dai tempi delle elementari. Rimase incinta a soltanto sedici anni e il padre non le rimase vicino. Io feci il possibile per aiutarla, ma poco dopo lei lasciò il liceo e la rividi soltanto un anno dopo. Non le domandai mai dove fosse suo figlio, ma un giorno me lo disse lei. Mi disse che lo aveva abbandonato davanti ad una chiesa, sperando che trovasse una vita migliore, visto che lei non era in grado di occuparsene e i suoi genitori non erano stati molto d’aiuto. Dopo avermelo detto scoppiò a piangere come una bambina. -Grace sorrise tristemente al ricordo, il volto cupo. -Poco tempo dopo sparì di nuovo e in seguito scoprii che si era suicidata per il troppo dolore. Non me lo perdonai mai. -ora i suoi occhi brillavano di lacrime. Kjell rimase immobile, non sapendo cosa dire o cosa fare. Sapeva che forse avrebbe dovuto confortare sua madre, ma in qualche modo non ci riusciva. Era come congelato. Era una disgrazia. Che ci faceva ancora lì?
-Passarono molti anni e riuscii quasi a dimenticare, quando, un giorno che avrebbe potuto benissimo essere come gli altri, una ragazza si presentò sulla porta di casa mia. Disse di essere la figlia di questa mia amica, e io le credetti, sebbene non si fosse più sentito parlare di suo figlio. Facendo un test del DNA scoprì che era effettivamente così. Questa ragazza, Rebecca, era incinta. -alzò lo sguardo su suo figlio adottivo. -Di te Kjell. Non avevo potuto aiutare sua madre, così aiutai lei. Dopo averti dato alla luce, scomparve, chiedendomi di prendermi cura di te. E io lo feci, senza indugio. -Kjell annuì. Ancora le parole gli rimanevano bloccate in gola. Grace continuò. -Ma c’è una cosa che mi chiedo ancora dopo tutti questi anni. Da dove Rebecca venisse. Chiesi ai genitori della mia amica se sapessero qual era la chiesa dove la figlia aveva abbandonato la sua. Mi diedero l’indirizzo e io parlai con il parroco, che mi disse che no, quella bambina non era mai stata lì. Controllai ovunque, in qualunque luogo si potesse cercare, ma non trovai nulla. Né il suo nome, né famiglie di adozione. Nessun’indirizzo, nessuna scuola seguita. Soltanto la data di nascita in un ospedale. Era come se non esistesse. Quello che sto cercando di dirti è che sembra che tua madre non venga nemmeno… da questo pianeta. Almeno è quello che pensai, ma ci deve essere una spiegazione logica. Non possiamo certo pensare alla magia. -Kjell scosse la testa, deciso.
-No, è ovvio. –ma lui in parte sapeva quello che era successo in New Mexico e tutto quello che era successo in quell’unico giorno gli faceva dubitare che fosse effettivamente vero. E in ogni caso meno di un anno prima gli alieni avevano attaccato New York. Ovviamente, gli alieni non erano qualcosa di magico, però, di certo quell’universo era molto più vasto di quello che pensavano -Non… Rebecca non ti ha lasciato nulla per me? -chiese. Quella domanda era l’unica sensata e giusta che potesse fare. Grace annuì, prima di dire:
-Sì. Ti ha lasciato un diario, ma è praticamente vuoto. L’ho lasciato in soffitta, sperando di potertelo dare, prima o poi. -Kjell la guardò alzarsi, in silenzio. Lui sognava soltanto sangue da quando era piccolo, quel giorno aveva una specie di “visione”, uno strano elfo pallido gli compariva davanti e in più sua madre era qualcosa come un’aliena? Temeva che tutti quei fatti fossero collegati. Grace tornò con un piccolo libro impolverato -Ecco. È tutto quello che c’è. -il ragazzo annuì e aprì il libro. Effettivamente tutte le pagine sembravano bianche. Nella prima c’era scritto il suo nome e la sua data di nascita –Kjell, 15 gennaio 1995 –e anche una foto di quella che doveva essere Rebecca. A quanto pareva questa misteriosa donna non aveva nemmeno un cognome e quindi nemmeno lui. Sfogliò lentamente il libro, pagina per pagina, sperando di trovare almeno qualcosa. Aveva quasi perso le speranze, quando nell’ultima pagina trovò scarabocchiato il nome di una città -un paesino- in Norvegia, insieme a delle coordinate geografiche.
L’aggeggio cominciò non solo a produrre “bip” ma anche a lampeggiare di una fastidiosa luce rossa, che riportò Kjell al presente.
-Si può sapere che c’è adesso? -borbottò tra sé e sé, guardando lo schermo dell’apparecchio. Sembrava completamente andato in tilt, i numeri, le frecce e le lettere si confondevano senza senso logico. Con tutto quel vento, quando sentì il telefono suonare, non seppe né come lo avesse sentito, né come facesse ad avere campo. Rispose senza nemmeno guardare chi lo chiamasse, tanto lo aveva già intuito.
-Pronto? -gridò, cercando di sovrastare tutto il rumore attorno a lui.
-Kjell, come procede? -domandò la voce di Jane, confondendosi con il suono del vento. Ovviamente voleva essere subito messa al corrente di qualunque cosa appena un poco strano.
-Che vuoi che abbia trovato, oltre che neve e magari orsi? -la voce di Darcy comparve in sottofondo. Jane mise il vivavoce. Kjell sorrise, rispondendo a entrambe le domande delle amiche.
-No, nulla, nemmeno orsi. Questo posto non è molto utile, mi chiedo cosa ci sia venuta a fare mia madre. -Jane fece un’altra domanda, la voce un poco delusa.
-Nessun tipo di… -si fermò un secondo, per mordersi il labbro, sentendosi davvero stupida.
-Magia? -a questo punto comparve la voce di Erik Selvig.
-Jane, lo so che speri di trovare Thor, ma sono ormai due anni che non si fa vedere. -Jane rispose, stizzita:
-Seh, però era a New York, meno di un anno fa, o sbaglio? C’eri anche tu, ricordi? -Selvig si zittì. New York gli provocava brutti ricordi.
-Non sono coinvolto quanto voi in quella situazione, ricordate? Però sono sommerso dalla neve. Quasi. -
-Non congelarti, ti rivoglio indietro vivo. -commentò Darcy, mentre probabilmente mangiava l’ennesima di quelle barrette al cioccolato.
-Me ne ricorderò. -sorrise, anche se aveva paura che da lì a poco si sarebbe congelato per davvero. -Forse ora è meglio se torno in albergo. Tornerò qui domani. -
-Va bene, ma non… -la voce di Jane scomparve all’improvviso, insieme al segnale. L’aggeggio produsse un suono fortissimo, mentre il ghiaccio che si era formato su di esso fondeva. Anzi, diventava direttamente vapore acqueo. L’apparecchio si fece così rovente, che Kjell, pur avendo i guanti, dovette lasciarlo cadere. La neve si sciolse all’istante. Quando l’aggeggio entrò in contatto con l’erba secca, la fece ardere subito. Kjell non sapeva cosa fare, perciò decise che la cosa migliore era spostarsi. Cominciò a correre il più velocemente possibile, mentre il fuoco dilagava. In un attimo, tutto sarebbe stato bruciato! Poi, però, all’improvviso, tutto scomparve, quasi come se non fosse mai esistito. L’unica traccia del suo passaggio era tutta la neve sciolta. Il ragazzo smise di correre, mentre tutto riprendeva il suo corso. La neve cadeva tranquilla e lui ancora non sapeva spiegarsi cosa diavolo fosse successo. Fece qualche passo verso l’aggeggio, quando di nuovo quel freddo, quel freddo troppo gelato per essere persino reale, lo invase. Cadde a terra, sentendo qualcosa che lo colpiva. Non vide assolutamente nulla, prima che il buio lo avvolgesse. Questa volta non ci fu sangue, ma fuoco. Troppo fuoco. Bruciava ogni cosa, senza lasciare traccia di nulla, come tutto quello che l’apparecchio aveva provocato poco prima. Nemmeno la traccia di sé stesso. Nell’oscurità più totale, sentì una voce, la di una bambina, che diceva:
-Sei tu quello? Sei tu quello che ci salverà? -poco prima di perdere completamente conoscenza, mentre la neve lo faceva andare in ipotermia, visto che la sciarpa era scivolata via insieme al cappuccio, sentì un rumore immenso, che gli invase prepotentemente i timpani.
Attraverso le palpebre chiuse gli sembrò di vedere molta luce e una sagoma che si avvicinava…

Angolo autrice:
Non so cosa dire... DAN DAN DAAAAN, chi sarà mai questo misterioso ragazzo che ha delle visioni di personaggi molto amati da tutti noi (cioè, gli elfi oscuri, cioè Malekith, cioè Christopher Eccleston, cioè il nono Dottore! ok, dimenticate quello che ho appena detto)? E perché non si capisce niente di questa storia? Uuh. Ehm. Spero che nei prossimi capitoli voi possiate vedere la luce divina e lasciare l'Inferno insieme a Dante per andare da Beatrice, abbandonando un Virgilio in lacrime. Sì, sono pazza, questo si era capito. 
E poi, nessuno leggerà mai tutto ciò visto che ho pubblicato il capitolo cent'anni fa, quindi va bene lo stesso. 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

P.P.S: Se ci fosse qualcuno di ignorante quanto me che dò nomi ai personaggi senza nemmeno sapere come si pronunciano, si dovrebbe leggere "Kiell", con la i normale. Okay, ora siete di certo tutti offesi e posso dire ciao ai miei venti lettori, che nemmeno Manzoni... Comunque ve lo dice una che credeva si pronunciasse MGIollnir e non Miollnir. Pur avendo visto il film. MYE MYE IS THE WAY.

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Capitolo 3
*** Cap.2 - Asgard ***


Capitolo 2. - Asgard
 
- Pulvis et umbra sumus. -
 
Kjell si sentiva ancora la testa pesante, dopo quello che era successo. In più, non era tanto sicuro di cosa fosse successo in Norvegia. Tutto quel fuoco, lo svenimento, la voce, la luce, la figura. Probabilmente si sarebbe risvegliato a casa sua e avrebbe scoperto che era stato tutto un sogno. Era l’unica spiegazione possibile, nel mondo reale non succedevano cose di quel tipo. Effettivamente era abbastanza sicuro di essere nel suo letto, poiché sentiva la stoffa delle coperte sulle braccia nude. Però, quel sogno sembrava più reale degli altri… Aprì lentamente gli occhi, scontrandosi con una forte luce. Quando riuscì ad abituarsi, vide che non era affatto nella sua stanza, che non era a casa. Che tutto era stato reale e non soltanto un sogno. Quel luogo era strano. Sembrava uscito da un film… Sui romani, forse? Non avrebbe saputo dirlo con certezza. Però era strano, davvero. Le pareti sembravano fatte d’oro. Che quel luogo fosse legato alla luce? Alla figura? Allora, non se l’era immaginata, l’aveva vista davvero! Era stata lei a portarlo lì? E chi era? E quel luogo dov’era? Altre domande che si aggiungevano alla sua lunga lista. Forse stava ancora sognando. Decise di non usare la classica prova “del pizzicotto”, perché sembrava troppo stupido. Non era un sogno, perciò lui restava confuso. Forse… Forse era il luogo di cui parlava Jane! Non ci aveva mai creduto troppo. Certo, aveva visto quanto era successo a New York poco meno di un anno prima, però… Poteva anche credere agli alieni, ma non a quel luogo. Almeno non fino in fondo. Lanciando un’occhiata oltre la finestra riuscì a vedere degli alti palazzi e un cielo azzurrissimo, quasi irreale. Dopodiché, osservò meglio la stanza. Solo allora, notò una sedia, accanto al suo letto, occupata da un uomo massiccio, che si svegliò di soprassalto. Kjell rimase zitto, non sapendo cosa dire, ma l’uomo parlò per lui.
-Oh, ti sei svegliato, pivello. -sul suo viso si aprì un largo sorriso. -Purtroppo mi sono addormentato io. -completò la frase in un mezzo sbadiglio. -A proposito, io sono Volstagg. -Kjell annuì.
-Ehm… Ok, io sono Kjell… -l’altro non lo lasciò finire, scoppiando in una risata fragorosa.
-Lo so chi sei, pivello. -il ragazzo non ci capì molto, ma aveva smesso di capirci qualcosa da… dieci giorni prima, almeno. Se era stato dieci giorni prima che aveva parlato con sua madre. “Allora temo di essere io a non sapere più chi sono.”, pensò, ma non disse nulla. Invece, domandò:
-Potrei sapere dove sono? -Volstagg rise di nuovo.
-Ma ad Asgard ovviamente. -allora era vero. Jane aveva ragione. La città d’oro, patria degli Dei, era vera. Aveva sempre avuto le prove davanti agli occhi, ma come poteva davvero credere che davvero esistesse una città sospesa in cielo
-Non capisco… -mormorò, confuso. -Che cosa ci faccio qui? -guardò l’altro con i suoi occhi
bicolore, notando che lo metteva in soggezione.
-Non credo di poterti spiegare, ma tutto ti sarà più chiaro quando avrai parlato con il Padre degli Dei, credo. -ovvio. E che cosa aveva da dire a lui, un semplice ragazzo che nemmeno sapeva chi era, Odino? -Ti porto subito da lui, se te la senti. -Kjell annuì, alzandosi e trovando le sue scarpe -quelle da neve, sicuramente molto comode per lì-. Le mise svelto e seguì Volstagg oltre la pesante porta, infilandosi sopra la t-shirt il suo maglione, che aveva ritrovato abbandonato su una sedia. In quel corridoio non c’erano molte persone, ma più camminavano, più lo spazio circostante si animava. Kjell notò che tutti stavano guardando lui e sperò che fosse soltanto per il modo “strano” in cui era vestito e non perché avesse fatto qualche torto agli Dei. In quel caso, la sua fine non sarebbe stata piacevole. Abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe, cercando comunque di non andare a sbattere contro qualcosa. Tutti quegli occhi puntati su di lui lo mettevano in soggezione. Presto sentì dei mormorii:
-Allora è lui il midgardiano… -
-È ovvio, non vedi com’è vestito? -
-Deve essere il primo midgardiano a mettere piede ad Asgard. -
-Sì, forse non… -tutti i suoni si espandevano in quel corridoio. A quanto pareva gli abitanti della terra venivano chiamati midgardiani in quel luogo. Si sentì un poco sollevato capendo che forse non sapevano tutti il motivo della sua presenza lì. Erano soltanto curiosi. Si sarebbe sentito un idiota se lo avessero saputo tutti tranne lui. Fece vagare lo sguardo intorno a sé, senza più timore, e qualcosa gli saltò subito all’occhio. O meglio, qualcuno. Una donna vestita da guerriera, in modo quindi diverso da tutte le altre, lo stava fissando. Ma non come gli altri. Nei suoi occhi non c’era curiosità. C’era… dolore. Forse lei sapeva. Accelerò un poco per raggiungere il suo accompagnatore. Si schiarì la voce e domandò:
-Potrei chiederti chi è quella donna, Volstagg? -l’uomo non si guardò nemmeno in giro, rispondendo con sicurezza:
-Quella è Lady Sif, pivello. Io non me la farei come nemica, unica cosa da dire. -Kjell tornò a cercarla con lo sguardo e si accorse che era scomparsa. Si domandò cosa sapesse su di lui. Perché lo guardasse in quel modo. Una voce giunse dietro di loro:
-Volstagg! -chiamato in causa lui si fermò e si voltò sorridendo, aspettando con pazienza chi lo aveva chiamato. Kjell si voltò a sua volta e vide Thor, Dio del Tuono, nonché Vendicatore, raggiungerli, il martello in pugno.
-Sono contento di vedere che stai bene, Kjell. -disse il Dio.
-Sei stato tu a salvarmi, non è vero? -domandò Kjell, chiedendosi perché l’avesse fatto. Se era stato addirittura Thor a salvarlo, doveva essere importante. Ma cosa poteva avere lui di tanto speciale?
-Sì, sono stato io. So perché ti trovavi in quel campo in Norvegia, sapevamo che ci saresti andato, prima o poi. Heimdall mi ha avvertito. Posso anche supporre perché avevi con te quell’oggetto chiaramente donatoti da Jane –Oh, mio Dio, Jane! Solo in quel momento il ragazzo si ricordò di lei. Doveva essere preoccupatissima! Chissà quanto tempo era rimasto svenuto e non le scriveva o chiamava! E, in più, l’ultima telefonata si era fermata all’improvviso. Dubitava che si potesse mettere in contatto con lei, ora.
-Per quanto tempo sono rimasto svenuto? -
-Circa una settimana credo. -rispose Volstagg, dopo averci pensato per qualche secondo. Poi si rivolse al Dio del Tuono:
-Thor, sto portando il ragazzo a parlare con tuo padre. -l’altro annuì, mentre Kjell di nuovo si domandava cosa dovesse dirgli Odino.
-Sei libero di andare amico mio. Me ne occupo io. -rispose Thor, appoggiando una mano sulla spalla di Volstagg. Il guerriero non disse nulla, ma tornò a guardare Kjell, con una nota estremamente seria negli occhi. Il suo largo sorriso era scomparso.
-Buona fortuna, pivello. -dopodiché fece un cenno a Thor e sparì nel corridoio. Kjell e Thor ripresero a camminare, senza dire una parola. Non riuscendo più a sopportare tutto quel silenzio, il ragazzo chiese:
-Per cosa mi avete portato qui, esattamente? -il Dio lo osservò a lungo, indeciso se rispondere o meno. Primo o poi però Kjell lo avrebbe scoperto, e preferiva che fosse lui ha dirglielo, piuttosto che Odino.
-Può sembrare strano, ma tua madre ha vissuto qui ad Asgard per buona parte della sua esistenza. -Kjell era abbastanza certo che Thor non stesse parlando di sua madre. Era semplicemente impossibile.
Poi, ricordò le parole di Grace: “Quello che sto cercando di dirti è che sembra che tua madre non venga nemmeno… Da questo pianeta. Almeno è quello che pensai, ma ci deve essere una spiegazione logica. Non possiamo certo pensare alla magia.”
-Nemmeno da questo pianeta… -mormorò. Allora poteva essere vero. Ma era così confuso… Non riusciva a capire nulla di quello che stava succedendo, non riusciva a capire quello che dicevano le persone intorno a lui. Semplicemente non capiva.
-Poi, all’improvviso, scomparve. Tornò anni dopo, soltanto per… morire. -la voce di Thor si era fatta incredibilmente triste, così come i suoi occhi azzurri, fissi sul percorso. -A quel punto Heimdall confessò tutto. Disse che molti anni prima aveva visto una bambina, lasciata davanti ad una chiesa, che sarebbe morta assiderata. Allora aveva deciso di salvarla. L’aveva portata da una famiglia di contadini, che l’allevarono come se fosse loro. Nessuno avrebbe mai dovuto scoprire che in realtà era una Midgardiana. Ingannò anche me, fino all’ultimo. -sorrise mestamente e Kjell, che aveva capito solo la metà di quello che Thor aveva detto e che non aveva idea di chi Heimdall fosse, si azzardò a domandare:
-È per questo che sono qui, vero? -Thor non lo guardò, mentre rispondeva:
-Certo… -non era per niente convinto. Ma Kjell voleva delle risposte, doveva avere delle risposte.
-Quanti anni fa mia madre scomparve la prima volta? -chiese titubante.
-Più di diciotto anni fa, ormai. -tutto era più chiaro, allora. Sua madre aveva lasciato Asgard per lui. Ma non sarebbe potuta restare? Perché se n’era andata?
-Non riesco a capire. Assolutamente non riesco a capire. Perché se n’è andata? -Thor lo guardò di sfuggita.
-Non credo di potertelo dire. -non poteva… o non voleva? Tutto quello che stava succedendo non aveva alcun senso. Non solo veniva a sapere di essere stato adottato, ma anche che sua madre non esisteva sul pianeta terra, perché aveva abitato ad Asgard per tutti i suoi anni e che se n’era andata per lui. Non aveva alcun senso. Fino a pochi giorni prima credeva di essere un ragazzo completamente normale. Be’, forse con qualche problema psicologico. Nulla di grave, ovviamente. Solo dei sogni con molto sangue. -Mia madre era tua amica, vero? -domandò, incerto. L’altro annuì.
-Sì. -sorrise debolmente. -Per un po’ ne sono stato innamorato. Per questo Sif non la sopportava. -Kjell abbassò lo sguardo e decise di smettere di fare domande. Forse avrebbe dovuto informare Thor si quanto gli era successo in metropolitana e domandare se per caso lui sapesse cosa diavolo avesse visto. Notò che la folla intorno a loro si era diradata, erano praticamente tutti scomparsi. Per sua fortuna. Non gli piaceva come lo osservavano. Finalmente i due arrivarono davanti alla pesante porta che dava accesso alla sala del trono.
A Kjell venne un tremendo dubbio. Si voltò preoccupato verso Thor.
-Non devo parlare con lui da solo, vero? -il Dio scosse la testa.
-No, ti accompagno. È molto meglio… -Thor aprì la porta ed entrò. Kjell indugiò un attimo sulla soglia, poi si fece coraggio e seguì il suo accompagnatore. La sala del trono era immensa. Il ragazzo si domandò a cosa servisse tutto quello spazio. Dopo aver camminato anche per troppo tempo, arrivarono al cospetto di Odino. Kjell si sentì spaventato davanti al Padre di Tutti, un Dio forse più vecchio della Terra, che lo scrutava con il suo unico occhio dall’alto del suo trono. Quando parlò si sentì ribollire il sangue, senza un motivo preciso.
-E così è lui. -lui. Cosa significava “lui”? Kjell non sapeva bene cosa fare o dove guardare. Non era mai stato in colloquio con una persona così importante. -Ora puoi lasciarci, Thor. -il Dio fece invece un passo indietro e mise una mano sulla spalla di Kjell.
-Se non ti dispiace, Padre, preferirei restare. Sai che sarà difficile per lui. -Odino scosse la testa.
-Cose difficili capitano tutti i giorni, soprattutto a noi, perciò… -
-Thor ha pieno diritto di restare qui. -proruppe una voce dalla stessa direzione da cui Thor e Kjell erano arrivati. Odino sembrò molto contrariato.
-Frigga, lo sai che questo è un colloquio privato. -Kjell guardò la donna avvicinarsi e fermarsi accanto a Thor.
-Non puoi cacciarci. Sai bene che questo riguarda tutti noi. -il Padre di Tutti scosse leggermente la testa ma non disse più niente al riguardo. Invece si rivolse a Kjell:
-Qual è il tuo nome, ragazzo? -il chiamato in causa si guardò intorno, imbarazzato a causa di tutta quell’attenzione.
-Kjell Barker, signore. O almeno, Barker è il cognome dei miei genitori adottivi. Non so molto della mia vera madre. So… -cercò lo sguardo di Thor, per cercare approvazione, e il Dio gli fece cenno di continuare. -che ha abitato ad Asgard per qualche tempo. -Odino lo osservò a lungo, prima di ribattere:
-Esatto. Dopo la sua morte, il Guardiano ci ha rivelato le sue origini, dicendoci che si era fatto impietosire da quella bambina troppo debole e piccola lasciata a morire nel gelo dell’inverno.
Così la salvò e la porto ad Asgard. -Kjell annuì. Sapeva già tutto. Era soltanto impaziente di scoprire il motivo per cui l’avevano portato lì ad Asgard.
-Tua madre era amata da tutti, ma si era più affezionata a due persone in particolare. -si fermò un secondo, ma non sembrava insicuro di quello che stava per dire. E non sembrava che gli importasse qualcosa di come avrebbe reagito Kjell. -Thor -il ragazzo annuì. Lo sapeva già. -e Loki. -proprio quel Loki? Quello che aveva cercato di conquistare la terra con il suo esercito meno di un anno prima? Non riusciva proprio a capirne i motivi.
-Padre, non lo fare, non… -disse Thor, risvegliando Kjell dai suoi pensieri. Ma Odino aveva la sua idea, e l’opinione di suo figlio non contava.
-Loki, tuo padre. -Kjell si ritrovò pietrificato. Non era possibile, assolutamente non lo era. Come poteva lui essere figlio di Loki? Come poteva sua madre essersi innamorata di lui? Di un pazzo assassino con l’ossessione di potere? Tutti quei sogni che faceva, tutte quelle visioni… Era un mostro, esattamente come suo padre. Come poteva essere diverso? Era quello il motivo per cui tutti lo osservavano in quel malo modo, il motivo per cui aveva suscitato tanto scalpore. Perché era un mostro e loro lo sapevano. Forse quei sogni che faceva, forse tutto quel sangue era stato lui a provocarlo… Forse aveva ucciso lui la donna che vedeva. Forse aveva rimosso il ricordo perché era solo un bambino. Un bambino e già un mostro. Era per quello che non aveva mai avuto degli amici. Forse perché tutti sapevano che era un mostro. Non si era nemmeno accorto di essersi messo a correre. Non sapeva nemmeno dove stesse andando, ma sapeva che voleva andare lontano, il più lontano possibile da lì. Tutto il mondo attorno a lui vorticava, riusciva a vedere dei visi che lo guardavano severi, delle dita puntate che lo accusavano. Mostro, sei un mostro. Continuava a ripetere una voce che sembrava provenire da nessuna parte, ma allo stesso tempo da ovunque. Certo, era vero. Un mostro non può che generare un altro mostro. Certo, forse sua madre non era del tutto un mostro, ma lo era abbastanza da innamorarsi di un pazzo assassino. Continuò a correre fino a quando non si ritrovò in quello che sembrava un giardino. Non c’era nessuno, ma non si fermò subito. Raggiunse una pianta bassa vicino al lago e vi si lasciò cadere sotto. Si sentiva confuso, non riusciva a capire più nulla, assolutamente nulla. Ma forse l’unica cosa da capire era che lui era un mostro, non c’era nient’altro di chiaro. Sapeva di essere cattivo e marcio. Ormai se lo sentiva dentro.
 
Thor osservò Kjell uscire correndo dalla porta, stringendo gli occhi. Poi, si rivolse a suo padre, lasciando cadere pesantemente il Mjöllnir a terra.
-Sei stato meschino padre! Come hai potuto? -Frigga sapeva che i due si sarebbero messi a litigare, ma per una volta poteva anche accettarlo. Era pienamente d’accordo con Thor. Odino scosse la testa.
-Come volevi che glielo dicessi? Non poteva essere una notizia felice in nessun modo! -il Dio del Tuono fece un passo in avanti.
-È SOLO UN RAGAZZO, MALEDIZIONE, È COSÌ DIFFICILE VEDERLO? -Odino scattò in piedi, per affrontare il figlio.
-È IL FIGLIO DI LOKI! COME PUÒ ESSERE DIVERSO DA LUI? -Thor non faceva che adirarsi di più ogni secondo che passava.
-LA MALVAGITÀ NON SI TRAMANDA DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE! KJELL NON HA COLPE! –Thor sapeva perfettamente che era quello che suo padre pensava. Era convinto che Loki fosse cattivo e perciò era certo che Kjell non potesse portare altro che male. Ma Loki non era malvagio, non lo era mai stato. Era diventato folle, per qualche motivo, forse per il troppo dolore. Nonostante tutto, restava comunque suo fratello. Per Odino era diverso. Per lui Loki era perso. Per lui Thor era il suo unico figlio.
-COME PUOI CREDERE IN LUI, DOPO AVER VISTO QUELLO CHE LOKI HA FATTO ALLA TUA AMATA TERRA? -Odino fece un altro passo in avanti, continuando a sostenere quell’argomentazione senza né capo né coda. Thor scosse la testa, sconsolato. Se essere re significava diventare come suo padre, non aveva alcuna intenzione di regnare su Asgard.
-Forse avrei dovuto rimanere su Midgard e lasciare che Loki restasse re. Forse lui avrebbe avuto più buon senso di te, Padre. -lasciò il Mjöllnir davanti al trono, uscendo a grandi passi, furente. Suo padre si stava lentamente avvicinando alla pazzia. Come aveva potuto dire la verità con tanta leggerezza? Kjell sapeva da poco tempo di essere stato adottato, sapeva da ancora meno che sua madre aveva abitato ad Asgard. Non sapeva nulla. Non avrebbe potuto sapere di più. Poco prima era un ragazzo comune, magari non credeva nemmeno all’esistenza di Asgard. E soprattutto, non sapeva nulla di Loki. Non osava nemmeno immaginare come si sentisse in quel momento. Camminò senza meta per i corridoi, suscitando qualche commento, poiché non lasciava praticamente mai il suo martello, fino a quando la sua rabbia non svanì. Poi, per quanto non fosse felice di doverlo fare, prese una decisione. Sapeva di doverlo fare lui. O lui o nessun altro.
Intanto, nella sala del trono, Odino scese gli scalini che lo separavano dal martello e lo raccolse sospirando. Thor era sempre stato testardo. Frigga si avvicinò a lui.
-Mi dispiace, ma devo dar ragione a Thor. Sei stato crudele. Kjell non ha colpe per come ha agito Loki, lo sai. Ed era nato in un tempo in cui nella mente di Loki non si era ancora insinuata la pazzia. -Odino, rimasto zitto fino a quel momento ad ascoltare la consorte, alzò lo sguardo e la fissò intensamente con il suo unico occhio.
-Loki è sempre stato marcio, temo. -Frigga non poteva credere a quello che sentiva. Fece un passo indietro, adirata. Thor forse aveva perfettamente ragione su tutto.
-Lo hai sempre visto diverso, vero? Non sei mai riuscito ad amarlo come lo amavo io. Per te lui è sempre e solo stato un modo per mettere pace con i giganti di ghiaccio. -scosse la testa, mentre lui non la guardava. -Lui ha ragione a odiarti. -non poteva credere a quello che aveva appena detto. Si allontanò in fretta, lasciando Odino ad ascoltare i suoi passi allontanarsi. Avrebbe aiutato Kjell in tutti i modi, impedendo che cadesse nell’oscurità come Loki. Sapeva che tutti avrebbero considerato quel povero ragazzo diverso, anche se lui non aveva colpe. L’avrebbero sempre considerato un pericolo. Ma non sapeva ancora quanto fosse vero.
 
Non sopportava l’idea di dover scendere là sotto, non sopportava l’idea di dovergli parlare di nuovo. Non sopportava l’idea di avere per l’ennesima volta la conferma che suo fratello era scomparso e non sarebbe mai tornato. Si fermò sulla soglia, ragionando. Come diavolo glielo avrebbe detto? In nessun modo esistente sarebbe stato facile. Sempre che ha lui importasse qualcosa. Sembrava non gli importasse più di nulla. Sospirò e scese le ultime scale che lo separavano dall’entrata delle prigioni. Avanzò fino alla cella di Loki, continuando a ragionare febbrilmente. La sua voce lo riportò alla realtà:
-Thor, a cosa devo il piacere? -alzò lo sguardo su di lui. I capelli gli erano cresciuti notevolmente dall’ultima volta che lo aveva visto, ed erano più disordinati. Lo sguardo invece era uguale. O forse era più acido. Thor non aveva fatto altro che pensare prima di arrivare lì, ma tutti quei ragionamenti sparirono.
-C’è un unico motivo per cui sono qui. -sostenne il suo sguardo, mentre un ghigno si apriva sul viso di Loki.
-E quale sarebbe? -ancora Thor non aveva deciso come dirglielo e perciò parlò senza nemmeno sapere quali parole avrebbe detto.
-Se Synne fosse ancora qui, ti importerebbe di lei? -il ghignò sparì di colpo, mentre di nuovo il muro crepato che Loki aveva cercato di tenere davanti a suoi occhi senza emozioni
crollava.
-No. Non mi importerebbe. -mentiva. Mentiva e lo si vedeva. Ma dopotutto lui mentiva sempre. Abbassò lo sguardo a terra e quando lo rialzò, il muro era tornato.
-Lo temevo. –ribatté Thor, deluso. Sperava che almeno in questo caso
-Perché questa domanda? -Loki inarcò un sopracciglio. Era impossibile che capisse. Thor lo osservò per qualche secondo. Aveva capito che mentiva dicendo che non gli sarebbe importato di Synne, ma comunque non trovava modo migliore.
-Forse speravo che avresti risposto in modo diverso. -
-Non credo che tu sia qui solo per questo. -Thor sospirò.
-Effettivamente no. Voglio solo informarti che tuo figlio è qui. -non aspettò di vedere la reazione di Loki e tornò deciso verso le scale. Non era stato diverso da suo padre, in quel modo. Se Loki non avesse mentito, forse sarebbe stato più clemente. Lo stava facendo per Synne. Lei non meritava tutto questo.
Loki quasi non riusciva a respirare. Era rimasto immobile, si sentiva come se lo avessero trapassato con una spada. Il muro crollò di nuovo, ma adesso lui non aveva motivo di preoccuparsene. Suo figlio. Suo figlio. Era per lui che Synne se n’era andata, era ovvio. Ma perché? Perché non glielo aveva detto? Perché era semplicemente scappata? Lui la amava, non c’era motivo di tenergli le cose nascoste. O forse Synne aveva già capito. Aveva già capito che lui era marcio. Aveva già capito che sarebbe stato solo un pericolo. Ma no, non poteva essere così. Lui con Synne era sempre stato diverso. Lei era l’unica cosa che riusciva a farlo restare sano di mente. Mentre tutti gli altri si accanivano su di lui, senza nemmeno un motivo preciso, Synne era gentile. Solo a lei importava davvero di lui. Loki non si era mai sentito tanto perso come quando era morta. Solo quando aveva scoperto di essere un gigante di ghiaccio, solamente un mostro. Sentì le lacrime scivolargli lungo il viso. Si sentì un idiota, si sentì debole. E lui non era debole. Non lo era. Non lo era più! Lanciando un grido scivolò a terra. Sferrò un pugno alla barriera che lo teneva segregato in quella cella, senza nemmeno sentire il dolore. Rimase così, cercando di scacciare il dolore straziante del cuore con quello fisico. Ma non ci riuscì. Non poteva farlo. No, non quando si parlava di Synne. Sarebbe morto per lei una volta. E anche ora. Era ovvio che gli sarebbe ancora importato di lei se fosse stata ancora viva. Però non lo era. Lo aveva lasciato ad annegare nei suoi sbagli, sbagli che aveva commesso perché lei non c’era più. E con un figlio che non poteva nemmeno amare, il cuore troppo gonfio d’odio verso chi lo aveva sempre sottovalutato e verso sé stesso. Soprattutto verso sé stesso, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
-Perché Synne? Perché? -mormorò, per poi affondare i denti nelle labbra, reprimendo le urla e le lacrime. Sapeva che quella domanda senza senso non avrebbe mai avuto risposta, ma aveva dovuto chiedere. Si chiese dove fosse la sua Synne. Era nell’Hel a causa sua? Perché aveva infettato la sua purezza con l’oscurità che dimorava in lui?  In quel momento si odiò più di prima, per essere così stupido. Cosa pensava suo figlio di lui? Cosa pensava suo figlio di sé stesso? Perché la vita era così ingiusta? Per un attimo desiderò essere uno di quegli stupidi Midgardiani. Avevano solo cento anni o meno da soffrire, mentre gli Dei molto di più. Molto di più o anche troppo.
Loki era così annebbiato da suo dolore che non si accorse della figura nascosta nell’ombra vicino alla sua cella. Dopo qualche attimo, con un leggero tintinnare, la figura scomparve, sconvolta da quello che aveva visto. A quanto pareva, il Dio dell’Inganno aveva ancora un’anima. E forse anche qualcosa di buono in quell’anima.

Angolo autrice:
Saaalve gente! Sì, sono ancora viva, probabilmente speravate il contrario. Questo capitolo è qui solo per confondervi le idee. Sicuramente avrete capito di più del povero Kjell, che più confuso non potrebbe essere. Ora che siete arrivati qui, forse, è ora di rendervi chiare le cose (sure): ovviamente Synne non se n'è andata perché "sapeva che Loki era cattivo" o qualcosa del genere, ma soltanto perché è scema. Ok, scherzo. Ma era un po' in panico, considerando che comunque Loki è uno dei principi di Asgard e lei è soltanto una contadina o qualcosa del genere. In più, più o meno nello stesso periodo aveva scoperto di essere in realtà di Midagard, quindi non sapeva bene cosa fare. In un certo senso voleva che suo figlio potesse vivere in modo normale, ma ha fatto un bel casino, eh. Scusate, sto praticamente mettendo a posto le idee da sola. Un'applauso per la nostra (mediocre) autrice. Che ne pensate? Tutto ciò è abbastanza PLOT TWIST o avevate già capito tutto? 

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